Walk of Life - Growing

di Kimando714
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Time flies ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - The start of something new ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Song to say goodbye ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Do I wanna know? ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Life goes on ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - You can look back, but don't stare ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Home sweet home ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - London rain ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Little wonders ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Get into trouble ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Misunderstood ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Runaway ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Take me home ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - I hope, I think, I know ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Will you be there for me? ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - The scientist ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Loud like love ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - The blackest days ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Almost easy ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Making today a perfect day ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Fire meet gasoline ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Il regalo più grande ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Feeling a moment ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Un'emozione da poco ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - Choices ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - New Days ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 - Good goodbye ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 - Bird set free ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 - Beautiful disaster ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 - Parte di me (Pt. 1) ***
Capitolo 31: *** Capitolo 29 - Parte di me (Pt. 2) ***
Capitolo 32: *** Capitolo 30 - Black holes and revelations ***
Capitolo 33: *** Capitolo 31 - Just breathe ***
Capitolo 34: *** Capitolo 32 - Watching as I fall ***
Capitolo 35: *** Capitolo 33 - Somewhere I belong ***
Capitolo 36: *** Capitolo 34 - In my feelings ***
Capitolo 37: *** Capitolo 35 - Ghosts ***
Capitolo 38: *** Capitolo 36 - A modo tuo ***
Capitolo 39: *** Capitolo 37 - Heavy ***
Capitolo 40: *** Capitolo 38 - R-Evolve ***
Capitolo 41: *** Capitolo 39 - High hopes ***
Capitolo 42: *** Capitolo 40 - Running from my shadow ***
Capitolo 43: *** Capitolo 41 - Before tomorrow comes ***



Capitolo 1
*** Prologo - Time flies ***


DISCLAIMER
Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. I nomi dei personaggi e dei luoghi sono di nostra invenzione, e ci scusiamo in anticipo per qualsiasi omonimia non voluta.
I diritti di questa storia appartengono esclusivamente alle sue autrici. In caso di plagio et similia, non esiteremo a ricorrere per vie legali. Uomo avvisato, mezzo salvato 😊
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Ebbene sì, siamo tornate !🤩 come avete passato l’estate?
Visto che da stasera inizieremo la pubblicazione della nostra nuova storia, nonchè sequel di Walk of Life - Youth, volevamo fare un veloce riassunto sia per chi ha letto la prima storia e magari vuole fare un veloce ripasso, sia per chi vuole leggere direttamente da Growing (che non è assolutamente vietato, anche se proteste perdervi qualche dettaglio sui personaggi e le vicende già accadute).

 
⏮ Previously on Youth:
Giulia, Filippo, Caterina, Nicola, Pietro e Alessio sono un gruppo di sei aamici che, per casualità o per destino, si sono conosciuti a scuola. Durante questi anni molte cose sono successe e finalmente, dopo un anno di "separazione", anche Giulia e Caterina sono approdate in quel di Venezia, come i ragazzi avevano già fatto l'anno precedente ... Ed è proprio qui che ci eravamo lasciatiGiulia e Caterina si stanno ambientando nella nuova vita universitaria e lagunare; Filippo e Nicola danno loro una mano; Alessio è determinato e vuole raggiungere il suo obiettivo, ovvero fare carriera; infine Pietro invece fatica a convivere con le proprie emozioni e il proprio orientamento.
 
Detto ciò, vi lasciamo alla lettura del prologo di Growing!😎
Kiara & Greyjoy



 
PROLOGO - TIME FLIES



 
“Il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano il tempo è eterno” - Henry van Dyke

 
Ci si poteva perdere, in quel labirinto infinito di strade cupe e anguste.
Ci si poteva perdere, e mai più ritrovare il punto di partenza, in quelle strade lastricate ed antiche, strette tra palazzi dagli intonaci colorati che sembravano appartenere ad un’epoca ormai lontana.
Il tempo stava volando, ma quella città sembrava rimanere sempre la stessa, sospesa negli attimi, ed essere sempre diversa allo stesso tempo: non erano cambiati i lunghi canali, dove l’acqua sciabordava e rifletteva i raggi del sole, alto nel cielo. Le barche che partivano dal molo tagliavano ancora l’acqua della laguna, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sempre sotto le luci di San Marco e accompagnate dal volo dei gabbiani.
Ma oscillavano le foglie degli alberi, dondolate dal vento e cullate da quella stessa brezza che, da un momento all’altro, le avrebbe fatte cadere in un lungo viaggio di morte fino al terreno. Erano le stesse foglie che sarebbero rinate la primavera successiva, sui rami di quegli alberi dalla vita lunga e infinita, e che sarebbero morte ancora una volta nell’inverno successivo.
Tutto oscillava come un pendolo, tra l’immutabilità immobile e il cambiamento dinamico delle cose; tra la monotonia eterna e gli attimi fuggenti che si coglievano a fatica; tra la vita e la morte, e tutte le altre eterne leggi che governavano il mondo.
E il tempo volava, inesorabile, a volte lento e a volte più veloce, lasciando dietro di sé strascichi passati, volando sempre più vicino ad un futuro ormai divenuto presente.
 
***
 
Osservava le acque scure della laguna ondeggiare al ritmo del vento e infine infrangersi contro le pance delle barche ormeggiate sul molo. Il cielo si stava facendo sempre più scuro, ed alzando il capo vide nuvole plumbee farsi sempre più minacciose: avrebbe piovuto tra poco.
Sarebbe dovuto tornare a casa, ma non riusciva ad alzarsi da quella panchina. Non sapeva da quanto tempo si trovasse lì, ad osservare le acque profonde farsi sempre più agitate, i vaporetti veneziani che di tanto in tanto riempivano il silenzio con il loro rombo.
Una prima goccia di pioggia gli arrivò sul viso, destandolo da quella sorta di ipnosi nella quale era caduto già da tempo. Doveva andarsene, ma per la prima volta in vita sua non sentiva affatto la voglia di tornare a casa.
Si sentì un mostro, a quel pensiero: chissà come doveva sentirsi Caterina in quel momento. Forse stava piangendo fuori tutte le lacrime trattenute, o forse non stava facendo nemmeno quello, troppo ferita e troppo sola anche solo per aver la forza di sfogarsi in un qualsiasi modo.
Sì, doveva essere così: probabilmente non stava piangendo. Molto più probabile si stesse domandando perché era tornata con qualcuno che l’aveva abbandonata e lasciata a se stessa per molto meno già quattro anni prima.
Nicola si prese il capo tra le mani: era sicuro di non essersi mai sentito così in vita sua. Così sprovveduto, egoista, codardo. Aveva appena toccato il fondo, preferendo scappare da tutte le sue paure piuttosto che rimanere accanto alla donna che amava.
“Perché l’ho fatto, perché?”.
Era più forte di così, doveva esserlo. Doveva farlo per sé, per Caterina ... Per lui, o lei, o qualunque cosa fosse. Ancora non si rendeva bene conto di ciò che Caterina gli aveva detto, e ancora gli sembrava tutto così irreale, anche solo per poterlo pensare.
Riaprì gli occhi lentamente, e davanti a lui trovò la stessa identica immagine di quando li aveva chiusi: era quella la realtà che stava vivendo. Non era un sogno, né un miraggio: non poteva rifugiarsi nell’idea che di lì a poco si sarebbe svegliato, come una qualunque mattina, pensando di aver vissuto un incubo lungo solo una notte.
Prima o poi si sarebbe dovuto alzare da lì, e prendere coraggio. Era ciò che gli mancava, il coraggio anche solo per pensare di potercela fare, di poter andare avanti.
L’immagine di Caterina gli balenò in mente, e per quanto potesse sentirsi incerto nei suoi confronti, sentiva anche un’enorme dispiacere verso di lei. Non poteva lasciarla così, non di nuovo.
Era cresciuto, era più forte ora; per quanto la paura lo lasciasse senza fiato, doveva tirare fuori quel coraggio che sentiva di poter trovare.
Non poteva commettere gli stessi errori che si era ripromesso di lasciarsi alle spalle per sempre

 
“Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti. Amare profondamente ci rende coraggiosi” - Lao Tzu
 
*
 
Un’altra fitta l’attraversò in tutto il corpo; le contrazioni si stavano facendo sempre più ravvicinate e sempre più dolorose, e avrebbe voluto tanto che tutto quello finisse entro poco. Sapeva già che era una vana speranza, che quei dolori tremendi e mai provati in vita sua sarebbero durati ancora per ore e ore, ma ormai cominciava ad avere la mente meno lucida. Sentiva solamente quei dolori lancinanti partirle dalla pancia e diffondersi in ogni angolo del suo corpo.
Trasse un profondo respiro, inspirando dalla bocca come le avevano insegnato, e il dolore parve meno forte e dilaniante, almeno per un momento. Poi giunse l’ennesima contrazione, e strizzò nuovamente gli occhi, cercando di trattenere inutilmente un gemito di sofferenza.
Passò quasi un minuto, prima che Caterina potesse sentire meno dolore. Si guardò intorno, asciugandosi con una mano la fronte imperlata di sudore e scostando le ciocche appiccicate al viso: le pareti bianche ed azzurre dell’ospedale,  completamente asettiche, le incutevano ancora più ansia in quel momento, come se non si sentisse già abbastanza terrorizzata.
Guardò in basso, sfiorandosi il pancione con timore: era solo l’inizio, quello, e già si sentiva così tremendamente stanca e impaurita. Stanca per le contrazioni, e impaurita per tutto ciò che si sarebbe dovuta lasciare alle spalle d’ora in avanti.
Forse le sarebbe mancata la sua vecchia vita. Sicuramente le sarebbero mancate molte cose che difficilmente avrebbe potuto rifare negli anni futuri. Di certo, più di tutte le cose che avrebbe dovuto abbandonare per un bel po’, c’era la sua indipendenza come persona. Il suo essere giovane, spensierata, e indipendente.
Sapeva che non sarebbe più stato così – come minimo per i prossimi diciotto anni-, e in un certo senso anche quella consapevolezza la stava dilaniando, esattamente come stava facendo il dolore fisico.
Avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché almeno non si sarebbe ritrovata in lacrime per la sofferenza in un letto d’ospedale, ad attendere il dolore ancor più grande del parto.
Avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché probabilmente suo figlio non si meritava una madre troppo giovane e troppo inesperta come lei – anche se, in fin dei conti, non doveva essere poi così tanto più inesperta di tutte le altre donne che affrontavano la loro prima gravidanza.
Avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché ancora aveva troppe cose da fare, troppe cose ancora da vivere, prima di mettere al mondo un bambino che avrebbe avuto bisogno di lei in continuazione.
Mentre si toccava ancora il pancione, in un raro attimo di pacifica sofferenza, pianse silenziosamente: quell’addio era ormai inevitabile.
La sua vita non sarebbe stata più la stessa, e a quel punto, a cosa le serviva pensare a tutto ciò che non avrebbe rivissuto più?
La mano si fermò sul basso ventre, nel punto dove probabilmente se ne stava la testa di suo figlio, pronto per nascere e venire a sconvolgerle la vita. E al diavolo il passato, non ci poteva fare niente: ormai era quello il suo presente e il suo futuro.
Non sarebbe più stato lo stesso, ma un nuovo mondo le si apriva davanti agli occhi: stava abbandonando il suo passato di sola figlia, per abbracciare il suo futuro anche come madre.
 

“Il passato è un paese straniero. Lì, tutto si svolge in modo diverso” - L.P. Hartley
 
*
 
Il sole caldo di giugno lo stava facendo sudare, e la tensione non gli stava per niente venendo in aiuto. Si sciolse appena il nodo della cravatta, stretta attorno al collo: si sentiva ancora un po’ a disagio, in quella giacca scura e nella camicia chiara e costosa che gli donavano un aspetto curato e a tratti reverenziale.
Mancava poco alla proclamazione: era l’ultimo passo, l’ultimo ostacolo che lo divideva dalla vita che aveva sempre voluto e che aveva sempre rincorso. L’aveva inseguita con così tanta ostinazione e determinazione che, finalmente, ce l’aveva fatta: era pronto per tuffarcisi subito, a capofitto.
Alessio si passò una mano tra i capelli biondi, le cui ciocche sfioravano il colletto della camicia. Sentiva mille emozioni rimescolarsi dentro di lui, dall’agitazione all’euforia, alla soddisfazione.
Sì, quello era l’aggettivo esatto: si sentiva soddisfatto, per la prima volta dopo tanti anni.
Quello era il suo giorno, il suo nuovo inizio: un’altra battaglia da poter perseguire, un’altra vittoria da poter conquistare.
E che se ne andassero al diavolo tutti coloro che non avevano mai creduto in lui: aveva toccato il fondo, vero, ma si era rialzato. Ed era arrivato sempre più in alto, e anche se l’ultima meta era ancora distante la prima tappa l’aveva raggiunta.
Si chiese cosa gli avrebbe detto suo padre, se fosse stato lì con il resto della sua famiglia e ai suoi amici, in piazza San Marco che, come sempre, accoglieva i laureandi in attesa della proclamazione. Provò ad immaginarselo lì davanti a sé, con i suoi soliti abiti sofisticati e costosi, gli occhi neri e il ghigno derisorio: probabilmente lo avrebbe sminuito, dicendogli che se voleva davvero arrivare dove era arrivato lui, di strada ne aveva ancora molta da fare. Forse non sarebbe mai riuscito a superarlo, forse neppure ad eguagliarlo.
Riusciva perfino a sentire la sua voce, mentre se lo immaginava sputargli addosso quelle frasi. In un qualsiasi altro momento si sarebbe sentito arrabbiato, nell’immaginarsi suo padre, ma non quel giorno: probabilmente, se lui fosse stato presente, Alessio sarebbe riuscito a rispondergli, una volta tanto.
Si sentiva irrefrenabile, invincibile: avrebbe fatto di tutto per difendere i propri sogni, le proprie ambizioni. Avrebbe lottato ancora con le unghie e con i denti, a costo di sembrare arrogante ed egoista.
E forse un po’ lo era davvero diventato, arrogante ed egoista, ma non gliene importava. I progetti e la carriera che avrebbe potuto intraprendere si stavano facendo sempre più nitidi, minuto dopo minuto, e lui non se li sarebbe lasciati scappare, per nessuna ragione.
Quel giorno iniziava una nuova era, gli si apriva una nuova porta davanti: quella che avrebbe portato alla vittoria, alla sua realizzazione personale.
Non vedeva l’ora di percorrerla.
 

“Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto” - Michael Jordan
 
*
 
Stava soffocando, per l’umidità di agosto, per l’agitazione che si sentiva addosso, per la difficoltà a  mantenere la calma e la mente lucida. Le mani gli tremavano appena, e faticava nell’annodarsi la cravatta; in quel momento avrebbe avuto seriamente bisogno di una mano.
Dopo l’ennesimo tentativo, lanciò la cravatta sul letto, spazientito. Si riaprì i primi bottoni della camicia bianca, sospirando rumorosamente e passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli. Ora, più che uno sposo pronto al grande evento, sembrava più un fuggitivo disperato.
Filippo rise appena tra sé e sé, a quel pensiero: in realtà l’idea di fuggire non lo aveva nemmeno sfiorato per un secondo. E di quello si stupiva ancora adesso, positivamente: era sicuro che arrivato a quel punto, nella mattina del suo matrimonio, probabilmente si sarebbe sentito agitato, tentato di mollare tutto.
E invece no. Era sì ansioso, ma in una maniera che lo faceva sentire carico, entusiasta ed esaltato insieme. Non pensava si sarebbe mai potuto sentire in quel modo, così pieno di energie.
Si sedette per alcuni attimi sul letto, un sorriso accennato disegnato sul viso che sembrava non volersene andare. Ripensava a tutti i mesi precedenti, a tutti i preparativi e alla tensione che li aveva accompagnati: aveva speso tantissime energie fisiche e mentali, ma non se ne pentiva per niente. Si sentiva pienamente convinto di ciò che stava facendo, come non mai.
Ed ora, a ripensare a quei mesi difficili, non poteva fare a meno di sorridere. Da lì in avanti, poi, la fatica non sarebbe di certo finita, certo che no: quello era solamente l’inizio di tutto. E non vedeva l’ora di iniziare anche quella nuova avventura, con un tale ottimismo che gli sembrava impossibile perfino per lui.
Si riabbottonò la camicia, e recuperò la cravatta: doveva riprovare ad annodarla, prima di uscire dalla camera in cerca di aiuto. Chiedere aiuto sarebbe stata l’ultima spiaggia.
Si rialzò, avvicinandosi allo specchio: si sentiva più rilassato ora, meno agitato. Le mani non tremavano quasi più, e finalmente, con un sospiro di sollievo, riuscì a fare un nodo anche solo vagamente decente. Poteva comunque dirsi soddisfatto di se stesso. Cercò di risistemarsi anche i capelli ricci, passandosi le mani tra i fili castani delicatamente.
Lo specchio rifletteva ora l’immagine di un giovane uomo sorridente, dall’aspetto elegante e affascinante. Era finalmente pronto per il grande passo, con il cuore che batteva all’impazzata e il sorriso ancora stampato in viso.
 

“Nessuno ha detto che sarebbe stato facile, hanno solo promesso che ne sarebbe valsa la pena” - Harvey Mackay
 
*
 
Si rigirava l’anello di fidanzamento tra le mani da ore, ormai, e ancora sembrava essere in preda a mille pensieri che le occupavano la mente. La pace sembrava essere il più lontana possibile da lei, in quel momento. Il vestito bianco la stringeva un po’, e anche se in parte aveva il timore che, restandosene seduta così scompostamente per troppo tempo, sarebbe finito per rovinarsi un po’, Giulia non accennò ad alzarsi.
Si sentiva già troppo stanca, le girava troppo la testa e la nausea stava cominciando a farsi sentire di nuovo, nonostante fosse mattina ormai inoltrata. L’ansia le stava giocando brutti scherzi.
Come per tranquillizzarsi, poggiò una mano sul ventre. Sperava che almeno loro stessero bene, che non sentissero la sua agitazione.
Stava forse facendo una pazzia? Non faceva altro che chiederselo da quando si era svegliata diverse ore prima. Le risposte non erano mai state così discordanti tra di loro, così contraddittorie e insicure.
No, quello che stava per compiere era sì un passo importante, ma non insolito per una coppia di lunga data.
Sì, erano troppo giovani per farlo, troppo spiantati, troppo tutto.
No, doveva tutelare sia se stessa, che Filippo, che la loro famiglia.
Sì, forse cominciava a non essere poi così sicura delle sue scelte.
Ma no, non poteva nemmeno dirsi pentita. La paura era normale, c’era per chiunque in momenti simili. Anche Filippo doveva sentirsi così, immaginava, elegante nel suo completo scuro e agitato come non doveva mai essere stato.
E se lui invece ci avesse ripensato durante quella notte? Se ci avrebbe ripensato una volta sposati? Giulia si morse il labbro inferiore, sull’orlo di una crisi di nervi. Non doveva essere così pessimista, non quel giorno. Sarebbe dovuto essere uno dei giorni più belli della sua vita, e invece si sentiva così maledettamente insicura.
Insicura di sé, insicura di Filippo.
Trasse un respiro profondo, cercando di calmarsi. Doveva stare tranquilla, nella situazione delicata in cui si trovava, ma in quel momento le risultava davvero difficile.
Era solamente scombussolata, confusa e disorientata per ciò che stava succedendo, per come tutto nella sua vita sarebbe cambiato: ma, in fondo, sapeva che di Filippo poteva fidarsi. Poteva fidarsi anche delle sue precedenti valutazioni, fatte sicuramente a mente più lucida e con molta più calma rispetto al presente.
Doveva ignorare quelle insicurezze, quelle debolezze che la stavano attaccando e che stavano penetrando fin troppo profondamente in lei.
Sperava solamente che anche per Filippo potesse essere lo stesso, che anche lui stesse combattendo e vincendo quelle paure che stavano assaltando anche Giulia.
, doveva avere fiducia in lui, come l’aveva sempre avuta.
Doveva avere fiducia in loro due, perché solo così sarebbe riuscita ad alzarsi di lì a testa alta, ed affrontare tutto con la giusta lungimiranza e la giusta forza.
 

È abbastanza ironico che nella vita, la persona che tira fuori il meglio di te e l’unica che ti rende forte è in realtà anche la tua debolezza”
 
*
 
Le dita minuscole del bambino si strinsero attorno al suo dito, teso vicino al viso del piccolo che teneva in braccio saldamente e delicatamente allo stesso tempo. Non aveva mai sentito una pelle più morbida della sua, talmente setosa da sembrare quasi irreale.
Lo cullò un altro po’, sperando si fosse finalmente addormentato: teneva gli occhi piccoli chiusi, ma la mano stringeva ancora il suo dito, come a volergli dire di non andarsene, di non lasciarlo.
Pietro sorrise istintivamente, continuando ad osservare il volto tranquillo e beato di suo figlio: poteva starsene tranquillo, non lo avrebbe lasciato mai, per niente e per nessuno.
Era lui, ora, il centro del suo mondo, la persona da cui ripartire, l’unico per cui si sarebbe sacrificato senza pensarci due volte. Si sarebbe fatto forza per suo figlio: glielo doveva, come genitore.
Si sedette sul divano, tenendo ancora contro il petto il bambino: gli sembrava così piccolo, stretto tra le braccia, e così indifeso. Ancora così innocente e ingenuo riguardo al mondo che lo circondava.
Quel bambino era il segno evidente del suo destino. Non c’era più tempo per rincorrere sogni ed amori impossibili, non c’era più tempo per struggersi nella delusione e nel dolore di non poter avere chi amava davvero.
Quello era il punto finale e il punto di svolta allo stesso tempo. Il momento in cui non poteva più trascinarsi dietro il passato e certi sentimenti che sarebbe risultati di troppo d’ora in avanti.
Avrebbe usato l’amore inespresso per Alessio per dargliene ancor di più a suo figlio. Doveva farlo, non aveva altre scelte davanti a sé.
Eppure, insieme alla felicità più grande che il viso addormentato di suo figlio poteva donargli, si mescolava in lui la disperazione più nera e profonda. E non riusciva a fare a meno di sentirsi uno stupido, a sentirsi così male per qualcuno che non aveva mai davvero avuto, e che ora non avrebbe avuto mai.
Non poteva permettersi distrazioni, non più: c’era suo figlio ora, era lui a cui doveva dedicarsi con tutto se stesso. Non doveva esserci più posto, nel suo cuore, per due persone.
Per quanto male potesse fare, doveva mettercela tutta per superare quel dolore, per nascondere nell’angolo più remoto di se stesso quell’amore distruttivo: non voleva mostrarsi a suo figlio come un uomo incapace di prendere le scelte più giuste, incapace di controllare i propri sentimenti.
Ce la doveva fare, e ce l’avrebbe fatta, o almeno era ciò di cui doveva convincersi.
Il suo unico problema era che, per quanti sforzi potesse fare, al cuore non si poteva proprio comandare nulla.
 

È uno strano dolore ... Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai” - Alessandro Baricco
 


 

NOTE DELLE AUTRICI
Beh, che dire: questo prologo ha riservato di certo più di una sorpresa!
Ma andiamo con ordine: quelli che avete letto finora sono flashforward, spezzoni di eventi che devono ancora accadere nel tempo della narrazione, ma che di sicuro sono seminati tra i 41 capitoli che compongo Growing.
Questa seconda parte riguarderà eventi che si collocheranno tra gennaio 2017 e agosto 2019 (è quindi staccata dal finale di Youth di due anni e un paio di mesi), tutti da scoprire. Ma per ora potete lanciarvi in ipotesi e teorie su come si arriverà, e quali conseguenze avranno, ad ognuno degli eventi accennati in questo prologo (che, in ogni caso, sono solo una parte... Quindi aspettatevi colpi di scena)!
Visto che questo di stasera era solo un breve prologo, ci rivediamo già mercoledì prossimo con il capitolo 1!
Kiara & Greyjoy

 




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - The start of something new ***


CAPITOLO 1 - THE START OF SOMETHING NEW


 
 
Against the sky
Streams of light
Call out to me and you
We leave as one
We’ve just begun
To find the solace we’re due
This is the life we must choose
 

L’aria gelida di inizio gennaio la faceva rabbrividire, nonostante nell’appartamento ci fosse ormai un tepore piacevole. Giulia staccò lo sguardo dalla finestra, lasciandosi alle spalle la visione dell’inverno rigido che era calato su Venezia: sembrava quasi che stesse per iniziare a nevicare e, probabilmente, durante quella stessa notte sarebbe accaduto.
Mosse qualche passo, guardandosi intorno e lasciando nascere un sorriso soddisfatto a disegnarle le labbra: l’appartamento era ancora piuttosto spoglio, e il resto del trasferimento le avrebbe portato via le ultime energie che le rimanevano. Per ora, in ogni caso, poteva dirsi contenta di come stavano andando le cose.
Passò in rassegna con lo sguardo le pareti della sala dipinte a nuovo, con i suoi colori preferiti: quel giallo tenue le dava la sensazione di pace che cercava. Si sentiva finalmente a casa, nella sua casa.
Era soddisfatta anche dei mobili nuovi, appena comprati e montati durante la settimana appena passata. Mancava ancora un divano, il forno della cucina, e qualche sedia in più, e diverse altre cose, ma lo stretto necessario c’era già: il letto matrimoniale, l’armadio, i mobili per il bagno e quelli della cucina. Di sicuro qualcosa lo avrebbe riciclato anche dall’appartamento che ancora condivideva con Caterina, ma per ora andava bene così. Ancora qualche settimana, e poi quell’appartamento sarebbe diventato perfetto.
Si sentiva anche un po’ stanca, e le sembrava ovvio, dopo aver sistemato tutte quelle cose in così pochi mesi, ma allo stesso tempo si sentiva rilassata, in pace con se stessa.
Sentì un rimbombo di passi provenire dalla stanza accanto, ed alzò lo sguardo solo quando li sentì farsi più vicini. Filippo avanzava verso di lei, i ricci scuri appena un po' spettinati e l’aria un po’ stravolta: avevano passato tutta la mattina e il pomeriggio a sistemare e pulire le ultime cose, ed ora, quando era finalmente calata la sera, la fatica aveva cominciato a farsi sentire.
-Fosse per me salterei volentieri la cena e mi butterei direttamente a letto- bofonchiò Filippo, raggiungendo finalmente Giulia, e buttandosi sopra alla prima sedia che aveva trovato.
-Ti rendi conto che questa è, di fatto, la prima notte che dormiremo qui? Nella nostra casa?- domandò Giulia, sorridente e a tratti un po’ ansiosa: le faceva ancora un po’ strano definire quell’appartamento come la loro casa. Ci avrebbe dovuto fare l’abitudine, d’ora in avanti.
-Mi sa che devo ancora realizzare bene questa cosa- ribatté l’altro, disorientato. Sembrava anche lui alquanto stranito, proprio come lei: entrare nell’ottica di quel cambiamento sembrava più difficile che mai.
-Anche io- ammise Giulia, sedendosi a sua volta in una delle tre sedie rimaste, e appoggiando i gomiti sul tavolo – Ma allo stesso tempo mi sento ... Felice. Sì, direi che è l’aggettivo giusto-.
L’unica risposta che ricevette fu il sorriso luminoso di Filippo, che rimase in silenzio stringendole una mano tra le sue.
Giulia ricambiò la stretta, il calore della pelle di Filippo che scaldava la sua; era sicura di aver riconosciuto nei suoi occhi la stessa felicità di cui aveva parlato un attimo prima.
Sì, si sentiva davvero felice.
 


- Caterina mi ha appena scritto-.
Alessio avanzava velocemente, a passi svelti lungo le calli del sestiere di Santa Croce. Aveva un freddo cane, e sperava di sentirlo meno camminando in modo così sostenuto. Di certo non correva perché erano in ritardo, certo che no: quello era solo un dettaglio piccolo e insignificante.
-E che dice?- domandò a sua volta Alice, cercando di mantenere il ritmo dell’altro, e facendo così svolazzare appena i lunghi capelli rossi.
-Che lei e Nicola sono già arrivati, e sono gli unici ad essere già lì-.
-Allora non siamo gli unici being late. Non che questo mi faccia sentire meno in colpa, you know that-.
-Siamo quasi arrivati, in ogni caso- replicò Alessio, svoltando in una calle alla sua sinistra. Riconobbe subito il posto, e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo: erano arrivati praticamente a destinazione.
Si voltò verso Alice, le cui guance erano ormai arrossate per il freddo e anche per la camminata veloce, allungandole una mano per stringere la sua: la trascinò dietro di sé, incitandola a incedere ancor più celermente per fare prima.
Erano quasi giunti al portone del palazzo a cui erano diretti, quando, poco prima di aprirlo, Alessio notò altre due persone provenienti dalla direzione opposta a quella da dove erano giunti lui ed Alice: acuì lo sguardo, e dopo pochi secondi fu quasi sicuro di riconoscere nella figura alta e slanciata proprio Pietro. Dovette poi trattenere un moto di disgusto, nel notare la persona da cui era accompagnato.
-Non sapevo venisse anche Giada- gli sussurrò piano Alice, dietro di lui, guardando a sua volta l’altra coppia in arrivo.
-Io speravo sparisse proprio dalla faccia della Terra- sbottò di rimando Alessio, trattenendo a stento una smorfia infastidita. Accennò a spingere comunque il portone per poter entrare senza aspettarli, ma Alice lo bloccò prontamente, lanciandogli uno sguardo di rimprovero:
-Aspettiamoli, almeno-.
-Pietro lo aspetterei volentieri, ma non la cougar- replicò di nuovo lui, poco prima che Pietro e Giada fossero ad una distanza che permettesse loro di udire ciò che si stavano dicendo.
Alessio non si premurò nemmeno di fingere un sorriso di circostanza: lanciò un cenno di saluto a Pietro, ma non degnò nemmeno di un’occhiata la donna che gli stava a fianco.
-Ciao a tutti e due!- li salutò invece Alice, allegramente e sorridente; scuotendo la testa, Alessio non poté fare a meno di pensare che la sua ragazza era fin troppo buona. Non si sarebbe mai mostrata neanche lontanamente maleducata senza un valido motivo. Lui, invece, non riusciva nemmeno a fingere indifferenza di fronte a Giada.
-Pensavamo foste già arrivati- rispose subito proprio lei, ricambiando il sorriso di Alice e lanciando un’occhiata veloce ad Alessio – Ci sembrava di aver fatto un po’ tardi-.
-Infatti è così. Siamo in ritardo noi, e quindi anche voi- replicò secco Alessio, non attendendo nemmeno una risposta prima di aprire il portone d’ingresso del palazzo.
All’interno non vi era più caldo rispetto a fuori, ma di certo non tirava nemmeno la brezza gelida che li aveva investiti lungo le calli. Alessio avanzò a grandi passi senza aspettare nessuno, nemmeno Alice: ora che anche Giada si trovava lì il suo umore era decisamente peggiorato, e preferiva di gran lunga rimanere da solo, piuttosto che nel raggio di pochi metri di distanza da lei.
Prese a salire le scale, diretto al primo piano; gli altri tre lo seguivano a ruota, e sebbene Alessio non si fosse girato nemmeno una volta dietro di sé, era sicuro di sentire lo sguardo di Pietro osservarlo. Per un attimo fu tentato di fermarsi un attimo, attendere l’amico anche per poter scambiare con lui qualche parola; ma fu soltanto una tentazione passeggera, alla quale resistette. Non sopportava gli sguardi enigmatici di Giada quando si fermava a parlare con Pietro in sua presenza.
Non appena giunse sul pianerottolo notò subito due persone in piedi, accanto ad una porta in fondo al corridoio di destra: accelerò il passo, sentendosi sollevato nel constatare che Nicola e Caterina erano già arrivati. Si sarebbe potuto rifugiare da loro, perlomeno.
-Finalmente! Come al solito non vi sbrigate mai- lo rimproverò subito Caterina, a bassa voce, per non creare rimbombo nel corridoio.
-Siete qui da tanto?- domandò a sua volta Alessio, fermandosi di fronte ai due amici.
-Dieci minuti circa- rispose prontamente Nicola, le mani nelle tasche del cappotto.
Dopo pochi attimi giunsero anche Pietro, Giada ed Alice, che sembravano aver proceduto con parecchia calma.
-Siete sicuri che siano in casa?- Pietro si sfregò le mani infreddolite, fermandosi tra Nicola ed Alessio – Non vorrei che tutto questo si rivelasse un misero buco nell’acqua-.
-Sono qui, ne sono certa- Caterina non sembrava aver alcun dubbio su ciò che stava dicendo, ed appariva piuttosto sicura di sé – Giulia mi aveva detto che dovevano dare una pulita all’appartamento, prima di rimanere a dormire qui stanotte. Non credo possano aver finito da tanto-.
-In ogni caso non ci resta che provare a bussare- concluse Alessio, sperando di fare più in fretta possibile: cominciava a sentirsi un po’ troppo in gabbia, stretto tra Pietro e Giada, sotto lo sguardo di entrambi.
Nicola non attese molto: tirò fuori una mano dalla tasca, e bussò immediatamente alla porta bianca che si ritrovavano davanti.
Ora non rimaneva che attendere che qualcuno aprisse loro.
 


Giulia si riscosse improvvisamente quando sentì distintamente qualcuno bussare alla porta d’ingresso. Si volse verso Filippo, e poté constatare che anche lui sembrava altrettanto sorpreso: non aspettavano alcuna visita – non si erano ancora trasferiti definitivamente lì, e in pochissimi conoscevano l’indirizzo esatto dell’appartamento-, e non aveva idea di chi potesse essere. Il pensiero andò subito a Caterina, ma un attimo dopo Giulia ricordò che doveva essere a Padova con Nicola, per passare un pomeriggio fuori casa. E non credeva potesse essere Alessio, l’unica altra persona a sapere dove si trovasse l’appartamento: non se lo immaginava a venire a bussare così, senza preavviso e senza alcuna motivazione apparente.
Sentì bussare nuovamente, e a quel punto non poté fare a meno di alzarsi:
-Forse è meglio se vado a controllare chi diavolo c’è-.
-Vengo con te- aggiunse subito Filippo, alzandosi a sua volta e seguendola verso l’ingresso.
Giulia rimase immobile davanti alla porta per qualche secondo, interdetta: sperava non fosse una trappola di un qualche malintenzionato. Magari era solamente qualcuno che aveva sbagliato appartamento, o magari era davvero qualcuno che cercava proprio loro; in un caso o nell’altro, non le rimaneva che aprire e scoprirlo.
Fece scattare la serratura, e rimase per un attimo del tutto ammutolita, quando con una vivace esclamazione di “Sorpresa!”, si ritrovò davanti agli occhi Caterina, Nicola, Alessio, Pietro, Alice e Giada.
-Ma voi due non dovevate essere a Padova?- borbottò Giulia non appena si fu ripresa dallo sgomento, lanciando sia a Caterina che a Nicola uno sguardo torvo.
-Diciamo che il programma è cambiato all’ultimo minuto- rispose subito lei, cercando di trattenere le risate.
-Siete venuti a farci una visita di cortesia?- domandò Filippo, da dietro le spalle di Giulia, molto più sorridente e divertito rispetto a lei.
-Oh no, siamo solo venuti a controllare che non vi steste divertendo in modi piuttosto piacevoli- replicò Pietro, scatenando l’ilarità generale, e ricevendo l’ennesimo sguardo minaccioso da Giulia – Ma visto che, a quanto pare, non stavate facendo nulla di così interessante, penseremo noi a rallegrarvi e movimentarvi il resto della serata-.
Giulia non fece in tempo a rispondere nulla: dovette farsi da parte, esattamente come Filippo, per lasciar passare tutto il gruppo che le si era presentato alla porta. Notò che Caterina, Nicola e Pietro tenevano in mano diverse sporte di plastica, e non le ci volle molto per intuire che avevano intenzione di fare. Caterina, avendo già visitato l’appartamento, si era diretta con sicurezza verso la cucina, sistemando delicatamente le sporte che aveva in mano sul tavolo.
-Immagino dobbiate ancora preparare la cena- disse, non appena anche Nicola ebbe raggiunto il tavolo –In tal caso, abbiamo pensato noi a comprare qualcosa. Ci sarà una festa, qui, stasera!-.
-E questi sono alcuni pensieri per voi- aggiunse Pietro, indicando le buste che aveva portato, appoggiate ora accanto al muro della stanza – Vi suggerirei di ammirarli più tardi. Avrete delle belle sorprese-.
-Altre sorprese ancora?- esclamò indignata Giulia, spalancando gli occhi, e facendo girare lo sguardo su tutti i presenti – Ho come il presentimento che ce ne siano già state troppe questa sera-.
-Non essere troppo malfidente, in fin dei conti Filippo non mi sembra molto contrariato- si intromise Alessio, lanciando un sorriso divertito all’altro, che rispose con un cenno piuttosto allegro.
-Avreste comunque potuto avvisare!- continuò Giulia – Insomma, è ancora tutto così in disordine! E poi ci sono solo quattro sedie, chi rimane senza dovrà mangiare in piedi-.
-Oh avanti, non fare troppo la difficile- Filippo le passò un braccio attorno alle spalle, come per tranquillizzarla – Una festa di inaugurazione dell’appartamento ci voleva-.
Giulia rimase senza parole, attonita: effettivamente, se da una parte si sentiva presa alla sprovvista da quell’arrivo in massa dei loro amici, dall’altra non poteva non ammettere di esserne compiaciuta. Forse avrebbe davvero preferito essere avvisata di un’idea del genere, ma in fin dei conti andava bene anche così: sarebbe stato un bel modo per passare quella prima serata lì dentro, nella loro casa.
 
*
 
-Mi sento quasi scoppiare-.
Giulia si buttò poco elegantemente su una delle sedie, massaggiandosi la pancia e respirando profondamente dalla bocca. Sul tavolo, ormai, rimanevano solo poche cose, quelle che erano avanzate e che ancora non erano state mangiate: Caterina aveva comprato di tutto, dagli antipasti fino al dolce, senza dimenticare lo spumante per festeggiare, e una bottiglia di buon prosecco. Si erano letteralmente abbuffati tutti, ed ora, a poco meno di mezz’ora dalla fine di quella cena, Giulia sentiva di aver mangiato davvero troppo.
Dette un’occhiata al tavolo, parecchio disordinato e invaso da piatti e bicchieri di plastica: si erano rivelati un acquisto importante, visto che in casa non c’erano ancora piatti di ceramica e bicchieri sufficienti per tutti.
-Proprio tu lo dici, che di solito hai fame ogni secondo di ogni giorno?- la prese in giro bonariamente Caterina, sedendosi accanto a lei, e guardandola con aria soddisfatta – Comunque, ammettilo: abbiamo avuto una grandiosa idea a venire qui di sorpresa-.
-Oh sì, Filippo ne è stato felicissimo- convenne Giulia, tutt’altro che ironica: erano passati già dieci minuti, da quando Filippo aveva sequestrato Alice e Giada per far vedere loro il resto dell’appartamento, e Giulia aveva il forte sospetto che non li avrebbero visti ritornare molto presto. Nicola e Alessio se l’erano cavata solo con la scusa di prendere un po’ d’aria,  facendo compagnia a Pietro mentre fumava fuori in balcone.
-Non avevo idea, comunque, che sarebbe venuta anche Giada- riprese Caterina, con fare pensieroso: aveva lo sguardo perso, e sembrava aver parlato più a se stessa che a lei.
-In effetti è stata un po’ una sorpresa vederla qui- convenne Giulia. In fin dei conti Pietro, quando usciva ancora con loro, non si era mai premurato troppo nel farsi accompagnare da lei, e in due anni che si frequentavano Giulia non era ancora riuscita a vedere un legame davvero solido tra di loro. Forse era perché non li vedeva spesso insieme, forse perché, nonostante il tempo passato, non poteva dire di conoscere bene Giada e perché non le ispirava molto altro se non indifferenza, ma non riusciva a ritrovare in lei e Pietro l’amore che ci sarebbe dovuto essere in una coppia di lunga data.
E poi, era inutile negarlo: probabilmente Giada stessa preferiva non frequentarli, consapevole di non essere mai stata troppo ben accetta – come Alessio, d’altro canto, si premurava sempre di ricordarle, ostile nei suoi confronti, se per la differenza d’età tra Giada e Pietro, se per il carattere di Giada o per qualsiasi altro motivo, Giulia non l’aveva ancora capito fino in fondo. Forse era proprio lui ad essere il problema maggiore, lo scoglio da superare e che la frenava irrimediabilmente.
Ed era altrettanto vero che anche il resto del loro gruppo, pur non avendo mai fatto nulla per dimostrarle ostilità, si era sempre fermato ad un certo disinteresse verso di lei. Non c’era alcun legame, doveva ammettere Giulia, a malincuore.
Filippo era forse stato l’unico a fare qualche sforzo, aperto e socievole com’era con tutti, l’unico che cercava di coinvolgerla di più, tentando più volte di avvicinare le due parti ed appianare i conflitti. Molto spesso aveva visto fallire i suoi buoni intenti.
D’altro canto, quella situazione sembrava andar bene a Pietro quanto a Giada stessa: non avevano fatto molto per cambiare i loro giudizi – forse perché, in fondo, si potevano contare sulle dita delle mani le volte in cui Giada era comparsa durante le loro uscite collettive.
Era sempre stata un po’ un mistero.
 


-Ma perché non ce ne andiamo? Di sicuro li disturberemo!-.
-Pensi che si stiano già dando da fare?-.
Giulia dovette trattenere a stento una risata, nonostante Filippo la stesse guardando torvo e con aria di rimprovero.
-Non sono affari nostri, tutto qui- sbottò di nuovo lui, pur continuando a percorrere le scale dietro a Giulia – Ce la presenterà lui quando vorrà-.
-Ma sono troppo curiosa- replicò lei, voltandosi indietro verso l’altro, prima di proseguire ancora.
-Alessio avrebbe fatto meglio a tacere e non dire nulla in giro- borbottò Filippo tra sé e sé, pur venendo udito da Giulia, che rimase in silenzio a soppesare quelle parole.
Ormai era più di un mese che sentiva parlare di quella fantomatica Giada – o meglio, che sentiva Alessio sparlare di lei-, e per quanto avesse cercato di trattenersi, era troppo incuriosita: voleva conoscerla, ormai non tanto perché le interessava la nuova fiamma di Pietro, quanto per capire come mai Alessio avesse parole così sprezzanti e amare da riservarle. Non che si fosse sbilanciato troppo, nel sottolineare cosa lo infastidisse così tanto di lei – e forse era proprio per questo che Giulia si era spinta fino a quel punto. Certo era che l’idea che aveva fatto passare era che per lei non fosse nulla di serio, lo stare con Pietro. Giulia non ne era ancora convinta: dopotutto, da quel che ne sapeva, si frequentavano già da diversi mesi. Non aveva idea, allora, di che ci fosse sotto, cosa non andasse in quella storia.
-In ogni caso il regalo per il suo compleanno glielo dobbiamo dare- rispose infine Giulia, dopo interminabili attimi di silenzio. Mancavano pochi giorni al ventunesimo compleanno di Pietro, e la scusa di dargli il loro regalo per lui si era rivelata particolarmente azzeccata per l’occasione: almeno non sarebbero piombati nel suo appartamento senza una minima giustificazione. In un certo senso, tenere in mano il pacchettino avvolto nella carta colorata che altro non doveva essere che il suo regalo, la faceva sentire meno in colpa e meno invadente.
-Ma mancano ancora diversi giorni!- replicò ancora Filippo, poco prima di arrivare finalmente al pianerottolo dove si trovava l’appartamento di Pietro ed Alessio – E poi magari lei non c’è-.
-Alessio ha detto che si dovevano trovare oggi pomeriggio, qui a casa- disse Giulia, riportando alla mente le parole che Alessio le aveva detto giusto il giorno prima, a quel tal proposito – Per questo lui è uscito con Alice questo pomeriggio: non voleva incrociarla-.
-Gli sta davvero molto simpatica- ironizzò Filippo, appostandosi accanto alla porta, ed attendendo che Giulia vi bussasse per potersi fare aprire.
-Dannatamente tanto, a quanto pare-.
Giulia schiacciò il campanello due volte, sufficienti per potersi fare sentire anche qualora fossero stati distratti da certe faccende. Era quasi sicura che Pietro e Giada fossero lì dentro, nell’appartamento, come le aveva detto Alessio, eppure dovette suonare un’altra volta ancora prima di sentire un lontano rimbombo di passi, provenienti dall’interno, farsi sempre più vicini.
-Non dirmi che hai dimenticato qualcosa qui, perché ... -.
Non appena Pietro aprì la porta, la voce gli morì in gola. Rimase fermo immobile a fissare Giulia e Filippo, gli occhi sgranati e la bocca ancora semi aperta, nonostante si fosse bloccato dal parlare già da qualche attimo.
-Ma buongiorno!- esclamò allegramente Giulia, notando con la coda dell’occhio che Filippo si stava trattenendo a stento dal mettersi le mani a coprirsi la faccia – So che non abbiamo avvisato, ma possiamo entrare comunque? Abbiamo qualcosa per te-.
Pietro sembrò preso ancor più in contropiede, rosso in viso come Giulia non l’aveva mai visto. Non era difficile intuire che, effettivamente, non doveva essere solo in casa: addosso aveva soltanto una canotta e dei boxer, e i capelli scuri risultavano quanto mai spettinati e in disordine.
-Va bene-  disse infine, spostandosi dalla porta per lasciare passare Giulia e Filippo, che gli lanciò uno sguardo pieno di muto dispiacere.
-Pensavo fosse Alessio, ultimamente dimentica spesso le chiavi di casa- Pietro si schiarì la voce, mentre li guidava verso il salotto, dopo aver richiuso la porta d’ingresso.
-Stavo quasi per sfondare il campanello a forza di suonarlo- ribatté Giulia, sedendosi sul bordo del divano, seguita poco dopo da Filippo – Eri occupato a far qualcosa?-.
-Stavo ... - Pietro, restandosene in piedi di fronte agli altri due, si passò una mano tra i capelli, scarmigliandoli ancor di più – Stavo dormendo-.
Sembrava in preda all’imbarazzo più puro, ed effettivamente anche a Giulia sembrava di essere stata catapultata in una situazione del tutto surreale.
-Comunque noi volevamo solo darti il regalo per il tuo compleanno- intervenne Filippo, parlando velocemente e mangiandosi le parole, come per volersi sbrigare ad andarsene – Nulla di che, solo un piccolo pensiero. Ovviamente non ci fermeremo molto, abbiamo un impegno tra poco-.
Giulia fece per protestare, ma si zittì subito non appena Filippo le ebbe lanciato uno sguardo duro e che non sembrava ammettere alcuna replica. Si limitò a sospirare rumorosamente, e a porgere verso Pietro il pacchetto colorato che ancora teneva in mano:
-Ecco qui. Un po’ in anticipo, è vero, ma probabilmente sia io che Filippo dovremmo tornare a casa dai nostri per questo weekend, quindi ... Beh, non ci andava di dartelo tra più di una settimana-.
-Siete stati gentili- mormorò a bassa voce Pietro, afferrando il pacchetto e posandolo sul tavolino di fronte al divano, e lasciandosi andare ad un leggero sorriso. Sembrava essere un po’ meno in difficoltà in quel momento, e anche Giulia riuscì a rilassarsi a sua volta; sperava, comunque, che il suo piano non andasse del tutto a rotoli.
Il cigolio proveniente da una delle stanze li fece voltare tutti, Pietro e Filippo con un’aria preoccupata, e Giulia ormai sull’orlo della curiosità più profonda: era evidente che ci fosse qualcun altro nell’appartamento, e che quel qualcuno non fosse certo Alessio.
Lo scalpiccio di piedi nudi sul pavimento seguì subito dopo il cigolio delle molle di un materasso, e prima che Pietro potesse dire qualsiasi cosa, una donna magra e bionda e in sola biancheria intima fece capolino sulla soglia del salotto:
-Pietro, ma cosa stai... Oh, Dio!-.
Non appena si fu accorta di Giulia e Filippo sul divano, tornò indietro, le mani sul corpo nel tentativo di coprire le zone di pelle nuda.
-Beh, le stavo per dire che c’era gente, ma a quanto pare l’ha scoperto da sola- borbottò Pietro, un sorriso disperato in viso e le gote ancor più in fiamme.
Giulia non sapeva bene che fare: dentro di sé si sentiva in bilico tra il divertimento puro e l’imbarazzo più totale. Di certo non si sarebbe aspettata di vedere per la prima volta la nuova ragazza di Pietro mezza nuda.
Filippo, invece, sembrava del tutto preso dalla vergogna: si era finalmente portato le mani al viso, coprendosi gli occhi e probabilmente cercando di soffocare i mille improperi che gli stavano venendo in mente.
-Comunque ... Ehm ... – Giulia si schiarì la gola, non sapendo bene cosa poter dire – Quella non  era ...?-.
-Era Giada- concluse Pietro, un sospiro di sconforto ad accompagnare quella semplice conferma.
Non sembrava molto felice di quella situazione, e Giulia era quasi sicura che quella sua aria contrariata non fosse solamente dovuta alla figuraccia che era appena avvenuta.
Annuì in silenzio, in attesa: probabilmente Giada li avrebbe raggiunti di lì a poco, dopo essersi rimessa qualcosa addosso. Non credeva che se ne sarebbe rimasta rinchiusa nella stanza di Pietro fino a quando Giulia e Filippo se ne sarebbero andati, non ora che ormai sapevano della sua presenza nell’appartamento.
Dopo qualche minuto passato in rigoroso silenzio, Giada ricomparve lentamente sulla soglia del salotto, stavolta un po’ più esitante, e con un maglione e dei jeans addosso.
Ad una prima occhiata Giulia fu sicura di aver capito il motivo – o almeno uno dei tanti- per cui Giada non andava a genio ad Alessio.
Giada era una bella donna, non c’erano dubbi; ma non vi erano altrettanti dubbi sul fatto che dimostrasse molti più anni rispetto a Pietro. Ad una prima occhiata non le avrebbe dato più di trent’anni, rendendosi conto che, in effetti, già così sarebbero stati una decina di più rispetto a quelli di Pietro.
Alessio era forse preoccupato della non riuscita di una relazione tra due persone con una forte differenza d’età? Probabilmente qualche timore doveva avercelo, se reagiva così malamente ogni volta che saltava fuori Giada in qualsiasi argomento, anche se, in fin dei conti, dieci anni non erano poi un’infinità. E poi Giulia non ricordava Alessio come uno che si scandalizzava per cose del genere: possibile non gli andasse bene solo perché c’era Pietro di mezzo? C’era forse qualcos’altro sotto, a parte la differenza d’età?
-Scusate per prima- esordì lei, prima che chiunque altro potesse dire qualcosa – Non avevo sentito fosse arrivata gente-.
Lanciò un’occhiata eloquente a Pietro, prima di raggiungerlo e fermarglisi di fianco.
-Sono arrivati da poco- spiegò lui, indicando con un cenno Filippo e Giulia, che si alzarono dal divano cercando di apparire sorridenti, nonostante l’imbarazzo fosse ancora forte.
-Oh, finalmente conosco degli amici di Pietro che non siano il suo coinquilino- esclamò Giada, sottolineando bene l’ultima parola – Io sono Giada-.
-Questi sono Giulia e Filippo- li presentò Pietro, mentre Giulia porgeva per prima la mano a Giada, stringendogliela.
-Non sapevamo ci fossi anche tu qui oggi, altrimenti avremmo perlomeno avvisato prima di passare- snocciolò Giulia, cercando di ignorare il più possibile le occhiate di rimprovero che Filippo le stava rivolgendo di sottecchi – Volevamo solo dare una cosa a Pietro, per il suo compleanno. Una toccata e fuga, insomma-.
-Nessun problema, sono una persona a cui piacciono molto le sorprese- le sorrise di rimando Giada, che perlomeno sembrava essere sincera. Giulia si sentì leggermente a disagio, sotto lo studio attento di quegli occhi chiari: aveva uno sguardo fin troppo penetrante, che la faceva sentire disorientata.
-Beh, allora ... - Giulia si morse il labbro inferiore, totalmente indecisa su cosa dire: era calato di nuovo il silenzio, e nessuno sembrava davvero intenzionato a dire qualcosa. Si pentì subito di aver aperto bocca per prima solo per interrompere quel momento di stallo, senza però aver la più pallida idea di cosa dire.
-Pietro ci ha parlato tanto di te- farfugliò Giulia, cercando di apparire credibile – Ma non ci ha mai raccontato come vi siete conosciuti-.
Fu sicura di cogliere un moto di panico sul volto di Pietro: forse era stata troppo diretta. D’altro canto, la verità era che Pietro con loro non aveva mai parlato molto di Giada. Colui da cui avevano avuto più informazioni, in fin dei conti, era sempre stato Alessio, che però non aveva mai accennato al fantomatico primo loro incontro, anche se più di una volta aveva lasciato intendere di essere a conoscenza di quel dettaglio.
E poi, in ogni caso, quella era stata la prima cosa sensata da poter chiedere che era venuta in mente a Giulia.
-È stato alquanto banale- rispose Pietro, la voce che sembrava più insicura di quanto non sarebbe dovuta apparire.
-Ci siamo incontrati la prima volta in università- lo interruppe Giada, con determinazione. Sembrava essere di tutt’altro avviso, rispetto a Pietro, che aveva risposto restando il più vago possibile, come a non voler rispondere affatto.
-Frequentate la stessa facoltà?- intervenne per la prima volta Filippo, con ingenuità. Non seppe bene dire come o perché, ma a Giulia bastò lanciare un’occhiata sia a Pietro che a Giada – il primo nel silenzio imbarazzato più totale, la seconda molto più rilassata e a tratti con un’aria di sfida dipinta in viso- per intuire che quella non doveva essere la risposta giusta. 
-Insegnavo ad un corso che ha frequentato l’anno passato- spiegò Giada, con una semplicità disarmante. Giulia cercò di rimanere impassibile, ma le risultò complicato: ora iniziava a capire chiaramente tutte le rimostranze di Alessio verso di lei, e come faceva a sapere come si erano conosciuti. Certo, l’ipotesi che Giada potesse essere la ex professoressa di Pietro non l’aveva nemmeno mai sfiorata, e in quel momento, venirlo a sapere, la rendeva ancor più incredula.
Si sforzò di non girarsi verso Filippo: doveva essere rimasto scioccato pure lui, visto che non aveva detto nient’altro, limitandosi ad annuire in religioso silenzio.
Pietro era diventato di nuovo rosso in viso, mentre evitava il contatto visivo con chiunque. Aspettò qualche attimo, prima di prendere parola per sviare velocemente il discorso:
-Comunque devo ancora scartare il vostro regalo, ora che mi viene in mente-.
-Vero, ma puoi farlo con calma anche dopo- rispose nell’immediato Filippo, fin troppo frettolosamente per apparire credibile fino in fondo – Non vogliamo disturbarvi oltre. E in ogni caso non potremo restare ancora per molto: il cinema ci attende tra poco-.
Giulia scosse il capo: forse avrebbe dovuto trovare una scusa migliore che quella del cinema.
-Allora vi auguro che passiate una buona serata- esclamò una sorridente Giada che, Giulia ne era sicura, non sembrava essersi sorbita la giustificazione di Filippo.
Per quanto potesse sembrare banale la scusa appena usata, in ogni caso, sembrò funzionare a sufficienza per lasciarli andare senza ulteriori domande: pochi minuti dopo Giulia e Filippo erano fuori dall’appartamento, a poter tirare un sospiro di sollievo, dopo quella che era stata una delle situazioni più imbarazzanti che avevano mai vissuto.
Filippo le tirò una pacca leggera su una spalla per farla voltare verso di lui, prima di parlare a denti stretti:
-La prossima volta ricordami di non partecipare alle tue idee assurde-.
 


-Strano che Alessio non abbia ancora fatto qualche osservazione acida su di lei- riprese Caterina. Effettivamente, fino a quel momento Alessio l’aveva deliberatamente ignorata: non le aveva rivolto la parola nemmeno una volta, e già quello poteva essere interpretato come un passo in avanti. Almeno non erano volate parole pesanti e offese velate come spesso accadeva quando si trovava nello stesso posto di Giada.
-A proposito, hai sentito la novità riguardo Alessio e Alice?- domandò di nuovo Caterina, d’un tratto sorridendo maliziosa all’indirizzo di Giulia, che le rispose immediatamente con un’occhiata in tralice:
-Sì, l’ho sentita. Me l’hanno detto prima, in un momento di calma-.
-Non sembri molto contenta all’idea di averlo come futuro vicino di casa- rise l’altra, non più capace di trattenersi.
-Vicino di palazzo, semmai- la corresse Giulia, con fare pignolo – E comunque ero convinta che lui e Alice avrebbero scelto un appartamento insieme più avanti, piuttosto che trasferirsi subito a casa di lei-.
-Alla fine non è una cosa molto diversa da quella che abbiamo deciso io e Nicola -.
Giulia annuì, pensierosa: effettivamente non le dispiaceva l’idea di avere due suoi amici ad abitare nel palazzo accanto al suo: si sarebbero potuti sempre dare una mano agevolmente in caso di guai o problemi. L’unica cosa che la preoccupava era quella di sopportare Alessio anche nei suoi giorni di malumore, che negli ultimi due anni si erano presentati un po’ troppo spesso. Si immaginava già sfinita e pronta ad ucciderlo dopo appena due settimane di vicinato.
-Chissà come l’avrà presa Pietro - mormorò tra sé e sé Giulia. Immaginava che non avesse appreso la notizia troppo felicemente: in fin dei conti lui e Alessio vivevano nello stesso appartamento da più di tre anni, non certo una settimana. Sarebbe stato un gran bel cambiamento, e non era affatto sicura che Pietro si sentisse poi così sereno al pensiero di dover abbandonare Alessio al suo destino.
-Cosa ti fa pensare che lo sappia già?- ribatté Caterina, seria. Giulia rimase per qualche attimo in silenzio, confusa; solo dopo qualche secondo comprese le parole dell’altra, e non poté trattenere un’espressione di profondo stupore:
-Vuoi dire che ... -.
-Non credo gliel’abbia ancora detto, no-.
Giulia restò allibita, gli occhi spalancati rivolti a quelli seriosi di Caterina.
A quanto pareva anche quell’anno sarebbe iniziato con mille problemi in vista.
 


La nebbia su Venezia stava già scendendo, benché fossero appena le dieci. Le luci dei lampioni di San Marco cominciavano ad apparire offuscati all’orizzonte, e Alessio era sicuro che di lì a poco sarebbe risultati completamente invisibili alla vista.
Si strinse un po’ di più nelle spalle, cercando di non disperdere troppo calore; dette un’occhiata alla sigaretta che Pietro reggeva tra le dita, e la vide quasi del tutto consumata. Ancora pochi minuti, e sarebbero potuti rientrare in casa.
-Dite che a Filippo sia passata la voglia di far fare a chiunque il giro turistico dell’appartamento?- domandò proprio Pietro, spostando lo sguardo da Alessio a Nicola, poggiati entrambi con la schiena contro il parapetto del terrazzo.
-Non ne sono del tutto sicuro- rispose Nicola, calmo e pacato, e con le gote sempre più arrossate a causa del freddo invernale – Ma in ogni caso non voglio congelare, quindi direi di rientrare tra poco-.
Alessio si trattenne dal dire qualsiasi cosa: nonostante anche a lui il gelo stesse dando parecchio fastidio, non aveva tutta quella fretta di tornare in casa. Non aveva voglia di ritrovarsi davanti il viso di Giada per l’ennesima volta, trattenendosi a stento dal dirle di cancellarsi dalla faccia quel sorriso idiota che aveva sempre. Se ne sarebbe andato volentieri, ma allo stesso tempo non voleva fare nemmeno uno sgarbo a Giulia e Filippo: in fondo quella era una festa in loro onore, e gli sarebbe sembrato solo maleducato mollarli lì solo perché a lui non piaceva certa gente presente.
-Tu quando hai intenzione di cominciare a traslocare?- parlò di nuovo Pietro, facendo un altro tiro dalla sigaretta, e buttando fuori una nuvola di fumo.
-Inizierò a spostare un po’ di cose la prossima settimana- Nicola rispose vagamente, come se stesse calcolando a mente tutte le cose che c’erano ancora da fare, prima di andare a vivere in quello che era stato l’appartamento di Caterina e Giulia – Dobbiamo andare a vedere per qualche mobile da aggiungere in casa, ridipingere alcune pareti ... Ma nulla che porterà via troppo tempo-.
-Sei fiducioso, vedo- lo prese bonariamente in giro Alessio, un mezzo sorriso a tirargli le labbra. A lui sarebbe andata decisamente meglio che a Nicola: l’appartamento in cui era andata a vivere Alice sei mesi prima era appena stato ristrutturato, e non c’erano altri lavori da fare, se non comprare qualche scaffale in più o cambiare qualche vecchio mobile. Per il resto, avrebbe solo dovuto preparare le valigie e portarle da lei. Nulla di più semplice e veloce.
“Peccato che dirlo a Pietro non sia altrettanto semplice e veloce”.
Alessio avvertì formarsi un groppo in gola. Ormai mancava poco al suo trasferimento, e il solo pensiero di doverlo dire a Pietro lo stava lentamente uccidendo. Gliel’aveva già accennato da tempo che andare a vivere da Alice era in programma, certo, ma era diverso dall’andare da lui con un giorno ben preciso di febbraio in mente come la data ufficiale in cui se ne sarebbe andato dal loro appartamento: il solo immaginarsi l’espressione sorpresa di Pietro a quella notizia gli causava un dolore che non sapeva nemmeno spiegare o descrivere. Non aveva mai pensato di poter sentirsi così male in un momento in cui, invece, si sarebbe dovuto sentire contento. Non era la paura per la convivenza che lo frenava, stranamente, ma era proprio la sensazione di distacco da tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento che lo disorientava.
E poi c’era Pietro, che gli mancava già più di quanto non fosse in grado di accettare, o anche solo vagamente di ammettere.
Per come stavano le cose in quel momento, non riusciva proprio a vedere un futuro roseo tra loro due: in quanto tempo Giada sarebbe riuscita a fargli il lavaggio del cervello, e fargli credere che sarebbe stato meglio evitare qualsiasi rapporto tra di loro? D’altro canto, lei era la sua ragazza, quella con cui forse un giorno sarebbe andato a vivere e avrebbe messo su famiglia, mentre lui non era altro che un amico come tanti altri e il suo quasi ex coinquilino, che per due anni non aveva fatto altro che denigrare e disprezzare Giada stessa davanti a Pietro. Era lei ad avere già la vittoria in mano, inevitabilmente.
-Certo fa strano assistere a tutti questi trasferimenti, questi inizi di convivenze- borbottò tra sé e sé Pietro, tirando un’ultima volta dalla sigaretta, prima di spegnerla pestandola a terra, e gettandola poi nel cestino accanto alla porta che dava sul terrazzo – Rimarremmo solo io ed Alessio a vivere come coinquilini, e non da futuri sposini-.
Alessio non rispose, mordendosi con forza le labbra; sentiva lo sguardo interrogativo di Nicola muoversi tra lui e Pietro, e sperò soltanto che intuisse che, in quel momento, sarebbe stato meglio solamente il silenzio.
-Io rientro in casa, comunque- proseguì ancora Pietro, non prima di aver gettato agli altri due un’occhiata stranita.
-Ti raggiungiamo tra poco- gli rispose frettolosamente Nicola, prima di rivolgersi ad Alessio con un insolito cipiglio infastidito, non appena Pietro si fu richiuso la porta alle spalle:
-Ti prego, dimmi che mi sbaglio e che ho capito male, e che glielo hai detto-.
Alessio abbassò lo sguardo, sentendosi come il peggiore degli amici. Dopo qualche attimo ritrovò il coraggio minimo per rialzare il capo, ed incrociare gli occhi duri e vagamente arrabbiati di Nicola: non aveva alcun torto nel farlo sentire silenziosamente in colpa come stava facendo, nonostante ammetterlo gli risultasse comunque difficile.
-Lo avrei fatto anche stasera, ma c’era Giada, e io non ... Non ci ho più pensato-.
-Cazzo, Alessio!- sbottò Nicola, e Alessio fu sicuro di vederlo davvero arrabbiato per la prima volta da quando lo conosceva – Tra poco più di un mese te ne vai a vivere con Alice, e tu non gli hai ancora detto niente? Oltre che ad essere tuo amico è anche il tuo coinquilino, e dovresti dirglielo come minimo anche solo per quello!-.
-Devo solo dirglielo in maniera ufficiale, l’ha sempre saputo che in questo periodo me ne sarei andato!- replicò Alessio, sentendosi ancora più verme nel tentare di giustificarsi in quella maniera – In fondo credo lo immagini già. Se lo aspetta-.
-Ciò non toglie che forse, e dico forse, avresti dovuto essere sincero con lui- ribatté stizzito Nicola, le braccia incrociate contro il petto con una parvenza severa, che mal gli si addiceva – Ci rimarrà male, lo sai, vero?-.
-Ormai dovrebbe averci fatto il callo, negli ultimi due anni. Credo che di delusioni gliene abbia già date parecchie- Alessio sbuffò sonoramente, gli occhi rivolti verso una direzione qualunque davanti a sé. Sapeva di essere in torto, ma non riusciva nemmeno a dimostrare quanto in colpa potesse sentirsi lui stesso in quel momento.
-E una in più ora non fa differenza, giusto?- Nicola scosse il capo, un sorriso amaro dipinto in viso – Continuo a chiedermi che vi sia successo in questi ultimi anni. Sembra sempre ci sia qualcosa sotto, ma non riesco mai a capire cosa-.
Alessio rimase in silenzio, annuendo piano. Aveva ragione Nicola: erano cambiati in quei due anni.
Erano sempre amici, ma più distanti, come d’un tratto fosse venuto a mancare qualcosa alle fondamenta del loro rapporto.
E quel qualcosa, nonostante tutto, Alessio non era riuscito ancora a capire cosa fosse.
 
*
 
Alessio rientrò in casa rabbrividendo, stringendosi nelle spalle; era rimasto fuori ancora per un po’, anche dopo che Nicola era rientrato. Aveva cercato la solitudine della notte, rimanendosene fuori completamente solo, in balia della rabbia verso se stesso e verso quel mondo che sembrava non riuscire a comprenderlo – e che lui non riusciva a comprendere allo stesso modo.
Le parole di Nicola avevano continuato a ronzargli in testa per minuti interi, portandolo alla frustrazione. Certo, Nicola aveva ragione: non poteva nascondere a Pietro una cosa del genere ancora per molto. D’altra parte, però, aveva come l’impressione che a Pietro, in fondo, non sarebbe importato molto sapere del suo trasferimento. Quell’eventualità lo infastidiva terribilmente, lo induceva a tacere ancora. Ed era sbagliato, quel pensiero, lo sapeva anche lui: doveva dirglielo, al di là di qualsiasi cosa Pietro avrebbe potuto dirgli.
Uscì velocemente dalla camera da letto, la stanza su cui dava il terrazzo, sperando di trovare finalmente Pietro da solo. Tanto valeva parlargli subito, prima di ripensarci ancora.
Percorse a passi veloci il corridoio, lanciando un’occhiata in salotto: praticamente tutto il resto del gruppo si era riunito lì, tra gli schiamazzi generali. Alessio si fermò solo per dare un’occhiata, e si sentì leggermente sollevato quando non vide Pietro nella stanza: poteva essere da solo da qualche altra parte, magari in cucina o in bagno.
Continuò a camminare, e quando arrivò alla soglia della cucina si fermò qualche attimo prima di entrare, pur non avendo ancora la certezza che Pietro si trovasse oltre quella porta socchiusa: stava agendo nel modo giusto? Di certo aveva già sprecato mille altre occasioni per parlargli, e ormai il tempo si stava restringendo sempre di più. Doveva approfittare di quello slancio causato dal rimprovero di Nicola, e parlargli sinceramente. Non credeva però di avere il coraggio e la sfacciataggine sufficienti per dirgli apertamente anche di tutto il resto, dei mille timori e le mille insicurezze che lo frenavano ancora.
Alessio prese un sospiro profondo, prima di poggiare la mano sulla maniglia ed aprire lentamente la porta.
Quando la aprì rimase immobile, il risentimento e l’ira che si facevano di nuovo strada in lui: Pietro era effettivamente lì, come aveva intuito, stretto a Giada in quello che sembrava essere stato un bacio piuttosto passionale. Si fermarono non appena videro la porta spalancarsi, e Alessio fu quasi sicuro di vedere Pietro impallidire impercettibilmente, non appena si accorse di lui; Giada non sembrava particolarmente intimorita, ricambiando lo sguardo freddo che Alessio le aveva lanciato.
-Ma qui la privacy non esiste, per caso?- sbottò Giada, prima di risistemarsi i capelli con gesti nervosi, e allontanandosi di pochi passi da un immobile Pietro.
-Fino a prova contraria non è casa vostra, questa- replicò freddamente Alessio, che a passi veloci si era avvicinato al tavolo, posto in mezzo alla sala. Aveva bisogno di bere, di bere qualcosa di particolarmente forte, abbastanza per fargli scordare tutti i buoni propositi con cui era entrato in quella cucina, e per dimenticare anche ciò che li aveva appena fatti sfumare uno per uno.
-Avresti potuto bussare- Giada continuò ancora a parlare, lanciando diverse occhiate a Pietro: forse sperava che, almeno in quell’occasione, prendesse le sue difese, ma lui appariva spento e immotivato, tutt’altro intenzionato anche solo ad aprir bocca.
Alessio la guardò con un sorriso totalmente finto e ancor più sarcastico:
-Qualche altro ordine o siamo a posto così?-.
Si pentì un attimo dopo di quella provocazione: doveva controllarsi, non lasciar trasparire troppo il nervoso che la visione di Giada e Pietro insieme aveva fatto sbocciare.
-Non possiamo lasciare stare certi discorsi e basta?- si intromise per la prima volta Pietro, avanzando verso i due, in un timido tentativo di riappacificazione.
-Oh, ma certo- rispose subito Giada, sbuffando sonoramente – M’importa poco, se la sua unica soddisfazione nella vita è quella di provocare e dar fastidio gli altri-.
Alessio rialzò subito lo sguardo, rivolgendolo verso di lei e trattenendosi a stento dall’insultarla. Si ricordò della presenza di Pietro a pochi passi da sé, e fu solo per quello che riuscì a mantenere una calma apparente, quando in realtà dentro di sé si sentiva semplicemente bruciare.
Riportò lo sguardo al bicchiere che stava riempiendo, versandone all’interno della vodka fino all’orlo. Sentiva lo sguardo di Giada ancora addosso, e la ignorò, almeno fino a quando non ebbe rimesso a posto la bottiglia di vodka sul tavolo e preso il bicchiere in mano, pronto ad andarsene. Rialzò lo sguardo, di nuovo algido e a tratti sprezzante, rivolgendolo dritto verso Giada:
-Prima o poi si renderà conto che lo stai solo plagiando-.
Alessio non attese alcuna risposta: non credeva che a lei potesse importare molto di quel che le aveva appena detto. Se ne sarebbe fregata, come di tutte le cose negative che le aveva rivolto negli ultimi due anni. Non gli servì voltarsi, invece, per capire quanto potesse aver ferito Pietro. Non lo vedeva in viso, eppure, girandosi, era sicuro che sul suo volto avrebbe riconosciuto ancora una volta lo stesso sguardo tormentato ed afflitto che aveva ogni volta in cui avvenivano quei litigi. Quelle delusioni che solo Alessio poteva infliggergli.
Alessio fece ancora pochi passi, uscendo e richiudendosi dietro di sé la porta della cucina, senza guardarsi indietro.
“Credo che di delusioni gliene abbia già date parecchie”
“E una in più ora non fa differenza, giusto?”
 
*
 
Il sapore forte della vodka cominciava a dargli la nausea, ma nonostante quello continuò a bere, intenzionato a finire tutto il contenuto del bicchiere. Fuori nel freddo invernale, comunque, l’alcool lo aiutava a riscaldarsi almeno un po’; sentiva ormai la gola bruciare, e il calore nel petto farsi sempre più forte.
Quel terrazzo sembrava essere diventato il suo luogo di riflessione, il posto dove potersene restare da solo in pace. Forse gli altri stavano già cominciando a chiedersi dove fosse finito, ma non gli importava. O forse Pietro aveva detto loro che era successo – nulla di così nuovo e imprevedibile, d’altro canto-, ed avevano preferito non cercarlo affatto. Era sempre intrattabile nei momenti di rabbia, ne era ben consapevole lui stesso.
Appena formulato quel pensiero, però, udì distintamente la porta del terrazzo aprirsi. Per un attimo sperò che fosse Pietro, ma allontanò quell’ipotesi l’attimo dopo: l’unico motivo per cui avrebbe dovuto dirgli qualcosa, in quel frangente, era per fargli sapere quanto odioso e insopportabile fosse. E in quel caso Alessio non sarebbe nemmeno riuscito a dargli torto – anche lui si odiava in quei momenti.
Non si sorprese, comunque, quando di fianco a lui si fermò Alice: da come lo guardava – in apprensione e con una vena di rimprovero allo stesso tempo- intuì che doveva già sapere tutto.
-Non ti va di rientrare? Prenderai un malanno, restando sempre qui fuori- disse lei, i capelli rossi che sembravano più scuri del solito nell’oscurità della notte.
-Non ne ho molta voglia-.
-Tra poco Giulia e Filippo scarteranno i loro regali. You should be there-.
-Se la caveranno benissimo anche senza di me-.
Alice sospirò sconsolata, appoggiando la schiena al parapetto e distogliendo lo sguardo da Alessio. Per un po’ rimasero così, in silenzio e senza nemmeno guardarsi, eppure non era un silenzio teso, uno dei momenti in cui ci si sente solo a disagio. Ad Alessio andava bene anche così, anche se era consapevole che non sarebbe durato ancora a lungo.
-Non puoi continuare così con Giada-.
Dietro l’apparenza calma della voce, Alessio era sicuro che si celasse un’inquietudine che Alice riusciva ancora a celare piuttosto bene.
-Ancora non riesco a capire che ti abbia fatto di così grave per prendertela così tanto con lei-.
-Non è quella giusta per Pietro - borbottò Alessio, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, verso le luci lontane e offuscate di San Marco.
-Non puoi saperlo-.
-Ma è così, non lo vedi?- Alessio sbottò, girandosi di scatto verso Alice e controllando a stento il tono della voce – Da quando sta con lei è ... Cambiato. Sta sempre per i fatti suoi, è chiuso in se stesso. Gli sta facendo solo del male-.
-Anche se fosse, non sta a te decidere per Pietro- replicò Alice, lo sguardo più duro del solito e fermo come non mai – E in ogni caso, con gli altri non è cambiato poi così tanto. È cambiato nell’atteggiamento verso di te-.
Alessio incassò il colpo in silenzio, rimanendo per la prima volta davvero senza parole. Si specchiò negli occhi verdi di Alice, e vi lesse di nuovo l’apprensione e il biasimo che aveva fatto trapelare, seppur sottilmente, fino a quel momento.
Era difficile ammettere che aveva ragione. Era altrettanto arduo ammettere con qualcun altro che Pietro aveva davvero mutato il suo atteggiamento solo verso di lui, negli ultimi due anni.
Si sentì ancor più spaesato, e in quel momento avrebbe solamente voluto tornare indietro nel tempo, rivedere e scoprire tutto ciò che aveva minato il loro rapporto fino a quel punto: perché continuavano a sfuggirgli mille dettagli, perché non riusciva a capire cosa fosse successo loro in quel lasso di tempo?
-Ho come l’impressione che, per quanto tutti te lo dicano, non cercherai di cambiare minimamente idea su Giada e sulla sua storia con Pietro- sospirò infine Alice, la rassegnazione visibile nei suoi occhi – Lo sto dicendo per te, perché non credo nemmeno lontanamente all’idea che ti possa piacere una situazione del genere. Perché non provi ad andare un po’ incontro ad entrambi?-.
-Non è così facile- mormorò Alessio, il viso abbassato.
“Ormai è finito da molto il tempo per riparare a tutti gli errori che ho fatto con Pietro”.
-Provarci non ti costa nulla- Alice addolcì appena la voce, prima di posare una mano sul volto di Alessio, in una carezza d’incoraggiamento – Lascia per un po’ da parte l’orgoglio, e cerca di non essere sempre così rigido. Forse ne varrà la pena-.
Alessio annuì piano, anche se non credeva molto alle parole di Alice: non vedeva molte speranze, nel recuperare tutti gli errori commessi, né riusciva minimamente a convincersi che la cosa migliore per Pietro fosse quella di stare con una donna come Giada.
Rimase in silenzio, per nulla consolato o con l’umore migliorato rispetto a prima.
-Che ne dici di tornare dentro?- domandò di nuovo Alice, un sorriso appena accennato sulle labbra piene. Alessio si ritrovò ad annuire di nuovo, più per inerzia che per convinzione.
In quella notte avrebbe preferito rimanere lì, nella solitudine famigliare che spesso aveva conosciuto in vita sua, e che ancora per molto l’avrebbe accompagnato.
 
*
 
Giulia si buttò a terra, in assenza di un qualsiasi divano o poltrona da poter usare per restarsene un po’ seduta. Il salotto dell’appartamento non era una stanza molto grande, anche se, spoglia di qualsiasi mobile, poteva sembrare il contrario; nonostante ciò, comunque, di spazio per tutti ce n’era decisamente a sufficienza, e Giulia attese con calma che si ritrovassero tutti lì prima di reclamare i regali per lei e Filippo.
Vide con la coda dell’occhio Alice rientrare, accompagnata da un alquanto apatico Alessio, inerte probabilmente quanto lo era Pietro, che in quel momento si trovava dalla parte opposta della sala.
Ora c’erano tutti.
-Allora, si può sapere che ci avete regalato, o devo tenermi la curiosità ancora per molto?- domandò Giulia, rivolta a nessuno in particolare.
-Lo scoprirai presto- le rispose subito Caterina, che aveva già recuperato dalla cucina la borsa contenente i regali. La portò di fronte a Giulia, e si sedette a terra di fianco all’amica, presto imitata anche da Filippo:
-Spero non siano regali troppo imbarazzanti- scherzò lui, sistemandosi accanto a Giulia, che aveva appena estratto il primo pacco: era piuttosto grande e pesante, e dovette poggiarlo a terra in fretta, per evitare che le cadesse di mano.
-Fate piano, o troverete il regalo a pezzi- li redarguì Nicola, che li osservava restando in piedi di fronte a loro.
Giulia si affrettò a strappare la carta colorata che ricopriva il pacco, ora ancor più curiosa: a giudicare dall’immagine stampata sul cartone della scatola, lei e Filippo avevano appena ricevuto un servizio di piatti.
-Così potrete risparmiare almeno su qualche spesa- spiegò Caterina, ricambiando i sorrisi di Giulia e Filippo.
-Ottimo, direi- esclamò Giulia, grata per quel pensiero: di certo era una cosa in meno a cui pensare, e soldi risparmiati per altre cose. E poi, in ogni caso, un servizio di piatti nuovo sarebbe ovviamente stato utile.
-Ora però dovreste anche guardare l’altro regalo- Caterina intervenne di nuovo, stavolta con un sorriso alquanto malizioso e divertito stampato in viso. Quel gesto non fece altro che insospettire Giulia più di quanto già non fosse:
-Ci dobbiamo preoccupare, per caso?-.
-No- rispose l’altra, mordendosi il labbro come per impedirsi di scoppiare a ridere troppo presto – È solo un regalo che abbiamo pensato per farvi divertire un po’-.
Giulia spalancò gli occhi, tuffandosi nell’immediato verso la borsa che conteneva altri due pacchi, anch’essi incartati con carta colorata e molto più piccoli rispetto al primo. Ne prese uno in mano, passandolo subito a Filippo, e prendendo subito dopo l’ultimo che rimaneva.
Non appena Giulia l’ebbe scartato, rimanendo fissa ad osservare l’immagine illustrata stampata sulla confezione, non poté trattenere un moto di sbigottimento. Si riprese quasi subito, dapprima lanciando occhiate torve verso tutti i presenti, per poi, finalmente, lasciarsi andare ad una risata tra il divertito e l’imbarazzato.
Filippo, al contrario suo, era rimasto allo stesso sguardo minaccioso che Giulia aveva assunto non appena scartato il pacco. Era arrossito tremendamente, e nel vederlo in quelle condizioni Giulia non poté fare a meno di ridere ancor più forte.
-Ma come vi è venuto in mente di regalarci una cosa del genere?!- esclamò stizzito Filippo, ancora paonazzo, causando le risate generali degli altri.
-La casa è ancora troppo vuota, almeno fino a quando non verrà riempita da eventuali figli- iniziò Pietro, che sembrava essere l’unico ad aver ancora fiato sufficiente per parlare – Quindi abbiamo pensato di regalarvi qualcosa per passare un po’ il tempo in maniera alternativa-.
-Ma è da pervertiti!- sbottò Filippo, ancora una volta.
-In realtà è sempre stato il mio desiderio segreto averne almeno una- intervenne Giulia, divertita e rossa in viso solamente per il troppo ridere.
-Appunto- annuì Caterina, ridendo ancora.
Giulia fece fatica a riprendersi, e a cercare di non scoppiare di nuovo in altre risate di fronte allo sguardo torvo e imbarazzato di Filippo. Gli tolse dalle mani la scatola che aveva, ed osservandola insieme a quella che aveva scartato lei: effettivamente regalare delle bambole gonfiabili era senz’altro una cosa del tutto goliardica, ideata apposta per prenderli un po’ in giro. Probabilmente Filippo si sarebbe davvero sotterrato dalla vergogna, ritrovandosele davanti agli occhi una volta gonfiate.
-Allora, che ve ne pare dei nostri regali?- spezzò il silenzio Caterina, un sorriso alquanto divertito ancora stampato sulle labbra.
-Utilissimi, direi- rispose subito Giulia, impedendo a Filippo di parlare per primo – Soprattutto uno in particolare. E non parlo del servizio di piatti-.
Filippo sbuffò sonoramente alle sue spalle, e Giulia ne approfittò subito per girarsi verso di lui e sporgersi sul suo viso, avvicinando le labbra al suo orecchio:
-Non fare il santarellino- sussurrò piano, per non farsi sentire dagli altri – Vedrai che ti farò cambiare idea in fretta, sul secondo regalo-.
Filippo si limitò ad ascoltare, deglutendo rumorosamente e annuendo in maniera appena percettibile. Aveva le gote ancora in fiamme, e se possibile erano diventate ancor più rosse proprio in quel momento.
Giulia gli sorrise ancora, prima di allontanarsi da lui ammiccandogli: non credeva di poter sentirsi meglio di quanto già non si stesse sentendo in quella serata.
 
*
 
-Finalmente soli!-.
Filippo si buttò lungo disteso sul materasso, tirando un lungo sospiro ed attendendo che Giulia lo raggiungesse. Caterina e Nicola erano stati gli ultimi ad andarsene, ed erano usciti giusto pochi minuti prima, quando era già mezzanotte. Ora, finalmente, nell’appartamento erano rimasti solo loro.
-È stata una serata divertente, però- mormorò Giulia, entrando nella camera da letto, e stendendosi a sua volta accanto a lui – E in generale è stata una bella giornata. Lunga e un po’ faticosa, ma bella-.
-Già, se non fosse stato per le pulizie e i soliti screzi tra Alessio e Giada- replicò Filippo.
Giulia non rispose, ma si ritrovò mentalmente d’accordo con l’altro: effettivamente era stata una giornata pesante, per via di tutto quello che avevano dovuto pulire e sistemare in casa. E lo era stato anche per quell’aria tesa che si era respirata a tratti dopo la cena e dopo lo scarto dei regali: era la solita storia che si ripeteva, Alessio e Giada che si lanciavano pessime frecciatine e finivano per lanciarsi sguardi di fuoco a vicenda. Alla fine erano stati lei e Pietro a cedere per primi: non se ne erano andati molto prima rispetto agli altri, ma se ne erano andati comunque per primi. Li avevano seguiti poi Alice e Alessio, che non sembrava per niente allettato all’idea di dover raggiungere Pietro al loro appartamento. A Giulia aveva fatto quasi tristezza vederli entrambi ignorarsi a vicenda, nonostante fosse palese quanto avrebbero voluto fare tutto il contrario.
-In fin dei conti, comunque, è andata bene- continuò Filippo, gli occhi chiusi in un evidente segno di stanchezza.
-Fortunatamente sì- convenne Giulia, che si girò di fianco per poterlo guardare dritto in faccia – E comunque la nottata non è ancora finita-.
-Non sei ancora stanca?- Filippo lasciò nascere un leggero sorriso sulle labbra, mentre riapriva gli occhi per fissarli sul viso di Giulia.
-Un po’- ammise lei, passando una mano tra i ricci spettinati dell’altro – Ma è la nostra prima notte qua. Dobbiamo festeggiare-.
-Da quando sei diventata così festaiola?-.
-Da questo momento-.
Giulia ricambiò il sorriso di Filippo, prima di avvicinarsi a lui e lasciargli un bacio leggero sulle labbra.
Era finalmente pronta ad iniziare di nuovo, sempre loro due insieme.
 

“L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante” - Cesare Pavese
 

 
We will make a brand new start
From the pieces torn apart
The break of day is before us
Cast your sorrows to the wind
Let the highway take us in
As we escape the disorder
We’ll make our way
We’ll make our way
We’ll make our way
We’ll make our way
(Alter Bridge - "Brand new start")*


 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
Ed dopo il prologo, ecco anche il primo capitolo di questa seconda parte di Walk of Life!
Siamo a inizio gennaio 2017 e l'anno nuovo sembra aver portato qualche novità. Giulia e Filippo sono ormai in procinto di andare a vivere insieme (e a quanto pare non saranno neanche gli unici) e un evento del genere merita festeggiamenti importanti... O almeno questo è quello che hanno pensato Caterina, Nicola e tutto il resto della compagnia.

Con i retroscena di questa sorpresa abbiamo anche scoperto che Alessio e Alice, ma anche Giada e Pietro, hanno resistito durante gli anni precedenti.
A quanto pare sembra una cosa piuttosto insolita che Giada si sia presentata alla festa, quando solitamente si tiene molto più defilata e in disparte. E come vediamo dal flashback presente, risalente agli inizi del 2015, a quanto pare è sempre stato così, talmente tanto che Giulia si era inventata uno stratagemma per conoscerla (con risultati alquanto discutibili)!
Tornando poi al presente, tra discorsi su traslochi vari e annessi acquisti, discorsi che mettono nero su bianco il fatto che i nostri protagonisti stanno crescendo, Alessio ancora non ha detto a Pietro della sua imminente convivenza con Alice, lasciandolo quindi all'oscuro che questo sarà l'ultimo mese da coinquilini. E subito dopo questa scoperta abbiamo anche un esempio di quel che sarebbe un suo dialogo tipico con Giada: non proprio una delle conversazioni più amichevoli ... 
Poco dopo ecco di nuovo tutti i ragazzi insieme, questa volta attorno a Giulia e Filippo alle prese con lo scarto di regali che potremmo definire "un po' particolari". Voi avreste regalato altro? 😂
Ma anche questa serata volge a termine, proprio come il capitolo, e così Giulia e Filippo possono godersi la loro casa in solitudine, mentre noi vi siamo appuntamento a mercoledì 22 settembre per un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Song to say goodbye ***


CAPITOLO 2 - SONG TO SAY GOODBYE



 
You were mother nature’s son
Someone to whom I could relate
Your needle and your damage done
Remains a sordid twist of fate
Now I’m trying to wake you up
To pull you from the liquid sky
‘Cause if I don’t we’ll both end up
With just your song to say goodbye
My, oh my
 

Erano passati a malapena due giorni dalla serata passata all’appartamento di Giulia e Filippo, ed Alessio aveva la netta sensazione che quei due giorni appena trascorsi fossero stati tra i più difficili da vivere in tutta la sua convivenza con Pietro sotto lo stesso tetto.
Si erano rivolti la parola giusto il necessario, lasciando che per il resto del tempo ci fosse solo silenzio. Alessio doveva ammettere che quello dipendeva quasi totalmente da se stesso: troppa vergogna, troppa rabbia repressa, troppo tutto. Preferiva tenere la bocca chiusa e le giuste distanze, prima di rendere la situazione ancor più insostenibile. D’altro canto, Pietro non aveva fatto nulla per venirgli incontro: doveva aver intuito la sua volontà, accettandola con un muto assenso che lasciava trasparire con un’implicita malinconia che Alessio riusciva a leggere sul suo volto tirato.
Ciò che lo rassicurava in parte era che Pietro non sembrava arrabbiato per l’ultimo scambio di parole con Giada; al massimo poteva essere deluso, Alessio ne era sicuro, ma non irato o offeso. Non era certo Pietro ad esserlo, tra loro due.
Alessio si alzò dal letto, tirando un sospiro lungo: la sessione invernale era appena iniziata, nulla di strano quindi che quella giornata fosse la prima di un periodo in qui si sarebbe ritrovato a condividere la casa tutto il giorno da solo con Pietro.
In realtà non avevano passato molte ore insieme: avevano pranzato insieme, ma per  tutta la mattina ognuno era rimasto in stanze separate. Ora che il pomeriggio era appena iniziato, Alessio non aveva idea di che stesse facendo Pietro: poteva essere in camera sua a studiare, o in salotto a non fare nulla di preciso. Escludeva solamente il fatto che potesse essere uscito: lo avrebbe comunque avvisato, e poi la bufera di vento e pioggia che si stava scatenando fuori di certo non era invitante per fare una passeggiata.
Non sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare in quel momento, in piedi davanti alla porta della sua stanza, chiusa e che gli impediva di vedere all’esterno.
In realtà sapeva cosa doveva fare, ma forse quello che gli mancava per farlo era proprio il coraggio.
Il coraggio di dare la notizia del suo trasferimento a Pietro, il coraggio per guardarlo in faccia nel dirgli che non ce l’aveva fatta a dirglielo prima, il coraggio per lasciarlo andare.
Alessio portò la mano alla maniglia, tirandola giù e spingendo la porta; gli ci vollero vari attimi prima di decidersi a fare il primo passo fuori nel corridoio, e prima di farne un secondo, un terzo ed un quarto.
Vagava per l’appartamento senza nemmeno sapere dove fosse Pietro: non seppe se tirare un sospiro di sollievo o se sentirsi ancor più agitato, quando una volta arrivato in salotto lo trovò subito. Era steso sul divano, gli occhiali che usava per leggere che gli donavano quell’aria da intellettuale che solitamente non aveva mai, e le braccia alzate sopra il viso, nel tentativo di reggere Il giovane Holden.
-Leggi?- chiese spontaneamente Alessio, sentendosi uno stupido subito dopo: la risposta era fin troppo ovvia.
Pietro sussultò appena: non doveva essersi accorto del suo arrivo. Si voltò verso di lui per un attimo, prima di riportare gli occhi al libro con un sorriso appena accennato:
-“Mi è già capitato di lasciare scuole e altri posti senza nemmeno sapere che me ne stavo andando. Ed è una cosa che odio. Non importa se è un addio triste o brutto: io, quando me ne vado da un posto, voglio sapere che me ne sto andando. Altrimenti stai ancora peggio”-.
Alessio rimase in silenzio, ascoltando la voce di Pietro leggere quelle parole. Avrebbe voluto dire che era d’accordo, anche lui avrebbe voluto dire addio a lui e a quella casa in maniera quantomeno decente. Invece si ritrovava lì, combattuto ed incapace anche solo di dire ad alta voce che se ne sarebbe andato di lì a poco.
-Ho cominciato a leggere meno di due minuti fa, comunque- riprese Pietro, abbassando il volume e tornando con lo sguardo su Alessio – Era da un po’ che volevo iniziare questo libro-.
-Dicono sia bello- commentò Alessio, evitando gli occhi neri dell’altro.
-Lo spero-.
Alessio abbassò il capo: Pietro sembrava sereno, almeno in apparenza, e già così si sentiva ancor più in colpa per quello che avrebbe dovuto dirgli tra poco. Non accennò ad avvicinarsi, non ancora, e a stento riuscì a rialzare lo sguardo, solo per non sembrare troppo vigliacco:
-Dobbiamo parlare-.
Pietro non rispose, limitandosi ad annuire. Si rimise seduto, poggiando il libro sul divano, prima di prendere un sospiro lungo e rivolgere lo sguardo nuovamente ad Alessio:
-Vuoi forse spiegarmi cosa ti è preso l’altra sera, per essere stato così ingiusto con Giada?- domandò, ed Alessio non poté fare a meno di trattenere un moto indispettito e sorpreso allo stesso tempo: era la prima volta che Pietro prendeva le difese di Giada dopo uno dei loro litigi, e non lo prese affatto come un segno positivo.
-No, a dire il vero no- si ritrovò a borbottare, ancora incapace di trovare le parole adatte – Volevo parlarti di una cosa che riguarda me. Me ed Alice-.
Pietro rimase nuovamente in silenzio; dopo alcuni attimi si alzò dal divano, aggirandolo in pochi passi e ritrovandosi di fronte ad Alessio. Non sembrava intenzionato a parlare: sembrava essere in attesa, in un muto invito ad Alessio ad andare avanti.
-Tra un mese andrò a vivere da lei-.
Le parole erano scivolate fuori fin troppo velocemente, tanto che Alessio stesso stentò a credere di averlo detto sul serio. Per i primi secondi sembrò quasi che nessuno dei due avesse ancora detto niente: fu solo quando vide lo sguardo di Pietro incrinarsi e i lineamenti del viso farsi più tesi, che Alessio si rese conto di aver appena detto ciò che si teneva dentro già da diverso tempo.
-Cosa?- la voce di Pietro risultò atona, poco più che sussurrata.
-Hai capito- borbottò di rimando Alessio, scostando gli occhi da quelli scuri e cupi dell’altro. Avrebbe solamente voluto dire che no, non era vero che se ne stava andando, che era solamente uno scherzo. Si morse il labbro inferiore per trattenersi dall’aggiungere qualsiasi altra parola.
-Quando lo avete deciso?- dopo interminabili attimi Pietro parlò ancora, la vitalità di poco prima che sembrava averlo abbandonato del tutto.
-A dicembre-.
-E in tutto questo tempo non ti è neanche passata per la mente l’idea di dirmelo?-.
Alessio alzò lentamente il capo, trovandosi di fronte gli occhi di Pietro che lo osservavano con durezza. Aveva parlato piano, forse trattenendosi a stento dall’alzare la voce, ma bastava guardarlo in faccia per capire cosa gli stesse passando per la mente in quel momento. Era un misto di rabbia e delusione, e vederlo così non era affatto una novità: ci erano già passati diverse volte, in quegli ultimi due anni, ma Alessio era altrettanto sicuro di non averlo mai visto così profondamente ferito.
-Certo che ci ho pensato, ci ho pensato ogni maledetto giorno- si sforzò a rispondere, più per orgoglio personale che per convinzione.
-Ma non l’hai fatto- completò Pietro, annuendo piano e sbuffando sarcasticamente subito dopo. Si voltò verso un’altra direzione scuotendo il capo, ridendo piano amaramente; ora che Alessio non sentiva più il suo sguardo tagliente addosso riusciva a sentirsi meno sotto pressione, ma non meno colpevole.
-Non sapevo come fare. Non sapevo come l’avresti presa-.
-Perché, come pensavi l’avrei presa?- sbottò Pietro, rigirandosi di scatto ed abbandonando definitivamente quella parvenza di calma apparente che aveva mantenuto fino a quel momento. Si stava pian piano infervorando, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento.
-Male, come effettivamente sta accadendo. Anche se in fondo sapevi sarebbe successo tra non molto in qualsiasi caso- Alessio si morse il labbro inferiore, nel tentativo di non scaldarsi troppo a sua volta e far finire tutto con urli vuoti – E poi io e Alice stiamo insieme da tanto, non è così strano cominciare a pensare alla convivenza-.
Si sentiva un idiota, a tirare in ballo Alice quando sapeva benissimo che non era quello il nocciolo della questione. Si sentì meschino, troppo egoista per ammettere le colpe che sapeva di avere e per non cercare di giustificarsi.
-No, infatti, non è strano. E non è per questo che l’ho presa male, come dici tu- Pietro sembrava essersi spazientito, d’un tratto più aggressivo – Pensavo solo che me l’avresti detto prima, e non ora, quando hai già una gamba fuori da questa casa-.
-Sono ancora qui, se non te ne sei accorto-.
Alessio serrò le labbra, cercando di sostenere almeno una volta lo sguardo dell’altro. Continuava a faticare a tener testa a Pietro, a non far emergere il senso di colpa che lo attanagliava anche in quel momento, e che preferiva non mostrare.
Stava andando nel modo peggiore in cui si era prefigurato tutto: l’ultima cosa che voleva era proprio quello che stava accadendo, inevitabilmente.
-E gli altri? Lo sanno già che te ne vai da qua?-.
Quella era la domanda trabocchetto, la domanda a cui Alessio non avrebbe voluto rispondere mai. Perché sapeva che mentire ora sarebbe stato del tutto inutile, ancor più deleterio rispetto al dire la verità. Pietro non ci avrebbe impiegato comunque molto a scoprire come erano andate le cose: a che serviva tenerglielo nascosto, per quanto male avrebbe fatto?
-Sì- si ritrovò a sussurrare Alessio, le braccia incrociate contro il petto e lo sguardo abbassato.
-Chi lo sa già?-.
In quel momento si ritrovò a detestare quel voler sapere di Pietro; in fin dei conti, però, non era lui ad essere dalla parte del torto. Non era stato lui a tenergli nascosto la verità per settimane, non era stato Pietro ad aver agito e pianificato tutto a sua insaputa.
-Tutti-.
Pur non osservandolo, Alessio era sicuro che il viso di Pietro apparisse ancora impassibile e freddo. Era ancora immobile, e per alcuni secondi pensò perfino che non stesse nemmeno più respirando, da quanto silenzioso era diventato. Azzardò a sollevare lo sguardo, e si ritrovò a specchiarsi negli occhi neri dell’altro, solo apparentemente distaccati, e colmi invece di una tristezza che raramente vi aveva visto nelle iridi.
-È incredibile come a distanza di cinque anni riesci ancora a stupirmi. Avrei capito se l’avessi detto prima a Nicola e Caterina, ma addirittura anche a Giulia e Filippo ... - Pietro aveva parlato come se stessero discutendo di una cosa futile, eppure proprio in quel modo stava lasciando trasparire tutto ciò che di negativo doveva passargli per la testa in quel momento – Sai, non credevo di arrivare a scoprire così di essere per te l’ultima ruota del carro -.
-Questo non è vero- si ritrovò a replicare blandamente Alessio, conscio che, ormai, avrebbe fatto meglio a tacere che parlare. Non era riuscito a trattenersi: Pietro aveva tutte le ragioni possibili per essere arrabbiato con lui, ma non aveva diritto di prendersela così tanto e ferirlo a sua volta.
O forse quello era il trattamento che si meritava, la giusta pena del contrappasso che gli spettava per tutto quello che aveva sbagliato con lui in quei due anni.
-Ah, no? Eppure è quello che hai appena dimostrato, Alessio- Pietro alzò di nuovo la voce, allargando le braccia come se quella fosse un’ovvietà ormai comprovata ­– Sono anche il tuo coinquilino, non credi che avrei preferito saperlo quanto prima? E per quanto riguarda il fatto che sono anche tuo amico ... Beh, forse quello è venuto già meno-.
Alessio fece qualche passo avanti, pur rimanendo a debita distanza dall’altro; quello era stato un affondo troppo doloroso e ingiusto per non provare nemmeno a reagire:
-Non te l’ho detto perché temevo di litigare di nuovo con te, non per altro! E avevo ragione-. Alessio si ritrovò a urlare a sua volta, gesticolando nervosamente e ad un passo dal perdere il controllo. Temeva di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito, ma non fece nulla per fermarsi o per non seguire l’istinto.
-E non è vero che non tengo a te come amico, non è vero da parte mia, almeno! Sei tu quello che spesso e volentieri mi ignora, in certe giornate mi rivolgi a stento la parola!- gridò ancora, incurante del fatto che Pietro sembrasse come incrinarsi sempre di più – Forse non mi lasci nemmeno la minima occasione per dimostrarti il bene che ti voglio-.
Buttò rumorosamente fuori l’aria, forse non rendendosi ancora conto bene di ciò che aveva appena sputato in faccia a Pietro. Si era sfogato, e se possibile si sentiva anche peggio di prima.
Pietro rimase in silenzio, immobile ancora una volta, lo sguardo meno duro e irato. Era ancora teso, Alessio riusciva ad intuirlo dai lineamenti induriti del viso, ma la tensione che lo stringeva sembrava essere diversa: sembrava che la rabbia fosse appena caduta in secondo piano, travolta più dalla delusione e dal pentimento. Sembrava disorientato, perso in chissà quali sensazioni intricate che Alessio faticava enormemente ad intuire.
-Scusa. Scusa, ma davvero ... Stiamo solamente toccando il fondo, così- Alessio mormorò in maniera appena udibile quelle parole, trattenendosi a stento dal fare qualche altro passo per avvicinarsi a Pietro – E non voglio, non lo avrei mai voluto-.
Non ricevette alcuna risposta da Pietro, nemmeno un cenno; si limitò a distogliere gli occhi, spostandoli oltre le spalle dell’altro, come se Alessio non fosse nemmeno stato nella stanza. Sembrava completamente assente, completamente incapace di ribattere o anche solo provarci.
Alessio si sentì quasi a disagio, esitante e dubbioso su cosa avrebbe dovuto fare. In quel momento avrebbe solamente voluto allontanarsi – forse era la stessa cosa che avrebbe voluto Pietro-, restare solo e lasciarlo solo.
Forse lasciar passare un po’ di tempo, prima di parlare ancora, avrebbe giovato ad entrambi.
-Se hai qualche domanda o qualche dubbio sai dove trovarmi. Almeno per ora- mormorò ancora Alessio, prima di fare qualche passo indietro vero il corridoio.
Vide con la coda dell’occhio Pietro annuire, impercettibilmente, e rimanere ancora lì in piedi, fermo come una statua di ghiaccio.
Si sforzò di proseguire in direzione della sua stanza, senza guardarsi indietro, anche se in quel momento, nonostante tutto, l’unica cosa che avrebbe voluto fare sul serio sarebbe stata quella di rimanere lì.
 
*
 
La pioggia continuava a scendere ancora ininterrottamente, e Pietro non poté fare a meno di sentirsi ancor più malinconico di quel che già si sentiva, ascoltando quel ritmico ticchettare contro le finestre.
Doveva essere passata un’ora da quando nel salotto era ripiombato il silenzio, ma non ne era sicuro: gli sembrava piuttosto che fossero passati interi giorni, in quella solitudine che non gli lasciava scampo.
Seduto sul divano non riusciva a smettere di torturarsi le mani, lasciando vagare lo sguardo, gli occhi ancora lucidi che rendevano ogni oggetto e ogni dettaglio più sfocato ed opaco.
Era davvero tutto così indistinto, sentimenti contrastanti che sembravano essere divisi solamente da una sottile linea sfumata, a volte talmente tanto da sembrare assente. Perché poteva sentirsi arrabbiato – o forse addirittura furioso- con Alessio, ed allo stesso tempo avrebbe solamente voluto augurargli buona fortuna, fortuna per trovare quella felicità che a lui sembrava essere stata negata di nuovo.
E avrebbe voluto urlargli in faccia che a lui non sarebbe cambiato nulla, il suo andarsene, gli avrebbe voluto gridare che poteva andarsene anche all’istante, ma poi avrebbe anche voluto prenderlo per le spalle, trattenerlo in un abbraccio dal sapore disperato e dall’orgoglio sotterrato, solo per farlo rimanere un attimo di più accanto a sé.
Avrebbe voluto dirgli che lo ignorava perché, in fin dei conti, negli ultimi due anni Giada era stata l’unica a risollevarlo un po’, e non ci era riuscito certo Alessio, che non faceva altro che criticarli. E avrebbe ammesso, una volta per tutte che, se lo ignorava e cercava di stare lontano da lui, era solo per evitare che Giada, incontrandolo anche per puro caso, potesse provocarlo una volta di più.
Gli avrebbe volentieri detto che faceva davvero bene ad andarsene, perché meritava di trovare un po’ di serenità e un po’ di gioia con Alice, ma avrebbe anche sussurrato che, senza lui accanto a sé, la sua, di felicità, non sarebbe davvero mai arrivata.
E con le ultime energie gli avrebbe detto ancora una volta di andarsene, andarsene via per sempre, perché quella doveva essere l’unica soluzione per far sì che Alessio se ne andasse anche dalla sua testa.
Forse, in un ultimo sospiro, invece, gli avrebbe detto di rimanere, perché la vita non meritava di essere vissuta, non lontano dalla persona che amava.
Sapeva che non avrebbe mai detto quelle cose.
Sarebbero rimaste tutte nella sua mente, incastrate in mezzo a sospiri che faticavano ad uscirgli di bocca, parole non dette che avrebbero lasciato il segno per sempre, incise su di sé come vecchie cicatrici. Cicatrici che si sarebbero fatte meno dolorose, più sbiadite, ma sempre presenti, lì sotto lo sguardo, a ricordargli ancora una volta la sua codardia e la sua volontà di lasciare andare Alessio.
Non aveva scelte. Quelli come lui non potevano mai scegliere, non in quelle situazioni.
L’ennesima lacrima gli rigò la guancia, e Pietro fu veloce ad asciugarsela, con un gesto repentino della mano.
Doveva cercare di convincersi che quella era la cosa giusta da fare – lasciarlo andare, una volta per tutte, senza mettersi in mezzo e lasciarlo vivere la sua vita-, che in fin dei conti la felicità di Alessio era importante quanto la sua. Anche se non sarebbero stati insieme come avrebbe desiderato.
Sì, doveva dirgli che, seppur sbagliando a non averglielo detto, avrebbe fatto bene ad andare a vivere con Alice. Avrebbe dovuto dirglielo, pur con la morte nel cuore e con le parole che celava dentro di sé scalpitanti per uscire allo scoperto.
Alla fine entrambi avevano ragione ed entrambi torto, per quanto a Pietro non piacesse minimamente quella prospettiva: aveva ragione Alessio, nel dire che si ignoravano molto di più di quanto non sarebbero mai stati in grado di ammettere. Ma aveva torto, immensamente torto, in ciò che aveva fatto. Non aveva il diritto di nascondergli una cosa che lo riguardava sì come amico, ma anche come coinquilino.
Ed aveva ragione Pietro, nel sentirsi così arrabbiato e a tratti tradito, ma allo stesso tempo sentiva di non aver fatto mai abbastanza per cercare di migliorare le cose. Aveva continuato ad andare avanti per inerzia, facendosi andare bene ed adattandosi a tutto ciò che capitava, senza cercare di alzare di più la testa.
Pensò che di lì a poco si sarebbe ritrovato davvero solo in quella casa, che Alessio non sarebbe più stato nella sua stanza ad aspettare che sbollisse la rabbia. A che serviva rimanere arrabbiato così, se tanto le cose non sarebbero cambiate? Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, ormai, e anche se avesse avuto un’altra possibilità, probabilmente, non avrebbe avuto la forza per afferrarla al volo.
Forse avrebbe fatto bene a godersi quelle ultime settimane, quegli ultimi momenti, prima di separarsene per sempre. Rivedere Alessio, una volta trasferitosi, sarebbe stato quanto di più doloroso avrebbe potuto sopportare: come poteva riuscire ad abituarsi alla sua assenza, dopo più di tre anni di convivenza, e con tutti i rimpianti che si portava appresso?
Sarebbe stato difficile all’inizio, lo sapeva bene, ma forse il tempo lo avrebbe aiutato ad attenuare quel dolore sordo che sentiva già dentro, forse lo avrebbe addirittura aiutato a dimenticare quell’amore che lo faceva sentire sbagliato e senza via di fuga.
Si alzò piano dal divano, dapprima rimanendo immobile per non cadere a causa dei giramenti di testa. Accennò qualche passo, e finalmente si sentì meglio, sufficientemente per raggiungere la camera di Alessio.
Non gli andava davvero di rimanere arrabbiato con lui, non quella volta: se fosse stato un qualsiasi altro loro litigio non avrebbe ceduto così facilmente, non sarebbe tornato da lui così in fretta, ma in quel momento sentiva che doveva farlo, sentiva che non doveva finire così. Non poteva dargli un addio con una maschera rabbiosa in viso e con l’anima spezzata dalla malinconia.
Arrivò di fronte alla porta chiusa della sua stanza in pochi attimi. Sperava di non avere gli occhi troppo arrossati, e soprattutto sperava che Alessio lo lasciasse entrare, senza troppe proteste.
Bussò solamente una volta, prima di tirar giù lentamente la maniglia e aprire un piccolo spiraglio; Alessio era steso sul letto, gli occhi chiusi, ma l’aria vigile. Si riscosse non appena sentì Pietro aprire maggiormente la porta, tirandosi su a sedere e rimanendo ad osservarlo in attesa. Non sembrava voler essere lui a fare la prima mossa.
Pietro respirò a fondo, prima di accennare a qualche altro passo: si ritrovò di fronte al letto di Alessio, gli occhi chiari dell’altro che indugiavano su di lui esitanti come se aspettassero un qualsiasi segno.
-Davvero non me lo hai detto subito solo per la paura che litigassimo?-.
Non sapeva bene perché gli fosse venuta spontanea quella domanda, ma Pietro non aggiunse altro comunque. In una qualche maniera non credeva sul serio che Alessio non glielo avesse detto per quel motivo; gli sembrava quasi di aver la certezza che ci fosse altro dietro, altro che aveva taciuto. Una delle tante cose non dette tra di loro.
Alessio sbuffò piano, abbassando il capo e passandosi una mano tra i capelli biondi. Sembrava in difficoltà, perennemente indeciso su cosa dire o fare. Rialzò gli occhi solo diversi secondi dopo, l’azzurro delle iridi incupito e scurito:
-Avevo paura che ci rimanessi troppo male-.
Ancora una volta Pietro ebbe la netta sensazione che non fosse solo quello, che Alessio non stesse dicendo tutto quello che si teneva dentro. Non insistette in ogni caso, la voglia di litigare se ne era andata già da tempo.
-Hai ragione nel dire che avrei dovuto dirtelo prima, lo so- continuò Alessio, arrossendo lievemente, per niente a suo agio nell’ammettere apertamente una sua colpa – Nicola me ne ha dette di tutti i colori l’altra sera, quando ha scoperto che tu non ne sapevi ancora niente. E aveva ragione. Avete ragione entrambi-.
Pietro annuì, silenziosamente. Riusciva ad intuire tutta l’inquietudine e il senso di colpa che dovevano tenere attanagliato Alessio, in quel momento; anche volendo non sarebbe riuscito a sentirsi ancora in collera con lui neanche per un secondo.
Non rispose nulla: si limitò ad avvicinarsi al letto, sedendovisi sopra, a fianco dell’altro. Sentiva lo sguardo di Alessio fermo su di sé, di nuovo in attesa e insicuro. Eppure non sentiva il bisogno di dire nient’altro: le parole sembrava quanto di più inutile e superfluo in quel momento.
-Perché dobbiamo sempre urlarci addosso tutto il risentimento possibile, per poi renderci conto dei nostri errori e delle nostre mancanze?- Pietro mormorò appena, ma fu sicuro del fatto che Alessio fosse riuscito ad udire quelle parole. Lui non disse niente, forse troppo colpito o forse troppo timoroso di aprire una nuova discussione.
Lo sentì spostarsi appena sul materasso, e pur non voltandosi verso di lui riuscì a percepire il calore del corpo più vicino al suo di quanto non fosse stato fino a quel momento. Non si stupì molto, quando sentì Alessio appoggiare il viso su di lui, il mento che premeva sulla spalla di Pietro. Ebbe la tentazione di fuggire a quel contatto, ritraendosi a quel tocco che desiderava e rifuggiva allo stesso tempo.
Rimase lì con gli occhi chiusi, con il viso di Alessio a pochi centimetri dal suo e con la pioggia che continuava a scendere e picchiettare ritmicamente contro il vetro della finestra, come una nenia infinita, come una canzone d’addio che li accompagnava e che li osservava come un occhio invisibile.
 

“Sometimes being a friend means mastering the art of timing. There is a time for silence. A time to let go and allow people to hurl themselves into their own destiny. And a time to prepare to pick up the pieces when it's all over” - Octavia E. Butler
 
It’s a song to say goodbye
(Placebo - "Song to say goodbye")*
 
*
 
-C’è un volo il 25 marzo a un prezzo non male-.
Alessio registrò l’informazione distrattamente, quasi senza neanche sentirla.
Il suo letto era di nuovo vuoto, a parte la sua stessa presenza. Il peso dell’assenza di Pietro era ancor più pesante adesso che se ne era andato, tornatosene in salotto o nella sua stanza, e reso ancor più devastante dalle coperte ancora spiegazzate nel punto in cui si era seduto poco prima. Alessio era piuttosto sicuro che, se avesse allungato una mano verso quel punto del piumone, avrebbe ancora percepito il calore del suo corpo.
Si sentiva raggelato, da solo in quella stanza, con la voce di Alice proveniente dal cellulare in una chiamata che aveva fatto partire lei stessa. Si era dimenticato che si erano accordati per sentirsi per quell’ora, o si sarebbe inventato una scusa per rimandare quella telefonata di cui perdeva il filo ogni due secondi.
-Atterraggio a London Heathrow la mattina- proseguì Alice, lentamente, come se stesse leggendo, molto probabilmente dallo schermo del pc – Not bad-.
Anche lui avrebbe voluto dire che non stava andando poi così male.
Peccato che stesse andando malissimo, con il cuore dilaniato come se lo stava sentendo in quel momento.
Alice stava continuando a parlare: Alessio ne poteva percepire la voce dall’altra parte della linea, ma non stava davvero seguendo il senso delle sue parole. Avrebbe potuto star confessando di averlo tradito, ma non avrebbe comunque capito.
Continuava a ripetersi nella mente le ultime parole di Pietro, quelle che avevano preceduto un lungo silenzio carico di così tante cose che Alessio non era riuscito a distinguerle – o forse non aveva nemmeno voluto.
“Perché dobbiamo sempre urlarci addosso tutto il risentimento possibile, per renderci conto dei nostri errori e delle nostre mancanze?”.
Alice ancora parlava del viaggio che li avrebbe attesi a fine marzo, quando finalmente lei sarebbe tornata a Londra per qualche giorno per rivedere la sua famiglia, e lui l’avrebbe accompagnata. Alessio continuò a non cogliere nemmeno una parola.
“Non lo so”.
Ripensò alla risposta che non gli aveva dato, limitandosi a stare accanto a Pietro come se potesse bastare quello a fargli capire che quella situazione stava facendo male anche a lui.
“Forse quando si ha paura è troppo difficile essere sinceri sin dall’inizio”.
-Cosa ne dici?-.
Stavolta colse il tono interrogativo nella voce di Alice, l’accento e il fare inglese che un po’ le rendeva complicato far intendere quale era una domanda e quale no.
Alessio si riscosse appena, chiedendosi se fosse il caso di far finta che stesse per cadere la linea. Desistette qualche secondo dopo, troppo apatico persino per quella scappatoia.
-A me va bene qualsiasi opzione- mormorò atono – Decidi tu-.
Alice sembrò pensarci su per qualche secondo, magari domandandosi se l’aveva effettivamente ascoltata negli ultimi minuti, ma alla fine rispose:
-Ti faccio uno screen con tutte le informazioni. Almeno vedi da te cosa intendo-.
-Perfetto-.
-Dovremmo comprare i biglietti entro la settimana- gli disse ancora, con urgenza nella voce – Prima che i prezzi salgano-.
“Perché tutta questa fretta?”.
Capiva che Alice fosse entusiasta della cosa. Capiva anche che le mancasse la sua famiglia, il suo Paese. Non riuscì comunque a sentirsi minimamente coinvolto. Forse se quella telefonata fosse stata fatta in un qualsiasi altro momento sarebbe stato diverso anche per lui – quasi sicuramente lo sarebbe stato, o almeno così credeva e sperava-, ma ora era solo qualcosa a cui non riusciva a prestare alcuna attenzione, né a condividere la stessa voglia di partire di Alice.
-Sì, mi sembra giusto- bofonchiò a stento.
Ci fu un silenzio che ad Alessio parve assordante, subito dopo quelle sue parole a malapena intendibili. Non lo avrebbe affatto stupito scoprire che Alice aveva capito che c’era qualcosa che non andava: era come se avesse una sensibilità particolare in quei momenti, come se riuscisse a capire ancor prima di lui che sarebbe successo qualcosa che l’avrebbe portato a reagire male.
-Amore?- la sentì chiamare, e nonostante fossero passati anni da quando aveva iniziato a chiamarlo così, c’era sempre qualcosa che strideva in quella parola – Are you ok?-.
“L’ha capito”.
Forse se le avesse parlato, Alice avrebbe compreso il suo dolore. Avrebbe capito che si sentiva in colpa per aver tenuto Pietro all’oscuro di certe sue decisioni, l’unica persona a cui non aveva detto della convivenza. Che si sentiva in colpa anche solo al pensiero di dover lasciare quella casa.
E che si sentiva in colpa anche per gli ultimi anni, perché non era riuscito a mettere da parte la sua ostilità verso Giada e non mettere in mezzo anche Pietro.
Si sentiva in colpa per mille altri motivi ancora, e forse Alice qualcuno lo avrebbe senz’altro compreso.
Ma era lui che non voleva che lo comprendesse. Non voleva farsi vedere.
Non da lei, almeno.
-Sono solo stanco-.
Si passò una mano sul viso, rendendosi conto che quella non era nemmeno una bugia. Era solo una mezza verità, una delle tante.
-Dopo guardo per il volo, promesso-.
Tanto valeva farlo. Forse si sarebbe addirittura distratto. Forse lo avrebbe usato come motivo per non lasciare camera sua, e non rischiare così di incrociare Pietro – e di scoppiare in lacrime nel vederlo di nuovo.
-Don’t worry. Abbiamo ancora qualche giorno di tempo- lo rassicurò Alice, con voce dolce – Sono contenta, però. Non vedo l’ora che a casa ti conoscano, finalmente-.
Alessio si ritrovò ad ascoltarla con così tanto distacco che si ritrovò a chiedere se ne valesse davvero la pena, andare avanti con quel progetto di convivenza.
-Anche io-.
 

 



 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
E concludiamo così anche il secondo capitolo, dal titolo piuttosto evocativo … Sembra proprio che Alessio si sia finalmente deciso a dire la verità a Pietro, ma giustamente quest'ultimo non ha reagito proprio benissimo alle ultime notizie.
Ovviamente un confronto tanto acceso non poteva non portare delle riflessioni e quelle di Pietro sono decisamente auto esplicative.
Sul finale troviamo allo stesso modo un Alessio piuttosto distratto che pensa ancora a quel che è successo con Pietro, ed una Alice che viene ignorata a distanza... Non un gran inizio questo 2017, eh? Secondo voi le cose si risolleveranno, in un qualche modo?
E chissà, forse vedremo anche qualche scorcio di questo fantomatico viaggio verso la Gran Bretagna ... Chi vivrà vedrà!
A mercoledì 6 ottobre con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Do I wanna know? ***


CAPITOLO 3 - DO I WANNA KNOW?



 

L’aria gelida di inizio gennaio non se ne andò nemmeno nei giorni a venire. Il sabato pomeriggio di quel weekend invernale si presentava grigio e monotono esattamente come le giornate che lo avevano preceduto, il cielo nuvoloso e spento intervallato solo dalla pioggia.
Quell’atmosfera non faceva altro che ricordarle l’Inghilterra: puntando gli occhi in alto, in quel freddo pungente, ad Alice poteva quasi sembrare di ammirare il cielo di casa sua. Tornando con lo sguardo a terra, però, riusciva a cogliere ogni differenza che poteva esserci tra il paesaggio di Venezia e quello di Liverpool. L’inverno le faceva sempre tornare quella nostalgia dolce e struggente per la città in cui era nata e in cui aveva passato l’infanzia, pochi anni rispetto a quelli passati poi a Londra. In mezzo a tutto quel grigiore poteva fare finta, almeno per qualche secondo, di essere tornata in Gran Bretagna, di star calpestando il suolo inglese che, in certi momenti, le mancava quasi quanto l’aria. E poi si guardava intorno, e le calli e i vaporetti del porto di San Marco le ricordavano inevitabilmente che quello dove si trovava non era l’Albert Dock di Liverpool. Si sentiva disorientata e confusa, come un viandante perso in mezzo ad un bosco di montagna, ma era un sensazione che durava poco: dopo anni che viveva in Italia ci aveva fatto l’abitudine, e sapeva come gestire quell’ansia e la malinconia tipiche di quel periodo.
Alice tirò un sospiro profondo, lanciando velocemente un’occhiata verso Alessio: sembrava non averlo destato minimamente, non rischiando così domande riguardanti quel suo sospiro sconsolato.
Non sapeva bene che le stava prendendo in quel periodo. Alla nostalgia di casa si era aggiunta l’agitazione per la convivenza – più si avvicinava la data prevista per il trasferimento definitivo di Alessio, più si sentiva euforica e ansiosa allo stesso tempo-, e mille altri dubbi e insicurezze che mai prima di quel momento le erano parsi degni di attenzione.
E – doveva ammetterlo, per quanto la facesse sentire inquieta- l’umore di Alessio non la aiutava. Forse perché nell’ultima settimana, e soprattutto negli ultimi tre giorni, era più irritabile, nervoso, scostante e chiuso in se stesso.
Alessio non lo aveva ammesso apertamente, e probabilmente non lo avrebbe mai fatto, ma ad Alice erano bastati tre secondi per collegare quel suo umore nero a Pietro. L’aveva capito subito dopo che Alessio le aveva detto di avergli parlato del suo trasferimento, e del litigio che ne era conseguito. Era talmente evidente che non servivano altre spiegazioni. Lo era dalla telefonata di due settimane prima, quando l’aveva a malapena ascoltata.
D’altro canto, era sempre stato così: Pietro rimaneva sempre l’unico a tirar fuori il meglio e il peggio di Alessio,  a farlo arrabbiare fino a scoppiare, a farlo riflettere e fargli capire i suoi errori. A farlo soffrire silenziosamente, lontano da tutti e tenendosi dentro tutto.
Alice si guardò intorno, cercando di distogliere la mente da quelle considerazioni; le luci dei negozi la abbagliavano, costringendola a strizzare gli occhi per non rimanere accecata.
Era stato quasi un miracolo essere riuscita a trascinare Alessio fuori dall’appartamento: erano tre giorni che si rifiutava categoricamente di uscire, se non per andare a lezione, rimanendo solo in casa con Pietro. E alla fine, quando Pietro stesso quel pomeriggio era uscito con Giada, Alessio aveva finalmente accettato la proposta di Alice. Forse un po’ controvoglia, ma l’aveva fatto.
In quel centro commerciale di Mestre erano sempre andati spesso, negli ultimi due anni. Era il posto ideale per passare qualche ora insieme, stando al caldo in un posto chiuso ed evitando l’aria gelida tipica di quelle giornate invernali.
Alessio non aveva quasi spiccicato parola da quando erano usciti di casa: in auto si era limitato ad accendere la radio per rendere il silenzio meno pesante, e anche una volta arrivati, nonostante tutti gli sforzi di Alice, non aveva parlato più di tanto. Sembrava perso in un altro mondo, distante da chiunque e impossibile da raggiungere.
-Hai già iniziato a sistemare le tue cose per preparare le valigie?- Alice riprovò ancora una volta, mentre svoltavano un angolo del centro commerciale, sbucando fuori nell’ennesimo corridoio identico al precedente.
-Inizierò tra qualche giorno-.
La voce di Alessio era parsa ancora una volta distante e fredda, a malapena distratto solo per pochi secondi prima di tornare nel guscio in cui si era rifugiato da settimane. Alice trattenne un altro sospiro sconsolato: avrebbe solamente voluto capire cosa gli stesse passando per la testa, intuire cosa ci fosse che non andasse, cercare di risollevare la situazione in un qualche modo. C’era come un muro che glielo impediva, un sottile velo trasparente che la teneva divisa da Alessio. A breve distanza con le mani che quasi si sfioravano, ma in due mondi diversi e che non riuscivano ad entrare in contatto.
Si sforzò ancora una volta per trovare qualcosa d’interessante da dire: continuavano a vorticarle mille pensieri in testa, ma nessuno sembrava abbastanza buono per provarci. Vedeva Alessio fermarsi ogni tanto davanti ad una vetrina di un negozio, osservando gli oggetti esposti in silenzio, ed ogni volta si lasciava scappare quell’attimo perfetto per cercare di attirare nuovamente la sua attenzione. Non riuscì nemmeno a riprendere il discorso, lasciando cadere le mille parole che avrebbero potuto seguire quelle poche frasi dette a mezza voce.
Non si era mai sentita così in crisi come in quella giornata.
Lanciò uno sguardo in giro, come per trovare un appiglio a cui aggrapparsi per salvarsi: in fondo al corridoio, tra due negozi, la porta bianca del bagno appariva come un possibile rifugio. Le sarebbe servita dell’acqua fredda da passarsi sul viso per svegliarsi da quel torpore d’insicurezza in cui si trovava, e per passare anche solo pochi attimi con la sola compagnia di se stessa. Avrebbe lasciato dietro la porta chiusa tutti i dubbi e i pensieri solo per alcuni secondi, ma le sarebbero bastati: doveva solo ritrovare la determinazione che le stava venendo a mancare.
Prese a camminare un po’ più velocemente, seguita silenziosamente da Alessio accanto a sé. Gli lanciò un’occhiata veloce, quando si ritrovò a pochi metri dalla toilette, prima di voltarsi definitivamente verso di lui:
-Puoi aspettarmi qui? Vado un attimo in bagno-.
Vide con la coda dell’occhio Alessio annuire arrestandosi davanti alla porta, prima che Alice scomparisse velocemente all’interno della toilette.
Non era particolarmente affollata, nonostante l’enorme quantità di persone che si stavano aggirando per i corridoi del centro commerciale a quell’ora: lì dentro, tra quelle pareti candide e asettiche, rimbombavano pochi passi, accompagnati saltuariamente dallo sciacquio dell’acqua che cadeva giù nei lavandini.
Alice si diresse proprio lì, davanti alla lunga fila di lavabi. C’era qualche donna intenta a sciacquarsi le mani, ma non vi fece molto caso: si appoggiò al primo lavandino libero che trovò, prima di aprire il getto d’acqua e raccoglierla tra le mani. Il contatto dell’acqua fredda con la pelle accaldata del viso la fece trasalire, come se si fosse appena svegliata da un lungo incubo.
Alzò lo sguardo verso lo specchio attaccato alla parete davanti a sé, incontrando subito i suoi occhi verdi e le guance arrossate del viso: il riflesso dello specchio le rimandava indietro l’immagine di una donna ancora giovane ma troppo stanca, troppo influenzata dalle preoccupazioni e dai tormenti di chi le stava accanto.
Le balenò davanti agli occhi il viso di Alessio, l’espressione tirata e assente che aveva nel momento in cui, qualche giorno prima, le aveva raccontato per la prima volta del suo litigio con Pietro di settimane prima. Non era entrato nei dettagli – a malapena era riuscito a dire che era successo-, ma ad Alice sarebbe bastato anche solo guardarlo in faccia per capire ogni cosa. Era pur sempre la stessa storia che si ripeteva da due anni continui, ed a cambiare erano solamente i motivi per quelle liti inevitabili.
Sapeva che lui e Pietro avevano già chiarito – non aveva idea in che modo ci fossero riusciti-, ma il viso teso e rabbuiato di Alessio era rimasto esattamente lo stesso. E per quanto si sforzasse, per quanto ci stesse provando, non sembrava riuscire in alcun modo ad allontanare anche solo per poco quelle ombre.
Da quel punto di vista aveva sempre invidiato Pietro. Lui era sempre riuscito a buttare giù e risollevare Alessio allo stesso tempo, a volte con una semplicità che ad Alice sembrava perfino disarmante. E lo invidiava per quello, lo invidiava ogni volta che era lui a ridare luminosità agli occhi chiari di Alessio, non riuscendo mai a capire cosa Pietro avesse più di lei e di chiunque altro.
Non avrebbe saputo definire una tale situazione, e forse farlo la spaventava un po’. Doveva cercare di essere come Pietro, cercare di risollevare Alessio alla cieca, senza sapere né cosa gli sarebbe servito davvero e senza nemmeno sapere davvero cosa lo facesse andare così in crisi.
Brancolava nel buio, e non poteva fare a meno di chiedersi come avrebbe potuto salvare Alessio, se lei per prima si stava perdendo in quell’oscurità che non le lasciava nemmeno uno spiraglio di luce.
Si risciacquò nuovamente il viso, rimanendo per alcuni attimi con gli occhi chiusi, mentre le gocce d’acqua le scivolavano lungo la pelle.
Doveva cercare di lasciare alle spalle certi pensieri che non facevano altro che scoraggiarla. Sarebbe dovuta uscire da quel bagno sforzandosi di essere più serena e sorridente. Solo così, forse, le cose sarebbero potute migliorare pian piano. Non doveva cedere e lasciarsi andare a quella malinconia a cui si era lasciato andare Alessio, non anche lei.
Si asciugò il viso e le mani afferrando un pezzo di carta dal distributore affisso alla parete, prima di riprendere la via verso l’uscita dalla toilette con passi meno incerti. Quell’attimo di riflessione sembrava averle giovato, ridato la forza necessaria per poter ancora capovolgere quella giornata.
Tirò giù la maniglia della porta con una mano, uscendo velocemente e bloccandosi subito dopo sulla soglia, gli occhi spalancati per la sorpresa. Per i primi secondi sbatté le ciglia freneticamente, quasi sicura che la sua fosse solamente un’allucinazione visiva. Solo quando si accorse definitivamente che l’immagine che le si presentava davanti non se ne voleva andare, capì che non stava affatto sognando, che non era la sua mente a rendere materiali i suoi pensieri di poco prima.
Era una coincidenza senza ombra di dubbio, per quanto strana ed inaspettata potesse risultare, quella di incrociare Pietro e Giada proprio in quel posto, in quel momento. Accanto ad Alessio erano fermi entrambi, Giada un po’ più isolata e  ben attenta a non spostare lo sguardo sugli altri due; Pietro sembrava essere del tutto intento a parlare sottovoce con Alessio, fermandosi non appena si accorse della presenza di Alice davanti a loro.
Alice fece ancora qualche passo in avanti, sforzandosi di abbozzare un sorriso, nonostante il senso di sorpresa ancora grande. Sapeva che anche Giada e Pietro frequentavano spesso quel centro commerciale – spesso Pietro si era addirittura aggregato a lei ed Alessio, in uscite pomeridiane che Alice ricordava con malinconico piacere-, ma non si sarebbe aspettata di trovarseli davanti lì, nell’esatto momento in cui i suoi pensieri oscillavano da un estremo all’altro.
-Che ci fate qui?- esclamò Alice, dopo aver rivolto un cenno di saluto sia a Giada che a Pietro, e venendo ricambiata con un cenno caloroso dalla prima e da un sorriso esitante dal secondo – Anche voi cercavate un posto tranquillo dove passare la giornata?-.
-Stavamo passeggiando nei dintorni, ma ha iniziato a tempestare venti minuti fa. Abbiamo trovato rifugio qui dentro, fortunatamente- le spiegò velocemente Giada, continuando a sorriderle. Ad Alice sembrava perfino strano essere stata presa così in simpatia proprio da lei, nonostante fosse la ragazza di Alessio. Eppure Giada le aveva sempre dato l’impressione di esserle particolarmente affezionata, probabilmente quella con cui si relazionava meglio tra tutte le amicizie di Pietro.
-Comunque ti stavamo aspettando qui fuori- aggiunse Pietro, la voce bassa che sembrava più roca del solito – Volevamo salutare anche te, oltre ... Oltre ad Alessio. Non sapevamo foste qua anche voi-.
-Beh, here I am- rispose Alice, scostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso.
Cercava di apparire il più naturale possibile, e in una qualsiasi altra situazione, in una qualsiasi altra giornata, probabilmente ce l’avrebbe fatta. In quegli istanti, invece, riusciva a malapena a prestare attenzione a Giada, che le si era rivolta nuovamente, forse per sopperire al disagio che doveva provare per la presenza di Alessio.
Alice si sforzava di ascoltare, di annuire mentre le parlava velocemente di qualcosa che era riuscita a cogliere a fatica. Cercava di non perdere il filo, di trovare delle risposte sensate e coerenti per non farle capire che la stava ascoltando a malapena, ma gli occhi andavano inevitabilmente altrove, puntati nella direzione di Pietro e Alessio.
Aveva notato subito che si erano spostati un altro po’, quasi a volersi staccare da loro e rimanere più isolati, quasi alla ricerca di un po’ di solitudine da condividere solo tra loro due. Parlavano anche loro, e per quanto non fossero poi così distanti, Alice non riusciva a cogliere nulla di ciò che si stavano dicendo. Riusciva a notare solamente le iridi di Alessio che sembravano aver recuperato un po’ di quel calore che avevano perso negli ultimi giorni, quella luminosità che rendevano i suoi occhi di quell’azzurro limpido che li caratterizzava.
Tutto come previsto, tutto come al solito.
Cercò di non fissarli troppo, ma la tentazione era troppo forte, mischiata ad una sorta di curiosità che non riusciva ad ignorare del tutto.
Seguiva lo sguardo di Pietro dardeggiare sulla figura di Alessio, gli occhi scuri posati su di lui come se non esistesse altro intorno a loro.
Se l’era sempre chiesto, in tutti quegli anni, come facesse Pietro a guardare Alessio, e solo Alessio, in quel modo che nemmeno lei avrebbe saputo descrivere.
E si era sempre domandata, in tutto quel tempo, come sarebbe stato più giusto definire il loro rapporto.
Aveva sempre notato quegli sguardi, certi gesti e molte parole, alcune dette ed altre lasciate al silenzio soffocante. E si era sempre chiesta se fosse lei a vedere fin troppe cose, ad equivocare tutto, o se davvero non tutto era come poteva sembrare.
Li guardò ancora una volta di sottecchi, e l’impressione che da un momento all’altro potessero finire per abbracciarsi, o anche solo scambiarsi una carezza, la colse sin da subito. C’era tensione, talmente tanta che perfino lei poteva sentirsela addosso.
Cercò di ignorare quei pensieri, ancora una volta. In fin dei conti Alessio e Pietro erano amici da anni, da ancor prima che lei li conoscesse. Come poteva essere sicura, o anche solo pensare, che tra di loro potesse esserci qualcosa che andasse oltre la ben semplice amicizia? E anche in quel caso, inevitabilmente, non avrebbe saputo classificare quel genere di relazione.
Cercava di convincersi che, in fin dei conti, Alessio stesse con lei per sentimenti sinceri, e non certo per usarla come rimpiazzo. E lo stesso sperava per Pietro, anche se i mille dubbi che l’avevano accompagnata per tutto quel tempo non sembravano volersene andare affatto. D’un tratto le sembrava di non avere più alcuna certezza, che la realtà non fosse del tutto tangibile o comprensibile a colpo d’occhio.
-In ogni caso, l’inizio della convivenza è sempre uno dei momenti più difficili ed emozionanti della vita. Anche se non sempre finisce nel modo sperato- sembrò concludere Giada, dopo un discorso che Alice aveva ascoltato solo per metà e piuttosto distrattamente.
Si voltò verso di lei, annuendo e sorridendo, non trovando alcuna risposta sensata che potesse risultarle comoda sul momento.
Aveva spostato gli occhi da loro, ma nella sua mente era ancora fissa l’immagine di Alessio e Pietro, a parlare e guardarsi tra di loro come se intorno non fosse mai esistito altro.
Alice si morse il labbro inferiore, e non poté fare a meno di domandarsi se anche lei e Giada, ai loro occhi, non esistevano come tutto il resto. Cercò di allontanare quella domanda a cui non era sicura di voler dare una risposta, ma servì a poco: quell’immagine continuò a ronzarle in testa, il dubbio che tornava ad insinuarsi in lei per l’ennesima volta.
 
*
 
Alice arrivò in cima al pianerottolo con il fiato un po’ corto, le guance arrossate per lo sforzo appena fatto. Aveva corso velocemente le scale fino a raggiungere in pochi secondi il piano dove si trovava l’appartamento di Alessio e Pietro, controllando l’orologio da polso e accorgendosi che, in fin dei conti, era riuscita a ridurre il ritardo di un bel po’ di minuti.
La sera prima, dopo aver lasciato Pietro e Giada, non aveva dovuto insistere molto per convincere Alessio ad uscire anche quella domenica pomeriggio. Dopo quell’incontro casuale sembrava essere più sereno, o perlomeno tormentato in maniera decisamente minore. Aveva accettato di buon grado la sua proposta, pur non dimostrando troppo entusiasmo. Ma ad Alice era bastato quello: rivedere Alessio sorridere di più, anche se poco convinto e timidamente, l’aveva fatta stare più tranquilla. Era quasi riuscita ad ignorare ulteriori pensieri su di lui e Pietro.
Suonò al campanello, sperando che Alessio avesse già finito di prepararsi e fosse pronto per uscire di casa. In fin dei conti era lei ad essere in ritardo, e sperò che almeno lui non avesse problemi di puntualità.
Tirò un ultimo sospiro, cercando di regolarizzare il respiro e il battito del cuore, rimanendo in attesa davanti alla porta scura ancora chiusa. Aspettò ancora pochi secondi, prima che questa venisse aperta e che Alice si ritrovasse di fronte a Pietro. Sbatté le ciglia con fare sorpreso, facendo un cenno di saluto all’altro:
-Sono un po’ in ritardo, ho corso il più possibile per arrivare prima-.
-In realtà saresti anche potuta andare con calma. Qualcuno è ancora più in ritardo di te- ribatté Pietro, vagamente divertito dall’espressione esasperata che si dipinse in viso ad Alice – Ti conviene entrare. Avrai un po’ da attendere-.
-E per fortuna che dicono che sono le donne a metterci tanto, nel prepararsi per uscire- sbottò fintamente annoiata Alice, cercando di smorzare l’imbarazzo di quei primi secondi. Sentì Pietro ridere appena, mentre si scostava per farla passare e richiuderle la porta alle spalle, facendole poi strada verso il salotto.
Ormai conosceva quell’appartamento in ogni suo particolare. Posando gli occhi su ogni dettaglio della stanza in cui si trovava, poteva riportare alla mente mille ricordi in pochi secondi. Ricordava le serate passate sul divano stretta ad Alessio, quando erano lì da soli e l’unica cosa che importava era stare insieme e il più vicino possibile; ricordava anche una sera di un anno prima, quando Pietro aveva avuto l’influenza e lei ed Alessio si erano messi d’impegno per distrarlo il più possibile cercando di divertirlo senza farlo stancare troppo.
E poi ricordava anche le giornate in cui, ancora da soli, Alessio si sfogava con lei, parlandole di tutti i suoi dubbi su Giada. Le diceva sempre che Pietro non se la meritava una così, che aveva fatto un errore e che, purtroppo, se ne sarebbe accorto troppo tardi. Ne era così convinto, Alessio, che ad Alice il più delle volte non rimaneva altro che annuire in silenzio, rinunciando perfino a farlo ragionare.
Sembrava così convinto che, in alcuni momenti, perfino lei cominciava a credere che avesse ragione. Ma poi recuperava il senno, e cercava nuovamente di calmarlo, di dirgli che non poteva sempre prevedere tutto, che Pietro non era né un ingenuo né uno sprovveduto.
E falliva puntualmente ogni volta.
Ricordava anche una sera di qualche mese prima, ancora impressa nella sua mente. Si era addormentata sul divano, Alessio e Pietro accanto a lei, nel tentativo di guardare un film; si era sentita troppo stanca, dopo una settimana lunga e faticosa, e alla fine aveva ceduto al sonno. Non sapeva quanto aveva dormito, sarebbero potuti essere pochi minuti come un’ora intera. Ricordava soltanto che aveva socchiuso gli occhi non appena la sonnolenza se ne era andata quasi del tutto, ma rimanendo immobile e silenziosa come se stesse ancora dormendo. Aveva mosso appena il capo verso gli altri due, che non si erano accorti di nulla: Alessio era voltato verso Pietro, che sembrava ricambiare lo sguardo riluttante. Parlavano sottovoce, e Alice non era riuscita a cogliere il senso del discorso. Era riuscita ad udire solo poche parole, e il sonno appena andatosene non l’aveva aiutata ad essere più lucida e vigile.
Aveva solamente visto, dopo alcuni secondi, Alessio allungare una mano al viso di Pietro, in una carezza che sembrava quasi immaginaria da quanto leggera era stata. Si era soffermato per pochissimo sulla pelle dell’altro, e poi quella stessa mano era scivolata via, come se sul viso di Pietro non ci fosse mai passata. Aveva sentito Alessio dire qualcos’altro, ancor più a bassa voce, prima di vederlo alzarsi velocemente dal divano e sparire verso il corridoio.
Pur con gli occhi socchiusi, Alice aveva seguito lo sguardo di Pietro posarsi sulla figura dell’altro, fino a quando non l’ebbe perso di vista definitivamente.
Forse quella era stata la prima volta in cui si era accorta consapevolmente di certi sguardi, certi gesti tra di loro. Si era sforzata di pensare di aver visto male, aver travisato tutto per la troppa sonnolenza del momento, ma aveva dovuto ammettere almeno a se stessa che quella non era affatto la prima volta in cui succedeva, né sarebbe stata l’ultima.
-Avete già sistemato l’appartamento?- Pietro riprese a parlare con aria fintamente vaga, facendo quasi sobbalzare Alice – Per il trasferimento di Alessio, intendo. Ormai ... Beh, manca poco-.
-Oh, sì, dobbiamo sistemare solo alcune cose, ma per ora dovrebbe già andare bene così- rispose velocemente lei, faticando a pronunciare alcune parole e lasciando che il suo accento inglese emergesse più del solito – Devo preparargli lo spazio nell’armadio per le sue cose, svuotare alcuni cassetti. Cercare di trasformare gli spazi per due persone-.
-Già- Pietro annuì pensieroso, abbassando per pochi attimi il capo. Sembrava essersi rabbuiato, rispetto a qualche momento prima, ed Alice non poté fare a meno di sentirsi in colpa, pur non conoscendone nemmeno il reale motivo. Lo osservò sedersi sul bordo del divano, torturandosi le mani e spostando gli occhi neri da una direzione all’altra, evitando attentamente il contatto con quelli di Alice.
-Non è mai semplice iniziare una convivenza- mormorò infine, alzando lo sguardo – Ma tu devi esserci già abituata. Nel vecchio appartamento a Mestre vivevi con diverse ragazze, sbaglio?-.
-Sì, è vero, ho fatto un po’ di esperienza. Ma una convivenza in due è ... Diversa, credo. Più intima- Alice si morse il labbro inferiore, insicura se continuare o meno – Anche se immagino, per certi versi, possa essere anche più difficile-.
-Lo è, inevitabilmente- Pietro sospirò a fondo, ed Alice fu quasi sicura di notare un sorriso appena abbozzato a disegnargli le labbra – Ma se trovi la persona giusta ne verrà sempre la pena, no?-.
“E tu l’hai già trovata quella persona?”.
Alice annuì silenziosamente, cercando di sorridere di rimando, ma fallendo in ogni suo tentativo.
“Stiamo parlando della stessa persona, Pietro?”.
Non le ci sarebbe voluto molto per trasformare quei pensieri silenti in parole che avrebbero spezzato quel silenzio appena calato. Sarebbero bastati pochi secondi, e forse avrebbe avuto anche la risposta che cercava. Le sarebbe bastato vedere il viso stupito e terrorizzato di Pietro per capire, e le sarebbe bastato solo quello. Non avrebbe indagato oltre.
-Pietro- lo chiamò piano, esitante, per costringerlo a voltarsi verso di lei. Lo vide portare gli occhi scuri nella sua direzione, in attesa e incuriosito. Le sarebbero serviti solo pochi attimi, nulla di più.
Incrociò i suoi occhi per pochi attimi, e in quel momento capì.
-So che non dev’essere stato semplice venire a sapere così tardi e all’improvviso del trasferimento di Alessio, e hai avuto tutte le ragioni per arrabbiarti con lui. Ma sono contenta che vi siate chiariti- gli disse, con sincerità – È molto importante per Alessio. Ti vuole bene, anche se a volte lo dimostra pessimamente-.
Vide Pietro accennare un sorriso malinconico, triste e spento, e Alice si rese conto di aver fatto la scelta migliore.
Qualunque fosse il legame vero tra Pietro ed Alessio – sempre che non fosse solamente una sua impressione- non era una questione che la riguardava. Non era una questione in cui sarebbe dovuta entrare a forza, con poche e pallide impressioni che potevano rivelarsi altrettanto false.
A che le sarebbe servito mettere a disagio Pietro e sembrare troppo apprensiva e morbosa? Non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno, non in quel momento e in quel modo. Non era nemmeno sicura di voler conoscere davvero quella risposta; forse, in fin dei conti, la strada del dubbio era l’unica percorribile nel presente.
Non era qualcosa che avrebbe affrontato ora, ormai ne era quasi sicura.  Ma era altrettanto convinta che, se mai ci fosse stato un fondo di verità, prima o poi tutto sarebbe venuto a galla.
Prima o poi sarebbe accaduto.
 
*
 
-Spingi un po’ più forte-.
Pietro fece come gli venne detto, stringendo i denti per lo sforzo e le imprecazioni che stava cercando di trattenere a stento.
-Sì, ma non così forte o finirai per rompere tutto- lo corresse di nuovo Giulia, in tono perentorio – Poi ci torni tu all’Ikea a farti dare un pezzo di ricambio-.
-Temo dovremmo ricomprare direttamente tutto, nel caso si spaccasse qualcosa per colpa nostra- obiettò Filippo, con sguardo grave.
Giulia lo guardò con un sopracciglio arcuato:
-Per colpa di Pietro, specifichiamo-.
Stavolta il diretto interessato non riuscì a stare zitto:
-Perché non ci vieni tu a montare questo fottutissimo mobile?-. Guardò Giulia con aria torva, ma non ebbe alcun risultato: lei si limitò a ricambiare lo sguardo con aria di sufficienza, l’aria calma per niente scalfita.
-Sei tu che ti sei offerto per darci una mano- gli ricordò, puntandogli un dito contro, seduta ancora comodamente sul divano del salotto – E in fin dei conti hai tinteggiato parecchio bene quella parete. Che sarà mai montare una piccola libreria?-.
“Che sarà mai” sbuffò Pietro tra sé e sé, “Se almeno le istruzioni fossero comprensibili”.
Di certo i mobili dell’Ikea erano abbordabili economicamente, sufficientemente carini per arredare qualche stanza, ma era altrettanto vero che i soldi risparmiati si vedevano soprattutto nella qualità dei libretti delle istruzioni – e nell’assemblaggio dei pezzi. Non poteva essere del tutto ed unicamente colpa sua se una delle mensole stava storta per un aggancio andato male.
-Una piccola libreria che stiamo cercando di montare da più di un’ora- commentò a mezza voce Filippo, appoggiando cautamente a terra il lato della libreria di cui si era occupato fino a quel momento. Era evidentemente rassegnato al fatto che, ormai, non sarebbero mai riusciti a sistemarla a dovere.
Pietro lo imitò, scuotendo il capo:
-Era meglio dover tinteggiare tutte le pareti della casa-.
Non poteva davvero dirsi entusiasta di avere a che fare con pennelli, rulli e tinture – anche se lo era decisamente di più che con i mobili Ikea-, ma aveva funzionato bene come diversivo per uscire di casa.
Quando Filippo gli aveva scritto quella mattina per chiedergli se gli andasse di dare una mano, Pietro non ci aveva pensato due volte: tanto valeva accettare, distrarsi per un bel po’ di ore, e sperare che all’ora del rientro Alessio se ne fosse uscito a sua volta con Alice, o con chiunque altro.
Poteva anche fingere con lui che le cose si fossero pian piano stabilizzate nelle ultime settimane, ma Pietro dentro di sé aveva solo un disperato bisogno di non pensare ad Alessio e a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Forse scappare e sperare di ritrovare l’appartamento vuoto era solo un metodo di difesa per abituarsi più velocemente a come sarebbe stato per davvero entro poco tempo. Doveva farci il callo di dover tornare in una casa sola e silenziosa.
-Concordo- borbottò Filippo, stiracchiandosi la schiena.
Giulia sembrava concentrata su qualcos’altro, perché quando rise sommessamente qualche secondo dopo, facendo girare entrambi nella sua direzione, era ovvio che non li stesse più calcolando: teneva il telefono in mano, gli occhi diretti rigorosamente sullo schermo, mentre sghignazzava tra sé e sé.
Filippo la guardò con un sopracciglio alzato:
-Che hai da ridere?-.
-No, niente- Giulia alzò brevemente gli occhi verso di lui – Alcuni messaggi del gruppo di studio di inglese-.
-Oh, anziché darci una mano stai chattando?- Pietro lo disse con offesa evidente nella voce, anche se in realtà non poteva dirsi davvero stupito di quel risvolto – Sul serio?-.
Giulia lo guardò del tutto impassibile, un ghigno astuto stampato in viso:
-Sono cose importanti. Dobbiamo organizzarci per fare una sessione di studio prima dell’esame-.
Si sedette più comodamente sul divano, le gambe incrociate e gli occhi vispi mentre spostava lo sguardo da Pietro a Filippo.
-Che, tra parentesi, devo assolutamente passare al prossimo appello, visto che è uno degli ultimi che mi rimangono- aggiunse subito dopo, annuendo tra sé e sé.
Pietro continuò a guardarla con lo stesso scetticismo:
-Deve essere estremamente divertente parlare di esami e sessioni di studio, visto come sghignazzavi-.
Filippo fece un mugugno che doveva dimostrare il suo essere d’accordo con lui, ma nonostante tutto Giulia non tradiva alcun segno di colpevolezza.
-È per quello che ha scritto un mio amico. Fernando, te lo ricordi?- stavolta si rivolse unicamente a Filippo, speranzosa che ricordasse – Te l’ho anche presentato-.
-Il ragazzo spagnolo, no?- le chiese lui di rimando, con la fronte aggrottata come se stesse cercando di riportare alla mente un nome o una faccia seppelliti tra i ricordi.
-Esatto- confermò Giulia – Beh, Fernando più che convincerci a organizzare questa sessione di studio, sta cercando di convincerci a uscire per fare serata, andare per bar a cercare bei ragazzi con cui provarci-.
Pietro si sentì come raggelare nell’immediato.
“Bei ragazzi con cui provarci”.
Qualcosa gli diceva che Giulia non si fosse affatto sbagliata, e che avesse voluto proprio dire ragazzi.
“E così ha un amico non proprio etero” si ritrovò a pensare, molto più amareggiato di quel che si sarebbe aspettato, “Più di uno, anche se non lo sa”.
Gli venne quasi da ridere, ma sapeva che sarebbe stata solo una risata amara. Colma solo di delusione verso se stesso – forse anche di odio, ma quello dipendeva dai giorni. Quel giorno era già troppo impegnato a stare male per altre cose: poteva permettersi di odiarsi un po’ meno.
Pietro abbassò consapevolmente gli occhi, probabilmente facendosi scorgere a malapena da Filippo e Giulia impegnati ancora a parlare, ma non gliene importò. Sentiva lo sconforto farsi sempre più presente, impossibile da ignorare.
“Chissà se verrai mai il giorno”.
Si chiedeva, a volte, se il giorno in cui avrebbe pensato a se stesso non in quei termini di avversione ci sarebbe mai stato. L’amico di Giulia palesemente non si faceva alcun problema verso il suo stesso orientamento, né se ne faceva a renderlo palese anche a chi gli stava attorno.
Pietro non aveva idea se sarebbe mai riuscito ad agire allo stesso identico modo.
Forse avrebbe passato il resto della sua vita a fingere. A ignorare il fatto che Giada, per quanto bene le volesse, era solo uno dei tanti diversivi. Una distrazione.
“Forse non arriverà mai”.
-Scommetto che tu gli stai dando man forte- Filippo puntò un dito accusatore verso Giulia, e Pietro stavolta alzò sufficientemente gli occhi per vederla rispondere con un sorriso malizioso.
-Potrei-.
Risero entrambi, e Pietro si sforzò di farlo a sua volta, per non mostrarsi turbato, per non dare adito a domande a cui non avrebbe voluto – e neanche saputo- rispondere. C’era già troppo che avrebbe dovuto spiegare, e non avrebbe saputo neanche lontanamente come farlo.
Non riusciva a farlo nemmeno con se stesso.
-Finiamo questa libreria, va’- tagliò corto, dopo qualche secondo, tornando a chinarsi sulla libreria ancora da finire di sistemare.
“Cambieranno mai le cose?”.
Se doveva essere sincero, aveva persino paura nello scoprire la possibile risposta a quella domanda.
 
 
 


 
NOTE DELLE AUTRICI
Nuovo mercoledì, nuovo capitolo (un po’ di passaggio)... E nuovo pov! Ebbene sì, avete capito bene. È finalmente giunta l'ora di analizzare i pensieri di qualcuno di diverso dai "magnifici 6"! Scherzi a parte, tramite Alice scopriamo che Alessio, nonostante il passare del tempo, non è ancora sereno. Questo nuovo pov, però, permette anche di mettere in luce la grande intuitività e le spiccate doti da osservatrice della ragazza, tutte caratteristiche che torneranno a galla prima o poi. Alice, infatti, sembra aver notato qualcosa tra Alessio e Pietro, ma potrebbe avere ragione come potrebbe non averne, ma sembra che alla fine abbia capito che saziare certe curiosità è solo un modo per complicare le cose e ferire gli altri, spingendoli a dire cose che non sono pronti ad ammettere. Ed è così che, per il momento, i suoi dubbi su Pietro non troveranno risposta!
E spostandoci proprio su Pietro, anche lui è come sempre tormentato da mille dubbi ... Non certo come Giulia, che invece si sta facendo trascinare dal suo amico Fernando a passare le serate in modo alternativo 😂
Cosa ci riserverà il futuro, e quindi il prossimo capitolo la cui pubblicazione sarà mercoledì 20 ottobre? Lo scopriremo solo leggendo!
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Life goes on ***


CAPITOLO 4 - LIFE GOES ON


 

L’aria fredda e pesante che alleggiava nella stanza non turbò Pietro più di tanto. Era già sveglio da parecchio tempo: aveva passato le ultime ore a rigirarsi in continuazione tra le lenzuola del letto, rinunciando infine a cercare di riprendere sonno. Sapeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi di nuovo, non quel giorno.
Alzò svogliatamente la testa dal cuscino, stropicciandosi gli occhi assonnati, e togliendosi di dosso le coperte calde. Appoggiò i piedi nudi a terra, dando un’occhiata alla sveglia sul comodino alla destra del letto: erano quasi le nove, un’ora decisamente decente per alzarsi e smettere di poltrire nel letto.
Si alzò stancamente dal materasso, passandosi una mano tra i capelli lisci e scuri e, cercando di non andare addosso alla scrivania o ai vari mobili pur spostandosi alla cieca, arrivò dall’altra parte della stanza buia, raggiungendo la finestra. Tirò su la persiana lentamente, per non rischiare di rimanere accecato dalla luce. A poco a poco la stanza s’illuminò della luce del sole mattutino. Era solamente gennaio, eppure negli ultimi giorni un sole pieno e freddo aveva fatto capolino dalle nubi che da troppo tempo ricoprivano il cielo di Venezia.
Pietro appoggiò le mani sul balcone della finestra, la pelle d’oca sulle braccia per la brezza fredda invernale, osservando il paesaggio che si stagliava davanti a lui: in lontananza la cupola di San Marco scintillava sotto i raggi solari, così come le acque della laguna e dei canaletti, trafficati dalle gondole e dai vaporetti.
Venezia aveva già preso vita quel giorno, e Pietro se ne stava ancora a casa sua, appena alzatosi dal letto, e con la testa ancora annebbiata per il sonno.
Quella sarebbe stata la giornata ideale per farsi lunghe camminate lungo le calli veneziane: era sabato, non c’erano i corsi all’università, e c’era un sole stupendo. Nulla di più perfetto.
Ma quello era anche l’ultimo giorno in cui Alessio sarebbe rimasto a vivere nel loro appartamento.
“L’ultimo giorno”.
Pietro abbassò il capo, chiudendo gli occhi e respirando a fondo.
Era difficile credere che fosse davvero arrivato il giorno in cui, in un qualche modo, la sua strada percorsa con Alessio avrebbe preso una direzione diversa.
Sbuffò piano, tornando a puntare gli occhi fuori dalla finestra, ma non osservando nulla in particolare. Si sentì perso, perso in un mare così profondo e scuro da non rendere nemmeno l’idea.
Si allontanò dalla finestra, rabbrividendo appena, e dirigendosi verso la porta chiusa della stanza. La aprì, uscendo nel piccolo corridoio su cui dava la camera, proprio di fronte a quella di Alessio.
La porta era già aperta, e dalla stanza proveniva la luce del sole che filtrava dalla finestra, gli scatoloni pieni delle sue cose posati sul pavimento che si intravedevano all’interno della camera. A quanto pareva Alessio era stato più mattiniero di lui, almeno per quella mattina.
Forse avrebbe preferito saperlo ancora dormiente. Forse non se la sentiva nemmeno di vederlo in faccia, non ancora, perlomeno. Forse non sarebbe mai stato pronto ad affrontarlo e affrontare quella giornata venuta troppo in fretta.
Si morse le labbra, cercando di scacciare quei pensieri e proseguendo a fatica verso un destino che già conosceva. Percorse in pochi passi il corridoio, arrivando sull’uscio del salotto dell’appartamento, bloccandosi sulla soglia della stanza.
Alessio era davanti alla finestra del salotto, le spalle rivolte a Pietro, il viso nascosto e dall’espressione ancora ignota. Teneva le mani nelle tasche dei pantaloni, immobile come una statua, e non sembrava essersi minimamente accorto della sua presenza a qualche metro dietro di lui.
Pietro si appoggiò al muro, restando in silenzio a osservare la figura con i capelli scompigliati e biondi di Alessio. Quasi non si accorse del sorriso appena accennato che gli si era dipinto in volto, un gesto automatico che ormai aveva rinunciato a nascondere.
Sotto i riflessi del sole i capelli di Alessio erano molto più illuminati e resi più chiari, fili dorati che a Pietro ricordavano il colore della sabbia calda, quella con cui si era scottato i piedi più volte nei pomeriggi d’estate. Avrebbe voluto fotografarlo mentre se ne stava lì, immobile come se per lui il mondo si fosse fermato. Avrebbe voluto fotografare quel momento, far allungare i secondi per non farlo finire mai. Sarebbe potuto durare per sempre, semplicemente così.
 
I tried to paint you a picture, the colors were all wrong
Black and white didn't fit you and all along
You were shaded with patience, your strokes of everything
That I need just to make it, but I can see that

Si avvicinò piano alle spalle di Alessio, spinto dall’istinto e da un’ingenuità che aveva lasciato fuoriuscire poche volte negli ultimi due anni. Camminò a passi felpati, cercando di fare meno rumore possibile; solo quando gli fu vicino si accorse che Alessio stava tenendo gli occhi chiusi, come se stesse dormendo, con la testa inclinata sulla spalla destra.
Pietro si fermò poco dietro di lui, mordendosi il labbro inferiore: avrebbe solamente voluto abbracciarlo, farlo girare verso di sé ed appoggiare la propria fronte alla sua. Gli sarebbe bastato sentire il suo respiro finirgli addosso, le narici piene del suo profumo, il calore della sua pelle a contatto con la sua.
Si morse il labbro inferiore, la tentazione mista al dolore della separazione che a malapena riusciva a tenere sotto controllo. Nulla gli impedì, però, di passargli un braccio attorno alle spalle, in quell’abbraccio a tratti impacciato e intimidito che aveva agognato fino a quel momento.
 
Lord knows I failed you time and again
But you and me are all right
 
-Cosa fai, dormi in piedi come i cavalli?-[1] sussurrò Pietro con voce bassa, con l’imbarazzo che stava scemando. Non c’era nulla di forzato, in quell’abbraccio: teneva Alessio in una presa leggera, giusto per fargli sentire la sua presenza, con il capo poggiato appena a quello dell’altro.
Alessio non disse nulla. Si limitò a sorridere lievemente in silenzio, un sorriso che a stento Pietro riuscì a cogliere. Si lasciò cullare lentamente da lui, senza divincolarsi.
E anche quel momento Pietro avrebbe voluto non finisse mai: forse per la prima volta dopo anni riusciva a sentire Alessio davvero accanto a sé, senza stupidi litigi o parole non dette di mezzo. Riusciva a trasmettere di più quell’unico abbraccio silenzioso, che non tutto ciò che si erano detti in quei due anni appena passati.
Era probabilmente l’ultimo abbraccio vero che quelle pareti avrebbero visto. Ancora poche ore, e Alessio se ne sarebbe andato.
Pietro si ritrovò a sospirare pesantemente, stringendo impercettibilmente Alessio più stretto a sé.
Aveva paura di quel cambiamento.
Si sarebbe mai abituato alla sua assenza, dopo aver conosciuto la sensazione di vivere con lui accanto? Avrebbe imparato a sopportare quella solitudine, che non avrebbe fatto altro che ricordargli tutti i rimpianti che avrebbe avuto?
Quella casa sarebbe stata sempre troppo vuota, troppo silenziosa e troppo grigia, senza di lui. E non avrebbe potuto fare altro che cercare di farci l’abitudine, andare avanti come aveva fatto fino a quel momento.
L’amicizia tra loro sarebbe rimasta, certo, ma quante altre cose sarebbero cambiate e quante altre ancora sarebbero venute a mancare?
Pietro si lasciò sfuggire un sospiro, la malinconia che gli stringeva la gola e lo faceva sentire più vulnerabile.
Alessio continuò a non dire nulla. Pietro riusciva a distinguere alla luce del sole del mattino le ciglia lunghe, abbassate sulle guance per gli occhi tenuti ancora chiusi. Per un attimo temette che il suo silenzio fosse equivalente ad un rifiuto di quell’abbraccio, ma subito dopo lo avvertì accoccolarsi meglio contro di lui, avvolto dalle sue braccia in quell’abbraccio strano e nostalgico. Sentiva anche Alessio la stessa insicurezza, mischiata all’euforia per il nuovo inizio che l’aspettava, e a quella dolce malinconia per tutto ciò che stava lasciando?
Pietro avrebbe voluto che si girasse verso di lui in quello stesso istante, sentirlo dire che tra di loro non sarebbe cambiato niente – non sarebbe cambiato nulla, quando invece tutto era già cambiato.
Non successe nulla di tutto ciò. Alessio rimase ancora una volta in silenzio e nemmeno Pietro provò a domandarglielo, forse troppo codardo o forse semplicemente troppo insicuro per dire a voce ciò che premeva per uscire dalla sua bocca.
Non era così facile, lasciarsi andare tutto alle spalle e iniziare di nuovo. L’aveva già vissuta, quella sensazione, ma era sempre come la prima volta: un balzo nell’oscurità, dove sarebbe potuto cadere in piedi senza nemmeno un graffio, o farsi talmente male da non riuscire nemmeno più a rialzarsi.
Alessio si divincolò appena dalle braccia di Pietro, come se d’un tratto fosse deciso a sciogliere quel contatto: forse la vicinanza rendeva tutto più difficile.
Pietro strinse appena di più la stoffa della sua maglietta, come a richiamarlo a sé, e sussurrò di nuovo, allarmato:
-Va tutto bene?-.
Alessio tenne ancora gli occhi chiusi, abbassando di poco il capo,
-Solo mi chiedevo … -.
“Sarà disposto a confidarsi?”.
Era evidente che fosse agitato, ed era anche evidente che avesse bisogno di dirgli qualcosa. Ma gli ci volle tempo, prima di lasciarsi andare alla domanda che evidentemente non riusciva più a trattenere:
-Mi chiedevo se è giusto- borbottò alla fine, buttando parole vaghe.
-Se è quello che vuoi, allora è giusto-.
Pietro disse quelle parole ancor prima di pensarle.
Non era stato difficile dirlo, non quanto rendersi conto di aver pronunciato quelle parole per davvero. Di nuovo la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco lo avvolse, un groppo in gola che gli impediva di aggiungere qualsiasi altra cosa.
Gli stava costando fin troppo incoraggiare Alessio, spingerlo volontariamente sempre più distante da sé. Ma a che gli sarebbe servito cercare di farlo desistere o mostrargli solamente tutto ciò che sarebbe potuto andare storto? Aveva ancora tutta l’intenzione di mantenere la promessa di mettere la felicità di Alessio davanti alla sua.
Bastava quell’ultimo sforzo, quell’ultima volta nel mantenere fede ai suoi propositi.

 
Every single day that I can breathe
You changed my philosophy
I'm never gonna let you pass me by
 
Alessio finalmente riaprì gli occhi, girandosi appena verso di lui. Si ritrovò con il viso fin troppo vicino al suo, ma cercò di non farci caso: non arretrò, l’imbarazzo, con Alessio che cercare i suoi occhi, che riusciva a malapena ad ignorare.
-Lo voglio. Sto bene con Alice, voglio vivere con lei- la voce di Alessio fu poco più di un sussurro – Ma allo stesso tempo non voglio nemmeno andarmene da qui-.
Pietro si morse le labbra, la voglia di urlargli di rimanere che si faceva sempre più forte, ma no, non doveva cedere giunti a quel punto.
Non poteva permetterselo, e non poteva permetterglielo.
-Ascoltami- Pietro prese un respiro profondo, lo sguardo di Alessio ancora su di lui, e le sue braccia a cingergli ancora le spalle – È normale sentirsi confusi, credere di avere dei ripensamenti all’ultimo minuto. Ma è solo suggestione, è solo ... Paura di cominciare tutto di nuovo-.
Vide Alessio abbassare lo sguardo, rimanendosene in silenzio. Gli passò velocemente una mano tra i capelli biondi, in un gesto d’affetto con cui voleva attirare nuovamente la sua attenzione:
-Diversi anni fa qualcuno mi disse che, ogni volta che si arriva ad un traguardo, non si può fare a meno di guardarsi indietro ed osservare un’ultima volta ciò che si è passato per giungere fino a quel punto. Ma questo non ci deve fermare dall’andare avanti e proseguire-.
Vide Alessio finalmente sorridere divertito, un vero e proprio sorriso che non compariva sul suo volto da giorni – da settimane.
-Non ti fermare proprio ora che sei ad un passo dall’arrivo, Alessio -.
 
All we are, all we are
Is everything that's right
All we need, all we need
A lover's alibi
 
Anche Pietro non poté fare a meno di sorridere, una certa serenità, strana ed inaspettata, che stava pian piano sostituendo il dolore che lo aveva attanagliato fino a pochi attimi prima.
-E non fare quella faccia triste, che mi sembri uno zombie. E uno zombie con una giornata così bella stona, Lentiggini- esclamò Pietro, allargando maggiormente il sorriso.
Anche il sorriso si Alessio si allargò, gli occhi azzurri che si erano fatti più luminosi e limpidi.
Non fece nulla per evitare il contatto con quelle iridi, Pietro: non abbassò il viso, nonostante l’imbarazzo che si faceva più vivo e visibile con il rossore delle sue gote. Rimase ad osservare l’azzurro terso e chiaro di quegli occhi, le screziature grigie e verdi più visibili alla luce chiara del mattino.
Sembravano le acque dell’oceano, quelle iridi, le acque di un oceano infinito e calmo nel quale Pietro si sarebbe volentieri perso.
Avrebbe voluto essere l’isola bagnata ed attorniata da quell’oceano, persa in mezzo a quella distesa d’acqua blu, da quell’oceano che aveva imparato a conoscere, rispettare, amare.
Un oceano che si stava facendo sempre più lontano e sempre più vicino allo stesso tempo, come il lento cadenzare ed oscillare delle sue onde.
 
“È solo che ogni volta che arrivi ad un traguardo, uno qualsiasi, non puoi fare a meno di guardarti indietro per guardare un’ultima volta tutto quello che hai dovuto passare per arrivare fino a lì … Ma questo non vuol dire che non voglia più andare avanti”
 
So don't say our goodbyes
You know it's better
We won't break, we won't die*
 
*
 
Quando si sedette sul divano gli sembrò quasi si essere fuori posto. Come se non fosse quello il luogo in cui si doveva trovare.
Alessio si passò una mano sul viso, stanco.
Quella casa era tutt’altro che sconosciuta per lui: Alice aveva sempre cercato di invitarlo lì il più possibile nell’ultimo anno, da quando era finalmente riuscita a mettere sufficienti soldi da parte per affittare quell’appartamento tutto per sé – che ora sarebbe diventato tutto per loro.
Ma quella sensazione non se ne stava andando, e forse non se ne sarebbe andata ancora per un po’ di giorni.
Aveva passato gran parte del pomeriggio a sistemare le sue cose in giro per la casa – negli armadi, nei cassetti dei mobili, in bagno, ovunque-, svuotando pian piano valigie e scatoloni che gli erano serviti per trasferirle da un appartamento all’altro.
Dare un’ultima occhiata a quella che era stata la sua stanza per più di due anni, ormai spoglia, era stato molto più doloroso di quel che si era sempre immaginato.
“Chissà che ne farà Pietro, ora che è sua anche quella”.
Il pensiero di Pietro gli fece partire una fitta all’altezza del petto. Aveva cercato di pensare il meno possibile a lui per tutto il giorno, ma adesso era stato inevitabile.
Cercò di non immaginarselo da solo, nel loro vecchio appartamento condiviso, e cercò ancora meno di ripensare all’abbraccio di quella mattina. Non era il caso di scoppiare a piangere nel salotto della sua nuova casa.
“Forse non è così che mi dovrei sentire dopo essere appena andato a vivere con la mia ragazza”.
Era forse l’ennesima incrinatura nella sicura certezza di cui aveva cercato di convincersi da mesi. Vedeva la felicità di Giulia e Filippo che finalmente stavano costruendo giorno dopo giorno la loro casa, e anche l’entusiasmo che stava investendo Caterina e Nicola nel progettare pian piano la loro convivenza che a breve sarebbe iniziata ufficialmente.
Quando si guardava allo specchio non vedeva le stesse espressioni, e quando ragionava su quella stessa giornata l’unica cosa a cui riusciva a pensare – se solo se lo fosse permesso- era Pietro, e quell’abbraccio, e il continuo domandarsi se stesse facendo la cosa giusta, se quello era il momento giusto per separarsi – e arrivare finalmente a prendere casa sotto lo stesso tetto di Alice.
L’abbraccio di Pietro era stato rassicurante e terrorizzante allo stesso tempo, perché averlo lì vicino lo portava sempre, inevitabilmente, a chiedersi se quel che aveva appena fatto non fosse una totale pazzia.
Alessio si riscosse dalla sua bolla di silenzio dal lento vibrare del suo cellulare, abbandonato accanto a lui sul divano. Allungò timoroso una mano, con la sensazione che potesse essere proprio Pietro ad avergli scritto.
Quando sbloccò il display, però, era il nome di Caterina che campeggiava come mittente.
«Arrivato nella tua nuova casa?».
Le intenzioni di Caterina erano sicuramente buone, ma leggere quelle parole gli fecero solo venire la nausea. Si costrinse comunque a rispondere, digitando quelle lettere senza alcuna convinzione:
«Sì, poco prima dell’ora di pranzo».
Caterina non si fece attendere per più di un minuto:
«E Pietro, invece? Tutto bene con lui?». 
Alessio si morse il labbro inferiore, in difficoltà.
Sarebbe stato piuttosto semplice liquidare la questione dicendo che sì, era andato tutto bene. Non sarebbe nemmeno stata una bugia, perché la realtà era effettivamente quella: con Pietro era andato tutto bene, alla fine. Era stato lui a dirgli che la vita sarebbe proseguita, che sarebbe andato tutto bene e che era stata la scelta giusta.
Il nero delle iridi di Pietro, in quei momenti di vicinanza, gli era sembrato così famigliare, intenso e infinito. Un porto sicuro, nonostante tutto. Era stata la stessa sensazione che aveva vissuto l’ultima sera al Babylon, prima di spiccare il volo e andare a Venezia. Era ironico pensare che, inevitabilmente, era stato con Pietro anche quella volta. Forse era un segno del fato, o di qualunque cosa fosse, il fatto che l’avesse vissuta poco prima di trasferirsi in quella stessa casa che avevano condiviso per anni, e nuovamente quando stava per andarsene. Forse era solamente il segno che Pietro poteva avere ragione, che tutto sarebbe andato bene anche stavolta.
Ma gli occhi di Pietro erano stampati nella sua mente, tra i ricordi di quella giornata e di quelle delle ultime settimane, e continuava a ricordarli famigliari ma vuoti, privi di reale convinzione almeno per se stesso.
Aveva cercato di incoraggiare lui, ma così facendo sembrava quasi si fosse dimenticato di provarci anche per sé.
Ma non c’era bisogno che Caterina sapesse tutto ciò.
«Tutto ok, nessun problema».
Ciò che ricevette in risposta dall’altra parte non lo sorprese più di tanto, non davvero:
«Se lo dici tu».
 
*
 
Non sapeva quale esattamente era stato il momento in cui tutto nella sua vita aveva cominciato ad andare storto. O forse lo sapeva benissimo, ma era più facile e più comodo fare finta di nulla, pensare che fosse riconducibile a scelte altrui piuttosto che alle sue.
Pietro sospirò a lungo, con gli occhi chiusi, steso sul letto della sua stanza attorniato solo dalle tenebre della sera che calava, la luce spenta perché così gli dava la sensazione di essere invisibile persino a se stesso.
“Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro”.[2]
Poteva non aver scelto l’eroina come aveva fatto Renton, ma aveva comunque scelto di non scegliere la vita. Non poteva definire vita un’esistenza fatta solo di tante bugie che si succedevano l’un l’altra.
Non era vivere. Era solo nascondersi.
Stava nascondendo anche il suo dolore, in quel momento, come se non pensare ad Alessio e a tutte le occasioni perse potesse facilitare in un qualche modo quella sua esistenza senza senso.
E si sentiva vuoto, un po’ come lo era l’appartamento in quel momento, come lo era la stanza di fronte alla sua. Abitata alla mattina, e abbandonata e spoglia la sera stessa.
Era un silenzio che lo stava ingolfando, un silenzio che in realtà gli stava urlando addosso che, anni fa, era arrivato ad un punto della sua vita in cui si era ritrovato a dover compiere una scelta, e che per codardia e per odio – verso di sé, non verso qualcun altro- ora si ritrovava ad aver percorso la strada sbagliata.
“Ma non posso più tornare indietro”.
Non c’era via d’uscita, o almeno lui non riusciva a vederne una.
Pietro rimase ancora immobile, così come lo era stato nelle ultime ore. Poteva anche cercare di fare finta di nulla, ma non poteva negare a se stesso di non essere riuscito nemmeno a mettere piede fuori dal letto per gran parte di quella giornata. Aveva ignorato persino il telefono, conscio di essersi probabilmente perso anche i messaggi che Giada poteva avergli scritto. Ma non era a Giada a cui stava cercando di non pensare – almeno non stavolta.
Sarebbe servito anche a lui qualcuno che lo abbracciasse in quel momento, un po’ come aveva fatto lui con Alessio quella mattina. Aveva cercato di infondergli la fiducia che a lui per primo mancava. Gli aveva detto di andare avanti con la sua vita, quando la sua gli sembrava ferma ai giorni d’estate di quasi tre anni prima, quando aveva iniziato a conoscere una parte di sé rimasta seppellita per vent’anni, e che ora invece pur latente era sempre lì. Poteva nasconderla sotto una montagna di bugie, ma era sempre lì. E probabilmente ci sarebbe sempre stata.
Forse aveva solo bisogno di parlare con qualcuno che sapeva avrebbe, se non potuto condividere i suoi dolori, almeno potuto comprenderli.
Ma non l’avrebbe fatto quella sera.
Per quella sera la vita sarebbe andata avanti nel silenzio sconfortante dell’appartamento – non più loro, solo suo-, la sua unica presenza come compagnia, e niente a tenerlo a galla.
 





[1] questa scena è ovviamente ispirata, come intuibile dalla domanda e dall'abbraccio, a quella parallela tra Ennis e Jack in Brokeback Mountain.
[2] altra citazione cinematografica, stavolta da Trainpotting.
*il copyright della canzone (One Republic - "All we are") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Immaginiamo si sia capito, ormai, che questo inizio di seconda parte avrà ben poco di allegro 😅 In questo capitolo sembra proprio che il giorno in cui le strade di Alessio e Pietro in veste di coinquilini si divideranno sia infine arrivato.
Nel "post separazione" di Pietro e Alessio analizziamo poi le reazioni su entrambi i fronti. Ci viene quindi spontaneo sottolineare il fatto che Pietro potrebbe essere portato a parlare di questa situazione con qualcuno, proprio come si evince dal finale dell'aggiornamento. Lo farà davvero, oppure è un pensiero dato dall'emotività e dalla disperazione del momento? Alessio invece sempre, ancora una volta, indirizzato verso una chiusura, dato che preferisce tenere per sé le proprie riflessioni nascondendo così parte di ciò che prova.
E concludiamo con una buona notizia: visto che il capitolo di stasera era breve, e visto che il successivo si collega a doppio filo con questo finale, ci rivedremo in questi lidi già mercoledì prossimo con un aggiornamento molto consistente! 😊
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - You can look back, but don't stare ***


CAPITOLO 5 - YOU CAN LOOK BACK, BUT DON'T STARE




 
“Non si chiede il perché quando si parla di amore”[1]

 
Andarsene da Venezia, e soprattutto allontanarsi dall’appartamento, gli stava facendo bene. Aveva bisogno di cambiare aria, cercare di distrarsi il più possibile, mettere una certa distanza tra sé e certi pensieri che ormai lo seguivano da troppi giorni.
Il centro di Ferrara era vivo anche quel pomeriggio, nonostante il rigido freddo invernale e il tempo che minacciava pioggia da un momento all’altro. Il chiacchiericcio e il caldo che si respirava dentro al bar in cui si trovava Pietro, poi, contrastava nettamente con il senso di vuoto e di desolazione che vigeva ormai a casa sua, a Venezia.
Erano passati dieci giorni esatti da quando Alessio si era chiuso alle spalle la porta dell’appartamento – di quello che era stato il loro appartamento, e che d’ora in avanti sarebbe stato solo di Pietro -, lasciando la sua vecchia stanza vuota, spoglia delle sue cose.
Erano dieci giorni che Pietro tornava con il pensiero sempre alla stessa immagine, l’immagine di Alessio che se ne andava tirandosi dietro due valigie ricolme e pesanti, e trascinandosi dietro di sé anche l’ultima ventata di vitalità rimanente in quella casa.
Ed erano dieci giorni, inevitabilmente, che Pietro si sentiva perso. Completamente disorientato, un dolore tenue ma costante che non se ne andava, che cercava di ignorare ma che restava sempre lì, a fargli sentire il respiro pesante e un peso nel petto che cominciava a mal sopportare davvero.
Era come se qualcuno gli avesse strappato un pezzo di carne, lasciandolo incompleto e incapace di continuare la solita vita di sempre.
Prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine – d’altro canto aveva un talento innato per crogiolarsi nel dolore e aspettare che questo diventasse una normale routine tipica della sua vita-, ne era sicuro. Per il momento, però, considerava quegli ultimi dieci giorni come tra i peggiori mai passati negli ultimi anni.
-Allora, come ti sembra vivere in una casa tutta per te?-.
Pietro sbuffò debolmente, non curandosi nemmeno di alzare lo sguardo verso il suo interlocutore. Si limitò a buttar giù l’ennesimo sorso di prosecco, tanto per poter ritardare il momento in cui avrebbe dovuto rispondere.
Quando finì di bere poggiò nuovamente il bicchiere sul tavolo, e lanciò un’occhiata veloce nella direzione di colui che gli era seduto di fronte e che era in attesa di una risposta.
-Alla grande, direi, ho preso in considerazione l’idea di buttarmi giù dal balcone- ironizzò Pietro, rivolgendogli un finto ghigno – Anzi, no, prossimamente mi butterò sotto un treno. Almeno potrei vantarmi di aver fatto la stessa gloriosa fine di Anna Karenina -.
-Davvero la sua morte è stata gloriosa?-.
-Se reputi glorioso suicidarsi per un amore che non ha futuro alcuno e perché la società non ti accetterà mai, allora sì, lo è decisamente molto-.
-Ho sempre detto che dovresti smetterla di leggere certi libri e fare l’intellettualoide. Il tempo dei poeti maledetti e dei bohemien è finito da un po’-.
-Sono sempre più convinto di essere nato nell’epoca sbagliata- replicò Pietro – Cercherò di farmene una ragione: non tutti hanno la fortuna di nascere nel posto giusto al momento giusto-.
Risero entrambi, piano, dopo quell’insolito scambio di battute. Pietro rimase ad osservare per un po’ Alberto: era da un anno circa che non lo vedeva, e anche se impercettibilmente lo vedeva cambiato, allo stesso tempo gli sembrava sempre lo stesso. Era sempre alto e sottile, con quel viso pallido ed allungato incorniciato dai capelli scuri più lunghi del solito. Forse lo vedeva più sorridente: la vita doveva andargli bene, tra la sua nuova ragazza e l’imminente laurea.
Sì, doveva proprio passarsela bene.
Gli faceva piacere rivedere Alberto così sereno, così allegro. Inevitabilmente si sentiva anche un po’ invidioso: Pietro poteva anche essere già laureato alla triennale da un anno, e fidanzato con Giada, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare, incessantemente, era Alessio.
Alessio che se n’era andato, Alessio che ora conviveva con Alice. Alessio che avrebbe voluto dimenticare, ma che inevitabilmente continuava a riempirgli la mente.
-Comunque non hai risposto alla mia domanda- riprese Alberto, lanciando un’occhiata d’intesa a Pietro.
-Ti ho risposto, invece- ribatté lui, abbassando per qualche secondo gli occhi – E poi, anche se non lo avessi fatto, sapresti già la risposta-.
-Te la passi così male?-.
-Tu come ti sentiresti al posto mio?-.
Alberto sorrise appena, amaramente e a tratti malinconico, di fronte a quella che sembrava essere una risposta evidente.
Pietro scostò lo sguardo, sentendosi inevitabilmente a disagio; non gli dispiaceva parlare con Alberto, ma forse non si sentiva ancora del tutto in forma per affrontare un argomento simile. La ferita per l’abbandono di Alessio era ancora aperta e dolente, e la voglia per affrontare una discussione proprio su quello sembrava non essere mai esistita.
-Comunque credo sia meglio così-. Alberto riprese a parlare improvvisamente, costringendo Pietro a tornare a guardarlo con aria interrogativa.
-So che tu potresti non essere d’accordo con me, ma credo sia meglio che tu e Alessio vi prendiate un po’ di tempo in cui vivere separati-.
-Parli come se fossimo una coppia sposata-.
-Se guardiamo solo dal punto di vista del domicilio, beh, lo eravate-.
Pietro buttò fuori l’aria pesantemente, come se avesse appena concluso una maratona. Non poté evitare di lanciare un’occhiata torva a Alberto: si sentiva distrutto, e lui veniva a parlargli di coppia sposata? Per alcuni secondi accarezzò l’idea di abbandonarlo lì, senza nemmeno voltarsi indietro.
Rimase lì, invece, in attesa che Alberto continuasse, e sperando di non doversi pentire di non essersene andato subito:
-Voglio solo dire che, negli ultimi anni, le cose non sono andate troppo bene tra voi due-.
-In realtà non andavano bene solo perché non ha ancora accettato l’idea che io stia con Giada- ribatté Pietro, sommessamente. Era abbastanza sicuro che fosse effettivamente così: negli ultimi due anni, d’altro canto, i loro litigi e le incomprensioni c’erano state solamente quando c’entrava Giada. Per il resto, tutto era sempre andato bene, almeno in apparenza. Come prima che Giada entrasse a far parte delle loro vite.
-In due anni non ha ancora smesso di fartela pagare- annuì Alberto, scuotendo il capo quasi divertito.
Pietro rise a sua volta, piano, il ricordo di mille litigi avuti con Alessio a causa di Giada che, inevitabilmente, gli riaffiorava nella mente:
-Alessio è sempre stato così: se qualcosa non gli va bene, insisterà fino a quando non la avrà vinta-.
Alessio aveva il dono di saper essere ostinato e testardo fino alla morte. Caratteristica che non aveva facilitato affatto le cose, soprattutto da quando aveva saputo di Giada.
Forse era successo quel giorno, forse tutto era cambiato da lì in poi.
E, se le cose fossero andate diversamente, allora forse sarebbe potuta andare meglio. Da quel che ricordava sapeva solo che, così come tutto era proseguito per la testardaggine di Alessio, tutto era cominciato allo stesso modo grazie alla sua ostinazione.


 
Sbuffò sonoramente, lo sguardo che vagava da un angolo all’altro del corridoio, senza alcun risultato. Tra tutti gli studenti che stavano camminando in quello spazio chiuso non riusciva a distinguere Pietro. Come al solito.
Alessio si sistemò meglio la tracolla sulla spalla, cominciando a camminare indispettito verso una meta sconosciuta. Era in pausa, alla lezione dopo mancava ancora una mezz’ora abbondante, e non sapeva dove andare: era troppo spazientito per restare tranquillo in una qualsiasi aula studio a cercare di studiare qualcosa, era troppo innervosito per restarsene in compagnia di Nicola o per cercare Alice, ed era troppo curioso e sospettoso per decidere di mollare l’ennesima ricerca di Pietro proprio in quel momento.
Era da quando era finita la lezione di statistica che l’aveva completamente perso di vista, come capitava regolarmente ormai da un mese e più. Aveva avuto solamente il tempo di vederlo alzarsi dal suo posto, salutarlo velocemente e seguirlo con lo sguardo fino ad oltre la porta dell’aula.
E Pietro era letteralmente sparito. Un’altra volta.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di inventarsi una scusa per cercare di trattenerlo, niente di niente: si era dovuto rassegnare nuovamente all’idea di vederlo andarsene come un fuggiasco.
Alessio sbuffò di nuovo, fermandosi per qualche secondo davanti al vetro bagnato di una finestra: pioveva ancora piuttosto forte, e l’idea di sfidare la pioggia per andarsene in giro per il cortile esterno dell’università non lo attraeva per niente. Ma forse fuori di lì avrebbe trovato Pietro, magari intento a fumarsi l’ennesima sigaretta. Era piuttosto improbabile fosse quello il motivo delle sue continue fughe, ma tanto valeva fare un tentativo, per una volta: non aveva mai controllato, in fin dei conti, se quell’idea fosse totalmente fuori dal mondo.
Era strano, Pietro. Un po’ lo era sempre stato, ma mai come in quegli ultimi mesi.
Quando non c’erano lezioni era capace di sparire per ore intere, lasciando Alessio e talvolta anche Nicola a domandarsi dove poteva sparire sempre. E poi tornava sempre, magari con qualche scusa nuova, altre volte con spiegazioni più o meno plausibili, ma sempre con i capelli più arruffati e i vestiti più in disordine di prima di andarsene.
Fargli domande era sempre stato del tutto inutile: per quanto Alessio sapesse dimostrarsi insistente, Pietro riusciva sempre ad eludere qualsiasi suo quesito. Rimaneva sempre sul vago, altre volte riusciva persino a sviare il discorso in maniera esemplare. Ormai doveva aver sviluppato una certa abilità nell’evitare di rispondere a domande a cui, evidentemente, non voleva rispondere affatto.
Erano già un po’ di giorni che Alessio si era messo in testa di scoprire dove andasse a finire ogni volta. Ma le giornate piovose e gelide di gennaio passavano inesorabilmente, e la situazione era ancora statica, sempre al punto di partenza: Pietro scompariva, come se finisse sempre in una qualche stanza sconosciuta a tutti gli altri studenti.
E ad Alessio non rimaneva altro che la delusione e l’ostinazione di scoprire cosa ci fosse sotto quella situazione assurda.
Percorse i metri restanti del corridoio, svoltando l’angolo e proseguendo verso l’uscita sul retro. Restare un po’ fuori, in ogni caso, gli avrebbe fatto bene: aveva bisogno di respirare un po’ d’aria fresca, per riordinare le idee e ritrovare la lucidità per decidere sul da farsi.
Arrivò alla porta d’uscita, e la spinse per aprirla. Rabbrividì non appena una folata di vento lo investì, e si strinse il più possibile nelle spalle per cercare di trattenere quel poco calore che il cappotto riusciva a donargli. La tettoia sopra la sua testa lo riparava almeno dalla pioggia battente, evitandogli di finire completamente bagnato nel giro di pochi secondi. Quella zona del cortile non era mai molto frequentata, e in quella giornata, oltre ad Alessio, lì fuori sembrava non esserci anima viva. Faceva troppo freddo e pioveva troppo forte anche per i fumatori più incalliti ed audaci.
Alessio buttò fuori l’aria, una nuvola di condensa che si formò subito davanti al suo viso e che scomparì dopo pochi attimi; sentiva il gelo pungente pizzicargli la pelle del viso lasciata scoperta dalla sciarpa, i capelli che cominciavano a prendere umidità e a gonfiarsi impercettibilmente.
Si strinse le braccia contro il petto, e si domandò ancora una volta dove diavolo poteva essere finito Pietro. Perché continuava ad andarsene via così? Non sembrava esserci una ragione apparente.
Negli ultimi giorni si era chiesto spesso se dietro tutto quello non ci fosse la fantomatica ragazza con cui si frequentava. In fin dei conti, di lei non si sapeva praticamente nulla, a parte il fatto che usciva con Pietro già da novembre; per il resto, Pietro non aveva mai fatto parola su altro.
Alessio non era mai riuscito a captare un nome, un dettaglio su di lei, un possibile volto da collegare. Poteva anche benissimo non esistere affatto, per quel che ne sapeva.
Eppure era un’ipotesi che non aveva scartato: possibile che Pietro si incontrasse con lei, durante quelle pause? Poteva benissimo essere anche lei una studentessa di quella facoltà, anche se Alessio non riusciva a capire per quale motivo la sua identità dovesse rimanere un segreto così grande.
Forse avrebbe dovuto lasciare perdere, non invischiarsi in affari che, in fin dei conti, non lo riguardavano. Era sicuro che prima o poi Pietro gli avrebbe spiegato tutto – o almeno ci sperava-, anche se rimanere così all’oscuro era una tortura a cui Alessio era stanco di sottoporsi ogni giorno.
Forse avrebbe dovuto semplicemente dargli più tempo – anche se erano passati già diversi mesi, anche se il tempo passava e tutto rimaneva statico come il primo giorno-, dargli fiducia. Fidarsi di lui.
Alla fin fine era piuttosto infantile quel che stava facendo: davvero aveva bisogno di spiare e inseguire Pietro, per capirci qualcosa di quel che stava succedendo? Prima o poi tutto sarebbe stato più chiaro.
Era l’unico pensiero a cui potersi aggrappare per trovare la forza di lasciar perdere.
Fece per tornare dentro, ormai fin troppo infreddolito e prima di cambiare nuovamente idea, quando delle risate in lontananza lo distrassero. Dovevano essere di due persone – probabilmente di una ragazza ed un ragazzo- che si stavano avvicinando sempre di più: le sentiva ogni secondo più vicine, mentre parlavano e ridacchiavano insieme.
Non seppe bene cosa lo convinse a restarsene lì, ma dopo pochi attimi si rese conto di aver fatto la scelta migliore: la voce maschile gli era sembrata famigliare non appena fu abbastanza nitida e vicina.
Cercò di appiattirsi il più possibile contro il muro, non appena scorse le due figure sgusciare fuori dall’angolo dell’edificio, e fermarsi appena sotto il perimetro coperto dalla tettoia.
Sebbene fosse di spalle, Alessio non aveva alcun dubbio sul fatto che quello fosse Pietro. Ne avrebbe riconosciuto la voce anche tra mille, ed ora, nel ritrovarselo praticamente di fronte, non aveva più alcun dubbio che fosse proprio lui.
“E così, alla fine, sei stato tu ad aver trovato me”.
Alessio cercò di scorgere chi fosse la ragazza con Pietro, ma per quanto si sforzasse non riusciva a vederla bene in volto neanche lontanamente: era coperta dal corpo dell’altro, troppo bassa rispetto a Pietro per essere scorta da chiunque fosse dietro alla sua schiena.
La vide passargli le braccia attorno alle spalle, aggrappata a lui e più vicina che mai. Probabilmente avrebbe preferito conoscerla in un qualsiasi altro modo, quella che probabilmente era la ragazza con cui si stava frequentando Pietro; cominciava a sentirsi fin troppo in imbarazzo, nel scorgerli baciarsi e stringersi.
La sentì dire qualcosa, dopo quel bacio che ad Alessio era sembrato durare per dei secondi interminabili, e quasi prese un colpo nel notare che – e ne era quasi sicuro- aveva per certo già sentito quella voce.
Non sarebbe riuscito a ricollegarla a nessun volto famigliare, ma non gli era per niente nuova. Era di qualcuno che aveva già incontrato, che conosceva, anche se non riusciva a ricordare chi fosse.
Cercò di passare in rassegna velocemente quante più ragazze conosceva del loro corso, ma nessuna sembrava essere quella giusta. Non riusciva a farsi venire in mente nessun altro, anche se la convinzione di conoscere quella voce non lo voleva abbandonare.
Restarsene lì, in ogni caso, significava farsi scoprire nel giro di pochi minuti. Immaginava che Pietro e la ragazza non sarebbero rimasti lì fuori ancora a lungo, non in una giornata così gelida e piovosa come quella. Non gli rimaneva altro che cercare di rientrare nel modo più silenzioso possibile, sperando che nessuno dei due si accorgesse proprio in quel momento della sua presenza.
Alessio cercò di girarsi verso la maniglia della porta, restando il più possibile appiccicato al muro e compiendo movimenti lenti e felpati. Non aveva nemmeno il coraggio di girarsi per controllare che nessuno dei due si fosse ancora accorto di nulla: si sentiva troppo in imbarazzo, e troppo in colpa per essersi intromesso così che a malapena riusciva a tenere lo sguardo sulla ragazza e Pietro.
Riuscì ad arrivare con una mano alla maniglia, abbassandola in secondi che gli parvero lunghissimi. Sembrava essere quasi riuscito nel suo intento di rientrare furtivamente, quando la porta, aperta pian piano, si mise a cigolare in un modo che fece gelare il sangue ad Alessio.
Chiuse gli occhi, in un gesto di stizza e timore: ora il coraggio per girarsi era venuto completamente a mancare, sostituito ormai dalla certezza di essersi messo nei guai con le sue stesse mani.
Cercò di immaginarsi, in pochi attimi, lo sguardo che Pietro avrebbe assunto nell’accorgersi che c’era proprio lui lì fuori. Come diavolo avrebbe potuto spiegargli il motivo per cui si trovava lì? Se la sarebbe presa molto? Sicuramente il tutto non sarebbe passato inosservato, e non gli rimaneva altro da fare se non affrontare la realtà.
Alessio si girò di scatto, talmente velocemente che a fatica si accorse che Pietro aveva sciolto l’abbraccio con il quale stringeva la ragazza a sé; era già girato nella sua direzione, come Alessio già si aspettava, il viso che assumeva un’espressione sempre più stupita e preoccupata allo stesso tempo. Sembrava essere lui quello più spaventato tra loro due.
-Oh, Pietro, ti stavo cercando, sai, per chiederti una cosa di ... – Alessio farfugliò le prime parole che gli vennero in mente, una scusa che non reggeva nemmeno lontanamente. Ma si bloccò, le parole morte in gola, quando finalmente posò gli occhi sul volto della ragazza che, finalmente, si ritrovava di fronte.
Rimase in silenzio, ammutolito, gli occhi che si spostavano velocemente dal volto bello e austero della Cavalieri a quello pallido di Pietro.
Sperò che si trattasse di uno scherzo, sperò di aver equivocato tutto, che non fosse come aveva pensato.
Sperò quasi che i suoi occhi lo stessero ingannando, perché se era quella la realtà e la verità che tanto aveva cercato, forse avrebbe preferito non conoscerla affatto.
-Alessio- Pietro lo aveva chiamato con un filo di voce, crucciato e agitato come era stato ben poche volte. Alessio fece un passo indietro, abbassando il volto e muovendolo continuamente in un cenno di diniego.
-Non sarei dovuto venire qui-.
Non fu sicuro che Pietro fosse riuscito davvero a sentire quelle parole appena sussurrate, e non se ne curò nemmeno. Afferrò di nuovo la maniglia della porta, spalancandola per poi richiudersela alle spalle subito dopo. Si incamminò lungo il corridoio talmente in fretta che non riuscì a sentire l’ultimo richiamo di Pietro.
Sentiva solamente il suo respiro pesante, il rumore dei passi frettolosi che rimbombava, e il cuore che continuava a martellargli nel petto.
Era solo una sensazione, la sua, che lo assaliva ad ogni passo: la sensazione che, d’ora in avanti, tra lui e Pietro non sarebbe stato più lo stesso.


 
-Già, sembra sia così- riprese Alberto, scostandosi una ciocca di capelli scura finitagli davanti agli occhi con un gesto veloce ed elegante – Anche se lo trovo esagerato: all’inizio poteva non piacergli Giada perché non la conosceva, ma dopo tutto questo tempo ... Sembra quasi strano-.
-Mi ha già spiegato più volte cosa non gli piace di lei- borbottò Pietro, con poca convinzione. In realtà si trovava perfettamente d’accordo con Alberto: anche lui avrebbe legato ad Alessio e al suo rifiuto categorico verso Giada l’aggettivo strano.
-Ma non ti ha mai convinto fino in fondo-.
Pietro alzò lo sguardo verso Alberto: sembrava che gli avesse appena letto nella mente, o forse, semplicemente, i suoi pensieri sembravano essergli dipinti in viso, fin troppo facili da capire e decifrare.
Pietro sbuffò piano, accarezzandosi con le dita il mento in un gesto di presunta riflessione, che in quel caso gli serviva solo per avere più tempo per rispondere.
Sentiva gli occhi di Alberto continuare a dardeggiare su di sé, ma niente in lui tradiva alcuna impressione di fretta nell’avere una conferma da parte di Pietro. Aveva imparato ad essere paziente: forse erano stati proprio gli incontri tra loro degli ultimi due anni ad insegnarli ad aspettare il momento giusto per avere tutte le risposte che cercava.
-O forse sono solo io che ho sempre sperato ci fosse altro dietro- si decise a parlare finalmente Pietro, evitando accuratamente il contatto visivo con Alberto – Sai, qualche volta mi sono ritrovato a pensare perfino che non gli andasse giù Giada solo per ... Per gelosia. O qualcosa di simile-.
Pietro si torturò le mani, sentendo le gote arrossarsi sempre di più. Si imbarazzava facilmente nell’esprimere ad alta voce quei pensieri che si era sempre tenuto per sé: si sentiva un po’ patetico, uno che vedeva cose che non esistevano solo per autoconvinzione.
Sì, si sentiva decisamente patetico.
-Forse ho solo e sempre sperato che dietro la sua ostilità ci fosse la paura di perdermi. Che anche per lui fosse lo stesso, lo stesso di quello che provo io- continuò, sperando di apparire meno disperato agli occhi di Alberto di come invece doveva sembrare.
Alberto si lasciò andare ad un sorriso amaro, che nulla aveva di spensierato o di divertito. Forse stava provando compassione per lui, pensò Pietro. Forse gli faceva addirittura pena, nel sentirlo parlare così, come non era mai successo.
Pietro si schiarì la gola, ancora a disagio e per niente in pace con se stesso.
La verità era che, in fondo, nemmeno lui credeva che Alessio potesse davvero vederlo come qualcos’altro che non fosse ricollegabile alla loro amicizia. Cercava di convincersene per non rimanere deluso ad ogni loro abbraccio, ad ogni loro contatto fisico o ad ogni frase che poteva fargli sperare qualsiasi cosa da parte di Alessio. Si ripeteva la stessa frase da due anni: “sono cose che ti stai immaginando solo tu”.
Eppure, in alcune situazioni degli ultimi anni, la sensazione che non tutto fosse frutto della sua immaginazione c’era stata eccome. Era come se qualcosa gli sfuggisse in continuazione, come se tutto nel suo insieme risultasse chiaro, ma incompleto.
Era la stessa sensazione che aveva quando aveva una parola sulla punta della lingua, ma che continuava a non ricordare. Lo stesso gli capitava con Alessio, soprattutto da dopo l’aver scoperto di Giada.
Ma continuava a vagare alla cieca, senza capire davvero a che fosse dovuta quella sensazione di non chiarezza e di mancanza. E allora tornava a pensare che fosse tutta una sua impressione, dettata dall’amore frustrante e distruttivo che provava per Alessio.
-Sono un illuso, vero?-.


 
Già prima di girare la chiave nella toppa ed aprire la porta si sarebbe dovuto aspettare quella situazione. Era tutto il giorno che ci pensava, a come sarebbe stato tornare a casa quella sera, e a quanto pareva ci aveva indovinato in pieno.
Per tutto il resto della giornata Alessio non gli aveva rivolto la parola, nemmeno il più fugace degli sguardi. Semplicemente era andato avanti come se Pietro nemmeno esistesse. Posti lontani a lezione, nemmeno un saluto quando Alessio era uscito per andare a prendere il treno per tornarsene a Venezia da solo.
Pietro non aveva cercato di avvicinarsi. Qualche ora gli sarebbe di sicuro servita per abituarsi alla novità, per digerire il pugno che doveva essergli sembrato di aver ricevuto.
E poi, in fin dei conti, qualche ora di solitudine sarebbe servita anche a lui. Doveva abituarsi alla consapevolezza che, inaspettatamente, qualcuno fosse venuto a sapere di lui e Giada nel momento peggiore possibile. Il fatto che quel qualcuno fosse proprio Alessio, poi, rendeva le cose ancor più complicate.
Aveva aspettato almeno un’ora prima di andarsene a sua volta alla stazione di Mestre per prendere il primo treno diretto a Venezia, e in quell’ora restare con Giada, nell’ufficio di lei, non era servito a calmarlo: per quanto lei avesse cercato di rassicurarlo, nonostante avesse detto mille volte che non ci sarebbero stati problemi, lui si sentiva tutt’altro che tranquillo. Paradossalmente non era il fatto che lei fosse un’insegnante e lui uno studente ad agitarlo, quanto il fatto che, ora che anche Alessio sapeva, la loro relazione assumeva contorni più reali. Forse solo in quel momento cominciava a rendersi veramente conto del casino in cui si era immerso fino al collo.
Ora, dopo ore ed ore passate ad immaginarsi gli scenari più terribili, finalmente giungeva il momento della verità; non credeva di essersi mai sentito più ansioso di così, nel tornare al suo appartamento.
Gettò sbrigativamente il cappotto sul divano, prima di dirigersi verso la sua stanza. Si fermò sulla soglia per alcuni secondi, buttando una veloce occhiata alla porta della camera di Alessio, socchiusa e dalla quale si intravedeva la luce accesa.
Doveva averlo sentito entrare, ma nessun saluto era arrivato da parte sua. Ancora una volta aveva fatto finta di nulla, come se in quella casa non ci fosse stato nessun altro.
Pietro sbuffò debolmente, entrando nella sua camera e lasciando a terra la tracolla con un gesto stizzito. Si sedette sul bordo del letto, le mani giunte e la schiena ricurva. Quell’atmosfera tesa che si era respirata non appena entrato in casa se l’aspettava, ma a malapena riusciva a sopportarla. Avrebbe dovuto lasciar stare Alessio ed aspettare una sua mossa? Conoscendolo sapeva che avrebbe anche potuto attendere in eterno senza mai avere una sua reazione, non in quel genere di situazioni. Probabilmente sarebbe stato lui a doversi muovere per primo, anche se ciò avrebbe significato rompere quella finta calma che vi era ancora.
L’idea di doversi alzare da quel letto, uscire dalla sua stanza e dirigersi verso quella di Alessio non lo allettava fino in fondo: gli sembrava di essere un condannato diretto al patibolo. Immaginava già che sarebbe stato tutt’altro che facile, anche se non sapeva quale grado di difficoltà avrebbe potuto raggiungere quella faccenda.
Per quanto avrebbe preferito rimanersene lì in preda a mille dubbi, fece forza sulle gambe, ergendosi in piedi. Qualcosa gli diceva ancora di restarsene lì, di non cercare Alessio, non ancora, ma continuò in ogni caso a muovere dei passi lenti e felpati, come a non voler nemmeno rivelare la sua presenza sempre più vicina alla camera dell’altro attraverso il rumore.
Non ci impiegò molto ad arrivare davanti alla porta socchiusa; gettò un’occhiata all’interno, trovando Alessio seduto alla scrivania e girato di spalle. Immaginava stesse studiando – o perlomeno che ci stesse provando, o che semplicemente stesse facendo finta di farlo-, anche se non poteva dirlo con certezza. Lo sentì sbuffare piano tra sé e sé, la mano destra che sembrava tenere una penna in mano, e con la quale sembrava star scrivendo qualcosa su qualche foglio.
Pietro si schiarì la gola, prima di aprire maggiormente la porta e fermarsi sulla soglia. Alessio apparentemente non reagì a quel segnale della sua presenza: rimase girato, in rigoroso silenzio. Non sembrava minimamente interessato a ciò che gli stava accadendo intorno.
-Ti disturbo?- Pietro tentò di nuovo, in maniera più diretta. Se già l’inizio doveva essere così ostico, non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere da lì in poi.
-Se anche ti dicessi di sì te ne andresti?-.
La voce di Alessio era parsa chiara e fredda, senza farsi attendere troppo nel dargli quella risposta sarcastica e infastidita allo stesso tempo.
-Credo proprio di no, quindi facciamo finta che non stai affatto disturbando-.
Non si era ancora girato, nemmeno per guardare Pietro in faccia per pochi secondi, continuando a scrivere e girare fogli come se nulla fosse.
Pietro incassò il colpo senza sapere che altro dire. Era evidente che c’era qualcosa che non andava – come era prevedibile-, ma non si era nemmeno del tutto aspettato una reazione simile.
-Stai studiando?- si morse il labbro inferiore, deciso a ignorare la provocazione dell’altro e tentare di riportare il dialogo ad una certa serenità.
Alessio non doveva essere dello stesso avviso:
-Fa qualche differenza?-.
-Possiamo parlare civilmente? E in modo serio?- sospirò Pietro, la tensione che già cominciava a farsi sentire anche per lui. Conosceva già la risposta a quella sua domanda: non vi era nessuna premessa positiva in tutto quello, e no, di certo non poteva pensare che il prosieguo sarebbe stato anche solo lontanamente civile e senza tiri mancini. La risposta di Alessio non arrivò, nemmeno dopo vari attimi. Sembrava aver deciso definitivamente di ignorarlo, e a quell’impressione Pietro non riuscì a trattenere uno sbuffo sonoro. Alessio sembrava del tutto intenzionato a rendergli le cose ancor più difficili di quel che già erano.
-Mi vuoi parlare, cazzo?- sbottò stizzito Pietro, alzando la voce e cercando inutilmente di controllare il nervoso. Cominciava già a perdere il controllo, ed erano solo all’inizio.
Alessio si bloccò di colpo, pur restandosene in silenzio anche stavolta. Pietro lo vide posare sulla superficie della scrivania la penna che teneva in mano, i fogli sparsi in disordine finalmente lasciati stare.
Si girò finalmente verso Pietro, lo sguardo duro negli occhi azzurri  e i tratti del viso tesi che lasciavano ben pochi dubbi su come avesse preso la notizia di Giada.
-Sei tu che devi dirmi qualcosa, non il contrario-.
Pietro rimase spiazzato, sbigottito e in completa balia dello sguardo duro e freddo che Alessio gli stava rivolgendo. Riusciva a percepirne tutta la rabbia solo guardandolo in viso, e non riusciva a capire se fosse dovuta al fatto di non avergli detto nulla per mesi di Giada, o se fosse per qualcosa che ancora non era riuscito a capire.
-Posso spiegarti tutto- farfugliò, ben consapevole che a poco sarebbe servito cercare di calmarlo. Lo sbuffo che arrivò da Alessio confermò ciò che già immaginava.
-Evita queste odiose frasi fatte, per favore. Anche perché non credo proprio tu possa spiegarmi tutto, non stavolta-.
Pietro si stupì nel notare l’arroganza con cui Alessio gli si era appena rivolto. Continuava a guardarlo nel peggiore dei modi possibili, fregandosene di essere troppo diretto e tagliente.
A Pietro sembrò per un attimo di essere tornato indietro di quasi tre anni, al loro primo litigio che li aveva portati ad allontanarsi per quasi un anno intero. Rivedeva la stessa aggressività di allora negli occhi di Alessio, e sentiva la stessa rabbia e il medesimo nervoso salirgli in corpo di fronte a quelle frasi sprezzanti che gli erano appena state rivolte.
-Non c’è niente di male in quello che stiamo facendo. E poi te l’avrei detto, al momento giusto-.
Alessio scattò in piedi di colpo, facendo quasi sobbalzare Pietro, che a stento dovette resistere per rimanere immobile ed evitare di indietreggiare. Non si sarebbe aspettato una reazione così improvvisa, non in quel momento e non dopo quelle parole.
-Al momento giusto? Non fate nulla di male?- Alessio era ormai rosso in viso per la foga con cui stava parlando, restandosene a debita distanza da Pietro – Ti senti quando parli, almeno?-.
-Si può sapere qual è il problema?- sbottò nuovamente Pietro, spazientito e infastidito. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare Alessio: poteva anche non approvare la sua storia con Giada, ma a che gli serviva portar avanti una discussione del genere?
Alessio gli lanciò un’occhiata talmente fredda che Pietro non riuscì nemmeno a muovere un muscolo.
-Ce ne sono talmente tanti che non so neanche da quale partire-.
Gli si fece un po’ più vicino, un sopracciglio alzato:
-Che ne dici del fatto che vai a letto con una tua prof con quindici anni più di te?- parlò ancora Alessio.
Pietro rimase in silenzio, le mani strette a pugno e le unghie che cominciavano a conficcarsi nella carne. Ricambiò lo sguardo duro di Alessio, colpito nel vivo e tutt’altro che intenzionato ad abbassare la testa. Continuava a non capire cosa potesse renderlo così iroso, e sebbene quella dell’età potesse essere una ragione, Pietro continuava ad aver la sensazione che non stesse dicendo tutta la verità.
-Sono dieci anni. E in ogni caso non mi risulta che sia ancora nostra prof-.
-Credi che questo cambi davvero le cose?-.
-Io non ci vedo nessun problema, davvero!- Pietro aveva cercato inutilmente di abbassare la voce, fallendo miseramente; cominciava ad infervorarsi per davvero, non riuscendo ad evitare di allargare le braccia in un gesto di stizza – Siamo entrambi maggiorenni, consenzienti, e abbastanza grandi per decidere da soli cosa fare-.
Alessio gli lanciò l’ennesimo sguardo di biasimo, una smorfia di disappunto dipinta in viso mentre scuoteva la testa:
-Non ci credi neanche tu- sospirò a fondo, quasi la rabbia fosse improvvisamente evaporata e trasformatasi in esasperazione – Non ne sei nemmeno convinto, ma a questo punto … -.
L’occhiata che gli lanciò stavolta Pietro non la seppe interpretare, ma sapeva già che l’avrebbe tormentato ancora a lungo.
-Sei pur sempre liberissimo di scegliere da chi, come e quanto farti usare come misero divertimento.
-Che stai dicendo?-.
Pietro lo guardò con stanchezza. Arrivati a quel punto riusciva a capire quanto potessero essere vicino al punto di non ritorno.
-Oh avanti, Pietro!- Alessio abbandonò definitivamente qualsiasi parvenza di calma, alzando la voce e muovendo velocemente qualche passo verso di lui, ormai la distanza tra di loro quasi nulla – Credi davvero che gliene importi di te? È una trentenne in carriera che frequenti da quanto, qualche mese? Pensi davvero che se volesse una cosa seria sceglierebbe un ventenne al secondo anno di università, e per di più suo studente? Lo sai anche tu, in fondo, che la cosa non sta in piedi-.
Pietro tacque, accusando il colpo e cercando di non darlo a vedere. Era quello che pensava Alessio, allora? Che lui fosse soltanto un ripiego? Che non fosse degno per essere voluto sul serio da qualcun altro?
Cominciava ad avvertire un groppo in gola che gli impediva di parlare, di urlare quanto avrebbe voluto. Quelle parole, dette da Alessio, facevano ancora più male che se fossero state dette da chiunque altro.
-Quindi secondo te se ne sta solo approfittando?- mormorò, d’un tratto disinteressato a continuare quella discussione. Avrebbe solamente voluto far tacere Alessio ed andarsene di lì il prima possibile.
“Che diresti se sapessi la verità?”.
Gli venne voglia di piangere, ma non l’avrebbe mai fatto, non davanti ad Alessio in quel momento.
“Cosa diresti se sapessi che in realtà sono io che sto usando lei per dimenticare te e me stesso?”.
-Credo solo che non appena si stancherà ti mollerà per qualche suo coetaneo con cui metter su famiglia tra qualche anno- replicò Alessio, non più urlando ma risultando allo stesso modo tagliente – Vuoi che vada avanti o ti basta così?
-Potrei volere anch’io qualcosa di leggero, nulla di serio- mentire su quell’argomento lo metteva sempre in difficoltà, e a stento Pietro riuscì a non farsi prendere dalla rabbia e sputare in faccia ad Alessio la realtà dei fatti – Magari voglio solo distrarmi, divertirmi. D’altro canto ho vent’anni, ho tutto il diritto di farlo-.
“Parli anche se non sai niente di tutto quello che mi sta succedendo”.
-Ti butti via così facilmente solo per distrarti?-.
Stavolta fu Pietro a farsi avanti, forse in modo così minaccioso che intravide, anche solo per qualche secondo, l’ombra del timore adombrare gli occhi azzurri di Alessio.
-Sta attento a cosa dici-.
Si era avvicinato pericolosamente, fregandosene completamente di poterlo spaventare. A quella distanza così ravvicinata riusciva quasi a notare tutte le sfumature delle sue ridi azzurre e rabbiose.
-Non sai un cazzo, e parli lo stesso- gli sibilò addosso Pietro – Non mi butto via affatto, ho deciso io di stare con lei, non mi ha certo costretto. E sono consapevole dei rischi, che tu ci creda o no-.
Sentiva il respiro accelerato, il cuore martellargli in petto ad una velocità incredibile.
-Magari per una buona volta sei tu ad essere dalla parte del torto. Non sei infallibile, proprio per niente-.
Vide Alessio irrigidirsi ancor di più, e per una frazione di secondo gli sembrò quasi di vederlo sbigottito da quelle parole. Era in difficoltà, per la prima volta da quando quel litigio furibondo era iniziato.
Era lui, stavolta, ad essere stato ferito da Pietro.
-Forse no, ma qui non serve essere infallibili per capire come andrà a finire-.
-Se ne sei convinto-.
Pietro si allontanò di qualche passo, ben deciso a frapporre un bel po’ di metri di distanza tra sé ed Alessio. Si sentiva distrutto, completamente distrutto.
-Fammi il favore di tenerti fuori da questa storia, perché non sono affari tuoi, Alessio, non lo sono neanche un po’. Se decido di andare a letto con una mia prof di dieci anni più di me, lo faccio e basta, che ti piaccia o no. Non devo rendere conto a te per questo-.
Era stato doloroso e difficile guardarlo in viso, mentre gli diceva quelle parole. Era doloroso anche solo il pensiero di dirgli di stargli lontano, e pensare di aver tramutato quei pensieri a voce lo faceva sentire ancor peggio.
-Faresti meglio a pensare alla tua relazione, non alla mia-.
Pietro gli voltò le spalle, ben deciso ad andarsene da quella stanza; era già sulla soglia, quando la voce di Alessio lo raggiunse ancora una volta, esasperata e rancorosa come non credeva di averla mai sentita:
-Come vuoi. Come preferisci, davvero. Ma non venirmi a cercare quando ti renderai conto che di lei non puoi fidarti. E non venire a piagnucolare da me quando tutto sarà andato a rotoli- gli disse ancora – Potresti avere chiunque, una persona migliore, eppure … -.
Non concluse la frase, e Pietro preferì ignorarla, fare finta che non avesse detto più nulla dopo quei secondi di pausa.
“Saresti tu quella persona?”.
Si sforzò di non girarsi verso di lui, rimanendo immobile dove si trovava. Non voleva guardare in faccia Alessio ancora un volta, non quando, guardandolo, non avrebbe fatto altro che ricordarsi tutto il dolore che stava provando in quel momento.
-Non lo farò. Anche perché non succederà nulla di tutto quel che credi tu-.
Uscì dalla stanza senza voltarsi indietro, il dolore al petto che si faceva sempre più nitido, e la voglia di buttarsi sul letto, chiudere gli occhi e dimenticarsi della realtà, sempre più necessaria.


 
Pietro si passò una mano sul volto, chiudendo gli occhi per un attimo fugace: certi ricordi riuscivano ancora a ferirlo e a farlo sentire inadeguato e incompreso anche a distanza di due anni, come se fosse un qualcosa appena successo.
Cercò di scacciare dalla mente quelle immagini, riaprendo gli occhi neri e puntandoli verso Alberto, che sembrava ancor più pensieroso di prima.
-Chi lo sa, dalla vita non si può mai sapere- borbottò lui, a mezza voce. Venne interrotto da un sonoro sbuffo di Pietro prima ancora che potesse aggiungere altro:
-Non essere idiota. Lo so bene che ormai non ho alcuna speranza. È ovvio, direi-.
“Perché ormai ci siamo allontanati in un modo che mi pare quasi impossibile da riparare del tutto”.
Non lo disse a voce, però, le parole appena pensate gli morirono in gola.
Alberto si limitò a sospirare, arrendevole: non sembrava intenzionato a contraddire Pietro, almeno non su quel punto, e non dopo aver rischiato di farlo quasi urlare.
-Anche se secondo me non è proprio così inesatto dire che ha paura di perderti. Hai detto che non sembrava troppo entusiasta di andare a convivere con la sua ragazza, no?- proseguì, diplomatico, molto più calmo di quanto non fosse Pietro.
-Potrebbe non esserlo per il semplice fatto che questo è un passo importante. Non perché non voleva abbandonare me- replicò Pietro, scettico. Avrebbe avuto bisogno di un altro bicchiere di alcool, in quel momento.
-Ma un po’ di convinzione ci sarebbe dovuta essere, in ogni caso- insisté Alberto, per nulla intimorito dall’espressione stizzita di Pietro – E invece, che fa? Ti dice che se ne va a vivere altrove giusto poco prima di preparare le valigie per paura della tua reazione, sembra più ad un passo dal buttarsi da una finestra che altro, e dice che è confuso il giorno stesso che se ne deve andare. Tutto molto logico, oserei dire-.
Pietro sbuffò nuovamente, guardandolo in cagnesco: non riusciva a capire se Alberto lo stesse dicendo per reale convinzione o solamente per farlo sentire meno solo e penoso. In un caso o nell’altro, comunque fosse, rischiava di volerlo prendere a pugni sul serio.
-Forse non dovrei raccontarti tutte queste cose. Finisci sempre per sembrare uno psicologo che cerca di analizzare me ed Alessio- sbottò, rendendosi conto di star apparendo ancor più acido, ma decidendo di dire ciò che pensava ugualmente.
-Oh, avanti, a te non sembra insolito?-.
Pietro si passò nuovamente una mano sul viso, conscio di non aver alcuna risposta adatta per controbattere a quella domanda di Alberto. Ma certo che lo trovava insolito, lo era sicuramente, ma poteva esserlo per motivi totalmente diversi da quelli in cui lui sperava e per cui si illudeva inutilmente.
-Se ti dicessi che mi sembra strano finirei solo per illudermi. Di nuovo. E questa è l’ultima cosa che voglio-.
Illudersi. Forse era proprio quello che stava tentando di evitare.
Perché illudersi e cadere a terra sarebbe stato facile, fin troppo semplice; era rialzarsi e cercare di guardare avanti, con la certezza che tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento fosse solo un’utopia, il passo più difficile di tutti.
In fin dei conti, di illusioni ne aveva avute fin troppe, fino a quel momento. E tutte le peggiori, le più difficili da superare, erano tutte inevitabilmente legate ad Alessio.
Non avrebbe saputo dire quale potesse essere la peggiore: ce n’erano state tante, troppe da ricordare.
Forse una delle tante che doveva ancora superare era - quasi ironicamente- l’illusione che, dopo l’entrata di Giada nella sua vita, le cose sarebbero andate meglio.
Che tra lui ed Alessio sarebbe andata meglio.
La realtà era che, invece, per loro due non sembrava potesse esserci pace alcuna.
Quella era stata un’illusione spezzata piuttosto difficile da accettare.


 
Pietro sospirò pesantemente, sistemandosi meglio sul divano e sprofondando tra i cuscini. Aveva rinunciato ad uscire per la tempesta che si stava scatenando fuori, anche se, pur di evitare il clima teso e pesante che si era creato in casa, avrebbe preferito quasi annegarsi o prendersi un malanno sotto la pioggia.
Erano già le dieci di sera, e si sentiva sveglio come non mai. Non poteva nemmeno utilizzare la scusa del sonno per potersi ritirare in camera sua.
Tenendo il telecomando in mano continuava a fare zapping, soffermandosi su ogni canale per non più di dieci secondi; nulla sembrava attirare anche solo minimamente la sua attenzione, nemmeno per mitigare anche solo superficialmente il suo malumore e la noia che provava in quel momento.
Quel lasso di tempo di pace e immobilità durò ancora per poco: pur facendo finta di nulla avvertì chiaramente i passi di Alessio avvicinarsi al salotto, lenti e pesanti. Non sembrava voler nascondere la sua presenza sempre più vicina.
Era passata già una settimana dal loro litigio, e da allora non si erano scambiati nemmeno la minima parola: la mattina avevano preso a far colazione e prendere il treno separatamente, e anche a lezione facevano in modo di incrociarsi il meno possibile. Pietro aveva preso a studiare il più possibile nelle aule studio dell’università, ritardando sempre di più il rientro a casa; anche la sera avevano cominciato a cenare ognuno per conto proprio, in orari del tutto diversi.
Sembravano una coppia di separati in casa, due sconosciuti che erano finiti a vivere insieme senza nemmeno riuscire a spiegarsi il come o il perché.
Cominciava seriamente a detestare quella situazione, ma era altrettanto deciso a non fare il primo passo: era convinto che fosse Alessio a doversi scusare, a dover fare uno sforzo per cercare di riavvicinarsi. E a quel pensiero perdeva qualsiasi speranza di chiarimento: era pronto a scommettere che Alessio sarebbe stato capace di portare avanti quella situazione assurda anche per mesi, piuttosto che passare sopra al suo orgoglio
Nemmeno lui era pronto a cedere, tutt’altro: dopo quello che si erano urlati si era sentito umiliato, ferito come non mai. Sapeva che quel genere di ferite non si sarebbero rimarginate presto e con facilità.
Si era chiesto spesso che sarebbe successo, se in uno degli ultimi giorni avesse deciso di spiegare ad Alessio come stavano realmente le cose. Già si immaginava la sua faccia, nel momento in cui gli avrebbe detto che stava con Giada solo per dimenticare l’amore che provava per lui, che lo faceva sentire così sbagliato.
Di sicuro le cose sarebbe peggiorate ancor di più.
E per quanto avesse cercato di riflettere sul motivo per cui Alessio poteva aver reagito così, non era arrivato alla benché minima risposta. Non gli piaceva Giada? Non la conosceva praticamente per niente. La considerava troppo vecchia? Trovava la sua reazione comunque troppo esagerata. Pensava fosse un’approfittatrice? Quello l’aveva messo nero su bianco, lo aveva detto, ma anche così c’era ancora qualcosa che non lo convinceva affatto.
Pietro aveva quasi preso in considerazione la gelosia, ma aveva accantonato subito quell’ipotesi: per quanto ci sperasse, in un certo senso, non poteva certo essere così.
Alessio un giorno avrebbe anche potuto ricambiarlo, ma quel giorno sarebbe anche potuto non arrivare mai. Stava con Alice, era felice con lei, e Pietro non era altro che un caro amico con cui condivideva l’appartamento. Non sarebbe mai stato diverso da così.
Soprattutto non avrebbe potuto farlo restando all’oscuro del segreto che Pietro si stava tenendo stretto.
-Posso sedermi?-.
Pietro quasi sobbalzò, nell’accorgersi che la voce di Alessio gli era giunta da molto più vicino di quanto si aspettasse. Si voltò verso la sua sinistra, notandolo in piedi accanto a sé, mentre lo guardava con un’espressione indecifrabile dipinta in viso. Non si era minimamente reso conto di poterselo ritrovare così vicino, e men che meno si aspettava che lo avesse raggiunto per parlargli.
Erano le prime parole che si rivolgevano dopo giorni, ed erano parole pronunciate da Alessio.
Pietro si sentì completamente impreparato a quella situazione che si stava creando.
-Fino a prova contraria questo è anche il tuo divano- bofonchiò, schiarendosi la voce per non sembrare troppo rauco.
Vide Alessio annuire, prima di riportare gli occhi alla tv. Alessio gli passò davanti, velocemente, andandosi a sedere a sua volta sul lato libero del divano, troppo piccolo e stretto per permettergli di restare ad una discreta distanza da Pietro. Le braccia e le spalle quasi si sfioravano, anche se nessuno dei due aveva il coraggio per voltarsi verso l’altro.
A Pietro, quella vicinanza, fece strano: erano da giorni che non si ritrovavano nella stessa stanza da soli per più di qualche minuto, figuriamoci a quella distanza misera. Riusciva quasi a sentire il respiro di Alessio, il calore del suo corpo e il profumo che usava sempre. Nonostante la rabbia che provava ancora verso di lui, nonostante il rancore, avrebbe solamente voluto abbracciarlo o essere stretto da lui.
Avrebbe solamente voluto girarsi una volta per tutte, baciarlo, dirgli che Giada non significava niente per lui, che non sarebbe mai stata in grado di sostituirlo.
Si trattenne a stento, cercando di concentrarsi sulla tv, ma le immagini che Rai News 24 stava mandando in onda, riguardanti le dimissioni di Napolitano non riuscivano a distrarlo a sufficienza.
Sentì Alessio sospirare pesantemente, e cercò di non girarsi verso di lui per la curiosità. Era stato lui ad avvicinarsi per primo: ora non poteva nascondere la mano dietro la schiena, non dopo aver lanciato il sasso.
Pietro continuò a fare finta di nulla, e gli attimi seguenti gli parvero infiniti e dilatati, almeno fino a quando non sentì Alessio schiarirsi la voce e parlare piano:
-Non so come dirlo, o da dove cominciare ... -.
Si interruppe di nuovo, e fu in quel lasso di tempo e di silenzio che Pietro si decise finalmente a voltare il capo nella sua direzione. Alessio aveva il viso contratto, e gli occhi abbassati.
-È  che a volte mi sembra che tutto mi sfugga di mano, e quando succede reagisco sempre d’impulso. E nel peggiore dei modi-.
-Nel peggiore dei modi? È un eufemismo- Pietro non riuscì ad evitare di esternare quel pensiero. La verità era che, per quanto tutto quello potesse sembrare assurdo, non si sarebbe mai aspettato di arrivare a quel punto.
Si morse il labbro inferiore, però, indeciso se dire quelle parole fosse stata una buona idea: di certo non era il modo migliore per iniziare quella che si preannunciava come una tutt’altro che semplice chiacchierata con Alessio.
-Anche se ti dicessi che non avrei dovuto dirti così quelle cose, non posso negare di pensarle davvero. Mi dispiace soltanto che sia andata così-.
Pietro si ritrovò ad annuire tra sé e sé:
-E non ti dispiace comunque di avermele dette?-.
-Preferiresti qualcuno che ti mente, dicendoti quel che tu vuoi sentirti dire, piuttosto che dirti ciò che pensa sinceramente?-.
Alessio gli sorrise amaramente, un sorriso che non aveva nulla di allegro o vivace, un sorriso che, anziché illuminargli le iridi chiare, gli rabbuiava il viso. A Pietro non rimase altro che rimanere in silenzio, soppesando il significato di quelle parole pronunciate a mezza voce.
-Se preferisci la prima opzione, sai che non sono io la persona giusta da cui aspettarti qualcosa del genere- riprese Alessio, la voce meno fredda e i lineamenti del viso meno tesi – Se ho detto quel che ho detto è solo perché sono preoccupato per te. Preoccupato a morte. E anche arrabbiato da morire, non lo nego. Sono arrabbiato da morire perché, se non lo avessi scoperto da solo, non me lo avresti detto ancora per chissà quanto tempo-.
-Non te l’ho detto proprio perché immaginavo una tua reazione simile a quella che hai avuto. Ovvero un totale rifiuto- borbottò Pietro, lo sguardo fisso davanti a sé e del tutto intenzionato a non incrociare quello dell’altro subito dopo aver pronunciato quella mezza bugia. Sentiva la rabbia diminuire nettamente, e ciò che lo sorprendeva di più era che, come se non bastasse, cominciava a sentirsi addirittura in colpa per avergli mentito e per ciò che si erano detti.
Si sentì tremendamente patetico, sotto scacco e con una dignità ormai fin troppe volte calpestata da se stesso – e dai suoi desideri- per primo.
-Ho solamente paura che tu possa ricevere l’ennesima delusione. Ho paura che qualcuno ti sfrutti per i suoi comodi per poi abbandonarti subito dopo essersi stufato- Alessio continuò a parlare, e per un secondo a Pietro parve quasi di notare la sua voce spezzarsi – E ho paura che, quando succederà questo, farà troppo male a te, e farà altrettanto male a me-.
Respirò nuovamente a fondo, passandosi una mano sul viso, e spingendo Pietro a tornare a guardarlo. Sembrava essere in preda all’emotività e alla fragilità che Alessio cercava sempre di nascondere a chiunque.
-Farà male per non aver cercato di proteggerti-.
Pietro sentì un lieve sorriso nascergli sulle labbra, quasi inconsciamente; si girò appena dall’altra parte, come a non voler renderlo visibile ad Alessio.
-Non ho bisogno che qualcuno mi protegga, cerca di stare tranquillo. Abbi solo un po’ di fiducia-.
-Non è questione di non aver fiducia in te-.
-A me importa solo che tu voglia il mio bene, accettando anche le mie scelte. Chiedo forse troppo?-.
Pietro tornò con gli occhi al viso di Alessio, in attesa. Percepiva tutta la difficoltà in cui lo aveva messo nel porgli quella domanda, glielo leggeva in ogni gesto ed in ogni particolare del volto: la distingueva nel mascella contratta, nelle rughe che si erano formate sulla fronte crucciata, anche nell’azzurro cupo delle iridi.
Nonostante Alessio tentennasse e fosse ancora in silenzio, Pietro era sicuro di conoscere già la risposta che attendeva.
La risposta più sincera che stava cercando da Alessio.
-Forse sì- disse infine – Non posso prometterti che lascerò perdere. Non posso farti una promessa che non sono sicuro di poter mantenere-.


 
C’erano state promesse che aveva chiesto ad Alessio di mantenere, e che, inevitabilmente, non erano state mantenute. Alessio non si era mai nascosto dietro a nessuna giustificazione, almeno: sapeva di non essere riuscito a mantenere la parola, e Pietro sapeva che, ancora adesso, si portava dietro i segni di quelle colpe.
-E tu, invece, quando ti deciderai ad andare avanti con la tua vita?-  mormorò Alberto dopo diversi minuti di silenzio, durante i quali aveva fermato un cameriere per farsi portare un bicchiere d’acqua – Ora che Alessio se ne è andato, e che quindi lo vedrai molto meno, potrebbe essere il momento giusto per superare la sua ombra e guardare avanti-.
-Non credere sia facile- replicò Pietro, consapevole di star giocando una partita già persa in partenza – Non posso dimenticarlo così, con uno schiocco di dita-.
-Vero, ma non puoi nemmeno fossilizzarti così. Non puoi più permettertelo-.
Alberto lo guardò con durezza, con una severità che Pietro gli aveva visto ben poche volte negli occhi. Era sempre stato apprensivo quando si andava a toccare quell’argomento: forse aveva davvero paura che facesse la stessa fine di Anna Karenina, pensò Pietro con ironia ed amarezza allo stesso tempo. D’altro canto, anche lei, come lui, si era ritrovata divisa tra l’agiatezza e la normalità che poteva darle il marito, e la passione irrefrenabile e desiderio proibito che provava per Aleksej Vronskij.
“Piuttosto ironico che in ogni disgrazia simile ci sia sempre di mezzo un Alessio”.
-Sai, sono passati due anni, eppure siamo ancora qui, a parlare delle stesse cose- continuò Alberto, la stessa severità negli occhi e anche nella voce – Continuo  a chiedermi quando smetterai di guardare al passato, quando prenderai in considerazione di dire la verità almeno a Giada, e forse anche ad Alessio. Dovresti davvero farlo-.
Pietro continuò a tacere, forse troppo consapevole che Alberto avesse ragione per potergli muovere qualche critica.
-Non puoi continuare a vivere dietro ad una maschera, a fingere di essere un altro che non sei-.
Pietro sospirò di nuovo, torturandosi nuovamente le mani e prendendo tempo. Non avrebbe saputo che dire a Alberto: forse lui stesso si vergognava della sua vigliaccheria, della sua incapacità di ammettere ciò che era e ciò che provava. Gli sembrava tutto troppo grande per lui, troppo difficile da affrontare davvero.
-Una volta avevi detto che avrei potuto scegliere se continuare a fingere o se uscire allo scoperto- Pietro abbassò lo sguardo, rimanendo immobile con le mani giunte sopra al tavolino – Forse ho preso una decisione, anche se tu non la accetti-.
La memoria andò indietro di due anni, all’inverno del 2015: rivedeva se stesso e Alberto seduti ad un tavolino di un bar a Piano Veneto, a parlare delle stesse cose di cui stavano discutendo in quel momento.
Forse aveva ragione Alberto, di nuovo, definitivamente. Era come se Pietro avesse continuato a guardarsi indietro, per tutto quel tempo, dimenticandosi di avanzare; era rimasto fisso a quell’attimo, e nulla, a parte loro seduti ad un anonimo tavolo di un qualsiasi bar, sembrava essere cambiato davvero nella sostanza.
-La tua sembra più una costrizione che ti sei auto imposto, più che una scelta- sentì la voce di Alberto giungergli a mezza voce, come se avesse preferito abbandonare la furia severa e apprensiva che aveva avuto fino ad un minuto prima – Guardati: sei già distrutto ora. Che ne sarà di te quando saranno passati altri due anni? Se fosse una scelta consapevole, perlomeno, la vivresti con più serenità. Mentiresti comunque, certo, ma almeno non sprofonderesti ogni volta che pensi a Giada o ad Alessio-.
-Forse non sono ancora pronto- Pietro cominciò ad agitarsi, gesticolando febbrilmente e non sapendo che altro dire in sua difesa – Forse non sono pronto a fare coming out, forse non sono pronto a dichiararmi ad Alessio, forse non sono nemmeno pronto a lasciare Giada-.
-Di nuovo preferisci non prendere una decisione-.
Pietro sbuffò sonoramente, passandosi di nuovo le mani sul viso, e trattenendosi dall’alzarsi ed andarsene.
Alberto non sapeva come ci si sentiva, non sapeva cosa volesse dire passare quel che stava passando lui da un tempo che sembrava infinito. Per quanto potesse comprendere, non poteva davvero capire cosa volesse dire vivere così. Che ne sapeva lui di cosa significava prendere una decisione simile? Non era lui a doversi esporre così, senza alcuna garanzia.
Non era lui a dover prendere una decisione simile, con un rischio così grande nel caso la via scelta fosse quella che gli avrebbe fatto perdere tutto.
-Un giorno la prenderò. Quando avrò il coraggio necessario per farlo-.
A Alberto sembrò finalmente bastare quella risposta: si limitò ad annuire lentamente, con una lentezza tale che a Pietro parve quasi di essersi solo immaginato il suo gesto. Forse gli erano bastate quelle parole, ma non ne era convinto fino in fondo, Pietro ne era sicuro. Riusciva a leggergli la delusione negli occhi, nei tratti tesi del viso spigoloso.
Passarono alcuni minuti prima che Alberto aprisse bocca di nuovo, prima di richiuderla subito. Provò a parlare ancora una volta, prima di dire finalmente ciò che gli premeva di più:
-L’unico problema è che temo che quel giorno potrebbe arrivare troppo tardi-.
Pietro non disse nulla, silenzioso ed immobile come era stato fino a quel momento.
Capiva bene quel timore di Alberto. Lo capiva bene perché era anche una delle sue paure più grandi. Temeva che potesse diventare realtà ancor prima di poter anche solo prendere in considerazione l’idea di agire.
Temeva che, una volta smesso di rimanere attaccato al passato, sarebbe stato troppo tardi per cercare di avere un futuro migliore.


 
Piano Veneto non sembrava essere cambiata molto dall’ultima volta in cui c’era stato. Non ricordava quanto tempo fosse passato, potevano essere poche settimane come qualche mese.
Alberto aveva insistito parecchio per trovarsi proprio lì, al solito bar del paese – “Come quando eravamo al liceo!” gli aveva detto, tanto per convincerlo a presentarsi-, lo stesso bar dove nell’estate di due anni prima aveva rivisto Alessio dopo mesi di silenzio. Lo stesso bar dove avevano ricominciato a riallacciare i rapporti, dove lo aveva sentito cantare svariate volte, dove tutto sembrava essere ricominciato una seconda volta tra loro due.
Ora, invece, a quel tavolino, non c’era Alessio di fronte a lui: il viso magro e allungato di Alberto non gli ricordava per niente i tratti morbidi e maturi di Alessio.
Anche Alberto, d’altro canto, non sembrava molto cambiato. Forse ancora più sbarazzino del solito – di quando erano al liceo, come avrebbe detto Alberto stesso-, l’aria rilassata che Pietro gli stava invidiando profondamente. L’atmosfera universitaria sembrava avergli giovato in tutto e per tutto.
-All’università come va?- chiese Pietro, dopo aver buttato giù un sorso di caffè bollente. Faceva freddo anche all’interno del Babylon, e d’altro canto sarebbe stato difficile trovare qualche ambiente abbastanza caldo in quel periodo dell’anno, a metà novembre.
-Quando non sono in giro per la città posso anche permettermi di studiare e passare gli esami- rise Alberto, un sorriso astuto disegnato sulle labbra – E tu, veneziano d’adozione, hai passato almeno un esame in più di due anni?-.
-Li ho passati tutti, malfidente che non sei altro- sorrise a sua volta Pietro, per una volta divertito per davvero.
-Mi stai dicendo che il prossimo anno potresti anche laurearti? Santo cielo, allora l’apocalisse deve essere proprio vicino-.
-Ripeto: sei malfidente. Molto malfidente-.
Era sempre così, tra di loro: nonostante fossero mesi che non si vedevano, tutto rimaneva lo stesso, come quando ai tempi del Virgilio si vedevano ogni giorno in classe. C’era la stessa confidenza, lo stesso affetto malcelato di sempre: era una delle poche sicurezze che riuscivano ancora a rincuorare Pietro.
Gli aveva fatto piacere poter rivedere Alberto per il suo compleanno; in un certo qual senso, andarsene da Venezia per qualche giorno e rivedere un amico con cui non parlava da tempo gli stava facendo bene. Sentiva il bisogno fisico e morale di parlare con qualcuno al di fuori della stessa cerchia di persone che vedeva sempre a Venezia.
E, soprattutto, aveva bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Alessio.
-Con Giada come va?- gli chiese nuovamente Alberto, che per festeggiare i suoi ventun anni si era tolto lo sfizio di ordinare uno spritz.
-Va. Tra poco è un anno che stiamo ufficialmente insieme-.
Pietro buttò giù quel che rimaneva del suo caffè, rischiando di bruciarsi la lingua e la gola.
-Un bel traguardo, direi. E Alessio la tiene sempre a distanza o comincia a trovarla più simpatica?- continuò Alberto, d’un tratto più serio. Pietro si morse il labbro inferiore, tutt’altro che contento della direzione che stava prendendo quel discorso: a tratti cominciava a pentirsi di aver parlato a Alberto di quella situazione assurda già diversi mesi prima. A quanto pareva, con suo sommo rammarico, era destinato a parlare di Alessio in ogni occasione possibile.
-Né l’una né l’altra, semplicemente cerca di dimostrarle quanto non la sopporta ad ogni occasione che gli si presenta-.
Pietro sperò che il discorso fosse morto lì. Evitò lo sguardo di Alberto, concentrandosi su ciò che la tv affissa alla parete di fronte a lui stava mandando in onda: le immagini di terrore che arrivavano da Parigi, dopo gli attacchi terroristici di qualche giorno prima, gli fecero gelare per un attimo il sangue nelle vene.
-E tu continui a non prendere posizione, immagino-.
Quella di Alberto non era stata una domanda; era un’affermazione qualsiasi, come se stesse descrivendo un fatto oggettivo che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Non c’era nulla di dubbioso, nelle sue parole: era come un principio matematico: era così e basta.
Pietro prese un respiro profondo, prima di parlare; non aveva voglia di mettersi a litigare con Alberto, non in uno dei rari incontri che avevano durante l’anno.
-Cosa dovrei fare? Mollare Giada così finalmente Alessio la smetterà?- sbottò stizzito, già esasperato.
-No, semplicemente dovresti dirgli di avere più rispetto. Sei suo amico, dovrebbe comportarsi bene con la tua ragazza già solo per questo. Almeno in sua presenza- replicò Alberto, come se fosse un’ovvietà.
Pietro sospirò di nuovo, sconsolato: la faceva facile, lui. Alberto non viveva nella sua stessa situazione, non rischiava di perdere la persona che amava da un momento all’altro. Non avrebbe potuto capire, già lo sapeva.
Quella consapevolezza cominciava a stargli stretta, a mandarlo in crisi più di quanto non avrebbe voluto.
-Non ci riesco-.
A Pietro uscirono così, quelle parole, in maniera del tutto istintiva. Per un attimo aveva creduto di aver solo immaginato di averle pronunciate; poteva averle dette solamente nella sua testa, tra sé e sé, anziché averle dette ad alta voce e imboccare una via che sembrava sempre più senza ritorno alcuno.
Non sapeva bene dove si stesse cacciando o fino a che punto sarebbe arrivato, ma non aggiunse altro e non si corresse. Forse era solo la stanchezza per tutti quei segreti che si portava dietro, a renderlo così coraggioso e imprudente allo stesso tempo.
Alberto continuava a guardarlo fisso, lo sguardo confuso come se non avesse capito nulla di quel che Pietro aveva appena detto:
-A far cosa?-.
Pietro rimase a fissare ancora lo schermo della tv, apparentemente inespressivo, ma completamente infuocato dentro di sé. Per la prima volta si ritrovava di fronte ad una scelta, in bilico tra due possibilità completamente diverse; non aveva nemmeno mai contemplato l’idea di potersi confessare con qualcuno, tantomeno con Alberto, eppure quell’occasione gli si era appena presentata davanti, in tutto il terrore e il senso di liberazione che gli stava portando.
Non si era mai immaginato fino a quel momento un bivio del genere: poteva parlare sinceramente con qualcuno, per la prima volta in più di un anno passato a tenersi tutto dentro, oppure poteva continuare a fingere, a mentire a chiunque. A cercare di scappare dalla realtà, a non trovare il coraggio nemmeno per ammettere ciò che pensava davvero.
Gli occhi scuri di Alberto dardeggiavano ancora in attesa su di lui, lucidi e pieni di curiosità. Davanti a quegli occhi Pietro sentì quasi un senso di vertigine, come poco prima di una caduta in un burrone.
Stava letteralmente saltando nel vuoto, e nonostante la paura, sapeva già che si sarebbe buttato una volta per tutte.
-A difendere Giada, a dire ad Alessio che dovrebbe smetterla. Non ce la faccio-.
-Ma che vuol dire?-  replicò Alberto, stringendo le labbra e con un’espressione alquanto confusa dipinta in viso – Dì ad Alessio di chiudere il becco, semplicemente-.
A Pietro venne da ridere, una risata sommessa ed amara che contribuì a disorientare ancor di più Alberto. E Pietro continuava a ridere e a scuotere piano la testa, come se avesse appena ascoltato una battuta divertente e sardonica. Gli ci volle qualche attimo per riprendere serietà e tornare con lo sguardo oltre le spalle di Alberto, come se stesse parlando ad un’altra persona presente lì con loro:
-La verità è che non mi interessa molto se insulta Giada. Non voglio difendere lei e mandare a quel paese Alessio. Non voglio-.
-Ma perché? Davvero, non riesco a capirti- sbottò infine Alberto, frustrato. Era evidente che non riuscisse a comprendere fino in fondo ciò che Pietro stava cercando di fargli capire.
-Perché se mi chiedessero di scegliere, tra Giada ed Alessio, io ... -.
“Se lo dico ora, non potrò più tornare indietro”.
-Io sceglierei Alessio. Sceglierei Alessio sempre. Anche se al posto di Giada ci fosse chiunque altro ... Sarebbe sempre lui che vorrei-.
Pietro non si rese nemmeno bene conto di averlo detto sul serio e ad alta voce. L’aveva detto così velocemente che aveva rischiato di farfugliare, di mangiarsi le parole e risultare incomprensibile.
Ma alla fine l’aveva detto. L’aveva detto, per la prima volta in tanti mesi, l’aveva detto a qualcuno.
La sensazione di liberazione e di sollievo che sentì nascere si mischiò subito al terrore di ciò che sarebbe potuto succedere da lì in poi.
Giocava a carte scoperte, ora. Non c’era più via di ritorno.
-Credo di non aver capito bene- borbottò Alberto, dopo interminabili attimi di silenzio teso. A Pietro bastò guardarlo in viso per un secondo per capire che, invece, aveva capito benissimo: aveva lo stesso sguardo stralunato e stupito di chi sa di aver capito bene qualcosa, ma che non riesce ad ammettere la veridicità dei fatti.
-Io invece credo che tu abbia capito benissimo. In fin dei conti non c’è molto da capire-.
Pietro si sforzò di non aggiungere altro, di lasciare il tempo necessario a Alberto per rendersi conto bene della notizia e di ciò che gli aveva appena rivelato. Si morse il labbro inferiore, pur di tacere: l’attesa di una qualsiasi reazione da parte dell’altro si stava rivelando snervante, dolorosa perfino fisicamente.
Voleva sapere cosa stava pensando, cosa ne pensava, e allo stesso tempo, forse, non voleva saperlo affatto. Si era esposto enormemente, ed ora temeva di cadere rovinosamente a terra. Forse ne sarebbe uscito ferito peggio di quanto aveva creduto.
Alberto aveva abbassato lo sguardo, e a Pietro sembrò che fosse perso in mille pensieri. Aveva la stessa espressione concentrata e confusa di quando, a scuola, gli si presentava davanti agli occhi uno strano esercizio di matematica.
Passarono almeno due minuti prima che Alberto si decidesse ad alzare nuovamente il capo, rivolgendosi a Pietro in quello che era poco più che un sussurro:
-Da quanto?-.
Pietro respirò pesantemente, scostandosi una ciocca di capelli scuri dalla fronte in un gesto che tradiva il suo nervosismo.
-Non lo so di preciso. Lo so da più di un anno, ma non so quando è cominciato tutto. Può essere dal primo minuto in cui l’ho visto, come da due anni solamente, non saprei. Me ne sono reso conto e basta-.
Alberto annuì, ancora pensieroso e a tratti preoccupato:
-Ma ne sei sicuro?-.
-Direi che il tempo per pensarci non mi è mancato- replicò Pietro, ironico e a tratti divertito. Guardare Alberto con quell’espressione lo faceva quasi ridere: era comico a tratti, da quanto la sua espressione sembrava marcata.
-Sì, ma ... Tu e Alessio? O meglio, tu innamorato di Alessio? Sul serio?- Alberto si sporse d’un tratto verso di lui, iniziando a gesticolare freneticamente ed in un modo che lasciò Pietro alquanto disorientato – Insomma, mi sembrava di aver capito aveste un certo feeling, ma non pensavo fino a questo punto. Soprattutto perché non riesco ad immaginarti con un uomo. Che poi, pensi di essere gay? Ti piace un ragazzo, è vero, ma potresti essere bisessuale o pansessuale, o forse è solo un caso e sei comunque etero-.
-Alberto- Pietro cercò di interrompere quello sproloquio prima che fosse troppo tardi, già mezzo stordito da tutte quelle parole che Alberto aveva pronunciato fin troppo velocemente – La vedo ardua per un uomo etero innamorarsi di un altro uomo, anche fosse solo una volta nella vita. E non lo so se sono bisessuale o gay o pan, non mi sono mai innamorato di un altro uomo, ma allo stesso tempo non ho mai avuto relazioni particolarmente soddisfacenti con le ragazze che ho avuto. Non so se sono gay. Probabilmente con il tempo lo capirò meglio-.
Si era detto e ridetto quel discorso nella sua testa talmente tante volte che ormai lo sapeva a memoria. Aveva cercato di essere il più sincero e spontaneo possibile, e c’era riuscito.
-E Giada? Stai con lei, nonostante tutto. E fino a prova contraria, lei è una donna- puntualizzò Alberto, senza però alcuna dose autoritaria o derisoria. Sembrava sinceramente confuso, più che scandalizzato, e Pietro si sentì in ogni caso piuttosto sollevato nel poterlo constatare.
-La verità è che sto con lei solamente per cercare di non pensare ad Alessio. E perché … -.
Esitò per qualche secondo, prima di parlare:
-Non me la sento di provarci con dei ragazzi. Non ho la benché minima esperienza, non saprei neanche da dove iniziare- spiegò Pietro, consapevole di essere arrossito nel parlare di quell’argomento – E poi forse non voglio davvero sapere se sono gay. In questo momento ho una confusione in testa ed una paura che non ti immagini neanche-.
-Però sei sicuro di quel che provi per Alessio- concluse Alberto, in un’affermazione che sembrava comunque in cerca di una conferma. Era ancora dubbioso ed incerto, Pietro lo percepiva: non era ancora convinto, forse pensava addirittura che fosse tutto uno scherzo.
Sentì un nodo alla gola impedirgli di parlare, e dovette deglutire più di una volta prima di cercare di articolare una qualche parola. Ora cominciava a sentirsi più spaventato che altro, più giudicato.
Sarebbe sempre stato così, una volta rivelato il suo orientamento, i suoi sentimenti?
C’era davvero qualcosa di sbagliato in lui e in ciò che provava per Alessio?
-Se fossi nei miei panni e sapessi come me la passo tutte le ore in cui siamo a casa insieme e da soli, non avresti dubbi nemmeno tu-.
Alberto sembrò soppesare quelle parole, rimanendosene in silenzio. Anche Pietro non disse altro: cominciava a sentirsi in imbarazzo, a non essere capito. Non pretendeva che Alberto condividesse ciò che pensava: gli sarebbe bastata un po’ di comprensione, di compassione tra amici.
Gli serviva solamente qualcuno con cui parlarne, con cui sfogarsi una volta per tutte. Non si aspettava altro, se non un po’ di empatia.
Abbassò il capo, sentendo lo sguardo di Alberto insistentemente su di sé: probabilmente era indeciso se dirgli qualcosa o se rimanere in silenzio, continuando a fissarlo in quella maniera un po’ inquietante. Solo quando quella sensazione si fece davvero fastidiosa Pietro alzò gli occhi, facendo un cenno a Alberto: a quel punto, se voleva dire qualcosa, tanto valeva dirla e farla finita lì.
-Ti ecciti pensando a lui e ti fai certi pensieri su voi due insieme?-.
Pietro quasi si strozzò con la sua stessa saliva, guardando in cagnesco Alberto, che, invece, sembrava realmente curioso dalla sua eventuale risposta.
 -Ma che razza di domande mi fai?- sibilò, le gote letteralmente infuocate e improvvisamente accaldato.
-Questo è il primo passo per capire se qualcuno ti piace. Anche solo fisicamente- spiegò tranquillamente Alberto, come se fosse una ovvietà. Sembrava molto più a suo agio di prima, come se fosse riuscito a digerire la notizia almeno già in parte. Pietro, inevitabilmente, si ritrovò ad arrossire ancora di più, profondamente in imbarazzo e con la volontà di volersi sotterrare il prima possibile.
-Dalla tua faccia devo dedurre che la risposta alla mia domanda è sì?- proseguì Alberto, trattenendosi a stento dal ridere.
-È  ovvio che faccio certi pensieri- borbottò Pietro, a denti stretti e cercando di non far trapelare troppo il disagio in cui si trovava – Non che mi senta a mio agio ad ammetterlo-.
-Non è che sia solo attrazione fisica? È bello, magari ti affascina il proibito, o forse vuoi provare inconsciamente qualcosa di nuovo-.
Pietro rimase in silenzio, riflettendo. Riusciva a capire il punto di vista di Alberto, lo capiva eccome: per Alessio aveva provato attrazione fisica sin da subito, lo ricordava bene. Lo trovava attraente, particolare e unico nei suoi difetti, bello a suo modo. Non poteva certo negarlo: era la verità, gli piaceva da quel punto di vista, ma era solo uno dei tanti punti di vista da cui poteva guardarlo e da cui poteva rendersi conto che gli piaceva.
Non c’era solo quello, e non era nemmeno la cosa fondamentale.
Riusciva a rendersi conto che, se pensava ad Alessio, la bellezza non era la prima cosa che gli veniva in mente.
E, anche si fosse trattato unicamente di attrazione fisica, ciò non avrebbe comunque  fatto di lui un uomo  eterosessuale. Su quello, ormai, volente o meno, doveva metterci definitivamente una pietra sopra.
-È  bello, sì, ma quando lo guardo non vedo quell’aspetto di Alessio- Pietro iniziò a torturarsi le mani, mentre cercava di trovare le parole adatte e mentre percepiva Alberto osservarlo, in attesa – Vedo l’Alessio che riesce a rendere migliori le mie giornate anche con un solo gesto, vedo l’Alessio pigro che non si alzerebbe dal letto la mattina nemmeno con le cannonate. Vedo l’Alessio che si farebbe in quattro per coloro a cui tiene, e l’Alessio che non sta zitto se deve criticare qualcuno o se non è d’accordo su qualcosa, anche a costo di sembrare sempre polemico e incontentabile. Vedo l’Alessio ostinato e testardo che non rinuncia ai suoi obiettivi nemmeno quando ormai sembra impossibile andare avanti-.
Si fermò per qualche attimo, immagini che gli tornavano in mente da un passato che non sarebbe riuscito a collocare temporalmente, non in quel momento. Rivedeva nella sua testa ogni singolo abbraccio, ogni singolo gesto e carezza che c’era stata con Alessio. Riportò alla mente le parole peggiori che si erano urlati in faccia, così come le parole d’incoraggiamento e d’affetto malcelato che si erano lasciati sfuggire quasi involontariamente.
Rivide le lacrime rigare il viso di Alessio, e lo sguardo duro ed ostinato che a volte gli aveva rivolto.
Non si trattenne, quando sentì nascere spontaneamente un sorriso appena accennato sulle labbra.
-È ovvio che mi piace fisicamente, ma è ancora più bello tutto quello che mi trasmette con i gesti e le parole. Lo è talmente tanto che a volte è doloroso come non so cosa- ammise a mezza voce – È doloroso perché so già che, per quanto io possa volerlo, lui non mi vedrà mai nella stessa maniera in cui io vedo lui e perché non sono sicuro che riuscirò mai ad ammettere ciò che provo o quel che sono-.
Pietro si sentì come svuotato, nudo davanti agli occhi di Alberto in tutte le sue debolezze. Ora, rimanendo in silenzio in attesa di una qualunque risposta dell’altro, si sentiva in imbarazzo, quasi incredulo per essere riuscito a dire qualcosa del genere.
Dire ad alta voce quelle cose che si era tenuto dentro per così tanto tempo, che aveva pensato e ripensato mille volte nella sua testa, e dirle a qualcun altro era strano, inaspettato e liberatorio: riusciva a sentirsi più leggero, nonostante le gote ancora arrossate per un po’ di vergogna. Non si era mai lasciato andare a dichiarazioni simili, non prima di quel momento: aveva paura di aver esagerato, di essere sembrato completamente fuori di testa, anche se aveva cercato di non rinunciare nemmeno un secondo alla sincerità dovuta in quel momento.
-Come sei melenso- lo prese in giro affettuosamente Alberto, ridendo appena e sorridendogli, nonostante Pietro avesse ricambiato con uno sguardo torvo e duro. L’ilarità di Alberto durò comunque poco: dopo alcun attimi riprese la stessa espressione seria di prima, pensierosa e a tratti malinconica.
-Ho capito che intendi dire, in ogni caso-.
-Non saprei in che altro modo spiegartelo, come mi sento- mormorò Pietro, come a volersi giustificare. Il sorriso di Alberto, comunque, era riuscito a rilassarlo almeno in parte. Si sentiva più calmo, meno soggetto a possibili giudizi.
In fin dei conti poteva addirittura affermare che fosse andato tutto bene.
-Ti sei spiegato bene, invece- riprese Alberto. Fece una breve pausa, prima di riportare gli occhi su Pietro con uno sguardo attento e riflessivo:
.Anche se, onestamente, non me lo sarei mai aspettato. L’unica cosa che non capisco, però, pur cercando di trovare una risposta, è: perché continui a fingerti qualcuno che palesemente non sei?-.
Pietro rimase immobile, preso contropiede. Quella di Alberto era una domanda legittima, più che logica: anche lui, al suo posto, se lo sarebbe domandato.
Stava tutto lì, in quella domanda a cui Pietro non era mai riuscito a dare una risposta. Perché aveva troppa paura? Perché la vita che aveva gli faceva comodo, perché gli andava bene così? Perché aveva paura di perdere Alessio, di perdere la faccia e la dignità?
Perché?
Alberto sembrò quasi leggergli nella mente, quando riprese a parlare esitante, delicatamente:
-Voglio dire: se sei convinto di essere innamorato di Alessio, e di essere attratto dai ragazzi, perché hai deciso comunque di stare con Giada e tirarla dentro ad una storia destinata a finire in partenza? A me sembra quasi che, così facendo, tu stia ingannando due persone che sono all’oscuro di tutto. Perché?-.
-Non lo so- sputò Pietro, d’istinto, senza averci pensato realmente – Ho paura di essere rifiutato da Alessio. Certo, potrei mollare Giada, anche se così non farei altro che pensare a lui ancor di più di quanto già non faccia ... Ma dirlo ad Alessio? O ancor peggio, fare coming out con tutti quelli che conosco? No, davvero, no. Perderei tutto, definitivamente, e sarebbe solo per colpa mia-.
-Non puoi esserne certo-.
-E invece lo sono!- scattò nuovamente Pietro. Era conscio che Alberto avesse ragione, lo sapeva, ma continuava a sentirsi confuso, spaventato, cieco davanti alla realtà.
-Nessuno si aspetterebbe una notizia del genere da me. Su di me- borbottò, passandosi le mani sul viso in un attimo di debolezza – Non mi vedrebbero più allo stesso modo-.
Di nuovo quella sensazione di nudità apparente era tornata a farsi sentire, inducendolo a nascondersi, a chiudersi in se stesso come per proteggersi da sguardi indiscreti. E sapeva che dello sguardo di Alberto poteva fidarsi, ma non ce la faceva.
Cominciava a sentirsi stanco per tutto e per tutti.
-Ma restando in silenzio, continuando a fingere e a fare finta di nulla, non risolverai niente. Niente, Pietro- anche Alberto aveva abbandonato l’aria calma ed esitante, d’un tratto più convinto e battagliero – Tutto rimarrà uguale a come è adesso, e tu ... Tu rimarrai così, in bilico tra due persone, a star male perché continuerai a tenerti tutto dentro e a vivere una vita che, a quanto pare, non è la tua-.
Pietro si costrinse a riportare gli occhi sul viso di Alberto, il groppo in gola che tornava presente impedendogli di parlare.
-Davvero vale la pena di vivere una vita che non ti appartiene, pur di non affrontare la realtà?-.
-Non ho scelto io di essere così, o di provare questo per Alessio- ribatté piano Pietro, senza alcuna forza o convinzione nella voce.
Vide Alberto annuire, a tratti esasperato, forse rassegnato.
Rimasero in silenzio entrambi, per diverso tempo. Pietro non avrebbe saputo dire quanti minuti fossero passati, quando Alberto, con un respiro profondo, riprese a parlare:
-Vero, non lo hai scelto tu. È capitato: non si può scegliere chi amare- fece un altro respiro, poggiando entrambe le mani sulla superficie lucida del tavolino, e congiungendole – Ma si può scegliere di smettere di nascondersi. Puoi scegliere se amare apertamente una persona-.
Pietro abbassò gli occhi definitivamente, lasciandosi cullare dalla voce profonda e famigliare di Alberto, dalla sensazione dei suoi occhi su di sé.
-La scelta sta tutto qui: preferisci continuare a vivere una vita falsa senza cambiarla e rischiare, o preferisci trovare il coraggio necessario per vivere ciò che sei?- gli chiese, lo sguardo di Alberto che sembrava inchiodare Pietro a quell’attimo – Non è detto che rischiando ti vada bene, anzi, può andarti malissimo. Puoi perdere molto, ma credi davvero che preferiresti aver il rimorso per non aver fatto nulla, per non averci provato, invece che avere il dispiacere per qualcosa che non è andato come volevi? Sta a te trovare una risposta. Sei tu che sceglierai-.


 
Scegliere. Sembrava facile, per come allora l’aveva detto Alberto. E forse lo era davvero, forse era sul serio così facile decidere quale fosse la cosa migliore per lui.
Ma a Pietro non era stato concesso scegliere, non fino a quel momento. Non aveva scelto di innamorarsi, non aveva scelto di rischiare di perdere tutto.
E non avrebbe potuto scegliere, non fino a quando avrebbe continuato a guardarsi indietro, rimanendo fermo ad un passato che non poteva più cambiare.


 
“Non può esserci pace per noi, solo miseria o la felicità più grande”[1]






[1] citazioni tratte dal film Anna Karenina (2012)
NOTE DELLE AUTRICI
Vi avevamo promesso un capitolo bello lungo e corposo, e in effetti è stato così! E  vi avevamo anche promesso qualche retroscena dei due anni del salto temporale tra Youth e Growing, et voilà: abbiamo avuto alcuni scorci ambientati nel 2015, tra febbraio e novembre (cogliete i riferimenti storici effettivamente accaduti sparsi qua e là per capire più precisamente i mesi in cui si ambientano!), dove abbiamo scoperto un po’ di cose … Come i motivi resi palesi da Alessio che causano la sua contrarietà alla relazione tra Pietro e Giada. Pietro ha come l'impressione ce ne siano altri non ben specificati ... Sarà così davvero?
Scopriamo poi che esiste almeno una persona che sa dei segreti di Pietro, ed è proprio Alberto (con sua conseguente reazione un po' troppo scioccata ... Non fate certe domande imbarazzanti come lui durante un coming out, per favore 😂). E il suggerimento che ha ricevuto Pietro, oltre a prendere una decisione definitiva, è anche quello di lasciare Giada e smettere di ingannarla. Insomma, ci ritroviamo in una posizione di maggior cautela che è quella di Pietro, spaventato dall'idea di ritrovarsi non accettato e isolato da tutti, e con quella espressa di Alberto, ovvero assumersi le proprie responsabilità ed eventualmente provare ad uscire dal guscio (o meglio, dall'armadio). Voi in chi vi rivedete di più?
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 10 novembre, con un capitolo decisamente più spensierato degli ultimi!
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Home sweet home ***


CAPITOLO 6 - HOME SWEET HOME



 

Gli ultimi giorni di febbraio erano stati accompagnati da tiepide giornate di sole, senza piogge scroscianti o eccessivo gelo invernale. In fin dei conti, Giulia si sentiva fortunata: nonostante l’enorme quantità di turisti che si erano riversati nella città a causa del carnevale, lei e Filippo erano riusciti a portare nel nuovo appartamento le ultime cose. Avevano dovuto attraversare mezza Venezia con le valigie in mano, tra gente mascherata e turisti con macchine fotografiche sempre in azione, ma alla fine ce l’avevano fatta: anche gli ultimi vestiti e gli ultimi oggetti erano arrivati sani e salvi a destinazione.
E, con sua somma gioia, Giulia poteva dirsi soddisfatta del tutto dall’aspetto che aveva assunto ora l’appartamento, finalmente pienamente abitabile e non più spoglio come appariva all’inizio di gennaio: guardandosi intorno, attraversando le stanze e osservando i mobili nuovi e pronti per essere usati e riempiti delle loro cose, si sentiva realizzata.
Si sentiva già a casa.
Quella sensazione di euforia e contentezza riusciva a coprire perfino il senso di stanchezza che l’accompagnava all’idea che, già dal giorno dopo, lei e Filippo si sarebbero dovuti dare da fare per mettere in ordine anche le ultime cose portate nell’appartamento e per dover pulire tutto quanto – per l’ennesima volta.
Per il momento, però, le bastava essere lì, a guardare con gli occhi lucidi per la commozione ogni angolo di quella casa. La sera del 25 febbraio si sentiva esattamente così: felice come era stata poche altre volte in vita sua. Non le importava che la casa fosse nel disordine più assoluto, che l’indomani l’avrebbe attesa una fatica immane nel sistemare tutto quanto. Era in pace con se stessa, e nulla sembrava in grado di scalfirla.
-Credo che stanotte mi addormenterò appena mi stenderò sul materasso- esclamò Filippo, raggiungendola nel piccolo salotto, dove Giulia se ne stava seduta sul divano, a sfogliare le istruzioni d’uso del forno.
-Non dirmi che sei davvero così stanco- lo prese in giro lei, sollevando il capo e guardandolo sedersi accanto a lei.
-Ti ricordo che io stamattina ho lavorato, e il pomeriggio l’ho passato a svuotare le mie valigie- puntualizzò Filippo, il viso stanco ma con un sorriso accennato a stendergli le labbra.
Effettivamente non era stata una giornata semplice, ma non si potevano lamentare: il lavoro part-time di Filippo in un supermercato a Marghera – e il posto altrettanto part-time da commessa in un piccolo negozio di abbigliamento che Giulia aveva trovato da quasi un anno- portava comunque soldi preziosi, che andavano ad aggiungersi a quelli passati loro dalle loro famiglie, e nonostante la fatica per conciliare il lavoro con il trasferimento e l’università si considerava del tutto fortunato.
-E domani non avremo un minuto nemmeno per respirare, figuriamoci per riposare- continuò lui, affossandosi nel divano con aria disperata. Giulia, a guardarlo, sarebbe scoppiata a ridere, se non fosse stato per il fatto che, per una volta, Filippo aveva perfettamente ragione riguardo il giorno seguente.
-Abbiamo tempo tutto il giorno per sistemare la casa, in ogni caso- cercò di consolarlo lei, cercando di apparire perlomeno ottimista – Ce la possiamo fare. Anche prendendoci qualche pausa-.
-Pausa? Tutto il giorno? Non dirmi che ti sei dimenticata cosa succede domani- Filippo rimase a fissarla intensamente per diversi attimi, durante i quali Giulia non poté fare a meno di sentire l’ombra del panico assalirla. Che diavolo doveva succedere domani? Alessio e Alice si erano autoinvitati a cena per dar loro il definitivo benvenuto in qualità di vicini di casa? Avevano in programma qualche impegno di cui Giulia non si ricordava? Era prevista la fine del mondo entro la mezzanotte del 26 febbraio?
-Puoi essere più specifico?- chiese infine, confusa e ancor più agitata dallo sguardo sorpreso di Filippo, che continuava a fissarla – Credo di non riuscire a seguirti-.
-Te ne sei scordata sul serio, allora- sbuffò lui, più con rassegnazione che reale nervosismo – Tua mamma, tua sorella, tuo cognato e mio fratello ti dicono nulla?-.
Per i primi secondi dopo quella risposta Giulia rimase in silenzio, immobile. Fu solo quando cominciò a recepire il significato di quelle parole che, inevitabilmente, cominciò a sudare freddo e a sentire lo stomaco chiudersi. In mezzo a tutta quella pace e quella calma che sentiva dalla mattina, doveva per forza spuntare un intoppo. Un intoppo non da poco.
-Stai scherzando, vero?-.
-Temo proprio di no-.
-Ma non dovevano venire domenica?!- strillò Giulia, alzandosi di scatto dal divano e mettendosi di fronte a Filippo, che stava cercando di trattenersi dal ridere.
-E domani che giorno pensi che sia? Se oggi è sabato, domani è per forza ... -.
-Domenica- completò Giulia.
Si era completamente scordata di aver invitato sua madre, Ilaria e il suo ragazzo, e nonché Fabio, proprio per l’indomani. Si mise le mani tra i capelli, passando lo sguardo su ogni angolo del salotto: la casa era un completo disordine, sembrava più un accampamento da campeggio che altro. Non ce l’avrebbero mai fatta a sistemare tutto entro mezzogiorno.
Già si immaginava le urla di sua madre nel vedere com’era ridotta la casa. Probabilmente le avrebbe detto che aveva fatto il passo più lungo della gamba, e che non sarebbe mai riuscita a tener in ordine un appartamento più grande di quello in cui aveva vissuto con Caterina fino al giorno prima.
Era nei guai, decisamente nei guai.
-Ci aspetta una lunga giornata domani- continuò Filippo, che, tutto sommato, non sembrava nel panico come lei – Capisco che tu volessi festeggiare stasera, ma ho come l’impressione che una bella dormita sia la soluzione migliore-.
-Per quanto incredibile possa sembrare, sono d’accordo- borbottò Giulia, a bassa voce.
Vivevano lì da nemmeno ventiquattr’ore e già si ritrovavano a dover far fronte alla prima difficoltà.
Poteva dire che l’avventura fosse ufficialmente cominciata.
 
*
 
Giulia se ne stava seduta sul bordo del divano in salotto, lo sguardo attento e in allerta, pronta a captare qualsiasi segno che le facesse presupporre il peggio. Lanciò una veloce occhiata a Filippo, in piedi sulla soglia della stanza, e intuì solo guardandolo che anche lui era teso, sotto esame, il sorriso tirato che in realtà nascondeva una dose di gioia mista a paura di essere giudicato malamente.
Era una sensazione strana, quella che stava provando Giulia in quel momento, nell’osservare sua madre, sua sorella Ilaria con il suo compagno Ettore, e il fratello di Filippo avanzare in quella che era, ormai, a tutti gli effetti casa sua. Casa loro, sua e di Filippo.
Non si era mai chiesta prima come sarebbe stato essere in prima persona la padrona di casa, colei che invitava i propri parenti più cari per un pranzo in tranquillità; ora che si trovava in quell’esatta situazione le veniva quasi da ridere per l’incredibilità della cosa. Lei che invitava a pranzo sua madre e non più il contrario? Doveva ancora abituarsi alla sola idea, nonostante la stesse già mettendo in pratica.
E continuava a sentirsi tesa, nel tenere d’occhio lo sguardo critico di sua madre, mentre studiava attentamente la stanza in cui si trovavano tutti: era l’unica ad essere rimasta in piedi, mentre continuava a muoversi lungo la camera, gettando occhiate in ogni angolo. Giulia non si era sentita così agitata nemmeno al primo esame universitario, nemmeno alla maturità: sperava solamente che Anita si decidesse a dire finalmente qualcosa, interrompendo quel momento di muta aspettativa.
-Me lo aspettavo più grande questo appartamento- disse infine Anita, fermandosi di fronte a Giulia, e dando inevitabilmente le spalle a Filippo.
-Gli altri che avevamo visto erano tutti più o meno così, in fatto di grandezza- spiegò Giulia, cercando di sorridere il più possibile.
-Vi siete sistemati bene, in ogni caso- intervenne Fabio, che in quel momento era l’unico che sembrava davvero convinto di quel che stava dicendo. Se ne stava seduto su una delle poltrone accanto al divano, e subito dopo aver finito di parlare lanciò un sorriso mite sia a Giulia che a Filippo, incoraggiante.
-Sistemati bene? Ma se vivono in un disordine pazzesco!- replicò Anita, con fare quasi scandalizzato.
-Ma lascia loro un po’ di tempo che si sistemino, mamma- replicò Ilaria, in difesa della sorella e di Filippo. Giulia la ringraziò silenziosamente con un veloce sguardo d’intesa, ora meno agitata.
-Credo comunque che questa casa sia troppo piccola. E faticheranno comunque a tenerla pulita ed in ordine, anche quando vivranno qui già da un anno-.
-Lasciali fare, Anì, lasciali fare. Se la caveranno- liquidò facilmente il discorso Ettore, seduto tra Giulia ed Ilaria sul divano.
Anita non sembrava ancora del tutto convinta, ma rinunciò a fare qualsiasi altra osservazione simile sulla casa, e Giulia poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Almeno per ora poteva considerarsi più tranquilla.
-Comunque io e Giulia siamo pienamente convinti sulla scelta della casa- Filippo si fece avanti per la prima volta da quando i loro parenti erano entrati nell’appartamento, apparendo più timido di quanto non lo sarebbe stato in una qualsiasi altra occasione – È una bella zona, questa, e poi è comoda: siamo piuttosto vicino alla stazione di Santa Lucia, e questo non è certo un male. E poi due nostri amici abitano nel palazzo accanto, quindi nel caso avessimo bisogno di aiuto ... -.
-Chi vive nel palazzo accanto? Due vostri amici?- lo interruppe repentinamente Anita, spingendo Filippo a bloccarsi completamente, confuso e incapace di capire bene quale fosse il problema.
-Alessio e la sua ragazza- spiegò Giulia, dubbiosa sul fatto che sua madre ricordasse anche solo vagamente dell’esistenza di un suo amico con quel nome, ma decisa a dimostrare che non c’era nulla da temere – È delle nostre parti anche lui, lo conosciamo da anni-.
-Spero solo non vi venga in mente di far feste fino a tarda notte con questi vostri amici del palazzo accanto- borbottò Anita, ancora poco convinta.
-Questo non lo escluderei in ogni caso- si ritrovò a sussurrare Filippo, in un fil di voce che non venne udito da nessun altro.
Giulia si ritrovò a scuotere il capo, impercettibilmente: erano solo l’inizio, e la tentazione di volersi sotterrare era già piuttosto forte.
 


-Tutto ottimo, davvero!- esclamò Fabio, un sorriso soddisfatto stampato in viso, mentre posava la forchetta sul tovagliolo.
Giulia cercò di ricambiare il sorriso, sollevata almeno un po’ per non aver ricevuto altri commenti negativi anche sul pranzo. In casa non avevano ancora granché – sarebbe dovuta andare a fare la spesa il prima possibile, ma di certo il giorno prima le era stato del tutto impossibile-, e aveva dovuto inventarsi qualcosa quella mattina in tutta fretta, per non rischiare di lasciare tutti a bocca asciutta e con il piatto vuoto.
Il risultato, comunque, non le sembrava essere stato così scarso: nessuno si era lamentato, e nemmeno sua madre si era presa la briga per contraddire Fabio.
Poteva ritenersi soddisfatta.
-Non ho avuto molto tempo per preparare un pranzo più elaborato di così, per questo vi siete dovuti accontentare di questo- disse Giulia, guardando uno ad uno i commensali seduti attorno alla tavola.
-Non è un problema, direi- la rassicurò a sua volta Ilaria.
-È come ha detto Giulia, ieri abbiamo avuto a malapena il tempo per respirare- confermò Filippo, accarezzando piano il braccio di Giulia, seduta di fianco a lui – È stata una giornata lunga. Siamo crollati sul letto a dormire prima delle undici, figuriamoci-.
-Davvero avete dormito?- Fabio rivolse al fratello minore uno sguardo stupito ed incredulo, che si trasformò subito in un’espressione maliziosa, non appena Filippo gli ebbe lanciato di rimando un’occhiata fulminante – Insomma, sono fermamente convinto che prima o poi ti beccherai una denuncia dai tuoi vicini di casa per rumori notturni molesti, ma se mi dici così ... -.
-Ma non puoi tenere la bocca chiusa?- sbottò Filippo, rosso in viso come non mai.
Giulia non cercò nemmeno di ribattere, ben conscia di essere arrossita vistosamente a sua volta, ed altrettanto consapevole di avere gli occhi di tutti puntati su di sé e Filippo.
-Denuncia per rumori notturni? In che senso?- domandò sconvolta Anita, spostando febbrilmente lo sguardo da Fabio a Filippo ed infine a Giulia.
-Dai, mamma, non indagare nei loro affari- liquidò la questione Ilaria, cercando di distrarre sua madre dal fare altre domande.
-Ma volevo solamente capire- si giustificò Anita, e Giulia si ritrovò a sperare vivamente che la questione potesse essere chiusa lì. Ilaria frantumò quelle sue speranze in poco più che qualche secondo:
-Ma sì, dai, hanno più di vent’anni e stanno insieme da sei anni, è ovvio che non si limitino più ai baci da un bel po’-.
Giulia abbassò automaticamente lo sguardo, del tutto intenzionata a non incrociare lo sguardo di nessun altro. Non riusciva a vedere in viso nemmeno Filippo, ma era certa che anche lui si trovasse nella stessa situazione di incredibile imbarazzo.
-Cosa?- mormorò più tra sé e sé Anita, probabilmente ancor più sconvolta di prima – Non si dovrebbe fare, non prima del matrimonio!-.
-Questo accadeva cent’anni fa-.
Anita sbuffò, e Giulia provò ad alzare un attimo lo sguardo, incuriosita: si sarebbe aspettata di vedere sua madre ben più scandalizzata, ma non le sembrava troppo arrabbiata. Non più di quanto si sarebbe aspettata.
-Certe cose preferisco non saperle, in ogni caso- riprese Anita, prima di prendere in mano il proprio bicchiere e bere un sorso d’acqua – Chiudiamo qui questo discorso-.
Giulia tirò l’ennesimo sospiro, sentendosi già meglio nel sentire sua madre dire così. Nulla le impedì di rivolgere ad Ilaria e Fabio un’occhiata torva; ebbe in risposta solamente una linguaccia da sua sorella ed un sorriso beffardo da parte dell’altro.
Lanciò un’ulteriore occhiata a Filippo, ancora in religioso silenzio tanto da sembrare ormai assente. Non si meravigliò molto nel trovarlo completamente rosso in viso, ancora nell’imbarazzo più totale. Nel vederlo in quello stato Giulia non poté trattenersi dal ridere: una risata isterica, ma pur sempre divertita.
All’occhiata minacciosa di Filippo rise ancor più forte, il cuore più leggero di quanto non si sarebbe aspettata fino a qualche attimo prima.


 
-Hai già deciso dove fare il rinfresco per la laurea?-.
-Mamma!- Giulia quasi urlò, ben intenzionata a non aprire un discorso su un tema che, da un po’ di mesi a quella parte, la tormentava fin troppo – Non so nemmeno a che ora ci sarà la proclamazione, sempre se ci sarà, e vuoi che pensi già a dove fare il dannato rinfresco?-.
Tirò un sospirò pesante ed infastidito. Aveva a malapena iniziato a scrivere la tesi, ancora nutriva dei forti dubbi sul fatto di potersi laureare nell’appello di giugno – l’ottimismo, per quanto riguardava la laurea, era del tutto off limits per lei-, e sua madre veniva a chiederle del rinfresco? In quel momento, per quanto cercasse di sforzarsi, a malapena riusciva ad immaginarsi con la sua tesi finita e pronta per la sua proclamazione. Il rinfresco era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri.
-Bisogna organizzarsi per tempo con queste cose- insistette Anita, come se niente fosse – Devi scegliere l’abito, organizzare gli inviti, prenotare un bel posto ... È  un po’ come preparare un matrimonio, un matrimonio in miniatura-.
“Ci mancava solo il matrimonio” si ritrovò a pensare Giulia, cercando di trattenersi dal dire qualunque cosa.
Ormai era quasi sera, e non ne poteva più di quella giornata: tra situazioni al limite della vergogna e dell’imbarazzo incredibile, e gaffes a non finire, erano ormai due ore che stava cercando di trattenersi dal buttare tutti fuori da casa sua. Non le era venuta in mente nessuna scusa adatta per far capire ad Anita, Ilaria, Ettore e Fabio che era ora, per lei e Filippo, di rimanere un po’ soli. Non avrebbe voluto risultare sgarbata, né particolarmente infastidita, ma in quel momento avrebbe solamente desiderato un po’ di sana calma dopo due giorni pieni di stress.
A distrarla dai suoi pensieri fu il campanello: qualcuno aveva appena suonato alla loro porta.
-Aspettavate qualcuno?- domandò Ettore, interrompendo Anita, che stava ancora parlando di quanto fosse difficile organizzare eventi come le lauree e i matrimoni.
-A dire il vero no- rispose Filippo, piuttosto disorientato. Lanciò un’occhiata confusa a Giulia, che ricambiò allo stesso modo con uno sguardo perplesso: non aveva idea di chi potesse essere, se non qualcuno che aveva sbagliato appartamento.
-Andiamo a vedere- propose lei, alzandosi dal divano e facendo cenno a Filippo di seguirla vero la porta d’ingresso. Lasciarono il salotto, dove si erano di nuovo tutti abbarbicati, ed imboccarono velocemente il corridoio che portava all’entrata; pochi secondi dopo Filippo aprì la porta, e Giulia non poté fare a meno di trattenere un moto di sorpresa nel ritrovarsi davanti agli occhi Alessio.
-E tu che ci fai qui?- gli domandò, senza nemmeno dargli il tempo di parlare.
-Ciao anche a te, Giulia- Alessio le rivolse un sorriso sarcastico, che non scomparì nemmeno dopo l’occhiataccia che gli rivolse lei – Comunque io sto bene, grazie per avermelo domandato. E voi? Avete già iniziato a lanciarvi dietro i piatti o c’è calma piatta in casa vostra?-.
-Fai poco lo spiritoso, biondo- lo fulminò Giulia.
-Non ci aspettavamo una tua visita così presto- la interruppe Filippo, sorridente. Sembrava quasi contento di rivedere almeno una faccia conosciuta ed amica, in quel momento.
-Sì, immagino, ma ho preferito improvvisare- il sorriso di Alessio si ammorbidì, lasciando da parte il tono ironico iniziale – Sono solo passato per darvi il benvenuto come ...  Vostro nuovo vicino di palazzo? È un po’ orrendo dire così, ma tant’è ... -.
-Come sei tenero, Raggio di sole- gli sorrise Giulia, trattenendosi a stento dallo scoppiargli a ridere in faccia dopo lo sguardo in cagnesco che le rivolse Alessio – Passi dall’isteria alla dolcezza con una semplicità invidiabile-.
Alessio la guardò malamente ancora per qualche secondo, prima di prendere un respiro profondo, schiarirsi la voce e riprendere a parlare come se niente fosse:
-Avete già gente in casa o è solamente un segno della mia pazzia il fatto che senta delle voci provenire dall’interno?-.
-Mio fratello, sua madre, sua sorella e suo cognato- spiegò frettolosamente Filippo, assumendo un’aria stanca e contrita – Li avevamo invitati, e sono qui da stamattina. Non equivocare, non è che non mi faccia piacere vederli, ma ... -.
-Siamo andati in pari in un’unica giornata con le gaffes dei prossimi dieci anni- concluse Giulia, annuendo rassegnata all’indirizzo di Alessio – E non sappiamo come liberarcene per restare un po’ tranquilli e da soli in casa-.
-Non vi invidio per niente- annuì a sua volta lui, lanciando un’occhiata incuriosita verso l’interno dell’appartamento: Giulia avrebbe giurato di aver appena sentito sua madre dire qualcosa, a voce fin troppo alta, al riguardo di un qualche matrimonio. Decise di non indagare ulteriormente, una volta rientrata in salotto, troppo stanca di ritrovarsi invischiata in argomenti di cui non avrebbe voluto parlare proprio in quei giorni.
L’arrivo di Alessio era stata un’ottima occasione per potersi allontanare indisturbata dal salotto almeno per qualche minuto, ed evitare ulteriori situazioni in cui avrebbe voluto seppellirsi volentieri sotto il pavimento; ciò non toglieva che, di lì a poco, sarebbe dovuta tornare insieme a Filippo nella gabbia di matti quale era diventato il loro appartamento quel giorno. Sapeva che prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciando finalmente lei e Filippo in pace, ma il non sapere quanto ancora quella situazione sarebbe durata non la lasciava affatto serena.
A meno che ...
-Comunque, se volete posso ripassare in un altro momento. Magari un giorno in cui Alice non lavora- disse proprio in quell’istante Alessio, sulla cui figura Giulia aveva già puntato gli occhi.
-Ci farebbe piacere- gli sorrise nuovamente Filippo. Alessio era già in procinto di allontanarsi, quando Giulia, in uno slancio che nemmeno lei si sarebbe aspettata, lo afferrò per un braccio strattonandolo indietro. Non gli dette nemmeno il tempo per dire qualcosa, o anche solo per realizzare ciò che stava facendo, che lo trascinò di forza all’interno dell’appartamento.
-Ma che fretta hai di andare?- esclamò lei, concitata – Vieni, ti offriamo qualcosa-.
Fece segno a Filippo, in silenzio e stranito, di chiudere la porta, mentre cercava di trascinare ancora Alessio lungo il corridoio della casa.
-Ma che ti prende?- domandò lui, sorpreso, piantando i piedi a terra e impedendo a Giulia di muoverlo ancora.
-Nulla, che dovrebbe prendermi?- replicò Giulia, innocentemente – Voglio solo offrirti un caffè! O un thè, o quel che vuoi. Sempre se quello che vuoi lo abbiamo in casa-.
Alessio non disse altro, limitandosi a scuotere il capo e borbottando un seccato “Tu non me la racconti giusta”. Non si lamentò in ogni caso, e seguì Giulia lungo il corridoio in silenzio, senza opporre alcuna resistenza.
Giulia a stento trattenne le risate, mentre camminava decisa e sicura lungo il corridoio, ignorando gli sguardi di Alessio e Filippo che si sentiva addosso. Arrivò sulla soglia del salotto in pochi attimi, ed un sorriso diabolico le si disegnò in faccia: il suo piano per far sloggiare i parenti da casa sua avrebbe sicuramente funzionato.
-Avete scoperto chi era?- domandò subito Fabio, non appena Giulia entrò nella stanza, precedendo di pochi secondi Filippo ed Alessio.
-Il nostro nuovo vicino di palazzo, appunto- fece lei, girandosi finalmente verso gli altri due, ancora sulla soglia della stanza. Filippo sembrava ancora piuttosto confuso, probabilmente ancora ignaro dei suoi intenti; Alessio, nel guardarsi intorno e trovandosi di fronte ad Anita, Ilaria, Ettore e Fabio, riuscì a malapena a nascondere il proprio imbarazzo e il suo disagio, oltre che ad una buona dose di disorientamento.
-Ah, l’amico delle feste clandestine in piena notte?- ribatté Ettore, lanciando un’occhiata divertita ad Anita, che sembrava star analizzando a fondo Alessio, tenendogli gli occhi addosso – Per un attimo ho pensato fosse il tuo amante, invece-.
Il sorriso di Giulia si gelò per un secondo, nel più totale imbarazzo. Si rese conto di essere appena arrossita, e quasi istintivamente si era girata verso Alessio, notando che anche le sue gote si erano imporporate, le lentiggini del viso che si facevano sempre più visibili. In quel momento, anche solo immaginarsi con Alessio in quel senso, la fece rabbrividire di sorpresa.
-È venuto a salutarci, a vedere come stavamo nella nuova casa. Comunque, lui è Alessio- Filippo prese le redini della situazione in mano, parlando per la prima volta dopo diversi minuti. Anche lui, notò Giulia, non sembrava esattamente a proprio agio, ma riusciva a nascondere l’insicurezza dietro ad un ritrovato sorriso gentile e ai modi di fare spontanei. Era decisamente un migliore attore di lei ed Alessio messi insieme.
-Sì, esatto. Ero solo passato per un saluto- confermò Alessio, dopo essersi schiarito la voce con fare impacciato – Non avrei voluto interrompere la riunione famigliare in corso, ma non sapevo che Giulia e Filippo non fossero soli-.
-Questo non è un problema, conoscere gli amici di mia figlia è sempre un vantaggio- gli rispose Anita, accennando finalmente un sorriso.
-No, infatti, non è assolutamente un problema- si intromise Giulia, afferrando la palla la balzo e recuperando un po’ della sua spigliatezza – E poi ci fa sempre piacere ricevere certi inviti da parte dei nostri amici-.
Lo sguardo di Alessio e Filippo si fece allibito, ancor più confuso di prima; Giulia non dette loro nemmeno il tempo di replicare qualsiasi cosa, che riprese velocemente a parlare:
-Insomma, è stata una cosa davvero carina da parte di Alessio invitarci a cena da lui stasera- spiegò Giulia, studiando attentamente il volto dell’amico, e notando il cipiglio sempre più minaccioso – L’unico problema è che, dato il poco preavviso avuto, io e Filippo dovremo sbrigarci a prepararci e a sistemare alcune cose in casa. Non vi dispiace anticipare un po’ la partenza, vero?-.
Per un attimo tutti rimasero spiazzati. Solo Filippo sembrava, in fin dei conti, sollevato e compiaciuto; Alessio non aveva contraddetto Giulia, ma nulla gli impediva di continuare a guardarla con occhi torvi e assottigliati.
-Beh, se le cose stanno così ... – iniziò Anita, la prima a parlare – Effettivamente siamo rimasti per parecchie ore, quindi direi che possiamo anche andare-.
Giulia cercò di non darlo a vedere, ma quella era esattamente la risposta che stava aspettando e nella quale sperava ardentemente.
Si ritrovò ad annuire, cercando di trattenere il sorriso ancor più aperto che rischiava di nascerle in viso; il fatto che il suo piano avesse funzionato la rendeva quasi euforica.
Nei quindici minuti seguenti si ritrovò ad abbracciare sua madre, Ilaria e Ettore, ed infine anche Fabio; cercò di tranquillizzare sua madre e di dirle che sarebbe andato tutto bene, annuendo a qualsiasi consiglio che lei stava cercando di darle anche giusto pochi secondi prima di uscire di casa.
Quando finalmente Filippo richiuse la porta d’ingresso e il silenzio piombò nell’appartamento, Giulia tirò un lungo sospiro: anche quella giornata poteva dirsi finita.
-E così dovevi offrirmi un caffè, vero?-.
Giulia quasi non si era accorta dell’avvicinarsi di Alessio, che, quatto e silenzioso, si era fatto vicino a lei e Filippo.
-Avevo come la sensazione che ci dovesse essere un doppio fine per invitarmi così caldamente dentro casa-.
-Ma come sei malfidente, Raggio di sole! Il caffè te lo offro ora, no?- lo prese in giro Giulia, portando una mano ai capelli biondi dell’altro e scompigliandoglieli completamente – Comunque l’invito a cena a casa tua è sempre valido. Che ci offri come menu?-.
Giulia se ne andò verso la cucina ridendo, e anche se non poteva vederli in faccia, riusciva a immaginarsi perfettamente il volto divertito di Filippo e la faccia completamente sconvolta di Alessio.
In fin dei conti, nonostante tutto, quella giornata non sembrava essersi chiusa malamente.
 
*
 
Caterina storse la bocca all’ennesima fitta alla schiena, lanciando mentalmente maledizioni a quei dannati scatoloni troppo pesanti. Aveva sempre pensato che Nicola avesse troppi libri dell’università in casa, ed ora ne aveva la conferma: prima o poi glieli avrebbe bruciati solo per non doverli trasportare da un appartamento all’altro, e per salvare la propria schiena.
Mollò lo scatolone in un angolo della stanza di Nicola, rimettendosi dritta a fatica. Nonostante ancora molte delle cose di Nicola non fossero state ancora messe via, inevitabilmente l’aspetto della camera era più spoglio del solito: c’erano più spazi vuoti sulle mensole dello scaffale, la scrivania che sembrava addirittura più ordinata ora che mancavano diverse cose solitamente poggiate sulla superficie.
Non ci avrebbero messo ancora molto a finire quel lavoro di riordino e di riempimento di scatoloni e valigie, e al solo pensiero Caterina non sapeva bene come sentirsi. Di sicuro era sollevata dal fatto che, entro la fine del mese, quando i nuovi inquilini avrebbero preso posto nell’appartamento, Nicola sarebbe potuto venire a stare da lei: non era entusiasta di dover passare gran parte delle notti da sola, ora che Giulia era andata a vivere altrove. Si sentiva come esposta, e ad ogni minimo rumore non faceva altro che scattare, tesa come se avesse sentito la porta d’ingresso spalancarsi. Marzo era iniziato solo da pochi giorni, e si stava prospettando per lei come uno dei periodi più carichi di stress di sempre. Stress che, a ben vedere e quasi miracolosamente, non sembrava toccare minimamente Nicola.
Caterina si diresse verso il divano che si trovava nella piccola sala da pranzo, buttandovisi sopra con movimenti veloci e che tradivano un po’ della sua stanchezza. Aveva troppe cose per la testa: il trasloco, la tesi da iniziare a scrivere, gli ultimi esami da dare per potersi laureare a giugno ... Cominciava a sentirsi scoppiare.
-Va tutto bene?- la voce di Nicola la raggiunse dalla cucina, dove se ne stava già da un po’ di tempo per pulire e riordinare. Doveva averla sentita camminare velocemente, in maniera fin troppo nervosa per lasciare presagire che non ci fosse nulla che non andasse.
-Sono solo stanca. Hai davvero troppe cose in questa casa- esclamò Caterina, alzando appena la voce per poter farsi udire dall’altro.
“E pensare che è già mezza vuota, visto che Filippo se ne è già andato”.
Nicola non le rispose. Sentì invece i suoi passi avvicinarsi sempre di più, dalla cucina verso la sala da pranzo. Dopo pochi secondi Caterina vide il viso pallido e i capelli biondi insolitamente scompigliati di Nicola far capolino sulla soglia; la tenne osservata, mentre le si avvicinava fino ad arrivarle di fronte.
-In realtà non credo di aver ancora troppe cose da inscatolare- disse lui, serio e pensieroso – Se continuiamo a questo ritmo in pochi giorni avremo finito-.
-Giusto in tempo perché tu non debba fare il terzo incomodo ai nuovi venuti- borbottò Caterina, chiudendo per un attimo gli occhi e godendosi la sensazione di relax che la pervadeva stando stesa sul divano.
-È un’impressione mia o lo hai detto come se fosse una disgrazia?-.
Caterina aprì di scatto gli occhi, ritrovandosi di fronte il viso di Nicola: più che offeso, sembrava letteralmente divertito. Per qualche attimo si domandò se tutti i preparativi del trasloco non gli avessero dato definitivamente alla testa, prima di alzarsi e mettersi a sedere, continuando a guardarlo con aria stranita:
-Mi stai prendendo in giro, per caso?-.
-Cosa te lo fa mai pensare?-.
-La faccia da schiaffi che hai in questo momento-.
Nicola prese a ridere, più allegro di quanto Caterina non l’avesse mai visto: erano stati pochi i momenti in cui Nicola era stato così di buonumore, e nessuno di quelli era collegabile ad un momento di stress e fatica come quello.
Il mondo cominciava a girare in modo strano.
-Comunque parlavo seriamente- riprese lui, sedendosi lentamente accanto a Caterina, e voltandosi subito verso di lei – Non mi sembravi troppo entusiasta-.
-Non è che non lo sono- mormorò di nuovo Caterina, tirando un sospiro – È che non so come considerare questa situazione. Se in maniera positiva o negativa-.
-Se devi considerarla in maniera negativa forse è meglio ... - .
-No, non pensare male- lo interruppe, prima che Nicola potesse continuare a parlare ed equivocare ciò che stava cercando di dire – Non intendo negativa nel senso che ognuno dovrebbe rimanere a casa propria-.
-E allora in che senso?-.
Caterina trasse l’ennesimo respiro profondo, mentre cercava con tutte le sue forze di evitare di incrociare gli occhi limpidi di Nicola. Si morse il labbro inferiore, d’un tratto indecisa se continuare quel discorso: si sentiva un po’ stupida per tirare fuori quei dubbi proprio in quel momento. Forse Nicola, che per il momento sembrava così accomodante, non avrebbe nemmeno reagito bene; d’altra parte, però, in quel tipo di situazioni la sincerità veniva prima di tutto.
Forse non avrebbe dovuto tirarsi indietro, dopotutto.
-Nel senso che voglio essere sicura che non stiamo correndo troppo velocemente- spiegò Caterina, a tratti balbettando, e tenendo ancora lo sguardo fisso davanti a sé, nonostante si sentisse addosso gli occhi dell’altro – Insomma, solo perché sia Giulia che Alessio son andati a convivere non vuol dire che dobbiamo farlo in fretta e furia anche noi-.
-Veramente sei stata tu a dire che dovevo sbrigarmi a trasferirmi da te. Lo avrai ripetuto mille volte solo negli ultimi due giorni- ribatté Nicola, e Caterina quasi si stupì nel notare nella sua voce una vena d’ironia scherzosa. Cominciava a prendere seriamente in considerazione l’idea che a Nicola fosse venuto a mancare il suo solito freddo raziocinio.
-Lo ammetto, ma forse ti ho messo fretta perché non riesco a stare tranquilla a vivere da sola. È così grande per me, quell’appartamento, ora che Giulia se n’è andata- tentò di giustificarsi Caterina, sentendosi sempre più in imbarazzo. Effettivamente Nicola non aveva tutti i torti: cominciava a contraddirsi da sola solamente per tutti i dubbi che cominciavano ad assalirla.
-Quindi, per riassumere: vorresti che venissi a stare da te il prima possibile, ma allo stesso tempo vuoi fare le cose con calma. Lo sai, vero, che le due cose sono l’una il contrario dell’altra e che non sono possibili entrambe allo stesso tempo?-.
-Grazie per avermi illuminato con la tua immensa saggezza-.
-Vuoi il mio parere personale?- Nicola cercò di trattenere le risate, ma nulla gli impedì di sorridere nuovamente, accantonando per un po’ l’aria fredda e distaccata di sempre – Secondo me sei solamente troppo ansiosa-.
-Lo immaginavo- sospirò Caterina, finendo per sorridere a sua volta. Si decise a voltarsi verso Nicola, appoggiando piano il capo sulla sua spalla. Cominciava già a sentirsi un po’ meno insicura, almeno in quell’attimo, cullata dal profumo famigliare e dal calore del corpo dell’altro.
-Non sei contenta all’idea che andremo a vivere nell’appartamento che avevi visitato per la prima volta con me, quasi tre anni fa?- le domandò Nicola, abbassando il tono di voce e passandole un braccio attorno alle spalle, come per tenersela più vicina.
-Fa un po’ strano pensarci, a dire il vero. E sembra essere passato un secolo, da quel giorno-.
-Lo sembra davvero-.
Caterina non rispose; chiuse gli occhi per qualche secondo, limitandosi ad assaporare quella sensazione di sicurezza e protezione che da un po’ di tempo a quella parte riusciva ad associare unicamente a Nicola. Se lo ricordava bene il giorno di tre anni prima in cui avevano visitato quell’appartamento. Si ricordava benissimo della tensione che covava tra lei e Nicola, quando ancora erano separati, quando ancora non se la sentiva di riavvicinarlo come avrebbe voluto, e come sarebbe successo solo un mese più tardi.
Era davvero passato un sacco di tempo, da quel giorno. Tre anni prima non avrebbe scommesso una singola moneta su un loro futuro del genere, come stava avvenendo nel loro presente; in quei giorni, nel parlare della loro prossima convivenza, le ombre della loro rottura sembravano essere distanti quanto non lo erano mai state prima.
-Andrà tutto bene- riprese d’un tratto Nicola, accarezzando piano la schiena di Caterina –E poi, una volta andati a vivere insieme, non resteremo soli tanto a lungo-.
Caterina si tirò su di scatto, puntando gli occhi verso Nicola e guardandolo con aria minacciosa:
-Mi stai dicendo che vuoi un cane o che ti hanno assalito insani istinti paterni?-.
-Perché, tu non vuoi figli dal sottoscritto?- Nicola la guardò sorridente, forse più per cercare di tenerla calma, che non per reale divertimento.
Caterina lo guardò male ancora una volta, prima di afferrare un cuscino dal divano, buttarglielo in faccia ed alzarsi definitivamente.
-E poi sono io che ti metto fretta nel fare le cose, vero, Tessera?-.
 
*
 
L’aria di metà marzo si era fatta più tiepida, mite in una maniera insolita per quel periodo dell’anno. Sembrava quasi che la primavera fosse arrivata con quasi un mese d’anticipo, almeno nelle giornate soleggiate. Gli alberi erano ancora spogli, privi di gemme che sarebbero sbocciate di lì a qualche settimana, ma qualcosa nell’aria sembrava essere già cambiato.
A Caterina Venezia sembrava diversa dal solito, mentre la osservava distrattamente dalla finestra della piccola sala da pranzo: le pareva più viva, limpida e meno caotica. Probabilmente era solo una sua sensazione, forse dettata dal fatto che, in quei giorni, anche New York le sarebbe parsa meno caotica rispetto al suo appartamento.
Mancava solo una settimana all’arrivo definitivo di Nicola, che avrebbe passato gli ultimi giorni di sempre in quello che si accingeva a diventare il suo ex condominio. Caterina tirò un sospiro sconsolato: i pochi nuovi mobili che avevano comprato pochi giorni prima sarebbero arrivati in ritardo, ed inevitabilmente si sarebbero dovuti accontentare di vivere in quella casa come se fossero stati in campeggio.
Caterina si era ritrovata a sperare mille volte che quello non fosse solo il primo intoppo di tanti altri.
Si decise a voltare le spalle alla finestra, raggiungendo Giulia al tavolo: stava finendo di bere il suo caffè, e bevuto anche l’ultimo sorso, portò gli occhi su Caterina, mentre le si sedeva di fronte.
-Fa strano tornare qui da ospite- disse Giulia, un’espressione malinconica dipinta in viso – Sono passate a malapena due settimane, e sono già cambiate così tante cose-.
-Ci farai il callo, prima o poi- replicò Caterina. In verità stava vivendo lei stessa quella sensazione: tutto stava cambiando in un battito di ciglia, e cominciava a dubitare di essere in grado di stare dietro a tutti quegli eventi così veloci e così radicali.
-Quando tu e Nicola vi sarete sistemati un po’, siete obbligatoriamente invitati a cena da me- riprese Giulia, d’un tratto più allegra e vivace. Sembrava essersi ripresa subito dal momento nostalgico che aveva avuto fino a pochi attimi prima.
-Credo che, in questo caso, ci vorrà un bel po’ di tempo- sospirò Caterina, rassegnata – Forse entro aprile ce la faremo-.
-Come sei pessimista-.
-Parla colei che ha smesso giusto un secondo fa di lamentarsi per il primo weekend passato nella sua nuova casa dopo essersene lamentata per settimane intere-.
-Ti saresti lamentata tanto anche tu se fossi stata al mio posto- si giustificò Giulia, scuotendo il capo rassegnata – Quando finisci per fare delle figure imbarazzanti con i parenti in casa tua, ecco ... In quei momenti prendi la decisione di non invitare più alcun parente da te per il resto della vita. Nossignore, mia madre in casa mia non ci metterà più piede per molto tempo ancora- .
-E fu così che la invitasti da te il weekend dopo- la prese in giro Caterina, ricevendo come risposta un’occhiataccia da Giulia.
-Forse la inviterò a giugno, il giorno della proclamazione. Ma fino a quel momento se lo scorda, non ho la minima intenzione di sentirmi domandare ogni volta come va con la tesi e con gli ultimi esami-.
-Evitiamo l’argomento, per favore. Giugno sarà un mese infernale- gemette Caterina. Il solo pensiero che di lì a qualche mese le attendeva la laurea non faceva altro che mandarla ancora più in crisi, facendola sentire impreparata e ancor più in ansia di quel che era già.
-Comunque, continuo a sentirmi agitata- borbottò di nuovo Caterina, torturandosi le mani sopra la superficie del tavolo nervosamente, anche se non era la prima volta che ne parlava con Giulia – erano circa due settimane che glielo ripeteva in continuazione, anche se nell’ultima non aveva avuto molte occasioni per ricordarglielo ancora una volta.
-È ovvio che tu lo sia, te l’ho detto. Sarebbe più strano il contrario-.
-Te l’ho detta l’ultima novità di Nicola?- la interruppe Caterina, lasciando Giulia corrucciata e confusa, senza capire dove stesse andando a parare. Ridacchiò istericamente, mentre già si immaginava la faccia stupita che Giulia, probabilmente, avrebbe avuto tra pochi attimi.
-Ha detto letteralmente “una volta andati a convivere, non resteremo soli tanto a lungo”. Tutti questi cambiamenti devono avergli dato alla testa-.
-La più grande gufata di sempre, direi- replicò Giulia, trattenendosi a stento dal ridere – Si spera almeno che, visto gli eventi di quattro anni fa, se mai dovesse succedere davvero, non la prenda altrettanto male-.
Caterina si ritrovò ad annuire piano, silenziosamente. Quando Nicola aveva detto quella frase non aveva ripensato a quel periodo. Difficilmente ci pensava, ormai.
Era una sorta di atteggiamento di difesa, il suo, per non permettere che certi tormenti e rimpianti tornassero a farle visita anche dopo anni. Non ci pensava, e andava bene così: quei tempi sembravano ormai sfumati e lontani, anche se, come in quel momento, si rendeva conto che potevano ancora far male.
-Non rigirare il coltello nella piaga- sbuffò, distogliendo per qualche secondo gli occhi, per poi riportarli su Giulia. La vide annuire e mordersi il labbro inferiore, in un muto gesto di scuse.
-Comunque, se proprio si annoia a rimanere da solo con me- riprese lei, cercando di sviare la conversazione – Posso sempre regalargli un cane-.
-Oh, non serve- intervenne Giulia. Un sorriso malizioso sempre più evidente le comparve in viso, e tanto bastò a Caterina per capire dove stesse andando a parare:
-Basta fare un giretto al primo sexy shop della città e ... -.
-Ma tu non pensi ad altro?- Caterina la guardò rassegnata, come se la risposta fosse piuttosto evidente.
-I frutti della convivenza. Capiterà anche a te tra poco-.
Caterina la stette a guardare per alcuni secondi, prima di cominciare a scuotere il capo. Sentì Giulia ridere sfrontatamente, mentre si alzava per portare nel lavabo della cucina.
Tirò un sospiro, l’ennesimo tirato negli ultimi giorni; cominciava seriamente ad avere delle brutte sensazioni per le prossime settimane.
Cattivi presagi che si stavano facendo sempre più presenti.
 






NOTE DELLE AUTRICI
Sono trascorse un paio di settimane dall'ultimo capitolo (sia nella realtà che nei tempi letterari, a quanto pare) e Giulia e Filippo hanno finalmente raggiunto il loro nuovo nido d'amore! Ebbene sì, i nostri amati piccioncini si sono ufficialmente trasferiti e questo evento porta con sé qualcosa: responsabilità, inviti e inaugurazioni con amici e parenti... E purtroppo per loro anche numerose scene comiche e imbarazzanti (dipende tutto dal punto di vista, alla fine🤭).
Se le cose in casa Barbieri-Pagano stanno andando tutto sommato bene, a qualche settimana di distanza, invece, ritroviamo Caterina e Nicola nell'analoga esperienza pre convivenza, e al momento sembra quasi che lo stress prevalga su qualsiasi emozione positiva.
Questo capitolo, in apparenza, può sembrare breve e meno ricco di eventi chiave, soprattutto se paragonato ad altri capitoli, ma ha in realtà un sua importanza strategica: per quanto capitolo di passaggio possa essere, ci farà da trampolino di lancio per introdurre le storylines che coinvolgeranno e travolgeranno i nostri protagonisti da qui in avanti. Siete curiosi di sapere cosa riserverà loro il futuro? Avete già qualche idea o sospetto?
Per iniziare a placare la vostra curiosità vi diamo appuntamento a mercoledì 24 novembre per un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 
 



 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - London rain ***


CAPITOLO 7 - LONDON RAIN



 
 
Non potrei addormentarmi meglio se c'è
Il rumore della pioggia fuori e dentro di me
Punto e a capo si riparte come sempre direi
Sputtanando le ansie se ci riesco
E ci penso a tormentarmi già abbastanza
L'odore dell'acqua sulla strada passa

Urlo tanto, mi dispiace, certe notti lo vorrei
stare altrove, più lontano da questa blu London rain [1]

 
La sensazione di umido e freddo pungente attanagliò Alessio, la stessa percezione che lo stava accompagnando sin dalle prime ore di quella mattina. Si strinse maggiormente nella giacca a vento, pentendosi amaramente di essersi scordato i guanti: trascinare la valigia con le mani esposte al gelo di fine inverno gli sembrava una delle peggiori torture.
Alzò gli occhi al cielo mentre continuava a camminare, Alice che lo precedeva di poco e che si muoveva con passi altrettanto lenti, come a voler allungare la durata di quel piccolo tragitto a piedi. Era ancora plumbeo, il cielo sopra Londra, carico di nuvole grigie che minacciavano da un momento all’altro di ricominciare a piovere. Aveva smesso da appena qualche minuto, e Alessio riusciva quasi a trovare famigliare l’odore della pioggia caduta sul cemento umido: erano anni che non metteva piede in quella città, ma poco sembrava essere cambiato. Si sentiva sempre allo stesso modo: bagnato dalla pioggia, infreddolito, e tremendamente affascinato da quei paesaggi grigi e velatamente cupi che lo circondavano.
Quando quella mattina erano atterrati a Heathrow l’atmosfera era più tetra di quanto ricordasse: pioveva, a tratti sembrava quasi tempestasse, e Alessio si era ritrovato a sbattere i denti per il freddo appena sceso dalla scaletta dell’aereo, tentando di non mollare la presa sul proprio ombrello, nonostante il vento. Aveva rimpianto immensamente Venezia, dove sembrava che la primavera avesse anticipato il suo arrivo, con le sue giornate calde delle ultime settimane.
Lì in Inghilterra, invece, non c’era nulla per cui sentirsi anche solo vagamente felice: era in ansia, c’era troppo gelo, aveva piovuto come aveva visto poche volte in vita sua. E c’era qualcosa, nonostante tutto, che lo spingeva a trovare Londra intrigante e seducente allo stesso tempo: era il fascino tipico inglese che subiva da sempre, sin da quando aveva per la prima volta messo piede in quella terra straniera, quasi dieci anni prima in gita scolastica. Londra lo stremava e gli faceva perdere la testa, come se fosse possibile e naturale unire sensazioni a tratti antitetiche.
Nella mezz’ora che avevano passato in metropolitana non aveva staccato gli occhi dai finestrini. Vedeva poco, colpa delle gocce di pioggia che cadevano sulla superficie di vetro, ma non era riuscito a farci nulla: era stato come un qualcosa di magnetico, come se ciò che gli stava intorno lo avesse costretto a tenere lo sguardo fisso verso quel paesaggio lugubre e unico.
Anche in quel momento, mentre si allontanava sempre di più dalla stazione di Kensington Olympia, seguendo Alice che si muoveva a passo sicuro in quelle vie eleganti e austere, Alessio non poteva fare a meno di osservare ciò che gli si presentava alla vista.
Era intuibile che la famiglia di Alice non doveva passarsela male economicamente anche solo tenendo conto del quartiere in cui erano finiti: Kensington appariva come un’isola per ricchi rifugiatisi lontani dai quartieri più degradati dell’East End. L’atmosfera sembrava essersi fermata alla fine dell’Ottocento, con tutte quelle case vittoriane costruite l’una accanto all’altra. Grandi, eleganti, maestose e bianche: case adatte solamente alla borghesia benestante della città.
-Ci siamo quasi- lo distrasse Alice, voltandosi verso di lui velocemente e lanciandogli un sorriso incoraggiante. Sembrava anche lei un po’ in ansia, e ad Alessio parve davvero insolito: vedere Alice così, lei che non si agitava nemmeno nelle situazioni più critiche, non poteva certo farlo stare più tranquillo e a suo agio.
Alessio tirò un lungo sospiro, mentre imboccavano Holland Road: erano quasi arrivati, e sentiva il cuore cominciare a battere sempre più velocemente, e non per la fatica o per la stanchezza che cominciava a provare. Teneva gli occhi fissi su Alice, più avanti di lui di qualche passo, registrando ogni minimo movimento più lento degli altri; non seppe quanta strada avessero percorso ancora, quando Alice finalmente si fermò di fronte ad una villetta dai mattoni rossi e gli infissi bianchi tinteggiati da poco.
Gli incuteva un po’ di terrore, quel posto: in una qualsiasi altra situazione avrebbe trovato quella zona di Londra davvero graziosa ed elegante, ma in quel momento non poteva fare a meno di vedere quella casa solamente come un’austera abitazione per ricchi borghesi inglesi. Un posto in cui lui non si sarebbe mai sentito a suo agio e che non sarebbe mai riuscito a considerare come casa sua.
Provò a scorgere qualche movimento all’interno dell’edificio, aguzzando lo sguardo e guardando all’interno delle alte finestre che davano sulla strada: non riuscì a notare nulla, a parte le pesanti tende beige che nascondevano ogni cosa si celasse oltre i vetri.
-Da quando mio padre ha ottenuto il trasferimento a Londra i miei genitori si trattano davvero bene- commentò Alice, voltandosi verso Alessio, e poggiandogli una mano sulla spalla – Non agitarti: la mia famiglia si è arricchita parecchio negli ultimi quindici anni, ma rimarranno sempre degli scousers guardati con diffidenza dai southner di Londra. Non pensare di non essere all’altezza-.
Era proprio quello il problema: sentirsi all’altezza. Per quanto ci stesse provando, Alessio si sentiva tutto, tranne che preparato ad un passo del genere e adatto a quel posto.
Aveva rimandato quel momento per anni, nonostante Alice avesse insistito più volte per portarlo a Londra a conoscere la sua famiglia; ora, dopo un mese di convivenza, non aveva più potuto inventare ulteriori scuse. Non aveva idea di come sarebbe andata, di come sarebbe stato far la conoscenza di Ashley e Michael Bennington. Sapeva solo che cominciava a sentirsi estremamente agitato, e che ogni parola d’inglese che conosceva sembrava sfuggirgli completamente.
Già si immaginava a balbettare qualcosa in italiano, rendendosi incomprensibile a chiunque tranne che ad Alice, proprio perché non avrebbe saputo trovare la traduzione in inglese. Problema che non aveva mai vissuto in vita sua e che, per la prima volta in quel momento, sembrava comparire nella situazione meno adatta di tutte.
-Sei sicura che dobbiamo proprio entrare?- borbottò Alessio, sentendosi ridicolo, ma sperando davvero in una risposta negativa. Alice lo guardò dolcemente, trattenendosi a stento dal ridere:
-Sure we have to come in. E poi tra poco ricomincerà a piovere-.
Alessio sospirò di nuovo, con rassegnazione. Strinse più forte il manico della valigia, aspettando qualche attimo, prima di accennare a qualche lento passo di nuovo dietro ad Alice. Lei non ci aveva pensato più di tanto: era scattata in avanti, percorrendo gli scalini che portavano alla porta d’ingresso reggendo la propria valigia, e infine suonando il campanello. Alessio, rimasto uno scalino più giù rispetto ad Alice, continuava a fissare la grande porta verniciata di marrone scuro, contando silenziosamente i secondi che passavano; dubitava di essersi sentito più agitato di così in vita sua.
Aveva passato i giorni precedenti alla partenza a chiedere ogni consiglio possibile a Caterina, Nicola, Giulia e Filippo su come affrontare per la prima volta i suoceri, ma ora come ora sembrava che la sua memoria avesse cancellato ogni loro singola parola. Cominciava a sentirsi in trappola, in una gabbia costruita dalla sua stessa ansia.
Quando finalmente la porta si aprì, Alessio sentì distintamente il cuore iniziare a battere ancora più forte. Gli sembrava in procinto di scoppiare da un momento all’altro.
-Oh, you’re here, at last!- Andy comparì nel campo visivo di Alessio, e ciò gli fece tirare un sospiro di sollievo: l’incontro con i genitori di Alice sembrava essere rimandato ancora di qualche minuto.
Alice si limitò a guardarlo male, prima di sciogliersi in un sorriso luminoso e abbracciando il fratello minore. Alessio rimase in disparte, in attesa che quell’abbraccio terminasse. Non era la prima volta che incontrava Andrew – che Alice aveva sempre e solo nominato come Andy, che in un qualche modo sembrava adattarsi meglio al suo viso pulito e dai tratti ancora fanciulleschi-, e anche se dal suo ultimo viaggio in Italia era passato un bel po’ di tempo si accorse di ricordarsi bene i tratti del suo volto. Era straordinariamente somigliante ad Alice, anche nei capelli rossi e nei grandi occhi verdi, ed era anche l’unico della famiglia Bennington che Alessio conoscesse già prima di quel momento. In un certo senso si sentì rassicurato nel ritrovare un’altra faccia famigliare in quel posto sconosciuto.
-Non pensavo davvero ci saresti stato anche tu- gli disse Alice, una volta sciolto l’abbraccio, parlando in inglese. Alessio si sentì rincuorato nel rendersi conto che aveva capito senza fatica ciò che aveva detto, a dispetto dell’agitazione.
-Ti avevo promesso che sarei venuto qui in questi giorni- le rispose sorridente il fratello. Andy viveva ancora a Liverpool: se ne era andato da Londra per tornare e poter studiare nell’università della sua città natale, e non sembrava minimamente pentito di quella scelta.
-E tu mantieni sempre le promesse- completò Alice, scuotendo il capo, ma sorridendo allegra.
Andy annuì, prima di spostare lo sguardo oltre le spalle di Alice, venendo a contatto con le iridi azzurre di Alessio:
-It’s a pleasure to meet you again, Alessio!- gli disse con la solita gentilezza che lo caratterizzava. Alessio sorrise appena, a tratti divertito dal suono piuttosto ridicolo e stridente che assumeva il suo nome pronunciato con il marcato accento britannico di Andy. Si sarebbe messo a ridere, se solo fosse stato più rilassato.
-Come ti senti?- gli chiese di nuovo Andy, scendendo di un paio di gradini per ritrovarsi di fronte a lui. Alessio gli fu grato per la sua affabilità: immaginava stesse cercando di renderlo più tranquillo, ma la verità era che, sentendosi rivolgere quella domanda diretta, non poté fare a meno di sentirsi ancor più agitato.
-Direi che mi sento molto calmo- ironizzò, concentrandosi sulla sua pronuncia. Sia Alice che Andy risero appena, in una risata che, per qualche attimo, smorzò appena la tensione che si respirava.
-Andrà ottimamente, stai tranquillo- cercò di tranquillizzarlo a sua volta Andy – Piacerai anche a loro-.
Alessio si ritrovò ad annuire, silenziosamente: per quanto Alice ed Andy stessero cercando di farlo sentire meno fuori posto possibile, continuava a sentirsi di troppo. La netta sensazione che sarebbe andata negativamente non sembrava volerlo abbandonare nemmeno un secondo.
Passarono pochi attimi, prima che Andy spezzasse di nuovo il silenzio, con la domanda fatidica che Alessio aveva sperato tanto non arrivasse così in fretta:
-Entriamo?-.
Meno di un minuto dopo stavano già percorrendo lo stretto corridoio d’ingresso della casa. Alice lasciò la propria valigia ai piedi delle scale che portavano al piano superiore, ed Alessio la imitò, incapace di aprire bocca per chiederle se fosse l’idea migliore lasciarle lì.
Sentiva la gola secca, il respiro che cominciava a farsi affannato e che non riusciva a regolarizzare: era una delle rare volte in cui si sentiva davvero nel panico. Era chiaro che non era preparato: come avrebbe dovuto presentarsi ai genitori di Alice? Sorridente e baldanzoso, talmente sicuro di sé da sembrare arrogante? Dubitava ci sarebbe riuscito, anche volendo.
Temeva di apparire troppo esitante, impacciato e intimidito. Tutto ciò che non era.
Andy li anticipò di qualche attimo, avviandosi verso il salotto dove, a quanto pareva, i genitori di Alice li stavano attendendo; Alessio fece per seguirlo, seppur riluttante, prima di essere bloccato da Alice:
-Qualunque cosa ti diranno, nel bene e nel male, non cambierà nulla di quel che io penso di te. Ricordatelo sempre-.
L’aveva guardato con sguardo fermo, come per assicurarsi che Alessio recepisse fino in fondo il messaggio. Aveva sussurrato, le parole in italiano meno perfette del solito.
Alice si sporse verso di lui per un bacio fugace, prima di sorridergli un’ultima volta, prenderlo per mano e trascinandolo verso il salotto.
Alessio tirò un lungo sospiro, prima di entrare nella stanza: il bacio e le parole di Alice l’avevano tranquillizzato almeno un po’. Aveva ancora il suo profumo nelle narici e il sapore delle sue labbra sulle proprie, quando Alice varcò la soglia del salotto, con lui al seguito.
Alessio si costrinse a guardarsi intorno, spaesato per la grandezza della sala in cui erano appena entrati – e per l’opulenza che vi regnava-; non gli ci volle molto, in ogni caso, per individuare quelli che dovevano essere i coniugi Bennington.
Si erano appena alzati dal divano di pelle che si trovava in fondo alla stanza, accanto a dove si trovava in piedi Andy. Ad una prima occhiata, Alessio non poté fare a meno di notare una incredibile somiglianza tra Ashley Bennington ed Alice: era lo stesso viso di Alice, ovale e delicato, solo con più rughe e con qualche lentiggine sulle gote, incorniciato da capelli biondi e soffici che le arrivavano fino alle spalle e che le davano un’aria quasi regale. Michael, invece, dava più l’impressione di essere un vecchio rugbista irlandese: capelli rossi un po’ radi, viso perfettamente rasato, il corpo magro e massiccio allo stesso tempo.
Alessio fece qualche altro passo in avanti, cercando di stendere le labbra in un sorriso di convenienza. Stava cominciando a sudare freddo, e mantenere un’apparenza di calma e tranquillità esteriore cominciava ad essere piuttosto difficile.
Avrebbe dovuto improvvisare come meglio poteva.
 


Il sapore caldo e leggermente aspro del the caldo che Alessio aveva appena finito di bere aveva avuto il potere di calmarlo almeno un po’. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era entrato in quella stanza. Sapeva solo che, dopo le iniziali presentazioni, lui ed Alice si erano accomodati sull’altro divano del salotto, di fianco a quello dove se ne stavano Ashley e Michael. Andy era rimasto poco, giusto il tempo di vedere come si stava evolvendo la situazione nei primi minuti; doveva aver ritenuto che non ci fosse nulla da preoccuparsi, e così se ne era andato altrove, con la scusa di dover scrivere un essay per un corso.
In fin dei conti, anche Alessio, analizzando oggettivamente la situazione, non vi avrebbe trovato nulla di strano: aveva rischiato di balbettare e sbagliare le parole in inglese solo all’inizio. Poi, quando era riuscito a recuperare almeno un po’ di razionalità, tutto aveva iniziato ad andare meglio: riusciva a rispondere alle domande che gli venivano poste senza incertezze e senza doversi bloccare troppe volte per pensare alla traduzione.
Anche i sorrisi che gli rivolgeva Alice ogni tanto, durante le brevi pause di silenzio, gli confermavano tacitamente quelle sue sensazioni: doveva sentirsi tranquilla anche lei, ora che tutto sembrava essersi finalmente appianato.
Ashley, una volta che il ghiaccio sembrava essersi rotto, si era allontanata per alcuni minuti per preparare del the, ed ora che era finito ad Alessio non sarebbe dispiaciuto berne ancora: sentiva la gola secca, e il calore del liquido ambrato era riuscito a scaldarlo e a farlo sentire meno insicuro.
Sentiva spesso e volentieri la sensazione degli occhi chiari e piccoli di Michael indagare la sua figura: non avrebbe saputo definire se quella potesse essere una cosa positiva o no, ma non poteva fare a meno di ignorare il sentirsi osservato da quell’uomo dai modi piuttosto freddi e duri.
Forse era solo un giudizio frettoloso, ma Alice – e nemmeno Andy - non sembrava assomigliargli per niente caratterialmente: suo padre sembrava una persona burbera, riservata e poco propensa all’affabilità che contraddistingueva la figlia. Ashley, al contrario, gli dava l’impressione di una persona timidamente gentile ed ospitale: non parlava molto, lasciando molto più spazio ad Alice e Michael, ma non aveva risparmiato gesti cortesi ad Alessio. Si rese conto che, se non ci fosse stata la figura di Michael lì presente, si sarebbe sentito decisamente più a suo agio e meno sotto esame.
-Alice ci ha detto che studi ancora- Ashley prese la parola dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali nessuno dei presenti aveva cercato di tirar fuori un nuovo argomento di cui parlare.
-Sì, è esatto- rispose prontamente Alessio, contento che non gli fosse stata rivolta una domanda troppo ardua – Se tutto va bene il prossimo anno dovrei laurearmi e finire definitivamente l’università-.
-In cosa hai intenzione di laurearti?- intervenne Michael, piuttosto bruscamente, e puntando nuovamente gli occhi indagatori su Alessio.
-Sono alla facoltà di informatica-.
Michael annuì con aria pensosa, e Alessio ebbe la brutta sensazione che la conversazione stesse prendendo una piega negativa: non c’era nulla che glielo facesse supporre con certezza, ma non aveva potuto fare a meno di notare un cipiglio infastidito nello sguardo dell’uomo che si trovava seduto di fronte.
-Al giorno d’oggi ci sono molti giovani che cercano di emergere in quel campo- continuò lui, con un tono calmo e distaccato che Alessio avrebbe davvero attribuito a qualunque banchiere, come era Michael – Ci vuole fortuna e talento per cavalcare l’onda del successo e distinguersi dalla massa-.
-Ho degli obiettivi che voglio raggiungere. E ho le idee chiare in questo- si ritrovò a replicare Alessio, con più veemenza di quella che avrebbe voluto. Cominciava a sentirsi infastidito, oltre che sottovalutato e giudicato da quello che non era altro che uno sconosciuto.
-Quindi pensi di potercela fare-.
Quella di Michael non fu una domanda, ma una semplice affermazione; una specie di implicita provocazione che ad Alessio fece salire prepotentemente il nervoso.
-Non penso, lo so per certo- Alessio si morse il labbro, sforzandosi di tenere lo sguardo fisso su Michael: non gli importava molto di sembrare presuntuoso, in quel momento – Non perché credo di essere particolarmente talentuoso, solo perché quando mi prefisso di raggiungere qualcosa faccio tutto quel che posso per riuscire nel mio intento-.
Michael si ritrovò ad annuire, l’aria di sufficienza ancora dipinta in volto:
-Ostinato, a quanto pare. E forse troppo sicuro di te, ma a volte l’arroganza fa la differenza tra le persone di successo e coloro che rimarranno sempre nel mucchio-.
-Non mi considero arrogante, solo molto motivato-.
Alessio si torturò le mani, ben consapevole di essersi forse spinto troppo in là. Non sapeva se dover prendere quelle ultime parole di Michael come un complimento o come una condanna, e non sapeva nemmeno se anche in quel momento fosse apparso troppo supponente.
-Immagino che una volta laureato ti trasferirai qui in Gran Bretagna. E poi Alice dovrebbe tornare a vivere qui, prima o poi- riprese Michael, lo stesso tono posato e freddo di prima.
Alice dovette sentirsi presa ingiustamente in causa, perché riservò un’occhiata contrariata al padre:
-Papà, io non ... -.
-Non ho la minima intenzione di allontanarmi dall’Italia-.
Alessio non lasciò nemmeno il tempo ad Alice di finire, e a nulla gli era servito cercare di trattenersi dal dire quelle parole. Era stato più forte di lui, quasi naturale mettere le cose in chiaro da subito.
Il viso di Michael si irrigidì maggiormente, ed anche Ashley sembrò avvertire la tensione del momento: rimanendo ancora in silenzio, spostò lo sguardo dal marito, alla figlia, ad Alessio.
Michael non si scompose minimamente, anche se un’incrinatura di rabbia poteva essere colta nella voce:
-Nel vostro Paese non c’è spazio per i giovani, e nel campo del progresso informatico non siete nemmeno poi così tanto bravi come vorresti farci credere-.
-Proprio per questo voglio rimanere. Se nessuno cerca di migliorare l’Italia, allora non cambierà mai nulla-.
-Gli ideali non hanno mai portato a nulla di buono, ragazzo-.
Di fronte allo sguardo severo e di biasimo dell’uomo, ad Alessio venne del tutto naturale ricambiare con un sorriso beffardo:
-Ma senza ideali si muore in ogni caso-.
 
*
 
Stava ricominciando a piovere, lentamente: piccole gocce di pioggia avevano ripreso a scendere da qualche minuto, silenziose e quasi impercettibili come ogni volta che precedevano un temporale che stentava ad avviarsi.
Westminster era caotica e confusionaria come Alessio la ricordava. Nonostante il tempo pessimo, era fortemente convinto che in giro ci fossero più turisti che londinesi. In ogni angolo c’erano persone con in mano macchine fotografiche, cartine geografiche o intente solamente a guardarsi intorno attentamente.
Lui, invece, se ne aggirava apparentemente quieto, senza nemmeno distogliere lo sguardo da davanti a sé, la mano destra riparata dal guanto di lana che teneva l’ombrello aperto sopra la sua testa.
Alice gli camminava a fianco, stringendosi a lui per ripararsi meglio sotto l’ombrello e, probabilmente, anche per sconfiggere almeno un po’ il freddo che regnava in quella giornata.
Il giorno prima, dopo quella discussione con Michael, non era decollata nemmeno la sera: la cena era stata particolarmente silenziosa, con Alice che aveva cercato di portare ogni discussione lontana da qualsiasi argomento spinoso, finendo così per parlare prevalentemente solo con sua madre. Alessio non aveva quasi aperto bocca, anche se le diverse occhiate d’astio che Michael gli aveva riservato lo avevano spinto quasi definitivamente ad andarsene da quella casa e prendere il primo aereo per l’Italia.
Alla fine era rimasto, seppur a malincuore, sollevato dall’idea che a Londra ci avrebbero passato solo un altro giorno.
Quella mattina si era svegliato di malumore, ma si era consolato  sapendo che mancasse poco alla ripartenza sua e di Alice: non vedeva l’ora che giungesse l’indomani, quando avrebbero lasciato quella maledetta villetta vittoriana di Kensington per prendere il treno alla volta di Liverpool.
Per il momento, però, avrebbe dovuto sopportare quel posto ancora per un po’: era solo pomeriggio, e per quanto lui ed Alice avessero già passato diverso tempo in giro per la città, non mancava più molto all’ora di rientrare. Un ultimo sforzo prima di lasciarsi tutto alle spalle.
Nemmeno Alice sembrava passarsela bene: anche lei era taciturna da quella mattina, poco sorridente e pensierosa come Alessio l’aveva vista poche volte. Si chiedeva se fosse più arrabbiata con lui o con suo padre: era adirata per la sua presuntuosità di fronte ai suoi genitori, o si sentiva abbattuta per il fatto che le sue scelte di vita non andassero a genio a coloro che più di tutti dovevano volere il suo bene? Alessio non aveva fatto parola sull’argomento, anche se cominciava a chiedersi che le stesse passando per la testa. Cominciava a sopportare poco quel silenzio teso.
Iniziò a piovere di più, proprio mentre si accingevano a passare sopra il Tamigi attraversando il Westminster Bridge. Il London Eye, sulla sponda opposta, era ancora in funzione: probabilmente però, se avesse iniziato a piovere ancor di più, in molti avrebbero dovuto rinunciare a vedere Londra da una delle cabine della ruota panoramica.
Si lasciarono ben presto alle spalle l’Houses of Parliament e il Big Ben, sempre più vicini all’altra sponda del fiume; avanzare camminando sul marciapiede di quel ponte, in quel momento, era alquanto arduo: le troppe persone con gli ombrelli aperti finivano per rallentarsi tra di loro, costringendo tutti a mantenere un passo troppo lento.
-Dovremo cercare un posto al chiuso dove restare per un po’- disse Alice improvvisamente, rompendo quella tregua di silenzio che si era prolungata per diverso tempo – Tra poco inizierà a piovere più forte-.
La previsione di Alice si rivelò giusta: fecero appena in tempo ad entrare nel McDonald’s che si trovava in un’ala della County Hall, prima che la pioggia iniziasse ad intensificarsi. In pochi minuti, quando loro già si trovavano seduti ad un tavolo del fast food, iniziò un vero e proprio temporale.
-Potremmo anche restare qui per cena- parlò distrattamente Alice, aprendo con fare casuale il menu che si trovava sopra il tavolino dov’erano seduti – Non sappiamo nemmeno quando finirà di piovere così forte-.
-Non vuoi tornare a casa? Era da tanto che non vedevi la tua famiglia- Alessio si morse il labbro inferiore: era ben contento all’idea di rimanere più tempo possibile lontano dai Bennington, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa verso Alice. Non avrebbe voluto costringerla a non vedere i suoi genitori solo per causa sua.
-Per me va bene anche se restiamo qua-.
Alice aveva parlato con tono indifferente, nulla che lasciasse presagire davvero che tutto andasse bene. Alessio strinse i pugni sul tavolo, incapace di trattenersi ulteriormente:
-A tuo padre non piaccio-.
Alice tirò un lungo sospiro, gli occhi puntati in una direzione oltre le spalle di Alessio:
-Solo perché la pensate in maniera diversa non per forza non devi piacergli-.
-Non è solo quello- sbuffò lui, ben consapevole di star addentrandosi in un terreno piuttosto ostile – Parlava dell’Italia e degli italiani come se fossimo dei pezzenti! Non sono un dannato patriottico fissato con la propria nazionalità, ma non voglio che qualcuno mi consideri inferiore solo perché sono non sono inglese e perché voglio rimanere a vivere nel mio Paese-.
Alice spostò finalmente gli occhi su di lui: non vi era rabbia nel suo sguardo, e Alessio non seppe se definirlo come un segno negativo o almeno in parte positivo.
-È di mio padre che stai parlando. Calmati-.
-Può anche essere il re in persona, la sostanza non cambia- borbottò ancora una volta Alessio: non riusciva a lasciare perdere così facilmente, anche se lo sguardo gelido di Alice avrebbe dovuto spingerlo a non aggiungere altro che potesse rendere la situazione ancora peggiore.
Alice non disse nulla per diversi secondi, incrociando le mani al petto e guardando altrove. Sembrava indecisa se continuare quella discussione o lasciare perdere definitivamente. Anche Alessio se ne rimase zitto: cominciava a pentirsi di quel che aveva detto. Non era sua intenzione litigare con Alice perché aveva da ridire sui suoi genitori, ma allo stesso tempo non voleva nemmeno fare finta che andasse tutto bene.
-Cosa dovrei fare, quindi? Dare ragione a te o a lui?- replicò infine Alice, scostandosi con un gesto secco una ciocca di capelli rossi che le era finita in viso.
-Non ti ho chiesto di schierarti, so che non sarebbe facile- cercò di correggere il tiro Alessio, sperando che potesse bastare per stemperare almeno in parte la tensione. Cominciava a sentirsi in colpa: probabilmente nemmeno lui avrebbe reagito bene nel sentire parlare così di sua madre.
Vide Alice annuire, gli occhi meno severi di prima. Con un po’ di esitazione Alessio avvicinò una mano a quella di Alice poggiata sotto il tavolo, carezzandone il dorso con il pollice in gesti lenti e appena accennati; era l’unico modo che gli era venuto in mente per chiederle tacitamente scusa. Alice non scostò la mano, ed Alessio lo reputò un segno d’incoraggiamento.
-I tuoi genitori preferirebbero saperti qui, anziché in Italia- mormorò lui, con una punta di malinconia.
-Sì, forse, ma stiamo parlando della mia vita, non della loro-.
-E probabilmente ti vorrebbero anche fidanzata ad un inglese-.
-Hai qualcos’altro da obiettare?- Alice lo guardò per qualche attimo con un sorriso esasperato, prima di tornare seria in viso – Ok, ci sei rimasto male, lo capisco. Anche io mi sento ... Incompresa, perché speravo e pensavo che le cose sarebbero andate bene. Ma i miei genitori possono sempre cambiare idea, e lo faranno quando ti conosceranno meglio-.
-Sempre se vorranno farlo- Alessio sbuffò piano, rassegnato: invidiava non poco l’ottimismo che contraddistingueva Alice la maggior parte delle volte.
Alice gli strinse la mano nella sua, la presa gentile e forte allo stesso tempo. Alessio si costrinse ad alzare lo sguardo verso di lei, in attesa.
-Anche se non dovesse succedere, la loro opinione non deve cambiare le cose tra noi. Io sto bene in Italia, non voglio tornare a vivere qui. E sto bene con te, and that’s all-.
Alessio non disse nulla, accennando solo un sorriso malinconico. Il senso di colpa nei confronti di Alice cominciava a diminuire, ma la voglia di trovarsi il più lontano possibile da quel posto sembrava non volersene andare.
Ancora sperava di lasciarsi alle spalle il prima possibile Londra, i suoi edifici grigi e la pioggia che continuava a cadere.
 
*
 
Liverpool I left you, said goodbye to Madryn Street
I always followed my heart and I never missed a beat
Destiny was calling, I just couldn't stick around
Liverpool I left you, but I never let you down [2]
 
Il colore del cielo sopra Londra, la mattina del 23 marzo, non differiva da quello dei giorni precedenti: era il solito cielo plumbeo che ad Alessio cominciava a mettere tristezza, una sorta di malinconia che mitigava sempre più il suo già cattivo umore.
Erano solo le sette e mezza quando lui ed Alice erano partiti dalla stazione di Euston: ci sarebbero volute quasi tre ore per arrivare a Liverpool, e partire quanto prima era parsa una soluzione quasi obbligatoria.
I suoi sforzi nel provare a dormire durante il viaggio non sembravano star sortendo alcun risultato, se non il fatto che Alessio non stava proprio chiudendo occhio. Sentiva il capo di Alice, seduta accanto a lui, poggiato sulla sua spalla: si era addormentata ancora prima di arrivare anche solo a Stafford, e benché la stanchezza fosse parecchia, per lui il sonno sembrava solo un lontano desiderio.
L’ambiente esterno si stava facendo sempre più campestre e rurale, case isolate che sembravano perse in mezzo alla brughiera – solo in prossimità delle stazioni dove il treno doveva fermarsi la civiltà sembrava recuperare piede. Lo osservò scorrere fuori dal finestrino, mentre la pioggia mattutina si faceva sempre più sottile e debole, fino a scomparire del tutto a mano a mano che il treno si inoltrava nelle regioni del nord dell’Inghilterra.
La luce cominciò a diffondersi sempre più solamente dopo un’abbondante mezz’ora di viaggio, eppure il sole non fece capolino dietro la solida coltre di nubi scure che riempivano il cielo. Si preannunciava un’altra giornata di pioggia, fredda e scura come le precedenti.
Quando raggiunsero a Liverpool, due ore e mezza dopo, ad Alessio sembrò di essere arrivato in una dimensione completamente diversa da quella di Londra: Liverpool era meno maestosa, più piccola e vivibile, più vicina al suo modo di vivere.
Ritornare nella sua città natale dopo anni di assenza doveva aver giovato un bel po’ ad Alice: Alessio la teneva osservata sin da poco prima di scendere dal treno, e anche in quel momento, appena fuori dalla Central Station della città, aveva lo stesso sguardo luminoso e gioioso che aveva assunto appena svegliatasi e accortasi di essere arrivata a casa. Sembrava una bambina che aveva appena ricevuto in regalo il giocattolo che aveva tanto richiesto.
-Fa così strano essere di nuovo qui- mormorò Alice, fermandosi sul marciapiede, la Central Station appena dietro le sue spalle – È un’emozione unica-.
-Mi stai dicendo che stai per metterti a piangere dalla felicità? Non lo hai fatto nemmeno quando sono venuto a vivere con te- la prese in giro Alessio, trattenendo a stento una risata dopo uno sguardo fulminante di Alice.
-Ti sentiresti così anche tu, se dopo anni vissuti all’estero tornassi in Italia. Ti accorgi di quanto ti manchi casa tua solo dopo essertene andato-.
Alessio si ritrovò ad annuire, inconsciamente. Non metteva in dubbio che Alice avesse ragione: era sicuro che anche lui, per quanto Villaborghese non gli fosse mai particolarmente piaciuta, si sarebbe emozionato allo stesso modo nel ritornare là dopo troppi anni di assenza.
“Non c’è dolore più grande della perdita della terra natia”.
-So che abbiamo le valigie con noi, e che forse sarebbe meglio andare subito in albergo- riprese Alice, a tratti esitante – Ma prima c’è un posto in cui vorrei andare. Voglio farti vedere una cosa-.
-Dove mi porti?-.
-Let time run its course- sorrise Alice, timidamente – Lo scoprirai presto-.
Alessio si affidò completamente a lei, di nuovo, come un moderno Dante che seguiva fedelmente il suo Virgilio tra i fumi dell’inferno.
Presero l’autobus per arrivare al luogo dove Alice lo stava portando. Pur non essendo per niente pratico di Liverpool, ad Alessio ci volle poco per capire che si stavano dirigendo vero le zone di periferia: l’autobus si stava allontanando sempre più dal centro della città, lasciandosi alle spalle il traffico ed addentrandosi sempre più nelle aree prettamente residenziali.
Alice, in piedi accanto a lui, teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino: Alessio la vide tenere un sorriso accennato per tutto il viaggio, un sorriso che sapeva più di malinconia e tacita sofferenza.
Arrivarono a destinazione dopo un tempo che Alessio non avrebbe saputo quantificare. Sceso dall’autobus, tirandosi dietro la valigia, si fermò qualche attimo per guardarsi intorno: si trovavano davvero in una zona lontana dal centro, e  la prima sensazione che provò fu quella di trovarsi in un quartiere povero, degradato.
I palazzi che si trovavano lungo quella via apparivano vecchi, alcuni addirittura decadenti; quelle case a schiera dai mattoni rossi, dall’aspetto spartano e sgraziato, gli ricordavano un po’ i vecchi film ambientati negli anni ’70, quando nel nord dell’Inghilterra la maggior parte delle persone lavorava ancora nelle miniere.
-Hai per caso intenzione di uccidermi e per farlo hai deciso di portarmi in un posto abbastanza isolato e mal frequentato?- cercò di ironizzare Alessio, prima che Alice ricominciasse a camminare.
-Nulla di tutto ciò- gli sorrise lei, paziente – Siamo quasi arrivati-.
Alice riprese ad avanzare, trascinandosi dietro la valigia; procedeva con passo sicuro, segno che doveva conoscere bene il posto in cui si trovavano.
Nonostante i dubbi iniziali, Alessio la seguì. Non molti metri dopo Alice si accinse a svoltare a sinistra, in una via perpendicolare, più stretta e con una zona verde che costeggiava il marciapiede disastrato.
Più si addentravano in quel quartiere, più Alessio sentiva crescere la sensazione di abbandono e decadimento. D’altro canto, tutte le periferie delle grandi città inglesi dovevano apparire così: trascurate, con l’asfalto delle strade ormai ceduto, le tipiche case dai mattoni rossi abitate da famiglie di operai e impiegati.
Alice imboccò una via ancor più piccola dopo pochi metri, Alessio che continuava a seguirla domandandosi dove stessero andando a finire. Era ormai palese che stesse cercando una casa: non sembrava esserci altro, in quella zona cupa e grigia.
Non passarono molti altri minuti, quando Alice finalmente si bloccò, davanti ad una piccola casa che faceva angolo ad un incrocio. Rimase ferma davanti al muretto di mattoni che delimitava il piccolo giardino dell’abitazione, il sorriso malinconico che si stava facendo più visibile e gli occhi che – Alessio ci avrebbe giurato- sembrava più lucidi del solito.
-Va tutto bene?- le chiese lui, avvicinandosi a sua volta, e posandole una mano sulla spalla, come per scuoterla. Alice annuì silenziosamente, prima di passarsi una mano sul viso.
-È  da tanto tempo che non venivo qui a Toxteth - mormorò, la voce più rauca e bassa – Questa è la vecchia casa dove abitavamo. La mia prima casa: ho abitato qui fino a quando avevo otto anni circa-.
-Qui? Sul serio?- esclamò Alessio, spalancando gli occhi, incredulo. La casa che era stata della famiglia di Alice lì a Liverpool e quella in cui abitavano i suoi genitori a Londra non erano minimamente paragonabili: la prima sembrava solo la brutta copia da famiglia proletaria della seconda.
Un po’ si ritrovò ad ammirare Michael Bennington: era innegabile che potesse annoverarsi tra coloro che ce l’avevano fatta, che erano emersi e avevano fatto carriera. Aveva vinto, almeno da quel lato. E se, per quanto riguardava se stesso, i soldi potevano interessargli relativamente, non poteva non ammettere che immaginarsi allo stesso livello, in una carriera che avanzava a gonfie vele, gli dava una certa vena d’eccitazione.
“Chissà se ci riuscirò davvero anche io”.
-Mio padre non ha sempre lavorato in banca- spiegò Alice, voltandosi per un attimo verso Alessio – E poi ci ha messo un po’ a fare carriera. Vivevamo qui, poi quando ha iniziato a guadagnare bene ci siamo spostati ad Allerton-.
-Un altro quartiere?-.
-Sì, un quartiere benestante e tranquillo della città- Alice sbuffò piano tra sé – Ad Allerton non c’erano poveracci, non c’erano piccoli delinquenti e spacciatori che giravano per le strade la notte. Al massimo si poteva trovare solo qualche ricco borghese posh-.
-Da come ne parli ti doveva piacere molto, quel posto- rise appena Alessio, stringendola un po’ di più a sé.
-Sono rimasta più legata a Toxteth, nonostante tutto- sospirò Alice, la voce appena udibile – Ci sono le mie radici, qui-.
Alessio annuì piano: capiva ciò che voleva dire Alice. In un certo senso capiva anche quell’attaccamento al luogo in cui aveva passato la sua infanzia. Poteva essere un posto orrendo, pericoloso e fatiscente, ma sarebbe stato sempre la sua prima casa. Avrebbe fatto parte di lei sempre.
-D’altro canto nessuno di noi sceglie dove nascere. Nessuno di noi sceglie a quali luoghi rimanere legati-.
Alice non rispose, e ad Alessio andò bene così: era sicuro che stesse pensando la stessa cosa, mentre osservava per un’ultima volta quella vecchia casa dai mattoni rossi e il tetto spiovente.
 
*
 
We used to walk Mancunian Way
We used to swagger, we used to sway
Up until the lights took us away
Do you know what you meant to me? [3]
 
Il tempo che avevano avuto a disposizione per visitare il centro di Liverpool era stato troppo poco: ad Alessio avrebbe fatto piacere rimanere almeno un giorno in più, piuttosto che andarsene già il giorno dopo.
Alice aveva cercato di fargli vedere più cose possibili della sua città, pur con il poco tempo a disposizione. Dopo aver lasciato le valigie nel piccolo bed & breakfast, dove avevano prenotato per quella notte, avevano passeggiato per tutto il centro di Liverpool, passando davanti al Bluecoat – il palazzo più antico del centro storico- e arrivando fino all’Albert Dock poco prima che la sera cominciasse a scendere, lasciando le acque del Mersey illuminate soltanto dalle luce delle imbarcazioni e dai lampioni delle strade. Ad Alessio, di fronte a quella vista, era tornata in mente Venezia: l’atmosfera che si respirava lì era la stessa che c’era ogni sera al molo vicino piazza San Marco. Solamente, il cielo nuvoloso inglese dava un tocco più lugubre al tutto.
L’ultima visita alla città, prima di tornare nella loro stanza, era stata riservata al Cavern Club: Alessio, nel varcare la soglia di quello storico locale, aveva sentito il proprio cuore accelerare, in una sorta di emozione primordiale. Tra quei muri di mattoni rossi, dove risuonava la musica di una band che suonava proprio quella sera, gli sembrava di essere tornato un po’ agli anni Sessanta, quando gli stessi Beatles avevano dato spettacolo lì dentro.
A quell’atmosfera ci stava pensando anche quella mattina, mentre lui ed Alice stavano varcando la soglia della Lime Street Station. Pur essendo rimasto per pochissimo, sentiva già un moto di nostalgia mentre dava un ultimo sguardo a quella città, prima di lasciarla. Non aveva alcuna voglia di muoversi da lì, ma non aveva altra scelta: un impegno già li aspettava per mezzogiorno.
Non ci sarebbe voluto molto, in treno, da Liverpool a Manchester.
 


Un’ora dopo, nemmeno il tempo di rischiare di prendere sonno durante il viaggio, erano a destinazione.
-Dovremo prendere il tram per arrivano all’Old Trafford- lo avvertì Alice, non appena furono usciti dalla stazione di Piccadilly. Non sembrava entusiasta di trovarsi a Manchester: come aveva cercato di spiegare ad Alessio durante il viaggio in treno, non aveva mai provato grande simpatia per i Mancunians, le loro fabbriche e il loro pessimo accento. Non che Alessio si sentisse molto in vena di darle torto: era mattina presto, e l’aria di Manchester era ancor più fredda di quella che si respirava a Liverpool o a Londra. La nebbia sembrava avvolgere tutta la città, in un effetto che lo fece sentire quasi a casa: gli ricordava terribilmente la stessa nebbia che si poteva trovare quasi ogni giorno durante l’inverno in certe zone del Veneto.
-Sei già stata qui, prima di adesso?- le chiese Alessio, mentre svoltavano l’angolo per raggiungere il capolinea della linea del tram che avrebbero dovuto prendere.
-Sì, per mia sfortuna-.
-Andate davvero d’accordo voi di Liverpool con i Mancunians- rise lui, già pronto ad un eventuale sguardo torvo da parte di Alice, che non tardò ad arrivare:
-Aspetta di sentirli parlare tra di loro, e comincerai a non sopportarli anche tu-.
Alessio rise ancor di più, non fermandosi affatto nemmeno quando Alice provò a farlo smettere dandogli una leggera pacca sulla spalla.
Cominciava a pensare che, in realtà, l’aria di Manchester lo rendesse più di buonumore di quanto si sarebbe potuto aspettare.
 
*
 
-Come on, Reds, come on!-.
La voce di Alice si perse in mezzo al coro di alcuni tifosi del Liverpool, qualche fila sopra lei ed Alessio sulle gradinate: avevano iniziato ad intonare le prime parole di You’ll never walk alone, e ci vollero pochi attimi prima che al canto si aggiungessero molti altri tifosi dei Reds.
Alessio cominciava a sentire girare la testa: l’Old Trafford era davvero enorme, delle tribune infinite che accerchiavano il campo d’erba dove si stavano fronteggiando il Manchester United e il Liverpool, che aveva sbloccato il temporaneo pareggio solo da pochi minuti.
Non era abituato a posti così maestosi, né a degli schiamazzi così forti da dover urlare per farsi sentire da Alice. In fin dei conti, però, era piacevole: non era mai stato un grande tifoso di calcio – non ai livelli di Nicola, Pietro o Caterina-, ma fino a quel momento poteva affermare con una certa tranquillità di non essersi annoiato. La partita risultava veloce e combattuta, con più di un’occasione da parte di entrambe le squadre di poter fare gol.
Continuò a seguire un’azione dal fondo dei giocatori del Manchester; dopo un calcio d’angolo del Liverpool andato a vuoto, il possesso palla risultava ora dello United. I passaggi dei giocatori dalle magliette rosse erano veloci e precisi, e furono davvero rapidi nell’arrivare nell’area di rigore del Liverpool: la porta era scoperta come non mai, solamente due difensori contro altri due attaccanti.
Un secondo dopo, tra la tensione delle tribune, Rooney provò il tiro: la palla finì oltre le spalle del portiere, andando a finire in rete e segnando il pareggio dello United.
Il boato che scoppiò tra i tifosi dei Red Devils fu ancor più forte di quello che aveva accompagnato il primo gol; tra l’entusiasmo generale, anche Alessio si lasciò andare a qualche gesto di entusiasmo a favore del Manchester United.
Si voltò subito verso Alice, sentendosi osservato: l’occhiataccia malevola che gli stava lanciando non faceva presagire nulla di buono.
-Si può sapere perché festeggi? Hanno segnato i nostri avversari, non il Liverpool!-.
-Ma io sono super partes, quindi posso permettermi il lusso di poter festeggiare entrambe le squadre se segnano- cercò di giustificarsi Alessio, un sorriso innocente che cercava di ammorbidire lo sguardo torvo di Alice – E poi mi piace il Manchester-.
-Disse colui che di calcio non si era mai interessato prima d’ora-.
-Quando mi avevi convinto ad accompagnarti qui per la partita dovevi mettere in conto anche questo rischio- rise Alessio, divertito da quel battibecco con Alice. Si sporse verso di lei, scoccandole un veloce bacio sulla guancia: anche se non si girò, la vide visibilmente più rilassata, mentre accennava un sorriso altrettanto compiaciuto.
 


La nebbia pomeridiana sembrava essersi infine diradata: all’ora di cena, con il buio già calato sulla città e con i soli lampioni a rischiarare le strade di Manchester, non vi era più nessuna foschia a disturbare la visuale.
Alla sera la città sembrava più ospitale di quanto non era apparsa inizialmente. C’erano ancora diversi turisti incuriositi da quella atmosfera serale vivace e grigia allo stesso tempo, e c’erano anche parecchi ragazzi che sembravano vagare in cerca di un qualche pub dove passare in compagnia le ultime ore della giornata. Anche ad Alessio non sarebbe dispiaciuto infilarsi dentro al primo pub carino trovato per strada: faceva davvero freddo, e non avrebbe disdegnato l’idea di passare la serata al caldo, davanti ad una pinta di birra irlandese accompagnata dai vecchi successi degli Oasis, degli Smiths o degli Suede.
Avevano appena finito di cenare in un piccolo locale vicino alla stazione di Piccadilly: era stato il primo posto che avevano trovato non appena tornati in centro città, subito dopo aver lasciato lo stadio. Ora che si trovavano in giro per le vie di Manchester l’idea di trovare un buon pub non poteva dispiacere nemmeno ad Alice: aveva tutta l’intenzione di festeggiare alla grande la vittoria del Liverpool, che si era infine imposto sullo United con un’altra rete.
Imboccarono una piccola via che seguiva il corso del Rochdale Canal, dove i numerosi locali aperti sembravano essere frequentati da parecchia gente. Ad Alessio ci volle poco per capire che genere di locali fossero: le numerose bandiere arcobaleno sventolanti dalle finestre dei palazzi lasciavano pochi dubbi su che posto fosse quello.
-Lo sai dove stiamo andando, vero?- gli domandò Alice proprio in quel momento, come se gli avesse appena letto il pensiero.
-In una strada dove ci sono parecchi locali LGBT?- replicò Alessio, a cui non serviva certo la conferma di Alice per capire di avere ragione.
-Ovviamente. Questa è Canal Street, il gay village di Manchester -.
-Oh, non avevo mai messo piede in un gay village, prima d’ora-.
Alessio si guardò intorno incuriosito, ma non poté comunque trattenersi dall’arrossire quando, appena lui ed Alice furono davanti a diversi tavoli del primo locale, alcuni ragazzi puntarono lo sguardo su di lui. Cercò di ignorarli quando uno di loro, lo sguardo malizioso, ammiccò proprio nella sua direzione.
-Sembra che tu piaccia parecchio, da queste parti- lo prese in giro Alice, dandogli una leggera gomitata.
-Nulla vieta loro di guardare- borbottò Alessio, passandosi una mano sul viso. Sentiva ancora le guance bruciare, imbarazzato e un po’ disabituato a quel genere di sguardi da parte di altri uomini. Non era certo una sensazione nuova, così come non lo sarebbe stata baciare un altro uomo, ma era da tempo che non gli capitava di farci caso.
-Quindi ... – Alice si interruppe subito, mordendosi le labbra con fare impacciato. Sembrava aver cambiato subito idea, ma era già troppo tardi per rimangiarsi quel suo abbozzo di frase poco convinto.
-Quindi?- la incalzò Alessio, voltandosi verso di lei.
Stavano proseguendo lungo Canal Street, che sembrava affollarsi sempre di più. Alessio sentiva distintamente il rimbombo della musica da discoteca proveniente da alcuni locali, mentre si guardava intorno con gli occhi abbagliati dalle luci delle insegne colorate.
-Niente. Era una domanda stupida- cercò di sminuire Alice, abbozzando un sorriso che non servì a convincere maggiormente Alessio.
-Non ti costa nulla dirmela comunque-.
Alice tirò un lungo sospiro, prima di lanciargli una veloce occhiata. Era arrossita anche lei, insolitamente in difficoltà. Sembrava in cerca di una scappatoia che non riusciva a trovare.
-Mi stavo solo chiedendo quando avessi capito di essere pansessuale-.
Alice abbassò lo sguardo per alcuni secondi, prima di prendere coraggio e voltarsi verso di lui. Sembrava più a disagio di quanto non fosse mai sembrata, le poche altre volte che l’argomento era stato toccato. Alessio la guardò stranito e a tratti incuriosito.
-Ero al liceo- rispose infine dopo qualche secondo, accigliato, cercando di ricordare – Ho cominciato a provare interessante un ragazzo della mia classe. Avevo una cotta per lui-.
Erano passati dieci anni ormai, calcolò velocemente. Un tempo sufficiente per dimenticarsi persino il nome del diretto interessato.
-E te ne sei accorto così?-.
-Sì, fondamentalmente- Alessio si morse il labbro inferiore, perché se da una parte aveva dimenticato il nome del ragazzo, dall’altra quel che aveva provato, o almeno il ricordo, non se ne era mai andato del tutto – Non mi sono mai fatto troppi problemi, nemmeno all’inizio … Mi piaceva e basta. Un ragazzo, una ragazza, chiunque … Non fa alcuna differenza per me-.
-Pensavo te ne fossi reso conto quando hai baciato Pietro-.
Alessio rimase in silenzio disorientato: non si era aspettato del tutto che Alice si potesse ricordare di un dettaglio simile, un racconto tirato fuori per puro caso forse più di un anno fa ad una festa con i loro amici, da brilli. Era l’ultima cosa a cui desiderava pensare, il bacio che c’era stato con Pietro, in quel momento.
Per un attimo odiò profondamente che Alice sapesse di quell’episodio.
-No, quello è venuto molto dopo- disse più seccamente di quel che si aspettava lui stesso – E poi comunque quando è successo con lui era solo per uno stupido gioco. Non era nulla di serio-.
“Anche se poi le cose si sono incasinate dopo quella volta”.
-E poi non mi era nemmeno piaciuto, perché era solo un bacio dato per scherzo- tentò di minimizzare ancora, la voce che si faceva più calibrata, attento a scegliere le parole giuste, per rendersi poi conto che forse non erano così perfette. Gli sembrò quasi di aver sottinteso che, se non fosse stato dato con leggerezza, e senza reale intenzione, avrebbe considerato quel bacio in tutt’altro modo.
E forse era esattamente così, perché ricordava fin troppo bene i dubbi che lo avevano attanagliato dopo che era successo.
Era già l’ennesima mezza verità che si ritrovava a dover rifilare ad Alice, e cominciava a sentirsi in imbarazzo e in colpa verso di lei. Ma d’altro canto, non aveva altre scelte: come avrebbe potuto reagire se le avesse detto tutto quel che gli stava passando per la testa, probabilmente il contrario di quel che si sarebbe voluta sentirsi dire? Non poteva dirle che, dopo quel bacio, aveva rimuginato sull’accaduto per giorni interi. Non poteva nemmeno dirle che, sforzandosi e chiudendo gli occhi, tornando a quella sera d’estate con il pensiero, forse sarebbe perfino riuscito a ricordare il sapore delle labbra di Pietro e la sensazione del suo respiro sul suo viso.
Non avrebbe nemmeno potuto dirle tante altre cose, sottili e quasi invisibili, che c’erano state con Pietro, e che faticava lui stesso a comprendere e ad ammettere.
Sarebbe stato troppo difficile per entrambi, in quel momento, stare a sentire delle parole del genere.
-Non sei mai stato con un ragazzo?- gli chiese ancora Alice.
Alessio scosse il capo:
-In una relazione seria? No, non è mai capitato-.
“Finora”.
-E non hai nemmeno mai pensato che un giorno potresti … -.
-Innamorarmi e stare con un uomo?-.
Alice annuì, mentre proseguivano a camminare lentamente, la folla di ragazzi che percorrevano Canal Street che li attorniava e che sembrava più distante che mai da loro. Alessio sospirò a fondo, per una volta deciso a non cercare scappatoie o risposte facili:
-Potrebbe. Non si può mai sapere dalla vita-.
Si accorse subito dell’impercettibile cambio di espressione di Alice: appariva più spenta ora, triste a tratti, e Alessio intuì piuttosto facilmente che doveva essere per quel che aveva appena detto. Ipotizzare di avere una storia con qualcun altro dava per scontato che la storia con lei dovesse finire in un qualche modo.
E d’altro canto, per quanto ad Alice potesse non piacere la cosa, era una delle tante opzioni che potevano accadere nel futuro. Sarebbe stato solo inutile e illusorio indorarle la pillola. La vita era troppo imprevedibile e precaria per sapere cosa sarebbe successo anche solo il giorno dopo.
-Dici?- gli chiese infine, con un filo di voce. Alice cominciava a guardarlo quasi con timore, come se temesse di vederlo allontanarsi da lei da un momento all’altro, improvvisamente. Forse solo per un attimo, a quello sguardo, Alessio si sentì quasi in colpa, ma non demorse.
-Se mi innamoro di qualcuno il fatto che quel qualcuno sia una donna o un uomo o qualcuno che non si rispecchia in nessuna delle due categorie non ha alcuna importanza per me- ripeté, guardando fisso davanti a sé – Se dovesse succedere con un uomo mi innamorerei e basta. Il problema sarebbe più di chi ci sta intorno, immagino-.
“E anche mio di ritorno”.
Alice tacque, dopo aver fatto un impercettibile cenno con il capo. Alessio le lanciò un’occhiata inquisitoria: avrebbe tanto voluto sapere che le stava passando per la testa in quel momento. Si era forse sentita delusa dalle sue risposte? Si sentiva in pericolo, al pensiero che lui potesse innamorarsi di qualcun altro?
Ancora una volta si rese conto di aver agito nel modo migliore, non esternandole i suoi pensieri su Pietro: probabilmente sarebbe stato già troppo anche solo doverle fare accettare i suoi dubbi su di lui.
-Perché tutte queste domande?- la sua domanda spezzò il silenzio dopo diversi minuti. Avevano già percorso gran parte di Canal Street, e Alessio si perse nel guardare le luci dei locali riflettersi nelle acque del Rochdale mentre aspettava una risposta da Alice.
-Just curiosity-.
-Piuttosto singolare, come curiosità-.
Alessio si morse il labbro, pentendosi subito per essersi lasciato sfuggire quel commento seccato. Non aveva voglia di rovinare quella giornata, né tantomeno di litigare con Alice per una sciocchezza simile. Ormai, però, aveva parlato, e non poteva fare finta di ignorare lo sguardo gelido che Alice gli aveva appena rivolto:
-A volte sei così indecifrabile e distante che sì, a volte mi sorgono certe curiosità singolari-.
Non aggiunse altro, e Alessio rimase a sua volta in silenzio, consapevole che Alice non fosse del tutto in torto. La discussione sembrava finita lì, e Alessio era sicuro che non sarebbe mai più ripresa, non su quell’argomento, non in quella maniera.
Era meglio così: sapeva che certe risposte non sarebbe mai riuscito a trovarle lui stesso. Aveva davvero ragione Alice: alle volte anche lui non poteva fare a meno di considerarsi davvero indecifrabile.
 
*
 
L’odore della pioggia sembrava sovrastare qualsiasi altro effluvio che si poteva trovare per le strade di Manchester: non vi era il solito odore di smog, di gas di scarico delle auto che scorrazzavano. Non si riusciva a percepire nemmeno l’odore di vecchio che si respirava nelle vie più antiche della città.
C’era solo l’odore umido e pungente della pioggia che continuava a scendere, come da una settimana a quella parte, bagnando l’asfalto e rendendolo lucido.
Alessio aveva mal sopportato quella pioggia per tutti quei giorni; aveva sperato anche solo in poche ore di sole, senza che il cielo fosse per forza oscurato dalle nuvole plumbee che l’avevano accompagnato lungo quel viaggio. In quel momento, invece, sentiva per la prima volta di non provare il desiderio di essere altrove. Sarebbe rimasto lì, ancora qualche ora, in quell’ambiente grigio e cupo che non poteva fare a meno di associare all’Inghilterra. L’Inghilterra che aveva conosciuto e vissuto in quell’ultima settimana.
Avrebbe voluto ritornare un’ultima volta a Londra, passeggiare lungo le sue vie ordinate ed eleganti, tenendo un ombrello in mano per ripararsi dalle gocce di pioggia che avrebbero continuato a cadere.
Ora che mancava poco alla partenza, ora che il tragitto verso l’aeroporto di Manchester stava finendo, sentiva lo stomaco stringersi sempre più in una morsa di muta sofferenza. Era possibile affezionarsi così in fretta ad un luogo angusto e primordiale come poteva esserlo per certi lati l’Inghilterra?
Appoggiò la fronte contro il finestrino del treno, chiudendo gli occhi: si immaginò di essere ancora a Londra, in quella stessa giornata piovosa. Si rivide passeggiare lungo il Westminster Bridge, l’Houses of Parliament e il Big Ben sotto i suoi occhi.
Gli sembrava davvero di essere di nuovo lì, e sforzandosi avrebbe anche potuto ricordarsi del rumore d’auto in sottofondo, del ticchettio leggero della pioggia, e della profonda malinconia che lo stava pervadendo. Non provava più il senso di ingiustizia e rabbia che aveva provato qualche giorno prima: sentiva solo l’odore della pioggia che cadeva sull’asfalto.
Sorrise appena, mentre apriva piano gli occhi, ancora quell’ultima grigia immagine stampata negli occhi.
 
 


 

[1] Giaime - "London rain"
[2] Ringo Starr - "Liverpool 8"
[3] Take That - "Mancunian Way"
Il copyright dei brani appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti/ band e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
"This is England"! Ebbene sì, C'era stato un piccolo indizio alcuni capitoli fa che anticipava questo viaggio, e per questa volta gli eventi narrati hanno preso luogo fuori dall’Italia!
La prima tappa è stata Londra, città dove attualmente vivono i genitori di Alice, il cui primo incontro tra loro ed Alessio non sembra essere andato troppo bene…
Con Liverpool, invece,  è proprio Alice, in un certo senso, ad essere la protagonista: abbiamo scoperto qualcosa di più sul suo passato, in particolare sulla sua infanzia, decisamente molto diversa dalla vita che sta facendo ora. Ve lo sareste aspettati?
E poi infine Manchester, dove i nostri due protagonisti si sono fermati per un evento calcistico (da tifosa non poteva mancare qualche riferimento al calcio inglese - G.), e dove hanno avuto interessanti conversazioni. Tra le strade di Manchester, e in particolar modo percorrendo Canal Street, che si dimostra la location adatta, Alessio e Alice parlano apertamente della pansessualità del primo. Alessio si apre senza particolari freni o timori con Alice, la quale coglie la palla al balzo per riportare a galla certi ricordi, come il bacio scambiato, anche se per gioco, tra Alessio e Pietro un po' di tempo prima. Chissà a che porterà questo riportare a galla certi ricordi …
Piccola curiosità: questo capitolo sarà l'ultimo capitolo ambientato al di fuori dell'Italia prima del 18° capitolo della terza parte (che conta ben 40 pagine LOL). Fino a quel momento resteremo ancora in Italia!
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 8 dicembre per un nuovo capitolo, di nuovo tra le calli veneziane!
 
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Little wonders ***


CAPITOLOP 8 - LITTLE WONDERS



 
Let it go, let it roll right off your shoulder
Don't you know the hardest part is over?
Let it in, let your clarity define you
In the end we will only just remember how it feels
 
Pietro attese con calma che l’acqua della doccia si scaldasse, prima di infilarsi dentro la cabina e tirare un sospiro di sollievo. A starsene lì fuori in attesa aveva cominciato ad avere la pelle d’oca: nonostante la primavera fosse già iniziata da alcune settimane, alla mattina faceva ancora troppo freddo per restarsene ad aspettare per interi minuti senza niente addosso.
Chiuse la cabina della doccia, finalmente solo e abbastanza sicuro di potersene restare in pace almeno per un po’. Erano solo le otto di mattina, e Giada doveva ancora dormire tranquilla: le piaceva svegliarsi tardi quando aveva lezione solo per qualche ora al pomeriggio, e quello era proprio uno di quei giorni.
Pietro si buttò sotto il getto dell’acqua, chiudendo gli occhi mentre sentiva la sensazione di calore e le gocce d’acqua scorrere lungo il suo corpo.
Quella si prospettava come una giornata lunga, sebbene non avesse lezione il giorno stesso né il giorno successivo: probabilmente Giada sarebbe rimasta con lui fino all’ora di doversene andare in università, e la sera se ne sarebbe uscito per festeggiare il compleanno di Alessio.
Sorrise tra sé e sé a quel pensiero, e a nulla servirono gli sforzi per trattenersi. Si sentiva uno stupido, in momenti simili, quando sorrideva automaticamente quando il pensiero tornava a lui, a dispetto di tutte le loro incomprensioni e le parole non dette.
Era da un po’ di tempo che non lo vedeva: seguire due corsi diversi alla magistrale li aveva portati inevitabilmente a dividersi anche all’università. Di certo erano passate due settimane dall’ultima volta in cui aveva parlato con Alessio: l’ultimo loro incontro, in una sala studio della loro facoltà, risaliva a prima della sua partenza per l’Inghilterra. Ovvio che quella sera non sarebbero stati da soli – non sarebbe stata una vera festa per il suo ventiquattresimo compleanno, se fossero mancati Nicola, Caterina, Giulia, Filippo e anche Alice-, ma gli andava bene ugualmente. Cominciava pian piano ad abituarsi all’assenza di Alessio in casa e più in generale attorno a lui, ma non poteva nemmeno negare a se stesso di gioire dentro di sé ogni volta che era sicuro l’avrebbe rivisto. Ed era una cosa del tutto masochistica, lo sapeva: non poteva credere davvero di poterlo dimenticare, se passava gran parte del suo tempo sperando di ricevere un suo messaggio in cui Alessio gli chiedeva se era libero per uscire.
Era che, in certi momenti, per quanto potesse essersi abituato, sentiva la sua mancanza così tanto da sentirsi bloccare il respiro. Ed erano in quei momenti che doveva far forza sulla sua volontà per far finta che andasse tutto bene. Il pensiero di Alessio sembrava accompagnarlo sempre, anche quando non pensava a lui consapevolmente.
Chiudendo gli occhi, facendo un piccolo sforzo per riportare alla mente ricordi che apparivano ormai quasi del tutto sfumati, sarebbe riuscito a ricostruire il sogno che aveva fatto quella notte stessa. Cominciava a sentirsi colpevole, per quei suoi sogni: dormiva con Giada accanto, ma la sua mente, anche dormiente, era rivolta a qualcun altro.
Riaprì gli occhi giusto il tempo per girare la manopola della doccia, bloccare il getto d’acqua e prendere un po’ di bagnoschiuma tra le mani, prima di richiudere gli occhi.
In quel momento, rilassato e senza troppi pensieri per la testa, con ancora il tepore dell’acqua calda stampato sulla pelle, gli era più facile ricordare le sensazioni che gli davano i sogni che ancora faceva su se stesso ed Alessio. Arrossì appena, nel ripensare allo stesso calore che riusciva ad associare a quelle immagini.
Si chiese – con una punta di malizia che in altre occasioni non sarebbe riuscito ad avere senza altri sensi di colpa- cosa sarebbe successo se Alessio fosse stato lì, con lui, in quello spazio ristretto del box doccia.
Probabilmente Alessio l’avrebbe preso in giro per come i suoi capelli si erano appiccicati alla fronte, e Pietro avrebbe ribattuto qualcosa per prenderlo un po’ in giro, sul fatto che fosse più basso di lui o sulle sue lentiggini, o su un qualsiasi altro lato di Alessio che si ritrovava inevitabilmente ad amare.
Alessio gli avrebbe rivolto uno sguardo truce, prima di ridere e sorridergli. E Pietro – lo sapeva che sarebbe andata così, in una situazione come quella che stava immaginando- non sarebbe più riuscito a trattenersi: avrebbe racchiuso quel sorriso tra le sue labbra.
Sarebbe stato solo il primo di una serie di baci: non sarebbe riuscito a resistere, né avrebbe fatto nulla per impedire a se stesso di scivolare sulla pelle di Alessio, lungo il collo e poi continuare a baciare la linea delle spalle larghe.
Pietro stava facendo scivolare le mani sul proprio corpo esattamente come avrebbe accarezzato quello di Alessio: con gesti lenti, calcolati, carezze atte a toccare ogni centimetro di pelle.
Era solo un sogno, un sogno da sveglio, ma l’immagine che riusciva a ricostruire nella sua mente era vivida più che mai: riusciva a vedere Alessio davanti a sé, a sentirne l’odore della pelle, saggiarne la morbidezza, riusciva perfino a vedere le sfumature che avrebbero assunto i suoi capelli biondi bagnati.
Più vedeva i dettagli della scena, più sentiva l’eccitazione crescere, bruciargli nelle vene. Si liberò di qualsiasi altro pensiero: in quell’istante non esisteva Giada, non esistevano pregiudizi per quelli come lui, non esistevano ostacoli. C’erano solo lui ed Alessio, insieme, stretti in una morsa di piacere.
Pietro gli avrebbe baciato ogni neo o lentiggine della schiena, stringendolo piano, delicatamente. Si sarebbe beato dei suoi gemiti, dei suoi fremiti ed ansimi.
Avrebbe smaniato il momento in cui si sarebbe congiunto con lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Pietro ansimò, mordendosi subito dopo le labbra per non farsi sfuggire altri lamenti. Per un attimo tutto intorno a lui rimase confuso e nebuloso, prima di riprendere pian piano contatto con la realtà che lo circondava.
Aprì piano la bocca per buttare fuori l’aria in un sospiro rumoroso, appoggiandosi con la schiena contro la parete della doccia; le ultime scie di eccitazione e di piacere svanirono sempre più, lasciando posto alla spossatezza e ad un senso di spaesamento che gli lasciò l’amaro in bocca.
Rimase immobile ancora qualche attimo, riaprendo finalmente gli occhi: si guardò intorno, come se si aspettasse davvero di trovare Alessio lì, davanti a sé, stanco nello stesso suo modo. Per quanto insistesse nel guardarsi attorno, però, rimaneva solo.
Rigirò la manopola della doccia, e il getto d’acqua calda tornò a colpirlo. Pietro cominciò a passarsi nuovamente le mani sulla pelle, in gesti rapidi e nervosi, come a volersi pulire da qualcosa di appiccicoso, di sporco. Non era rimasto più niente di ciò che era successo giusto qualche minuto prima: ora gli rimaneva solamente la vergogna e la rabbia che provava verso se stesso, verso quei sentimenti che, in quel momento, lo facevano solamente sentire sbagliato e fuori posto.
Si chiese come avrebbe fatto, una volta uscito di lì, a guardare ancora in faccia Giada: un conto era sognare Alessio inconsciamente, un altro era decidere deliberatamente di toccarsi pensando a lui.
E come avrebbe potuto guardare Alessio stesso, quella sera? Già sapeva che sarebbe morto dalla vergogna, dall’impossibilità di rimanere completamente impassibile di fronte a lui.
In un modo o nell’altro riusciva sempre a rovinare tutto, anche quando non vi era alcun motivo per peggiorare le cose.
 
*
 
Il silenzio che era calato da un po’ di minuti era in parte mitigato dalla tv accesa. Pietro stava guardando le immagini trasmesse sullo schermo, senza però ascoltare ciò che stava dicendo il giornalista in sottofondo.
Fare finta di seguire il telegiornale, d’altro canto, era un’ottima scusa per non guardare Giada.
Avevano pranzato insieme, prima che lei dovesse uscire per andare in università. Benché fossero seduti l’una di fronte all’altro, da poco più di mezz’ora, a Pietro sembrava che il pranzo stesse durando un’eternità. Avevano entrambi appena finito di mangiare un semplice piatto di pasta, e Pietro stava solo attendendo il momento giusto per alzarsi di lì con una qualsiasi scusa, evitando così di rischiare di incrociare lo sguardo di Giada anche solo per un secondo.
Sentiva in un qualche modo di averla appena tradita, anche se solo con il pensiero. E a quella sensazione non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente ipocrita: erano anni che in un certo senso la tradiva, pensando ad un’altra persona, e sentirsi in colpa solo in quel momento era quanto meno da stupidi.
Certo, non era mai arrivato a tanto come successo quella mattina – aveva sempre cercato di trattenersi, di non arrivare ad un punto di non ritorno come quello-, ma ciò non cambiava le cose.
Era inutile sentirsi colpevoli, dopo aver fatto finta di nulla per due anni.
Nonostante quella consapevolezza, però, non riusciva a guardare in faccia Giada senza sentirsi un verme. Probabilmente quella sensazione sarebbe poi passata nel giro di un giorno, ma per il momento gli risultava davvero difficile rimanere seduto lì, di fronte a lei, ripensando ai suoi stessi gesti e pensieri in quella maledetta doccia.
-Stavo pensando ad una cosa-.
La voce di Giada lo fece sussultare leggermente, non aspettandosi di sentirla parlare. Si voltò leggermente verso di lei, bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere poggiato sulla tavola per bagnarsi le labbra:
-Ovvero?-.
Giada lo guardò solare, come se stesse per dirgli qualcosa di meraviglioso. Pietro reagì a quell’espressione con sguardo scettico: temeva sempre qualcosa di negativo, quando a Giada venivano certe idee che lei reputava sempre fantastiche.
-Ora che Alessio se ne è andato avrai qualche problema con l’affitto- buttò lì lei, in modo fintamente casuale.
A Pietro ci volle un secondo per recepire quelle parole, ed un altro secondo per recepire il significato implicito. Si sforzò di trovare qualcosa da dire che non fosse troppo brusco o maleducato, ma in quel momento gli venivano in mente solo espressioni di pura disperazione.
-Non particolarmente. Ho qualcosa da parte- cercò di risultare il più convincente possibile, ma si rese conto da solo di non esserlo affatto – E poi nel caso posso sempre trovarmi un appartamento più piccolo-.
-Io avrei un’altra soluzione-.
Il sorriso di Giada si allargò, e Pietro sperò di essersi sbagliato sull’idea che si era fatto su ciò che stava per dirgli lei. Si schiarì la voce, e aspettò qualche attimo per rispondere, sperando di non apparire troppo teso o agitato:
-Credo di aver capito dove stai andando a parare-.
-E non ti piacerebbe?- replicò Giada, portandosi dietro l’orecchio una lunga ciocca dei capelli biondi – Potrei benissimo venire a stare qui: divideremo l’affitto e ... Beh, la convivenza è un passo che prima o poi tutte le coppie fanno-.
Pietro sentì il proprio cuore perdere un battito, e si sentì ancora più colpevole nel pensare di non riuscire a condividere nemmeno un grammo dell’entusiasmo di Giada. Si sentiva in trappola.
-I miei non ti conoscono nemmeno, come glielo spiegherei se dicessi loro che vieni qua a vivere con me?-.
-Sarebbe un’ottima scusa per presentarmeli, invece-.
-Non la prenderebbero benissimo, credo. Non così tutto di colpo, almeno- borbottò Pietro, abbassando lo sguardo. Non aveva idea, in realtà, di come avrebbero potuto reagire i suoi genitori alla notizia di saperlo in coppia con una donna più grande di lui. In due anni non aveva mai nemmeno accennato niente, ed era quasi sicuro del fatto che avrebbero fatto un colpo nel venire a sapere che il loro figlio mezzano fosse in procinto di andare a convivere con qualcuno che non fosse una semplice amica.
E poi, in fondo, quella dei suoi genitori era una scusa per non dover ammettere che era lui per primo a non voler seguire quella strada.
Il sorriso di Giada si spense all’istante, sostituito da un’espressione fredda e ferita. Pietro si sentì nuovamente in colpa, nel vederla così.
-Quanto dovrò ancora aspettare, prima che tu smetta di vergognarti come un ladro per il fatto che stai con me?-.
Non faticava a leggerle in faccia la delusione e la stanchezza di aspettare qualcosa che, forse, non sarebbe mai accaduto. Gli sembrava di vederla appesa ad un filo, in procinto di spezzarsi, mentre lui se ne rimaneva a guardare, inerte ed indifferente.
-Non mi vergogno. Ho solo bisogno di tempo- Pietro si decise finalmente ad alzare lo sguardo, l’espressione dura del volto. Cominciava a sentirsi sempre più in colpa e spazientito, e tutto ciò che avrebbe voluto sarebbe stato interrompere quella discussione inutile.
Giada sbuffò nuovamente, stropicciando tra le mani il proprio tovagliolo, prima di ributtarlo sopra il tavolo in malo modo:
-Hai ventitré anni, Pietro, stiamo insieme da due anni! Quanto tempo ancora ti servirà?-.
Pietro cercò di ragionare più a mente fredda possibile: non dava tutti i torti a Giada, effettivamente rimandava da troppo tempo l’incontro tra lei e la sua famiglia. Forse perché, in tutto quel tempo, una parte di sé aveva sempre sperato di riuscire a lasciarla prima di arrivare ad un punto simile.
Ora, invece, doveva cercare perlomeno di mediare, di tranquillizzarla. E doveva cercare di restare calmo lui per primo.
-Nei prossimi mesi ti presenterò alla mia famiglia, giuro. Ma per la convivenza ... – Pietro finalmente parlò di nuovo, all’apparenza calmo, ma in realtà teso come una corda di violino – Davvero dobbiamo pensarci ora? Vorrei almeno finire l’università, prima-.
-Mi stai chiedendo di aspettare almeno un anno?-.
Pietro annuì, e Giada sembrò realmente pensarci su. Forse nemmeno a lei dispiaceva aspettare ancora un po’ per un passo del genere, e forse quello poteva essere il giusto compromesso.
In quegli attimi Pietro sperò che accettasse quella proposta, almeno per il momento.
-Un anno ancora. Poi ne riparleremo più seriamente- promise di nuovo, sperando di convincerla veramente. Giada rimase in silenzio ancora qualche attimo, prima di tornare a guardarlo con un’espressione indecifrabile:
-Va bene. Se ti serve altro tempo, ne parleremo in un altro momento-.
I muscoli di Pietro si rilassarono, e anche il cuore smise di battere più velocemente. Si sentì subito meno sotto pressione e meno in trappola, nel sentire Giada dire quelle parole.
Aveva ancora un po’ di tempo per riuscire a capire cosa fare. Si chiese solamente se, in ogni caso, sarebbe riuscito a capirlo davvero.
 
*
 
Our lives are made
In these small hours
These little wonders
These twists and turn of fate
 
Caterina prese un sospiro profondo, chiudendo per un attimo gli occhi ad una fitta particolarmente dolorosa che le attraversò la fronte. Sperò ardentemente che il mal di testa se ne andasse in fretta, anche se nutriva qualche dubbio a tal proposito: l’idea di passare il resto della serata con quei dolori non la allettava per niente.
Si guardò ancora una volta allo specchio, osservando la propria immagine riflessa: non era particolarmente pallida, e a prima vista nessun segno visibile lasciava trapelare il suo malessere. Sbuffò ancora una volta, prima di prendere dalla piccola mensola sopra il lavandino il blister della pillola: ne prese una, come aveva fatto poco prima con un antidolorifico, tenendola stretta nel palmo della mano. La mise subito in bocca, prima di buttarla giù con una sorsata d’acqua presa dal bicchiere che teneva saldo nell’altra mano. Finì di bere, e subito dopo se ne andò a stendersi sul materasso in camera da letto, tirando l’ennesimo sospiro.
Erano quasi le nove di sera, e tra non molto avrebbe dovuto alzarsi per uscire: nonostante fosse tentata di rimanere a casa, non aveva voglia di saltare la festa del compleanno di Alessio solo per quello stupido mal di testa.
Chiuse gli occhi, cercando di liberare la mente, lasciare andare tutto lo stress che si sentiva addosso. Sentì dei passi provenienti dalla cucina avvicinarsi sempre più alla stanza, e non le servì aprire gli occhi per capire che Nicola doveva aver appena finito di lavare i piatti usati per la cena.
-Direi che tra poco dovremo avviarci-.
Caterina aprì un occhio a fatica, mettendo a fuoco la figura di Nicola sulla soglia della stanza, che la fissava incuriosito:
-Stai bene? Sembri ad un passo dal coma-.
-Non fare lo spiritoso- lo rimbrottò lei, risultando però molto meno convincente di quel che avrebbe voluto – Certi mal di testa sono odiosi-.
-Confermo. Certi mal di testa lo sono davvero-.
Caterina avvertì distintamente Nicola fare qualche altro passo, arrivando a sedersi sul letto, accanto a lei.
-Sicura di farcela? Possiamo sempre inventarci qualche scusa per non andare-.
Caterina aprì entrambi gli occhi quando sentì una mano di Nicola accarezzarle prima i capelli e poi una guancia del viso.
-Ce la posso fare. Di solito i miei mal di testa se ne vanno abbastanza facilmente. Passerà anche questo, come sempre-.
-Sei troppo stressata, ecco cosa- replicò Nicola, poggiando una mano sul letto per tenersi in equilibrio, mentre abbassava il viso più vicino a quello di Caterina.
Aveva ragione. Anche Caterina era d’accordo nel pensare che fosse lo stress accumulato nelle ultime settimane a causarle tutta quella stanchezza e spossatezza. Doveva ancora smaltire la fatica e l’ansia dovuta al trasloco di Nicola, che – per quanto si fosse risolto in fretta- l’aveva lasciata completamente distrutta. E poi c’era lo stress della convivenza, che andava a gonfie vele, ma a cui doveva ancora abituarsi del tutto. E in ultimo c’era anche il pensiero dell’università, degli ultimi esami, e della tesi da preparare.
Era sempre di corsa, nell’ultimo periodo, non poteva certo negarlo.
-Ci sono sempre un sacco di cose da fare- borbottò Caterina, poggiando una mano sulla fronte. Si lasciò cullare dolcemente dalle carezze di Nicola, leggere e delicate come un soffio di brezza di un giorno d’estate.
-Dovresti cercare di rilassarti- riprese lui, avvicinandosi ancora un po’ – Forse credo di sapere anche come fare per allentare un po’ la tensione-.
Caterina cercò di ignorare il sorriso che le rivolse Nicola, le sue guance già imporporate, ricambiandolo con un’occhiata pessimista. Fu però più difficile cercare di ignorare la mano di lui che si era appena infilata sotto il tessuto leggero della maglietta, ad accarezzarle piano la pelle nuda dei fianchi.
-Questo sarebbe il tuo metodo contro le emicranie?- lo prese in giro, facendo finta di non essere affatto convinta.
-Beh, aiuta davvero con i problemi di stress-  Nicola arrossì ancora più violentemente, ma le sue dita non si fermarono: lentamente continuavano a sfiorare la pelle, risalendo lungo il fianco. Caterina fremette a quel tocco, nonostante si stesse sforzando di non lasciar trapelare alcun motto di piacere; la verità era che, a dispetto di tutto, in quel momento ricevere le attenzioni di Nicola non la infastidiva per niente.
-Arriveremo tardi alla festa di Alessio- cercò di dissuadere ancora Nicola, anche se, in fondo, non ci stava mettendo alcuna determinazione nella voce. Si stava facendo accarezzare in modo arrendevole, facendo solo finta di preoccuparsi del ritardo con cui sarebbero giunti al locale dove dovevano trovarsi con tutti gli altri.
-Gli altri possono attendere- Nicola si abbassò su di lei, sussurrandole all’orecchio. Caterina trattenne a stento una risata nervosa ed eccitata al tempo stesso, prima di avvicinarsi con il viso a quello dell’altro e lasciargli un bacio all’angolo della bocca.
-Non ti assicuro una grande reattività da parte mia- mormorò, tornando a stendersi – Sai, il mal di testa non aiuta-.
Nicola si sistemò meglio, stendendosi sopra Caterina e facendo scivolare la stoffa della maglietta sempre più su:
-Ci penso io a te, farò quel che vuoi-.
Caterina rise ancora, piano, prima che le risa venissero soffocate da un altro bacio di Nicola.
Chiuse gli occhi, godendosi il tocco delle sue mani su di sé, il pensiero della festa di Alessio distante e offuscato. Sarebbero arrivati tardi, ma poco le importava.
Ci avrebbero pensato in un secondo momento.
 
*
 
Time falls away
But these small hours
These small hours still remain
 
Pietro si costrinse a cercare di rimanere calmo, mentre varcava la soglia del locale dove aveva lavorato Alice fino a due anni prima, quando ancora non si era laureata e doveva finire l’università.
Essendo solo giovedì all’interno – e più in generale in giro per Venezia- non c’era molta gente; non fece fatica ad individuare il tavolo occupato da Alessio, Alice, Giulia e Filippo. Si guardò meglio intorno, ma non vide traccia di Caterina e Nicola: tirò un sospiro di sollievo al pensiero di non essere l’unico ritardatario del gruppo.
Si avvicinò lentamente al tavolo, la mano destra che teneva saldamente una piccola busta bianca al cui interno vi erano due pacchetti colorati. Non aveva idea se anche gli altri avessero fatto qualche regalo ad Alessio, ma poco gli importava: regalargli qualcosa non era mai stato un peso, né una scocciatura come a qualsiasi compleanno di chiunque altro. Era una cosa che gli veniva facile e naturale, pensare a ciò che gli sarebbe piaciuto o ciò che gli avrebbe fatto piacere ricevere. Di solito non era mai facile capire cosa davvero passasse per la testa ad Alessio, ma almeno per i regali era sempre stato un libro aperto. Almeno per Pietro.
-Qualcuno dei nostri in vista, finalmente!- la voce di Giulia lo accolse prima di chiunque altro, vedendolo arrivare prima che Pietro arrivasse definitivamente al tavolo.
Alessio era seduto al lato opposto di Giulia, di spalle; gli ci vollero pochi secondi per girarsi, e nel momento in cui Pietro si ritrovò davanti agli occhi il suo sorriso non poté fare a meno di sentire le gote andare in fiamme.
I ricordi della doccia di quella stessa mattina gli passarono per la mente come un flash, facendolo sprofondare nell’imbarazzo più totale: era così strano rivedere dal vivo Alessio, dopo che nemmeno dodici ore prima si era dato piacere da solo pensando proprio a lui.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa, perfino allungare la busta con i regali all’interno sopra il tavolo, Alessio si era alzato: in pochi secondi Pietro si ritrovò con le sue braccia attorno al collo, in uno slancio che non si sarebbe aspettato proprio da lui e proprio in quel momento.
Pietro si costrinse a ricambiare la presa cercando di mantenere un certo distacco, passandogli a sua volta un braccio attorno alle spalle; se fossero stati da soli, probabilmente, non sarebbe riuscito a trattenersi dal stringerlo a sé fino a non lasciarlo andare più.
Sentì Alessio avvicinarsi con il viso al suo orecchio, e nonostante Pietro non potesse vederlo in faccia, ebbe la sicurezza che, in quel momento, stesse sorridendo.
-Mi sei mancato-.
Pietro intensificò la stretta per qualche secondo, nascondendo il sorriso appena nato sulle labbra nella curva tra il collo e la spalla di Alessio, prima di sciogliere l’abbraccio.
Lanciò una veloce occhiata oltre all’altro, rimasto in piedi di fronte a lui: Alice li stava guardando in una maniera strana, in un insieme che Pietro avrebbe definito tra il malinconico e il divertito. Anche Filippo era sorridente, mentre Giulia non stava facendo nulla per nascondere il ghigno malizioso che le era comparso a disegnarle le labbra.
-Sai, Pietro, potresti essere considerato Babbo Natale da quanto sei rosso in faccia- lo canzonò, trattenendo a stento le risate quando Filippo le lanciò un’occhiata di biasimo.
-Sono appena arrivato, dev’essere la differenza di temperatura che c’è tra qui dentro e fuori- cercò di giustificarsi lui, ben consapevole che Giulia avesse in effetti ragione: si sentiva letteralmente bruciare, sia per l’imbarazzo che per la vicinanza che c’era appena stata con Alessio.
-Certo, l’escursione termica. Mi hai proprio convinta- replicò Giulia annuendo, con chiara ironia. Continuava a rivolgere un sorriso sarcastico a Pietro, in attesa di una qualche sua risposta, ma lui si limitò a guardarla male prima di decidersi a risponderle istintivamente, in un modo di cui, lo sospettava, si sarebbe pentito subito:
-Ok, la verità è che giusto stamattina in doccia ho lasciato vagare un po’ troppo la fantasia su Alessio, e ... Beh, non vorrei entrare nei particolari, ma posso dire che rifarei l’esperienza anche ora. Magari approfondendo la cosa-.
Pietro si distese un po’, quando vide Giulia e Filippo scoppiare a ridere, probabilmente convinti che il suo fosse solo uno scherzo. Dovevano essere troppo certi dell’impossibilità effettiva della cosa per credere davvero che potesse essere vera.
-Comunque, buon compleanno- Pietro li lasciò perdere, rivolgendosi finalmente ad Alessio, ancora in attesa in piedi di fronte a lui – Quest’anno eviterò di dirti che stai diventando vecchio, visto che ormai è più che evidente-.
-Guarda che sei tu che cominci ad avere qualche capello bianco, non io- lo prese in giro lui – Comunque: in che maniera pensavi di approfondire con me stasera?-.
Pietro rimase un attimo interdetto da quella domanda, prima di trovare il modo per sviare intelligentemente il discorso:
-Dandoti i regali per i tuoi ventiquattro anni-.
Alzò il braccio, facendo finire la busta bianca davanti al viso dell’altro. Alessio rise sommessamente, prima di afferrarne i manici e lanciarvi un’occhiata all’interno:
-Non dovevi, davvero. Mi vizi troppo-.
-Qualcuno dovrà pur farlo, no?-.
Alessio gli lanciò un ultimo sorriso, prima di sedersi di nuovo; Pietro prese posto a sua volta, andando a sedersi accanto a Filippo.
Non passarono molti minuti, prima che Pietro potesse accorgersi anche di Caterina e Nicola: erano entrati praticamente correndo nel locale, le gote arrossate probabilmente per l’aria fredda della sera e per la corsa appena conclusa.
-Ma che fine avevate fatto?- li accolse Alessio, sentendo i loro passi avvicinarsi e voltandosi verso di loro giusto in tempo per vederli arrivare al tavolo.
-Un piccolo imprevisto- rispose prontamente Caterina, scambiandosi una veloce occhiata d’intesa con Nicola. Alessio si avvicinò per i consueti baci sulle guance da parte di Caterina, e Pietro non poté fare a meno di gongolare dentro di sé nel notare che Alessio non si era lasciato andare in abbracci con nessun altro. Non aveva stretto a sé nessun altro, né, da quel che poteva immaginare, aveva detto a qualcuno quanto gli fosse mancato. In un certo senso si sentì compiaciuto della cosa.
-Sì, credo anche di immaginare che tipo di imprevisto fosse- intervenne ancora una volta Giulia, causando uno sbuffo sonoro da parte di Filippo:
-Ma che ti prende, stasera? Non puoi nemmeno dire di essere in astinenza, perciò ... -.
-Perciò sto solo rallegrando l’atmosfera, mon trésor- .
Tutti scoppiarono a ridere, inevitabilmente. Anche Pietro si lasciò andare, genuinamente divertito: in quel momento di ilarità gli sembrava quasi, per un istante, di poter lasciare dietro di sé ogni problema e insicurezza.
Almeno per quella sera.
 
It’s the heart that really matters in the end
 
*
 
Say it’s more than spiritual, physical
Love me like a miracle, miracle
‘Till my bones are ashes that blow in the breeze
Say you’ll be there for me
Say you’ll be there for me [1]
 
La temperatura esterna era decisamente calata, nonostante non fosse nemmeno lontanamente notte inoltrata. Pietro avvicinò la sigaretta alle labbra, prima di allontanarla ancora e buttare fuori il fumo. Si strinse un po’ di più nelle spalle, pentendosi di essersi portato dietro solamente un giubbino leggero: sentiva troppo freddo, vestito così. La sigaretta stava finendo, ma continuava a prendersela con comodo, senza alcuna fretta di rientrare nonostante i brividi che gli percorrevano la schiena.
La serata era proseguita bene, in fin dei conti, così come era iniziata dopo che erano arrivati finalmente tutti. Avevano già bevuto qualche drink, tra le chiacchiere e gli schiamazzi. Si respirava un’atmosfera leggera come non capitava da mesi, e di questo Pietro era estremamente contento; in un certo senso quella serata sembrava aver risollevato la pessima mattinata e gran parte dei dispiaceri vissuti nei mesi precedenti.
Alessio aveva anche ordinato il dolce, giusto per concludere la serata degnamente. Era stato proprio poco dopo che il cameriere si era allontanato dopo aver preso la loro ordinazione, che Caterina si era alzata in tutta fretta con uno sguardo preoccupato. Era letteralmente scappata in bagno, seguita poco dopo da Nicola. Pietro non sapeva che le fosse preso, visto che, approfittando dell’attesa per il dolce e aspettando anche la ripresa di Caterina, se ne era uscito. Ed ora si ritrovava ancora lì, dopo dieci minuti, intento a dare gli ultimi tiri a quella sigaretta che era riuscita a distrarlo dal freddo almeno un po’.
A quell’ora lì fuori non c’era praticamente nessuno: a parte lui, poco più in là, c’erano solo alcune coppiette, decisamente più distanti dalla porta d’ingresso del locale di quanto non lo fosse Pietro.
Non si voltò nemmeno quando sentì distrattamente la porta del bar aprirsi, e il rimbombo di passi avvicinarsi. Solo quando si accorse che la persona appena uscita doveva essersi fermata accanto a lui, Pietro finalmente si voltò: non rimase troppo stupito nel vedere Alessio, anche se, doveva dire, non si sarebbe aspettato di trovarselo di fronte proprio in quel momento.
-Sei venuto a fumare anche tu, per caso?- gli domandò, ironicamente. Buttò a terra il mozzicone della sigaretta, voltandosi poi verso l’altro.
-Al massimo posso ubriacarmi, ma non credo fumerò mai in vita mia- scosse la testa lui. Pietro notò che aveva in mano la busta bianca con i suoi regali: si chiese come mai l’avesse portata fuori, ma si tenne quella domanda per sé. Almeno per il momento non era una questione fondamentale.
-Caterina come sta?-.
-Ha vomitato. Dice che il mal di testa che aveva le ha fatto venire troppa nausea, e così ... – spiegò Alessio, facendo spallucce – Penso se la caverà. Ho detto a Nicola di accompagnarla a casa, ma Caterina ha insistito per provare a rimanere ancora un po’-.
-Allora forse sta già un po’ meglio-.
-E tu, come stai?-.
Quella domanda di Alessio spiazzò Pietro per diversi secondi. Era strano sentirsi rivolgere una domanda del genere proprio da lui. Forse era il primo segno evidente di come fossero passati al vedersi ogni giorno per diverse ore, al vedersi sì e no qualche volta durante la settimana.
-Come al solito- bofonchiò Pietro. Evitò accuratamente di parlare di Giada: non aveva voglia di ripercorrere con la memoria la discussione di quella mattina, né aveva la minima intenzione di dire ad Alessio di che avevano parlato. Sapeva già che si sarebbe messo ad inveire contro di lei.
-A te come è andato il viaggio in Inghilterra?-.
-Diciamo che se non è stata una disfatta poco ci manca- rise amaramente Alessio, sbuffando – Non l’hanno detto esplicitamente, ma i genitori di Alice preferirebbero di gran lunga un giovane lord britannico per la loro figlia-.
-Allora è vero quando dicono che gli inglesi sono assolutamente snob- rispose ironicamente Pietro, sorridendo – Ma per ottenere un così esiguo consenso che hai fatto, esattamente? Non dirmi che ti sei presentato loro in canottiera bianca, crocefisso d’oro al collo e sigaretta sopra l’orecchio come un vero maschio italiano-.
-Oh certo che sì, sono anche entrato in casa suonando il mandolino- rise a sua volta Alessio, scambiandosi uno sguardo con Pietro.
Pietro continuò a sorridere, come inebetito: erano quei momenti semplici che gli mancavano, quelli in cui a lui ed Alessio bastavano poche parole e semplici sguardi per capirsi al volo, per capire quando finiva la troppa serietà e quando iniziava lo scherzo o viceversa. Gli erano mancati i sorrisi spontanei che Alessio riusciva a disegnargli sulle labbra, i brividi che gli donava ogni volta che lo guardava.
“Ecco quanto poco ti basta per farmi sciogliere ogni volta”.
-E con il libro come procede?- cambiò argomento Alessio, dopo alcuni attimi – Hai già finito di leggere pure quello?-.
Pietro scosse il capo, anche se soffermandosi a ricordare dov’era arrivato ne La Valle dell’Eden poteva dire che gli mancavano ormai poche pagine prima della fine. Glielo aveva regalato Alessio al suo ultimo compleanno, ma aveva avuto il coraggio di iniziare a leggerlo solo nelle ultime settimane.
-Non mi manca moltissimo-.
-Spero almeno ti sia piaciuto- disse di nuovo Alessio, con fare speranzoso come se credesse davvero che il suo regalo non fosse stato apprezzato. Ad una implicazione simile Pietro gli avrebbe riso in faccia, anche se doveva ammettere che leggere quel libro non era stato sempre semplice – non quando il tema dell’autodeterminazione era così presente, facendolo pensare troppo alla sua stessa situazione.
-È Steinbeck, potrebbe mai non piacermi?- si limitò a rispondere, facendo ridere sommessamente Alessio. Rimasero così in silenzio per qualche secondo, prima che fosse ancora Pietro a parlare:
-Comunque, una domanda mi sorge spontanea- riprese, indicando subito dopo la busta bianca che Alessio ancora teneva in mano – Perché te la sei portata dietro? Temevi che qualcuno, in tua assenza, ti avrebbe rubato i tuoi preziosi regali?-.
-Non esattamente- rispose Alessio, con un sorriso imbarazzato, tanto che se, non ci fosse stato troppo buio, Pietro avrebbe giurato di vederlo arrossire almeno un po’ – Avevo intenzione di scartarli. Ora-.
-Potresti aspettare di arrivare a casa, in ogni caso- Pietro si sentì arrossire a sua volta, per niente pronto a quell’eventualità: aveva calcolato che Alessio avrebbe scartato i suoi regali una volta rincasato, non certo lì davanti a lui, in un momento in cui erano soli. Sapeva già che dargli spiegazioni almeno per uno dei due sarebbe stato troppo difficile.
-Ma sono curioso- esclamò l’altro, allargando le braccia – Di solito tu hai sempre buone idee su cosa regalarmi. Voglio vedere se anche quest’anno è stato così-.
Pietro sospirò a fondo, prima di annuire rassegnato. Non sembrava avere molte altre vie di scampo, non quando Alessio si metteva in testa di fare qualcosa.
Alessio si lasciò andare ad un sorriso divertito, prima di tendere la busta aperta a Pietro, borbottando un veloce “Reggi”. Si bloccò per qualche attimo mentre dava un’occhiata all’interno della sporta, prima di rivolgere uno sguardo interrogativo all’altro:
-Dovrei iniziare da uno dei due in particolare, o fa lo stesso?-.
-Inizia da quello più grande. L’altro ... – la voce gli venne a mancare per un secondo – L’altro è meglio lasciarlo per ultimo-.
Alessio fece spallucce, e Pietro tirò un sospiro di sollievo per il fatto che non avesse nemmeno provato ad indagare maggiormente su quelle sue parole. Lo osservò mentre prendeva in mano il pacchetto più grande, dalla forma di un parallelepipedo; Alessio non attese oltre per strappare la carta in un punto, per ritrovarsi infine tra le mani una copia di Sulla strada.
-È per caso un modo implicito per invitarmi a partire per gli Stati Uniti con te?- sorrise il biondo, rigirandosi il libro tra le dita, osservandone la copertina liscia e aspirando l’odore delle pagine stampate.
-In realtà non ci avevo nemmeno pensato ad una cosa simile. Io e te non riusciremmo mai a sopravvivere in un posto sconosciuto e sconfinato come gli Stati Uniti, davvero- rise a sua volta Pietro, immaginandosi per qualche istante un viaggio simile: no, davvero, lui e Alessio avrebbero fatto sicuramente una brutta fine, perdendosi inevitabilmente in uno qualche Stato rurale del centro degli States.
-Però mi ricordo che anni fa ti avevo prestato la mia copia e ti era piaciuto- proseguì – Così ora ne avrai una tua da rileggere quando vorrai-.
-Beh, lo rileggerò comunque immaginando di esserci noi al posto di Kerouac-.
Rimise il libro nella sporta per facilitarsi il compito di aprire l’ultimo pacchetto. Pietro si sentì arrossire ancor di più, e al pensiero delle spiegazioni che avrebbe dovuto dare ad Alessio per quell’ultimo regalo sentì il cuore accelerare il battito. Non era preparato a quella situazione, non era minimamente pronto a dire certe cose a voce alta di fronte ad Alessio.
Attese gli ultimi istanti con il respiro vagamente accelerato, il cuore che sembrava pronto ad esplodergli per l’ansia; si costrinse ad assumere una compostezza e una tranquillità che esistevano solo in superficie ed in apparenza.
Alessio iniziò a scartare anche il secondo pacchetto, lo sguardo curioso fisso sull’involucro colorato e decisamente più piccolo e meno geometrico dell’altro.
Pietro trattenne il respiro per un attimo, nel momento in cui Alessio aprì la carta a sufficienza per notare che, dentro di essa, vi era una singola chiave.
Alessio la guardò stupito, e Pietro si rese conto che, probabilmente, già l’aveva riconosciuta. Si costrinse a non scostare gli occhi, quando si ritrovò quelli azzurri di Alessio puntati sul proprio viso:
-Ma questa è ... -.
-La tua chiave del nostro appartamento. O meglio, di quello che era il nostro appartamento-.
Alessio annuì piano, l’espressione che sembrava essersi fatta più nostalgica di quanto Pietro si sarebbe mai aspettato.
-L’avevo lasciata da te prima di andarmene- mormorò, rigirandosela in mano – Non serviranno a nessun altro ora, vero?-.
-No, non credo che qualcun altro prenderà il tuo posto-.
Pietro si passò una mano tra i capelli, in imbarazzo: Alessio era tornato a guardarlo come in attesa, e in quel momento faticava tremendamente a trovare le parole giuste da dire.
-È che ... – Pietro si schiarì la voce, le iridi chiare di Alessio che continuavano ad osservarlo come se, intorno a loro, non ci fosse nient’altro – Lo so che ora sei felice con Alice e, credimi, non sai quanto sia felice io stesso nel vederti stare bene-.
Prese l’ennesimo sospiro, solo per prendere più tempo. Cercò di spostare lo sguardo altrove, ignorando il rossore del viso che doveva farsi sempre più evidente, ma gli risultava difficile mantenere la calma sapendo che Alessio era in ascolto ed in attesa che lui proseguisse.
Pietro si decise a tornare con gli occhi su di lui, e perse un altro battito nel vedere l’intensità del suo viso:
-Se un giorno, però, qualcosa dovesse ... Rompersi, se qualche giornata dovesse essere più storta delle altre, quando avrai bisogno di staccare anche solo per un minuto, o per un’ora, anche se ora non ci vivi più nel nostro appartamento, diciamo che ... – la tentazione di scappare via era tanta, ma si costrinse a finire di parlare – Per quanto tempo possa passare, rimarrà sempre anche un po’ tua, quella casa. È una di quelle cose che non si possono cancellare da un giorno all’altro, non così facilmente-.
Il silenzio che era calato a Pietro sembrava teso e calmo allo stesso tempo. Era agitato, ansioso anche solo di sapere cosa potesse pensare in quel momento Alessio, ed allo stesso modo, per una qualche strana sensazione, si sentiva tranquillo. Non c’era nulla che potesse dargli la certezza che Alessio non avrebbe equivocato quelle parole, ma dentro di sé sapeva che, per qualche assurda ragione, tutto sarebbe andato bene.
Alessio abbassò per qualche attimo il viso, rigirandosi ancora tra le mani quell’unica chiave. Rimase così per attimi che a Pietro parvero infiniti, fino a quando non rialzò il capo. Forse era solo un’illusione, l’oscurità della notte che confondeva le cose, ma gli occhi di Alessio sembravano lucidi e velati di un qualcosa che a Pietro sembrava rimorso e mancanza.
-È molto da te fare un discorso del genere su noi due- mormorò Alessio, la voce impastata e bassa. Non c’era segno di rimprovero nella voce, e Pietro piegò le labbra in un sorriso appena accennato:
-Ed è un male?-.
-No, non lo è. È solo che ... – Alessio abbassò nuovamente il viso, per pochi secondi, prima di infilare le chiavi in tasta e rialzare lo sguardo – Mi sento sbagliato. Un ingrato che non ti merita fino in fondo-.
-Non è una questione di merito- Pietro parlò più istintivamente di quanto si sarebbe aspettato. Si bloccò, la consapevolezza di stare addentrandosi in un terreno alquanto pericolo che si faceva sempre più concreta.
Non aveva idea di cosa avesse spinto Alessio a parlare in quel modo, e forse avrebbe dovuto ragionarci di più; il rischio di parlare troppo, di dire qualcosa che avrebbe fatto meglio a tacere era dietro l’angolo. Pietro prese l’ennesimo respiro, impossibilitato a riflettere lucidamente a causa di Alessio: per i suoi occhi azzurri che lo stavano osservando in silenzio, per la sua espressione stanca e tirata, per la voglia di voler dire tutta la verità per la prima volta negli ultimi anni, e per la stessa consapevolezza che invece avrebbe fatto meglio a desistere.
-È qualcosa di diverso. Qualcosa di più-.
Pietro tacque, senza aggiungere altro. Sperò che anche ad Alessio bastasse, e per gli attimi seguenti sperò che non gli chiedesse spiegazioni o specificazioni ulteriori. Sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo difficile spingersi oltre.
-Sì, lo è- sussurrò infine Alessio, e Pietro non seppe come interpretare quella sua risposta. Cominciava a perdere l’orientamento in quella loro conversazione, che di normale non sembrava avere nulla. Era diverso, era tutto diverso dal solito.
Era come se, per assurdo, anche Alessio stesse parlando con la sua stessa consapevolezza.
-È come se, per quanto possiamo farci del male ed allontanarci, poi tornassimo sempre l’uno dall’altro-  Alessio proseguì, le labbra disegnate in un sorriso appena accennato, ma che a Pietro parve più sincero e luminoso del solito – Siamo degli idioti-.
-Degli idioti che si vogliono bene, nonostante tutto-.
“O forse sono solo io ad essere un idiota che ti ama troppo”.
Pietro non fece in tempo ad aggiungere altro, né fece in tempo a pensare o fare qualsiasi cosa: Alessio gli aveva di nuovo buttato le braccia attorno al collo, in quello che era un abbraccio più impacciato ed intimo del primo.
Era già la seconda volta in poche ore che si ritrovavano così stretti, ma a Pietro quel momento sembrò totalmente diverso dal precedente: erano da soli, stavolta, senza nessuno a guardarli o a ironizzare su di loro; non c’era bisogno di aggiungere altro, né pensare a quel che sarebbe venuto dopo. Pietro si abbassò un attimo per lasciare la busta bianca a terra, per avere entrambe le mani libere per ricambiare la stretta di Alessio.
Inspirò piano il suo profumo, ritrovandolo famigliare e buono come lo ricordava, di una normalità quasi sensuale. Per la prima volta dopo mesi, da quando Alessio se n’era andato dal loro appartamento, si sentì in pace. Si sforzò di non protestare in alcun modo quando Alessio si allontanò un po’, pur rimanendo così vicino che Pietro si ritrovò ad arrossire inevitabilmente, nel rendersi conto della vicinanza in cui si ritrovavano i loro visi.
-Ti ho pensato, mentre ero in Inghilterra- Alessio sembrava essere in difficoltà allo stesso modo, le gote arrossate probabilmente più per il disagio che per il freddo della notte – Ho pensato a noi due-.
-E a che hai pensato?- chiese Pietro in un filo di voce, non molto sicuro di voler conoscere davvero la risposta. Si chiese se fosse meglio sciogliere l’abbraccio in cui ancora si trovavano: quella vicinanza cominciava a dargli una strana impressione, una sensazione diversa da quelle che aveva provato in tutti i contatti fisici avuti con Alessio. Benché fossero fuori da un locale, in uno spazio pubblico, sentiva l’intimità di quel momento come non mai.
-A diverse cose- riprese Alessio, che sembrava sforzarsi di non scostare lo sguardo altrove – A certe cose accadute tra noi. È come se ... -.
-Come se?-.
Alessio non rispose, gli occhi azzurri che finalmente si erano fissati sul suo viso. Pietro non insistette, e rimase a sua volta in silenzio.
Cominciava a capirci davvero poco di quella situazione, la confusione che gli regnava sovrana in testa. C’era Alessio e le sue braccia che ancora lo tenevano stretto a sé, il calore del suo corpo e il profumo della sua pelle, gli occhi che lo tenevano fissato in una maniera che Pietro non avrebbe saputo definire, e le labbra sottili appena dischiuse che sembravano terribilmente invitanti.
Cercò di convincersi del fatto che Alessio non l’avrebbe baciato, e che l’avvicinarsi del suo viso fosse solo un’illusione dovuta all’aspettativa del momento.
Si costrinse a non muoversi, pur sapendo che, in qualche attimo, avrebbe perso definitivamente la testa ben prima che Alessio potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Pietro chiuse gli occhi, e per un istante si immaginò di sentire sulle proprie labbra quelle di Alessio: ne avrebbe sentito il sapore e la ruvidezza, in un bacio semplice che avrebbe cambiato tutto.
Tutto ciò che sentì, invece, fu solamente lo sbattere della porta d’ingresso del locale, ed Alessio che scioglieva repentinamente l’abbraccio, come se si fosse scottato improvvisamente.
A Pietro non servì nemmeno guardare oltre le spalle di Alessio per capire chi doveva essere uscito: non si stupì affatto nel riconoscere in distanza la figura di Alice, accompagnata da Giulia. Il ghigno che aveva quest’ultima stampato in faccia fece temere a Pietro il peggio: Alessio doveva averlo scostato da sé troppo tardi per evitare di essere visti entrambi in quell’abbraccio fin troppo intimo.
-Mi spiace interrompere il vostro dolcissimo idillio- esclamò subito Giulia una volta avvicinatasi maggiormente, prima di dar loro il tempo per dire qualsiasi cosa – Ma hanno portato il dolce al tavolo già da un po’-.
-Ora rientriamo- liquidò la questione Alessio, annuendo nervosamente. Lanciò un’occhiata veloce a Pietro, distogliendo subito dopo lo sguardo, prima di accennare qualche passo verso la porta d’ingresso.
-Abbiamo interrotto qualche cosa di interessante?- scherzò nuovamente Giulia, maliziosa. Pietro cercò di trattenersi dal dire o fare qualsiasi cosa: si sentiva ancor più in imbarazzo nel sapere di essere stato visto sia da Giulia che da Alice in quella situazione.
-Non prendere per il culo- borbottò Alessio, passandole accanto velocemente. Si arrestò e sobbalzò sorpreso quando Giulia, ridendo come non mai, portò le mani al suo fondoschiena, guadagnandosi un’occhiata torva dal diretto interessato:
-Intendi “prendere per il culo” in questo modo?-.
Pietro rimase ancora immobile, nell’ascoltare le imprecazioni di Alessio e le risate di Giulia mentre se ne tornavano dentro al locale, lasciandolo lì fuori.
-Forse dovremmo tornare dentro anche noi-.
Anche Pietro si ritrovò quasi a sobbalzare, nel rendersi conto di essersi quasi dimenticato della presenza di Alice: se ne era rimasta in disparte fino a quel momento, e anche ora, nel parlare, sembrava poco propensa a fargli notare la sua presenza.
-Sì, dovremmo- Pietro le si avvicinò, e forse sarebbe potuta essere solo una sua impressione, ma il volto di Alice sembrava amareggiato e disilluso come mai prima di quel momento – Stai bene?-.
-Sì, va tutto alla grande-.
Alice cercò di fingere un sorriso che faticava a risultare convincente, e Pietro non riuscì a non darsi dell’idiota tra sé e sé: era così ovvio che non stesse andando tutto bene, e si pentì subito di averle fatto quella domanda. Non aveva idea di cosa potesse ridurla in quello stato – se l’averlo visto con Alessio in quel modo o qualcos’altro-, ma non indagò oltre: preferì prenderla sottobraccio, in un gesto di muto affetto, dirigendosi verso l’entrata del locale.
Alice non oppose alcuna resistenza: si lasciò guidare mollemente, il capo appoggiato alla spalla di Pietro, lo sguardo spento ed assente esattamente come prima.
 
All of my regret
Will wash away somehow
But I cannot forget
The way I feel right now
 
*
 
Erano rimasti lì un’altra ora, ed era già l’una di notte passata quando Pietro si avviò per le calli buie e deserte di Venezia per tornare a casa.
Camminava nel silenzio della notte, il solo rimbombo dei suoi passi e lo sciabordio debole dell’acqua dei canali ad accompagnarlo nel suo percorso.
Si sentiva inaspettatamente leggero, nonostante tutto ciò che sarebbe potuto andare meglio in quella serata: Caterina se ne era andata con Nicola prima di tutti loro, e anche una volta rientrati Pietro non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa fosse preso ad Alice, insolitamente cupa e fredda.
E poi, tra tutti quei pensieri negativi e confusi, rivedeva il sorriso di Alessio, e sentiva ancora il calore del suo corpo contro il suo. Gli tornava in mente lo sguardo limpido e brillante che gli aveva rivolto poco prima, quando fuori dal locale si erano separati. Pietro se ne era rimasto fermo diversi minuti nel vedere la sua figura allontanarsi con Alice, Giulia e Filippo, prima di accorgersi che si stava facendo davvero troppo tardi.
Si chiese cosa sarebbe successo se Giulia ed Alice non fossero uscite affatto durante il loro abbraccio. A ripensarci, ora, sembrava un ricordo a stento reale. Si domandò anche cosa stava per dirgli Alessio, cosa ci fosse che gli premesse così tanto da dirglielo in un momento simile.
Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Non avrebbe cercato di tornare sull’argomento. Sapeva che nessuno di loro l’avrebbe fatto.
Pietro si strinse nelle spalle, il freddo della notte che sembrava ricordargli di essere vivo; avrebbe dovuto proseguire la sua vita come se quell’abbraccio non ci fosse mai stato, come se le parole non dette di Alessio non gli interessassero davvero. Cominciava a rendersi conto che, per affrontare certe cose, ancora doveva trovare il coraggio necessario.
Sorrise ancora una volta, nonostante tutto. Poteva essere solo un’illusione, la sua, solo una stupida falsa aspettativa, ma era come se qualcosa sotto la superficie fosse appena cambiato.
 
In these small hours
These little wonders
These twists and turns of fate
These twists and turns of fate
Time falls away, but these small hours
These small hours still remain
Still remain
These little wonders, these twists and turns of fate

Time falls away but these small hours
These little wonders still remain [2]






 
[1] Take That – “Will you be there for me?”
[2] Rob Thomas - "Little wonders"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Beh, che dire... Someone was about to get kissed 👀 d’altro canto questo capitolo è iniziato con una piega piuttosto hot, era solo giusto che potesse finire in una certa maniera 😂
Ma andiamo con ordine:
all’inizio di questo capitolo scopriamo che Giada sembra voler fare il passo della convivenza, ma è proprio durante questa conversazione che scopriamo alcune cose. La prima è che, a quanto pare, la famiglia di Pietro non sa niente di lei e della loro storia, e la seconda (anche se non per importanza) è che il progetto della convivenza sembra piacere solo a lei. Pietro, infatti, sembra voler temporeggiare, anche se non dovremmo escludere il ruolo che potrebbero i sensi di colpa che prova verso di lei ... Al momento, comunque, la questione è rimandata a data da destinarsi.
La parte più succosa, però, è di certo quella che riguarda la festa di compleanno di Alessio.
In questo finale di capitolo possiamo trovare un evento chiave. In questi casi, infatti, le parole possono sembrare quasi inutili e girare attorno a un evento simile sarebbe quasi assurdo. Quello che c'è stato tra Pietro ed Alessio può essere descritto con due sole parole: quasi bacio!
Sembra più che evidente, quindi, che la conversazione che Alessio ha avuto con Alice su suolo inglese abbia dato dei risultati... risultati certamente non prevedibili, ma sempre di risultati possiamo parlare.
I due ragazzi torneranno prima o poi sull'argomento? Quanto accaduto porterà, prima o poi, a delle conseguenze oppure no?
Per scoprire questo e altro vi diamo appuntamento a mercoledì 22 dicembre, con l’ultimo capitolo del 2021!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Get into trouble ***


CAPITOLO 9 - GET INTO TROUBLE




 
Arrivò al pianerottolo del primo piano tirando un lungo sospiro, il caldo di fine aprile che cominciava decisamente a farsi sentire. Pietro non indugiò oltre, dirigendosi a passo sicuro verso l’appartamento sulla sinistra, schiacciando il campanello per avvertire della sua presenza.
Ci vollero pochi secondi prima che la porta si aprisse, lasciandolo sbigottito solo per i primi attimi:
-Ciao- Pietro salutò Alice un po’ incerto. Si era aspettato di trovare Alessio ad aprirgli, visto che era lui che cercava, ma fu la stessa Alice a togliergli ogni dubbio poco dopo, mentre gli apriva di più la porta per lasciarlo entrare:
-Alessio è ancora fuori- gli spiegò, sorridendogli e con l’accento inglese tenuto a bada – È dovuto andare alle poste per sistemare una cosa, ma penso non ci metterà troppo-.
-Non sarei troppo ottimista, visto che ci sono di mezzo le poste- replicò ironico Pietro. Alice rise sommessamente, mentre richiudeva la porta d’ingresso dietro di lui, poi facendogli strada. Non era la prima volta che Pietro metteva piede lì dentro: c’erano già state un paio di altre volte che aveva passato del tempo a casa di Alice ed Alessio, e la sensazione di stranezza che gli attanagliava la bocca dello stomaco era sempre la stessa. Era strano riconoscere in una nuova casa certi dettagli che appartenevano unicamente ad Alessio, e che sapeva appartenere solo a lui, e che una volta adornavano quel che era stato il loro appartamento. Doveva ancora farci l’abitudine.
-Do you want something?- gli chiese Alice, distraendolo da quegli attimi di silenzio – Un bicchiere d’acqua? O magari del the. Abbiamo anche della birra-.
-Gli alcolici li lascerei per dopo, o non so se saremmo in grado di studiare davvero-.
Alice rise di nuovo, e anche Pietro accennò un sorriso.
Alla mancanza d’imbarazzo tra di loro, invece, ci si era abituato. Erano diversi anni, ormai, che la presenza di Alessio non era più necessaria per fare da ponte tra di loro.
Pietro non avrebbe avuto alcun problema a definire Alice sua amica: erano, in verità, due anime più affini di quanto non avesse pensato nei primi mesi in cui l’aveva conosciuta. Si trovava bene con lei, e gli piaceva la persona che era.
Non sarebbe mai riuscito ad avercela con lei per nessun motivo, nemmeno per il fatto che lei fosse stata decisamente più fortunata di lui con Alessio.
-Andiamo in salotto, intanto- propose Alice, indicando il divano poco distante dall’entrata – Alessio prima o poi tornerà-.
“Sempre se non troverà una fila chilometrica davanti a lui”.
Pietro era pessimista. Alessio, quella mattina a lezione, non gli aveva accennato a quella commissione, ma poteva essersene dimenticato o poteva essere stata una cosa improvvisata. In qualsiasi caso le cose non cambiavano molto: era venuto lì per iniziare a studiare insieme in vista del primo esame della sessione, ed ora era sicuro che avrebbero perlomeno iniziato in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Pietro cominciava a dubitare che avrebbero anche solo studiato dieci pagine quel pomeriggio.
L’unica consolazione era che sapeva che Alessio non lo stava evitando volontariamente: aveva avuto ragione a credere che, dopo la sera del suo compleanno, tutto sarebbe proseguito come niente fosse. Che Alessio stesse ignorando certe cose deliberatamente, o perché era stato solo Pietro ad attribuirvi certi significati, poco cambiava: tra di loro andava tutto come sempre, solo con dubbi in più che Pietro si portava dietro tacitamente.
Seguì Alice verso il divano del salotto, dove lei era già arrivata: se ne stava in piedi con le mani sui fianchi a guardare qualcosa sul divano con sguardo seccato.
-Fuck- la udì borbottare, e quando Pietro finalmente la raggiunse notò la pila di vestiti appena lavati, ma ancora da ripiegare, che occupava metà divano – Gli avevo detto di sistemare questa roba-.
Si riferiva ovviamente ad Alessio, e Pietro si ritrovò a ridere sotto i baffi:
-Non ti sei ancora abituata al suo casino?-.
Si sfilò la tracolla per posarla a terra, prendendo posto nello spazio di divano lasciato libero. Alice optò per occupare la poltrona di fronte, sedendovisi con un lungo sospiro.
-No, decisamente. Non mi ero resa conto fosse così disordinato-.
-Non hai ancora visto niente- Pietro osservò divertito lo sguardo piuttosto traumatizzato di Alice – Alessio sarebbe capace di mettere in disordine anche una stanza completamente vuota-.
Lei si passò una mano sul viso, stancamente:
-Ora capisco come mai casa vostra certe volte era sottosopra-.
“Vero” si ritrovò a pensare Pietro, dandole ragione tra sé e sé. Quando Alessio viveva con lui l’appartamento era davvero nel caos più assoluto il più delle volte, per quanto avesse sempre cercato di metterci una pezza e sistemare un po’ del disordine di Alessio. Pietro non aveva mai creduto possibile sentire la mancanza di un tale casino, ma la verità era che ora gli mancava anche trovare qualsiasi cosa in disordine ogni volta che rientrava a casa.
-Non grazie a me- disse, sforzandosi di non lasciare andare troppa malinconia evidente nel sorriso che rivolse ad Alice – Ci farai l’abitudine. Ad un certo punto non ci farai neanche più caso-.
Per lui non era vero, ma era un caso particolare.
-Tu non ci facevi caso?-.
-Diciamo che ad un certo punto ho rinunciato a farglielo presente. Evidentemente è più forte di lui- Pietro scrollò le spalle – Il caos gli appartiene-.
-Oh sì. It truly belongs to him-.
Pietro ebbe l’impressione che Alice si riferisse anche ad altro, ma non le chiese nulla.
 
*
 
-Beh, direi che per oggi può bastare così-.
Aveva appena finito di dirlo, ed Alessio aveva già chiuso il suo libro – un insieme di fotocopie con i margini tutti arricciati, tenute insieme per pura fortuna- senza alcun apparente ripensamento. Pietro si ritrovò a ridere sotto i baffi:
-Un secchione come te che rinuncia ad un’ora in più di studio?- lo prese in giro – Mi stupisci-.
Alessio lo guardò malamente, ma senza alcuna serietà:
-Tanto prenderò comunque un voto più alto di te all’esame-.
-Scommettiamo?-.
Pietro lo guardò con un sopracciglio alzato in attesa, ma Alessio in tutta risposta si alzò dalla sedia che aveva occupato fino a quel momento, sorridendo tra sé e sé. Quando Pietro si ritrovò con le sue dita a scompigliargli i capelli rimase immobile, cercando di non lasciarsi andare troppo a quel contatto.
-Resti a cena qui, vero?-.
Quella domanda lo fece atterrare di nuovo nella realtà. Pietro si voltò verso di lui, standosene ancora seduto quando Alessio sembrava già sul punto di uscire da quella stanza, adibita a piccolo studio e con un letto per gli ospiti poco distante.
-In realtà … -  non fece in tempo a concludere la frase con una qualche giustificazione inventata, che Alessio lo interruppe:
-Ovvio che resti qui a cena. Niente scuse-.
Pietro si ritrovò ad annuire semplicemente, preso troppo contropiede. Forse, in fondo, doveva solo approfittare di quelle occasioni in cui era Alessio stesso a dimostrargli la mancanza che doveva provare nei suoi confronti: se possibile, da quando si era trasferito da Alice, gli aveva dimostrato molto più attaccamento di quanto non avesse mai fatto negli ultimi due anni, almeno nelle poche volte in cui si vedevano. Da quel punto di vista, Pietro lo doveva ammettere, c’era stato un miglioramento evidente.
“Se bastasse solo questo a risistemare tutto …”.
Seguì Alessio verso la cucina. Erano appena le sette e mezza, orario piuttosto tardo per finire di studiare ma Alessio era rientrato decisamente più tardi del previsto. Non che quella fosse stata una gran sorpresa: Pietro se l’era immaginato non appena Alice gli aveva accennato della commissione alle poste.
Quando entrarono lì, però, Alice era già davanti ai fornelli, un’aria pensierosa in viso. Quando udì i loro passi si voltò immediatamente verso di loro.
-Qualche idea in particolare per la cena?-.
Pietro passò lo sguardo da lei ad Alessio per un paio di volte, il sopracciglio alzato in un momento di realizzazione:
-Ah, vi siete messi d’accordo per tenermi qui, vedo-.
Era piuttosto evidente che avessero già messo in conto quell’eventualità. Non gli serviva nemmeno osservare il viso vagamente arrossito di Alessio o il sorriso imbarazzato che Alice gli stava rivolgendo.
-All’incirca- ammise lei per prima.
“E d’altro canto che motivo avrebbero per non farlo?”.
Forse se fossero stati consapevoli dei suoi tormenti interiori non sarebbe andata ugualmente, ma non ne sapevano nulla. E di certo Alice avrebbe avuto da ridire, se le avesse ricordati di certi dettagli di alcune settimane prima.
Pietro si chiese, in un secondo fugace, come avrebbe reagito Alice nello scoprire cosa provasse per Alessio. Avrebbe provato ad allontanarli? O il suo buon cuore avrebbe vinto e avrebbe sopportato in silenzio, senza mettersi in mezzo?
Non aveva alcuna risposta a quella domanda. Forse se il legame tra lui ed Alice fosse rimasto ad una semplice conoscenza superficiale, ad un legame quasi nullo, allora forse lei avrebbe davvero cercato di tenerli separati. Ma Alice lo considerava suo amico, questo lo sapeva. Si comportava da amica con lui, ed instaurare quel rapporto amichevole era forse stata uno dei suoi obiettivi più evidenti da quando Alessio l’aveva introdotta nel loro gruppo.
Forse avrebbe sofferto anche lei, nello scoprire di tutto ciò che stava dietro a quella facciata di tranquillità, esattamente come faceva Pietro stesso.
-Sorry- fu proprio la voce di Alice a riportarlo indietro dai suoi pensieri – What about fish and chips?-.
Pietro si lasciò scappare un sorriso malinconico al ricordo che quel piatto aveva legato a sé, un ricordo che aveva il sapore degli stessi pensieri che aveva appena formulato qualche secondo prima.
 


-Sul serio? Rinunciate al sushi per un fish and chips?-.
Gli occhi spalancati di Alessio lasciavano trasparire tutta la sua incredulità. Sarebbe stata un’espressione altamente comica, e Pietro sapeva che sarebbe scoppiato sicuramente a ridere in un’occasione diversa da quella in cui si trovava, in cui invece era teso come una corda di violino.
Il suo sguardo andò ad Alice, che era seduta di fronte a lui al tavolo della cucina. Lei, invece, a quell’esclamazione scioccata di Alessio aveva riso sul serio. In maniera sommessa, a malapena udibile, ma l’aveva fatto, e quello era forse il segno che stava cominciando a sentirsi meno a disagio. Non che la sua timidezza fosse una novità: ora che la metà di dicembre era arrivata Pietro aveva un po’ perso il conto delle volte in cui aveva incontrato Alice. Non si erano ancora molto parlati a tu per tu, se non per pochi minuti, a causa molto probabilmente del suo carattere non espansivo – e perché, Pietro odiava ammetterlo, ogni volta che la vedeva aggiungeva un punto in più al suo elenco mentale delle cose che facevano di Alice una persona migliore per Alessio rispetto a lui. Non odiava direttamente lei, quello no: per quanto poco la conoscesse ancora Alice gli dava l’impressione di essere una persona dolce, e attenta e premurosa. Ed era sempre maledettamente gentile, con un sorriso sincero pronto per tutti, anche se allo stesso tempo gli dava l’impressione che potesse diventare una persona estremamente ferma nelle questioni più spinose.
Era davvero perfetta per Alessio.
Lui non lo era di certo.
E poi ormai c’era Giada a cui pensare, con cui soffocare tutta la sua vergogna e l’odio per ciò che era e provava.
-Non vi capisco- si lamentò ancora una volta Alessio. Era stato lui a voler organizzare quella cena a tre, a casa loro. Pietro aveva accolto quella notizia due giorni prima con finto benestare, come se essere da solo in presenza di Alessio ed Alice non fosse un peso enorme.
Ora che era passato un po’ di tempo da quando Alice era arrivata, ed era giunto il momento di scegliere cosa ordinare per cena, l’imbarazzo generale era un po’ diminuito, ma Pietro continuava a rimanere a disagio.
Poteva ignorare solo fino ad un certo punto quanto si stringesse il proprio stomaco ogni volta che li vedeva in atteggiamenti tipici da fidanzati – ogni volta che Alice gli lasciava una carezza su un braccio o sulle mani, ogni volta che lo guardava con evidente trasporto.
Era innamorata, d’altro canto. Non poteva darle torto: avrebbe fatto esattamente le stesse cose, se ci fosse stato lui al suo posto.
Solo che, invece, poteva solo limitarsi ad invidiarla.
-Non sono molto propenso al sushi, sinceramente- si sforzò a dire, storcendo il naso.
Inaspettatamente Alice prese la parola subito dopo di lui:
-E a me manca la cucina inglese-.
Non era nemmeno stata lei a proporre di ordinare da quel ristorante appena aperto che faceva specialità perlopiù britanniche, ma Pietro. Eppure ora se la ritrovava improvvisamente coalizzata con lui.
-Vi siete alleati, quindi- soppesò Alessio, che evidentemente si era dato già per sconfitto – Chi l’avrebbe mai detto-.
Pietro condivise appieno quelle ultime parole, anche se non lo disse a voce. Con la coda dell’occhio vide Alice lanciargli un’occhiata che non riuscì a interpretare, e che preferì ignorare.
Fu Alessio stesso, alla fine, ad ordinare quel che avevano deciso. Concentrato al telefono per fare l’ordine, il silenzio calò su di loro per qualche minuto, a parte qualche sporadica domanda sui possibili dolci che si potevano aggiungere all’ordine e le bibite da prendere.
Fu dopo aver finito anche quel passaggio che Alessio si alzò bruscamente, posando il cellulare sul tavolo.
-Vado un attimo in bagno- annunciò non appena fu in piedi, gettando Pietro in un lungo momento di panico. Non riuscì nemmeno a dire nulla mentre osservava Alessio allontanarsi sempre di più dal tavolo e dalla sedia dove era rimasto seduto fino a quel momento, uscendo dalla cucina e poi svoltando l’angolo nel corridoio che lo avrebbe condotto al bagno.
Ora erano solo lui ed Alice, seduti l’uno di fronte all’altra, e Pietro riuscì solo a sperare che Alessio se ne stesse via per pochi secondi.
Non era mai stato tipo da sentirsi a disagio in presenza di persone poco conosciute, ma in quel momento si sentiva sulle spine come non mai.
-Si è piuttosto arrabbiato-.
Rimase sorpreso quando Alice parlò dopo pochi attimi che erano rimasti soli. Pietro alzò gli occhi su di lei: stava sorridendo vagamente divertita, ed era evidente che si stesse riferendo ad Alessio e alla sua delusione riguardo la cena. Ed era altrettanto evidente che il suo fosse un tentativo di rendere la situazione meno imbarazzante di quanto non fosse già.
O forse aveva davvero voglia di parlargli, e a quel dubbio Pietro rimase ancor più interdetto.
-Non sul serio- replicò infine, cercando di usare un tono di voce casuale – Può benissimo ordinare del sushi domani o qualche altra sera-.
Si chiese che impressione avesse dato ad Alice fino a quel momento, da quando si erano incontrati per la prima volta alcuni mesi prima. Forse lei non lo aveva ancora inquadrato, perché in fin dei conti si erano parlati poco, o forse lo trovava già antipatico a pelle. Pietro sperava solo che su di lui non avesse avuto l’impressione che provasse qualcosa per colui che era il suo fidanzato.
-Sono contenta di questa cena. I was looking forward to it-.
Alice parlò ancora una volta per prima, dopo che il silenzio aveva rischiato ancora una volta di calare tra loro.
-Ero curiosa di conoscerti meglio-.
Pietro aggrottò la fronte, sulla difensiva. Dove voleva andare a parare Alice?
-Come mai?- le chiese cauto. Lei non sembrò sorpresa da quella domanda: alzò semplicemente le spalle, rivolgendogli un sorriso timido.
-Sei il coinquilino di Alessio. Un suo amico caro- gli rispose con semplicità, l’accento inglese un po’ più marcato rispetto a prima – Parla spesso di te-.
Tutta la cautela che Pietro aveva assunto negli ultimi secondi evaporò all’istante. Era ovvio quel che stava cercando di dirgli Alice: semplicemente voleva conoscere le persone che stavano intorno ad Alessio, le persone a cui teneva. I suoi amici. Probabilmente più avanti nel tempo la sua famiglia.
Pietro si sentì vagamente in colpa per come si era comportato fino a quel momento nei suoi confronti, così sulla difensiva e così poco propenso a parlarle. Alice non stava facendo nulla di male. Non era colpa sua, almeno non volontariamente, di tutto ciò che gli si stava rimescolando dentro.
La verità era che, se solo le avesse dato la possibilità di avvicinarsi, molto probabilmente sarebbe persino finito a volerle bene.
Forse anche a considerarla un’amica.
E quello sarebbe stata solo un’altra cosa ancor più complicata da aggiungere a tutto il resto.
-E che dice?- Pietro si sforzò di chiederle, con sincera curiosità.
Alice gli sorrise più apertamente:
-Solo cose positive. Gli piaci molto-.
Pietro cercò di ignorare la fitta al petto che provò a quelle parole.
-Deve volerti molto bene-.
“Non nel modo in cui gliene voglio io”.
-Gliene voglio anche io- si costrinse a rispondere, anche se non era del tutto una bugia. Lo era solo per metà, perché in fin dei conti l’affetto per Alessio era vero, in qualsiasi sua sfumatura. Restava solo il fatto che il suo era un bene diverso da quello che si prova verso un amico.
“Ma lui ha già Alice per sentirsi anche amato”.
-Credo stia bene con te, comunque- si sforzò di aggiungere, con dolorosa onestà – Voglio dire … È più tranquillo rispetto a prima-.
-Really?-.
Pietro annuì ancora, trovando che sorriderle dopo aver ammesso ad alta voce quel pensiero fosse molto più difficile di quel che si era immaginato.
-Mi fa piacere saperlo- Alice lo disse con voce bassa, quasi provasse imbarazzo – Tengo molto a lui-.
E forse era proprio quello che li avrebbe avvicinati. La cosa che più avevano in comunque, almeno in quella fase della loro vita.
Si ritrovavano irrimediabilmente legati dallo stesso sentimento per la stessa persona.
-Sì, lo immagino-.
 


Forse per qualche tempo aveva davvero rifuggito quella vicinanza naturale ad Alice, quella forza che li portava ad essere più vicini e simili di quanto Pietro si sarebbe mai aspettato, ma poi aveva fallito.
E se i guai nella sua vita erano cominciati con Alessio, ben prima di conoscere lei, nel tempo non avevano fatto altro che aumentare. Si sentiva in colpa ogni volta che posava gli occhi su Alice, il tacito tradimento che lo portava ogni volta a farlo sentire meschino.
-Pietro?-.
Era stata Alice stessa a chiamarlo, e quando alzò lo sguardo su di lei la vide ancora in attesa di una risposta. Nei suoi occhi c’era l’ombra del dubbio, e sebbene in quel momento Pietro sapesse già che era un’incertezza del tutto superficiale e passeggera, si chiese se ogni tanto non avesse dubbi anche sulla sua lealtà come amico.
-Per me va bene- si costrinse a rispondere, accennando ad un sorriso che si fermò solo alle labbra, senza raggiungere neanche lontanamente gli occhi.
Ma ad Alice sembrò bastare. Le bastava sempre il minimo indispensabile per trovare il buono in ogni cosa.
Si chiese, sempre fermo a qualche metro di distanza da lei, se lo avrebbe ancora considerato un amico se avesse saputo di tutto quel che gli passava per la testa, di tutto quello che provava, o di certe cose già successe – o che avevano rischiato di accadere.
Forse nemmeno la bontà naturale di Alice sarebbe bastata.
 
*
 
Il sole cominciava a tramontare inesorabilmente, il cielo che sembrava tingersi di mille sfumature di rosa ed arancione mischiate al blu. In quella sera di fine aprile non faceva freddo ma, per quanto cercasse di stringersi nella giacca, Caterina sentiva addosso un gelo terribile.
Era come se nulla potesse fermare i brividi che le correvano lungo la schiena, rendendola nervosa e facendola sudare freddo.
Non sapeva quanto tempo fosse già passato da quando si era seduta sugli scalini di un vecchio pozzo in disuso, nel centro di Campo San Stin: intorno a lei passavano persone appena uscite dai negozi, altri che si dirigevano verso il bar all’angolo della piazzetta, alcuni turisti fermi ad ammirare la bellezza di quegli angoli nascosti di Venezia. Era come se Caterina non li vedesse, come se nessuno di loro fosse davvero lì.
Tirò fuori dalla borsa il telefono per controllare l’ora, e si rese conto di essere uscita di casa già un’ora prima. Nicola non l’aveva chiamata, e in fondo non ne aveva motivo: per lui lei era fuori per un veloce aperitivo con alcune compagne di università, in un bar dietro casa.
Doveva comunque muoversi, decidere cosa fare. Non poteva certo rimanere lì tutta la serata, in preda ai dubbi e alle paure che si facevano sempre più forti in lei.
Rimise il cellulare nella borsa, e per la prima volta da quando era giunta lì puntò gli occhi sulla farmacia che si trovava accanto ad un bar. Il fatto di aver un assoluto bisogno di trovare una farmacia di turno, aperta anche la domenica sera, era l’unico motivo per cui si era spinta in quell’angolo del sestiere di San Polo.
Doveva alzarsi da lì, percorrere qualche metro ed entrare lì dentro. Non doveva e non poteva andarsene via da lì a mani vuote.
Caterina tirò un respiro profondo. Per la prima volta da quando viveva lì, Venezia le sembrava incolore. Tutto era offuscato dalla paura irrazionale che sentiva dentro di sé, dai mille timori che cominciava a non riuscire più a tenere a bada.
In un inaspettato momento di determinazione si alzò dallo scalino dove era seduta. Cominciò a camminare, lentamente, superando i tavoli del bar e arrivando in pochi attimi davanti all’entrata della farmacia. Entrò, dando una veloce occhiata a quanta gente ci fosse prima di lei, richiudendo la porta dietro di sé.
Nonostante la maglietta e la giacca leggiere stava cominciando a sudare veramente. Si sentiva soffocare, nonostante la temperatura nella piccola farmacia non fosse affatto insopportabile.
Davanti a lei c’era solo una signora anziana, che pagò poco dopo. Caterina si avvicinò al bancone diffidente, le mani che continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il farmacista di turno le rivolse un cenno:
-Cosa desidera?-.
Caterina si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.
Non ce l’avrebbe fatta, non ne aveva il coraggio.
E allo stesso tempo non poteva perdere altro tempo, né negare a se stessa che la verità sarebbe comunque emersa.
-Mi servirebbe un test di gravidanza-.
 
*
 
Aveva passato la notte insonne, come le capitava ormai da qualche giorno. Era una sensazione che non aveva mai provato, quella di voler conoscere la verità ad ogni costo, ma allo stesso tempo averne una paura tale da prendere in considerazione l’idea di seppellire tutto sotto l’indifferenza.
La nausea si era ripresentata anche quella mattina, con una puntualità che a Caterina sembrava perfino incredibile. Forse era tutta una questione di suggestione, ma troppe cose cominciavano a coincidere.
Non era facile rimanere incinta assumendo nello stesso periodo la pillola, di questo ne era convinta. Ed era altrettanto vero che, nell’ultimo mese, era stata male per colpa dello stress abbastanza volte per farle temere di non averla assorbita ogni giorno nel migliore dei modi. Se ne stava rendendo conto troppo tardi.
Stesa nel letto, sotto le coperte, le sembrava di essere tornata a quando aveva diciotto anni, a quando quella situazione l’aveva vissuta la prima volta. Anche all’epoca era finita per comprare un test di gravidanza, e tutto si era risolto come un brutto ricordo – e diversi mesi separata da Nicola. Ma allora non prendeva la pillola, ed un ritardo del ciclo naturale era molto più normale di un ritardo del ciclo di sospensione.
Sentì Nicola rigirarsi nel letto, probabilmente in procinto di alzarsi: aveva lezione quella mattina stessa, e a Caterina non sarebbe potuta andare meglio di così. Non voleva che la vedesse più nervosa del solito, né tantomeno che le chiedesse cosa stava succedendo.
Le parole che le aveva rivolto anni prima, quando ancora temeva di essere incinta, le ronzavano traditrici in testa. Erano tornate vivide e presenti come se fossero appena state dette, pronte a farla stare ancora più in ansia di quanto già non fosse.
Serrò maggiormente gli occhi e cercò di regolarizzare il respiro per non far pensare a Nicola di essere sveglia. Lo sentì finalmente scostare piano le coperte sbadigliando, prima di alzarsi definitivamente dal materasso e dirigersi verso il bagno.
Caterina attese qualche attimo, il rimbombo dei passi di Nicola che si faceva sempre più distante, prima di allungarsi verso il comodino e girare la sveglia per poter vedere meglio l’ora: erano appena le otto di mattina.
Rimase a letto a fingere di dormire fino a quando Nicola non fu pronto per uscire. Gli fu grata per non essersi azzardato a cercare di svegliarla, nonostante dovesse trovare strano il fatto che non si fosse ancora alzata a studiare per preparare gli ultimi esami che le mancavano prima della laurea.
Non appena sentì Nicola chiudere la porta di casa dietro di sé, Caterina si alzò fulmineamente. Dovette però arrestarsi subito: la nausea si fece più forte, ed uno dei capogiri che le si presentavano da un po’ di giorni a quella parte non le facilitò le cose.
Cercò di respirare piano per allentare il senso di malore. Si girò ancora una volta verso la sveglia, e si accorse che non era passata nemmeno un’ora da quando Nicola si era svegliato.
Quando sentì la nausea attenuarsi almeno un po’ provò ad alzarsi, con movimenti lenti. La testa sembrava in procinto di scoppiarle, e i capogiri non se ne andarono ancora per diversi secondi.
Si trascinò nell’ingresso dell’appartamento, il più piano possibile, arrivando finalmente alla sua borsa, appesa all’attaccapanni. Vi frugò dentro, e sul fondo ritrovò il test di gravidanza, incartato con cura.
Quello era il momento migliore per farlo: era mattina ed era sola in casa. Nessuno l’avrebbe disturbata.
Ritornò in camera, il test in mano, e si risedette sul bordo del letto; sentiva il cuore martellarle nel petto, il terrore che tornava a farsi sentire come non mai.
Con mani che tremavano strappò l’incarto, buttandolo poi in un angolo del letto. Tra le mani teneva ancora stretta la scatola del test di gravidanza: pur leggendo e rileggendo le istruzioni stampate sul retro della scatola, non riusciva a concentrarsi a sufficienza per comprenderle davvero.
Le sembrava di essere in un sogno in cui non riusciva a decidere cosa fare o come agire da lì in avanti.
Si portò una mano al viso, passandosela velocemente sugli occhi lucidi, il respiro che si faceva sempre più forte. Doveva calmarsi, cercare di ragionare il più lucidamente possibile.
Non poteva permettersi di piangere proprio in quel momento.
Doveva essere forte per se stessa, ma non ce la faceva nemmeno a pensare di poter riuscire a fare quel maledetto test, lì da sola, in balia di pensieri quanto mai pessimistici.
Doveva di nuovo prendere una decisione, nel minor tempo possibile.
 
*
 
Appena suonò il campanello Caterina sperò vivamente che Filippo non fosse in casa. Non aveva nemmeno pensato ad una scusa da rifilargli nel caso le avesse aperto la porta lui, o se fosse stato comunque a casa.
In realtà non era nemmeno sicura che ci fosse Giulia. Poteva essere uscita per andare a fare la spesa, approfittando del fatto che per quel giorno non avrebbe avuto lezione, o magari poteva essere ancora a letto.
Quando finalmente Caterina udì dei passi all’interno dell’appartamento, sempre più nitidi e sempre più vicini, cominciò ad agitarsi nuovamente. Pregò con tutta se stessa che fosse Giulia e che fosse sola.
La porta si aprì, e Caterina poté finalmente tirare un sospiro di sollievo: Giulia la squadrava da capo a piedi, con il pigiama ancora addosso e i capelli arruffati. Segno che doveva essersi alzata dal letto solo per aver sentito il campanello suonare.
-Che ci fai qui a quest’ora?- borbottò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e reprimendo uno sbadiglio – È praticamente l’alba-.
-È una cosa importante- replicò Caterina, non aspettando alcuna replica per fare un passo all’interno dell’appartamento – Filippo è in casa?-.
-No, ha lezione fino alle quattro. Perché?- domandò Giulia, ora incuriosita. Chiuse la porta d’ingresso e si avvicinò maggiormente a Caterina.
-Grazie al cielo- sussurrò lei, tirando un sospiro di sollievo. Ora non le rimaneva che cercare di spiegare la situazione a Giulia, e per la prima volta da quando era uscita di casa si rese conto che non sarebbe stato per niente facile.
-Mi vuoi spiegare che succede?- domandò ancora Giulia, sempre più allarmata – Vieni qui senza preavviso di mattina presto, mi chiedi se sono sola in casa, e sei pallida come non so cosa. Sei sicura di stare bene?-.
Caterina sorrise amaramente, la voglia di piangere che tornò prepotentemente:
-No. Non sto bene, in effetti- mormorò, abbassando il capo – Ti devo parlare. Di una cosa seria-.
-Cioè?- Giulia parve più preoccupata. Le si avvicinò ulteriormente, in attesa di una qualche risposta. Caterina si morse il labbro: non sapeva come dirglielo, se non andando subito al nocciolo della questione.
-Ho un ritardo-.
-Ma prendi la pillola. È impossibile- replicò subito Giulia, lo sguardo sempre più apprensivo. Sembrava più incredula di Caterina stessa.
-Appunto per questo è strano- Caterina strinse le braccia contro il petto, guardando altrove per evitare lo sguardo di Giulia – Ho una strana sensazione. Mi sento ... Diversa dal solito. Non saprei come spiegarmi meglio-.
Giulia soppesò per un attimo quelle parole. Caterina tornò ad osservarla, e intuì come Giulia stesse realizzando a poco a poco ciò che stava cercando di dirle. Sembrava persa in mille pensieri, esternati solamente dallo sguardo pensoso e dall’espressione angosciata del viso.
-Hai già comprato un test di gravidanza?-.
-Giusto ieri sera-.
Giulia annuì di nuovo, seria come Caterina l’aveva vista poche volte:
-Allora forse è meglio se scopriamo che sta succedendo-.
 


-Dobbiamo aspettare tre minuti, ora-.
Giulia osservò Caterina annuire silenziosamente, mentre usciva dal bagno. Avevano riletto insieme le istruzioni, e ci erano voluti diversi minuti per convincere Caterina ad entrare finalmente nel bagno per fare il test.
Caterina sembrava essere ancora più pallida di prima, lo sguardo vacuo. Giulia la osservò mentre appoggiava la schiena contro la parete; cercò di avvicinarsi a lei lentamente, poggiandole una mano sulla spalla.
-Magari è solo un falso allarme. Può sempre capitare- cercò di rassicurarla, ma la sua voce apparve ben poco convinta. Per quanto si sforzasse di essere positiva, anche lei nutriva un certa sensazione riguardo a quello che sarebbe stato il risultato del test. Sperava solo di sbagliarsi.
-Basta vomitare una volta poche ore dopo aver preso la pillola per rischiare- mormorò Caterina, in un filo di voce – Non ci avevo nemmeno pensato, a inizio mese, quando sono stata male-.
-Non è comunque detto- insistette Giulia, non sapendo che altro dire.
-E la nausea, la stanchezza, i giramenti di testa, come li spiegheresti? Sto così da quasi due settimane-.
-Potrebbe essere carenza di vitamine, il troppo stress, qualsiasi altra cosa- Giulia tirò un sospiro, portandosi una mano tra i capelli, nervosamente – Comunque ora ci toglieremo direttamente il pensiero, e poi la smetteremo con tutte queste ipotesi-.
-Non sono molto convinta che ci toglieremo davvero il pensiero, stavolta- farfugliò di nuovo Caterina, sentendo di nuovo l’ansia salire.
Giulia si staccò dalla parete, avvicinandosi alla porta socchiusa del bagno. Non si sentiva tranquilla, per niente: sperava davvero che Caterina si sbagliasse su tutta la linea, lo sperava sia per lei che per Nicola.
Cominciava a sentire su di sé una pressione che non aveva avvertito fino a quel momento, ma che ora cominciava a farle accelerare il battito e a focalizzare ogni pensiero solo su quella situazione.
-Vediamo se il test ha elaborato il risultato- borbottò, attendendo che Caterina la seguisse.
Giulia entrò nel bagno, individuando subito il test di gravidanza poggiato orizzontalmente sopra il bordo della vasca da bagno. Aguzzando gli occhi non le sembrava ci fosse ancora alcuna scritta sul piccolo schermo digitale.
-Giulia-.
Caterina la richiamò con voce tremante, e Giulia si voltò verso di lei allarmata: aveva una mezza idea di che cosa Caterina le stesse per dire.
-Guarda tu il risultato-.
L’agitazione che Giulia aveva mantenuto a bada fino a quel momento esplose in un attimo. Si aspettava una richiesta del genere, ma aveva sperato fino a quel momento di non dover essere lei a dover dare la notizia a Caterina, qualsiasi essa fosse.
-Sei sicura?- chiese, e non si sorprese nell’accorgersi che anche la sua voce appariva scossa.
-Non ce la faccio a guardare io- rispose Caterina, rimanendo ben piantata sulla soglia del bagno, tutt’altro che intenzionata ad avvicinarsi ulteriormente – Non ne ho il coraggio-.
Giulia annuì piano, impercettibilmente. Non riusciva a darle torto: probabilmente anche lei, al posto suo, non sarebbe riuscita a leggere da sola il risultato del test.
Rimase ancora per qualche secondo immobile, prima di decidere di voltarsi. Puntò nuovamente lo sguardo verso il test, e in pochi passi vi si avvicinò.
Lo prese in mano, e vide che sullo schermo vi era ancora il simbolo di una clessidra che stava lampeggiando. I tre minuti, in ogni caso, dovevano essere passati appena qualche secondo dopo: la piccola clessidra smise di lampeggiare, sostituita da una scritta immobile.
-Che dice?- il filo di voce di Caterina fu l’unica cosa a spezzare il silenzio che era piombato nel bagno.
Giulia guardò ancora una volta lo schermo, prima di alzare lo sguardo su Caterina.
Non era sicura di essere in grado di formulare a voce tutto ciò che le stava passando per la testa in quell’istante.
-Sei incinta-.
 
*
 
Il mondo attorno a lei sembrava essersi fermato, bloccato di colpo. Ogni rumore che udiva, proveniente dalla finestra aperta, le giungeva ovattato e distante, come se appartenesse ad un universo a parte.
Caterina si passò una mano sul viso, accorgendosi solo così delle guance bagnate di lacrime. Non si era nemmeno accorta di aver pianto, né ricordava esattamente come aveva fatto ad arrivare fino al tavolo della cucina di Giulia. Era seduta lì da un tempo che le sembrava durato un’eternità, le gambe che non l’avrebbero retta se avesse provato ad alzarsi.
Nella sua mente continuavano a riecheggiare le parole di Giulia, come a volerle ricordare come il suo mondo fosse appena cambiato totalmente, in un solo attimo. Si sentiva già diversa, diversa dalla Caterina che era prima di scoprire il risultato di quel maledetto test.
Si sentiva catapultata verso l’ignoto, verso un mondo che non conosceva e che avrebbe dovuto scoprire a poco a poco, tra la confusione e il terrore più buio.
Era davvero buio, il mondo in cui si trovava ora.
Buio e freddo come non avrebbe mai potuto immaginare.
-Come ti senti?-.
La voce di Giulia le parve giungere da lontano, nonostante fosse seduta di fianco a lei, il volto sporto verso Caterina, e le mani strette attorno ad una tazza di the fumante. Giulia l’aveva preparato per entrambe, ma Caterina non aveva nemmeno sfiorato la tazza che si trovava di fronte.
-Una domanda più stupida non potevi trovarla?- Caterina faticò a riconoscere la propria voce: era stridula e cupa allo stesso tempo, senza nessuna forza impressa in essa.
Si pentì l’attimo dopo di essere stata così scontrosa, ma non ebbe la forza di dire nient’altro. Il senso di colpa si tramutò solo in altre tacite lacrime che andarono ad appannarle gli occhi.
Giulia tirò un sospiro, affranta e forse consapevole di ciò che la stava animando:
-Scusami, hai ragione. Era davvero una domanda idiota-.
Caterina non rispose nulla. Sentì il groppo in gola farsi più grande, gli occhi che tornavano a riempirsi di lacrime ancora una volta. Avrebbe voluto rimanere sola, piangere tutte le lacrime che aveva in corpo, ma allo stesso tempo sapeva che la presenza di Giulia era una sorta di anestetico per il dolore che stava provando in quel momento.
Cercò di non piangere ancora, ma non riuscì a trattenere oltre un singhiozzo e le lacrime calde che le bagnavano gli occhi.
-Ok, tranquilla, cerchiamo di non farci prendere dal panico. Almeno non troppo- Giulia cercò di avvicinarsi a lei, mettendole un braccio attorno alle spalle il più delicatamente possibile – Sei solo incinta a ventidue anni non ancora compiuti, ma in fin dei conti aspetti solo un bambino-.
-Dovrei sentirmi rincuorata?- Caterina tirò su con il naso, cercando di arrestare il pianto – Non so cosa fare-.
Era vero, non aveva idea di che sarebbe potuto accadere una volta uscita da casa di Giulia. Era come se non riuscisse più a pensare, ad intuire quali sarebbe state le prossime mosse da fare.
Le tornava in mente Nicola, l’aria di tranquilla felicità che aveva dipinta in viso da un mese a quella parte, da quando erano andati a vivere insieme. Sapeva che, da quel giorno in poi, non sarebbe rimasta nemmeno più una traccia di quella gioia sul suo volto: ci sarebbero stati troppi problemi, troppe discussioni, troppe cose che non avrebbero saputo come affrontare.
Caterina lasciò andare ancora qualche lacrima al pensiero che, forse, stavolta lei e Nicola non sarebbero riusciti a risolvere quella situazione.
Forse non sarebbero nemmeno resistiti, non di fronte a quel peso che li avrebbe schiacciati a poco a poco.
-Direi che per prima cosa dovresti pensare a come dirlo a Nicola, se ancora non gli hai accennato nulla- riprese Giulia, prima di bloccarsi come presa da un dubbio – Perché è di Nicola, vero?-.
-Ma certo che è di Nicola!- sbottò Caterina, passandosi una mano sul viso – E proprio perché è suo che tutto mi sembra ancora peggio-.
-Perché?-.
-Come pensi possa prenderla?- Caterina allargò le braccia, come se la sua risposta fosse ovvia – Ora è troppo presto, e sta succedendo in un momento troppo difficile. Non sono pronta, e non credo che nemmeno lui lo sia-.
Si sforzò di allontanare da sé immagini in cui vedeva Nicola allontanarsi sempre più da lei, lasciandola in balia di se stessa e di tutto ciò che di inaspettato stava accadendo.
Abbassò lo sguardo, verso la propria pancia ancora piatta, uguale a sempre, come il resto del suo corpo. Il cambiamento non era ancora evidente, almeno all’esterno. Era dentro di lei che stava avvenendo tutto, quel qualcosa che ancora non aveva trovato il coraggio ed il modo per definirlo. Come avrebbe reagito Nicola, di fronte a tutto ciò?
-In ogni caso è anche figlio di Nicola, quindi che reagisca come vuole, ma è anche affare suo- Giulia sembrò leggerle nel pensiero, mentre mormorava piano quelle parole – Non devi affrontare tutto da sola-.
-Chi ti dice che non se ne andrà?-.
Caterina alzò piano lo sguardo, e per la prima volta da quando era entrata in quell’appartamento, non evitò lo sguardo di Giulia. Si specchiava nelle iridi verdi dell’amica, ritrovandosi riflessa in tutta la sua vulnerabilità e fragilità.
-Non ha più diciannove anni, non è più un ragazzino che non sa prendersi certe responsabilità- rispose infine Giulia, dopo svariati secondi. Non era riuscita a trovare una risposta migliore, più convincente, più vera, e Caterina se ne rese conto solo guardandola in viso. Nemmeno Giulia sembrava avere delle certezze.
-Non puoi essere così sicura che non scapperà via non appena glielo avrò detto-.
Giulia si ritrovò ad annuire, nuovamente afflitta:
-Allora diciamo che voglio avere fiducia in lui, e anche in te- rafforzò l’abbraccio in cui ancora teneva stretta Caterina, come per darle silenziosamente un po’ di forza – Pensi di parlarne anche con i tuoi genitori?-.
Caterina tornò a guardare altrove. Non ci aveva ancora pensato, ai suoi genitori e a quelli di Nicola. Non aveva idea di come poterglielo dire, di come ci si sarebbe sentiti esporsi così tanto.
Mille domande le affiorarono in testa, e alla maggior parte di esse non sapeva come rispondere: se glielo avesse detto subito, avrebbero cercato di spingerla verso una scelta precisa? L’avrebbero aiutata o avrebbero preferito lasciarla al suo destino? Non credeva nemmeno di essere in grado di affrontare una discussione del genere, in quel momento.
Si sentì scoraggiare ancora di più, come se le ultime forze che le rimanevano in corpo fossero appena scomparse del tutto.
-Non ne ho idea. Dipende anche da ... – la voce le venne a mancare per una frazione di secondo – Da cosa deciderò di fare-.
Si strinse nelle spalle, ben decisa a non voltarsi verso Giulia. Era sicura che avesse capito cosa intendeva, e proprio per quello si sentiva a disagio: parlarne in quelle condizioni era tutta un’altra cosa, rispetto al parlarne in modo ipotetico.
-Intendi dire decidere se tenerlo o no?-.
Caterina annuì impercettibilmente, e Giulia si ritrovò a sospirare:
-Beh, credo che dovresti discutere con Nicola anche di questo. Dovrete valutare tutte le soluzioni possibili insieme. Anche se poi la decisione finale spetterà solamente a te-.
Già, una decisione. Una decisione che, in qualsiasi caso, avrebbe portato a conseguenze che avrebbero cambiato tutto, inevitabilmente.
Qualsiasi strada avrebbero intrapreso, nulla avrebbe permesso a lei e Nicola di tornare indietro.
-Il problema è che non vedo alcuna soluzione possibile-.
 
 
 


 
NOTE DELLE AUTRICI
Eccoci infine con l'ultimo capitolo dell'anno, che di certo ha introdotto qualche novità!
Già dall’inizio abbiamo alcune risposte relative all'ultimo capitolo (che rispetto a questo avveniva a qualche settimana di distanza): Pietro sembra averci azzeccato per quanto riguarda le non conseguenze del quasi bacio con Alessio (anche se, per averne la certezza, bisognerà aspettare un pov di Alessio stesso!).
Ma qua il focus è soprattutto sul suo rapporto con Alice: attraverso i ricordi di questo flashback abbiamo potuto toccare con mano la situazione un po' ambigua in cui Pietro sta vivendo. Sembra andare d'accordo con Alice e infatti la considera  sua amica nonché una persona dall'animo buono. Proprio per questo Pietro non riesce a non sentirsi in colpa verso di lei, che è pur sempre colei con cui si ritrova a condividere i sentimenti di amore per Alessio. Che ne pensate del loro legame?
E poi arriviamo alla seconda parte di questo capitolo, dove gli spunti di riflessione sicuramente non scarseggiano. Noi autrici siamo infatti certe che molti lettori e lettrici, molto attenti e dotati di un'ottima memoria, avranno notato certi collegamenti con quanto appena letto e alcune scene del prologo. Un dubbio sorge quindi spontaneo: i flashforward del prologo fanno riferimento ad eventi che avverranno di qui a pochi capitoli, oppure si riferiscono ad un'altra gravidanza? Non sapendo se le anticipazioni contenute nel prologo sono in ordine cronologico oppure no (dovrete continuare a leggere per scoprirlo!), il dubbio è più che lecito! Quando assisteremo alla reazione non proprio tranquilla di un certo biondino di fronte a una possibile gravidanza? E durante il suo parto, anch'esso anticipato nel prologo, Caterina sarà sola oppure avrà qualcuno al suo fianco, posto che la gravidanza in questione sia la stessa svelata in questo capitolo? Tutto può succedere nei prossimi capitoli di questa seconda parte di Walk of Life... quindi non vi resta che attendere e leggere, leggere, leggere!
Mercoledì 5 gennaio, in ogni caso, ne scopriremo di più con un nuovo capitolo!
Nel frattempo auguriamo a tutt* un felice Natale e buon anno nuovo, e vi ringraziamo per questo 2021 passato insieme a voi lettor*! Il 2022 sarà ancor più interessante!🎄🎅🏻🎁
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Misunderstood ***


Prima di lasciarvi al capitolo volevamo avvisarvi che abbiamo aggiornato la nostra playlist di Spotify (che trovate linkata nella nostra pagina utente) dedicata a Growing, con i brani che ritroveremo nei capitoli che vanno dall’11 al 20. Potete scatenarvi con ipotesi e teorie su cosa succederà con questi indizi musicali 🤯
 

CAPITOLO 10 - MISUNDERSTOOD

 
 
None of it was planned
Take me by the hand
Just don’t try and understand
(Robbie Williams - "Misunderstood")*

 
La giornata sembrava essere passata al rallentatore, come se ogni minuto si fosse dilatato all’infinito, come se ogni secondo fosse durato intere settimane. Anche le emozioni, le sensazioni più piccole, e su cui di solito non si soffermava nemmeno a pensare, sembravano ora più pressanti, pronte a pungolarla in ogni istante. Giulia sentiva i battiti del proprio cuore come amplificati, ogni respiro farsi più profondo e prolungato. La fronte cominciava a dolerle, uno dei tanti segnali che il suo corpo le stava mandando per chiederle una tregua.
Ma i pensieri erano troppi, e le tregue non erano contemplate.
Il resto della giornata era scivolato via così, tra la lentezza e il torpore in cui Giulia si era ritrovata catapultata; ora, seduta sul divano del proprio salotto, ripensava a quella stessa mattina come se ripensasse ad un evento accaduto anni prima. Le sembrava di ricordare qualcosa di così lontano dal presente da credere quasi di star a pensare che non era mai esistito davvero. Eppure le lacrime e la disperazione di Caterina erano tangibili nella sua memoria, così come lo erano la preoccupazione e l’ansia che sentiva crescere dentro, ad ogni minuto che passava.
Con il corpo si trovava seduta sul divano, con Filippo che le cingeva le spalle con un braccio, mentre con l’altra mano reggeva il telecomando della tv, intento nel cambiare canale ogni attimo per insoddisfazione; con la mente, invece, rivedeva se stessa con quel test di gravidanza in mano, la dicitura “Incinta, 1-2 settimane” che le lampeggiava davanti agli occhi, come a non lasciarle scampo.
Non aveva idea di come potesse sentirsi Caterina, se già lei si sentiva così persa, senza alcun punto di riferimento.
Quando se ne era andata, Giulia non aveva nemmeno avuto la forza per dirle che sarebbe andato tutto bene. In quel momento le sembravano le parole più stupide ed inutili che avrebbe potuto rivolgerle, perché sapevano entrambe, tacitamente e senza il bisogno di doverlo esplicitare a voce, che non era affatto certo che sarebbe andato tutto per il meglio.
Non riusciva nemmeno a sentirsi tranquilla pensando alla possibile reazione di Nicola: aveva cercato di apparire fiduciosa e positiva con Caterina, ma non poteva negare anche a se stessa di non sentirsi affatto così. La sua mente la riportava all’autunno di quattro anni prima, come a volerle ricordare ancora una volta ciò che era stato il motivo per cui Caterina si era allontanata da Nicola quella prima volta, come a volerle ricordare che probabilmente era anche quello uno dei motivi per cui si sentiva così terrorizzata.
Giulia si strinse maggiormente a Filippo, come a voler cercare un po’ di muto conforto dall’altro, pur non avendogli raccontato nulla. Aveva voglia di piangere, perché in quel momento trovava la vita troppo ingiusta, perché aveva troppa paura per le persone a cui teneva, perché tutto le sembrava troppo grande per poter essere affrontato.
-Tesoro, stai bene?- Filippo si voltò appena verso di lei, mormorandole quelle parole a mezza voce. Giulia fu grata alla luce spenta del salotto: forse Filippo non sarebbe riuscito a vederle bene la maschera di preoccupazione che doveva aver stampata in viso.
-Sono solo un po’ stanca- borbottò lei, poggiando il capo sulla sua spalla. Era difficile tener nascosto tutto proprio a Filippo, ma doveva farlo. Non poteva dirgli come mai era sembrata così assente in quella giornata, né niente altro.
Era una cosa che doveva tenere per sé, per non portare altri problemi a Caterina, che di certo ne aveva già molti anche così.
-Scrivere una tesi e preparare gli ultimi esami è faticoso, lo so- replicò Filippo, ignaro dei pensieri che le stavano affollando la testa – Ma manca poco, un ultimo sforzo e poi ti potrai riposare per bene-.
A Giulia venne quasi da ridere, una risata amara come non mai: d’un tratto la tesi e gli esami le parvero problemi infinitamente piccoli, assolutamente anonimi, ad una distanza siderale dai problemi della vita vera.
-A proposito di tesi- Giulia si inumidì le labbra, prima di continuare – Mercoledì dovrei andare in università. Devo vedermi con il relatore-.
Non era vero, anche se mercoledì mattina di certo sarebbe uscita di casa. Non avrebbe messo piede in università, ma in un laboratorio di analisi: accompagnare Caterina per delle analisi del sangue – il mezzo più veloce per avere una conferma inequivocabile della gravidanza- le sembrava il minimo che potesse fare per darle una mano.
-Non eri già andata qualche giorno fa? Qualche problema con la tesi?-.
-Ho un dubbio su un capitolo- farfugliò Giulia, tesa come una corda di violino. Filippo non indagò oltre, probabilmente convinto di ciò che lei gli aveva appena detto.
Tirò un sospiro di sollievo, anche se la sensazione di tranquillità durò solo pochi attimi. Mercoledì mattina sarebbe stata una giornata altrettanto dura, se lo aspettava.
Per un attimo volle quasi alzarsi dal divano, correre in bagno e buttare a terra il test di Caterina, nascosto nel suo beauty case in attesa di potersene liberare – senza buttarlo nel cestino del bagno, dove Filippo l’avrebbe senz’altro intravisto-, per pestarlo, come a voler cancellare il segno evidente di ciò che stava accadendo. Avrebbe voluto frantumarlo, eliminarlo definitivamente, sbarazzarsene come avrebbe dovuto fare in ogni caso.
Non si alzò, rimanendo ferma dove si trovava, non spostandosi nemmeno di un centimetro: arrabbiarsi così non le sarebbe servito a nulla, solo a farle spendere energie. Energie che le sarebbero servite troppo.
 
*
 
Filippo si strinse nell’accappatoio, il tessuto spugnoso e a tratti ruvido che già asciugava le gocce d’acqua ad un primo contatto con la pelle.
Adorava la sensazione di relax che si sentiva addosso subito dopo una doccia rinfrescante e rigenerante, soprattutto dopo una giornata come quella appena passata. Se ne era stato a casa tutto il giorno, ringraziando il cielo che il 25 aprile fosse festa nazionale, e che quindi nessuna lezione gli avrebbe impedito di restarsene comodamente a letto la mattina e passare del tempo con Giulia. Era ciò che aveva fatto, con l’inizio della giornata che era andato come previsto: si era svegliato tardi, prendendosela con calma. Nessuna fretta, nessuna voglia di aprire i libri, nessuna corsa nemmeno per dover andare a lavorare nel solito affollatissimo supermercato a Marghera.
Una normale e banale giornata di ozio era tutto ciò che aveva chiesto, e ciò che aveva avuto. E probabilmente avrebbe potuto dirsi soddisfatto anche del fatto che anche Giulia era rimasta a casa tutto il tempo, con lui, come aveva desiderato. Il problema era che, pur essendo presente fisicamente, Giulia sembrava avere la mente altrove, distante in ogni senso ed in ogni momento.
Era la stessa sensazione che Filippo aveva avuto anche la sera prima e che aveva deciso di ignorare bellamente, ma che non aveva più potuto fingere di non vederla anche in quella giornata.
Forse era davvero tutta questione di stanchezza: tra la casa da mantenere in ordine, il lavoro e lo studio, Giulia doveva essere davvero sobbarcata di mille pensieri ed impegni. Non poteva certo fargliene una colpa, se per qualche giorno era più affaticata del solito. Se la immaginò stesa a letto: se ne era andata a dormire già un’ora prima, e con tutta probabilità doveva già essersi addormentata.
Sì, doveva proprio essere un po’ di spossatezza di quel periodo.
Filippo cercò di asciugarsi alla bell’e meglio, tamponandosi poi i capelli ricci con un asciugamano. Erano diventati un po’ troppo lunghi, ormai, per riuscire ad asciugarli sul serio solo così: per quanta poca voglia avesse, era davvero il caso di darci una passata con il phon. Non aveva la minima intenzione di buttarsi a letto per dormire con i capelli umidi, rischiando così di bagnare anche la federa del cuscino e di beccarsi un raffreddore che di certo non gli avrebbe fatto comodo.
Aprì l’anta del pensile, fissato in alto di fianco al lavandino. Dovette alzarsi un po’ sulle punte dei piedi per riuscire ad inforcare il phon, e anche così facendo non riuscì a tirarlo fuori senza sbatterlo addosso agli altri oggetti posati sul ripiano interno del mobile.
Il beauty case di Giulia e una scatola di cerotti caddero rovinosamente a terra, provocando un botto che a Filippo, nel silenzio del bagno, parve incredibilmente forte. Sperò di non aver disturbato il sonno di Giulia, mentre posava il phon sopra la lavatrice, e si curvava per raccogliere ciò che era caduto.
Solo quando si piegò verso terra si accorse che il beauty case era aperto, e che alcuni oggetti contenuti si erano rovesciati a loro volta sul pavimento: qualche matita per gli occhi, un eye-liner, un mascara, e qualcosa che Filippo faticò a capire subito cosa potesse essere. Sporgeva appena fuori dal beauty case, ma Filippo lo prese comunque in mano, come attratto ed impossibilitato a fermarsi.
Pur non avendo mai visto con i propri occhi un test di gravidanza, gli ci vollero solo pochi secondi per intuire che ciò che teneva in mano fosse proprio quello. La razionalità glielo stava comunicando inesorabilmente, anche se dentro di sé la speranza di sbagliarsi si faceva sempre più forte e presente.
Deglutì a vuoto, sentendo per un attimo le gambe molli e la testa girare; si sedette sul pavimento, una sensazione del tutto nuova che lo stava invadendo a poco a poco e che non avrebbe saputo come definire.
Che ci faceva un test di gravidanza nel beauty case di Giulia?
Per quanto stupida potesse sembrare quella domanda, non poté fare a meno di chiederselo a ripetizione. La riposta a quella domanda, apparentemente piuttosto ovvia, non fece altro che mandarlo ancor più in crisi di quanto già non si sentisse.
Giulia era incinta?
Gli tornarono in mente le stranezze che aveva notato dal giorno prima, e per un attimo tutto gli fu chiaro: forse era quello il motivo per cui Giulia gli era sembrata così taciturna e distratta. Forse era a quello che pensava: alla sua gravidanza.
Filippo respirò a fondo, cercando di ritrovare un po’ di lucidità. Si ritrovò la mente affollata di immagini alle quali non aveva mai dato più di tanto peso prima di quel momento: si immaginò come sarebbe stata Giulia con il pancione, a gravidanza quasi terminata. Si immaginò come sarebbe stato toccare con le proprie mani quella pancia, sentire sotto lo strato di pelle i calci del bambino. Pensò anche a come sarebbe stato tenerlo in braccio, il bambino, loro figlio.
Un sorriso di sgomento e commozione gli si disegnò in viso, anche se durò solo per qualche secondo fugace.
La verità è che si sentiva quanto mai spaventato, anche per il più piccolo ed insignificante pensiero.
Pensò di nuovo a Giulia, e si chiese come mai non gli avesse detto nulla. Non aveva fatto mezza parola sul suo timore di essere incinta, non aveva espresso nemmeno un dubbio in merito alla questione, mai una volta. Fu tentato di andare in camera da letto per svegliarla e chiederle spiegazioni, ma poi desistette: forse aveva qualche ragione valida per non avergliene parlato prima. Forse avrebbe fatto meglio ad aspettare che fosse lei stessa a farlo, anche se il dover rimanere zitto come se non ne sapesse nulla non gli sembrava affatto facile come cosa da mettere in pratica.
Non sarebbe resistito a lungo, nel fare finta di nulla, già se lo immaginava.
Ed immaginava anche che, inevitabilmente, quella notte non avrebbe chiuso occhio.
 
*
 
-Capite perché sono così agitato, ora?-.
Filippo si sforzò di smettere di gesticolare: non era riuscito a stare fermo nemmeno per un attimo, muovendo le mani in gesti nervosi per tutto il tempo in cui aveva parlato.
Nicola e Pietro lo guardavano con occhi spalancati, probabilmente ancora soppesando il racconto di Filippo riguardo la sera prima.
Alla fine Filippo non era davvero riuscito a dormire, se non per poche ore, troppo sfinito per continuare a rimuginare sulla sua scoperta. Quella stessa mattina, poi, i pensieri erano di nuovo tornati, ma non aveva avuto il coraggio per chiedere qualsiasi cosa a Giulia. Si era limitato a guardarla mentre usciva di casa, osservandola in una maniera totalmente diversa dal solito: non poteva fare a meno di vederla sotto una luce diversa, ora, più luminosa e calda.
Aveva sentito il bisogno di parlare con qualcuno, appena Giulia se ne era andata, ed il pensiero era andato automaticamente a Pietro e Nicola. Filippo era giunto a casa del primo fin troppo agitato per riuscire a tenersi dentro quel pensiero che lo rodeva fin nel profondo.
Era quasi ora di pranzo, e Filippo aveva appena finito di raccontare ciò che era successo in quel bagno la sera prima; spostò lo sguardo da Pietro a Nicola, e non poté fare a meno di guardarli accigliato, quando dopo diversi attimi non ricevette alcuna risposta:
-Beh, non dite nulla? Io sto per svenire, e non dite nulla?-.
-Innanzitutto: calmati- rispose subito Nicola, zittendolo subito – Sei sicuro che il test fosse positivo?-.
-So leggere, fino a prova contraria. C’era scritto sullo schermo, non me lo sono sognato-.
Filippo gesticolò ancora una volta, incapace di trattenersi. Si sentiva un po’ ridicolo ad agitarsi così tanto, ma aveva bisogno di esternare in una qualche maniera il turbinio di emozioni che sentiva dentro.
-È stato così inaspettato- mormorò piano, abbassando lo sguardo per non incrociare gli occhi di Nicola o Pietro – Non me lo sarei proprio aspettato. Forse è troppo presto, forse non siamo proprio pronti, ci sono un sacco di problemi, però ... -.
-Però?- lo incalzò Nicola, calmo e riflessivo.
-Però, in un certo senso, mi sento bene quando penso al futuro che ci aspetta. È da sconsiderati, lo so, ma ... Oddio, avere un figlio da Giulia è qualcosa di indescrivibile-.
Filippo rimase immobile, per la prima volta da quando era entrato in quella casa. Non si sarebbe aspettato di dire quelle parole ad alta voce, anzi, forse non si aspettava nemmeno di pensarle.
Eppure, in tutta quella situazione assurda, era proprio così che cominciava a sentirsi: confuso, senza sapere bene come comportarsi, ma contento. Contento di avere Giulia accanto a sé, contento del fatto che, un giorno, avrebbero stretto un figlio loro tra le braccia.
Alzò finalmente lo sguardo verso gli altri due, trovandosi di fronte il sorriso appena accennato di Nicola, che gli tirò una pacca amichevole sulla spalla.
-Sei già pronto alla tua futura vita da padre, a quanto pare-.
Pietro sbuffò piano, decisamente più contenuto nella gioia che invece, inaspettatamente, Nicola riusciva a dimostrare meglio:
-Meglio per lui, forse si abituerà più in fretta ai pannolini e alle nottate in bianco. Nottate in bianco in ogni senso, specifichiamo-.
-Sarò curioso di vedere come sarai messo tu, quando avrai un pargolo tuo- lo rimbrottò Filippo, finendo però ben presto per sorridere sia a Nicola che a Pietro – Beh è ovvio che sono sconvolto e contento allo stesso tempo. Chi non sarebbe contento di diventare padre, in fin dei conti?-.
-In questo momento mi sento già bene così. Sei molto più indicato tu come futuro primo padre della nostra compagnia- Nicola rise piano, annuendo con convinzione.
Filippo si sentì rincuorato: la sensazione di leggerezza che si sentiva addosso riusciva perfino a rendergli le idee più chiare.
Spostò lo sguardo verso Pietro, che continuava ad avere un’espressione perplessa e dubbiosa dipinta in viso. Sembrava perso in mille elucubrazioni, da cui si distrasse solamente quando si accorse che Filippo lo stava osservando con sguardo incerto.
-Spiegami solo una cosa: a Giulia non hai chiesto assolutamente nulla? Riguardo al test e alla gravidanza, intendo- domandò infine Pietro, con una certa dose di esitazione.
-Non ancora. Perché?- replicò Filippo, confuso.
Pietro trasse un profondo respiro, congiungendo le mani sopra la superficie del tavolo della cucina, intorno al quale si trovavano seduti:
-Non lo so, solo ... Mi sembra tutto un po’strano-.
-Strano in che senso?-
-Non mi sembra di aver notato nessun cambiamento particolare in Giulia. Tu l’hai forse notato?-.
Filippo ricambiò lo sguardo con lo stesso disorientamento di prima. Non riusciva a capire dove stesse andando a parare Pietro; a giudicare dallo stesso sguardo incuriosito, nemmeno Nicola doveva averlo intuito.
-Negli ultimi due giorni era parecchio affaticata e distaccata- disse infine.
-E a parte questo niente altro? Neanche un po’ di malessere fisico come nausea o mal di testa?-.
Filippo cercò di ricordare altri dettagli che potessero far supporre una gravidanza di Giulia, ma non gli venne in mente nulla: nessuna nausea mattutina, nessun dolore, nessun cambiamento visibile nel suo corpo ... Niente di niente.
-Non mi pare- Filippo sospirò, passandosi una mano sulla fronte – Ma non vuol dire nulla, non tutte le donne hanno gli stessi identici sintomi-.
-Potrebbe essere nelle primissime settimane. La nausea tipica della gravidanza potrebbe manifestarsi più avanti- intervenne Nicola, dopo essersene rimasto in un silenzio riflessivo per diversi attimi.
Pietro annuì piano, anche se per Filippo era piuttosto evidente come non fosse affatto convinto di ciò che aveva appena sentito.
-In ogni caso una chiacchierata con Giulia la farei- tagliò corto Pietro, alzando le spalle – Quanto prima, possibilmente-.
-Hai ragione, su questo hai decisamente ragione- convenne stavolta Filippo, annuendo. Doveva davvero parlare a Giulia, chiederle come stavano le cose, perché non gli avesse detto nulla ancora. Non credeva nemmeno sarebbe riuscito ulteriormente a tenersi dentro tutti quegli interrogativi, quell’ansia mista alla gioia più grande.
Doveva tornare a casa, sedersi accanto a lei da qualche parte, e finalmente parlarle a cuore aperto.
-Allora ... Forse è meglio se vado, che dite?- domandò esitante, di nuovo spostando febbrilmente lo sguardo da Nicola a Pietro, in cerca di una conferma.
-Ma certo che devi andare, va da lei a parlarle- lo spronò subito Nicola. Filippo non se lo fece ripetere oltre: si alzò dal tavolo, con un sorriso impacciato stampato sulle labbra.
-Vi faccio sapere come va, comunque-. Non attese nemmeno una risposta dagli altri due: se ne uscì dalla cucina di Pietro, avviandosi verso l’uscita, ben deciso a giungere a casa il prima possibile.
 


Passarono alcuni minuti prima che Pietro decidesse di alzarsi dal tavolo con un piccolo sbuffo, avvicinandosi ad una delle credenze della cucina. Aprì l’anta, tirandone fuori una bottiglia di vodka.
-Vuoi bere per festeggiare Filippo, o semplicemente per consolarti del fatto che ormai uno di noi sta per diventare genitore?- gli chiese Nicola, con una punta di divertimento nella voce.
-Forse entrambe le cose, forse nessuna- gli rispose vago Pietro, prendendo fuori da un’altra credenza due bicchieri, versando poi della vodka in entrambi – In ogni caso, so solo che ho bisogno di un po’ di alcool. È un peccato che Pippo se ne sia andato così di fretta: un bicchierino avrebbe fatto bene pure a lui-.
Pietro tornò a sedersi al tavolo, porgendo uno dei bicchieri a Nicola, che l’afferrò portandolo subito alle labbra.
Rimasero in silenzio alcuni minuti, prima che Nicola si decidesse a parlare di nuovo, lo stesso tono incuriosito di prima:
-Perché sembri dubitare che Giulia possa essere incinta? Filippo ha trovato il test a casa loro, in fin dei conti, non chissà dove-.
Pietro rifletté ancora, non rispondendo subito. La sua era più una sensazione, che una reale certezza: non sapeva come avrebbe potuto spiegarsi bene con Nicola.
-Giulia non è tipa da tenersi dentro una cosa del genere tanto a lungo. E poi l’ho detto, non mi sembra diversa dal solito-.
-Non c’è mai nulla di certo- replicò l’altro, posando il bicchiere quasi vuoto sulla superficie del tavolo, dopo aver preso un ultimo sorso – Caterina ultimamente è presa malissimo, mentre Giulia è tranquilla come al solito. Vedendole si potrebbe pensare che sia Caterina quella incinta, mentre invece sappiamo che è Giulia. Non si può mai dire con certezza basandosi solo sulle apparenze-.
-Caterina sta ancora male?- Pietro aggrottò la fronte, confuso. Nicola ricambiò il suo sguardo con un’espressione altrettanto accigliata, accompagnata da un’alzata di spalle:
-Sì, troppi impegni, a quanto pare. Lo sai com’è, quando deve star dietro a troppe cose comincia a scaricare l’ansia sul proprio corpo. Può capitare, l’ansia è una brutta bestia-.
Pietro tacque di nuovo, distogliendo lo sguardo, ma non disse nient’altro, non fece nessun’altra domanda.
“E se …”.
-Già, spesso l’ansia può far brutti scherzi. Molto brutti-.
 
*
 
Filippo arrivò a casa con il fiatone: aveva corso il più veloce possibile, come se fosse una questione di vita o di morte. Si sentiva un po’ ridicolo, nell’aver avuto così tanta fretta nel correre fin lì: non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che Giulia potesse non essere ancora rientrata.
Tirò fuori le chiavi dalla tasca per poter aprire la porta d’ingresso; entrò subito, richiudendola poi con uno scatto secco. Rimase per un attimo fermo sulla soglia dell’ingresso, studiando i possibili rumori che vi erano all’interno della casa: sentiva due voci femminili famigliari provenire probabilmente dalla cucina. Dovevano essere Giulia e Caterina.
Filippo avanzò piano verso la cucina, indeciso su cosa fare: era ben contento che Giulia fosse già rientrata, ma non aveva calcolato la possibile presenza di Caterina. Forse Giulia le stava parlando proprio della gravidanza.
-Ciao a tutte- salutò Filippo, bloccandosi sulla soglia della cucina. Così come lo videro sia Giulia che Caterina tacquero improvvisamente. Giulia parve piuttosto stupita nel vederlo lì, mentre Caterina, se possibile, era impallidita ancor più di quanto già non fosse.
-Sei già rientrato? Non avevi detto che dovevi star fuori fino all’una?- gli chiese subito Giulia, cercando di mantenere un tono di voce normale. Non ci voleva molto per capire che sia Giulia che Caterina avrebbero preferito rimanere sole ancora un po’, e che di certo non volevano spiegare a Filippo di cosa parlavano.
-Cambio di programma- rispose lui, che non ricordava nemmeno con quale scusa avesse spiegato quella mattina a Giulia il fatto che doveva uscire – Cate, stai bene? Non hai una bella cera-.
-Pressione un po’ bassa, credo- farfugliò lei, cercando di sorridere, ma ottenendo scarsi risultati. Filippo rimase un attimo in silenzio: il suo sguardo continuava a fermarsi verso Giulia, e il bisogno di parlarle si faceva sempre più pressante. Cominciava a non riuscire più a trattenere dentro di sé quel dubbio, quel tarlo che lo stava assillando dalla sera prima.
L’unica cosa che lo frenava era proprio la presenza di Caterina.
-Giulia, possiamo parlare un attimo?- Filippo parlò ancor prima di finire di riflettere, le parole che gli scivolavano fuori come se avessero vita propria – Magari ... -.
-Non preoccuparti, io vado un attimo in bagno- Caterina lo interruppe, intuendo ancor prima che Filippo finisse cosa voleva dire. Si alzò senza nemmeno aspettare una conferma da parte dell’altro, e scambiandosi un’ultima occhiata con Giulia, sbiancata in viso improvvisamente.
Filippo fece un cenno di ringraziamento a Caterina, ed aspettò di vederla uscire dalla cucina, prima di fare qualche passo verso l’interno della stanza.
Giulia si era alzata a sua volta, andandogli incontro:
-Che succede? Come mai hai tutta questa fretta di parlarmi?-.
Filippo sospirò, non sapendo come iniziare il discorso: si sentiva a disagio, ora, ed era una sensazione strana sentirsi così proprio di fronte a Giulia.
-Sai, è da lunedì che ti vedevo un po’ strana, e non riuscivo a capire perché- iniziò, guardando altrove e non Giulia – Poi ho ... Ho scoperto il perché, per puro caso-.
Il viso di Giulia impallidì ulteriormente, la preoccupazione visibile negli occhi:
-Ascolta, prima che ... -.
-No, fammi finire, ti prego. È già abbastanza difficile così- Filippo rise, di una risata nervosa e per nulla divertita – Non so come dirtelo, quindi andrò dritto al nocciolo della questione: ieri sera, mentre ero in bagno, ho fatto cadere per sbaglio il tuo beauty case. E l’ho trovato. Il test, intendo-.
Giulia rimase per qualche attimo spiazzata, incapace di dire qualsiasi cosa; Filippo non seppe dire se quello poteva essere un buon segno, o chissà che altro. Sapeva solo che il suo cuore stava battendo all’impazzata, come non lo aveva mai sentito prima.
-So che non avrei dovuto scoprirlo così, e non sai quanto mi dispiace. All’inizio ero totalmente sconvolto perché non pensavo certo ad una gravidanza! Insomma, siamo sempre stati attenti, poi mi sembrava che tu non avessi avuto problemi con la pillola- proseguì, parlando talmente velocemente da mangiarsi le parole.
-Posso ... -.
-Aspetta- Filippo non lasciò parlare Giulia ancora una volta. Prese di nuovo un bel respiro, decidendosi infine a puntare gli occhi verso il viso di lei. Un sorriso gli nacque spontaneo nel guardarla:
-Volevo solo dirti che è vero, all’inizio mi sono dato dell’incosciente, e mi sono sentito così in colpa per averti portata in questo casino ... Ma sai una cosa? Credo che, nonostante tutto, questo sia un bellissimo casino-.
Giulia sorrise a sua volta, per la prima volta da quando Filippo era rientrato a casa. Rimase in silenzio ancora per qualche attimo, prima di avvicinarsi a lui e prendergli le mani tra le sue.
Filippo si sentì finalmente in pace con se stesso, con il petto leggero, il respiro finalmente più calmo e meno pesante.
-Posso parlare, ora?- chiese Giulia, ricevendo in risposta un cenno di Filippo – È da quando hai iniziato a parlare che cerco di dirti una cosa: ho il ciclo, da stamattina. Non sono incinta, né ho mai avuto il sospetto di esserlo-.
-Cosa?-.
Filippo la guardò sbigottito, ritrovandosi di fronte solo il sorriso mite dell’altra: Giulia non era incinta? Cominciava a non capirci nulla. Non riusciva a spiegarsi il test positivo in casa loro, le stranezze di lei, tutto.
Non poteva fare a meno di chiedersi cosa stesse succedendo, e la sensazione che non fosse nulla di buono cominciava a farsi presente e ben nitida.
-Quel test che hai trovato non è mio. Era qui perché ho deciso io di nasconderlo qui, ma a quanto pare avrei dovuto sbarazzarmene subito in altri modi-  proseguì Giulia, respirando a fondo e parlando con tono apprensivo – Ma non è mio, questo te lo posso assicurare perché ho visto in diretta chi lo ha fatto. Mi ero ripromessa di non dirti nulla, ma a quanto pare le coincidenze hanno deciso al posto mio. O meglio, le tue mani di burro hanno deciso per me-.
Filippo fece per rispondere qualcosa, anche se non aveva idea di cosa avrebbe potuto dire in quel momento di totale sorpresa, ma venne interrotto da un’altra voce proveniente dalla soglia della stanza:
-Scusate se mi intrometto, ma ho ascoltato la conversazione-.
Caterina era tornata indietro, probabilmente già da abbastanza tempo per capire di che stessero parlando. Filippo si rese conto di non aver nemmeno fatto caso al rumore della porta del bagno aprirsi o al rimbombo dei suoi passi, tanto era stata la sua concentrazione in ciò che stava dicendo.
-Ma era un discorso privato- borbottò, disorientato, senza alcuna convinzione. Caterina fece qualche passo in avanti, arrivando finalmente di fronte a lui e a Giulia:
-Un discorso privato che riguarda anche me-.
-Che intendi dire?- Filippo scosse il capo, sempre più confuso. Spostava lo sguardo da Giulia a Caterina, scontrandosi con i loro sorrisi appena accennati ed imbarazzati, senza capire ancora cosa significasse tutto quello.
-Intendo solo che Giulia ha ragione. Non è incinta, non lei, almeno- Caterina abbassò lo sguardo, una mano che si fermò in maniera quasi casuale all’altezza della pancia – Stamattina non siamo andate all’università, ma in un laboratorio di analisi per un prelievo di sangue. Per vedere se il risultato del test verrà confermato davvero. I risultati li avrò domani al più tardi-.
Calò il silenzio, e Filippo non poté fare altro che lanciare un ultimo sguardo sia a Caterina che a Giulia, come nel cercare una conferma in ciò che aveva appena intuito.
Non servì alcuna parola, e nemmeno lui disse altro: si limitò a farsi cadere a peso morto sulla prima sedia a tiro, le gambe diventate troppo molli per poterlo sostenere in piedi.
Pian piano cominciava ad intuire come potessero essere andate le cose, a conoscere una verità che, prima di quel momento, aveva creduto talmente impossibile da non prendere nemmeno in considerazione.
Alzò piano lo sguardo verso Caterina, e anche se poteva essere impossibile, gli sembrava già cambiata. Forse era la luce diversa nelle iridi scuri, forse erano i piccoli gesti che probabilmente nemmeno si accorgeva di compiere, forse era tutto quanto insieme o forse era solo una sua impressione dettata dalle emozioni del momento. Sapeva solo che, osservando Caterina, si rese conto appieno dell’errore appena compiuto.
-È di Nicola?- mormorò Filippo, con un filo di voce.
-Anche tu con questa storia, ma allora è un vostro vizio!- sbottò Caterina al limite dell’esasperazione, portandosi una mano tra i capelli – Di chi dovrebbe mai essere, accidenti?-.
Filippo agitò una mano a mo’ di scusa, rendendosi conto del dubbio fin troppo esagerato:
-Scusa, scusa, hai ragione, è che ... Oh cazzo, ho fatto un casino-.
-Che stai dicendo?- intervenne Giulia, allarmata. Filippo si morse il labbro inferiore, consapevole di aver solo complicato le cose: come avrebbe potuto spiegare, ora, che Nicola già sapeva di una gravidanza in atto?
Respirò a fondo ed abbassando lo sguardo, prima di iniziare a parlare:
-Stamattina ho parlato con Pietro e Nicola. Della tua gravidanza. O meglio, ormai dovrei dire della gravidanza di Caterina-.
-Cosa? Nicola lo sa?- Caterina quasi urlò per la sorpresa, gli occhi sgranati per l’inquietudine.
-Sa che è Giulia ad aspettare un bambino, non tu-.
-Lo sapevo che le cose sarebbero diventate più complicate di quel che già sono- Giulia chiuse gli occhi per un attimo, le braccia lasciate andare lungo il corpo.
Filippo tacque, preso dalla vergogna: avrebbe dovuto tenersi per sé tutto quanto, o almeno avrebbe dovuto prima parlare con Giulia per evitare equivoci che, ora, stavano emergendo implacabilmente.
-Che reazione ha avuto Nicola?-.
Caterina parlò piano, dopo un breve lasso di tempo. Sembrava timorosa e pronta a conoscere la risposta allo stesso tempo.
-Sinceramente?- Filippo aspettò di vederla annuire, prima di proseguire, cercando di trovare il modo più delicato possibile per dirle la verità:
-Sembrava contento per me. Ma in tutta franchezza, non ho idea di come potrebbe prenderla nel venire a sapere di essere lui ad aspettare un figlio-.
-Ottimo, direi- sospirò Caterina, sconsolata. Andò a sedersi su un’altra sedia, passandosi poi le mani sul viso con aria stanca e angosciata.
-Ormai non hai più molto tempo per tenerglielo nascosto ancora. Soprattutto dopo oggi- le si rivolse Giulia, stringendosi nelle spalle. Caterina annuì nuovamente, senza nemmeno alzare lo sguardo, perso nel vuoto davanti a sé.
-Mi dispiace, davvero- mormorò Filippo, con sincero pentimento – Non mi è passato per la testa che potesse essere tuo ... E poi avevo bisogno di parlare con qualcuno. Se avessi saputo che io non c’entravo nulla in questa storia non avrei detto assolutamente niente-.
Caterina non sembrò molto rincuorata da quelle parole, ma cercò perlomeno di sorridergli in modo rassicurante, come per accettarne le scuse:
-Tanto ormai è questione di giorni. Non posso non dirglielo, in ogni caso-.
Caterina distolse repentinamente lo sguardo, puntandolo verso il proprio cellulare, poggiato sopra la superficie del tavolo, il display che lampeggiava.
Filippo approfittò di quella situazione per voltarsi verso Giulia, prendendole una mano ed inducendola ad avvicinarsi ulteriormente a lui:
-Comunque, anche se non sei incinta ... Beh, se lo fossi stata, sappi che avrei voluto tenerlo. Avrei tanto voluto una femmina, per la precisione-.
-Effettivamente sei stato molto dolce nel parlarmi quando pensavi fossi incinta. Ma per ora abbiamo già abbastanza pensieri così- gli sorrise dolcemente Giulia, ricambiando la stretta della sua mano. Interruppero quel contatto solamente quando Caterina si schiarì la voce, riportando l’attenzione su di sé:
-Hai detto che hai parlato anche con Pietro, vero?- chiese rivolgendosi direttamente a Filippo.
-Sì, eravamo a casa sua-.
-Ora capisco perché ha provato a telefonarmi almeno dieci volte- annuì Caterina, ora meno confusa. Lanciò un’ultima occhiata al telefono, per poi riposarlo sul tavolo.
-Pensi abbia intuito qualcosa? Sarebbe un po’ impossibile- le domandò Giulia, piuttosto incuriosita. Sarebbe stato il colmo se la persona ad avere più dubbi in tutta quella storia fosse stato proprio Pietro.
-Non lo so, ma tanto dovrò andare a chiarire anche con lui- Caterina allargò le braccia, come se quella fosse una ovvietà – Prima che mezzo mondo creda che sia tu quella in attesa, magari. Tanto prima o poi sarebbe venuto fuori comunque. Solo, speravo non così-.
Giulia rimase in silenzio, un’espressione di apprensione dipinta in volto. Filippo non poté darle torto: stava diventando una situazione totalmente assurda, quasi fuori controllo. Si sentiva terribilmente in colpa per tutto ciò che stava succedendo. Si sentiva ancor più impotente, al pensiero di non poter fare nulla di davvero concreto per poter rendere le cose anche solo più facili.
-Hai intenzione di parlare anche con Alessio?- domandò improvvisamente Giulia.
Caterina alzò lo sguardo, non dicendo nulla ancora per qualche attimo. Sembrò rifletterci ancora un po’, prima di mormorare:
-Sì. È un po’ ingiusto che voglia parlare prima a lui che a Nicola, ma ho bisogno del suo parere. Qualunque sarà la sua reazione-.
 
*
 
Fare le pulizie di casa era sempre stata una delle cose più noiose che gli toccasse fare, anche se doverle fare significava poter lasciare perdere lo studio almeno per qualche ora. Pietro si apprestò ad accendere l’aspirapolvere per passarlo un po’ in tutte le stanze dell’appartamento, ma dovette spegnerlo subito dopo: per quanto potesse essere rumoroso, aveva sentito benissimo il suono del campanello.
Lasciò l’aspirapolvere, avviandosi al citofono. Come sollevò la cornetta non si stupì molto nell’accorgersi di sapere già chi fosse:
-Posso salire? Sei solo?- la voce di Caterina non gli lasciò nemmeno il tempo di chiedere chi fosse ad aver suonato.
-Sali pure- le rispose velocemente lui, riattaccando subito dopo. Premette il pulsante accanto al citofono per poterle aprire il portone del palazzo; aprì anche la porta d’ingresso, attendendo sulla soglia l’arrivo di Caterina.
Non dovette aspettare molto: dopo qualche minuto riconobbe il rimbombo dei suoi passi lungo le scale, e dopo poco la vide infine giungere sul pianerottolo.
-Ti ho interrotto mentre studiavi, per caso?- gli chiese Caterina, mentre gli si avvicinava, le gote lievemente arrossate per aver salito alcuni piani a piedi.
-Scherzi, vero?- le sorrise astutamente Pietro, restando comodamente appoggiato con una spalla contro la parete – Sei arrivata al momento giusto per darmi una mano a passare l’aspirapolvere in casa-.
Caterina lo guardò sbigottita, e lui non riuscì a trattenere una risata divertita:
-Stavo scherzando! Non sono così schiavista con i miei ospiti-.
-Sei proprio un vero gentiluomo- borbottò in tutta risposta lei, seguendolo all’interno dell’appartamento.
Pietro si avviò verso il salotto, con Caterina a seguirlo silenziosamente. Si sedettero entrambi sul divano, prima che Pietro si voltasse verso di lei:
-Vuoi qualcosa da bere?-.
-Sono a posto così- rispose Caterina con un sorriso gentile, che sparì l’attimo dopo. Pietro rimase a guardarla alcuni attimi, prima di scostare lo sguardo per non sembrare troppo insistente.
-A che devo questa visita inaspettata?-.
Pietro congiunse le mani, buttando lì quella domanda in maniera quasi casuale. Il problema era che, in tutta quella situazione, non c’era nulla di casuale, e se ne stava rendendo sempre più conto: la calma apparente di Caterina sembrava vacillare già di fronte a quella richiesta di spiegazioni.
-Non ho fatto in tempo a richiamarti ieri, ero parecchio impegnata- spiegò lei, non sforzandosi nemmeno per apparire perlomeno convincente. Pietro annuì, pensieroso:
-Sei qui solo per dirmi questo?-.
Caterina rimase per un attimo in silenzio, lo sguardo che vagava per la stanza, come in cerca di un qualche cosa che potesse darle il coraggio necessario per parlare. Sembrava vulnerabile, e a Pietro sembrò quasi di vederla avvolta nella propria fragilità.
-Anche per chiederti cosa volevi dirmi. E soprattutto per spiegarti alcune cose che non sarei riuscita a dirti per telefono-.
-Ho come l’impressione che tu sappia già cosa volevo chiederti. O è solo una mia impressione?-.
Lei annuì di nuovo, e Pietro ebbe di nuovo la sensazione che fosse ben consapevole del motivo per cui aveva provato a contattarla, del perché fosse lì, o di cosa avrebbero parlato.
-So che ieri Filippo è stato qui. So anche che ha detto a te e Nicola -.
-Ti ho chiamata per capire se anche tu sapevi di Giulia- replicò Pietro, serio.
-Tu credi che Giulia sia incinta?-.
Pietro rimase per un attimo in silenzio, indeciso se essere sincero fino in fondo, a costo di sembrare troppo sospettoso, o lasciare che fosse lei a condurre quella conversazione. Guardare in viso Caterina, però, scorgervi l’apprensione nelle iridi scure, non fece altro che convincerlo ancor di più che dietro tutta quella storia ci fosse qualcosa di strano.
-Non ne sono molto convinto, sinceramente-.
-Fai bene- tagliò corto Caterina, abbassando subito dopo il capo. Pietro continuò a fissarla, e gli ci volle qualche secondo per capire davvero ciò che aveva appena detto.
Sentì il respiro farsi più accelerato, la mente che cominciava pian piano a comprendere: non era Giulia ad aspettare un figlio, non era lei per davvero. E a Caterina non serviva aggiungere altro, per far intuire come davvero stavano le cose.
Pietro le si avvicinò impercettibilmente, esitante nel poggiarle una mano sulla spalla, come gesto di incoraggiamento:
-Lo avevo capito. Non so come, né perché ... Ma lo avevo intuito-.
-Filippo non sapeva di chi era il test, quando l’ha trovato, quindi ... Beh, era ovvio avrebbe pensato subito a Giulia e non a me. Giulia ... - mormorò lei, tenendo ancora lo sguardo verso il basso, forse troppo in imbarazzo e in difficoltà per guardare in viso Pietro; si passò una mano sul volto, sospirando pesantemente – Giulia è stata la prima a saperlo. L’unica a starmi vicino in quel momento-.
Pietro si contorse le mani, il groppo in gola che cominciava a farsi presente. Cercò di immaginarsi come poteva sentirsi Caterina in quel mentre, in una situazione del genere: al posto suo, probabilmente, non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di ammettere apertamente come stavano le cose.
-Cosa pensi di fare, ora? Nicola non lo sa ancora, vero?- chiese piano, temendo di conoscere già la risposta.
-Non gliel’ho ancora detto, no- ammise Caterina, voltandosi timidamente verso di lui – E no, non so nemmeno cosa fare. Non è facile-.
-Lo immagino bene-.
Rimasero ancora in silenzio per un po’, la mano di Pietro che stringeva la spalla di Caterina, come a volerle ricordare della sua presenza. Non aveva ancora trovato il coraggio o la forza per domandarle altro, forse ancora troppo impegnato a digerire la notizia.
Guardava Caterina, e rivedeva la ragazzina di quindici anni che aveva conosciuto in un tempo che sembrava appartenere ad un’altra vita; la osservava ora, e quasi gli sembrava irreale vedere al suo posto la donna che, ormai, era diventata in maniera irreversibile.
-Non credo di essermi mai sentita così- Caterina poggiò il capo contro la spalla di Pietro, chiudendo gli occhi per un attimo e lasciandosi cullare dall’abbraccio con cui lui cercò di ricambiare quel bisogno di vicinanza.
-Ovvio che no, non sei mai stata in una situazione così- mormorò Pietro, un sorriso amaro ad increspargli le labbra, rivolto ad una Caterina che, però, non poteva notarlo – Ma ehi, non sei sola. Non lo sei-.
-Mi sento come se lo fossi, però-.
-Sei sicura di ... – esitò per un secondo, incerto – Insomma, hai fatto solo un test?-.
Pietro si sentì stupido nel porle quella domanda, ma aveva bisogno di avere qualche certezza in più. Oppure, in fin dei conti, sperava solo ci fosse ancora anche una minima possibilità che non fosse così.
-Devo andare a ritirare delle analisi tra poco. Quelle mi daranno la certezza. Volevo aspettare quel risultato prima di parlare con Nicola- spiegò Caterina, piano, alzando il viso verso quello dell’altro.
Pietro annuì, pensieroso: forse c’era ancora qualche possibilità che non ci fosse nessuna gravidanza. I test potevano sbagliare, poteva capitare; per quanto improbabile potesse sembrare, quella era l’unica eventualità alla quale poteva aggrapparsi per sentirsi meno agitato.
-Devi ancora andare a ritirarle?- chiese di nuovo; Caterina gli fece un cenno positivo con il capo, senza aggiungere altro. Era probabile non avesse voglia di pensare al momento in cui sarebbe dovuta andare a ritirare quelle analisi e scoprire il risultato.
Pietro rimase per un po’ in silenzio: non ci voleva molto per poter intuire tutta la preoccupazione che poteva avere in corpo Caterina in quel momento, o quanto potesse esser agitata al pensiero che, una volta andatasene da lì, sarebbe dovuta andare a conoscere quel che sarebbe stato irrimediabilmente il suo destino.
Si sentì quasi in colpa nel pensare che, per quanto avrebbe voluto, non avrebbe potuto fare molto per darle anche solo un po’ di sollievo. Poteva fare un’unica cosa, almeno per non farla sentire davvero troppo sola come invece credeva di essere.
-Beh, credo che le pulizie di primavera possano attendere ancora un po’- annunciò infine, scostando da sé Caterina ed alzandosi dal divano, di fronte a lei. Le porse una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta, un sorriso incoraggiante a disegnargli le labbra.
-Ti stai offrendo di accompagnarmi?- Caterina lo guardò stupita, spostando gli occhi dal suo viso alla mano che le stava tendendo.
-L’hai detto tu stessa: sono un gentiluomo, io- disse con fare fintamente saccente Pietro, annuendo con aria solenne. Si sentì decisamente sollevato quando Caterina scoppiò a ridere, una risata sincera e liberatoria.
Gli afferrò la sua mano subito dopo, una volta finito di ridere, le gote arrossate per le risate e per lo stupore:
-È la prima volta che rido in non so nemmeno quanti giorni-.
Sorrise ancora una volta, Pietro, stringendo la mano di Caterina nella sua:
-Allora posso dirmi decisamente soddisfatto-.
 
*
 
Il venerdì era sempre stato il suo giorno preferito, da quando aveva cominciato l’università: era l’ultimo giorno di lezione, il giorno che preannunciava finalmente il weekend. Era sempre stata, tutto sommato, una giornata tranquilla, che riusciva a donargli una distensione e un senso di calma che non provava in nessun altro momento della settimana.
Non si sentiva così, quel primo pomeriggio di venerdì. Alessio camminava velocemente, come se la tensione lo portasse meccanicamente a compierei quei passi spediti, senza arrestarsi nemmeno un attimo. Era appena uscito dalla stazione di Santa Lucia: aveva avuto solo due ore di lezione la mattina presto, e si ritrovava ad essere libero senza alcun impegno per tutto il resto del giorno. Avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa, pranzare tranquillamente e cercare di ignorare quella sensazione che lo stava rodendo ormai da settimane. Continuava così da giorni, e probabilmente avrebbe potuto andare avanti alla stessa maniera ancora per un bel po’, ma alla fine aveva rifiutato categoricamente l’idea di tornarsene a casa, di pranzare con Alice, e di ignorare ancora una volta tutta quella confusione che si ritrovava in testa.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno, ormai si era rassegnato all’evidenza dei fatti. Detestava esporsi, odiava esternare le sue difficoltà e i suoi dubbi, soprattutto su questioni così futili come quelle amorose – ed ecco che tornava ad usare il termine sbagliato, perché di amoroso in tutto quello non c’era proprio nulla, non poteva esserci nulla-, ma cominciava a non farcela più.
A distanza di settimane, si domandava ancora cosa gli fosse saltato in mente quando la sera del suo compleanno aveva provato a parlare a Pietro del loro vecchio bacio sulla spiaggia. Non poteva nemmeno incolpare l’alcool, visto che aveva bevuto poco niente: aveva fatto tutto da solo, aveva raggiunto Pietro fuori, si era commosso per i suoi regali, lo aveva abbracciato come non aveva mai abbracciato nessun altro –  nemmeno Alice.
E stava per dirglielo, glielo avrebbe detto davvero, se solo Giulia ed Alice non li avessero interrotti, che aveva ripensato a quel bacio. Forse era stato meglio così, che non ci fosse stato più il tempo per dire altro, perché non aveva idea di che sarebbe potuto succedere negli istanti successivi a quella constatazione.
Non era successo nulla, ma la sensazione di essersi spinto troppo in là lo tormentava ancora, lo faceva impazzire. Lo tormentava il senso di colpa verso Alice – e non riusciva a capire per cosa esattamente avrebbe dovuto sentirsi colpevole-, e lo tormentavano anche i ricordi di quella serata.
Cominciava a non capirci più nulla, e probabilmente non ne avrebbe mai cavato fuori niente, se non ne avesse parlato con qualcuno.
La situazione gli stava sfuggendo di mano, e il senso di spaesamento non lo aiutava a rendere le cose più nitide, a ritrovare i confini giusti e a farlo sentire meno pazzo e meno sbagliato. Aveva passato le ultime settimane a fare finta di nulla, ad ignorare del tutto quei ricordi ogni volta che vedeva Pietro e a fingere che non fosse mai successo niente, ma c’era un limite a tutto.
Si stupì nell’accorgersi di essere arrivato a destinazione in pochissimo tempo. Doveva aver camminato davvero in fretta, per averci messo così poco.
Trovò il portone del palazzo già aperto, e non ci pensò due volte prima di entrare: sapeva che, se avesse esitato, se ne sarebbe tornato indietro dandosi del buffone.
Salì le scale per arrivare al primo piano, e bussò cautamente alla porta dell’appartamento dove era diretto. Non sapeva se Caterina fosse in casa o no: aveva provato a chiamarla solo una volta un’ora prima, e non aveva ricevuto alcuna risposta, né un messaggio da parte sua. Forse era impegnata altrove, e a lui non sarebbe rimasto che tornarsene indietro, e seppellire una volta per tutte quella confusione che si trovava in testa.
Attese qualche attimo, le palpitazioni del cuore che cominciavano a farsi accelerate. Quasi sussultò, quando la porta si aprì e Caterina rimase un attimo ad osservarlo, stupita.
-Lo so che non mi aspettavi, ma ho bisogno di parlarti- Alessio parlò velocemente, senza nemmeno darle il tempo di salutarlo – Sempre se non devi uscire o se hai da fare-.
-Avanti, vieni- Caterina si scostò dalla porta per farlo passare, con un sorriso appena accennato – Nicola non c’è. Mi farai un po’ di compagnia-.
Alessio si sentì sollevato nel sapere di essere solo con lei: si sarebbe sentito ancor più in imbarazzo nel parlare di una cosa del genere con la presenza di Nicola lì vicino, o anche solo dovergli spiegare come mai si trovava lì. Lasciò la propria tracolla usata per l’università nell’ingresso, seguendo subito dopo Caterina verso la cucina.
-Devi ancora pranzare?- le chiese, per spezzare il silenzio che si era creato mentre le camminava dietro. Una volta entrati notò la tavola coperta dalla sola tovaglia, come se Caterina non avesse fatto in tempo a mettervi neanche un piatto ed un bicchiere sopra. Doveva essere stata interrotta proprio dal suo arrivo.
-Sì, ma posso aspettare. Non ho molta fame- rispose lei, voltandosi verso di lui.
-Possiamo pranzare insieme. Anche io non ho ancora mangiato nulla-.
Caterina annuì piano, come a riflettere sulla proposta di Alessio. Sembrò indecisa per un attimo, prima di riprendere la parola:
-Per me va bene. Anche perché ... – distolse lo sguardo per un attimo, d’un tratto più seria – Ti dovevo parlare anch’io. Ma a quanto pare mi hai anticipato venendo tu qui-.
-Sul serio? Di che mi devi parlare?- Alessio aggrottò la fronte, confuso. Non aveva idea di cosa volesse dirgli Caterina: cominciava a vederla strana, sfuggente, molto più seria di quanto si sarebbe aspettato. Sembrava preoccupata.
-Cosa ti andrebbe per pranzo? Della pasta?- chiese lei, ignorando del tutto la sua domanda. Si chinò per aprire una credenza, prendendone fuori una pentola da usare, e voltandosi verso di lui in attesa di una risposta.
-Decidi pure tu, a me va benissimo qualunque cosa- Alessio liquidò velocemente la questione, avvicinandosi a lei e appoggiandosi contro il ripiano della cucina.
Caterina non disse altro, di nuovo evitando qualsiasi contatto visivo tra di loro. Alessio rimase ad osservarla per un po’, mentre Caterina riempiva la pentola d’acqua, mettendola poi a scaldare sopra il fornello, in silenzio. Dai gesti impacciati sembrava tesa, a disagio, ed Alessio si chiese nuovamente cosa ci fosse dietro tutti quei comportamenti insoliti.
Forse erano in due a tenersi dentro qualcosa che faticavano a metabolizzare e a comprendere.
-Stai bene? Hai un’aria strana- le disse piano, avvicinandosi a lei e togliendole di mano i piatti che stava per mettere in tavola – Lascia, faccio io. Tu mi stai offrendo già il pranzo-.
Caterina non protestò, nonostante gli avesse lanciato un’occhiataccia. Rimase immobile mentre Alessio finiva di apparecchiare, le braccia incrociate contro il petto.
-Sto bene- mormorò lei, sulla difensiva. Alessio le lanciò un’occhiata eloquente, come per intimarle di non negare l’evidenza; Caterina sciolse le braccia, passandosi una mano sulla fronte con aria stanca:
-Va bene. No, non sto bene- ammise, con un ampio sospiro – E volevo parlarti di questo, anche se non ho ancora trovato il coraggio sufficiente per farlo-.
-Devo preoccuparmi?- domandò lui, fermandosi di fronte a lei.
Caterina resse poco il suo sguardo, finendo per prendersi il volto con entrambe le mani; Alessio si allarmò all’istante nel vederla così. Era totalmente impreparato nel vederla in quello stato.
-Che succede? Non deve essere nulla di così terribile per tenerselo dentro così- le mormorò piano. La prese avvicinandola a sé, in un tentativo di calmarla almeno un po’.
Caterina alzò il volto per un attimo, gli occhi lucidi che incrociarono per un attimo le iridi chiare di Alessio:
-Oh, fidati, lo è. Ora come ora lo è-.
-C’entra Nicola?- domandò ancora Alessio, anche se era abbastanza sicuro di quale sarebbe stata la risposta. Era sempre così: la persona a cui tieni di più è anche la stessa che ti rende più fragile nelle difficoltà.
-In un certo senso sì-.
Caterina andò a sedersi su una sedia attorno al tavolo, come a voler frapporre un po’ di distanza tra sé ed Alessio. Non accennò nemmeno a voltarsi verso di lui, nonostante dovesse sentire i suoi occhi addosso con insistenza.
-Cominci a preoccuparmi-.
Iniziava a sentirsi a disagio in quella situazione in cui non sapeva come agire. E si sentiva spaventato, come ogni volta in cui non capiva cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe dovuto dire.
Rimase in piedi, le mani sui fianchi, in attesa. Si sforzò di non dire nulla, di lasciare a Caterina il tempo che le serviva, anche se cominciava a scalpitare per saperne di più.
Caterina se ne rimaneva ferma, voltandosi appena verso di lui per poi tornare a distogliere lo sguardo.
-Ho avuto un ritardo, la settimana scorsa- mormorò, dopo un tempo che ad Alessio parve infinito. Lui aggrottò di nuovo la fronte, forse già intuendo dove Caterina stesse andando a parare.
Non era più molto sicuro di voler sapere come sarebbe andata a finire quella conversazione.
-Era più una sensazione che altro, ma lunedì ho fatto un test di gravidanza- continuò Caterina, per poi bloccarsi di nuovo. Non aggiunse altro.
Si voltò più lentamente che mai, ed Alessio non si stupì nel notare gli occhi di lei ancor più lucidi di prima, fermi come solo gli occhi di coloro rassegnati al proprio destino possono essere – un vuoto nelle iridi che anche lui aveva conosciuto bene.
Continuò a ricambiarne lo sguardo, incapace di formulare qualsiasi parola. La mente era annebbiata, domande a cui avrebbe voluto dare voce ma che non riusciva a pronunciare.
Guardava Caterina, e si accorgeva che la conferma a tutte quelle domande gliele poteva già leggere negli occhi velati di lacrime, nel silenzio stordente che era calato nella stanza, nei brividi freddi che sentiva scorrere lungo il corpo.
-Non è vero. Dimmi che non è vero-.
Alessio faticò a riconoscere la propria voce, così infinitamente stridula e acuta, così supplicante e ferita.
Avrebbe voluto dire che i test potevano sbagliare, che i ritardi potevano esserci senza per forza che ci fossero altre implicazioni, che doveva esserci un errore, che era troppo giovane per qualcosa di così grande.
Non riuscì a dire nient’altro, il groppo alla gola che gli impediva quasi di respirare.
-Ho fatto anche delle analisi del sangue, e le ho ritirate ieri- Caterina cercò di nascondere l’incrinarsi della voce, senza molti risultati – Le ho ripetute anche stamattina, e stavolta mi hanno dato il risultato dopo poche ore, poco prima che tu arrivassi qui. Ci sono dei valori alti delle beta HCG, sono raddoppiati in due giorni. Sono gli ormoni della gravidanza-.
-Cazzo!- Alessio non riuscì ad impedirsi di imprecare, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto e facendo sobbalzare Caterina. Si portò una mano sul viso, scuotendo il capo, in un misto di rabbia ed incredulità.
-Ma non potevate stare più attenti? Avreste dovuto farci più attenzione, invece che accorgervi solo ora a casino fatto!- parlò ancora, la voce ancora troppo alta, e Caterina che per la prima volta ricambiava lo sguardo senza abbassarlo.
-Cosa vuoi che ti dica? Credi che non ci abbia pensato?- Caterina si alzò di scatto, le lacrime che ormai le rigavano il viso ma che non le impedirono di urlare a sua volta. Alessio tacque di colpo, colto di sorpresa: rimase ad osservarla, mentre Caterina se ne rimaneva di fronte a lui, guardandolo e senza fare nulla per nascondere le lacrime.
-Parlare adesso per se e  per ma, Alessio, non servirebbe più a nulla. Non posso più parlare per ipotesi, non me lo posso più permettere, perché da qui in avanti non posso più tornare indietro, in qualsiasi caso, e questa è una certezza- Caterina parlò senza interruzioni, quasi tutto d’un fiato – L’unica che mi è rimasta, oltre a quella che non posso più pensare solo ed unicamente per me stessa-.
Il fiato si fece corto, il dolore che gli opprimeva il petto sempre più pesante.
Le lacrime che rigavano le guance di Caterina riuscirono a calmarlo e a farlo sentire dolorosamente vuoto allo stesso tempo, in una bolla di silenzio che lo stordiva.
Strinse i denti, cercando di ignorare il groppo in gola che non lo faceva respirare – doveva essere forte, almeno per lei-, ma la paura assordante e quel senso di impreparazione lo lasciarono frastornato.
Continuava a ricambiare lo sguardo lucido di Caterina, e nelle iridi bagnate di lei riusciva a riconoscere anche le sue.
Alessio si sedette su un’altra sedia, accanto a quella di Caterina, prima di prendersi il viso tra le mani per nascondere le proprie lacrime.
-Non pensavo che dicendotelo avresti avuto questa reazione- sentì farfugliare Caterina, che cercava di trattenere altre lacrime, ma riuscendoci ben poco.
-Non volevo dire quel che ho detto- Alessio tirò su con il naso, passandosi una mano sugli occhi, l’intento di riprendere il controllo di sé – È che ... -.
“Non volevo capitasse anche a te”.
-È tutto così troppo grande per te, per Nicola, per chiunque. E non posso farci nulla, non posso cambiare niente-.
Cercò di calmare le lacrime e i singhiozzi che lottavano per uscire dalla sua bocca. Non sapeva più come si sentiva, non avrebbe saputo definire il vortice di emozioni e dolori che l’avevano travolto in così poco tempo: si sentiva letteralmente sconnesso. Sconnesso con la realtà, con i propri pensieri, con qualsiasi altra cosa.
E si sentiva in colpa, così tremendamente in colpa per quella che era stata la sua prima reazione e per ciò che aveva urlato, come se gridare come sarebbero dovute andare le cose avrebbe risolto tutto. Si sentiva inutile, perché non aveva idea di che avrebbe potuto fare, anche solo per dare un singolo attimo di conforto a Caterina, per farla sentire meno sola e sbagliata di come doveva pensare di essere.
Avrebbe voluto alzarsi da quella maledetta sedia e stringerla a sé, dirle di calmarsi e che tutto sarebbe stato risolto. Non riuscì a fare nulla di tutto ciò, forse perché, quasi ironicamente, sarebbe servito a lui per primo qualcuno che lo confortasse.
Caterina si passò una mano sul volto, osservandolo in silenzio, gli occhi bagnati di Alessio del tutto simili ai suoi.
-Che ha detto Nicola?- Alessio si schiarì la gola, parlando in poco più di un sussurro roco e spezzato.
-Ancora nulla- mormorò Caterina, abbassando lo sguardo – Ed è una delle mie paure più grandi, conoscere quale sarà la sua reazione-.
Alessio comprese bene i suoi timori: probabilmente doveva sentirsi ancor più spaventata dopo aver assistito a quella che era stata la sua prima reazione. Ma Nicola non era avventato, istintivo ed impulsivo come lui: Nicola era razionale, ragionevole, non era problematico come lui.
Sperava sarebbe stato così anche in quel caso.
-Tra qualche giorno glielo dirò. Glielo dirò e poi ... - Caterina prese a torturarsi le mani, le guance ancora bagnate dalle ultime lacrime che le mani non avevano cancellato – E poi andrà come deve andare-.
-Hai paura-.
Non era una domanda, né un dubbio. Ad Alessio non serviva una conferma per capirlo, perché era tutto già così evidente che niente lasciava adito ad incertezze.
Era un’ingiustizia così grande, vedere una donna così distrutta nel momento in cui invece avrebbe dovuto essere più felice che mai.
-Come l’avrebbe chiunque. Come ce l’hai avuta tu quando le cose non sono andate come avresti voluto-.
Caterina lo conosceva meglio di quel che pensava persino lui stesso.
-Come ce l’ho avuta io, sì-.
Alessio annuì, un sorriso rassegnato sulle labbra. D’un tratto il motivo per cui si era recato fino a lì si era offuscato fino a scomparire del tutto, lontano dal presente e dai timori che lo attanagliavano ora. Tutti i problemi che aveva ritenuto tali fino a quel momento si era ridimensionati, apparendo ora poco più che inutili questioni infantili. Faccende che avrebbe fatto meglio a dimenticare una volta per tutte, e per cui riusciva finalmente a trovare la motivazione valida per seppellirle per un bel po’ di tempo.
-Vorrei poter fare qualcosa, invece che restarmene fermo qui a parlare e piangere e basta. Ma non so che fare-. Era dolorosa quell’ammissione, la voce che faticava ad articolare quelle parole.
Alessio alzò gli occhi verso Caterina quando sentì la sua mano poggiarsi sul suo ginocchio, a richiamarne l’attenzione.
Caterina gli stava rivolgendo un sorriso appena accennato, che gli ricordò quello di una madre rivolto al figlio in difficoltà, pronta a consolarlo. Quell’impressione lo fece sentire strano, ed assolutamente indifeso: era come se fosse lui ad aver bisogno di qualcuno che lo sostenesse, non Caterina.
In un certo senso, per quella consapevolezza, si sentì più tranquillo.
-Non devi fare nulla, Alessio. Non ti sto chiedendo nulla, se non il tuo conforto-.
“Come avevi fatto tu con me cinque anni fa”.
Era certo che sarebbe stato così, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Non avrebbe voluto fare altrimenti.
Ripensò di nuovo ai suoi momenti bui, anni prima. Ripensò a tutte le volte in cui Caterina c’era stata per lui, nonostante tutti i suoi tentativi di allontanarla.
Ricordava quanto fosse stata presente, e quanto gli fosse servita la sua presenza.
Avrebbe fatto lo stesso per lei.
-Quello lo avrai sempre-.
 

 
 
 
 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
Ben ritrovat* a tutt*! Come avete passate le feste?
Tornando subito a noi: il primo capitolo del 2022 è un bel mix di comicità involontaria e momenti un po’ più malinconici!
La notizia della gravidanza di Caterina di certo non ha lasciato indifferente Giulia, che in questo capitolo vediamo reagire con una certa apprensione... E non è l'unica! Filippo, in circostanze non proprio fortuite, sembra aver scoperto qualcosa che non doveva sapere, dando così via ad un pasticcio vero e proprio.
Nel finale, poi, abbiamo finalmente scoperto come Alessio ha vissuto il quasi bacio avuto con Pietro, rimanendone talmente confuso da essere sul punto di confidarsi e sfogarsi con Caterina. Con lei, l'interlocutrice prescelta, avrebbe forse potuto capire cosa non va nella sua situazione e, di conseguenza, avrebbe anche potuto sentirsi meglio. I suoi piani, però, vengono velocemente distrutti proprio da Caterina: la ragazza, che doveva aggiornare l'amico sugli avvenimenti degli ultimi giorni, lancia la bomba, mettendo inconsapevolmente a tacere la scelta di Alessio di aprirsi finalmente con qualcuno.
Magari la reazione alla notizia della gravidanza non programmata apparentemente eccessiva di Alessio, in realtà, ha motivazioni profonde che risalgono ad anni prima. Il ricordo del padre che abbandona lui e la sua famiglia è infatti ancora vivido e viva era anche la speranza di non vedere qualcuno a cui tiene dover affrontare una situazione allo stesso modo così imprevista e difficile da gestire.
E così, dopo tanti imprevisti e altrettanti fraintendimenti, siamo arrivati alla fine di questo capitolo... Visto che manca solo lui all'appello, la prossima volta sarà quella buona in cui Nicola scoprirà la verità oppure no? Continuate a leggere per scoprirlo!
Noi vi diamo appuntamento a mercoledì 19 gennaio con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Runaway ***


CAPITOLO 11 - RUNAWAY



 
I wanna runaway
Never say goodbye
I wanna know the truth
Instead of wondering why
I wanna know the answers
No more lies
I wanna shut the door
And open up my mind
 
Le mani le tremavano in modo quasi incontrollato, mentre cercava di spostare i capelli dal viso. Faceva fatica a reggersi in piedi, più per la testa che girava per l’agitazione che per la pressione bassa che doveva effettivamente avere.
Caterina fece qualche passo incerto, tirando lo sciacquone del water prima di dirigersi verso il lavandino, lentamente e ancora scossa dai tremiti. Si risciacquò la bocca il più possibile, il sapore odiato del vomito che però sembrava non volersene andare facilmente.
Restò ferma aggrappata al lavandino per minuti che le sembrarono interminabili, osservando la propria figura riflessa nello specchio: era terribilmente pallida, i capelli scomposti ed arruffati, gli occhi vagamente arrossati e lucidi per lo sforzo di vomitare. Cercò di reggersi dritta, senza più appoggiarsi con le mani sui bordi del lavabo, girandosi di fianco. Secondo i calcoli che aveva fatto con l’aiuto di Giulia, doveva aver appena concluso il primo mese di gravidanza. Non sapeva quanto fossero affidabili i calcolatori automatici che si potevano trovare su internet, ma a quanto pareva il 1°maggio doveva essere il primo giorno del secondo mese. Probabilmente lo avrebbe saputo con più certezza solo dopo la visita con la ginecologa, alla quale mancava ancora una settimana.
Spostò verso l’alto il tessuto della maglietta, lentamente e con gesti malfermi: studiò il riflesso che le restituiva lo specchio, e ad una prima occhiata la sua pancia le sembrò già più gonfia e piena rispetto a qualche giorno prima. Probabilmente era soltanto un’impressione – era decisamente troppo presto perché la pancia sporgesse davvero-, ma le bastò per ritirare giù la maglietta e coprire la pelle di nuovo.
Per un breve momento si immaginò nella stessa posizione, lì davanti allo specchio, di lì a qualche mese: si sarebbe rivista con il pancione, o tutto sarebbe finito ben prima di arrivare a quel punto?
D’altro canto, avrebbe sempre potuto perderlo spontaneamente.
O forse, semplicemente, non l’avrebbe tenuto.
Caterina tirò un sospiro, allontanandosi da quell’angolo del bagno, per fermarsi un attimo davanti alla finestra: il cielo era talmente scuro e grigio da minacciare sicuramente qualche temporale. Tutto preannunciava una turbolenza, un po’ come stava capitando in lei da una settimana.
Avrebbe dovuto pensare seriamente a cosa fare. Sapeva che doveva farlo: avrebbe dovuto informarsi meglio su come fare per prenotare un’interruzione di gravidanza, o capire se il Comune disponesse qualche aiuto alle giovani donne incinte. Doveva tenere presente tutte le possibilità da ambo le parti, ma la concentrazione negli ultimi giorni sembrava essere andata persa completamente.
L’unica consolazione era che era riuscita a fare quelle maledette analisi del sangue e prendere un appuntamento per una visita ginecologica. E a decidere, finalmente, che era decisamente giunto il momento per parlare con Nicola.
Per quanto si fosse sforzata di iniziare il discorso, non c’era davvero stata una vera occasione, fino a quel momento, in cui se l’era sentita sul serio: sabato se ne era tornato a Torre San Donato, per il compleanno della madre, e Caterina era rimasta a casa giustificandosi come non si sentisse affatto bene. Nicola non aveva nemmeno indagato oltre, né aveva insistito ulteriormente. E poi domenica, una volta tornato, era dovuto praticamente andare subito al lavoro, nel ristorante dove lavorava da un anno come cameriere.
E a Caterina non era rimasto che quell’unico giorno, quell’unico 1°maggio in cui Nicola non sembrava avere impegni che venissero prima di lei.
Al solo pensiero di doverlo affrontare di nuovo Caterina sentiva la nausea tornare a tormentarla, la testa che le girava più di prima.
Aveva cercato il più possibile di convincersi che Nicola, stavolta, non le avrebbe voltato le spalle. Non era più il ragazzino distaccato ed egoista com’era stato anni prima. Era cresciuto, era maturato, era più responsabile verso se stesso e verso di lei.
Si ripeteva quelle parole tra sé e sé per tranquillizzarsi, per lasciarsi aperta almeno una possibilità di riuscita; non avrebbe saputo immaginare come si sarebbe sentita, o che avrebbe mai potuto fare, se si fosse ritrovata di nuovo sola, con un peso simile sulle spalle.
In ogni caso, qualunque cosa fosse successa, glielo doveva dire: non poteva permettersi di tenerglielo segreto per sempre, né ce l’avrebbe fatta. Prima o poi si sarebbe comunque arresa alla paura che la divorava da giorni; preferiva parlare quando ancora riusciva a conservare un po’ di razionalità, piuttosto che aspettare di parlare per conto della disperazione.
Uscì dal bagno velocemente, prima di cambiare idea un’altra volta, ma dovette fermarsi subito e rallentare: la nausea era già tornata a farsi sentire, come se non se ne fosse mai andata nemmeno per un secondo.
Era decisamente peggiorata negli ultimi giorni, e Caterina aveva accolto malamente quel segnale che il suo corpo in trasformazione continuava a mandarle, come a volerle ricordare la condizione in cui si ritrovava ormai da un mese.
Fece qualche passo, temendo di avere qualche altro forte attacco di nausea mentre si avviava verso la cucina: Nicola stava preparando il pranzo, e a Caterina gli odori forti avevano già cominciato a dare fastidio. Quasi si sorprese, stupita positivamente, quando si accorse di riuscire a respirare l’odore di pasta allo scoglio senza accusare una nausea più accentuata.
Si fermò sulla soglia della cucina per qualche attimo, gli occhi che vagavano liberi sulla figura di Nicola, che in quel momento le dava le spalle: sembrava sereno, totalmente ignaro di ciò che sarebbe successo. Eppure il cambiamento imminente era lì, Caterina riusciva a respirarlo, lo sentiva nell’aria: si domandava solo come avesse fatto Nicola a non accorgersene dopo tutti quei giorni.
Probabilmente aveva preferito ignorare e non chiederle nulla, rispettando quel silenzio che Caterina, invece, avrebbe tanto voluto rompere. Le sembrava quasi impossibile non si fosse chiesto almeno una volta a cosa fosse dovuto il suo distacco, la sua inquietudine, quel senso di stranezza che aveva avvolto tutto quanto.
Forse aspettava solamente una sua spiegazione spontanea, facendo finta di nulla fino a quel momento.
-Che fai lì ferma?- la voce di Nicola la distrasse, e Caterina si accorse solo in quel momento che si era girato verso di lei – Stai meglio ora?-.
-Un po’ sì- mormorò lei, mordendosi il labbro. Non era quella la risposta che voleva e che avrebbe dovuto dargli, ma si era accorta troppo tardi di non essere riuscita ancora una volta ad instradare la conversazione come avrebbe voluto.
Nicola annuì, voltandosi di nuovo verso il fornello, osservando la pentola che bolliva sul fuoco:
-Hai ancora un po’ di fame? Ormai è pronto-.
-Proverò a mangiare qualcosa- annuì lei, avvicinandosi piano. Mantenne una certa distanza da Nicola, accostandosi al tavolo della cucina. Le venne quasi da ridere nel rendersi conto, per un attimo, che ironicamente si ritrovava di nuovo in quella stanza a cercare di parlare apertamente della sua gravidanza; e se non era stato facile con Alessio, non riusciva proprio a convincersi di come sarebbe potuto esserlo con Nicola.
Si sedette lentamente a tavola, congiungendo le mani in grembo ed aspettando che Nicola impiattasse e che la raggiungesse. Non aveva fame, quasi per nulla, ma doveva perlomeno sforzarsi di ingurgitare qualcosa: per quanto le facesse strano pensarlo, e per quanto non conoscesse ancora ciò che avrebbe deciso di fare in proposito, ciò che la spingeva a farlo era una sorta di responsabilità verso se stessa e verso ciò che portava in grembo.
-Ecco qua- Nicola si avvicinò alla tavola, porgendole un piatto ricolmo, prima di sedersi a sua volta.
Caterina abbassò gli occhi verso il piatto di pasta che si trovava davanti: in una qualsiasi altra occasione inspirarne il profumo non avrebbe fatto altro che aumentarle l’appetito, ma non fu quello il caso. Così come poco prima la nausea sembrava essersene andata, l’odore del pomodoro e del pesce che respirò non fecero altro che fargliela tornare prepotentemente.
Si portò velocemente una mano alla bocca, come se fosse sufficiente quel gesto per frenare l’impulso di vomitare; cercò di respirare a fondo, ma servì a poco. Si alzò velocemente, quasi correndo, diretta di nuovo al bagno, senza più riuscire ad ignorare altri conati.
Si sentì prendere dal nervoso più nero, quando finalmente i conati sembrarono calmarsi. Si rialzò lentamente per andarsi a sciacquare la bocca e il viso, gli occhi che le bruciavano per le lacrime dovute allo sforzo e alla rabbia, sentendosi esausta, senza energie e collerica con il mondo intero.
Cominciava a sentirsi stanca. Stanca per tutto quello che il suo corpo doveva subire, stanca per doversi tenere tutto dentro, stanca per tutta quella situazione che non aveva mai voluto nemmeno lontanamente.
Non fece nulla per frenare il pianto che la colse in quel preciso momento, e non fece nulla nemmeno per nasconderlo. Lasciò andare i singhiozzi, aggrappandosi al bordo del lavandino con una mano e nascondendosi gli occhi con l’altra.
-Caterina-.
Lei si voltò di scatto, quasi sobbalzando, e sgranò gli occhi nel notare che Nicola l’aveva raggiunta, standosene fermo sulla soglia a guardarla con aria stranita e preoccupata allo stesso tempo.
Non l’aveva sentito avvicinarsi, probabilmente non ci aveva nemmeno fatto caso. Si era perfino scordata di chiudere la porta del bagno, a causa della fretta con cui ci si era precipitata pochi minuti prima.
Rimase a fissare Nicola a sua volta, agitata ed arrabbiata insieme, senza dire nulla.
-Ma è tutto a posto?- azzardò lui, in difficoltà. Caterina non riuscì a trattenersi dal guardarlo come se fosse pazzo, come se non fosse già abbastanza evidente che qualcosa dietro tutto quello c’era eccome.
-Ovvio che non è tutto a posto, cazzo! Non è tutto a posto- urlò, la voce spezzata e le lacrime che ricominciarono a rigarle il viso.
-Che ti prende? Volevo solo sapere come stavi- Nicola non alzò la voce, ma non nascose l’angoscia nello sguardo. Cercò di avvicinarsi a Caterina, che si divincolò violentemente:
-Lo puoi vedere anche da te come sto, ma come al solito tu non ti accorgi mai di niente! O fai finta di non accorgertene- sibilò, cercando di scostare Nicola per uscirsene di lì. Venne bloccata da lui all’istante, e Caterina sussultò di nuovo nel sentire le sue mani sul proprio corpo, posate sui fianchi e così dannatamente vicine alla pancia.
-Di che stai parlando?-.
La tenne bloccata di fronte a sé per alcuni attimi, prima che Caterina provasse a divincolarsi nuovamente, più piano. Fece qualche passo indietro, passandosi una mano sul viso come a cancellare le ultime lacrime.
-Sto parlando di me. Sto parlando del fatto che sono giorni che non sto bene, che sono giorni che non ti parlo, e tu non ti sei nemmeno chiesto il motivo-.
-Forse me lo sono chiesto. Semplicemente forse preferivo che me ne parlassi tu, quando avresti voluto- cercò di mantenere la calma Nicola, anche se Caterina non poté fare a meno di notare come cominciasse ad agitarsi a sua volta. Lo vedeva nei gesti secchi delle mani, nello sguardo aggrottato, e nel respiro lievemente accelerato.
Anche lei sentiva il respiro farsi più rapido, respiri più corti e rapidi come i battiti del cuore. Lo sentiva battere nel petto come se fosse sul punto di esplodere, tanto si sentiva in ansia. Si stupì nell’accorgersi che non stava affatto tremando, e che all’esterno doveva apparire quanto meno abbastanza calma.
Restituì lo sguardo a Nicola, e in quel momento si rese conto che avrebbe potuto contare solo sulle sue forze per parlargli davvero di tutto ciò che si stava portando dentro. Lo avrebbe fatto in quel momento, o non lo avrebbe fatto mai più.
-Sono incinta, Nicola-.
Il tempo sembrò fermarsi nell’esatto momento in cui aveva articolato quelle parole, con voce ferma e senza bisbigliarle esitante.
Caterina rimase in quella che le sembrò l’attesa più lunga della sua vita, forse ancora più lunga e dolorosa di quella che aveva anticipato l’esito del test. Non staccò gli occhi dal viso di Nicola nemmeno per un secondo, per captarne anche il più piccolo cambiamento, anche il più piccolo segnale che le potesse far capire cosa stesse pensando.
Il volto di Nicola, però, rimaneva impassibile, le iridi chiare spalancate e sgranate, la mascella rigida e la bocca serrata. Poteva sembrare una statua di ghiaccio, e Caterina si sentì gelare a quella reazione immobile.
-Che hai detto?-.
Nicola aveva a malapena sussurrato quelle parole, muovendo appena le labbra.
-Non farmelo ripetere-.
-Stai scherzando, vero?-. Nicola assottigliò lo sguardo, e Caterina si strinse nelle spalle, guardando altrove. Cominciava a temere quella maschera di freddo panico che iniziava ad apparire sul viso di Nicola, e in quel momento ebbe la terribile certezza che quella discussione non sarebbe proseguita nel migliore dei modi.
Si sforzò di alzare appena lo sguardo, incrociando quello dell’altro: Nicola sembrava perso in riflessioni che Caterina non poteva conoscere, anche se credeva di poterle intuire. Probabilmente stava cominciando a comprendere solo in quel momento che Filippo aveva capito erroneamente che fosse Giulia ad essere incinta.
Forse stava cominciando a realizzare per la prima volta come dovevano essere andate le cose.
Caterina continuò a rimanere in silenzio, troppo ferita per poter dire qualcosa; Nicola dovette prendere quel silenzio come ammissione che no, non era solo uno scherzo.
-Può essere un errore, deve esserci un errore!- esclamò d’un tratto lui, allarmato. Sembrava quanto mai scioccato, e Caterina si rese conto di non averlo mai visto in uno stato simile da quando lo conosceva.
-Non c’è nessun errore, invece-.
Lo spintonò indietro, più lontano da lei, d’un tratto rabbiosa.
-Pensi che te lo avrei detto se non fossi stata sicura? Pensi che avrei prenotato una visita dalla ginecologa se non ne fossi certa?- urlò di nuovo Caterina, cercando inutilmente di trattenere altre lacrime che premevano per uscire – Sono incinta, aspetto un bambino, e non c’è più nessun errore che possa metterlo in dubbio. Mi devi credere-.
Nicola rimase ancora una volta impassibile, come se non avesse dato ascolto a nessuna parola pronunciata. Rimase con le braccia distese lungo il corpo, il volto duro e teso che non tradiva alcuna emozione, se non quella paura serpeggiante che continuava a minare ogni sicurezza rimasta a Caterina.
-Hai prenotato una visita?- borbottò Nicola, a voce bassa e atona.
Caterina si ritrovò ad annuire, ancora con l’impressione che Nicola l’avesse ascoltata solo in parte:
-Sì, per capire almeno come muoverci. Nel caso decidessimo se tenerlo ... O no. Dobbiamo parlarne in entrambi i casi-.
-Dobbiamo parlare se tenerlo o no l’attimo dopo in cui mi hai detto di essere incinta?- sbuffò sonoramente, portando le braccia incrociate contro il petto – Da quanto sai di esserlo?-.
Caterina si morse il labbro inferiore, esitante. Sapeva che dire la verità non avrebbe fatto altro che irritarlo ancora di più, ma non le rimaneva altra scelta: ingannarlo così, a quel punto, sarebbe stato solo inutile ed ingiusto.
-Quasi una settimana-.
Nicola la guardò ancora una volta ad occhi sgranati, prima di avvicinarsi a lei di un passo, guardandola con astio e incredulità. Caterina cercò di non arretrare, sforzandosi di non abbassare neanche lo sguardo.
-Perché cazzo hai aspettato così tanto per dirmelo?- Nicola alzò di nuovo la voce, gesticolando freneticamente e nervosamente – Spiegami, e dammi una ragione valida, per cui sono stato l’ultimo idiota a venirlo a sapere, quando avresti dovuto parlarmene ancora prima di fare il test!-.
-Non te ne ho parlato prima perché non ero sicura di poter sopportare una reazione come questa da parte tua!- Caterina urlò a sua volta, con tutta la voce che si trovava in corpo. Non fece nemmeno più nulla per trattenere le lacrime, né nient’altro per nascondere quanto facessero male le ferite che le stava provocando Nicola.
-E non mi sbagliavo, infatti. Non mi sbagliavo-.
Il silenzio che ricevette da Nicola come risposta fu più tagliente di qualsiasi altra parola. Ne osservò lo sguardo duro e freddo, e Caterina non poté fare altro che sentirsi davvero sola.
Nicola annuì piano, freddamente, indietreggiando e continuando a tenerla fissata:
-Ah, davvero? Sono contento del fatto che tu non sbagli mai-.
C’era ironia nella sua voce, e un’amarezza che Caterina non seppe quantificare.
-Non sbagli davvero mai-.
Caterina non fece in tempo a replicare, né fece in tempo a realizzare davvero il significato di quella frase. Vide solamente Nicola allontanarsi, dopo averle riservato un ultimo sguardo tagliente, e sparire completamente dalla sua visuale.
Sentì i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio, e dopo alcuni minuti nei quali Caterina non riuscì a fare altro che rimanere lì, immobile ed impotente, sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi con un tonfo secco.
Nicola se ne era andato.
 
*
 
Nonostante fosse solo primo pomeriggio in una giornata di maggio l’aria di Venezia era fredda, gelida e sferzante. Alzando il capo Nicola si accorse che il cielo si era fatto più plumbeo e tetro di quanto non lo fosse quella stessa mattina; si pentì di non aver portato con sé almeno un ombrello o un giubbino, ma se ne era uscito di casa così in fretta e furia che non ci aveva minimamente pensato.
Aveva camminato velocemente per diverso tempo, anche se a lui sembrava essere passato solamente qualche minuto da quando aveva sbattuto la porta di casa dietro di sé. Aveva preso strade in automatico, senza nemmeno pensare a dove andare, continuando ad avanzare a testa bassa e arrabbiato con il mondo intero.
Si stupì un po’ nel rendersi conto di essere giunto in piazza San Marco: non era certo il posto che frequentava di più, né quello più vicino a casa. Decise comunque di proseguire per di lì, senza guardarsi indietro e senza deviare quel percorso improvvisato.
Camminò cercando di scansare il più possibile la folla di turisti ammassata davanti alla Basilica, continuando imperterrito ad avanzare senza remore. In poco tempo giunse al molo, dove erano attraccate diverse imbarcazioni di pescatori e gondole usate apposta per i turisti.
Proseguì lungo quel tratto, stringendosi nelle spalle per cercare di trattenere il poco calore che gli era rimasto in corpo; qualche metro più avanti vide una panchina non ancora occupata da nessuno, e senza pensarci ci si sedette dopo averla finalmente raggiunta.
Per i primi momenti rimase lì inerme, senza pensare a nulla, come se la sua mente si fosse improvvisamente svuotata di ogni pensiero. Osservò le acque del bacino di San Marco ondeggiare al ritmo del vento che cominciava a farsi più sferzante, facendo cozzare le barche attraccate tra di loro.
Era una melodia rilassate, quella delle onde che si infrangevano contro le pance dei pescherecci e delle gondole: lo aiutava a riprendere contatto con la realtà, a ricordare ciò da cui era appena scappato e dove si ritrovava ora, dopo un tempo infinito passato a vagare.
Era sicuro che di lì a poco avrebbe piovuto, e che avrebbe fatto bene ad andarsene e tornare indietro, ma le gambe parvero improvvisamente troppo pesanti per muoversi. Forse sarebbe rimasto lì ancora un po’, nell’aria grigia di quella giornata.
Forse aveva solo bisogno di stare un po’ da solo, per mettere insieme i pezzi di quella giornata che – cominciava a realizzarlo solo in quel momento- gli avrebbe inevitabilmente cambiato la vita, in un senso o nell’altro.
Non riusciva bene a capire come si sentisse in quel momento. Quando aveva litigato con Caterina – perché avevano litigato, non avrebbe saputo definire in un’altra maniera quello scambio di parole gridate che avevano avuto- era sicuro di essersi sentito tremendamente in collera con lei. Arrabbiato per essere stato tenuto all’oscuro di tutto per giorni, arrabbiato per non essersi accorto di nulla, arrabbiato per quella specie di tradimento, per quella fiducia in lui che a Caterina era mancata.
E non poteva nemmeno darle torto, si rese conto spiazzandosi da solo. Che aveva fatto subito dopo aver saputo che era incinta? Se ne era andato, era uscito di casa senza farle sapere dove fosse diretto né quando sarebbe tornato.
Se mai sarebbe ritornato.
Nicola scosse piano il capo, incredulo, nel rendersi conto che Caterina ci aveva visto giusto davvero: non era rimasto a casa con lei, magari in silenzio e ritirato in camera da solo per sbollire la rabbia e il terrore che l’avevano assalito. Non aveva cercato di calmarsi, di ragionare a mente fredda.
Non aveva nemmeno cercato di chiederle qualcosa sulla gravidanza. Non le aveva chiesto come stava, come si sentiva, niente di niente.
Se ne era semplicemente andato, come fosse la cosa più facile da fare. E lo era stata davvero: era stato molto meno problematico lasciare Caterina in quella casa da sola, piuttosto che mettersi in discussione e rimanere lì con lei, a cercare di darle il sostegno che le sarebbe servito.
Una prima goccia di pioggia gli bagnò la pelle del viso, facendogli portare gli occhi in alto verso il cielo; cominciava a piovere, e lui ancora non aveva deciso nulla su cosa fare.
Sapeva solo che a casa non ci voleva tornare, non ancora. E si sentiva egoista, codardo e tutto ciò che di peggio poteva esistere a quel mondo, ma non sarebbe tornato. Avrebbe atteso un altro po’, prima di affrontare quella paura immensa che cominciava ad apparire sempre meno sfumata e più reale davanti ai suoi occhi.
Un’altra goccia gli arrivò sui capelli, ma Nicola non si mosse ancora. Pensò a Caterina, e per quanto lo facesse stare male, cercò di immaginarsela in quel momento, a casa e completamente da sola: forse aveva già finito tutte le lacrime che aveva in corpo, abbandonata com’era. O forse non era riuscita nemmeno a piangere, troppo ferita e stanca per poter spendere ulteriori energie per sfogarsi.
Forse si stava domandando chi glielo aveva fatto fare di tornare con uno come lui, che se ne era fregato per molto meno e che l’aveva lasciata a se stessa già una volta.
Nicola chiuse gli occhi, abbassando il capo e prendendoselo tra le mani. Avrebbe avuto voglia di gridare, ma si morse le labbra per impedirsi anche solo di emettere il più piccolo lamento.
Tre anni prima si era ripromesso di essere una persona migliore, meno prigioniero delle sue paure e delle sue insicurezze, più disposto a mettersi in gioco per se stesso e per coloro che amava. Ma allora perché era lì, perché era scappato di nuovo?
Non era lo stesso ragazzino di tre anni prima, non doveva.
Non era più lo sprovveduto che aveva toccato il fondo una volta resosi conto che stava perdendo tutto ciò a cui aveva tenuto fino ad un attimo prima dello schianto, non era più il ragazzino che preferiva fare finta di nulla di fronte alle difficoltà.
Era un uomo, e non poteva più scappare dalle paure e dagli errori. Non poteva scappare da Caterina e lasciarla sola solo perché lui si sentiva troppo insicuro; non era lei che doveva pagare per le sue esitazioni, per i suoi tracolli. Era più forte di come appariva, era cresciuto imparando dagli errori che si era ripromesso di non ripetere di nuovo. Doveva essere forte, per se stesso, per Caterina ... Per lui.
Per lui – se Caterina avrebbe deciso di tenerlo.
Rimase per un attimo a soppesare quelle due parole, ritrovandosi stupito e meravigliato di come risuonavano nella sua mente. Intontito e stravolto, come se si trovasse davanti a qualcosa che non avrebbe saputo definire, ma per cui già sapeva che, nonostante tutto, avrebbe dovuto lottare.
Riaprì lentamente gli occhi, ritrovando davanti agli occhi la stessa immagine del cielo plumbeo e delle acque ondeggianti che lo aveva accompagnato fino a quel momento.
La pioggia cominciò a scendere più fitta, iniziando a bagnare il marciapiede e i capelli di Nicola. Avrebbe dovuto alzarsi di lì, ritrovare il coraggio che gli mancava e che stava cercando disperatamente dentro di sé.
Doveva trovare il coraggio per dimostrare a sé e a Caterina che era davvero una persona migliore, che non sarebbe scappato di nuovo per rifuggire ogni responsabilità.
Alzarsi da quella panchina fu il primo vero passo verso quella consapevolezza di forza che cominciava ad avere. Rimase per qualche attimo ancora immobile, forse ancora un po’ esitante in ciò che doveva fare.
L’immagine di Caterina gli balenò di nuovo tra i pensieri, lasciandolo nuovamente sconfortato. Non era davvero sicuro di potercela fare, ad affrontare tutto quello, ma doveva almeno provarci.
E doveva parlarne con qualcun altro pronto ad ascoltare ogni suo timore, per ritrovare l’ultima spinta capace di riportarlo lontano da quel baratro.
 
*
 
Paper bags and angry voices
Under a sky of dust
Another wave of tension
Has more than filled me up
All my talk of taking action
These words were never true
Now I find myself in question
Guilty by association*
 
Nicola si spinse dentro all’androne del palazzo giusto poco prima che la pioggia si intensificasse ancor di più. Lasciò che il portone si richiudesse alle sue spalle, e senza attendere oltre si avviò verso il corridoio dove si trovava l’appartamento verso il quale era diretto.
Era quasi senza fiato, e fu un sollievo e un tormento allo stesso tempo per lui, quando finalmente si fermò davanti alla porta agognata: il fiato cominciò a tornargli, in respiri profondi, ma restandosene fermo troppo a lungo i brividi di freddo lo colsero immediatamente. Aveva i vestiti completamente bagnati, così come lo erano i capelli, appiccicati alla fronte. Aveva corso lungo la strada per fare il prima possibile, ma non aveva potuto evitare di beccarsi ogni singola goccia di pioggia che era caduta fino a quando non si era rifugiato in quel palazzo.
Trovandosi lì davanti a quella porta per la prima volta da quando aveva deciso di recarsi fino a lì, attraversando mezza Venezia sotto la pioggia, venne colto dal dubbio. Non aveva idea se ci fosse qualcuno in casa, né aveva idea di come avrebbe reagito lui nel trovarselo lì di fronte. Non sapeva nemmeno bene come avrebbe potuto spiegargli la sua presenza lì, né sapeva se sarebbe davvero riuscito a sfogarsi almeno in parte.
Rimase ancora un po’ a fissare la superficie liscia e lucida del legno della porta, ancora indeciso se restare o andarsene via. Ma dove poteva andare? Non aveva ancora il coraggio e la convinzione sufficienti per tornare a casa, non ancora, non subito. Doveva prima assolutamente parlare con qualcuno, o gli sarebbe scoppiata la testa.
Nell’impulso del momento bussò contro la porta, abbastanza forte per poter farsi sentire.
Attese qualche altro secondo, in cui meditò ancora se andarsene o no. Alla fine, prima che potesse prendere una decisione definitiva, la porta si aprì, dissipando ogni sua esitazione.
Nicola rimase ad osservare l’espressione stupefatta di Alessio senza dire nulla: in una qualsiasi altra occasione vederlo così, gli occhi spalancati e sorpresi in un’espressione più comica che altro, lo avrebbe fatto ridere. In quell’istante, invece, si sentiva solo piccolo e meschino.
-Nicola!- esclamò Alessio, ricomponendosi subito e cercando di mascherare quella sua espressione di sorpresa subito dopo – Ciao, io ... Non mi aspettavo di trovarti qui-.
Nicola non poteva saperlo con certezza, ma ebbe la netta sensazione che Alessio sapesse benissimo quello che poteva essere successo tra lui e Caterina. Probabilmente non sapeva che avevano discusso, che lui se ne era andato di casa per quel motivo, ma era quasi certo che sapesse della gravidanza. Gli occhi di Alessio dicevano molto di più di quanto non avrebbe mai potuto dire a voce.
-Ti disturbo?- chiese Nicola, parlando lentamente. Faticò ad articolare quelle parole, la voce che sembrava venirgli a mancare proprio nel momento in cui gli serviva di più.
Alessio fece segno di diniego, ricambiando lo sguardo di Nicola con uno angosciato.
-Devo parlarti- proseguì, abbassando il capo – Ho bisogno di parlare con qualcuno-.
Alessio rimase immobile per alcuni attimi, prima di annuire e fargli strada dentro casa, con Nicola che lo seguiva in silenzio dopo essersi richiuso la porta alle spalle.
-Alice è uscita poco fa, quindi possiamo parlare quanto vuoi noi due da soli- gli disse Alessio, senza voltarsi e senza aggiungere ulteriori spiegazioni, proseguendo verso il piccolo soggiorno dell’appartamento.
Nicola si lasciò cadere pesantemente in un angolo del divano, ancora ben deciso a non incrociare lo sguardo di Alessio. Era sicuro che lo stesse fissando: non si era ancora seduto da nessuna parte, e rimaneva in piedi, come in attesa di qualcosa, combattuto su cosa fare.
Alla fine Nicola si sforzò di alzare gli occhi verso di lui: Alessio non dava segni di nervosismo, ma il suo viso pareva rabbuiato. Prese un sospiro profondo, prima di rivolgersi a Nicola con voce stanca:
-Speravo di non vederti in questo stato-.
Non tradiva alcuna rabbia, né particolare preoccupazione. Sembrava solamente deluso, e bastò solo quella prima impressione per far sentire Nicola ancor più in colpa.
-Credo di sapere il perché- borbottò lui di rimando, riabbassando di nuovo gli occhi: la vergogna era troppo forte anche solo per immaginare di poter sostenere gli occhi limpidi di Alessio.
Non ricevette alcuna risposta, e Nicola si costrinse di nuovo ad osservarlo: le guance dell’amico erano appena arrossate, come se anche lui fosse in preda all’imbarazzo.
-Sai di Caterina, vero?-.
Alessio annuì impercettibilmente, incrociando le braccia contro il petto:
-Da qualche giorno- ammise.
“Come volevasi dimostrare”.
-A quanto pare lo sapevate già tutti, tranne me-.
-Solo perché Caterina doveva trovare il coraggio e il modo giusto per dirtelo- Alessio parlò con una delicatezza che Nicola trovò quasi stonata, dovendola associare proprio a lui. Forse era solo un modo per scusarsi implicitamente con lui, o un tentativo di farlo restare calmo.
O forse, semplicemente, era solo la verità.
-Era così difficile dirmelo subito?- mormorò Nicola, più a se stesso che ad Alessio. Non era andato fin lì per parlare di quello, ma ora non poteva fare a meno di domandarselo: come aveva fatto Caterina a tenerlo all’oscuro di una cosa del genere per così tanti giorni? E lui, come diavolo aveva fatto a non accorgersi davvero che qualcosa non andava?
-Tu cosa credi? Ma poi, è davvero questa la questione più importante?- gli domandò a sua volta Alessio, e Nicola non rispose nemmeno, talmente ovvia era la risposta.
No, non era certo quella la questione più importante.
-Ce ne sono talmente tante, di questioni, che non ci capisco più niente-.
Nicola si scostò nervosamente i capelli umidi appiccicati sulla fronte; si sentiva dannatamente patetico, e quasi si aspettò di ricevere da Alessio una risposta tutt’altro che incoraggiante. Forse avrebbe preferito quasi che gli urlasse addosso di tornarsene a casa, di darsi una scrollata e prendersi le sue responsabilità.
L’unica reazione che ottenne fu, invece, un unico sospiro quanto mai sconsolato:
-Perché sei qui, Nicola? Perché sei qui e non a casa con Caterina?-.
La risposta a quella domanda era senz’altro quella che lo faceva più vergognare di se stesso, ma mentire, a quel punto, non avrebbe migliorato le cose.
-Me ne sono andato-.
-Cosa?-.
A Nicola non sarebbe nemmeno servito alzare lo sguardo verso Alessio per immaginarsi l’espressione che doveva esserglisi dipinta in viso: lo teneva osservato con occhi sgranati, il volto sempre più pallido e sconvolto.
Non sembrava in grado di formulare una qualsiasi altra parola.
-Mi sono incazzato. E mi sono spaventato- borbottò a stento Nicola, stringendo le mani a pugno per lottare contro il senso di colpa ed inadeguatezza che s’insinuava in lui – Non ho più ragionato, e dopo che mi ha detto che si aspettava già che avrei reagito male alla notizia ho preferito andarmene. E così le ho pure dato  ragione-.
-Spero almeno tu te ne sia andato momentaneamente solo per sbollire la rabbia- replicò subito Alessio, che sembrava aver perlomeno recuperato la facoltà di parola. Continuava a guardare l’altro con occhi costernati, e Nicola avrebbe solamente voluto sparire da lì, smetterla di sentirsi il verme che era.
-Io ... Sì, credo di sì- sembrava aver parlato più a se stesso che ad Alessio, come per rassicurarsi che quella sarebbe stata la sua prossima azione.
Si era ripromesso di non scappare di nuovo di fronte alle difficoltà, e ce l’avrebbe messa tutta per farlo: non poteva tirarsi indietro proprio in quel momento.
Si torturò le mani a lungo, prima di alzare gli occhi ed incrociare ancora quelli di Alessio: lo avrebbe giudicato, se gli avesse parlato apertamente di tutte le sue paure e dei suoi timori? Lo avrebbe reputato una cattiva persona, o avrebbe perso la sua stima e la sua amicizia?
Eppure gli occhi di Alessio non tradivano alcuna rabbia. C’era angoscia, forse una traccia di dissenso per la sua fuga da casa, ma quelli non erano occhi di una persona che lo stava giudicando più di quanto si meritasse.
E per quanto Alessio fosse sempre stato sincero, fin troppo schietto, si fidava di lui.
-Non so cosa fare-.
Nicola si portò le mani al viso, coprendosi gli occhi come a volersi schermare dal resto del mondo. Era l’unico modo per mostrare solo in parte tutta la fragilità che lo teneva sotto scacco in quel momento.
Avvertì i passi di Alessio, segno che si stava avvicinando velocemente a lui fino a sederglisi accanto, senza dire nulla. Gli rimase lì affianco, fermo e silenzioso, aspettando che quel momento passasse, che Nicola abbassasse lentamente le mani lasciando il viso nuovamente visibile.
-Non me l’aspettavo-.
-Credo che nemmeno lei se l’aspettasse- mormorò di rimando Alessio, una nota di dolcezza nella voce. Posò una mano sulla spalla di Nicola, muovendo il pollice in una carezza che trovò confortante.
-Sono stato ingiusto con lei- riprese a parlare ancora una volta, e stavolta le parole gli uscirono più facilmente e con meno vergogna – Le ho detto cose che non penso sul serio. Mi sono fatto prendere dal panico-.
-Non devi farti una colpa per questo, chiunque si sarebbe ritrovato spaventato in una situazione simile-.
-Ma non è una giustificazione sufficiente, e non voglio essere giustificato- Nicola si rese conto di essersi lasciato andare con troppa enfasi, come se quelle parole stessere premendo fin troppo per uscire – Vorrei solo ... Non so come dirlo-.
-Non devi per forza parlarne, non per forza ora- cercò di calmarlo Alessio, la mano ancora posata sulla sua spalla.
Nicola rimase in silenzio, lo sguardo fisso davanti a sé come se intorno a lui non ci fosse niente e nessun altro. Aveva fatto tutta quella strada fino a lì solo per parlare con qualcuno, e si ritrovava bloccato ancora una volta, incapace di esternare tutto quello che si stava tenendo dentro.
Aveva sempre detestato quelle situazioni, quelle in cui doveva esporsi e scoprirsi di fronte agli altri, quelle in cui doveva calare la maschera fatta di sicurezza e indifferenza che teneva sempre. Eppure cominciava a sentire che quella stessa maschera stesse iniziando a sgretolarsi pian piano.
Rivide in un flash velocissimo tutto ciò che era successo fino a quel momento, tutto ciò che aveva pensato, urlato ed ascoltato. Forse fu solo la disperazione e il bisogno di aggrapparsi a qualcosa – a qualsiasi cosa, anche il più piccolo segno- che lo spinse ad ignorare la vergogna una volta per tutte, e spingerlo a parlare.
In un primo momento non seppe nemmeno da dove iniziare, se nascondere la sua cecità nei confronti di Caterina o se dire ad alta voce per quanto tempo avesse ignorato segnali che ora gli sembravano inequivocabili e che lui aveva considerato semplice stress per l’università. Riportò alla mente il loro litigio, quella discussione che in quel momento, raccontandola ad Alessio, gli sembrava stupida ed inutile.
Le parole scivolavano come un fiume in piena, nel cercare di esternare tutte le paure egoistiche che lo avevano accompagnato per tutte le ore precedenti, quei timori di non essere all’altezza della situazione, quella promessa di aver maggior coraggio che voleva mantenere ma per cui gli mancava la spinta giusta.
Rimase con lo sguardo fisso per tutti quei minuti, consapevole che, se si fosse voltato verso Alessio in un qualsiasi momento, si sarebbe bloccato all’istante. Non era abituato a parlare così apertamente, e non lo sarebbe mai stato se la situazione non lo avesse richiesto, ma era arrivato ad un punto così basso che, alla fine, non gli importava nemmeno più di come sarebbe potuto apparire.
Quando finì di raccontare rimase immobile ancora per un po’, le labbra secche e le gote che bruciavano. Si spinse a voltarsi appena verso Alessio solo perché quel silenzio in cui erano piombati sembrava più rumoroso di qualsiasi altra cosa.
-Hai paura, è evidente che tu sia terrorizzato- Alessio lo teneva fissato, e Nicola si sentì sollevato nel leggergli negli occhi l’apprensione e la comprensione di cui aveva bisogno.
-Non voglio andarmene, non sul serio, e ho sbagliato ad essermi allontanato oggi- ammise Nicola, a mezza voce – Ma non sono nemmeno sicuro di essere in grado di affrontare tutto questo-.
“Dovrei essere più forte di così, ma non so se ne sono capace”.
-Se non credi di poter affrontare tutto questo, vorrebbe dire che lasceresti Caterina sola ... E forse anche tuo figlio, se deciderà di tenerlo comunque, con o senza di te-.
Nicola rabbrividì, sentendosi ancor più raggelato da quelle parole. Si immaginò Caterina e loro figlio, entrambi lontani da lui, senza alcun legame a tenerlo legati a loro. Cercò di immaginarsi un futuro simile, ma non ce la fece: poteva aver tutte le paure del mondo, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscito a fregarsene così facilmente.
-Se Caterina decidesse di tenerlo … - Nicola sentì la propria voce morirgli in gola – Come posso abbandonare sia lei che mio figlio?-.
Tornò a specchiarsi nelle iridi limpide di Alessio, scorgendovi quella malinconia che le caratterizzavano il più delle volte. Era sicuro che la stessa malinconia degli occhi di Alessio fosse presente anche nei suoi.
-Ti dico solo una cosa: non ho l'intenzione di dirti che devi per forza crescere tuo figlio, se lo fai controvoglia. Non sentirai mai parole del genere da me- Nicola non ebbe nemmeno il coraggio di cercare di interrompere Alessio, troppo bisognoso di sentire come avrebbe proseguito – Ma se decidi di tornare, e di restare, non potrai più tirarti indietro. Quindi pensaci bene. Non decidere di crescere tuo figlio sapendo che non vuoi farlo, perché ad essere infelici, un giorno, sareste in due. D’altra parte, riusciresti a convivere con la consapevolezza di non essere rimasto accanto a Caterina e a vostro figlio? Devi darti una risposta a questo-.
No, urlò Nicola solo nella sua mente. No, non ce l’avrebbe mai fatta. Come avrebbe anche solo potuto pensare una cosa del genere?
-So cosa sarebbe giusto fare, ma non sono sicuro di essere in grado di farlo davvero-.
Rimase con il volto verso quello di Alessio, gli occhi che cominciavano a farsi lucidi. Cercò di trattenersi dal piangere, dal fare qualsiasi cosa che potesse renderlo ancor più esposto di quanto già non si sentisse, ma la sua resistenza cominciava inevitabilmente a vacillare.
Il sorriso che Alessio gli rivolse, appena accennato e sincero, non fece altro che farlo sentire ancora peggio. Si sentiva scosso dentro di sé, in preda ad una tempesta analoga a quella che stava ormai imperversando fuori dalla finestra, allagando sempre di più Venezia e le sue calli.
-Non posso dirti cosa sia più giusto per te e cosa no. Sei tu l’unico che può saperlo davvero. Anche se credo che, anche se ancora non te ne rendi conto, tu abbia già capito cosa fare-.
 

“Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere” - James Joyce






*il copyright della canzone (Linkin Park - "Runaway") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Beh, che dire... Forse questo capitolo si commenta da solo!
Caterina ha finalmente lanciato la bomba a Nicola, rivelando così la sua gravidanza, su cui nemmeno lei stessa ha le idee chiare. E non sembra averle nemmeno lui, anche se al momento non ha reagito proprio benissimo.
E, se non si fosse già capito, ve lo confermiamo noi: il primo flash forward del prologo proviene direttamente da questo capitolo, dove vediamo infatti un Nicola che  dopo la litigata con Caterina ha preferito andarsene, spaventato per la notizia ma anche ferito per la sfiducia nei suoi confronti che la sua ragazza sembra aver fatto trasparire in certe affermazioni.
Insomma, non sembra profilarsi una situazione molto rosea! Forse la conversazione con Alessio porterà a qualche nuovo scenario … Sarà davvero così? E soprattutto come evolverà questa tesissima situazione?
Tornate mercoledì prossimo (sì, avete letto bene 😊) con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Take me home ***


CAPITOLO 12 - TAKE ME HOME


 

Il vento freddo che tirava lungo le calli strette e grigie sembrava penetrargli fin sotto i vestiti, fino alla carne e alle ossa, facendolo tremare ancora di più di quanto non stesse già facendo per l’agitazione.
Era ora di pranzo, ma non aveva ancora mangiato nulla: aveva lo stomaco troppo chiuso e troppo in subbuglio anche solo per prendere in considerazione l’idea di masticare qualcosa. Pensava solo a camminare e a stringersi nelle spalle per disperdere meno calore possibile.
Aveva smesso di piovere solo da quella mattina, ma l’odore di pioggia era ancora nell’aria: riempiva i polmoni di Nicola, ricordandogli più una fredda giornata invernale piuttosto che una dei primi giorni di maggio.
Da quando era arrivato a casa di Alessio non aveva più smesso di piovere, salvo sporadici e brevi momenti di tregua. Si erano alternati pochi momenti di pioggia fine e leggera ad altri in cui su Venezia si era abbattuta una vera e propria tempesta. In gran parte della città si era dovuto ricorrere alle passerelle per diverse ore per far fronte all’acqua alta, e dove non era stato possibile utilizzarle non era rimasto altro che restarsene in casa, sperando che il livello dell’acqua non si alzasse ulteriormente.
A Nicola, forse per reale impedimento o forse ritenendosi fortunato di quell’imprevisto, non era rimasto che rimanere da Alessio. Non aveva messo in conto una possibilità del genere: non aveva davvero pensato di rimanere fuori casa due giorni interi – quasi tre, tenendo conto del pomeriggio in cui era scappato-, senza sapere come se la stesse passando Caterina, ma non gli era rimasto altro che accettare quella realtà.
Non aveva nemmeno avuto il coraggio di telefonarle, in quei due giorni. Immaginava che Alessio l’avesse chiamata al posto suo per spiegarle la situazione, ma non aveva davvero voluto sapere cosa le avesse detto, o cosa lei avesse risposto. Sapeva solo che, dopo tutto quel tempo passato lontano da lei, si sentiva in obbligo a ritornare a casa il prima possibile.
Non aveva idea di come sarebbe stato ritrovare Caterina dopo tutto quel tempo, ma era sicuro che non sarebbe potuto essere peggio dell’inferno che aveva appena passato in quelle sessanta ore.
Non si era mai sentito così tanto fuori posto come lo era stato nell’essere distante da casa sua e da lei. E si era sentito tremendamente a disagio, quando Alice era rientrata dal lavoro, ed Alessio le aveva dovuto spiegare velocemente cos’era successo: non credeva di aver mai visto uno sguardo più basito e scosso di quello che Alice gli aveva rivolto subito dopo aver appreso gli ultimi avvenimenti.
Aveva pensato molto in quei due giorni, forse talmente tanto da aver confuso le idee ed essere giunto ad un’unica conclusione: doveva tornare da Caterina.
Ancora non sapeva cosa le avrebbe detto, o come avrebbe reagito lei, ma a quello ci avrebbe pensato una volta giunto a casa. Per il momento, ciò che più gli importava era non sprecare altro tempo.
Arrivò davanti al suo palazzo trafelato e con il fiato corto, tremante per il freddo e l’ansia, con i vestiti che Alessio gli aveva prestato troppo larghi per il suo fisico gracile e snello. Tirò fuori le chiavi da una delle tasche della felpa, inserendole nella toppa del portone per farlo scattare. Si infilò dentro nell’ingresso, avviandosi alle scale.
Ora che era finalmente arrivato cominciava a sentire il groppo allo stomaco ancor più nitidamente. Fece gli scalini più lentamente, come per avere più tempo per prepararsi, ma arrivò sul pianerottolo comunque troppo presto per sentirsi davvero pronto ad affrontare Caterina.
Quando si trovò di fronte alla porta dell’appartamento si bloccò, indeciso: avrebbe dovuto usare le sue chiavi, ed entrare magari sorprendendo del tutto Caterina, o avrebbe fatto meglio a suonare, per farle almeno capire che era tornato e che non voleva entrare di soppiatto?
Rimase lì alcuni secondi, prima di portare una mano al campanello, e premendo poi con fare abbastanza deciso. Il cuore cominciò a battergli ancora più forte, tanto da sentirlo in gola.
Restò immobile in attesa per diversi secondi che, però, diventarono minuti: la porta non si aprì, né avvertì il rimbombo dei passi di Caterina dall’interno dell’appartamento. Non cambiò esattamente nulla.
Nicola sbuffò, risuonando di nuovo il campanello, cercando di tenere a bada l’apprensione: Caterina poteva benissimo non essere in casa in quel momento, ma non poteva averne la certezza. E se ci fosse stata, ma in preda a qualche malore che le impedisse di aprire o di muoversi? D’altro canto, i primi mesi di gravidanza erano sempre i più a rischio, e quelli in cui si avevano più indisposizioni.
Cercò di scacciare i pensieri troppo drammatici che cominciavano ad affollargli la testa, senza buoni risultati. Era sempre stato freddo e razionale, ma non riusciva ad esserlo altrettanto in quel momento: doveva ancora abituarsi a quell’ansia che lo attanagliava, e che non sapeva ancora come gestire.
Rovistò di nuovo nella tasca della felpa, estraendone le chiavi di casa. Aprì la porta velocemente, richiudendola subito con un tonfo sordo, in modo che, se Caterina fosse stata in casa, potesse rendersi conto che qualcuno era appena entrato.
Non arrivò alcun segnale della presenza di Caterina da nessuna stanza: nessun fruscio, nessuno scalpiccio di passi, niente di niente. Nicola fece un giro rapido per l’appartamento, che non fece altro che confermargli che Caterina non si trovava lì.
Sbuffò sonoramente, buttandosi lungo disteso sul letto in modo maldestro. Da un certo punto di vista era sollevato nel sapere che avrebbe avuto ancora un po’ di tempo per chiarirsi le idee, ma dall’altro lato era deluso e preoccupato: non aveva idea di dove fosse Caterina, di quando sarebbe rientrata. Non aveva nemmeno idea di come stesse in quegli ultimi giorni.
Si pentì di non averle telefonato nemmeno una volta, così come si pentì di non aver chiesto ad Alessio cosa si erano detti. Se lo avesse fatto, forse, non si sarebbe trovato lì, steso su quel letto, a porsi tutte quelle domande a cui non sapeva rispondere.
Il pensiero che Caterina potesse essersi sentita male lo spaventava troppo: poteva benissimo trovarsi in ospedale in quello stesso momento, e lui sarebbe rimasto all’oscuro di tutto. Non sarebbe stato accanto a lei in un momento così terribile.
Tentò ancora una volta di scacciare quei pensieri, di essere meno pessimista: se fosse accaduto qualcosa probabilmente, in un modo o nell’altro, l’avrebbe saputo. Magari l’avrebbero chiamato dall’ospedale, o forse Caterina non gliel’avrebbe tenuto nascosto in ogni caso.
L’inquietudine, comunque, non sembrava andarsene in nessun modo, amplificata dai mille sensi di colpa che stava provando da due giorni a quella parte. Avrebbe dovuto fare qualcosa, anche solo per capire dove si trovasse Caterina, solo non sapeva ancora bene cosa.
Gli ci volle un altro po’ di tempo di riflessione, steso su quel letto, per decidere se scriverle un messaggio o no. Si era come ritrovato bloccato, fermo a fissare la tastiera del suo cellulare davanti agli occhi, incapacitato a premere anche solo una lettera per iniziare una frase qualsiasi.
La verità era che non sapeva bene come e cosa avrebbe dovuto dire, senza sembrare troppo apprensivo ed in ansia o troppo menefreghista.
Non sapeva bene come aveva fatto poi a trovare un giusto compromesso a quel dilemma. Sapeva solo che, in un momento di impulsività, aveva scritto quello che poi, a rileggerlo, gli sembrava solo un messaggio confuso e scritto troppo velocemente. Lo aveva inviato comunque perché, se ne rendeva conto, se non lo avesse fatto in quel momento non ci sarebbe riuscito mai più.
 
*
 
-Ancora niente?-.
La voce di Giulia ormai non era più speranzosa come le prime volte che le aveva posto quella domanda. Forse persino lei aveva perso qualsiasi speranza.
Caterina scosse il capo, anche se in verità aveva abbandonato il suo cellulare da ore. Non ricordava nemmeno più per quale motivo l’avesse acceso quella mattina.
La giornata era iniziata con la fine del temporale che aveva allagato Venezia negli ultimi due giorni. Poteva essere un segno di buon auspicio, ma la realtà era che non era cambiato nulla: non fosse stato per Alessio e i suoi continui aggiornamenti, Caterina non avrebbe assolutamente saputo dove fosse andato a cacciarsi Nicola in quel lasso di tempo. L’ultima cosa che aveva saputo era che se ne era definitivamente andato da casa di Alessio e Alice, per chissà dove non lo sapeva. Forse per tornare a casa, forse per andare altrove.
Quando aveva letto quell’ultimo messaggio di Alessio, quella mattina, aveva trovato piuttosto ironico il fatto che, se si fosse affacciata dal salotto di Giulia, molto probabilmente avrebbe potuto intravedere la figura di Nicola uscire fuori, in una Venezia ancora fangosa e uggiosa, ma in cui la pioggia aveva perlomeno smesso di scendere.
Era arrivata a casa di Giulia giusto in tempo, la mattina precedente in un momento in cui la pioggia era gestibile, stanca di rimanere sola in un appartamento in cui il silenzio le era diventato assordante. Aveva chiamato la sua migliore amica quando era già per strada, trattenendo a stento le lacrime, e non riuscendoci più quando Giulia le aveva chiesto cosa fosse successo per voler venire a stare da lei per un paio di giorni. Le aveva raccontato tutto appena arrivata, sotto lo sguardo furioso di Giulia e a quello perplesso di Filippo.
Nondimeno Giulia aveva provato a mostrarsi positiva con lei. L’aveva rassicurata sul fatto che Nicola si sarebbe fatto vivo, che sarebbe tornato a casa loro, ma ora Caterina cominciava sul serio a notare segni di cedimento persino in lei.
-È un idiota- Giulia lo borbottò mentre andava a sedersi accanto a lei, sul divano letto ora richiuso e che era stato il giaciglio di Caterina per la scorsa notte – Sul serio, pensavo che quel che era successo anni fa gli fosse bastato come lezione. E invece è sempre il solito idiota-.
Caterina quasi rise: era incredibile come Nicola fosse riuscito a far irritare così tanto persino Giulia. La sua risata mentale però morì nel giro di qualche secondo, quando le parole dell’altra la colpirono come uno schiaffo in faccia.
Nicola se n’era andato per una seconda volta. Stavolta era letteralmente scappato di casa, senza nemmeno farle sapere di persona dove fosse andato a cacciarsi.
A quel pensiero, e al ricordo degli eventi di due giorni prima, sospirò pesantemente, il dolore e la rabbia mischiati tra loro.
Prese in mano il cellulare senza un motivo in particolare, anche solo per controllare l’ora, ma fu in quel momento che si rese conto che forse la sua risposta a Giulia era stata troppo veloce: la notifica di un messaggio era proprio sullo schermo, e non c’erano dubbi sul fatto che provenisse dal numero di Nicola.
-Aspetta- si lasciò sfuggire inconsciamente, con le mani che tremavano e l’angoscia che tornava a schiacciarle il petto.
-Cosa?- chiese Giulia, che la stava osservando, e Caterina era sicura che stesse tenendo gli occhi sgranati.
Lesse velocemente il messaggio, anche per una seconda e una terza volta, prima di rispondere con voce flebile:
-Nicola è tornato a casa-.
A dirlo ad alta voce pareva strano persino a lei.
-Mi ha chiesto come sto e dove sono-.
La faccia di Giulia si trasformò in un’espressione talmente contratta dall’ira che, in un qualsiasi altro momento, Caterina l’avrebbe trovata buffissima. In quel frangente, invece, si ritrovò solo a ringraziare il fatto che Filippo fosse al lavoro, o di sicuro sarebbe rimasto traumatizzato da quel che sarebbe successo di lì a poco.
-Ah, lui lo chiede a te, eh?- sbottò Giulia, quasi urlando – Giuro che se lo avessi di fronte … -.
Sbuffò sonoramente, e Caterina non poté darle torto. Se avesse avuto più energia – e meno nausea- avrebbe espresso anche lei la sua rabbia in quel modo. Stavolta, però, lasciò che fosse solo Giulia a sfogarsi così apertamente.
-Che faccio?- le chiese, con un filo di voce.
Il nervosismo di Giulia sembrò sgonfiarsi nel giro di pochi secondi, quando tornò a puntare gli occhi su di lei. Era evidentemente preoccupata, ma Caterina aveva bisogno del suo consiglio più di qualunque altra cosa in quel momento.
-Non sei tenuta a rispondergli subito- le disse, dopo alcuni secondi – Lui non si è fatto vivo per giorni-.
Era vero, rifletté Caterina: se da una parte avvertiva l’urgenza di dover parlare con Nicola per decidere come muoversi, dall’altra tentennava sul volergli anche solo rispondere a quel messaggio nell’immediato. Un po’ voleva fargli provare quel che aveva provato lei stessa in quegli ultimi giorni, ma non sarebbe comunque durato molto. Provava già il desiderio di tornare, di sentirlo accanto a sé, di tranquillizzarsi e sapere che dopo un primo momento di paura Nicola si era deciso a non abbandonarla a se stessa.
La mano che Giulia le posò su una spalla la fece riportare alla realtà:
-Prima pranziamo e poi ci pensiamo-.
-E poi?-.
Caterina lasciò scivolare fuori dalle sue labbra quelle parole in un vuoto silenzioso che la lasciò ancor più inquieta. Sapeva che avrebbe dovuto prendere una decisione lei, e che Giulia non poteva farlo al posto suo, ma c’erano già così tante cose a cui avrebbe dovuto pensare, su cui avrebbe dovuto decidere, che in quel momento avrebbe lasciato volentieri il comando a qualcun altro almeno per quella.
Giulia le si fece più vicino, ormai definitivamente più calma rispetto a prima:
-Tu cosa gli diresti?- la spronò con delicatezza – Cosa ti senti di fare?-.
Era difficile esprimere a parole tutto il turbinio di emozioni in cui si ritrovava a soffocare, ma Caterina tentò ugualmente:
-Sono incazzata con lui, ma allo stesso tempo ho bisogno di vederlo. Non ci capisco più niente-.
Giulia le passò un braccio attorno alle spalle:
-Di sicuro avrete molto di cui parlare-.
A quel solo pensiero Caterina avvertì la nausea farsi più forte. Era inevitabile che accadesse, e doveva succedere il prima possibile per non perdere tempo che sarebbe potuto risultare molto prezioso, ma si sentiva male all’idea in ogni caso.
-E se volesse lasciarmi?- sospirò, d’un tratto sentendosi impossibilitata ad escludere anche quella possibilità.
-Non credo che qualcuno che ti vuole lasciare ti scriverebbe un messaggio simile- ragionò Giulia – È una testa di cazzo, ma non credo lo sia così tanto-.
“Spero proprio di no”.
In un modo o nell’altro le parole di Giulia riuscirono a confortarla a sufficienza. In qualsiasi caso doveva agire.
-Devo tornare- disse a mezza voce, più a se stessa che a Giulia.
-Prenditi ancora un po’ di ore per stare qui- mormorò l’altra – Quando te la sentirai tornerai anche tu, e parlerete-.
Caterina si ritrovò ad annuire passivamente, con l’ansia per quel momento che già si faceva sentire.
 
*
 
A distanza di parecchie ore si ritrovava ancora solo, in quell’appartamento, ancora senza nessuna notizia di Caterina. Nicola aveva controllato già troppe volte il telefono, ma non c’era possibilità di sbagliarsi: non gli era arrivata nessuna risposta, né alcuna chiamata. Si era ripromesso di pazientare ed aspettare che decidesse di rispondergli o che rientrasse, ma quello stoicismo autoimposto cominciava già ad andargli troppo stretto.
Aveva perso il conto delle ore che erano già passate dall’invio di quel suo messaggio, ed aveva anche perso il conto di quante cose aveva cercato di fare per distrarsi almeno un minimo: aveva acceso la tv, messo su un disco nello stereo, aveva provato a leggere qualche libro di Caterina. Nulla era riuscito a tranquillizzarlo o a farlo pensare ad altro anche solo per pochi minuti.
Erano passate da poco le otto, e l’idea di prepararsi qualcosa per cena non lo aveva nemmeno sfiorato: non mangiava nulla da quella mattina, ma non sentiva neanche il morso della fame. Aveva lo stomaco troppo in subbuglio e la gola troppo chiusa per pensare seriamente di riuscire a mangiare qualcosa.
Decise di farsi una doccia, in un ultimo tentativo di ingannare il tempo; passò dalla cucina al salotto, e si bloccò per un attimo a dare un ultima occhiata al telefono.
Non si aspettava davvero di trovare un messaggio da parte di Caterina, e quasi credette di aver appena avuto un’allucinazione quando si accorse che, invece, il display indicava chiaramente l’arrivo di un messaggio.
Dovevo fare alcune cose. Non aspettarmi per cena”.
Doveva essergli arrivato già una mezz’ora abbondante prima, e Nicola rimase in parte deluso nel leggere che Caterina aveva preferito omettere del tutto dove si trovasse o cosa stesse facendo – anche se, almeno, poteva intuire che stesse bene.
Più rileggeva quelle parole e più gli davano un senso di freddezza e lontananza che non fece altro che farlo sentire ancor più in colpa.
Tirò di nuovo un sospiro, a metà tra la rassegnazione e l’esasperazione.
Avrebbe dovuto aspettare ancora, per un tempo ancora imprecisato. Ancora in attesa, nell’unica compagnia di se stesso.
Quella casa era sempre così silenziosa quando non c’era lei. Vuota ed avvolta da un silenzio che rimbombava ancor di più in quel momento, visibile ed autentico.
Nicola buttò malamente il telefono sul divano, con un gesto secco. Rinunciò subito all’idea di chiamarla o di scriverle ancora: le parole che gli aveva scritto suonavano fin troppo come un invito a non disturbarla, a lasciarla sola ancora.
Si lasciò scivolare sul pavimento del salotto, appoggiando la testa contro il bordo del divano, lasciandosi sfuggire un respiro stanco e preoccupato.
Forse, se avesse agito diversamente, se le cose fossero andate in un’altra maniera, nulla di tutto quello che stava passando sarebbe accaduto. Se non avesse esagerato, se non se la fosse presa con lei come se fosse solo sua la colpa, allora forse Caterina sarebbe stata già lì con lui.
Forse non avrebbero passato giorni interi senza nemmeno vedersi, distanti l’uno dall’altra come due sconosciuti.
Il viso rigato di lacrime di Caterina e i suoi occhi lucidi, così come l’aveva vista due giorni prima, gli vorticò tra i pensieri. Si sentì morire dentro ancora un po’, esattamente come si era sentito varie volte in quegli ultimi giorni.
 
E no, non piangere che non sopporto le tue lacrime
Non ci riuscirò mai
 
Forse, per la prima volta sul serio, riuscì almeno in parte a capire Caterina, a comprendere come poteva essersi sentita nel dargli quella notizia.
Non era solamente lui ad esserci rimasto male, ad essersi sentito mancare la terra sotto i piedi. Non era l’unico ad essersi visto i propri progetti andare in fumo per un test di gravidanza positivo.
Chiuse gli occhi, stancamente. Avrebbe solamente voluto mandare avanti il tempo, trasferire quella situazione nel futuro, quando lui e Caterina avrebbero già concluso l’università, quando avrebbero deciso deliberatamente di metter su famiglia. In una situazione del genere si sarebbe sentito felice. Forse anche Caterina sarebbe stata più gioiosa, meno in collera con il mondo, meno in collera con lui. Avrebbero pianto insieme per la contentezza, e non di certo per un litigio che ora appariva stupido e insensato.
Nicola riaprì gli occhi, scuotendo appena il capo: no, la realtà in cui viveva non era quella felice che avrebbe tanto voluto. Viveva in quella in cui era scappato da Caterina appena saputo della gravidanza, quella in cui erano ancora degli studenti che arrivavano a fatica alla fine del mese e che solo con grandi difficoltà avrebbero saputo mantenere un bambino. Sentì gli occhi farsi lucidi, ma non di commozione o felicità.
Che razza di futuro aveva da offrire a un figlio?
“Un futuro fatto di stenti e di fatica”.
Seduto su quel pavimento freddo, Nicola si sentì disorientato, perso, quel silenzio che lo circondava che si faceva sempre più assordante ed intenso. Lo stordiva, lasciandolo lì a terra con le spalle ricurve per il peso che stava portando sulle sue spalle.
Si alzò piano, le gambe un po’ tremanti, e muovendo qualche passo si avvicinò lentamente alla finestra aperta a qualche metro dal divano. Appoggiò i gomiti sul davanzale: non vi era più traccia di pioggia, e la brezza si era fatta più tiepida e primaverile. Fuori stava già calando il buio, interrotto solo dalle lontane luci giallognole dei lampioni e dei vaporetti in lontananza.
Venezia di sera era ancora più bella che di giorno: l’acqua dei canaletti che dividevano le calli brillava alla luce dei lampioni, e rifletteva la forma delle case, dei ponti e delle gondole. Riusciva a vedere in lontananza la grande cupola di San Marco e la Torre dell’Orologio, stagliate nel cielo plumbeo, e le acque scure della laguna oltre la basilica.
 
È solo che
Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio
Non c'è una soluzione, questa casa sa di te
 
Stava calando il buio, e Caterina non era ancora rientrata.
Nicola si passò le mani sul viso, sforzandosi ancora una volta di non pensare al peggio. Gli risultava difficile, in quel frangente, distogliere il pensiero da Caterina: avrebbe voluto sentire finalmente la serratura della porta d’entrata scattare, e vederla entrare. Non gli importava nemmeno più della loro discussione, niente di niente. Voleva solamente riaverla lì, al sicuro.
Rimise la mani appoggiate al davanzale. Sentiva di nuovo gli occhi farsi lucidi, e cercò di ricacciare indietro quelle lacrime amare. Venne distratto solo dal rimbombo lontano e ovattato di passi lenti che percorrevano la calle proprio sotto quella finestra.
Cercò di sporgersi ancora un po’, spinto da una seppur minima speranza che potesse essere Caterina. Assottigliò lo sguardo e, guardando bene, vide che a camminare lungo la calle era una ragazza.
Era abbastanza sicuro di ciò che aveva visto, ma il buio appena calato e la lontananza gli impedivano di riconoscerla davvero.
Forse era solo la sua speranza a fargli credere che fosse lei, e non una qualsiasi altra donna che stava camminando proprio per quella strada. Solo un’inutile ulteriore illusione.
 
E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio
E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse
 
Preferì allontanarsi dalla finestra, tornando al centro della stanza, la testa che cominciava a girargli per la debolezza che sentiva in corpo.
Raggiunse la porta d’ingresso, appoggiandovisi di schiena e lasciandosi scivolare a terra, entrambe le mani giunte sulla testa, a coprirgli il viso.
Cercò di percepire il rumore dei passi di Caterina che salivano le scale fino al pianerottolo del loro appartamento, ma non sentì altro che silenzio. Lo stesso silenzio che lo aveva accompagnato per tutto il giorno, assordante e doloroso.
Si chiese se anche Caterina si fosse sentita così, negli ultimi giorni, quando era rimasta sola in quella casa. Forse anche lei aveva trovato quella solitudine tremendamente angosciante, a tratti paurosa.
Sì, doveva averla trovata paurosa. Paurosa come la percepiva lui in quel frangente.
Paura per il futuro, paura per i loro progetti, paura per qualsiasi cosa e per cose che non avrebbe nemmeno saputo definire.
Tutte le preoccupazioni tornarono prepotentemente ad occupargli la mente, come se, una volta addormentato, si fosse appena calato in un incubo interrotto poco prima di essersi svegliato.
 
E questo fa paura
Tanta paura

Paura di star bene
Di scegliere e sbagliare
 
Nicola respirò affannosamente, cercando di trattenere un’altra volta quelle lacrime che da tempo premevano per uscire dai suoi occhi. Strinse le mani così tanto che sentì le unghie conficcarsi nella carne dei palmi.
Tutti quei sentimenti contrastanti lo facevano stare male. Così male che gli sembrava che gli fosse stato tolto il respiro, come se l’aria cominciasse a scarseggiare nei suoi polmoni, in una sensazione simile a quella del soffocamento.
Sentì una lacrima rigargli una guancia, finendogli oltre il mento e cadendo sulla maglietta.
Respirò a fondo, cercando di calmarsi, in un intento che gli sembrò inutile già in partenza.
Le mani tornarono di nuovo a coprirgli il viso, come a voler nascondere quella maschera di sofferenza.
Fu in quel momento che gli parve di udire dei passi provenire dal pianerottolo, ma probabilmente era solamente la sua immaginazione. Non vi badò nemmeno.
 
Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio
Non c'è una soluzione questa casa sa di te

E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio
E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse

E tanto ti amo
 
I passi si fecero sempre più vicini. Tese l’orecchio, e stavolta il rumore di passi in avvicinamento non sembrò solo una pura illusione. Rimase seduto, spostandosi dalla porta, teso come una corda di violino, pronto a percepire anche solo il minimo fruscio. Non dovette attendere a lungo: sentì la serratura della porta d’ingresso scattare, e poi dei passi veloci.
Aveva ancora le mani a coprigli il viso quando sentì qualcuno avvicinarsi a dove si trovava; scorse, tra le dita delle proprie mani che ancora gli coprivano il viso, un’ombra che si stagliava sopra di lui.
-Non pensavo che il pavimento fosse così comodo-.
La voce di Caterina gli giunse chiara e concreta: nessuna allucinazione, solo la pura realtà. Aveva parlato piano, quasi sussurrando, ma lui aveva sentito bene ogni parola.
Nicola tolse finalmente le mani dalla faccia, e le posò cautamente a terra. Alzò il viso in alto, da dove proveniva la sua voce. Caterina era accanto a lui, in piedi, ferma a guardarlo con uno sguardo che Nicola non avrebbe saputo definire in modo univoco. Gli occhi sembravano un misto di stanchezza, rabbia, malinconia e sollievo. Nicola si sentì infinitamente meglio solo nel ricambiare lo sguardo che Caterina gli stava rivolgendo.
 
Che per quegli occhi dolci posso solo stare male
 
Si alzò pian piano da terra, appoggiando le mani contro la parete, mentre Caterina si allontanava di qualche metro da lui per andare ad poggiare la giacca sul divano, dandogli le spalle. Non sembrava intenzionata a far durare a lungo il contatto visivo che c’era appena stato, anzi. Sembrava piuttosto volenterosa nel voler rimarcare la lontananza che, da soli due minuti e almeno sul piano fisico, sembrava essersi ridotta di parecchio.
Nicola le si avvicinò piano, mentre lei gli dava ancora le spalle: se ne rimaneva immobile in quella posizione, anche dopo essersi sfilata la giacca con movimenti lenti e stanchi.
Non pensò sul serio a ciò che avrebbe dovuto fare o dire, e probabilmente per la prima volta in vita sua agì solamente d’istinto: le cinse i fianchi con entrambe le mani, senza stringerla troppo, ed avvicinandola piano a sé. Caterina si voltò repentinamente verso di lui, con aria interrogativa: l’aveva evidentemente colta di sorpresa.
Non cercò di divincolarsi, né di sottrarsi alla presa di Nicola. Rimase lì ferma, ancora una volta, e lui quasi si stupì nel rendersi conto che non aveva nemmeno provato a sfuggire a quella specie di abbraccio inaspettato.
Caterina alzò piano gli occhi, incontrando quelli azzurri di Nicola. Sembrava essere sul punto di dire qualcosa: aprì la bocca un paio di volte, ma non pronunciò alcuna parola. Non sembrava arrabbiata, solo disorientata.
Nicola sentì stringersi il cuore, nel vederla così vulnerabile e, allo stesso tempo, più forte di quanto si era dimostrato lui fino a quel momento.
Agì di nuovo d’impulso, senza pensare a ciò che era successo nei giorni passati e senza curarsi di ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti: si sporse verso di lei, fino a quando le loro labbra si incontrarono.
 
E quelle labbra prenderle e poi baciarle al sole
 
Nicola sentì le labbra di Caterina piegarsi in un sorriso appena accennato, non sapeva se per il sollievo di trovarlo finalmente a casa, o in una tacita conferma che sì, avrebbe accettato le sue scuse.
Quando si staccarono, però, di quel sorriso non vi era già più traccia. Era come se fosse scomparso da tempo, come se Caterina avesse perso la luminosità e la gioia che l’aveva accompagnata fino a quel momento.
Avrebbe voluto rivederlo, quel sorriso. Rivederlo ancora per qualche altro secondo, rivederlo ad illuminarle il viso ancora una volta.
 
Perché so quanto fa male la mancanza di un sorriso
Quando allontanandoci sparisce dal tuo viso
 
Caterina tornò a guardarlo, senza dire nulla. E a Nicola bastò, perché non c’era davvero nulla da dire che non potessero comunicarsi solo così, in un abbraccio e con uno sguardo.
Avevano paura entrambi, una paura enorme, ma sembrò svanire per un attimo quando Caterina appoggiò la testa sul suo petto, lasciandosi cullare dal suo respiro ora calmo e dal calore del corpo.
Nicola sospirò piano, appoggiando il mento sul capo di Caterina, socchiudendo gli occhi.
Sentì la maglietta bagnarsi per le lacrime silenziose, e non poté fare altro che stringerla ancora un po’ di più a sé, le braccia che la cingevano e la proteggevano dal mondo esterno.
 
E fa paura
Tanta paura
Paura di star bene
Di scegliere e sbagliare
 
Era un paradosso, ma con Caterina di nuovo lì, con lui, non poté fare a meno di sentirsi bene.
Perché era con lei, in quella casa, il suo posto. Avrebbero avuto tutti i problemi di quel mondo, tutti i momenti più difficili della loro esistenza, ma li avrebbero affrontati insieme.
Nicola inspirò profondamente, godendosi il profumo dei capelli di Caterina, e chiudendo gli occhi, non pensando a nulla.
 
Ma ciò che mi fa stare bene ora sei
 Tu amore
E fuori è buio
Ma ci sei tu amore

E fuori è buio*



 

*il copyright della canzone (Tiziano Ferro - "E fuori è buio") appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.

NOTE DELLE AUTRICI
Sembra che infine Nicola abbia deciso di fare ritorno a casa, ma proprio lì scopre che Caterina non c'è. E in una scena parallela scopriamo infatti che anche lei ha preferito andarsene, ospite di una Giulia parecchia infuriata (e come darle torto!). E proseguendo, abbiamo anche scoperto che Caterina ha preferito temporeggiare e prendersi il tempo di cui aveva bisogno prima di parlare con Nicola, anche se alla fine anche lei è tornata a casa, dove ora sono di nuovo insieme.
I due ragazzi, senza l'uso di tante parole, sembrano quindi aver fatto pace... Ma come andranno ora le cose? Secondo voi Nicola resterà al fianco di Caterina qualunque decisione prenda in merito alla gravidanza o avrà altri ripensamenti?
Si accettano congetture! Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 9 febbraio con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - I hope, I think, I know ***


TW//: In questo capitolo verrá trattato, seppur in modo non grafico e solo accennato, il tema dell'interruzione di gravidanza. Se pensate che possa essere un argomento troppo delicato per voi vi consigliamo di saltare questo capitolo.
Se invece siete contro l'interruzione, vi ricordiamo che è un diritto sancito dalla legge e che quindi potete portare le vostre proteste altrove e non certo qui.

 
CAPITOLO 13 - I HOPE, I THINK, I KNOW

 


Il respiro regolare di Nicola era l’unico segnale che le ricordava la sua presenza, lì steso accanto a lei nella loro stanza da letto. Caterina rimase voltata dall’altro lato, stesa su un fianco e impossibilitata dal poter osservare la figura addormentata dell’altro.
Non si erano detti molte parole da quando era tornata, forse perché lei per prima non aveva voglia di parlare. Sarebbe venuto quel momento, molto presto, ma per quella serata era come se si fossero tacitamente messi d’accordo per rimandare tutto all’indomani.
Il display del suo cellulare, in parte nascosto dalle lenzuola, si illuminò all’arrivo di un nuovo messaggio. Caterina girò il cellulare per poter leggere meglio:
«Quindi ancora niente?».
Aveva mandato un messaggio a Giulia alcuni minuti prima, quando ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe riuscita a prendere sonno molto in fretta, raccontandole com’era andato il rientro a casa – e soprattutto l’incontro con Nicola.
Caterina sospirò piano, spossata e stanca, mentre iniziava a rispondere all’amica:
«Penso parleremo domani. Stasera non ne avrei avuto nemmeno voglia».
Non era del tutto una bugia – si sentiva davvero troppo stanca per iniziare una discussione del genere-, ma non era nemmeno del tutto la verità: una parte di lei era ancora arrabbiata con Nicola per riuscire a lasciarsi andare del tutto a ciò che pensava, ciò che le stava passando per la testa da giorni. E forse non sarebbe neanche bastata quella notte di sonno a farle passare l’arrabbiatura per quella sua fuga – come se solo lui avesse avuto il diritto di sentirsi spaventato. La realtà era che lei non si sarebbe potuta mai permettere di scappare, non in quel caso, mentre lui sì.
Era una differenza abissale, che avrebbe inevitabilmente condizionato qualsiasi decisione avrebbe preso riguardo quella gravidanza.
Giulia doveva star aspettando spasmodicamente la sua risposta, perché il cellulare di Caterina segnalò un messaggio in entrata nemmeno un minuto dopo l’invio dell’ultimo messaggio.
«Speriamo … Ti ha detto nulla sulla sua fuga?».
«Ancora no» digitò velocemente Caterina, avvertendo accanto a sé Nicola muoversi. Non doveva essersi svegliato, ma si era fatto più vicino a lei. Riusciva a percepire il fiato caldo sul suo collo, e in una qualsiasi altra occasione Caterina si sarebbe fatta cullare da quella vicinanza, dal contatto con lui, ma non era ancora pronta a farlo.
Il messaggio che ricevette subito dopo da Giulia la fece sorridere:
«Se non lo fa vengo direttamente io a menarlo».
Sarebbe stato curioso assistere al primo incontro tra Giulia e Nicola dopo il disastro appena successo.
«Non ho alcun dubbio».
Caterina smise di ridere pian piano. Invidiava Giulia, in quel momento, perché a lei stava mancando persino la forza di dimostrare il suo malessere. Le mancava la forza di fare qualsiasi cosa.
Digitò ancora un nuovo messaggio, stavolta il sorriso sulle labbra completamente scomparso:
«Provo a dormire adesso. Buonanotte».
Quando posò il cellulare sul comodino accanto al letto, pensò davvero che forse avrebbe fatto bene a tentare di addormentarsi. Avrebbe avuto bisogno di tutte le energie possibili per affrontare il giorno dopo.
La giornata che l’attendeva sarebbe stata tutt’altro che semplice.
 
*
 
Il riflesso del sole entrava luminoso e pieno dalle finestre socchiuse, illuminando l’intera stanza. A Nicola erano mancate quelle mattine calde e soleggiate tipiche di quel periodo, e in un certo senso voleva sperare che la ricomparsa del sole, dopo giorni e giorni di pioggia, potesse essere un segno di buon auspicio.
Non aveva quasi chiuso occhio durante la notte, ma si era comunque alzato presto, e non sentiva l’ombra di fatica o stanchezza in corpo. Aveva passato ogni minuto ad osservare Caterina dormire, come per voler rendersi bene conto che lei era lì, era di nuovo a casa, ed erano di nuovo insieme. Tutto il resto veniva dopo.
Aveva rinunciato ad andare a lezione per quella giornata, ma non gli interessava molto: preferiva di gran lunga essere lì, in cucina a preparare la colazione per sé e per Caterina.
Stava per riempire un bicchiere con del succo di frutta, ma si bloccò nel percepire dei movimenti provenienti dalla camera da letto. Ascoltò i passi affrettati di Caterina dirigersi verso il bagno, e non gli servì molto tempo per intuire quale fosse la causa di tutto quel trambusto. Le nausee mattutine cominciavano a farsi più presenti e più forti rispetto anche solo a qualche giorno prima.
Lasciò perdere la colazione non ancora pronta, e di diresse a sua volta verso il bagno. Forse era la preoccupazione – o forse il senso di colpa che ancora non se n’era andato, o forse entrambe le cose- a spingerlo a raggiungerla. Non avrebbe potuto fare molto con la sua presenza, ma non voleva nemmeno ricadere nel senso di menefreghismo che gli avrebbe rinfacciato Caterina.
Quando entrò nel bagno Caterina si stava già sciacquando il viso. Nicola le si avvicinò, posandole cautamente una mano sulla spalla per avvertirla della sua presenza.
Lei si rialzò dopo alcuni attimi, il viso e gli occhi arrossati e i capelli ancora scarmigliati, e per un secondo Nicola ebbe l’impressione che fosse sorpresa nel trovarlo lì.
-Forse dovresti andare a stenderti ancora un po’- le mormorò, non sapendo che altro dire. Immaginava che Caterina si sentisse piuttosto debole e con la testa che girava, e non poté fare a meno di sentirsi quanto mai impotente nel vederla così senza riuscire a farla stare davvero meglio.
-Sto bene, ora- tagliò corto lei, anche se a Nicola dette tutt’altra impressione. Le scostò un ciuffo di capelli dal viso, e sentì il cuore stringersi per un attimo nell’accorgersi come Caterina si fosse irrigidita a quel contatto. Era ancora arrabbiata con lui, almeno in parte, riusciva ad intuirlo. E la capiva, perché, infondo, anche lui al posto suo se la sarebbe presa per giorni interi.
-È meglio per te riposarti il più possibile, non credi?- insistette. Caterina sospirò a fondo, scostando lo sguardo. Rimase lì ancora per un po’, ma poi sembrò convincersi: senza dire nulla uscì dal bagno, tornando in camera e mettendosi semi seduta sul letto.
Nicola la seguì, in silenzio, fermandosi sulla soglia. Non aveva intenzione di trattenersi a lungo lì: avrebbe davvero preferito lasciare Caterina libera di riposarsi ancora un po’, ma lei stessa non sembrava essere del suo stesso avviso.
-Dobbiamo parlare. Te ne rendi conto, vero?-.
Nicola si ritrovò ad annuire ancora prima di pensare ad una qualsiasi risposta. Certo che se ne rendeva conto, e si aspettava che, prima o poi, sarebbe giunto un momento simile. Il momento in cui avrebbero dovuto parlare seriamente della questione.
Il momento che più temeva di tutta la situazione in cui si trovavano a vivere.
-Sì, lo capisco- mormorò, abbassando per un attimo lo sguardo.
Caterina non attese nemmeno che lui si avvicinasse; tirò uno sbuffo nervoso ed esasperato, scuotendo il capo:
-Avremmo già dovuto farlo. Più passa il tempo, più ... -.
-Più cosa? Hai già preso una decisione?- domandò allarmato Nicola, alzando repentinamente il viso e fissando Caterina sbigottito. In un attimo un timore ben preciso si fece strada in lui, lasciandolo di stucco e spaventato allo stesso tempo.
-Vuoi interrompere la gravidanza?-.
Caterina sembrò impallidire ancor di più di quanto già non fosse, turbata in viso e incapace di ricambiare lo sguardo che Nicola le stava rivolgendo. Si bagnò le labbra, prima di prendere un altro sospiro e parlare lentamente:
-Non ho detto questo. E no, non ho ancora preso nessuna decisione, ma in questi casi il tempo è prezioso, qualsiasi cosa decideremo di fare- sospirò a fondo, evidentemente nervosa – Prima di decidere volevo parlarne con te. È una questione che riguarda entrambi, d’altro canto-.
Caterina abbassò di nuovo lo sguardo, e Nicola sentì il cuore stringersi con un nuovo senso di colpa: non avrebbe dovuto scattare così, accusandola di non averlo reso partecipe delle sue possibile decisioni, quando era stato proprio lui ad andarsene lontano da lei. La vedeva sconfortata, spaventata e racchiusa in un guscio di solitudine che non sapeva se sarebbe riuscito a rompere.
 
Wrapped up, so consumed by
All this hurt
 
Si avvicinò lentamente al letto, sedendosi infine sul bordo, poco distante da Caterina. Sebbene lo spazio tra loro fosse ridotto al minimo, i loro corpi ancora non erano entrati in contatto.
-Di quante settimane dovresti essere ora?- domandò Nicola, incerto.
Caterina sembrò pensarci su per un attimo, prima di alzare le spalle e mormorare:
-Dovrei essere a circa sei settimane, giorno più, giorno meno. Credo che per saperlo con certezza dovremo attendere la prima visita la prossima settimana-.
Nicola si ritrovò ad annuire, spaesato. Pensare che Caterina fosse già entrata nel secondo mese lo spiazzava completamente: non riusciva ancora ad entrare del tutto nell’ottica della gravidanza. Il suo corpo non era ancora cambiato, almeno esternamente, e parlare di qualcosa che all’apparenza sembrava inesistente lo disorientava come non mai.
Si rese conto di non riuscire a pensare razionalmente, i sentimenti che si mischiavano tra loro lasciandolo confuso.
-Durante la visita ho intenzione di chiedere chiarimenti sulla proceduta per l’interruzione- Caterina parlò velocemente e a bassa voce, come se volesse rendere quelle parole incomprensibili a chiunque la stesse ascoltando. A Nicola, però, non servì alcuna ripetizione per capire cosa avesse appena detto.
-Quindi vuoi tenere in considerazione quell’ipotesi?- chiese, esitante. La risposta era ovvia, ed era totalmente logico che Caterina non scartasse nessuna delle opzioni che le si presentavano davanti. Era razionale ragionare sulla situazione, ma a Nicola, paradossalmente, rimase comunque l’amaro in bocca nel rendersi conto che, forse, di lì a poco non ci sarebbe stata più alcuna gravidanza di cui parlare. Fu strano pensarlo, quando fino al giorno prima lui stesso si era chiesto come avrebbero potuto mantenere un figlio.
-Non credere che mi faccia piacere farlo. Ma sì, voglio tenere buona anche quell’ipotesi. Voglio tenerle presenti tutte, almeno per adesso. Almeno fino a quando ... Fino a quando avrò le idee più chiare- farfugliò lei, e Nicola avvertì distintamente la voce di Caterina incrinarsi, anche se solo per un attimo fugace – Non so cosa voglio davvero. Sono così confusa che so a malapena come mi sento davvero, e non riesco a capire cosa dovrei fare o cosa dovrei pensare-.
 
If you ask me don’t
Know where to start
Anger, love, confusion
Roads that go nowhere
 
-Non lo so nemmeno io, a dire il vero-.
Nicola sospirò, sconsolato: avrebbe voluto dire qualcosa di più, qualcosa che servisse per tranquillizzare se stesso e Caterina, per farla sentire meno sola e per dimostrarle tutto il suo appoggio.
Rimase in silenzio, le parole che non riusciva a pronunciare ormai morte in gola.
-Credo che dovremmo pensare bene a ciò a cui potremmo andare incontro, nell’una o nell’altra ipotesi-.
-Facile a dirsi- si ritrovò a sussurrare ironicamente Nicola, mordendosi il labbro inferiore.
-Non abbiamo altre soluzioni, Nicola. Perché se ne avessi, non starei così- replicò Caterina, la voce che tradiva nervosismo. Sbuffò di nuovo, prima di calmarsi e tornare a parlare più dolcemente:
-Non avrei mai voluto finire in una discussione del genere-.
Nicola si voltò a guardarla, e stavolta gli venne naturale poggiarle una mano sulla gamba. Era stato un gesto spontaneo, come per volerle mostrare la propria presenza a gesti, anziché con le parole.
-Lo so. Lo so. È che... Ho paura. Ho paura nel caso prendessimo la decisione sbagliata. Ho paura delle conseguenze, ho paura di non tener conto abbastanza di certi fattori, o di dare troppa importanza ad altri-.
Caterina gli sorrise, e Nicola non poté fare a meno di trovare quel sorriso spento e amaro.
-Non possiamo fare altro-.
E aveva di nuovo ragione, Nicola se ne rendeva conto. Per quanto potesse risultare difficile, dovevano farlo. E quello era il momento giusto.
-Allora parliamo. Senza ipocrisia e con sincerità-.
 
Came to you with a broken faith
Gave me more than a hand to hold
Caught before I hit the ground
Tell me I’m safe, you got me now
 
Nicola attese in silenzio, sforzandosi di rimanere voltato verso Caterina senza scostarsi. La verità era che sapeva che, da quel momento in avanti, pronunciare qualsiasi parola sarebbe stato difficile e duro. Avrebbe voluto abbracciarla, sporgersi verso di lei anche solo per un contatto minimo.
Avrebbe voluto essere sostenuto da lei, in quel momento, ma era lui che doveva darle forza se ne avesse avuto bisogno.
-Abbiamo parecchie difficoltà nel pensare di tenerlo, è inutile girarci attorno. Non abbiamo molti soldi messi da parte, e lo sai che per un neonato le spese possono essere esorbitanti- iniziò Caterina, esitante, torturandosi già le mani e guardando altrove – Con una gravidanza sulle spalle non so se mi faranno continuare a lavorare, potrebbero non rinnovare il contratto ... Anzi, quasi sicuramente non lo faranno. Noi donne andiamo bene solo quando dobbiamo sgobbare, poi non ci pensano due volte a farci fuori quando non serviamo più-.
Caterina lavorava ormai da un anno in una libreria della città; la paga non era molto alta, anche se non era male per essere un part-time. Il contratto però era a termine, e anche Nicola, suo malgrado, si ritrovò a pensare che no, in quelle condizioni probabilmente non gliel’avrebbero più rinnovato.
-Potrei comunque laurearmi nei prossimi mesi e decidere di rimandare l’iscrizione alla magistrale, ma tu continueresti gli studi comunque per l’ultimo anno- proseguì lei, ora più velocemente, come se avesse finalmente trovato la forza per dire ad alta voce quei particolari scomodi – E poi, vero che io potrei rimanere a casa con il bambino, ma nelle situazioni di emergenza? Le nostre famiglie sono lontane, e non possiamo certo obbligare i nostri amici a venire qui a badarci solo perché noi non ci siamo. E gli asili costano-.
Nicola si ritrovò ad annuire di nuovo, una sorta di tristezza sconosciuta che cominciava ad assalirlo. Non c’erano dubbi sul fatto che Caterina avesse ragione: non erano nella situazione migliore, probabilmente non avevano un’ottima copertura economica alle spalle, e altrettanto probabilmente si sarebbero ritrovati completamente soli nell’accudire il figlio.
Non riusciva ad essere ottimista neanche sforzandosi.
-Quindi, in definitiva, non abbiamo abbastanza soldi?- si ritrovò a domandare, come a cercare un’ulteriore conferma.
Caterina gli rivolse di nuovo lo stesso sorriso triste e finto, come quando si cerca di consolare una persona prima di darle una cattiva notizia.
-Già-.
Nicola accusò il colpo nonostante sapesse già quanto fossero vere tutte le cose che avevano appena detto, ma cercò di non darlo troppo a vedere. Doveva riflettere, cercare di essere come Caterina e ragionare su tutti gli aspetti rilevanti nella vicenda.
Per un attimo, però, pensò che ci doveva pur essere una soluzione da qualche parte, un appiglio al quale aggrapparsi e riporre anche le ultime speranze.
-Ok, ragioniamo: se tu ti laurei entro una delle prossime sessioni non dovresti pagare un’altra tassa universitaria. Poi potresti aspettare per l’iscrizione alla magistrale- cominciò, a bassa voce, come se stesse più ragionando tra sé e sé – A me rimangono pochi esami, potrei non frequentare le lezioni e cercarmi un secondo lavoro part-time almeno fino alla laurea. E poi ne cercherei uno migliore a tempo pieno. Nel campo dell’informatica assumono molta gente-.
Caterina sembrò pensarci su, rimanendosene in silenzio con aria pensosa. Rivolse il viso verso la finestra, dalla quale entrava la luce che rischiarava la stanza.
A Nicola non rimase altro che attendere, trepidante per sapere cosa le stesse passando per la testa. Aveva cercato di pensare a tutte le soluzioni possibili per tutti quegli ostacoli che si trovavano davanti, nei limiti del possibile.
 
You rationalize my darkest thoughts
Yeah, you set them free
 
Finalmente Caterina tornò a guardarlo, lasciando andare ad un sospiro che Nicola, per quanto si sforzasse, non trovò di buon auspicio.
-Sarebbe dura, lo sai-.
-Lo so- si ritrovò ad annuire lui. Era ovvio che lo sarebbe stato, lo sarebbe stato in ogni caso: in qualunque direzione guardassero, non poteva fare altro che notare solo dolore da una parte ed enormi sacrifici dall’altra. Non c’era via di scampo.
Osservò il viso teso di Caterina, e desiderò con tutto se stesso cercare almeno di rassicurarla in parte, darle una qualche certezza a cui aggrapparsi. Avrebbe voluto proteggerla, ma a malapena riusciva a sentirsi al sicuro lui stesso.
-Vorrei parlarne con le nostre famiglie- farfugliò Nicola, cercando un modo per potersi spiegare – Non dico che debbano pagarci tutto, ma una mano credo ce la darebbero, se glielo chiedessimo. Poi tra qualche anno potremmo ripagare i debiti-.
-Vuoi davvero chiedere dei soldi ai nostri genitori? Sei serio?-  esclamò scettica Caterina, sgranando gli occhi – Ci stanno già dando una mano, non possiamo chiedere loro anche questo-.
-Non li obbligherei di certo, voglio solo sentire il loro parere-.
Nicola si aspettava una reazione simile: probabilmente sarebbe già stato difficile dare la notizia, e chiedere un aiuto economico non avrebbe certo semplificato il tutto. Di certo non sarebbe stato facile, ma arrivati a quel punto non riusciva a vedere da chi altro avrebbero potuto trovare un aiuto concreto.
-E poi potremmo informarci se esistono bonus dello Stato o dal Comune per le famiglie con un determinato reddito. Sarebbe già qualcosa- proseguì, cercando di apparire abbastanza convincente. Di nuovo Caterina parve rifletterci, indecisa.
Si mise seduta meglio sul letto, la schiena appoggiata contro la testiera, aumentando lo spazio che divideva lei e Nicola. Sembrava quanto mai in preda a qualche conflitto interiore, con il viso corrucciato come unico segno esterno che lo rendesse visibile.
-Ci sarebbero un sacco di sacrifici da fare- mormorò infine, esasperata. Si portò le mani ai capelli, scostandoli con un gesto nervoso e secco, gli occhi che, per un attimo, a Nicola sembrarono farsi lucidi.
-Forse ne varrebbe la pena-.
Nicola si morse il labbro, scostando lo sguardo nell’immediato: non aveva davvero avuto l’intenzione di pronunciare quella frase. Era stato qualcosa di istintivo ed inaspettato, che a tratti nemmeno si era reso conto di pensare.
Si sentiva lo sguardo di Caterina addosso, e non ebbe subito il coraggio di girarsi a guardarla.
La verità era che, per quanto la logica gli dicesse che non era quello il momento di avere un figlio, nella sua mente avevano già preso vita pensieri riguardante il loro futuro. Un futuro a tre, difficile e felice contemporaneamente. Cercò subito di scacciarli, tornando con il viso rivolto verso Caterina. Non voleva illudersi inutilmente, come se il dolore non fosse già sufficiente così.
Caterina gli lanciò uno sguardo sorpreso e stranito, e Nicola si rese ben conto che nemmeno lei si sarebbe aspettata un’uscita del genere proprio in quel momento. La osservò mentre si appoggiava stancamente contro la testiera, tirando un leggero sbuffo che si perse nel silenzio della stanza.
-Non è solo una questione di soldi o di università- mormorò, le braccia incrociate contro il petto. Nicola si sporse verso di lei, come se avvicinarsi potesse permettergli di capire meglio ciò che Caterina stava cercando di comunicare.
-Che vuoi dire?- Nicola esitò, anche se cominciava ad intuire dove stesse andando a parare il discorso. Rimase in attesa, in ascolto del respiro velocizzato di Caterina e dei propri battiti del cuore.
-Non avevo mai preso davvero in considerazione l’idea di avere un figlio ora- Caterina parlò piano, a voce a malapena udibile, come se si vergognasse di ciò che stava dicendo – Pensavo ... Non lo so, che sarebbe successo tra qualche anno. Dopo la laurea, dopo aver trovato un lavoro stabile e che magari mi piace. Mi sono sempre immaginata che avrei fatto un figlio quando lo avrei voluto sul serio. Non ora, non così-.
Si bloccò, e Nicola ebbe di nuovo l’impressione che i suoi occhi fossero pericolosamente lucidi, specchio della fragilità che Caterina sembrava avere in quel momento.
-Non so se sono pronta-.
Nicola si ritrovò ad annuire, e in fin dei conti non si stupì. Sapeva esattamente ciò che stava provando Caterina: la paura, il senso di inadeguatezza, la rabbia per ciò che non era andato come avrebbero voluto, e quel vago senso di sorpresa. Era esattamente tutto ciò che si ritrovava a provare lui stesso.
-Non lo si è mai davvero, penso- si ritrovò a sussurrare, lo sguardo abbassato e le mani poggiate mollemente sulle gambe.
-Ma non riesco ad immaginarmi madre in questo momento della mia vita- Caterina prese a gesticolare nervosamente, la voce che suonava acuta e incrinata – Forse è solo una cosa momentanea, forse è dovuto al fatto che non me l’aspettavo ... Ma è così che mi sento-.
 
Would you take the wheel
If I lose control?
 
Caterina crollò in avanti, nascondendo il viso tra le mani. Non stava piangendo: non tremava né singhiozzava, ma a Nicola trasmise comunque tutta la paura e la debolezza che doveva provare.
Abbandonò ogni remora e le si avvicinò, spostandosi verso il centro del letto per poi arrivarle di fianco; le passò un braccio intorno alle spalle e, anche se Caterina non fece nulla per avvicinarsi a sua volta, a lui andò bene lo stesso. La strinse a sé, in un abbraccio gentile e protettivo.
-Sono contento che tu mi stia parlando di come ti senti- mormorò, il viso a pochi centimetri dai capelli di Caterina. La osservò alzare di poco il capo, le mani che abbandonavano il viso e che venivano poggiate sul grembo:
-E tu, tu hai intenzione di dirmi come stai? O cosa ne pensi?-.
Nicola rimase in silenzio, ricambiando lo sguardo. In una qualsiasi altra occasione si sarebbe sentito imbarazzato, non pronto ad esternare tutti i pensieri confusi e i sentimenti che si stava tenendo dentro.
In quel momento, invece, parlare di come si sentiva non sarebbe stato strano. Sarebbe stato difficile, perché a malapena lui stesso riusciva a mettere ordine in quel turbinio in cui viveva, ma cercare di tradurlo in parole sarebbe stato giusto.
Aveva bisogno di esternare tutto con Caterina: era l’unica che, in quella situazione, avrebbe potuto capirlo.
-La penso come te. Non immaginavo sarebbe potuta andare così. E soprattutto, non immaginavo che scoprendolo me ne sarei andato-.
Nicola abbassò per un attimo gli occhi, vergognandosi ripensando a ciò che aveva fatto. Caterina non aveva mai nemmeno sfiorato l’argomento in quelle ultime ore, e non sembrava nemmeno intenzionata a farlo, come se fosse decisa ad ignorare quella ferita che, Nicola lo sospettava, si era tutt’altro che rimarginata.
Attese qualche attimo, sperando che Caterina dicesse qualcosa; non arrivò alcuna replica, e Nicola si sforzò ad alzare lo sguardo, ritrovandosi di fronte i suoi occhi malinconici.
-Però una cosa l’ho capita, in tutto questo: andarmene è stata la cosa che ho odiato di più. E che tornare è stata la scelta più giusta che potessi prendere-.
Portò una mano al viso di Caterina, sollevandole di poco il mento e costringendola a guardarlo. Sperò che gli credesse, che perlomeno si rendesse conto che era sincero, che gli dispiaceva.
Caterina gli restituì lo sguardo, senza cercare di evitarlo. Non disse nulla nemmeno in quel momento, ma stavolta a Nicola bastò. Non servivano parole, in quello sguardo.
-Io invece continuo a capirci davvero poco- sospirò infine Caterina, in poco più di un sussurro.
-Dobbiamo prenderci del tempo per riflettere. Non dobbiamo decidere tutto subito, o prendere una decisione definitiva adesso-.
 
You say space will make it better
And time will make it heal
I won't be lost forever
And soon I wouldn't feel
Like I'm haunted, oh, falling
 
Caterina annuì, sovrappensiero, lo sguardo che finiva oltre la spalla di Nicola e rivolto verso la finestra. Sebbene i raggi del sole la abbacinassero, scostò gli occhi solo dopo qualche attimo.
-In ogni caso credo che sia bene pensare anche all’iter per l’interruzione. Anche se non ne sono del tutto convinta di volerla fare- disse infine. Non traspariva alcuna convinzione nella sua voce, Nicola se ne rese conto: era come se ogni cosa le scivolasse piano addosso, lasciando intatta quella bolla di insicurezza che lui avrebbe tanto voluto rompere.
-Vista la situazione sì, direi di sì- convenne Nicola. Si morse il labbro, prima di proseguire con esitazione:
-E poi ... Se decidessimo ... – si schiarì la voce, a disagio – Beh, puoi sempre lasciar perdere in qualsiasi momento, no?-.
Cercò gli occhi di Caterina per trovarvi in essi una muta conferma, o anche il più piccolo segno che sì, avrebbero sempre potuto ripensarci fino all’ultimo.
Riuscì a quietarsi almeno un po’ dopo che Caterina piegò il capo in segno di affermazione.
Rimase interdetto ancora per qualche secondo, prima di prendere un respiro e parlare di nuovo:
-Promettimi solo che ne parleremo con le nostre famiglie dopo la visita. Hanno diritto di saperlo, quanto meno-.
Aveva cercato di parlare in modo accomodante, quasi dolcemente per incoraggiarla. La guardò in attesa, ma non passarono molti secondi dalla sua replica:
-Sì, ci parleremo. In un certo senso sento il bisogno di farlo-.
Anche Caterina sembrava meno agitata, meno nervosa. Nicola la strinse nuovamente a sé, e nonostante un’iniziale ritrosia, Caterina non fece nulla per evitare quell’abbraccio.
Si lasciò cullare, nel silenzio che li avvolgeva, le mani di Nicola che le accarezzavano piano i capelli che le ricadevano sulle spalle e sulla schiena.
Era il primo momento, dopo giorni e giorni, in cui non c’erano conflitti, timori o rabbia a separarli. Solo il silenzio e la calma piatta che si respiravano in quell’istante di tempo.
C’erano solo loro due, tra i mille dubbi e le rare certezze.
-Io ci sarò, ok? Rimarrò con te, qualunque cosa deciderai di fare o in qualsiasi modo andranno le cose. Ci sono io con te-.
 
“Non importa quanto dura la tempesta, il sole splende sempre di nuovo tra le nuvole” - Khalil Gibran
 
Could you take care of a broken soul?
Will you hold me now?*
 
*
 
-Quindi avete parlato-.
Era una constatazione pura e semplice, quella appena fatta da Giulia. Un ottimo riassunto di ciò che Caterina aveva appena raccontato, seppur per sommi capi, a lei e ad Alessio.
Quel mercoledì pomeriggio si stava sviluppando pigramente, e sarebbe stata una giornata ancora più fiacca se non si fosse ritrovata in compagnia dei suoi amici, capitati sulla soglia del suo appartamento piuttosto inaspettatamente. Caterina aveva avuto l’impressione che ci fosse lo zampino di Alessio sulla scelta di quel giorno e di quell’orario: lui doveva di certo essere più a conoscenza degli orari di lezione di Nicola rispetto a Giulia. Dovevano aver deciso di raggiungerla lì quando sarebbero stati sicuri che Nicola sarebbe stato fuori.
-Un po’- replicò Caterina, sistemandosi meglio sul divano – Almeno è un inizio-.
Le sue parole suonavano più ottimiste di quanto non lo fosse lei, ma doveva ammettere che in realtà era così sul serio: la conversazione del giorno prima avuta con Nicola aveva davvero segnato l’inizio di un confronto tra loro.
Si rigirò tra le mani la tazza di thè caldo che si era preparata poco dopo l’arrivo di Giulia ed Alessio. Nonostante il caldo di maggio aveva provato il bisogno di bere qualcosa di caldo, di avvolgente, che tenesse lontano il gelo che si sentiva addosso ormai da settimane.
Si erano accomodati tutti e tre in salotto, occupando l’intero divano, Giulia da un lato ed Alessio dall’altro e con Caterina nel mezzo, non del tutto pronta a parlare apertamente di quel che stava succedendo ma bisognosa di sfogarsi, di pareri esterni e qualsiasi altra cosa che potesse tornare utile. Sebbene quell’incontro non fosse stato programmato era tacitamente grata ad entrambi che avessero deciso di venire da lei spontaneamente, forse avendo percepito entrambi qualcosa attraverso i pochi messaggi che si erano scambiato nel corso della giornata precedente.
-Spero si sia scusato per la sua fuga- borbottò Giulia, che a quanto pareva aveva ancora il dente avvelenato per quella cosa. Caterina rise tra sé e sé, annuendo:
-L’ha fatto-.
-La prossima volta che succede faccio finta di non essere in casa- commentò Alessio, sovrappensiero.
-No, la prossima volta che succede si ritrova gambizzato, fidati- replicò Giulia, prima ancora che Caterina potesse dire che sperava non ci sarebbe stata una prossima volta.
Le posò una mano su una spalla:
-Trattieni i tuoi istinti omicidi per un po’, ti prego-.
“Forse per i prossimi diciott’anni”.
A quel pensiero sentì la gola chiudersi completamente, lo sguardo che cadde automaticamente in basso, verso il suo grembo ancora piatto.
-Ma quindi?-.
Giulia spezzò ancora una volta il silenzio, ma con voce più esitante di prima.
-Siete arrivati ad una conclusione?- chiese ancora – O avete pareri diversi?-.
Caterina alzò le spalle:
-È presto per decidere qualcosa di definitivo, almeno nel nostro caso- sospirò, sforzandosi di bere ancora un sorso di thè – Per ora pensiamo di parlarne con i nostri genitori, vedere come va quello-.
Inizialmente non si era ritrovata molto entusiasta a quell’idea, ma poi riflettendoci meglio aveva capito come mai Nicola ci tenesse così tanto. Era probabile che volesse anche solo un loro parere, se non proprio il loro aiuto. Caterina era conscia che alla fine di tutto sarebbe stata lei, e solo lei, ad avere l’ultima parola, ma non poteva biasimare Nicola per voler rendere partecipi di quell’evento – che, nel bene o nel male, avrebbe inevitabilmente stravolto la vita di entrambi- i loro genitori.
-Ma state pensando di tenerlo?- chiese Alessio, che la stava guardando piuttosto dubbioso.
“La domanda da un milione di euro”.
Caterina abbassò gli occhi, nervosa.
-Non lo so- rispose dopo un po’, con sincerità – Non sono convinta di nulla, in questo momento. Non voglio escludere l’interruzione a priori, ma nemmeno il portare avanti la gravidanza-.
Le fece molto strano sentirsi dire quelle parole, ma era la verità. Era vero che aveva una paura cieca e che forse non era ancora il momento giusto, ma allo stesso tempo c’erano stati certi pensieri – certi scenari immaginati al sicuro della sua mente- che la mettevano nel dubbio, e che sapeva già le avrebbero fatto penare anche l’eventuale decisione di interrompere tutto.
Avrebbe preferito di gran lunga essere completamente certa di non volere quel bambino: almeno, in quel caso, non si sarebbe guardata indietro una volta presa la propria decisione.
-E l’adozione?- provò Giulia, ma Caterina scosse subito il capo:
-Non credo ce la farei. Preferirei finire tutto subito, piuttosto-.
Caterina si strinse nelle spalle, a disagio. Neanche Nicola sembrava aver pensato all’adozione, forse per un sentimento simile a quello che aveva provato Caterina quando aveva sfiorato quel pensiero: non credeva di essere in grado di passare nove mesi di gravidanza, per poi arrivare alla fine e dare in adozione il bambino che ne sarebbe nato. Non credeva di avere quel tipo di forza e di distacco necessari per riuscirci.
 -Devi decidere tu- ripeté Giulia – Però dovreste seriamente informarvi per qualche bonus e cose così. E poi una volta nato vi daremmo una mano anche noi-.
Erano parole simili a quelle che le aveva rivolto Nicola il giorno prima, e Caterina si ritrovò ad annuire passivamente.
Era più facile aspettarsi una delusione – e quindi non aspettarsi di poter ricevere alcun aiuto-, piuttosto che sperare in qualcosa e poi avere l’ennesima illusione.
-In fondo … - continuò a parlare Giulia – Non lo so, in fondo vi ci vedo come genitori-.
Caterina avvertì una fitta farsi strada nel suo petto.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, però, fu Alessio a parlare:
-Non è così semplice, però, e non è solo questione di soldi- replicò, con voce piuttosto combattuta – Ci si può pentire di aver abortito, ma ci si può anche pentire di aver proseguito una gravidanza non del tutto voluta-.
Era evidente che parlasse perché lui per primo si era ritrovato ad avere un genitore che, forse, in fondo non aveva mai voluto esserlo.
“Se capitasse non me lo perdonerei mai”.
-Non è così facile, le buone intenzioni non bastano sempre- Alessio sospirò profondamente – E in questi casi ci va di mezzo anche la vita di qualcun altro-.
Se fino a quel momento era riuscita a tenere sufficientemente a bada l’ansia, stavolta Caterina si ritrovò con il respiro accelerato e il cuore a battere più veloce.
C’erano così tante cose a cui dover pensare, così tante responsabilità, e avrebbe solo voluto dimenticarsi di ognuna.
-È vero. Però non ho ancora deciso niente- mormorò infine, la gola chiusa – Tempo fa pensavo che se mi fossi trovata in una situazione del genere avrei deciso di abortire sicuramente. Però quando succede davvero e succede a te non è sempre così facile-.
Un po’ si sorprese nell’essere riuscita ad essere così sincera di fronte ad altre persone. Fino a quel momento aveva ammesso quel particolare solo a se stessa, ancora troppo sorpresa nel rendersi conto che la situazione era molto più incerta di quel che si era sempre immaginata.
Avvertì Giulia passarle un braccio intorno alle spalle, affettuosamente:
-In qualsiasi caso non ti dovrai sentire giudicata- le disse, a mezza voce – Non starai facendo nulla di male, né se dovessi abortire né se dovessi tenerlo-.
Era più facile a dirsi che a farsi, ma Caterina volle crederle.
Quando si girò verso Alessio, lui le stava già sorridendo. C’era un’ombra malinconica ad adombrargli il viso, ma le stava comunque sorridendo.
-Ascolta Nicola e parlane con lui, però la parola finale spetta a te- mormorò, con voce rassicurante – Vedrai che andrà tutto bene-.
Era di conforto sapere che, nonostante tutti i dubbi e le incertezze, avrebbe almeno potuto contare su di loro.
 
 
 




 
*il copyright della canzone (Jess Glynne - "Take me home") appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Finalmente Caterina e Nicola sono riusciti a parlare del tornado che li sta avvolgendo da un po' di tempo, con in più l’apparizione anche di Giulia e Alessio sul finale.
È vero, alla fine non è stata presa alcuna decisione definitiva perché, diciamocelo, scegliere tra la continuazione o l'interruzione di una gravidanza non deve essere semplice. Ci sono mille aspetti da tenere in considerazione... Ma di una cosa siamo certi: a breve vedremo il coinvolgimento delle rispettive famiglie e le loro reazioni. Cosa vi aspettate voi? Comprensione, un rimprovero per la poca attenzione prestata, entusiasmo? Le possibilità sono infinite! Ma tornate settimana prossima per scoprire l'evoluzione della situazione!
(Ci teniamo a dire, in ogni caso, che sia portare avanti la gravidanza, che l'interruzione, così come l'adozione sono tutte decisioni ugualmente valide e che non andrebbero giudicate in nessun caso).
Ci rivediamo mercoledì 23 febbraio con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Will you be there for me? ***


TW//: In questo capitolo verrà trattato, seppur in modo non grafico e solo accennato, il tema dell'interruzione di gravidanza. Se pensate che possa essere un argomento troppo delicato per voi vi consigliamo di saltare questa parte. Se invece siete contro l'interruzione, vi ricordiamo che è un diritto sancito dalla legge e che quindi potete portare le vostre proteste altrove e non certo qui.

 
CAPITOLO 14 - WILL YOU BE THERE FOR ME?


 
Will you be there for me?
If the walls of this castle burn down
If my dragons and demons come out
And we're left in the shadow of doubt
 
Tornare a casa non era mai stato così strano. In treno faceva un caldo infernale, e a Caterina non era rimasto altro che rimanere immobile sul sedile, guardando il paesaggio scorrere fuori dal finestrino del treno, sperando che la nausea non si ripresentasse di nuovo come era successo poco prima di partire.
Era da quando erano partiti dalla stazione di Santa Lucia che non aveva aperto bocca. Non aveva nemmeno rivolto uno sguardo a Nicola, come se la sua presenza fosse totalmente superflua.
Riusciva a sentire il calore del suo corpo accanto al suo, e avrebbe voluto solo aumentare la distanza tra loro. Forse era solo la voglia di rimanere un po’ sola a farla reagire così, la voglia di prendersi un po’ di ore solo per se stessa.
 


Si sentiva quasi in soggezione sotto gli occhi agitati di Nicola. Si sentiva ancor più a disagio in quel momento, consapevole di ciò che avrebbe dovuto dire ancora alla sua ginecologa, stavolta con lui seduto sull’altra sedia a fianco.
L’ansia di Nicola stava diventando la sua: benché cercasse di non darlo a vedere, glielo leggeva in faccia. Era agitato, inquieto, e Caterina non riusciva a capire se lo fosse in modo positivo o meno.
Ad ogni modo, probabilmente, si sarebbe sentita così anche senza di lui. L’angoscia l’aveva colta ben prima di quel momento, anche se in modo più sottile: si era presentata sin da quando avevano messo piede nella sala d’attesa, in quel corridoio d’ospedale, dove si erano seduti in mezzo a coppie o donne sole. Nell’ora che avevano passato lì, aspettando il loro turno, Caterina aveva fatto di tutto per evitare che il suo sguardo finisse sui grembi gonfi delle altre donne che si trovavano lì. Condivideva la loro stessa situazione, eppure non sentiva davvero di condividere anche lo stato d’animo. Loro erano sorridenti, perlomeno serene: lei era in compagnia solamente della propria ansia e delle proprie paure
Durante le prime battute del colloquio con la ginecologa il nodo in gola si era attenuato un po’: per la prima volta da quando si faceva visitare da lei era stata grata del fatto che la dottoressa fosse una donna fin troppo amorevole verso le sue pazienti, sempre pronta a mettere chiunque a proprio agio anche con nomignoli affettuosi.
In quel momento, però, la calma apparente che era durata fino a qualche minuto prima se n’era andata, completamente. Il nodo in gola era tornato, e dubitava sarebbe riuscita a spiaccicare anche solo mezza parola da quell’attimo in poi. Si sentiva terribilmente sola, anche se fisicamente non lo era. Nicola era poco distante da lei, in attesa lui stesso che lei continuasse a parlare.
-C’è una cosa su cui vorrei più informazioni- mormorò Caterina, senza convinzione alcuna e in un filo di voce, rivolta alla dottoressa – Vorrei mi spiegasse una cosa-.


 
Si sentiva stanca, intorpidita, e immaginava che da quel momento in avanti sarebbe solo stato peggio. Non aveva nemmeno voglia di pensarci, a quel futuro prossimo che l’aspettava. Aveva già passato i giorni scorsi ad immaginarsi come sarebbe stato rivedere i suoi genitori, dire loro che loro figlia era incinta, che forse avrebbero avuto un nipote o che, forse, quel futuro bambino non l’avrebbero neanche mai conosciuto.


 
-Ma certo, cara, dimmi tutto-.
Stavolta il tono gentile ed affettuoso della donna non la aiutò. Si sentì solamente ancor più ingrata di quanto già non si sentisse, e si sentì ancora più stupida per quel dettaglio, perché sapeva che non stava facendo nulla di male.
-Il fatto è che non sono ancora sicura di voler continuare con la gravidanza- Caterina parlò nuovamente a bassa voce, ed allo stesso tempo abbassò anche il viso – E ho alcuni dubbi riguardo un procedimento-.
Non aveva voglia di vedere puntati di sé gli occhi della ginecologa e quelli di Nicola.
Non aveva voglia di sembrare forte, in quel momento.
-Se decidessi di non portarla avanti ... – prese un sospiro profondo, cercando di non dare a vedere il tremolio della sua voce – Cosa dovrei fare per prenotare l’interruzione volontaria?-.


 
Riusciva ad immaginarsi le loro facce, prima sorridenti e poi terrorizzate e incredule. Riusciva un po’ meno ad immaginarsi cosa le avrebbero detto, e non era riuscita a giungere alla conclusione se quello fosse un lato positivo o meno.


 
-Serve un certificato che attesti lo stato di gravidanza, prima di tutto- la ginecologa la guardò probabilmente con tutta la comprensione di cui era capace – So che può essere difficile, cara, ma un’ecografia è dovuta proprio per questo motivo, oltre che per tutta una serie di cose che riguardano unicamente la tua salute-.
Caterina era preparata a quell’eventualità, sapeva di doverselo aspettare. D’altro canto l’iter burocratico era quello, e non avrebbe potuto andarci contro nemmeno volendo.
La ginecologa, perlomeno, le aveva parlato con delicatezza – molta più di prima-, e le aveva spiegato ogni passo da fare con chiarezza.
A lei non era rimasto che rassegnarsi, mentre si adagiava sul lettino per la seconda parte di quella visita
Nonostante la superficie soffice quella posizione le risultava scomoda. Era solamente distesa, la schiena leggermente inclinata in alto, ma non poteva fare a meno di sentirsi incapace di restarsene ferma tanto a lungo.
Forse era la sensazione di agitazione e malessere che le avevano sempre dato gli ospedali, con quelle pareti bianche e quell’odore asettico che si respirava ovunque. Forse era la presenza di quel monitor nero che le stava di fianco, a ricordarle ciò che avrebbe visto di lì a poco, o forse era la stessa presenza di Nicola a non renderla serena.


 
Anche senza guardarlo sapeva che Nicola aveva formulato i suoi stessi pensieri, ma lui negli ultimi giorni sembrava essere mosso da una nuova energia. Un po’ lo invidiava e un po’ lo ammirava per essere riuscito a rinnovare i propri sentimenti così in fretta, per aver trovato anche solo la forza di ammettere a se stesso che, in fin dei conti, non gli sarebbe dispiaciuto non interrompere tutto.


 
-Allora, cominciamo?-.
Caterina quasi sussultò nel sentire la voce gentile della ginecologa. Si era allontanata alcuni minuti prima, ed ora era tornata accanto al lettino, un sorriso incoraggiante e rassicurante stampato in faccia.
Caterina si schiarì la gola, annuendo piano. Sperava che il primo controllo durasse il più a lungo possibile perché, inevitabilmente, il pensiero che a quello sarebbe seguita un’ecografia non faceva altro che mandarla ancor più in panico.
-Ora daremo una controllata per vedere se è tutto a posto ed escludere patologie fisiche- continuò la donna, prendendo la sonda, lanciando poi un’ultima occhiata a Caterina – Poi ci occuperemo dell’ecografia-.
Caterina distolse subito lo sguardo dal monitor. Non aveva intenzione di vedere alcuna immagine – il cuore cominciava a batterle troppo velocemente in petto, il respiro a farsi più corto-, né di pensare al presente, a ciò che stava vivendo in quel preciso istante. Non poteva lasciarsi andare troppo alle emozioni, e doveva mantenere l’oggettività che le sarebbe servita per decidere cosa fare.
Puntò gli occhi verso il separé oltre al quale si immaginava Nicola in piedi, immobile lì dietro, ad aspettare che finisse tutto. Forse anche lui sentiva il cuore in gola, pronto ad esplodergli da un momento all’altro.
Forse, al contrario suo, lui stava cercando di immaginarsi come sarebbe stato, cosa si sarebbe visto in quel monitor nero. Lei, invece, non voleva far altro se non allontanare il più possibile quel pensiero.
Non voleva pensare a nulla, né a Nicola, né a come avrebbero reagito i suoi genitori quando avrebbe raccontato loro che stava succedendo, né alla ginecologa e alla sonda che sentiva a malapena.
Le vennero in mente Giulia e i suoi tentativi fatti negli ultimi giorni per distrarla, Alessio e il suo modo dolcemente burbero di dimostrare l’affetto che provava verso di lei e Nicola; pensò a Pietro, a quell’aria da vecchio saggio che cominciava a trasparire nei suoi occhi e che Caterina faticava ancora a cucirgli addosso, e pensò anche a Filippo, che era quasi rimasto deluso nel venire a sapere di non essere lui quello destinato a diventare padre.
Chiuse gli occhi e pensò a loro perché, pur con tutti i loro difetti e i loro strani modi d’essere, rappresentavano in quel momento l’unico appiglio a cui aggrapparsi per trovare un po’ di serenità.
-Sembrerebbe essere tutto a posto. Ad ogni modo, se poi dovessi decidere di proseguire con la gravidanza, in quel caso dovrò prescriverti alcuni esami da fare, ma tranquilla: solita routine del caso- la voce della ginecologa giunse quasi ovattata a Caterina. Non l’aveva quasi ascoltata, mentre la visitava, troppo impegnata a distrarsi.
Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato, ma le pareva comunque troppo poco per potersi sentire pronta al passo successivo.
-Ora tocca all’ecografia- la donna continuò a parlare, stavolta però in maniera più calorosa ed abbassando appena la voce – Preferisci che resti una cosa tra noi due o vuoi che ci sia anche il tuo compagno?-.
Caterina si fermò a riflettere per qualche attimo, confusa: forse chiamare Nicola lì, di fianco a sé, sarebbe stato imbarazzante, forse si sarebbe addirittura sentita a disagio. Eppure, al di là di tutto, non sapeva come avrebbe potuto farcela ad affrontare un momento simile del tutto da sola. Anche se sarebbe stato più facile mantenere un certo distacco nella solitudine, sentiva che averlo lì sarebbe stato più rincuorante.
E poi, nonostante tutto, sapeva che Nicola avrebbe voluto esserci, anche se fosse stata la prima ed ultima ecografia di quella gravidanza. Lo sapeva anche se non le aveva mai chiesto di assistere a quell’ecografia, lo sapeva e basta.
-Può venire qui- mormorò infine, debolmente, cercando di non far tremare la voce. Non era sicura di esserci riuscita, ma a quel punto poco le importava: doveva già essere evidente in ogni caso la paura che stava provando.
La ginecologa annuì sorridendole incoraggiante, prima di allontanarsi per avvisare Nicola. Caterina la vide sparire oltre il separé per un minuto, prima di vederla tornare accompagnata da Nicola, pallido in viso e teso come Caterina l’aveva visto ben poche altre volte.
Gli lanciò una veloce occhiata, prima di tornare con gli occhi sulla ginecologa, che aveva ripreso velocemente in mano la sonda:
-Allora direi di iniziare-.


 
Era bastato un attimo, un secondo fugace, uno schermo scuro di un monitor, a rendere Nicola diverso. Diverso in un modo nuovo, che Caterina non riusciva a descrivere ancora. Sapeva solo che quel cambiamento si stava rendendo sempre più visibile, nel modo in cui la guardava, nella dolcezza con cui le parlava, con quelle carezze appena accennate che le lasciava sul ventre quasi casualmente. Era passato dal voler scappare da tutto quello al voler quel figlio con tutto se stesso, e anche se non lo aveva detto apertamente Caterina riusciva ad intuirlo senza più dubbi.
Lo invidiava, perché anche lei avrebbe voluto avere la sua stessa determinazione e le sue certezze, e lo detestava, perché ora si sentiva ancor più sola in quel vortice di sentimenti che non riusciva a decifrare. Ed era lei, tra di loro, a dover mantenere un certo distacco dalle proprie emozioni, perché la decisione finale sarebbe dovuta basarsi unicamente su fatti certi ed oggettivi, non solo sulle proprie sensazioni.
Ma era qualcosa che la rassicurava, intuire quello stato d’animo di Nicola, perché se alla fine si fosse ritrovata anche lei sulla sua stessa barca, sapeva che vi avrebbe ritrovato sopra anche lui. Sperava solo avrebbe fatto lo stesso se si fosse resa conto che per lei era ancora troppo. Troppo presto, una faccenda troppo grande, troppo tutto.


 
-Oh, eccolo- mormorò la ginecologa più tra sé e sé che non rivolta a loro due – Escludiamo subito la gravidanza extrauterina: l’embrione si è impiantato bene bell’utero. Dovremo ricorrere per forza all’interruzione volontaria di gravidanza, se dovessi decidere di non volerla proseguire-.
Caterina evitò ancora di voltarsi verso il monitor, il respiro fin troppo accelerato. La ginecologa continuava a parlare di dettagli puramente tecnici, ma la sua voce le giungeva ovattata e lontana, come se le stesse parlando a distanza di metri. Non si sforzò nemmeno di ascoltarla, anche se si rendeva conto che avrebbe dovuto farlo.
Non riusciva a prestare attenzione a quelle parole, che mettevano sempre più in evidenza che quella gravidanza c’era. Non poteva scappare da essa.
-Quindi l’embrione misura solo 8 millimetri? Ma è tutto a posto?-.
Caterina si ridestò, voltandosi appena, allarmata nell’aver avvertito la voce di Nicola venata di preoccupazione. La tensione venne stemperata subito dalla conferma rassicurante della ginecologa:
-Per l’età gestazionale in cui si trova Caterina è tutto nella norma- disse – Posso confermare che il concepimento sembra esserci stato all’incirca all’inizio di aprile. La dimensione dell’embrione è perfetta per le sette settimane-.
Nicola tirò un sospiro di sollievo appena udibile, prima che la ginecologa proseguisse:
-Stando a questi dati, la data presunta del parto potrebbe essere fissata, almeno temporaneamente, al 6 gennaio. Nel caso venga scelta l’interruzione, siamo perfettamente nei tempi per intervenire-.
Caterina continuò a non volersi voltare verso il monitor, in viso un’espressione apparentemente controllata e distaccata, la mascella rigida e le labbra serrate per non lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento disperato.
Non si voltò nemmeno più verso Nicola, per non dover accorgersi che perfino lui sembrava essersi già più sciolto rispetto a prima. Puntò lo sguardo verso un angolo della stanza, tenendolo fisso il più possibile: solo così credeva di poter uscire da quella stanza senza rimanerci troppo distrutta.


 
Non poteva fargliene una colpa a Nicola, quel non poter capire fino in fondo quel che si provava a vivere una situazione del genere.
Non c’era nessuno che poteva realmente sapere com’era sentirsi così, come si sentiva lei. Non c’era nessuno che poteva capire com’era essere ad un bivio del genere, dove non c’era alcuna possibilità di tornare indietro.
Non c’era nessuno, e non sapeva nemmeno se ci sarebbe mai stato.


 
When my confidence is broken
And my heart is tearing open
If the bottom of the bottle's all I see
Will you be there for me?
 
*
 
Camera sua non era cambiata affatto nel corso di quegli anni, da quando si era trasferita a Venezia. Era forse un po’ più spoglia, senza i suoi libri e suoi album di musica a riempire le mensole dei mobili, ma in fin dei conti era rimasta la stessa stanza che aveva lasciato tre anni prima.
Erano solo tre anni, e le sembrava essere passato un secolo. Ripensava a ciò che aveva vissuto in quella stanza, e tutti i suoi ricordi le sembravano appartenere ad un’altra persona, ad un’altra vita. Forse non era nemmeno una sensazione così sbagliata: quella che l’attendeva era una vita diversa, e lei stava diventando sempre più una persona differente.
Tutte le faccende che aveva considerato come problemi insormontabili nella sua adolescenza le sembravano, in quel momento, solo stupidi capricci e bazzecole di una ragazzina che, all’epoca, di problemi non ne aveva affatto.
Si sedette sul bordo del letto, continuando a guardarsi attorno: avrebbe voluto tornare indietro, a qualche anno prima. Si chiese come sarebbe cambiata la sua vita se lei e Nicola si fossero lasciati definitivamente, se nessuno dei due avesse più provato nulla, se non si fossero più visti. Probabilmente, in quel momento, non si sarebbe trovata lì, spaventata ed agitata, incinta e senza alcuna certezza.
Sentì un certo vociare provenire dal pianterreno: era sicura si trattasse di sua madre e di Nicola, rimasto in cucina per bere qualcosa. Forse sua madre gli stava chiedendo se fosse tutto a posto, o come mai erano tornati così in fretta e furia a Torre San Donato proprio in quel periodo.
Le dispiaceva per sua madre: era ancora ignara di tutto, ma era una situazione che sarebbe durata poco oltre solo per peggiorare drasticamente. Probabilmente si aspettava qualche novità in merito agli ultimi esami dati e all’imminente laurea di Caterina – esami per cui aveva smesso di studiare da quando aveva fatto il test, e che di sicuro non avrebbe superato entro giugno, e una laurea che, con tutta probabilità, avrebbe dovuto rimandare a settembre-, e sarebbe rimasta profondamente delusa nel venire a sapere che, invece, c’era ben altro di cui dover parlare.
Gli occhi le si fecero lucidi, e si sforzò di non lasciar scivolare le lacrime. Per piangere ci sarebbe stato tempo dopo, ma in quel momento doveva prima affrontare lo scoglio più grande.
Si alzò lentamente dal letto, e prima di uscire dalla stanza indugiò ancora un attimo: si voltò indietro, lasciando un’ultima occhiata alla sua vecchia stanza da adolescente spensierata, pensando a quanto avrebbe voluto avere indietro quella vita anche solo per pochi minuti.
 


Gli occhi di sua madre e di suo padre erano quanto mai incuriositi. Indugiavano su Caterina e Nicola, forse cercando un qualche indizio nelle loro espressioni per poter capire di cosa avrebbero dovuto parlare.
Di certo non si aspettavano belle notizie: Caterina non era riuscita a nascondere una vena dura nella sua voce quando, una volta giunta al piano di sotto, aveva richiamato l’attenzione di Marianna e Francesco mormorando un tetro “Vi dobbiamo parlare”. Nicola aveva annuito, finalmente consapevole che il momento era giunto.
Ora, seduti gli uni di fronte agli altri al tavolo della cucina, Caterina sentiva le forze mancarle sempre di più. Guardava i suoi genitori davanti a lei, e non riusciva davvero a pensare di potercela fare.
-Allora, che succede? Avete di quelle facce- la spronò Marianna, spostando lo sguardo da Nicola a Caterina.
La sua espressione tradiva una certa preoccupazione, del tutto condivisa da Francesco.
-Dobbiamo parlarvi di ... Di ... – Caterina provò a schiarirsi la voce, ma non riuscì ad aggiungere altro. Il cuore le batteva talmente all’impazzata che cominciava a sentirsi quasi male.
-Di una faccenda che riguarda noi due- intervenne in suo aiuto Nicola, lanciandole una veloce occhiata agitata.
Caterina si morse il labbro: si era ripromessa che avrebbe parlato lei davanti ai suoi genitori, ma in quel momento stava avvenendo l’esatto contrario di quel che si aspettava. Quasi le sembrava incredibile che fosse stato Nicola ad iniziare il discorso, dopo averla vista in difficoltà.
-Ho come l’impressione che non sia nulla di buono- replicò Marianna, dopo alcuni attimi di teso silenzio. Caterina alzò lentamente lo sguardo: ora il viso di sua madre si era fatto decisamente più teso, e anche se suo padre ancora non aveva aperto bocca immaginava che anche lui fosse in allarme.
-Non lo è, infatti- parlò di nuovo Nicola, sospirando – O almeno, nulla che avevamo messo in conto proprio ora-.
Marianna li guardò immobile per alcuni attimi, e Caterina fu sicura che avesse già capito dove il discorso stesse andando a parare. Era solo una sensazione, che stava però divenendo sempre più certezza: la vide rabbuiarsi in viso, prima di rivolgere gli occhi solo alla figlia.
-Sei incinta?-.
Caterina strabuzzò gli occhi, e anche se si costrinse a non girarsi verso Nicola, era sicura che anche lui avesse avuto la medesima reazione.
Non si aspettava che sua madre potesse intuire così rapidamente, ma a quanto pareva si sbagliava alla grande. Marianna la guardava con gli occhi pieni di apprensione, e Caterina non ebbe nemmeno la forza di risponderle a voce, limitandosi solo a ricambiare quello sguardo confuso e impaurito.
-Oh mio dio, ma vi rendete conto del guaio in cui vi siete cacciati?-.
Sua madre scosse la testa, portandosi le mani al viso in un gesto che Caterina non avrebbe saputo definire: era rabbia, disperazione e preoccupazione tutto insieme.
Suo padre rimase attonito, mormorando qualcosa tra sé e sé che Caterina non riuscì a comprendere. Lo vide scostare lo sguardo, senza aggiungere altro.
-Non era previsto, credo di aver avuto problemi con l’assorbimento della pillola. Non avremmo mai rischiato consapevolmente, altrimenti- si sforzò a rispondere, abbassando gli occhi. Sentì Nicola sospirare rumorosamente di fianco a sé, ma anche in quel momento non si girò verso di lui.
-Da quanto lo sapete?- la interruppe Marianna. Caterina non riuscì nemmeno a formulare un pensiero razionale, e Nicola prese la palla al balzo per prendere la parola:
-Da inizio mese. Abbiamo aspettato di fare una prima visita, e poi ... – esitò per qualche secondo – Poi avevamo già in programma di parlarvene. E di parlare con i miei genitori-.
Caterina osservò sua madre annuire apprensiva, lo sguardo che sembrava lontano e distante.
-Che avete intenzione di fare?-.
Nicola si voltò verso Caterina, come in cerca di una risposta o una conferma che spettasse a lei rispondere a quella domanda. Lei abbassò lo sguardo, sospirando a fondo, la voce che faticava ad articolare parole:
-Non ne abbiamo idea-.
Non era la risposta migliore che potesse dare a sua madre, ma era la più sincera e vera. Non riusciva nemmeno ad immaginare come sarebbe stato dopo aver scelto una delle due strade che le si prospettavano davanti.
-Ne abbiamo parlato giusto qualche giorno fa- aggiunse Nicola, sottovoce. Caterina lo sentì sospirare a fondo a sua volta, prima di sentirlo continuare a parlare, raccontando a Marianna e Francesco quali erano state le loro supposizioni e riflessioni. Si stupì nel constatare che, almeno in quell’occasione, era Nicola che stava riuscendo a dimostrarsi il più razionale e il più deciso tra tutti loro.
Quando Nicola finì di parlare calò di nuovo il silenzio, e Caterina non seppe interpretarlo come un segno positivo o meno. Poteva essere un silenzio di riflessione, come un silenzio tipico di chi non aveva null’altro da aggiungere, se non che non c’era più nulla da fare.
-Vi rendete conto che avere un figlio nella vostra condizione sarà tutt’altro che facile? Che dovrete fare un sacco di sacrifici? Un bambino costa parecchio, dovreste tirare la cinghia per un bel po’ di tempo- disse infine Marianna, in apprensione e agitata insieme. Cominciava a gesticolare nervosamente e a parlare velocemente, e a Caterina non piacque affatto quel cambiamento piuttosto repentino.
-Possiamo farlo- replicò con altrettanta sicurezza Nicola, e per un attimo fugace Caterina lo considerò un pazzo, ad esporsi in quella maniera.
-Un bambino non è un giocattolo, Nicola, se deciderete di tenerlo non potrete poi ripensarci o pentirvene in un secondo momento!- il tono di Marianna si alzò inevitabilmente, pur non arrivando ad urlare. La sua voce rimbombò dentro la testa di Caterina ugualmente, come se quelle parole gliele avessero appena gridate nelle orecchie.
Nicola non ribatté subito, e Caterina intuì che doveva trovarsi davvero in difficoltà per la prima volta in quel momento, senza sapere come rispondere a quell’affermazione. Non seppe spiegarsi nemmeno lei cosa la spinse a prendere parola, pur con la voce tremante e le lacrime del nervosismo che minacciavano di bagnarle gli occhi:
-Lo sappiamo. Ed è questo il punto: non ci siamo in ballo solo noi due, perché se fosse così sarebbe decisamente più facile-.
Gli occhi di Marianna si spostarono su di lei, e perfino Francesco, fino a quel momento in silenzio e con lo sguardo perso, si rivolse a lei. Si sentì inevitabilmente sotto l’attenzione di tutti i presenti, con un groppo in gola che le impediva quasi di parlare.
-Ho intenzione di prendermi più tempo possibile per riflettere, per pensare ad ogni eventualità, ma prima o poi dovrò prendere una scelta. Ora si tratta solo di rimandarla, ma non potrò farlo in eterno-.
-Quindi stai prendendo in considerazione di interrompere la gravidanza?-.
-Sì, è ovvio- borbottò Caterina, stringendosi nelle spalle, ed evitando di chiedersi come si sarebbe potuta porre sua madre di fronte a quell’ennesima questione – Non posso, non possiamo, fare finta che non ci saranno tante difficoltà. Forse troppe-.
Sentì Nicola agitarsi sulla sedia accanto alla sua, forse a disagio per la piega che la conversazione aveva appena preso. Nemmeno Marianna sembrava meno turbata: teneva una mano sulla fronte, scuotendo appena il capo, in un’immagine che a Caterina fece venire in mente solo cupa rassegnazione.
-Dovete tenere in considerazione ogni aspetto. Siete giovani, dovete ancora laurearvi, siete appena andati a vivere insieme e per il momento avete lavori precari- Marianna riprese a parlare dopo alcuni attimi di silenzio, la voce bassa e con una punta amara – Non so se noi o i tuoi genitori, Nicola, potremmo essere in grado di darvi una mano. È una situazione piuttosto difficile-.
Caterina schioccò le labbra, torturandosi le mani e scostando lo sguardo. Non sapeva bene come reagire a quelle parole: sapeva bene quanto Marianna avesse ragione, e le sue conclusioni erano state le stesse che avevano fatto lei stessa e Nicola.
Non sembravano esserci vie di scampo da quei dati di fatto.
-Detto così sembra non esserci altra scelta, mi pare-.
Nessuno aggiunse nulla, e a Caterina parve che la conversazione fosse finita lì. Non si sentiva nemmeno in grado di poterla proseguire, sfinita e disorientata come si sentiva in quel momento.
Evitò anche lo sguardo di Nicola, nonostante la consapevolezza che la stesse osservando, pur silenziosamente. Non disse o fece nulla, sentendosi osservata sotto quello sguardo, se non crollare dopo attimi in cui aveva sperato di mantenere almeno una parvenza di autocontrollo: sentì di nuovo le lacrime bagnarle le gote, e non si curò nemmeno di nasconderle.
 
*
 
Del ritorno di Lorenzo per quel sabato sera Caterina non aveva saputo nulla fino all’ultimo. Era il secondo giorno che passava lì a casa, ma né sua madre né suo padre avevano mai fatto parola del fatto che, a cena, avevano invitato anche suo fratello già giorni prima.
Erano stati attimi di puro panico quando, totalmente ignara di chi aveva appena suonato il campanello, era andata ad aprire poche ore prima di cena. Una volta accortasi di suo fratello, in attesa che lei aprisse il cancello, era già troppo tardi per scappare dall’uscita sul retro per evitare di incrociarlo.
Da quando anche Lorenzo se ne era andato da quella casa – già da due anni, dopo aver concluso l’università e aver trovato un lavoro nei dintorni di Padova – Caterina l’aveva visto sempre meno. Erano rare le occasioni in cui avveniva incontri a casa di lui o a Venezia, e nell’ultimo anno altrettanto difficile era stato incrociarlo lì a Torre San Donato, quando lei tornava in alcuni weekend e lui veniva invitato a casa dai loro genitori.
Trovarselo di fronte lì, quella sera stessa, non rientrava nei programmi di Caterina. Non aveva calcolato la presenza di suo fratello, e si ritrovava completamente impreparata nel caso – più che possibile – di dovergli dare la stessa spiacevole notizia che aveva dato a Marianna e Francesco solo il giorno prima.
Lo aveva salutato cercando di apparire il più naturale possibile, ma era stata dura cercare di apparire serena quando, invece, non lo era affatto. Ringraziò il fatto che non ci fosse anche Nicola quella sera: era sicura che, se suo fratello fosse venuto a sapere della sua gravidanza, se la sarebbe presa irrimediabilmente soprattutto con lui.
Aveva salutato frettolosamente Lorenzo, prima di lasciarlo ai suoi genitori e scappare di nuovo nella sua vecchia camera. Se ne stava stesa sul materasso, cercando di controllare i battiti del proprio cuore e chiedendosi perché mai né Marianna né Francesco le avessero anche solo accennato del ritorno di Lorenzo. Forse, dal giorno prima, erano stati presi a riflettere troppo sulla sua situazione per poter pensare a lui; forse non avevano nemmeno pensato a rimandare quella cena, distratti e presi da altri pensieri come dovevano essere.
Caterina tirò un lungo sospiro, chiedendosi se suo fratello avrebbe notato qualcosa di insolito in lei. La pancia non era ancora visibilmente sporgente, anche se aveva già acquisito una certa rotondità; era decisamente più visibile la sua stanchezza, nelle occhiaie sotto gli occhi e nel pallore del viso.
Era già passata più di un’ora da quando Lorenzo era arrivato, e Caterina continuava a sentirsi tesa ed agitata esattamente come al suo arrivo. Non aveva idea di cosa stessere parlando lui e i suoi genitori, perché per quanto cercasse di captare qualche parola o frase, nulla di quel che stavano dicendo le arrivava chiaro e nitido come avrebbe voluto.
Si rese conto che, stranamente, avrebbe preferito che fossero proprio Marianna e Francesco a dire a Lorenzo della sua gravidanza. Era stanca di dover vedere facce stupite, arrabbiate o tristi ogni volta che doveva dirlo a qualcuno, e in quel momento non era decisamente in vena per affrontare anche suo fratello. Avrebbe dovuto già affrontare faccia a faccia i genitori di Nicola l’indomani, e cominciava seriamente a pensare di non poter riuscire a vivere un’altra volta un dialogo come quello avuto con Marianna e Francesco.
Venne distratta dai suoi pensieri proprio dalla voce di Lorenzo, che proveniva dal piano di sotto più alta di diversi toni. Caterina si sentì gelare: c’erano ben poche ragioni per le quali Lorenzo poteva essersi alterato ed aver alzato la voce, almeno che lei sapesse.
Si mise a sedere per poi cercare di alzarsi, accostandosi alla porta chiusa della camera: suo fratello parlava troppo velocemente e troppo concitatamente perché lei potesse comprendere cosa stesse dicendo. Poteva solo intuire che fosse arrabbiato o, perlomeno, molto irritato.
Passarono altri minuti prima che Caterina avvertisse qualcuno salire velocemente le scale. Si allontanò istintivamente dalla porta, avvicinandosi alla finestra in fondo alla stanza: aveva ben pochi dubbi sul fatto che qualcuno sarebbe entrato lì dentro di lì a poco.
La porta si aprì, e Caterina non rimase minimamente stupita nel ritrovarsi sulla soglia Lorenzo, rosso in viso e tutt’altro che calmo.
Si chiese, in un attimo, se non fosse stato il caso di tenerlo all’oscuro di tutto ancora per un po’, ma a quanto pareva Marianna e Francesco non erano stati del suo stesso parere. Forse, pensando in buona fede, avevano intuito come sarebbe stato difficile tenere nascosta la situazione di Caterina anche solo per quella serata.
-È vero?- Lorenzo fece qualche passo verso l’interno della stanza, il viso tirato che lasciava ben intuire quanto fosse adirato – È vero che sei incinta?-.
Caterina rimase in silenzio per alcuni attimi, ascoltando in lontananza altri passi che correvano su per le scale. Non fece in tempo ad articolare una risposta che sua madre comparì dietro suo fratello, il viso preoccupato.
-Non puoi lasciarla stare per un po’?- Marianna cercò di afferrare un braccio di Lorenzo, ma i suoi tentativi risultarono vani.
-Voglio solo parlare un attimo con mia sorella- replicò lui, voltandosi velocemente verso Marianna con uno sguardo che non sembrava ammettere alcuna replica. Marianna rimase interdetta per alcuni attimi, prima di rivolgere lo sguardo verso Caterina, alla quale non rimase altro che annuire. L’idea di parlare anche con suo fratello non la alettava per nulla, ma sapeva che non si sarebbe mosso di lì fino a quando non gli avrebbe detto ciò che voleva sentire.
Caterina osservò sua madre andarsene con lo stesso sguardo pieno d’apprensione, prima di riportare gli occhi verso suo fratello. Non chiuse la porta della camera, né si avvicinò ulteriormente, ma l’espressione irosa dipinta in faccia non accennava ad andarsene.
-Allora, non mi vuoi rispondere?-.
-Sembra che ti abbiano già detto tutto quel che c’era da dire- Caterina non fece nulla per nascondere il proprio sarcasmo, ma Lorenzo sembrò non farci nemmeno troppo caso.
-E Tessera dov’è?-.
Caterina si irrigidì subito non appena nominò Nicola:
-A casa dai suoi-.
-Invece di essere qui con te, come dovrebbe?- replicò Lorenzo, tagliente.
-Non ti preoccupare, sarà solo per stasera. Sembra tu non riesca mai a togliertelo dai piedi definitivamente  come vorresti- Caterina faticò a non alzare la voce, e si rese conto di essere stata forse troppo dura. Poteva capire che suo fratello fosse solo spinto dalla preoccupazione, ma il nervosismo cominciava a farle dire cose che, in fondo, non pensava realmente.
-In questo momento conviene molto di più a te tenertelo ben stretto- le rispose Lorenzo, puntandole un dito contro – Ma come hai potuto pensare di fare una cosa così stupida? Come?-.
-Non ci ho pensato, infatti!-.
Caterina sospirò arrabbiata, incrociando le braccia contro il petto e voltandosi verso la finestra, dandogli le spalle. Si sarebbe aspettata una reazione simile più dai suoi genitori che da suo fratello.
-Sei troppo giovane per affrontare una situazione simile, ed in una situazione così instabile!- proseguì lui, e Caterina se lo immaginò ancor più rosso in viso, anche se non lo poteva vedere – E poi Tessera è ... -.
-Cosa?- Caterina si voltò di scatto, e stavolta fu lei ad avvicinarsi pericolosamente a suo fratello, alzando il capo per potergli restituire lo sguardo – Avanti, dillo: cos’è Nicola?-.
-Un incosciente!- esclamò infine Lorenzo, allargando le braccia come se fosse ovvio – E non sarebbe la prima volta che si dimostrerebbe troppo vigliacco per starti accanto come meriteresti. Non mi stupirebbe se provasse a lasciare te e pure vostro figlio-.
Caterina tacque di botto, d’un tratto incapace di parlare. La stilettata che suo fratello le aveva appena inferto la feriva come non mai, in profondità.
Dopo giorni in cui aveva cercato di non pensarci, di accantonare quei pensieri, le tornarono in mente i giorni in cui Nicola non era stato a casa. Le sembrò di rivivere per un secondo quel senso di abbandono che aveva provato durante la sua assenza, quando si domandava ogni minuto se l’avrebbe mai visto tornare o se quello fosse stato l’evento che avrebbe sancito la loro fine definitiva.
Benché Lorenzo fosse mosso da un’ostilità che aveva sempre riservato a Nicola, si chiese se suo fratello non avesse ragione. Nicola era già scappato una volta, perché mai non avrebbe dovuto rifarlo? Un giorno, se avesse portato avanti la gravidanza, forse si sarebbe reso conto di tutte le responsabilità e dei sacrifici che avrebbero dovuto affrontare. Forse non sarebbe riuscito a sopportare l’idea di vedere la propria vita finire così.
Ma il Nicola che se ne era andato, il Nicola che si era fatto prendere dal terrore di fronte a quella notizia, non era nemmeno più lo stesso Nicola che era presente all’ecografia di soli pochi giorni prima.
Non era il Nicola che aveva pianto silenziosamente di commozione di fronte ad un’immagine sfocata, non era il Nicola che cercava di trovare ogni possibile soluzione per tenere quel figlio.
Sì, forse Lorenzo avrebbe avuto ragione. Avrebbe avuto ragione, se solo Nicola non si fosse reso conto di essere lui per primo a voler restare.
Forse non le rimaneva altra scelta, se non quella di fidarsi di Nicola. Doveva almeno provarci.
-Va’ via-.
Parlò talmente piano che per un secondo credette che suo fratello non l’avesse nemmeno sentita. Lorenzo non disse nulla, limitandosi a guardarla con rassegnazione. Rimase solo lì di fronte a lei, forse un po’ stupito di quella rinuncia a proseguire quella conversazione.
Caterina cercò di trattenersi dal ripetere quella frase, tra l’ordine e la supplica, aspettando che fosse lui ad uscirsene dalla stanza. Dopo alcuni attimi lo vide finalmente muoversi, percorrere la strada inversa ed andarsene ancora in silenzio.
Non appena lo vide scendere le scale, Caterina si fiondò verso la porta, chiudendola e quasi sbattendola nel farlo. Non si curò nemmeno di attutire in una qualche maniera i singhiozzi del proprio pianto, mentre scivolava a terra e con la schiena appoggiata contro la porta richiusa.
Forse, per la prima volta da quando era incinta, aveva avuto la consapevolezza reale e materiale di quanto la strada sarebbe stata in salita.
Talmente in salita da non riuscire a vederne nemmeno la cima.
 
*
 
Era notte fonda, e nonostante la temperatura fosse calata l’afa rendeva l’aria più pesante, opprimente nella sensazione di sudore che imperlava la pelle di Lorenzo.
Erano ore che si rigirava nel letto, incapace di prendere sonno e con la testa invasa da mille pensieri. Si girò di fianco, lanciando un’occhiata verso il quadrante della sveglia, poggiata sul comodino: erano le tre passate, e ancora non era riuscito a chiudere occhio. Dubitava, ormai, che ci sarebbe riuscito prima dell’arrivo dell’alba.
Alla fine non era rimasto a cena dai suoi, e forse era stato meglio così per tutti. Aveva fatto come gli aveva detto Caterina: se ne era andato. Era uscito di casa in fretta e furia, senza nemmeno dare una spiegazione a Marianna e Francesco, ed era risalito in auto. In meno di un’ora era già tornato a Padova.
Aveva continuato a ripensare a sua sorella per tutte quelle ore, ininterrottamente, passando da attimi in cui ancora si convinceva di aver ragione, ad altri in cui si domandava se non gli sarebbe convenuto essere più comprensivo. D’altro canto quella incinta era pur sempre sua sorella: era lei quella che aveva più bisogno d’aiuto in quella situazione, quella che rischiava di risultare più vulnerabile.
Il problema era che, quella lucidità, quando Marianna gli aveva detto del perché Caterina si trovasse lì a sua volta quella sera, non l’aveva avuta: non appena compreso ciò che le parole di sua madre stavano a significare, non ci aveva più visto.
Aveva sempre reputato Caterina abbastanza matura per non cacciarsi in guai talmente seri, né per farsi infinocchiare da uno smidollato come Tessera. Quella sera, invece, si era dovuto ricredere.
Non riusciva davvero a pensare a sua sorella con un figlio sulle spalle; per di più, non riusciva a pensarla legata vita natural durante ad una persona che non la meritava. Tessera era sempre stato troppo menefreghista, troppo inaffidabile, troppo egoista, e troppo inadatto per Caterina. L’aveva sempre pensato, e lo pensava tuttora: non credeva seriamente di poter cambiare idea, da lì in avanti, solo perché sua sorella aveva avuto la brillante idea di rimanere pure incinta.
Si chiese cosa avrebbe fatto Caterina: non aveva idea se avesse già deciso di tenere o no il bambino. Non gliel’aveva nemmeno domandato, e ciò non fece altro che fargli pensare a quanto poco tatto avesse avuto verso di lei. Non si era nemmeno fermato a domandarle come stava, anche se gli era sembrato già evidente dalla loro litigata. L’aveva vista stanca, arrabbiata, ferita e indifesa come non mai.
Si rigirò nel letto per l’ennesima volta, a disagio. Avrebbe dovuto chiamarla, nei giorni seguenti, almeno per provare a riparare al danno fatto.
Avrebbe voluto fare una chiacchierata anche con Tessera, giusto per metterlo in guardia dal fare certe idiozie – come abbandonare Caterina dopo magari averle promesso il suo appoggio-, ma immaginava che gli sarebbe stato impossibile. Di certo Caterina non gliel’avrebbe mai permesso, e non aveva intenzione di agitarla ulteriormente.
In fin dei conti, doveva ammetterlo almeno a se stesso, dietro l’arrabbiatura c’era almeno un po’ di preoccupazione. Non riusciva a pensare a sua sorella come madre, non in un momento simile della sua vita.
O forse era solamente lui che non riusciva a farsene una ragione, a dirsi una volta per tutte che se doveva andare così, sarebbe andata così e basta. Anche se il pensiero che, forse di lì a pochi mesi, avrebbe avuto un nipote lo inquietava come non mai.
“Ormai è cresciuta. Ha una vita sua. Non è più una ragazzina”.
Per un istante l’immagine di Caterina nella sua testa venne offuscata, accantonata per lasciar spazio al volto di un’altra donna. Una donna i cui occhi verdi Lorenzo non vedeva da anni, ma che ancora lo tormentavano, in certe nottate insonni proprio come quella.
Non aveva mai davvero pensato a Giulia consciamente, prima di quel momento, in tutti quegli anni. Aveva cercato di accantonarne il pensiero il più possibile, senza chiedersi come stesse o cosa stesse facendo, anche se talvolta il suo ricordo faceva capolino nella sua mente.
Non la vedeva più da cinque anni, eppure il suo volto gli appariva nitido come se fosse lì davanti a lui. Probabilmente era cambiata in tutto quel tempo: doveva essere più matura, l’aria da ragazzina doveva essere stata sostituita dall’aspetto di una giovane donna. E anche se non aveva più saputo nulla di lei, a parte le poche informazioni che era riuscito a raccogliere da vecchie conversazioni con sua sorella, immaginava come dovesse cavarsela bene a Venezia, tra l’università e la probabile vita con il suo compagno.
Forse anche lei, come Caterina, avrebbe avuto dei figli tra non molto. Riusciva ad immaginarsi Giulia diventare madre da giovane: era come una sensazione di cui era sicuro a pelle, come se l’essenza stessa di Giulia gli dicesse che non avrebbe atteso molto per diventarlo. Ora che era Caterina ad essere incinta, quella specie di convinzione si era come rafforzata per associazione.
Ma d’altro canto, molto probabilmente, non avrebbe mai saputo davvero se quella sua sensazione si sarebbe rivelata vera o no. Giulia non era mai stata affare suo, e tanto meno lo era in quel momento.
Forse un giorno l’avrebbe rivista, probabilmente sarebbe successo, ma immaginava che in un eventuale incontro avrebbe avuto solo ulteriore conferma di ciò.
Si voltò, nascondendo il viso nel cuscino e strizzando gli occhi, come a voler cacciare via di nuovo il pensiero di Giulia. Per quella notte aveva avuto già abbastanza pensieri, senza che si aggiungesse il rimpianto di averla lasciata andare senza nemmeno aver cercato di spiegarle i propri sentimenti.
No, non era quella la notte giusta per pensare a Giulia e al ricordo che gli rimaneva di lei.
 
*
 
Caterina si rigirò pigramente nel letto, già avvertendo la calura di maggio renderle fastidioso il contatto con il lenzuolo. Alzò pian piano le palpebre, ma nulla cambiò: le persiane abbassate non lasciavano filtrare alcuna luce dalla finestra, nonostante dovesse essere già mattina.
I suoi occhi si abituarono pian piano alla penombra, riconoscendo attorno a sé i contorni della sua camera a casa dei suoi genitori. Le parve di essere tornata ancora una volta adolescente, nel risvegliarsi lì, come accadeva ogni giorno fino a qualche anno prima.
“Magari fossi ancora così giovane”.
L’unica cosa che le mancava, mentre se ne stava sdraiata lì, era la presenza di Nicola. Era rimasto a dormire a casa dai suoi, anche se quando prima di andare a dormire Caterina gli aveva raccontato sommariamente cos’era successo con Lorenzo lo aveva sfiorato l’idea di venire lì da lei. Era riuscita a convincerlo che stesse bene, tutto sommato, e che tanto il giorno dopo si sarebbero rivisti.
Ora, però, provava davvero la sua mancanza. Per quanto potesse essere un periodo difficile, si rese conto che la presenza di Nicola le era fondamentale. La rassicurava sapere di averlo accanto, fisicamente e a un livello più intimo, di avere ora il suo sostegno. Sperava solo che Lorenzo si sbagliasse, che fosse lui a vedere il marcio dove non c’era – non più.
Caterina sospirò a fondo, lasciando mollemente una mano accanto al proprio grembo.
“In fin dei conti non sono davvero sola”.
Trattenne un sorriso tra sé e sé, e si stupì della sensazione di calma che la avvolse a quel pensiero. Cominciava a farci l’abitudine alla consapevolezza di essere incinta, di star sviluppando dentro di sé qualcosa che un giorno sarebbe potuto nascere. Qualcosa che sarebbe potuto diventare figlio suo e di Nicola. Era così strano soffermarsi su quell’idea – abbassare anche se per poco le difese che cercava di mantenere verso quei pensieri-, così stranamente reale per essere qualcosa di estremamente invisibile all’occhio esterno.
Forse quello era il segno più evidente che, dentro di sé, il suo cuore stava cominciando a pendere più da una parte che dall’altra, anche se la paura rimaneva la stessa.
E c’era anche la paura di sbagliare, di prendere la strada sbagliata e poi pentirsene, ma era piuttosto sicura che quella sarebbe rimasta in qualsiasi caso.
Si era immaginata diverse volte come sarebbe stato presentarsi in ospedale il giorno prestabilito per l’interruzione, ed ogni volta non riusciva a non immaginarsi con le lacrime agli occhi. Avrebbe tanto voluto essere come quelle donne che erano sicure delle proprie scelte – non meno coraggiose di quelle che decidevano di portare avanti la gravidanza il secondo dopo aver avuto la notizia-, di coloro che non se ne sarebbero pentite. Aveva l’impressione che per lei quella non potesse essere un’opzione.
Forse perché, nonostante tutti i suoi sforzi di mantenere un distacco, le sue sensazioni avevano cominciato a virare verso un’altra direzione.
Per quanto la razionalità le dicesse che le cose sarebbero state talmente tanto difficili che si sarebbe maledetta per aver deciso di tenerlo, non poteva fare a meno di ammettere almeno con se stessa che una parte di lei stava davvero cominciando a sperare di trovare una soluzione.
 
*
 
Be there for me
When the curtains rise
Will you be there for me?
When I close my eyes
Will you be there with me?
When I stand at the edge of the world
 
L’aria era afosa, in quell’ultimo giorno di maggio. Non sembrava esserci traccia di alcuna brezza, e Caterina cominciava a sopportare il caldo sempre di meno. A poco le serviva cercare di farsi aria sventolando le mani, mentre rientrava nell’atrio fresco del palazzo.
Camminare fino alla sua sede di ateneo e tornare poi indietro fino a casa non le era mai sembrato più faticoso, tra il caldo opprimente e il suo fisico che le sembrava più stanco e acciaccato del solito.
Fu grata del fatto che, almeno nel suo palazzo, l’ascensore fosse presente: non sarebbe minimamente riuscita a far tutte le rampe di scale in quelle condizioni.
Quando finalmente giunse al suo piano, tirò fuori le chiavi di casa, pronta ad usarle per entrare. Prevedeva già di buttarsi a letto per il resto della giornata, e non alzarsi da lì se non in occasioni strettamente necessarie.
Rientrare a casa le donò una sensazione di sollievo immediato. Scalciò via malamente i sandali, per poi dirigersi verso la cucina per bere qualcosa. Non la stupì trovare Nicola seduto al tavolo, con un libro e innumerevoli fogli di appunti a ricoprirne la superficie, intento a studiare con aria concentrata.
Nonostante Caterina avesse cercato di avanzare il più silenziosamente possibile per non disturbarlo, Nicola alzò comunque il viso verso di lei, come se avesse aspettato fino a quel momento per vederla finalmente di ritorno:
-Allora, che ti ha detto il tuo relatore? Hai buone notizie?-.
-Dammi almeno il tempo di respirare, santo cielo!- replicò lei, fintamente esasperata. Sembrò funzionare, dato che Nicola non disse altro, continuando a fissarla in silenzio.
Caterina cercò di ignorarlo il più possibile, mentre si versava dell’acqua in un bicchiere, bevendola poi in un unico sorso. Solo allora si decise a ricambiare lo sguardo di Nicola, curioso e interrogativo.
-Ha detto che volendo posso laurearmi a settembre- disse infine, cercando di riassumere il più possibile quella che era stata la sua conversazione con il suo relatore per la tesi – Dovrò rifare la domanda di laurea daccapo, ma si può fare. Nel frattempo tra giugno e luglio potrò dare gli ultimi esami, e potrò pensare alla tesi ... Insomma, il succo del discorso è questo-.
-Beh, sono buone notizie, no?- replicò Nicola, sorridente, alzandosi e andandole di fronte – Dovrai rimandare la laurea, ma almeno potrai dare gli ultimi esami con calma, e curare maggiormente la tesi-.
-Sì, e mi laureerò quando sarò una mongolfiera- mormorò sottovoce Caterina, con disappunto. Non aveva previsto di far sapere anche a Nicola ciò che aveva appena detto, ma si era resa conto troppo tardi di non aver parlato abbastanza piano: lo sguardo stupito e disorientato che le stava rivolgendo non poteva essere dovuto ad altri motivi.
-Cosa?- Nicola sgranò gli occhi, forse iniziando a capire il significato delle parole di Caterina – Intendi dire che tu ... Vuoi ... -.
-Aspetta, prima di arrivare alle conclusioni- lo frenò lei, farfugliando – Intendevo dire che ... -.
-Vuoi proseguire la gravidanza?-.
Caterina scostò gli occhi, improvvisamente incapace di ricambiare lo sguardo sorpreso e speranzoso di Nicola. Fece qualche passo, come per ritrovare la lontananza necessaria per non dover sostenere di nuovo quelle iridi azzurre.
Non sapeva bene cosa l’avesse spinta a dire quella frase. Non ci aveva pensato, l’aveva detto spontaneamente, come se dentro di sé si fosse sempre immaginata così, nel caldo autunnale di settembre, di fronte alla commissione di laurea e con il grembo ormai visibile per la gravidanza.
Forse era solamente il fatto che mancassero pochi giorni alla data prevista per l’interruzione di gravidanza, e il fatto che le loro famiglie fossero giunte alla conclusione che, nonostante tutto, avrebbero potuto aiutarli,  a causarle più pensieri del solito.
Aveva passato le ultime due settimane tra moduli di prenotazione per l’interruzione e sedute da una psicologa, come da prassi per la procedura. Aveva cercato di aprirsi il più possibile, di parlare di tutto ciò che non andava e ciò che temeva, e di come sarebbe stato dopo l’interruzione.
Ci aveva pensato e ripensato, a volte fino a farsi venire mal di testa, senza mai giungere alla tanto sperata decisione definitiva. Si ritrovava a pochi giorni dall’intervento senza la convinzione necessaria per affrontarlo, ed era probabilmente la cosa che più la spaventava in quel momento.
Si appoggiò con le mani sulla superficie del tavolo come per sostenersi, abbassando il capo. Era sempre stata consapevole di quanto sarebbe stata difficile quella decisione, ma mai si sarebbe immaginata avrebbe potuto esserlo così tanto.
-Non vuoi abortire?-.
Sentì i passi di Nicola, mentre le si avvicinava, e non si stupì quando sentì le sue mani cingerle i fianchi delicatamente. Sentirlo vicino, anche senza vederlo in faccia, la fece sentire più sicura e meno fragile di quel che si sarebbe aspettata.
-Forse non ne sono così convinta come dovrei-.
Sospirò a fondo, rimanendo in silenzio. Era consapevole che sarebbero bastate quelle parole a far capire a Nicola quanto in realtà potessero significare. O almeno, sperava andasse così: dire a voce tutto ciò che le vorticava nella testa le sarebbe costato fin troppo, tanto da non renderla sicura di potercela fare.
-Posso sapere cosa ti rende poco convinta?-.
Nicola aveva parlato dolcemente, in una maniera che a Caterina parve inaspettata e inedita prima di quel momento. Aveva rafforzato appena la presa, come a volerle ricordare della sua presenza.
-Tante cose- mormorò lei, rimanendo ancora a fissare la superficie liscia e chiara del tavolo.
Ripensò ad uno dei tanti momenti in cui si era ritrovata a soppesare i pro e i contro nel silenzio di se stessa, a tu per tu soltanto con la sua mente e i suoi timori.
La paura di non avere abbastanza soldi per vivere degnamente, la paura di non essere pronta, la paura di ritrovarsi a vivere una vita che non avrebbe mai sentito come sua; e dall’altra parte la paura di non poter mai più rivivere quell’esperienza, la paura di rimanere sola con i propri rimorsi, la paura di non riuscire più a cancellare i segni che il pentimento avrebbe lasciato su di lei.
Temeva davvero quei segni, quelle piccole cicatrici che prima o poi sarebbero sbiadite, ma che alla luce del sole avrebbero sempre mostrato la loro presenza sulla sua pelle.
-Sai una cosa?-.
Caterina prese un sospiro, cercando di non tremare o di sembrare più agitata. Sentiva il cuore batterle all’impazzata, esattamente come il battito che forse avrebbe ascoltato durante una delle prossime ecografie.
C’era calma in quella stanza, ma non dentro di lei. Si sentiva bruciare, e non avrebbe saputo dire se per terrore o per qualsiasi altra cosa.
-Cosa?-.
-Forse so perché non ne sono convinta, dopo tutto questo tempo, dopo tutto questo parlare e pensare al nostro futuro-.
Caterina si morse di nuovo il labbro, cercando di regolarizzare il respiro. Poteva percepire l’aspettativa di Nicola, dietro di lei, farsi sempre più viva, in attesa.
-E se non sono ancora convinta, forse non è questa la decisione più giusta per me-.
Chiuse gli occhi per un attimo, la testa che le girava. Le era sembrato quasi di parlare con una voce non sua, troppo ferma per poter appartenere a qualcuno così spaventato ed insicuro.
Non oppose alcuna resistenza, quando Nicola cercò di girarla con il viso verso di sé, piano, lasciandole sempre la possibilità di negargli anche quel contatto.
Quando Caterina riaprì gli occhi si ritrovò di fronte al sorriso appena accennato di Nicola. La stava guardando dolcemente, con uno sguardo diverso dal solito che Caterina non seppe decifrare fino in fondo.
-Finora non te l’avevo mai detto per non influenzarti troppo, ma speravo giungessi a questa decisione- mormorò appena Nicola, abbassando per un secondo lo sguardo, prima di rialzarlo – Ho cominciato a sperarci dopo la prima visita in un modo che non mi sarei aspettato nemmeno io-.
Il sorriso si allargò, spontaneo e luminoso. Fu difficile per Caterina evitare di ricambiarlo, il cuore che cominciava a battere un po’ meno velocemente e il groppo in gola che sembrava sciogliersi poco a poco.
-Sarà dura, e credo che in certi momenti potremmo anche arrivare a pensare di aver fatto una sciocchezza- proseguì Nicola, portando una mano ad infilarsi tra le ciocche lunghe di Caterina – Ma sono felice. Strano a dirsi, visto come è cominciato tutto, ma lo sono. Sono felice-.
Caterina annuì, ancora con le labbra disegnate in un esitante sorriso. Non disse nulla, limitandosi a ricambiare lo sguardo di Nicola. Per la prima volta in quel lungo mese non c’era bisogno di dire nulla.
Era solo arrivato il momento di smettere di pensare e cominciare ad agire.
 
Can't go on without you
No, I can't do this alone
Can't go on without you
Still a long way left to go
Can't go on without you
Yeah, I need you to let me know
So let me know now*





 
*il copyright della canzone (Take That - "Will you be there for me?") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Questo è decisamente uno dei casi in cui si può dire "Tutto è bene quel che finisce bene", dopo un capitolo pieno di alti e bassi!
Il punto più difficile per Caterina è stato probabilmente quello visto nei flashback, che ci hanno riportato alla sua prima visita, dove ha cercato in tutti i modi di non farsi prendere troppo dalle emozioni verso questa gravidanza ma, nonostante gli immensi sforzi, non riuscendo del tutto nel suo intento. Nicola, d’altro canto, ha avuto un cambio di sensazioni proprio in quel frangente … Cogliamo l'occasione per dirvi che per raccontare nel modo più realistico possibile questo momento delicato di Caterina e Nicola noi autrici ci siamo lungamente documentate su quello che è il procedimento di interruzione volontaria di gravidanza. Ovviamente, nel caso in cui ci fossero delle inesattezze, siamo ben accette a correzioni e spunti provenienti da voi lettori perché, si sa, non si smette mai di imparare! 😉
Ma tornando a noi: guess who’s back, e finalmente dopo un sacco di tempo rivediamo niente meno che Lorenzo! Quello che era un ragazzo ormai è a tutti gli effetti un uomo cresciuto, ma il suo "amore" per Nicola non sembra essere mutato, anzi! Date le ultime novità l'opinione che aveva di lui è precipitata a picco, sfociando in una scenata in piena regola con Caterina. E oltre ai pensieri per la sorella, ci sono anche certi ricordi legati a Giulia …  Chissà se e quando si incontreranno di nuovo quei due!
Per concludere, possiamo dire che la situazione di Caterina e Nicola, dopo un inizio piuttosto rocambolesco, sembra aver raggiunto un certo equilibrio, e alla fine dei conti non manca una certa gioia ... Sarà una felicità durevole e tra un po' di capitoli avremo davvero un baby Tessera 👶? Lo scopriremo solo andando avanti!
Ci rivediamo settimana prossima (ebbene sì, solo tra una settimana) con un ultimo breve capitolo dedicato a questi due piccioncini, prima di voltare pagina con il capitolo 16, che avrà un bel po' di news che potrebbero cambiare non poco il corso di questa storia 🤯 Quindi prendetevi queste tre settimane fino al fatidico capitolo 16 and prepare yourself!:)
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - The scientist ***


CAPITOLO 15 - THE SCIENTIST



 
Il ronzio del ventilatore poggiato a terra, esattamente dall’altra parte della stanza dove si trovava il letto, era l’unico ronzio percepibile nel silenzio regnante. I giorni di giugno si stavano succedendo uno dopo l’altro, e nonostante il ventilatore costantemente acceso nel pomeriggio e la finestra aperta alla mattina, il caldo asfissiante sopraggiunto in quella prima metà del mese non sembrava diminuire affatto, non lasciando alcuna via di ristoro.
Caterina se ne stava stesa lungo il letto, vestita unicamente di un paio di pantaloncini comodi e di una canottiera trovata in mezzo a mille altre. Si sentiva soffocare per l’afa presente, e a poco niente le serviva rimanersene lì distesa, senza muovere neppure un muscolo.
Si stava annoiando. Era ancora primo pomeriggio, e se non fosse stato per la temperatura troppo elevata e per la marea di turisti che passeggiavano lungo le calli veneziane, incuranti del solleone sopra le loro teste, sarebbe uscita volentieri da quella casa. Aveva desistito velocemente a quell’idea: si era arresa all’afa estiva, e si era limitata a prendere un libro dalla libreria del salotto, sistemandosi comodamente sul letto e cercando di godere di quella specie di relax.  Non riuscendoci per nulla.
Non riusciva a concentrarsi sulle parole che leggeva. Le scorreva con gli occhi, riga dopo riga in quelle pagine stampate, senza memorizzarne i concetti o i passaggi. Neppure quel romanzo di Orwell riusciva a distrarla, come sarebbe invece riuscito in una qualsiasi altra situazione.
Si accorse di essere ferma sulla stessa pagina da oltre venti minuti. Si dette della stupida mentalmente, e si sforzò, poco convintamente, a riprendere la lettura. Dopo pochi secondi, nuovamente, scostò il libro, appoggiandolo al materasso, e rimanendo a fissare la propria pancia.
La guardò e basta, senza pensare a nulla. Non la sfiorava nemmeno, se non con lo sguardo.
Con un gesto impaziente si tolse gli occhiali che usava per leggere, posandoli sul comodino alla sua destra, e richiuse il libro, poggiando anch’esso accanto agli occhiali.
“Non posso andare avanti così”.
C’era una strana sensazione, che non avrebbe saputo definire, che le impediva di concentrarsi su qualsiasi altra cosa, e che canalizzava ogni sua attenzione solamente su quella parte del suo corpo. Non riusciva a distrarsi, e cominciava ad innervosirsi per quella sua mancanza di concentrazione da riporre verso qualcos’altro.
Era ormai a metà del terzo mese, e le nausee, finalmente, se ne stavano andando a poco a poco. Almeno non arrivava a vomitare. I primi segni evidenti della gravidanza, poi, cominciavano a presentarsi ogni giorno di più: sebbene la pancia non sporgesse ancora stava però cominciando ad arrotondarsi, anche se era un dettaglio di cui ci si sarebbe accorti solo osservandola molto attentamente. Immaginava che, di lì a poche settimane, si sarebbe vista decisamente di più, non lasciando più dubbi riguardo al suo stato. Si immaginò come sarebbe stata a settembre, quando si sarebbe laureata: sarebbe stata nel sesto mese, e forse avrebbe già saputo se sarebbe stato maschio o femmina.
A pensarci, in quel momento, le sembrava ancora tutto totalmente assurdo e surreale.
Faticava ad entrare nell’ottica della maternità. Ancora non riusciva ad immaginarsi come madre, forse perché, prima di quel momento, non l’aveva mai davvero pensata come una cosa che sarebbe potuta succedere in pochi mesi.
In quell’ultimo mese e mezzo il tempo sembrava essersi dilatato all’infinito: le sembrava fosse già passato un secolo dal giorno in cui era scappata a casa di Giulia per fare il test. Ricordava la sua prima sensazione di terrore e sconforto come un sentimento lontano, ma che sottilmente persisteva ancora; e ricordava la prima reazione avuta da Nicola come un’ombra pronta ad incombere di nuovo su di lei.
Poi, rivedendo gli occhi limpidi e sereni di Nicola si rendeva conto che, in fin dei conti, quella non sembrava più essere un’ipotesi tanto possibile.
Lo invidiava profondamente per il suo cambiamento. Perché lei, al contrario, faticava ancora a vedere unicamente il lato positivo di tutta quella storia. Non riusciva ad essere positiva ed ottimista riguardo al futuro senza pensare anche a tutta la fatica che li attendeva.
Aveva percepito la distanza che separava lei e Nicola anche quella stessa mattina, alla seconda ecografia: aveva rivisto di nuovo quello sguardo scosso nel profondo e felice che gli aveva visto in viso alla prima visita, e le si era stretto il cuore, nel rendersi conto di non riuscire a provare la stessa gioia a cuor leggero che invece Nicola riusciva a raggiungere.
E a poco era servito il senso di sollievo quando le avevano comunicato la notizia che tutti i parametri fossero nella norma: continuava a sentirsi in parte inadatta, incapace di sostenere quel ruolo in cui ormai si ritrovava catapultata così all’improvviso.
Era sempre presente, la paura. La paura di non sapersi adattare, di non saper apprezzare fino in fondo ciò che le stava succedendo; aveva paura ad accarezzarsi la pancia, e aveva paura di non poter riuscire ad amare incondizionatamente quello che sarebbe stato suo figlio.
Non riuscire a parlarne e ad ammetterlo ad alta voce non la faceva sentire meglio. Non riusciva a parlarne, anche se sospettava che, in certi momenti, Nicola riuscisse comunque a comprendere quello che le passava per la testa meglio di chiunque altro.
Forse quell’insicurezza si era acuita negli ultimi giorni proprio per la quasi assenza di Nicola. Erano rimasti entrambi nell’appartamento, ma quasi per tutto il tempo in stanze separate: lei a cercare di mettersi in pari con lo studio per gli ultimi esami di settembre, lui altrettanto perso negli impegni universitari che sembravano portargli via intere giornate. Non aveva avuto cuore di dirgli di staccarsi un po’ dai libri: se ne era rimasta in disparte, a cullarsi nella sua insofferenza, vagamente innervosita per quella situazione.
Anche quel pomeriggio era finita sola, rimanendosene in silenzio stesa su quel letto, fissando quella sua pancia più rotonda del solito.
Spinta da un momento di curiosità, alzò lentamente la canottiera fino a sotto il seno, scoprendo la pancia, e lasciandola nuda in bella vista .Le sembrava incredibile che sotto la pelle e la carne, dentro di lei, proprio lì, ci fosse qualcosa che, nell’inverno che sarebbe dovuto arrivare, avrebbe poi cullato tra le braccia per farlo addormentare.
Caterina rimise a posto la canottiera, voltandosi di scatto: la sensazione di essere osservata l’aveva colta all’improvviso, ma senza farla sbagliare. Alzò lo sguardo, e non si stupì molto di trovare Nicola in piedi, appoggiato allo stipite della porta, intento ad osservarla con un leggero sorriso ad increspargli le labbra.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era arrivato lì: non l’aveva sentito sopraggiungere, né si era voltata in quella direzione per lungo tempo.
 
Come up to meet you
Tell you I'm sorry
You don't know how lovely you are
 
Nicola cercò di abbozzare un sorriso più convincente, apparendo comunque un po’ impacciato: in certi momenti come quello, quando non sapeva bene cosa dire, Caterina sapeva che gli risultava più difficile sostenere di rimando il suo sguardo:
-Hai già smesso di leggere?- domandò, dondolandosi appena.
-Non riuscivo a concentrarmi- rispose semplicemente lei, facendo spallucce – Da quanto tempo eri lì a fare il guardone?-.
-Non da molto- replicò Nicola, abbassando appena gli occhi.
Caterina continuò a guardarlo, senza dire nulla: aveva l’impressione che Nicola volesse avvicinarsi, ma che per qualche assurdo motivo non riuscisse a decidersi a farlo, rimanendosene in piedi.
-Hai intenzione di rimanertene lì per il resto della giornata?- gli chiese ancora, cercando di ammorbidire un po’ il tono – Sono incinta, ma non sono ancora così tanto affamata da rischiare di morderti se ti avvicini-.
-Ora mi sento più tranquillo- le rispose sarcasticamente, guadagnandosi un’occhiata torva. Fece qualche passo fino a raggiungere il letto, raggiungendola e sedendosi di fianco a lei.
Si sistemò lentamente, mentre Caterina rivolgeva il proprio sguardo altrove, ad evitare la figura di Nicola ora così vicina.
Era strano che si fosse fatto vivo in quel momento, dopo un’itera mattinata persa sui libri a studiare – un po’ la irritava quella lontananza, anche se sapeva che lo faceva anche per lei o, ancor meglio, per loro. Eppure Nicola era lì, stavolta, proprio accanto a lei, più vicino di quanto non fosse mai stato negli ultimi giorni.
Lo sentì sistemarsi meglio sul materasso, sdraiandosi su di un fianco, in modo da poterla guardare meglio.
-Non dovevi continuare a studiare?- gli domandò, evitando ancora una volta di voltarsi verso di lui. Puntò lo sguardo verso la finestra: poteva intravedere il cielo limpido di giugno stendersi oltre ogni limite, azzurro e pacifico come solo nelle giornate d’estate poteva essere.
-Ho deciso di prendermi una pausa- mormorò Nicola, a bassa voce; Caterina sobbalzò, quando percepì le sue labbra poggiarsi delicatamente sulla sua spalla, in un contatto del tutto inaspettato – Ho pensato di venire a farti compagnia, per una volta-.
-Ma come sei gentile- disse sarcasticamente Caterina, non facendo nulla per nascondere il proprio disappunto, e sentendosi in colpa subito dopo.
“Forse gli ormoni mi stanno facendo impazzire”.
Nicola sospirò, senza protestare, evidentemente già pronto a ricevere frasi del genere. Rimase a giocherellare per alcuni attimi con il bordo del lenzuolo, il capo chinato e nel silenzio più totale.
-Volevo stare con te- borbottò infine, appena udibile – Lo farei ogni ora del giorno, lo sai-.
 
I had to find you
Tell you I need you
Tell you I set you apart

Tell me your secrets
And ask me your questions
Oh let's go back to the start
 
-Lo so-.
Caterina si voltò verso di lui, incrociandone gli occhi azzurri. Nicola abbozzò di nuovo un sorriso, rinfrancato almeno in parte:
-Sto studiando come un pazzo per gli ultimi due esami dell’anno. Se li passo entrambi al primo colpo ... Beh, poi non dovrei darne nessuno a settembre, e sarebbe una gran cosa-.
-Ti stai dando da fare- Caterina parlò a sua volta a bassa voce, sentendosi in quel momento ancora un po’ colpevole – Potevi avvisarmi comunque dei tuoi progetti universitari-.
-Non volevo metterti ansia. Ne ho già abbastanza io-.
Nicola le si avvicinò ancora un po’, più fiducioso dopo aver notato quella distensione da parte di Caterina. Lei lo osservò ancora in silenzio: nonostante tutto, sembrava profondamente in pace con se stesso. Con gli occhi bordati dalle occhiaie e il volto dall’aria un po’ stanca, ma sereno.
Per quanto provasse a forzarsi, non ricordava di averlo mai visto così.
-Ho anche dato qualche occhiata a diversi annunci di lavoro- riprese a parlare lui, dopo essersi seduti meglio e passandole un braccio attorno alle spalle – Ho trovato qualcosa d’interessante per cui potrei provare a farmi assumere. Forse riuscirei a far combaciare il tutto con il lavoro al ristorante e l’università-.
-Stai già guardando per un secondo lavoro?- chiese Caterina, stupita. Non ne avevano più parlato apertamente, e venire a sapere che, invece, Nicola non si era dimenticato affatto di quella promessa che le aveva fatto, la sorprendeva ancor di più.
-Dopo questi ultimi due esami avrò più tempo, almeno fino ad ottobre- replicò lui, convintamente – Non credi sia una buona idea?-.
Caterina si morse il labbro, alzando le spalle:
-Sì, lo è. Solo non mi aspettavo fossi già alla ricerca, anche se immagino sia meglio prendersi in anticipo-.
Nicola le rispose con un sorriso più largo, che Caterina si ritrovò a ricambiare imbarazzata. Il nervosismo che aveva provato negli ultimi giorni fino a pochi minuti prima cominciava a svanire: forse non era affatto un caso, ma Nicola sembrava aver trovato un metodo infallibile per ripagare tutte le tensioni dei giorni passati.
Rimasero in silenzio diversi minuti, in uno strano ed inaspettato abbraccio a cui Caterina aveva deciso di abbandonarsi. Si ritrovò a poggiare il capo contro la spalla di Nicola, in un contatto intimo con lui che aveva evitato per troppo tempo.
Nicola si mosse improvvisamente solo dopo diversi attimi, e Caterina non poté fare a meno di voltarsi nella sua direzione con sguardo interrogativo:
-Stavo dimenticando una cosa- spiegò velocemente lui, prima di sottrarsi all’abbraccio e spingendosi fino al lato opposto del letto. Lo osservò allungarsi verso l’ultimo cassetto del comodino per estrarne qualcosa; un secondo dopo Nicola tornò a sedersi di fronte a lei, tenendo un pacco incartato tra le mani.
-Lo sai, vero, che al mio compleanno manca ancora un bel po’?- lo prese in giro Caterina, ricevendo un’occhiata stizzita da parte di Nicola:
-Non deve essere per forza il tuo compleanno per farti un regalo- replicò lui. Arrossì un po’, prima di abbassare lo sguardo e continuare a parlare più piano:
-L’ho comprato qualche giorno fa, mentre eri fuori per la spesa- passò le mani sulla carta lucida e rossa, l’espressione ancora imbarazzata – È stato un po’ strano, comprarlo-.
-Strano? Hai comprato un libro, per caso?- chiese sarcasticamente Caterina, a lui che non leggeva mai ed era sempre perso nelle formule matematiche dei libri che studiava, in un tentativo di smorzare un po’ l’agitazione che sembrava aver colpito Nicola.
-No, nessun libro ansiogeno e drammatico come quelli che leggi tu di solito- le rispose, guardandola cupamente.
-E tu che ne sai dei libri che leggo io, scienziato?- Caterina rise debolmente, prima di allungare le mani verso il pacco e prenderlo – Vediamo che hai deciso di regalarmi-.
Osservò ancora un po’ le gote arrossate di Nicola, indugiando con le mani agli angoli del pacchetto rettangolare. Si sentiva più distesa, in quel momento, a tratti spensierata; era una sensazione che le era mancata a lungo, che non viveva ormai da tempo e che mai si sarebbe aspettata di riassaporare proprio in una giornata del genere.
Staccò una delle estremità della carta colorata, ed esitò ancora per un attimo, prima di estrarre il contenuto di quel pacchetto una volta per tutte.
Rimase immobile per un tempo che le parve infinito, gli occhi incollati al pacco che si ritrovava tra le mani: era una scatola trasparente, che conteneva all’interno delle scarpine invernali, grigie con dei nastrini rossi.
 
I was just guessing at numbers and figures
Pulling your puzzles apart
Questions of science; science and progress
Do not speak as loud as my heart
 
Respirò a fondo, il cuore che improvvisamente aveva accelerato il battito.
Per un attimo la sfiorò l’idea di riempire Nicola di insulti: era ancora presto per compere del genere, e in fin dei conti, forse, non ci voleva nemmeno ancora pensare. Sarebbe ancora potuto succedere qualsiasi cosa, e probabilmente non si sarebbe sentita sicura nemmeno dopo aver superato il primo trimestre.
Quando alzò gli occhi verso di lui, però, tutti gli improperi che le erano sopraggiunti in mente se ne andarono altrettanto velocemente. Nicola aveva sostituito l’espressione imbarazzata con un sorriso appena accennato, quasi invisibile, ma dolce come pochi altri che le aveva riservato.
-Dicono che porti fortuna regalare delle scarpine quando il piccolo non è ancora nato- mormorò, gli occhi che passavano dalla scatola al viso di Caterina.
Lei rimase ancora in silenzio, indugiando ancora un po’ con le mani sulla confezione. Attese ancora qualche secondo, prima di sollevare lentamente il coperchio e lasciarlo in un angolo del letto. Continuò ad osservare il paio di scarpine minuscole che le si presentavano davanti agli occhi, dall’aria molto natalizia, sfiorandone il tessuto con un gesto lento e a tratti tremante.
Si ritrovò a pensare a mille cose, tutte contemporaneamente, e a non riuscire ad esprimere nemmeno una di queste. Si domandò come sarebbe stato usare quelle scarpine su un bambino in carne ed ossa – lo stesso bambino di cui ormai parlavano da più di un mese e che ancora non riusciva a figurarsi in mente. Si rese conto che quello era il primo acquisto destinato al futuro arrivato: rendeva il tutto più concreto, come se Caterina potesse finalmente toccare con mano il futuro che l’attendeva.
Non seppe definire la sensazione che l’invase in quel momento. Era una tormenta che vagava vagabonda tra la sorpresa, la paura, e la nuova consapevolezza di come tutto ciò stesse diventando sempre più reale giorno dopo giorno.
-Lo so che non ti aspettavi qualcosa del genere- mormorò piano Nicola – Ma volevo qualcosa che dimostrasse che penso a voi. Nonostante tutti i problemi, nonostante il poco tempo che ho da dedicarvi, non passa un attimo senza che io pensi a voi-.
Caterina rialzò il viso, incontrando gli occhi limpidi dell’altro intenti a ricambiare lo sguardo.
Forse non si era mai accorta davvero, prima di quel momento, di come Nicola stesse diventando. La persona che si ritrovava davanti era distante anni luce dalla persona che aveva reagito fuggendo alla notizia della paternità, o dal ragazzo adolescente che a malapena riusciva ad esternare ciò che pensava o provava.
Nicola era cresciuto, in una qualche momento che era passato alla velocità della luce. Era rimasto sempre lo stesso ragazzino timido e brillante che Caterina aveva conosciuto al liceo, ma lo era in modo più maturo.
Era come rifiorito, ed era diventato una persona migliore. E Caterina non poteva chiedere nulla di meglio.
 
And tell me you love me
Come back and haunt me
Oh and I rush to the start
Running in circles, chasing our tails
Coming back as we are
 
-È un bel pensiero, davvero- disse Caterina, accennando un sorriso e rimettendo a posto il coperchio della scatola, posando poi il pacco con delicatezza sul materasso – Inaspettata come cosa, ma ... Grazie-.
Nicola le rispose con un sorriso imbarazzato, che la fece quasi ridere. Era insolito vederlo così aperto e propenso a parlare di sé, ed era un momento bellissimo. Era uno di quegli attimi che avrebbe voluto rendere indelebile nella sua memoria, nitido anche a distanza di anni.
-Nicola?-.
-Che c’è?- lui la osservò incuriosito, in attesa di una risposta.
Caterina indugiò qualche attimo, prima di prendere parola. Non sapeva bene come spiegarsi, ma ci avrebbe provato ugualmente:
-Riesci ad immaginare come sarà? Come sarà quando ci sarà anche ... – rise piano, scuotendo la testa con fare rassegnato – Beh, non so se sarà un maschio o una femmina, ma credo tu abbia capito ugualmente chi intendevo-.
Anche Nicola si ritrovò a ridere, prima di recuperare un po’ di serietà. Assunse un’espressione pensierosa per alcuni secondi, prima di tornare con gli occhi su di lei:
-Non posso sapere come sarà davvero, ma mi piace pensare che, magari tra un anno, saremo ancora qui in questa stanza, a giocare sul materasso con il piccolo. O piccola- si torturò per un attimo le mani, abbassando gli occhi – Forse preferirei una bambina, in fin dei conti-.
Caterina strabuzzò gli occhi, sorpresa per quelle parole:
-Una femmina, sul serio?-.
Nicola annuì, rialzando il viso ed apparendo più convinto.
-Beh, forse con un maschio sarò meno protettivo e geloso quando sarà adolescente, ma ... – indugiò qualche attimo, esitante – Credo sia femmina. È una mia sensazione, ecco tutto-.
Anche Caterina si ritrovò ad abbassare gli occhi, verso il proprio grembo ancora poco visibilmente gonfio. Non si era mai posta quella domanda, prima di quel momento, ed era ugualmente convinta che, maschio o femmina, le difficoltà non sarebbero mancate in ogni caso – ma non sarebbero mancati nemmeno i bei momenti, si ritrovò ad aggiungere mentalmente.
Si passò una mano sul ventre, pensierosa:
-Io credo sarà maschio. Forse perché l’ho sempre automaticamente pensato al maschile, finora-.
-Chi lo sa- replicò Nicola – Anche se le sensazioni materne dovrebbero essere più forti, quindi magari hai ragione tu-.
Caterina tirò un sospiro profondo. Forse nemmeno lei le conosceva bene le sue sensazioni. Non le sapeva interpretare, darvi un senso fino in fondo, e men che meno poteva pensare di poter indovinare come sarebbe stato suo figlio.
Il futuro le appariva nebuloso, sconosciuto e piuttosto incerto.
-Ti saresti mai aspettato che sarebbe stato così complicato?-.
Sentì lo sguardo di Nicola addosso e, nonostante non lo stesse guardando in viso, intuiva come a disegnargli le labbra ci fosse ancora lo stesso sorriso impacciato che aveva quando l’aveva raggiunta in quella stanza, all’improvviso.
Forse, tra tutti i dubbi che poteva avere, almeno una certezza alla quale aggrapparsi l’aveva finalmente trovata: l’avere Nicola accanto a sé.
-Non lo so. Forse sarò un irresponsabile, ma a ripensarci ora non vorrei nulla di diverso da come è adesso-.
 
Nobody said it was easy
No one ever said it would be so hard
I'm going back to the start

(Coldplay - "The scientist")*




 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
Come vi avevamo anticipato, questo sarà l'ultimo capitolo dedicato interamente al filone Caterina-Nicola e della relativa gravidanza. Anche se dagli eventi dell’ultimo capitolo è trascorso un po' di tempo, le cose non sono poi tanto cambiate perché, alla fine, non ci sono state grandi novità o evoluzioni. Questo ha causato una situazione di stallo dove Caterina continua ad essere giustamente spaventata per la situazione inedita che sta vivendo, mentre Nicola, il nostro “scienziato” del titolo, sembra un po' assente per tutti gli impegni universitari su cui deve impegnarsi. Anche se si è fatto un po' perdonare l'assenza degli ultimi giorni con questo regalo portafortuna che sicuramente Caterina non si aspettava!
E con questo capitolo si aprono ufficialmente le scommesse: in casa Maccaferri-Tessera verrà appeso un fiocco azzurro o rosa?💙💖 Sarà decisamente interessante vedere chi avrà ragione 🤐
Come già anticipato, nel capitolo 16 volteremo pagina: ci sarà la laurea di Giulia, ufficialmente dottoressa, e si sa... Le feste di laurea sono sempre occasioni per eventi o per nuove conoscenze! Chissà cosa accadrà 🤭
Vi diamo quindi appuntamento a mercoledì 16 marzo con un nuovo aggiornamento!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Loud like love ***


CAPITOLO 16 - LOUD LIKE LOVE


 
Love on an atom
Love on a cloud
To see the birth of all that isn’t now
Can you imagine a love that is so proud?
It never has to question why or how*
 
Cominciava a maledirsi per quella scelta insensata. Cominciava davvero a non comprendere cosa l’avesse spinta a prenotare quei due posti in mezzo a quella platea, in Piazza San Marco, sotto il sole cocente di metà giugno che la stava inevitabilmente facendo sciogliere.
Forse era stata una decisione presa troppo d’impulso – forse un modo vagamente megalomane per festeggiare quel 105 raggiunto con l’ottimo punteggio avuto con la tesi, o forse un modo vagamente alternativo per tentare il suicidio ed impedire così a se stessa di iscriversi alla magistrale-, doveva senz’altro esserla: d’altro canto Giulia non aveva mai preso davvero in considerazione l’idea di iscriversi alla Giornata della laurea organizzata dalla sua università. Certo, non capitava tutti i giorni di essere proclamata dottoressa davanti a tutta la piazza più importante di Venezia – e forse era stato quello il principale motivo per cui aveva preso quella decisione da un momento all’altro, subito dopo aver terminato la discussione della tesi,  nemmeno una settimana prima-, ma ora stava pagando tutte le conseguenze di quella follia.
Erano lì da prima delle undici, l’ora d’inizio della cerimonia, ed in quel momento Giulia, dopo quasi due ore passate sotto il sole ardente, rischiava seriamente di squagliarsi da un momento all’altro.
Il rettore dell’ateneo stava per concludere il suo discorso di presentazione della giornata sopra al palco, allestito proprio di fronte alla Basilica di San Marco, e lei non poté fare altro che pensare che, quando sarebbe stato il suo turno per andare sopra quel palco a ritirare il suo diploma di laurea, probabilmente sarebbe già stata ad un passo dalla tomba.
Nelle foto ricordo di quella giornata sarebbe risultata sudata, con le guance arrossate e con i capelli scompigliati, e sì, immaginava già che non si sarebbe mai perdonata per un errore di calcolo come quello che aveva compiuto decidendo di partecipare a quella dannata cerimonia.
-Dici che ci metteranno ancora molto?- Filippo, seduto accanto a lei, si sporse verso il suo orecchio per bisbigliarle quella domanda. Giulia non riusciva ad immaginare come potesse risultare ancora perfettamente asciutto e perfetto nella sua camicia azzurra e nei suoi pantaloni eleganti. Lei, con un misero vestito nemmeno troppo lungo, stava sudando come se si fosse trovata tra le fiamme dell’inferno.
-Calcolando che devono chiamare uno per uno tutti i nuovi dottori di questa maledettissima università, temo che sì, ci metteremo ancora molto- replicò lei con disappunto, cercando di sventolarsi alla bell’e meglio con le mani – E visto che andranno in ordine alfabetico, non c’è alcuna speranza che io me la cavi presto-.
Filippo annuì, senza aggiungere altro. Doveva aver intuito un certo nervosismo nella voce di Giulia, che non aveva certo fatto molto per nasconderlo.
-Avrei dovuto festeggiare la laurea con il solo rinfresco. Almeno mi sarei evitata questa tortura- borbottò, gesticolando frettolosamente.
-Sei stata tu a dire che questa è “un’esperienza unica da fare assolutamente”- Filippo citò a memoria le parole della stessa Giulia, beccandosi uno sguardo minaccioso dalla diretta interessata:
-Ero in preda all’euforia, quando l’ho detto. Era un effimero momento di pazzia, e tu dovevi capirlo ed impedirmi di fare una cosa talmente scellerata come questa!-.
-Troppo tardi, ormai siamo qui- ribatté Filippo, con fare rassegnato.
-Già. Siamo qui, e avrei fatto meglio a venire con indosso un bikini. Forse così non sarei stata mezza morta come ora-.
Giulia si guardò intorno, continuando a sventolare le mani: non aveva idea di quanti studenti come lei ci fossero, ma a giudicare dal numero di sedie che contava la platea dovevano essere in parecchi, pur tenendo conto degli ospiti di ogni nuovo laureato. In ogni caso, avrebbe dovuto aspettare ancora per molto tempo prima di potersi alzare da lì ed andarsene all’ombra.
Guardò oltre le transenne che delimitavano la zona delle sedie per gli studenti al resto della piazza, dove se ne stavano in piedi il resto degli invitati e gli spettatori di passaggio che talvolta si fermavano ad assistere alla cerimonia. Tra la folla non riusciva a scorgere nemmeno uno dei suoi amici o della sua famiglia: forse loro riuscivano a vederla, ma lei, per quanto cercasse di sforzarsi, non riconosceva nessuno dei volti delle persone più vicine alle transenne.
A distrarla definitivamente fu la voce femminile che ora aveva preso parola al posto del rettore, ed alla frase “Invitiamo ora a salire sul palco i dottori e dottoresse per ritirare i diplomi di laurea” Giulia non poté fare a meno di esultare dentro di sé.
Doveva solo attendere che l’elenco arrivasse fino al suo cognome, e poi, finalmente, avrebbe potuto abbandonare quelle sedie sotto al sole che cominciava seriamente ad odiare.
-Forse entro l’una e mezza ce la faremo- disse Filippo, cercando di sembrare ottimista.
La sua profezia, però, risultò azzeccata: gli studenti venivano chiamati piuttosto velocemente sul palco, e Giulia, in meno di quanto si sarebbe aspettata, si ritrovò ai piedi della scala che l’avrebbe portata lì su, in attesa del proprio turno.
L’ansia non l’aveva sofferta quasi per nulla, ma in quel momento cominciava a sentire il proprio cuore battere all’impazzata, la testa che girava per il caldo e per l’euforia che le scorreva nelle vene.
“Pagano Giulia”.
Le gambe di Giulia si mossero in automatico, e quasi si stupì nel rendersi conto di non tremare troppo. Cercò di rimanere quanto più possibile in equilibrio sui tacchi – non vedeva l’ora di levarseli una volta per tutte-, aggrappandosi al corrimano della scaletta. Quando arrivò in cima, dovette fermarsi per un attimo, abbagliata dal flash della macchina fotografica che un fotografo, di fronte a lei, stava brandendo in bella vista. Il fotografo fece qualche altro scatto, e Giulia si domandò come diavolo potessero essere venute quelle foto: di certo aveva il volto imperlato di sudore, e la pettinatura doveva ormai essere scombinata.
Si ripromise di bruciare quelle foto non appena le avrebbe avute tra le mani.
Quando il fotografo si allontanò per dedicarsi agli studenti nominati subito dopo di lei, Giulia proseguì ancora traballante verso il centro del palco. C’erano due tavoli dove erano accatastati tutti i diplomi, che venivano distribuiti a mano a mano da una donna in piedi accanto al primo tavolo. Giulia si chiese come potesse essere ancora perfetta nel suo tailleur, senza un filo di sudore e senza la minima sbavatura nel trucco, dopo tutte quelle ore passate in piedi sotto il sole su quel palco.
Non appena le si avvicinò la donna le sorrise calorosamente, porgendole la mano destra e subito dopo allungandole il diploma di laurea.
Giulia non si accorse quasi di star sorridendo a sua volta, nonostante la donna le risultasse antipatica a pelle. Le sue labbra erano disegnate in un sorriso che fino a quel momento non era mai comparso sul suo viso, e che sembrava non volersene andare.
Poco le importava di essere in cima su quel palco, con il passo incerto per colpa dei tacchi alti e del vestito troppo attillato che aveva comprato per l’occasione e che fasciava ogni curva del suo corpo. Non le importava nemmeno più del caldo e del sudore, né di essere di fronte a migliaia di persone.
Teneva tra le mani il suo diploma di laurea, e si sentiva sollevata ed euforica come non mai.
Scese dal palco dal lato opposto con lo stesso sorriso con cui era salita, leggera e serena per la prima volta dopo giorni.
 
*
 
-Propongo un brindisi alla dottoressa Giulia Pagano!-.
Giulia non poté trattenersi dal ridere guardando Fabio brandire in alto il proprio calice di prosecco, esortando il resto degli invitati a fare lo stesso ed unirsi al brindisi.
Il rinfresco che aveva seguito la cerimonia sembrava andare a gonfie vele. Nel ristorante dove si trovavano, lo stesso in cui lavorava Nicola – e dove era di turno come cameriere proprio in quel momento-, a quell’ora c’era poca gente oltre a loro, e Giulia non avrebbe potuto chiedere di meglio. Potevano schiamazzare quanto volevano senza temere troppo di essere buttati fuori per il disturbo che potevano recare agli altri clienti, ed il servizio a tavola era veloce ed efficiente.
La sala principale era quasi interamente occupata solamente dalle due tavolate riservate al rinfresco in suo onore. Aveva preferito organizzare un pranzo veloce in quel ristorante, senza mettere in piedi nulla di troppo sofisticato: lì le avevano fatto un buon prezzo, e la zona di Venezia dove si trovavano, poco distante da Rialto e Campo San Lio, era molto carina.
Giulia aveva appena finito di accumulare i regali ricevuti ad un’estremità del tavolo dove sedeva, ben contenta del bottino racimolato. Il nuovo notebook avuto da Filippo e dalla sua famiglia – sebbene quel giorno fosse presente solo Fabio – le sarebbe di sicuro tornato utile, e lo stesso poteva dire della borsa professionale che sua sorella e suo cognato avevano scelto per lei. Aveva apprezzato anche l’ingresso omaggio per lei e Filippo in un qualsiasi centro spa del Veneto – gentile pensiero da parte di Caterina, Valerio, Nicola, Pietro, Alessio ed Alice-, che si era ripromessa di utilizzare il prima possibile. Anche la cornice digitale ricevuta da alcuni amici dell’università lì presenti – Lisa, Eleonora, Maria e Fernando, seduti giusto di fianco all’altro gruppo di amici- le aveva fatto piacere.
In un momento di megalomania, si era resa conto che valeva la pena laurearsi di nuovo anche solo per i doni che avrebbe potuto ricevere.
-Non esageriamo con l’alcool, comunque- sua madre intervenne in tutta risposta a Fabio, lanciandogli un’occhiata di sbieco.
Giulia rise sommessamente, rendendosi conto che lei, di alcool in corpo, ne aveva già troppo. Prima di giungere fino a lì per il rinfresco, nulla aveva impedito ad amici e compagni di università di farla bere durante la tradizionale lettura del papiro di laurea, e probabilmente per renderla più docile nel travestirla subito dopo. Era arrivata al rinfresco passeggiando per le calli di Venezia in bikini, pareo sgargiante e tacchi a spillo, e molto più ubriaca di quanto non si augurasse [1]; si era ripresa solo mangiando qualcosa, anche se le era servito comunque l’aiuto di Caterina per rivestirsi decentemente nel bagno del ristorante.
Ora che erano lì da quasi due ore, tutto sommato, era molto più lucida di prima, anche se più sciolta ed esuberante di quanto già non fosse normalmente.
-Ma come, siamo ad una festa di laurea, e dici di non bere?- intervenne nella discussione Ettore, facendo ridere un po’ tutta la tavolata.
-Comunque Giulia mi sembra già ben messa in fatto di alcool- Caterina, seduta di fronte a lei, le rivolse un sorriso divertito, che Giulia ricambiò con un’alzata di spalle:
-Beh, siccome tu non puoi bere per via del tuo stato, qualcuno dovrà pure andare a pari per te-.
Caterina rise debolmente, e Giulia le lanciò un sorriso astuto in tutta risposta. Aveva appreso con entusiasmo la notizia che lei e Nicola avrebbero tenuto il bambino: per quante potessero esserci molte difficoltà, non riusciva a non essere felice al pensiero di diventare una sorta di zia acquisita per il piccolo. E poi, nonostante tutto, riusciva quasi a vedere una specie di serenità in Caterina, dopo aver preso la decisione di continuare quella gravidanza.
-Giulia- la voce di Filippo la distrasse, portandola a voltarsi verso di lui, seduto alla sua destra – Sicura di stare bene? Non vorrei davvero avessi bevuto fin troppo-.
-Rilassati, non c’è problema- Giulia mosse la mano in un gesto volto a tranquillizzarlo – È tutto sotto controllo: la sbornia sta cominciando a passarmi. Così stasera potremo perlomeno brindare anche a casa-.
-Già- Filippo deglutì, abbassando lo sguardo per alcuni secondi. Giulia ancora non si considerava perfettamente lucida, ma la sensazione di stranezza di fronte a quella reazione di Filippo la incuriosì comunque: le era sembrato vago e, in un certo qual senso, agitato al solo sentire nominare la serata che li avrebbe attesi nel loro appartamento.
Forse era solo una sua sensazione, o forse quella reazione inaspettata c’era davvero stata: solo, non avrebbe potuto averne la certezza. A Giulia non rimase altro che fare spallucce e continuare come se nulla fosse successo.
Prese un breve sorso d’acqua, e quando mise giù il bicchiere sulla tavola, vide Pietro ed Alessio passarle di fronte dall’altra parte del tavolo, diretti chissà dove.
-Ehi, voi due! Si può sapere dove andate?- li riprese Giulia, appena in tempo, prima che entrambi si allontanassero abbastanza dal tavolo per non sentirla.
-A ordinare un caffè, magari?- Alessio si era voltato per primo, e sempre per primo le aveva risposto, con aria vaga e scuotendo appena il capo.
-Avete detto “caffè”?- esclamò Giulia, d’un tratto ben volenterosa di seguirli. Riusciva quasi a sentire l’odore del caffè appena preparato invaderle le narici, e a quell’immagine non tardò a sentire l’acquolina in bocca.
Si alzò di scatto dal tavolo, sotto lo sguardo basito di Filippo, raggiungendo gli altri due e prendendoli a braccetto entrambi. Rise appena, nel notare gli occhi sgranati di Alessio e Pietro, ma non se ne curò: continuò a camminare tenendoli ancora stretti, un sorriso astuto a disegnarle le labbra:
-Direi che potrei farvi compagnia, no?-.
L’unica risposta che ebbe fu un borbottio da parte di Alessio, e uno sguardo rassegnato di Pietro.
Si avvicinarono alla zona bar del ristorante, dove dietro al bancone un alquanto sudato Nicola stava preparando alcuni aperitivi per alcuni ragazzi entrati poco fa e sistematisi in un tavolo poco distante da quello occupato per il rinfresco.
-Comunque congratulazioni- Pietro spezzò il silenzio dopo alcuni attimi, poco prima di raggiungere definitivamente il bancone del bar – D’ora in avanti obbligherai tutti a chiamarti dottoressa?-.
-Ora che mi hai dato l’idea potrei anche pensarci- disse Giulia, maliziosamente, e trattenendosi dal ridere di fronte alle espressioni scettiche degli altri due.
-Solo perché sei fresca di laurea, eviterei comunque di tirarmela troppo- la rimproverò Alessio, alzando un sopracciglio.
-Tranquillo, Raggio di sole, tu potrai continuare tranquillamente a chiamarmi come vuoi- Giulia scoppiò definitivamente a ridere, dopo aver notato lo sguardo contrariato dell’altro, che continuava a scuotere il capo con fare rassegnato.
Giunsero al bancone, dove si appostarono in attesa dell’arrivo di Nicola. Giulia prese ad osservare gli altri due, curiosa: né Pietro né Alessio non davano segni di particolare disagio tra loro, almeno ad una prima occhiata, ma era incredibile come stessero – involontariamente o meno- evitando di entrare in contatto anche solo sfiorandosi per sbaglio. Era una tensione silenziosa e quasi invisibile che Giulia non seppe interpretare in alcun modo.
I passi frettolosi di Nicola la distrassero, portandola a scostare gli occhi da Pietro ed Alessio, e portandoli verso il volto arrossato e stravolto dell’altro.
-Che volete, si può sapere?- chiese Nicola, velocemente e con cipiglio tutt’altro che disponibile.
-Usi questa grazia con tutti i tuoi clienti, tanto per sapere?- gli rispose prontamente Pietro, sfoggiando il suo miglior sorriso canzonatorio – Comunque, se sua maestà vuole farci il favore di prepararci tre caffè ne saremmo ben lieti-.
-Non potevate ordinarli da un qualsiasi altro cameriere? Ho già parecchio da fare e sto morendo di caldo- Nicola assottigliò gli occhi, ricambiando lo sguardo dell’amico con fare minaccioso.
-E toglierci il piacere di vederti lavorare per conto nostro? Non dire sciocchezze, Tessera-.
Nicola gli lanciò un ultimo sguardo torvo, prima di allontanarsi verso la macchina del caffè, sbuffando sonoramente.
-Potevi anche andarci più piano- Giulia sentì Alessio borbottare, probabilmente rivolto a Pietro pur non essendo voltato verso di lui.
-Oh avanti, scherzavo- mormorò di rimando Pietro, alzando le spalle e cercando di accennare un sorriso. Giulia osservò Alessio scostare lo sguardo, serio in viso e per niente divertito.
Se ne restò in silenzio, e le parve strano rimanere sola in loro compagnia senza nemmeno accennare ad una affettuosa presa in giro. Pietro, in quel caso, probabilmente l’avrebbe guardata male come al solito, ma temeva di non poter dire la stessa cosa riguardo ad Alessio: le dava l’impressione di voler sembrare sereno e sciolto, ma in realtà di essere comunque teso e rigido senza un motivo apparente.
Giulia fece per spostare il proprio sguardo altrove, quando sobbalzò nel sentire una mano poggiarsi alla sua spalla, facendola voltare:
-Hai ordinato un drink per festeggiare?-.
Il sorriso perfetto di Fernando Rodriguez entrò nella visuale di Giulia, che non poté fare a meno di ricambiarlo:
-Oh no, solo un caffè. Di drink ne ho bevuti già abbastanza per oggi-.
-Penso ne prenderò uno anch’io- Fernando annuì, l’accento ispanico che si poteva percepire appena nella sua pronuncia sicura. Giulia lo aveva conosciuto al primo anno di università, al corso di letteratura inglese, ed era rimasta intrigata sin da subito da quell’aria di sensualità tipica mediterranea, probabilmente accentuata dalle origini spagnole. Anche dopo più di due anni che si conoscevano, e durante i quali Fernando era diventato un amico, considerava il suo sorriso come uno dei più affascinanti che avesse mai visto.
Giulia sorrise nuovamente, e notò Fernando spostare lo sguardo per un secondo oltre le sue spalle, nella direzione di Pietro ed Alessio, ancora in religioso silenzio:
-Dimmi una cosa- fece Fernando, rivolto di nuovo a lei – Da quando hai amici così attraenti?-.
Giulia lo guardò stranita per i primi secondi, prima di intuire a chi si riferisse e scoppiare a ridere di conseguenza. Si girò dall’altra parte, per scoprire le espressioni spiazzate e – almeno nel caso di Alessio-, non particolarmente concilianti. Pietro, con le gote arrossate, si era ritrovato ad accennare un sorriso tirato ed alquanto imbarazzato; Alessio aveva il viso indurito, e Giulia avrebbe scommesso senza dubbi che, con quell’uscita, Fernando si fosse appena aggiudicato un posto nella sua personale blacklist.
Fernando fece di nuovo per dire qualcosa, ma si interruppe all’arrivo di un Nicola alquanto tetro in viso: mise tre caffè sul bancone, riservando un’occhiata ancor più malevola a Pietro, che in tutta risposta gli lanciò un ghigno malizioso.
-Volete altro, o siete a posto così?- chiese Nicola, le mani ai fianchi con un cipiglio arrabbiato che Giulia difficilmente avrebbe attribuito proprio a lui.
-Un caffè anche per me, per favore- si intromise Fernando, senza scomporsi minimamente e con la stessa solarità che Giulia gli riconosceva.
Nicola si limitò a borbottare un “certamente” alquanto frettoloso, prima di andarsene nuovamente, avvicinandosi ad altri clienti all’altra estremità del bancone della zona bar.
-Perdonalo, è un po’ esagitato in questo periodo- disse Giulia, rivolgendosi a Fernando e facendo un cenno con la testa verso Nicola – Anche lui è un mio amico, comunque-.
-Non male nemmeno lui, direi- commentò Fernando, scherzosamente.
Pur non girandosi, Giulia fu sicura di percepire un debole sbuffo da parte di Alessio.
-Comunque- riprese, cercando di recuperare il controllo della situazione – Questi sono Pietro ed Alessio. Forse te li ho nominati qualche volta-.
-Può darsi- replicò Fernando, sporgendosi verso gli altri due con lo stesso sorriso mite di prima – Ma incontrarli dal vivo è un piacere molto più grande-.
Porse la mano destra prima ad Alessio, che ricambiò con una stretta veloce e un sorriso di cortesia a malapena accennato, sotto gli occhi di un rabbuiato Pietro. Quando venne il suo turno, Fernando prolungò la stretta di mano, ammiccandogli e facendolo arrossire violentemente.
-Fer, giù le mani e gli occhi da Pietro, è già fidanzato- lo redarguì Giulia, osservando la scena divertita ed imbarazzata allo stesso tempo – E per mia sfortuna non con il qui presente Alessio -.
-Non ho fatto nulla di male- le rispose candidamente l’altro, alzando le mani come per provare la sua innocenza.
-Come no- borbottò tra sé Alessio, voltandosi dall’altra parte e apparendo quanto mai contrariato.
Giulia non insistette: continuava ad aver la sensazione che, tra Pietro ed Alessio, ci fosse qualcosa di non detto, che non rendeva le cose facili a nessuno dei due. Ancor meno se ci si aggiungeva l’arrivo di uno sconosciuto a portare un po’ di scombussolamento passeggero.
Aspettò con Fernando l’arrivo del suo caffè, bevendo nel frattempo il suo senza aggiungere altro.
 


“Quindi è lui il famoso Fernando”.
Non che fosse famoso nel letterale senso della parola, pensò Pietro, ma Giulia aveva continuato a nominarlo ogni tanto, dopo la prima volta in cui aveva fatto riferimento a quel suo compagno di corso e il suo preferire flirtare con i ragazzi piuttosto che studiare. Ora che l’aveva visto in azione con i suoi occhi, Pietro non aveva alcun dubbio che fosse davvero così.
E immaginava che, con i suoi modi seducenti e quell’aria mediterranea, non gli fosse neanche troppo difficile trovare qualche vittima da stregare.
Pietro gli lanciò una veloce occhiata – l’ennesima-, oltre le spalle di Alessio e Giulia, che lo dividevano nello spazio occupato davanti al bancone dall’altro. Erano tutti intenti a bere i loro caffè, e lo era anche Pietro, che però oltre a quello stava anche osservando e pensando.
Si era sentito dannatamente a disagio nell’essersi ritrovato al centro del flirt di Fernando, talmente tanto che era passata in secondo piano persino la punta di gelosia che aveva provato quando le stesse attenzioni le aveva riservate anche ad Alessio. Non aveva badato nemmeno troppo  alle ambigue prese in giro di Giulia, perché il suo cervello era troppo impegnato a razionalizzare il fatto che Fernando non si fosse fatto nessun problema a provarci spudoratamente con lui. Forse lo aveva fatto più per gioco che reale interesse, ma l’aveva fatto. Non sembrava interessato al giudizio altrui, né sembrava impaurito dal dimostrare apertamente il proprio interesse per i ragazzi.
Pietro si stava ritrovando ad ammirarlo e ad invidiarlo allo stesso tempo. Lui, una disinvoltura del genere, non credeva l’avrebbe mai avuta in vita sua, neanche se un giorno avesse trovato sufficiente coraggio o amor proprio per fare coming out. Semplicemente la paura era troppo forte, la vergogna era impossibile da ignorare. A Fernando, invece, pareva importare un bel niente di tutte quelle pare.
Fu mentre cercava di immaginarsi come sarebbe stato essere come lui – libero da ogni terrore e da ogni vergogna, libero e senza dover nascondersi, e fregarsene di tutto e di tutti-, che si accorse troppo tardi per non essere beccato che Fernando si era girato nella sua direzione. Doveva essersi sentito osservato, e Pietro non poteva nemmeno dargli torto: lo aveva effettivamente fissato, non rendendosi conto di quanto fosse evidente che lo stava facendo.
Fernando non sembrò per niente turbato, e prima che Pietro potesse scostare lo sguardo riuscì a rivolgergli il secondo ammiccamento nel giro di pochi minuti. La sua reazione fu meno posata, perché sobbalzò in modo così evidente che con la mano andò addosso alla tazzina di caffè vuota sul bancone, non facendola cadere ma tintinnare non poco.
“Sono un fottuto idiota”.
-Che fai?-.
Pietro dovette rimandare la voglia di volersi sotterrare quando, alzando gli occhi, si ritrovò con quelli azzurri di Alessio che lo fissavano confusi. Si schiarì la gola, consapevole di essere rosso in viso:
-Niente, ci sono andato addosso per sbaglio-.
Alessio non parve convinto:
-Stai bene?-.
Annuì incerto.
“Benissimo”.
Pietro lanciò una veloce occhiata a Fernando: lo stava ora osservando di rimando di sottecchi, ma con un mezzo sorriso divertito sulle labbra. Era stato uno scambio di sguardi veloce, ma quando udì lo sbuffo di Alessio capì che era stato intercettato proprio da lui.
-Lo vedo- Alessio parlò con sarcasmo nella voce, pungente e nervoso. Pietro si chiese perché dovesse reagire così, ma non fece in tempo a fare nient’altro: Alessio aveva già posato la sua tazzina, e senza guardarsi indietro si allontanò dal bancone senza dire una parola.
E a quel punto, tanto valeva anche per lui andarsene il più distante possibile – soprattutto da Fernando. Fu mentre iniziava a camminare a sua volta che, distrattamente, udì le risate di Giulia e la sua voce, rivolta all’amico, dire con divertimento “Oh, hai fatto colpo su qualcuno, eh!”.
La voglia di sparire dalla faccia della Terra di Pietro fu fortissima, ma mentre si allontanava pensò che, per quel che valeva, quasi sicuramente non avrebbe più visto Fernando. E, in fondo, sarebbe stato decisamente meglio così.
 
*
 
L’ora di andarsene arrivò quando, ormai, era pomeriggio inoltrato. In molti avevano già lasciato il rinfresco, come i suoi colleghi d’università, e da poco anche Fabio, Pietro ed Alessio avevano lasciato la tavolata.
Anche Giulia era quasi pronta a lasciare il locale, con la sua famiglia e Filippo: aveva rimesso degli abiti normali, aveva saldato il conto con il proprietario, era passata un’ultima volta alla zona bar per salutare Nicola, ed in quel momento si accingeva a sistemare in due borse i regali ricevuti per poterli trasportare per Venezia senza troppi problemi. Vide con la coda dell’occhio Caterina camminare con cautela, dopo essere uscita dal bagno del ristorante, dirigendosi verso di lei non aria circospetta. Giulia fece finta di nulla, continuando a sistemare i proprio regali, almeno fino a quando Caterina non le si piantò davanti con aria preoccupata.
-È successo qualcosa?- chiese Giulia, ancor prima di alzare lo sguardo verso l’amica.
-Niente di preoccupante- rispose subito Caterina, non particolarmente convincente. Si guardò intorno per alcuni secondi: Filippo stava parlando con i genitori di Giulia, e Nicola non era nemmeno nei paraggi. Erano da sole abbastanza distanti da tutti.
-Ok, forse è successo qualcosa- riprese lei, mordendosi un labbro con aria nervosa – Ma forse non è nemmeno una buona idea dirti a cosa mi riferisco-.
-Ormai hai iniziato il discorso. Forse ti conviene finirlo, non credi?-.
Giulia lasciò perdere definitivamente i regali, rimettendosi dritta di fronte all’altra, e rivolgendole uno sguardo perplesso.
Caterina la guardò incerta, prima di sospirare a fondo:
-Non so se ti farà piacere saperlo, è stato inaspettato anche per me-.
-Coraggio, sputa il rospo. Non può essere nulla di così terribile- cercò di incoraggiarla Giulia, che cominciava ad insospettirsi. Attese ancora un po’, prima di fare un cenno ulteriore a Caterina per indurla a parlare.
La osservò distogliere nervosamente lo sguardo, prima di tornare  a guardarla esitante:
-Mio fratello ti manda le congratulazioni per la tua laurea-.
Giulia si gelò sul posto. Forse era l’alcool che ancora aveva in corpo a darle alla testa, o forse era solo la totale sorpresa per ciò che aveva sentito a bloccarla in quel modo come in quel momento.
Lorenzo.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva anche solo sentito nominare, che quasi non credeva possibile che proprio lui le mandasse i complimenti per un evento del genere.
-Prima mi ha telefonato mentre ero in bagno, e già così potrebbe sembrare strano. Forse è un altro dei suoi tentativi per riparare alla sua scenata di un mese fa- cercò di spiegare velocemente Caterina, gesticolando febbrilmente, di fronte alla totale assenza di reazioni da parte di Giulia – E credo di essermi lasciata sfuggire di essere alla tua festa di laurea-.
-Io ... – Giulia si schiarì la voce, cercando di riprendere il controllo di se stessa – Non so che dire. É alquanto inaspettato-.
-Già- convenne Caterina, annuendo – Però, se ricordo bene, gli sei sempre stata simpatica. Ma magari voleva essere solo un gesto di cortesia-.
Giulia si ritrovò a sbuffare mentalmente, nel ripensare alla simpatia che aveva provato Lorenzo nei suoi confronti. A ripensarci ancora, dopo tutto quel tempo, ancora le sembrava davvero una strana situazione. Sperò di non essere sembrata troppo sconvolta, ma era piuttosto sicura che il nervosismo di Caterina fosse dovuto più alla sorpresa di una simile chiamata improvvisa da suo fratello che non al resto – magari a qualche intuizione ritardataria di anni.
Nessuna delle due fece in tempo a dire altro: Giulia avvertì passi affrettati avvicinarsi a loro, e poco dopo la voce di Filippo le giunse affettata accanto a lei:
-Sto interrompendo qualcosa? Avete di quelle facce-.
-Oh, non era nulla di importante. Solo ... – Giulia si bloccò, lanciando uno sguardo d’aiuto a Caterina, che colse la palla al balzo:
-I vestiti premaman. Sì, dobbiamo cercarne alcuni, magari evitando certi obbrobri che si vedono in giro-.
-Oh, bene- Filippo liquidò la questione in fretta, forse fin troppo velocemente per non sembrare alquanto in ansia – Giulia, faremmo bene ad andare, ora. Si sta facendo tardi-.
-Ma veramente non abbiamo alcuna fretta di andare. Possiamo fare le cose con calma, adesso- Giulia cercò di sorridergli, ma tutto ciò che ottenne fu un’espressione altrettanto tirata dall’altro:
-Sì, ma ... -.
-Filippo: il peggio è passato, ormai- Giulia gli prese il viso tra le mani, il più dolcemente possibile – Credo che il tempo di agitarsi sia decisamente finito-.
Lo vide rilassarsi, anche se solo temporaneamente: Filippo si scostò dolcemente dalla sua presa, lanciando però uno sguardo poco convinto prima a Caterina e poi di nuovo a lei.
-Devo solo smaltire l’ansia di prima- disse lui, facendo spallucce – Nulla di cui preoccuparsi-.
Giulia gli lanciò una lunga occhiata silenziosa, prima di annuire. C’era qualcosa nei gesti e nel comportamento di Filippo che non riusciva a cogliere fino in fondo. Era come un’intuizione che non poteva comprendere consapevolmente, ma che c’era comunque.
 
*
 
L’aria di casa, in un certo senso, era mancata a Giulia per tutta la giornata. Quello sarebbe stato un giorno che non avrebbe mai scordato, in cui si era sentita più bene che mai: aveva riso fino allo sfinimento e parlato per ore intere, ma la stanchezza era giunta da diverse ore ed in quel momento, quando ormai era sera, non le rimaneva altro da desiderare  che un po’ di meritato riposo nel suo appartamento.
Doveva ancora ben realizzare di essersi appena laureata, e doveva recuperare energie dopo quel rinfresco euforico; prospettava già di passare una serata in totale tranquillità nella sola compagnia di Filippo.
Erano le sette passate quando finalmente si ritrovò a varcare la soglia di casa, con Filippo subito dietro di lei. Giulia corse fino al divano della sala, sedendovisi sopra il più in fretta possibile: aveva passato il resto del pomeriggio in giro per Venezia con la sua famiglia, ed i suoi piedi sembravano sul punto di urlare da un momento all’altro. Si tolse i tacchi, e la sensazione di sollievo che la colse la fece sorridere estasiata.
-Stanca?- Filippo si fermò sulla soglia del salotto, osservandola in quella sua espressione a tratti buffa.
-Ho i piedi distrutti- rispose Giulia, stendendosi sul divano – E sono sudata come non mai. Praticamente sono a pezzi-.
-Perché non vai a farti un bagno rilassante?- Filippo si avvicinò al divano, abbassandosi poi per essere quasi alla stessa altezza del viso di Giulia – Nel frattempo io posso pensare alla cena-.
-Oh, questa sì che potrebbe essere una buona idea- sussurrò lei, sorridendo e voltandosi verso di lui per incrociarne gli occhi scuri – Sicuro di sapertela cavare da solo?-.
-Dubiti delle mie abilità culinarie?- Filippo si finse offeso, prima di accennare ad un sorriso che a Giulia parve quanto mai nervoso – Dai, tu vai a rimetterti in sesto, mentre io penso al resto. D’altro canto sei tu la festeggiata oggi, no?-.
-Mi hai convinto- Giulia si alzò mettendosi a sedere, circondando il collo di Filippo con le braccia per attirarlo a sé – Sicuro di non volere una mano?-.
-Sicuro-.
Lo baciò velocemente, prima di alzarsi dal divano e dirigersi stancamente verso il bagno.
 


Immergersi nell’acqua calda della vasca le aveva sicuramente fatto bene. Se ne era rimasta lì per una mezz’ora abbondante, ad occhi chiusi e rilassandosi il più possibile, nonostante alcuni pensieri che avevano continuato a ronzarle in testa e che, anche una volta uscita dalla vasca, non era riuscita a scacciare del tutto dalla sua mente.
Mentre si infilava pigramente l’accappatoio continuò a ripensare alle parole di Caterina, a quelle congratulazioni per la laurea che Lorenzo le aveva mandato tramite la sorella. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva pensato a lui. Era passato così tanto tempo che il pensiero di Lorenzo non l’aveva sfiorata per anni, ma che ora tornava prepotentemente nella sua vita.
Ricordava l’ultima volta che si erano incontrati, l’imbarazzo e il disagio di una ragazzina inesperta che aveva provato in quella situazione. Le faceva così strano ripensarci dopo così tanti anni.
Si chiese per l’ennesima volta come doveva essere Lorenzo ora, come doveva essere cambiato in tutto quel tempo. Sapeva così poco di lui che perfino il suo ricordo si era fatto sempre più sfumato e lontano, racchiuso in un passato a cui non rivolgeva più i suoi pensieri.
Cercò di lasciar perdere quei pensieri, ma concentrarsi su Filippo non era meglio: quell’aria di nervosismo ed agitazione che aveva notato al rinfresco sembrava essere rimasta la stessa anche una volta rientrati a casa.
Non sapeva darsi alcuna spiegazione nemmeno per quella; più si spremeva le meningi per capire a cosa dovesse essere dovuto quel comportamento, e più le sembrava assurdo anche solo pensare a Filippo in ansia per qualcosa. Forse era solo lei a farsi troppe paranoie, ad essere troppo sotto stress dopo una giornata simile.
Finì di asciugarsi il più velocemente possibile, rivestendosi poi con la stessa fretta. Dopo quel bagno cominciava già a sentirsi meglio, almeno fisicamente: la stanchezza sembrava essere diminuita almeno un po’, e i piedi le dolevano meno.
Giulia fece per aprire la porta del bagno per uscire, ma si ritrovò a bloccarsi al primo passo fatto oltre la soglia. Sbatté gli occhi un paio di volte, ma i petali rossi e blu che tracciavano un sentiero sul pavimento non erano affatto una sua allucinazione.
Fece qualche altro passo in avanti, sbigottita e sorpresa, seguendo i petali sul pavimento. Attraversò il corridoio per giungere fino alla soglia della cucina, fermandosi lì per osservare un alquanto indaffarato Filippo che, dandole le spalle, non doveva ancora essersi accorto della sua presenza.
-Puoi spiegarmi una cosa?- esordì Giulia, trattenendosi a stento dal ridere nel vedere sobbalzare visibilmente Filippo – Siamo per caso finiti sul set di American Beauty senza che me ne rendessi conto?-.
-Me lo stai domandando per via delle rose?- chiese lui, voltandosi verso Giulia ed abbozzando un sorriso imbarazzato.
-Già. Bei colori, comunque. Anche se non sapevo fossi diventato tifoso del Barcellona-.
-Oh no, niente Barcellona- scosse il capo Filippo, divertito, avvicinandosi al forno e controllando ciò che si stava cucinando all’interno – Hanno due significati particolari-.
-Le rose rosse simboleggiano la passione- disse Giulia, facendo qualche passo verso di lui.
-E quelle blu il mistero-.
-Mistero? Che mi stai nascondendo?-.
Giulia lo abbracciò da dietro, poggiando il mento nell’incavo tra il collo e la spalla. Inspirò il buon odore che si levava dalla pentola che si trovava sul fuoco del fornello, e che le provocò l’acquolina in bocca. Cominciava ad avere fame.
-Io? Niente- borbottò Filippo, afferrando una forchetta che teneva vicino al fornello per assaggiare la pasta che stava cucinando – Solo ... Mi andava di comprare delle rose blu, stavolta. Sono più particolari-.
-Vero- mormorò Giulia, beandosi del calore che il corpo di Filippo emanava – Comunque sbrigati: ho lo stomaco che sta brontolando-.
Sentì Filippo ridacchiare tra sé, prima di staccarsi da lui e spostarsi qualche passo più in là per lasciargli spazio di manovra.
Di nuovo la stessa impressione di stranezza tornò a punzecchiarla. Osservava Filippo, e non poteva fare a meno di pensare che, sotto quell’apparenza di normalità, ci fosse qualcosa di più.
Solo, ancora non riusciva anche solo a pensare a cosa potesse essere.
 
*
 
Climb on board
We’ll go slow and high tempo
 
-Ti sei superato, questa volta-.
Giulia si ripulì la bocca con il tovagliolo, dopo aver posato la forchetta sul tavolo. Filippo si era davvero messo d’impegno: aveva preparato la tavola, ornandola con un vaso di rose e delle candele al centro, e la cena, seppur semplice, era stata davvero ottima.
Giulia si sentiva scoppiare, ma ne era valsa la pena. Era stata bene, anche se per tutta la durata della cena la sensazione di agitazione in Filippo non l’aveva abbandonata nemmeno per un secondo. Lo vedeva sempre più teso, nei gesti e nei farfugliamenti che talvolta aveva parlando.
-Mi supero sempre quando devo prepararti certe cenette- ribatté lui, con un sorriso tirato che non convinse per niente Giulia. Filippo si alzò dal tavolo, per portare nel lavello i piatti sporchi ed ormai vuoti.
Ritornò poco dopo, sedendosi e continuando a sorridere nella stessa maniera ansiosa come aveva fatto per gran parte della giornata.
-Ci sarebbe ancora il dolce- disse infine, dopo aver passato alcuni attimi a torturarsi le mani – Ho comprato una cheesecake ieri sera. È in frigorifero-.
-Come ho fatto a non accorgermi di una torta nascosta in frigorifero da ieri?- domandò stupita Giulia, strabuzzando gli occhi.
-Forse eri talmente agitata per la proclamazione che non ci hai fatto nemmeno caso-.
-Dovevo proprio esserlo, per non essermi accorta della presenza del mio dolce preferito in casa- sospirò lei, con fare sconsolato. A ripensare alla sera precedente, ancora in attesa della celebrazione della laurea, riusciva ancora a sentire quell’ansia positiva che l’aveva tenuta sotto scacco per ore; si sentì sollevata nel pensare che, invece, per quella sera poteva anche permettersi il lusso di rimanersene tranquilla e senza pensieri.
-Vado a prenderla, comunque- disse di nuovo Filippo, alzandosi un’altra volta e camminando a passo spedito verso il frigo.
Giulia lo tenne osservato: in quel momento Filippo, per lei, era come un libro scritto in una qualche lingua a lei sconosciuta. Incomprensibile allo stesso modo.
Si resse il capo con una mano con fare annoiato, mentre attendeva il suo ritorno. Scostò per un secondo gli occhi da lui – che ancora stava aprendo il cartone della pasticceria in cui era contenuta la torta-, facendoli cadere sul display illuminato del proprio telefono, appoggiato sul tavolo.
«Sarà che ora le mie energie servono per due, ma questa giornata mi ha mandata completamente KO».
Giulia rise sommessamente nel leggere il messaggio che Caterina le aveva appena mandato. Fece per risponderle, ma si bloccò nell’accorgersi che Filippo stava per tornare, con un piatto enorme dove vi aveva trasferito la cheesecake.
Rimise il cellulare sul tavolo, ripromettendosi di rispondere dopo aver finito di mangiare il dolce; sorrise dolcemente a Filippo, in un moto di affetto. Nonostante i mille dubbi che aveva riguardo a lui, era anche grazie a Filippo stesso se poteva dire di aver passato una delle più belle giornate della sua vita.
Era sicura che quel 19 giugno difficilmente se lo sarebbe dimenticato.
-Io voglio una fetta grande!- esclamò Giulia, dopo che Filippo ebbe afferrato il coltello per tagliare la torta.
-Non avevo dubbi- le rispose lui, ridendo nervosamente.
Tagliò le due fette, e fece per sedersi a sua volta. Giulia scostò lo sguardo per prendere il primo boccone della cheesecake, pregustandoselo già, ma dovette desistere: alzando lo sguardo per un secondo, si rese conto che Filippo se ne era rimasto immobile sulla sua sedia, senza fare nient’altro, lo sguardo vacuo e il viso teso. Lo guardò interrogativa, prima che lui stesso si riprendesse da solo da quello stato, alzandosi di scatto e farfugliando:
-Vado ...- esitò – Vado a prendermi una felpa, mi è venuto un po’ di freddo. Faccio in un attimo-.
Filippo uscì dalla stanza, senza nemmeno aspettare una risposta di Giulia e lasciandola lì a bocca aperta.
In quel momento ogni dubbio sulla sua presunta agitazione, pensò, era fugato. Poteva affermare con una certa sicurezza che Filippo era strano come mai lo era stato.
Decise di non seguirlo, rimanendo ad aspettarlo piuttosto perplessa: in casa non faceva freddo, e quella della felpa le sembrava piuttosto una scusa per allontanarsi.
Lo aspettò, anche se sembrava metterci davvero troppo per dover indossare solo una stupida felpa. Giulia sospirò annoiata, afferrando di nuovo il telefono e digitando velocemente il messaggio di risposta per Caterina:
«Io sto passando una bella serata. Forse con una cena preparata un po’ troppo in grande, ma non mi stupisco più di tanto: continuo a non capire cosa stia passando per la testa a Filippo».
Rimise a suo posto il telefono proprio quando sentì i passi di Filippo avvicinarsi alla cucina. Si voltò verso di lui, notando che effettivamente si era messo addosso una felpa, e che, per qualche motivo oscuro, era ancor più pallido di prima.
-Sei sicuro di stare bene?- gli chiese Giulia, cercando di non sembrare troppo curiosa.
-Certo. Io ... Sto benone-.
Filippo tornò accanto alla sua sedia, dall’altro lato del tavolo rispetto a Giulia. Non si sedette, rimanendosene in piedi ancora per qualche attimo, durante i quali parve ancor più sconvolto di quanto già non sembrasse.
Giulia fece per dire qualcosa, ma si costrinse a bloccarsi non appena si rese conto che, in un secondo, Filippo le si era inginocchiato di fronte.
Sentì il proprio cuore perdere qualche battito, il respiro accelerato e la mente che non riusciva a formulare una frase vagamente sensata per chiedergli cosa stesse facendo. Forse perché, in un attimo di follia, aveva già capito cosa stava accadendo.
-Non ti spaventare, ti prego, non farlo- Filippo parlò velocemente, il fiato corto e il viso che ora diventava sempre più rosso – E cerca di non interrompermi, o potrei anche non riuscire a dire quello che vorrei-.
A Giulia non rimase che annuire debolmente, gli occhi spalancati e il cuore che le batteva talmente forte che cominciava a temere le sarebbe scoppiato.
-Ok, so che può sembrare avventato, inaspettato, tutto quello che vuoi … Ma la realtà è che ci sto pensando da un po’, forse da sempre. Solo che non ero mai riuscito a capire e a trovare il momento più giusto per chiedertelo- Filippo gesticolava in continuazione, e riuscì a fermarsi solo per una breve pausa per riprendere fiato – Forse non è il momento giusto nemmeno ora, ma credo che se non lo faccio adesso non troverò il coraggio per farlo mai più-.
Giulia rimase a fissarlo intontita, riuscendo a recepire solo in parte dove volesse andare a parare. Ora che l’agitazione aveva colpito anche lei, faticava a ragionare con lucidità e a trovare le parole per poter esprimere ciò che sentiva.
-Lo so che siamo giovani, che abbiamo tutta la vita davanti, che forse sto correndo troppo, e che questo discorso fa schifo … - sospirò profondamente – Ma non mi importa. Mi importa solo sapere che ci sarai, per sempre o per quanto tempo vorrai, se ci vorrai essere. Per questo sto per chiederti quello che probabilmente avrai già intuito-.
Filippo rovistò per alcuni attimi nella tasca della felpa, tirandone poi fuori una scatolina di velluto blu. La tenne in mano davanti agli occhi di Giulia, aprendola e mostrandole un anello fine e con due piccole pietre a forma di cuore incastonate.
In quel momento, Giulia sentì il respiro mancarle del tutto e gli occhi pizzicarle minacciosamente.
-Giulia- Filippo le sorrise, in un modo talmente dolce e sincero che lei non riuscì più a trattenere alcune lacrime – Mi vuoi sposare?-.
Giulia provò a respirare e calmarsi, anche se il groppo in gola non la aiutava e gli occhi umidi cominciavano a renderle la vista offuscata. Riusciva solo a tenere lo sguardo fisso su Filippo e su quell’anello, unica prova che non fosse solo un sogno dalla quale si sarebbe risvegliata da un momento all’altro.
-Io … Io … - provò a schiarirsi la voce, prendendo poi un respiro profondo – Non so cosa dire! Cioè, lo saprei, ma … -.
Altre lacrime le rigarono di nuovo le guance, ma non fece nulla per fermarle o per nasconderle. Sapeva che, vista dall’esterno, sarebbe potuta sembrare una scena patetica, ma in quel momento non le importava per nulla: sentiva solo il proprio cuore battere impazzito contro il petto, e un senso di serenità e felicità pervaderla in maniera totalmente inaspettata.
-Basta che tu dica un sì- la incoraggiò Filippo, ridendo ancora e a sua volta con gli occhi lucidi.
Giulia rise, allegra; si tolse gli occhiali, poggiandoli sul tavolo, per potersi passare una mano sugli occhi. E poi si alzò dalla sedia, portando poi le mani sulle spalle di Filippo e invitandolo ad alzarsi in piedi a sua volta:
-Sei completamente pazzo, Filippo Barbieri- gli disse, sorridendo e ridendo inevitabilmente – Ma voglio sposarti. È la cosa che voglio di più, quindi sì, sì, sì. Ti voglio sposare-.
Filippo annuì, forse ancora troppo stordito per dire qualcos’altro. Prese l’anello tra le dita con movimenti incerti, infilandolo all’anulare della mano sinistra di Giulia.
-Giuro che tu mi farai morire, prima o poi, con questi colpi che mi fai fare- farfugliò Giulia, buttando le braccia al collo di Filippo, il viso a pochi centimetri dal suo.
-Morire di gioia, però-.
Giulia non fece in tempo a rispondergli, che Filippo la sollevò in braccio, il sorriso dolce che a tratti appariva malizioso:
-Direi che il dolce può attendere ancora, vero?-.
-Dire di sì-.
Giulia passò le braccia dietro al collo di Filippo per reggersi meglio, lasciandosi trasportare fuori dalla cucina. Riusciva a pensare poco lucidamente, la voglia di sorridere e ridere che ancora non sembrava volersene andare dopo quell’intera giornata che sarebbe rimasta indelebile a lungo.
 
I’d love to hold you close tonight and always
I’d love to wake up next to you
I’d love to hold you close tonight and always
I’d love to wake up next to you**




 
[1] è uso tipico delle università venete festeggiare il malcapitato neo laureato facendogli leggere davanti a tutti gli invitati al rinfresco il cosiddetto "papiro", ovvero un cartellone scritto da amici e parenti con un testo in rima dove viene raccontata la vita del festeggiato in chiave del tutto ironica, e riportando quanti più episodi imbarazzanti. Il papiro va letto con il festeggiato vestito in maniera del tutto improbabile. Ovviamente di solito non mancano altri scherzi come il lancio della farina e dei coriandoli (oltre che una alta dose di alcool) sul povero neo laureato.
 
* Placebo - "Loud Like Love"
** Zayn - "Pillowtalk"
Il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori. 
NOTE DELLE AUTRICI
Come vi avevamo anticipato, questo capitolo avrebbe portato qualche novità… E che novità! Nella giornata di festeggiamenti della laurea di Giulia (e pensare che avevamo incontrato la nostra protagonista quando nel primissimo capitolo di Youth era solo una ragazzina liceale di 15 anni 😭) abbiamo scoperto cosa si celava dietro al comportamento misterioso di Filippo. Avevate già intuito, sfruttando al massimo gli indizi contenuti nel prologo, quello che stava per accadere? Ma soprattutto... qualcuno si è fatto un bel piantino come la nostra autrice Kiara? Siate sincer*!!!
Molti tasselli, e di conseguenza molti indizi, contenuti nei flashforward del prologo stanno andando al loro posto. Mancano all'appello solo quelli relativi ai nostri amati Pietro e Alessio... Arriverà presto anche il loro turno? 🧐🕵️
Ma tornando alla festa, speriamo non siano passate inosservate le congratulazioni che Lorenzo ha fatto pervenire a Giulia. Questo è di fatto il primo contatto, seppur indiretto, tra loro dopo diversi anni... Chissà se rimarrà un caso isolato o il futuro riserverà sorprese!
Ed è poi giunto il momento di conoscere Fernando, un compagno di università di Giulia che, in pochi istanti, non è passato inosservato, soprattutto agli occhi di qualcuno in particolare… Pietro è già sicuro di non rivedere più quest'anima spagnoleggiante, ma noi autrici non siamo molto d'accordo con lui. Secondo voi lo rivedremo? E quale prima impressione vi ha dato il buon Fernando?
Diteci tutto, e ricordate di tornare mercoledì 30 marzo con un nuovo aggiornamento!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - The blackest days ***


CAPITOLO 17 - THE BLACKEST DAYS


 
 
Memories seem like so long ago
Time always kills the pain
 
L’afa di fine luglio la soffocava, facendola sudare nonostante cercasse di camminare il più all’ombra possibile. In estate faceva sempre parecchio caldo tra le calli veneziane, e quella mattina non faceva eccezione: più camminava, più Caterina sentiva la maglietta appiccarsi alla pelle, dandole una sensazione quanto mai fastidiosa.
Cominciava ad avvertire anche una certa sonnolenza: si era alzata presto quella mattina, ed ora, poco prima dell’ora di pranzo, avrebbe solamente voluto un letto sul quale sdraiarsi e dove poter riposare in santa pace. D’altro canto, la mattina era l’unico momento della giornata adatto ad andarsene in giro per la città: faceva comunque meno caldo di quel che ci sarebbe stato nel pomeriggio.
Aveva salutato Giulia solo pochi minuti prima, separatesi per poter tornare alle rispettive abitazioni. Avevano passato qualche ora in giro per negozi – Giulia sembrava avere tutta l’intenzione di rifarsi il guardaroba, e Caterina aveva assoluto bisogno di nuovi vestiti e magliette di qualche taglia in più-, e non aveva potuto fare a meno di notare l’allegria che contraddistingueva Giulia ormai da diverse settimane.
O forse era solo lei, che da qualche mese a quella parte, vedeva il mondo da un’angolazione differente. Forse vedeva Giulia in quel modo perché era lei a non riuscire a sentirsi rilassata quanto avrebbe voluto. Anche nei momenti più tranquilli, come quella stessa mattina, sotto la superficie c’era sempre un’agitazione di fondo, qualcosa che le impediva di lasciarsi andare come avrebbe fatto fino a quattro mesi prima.
Forse erano solo le nuove responsabilità che sentiva di avere a renderla così. Forse ci avrebbe dovuto solamente fare il callo, entrare di più nella nuova ottica che l’attendeva, cercare di prendere la vita come veniva. Non era così facile: c’erano momenti in cui pensava a tutte le cose che doveva ancora fare – prenotare visite, stare attenta a non cadere, pensare alla tesi da scrivere, studiare per l’ultimo esame che le rimaneva, fare attenzione all’alimentazione, cercare di risparmiare il più possibile negli acquisti-, e in certi attimi si sentiva come soffocare.
Era un periodo strano, quello, probabilmente unico. Cercava di consolarsi con il pensiero che, prima o poi, si sarebbe sentita più serena e che avrebbe imparato a vivere bene anche così.
Continuò a camminare, seppur più lentamente. Da quando era incinta si sentiva sempre più stanca del solito, e camminare sotto il sole a quell’ora non la aiutava a sentirsi meglio: per quanto cercasse di intercettare l’ombra dei palazzi proiettata sulla strada, l’umidità e l’afa non scomparivano minimamente.
Facendo un rapido calcolo, si rese conto che, una volta rientrata a casa, lì non avrebbe trovato nessuno: probabilmente Nicola sarebbe uscito di lì a poco per cominciare il turno al ristorante, e lei non avrebbe fatto in tempo ad incrociarlo.
Tirò fuori il telefono dalla borsa per accertarsi di che ora fosse, rendendosi conto che, effettivamente, aveva pensato giusto sull’inizio del turno di Nicola. Rallentò un po’ il passo, cercando di rimettere il cellulare nella tasca esterna della borsa senza doversi fermare, ma inevitabilmente barcollò un po’: si accorse troppo tardi di avere davanti a sé un ragazzo fermo, che le dava le spalle, e per quanto in fretta avesse tentato di evitarlo, gli sfiorì la spalla di striscio.
Rimesso a posto il telefono, Caterina alzò un attimo lo sguardo per scusarsi, ma si bloccò, gli occhi spalancati come per voler rendersi conto se quella era solo un’allucinazione dettata dal troppo caldo o la realtà effettiva.
Si era resa conto solo in quel momento di quanto il volto appartenente all’uomo fosse in realtà conosciuto, e doveva aver pensato la stessa cosa lui stesso, lo sguardo stupito che ricambiava quello di lei.
Caterina non si mosse, in completa confusione per poter dire subito qualcosa.
Quel genere di incontri inaspettati l’avevano sempre messa in difficoltà.
 
*
 
Continuava a guardarsi in giro, osservando le altre persone sedute agli altri tavoli del bar dove si erano fermati. Forse quella mossa le serviva solo per dissimulare l’imbarazzo che stava provando, o forse le serviva solo per rendersi conto che le probabilità che Nicola passasse proprio di lì e proprio in quel momento erano rasenti allo zero. Non lo avrebbe visto passare né in quel momento né più tardi.
Si voltò solo nell’accorgersi che il cameriere era appena arrivato per prendere le loro ordinazioni – sperò che Giovanni non le chiedesse come mai avesse preferito un semplice bicchiere d’acqua ad un bicchiere di spritz- e cercò di non tornare a distogliere lo sguardo nuovamente, dopo che il cameriere rientrò all’interno del bar.
Caterina provò a stendere le labbra in un leggero sorriso quando Giovanni gliene rivolse uno altrettanto imbarazzato. Le sembrava una situazione quanto mai inaspettata, per non dire assurda: il pensiero di poterlo incrociare per Venezia per pura coincidenza e in un giorno qualsiasi, non le aveva mai nemmeno sfiorato la mente. Invece, quando sarebbe dovuta essere già rientrata a casa, si trovava in un bar non distante da San Marco, con Giovanni seduto di fronte a lei ad offrirle qualcosa da bere.
Era una cosa estremamente strana, e che non avrebbe saputo definire in altra maniera.
Osservò Giovanni per alcuni secondi, constatando quanto potesse essere cambiato negli ultimi tre anni. Sembrava lo stesso ragazzo a tratti timido che era stato nei suoi diciannove anni, ed allo stesso tempo si rendeva conto di quanto fosse diventato una persona diversa. Forse era qualcosa nello sguardo, azzurro e brillante come lo ricordava, a darle quella sensazione di novità: le sembravano gli occhi di una persona serena, di colui che ha finalmente trovato la tranquillità e la stabilità che cercava da tempo.
La barba incolta e i capelli un po’ più lunghi di come li ricordava gli davano un’aria da uomo vissuto, totalmente diversa da quella che aveva quando erano poco più di due ragazzini al liceo.
Caterina sorrise tra sé e sé, in silenzio: entrambi erano cambiati così tanto dall’ultima volta che si era visti, che a stento avrebbe riconosciuto la se stessa e il Giovanni di tre anni prima.
-È strano rivederti così, per caso- disse infine Giovanni, poggiando le mani sul tavolino, cercando di spezzare quella tensione che Caterina riusciva quasi a respirare.
-Già. Non me lo sarei mai aspettato. Non ho saputo più nulla di te dopo ... - Caterina si morse il labbro, a disagio, e si chiese quanto fosse visibile il fatto di star cercando di evitare volutamente di riferirsi alla loro relazione – Dopo il liceo-.
-Effettivamente ci siamo persi di vista- Giovanni abbassò per un attimo lo sguardo, prima di rialzarlo – Vivo in Olanda, ora. Da due anni, ormai. Ho trovato lavoro là, e ...Beh, posso dire di essermi finalmente sistemato-
-Davvero? Mi fa piacere saperlo- esclamò stupita Caterina, meno a disagio. Cominciare a parlare del più e del meno come stavano facendo la rendeva meno nervosa, anche se continuava a temere di dover rivangare certi argomenti che avrebbe solo voluto seppellire per sempre.
-E tu? Come te la passi?- domandò Giovanni, rivolgendole il suo sguardo azzurro.
Caterina si ritrovò interdetta, mille pensieri che le vorticavano in mente a gran velocità. Prima che potesse anche solo decidere di dire qualcosa, il cameriere uscì di nuovo dal locale dirigendosi verso il loro tavolo, tenendo tra le mani il vassoio dove stavano poggiate le loro ordinazioni.
La scusa che le aveva appena fornito l’arrivo del cameriere per ritardare la risposta fu preziosa. Rifletté quanto le convenisse dire di sé: non aveva alcuna voglia di parlare di tutti i problemi che stava vivendo in quel periodo, ed anche solo accennare alla gravidanza di certo avrebbe fatto finire la conversazione proprio su quel punto. Non aveva alcuna voglia di vedere ancora sguardi di pietosa sorpresa, né di sentirsi dire frasi di circostanza che non avrebbe sopportato e che non avrebbero cambiato nulla della sua condizione.
Non le rimaneva altro che mantenersi più vaga possibile.
-È un periodo molto intenso, questo- Caterina rispose poco dopo che il cameriere se ne fu andato di nuovo, prendendo poi un sorso d’acqua dal suo bicchiere – Ma ci sono anche dei lati positivi. A settembre, se tutto andrà bene, mi laureerò alla triennale-.
-Complimenti, allora, sono davvero contento- Giovanni annuì colpito, prendendo poi un sorso di spritz. Distolse per un attimo lo sguardo, e Caterina intuì in quel gesto una sorta di imbarazzo o bisogno di temporeggiare. Sembrava piuttosto indeciso se dire qualcosa in particolare – dubbio che lei stessa aveva avuto poco prima.
Giovanni tornò a guardarla, stavolta più serio in volto. Fu solo quando Caterina stava per domandargli se andava tutto bene, che finalmente sembrò ritrovare il coraggio necessario per parlare:
-Anche la mia ragazza, la ragazza con cui sto da un po’ di tempo, sta per laurearsi qui a Venezia. Sono tornato qui per una settimana proprio per questo-.
Caterina aprì la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la richiuse l’attimo dopo senza nemmeno aver spiaccicato parola. Si rese conto che aver sgranato gli occhi e non essere riuscita a dire nulla non deponeva affatto in suo favore. Sperava solo di non aver dato un’impressione del tutto sbagliata o fuorviante a Giovanni, che aveva abbassato lo sguardo con un sorriso timido dipinto in viso.
Si schiarì la gola, cercando di inventarsi qualcosa quanto prima:
-Quindi alla fine ti sei sistemato- iniziò a dire – Sono contenta che tu abbia trovato qualcuno. Te lo meriti, Giovanni. Dico sul serio-.
Cercò di essere il più sincera possibile, perché, in fondo, le faceva davvero piacere sapere che finalmente aveva trovato una ragazza che poteva renderlo felice. Forse doveva solo fare meglio i conti con la sorpresa che la notizia inaspettata le aveva procurato.
-Grazie- Giovanni rialzò gli occhi, osservandola di rimando con esitazione – E tu stai ancora con Nicola?-.
Caterina prese un respiro profondo prima di rispondere, senza sapere bene cosa le sarebbe convenuto più dire.
-Incredibile a dirsi, ma sì, stiamo ancora insieme. Conviviamo da aprile- esclamò alla fine, cercando di sembrare più sciolta possibile. Si sentiva ancora in imbarazzo, in realtà, a parlare di Giovanni di Nicola: potevano anche essere passati più di tre anni, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per non ricadere in quell’argomento scomodo.
-Ormai potreste essere prossimi al matrimonio, allora- per quanto potesse sembrarle incredibile, Giovanni sembrava ora molto più a suo agio di lei.
-Per il momento abbiamo altri progetti- biascicò Caterina, passandosi inconsapevolmente una mano sul grembo, in una carezza appena visibile.
-Certo, certo, è naturale. Siamo ancora tutti troppo giovani per il matrimonio- rise Giovanni, forse per smorzare un po’ quella tensione che attanagliava Caterina.
Lei si limitò a sorridere con circostanza, senza dire nulla. Aveva paura di far trapelare il disagio nel quale si trovava e, anche se era abbastanza sicura che Giovanni non le avrebbe fatto domande ficcanaso, avrebbe preferito evitare qualsiasi rischio per una situazione del genere.
Si intrattennero ancora un po’ al bar, giusto il tempo per finire lo spritz e il bicchiere d’acqua che avevano ordinato, e per parlare del più e del meno. Caterina si sentì sollevata quando, alzandosi dalla sedia con fare stanco e acciaccato, si rese conto che, in fin dei conti, non era stato troppo difficile continuare a sviare la conversazione verso argomenti che non riguardavano ciò di cui non voleva parlare.
Giovanni pagò anche per lei, nonostante Caterina avesse insistito fino all’ultimo per non farsi offrire nulla; la accompagnò ancora per un po’ lungo la via di casa, fino ad un bivio dove si sarebbero separati.
-L’appartamento della mia ragazza dovrebbe essere da quella parte- fece Giovanni, indicando la calle opposta a quella che Caterina si accingeva a seguire – O almeno credo. Forse ci arriverò, se non mi perdo-.
-Forse la prossima volta faresti bene a portarti dietro una mappa, allora-.
Caterina si fermò per qualche attimo di fronte a Giovanni, che aveva riso piano alla sua battuta e che in quel momento la guardava come se non sapesse bene cosa dire:
-Non so ancora di preciso quando ripartirò per l’Olanda- riprese lui, passandosi una mano tra i capelli – Mi farebbe piacere un’altra chiacchierata, prima di andarmene-.
-Anche a me- Caterina gli sorrise timidamente, rimanendo ferma nella posizione in cui si trovava – Credo di avere ancora il tuo numero, quindi ti farò sapere-.
-Ci conto-.
L’occhiolino che le rivolse Giovanni la fece ridere, sciogliendo la tensione che ancora la costringeva a rimanersene immobile di fronte a lui senza avvicinarglisi. Gli sorrise un’ultima volta, prima di salutarlo e guardandolo andarsene.
La figura di Giovanni scomparì dopo poco in lontananza, risucchiato nella calle stretta che aveva imboccato. Caterina attese ancora qualche secondo, prima di voltarsi e proseguire a sua volta, chiedendosi, inevitabilmente, se lo avrebbe mai rivisto davvero.
 
*
 
Caterina lasciò un sospiro soddisfatto quando poté sdraiarsi sul letto, le lenzuola fresche e la sensazione di benessere che avvertì nel lasciarsi cullare dalla morbidezza del materasso.
Aveva passato il resto della giornata a casa, al riparo dal caldo soffocante dell’estate, cercando di mettere assieme qualche pagina della sua tesi e pensando il meno possibile a Giovanni. Era riuscita a distrarsi e ad allontanarne il pensiero fino a poco prima di cena, ma in quel momento, proprio prima di andare a dormire, non potè più fare a meno di ripensare a quel loro incontro fortuito.
Giovanni le aveva dato l’impressione di non essere cambiato molto, sotto certi aspetti: aveva mantenuto quell’aria ingenua da ragazzo sognatore, i gesti gentili e discreti che l’avevano sempre contraddistinto. Era però anche maturato, da quel che aveva potuto notare: forse l’essersi trasferito n Olanda gli aveva dato più sicurezza ed intraprendenza, e sembrava avergli giovato aver trovato finalmente qualcuno con cui condividere la vita.
Si sistemò meglio sul letto, e sentì in lontananza lo scatto della serratura della porta d’ingresso. Ascoltò i passi pesanti di Nicola percorrere il corridoio d’ingresso dopo aver richiuso la porta, ed attese che togliesse le scarpe e bevesse un sorso d’acqua in cucina, prima di arrivare in camera da letto.
Era una specie di rituale che avevano preso come abitudine da qualche mese: ogni volta che si vedeva costretto a rientrare tardi, Nicola si dirigeva prima da Caterina in stanza, per qualche chiacchiera, prima di mangiare qualcosa dopo ore di digiuno ed andare a dormire a sua volta.
Nemmeno quella sera cambiò qualcosa: dopo alcuni minuti, Caterina udì i passi di Nicola farsi più vicini, fino a quando non lo vide sbucare sulla soglia della stanza, con l’aria stanca e gli occhi velati di sonno.
-Hai un aspetto tremendo-.
-Adoro il tuo modo di darmi il bentornato a casa-.
Caterina trattenne una risata, rendendosi conto che, nonostante la stanchezza e la sua solita freddezza, Nicola continuava a diventare sempre più sciolto – addirittura spiritoso.
Lo seguì con lo sguardo anche mentre raggiungeva la sua metà del letto, per poi buttarvisi sopra senza indugi.
-Ho la schiena a pezzi e i piedi che quasi non li sento più- borbottò Nicola, passandosi lentamente le mani sul viso – A te come è andata la giornata? Anche se di sicuro deve essere stata migliore della mia-.
-Bene-.
Caterina distolse un attimo lo sguardo, per un attimo esitante. Avrebbe fatto bene a dire a Nicola di Giovanni? Si chiese come avrebbe potuto reagire di fronte ad una notizia simile, e per quanto ricordasse che si erano già chiariti tre anni prima, non era così sicura della bontà di quell’idea.
Di sicuro non gli avrebbe fatto granché piacere saperlo in giro per Venezia, né tanto meno avrebbe fatto i salti di gioia nello scoprire che avevano parlato fermandosi in un bar.
D’altra parte, non sapeva quanto le convenisse mentirgli. Tenergli nascosto l’aver incontrato Giovanni non era corretto, ma era anche piuttosto improbabile che Nicola potesse venirlo a sapere per caso. In fin dei conti, era anche piuttosto difficile che lei e Giovanni si sarebbero rivisti una seconda volta, solo per qualche parola in amicizia. Forse, per una volta, non dirgli qualcosa non avrebbe creato troppi danni.
-Piuttosto monotona, a dire il vero- proseguì Caterina, tornando con lo sguardo sull’altro.
-Meglio così- Nicola sbadigliò sonoramente, lasciando cadere la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi.
-Faresti meglio ad andare a mangiare qualcosa subito, e poi venire a dormire- Caterina gli passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoglieli ancor di più – O rischi di addormentarti a stomaco vuoto. E poi domattina starai peggio-.
-Sì, forse dovrei fare così-.
Nicola si rialzò lentamente, dopo aver mormorato quelle parole. Ci mise un po’ ad alzarsi definitivamente, e Caterina lo osservò camminare piano con un sorriso divertito stampato in faccia.
Lo stesso sorriso che le si congelò sulle labbra, nel ricordare, per un breve e fugace momento, di ciò che aveva appena omesso di dire a Nicola.
Sperava solo di non doversi mai pentire di quella scelta.
 
*
 
-Sai, c’è una cosa a cui ho pensato molto in questi giorni-.
Caterina si girò verso Giovanni, alzando un sopracciglio in un tacito invito a continuare a parlare.
Erano i primi giorni di agosto, quando gli aveva finalmente scritto un semplice messaggio per chiedergli se fosse già ripartito. Gli aveva scritto senza alcuna aspettativa, forse troppo soggiogata dalla noia estiva e per distrarsi dalla scrittura della tesi. Non aveva sperato davvero in una sua risposta, e aveva dato per scontato il suo rientro in Olanda; si era dovuta ricredere quando verso sera il display del suo telefono aveva lampeggiato, segnalandole l’arrivo del messaggio di Giovanni.
Alla fine non si era sbagliata di molto sulla sua data di partenza: la sua ragazza si era laureata, e lui aveva in programma di tornarsene a Utrecht giusto due giorni dopo.
Giovanni aveva tuttavia mantenuto la parola sull’invito ad una loro seconda chiacchierata: l’aveva invitata giusto il giorno seguente, allo stesso bar dove si erano fermati la prima volta che si erano incontrati, e lei aveva accettato dopo averci riflettuto a lungo. Sarebbe stato impossibile non sentirsi un po’ in colpa nel non dire ancora nulla a Nicola, tanto che, aveva deciso quella stessa mattina, gli avrebbe raccontato tutto una volta rientrata a casa. Quando si era svegliata i dubbi sull’andare erano persistiti, ma alla fine era uscita, quando ormai Nicola se ne era già andato per il suo turno di lavoro.
Ora che era poco prima dell’ora di pranzo e la temperatura stava cominciando a farsi davvero proibitiva, si stava inesorabilmente avvicinando il momento di rientrare a casa per entrambi.
Nonostante il vestito leggero e i palazzi che le permettevano di camminare alla loro ombra, Caterina cominciava a sudare parecchio. Camminava adagio, cercando di concentrarsi sulle parole di Giovanni, ma cominciava a risultarle sempre più difficile: aveva sempre mal sopportato la sensazione di sudore sulla pelle, e anche in quel momento ne era particolarmente infastidita. E poi c’era quel maledetto mal di schiena che sembrava averla colpita improvvisamente quella mattina, che non si era attenuato nemmeno quando se ne era rimasta seduta tranquillamente sulla sedia al bar dove si era vista con Giovanni, e che le rendeva i movimenti piuttosto lenti ed impacciati.
Cercò di camminare scacciando qualsiasi pensiero negativo, anche se trovava strana la sensazione che le dava il suo corpo.
-Cosa?- gli chiese, visto il perdurare del silenzio di Giovanni.
Quel secondo incontro era stato più rilassato rispetto al primo: le aveva raccontato del giorno della proclamazione della sua ragazza, contento e tranquillo come Caterina non lo aveva mai ricordato nel periodo in cui erano stati insieme.
Anche lei si era scoperta più a suo agio, nonostante quegli acciacchi fisici che tuttora la tormentavano. Mentre, nuovamente, si incamminavano verso i rispettivi appartamenti, Caterina quasi non si stupì nel rendersi conto che in parte le sarebbe dispiaciuto dover dire addio a Giovanni: si era ritrovata a pensare che, se non avessero avuto quella loro storia fallimentare, forse la loro sarebbe potuta essere anche una bella amicizia, che si sarebbe potuta protrarre anche dopo la fine della scuola.
-Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato se ci fossimo incontrati di nuovo dopo anni. E adesso è effettivamente successo. Ci siamo rivisti dopo ... – Giovanni esitò – Dopo quello che è successo tra di noi-.
-E come ti immaginavi un incontro simile?- Caterina gli restituì uno sguardo breve, prima di portarsi una mano alla parte bassa della schiena, per una fitta un po’ più forte delle altre.
-Più o meno come la nostra prima chiacchierata di qualche giorno fa- Giovanni le sorrise con imbarazzo per la prima volta da quando si erano salutati quella mattina – Anche se devo dire che questa, invece, è andata decisamente meglio-.
Caterina annuì, pronta a rispondere che anche lei aveva trovato quel loro secondo incontro decisamente meno imbarazzante del primo. Rimase invece in silenzio, un’altra fitta più acuta che le mozzò il respiro.
Si costrinse a continuare a camminare, seppur in maniera più cadenzata, e non si fece sfuggire neppure il più piccolo lamento. Cominciava a sentirsi sinistramente spaventata, anche se l’idea di andare nel panico per un comune mal di schiena la faceva sentire ridicola e troppo angosciata.
Lanciò un’occhiata a Giovanni, che non sembrava essersi accorto di nulla. Era tornato serio, forse mal interpretando il suo silenzio.
-Non ti porto rancore, se te lo sei chiesta. Nemmeno a Nicola. A quell’età ... Beh, sono cose che succedono-  disse pensieroso – E poi sembra proprio essere vero il detto “Al cuor non si comanda”. Se state ancora insieme un motivo ci sarà-.
-Sono contenta di sentirtelo dire- Caterina si schiarì la voce, cercando qualcosa da dire per non sembrare troppo strana e lasciare calare nuovamente il silenzio:
-Mi sei mancato come amico, soprattutto nei mesi prima di finire la scuola- confessò, con sincerità – Ma sarebbe stato difficile proseguire un’amicizia dopo quel che c’era stato-.
-Lo capisco- Giovanni le sorrise malinconicamente – Anche a me sei mancata come amica. Ancor prima che come fidanzata-.
Caterina gli sorrise di rimando, o almeno si sforzò di farlo, ignorando i dolori.
-Comunque non mi pento di essere tornata da Nicola, anche se non sempre le cose sono facili. Alle volte succede sempre qualcosa che cambia tutti i programmi, e non è sempre detto di potercela fare-.
Stavolta Giovanni la guardò con curiosità, come se anche solo osservandola in viso potesse cogliere qualche indizio per capire a cosa si riferisse:
-È successo qualcosa in particolare?-.
Caterina abbassò gli occhi istintivamente, rendendosi conto subito dopo che quella poteva essere una muta conferma alla domanda di Giovanni.
-No, io ... - continuò a guardare a terra, mentre scendevano gli ultimi scalini di un ponte che avevano appena attraversato – Non mi riferivo a nulla di preciso-.
-Oh, per un attimo ho pensato che ... -.
Giovanni non riuscì a finire la frase: era rimasto voltato verso di lei, non accorgendosi di aver saltato uno degli ultimi gradini. Si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa, perdendo l’equilibrio e sporgendosi prima in avanti e poi nuovamente indietro, aggrappandosi all’improvviso al braccio destro di Caterina, per nulla pronta ad una eventuale presa dell’altro.
Caterina si era resa conto che sarebbe caduta a terra l’attimo prima in cui era effettivamente accaduto. Aveva cercato di attutire il più possibile la caduta, ma il contraccolpo che sentì, nello scivolare lungo gli ultimi gradini le fece capire che a poco erano serviti i suoi tentativi.
Quando finalmente rimase seduta immobile sul cemento caldo della strada, tenne gli occhi chiusi per alcuni secondi. Il dolore alla schiena si era acuito, e i crampi deboli che sentiva nella parte bassa del ventre la fecero rabbrividire. Sentiva qualcosa di caldo e viscoso scenderle tra le cosce, e le ci volle più di un secondo per aprire gli occhi per avere la conferma che un rivolo di sangue, rosso e vivo, stava scendendo tra le sue gambe.
-Stai bene?-.
Giovanni si era già rialzato, e si era avvicinato a Caterina. Non doveva ancora aver fatto caso alla presenza del sangue, ma doveva essersi chiesto a cosa fossero dovute le lacrime che le rigavano il volto.
-Che succede? Sei ferita?- le chiese nuovamente, abbassandosi alla sua altezza.
Caterina inspirò profondamente, cercando di recuperare abbastanza lucidità per dirgli cosa fare. Sentiva la testa girarle e i crampi aumentare, e il panico che si stava impossessando di lei quasi a sopraffarla definitivamente.
-Chiama il 118-.
La sua voce era stata poco più di un sussurro, e si chiese se Giovanni l’avesse capita.
-Chiama un’ambulanza, subito!- ripeté, stavolta quasi urlando.
-Ti sei fatta male?- Giovanni la guardò perplesso, ma prese comunque il telefono dalla tasca dei jeans.
Caterina chiuse gli occhi, cercando di reprimere le lacrime che le premevano agli angoli degli occhi per uscire.
-Sono incinta, e sto perdendo sangue-.
Mormorò quelle ultime parole, prima di prendersi il viso tra le mani e sperare che il tempo passasse più in fretta possibile.
Si chiese quale sarebbe stato il suo destino, ed ebbe profonda paura nel rendersi conto che, in quelle condizioni, non poteva minimamente prevederlo.
 
*
 
L’odore pungente di disinfettante e l’aspetto asettico e privo di qualsiasi calore tipico degli ospedali le avevano sempre messo ansia. Era uno di quei posti che legava irrimediabilmente a paure e pensieri per niente positivi, che le incutevano timore ogni volta che vi metteva piede, anche per semplici visite di routine. In quel momento, invece, la paura aveva lasciato posto ad un silenzio assordante, fatto di insicurezza e rassegnazione.
L’idroambulanza non ci aveva impiegato poi molto ad arrivare, dopo che Giovanni aveva fatto quella telefonata. Caterina vi era stata caricata su, e Giovanni l’aveva seguita, cercando di spiegare balbettante all’infermiere cos’era successo di preciso. Quando finalmente erano arrivati all’ospedale, in breve tempo, Caterina aveva tirato almeno un sospiro di sollievo: forse c’era ancora qualche speranza di non mandare tutto all’aria.
Aveva passato minuti interminabili su quello stesso lettino d’ospedale dove si trovava in quel momento da un tempo che le pareva infinito, in attesa di un dottore che la potesse visitare. Aveva raccolto tutte le forze possibili per prendere il proprio cellulare e chiamare Giulia – non aveva ancora il coraggio e la lucidità necessari per avvisare Nicola e spiegargli cosa fosse accaduto-, e pregarla di raggiungerla lì, il prima possibile.
Quando Giulia era arrivata, Caterina era appena stata raggiunta dal ginecologo del pronto soccorso. Aveva atteso e temuto il momento dell’ecografia allo stesso tempo, con il cuore pieno di paura e di speranza di poter sentirsi dire che, nonostante tutto, non era accaduto nulla di grave.
Giovanni se ne era uscito dalla stanza, e lei aveva spiegato al medico i sintomi che aveva avuto sin da quella mattina con voce malferma, a tratti tremante.
Alla fine, dopo più di mezz’ora, era stata lasciata nuovamente sola in quella stanza a visita terminata, con il responso di un lieve distacco della placenta, causa dei dolori alla schiena e delle perdite di sangue.
Se ne era rimasta in silenzio per diversi minuti, con Giulia accanto al letto come in attesa. Caterina non sapeva se avesse incrociato Giovanni nell’entrare in ospedale – avrebbe scoperto solo dopo, leggendo un suo messaggio, che era dovuto rientrare subito all’appartamento della sua ragazza e che avrebbe cercato di farle visita in ospedale prima di partire-, e non aveva nemmeno la forza per chiederglielo. Forse non gliene importava nemmeno, le parole del dottore che le ronzavano in testa senza lasciarle scampo.
Il ginecologo non era stato troppo pessimista: aveva riscontrato un distacco che si sarebbe riassorbito in diverso tempo, con tanto riposo e iniezioni di progesterone. Erano cose che, in gravidanza, potevano capitare a chiunque, le aveva detto quasi per rassicurarla.
Caterina si sentiva tremendamente preoccupata lo stesso. Si sentiva in colpa per non aver sospettato nulla sin da quella mattina, per non aver declinato l’invito di Giovanni ed essersi invece recata all’ospedale più vicino.
Venne distratta solo dallo squillo ininterrotto di un cellulare, il suo. Giulia glielo aveva avvicinato, e non appena Caterina lesse sul display il nome di Nicola, si sentì raggelare come non mai.
-Non sa che sei qui, vero?- le chiese Giulia, non appena la vide esitante nel rispondere alla chiamata.
Caterina scosse il volto, lentamente. Certo che Nicola non sapeva, e non aveva nemmeno idea di come avrebbe potuto dirglielo. Probabilmente la stava chiamando per sapere come mai non fosse ancora rientrata per pranzo, e Caterina poteva solo immaginare come avrebbe accolto la notizia della minaccia d’aborto che aveva appena avuto.
Si sarebbe precipitato lì in meno di cinque minuti, poco lucidamente e preoccupato oltre ogni limite.
-Non vuoi rispondere?- insistette Giulia, che però doveva aver già intuito la risposta.
-Parlagli tu- Caterina mormorò appena quelle parole, scostando lo sguardo e chiudendo gli occhi – Non ho nemmeno la forza per sentire la sua voce-.
Giulia non aggiunse altro, e con gesto lento prese il telefono dalle mani di Caterina. Si allontanò verso il fondo della stanza, e Caterina riuscì a cogliere solo alcune frasi della conversazione per niente calma che Giulia sembrava aver intavolato con Nicola.
La vide riavvicinarsi dopo diversi minuti, scura in volto, tesa e dubbiosa. Appoggiò il cellulare al comodino, prima di sedersi nuovamente sulla sedia accanto al letto:
-Non gli ho detto esattamente che è successo, solo che siamo in ospedale. Era già su di giri quando gli ho detto di venire qui- spiegò Giulia, prima di fermarsi e osservare Caterina più insistentemente – Ora però vuoi spiegare a me cosa è accaduto esattamente?-.
Se l’aspettava quella domanda. Se l’aspettava, ma nonostante ciò ancora non sapeva come avrebbe potuto rispondere.
Si immaginò Nicola, come se fosse già lì di fronte a lei, a chiederle la stessa identica cosa. Di lì a poco, lo sapeva, sarebbe stato tutto enormemente più difficile.
 
*
 
Cercare di calmare Nicola si era rivelato un compito ben più arduo che dargli la notizia del ricovero. Caterina aveva di nuovo pregato Giulia di rimanere, e lei non aveva battuto ciglio ancora una volta.
Quando Nicola era entrato nella stanza, Caterina aveva sentito il proprio battito andare a mille, cercando di trovare le parole più giuste per spiegargli quale era la situazione.
Si era ritrovata a parlare quasi per caso, senza reale convinzione nella voce, lo sguardo fisso altrove e ben distante dal viso teso e pallido di Nicola, in piedi di fianco al letto. Si era sentita tremendamente stupida a raccontargli come aveva incontrato per puro caso Giovanni, e come quella mattina avesse preferito ignorare i primi segnali di malessere.
Nicola aveva fatto una smorfia quando aveva sentito nominare Giovanni, ma era rimasto in silenzio fino a quando Caterina non aveva taciuto nuovamente, evitando gli sguardi di lui e di Giulia puntando gli occhi al soffitto.
Lo aveva sentito sospirare pesantemente, fare qualche passo lungo la stanza, allontanandosi dal letto; in quel momento, invece, si era finalmente fermato, le gote appena arrossate per la rabbia e il nervoso:
-Posso anche passare sopra il fatto che tu fossi proprio con ... Con quello. E ora come ora non mi importa nemmeno che tu non me l’abbia detto subito- fece una pausa, e Caterina si sentì gelare ancora un po’ – Ma  che ti abbia fatto questo ... Se fosse stato attento forse non saresti messa così male-.
-Non sapeva fossi incinta. Non gliel’ho detto, non prima che cominciasse tutto questo- cercò di replicare Caterina, a bassa voce.
Nicola sbuffò, apparentemente non meno agitato di prima:
-È pur sempre colpa sua se ... -.
-È  stato un caso, Nicola. Forse sarebbe successo ugualmente, d’altro canto Caterina aveva dolori già dalla mattina presto- Giulia si intromise, e Caterina le fu mutamente grata: non credeva avrebbe trovato la forza per parlare senza far tremare la propria voce.
-Almeno stavolta non puoi dare colpe a qualcuno che, in fin dei conti, c’entra davvero poco-.
Nicola era rimasto in silenzio nuovamente, spostando lentamente lo sguardo da Giulia a Caterina. Sembrava amareggiato, forse fin troppo disperato anche solo per poterlo dimostrare.
Un minuto dopo si mosse, lasciando al posizione immobile che aveva mantenuto fino a quel momento, ed avviandosi quanto mai velocemente verso la porta. Caterina lo sentì biascicare solo un veloce “Ho bisogno d’aria”, prima di vederlo scomparire dopo aver richiuso la porta alle sue spalle.
 


Giulia se ne era dovuta andare da circa un’ora, per non rischiare di arrivare tardi al lavoro. Aveva promesso di richiamare prima di cena, e Caterina aveva annuito distrattamente a quelle parole.
Aveva letto negli occhi di Giulia tutta la preoccupazione possibile, e non poteva biasimarla: dopo che Nicola se ne era uscito, Caterina aveva mantenuto il silenzio per quasi tutto il tempo. Giulia aveva tentato di distrarla, di farla parlare anche per monosillabi, ma era servito a poco.
Alla fine aveva dovuto andarsene, e Caterina si era ritrovata di nuovo sola. Aveva riletto il messaggio che Giovanni doveva averle inviato durante quelle ultime ore, ed aveva soppesato a lungo l’idea di chiamare Nicola anche solo per sapere dove fosse finito.
Aveva quasi rinunciato a rintracciarlo poco prima che l’orario di visita finisse, ed aspettare e lasciarlo in pace sembrava essere stata la scelta migliore: quando Caterina sentì la porta della stanza cigolare nell’aprirsi, si sentì subito meglio nel rendersi conto che Nicola era tornato.
Era tornato, come sempre. Era ritornato ancora una volta, come aveva sempre fatto.
Nel girarsi verso di lui, Caterina notò il viso ancora pallido e gli occhi leggermente arrossati, i capelli biondi arruffati. Aveva quasi un aspetto trasandato, e sembrava non curarsene affatto.
Si avvicinò con cautela al letto, il viso abbassato, lasciandosi poi scivolare sulla sedia lasciata libera da Giulia. Caterina si ritrovò ad attendere ancora una volta, a lasciargli la libertà di parlare quando si sarebbe sentito pronto a farlo. In quel momento le bastava averlo perlomeno accanto.
-Ho chiamato la tua ginecologa- borbottò ad un certo punto, torturandosi le mani in un modo che non apparteneva al Nicola di sempre – Le ho spiegato la situazione-.
-E che ti ha detto?-.
Nicola sospirò a fondo, gli occhi azzurri puntati lontani da quelli di Caterina.
-Di avere pazienza e non avere troppa paura- mormorò dopo alcuni secondi, sbuffando – Come se fosse facile-.
Caterina lo osservò mentre si passava una mano sul viso contratto, come se stesse provando vero e proprio dolore fisico. Vedere Nicola in quello stato la faceva sentire ancora più stupida ed ingrata. Avrebbe voluto dirglielo, dirgli che era solo colpa sua se ora stavano entrambi così, che Giovanni non c’entrava nulla e che era lei la responsabile di tutto.
Avrebbe voluto dirglielo, ma le parole le morirono in gola, sostituite solo da invisibili lacrime che le velavano gli occhi di nuovo.
Nicola rialzò il capo proprio in quel momento, rimanendo fisso su di lei silenziosamente per alcuni secondi, prima di alzarsi e chinarsi su di lei:
-Mi spiace per prima. Sarei dovuto rimanere qui, ma ero così arrabbiato da aver avuto paura di farti stare peggio-.
Le prese una mano tra le sue, e Caterina dovette aspettare diversi secondi per cercare di calmarsi ed ignorare il groppo in gola, prima di riuscire a parlare.
-Lo capisco- ricambiò la stretta delle mani di Nicola, cercando solo un modo per fargli capire che non ce l’aveva affatto con lui – A me dispiace non averti detto subito di Giovanni. Lo avrei fatto oggi una volta rientrata, ma sappiamo com’è andata-.
Nicola sembrò soppesare in silenzio le sue parole per diversi secondi, prima di prendere parola ancora una volta:
-È che proprio quando avevamo raggiunto un equilibrio, dopo settimane piene di problemi, ecco che arriva l’ennesima mazzata-.
Aveva parlato con voce appena tremante. In quel momento, se le fosse stato possibile, Caterina si sarebbe solo alzata per poterlo abbracciare. Si limitò a lasciargli una carezza sul viso, sorridendo mestamente agli occhi limpidi e lucidi di Nicola che ricambiavano il suo sguardo.
-Ho paura di perdervi. È il mio incubo peggiore-.
Caterina non aggiunse altro: Nicola aveva parlato talmente piano da far sembrare quelle parole nemmeno reali, come a volerle nascondere ancora una volta.
Tenne la mano sulla sua guancia, accarezzandone piano la pelle tiepida. In quel momento, per quanto dolorante e spezzata potesse sentirsi, andava bene così. Sarebbe andata bene fino a quando sarebbero stati insieme.
 
*
 
And I'll be happy for you
If you can be happy for me
 
La notte era passata lentamente, e Caterina aveva chiuso a malapena occhio, le angosce che nell’oscurità della stanza d’ospedale sembravano diventare più vivide e materiali.
Nicola, prima di andarsene la sera prima, le aveva promesso che sarebbe tornato non appena avrebbe potuto anche quel giorno, e Caterina gliene era stata grata: era capitata in una delle poche stanze dove non c’erano, al momento, altre pazienti, e quel silenzio e la solitudine in cui si trovava a convivere non le giovavano.
Fortunatamente quella mattina ci aveva pensato Giulia a interrompere quella mesta routine alla quale Caterina si stava per rassegnare. Le aveva telefonato anche la sera prima, come programmato, ma non le aveva accennato nulla a quella sua venuta in ospedale: eppure, nonostante fosse passata a malapena mezza giornata dall’ultima volta in cui aveva messo piede lì, Giulia era entrata nella stanza ancora una volta, cercando di sembrare più sorridente possibile.
-Ti hanno visitata di nuovo oggi?- Giulia non perse tempo: si sedette sulla stessa sedia del giorno prima, sistemandosi gli occhiali e osservando l’amica.
-No, non ancora- sospirò Caterina – Ma tra non molto un’infermiera dovrebbe passare per l’iniezione di progesterone-.
-Probabilmente- annuì Giulia. Rimase in silenzio per qualche secondo, prima di domandare velocemente:
-Nicola passerà tra poco, per caso?-.
-Credo verrà qui stasera-.
-Ottimo- Giulia sembrò soddisfatta della risposta, e Caterina non poté evitare di guardarla incuriosita: ora le sembrava ancor più sorridente, e a tratti nervosa. Era strana, ed aveva come l’impressione che presto avrebbe scoperto la ragione che ci stava dietro.
-Ottimo?- ripeté, alzando un sopracciglio.
-Sì, perché volevo parlarti di una cosa. E volevo farlo solo con te- Giulia abbassò un attimo gli occhi, torturandosi le mani, prima di rialzare il capo e ridacchiare nervosamente – In realtà avevo promesso di non dirlo a nessuno ancora, ma sai ... Stamattina mi sono alzata, e mi sono ripromessa di cercare di distrarti in un qualche modo. Quindi ho deciso di andare contro la promessa che avevo fatto, e di dirti una cosa che mi riguarda-.
-Mi devo preoccupare?-.
Caterina aveva seguito tutto il discorso cercando di intuire qualcosa, ma le era servito a poco. Immaginava solo che Giulia stesse parlando di qualcosa riguardante lei e Filippo, ma non aveva la certezza nemmeno di quello.
-Diciamo di no, anche se forse mi prenderai per pazza- Giulia arrossì, e Caterina non poté fare a meno di guardarla per davvero con aria agitata:
-Ti prego, dimmi che non sei incinta anche tu, o potrei davvero darti della pazza-.
-No, no, nessuna gravidanza per me- Giulia rise di nuovo, nervosamente e divertita allo stesso tempo, agitando le mani per aria come a voler evidenziare la sua innocenza.
Fu in quel momento che Caterina notò l’anello che Giulia portava all’anulare, e che era sicura di non aver mai notato prima. Trattenne il respiro per un attimo, sgranando gli occhi e finalmente intuendo cosa stava succedendo.
-Quell’anello- mormorò, lentamente – Sono io che non lo ricordo affatto, o è spuntato dal nulla?-.
-In realtà l’ho ricevuto la sera della proclamazione, ma avendo promesso di non dire niente a nessuno non l’ho mai indossato prima di oggi- stavolta il sorriso di Giulia era meno nervoso, ma raddolcito e a tratti imbarazzato – È un anello di fidanzamento-.
Caterina portò le mani al volto: per quanto potesse averlo già intuito, sentirselo dire era qualcosa di totalmente inaspettato.
-Oddio, non ci credo- mormorò, trattenendo a stento una risata, sorpresa e nervosa.
-Tranquilla, è normale. Anche io devo ancora realizzare il tutto- Giulia arrossì ancora un po’, ma sembrava più a suo agio in quel momento, dopo averne parlato, che non quando ancora teneva dentro di sé quella novità inaspettata.
Si sistemò meglio sulla sedia, e Caterina continuò ad osservarla: cominciava a capire meglio lo strano comportamento di Giulia dell’ultimo mese e mezzo, quella sua aria allegra apparentemente senza ragione, e quell’imbarazzo sincero che aveva avuto nell’annunciarle il fidanzamento.
-Certo che di cose ne stanno cambiando- si lasciò sfuggire, con aria pensosa – Fino a sei mesi fa non avrei mai pensato a tutto questo. Tu che ti sposi con Filippo, io e Nicola che diventeremo genitori-.
Fece una pausa, la malinconia e la paura che aveva ignorato fino a quel momento che, invece, tornarono a farsi vive nel pronunciare quelle ultime parole:
-O forse sarebbe più corretto dire che avremmo potuto diventarlo. Se solo le cose fossero andate diversamente-.
Caterina scostò lo sguardo, anche se sentì ugualmente Giulia alzarsi dalla sedia e compiere qualche passo più vicino al letto, sospirando a fondo:
-Non dire così. Non è ancora detto che vada a finire male-.
Prima che Caterina potesse rispondere qualcosa, o che Giulia aggiungesse altro, sentirono un leggero bussare alla porta lasciata semiaperta. Si voltarono entrambe verso di essa, e Caterina si rese conto di non essere molto stupita nel vedere Giovanni sulla soglia, esitante e con il volto tirato.
Per i primi secondi nessuno disse nulla: Giulia lo guardava stupita, e Caterina era pronta a scommettere che l’amica non avesse sentito la  sua minima mancanza in quegli anni.
Giovanni, d’altro canto, aveva la stessa aria di qualcuno giunto lì per puro caso, dopo essersi perso ed aver imboccato la strada sbagliata. Sembrava disorientato, forse colto impreparato per la presenza di Giulia.
-Scusate- farfugliò, spostando lo sguardo da Caterina a Giulia – Io ... Ero venuto per una visita veloce, ma non sapevo ci fosse già qualcuno-.
-Non preoccuparti- Caterina si sforzò di apparire tranquilla, mentre si muoveva appena sul letto per sistemarsi meglio – Giulia può aspettare un attimo fuori-.
Giulia sembrò colta di sorpresa, ma non replicò nulla, sebbene niente le impedì di guardare male Caterina per un attimo. Incrociò le braccia contro il petto, prima di dire, con cipiglio severo:
-E va bene, me ne vado a prendere un caffè al bar dell’ospedale. Contenti?-.
Caterina si lasciò sfuggire un piccolo sorriso divertito, osservando Giulia uscirsene con la stessa severità con la quale aveva parlato e con la quale aveva lanciato uno sguardo fulminante a Giovanni.
Dopo che se ne fu andata, Giovanni avanzò verso l’interno della stanza, con lo stesso fare esitante con cui si era presentato qualche minuto prima. Caterina aspettò, studiandolo e chiedendosi come dovesse sentirsi. Non appariva affatto tranquillo, e nemmeno agitato: gli occhi chiari erano venati più di preoccupazione, forse malinconia, ma non di nervosismo. Le ricordavano un po’ gli stessi occhi che tre anni prima aveva incrociato il giorno in cui si erano lasciati, l’ultima volta in cui avevano parlato prima di prendere due strade diverse.
Era un po’ come se la storia si fosse appena ripetuta, solo con mille sfumature diverse a renderla differente.
-Come stai?-.
Finalmente Giovanni sembrava aver preso coraggio per parlare, ma sembrò pentirsene subito dopo: si passò una mano sul viso con aria stanca ed imbarazzata, scuotendo appena il capo:
-Oddio, scusa. È una domanda così stupida-.
-Sta tranquillo- Caterina cercò di rassicurarlo, forse non risultando convincente quanto avrebbe desiderato o quanto si sarebbe aspettata – Diciamo che potrebbe andare meglio, ma sarebbe anche potuta andare molto peggio-.
Tacque, con il brutto presentimento che quello fosse più un incoraggiamento verso se stessa che verso Giovanni.
-Dovrai restare qui ancora molto?-.
-Dipenderà da come si evolverà la situazione prossimamente- riprese lei, dopo aver abbassato lo sguardo alcuni secondi – Mi devono visitare di nuovo stasera, e poi saprò con più precisione-.
Giovanni prese a mordersi il labbro inferiore, dondolandosi spostando il peso da un piede all’altro:
-Ma ... Il bambino ... -.
Non riuscì a finire la frase, ma Caterina intuì cosa avesse voluto chiederle. Cercò di sorridergli rassicurante, sforzandosi per risultare sincera:
-Non l’ho perso- mormorò, stringendosi nelle spalle – Ma sono preoccupata comunque. Ho un distacco della placenta, e anche se è lieve avrei preferito non averlo proprio. Sono spaventata-.
-Lo capisco- annuì Giovanni, spostando gli occhi verso un’altra direzione – Non sai quanto mi dispiace-.
A Caterina sembrò di essere ritornata al loro primo incontro casuale, quando entrambi erano troppo imbarazzati per riuscire a parlare liberamente e senza problemi. Anche in quel momento il silenzio che si andava creando non aveva nulla di piacevole, e Caterina si sforzò quanto mai di dire qualcosa per interromperlo:
-Non dovevi ripartire oggi?-.
-Ho l’aereo al Marco Polo tra qualche ora. Prima di partire volevo venire a vedere come stavi: ero in pensiero- spiegò Giovanni, facendo qualche passo per avvicinarsi ai piedi del letto.
-È gentile da parte tua-.
Lui esitò un po’, ed aprì bocca un paio di volte prima di riuscire a parlare:
-E Nicola? Gli hai raccontato come è andata?-.
Caterina si ritrovò ad annuire, osservando il volto dell’altro tendersi maggiormente.
-È agitato anche lui. Non se l’è presa con te, è l’intera situazione a mandarlo in crisi-.
Sperò che quella spiegazione aiutasse Giovanni a calmarsi un po’: immaginava come dovesse sentirsi comunque in colpa, e per quanto la situazione fosse già difficile, le dispiacque anche per lui.
Giovanni abbassò di nuovo il viso, le mani poggiate sul bordo del materasso come per sostenere il corpo; si schiarì la voce, più roca e bassa del solito:
-Non sai quanto mi dispiace-.
-Non è colpa tua. Non stavo benissimo nemmeno prima di uscire di casa . Sono io che non ho colto in tempo i segnali- Caterina abbassò la voce, il senso di colpa che la attanagliava che tornava a farsi sempre più vivo, a tormentarla ancora.
-Avrei dovuto fare più attenzione in ogni caso- Giovanni sospirò sconsolato, e non sembrava ancora essersi del tutto convinto di non c’entrare nulla in quella faccenda. Sbuffò nuovamente, prima di tornare ad osservare Caterina in silenzio.
Rimase così per alcuni secondi, prima che le sue labbra si curvassero in un leggero sorriso triste, come se stesse ricordando qualcosa di doloroso e bello allo stesso tempo.
-A quanto pare io e te dobbiamo sempre vivere una qualche nota dolente, quando ci troviamo insieme. Speravo non succedesse anche stavolta-.
Caterina si ritrovò impreparata di fronte ad un’affermazione simile. Le sembrava davvero di essere tornata all’ultima volta in cui si erano parlati tre anni prima, quando tutto sembrava perduto e quando i rimpianti superavano perfino tutti i lati positivi che potevano esserci tra loro.
Si sarebbe alzata volentieri dal letto, anche solo per lasciargli una carezza sul braccio o per stargli più vicino, ma non poté fare altro che rimanere ferma e stesa, cercando di sorridergli:
-Non essere troppo duro. È la vita: non possiamo sempre controllare ciò che ci succede-.
-Già- Giovanni sospirò di nuovo, poi si sollevò e dette un’occhiata all’orologio da polso, e Caterina capì, inevitabilmente, che stava arrivando il momento della separazione – Dovrei andare ora, si è fatto tardi-.
Sembrava ancora esitante, indeciso se dire qualcos’altro, e Caterina attese senza dire nulla che Giovanni si decidesse a parlare; si inumidì le labbra, prima di aggiungere:
-Nonostante tutto sono stato contento di rivederti, anche se poi ci sono stati gli esiti che conosciamo- le sorrise debolmente – Spero almeno si risolva tutto per il meglio. Lo spero sul serio-.
-Lo spero anche io- Caterina sorrise a sua volta, una punta di malinconia ravvisabile nella voce  – Buona fortuna, Giovanni -.
Osservò Giovanni sorriderle di rimando, con quell’aria un po’ ingenua e malinconica che lo aveva sempre caratterizzato ai suoi occhi. In quel momento le sembrò davvero di essere di fronte allo stesso Giovanni di tre anni prima, deluso ma consapevole di dover andare avanti.
Continuò a guardarlo mentre si avvicinava alla porta e, sulla soglia, si voltava un’ultima volta verso di lei, gli occhi azzurri più vividi di quando era entrato lì dentro poco prima:
-Quando il piccolo nascerà mandami un messaggio o chiamami. Anche se sarò distante molti chilometri, vi penserò e sarò contento per voi-.
Caterina si ritrovò ad annuire automaticamente, in una tacita promessa che, sperava, avrebbe mantenuto con tutto il cuore. Vide Giovanni andarsene, in quello che poteva essere l’ennesimo addio tra di loro.
L’ennesimo addio, fino al prossimo inaspettato incontro, tra le calli di Venezia.
 
We have changed but we're still the same
After all that we've been through
I know we're cool

I know we're cool*



 
*il copyright della canzone (Gwen Stefani - "Cool") appartiene unicamente alla cantante e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Con l'avanzare dell'estate possono sempre succedere molte cose ... Tipo rivedere il nostro Giovanni! Vi sareste aspettati di ritrovarlo? Che ne pensate di lui, rivisto dopo ben tre anni di completa assenza?
A metà capitolo c’è stato un momento d’ansia per Caterina e la sua gravidanza (abbiamo cercato di descrivere il problema nel modo più realistico possibile, ma non essendo dottoresse e non avendolo vissuto c'è sempre margine d'errore.... Nel qual caso ci scusiamo in anticipo e siamo aperte a suggerimenti), ma alla fine tutto è bene quel che finisce bene, almeno per ora.
Giulia, oltre al supporto all'amica, ha portato con sé una notizia bomba, notizia che voi lettori già conoscete. Sembra proprio che le nostre ragazze e i relativi fidanzati stiano crescendo... Non trovate?
Anche Giovanni, visto il diretto coinvolgimento con i recenti eventi, ha fatto visita all'amica prima di ripartire. Un gesto sicuramente gentile da parte sua. Secondo voi lo rivedremo ancora in tempi più o meno celeri?
Chi lo sa! Noi, invece, torneremo con un nuovo aggiornamento mercoledì 13 aprile!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 




 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Almost easy ***


CAPITOLO 18 - ALMOST EASY



 
Ora che era giunta la seconda metà di agosto, Giulia ancora si ritrovava ancora incapace di realizzare di aver detto almeno a Caterina della proposta di matrimonio.
Aveva di certo in programma di dirlo, prima o poi, ma tutto era avvenuto quasi per caso. Era arrivata ad un punto in cui non era più riuscita a tenerselo dentro, come fosse un segreto da non rivelare a nessuno ma troppo grande per poter essere ignorato, e la preoccupazione per Caterina le aveva dato il colpo di grazia.
Erano passati solo pochi giorni, comunque, da quando aveva iniziato ad indossare l’anello di fidanzamento. Filippo aveva ceduto a sua volta, e di lì a pochi giorni avevano deciso che avrebbero dato la notizia alle loro famiglie. In quei giorni, dopo che Caterina era finalmente stabile e non più nell’immediato pericolo di avere un aborto spontaneo, affrontare i loro genitori era la preoccupazione più grande per Giulia.
Si era ripromessa di cercare di distrarsi il meglio possibile fino al loro ritorno a Torre San Donato, e forse era anche per quel motivo che, per quel giovedì di metà agosto, aveva invitato Pietro ed Alessio a pranzo.
Certo, li aveva invitati anche per vedere come avrebbero reagito anche loro alla notizia del matrimonio, in un pranzo intimo tra amici stretti, ma il suo intento principale rimaneva quello di non pensare assolutamente a come sarebbe stato il weekend che l’attendeva pochi giorni dopo.
Era circa mezzogiorno quando Pietro era arrivato per primo, ed era passata almeno mezz’ora abbondante quando il campanello aveva suonato di nuovo.
Giulia si era diretta alla porta con il suo miglior sorriso perfido, già sul piede di guerra.
-Lo so, sono in ritardo, ma ho una spiegazione- non appena aperta la porta, Giulia si ritrovò davanti il viso arrossato e dalla barba incolta di Alessio, i capelli biondi che ormai arrivavano poco sopra le spalle.
-Sicuro che devi avere una spiegazione- replicò Giulia, con finto calore – Solo tu saresti potuto arrivare con mezz’ora di ritardo abitando nel palazzo di fianco-.
-Posso spiegare- continuò Alessio, ma non fece in tempo ad aggiungere altro: Giulia lo aveva appena afferrato per la maglietta, tirandolo verso l’interno dell’appartamento, e sbattendo subito dopo la porta d’ingresso alle sue spalle.
-Più tardi, se avrò voglia di ascoltare le tue mirabolanti avventure casalinghe- lo zittì lei, percorrendo velocemente il corridoio e arrivando nel salotto, dove attendevano Pietro, seduto mollemente sul divano, e Filippo, in piedi e con un’aria tutt’altro che rilassata.
Alessio andò di filato a sedersi a sua volta sul divano, dall’altro lato rispetto a dove si trovava Pietro. Di nuovo, in un fugace momento, Giulia aveva notato il saluto distaccato che Alessio gli aveva rivolto appena, come se volesse mantenere le distanze in ogni modo possibile. L’attimo dopo si ritrovò ad alzare le spalle: in quel momento aveva ben altri pensieri, che non riguardavano certo il loro strano rapporto.
-Ora che finalmente ci siamo tutti- iniziò a parlare Giulia, restandosene in piedi al centro della stanza e lanciando un’occhiataccia ad Alessio, nel pronunciare quelle ultime parole – Possiamo dirvi come mai vi abbiamo invitato a pranzo-.
-Dovevo intuire che ci fosse il doppio fine. Sarebbe stato strano il contrario- esclamò sarcastico Pietro, che venne zittito subito da un’ulteriore sguardo truce di Giulia.
-Nessun doppio fine, invece. Dobbiamo solo dirvi una cosa-.
Giulia si godette quell’attimo di suspense. Pietro ed Alessio le stavano rivolgendo un’occhiata incuriosita e dubbiosa – probabilmente stavano pensando a tutte le cose positive e non che potevano riguardare quell’annuncio tanto ufficiale-, senza però azzardare a domandare nulla.
Forse era meglio così: Giulia dubitava ancora di riuscire a dire ad alta voce che di lì ad un anno sarebbe stata una donna sposata.
-Volete qualcosa da bere?- Filippo cercò di cambiare discorso con tutta la nonchalance possibile, ma risultando inevitabilmente forzato.
-Forse dopo pranzo- rispose Pietro, facendo schioccare la bocca – Sempre se non morirò avvelenato, s’intende-.
Giulia gli fece una linguaccia in tutta risposta, guardandolo malamente.
-Anche io sono a posto- borbottò Alessio, spostando lo sguardo perplesso da Giulia a Pietro.
-Fossi in voi mi procurerei un po’ di alcool in anticipo. Potrebbe farvi comodo-.
Giulia aveva parlato con noncuranza, andando a sedersi su una delle poltrone, e guardando gli altri due con divertita malizia.
-Dovete dirci una cosa talmente scioccante che dovremo affogare nell’alcool per superarla?- domandò Alessio, scettico. Giulia fu tentata di rispondere affermativamente, ma si costrinse a tacere quando si rese conto che, partire già in quel modo, forse non sarebbe stata l’idea migliore.
-Che diavolo dovete annunciarci in pompa magna? Che avete deciso di trasferirvi in Australia? Che vi lasciate?- intervenne Pietro, allargando le braccia e spostando lo sguardo da Giulia a Filippo in attesa di una qualche spiegazione – Ammetto che sarebbe davvero uno shock per tutto il mondo, ma credo che potremmo anche farcene una ragione-.
Filippo si guadò intorno esitante, come a sperare che qualcun altro potesse parlare al posto suo:
-In realtà non è nulla del genere. Anzi, tutt’altro-.
Pietro alzò un sopracciglio, mentre Alessio aggrottò la fronte, forse ancor più confuso di prima. Giulia, dalla sua poltrona occupata, se ne rimase in silenzio per alcuni secondi, alquanto indecisa su come introdurre l’argomento. Forse non era ancora pronta a dirlo a tutti, o forse non c’erano molti altri modi indolori se non quello di dire direttamente di cosa si trattava.
-Ci sposiamo. Il prossimo anno-.
Aveva parlato talmente velocemente che temeva di essere risultata incomprensibile. Aveva abbandonato la baldanza di poco prima per lasciare spazio ad una nota di insicurezza che doveva notarsi molto, dalla voce e dal volto teso.
Anche Filippo era piuttosto pallido, e Giulia preferì distogliere subito lo sguardo, puntandolo invece su Pietro ed Alessio, che sembravano a metà tra lo sbalordito e l’incredulo.
-Ok, dov’è la mia bottiglia di vodka? Mi serve qualcosa di forte per capire bene cosa hai appena detto- il primo a parlare fu proprio Pietro, prorompendo in una risata tirata e nervosa, scuotendo la testa.
-Non è uno scherzo, Pietro, ci sposiamo sul serio! Giulia, mostra l’anello- Filippo sembrava aver recuperato la voce, a tratti offeso dal non essere stato preso sul serio dall’amico.
D’altro canto, Pietro sembrò ricredersi nel momento in cui si ritrovò davanti agli occhi l’anulare di Giulia, adornato dall’anello che le aveva donato Filippo due mesi prima.
Alessio lo guardò a sua volta, sconcertato:
-Pure l’anello? Fate le cose in grande, voi due-.
Pietro si ritrovò a scuotere la testa, ancor più incredulo:
-Mi correggo: datemi le mie bottiglie di vodka, come minimo me ne serviranno tre per realizzare il tutto-.
-Come sei simpatico- lo rimbrottò Giulia, lanciandogli un’occhiataccia.
-Ma quindi davvero volete compiere questo suicidio di coppia?- insistette Alessio, che a quanto pareva doveva ancora nutrire dei dubbi sulla veridicità del tutto. Giulia si ritrovò a non biasimarlo, tra sé e sé: forse, al posto suo, anche lei si sarebbe ritrovata talmente incredula da prendere tutto per uno scherzo ben pensato.
Filippo lo guardò rassegnato, come se non si fosse aspettato proprio quella reazione dall’amico.
-Sarebbe bastato un “Congratulazioni, sono contento per voi!”- cercò di ironizzare Giulia, sospirando profondamente. Osservò Filippo andare a sedersi velocemente sull’altra poltrona rimasta libera, prendendosi il volto tra le mani con aria preoccupata:
-Davvero non sembriamo nemmeno seri nel darvi questa notizia? Non è uno stupido scherzo, è ... – sospirò con aria a tratti disperata – È la realtà, pura e semplice-.
Giulia si morse il labbro, una punta di preoccupazione che si faceva strada in lei: capiva quello che voleva dire Filippo, lo capiva anche troppo bene. Forse anche i loro genitori non li avrebbero presi sul serio. Se Pietro ed Alessio avevano reagito a quel modo, cosa si sarebbero potuti aspettare dalle loro famiglie? A tratti sperava di non scoprirlo nemmeno.
-A parte gli scherzi, non sono la persona più indicata per parlare bene dei matrimoni- Alessio aveva preso la parola, evitando che la stanza cadesse in un silenzio colmo d’imbarazzo – Ma se va bene a voi ... Insomma, auguri ad entrambi-.
Aveva cercato di sorridere incoraggiante – forse tirando un po’ troppo il sorriso, e risultando così ugualmente artificiale-, e Giulia stava perlomeno apprezzando lo sforzo per non farli sentire completamente inadatti.
-Ad essere sinceri, mi sarei aspettato una proposta già tempo fa. D’altro canto stiamo parlando di voi due piccioncini- anche Pietro sembrava aver capito l’antifona: aveva lasciato perdere il tono sorpreso di poco prima, cercando di buttarla sul ridere e risultare sarcastico. Quel cambio di rotta sembrò tranquillizzare in parte perfino Filippo: aveva rialzato il capo, ed aveva accennato un leggero sorriso teso verso gli altri due.
-Avremmo dovuto sposarci subito dopo il liceo, quindi?- domandò Giulia, con noncuranza.
Pietro le lanciò un ghigno astuto, piuttosto divertito:
-Non prendere troppo letteralmente quel che ti dico. Ma in ogni caso Filippo ce ne ha messo di tempo per decidersi. Forse temeva che tu gli tirassi pacco-.
-Era quello il mio terrore, infatti- Filippo rise piano, non fermandosi nemmeno di fronte all’occhiata minacciosa che Giulia gli aveva appena rivolto.
-Ma fammi capire- di nuovo fu Alessio a parlare, con aria interrogativa e rivolto solo a Giulia – Oltre a noi non lo sa nessun altro? Nemmeno Caterina?-.
-Non essere sciocco, Raggio di sole, lei è stata la prima a saperlo. Più di una settimana fa-.
-Mi pareva strano facessi un annuncio simile senza di lei, o senza prima averglielo detto- Alessio allargò le braccia con fare ovvio, ricevendo in risposta una risata divertita di Giulia.
Pietro accavallò le gambe, assumendo un’espressione dubbiosa e spostando gli occhi scuri da Giulia a Filippo, come se qualcosa gli ronzasse in testa già da un po’, ma senza il coraggio di domandare nulla fino a quel momento:
-E i vostri genitori come hanno reagito? Hanno lanciato coriandoli in aria e suonato le campane a festa, o hanno già deciso di indire il lutto famigliare?-.
Giulia si scambiò uno sguardo pieno di panico con Filippo: quella era esattamente la domanda che si stavano ponendo entrambi giorno e notte, da quando avevano deciso di uscire allo scoperto di lì a pochi giorni.
Nessuno disse nulla, e Pietro sembrò afferrare la risposta basandosi solo sulle espressioni disperate dei due: -Oh. Temo di aver toccato il tasto sbagliato- annuì con il capo, fin troppo sicuro di averci visto giusto.
Alessio spalancò gli occhi, e Giulia era sicura che, se in quel momento avesse avuto una bevanda da sorseggiare, l’avrebbe sputata fuori all’istante per il troppo stupore.
-Non lo sanno ancora? Ma sono le vostre famiglie!- esclamò, gli occhi azzurri sgranati.
-Diciamo che abbiamo voluto dirlo prima a voi per ... Come dire ... Esercitarci nel dare la notizia? Ecco, diciamo così- Giulia si era resa conto di non essere stata per niente convincente – anche se, in un certo senso, quella era una parte della verità-, e non si sorprese molto nel rendersi conto che Filippo era ripiombato nella stessa ansia di prima.
Pietro li guardava di nuovo con scetticismo, e Giulia, in un flash di un secondo, s’immaginò come quello stesso sguardo sarebbe stato rivolto loro anche dalle loro famiglie.
-Ascoltate il mio consiglio: fatevi coraggio, affinate la vostra tecnica, e siate convinti- parlò Pietro, spostando lo sguardo da Giulia a Filippo – O se la prendono male vi massacreranno nel giro di un secondo. E in tutta sincerità, non vi invidierò per niente-.
Aveva ragione, Giulia lo sapeva. Aveva ragione, e temeva profondamente che sarebbe andata esattamente così, come l’aveva descritta Pietro.
Non sarebbe stato per nulla semplice.
 
*
 
-C’era da aspettarselo, no?-.
Erano state le prime parole pronunciate da Pietro appena erano usciti dall’appartamento di Giulia e Filippo. Adesso era pomeriggio inoltrato, e Alessio si sentiva insonnolito e spossato come era tipico dopo un pranzo piuttosto ricco. Faceva caldo, e il sole entrava prepotentemente dalle finestre del piccolo corridoio su cui si affacciavano un altro appartamento e le scale. Lui e Pietro si diressero in quella direzione, camminando lentamente.
-Voglio dire … - Pietro si schiarì la voce, esitante – Tra tutti noi Giulia e Filippo erano quelli più probabili nello sposarsi per primi-.
-Sì, era probabile- replicò Alessio, indifferente.
Quando Giulia lo aveva invitato lì quel giorno per pranzo non aveva davvero pensato ad una notizia del genere. Non aveva pensato a nulla in particolare, ma ora si rendeva conto di essere stato cieco ed ingenuo: era evidente che sia lei che Filippo fossero un po’ cambiati negli ultimi mesi. Non certo caratterialmente, ma nel modo di approcciarsi l’uno all’altra: erano più felici, più complici, come se stessero vivendo il loro miglior momento. Ora aveva tutto più senso, anche se Alessio non poteva fare a meno di continuare a storcere il naso anche solo a sentire la parola matrimonio.
-Non sembri molto entusiasta-.
Pietro si voltò verso di lui, mentre si accingevano a scendere le scale.
-Almeno con loro potevi sforzarti di sembrarlo-.
Non sembrava lo stesse rimproverando, ma Alessio provò comunque una leggera stizza.
-E fare la parte del falso?- lo rimbrottò – Lo sanno già come la penso. Non credo si aspettassero chissà che reazione-.
Alessio si strinse nelle spalle. Effettivamente si sentiva ancora un po’ in colpa per come aveva reagito alla notizia data da Giulia e Filippo, ma d’altra parte che impressione avrebbe dato nel fingere di scoppiare di gioia? Non sarebbe stato credibile neanche per un secondo.
-Sì, credo che sappiamo tutti che tu sei quello meno papabile per il matrimonio- mormorò Pietro, continuando a scendere lentamente le scale al suo fianco.
In quel momento Alessio provò molto più disagio nell’essere solo con lui che non nei primi tempi dopo quella cosa – qualsiasi cosa fosse- accaduta la sera del suo compleanno. C’era stato qualcosa alla festa di laurea di Giulia ad aver cambiato l’atmosfera tra di loro, ma nemmeno lui ricordava cosa. Sapeva solo che da quel giorno Pietro gli appariva molto più distaccato e in imbarazzo quando era in sua compagnia, e di conseguenza Alessio aveva preso a sentirsi allo stesso modo.
Immaginava che, come era iniziata, sarebbe anche finita, prima o poi.
-È una scelta legittima. Non credo nel matrimonio, quindi non mi sposo- disse, con voce ferma – Non mi sposerò mai, punto e basta-.
Pietro alzò le spalle:
-Sì, è del tutto legittimo-.
Passarono alcuni secondi di silenzio prima che Pietro gli rivolgesse un’occhiata di sottecchi, e come a percepirne l’esitazione Alessio si voltò verso di lui, trovandolo rosso in viso.
-Però, ecco … - Pietro si passò la lingua sulle labbra – C’è sempre tempo per cambiare idea, eventualmente-.
-E cosa dovrebbe farmi cambiare idea?- chiese Alessio, scettico.
“Di certo non Alice, e di certo nessun altro”.
Stavolta Pietro si arrischiò a guardarlo dritto in faccia:
-Magari incontrare la persona giusta-.
Alessio si ritrovò a sbuffare più sonoramente – e più sfrontatamente- di quel che avrebbe voluto, ma non cercò di cancellare il sorriso amaro che gli si era appena disegnato sulle labbra.
-Quindi immagino che tu Giada te la sposerai un giorno- commentò, acido – Visto che la consideri la persona giusta per te-.
Con sua somma soddisfazione Pietro non rispose. Si limitò a lanciargli uno sguardo perplesso, e poi abbassare gli occhi sugli ultimi scalini che rimanevano prima di arrivare al pianterreno.
 
*
 
La mattina del 19 agosto era probabilmente la più calda che ci fosse stata fino a quel punto dell’estate. O forse era solo la sensazione di agitazione che elettrizzava Giulia a farla sudare come non mai, appiccicandole i capelli sul collo e facendole maledire mentalmente quella temperatura troppo alta da sopportare.
Casa Barbieri non era cambiata molto nel corso degli anni: erano stati cambiati alcuni mobili, aggiunti oggetti sulle mensole del salotto, ma manteneva la stessa impressione accogliente che Giulia provava sempre ogni volta che ci metteva piede. Era forse diventata più silenziosa, dopo che Fabio e Filippo avevano preso strade diverse, lontane da quella casa, rimasta alle cure di Simone e Mirta.
Erano proprio le facce di questi ultimi che Giulia faticava di più a guardare: ogni volta che le rivolgevano la parola, con un sorriso affettuoso stampato in viso, non poteva fare a meno di chiedersi se avrebbero continuato a sorridere anche dopo aver saputo del matrimonio.
Con loro, comunque, sapeva non sarebbe stata la parte peggiore: cercava di non pensare alla faccia che avrebbe fatto sua madre alla stessa notizia che avrebbe dato ai Barbieri a quello stesso pranzo.
Si sforzò di non coprirsi il viso con le mani, in un gesto istintivo di pura disperazione.
Non ricordava quando era stato l’ultimo pranzo in quella casa. Quell’anno Simone aveva voluto festeggiare il suo compleanno con la famiglia al completo, approfittando della fortuna che quello stesso giorno fosse proprio di sabato, e non un qualsiasi giorno lavorativo durante la settimana.
Seduta al tavolo della sala da pranzo, Giulia cercava di guardarsi in giro il meno possibile. Non voleva dare l’impressione di essere agitata – anche se lo era, forse anche troppo-, per non attirare domande a cui non avrebbe saputo rispondere con la convinzione sufficiente a non destare sospetti. A tratti stentava perfino a girarsi verso Filippo, seduto accanto a lei, che cercava invece di apparire il più naturale possibile, ma ridendo e parlando molto più del solito per l’ansia.
Simone e Mirta sembravano, almeno fino a quel momento, comunque più concentrati verso Fabio e la sua ragazza. Giulia non ricordava nemmeno quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva incrociato Aurora in quella casa: la vedeva raramente alle poche cene di famiglia che i Barbieri organizzavano, e trovarla lì, a quel pranzo di compleanno, la meravigliava non poco. Le aveva dato sempre l’impressione di essere fin troppo schiva, ma quel giorno era più sorridente e sciolta di tutte le altre volte in cui l’aveva incontrata. Si respirava davvero un’aria diversa dal solito, in quella casa.
-Sono contento che sia potuta venire anche tu, Giulia- Simone, a capotavola, aveva evidentemente finito di chiacchierare con Aurora e Fabio, e Giulia si era ritrovata costretta ad uscire dal nervoso torpore nella quale era caduta da diversi minuti – Almeno potremo festeggiare anche la tua laurea, seppur in ritardo. Ci è dispiaciuto non esserci, quel giorno-.
-Non fa niente, davvero- bofonchiò lei, schiarendosi la gola e cercando di minimizzare.
-Fabio ci ha raccontato che è stata una bella festa- aggiunse Mirta, sedendosi tra Simone e Fabio, dopo aver servito a tutti la prima portata.
-Immagino lo sia stata- Giulia cercò di non sembrare troppo sfuggente con lo sguardo, ricambiando il sorriso che Mirta le rivolgeva – Io ho i ricordi un po’ annebbiati, ma mi fido di quel che vi ha detto lui-.
-I tuoi amici ti hanno fatta ben ubriacare, quel giorno. E il tuo fidanzato non gliel’ha nemmeno impedito- Fabio rivolse un sorriso astuto al fratello, che ricambiò la frecciatina con un’occhiata torva e per niente divertita:
-Nemmeno lei ha impedito che facessero ubriacare me, l’anno passato-.
Giulia rise a quel ricordo. Effettivamente, paragonata alla sua festa di laurea, quella di Filippo era stata molto più pesante: Nicola, Pietro ed Alessio non avevano lasciato nulla al caso, e il risultato era stato un Filippo alquanto alticcio, e sul punto di vomitare tutto l’alcol ingerito prima ancora di iniziare il rinfresco.
Quelle battute, in ogni caso, ebbero l’effetto benefico di tranquillizzarla almeno in parte. Non aveva idea di quando Filippo avrebbe introdotto l’argomento matrimonio – e se era per quello, non sapeva nemmeno come avrebbe potuto farlo in maniera delicata. Sapeva solo che ad un certo punto sarebbe successo, ed a quel punto ogni grammo di tranquillità rimastale in corpo sarebbe evaporato del tutto.
Cercò di mantenere la calma, comunque, per tutto il resto del pranzo. Parlò meno spesso del solito, limitandosi ad ascoltare i discorsi che spesso venivano intavolati da Simone o Mirta con Fabio ed Aurora; nemmeno Filippo sembrava più in vena di conversazione, e Giulia si chiese quando qualcuno si sarebbe accorto di quella loro stranezza.
Fu poco prima che Mirta si alzasse per andare a prendere il dolce, che a Giulia parve di notare un cambiamento visibile in Filippo: sembrava più pallido e teso, e anche se poteva essere solo una sua impressione, ebbe la netta sensazione che il momento tanto atteso stesse per arrivare sul serio.
-Comunque- Filippo si schiarì la voce, giusto poco prima che sua madre si alzasse dalla propria sedia – Vorrei approfittare del fatto che siamo qui tutti insieme per dire una cosa-.
Tutti gli occhi dei presenti erano fissi su di lui, e Giulia immaginò come doveva sentirsi Filippo in quel momento: aveva il cuore che batteva all’impazzata lei stessa, e lo stesso doveva valere anche per lui.
Filippo stava per parlare di nuovo, ma Fabio prese inaspettatamente la parola prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa:
-Sì, anch’io dovrei dire una cosa. Una cosa molto importante-.
-Davvero? Cosa dovete dirci?- Mirta guardò sorpresa entrambi i suoi figli, tra il divertito e l’accigliato.
Osservando i visi emozionati e arrossiti di Fabio ed Aurora, Giulia ebbe la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad una situazione totalmente imprevista.
-Beh ... – Filippo aveva di nuovo iniziato a parlare, ma dovette bloccarsi subito, con Aurora che aveva iniziato a dire qualcosa a sua volta, non curandosi di lui:
-In realtà è una cosa che riguarda sia me che Fabio. Insomma ... Ecco ... -.
Le sfuggì un risolino agitato, mentre si scambiava un’occhiata complice con Fabio. Lui si voltò verso Mirta e Simone, ancor più rosso in viso, prima di esclamare con un sorriso enorme in viso:
-Ci sposiamo!-.
-Ma non è possibile!- Filippo si era lasciato sfuggire quella frase con aria stordita, come se non volesse assolutamente credere a ciò che aveva appena sentito. Giulia lo guardò, e non seppe se scoppiare a ridere per la piega che aveva preso la situazione e per la faccia incredula di Filippo, o se piangere a dirotto per la disperazione che cominciava ad avvertire.
Sapeva solo che avrebbe solo voluto sotterrarsi in quello stesso momento.
-Oh ragazzi, sono così contenta per voi!- Mirta aveva applaudito, visibilmente commossa, prima di alzarsi ed andare a baciare le guance di Fabio ed Aurora, sotto lo sguardo attonito di Giulia e Filippo.
-Congratulazioni, ragazzi- anche Simone sembrava essere piuttosto compiaciuto e sorpreso – Quando pensate di sposarvi? Avete già una data?-.
-Il prossimo anno- Fabio sembrava ancora preso dall’entusiasmo dell’annuncio, e mentre parlava la sua voce sembrava meno ferma del solito – Dobbiamo ancora decidere il mese, ma quel che è certo è che il prossimo anno sarete tutti invitati ad un matrimonio-.
-Due, per la precisione-.
Giulia non si era resa conto di aver detto davvero ad alta voce quella frase fino a quando tutti si erano girati verso di lei, guardandola incuriositi come se non avessero capito bene cosa volesse dire. Solo Filippo, più che stranito, sembrava preso letteralmente dal panico.
Si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo tra tutti i presenti, in cerca di qualcosa di intelligente da dire per giustificare quelle parole. Non le venne in mente nulla, e sentì crescere l’imbarazzo sempre di più.
-Cosa?- mormorò piccata Aurora, spostando gli occhi da Filippo a Giulia, in attesa di una risposta.
-Niente, niente. Non voleva dire niente- Filippo tagliò corto, con tono che non sembrava ammettere alcuna replica. Lanciò uno sguardo laconico a Giulia, che in quel momento avrebbe solamente voluto alzarsi e scappare il più veloce possibile via di lì.
-C’è qualcosa che dovete dirci? Filippo, di cosa dovevi parlarci prima?- la voce di Mirta era meno calorosa di prima, più sospettosa.
Calò il silenzio, interrotto solamente dal respiro profondo che prese Filippo dopo quella domanda. Giulia avrebbe voluto allungare una mano e posarla sulla sua spalla, ma si costrinse a rimanere immobile: lo vedeva concentrato ed insicuro allo stesso tempo, forse cercando di trovare il modo meno duro per dire la verità.
-Dovevo parlarvi della stessa cosa di Fabio-.
Giulia si sentì d’un tratto il viso in fiamme, mentre Fabio, Aurora, Mirta e Simone sembravano ancor più confusi di prima.
-Ci sposiamo. Anche io e Giulia ci sposiamo. Il prossimo anno-.
A quelle parole rimbombate nella stanza, Giulia ebbe la stessa impressione di assistere allo sgancio di una bomba ad orologeria: aspettava solo il momento in cui tutti avrebbero realizzato ciò che Filippo aveva appena pronunciato per scoprire il putiferio che si sarebbe generato.
-È uno scherzo?-.
Il primo a parlare, seppure a bassa voce, fu Simone. Sembrava speranzoso nel ricevere una conferma di aver capito male, ma Filippo sembrava essere ancor più infastidito da quella domanda: lo guardò come se si fosse sentito preso non sul serio, e risentito replicò:
-Per niente. L’abbiamo deciso due mesi fa, e ne siamo pienamente convinti. Il prossimo anno ci saranno due matrimoni, non uno-.
Di nuovo nessuno disse niente. In tutt’altra situazione Giulia sarebbe scoppiata a ridere di fronte alle facce buffe e sconvolte di tutti i presenti, ma in quel momento non azzardò nemmeno a dire mezza parola. Osservò solo Simone passare dall’essere paonazzo a diventare pallido come non mai, mentre cercava di aggiustarsi il colletto della camicia.
Lo vide cercare di dire qualcosa, senza però riuscirsi. Non fece in tempo a chiedergli se si sentisse bene, che lo vide abbassare le palpebre e perdere i sensi, il corpo molle e svenuto sulla sedia, mentre sia Fabio, che Mirta e Filippo si alzavano in tutta fretta urlando e cercando di farlo riprendere.
In un veloce e fugace secondo, prima di precipitarsi a chiamare un’ambulanza, Giulia non poté fare a meno di pensare che, se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stato tutto troppo facile.
Davvero troppo facile.
 
*
 
Passeggiava avanti e indietro in quel corridoio semideserto del secondo piano, nell’ospedale dove l’ambulanza aveva portato Simone. Non era agitata allo stesso modo di quando era corsa in ospedale dopo l’incidente di Caterina: era un’agitazione diversa, quella che affligge le persone che non sanno che spiegazione dare riguardo al fatto di trovarsi in un determinato posto.
Certo, ai suoi genitori poteva certo dire che aveva dovuto trattenersi lì per quel piccolo mancamento di Simone, ma spiegare cosa lo aveva provocato ... Quello era il vero problema.
Ormai era pomeriggio inoltrato, e gli esami che avevano fatto a Simone non avevano riscontrato nulla di preoccupante: doveva essere stato solo un calo di pressione improvviso, nulla di più. Aspettavano solo si riprendesse del tutto per rimandarlo a casa.
Giulia non si era resa conto di che ore fossero fino a quando non aveva sentito il proprio telefono squillare, rendendosi conto che sua madre la stava cercando. Si era ricordata che sarebbe dovuta essere rientrata a casa già da tempo solo in quell’attimo di puro panico, quando aveva risposto alla telefonata ed aveva spiegato la situazione ad una alquanto irata Anita.
In quel momento, mentre percorreva a grandi passi quel corridoio, aspettava solo il momento in cui avrebbe visto i suoi genitori sbucare dal corridoio adiacente, dove si trovavano alcuni ascensori. Avevano insistito per venire in ospedale a loro volta per accertarsi delle condizioni di Simone, e per riportarla a casa una volta conclusa l’ultima visita.
Sarebbero arrivati in pochi momenti, e Giulia si sentiva spaventata come non mai, lì da sola ad attendere. Filippo – così come il resto della sua famiglia-, era ancora nella stanza dove era stato ricoverato Simone, e dubitava sarebbe uscito in tempo per l’arrivo dei suoi genitori.
Attese solo qualche altro minuto prima di sentire risuonare all’altro capo del corridoio dei passi affrettati, passi che conosceva e che avrebbe riconosciuto anche in mezzo ad una folla immensa.
Si girò, e vide i suoi genitori avanzare verso di lei, con delle espressioni a metà tra l’arrabbiato e il preoccupato. A Giulia non rimase che rimanere ferma immobile, cercando di costringersi a non voltarsi e scappare via.
-Si può sapere che è successo?- Anita non le lasciò nemmeno il tempo di salutarli, camminando velocemente fino ad arrivare di fronte a Giulia:
-Il padre di Filippo è svenuto, mentre eravamo a pranzo- spiegò, cercando di apparire calma – Ora sta bene, si sta riprendendo. Hanno fatto degli accertamenti, ma sembra essere stato solo un calo di pressione-.
Giulia osservò suo padre annuire, e sua madre rilassarsi almeno un po’, alzando le spalle.
-Il caldo fa brutti scherzi-.
-Non è solo il caldo-.
Di nuovo Giulia si morse il labbro inferiore, nervosamente. Aveva parlato nuovamente senza prima pensare, troppo istintivamente e troppo tardi per correggersi. Vide sua madre guardarla con curiosità, ed a quel punto a Giulia non rimase altro che prendere un sospiro profondo e proseguire:
-È stata anche la sorpresa per una cosa. Una cosa che riguarda me e Filippo-.
-Che stai dicendo? Mi devo preoccupare?- Anita la guardò sospettosa, ed anche se non lo aveva detto apertamente, Giulia sapeva che già doveva aver immaginato tutte le cose peggiori che potessero capitare.
Sapeva che non avrebbe potuto girarci introno troppo a lungo, e che ormai, per quanto non avrebbe mai voluto dirlo a quel modo ed in quel frangente, non poteva sottrarsi dal dire la verità.
In quel momento avrebbe voluto avere Filippo accanto a sé, almeno per condividere la paura per una reazione negativa con lui, ma doveva farcela da sola. Gli occhi di Anita la intimorivano, ma non poteva scappare. Non sarebbe stato facile, ma non aveva nemmeno altre scelte.
-Filippo mi ha chiesto di sposarlo, io ho detto di sì. A pranzo avevamo dato l’annuncio del matrimonio- disse con cautela – Cosa che avrei fatto anche stasera, con voi. Solo che le cose sono andate in maniera leggermente diversa-.
Vide Anita sbiancare e rimanere in silenzio, gli occhi sgranati che continuavano a tenerla osservata. Forse non credeva nemmeno alle sue orecchie, o forse sperava che fosse solo uno scherzo.
-Sei incinta?- Carlo intervenne inaspettatamente, e Giulia dovette sforzarsi per non strozzarsi con la sua stessa saliva.
-No, ovvio che no! Mi sposo perché lo voglio, non per altro-.
Entrambi i suoi genitori le restituirono uno sguardo sbigottito, a tratti incredulo. Cominciava a pensare che non avessero davvero creduto ad una singola parola, fino a quando Anita non chiuse gli occhi per un attimo e portandosi una mano alla fronte.
-Oddio, devo sedermi- borbottò, appena udibile. Si fece accompagnare da Giulia ed Carlo fino alla prima sedia libera, qualche metro più in là, e ci si lasciò cadere.
Giulia rimase indecisa fino all’ultimo se rimanere in piedi o sedersi a sua volta; alla fine, con molta prudenza, occupò a sua volta la sedia di fianco a quella di sua madre, tenendo gli occhi puntati altrove. Si sentì ancor più nel panico quando Carlo borbottò qualcosa circa l’andare a prendere un bicchiere d’acqua per Anita, allontanandosi subito dopo.
Ritrovarsi da sola con sua madre non rientrava nei programmi, né tanto meno nei suoi desideri attuali.
-Ma siete sicuri di volerlo fare? Il matrimonio non è una sciocchezza da improvvisare-.
La voce roca di Anita la costrinse a girarsi verso di lei, incontrando la sua espressione perplessa dipinta in viso.
-Lo so-.
-E siete così giovani!- esclamò di nuovo Anita, scuotendo il capo. Sembrava davvero sconvolta, talmente tanto da non riuscire a trovare obiezioni davvero importanti.
-Mamma, tu ti sei sposata a diciannove anni, non puoi dire così proprio tu- replicò Giulia, trattenendo una risata nervosa all’occhiata in tralice che Anita le restituì:
-Proprio perché mi sono sposata così presto so cosa vuol dire- prese un sospiro profondo, girandosi del tutto verso la figlia – Ci hai riflettuto bene?-.
Stavolta fu il turno di Giulia di sospirare rumorosamente. Si sentiva in imbarazzo, in quel momento, e non le risultava per niente facile parlare di quell’argomento sotto lo sguardo attento di sua madre.
-Sì. Stiamo insieme da quando eravamo due ragazzini, viviamo insieme, lavoriamo, tra poco finiremo l’università- si interruppe, mordendosi il labbro inferiore e abbandonando qualsiasi cautela – Ok, sembra una pazzia, ma è una cosa che voglio sul serio. Voglio una famiglia con Filippo-.
Dirlo ad alta voce faceva un effetto infinitamente diverso dal pensarlo e basta. Studiò l’espressione del viso di Anita, cercando di cogliere qualche segno per capire cosa le stesse passando per la testa: sembrava profondamente crucciata, preoccupata ed ancora incredula. Non la biasimava.
Giulia continuò a mordersi il labbro ininterrottamente: e se la sua famiglia e quella di Filippo si fossero opposte al matrimonio? Forse avrebbero cercato di convincerli a lasciar perdere, a far cambiare loro idea ... Forse credevano che un matrimonio a quell’età si sarebbe risolto solo in un divorzio prima dei trent’anni.
A quella prospettiva Giulia preferiva non pensarci proprio.
-La mia figlia più giovane sta davvero mettendo la testa a posto-.
Anita aveva ripreso a parlare, forse più tra sé e sé che con Giulia. Si voltò verso sua figlia, che la guardava come se non credesse nemmeno di aver sentito davvero quelle parole.
-Non fare quella faccia. Non dico che non mi servirà del tempo per metabolizzare il tutto, ma non credo nemmeno sia una brutta notizia- Anita accennò ad un sorriso, addolcendo la voce, e quello fu il segno più chiaro che, in fin dei conti, stava andando tutto bene – Vado dal mio futuro suocero, ora. Gli dirò che capisco benissimo come mai abbia avuto un mancamento-.
Giulia rise, e rise anche Anita, mentre si alzava piano dalla sedia per avviarsi lungo il corridoio. Giulia aspettò qualche secondo, prima di alzarsi a sua volta, per seguirla.
Sentiva il proprio cuore tornare lentamente a battere meno forsennatamente, il peso al petto che si faceva meno fastidioso e soffocante. In fondo, era stato molto più semplice di quel che si sarebbe aspettata, quasi facile.
Si alzò, il sorriso ancora stampato sulle labbra e l’animo finalmente più leggero.
 

 
 
 
 
 
NOTE DELLE AUTRICI
Capitolo nuovo, e avventure nuove! Anche se le avventure in questione riguardano il fatto che Giulia e Filippo, ormai stanchi di tenere segreto il matrimonio in programma, hanno finalmente deciso di annunciarlo in pompa magna ... Ma prima facendo qualche prova, in questo caso usando come cavie Pietro e Alessio (tra cui c'è una certa tensione irrisolta piuttosto lampante. L'avete percepita anche voi? 👀)
Di certo da questo possiamo concludere che Giulia e Filippo non vanno molto d’accordo con i pranzi in cui si devono dare notizie, visto che la conclusione di questo capitolo potrebbe essere definita come tragicomica 😂 la notizia del futuro matrimonio di Giulia e Filippo ha di certo avuto effetti visibili, soprattutto su Barbieri senior, che è finito letteralmente all'ospedale.
Ma tutto è bene quel che finisce bene, e se da una parte Simone se la caverà con nulla di grave, anche Giulia riesce a dare la notizia ai suoi stessi genitori. E in fin dei conti, questa seconda volta, è andata decisamente meglio della prima!
Cosa succederà nel prossimo capitolo, tenendo conto che sarà la vigilia del capitolo 20, che di certo non sará un capitolo tranquillo?👀
Inizieremo a scoprirlo mercoledì 27 aprile!
Intanto vi vogliamo augurare buona Pasqua, e ci rivediamo al prossimo appuntamento 😊
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Making today a perfect day ***


CAPITOLO 19 - MAKING TODAY A PERFECT DAY



 
Le giornate si erano fatte più corte, con l’oscurità che giungeva sempre prima all’inoltrarsi dell’autunno.
Quella mattina di settembre era stata salutata da una leggera pioggia – quel mese  era arrivato accompagnato dagli ultimi strascichi di caldo estivo, da giornate piovose e da un’insolita tranquillità a cui Caterina si stava pian piano riabituando. La pioggia aveva continuato a scendere per diverse ore, senza mai aumentare e sfociare in un temporale.
Pioveva anche in quel momento di metà pomeriggio, mentre Caterina se ne stava mollemente stesa sul divano del salotto, ascoltando le gocce battere contro i vetri delle finestre e controllando ogni tanto l’ora sul display del telefono. Erano le quattro del pomeriggio, e di lì a poco sarebbe tornato sicuramente Nicola, di rientro dal turno al ristorante.
Agosto era passato piuttosto lentamente, con un’agitazione di fondo che non l’aveva fatta stare tranquilla per lungo tempo. Ora che erano passati quasi due mesi poteva finalmente dirsi più rilassata: con tanto riposo e giornate passate immobile a letto, il distacco della placenta sembrava essersi riassorbito. La minaccia d’aborto sembrava quasi un lontano ricordo, un’ombra ormai passata, che però ancora le lasciava strascichi d’inquietudine.
Era passato già diverso tempo da quando era potuta tornare a casa, dimessa dall’ospedale con l’obbligo di rimanere a riposo e non fare sforzi inutili, ed in un certo senso, ormai, poteva dirsi abituata a quel nuovo corso che la sua vita aveva preso. Aveva dovuto rimandare di nuovo la laurea – e dicembre sembrava ancora così lontano e irraggiungibile-, ma in fin dei conti andava bene anche così: ci avrebbe pensato in un secondo momento, quando forse non ci sarebbero state ulteriori sorprese a scardinarle i piani.
Fu in quel momento, dopo aver riposto il cellulare per l’ennesima volta, che sentì la serratura della porta d’ingresso scattare. Sentì dei passi e diverse voci farsi più udibili, mentre entravano nell’appartamento, e Caterina si ritrovò ad aggrottare la fronte.
“Chi diavolo c’è oltre a Nicola?”.
Non dovette attendere troppo prima di scoprirlo: dopo qualche minuto i passi si erano fatti più vicini, e rimase ad occhi sgranati quando vide comparire sulla soglia del piccolo salotto, insieme a Nicola, anche Giulia, Filippo, Pietro ed Alessio.
-Buon compleanno!- esclamò subito Giulia ad alta voce, non lasciando a Caterina nemmeno il tempo per dire qualcosa. La osservò dirigersi velocemente verso il divano, e chinandosi su di lei per lasciarle due baci sulle guance.
Solo quando Giulia si rimise dritta, Caterina ebbe il tempo per guardarsi intorno, gli occhi ancora spalancati per la sorpresa: vide Pietro ed Alessio in un angolo che trattenevano le risate, e Filippo, accanto a loro, sorridente ed allegro, mentre poggiava delicatamente a terra due grandi borse di carta bianca dalle dimensioni davvero esagerate.
-Piaciuta la sorpresa?- le si rivolse Nicola, in piedi e con la schiena contro lo stipite della porta. Caterina intuì dal suo sorriso appena accennato che anche lui doveva essere divertito dalla situazione.
-E voi che ci fate tutti qui?- Caterina guardò uno ad uno i presenti, in attesa di una risposta che, in ogni caso, credeva di conoscere già.
-Ci siamo auto invitati a casa tua per venirti a fare gli auguri di compleanno di persona- spiegò Alessio, avvicinandosi a sua volta a lei, e sedendosi nella zona lasciata libera del divano.
-E rendere la tua vita meno monotona- aggiunse Pietro, lanciando uno sguardo eloquente a Nicola, che in tutta risposta gli lanciò uno sguardo gelido.
-Abbiamo pure tanti regali!- esclamò a sua volta Filippo, indicando le due borse, ed andando poi ad affiancarsi a Giulia, di fronte al divano. Caterina si sistemò meglio, mettendosi seduta con movimenti lenti e oculati:
-Ma non dovevate- si morse il labbro, cercando di non sembrare troppo ingrata o irriconoscente parlando in quel modo – Insomma, è … Tutto così inaspettato-.
Aveva passato tutto il giorno aspettandosi di trascorrere quel compleanno nella maniera più tranquilla possibile. Forse avrebbe invitato qualcuno durante il weekend successivo, ma per quel giorno non aveva altro programma che passare una serata sola con Nicola; quell’arrivo da parte di tutti era del tutto imprevisto, forse quasi quanto le aveva fatto piacere.
-Beh, l’idea era quella di festeggiare il tuo ultimo compleanno senza figli a carico da qualche parte, senza esagerare. Ma visto che non ti puoi muovere siamo venuti direttamente noi nel tuo covo. Ovviamente con il permesso del tuo consorte- Giulia aveva di nuovo preso la parola, e Caterina si ritrovò a guardarla e a cercare di trattenere le risate: doveva immaginare che tutto fosse nato da una sua idea.
-Consorte? Non siamo sposati- puntualizzò subito Nicola, ricevendo uno sguardo torvo da Giulia:
-Non fare il pignolo-.
-Mi sarei dovuta aspettare una cosa del genere, in effetti. È nel vostro stile- sospirò Caterina, scuotendo piano il capo.
-L’idea è stata di Giulia- replicò Alessio, confermando inconsapevolmente i sospetti di Caterina – Forse voleva vendicarsi dell’improvvisata che avevamo fatto a casa sua a gennaio-.
-Non era quella la mia intenzione, ma grazie per avermi fatto notare che questa potrebbe essere una vendetta involontaria- annuì Giulia. Caterina scoppiò a ridere, rallegrata.
In fin dei conti, non le dispiaceva affatto che i suoi piani per quella giornata fossero stati stravolti del tutto a quel modo.
 


Nonostante fosse solo metà pomeriggio, avevano comunque mangiato la torta allo yogurt che Nicola aveva comprato in una pasticceria prima di tornare casa. Caterina si era gustata la sua fetta fino all’ultima briciola, chiedendosi quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per fare una vera scorpacciata di dolci di qualsiasi tipo.
Fuori continuava a piovere, e diversi tuoni si erano aggiunti alle gocce di pioggia che cadevano, il cielo sempre più plumbeo e lugubre.
Caterina si allungò verso il piccolo tavolino di fronte al divano, rimettendosi seduta subito dopo. Il divano, in quel momento, era completamente occupato: lo spazio in mezzo era stato preso da Giulia, mentre Alessio si era dovuto spostare verso l’altra estremità rispetto a Caterina. Pietro, Filippo e Nicola avevano recuperato delle sedie dalla cucina, occupando così tutto lo spazio restante nel salotto.
-Questa torta era davvero buona- disse Alessio, allungandosi a sua volta per poggiare il piatto appena usato sullo stesso tavolino.
-Vorrei ben dire, con quello che l’ho pagata- mormorò sottovoce Nicola, rigirando il cucchiaino nel piatto per qualche secondo, prima di prendere un altro boccone.
-Allora, come si sta da neo ventiduenne?- domandò Pietro, alzando gli occhi scuri verso Caterina, la quale si ritrovò ad alzare le spalle con fare indifferente:
-Tu dovresti già saperlo, sei più vecchio di me-.
-Non ricordarmi della mia vecchiaia che avanza, per favore-.
Caterina rise piano, prima di abbassare lo sguardo sul proprio grembo:
-Comunque si sta come una mongolfiera. Mi sento enorme-.
Si passò una mano sulla pancia: nell’ultimo mese si era fatta decisamente visibile, ed ormai le risultava impossibile nasconderla anche sotto le maglie più larghe. In quel periodo vedeva e sentiva il proprio corpo cambiare giorno dopo giorno più che mai, quasi a vista d’occhio.
-Resisti, ormai non ti rimangono molti mesi- replicò Alessio, con fare incoraggiante.
-Quando dovrebbe nascere, più o meno?- Filippo spostò lo sguardo da Nicola a Caterina, con aria dubbiosa. Fu Nicola a rispondere per primo, con sicurezza:
-Tra fine dicembre e inizio gennaio-.
-Oh, allora potreste ritrovarvi un bel regalo di Natale sotto l’albero, quest’anno- ironizzò Pietro, facendo ridere di nuovo Caterina.
-A proposito di regali … - Giulia, che era rimasta in silenzio ascoltando la conversazione fino a quel momento, si era alzata in tutta fretta, dirigendosi verso le due borse lasciate in un angolo della stanza – Qui ci sono i regali miei e di Filippo, il regalo da parte di Alessio ed Alice, e quello di Pietro e Giada. Visto che questo è inequivocabilmente un compleanno particolare, abbiamo pensato tutti di regalare qualcosa di utile, piuttosto che qualcosa di carino, ma … Trascurabile-.
-Quindi non mi devo aspettare nessun regalo idiota?- domandò Caterina, fintamente delusa – Peccato, mi stavo già aspettando qualche altra vostra sorpresa-.
-Per questa volta siamo stati clementi-.
Giulia le rivolse un sorriso astuto, prima di recuperare le borse e avvicinargliele una alla volta, appoggiandole vicino al divano.
Scartando i pacchi dei regali uno dopo l’altro, Caterina si rese conto che, in effetti, Giulia aveva ragione da vendere: ogni regalo le sarebbe tornato utile, in maniera enorme, di lì a pochi mesi.
La prima scatola che Giulia le aveva passato era un pacco piuttosto capiente, da parte di Pietro e Giada, che conteneva a sua volta diversi pacchi di pannolini e diversi piccoli giochi per neonati. Alessio ed Alice avevano scelto un biberon e due diversi ciucci in silicone, mentre Giulia e Filippo avevano pensato a due tutine dai colori neutri, adatte alle temperature rigide che ci sarebbero state durante l’inverno.
-Non so che dire, davvero- mormorò infine, appoggiando sul tavolino l’ultima scatola, un sorriso che le si allargava sulle labbra – In effetti tra non molto tutte queste cose mi serviranno davvero molto-.
-Grazie al cielo abbiamo azzeccato cosa regalarti- replicò Giulia, alzando gli occhi con sollievo – Almeno non abbiamo fatto compere inutili-.
-A proposito di questo- Nicola si era alzato in piedi, sistemandosi dietro l’angolo del divano dove se ne stava seduta Caterina, lanciandole poi velocemente uno sguardo d’intesa – Forse sarete curiosi di sapere se sarà un maschio o una femmina-.
Non avevano messo in conto di dare quella notizia proprio in quel momento, e Caterina rimase sorpresa dall’intraprendenza di Nicola per i primi secondi. Si girò a sua volta verso di lui, ricambiandone lo sguardo, e sorridendo appena: forse, in fin dei conti, anche quello poteva essere il momento giusto per dirlo.
-A inizio mese ho fatto l’ecografia morfologica, e finalmente l’abbiamo scoperto- spiegò lei, tornando con gli occhi sugli altri. Rise appena, passandosi una mano sul grembo, immaginandosi quale sarebbe stata la loro faccia di lì a pochi attimi:
-Sembra che d’ora in poi dovrò convivere non con uno solo, ma con ben due uomini-.
-Un maschietto, incredibile!- esclamò Filippo per primo, sorridente e sinceramente entusiasta. Anche Giulia lo sembrava, mentre applaudiva piano:
-Guarda il lato positivo, sarai beata tra gli uomini-.
Risero tutti a quella frase, compresi Nicola e Caterina allo stesso modo. C’era un’allegria in fondo, in quella stanza, che si poteva respirare.
-A questo punto speriamo solo che il Piccolo Principe non decida di anticipare la sua venuta, e nascere durante la tua proclamazione- aggiunse Pietro, con totale nonchalance – Sarebbe un tantino problematico continuare ad esporre la tesi a travaglio iniziato-.
Caterina continuò a ridere, anche se meno convinta: si immaginava una situazione simile, e non poteva fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato drammatico quello scenario. Sperava solo che gli imprevisti della gravidanza fossero finiti già il mese prima.
 
*
 
-È meglio se andiamo, o rischiamo di fare tardi- esordì Giulia, non appena arrivarono nell’androne al pianterreno del palazzo. Il portone era stato lasciato aperto, e Alessio appurò a malincuore che la pioggia ancora scendeva in abbondanza, e che il buio della sera stava inesorabilmente già calando. Non sarebbe stato facile camminare per Venezia con un’atmosfera simile.
-Dove dovete andare con un tempo del genere?- chiese Pietro, ed Alessio fece appena in tempo a girarsi verso di lui per notare la sua espressione piena di scetticismo.
-Spritz time- esclamò Filippo – E poi voi due non dovete andare a cercare un regalo per Alice con un tempo del genere?-.
L’aveva detto con evidente ironia per fare il verso a Pietro, ma Alessio sapeva che Filippo non aveva tutti i torti: aveva sperato che nelle ore passate da Caterina e Nicola il tempo potesse migliorare, ma si era sbagliato di grosso. Ma al compleanno di Alice non mancavano più molti giorni, e quella sera era una delle poche occasioni in cui poter andare in cerca di qualcosa – accompagnato da Pietro, per giunta. Ancora doveva spiegarsi con che coraggio gli avesse chiesto, qualche giorno prima, di venire con lui in quella ricerca.
-Non fare il saputello, Pippo- Pietro guardò l’amico con un sorriso estremamente finto – Non ti si addice-.
Prima che potessero proseguire con quel battibecco, Alessio si fece avanti:
-Allora mi sa che ci separeremo già qui- disse, sperando che anche Giulia venisse in suo aiuto. Le lanciò un’occhiata veloce, e lei sembrò intuire nell’immediato:
-Eh già- confermò, sorridendo sorniona – Comunque faremo avere a Fernando i vostri saluti-.
Per qualche secondo nessuno disse nulla, ma fu la voce di Pietro a spezzare quel silenzio venuto a crearsi:
-Vi vedete con lui?-.
Giulia annuì:
-A quanto pare-.
-Adesso però andiamo sul serio, o rischiamo di farlo pure aspettare- intervenne Filippo. Anche Alessio e Pietro li seguirono verso l’uscita, l’ombrello che Pietro si era ricordato di portare già in mano pronto ad essere aperto ed usato. Quando mancava meno di un metro al portone aperto del palazzo, Giulia si voltò indietro verso di loro, agitando la mano in saluto:
-Buona ricerca per il regalo!-.
Lei e Filippo non attesero oltre: aprirono l’ombrello non appena oltrepassata la soglia, e svoltarono a destra, sparendo subito alla vista. Alessio rimase immobile qualche secondo prima di decidersi ad imitarli, rendendosi conto che ora era rimasto solo con Pietro, e che sarebbe stato così almeno per le prossime due ore. Era da tempo che non gli capitava di ritrovarsi completamente da solo con lui, così tanto che pensava gli ci sarebbero voluti diversi minuti per abituarsi a quella sensazione.
Pietro si fece avanti prima di lui, brandendo l’ombrello e aprendolo subito non appena messo il primo piede fuori dal riparo dell’androne. Alessio lo seguì in silenzio, affiancandolo.
-Vieni un po’ più in qua- Pietro gli posò la punta delle dita sul braccio, come a spingerlo semplicemente così più vicino a sé – Non ho intenzione di morderti-.
Lo aveva detto ridendo sommessamente, ma era una risata strana – tesa, come se in realtà quella vicinanza gli facesse più male che bene. Alessio non se lo fece ripetere due volte, però, e si gli avvicinò fino a quando le loro spalle non si sfiorarono.
Anche per lui quella vicinanza era un insieme di contrapposizioni difficili da decifrare: gli mancava la vicinanza a Pietro che aveva avuto la sera del suo compleanno, ed allo stesso tempo ne era così spaventato che ormai non riusciva nemmeno più a fare finta di nulla. Le prime settimane ci era riuscito, ad ignorare quella sensazione, ma adesso era diventato tutto troppo difficile come il giorno in cui per poco non ne aveva parlato con Caterina. Si sentiva bruciare dentro.
Forse fu a causa di quella sensazione che non riuscì a tenersi dentro un pensiero che gli era sorto poco prima. Qualcosa doveva pur lasciarlo uscire.
-Fernando?-.
La sua domanda poteva essere equivocata facilmente, ma forse era proprio il poter vedere cosa Pietro avrebbe preferito rispondergli in proposito quel che gli interessava di più.
-L’amico di Giulia. Quello che era in corso con lei- Pietro gli lanciò un’occhiata veloce, schiarendosi la voce prima di continuare a parlare – E che c’era pure alla sua festa di laurea-.
Pietro era stato vago, ma era evidente che si ricordasse perfettamente di Fernando, e ad Alessio non rimase altra scelta se non quella di fare finta di essersene appena ricordato a sua volta:
-Sì, ora me lo ricordo- disse, prima di dare un’ultima stoccata – Tu sembri ricordartene piuttosto bene-.
Pietro alzò le spalle:
-Non era un tipo che passava inosservato-.
-Soprattutto se ci prova spudoratamente- Alessio lo disse senza indugi, come se ora d’un tratto si ricordasse tutto fino al minimo dettaglio. Con la coda dell’occhio vide Pietro girarsi appena verso di lui, con un’espressione strana sul viso.
Alessio ricambiò lo sguardo:
-Che c’è?- gli chiese – È vero, alla festa di Giulia ci ha provato con te-.
Pietro non ribatté neanche in quel momento, proseguendo nel silenzio e in quell’espressione enigmatica che Alessio non seppe come interpretare.
-Almeno potevi dirglielo che stava sprecando energie- sbuffò piano, leggermente irritato al ricordo. Per un attimo ebbe il sospetto che fosse stato proprio quell’episodio a far nascere in lui l’irritazione che provava nei confronti di Pietro in certi momenti in cui si ritrovavano da soli – Pietro e il suo evidente essere affascinato da un tipo mai visto prima che gli aveva fatto gli occhi dolci per qualche minuto.
-Perché?-.
Erano passati diversi attimi prima che Pietro si decidesse a tornare a parlare, con quell’unica domanda a malapena udibile nello scrosciare della pioggia sul marciapiede.
-Beh, sei etero, quindi … -.
“Eppure sembravi piuttosto preso da un completo sconosciuto”.
Non si arrischiò nemmeno per un secondo a completare quella frase che aveva iniziato. Sapeva che era una gelosia irrazionale, e che non aveva senso avercela con Fernando per quella cosa, ma era più forte di lui. Quel che era peggio era che Pietro non si era nemmeno preoccupato di dargli subito ragione, come se si stesse prendendo del tempo per pensare e riflettere.
Alessio si girò verso di lui con sguardo interrogativo, e solo in quel momento Pietro azzardò a rispondere:
-Non si può mai sapere dalla vita-.
-Che intendi?-.
Pietro si strinse nelle spalle, gli occhi puntati davanti a sé senza incrociare quelli di Alessio:
-Magari un giorno scoprirò che non sono etero- mormorò a mezza voce.
Alessio si voltò apertamente verso di lui così di scatto che quasi rischiò di slogarsi qualche vertebra del collo. Non voleva dare a vedere troppo la sorpresa che le ultime parole di Pietro gli avevano causato, ma era piuttosto sicuro di non esserci affatto riuscito.
-Cos’è, hai incontrato quel tipo una volta e ti ha fatto venire dei dubbi?-.
Lo aveva detto troppo veementemente per non lasciar trasparire tutta l’irritazione che ora si sentiva addosso.
“Però con me non ti sei mai messo a dire che un giorno avresti potuto scoprire che ti piacciono anche i ragazzi”.
Alessio ripensò al bacio che c’era stato su quella spiaggia in Puglia anni prima, a quella cosa che stava per accadere la sera del suo compleanno mesi prima, e si chiese cosa mai potesse mancare a lui per non aver mai fatto dubitare Pietro nel modo in cui c’era riuscito Fernando in pochissimi minuti.
O forse era solo una frase che aveva detto tanto per dire, solo per scherzare – peccato che Pietro, però, non sembrava affatto che stesse scherzando.
“Forse sarebbe meglio così” rifletté ancora.
Lui aveva già Alice. Aveva già ben altro a cui pensare, un altro percorso di vita su cui concentrare ogni pensiero ed energia, e non poteva permetterci errori né svaghi sentimentali.
E Pietro era come il fuoco – difficile da controllare, attraente e spettacolare, ma pericoloso se troppo vicino. Fuori controllo, addirittura, pronto a bruciare qualsiasi cosa che trovi sul suo cammino. Si sentiva in quel modo anche in quel momento, pronto a sentirsi bruciare ogni secondo che passava, con Pietro a sfiorargli la spalla con la sua mentre continuavano a camminare. Per quanto cercasse di rimanere concentrato su quell’ultimo pensiero, non riusciva a togliersi di torno la rabbia che stava provando.
-Wow, non pensavo lo trovassi così affascinante- disse ancora, chiaramente ironico.
Pietro sospirò a fondo:
-Non ho detto questo, ho solo detto che … -.
Prima che potesse proseguire Alessio scattò secco:
-Meglio se lasciamo perdere-.
Pietro sembrò voler seguire il suo consiglio alla lettera, perché non aprì bocca per il resto del tratto a piedi che dovettero fare prima di raggiungere il primo negozio in cui dovevano andare.
 
*
 
Si strinse nelle spalle, rabbrividendo per l’aria piuttosto gelida che aveva iniziato a tirare. Attorno a lui la sera era ormai calata del tutto, il cielo reso ancora più plumbeo per la pioggia che continuava a scendere, seppur ora in gocce più rare.
Pietro strinse tra le dita della mano destra il manico dell’ombrello, accelerando il passo per arrivare a casa prima: si stava davvero congelando, nonostante fosse solo fine settembre.
“Perché diavolo sembrava letteralmente geloso?”.
Se l’era domandato per tutte le ultime due ore, senza mai trovare una reale risposta. Di certo se l’avesse chiesto al diretto interessato, cioè Alessio, dubitava che ne sarebbe venuto a capo più in fretta.
Forse era stato lui a leggere male la situazione – forse era solo la sua speranza a volergli far sembrare Alessio mosso da gelosia-, e in realtà Alessio reputava Fernando semplicemente antipatico. Certo, avevano parlato con lui a malapena per un minuto mesi prima, ma poteva trattarsi di un’antipatia a pelle.
Però era davvero sembrato geloso. Terribilmente geloso.
Si rendeva conto che non poteva permettersi di sperare in qualcosa di simile, non dopo quel che era successo ad aprile. Erano stati ad un passo dal baciarsi, eppure Alessio aveva continuato a vivere come se nulla fosse stato – e a quel punto a lui era toccato adeguarsi-, e davvero poteva pensare che sarebbe cambiato qualcosa per un ragazzo sconosciuto che aveva flirtato con lui un sacco di tempo prima e probabilmente solo per scherzo? Sarebbe stato tutto piuttosto ironico.
La verità era che avrebbe dato qualsiasi cosa per entrare nella testa di Alessio anche solo per un minuto. Era così difficile capire cosa gli passasse per la mente in certi momenti che Pietro si sentiva inevitabilmente perso.
E chissà cosa sarebbe mai potuto succedere se avesse colto l’occasione di poche ore prima, e gli avesse detto una volta per tutte che, in realtà, erano i ragazzi ad interessargli. Non Giada. Non qualsiasi altra ragazza.
Alessio come avrebbe reagito ad un suo coming out così improvviso?
“Probabilmente andrebbe nel panico”.
O forse gli avrebbe chiesto se era stato Fernando a dargli quell’illuminazione divina, e a quel punto Pietro sarebbe inevitabilmente scoppiato a ridergli in faccia.
L’unica certezza che aveva era che era tutto un gran casino.
Sapeva che avrebbe dovuto fare coming out per se stesso e non per qualcun altro – in fondo Alessio aveva già Alice, cosa mai avrebbe potuto spingerlo a lasciarla quando molto probabilmente per lui non provava lo stesso?-, ma avrebbe davvero voluto vedere quale sarebbe potuta mai essere la reazione di Alessio ad una notizia simile. Di sicuro le cose sarebbero cambiate molto, solo non sapeva in che modo preciso.
Pietro sospirò a fondo, inquieto. Avrebbe voluto parlare con qualcuno, sfogarsi almeno con Alberto, che sapeva almeno alcune cose riguardanti la sua vita che ad altri ancora erano ignote, ma era consapevole che anche con lui non sarebbe stato lo stesso come parlare con qualcuno che aveva vissuto le sue stesse esperienze.
Si sentì in trappola, come spesso capitava ogni volta che si ricordava di star vivendo una bugia, e la leggerezza che aveva contraddistinto buona parte di quella giornata sembrò svanire all’orizzonte come aveva visto soccombere alle tenebre la poca luce pomeridiana di qualche ora prima.
 
*
 
Stesa sul letto, Caterina teneva gli occhi chiusi, mentre ascoltava il ticchettio ritmico della pioggia contro il vetro della finestra. Era rilassante rimanersene lì ad ascoltare la pioggia scendere, una sensazione di benessere e tranquillità che sembrava potesse durare a lungo.
Aveva ancora le palpebre abbassate, quando sentì la porta del bagno aprirsi e richiudersi subito dopo, ed i passi di Nicola farsi sempre più nitidi fino a percepirli dall’altro lato del letto. Riaprì finalmente gli occhi, mentre anche lui si infilava sotto le lenzuola, un’espressione di benessere dipinta in volto subito dopo essersi steso.
-Sei così stanco?- gli domandò Caterina, sistemandosi meglio il cuscino per avvicinare il viso a quello di Nicola, che per tutta risposta sbadigliò rumorosamente:
-Un po’- replicò, prima di sbadigliare nuovamente – E tu? Come ti senti?-.
-Sto bene. Non sono così senza energie come te-.
Nicola stese un braccio, invitandola ad accoccolarsi di fianco a lui. Caterina accolse l’invito, sorridente e intenerita: le cose tra lei e Nicola sembravano andare decisamente meglio da un po’ di tempo. Più passavano i mesi, più sembravano aver recuperato un certo equilibrio che era venuto a mancare dall'inizio della gravidanza.
-Comunque è stata una bella giornata oggi- mormorò ancora Caterina, chiudendo di nuovo gli occhi e lasciandosi cullare dall’abbassarsi ed alzarsi ritmico del petto dell’altro – Anche se non mi aspettavo un’improvvisata del genere qui a casa-.
-Se avessi pensato che non ti avrebbe fatto piacere, avrei impedito loro di mettere in casa anche solo un piede-.
Nicola aveva preso ad accarezzarle piano la schiena, con il ritmo lento tipico di chi sta per cedere al sonno.
-Quindi eri a conoscenza che avrebbero voluto venire qui oggi?- domandò Caterina, anche se riusciva già ad immaginarsi la risposta: dubitava che fosse stato tutto inaspettato anche per Nicola, come lo era stato per lei.
-Certo, mi hanno chiesto il via libera prima di presentarsi qui- confermò, facendo ridere Caterina.
-Giulia ha influenzato anche te in fatto di piani nascosti, allora-.
-Solo perché in questo caso la sua idea era abbastanza ragionevole e sensata- rise a sua volta Nicola, stringendola ancora un po’ a sé.
Rimasero in silenzio per un po’, la luce sul comodino ancora accesa e la pioggia che continuava a battere contro i vetri. Caterina sentiva la stanchezza farsi sempre più presente, di colpo, e sapeva che di lì a poco si sarebbe addormentata; avrebbe solo dovuto girarsi un attimo per poter spegnere la luce, e finalmente si sarebbe potuta abbandonare al sonno.
-Dovremmo cominciare a pensare seriamente ad un nome- parlò d’un tratto Nicola, come se si fosse appena risvegliato con in mente proprio quell’argomento. Caterina si ritrovò a sbuffare, incredula:
-Vuoi davvero parlare del nome adesso? In questo momento potrei prendere in considerazione anche il nome più brutto dell’universo-.
-Dobbiamo approfittare di qualsiasi momento buono per farci venire delle idee- insistette Nicola, che in quel momento sembrava non avere nemmeno un grammo della stanchezza di qualche minuto prima – A parer mio ci vorrebbe un nome semplice, non troppo ricercato. Tipo Emanuele, Elia, Gioele o Michele-.
-Qualcos’altro?- domandò minacciosa Caterina, già pronta a recuperare un qualsiasi oggetto che le permettesse di colpire Nicola in testa per farlo addormentare una volta per tutte.
-Giulio rientrerebbe nei parametri-.
-Sei sicuro di voler dare a tuo figlio la versione maschile di Giulia?- ironizzò Caterina, alzando di poco il capo per notare l’espressione incuriosita di Nicola – Non vorrei ritrovarmi un vulcano di energia come figlio, o un amante delle sorprese troppo originali-.
-Forse non hai tutti i torti- rise di nuovo Nicola, per alcuni secondi. Riassunse la stessa espressione pensierosa di poco prima, e Caterina immaginò che la discussione sui nomi doveva essere tutt’altro che finita.
-Anche Francesco non sarebbe male-.
Caterina stava per rispondere, di nuovo, che avrebbero affrontato l’argomento il giorno dopo, più riposati e lucidi, ma dovette bloccarsi ancora prima di aprir bocca: aveva appena ricevuto un calcio di tutto rispetto dal bambino, evidentemente anche lui piuttosto sveglio in quell’istante.
Aveva passato l’ultimo mese a cercare di abituarsi allo scalciare del piccolo da dentro la pancia, ma ogni volta sentiva il respiro mozzarsi almeno per qualche secondo. In quel momento, invece, non era riuscita a respirare per ben più di un attimo.
-Tutto bene?- le chiese Nicola, dopo aver notato la sua espressione di dolore. Caterina si ritrovò ad annuire, prima di parlare a bassa voce:
-L’inquilino qui presente sembra non avere sonno- si passò una mano sulla pancia, sentendo subito dopo un alto calcio, più debole – Esattamente come suo padre, a quanto pare-.
-O forse gli è piaciuto l’ultimo nome- sorrise Nicola, nonostante lo sguardo scettico che gli rivolse Caterina. Cercò di portare una mano sulla pancia, sul punto dove si potevano percepire i calci del piccolo; Caterina gli strinse il polso, accompagnando la sua mano sulla parte inferiore del pancione, proprio dove il bambino scalciò di nuovo.
-Lo senti?-.
-Sì, un po’ sì-.
Caterina osservò il sorriso felice di Nicola, e si ritrovò a sorridere a sua volta, in modo naturale.
Si sentiva bene, nonostante tutto, ed era una cosa che non si sarebbe mai aspettata davvero. Ricordava come si sentiva i primi mesi, e ricordava come era sicura di non poter rivivere ancora momenti di intima tranquillità come quelli. Forse per la prima volta davvero, nell’arco di cinque mesi, poteva dirsi davvero in pace.






NOTE DELLE AUTRICI
Ebbene sì, siamo giunti all'ultimo compleanno di Caterina da non mamma. Questa volta i suoi amici, in vista degli imminenti cambiamenti che attendono lei e Nicola, hanno scelto di cambiare "rotta", virando così su regali più utili. Una scelta più che apprezzata dai futuri genitori! Ora non resta che sperare che il nascituro non decida di presentarsi al mondo e a voi lettori nei momenti meno opportuni... Tra l’altro, nel finale di questo capitolo, abbiamo forse un nome: come suona, secondo voi, "Francesco Tessera"? Avevate ipotizzato questo nome?
Ma questo capitolo non girava solo attorno a Caterina e Nicola  … Quando si suol dire "c'è un po' di tensione tra due persone" (diteci voi che tipo di tensione 😂): dopo la festa di compleanno di Caterina i destini dei nostri Fantastici 6 si dividono, e Alessio e Pietro si ritrovano da soli. A lanciarsi frecciatine e frasi rivelatrici! Se da una parte intuiamo che Pietro si ricorda ancora perfettamente del suo incontro con Fernando, Alessio potrebbe quasi definirsi geloso... O no?
In attesa del prossimo capitolo intitolato "Fire meet gasoline", tenetevi pronti (leggasi: preparatevi psicologicamente) che, come annuncia il titolo stesso, tanta benzina verrà buttata sul fuoco dei nostri protagonisti... Ma chi sarà il fortunato che verrà colpito?
Mercoledì 11 maggio lo scoprirete!
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Fire meet gasoline ***


Visto che ormai siamo giunti quasi alla metà di questa seconda parte di Walk of Life (al prossimo capitolo lo saremo ufficialmente), abbiamo aggiornato anche la playlist Spotify con le canzoni dei capitoli dal 21 al 31 😊
 
CAPITOLO 20 - FIRE MEET GASOLINE



 
So come on
I'll take you on, take you on
I ache for love, ache for us
Why don't you come, don't you come a little closer?
So come on now
Strike the match, strike the match now
We're a perfect match, perfect somehow
We were meant for one another
Come a little closer [1]
 

L’oscurità era già calata quando le porte della sede universitaria vennero spalancate, accompagnate da qualche schiamazzo e risata.
L’aria fredda di dicembre lo investì di colpo, mentre attraversava la soglia, finendo all’esterno del palazzo. Si strinse nelle spalle, arricciando il naso: l’inverno non gli era mai piaciuto particolarmente, e quel freddo lo faceva innervosire più di quanto non lo fosse già.
Alessio si tenne un po’ distante dal resto del gruppo, che con aria festante aveva già preso ad intonare a Caterina una delle tante filastrocche da dedicare ai neo laureati. La osservò da distante, con la corona d’alloro poggiata sui capelli scuri, sorridente e con un pancione ormai prominente: sia lei che Nicola avevano temuto fino all’ultimo una qualche sorpresa, ma ormai, quasi alla fine del nono mese, la gravidanza sembrava procedere senza ulteriori intoppi. Caterina era perfino riuscita a rimettersi in piedi da più di un mese.
Incrociò le braccia contro il petto, avanzando solo di qualche passo, mentre la voce alta di Giulia giungeva fino a lui, mentre esortava Caterina ad avvicinarsi per leggere ad alta voce il proprio papiro, appiccicato momentaneamente su una parete laterale del palazzo. Si sentiva un po’ in colpa verso Caterina, verso tutti loro, nel tenersi così in disparte e con un umore così nero, ma non poteva farci nulla: preferiva risultare assente, piuttosto che rovinare quel giorno di festa.
Per un attimo anche Alice entrò nella sua visuale, mentre si accostava a Caterina; distolse lo sguardo subito, come se si fosse bruciato gli occhi. Respirò rumorosamente, sbuffando appena. Non era decisamente dell’umore adatto per festeggiare.
Non si accorse nemmeno dei passi di qualcuno che gli si era avvicinato, nella direzione opposta a dove teneva lo sguardo fisso in quel momento:
-Come mai te ne stai qui da solo? Dovresti venire ad ascoltare, è divertente il testo del papiro che hanno scritto Giulia, Filippo e Nicola-.
-Credimi, è meglio se me ne resto qui-.
Evitò di voltarsi anche verso Pietro: non rientrava nemmeno lui tra le persone con cui avrebbe voluto parlare in quel momento. Non era mai una buona idea restargli vicino proprio nei momenti di debolezza, nei momenti in cui si sentiva vulnerabile e volubile. Voleva evitare di rendere le cose ancora più complicate di quel che già erano.
Pietro non disse nulla, e anche se non poteva vederlo, Alessio era sicuro avesse annuito silenziosamente, intuendo forse che era meglio non insistere.
-Spero non sia nulla di grave, in ogni caso- mormorò Pietro dopo alcuni secondi, con voce incolore. Alessio lo vide allontanarsi di nuovo, raggiungendo gli altri: non aveva provato ad insistere nemmeno una volta di più, restando lì solo per pochi minuti.
In fin dei conti, pensò Alessio, era meglio così. Era meglio così, anche se, una volta che Pietro se ne era andato, era tornato ad essere di nuovo solo, accompagnato solo dalla sua amarezza.
Tirò di nuovo un sospiro, stanco e arrabbiato. Sapeva sempre ciò che voleva, tranne ciò che riguardava quell’unica persona che aveva notato la sua assenza.
Sembrava che i problemi per lui, per quella serata, fossero infiniti.
 
*
 
Non erano rimasti per molto davanti all’università. Faceva troppo freddo per rimanere all’aria aperta troppo a lungo, e Caterina aveva già prenotato un tavolo in un bel locale non troppo distante per passarvi il resto della serata. Aveva preferito organizzare qualcosa di semplice, solo tra amici stretti; con i parenti avrebbe di sicuro festeggiato la settimana dopo, durante le vacanze di Natale, quando sarebbe tornata a Torre San Donato.
Alessio si era tenuto a distanza anche mentre camminavano tutti verso il posto designato, anche se aveva notato occhiate incuriosite che a turno Caterina, Giulia, Nicola e Filippo gli avevano rivolto.
Alice non gli aveva dedicato alcuna attenzione, e ad Alessio andava benissimo così: non era sicuro di essere in grado di sopportare un qualche suo sguardo fintamente disinteressato, o una domanda sul suo stato.
Erano giunti al locale in una quindicina di minuti, e una volta entrati erano stati accompagnati al tavolo prenotato da una cameriera. Lì dentro faceva caldo, ed Alessio immaginava che il proprio viso si fosse arrossato come non mai grazie a quello sbalzo termico.
Sperava che quella serata potesse protrarsi il più a lungo possibile: il solo pensiero di dover poi tornare a casa, con Alice, con il serio rischio di tornare a discutere ancora, lo stremava.
Seduta all’altra estremità del tavolo, Alessio osservava Caterina sorridente e raggiante, un’espressione vagamente stanca ad adombrarle appena il volto. Emanava aria di soddisfazione, e non poteva non darle torto: laurearsi appena in tempo prima di partorire era di sicuro una cosa che la rendeva fiera, e con un pensiero in meno per l’avvenire.
La vide mentre prendeva tra le mani il calice di Nicola ricolmo di prosecco, rubandone un sorso con sguardo innocente.
-Ricordati di non bere troppo, o finirai per far ubriacare il pargolo- la redarguì bonariamente Giulia, seduta accanto all’amica, mentre Caterina posava già il bicchiere sulla tavola, sotto lo sguardo severo di Nicola:
-Veramente non dovrebbe bere affatto-.
-Un misero sorso non mi farà nulla, soprattutto ora che manca poco al parto- replicò Caterina, tranquilla e ancora sorridente – E poi ho tutte le ragioni del mondo per festeggiare un po’ oggi-.
Tutti risero, ed anche Alessio si lasciò sfuggire un accenno di sorriso. Si sentiva un po’ in colpa per non riuscire a condividere l’entusiasmo dell’amica, o per non sentirsi almeno in parte felice per lei: avrebbe voluto dirle qualcosa di carino, o anche solo qualcosa di perlomeno incoraggiante, ma era come se le parole non volessero uscirgli di bocca. Non era assolutamente in vena di festeggiamenti.
-E ora che farai? Pensi di proseguire con la magistrale tra un po’ di tempo?-.
Era stata proprio Alice a parlare, ed al suono della sua voce Alessio cercò di reprimere una smorfia infastidita.
-L’idea è quella, ma vedremo come andrà. Non si può essere mai troppo sicuri del futuro- rispose Caterina, alzando le spalle. Sembrava meno insicura rispetto a mesi prima, ma era ancora molto distante, in ogni caso, dall’avere qualche certezza.
-L’unica cosa sicura è che ti sei laureata appena in tempo per non dover andare direttamente alla discussione della tesi con un esserino tra le braccia. Sarebbe stato d’effetto, non ci piove, ma alquanto d’impaccio- ironizzò Pietro, un ghigno divertito stampato sulle labbra.
Alessio sbuffò debolmente, spostando lo sguardo altrove subito dopo: aveva tutta l’intenzione di non rischiare di incrociare gli occhi di Pietro per l’ennesima volta, durante quella cena. Era da quando erano arrivati lì che, in un modo o nell’altro, l’aveva colto ad osservarlo silenziosamente. Probabilmente doveva ancora stare a domandarsi cosa gli fosse capitato di così terribile da renderlo così intrattabile.
-Comunque proporrei un brindisi alla nuova dottoressa qui presente- stavolta era stato Filippo, allegramente, a prendere la voce. Alzò il proprio calice, portandolo in alto, pronto a brindare.
Alessio lo imitò mollemente, prendendo a sua volta il bicchiere in mano e facendolo tintinnare con gli altri un po’ in ritardo. Non si curò molto di aspettare di brindare anche con Alice: ritirò altrettanto velocemente il calice, portandoselo alle labbra e prendendo un lungo sorso di prosecco, fresco e frizzante.
Stava già finendo il primo bicchiere della serata, ed aveva tutta l’intenzione di farne seguire molti altri.
-Grazie a tutti, davvero. Significa molto per me tutto questo- Caterina spostò gli occhi su tutti loro, visibilmente commossa. Di sicuro, si ritrovò a pensare Alessio con una punta d’ironia, gli ormoni della gravidanza non dovevano aiutarla a frenare le emozioni in quel genere di situazioni.
-E a proposito, ricordati che ti sei salvata da travestimenti vari solo perché sei una mongolfiera- puntualizzò Giulia, facendo un cenno con il capo. Caterina le riservò un’espressione maliziosa, a tratti divertita:
-Credo che questa rimarrà l’unica volta in cui sarò felice di essere stata definita così-.
Pietro si schiarì la voce per attirare l’attenzione di Caterina su di sé, prima di parlare:
-Comunque ti faccio le congratulazioni anche da parte di Giada-.
Alessio cercò di trattenersi dal dire qualsiasi cosa, anche se non poté fare a meno di pensare che, per lui, l’assenza di Giada era qualcosa di assolutamente magnifico. Era già nervoso da sé: di certo Giada, se fosse stata lì con loro, avrebbe peggiorato le cose solo con la sua presenza alquanto irritante.
-Grazie- replicò Caterina, prima di domandare confusa:
-Ma è ancora malata?-.
-Beh sì, ha ancora la febbre alta- borbottò Pietro, alzando le spalle – Non so di preciso come stia, in verità, visto che mi ha categoricamente vietato di andare a casa sua per non attaccarmi l’influenza. Non la vedo da qualche giorno-.
-Ha fatto bene a vietartelo, se ti fossi ammalato anche tu avresti rischiato di passarla anche a Caterina. O a uno qualsiasi di noi- ribatté Nicola, con tono ovvio. Pietro lo guardò con fare divertito, prima di convenire con lui:
-Credo fosse proprio ciò che temeva Giada-.
Alessio buttò giù nuovamente un sorso, finendo il prosecco che era rimasto nel bicchiere. Gli sarebbe servito molto altro alcool per cercare anche solo di distrarsi da quei discorsi di circostanza che si trovava costretto ad ascoltare. E gliene sarebbe servito ancor di più per dimenticare tutti i buoni motivi per cui era così adirato.
 
*
 
Non sapeva esattamente che ore fossero, e forse non gli importava nemmeno. Sapeva solo che, una volta conclusa la cena, Alice se ne era andata, liquidando la questione con la semplice scusa di un forte mal di testa. Aveva osservato il sorriso finto che aveva rivolto a tutti gli altri, domandandosi invece quanto poco felice dovesse sentirsi in quel momento.
Appena l’aveva persa di vista, mentre si allontanava dal tavolo, Alessio aveva buttato giù l’ennesimo bicchiere di prosecco. Stava bevendo troppo, e non si stupì molto nell’accorgersi che averne la consapevolezza non lo disturbava affatto. La testa cominciava a girargli un po’, ma conservava ancora abbastanza lucidità per rendersi conto delle azioni che compiva.
Caterina e Nicola avevano intrapreso una conversazione piuttosto animata con Giulia; sebbene Filippo non sembrasse intenzionato a dire la sua, li stava ascoltando comunque, senza curarsi troppo del fatto che, lentamente e con nonchalance, Pietro era scalato di una sedia, finendo inevitabilmente su quella lasciata vuota da Alice e di fronte ad Alessio.
Per i primi secondi nessuno di loro disse nulla: Alessio aveva lanciato un’occhiata gelida a Pietro distogliendo subito dopo lo sguardo, e buttando giù tutto d’un sorso gli ultimi sorsi della birra ordinata pochi minuti prima. Decise che di lì a poco si sarebbe alzato per andare ad ordinare ancora qualcos’altro da bere.
-So che non dovrei insistere, e che probabilmente rischierò di portare anche su di me le tue ire- iniziò Pietro, a bassa voce, per non farsi sentire anche dagli altri – Ma bere non ti servirà a molto. Fino a prova contraria, ubriacarti non risolverà comunque i tuoi problemi-.
-Ma me li farà dimenticare per un po’- replicò secco Alessio, evitando anche le iridi nere dell’altro.
-Sei ancora del parere di non volermi dire che è successo?-.
Alessio storse il naso. Certo che non gli avrebbe detto niente: non voleva annoiare Pietro con i progetti di vita di Alice, che lui non condivideva e non avrebbe condiviso mai. E tanto meno ne avrebbe parlato con chiunque altro: non voleva sentirsi dire stupide frasi fatte sul fatto che, prima o poi, avrebbe cambiato idea, o che rischiava di essere troppo egoista nel rimanere fermo nella sua posizione. Frasi che, per inciso, Pietro gli aveva già rifilato mesi prima.
-Non ho voglia di parlarne-.
-Riguarda Alice?-.
Pietro non era stupido – era un buon osservatore, quando non si lasciava andare al disimpegno e al menefreghismo-, e lo conosceva troppo bene, Alessio se ne rendeva conto ogni volta di più. Forse anche gli altri lo avevano intuito, ma nessuno si era azzardato a chiederglielo direttamente.
D’altro canto, era meglio così. Non aveva voglia di ricordare una volta di più la discussione terribile che aveva avuto con Alice.
Non aveva voglia di dare giustificazioni riguardo al fatto che lei sognava di sposarsi, un giorno, e lui no. E non voleva dare ulteriori spiegazioni, non quando gli sarebbe toccato dire che ad Alice sarebbe piaciuto avere un figlio molto presto, mentre lui, dopo aver concluso l’università, non voleva altro che la possibilità di avere la carriera che aveva sempre sognato per sé.
No, non aveva decisamente voglia di spiegare ciò che voleva per se stesso, quando in pochi altri lo avrebbero capito davvero.
-Sì, riguarda lei- borbottò infine, continuando a tenere lo sguardo basso, e rifiutandosi di guardare in viso Pietro. Per un attimo ebbe la tentazione di parlare: tra tutti, era forse lui quello di cui si sarebbe fidato di più nel parlare di qualcosa del genere; poi, il secondo dopo, si era ricordato che la loro complicità era svanita pian piano, durante gli ultimi mesi, si era affievolita fino a rimanere solo un vago ricordo, minata da una tensione alla base che Alessio faticava a controllare – e ad interpretare.
Era stato lui a decidere così, ad agire in modo che andasse a finire in quella maniera – o forse era stata colpa di Pietro, dei dubbi che gli instillava la sua presenza, tutta quella confusione che gli causava sempre. L’unica conclusione a cui era giunto era che avere vicino Pietro equivaleva ad un pericolo.
Un po’ come avvicinarsi troppo alle fiamme ardenti, e rimanervi inevitabilmente bruciato.
La mano che gli stava tendendo Pietro in quel momento, però, gli sarebbe potuta risultare utile per un altro motivo.
-Forse mi serve un favore- Alessio si schiarì la voce, sentendosi lievemente in imbarazzo. Chiedere aiuto non era mai stato il suo forte, e chiederlo proprio a Pietro, in quel periodo, gli risultava ancor più d’impaccio.
-Dimmi pure-.
-Hai ancora un letto libero a casa?-.
Non aveva voglia di tornare al suo appartamento, e ritrovarsi da solo con Alice. In fin dei conti non erano passate molte ore dal loro litigio, e il rancore era ancora troppo vivo per indurlo a tornare in una casa dove avrebbe trovato anche lei.
Pietro sembrò pensarci su, e solo in quel momento ad Alessio venne naturale alzare lo sguardo, per poterlo guardare in faccia e studiarne l’espressione. Non sembrava davvero indeciso, in realtà; forse era solo in attesa, aspettando che Alessio si decidesse a guardarlo per la prima volta da quando avevano cominciato a parlare.
-Per te lo sarà sempre-.
La voce morbida di Pietro aveva fatto sentire Alessio un po’ del calore che quella sera gli era mancato. Gli rivolse un mezzo sorriso, ed Alessio si sentì grato verso di lui, per averlo fatto sentire meno solo e meno sbagliato anche con un gesto a tratti così banale.
Sotto quella sensazione di calma, però, continuava a sentire ribollire la stessa rabbia di prima, ancora intaccata. Pietro sembrava ancora tutt’altro che intenzionato a insistere – e anche per quello gli fu nuovamente grato, perché cercare di farlo parlare avrebbe solo peggiorato le cose-, lasciando morire anche quell’inizio di conversazione.
Alessio fece per alzarsi di nuovo, pronto a dirigersi verso il bancone: aveva bisogno di un altro po’ di alcool in circolo, per poter mettere a tacere anche quelle ultime briciole di nervoso e ira che ancora aveva nelle vene.
 
*
 
Con il passare delle ore il locale si era affollato sempre di più. Tutti i tavoli erano ormai occupati, e cominciava a faticare nel farsi largo in mezzo a quei corpi che occupavano lo spazio interno, in piedi ed ognuno con bicchieri ricolmi d’alcool. Poche volte in vita sua aveva visto un posto così gremito: parecchia gente doveva aver deciso di rinchiudersi lì dentro per scampare al freddo dicembrino, ritrovandosi a riempire sempre di più un locale che, per quanto spazioso potesse essere, in quel momento cominciava a sembrare davvero soffocante.
Pietro cercò di aguzzare lo sguardo, alzandosi sulle punte dei piedi per poter guardare oltre le teste della gente. Gli sembrava perfino incredibile essere riuscito a perdere Alessio in un maledetto bar.
Studiò ogni tavolo, mentre cercava di passare per potersi avvicinare al bancone, ma non lo vide da nessuna parte. Cominciava a preoccuparsi: Alessio non aveva smesso di bere nemmeno per un attimo, neanche quando lui stesso, Caterina, Giulia, Nicola e Filippo avevano tentato di dissuaderlo dal continuare.
E alla fine Alessio si era alzato nuovamente dal loro tavolo, finendo chissà dove.
Pietro si pentì amaramente di non averlo seguito sin da subito. Aveva sperato di ritrovarlo fuori, a prendere una boccata d’aria fresca, quando dieci minuti prima era andato a fumare una sigaretta. E invece, di Alessio, tracce non ce n’erano. Si era limitato a salutare velocemente Caterina, Nicola, Giulia e Filippo, dicendo loro che si sarebbe trattenuto di più per rintracciare l’altro; aveva fumato il più velocemente possibile, ed era infine tornato tra la ressa, nella luce soffusa, con la musica ad alto volume che gli rimbombava nei timpani, i bicchieri di spumante e prosecco che aveva bevuto anche lui che cominciavano a farsi sentire. Gli sembrava di stare in un inferno fatto di confusione, sudore e ansia.
Ci mise parecchio ad arrivare al bancone, ed anche una volta giunto lì non gli fu facile individuare la testa bionda di Alessio. Lo vide però dopo alcuni attimi, i gomiti poggiati sulla superficie del bancone ed una mano che gli reggeva il volto.
Cercò di avvicinarglisi, un senso di sollievo che si faceva strada in Pietro, spingendo altra gente e cercando di trovare spazi per passare. Il viso di Alessio non aveva una bella cera: quando riuscì ad arrivargli accanto, pur con mille difficoltà, notò quanto fosse pallido. Immaginava che, se la luce fosse stata sufficiente, sarebbe riuscito a notare anche un vago colorito verdognolo. Era leggermente sudato, e la camicia più sbottonata di quando aveva lasciato il tavolo; teneva gli occhi chiusi, e non doveva essersi minimamente accorto di Pietro accanto a lui.
-Ehi!- Pietro quasi urlò, cercando di farsi sentire nonostante il volume della musica – Dobbiamo andarcene. Devi venire a casa con me-.
Alessio sembrò destarsi da un lungo sonno. Non sembrava molto presente, e Pietro non poté fare a meno di chiedersi se avesse bevuto ancora; aveva un bicchiere posato davanti a sé, pieno di un liquido trasparente che poteva essere vodka, ma ancora mezzo pieno. Forse non era nemmeno riuscito a buttare giù ulteriori alcolici.
-Non voglio alzarmi- biascicò Alessio, a malapena udibile, appoggiando direttamente il capo sulla superficie liscia e fredda del bancone.
Pietro si morse il labbro: aveva davvero sbagliato a lasciarlo solo, vittima di se stesso e di quello che considerava vero e proprio autolesionismo. Si chiese cosa potesse essere successo di così grave, tra lui ed Alice, per affondare i proprio pensieri nell’ubriachezza totale; era sicuro che Alessio non gliel’avrebbe mai detto, ma era altrettanto sicuro che non avrebbe mai smesso di chiederselo.
-Dovevi proprio ridurti così male?- domandò isterico, cercando di sollevare Alessio di peso dallo sgabello, ma riuscendoci a stento – Avanti, cerca almeno di alzarti-.
Rifece un tentativo – forse gli sarebbe stato più semplice se non fosse stato brillo a sua volta-, e passando un braccio attorno alla vita di Alessio riuscì piuttosto impacciato a sollevarlo. Attese fermo qualche secondo, prima di mollare un po’ la presa per vedere se riusciva a stare perlomeno in piedi. Alessio rimase dritto, ma già dopo qualche secondo barcollò, portandosi una mano sugli occhi:
-Mi gira la testa-.
Quello era un altro dei timori di Pietro. Immaginava avrebbe faticato a rimanere in equilibrio, e scommetteva che di lì a poco, nel peggiore dei casi, sarebbe sopraggiunta anche la nausea.
-Vieni con me-.
Pietro gli si riavvicinò, tenendolo stretto per non farlo cadere.
Raggiungere il bagno fu tutt’altro che una passeggiata, ma alla fine riuscì a guidare se stesso ed Alessio fino alla porta bianca della toilette, che si trovava in una zona più tranquilla del locale. Anche lì la musica arrivava a martellare i timpani, e la luce era sempre fioca, ma perlomeno non c’era la stessa ressa di gente che vi era nella zona del bancone e dei tavoli.
Pietro richiuse la porta dietro di sé, tirando un sospiro. La luce al neon che rischiarava l’antibagno era bianca e fredda, piuttosto fastidiosa: Pietro dovette tenere gli occhi socchiusi per qualche secondo, prima di abituarsi a quell’ambiente più rischiarato.
Alessio si divincolò debolmente dalla sua presa, andando ad aggrapparsi al bordo del lavandino. Sotto quella luce la sua pelle appariva ancor più verdastra e pallida, e Pietro poté solo immaginare quanto male potesse sentirsi anche in quel momento, quando ancora gli sforzi della nausea sembravano lontani.
-Sciacquati un po’ il viso- Pietro fece per avvicinarglisi, aprendo il rubinetto e passando le dita sotto il getto dell’acqua fresca – Forse ti sentirai leggermente meglio-.
Alessio continuava a non dire nulla e ad avere lo sguardo vacuo; non oppose resistenza quando Pietro gli passò una mano bagnata sulla fronte, facendolo sentire meno accalorato e lavando via il sudore.
Dopo qualche secondo, finalmente, Alessio sembrò riprendersi un po’: si chinò maggiormente sul lavabo, bagnandosi a sua volta le mani e passandosele lentamente sulle guance.
Pietro se ne rimase lì accanto, osservandolo: Alessio non era agitato come al solito, quando beveva troppo. Sembrava più demoralizzato, come se avesse appena ricevuto una gran brutta notizia. Appariva docile e con la mente offuscata, e Pietro non riuscì a capire se considerare quel cambiamento come un fatto positivo o meno.
-Come ti senti?-.
Pietro gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. Alessio rimase con lo sguardo fisso davanti a sé, prima di voltarsi appena verso di lui, lentamente, con una smorfia dipinta in viso:
-Non c’è male-.
Pietro ci credeva poco, ma non disse nulla: discutere con un ubriaco, quando lui per primo lo era seppur in minor parte, sarebbe stato solo tempo sprecato, ed avrebbe solo complicato le cose. Voleva evitare entrambe le situazioni.
-Forza, andiamo- fece per tirare per un braccio Alessio, spingendolo a staccare la presa dal bordo del lavandino, e a seguirlo fuori dalla toilette – È tardi, e dobbiamo farci mezza Venezia a piedi per tornare-.
Non aveva idea di che ora fosse esattamente, ma di certo di tempo ne avevano già perso parecchio. Immaginava che, in quello stato, ci avrebbe messo ore a trascinare Alessio fino a quello che era stato il loro appartamento.
Alessio si bloccò in modo impacciato, facendo fermare anche Pietro, che lo guardò interrogativo. Lo vide ghignare in modo poco convinto, prima di parlare con la stessa voce impastata e roca di poco prima:
-Aspetta. Il bagno-.
-Ti viene da vomitare?- domandò con timore Pietro. Si sentì leggermente sollevato quando Alessio, dopo alcuni attimi, gli fece segno di diniego con la testa. Gli dette una mano, cercando di evitargli una rovinosa caduta mentre cercava di raggiungere la porta socchiusa del bagno.
Pietro sperò che Alessio non chiudesse la porta a chiave dall’interno: dubitava sarebbe stato abbastanza lucido per riaprirla una volta finito, e non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere in quel caso.
Si ritirò in un angolo dell’antibagno, sospirando spazientito e rumorosamente. Picchiettò il piede a terra, cercando di resistere dal prendere il cellulare dalla tasca dei jeans per controllare l’ora: preferiva non sapere quanto si fosse fatto tardi. Era sicuro che, in caso contrario, si sarebbe innervosito ancora di più.
Sperò per tutto il tempo di vedere la maniglia della porta del bagno abbassarsi in fretta, ma passarono parecchi minuti prima che Alessio finalmente uscisse, traballante e alquanto instabile.
-Hai finito? Possiamo andare?- domandò di nuovo Pietro, con tono più esasperato di quel che avrebbe voluto. Alessio fece qualche altro passo, poggiandosi contro il lavandino, cercando di richiudere la zip dei jeans e rimettere a posto la cintura. Sembrava avere qualche problema, e Pietro ebbe la certezza che non si sarebbero mossi da lì tanto presto.
-Ci sono quasi- borbottò in modo sconnesso Alessio, non riuscendo poi a trattenere una debole risata, quando all’ennesimo tentativo la cerniera ancora sembrava non essere stata richiusa, probabilmente bloccata.
Pietro se ne rimase zitto, sconsolato e rassegnato. Per un attimo pensò di trascinare di peso Alessio fuori da lì, ancora con i jeans semi aperti, fregandosene dell’aspetto completamente trasandato che avrebbe avuto. Desistette, sbuffando nell’accorgersi che, ormai, Alessio aveva smesso pure qualsiasi piccolo tentativo di rimettersi a posto i pantaloni, continuando a ridere.
Pietro rimase indeciso ancora qualche secondo, in bilico tra la voglia di andarsene il prima possibile e il senso del dovere che gli impediva di fregarsene di lui – anche se, doveva ammetterlo a se stesso, non era del tutto sicuro di poterlo chiamare propriamente senso del dovere.
-E va bene- masticò quelle parole con nervosismo, prima di raggiungere Alessio in un paio di passi, sistemandosi di fronte a lui e abbassando il viso, in modo da potergli dare una mano per rimettersi a posto in maniera quanto meno decente.
“Forse sono più ubriaco di quel che sembra, e domani sarà una fortuna che non ricorderò più niente”.
Si sentiva nervoso, estremamente nervoso, mentre portava la mano verso la cerniera. Cercò di non pensare a nulla, di non pensare al fatto che quello davanti a lui fosse Alessio, che quello che sentiva era il suo calore, che quello che rischiava di sfiorare era il suo corpo. Cercò di non farci caso, ma si sentiva quasi tremare al pensiero che quella vicinanza non gli dava alcuna sicurezza, nemmeno in quella situazione assurda.
Cercò di sistemare i jeans alla bell’e meglio, ma quando fece per ritrarre la mano, sentì le dita di Alessio stringersi attorno al suo polso.
Alzò il viso, ritrovandosi gli occhi di Alessio ben più vicini di quanto ricordasse. Aveva smesso di ridere, ed ora lo guardava e basta, in silenzio, con quelle iridi che con quella luce spettrale sembravano più glaciali e lucide del solito.
 
Flames so hot that they turned blue
Palms reflecting in your eyes
Like an endless summer
That’s the way I feel for you
 
Pietro si divincolò dalla presa lentamente, senza allontanarsi. Portò le mani sulle spalle di Alessio, come per fermare e cancellare quella distanza minima che si era appena creata.
Cercava di tenerlo più distante, tenendo ancora le mani sulle sue spalle larghe, ma la presa era cedevole: si accorse che non ci stava mettendo forza. Non stava facendo nulla per bloccare davvero quel lento avanzare, che temeva di star solo immaginando, ma che sembrava reale ogni secondo che passava.
Cercò di ritrovare la lucidità, perché in quel momento era lui quello su cui Alessio doveva fare affidamento. Eppure sentiva il respiro farsi sempre più irregolare e corto, il cuore che cominciava a martellargli in petto. Sentiva la testa girare, per il caldo, per la musica ad alto volume che gli rimbombava nei timpani, e per quella vicinanza che gli mancava da troppo tempo; osservava da vicino quel volto stravolto, pallido e screziato da lentiggini, sudato ma ancora bello e genuino come lo aveva sempre trovato.
 
If time stood still, I’d take this moment
Make it last forever
 
-Dovremmo andare- Pietro mormorò piano, forse troppo per riuscire a distinguere la propria voce dal baccano della musica proveniente appena oltre la porta. Continuava a tenere vivo quel contatto visivo, e si rendeva conto di star sbagliando tutto: avrebbe dovuto trovare la forza di volontà per tirare fuori se stesso ed Alessio da quella situazione, ma ogni ragione razionale sembrava cadere oltre l’oscurità, non valevole più di alcun valore.
Cercò di pensare a Giada, ad Alice, a qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto farlo rinsavire. Eppure era come se il suo cervello si fosse appena disconnesso, come se non volesse più sentire ragione alcuna.
Riusciva a tenere in considerazione solo il viso di Alessio, lì di fronte a lui, e quegli occhi blu a cui non avrebbe mai saputo resistere in alcun modo.
-Resta-.
La voce di Alessio risultava ancora impastata e profonda, a tratti rauca, ma riuscì a recepire ogni singola sillaba. In quel momento, con quell’unica parola, Pietro ebbe la certezza che anche l’ultima luce di razionalità se ne fosse appena andata.
Avrebbe solo dovuto trovare la forza per interrompere quel contatto, levargli le mani di dosso ed uscirsene di lì come se niente fosse, ma forse solo in quel momento cominciava ad avere piena consapevolezza che non sarebbe andata così.
 
Love me is all you need to feel
Like I do
We could slow dance to rock music
Kiss while we do it
Talk ‘till we both turn blue
 
-Resta-.
Alessio ripeté ancora una volta quella specie di ordine, impartito con un’innaturale dolcezza.
Si fece ancora un po’ più vicino, ad una distanza così minima che Pietro sentì la pelle del viso andare a fuoco nel percepire il respiro dell’altro su di sé.
Abbassò gli occhi per un attimo, ma si costrinse ad alzarli nuovamente subito dopo. Le iridi azzurre di Alessio lo scrutavano ancora, come se fossero lì ad aspettarlo ogni volta, senza imbarazzo o esitazioni.
Pietro sentì il cuore cominciare a battere ancora più forte – per il panico, per l’incertezza, o forse per l’eccitazione che sentiva scorrere in corpo, acuita dall’ubriachezza, irrefrenabile e impossibile da nascondere.
Doveva riflettere, doveva fare qualcosa – di certo, cercò di ripetersi, Alessio si comportava così solo per l’alcool che aveva in corpo, non certo perché lo voleva davvero, e lui non avrebbe dovuto e potuto approfittarsene-, ma sembrava quasi che anche il corpo non rispondesse più ai suoi comandi.
Alessio si era fatto stranamente serio, come se l’ombra delle risate di poco prima non fosse mai esistita. A Pietro quella serietà incuteva quasi timore, e ancora una volta non seppe interpretare ciò che doveva passargli per la mente, annebbiata e trasformata dall’ubriacatura.
-Perché mi sento così solo quando sono con te?-.
-Così come?-.
Pietro strabuzzò gli occhi, non capendo a cosa si riferisse Alessio. Forse era perfino inutile cercare una ragione in quelle parole, in quella situazione.
Alessio continuò a fissarlo, senza l’imbarazzo che avrebbe di sicuro avuto da sobrio, con quegli occhi azzurri che Pietro non riuscì a non guardare in risposta.
-Completo e a pezzi allo stesso tempo-.
Pietro spalancò gli occhi, indeciso sul significato da attribuire a quelle parole. Non riusciva davvero a comprendere quello che voleva dirgli Alessio, e forse era meglio così. Poteva cullarsi nell’illusione che quello fosse solo il delirio di un ubriaco, ma in quegli occhi chiari riusciva a scorgere una drammatica determinazione che lo rese ancor più insicuro.
 
Leather black and eyes of blue
 
Decise che era giunto il momento di andarsene di lì, con o senza Alessio, pur sapendo quanto gli sarebbe costato. Fece per scostarsi, in un immane sforzo di forza di volontà, ma Pietro dovette bloccarsi inevitabilmente, nel momento stesso in cui si era reso conto che le sue labbra avevano appena combaciato perfettamente con quelle di Alessio.
Rimase immobile, fermo per secondi interminabili, senza ricambiare il bacio per il troppo stupore o credendo ancora una volta che, anche quella, fosse solo una delle sue fantasie.
Doveva essere così, anche se era tutto troppo reale: il sapore amaro delle labbra ancora umide di Alessio, la sua barba che gli pizzicava la pelle, e l’odore pungente del lieve strato di sudore.
Alessio si staccò dopo poco, forse bloccato dalla non reazione di Pietro, forse resosi conto lui stesso di ciò che aveva appena fatto.
Pietro lo guardò ancora una volta negli occhi, senza dire nulla nemmeno in quel momento: in Alessio non c’era nulla che facesse supporre un suo pentimento. Nulla che facesse trapelare il suo stupore, o la voglia di andarsene da lì il prima possibile. Probabilmente era ancora troppo ubriaco anche solo per pensare davvero di uscire da quel bagno sulle sue gambe, o per rendersi conto lucidamente che cosa fosse appena successo.
Continuava semplicemente a ricambiare lo sguardo di Pietro, spostandolo dai suoi occhi alle sue labbra, in un’espressione che Pietro non seppe definire.
Stavano nascendo così tanti dubbi, nella sua testa, che non riuscì nemmeno a pensare che fosse davvero il caso di andarsene, di finire tutto così, di sperare che Alessio non si ricordasse nulla il giorno dopo.
Rimase di nuovo lì immobile, senza spostarsi, e di nuovo non oppose alcuna resistenza quando si rese conto che Alessio si era avvicinato di nuovo, poggiando le labbra nuovamente sulle sue, più timidamente e meno intraprendente di prima.
Non sapeva che fare, Pietro, anche se sapeva che, in fondo, sarebbe stata solo questione di attimi prima di perdere definitivamente il senno. Aveva Alessio lì, di fronte a lui, che lo stava baciando, e si sentiva sempre più vicino al punto di lasciarsi andare definitivamente.
Poteva fare a meno di pensare per qualche minuto, vivere il momento senza pensare alle conseguenze.
 
Life makes sense when I’m with you
Looking back my past
It all seems stranger than a stranger
 
Alessio continuava a tenere le labbra poggiate sulle sue, in un bacio casto ed insistente. Sembrò ancora più determinato quando, dopo attimi che sembrarono infiniti, Pietro rispose al bacio.
Chiuse gli occhi, il sapore e il profumo di Alessio che gli invadeva le narici e lo faceva sentire leggero, la sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco piacevole e ipnotica.
Una parte di sé era ancora consapevole di quel che stava accadendo – delle conseguenze che avrebbe comportato tutto ciò, dei cambiamenti che ci sarebbero stati-, ma veniva soffocata dalla parte più istintiva, egoista, quella che lo stava spingendo a non fermarsi, a mandare tutto il resto al diavolo e godersi quelle labbra che aveva desiderato troppo a lungo.
Era un vortice di piacere e fervore, di calore e sudore, di frenesia e voglia di avere sempre di più.
Sentiva l’euforia crescere, ad ogni tocco delle labbra e della lingua di Alessio, incapace anche solo di pensare di potersi fermare una volta giunto a quel punto.
Pietro si ritrovò a boccheggiare, il viso di Alessio che si era staccato da lui e si era diretto più in basso, sulla pelle delicata del collo. Si lasciò sfuggire un ansimo, quando sentì i suoi denti torturargli piano la pelle, arrossandola e rendendola sempre più sensibile.
Pietro abbassò il viso, cercando di riportare le labbra di Alessio all’altezza delle sue, costringendolo a lasciar perdere quella sorta di marchio che stava facendo nascere sul suo collo. Pochi secondi dopo aveva già ripreso a baciarlo, il fiato che cominciava a mancargli e le gote sempre più rosse.
Fu quasi naturale stringergli una mano sulla spalla, spingendolo più verso di sé, e lasciargli fare lo stesso. Avvertì la sua mano scendere lungo il petto e poi verso l’addome.
 
So let’s dance in slow motion
Tear it up, tear it up
Let’s dance by the ocean [2]
 
Alessio continuò a far scorrere la mano, fino a quando non arrivò alla cintura dei jeans. Pietro interruppe per un attimo il bacio, osservando le labbra rosse e tumide di Alessio e i suoi occhi azzurri, prima di riavvicinarglisi felino, mordicchiando il labbro inferiore.
Sentì Alessio ansimare piano, e quello fu il segnale che dette la sicurezza a Pietro per continuare: gli lasciò artigliare la fibbia della cintura, cercando di slacciarla nel minor tempo possibile.
Era quasi sicuro che ce l’avrebbe fatta, se solo la porta che dava all’esterno del bagno non si fosse aperta improvvisamente. Pietro si staccò subito, ben consapevole comunque di non poter ingannare molto chiunque fosse appena entrato: doveva avere i capelli completamente in disordine, il viso e le labbra arrossati, con Alessio, ancora parzialmente avvinghiato a lui, che si trovava nello stesso identico stato.
Pietro dette solo una fugace occhiata all’uomo che aveva appena varcato la soglia. Aveva notato il suo sguardo ripugnante e carico di disprezzo che aveva rivolto loro, facendolo sentire ancora peggio e più in imbarazzo di quel che già si sentiva. Abbassò subito gli occhi, cercando di risistemarsi i vestiti alla bell’e meglio, e cercando di non guardare in viso nemmeno Alessio.
-Non potete andare a scopare da un’altra parte, froci del cazzo?- la voce tagliente dell’uomo risuonò nel silenzio tombale che era calato nell’antibagno, interrotto solo dal volume lontano della musica e dal respiro accelerato di Alessio.
Pietro si morse il labbro, sforzandosi di non reagire e sperando che facesse lo stesso anche Alessio. Non si voltò nemmeno verso l’uomo: attese di sentire scattare la serratura del bagno, prima di muoversi e lanciare una veloce occhiata verso l’altro. Si era riassettato la camicia e passato una mano tra i capelli.
L’attimo dopo Pietro lo aveva già trascinato fuori, con forza, lontano da quel bagno e di nuovo in mezzo al caos del locale.
Lo stesso caos che sentiva aver preso vita dentro di lui, pronto ad accompagnarlo fino a quando non avrebbe avuto la certezza se quella notte avrebbe rappresentato, per lui, la vittoria o la disfatta più completa.
 
I got all I need
When you came after to me
Fire meet gasoline
I'm burning alive
And I can barely breathe
When you're here loving me
Fire meet gasoline
Burn with me tonight
 
*
 
Quella notte era stata, probabilmente, la più lunga di tutta la sua vita. Non aveva chiuso occhio, se non per un’ora appena: era troppa l’adrenalina e la paura che contemporaneamente gli scorrevano nelle vene, rendendolo immune al sonno, nonostante la stanchezza che si sentiva addosso.
Alla fine, più spossato e stanco di quando si era infilato sotto le coperte circa cinque ore prima, si era alzato. Fuori faceva ancora buio, ma poco gli importava. Se ne era andato in bagno per una doccia calda, fermandosi prima sulla soglia della sua stanza e socchiudendo piano la porta: Alessio, steso sul suo letto, sembrava dormire ancora profondamente, ignaro dello sguardo di Pietro che si era appena posato su di lui.
Un minuto dopo richiuse la porta, il più piano possibile: era sollevato nel poter constatare che Alessio sembrava dormire sereno, finalmente.
Il cammino fino all’appartamento, durante la notte, era stato piuttosto surreale: erano arrivati all’una, mettendoci più di un’ora, quando per le strade non c’era più anima viva e la temperatura era così bassa che Pietro si era stupito non fossero morti congelati. Nessuno di loro aveva spiaccicato parola per tutto quel tempo, se non per qualche incitamento da parte di Pietro quando Alessio sembrava sul punto di perdere l’equilibrio o di rifiutarsi di proseguire. Alla fine era arrivati, Pietro con le spalle e la schiena dolenti per averlo sostenuto per gran parte del cammino, ed Alessio con la testa che girava come non mai e con una nausea sempre più fastidiosa.
 
Club queen, on the downtown scene
Prowling around at night
 
Alessio aveva vomitato, e a Pietro non era rimasto altro che stargli accanto ed aiutarlo anche in quel momento. Quando finalmente sembrava essersi sentito meglio, l’aveva messo a letto, in camera sua; Pietro era rimasto almeno un’ora seduto accanto a lui in una sorta di veglia, ai piedi del letto, prima di decidersi a prendere un paio di coperte ed un cuscino, ed andarsi a stendere sul divano.
In quel momento, mentre si avviava verso il bagno, alle sette della mattina appena passate, poteva dirsi definitivamente esausto, fisicamente e mentalmente.
Aveva pensato e ripensato per ore a quel che era successo. Dopo tutta la notte passata a ricordare quegli attimi, quel bacio gli sembrava un ricordo vago ed etereo, come appartenente ad un mondo fatto di sogni e desideri mai realizzati.
Eppure, se si concentrava, se si passava la lingua sulle labbra, era ancora tutto lì: il sapore della bocca di Alessio, il calore della sua pelle, la barba lunga che gli graffiava la pelle, il senso di vuoto estatico allo stomaco ogni volta che quel contatto si era fatto più prolungato.
Era un po’ la stessa sensazione che provava in quell’attimo, mentre apriva l’acqua calda della doccia sul proprio corpo infreddolito: una sensazione di benessere generale, brividi che gli percorrevano la schiena e lo facevano sentire leggero.
Era stato bello, nella sua casualità e sorpresa. Ma era una bellezza – Pietro ne era consapevole, pur a malincuore- destinata a finire in ogni caso.
 
A little party never hurt no one
That’s why it’s alright
You want it, but you just can’t win
 
Ci aveva riflettuto per tutto il resto della notte, analizzando ogni sfaccettatura di quel che era accaduto.
Si era chiesto come si sarebbe comportato Alessio una volta risvegliatosi, se avrebbe ricordato qualcosa o se l’alcool avrebbe annebbiato completamente tutti i suoi ricordi. Nemmeno lui sapeva bene in cosa sperare: cosa avrebbe potuto dirgli se si fosse ricordato ogni cosa, ogni dettaglio? Dirgli la verità, essere sincero, o tenergli ancora una volta nascosto tutto ciò che ci stava dietro?
Di certo sarebbe dipeso anche da Alessio stesso. Pietro non aveva idea di cosa aspettarsi: l’avrebbe presa male, dando la colpa di tutto all’aver bevuto troppo, o si sarebbe posto qualche domanda a sua volta?
Era tutto così indecifrabile e avvolto dall’incertezza, e Pietro si sentiva totalmente instabile pensando che l’ora di affrontare tutte quelle domande sarebbe giunta ben presto.
Aveva cercato di figurarsi la loro discussione in merito un sacco di volte, ogni volta prendendo in considerazione ipotesi e conclusioni diverse. In ognuna di quelle, comunque, non riusciva a rassicurarsi in merito ad un possibile esito positivo. Alessio si sarebbe potuto pentire pur ricordando tutto e non rinnegando nulla di ciò che era successo, e quella era forse una delle ipotesi che più temeva.
 
Shining like gun metal
Cold and unsure
 
Forse, nel migliore dei casi, Alessio avrebbe lasciato Alice. Quel bacio sarebbe potuto essere considerato la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso pieno di problemi che sembravano avere in quel periodo, il gesto decisivo che avrebbe portato ad una rottura inevitabile.
Per quanto si sentisse in colpa verso Alice, Pietro non poté trattenere un sorriso tra sé e sé pensandoci. Se fosse andata così, forse anche lui avrebbe trovato il coraggio per lasciare Giada, e forse perfino il coraggio di provare a se stesso chi era davvero.
Dentro di sé sperava talmente tanto in quell’eventualità da essere consapevole che, se fosse andata in una qualsiasi maniera diversa da quella, la delusione sarebbe stata fin troppa da digerire. Ma quel bacio c’era stato, e doveva pur significare qualcosa. Doveva per forza.
 
Cause you want more
You want more
You want more
 
*
 
A little party never hurt no one
That’s why it’s alright
 
Un dolore cieco alla fronte lo svegliò lentamente. Era in un bagno di sudore nonostante non ci fosse nemmeno caldo nella stanza. Ad Alessio ci vollero diversi secondi prima di riuscire ad alzare le palpebre, e gli ci vollero altri secondi interminabili per riuscire a capire dove si trovava.
Nell’oscurità della stanza cercò a tentoni un qualche comodino accanto al letto, e quando finalmente lo trovò pregò che ci fosse almeno una lampada da poter accendere. Quando fece scattare l’interruttore poté preoccuparsi di riconoscere il luogo in cui era: non era la stanza che condivideva con Alice al loro appartamento, né la sua camera a Villaborghese. Non era nemmeno la stanza che aveva lasciato all’appartamento dove viveva con Pietro.
Strizzò gli occhi spostandoli verso gli angoli della stanza, i pensieri che viaggiavano più lentamente e più offuscati nella sua testa: a giudicare dall’ordine in cui versava la stanza e dalla libreria che si trovava appoggiata sulla parete opposta, avrebbe giurato che quella fosse però la camera di Pietro.
Richiuse gli occhi, cercando di riportare alla luce tra i suoi ricordi una stanza del genere. Sì, pensò dopo un minuto, era la stanza di Pietro. Quella del loro appartamento.
Non ricordava come aveva fatto a finire lì. Il mal di testa terribile che stava crescendo gli impediva di approfondire troppo i pochi ricordi che aveva della notte prima: gli sembrava tutto così vago e sfumato, come se la notte appena passata esistesse solo nella sua mente sofferente.
Si sentiva parecchio indolenzito, un vero e proprio rottame. Gli ultimi avvenimenti che ricordava bene e senza alcuno sforzo risalivano ancora alla cena della laurea di Caterina, quando Alice ancora era con loro, mentre lui stesso cercava di evitarla il più possibile.
Poi il buio.
Doveva aver bevuto tanto, troppo. Si odiava per quelle perdite di controllo a cui soccombeva, non lasciandosi scampo.
In quel momento, ne era sicuro, doveva ringraziare solo se stesso se si ritrovava in quello stato pietoso.
Cercò di alzarsi, troppo stanco perfino per arrabbiarsi verso le sue pessime decisioni. Arrivò a riuscire a sedersi con non poca fatica, e quando provò ad alzarsi, inevitabilmente finì di nuovo seduto sul letto, la testa che gli girava troppo.
Dovette attendere diversi minuti prima di riprovarci, stavolta riuscendo a mantenersi in piedi; avanzò a passi impacciati verso la porta, abbassando piano la maniglia.
Il resto della casa era silenzioso, e si chiese se Pietro fosse lì da qualche parte. Forse stava ancora dormendo, o forse era già uscito per qualche motivo che Alessio, anche sforzandosi, non avrebbe di certo ricordato.
Riuscì ad arrivare in cucina senza troppi problemi, bloccandosi sulla soglia quando si accorse che Pietro era proprio in quella stanza, seduto ad una sedia del tavolo e chino su un libro, mentre teneva una matita in mano. Sembrava troppo concentrato a studiare per essersi accorto del suo arrivo: non aveva alzato lo sguardo né detto nulla, ed Alessio non fece altro che rimanere fermo dove si trovava, come in attesa di qualcosa.
Vaghi ricordi cominciavano a riaffiorare nella sua mente, seppur offuscati e poco chiari. Aveva stampata in mente l’immagine poco nitida di una piccola stanza fredda, che non conosceva e di cui non avrebbe nemmeno giurato l’effettiva esistenza.
E poi ricordava anche Pietro, con lui, di fronte a lui, esattamente come in quel momento nella realtà, solo più vicino. Molto più vicino.
Alessio si passò una mano sul viso ad una nuova fitta causata dal mal di testa. Si lasciò sfuggire un mugolio, rivelando la sua presenza: Pietro alzò il volto di scatto, accorgendosi di lui ed arrossendo subito dopo.
-Oh, non mi ero accorto ti fossi svegliato- farfugliò Pietro, mollando la matita sul tavolo ed alzandosi dalla sedia – Ho preferito lasciarti dormire. Non eri messo bene ieri notte-.
-Che ore sono?- Alessio parlò con voce rauca e bassa, talmente tanto che si sorprese nel rendersi conto che Pietro aveva capito ciò che aveva appena chiesto:
-Sono quasi le dieci-.
Pietro sembrava rifuggire il suo sguardo, ma Alessio non si soffermò troppo su quel dettaglio. Preferì lasciarsi cadere su una sedia, mollemente, gli occhi di nuovo chiusi e il mal di testa che gli rendeva difficile concentrarsi su qualsiasi cosa.
-Ti preparo un the caldo- borbottò di nuovo Pietro, camminando velocemente da una parte all’altra della cucina – Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare?-.
-No, grazie. Ho lo stomaco sottosopra-.
Alessio lo sentì aprire e richiudere un’anta di una credenza, probabilmente intento a recuperare tutto ciò che gli sarebbe servito per preparare del the.
Rimasero in silenzio per diversi minuti. Pietro se ne rimase in piedi, accanto al fornello, in attesa che l’acqua per il the fosse abbastanza calda, ed Alessio non si mosse dalla sedia su cui era crollato.
Non ricordava di un’altra volta in cui si era ridotto così male. Doveva aver bevuto senza freni, e si ripromise, in un futuro non ben precisato, di non rifare lo stesso errore. Doveva darsi una calmata, anche nei momenti peggiori.
-Ti senti meglio, almeno? Questa notte eri ridotto davvero uno straccio- la voce di Pietro risuonò tra le pareti della cucina, apprensiva e a tratti esitante. Alessio si sarebbe aspettato, dopo una domanda del genere, di ritrovarselo accanto, magari con una mano posata sulla sua spalla; Pietro, invece, non si era minimamente avvicinato. Se ne era rimasto fermo esattamente dove si trovava, a tratti lanciandogli solo occhiate timorose che Alessio colse e che non riuscì ad interpretare.
-Me la caverò-.
Sperava di poter rimettersi in sesto entro poche ore, nonostante quella mattina già stesse per finire piuttosto malamente.
Si chiese come mai nessuno gli avesse impedito di bere così tanto. La sua memoria cominciava a risultare inaffidabile solo dopo la breve conversazione avuta con Pietro durante la cena, dopo che Alice se ne era andata. Ma poi, cos’era successo? Si era allontanato a sua volta, per restarsene in pace e da solo?
Si sforzò per ricordare qualcosa, strizzando gli occhi in un gesto automatico. Ricordava solo vaghe immagini del locale della notte prima, lontane come se fossero scene appartenenti più ad un film che alla sua stessa memoria. Ricordava la gente, tutta la gente che c’era lì dentro, il caldo a tratti asfissiante e la musica che lo assordava.
E ricordava Pietro. Pietro che lo portava da qualche parte, nello stesso locale, da qualche parte che non ricordava con precisione.
Cercò ancora nella sua memoria, piena di falle e forse troppo inaffidabile, senza riuscire a far emergere altri dettagli. Per quel che ne sapeva, quel che gli sembrava di ricordare poteva essere solo un sogno, la sua immaginazione mischiata a ciò che era realmente successo la sera prima.
-Ero davvero messo così male?- domandò Alessio, senza riuscire a trattenersi – Voglio dire … Ho bevuto troppo?-.
Sentì Pietro tirare un sospiro, con fare desolato:
-Hai bevuto, sì. Parecchio-.
-E sono stato male-.
-Hai vomitato poco dopo che siamo arrivati qua- spiegò Pietro, prima di respirare nuovamente a fondo e lasciando perdere il fornello: si sedette sulla sedia accanto a quella di Alessio, finalmente guardandolo direttamente in viso. Alessio lo vide insolitamente agitato, disorientato:
-Non ti ricordi niente di stanotte?-.
Gli occhi neri di Pietro sembrarono quasi brillare speranzosi, ma ad Alessio non rimase altro che scuotere la testa, sconfortato:
-Temo di no. È tutto così confuso-.
In quel momento però, con Pietro lì vicino, gli sembrò di ricordare qualcos’altro. Non sapeva se era a tutti gli effetti un ricordo, o di nuovo solamente qualcosa che la sua mente aveva elaborato durante il sonno, ma quasi gli sembrava di aver già vissuto una situazione di strana vicinanza tra di loro.
Era una sensazione strana, quasi un déjà-vu: gli riaffioravano nella mente immagini di Pietro, di fronte a sé, vicino come non lo era mai stato prima, una vicinanza da risultare perfino intima.
Spaventosamente intima.
Alessio scosse di nuovo il capo, con più vigore, come a convincere Pietro e a convincersi di ciò che stava per dire:
-No, non mi ricordo nulla. Zero totale-.
Pietro sembrò irrigidirsi di fronte a quelle parole. Serrò la mascella, e ad Alessio sembrò molto meno apprensivo di quel che era solo poco prima.
Di nuovo, preferì non domandarsi a cosa fosse dovuto quel repentino cambio di atteggiamento.
-Ti ricordi almeno perché sei qui?- chiese Pietro, asciutto.
-Sì, mi ricordo di averti chiesto di ospitarmi. Non ero ancora ubriaco quando l’ho fatto- replicò Alessio, sulla difensiva.
Pietro lo fissò per alcuni istanti, prima di restituirgli uno sguardo tagliente, accompagnato da un sorriso che risultò più sferzante che rassicurante:
-No, evidentemente no-.
Si alzò velocemente dalla sedia, voltando le spalle ad Alessio. Dopo alcuni secondi sbuffò sonoramente, cambiando idea e tornando di nuovo a guardarlo: stavolta, sul suo volto, Alessio fu quasi sicuro di leggervi una nota di dolore.
-Non ricordi proprio niente? Nemmeno sforzandoti?-.
Gli occhi di Pietro continuavano a dardeggiare sul suo viso, ed Alessio, per un attimo fugace, ebbe l’impressione di poter ricordare quegli stessi occhi con quello stesso sguardo perso, nella stessa stanza angusta che aveva riportato alla mente poco prima.
Era solo una sua impressione o era successo davvero qualcosa, in quel posto, tra di loro?
Cercò nuovamente di concentrarsi, di sforzarsi il più possibile.
Ricordava Pietro, di fronte a lui, senza riuscire a capire se la vicinanza nella quale lo ricordava fosse reale o soltanto un’impressione. Cercava di ripercorrere quelle immagini, senza alcuna certezza della loro autenticità: poteva essere solo la sua mente, troppo annebbiata e affaticata, a restituirgli quell’immagine di Pietro così vicina a lui. In un flash, un ricordo talmente fugace e sfumato da lasciarlo incerto ancor di più, ad Alessio sembrò di ricordare il segno inequivocabile di quella distanza misera che li aveva separati.
Lottò contro l’istinto di toccarsi le labbra, nel momento in cui l’immagine e la sensazione della propria bocca baciata da quella di Pietro aveva fatto capolino nella sua mente, facendosi spazio tra i ricordi mischiati ai sogni.
Alessio sentì il proprio cuore accelerare, come impazzito, cercando di non cedere all’impulso di alzarsi e scappare via di lì. Alzò gli occhi verso Pietro, lentamente: lo teneva ancora osservato, con lo stesso sguardo speranzoso e deluso allo stesso tempo.
Riabbassò subito lo sguardo, scuotendo il capo come se quello potesse servirgli per cancellare ciò che gli era appena sembrato di ricordare.
Non era possibile, non doveva essere reale.
Aveva bevuto troppo, quello lo sapeva, ma sapeva anche che non avrebbe avuto alcun motivo per spingersi a baciare Pietro – e Pietro, d’altro canto, non avrebbe avuto alcun motivo per baciare lui. Doveva essere solo un sogno, solo un delirio dettato dall’alcool e dalla stanchezza, un sogno fatto durante la notte che ora gli sembrava di ricordare come un avvenimento realmente accaduto.
Doveva essere così.
Doveva convincersi che era esattamente così.
-Ricordo solo che ero arrabbiato con Alice, che ti ho chiesto di dormire qua per non tornare a casa con lei, e che ho continuato a bere per tutta la sera- Alessio parlò lentamente, ponderando ogni singola sillaba nel pronunciarla a mezza voce – Nient’altro-.
Pietro rimase a fissarlo ancora qualche secondo, come se avesse appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida in viso, e come se non gli credesse affatto. Ad Alessio sembrarono attimi interminabili, prima di osservarlo mentre faceva qualche passo indietro, alzando un braccio per passarsi una mano tra i capelli.
Fu in quel momento, grazie alla piega che aveva preso lo scollo del maglione di Pietro, che notò un lembo di pelle del collo arrossato, come se qualcuno lo avesse vezzeggiato non troppo tempo prima.
Alessio deglutì, il respiro che cominciava a farsi accelerato: non sarebbe stato nulla di strano, né qualcosa di insolito, se Pietro avesse passato del tempo con Giada tra il giorno prima e quella mattina.
Ma come avrebbe potuto, se Pietro stesso aveva affermato che non la vedeva da giorni?
Gli sembrò di impazzire, di aver perso il controllo su ogni cosa. Non riusciva più a capire cosa fosse soltanto un sogno e ciò che era reale.
-Non c’è stato nient’altro, vero?-.
Alessio tenne gli occhi fissi sul volto di Pietro, rigido e pallido come non credeva di averlo mai visto.
Cominciava a temere che qualcosa, in realtà, fosse successo per davvero, anche se, probabilmente, non lo avrebbe mai scoperto.
-No. Certo che no-.
Pietro gli voltò le spalle, facendo qualche passo verso l’uscita della cucina. Non aveva idea di dove se ne stesse andando, così all’improvviso, ma Alessio non lo fermò ugualmente.
Aveva solo l’impressione che Pietro stesse cercando di scappare il più lontano possibile da lui.
-Non c’è nient’altro. Non c’è mai stato altro-.

 
Sembrava l’inizio di una qualche felicità. Poi si sa come vanno le cose: scivolano sempre, impercettibili, non c’è verso di fermarle, se ne vanno, semplicemente se ne vanno” - Alessandro Baricco
 
A little party never hurt no one
Not you and me
A little party never hurt no one
We were born to be free [3]
 

 
[1] Sia - "Fire meet gasoline"
[2] Lana Del Rey - "Freak"
[3] Lana Del Rey - "Art Deco"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi artisti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Beh, è piuttosto intuibile che, dopo aver letto questo capitolo, chiunque abbia sperato in un esito positivo tra questi due testoni ora voglia mandarci all'altro mondo (noi insieme ad Alessio) 😂
Vi avevamo avvisato: in questa storia alle feste di laurea ci si deve aspettare molte cose, alcune felici e altre molto meno. Ma diteci la verità: vi aspettavate che tra Alessio e Pietro partisse, finalmente, il limone del secolo?🍋🍋🍋 C'era tensione nell'aria già negli scorsi capitoli, e forse ora abbiamo capito che genere di tensione fosse!
Alla fine di questo capitolo, però, scopriamo che Alessio non ricorda nulla, o meglio: quasi nulla, ma lui per primo preferisce non indagare a fondo su certi flash di ricordi che sembra avere. Pietro, in ogni caso, sembra non star reagendo molto bene ... E da qui in avanti, vi avvisiamo, sarà davvero un bel dilemma intuire cosa succederà tra loro.
Nel frattempo, però, ci rivediamo mercoledì 25 maggio con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Il regalo più grande ***


Prima di lasciarvi al nuovo capitolo, volevamo dirvi che abbiamo cercato di documentarci il più possibile su come avviene un parto, soprattutto sulle procedure seguite in ospedale, ma non avendolo mai vissuto in prima persona ovviamente non possiamo sapere quanto possa essere corretto ciò che abbiamo scritto. Speriamo solo di non essere cadute in troppe inesattezze 😂

 
CAPITOLO 21 - IL REGALO PIU' GRANDE




 
I believe in nothing
Not the end and not the start
I believe in nothing
Not the earth and not the stars
I believe in nothing
Not the day and not the dark
I believe in nothing
But the beating of our hearts
 
Faceva freddo durante quei primi giorni del nuovo anno. Il 2018 si era aperto con giornate adornate da un sole pallido, tra l’aria gelida e l’umidità imperante.
Lo spicchio di cielo che si intravedeva dalla finestra della cucina era di un insolito azzurro cristallino: sembrava essere tornato finalmente limpido, dopo che aveva piovuto sin dal primo giorno dell’anno.
Caterina si sistemò meglio sulla sedia, spostando lo sguardo lontano dalla finestra. Cercò di concentrarsi sulla figura di Nicola, impegnato a scolare la pasta per il pranzo, ma senza molti risultati. C’era un’inquietudine di fondo a renderla nervosa, distratta da tutto ciò che avveniva intorno a lei.
Si stava concentrando troppo sulle sensazioni che provenivano dal suo corpo, e sapeva che non avrebbe dovuto farlo: rischiava di scambiare dolori innocui per contrazioni, ed agitarsi per nulla.
Tirò un sospiro, sostenendo il capo con una mano; forse era la frustrazione di non aver ancora partorito a renderla così reattiva ad ogni minimo segnale. Stava entrando nella quarantesima settimana, e non si sentiva altro che gonfia all’inverosimile, stanca e pesante. Ma nessuna vera contrazione, ancora niente di niente. Solo falsi allarmi, sempre e solo falsi allarmi che avevano contribuito ad illuderla e a renderla più ansiosa.
-Ecco qua, il pranzo!- la voce di Nicola la distrasse, facendola quasi sobbalzare per la vicinanza. Caterina fece appena in tempo ad alzare gli occhi per notare il piatto di pasta che Nicola le aveva appena poggiato sul tavolo, davanti a lei.
Per quanto potesse risultare invitante, Caterina storse il naso: non aveva fame nemmeno quel giorno.
-Hai fame?-.
Alzando il viso, notò Nicola ricambiare il suo sguardo, con un sorriso incoraggiante stampato in faccia: non sembrava molto convinto nemmeno lui di poter ricevere una risposta positiva, ma perlomeno sembrava voler provare ad essere ottimista. Si sedette sulla sedia di fianco a quella di Caterina, afferrando la forchetta per iniziare a mangiare.
-Non molta, in realtà- sbuffò lei, seccata.
Nicola annuì pensieroso, prima di prendere una forchettata di pasta:
-Beh, devi mangiare comunque. Per tenerti in forza-.
Caterina roteò gli occhi verso l’alto, ancor più seccata di prima. In quegli ultimi giorni non vedeva molti motivi per cui avrebbe dovuto conservare energie: per sopportare quei piccoli dolori, che durante l’ora precedente erano aumentati, non doveva certo fare sforzi sovrumani.
-Tenermi in forza? Per cosa, per urlare di più quando finalmente tuo figlio deciderà di nascere?-.
-No, per avere più energie per far nascere nostro figlio- la corresse con tranquillità disarmante Nicola, come se la cosa fosse ovvia. Caterina lo guardò minacciosamente, sentendo già di essere vicina al perdere la calma che, invece, Nicola ostentava fin troppo.
Preferì non dire nulla, e si limitò a mettere sotto i denti un po’ di pasta a sua volta: era buona, ma non aveva alcuna voglia di mangiarla.
-Devi cercare di stare tranquilla- pur non guardando Nicola, era sicura che lui la stesse osservando con lo stesso sorriso addolcito di prima, mentre le lasciava una carezza sul braccio – Ormai manca poco, potrebbe essere questione di pochi giorni come di poche ore-.
Non sapeva se Nicola ci credesse davvero o no. Poteva averlo detto solo per farla sentire meno in ansia, per darle la parvenza che tutto stesse andando bene.
-Sulle poche ore avrei qualche dubbio. In ogni caso, non è detto che manchi così poco, come dici tu- sospirò Caterina, passandosi una mano sul viso. Aveva pensato al momento del parto come una cosa terrificante per tutta la gravidanza, fino alla fine dell’anno.
In quel momento, quando ormai non si sentiva altro che dolorante, gonfia ed isterica, non vedeva quasi l’ora che finalmente giungesse il giorno in cui suo figlio sarebbe venuto alla luce.
-Nascerà quando sarà il momento. Mal che vada ti indurranno il parto, come ti hanno detto- continuò Nicola, gli occhi azzurri che trasmettevano meno serenità di quella che invece lasciava trasparire la calma della sua voce.
-Oh, una passeggiata, vero?-.
Caterina ricordava bene le parole della sua ginecologa all’ultimo controllo, solo pochi giorni prima: se le contrazioni non si fossero presentate entro la quarantunesima settimana, ci avrebbero pensato in ospedale ad indurle. Per quanto potesse essere l’unica soluzione che le si prospettava, non riusciva ad entusiasmarsi all’idea di indurre il parto artificialmente.
Sospirò di nuovo, a fondo, lasciandosi andare con la schiena contro lo schienale della sedia, lo sguardo perso davanti a sé:
-Tutta questa attesa mi sta logorando-.
Si sentiva quasi patetica nel sentirsi così abbattuta, ma non ci poteva fare nulla: si sentiva stanca di aspettare, di illudersi che ogni giorno fosse quello giusto, o che le cose sarebbero andate come se le era sempre immaginate lei.
-Lo so- Nicola lasciò la forchetta sul tovagliolo, sporgendosi verso di lei per passarle un braccio attorno alle spalle. Negli ultimi mesi sembrava essere diventato quasi più protettivo, oltre che più dolce.
-Continui ancora a sentirti un po’ strana? Magari sono i primi segnali-.
Caterina sentì un’altra fitta attraversarle l’addome, più forte e prolungata della altre. Era sicura di non aver mai percepito un dolore simile prima di allora, ma cercò di non pensare subito alle contrazioni. Poteva essere l’ennesimo falso allarme, e non ci teneva a farsi aspettative troppo grandi per l’ennesima volta.
-Sì, ma ormai non mi faccio più illusioni. Non ne vale la pena-.
Non disse altro, limitandosi a prendere un altro boccone di pasta. Sperava solo che anche quella giornata, in cui di sicuro non sarebbe successo alcunché, passasse il più in fretta possibile.
 
*
 
Era la prima volta che poteva definirsi contenta di essersi sbagliata – anche se immaginava che, di lì a qualche ora, era sicura avrebbe preferito di nuovo avere ragione.
I dolori non se ne erano andati, e con il passare delle ore si erano fatti più intensi e presenti. Se inizialmente poteva percepire una fitta ad ogni ora, nel pomeriggio erano aumentate progressivamente, con regolarità.
Si sentiva strana a poter affermare, finalmente, di avere le prime contrazioni. In fin dei conti non le stavano impedendo di fare le solite cose – pulire la casa, stirare gli ultimi vestiti che avrebbe dovuto portare in ospedale-, non faticava nemmeno a rimanere in piedi per troppo tempo. Si sentiva insolitamente piena di energie, euforica e spaventata allo stesso tempo. Si era immaginata a lungo come sarebbe stato vivere l’inizio delle contrazioni, ma la verità era che le cose stavano andando molto diversamente da come aveva sempre pensato.
Era sempre stata sicura che si sarebbe agitata come non mai. In quel momento, invece, dopo che erano passate ormai cinque ore dai primi dolori, manteneva una calma che non si sarebbe mai aspettata. Cominciavano a farsi più dolorose e fastidiose, ma resisteva stoicamente anche a quella sensazione.
Era l’originaria calma di Nicola che, invece, si era dissipata mano a mano. Caterina stava ben attenta a non dare a vedere come il dolore delle prime contrazioni aumentasse inesorabilmente, ma anche così si ritrovava ad essere fissata da lui con aria a tratti terrorizzata. Le teneva gli occhi addosso da quando lo aveva avvertito che le fitte cominciavano a farsi regolari – seppur ancora a distanza di lungo tempo-, e anche se erano passate diverse ore in cui non c’erano stati problemi, il viso di Nicola appariva sempre più pallido e tirato.
Caterina si era trattenuta diverse volte dal vendicarsi dicendogli che doveva “cercare di stare tranquillo”. Infierire su di lui in quel momento sarebbe stato come sparare sulla croce rossa.
Erano da poco passate le sette di sera, quando Caterina si era avviata verso la stanza da letto, dopo essersi fatta una doccia calda veloce: l’acqua tiepida aveva alleviato un po’ il dolore delle fitte, che ormai si ripetevano ogni mezz’ora. Aveva tutta l’intenzione di prendersi tutto il tempo possibile per mettere ordinatamente nella valigia i vestiti puliti e stirati che avrebbe dovuto portare con sé in ospedale, e per controllare i documenti da presentare per il ricovero.
La valigia era già aperta sul pavimento, ed una pila di vestiti ripiegati sopra al materasso attendevano solo di esservi infilati. Fece per piegarsi per prenderli in mano, ma si bloccò per alcuni secondi: era passata mezz’ora dall’ultima contrazione, e puntuale ne era sopraggiunta un’altra.
Si lasciò sfuggire un gemito di dolore a bassa voce, mentre si teneva una mano sulla schiena dolorante e l’altra sul pancione. Si mise una mano sulla bocca per non farsi scappare altri lamenti: sentiva i passi di Nicola avvicinarsi alla camera, e non aveva la minima intenzione di farlo andare ancor più nel panico.
Dopo nemmeno un minuto la figura di Nicola comparve sulla soglia. Non l’aveva praticamente mai lasciata da sola per tutta la giornata, seguendola come un’ombra silenziosa, a tratti inquietante. A Caterina un po’ faceva ridere quell’immagine di Nicola, così tanto apprensivo da riuscire a lasciarla in pace solo per i dieci minuti di una doccia veloce.
-Stai bene? Le contrazioni ti fanno troppo male? Dobbiamo andare in ospedale?- Nicola, compiendo ancora qualche passo verso di lei, la tartassò di domande. Doveva averla tradita la smorfia contratta del viso, che doveva senz’altro aver lasciato intuire come le fitte si erano fatte più intense e durature.
-È  ancora presto- liquidò velocemente la questione Caterina, tirando un lungo sospiro – Ti ricordo che al corso preparto hanno detto che, se non ci sono problemi, si può andare in ospedale quando le contrazioni sono ogni dieci minuti-.
-Lo ricordo- replicò Nicola, portandosi le mani sui fianchi, con cipiglio severo – Ma ricordo anche che hanno detto che, volendo, si può anche andare prima-.
-Per morire di noia e di ansia tutte insieme?- Caterina scosse la testa, chinandosi lentamente verso la pila di vestiti e prendendoli in mano – Sto molto meglio a casa mia, se permetti. E poi se andassimo là troppo presto ci direbbero di tornarcene indietro, stanne sicuro-.
Nicola sembrò voler dire qualcosa, ma si ritrovò ad aprire e richiudere la bocca senza aver proferito parola. Sembrava aver rinunciato a ribattere già in partenza, e Caterina si compiacque con sé stessa per averlo messo a tacere almeno su quella questione.
-Dammi una mano a sistemare la valigia, piuttosto- Caterina gli passò i vestiti, facendogli un cenno con il capo per indicargli dove posarli – Almeno in due ci metteremo molto meno-.
-Sono pur sempre più agile di te, ultimamente- rispose lui, chinandosi a terra e riponendoli in un angolo della parte interna della valigia.
Ci misero relativamente poco a riempirla con tutto il necessario, e Caterina rilesse più volte il lungo elenco che si era scritta per controllare che tutto fosse lì dentro.  Sembrava esserci tutto, e potevano dire di aver concluso anche quella questione aperta in poco tempo.
-Hai ricontrollato i documenti? Sono tutti a posto?- chiese infine Nicola, rialzandosi dopo aver chiuso la valigia.
-È tutto ok-.
Caterina andò a sedersi sul bordo del letto, lanciando un’occhiata al display della sveglia sul comodino: mancavano ipoteticamente dieci minuti circa alla successiva contrazione.
Si sentiva più stanca rispetto a prima: forse cominciava ad accusare un po’ la pressione psicologica, o forse era tutto dovuto solo alle contrazioni che sembravano dover giungere un po’ in anticipo rispetto alla tabella di marcia.
Rimase seduta per alcuni minuti, prima di spalancare gli occhi d’un tratto, portando lo sguardo verso il basso e le mano sulla zona bassa del pancione, in un gesto automatico.
Sembrò recuperare tutto il panico che non l’aveva assalita fino a quel momento tutto di colpo, non appena una sgradevole sensazione di bagnato la assalì.
-Che succede?- Nicola le si avvicinò curioso, dopo aver notato il suo cambio d’espressione e quei gesti allarmati.
Caterina non riuscì a far altro che alzare gli occhi verso di lui solo dopo alcuni momenti, che le erano serviti per rendersi conto sul serio cosa poteva essere successo.
-Credo mi si siano appena rotte le acque-.
Nicola ricambiò lo sguardo, e si ritrovò a parlare in maniera così calma che Caterina intuì subito che doveva sentirsi talmente terrorizzato da non aver nemmeno il coraggio di urlare dall’agitazione:
-Dobbiamo andare in ospedale?-.
Caterina si lasciò sfuggire un singulto rassegnato.
-Dobbiamo andare, sì-.
 
*
 
L’arrivo in ospedale non era stato troppo problematico. L'idro-ambulanza non ci aveva messo troppo a giungere al canale più vicino al loro palazzo, né ci aveva impiegato troppo tempo ad arrivare all’Ospedale civile.
Caterina cominciava a sentirsi in agitazione. Non aveva idea di che sarebbe successo da quel momento in avanti, se quelle perdite che stava avendo fossero davvero quel che pensava. Non sapeva nemmeno se stava andando davvero tutto bene, e non aveva smesso di chiederselo per tutto il tempo, fino a quando non aveva varcato la soglia dell’ospedale.
Aveva presentato i documenti alla reception, e non appena raccontato ciò che era successo, l’avevano finalmente ricoverata in vista del parto.
In camera si era infilata il camicie d’ospedale, cercando di contenere i tremiti e di non pensare al dolore delle contrazioni, che cominciavano a farsi più forti e durature, e a distanza di meno tempo.
Nicola le era stato accanto per tutto il tempo, anche durante la visita da parte dell’ostetrica. Caterina l’aveva ascoltata parlare per tutta la visita, cercando di rilassarsi a mano a mano che questa controllava i valori suoi e del piccolo – già cefalico-, tutti in regola. Alla notizia che la dilatazione era già iniziata, si era sentita come investire da una doccia fredda: cominciava ad avere idea di quali dolori sarebbero stati quelli del parto, e già si pentiva di aver sperato così tanto che arrivassero il prima possibile.
L’ostetrica che la stava seguendo le sembrava gentile e disponibile, sempre con il sorriso stampato in faccia ed incoraggiante; Caterina non sapeva se definirlo più rassicurante o irritante, ed alla fine aveva rinunciato a capirlo.
Le ore stavano passando più lentamente di quanto non fosse mai successo durante la sua vita, e non sapeva quanto ancora sarebbe durata quella situazione di stallo. Tempo prima aveva letto che al primo parto il travaglio poteva durare anche dodici ore: per quel che la riguardava, si immaginava mezza svenuta già anche solo dopo sei ore. I controlli dell’ostetrica avvenivano periodicamente, piuttosto spesso, ed ogni volta era per Caterina una piccola ansia: riusciva a sentirsi vagamente tranquilla solo quando si sentiva dire che stava andando tutto alla perfezione, come doveva andare.
Erano da poco passate le dieci quando, finalmente, Caterina poté tirare un sospiro di sollievo: l’epidurale era una vera e propria manna dal cielo. Le contrazioni avvenivano ormai ogni cinque minuti, e il dolore era intenso come non l’aveva mai sentito prima di quel momento.
La consueta visita dell’ostetrica era finita da non più di mezz’ora, e Caterina si sentiva la testa girare e le membra stanche ed indolenzite. Non aveva più mangiato dall’ora di pranzo, e nonostante i dolori tremendi, cominciava a percepire un languore all’altezza dello stomaco.
Le sembrava perfino incredibile anche solo l’idea di poter aver fame in quel momento, ma non vedeva l’ora di poter mettere sotto i denti anche la cosa più insignificante possibile.
Si voltò verso Nicola, in piedi accanto a lei: ad un primo sguardo esterno sembrava in grado di mantenere la calma, ma sotto quell’apparenza distaccata, Caterina era sicura che fosse agitato tanto quanto lei. Cercava solo di non darlo a vedere per non darle ulteriori motivi di preoccupazione.
-Che ore sono?- Caterina cercò di reprimere un gemito di dolore, al sopraggiungere di una nuova contrazione. Aveva l’impressione che ormai il tempo tra una fitta e l’altra fosse calato già a quattro minuti.
-Quasi le dieci e mezza- mormorò Nicola, controllando velocemente il display del cellulare, prima di rimetterlo in tasca – Ti senti meglio con l’epidurale?-.
Caterina si ritrovò ad annuire, passandosi una mano sul viso leggermente sudato. Le sembrava quasi incredibile sudare così quando fuori c’era il gelo invernale di gennaio.
-Mi faresti un favore?- continuò lei, tenendo gli occhi puntati su Nicola, che si avvicinò ulteriormente al letto – Non è che andresti a prendermi qualcosa al bar dell’ospedale?-.
-Hai fame?- Nicola aggrottò la fronte, guardandola come se avesse appena detto una pazzia.
-Sono un sacco di ore che non mangio praticamente nulla- si lamentò Caterina, che in quelle condizioni non aveva nessuna voglia di mettersi a discutere di una cosa del genere – E poi l’ostetrica ha detto che posso ancora mangiare qualcosa, se ho fame-.
Era vero: le aveva dato l’ok per mangiare qualcosa di leggero – uno yogurt o un frutto- se i morsi della fame si fossero presentati durante quella fase del travaglio. E in quel momento di fame ne aveva anche troppa.
-Sei sicura di farcela?-.
Di fronte allo sguardo ancor più perplesso di Nicola, Caterina dovette sforzarsi per non urlare:
-Ho bisogno di energie per farlo nascere, e se non mangio di energie non ne avrò manco mezza!-.
Nicola la guardò con occhi sgranati per diversi secondi, durante i quali Caterina si chiese se avrebbe insistito ancora con quell’assurda opposizione, o se si sarebbe fiondato a cercarle qualcosa da sgranocchiare per evitare altre sfuriate ben peggiori.
-Ok, calma- sospirò, e si guardò intorno ancora un po’ indeciso – Vado a vedere che hanno al bar, intesi? Farò il prima possibile. Se ti senti male, o se … -.
-Nicola- Caterina sibilò il suo nome nella maniera più minacciosa possibile – Sto già male abbastanza ogni quattro dannati minuti, e starò anche peggio se tu non ti muovi e vai a prendermi qualcosa-.
Quell’ultima frase, a malapena udibile ma altrettanto intimidatoria, sembrò convincerlo definitivamente. Lanciò un ultimo sguardo poco convinto a Caterina, prima di abbassare il viso e sospirare:
-Cercherò di metterci il meno possibile-.
Caterina lo osservò andarsene dalla stanza, ancora parecchio esitante nel volerla lasciare da sola. Riusciva a comprendere, almeno in parte, il suo non voler andarsene: forse era il senso di protezione e sicurezza che voleva darle restandole accanto a non volerle far mancare. E doveva aver paura che qualcosa potesse succedere in sua assenza a bloccarlo più di ogni altra cosa.
Caterina sbuffò tra sé e sé. Di certo, se qualcosa sarebbe dovuto andar storto, ci sarebbe andato anche se fosse rimasto lì ogni singolo secondo.
La verità era che, inevitabilmente, si sarebbe sentita – si sarebbero sentiti entrambi- più tranquilli solo quando tutto quello sarebbe finito, quando avrebbero varcato la soglia dell’ospedale per uscire, qualche giorno dopo, con il loro piccolo in braccio.
E forse nemmeno in quel momento si sarebbero sentiti totalmente sicuri: a Caterina spaventava anche solo l’idea di dover tornare a casa con un neonato a cui badare, fragile e totalmente dipendente da lei e Nicola.
Forse la sensazione di insicurezza non sarebbe mai davvero svanita, e avrebbero solo dovuto farsene una ragione.
Avrebbe avuto sempre il timore che potesse succedergli qualcosa, a quel figlio inizialmente nemmeno voluto. Avrebbe sempre temuto di perderlo, di vederlo soffrire, di non potergli dare un aiuto – ed era una paura che aveva in quel momento quando ancora non era venuto al mondo, e sarebbe stato lo stesso anche tra vent’anni, quando sarebbe stato un uomo fatto e finito.
Strizzò gli occhi in automatico, quando una nuova contrazione sopraggiunse, più forte delle precedenti. Erano davvero dolori lancinanti, e cominciava davvero a capire come mai il dolore del parto fosse considerato il più fastidioso che potesse esistere. Le si era mozzato il fiato per qualche secondo, poi aveva cercato di tornare a respirare a fondo e regolarmente, come le avevano insegnato al corso preparto.
La stanchezza cominciava a farsi sentire. Non era sicura di riuscire a mantenere la stessa lucidità per tutte le ore che la attendevano prima di giungere al parto vero e proprio: non sapeva nemmeno quando sarebbe successo davvero, e quella sensazione di ignoto non la incoraggiava per niente.
Passò quasi un minuto prima che i postumi della fitta diminuissero. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, sulla quale le si erano appiccicate alcune ciocche di capelli.
Probabilmente ci avrebbe dovuto fare il callo, a quell’ignoto che le si presentava davanti.
Si guardò intorno come spaesata: anche quelle pareti bianche e azzurre, asettiche e indifferenti, le davano la stessa sensazione di incertezza. Era come aver di fronte la vita che l’aspettava: ancora immacolata, intimidatoria e piena di dubbi, ma pronta ad essere ridipinta con colori più caldi e sicuri.
Le venne automatico sfiorare il pancione con una mano, delicatamente. C’erano così pochi centimetri di pelle, carne e muscoli a separarla da ciò che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, che l’avrebbe trasformata in una persona diversa.
Da lì in avanti non sarebbe più stato lo stesso. Era lo spartiacque della sua vita, quel momento, il centro che cambiava tutto, ciò per cui avrebbe visto e vissuto tutto in una prospettiva infinitamente diversa.
Forse avrebbe sentito la mancanza della sua vita precedente. Sicuramente le sarebbero mancate tante cose, moltissime, che forse non sarebbe più stata in grado di rifare allo stesso modo. Non sarebbe stata più solo una donna, con la sua indipendenza, la sua spensieratezza da ragazza; sarebbe stata una donna e anche una madre.
Era una strana consapevolezza, quella, che aveva sempre cercato di far passare in secondo piano in quegli ultimi mesi, ma che in quel momento tornava evidente con tutta la sua forza straniante.
Sembrava quasi un dolore fisico, il doversi staccare definitivamente da tutto ciò che era stata e divenuta fino a quel giorno. Era straziante e potente allo stesso tempo, pensare che non avrebbe più riavuto indietro la sua vecchia vita, che non sarebbe mai potuta tornare indietro.
Si chiese come sarebbe stato se nulla di tutto ciò non fosse mai accaduto. Quel che era certo era che non si sarebbe mai ritrovata lì, in preda alle contrazioni, a contare le ore che la separavano dalla nascita di suo figlio su un lettino d’ospedale, in balia delle sue paure più grandi.
E avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché probabilmente suo figlio non si meritava una madre troppo giovane e troppo inesperta come lei, che aveva appena cominciato a saper badare a se stessa, ma che da quel momento in poi avrebbe dovuto badare soprattutto ad un’altra persona.
Avrebbe tanto voluto riavere indietro la sua vecchia vita, perché ancora aveva troppe cose da fare, troppe cose ancora da vivere, prima di mettere al mondo un bambino che avrebbe avuto bisogno di lei in continuazione.
Continuò ad accarezzare il pancione, mentre una lacrima silenziosa le solcava la guancia, il momento di panico che pian piano si dissipava.
Era vero, non era riuscita a vivere tante cose che avrebbe voluto, ma forse la vita le aveva riservato un futuro diverso e non per forza peggiore. Sarebbe stato difficile, lo sapeva. Ma difficile non era mai stato sinonimo di meno bello. 
La mano si fermò sul basso ventre, nel punto dove probabilmente se ne stava la testa di suo figlio, pronto per nascere e venire a sconvolgerle la vita. E al diavolo il passato, non ci poteva fare niente: era quello il suo presente e il suo futuro.
Non sarebbe più stato lo stesso, ma un nuovo mondo le si apriva davanti agli occhi. L’unica cosa che contava davvero era cercare di esserne all’altezza. Non per solo sé, ma anche per suo figlio.
 
I believe in nothing
One hundred suns until we part
I believe in nothing
Not in satan, not in God
I believe in nothing
Not in peace and not in war
I believe in nothing
But the truth of who we are [1]
 
*
 
Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
 
-Cerca di respirare! Così, brava!-.
I ciuffi di capelli scuri le si erano appiccicati alla fronte sudata, e Nicola aveva quasi rinunciato a spostarglieli, ormai ben più preoccupato per i gemiti di dolore che Caterina cercava inutilmente di soffocare.
Erano passate diverse ore da quando erano arrivati in ospedale, e sebbene fossero le due e mezza passate di mattina, Nicola non riusciva a provare alcuna stanchezza.
Se ne stava accanto al letto d’ospedale, piegato sul viso di Caterina, contratto ormai costantemente da smorfie di sofferenza. Le contrazioni ormai avvenivano a distanza di pochissimo, e Nicola immaginava fosse come un dolore continuo.
Si sentiva estremamente impotente, in quel momento: vedeva Caterina soffrire, e lui non era in grado di darle alcun conforto che potesse darle sollievo anche solo per qualche minuto. Nel guardarla gli sembrava quasi di sentire lui stesso le fitte che doveva provare lei.
-La dilatazione è completa-.
La voce dell’ostetrica lo distrasse per un attimo, spingendolo a staccare lo sguardo da Caterina. Aveva appena finito di fare il consueto tracciato, e a quanto pareva il momento doveva essere giunto.
-E ora che succede?- chiese Nicola, ingenuamente. In realtà credeva di sapere bene quale risposta aspettarsi, ma ormai l’agitazione era tale da non riuscire bene a parlare del tutto lucidamente.
Caterina, invece, non rispose nemmeno. Spostava solo gli occhi lucidi da Nicola all’ostetrica, in preda a quello che Nicola avrebbe definito puro panico.
-Ora la porteremo in sala parto e la prepareremo- spiegò l’ostetrica, con lo stesso tono di voce calmo e disponibile che aveva mantenuto per tutta la nottata – E poi … Beh, seguiremo il corso degli eventi-.
Nicola annuì, senza troppo entusiasmo. Era dolorosa l’idea di doversi separare da Caterina, e forse avrebbe voluto rimandare ancora un po’ il momento del parto. Forse non si sentiva del tutto pronto, ma allo stesso tempo dubitava anche che lo sarebbe stato mai del tutto.
-Vado ad avvisare la ginecologa e l’altra ostetrica- riprese a parlare la donna, rivolgendosi direttamente a Nicola – Ci metterò un attimo. Vi lascio da soli, nel frattempo-.
Nicola la sentì camminare verso la porta della sala, e richiuderla dietro di sé. Non aveva sperato in una simile occasione – un ultimo attimo da solo con Caterina-, e gli sembrava perfino irreale ritrovarsi a viverla sul serio.
-Io tra poco dovrò andare- si avvicinò ulteriormente a lei, carezzandole piano i capelli scompigliati, cercando di trasmetterle più forza possibile – Andrà tutto bene, lo sai?-.
Caterina lo fissò per lunghi attimi; una lacrima le scivolò lungo la guancia, ma non si curò nemmeno di asciugarla.
-Ho paura- mormorò flebilmente, e con una tale sincerità che a Nicola si strinse il cuore. Si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, in quel momento riusciva a capire benissimo come doveva sentirsi.
-Anche io- le baciò piano la fronte sudata, rimanendo con le labbra poggiate sulla pelle accaldata per un tempo imprecisato – Anche io-.


 
Non si era mai sentito così tanto un pesce fuor d’acqua come in quel momento. Nella sala d’attesa dell’ospedale, raggiunta dopo aver attraversato il lungo corridoio del reparto, vigeva un’insolita calma quasi irreale.
Immaginava di non essere l’unico, lì presente, ad aspettare notizie di una nascita imminente: c’erano almeno altri due uomini che se ne stavano seduti su quelle sedie dall’aria tutt’altro che comoda, continuando a picchiettare i piedi a terra, o guardandosi intorno con aria spaesata. C’erano anche alcune persone anziane che dovevano essere parenti di qualche partoriente: parlavano tra di loro con voci alte ed euforiche, concitate come non mai.
Lui, invece, nel trovarsi lì da solo, non aveva comunque voglia di parlare con nessuno. Non negava che forse scambiare qualche parola con qualcuno gli avrebbe fatto bene, ma non aveva la concentrazione necessaria – né la voglia e nemmeno la volontà- per farlo.
Andò a sedersi su una delle sedie più isolate, torturandosi le mani. Aveva mille pensieri che gli occupavano la mente, e che lo rendevano estremamente nervoso come non lo era stato mai.
Pensava a Caterina, e sperava ardentemente che la sua agonia durasse poco. Aveva osservato il suo volto contratto dal dolore delle contrazioni per tutte quelle ore, e non aveva potuto fare a meno di sentirsi estremamente impotente nel rendersi conto di non poter fare nulla per farla stare meglio.
Sperava che il parto andasse bene, che non ci fossero complicanze. Non credeva sarebbe riuscito a sopportare la sofferenza di sapere che Caterina o il piccolo avessero avuto problemi di qualsiasi genere.
Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, per entrambi, ma la verità era che a lui non rimaneva altro che starsene lì, in attesa, con la sola speranza che quella notte – la più lunga che si stava ritrovando a vivere- portasse infine solo buone notizie.
Si alzò di scatto, troppo agitato per riuscire a starsene seduto. Incrociò le braccia contro il petto, mentre si avvicinava con passi lenti alla finestra della sala d’attesa.
Erano quasi le tre di notte, e fuori faceva buio pesto. Non riusciva nemmeno a scorgere le stelle o la luna, a causa delle nuvole che solcavano il cielo e che rendevano la notte ancora più oscura.
Si ricordò che avrebbe dovuto avvisare i suoi genitori e quelli di Caterina. Forse avrebbe anche dovuto farlo prima, ma si era concentrato talmente tanto solo su di lei che non gli era passata nemmeno per la mente l’idea di chiamare qualcun altro per informare che il parto stava per avvenire. Probabilmente l’avrebbe fatto dopo la nascita, quando si sarebbe tranquillizzato nel sapere che era andato tutto bene.
Cercò di lottare contro l’istinto di guardare l’ora sul display del telefono, perché sapeva che controllare in continuazione i minuti che passavano non avrebbe fatto altro che aumentare la sua ansia. L’infermiera che l’aveva congedato da Caterina gli aveva spiegato che, senza complicanze particolari, il tempo passato in sala parto non avrebbe superato i venti minuti. Non sapeva esattamente quanto tempo fosse già passato, e a quel punto, forse era meglio non pensarci proprio.
Se ne rimase lì per quelli che gli sembrarono almeno dieci minuti. Il tempo sembrava scorrere immensamente lento, in quelle situazioni: gli sembrava tutto statico, immobile. Ogni secondo che passava era eternamente simile al precedente, intriso allo stesso modo da una paura irrazionale e da quella cieca euforia che cominciava a pervaderlo.
Non aveva nemmeno idea di come sarebbe stato rimanere in sala parto, assistere Caterina in quell’evento. L’aveva assecondata nel suo voler rimanere da sola, e in fondo non se ne pentiva: forse sarebbe stato ancor più sotto pressione rispetto al rimanere lì, in sala d’aspetto.
Fece qualche passo verso l’altro lato dell’area, indeciso sul da farsi: l’agitazione lo aiutava nell’ignorare la stanchezza ed il sonno, e non aveva certo bisogno di un caffè, in quel momento, per riuscire a tenersi in piedi. Sentiva però la gola e la bocca asciutte, e bere un sorso d’acqua era forse l’unica cosa che gli andasse. Si guardò intorno, voltandosi prima in una direzione e poi nell’altra, finendo per individuare un distributore automatico poco distante. Faceva decisamente al caso suo: non si sarebbe dovuto allontanare molto da lì, e avrebbe potuto comprare una bottiglietta per dissetarsi.
Fu proprio quando accennò a compiere il primo passo, che con la coda dell’occhio intravide l’ostetrica che per tutta la sera aveva seguito Caterina, avanzare dalla zona delle sale parto alla sala d’aspetto.
Si bloccò subito, il cuore che aveva ripreso improvvisamente a battere a mille. Rimase deluso, però, quando si accorse che non era diretta verso di lui, ma verso uno dei due uomini che avevano atteso lì fino a quel momento. Li vide parlare insieme, sottovoce, il volto dell’uomo che si apriva sempre più in un sorriso radioso, e l’ostetrica che lo ricambiava con un’espressione dolce e incoraggiante.
Dopo qualche minuto sembrarono sul punto di andarsene entrambi, verso le sale parto, e fu in quell’istante che le gambe di Nicola si mossero automaticamente: arrivò a ridosso dei due con qualche passo veloce, ignorando completamente il fatto di poter sembrare invadente.
-Mi scusi- Nicola cercò di parlare senza concitazione nella voce, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione su di sé. L’ostetrica si girò verso di lui, e sembrò riconoscerlo non appena lo guardò in viso. Dette delle indicazioni veloci all’altro uomo su dove andare, dicendogli che l’avrebbe raggiunto subito, prima di tornare su Nicola, con i suoi occhi gentili e contornati dalle rughe:
-Ha bisogno di qualcosa?-
-Ha qualche notizia della mia compagna? Sta andando tutto bene?- Nicola non specificò che si trattava di Caterina, e sperò con tutto il cuore che lei l’avesse davvero riconosciuto, e che la sua non fosse stata solo un’impressione.
-Non posso trattenermi qui a lungo, ma appena saprò qualcosa glielo verrò a riferire-.
Temeva quella risposta così vaga; Nicola si sentì completamente scoraggiato, nel rendersi conto che anche quel tentativo di sapere qualcosa fosse andato in fumo.
-Stia tranquillo- l’ostetrica doveva essersi accorta del suo cambio d’espressione, perché gli sorrise più affabilmente, portando una mano sulla sua spalla – Ci vuole sempre un po’ di tempo, prima di poter dare il lieto annuncio ai parenti che si trovano qui in sala d’aspetto, e questo non implica comunque che sia andato storto qualcosa. E so che portare pazienza in queste situazioni è quanto di più difficile possa esserci, ma mi creda, la sua attesa verrà ben ripagata-.
Lo lasciò con un ultimo sorriso, e Nicola non poté fare altro che rimanersene lì, con la stessa paura di prima. Era facile sentirsi dire di stare tranquillo, ma farlo gli sembrava totalmente impossibile. Sospirò a fondo, lasciandosi sfuggire uno sbuffo, passandosi poi le mani sul viso con gesti lenti e stanchi.
Tornò a passi veloci verso la fila di sedie, lasciandosi crollare malamente su una di esse. Quella sarebbe stata davvero la notte più lunga della sua intera vita.
 
*
 
Vorrei mi facessi un regalo
Un sogno inespresso
Donarmelo adesso

Di quelli che non so aprire
Di fronte ad altra gente
Perché il regalo più grande
È solo nostro per sempre
 
Aveva controllato da poco l’ora sul suo cellulare, constatando che ormai erano le tre e mezza del mattino. Era ancora seduto mollemente sulla sedia della sala d’attesa, in quel momento più silenziosa rispetto a prima; forse fu proprio grazie a quel silenzio che riuscì a distinguere piuttosto in fretta il rimbombo di passi lungo il corridoio.
Alzò il viso proprio mentre sopraggiungeva di nuovo l’ostetrica. Di nuovo sentì il fiato accorciarsi, e il cuore gli sembrò quasi pronto a saltargli fuori dal petto, quando si accorse che, stavolta, la donna stava puntando proprio lui. Si rimise in piedi in un batter d’occhio, avanzando di qualche passo. Cercò di mantenere un’apparenza calma, ma la verità era che si sentiva ad un passo dal crollo nervoso.
L’ostetrica gli si fermò di fronte qualche secondo dopo, osservandolo con quello che a Nicola parve un sorriso ancor più aperto:
-Come si sente? È riuscito a calmarsi un po’?- gli chiese subito, nonostante dovesse aver già intuito quale sarebbe stata la risposta.
-Più o meno- ribatté Nicola, a bassa voce. In realtà non si era calmato affatto: aveva passato l’ultima mezz’ora più agitato di prima, vagliando tutte le ipotesi su quello che poteva star avvenendo nella sala parto dove c’era Caterina. Si era odiato profondamente per la sua totale incapacità di distrarsi anche solo minimamente.
-La sua compagna sta bene- Nicola si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo non appena la donna ebbe pronunciato quelle parole – Stanca, ma in salute. È prassi tenere le partorienti per un paio d’ore nella saletta accanto alla sala parto, ma non è nulla per cui allarmarsi. La vedrà tra un po’-.
Quella era senz’altro una delle buone notizie che voleva sentire.
-E il bambino?- azzardò Nicola, ancor più curioso e ancora non del tutto tranquillo.
L’ostetrica lo osservò affabilmente, prima di ammiccargli e dire:
-Venga con me. C’è qualcuno che desidererebbe conoscerla-.
Nicola non riuscì nemmeno a rispondere. Sentiva il cuore in gola come non mai, e il respiro farsi ancor più accelerato. Dubitava perfino di riuscire a camminare, ma non appena vide l’ostetrica voltarsi e incamminarsi lungo il corridoio, la seguì all’istante.
Quel tragitto gli sembrò quanto di più surreale avesse mai vissuto. L’ostetrica continuava a spiegargli come era andato il parto e le prime visite che erano state fatte al piccolo – a Nicola, in fondo, interessava solo sapere che era andato tutto bene, al momento i dettagli non gli importavano-, ma la ascoltava come se la sua fosse una voce distante, proveniente da un altro mondo.
Non sapeva bene cosa aspettarsi o come si sarebbe dovuto comportare di lì a poco: quella era una di quelle cose che non venivano mai spiegate, che nessuno raccontava mai. Si sentiva totalmente impreparato, e in fondo dubitava altamente esistesse un qualche tipo di preparazione al primo incontro con un figlio appena nato.
Quel tragitto lungo quel corridoio dall’aria asettica, grigia e impersonale, fu probabilmente quello che lo fece sentire più strano in tutta la sua vita. Era un semplice camminare per gli spazi dell’ospedale, ma sospettava che quei momenti sarebbero rimasti incisi nella sua memoria per tutti gli anni a venire. Era come andare incontro ad un destino già conosciuto e totalmente ignoto allo stesso tempo. Una contraddizione che lo faceva vibrare nel corpo, di paura e felicità contemporaneamente.
Era una sensazione che non aveva mai provato.
L’ostetrica oltrepassò alcune porte chiuse, prima di fermarsi ad una collocata a metà corridoio – bianca e anonima esattamente come le precedenti-; fece per aprirla, ma prima di spingere in basso la maniglia si voltò un’ultima volta verso di lui. Aveva un’espressione comprensiva, e gli occhi dolci e rassicuranti cercavano quelli di Nicola come quelli di una madre che cerca di far sentire protetto il proprio figlio:
-Qui è dove avviene il primo bagnetto- gli spiegò, con la consueta calma che Nicola aveva imparato ad associarle – Probabilmente lo troveremo già bello profumato e vestito-.
Nicola annuì, incapace di parlare. Sentiva la gola secca più che mai e il cuore in gola, e la voce sembrava essere sparita. Non riusciva a spiccicare parola, ma quel breve cenno sembrò bastare alla donna:
-Sia naturale. Non deve andare in una determinata maniera, ma solo in quella in cui riuscirete a trovarvi bene entrambi- parlò con una delicatezza che fece sentire Nicola ancor più colpito – Si ricorderà di questo momento per tutta la vita-.
Nicola non annuì nemmeno, ben conscio che sì, quell’esatto momento se lo sarebbe ricordato fino alla fine dei suoi giorni.
Quando la porta venne aperta, si ritrovò catapultato in un mondo che, fino a quel momento, gli era rimasto sconosciuto. Spostava velocemente gli occhi da una parte all’altra, notando prima una piccola vaschetta ancora piena d’acqua in un angolo, sopra ad un tavolo; vide lì accanto un fasciatoio, e lì vicino quella che doveva essere un’altra ostetrica che stava sistemando alcuni asciugamani.
E poi vide lui.
Si bloccò in automatico, il respiro che sembrava essersi fatto di colpo calmo, talmente tanto che non gli sembrava nemmeno di avere più aria nei polmoni tra un respiro e l’altro.
-Ecco qui il nuovo arrivato. Lo vuoi conoscere il tuo papà?- la seconda ostetrica lanciò un’occhiata e un sorriso allegri verso Nicola, rivolgendosi a quello che a prima vista sarebbe potuto sembrare un piccolo fagotto di vestiti minuscoli, prima di prenderlo delicatamente tra le braccia.
Nicola la osservò avvinarsi piano, senza staccare un attimo lo sguardo. Quando gli si rivolse la prima ostetrica, la più anziana, a Nicola parve di riuscire a sentirla a stento:
-Dopo tutte queste ore di attesa, qualcuno qui desidera fare la sua conoscenza-.
Nei minuti successivi Nicola non riuscì a capire molto. Sentiva la testa completamente in pallone, il mondo attorno che sembrava non contare più niente. Non sapeva nemmeno come si doveva tenere un neonato in braccio, e fu solo grazie all’aiuto e al pronto intervento delle ostetriche se, finalmente, riuscì a sentirsi abbastanza sicuro per potere tenere tra le braccia, per la prima volta, quello che era suo figlio.
Lo teneva stretto a sé, osservandone il piccolo viso paffuto e gli occhi ancora chiusi, accarezzando delicatamente i pochi capelli chiari.
Era la prima volta che lo teneva così vicino, ma gli parve di conoscerlo da sempre. Riconosceva in lui un po’ di Caterina e un po’ di se stesso, senza nemmeno spiegarsi come fosse possibile.
Ne osservava il volto sereno e addormentato, e si sentì pervadere a sua volta dalla stessa serenità.
Non aveva mai creduto possibile sentirsi così tanto nel posto giusto al momento giusto come in quell’attimo, e non aveva mai nemmeno creduto che potesse esistere una felicità così sconfinata.
Forse si era sentito  vagamente così solo quando era bambino, quando i suoi genitori gli facevano il regalo tanto atteso e tanto desiderato dopo molto tempo. In quel momento, però, quella gioia era di una potenza ben più grande, quasi indescrivibile.
-Ciao, piccolo-.
Quello era un regalo diverso da tutti gli altri che aveva ricevuto e che avrebbe ricevuto mai in tutto il resto della sua vita. Era un regalo che sapeva di Caterina, e che sapeva di sé.
Non sarebbe più stato lo stesso, non dopo aver conosciuto il loro Francesco.
 
Amore grande come il tempo che non si è arreso
Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte
Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu
Il regalo mio più grande [2]



 


 
[1] Thirty Seconds to Mars - "100 Suns"
[2] Tiziano Ferro - "Il regalo più grande"
*il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente ai rispettivi cantanti e ai loro autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
E finalmente è natooooo! 👶
Alla fine il parto è andato bene e senza complicazioni, e Nicola ha potuto già vedere il pargolo ... Che ha lo stesso nome del nonno materno, vero, anche se non per forza in suo onore 😂
Ma andiamo con ordine: forse avrete capito, rileggendo un certo pezzo di questo capitolo, che il secondo flashforward del prologo proviene proprio da qui. È, infatti, nel momento del travaglio ormai avviato, e in un momento di solitudine in ospedale, che Caterina viene travolta dal panico e dai pensieri su questo momento spartiacque della sua vita... Momento di terrore che poi pian piano rientra (anche se solo per poco, visto il parto imminente 😂)
Panico e terrore che investono anche Nicola, ovviamente. Non sapere cosa sta succedendo deve essere non poco frustrante … Anche se poi alla fine è andato tutto come previsto.
Il primo incontro tra padre e figlio neonato, poi, è stato di certo molto emozionante, un po' come lo è stato scriverlo per noi autrici e speriamo anche per voi lettori ... Ormai questi ragazzi ne hanno fatta di strada!
Nel prossimo capitolo potremmo vedere come se la passa Caterina post parto, ma chissà... Potrebbero anche esserci delle sorprese!
Ci rivediamo in questi stessi lidi mercoledì 8 giugno con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Feeling a moment ***


CAPITOLO 22 - FEELING A MOMENT



 
La telefonata che l’aveva svegliata alle prime ore della mattina era stata inaspettata e prevedibile allo stesso tempo. Giulia aveva sentito il cellulare vibrare sul comodino alle sette di mattina, e con gli occhi ancora chiusi e il sonno che faticava a dissiparsi, aveva risposto alla chiamata di Nicola.
Non aveva nemmeno letto il nome del mittente, ed era rimasta un attimo sbigottita nel riconoscere la sua voce; poi capì. Anche da mezza addormentata come era in quel momento, non le ci sarebbe voluto molto per intuire che Caterina doveva aver partorito nella notte: Nicola era parso troppo emozionato e felice per lasciare dubbi, la voce roca e rotta da quello che doveva essere un pianto di commozione.
Quando la telefonata era giunta al termine, a Giulia non importava nemmeno più di essere stata svegliata così presto proprio di venerdì, l’unico giorno in cui non aveva lezioni o qualche turno di lavoro. Si era semplicemente messa a ridere, una risata genuina e contenta. Non aveva ancora visto né Caterina né il piccolo, ma già non stava nella pelle.
Aveva svegliato in fretta e furia Filippo, dandogli la notizia e ridendo ancor di più nell’osservare la sua espressione frastornata; aveva fatto una doccia, mangiato qualcosa e si era vestita, pronta per uscire e recarsi all’ospedale.
Erano circa le nove di mattina, quando lei e Filippo erano finalmente arrivati. Il sole, finalmente alzatosi in cielo, cominciava a scaldare timidamente, e quella giornata di inizio gennaio dava l’impressione a Giulia di essere più brillante che mai.
 


-Oddio, ma è bellissimo!-.
Giulia cercò di trattenere un gridolino euforico, riuscendoci piuttosto malamente. Immaginava come dovesse apparire piuttosto idiota a chiunque altro, ma non le importava nulla: l’unica cosa che le interessava era mantenere uno sguardo adorante verso l’esserino che Caterina teneva tra le braccia in quel momento, cullandolo dolcemente e reggendogli il capo.
-Immaginavo avresti avuto una reazione del genere nel vederlo- replicò Caterina. Era stanca, ma divertita: la fatica dovuta al parto non se ne era ancora andata del tutto dal suo volto, che però compensava con un bel sorriso sereno stampato sulle labbra.
-Era ovvio che avrei reagito così- disse Giulia, fermamente – È pur sempre il mio primo nipotino. Acquisito, ma pur sempre nipotino, in un certo senso-.
Francesco sembrava essere ignaro di tutte le pretese di parentela da parte di Giulia: teneva ancora gli occhi chiusi, assopito dopo che Caterina aveva provato ad allattarlo – non senza qualche difficoltà-, in un’espressione di benessere sul viso. Giulia ancora non aveva capito a chi somigliasse di più, anche se i capelli biondi e i tratti del volto sembravano essere a favore di Nicola.
-È  davvero minuscolo, sul serio- aggiunse Filippo, che continuava ad osservare Francesco con uno sguardo pieno di curiosità ed affetto.
-E meno male, o sarebbe stato un problema se fosse stato più grande di così- soggiunse Nicola, che se ne stava in piedi accanto a Caterina, lo sguardo attento che andava da lei al figlio. Anche Nicola, aveva notato Giulia, aveva lo stesso mix di stanchezza e felicità dipinto in volto: era stravolto, con gli occhi gonfi e le occhiaie, ma estremamente felice. Non credeva di averlo mai visto così sorridente, e Giulia forse non avrebbe mai nemmeno creduto fosse possibile vederlo in uno stato simile.
-Sappiate che, quando vorrete riposarvi o andare fuori da soli, mi offrirò come babysitter- riprese Giulia, continuando ad osservare Francesco e mantenendo un sorriso gioioso stampato in faccia – Beh, magari prima mi insegnerete qualche trucco per tenerlo buono-.
-Avevo come l’impressione che ti saresti offerta per un ruolo simile- rise piano Caterina, passando con una mano tutto il piccolo corpo del figlio, che si stava lasciando sfuggire piccoli gemiti gutturali – Ma tranquilla: sicuro come l’oro che non vi lascerò da soli subito-.
In un’altra occasione forse Giulia si sarebbe un tantino offesa per quelle parole, ma in quel momento non vi badò affatto. Era una giornata troppo bella per rovinarla per simili sciocchezze.
 
*
 
Un’ora dopo era finalmente arrivata la famiglia di Caterina. Nicola li aveva chiamati più o meno alla stessa ora in cui era arrivata la telefonata a Giulia, ma prima di quel momento non erano riusciti a giungere a Venezia. Probabilmente, di lì a poco, si sarebbero aggiunti anche i genitori di Nicola, essendo partiti da Torre San Donato circa un’ora prima.
Giulia e Filippo, pur rimanendo nella stessa stanza, si erano defilati un po’, rimanendo in disparte e cercando di lasciare tutto lo spazio possibile ai genitori di Caterina.
Marianna si era commossa non appena aveva varcato la soglia della stanza, ed anche Caterina, vedendo sua madre piangere per la felicità, si era un po’ lasciata andare alle lacrime. Anche suo padre non era rimasto indifferente alla vista del nipote, con il quale si ritrovava a condividere lo stesso nome.
Dal canto suo, Giulia non poteva sentirsi più serena di così: era contenta di poter osservare che, dopo mesi e mesi di difficoltà e paure, c’era rimasto lo spazio per qualche momento felice. Sembrava che, con il suo arrivo, Francesco avesse allontanato un po’ di quell’oscurità in cui Caterina e Nicola avevano rischiato di scivolare sempre più dentro.
Per tutto il tempo in cui Giulia rimase nella stanza, Francesco non aveva pianto nemmeno una volta: aveva passato gran parte del tempo a dormire prima in braccio a Caterina, e poi tra le braccia di Nicola, senza scomporsi minimamente. Aveva come l’impressione – nonostante fosse del tutto troppo presto per dirlo con sicurezza- che il nuovo arrivato avesse ereditato un bel po’ della pacatezza che contraddistingueva tanto suo padre.
Fino a quel momento, in ogni caso, di Lorenzo non s’era vista traccia. Giulia si era domandata per la prima volta se sarebbe venuto quando erano arrivati i genitori di Caterina, senza di lui; se lo stava domandando anche in quel momento, mentre usciva dalla stanza, dopo essersi offerta di andare a prendere a Caterina una nuova bottiglietta d’acqua al bar dell’ospedale. Si era tenuta per sé quell’interrogativo che le ronzava in testa, pur morendo dalla curiosità di sapere se, alla fine, Lorenzo avrebbe vinto il proprio ripudio verso Nicola per amore del nipote. Non era del tutto sicura che l’avrebbe fatto, ma allo stesso tempo pensava anche che, prima o poi, sarebbe venuto a far visita a Caterina, in nome dell’affetto fraterno che però era venuto un po’ a mancare nel corso di quegli ultimi anni.
Fece appena in tempo a percorrere metà corridoio, quando guardando dritto davanti a sé, i suoi occhi incrociarono quelli di una persona. Prese a respirare a fondo: era come se avesse appena riconosciuto quella persona prima ancora di collegare il suo viso al nome che le apparteneva. E capì che aveva appena trovato risposta a tutte le sue domande.
Non ricordava esattamente quando era stata l’ultima volta che aveva visto Lorenzo: erano passati troppi anni, troppo tempo in cui aveva deciso di non pensare nemmeno un attimo ai loro ultimi incontri. Eppure, l’uomo che stava avanzando verso di lei, e che doveva averla appena riconosciuta di rimando, doveva proprio essere lui: riconosceva gli occhi verdi, il viso allungato e i tratti gentili. Aveva i capelli ingrigiti e più corti, ma per il resto non era cambiato molto. Era proprio Lorenzo, ed il fatto di averlo incrociato proprio mentre lo pensava la rese irrequieta.
Giulia si bloccò sul posto, non sapendo bene che fare. Si sarebbe fermato a parlare, o le avrebbe rivolto solo un saluto veloce? Forse voleva andare il più velocemente possibile da Caterina, e a lei non avrebbe badato affatto. Rimase comunque ferma dove si trovava, in mezzo al corridoio dell’ospedale, con il fiato corto e il cuore in gola, impacciata e totalmente insicura di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Aspettò che anche Lorenzo rallentasse il passo, mentre teneva lo sguardo fisso su di lei; dopo pochi metri, le arrivò di fronte, e Giulia avrebbe tanto voluto evitare di arrossire come un’adolescente. Purtroppo per lei, le sue guance andarono a fuoco inevitabilmente.
-Sei davvero tu?- Giulia, inspiegabilmente, parlò per prima, e si pentì subito di averlo fatto. Non poteva trovare parole più stupide da dire.
-Voglio dire, che ci fai qui?-.
Si morse il labbro, consapevole che quella correzione non avrebbe cancellato la figuraccia appena fatta.
“Andiamo sempre peggio”.
-Ok, ricomincio da capo: ciao, Lorenzo. Da quanto non ci si vede-.
Lorenzo le rivolse un sorriso imbarazzato, forse trattenendosi dal ridere. Nonostante tutto, Giulia si sentì già più a suo agio nel vederlo meno serio di quando l’aveva intravisto pochi minuti prima.
-Buongiorno a te, Giulia. Onestamente non pensavo di incontrarti qua- le rispose gentilmente, la voce profonda che Giulia non ricordava affatto diversa rispetto ad anni prima.
-Nemmeno io-.
Di nuovo dovette trattenersi dallo sbattere la testa contro il muro. Si limitò a mordersi un labbro, schiarendosi la voce con finta nonchalance:
-Nel senso … Con Nicola non hai mai avuto buoni rapporti, quindi … -.
Lasciò cadere la frase in sospeso: non sapeva nemmeno lei dove le convenisse andare a parare. L’unica cosa che avrebbe voluto fare, in quel momento, era scappare via il più lontano possibile.
-Non lo nego, ma quella che ha partorito è pur sempre mia sorella- Lorenzo non sembrò né offeso né spazientito, ma solo divertito dal suo impaccio – L’hai già vista?-.
-Oh, sì. Abito non troppo lontano da qui, quindi ci ho messo poco ad arrivare quando ho saputo- iniziò a spiegare – Sono appena uscita dalla stanza per prenderle una bottiglia d’acqua. E per lasciarla un po’ da sola con i vostri genitori-.
Giulia tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé: finalmente una domanda senza trabocchetti di mezzo, ed una sua risposta senza gaffes annesse.
-Sì, immagino loro siano arrivati poco fa. Come sta Caterina?-.
Lorenzo le dava l’impressione di essere solo in parte interessato alle condizioni della sorella – doveva già aver saputo per telefono come era andata quella notte e come stava-, ma Giulia cercò di non rendere troppo visibile quel suo sospetto:
-Piuttosto stanca, direi, ma sta bene. Anche il bambino sta bene-.
-È un maschio, quindi? Hai visto anche lui?- le chiese subito Lorenzo, socchiudendo gli occhi con fare pensieroso.
-È un maschio. È davvero bellissimo, e sì, l’ho visto. L’hanno chiamato Francesco-.
Giulia rimase a fissare il viso di Lorenzo: in mezzo all’imbarazzo e alla distanza che aveva mantenuto fino a quel momento riguardo a Caterina, le sembrò di cogliere sollievo misto a sorpresa. Lo vide annuire tra sé e sé, prima di parlare:
-Hai ragione nel dire che con Nicola non ho un bel rapporto, ma sono contento per mia sorella. Sono contento di sapere che lei e mio nipote stanno bene, più che altro-.
Le sembrava sincero, e non poté fare a meno che esserne contenta: non sapeva bene quanto si fosse interessato alle condizioni di Caterina negli ultimi mesi, e in certi momenti aveva messo perfino in dubbio la sua venuta quella stessa mattina, ma a quanto pareva Lorenzo non doveva essere così menefreghista come aveva temuto.
Il discorso sembrò cadere lì. Giulia si torturò le mani per alcuni secondi, durante i quali si rese conto che Lorenzo non sembrava intenzionato a parlare ulteriormente: la guardava con aria d’attesa, come se fosse sicuro che sarebbe stata lei la prima a continuare a parlare. Con un sospiro, Giulia lo accontentò:
-Beh, allora … Come va? Lavori da qualche parte, ora?-.
-Dalle parti di Padova. Vivo lì adesso-.
Giulia lo sapeva già, ma cercò di non darlo a vedere. Aveva captato quell’informazione da Caterina, forse una delle tante volte in cui aveva parlato del fatto che, con Lorenzo, non si vedeva quasi mai nemmeno quando tornava a Torre San Donato.
-Con la tua ragazza? Quella con cui stavi quando io e Caterina eravamo ancora solo due adolescenti?-.
E quando tu ti sei dichiarato a me”.
Si morse il labbro, pur di non lasciarsi scappare quella frase. Si pentì anche di averla pensata: non ricordava con molto piacere quell’esperienza, ed in quel momento si rese conto che, in effetti, andare a parare su un argomento simile non era stata una grande idea. Sperò che Lorenzo non pensasse a sua volta a quella dichiarazione che le aveva fatto da ubriaco: sarebbe stato quanto di più imbarazzante potesse esistere.
-Rebecca, intendi?- Lorenzo si lasciò sfuggire un sorriso nostalgico, che a Giulia non sfuggì – In realtà ci siamo lasciati un anno fa. Ma ho preferito rimanere a vivere a Padova, sai … Per il lavoro. Non conviene lasciare un posto sicuro solo per problemi di cuore-.
-No di sicuro, in effetti-.
-E a te come va? So che ti sei laureata-.
-Sì, sei mesi fa- Giulia tirò l’ennesimo sospiro di sollievo, contenta di essere tornata su un argomento meno spinoso come era invece quello di Rebecca – Sto proseguendo con la magistrale, ora. Nel frattempo lavoro, part-time. È pur sempre qualcosa-.
-E stai ancora con … - corrugò la fronte come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa – Filippo, ricordo bene?-.
Giulia si costrinse a non trasalire. Non credeva che Lorenzo potesse ricordarsi il nome di Filippo, e non riuscì a capire se sentirsi piacevolmente sorpresa per la sua buona memoria o non esserlo affatto. Di colpo, erano tornati di nuovo a dialogare di qualcosa di cui Giulia avrebbe fatto volentieri a meno, almeno con lui.
-Sì, stiamo ancora insieme- si costrinse a rispondere. A quella risposta Lorenzo le parve vagamente deluso, e fu quasi d’istinto che decise di proseguire a parlare:
-Ci sposeremo quest’anno. Non sappiamo ancora bene il giorno, ma credo si farà ad agosto. Sì, direi durante quel mese-.
-Beh, questa sì che è una notizia- per i primi secondi Lorenzo parve non trovare parole per commentare, e anzi, sembrò solamente completamente scioccato – Addirittura sposati … È un grande passo da fare-.
-Lo è- Giulia cercò di sorridere, rendendosi però conto di apparire piuttosto poco convincente. Rimase in silenzio un attimo, prima di aggiungere con innaturale scioltezza:
-Non voglio annoiarti con tutti i miei drammi sui preparativi, sul vestito da scegliere, e tutte queste cose. E poi tu dovresti andare da Caterina e da tuo nipote. Io vado a … -.
-Giulia!-.
Si bloccò di colpo, proprio mentre accennava a compiere il primo passo, senza nemmeno aspettare una risposta da Lorenzo. Una parte di lei sperò che la Giulia appena chiamata fosse qualcun'altra, ma dovette lasciare da parte quella speranza praticamente subito: aveva riconosciuto la voce all’istante, e ogni suo dubbio fu fugato nel momento stesso in cui Filippo arrivò ad affiancarla.
-Filippo, io … -.
Giulia spostò lo sguardo, disperatamente, da Lorenzo a Filippo, cercando di non apparire troppo in difficoltà. La verità era che peggio di così non poteva proprio andare.
-Ero venuto solo a vedere dove eri finita, cominciavo quasi a preoccuparmi-.
Giulia lo vide spostare lo sguardo interrogativo verso Lorenzo, come a domandarsi cosa stesse succedendo. Poi assottigliò gli occhi, come per cercare di ricordare chi fosse e come mai si trovava proprio con lei. Giulia deglutì rumorosamente, cercando alla svelta qualcosa da dire per non far cadere il silenzio e rendere quella situazione ancor più imbarazzante:
-Nulla di cui preoccuparsi- cercò di tranquillizzare Filippo, per poi indicare Lorenzo – Ti ricordi di Lorenzo, il fratello di Caterina? Dovete esservi già incontrati una volta, parecchi anni fa-.
-Ho qualche vago ricordo- rispose Lorenzo, che si era irrigidito impercettibilmente, mentre restituiva lo sguardo a Giulia, il sorriso molto più tirato rispetto a prima.
Filippo, alle parole di Giulia, sembrò ricordare tutto: la fronte non era più aggrottata e teneva gli occhi quasi spalancati, un sorriso che Giulia ritenne totalmente finto stampato sulle labbra.
-Io non ricordo molto, ma non c’è nessun problema- replicò lui, palesemente fingendo di essersi dimenticato chi aveva davanti – Sono il fidanzato di Giulia -.
Giulia si trattenne dal guardarlo malamente. Era lampante come Filippo ricordasse benissimo diverse cose riguardanti Lorenzo. Sperava solo non si fosse ricordato anche di quando, sempre lei, gli aveva confessato della dichiarazione di Lorenzo, ma nutriva seri dubbi in proposito.
-L’avevo intuito- mormorò di rimando Lorenzo, senza aggiungere altro.
Il discorso sembrò cadere lì, e a Giulia non rimase altro che schiarirsi la voce, per attirare l’attenzione degli altri due di su sé:
-Beh, Lorenzo, forse dovresti andare da tua sorella. In fin dei conti sei venuti fino a qui per questo. Mentre io e te … - si voltò verso Filippo, che ricambiò la sua occhiata senza fiatare – Accompagnami a prendere la bottiglietta d’acqua che serviva a Caterina-.
Afferrò Filippo per un braccio, trascinandoselo dietro. Giulia non aspettò nemmeno la risposta di Lorenzo: gli sorrise quanto più affabilmente fosse possibile, e poi lo superò, con Filippo a seguirla a distanza ravvicinata.
Fu solo quando si ritrovarono alla fine del corridoio che Giulia poté tirare un vero e proprio sospiro di sollievo.
 
*
 
Non passarono più di tre giorni prima che Caterina fosse dimessa dall’ospedale insieme a Francesco, facendo ritorno a casa. Per quel che ne sapeva Giulia, l’inizio era stato un tantino traumatico: sia Caterina sia Nicola dovevano ancora imparare – come tutti i neo genitori, d’altro canto- ad adattarsi ai ritmi del neonato, oltre che a prendere confidenza con tutta una serie di azioni che mai prima di allora avevano compiuto. In una delle sue telefonate, Caterina aveva lasciato trasparire tutto il panico che poteva assalire chiunque durante i primi cambi del pannolino.
Giulia, durante quelle brevi telefonate che l’amica le faceva nei pochi attimi di tregua, aveva ascoltato divertita quei racconti al limite del grottesco. La voce di Caterina lasciava spesso intuire una stanchezza di fondo, probabilmente dovuta alle poche ore di sonno e ai momenti di agitazione, che in quelle prime giornate dovevano essere all’ordine del giorno.
Era passata poco più di una settimana dal ritorno della neo famiglia a casa, quando Nicola le aveva telefonato per dirle che, finalmente, lei e Filippo potevano venire a dare un secondo saluto a Francesco. Giulia ne era stata entusiasta: aveva preferito non fare comparse improvvise per non creare loro ulteriori problemi, e per lasciargli la pace necessaria per organizzarsi al meglio con l’arrivo del piccolo. Ma ora che finalmente aveva ricevuto l’ok per andare, non vedeva l’ora di rivedere quello che, in un certo senso, considerava più un nipote acquisito che il semplice figlio di amici.
Aveva sospettato, in ogni caso, che quel pomeriggio lei e Filippo non sarebbero stati gli unici a presentarsi a casa di Caterina e Nicola: non si sorprese di trovare, già in casa e arrivati poco prima di loro, anche Pietro e Giada.
-Anche voi qui per conoscere il piccolo Tessera?- Giulia rivolse la domanda ad entrambi non appena fatto capolino in casa, mentre Nicola richiudeva la porta dietro di lei e Filippo. In piedi lungo il corridoio dell’appartamento, Giada appariva sorridente ed emozionata ancor prima di vedere Francesco; Pietro, invece, aveva l’aria rabbuiata che Giulia gli vedeva in viso ormai da settimane, anche se in quell’occasione sembrava intenzionato a non apparire di cattivo umore come sempre.
-E per chi dovremmo essere venuti? Per vedere lui?- replicò Pietro, facendo un cenno a Nicola, che gli rispose con un’occhiata torva, resa ancor più efficacie dalle occhiaie che si ritrovava.
-Ma Alessio ed Alice? Devono ancora arrivare o … ?- fece Filippo, guardandosi intorno con aria interrogativa.
-Staranno arrivando anche loro, penso- gli rispose subito Nicola, a voce bassa – Cercate di fare il più piano possibile. Dorme spesso, il piccolo, ma quando si sveglia … Meglio che non lo scopriate proprio ora-.
Le parole di Nicola risuonarono come una velata minaccia, che sortì senz’altro il suo effetto. Tutti rimasero a guardarlo con occhi sbarrati, nel silenzio più assoluto calato nel corridoio. Ad interromperlo fu solo il lento bussare alla porta d’ingresso che cominciò qualche secondo dopo.
Giulia non si stupì affatto nel vedere entrare prima Alice, e subito dopo Alessio, con uno sguardo piuttosto confuso. Spostò gli occhi azzurri su ognuno dei presenti, concentrandosi maggiormente su Nicola, Filippo e Giulia:
-Come mai siete così in silenzio?-.
-Nicola ci ha detto di non far troppo rumore, o il nuovo padrone di casa potrebbe decidere di distruggerci i timpani- bisbigliò Filippo, scandendo bene le parole e muovendo le labbra in una maniera che a Giulia fece quasi ridere.
-In soldoni, o tacciamo o Francesco si mette a piangere- concluse lei, parlando altrettanto sottovoce. Nicola tenne osservata attentamente Alice, mentre questa cercava di richiudere la porta d’ingresso facendo scattare la serratura il più silenziosamente possibile.
-E ora che ci siamo tutti, che si fa?- domandò Pietro, senza quella punta di sarcasmo che aveva mantenuto fino a quel momento. Nicola accennò un sorriso, prima di guardarli tutti ed esclamare:
-Seguitemi-.
Fece loro strada verso la stanza da letto. Poco prima di entrare, Giulia avvertì un vagito seguito da diversi gorgoglii, meno udibili. Dentro la stanza, Caterina se ne stava semi sdraiata sul letto, vestita con una semplice tuta da ginnastica e con i capelli mossi raccolti in una lunga coda.
Anche lei aveva il viso piuttosto stravolto, le occhiaie che non passavano inosservate e che lasciavano indovinare le tante ore mancate di sonno negli ultimi giorni. Francesco se ne stava appollaiato tra le sue braccia, contro il petto di sua madre; se non fosse stato per i vagiti di qualche secondo prima, Giulia avrebbe detto che fosse ancora dormiente.
-Si è appena svegliato- Caterina parlò con voce calma e a tratti assonnata, sovrastando i sussurri incantati proveniente da Alice e Giada – Probabilmente tra non molto gli verrà appetito. Di nuovo-.
Giulia si accoccolò sul lato lasciato libero del letto, gettando un sorriso al bambino: ora che gli era vicino poteva scorgere gli occhi socchiusi, rendendosi conto che, in effetti, pur essendo silenzioso non stava affatto dormendo. Fino a quel momento era stata sicura che Francesco avrebbe avuto anche gli stessi occhi azzurri di Nicola, ma dovette ricredersi quando, osservando meglio lo spicchio d’iride visibile, si accorse che quello sembrava essere color nocciola.
-Quanto è dolce!- esclamò Giada, standosene in piedi accanto a Caterina, abbassandosi per vedere meglio Francesco.
-Ma è sempre così tranquillo? Sembra un angelo- fece a sua volta Alice, sorridente, allungando il volto per vederlo meglio.
-Per la maggior parte del tempo sì. Dorme e mangia, in pratica- Caterina rivolse loro un sorriso imbarazzato, spostando lo sguardo da uno all’altro dei presenti – Ci riteniamo piuttosto fortunati-.
-Deve aver ereditato la calma e compostezza naturale dal padre, evidentemente- ironizzò Pietro, in piedi accanto a Nicola in un angolo della stanza, rivolgendogli poi una risata. Quello era stato l’unico accenno di allegria di Pietro nelle ultime settimane, e Giulia non si stupì nel rendersi conto che fosse avvenuto proprio in quel momento: la presenza di Francesco non sembrava lasciare nessuno di indifferente tra coloro che si trovavano lì dentro.
-Quando avrai dei figli tuoi, vedrai quanto pregherai perché siano così- replicò Nicola, restituendo il ghigno astuto all’amico.
-Non c’è fretta, Tessera. Ma proprio nessuna-.
-I tuoi genitori sono ancora qui a Venezia?-.
Stavolta era stato Alessio a parlare, per la prima volta da quando erano entrati lì. Si era rivolto a Caterina, ma continuava a tenere fissi gli occhi su Francesco; Giulia non seppe decifrare bene il suo sguardo, troppo intenso ed impenetrabile per riuscire a dargli una giusta interpretazione.
-Sono ripartiti l’altro ieri. Ci hanno dato una mano nei primi giorni, ma non potevo certo costringerli a rimanere qui per sempre- sospirò a fondo Caterina, alzando le spalle. Riuscì ad alzarsi lentamente dal letto, fino a rimettersi in piedi e dirigersi verso Nicola, passandogli il figlio tra le braccia.
-E poi tanto si è già offerta Giulia come baby sitter per il piccolo- cercò di sdrammatizzare Filippo, ricevendo come prima risposta un’occhiata minacciosa dalla diretta interessata:
-Esattamente. Crescerà con l’ottimo esempio della sottoscritta in qualità di zia adottiva-.
-Ergo, finirà dritto in manicomio nel giro di poco tempo- ribatté Pietro che, girandosi verso Nicola che cullava dolcemente Francesco, non si accorse minimamente dello sguardo fulminante che Giulia aveva rivolto anche a lui – Comunque, è una sorpresa vederti così allegro, Tessera: non ti vedevo così felice dalla vacanza in Puglia di qualche anno fa-.
Giulia trattenne a stento le risate: l’espressione maliziosa di Pietro e il viso improvvisamente arrossato di Nicola non lasciavano dubbi a ciò che Pietro aveva appena alluso, e a salvare la situazione dovette intervenire Caterina, schiarendosi la voce:
-Alessio, passami il mio cellulare. È sulla libreria, lì vicino a te-.
-Hai intenzione di chiamare la polizia per cacciarci fuori di casa a forza?- Alessio rise piano, prima di girarsi verso la libreria che si trovava proprio dietro le sue spalle. Prese in mano il cellulare, e poi si allungò verso Caterina, passandoglielo sopra le spalle di Alice.
-No, mi è venuto in mente solo ora di dover ancora dare la notizia a un vecchio amico- Caterina abbassò lo sguardo verso lo schermo del telefono, apparentemente ben intenzionata a non incrociare gli occhi con nessuno dei presenti – Intendo Giovanni-.
Giulia alzò gli occhi al cielo, tirando un sospiro profondo e seccato, cercando di trattenersi dall’imprecare. Nicola, invece, non sembrava né sorpreso né troppo interessato alla questione: era occupato nel fare strane facce al figlio, con l’intento di divertirlo, ma riuscendo ben poco nell’impresa.
-Vuoi scrivergli sul serio?- domandò Giulia, non nascondendo il tono irritato, e tornando a guardare Caterina, che sembrava abbastanza convinta di quel che stava facendo:
-Glielo avevo promesso-.
-Ma non sei comunque obbligata a farlo- intervenne Nicola, lanciandole uno sguardo veloce, prima di tornare con gli occhi su Francesco, che stava sventolando in aria un pugnetto.
-Certo che no, ma voglio farlo. E poi devo solo scrivergli un messaggio dicendogli che è nato Francesco, nient’altro. Non è nulla di strano-.
Spero non si faccia strane idee” pensò Giulia, trattenendosi dal dare voce a quelle parole: non era il caso di iniziare litigi in un giorno che, almeno fino a quel momento, era stato pieno di allegria.
 
*
 
La cucina dell’appartamento lasciava alquanto a desiderare in fatto di ordine. Probabilmente quello non doveva essere tra i pensieri primari che dovevano avere in quel momento Caterina e Nicola, si ritrovò a riflettere Giulia, mentre apriva l’ennesima anta di una credenza per cercare il contenitore del caffè.
Riuscì nell’intento solo dopo aver sbirciato in un’altra credenza; da quel punto in avanti fu semplice preparare la moka, accendere il fornello, ed aspettare che il caffè si preparasse.
Fu mentre si avventurava alla ricerca di alcune tazzine – dovette aprire solo due ante, e si sentì decisamente più fortunata di prima- che Giulia avvertì dei passi farsi sempre più vicini. Si girò appena, giusto per notare Filippo in piedi sulla soglia della cucina, che la osservava mentre sfidava la sorte nel tenere in mano più tazzine possibili in contemporanea. Quando Giulia riuscì a poggiarle tutte sul ripiano della cucina, ancora integre, tirò un sospiro di sollievo.
-Quanti caffè devo preparare? Sette?- chiese a Filippo, che si era avvicinato a lei, continuando ad osservarla divertito.
-No, cinque. Pietro ed Alice non lo vogliono-.
Giulia contò velocemente le tazzine: era stata doppiamente fortunata. Ne aveva tirate fuori il giusto numero. Né una di più, né una di meno.
-Giusto- borbottò tra sé e sé. Si era dimenticata nel giro di qualche minuto chi si era prenotato per un caffè e chi no, e quasi rise da sola al pensiero della sua memoria alquanto labile.
-Sono distratta già così normalmente, non oso pensare come sarei con un neonato a cui badare e dormendo poco la notte- mormorò.
-Almeno Caterina ha avuto i suoi genitori su cui contare- replicò Filippo, andando verso il tavolo della cucina, per appoggiarvisi contro con la schiena, e lasciando mollemente le mani sopra la superficie.
-Solo per questi pochi giorni, però-.
-Magari anche i genitori di Nicola verranno a dare una mano- continuò Filippo. Giulia si girò verso di lui, riflettendo in silenzio: sapeva che i genitori di Nicola erano venuti a vedere il nipote il giorno stesso della nascita, qualche ora dopo che lei e Filippo se ne erano andati dall’ospedale. Non aveva idea, però, se si fossero trattenuti oltre, ma dubitava altamente di quella opzione: erano rimasti già i genitori di Caterina lì a Venezia per qualche giorno, ed era abbastanza sicura che in quattro fossero riusciti ad organizzarsi abbastanza bene.
-O forse il fratello di Caterina -.
Se Filippo l’avesse detto mentre Giulia stava bevendo, era sicura si sarebbe ritrovata a sputare fuori qualsiasi contenuto dalla sua bocca. Non si aspettava che Filippo potesse tirare in ballo Lorenzo, non dopo che, da quando l’avevano incontrato in ospedale, non l’aveva nemmeno nominato una volta. Non si erano fermati a parlare di quella coincidenza inaspettata, né Filippo le aveva mai chiesto di che cosa stavano discutendo quando li aveva sorpresi insieme. Per Giulia era un discorso chiuso, e da quanto le era sembrato di capire, lo stesso doveva valere per Filippo. In quel momento, invece, cominciava a dubitarne.
-Lorenzo? Non credo- rispose lei, più brusca di quel che avrebbe voluto – Non sopporta Nicola, non riuscirebbero mai a passare delle ore sotto lo stesso tetto con lui-.
La moka cominciò a gorgogliare, e Giulia si affrettò a rigirarsi per controllare di non far uscire il caffè,  riversandolo sul fornello. Allungò un braccio per afferrare una presina, alzando poi la moka dal fornello per poter versare il caffè caldo in ognuna delle tazzine.
-Quando lo abbiamo incontrato in ospedale per i primi secondi non l’ho quasi riconosciuto. Anzi, diciamo pure che non mi ricordavo affatto chi fosse- Filippo non sembrava intenzionato a cambiare argomento, e Giulia si sforzò di non apparire nervosa mentre parlava, anche se ripensare al suo incontro con Lorenzo non la faceva essere affatto a suo agio:
-Per forza, l’hai visto solo una volta parecchi anni fa. L’ho riconosciuto a stento perfino io, che ci ho avuto a che fare molto di più rispetto a te-.
-Già, così tanto fino a farlo innamorare-.
Giulia si morse il labbro inferiore, reprimendo l’impulso di girarsi verso Filippo per guardarlo in faccia.
Aveva sperato fino all’ultimo che lui non ricordasse nulla di quella storia, ma a quanto pareva ogni sua speranza era stata vana. Erano passati un sacco di anni, ma evidentemente certe cose faticavano a cancellarsi anche dopo tutto quel tempo.
Finì di versare il caffè nelle tazzine, e dopo aver posato la moka sul fornello spento, si girò lentamente verso Filippo. Ne studiò il viso, ma non vi trovò traccia di arrabbiatura; nemmeno il tono con cui aveva parlato, in realtà, faceva presupporre un qualche fastidio dovuto a quel ricordo. Sembrava più aver appena constatato un fatto oggettivo, senza alcuna sfumatura né in positivo né in negativo. Giulia non seppe come considerare quella cosa.
-È acqua passata. Sono passati un sacco di anni- si ritrovò a mormorare, stringendosi nelle spalle.
-Vero, ma ti guardava in una maniera strana-.
Giulia avrebbe voluto chiedergli che cosa intendesse esattamente con quell’espressione, ma si costrinse a tacere. Chiederglielo avrebbe presupposto il continuare a parlare di quell’argomento, e lei, invece, voleva concluderlo il prima possibile. Parlare di Lorenzo, a distanza di anni, la metteva sempre a disagio, e anche quel momento non faceva eccezione.
-Forse è stata solo una tua impressione. È stato imbarazzante come non mai- cercò di essere il più sincera possibile, abbassando lo sguardo – Non mi aspettavo di incontrarlo. Non sapevo che dire-.
Si girò di nuovo, cercando di ricordarsi in quale credenza aveva visto un vassoio giusto poco prima, mentre cercava le tazzine. Andò a colpo abbastanza sicuro su una credenza centrale, trovandovi ciò che stava cercando e tirando fuori anche la zuccheriera.
-Sì, ho notato un po’ di tensione- sentì Filippo parlare alle sue spalle, pensieroso e a tratti disorientato – E poi mi guardava male. Secondo me non gli sei ancora del tutto indifferente-.
-Non dire idiozie- Giulia richiuse l’anta un po’ troppo rumorosamente, trasalendo lei stessa – È un uomo adulto, che si è fatto una vita altrove, e che di certo non comprende anche me-.
Il suo tono di voce sembrava non lasciar spazio a repliche. Si rese conto di aver parlato duramente, ma se quello sarebbe servito a concludere lì quel discorso, allora tanto meglio: non aveva intenzione di continuare a parlare di Lorenzo e di quello che lui poteva provare o no verso di lei. Non con Filippo.
-Fortunatamente- Giulia percepì stavolta la voce dell’altro molto più vicina, e non si meravigliò quando sentì le mani di Filippo posarsi sui suoi fianchi – O non saprei proprio con chi potrei sposarmi ad agosto-.
Giulia si lasciò sfuggire un sorriso impercettibile, addolcita da quella frase detta a bassa voce. Si pentì un po’ di avergli risposto così bruscamente, ma forse era comunque servito a farlo desistere dal continuare a parlare di Lorenzo.
-Avanti, dammi una mano con queste tazzine- Giulia finì di poggiare anche l’ultima tazza sul vassoio, girando poi il volto indietro, verso Filippo – Fai il bravo cameriere, e porta il vassoio di là-.
-Oh, vedo che ti sono tornato utile ora, eh?- la prese in giro lui, ridendo e scoccandole un bacio sulla guancia.
Anche Giulia rise, ma fu una risata breve. Si ritrovò a seguire Filippo, pronta a lasciare quella stanza e tutte le parole e i pensieri che vi aveva celato fino a quel momento.
Era come se lo spettro di Lorenzo cercasse ancora di seguirla, anche dopo tutto quel tempo, con lei che cercava di abbandonarlo dietro di sé, stavolta per sempre. Non era sicura di esserci ancora riuscita del tutto.
 
 
 
 
 

NOTE DELLE ATRICI
Ed è così che viene ufficialmente inaugurata la seconda metà di Walk of Life - Growing. Come abbiamo già visto nel finale dello scorso capitolo, Caterina e Francesco stanno bene e questa è la cosa più importante, alla fine. Ma qualcosa di inaspettato, o meglio qualcuno di inatteso, è tornato a farci visita: Lorenzo, infatti, nonostante gli attriti con "l'amatissimo" cognato Nicola, non si è tirato indietro dal far visita alla sorella e alla new entry della famiglia... Ma qualcuno si mette sulla sua strada. E così, in un clima di imbarazzo decisamente palpabile, Giulia e Lorenzo si incontrano nuovamente faccia a faccia dopo anni.
Alla fine tra loro non è andata così male, anche se l'arrivo improvviso di Filippo non è stato il massimo 😂 il disagio era palpabile, un po’ come lo è stato poi il successivo scambio di pareri tra Giulia e Filippo a fine capitolo. Ci avrà visto lungo Filippo, oppure è la gelosia che parla? Giulia, invece, riuscirà a mettere da parte quella parentesi (se così la possiamo chiamare) del suo passato?
Per quanto riguarda Nicola e Caterina, i primi giorni da neo genitori si stanno susseguendo e tutto sommato, tra aiuti che vanno e vengono e visite di parenti e amici, nessuno dei due ha ancora avuto una crisi esistenziale. E' un buon punto di partenza! 😂 Una discussione con i suoi più cari amici porta Caterina a ricontattare, come promesso, una vecchia conoscenza, una persona che voi fedeli lettori avrete sicuramente individuato con facilità... Vero? 😏
E proprio nell'imminente futuro, cioè nel prossimo capitolo, qualcuno tornerà tra queste righe dopo un periodo di assenza... Sarà Giovanni? Sarà qualcun altro? Chissà!
Ci rivediamo mercoledì 22 giugno per scoprire questo e tanto altro!
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Un'emozione da poco ***


CAPITOLO 23 - UN'EMOZIONE DA POCO


 
 
Ed io non vedo più la realtà
Non vedo più a che punto sta
La netta differenza

Fra il più cieco amore
E la più stupida pazienza [1]
 

Il sapore dolce e fresco della vodka alla pesca gli aveva bruciato la gola mentre mandava giù l’ennesimo sorso dal suo bicchiere, che teneva stretto tra le dita della mano destra. Intorno a lui la gente seduta agli altri tavolini del bar, con il loro chiacchiericcio quasi copriva la musica elettronica che proveniva dalle casse del bar dove si trovavano.
Pietro si strinse nelle spalle, disturbato da un brivido di freddo che gli aveva appena percorso la schiena. La temperatura era bassa perfino lì dentro, esattamente come lo era all’esterno, in quella piovosa serata di metà gennaio.
Era grato alla parlantina di Filippo, che gli aveva permesso di restarsene in silenzio il più possibile, senza il rischio di ricevere domande inopportune da parte di Alessio. A ben pensarci, però, probabilmente non sarebbe cambiato molto nemmeno senza Filippo: era da qualche settimana che Alessio gli rivolgeva la parola solo quando necessario, forse stanco di ricevere risposte vaghe e a tratti scocciate ai suoi inizi di conversazione superficiali e che di certo non avrebbero risolto nulla di quel che era successo il mese prima. Era come se per Alessio non fosse mai accaduto nulla, e Pietro aveva colto l’occasione per ripagarlo con la stessa moneta – aggiungendoci un po’ di rancore al tutto. Sembrava una maledetta presa in giro, quella situazione, e Pietro cominciava seriamente a dubitare che il tempo, passando, avrebbe ridotto anche solo minimamente tutta la collera che si stava trascinando dietro.
Era strano pensare di voler essere in qualunque altro posto, eccetto che nello stesso luogo con Alessio. Era una sensazione nuova, che fino ad un mese prima non aveva nemmeno creduto di poter vivere. Non lui, che cercava di tenere sempre a mente ogni più piccolo dettaglio di Alessio, delle loro conversazioni e dei gesti che le accompagnavano.
Ora, guardando i suoi occhi chiari e il suo sorriso un po’ spento, non poteva fare a meno di sentirsi colmo di rabbia. Non era più riuscito a levarsi di torno il senso di bugia e inganno dalla mattina dopo quel loro bacio.
Ripensava alle parole di Alessio, quelle con cui aveva fatto finta che non fosse mai successo nulla, quelle che avevano spento qualsiasi sua speranza. Ripensava a quelle parole, e non poteva fare a meno di leggervi in esse tutto l’inganno che avevano perpetrato.
Si era chiesto spesso se Alessio si fosse realmente dimenticato tutto – d’altro canto era ubriaco fradicio, aveva litigato con Alice: aveva motivi per cui dimenticare completamente quella serata disastrosa-, ma c’era sempre stato qualcosa che lo aveva frenato dal crederci davvero. La vita era andata avanti, ed Alessio aveva continuato a far finta di nulla, chiedendogli solamente ogni tanto a cosa fosse dovuto quel suo atteggiamento distaccato.
Non c’erano mai state altre domande su quella sera, e ad un certo punto anche Pietro aveva accantonato l’idea di ritirare fuori l’argomento. A che serviva continuare a farsi del male, se tanto non avrebbe cambiato assolutamente nulla? Dopo quella sera, per quel che Pietro ne sapeva, Alessio aveva risolto solo i suoi problemi con Alice. Tutto era tornato come prima, tranne che per quei baci dati di nascosto e dimenticati subito dopo come se non fossero mai stati reali
Pietro aveva come l’impressione che, qualunque cosa sarebbe mai potuta accadere, Alessio avrebbe continuato a scegliere sempre se stesso e ciò che gli era più comodo per avere meno problemi possibili, quasi ciecamente.
Non c’era spazio per lui. Non c’era mai stato, e forse lo aveva sempre saputo, anche se ora aveva sbattuto così pesantemente la faccia contro quella verità che era decisamente impossibile continuare a negarla.
-Ma chi si vede da queste parti!-.
Pietro sussultò appena, riprendendosi e distraendosi dai suoi pensieri. Aveva avvertito la voce maschile che aveva appena parlato piuttosto vicina al loro tavolo, e per alcuni attimi gli era parsa quasi famigliare. Osservando meglio, si rese conto che, in effetti, ad aver parlato era stato un ragazzo suo coetaneo, in piedi accanto al loro tavolo. Ma era a Filippo che si era appena rivolto: stava salutando l’altro con la mano, un sorriso stampato sulle labbra.
-Ciao! Anche tu qui?- fece Filippo, sotto gli occhi incuriositi di Alessio e Pietro.
-Sono con degli amici- spiegò l’altro, indicando con un dito un tavolo poco distante dal loro, occupato da alcuni ragazzi– E tu, dove hai lasciato Giulia?-.
Fu in quel momento, osservandolo meglio e con più attenzione, che Pietro ricordò perché la sua voce e il suo viso non erano totalmente sconosciuti. Un ricordo gli attraversò la mente: l’estate passata, la festa di laurea di Giulia, e quel suo collega di università che aveva incontrato lì. Senza contare tutte le volte in cui l’aveva nominato nell’arco dei mesi passati.
“Cazzo”.
Pietro era sicuro che non l’avrebbe mai più rivisto in vita sua, ma quello che si era appena fermato accanto al loro tavolo era, ormai senza più alcuna ombra di dubbio, proprio Fernando.
-È a casa di una nostra amica- spiegò Filippo, facendo riferimento a Caterina – Ha appena avuto un bambino, e Giulia voleva stare un po’ con lei per darle una mano-.
-Gentile da parte sua- fece l’altro, con un sorriso gentile – Salutala da parte mia, allora-
-Sarà fatto!-.
Fernando fece per andarsene, ma per qualche secondo Pietro si ritrovò a fissare il suo viso, gli occhi dell’altro puntati a loro volta verso di lui. Non sapeva se era stata solo una sua impressione, ma quasi gli sembrò di leggere una punta di malizia nel mezzo sorriso che gli rivolse prima di allontanarsi definitivamente.
Pietro scrollò le spalle, prima di abbassare lo sguardo, un po’ a disagio per quell’ultima occhiata.
-Era Fernando, un compagno di università di Giulia. Ve lo nominiamo ogni tanto- spiegò Filippo, dopo essersi nuovamente girato verso Pietro ed Alessio, dando inconsciamente conferma di quel che Pietro già sospettava – Era anche alla sua festa di laurea. Lo ricordate?-.
-Sì, mi sembra di sì- rispose vagamente Alessio, anche se sembrava molto più sicuro di quel che voleva far intuire.
Pietro si limitò al silenzio, ancora un po’ a disagio. Anche senza la conferma di Filippo, lui si sarebbe ricordato in qualsiasi caso della prima volta in cui aveva visto Fernando: uno sguardo così provocante difficilmente si poteva dimenticare.


 
All’esterno del locale la temperatura si era notevolmente abbassata. O forse era solo il calore dell’interno del bar, che ora non sentiva più, a farlo tremare maggiormente.
Pietro si strinse nelle spalle, portando alle labbra la sigaretta appena accesa. Era da quando era uscito, pochi minuti prima, che ringraziava l’esistenza di un balcone al piano superiore del palazzo dove era il bar: starsene sotto quella terrazza era l’unico modo per ripararsi dalla pioggia incessante, che ora scendeva a catinelle, e che di sicuro lo avrebbe inzuppato nel giro di qualche secondo se non fosse stato per quel riparo di fortuna.
Non c’erano altre persone oltre a lui lì fuori proprio in quel momento, e non poteva che essere più felice di così: poteva fumare con calma, far passare i minuti e sperare che, una volta tornato dentro, sia Filippo che Alessio avrebbero deciso che era giunta l’ora di tornarsene alle rispettive abitazioni.
Espirò fuori il fumo, chiudendo gli occhi per un attimo. Stava odiando ogni secondo passato a quel tavolo, e la scusa di fumare una sigaretta era stata perfetta per allontanarsi senza scatenare troppe domande. Non che credesse che Filippo non si fosse accorto di nulla: non era stupido, e non ci voleva molto per notare come ogni parola pronunciata da Alessio venisse puntualmente ignorata unicamente da lui.
E nemmeno Alessio era stupido, e lo sapeva che, in realtà, di domande che gli ronzavano in testa ne doveva avere tantissime. Forse, prima o poi, la voglia di chiarezza sarebbe stata più forte del quieto vivere, ma Pietro immaginava che quel momento, conoscendolo, forse non sarebbe mai davvero arrivato.
Appoggiò la nuca contro il muro, con aria stanca. Avrebbe voluto andarsene via di lì anche subito, senza nemmeno più tornare dentro a salutare; l’unica cosa che lo frenava dal farlo sul serio era che, così facendo, avrebbe solo attirato maggiori attenzioni su di sé.
Portò di nuovo la sigaretta alle labbra, giusto un secondo prima che la porta del locale si aprisse. Non ci badò molto: poteva essere chiunque che se ne stava andando. Dubitava che potesse essere Alessio, e se anche fosse stato lui non aveva comunque intenzione di rivolgergli troppe attenzioni.
Si girò appena vero la porta, senza troppa curiosità. Si ritrovò, però, a rizzare il capo dopo aver notato che, ad essere uscito, era stato Fernando.
Pietro si voltò subito, consapevole del fatto di essere stato colto a fissarlo per quei pochi secondi. Anche lui lo aveva fissato di rimando, mentre era uscito, e quello gli sguardo era bastato per sentirsi in leggero imbarazzo. Cercò di fare finta di nulla, ma gli risultò difficile pensando che l’altro non sembrava intenzionato ad andarsene: si era arrestato poco distante da Pietro, anche lui al riparo dalla pioggia sotto al terrazzo del secondo piano.
-Hai da accendere?-.
Pietro si girò lentamente, la mano con la sigaretta bloccata a mezz’aria. Non c’erano dubbi sul fatto che quella domanda fosse rivolta proprio a lui: erano da soli, in quello spazio ristretto coperto dal terrazzo. Complice la pioggia, non c’era nessun altro uscito a fumare oltre a loro.
Pietro si ritrovò ad annuire silenziosamente, prima di rovistare in una tasca del cappotto. Poco dopo fece riemergere la mano tenendo l’accendino, porgendolo infine all’altro. Lo vide sorridere gentile, mentre lo afferrava.
-Sei l’amico di Filippo, vero? E di Giulia, ovviamente- riprese di nuovo a parlare, prendendo con calma una sigaretta dal suo pacchetto. La portò alla bocca e l’accese, espirando subito dopo.
-Già, proprio quello-.
Non aggiunse altro; si limitò a recuperare l’accendino che l’altro gli stava porgendo indietro, rimettendolo in tasca subito dopo.
-Mi ricordo di te- proseguì Fernando, facendo sgranare gli occhi di Pietro per la sorpresa – Ci siamo incontrati alla laurea di Giulia, la scorsa estate. Ci ha presentati lei, se non sbaglio-.
Non sbagliava, di quello Pietro era sicuro. Non aveva molti ricordi della laurea di Giulia, ma riusciva perfettamente a ricollegare la situazione appena descritta al ricordo che ne aveva. Si ricordava bene l’imbarazzo provato e l’occhiata diffidente che Alessio aveva rivolto a quello strano amico di Giulia sbucato da chissà dove all’improvviso. Era solo meravigliato che anche Fernando se ne ricordasse
-Sì, probabilmente hai ragione- mormorò Pietro, con voce a malapena udibile e fingendo incertezza. Si chiese come facesse quel tipo a ricordarsi di lui dopo averlo visto solo una volta un sacco di mesi prima. Doveva avere un’ottima memoria eidetica.
-Certo che ho ragione. Io ho sempre ragione- replicò lui, sfoderando uno di quei sorrisi maliziosi che Pietro avrebbe trovato odiosi in qualsiasi altra persona, ma che sul suo viso gli donavano un’aria ancor più affascinante – Sono Fernando, comunque. Se non lo ricordi. O se Filippo non te lo ha detto prima-.
-Pietro. Come sicuramente ricorderai- gli rispose ironico, afferrando la mano destra che Fernando gli aveva appena allungato, per presentarsi di nuovo.
-Mi hai beccato! Ho un’ottima memoria per i nomi- fece Fernando, con aria disinvolta.
-Quindi ti ricordavi davvero come mi chiamavo?-.
Fernando fece una piccola smorfia, come se fosse appena stato colto nel compiere qualche brutta azione:
-No, ma non importa. Ti sei presentato da solo, quindi non mi hai messo nella situazione di dover tirare a indovinare-.
Pietro scoppiò a ridere, inevitabilmente. Non era dell’umore giusto per scherzare, quella sera, ma doveva ammettere che Fernando era decisamente divertente nell’ammettere cose del genere con una semplicità disarmante.
-Comunque mi ricordavo davvero di te. È difficile dimenticarsi di un bel viso- proseguì Fernando, che non sembrava per niente in imbarazzo – Almeno per me, s’intende-.
-È una specie di complimento, questo?-.
Pietro ricordava piuttosto bene alcuni momenti del loro primo incontro alla laurea di Giulia. Ricordava che anche in quell’occasione Fernando non aveva fatto nulla per nascondere il suo interesse verso di lui, e quindi nemmeno per nascondere che gli piacessero i ragazzi – e ricordava la sua ammirazione ed invidia nei suoi confronti.
In un certo senso e per un breve istante, Pietro si ritrovò ad invidiarlo anche in quel momento. Anche a lui sarebbe servita quella disinvoltura, per ammettere con se stesso e con chiunque altro che anche a lui sarebbe interessato di più avere a che fare con un bell’uomo, piuttosto che con una donna.
-La chiamerei più una constatazione-.
-Ci stai provando- mormorò Pietro. Era grato del fatto che non ci fossero lampioni lì vicino per rischiarare la notte: lì nell’oscurità, forse, Fernando non si sarebbe accorto delle sue gote arrossate.
-Di solito quando mi trovo un bel ragazzo davanti mi butto e basta- spiegò Fernando, candidamente. Pietro rimase davvero a bocca aperta nello scoprire sempre di più come il disagio o l’imbarazzo per lui non esistessero affatto. Immaginava che con Fernando avrebbe potuto parlare delle cose più scabrose al mondo, e non avrebbe perso nemmeno per un secondo il suo aplomb.
-Sono fidanzato. Con una donna- si ritrovò a dire piano, quasi a malincuore – Quindi sarei etero-.
L’immagine di Giada fece capolino nella sua mente, ma solo per un secondo: Pietro si sforzò di non pensare a lei, a tutte le bugie che le doveva dire ogni volta, e a tutto il male che giorno dopo giorno le stava facendo. E cercò di non pensare anche alla frottola che aveva appena rifilato anche a Fernando.
-Sul serio?- Fernando sembrò seriamente sorpreso, e Pietro non poté fare a meno di chiedersi quanto di lui avesse intuito con un solo sguardo – Allora ritirerò già la proposta che intendevo farti-.
-Che genere di proposta?-.
Il cuore di Pietro prese a martellare forsennatamente. Credeva di aver intuito quale proposta Fernando stesse alludendo, ma cercava di convincersi di essersi sbagliato.
Fernando fece un sospiro profondo piuttosto teatrale, portandosi velocemente la sigaretta alle labbra. In quel lasso di tempo in cui Fernando se ne rimase in silenzio, Pietro sentì il respiro accelerare e la testa girare appena.
-Avrei osato troppo chiedendoti di uscire?-.
Pietro abbassò per un po’ il viso, consapevole di avere gli occhi di Fernando su di sé. Aveva sperato fino all’ultimo di non sentire quelle parole, ma anche la sua ultima speranza sembrava essere sparita.
Si sentì perso, avvolto in una sensazione strana. Aveva pensato spesso, negli ultimi anni, a come sarebbe potuto essere uscire con un ragazzo: forse la gente li avrebbe guardati male, ma almeno sarebbe potuto essere se stesso. Era così che ci si sentiva? In quel momento, dentro di sé, provava solo sentimenti contrastanti: da una parte c’era la possibilità di provare ciò che aveva sempre rifiutato, dall’altra di tradire Giada per l’ennesima volta.
Guardò Fernando di sottecchi, senza dire nulla: non lo conosceva affatto, ma d’altro canto la gente cominciava ad uscire insieme proprio per conoscersi. Non che con Fernando potesse avere quelle intenzioni: si sentiva così incasinato in quel periodo, tra Giada ed Alessio, che pensare di uscire con qualcuno con qualcosa più dell’amicizia in mente gli metteva ansia.
Eppure, allo stesso tempo, avrebbe voluto farlo. Forse era solo una sensazione a pelle, ma Fernando gli piaceva. Forse era il suo modo di fare spiccio e sincero che gli trasmetteva allegria e tranquillità. Entrambe cose che non aveva da un po’ di tempo.
-Anche se, devo dire, ti chiederei di uscire con me anche senza certi scopi. Non farei mai la parte dell’amante di uno già impegnato-.
-Quindi perché mi chiederesti di uscire comunque?- domandò Pietro, a tratti confuso. Si sentì come se Fernando gli avesse appena letto nella mente, mentre lo fissava con lo stesso sorriso calmo di prima:
-Mi incuriosisci. Mi dai una buona sensazione-.
-Fai così con tutti gli amici dei tuoi amici?- Pietro rise di nuovo, imbarazzato. Fernando sembrava sicuro di sé, mentre lui non lo era affatto in quel momento. Si sentiva tremendamente vulnerabile, e temeva che fosse anche altrettanto evidente.
-No, solo con quelli che mi interessano e con cui voglio anche solo approfondire la conoscenza- fece Fernando, con la stessa naturalità di sempre. Detta da lui, ogni cosa sembrava essere la più ovvia del mondo, e a quel pensiero Pietro rise un altro po’.
-Tu sei matto-.
-Molto probabile- Fernando annuì, alzando le spalle come se non gli importasse molto essere poco normale – Quindi, starei davvero osando troppo, se … Non so, ti offrissi in amicizia un caffè o una cena, tra qualche giorno?-.
Pietro rimase a guardarlo, per secondi che gli sembrarono un’eternità, lacerato da quella scelta che Fernando sembrava porgli con tutta la calma del mondo.
Non sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere, né cosa fare. Sapeva solo che gli si stava presentando un’opportunità, di cui forse non si sarebbe del tutto pentito.


 
-Ce ne hai messo di tempo per fumare una sigaretta-.
Pietro si lasciò sfuggire una leggera smorfia, mentre Filippo gli dava una pacca amichevole sul braccio. Si risedette al tavolo, ignorando Alessio e l’occhiata guardinga che gli aveva appena lanciato.
-Non è colpa mia se la gente si ferma a parlare con me- borbottò Pietro, vago. Si pentì subito dopo di aver tirato in ballo il discorso Fernando: non aveva intenzione di dire a Filippo ed Alessio cosa si erano detti, e sperò che nessuno dei due approfondisse troppo l’argomento.
-E chi è che ti avrebbe fermato a parlare?- fece Filippo sorpreso, alzando un sopracciglio.
-Solo l’amico tuo e di Giulia. Fernando- Pietro si morse leggermente il labbro, sperando di risultare convincente – Era fuori a fumare anche lui-.
-Ah, pensavo ti riferissi a qualche ragazza che ci aveva provato con te- replicò Filippo, e Pietro dovette sforzarsi per non scoppiargli a ridere in faccia – Comunque non mi stupisce, Fernando attacca bottone con letteralmente chiunque-.
-Sì, ho notato. E poi si ricordava che Giulia ci aveva presentato alla sua laurea- spiegò Pietro, senza andare troppo in dettaglio. Sperò che quella risposta potesse bastare a Filippo, che in effetti non sembrava volere indagare oltre.
-Non lo sapevo. Ma in effetti può essere davvero così- si alzò lentamente dalla sedia, sotto gli occhi interrogativi di Pietro – Tra poco dovrò andare, ma prima faccio una capatina al bagno. Torno tra poco-.
Pietro annuì, cercando di trattenersi dal serrare i pugni per il nervoso. Restare da solo con Alessio, anche se per pochi minuti, era ciò che più avrebbe evitato in quel momento. Non lo aveva sentito parlare fino a quel momento, e al contrario di Filippo, temeva seriamente che lui qualche domanda in più su Fernando gliela potesse porre.
Cercò di fare finta di niente, anche se si sentiva gli occhi azzurri di Alessio addosso. Probabilmente lo stava studiando, forse non del tutto sicuro se dire qualcosa o meno. Pietro si ritrovò a roteare gli occhi verso l’altro, quando dopo poco che Filippo se ne era andato, Alessio ruppe gli indugi:
-Hai davvero parlato con quel tipo, là fuori?-.
Sembrava una domanda buttata lì, quasi a caso, ma Pietro era sicuro che così non fosse affatto. Forse anche Alessio ricordava quando avevano conosciuto Fernando alla laurea di Giulia; forse ricordava anche i commenti che aveva fatto Fernando su entrambi. E forse ricordava anche diverse altre cose – tipo quando si era lasciato andare a quei minuti di gelosia a settembre scorso.
-Sì, perché? Ti sembrava una scusa, la mia?- replicò subito, con voce fredda. Non si girò nemmeno a guardare Alessio, né l’altro sembrò volere chiedergli di guardarlo. Doveva averci fatto l’abitudine, in quell’ultimo mese, a Pietro che non lo guardava in faccia nemmeno quando erano soli ed Alessio gli rivolgeva la parola.
-No di certo- Alessio sembrava del tutto intenzionato a non essere da meno, con il suo tono di sfida nella voce – Gli hai detto che la sua vicinanza ti tenta molto?-.
“Come si ricorda bene tutto, tranne che di quando mi ha baciato”.
Pietro cercò di rimanere il più impassibile possibile:
-Non ancora-.
Quando quell’allusione era venuta fuori la prima volta, il giorno del compleanno di Caterina, si era sentito spaventato ed agitato, ma stavolta gli venne solo voglia di rigirar ancor di più il coltello nella piaga.
-Sembri piuttosto preso male all’idea che parli con lui-.
Alessio fece per dire qualcosa, ma richiuse la bocca subito dopo. Passarono alcuni secondi prima che si decidesse a parlare sul serio, ma Pietro ebbe l’impressione che quello non fosse comunque ciò che aveva pensato di dire la prima volta:
-È che fossi in te non gli darei troppe false speranze- Alessio parlò normalmente, ma era piuttosto ovvio che ci fosse del sarcasmo intrappolato in ciò che stava dicendo – Mi sembra piuttosto interessato, visto come ci ha anche già provato una volta-.
Pietro gli venne voglia di urlargli in faccia che forse, tra loro due, non era lui a dare false speranze a qualcun altro. Sarebbe stato estremamente curioso vedere che espressione avrebbe assunto Alessio, o cosa avrebbe fatto di conseguenza.
Ricordava come fosse ieri l’espressione turbata di Alessio quando Fernando aveva fatto commenti di apprezzamenti verso di lui. All’epoca avrebbe quasi potuto interpretare quel gesto di Alessio come una sottile reazione di gelosia, come poi era capitato a settembre, ma ormai quelle erano solo vecchie illusioni.
-O magari frequentandolo potrei scoprire qualche nuovo lato di me, chissà- sbottò Pietro, infastidito – E comunque ci ha provato anche stasera-.
Per un attimo si chiese se Alessio avrebbe mai detto qualcosa sul loro bacio di un mese prima. Era evidente che fosse turbato dalla possibilità che succedesse qualcosa con Fernando: o stava intuendo qualcosa, e Pietro non se ne sarebbe meravigliato, o il fatto di non ricordarsi del loro bacio era tutta una bugia. In un qualche modo Alessio doveva aver pensato di ritrovarsi di fronte a qualcuno potenzialmente interessato anche agli uomini.
Scosse impercettibilmente il capo, conscio che, se non era successo nulla di simile in tutto quel tempo, le possibilità che succedesse in quel momento erano davvero infime. Ed era altrettanto conscio che probabilmente Alessio fosse un bugiardo egoista.
Dopo che aveva rivelato quel particolare su Fernando, guardando dritto negli occhi Alessio, Pietro aveva notato le sue iridi chiare passare dalla sorpresa a quella che sembrava quasi delusione.
Alessio tacque per diversi secondi, lo sguardo ora abbassato verso la superficie scura e lucente del tavolo.
-Sul serio? Che ti ha detto?- domandò, con un filo di voce.
-Mi ha invitato a cena da lui, nel fine settimana. Una cena senza implicazioni-.
-Spero tu abbia rifiutato- disse Alessio, più aspramente di quello che Pietro si sarebbe aspettato. Era quasi incredibile come trasmettesse rabbia e malinconia quasi nello stesso momento.
-E se non fosse così?-.
Alessio si ritrovò di nuovo a sostenere il suo sguardo, di nuovo quello strano misto di meraviglia e dolore che gli trasformava i lineamenti del viso, rendendoli più contratti e tesi.
-Stai dicendo che gli hai detto di sì?-.
Pietro respirò a fondo, trattenendosi dall’alzarsi da lì ed allontanarsi il più possibile dal viso turbato dell’altro:
-Sai, a volte bisogna anche buttarsi nelle cose. Fare nuove conoscenze ed amicizie, uscire con gente diversa dal solito gruppo di amici di sempre-.
-Fa come vuoi- Alessio sibilò quelle parole in modo tagliente. Pietro si avvicinò al suo viso, gli occhi ridotti quasi a una fessura per la rabbia e lo sforzo di non aggredire Alessio con parole di cui, forse, un giorno si sarebbe anche potuto pentire:
-È esattamente quello che farò, che ti piaccia o meno-.
Alessio scosse il capo, evidentemente poco convinto dalle sue stesse parole di qualche secondo prima:
-Anche prima quando ha salutato Filippo ti ha guardato in una maniera … -
-Non è vietato guardare- Pietro strinse i denti, mentre Alessio non accennava ad abbassare lo sguardo, come se avesse finalmente ritrovato la sua solita risolutezza – In ogni caso, non faccio nulla di male a parlare con qualcuno che non sia tu, o Filippo, o chiunque altra persona che vedo praticamente ogni santo giorno-.
Si allontanò di nuovo, guardando altrove. Si chiese dove fosse finito proprio Filippo: ormai erano alcuni minuti che si era allontanato, ma Pietro non riusciva a scorgerlo arrivare in lontananza. Poteva aver trovato fila per il bagno, proprio nel momento peggiore in cui poteva assentarsi.
-Secondo me dovresti lasciar perdere-.
La voce di Alessio gli giunse lontana, a tratti anch’essa arrabbiata. Quasi lo odiò, Pietro, nel sentirlo parlare così, proprio lui che non aveva fatto altro che sbagliare qualsiasi cosa nell’ultimo mese senza alcuna traccia di pentimento.
-Certo, secondo te dovrei lasciar perdere un sacco di altre persone. Come anche Giada, vero?- Pietro si alzò dalla sedia, lanciando un’ultima occhiata fredda ad Alessio – La  verità è che non mi serve il tuo permesso per fare una cosa. Mettitelo in testa-.
Non aspettò nemmeno la sua risposta, se mai ce ne sarebbe stata una. Si voltò e si allontanò a grandi passi, in direzione della cassa. Aveva tutta l’intenzione di pagare e andarsene al più presto, senza nemmeno voltarsi indietro.
Era sicuro che, anche in quel momento, Alessio lo stesse seguendo con lo sguardo. Lo seguiva da distante, come ormai capitava sempre in quell’ultimo mese.
Pietro era sempre stato sicuro che la lontananza da lui sarebbe stata tra le cose più dolorose che avrebbe potuto provare; si era sbagliato, ed ora lo sapeva. Quella vicinanza fisica così finta non significava nulla: non significava che, in realtà, non ci fosse una frattura tra loro che li aveva allontanati.
Era successo, e faceva male. Era un dolore sordo al petto, al quale si stava pian piano abituando, e che lo avvelenava ogni secondo di più.
 
I hate you, I love you
I hate that I love you
Don't want to but I can't put nobody else above you
I hate you, I love you
I hate that I want you
You want her, you need her
And I'll never be her [2]
 
*
 
I miss you when I can't sleep
Or right after coffee
Or right when I can't eat
I miss you in my front seat
Still got sand in my sweaters
From nights we don't remember
Do you miss me like I miss you?
Fucked around and got attached to you
Friends can break your heart too
And I'm always tired but never of you
 
Il gracchiare di voci che proveniva dalla tv accesa non riusciva a distrarlo dal silenzio assordante che riempiva il resto del salotto. Forse era perché il volume era tenuto così basso che a malapena sarebbe riuscito a distinguere le parole del film che stavano trasmettendo, o forse era solo perché non ci stava facendo troppa attenzione.
Erano solo le otto di sera, ma Alessio non aveva fame e dubitava avrebbe cenato più tardi. Alice se n’era uscita un’ora prima per una cena con delle vecchie amiche dell’università, e a lui non era rimasto altro che restare lì, a casa da solo.
In fin dei conti, forse era stato meglio così: avrebbe solo rischiato di sembrare ancor più nervoso, e le chiacchiere allegre delle amiche di Alice lo avrebbero solo fatto pentire di essersi aggregato.
Poco prima di andarsene gli aveva lanciato uno sguardo preoccupato, come se gli avesse letto nella mente, o avesse intuito anche solo lontanamente ciò che lo turbava. Alessio, subito dopo quel pensiero, aveva scosso la testa: di certo Alice non poteva conoscere i demoni che lo perseguitavano da tempo, visto che non gliene aveva mai parlato. Poteva forse essersi accorta del suo essere irrequieto, ma mai avrebbe saputo cos’era a renderlo così.
Tirò un lungo sospiro, buttando indietro la testa, fino a toccare lo schienale del divano. Se ne stava seduto lì già da un po’, mollemente abbandonato e facendo finta di guardare la televisione, ma con la mente che se ne andava lontana da quella stanza.
Erano giorni che non vedeva Pietro – non lo aveva incrociato ai corsi all’università, né altrove-, ma sapeva esattamente dove doveva trovarsi in quel momento, quella sera.
Aveva cercato di non pensarci, perché sapeva che se ci avesse pensato troppo sarebbe finito con il presentarsi davanti alla sua porta, chiedendogli – pregandolo-  di non andare da Fernando. Sbuffò piano, nell’immaginarsi una scena simile: lui che cercava di convincere nuovamente Pietro a lasciar perdere quell’invito, a lasciar perdere del tutto quello spagnolo che gli sembrava tutto fuorché affidabile.
Era riuscito, seppur con non pochi sforzi, a trattenersi, e il risultato era solo quello: la sua attenzione era completamente catalizzata dall’idea che quella sottospecie di appuntamento stesse avvenendo esattamente in quel momento, da qualche parte a Venezia. E lui non poteva più fare nulla, se non sperare solo di sbagliarsi e che Pietro non avrebbe dovuto pentirsi di non averlo ascoltato.
Non avrebbe saputo come definire il suo stato d’animo attuale, ma sapeva che l’idea di Pietro da solo con Fernando lo rendeva estremamente nervoso. Avrebbe preferito saperlo in qualunque altro posto, ma non con quel tipo. Sarebbe stato quasi più sopportabile sapere che Pietro aveva deciso di organizzare una cena romantica con Giada.
Non era da scartare l’idea che Pietro avesse accettato l’invito di Fernando solo per ripicca, d’altro canto: succedeva così per ogni cosa da un mese, ormai, per ogni singola azione o gesto anche tra i più insignificanti. La verità era che, per come la vedeva Alessio, Pietro stava solo cercando di allontanarlo da sé in ogni modo possibile. Poco importava se per giungere a quello scopo doveva ignorarlo, non rispondere alle sue domande in merito, o fare qualcosa che sapeva l’avrebbe contrariato. Gli bastava solo fargli capire che, per un qualche motivo che ad Alessio era oscuro, non lo voleva più intorno. Era come se la catena che li aveva tenuti legati fino a quel momento si fosse spezzata improvvisamente, nemmeno in maniera troppo sottile.
Chiuse gli occhi per un attimo, ascoltando distrattamente il gracchiare proveniente dalla televisione. Si era domandato spesso, nelle ultime settimane, cosa potesse aver spinto Pietro a quel comportamento. Tutte le volte non era giunto ad alcuna conclusione.
Ricordava solo che era dal giorno della laurea di Caterina che tutto sembrava essere andato allo sfascio. Era come se quel giorno fosse stato uno spartiacque, come se avesse segnato irrimediabilmente un prima ed un dopo tra di loro. Forse era da lì che partiva tutto, perché era dalla mattina dopo la festa che Pietro aveva preso ad agire in quel modo, da quando Alessio si era svegliato nel suo appartamento con la mente offuscata e i ricordi riguardanti la sera prima quasi del tutto assenti.
Tirò un sospiro profondo, la rassegnazione ormai così famigliare che non lo rendeva nemmeno più arrabbiato riguardo quella situazione.
Gli mancava un tassello, un tassello sconosciuto che gli rendeva impossibile decifrare gli eventi, e che forse, conoscendolo, lo avrebbe aiutato a vedere tutto più chiaramente.
Si immaginò di nuovo se stesso andare da Pietro per affrontarlo, chiedergli se fosse successo qualcosa a quella maledetta festa. Qualcosa che aveva cambiato tutto, e che aveva segnato il punto di confine oltre il quale si trovavano ora.
Si immaginò una scena del genere, e ad Alessio si chiuse la bocca dello stomaco.  In un mese non aveva mai raccolto una singola briciola di coraggio e imprudenza per porre quella domanda a Pietro – insieme a tante altre domande che ora gli ronzavano ancor di più in testa.
Era qualcosa del tutto irrazionale, la paura di ascoltare qualcosa che non avrebbe voluto mai sapere – cosa mai poteva essere successo di così terribile?-, ma che non riusciva a superare. Era come se inconsciamente sapesse già cosa sarebbe significato dare voce a quei suoi dubbi, cosa avrebbe portato scoprire quel tassello mancante. Dubitava potesse andare peggio di come stava già andando – con Pietro che non faceva nulla per nascondere il suo disappunto ogni volta che si trovavano nella stessa stanza, o sempre con Pietro che accettava inviti da sconosciuti come Fernando, solo per andare contro i suoi consigli.
“E se …”.
Di nuovo accarezzò l’ipotesi che Pietro potesse essersi scoperto interessato anche ai ragazzi, e la sola idea gli fece venire un vuoto allo stomaco. Come avrebbe reagito se fosse stato davvero così?
Alessio guardò dritto davanti a sé con fare vacuo, l’atmosfera dell’incertezza che gli faceva come mancare il pavimento sotto i piedi.
Forse, in fin dei conti, era molto meglio non scoprire cosa significasse il tassello mancante. Fino a quando sarebbe restato nell’incertezza, non avrebbe avuto bisogno di prendere una decisione.
 
*
 
You ever wonder what we could have been?
You said you wouldn't and you fucking did
Lie to me, lie with me, get your fucking fix
Now all my drinks and all my feelings are all fucking mixed
Always missing people that I shouldn't be missing
Sometimes you gotta burn some bridges just to create some distance
I know that I control my thoughts and I should stop reminiscing

 
Quando giunse sul pianerottolo dove era diretto, Pietro lanciò un ultimo sguardo verso la rampa di scale dalla quale era appena salito. Andarsene via, in quel momento, sarebbe stato facile come respirare: non aveva ancora suonato il campanello, e in realtà non era nemmeno sicuro di aver seguito bene le indicazioni di Fernando ed essere giunto nel posto giusto. Non era nemmeno del tutto certo sul fatto di essere nel posto giusto per se stesso.
Chiuse per un attimo gli occhi, respirando a fondo: il cuore gli martellava nel petto per l’agitazione. Cercò di non pensare al fatto di aver mentito a Giada – le aveva raccontato di essere uscito con alcuni amici dell’università, e sapeva già che la sua coscienza lo avrebbe perseguitato ancora a lungo per quella bugia-, anche se, in effetti, non aveva davvero avuto motivo per farlo. D’altro canto era solo una cena con una persona che lo voleva conoscere. Pur sapendo che quella che si stava ripetendo era solo una mezza verità, cercava di cullarsi in quella falsa certezza per non lasciare che i sensi di colpa prendessero il sopravvento troppo presto.
Per un attimo gli balenò in testa anche il viso di Alessio. Non gli aveva più parlato dalla sera dell’invito di Fernando, e pur sentendone la mancanza, Pietro si era imposto di non chiamarlo né di incrociarlo per Venezia nemmeno per sbaglio. Doveva prendersi una pausa dalla sua presenza, prendersi del tempo da lui e dai suoi ricordi che, in quell’ultimo mese, erano troppo dolorosi.
Quell’ultimo pensiero lo spinse a portare una mano verso il campanello, e a suonare subito dopo. Non si mosse da davanti la porta d’ingresso, accantonando in un angolo della sua mente l’idea di tornare indietro, e rimase lì in attesa del suo destino.
Fernando non ci mise molto ad arrivare. Pietro osservò la porta aprirsi solo qualche secondo dopo aver premuto il campanello, vedendolo poi comparire sulla soglia con un sorriso smagliante. La prima impressione che ebbe nel trovarsi Fernando davanti quella sera fu quella di vederlo diverso dal solito: aveva un fascino decisamente più calcolato rispetto all’ultima volta che l’aveva incontrato – i capelli che scendevano morbidi fino alle spalle, la barba accorciata, e la camicia blu che indossava gli davano l’aria di essersi preparato in ogni minimo dettaglio. Non gli avrebbe attribuito la solita bellezza distratta, in quel momento, come invece aveva fatto la sera al locale qualche giorno prima.
-Hola, guapo!- Fernando si appoggiò allo stipite della porta, rimanendo ad osservare a sua volta Pietro, che sperò di non arrossire per l’imbarazzo – In perfetto orario. Mi stupisci sempre di più-.
-Perché?- chiese Pietro, corrucciando la fronte.
-Non ero sicuro saresti venuto-.
Fernando si fece da parte, per farlo entrare. Pietro rimase fermo un ultimo secondo, lottando contro l’istinto di voltarsi indietro un’ultima volta.
-Nemmeno io lo ero-.
Prese un ultimo respiro, e fece il primo passo dentro l’appartamento.
 


-Spero ti piacciano i cibi un po’ piccanti, o finirai per rimanere a dieta stasera-.
Fernando era appena tornato dalla cucina, reggendo con le mani due piatti con della carne fumante, che Pietro trovò subito piuttosto invitanti.
-Mi piacciono- confermò lui, mentre Fernando lo serviva a tavola – È una ricetta spagnola?-.
-Messicana, veramente- spiegò l’altro, sedendosi infine di fronte a Pietro – Sono fajitas di manzo, è abbastanza famoso come piatto. Tipico da vaqueros mexicanos-.
Pietro annuì, il profumo della carne e dei peperoni che gli riempiva già le narici; non si sorprese molto nel constatare, dopo la prima forchettata, che il sapore era assolutamente delizioso. Fernando sembrava essere un cuoco piuttosto ferrato nelle ricette latinoamericane.
Non era da tanto che si erano seduti al tavolo per cenare. Appena entrato, Fernando gli aveva offerto un drink che Pietro aveva bevuto quasi tutto d’un sorso, come se l’alcool fosse la soluzione migliore a tutti i suoi problemi. Avevano parlato per un po’ di argomenti totalmente generali, e durante quelle poche chiacchiere superficiali, Pietro aveva appurato che, per essere di origini spagnole, Fernando non presentava alcun accento straniero. Parlava un italiano così fluido che gli fece supporre che si trovasse a vivere lì ormai da parecchio tempo – forse tutta la vita.
Fino al momento in cui era iniziata la cena, in ogni caso, non era andata male: Fernando aveva continuato a lanciargli occhiate maliziose – ma forse più scherzose che davvero provocatorie-, e ormai Pietro cominciava quasi a farci l’abitudine.
Era, invece, il suo nervosismo per tutto il resto che sembrava non volersi attenuare. Non aveva un’idea precisa sul perché Fernando lo avesse invitato – e forse non voleva nemmeno pensarci-, e quello lo rendeva insicuro. E poi c’era tutto il resto, a scelta tra Giada ed Alessio, che lo faceva stare tutt’altro che tranquillo e rilassato come invece avrebbe dovuto.
-Va tutto bene?-.
Fernando lo riscosse dai suoi pensieri, facendolo quasi sussultare. Era da un po’ che era calato il silenzio, ma Pietro non ci aveva fatto nemmeno troppo caso, troppo concentrato a porsi domande tra sé e sé.
-Me lo stai chiedendo in generale o riguardo ad adesso?-.
-Entrambe le cose, forse- replicò Fernando, con un sorriso che Pietro avrebbe definito più enigmatico che altro – Di solito quando succede qualcosa di grosso nella nostra vita, a volte questo va ad influenzare anche i piccoli momenti-.
-Può darsi. Non è il periodo migliore della mia vita- borbottò Pietro, abbassando lo sguardo. Si pentì subito dopo di essersi lasciato scappare quel dettaglio, non appena, rialzato lo sguardo, si accorse che Fernando lo teneva fissato con curiosità:
-Come si chiama il ragazzo biondo con cui eri in quel bar, quando ti ho invitato? Alessandro, Alessio?-.
Pietro si ritrovò a deglutire, indeciso se farsi prendere dal nervoso per il sentire nominare il nome di Alessio anche lì, o se fingere l’indifferenza più totale.
-Il secondo nome. Come mai ti interessa? Volevi invitare lui qui, ma poi alla fine hai ripiegato su di me?- domandò, più aspramente di quel che avrebbe voluto.
-Tutt’altro. Mi stavo solo domandando se questo brutto periodo per te è legato a lui- gli rispose Fernando, con un tono talmente ovvio che Pietro quasi non capì davvero dove volesse andare a parare.
Rimase qualche attimo in silenzio, non sapendo bene come avrebbe dovuto reagire. Non conosceva Fernando, e non aveva idea di quanto avrebbe potuto dirgli e quanto invece avrebbe fatto bene a tenere per sé:
-Cosa te lo fa supporre?-.
-Ti serve davvero una risposta?- Fernando rise leggermente, mentre posava la forchetta sul piatto e prendeva il bicchiere, bevendo un lungo sorso di vino rosso – Non so se i vostri amici non se lo domandino per quieto vivere o se lo siano domandato e non hanno mai trovato una risposta, ma ti dirò una cosa: ad un occhio esterno basta un attimo per capirlo-.
Pietro si sentì la pelle del viso infiammata, e il cuore che riprendeva a battere più velocemente del dovuto. Si chiese cosa avesse capito Fernando, e si rese conto di temere seriamente la risposta.
-Capire cosa?-.
Fernando rimase a fissarlo a lungo, con la stessa espressione enigmatica di prima. A Pietro sembrarono quasi interminabili gli attimi che stavano separando quella sua domanda a quella che sarebbe stata la risposta dell’altro.
-Che tra voi due c’è qualcosa che non definirei solo amicizia-.
-Non so di cosa tu stia parlando- Pietro parlò troppo presto e troppo in fretta per apparire anche solo vagamente convincente. Gli bastò lanciare un’occhiata al viso di Fernando per capire che non gli aveva creduto nemmeno lontanamente.
-Te lo spiego meglio: è una sensazione che ho avuto quando vi ho incontrato al bar. Vi ho osservati un po’ distrattamente, dal mio tavolo, ma in ogni caso …  È la stessa sensazione che ho avuto quando vi ho visti alla laurea di Giulia- riprese a parlare lui, senza alcun velo di imbarazzo o difficoltà – Scusami per la sincerità, ma non siete molto credibili come amici. Forse chi vi conosce da più tempo è abituato a vedervi così, ma io, come credo chiunque altro che non fa parte del vostro gruppo, noto una non proprio leggera tensione tra voi due. È come se voleste saltarvi addosso ad ogni occasione buona, e per “saltarvi addosso” non intendo per picchiarvi. Beh, forse lo fareste anche, ma poi finireste per fare dell’altro. Non so se mi spiego-.
Si era spiegato anche troppo bene. Pietro l’aveva ascoltato per tutto il tempo in un silenzio talmente teso che aveva trovato quasi impossibile respirare normalmente.
Non si era mai posto davvero il problema di quello che avrebbero pensato gli altri, vedendo lui ed Alessio insieme: non gli era mai sembrato che qualcuno sospettasse qualcosa di concreto, ma in quel momento si rendeva conto che, forse, era stato troppo ottimista. Sperava fosse Fernando ad avere un intuito incredibile, perché non fosse stato così poteva quasi considerarsi spacciato.
-Esattamente cosa ti fa pensare tutto questo?- mormorò a voce bassissima, senza nemmeno provare a negare. Aveva l’impressione che, qualunque tentativo di dire che si stava sbagliando, sarebbe stato inutile.
-Come vi guardate, prima di tutto. O meglio, come non vi guardate- rispose subito lui, annuendo quando Pietro gli lanciò un’occhiata confusa – Non vi guardate con il tipico disinteresse da amici. E poi, diciamocelo: le due sole volte che ci siamo incontrati, e che ci siamo guardati, Alessio sembrava volesse affogarmi nel primo canale utile. Sì, quando ho salutato Filippo ho notato anche il suo sguardo assassino. Scommetto non fosse molto d’accordo sul mio invito di stasera, se glielo hai detto-.
-Magari non lo era per quanto riguarda la mia ragazza- replicò Pietro, senza alcuna convinzione nella voce.
-Sì, può darsi. Ma ciò non toglie che potrebbero esserci molti più motivi dietro. Mi sto sbagliando?-.
-Riguardo me ed Alessio?-.
Fernando annuì di nuovo, pazientemente. Pietro strinse per un attimo la forchetta tra le mani, cercando di scaricare un po’ la tensione che si sentiva in corpo:
-Riguardo ad Alessio non credo tu abbia molta ragione-.
Sbuffò debolmente, ripensando al bacio di un mese prima, al modo in cui Alessio lo aveva stretto a sé e a come gli aveva fatto capire che gli andasse di continuare. Non sapeva se dare tutta la colpa di ciò all’alcool, ed anche se non fosse stato così, cominciava a perdere ogni speranza sul fatto che, un giorno, Alessio avrebbe ammesso che non fosse stata solo colpa della sua ubriachezza.
-O non lo so, diciamo-.
-Ma per quanto riguarda te … - lo incalzò Fernando, tenendolo fissato con gli occhi scuri dalla forma vagamente a mandorla.
-Vuoi sapere se mi piace?-.
-Ti piace?- Fernando allargò le braccia, un sorriso appena accennato a increspargli le labbra.
-L’hai detto tu che non lo guardo come farebbe un amico qualsiasi- Pietro tirò un sospiro, seccato. Non si era immaginato che la serata avrebbe preso una piega simile, e cominciava ad esserne quasi infastidito. Aveva accettato di andare lì per non pensare ad Alessio, ed invece si ritrovava a rivangare l’argomento contro la sua stessa volontà.
-Quindi ho fatto centro- Fernando sembrò quasi gongolare del suo intuito, e Pietro cercò di trattenersi dall’alzarsi ed andarsene seduta stante.
-Non credo sia solo attrazione fisica- cercò di specificare, come se quel dettaglio potesse fare la differenza tra ciò che provava e ciò che aveva capito Fernando. Era un tentativo inutile di dirgli che si stava sbagliando, e ne era consapevole, ma non era riuscito a rimanere zitto.
-Provi qualcosa per lui?-.
-Non ha importanza- Pietro parlò seccamente, senza nemmeno guardare Fernando – Non più-.
Non aveva voglia di rispondere a quella domanda, non aveva voglia di dare un nome così preciso ai suoi sentimenti in quel momento e con una persona che conosceva a stento.
-Noto una certa ritrosia a parlare di lui- Fernando sembrò piuttosto deluso nel ricevere quella risposta, ma non sembrava intenzionato neppure ad insistere –Vuoi parlare d’altro?-.
Pietro sospirò a fondo, incerto:
-Il fatto è che non sono abituato ad esternare quello che c’è tra di noi- cercò di spiegare. Non era del tutto falso, ma cominciava ad innervosirsi per tutte quelle mezze verità con cui stava andando avanti durante quella serata.
-Non lo sa nessuno?- Fernando sembrava sinceramente sorpreso da quella rivelazione – Beh, ora capisco come mai hai una fidanzata, quando invece vorresti scoparti un tuo amico. Non sei out, vero?-.
-Lo sa solo una persona- la mente di Pietro volò veloce a Alberto, a tutto il tempo che era passato dalla loro ultima conversazione, e a quanto gli mancasse parlare liberamente almeno con lui – E comunque, non ho intenzione di parlare del mio mancato coming out ora. Non credo siano affari tuoi-.
-Giusto, non lo sono- convenne Fernando, accondiscendente.
Pietro lo guardò ancora qualche secondo, prima di lanciarsi in una domanda che gli era sorta spontanea sin da quando Fernando lo aveva invitato da lui a cena qualche giorno prima:
-Come hai fatto a capirlo?-.
Fernando alzò un sopracciglio:
-A capire cosa? Di te e Alessio?-.
-Non solo- Pietro si passò la lingua sulle labbra, agitato – A capire che non fossi etero come faccio credere in giro-.
A quelle parole a malapena sussurrate Fernando lo guardò come se avesse appena capito cosa sottintendesse la domanda che Pietro gli aveva appena posto.
-Tranquillo, non è che hai qualcosa che lo dimostra evidentemente. Quelli sono per la maggior parte stereotipi- gli disse, con un sorriso calmo che incredibilmente riuscì a calmare in parte anche Pietro – Mi piace pensare che il mio gayradar sia parecchio sviluppato. Chiamalo sesto senso, ma ci azzecco spesso. Sembra sia successo anche stavolta-.
-Quindi mi hai invitato qui effettivamente per provarci nel caso ci avessi visto giusto?-.
-Non per forza-.
Fernando rimase in silenzio diversi attimi, prima di alzare le spalle:
-È che ho come l’impressione tu abbia bisogno di qualcuno con cui parlare-.
Aveva dannatamente ragione, e Pietro ne era fin troppo consapevole. Ed era altrettanto vero che non aveva scelto lui Fernando come possibile confidente, ma il fatto di avere di fronte qualcuno che più di chiunque altro avrebbe compreso i suoi dubbi gli fece capire che, forse, averlo incontrato di nuovo era stata una piccola fortuna.
-Comunque non c’è mai stato nulla tra di noi-.
Pietro afferrò il bicchiere, buttando giù almeno la metà del vino che conteneva. Si pentì subito di aver fatto quella precisazione, senza aver colto la palla al balzo per iniziare qualche altro argomento di discussione.
-Sul serio? Avrei detto il contrario. Nemmeno mai un bacio? Un’avventura di una … -.
-No. Smettila di pensare che siamo andati a letto insieme, perché non è così-.
Pietro abbassò lo sguardo, perché, in quel momento, sopportare lo sguardo indagatore di Fernando gli sembrava letteralmente impossibile. Avrebbe voluto fargli domande su altro – tipo quando aveva scoperto di essere gay, come l’aveva vissuta, come la stava vivendo veramente adesso, e mille altre domande su argomenti che avevano in comune-, non su Alessio. Avrebbe voluto pregarlo di smettere di farlo pensare a tutto ciò che sarebbe potuto essere, e che non sarebbe mai stato.
-Sembra che tu stia pensando l’esatto contrario, ma se dici che non c’è stato niente di concreto … - Fernando lasciò cadere la frase senza concluderla, e anche se non lo stava ancora guardando in viso Pietro sapeva che ancora non gli credeva. Era come se Fernando gli avesse letto nel pensiero, o che sapesse benissimo quando stava mentendo e quando invece si lasciava scappare pure qualche verità.
Quel che era peggio era dover ammettere che Fernando era nel giusto. Per quanto avrebbe voluto, nemmeno con tutte le sue forze Pietro poteva cancellare quella consapevolezza.
-Ci siamo baciati. Un mese fa-.
Risuonavano strane, quelle parole, nel silenzio pesante che era calato nella stanza prima e dopo averle pronunciate. Si sentiva strano persino a pensare di averlo detto sul serio ad alta voce a qualcuno. Sembravano parole così diverse da quelle che si era ripetuto mille volte nell’intimità della sua mente, dove nessuno avrebbe mai potuto arrivare a quel segreto che cominciava ad odiare.
Gli ci vollero alcuni momenti prima di trovare il coraggio di alzare il volto e notare l’espressione di Fernando. Era rimasto convinto fino all’ultimo che tra Pietro ed Alessio ci fosse stato qualcosa di fisico, ma ora che ne aveva appena ricevuto la conferma, sembrava molto più stupito di quello che Pietro si sarebbe aspettato.
-Baciati … Baciati?- fece con incredulità nella voce Fernando, tenendo gli occhi fissi sull’altro. Si era perfino sporto un po’ verso Pietro, come se stessero parlando di qualcosa di sconveniente o di segreto.
-Non era un bacio a stampo, se è questo che intendi-.
-Quindi in realtà c’è stato qualcosa- Fernando annuì, forse in parte compiaciuto del suo stesso intuito – E fate finta di nulla?-.
Pietro sbuffò sonoramente, cercando di soffocare una risata amara:
-Non è così semplice da spiegare-.
-Provaci. Magari sono più comprensivo di quel che credi-.
Gli occhi di Fernando avevano abbandonato ogni scintilla di malizia che potevano aver avuto prima di quel momento. Ora sembrava solo curioso, se di sapere quanto ci aveva azzeccato o semplicemente per capire e magari cercare di dargli una mano Pietro non riusciva ancora a comprenderlo.
Si sentiva agitato al pensiero di dover ripercorrere quella sera. Ormai molti dettagli erano sfocati nel tempo della memoria, ma ricordava bene le sensazioni che lo avevano accompagnato in diversi momenti che aveva vissuto quel giorno. Non sapeva, però, se sarebbe stato in grado di esprimerli a voce, o come sarebbe stato raccontarli ad un quasi perfetto sconosciuto.
Sapeva che Fernando non lo avrebbe certo giudicato per aver baciato un altro uomo, e quello lo tranquillizzava, ma poteva benissimo giudicarlo per tutto ciò che c’era di contorno: per non aver parlato chiaramente ad Alessio, né a Giada, forse nemmeno a se stesso.
In fondo, però, il giudizio di una persona che non conosceva affatto non lo avrebbe toccato nel profondo. Si stava aggrappando a quell’unica speranza, mentre mille parole cominciavano ad affluirgli nella mente.
Gli sembrò strano cominciare a parlare e non sentirsi più così agitato come prima. Ripercorrendo i ricordi di quella sera, davanti allo sguardo attento di Fernando, si sentiva più in collera che mai.
Ricordava il profumo di Alessio, il suo calore e le sue labbra, e avrebbe voluto dimenticare ed avere tutto di nuovo contemporaneamente. Avrebbe voluto andare da lui anche in quello stesso momento, e allo stesso tempo avrebbe voluto non vederlo nemmeno una volta di più.
-Non abbiamo mai parlato di tutto questo-.
Pietro si passò la lingua sulle labbra secche, una volta finito di raccontare. Non avrebbe saputo definire come si sentiva, in quel momento: se più leggero, per essersi sfogato con qualcuno, o se più nervoso, per aver riportato alla mente ciò che aveva soffocato per tutto quel tempo.
-Non è una bella situazione- Fernando lo guardava intensamente, e a Pietro sembrò quasi un’altra persona, stando così serio ed attento – Non sei stato per niente fortunato. È difficile dire cosa ti converrebbe fare. D’altro canto, se non ricorda nulla potrebbe anche non crederti nel caso gli dicessi cosa è successo-.
-Potrebbe aver fatto finta di non ricordarsene. Ed in quel caso sarebbe ... – Pietro vacillò per qualche secondo – Sarebbe solo uno stronzo-.
Pietro si sporse di nuovo verso il suo bicchiere, bevendo quel che rimaneva del suo vino. Faticò a deglutire per il groppo in gola che sentiva, ma cercò di non darlo a vedere: dubitava sarebbe stata una buona idea scoppiare in lacrime di fronte a Fernando.
-Presumo non lo scoprirai mai in ogni caso, se hai deciso di non dirgli nulla in qualsiasi caso. A meno che non sia lui a dirti qualcosa-.
-No, non credo succederà nessuna delle due cose- Pietro sospirò rumorosamente, passandosi una mano sulla fronte – E poi le cose sono diverse ora-.
-Diverse? Che vuoi dire?-.
Pietro si agitò un po’ sulla sedia, incapace di starsene fermo ancora per molto. Non credeva di poter spiegare a voce ciò che sentiva, e dubitava che Fernando potesse capire anche solo in parte:
-È cambiato qualcosa … - si strinse nelle spalle, incerto su come spiegarsi – È come se avessi aperto gli occhi dopo troppo tempo. Forse mi sto rendendo conto solo ora del tempo che ho perso e che, nonostante tutto, non cambierà mai nulla  e io non avrò mai altro da lui oltre a questo. Che forse dovrei lasciare perdere-.
-Comportarti come se non ne fossi evidentemente innamorato?-.
Fernando aveva parlato con naturalezza, ma a quelle parole Pietro si bloccò completamente. Forse perché era la prima volta che qualcuno parlava di lui ed Alessio, dell’amore che provava per Alessio, come se non ci fosse nulla nascondere. Come se fosse normale.
Come se fosse qualcosa che non si poteva cancellare.
-Se potessi lo farei- Pietro sospirò – Forse vorrei non fosse mai successo. O forse è stata solo una mia illusione e non è mai stato reale-.
Si sentiva patetico in quel momento, e in un certo senso non gliene importava nemmeno più. Si sentiva così stanco nel ripensare a quella faccenda, che non gli interessava nemmeno cosa potesse pensare di lui Fernando in quel momento. Scommetteva che ai suoi occhi doveva apparire debole, succube di un sentimento non ben definito per qualcuno che non lo avrebbe mai ricambiato.
-Sei solo deluso. È normale esserlo dopo un’esperienza simile- mormorò Fernando. Per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, Pietro intravide nelle sue iridi scure qualcosa di simile alla malinconia. Si chiese se anche lui, un tempo, fosse passato per la stessa situazione.
-Forse è solo stata un’infatuazione. Forse non ne sono mai stato innamorato davvero, come credevo. E ora me ne sto rendendo conto- Pietro parlò a bassa voce, abbassando gli occhi e torturandosi le mani.
Aveva ripensato molte volte a quell’eventualità, nell’ultimo mese. Cercava di dare una spiegazione al fatto di non voler rivelare ad Alessio alcunché di quel che era successo, ma la verità era che non era convinto nemmeno lui per primo di una cosa simile.
-Credi davvero a quel che stai dicendo? Perché a me sembri solo arrabbiato e deluso. Nient’altro-.
-Io ... Non lo so!- sbottò Pietro, esasperato. Avrebbe solamente voluto andarsene e dimenticare quella conversazione, e dimenticare anche tutto il resto: Alessio, il loro bacio, ciò che c’era e ciò che non esisteva tra loro.
-Lui mi confonde. È sempre stato così-.
Fernando gli posò una mano sulla spalla, spingendolo ad alzare il viso verso di lui. Quando Pietro incrociò gli occhi dell’altro, si accorse di nuovo di quanta serietà ci fosse in Fernando in quel momento:
-La confusione è il primo segnale, è così che si scopre che c’è qualcosa sotto-. [3]
Pietro lo tenne fissato con aria interrogativa, incerto su dove volesse andare a parare Fernando.
In un certo senso lo riusciva a comprendere, anche se faticava ad ammetterlo. Era qualcosa di radicato nel profondo, un ricordo lontano che avrebbe collocato diversi anni prima, ma che in un angolo della sua mente, seppur ignorato, continuava a sopravvivere.
La ricordava fin troppo bene quella confusione di cui parlava Fernando. Era come essersi trasformato in un pendolo, oscillare continuamente tra la colpevolezza e la gelosia più dilaniante. Ricordava com’era, guardare Alice e pensare che lei non sarebbe mai stata in grado di essere abbastanza per Alessio, sperare e pensare che non sarebbe durata. C’era stato un momento in particolare in cui aveva provato quelle emozioni: era stato all’inizio della loro storia, quando lei ed Alessio avevano festeggiato il suo compleanno per la prima volta insieme, e Pietro si ritrovava sempre a ridere di sé quando ripensava a quel momento, a quanto si era sbagliato, a quanto tempo fosse passato da quel giorno.
Ed Alice era ancora lì, tra di loro, rendendo quei suoi pensieri allora così sicuri solo un mucchio di polvere.
Si era sentito in colpa per quei pensieri, in quei giorni come in tutti quelli a venire. Perché Alice, in fin dei conti, gli piaceva: era una buona amica, le voleva bene, e si pentiva ogni secondo della sua esistenza per aver sperato di vederla sparire.
Ma la gelosia, oh, la gelosia ci sarebbe sempre stata. Era geloso di Alice perché lei poteva permettersi di stare accanto ad Alessio senza dover rendere conto a nessuno, di abbracciarlo e baciarlo senza dover pensare “è giusto? È quel che vuole, quel che voglio io?”, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Si meravigliava ancora di quel che riusciva a pensare di loro. Si meravigliava di come il suo senso di colpa fosse perfettamente mescolato a quello della rabbia repressa. Non avrebbe saputo dire quale dei due prevalesse, in quel vortice confuso che lo spaventava, che lo aveva terrorizzato a morte quando ancora non sapeva che nome attribuirgli.
-Le emozioni non sono mai bianche o nere- la voce di Fernando si fece più lenta, come se stesse assaporando le parole che pronunciava – Sono più come dei sintomi-.
Il bianco e il nero erano i colori perfetti che Pietro avrebbe usato per descrivere se stesso ed Alessio. In certi momenti Alessio era bianco, come le pareti della casa che avevano condiviso fino ad un anno prima; bianco come il sentimento puro che sapeva di provare per lui, e bianco come un foglio di carta sopra il quale avrebbe tanto potuto disegnare un loro futuro, insieme.
E poi c’erano certe giornate a cui Pietro non avrebbe saputo collegare altro colore se non il nero. Nero come il cielo impregnato di pioggia, o nero come il suo umore quando tra lui ed Alessio volavano certe parole di cui, lo sapeva, almeno lui si sarebbe pentito subito. Era nero anche il maglione che aveva indosso Alessio quando gli aveva annunciato che sarebbe andato a vivere con Alice. Anche il cielo, quel giorno, era dello stesso colore: piangeva insieme a Pietro, lasciando scivolare le lacrime che lui, invece, si era tenuto dentro per tutto il tempo in cui Alessio l’aveva prima pugnalato, e poi lasciato a leccarsi le ferite.
Non c’erano mai state vie di mezzo – nella loro personale tavolozza di colori, il grigio non esisteva. O forse non era esistito fino al momento in cui Alessio l’aveva baciato, il momento in cui Pietro si era sentito davvero spinto in una zona sconosciuta. Lì non c’erano più quei colori che aveva sempre pensato si addicessero alla loro situazione.
Lì era tutto nuovo, e c’era spazio solo per la rabbia e il dolore di non sapere come sarebbe stato, se fosse andato diversamente.
-Rimani senza fiato ogni volta che quella persona entra nella stanza-.
Un sospiro lieve di Fernando, la voce tenue e a tratti vellutata e leggera.
A Pietro venne quasi da ridere, nel ripensare che provava quella sensazione così tante volte da non farci nemmeno più caso. L’ultima volta che era successo e che ricordava in maniera tangibile era stata la sera del suo compleanno dell’anno prima: aveva sentito i suoi polmoni svuotarsi dell’aria non appena aveva messo piede dentro al locale dove si sarebbero visti, non appena lo aveva individuato. Sapeva che sarebbe riuscito a riconoscere Alessio tra mille facce diverse, e quella sera ne aveva solo avuto la prova tangibile.
Era una reazione comune, quella: capitava più o meno ogni volta che Alessio entrava nel suo campo visivo inaspettatamente, senza che Pietro si sentisse anche solo minimamente preparato. Odiava sentirsi così vulnerabile, così trasparente nelle sue reazioni di fronte ad Alessio.
Si era costretto a continuare ad avanzare, perché era pur sempre il compleanno di Alessio, e non lo vedeva da giorni. Per quanto gli potesse risultare difficile mantenere la calma, non si era sottratto a lui nemmeno quella volta. Non si era sottratto al suo abbraccio, né al suo sorriso. Aveva continuato a sperare di non arrossire davanti ai suoi occhi, e di non sembrare un pesce fuor d’acqua, soffocando allo stesso modo per tutto ciò che Alessio rappresentava.
Con le dita Fernando percorse lo spazio che dalla spalla arrivava al collo di Pietro. Il suo tocco e la sua voce, in quel momento, sembravano leggeri come velluto:
-Il cuore ti batte più veloce quando ti passa accanto-.
Pietro chiuse gli occhi, la mascella serrata, i ricordi che si facevano troppo vividi.
Tornò con la mente non alla sera del bacio, ma ad un’altra notte, in cui Alessio era ubriaco ancora. La notte in cui Pietro era riuscito a dare un nome, per la prima volta, a ciò che provava per lui – o, almeno, a quello che credeva di provare.
Aveva cercato di calmarsi, di pensare che Alessio era solo ubriaco, e che non doveva essere del tutto consapevole delle sue azioni. Anche Pietro avrebbe voluto essere inconsapevole allo stesso modo: forse così non avrebbe fatto caso ad Alessio sopra di sé, a cavalcioni su di lui. Non avrebbe pensato al contatto fisico tra i loro corpi, non avrebbe pensato a niente.
Non avrebbe pensato nemmeno al suo cuore, che aveva battuto così tanto veloce che credeva sarebbe scoppiato da un momento all’altro.
Quando Alessio aveva perso l’equilibrio e appoggiato le mani sul suo petto, Pietro si era chiesto se potesse sentire il battito impazzito proprio lì, sotto i palmi delle sue mani. Aveva sperato non lo facesse: non avrebbe saputo dare spiegazioni razionali a quella reazione del suo corpo.
O forse non avrebbe saputo dare spiegazioni che non sarebbero state facili da poter esprimere ad alta voce.
-La pelle ti formicola quando riesci a percepirne il respiro-.
Difficilmente avrebbe dimenticato quella sensazione, quando durante la vacanza in Puglia era stata più vivida che mai. Non avrebbe dimenticato facilmente quei brividi lungo la pelle, né il formicolio che aveva risvegliato ogni anfratto del suo corpo.
Si era sentito vivo più che mai, in quella vicinanza così strana ed insperata. Non era certo la brezza leggera e fresca proveniente dal mare, a dargli quei piccoli spasmi involontari; era il calore del corpo di Alessio, così vicino, e il suo respiro caldo. Le labbra di Alessio non erano mai state così vicine alle sue, e neanche il suo cuore, probabilmente, aveva mai avuto un battito così veloce.
Era così che ci si sentiva, quando baciavi per la prima volta qualcuno di cui ti importava davvero?
Quattro anni dopo avrebbe risposto che sì, era così che ci si sentiva. I brividi sulla schiena, la pelle d’oca a infastidirlo appena, mentre le labbra di Alessio scivolavano ancora una volta sulle sue, i loro respiri che si mischiavano insieme.
Pietro riaprì gli occhi attimi dopo, ritrovandosi di fronte il sorriso sghembo e appena accennato di Fernando, che lo teneva fissato con dolcezza:
-Dimmi che non ti è mai successo questo con Alessio, o che non ti succede più da quando vi siete baciati, e allora potrei anche prendere in considerazione l’idea che tu abbia ragione. Non che l’amore sia solo questione di fisicità, ma spesso quel che proviamo per le persone lo esprimiamo attraverso il nostro stesso corpo-.
Le parole di Fernando gli erano entrate in testa come una cantilena. Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi e lasciarsi cullare da esse, senza il bisogno di dover anche ammettere che, per quanto si sforzasse per far apparire il contrario, erano parole vere.
-Non posso dire che non sia mai successo nulla di tutto questo, né che non sia reale- mormorò, stringendosi nelle spalle, e allungando una mano verso la bottiglia di vino, per versarsene un altro po’ nel bicchiere – Ma è altrettanto reale il mio voler allontanarmi da lui-.
-Allora vedi che avevo ragione. È inutile negare quello che c’è, ma questo non vuol dire che sia innaturale essere arrabbiati- replicò Fernando, scuotendo appena il capo con fare comprensivo.
Pietro si girò meglio verso di lui, dopo aver buttato giù una lunga sorsata di vino:
-Tu che faresti al posto mio?
Fernando si mise a fissare un punto imprecisato davanti a sé, con fare riflessivo. Sembrava stesse pensando sul serio ad una eventualità del genere, e Pietro gli fu in parte grato per il suo sforzo per dargli una mano:
-Non lo so. Dipenderebbe molto da quello provo, credo. Forse proverei ad introdurre l’argomento, e vedere le sue prime reazioni-.
-E poi? Se le sue prime reazioni fossero negative?-.
Fernando tirò un lungo sospiro sconsolato, abbassando per un attimo gli occhi, prima di tornare a fissarli su Pietro, con un mezzo sorriso malinconico:
-“Che senso ha dare amore ad un uomo senza pietà?”-.
L’unica risposta che fu in grado di dargli Pietro fu uno sguardo confuso e disorientato.
-È una vecchia canzone italiana. Non la conosci?- gli spiegò l’altro, divertito. Fernando rise appena, prima di versarsi a sua volta un po’ di vino e proseguire:
-In ogni caso, è per dire che forse lascerei perdere anche lui, se le cose si mettessero male- ponderò con aria riflessiva – Ma è solo un’idea. La realtà è sempre molto diversa da come la immaginiamo, quindi non ti so dire con sicurezza cosa farei. Potrei fare mille congetture, ma il punto rimane sempre quello: meglio un amore fondato su una bugia, o il rancore fondato sulla verità?-.
-E se fosse un rancore fondato su una bugia?- borbottò Pietro, sentendo la testa un po’ girare di fronte a quelle parole di Fernando dal sapore vagamente filosofico.
-Ancora peggio, oserei dire-.
Pietro rise amaramente, passandosi una mano sul volto, con un gesto stanco e svogliato. Era spacciato in ogni caso, e non gli serviva nemmeno Fernando per capirlo: era un’evidenza ormai innegabile.
 
*
 
-Sei sicuro di arrivare a casa senza rischiare di ucciderti?-.
Pietro aveva cercato di trattenere una risata, mentre si girava verso Fernando. Ancora prima di vederlo fu sicuro che sul suo viso vi avrebbe trovato un sorriso disegnato sulle labbra, e quando si era ritrovato di fronte a lui si era accorto che, in effetti, era proprio così.
-Nel senso, non è che se ora ti lascio andare da solo, poi domani mattina apro il giornale e nello spazio della cronaca mi trovo a leggere una notizia tipo “Ventenne decide di fare bagno notturno nel Canal Grande”?-.
-La vena melodrammatica la devi alle origini spagnole? Perché se non è così, allora non me la spiego- replicò Pietro, meno a disagio rispetto all’inizio della cena.
Avevano passato il resto della serata parlando di qualunque cosa, tranne che di Alessio. Non erano più tornati sull’argomento, e Pietro era stato grato a Fernando per essere un tipo chiacchierone e dalle mille risorse di conversazione. Non avevano parlato nemmeno di Giada, né fatto cenno al discorso “omosessualità”; sarebbe potuta sembrare una qualsiasi serata tra amici, e a Pietro era andata bene così. Aveva affogato i pensieri nella sangria fresca che Fernando aveva tirato fuori dal frigo, dopo che avevano finito la bottiglia di vino che c’era già in tavola, e si era sentito bene.
-Oh, ora che me lo fai notare potrebbe essere- Fernando strizzò gli occhi con aria pensierosa, prima di tornare al solito ghigno malizioso – Dev’essere per questo motivo che ideiamo certe telenovelas così drammatiche-.
Pietro rise di nuovo, fermandosi al centro del corridoio che portava alla porta d’ingresso; ormai era mezzanotte passata, ed era decisamente ora per lui di rientrare a casa.
-In ogni caso, non sono così ubriaco da non riuscire a camminare dritto e cadere in un canale- disse, annuendo con convinzione – Al massimo sono un po’ brillo-.
-Se ne sei così sicuro- mormorò Fernando, scuotendo la testa con fare fintamente poco convinto. Non passarono oltre pochi secondi prima che Fernando si facesse più serio e si avvicinasse ulteriormente a Pietro:
-Posso farti una domanda?-.
Pietro annuì subito, anche se a tratti esitante. Ormai il disagio con Fernando, per quella sera, era un ricordo lontano, ma c’era stato qualcosa nella voce – o nella domanda così vaga-  a lasciarlo interdetto. Ormai, in ogni caso, era troppo tardi per cambiare improvvisamente idea.
-Hai mai baciato un ragazzo?- Fernando non aveva atteso molto oltre, prima di dare voce a quel dubbio. Non si curò particolarmente degli occhi sgranati di Pietro, come se si fosse aspettato esattamente quella reazione da parte sua.
-Intendo, un ragazzo che non fosse Alessio. Mai provato?-.
Pietro tirò un respiro profondo, passandosi una mano sul viso e sui capelli. In quel momento sarebbe stato molto più interessante rimanere a fissarsi le punte delle scarpe, ma cercò di andare oltre il disagio che una domanda simile poteva provocargli. D’altro canto con Fernando era iniziata con discorsi scomodi: cosa sarebbe cambiato affrontarne uno in più?
-No. Non ho mai baciato un altro uomo- esalò, a bassa voce. Si rese conto che ammetterlo lo faceva sentire un po’ strano. Guardando Fernando, invece, non vi ritrovava nemmeno un po’ dell’imbarazzo che stava provando: sembrava sinceramente interessato alla sua risposta, ma nemmeno sorpreso. Doveva esserselo aspettato sin da subito.
-Come mai?- domandò ancora Fernando, imperterrito. Pietro sbuffò, alzando gli occhi al cielo come in cerca di una risposta.
Non aveva voglia di stare a spiegare ogni cosa a Fernando, né di ricordare a se stesso come mai aveva preso la decisione di non provare a frequentare nessun ragazzo e continuare quella farsa con Giada, ma provò comunque a dire qualcosa:
-Non ho mai avuto il coraggio- mormorò semplicemente, a mezza voce. Era un modo semplicistico con cui ridurre la discussione, ma non aveva voglia di intavolare un dialogo su quell’argomento proprio poco prima di doversene andare. Forse non ne avrebbe avuto l’intenzione nemmeno in altre circostanze.
-Non ti incuriosisce nemmeno un po’ la cosa? Neanche in piccola parte?- stavolta Fernando non aveva nascosto la propria curiosità. Fece un altro passo verso di lui, guardandolo intensamente con quegli occhi così scuri che si avvicinavano molto al nero delle iridi di Pietro.
La vicinanza ulteriore di Fernando non lo aiutò. Non si sentiva troppo nervoso, ma percepiva come le dinamiche fossero già cambiate rispetto ad un secondo prima: parlare di una cosa simile, con Fernando così vicino a sé, lo faceva sentire estremamente vulnerabile.
Sentì un brivido percorrerlo, quando risollevò lo sguardo per incrociare gli occhi scuri dello spagnolo:
-Forse un po’- ammise, con voce appena udibile.
-Allora baciami-.
Pietro sgranò ancora di più gli occhi. Quelle parole lo sorpresero ancor di più che sentire la sua stessa voce ammettere di avere curiosità verso contatti fisici con altri uomini.
Per un secondo credette di essersi immaginato tutto, di aver capito male. Eppure c’era qualcosa, negli occhi e nel viso di Fernando, che gli diceva chiaramente che non si era affatto sbagliato.
-Cosa?- mormorò, la voce appena udibile.
-Prova a baciare me- Fernando si lasciò sfuggire un sorriso divertito e sincero, di fronte allo sconcerto di Pietro, mentre allargava le braccia – Prometto che non ti morderò e non avrai alcun effetto collaterale-.
Pietro si ritrovò a rimanere in silenzio diversi secondi, prima di prendere una qualsiasi decisione. Una parte di sé gli stava urlando di andarsene, di rientrare a casa e scrivere un messaggio a Giada per avvertirla che era rientrato e stava bene. Era quella stessa parte che gli stava dicendo che poteva permettersi di rifiutare quella specie di offerta, che non aveva bisogno di provare a baciare Fernando per sapere che, in fin dei conti, baciare un uomo gli sarebbe piaciuto. Lo sapeva perché era stato così con Alessio: gli era piaciuto baciarlo per ciò che provava per lui, ma anche per il lato fisico della cosa. Gli era piaciuto passare le mani sul suo corpo così simile al suo, sentire nelle narici il suo odore maschile, e avvertire sulla pelle del viso il formicolio della sua barba. Non aveva bisogno di prove ulteriori, anche se aveva evitato di ammetterlo a se stesso fino a quel momento.
Ma poi c’era l’altra parte, quella che sapeva già non sarebbe riuscito a far tacere: c’era la voglia di curiosità, la voglia di sferrare un attacco alla vita che aveva conosciuto fino a quel momento. C’era Fernando e ciò che rappresentava: la possibilità di essere pienamente se stesso, almeno per una volta.
Forse, ancora prima di pensare, sapeva già ciò che avrebbe scelto, anche se, in un certo senso, temeva quello che la sua scelta avrebbe potuto significare.
Fernando gli stava in piedi di fronte, a nemmeno un metro di distanza. Gli bastò un ulteriore passo verso di lui per accorciare definitivamente le distanze. Pietro, nell’agitazione del momento, riuscì quasi a distinguere il percorso del suo viso che si avvicinava piano ed inesorabile al suo.
Si era aspettato di rivedere Alessio nei gesti di Fernando, e invece non potevano essere più diversi tra loro. Fernando aveva un sapore e un profumo tremendamente diversi da quelli di Alessio, e sebbene la novità lo incuriosisse, Pietro non sentì la stessa eccitazione e frenesia di quando l’odore della pelle sudata di Alessio gli era entrata nelle narici.
Fernando baciava in una maniera completamente diversa: per lui non c’era la calma e l’esitazione che aveva accompagnato Alessio nei primi istanti. Per lui c’era solo l’istinto, e nonostante ciò, a Pietro non dispiacque quella distanza sempre maggiore che stava notando tra loro due. Con Alessio all’inizio era stato tutto lento, e poi infiammato tutto di colpo. Fernando non sembrava avere freni, ma non perdeva la sensualità innata che sembrava guidarlo in ogni minimo gesto.
Pietro si lasciò guidare, buttandosi letteralmente tra le sue braccia. In quel momento non gli importava più di niente: né di Alessio, e nemmeno di Giada, nonostante una punta di colpa cominciasse a farsi largo dentro di lui a poco a poco.
Non oppose resistenza al bacio che Fernando stava approfondendo sempre di più, né cercò di divincolarsi quando lo sentì attrarlo a sé, corpo contro corpo. L’audacia che provava Pietro derivava più dalla curiosità di testare se stesso, e dall’indifferenza che provava verso coloro che avrebbe immancabilmente ferito.
Fernando non sembrava intenzionato a lasciarlo andare: aveva posato le mani sui suoi fianchi quasi possessivamente, alzando appena l’orlo del maglione di Pietro.
Cominciava a sentire caldo, e la testa prese a girargli. Immaginò che il suo viso doveva risultare parecchio arrossato, anche se non era sicuro di poter attribuire del tutto quel risultato all’accaloramento che sentiva.
-Ti sta piacendo?- mugolò Fernando contro la pelle del suo collo, mentre lasciava una scia di baci, che fecero partire un brivido lungo la schiena di Pietro. Lui si ritrovò a sbuffare piano, in difficoltà: non sapeva se sarebbe stato più terribile ammettere a se stesso che i baci di un altro uomo lo facevano sentire meglio di quanto non avrebbero potuto mai fare quelli di qualsiasi altra donna, o se ammettere che, per quanto Fernando fosse bello ed affascinante, non ci sarebbe mai potuto essere qualcosa di vagamente simile a quello che provava con Alessio. Erano due cose con le quali non era sicuro sarebbe mai riuscito scendere a patti.
Fernando aveva ragione: era inutile provare a ridurre il suo sentimento per Alessio ad una semplice sbandata quando era evidente che non era così.
-Può darsi- si ritrovò a mormorare di rimando, d’un tratto più rigido. Pensare troppo, in quel genere di occasioni, non gli faceva bene: si ritrovava a diventare impacciato e freddo come non mai. E Fernando, che sembrava più attento che mai ad ogni sua sfumatura, sembrò accorgersene in quello stesso momento:
-Qualcosa non va?-.
Pietro si ritrovò a sbuffare di nuovo, mentre Fernando rialzava il volto verso il suo. In quel momento, con le gote arrossate, le labbra gonfie e i capelli più spettinati, era ancor più attraente. Era oggettivamente molto più bello di Alessio, con la sua aria mediterranea data dai capelli e gli occhi scuri, si rese conto Pietro. Era molto più bello, ma non era ciò che voleva.
-Se dovessi elencare tutte le cose che non vanno, credo resteremmo qui in eterno-.
Pietro si lasciò sfuggire un sorriso malinconico, mentre a malincuore si sfilava dalla presa di Fernando, facendo un passo indietro.
-È per Alessio?-.
Nonostante Fernando non lo conoscesse affatto, sembrava comprenderlo meglio di tante altre persone. Pietro si ritrovò ad abbassare gli occhi, fingendo di rimettersi a posto il maglione:
-No- mentì, non sforzandosi nemmeno di apparire convincente – Fino a prova contraria ho anche una fidanzata che mi aspetta-.
-Una fidanzata che non ami- replicò Fernando, impietoso.
-Le voglio bene-.
-Non lo metto in dubbio, ma non la ami. E non lo farai mai, perché lei non potrà mai darti quello che stai cercando sul serio. Non che ne abbia qualche colpa-.
Pietro guardò ancora una volta altrove, incapace di sostenere lo sguardo di Fernando. Quelle parole avevano fatto male perché, oltre che ad essere così dirette, erano anche vere.
-Non posso comunque farlo- si ritrovò a mormorare, facendo un altro passo indietro, un altro passo più distante da Fernando – Lo sai anche tu che non posso-.
-Non vuoi, è diverso- il sorriso mesto di Fernando cozzava con la voce bassa e calma con la quale aveva appena parlato – Ma sai una cosa? In fin dei conti, non ti biasimo. Non del tutto-.
-Davvero?- domandò scettico Pietro. Il suo cuore aveva già ripreso a battere normalmente, come se non fosse mai successo nulla, come se i baci di Fernando e la sua vicinanza non fossero mai davvero esistiti. Non si sentiva nemmeno troppo sconvolto, in quel momento.
-Davvero- gli rispose l’altro, alzando le spalle e continuando a sorridergli in un modo che a Pietro trasmise pura sincerità – Ti capisco, credimi. Molto meglio di quel che immagini-.
-Ci sei passato anche tu? In una situazione simile?- Pietro si rese conto che la sua domanda poteva sembrare stupida e fuori luogo, ma non aggiunse altro. In un certo senso, sapeva che Fernando non se la sarebbe presa, e che gli avrebbe risposto con la consueta gentilezza sbarazzina che aveva sempre mantenuto fino a quel momento:
-Sì, ci sono passato anche io-.
Pietro si ritrovò ad annuire, senza sapere bene cosa dire o fare. Gli sarebbe sembrato strano dire qualsiasi cosa per cercare di consolare Fernando: nonostante il sorriso malinconico, non sembrava davvero soffrire in quell’istante. Doveva essere passato del tempo da quando anche lui doveva aver passato il suo personale periodo buio.
-Credo che dovrei andare- borbottò infine Pietro, impacciato ed ancora una volta incapace di guardare Fernando dritto negli occhi. Ora l’imbarazzo era tornato a galla, esattamente come quando era arrivato in quell’appartamento qualche ora prima.
Fernando si limitò a fare un cenno con il capo verso Pietro, avvicinandosi a lui ed oltrepassandolo, per avviarsi alla porta d’ingresso.
Fu mentre Pietro recuperava il cappotto, che Fernando parlò ancora una volta, la voce meno vivace e più dolce:
-Mi farebbe piacere rivederti, e non per forza per saltarti addosso, beninteso- disse, facendo ridere piano Pietro – Ma se non dovesse succedere, allora buona fortuna-.
Pietro gli sorrise di rimando, in modo sincero, forse per la prima volta in tutta la serata.
-Ne avrò bisogno di un bel po’, credo-.
 
I hate you, I love you
I hate that I love you
Don't want to but I can't put nobody else above you
I hate you, I love you
I hate that I want you
 
*
 
You don't care, you never did
You don't give a damn about me
How is it you never notice
That you are slowly killing me?
 
La sala studio della sede universitaria di Mestre brulicava di studenti. La maggior parte era china sui libri, poggiati sulle superfici fredde dei tavoli della sala, e solo una piccola parte sembrava ancora spensierata ed intenta a chiacchierare di qualsiasi altra cosa che non fossero gli esami.
Pietro non li invidiava, stranamente, non quel giorno. Studiare per gli ultimi esami che gli rimanevano, e nel frattempo pensare anche a come iniziare la tesi, gli permetteva di non pensare a Fernando e a quel che era successo con lui due giorni prima. Probabilmente era solo per quello che, al contrario di tutti gli altri lunedì mattina, si sentiva quasi felice di doversi buttare in uno studio disperato e prolungato.
Era arrivato in università solo mezz’ora prima, ed era stato contento di non aver incrociato nessun volto conosciuto, mentre si era diretto alla sala studio. Probabilmente Nicola doveva essere a casa con Caterina e Francesco, mentre Giada doveva essere nel suo studio, per la consueta ora di ricevimento settimanale.
Nemmeno di Alessio vi era traccia. In realtà non era affatto sicuro che non ci fosse, sebbene non lo avesse incrociato nei corridoi: anche lui, di solito, preferiva studiare lì piuttosto che a casa, quando ormai mancavano pochi giorni al primo esame della sessione.
Ogni anno, prima dell’inizio della sessione, Pietro, Alessio e Nicola si ritrovavano sempre ad occupare uno di quei tavoli, in quella stessa aula studio, per ripassare insieme. Quel giorno, invece, Pietro era solo, e gli andava bene così. Erano cambiate tante cose, nel corso di quell’ultimo anno, e ormai era arrivato alla conclusione che, se doveva andare così, a quel punto tanto valeva non immaginarsi nemmeno come sarebbero state le cose se fosse andata diversamente.
Se nulla fosse successo un anno prima, probabilmente si sarebbero trovati seduti su quel tavolo come sempre, tutti e tre insieme. Nicola non avrebbe avuto alcun figlio, e Pietro avrebbe continuato a pensare al suo amore senza speranza, ma senza la vena di rabbia e rancore che invece provava in quel momento.
Scosse la testa, tornando a chinarsi sul libro aperto che aveva davanti agli occhi. Per quanto cercasse di concentrarsi, di nuovo il pensiero di Fernando continuava a fare capolino nella sua mente.
Aveva passato gli ultimi due giorni senza riuscire a guardare in faccia Giada: pensare di stare con lei, accanto a lei, dopo aver baciato Fernando, gli sembrava totalmente ingiusto. Forse ancor più ingiusto di essere rimasto con lei nonostante ci fosse sempre stato Alessio di mezzo e quel che provava per lui.
Se fino a quel momento, però, era riuscito a scendere a patti con se stesso, dopo aver baciato Fernando gli sembrava che qualcosa si stesse sgretolando. Rendersi conto che baciare un uomo – un uomo qualsiasi, e non per forza l’uomo di cui era innamorato- fosse più piacevole, più qualsiasi cosa, di baciare una donna aveva minato le poche convinzioni che gli rimanevano.
Evidentemente, quello di complicarsi la vita inutilmente, era un vizio che difficilmente sarebbe riuscito ad assopire adeguatamente.
Si ributtò a capofitto tra le pagine del libro, ma le parole e le righe sembravano scorrere via senza lasciargli nulla: un attimo dopo si era già dimenticato cosa aveva appena letto.
Iniziò a picchiettare la penna che teneva in mano sul bordo del tavolo, ritmicamente e con nervosismo. Sapeva già che sarebbe riuscito a concludere ben poco quel giorno, in fatto di studio, ma si costringeva a rimanere lì su quella sedia in ogni caso, forse con la speranza che prima o poi la concentrazione sarebbe aumentata.
Stava ancora tenendo gli occhi fissi sulla stessa pagina, quando notò con la coda dell’occhio una figura avvicinarsi al suo tavolo. Per un momento, nel notare vagamente il riflesso biondo dei capelli, pensò che Nicola si fosse inaspettatamente presentato in università. Gli ci volle solo un attimo per capire quanto fosse assurda una cosa del genere: Nicola aveva un bambino nato da pochissimo a cui badare. Non aveva certo il tempo, né la voglia o l’energia, per pensare a degli esami. Dubitava anche che un giro all’università che poteva risparmiarsi rientrasse nei suoi programmi attuali.
Si costrinse ad alzare il capo comunque, poco prima che Alessio raggiungesse il tuo tavolo. Non si aspettava di trovarselo di fronte così dal nulla, doveva ammetterlo. Alessio doveva di certo aver capito che la sua presenza ultimamente non gli era molto gradita, eppure, nonostante tutto, eccolo lì: in piedi davanti al suo tavolo, a fissarlo con un mezzo sorriso imbarazzato che, al di là del rancore e della rabbia che poteva provare nei suoi confronti, Pietro trovava comunque ugualmente adorabile.
-Ciao- fece Alessio, dopo alcuni secondi in cui nessuno dei due aveva aperto bocca, rimanendo a fissarsi l’un l’altro. Alla fine Alessio sembrava aver intuito che, se non fosse stato lui a fare il primo passo, sarebbero potuti rimanere così ancora molto a lungo.
-Buongiorno a te- replicò Pietro, più seccamente di quel che si sarebbe aspettato perfino lui stesso. Riabbassò gli occhi subito dopo, sottolineando una frase a caso sul libro con la penna: forse, notando che stava provando a studiare, Alessio si sarebbe allontanato più in fretta.
-Stai ripassando per l’esame di venerdì prossimo?- gli domandò ancora lui, allungandosi per capire quale libro Pietro stesse leggendo – Hai bisogno di una mano?-.
-Sì, sto ripassando per l’esame di venerdì prossimo, e no, credo di essere in grado di fare un pessimo ripasso anche da solo- ancora una volta Pietro era risultato più stizzito di quel che avrebbe voluto, con gli occhi ancora rivolti al libro e ben distanti da quelli azzurri di Alessio. Se li sentiva addosso, e si chiese quante altre risposte del genere gli sarebbero servite per farlo arrabbiare e rischiare di vederselo sbraitare contro.
-Posso sedermi qui lo stesso?-.
Quella domanda spiazzò talmente tanto Pietro che si ritrovò ad alzare il viso e guardare Alessio – guardarlo per davvero- per la prima volta da quando era giunto a quel tavolo. Era sicuro che, dopo quelle sue risposte infastidite, se la sarebbe data a gambe per evitare di peggiorare la situazione.
-Non voglio disturbarti, se vuoi studiare da solo … O non parlare proprio, di qualsiasi altra cosa- riprese velocemente Alessio, mangiandosi le parole – Mi basta sedermi qui, e basta. Se vuoi-.
Pietro rimase talmente sconvolto da quella richiesta che si ritrovò ad annuire senza nemmeno rifletterci, senza dire una parola e continuando a tenere lo sguardo fisso su Alessio. Lo vide contrarre le labbra in un sorriso fugace, mentre si sedeva sulla sedia rimasta vuota di fronte a Pietro; sembrava sorpreso perfino lui di aver ricevuto quella risposta affermativa. Forse aveva messo in conto preventivamente di avere poche speranze di poter rimanere lì con il permesso di Pietro.
-Comunque non era una questione di non voler parlare, o di voler rimanere qui da solo- borbottò Pietro, stringendosi nelle spalle. Non sapeva nemmeno perché stesse cercando di giustificarsi con Alessio: non lo aveva mai fatto durante quell’ultimo mese, eppure in quel momento, davanti al suo sorriso appena accennato ma felice, si era sentito quasi in dovere di rassicurarlo.
-È che non volevi parlare o rimanere da solo con me- replicò Alessio, con una tranquillità che a Pietro parve più rassegnazione – Lo so, non sono stupido. Mi è arrivato il messaggio, già da un po’-.
Rimase nuovamente stupito: da Alessio si sarebbe aspettato fuoco e fiamme, dopo una frase del genere, eppure non era per niente così. Non sapeva bene come considerare quel suo modo di porsi così diverso dal solito.
-Sul serio?- chiese Pietro, stavolta sulla difensiva – Eppure non mi hai ancora chiesto perché non voglio averti tra i piedi-.
Si morse il labbro, cercando di trattenersi dal parlare ancora. Non si era aspettato di finire in una conversazione simile, non in quel momento così anonimo. Forse non lo voleva nemmeno: si sentiva come se si stesse addentrando in un luogo sconosciuto che non lo faceva stare tranquillo.
-Avrai le tue ragioni, immagino. E se non vuoi condividerle, non posso obbligarti a farlo-.
Alessio non lo aveva nemmeno guardato in faccia, e Pietro non riuscì a fare a meno di sentire la rabbia montare dentro di sé. Alcune volte aveva invidiato il disinteresse che Alessio dimostrava verso chiunque, ma in quel momento avrebbe solo voluto urlargli tutta la verità, e dirgli che fare finta di nulla non avrebbe cancellato le cose automaticamente.
Tirò un sospiro, respirando a fondo e cercando di recuperare un po’ di calma. Si rendeva conto che una scenata nell’aula studio dell’università non sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Cercò di ributtarsi tra le pagine del suo libro, mentre Alessio tirava fuori il suo dalla borsa, mettendosi apparentemente a studiare, allo stesso suo modo. Provò a concentrarsi davvero, stavolta: era l’unica maniera che aveva per non rimuginare inutilmente sulle parole appena pronunciate da Alessio, o sulla sua stessa presenza proprio di fronte a sé. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta in cui erano rimasti da soli per più di dieci minuti. Forse era stata proprio la mattina dopo la festa, quando tutte le sue speranze si erano ridotte in frammenti davanti all’indifferenza di Alessio.
Scosse impercettibilmente il capo, cercando di scacciare i ricordi. Lesse le prime righe della pagina, ma si rese conto ben presto che non sarebbe servito a niente fare finta di nulla. La presenza di Alessio era troppo ingombrante per fare finta che non ci fosse: gli sarebbe bastato inspirare profondamente per annusare il suo profumo, o alzare appena lo sguardo dal libro per notare gli occhi azzurri abbassati e le ciocche bionde coprirgli la fronte corrugata.
Avrebbe voluto alzarsi e baciarlo anche in quel momento stesso. Prenderlo in un bacio violento e fatto di morsi, scaricando in esso tutta la frustrazione dell’ultimo mese.
Si ritrovò invece a rendersi conto, sbirciando con la coda dell’occhio, che in quel momento Alessio lo stava fissando, con un’espressione esitante che mal gli si addiceva. Pietro continuò a far finta di nulla, lasciandogli il compito di rompere quel silenzio – sempre se era ciò che desiderava fare.
-Ti sei visto con Fernando, alla fine?- mormorò Alessio, dopo alcuni attimi, con la voce a tratti insicura. Pietro alzò lo sguardo solo dopo un po’, ritrovandosi le iridi azzurre a scrutarlo esattamente come si era immaginato. Le gote di Alessio erano un po’ arrossate, e non sembrava essere per niente a suo agio.
-Così sembra- buttò lì Pietro, con una scrollata di spalle. Non era molto sorpreso di sentirsi porre quella domanda, in fin dei conti. Immaginava che ad Alessio quella risposta non sarebbe piaciuta per niente.
-E come è andata?-.
-Bene, direi-.
Pietro si rigirò la penna tra le mani, trattenendosi dal lanciare uno sguardo di sfida ad Alessio. Sembrava che lo studio fosse passata in secondo piano – anche se ora cominciava a temere che quella fosse stata solo una scusa usata da Alessio per avvicinarglisi-, e in fin dei conti non gliene importava molto. Avrebbe semplicemente preferito alzarsi da lì ed andarsene direttamente.
-Siete andati da qualche parte?- domandò ancora Alessio, con tono fintamente indifferente. A Pietro venne quasi da ridere: quella sarebbe potuta sembrare una normalissima conversazione tra amici, ma sapeva benissimo che in realtà non lo era affatto. Probabilmente Alessio era solo curioso di sapere quanto Pietro non avesse ascoltato anche uno solo dei suoi consigli datogli in merito a Fernando.
-Veramente abbiamo cenato a casa sua- rispose serenamente, notando Alessio irrigidirsi ancora un po’ e provandone una certa soddisfazione – Ma tranquillo: non è successo nulla di cui dovresti preoccuparti-.
-Non ero preoccupato- replicò in fretta l’altro, un po’ troppo bruscamente per apparire convincente.
-Allora meglio così, perché sarebbe stato inutile- Pietro tagliò corto, tirando un sospiro esausto. Per quanto ancora breve fosse stata anche quella conversazione, si sentiva già stanco per averla portata avanti fino a quel punto.
Richiuse il libro con un tonfo sonoro, e rimise la penna nell’astuccio. Mise nella tracolla entrambe le cose, ed era già sul punto di alzarsi di lì per andarsene – doveva solo trovare una scusa decente e darsela a gambe-, quando Alessio parlò di nuovo, la voce un po’ più ferma di prima:
-C’è una cosa che vorrei sapere, però. E non riguarda Fernando-.
Pietro puntò gli occhi neri su di lui: stavolta Alessio era davvero arrossito, e sembrava piuttosto in difficoltà. Non riusciva più a guardarlo dritto in viso, e i tratti del volto erano tesi anche più di prima.
Erano state poche le volte in cui Pietro lo aveva visto così, ed ogni volta era stato quando Alessio si era sforzato di parlare di qualcosa di cui si sarebbe volentieri dimenticato, se non fosse stato per le circostanze.
-Dì pure-.
Alessio si morse il labbro, visibilmente nervoso. A Pietro non rimase che restare in silenzio in attesa, non del tutto sicuro di voler sapere cosa Alessio volesse domandargli. Stare a sentirlo significava solo dover rimanere ancora qualche minuto lì, da solo con lui, a ripensare a tutto ciò che sarebbe potuto essere e che invece non sarebbe stato mai.
-Era una cosa riguardo la festa di laurea di Caterina -.
D’un tratto, inaspettatamente, Pietro cambiò definitivamente idea. Ora era ben intenzionato a rimanere, nonostante l’espressione piuttosto riluttante di Alessio; sembrava essersi già pentito di aver cominciato a parlare.
Il cuore di Pietro prese a martellargli in petto, il respiro a farsi più corto. Non aveva idea di cosa Alessio avrebbe voluto chiedergli riguardo quella sera: poteva essere tutto o niente, anche se qualcosa gli diceva che doveva riguardare per forza ciò che era successo in quel maledetto bagno.
Aveva pensato spesso a come sarebbe potuto essere quel momento, il momento in cui tutto sarebbe venuto finalmente a galla ed Alessio avesse smesso di fingere che non fosse mai successo nulla: non se l’era mai immaginato così, a viverlo in completa tensione e paura di rimanere deluso l’ennesima volta.
-Sul serio? Che vuoi sapere?- Pietro si costrinse a rispondere mostrandosi calmo, anche se dentro di sé non lo era affatto. Non si sentiva così agitato da un mese, ormai.
Alessio si sforzò di alzare gli occhi azzurri verso di lui, un’espressione cupa dipinta in volto che a Pietro non lasciò una buona sensazione:
-Quella sera, dopo che mi sono ubriacato … - la voce di Alessio tremò appena, e si bloccò lì, senza aggiungere altro. Abbassò nuovamente lo sguardo, tirando un lungo sospiro.
Fu quando rialzò il viso, e Pietro ebbe come l’impressione di vedere un velo di colpevolezza su di esso, che capì che Alessio non gli avrebbe detto nemmeno in quel momento ciò che forse gli era davvero passato per la testa fino ad un secondo prima.
-Per caso ho detto qualcosa riguardo Alice? Sul fatto che avevamo litigato? Voglio dire … - Alessio tentennò ancora, come se avesse deciso all’ultimo di porre quella domanda – Ti ho accennato al motivo che ci stava dietro?-.
Gli attimi seguenti furono riempiti solo dal silenzio. Un silenzio talmente piatto e carico di parole non dette che Pietro si ritrovò a non riuscire a capire nemmeno a cosa pensare.
Forse era la rabbia bruciante ad impedirglielo, forse la netta sensazione che neanche in quel momento Alessio avrebbe trovato il coraggio per prendersi certe responsabilità, o forse era la delusione totale che provava in quel momento ad impedirgli di dire o fare qualsiasi cosa.
Avrebbe potuto dirgli che non era certo quello il punto su quella serata. Che non era di Alice che si doveva preoccupare, ma di loro due, di quello che c’era stato e che sembrava essere stato confinato ai limiti della memoria.
Gli tornarono in mente le sensazioni che gli aveva dato baciare Alessio, sentire che erano entrambi a volerlo in quel momento. E gli tornò in mente anche Fernando, mentre gli diceva che non poteva cancellare ciò che provava per Alessio solo per la rabbia momentanea che covava verso di lui. Quanto avrebbe voluto che si sbagliasse.
-Puoi stare tranquillo, non mi hai detto nulla. E io non te l’ho chiesto- Pietro si alzò lentamente, sotto lo sguardo vacuo di Alessio, raccogliendo le proprie cose – Quindi ora puoi anche tornare a rilassarti-.
Si allontanò a grandi passi dal tavolo, senza nemmeno preoccuparsi di spiegargli perché se ne stava andando, e senza voltarsi indietro. Aveva la sicurezza che Alessio non avrebbe cercato di fermarlo, né gli sarebbe corso dietro per chiedergli cosa non andasse.
Aveva ragione Fernando: non poteva cancellare ciò che era Alessio per lui, non sarebbe mai stato possibile. Ma poteva cercare di relegarlo in fondo alla propria mente e al proprio cuore, non badare alle sensazioni che gli aveva dato fino a quel momento. Avrebbe cercato di ricordare quel loro bacio distruttivo come un’emozione da poco, lontana e vaga come solo un ricordo passato poteva essere.
Non ci era mai riuscito fino a quel momento, ed ora capiva che, per riuscirci, doveva solo trovare la volontà per farlo sul serio. Alessio gliela aveva appena consegnata su un piatto d’argento.
 
Mai una povera illusione
Un pensiero banale
Qualcosa che rimane
Invece per me, più che normale
Che un'emozione da poco mi faccia stare male
Una parola detta piano basta già ed io non vedo più la realtà
 
 



[1] Anna Oxa - "Un'emozione da poco"
[2] Gnash - "I hate u, I love u"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e ai loro autori.
 
[3] Le citazioni che seguiranno sono chiaramente un omaggio alla 1x12 di Shadowhunters (Malec🖤)😂
 
NOTE DELLE AUTRICI
Troppe cose successe per un unico capitolo, che infatti è particolarmente lungo (un po’ come lo saranno un po’ tutti quelli a venire) 😂
Ma andiamo con ordine!
E fu così che scoprimmo le conseguenze del bacio tra Alessio e Pietro: a distanza di un mese tra questi due testoni si è formata una situazione di stallo, nella quale nessuno dei due sembra voler fare il primo passo per parlare e chiarire... Con conseguente frustrazione di Pietro. E poi scopriamo anche chi era il personaggio anticipato nello scorso aggiornamento: è proprio Fernando Rodríguez che ritroviamo (ve lo aspettavate?), e in che modo lo ritroviamo!
Fernando non è di certo uno che ha peli sulla lingua, ed è anche un ottimo osservatore, e Pietro ne è il diretto testimone. Gran parte del capitolo è dedicato al focus proprio su quest'ultimo inedito duo: nel vortice di domande e ammissioni in cui si immergono, Pietro ammette anche che, se potesse, si comporterebbe come se il sentimento che lo lega ad Alessio non fosse mai esistito. Come lui stesso sa, e come anche Fernando gli fa notare, questa sarebbe però una strada difficilmente percorribile. Rimane dunque una situazione complicata per la quale non c'è una soluzione universalmente corretta.
Avevate immaginato che la serata tra Fernando e Pietro si sarebbe conclusa con un bacio tra di loro? E chissà se li rivedremo presto insieme, o se sarà stata solo una serata che non avrà alcun seguito.
E poi, infine, c'è Alessio, che nell’ultima parte del capitolo almeno per un attimo sembrava aver preso un po' di coraggio, per poi lasciare a Pietro la sensazione di voler di nuovo rifuggire certe conversazioni... Come andrà a finire tra loro? Riusciranno a risolvere in un qualche modo o continueranno a rimanere in questo stallo?
Ci rivediamo mercoledì 6 luglio con l'inizio di un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 - Choices ***


CAPITOLO 24 - CHOICES



 

C’era uno strano silenzio da qualche minuto, nell’appartamento: una condizione che, da più di un mese a quella parte, capitava ben di rado.
Giulia tirò un sospiro di sollievo, dopo aver posato cautamente il piccolo corpo di Francesco sul fondo della culla. Si era addormentato in fretta, in fin dei conti, ma aveva temuto che, rimettendolo disteso, si sarebbe svegliato di nuovo, ricominciando a strillare come era successo poco prima.
Francesco continuò a dormire come se nulla fosse, e Giulia tirò di nuovo un lungo sospiro, spostandosi con un gesto veloce una ciocca che le era finita davanti agli occhi. Fece qualche passo allontanandosi dalla culla, lanciando uno sguardo veloce fuori dalla finestra della camera: il cielo sopra Venezia era di un azzurro quasi bianco, e non si sorprese affatto nel notare che, in effetti, stava nevicando. Doveva aver iniziato da poco, o forse non si era nemmeno accorta fino a quel momento dei fiocchi di neve che cominciavano a ricoprire i tetti della città.
Cercò di fare meno rumore possibile, mentre usciva dalla stanza di Nicola e Caterina; si avviò infine verso il piccolo salotto dell’appartamento, dove vi trovò Caterina intenta a spolverare lo scaffale dove vi erano ordinati parecchi libri.
Erano un po’ di settimane che Giulia passava lì gran parte dei suoi pomeriggi – o comunque alcune ore libere che riusciva a ritagliarsi tra l’università, il lavoro, e la cura del suo stesso appartamento-, cercando di dare una mano a Caterina il più possibile, soprattutto quando Nicola non era in casa, a causa dei turni di lavoro e le poche lezioni frequentate. Non le pesava quella situazione: era stata lei stessa ad offrirsi, e poi si sentiva già legata a Francesco da un sincero affetto che la spingeva a tornare in quella casa ogni volta che poteva, anche solo per poco. E poi era innegabile anche che Caterina avesse bisogno di una mano: tenere tutto in ordine, con un neonato a cui badare tutto il giorno, non era cosa facile. Durante il weekend, a volte, i suoi genitori o quelli di Nicola arrivavano spesso a passare un po’ di tempo lì, ma durante la settimana era Giulia quella che poteva rimanere più ore con Caterina e Francesco.
-Il tuo dolce pargolo si è addormentato- fece Giulia, sedendosi sul divano, in attesa che Caterina concludesse.
-Pietro-.
-Che?- Giulia la guardò accigliata, mentre Caterina finiva di spolverare l’ultima mensola dello scaffale, e si girava verso di lei, ridacchiando:
-Mi sembravi Pietro, ad usare certi termini così ricercati-.
-Dev’essere la sua aura che mi influenza-.
Caterina fece qualche passo veloce verso la finestra, bloccandosi un attimo prima di aprirla e sbattere al vento per qualche secondo lo strofinaccio che aveva usato. Anche lei doveva aver notato solo in quel momento della neve che stava cominciando a scendere.
-Ha iniziato a nevicare proprio quando Nicola doveva staccare dal turno- borbottò più rivolta a se stessa che a Giulia – La solita fortuna-.
-Guarda il lato positivo: passerai ancora un po’ di tempo con me- esclamò Giulia, tirando un sospiro quando Caterina si girò a guardarla confusa – Aspetterò che la neve smetta di scendere, almeno, per tornare a casa. Quindi resterò ancora un po’ qui, temo-.
Caterina si bloccò di fronte a lei, le mani sui fianchi e l’aria esausta. Da quando era nato Francesco il suo corpo non era ancora tornato esattamente come prima della gravidanza: sebbene non avesse preso troppo peso, il ventre sembrava ancora leggermente gonfio.
-Vuoi un tè?- chiese infine. Giulia si ritrovò ad annuire senza nemmeno pensarci troppo:
-Sorseggiarne un po’ potrebbe essere un buon passatempo-.
Caterina scosse leggermente il capo, sbuffando piano:
-Ripeto: oggi parli come Pietro -.
 


Aspettarono una quindicina di minuti prima che il tè caldo fosse pronto. Caterina aveva approfittato dell’attesa per andare a controllare velocemente Francesco, prima di tornare nel salotto e buttarsi a sua volta sul divano. Giulia l’aveva raggiunta poco dopo, reggendo le due tazze fumanti.
-Sei andata in quel negozio di vestiti da sposa che ti avevo detto?- Caterina parlò con voce a tratti assonnata. Stava ancora bevendo il tè lentamente, dopo cinque minuti che lo teneva in mano, facendo ben attenzione a non scottarsi. Giulia ripensò velocemente ad un pomeriggio della settimana scorsa, quando proprio in quel salotto Caterina le aveva parlato di un negozio di vestiti da sposa a Mestre, dove i prezzi non erano troppo esorbitanti e gli abiti piuttosto carini.
-Ci andrò nel weekend, forse- fece Giulia, con aria vaga – Sempre se Filippo non vorrà andare a Verona in cerca di un posto adatto per il rinfresco-.
-Vi prendete per tempo-.
Giulia sbuffò incredula, gli occhi verdi sgranati:
-Hai idea di quante cose ci sono da organizzare? È un matrimonio!- roteò gli occhi verso l’alto, al suono della risata trattenuta dell’amica – E poi dobbiamo stare attenti: dobbiamo scegliere un posto che non ci costi un occhio della testa, e lo stesso vale per il vestito … Serve tempo per prendere le decisioni giuste. Non possiamo aprire un mutuo solo per un matrimonio. Dobbiamo risparmiare dove è possibile farlo-.
Lei e Filippo avevano convenuto di non sposarsi a Venezia: sarebbe stato troppo costoso, e decisamente più scomodo che farlo sulla terraferma. Il passo successivo era stato quello di contattare il municipio veronese, e cercare un posto dove fare il rinfresco; dovevano ancora pensare agli invitati e al vestito, e a Giulia già scoppiava la testa alla sola idea di passare i futuri sei mesi così in tensione ogni singolo giorno.
-Almeno Filippo ha quasi finito l’università, così non dovrà più pagare le tasse- buttò lì Caterina, dopo aver bevuto un altro sorso.
-Già, a lui manca così poco … - Giulia sospirò a fondo, sconsolata. A Filippo mancavano solo due esami e la tesi, e a luglio si sarebbe potuto considerare libero, con una laurea magistrale in tasca.
Lo invidiava da morire al solo pensiero che a lei, invece, di strada ne mancava ancora parecchia.
-A te come stanno andando gli esami?-.
Giulia si ritrovò ad arrossire di colpo, borbottando qualcosa:
-Insomma. A dire il vero non mi sono impegnata troppo- spostò lo sguardo altrove, mentre sentiva quello indagatore di Caterina su di sé – Ho preferito fare qualche turno in più al lavoro. E poi c’è sempre il matrimonio da organizzare. Rischio un esaurimento nervoso-.
In effetti era vero: in quel periodo, così strano e così intenso, l’università era stato l’ultimo dei suoi pensieri. Non sapeva bene come spiegarsi quell’improvvisa svogliatezza: aveva dato tutti gli esami della sessione, studiando il minimo sufficiente a permetterle di passarli senza risultati eclatanti.
Era come se le avessero affidato un compito che non le interessava: l’aveva portato a termine, perfettamente puntuale, ma senza alcuna gratificazione e voglia di impegnarsi di più.
Forse era dovuto al matrimonio, al lavoro che cominciava a non darle più alcuno stimolo, o alla fatica mentale di passare le giornate con Caterina e Francesco, benché quello fosse tra tutti l’impegno che preferiva di più.
-Vedi che succede, a fare tutte quelle cose più la baby-sitter a tempo pieno?- la prese in giro Caterina, scuotendo il capo e trattenendo una risata. Giulia si chiese se a lei, invece, mancasse l’università. Forse a Caterina mancava quella normalità quotidiana che a Giulia, invece, cominciava a stare stretta.
Si era resa conto, nelle ultime settimane, di stare soffocando, in quella monotonia fatta di libri da studiare e clienti da aiutare nel negozio d’abbigliamento dove faceva la commessa.
-Magari potrei anch’io prendermi una pausa dall’università-.
Giulia aveva parlato sottovoce, quasi tra sé e sé. Non si era nemmeno resa del tutto conto di aver davvero parlato a voce alta, fino a quando non si ritrovò ad alzare gli occhi verso Caterina, dopo vari secondi di silenzio: la stava guardando con occhi sgranati ed increduli:
-E perché mai? Ormai ti manca un anno e mezzo, poi saresti a posto per sempre!-.
-Un anno e mezzo nella migliore delle ipotesi- la corresse Giulia, quasi pentita per essersi lasciata sfuggire quel pensiero che ormai la attanagliava da giorni – La verità è che quando mi sono iscritta alla magistrale ero ancora entusiasta per la fine della triennale, e forse non ho ponderato bene se continuare o lasciare-.
Tirò un respiro profondo, bevendo un lungo sorso di tè per trattenersi dal parlare a ruota. Non aveva pensato di parlare con Caterina di una cosa simile, almeno non quel giorno. In fin dei conti, nemmeno lei sapeva bene cosa voleva fare della sua vita, in quel periodo.
-Quindi stai dicendo che non sei più convinta che fare la magistrale sia stata la scelta migliore?-.
-Dico solo che ora come ora non ho alcuna motivazione per continuare- Giulia ricambiò lo sguardo ancora meravigliato dell’amica – Forse dovrei prendermi una pausa per pensare meglio a certe cose. Magari cercare un lavoro migliore, e vedere come va-.
Giulia si morse il labbro inferiore, nervosamente. Le faceva strano esternare a qualcuno quei pensieri: era la prima volta che succedeva, dopo settimane che ci aveva pensato e ripensato, e perfino a lei risultava sorprendente aver espresso quelle sue idee finalmente ad alta voce.
-Non lo stai dicendo solo perché ora stai pensando a troppe cose tutte insieme?- Caterina la guardò corrugando la fronte per alcuni secondi, e di fronte a quello sguardo così dubbioso anche Giulia sentì la confusione farsi strada in lei:
-Può darsi, ma è così che mi sento. In fin dei conti prendermi un’aspettativa di un anno non equivarrebbe a lasciare per sempre l’università. Potrei sempre decidere di riprendere e dare gli ultimi esami-.
-Non è che c’è anche dell’altro, oltre a tutti gli impegni a cui devi stare dietro?-.
Caterina appoggiò la sua tazza, ormai vuota, sopra il tavolino di fronte al divano, producendo un piccolo rumore di ceramica sbattuta sulla superficie di vetro del tavolo. Giulia si ritrovò ad abbassare ancora una volta lo sguardo, indecisa se aprirsi del tutto o no: in fondo, un po’ temeva di apparire troppo strana.
Forse, in fin dei conti, rischiava anche di apparire completamente fuori di senno, con quello che avrebbe voluto dire veramente a Caterina.
-Forse. È che ultimamente sto pensando ad una cosa- fece un altro respiro profondo, decidendosi ad alzare lo sguardo per studiare l’espressione dell’altra – Tutti i giorni che ho passato qui con te e Francesco, a darti una mano, a badare a lui … Ho pensato che sarebbe bello, un giorno, avere un figlio mio-.
Probabilmente, se Caterina avesse ancora avuto in mano la tazza, dopo quelle parole le sarebbe scivolata a terra, producendo un fragore che, in ogni caso, avrebbe destato meno scalpore di quel che Giulia aveva appena detto.
Caterina la stava guardando con gli occhi spalancati, e Giulia non seppe capire se sul suo viso c’era dipinta più preoccupazione o più sorpresa.
-Stai dicendo che il tuo istinto materno si è svegliato proprio ora?- esalò Caterina, dopo alcuni secondi in cui Giulia aveva passato in rassegna, tra sé e sé, tutte le possibili ramanzine che si sarebbe potuta sorbire. Fu il suo turno di rimanere di sasso, dopo quella frase vagamente ironica di Caterina.
-In un certo senso- borbottò Giulia, presa di contropiede.
Fu a quel punto che Caterina le si fece più vicina, portando le mani sulle sue spalle e scuotendola violentemente:
-Sei impazzita, per caso? Devi finire l’università e sposarti, e tu pensi a volere un figlio? Sei una donna da tutto o niente, sul serio!-.
-Era solo un’idea! Una riflessione! Magari Filippo non sarebbe affatto d’accordo con me- Giulia si ritrovò a farfugliare le prime cose che le erano venute in mente, aspettando che Caterina si calmasse e la smettesse di scrollarla.
A Caterina bastarono pochi altri secondi per lasciarla andare, e tornare a sedersi al posto di prima. La guardava ancora con lo stesso sguardo scioccato, ma perlomeno Giulia poteva definirsi salva dai suoi istinti omicidi del minuto prima.
-Lasciare l’università e cercarti un lavoro migliore è una tua scelta, ma quella di aver un figlio adesso … - la vide passarsi una mano sul viso, quasi esausta – Forse ne dovresti parlare seriamente con lui. Non gli hai mai accennato una cosa simile?-.
Giulia sbuffò trattenendo a stento una risata amara:
-Non gli ho nemmeno accennato dell’università-.
Caterina la guardò a lungo, con gli stessi occhi pieni di angoscia e incredulità mischiate insieme. In una qualsiasi altra situazione, Giulia avrebbe trovato quello sguardo estremamente buffo; in quel momento, invece, non riusciva a dare torto a Caterina per sentirsi così.
-Allora forse è giunto il momento di parlargli di qualcosa che non riguarda l’organizzazione del matrimonio-.
 
*
 
E' più bella questa città quando sale la luna
Mentre dormono tutti già
Tutti tranne me
Tutti tranne me
Io mi scordo di dimenticarti
Non ho mai avuto occhi profondi
Sei negli occhi e via da li non scendi
Come fai
Tu lo sai
A restarmi addosso se non ci sei mai
 
Aveva iniziato a nevicare già da un po’ di minuti. Era raro, negli ultimi anni, vedere nevicare in quel periodo  di febbraio: ormai aveva perso la speranza di vedere la neve scendere almeno per quell’inverno.
Pietro rimase a guardare i fiocchi candidi cadere fuori dalla finestra, riuscendo a distinguerli solamente grazie alla luce tenue dei lampioni. Non voleva perdersi la magia del momento, non quando già alla mattina seguente, di quella neve, sarebbe rimasto solo qualche resto mezzo sciolto a terra.
Era già passata la mezzanotte, eppure non si sentiva stanco. Non fisicamente, almeno; era tutto il resto a farlo sentire estremamente stanco. Erano passate appena due settimane dal suo ventiquattresimo compleanno, e a tratti gli sembrava di avere il doppio degli anni e il doppio della stanchezza che invece avrebbe dovuto avere un qualsiasi suo coetaneo.
Un mugolio proveniente dal divano lo distrasse appena, portandolo a girarsi verso quella direzione.
Giada era ancora stesa sulla superficie morbida, muovendosi lentamente mentre si risvegliava. Era crollata almeno più di un’ora prima, mentre guardavano un film qualsiasi che davano per tv: Giada si era addormentata lì, stretta a Pietro, scivolando poco a poco lungo il divano ed occupando quasi tutto lo spazio. A lui non era rimasto che rimanere a fissare lo schermo, gli occhi puntati verso le immagini in movimento del film, e la mente altrove, lontana da quella stanza e da lei.
Giada si lasciò sfuggire un altro mugolio, mentre si rigirava sul divano, mettendosi a sedere a fatica. Pietro si allontanò dalla finestra, avvicinandosi e osservandola distratto: in quel momento, con i lunghi capelli biondi scompigliati e gli occhi assonnati e struccati, Giada sembrava tutto fuorché la ligia professoressa universitaria quale era. Stavano insieme da tre anni, eppure Pietro ancora rimaneva sorpreso come la sua immagine potesse essere tanto camaleontica: la Giada che spesso e volentieri passava del tempo in quell’appartamento, rilassata e sorridente, non sembrava quasi la stessa Giada che ogni giorno sfoggiava tailleur impeccabili, e spiegava complicati argomenti di matematica a centinaia di studenti con rigore e determinazione.
-Ben risvegliata- Pietro fece il giro del divano, andando a sedersi in un angolo che Giada aveva appena lasciato libero, dopo essersi messa seduta all’altra estremità.
-Stavo dormendo da tanto?- chiese lei, stropicciandosi gli occhi e reprimendo uno sbadiglio.
-Un’ora e mezza, più o meno-.
-Non reggo le ore piccole, ormai- fece lei, sorridendo con l’aria assonnata – Non ho più l’età per certe cose-.
-L’età che avanza, insomma- Pietro si sforzò di sorridere, riuscendoci a stento. Abbassò per un attimo lo sguardo, ma sapeva già che Giada, per quanto insonnolita potesse essere, doveva aver di certo notato qualcosa. Forse non lo conosceva a fondo come poteva pensare, ma Pietro aveva sempre fatto caso a come fosse brava nel notare anche i suoi più piccoli cambi d’umore.
-Stai bene? Hai una faccia strana-.
-Stavo solo pensando- borbottò Pietro, passandosi una mano sul viso.
Non era una bugia, in fin dei conti. Aveva passato le ultime settimane cercando di svuotare la mente il più possibile: aveva cercato di evitare Alessio in qualsiasi modo, e non vederlo spesso l’aveva aiutato ad accantonare anche il suo pensiero. Ed aveva cercato di relegare in un angolo profondo della sua mente anche le parole di Fernando, e solo ogni tanto tornavano a ronzargli in testa, come un mantra che gli ricordava che tutto quello che stava vivendo era, inevitabilmente, solo una grande e grossa bugia.
Quella sera, invece, era tornato tutto a galla in un secondo. Aveva passato quella serata silenziosa con gli occhi puntati sullo schermo della televisione, ricordando tutto quello che era successo in quegli ultimi mesi. Ed aveva pensato anche a ciò che gli aveva detto Giada quella sera stessa a cena, quando quasi per caso erano finiti di nuovo, ad un anno di distanza, sul discorso convivenza.
-A cosa?-.
La voce di Giada si era fatta più attenta, mentre si avvicinava piano a Pietro, tenendolo osservato con i grandi occhi azzurri. Pietro tenne lo sguardo altrove, torturandosi le mani con fare nervoso:
-Alla tua proposta. In fin dei conti ti avevo promesso che ne avremmo riparlato quest’anno- disse infine, più sincero di quanto si sarebbe aspettato da se stesso. Non aveva più ripensato a quel discorso per un anno intero, ma a quanto pareva ora era finalmente giunto il momento di affrontare la questione, nel momento in cui si sentiva più vulnerabile che mai.
-Avevi anche promesso che mi avresti presentato alla tua famiglia- mormorò Giada, lasciandosi sfuggire un piccolo sbuffo. Non parlavano anche di quella questione da tanto tempo, anche se Pietro aveva sempre saputo che, nonostante tutto, Giada ci teneva in modo particolare a conoscere i suoi genitori.
Si sentì un po’ in colpa per averla sempre tenuta così a distanza da quella parte di sé.
-È quello che ho intenzione di fare- le concesse, sospirando a fondo – Finita questa sessione d’esami sarò più libero, e potremo trovare un weekend per andare dai miei-.
-Va bene- Pietro si voltò verso Giada, osservandone il volto stanco – Lo sai che cerco sempre di non metterti fretta, di assecondare i tuoi spazi … Ma vorrei solamente mi lasciassi entrare un po’ di più nella tua vita-.
-Credo che sarà proprio questo che succederà prossimamente-.
Pietro sperò che Giada non cogliesse la punta di riluttanza che gli si doveva leggere nello sguardo in quel momento. Le voleva bene, di questo era sicuro, ma era altrettanto sicuro che non erano quelle le parole che avrebbe dovuto dirle. Fernando gli passò fugacemente in mente, e Pietro cercò di non badare troppo al rimorso che cominciò a provare subito dopo aver pronunciato quella frase a Giada, né al senso di colpa verso Fernando e le sue raccomandazioni.
“Non la ami. E non lo farai mai, perché lei non potrà mai darti quello che stai cercando sul serio”.
-Ora stai parlando solo dei tuoi genitori o anche della convivenza?- domandò Giada, aggrottando la fronte. Era evidente che si sentiva presa in contropiede, e che non si sarebbe aspettata qualcosa del genere. A Pietro venne quasi da ridere: in fin dei conti, forse nemmeno lei si fidava così tanto di lui come lasciava credere. Forse, in fondo, anche lei non aveva così tanta fiducia in loro due insieme.
“E come darle torto”.
-Anche della convivenza- Pietro sospirò a fondo, prima di posare una mano su una di Giada, stringendogliela appena – Te l’ho detto: stavo ripensando alla tua proposta. E stavolta ci stavo pensando sul serio-.
Di fronte allo sguardo stupito – piacevolmente stupito- di lei, Pietro sentì il cuore stringersi. Le stava facendo solo del male, a causa della sua codardia, e nonostante quella consapevolezza non ci poteva fare niente: non avrebbe ritrattato quelle sue stesse parole il giorno dopo, già lo sapeva.
-Aspetta- Giada si mise con la schiena dritta, avvicinandosi a lui con cipiglio deciso – Forse hai ragione a voler prima chiudere il capitolo università per fare un passo del genere. Lo posso capire. Forse ho insistito troppo su questo punto … -.
-No, va bene così. In fin dei conti mi laureo a giugno. Per quel periodo potresti già esserti spostata qui in pianta stabile-.
Pietro si morse un labbro, come a voler soffocare la voglia di urlare che no, non era proprio il caso di continuare quella farsa che era andata avanti già troppo a lungo.
Rimase invece in silenzio, senza correggersi e senza dare l’impressione a Giada che, in realtà, non andava affatto bene così.
-Ne sei sicuro?-.
La guardò per alcuni secondi che gli parvero un’eternità. Giada teneva le sopracciglia aggrottate, e qualcosa nel suo sguardo diceva a Pietro che lei per prima non sembrava credergli fino in fondo. Forse non se ne rendeva conto nemmeno lei, di come nei suoi occhi azzurri e limpidi si leggesse così tanto dubbio tutto insieme. Forse, in quegli anni, si era abituata a pretendere così poco da lui, che ora non le sembrava nemmeno possibile poter aspirare ad un cambiamento simile.
-Non è quello che vuoi?- le chiese, a mezza voce, il tono incolore di coloro che si arrendono a vivere una vita che non è la loro.
Giada lo guardò più intensamente, tornando a stringergli la mano:
-Sì, ma non sono sicura che sia anche quello che vuoi tu-.
Non era quello che voleva davvero, aveva ragione. Avrebbe voluto dimenticare la rabbia verso Alessio, il senso di tradimento che provava verso di lui, e anche verso se stesso per quella sua mancanza continua di coraggio che gli sarebbe servito per cambiare. E avrebbe voluto anche sotterrare il senso di colpa che in quel momento stava provando verso chiunque, anche verso Giada e le bugie continue con le quali la costringeva a convivere.
Ma era sempre troppo difficile volere tutte quelle cose, ed era troppo difficile anche solo pensare di riuscire a raggiungerle.
-Lo è. È quello che voglio-.
Per un attimo fugace Fernando gli tornò di nuovo in mente, lui e i suoi occhi scuri ed indagatori. E subito dopo ripensò ad Alessio, a quel loro bacio che forse gli avrebbe dato la forza sufficiente per smettere di fingere, e che invece lo aveva solo condannato ancora di più a portare avanti quella vita così finta.
“Meglio un amore fondato su una bugia, o il rancore fondato sulla verità?”.
Forse, semplicemente, era troppo debole per affrontare la verità.
 
Non ricordo di non ricordarti
Sei negli occhi e via da lì non scendi
Inseparabili ma separati

Come fai
Tu lo sai
A restare in superficie
E non sprofondi mai [1]
 
*
 
Cominciava a sentire caldo, ferma in piedi davanti ai fornelli accesi. Non che ci fosse davvero tutto quel calore, in cucina: per essere fine febbraio quella sera era abbastanza mite, ma ad accaldare così tanto Giulia era forse l’agitazione che si sentiva in corpo e che cercava inutilmente di ignorare dal giorno prima.
Era da quando aveva parlato con Caterina che si era detta di dover far partecipe Filippo dei suoi progetti: prima o poi avrebbe comunque dovuto farlo, e a quel punto era meglio agire il prima possibile.
Aveva passato ore intere ad immaginarsi fantomatiche conversazioni con lui, a creare il possibile dialogo che ne sarebbe potuto nascere. La verità era che, inevitabilmente, non aveva idea di come iniziare a parlare e, soprattutto, non aveva idea di cosa Filippo si sarebbe ritrovato a risponderle.
Anche in quel momento, mentre preparava la cena per quella sera, non riusciva a non pensarci. Si era sforzata di apparire il più naturale possibile con lui, ma in realtà covava una certa tensione già da più di ventiquattro ore.
-Facendo un po’ di ricerche in internet ho trovato un bel ristorantino appena fuori Verona-.
Giulia sussultò al suono della voce allegra di Filippo. Si voltò verso la soglia della porta, che lui aveva appena oltrepassato. Se ne era rimasto in camera per ore, seduto alla scrivania, intenzionato a scrivere almeno un intero capitolo della tesi.
Evidentemente, come Giulia poteva capire dal suo sorriso stanco, doveva essere riuscito nell’intento. E, a quanto pareva, era addirittura riuscito a ritagliarsi qualche minuto per delle ricerche.
-Non è molto grande, ma potrebbe fare al caso nostro- proseguì Filippo, raggiungendola. Non sembrava essersi accorto di averla spaventata per quel suo comparire improvviso.
-Allora ricordiamoci di farci un salto quando andremo- rispose vagamente Giulia, tornando con lo sguardo verso la padella dove stava cucinando del petto di pollo, tagliato in piccoli pezzi.
-Dovremo comunque provare a contattare vari posti, per decidere quale ci costerà meno senza avere un servizio misero-.
Filippo sembrava davvero allegro, al di là della stanchezza che gli segnava il viso. Giulia si sentì quasi in colpa: quasi le dispiaceva rischiare di rovinargli il buonumore con tutte le sue pare e i suoi dubbi, ma doveva pur rischiare.
-Ti devo parlare-.
Si morse il labbro subito dopo essersi sfuggita quella frase. Aveva studiato mille modi per iniziare il discorso con una parvenza di tranquillità, ed era finita comunque per scegliere il modo peggiore possibile per farlo.
Filippo sgranò gli occhi dopo un attimo di disorientamento, e Giulia dovette quasi trattenersi dal dirgli di far finta di non avere sentito nulla.
-Oddio. Ti stai ricredendo sul matrimonio?- la faccia disperata di Filippo sarebbe risultata comica in qualsiasi altra situazione diversa da quella – Oh, lo sapevo che era troppo presto, troppo azzardato! Dovevo … -.
-Filippo, frena- Giulia alzò entrambe le mani, cercando di calmarlo e farlo smettere di parlare – Non intendevo parlarti di questo. A dire il vero sono cose che non riguardano il matrimonio. Almeno non strettamente parlando-.
Filippo la guardò ancora una volta sorpreso, anche se senza quell’aria preoccupata che invece poco prima risultava più che evidente:
-Davvero? Mi sfugge di cosa vorresti parlarmi, allora. Devo preoccuparmi?-.
Giulia si voltò verso il fornello, con la scusa di dover girare il pollo per evitare che si bruciasse.
-Forse no- mormorò, sospirando.
Calò il silenzio, e si ritrovò inevitabilmente a chiedersi cosa e come avrebbe potuto continuare a parlare. Filippo la stava ancora fissando: sentiva il peso del suo sguardo alle spalle, senza alcuna via di fuga. A Giulia sembrava quasi di essere appena stata inchiodata al muro, impossibilitata a ritirare le parole appena pronunciate.
-Ascolta, non te ne ho parlato prima perché … - si sentì impacciata, ma si sforzò di tornare a voltarsi verso l’altro – Il perché non lo so, forse mi sentivo stupida io stessa. Ma Caterina mi ha consigliato di parlarne con te, e ha ragione: devo parlarne con te, perché sebbene ti stia per dire alcune scelte che vorrei intraprendere per la mia vita … Beh, devi saperle anche tu, perché ormai la mia vita è legata anche alla tua. E poi voglio sentire anche la tua opinione-.
Si era ritrovata a gesticolare febbrilmente, e smise solo quando Filippo le ebbe posato una mano sulla spalla. Di nuovo le sembrava più preoccupato che altro:
-Mi stai un po’ spaventando così. Sei sicura che vada tutto bene?-.
Giulia si morse ancor di più il labbro, lo sguardo abbassato sulla padella e sul pollo che stava rigirando lentamente con un mestolo.
Non era sicura della risposta che avrebbe voluto dare. Andava tutto bene? Non lo sapeva davvero. Sapeva solo che in quell’ultimo mese tutte le sue certezze sembravano essere crollate su se stesse, come carta pesta.
Sapeva solo quello. Non sapeva nemmeno come avrebbe potuto reagire Filippo, al solo dirgli che stava cercando annunci di lavoro da almeno una settimana, e che sempre più spesso finiva per immaginarsi loro due con un bambino in braccio.
In quel momento le sembravano più i deliri di una ragazzina confusa, ma tirarsi indietro una volta giunta a quel punto, forse, sarebbe stato ancora peggio.
-Voglio lasciare l’università dopo la sessione estiva. E per lasciarla non intendo abbandonare gli studi definitivamente, solo rimandarne la conclusione-.
Non trovò subito il coraggio di girarsi a guardare Filippo. Riusciva comunque ad immaginarsi il suo viso in quel momento: se lo raffigurava in mente come un dipinto di sorpresa, né in negativo né in positivo. Solo sorpresa.
-Ma perché?- lo sentì domandare dopo alcuni secondi, la voce più bassa e a tratti esitante.
Giulia si ritrovò a sospirare a fondo, spegnendo il fornello e allontanandosi dal bancone della cucina velocemente:
-Perché sento che non è più quello che voglio-.
Riempì i due piatti già in tavola con il pollo, e si sedette dopo aver riposto la padella nel lavandino.
Non aveva più fame, e non dovette sforzarsi molto per trattenersi dall’iniziare a mangiare, mentre aspettava che Filippo la raggiungesse a tavola.
-Giulia, credo che per te sia importante finire gli studi, non puoi sottovalutare l’importanza di una laurea magistrale- Filippo se ne stava ancora in piedi, di fianco a lei, come se non si fosse nemmeno accorto della cena pronta nel piatto.
-Lo so, ma ora come ora vorrei far fruttare la laurea che già ho- Giulia si passò una mano sul viso, nervosamente – Ho guardato qualche annuncio di lavoro in giro-.
-Vuoi trovarti un secondo lavoro?- Filippo la interruppe, guardandola interessato. Si sedette all’improvviso, di fronte a lei, continuando a fissarla con lo stesso cipiglio incuriosito e angosciato allo stesso tempo.
-Non un secondo, uno nuovo- spiegò Giulia, rigirandosi la forchetta tra le dita, senza però toccare il cibo nel piatto – Uno che abbia a che fare con la mia laurea, perlomeno. Che sia pagato meglio, che mi dia più soddisfazioni-.
Sperava di riuscire a convincere Filippo con quelle parole. Probabilmente avrebbe continuato a cercare altri annunci anche senza la sua approvazione, ma in quel momento avrebbe desiderato il suo appoggio più di qualunque altra cosa.
-Mi sono segnata alcuni annunci, per ora. Proverò a mandare via qualche curriculum-.
-E se … Se non ti chiamassero per un colloquio?- Filippo sembrava già meno agitato rispetto a qualche minuto prima. Doveva aver digerito il senso di disorientamento dovuto alla sorpresa, passando alla fase successiva: cercare di comprendere quella che era l’idea di Giulia.
Aveva perfino cominciato a mangiare, quasi fosse una normale serata e quella una conversazione quasi superficiale; Giulia non sapeva se considerarla una cosa positiva o meno.
-Continuerei a provarci per un altro po’ di tempo, e se non dovesse funzionare forse rivedrei le mie idee riguardo l’università- rispose lei, che a quella domanda, in realtà, non aveva ancora trovato una risposta certa –Però prima di mollare voglio almeno provarci-.
Passarono alcuni secondi, prima che qualcuno tra loro dicesse qualcosa. Giulia si era convinta a mangiare un pezzetto di pollo, lo stomaco ancora chiuso; Filippo, invece, sembrava essere completamente assorbito dai suoi pensieri e dalla cena. Non spiccicò parola per alcuni minuti, prima di spezzare il silenzio:
-Va bene-.
Giulia sgranò gli occhi, non sicura di aver capito:
-Va bene?-.
-Nel senso: continuo a credere che forse non dovresti buttare all’aria tutto quello che hai fatto finora- Filippo si schiarì la voce, gesticolando febbrilmente – Ma se troverai un nuovo lavoro che ti piacerà, e ti sentirai più realizzata così … Allora va bene-.
Giulia si ritrovò a tirare quasi un sospiro di sollievo. Rilassò il corpo, fino allora rimasto rigidamente fermo in attesa di una qualsiasi risposta di Filippo. Avrebbe voluto alzarsi per abbracciarlo, ma qualcosa la costrinse a rimanere dov’era. La consapevolezza che quella discussione non era affatto finita non le lasciò molti altri attimi di serenità.
-Vorrei parlarti anche di un’altra cosa- stavolta la voce le uscì meno sicura, a malapena udibile – Una cosa un po’ difficile da spiegare-.
Di nuovo Filippo si ritrovò ad osservarla disorientato:
-Ti ascolto-.
Giulia prese l’ennesimo respiro profondo. Le tornò in mente la reazione che aveva avuto Caterina quando le aveva rivelato ciò che stava per dire anche a Filippo, e quasi scoppiò a ridere per il nervosismo.
Forse Filippo avrebbe reagito allo stesso modo, o forse si sarebbe messo a ridere anche lui, credendola impazzita.
-Ti ricordi l’anno scorso, quando pensavi fossi io quella incinta, e non Caterina?-.
Le sfuggì un sorriso fugace, nel rievocare la giornata in cui Filippo le aveva confessato di averla creduta incinta. In quel momento le era sembrata una situazione buffa. Adesso, invece, ci ripensava e trovava una nota di dolcezza nel modo in cui Filippo le aveva parlato agitato ed emozionato com’era.
In un certo senso sperava di ottenere una reazione simile anche quella sera.
-Mi ricordo eccome- anche Filippo si lasciò sfuggire una risata leggera –Ero terrorizzato e felice allo stesso tempo-.
La sua risata allegra ed imbarazzata le infuse una sorta di coraggio che le era mancato fino a quel momento. Giulia alzò un po’ il viso, incrociando fugacemente gli occhi dell’altro:
-Ultimamente penso spesso a come potrebbe essere avere un figlio. Un figlio nostro-.
Non si aspettava una risposta immediata, per niente. Non rimase quindi sorpresa nel constatare che, in effetti, Filippo sembrava essere appena caduto in trance: la teneva osservata con gli occhi spalancati, d’un tratto sbiancato in viso e i muscoli facciali tesi in un’espressione totalmente scioccata.
Giulia si chiese se non fosse il caso di tranquillizzarlo e dirgli che stava solo scherzando, prima che varcasse anche l’ultimo passo verso l’aldilà.
-Aspetta. Comincio a non seguirti- Filippo sembrò ritrovare la voce un minuto dopo, durante il quale Giulia si era trattenuta a stento dall’alzarsi per capire se ancora respirava. Forse avrebbe quasi preferito ottenere una reazione come quella di Caterina.
-Penso solo che mi piacerebbe avere un figlio, tra non molto- Giulia si sforzò di non gesticolare e di non parlare troppo in fretta, anche se i suoi tentativi furono quasi del tutto inutili – Oddio, non lo so quando! Solo... Tra non molto-.
-Non riesci a dare una definizione più precisa di “tra non molto”?- domandò Filippo, la voce stridula e a tratti isterica. Giulia lo guardò scettica, pentendosi amaramente di aver intrapreso quell’argomento:
-Non credo di poterti dire la data esatta in cui rimarrò incinta- .
Aveva parlato troppo acidamente, e Filippo non aveva potuto fare altro che scuotere appena il capo, con fare confuso:
-Non so cosa dire-.
Giulia si ritrovò inconsapevolmente a stringere nella mano il tovagliolo, appallottolandolo nervosamente. Lo sguardo perso di Filippo era probabilmente la cosa che temeva di poter vedere di più dopo quello che gli aveva appena rivelato; avrebbe preferito mille volte una posizione contraria e decisa a quegli occhi disorientati che la tenevano fissata.
-Allora fa parlare me- le tremò un attimo la voce, e si schiarì la gola per camuffare quel tentennamento che, però, Filippo di sicuro doveva aver notato – Non so bene perché mi sia venuto in mente. O meglio, ho sempre pensato che avrei voluto dei figli con te, più avanti. Ma ultimamente, forse perché ho avuto a che fare con Francesco quasi ogni giorno, o per qualsiasi altro oscuro motivo, ci sto pensando davvero molto-.
Sentì Filippo sospirare a fondo, mentre si lasciava scivolare contro lo schienale della sedia. Lo osservò mentre si passava una mano tra i corti capelli ricci, l’aria riflessiva di quando pensava troppo:
-Dobbiamo ancora sposarci- borbottò infine, ancora esitante.
-È vero- si ritrovò a convenire Giulia – Ma tra poco tu ti laureerai, forse per quel tempo io starò già lavorando da un po’ … -.
-Non ti sembra presto in ogni caso?-.
Giulia non riuscì più a trattenersi: si alzò quasi di scatto, forse troppo velocemente per non far trasalire Filippo. Lo raggiunse in due passi, abbassandosi alla sua altezza e congiungendo le mani alle sue:
-Ascolta, non voglio convincerti a fare qualcosa che non vuoi, soprattutto una cosa del genere. Se non te la senti posso capire e  … -.
-È che in realtà ultimamente non ci avevo pensato- la interruppe lui, ricambiando la stretta alle mani di Giulia – Dopo quell’equivoco sì, ma non negli ultimi mesi-.
Dopo qualche secondo le labbra di Filippo si incurvarono in un piccolo sorriso, come se gli fosse appena tornato in mente un ricordo piacevole:
-Sai, quando l’anno scorso pensavo tu fossi incinta è stato strano. All’inizio non capivo niente, assolutamente niente. Forse non avevo realizzato come sarebbe potuta essere la nostra vita da quel momento in poi, neanche quando te l’ho chiesto. Ma almeno in quel momento avevo capito una cosa: sarei rimasto qualunque cosa sarebbe successa. E lo penso tuttora-.
Il sorriso di Filippo non appariva più esitante ed appena accennato: quello che in quel momento stava rivolgendo a Giulia era, stavolta, un sorriso luminoso e sicuro. Sembrava quasi essersi infuso forza con le sue stesse parole, dopo lo smarrimento iniziale.
Inevitabilmente, anche Giulia sentì un sorriso nascerle in viso:
-Non sai quanto sia importante per me sentirtelo dire-.
Filippo le strinse maggiormente le mani, trascinandola più vicino a sé; a Giulia venne quasi naturale sedersi sulle sue gambe, buttandogli le braccia al collo per tenersi più vicina a lui. Era una bella sensazione, quella di cullarsi tra le braccia di Filippo, strette intorno alla sua vita, dimenticandosi per un attimo della tensione che l’aveva tenuta rigida fino a quel momento.
-Senti davvero di voler un figlio?-.
Quella domanda di Filippo era risuonata nel silenzio della stanza quasi come una carezza delicata, la voce bassa e che Giulia non avrebbe udito se si fosse trovata anche solo dall’altro lato del tavolo.
-È difficile da spiegare- mormorò lei, senza staccarsi dal capo dell’altro, con i capelli ricci di Filippo che le solleticavano la pelle della guancia – Penso che se capitasse a breve ne sarei terrorizzata, ma anche felice. Certo, se capitasse quando tu ti sarai laureato e io trovato un nuovo lavoro sarebbe magnifico-.
Un attimo dopo si trovò a staccarsi di qualche centimetro da lui, giusto lo spazio per riuscire a guardarlo in viso:
-Ma non sono l’unica che deve volerlo. Non sarei da sola in una situazione del genere-.
Non si sarebbe aspettata di incrociare di nuovo il sorriso di Filippo. Era come se il disorientamento dovuto alle scelte che Giulia gli aveva appena chiesto di fare fosse passato in secondo piano, sostituito dal bisogno di farle sapere che, nonostante tutto, ci sarebbe sempre stato.
-Credo ci dovrò pensare. E vedremo cosa succederà quando sarà il momento-.
 
*
 
-Credo che se dovessi scendere le scale, finirei per rotolare giù fino al pianterreno- disse Fernando, con una serietà tale che per poco Pietro non scoppiò a ridergli in faccia.
Rimaneva sempre più allibito dalla capacità dell’altro di dire le cose più ridicole con l’espressione più seria e composta possibile, e lasciarsi andare invece a pensieri intricati e profondi come se stesse parlando del meteo.
-Sei proprio melodrammatico- gli bofonchiò alle spalle, pur lasciandosi scappare comunque un mezzo sorriso che, grazie al cielo, Fernando non avrebbe potuto scorgergli in faccia.
-No, è il mio stomaco che sta per scoppiare- insistette lui, facendo girare le chiavi nella toppa e finalmente aprendo la porta d’ingresso del suo appartamento. Pietro varcò quella soglia consapevole che quella seconda volta il suo animo non era agitato e tormentato quanto la prima. Rimaneva sempre un po’ di imbarazzo, soprattutto se si fermava a considerare con chi stesse passando il suo tempo, ma stavolta andava molto meglio. Perlomeno non gli stava venendo voglia di scappare come era successo la sera in cui Fernando l’aveva invitato a cena lì dentro.
Avanzarono fino al piccolo salotto, dove Fernando non attese altro tempo prima di buttarcisi quasi a peso morto, sedendosi così stravaccato da sembrare svenuto. Pietro lo imitò in maniera molto più sobria, sedendoglisi accanto, e osservandolo di sottecchi mentre l’altro teneva gli occhi chiusi.
-Ero convinto che avresti detto di no alla mia proposta di uscire- mormorò Fernando con fare pensieroso, dopo alcuni secondi di puro silenzio.
Pietro poteva capire come mai lo credesse. Era rimasto stupito lui stesso quando, qualche giorno prima, aveva ricevuto il messaggio di Fernando in cui gli chiedeva se per caso gli andasse di uscire ancora con lui. Sempre in amicizia, come aveva specificato alla fine del messaggio.
Per quanto la prima volta che si erano incontrati da soli fosse stata una serata difficile da affrontare, Pietro non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stata la sua risposta a quella proposta. Aveva così tanto bisogno di parlare con qualcuno senza alcun filtro, di raccontare gli sviluppi con Giada e di tutta la turbolenza che si portava dietro da allora, che probabilmente se Fernando non si fosse fatto vivo sarebbe stato lui stesso a contattarlo.
-Anzi, a dire il vero ero convinto che mi avresti bloccato il numero-.
Pietro rise leggermente:
-Forse ci ho pensato- disse, più per stuzzicarlo che per sincerità – Ma non l’ho fatto. Non sono così stronzo-.
Gli venne facile scherzare a quella maniera. Era stato facile parlare dal primo minuto in cui si erano incontrati quella sera, davanti alla pizzeria dove avevano cenato. Pietro era rimasto sorpreso anche di quello, ma non si era posto troppe domande: forse, semplicemente, bastava non sentirsi troppo in ansia per trovare Fernando una persona a cui parlare era facile.
-Perché pensavi che non sarei venuto?- gli chiese, curioso di sapere il suo punto di vista sulla questione.
-Perché quando te ne sei andato l’altra volta mi sembravi parecchio scioccato- rispose Fernando, senza remore – E forse perché credo di essere sembrato un po’ stronzo-.
-Per avermi fatto parlare di Alessio anche se non volevo?- lo incalzò Pietro.
Fernando annuì, finalmente riaprendo gli occhi:
-Esatto. Volevo farti capire che con me ti potevi aprire e che ti potevi fidare, ma non credo di aver scelto il metodo migliore. Mi dispiace-.
Pietro lo guardò con un sopracciglio alzato: non si era aspettato del tutto un risvolto del genere. Era vero che, sin dal primo momento in cui si erano incontrati quella sera, Fernando aveva avuto un atteggiamento molto più rilassato rispetto alla cena che avevano condiviso un mese prima, ma non l’aveva ricollegato ad un volere preciso. Ed era altrettanto vero che sì, era stata dura parlare di Alessio con qualcuno che era pressoché un totale sconosciuto, ma gli era servito.
-No, in realtà credo sia stato un bene averne parlato- ammise, abbassando per qualche secondo lo sguardo – Anche se effettivamente me ne sono andato che ero un po’ sotto shock-.
Ommise totalmente il fatto che lo shock fosse più dovuto al loro bacio, che non all’aver parlato apertamente di quel che provava per Alessio. Era piuttosto convinto che Fernando sapesse comunque a cosa si riferiva.
-Ci sono stati sviluppi tra voi due in questo mese?-.
A Pietro venne quasi da sbuffare ironicamente:
-Circa … Credo fosse quasi sul punto di volermi parlare, tempo fa. Ma ovviamente non l’ha fatto-.
“Come sempre, d’altro canto”.
Fernando annuì, di nuovo con aria riflessiva. Sembrava perso in chissà quali pensieri, e Pietro si ritrovò a domandarsi se li avrebbe mai condivisi. La risposta arrivò dopo un minuto di silenzio, quando ormai pensava che quella parte di conversazione fosse inevitabilmente finita in un punto morto.
-Sai, ci ho riflettuto- esordì Fernando, ora completamente voltato nella sua direzione – Tu sei convinto che lui faccia finta di non ricordarsi niente per non dovere dare spiegazioni, ma non è che magari crede che tu ce l’abbia con lui? In fin dei conti, se lui ti crede etero, potrebbe pensare che il fatto che ti abbia baciato ti potrebbe aver fatto schifo e di conseguenza lo stai evitando. Le persone bi e pan affrontano parecchia discriminazione e pregiudizi, sotto alcuni punti di vista anche più di noi omosessuali-.
Pietro scosse il capo, piuttosto convintamente:
-Non lo penserebbe mai, non conoscendomi. Magari sarebbe imbarazzante, ma non mi comporterei mai così e lo sa-.
Fernando non sembrò altrettanto certo:
-Non lo so. È una situazione complicata anche dal suo punto di vista, se ci pensi-.
-Ci eravamo baciati anche un’altra volta, anni fa. Non come a dicembre, stavamo facendo il gioco della bottiglia. Ed è stato lui a reagire male, anche quella volta- disse, ricordandosi perfettamente degli eventi in Puglia – Come se si sentisse insicuro-.
“Come se non volesse cedere all’idea che, forse, tra noi potrebbe esserci più di un’amicizia”.
-Il tuo amato ha una psiche un po’ complicata, allora-.
Pietro rise, ma solo in parte: sapeva che Fernando l’aveva detto con sarcasmo, e in parte non poteva nemmeno dargli torto, ma non poteva ignorare certi eventi del passato di Alessio. Non a cuor leggero.
-Non ha avuto una vita semplice-.
-Neanche tu, però- obiettò Fernando – Credo che nessuno, seppur in modi diversi, può dire di aver sempre avuto una vita facile-.
“La mia è descrivibile come un inferno, che sto plasmando con le mie stesse mani”.
Pietro tenne quelle parole per sé. Non ebbe il coraggio per pronunciarle apertamente, e forse in fondo era consapevole che Fernando potesse intuire da solo quella che sarebbe stata la sua risposta. Potevano essersi visti solo una manciata di volte, ma era come se Fernando riuscisse a leggerlo con una semplicità disarmante.
Era contento di aver lasciato perdere l’ansia e l’ostilità con cui gli si era rivolto la sera della cena un mese prima: era di gran lunga meglio parlare apertamente senza troppe pare.
-Volevo vederti anche per dirti una cosa-.
Fernando si girò di nuovo verso di lui, evidentemente incuriosito.
-Ho proposto a Giada di venire a vivere da me- esalò Pietro, con voce monocorde – So che non apprezzerai la scelta, ma non sapevo che altro fare. È come se quel che è successo con Alessio mi avesse spinto a soffocare ancor di più tutto quello che ho dentro-.
Non sarebbe dovuta essere quella la motivazione per spingerlo ad iniziare una convivenza con la persona che aveva accanto, ma la vita era imprevedibile. E la sua, di vita, non aveva nulla di ordinario, non in quegli ultimi anni.
-Innanzitutto, anche se non condivido non vuol dire che possa giudicarti- Fernando parlò con sorprendente dolcezza, come se stesse cercando di incoraggiarlo – Certo, il mio primo pensiero è che ti stai facendo del male deliberatamente da solo, ma la vita è tua e fai quel che ti pare-.
Pietro quasi rise nell’avere la conferma che Fernando aveva capito benissimo cosa stesse combinando, senza che fosse lui a doverlo ammettere.
-Lei ne è stata felice?-.
Pietro alzò le spalle:
-Penso di sì. Me l’aveva chiesto già l’anno scorso-.
-E avevi temporeggiato-.
-Sì. Ma le cose erano diverse allora-.
“Alessio non mi aveva dato l’ennesima illusione”.
-Se lo dici tu … - Fernando non sembrò molto convinto – Fai ancora in tempo a tirarti indietro-.
-Poi dovrei dare spiegazioni che non voglio dare-.
-Puoi sempre dirle almeno una parte della verità, almeno al momento- gli fece notare Fernando. Pietro lo guardò incerto:
-Cioè che non la amo? Non lo so … - si morse il labbro inferiore – La presenza di Giada mi fa sentire al sicuro. Non sono solo. Ed è come se rappresentasse l’ultimo ostacolo prima di fare una pazzia-.
-Che tipo di pazzia?-.
Pietro aveva la risposta pronta:
-Tipo andare da Alessio e dirgli tutto-.
A quelle sue parole, inaspettatamente, Fernando scoppiò a ridere di gusto:
-Allora non è tanto una pazzia, tío-.
-Lo è- replicò Pietro, rosso in viso, imbarazzato da morire dal modo in cui l’altro aveva reagito – Non sono ancora pronto a … A farlo sapere a troppa gente. A volte me lo immagino e mi sembra un incubo-.
Aveva scelto forse parole troppo forti, ma non troppo lontane da quella che era davvero la sua realtà. Quasi faticava ad immaginarsi un coming out, tanto era il terrore che attorniava anche solo il pensiero di farlo.
Certo, magari tra tutti Alessio sarebbe stato il meno problematico, ma di certo aggiungere il dettaglio che era innamorato di lui avrebbe riportato in pari il livello di difficoltà di quella situazione.
Pietro sospirò a fondo, lasciandosi crollare contro lo schienale del divano. Era calato il silenzio immobile che vi era prima che rientrassero nell’appartamento, anche se mancava il disagio che aveva riempito i momenti morti la prima volta che era entrato lì dentro.
-Ti ricordi quando ti avevo detto che anche io ho avuto un’esperienza simile alla tua?-.
La voce di Fernando non era sembrata tesa, ma nemmeno serena come prima. Pietro si voltò verso di lui, scrutandolo curioso, ed annuì.
Fernando era serio in viso, e anche se non dava l’aria di essere agitato, era evidente che non sapesse bene come cominciare a parlare. Perché era quello che stava per fare, Pietro ne era sicuro: aveva la sensazione che stavolta sarebbe toccato a lui ascoltare.
-Adesso tu mi hai conosciuto come una persona che non si fa assolutamente problemi a mettere in chiaro da subito di essere gay- disse Fernando, dopo un po’ – Non fingerei mai di essere qualcosa di diverso da quello che sono, ma non è sempre stato così-.
Tacque di nuovo, e Pietro capì che non gli stava venendo del tutto facile lasciarsi andare a quelle confidenze. Gli venne istintivo aprire bocca per dirgli che non gli doveva spiegazioni, ma Fernando parlò di nuovo prima che potesse farlo:
-È difficile parlarne, ma la scorsa volta tu hai parlato di Alessio anche se era complicato- Fernando lo guardò intensamente, come se stesse cercando ancora sufficiente coraggio per proseguire – Ti sei fidato di me, e ora sono io che voglio fidarmi di te. Ricambierò il favore con una storia che non racconto mai-.
Aveva concluso quella frase con un sorriso malinconico, e in un certo senso Pietro pensò che quel tipo di sorriso gli si adattasse molto. C’erano lati di Fernando che ancora non conosceva, ma che sembravano nascondere del coraggio striato da un velo di malinconia che non se ne andava mai. Era qualcosa che non si notava subito, ma che Fernando lasciava trasparire in momenti fugaci.
-Quando avevo sedici anni mi sono reso conto per la prima volta di essere gay-.
Fernando era tornato a poggiare il capo contro lo schienale, e non stava guardando direttamente Pietro, come se stesse iniziando a raccontare più a se stesso che a lui.
-Era piuttosto palese anche prima, ma tra omofobia interiorizzata e paura di quel che avrebbero pensato gli altri non lo ammettevo nemmeno a me stesso. Così a diciotto anni mi sono trovato persino una ragazza- si lasciò andare ad una risatina priva di divertimento – Inutile dire che è durata poco ed è andata malissimo-.
A Pietro venne quasi da piangere nel rendersi conto quante cose, in realtà, loro due avessero in comune. Per Fernando non era più così, ma un tempo era stato esattamente come Pietro. Cominciava a capire come mai avesse intuito così tante cose di lui senza conoscerlo da molto tempo.
-Ho sofferto molto, non per causa sua, ma perché mi stavo imponendo qualcosa che mi faceva stare male- Fernando riprese a parlare, un po’ più disteso – Non è stato tutto automatico, ovviamente, ma poco dopo la fine delle superiori decisi di parlarne con i miei genitori. Mi ricordo ancora perfettamente il momento: eravamo a Tarragona per le vacanze, come ogni estate da quando avevo cinque anni, l’età che avevo quando siamo venuti qui a Venezia. E gliel’ho detto. L’ho detto senza giri di parole, e mi sono sentito bene per la prima volta in vita mia-.
“Mi sentirei così anche io, se ci provassi?”.
-E loro che ti hanno detto?- azzardò a chiedere Pietro, in ansia.
C’era qualcosa nell’espressione di Fernando che gli faceva supporre quale potesse essere la risposta, ma cercò di non essere troppo avventato nelle sue conclusioni. Il sorriso mesto di Fernando, però, sembrava parlare da solo.
-Niente-.
Fernando lo disse con una naturalezza tale, come se fosse ormai abituato a rispondere a quella domanda in quel modo, che fece ancor più tristezza a Pietro di quanto non lo avrebbe fatto un racconto drammatico.
-Assolutamente niente- disse ancora Fernando – Credo di aver cominciato ad odiare il silenzio da quel momento-.
“Il silenzio può fare male più delle parole, a volte”.
-C’era qualcosa di stonato, e dalla loro mancata risposta avevo già capito che li avevo sorpresi-.
E nonostante tutto, nonostante il dolore che quelle parole lasciavano trasparire sebbene la voce calma di Fernando, Pietro chiese ancora:
-E poi?-.
Fernando lo guardò per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare:
-Secondo te perché vivo qua da solo?-.
Pietro non rispose, limitandosi a ricambiare lo sguardo con espressione attonita. Era tutto fin troppo intuibile.
-Nulla di tragico, in realtà- Fernando scosse il capo con lo stesso sorriso di sempre, come a voler tranquillizzare più lui che se stesso – Diciamo che non hanno mai detto nulla di omofobo esplicitamente, ma mi hanno fatto capire quanto mi rifiutassero con il silenzio. Era come se fossi sparito. Non hanno fatto nulla di eclatante, ma sono stati tanti piccoli gesti che alla fine mi hanno fatto capire che non avrei avuto il loro appoggio. Quando ho iniziato l’università hanno preferito pagarmi un appartamento dove starmene da solo, nella loro stessa città, piuttosto che farmi restare a vivere con loro-.
Pietro si chiese se potesse essere peggiore la reazione dei genitori di Fernando, o un rifiuto palese e definitivo. Forse lui non sarebbe mai riuscito a sopravvivere in nessuno dei due casi: cercò di immaginarsi una situazione simile tra lui e i suoi genitori e i suoi fratelli, o addirittura con i suoi amici, e gli venne la nausea.
-Se vivi ancora qui immagino che non sia ancora cambiato niente- lasciò andare quelle parole a mezza voce.
-No, non è cambiato- Fernando scosse di nuovo il capo – Non dico che il sapere che i miei genitori segretamente mi disprezzano mi lasci indifferente, perché mentirei. La cosa mi ferisce molto-.
Ecco cosa c’era dietro il sorriso malinconico di Fernando. Pietro si ritrovò ad osservarlo come se fosse la prima volta, rendendosi conto di quanto Fernando nascondesse dietro un’apparenza di tranquilla vivacità. Si chiese se anche lui, agli occhi degli altri, apparisse in un modo così distante da ciò che in realtà si teneva dentro ogni giorno.
-Ma non tornerei mai indietro-.
Fernando sembrò quasi intuire i suoi pensieri, e la mano che gli posò sulla spalla sembrò voler consolare più lui che non se stesso.
-E ho trovato molte altre persone che mi vogliono bene in questi anni, e che non trovano alcun difetto in me. O almeno, il mio essere gay non è visto come un difetto- disse, prima di ridere – Ho tanti difetti, in realtà. Non posso peccare di superbia in modo così esplicito-.
Pietro avrebbe voluto ridere alla battuta, ma non ci riuscì:
-Quindi non te ne sei pentito?-.
Sapeva già la risposta: bastava guardare il viso fiero di Fernando.
-Per niente-.
Pietro rimase in silenzio. Ricordava la sensazione di invidia che aveva provato nei suoi confronti la prima volta che l’aveva incontrato, quel suo essere libero e menefreghista dei possibili giudizi. Si era chiesto come sarebbe potuto essere come lui tante volte, senza mai giungere ad una risposta.
Ma ora l’ammirazione sovrastava di gran lunga qualsiasi altro sentimento. E c’era anche riconoscenza, perché nessuno gli aveva mai rivolto parole in cui si rispecchiava così tanto come quelle dette da Fernando.
Non ebbe il tempo di trovare qualcosa da dire, perché Fernando sembrò riprendersi subito dal silenzio appena calato: si batté le mani sulle cosce, e poi si alzò subito dal divano, scattando come una molla.
-Vieni. Ho voglia di fumare una sigaretta- gli disse, lanciando un cenno con la testa nella direzione del terrazzino raggiungibile dal salotto.
Pietro lo seguì ancora in silenzio. Non aveva voglia di fumare, non mentre aveva ancora tutti quei pensieri in testa, ma non aveva nemmeno voglia di rimanere solo.
Quando uscirono fuori l’aria della sera invernale gli sferzò il viso. Si ritrovò a ringraziarsi mentalmente per aver recuperato la giacca pesante, prima di uscire in quel terrazzino in cui non c’era spazio nemmeno per una sedia. La vista era una delle più comuni di Venezia: altri tetti dei palazzi vicini, un canaletto che nella notte era a malapena visibile quando si abbassava lo sguardo.
Fernando tenne il cellulare in mano fino a quando non ebbe deciso che musica far partire, e solo dopo lo posò sul piccolo tavolino nell’angolo del terrazzo. E poi, solo dopo quella serie di operazioni, tirò fuori due sigarette dal pacchetto che teneva in tasca, insieme ad un accendino giallo.
La notte si riempì delle note di una canzone dalle sonorità anni Ottanta, e Pietro si ritrovò a pensare che si adattava particolarmente alla figura di Fernando.
-Oh, siamo fortunati con la riproduzione casuale, stasera- rise lui, allegro.
Pietro non conosceva la canzone, ma sapeva – e gli bastava osservare il suo sorriso allargarsi sempre di più, e il volto farsi felice- che per Fernando non era lo stesso.
-“Let's dance in style, let's dance for a while, heaven can wait, we're only watching the skies hoping for the best but expecting the worst. Are you gonna drop the bomb or not?”- Fernando si mise a cantare con sempre più convinzione, gli occhi chiusi e concentrato - “Let us die young or let us live forever, we don't have the power but we never say never. Sitting in a sandpit, life is a short trip, the music's for the sad men”-.
A Pietro venne quasi da ridere, non perché Fernando fosse stonato, ma per il trasporto con cui aveva seguito le parole della canzone. Era un entusiasmo tipico di chi non apprezza solo la musica in sé, ma di chi vi ha ricordi legati.
-La conosci?-.
Pietro scosse il capo:
-Credo di averla sentita qualche altra volta, ma non ne sono troppo sicuro-.
Fernando gli sorrise dolcemente, e Pietro seppe che era pronto a condividere un’altra parte di sé con lui:
-Questa è la canzone che ascoltavo in quel periodo. Quello in cui ho deciso di smettere di nascondermi-.
Lo disse piano, ma nonostante la musica continuasse ad andare a tutto volume, rompendo l’atmosfera solitaria della sera, Pietro udì ogni sfumatura delle sue parole.
 
It's so hard to get old without a cause
I don't want to perish like a fading horse
Youth's like diamonds in the sun
And diamonds are forever
 
-È letteralmente la colonna sonora del me adolescente che stava decidendo di non sprecare altro tempo- proseguì Fernando, gli occhi che gli brillavano – Perché fingere era questo: perdere tempo-.
Pietro questo lo sapeva, e forse fu quella consapevolezza a spingerlo a rimanere in silenzio. Fernando era riuscito a prendere in mano la sua vita appena diciannovenne, facendo dei sacrifici, rischiando e alla fine perdendo anche la sua stessa famiglia, eppure non c’era traccia di pentimento in lui. Avrebbe tanto voluto avere anche lui quella forza, e il coraggio di non guardarsi indietro.
Fernando gli posò ancora una volta la mano libera dalla sigaretta su una spalla:
-E ho capito che cercare di essere diverso da me stesso mi faceva stare molto peggio del pensiero di quel che sarebbe potuto succedere nel fare coming out-.
 
So many adventures couldn't happen today
So many songs we forgot to play
So many dreams swinging out of the blue
We let them come true
 
-Ti ci vedo a cantarla a squarciagola con una bandiera arcobaleno addosso- lo prese in giro Pietro, anche se dentro di lui avrebbe tanto voluto dire la stessa cosa di sé.
Fernando rise di gusto:
-Non ho mai fatto qualcosa di così tanto eclatante, ma grazie per avermi dato l’idea. Magari al prossimo Pride lo faccio-.
“Chissà se riuscirò mai anche solo a prendere in considerazione l’idea di metterci piede, ad un Pride”.
Eppure, si ritrovò a pensare Pietro, a quando pare c’era stato un tempo in cui anche Fernando aveva finto di essere qualcos’altro diverso da se stesso. Solo che lui poi aveva avuto sufficiente fegato per cambiare le cose.
Doveva aver assunto un’espressione abbattuta visto il modo in cui Fernando lo stava osservando. Gli si fece più vicino, non mollando il contatto sulla sua spalla.
-Prima o poi arriverà anche la tua canzone che ti farà capire che hai il diritto di vivere la tua vita come sei-.
Pietro lo sperava, lo sperava davvero. Si aggrappò con così tanta forza a quelle parole, a quell’espressione di fiducia nei suoi confronti, che pensò che non se le sarebbe mai dimenticate.
Forse aveva ragione Fernando: anche per lui sarebbe venuto il momento giusto.

 
Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever?
Forever, and ever
Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever?
Forever, and ever
Forever young, I wanna be forever young
Do you really want to live forever? [2]
 

 
[1] Emma - "Occhi profondi"
[2] Alphaville - "Forever young"
*il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantante e ai loro autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
È proprio il caso di dire "un titolo, un programma". E alla fin fine, proprio di questo si tratta: di scelte.
Diverse sono le scelte che devono essere prese, e la prima a cui tocca questo arduo compito sembra essere proprio Giulia. Una Giulia pensierosa, titubante, che non sa bene cosa sia meglio per lei ora: finire gli studi che aveva intrapreso oppure ascoltare l'istinto e seguire altre strade di vita. Dopo un primo confronto con Filippo, quest’ultimo non sembra comprendere pienamente le scelte e le volontà della sua ragazza, ma nonostante ciò non le fa mancare il suo appoggio. Il futuro di Giulia, dunque, è ancora molto nebuloso, e chissà se in un futuro più o meno prossimo arriverà questo pargolo tanto menzionato!
E poi, veniamo al tasto dolente: Pietro, che sembra aver preso determinate scelte per la sua vita futura. Ha, infatti, scelto forse la via più socialmente accettata (ma non necessariamente la più facile) cedendo alla paura e accettando di iniziare una convivenza con Giada. Di certo quel che è successo con Alessio non ha fatto altro che portarlo ancora di più verso questa scelta (quanto è azzeccata la citazione "Inseparabili ma separati" per questi due?). La sua seconda scelta, invece, è quella di rivedere Fernando.
Il loro secondo incontro ha toni decisamente più amichevoli, e vediamo come entrambi decidano di confidarsi l'uno con l'altro sancendo definitivamente l'inizio di un legame d'amicizia. Scopriamo anche qualcosa di più su Fernando stesso, come il suo coming out in famiglia e molte altre sfumature della sua persona... E visto che entrambe noi autrici abbiamo un soft spot per lui, non potevamo non fargli cantare una delle nostre canzoni preferite quale è Forever young! Canzone che, in più di un senso, gli si adatta molto...
Come proseguiranno le avventure dei nostri eroi?
Lo scopriremo mercoledì 20 luglio con l'inizio di un nuovo capitolo (sperando che la nostra Greyjoy sopravviva al matrimonio in cui deve fare da damigella d’onore giusto sabato… Tanto per rimanere in tema matrimoni 😂)!
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 - New Days ***


CAPITOLO 25 - NEW DAYS




 
Era da quando era arrivato marzo che c’era profumo di primavera nell’aria, come a preannunciare che, ormai, ancora poche settimane e gli alberi e i fiori sarebbero rifioriti sotto un sole più tiepido di quello invernale.
A Caterina l’arrivo imminente della primavera aveva sempre messo allegria: odiava il freddo rigido e le giornate buie dell’inverno, e il solo pensiero dell’arrivo della luce e del caldo le risollevava l’umore. In parte era così anche quell’anno, anche se in quella mattinata ancora non aveva trovato del tutto la forza per affrontare la giornata che si trovava davanti.
Si era svegliata quasi di soprassalto circa dieci minuti prima che la sveglia segnasse le sette, senza un motivo apparente: Francesco non stava piangendo, e doveva essere ancora addormentato nella culla.
Caterina si stropicciò gli occhi lentamente, cercando di reprimere uno sbadiglio. Aveva dormito male durante la notte, e Francesco non l’aveva aiutata: si era svegliato urlante poco dopo le due, e non aveva smesso per più di un’ora. Nonostante fosse stato Nicola quello ad alzarsi per andarlo ad accudire, neanche Caterina aveva chiuso occhio durante quel lasso di tempo che le era sembrato infinito.
Quasi non fece in tempo a chiedersi dove era finito proprio Nicola – si era accorta appena sveglia che la sua metà del letto era ancora calda, ma vuota- che uno strillo acuto interruppe il silenzio placido della stanza in penombra.
Caterina chiuse gli occhi, tenendosi le mani sulla fronte e buttando la testa contro il cuscino. Doveva aspettarsi il risveglio di Francesco da un momento all’altro, dopo ben quattro ore passate a dormire; doveva solo trovare la forza di alzarsi dal letto e raggiungere la culla, anche se in quel momento le sembrava un’impresa quasi impossibile da compiere.
Prima che potesse anche solo muovere un muscolo la porta della camera si riaprì, rivelando un Nicola già sveglio, ma con ancora addosso la canotta e i pantaloncini usati per dormire: non doveva essersi alzato molto prima dal letto.
-Hai fame, piccoletto?- borbottò a bassa voce, piegandosi sulla culla e sollevando delicatamente Francesco, ancora urlante.
-In effetti è ora di colazione- replicò Caterina, poco prima che Nicola facesse dietrofront verso la porta. Fece forza sulle braccia, e si sollevò abbastanza per starsene seduta contro la testiera del letto.
-Pensavo non ti fossi nemmeno svegliata- Nicola si voltò verso di lei, cancellando l’espressione di sorpresa che era nata sul suo volto quando l’aveva sentita parlare – Speravo di portarlo di là prima che ti disturbasse, ma a quanto pare non è servito-.
-Ero già sveglia- Caterina sbadigliò di nuovo. Nicola si avvicinò al letto in qualche passo, raggiungendo la metà che di solito occupava. Solo dopo essersi seduto a sua volta, di fianco a Caterina, le porse il corpicino di Francesco tra le braccia.
-Sarà fame davvero o potrebbero essere delle coliche?- le chiese, osservando con cipiglio preoccupato il viso arrossato del figlio, che ancora piangeva incessantemente. Caterina si lasciò sfuggire un leggero sorriso: da quando era nato Francesco, Nicola sembrava essere preoccupato per qualsiasi cosa, anche per le cose minime.
-Lo scopriremo subito, credo-.
Caterina resse saldamente con un braccio il bambino, mentre andava a sbottonare la camicia da notte con un po’ di impaccio. Le prime volte che si era ritrovata a doverlo allattare erano state sicuramente le più strane e le più difficoltose: all’inizio aveva dovuto abituarsi un po’ al dolore che si provava, e aveva dovuto anche imparare come scostare facilmente i vestiti con il bambino in braccio. Tutte cose che, con la pratica, le stavano venendo sempre più naturali.
-Sai che giorno è oggi?- Nicola si avvicinò ulteriormente, rivolgendosi direttamente con un sorriso a Francesco.
-Ancora non sa come funziona il calendario, dagli tempo- Caterina lo guardò malamente, prima di scuotere la testa con aria rassegnata – Comunque auguri da parte di entrambi. Ti senti già più vecchio di un anno?-.
Nicola tirò un sospiro sconsolato, mentre appoggiava il mento sulla spalla di Caterina:
-Magari fosse solo un anno: mi sento più vecchio di dieci-.
-A chi lo dici- rise piano lei. Sentì Nicola iniziare a intrecciare un dito intorno ad una sua ciocca di capelli, lentamente e con fare delicato:
-Sai cosa ti dico? Sono stanco morto, ho delle occhiaie da paura, devo studiare e fare non ricordo nemmeno quante ore di lavoro … E nonostante tutto, credo che questo possa essere il miglior compleanno della mia vita-.
Caterina rise piano tra sé e sé, continuando a tenere lo sguardo basso rivolto a Francesco. Sia lei che Nicola si ritrovavano ad avere i visi pallidi e tirati di stanchezza, le giornate totalmente piene e quasi prive di momenti di tranquillità, eppure non se la sentiva di dargli torto. Forse, nonostante tutte le difficoltà, per la prima volta dopo mesi si stava ritrovando a pensare di aver preso la decisione giusta.
Quasi istintivamente, si ritrovò a stringere maggiormente a sé il corpo minuscolo e caldo di suo figlio.
-Sentito, piccoletto?- Caterina mormorò a bassa voce, facendo finta di non voler farsi sentire anche da Nicola – Tuo padre è in vena di sentimentalismi alle sette di mattina. Facciamo continui progressi-.
Sentì Nicola ridere a sua volta, contro la sua spalla. Quel momento sembrava uno dei pochi intervalli di calma da diversi giorni, ormai: Caterina avrebbe dato qualsiasi cosa per farlo durare il più a lungo possibile.
Le sarebbe bastato rimanere lì, in silenzio con Nicola e Francesco, un’ora ancora almeno, per sentirsi già più felice rispetto alle giornate precedenti.
Il silenzio durò poco oltre, interrotto dal vibrare di un telefono. Caterina si girò lentamente verso il comodino di Nicola, la direzione da dove era arrivata la vibrazione.
-Ti è arrivato un messaggio?- chiese, poco prima che Nicola si staccasse da lei per allungarsi verso la superficie del comodino e afferrare il telefono.
-È Pietro- spiegò lui, rimanendo qualche attimo a fissare lo schermo, probabilmente per leggere un messaggio appena arrivato.
-Ti avrà mandato gli auguri- liquidò la questione Caterina, senza però poter vedere l’espressione incuriosita stampata sulla faccia di Nicola.
-Non solo. Ha detto che domani ci invita da lui per pranzo-.
Caterina non fece nemmeno in tempo a rispondere, che anche il display del suo telefono si illuminò. Un altro messaggio, a poca distanza da quello inviato da Pietro: un tempismo perfetto.
-Puoi leggere tu il messaggio che mi è arrivato?- chiese. A Nicola non ci volle molto per alzarsi direttamente dal letto, circumnavigarlo ed arrivare al comodino di Caterina.
-È Giulia- lesse subito il messaggio, appena preso in mano il cellulare – Dice che l’hanno richiamata per un colloquio di lavoro-.
Caterina si ritrovò ad annuire compiaciuta alla notizia. Di sicuro Giulia ne avrebbe parlato a volontà l’indomani a pranzo da Pietro, se ci fosse stata, e la sua curiosità riguardo quel colloquio sarebbe stata di sicuro soddisfatta.
Quel che non capiva ancora era come mai Pietro avesse deciso di dare un pranzo a casa sua così all’improvviso. Caterina si ritrovò a sbuffare tra sé e sé:
-Si prospettano bene entrambe le cose-.
 
*
 
Quando aveva ricevuto il messaggio di Pietro aveva stentato a credere ai suoi stessi occhi. Eppure non era stata una finta, non era un messaggio falso o uno scherzo ben escogitato: quando aveva chiamato Nicola per fargli gli auguri di compleanno, il giorno prima, Alessio aveva avuto la conferma indiretta che quella domenica Pietro li aveva davvero invitati tutti a pranzo da lui. Tutti, Alessio compreso.
Un sottile strato di scetticismo lo aveva accompagnato per tutta la giornata di sabato, e anche in quella tarda mattinata domenicale, mentre lui ed Alice camminavano lungo le calli, non riusciva davvero a credere fino in fondo che Pietro desiderasse così tanto averlo in casa.
Probabilmente lo aveva invitato solo per non dover non invitare anche Alice e per evitare domande da parte degli altri circa la sua assenza. Un piccolo sacrificio per evitare ulteriori dicerie.
Non aveva idea di come sarebbe stato quel pranzo, e dopo tutti quei mesi passati ad essere evitato completamente da Pietro non si sentiva particolarmente fiducioso. Si aspettava qualsiasi cosa, tranne che le cose migliorassero da un giorno all’altro, improvvisamente.
-Era da tanto che non venivamo da Pietro- la voce di Alice lo distrasse dai suoi pensieri. Erano praticamente arrivati: aguzzando lo sguardo Alessio riusciva a intravedere il palazzo che, fino a circa un anno prima, era stato anche casa sua.
-Avrà avuto da fare- cercò di tagliare corto Alessio, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Alice non era mai stata stupida, ed immaginava benissimo che dovesse averci visto qualcosa di strano in Pietro il suo ignorarlo così prolungato. Non aveva comunque mai domandato nulla in proposito, e forse era meglio così: nemmeno Alessio avrebbe saputo bene come spiegare la situazione.
Alice non sembrò volere continuare la conversazione, e non aggiunse altro. Arrivarono al palazzo in silenzio, cosa che non aiutò Alessio ad ignorare la tensione che cominciava a sentirsi in corpo.
Pochi minuti dopo erano già davanti all’appartamento, a bussare contro la superficie scura della porta d’ingresso.
Alessio sperò ardentemente che non fossero i primi ad arrivare: sarebbe stato ancor più difficile cercare di intavolare una conversazione come se nulla fosse, per giunta davanti ad Alice.
-Credi ci sia anche Giada?- domandò Alice, sottovoce. Alessio la guardò per un attimo, indeciso: era piuttosto combattuto nel pensare che ci sarebbe potuta essere anche lei. Fece per rispondere ad Alice, ma la porta si aprì prima che potesse dire qualsiasi cosa.
Pietro comparì sull’uscio, i capelli leggermente arruffati e un velo di barba sul viso. Fu solo questione di un attimo fugace, ma Alessio ebbe l’impressione che avesse esitato prima di sorridere, e comunque rivolgendosi soprattutto ad Alice.
-Ti abbiamo portato qualcosa!- esclamò lei, sorridente, prima di mostrare la bottiglia di vino che avevano portato.
-Non dovevate disturbarvi- mormorò Pietro, ricambiando il sorriso solo verso di lei. Si chinò verso Alice per lasciarle due baci sulle guance, prima di scostarsi e lasciarla passare verso l’interno della casa.
Alessio si rese conto che erano rimasti praticamente da soli lì, sul pianerottolo di quello che era stato il loro appartamento. Si ritrovò a fissare dubbioso il viso di Pietro, sul quale il sorriso di poco prima era sparito del tutto. Gli rivolse solo un cenno veloce, prima di seguire Alice e lasciarsi alle spalle Pietro, in religioso silenzio. Non si era aspettato nulla di diverso da quello che aveva cercato di immaginarsi il loro incontro durante la giornata.
 


-Devo dirvi una cosa importante, prima che vi ubriachiate del tutto e non mi ascoltiate più-.
Giulia aveva alzato la voce per sovrastare il tintinnio delle posate sui piatti e delle voci degli altri. Alessio aveva sbuffato tra sé e sé, nel sentire quelle parole: aveva l’impressione che quello che Giulia volesse dire fosse strettamente legato al matrimonio, o qualcosa di simile.
Erano al dolce, segno che il pranzo era quasi giunto al termine. Due ore in cui Alessio si era ritrovato ad aprire bocca poche volte, quasi tutte per rispondere a monosillabi a qualche domanda che qualcuno gli aveva rivolto.
Quando lui ed Alice erano arrivati aveva scoperto con piacere che non erano stati i primi a raggiungere l’appartamento: Giulia e Filippo erano già arrivati un po’ di tempo prima. Giada sembrava essere dovuta tornare a Udine per qualche impegno famigliare, e ad Alessio non poteva andare meglio di così. Avevano dovuto solo aspettare Nicola e Caterina, con il piccolo Francesco al seguito, per iniziare a pranzare.
A tavola le cose non erano cambiate molto rispetto all’arrivo: Pietro non gli aveva rivolto praticamente nessuna attenzione, ed Alessio aveva preferito di gran lunga tenergli il gioco, ignorandolo a sua volta. A dir la verità, aveva ignorato quasi tutti; nonostante il suo ascendente non molto sviluppato sui bambini, aveva preferito rivolgere le sue attenzioni a Francesco, steso nel passeggino appostato dietro la sua sedia. Si era sentito un po’ stupido nel fare facce buffe ad un neonato di due mesi, ma era stato divertente osservare le smorfie del suo volto e i primi sorrisi che gli aveva rivolto in risposta.
-Stai per dire quello che hai anticipato a me ieri mattina?- domandò Caterina, prima di affondare il suo cucchiaino nella sua fetta di tiramisù preparato da Pietro.
-Esattamente- annuì Giulia, con un sorriso elettrizzato.
Alessio la guardò confuso. Per un attimo le sue certezze traballarono, e non fu più così sicuro che Giulia si stesse riferendo al matrimonio. Cominciò a temere un qualche annuncio di una gravidanza in corso, ma scartò quasi subito quell’ipotesi: Filippo era decisamente troppo calmo per essere così.
-Due settimane fa ho trovato un annuncio di un’agenzia di viaggi. Cercano un accompagnatore turistico- iniziò a spiegare lei, in fibrillazione – Così ho mandato il mio curriculum subito dopo averlo letto, e indovinate chi hanno richiamato per un colloquio conoscitivo giusto ieri mattina quasi all’alba?-.
Pietro la guardò sarcasticamente:
-Aspetta, lo so: non te-.
-Cretino- Giulia gli rivolse una linguaccia, e Pietro rise in tutta risposta – Ovviamente hanno chiamato me-.
-Ovviamente avevamo capito che avevano chiamato te, altrimenti non ci staresti parlando di questa cosa- la rimbrottò Pietro, ricevendo l’ennesima occhiata torva dall’altra.
-State calmi, per l’amor del cielo- intervenne Caterina, lanciando uno sguardo minaccioso ad entrambi.
-Quando avrai il colloquio?- chiese Alice, dopo un attimo di silenzio.
-Tra una decina di giorni circa- disse Giulia, sorridente – Li passerò tutti nell’ansia-.
Filippo le passò una mano sulle spalle, stringendola calorosamente e sorridendole mite:
-Andrà bene, vedrai-.
Alessio si ritrovò ad abbassare un attimo lo sguardo. Invidiava un po’ Giulia: avrebbe volentieri voluto essere al suo posto, con la tanto agognata laurea già in tasca e pronto ad avviare la carriera dei suoi sogni. Per il momento non poteva fare altro che detestare e sperare di lasciarsi presto alle spalle il lavoro part-time da programmatore, che aveva trovato – per una crudele ironia della sorte- nell’azienda di Mestre dove anche suo padre aveva cominciato.
-Anche io devo dirvi qualcosa-.
Stavolta era stato Pietro a parlare, dopo alcuni minuti. Alessio alzò nuovamente il capo, puntando gli occhi su di lui. Sembrava un po’ esitante, esattamente come gli era sembrato anche dalla voce un po’ tesa.
-Dobbiamo preoccuparci?- Filippo parlò allegramente, ma anche in lui Alessio vi aveva letto una certa dose di sorpresa e curiosità. Lui invece, sentiva solo una brutta sensazione avvicinarsi sempre di più.
-Non è nulla di così strano o assurdo- Pietro cercò di sorridere, ma non sembrò più così convinto rispetto a prima – Giada verrà a vivere qui, tra non molto-.
Trattene per un lungo attimo il respiro, Alessio, i tonfi sordi del cuore come unico segnale a scandire il tempo che inesorabilmente passava.
Quella notizia aveva avuto la forza di scaraventarlo contro il muro di certezze che si era costruito fino a quel momento, in maniera fin troppo violenta. Era sempre stato convinto che Giada non fosse la persona giusta per Pietro, e che prima o poi anche lui se ne sarebbe accorto. Arrivati a quel punto, però, sembrava davvero che l’unico ad essersi sbagliato sul loro conto fosse stato proprio lui.
-Quindi andate a convivere ufficialmente?- Nicola fu il primo a prendere la parola, dopo aver intercettato lo sguardo vacuo di Alessio, seduto di fronte a lui.
Pietro alzò le spalle, leggermente in imbarazzo:
-Direi di sì-.
-Questa sì che è una notizia! Ormai mancavate solo voi- aggiunse Alice, entusiasta. Alessio strinse i pugni sotto il tavolo, lottando contro la voglia di fulminarla con gli occhi.
-Ne avete parlato a fondo?- Caterina sembrava essere meno convinta di Nicola ed Alice. Teneva la fronte aggrottata, come a voler lasciar trasparire i suoi dubbi.
-Hai qualche dubbio in merito?- le chiese Pietro, assottigliando gli occhi scuri.
-Non ho detto questo-.
Fu Filippo ad interrompere agli albori quella specie di bisticcio che era appena cominciato:
-In ogni caso direi di brindare, no?- disse gioviale, alzando in alto il proprio bicchiere pieno di vino.
-Sì, avanti, versa- sospirò rumorosamente Giulia, reggendo il proprio calice quasi vuoto e protendendolo verso Filippo, il più vicino alla bottiglia del vino – Ho bisogno di bere, dopo tutte queste notizie-.
Anche Alessio sentiva di aver bisogno di farlo. Si sarebbe ubriacato volentieri, in quel momento, ma si trattenne dal bere anche solo un goccio. Dopo l’ultima ubriacatura tra lui e Pietro non era più andata bene nessuna cosa, e non era il caso di ripetere la stessa esperienza e peggiorare il tutto.
Erano parecchi minuti che non apriva bocca, ed era pronto a scommettere di essere diventato ancor più pallido dopo che Pietro aveva fatto quell’annuncio. Doveva avere una faccia da funerale, e non si stupì molto quando Alice si protese appena verso di lui, bisbigliando:
-Stai bene?-.
Alessio si sforzò di non lasciarsi scappare la risata amara che avrebbe chiarito benissimo quella che sarebbe stata la sua risposta.
-Benissimo-.


 
Caterina e Nicola furono i primi ad andarsene. Era una delle prime uscite che facevano con Francesco, e dovevano ancora prenderci la mano.
Alessio era rimasto a fissare il posto sul divano che avevano occupato fino a qualche minuto prima, nel salotto di Pietro. Stava ripensando a tutte le volte in cui lui stesso era rimasto seduto in quel posto. Tutte le volte in cui lui e Pietro avevano passato le serate a guardare qualche noioso film in tv, talvolta addormentandosi o passando tutto il tempo a sghignazzare. Stava ripensando anche alle volte in cui aveva colto Pietro steso e a tenere  in mano uno dei suoi libri proprio lì, in quell’angolo di divano, con l’aria concentrata e gli occhiali che usava sempre per leggere.
Era sempre su quel divano che Alessio aveva cercato di spiegargli, per la prima volta, come mai Giada non gli sarebbe mai andata a genio. Ed era sempre quello il posto quando aveva detto a Pietro che sarebbe andato a convivere con Alice, l’anno prima.
In un certo senso era contento che Pietro avesse annunciato durante il pranzo l’imminente trasferimento di Giada: non sarebbe riuscito a sopportare un ricordo così amaro legato a quella parte della casa, a quel divano che gli riservava sempre ricordi felici e dolorosi allo stesso tempo.
Non era ancora riuscito ad entrare nell’ottica che, di lì a poco, Giada si sarebbe appropriata di quell’appartamento. L’appartamento che una volta era stato suo, suo e di Pietro, e che ormai sarebbe  diventato di una donna che aveva sempre detestato con tutto se stesso.
Se ne stava in piedi, accanto alla finestra, ascoltando distrattamente le chiacchiere di Pietro, Alice Giulia e Filippo, e non poteva fare altro che combattere contro la voglia di prendere a pugni la parete contro la quale poggiava la sua schiena. Non ce la faceva a vederli parlare del più e del meno come se niente fosse.
Si staccò dalla parete di colpo, come se si fosse appena scottato, e passò davanti a loro velocemente, mormorando un distratto “Vado in bagno”.
Lontano dal salotto si sentiva già meglio, meno oppresso da tutti i ricordi concentrati tra quelle mura, e da tutti i pensieri che ne conseguivano. Non si diresse davvero in bagno, però: girò verso la cucina, ora deserta, cercando di fare il meno rumore possibile.
Pietro non aveva cambiato la disposizione degli oggetti da quando era rimasto a vivere da solo più di un anno prima: Alessio ci mise solo qualche secondo a ricordare in quale credenza tenevano gli alcolici, e gli ci vollero pochi altri attimi per versarsi un generoso quantitativo di vodka nel primo bicchiere che aveva trovato in un altro ripiano.
Il primo sorso gli bruciò la gola, il secondo fu già più piacevole. Il terzo gli regalò quel leggero senso di vertigine che dava l’alcool, facendogli chiudere gli occhi per un attimo.
Si rendeva conto che affogare i propri problemi negli alcolici era il modo più sbagliato ed inutile per uscirne, ma era l’unica arma che aveva contro di essi in quel momento. Con l’alcool tutto sembrava sempre più semplice di quel che era, ed era proprio quella la sensazione che stava cercando: il riuscire a guardare tutto in modo più sfocato, superfluo e non necessario.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, forse diversi minuti. Non si girò nemmeno nel sentire dei passi avvicinarsi: dava per scontato che fosse Alice, magari venuta a cercarlo per la sua assenza prolungata.
Fu solo quando sentì i passi arrestarsi a distanza di qualche metro che, invece, si lasciò trasportare dall’istinto di voltarsi verso l’uscio della cucina.
Pietro lo stava già fissando, ma fu svelto a nascondere la sorpresa con un’espressione di tacita indifferenza. Anche Alessio cercò di mascherare il più possibile la meraviglia di trovarlo lì, senza troppa fatica: in quel momento era troppo arrabbiato con il mondo intero per dare davvero peso al fatto di ritrovarsi da solo con lui, in maniera del tutto inaspettata.
-Non eri andato in bagno?- Pietro riprese a camminare, arrivando a poca distanza da lui. Teneva gli occhi puntati verso la credenza che stava aprendo, senza più badare all’altro.
-Ho deciso di fare anche un’altra tappa- mentì Alessio, trattenendo uno sbuffo: aveva dato per scontato che Pietro non avesse nemmeno fatto caso a quel che aveva detto quando si era allontanato.
-Ho notato-.
Anche Pietro aveva recuperato un bicchiere, che stava però riempiendo con semplice acqua. Non sembrava intenzionato ad aggiungere altro: si comportava come se Alessio non fosse nemmeno presente, senza guardarlo neanche per sbaglio. Era come se lo ritenesse invisibile.
Alessio cercò di ripagarlo con la stessa moneta. Riportò l’attenzione al proprio bicchiere, e buttò giù gli ultimi sorsi di vodka in un unico sorso; ignorò la gola che gli bruciava, ignorò anche il malumore che inevitabilmente era aumentato con l’arrivo di Pietro.
Gli sarebbe servito un altro bicchiere, e forse se lo sarebbe bevuto sul serio, se si fosse trovato da solo. Restò per qualche attimo a pensare: gli interessava davvero di cosa avrebbe potuto pensare Pietro, nel vederlo bere? D’altro canto a lui non gli era importato dargli spiegazioni per quel suo allontanamento repentino. Perché lui invece doveva curarsi se lo avrebbe considerato un ubriacone?
Fece per versarsi di nuovo della vodka, mentre Pietro sorseggiava con inconsueta calma l’acqua che si era versato. Sembrava così disinteressato al resto del mondo che Alessio rimase stupito nel sentirlo parlare ancora:
-La prossima volta preferirei non vederti andartene in giro per la casa senza dirmi nulla. Fino a prova contraria non abiti più qui-.
Stavolta aveva parlato con un’indifferenza del tutto finta, Alessio ne era sicuro: aveva sentito una nota di rabbia nella sua voce, non così distaccata come probabilmente avrebbe dovuto sembrare.
-Sul serio vuoi stare qui a vivere con Giada?-.
Alessio lasciò perdere il bicchiere di vodka, ben consapevole che quella di bere sarebbe stata comunque una strada più saggia di quella che aveva appena deciso di intraprendere.
Sapeva benissimo che tutto sarebbe degenerato nell’ennesimo litigio, e non gliene importava nemmeno molto. Forse era proprio quello il punto a cui voleva arrivare.
-Fatichi a crederlo?- Pietro si girò verso di lui per la prima volta da quando si era fermato a nemmeno un metro da Alessio, gli occhi neri gelidi.
-Un po’ sì, se penso che l’anno scorso, alla sua proposta di convivere, le avevi risposto di no-.
Pietro lo tenne fissato per un attimo, prima di scoppiare in una risata amara e tutt’altro che divertita:
-Non tutti rimangono sulle proprie posizioni come degli ottusi-.
-Io potrò anche essere ottuso, ma tu non sembri convinto in ogni caso- Alessio lo guardò dritto in faccia, l’offesa sottile di Pietro che gli era già scivolata addosso.
Fece per oltrepassare la figura dell’altro, avviandosi verso l’uscita, ma dovette fermarsi di colpo non appena si rese conto che Pietro lo aveva appena afferrato per un braccio, bloccandolo:
-È inutile dirti che non sono cazzi tuoi, vero? Tanto sei abituato a sentenziare sulla vita di chiunque- gli sibilò contro, il viso dai tratti deformati dalla rabbia più vicino di quanto non era mai stato negli ultimi mesi.
-Magari così ti rendi conto della cazzata che stai per fare-.
La stretta sul suo braccio si fece più stretta, ma durò solo il tempo di un attimo. Il secondo dopo la mano di Pietro aveva abbandonato il suo braccio, allontanata così velocemente come se si fosse appena scottato.
-Continua a fare la testa di cazzo così, ma sappi che è inutile. Non cado nelle tue provocazioni-.
Alessio fece per aprire bocca, senza nemmeno sapere bene cosa rispondere. Non fece nemmeno in tempo a pensarci: Pietro lo superò a sua volta, allontanandosi a grandi passi da lui, uscendo dalla cucina.
Il silenzio che era appena calato non era mai sembrato ad Alessio più frastornante come in quel momento.
 
*
 
Non era mai stata agitata quanto quel giorno in tutta la sua vita. O forse sì, quando Filippo le aveva chiesto di sposarlo, oppure ancora quando l’estate passata avevano dovuto dire ai genitori di lui del matrimonio.
Giulia, in quel momento, non aveva alcuna certezza, a parte il fatto che quell’agitazione l’avrebbe mandata all’altro mondo e che con quei tacchi si sentiva completamente insicura nel camminare, rischiando ad ogni passo di rompersi l’osso del collo cadendo.
Si sentiva leggermente in imbarazzo mentre camminava vestita così elegante e seriosa allo stesso tempo, diretta verso una delle calli non molto distanti da Piazza San Marco.
Aveva passato giornate intere, dopo la telefonata dell’agenzia di viaggi, a decidere come vestirsi per quel colloquio conoscitivo. Quando aveva sostenuto il colloquio da commessa nel negozio dove ancora lavorava – per poco ancora, sperava-, non vi aveva badato molto. Invece, in quella giornata, aveva indossato la sua migliore giacca, i tacchi che stava odiando con tutta se stessa, e perfino una gonna. Ringraziava soltanto che, in quella giornata di fine marzo, ci fosse un sole talmente pieno da averle fatto perfino venire caldo. Sperava solo di non iniziare a sudare copiosamente e finire comunque per fare una brutta figura già in partenza.
Stava ripassando mentalmente quelle che sarebbero state le sue risposte alle domande possibili che le avrebbero fatto – aveva passato interi pomeriggi facendo ricerche sulle domande più comuni ai colloqui, finendo per impararsele tutte a memoria, risposte comprese. Si sentiva a tratti patetica, ma d’altro canto chi non si sarebbe agitato così ad un colloquio per un lavoro che volevi a tutti i costi?
Arrivò in circa mezz’ora davanti all’agenzia. Era abbastanza lontana da casa sua, ma la zona le sembrava piuttosto bella, elegante e con diversi negozi costosi nei dintorni. Perlomeno trovò quasi subito il luogo preciso dove era diretta: la piccola agenzia di viaggi dove stavano cercando un tour operator.
Si bloccò un attimo, a meno di cento metri dalla porta d’ingresso, accanto alla quale c’era una targa dorata sopra la quale c’era inciso il nome dell’agenzia a lettere corsive. Prese un sospiro profondo, si riassettò meglio che poteva i propri vestiti – sperando di non sembrare troppo sudata-, passò una mano veloce tra i capelli, ed infine si mosse verso la porta.
Quando la aprì, si ritrovò catapultata in un ambiente quasi del tutto immacolato: mobili e pareti bianche, in cui solamente qualche soprammobile e vasi di piante finte non facevano parte di quell’ordine così candido.
Non sapeva bene dove andare: il posto era molto più grande di quello che si era immaginata, e nessuno sembrava averle riservato molta attenzione quando era entrata. Forse l’avevano scambiata per una cliente o qualcosa del genere. Notò un bancone qualche metro più avanti, forse una specie di reception, dove dietro se ne stava una ragazza dall’aria elegante e sofisticata. Forse doveva rivolgersi a lei per chiederle dove doveva dirigersi per il colloquio.
Giulia non fece nemmeno in tempo a fare due passi, che per un attimo sentì l’equilibrio venire a mancarle e, inevitabilmente, l’attimo dopo sentì il freddo del pavimento sotto il suo corpo.
“Sapevo che questi tacchi dovevo bruciarli molto tempo fa”.
-Le serve una mano?- la ragazza dietro il bancone le si era appena rivolta, guardandola con aria allarmata. Giulia non seppe nemmeno con quale forza riuscì a rimettersi in piedi in un batter d’occhio, e non seppe nemmeno cosa la trattenne dal lanciare chissà dove quei maledetti tacchi:
-No, grazie, sono a posto- si interruppe un attimo, prima di realizzare che in realtà aveva davvero bisogno d’aiuto – Ok, in realtà dovrei chiederle un’informazione-.
-Dica pure- la ragazza le rivolse un timido sorriso incoraggiante, mentre Giulia si avvicinava al bancone, con passo cauto:
-Sono qui per un colloquio conoscitivo. Sa dove devo andare?-.
 


Non riusciva a stare ferma, seduta su quella sedie in quel corridoio così bianco da sembrarle anonimo. Muoveva in continuazione il piede, producendo un rimbombo piuttosto fastidioso. Giulia era perfettamente cosciente che un ragazzo in attesa come lei – sedutole accanto e già presente quando lei era arrivata- le aveva lanciato diversi sguardi truci, senza però sortire alcun risultato. Giulia aveva continuato a sbattere il tacco contro il pavimento, in una sorta di tentativo di scaricare la tensione accumulata fino a quel momento.
In una qualsiasi altra occasione avrebbe cercato di attaccare bottone con il ragazzo seduto lì vicino. Parlare con gli sconosciuti era sempre stato interessante: potevi fingere di essere tutt’altra persona e di avere una vita totalmente diversa senza conseguenze. Invece, in quel momento, non riusciva a spiccicare parola: sentiva la gola e le labbra secche, e non le veniva in mente nulla per intavolare una conversazione.
Sapeva solo che il cuore le palpitava troppo velocemente e che doveva dare il meglio per avere quel lavoro.
Cercò di distrarsi controllando qualcosa sul telefono – aprì e richiuse almeno dieci app senza davvero prestarvi attenzione-, ma senza buoni risultati.
Non seppe quanto tempo passò da quando si era seduta lì, fino al momento in cui, finalmente, si aprì la porta di uno degli uffici dall’altro lato del corridoio. Seppe solo che, quando accadde, si irrigidì sulla sedia, la schiena dritta e gli occhi puntati su quella porta che si stava aprendo sempre di più.
Un uomo, abbastanza giovane e in giacca e cravatta, vi fece capolino. Lanciò un’occhiata sia a Giulia che all’altro ragazzo seduto accanto a lei, prima di schiarirsi la voce, fermare gli occhi su Giulia e pronunciare:
-La signorina Pagano? Può entrare, prego-.
Giulia sentì il respiro bloccarsi, le gambe farsi molli. Le ci volle un secondo prima di realizzare che quel colloquio sarebbe iniziato di lì a pochi minuti, e che doveva percorrere quegli ultimi passi prima di arrivare alla meta. Cercò di alzarsi cautamente, e sperò con tutto il cuore di non avere ulteriori problemi con i tacchi.
Non sapeva come sarebbe andato quel colloquio, o se non l’avrebbero presa anche in caso di esito positivo; in quegli ultimi passi, prima di varcare la soglia di quell’ufficio, sapeva solo che per dare una svolta alla sua vita, una svolta che voleva e che le serviva per sentirsi davvero realizzata ed in pace con se stessa, doveva solo pensare di dare il meglio che poteva.
Doveva … E poteva.
 
*
 
Era strano ripercorrere le strade di Torre San Donato con Giada. Mentre camminavano a piedi in quei luoghi così famigliari, Pietro non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione di trovarsi fuori posto, lì con lei.
Erano arrivati alla stazione di Torre San Donato sotto il sole tiepido di fine marzo solo dieci minuti prima. Pietro aveva deciso sul momento di non dirigersi subito verso casa – o come avrebbe dovuto ormai definirla, verso casa dei suoi genitori e di suo fratello minore-, ma di far fare una sorta di giro turistico a Giada. Era la prima volta che si recavano insieme lì, e sarebbe stato un peccato perdersi il mercato tipico del sabato mattina, con le bancarelle colorate collocate nelle piazze principali e lungo il canale.
Giada l’aveva seguito sorridendo per tutto il tempo, guardandosi intorno incuriosita e divertita. Forse era davvero felice come sembrava, o forse riusciva a dissimulare l’agitazione che, per Pietro, era invece incredibilmente palpabile.
Quella passeggiata per Torre San Donato era servita anche per rimandare ancora un po’ l’incontro imminente di Giada con la sua famiglia, incontro per il quale non si sentiva minimamente sicuro o pronto. Aveva passato tutta la mattina, da quando si era svegliato, a rimuginare su cosa dire ai suoi genitori; di Giada sapevano poco niente, complice il fatto di aver detto loro di lei non troppo tempo addietro. Forse all’epoca ancora sperava di troncare quella relazione che si basava sulla fiducia di Giada totalmente mal risposta in lui.
Non nutriva grandi speranze in quella giornata.
-E così è qui che sei cresciuto- disse Giada, d’un tratto – È carino, come paese-.
Stavano passeggiando verso casa di Pietro, lasciandosi sempre di più alle spalle la piazza principale; in pochi minuti sarebbero giunti a destinazione.
-Non è male- rispose lui, cercando di reprimere il tremore della voce – Ma a lungo andare diventa monotono. Soprattutto quando cresci, e finisci il liceo … Provi il desiderio di andartene-.
-Non ti mancano neanche un po’ gli anni passati qui?-. Giada gli strinse la mano, con fare affettuoso, e lanciandogli un’occhiata veloce.
Per un attimo a Pietro tornarono in mente pomeriggi lontani, passati in quelle stesse strade. Aveva passato gran parte dell’infanzia e praticamente tutta l’adolescenza a percorrere quelle vie, sempre in compagnia di Filippo, Nicola e Gabriele. Ora che, nonostante gli anni passati, erano ancora insieme, sembrava tutto così simile e tutto così diverso allo stesso tempo.
-Un po’ sì. Era tutto più semplice-.
 


Suonare il campanello fu una delle cose più difficili della giornata. Pietro, mentre vi premeva sopra il dito, con l’altro mano aveva stretto quella di Giada talmente forte che, per un secondo, aveva pensato di avergliela rotta. Giada non si era fatta sfuggire nemmeno un lamento, limitandosi a lasciargli una carezza leggera sul braccio, in una sorta di muto incoraggiamento.
Pietro non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare a cosa dire, una volta che la porta si fosse aperta. Era stata aperta quasi subito dopo, rivelando sua madre sulla soglia, fasciata da un vestito più elegante del solito e con il volto incorniciato dai capelli scuri e lunghi.
Aveva rivolto un sorriso mite a Pietro, e poi era passata a Giada. Aveva sorriso anche a lei, prima di presentarsi, anche se Pietro era abbastanza convinto di aver notato una certa esitazione iniziale.
Ora, seduto in salotto da almeno una decina di minuti, gli sembrava tutto così irreale: sua madre che conversava come se nulla fosse con Giada, e lui che se ne stava lì, in silenzio, a domandarsi se quella era stata la scelta giusta.
“Il momento migliore per farsi venire i dubbi”, si ritrovò a pensare tra sé e sé, seccamente.
-E così sei una professoressa, eh? E pensare che Pietro si lamentava costantemente dei suoi insegnanti, quando andava a scuola- Alessandra, seduta sulla sponda del divano, sembrava ancora leggermente in imbarazzo. Pietro la stava osservando da un po’, nei suoi movimenti insolitamente insicuri.
-I professori universitari sono molto diversi da quelli che si trovano a scuola- rispose Giada, che anche in una situazione del genere riusciva a sembrare perfettamente sicura di sé – O almeno, io cerco di essere il meno noiosa e rigida possibile durante le mie lezioni-.
-Evidentemente questo ha sortito un certo fascino-.
Pietro si voltò verso la soglia del salotto, rosso in viso. Maledisse tra sé e sé suo padre, appena sbucato fuori da chissà dove, all’improvviso: se ne stava accanto alla porta, con i suoi capelli ormai brizzolati e gli occhi nocciola, sorridente e ridendo tra sé e sé per la battuta appena fatta.
-Luca, non metterli in imbarazzo- lo rimproverò Alessandra, facendo finta di guardarlo severamente, ma sforzandosi di non scoppiare a ridere a sua volta.
Pietro si ritrovò a sbuffare tra sé e sé: suo padre aveva sempre avuto un modo strano di fare sarcasmo. Il più delle volte non riusciva a capirlo, o a trovarci qualcosa di davvero divertente.
-È un piacere conoscerla, finalmente!- Giada si alzò dal divano, dove era rimasta seduta fino a quel momento, allungando la mano destra verso Luca, che le sorrise cordialmente di rimando:
-Piacere mio, ma facciamo subito un patto: non darmi del lei, o mi sentirò terribilmente vecchio-.
-Beh, un po’ cominci ad esserlo sul serio- borbottò Pietro, non curandosi troppo di non farsi sentire da suo padre.
Luca sembrò non averlo udito, al contrario di Alessandra: lanciò un’occhiataccia al figlio, prima di tornare con lo sguardo verso gli altri due.
-Vado a chiamare Andrea, deve ancora essere in camera a studiare … E poi, direi che potremmo trasferirci tutti in sala da pranzo-.
Pietro si lasciò sprofondare nel divano per qualche secondo, il cuore che ricominciava a palpitargli un po’ più velocemente. Aveva come l’idea che quel pranzo sarebbe stato una sorta di presentazione ufficiale di Giada alla sua famiglia, e quell’impressione non faceva altro che dargli ansia.
Si sentiva quasi un animale in gabbia.
 
*
 
La prima boccata data alla sigaretta bastò subito a fargli calare la tensione nei muscoli. La seconda fece diminuire l’ansia, alla terza riuscì a sentirsi già più rilassato di quanto non lo era mai stato in tutta la mattinata.
Pietro si pentì subito di non essere uscito a fumare ben prima: non aveva guardato il pacchetto di sigarette dalla sera precedente, ed ora si ritrovava a dover scaricare la tensione accumulata fumandone almeno una. Probabilmente se sarebbe seguita anche un’altra subito dopo.
In fin dei conti non poteva dire che il pranzo fosse andato male. Andrea aveva continuato a lanciare occhiate stranite a Giada, ma non c’erano stati momenti di imbarazzo o particolarmente difficili da superare. Come primo pranzo in famiglia, nonostante l’agitazione costante durata per tutto il tempo, poteva addirittura ritenersi soddisfatto. Quella sigaretta che stava fumando, dopo il pranzo, fuori in terrazzo, sembrava essere il premio adatto per concludere quella prima fase critica.
Giada aveva insistito per aiutare a riordinare la sala da pranzo, e Pietro non aveva potuto fare molto per farle cambiare idea. Alla fine l’aveva lasciata lì con Alessandra e Luca, tutta sorridente mentre faceva la spola dalla sala da pranzo alla cucina, tenendo dei piatti sporchi in mano o talvolta reggendo i bicchieri appena usati. Si era chiesto, standosene nel silenzio di quel primo pomeriggio primaverile, se quell’immagine di Giada, pronta ad aiutare i suoi genitori in quelle faccende domestiche come se fosse sempre stata abituata a farlo, si sarebbe ripetuta altre volte in futuro.
Cominciava quasi a sentirsi pervadere da una certa serenità, sentimento che non avrebbe mai pensato di poter associare a quella giornata solo fino a poche ore prima.
-Ecco dov’eri finito-.
Pietro si voltò verso sua madre, cercando di nascondere in automatico la sigaretta accesa, in un gesto che risultò troppo lento:
-Dovresti smettere fin che sei ancora giovane, lo sai?- Alessandra, fermatasi sulla soglia del terrazzo, lo guardò malamente, le braccia incrociate contro il petto con aria severa. Potevano passare anche dieci anni, ma a Pietro sembrava sempre di tornare bambino, in quella casa con sua madre che lo rimproverava anche per le cose più banali.
-Non è esattamente facile-.
Alessandra gli si mise a fianco, la schiena appoggiata contro la ringhiera del terrazzo e il viso rivolto al figlio, in un’espressione che a Pietro sembrò vagamente preoccupata.
-Posso parlarti sinceramente di una cosa?- fece lei, dopo alcuni secondi passati in silenzio, durante i quali Pietro era rimasto indeciso se continuare a fumare come se niente fosse, o lasciare che la sigaretta si spegnesse mentre la teneva tra le dita.
-Che succede?- le chiese, aggrottando la fronte. Cominciava già a sentirsi preoccupato: c’erano sempre guai in vista quando una madre doveva parlare di qualcosa.
-Nulla, è che … - riprese Alessandra, alzando le spalle – Volevo solo capire una cosa-.
Sembrò per un attimo a disagio, e come un fulmine a ciel sereno a Pietro venne il sospetto di conoscere già quale sarebbe stato l’argomento di dibattito:
-Riguardo Giada?-.
-In parte- Alessandra schioccò la lingua, abbassando per un attimo gli occhi scuri così simili a quelli di Pietro – Riguarda soprattutto te-.
-Aspetta, prima che tu dica qualsiasi cosa, voglio dire io qualcosa prima- Pietro lasciò perdere la sigaretta, appoggiandola sopra al tavolino del terrazzo, prima di tornare a guardare in volto sua madre – Non mi importa della differenza d’età, se è a questo che ti riferisci. Ci abbiamo pensato a lungo, e siamo giunti alla conclusione che non ci interessa. Quindi, per favore, evita di farmi la ramanzina su questo-.
Aveva affrontato così tante volte quell’argomento che ormai sapeva quella frase a memoria. Certo, era diverso parlarne con sua madre piuttosto che con un amico, ma in quel momento si sentiva così stanco di dover ascoltare sempre le stesse obiezioni che non riusciva nemmeno a sopportare l’idea di dover ripetere per l’ennesima volta che la loro differenza d’età non era un problema.
Sua madre sospirò a fondo, prima di parlare:
-Non era di questo che volevo parlarti, anche se ammetto che all’inizio non mi aspettavo di ritrovarti con una donna con dieci anni più di te-.
-Allora di cosa volevi parlare?- Pietro la guardò accigliato, stupito e totalmente spiazzato.
Alessandra si staccò dalla ringhiera, e fece qualche passo prima di fermarsi di nuovo, stringendosi le braccia incrociate contro il petto:
-Io non ho nulla contro Giada. Dico davvero: da quel poco che ho potuto notare, mi sembra una donna in gamba, forte. È molto diversa da te, ma mi piace molto comunque- sospirò di nuovo, scuotendo il capo in un gesto che a Pietro non dette nessun buon presentimento per quello che stava per aggiungere – Ma Pietro, te lo devo proprio chiedere: sei sicuro che lei sia la persona giusta per te?-.
-Cosa ti fa pensare il contrario?- domandò Pietro, cautamente, dopo qualche secondo di silenzio.
-Mi dai l’impressione di non essere convinto tu per primo di fare un passo così grande con lei-.
Pietro si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi per quelli che gli sembrarono secondi interminabili. Si sentiva addosso lo sguardo di sua madre, ma non riusciva a trovare del tutto il coraggio per poterle rispondere razionalmente.
Una parte di sé, una parte che aveva deciso di reprimere per sempre qualche mese prima, lo stava spingendo a dire che sì, era esattamente così che stavano le cose: la storia con Giada era pura convenienza. Le voleva bene, ma tutto il resto era solo finzione.
E poi c’era l’altra parte, quella che aveva deciso di andare fino in fondo con Giada, quella che lo stava spingendo a non rovinare proprio in quel momento tutta quella recita a cui, in un modo o nell’altro, cominciava a rassegnarsi ed abituarsi per davvero.
-Ci ho pensato a lungo, non l’ho deciso così di colpo- mormorò infine, cercando di apparire convincente, ma pensando di non sembrarlo affatto.
Alessandra si fece avanti, appoggiandogli una mano sulla spalla:
-Ascoltami, per favore. Io lo vedo che lei è innamorata di te e che ci tiene. Quello che mi preoccupa è che non mi sembra di vedere lo stesso sentimento anche da parte tua-.
-E io non capisco da dove derivino queste tue convinzioni- Pietro alzò lo sguardo, cercando di reprimere con tutto se stesso la fragilità che si sentiva addosso in quel momento – Ci hai visti insieme solo oggi, non ti sembra avventato dare dei giudizi simili?-.
-È che … - Alessandra si strinse nelle spalle, d’un tratto in difficoltà – Continuo a non capire una cosa su di te. Insomma, pensavo che con Alessio … -.
Pietro si bloccò di colpo, guardandola senza capire. Si sarebbe aspettato di tutto da sua madre, qualsiasi obiezione possibile sulla sua storia con Giada, ma in quell’attimo si ritrovò, per la prima volta, davvero senza parole, e senza capire dove volesse andare a parare.
-Che c’entra lui ora?- chiese, realmente allarmato. Di Alessio, con i suoi genitori, non parlava quasi mai, se non quando gli domandavano qualcosa riguardo lui. Lo conoscevano, e aveva sempre saputo che, in fondo, Alessio piaceva loro. Ma anche calcolando tutte quelle cose non riusciva a rimettere insieme i pezzi del puzzle, che gli sembravano così confusi da lasciarlo destabilizzato.
Alessandra si dondolò per qualche secondo, a disagio, spostando il proprio peso da una gamba all’altra. Stava prendendo tempo, e a Pietro quell’attesa cominciava a dare il nervoso.
-È che dopo tutti questi anni che hai passato con lui, non mi sarei aspettata di vedersi divisi, e te con qualcun'altra-.
Sua madre alla fine aveva parlato, di scatto ed in fretta, rendendolo ancora più disorientato.
-Continuo a non capire-.
Alessandra sospirò a fondo, gli occhi scuri puntati in quelli del figlio:
-Pensavo che tra voi due … -
Pietro quasi si soffocò con la sua stessa saliva, quando cominciò a realizzare dove stesse andando a parare sua madre:
-Tu pensavi che stessimo insieme? Sei seria?-.
Sbuffò sonoramente, cercando di combattere contro l’improvviso bisogno di urlare e piangere nello stesso momento. Si limitò a voltarsi, camminando in circolare nel poco spazio del terrazzo, più nervosamente di quel che avrebbe voluto sembrare:
-Non sono gay, fino a prova contraria. Quindi direi proprio di no-.
Si sentì come se stesse morendo dentro nel pronunciare quelle parole, che non erano altro che una bugia volta solamente a nascondersi, a non provare ancora più vergogna. Cercò di relegare nelle profondità della sua memoria i baci con Alessio e Fernando, le sensazioni che gli avevano suscitato entrambi, e la consapevolezza amara che, dopotutto, essere gay era esattamente ciò che era, e che stava negando perché qualcosa in lui gli diceva che era tutto sbagliato. Erano quei momenti in cui non avrebbe voluto fare altro che scappare da se stesso, il più lontano possibile.
-Pietro, io credo che ... –.
-Ti sei sbagliata, ok?- insistette lui, cercando di non alzare la voce –Eravamo amici, tutto qui. Ora a malapena ci parliamo, ma non è come pensi tu. Non è mai stato come pensi tu-.
-Non ci sarebbe stato nulla di male, in ogni caso-.
Sua madre cercò di posare una mano sulla sua spalla, ma Pietro si scostò bruscamente. Si stava rendendo conto di non aver reagito come avrebbe voluto: non sapeva come poteva sperare di dissimulare un completo disinteressamento, se continuava ad agitarsi sempre di più.
Si fermò, distanziato da lei, le guance che sentiva bruciare e il cuore che palpitava fin troppo veloce.
-Mi chiedo solo da dove ti sia venuta in mente un’idea del genere- borbottò. 
Sua madre provò a dire qualcosa, ma lui scosse energicamente il capo, alzando una mano:
-No, non lo voglio sapere sul serio-.
Si avviò verso la porta-finestra che dalla terrazza portava a quella che, fino a qualche anno prima, era la sua stanza. Gli sarebbero bastati solamente cinque passi per arrivare alla portata della maniglia, e poi abbassarla e rientrare. Si sarebbe potuto richiudere la porta alle spalle, in un tentativo di segregare fuori i suoi stessi demoni e le paure, almeno per un po’.
-Quattro anni fa ricordo di una sera in cui Alessio era rimasto qui-.
Sua madre aveva parlato a bassa voce, quasi si stesse rivolgendo a se stessa piuttosto che a lui. Pietro restò fermo comunque, la mano bloccata sulla maniglia della porta-finestra, tutto il suo essere che si tendeva verso la voce di Alessandra. Le dava le spalle, eppure era sicuro che, girando, avrebbe notato un piccolo sorriso appena accennato, malinconico come sembrava essere la sua voce.
-Dopo cena vi siete messi a guardare un film, e alla fine vi siete addormentati lì, l’uno accanto all’altro. Mi eravate sembrati molto complici, lo siete sempre sembrati. Stavate bene insieme … C’era qualcosa tra voi che vi faceva sembrare qualcosa più che amici- fece un’ulteriore pausa, e Pietro dovette combattere contro se stesso per non voltarsi verso di lei – Ma devo essermi sbagliata-.
Se la ricordava, quella sera. Ricordava bene tutto, nonostante fosse passato così tanto tempo. Ricordava di essersi svegliato, il film che lui ed Alessio avevano iniziato a guardare e che era già finito, arrivato ai titoli di coda. Ricordava il calore di Alessio, il suo profumo, la sua vicinanza. Ricordava anche che si era preoccupato, per un momento, di essere visto in quella posizione. Forse qualcuno avrebbe potuto intuire qualcosa di troppo, vedere oltre quella semplice vicinanza fisica. Ma poi gli era importato poco, perché avrebbe preferito di gran lunga far durare quel momento il più a lungo possibile, piuttosto che allontanarsi per negare a chiunque che ci potesse essere dell’altro, oltre l’amicizia.
Aveva ragione sua madre: stavano bene, insieme, in quel periodo. Era un benessere così lontano nel tempo, e che sentiva così lontano da sé, ormai, che stentava a credere fosse mai esistito.
Stentava perfino a credere che, nonostante tutto, quel momento non era durato affatto a lungo. Era stato fugace, come la sensazione di libertà che aveva sentito in quel momento, e che ormai aveva deciso di soffocare.
Pietro serrò con forza gli occhi, cercando di allontanare da sé quei ricordi che sua madre aveva appena riportato a galla, ricordi che non facevano altro che portare con sé altro dolore.
 
*
 
I don't know what it is that makes me feel alive
I don't know how to wake the things that sleep inside
I only wanna see the light that shines behind your eyes
 
-Come fai a non annoiarti?-.
Lo sbuffo piuttosto offeso che ricevette in risposta da Fernando gli fece già presupporre quale sarebbe stato il tono delle sue parole: tutt’altro che accomodante.
-Potrei farti la stessa domanda- Fernando aveva una voce calma, ma Pietro sapeva che in quel momento era tutta apparenza – Come fai a non annoiarti nel guardare ventidue tipi che corrono dietro una palla?-.
Pietro usò il metodo più veloce per far morire quella conversazione il prima possibile: rise scuotendo il capo, come se Fernando non potesse comprendere appieno il fascino del calcio. D’altro canto lui, a quanto pareva, non coglieva l’attrazione del motorsport allo stesso modo.
Non gli era mai capitato di guardare una gara di Formula 1: ne aveva certamente sentito parlare, coglieva qualche notizia quando capitava che ne discutessero Caterina e Giulia, ma non aveva mai visto una competizione dall’inizio alla fine. Forse non ne aveva mai visto nemmeno un giro completo.
Quando era arrivato a casa di Fernando quella domenica, quando il pomeriggio stava ormai virando alla sera, non si era aspettato di trovarlo già davanti alla tv, intento a cambiare i canali per arrivare a quello dove sarebbe stata trasmessa la gara di quel giorno. Incontrava Fernando regolarmente ormai da più di un mese – poteva quasi azzardarsi a dire che stavano diventando amici-, ma non era mai saltato fuori il fatto che fosse un appassionato anche lui. Era stata una scoperta inaspettata, e ancora doveva abituarsi al fatto di vedere Fernando uscire dalla sua solita calma per trasformarsi in un fan spesso al limite di attacchi isterici.
-Quanti giri mancano?- si azzardò a chiedere Pietro, appollaiato in un angolo del divano. Visto che mancava ancora un po’ all’orario di cena, Fernando si era premurato di preparare una ciotola piena di popcorn, da cui di fatto stava pescando solo Pietro, l’unico sufficientemente rilassato per riuscire a mangiare senza la paura di soffocare per qualche parolaccia da urlare.
-Circa una ventina- spiegò Fernando, puntando il dito verso l’angolo in alto a sinistra del televisore – Là in alto sono segnati quelli già percorsi-.
Pietro aguzzò lo sguardo, ed in effetti si rese conto che Fernando aveva perfettamente ragione.
-Per ora non sembra essere successo granché- commentò. Il countdown dei giri mancanti segnava che erano al 33° su 57, e Pietro non riusciva a non domandarsi se sarebbe riuscito a restare sveglio fino alla fine. Non riusciva a distinguere le macchine tra loro, anche se alcune livree spiccavano per colori vivaci e differenti, né sapeva nulla sui piloti. Gli sembravano solo una lunga fila di macchine molto simili tra loro che ripetevano lo stesso tracciato a ripetizione, senza un reale obiettivo. Si tenne però quella riflessione per sé: aveva come l’impressione che Fernando non sarebbe stato per niente d’accordo.
-Per ora- sottolineò infatti lui – Il bello, e anche il brutto, della Formula 1 è proprio questo: un giro prima va tutto alla grande, e magari al giro dopo il pilota che tifi è fuori dai giochi-.
Senza staccare gli occhi dalla tv allungò una mano verso i popcorn, afferrandone una manciata.
-Potrebbe essere una grande metafora della vita, se ci pensi-.
Pietro su quel punto poteva anche essere d’accordo, invece. Se doveva pensare alla sua, di vita, quella similitudine sarebbe stata senz’altro calzante.
Aveva tenuto aggiornato Fernando sugli ultimi eventi solo per messaggio, visto che la settimana prima era stato impossibilitato a trovare una sera in cui potersi vedere di persona. Sapeva che, molto probabilmente, avendo ancora diverse ore libere davanti a loro ne avrebbero parlato più tardi, e che si sarebbe dovuto preparare alle riflessioni di Fernando sulla scoperta di sua madre convinta che lui ed Alessio stessero insieme, o sulla reazione avuta da Alessio alla notizia della sua prossima convivenza con Giada. Per messaggio non si era sbilanciato più di tanto su quell’ultimo argomento, ma era probabile che fosse solo perché aveva tutta l’intenzione di farlo quella sera stessa, dal vivo.
E a Pietro andava bene così, in fin dei conti: aveva iniziato a voler frequentare più spesso Fernando proprio perché lui era l’unica persona che potesse capirlo appieno, ancor più di Alberto che, per quanto fosse stato un buon amico e l’avesse ascoltato senza pregiudizi, non avrebbe mai saputo cosa significasse essere gay e non riuscire ad accettarsi.
Trovare Fernando era stato completamente inaspettato, e all’inizio nemmeno voleva avere a che fare con lui, ma ora, a distanza di quasi due mesi, si rendeva conto che incontrarlo era stata una vera manna dal cielo.
Si voltò verso di lui quando lo sentì brontolare sottovoce, di certo poco entusiasta di qualcosa.
-Tifi Ferrari?- gli chiese distrattamente, solo perché il silenzio aveva cominciato ad infastidirlo. La Ferrari era l’unica scuderia che gli fosse venuta in mente, forse perché era quella più famosa e l’unica riconoscibile tra le tante in pista, con le sue due macchine dalle livree rosse che, a quanto ricordava, erano partite dalle prime posizioni.
Fernando acuì lo sguardo:
-Non esattamente-.
-Non c’è qualche pilota spagnolo?- riprovò Pietro. Per quel che sapeva lui, i piloti in pista potevano anche essere tutti spagnoli.
-Ci sono Alonso e Sainz [1]- gli rispose Fernando, voltandosi a guardarlo per la prima volta da quando il GP aveva avuto inizio – Ma non è che devo tifare per forza loro solo perché sono spagnolo anch’io-.
Pietro annuì, tornando a guardare lo schermo. Ora il conteggio dei giri ne segnava 36, e la regia seguì una macchina rossa – inequivocabilmente una Ferrari, la numero 7- entrare in quella che, da quel che aveva capito, dovevano essere la pit lane [2]. L’attenzione di Fernando tornò di nuovo a concentrarsi sulla gara, in evidente agitazione.
-Adesso zitto, che qua se va male … -.
I meccanici fermi ai box si stavano apprestando al cambio gomme, ma prima ancora che Pietro potesse commentare dicendo che era andato tutto bene e poteva tornare a rilassarsi – almeno relativamente-, vide la macchina partire prima che l’ultimo meccanico si allontanasse, trascinandolo con sé e facendolo atterrare brutalmente sull’asfalto.
-Coño!- urlò Fernando e, senza sapere minimamente lo spagnolo, Pietro seppe che quella doveva essere senz’altro un’imprecazione non molto entusiasta.
Fernando si buttò sullo schienale, come se fosse stato drenato di ogni energia, le mani al viso e gli occhi alzati al cielo.
-La solita fortuna di Kimi [3]- lo sentì mormorare Pietro, che riuscì a malapena a trattenere le risate nel vederlo così in crisi:
-Qualcosa mi dice che tifi lui-.
Per tutta risposta, Fernando tirò un sospiro estremamente profondo:
-Essere raikkoniano da anni ti prepara a qualsiasi genere di delusione. Sono tremendamente allenato a prospettare sfiga in qualsiasi occasione-.
Pietro dovette fare uno sforzo immane per non scoppiargli a ridere in faccia.
-Cazzo, un podio buttato nel cesso- si lamentò ancora Fernando, che però riuscì a rialzarsi e tornare a guardare lo schermo della tv, dove ora si vedeva la Ferrari ferma, le ruote fumanti, a pochi metri dal punto del disastro. Pietro immaginava che la gara di Raikkonen non sarebbe proseguita oltre.
-Il meccanico credo se la stia passando peggio- commentò.
-Probabile- convenne Fernando – Bella gara del cazzo-.
 
*
 
I hope that I can say the things I wish I’d said
To sing my soul to sleep and take me back to bed
Who wants to be alone when we can feel alive instead
 
Il malumore per la gara non era durato molto oltre, o forse la proposta che gli aveva fatto Fernando era stata un modo proprio per curare la delusione dovuta al Gran Premio. Pietro non ne aveva idea, ma il risultato poco cambiava: erano comunque usciti di casa, avevano raggiunto il grande parcheggio che vi era vicino alla stazione di Santa Lucia, e avevano recuperato l’auto di Fernando, per poi partire in direzione di Jesolo. Aveva tentato più volte di farsi dire cosa diavolo avrebbero dovuto andare a fare a Jesolo ad inizio aprile, ma Fernando l’aveva guardato tutte le volte con un sorrisetto stampato in viso, e quella era stata l’unica risposta che Pietro aveva ottenuto.
Era ovviamente rimasto sorpreso – e perplesso- quando si erano ritrovati di fronte all’entrata di un luna park, dopo poco meno di un’ora di strada percorsa.
Era ancora confuso da quel cambio di scenario quando ormai stavano finendo di cenare, con due hot dog presi da una bancarella nelle vicinanze, seduti fianco a fianco su una panchina nella zona più vicina all’entrata del luna park.
-Avevi progettato di venire fin qui da sempre, o è stata un’improvvisazione?- gli chiese Pietro, addentando il suo hot dog. La sera era già calata, ma non faceva più così freddo come poche settimane prima, motivo per il quale non era un problema mangiare all’aperto.
-Entrambe le cose, direi- fece Fernando, dopo qualche secondo – Volevo portartici, ma non avevo progettato quando. Stasera sembrava una buona opzione-.
In effetti lo era, pensò Pietro. Non aveva un orario di rientro preciso a casa, motivo per il quale non era stato un problema prolungare l’incontro con Fernando, e non aveva altre ragioni per andarsene da dove si trovava. E poi dovevano ancora parlare sul serio: nemmeno durante il viaggio in auto era riuscito a racimolare sufficiente coraggio, e quindi si era limitato a qualche conversazione leggera, e ad ascoltare Fernando che canticchiava le canzoni che passavano in radio.
-Era da troppo tempo che non mangiavo questo tipo di schifezze- Fernando lo disse con voce piena di soddisfazione, dopo aver addentato il suo hot dog quasi finito, ed alzando gli occhi al cielo per la beatitudine – Adesso sono davvero soddisfatto-.
Pietro rise debolmente:
-Mi vuoi far credere che non sei andato in qualche fast food anche la settimana scorsa?-.
-Ehi, ci tengo a mangiare sano. Sennò non sarei così guapo- fece Fernando, con tale serietà che Pietro capì che non era per niente serio – Ci vuole una certa manutenzione per rimanere sempre a questo livello-.
Pietro si limitò a scuotere la testa, come se avesse appena ascoltato la cosa più assurda di sempre. Con la coda dell’occhio, però, sbirciò davvero Fernando: non aveva idea se facesse anche palestra, ma aveva un fisico tonico, seppur non particolarmente muscoloso, ed era decisamente in buona forma. Ma era altrettanto probabile che sarebbe stato attraente anche con qualche chilo in più.
-Hai della maionese lì- gli mormorò, indicandogli l’angolo sinistro della bocca. Avvertirlo era un po’ come ammettere che lo aveva appena osservato, ma sarebbe stato un po’ sgarbato lasciarlo andare in giro in quello stato.
-Dove? Qui?-.
-No, più in qua-.
Fernando mosse ancora la mano, ma di nuovo non nel punto giusto:
-Qui?-.
-Aspetta, ci penso io- replicò Pietro, e prima di fermarsi a ragionare semplicemente allungò una mano, arrivando con le dita a sfiorare quella parte del viso di Fernando pericolosamente vicino alle sue labbra. Mentre toglieva quel residuo di maionese cercò di non pensare al gesto intimo che aveva appena compiuto.
-Fatto- disse frettolosamente, ritraendo la mano.
Sapeva di essere arrossito, ma Fernando non sembrò turbato:
-Oh, grazie-.
Pietro distolse lo sguardo subito, tornando a mordere il suo hot dog come se nulla fosse stato. Non erano più capitate situazioni a contatto ravvicinato con Fernando, non dopo la prima cena a casa sua e al bacio che c’era stato tra loro poco prima che se ne andasse. Non si era nemmeno più soffermato a pensarci, almeno fino a quel momento, in cui i suoi occhi si erano bloccati sulle labbra di Fernando, piene e morbide. Era una sensazione completamente diversa da quella di brama e desiderio che provava quando pensava ad Alessio, ma non poteva nemmeno negare a se stesso di esserne del tutto indifferente.
-Allora, che mi dici di tua madre? Non mi hai accennato molto finora-.
Fernando aveva spezzato quel silenzio d’imbarazzo dopo un po’. Pietro non capì se l’avesse fatto solo per toglierli da quella situazione vagamente scomoda, o anche per reale curiosità. Forse, semplicemente, se non ci fosse stato quel momento di disagio glielo avrebbe chiesto più tardi con calma, una volta finito di cenare.
-Ho capito solo che eri mezzo sconvolto- aggiunse, con nonchalance.
Pietro si sentì la gola ancora più chiusa:
-Sì, ecco … - si schiarì la voce, insicuro su cosa dire. Era vero che aveva solo accennato alla cosa a Fernando fino a quel momento, senza entrare nei particolari se non lasciando presupporre dalle parole che aveva usato nei messaggi che gli aveva inviato una situazione piuttosto inaspettata.
-In soldoni, diciamo che non è molto convinta della mia relazione con Giada- si costrinse a dire – Non per Giada in sé, ma perché crede che io non sia molto felice-.
-Tua madre è perspicace- fu la risposta fulminea di Fernando, che si guadagnò un’occhiata confusa – Dico sul serio: ha capito tutto solo guardandoti. Anche perché immagino che tu non abbia assolutamente aperto bocca in proposito-.
Fernando cominciava a conoscerlo un po’ troppo bene, molto più rispetto a quanto Pietro fosse in grado di ammettere.
-Quella era la cosa meno scioccante, comunque- disse, dopo qualche secondo di esitazione – A quanto pare credeva che io e Alessio stessimo insieme-.
Per i primi secondi non accadde nulla: nessuna risposta, nessun commento da parte di Fernando. Solo quando Pietro si costrinse a girarsi verso di lui, disorientato, si rese conto che aveva il viso contratto. E poi, dopo un altro secondo, Fernando gli scoppiò a ridere fragorosamente in faccia.
Nemmeno l’occhiataccia che gli rifilò Pietro bastò per farlo smettere subito.
-No, ecco … - Fernando era ancora senza fiato quando cominciò a parlare – Tua madre ha davvero capito molto-.
“Un po’ troppo”.
Pietro sospirò a fondo, la fame che ormai se n’era del tutto andata, non tanto per la reazione di Fernando, ma al ricordo delle parole di sua madre. Erano passati già diversi giorni, e continuava a ricordare quel momento come uno degli eventi più complicati da gestire degli ultimi anni.
-Dovresti esserne contento, però: vuol dire che ti conosce bene, e che ti comprende anche senza che tu dica nulla-.
Pietro sbuffò:
-È stato imbarazzante-.
Fernando non demorse:
-Cosa le hai detto?-.
-Sono andato nel panico e le ho detto che era impossibile perché non sono gay- Pietro si strinse nelle spalle, un po’ vergognandosi di quel che stava riportando – Credi che sappia che è una bugia?-.
“Potrebbe sempre pensare che mi piacciano sia le ragazze che i ragazzi” si ritrovò a pensare, come spesso era capitato nei giorni che erano seguiti dopo quello scambio con sua madre. Non aveva ancora capito se quell’ipotesi lo consolasse o lo facesse ancor più sprofondare.
-Non lo so- rispose Fernando dopo qualche secondo, con sincerità – Magari potrebbe pensare che ancora non l’hai capito … O che l’hai capito e non te la sentivi di fare coming out. E questa sarebbe anche l’interpretazione più corretta-.
A Pietro venne voglia di piangere.
-Però hai avuto la conferma che se dovessi fare coming out, molto probabilmente tua madre non ne farebbe un dramma- mormorò Fernando – Come dovrebbe essere, d’altro canto-.
Pietro annuì poco convinto. Sì, forse sua madre non avrebbe reagito male, ma dall’avere un dubbio alla certezza ci passava di mezzo un oceano intero. E se l’avesse vista delusa, dopo averglielo detto? Come si sarebbe sentito?
Forse, tra tutte le persone che aveva intorno, i suoi amici più stretti erano quelli più probabili sul fatto che non avrebbero avuto problemi con un suo coming out come ragazzo gay. Non avevano mai discriminato Alessio in alcun modo, e non gli sembrava che nemmeno con Fernando ci fossero problemi … Ma se ne avessero avuti con lui? D’altro canto, se lui per primo non riusciva a farsene una ragione, non vedeva come mai avrebbero dovuto farsene una gli altri.
-Lei è solo una delle tantissime persone a cui dovrei dirlo, però-.
-Tantissime persone?- Fernando lo guardò un po’ perplesso – Puoi dirlo a chi ti pare, Pietro. Mica devi attaccare i manifesti ai muri per dire al mondo intero che sei gay, se non ti va-.
Prima che potesse rispondere qualsiasi cosa – e probabilmente non sarebbe riuscito a farlo, visto quanto gli si era chiusa la gola, tanto da non riuscire nemmeno a proseguire a mangiare-, Fernando si spostò lungo la panchina, avvicinandoglisi. Non fece nulla: non lo toccò, non lo sfiorò nemmeno, limitandosi a restargli seduto accanto. A Pietro bastò per calmarsi almeno un po’.
-Sarà bello quando un giorno potremo tutti vivere la nostra sessualità senza queste pare e queste paure- sussurrò Fernando, come se oltre a lui lo stesse dicendo anche a se stesso – Forse quel giorno arriverà, prima o poi-.
In quel momento, forse per la prima volta da quando lo conosceva, Pietro si rese conto che anche Fernando non doveva sentirsi del tutto libero. Era vero che lui non aveva più una doppia vita e che non si nascondeva dietro certe bugie, ma gli sembrò come se anche lui si tenesse dentro certe cose che lo ferivano.
Erano così simili che pensò ancora che era stato fortunato ad incontrarlo. Ora che Alberto era all’estero a lavorare, così lontano e impossibile da rivedere a breve, sentiva come di aver trovato rifugio in Fernando. Ed era, immancabilmente, un rifugio più famigliare, perché per quanto diversi lui e Fernando erano molto più simili di quanto si sarebbe mai aspettato. E anche lui la pensava allo stesso suo modo: sarebbe stato bello quando, finalmente, nessuno si sarebbe più dovuto tenere dentro una parte di sé così importante.
 


-Con Alessio ci hai più parlato?-.
Quella domanda a bruciapelo sorprese Pietro non poco. Erano su uno dei sedili della ruota panoramica del parco, che girava lentamente e stava per raggiungere il punto più alto del suo tragitto circolare. Tra tutti i momenti in cui si sarebbe potuto aspettare quella domanda, di certo Pietro non avrebbe messo la mano sul fuoco per quello.
-In generale o della convivenza con Giada?- chiese, un po’ per prendere tempo e un po’ per reale dubbio.
-Entrambe le cose- rispose Fernando, scrollando le spalle – Anche se visto come vi siete lasciati l’ultima volta, ne dubito-.
Pietro schioccò la lingua:
-Hai intuito bene-.
Era vero che lui ed Alessio non si erano più parlati dal giorno in cui aveva ospitato il pranzo tra amici a casa, ma era altrettanto vero che non aveva nemmeno avuto occasioni per incontrarlo. Era piuttosto probabile che anche se avessero incrociato le loro strade non si sarebbero parlati, ma con Alessio non poteva mai dirsi sicuro di niente.
-La detesta proprio, eh?-.
“Dovresti vedere quanto gli sei simpatico pure tu”.
-Crede che lei se ne sia sempre approfittata- si limitò a dire Pietro, guardandosi attorno, più per evitare lo sguardo di Fernando che per reale interesse nel paesaggio che circondava il luna park. Non si vedeva ormai granché, a parte le luci delle altre giostre, con i loro colori fluorescenti, e più in là le luci accese nelle abitazioni.
Fernando sembrò mugugnare debolmente, e Pietro se lo immaginò mentre annuiva tra sé e sé, preso dai suoi stessi pensieri.
-Non pensi mai che possa essere geloso?-.
Quella domanda lo mise in difficoltà. Ricordava perfettamente la reazione che aveva avuto Alessio quando avevano parlato di Fernando stesso il giorno del compleanno di Caterina. Pietro si era domandato se fosse gelosia quella che aveva fatto comparsa nel tono risentito della voce di Alessio, e nelle sue parole pungenti.
-Anche se lo fosse? Tanto lui sta ancora con la sua ragazza- Pietro lo disse un po’ troppo seccamente, ma non gliene importò – Non ne ha il diritto-.
-A volte non si è troppo razionali-.
Pietro avrebbe invece detto l’esatto contrario: Alessio era fin troppo razionale, fin troppo calcolatore in ciò che più gli conveniva e ciò che lo avrebbe potuto ostacolare. Era sempre stato così, o almeno da dopo tutto ciò che era successo con suo padre. Era piuttosto sicuro che fosse un suo meccanismo di difesa, un mero mezzo per proteggersi, ma non poteva fare a meno di pensare che detestava quel lato di Alessio.
Di colpo la ruota panoramica si bloccò, proprio quando il sedile suo e di Fernando aveva raggiunto il punto più alto della circonferenza da compiere. Non che il moto della ruota fosse mai stato particolarmente veloce, ma ora erano del tutto fermi.
-Che cazzo sta succedendo?- si fece sfuggire Pietro, guardingo.
Avvertì il vociare delle altre persone sugli altri sedili, porsi la sua stessa identica domanda, e fu allora che capì che quell’essere fermi non era in programma.
-Forse siamo bloccati- provò a suggerire Fernando.
Pietro si girò verso di lui di scatto:
-Cosa?-.
Non soffriva di vertigini, o almeno non così tanto da rischiare di avere un attacco di panico, ma non era comunque un grande fan dell’altezza. Soprattutto, non poteva dirsi entusiasta di rimanere bloccato lì per non si sa quanto tempo ancora.
Avvertì il proprio respiro farsi accelerato, e cercò di controllarsi il più possibile.
-Sì, vedrai che sistemeranno tra poco- disse Fernando, che non sembrava per niente turbato. Pietro, invece, avrebbe volentieri urlato per la frustrazione:
-Cazzo! Ci mancava solo questa-.
Pietro si guardò intorno, sperando di percepire un lento movimento della ruota. Erano ancora immobili.
Si portò una mano sul viso, ma prima che potesse dire qualsiasi altra cosa si accorse del braccio con cui Fernando ora gli stava cingendo le spalle.
-Su, vieni qua, fatti consolare-.
Lo strinse verso di sé, e sebbene quell’improvvisa vicinanza ebbe il potere di farlo arrossire – da quel punto di vista era più che felice che fosse buio, ormai-, Pietro non si divincolò. Lasciò che Fernando lo facesse accoccolare contro di sé, il braccio ancora intorno alle sue spalle, il suo profumo ora decisamente più percepibile.
-Sai di zucchero filato-.
Era già il secondo momento, durante quella serata, in cui si ritrovava così vicino a Fernando. La prima, in cui gli si era avvinghiato addosso unicamente per colpa sua, era stata nella giostra degli orrori. A circa metà percorso da un angolo buio era sbucata fuori una mummia così tremendamente spaventosa che, un po’ per la sorpresa e un po’ per l’atmosfera, aveva spinto Pietro letteralmente tra le braccia di Fernando. Che aveva commentato con un “Non pensavo fossi così simile ad un koala” che lo aveva fatto letteralmente sprofondare nell’imbarazzo. Non era riuscito a guardarlo in faccia, ma era piuttosto sicuro che in quel momento Fernando avesse avuto stampato in viso un sorriso a metà tra il soddisfatto e il malizioso.
In quel momento, invece, stava semplicemente sorridendo. Si azzardò a guardarlo un po’ meglio, e gli sembrò – ma non ne fu del tutto sicuro- che anche le sue gote avessero assunto una colorazione rosata.
-Sai perfettamente che l’ho mangiato prima di salire qui- mormorò Fernando, che però rise sommessamente – È un modo intricato per dirmi che ho un buon odore?-.
“E il tuo un modo non troppo implicito di provarci?”.
Pietro non dette voce a quelle parole. Si limitò a lanciargli un’occhiataccia, che lo fece ridere ancora di più.
-Va bene! Ti ringrazio, Pietro, la mia autostima ne esce decisamente rafforzata-.
Stavolta alla risata vi si unì anche Pietro, scuotendo il capo:
-Ma smettila-.
E nonostante nei primi secondi avesse comunque avvertito il bisogno di mettere qualche centimetro di più tra lui e Fernando, quella sensazione svanì poco a poco.
 
Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul
Because we need each other
We believe in one another
I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul
What's sleepin' in our soul*



 
[1] Fernando Alonso (nel 2018 pilota per la McLaren) e Carlos Sainz Jr (all'epoca pilota per la Renault) sono, appunto, due piloti spagnoli di F1.
[2] La gara che Fernando e Pietro stanno guardando è il GP del Bahrain del 2018, di cui potete trovare un riassunto cliccando qui
Al minuto 4.36 troverete esattamente il punto descritto nel capitolo (e la ragione per cui Fernando rimane così deluso da questa gara 😂)
[3] Kimi Raikkonen, pilota finlandese che nel 2018 gareggiava per la Ferrari.
 
*il copyright della canzone (Oasis - "Acquiesce") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
... Sappiate che, dopo la scena della gara, avete sufficienti elementi per capire da dove deriva il nostro nickname #sapevatelo 😂 E sappiate anche che le reazioni di Fernando alla gara andata male sono totalmente credibili, e anzi ... Decisamente ispirate alle sottoscritte (ve lo può assicurare la nostra Greyjoy).
A parte gli scherzi, nuovo capitolo e parecchie novità da commentare!
Diciamo che ci siamo prese qualche licenza poetica, e nella realtà all'interno della narrazione il mondo del lavoro in Italia non fa così schifo come nella realtà nostra di tutti i giorni (regaliamoci qualche gioia ogni tanto) ... Ed è per questo motivo che Giulia può trovare un lavoro decente in poco tempo 😂
La vediamo qui quasi arrivata al colloquio vero e proprio, con qualche caduta lungo il tragitto... Ma la nostra Giulia è una tipa tosta, quindi nemmeno un paio di tacchi possono fermarla! Riuscirà ad ottenere quel lavoro? Giulia riuscirà a vedere i propri progetti andare a buon file o sarà solo una delusione?
E poi passiamo a Pietro, che nel giro di un paio di settimane prima dà la notizia ai suoi amici dell’imminente convivenza con Giada (per la gioia di qualcuno in particolare), e poi la porta a conoscere la sua famiglia. E questa giornata in particolare è decisamente intensa, ed è in questo frangente che si svolge il dialogo con Alessandra, che si dimostra una donna dotata di ottime capacità di osservazione. "La mamma è sempre la mamma" sembra quindi un'espressione azzeccata da associare a una donna che ci ha visto  lungo sul proprio figlio, nonostante le continue negazioni da parte di Pietro … Forse un giorno riuscirà ad aprirsi ed essere sincero anche con lei.
E per finire, ritroviamo il nostro golden duo del momento: il legame tra Pietro e Fernando si sta facendo sempre più stretto, tant’è che Pietro, ormai, lo considera a tutti gli effetti un confidente e una persona di cui si fida, confessandogli tutti i dubbi e le paure legate alla sua vita. 
E poi, a quanto pare, sembrerebbe esserci una certa tensione tra di loro 👀
Come si evolverà ulteriormente il loro rapporto? E soprattutto, Pietro riuscirà a risolvere qualche suo conflitto interiore e pure qualche problema tra i tanti di cui è costellata la sua vita attuale?
Lo scopriremo solo andando avanti, e perciò ci rivedremo mercoledì 3 agosto con l'inizio di un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 - Good goodbye ***


CAPITOLO 26 - GOOD GOODBYE



 
Giulia si stravaccò sul divano, stanca morta e sudata. Se avesse chiuso gli occhi, lì sul morbido divano del suo salotto, sarebbe finita sicuramente per addormentarsi; si sforzò di non cadere nel sonno tentatore. Doveva fare ancora un sacco di cose, prima di potersi mettere tranquilla: farsi una bella doccia per lavare via il sudore che le imperlava la pelle, scegliere dei vestiti freschi da indossare, ed iniziare a preparare la cena.
Non sapeva esattamente che ore fossero – anche se a giudicare dalla luce solare aranciata che entrava dalla finestra, dovevano essere circa le sei passate-, ma sperava perlomeno le restasse un tempo sufficiente per fare quelle ultime cose che le mancavano all’appello. Auspicava anche che Filippo si sbrigasse a finire la sua doccia: sentiva ancora lo scroscio dell’acqua provenire dal bagno, segno che non aveva ancora finito.
Aveva passato la giornata a riassettare l’appartamento e a studiarsi un menu per la cena di quella sera. Sua sorella Ilaria e Fabio sarebbero giunti lì presto, per una serata unicamente tra fratelli.
Una serata tra fratelli che Giulia sperava andasse bene, e con un intento ben preciso.
Non doveva mancare molto al loro arrivo, e l’acqua della doccia ora aveva smesso di scrosciare, indicando che probabilmente Filippo aveva finito. Nonostante questo, Giulia non riuscì a trovare la forza per alzarsi da lì.
Aveva cominciato giusto da pochi giorni il nuovo lavoro, dopo aver aspettato un po’ di tempo l’esito del colloquio all’agenzia di viaggi. A quanto pareva era andato bene, visto che l’avevano assunta, e adesso, da qualche giorno in quella fine di maggio, poteva finalmente dirsi attiva.
I giorni passati li aveva trascorsi sotto il sole cocente, a camminare per ore e a parlare in inglese a gruppetti di turisti. Alla fine era giunta a quel sabato sera senza sentirsi nemmeno le gambe. La sera prima lei e Filippo avevano festeggiato il loro settimo anniversario in casa, e Giulia non aveva potuto fare a meno di addormentarsi già alle dieci di sera.
In ogni caso, non si era fermata né riposata nemmeno quel giorno, ed era anche per quello che, in quel momento, stesa su quel divano, il sonno stava quasi per sovrastarla. Giulia si ridestò appena in tempo, e quasi rimase sorpresa nel rendersi conto che nemmeno l’ansia per l’arrivo di Fabio ed Ilaria riusciva a mitigare la sua stanchezza fisica.
Sapeva che avrebbe dovuto rallentare un attimo i ritmi, ma le sembrava impossibile: tra il nuovo lavoro, l’imminente laurea di Filippo, e i preparativi del matrimonio tutte le sue energie sembravano essere semplicemente prosciugate.
Si mise a pensare alla sensazione dell’acqua tiepida della doccia che si sarebbe fatta di lì a poco, pregustando già la freschezza e il sollievo temporaneo che le avrebbe donato. Dovette però risvegliarsi piuttosto violentemente da quell’immagine ristoratrice, quando si rese conto che qualcuno aveva appena suonato al citofono.
Giulia afferrò nel panico più totale il cellulare dalla tasca dei jeans: erano già le sette, quando lei era rimasta convinta fino a quel momento che fossero solo le sei e mezza. Aveva perso completamente la cognizione del tempo.
Si alzò di scatto, già immaginandosi le facce divertite di Ilaria e Fabio nel trovare lei e Filippo ancora indietrissimo con i preparativi. Probabilmente lo avrebbero capito sin da quando Giulia avrebbe aperto loro la porta d’ingresso completamente spettinata e sudata, in completo disordine.
Avanzò a lunghi passi, fermandosi davanti al bagno prima di avanzare verso l’ingresso. Aprì la porta di scatto, e ignorò del tutto il fatto che Filippo fosse ancora mezzo nudo:
-Cerca di muoverti, sono già qui e noi siamo in maledetto ritardo!-.
-Già qui? Stai scherzando, spero!- esclamò con voce stridula Filippo, voltandosi verso di lei con occhi sgranati. Giulia aveva già proseguito il suo cammino, senza nemmeno ribattere. Quando si ritrovò nell’ingresso, fece un profondo respiro, prima di sollevare la cornetta del citofono e farsi sfuggire un fintamente allegro “Sì?”.
-Aprici, che qua fuori fa un caldo terribile!-.
Giulia chiuse per un attimo gli occhi, le voci in sincrono di sua sorella e di Fabio che le ronzavano ancora nelle orecchie. Tirò un altro sospiro prolungato: per come era iniziata la serata, non osava immaginare come sarebbe potuta concludersi.
 


Giulia era finita per fare tutto di corsa, mentre Filippo intratteneva Ilaria e Fabio nel piccolo salotto dell’appartamento. Si era fatta una doccia il più in fretta possibile, e poi si era fiondata a cercare dei vestiti puliti nell’armadio della camera.
Dopo essersi data una pettinata e una leggera passata di trucco, era tornata in cucina, senza ancora idee ben chiare su cosa cucinare. Filippo aveva fatto la spesa giusto il giorno prima, ma si erano completamente dimenticati di comprare ingredienti per piatti particolari.
Alla fine, tutti riuniti al tavolo della cucina dopo il richiamo di Giulia, erano arrivati alla decisione collettiva e democratica di ordinare delle pizze. Giulia, con ancora le gambe gonfie e doloranti, e la schiena a pezzi, non credeva di essere mai stata più felice nello scoprire di non dover passare ulteriore tempo in piedi davanti ai fornelli. Allo stesso tempo aveva evitato di rischiare di far prendere fuoco all’intero palazzo lasciando Filippo a cucinare. Non poteva che dirsi soddisfatta del risultato.
Alle otto erano finalmente arrivate le loro pizze, e la cena aveva avuto ufficialmente inizio. Giulia aveva appena finito la sua ultima fetta di pizza, quando Ilaria aveva iniziato a parlare, dopo alcuni minuti di silenzio:
-Come vanno i preparativi?-.
Al solo sentire parlare del matrimonio, Giulia dovette trattenersi per non roteare gli occhi al cielo.
-Male- iniziò a dire, per venire subito interrotta da un’occhiata fulminante di Filippo, che subito dopo iniziò a parlarle sopra:
-Benissimo! Abbiamo la data del matrimonio: 25 agosto- annunciò, quasi emozionato nel dire a qualcun altro per la prima volta la data prefissata – Molto presto stamperemo e invieremo gli inviti. Poi penseremo anche ai documenti: le pubblicazioni, la richiesta per celebrare il matrimonio a Verona … -.
-Dobbiamo anche confermare il posto per il rinfresco. O meglio, per la cena- aggiunse Giulia. Tirò un sospiro profondo. Elencare quel che rimaneva da fare le metteva un’ansia assurda: le sembrava mancasse pochissimo tempo, ormai, per decidere anche quelle ultime cose.
Almeno per il vestito la questione sembrava essere chiusa. Giulia aveva scovato un negozio ben rifornito a Mestre di abiti da sposa che si potevano affittare a prezzi non esosi, e di lì a qualche giorno avrebbe dovuto passare dal negozio per prendere le ultime misure, e vedere cosa c’era da modificare.
-Vi faremo sapere presto anche per quella- confermò Filippo, sorridente. Giulia sapeva che tutta quella sicurezza era solo una facciata: la realtà era che, tra matrimonio e laurea imminenti, Filippo stava ormai rischiando un esaurimento nervoso.
-Siete molto più preparati di me ed Aurora, e pensare che abbiamo deciso di sposarci prima di voi- rise Fabio, prendendo un sorso di birra dal suo bicchiere.
-È una concorrenza spietata, fratello- annuì Filippo, con aria solenne.
A Giulia venne da ridere: probabilmente Fabio aveva preso quella frase come uno scherzo, ma la realtà era che, in fondo, Filippo aveva seriamente intenzione di organizzare un matrimonio migliore di quello del fratello. Giulia dubitava fortemente della possibilità remota che questo accadesse – non era certo possibile organizzare qualcosa di estremamente grandioso con le loro finanze attuali-, ma per il momento non aveva intenzione di farlo troppo presente a Filippo e spezzare così tutte le sue manie di grandezza.
Pochi minuti dopo Filippo si alzò per buttare via i cartoni vuoti delle pizze, e portare in tavola la torta che lui e Giulia avevano ordinato nella pasticceria vicino casa giusto qualche giorno prima. Una cheesecake ai frutti di bosco, dolce che ormai, irrimediabilmente, Giulia associava alla proposta di matrimonio di Filippo.
-In pratica l’unica cosa che vi rimane da pensare è la questione testimoni- aggiunse Ilaria, dopo che Filippo aveva tagliato e distribuito le varie fette, ed essersi riseduto a tavola.
Lui e Giulia si scambiarono uno sguardo fugace, che probabilmente sfuggì sia ad Ilaria che a Fabio:
-In realtà ci abbiamo pensato- iniziò Giulia, cercando di mantenere la voce calma.
-Esattamente- convenne Filippo, ora meno sorridente rispetto a prima.
Fabio ed Ilaria rivolsero ad entrambi uno sguardo perplesso, come in attesa che uno tra Giulia e Filippo si decidesse a dare ulteriori spiegazioni. Delucidazioni che però non arrivarono.
-Che avete deciso?- cercò di spronarli Fabio, lasciandosi andare ad una risata incerta.
Giulia scoccò un’occhiata veloce a Filippo, come a chiedergli attraverso il solo sguardo se si sentisse pronto per fare il passo successivo. Il problema era che nemmeno lei era del tutto pronta a compierlo.
-Beh, forse a questo punto dovrebbe sorgervi il dubbio- cominciò, dopo essersi rumorosamente schiarita la voce.
Filippo aveva ricambiato il suo sguardo con un impercettibile cenno, a conferma che era giunto il momento di spiegare maggiormente il perché di quella cena tra loro quattro:
-Infatti. Non notate nulla di strano?-.
Fabio ed Ilaria assunsero un’espressione ancor più confusa, guardandosi tra di loro, prima di portare gli occhi disorientati verso Giulia e Filippo.
-Esattamente cosa dovremmo notare?- domandò Fabio, allargando le braccia.
-Che ci siete solo voi due con noi, stasera- rispose subito Filippo, arrossendo. Quell’ulteriore indizio non sembrò sortire alcun effetto, perché né Fabio né Ilaria dissero alto. Calò un silenzio imbarazzato, durante il quale Giulia si sentì ancor più in difficoltà. Fu con un sospiro profondo che prese la parola, cercando di non mangiarsi le parole dall’agitazione:
-Vi abbiamo chiesto di venire qui da soli proprio per la questione dei testimoni- iniziò a spiegare, gesticolando nervosamente – Ci stavamo pensando da tempo, e siamo convenuti sul fatto che … -.
-Che voi due sareste perfetti per l’occasione- concluse Filippo, alzando le spalle come se fosse ovvia come cosa – Insomma, non volevamo fare un torto a nessuno dei nostri amici scegliendo solo alcuni di loro, e poi voi due eravate due candidati ottimi per questo compito-.
-E io che pensavo che i testimoni venissero scelti per l’importanza che ricoprono nella vita degli sposi- lo prese in giro Fabio, prima di allungare una pacca affettuosa sul braccio del fratello minore.
-Era sottinteso- borbottò imbarazzato Filippo, abbassando il viso verso la sua fetta di cheesecake. Giulia si trattenne a stento dal ridere: lei e Filippo avevano provato a pensare a mille modi per poter chiedere ai loro fratelli se volevano fare da testimoni. Alla fine ogni preparativo non era valso a nulla: erano andati completamente a braccio, senza troppe premesse e discorsi complicati. In fin dei conti, era stato meglio così.
-Ma quindi avete scelto solo noi come testimoni? Nessun altro?- domandò ancora Ilaria, il cucchiaino in mano poco distante dalle labbra.
-Già. Tu per me, e Fabio per Filippo. Saremmo davvero molto contenti se accettaste- le rispose Giulia, semplicemente. Lei e Filippo avevano pensato a lungo a chi scegliere: avevano scartato Caterina e Nicola per non doverli costringere ad essere presenti per forza e dover lasciare Francesco dai nonni, se ci fossero stati imprevisti dell’ultimo minuto; Filippo aveva lasciato perdere Pietro nel momento in cui si era reso conto che si sarebbe sentito troppo in colpa verso Nicola per non aver scelto anche lui. Solo per pochi attimi Giulia era rimasta con il pensiero ad Alessio, per poi dirsi che lui non era esattamente l’esempio migliore in fatto di matrimoni e che probabilmente si sarebbe sentito a disagio ad avere un ruolo simile.
-Ovvio che non accettiamo!- esclamò Fabio, rischiando di far soffocare Filippo, che proprio in quel momento stava cercando di bere un sorso di birra – A meno che non ci riserviate una bella fetta di dolce al matrimonio-.
-Molto grande, mi raccomando- convenne Ilaria, ridendo.
Filippo riprese fiato a fatica, e si ritrovò a rispondere con voce roca e il respiro ancora irregolare:
-Credo che potremmo anche fare questo sacrificio-.
-Anche se dovete essere consapevoli che le vostre fette saranno comunque meno belle delle mie- aggiunse Giulia, con fare che non ammetteva alcuna replica.
Fabio annuì accondiscendente:
-Sei la sposa, in questo caso mi pare un accordo onesto-.
Compiaciuta, e finalmente tranquilla, Giulia sorrise sia a Fabio che ad Ilaria. Nelle ultime settimane si era immaginata spesso quel momento: aveva sempre pensato che si sarebbe sentita nervosa, come in effetti era stato, e che per qualunque motivo uno dei due non avrebbe accettato di ricoprire un ruolo così importante. Era stato un tarlo che l’aveva accompagnata fino a quel momento, ma che per una volta si era rivelato infondato.
-Quindi siete i nostri testimoni?- domandò ancora Filippo, come se fosse ancora incredulo delle risposte ricevute.
-Sì, direi di sì- gli rispose gentilmente Ilaria.
Giulia posò delicatamente una mano sul braccio di Filippo, come a tranquillizzare sia lui che se stessa:
-Te l’avevo detto che non servivano discorsi articolati e strappalacrime per chiederlo-.
-Anche perché con tutta questa agitazione non ci sarei mai riuscito- mormorò in tutta risposta lui, roteando gli occhi verso l’alto e prendendo ancora un sorso di birra, svuotando il bicchiere.
Per qualche minuto nessuno disse più nulla. Continuarono a mangiare, l’aria decisamente più distesa rispetto a prima, da quando avevano affrontato il discorso per cui era stata organizzata quella stessa cena. Solo quando Giulia ebbe riposto tutti i piatti sporchi nel lavandino, e dopo essere tornata a sedersi a tavola, Fabio iniziò a parlare un po’ meno svagato:
-A proposito di testimoni- iniziò, la voce un po’ incerta – Anche io volevo chiederti una cosa-.
Fece una pausa, gli occhi puntati su Filippo, che ricambiò lo sguardo con fare confuso e speranzoso allo stesso tempo:
-Tu vuoi essere il mio testimone?-.
Seguì un attimo di stupore generale. Giulia spostò freneticamente gli occhi da Fabio – che guardava il fratello in un misto di speranza ed imbarazzo- a Filippo, che aveva sgranato gli occhi e sembrava ad un passo dal collasso.
-Sul serio?- farfugliò dopo alcuni secondi. Fabio lo guardò come se la cosa fosse abbastanza ovvia e non ci fosse il bisogno di ulteriori conferme:
-Te lo sto chiedendo!-.
Giulia non fece nemmeno in tempo a formulare ulteriori pensieri, che vide Filippo alzarsi di scatto dalla sedia, camminare svelto verso il fratello maggiore, e buttargli le braccia al collo. Fabio protestò solo all’inizio, prima di lasciarsi andare a quell’abbraccio fraterno totalmente inaspettato.
Giulia si lasciò sfuggire un sorriso addolcito dall’immagine di Filippo e Fabio stretti tra di loro, e vide che anche Ilaria la stava osservando sorridendo a sua volta.
Era un’immagine tenera, quella che le si presentava davanti agli occhi, e non avrebbe potuto chiedere di meglio. Giulia prese un sorso di birra, ripensando a quanto lei e Filippo avevano temuto ed aspettato con ansia quella cena, timori che alla fine non avevano attecchito sul serio.
L’arrivederci che ci sarebbe stato a fine serata avrebbe avuto il sapore dolce e carico di promesse tipico delle occasioni riuscite.
 
*
 
I know what I want
But it feels like I'm paralyzed
I don't lose, I don't win

If I'm wrong, then I'm halfway right [1]
 
Faceva un caldo assurdo, in quella giornata. Cercava di intercettare qualsiasi ombra degli edifici proiettata sul marciapiede, ma nonostante quell’accorgimento, Alessio stava cominciando a sudare davvero troppo. Nulla di strano, in ogni caso: era il 28 di maggio, ed era ovvio che doveva cominciare a riabituarsi a quelle temperature, in vista dell’estate. Immaginava che, una volta arrivato alla segreteria studenti, si sarebbe ritrovato sudato come non mai: quello era l’unico finale possibile, dopo aver camminato per mezza Venezia alle due del pomeriggio.
Nonostante cominciasse a sentirsi stanco, oltre che accaldato, non decelerò, né tanto meno si fermò a prendere fiato. Era già abbastanza in ritardo, e non aveva la minima intenzione di arrivare troppo tardi e trovare la segreteria deserta, e quindi di dover rimandare all’indomani.
Arrivò circa dopo quindici minuti, attraversando il ponte elegante che allacciava San Polo a Dorsoduro. Subito sulla sinistra si ergeva la murata che separava gli edifici amministrativi dell’università dal resto della calle; Alessio si ritrovò ad infilarsi subito sotto l’arco d’entrata, che recitava a caratteri antichi il nome dell’università, per poi ritrovarsi bloccato il secondo dopo, non appena resosi conto delle due persone di fronte all’entrata dell’edificio.
Anche a quella distanza aveva pochi dubbi di aver appena riconosciuto Pietro e, in piedi di fronte a lui, Giulia. Si ritrovò ad imprecare a mezza voce, ancora fermo nel punto in cui si trovava. Non si preoccupava troppo per Giulia – la vedeva praticamente tutti i giorni, da quando abitava nel palazzo accanto al suo, e ormai ci aveva fatto l’abitudine-, quanto per Pietro.
Non ricordava nemmeno bene quando era stata l’ultima volta che l’aveva visto. Erano passati quasi tre mesi da quando avevano avuto la loro ultima litigata a casa di lui, ed Alessio era sicuro che quello fosse stato solo un ulteriore motivo per Pietro per allontanarsi da lui. Ormai non lo vedeva nemmeno più all’università, se non poche volte. Si sforzò di ricordare quando era stata l’ultima volta che si erano parlati – o meglio, l’ultima volta che si erano ritrovati nella stessa stanza per un motivo ben preciso. Non dovevano essere comunque passate più di due settimane: capitava ancora di trovarsi con gli altri del gruppo, era inevitabile. In quelle occasioni, nell’ultimo mese, Alessio si era sforzato di sembrare il più naturale possibile, cercando perfino di rivolgersi a Pietro. Forse era il sottile senso di colpa che aveva provato dopo il loro ultimo litigio sulla sua convivenza con Giada – o forse era solo la mancanza che cominciava a provare nei suoi confronti- a spingerlo a provare ad avere di nuovo conversazioni civili con lui, o forse era un tentativo di evitare domande strane da parte dei loro amici a proposito di quel loro distacco. Rimaneva il fatto che, quei loro ultimi incontri, erano stati conditi dai suoi timidi tentativi di approccio, e dai rifiuti nemmeno troppo velati da parte di Pietro di dargli corda.
Sembrava del tutto intenzionato a non accordargli alcuna tregua, nemmeno dopo tutto quel tempo. E in fin dei conti, Alessio non se la sentiva molto di biasimarlo.
Anche in quel momento si sentiva piuttosto combattuto sul proseguire, o magari aspettare che lui e Giulia entrassero o se ne andassero. Nel primo caso avrebbe potuto direttamente evitarli, ma nel secondo sarebbe finito inevitabilmente per doverli almeno salutare.
Alessio si ritrovò a sbuffare: stava sudando come non mai, lì sotto il sole, e continuava a fissare Pietro e Giulia, intenti a parlare di chissà cosa. Non poteva aspettare dei secoli, prima di avviarsi.
Il primo passo fu il più incerto, ma già al secondo andò meglio. Fu durante quel breve tragitto che ricordò dove lui e Pietro si erano visti l’ultima volta: era stata proprio all’università, una delle rare volte in cui si erano incrociati negli ultimi mesi, davanti al distributore automatico. A Pietro si era incastrata una bottiglietta d’acqua, e lui si era offerto di comprarne un’altra per far cadere a sua volta la sua.
Alla fine si era ritrovato con un euro di meno in tasca, una bottiglietta che non gli serviva, e un “grazie” masticato seccamente da parte di Pietro.
-Oddio, anche tu qui, Raggio di sole?-.
Giulia gli sorrise non appena Alessio si ritrovò a distanza di qualche metro da loro. Pietro, che gli dava le spalle, si voltò quasi di scatto verso di lui, un’espressione sorpresa stampata in faccia.
Alessio rimase stupito, nel notare di non essere stato squadrato da capo a piedi da lui. Lo prese come un buon segno, e sebbene ancora in parte esitante, abbandonò l’idea di salutare velocemente entrambi e scappare verso l’interno dell’edificio. Si avvicinò, arrivando di fianco a Giulia, e mantenendo un po’ più di spazio libero tra sé e Pietro:
-Non pensavo di trovare qui anche voi- mormorò Alessio, senza troppo entusiasmo. Si sentiva troppo accaldato e troppo sotto esame, lì di fianco a Pietro, per riuscire a fingere un’allegria che non gli apparteneva.
-Io dovevo firmare delle scartoffie per il congelamento degli esami- spiegò Giulia, con nonchalance. Pietro non rispose, e Alessio non ci badò nemmeno, rivolgendosi ancora a lei:
-A proposito, come sono andati i primi giorni di lavoro?-.
Aveva saputo dalla stessa Giulia che aveva iniziato a lavorare per l’agenzia di viaggi a metà della settimana prima, ma ancora non aveva trovato occasione per chiederle come era andato l’inizio del nuovo lavoro.
-Estenuanti, oserei dire- Giulia alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente – Ma credo mi ci abituerò. O almeno, ci spero vivamente-.
-Non ti sei ancora beccata un colpo di sole?- intervenne per la prima volta Pietro, ghignando.
-No, ma se succederà ora so chi mi avrà portato sfiga- lo rimbrottò Giulia, lanciandogli un’occhiataccia, che ebbe il solo risultato di far ridere sia Alessio che Pietro.
-In ogni caso- riprese lei, tornando a rivolgersi ad Alessio – Come mai da queste parti?-.
-Scartoffie per la laurea- rispose semplicemente lui, alzando le spalle.
-Allora siete qui per lo stesso motivo- Giulia spostò gli occhi da Alessio a Pietro, annuendo – Quanto manca al giorno della proclamazione?-.
-Un mese praticamente esatto, direi- Pietro sbuffò, in un certo qual senso sfiduciato. Alessio vi lesse parecchia ansia, in quella frase e nel suo tono di voce teso. Si domandava solamente se fosse dovuta solamente alla laurea imminente o alla sua presenza.
-Ormai il tempo stringe- replicò Giulia, facendo un passo lontano da loro – E stringe anche per me. Devo lasciarvi qui soli soletti, per vostra sfortuna-.
-Il lavoro che incombe?- Alessio cercò di risultare calmo nel parlare. In realtà non aveva previsto di rimanere solo con Pietro. Non riusciva ad immaginarsi quale sarebbe potuta essere la reazione di Pietro nel ritrovarsi inaspettatamente solo con lui. Forse si sarebbe inventato una scusa per allontanarsi a sua volta il prima possibile.
-I preparativi del matrimonio. Ho un vestito da provare, e devo correre a Mestre il prima possibile- Giulia cominciava già ad avviarsi verso il portone d’uscita, ed alzò la voce per riuscire a farsi sentire da Alessio e Pietro.
-Cerca di non ingrassare nei prossimi mesi, o rischi di rendere vane le misure che prenderai oggi!- le urlò dietro Pietro, ricevendo in tutta risposta un dito medio da Giulia, che si stava allontanando sempre di più.
Alessio la osservò passare sotto l’arco del portone, e girare subito a destra verso il ponte che lui stesso aveva attraversato pochi minuti prima. In pochi attimi Giulia scomparve alla vista.
Alessio si prese qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo dalla direzione dove lei se ne era andata: di colpo tornava a sentirsi a disagio, con Pietro lì accanto. Non era più molto abituato a rimanere solo con lui: negli ultimi due mesi era capitato solo rare volte, ed erano tutte durate pochissimo.
Si girò lentamente qualche attimo dopo, non sorprendendosi nel notare che Pietro aveva preso a puntare lo sguardo altrove, le braccia contro il petto, sulle spine.
-Devo andare anche io, qui in segreteria ho già sbrigato tutto quello che dovevo fare- borbottò infine, dopo che Alessio aveva vagliato mentalmente qualsiasi tentativo per poter rompere il ghiaccio, senza risultati utili.
Fissò Pietro, leggermente deluso. Sapeva che non poteva considerarsi innocente, e che se erano arrivati al punto in cui non riuscivano nemmeno a guardarsi in faccia era anche colpa sua, ma cominciava a detestare quella situazione. In un certo senso, Pietro gli mancava terribilmente.
-Hai già pensato a come organizzarti per il giorno della proclamazione?- Alessio finse di non aver nemmeno sentito quello che Pietro gli aveva appena detto, chiedendogli la prima cosa che gli era passata per la testa. Non era una grande domanda, ma magari l’avrebbe costretto a rimanere lì almeno qualche altro minuto.
-Intendi per il rinfresco?- Pietro rispose senza mostrare troppo interesse. Forse era rimasto deluso dal fatto che Alessio non l’aveva lasciato andare come se nulla fosse.
Alessio si ritrovò ad annuire, senza proferire parola: forse sperava che Pietro non si girasse subito da qualche altra parte, e che rimanesse a guardarlo in faccia abbastanza tempo per notare quella sua muta risposta.
-No, direi che non ci ho ancora pensato- rispose dopo qualche secondo, alzando le spalle.
Alessio si lasciò scappare una risata amara, abbassando per qualche attimo gli occhi chiari:
-Immagino che non me lo diresti anche se fosse il contrario-.
Quelle parole ebbero il potere di far girare Pietro verso di lui all’istante, d’un tratto gli occhi scuri fiammeggianti di rabbia. In quel momento Alessio seppe di averlo appena punto sul vivo.
-Non so se te ne sei accorto, ma negli ultimi mesi sono cambiate un po’ di cose- mormorò tagliente Pietro, sporgendosi verso Alessio, che non fece nulla per evitare il contatto visivo:
-Per esempio tu che mi eviti-.
-Per esempio tu che pur di non prenderti responsabilità non mi domandi nemmeno spiegazioni- sbottò l’altro, gesticolando nervosamente con le mani – Oppure, altro esempio, tu che continui a fare il saccente dicendomi cosa è più giusto per me-.
Alessio si strinse nelle spalle. Pietro aveva ragione, in un certo senso, non c’era dubbio. Ci aveva riflettuto parecchio, in quegli ultimi mesi, e di tante cose si era pentito. Si era pentito di averlo trattato troppo aspramente quando aveva saputo della sua convivenza con Giada, ma della prima cosa … Su quello ancora non sapeva pronunciarsi.
-Sai che ti dico?- Alessio rialzò il capo, cercando di non apparire intimorito dall’attacco di Pietro – Forse hai ragione, sono saccente ed egoista, ma sto cercando di riparare le cose-.
Pietro sbuffò, scuotendo il capo e ridendo sarcasticamente:
-Provando a fare conversazione davanti alla segreteria studentesca?-.
-Ammetto che non sia un piano magnifico, ma sì, è un’idea anche quella-.
-Sei un po’ patetico- replicò Pietro, con un tono che sembrava definitivo. Probabilmente riteneva il discorso concluso lì, anche se ad Alessio non lo sembrava per niente.
-Può darsi-.
-Piantala di essere così accondiscende, o finirai per far piovere- Pietro si voltò ancora una volta verso di lui, lanciandogli un’occhiataccia – E poi non sei credibile-.
Alessio si lasciò scappare un sorriso rassegnato, indifeso quanto sincero:
-Non sono accondiscendente, ci sto provando sul serio-.
-E perché dovresti?- parlò velocemente Pietro, una punta di amarezza nella voce. Sembrava comunque meno aggressivo rispetto a prima, come le se parole di Alessio fossero riuscite ad addolcirlo almeno in parte.
Alessio si ritrovò spiazzato da quella sua domanda. Non se l’era aspettata, né aveva mai provato a mettere a parole tutti i motivi per i quali stava cercando di riparare le cose. Certo, sapeva quali erano, ma pronunciarli a voce alta, di fronte a Pietro, era totalmente diverso dal formularli al sicuro nella sua mente.
-Perché sei tu, e … - Alessio si ritrovò a gesticolare, distogliendo gli occhi e sperando di non arrossire di fronte allo sguardo incuriosito dell’altro - Niente, sei tu-.
Pietro lo osservò con un sopracciglio alzato, e per un attimo fugace ad Alessio sembrò quasi divertito:
-E quindi? Non ho capito che intendi dire-.
-Non importa, basta che mi sia capito io- cercò di tagliare corto Alessio, ben consapevole di poter solamente aggravare quella sua figuraccia – Poi troverò anche il modo per farmi capire da te-.
-Tu sei pazzo- Pietro scosse la testa, trattenendo una risata sommessa. Anche ad Alessio venne da sorridere, seppur debolmente: non ricordava l’ultima volta in cui lui e Pietro avevano riso insieme. Quella non era una risata puramente divertita, e quella non era una situazione piacevole, ma era pur sempre qualcosa.
Qualcosa che gli era mancato infinitamente tanto, e che gli dava un calore immenso nel poterlo rivedere.
Alessio fece per aprire bocca di nuovo, senza ancora sapere bene cosa avrebbe fatto bene a rispondere; si bloccò quando, inaspettatamente, sentì qualcuno poggiargli una mano sulla spalla.
Si voltò, e si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo giovane dall’aria orientale, che teneva nell’altra mano un grosso mazzo di rose rosse.
Un vucumprà che si era evidentemente intrufolato perfino in quella zona riservata all’università.
-Volete una rosa?- chiese, con un forte accento, ma in un italiano perfettamente comprensibile.
-No, grazie- Pietro, dietro ad Alessio, aveva risposto ancor prima che il ragazzo avesse finito di parlare, con tono perentorio e definitivo.
-Cinque euro per una rosa- insistette l’altro, ignorando del tutto Pietro, che lo guardò un po’ spazientito:
-No, davvero. Grazie-
-Cinque euro? Sono un’enormità, nessuno te le comprerà mai- intervenne Alessio, per stemperare la tensione. Immaginò, dopo quell’osservazione, quale sarebbe stato il passo successivo:
-Quattro euro per una rosa-.
Prima che Pietro, evidentemente seccato, potesse reagire, Alessio si mise in mezzo:
-Va bene, va bene, stiamo calmi-.
Immaginava non ci fossero altri modi per concludere quella situazione, e in fondo andava bene anche così. Affondò le dita in una delle tasche dei jeans, dove sapeva aveva delle monete.
-Quattro euro per una di quelle rose, ok?-.
Poche volte in vita sua si era dimostrato un buon diplomatico, ma si sentì fortunato quando scoprì che quel giorno sarebbe stata una di quelle. Aveva sborsato quei quattro euro, e il vucumprà si era allontanato subito, lanciando un’occhiata intimorita verso Pietro.
Qualche attimo dopo, Alessio si ritrovava infine con una rosa in mano, pescata a caso dal mazzo, standosene a rigirarsela tra le dita e facendo bene attenzione a non beccare qualche spina.
Non sapeva bene che farsene, e non gli veniva in mente altro se non sbarazzarsene il prima possibile.
-Che te ne fai ora, di quella rosa?- gli chiese Pietro, come se gli avesse appena letto nel pensiero. La stava fissando anche lui, con aria scettica e quanto mai annoiata. Doveva ancora essere infastidito per quell’inframezzo con il vucumprà.
-La butterò da qualche parte- mormorò pensieroso Alessio – Oppure potrei regalarla a qualcuno-.
-Ad Alice?- domandò di nuovo Pietro.
Alessio alzò il viso, smettendo di tenere lo sguardo fisso sul fiore, e incrociando le iridi nere di Pietro. Gli balenò per la mente un’idea di cui si sarebbe sicuramente pentito l’attimo dopo averla attuata, ma gli sembrava allo stesso tempo così folle da non poter lasciarsela scappare. In fin dei conti, non gli rimaneva molto altro da perdere.
Allungò la rosa verso Pietro, parlando in fretta prima di poter cambiare idea:
-Prendila tu-.
Pietro arrossì all’istante, spalancando gli occhi e tenendolo fissato come se avesse appena visto un fantasma. Probabilmente si stava chiedendo se fosse tutto un sogno o se Alessio l’avesse detto sul serio.
-Cosa?-.
Alessio la avvicinò ulteriormente alla sua mano, incoraggiante. Sperava di non essere arrossito a sua volta, ma nutriva ben poche speranze in merito.
-Te la sto regalando. Prendila!-.
-Perché dovresti darla a me?- ripeté Pietro, vagamente isterico. Era abbastanza evidente di come Alessio l’avesse appena preso contropiede.
In realtà nemmeno lui avrebbe saputo rispondere a quella domanda. Era stata una cosa totalmente istintiva, inaspettata persino per lui, non calcolata nemmeno per sbaglio.
Gli era semplicemente venuta quell’idea idiota per sbarazzarsi di quella rosa, ed allo stesso tempo fare un regalo a Pietro. Un regalo decisamente insolito – e ancora doveva capire se aveva passato troppo il segno-, ma pur sempre un piccolo pensiero.
-Non ne ho idea, prendila e basta! Ti devo pregare, per caso?- ripeté Alessio, cercando di parlare con più calma, relegando in un angolo della sua mente il panico per quello che stava facendo. Forse non era appropriato regalare un fiore a qualcuno con cui i rapporti erano così tesi, ma ormai era decisamente troppo tardi per tirarsi indietro.
Cercò di sorridere incoraggiante a Pietro, e l’unica risposta che ebbe fu l’ennesima occhiataccia. Fu di nuovo per istinto che iniziò ad intonare, a bassa voce e porgendogli per l’ennesima volta la rosa:
-I want to be just as close as the Holy Ghost is, and lay you down on bed of roses … -.
-Ok, ok!- un attimo dopo Pietro aveva afferrato velocemente la rosa, facendo una smorfia per essersi punto un polpastrello con una spina – La prendo, a patto che tu la smetta di cantare qui. Ci stanno fissando tutti-.
Pietro era rosso come non mai in viso, e Alessio non dubitava che anche le sue, di guance, fossero nello stesso stato. Lasciò ricadere la mano lungo il fianco, dopo che Pietro ebbe finalmente afferrato a sua volta il gambo della rosa, con fare imbarazzato ed impacciato.
Alessio si guardò attorno, lentamente: di certo qualcuno doveva essersi fermato ad osservarli, a commentare quel gesto – magari anche a deriderlo-, ma in quel momento non notava troppi sguardi indiscreti. Anche lui cominciò a sentirsi a disagio, nonostante tutto: gli faceva strano, dannatamente strano, che qualcuno potesse considerare quel gesto alla stregua di una dimostrazione di galanteria. Sentiva il cuore stringersi, nel temere che qualcuno potesse additare quella rosa come il simbolo d’amore verso Pietro; e a pensarlo si sentiva ancora peggio, perché sapeva che non ci sarebbe stato nulla di male in merito ad un gesto simile tra due uomini, ma che allo stesso tempo non riuscisse ad accettarlo come una cosa possibile specificatamente tra lui e Pietro.
-E lascia che guardino- mormorò infine, senza però troppa convinzione. Pietro doveva essersene accorto: Alessio lo vide guardarlo con fare incerto, come se volesse domandargli solo attraverso gli occhi perché diavolo stava cercando di dire qualcosa che non pensava davvero.
-Scommetto che mai nessuno ti ha regalato una rosa cantandoti Bed of roses- proseguì Alessio, quasi a sviare l’argomento. Si schiarì la gola, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, guardando in qualsiasi direzione tranne che verso il viso dell’altro.
-E spero anche che non ricapiti- ribatté Pietro, la voce decisamente più morbida di quanto non avrebbe fatto supporre una frase del genere.
Ad Alessio venne quasi da ridere:
-Così potrò vantarmi di essere l’unico ad averlo fatto-.
Non si meravigliò dell’occhiata torva che Pietro gli rifilò nuovamente, ma non gliene importò molto. Alla fine poteva dirsi quasi soddisfatto di quel tentativo di conversazione: era rimasto solo con Pietro per molto più tempo di quanto non era accaduto negli ultimi due mesi, e non si erano nemmeno presi a male parole. Era decisamente un passo avanti.
-Devo andare, ora- Pietro sospirò piano, dopo qualche attimo di silenzio – Dovrei ringraziarti per questo tuo regalo?-.
-Se vuoi- alzò le spalle Alessio.
Pietro si rigirò ancora un attimo la rosa tra le mani, osservandola. Fu solo un attimo fugace, e ad Alessio parve quasi di esserselo solo immaginato, ma le labbra di Pietro si erano increspate in quello che poteva essere un sorriso. Forse non sarebbe nemmeno stato corretto definirlo così – le sue labbra avevano semplicemente preso una piega meno rigida e contratta rispetto a prima-, ma ad Alessio era bastato per capire che, in fin dei conti, non si era spinto troppo in là.
-Allora grazie, e … - Pietro rialzò il capo, facendo un cenno ad Alessio, di nuovo nascondendo quella specie di sorriso – Ci si vede in giro-.
-Ci si vede in giro-.
Alessio se ne rimase lì ancora qualche attimo, dopo che Pietro si fu allontanato passo dopo passo, lanciandogli un’ultima occhiata. Sapeva che era in ritardo, che sarebbe dovuto letteralmente scappare in segreteria, ma si prese comunque un attimo per assaporare un’ultima volta quel sorriso appena visibile sul viso di Pietro, e per ripensare a quell’arrivederci che, finalmente, non aveva lo stesso sapore amaro degli addii.
 
E io posso stare senza te
Ma non senza il tuo sorriso
Che come una cometa cancella il buio dal mio viso
E sono stato senza te
Ma tu c'eri sempre [2]
 
*
 
-Non è che mi stai portando in un posto isolato per farmi fuori, vero?-.
A quell’ennesima domanda – una raffica di domande che prevedevano scenari sempre più tragici- Pietro si limitò a scuotere la testa, soffocando a stento una risata.
-No, non è ancora giunta la tua ora- rassicurò Fernando, lanciandogli un’occhiata d’intesa – Ma se continui a fare domande potrei cambiare idea-.
-Tan susceptible, tío- borbottò tra sé e sé l’altro, ma quell’ultima minaccia sembrò sortire l’effetto voluto, perché Fernando non insistette oltre con le sue domande.
Era iniziato tutto quando, alle sei di sera del 14 giugno, Pietro si era presentato come pattuito sotto casa sua. Gli aveva già fatto gli auguri di compleanno per messaggio quella mattina, quindi era andato subito al sodo e gli aveva detto che per andare nella pizzeria in cui aveva prenotato avrebbero dovuto recuperare l’auto di Fernando. Non gli aveva detto nient’altro, anche se a giudicare dalle indicazioni stradali che gli stava fornendo, Fernando doveva aver intuito che si stessero spostando verso Padova. La prima domanda che gli aveva fatto era stata inevitabilmente come mai dovessero andarsene così distanti per mangiarsi una misera pizza, ma Pietro aveva taciuto anche in quel frangente. Si stava rendendo conto sempre di più, quando alla fine del viaggio ormai mancava poco, che fare delle sorprese a Fernando e tenere tutto segreto era un’impresa ciclopica.
-Ok, gira di qua adesso- lo avvertì Pietro. Avevano varcato il confine della città da non molto, ed ora si trattava solo di orientarsi tra le strade di periferia padovane senza perdersi. Pietro era sufficientemente fiducioso nella sua memoria da non affidarsi a qualche navigatore.
-Sicuro che non finiremo nel Piovego?- gli chiese ancora Fernando, un po’ diffidente.
-Magari poi ti ci butto- lo minacciò ancora una volta Pietro, stavolta non riuscendo a trattenere una risata immaginandosi la scena che aveva appena evocato.
Fernando borbottò qualcos’altro in spagnolo, ma seguì ancora una volta le indicazioni. Una decina di minuti più tardi avevano finalmente parcheggiato di fronte a quella che era la loro meta.
-Eccoci qui- Pietro scese dall’auto richiudendo subito la portiera, e indicando il locale di fronte a loro dall’altro lato della strada – Questo è il tuo regalo di compleanno-.
Fernando lo raggiunse, affiancandoglisi e guardandolo perplesso:
-Il regalo sarebbe una pizza offerta da te?-.
Pietro lo guardò sghignazzando.
“Aspetta e vedrai”.
-Non solo-.
Andò dietro Fernando, posandogli le mani su entrambe le spalle, come se stesse per illustrargli un segreto incredibilmente peculiare sulla pizzeria – esteriormente totalmente anonima- che avevano di fronte.
-Non è una semplice pizzeria. È una pizzeria con karaoke-.
Fernando si girò verso di lui alla velocità della luce:
-Che?-.
-Sì, hanno delle salette sul retro per il karaoke. Stile coreano, da quel che ho capito- spiegò Pietro, sorridendo soddisfatto per l’espressione ora stupefatta che Fernando aveva dipinta in viso. Aveva passato almeno due settimane per trovare un posto simile – o perlomeno un luogo dove ci fosse un karaoke, in modo che Fernando potesse sfogare le sue manie canore da qualche parte-, fino a quando non aveva trovato quello che cercava. Ovvero, quella pizzeria in una zona tranquilla di Padova, che aveva ricreato delle salette da karaoke come i noraebang coreani [3]. O almeno, così gli sembrava di aver capito.
-È un posto strano- mormorò – Quindi adatto per festeggiarci il tuo compleanno-.
-Adesso capisco tutta la segretezza- replicò Fernando – Andiamo, adesso sono curioso-.
 


-Stiamo facendo pena- affermò Pietro con discreta certezza, osservando il punteggio che aveva appena accumulato dopo l’ennesima performance dimenticabile. Si era impegnato per cantare Tiny Dancer perlomeno decentemente, ma ormai era piuttosto ovvio che non avrebbe mai avuto un futuro come cantante.
-Siamo qui per divertirci, mica per fare una gara canora. Non siamo mica a Sanremo- Fernando gli rifilò una pacca su una spalla, ridendo – E poi non ci sente nessuno-.
“E meno male” pensò Pietro. Almeno qualcuno si stava salvando le orecchie.
Avevano finito di cenare mezz’ora prima. La pizza era buona, e non avevano nemmeno speso tanto – o meglio: Pietro non aveva speso tanto, visto che aveva offerto lui-, e poi la curiosità aveva prevalso su qualsiasi altra cosa e appena finito si erano fiondati sul retro del locale, dove c’erano le salette da karaoke esattamente come Pietro aveva letto nelle descrizioni del locale che aveva trovato su internet. Dentro ad ognuna c’era tutto quello che serviva: un divanetto, dei microfoni collegati allo schermo dove si leggevano i testi a tempo, e dei grossi libroni con tutti i titoli delle canzoni tra cui scegliere. Il primo round era stato un duetto a dir poco fallimentare di Total eclipse of the heart, durante il quale avevano più riso che cantato. Non erano rimasti sorpresi quando al termine avevano letto il punteggio misero che avevano racimolato.
-È la prima volta che ti cimenti nel karaoke?- gli chiese Fernando di punto in bianco. Si era seduto sul divanetto, sfogliando uno dei grossi libri probabilmente per individuare la sua prossima scelta.
Pietro scosse il capo, armeggiando con il microfono che aveva in mano:
-Una volta ho dovuto cantare al karaoke davanti a tutto il ristorante dove eravamo- disse, senza accennare chi comprendeva quell’“eravamo”.
Fernando alzò il viso con sguardo impressionato:
-Davvero? Cantavi da solo?-.
Pietro si strinse nelle spalle:
-Ero con Alessio-.
Evitò di aggiungere anche il fatto che quella sera, inconsapevolmente, avevano cantato anche di fronte a Giulia e Filippo, e che lo avevano scoperto solo alla fine. Erano anni che non ripensava a quella serata: era stata un’improvvisata totale, ma all’epoca aveva significato tanto, forse fin troppo, per lui. Si chiese se ogni tanto non ci ripensasse anche Alessio, a quella serata e più in generale a quell’estate di cinque anni prima, durante la quale le cose avevano cominciato a cambiare in modo irreversibile.
-Oh. Ti ha regalato qualche rosa anche all’epoca?-.
Era evidente dalla sua espressione che Fernando stava cercando a stento di trattenersi dal ridere. Pietro non si tirò indietro dal lanciargli un’occhiataccia:
-Quanto andrai avanti ancora con questa storia?- Pietro roteò gli occhi al cielo, piuttosto incerto se strozzarlo e altrettanto pentitosi di avergli raccontato di quello che era successo tra lui ed Alessio alcune settimane prima. Era da quando lo aveva fatto che Fernando non la smetteva più di stuzzicarlo.
-È che avete un rapporto così strano. Fa quasi ridere come situazione- disse lui come giustificazione, continuando a ridere imperterrito – I vostri amici hanno notato nulla?-.
Pietro alzò le spalle:
-Probabilmente sì, ma non hanno chiesto niente. Meglio così-.
Ed era davvero meglio così, perché non avrebbe saputo come spiegare quale fosse la causa del suo distacco da Alessio. Probabilmente erano giunti alla conclusione che ci fosse stato l’ennesimo litigio tra di loro, e che nessuno di loro due volesse farlo sapere al resto del gruppo. Dubitava altamente qualcuno di loro avesse provato a chiedere spiegazioni ad Alessio, anche se doveva ammettere che sarebbe stato molto curioso di sapere cosa si sarebbe potuto inventare in quel caso.
Pietro si lasciò sprofondare in un angolo del divanetto. A parte le prese in giro di Fernando che gli ricordavano immancabilmente di quella maledetta rosa, non si era soffermato molto a pensare ad Alessio e a quel suo regalo improvvisato: preferiva non darci troppo peso, non illudersi ulteriormente per qualcosa che si sarebbe dimostrata l’ennesima occasione mancata.
Doveva semplicemente lasciare perdere.
-Oddio, c’è Dancing Queen!-.
Pietro quasi sobbalzò quando Fernando quasi urlò dall’entusiasmo.
-Questa la canto-.
-Non avevo dubbi- borbottò Pietro, scuotendo il capo e osservando l’altro alzarsi per prepararsi all’ennesima performance – Stai scegliendo tutte canzoni con la parola queen nel titolo?-.
La prima scelta di Fernando era stata Killer Queen. Era molto probabile che Freddie Mercury si fosse rigirato nella tomba nell’ascoltare una delle sue canzoni così brutalmente storpiata. Era piuttosto certo che la stessa fine l’avrebbe fatta anche la canzone degli ABBA.
-Perché io sono una queen- replicò Fernando, con così tanta convinzione e serietà che Pietro non potè fare altro che scoppiare a ridere – Filmami, così poi lo mando a Giulia-.
Fernando gli allungò il suo cellulare, e Pietro lo afferrò, puntando la fotocamera verso l’altro:
-Vuoi farti ridere dietro?-.
Fernando gli lanciò un’occhiata fulminante.
-Ti chiederà se stai avendo qualche appuntamento galante- proseguì Pietro, come se nulla fosse.
Fernando scosse la testa:
-No. Lo sa già che sono con te-.
Per un attimo Pietro non capì quello che Fernando gli aveva appena comunicato, ma il secondo dopo si ritrovò a sgranare gli occhi e a sentire il proprio respiro accelerare.
-Cosa?-.
Di fronte a quella domanda fatta con voce strozzata, trovò quasi offensivo che Fernando si mettesse a ridere di gusto.
-Guarda che lei e Filippo sanno già da parecchio che usciamo insieme. Come amici, s’intende- spiegò, e a quelle parole Pietro non si tranquillizzò affatto – Stai tranquillo, non è che tutti i miei amici sono gay. Ho anche amici etero … Pochi, ma ne ho. Sono un tipo socievole-.
Pietro tacque, un po’ più tranquillo anche se non del tutto. Non aveva mai messo in conto l’idea che Giulia e Filippo venissero a scoprire della sua neonata amicizia con Fernando, ma era altrettanto vero che si sarebbe dovuto aspettare, in tutti quei mesi, che in un modo o nell’altro venissero a saperlo. E, in fondo, forse non aveva davvero nulla da temere.
Si rilassò un po’ di più, osservando Fernando mentre armeggiava con il telecomando e il display: stava probabilmente cercando di selezionare la sua prossima canzone da cantare, la fronte aggrottata per la concentrazione. E fu in quello stesso momento, un po’ trasportato dall’ultima frase di Fernando, che Pietro si lasciò sfuggire una domanda che gli ronzava in testa da un po’ di tempo:
-Non ti vedi con nessuno, romanticamente parlando?-.
Fernando non reagì subito: per i primi secondi continuò a fare quel che stava facendo come se nulla fosse, ma poi si girò verso di lui con sguardo enigmatico, a tratti cauto.
-Perché me lo chiedi ora?-.
Pietro alzò le spalle:
-Non lo so, così. Mi è sorta la curiosità - disse vago – È che non ne parli mai-.
Fernando era piuttosto aperto su qualsiasi genere di argomento, meno che quello. O almeno, quella era l’impressione che Pietro aveva avuto in tutti quei mesi: spesso si raccontavano l’un l’altro episodi vissuti con i rispettivi amici, ma Fernando non aveva mai accennato a qualcuno con cui ci fosse qualcosa di più. Pietro si era domandato diverse volte se stesse semplicemente evitando di parlarne, o non ci fosse davvero nessuno.
-Non frequento nessuno- tagliò corto Fernando – Direi che le avventure da una notte non sono conteggiate come appuntamenti galanti-.
Pietro annuì. Forse era stata una sua impressione, ma gli parve che Fernando non avesse detto tutto quel che c’era da dire. Non insistette, però: era evidente che, sempre che avesse taciuto sul serio, doveva avere i suoi motivi.
Lo osservò ancora una volta in silenzio, mentre si lasciava andare ad una esclamazione felice sottovoce, quando finalmente trovò quel che stava cercando.
-E adesso fammi cantare- mormorò Fernando.
Impugnò il microfono saldamente, e la canzone partì.
-You can dance, you can jive, having the time of your life- Fernando accennò qualche passo di danza, e Pietro non riuscì a trattenersi oltre dallo scoppiare a ridere – See that girl, watch that scene, digging the dancing queen-.
Sembrava felice mentre cantava, lanciandogli ogni tanto occhiate divertite – con tanto di occhiolino. E anche Pietro si sentiva allo stesso modo: sereno come poche altre volte poteva dire di essere.
 


L’aria della notte era meno afosa, più sopportabile per poter camminare senza rischiare di sudare subito. Pietro si guardò intorno: quella zona di Padova, appena fuori dal centro, a quell’ora della tarda sera era già quasi deserta. Non c’era il solito nugolo di gente ancora in giro per bar e locali, né biciclette che sfrecciavano in ogni dove.
Erano usciti da una quindicina di minuti dalla pizzeria dove avevano trascorso le ultime ore, sia lui che Fernando con la gola irritata per il troppo cantare – o per il troppo storpiare canzoni cult, avrebbe detto Pietro. Era stata un’idea praticamente automatica fermarsi ad una gelateria lì vicino per comprare un gelato fresco, prima di ritornare verso Venezia.
-È stata una bella serata-.
Fernando lo aveva mormorato quasi sovrappensiero, mentre affondava il cucchiaino nella sua coppetta di amarena e fragola. Si era fatto un po’ più silenzioso da quando avevano finito con il karaoke, ma Pietro non si era posto troppe domande: probabilmente era solo stanchezza.
-Soddisfatto della mia sorpresa?- replicò, un po’ curioso nonostante potesse già aspettarsi quale sarebbe stata la risposta.
Fernando ridacchiò sommessamente:
-Sì, direi di sì- disse, un sorriso stampato sulle labbra – Potremmo tornarci in quel posto, ogni tanto-.
Pietro annuì:
-Sì, ogni tanto-.
Proseguirono ancora per un po’, senza una meta particolare, nella notte illuminata solamente dai lampioni lungo i marciapiedi. Era solo questione di pochi minuti prima che giungesse il momento di tornare all’auto.
-Ti sei seriamente impegnato per stasera- proseguì Fernando, dopo diversi minuti in cui era rimasto in silenzio – Ma ti sei dimenticato di una cosa-.
Pietro si girò di scatto verso di lui, la fronte aggrottata:
-Cioè?-.
-È pur sempre una festa di compleanno- iniziò a dire Fernando, ridendo sotto i baffi – Non vuoi cantarmi la canzoncina giusta per farmi gli auguri?-.
A quelle parole Pietro scoppiò a ridere, scuotendo il capo incredulo. Per un attimo aveva seriamente temuto che Fernando fosse serio e lui si fosse scordato di qualcosa di importante.
-Se è per questo manca anche la candelina da spegnere- gli fece notare, occhieggiando quel che rimaneva del suo gelato.
-Una mancanza imperdonabile-.
Fernando rise sommessamente, prendendo con il cucchiaino di plastica l’ultimo boccone di gelato. Gettò la coppetta ormai vuota nel cestino che superarono dopo pochi metri, e fu in quel momento, con un sospiro profondo e teatrale, che Pietro parlò di nuovo:
-Ti faccio gli auguri decentemente, ma niente canzoncina-.
In effetti glieli aveva fatti solamente via messaggio: poteva essersi impegnato di più, sotto quel punto di vista.
-Pusillanime- lo prese in giro Fernando, fermandosi dal camminare e rimanendogli di fronte.
Pietro lo ignorò e si fece più vicino, pronto a scoccargli un bacio per guancia come da tradizione:
-Ecco, tanti auguri e … -.
Il resto della frasi gli morì in gola, il respiro arrestato per la sorpresa e per la consapevolezza che, in realtà, quel che era appena successo non era stato propriamente calcolato. Era stata una misera frazione di secondo, il lasso di tempo in cui, mentre spostava la testa verso la guancia sinistra di Fernando, si era reso conto che avevano preso entrambi la stessa direzione. Erano finiti così vicini che non avevano fatto in tempo a frenarsi.
Pietro si staccò appena, ancora non del tutto consapevole del bacio accidentale che c’era stato. Era stato solo un bacio a stampo, così breve da essere durato quanto un respiro, ma la vicinanza minima tra loro c’era ancora. Osservò Fernando: era anche lui sorpreso? Si sentiva a disagio? Pietro non riusciva a capirlo. C’erano alcuni momenti, non molti, in cui gli occhi di Fernando sembravano indecifrabili, ed ora era uno di quelli.
Avrebbe fatto meglio ad allontanarsi, si ritrovò a pensare senza però agire di conseguenza, ma quando qualche secondo dopo Fernando gli si avvicinò nuovamente, lento per lasciargli forse il tempo di scostarsi, Pietro lasciò che lo baciasse. Stavolta non era stato accidentale, e forse non era nemmeno paragonabile alla sorta di esperimento che avevano fatto a gennaio, la prima sera in cui si erano ritrovati da soli. Pietro avvertì il peso leggero delle sue labbra, il sapore dell’amarena e della fragola lasciato dal gelato insieme alla freschezza, e si ritrovò a chiudere gli occhi.
Non ripensò ad Alessio, stavolta.
Per una frazione di secondo ebbe l’impressione che quel bacio fosse persino giusto, una naturale evoluzione della loro amicizia. Forse fu per questo che, quando Fernando si allontanò, gli sorrise esitante. Era un modo molto più semplice per dirgli che era tutto a posto.
Fernando gli sorrise di rimando, timidamente:
-Meglio tornare alla macchina. Si sta facendo tardi-.
E al contrario del bacio che c’era stato con Alessio mesi prima, Pietro non provò il bisogno di aggiungere e chiarire nient’altro. Sapeva che, quando si sarebbero salutati quella sera, una volta giunti a Venezia, le cose tra loro sarebbero rimaste immutate. Semplici come lo erano sempre state.
 
 



 
[1] Linkin Park – “Halfway Right”
[2] Ermal Meta – “Voodoo Love”
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e ai loro autori
[3] letteralmente le sale karaoke estremamente popolari e tipiche della Corea del Sud
 
NOTE DELLE AUTRICI
Nuova settimana, nuovo capitolo... E nuovo lavoro! Ebbene sì! Alla fine il colloquio della nostra Giulia è andato più che bene e così un nuovo capitolo della sua vita ha inizio. Una vita che appare alquanto piena e frenetica. Infatti tra lauree, matrimoni e impegni vari cosa potrebbe mai andare storto? Ora lei e Filippo hanno pure dei testimoni, e contro ogni previsione, Filippo stesso farà da testimone al fratello Fabio. Quando si suol dire "tutto è bene quel che finisce bene"!
Ma veniamo ora al tasto dolente 😂
Qualche giorno dopo, e con un cambio di pov, ci ritroviamo a seguire Alessio e i suoi dissidi interiori, soprattutto quando si ritrova a tu per tu con Pietro inaspettatamente.
Alessio, a suo modo, un modo diversamente deciso, cerca di rimediare agli errori commessi in passato. Queste azioni blande avranno delle conseguenze, magari positive, oppure nulla cambierà tra di loro?
Prima di scoprirlo ci imbattiamo nell'uscita di Pietro con Fernando. Pietro ha infatti organizzato una bella sorpresa per lo spagnolo per il suo compleanno. La location è inedita tra queste righe (e allo stesso modo lo è anche nella realtà, visto che si tratta di locale inventato).
E tra una cosa e l’altra siamo infine giunti al termine. Beh, finale con il botto... O per meglio dire, con il bacio 👀 si è infatti conclusa così la serata del compleanno di Fernando, coronata da un bacio molto tenero tra lui e Pietro.
Dopo una bella sessione di karaoke pazzo, e qualche scoperta (tipo che Giulia e Filippo sanno dell'amicizia di questo nuovo duo), siamo anche giunti alla conclusione di questo capitolo. Che conseguenze avranno tutti questi avvenimenti, soprattutto calcolando questo secondo bacio tra Fernando e Pietro?
Magari lo scopriremo già nel prossimo capitolo, che pubblicheremo mercoledì 17 agosto (perché noi non andiamo in vacanza manco quest’anno 😂) !
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 - Bird set free ***


CAPITOLO 27 - BIRD SET FREE



 
So lost, the line had been crossed
Had a voice, had a voice but I could not talk
You held me down
I struggle to fly now

But there's a scream inside that we all try to hide
We hold on so tight, we cannot deny
Eats us alive, it eats us alive
 
Era una bella giornata, di quelle in cui il sole scaldava senza scottare, in un cielo talmente azzurro da sembrare appena uscito dal pennello di un pittore. Il giorno prima aveva piovuto per ore, fino a tarda notte, ed ora l’odore di pioggia si mischiava all’aria salmastra che si respirava sempre, in quei giorni di fine giugno, a San Marco.
Alessio si sarebbe allentato volentieri la cravatta blu, ma cercò di trattenersi dal farlo: non voleva apparire sciatto o con i vestiti scomposti, proprio quando mancava così poco al suo turno per salire sul palco delle proclamazioni.
Era in quel piazzale da un po’ di tempo, e come ad ogni proclamazione ogni studente era invitato a ritirare direttamente sul palco il diploma di laurea, dopo essere stato chiamato dal rettore. Si trattavano di pochi secondi, giusto il tempo di salire, stringere un po’ di mani dei professori presenti, e scendere dall’altro lato del palco. Nulla di più semplice, eppure, esattamente come due anni prima, Alessio sentiva la scarica elettrica dell’agitazione e dell’eccitazione muovergli tutto il corpo.
Lanciò un’occhiata verso le sedie riservate ai parenti dei neolaureati, allestite in mezzo alla piazza. Anche da lì, in piedi vicino al palco, riusciva a distinguere il gruppetto venuto apposta per lui: Alice, seduta di fianco a sua madre e sua sorella, alcuni amici dell’università, ed infine lo stesso gruppetto di amici che condivideva con Pietro, cioè Caterina e Nicola con Francesco in braccio, e Giulia e Filippo.  Anche gli invitati di Pietro erano seduti lì vicino ai suoi, nella fila di sedie subito dietro a quella occupata dai suoi parenti ed amici.
Si girò un po’, e ciò gli bastò per scorgere Pietro, poco distante da lui. A dividerli c’erano solo alcuni altri laureati come loro, ai piedi del palco, in attesa del loro turno di salirvi.
Alessio lo studiò in viso: all’apparenza Pietro sembrava del tutto tranquillo, come se nulla fosse. Era solo ad uno sguardo più indagatore che si potevano scorgere tutti i segni dell’emozione del momento: la mano che andava sempre a spettinare i capelli castani, o ad aggiustare la cravatta già a posto così.
Non avevano ancora avuto modo di parlarsi molto. Ognuno era arrivato già accompagnato dalle proprie famiglie, e Alessio non aveva avuto abbastanza coraggio per avvicinarsi a Pietro mentre era con Giada a chiacchierare amabilmente con i propri genitori, prima che la proclamazione iniziasse.
Quel che di positivo vi era, era che era stato Pietro per primo a scorgerlo in mezzo alla marea di studenti ed invitati che occupavano la piazza quella mattina. Alessio l’aveva notato dopo essersi girato nella sua direzione, dopo aver avuto la sensazione di essere osservato; Pietro gli aveva lanciato un cenno di saluto, che non aveva nulla di troppo amichevole, ma che almeno sembrava lasciar fuori i dissapori che vi erano stati nei mesi passati.
Si erano scambiati qualche parola solo quando si erano dovuti avvicinare a quel palco, cinque minuti prima. Parole talmente formali che ad Alessio parvero quasi più un passo indietro, che uno avanti. Nell’ultimo mese aveva ripensato spesso a come si erano parlati quel giorno davanti alla segreteria, alla rosa che gli aveva regalato, e a tutto quello che avrebbe potuto significare. Evidentemente la speranza di una riappacificazione era soltanto un’illusione: d’altro canto era stato uno stupido a sperarci, quando lui per primo non aveva mai voluto saperne nulla di ciò da cui era partito tutto il risentimento di Pietro.
Aveva cominciato a pensare di dover accettare l’idea che, fino a quando non sarebbe stato lui stesso ad accettare di poter scoprire cose che non gli sarebbero piaciute di sé, nessun tentativo per riavvicinare Pietro avrebbe funzionato. Il problema era che non aveva alcuna intenzione di dissotterrare ricordi nascosti nella memoria, ricordi annebbiati e che aveva dimenticato.
 


Il caldo gli aveva appiccicato la camicia alla pelle, e Pietro non vedeva l’ora di potersi togliere la maledetta giacca. Doversi vestire elegantemente, a fine giugno, era sempre un trauma vero e proprio: si ritrovava sempre a sudare, a doversi scostare i capelli appiccicati alla fronte, e a sperare di arrivare a casa e davanti al ventilatore il prima possibile. Se poi ci si aggiungeva anche l’ansia, il tutto non poteva che peggiorare.
-Fermi così, ancora un attimo!- urlò sua madre, in direzione sua e di Giada. La proclamazione era finita da appena cinque minuti, e Pietro aveva fatto appena in tempo a tornare dalla sua famiglia, che sua madre l’aveva accolto commossa con la macchina fotografica in mano, pronta ad immortalare ogni singolo secondo. Suo padre gli aveva messo in testa la corona d’alloro, ed in quel momento Pietro si ritrovava a dover stare in posa per l’ennesima foto commemorativa con Giada, dopo averne fatte altre rispettivamente con i suoi genitori e i suoi fratelli.
Si sentiva frastornato dalla confusione che stava vivendo intorno a sé: sua madre che non smetteva di fotografarlo e piangere, suo padre che lo guardava finalmente orgoglioso, in mezzo a quella piazza piena di tantissimi altri genitori che condividevano con lui la stessa emozione per i rispettivi figli.
Pietro, sciolto l’abbraccio con Giada, vagò con lo sguardo: Giulia, Filippo, Nicola e Caterina con Francesco non erano molto distanti. Erano anche loro in piedi, sorridenti, a parlare con Alessio. Anche a lui avevano messo la corona d’alloro sul capo, scompigliando i capelli biondi che presto, se non li avesse accorciati, avrebbero facilmente raggiunto le spalle. Pietro non lo aveva mai visto con i capelli così lunghi, e non poteva fare a meno di ammettere a se stesso – con parecchio dolore-, che gli donavano inaspettatamente parecchio; sotto le luci del sole mattutino dell’estate apparivano ancora più dorati.
Sembrava felice, in quel momento, Pietro glielo poteva leggere in faccia. E anche se non avesse avuto quel sorriso luminoso ad increspargli le labbra, ne sarebbe stato sicuro ugualmente: Dio solo sapeva quanto Alessio aveva aspettato quel traguardo, il punto d’inizio da cui poteva sbocciare una promettente carriera che lui aveva cercato con tutte le sue forze.
Si lasciò sfuggire un sorriso, più malinconico che altro. Non era più riuscito a vedere Alessio allo stesso modo, dopo quella sera di dicembre, ma quel giorno era diverso. Non sarebbe riuscito ad avercela con lui nemmeno provandoci, forse perché, dopotutto, il dolore di Alessio nel non poter essere sicuro di poter rincorrere i propri sogni lo ricordava anche fin troppo bene. Forse lo rammentava perché era stato un dolore anche suo, vedere la persona che amava incapace di poter scegliere cosa fare della sua stessa vita.
Osservò Alessio allontanarsi poco a poco dai loro amici, sempre con lo stesso sorriso allegro in viso; Pietro continuò a seguirlo con lo sguardo, e fu in un attimo soltanto che decise di seguirlo subito, prima di perderlo in mezzo alla folla.
-Pietro, che ne diresti se … - Giada gli si era avvicinata ancora, ma Pietro si girò verso di lei giusto il tempo per riconsegnarle velocemente la corona d’alloro, e dirle trafelato:
-Aspetta un secondo, devo prima fare una cosa. Torno subito-.
Non riuscì nemmeno a scorgere l’espressione confusa di Giada, perché si era già voltato di nuovo, ed aveva cercato di farsi spazio nella folla, sperando di accorciare le distanze da Alessio.
Non sapeva dove fosse diretto: tutta la sua famiglia era rimasta lì, dove l’aveva aspettato fino alla fine della proclamazione, quindi non era di certo diretto al luogo dove aveva prenotato il rinfresco. Qualche idea gli sopraggiunse solo quando lo vide infilarsi in un bar della piazza: forse aveva bisogno di un bagno.
Pietro sbuffò tra sé e sé: se ci avesse visto giusto, sarebbe stato ironico volergli parlare in un luogo analogo a quello dove si erano baciati, e dopo il quale tutto era cambiato.
Oltrepassò i tavolini esterni, e una volta entrato nel bar scorse Alessio prendere davvero la via della toilette. Cercò di affrettare il passo, arrivando ad aprire la porta dopo appena un secondo da quando l’altro l’aveva richiusa.
Si fermò sulla soglia, accorgendosi per la prima volta da quando aveva lasciato la piazza di avere il fiatone e il cuore a mille; prima, nella foga di non perdere di vista Alessio nemmeno un secondo, nemmeno aveva fatto caso all’agitazione che lo teneva attanagliato all’altezza dello stomaco.
Alessio se ne stava lì in piedi, davanti a lui, chino sul lavandino della toilette, intento a rinfrescarsi il viso e la poca pelle del collo lasciata scoperta dal colletto della camicia. Pietro non disse nulla: si limitò ad osservarlo, ora in imbarazzo ed indeciso su cosa dire.
Ci vollero pochi altri secondi prima che Alessio alzasse il viso, probabilmente sentendosi osservato, accorgendosi di Pietro dal riflesso dello specchio poco sopra il lavandino. Pietro lo vide accigliato, ma fu solo questione di un secondo: quasi pensò di essersi sognato la meraviglia che aveva attraversato il volto ora umido di Alessio per quel breve istante.
-Ehi- disse infine, impacciato. La sua voce era ben distante dal tono freddo e distaccato che aveva sempre usato con lui da dicembre.
-Ehi- Alessio gli rispose al saluto guardando la sua immagine riflessa – Non mi ero accorto che mi stessi seguendo-.
Si rimise a schiena dritta, allontanandosi dal lavandino e afferrando delle salviette per asciugarsi almeno le mani. Non sembrava particolarmente teso, e Pietro lo reputò come un segno sufficiente per avvicinarsi di più.
-Non ti stavo seguendo- cercò di correggerlo. Alessio si voltò verso di lui, un sorriso stampato in faccia che sembrava esprimere quanto poco convincente fosse risultato.
-Ok, forse sì-.
-Va tutto bene?- Alessio buttò le salviette nel cestino sotto il lavandino, e si girò a fronteggiarlo. Tra loro due Alessio era quello decisamente più rilassato, o perlomeno quello che dissimulava meglio la tensione in quel momento. Pietro alzò le spalle, facendo finta di pestare un pezzo di carta sul pavimento:
-Sono solo un po’ accaldato-.
-Solo un po’? Non so se esista ancora un tuo centimetro di pelle che non sia sudato-.
-Nemmeno tu sei messo meglio- replicò Pietro, alzando il viso.
Alessio si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, spostandosi una ciocca di capelli biondi che gli era finita davanti agli occhi:
-È il 26 di giugno, che ti aspetti?- gli domandò retorico, appoggiandosi contro il bordo di uno dei lavandini, con aria che a Pietro parve fintamente disinvolta – Come ti senti?-.
-Bene. Ancora un po’ incredulo sul fatto che stavolta sia davvero finita, ma … Bene- rispose Pietro, avanzando di un altro passo, ed avvicinandosi sempre più ad Alessio, lentamente.
In realtà non sapeva bene ancora come sentirsi. Era un sollievo aver finito l’università, oltre che una soddisfazione, quello sicuramente. Il suo 100 un po’ sfigurava al confronto del 106 di Alessio, ma lui l’aveva accettato di buon grado, senza lamentarsene nemmeno una volta.
Dall’altro lato, il periodo delle certezze era irrimediabilmente finito. L’idea di iniziare a lavorare e basta, iniziare una nuova vita e una nuova routine lo spaventava più di qualsiasi altra cosa.
-È finita eccome, invece. Da oggi non saremo più studenti universitari- mormorò Alessio, pensieroso. Pietro era sicuro che per lui la fine dell’università rappresentasse solamente buoni auspici, nonché miliardi di nuove esperienze da poter fare. Era come un uccello che si era finalmente liberato dalla gabbia in cui aveva vissuto fino a quel momento, e che finalmente poteva spiccare il volo.
-È per questo che ti ho seguito- Pietro parlò senza pensarci troppo su, perché sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe mai riuscito a dire come mai aveva seguito Alessio fin lì – Volevo parlarti-.
Dopo quelle parole, sulla fronte di Alessio comparve una ruga ulteriore; guardava di rimando Pietro con aria corrugata, come se d’un tratto fosse preoccupato dalla piega che stava prendendo la conversazione.
-C’è qualcosa che non va? Oltre a tutto il resto, intendo-.
Per un attimo a Pietro parve di essere tornato indietro di più di un mese, quando ancora riservava ad Alessio quasi nessuno sguardo e quasi nessuna parola. Doveva averlo pensato anche Alessio, ne era sicuro: glielo leggeva negli occhi chiari e meno luminosi rispetto ad un secondo prima.
Pietro fece segno di diniego scuotendo il capo, lentamente; era difficile, in quel momento, mettere insieme tutte le parole che si era ripetuto moltissime volte nella sua testa, sin da quella mattina. Era difficile anche tornare a parlare ad Alessio con una parvenza di normalità, come se gli ultimi mesi non fossero mai esistiti, ma doveva sforzarsi, se non voleva far risultare tutto vano.
-Lo so bene quanto tu questa laurea te la sia sudata. Ricordo ogni singolo momento, ogni singola parola che hai speso o detto per arrivare fino a qui. Ricordo quando pensavi che non ce l’avresti mai fatta, e ricordo anche quanto ti sia costato ogni sforzo per farcela lo stesso, con le tue forze. Lo so che negli ultimi mesi non ti ho praticamente rivolto la parola, e ora ti sembrerà strano che io dica questo. E lo è, in effetti … - Pietro continuò a guardare altrove, in qualsiasi direzione, senza mai incrociare gli occhi di Alessio per non rischiare di crollare proprio all’ultimo – Ma credimi se ti dico che sono davvero felice per te-.
Combatteva contro la voglia di scoprire che espressione doveva aver assunto Alessio, dopo quelle parole. Un attimo dopo rinunciò a qualsiasi proposito che si era prefissato fino a quel momento, e riportò gli occhi sull’altro.
Alessio sembrava incredulo, e non tentava nemmeno di nasconderlo. Forse non aveva ancora detto nulla per la troppa sorpresa, o forse perché ancora doveva decidere se quello che Pietro aveva appena detto era tutto un sogno o la realtà tangibile.
Nell’attimo in cui aveva alzato gli occhi verso di lui, Pietro aveva lasciato da parte qualsiasi cautela che si era ripromesso di mantenere prima di seguirlo fino a lì, il ricordo di tutte le cattive parole che si erano scambiati negli ultimi mesi; camminò fino ad arrivare di fronte ad Alessio, e gli buttò le braccia al collo.
Non era rimasto a pensarci molto, prima di abbracciarlo in quella maniera un po’ impacciata e un po’ disperata: era stato tutto istintivo, talmente tanto che ora si sentiva leggermente in imbarazzo, ma nel posto giusto e con la persona giusta.
Era strano ritrovarsi così vicino ad Alessio dopo tutto quel tempo. L’ultima volta che era riuscito a respirarne il profumo, a sentire il calore del suo corpo, era stato sempre in un bagno, di un diverso locale, in pieno inverno. In una serata di cui ricordava tutto ancora troppo bene, e che gli faceva male come se fosse appena accaduto tutto di nuovo.
Sentì Alessio inizialmente irrigidito nel suo abbraccio, ma fu una sensazione che durò solo alcuni secondi; ricambiò l’abbraccio, poggiandogli le mani sulla schiena, stringendolo ancora un po’ a sé. Superati l’incredulità e il disagio iniziale, quello sembrò essere il gesto più spontaneo che c’era stato tra di loro da mesi.
-Lo so che le cose tra di noi ultimamente non sono andate esattamente secondo i piani- Alessio mormorò appena, la voce più roca e venata di malinconia – Avrei voluto fosse andata diversamente-.
Pietro inspirò forte, mentre abbassava le palpebre per un attimo, cercando di nascondere le lacrime silenziose che si erano fermate agli angoli degli occhi. Sapeva che Alessio lo credeva davvero: l’aveva percepito in ogni suo tentativo di riavvicinamento degli ultimi mesi, tutti gesti che però non erano bastati a cambiare le cose.
Non sarebbero cambiate nemmeno con quell’abbraccio, Pietro ne era certo. Era troppo poco, e troppo tardi, per perdonare l’indifferenza di Alessio di quell’inverno, quella sua codardia nel non volere sapere nulla che non rientrasse nei suoi piani di vita.
Eppure in quel momento, e per tutto il tempo in cui quell’abbraccio sarebbe durato, andava bene anche così. Un ultimo gesto di vicinanza, di muto amore, prima di tornare alla solita distanza.
-Anche io. Non sai quanto-.
 
I shout it out
Like a bird set free [1]
 
*
 
L'ho nascosto dentro me
Così bene in fondo a me
Che la vedo la tua luce, sai
Ma non riesco a ritrovare il tuo nome
 
Si sentiva girare un po’ la testa a causa dell’alcool, del caldo e della stanchezza che ormai aveva sostituito l’agitazione.
Era arrivato al bar dove si sarebbe tenuto il rinfresco della sua laurea almeno un’ora prima, e Pietro non aveva quasi avuto il tempo per pensare a niente. Ogni secondo era stato riempito di foto scattate a lui, insieme a parenti ed amici a turno, o dai soliti sfottò indirizzati ai nuovi laureati. Tutte cose che aveva passato anche alla triennale, anche se questa volta non c’erano papiri da leggere o strani vestiti da indossare, come i consueti scherzi ai laureati prevedevano.
In quel momento si trovava seduto a capotavola, al tavolo riservato alla sua famiglia e agli altri invitati al rinfresco. Era riuscito a sedersi solo da pochi minuti, quando finalmente si era lasciato alle spalle anche l’ultima foto scattata – con i suoi genitori-, e per la prima volta da quella mattina aveva potuto finalmente rendersi conto di quanto si sentisse stanco fisicamente e mentalmente.
Non aveva ancora del tutto realizzato tutti gli eventi occorsi fino a quell’istante. Gli sembrava di averli vissuti come rinchiuso in una bolla, in un sogno distante. Ricordava solo alcuni dei momenti vissuti quella mattina, ma forse doveva imputare maggiormente l’alcool ingerito per quella specie di perdita di memoria.
Si lasciò sprofondare lentamente sulla sedia, una mano appoggiata alla fronte dolente.
Aveva cercato con tutte le sue forze di arginare il ricordo del profumo di Alessio nelle narici in un angolo remoto della sua memoria, seppellendolo sotto tutto il resto che era successo in quella giornata. Gli era risultato piuttosto difficile riuscirci: dovunque si girasse, in quel bar, riusciva quasi a rivedere la propria immagine, come ad un occhio esterno, abbracciata con forza a quella di Alessio.
Forse era risultato un abbraccio tormentato. Sì, probabilmente se qualcuno li avesse visti l’avrebbe definito così. Un abbraccio così tanto sofferto e totalmente tormentato.
Si era chiesto a lungo se anche Alessio l’aveva considerato con gli stessi occhi. Magari lui l’aveva trovato sorprendente, inaspettato – sicuramente era così-, ma non qualcosa di straziante. D’altro canto, forse, lui non avrebbe mai abbinato la concezione di addio a quell’abbraccio, al contrario suo.
L’assenza di Alessio sembrava sottolineare ancora di più quella concezione. Pietro aveva passato i primi minuti nel bar a guardarsi intorno, senza sapere bene cosa cercare – un paio di occhi chiari? Le mani di Alessio che l’avevano stretto nemmeno un’ora prima? Il sorriso dell’unica persona di cui gli importava veramente, e che l’aveva irrimediabilmente ferito?.
Ora cominciava ad averne un’idea. Cercava Alessio, e non l’aveva trovato. Un po’ come era capitato sempre negli ultimi mesi, anche se quel giorno era diverso.
 
Occhi blu
Non respiri più con me
Occhi blu
Io non ero come te

Ma non riesci ad esser mai
Davvero quel che vuoi
La vedo la tua luce, sai?
La vedo la tua luce, sai?
Ma non voglio a ritrovare il tuo nome
 
-Che fai qui tutto solo?-.
Pietro quasi sobbalzò, quando Giada gli aveva parlato a pochi centimetri dall’orecchio. Si sporse subito a scoccargli un bacio sulla guancia, prima che Pietro potesse anche solo realizzare di averla così vicino. Cercò di ricomporsi subito, pur a disagio: era sempre strano avere Giada nelle vicinanze mentre pensava ad Alessio. Inevitabilmente si sentiva un traditore, uno che la ingannava solo per non avere il coraggio di esporsi.
-Stavo smaltendo un po’ l’alcool- rispose lui, cercando di abbozzare un sorriso. Sorriso che gli risultò difficilissimo da mostrare; si dette mentalmente dello stupido, perché, in fin dei conti, quella vita se l’era scelta lui solo un mese prima. Non poteva già sentirsi pentito al solo pensiero dell’assenza di Alessio da quella festa e dal resto della sua vita.
-Stai male?- Giada apparve tutt’a un tratto preoccupata. Gli si mise di fronte, sempre piegata per far sì che i loro visi fossero alla stessa altezza – Non è che ti sta venendo da vomitare, vero?-.
-Sto bene- cercò di rassicurarla lui, alzando le mani – E no, non vomiterò. Almeno credo-.
-Molto bene-.
Giada rise, prima di allungarsi per lasciargli un altro bacio sulle labbra.
Pietro ringraziò che fosse solo un semplice bacio a stampo: dubitava seriamente sarebbe riuscito a ricambiare qualcosa di più impegnativo, per quella giornata. Era consapevole di avere la mente decisamente lontana da quel posto, da Giada e da chiunque altro fosse presente; quella consapevolezza non lo stava aiutando per niente, se non a renderlo più cosciente di quanto anche le scelte ritenute più giuste siano talvolta anche le più dolorose.
 
Un uomo può distinguersi da un'ombra
Se cerca di esser sempre causa
Di quel che gli accadrà
 
-Ti ho portato qualcosa da mangiare!- Pietro alzò gli occhi, appena in tempo per vedere sua madre arrivare di gran fretta vicino a lui, e allungargli sul tavolo un piatto stracolmo di pizzette e stuzzichini vari – Non hai fame? Non mi pare tu abbia mangiato molto-.
-In effetti sarei già stato apposto così- brontolò Pietro, guardando torvo Alessandra per qualche attimo.
-Oh avanti, non fare il difficile- lo rimproverò lei, con il tipico cipiglio da madre apprensiva. Sentì Giada ridacchiare, e anche se non la vedeva in viso – si era rialzata non appena Alessandra si era avvicinata-, era sicuro si trovasse in un momento di soggezione misto a divertimento.
Fece per afferrare un pezzo di pizza – giusto per non sentirsi dire ancora che mangiava troppo poco-, quando Alessandra gli si rivolse ancora:
-Ma sbaglio o Alessio non è passato nemmeno per un saluto?-.
Pietro sentì il proprio cuore perdere un colpo, e cercò di non rabbuiarsi troppo in viso, anche se in quel momento avrebbe preferito di gran lunga alzarsi ed andarsene piuttosto che rispondere a quella domanda.
-È andato a pranzo con la sua famiglia- mormorò Pietro, tenendo gli occhi bassi – Come è giusto che sia-.
Gli costarono non poco, quelle parole. Ovviamente non era solo questione che Alessio avesse preferito non dare alcuna festa o rinfresco per quel giorno, di certo non organizzato congiuntamente con lui, ma l’ultima cosa che voleva era intavolare una discussione con sua madre su di lui e i loro trascorsi poco conciliatori.
-È un peccato non abbiate deciso di festeggiare insieme anche per questa laurea- insisté Alessandra, con aria pensierosa. Non sembrava aver fatto troppo caso a Pietro e al suo sguardo ancora abbassato, i tratti del viso leggermente più tesi:
-Voleva fare una cosa semplice per oggi- si limitò a spiegare, sperando che anche Giada non notasse il disagio che lo stava ammantando – Non potevo certo obbligarlo a cambiare programmi-.
-Di sicuro troverete altre occasioni per festeggiare insieme- aggiunse proprio Giada, passandogli una mano sulle spalle e con un sorriso incoraggiante stampato in viso. Non sembrava particolarmente turbata dal fatto che, negli ultimi mesi, Alessio fosse pressoché sparito dalla vita di Pietro. D’altro canto, Pietro stesso non poteva darle torto: era pur sempre una persona in meno che le aveva sempre dato contro, senza nemmeno curarsi di non renderlo palese.
Pietro si sentì sollevato quando vide sua madre allontanarsi, dopo che suo padre l’aveva richiamata per domandarle qualcosa. La vide raggiungere l’altro capo del tavolo, e tirò mentalmente un sospiro di sollievo; avvertiva ancora la presenza di Giada dietro ed accanto a sé, e ringraziò che non potesse vederlo in viso. Se l’avesse fatto, avrebbe di sicuro notato il rabbuiarsi dei suoi occhi.
Sembrava quasi ironico che, nonostante la sua assenza, tutti sembrassero intenzionati a ricordargli colui che stava cercando di lasciare andare.
 
Ti nascondo dentro me
Per non ritrovarti più
La vedo la tua luce, sai?
Ma non voglio ricordare il tuo nome
 
Non sapeva quanto tempo passò da quando sua madre se ne era andata – così come Giada, che si era allontanata silenziosamente poco dopo-, fino al momento in cui l’attenzione di Pietro era stata richiamata da Giulia. Era seduta a qualche sedia di distanza da lui, abbastanza vicina per riuscire a farsi sentire alzando un po’ la voce, tra la baraonda di gente che si spostava dal tavolo al buffet.
-Il festeggiato! Dov’è il festeggiato?- Giulia si alzò in piedi un po’ barcollante, e a Pietro venne quasi da ridere – la prima risata sincera della giornata-, nel vederla così maldestra sui tacchi.
-Guarda che quello ubriaco dovrei essere io, non tu- la prese in giro bonariamente – Pippo ti ha tolto la bottiglia di mano troppo tardi?-.
-Ehi! Non è ubriaca!- protestò proprio Filippo, seduto accanto a Giulia e un po’ più vicino al posto di Pietro, che gli rivolse uno sguardo poco convinto.
-Dovresti sapere anche tu, ormai, che lei è così di natura- anche Caterina si intrufolò nella discussione, dopo essersi avvicinata alle sedie di Giulia e Filippo e restandosene in piedi dietro di loro, con Francesco in braccio e Nicola altrettanto in piedi al suo fianco.
-In ogni caso, torniamo a noi- Giulia ignorò bellamente le insinuazioni di Pietro, e gli puntò un dito contro con fare autoritario – Ci devi un discorso, dottor Cadorna-.
Pietro sgranò gli occhi, sentendo le guance arrossarsi immediatamente:
-Che? Ve lo potete scordare- replicò con fare che non ammetteva obiezioni. Dette qualche occhiata intorno: Giulia non aveva urlato eccessivamente per farsi sentire, ma l’attenzione cominciava ad essere attirata anche per quanto riguardava i parenti. Scorse i suoi fratelli, all’altra estremità del tavolo, spostare lo sguardo da lui a Giulia, così come anche Giada e i suoi genitori.
-Non fare il difficile- intervenne Nicola – E poi tu i discorsi li sai fare bene-.
Risero un po’ tutti i commensali, e Pietro, in quel momento, avrebbe preferito scavarsi una fossa nel pavimento e buttarcisi dentro.
-Nella forma forse, nella sostanza … Chissà!- Giulia insistette ancora una volta – Stupiscici-.
Pietro si morse un labbro. Si sentiva gli occhi addosso di tutti, ora, e non era una sensazione particolarmente piacevole. Non era la giornata in cui avrebbe preferito essere sotto gli occhi di chiunque, anche se era la sua laurea ed era ovvio che fosse così.
Fu però costretto ad alzarsi ed arrendersi, dopo che Giulia ebbe incitato abbastanza i restanti commensali in un coro sempre più convinto di “Discorso, discorso!”.
-Va bene, va bene! State calmi- Pietro si sentì terribilmente vulnerabile in quel momento, e pure in quell’attimo di panico gli venne da pensare ad Alessio, e alla sua disinvoltura nel parlare anche in pubblico come se nulla fosse – Non so bene cosa dire, e onestamente mi rimane davvero poca lucidità per pensarci … Volevo solo dirvi grazie, per esserci stati oggi come per esserci stati sempre-.
Degli schiamazzi si levarono dal suo gruppo di amici, e non poté trattenersi dal lanciare loro uno sguardo torvo. Poi tornò a guardare Giada, poi sua madre ed infine di nuovo loro: gli amici di una vita. Quelli con cui era cresciuto, coloro per cui aveva cercato di tirare fuori il meglio che poteva offrire al mondo, e coloro che, immancabilmente, in quella giornata, risultavano incompleti di un membro in particolare.
-Avrei voluto ringraziare anche una persona che non è qui oggi- le parole gli vennero fuori istintivamente, e solo troppo tardi si era accorto di aver ormai cominciato a parlare – Questa persona è stata ugualmente presente, ed ugualmente importante in questi ultimi anni, condividendo giorno dopo giorno questo percorso. So che questa giornata, per lui, sarà persino più importante e felice di quanto non possa esserlo per me. Spero che, un giorno, anche io possa raggiungere certi traguardi che mi faranno sentire così-.
Stavolta non ci furono schiamazzi come prima, ma solo applausi da parte di tutti. Pietro tirò un sospiro di sollievo, e fece per sedersi, non prima di rivolgere però un’ultima occhiata nella direzione di Giulia:
-Contenta ora?-.
Giulia lo guardò con aria soddisfatta, e prima che Filippo potesse anche solo vagamente intuire le sue intenzioni e fermarla di conseguenza, si alzò dalla sedia. Pietro, che si era già seduto, non fece in tempo ad alzarsi: Giulia aveva già percorso lo spazio che li separava, e in un attimo gli aveva già buttato le braccia al collo. In quel momento Pietro si sentì morire d’imbarazzo, e pregò ardentemente che qualcuno venisse in suo soccorso.
-Ma certo che sì!- gli rispose infine Giulia, guardandolo. Ora che Pietro l’aveva più vicina, poteva in effetti intuire che Giulia non fosse esattamente sobria: odorava vagamente di alcool, e le pupille erano dilatate. Pietro, guardando oltre la sua testa, scorse Filippo alzarsi per raggiungerli; non riuscì comunque a giungere prima di poter scongiurare le azioni di una Giulia alquanto brilla, che si era allungata velocemente verso di lui per stampargli un bacio leggero su una guancia.
-Ma che diavolo ti è preso?- Pietro spalancò gli occhi, più sorpreso che altro. Fece per alzarsi, riuscendoci un po’ a fatica per non doversi scrollare Giulia di dosso troppo repentinamente.
-Un piccolo premio per il nuovo dottore del gruppo- gli rispose lei, dopo essersi alzata ed aver messo mezzo metro tra di loro – A proposito, non riesci proprio a non fare dediche all’unico grande amore della tua vita, eh?-.
Pietro diresse lo sguardo altrove, sperando di non arrossire ulteriormente. Doveva aspettarselo che qualcuno intuisse a chi si era riferito durante il suo discorso. Era un rischio che non aveva molto calcolato sul momento, e per cui ora si pentiva.
-Magari non è chi credi che sia- borbottò, notando che finalmente Filippo era a solo pochi passi da Giulia.
-Certo, come no- lei lo guardò con fare poco convinto, mentre Filippo le metteva una mano sulla spalla. Pietro la guardò ancora una volta torvamente, ma la reazione che ebbe Giulia fu solo una risata divertita.
Prima che Pietro potesse ribattere qualsiasi cosa, fu Filippo a prendere la parola, trascinandola poco gentilmente distante da lui:
-Giulia, smettila di tediarlo!-.
Rivolse uno sguardo dispiaciuto verso l’altro, prima di voltarsi e trascinarsela dietro fino ai loro posti.
Pietro li osservò allontanarsi. Se ne rimase lì solo qualche secondo, però, prima di decidere che era giunto il momento di andarsi a fumare una sigaretta appena fuori dal bar. Percorse velocemente lo spazio che lo divideva dal tavolo all’uscita, rovistando nelle tasche dei pantaloni eleganti alla ricerca del pacchetto di sigarette e dell’accendino.
Appena arrivato fuori non attese oltre per accendersene una: la portò alla bocca e fece scattare l’accendino. La prima boccata di fumo non servì a rilassarlo, ma perlomeno sembrò cancellare almeno un po’ l’odore del lucidalabbra di Giulia che probabilmente aveva ancora stampato sulla guancia.
Era stata una buona idea quella di fumare per cancellarne il profumo. Non avrebbe sopportato il pensiero di averlo addosso, non quello di Giulia almeno.
C’erano stati baci, nella sua vita, di cui non avrebbe mai voluto dimenticare il sapore, la sensazione. Quello con Alessio era tra quelli: era il bacio per cui avrebbe voluto imprimere a fuoco nella sua memoria ogni singolo attimo, ogni singolo odore e sapore. Li aveva già dimenticati, ormai, ma la consapevolezza di averli conosciuti veramente, almeno una volta, lo avrebbe accompagnato ogni giorno da lì in avanti.
Avrebbe lasciato da parte lui, ma gli rimaneva il ricordo – di ciò che sarebbe potuto essere, se nessuno dei due avesse avuto troppa paura di affrontare la situazione.
 
Dimentichi il sapore, sai
Dimentichi la voce
Ma lo sai che è stato meglio così
 
-Sapevo che ti avrei beccato qui a fumare-.
Pietro non si stupì di sentire la voce di Giada dietro di lui. Non si voltò verso di lei, prendendo un’altra boccata, ma attese che fosse lei a fare la prossima mossa.
-Avevo bisogno d’aria- le rispose, a bassa voce e indifferente.
Giada gli passò le mani sotto le braccia, congiungendo le mani sul suo addome: era un abbraccio un po’ scomodo, e per un attimo Pietro ebbe l’istinto di divincolarsi. Era la sensazione che fosse tutto sbagliato ad averlo tentato di staccarsi, ma la represse quasi immediatamente. Doveva cercare di abituarsi all’idea che quella era la vita che si era appena scelto, e che quelle sarebbero state le uniche braccia che lo avrebbero stretto da quel momento. Avrebbe quasi sperato che al posto di Giada ci fosse almeno Fernando, che invece non era nemmeno lì – tutta colpa di quello stupido lavoro estivo da bagnino per cui non poteva mai prendersi giorni liberi, pensò Pietro con amarezza.
Ma erano le braccia di Giada a cingerlo in quel momento. Non erano quelle che desiderava, ma erano quelle che rappresentavano la sicurezza, la scelta più razionale. Erano quelle che avevano vinto.
E sapeva che, in fondo, non poteva esserci altro futuro al di fuori di quello. Non aveva avuto altra scelta: a volte gli addii sono l’unica via per sopravvivere.
 
Occhi blu
Tu non eri come me
Non sei tu
Chi respira su di me

Vedevo la tua luce, sai
Come dentro a un incantesimo
Vedevo la tua luce, sai
Ma ho fatto un incantesimo
E tutto a un tratto non ci sei più [2]
 
*
 
On bended knee is no way to be free
Lifting up an empty cup I ask silently
That all my destinations will accept the one that's me
So I can breath
 
Quando entrò in casa, il silenzio lo avvolse. Fu solo il tintinnio delle chiavi buttate nella ciotola all’ingresso a spezzarlo, ma solo per un attimo fugace. Tutto sembrava addormentato, il tempo fermo a quell’attimo in cui aveva aperto la porta dell’appartamento e vi aveva messo piede per la prima volta da quella mattina.
Le luci del tramonto dipingevano di rosso ed arancio le pareti chiare del piccolo salotto, e ad Alessio venne voglia di lasciarsi cadere lì, sul divano, giusto per prendersi un attimo tutto per sé.
Si sedette lentamente sul divano, sfilandosi la cravatta e lanciandola chissà dove – probabilmente doveva essere finita da qualche parte sul pavimento-, fregandosene per una volta se il suo passaggio avrebbe gettato disordine nella stanza. Non era dalla confusione, dall’incredulità o dalla stanchezza che doveva prendersi una pausa. Al contrario, in quel momento si sentiva in pace con il mondo, sereno per la prima volta da tantissimo tempo. Non ricordava bene quando era stata l’ultima volta che si era sentito così. Era sicuro fosse questione di anni interi.
Dopo la proclamazione non c’era stato tempo per feste in grande stile. Aveva optato per un pranzo tranquillo: lui, sua madre ed Irene, ed Alice, che si era dovuta trattenere per poco tempo, prima di dover partire alla volta dell’aeroporto – aveva prenotato da troppo tempo il biglietto per tornare a Londra per qualche giorno, ed Alessio aveva insistito parecchio per far in modo che non rimandasse a causa della sua laurea. Ci sarebbe stato tempo per festeggiare in altri modi, con gli amici; per quella giornata, invece, non avrebbe potuto chiedere di meglio. Il silenzio che lo accompagnava, la solitudine con cui se ne rimaneva lì seduto sul divano, lo stavano facendo sentire bene. Era uno di quei momenti in cui si può essere felici anche da soli, in cui l’unica compagnia desiderata è quella di se stessi.
Sua madre e sua sorella erano ripartite per Villaborghese quasi subito dopo il pranzo. Eva era apparsa piuttosto indecisa, ed Alessio aveva temuto che all’ultimo avrebbe cambiato idea sulla partenza. Non era stato così, e lui aveva potuto tirare un sospiro di sollievo, pensando alla serata da solo che avrebbe potuto passare.
Aveva ricevuto un abbraccio da sua madre, quando era giunto il momento dei saluti. Un abbraccio che, per un attimo, un fugace e breve attimo, gli aveva riportato alla mente un vuoto che ignorava ogni singolo giorno da sei anni.
Aveva cercato di allontanare quella sensazione ripensando all’abbraccio che, invece, aveva ricevuto da Pietro.
Alessio non fece nulla per cercare di trattenere il sorriso che gli increspava le labbra; d’altro canto, le pareti del salotto non potevano certo dirgli che avrebbe fatto meglio a cancellarsi dalla faccia quell’espressione inebetita che sentiva di avere.
L’abbraccio di Pietro era stato inaspettato e desiderato come non si era mai reso conto prima che avvenisse.
Non se l’era aspettato, nemmeno dopo essersi reso conto che Pietro l’aveva seguito per dirgli quanto si sentisse felice per lui. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che c’era stato contatto fisico tra di loro, o almeno un contatto così ravvicinato ed intimo.
All’inizio, quando si era accorto della presenza di Pietro in quel bagno minuscolo, gli era parso così insicuro, così fragile che si sarebbe aspettato di vederlo crollare in mille pezzi da un momento all’altro. Ma poi aveva capito, quando si era ritrovato stretto dalle sue braccia, che quello veramente fragile tra loro due era proprio lui e non Pietro: era lui che non avrebbe mai potuto trovare il coraggio di un gesto simile dopo tutti quei mesi di tensione, lui che si era sentito esposto come non mai in quell’abbraccio tutt’altro che semplice.
Si era sentito a casa, così vicino a Pietro, e sarebbe bastato anche solo quello a ricordargli quella sua fragilità. A ricordargli che Pietro era l’unico che, in un modo o nell’altro, riusciva a toccare corde che solitamente riusciva ad ignorare, a lasciare in disparte per potersi concentrare al meglio sui suoi obiettivi.
 
Don't come closer or I'll have to go
Holding me like gravity are places that pull
If ever there was someone to keep me at home
It would be you
 
Sapeva che nei giorni successivi si sarebbe ritrovato a pensare spesso a quell’abbraccio, e sapeva anche che quel gesto non avrebbe cambiato nulla tra di loro. Era stato dettato solo dagli eventi della giornata: era sicuro che già l’indomani sarebbe tornato tutto come al solito, con le sue colpe mai espiate e il rancore di Pietro ancora non curato.
Sapeva anche che sarebbe tornato a sentirsi in colpa, ma solo dal giorno dopo. Per quella sera non c’erano sensi di colpa che avrebbero potuto oscurare il senso di soddisfazione e di realizzazione che lo stavano riempendo.
Affondò ancora un po’ sulla superficie morbida del divano, dopo essersi arrotolato le maniche della camicia. Cominciava a sentire caldo, esattamente come l’aveva sofferto quella mattina stessa, poco prima della proclamazione. Quello era il secondo momento che ricordava meglio della giornata appena trascorsa. Nella sua memoria erano come stampati a fuoco ogni pensiero e sensazione che l’avevano attanagliato in quell’attimo, nella trepida attesa di salire su quel palco inframezzata dal suo sbirciare Pietro da lontano.
La proclamazione era stato l’ultimo passo che lo aveva diviso dalla vita che stava rincorrendo da quando aveva solo diciotto anni. L’aveva rincorsa così a lungo, e con così tanta ostinazione e determinazione, che ancora faticava a rendersi conto che da lì in avanti non avrebbe dovuto fare altro che mettersi in gioco. E non vedeva l’ora di giocare, di raccogliere i frutti di tutti quegli anni di fatiche e concentrazione su quell’unico obiettivo.
Era sicuro che non tutti avrebbero capito quel suo desiderio di autorealizzazione. Anzi, era abbastanza sicuro che la maggior parte delle persone l’avrebbe trovato un gretto egoista concentrato solo sulla sua futura carriera. Probabilmente era vero, era un egoista che non aveva dato importanza a null’altro se non al suo futuro; Pietro era stato vittima della sua ambizione, e probabilmente non era stato l’unico a rimanere incastrato in quel meccanismo.
Ed Alessio sapeva che non sentirsi in colpa per quello, anche se solo per quel giorno, non faceva altro che sottolineare il suo spirito individualista. Ma non poteva negare né a se stesso né a chiunque altro la soddisfazione che lo aveva accompagnato in quella giornata; quello era il suo giorno, il suo nuovo inizio: un’altra battaglia da poter perseguire, un’altra vittoria da poter conquistare – una vittoria macchiata e mossa dall’assenza di qualcun altro.
Per la seconda volta in quella giornata riemerse nella sua mente la sensazione di mancanza. Per un attimo ebbe la tentazione di alzarsi e andare a riempirsi un bicchiere di qualcosa di alcolico – qualunque cosa sarebbe andata bene per soffocare con certezza quel vuoto che sentiva all’altezza dello stomaco-, ma cercò di trattenersi. Aveva già bevuto abbastanza per quella giornata, e ubriacarsi da solo a casa non era la situazione ideale per festeggiare.
Sentì il nervoso montargli, al pensiero che Riccardo riuscisse a fargli quell’effetto anche quando non c’era. Soprattutto quando non c’era.
Non lo vedeva da anni, dubitava persino che sua madre gli avesse detto della sua laurea. E anche se lo aveva saputo, non si era certo aspettato una sua chiamata o un messaggio d’auguri. Non sarebbe stato da lui.
Si chiese cosa gli avrebbe detto suo padre, se fosse stato lì con il resto della sua famiglia e ai suoi amici: gli veniva facile immaginarselo in piazza San Marco, fasciato dai suoi soliti abiti sofisticati e costosi, gli occhi neri e il ghigno derisorio. Forse lo avrebbe sminuito, dicendogli che se voleva davvero arrivare dove era arrivato lui, di strada ne aveva ancora molta da fare. E di certo, da quel punto di vista, avrebbe avuto ragione: forse non sarebbe mai riuscito a superarlo, forse neppure ad eguagliarlo, anche se Alessio, in quella strada che si era scelto, ci stava mettendo tutto il cuore e tutta l’anima.
 
Everyone I come across in cages they bought
They think of me and my wandering
But I'm never what they thought
Got my indignation but I'm pure in all my thoughts
I'm alive
 
Riusciva perfino a sentire la sua voce, mentre se lo immaginava sputargli addosso quelle frasi. In una qualsiasi altra giornata l’avrebbero ferito, lasciato vuoto e sanguinante nell’anima. Ma non quel giorno, non in quel giorno in cui, per la prima volta da lungo tempo, si sentiva così realizzato da potersi lasciare scivolare via qualsiasi cattiveria gratuita.
Alessio si alzò definitivamente dal divano, andando svelto in cucina. Mantenne fede al suo proposito di non bere ulteriore alcool, e si riempì invece un bicchiere di acqua fresca. Si rese conto che pensare a Riccardo in quel frangente gli aveva fatto meno male del solito; in quel momento pensò davvero che la felicità fosse in grado di stordire così tanto le persone.
Bevette un altro bicchiere d’acqua, poi si avviò verso la sua camera da letto, cominciando a slacciare i primi bottoni della camicia. Era del tutto intenzionato a buttarsi sul letto, a gambe e braccia aperte, e magari addormentarsi proprio lì.
Fu passare davanti alla scrivania della stanza che, invece, gli fece per un attimo allontanare l’idea di stendersi e riposarsi. L’occhio era finito su un pacco di fogli bianchi, ancora inutilizzati. I pensieri furono più veloci delle azioni. Lanciò un’occhiata veloce al letto: avrebbe potuto rimandare benissimo di un po’ il sonno ristoratore che lo attendeva invitante; si sedette quindi alla scrivania, rigirandosi tra le mani il foglio bianco in cima al blocco.
Scrivere non era mai stato un suo passatempo. Lo scrittore del gruppo era sempre stato Pietro, non certo lui, anche se alle superiori ricordava che non gli dispiaceva affatto cimentarsi nei temi in classe, ed era una cosa che gli riusciva anche bene. Quello che gli ronzava in mente, però, non era un tema. Non era nemmeno una storia, o almeno così credeva. Erano vari pensieri che avrebbe voluto buttare giù sulla carta, metterli nero su bianco per non far sì che il tempo potesse cancellarglieli dalla memoria.
Afferrò la prima penna che gli capitò a tiro dal portapenne, e prima ancora che decidesse che filo logico dare ai propri pensieri, iniziò a scrivere. Si stupì della facilità e velocità con la quale le parole venivano incise dalla penna sulla superficie nivea della carta, e si stupì anche nel rendersi conto quali erano le parole che aveva tenuto celate dentro se stesso così tanto a lungo.
Finì in una decina di minuti. Non rilesse nemmeno quello che aveva appena scritto: conosceva troppo bene le parole che avrebbe voluto rivolgere a se stesso, e pensava di poter presupporre quali parole avrebbe voluto rileggere tra qualche anno, magari nei momenti più difficili che gli si sarebbero presentati di nuovo.
Si alzò dalla sedia di fronte alla scrivania, ripiegò il foglio e lo infilò in uno dei cassetti del comodino accanto al letto. Forse quella lettera non l’avrebbe più riletta, ed in quel caso, forse, si sarebbe anche dimenticato della sua esistenza. O forse, un giorno, gli avrebbe fatto piacere rileggerla, e ritrovare il coraggio che si era sentito nelle vene mentre la scriveva.
 
Leave it to me as I find a way to be
Consider me a satellite forever orbiting
 

“Non so tra quanto leggerai questa lettera. Potrebbe passare un anno, così come una decina, o forse anche più. Magari la perderai e, anche se in un angolo della tua memoria ne rimarrà il ricordo sfocato, non rileggerai mai queste parole. Probabilmente però, conoscendoti, la terrai nascosta da qualche parte al sicuro: chissà, forse un giorno di un anno non ben precisato ti verrà voglia di rileggere cosa ti passava nella mente del te stesso venticinquenne. Spero che, per quel tempo, potrai farti una risata leggendo queste parole, pensando a quanto allora fosse difficile e quanto, invece, ora la vita ti sorrida.
O forse rileggerai questa lettera nei momenti peggiori che ti si presenteranno davanti, ricordando quanto fossero più semplici le giornate di adesso.
Beh, se dovesse accadere quest’ultima ipotesi, queste parole sono per te, Alessio del futuro: qualsiasi cosa accada, qualunque sia il problema che ti sta facendo vacillare, non mollare mai. Non pensare neanche per un momento di non potercela fare, di non trovare una via per risalire.
Ricordati quanto dolore e quante fatiche hai dovuto affrontare per giungere fino a dove sei arrivato – e sono sicuro che, per il tempo in cui starai rileggendo questa lettera, sarai arrivato ancora più lontano di ora-, e ricordati della persona che sei diventato anche grazie a tutto questo.
Ricordati del giorno in cui, finalmente, hai raggiunto la prima tappa nel percorso di vita che hai scelto: l’invincibilità che, seppure sopita, non è mai sparita, e che è riaffiorata proprio in questa giornata.
Ricordati anche che niente e nessuno può portarti via i tuoi sogni, e che per raggiungerli basta volerlo. Fregatene di chi ti additerà come un arrogante ed egoista: probabilmente quella critica arriverà proprio da chi non ha mai avuto un’ambizione talmente grande da non aver concluso nulla nella sua vita.
Hai toccato il fondo diverse volte, e ti sei sempre rialzato. Anche questo devi tenertelo sempre a mente.
Non ti conosco, non posso prevedere con sicurezza come sarai: posso solo sperare che, per il tempo in cui ti ritroverai di nuovo con questo foglio in mano, tu abbia raccolto tutti i successi in cui hai sempre sperato e sempre creduto. Spero tu non ti sia mai fatto lasciare scappare nessuna occasione, e quando ti sembrerà di aver forse sacrificato troppo per la tua causa, guardati indietro e rammenta: di sacrifici ne avrai fatti e ne dovrai fare ancora tanti, ma non è mai troppo alto il prezzo da pagare per aver deciso di rincorrere le proprie vocazioni.
È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, libero di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.
A.”.
 
I knew all the rules but the rules did not know me
Guaranteed
 
 
 
 
[1] Sia - "Bird set free”
[2] Afterhour - "Non voglio ricordare il tuo nome"
[3] Eddie Vedder - "Guaranteed"
il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Nuova settimana, nuovo capitolo e... Non la sentite questa sensazione di deja-vu che aleggia nell'aria? I lettori più attenti avranno già ricollegato questo capitolo con il terzo flashforward del prologo... Non è così?😉 E ormai saprete anche che gli unici flashforward rimanenti da ricollegare a qualche capitolo sono quelli di Giulia, Filippo e Pietro 🤐
Ma veniamo a noi: speriamo abbiate passato un Ferragosto all’insegna della spensieratezza e dell’allegria, giusto per bilanciare l’atmosfera un po’ malinconica di queste pagine! Sì, lo sappiamo, probabilmente in questo aggiornamento avrete dovuto recuperare un fazzoletto per asciugare le lacrime causate dall’abbraccio tra Alessio e Pietro *sigh*
Per i nostri due beniamini è giunto il momento di posare i libri e sollevare una corona di alloro sulla propria testa. Tra foto, festeggiamenti vari e tanto, tantissimo caldo, Pietro e Alessio sembrano ritagliarsi qualche minuto per parlare tête-à-tête: il loro sembra essere un vero e proprio momento di "addio", anche se non sarà un vero addio: di certo il loro rapporto cambierà radicalmente da qui in avanti, anche se non si perderanno sul serio di vista, e di certo non ci sarà un altro litigio come avvenuto in Youth. Insomma, sarà un distacco diverso, ma di certo tra loro le cose cambieranno di sicuro.
Con una sostanziale differenza tra i festeggiamenti di laurea, scopriamo poi alla fine di questo capitolo che Alessio, nonostante la solitudine, non se la sta affatto passando male. È soddisfazione forse la parola più indicata per descrivere i suoi pensieri, che qua leggiamo e scopriamo in profondità. Il suo senso di rivalsa verso il padre emerge quanto la fierezza personale dell'aver raggiunto il suo primo obiettivo (e a quanto pare poco importa che nel frattempo qualcuno ci sia rimasto di mezzo 😂)
Cosa ne pensate del percorso di Alessio, e soprattutto della persona che è diventato nel corso di Growing?
Ci rivedremo mercoledì 31 agosto per finire questo mese con il botto!  

Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 - Beautiful disaster ***


EDIT: Prima di lasciarvi al capitolo volevamo dirvi che abbiamo aggiornato la playlist Spotify di questa storia con le ultime canzoni rimanenti. Quindi potrete dilettarvi nell'ipotizzare le possibile pieghe della trama futura da un punto di vista musicale :) 



 
CAPITOLO 28 - BEAUTIFUL DISASTER




 

Dalle finestre aperte entrava una leggera brezza, comunque insufficiente a sconfiggere la cappa di afa che si era creata nell’appartamento.
Filippo sembrava non badarci affatto, ed in quel momento Giulia lo stava invidiando profondamente: lo invidiava osservandolo nella sua placida posizione, comodamente seduto sul divano, mentre seguiva più o meno attentamente un film che stavano trasmettendo alla tv. Non sembrava far attenzione a niente altro, se non alle battute che il protagonista della pellicola stava pronunciando in quel momento. Nemmeno il caldo asfissiante, o il leggero odore di acqua ristagnate proveniente dalla calle dietro il palazzo, sembravano distrarlo.
Giulia cambiò posizione per l’ennesima volta in circa dieci minuti, incrociando le gambe sopra il divano, e raddrizzando di più la schiena. Non riusciva a capire cosa le stesse dando più fastidio in quel momento, se il caldo, il mal di testa che si ritrovava, o tutta la situazione in generale. Si sentiva semplicemente insofferente a qualsiasi cosa.
Non riuscì a resistere molto nemmeno con le gambe incrociate. Le riportò di nuovo a terra, scivolando con la schiena in basso, e finendo in una scomoda posizione semisdraiata. Sapeva già che sarebbe resistita ancora meno, così.
-Ok- Giulia si bloccò all’istante, quando finalmente la voce di Filippo sovrastò il volume della televisione – Mi spieghi che hai stasera?-.
-Che dovrei avere?- Giulia cercò di fare finta di nulla, sprofondando, se possibile, ancor di più nel divano. In quel momento avrebbe desiderato tanto esserne inglobata, per poter sparire e non dover parlare con Filippo.
-Dimmelo tu. Non te ne sei stata ferma un secondo fino ad adesso- replicò lui, meno paziente di prima.
-Non ho niente- mugolò Giulia, prendendo ad esaminarsi una ciocca di capelli. Ormai erano cresciuti parecchio – le arrivavano quasi a metà schiena-, ed erano una scusa perfetta per evitare di guardare in faccia Filippo. 
Non lo stava evitando, non davvero – le piaceva pensarla così-, ma la situazione non era delle più facili. Sapeva che a Filippo poteva dire qualsiasi cosa, e che lui non le avrebbe mai voltato le spalle per nessun motivo, ma ciò non cambiava che quella fosse una situazione alquanto scomoda.
Sapeva anche, però, che per quanto scomodo fosse il tutto, era anche altrettanto impossibile tenerlo nascosto a lungo.
-È che … - Giulia tirò un sospiro profondo, mentre mollava definitivamente la ciocca di capelli e lasciava ricadere pesantemente le braccia ai lati del corpo – Sto morendo di caldo, ho mal di testa, mi sento gonfia come non so cosa, e ho un ritardo-.
-Oh beh, cerca di non pensarci troppo, sono cose che capitano- mormorò Filippo in risposta. Giulia lo guardò stupita, ma passarono solo pochi altri secondi prima che Filippo stesso si girasse di scatto verso di lei, gli occhi spalancati e un colorito cereo in viso:
-Cos’hai detto come ultima cosa?-.
Ora Filippo non era più nella posizione comoda di poco prima: si era messo a sedere con la schiena ritta, sul bordo del divano, il busto leggermente girato verso Giulia. Non sembrava davvero sicuro di aver capito bene, e forse in fondo sperava davvero di aver sentito male; a Giulia si strinse per un attimo il cuore, al pensiero di doverlo fare preoccupare ulteriormente, come se i preparativi della sua laurea imminente e del matrimonio sempre più vicino non fossero sufficienti.
-Ho detto che ho un ritardo- fece Giulia, a bassa voce e tenendo sempre gli occhi bassi, sperando di non scoppiare in lacrime – Di dieci giorni-.
Aveva contato ogni singolo giorno di ritardo, sperando ogni nuovo giorno che fosse quello buono. Aveva passato più di una settimana in quello stato di tensione e paranoia, fino a quando non si era data per sconfitta: dieci giorni di ritardo, e l’ansia alle stelle. Aveva cercato di non parlarne a Filippo fino a quel momento – in fin dei conti non era mai stata particolarmente regolare senza la pillola, e poi lo stress giocava brutti scherzi spesso e volentieri-, ma la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava era rimasta fino a quel momento, quando non era più riuscita a tenersi tutto dentro.
Cominciava a capire bene come, l’anno prima, si era dovuta sentire Caterina prima di fare il test. Così vulnerabile da non avere nemmeno la forza di dirlo ad alta voce. Non riusciva nemmeno a capire come fosse riuscita a tenerlo tanto a lungo nascosto a Nicola, quando lei, al suo posto, non era durata più di due settimane dal dirlo a Filippo. E senza alcuna certezza che, in fin dei conti, fosse davvero un allarme.
-Ok, ok, ok- Filippo prese a respirare a fondo, alzandosi dal divano e cominciando a camminare avanti e indietro. Giulia non si era aspettata che la prendesse con troppa filosofia, ma nemmeno si era immaginata di vederlo impazzire così.
-Può essere un ritardo e basta, no? Insomma, non è detto che … -.
-No, non è detto- disse lei, sedendosi meglio e sforzandosi, per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, a guardare Filippo in faccia – Ma non è nemmeno detto che sia solo un ritardo-.
Non aveva avuto coraggio a sufficienza per dire ad alta voce la parola specifica che le frullava in testa. Forse perché le sembrava quasi impossibile fosse davvero successo a lei, o forse per un vano tentativo di scacciare lo spettro di quella possibilità.
A quel punto, Filippo si bloccò, le spalle abbassate e le braccia lungo i fianchi, come se non avesse più alcuna energia vitale in corpo. Di nuovo, Giulia rimase un po’ sorpresa dalla sua reazione: forse non si era nemmeno aspettata che la prendesse con quello spavento. Ricordava ancora le parole meravigliose che le aveva rivolto l’anno prima, quando aveva pensato che quella ad essere incinta fosse lei stessa anziché Caterina: forse, in fin dei conti, la paura per una possibile gravidanza era più grande anche della buona volontà.
Cercò di scacciare subito quell’ultimo pensiero: Filippo non le aveva mai dato occasione per dubitare di lui, e non voleva farlo nemmeno in quel momento. Non poteva permettersi di non fidarsi di colui che le sarebbe dovuto essere più vicino in assoluto.
-Ok, allora non ci rimane che una cosa da fare-.
Filippo ritornò a sedersi sul divano, tenendo gli occhi puntati su Giulia. Le mise una mano su una spalla, e finalmente Giulia intravide di nuovo il Filippo di sempre: quello sempre pronto ad appoggiarla, a non farla sentire sola.
-Credo che prima di prendere qualsiasi decisione o di fasciarci la testa per niente, dovresti fare almeno un test- le disse, il più dolcemente possibile – Ormai credo sia d’obbligo. Per avere qualche certezza. E poi … Decidere di conseguenza-.
Giulia si ritrovò ad annuire piano. Era d’accordo con lui, ovviamente: con dieci giorni di ritardo fare un test di gravidanza era di certo la soluzione più logica da prendere. Doveva solo trovare la forza per andare in farmacia l’indomani mattina e comprarne almeno uno.
-Sì, decideremo quando sapremo- gli fece eco, facendo sprofondare la testa contro lo schienale del divano. Si sentiva la testa girare lievemente, e l’umore a terra esattamente come prima di confessarsi a Filippo, come se il mondo fosse sul punto dal crollarle addosso.
L’indomani sarebbe potuto essere un giorno alquanto indimenticabile, e ancora doveva capire se fosse una cosa del tutto positiva.
 
*
 
Stava camminando così velocemente che, ne era sicura, stava sudando mille camicie. Eppure non ci stava facendo minimamente caso: era come se la sua pelle non recepisse nulla, né il calore dei raggi del sole che la colpivano quando usciva dal cono d’ombra dei palazzi, né delle goccioline di sudore che si stavano formando. Non percepiva nemmeno la fatica del camminare così di fretta. In meno di dieci minuti era arrivata a destinazione, davanti al palazzo dove si trovava l’appartamento di Caterina e Nicola. Le faceva ancora un po’ strano pensare che ora ci vivevano loro, quando fino ad un anno e mezzo prima era lei stessa a condividerlo ancora con Caterina.
Non restò nemmeno ad attendere l’ascensore, preferendo prendere le scale per non interrompere il ritmo forzato con cui stava camminando. Arrivò davanti alla porta dell’appartamento qualche minuto dopo, e solo in quel momento le venne in mente che, forse, Caterina poteva anche non essere a casa.
Premette comunque il campanello, aspettando qualche segno della sua presenza. Ebbe fortuna, perché non dovette attendere molto prima di sentire dei passi provenire dall’interno dell’appartamento.
La porta si aprì nemmeno un minuto dopo, rivelando una Caterina dall’aria alquanto stanca, con un Francesco mezzo assonnato tra le braccia.
-Ehi, come mai qui? Non mi ricordavo dovessi passare oggi- le fece Caterina, ma Giulia non riuscì ad articolare alcuna risposta. Aveva posato gli occhi su Francesco, così piccolo in braccio a sua madre e così dolce alla vista; non si era quasi accorta di essersi fatta sfuggire qualche lacrima, fino a quando Caterina non le si era avvicinata ulteriormente guardandola con apprensione:
-Ma stai bene? È successo qualcosa?-.
Giulia non ce la fece più, e le lacrime divennero molte di più. Non le importava nemmeno più cercare di trattenersi, perché ormai quello era l’unico modo per sfogarsi e lasciar venire fuori tutto quello che le si stava rimescolando dentro.
-Giulia? Si può sapere che hai?- Caterina si fece avanti ancora di qualche passo, cercando di afferrarla per un braccio e tenere saldo Francesco allo stesso tempo. Aveva alzato la voce più per preoccupazione che per il fatto di non aver ancora ricevuto alcuna risposta.
Risposta che ricevette qualche attimo dopo, quando Giulia, dopo alcuni tentativi di aprire bocca, aveva articolato a fatica alcune parole sufficienti per chiarire la situazione:
-Sono incinta-.
 


-Stai meglio, ora?-.
Caterina le allungò un bicchiere d’acqua, prima di sedersi sul divano accanto a lei. Se non fosse stato per Francesco – gorgogliante in braccio a Caterina, e probabilmente l’esserino più sorridente e sereno che Giulia avesse mai visto in vita sua-, tutta quella situazione sarebbe parsa un terribile dejà vu. A Giulia sembrava di essere tornata indietro di un anno, solo a parti invertite: stavolta erano a casa di Caterina, ed era lei ad essere completamente sotto shock dopo aver scoperto che il test di gravidanza, comprato quella mattina stessa solo due ore prima, era risultato subito positivo. E, sempre per qualche strano scherzo del destino, era Caterina, stavolta, a saperlo per prima, e sempre lei a cercare di consolarla e farla ragionare.
L’unico elemento in più era appunto Francesco, a cui solitamente Giulia rivolgeva praticamente tutte le attenzioni quando lo vedeva – ancora doveva trovare il modo di resistere a quel viso dalle guance paffute incorniciate da capelli dorati, ereditati con ogni probabilità da Nicola-, e che invece, in quel momento, cercava di guardarlo il meno possibile.
In fin dei conti, non era d’aiuto continuare a pensare che Caterina si era ritrovata nella stessa identica situazione un anno prima, ed ora si ritrovava a tenere tra le braccia la copia in miniatura di Nicola, e che forse lei a distanza di otto mesi si sarebbe ritrovata con una copia neonata di Filippo. O magari sua.
-Intendi più calma?- farfugliò Giulia, lo sguardo fisso davanti a sé e con il bicchiere d’acqua stretto in mano, ancora pieno – No, per niente-.
-Oh, lo so bene che in queste situazioni è impossibile stare calmi. Ma almeno hai ripreso fiato- replicò Caterina. In effetti, appena arrivata lì, Giulia si era sentita quasi i polmoni in fiamme: mentre camminava non si era praticamente accorta di essere andata fin troppo di fretta, e solo una volta entrata nell’appartamento la stanchezza l’aveva colta.
Ora, seduta sul divano di Caterina, si sentiva leggera e pesante allo stesso tempo: quasi incorporea, come se quella situazione non fosse reale, ma contemporaneamente con un peso enorme sulle proprie spalle.
-Non riesco a crederci- mormorò ancora, appena udibile.
-Hai fatto un solo test?-.
Giulia si ritrovò ad annuire, come in trance. Quella mattina si era alzata presto – dopo aver passato una notte praticamente insonne-, e con una scusa qualsiasi rifilata a Filippo, scusa che aveva già dimenticato, era uscita per andare nella farmacia più vicina. Aveva comprato un test in fretta e furia, ed era tornata di nuovo a casa. Aveva atteso che Filippo uscisse per delle commissioni, prima di entrare in bagno e aprire finalmente la confezione del test. L’aveva tenuto in mano tremando, anche se ancora non tremava così tanto come poi era invece successo quando, dopo due minuti di attesa, aveva saputo l’esito. Sapeva che quell’istante se lo sarebbe ricordato per tutta la vita, perché tutto quello che sarebbe venuto dopo sarebbe dipeso da quell’unico momento.
Non sapeva bene quanto tempo avesse passato in bagno, tremante e a fissare il test. Sapeva solo che, ad un certo punto, si era resa conto che Filippo sarebbe potuto rientrare da un momento all’altro, scoprendola in quelle condizioni. Si era alzata a fatica dal pavimento freddo, aveva cercato un nascondiglio per il test, e poi se ne era uscita di casa. Aveva lasciato solo un biglietto scritto in tutta fretta a Filippo, sul tavolo della cucina, lasciandogli detto che Caterina aveva bisogno di una mano con Francesco. Alla fine era una bugia solo per metà: era davvero andata da Caterina, anche se Francesco dormiva tranquillo e decisamente più sereno di lei.
-Ok, calcolando l’entità del ritardo direi che non ci sono comunque dubbi- riprese Caterina, cercando di parlare in un tono di voce il più calmo possibile.
-Dovrei prenotare una visita. O fare altre analisi … Non lo so nemmeno io- Giulia si prese il viso tra le mani, chiudendo gli occhi. Ricordava abbastanza bene come si era mossa Caterina nei primi mesi, ma in quel momento non riusciva a fare abbastanza ordine nella sua mente.
-Hai un po’ di tempo per pensarci, rimanda queste cose a domani- Caterina le posò una mano sulla spalla, piano – Ora devi ancora digerire la scoperta-.
Eccome, se la doveva digerire. In quel momento non riusciva a pensare ad altro, a rimuginare su tutto ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti.
Lasciò che le mani le scivolassero lontane dal viso, fino a finirle lungo i fianchi sul divano. Si voltò ancora una volta verso Francesco, ormai addormentato del tutto e con le palpebre abbassate sulle iridi nocciola.
Aveva fatto pratica, negli ultimi mesi, in fatto di neonati, ma non sapeva quanto questo avrebbe potuto aiutarla: con un figlio suo sarebbe stato totalmente diverso. Diverso il grado di coinvolgimento, molto più intenso e difficile. Sarebbe potuta essere in grado di crescerlo, in quel momento della sua vita? Nessun genitore nasceva imparato, ma nemmeno con l’esperienza era detto che avrebbe fatto un buon lavoro.
Sentì ogni sua singola certezza sgretolarsi sotto il peso di quella consapevolezza. Le sembrava di essere tornata a qualche anno prima, quando era spaventata per il trasferimento a Venezia. La sensazione era la stessa: il sentirsi inadatta, non in grado di potercela fare. Cambiava solo il fatto che, stavolta, non aveva alcuna via di fuga.
A quel pensiero, se possibile, si sentì ancor più disperata. C’era, però, anche una minima parte che, nonostante tutto, non poteva definirsi infelice. Aveva sempre sognato di avere figli propri, soprattutto negli ultimi tempi – magari non rimanendo incinta proprio pochi mesi prima del matrimonio-, ed ora si stava avverando quel desiderio. Le sembrava maledettamente strano pensare che si stesse realizzando.
-Come pensi di dirlo a Filippo?- Caterina interruppe il silenzio, e causando inevitabilmente in Giulia un’altra ondata di panico – Ho come l’impressione che lui ancora non ne sappia nulla-.
A Giulia girò ancor più la testa al solo sentire nominare Filippo. Rimase in silenzio, e la sua tacita risposta fu più che eloquente per Caterina. Era vero che lo aveva incrociato poco prima di fare il test, ma non aveva davvero pensato a come e quando dirglielo.
-Sapeva solo del ritardo. E che dovevo fare un test- farfugliò, afferrando il bicchiere che aveva appoggiato momentaneamente sopra il tavolino, per bere quasi la metà dell’acqua contenuta.
-Questo è già qualcosa- riprese Caterina, annuendo – Forse ti sarà più facile parlargliene, così-.
Giulia si voltò verso di lei, guardandola con occhi sgranati come se avesse appena detto qualcosa di insensato:
-Al contrario! Questo vuol dire che oggi o domani si aspetterà una spiegazione, e io non saprò assolutamente cosa dirgli!- Giulia si rese conto di aver alzato la voce per la disperazione, ma non riuscì a smettere di urlare – Non posso dargli una notizia simile proprio ora. Sarebbe un disastro!-.
Pensò alla proclamazione che attendeva Filippo di lì a qualche giorno. Gli avrebbe rovinato uno dei momenti più importanti della sua vita, dicendogli di essere incinta proprio poco prima.
L’avrebbe mandato in panico oltre che per la laurea anche per il matrimonio. Al solo pensare cosa la attendeva – finire gli ultimi preparativi e sposarsi magari già con un abbozzo di pancione- si sentiva quasi svenire.
-Lo so, ma non puoi nemmeno tenerglielo nascosto tanto a lungo. Non fare come me con Nicola- la mise in guardia Caterina, esausta.
-Dopo la proclamazione- disse Giulia, velocemente – Glielo dirò dopo quel giorno. Quando avrà già meno pensieri-.
L’aveva detto in maniera avventata, e ancora non era certa che fosse la decisione giusta: non era convinta di riuscire a trattenersi così a lungo, ed era abbastanza sicura che Filippo avrebbe notato il suo cambio d’umore così repentino. Eppure sentiva che doveva provarci: non poteva sul serio caricargli addosso così tanti pensieri in pochi giorni.
-E dopo lo dirai anche ai tuoi genitori?-.
Giulia si voltò lentamente verso Caterina, sbiancando ulteriormente. Riusciva già ad immaginare le urla di sua madre, nell’annunciarle quella lieta notizia. Le sarebbe preso un colpo, ne era già sicura.
-Devo proprio?- mugolò Giulia, lo sguardo perso nel vuoto.
Caterina la guardò con un sorriso amaro, tutt’altro che allegro. Era più un sorriso che le serviva per nascondere la drammaticità che si respirava in quel salotto.
-Direi proprio di sì. La scusa dell’essere ingrassata durerà ben poco, credimi-.
A Giulia non rimase altro che scoppiare in lacrime, pensando a quanto fosse ingiusta la vita, e a quanto tutto le sembrava estremamente difficile da superare. Quella non era certo stata la sua giornata fortunata, e non credeva ce ne sarebbero state almeno per alcune settimane.
 
*
 
Non era stato semplice rientrare a casa, e non era nemmeno stato semplice aspettare il momento in cui Filippo sarebbe tornato, dopo il turno di lavoro. Caterina le aveva chiesto varie volte se preferisse rimanere ancora un po’ da lei, ma Giulia aveva rifiutato: in un certo senso le serviva un po’ di silenzio, il silenzio di casa sua. Forse, pensava, l’avrebbe aiutata a riordinare i pensieri prima del rientro di Filippo.
Non mise piede in bagno per diverso tempo, non ancora del tutto pronta a rivedere mentalmente le immagini di quella stessa mattina. Si sentiva ancora spaventata all’idea di rivivere, anche solo nei ricordi, il momento in cui sul piccolo schermo digitale del test era comparsa la scritta “incinta”. Una misera scritta che, in un senso o nell’altro, le avrebbe cambiato la vita per sempre.
Ora capiva fino in fondo come doveva essersi sentita Caterina l’anno prima: con il mondo crollato sulle spalle, e tutte le certezze disintegrate in meno di due minuti. Era strano pensare che, a volte, bastavano meno di centoventi secondi per cambiare il destino di una persona, e renderlo un tale casino.
Aveva atteso Filippo per due ore circa, seduta sul divano e con la tv accesa, ma senza realmente badarvi. Continuava a toccarsi il ventre, anche se non appariva diverso dal solito, e a pensare che, se tutto fosse andato bene, di lì ad otto mesi si sarebbe ritrovata con un pancione enorme come quello che aveva avuto Caterina.
Era quasi sobbalzata sul divano, quando aveva finalmente sentito le chiavi di Filippo girare nella serratura della porta d’ingresso. Si rese conto di essere ancora totalmente impreparata a quell’incontro, e ancora non aveva preso una decisione definitiva su cosa raccontargli e cosa no.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare, in quel momento, era di non dare ulteriori preoccupazioni a Filippo. Alla sua laurea mancavano pochi giorni: forse sarebbe riuscita a tenere tutto segreto fino ad allora.
-Ehilà!- la salutò lui, non appena giunto in salotto. Si lasciò cadere sul divano, accanto a Giulia, sbadigliando rumorosamente subito dopo.
-Bentornato- gli rispose lei, sforzandosi con tutta sé stessa di sorridere in maniera anche solo lontanamente convincente. Le risultò parecchio difficile dare l’impressione di non avere alcuna preoccupazione, e quel sorriso tirato non doveva essere minimamente paragonabile a quello che avrebbe rivolto a Filippo se davvero fosse stato tutto a posto.
-Stai bene?- le chiese subito lui, mentre si toglieva le scarpe con movimenti stanchi – Non hai una bella cera, per niente-.
-È tutto ok- rispose Giulia con voce sommessa, cercando di dissimulare il nervosismo e la poca convinzione con uno sbadiglio. Forse, così facendo, Filippo avrebbe ricollegato la stanchezza fisica al suo non essere particolarmente attiva in quel momento.
-Sicura?- insistette lui. Per un attimo Giulia vide traballare tutte le promesse che aveva fatto a se stessa fino a quel momento: forse era solo una sua impressione, ma Filippo la stava guardando come se sentisse che c’era davvero qualcosa che non andava.
-Ecco, io … -.
Per un attimo le balenò in mente l’idea di parlargli subito, di non tenersi dentro affatto quel segreto enorme. Sarebbe stata dura, e sarebbe di sicuro scoppiata in lacrime, ma era anche altrettanto sicura che avrebbe ricevuto il conforto da Filippo che, in quella situazione, non riusciva ad assicurarsi da sola.
Ma poi, cosa sarebbe potuto succedere? Probabilmente avrebbero passato i giorni seguenti a parlare di cosa fare, di come reagire alla notizia. Il giorno della proclamazione di Filippo sarebbe passato totalmente in secondo piano, e conoscendolo Giulia non avrebbe scartato del tutto l’idea che avrebbe voluto rimandare direttamente tutti i festeggiamenti della giornata.
Gli avrebbe rovinato uno dei giorni più importanti della sua vita, riempiendolo di ulteriore stress. Forse, in fin dei conti, avrebbe fatto bene ad attenersi al piano originale.
-Vuoi dirmi qualcosa, Giulia?- Filippo la stava guardando con aria interrogativa, ed in apprensione. Giulia non si era quasi accorta di aver lasciato la frase a metà: si era persa in mille elucubrazioni che le avevano fatto perdere il filo del discorso. Si sentiva agitata all’idea di mentire a Filippo, seppur temporaneamente, e si sentiva ancor più nervosa all’idea di non riuscire a sopportare la pressione.
-Ho fatto come hai detto tu- esalò infine lei, sforzandosi di continuare a mantenere il contatto visivo – Ho comprato un test di gravidanza-.
Si morse il labbro inferiore, pentendosi subito di aver rivelato quel particolare. Non aveva pensato bene a come negare a Filippo la possibile gravidanza, e solo in quel momento si stava rendendo conto di aver solo complicato il tutto.
-E?- la incalzò Filippo. Le guance gli si erano arrossate, probabilmente dall’ansia di avere una risposta in qualsiasi senso. Giulia tirò un sospiro profondo, sforzandosi di sorridere e di non odiarsi troppo per quello che stava per dire:
-Un falso allarme. È solo un falso allarme-.
Anche le sue parole le risuonarono false come non mai, anche se aveva cercato di sembrare più convincente possibile. Aveva sorriso tranquilla verso Filippo, come se fosse tutto a posto sul serio.
Dentro di lei, invece, non poteva fare a meno di sentirsi male per quella bugia. Per quanto a fin di bene potesse essere, non riusciva a sopportare l’idea di mentirgli in maniera così spontanea.
-Oh, grazie al cielo!- Filippo si lasciò scivolare sul divano, le braccia spalancate e gli occhi chiusi, mentre tirava un lungo sospiro di sollievo – Non sai che ansia ho avuto tutto il giorno-.
“Sapessi quanta ne ho ancora io” si ritrovò a pensare amaramente Giulia, trattenendo a stento una risata ricca di sarcasmo per quella situazione assurda.
-Ora potrai essere agitato solo per la tua laurea- Giulia gli sorrise ancora, in maniera meno falsa anche se più malinconica. Sapeva che non era vero, non lo era affatto, ma a quel punto era importante farlo credere a Filippo ancora per qualche giorno.
Gli lasciò una carezza sul viso, mentre si alzava dal divano per andarsene in cucina a preparare la cena. Gli dette le spalle, mentre si avviava fuori dal salotto; il sorriso che aveva mantenuto fino a quel momento era già scomparso, sostituito da un’espressione cupa che lasciava trasparire tutte le preoccupazioni che sentiva respirarle addosso. Era sicura che quelli che la attendevano sarebbero stati giorni tutt’altro che facili.
 
*
 
La giornata del 27 luglio non poteva essere più calda di come era. Era tardo pomeriggio, ma a Giulia sembrava di essere sotto il sole di mezzogiorno: stava patendo lo stesso caldo, e stava sudando come se fosse stata davvero lunga distesa sotto i raggi solari, senza alcuna protezione per mitigarli.
Il nervosismo non la stava aiutando: continuava a passarsi le mani sul vestito, con l’impulso irrefrenabile di allontanare la stoffa dal ventre. Razionalmente sapeva che era impossibile che già si potesse vedere un accenno di pancia più gonfia, ma non riusciva a frenarsi. Continuava a ripetere quel gesto ormai automatico, alternato solo a veloci carezze sul grembo che aveva ripetuto anche troppe volte negli ultimi due giorni.
Arrivare a quel momento – al rinfresco post proclamazione- non era stato per niente semplice. Il senso di colpa verso Filippo non era tramontato nemmeno un po’, e riacquisiva forza ogni volta che posava gli occhi su di lui. Nemmeno vederlo felice e sorridente subito dopo la proclamazione l’aveva fatta sentire meno colpevole; semplicemente, sperava che quella festa finisse il prima possibile per parlargli sul serio di tutto quello che, con tanta fatica, si era tenuta dentro in quei due giorni.
Il locale dove si stava svolgendo il rinfresco era sempre quello dove lavorava Nicola come cameriere. A Giulia, quel particolare, ricordava tremendamente la sua laurea. Era passato solo un anno, ma a ben pensarci e guardandosi indietro, le sembrava fosse passato almeno un secolo. Inutile dire che si sentiva una persona diversa: in un anno si era ritrovata catapultata in una dimensione completamente differente.
Invidiava un po’ la Giulia che era stata, quella che in quello stesso bar aveva festeggiato senza limiti il traguardo della laurea triennale: era di sicuro una Giulia più spensierata, forse più immatura perché la vita ancora non l’aveva davvero messa alla prova come invece stava succedendo alla Giulia di quel momento.
Era strano, quel giorno, non potere nemmeno bere un goccio di birra, tanto per affogare nell’alcool tutte le sue pene. Si era inventata una scusa per giustificare la sua sobrietà forzata, e sperava che nessuno sospettasse troppo. Certo, Caterina le aveva lanciato sguardi inconfondibili per tutto il rinfresco, ma a lei bastava solo non far intuire nulla a Filippo, alla sua famiglia e magari al più degli invitati.
Nessuno aveva badato troppo a lei, in ogni caso: le attenzioni erano state riservate tutte a Filippo, che in quel momento, quando ormai il rinfresco stava per giungere al termine, versava in uno stato piuttosto pietoso su una delle sedie riservate al loro tavolo.
Non era molto ubriaco – o magari la sbronza cominciava già a diminuire, dopo tutte quelle ore e tutto il cibo che avevano mangiato-, ma aveva comunque un’aria stravolta: i capelli completamente in disordine, la camicia sbottonata quasi completamente, e le gote arrossate. Gli mancava solo la corona d’alloro in testa per farlo sembrare del tutto un vecchio re decaduto.
Giulia si alzò lentamente, cercando di non incespicare sui suoi stessi piedi – aveva scelto i tacchi più bassi che aveva a disposizione per evitare cadute- per raggiungerlo. Si sentiva in colpa anche per non essergli rimasta troppo accanto durante tutta la giornata: aveva preferito godersi i festeggiamenti un po’ in disparte, incapace di divertirsi davvero e di distogliere la mente da tutti i problemi che avrebbero dovuto affrontare dal giorno dopo.
-Oh, non mi ero accorto fossi qui nei paraggi-.
La voce di Filippo le giunse più biascicata del solito, ma poté comunque constatare che, in effetti, non era così ubriaco come poteva apparire. Giulia si voltò verso di lui, mentre si sistemava meglio sulla sedia vicino alla sua, lasciata libera da chissà quale invitato recatosi al buffet:
-Come va?- gli chiese, apprensiva. Era una domanda che avrebbe dovuto rivolgere più a se stessa, ma in quel momento decise che testare il benessere di Filippo fosse più importante.
-Non c’è male- le rispose lui, sorridendole con un’aria un po’ troppo allegra – Ho bevuto un po’, ma credo ci siano state volte in cui ero più brillo-.
-Buono a sapersi-.
Giulia si lasciò scivolare un po’ contro lo schienale della sedia. Non aveva voglia di fare conversazione, anche se temeva di poter lasciare intuire qualche suo disagio a Filippo con quei suoi lunghi silenzi.
Si era sforzata di apparire spensierata, almeno per quella giornata, ci aveva provato sul serio. La sua mente, però, continuava a tormentarla, a non lasciarle alcuno scampo.
-E tu sei sicura di stare bene?- Giulia si sentì lo sguardo di Filippo addosso. Si voltò appena verso di lui, riconoscendone l’espressione indagatrice dipinta in volto. Forse era addirittura meno brillo di quel che aveva prospettato, e quel particolare poteva essere un’arma a doppio taglio.
-Perché me lo chiedi?- replicò lei, cercando di sorridere. Si rese subito conto di aver sbagliato mossa, quando Filippo la guardò ancora più scettico di prima:
-Forse perché sei strana?- la rimbeccò lui, mentre si metteva più composto sulla sedia, ora decisamente meno stralunato di come l’aveva creduto Giulia – Non ti ho quasi vista tutta oggi. Non hai parlato granché … Sembrerebbe quasi che tu mi stia evitando-.
Giulia esitò. Aveva ragione Filippo, su tutta la linea: lo stava evitando. Lo evitava per non avere occasioni per lasciarsi sfuggire la fatidica frase “Dobbiamo parlare”, che di sicuro lo avrebbe mandato in panico. E lo evitava per soffocare il senso di colpa, che ormai stava scavalcando tutti i suoi buoni propositi e la stava spingendo sempre di più a svuotare il sacco una volta per tutte. E ora aveva davvero raggiunto il limite.
Agì d’impulso, senza rifletterci troppo: Giulia si alzò dalla sedia, afferrando Filippo per un braccio e costringendolo ad alzarsi a sua volta, seguendola. Non era affatto sicura di stare per fare la cosa migliore, ma la sua coscienza le lasciava ben poca scelta.
La toilette non era molto distante dal loro tavolo. Spinse la porta per entrare nell’antibagno, proprio mentre Filippo ridacchiava tra sé:
-Mi stai trascinando in bagno per festeggiare?-.
Giulia si limitò a non rispondere, stringendo i denti, e trascinandosi dietro Filippo. Sperò non ci fosse qualche altro invitato al rinfresco dietro le porte dei bagni, ma arrivati a quel punto non le rimaneva che rischiare e basta: non poteva tornare indietro, dopo aver costretto Filippo lì dentro apposta per potergli parlare da sola e in tranquillità.
-No, non siamo qui per festeggiare- Giulia si fermò di fronte a lui, le braccia incrociate contro il petto e lo sguardo sfuggente. Per quanto fosse convinta di non poter tenere quel segreto per sé ancora oltre, le risultava ancora difficile guardarlo dritto in faccia.
-Ma che succede?-.
Filippo cercò di posarle una mano su una guancia, ma Giulia si scostò fin troppo repentinamente. Dopo quel gesto istintivo, riusciva a vedere chiaramente l’espressione in apprensione e ferita di Filippo.
-Ti devo dire una cosa- mormorò appena, passandosi una mano sul viso. Cominciava a sudare freddo, e a sentire la testa girare per l’agitazione.
-Ora? Qui?- Filippo sembrò più stupito che altro, la fronte aggrottata – Cos’è successo di così tremendo che non può aspettare?-.
-Ne sto uscendo pazza da questa storia, quindi se non lo dico ora rischio di non arrivarci proprio a stasera- Giulia prese a camminare in circolo nel piccolo spazio dell’antibagno, gesticolando nervosamente e trattenendo a stento la voglia di piangere. Si stava rivelando più difficile del previsto, confidarsi con Filippo.
-Così mi spaventi sul serio, però-.
Fu a quel punto che Giulia si fermò, voltandosi verso di lui. Filippo era più pallido di prima, seriamente preoccupato: odiava farlo sentire così, e stava odiando anche se stessa per l’incapacità di restare abbastanza fredda per non prolungare quella situazione.
-Ho fatto una cazzata, Filippo. Una grandissima cazzata-.
Filippo la guardò a lungo, prima di risponderle:
-Che genere di cazzata?-.
Giulia tirò un sospiro lungo, cercando di recuperare ossigeno e lucidità. I suoi buoni propositi cominciavano a vacillare – forse avrebbe dovuto aspettare almeno qualche ora, di essere a casa e sola con Filippo per parlare-, ma non poteva nemmeno più tirarsi indietro. Si trovava in una situazione che cominciava a non sapere come gestire, e che la stava mettendo seriamente alla prova.
-Ti ho mentito- esalò infine, fermandosi davanti a Filippo – Pensavo sarebbe stato meglio così, ma ora mi rendo conto che avrei dovuto parlartene subito-.
Si lasciò sfuggire un singulto improvviso, che non fece altro che peggiorare le cose; si passò una mano sul viso, e non si stupì affatto di sentire la pelle bagnata di lacrime che le erano appena scese.
-Tesoro, va tutto bene- Filippo le si era avvicinato immediatamente, poggiandole le mani sulle spalle e abbassando il volto all’altezza di Giulia – Non può essere nulla di così terribile-.
-Ti ho mentito sul test di gravidanza- replicò subito lei, come a voler smentire subito il fatto che fosse qualcosa di trascurabile. Filippo la scrutò in viso, socchiudendo appena gli occhi con fare dubbioso:
-Nel senso che non lo hai fatto?-.
Giulia cercò di asciugarsi gli occhi, più per prendere ulteriore tempo che per reale necessità: continuava a piangere silenziosamente, e di certo non sarebbe bastato passarsi una mano sul viso per cancellare i segni del pianto appena avvenuto.
-L’ho fatto- prese un altro respiro profondo, prima di proseguire. Fu notando il cambio d’espressione di Filippo – da uno sguardo preoccupato ad uno letteralmente terrorizzato- che intuì, in quell’istante, che ulteriori parole sarebbero state comunque superflue.
-E non è andata come ti ho detto-.
Filippo sbiancò in viso quasi subito, diventando cereo come non mai. Per un attimo a Giulia sembrò di trovarsi davanti ad una di quelle candide maschere carnevalesche che a Venezia vendevano quasi in ogni bancarella.
-Sei … - Filippo non concluse la frase, ma Giulia capì subito dove stesse andando a parare. Le bastò annuire lentamente per dire, finalmente, ciò che si stava tenendo dentro da due giorni interi.
Filippo non rispose nemmeno: si limitò a guardarla con occhi sgranati, il respiro velocizzato e il viso di un pallore mortale. Fece appena in tempo a socchiudere gli occhi, prima di cadere pericolosamente in avanti, a peso morto.
-Filippo!-.
Giulia cercò di reggerlo a stento, accompagnandolo a terra e facendolo sedere contro la parete. Si mise le mani tra i capelli, al limite della disperazione, quando si rese conto che era svenuto, seduto sul pavimento e senza sensi.
“L’ha presa davvero bene”.
 


-Mi gira la testa- farfugliò, appena udibile.
-Sei appena svenuto, ovvio che ti giri la testa-.
Giulia tirò un sospiro profondo, buttando fuori l’aria rumorosamente. Se l’era vista davvero brutta nei dieci minuti precedenti: a lei era capitato qualche rara volta di avere mancamenti a causa della sua bassa pressione, ma non aveva mai avuto alcuna esperienza nell’assistere persone svenute. Vedere Filippo accasciato sul pavimento, immobile e con gli occhi chiusi, l’aveva quasi mandata nel panico più assoluto.
Aveva passato il primo minuto a non sapere bene cosa fare, indecisa tra il correre fuori ed urlare a squarciagola per trovare qualcuno che l’aiutasse, o se chiamare un’idroambulanza direttamente da lì, senza avvertire nessuno. Alla fine aveva prevalso il buon senso: Filippo aveva solo avuto un mancamento, nulla di così grave.
Aveva rispolverato le vecchie nozioni di primo soccorso apprese quando aveva dovuto prendere la patente, e aveva cercato di stenderlo nella maniera meno sgraziata possibile. Poi era corsa a chiudere a chiave anche la porta che dava sull’antibagno, per evitare che qualcuno entrasse proprio in quel momento. Aveva schiaffeggiato Filippo e gli aveva schizzato un po’ d’acqua fresca del rubinetto, prima di sollevargli le gambe, ed alla fine, dopo qualche minuto di puro terrore, quelle misure avevano cominciato a dare i loro effetti: Filippo aveva ripreso conoscenza poco a poco, riaprendo gli occhi lentamente e poi muovendosi appena.
Ora, dopo altri minuti passati a rimetterlo in sesto – sciacquandogli la faccia e aprendogli un po’ la camicia-, se ne stava di nuovo seduto con la schiena appoggiata al muro del bagno. Era ancora cereo, e Giulia aveva il timore di vederselo svenire nuovamente davanti agli occhi, ma almeno riusciva a biascicare qualcosa.
-Mi hai fatto prendere un colpo- mormorò Giulia, sedendosi a sua volta per terra. In quel momento non le importava nemmeno di sporcare il vestito che indossava: sentiva solamente il tremore del proprio corpo per lo spavento appena avuto, e il cuore che le martellava forsennatamente contro il petto.
-Io ti ho fatto prendere un colpo? E tu, allora? Dirmi una cosa del genere dopo avermi detto di non preoccuparmi!- Filippo alzò appena il tono della voce, gesticolando nervosamente. In quel momento Giulia temette davvero un altro crollo, e forse sarebbe stato meglio quello rispetto ai rimproveri di Filippo.
Per un attimo Giulia aveva sperato che si fosse dimenticato di ciò che aveva scatenato la perdita dei sensi, ma a quanto pareva Filippo ricordava anche troppo bene cosa era accaduto giusto poco prima che svenisse:
-Sul serio, perché hai aspettato due dannati giorni a dirmelo? Qui, poi, in uno squallido bagno! Non potevamo tornare a casa e affrontare la cosa con un po’ più di dignità?-.
-Avresti preferito svenire sul nostro divano? Non hai tutti i torti- ironizzò Giulia, pentendosene subito dopo un’occhiata particolarmente torva di Filippo:
-Non sei divertente-.
Giulia si ritrovò ad annuire, in un muto gesto che dava ragione a Filippo. Non era la situazione che si sarebbe immaginata, non era neanche solo vagamente somigliante a quella che si era configurata l’anno prima, quando Filippo aveva scoperto il test di gravidanza di Caterina. Ora era tutto diverso: Filippo sembrava più arrabbiato e stremato che spaventato e felice, e lei si sentiva tutto tranne che sicura di qualsiasi cosa. Non era una bella sensazione.
-Non te l’ho detto subito perché avevi già troppe cose per la testa. La laurea, la festa, e il matrimonio, il lavoro e chi più ne ha, più ne metta- iniziò, a bassa voce, lo sguardo a terra – Ma te l’avrei detto stasera, o domattina al più tardi. Solo che ero troppo fiduciosa in me stessa, e non ho calcolato bene la portata di una cosa del genere-.
-Avrei preferito me lo dicessi comunque subito- ribatté duramente Filippo, un po’ più addolcito rispetto a prima – Ti avevo chiesto io di farmi sapere il responso del test-.
-Sì, ma ero preoccupata per te. E poi … - Giulia esitò, le lacrime che cominciavano a premere ancora agli angoli degli occhi – Non è facile parlare di una cosa così. Ero letteralmente sotto shock all’inizio-.
-Eri strana, in effetti, negli ultimi giorni. Avrei dovuto essere io a insistere nel chiederti se c’era qualcosa che non andava-.
-Non è colpa tua- Giulia si voltò verso di lui per la prima volta da quando avevano cominciato a parlare, lasciandosi sfuggire un sorriso rincuorante appena accennato.
Si sentiva un po’ meglio rispetto a prima, ma il fatto che Filippo non fosse ancora davvero entrato in argomento la faceva intimorire un po’. Forse stava cercando di non dare a vedere come la notizia della gravidanza l’avesse scosso fin troppo, non parlandone ancora apertamente. Quell’attesa la rendeva nervosa.
-A parte questo … Non vuoi dirmi altro?- cercò di indurre a parlare Filippo, che in tutta risposta si lasciò andare ad un lungo sospiro, appoggiando il capo contro il muro:
-Sai di quante settimane sei?-.
Giulia scosse il capo, impossibilitata a dare una risposta precisa:
-Sarò nel primo mese. Precisamente a quale settimana non te lo so dire-.
-Dovresti fissare una visita per saperlo, allora-.
-Non sei affatto agitato come l’anno scorso. E quello era un falso allarme- si ritrovò a borbottare Giulia, aggrottando la fronte. Forse era a causa dello svenimento appena avvenuto, ma Filippo sembrava davvero essere tutt’altro che in ansia in quel momento. Sembrava essersi ripreso subito ed aver ritrovato la razionalità che, in quelle situazioni, gli mancava sempre.
-Se mi agito di più, come minimo svengo di nuovo. E non è il caso- rise piano lui, scuotendo appena la testa.
-Non lo è, infatti. Mi sono già spaventata abbastanza-.
Anche Giulia si ritrovò a ridere, a dispetto di quel che si sarebbe immaginata. Erano giorni che non si sentiva divertita per qualcosa, o anche solo vagamente tranquilla. Quella risata di Filippo aveva avuto il potere di spezzare anche la sua tensione, di farle capire che, in fondo, poteva ancora esserci qualcosa per cui sorridere.
-Però una cosa la voglia dire- Filippo alzò un dito, come a voler prenotare il proprio turno per parlare, anche se era stato proprio lui a rompere il silenzio appena calato – Ho una paura enorme, devo ancora realizzare bene la notizia, e forse la realizzerò solamente tra otto mesi … Ma sono contento-.
La naturalezza con cui lo disse destabilizzò Giulia. Le sembrava davvero un Filippo diverso, quello con cui stava parlando di una cosa così importante in quel momento, e forse era meglio così: almeno uno dei due avrebbe fatto bene a tenere le redini della situazione in mano.
Sentì la stretta al cuore farsi meno forte, piano piano. Non era ciò che si sarebbe aspettata di sentire da Filippo, ma era quello in cui aveva sperato.
-Stai reagendo quasi meglio di me- disse, ridendo piano, amaramente.
Filippo la strinse piano a sé, facendola accoccolare contro il suo corpo, con la testa di Giulia appoggiata alla sua spalla:
-Sei svenuta anche tu?- la prese in giro, accarezzandole i capelli in un gesto che le donò serenità.
-No. Infatti ho detto quasi-.
Rimasero in silenzio ancora qualche secondo; l’atmosfera si era completamente rovesciata rispetto a quando erano entrati lì dentro. Il silenzio era quasi piacevole, carico finalmente di quel sollievo in cui Giulia aveva sperato sin dall’inizio.
-E tu? Come ti senti?-.
Quello di Filippo non era affatto un quesito semplice. Giulia non rispose subito: aveva una tale confusione addosso che temeva non sarebbe riuscita nemmeno a spiegarsi in maniera chiara.
Era difficile esprimere a parole come si era sentita negli ultimi due giorni.
-Sinceramente? Spaesata- mormorò, non alzando il viso – Non credevo mi sarei sentita così in un momento simile-.
Si sentì quasi delusa da se stessa mentre pronunciava quelle parole. Sperò che Filippo non la biasimasse per quella felicità che le era mancata da quando aveva fatto quel test; si sentì più tranquilla solamente quando la strinse un po’ più a sé.
-Non ce lo aspettavamo. Non devi sentirti in colpa se non fai subito i salti di gioia- Giulia si sforzò di alzare gli occhi verso di lui, incrociando le iridi castane di Filippo – Comunque capisco se magari ti aspettavi più entusiasmo da parte mia, ma se vuoi saperlo la penso ancora come l’anno scorso-.
-Ovvero?-.
Filippo le sorrise. Le sorrise per alcuni attimi, in cui non aggiunse altro. Fu in quel momento che Giulia vide, per la prima volta in quegli ultimi due giorni, un barlume di serenità sincera. Una ancor flebile speranza, che tuttavia la faceva sentire più fiduciosa.
-Siamo degli incoscienti che sguazzano in mezzo ai casini. E ci sguazzeremo insieme anche stavolta-.
 
Who knew my heart could beat so quick
My life I gave away for this
Don’t care what anybody sees
I know I am doing this for me
(Fedez feat. Mika - "Beautiful disaster")*
 
*
 
Faceva di nuovo troppo caldo: agosto era iniziato da appena tre giorni, e Giulia si era già ritrovata a maledire mille volte quel periodo dell’anno. L’agitazione alla quale era sottoposta, poi, non l’aiutava affatto a sudare meno. Si sentiva appiccicaticcia ovunque, a causa del sudore e del liquido che la ginecologa le aveva spremuto sul ventre giusto qualche secondo prima.
Si sentiva particolarmente esposta, stesa su quel lettino a pancia scoperta, con un monitor dall’aria minacciosa lì di fianco, e Filippo in piedi dall’altro lato.
Non riusciva a vederlo se non con la coda dell’occhio, ma riusciva a percepire comunque il suo nervosismo. Lo sentiva picchiettare con il piede a terra, in continuazione, e sbuffare ogni tanto cercando di mantenere un tono di voce basso. Cominciava a sentirsi più agitata per quei suoi moti di ansia che per l’ecografia che, di lì a poco, avrebbe avuto inizio.
-Va bene, Giulia. Tra poco cominciamo- la ginecologa – una donna sulla cinquantina dall’aspetto aquilino- la riportò con l’attenzione al monitor ancora nero e alla sonda che teneva in mano. Filippo sbuffò di nuovo, in maniera acuta, e Giulia si trattenne a stento dal girarsi verso di lui ed urlargli di stare calmo. O perlomeno, di non lasciare trasparire così tanto il nervosismo.
-Sono pronta- borbottò sottovoce, tirando un lungo sospiro. In realtà pronta non lo era per niente, ma dubitava lo sarebbe mai stata: a quel punto tanto valeva fare quel passo il prima possibile.
Aveva passato quell’ultima settimana immaginandosi spesso come sarebbe potuto essere quel momento. Caterina le aveva raccontato come era andata la prima ecografia, quando ancora non era sicura che la gravidanza sarebbe stata portata avanti, e Giulia non si era sentita particolarmente rassicurata nel sentirsi dire che era stata più traumatica che altro. Probabilmente dipendeva anche dalla situazione: ricordava perfettamente che per Caterina era stata una gravidanza non cercata e non voluta, ma per lei e Filippo … Continuava a sperare che per loro fosse diverso. Che quella gravidanza, per quanto inaspettata, non fosse del tutto non gradita. Di certo li aveva scioccati, ma in fondo sapeva che per loro due l’interruzione non era stata davvero presa in considerazione come ipotesi.
Sperava di poter affermare lo stesso anche dopo quella ecografia. Si sentiva così agitata, in quel momento, che tutte le buone premesse che c’erano state nei giorni precedenti tra lei e Filippo sembravano a rischio di potersi sgretolare sotto i suoi stessi piedi.
La sensazione della sonda che spingeva leggermente sul ventre non fu piacevole, e Giulia tenne gli occhi chiusi per qualche secondo, prima di riaprirli timidamente.
-Intanto controlliamo che non sia una gravidanza extrauterina- continuò a spiegare la ginecologa, con una calma che Giulia le invidiava parecchio – Ma sembra che possiamo escludere questa ipotesi-.
-Quindi vuol dire che è una gravidanza normale?- intervenne Filippo, con voce vagamente isterica.
-Vuol dire che se va tutto bene, entro 8 mesi circa dovreste avere un pargolo da cullare-.
Giulia si costrinse a non mettersi le mani tra i capelli, rimanendo zitta e lanciando qualche occhiata al monitor. Si vedeva qualche cosa, ora, qualche ombra che comunque non riusciva a decifrare.
-Ora ci spostiamo verso l’utero, per cercare di capire se la gravidanza sta andando avanti o è già terminata-.
“Di bene in meglio” si ritrovò a pensare Giulia, spostando lo sguardo completamente verso il monitor. Riconobbe la forma dell’utero, e delle ombre all’interno di esso. Era forse quello ciò che, di lì a qualche tempo, avrebbe dovuto considerare suo figlio?
-Oh, questa cosa è decisamente interessante-.
L’attenzione di Giulia – così come quella di Filippo-, venne catalizzata immediatamente sulla ginecologa, che teneva lo sguardo incollato al monitor con un sorriso trionfante stampato in viso.
-Cosa è interessante?- domandò Filippo, avvicinandosi al lettino ancora di più, ancor più visibilmente in ansia.
-Vi aspetta una vita parecchio impegnativa. Avrete il vostro bel daffare-.
-In che senso?- Giulia sentì il cuore accelerare terribilmente il battito del cuore, ancor più agitata di prima.
-Vede qui?- la ginecologa puntò il dito prima su un’ombra visibile sul monitor, poi su una seconda – Sono due placente-.
Prima ancora di ascoltare altre parole, Giulia sentì il respiro arrestarsi, l’intuizione che già c’era ma che faticava a razionalizzare.
-Direi che qui siamo di fronte ad una gravidanza bicoriale- proseguì la ginecologa, prima di girarsi verso Giulia e Filippo, con un sorriso mite stampato in viso – Complimenti, avrete dei gemelli-.
Giulia non si stupì più di tanto quando, nel silenzio calato nella stanza, sentì un tonfo come di un corpo caduto a terra di colpo.
Non si stupì neppure di notare Filippo steso a terra, di nuovo svenuto, dopo essersi girata. Non poteva biasimarlo: sentiva che sarebbe svenuta anche lei, se solo non si fosse trovata già sdraiata.
Il silenzio venne rotto solamente da un commento della ginecologa, sbuffando:
-Uomini. Non reggono la pressione-.
 
*
 
-Non posso davvero credere che tu non me l’abbia mai detto!-.
Giulia si alzò a fatica dal materasso, sentendo la nausea crescere nell’immediato. Cercò di rimettersi giù, ma inutilmente: ormai si era infiammata, e il mal di testa lancinante che le era venuto dopo la visita ginecologica ancora non accennava a diminuire.
-Non ci ho mai pensato, ecco perché non te l’ho mai detto!- replicò Filippo, le mani tra i capelli, e le gambe che coprivano con lunghe falcate tutto lo spazio restante della loro camera da letto.
-Dovresti sapere che le gravidanze gemellari saltano una generazione- sbuffò Giulia, sprofondando ancora un po’ nel cuscino – Potevi almeno dirmi che i fratelli di tua madre erano gemelli. Almeno mi sarei preparata psicologicamente all’idea di correre questo rischio!-.
-Beh, non mi sembrava una cosa così importante descrivere dettagliatamente il mio albero genealogico- borbottò di rimando lui, arrestandosi dando le spalle a Giulia – Ma a quanto pare tutte le disgrazie capitano sempre nei momenti migliori-.
-Non dire che è una disgrazia!- Giulia afferrò la prima ciabatta che le capitò sotto mano, dopo aver tastato il pavimento per trovarne una, lanciandola verso Filippo e mancandolo di poco – Semplicemente avremo due figli subito anziché con qualche anno di differenza-.
Filippo cercò di ignorare la ciabatta appena scaraventata, che era finita addosso al muro alle sue spalle, lanciandole appena un’occhiata:
-Ed è poco, secondo te? Un investimento nel tempo è una cosa, un doppio investimento immediato è un’altra-.
-Non riesco davvero a credere che tu ne stia parlando in questi termini-.
In verità, nemmeno Giulia aveva tutta la sicurezza che invece cercava di ostentare in quel momento. Si sentiva agitata, arrabbiata con Filippo per quello che stava dicendo, ma allo stesso tempo terrorizzata all’inverosimile lei stessa. Era sull’orlo delle lacrime, ma cercava di trattenersi per non sembrare troppo debole.
L’ecografia che aveva rivelato la gravidanza gemellare era stato solo il primo degli shock che erano seguiti nel resto della visita. La ginecologa l’aveva fatta ripulire e rivestire, dopo aver fatto rinvenire Filippo e averlo fatto sedere direttamente alla scrivania. Giulia l’aveva raggiunto con gambe tremanti, non davvero sicura di voler ascoltare quale sarebbe stato il suo futuro.
Da quel momento, fino ad ora, quando lei e Filippo erano tornati a casa finendo per litigare, tre parole avevano continuato a ronzarle nella mente: “gravidanza gemellare bicoriale”.
Sebbene la ginecologa avesse loro spiegato che nei primi due trimestri gli esami sarebbero stati molto simili a quelli di una gravidanza singola, Giulia si era sentita preoccupata ancor di più nel sapere che negli ultimi tre mesi ci sarebbero potute essere più problematiche del normale. Non la lasciavano tranquilla nemmeno i maggiori rischi di aborto spontaneo o di parto prematuro; le sembrava tutto troppo grande per lei, e tutto troppo difficile.
-Giulia- Filippo sembrava aver percepito il suo umore nero, e aveva finalmente smesso di camminare nervosamente per la stanza – È uno shock, lo capisci? Non me lo aspettavo, ecco. È già abbastanza grande come cosa una gravidanza … Figurati una doppia-.
Il punto di vista di Filippo non era del tutto errato, e Giulia se ne rendeva conto. Era una consapevolezza che la feriva, e che a stento riusciva ad accettare. Si sarebbe messa a piangere più per la rabbia e l’ingiustizia che governava la vita, più che per le parole poco entusiaste di Filippo.
Alla fine riusciva a capire e comprendere come si doveva sentire, perché i suoi timori erano gli stessi che, in fondo, stava provando anche lei. Aveva appena cominciato a entrare nell’ottica di avere un figlio, ed ora, sapere che sarebbero stati due, le sembrava una situazione troppo grande. Era come se un macigno le fosse appena precipitato addosso, e per quanto cercava di apparire forte e sicura, tutte le sue sicurezze cominciavano a traballare pericolosamente.
-Ormai è inutile lamentarsene, Filippo- sospirò infine, ricacciando indietro le lacrime – Io non me lo aspettavo, tu nemmeno … Ma è successo. E sono spaventata anche io, ma vorrei davvero farcela-.
-Anche io lo vorrei- Filippo si era finalmente seduto accanto a lei, sul letto, prendendole una mano ed intrecciando le dita di Giulia con le sue – È che avere due figli in un momento simile, con il matrimonio alle porte, è dannatamente impegnativo. E poi tu non potrai nemmeno lavorare fino alla fine della gravidanza. Non con una gravidanza gemellare e con un lavoro in cui dovresti camminare in giro per Venezia tutto il giorno-.
Giulia annuì, depressa al pensiero che anche da quel punto di vista Filippo aveva sempre ragione. Sentiva le parole della ginecologa ronzarle in testa, quando aveva parlato della maggiore percentuale di aborti spontanei nelle gravidanze gemellari, e non poteva fare a meno di pensare che, in effetti, il suo attuale lavoro era difficilmente conciliabile in una situazione simile. Almeno per quel che riguardava gli ultimi mesi prima del parto.
-Il lavoro in questo momento, fortunatamente, non è un nostro problema. Non mi licenzieranno- Giulia cercò di rassicurarlo, anche se sapeva che Filippo si sarebbe sentito poco sollevato in ogni caso.
Lo osservò mentre annuiva, pensieroso, lo sguardo perso e il viso particolarmente pallido:
-No, i nostri problemi sono altri, decisamente-.
Giulia rise amaramente, senza alcun divertimento nella voce:
-Tipo i nostri genitori-.
Se c’era una cosa che la spaventava tanto quanto l’idea di avere già due figli, era proprio quella: il faccia a faccia che li avrebbe attesi con i suoi genitori e quelli di Filippo.
Uno scenario da tragedia greca.
Anche Filippo rise, istericamente e al limite dell’esasperazione. Anche in quel momento Giulia capiva benissimo come doveva sentirsi: braccato ed in trappola, e tutt’altro che tranquillo.
-Sento già le urla di disperazione-.
 
*
 
Stare in quel salotto la faceva stare sui nervi. Aveva su di sé una terribile sensazione di dejà vu: i suoi genitori e quelli di Filippo, seduti sul divano e sulla poltrona del salotto, che li guardavano in attesa di qualcosa. Le ricordava tremendamente tanto il giorno in cui lei e Filippo avevano dato loro la notizia della loro futura convivenza, e Giulia non si sarebbe mai aspettata di rimpiangere quel momento.
Parlare della convivenza sembrava così semplice, ora, che avrebbe volentieri rivissuto quella giornata di un anno prima. Non sarebbe stato nulla di davvero preoccupante, rispetto a quello che stava per dire stavolta.
Lei e Filippo avevano deciso di comune accordo di dire della gravidanza il prima possibile ai loro genitori. Sarebbero stati gli unici, Caterina a parte, a saperlo, almeno fino alla fine dei tre mesi: fino a quel momento, non lo avrebbe saputo nessun altro.
Li avevano invitati da loro fin troppo affrettatamente per non destare sospetti, e Giulia sentiva su di sé lo sguardo sospettoso di Anita, che la osservava con occhi indagatori. Sembrava leggerle dentro, e Giulia stava seriamente temendo che stesse intuendo il motivo di un invito così improvviso.
D’altro canto, Giulia aveva scartato subito l’idea di andare fino a Borgovento, almeno per quella volta: la nausea cominciava a farsi sentire seriamente, e dubitava sarebbe riuscita a compiere indenne un simile viaggio. Cominciava già ad essere in ansia per quando, per il matrimonio, lei e Filippo si sarebbero dovuti spostare fino a Verona.
-Volete qualcosa?- Filippo spezzò il silenzio momentaneo, cercando di parlare tranquillamente, ma risultando invece ancor più artefatto – Un caffè, magari, o un bicchiere d’acqua … -.
Non si era ancora seduto un secondo, e Giulia immaginava che anche quello fosse un segnale di quanto in realtà fosse sotto pressione: evitava accuratamente gli sguardi degli altri presenti, pur muovendosi in continuazione per il salotto, spostando i soprammobili o gesticolando nervosamente.
-Preferirei ci diceste chiaro e tondo il motivo per cui ci avete fatto venire qui- Anita saltò qualsiasi tipo di convenevoli, e Giulia non sapeva se esserle grata per averle tolto il pensiero di dover prolungare all’infinito quell’agonia, o se odiarla per averla costretta a non avere nemmeno un attimo per riordinare le idee.
-In effetti, se posso dirvelo, è stato un po’ strano questo invito improvviso. Va tutto bene ragazzi?- intervenne Simone, ignorando a sua volta la domanda del figlio. Sembrava corrucciato anche lui, forse indeciso su cosa pensare.
Mirta annuì decisa, scambiando uno sguardo caloroso e disponibile con Filippo e Giulia:
-Se avete problemi con il matrimonio o cose del genere, potete dircelo-.
-In effetti c’è un problema- Giulia parlò ancora prima di riflettere quanto quelle sue parole avrebbero mandato in paranoia tutti i presenti. Non era sua intenzione, ma cominciava a non sopportare più quell’atmosfera così tesa e tremendamente strana. Forse era a causa degli ormoni della gravidanza, della nausea che ancora aveva e che a stento riusciva a sopprimere, ma non vedeva l’ora di alzarsi di lì e lasciarsi andare ad un pianto liberatorio nella sua camera da letto.
-Un problema inaspettato- aggiunse Filippo, sedendosi finalmente accanto a Giulia. Continuava a torturarsi le mani, mentre si muoveva sotto gli sguardi di tutti puntati su di lui, in attesa.
-Sei incinta, per caso?-.
La domanda di Carlo aveva squarciato il silenzio che aveva seguito le parole di Filippo, lasciando lui e Giulia di sasso. Giulia si voltò verso Filippo, riconoscendo anche in lui la stessa espressione di terrore misto a sorpresa. Nessuno dei due sapeva bene come rispondere a quella domanda fatta più per scherzare, e che inaspettatamente aveva centrato il punto esatto della discussione; il loro silenzio, comunque, sembrò essere una risposta valida per Anita:
-Giulia- nel sentire pronunciare il proprio nome, Giulia si sentì morire la voce in gola, incapace di parlare o di fare qualsiasi altra cosa – Sei incinta sul serio?-.
Giulia si sentì raggelare sul posto, incapace di articolare anche solo una parola. Sentiva lo sguardo di sua madre su di sé, come quello di tutti gli altri presenti, e sentiva anche l’impossibilità di parlare e di pensare.
-Ecco … - Filippo iniziò a parlare, ma Giulia lo interruppe posandogli una mano sul braccio, in un gesto per fermarlo.
Forse era stata proprio quell’iniziativa di Filippo a farle capire che, al di là della difficoltà del momento, doveva essere lei a dirlo. Doveva trovare il coraggio di prendersi quella responsabilità, di fronte ai suoi genitori e a quelli di Filippo, dimostrando già da quel momento di poter gestire la situazione:
-Davvero vuoi che risponda ad una domanda del genere?- farfugliò, torturandosi le mani e parlando con voce meno sicura di quel che aveva sperato. Guardò uno per uno i presenti, prima di sbuffare, con tono esasperato:
-Beh, non era così che avevo intenzione di dirvelo, ma ultimamente va tutto al contrario di come dovrebbe andare!-.
Si coprì la faccia con entrambe le mani, singhiozzando senza piangere.
-Questo significa che sei davvero incinta?- Mirta fu la prima a parlare, dopo attimi di silenzio che sia a Giulia che a Filippo parvero infiniti. Filippo abbassò lo sguardo, di fronte alla domanda di sua madre, richiamato subito da Simone:
-Filippo, dicci qualcosa!-.
-Papà, cos’altro volete che vi dica?- scoppiò lui, alzando la voce e pentendosene subito dopo. Lanciò un’occhiata di scuse verso Simone e Mirta, prima di abbassare nuovamente gli occhi.
Fu in quel momento che Giulia scoppiò a piangere, singhiozzando e con le lacrime che le rigavano le guance. Sua madre ammorbidì per un secondo lo sguardo, rimasto scioccato e severo fino a quel momento, ma tornò a guardare la figlia con fare sconvolto quando Giulia disse, tra i singulti:
-Che sono dei gemelli, per esempio-.
Anita quasi sobbalzò sul posto, gli occhi sgranati:
-Gemelli? Gemelli! Non posso crederci, non posso crederci!-.
-Ma siete sicuri?- anche Simone ora li osservava turbato, allo stesso modo di Mirta ed Carlo, che però intervenne, con fare pratico:
-Se ce lo stanno dicendo, lo saranno eccome-.
-Non è che l’abbiamo fatto apposta, a far in modo che fossero gemelli- Filippo cercò di difendersi, con più convinzione, ma sembrando comunque troppo debole e avvilito per come la notizia era stata recepita.
Mirta scosse la testa, prima di alzare la voce a sua volta:
-Ma potevate stare più attenti!-.
-Su questo sono d’accordo- borbottò Giulia, prima di ricevere un’occhiata torva da Filippo stesso.
Anita non resistette più, e si alzò dall’altro divano, sotto gli occhi del marito e di Giulia, che la tenne osservata con un certo timore.
-Vorreste anche farci partecipi di quello che avete intenzione di fare, oltre a farci prendere un colpo?- replicò, gesticolando con fare nervoso, e trattenendosi a stento dall’alzare la voce.
Fu Giulia, stavolta, ad abbassare gli occhi. Aveva sperato di non dare adito a dubbi su quale fosse la decisione sua e di Filippo – anche se lei stessa era terrorizzata alla sola idea di dover crescere due figli a nemmeno venticinque anni-, ma a quanto pareva nessuno lì li aveva visti abbastanza sicuri per non avere certe perplessità.
Filippo si schiarì la voce, imbarazzato forse più di Giulia, prima di parlare:
-Beh … L’idea era … Di tenerli?-.
Giulia, passandosi una mano sugli occhi per cancellare le ultime lacrime, li osservò tutti, spostando gli occhi da uno all’altro, cercando di leggere le loro espressioni: Mirta e Simone sembravano preoccupati e sorpresi, più che arrabbiati, mentre Carlo sembrava forse quello più calmo in assoluto. Anita, invece, aveva uno sguardo rassegnato che diceva già tutto.
-Fare le cose con calma, voi due, proprio mai, eh?- borbottò, mentre si rimetteva seduta – E va bene, affronteremo anche questa-.
Non aveva nemmeno idea di cosa nelle parole di sua madre le scatenò quell’effetto, ma tra le lacrime che le offuscavano la vista Giulia si ritrovò a ridere. Continuò a ridere a piangere allo stesso tempo, sotto gli occhi stralunati di tutti i presenti, ritrovandosi a riflettere sul fatto che nessun altra reazione come quella avrebbe potuto rappresentare al meglio ciò che sentiva: si sentiva inguaiata, terribilmente ed irrimediabilmente inguaiata, ed allo stesso tempo, realizzò in quel preciso istante, felice come non lo era mai stata.

 

 

*il copyright della canzone appartiene esclusivamente ai cantanti e ai loro autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Che dire se non che per Giulia e Filippo le situazioni sono sempre perennemente tragicomiche 😂
Questo agosto ha visto ben 3 capitoli con diverse novità, e come finire questo mese se non con una bomba vera e propria?
La nostra Giulia, che nei capitoli precedenti era felice ed emozionata all'idea di avere dei figli in futuro, ora si ritrova nel panico perché quel futuro è diventato già presente 😂 E nel panico lo è soprattutto per dover dare la lieta novella a Filippo … Cosa che accade nel giorno dei festeggiamenti della tanto sudata laurea magistrale di lui, durante il quale Giulia non riesce a trattenersi oltre e, inondata dai sensi di colpa, decide di dire la verità a Filippo in un luogo alquanto insolito per un annuncio di questo calibro (ma non insolito per i nostri protagonisti, che a quanto pare si sentono particolarmente ispirati dai bagni 😂)
La reazione di Filippo alla notizia, poi, è alquanto plateale… Ma lo è ancora di più se consideriamo anche la seconda novità, quella data dalla ginecologa: i nostri beniamini, infatti, ben presto inizieranno a vederci doppio!
E diciamo che, in effetti, il tempismo non è dei migliori, ma sembrano esserci spiragli di speranza! Il futuro di Filippo e Giulia è un po' incerto, ma di sicuro scopriremo cosa ne sarà di loro... Settembre sarà occupato da un unico lunghissimo capitolo, e chissà cosa potrà mai succedervi o chi ne saranno i protagonisti!
Ci vediamo mercoledì 14 settembre con la prima parte del capitolo 29!
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 - Parte di me (Pt. 1) ***


CAPITOLO 29 - PARTE DI ME (PT. 1)


 
 
Ti cercherò tra le infinite vie dei cieli
Con gli astri che si aggrovigliano
Poi leggerò il movimento dei pianeti
E di questa grande luna che
Influenza tutto ciò che attorno c'è [1]
 

Si guardò intorno con aria confusa. Era da parecchio tempo che non metteva piede nel parcheggio della stazione di Mestre, e ancora doveva giungere ad una conclusione sul perché Nicola gli avesse mandato un messaggio dicendogli di aspettarlo lì.
Era stato tutto piuttosto improvviso: era primo pomeriggio, e Filippo non si aspettava alcuna emergenza o anche solo un messaggio vagamente nel panico. Nicola non era una persona facilmente impressionabile, eppure il messaggio che gli aveva scritto lasciava pochi dubbi: era nei guai, e gli aveva chiesto di raggiungerlo il prima possibile proprio lì, appena fuori dalla stazione mestrina.
L’idea di dover uscire di casa, quando mancava solo una settimana al matrimonio e lui e Giulia dovevano ancora finire di visionare la disposizione degli invitati ai vari tavoli per la cena post cerimonia, non lo faceva affatto impazzire. Ma alla fine l’aveva fatto, incoraggiato in parte da Giulia e dal fatto che, bene o male, agli amici non si può mai negare una mano nei momenti di bisogno.
Mentre controllava ancora nei dintorni della stazione, cercando Nicola da qualche parte, si chiese se quella fosse stata comunque la scelta migliore: Giulia ancora soffriva delle nausee gravidiche, e cominciava già a stancarsi facilmente. Forse avrebbe fatto meglio a rimanere a casa con lei, e chiedere magari ad Alessio o Pietro di dare una mano a Nicola, qualsiasi fosse il suo problema.
Ad un certo punto, si voltò verso l’ingresso del parcheggio: un’auto particolarmente lunga – doveva essere una di quelle da almeno sei posti- entrò sgommando a tutta velocità, piazzandosi in un posteggio libero piuttosto vicino a lui, strisciando le gomme sull’asfalto per frenare in uno stridio fastidioso.
Filippo si guardò intorno: in quel momento non c’era nessuno, a parte lui, appena fuori dalla stazione, nonostante fosse sabato pomeriggio.
L’auto non aveva nulla di strano – né strani disegni sulla carrozzeria, né scritte o ammaccature di qualche genere-, ma Filippo si ritrovò a reprimere a stento un brivido lungo la schiena. Gli era passata troppo vicino perché fosse casuale, e benché la cosa non avesse il minimo senso, non riusciva a sentirsi affatto tranquillo.
Per i primi secondi nessuno scese dall’auto, e Filippo accennò qualche passo nella direzione opposta. Non riuscì ad andare molto distante: nel momento stesso in cui aveva frapposto tra sé e l’auto qualche metro in più, le portiere si erano aperte tutte. Ne erano scesi sei uomini completamente vestiti di nero, con un passamontagna in testa. A quel punto, le gambe di Filippo non si erano più mosse; non aveva neppure avuto la forza di mettersi a correre a più non posso.
-Fermo dove sei e alza le mani!- uno degli uomini, quello che sembrava essere il più alto, gli si era rivolto con aggressività, senza avvicinarglisi troppo. La voce, da sotto il passamontagna, arrivava a Filippo ovattata e profonda, anche se, probabilmente in un momento di follia, avrebbe quasi giurato che quella era una voce decisamente conosciuta.
Filippo deglutì rumorosamente, alzando le mani e bloccandosi all’istante, come gli avevano detto:
-Calma, stiamo calmi. Il portafoglio … -.
Due di loro si staccarono dal resto del gruppo, restringendo in qualche secondo la distanza tra lui e gli altri. Filippo non finì nemmeno la frase, troppo spaventato anche solo per far sapere che aveva tutta l’intenzione di collaborare senza piantare troppe grane.
Il più basso dei due – dalla corporatura quasi famigliare, avrebbe detto Filippo, di nuovo in un momento tutt’altro che lucido- lo girò malamente, abbassandogli le mani e legandogliele con quella che doveva essere una corda.
Venne girato di nuovo verso di loro, e a quel punto Filippo, al contrario di tutte le sue aspettative, non riuscì a starsene zitto:
-Ma cosa volete?- urlò esasperato – Se volete soldi ve li darò, non c’è bisogno che … -.
-Zitto e fatti mettere questa!- l’altro che si era staccato dal gruppo -alto e magro come un fuso- gli aveva parlato sopra; dopo essergli arrivato di fronte, era stata la volta della benda. Filippo cominciò a tremare: non riusciva più a vedere alcunché. Si sentì in completa balia di quegli sconosciuti che non sembravano avere affatto buone intenzioni.
-Cosa volete fare? Dove volete portarmi?- tentò un’ultima volta, senza una reale speranza di vedersi rispondere.
-Lo scoprirai presto-.
A parlare era stata un’altra voce ancora, più alta delle altre due, ma sempre con la stessa vena di famigliarità che Filippo aveva ravvisato in tutte le altre. Non riusciva più a capire se quello fosse un qualche indizio, o fosse solo il lume della ragione ormai perduto.
Si sentì trascinare, e non gli rimase altro che camminare, guidato dai due che l’avevano legato e bendato. Stava per essere rapito? In un momento di puro terrore, si chiese se avrebbe mai rivisto Giulia, la sua famiglia, i suoi amici.
Lo fecero salire a forza sull’auto, non senza difficoltà – Filippo batté la testa contro il tettuccio dell’auto, prima di intuire che stavano cercando di caricarlo su. Non passò molto prima di sentire le portiere richiudersi, e il rombo del motore di nuovo acceso. Filippo, ancora con la benda calata sugli occhi, sentì le buche dell’asfalto sotto le ruote dell’auto: si stavano muovendo, chissà dove.
L’avevano messo su un sedile, in mezzo a due del gruppo. Era un po’ stretto, e le braccia tenute bloccate dalla corda lo costringevano ad assumere una posizione per niente comoda. Quella, comunque, era la cosa che meno lo stava tormentando in quel momento.
-Vi prego- esalò, cercando di non tremare – Vi darò tutto quello che chiederete se mi lasciate andare-.
A quella sua richiesta, per i primi secondi, non seguì alcuna risposta. Fu dopo un silenzio che a lui parve interminabile che, con gran terrore, li sentì tutti scoppiare in una fragorosa risata. Si chiese se quello fosse il segno inequivocabile che aveva appena oltrepassato il limite, e che a casa da vivo non ci sarebbe mai davvero tornato.
Sentì la macchina rallentare appena, e dei fruscii attorno a lui. Poi, da uno dei sedili davanti al suo, qualcuno si schiarì la gola prima di parlare:
-Ma seriamente, Pippo? Sei così sotto shock che nemmeno le nostre voci riconosci?-.
Filippo non fu subito sicuro di aver capito bene le parole appena pronunciate, ma stavolta, evidentemente senza l’intoppo del passamontagna davanti alla bocca, aveva ascoltato bene la voce che aveva appena parlato. E stavolta non si prese per pazzo: quella voce era davvero tremendamente famigliare. Talmente tanto che si dette dello stupido, prima di aprire di nuovo bocca e chiedere conferma dei suoi sospetti attuali.
-E pensare che credevo che almeno mio fratello mi avrebbe riconosciuto sempre e comunque- fece un’altra voce, quella di colui che gli aveva legato le mani con la corda. Filippo si girò istintivamente verso la direzione dalla quale proveniva quella voce, e stavolta non nascose nemmeno la propria rabbia:
-Ma non posso crederci!- urlò, ben consapevole che agli occhi di quelli che erano i suoi amici, doveva apparire alquanto buffo – Ma sul serio avete fatto finta di rapirmi? Ma che avete in testa?-.
Filippo si dette nuovamente dell’idiota. Aveva riconosciuto Fabio più dalla corporatura che dalla voce stessa, eppure nell’ansia del momento non l’aveva nemmeno ricollegata a suo fratello. E Pietro … Chi altro poteva chiamarlo Pippo, se non lui?
-Ehi, ti stai per sposare: secondo te non avremmo organizzato qualcosa per il tuo addio al celibato?- fece una terza voce, quella che sembrava essere di colui che l’aveva bendato. Alto e magro come non mai, a Filippo non venne in mente nessun altro che potesse essere se non Alberto. Tornato in Italia giusto in tempo per quella sceneggiata, evidentemente.
-Maledetti- Filippo masticò altre imprecazioni, indeciso se mettersi a ridere per la tragicomica situazione in cui si ritrovava, o se meditare un omicidio plurimo – Nicola? Sei qui?-.
Era abbastanza sicuro di quale sarebbe stata la risposta, che infatti non tardò ad arrivare da parecchio vicino:
-Certo che ci sono. Sono di fianco a te-.
-Sei un traditore- sbuffò Filippo, girandosi verso destra, la direzione dalla quale era arrivata la voce del biondo. Nicola rise appena, alquanto divertito:
-Ti darò il permesso di vendicarti, tranquillo-.
-Ora che avete portato a termine lo scherzo, potete slegarmi le mani e togliermi la benda?-.
I polsi cominciavano a dolergli, e non riuscire a vedere nulla cominciava a dargli sui nervi. Ora la paura era totalmente dissipata: al suo posto c’era solo un terribile nervoso. Aveva voglia di guardarli in faccia uno per uno e riempirli di insulti per lo spavento che gli avevano fatto prendere.
-Per le mani ok, basta che ti giri un attimo- stavolta a parlare era stata la voce gentile che Filippo riconobbe subito essere di Gabriele, di fianco a lui sulla sinistra – La benda temo dovrai tenertela per un altro po’-.
Filippo gemette, indignato:
-State scherzando, spero-.
-Affatto, Pippo, affatto- Pietro parlò di nuovo, quasi cantilenando – È una piccola precauzione che dovrai sopportare-.
-Non vogliamo anticiparti nulla, tanto meno il luogo verso il quale siamo diretti- stavolta Filippo ebbe la conferma che la voce alta che gli era sembrata conosciuta era quella di Alessio, proveniente probabilmente da uno dei sedili davanti.
Filippo sospirò pesantemente, abbastanza deciso che, una volta con le mani slegate e senza benda, li avrebbe picchiati tutti, uno dopo l’altro.
-È tanto distante questo posto?-.
Alberto non fece attendere la risposta:
-Direi proprio di sì-.
Doveva aspettarselo, come minimo. Sarebbe stato troppo bello dover tenere quella maledetta benda per poco tempo ancora.
-Giulia sa che sono con voi?-.
-Le abbiamo spiegato cosa volevamo fare- Nicola, insolitamente ilare in quella situazione altrettanto insolita, represse a stento una risata – E lei ha riso talmente tanto che quasi non riusciva più a riprendersi. Quindi sì, sa con chi sei e dove sei diretto-.
“Quando tornerò a casa, sentirà quanto è stato divertente”.
-Ho un’ultima domanda- Filippo prese l’ennesimo sospiro profondo, prima di riordinare le idee e cercando di ricordare tutte le voci che aveva ascoltato fino a quel momento – Ci sono Pietro, Alessio, Nicola, mio fratello, Alberto e Gabriele. A proposito di voi due: non vi fate mai vedere, ma per questa carnevalata non potevate cerco mancare, vero? Manca qualcun altro?-.
-Finalmente sei tornato a riconoscere le voci dei tuoi vecchi compagni di ventura, Pippo. Cominciavo a preoccuparmi- gli rispose Pietro, e Filippo lo immaginò parlare con il solito ghigno astuto che riservava sempre a quel genere di risposte sarcastiche.
Ora il quadro cominciava a delinearsi più precisamente: probabilmente lo stavano portando verso quella che sarebbe stata la vera festa per il suo addio al celibato. Non rimaneva che scoprire dove si sarebbe svolta e tra quanto ci sarebbero arrivati, a quella festa. Filippo non riuscì a trattenere la curiosità:
-Non mi direte nient’altro su cosa avete intenzione di fare, vero?-.
Alessio prese la parola, con fare ovvio:
-Non era la tua ultima domanda già quella di prima?-.
A Filippo non rimase che mettersi l’anima in pace ed aspettare che le risposte arrivassero da sole, con il tempo.
 


Gli parve di rivedere la luce dopo giorni interi. Filippo, appena sceso da quell’auto che aveva odiato per ogni singolo secondo di quel viaggio verso una meta a lui ignota, non perse tempo a stiracchiarsi. Dovette attendere qualche secondo prima di riuscire ad aprire gli occhi senza considerare fastidiosa la luce. Era ormai sera, segno inequivocabile che dovevano aver guidato per ore intere, ma il sole non era ancora calato. Faceva ancora terribilmente caldo, e cominciava a trovare insopportabile la sensazione della pelle sudata sotto alla maglietta. In quel momento avrebbe solamente voluto potersi fare una doccia fresca a casa sua a Venezia.
-Ed infine, in perfetto orario sulla tabella di marcia, siamo giunti a destinazione- Pietro, che era stato il guidatore del viaggio, come aveva scoperto Filippo appena gli era stata tolta la benda, si stiracchiò a sua volta. Si stava guardando intorno soddisfatto, come se fosse fiero di sé e del fatto che fossero arrivati sani e salvi a destinazione.
Una destinazione che a Filippo continuava ad essere sconosciuta: a giudicare dagli edifici e dai condomini, nonché dalle strade rumorose e trafficate, doveva trattarsi di una città. Probabilmente quello doveva essere un parcheggio di una qualche periferia. Non chiese comunque dove si trovavano: nonostante le ore passate, parte dell’arrabbiatura verso quel pessimo scherzo del rapimento era ancora lì. Non domandare dov’erano era una questione di orgoglio.
-Allora? Hai idea di dove siamo?- gli chiese Fabio, avvicinandosi sorridente. A quanto pareva, suo fratello non era preda di alcun senso di colpa per lo spavento che gli aveva causato.
-Potrei azzardare Bologna- disse Filippo, tirando quasi a caso. In realtà quella periferia non gli sembrava affatto del capoluogo emiliano, ma a giudicare dal tempo che ci avevano impiegato ad arrivare, non poteva escluderla a priori.
-Ci sei parecchio distante, amico- rise Alberto, tirandogli una pacca sulla spalla – Abbiamo puntato molto più in alto-.
Filippo li guardò uno ad uno, senza capire né intuendo dove diavolo l’avessero trascinato. Cominciava a temere di essere finito nelle mani di un gruppo di pazzi.
-Oh avanti, Pippo, è facile!- lo incoraggiò Pietro – Non ci sono molte metropoli abbastanza vicine a Venezia per impiegarci qualche ora ad arrivare-.
-Piccolo indizio: siamo in Lombardia- aggiunse Nicola, per facilitarlo. Fu in quel momento che Filippo capì, e che si rese conto che era finito davvero in mezzo ad un branco di folli.
-State scherzando, vero?- replicò, esasperato – Mi avete trascinato fino a Milano?-.
-Per essere precisi, qui siamo ancora a Sesto San Giovanni- intervenne Alessio – Ma tranquillo, alla parte milanese della serata ci arriveremo tra un po’-.
-Abbiamo dovuto parcheggiare qua per evitare di spendere un patrimonio- spiegò Gabriele, con il solito tono conciliante – Da qui in poi proseguiamo con la metropolitana-.
Filippo si ritrovò a sbuffare, trattenendosi a stento dal ridere. Non aveva mai davvero pensato a come sarebbe stato il suo addio al celibato, dubitava persino che qualcuno si sarebbe ricordato di organizzarlo. Era evidente quanto si fosse sbagliato. Spostò di nuovo lo sguardo su tutti i presenti, lasciandosi sfuggire un sorriso rallegrato:
-Avete pensato alla giornata nei minimi dettagli, eh?-.
Pietro ghignò in risposta, gli occhi neri che tradivano però un velo di divertimento:
-Ovviamente. Per chi ci hai preso? Siamo un’ottima squadra in fatto di organizzare viaggi del piacere-.
Con quelle ultime parole, a Filippo non rimase altro che ridere e sperare di non dover scappare a gambe levate verso Venezia il prima possibile.
 


Come gli aveva anticipato Gabriele, si fermarono molto poco a Sesto: giusto il tempo di trovare la fermata della metropolitana più vicina, comprare dei biglietti e salire sul treno in direzione Bisceglie.
Per prima cosa, avevano fatto tappa per una breve passeggiata e la cena in centro, poco distante dalla zona del Duomo. Filippo aveva temuto che avrebbe dovuto ricorrere a tutti i risparmi che aveva con sé, per cenare in una zona del genere, ma alla fine non aveva dovuto nemmeno mettere mano al portafoglio: non senza protestare, si era visto offrire la cena da quelli che, ormai a tutti gli effetti, poteva chiamare i suoi rapitori.
Non rimasero a lungo fermi nemmeno lì: prima di cena avevano passeggiato dalla piazza del Duomo fino alla zona del Castello Sforzesco, e sembrava che la cena dovesse essere solo un’ultima pausa prima del vero divertimento della serata.
A Filippo non venne detto nulla ancora una volta. Non aveva idea di dove erano diretti, e conoscendo a stento Milano non poteva intuire nulla sulla meta finale nemmeno dalle fermate della metropolitana. Avevano ripreso la metro alle nove e mezza, e non molto dopo erano finalmente riemersi alla fermata di Porta Genova. La sera era finalmente calata, ma l’umidità non tendeva minimamente ad andarsene; come se non bastasse, le strade di quella zona erano tremendamente affollate, tanto da impedire a Filippo di camminare ad una velocità normale.
-Mi volete dare un indizio su dove siamo?- chiese quasi esasperato, ben conscio che anche quella domanda non avrebbe avuto alcun esito.
-Siamo nella zona dei Navigli milanesi- spiegò Alessio, che lo stava affiancando in quel momento – Ma non siamo esattamente diretti alla zona della Darsena-.
-Non temere, Pippo- Pietro, dietro di lui, gli si avvicinò per farsi sentire meglio – Siamo quasi arrivati a quella che dovrebbe essere la tua sorpresa di addio al celibato-.
La promessa di Pietro si avverò nemmeno quindici minuti dopo. La strada in cui avevano svoltato era decisamente meno affollata, anche se non meno rumorosa o colorata: erano finiti in una zona piena di locali, che solo in quel momento stavano cominciando ad aprire. La maggior parte dovevano essere discoteche o locali per soli adulti. Probabilmente anche quella strada si sarebbe riempita di gente, nel giro di qualche ora, quando sarebbe giunto l’orario perfetto per cominciare a riempire le discoteche.
Filippo, in ogni caso, fu grato del fatto che fossero arrivati in un momento di quiete. Quando il passo degli altri cominciò a rallentare, capì che dovevano essere in dirittura d’arrivo alla meta prescelta, e già sapeva che, dopo una giornata simile, si sarebbe lasciato andare ad una scenata isterica. L’unica consolazione era che, appunto, per strada non ci fosse ancora quasi nessuno che sarebbe potuto scoppiare a ridere nel vederlo in uno stato simile.
Fabio fu il primo a fermarsi; si era staccato di qualche metro dal gruppo, e si era voltato indietro verso di loro, parlando direttamente al fratello minore:
-Con nostro sommo piacere, Filippo, possiamo finalmente svelarti come passeremo le prossime ore della serata. Benvenuto al Lady Godiva!-.
Filippo lo raggiunse, completamente ammutolito: si trovava di fronte a quello che, con tutta probabilità, era il locale più colorato e meno sobrio di tutta la via. Un’insegna enorme torreggiava sopra quella che doveva essere l’entrata – una porta riccamente intarsiata e dipinta di rosso-, recando il nome del locale. Con tantissime luci al neon microscopiche e dai colori più disparati, Filippo poteva leggervi la scritta “Lady Godiva”. Sebbene non ci fossero segnali particolari a farglielo intuire – nessun cartellone ambiguo o altre scritte allusive ornavano i muri dipinti di blu elettrico dell’edificio-, era abbastanza sicuro si trattasse di un night club. Doveva immaginare che, almeno per quella parte della giornata, i suoi amici si sarebbero attenuti alla migliore tradizione degli addii al celibato.
-Tranquillo, non è un locale per fan dei Queen. E no, non dovremmo nemmeno assistere ad un concerto di una qualche cover band- Pietro lo raggiunse, dandogli una pacca sulla spalla con il chiaro intento di prenderlo in giro – Niente cantanti con baffoni alla Freddie Mercury, stasera-.
-Forse non sarebbe stata poi male come idea- borbottò Filippo, già sul punto di scappare via disperato. Sperava che almeno la parte riguardante il night club Nicola non l’avesse specificata a Giulia.
-Per quanto poetico e appropriato possa essere cantare I want to break free una settimana prima del matrimonio, temo non sarà quella la fine che faremo stasera- disse Alessio, con tono grave.
Alla battuta Filippo rise comunque, nonostante la generale ostilità che già provava per quel posto.
Alla fine, qualche minuto dopo, si era costretto a seguire gli altri ed entrare. L’atmosfera all’interno era vivace e colorata esattamente come faceva presupporre l’esterno del night club: la sala principale era ricolma di divani in pelle gialla, piccoli tavolini e vari cubi.
-Questo deve essere il nostro posto- Nicola aveva fatto qualche passo in avanti, indicando una serie di divanetti posti in semicerchio intorno a tre cubi, in un angolo della sala.
C’erano pochi dubbi sul fatto che, in effetti, quel posto fosse riservato a loro, e dopo pochi minuti che si erano seduti ogni dubbio, in effetti, si dissipò: Filippo fece appena in tempo a sistemarsi al centro del divanetto frontale ai tre cubi, quando una delle ballerine – vestita unicamente di un reggiseno riccamente decorato e da un perizoma che lasciava poco alla fantasia- si avvicinò a loro approcciandoli:
-Siete voi quelli dell’addio al celibato?-.
-In persona- le rispose prontamente Alberto, che occupava il posto all’estremità di uno dei divani laterali.
La ballerina annuì sorridente, prima di aggiungere:
-E il festeggiato chi è tra di voi?-.
Filippo sperò ardentemente che le luci del locale mitigassero almeno un po’ il rossore delle sue guance, e non lo lasciassero essere troppo visibile. Nessuno aveva parlato, né l’avevano indicato: era bastato che ognuno di loro si girasse verso di lui per far capire chi fosse il protagonista della festa. Il suo colorito, poi, aveva dato la conferma finale.
Il sorriso della ragazza si ingrandì ancor di più. Filippo osservò le labbra piene e colorate dal rossetto viola andare a formare un sorriso malizioso e licenzioso, diretto proprio a lui. Se possibile, il suo viso si infiammò ancor di più.
La osservò mentre si abbassava su di lui, arrivando ad appoggiare le mani sulle ginocchia e con il volto a qualche centimetro dal suo; Filippo sentì il cuore sul punto di scoppiare, e l’imbarazzo saltare alle stelle nel giro di un secondo.
-Questa è una serata che difficilmente dimenticherai, futuro sposo-.
Se avesse trovato la forza di parlare, Filippo le avrebbe fatto sapere che si sarebbe trovato perfettamente d’accordo con lei. Difficilmente avrebbe dimenticato anche solo un minuto della giornata più assurda della sua vita.
 
*
 
-Avrei voluto essere lì solo per vedere le facce che avrà fatto-.
-Sei riuscita a tenere a bada la gelosia?-.
Giulia bevette l’acqua dal suo bicchiere tutta in un sorso, prima di tornare con gli occhi su Caterina e muovere la testa in segno di diniego:
-Da come l’ha raccontato, sono abbastanza sicura fosse troppo traumatizzato per poter anche solo pensare di poter allungare le mani sulle ballerine-.
Quando Nicola le aveva fatto sapere dei piani riguardanti l’addio al celibato di Filippo, Giulia non si era troppo preoccupata della parte che prevedeva la visita in un night club milanese, particolarmente rinomato per quel genere di feste. Aveva quasi riso al pensiero di quel che Filippo si sarebbe ritrovato a vivere – rapito, trascinato a Milano, e poi costretto in un night club-, e non si era opposta a quell’idea. Non ci aveva davvero pensato fino alla sera precedente, data prescelta per quel viaggio. Solo in quel momento, alla sera tardi, si era fermata un attimo a pensare a Filippo circondato da ballerine avvenenti. Aveva totale fiducia in lui, ma sapeva anche che l’alcool che di certo avrebbe bevuto poteva essere un problema.
Si era messa a letto con quel pensiero, ed era rimasta sveglia fino alle quattro del mattino, quando Filippo era finalmente rincasato. Non aveva atteso oltre per domandargli come era andata, ed era stato un bene: a giudicare dal racconto, era andato tutto alla grande. Filippo aveva aggiunto, prima di addormentarsi, che in ogni caso non avrebbe mai più rimesso piede in un locale simile: non si era mai sentito più imbarazzato in vita sua.
Giulia si era pentita di non aver dormito abbastanza, quella notte, nel tentativo di aspettare Filippo sveglia. Si era dovuta svegliare solo dopo qualche ora perché, così come era toccato a Filippo, anche lei aveva un addio al nubilato a cui partecipare. Nulla di strambo ed eccentrico come era stato per lui – di certo, nel suo stato, Caterina non si sarebbe mai azzardata ad organizzare un finto rapimento-, ma di certo non una passeggiata.
Era uscita di casa dalla metà della mattinata, ed erano servite quasi tre ore di auto per arrivare alla meta prestabilita. Perlomeno aveva potuto consolarsi per il fatto di non aver dovuto guidare lei stessa.
Ad ogni modo, a tenerla sveglia, era stata anche l’eccitazione che aveva sentito in corpo per tutto il viaggio. Il timore che aveva provato per Filippo si era lentamente trasformato in ansia: ansia per arrivare, e ansia per potersi finalmente divertire, dopo settimane fatte di pensieri e agitazioni per qualsiasi cosa che sembrava poter essere un potenziale problema.
Pur non rimanendo sorpresa per il luogo designato al suo addio al nubilato – né Caterina né sua sorella glielo avevano tenuto nascosto tanto a lungo, e così Giulia era finita per sapere tutto una settimana prima di quello stesso giorno-, non aveva potuto fare a meno di sentirsi elettrizzata nel momento stesso in cui aveva messo piede fuori dall’auto guidata da Giada. Non era mai stata al circuito di go-kart di Misanino, e non vedeva l’ora di metterci piede: sapeva che avrebbe dovuto fare tripla attenzione, a causa della gravidanza, rispetto a quel che avrebbe fatto normalmente, ma le importava poco. Era da giorni che aspettava di mettersi a sedere su uno di quei kart e iniziare a girare sul circuito.
Il programma che Caterina, sua sorella Ilaria, Valerio, Alice, Fernando e Giada avevano comprato per il suo addio al nubilato prevedeva diversi giri di qualifica e circa dieci giri di gara.
Avevano pranzato nel bar del circuito, e poi si erano dati da fare in pista: alla fine, dopo un’ora di kart complessiva, Giulia poteva dirsi soddisfatta. Era dovuta andare piano per evitare uscite di strada e per non ritrovarsi in mezzo al traffico degli altri kart, ma alla fine non era nemmeno arrivata ultima – a quello ci aveva pensato Fernando, che per quanto fan di Formula 1 potesse essere era una altrettanto conclamata schiappa ai kart.
La cena offerta dal circuito era la seconda parte che prevedeva il programma per quel genere di addii al nubilato. Giulia non aveva idea di quanto avessero speso, ma di sicuro la cifra non doveva essere stata particolarmente bassa: la cena si era rivelata ricca, ben studiata, e al momento dell’ultima portata si era sentita sazia.
Ora, a cena finita, si sentiva ancora appesantita. Era passata appena mezz’ora da quando era stato servito il dolce, e Giulia cominciava a sentire il sonno arrivare di già; era sempre così, ultimamente, da quando era incinta. Erano passati alcuni minuti da quando Caterina le aveva chiesto dell’addio al celibato di Filippo, e dopo quello scambio di battute, Giulia aveva fatto cadere la conversazione. Bevette un altro sorso d’acqua, chiudendo per un attimo gli occhi ed assaporando quella sensazione di ristoro; ringraziò chiunque avesse scelto di rimanere in un hotel nelle vicinanze per quella notte, perché non avrebbe avuto alcuna energia per farsi tre ore di macchina anche al ritorno.
-Stai bene?- le chiese dopo un po’ Caterina, seduta alla sua sinistra.
-Sono solo un po’ appesantita- Giulia scrollò le spalle, cercando di rassicurarla. Negli ultimi tempi Caterina si era fatta più apprensiva nei suoi confronti, a tratti anche più di Filippo, probabilmente a causa dei brutti ricordi del quasi aborto spontaneo avuto ad inizio gravidanza.
Valerio, dall’altro lato del tavolo, sorrise maliziosamente:
-Sicura di entrarci ancora nel vestito, o ti ritroverai ad andare all’altare in mutande?-.
-A costo di doverlo rifare all’ultimo, avrò il mio splendido vestito- ribatté Giulia, caparbiamente. Il vestito per ogni sposa rappresentava uno dei punti focali della cerimonia, e lei non era da meno. Adorava il vestito che aveva scelto, e sebbene di seconda mano, era riuscita a farlo personalizzare abbastanza da sentirlo suo come se fosse stato nuovo di zecca.
E poi, oltre al vestito, non vedeva l’ora di sfoggiare anche tutti gli altri dettagli che avrebbero contributo al look: aveva deciso di seguire le tradizioni, comprando degli orecchini blu che si abbinavano perfettamente ai decori azzurri dell’abito; aveva acquistato anche un fermaglio per tenere i capelli legati, in una qualche acconciatura che doveva ancora decidere. Sua sorella le aveva prestato il velo che aveva utilizzato al suo matrimonio due anni prima, ed infine sua madre qualche settimana prima le aveva dato un anello di famiglia, che avrebbe indossato per la prima volta proprio durante la cerimonia.
-Hai provato il velo?- chiese Ilaria, alla sua destra, quasi come se le avesse appena letto nel pensiero.
-Non ancora- Giulia prese un altro sorso d’acqua – E poi è un velo, non deve mica andarmi bene o essere di una misura precisa-.
Ilaria alzò le spalle, e sembrò non trovare nulla da ridire. In ogni caso, Giulia non vedeva l’ora di provare quel velo: era vero che non l’aveva ancora indossato, nemmeno per prova, ma sapeva che quando lo avrebbe fatto il cuore le sarebbe martellato fin troppo forte per l’emozione.
Alice, di fianco a Valerio, si sporse verso di lei, dall’altra parte del tavolo:
-Sei riuscita a vedere Filippo prima di partire stamattina?-.
Sebbene parlasse un italiano pressoché perfetto – Giulia ancora doveva capire come doveva aver fatto ad impararlo così bene nel poco tempo che aveva avuto prima di venire in Italia-, ogni volta che Alice alzava un po’ di più il gomito rispetto al solito l’accento inglese si faceva sentire maggiormente. In quel momento era piuttosto distinguibile.
-L’ho aspettato stanotte. Non avevo molto sonno- spiegò Giulia, evasiva. Non voleva lasciare intendere di essere rimasta sveglia per i timori che aveva avuto durante tutta la serata.
-Almeno lui ti ha raccontato come è andato il suo addio al celibato?- le chiese Giada, seduta di fianco a Caterina. Lei ed Ilaria erano le uniche trentenni del gruppo, e Giulia, prima di quel giorno, si era chiesta spesso come sarebbe stato vedere Giada, sempre perfetta e composta, darsi ai kart. Era rimasta estremamente stupita, durante tutta la giornata, nel notare che, se possibile, si era divertita pure più di lei.
-Mi ha detto qualcosa. Soprattutto, ha detto che si vendicherà presto di Nicola, Pietro, Alessio e degli altri presenti- rispose Giulia, accompagnando le sue parole ad una risata divertita, seguita da quella di Caterina, Alice e Giada.
Ilaria si lasciò andare ad un sorriso:
-Sono stati piuttosto crudeli a fare finta di rapirlo-.
-Quando Alessio mi ha raccontato quello che avevano intenzione di fare non sapevo se ridere o piangere- convenne Alice, annuendo convinta.
Giulia rise di nuovo, ricordando quando, due settimane prima, Nicola aveva approfittato dell’assenza di Filippo per andare da lei e raccontarle quello che stavano organizzando:
-Io nel dubbio ho riso. Parecchio-.
-Ti prendi gioco del tuo futuro marito? Povero Filippo- commentò Caterina, facendo finta di essere indignata.
Caterina non aveva sbagliato troppo il tiro: anche Giulia, subito dopo aver riso nell’ascoltare il piano di Nicola e degli altri, si era sentita leggermente in colpa verso Filippo. Poi, però, aveva accantonato quella sensazione pensando che, in fin dei conti, un addio al celibato non poteva essere certo una cosa troppo posata o beneducata.
-In ogni caso, abbiamo una sorpresa anche per te- Giada aveva parlato a fatica, dopo aver smesso di ridere. Adesso aveva un sorriso sagace stampato in viso, e Giulia assottigliò gli occhi con fare dubbioso:
-Cosa?-.
Spostò gli occhi dall’una all’altra persona seduta al tavolo, ma l’unica risposta che ebbe arrivò da Valerio:
-Non ti sei resa conto che manca qualcuno all’appello?-.
Giulia sgranò gli occhi, guardandosi di nuovo intorno: al tavolo che era stato loro riservato per la cena, in una saletta privata dell’albergo del circuito, mancava effettivamente qualcuno. Giulia si dette della stupida: non si era nemmeno minimamente accorta che Fernando doveva mancare da un po’. Il suo posto a tavola era vuoto, e di certo doveva essersi allontanato prima che lei cominciasse anche solo a parlare dell’addio al celibato di Filippo. Quella parte dell’addio al nubilato era decisamente inedita, e non aveva la minima idea di cosa le sarebbe successo da quel momento in avanti.
Prima che Giulia potesse anche solo aggiungere o chiedere altro, la luce si abbassò, facendosi soffusa in tutta la sala. Qualcuno – qualcuno che, a rigor di logica, doveva per forza essere Fernando-, doveva aver azionato qualche interruttore per rendere l’atmosfera più intima.
Caterina ridacchiò, e Giulia le lanciò uno sguardo minaccioso: in realtà non era davvero preoccupata – non ancora, almeno-, ma immaginò che un po’ di scena non faceva mai male.
Quando partì anche la musica, una canzone disco dal ritmo spagnoleggiante e che Giulia non conosceva, dalle casse fissate agli angoli del soffitto, Giulia quasi sobbalzò. Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi, che Fernando fece finalmente la sua magistrale entrata.
Giulia dovette sforzarsi per non ridere troppo, ma ogni tentativo fallì miseramente quando osservò la canotta dorata aderente che Fernando stava indossando, abbinata a dei pantaloni di pelle, altrettanto dorati e altrettanto scintillanti, che fasciavano le curve delle sue gambe.
-Eccola, la parte più importante del tuo addio al nubilato- Caterina si era sporta maggiormente verso Giulia per riuscire a farsi sentire sopra il rimbombo della musica alta – Ma credo che Filippo non si sentirà troppo geloso in ogni caso-.
Giulia rise ancora di più, le lacrime agli occhi per le risate troppo prolungate.
Fernando le si avvicinò, muovendosi a ritmo di musica, fino ad arrivarle di fronte; il sorriso malizioso e invitante che le rivolse ebbe l’effetto di rischiare di farla ridere ancor di più.
-¿Quieres bailar conmigo, señorita?-.
Fernando le allungò una mano, pronto a tener fede al proprio invito. A Giulia servirono pochi secondi per accettare, ed alzarsi a sua volta. Le incitazioni di Caterina, Ilaria, Valerio, Alice e Giada sovrastavano di poco la musica, e a dispetto di quel che si sarebbe aspettata, non fecero altro che invogliarla ancora di più a seguire Fernando. In quel momento voleva solo seguire il ritmo che le pompava nelle vene, ridere più che poteva e ballare come non aveva mai fatto prima.
E pensare, ovviamente, alla faccia che avrebbe fatto Filippo quando gli avrebbe descritto minuziosamente i magnifici vestiti di Fernando di quella serata.
 
*
 
Il colletto della camicia, così stretto, rischiava di farlo soffocare. Sentiva il tessuto che cominciava ad incollarglisi alla schiena – faceva dannatamente caldo, quel giorno, ma d’altro canto quello era il prezzo per aver deciso di sposarsi ad agosto-, e quasi ringraziò di poter nascondere quel piccolo incidente sotto la giacca scura.
Si sentiva completamente in confusione, e a poco stava servendo il continuare a ripetersi sottovoce, come un mantra, che doveva stare calmo. Le dita gli tremavano, impedendogli di fare un nodo decente alla cravatta. Filippo si ritrovò ad imprecare a denti stretti, dopo l’ennesimo tentativo fallito; la prese e la lanciò furente sul letto della stanza d’hotel, dove la notte prima aveva dormito da solo. Era stata una sensazione strana, quella di dormire senza Giulia accanto, ma avevano preferito seguire le tradizioni, almeno per una volta.
Portò le mani ad aprirsi i primi bottoni della camicia, sbuffando e sentendosi ridicolo. Si tirò appena i capelli, in un moto di disperazione e nervosismo, e chiuse gli occhi per un attimo. Il buio e il silenzio lo aiutarono a riprendere il controllo. Doveva calmarsi, perché altrimenti, di quel passo, non sarebbe nemmeno arrivato vicino al momento dello scambio delle promesse.
Quando rialzò le palpebre, lo specchio davanti a lui gli restituì la sua immagine riflessa. Filippo quasi si mise a ridere, nel riconoscersi nel ragazzo spettinato e completamente in disordine che stava osservando. Aveva l’aria di un fuggitivo malridotto, anziché quella di uno sposo. Non che avesse davvero pensato di fuggire, o che l’idea di rinunciare a tutto l’avesse anche solo sfiorato, quello no.
Si sentiva terribilmente agitato, più che alla sua laurea e quasi quanto alla prima ecografia di Giulia, ma era un’agitazione che, lo sapeva, poi avrebbe lasciato spazio alla gioia.
Si era svegliato in preda al timore di poter prendere in seria considerazione l’idea di rimandare il matrimonio, ma non era successo. Di quello era fiero: non si era mai pentito di aver chiesto a Giulia di sposarlo, e non lo stava facendo nemmeno in quel momento, quando mancava appena un’ora prima di rincontrarsi con lei al Comune di Verona, dove tutto sarebbe avvenuto.
In fin dei conti, la sua era un’agitazione che lo spingeva a migliorarsi, a sperare di rendere tutto il più unico possibile: voleva dare il meglio di sé, e sebbene non avesse alcuna certezza, era piuttosto sicuro che quel giorno sarebbe stato tutto fuorché imperfetto.
Si sedette sul letto, stupito nel rendersi conto che, nonostante tutto, stava sorridendo. Ripensò per un attimo a quell’ultimo anno, speso a preparare quella giornata nei minimi dettagli, a scervellarsi per trovare soluzioni agli imprevisti, a cercare di far quadrare tutto. Gli erano costati fatiche, quegli ultimi mesi, ma sapeva che si sarebbe sentito ripagato, entro quella stessa sera.
In un verso o nell’altro, da quella sera in poi sarebbe stato tutto diverso. Era come ritrovarsi ad assistere ad un evento storico, ed essere il protagonista di tutto: spaventoso e bellissimo allo stesso tempo.
Forse anche Giulia si stava sentendo nello stesso identico modo; forse anche lei stava pensando quelle stesse cose, in una stanza lì vicino dello stesso hotel. Sperò che anche per lei valesse lo stesso, che anche per lei quel giorno rappresentasse il loro nuovo inizio e la conclusione di tutte le loro fatiche dell’ultimo anno.
Si rialzò in piedi, tornando davanti allo specchio. Cercò di concentrarsi di nuovo, mentre riabbottonava la camicia e si riavviava i capelli. Andava già molto meglio rispetto a prima.
Recuperò la cravatta, lanciata sul materasso, prima di uscire dalla stanza in cerca di aiuto: magari sarebbe riuscito a beccare suo padre o suo fratello da qualche parte, per chiedere a loro di fargli quel maledetto nodo.
Prima di uscire, lanciò un’ultima occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio: stavolta la sua era la figura di una persona più serena, forse meno evidentemente sotto pressione. Rimase lì fermo, l’idea di fare un ultimo tentativo con la cravatta che gli balenò in testa.
Un ultimo tentativo, prima di uscire a chiedere aiuto; si sentiva stranamente più ottimista, stavolta. Osservò le proprie mani riflesse nello specchio, mentre maneggiavano la stoffa leggera della cravatta per annodarla, più sicure nei movimenti e meno tremanti. Fu con un sospiro di sollievo che, finalmente, poté ammirare il suo risultato. Non era uno dei migliori nodi che avesse mai visto, ma poteva essere passabile.
Era ancor più diversa, ora, l’immagine che lo specchio gli stava restituendo: era quella di un ragazzo sorridente, in maniera tesa e non del tutto tranquilla, ma comunque sorridente.
Si sentiva il cuore battere a mille, sotto la giacca scura e la camicia leggera, ma d’altro canto, non poteva che essere diversamente: era finalmente pronto per il suo matrimonio.
 


La stanza era silenziosa, in quel momento. Sua madre, sua sorella e Caterina l’avevano lasciata sola da qualche minuto, giusto il tempo di darle un po’ di tempo per realizzare il tutto, prima di uscire da quella stanza e dall’hotel per dirigersi verso il Comune.
Giulia tirò un lungo sospiro, mentre teneva gli occhi abbassati sull’anello di fidanzamento che Filippo le aveva donato poco più di un anno prima. Lo sfilò per l’ennesima volta, rigirandoselo tra le dita come aveva fatto fin troppo spesso nelle ultime ore. Era una sorta di mantra, il suo, come se accarezzare quell’anello potesse portarle fortuna o infonderle più coraggio.
Aveva la mente affollata di pensieri, e la pace silenziosa della camera non rispecchiava per niente quello che era invece il suo stato d’animo attuale.
Se ne stava seduta sul bordo del letto, e sentiva il vestito stringerle un po’. Era stata una fortuna doversi sposare con la gravidanza ancora agli inizi, e soprattutto era contenta di non aver optato per un vestito stretto in vita. Quello, invece, le ricadeva morbidamente sul corpo, accennando solo appena il ventre che cominciava già ad essere gonfio. Sua madre e sua sorella le avevano dato una mano ad indossarlo, mentre Caterina aveva pensato al trucco: ora era pronta, e nonostante avesse il timore che restandosene lì il vestito si sarebbe in parte stropicciato, Giulia rimase seduta.
Si sentiva la stanchezza delle ultime settimane addosso, con la testa che le girava e la nausea che non mancava nemmeno quel giorno, nonostante fosse tarda mattinata. Forse erano gli ormoni o forse era l’ansia a giocarle brutti scherzi; portò automaticamente una mano sul ventre, come per calmarsi. Era un gesto che aveva preso a fare spesso, e in quel momento sperò che almeno loro stessero bene, e che non sentissero la sua agitazione.
Forse era proprio a causa di quest’ultima se, in quel momento, seduta su quel letto in attesa del momento di recarsi al Comune, si stava chiedendo se stesse facendo la scelta giusta.
Non aveva mai avuto dubbi in merito fino a quel momento. Sì, forse era una pazzia sposarsi così giovane, ma era comunque una pazzia che voleva con tutta se stessa.
Da quando si era svegliata quella mattina, invece, non aveva fatto altro che chiedersi se quella non fosse solo una pazzia e basta, decisa in un momento di debolezza e portata avanti con ingenuità. Le era sembrato strano giungere a porsi quella domanda, e forse era la normalità per chiunque fosse ad un passo da una svolta così importante come il matrimonio, ma ne era rimasta comunque scossa.
Si sentiva in bilico tra il fare una pazzia troppo presto, quando era troppo giovane, e il portare avanti una decisione ponderata e alla quale teneva, come quella di sposarsi.
Forse era tutto normale, pensare a mille cose diverse la mattina del matrimonio. D’altro canto, la troppa sicurezza nascondeva sempre qualche intralcio dietro al proprio velo; riflettere, invece, su quali erano le sue possibilità, in fin dei conti, non era mai stata una cosa negativa.
Era sicura che, almeno in parte, anche Filippo dovesse sentirsi così, in quello stesso momento, a qualche stanza di distanza. Lo conosceva troppo bene per non essere sicura che anche lui dovesse sentirsi irrequieto, in preda all’ansia per il passo che avevano deciso di compiere insieme.
Sperò solo che quello potesse essere l’ultimo momento di debolezza. Non voleva pentirsi delle sue decisioni, e sperava che lo stesso valesse anche per Filippo. Non avrebbe mai voluto, un giorno futuro, guardarsi indietro e dover biasimare se stessa per non aver dato retta a quei suoi dubbi.
Giulia si morse il labbro inferiore, buttando la testa indietro ed osservando pigramente il soffitto della camera. Era davvero così normale sentirsi così maledettamente insicuri in uno dei giorni più importanti della vita?
Si sentiva così insicura di se stessa, e di quel che poteva pensare Filippo, che le venne quasi da piangere. Cercò di trattenere le lacrime, tutt’altro che intenzionata a rischiare di rovinare il trucco. Trasse un profondo respiro, cercando di calmarsi.
Dopo alcuni respiri recuperò un po’ di lucidità: si fidava di Filippo, e lui si fidava di lei. Non poteva dubitare della persona che la conosceva meglio al mondo, dopo i suoi genitori. E per quanto il matrimonio potesse cambiare le cose e le relazioni, Filippo sarebbe sempre rimasto lo stesso di sempre.
Doveva avere fiducia in loro stessi, come l’aveva avuta per tutti gli ultimi sette anni. Solo così sarebbe riuscita ad alzarsi di lì a testa alta, ed affrontare tutto con la giusta lungimiranza e la giusta forza.
 
*
 
If it’s not hard enough, if it don’t hurt enough
If it’s not hard to find, if it don’t change your life
Then it’s not love
 
Le sembrava di star trattenendo il respiro da ore, se non da giorni. In realtà il suo respiro si era bloccato solo per qualche secondo, giusto il tempo di entrare nella sala del Comune adibita ai riti di matrimonio civile.
Si era guardata intorno spaesata, talmente nervosa da sentire tutto il proprio corpo in tensione. Cercava di rilassarsi per non trasmettere tutta quella tensione anche ai bambini che portava in grembo, ma le stava risultando quasi impossibile: non riusciva nemmeno a capire come ancora non avesse perso l’equilibrio – sebbene i tacchi fossero estremamente bassi per quell’occasione. Stava camminando in automatico, cercando di non pestare lo strascico del vestito, e quasi stritolando il braccio di Carlo con una mano, e il bouquet con l’altra.
Tentò di ignorare il fotografo, che le stava girando attorno a pochi metri di distanza, fotografandola ad ogni passo. Giulia si ritrovò a maledirlo silenziosamente, mentre cercava di tenere lo sguardo fisso davanti a sé.
Come pattuito, il Comune le aveva messo a disposizione un lungo tappeto rosso dalla soglia d’ingresso della sala fino al punto dove il vicesindaco l’aspettava.
Giulia si prese tutto il tempo necessario per osservare tutti gli invitati, disposti ai due lati del tappeto, seduti e con i volti tutti girati verso di lei. Riconobbe senza fatica sua madre, in prima fila, che la guardava commossa. Individuò quasi subito anche Caterina e Nicola, intento a cullare Francesco tenendolo in braccio, e con Alessio ed Alice subito di fianco. Nella fila dopo vide subito Pietro e Giada, a qualche sedia di distanza da quelli che – li riconobbe subito, nonostante tutti gli anni passati dall’ultima volta che li aveva visti- era sicura fossero Alberto e Gabriele.
Sua sorella, invece, attendeva in piedi, allo stesso modo di Fabio, all’altro lato. Ed infine, vide Filippo.
Erano tutti e tre in fondo alla sala, su un palchetto appena rialzato dove, oltre a loro, vi era il vicesindaco e qualche altro funzionario comunale. Erano vestiti eleganti come non li aveva mai visti, ma l’attenzione di Giulia venne irrimediabilmente calamitata soprattutto da Filippo.
Non l’aveva mai visto così, nemmeno alla proclamazione della laurea triennale e di quella magistrale. La giacca leggera nera e la camicia bianca non erano nulla di troppo innovativo, eppure gli donavano tantissimo: lo rendevano più slanciato, facendone risaltare gli occhi castani e la pelle lattea.
Nell’ultimo mese si era lasciato crescere i capelli più del solito, e Giulia non poté fare a meno di pensare che quella era stata la decisione giusta: i ricci gli contornavano il viso, facendolo sembrare più giovane di quel che già era. Era agitato, Giulia glielo leggeva in faccia. Cercava di sorriderle, ma era teso e doveva sforzarsi parecchio per sembrare convincente. Poco importava: era splendido comunque, in quegli abiti e con quei riccioli un po’ ribelli.
A Giulia venne da sorridere per la prima volta da quando si era svegliata quella mattina, e fu così per tutto il resto della camminata, fino a quando non lasciò andare il braccio di Carlo per fermarsi di fianco a Filippo.
-Sei un incanto- Filippo si sporse verso di lei, sussurrandole quelle parole che la fecero arrossire lievemente. Ora la tensione cominciava a tornare a galla, perché sentiva che, ormai, il momento fatidico era tremendamente vicino. Forse stava realizzando per la prima volta per davvero quello che stavano per fare, proprio in quel momento: era strano, dopo tutti quegli anni assieme da semplici fidanzati e conviventi, diventare finalmente qualcosa anche agli occhi della legge.
Lanciò un’ultima occhiata a Filippo, prima di girarsi verso il vicesindaco, di fronte a loro – un uomo sulla cinquantina nemmeno troppo alto, con occhiali rettangolari e la fascia tricolore ad indicare il suo potere istituzionale-, che li osservava con un leggero sorriso stampato sulle labbra.
Giulia trasse un respiro profondo, sperando di non tremare troppo. Era finalmente giunto il momento che avevano aspettato per più di un anno, e si sentiva totalmente terrorizzata ed eccitata allo stesso tempo.
 


Era appena terminata la lettura degli articoli del codice civile riguardanti il matrimonio, e arrivati a quel punto Giulia sentì le gambe cominciare a cederle un po’. Sapeva bene cosa veniva subito dopo quel punto, e non si sentiva ancora per niente pronta.
Il rito civile non era lungo come quello del matrimonio religioso, e doveva essere iniziato tutto da poco più di cinque minuti. A Giulia, più che cinque minuti, era sembrata comunque un’eternità, durante la quale si era sentita sempre più sull’orlo della crisi di nervi.
Sapeva che l’attenzione, di lì a poco, sarebbe stata puntata solamente su di lei e Filippo. Poteva percepire l’elettricità che stava nell’aria, così come poteva sentire il peso dello sguardo di tutti i presenti su di sé. Non aveva mai amato essere al centro dell’attenzione, e ancora meno l’amava proprio in quel momento, in cui si sentiva terribilmente vulnerabile.
-Dunque, giunti a questo punto, possiamo passare alle domande di rito- la voce gracchiante del vicesindaco la ridestò appena dai suoi timori. Quella era la frase che temeva: quella che indicava il momento preciso in cui sarebbe diventata ufficialmente la moglie di Filippo. Pensarlo, e rendersi conto che sarebbe successo realmente, le fece girare un attimo la testa.
-Signor Filippo Barbieri- il vicesindaco prestò tutte le sue attenzioni a Filippo, che annuì tacitamente prendendo un respiro profondo – Intende prendere in moglie la qui presente Giulia Pagano?-.
Giulia si girò verso Filippo, proprio nell’attimo in cui lui fece lo stesso. La guardò sorridente – agitato come non mai, ma sorridente-, prima di parlare con voce più decisa di quel che Giulia si sarebbe aspettata:
-Sì, lo voglio-.
Giulia si sentì strana, in quel momento: felice come non mai, nel rendersi conto che Filippo non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di sposarla, e angosciata, perché si stava chiedendo se, pochi secondi dopo, anche lui avrebbe potuto dire lo stesso di lei.
-E ora veniamo alla sposa- proseguì il vicesindaco, inconsapevole della tempesta che si stava svolgendo nella mente di Giulia – Signora Giulia Pagano, intende prendere in marito il qui presente Filippo Barbieri?-.
Il silenzio calò intorno e dentro a Giulia. Non era sorpresa – d’altro canto quelle erano le formule di rito, sapeva sin dall’inizio che le sarebbe stata rivolta quella domanda davanti a tutti-, ma scossa.
Era scossa perché l’emozione la stava sopraffacendo, soffocando persino i dubbi con cui si era svegliata quella mattina. La voce le era morta in gola, e sperò ardentemente che Filippo non dubitasse di lei a causa di quel silenzio troppo prolungato per passare inosservato.
Si voltò verso di lui, che la osservava di rimando con occhi interrogativi. Giulia cercò di respirare profondamente, ma una lacrima le sfuggì comunque al controllo, scivolandole appena sotto l’occhio. Cominciava a sentirsi un po’ patetica, e forse fu solo grazie a quello che si sforzò davvero di riprendere padronanza di sé stessa.
-Scusate, l’emozione- farfugliò, ridendo nervosamente – Non spaventatevi, non ci sto ripensando-.
-Va tutto bene. Tranquilla- Filippo le portò prontamente una mano alla schiena, accarezzandola con movimenti lenti ed ampi. Giulia gli fu grata: a volte invidiava tutta la comprensione che Filippo riusciva a darle nei momenti più critici.
Si chiese come avesse potuto dubitare, quella mattina, che quella fosse la decisione giusta. In quel momento, nonostante le lacrime e i tremori, la risposta le appariva più chiara che mai. Sposare Filippo era la cosa migliore che potesse accaderle in quel momento della sua vita.
-Allora ripeto la domanda- il vicesindaco le sorrise più calorosamente, e Giulia sentì la gratitudine crescere anche nei suoi confronti – Signora Giulia Pagano, intende prendere in marito il qui presente Filippo Barbieri?-.
Un’altra lacrima le scese anche in quel momento, ma non per paura o per ansia. Stavolta si sentiva sinceramente commossa, commossa da quel che le stava succedendo e da quel momento che, inevitabilmente, nel bene e nel male le sarebbe rimasto impresso nella memoria per sempre.
Giulia si ritrovò a sorridere, annuendo con forza:
-Sì, lo voglio-.
 
Not love
‘Cause love is never planned
Not ours to understand
‘Cause love, yes love
Is all we really have [2]




 
[1] Francesco Sarcina - "Parte di me"
[2] Take That - If it's not love
*il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantante e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
... E quindi vi dichiariamo marito e moglie!🤵👰
Ebbene sì, in questo capitolo troveremo i racconti del grande giorno, ovvero il matrimonio di Giulia e Filippo, oltre che qualche scorcio di eventi accaduti una settimana prima.
È solo la prima parte di questo lungo frizzantissimo capitolo, che ci terrà compagnia questo mese, e partiamo subito con le domande fondamentali: avete creduto anche voi, come il nostro Filippo, che la rapina e il successivo rapimento fossero veri oppure, a differenza sua, non vi siete fatti trarre in inganno?😂 Lo scherzo, che è stato organizzato ad opera d'arte dalla nostra allegra compagnia, ha visto ovviamente anche la partecipazione di Fabio, che da bravo fratello non si è tirato indietro, ma anche il ritorno di Alberto e Gabriele per questa speciale occasione. Insomma... giusto per non farci mancare nulla e non far mancare nulla a Filippo! Da buona tradizione, poi, il festeggiato è stato bendato per non fargli scoprire la destinazione prescelta per il suo addio al celibato, che alla fine si è rivelata essere Milano (giustamente avevamo deciso di cambiare per un po' il panorama e di far fare un cameo alla città d'adozione di noi autrici 😄), in un locale di nostra invenzione.
A Giulia è andata decisamente meglio riguardo il suo addio al nubilato: nessun rapimento, nessuno spavento per la futura sposa, a cui però non è mancato il divertimento dato dal nostro amato Fernando, che ha decisamente aggiunto il suo tocco personale alla giornata! 💃🏻
Ma veniamo al giorno fatidico: come avrete intuito, i due momenti di riflessione solitaria e ansia di Filippo e Giulia sono anche i flashforward presenti nel prologo, che trovano quindi collocazione in questo capitolo (e a questo punto manca solo quello di Pietro all’appello).
Alla fine, dopo un momento di esitazione di Giulia, il matrimonio è ufficialmente avvenuto. Nessuna sposa scappata dall'altare all'ultimo 😂 Come proseguirà questa giornata, in cui ci sarà spazio per il rinfresco e la festa?
Lo scopriremo mercoledì 28 settembre con la seconda parte!
 
Kiara & Greyjoy
 
PS: ci teniamo a precisare che non abbiamo assolutamente idea chi fosse vicesindaco di Verona nel 2018, quindi il personaggio qui comparso è puro frutto di fantasia. 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 29 - Parte di me (Pt. 2) ***


 
CAPITOLO 29 - PARTE DI ME (PT. 2)




 
Faceva maledettamente caldo, e Giulia sembrava essersene resa conto solo in quel momento, quando finalmente si era potuta sedere dopo ore passate in piedi. Non ci avevano messo molto ad arrivare all’agriturismo dove avevano deciso di dare luogo al rinfresco e alla festa che ne sarebbe seguita, ma sia lei che Filippo avevano poi dovuto aspettare tutta la processione di auto degli invitati che da Verona si era spostata fino al paese dove si trovava l’agriturismo; solo dopo che erano arrivati tutti si erano finalmente spostati nella zona riservata a loro, e Giulia aveva finalmente potuto far riposare il proprio corpo sulla sua sedia al tavolo degli sposi.
Era ancora abbastanza incredula riguardo a tutto ciò che era successo fino a quel momento, e non aveva ancora trovato un attimo per rifletterci davvero. Lanciava solamente qualche occhiata ogni tanto alla fede dorata che ora portava all’anulare, e che le restituiva il proprio riflesso.
Filippo, seduto accanto a lei, era sorridente come non mai, quasi luminoso. Giulia ricordava di averlo visto così poche altre volte, e non poteva che considerarsi felice nel rivederlo così sereno e genuinamente emozionato.
La commozione, comunque, aveva colto un po’ tutti: prima di lasciare la sala comunale, Giulia aveva intravisto sua madre, Ilaria e la madre di Filippo ugualmente in lacrime. Caterina aveva retto un po’ meglio l’emozione, anche se poi qualche lacrima era sfuggita al suo controllo durante le promesse.
Giulia, invece, era sicura che avrebbe avuto il secondo crollo emozionale di lì a poco: seppe che il momento del discorso in onore degli sposi era finalmente giunto quando Caterina, Nicola, Pietro ed Alessio si erano alzati dal tavolo riservato a loro – più Giada ed Alice, e a Gabriele e Alberto-, per avvicinarsi invece a quello di Giulia e Filippo.
Caterina circumnavigò il tavolo per prima, arrivando di fianco a Giulia con un sorriso trionfante – Giulia si chiese con terrore cosa poteva avere in serbo-; si chinò su di lei per sussurrarle:
-Sai, vero, che ora piangerai di nuovo?-.
-Dalla commozione, dal ridere o dalla disperazione per quello che direte?- le tenne il gioco Giulia, sussurrandole di rimando.
-Chi lo sa- Caterina si rialzò, mentre Nicola, Pietro ed Alessio erano finalmente giunti accanto a lei – Penso lo scoprirai tra poco-.
Giulia rise, senza troppo nervosismo nella voce: immaginava che il discorso sarebbe stato tutt’altro che serio – come voleva la miglior tradizione dei discorsi ai matrimoni-, ma aveva anche la sensazione che ne avrebbe ascoltato uno tutt’altro che buttato a caso.
Caterina prese un coltello in mano, picchiettandolo appena sul bicchiere di Giulia: il ticchettio richiamò l’attenzione di tutti i presenti all’istante, che si girarono verso il tavolo degli sposi.
Caterina si schiarì la voce, prima di prendere un respiro profondo ed iniziare:
-Salve a tutti. Oddio, non so bene come iniziare questo discorso, non sono per niente abituata a fare discorsi solenni ai matrimoni. Innanzitutto volevo dire che è davvero una bella cosa che voi tutti siate qui a festeggiare Giulia e Filippo, e che questa senz’altro rimarrà una giornata storica- fece una piccola pausa ad effetto, prima di stendere le labbra in un sorriso sarcastico – Non che nessuno di noi abbia mai dubitato anche solo per un attimo che ci saremmo giunti. Voglio dire, sembra quasi che questo matrimonio fosse scritto nel destino di entrambi-.
Giulia si sentì arrossire, ma cercò di non apparire troppo imbarazzata: rimase immobile, gli occhi puntati verso l’amica e pronta ad ascoltare tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
-Io sono una delle amiche di più lunga data della nostra amata sposa, e posso dire di aver assistito in diretta al suo primo vero incontro con quello che, ormai possiamo dirlo, è appena diventato suo marito. Sì, esatto, ho avuto proprio questa fortuna- qualcuno degli invitati fece partire qualche esternazione di entusiasmo, mentre Caterina si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a ridere troppo presto – E a dire il vero, più che un incontro, è stato uno scontro: durante un normalissimo intervallo, ai tempi del nostro secondo anno di liceo, Giulia si era appena presa un caffè ai distributori automatici. Sin qui nulla di strano, se non fosse che non riuscì mai a bere quel caffè-.
-Chissà perché- Filippo si era avvicinato all’orecchio di Giulia di soppiatto, mormorandole quelle parole con allegria; Giulia non riuscì più a trattenere le risate, anche se si sforzò di ridere il più piano possibile.
-Qualcuno a caso decise di andarle addosso e travolgerla mentre io e lei stavamo salendo delle scale- proseguì Caterina, ripercorrendo a grandi passi quello che era stato, a tutti gli effetti, il vero inizio della storia di Giulia con Filippo – E così questa fu la prima volta che i nostri novelli sposi si parlarono. Un vero e proprio colpo di fulmine. Non che nessuno ci credesse davvero, all’epoca, erano costantemente presi in giro per questo legame platonico che si era formato subito … Ma evidentemente si sono messi d’accordo per mostrare a tutti quanto ci stavamo sbagliando-.
Gli invitati scoppiarono in una generale risata fragorosa, e Giulia tirò il primo sospiro di sollievo: in fin dei conti, Caterina ci era andata giù piano, senza ricordare nei dettagli tutti quei giorni dell’adolescenza passati a chiedersi cosa poteva nascere tra lei e Filippo.
Quando la risata stava affievolendosi, Caterina fece un passo indietro, lasciando il posto di fianco a Giulia a Pietro, che sembrava molto più a suo agio nel parlare in pubblico e completamente padrone della situazione:
-In effetti devo ammettere che appena successo il fattaccio, io ero tra quelli che li davano per spacciati, sin da subito. Anzi, vi dirò di più: ero totalmente convinto che al nostro caro Filippo non potesse proprio interessare una come Giulia-.
Giulia si ritrovò ad annuire, sinceramente sorpresa nel vedere come Pietro, a distanza di anni, ormai ammettesse senza problemi che all’inizio non la sopportava affatto.
-Ma lui era davvero preso, anche se non voleva ammetterlo. Quindi, da bravo amico, ho deciso di … Come dire, velocizzare un attimo i tempi- Pietro fece una pausa, voltandosi verso Filippo e lanciandogli un’occhiata divertita – Così un giorno sono andato dalla nostra dolcissima sposa, che continuava a ronzare attorno alla classe mia e di Filippo, dicendole che un certo qualcuno era interessato a conoscerla meglio. E …  No, a dispetto di ciò che tutti voi sospettate, lei disse che no, non le interessava-.
Partì un’altra risata, alla quale si aggiunse anche Giulia: ora, a ripensare a quel momento, si divertiva. Era uno di quegli episodi ritenuti catastrofici per una adolescente insicura come era all’epoca, ma ora lo trovava solo un ricordo piuttosto spassoso.
-Poi però qualche giorno dopo fu Filippo stesso ad andare da lei a parlarle, e allora ovviamente a lei interessò eccome- Pietro si girò verso Giulia e Filippo, annuendo teatralmente – Devo dire che come Cupido ho funzionato davvero bene: non davo loro alcuna speranza, e ora mi ritrovo addirittura al loro matrimonio, a parlare a voi tutti di quanto all’inizio non credessi in loro-.
Rise piano, prima di tornare a rivolgersi al resto degli invitati con aria più seria:
-Beh, in un certo senso non sono così dispiaciuto di essermi sbagliato-.
Stavolta a partire fu un applauso, al quale Pietro rispose con un inchino teatrale del tutto compiaciuto. Fece un passo indietro subito dopo, per lasciar spazio a Nicola.
Giulia lo vide abbastanza calmo, nonostante sapesse quanto detestasse, in realtà, dover parlare davanti ad una platea. Probabilmente non arrossiva solo grazie alla freddezza che lo contraddistingueva spesso.
-Anche io sono un amico dello sposo, e lo conosco da davvero tanto tempo. Io e Filippo siamo cresciuti insieme, e ovviamente ho assistito anche io agli inizi della sua storia con Giulia- esordì, dopo essersi schiarito la gola – Caterina e Pietro vi hanno raccontato di come sono andati i primi incontri, di come hanno iniziato a parlare. Per quanto mi riguarda, posso dirvi che, a dispetto di quel che può sembrare, non è stato sempre facile per Filippo e Giulia-.
Giulia si morse il labbro inferiore, tentando di non far spuntare un sorriso nostalgico sulle proprie labbra. Evidentemente avevano lasciato a Nicola il compito di raccontare i primi mesi del 2011; era ciò che si aspettava di ascoltare, curiosa di sapere come li avrebbe esposti Nicola.
-Certo, erano degli adolescenti, quindi ogni problema era ingigantito al massimo, e quindi nulla di cui stupirsi: un po’ di insicurezza la si può perdonare a quindici anni. Poi però, bisogna dire che con qualche aiutino, sono finalmente riusciti a dichiararsi l’un l’altra- Giulia rise sommessamente, girandosi un attimo verso Filippo che, assorto dal racconto di Nicola, aveva accennato anche lui ad una leggera risata – Un po’ come è successo oggi, solo che stavolta, ahimè, non ci troviamo a Barcellona come quella volta-.
-Magari fossimo a Barcellona- intervenne Giulia, impossibilitata a trattenersi oltre, e generando un’ulteriore risata degli invitati. Anche Nicola rise, prima di continuare:
-Immagino che tutti e due si ricordino bene quella sera, soprattutto Filippo si ricorderà di quanto è stato divertente tornare in hotel completamente fradicio, dopo essersi beccato una valanga d’acqua dalla fontana vicino alla quale si era appena dichiarato a Giulia- Filippo rise ancora più forte, guardando Nicola e scuotendo piano il capo – E immagino anche che si ricorderanno bene di oggi. Magari tra qualche anno, qualche altra gaffe storica di Filippo si sarà aggiunta al lungo elenco-.
-Questo non vale!- esclamò Filippo, che però più che offeso sembrava alquanto divertito. Nicola si congedò con un altro sorriso gentile, mentre le risate del pubblico cominciavano ad affievolirsi di nuovo.
Quando Giulia si rese conto che era giunto il momento di Alessio, fece per sfregarsi le mani: era sicura di trovarsi davanti il degno avversario di Pietro, in fatto di discorsi grandiosi e carisma da vendere. 
-Salve a tutti. Più di qualcuno qui non mi conoscerà, perché in fin dei conti, sono l’ultimo ad essersi aggiunto a questo gruppo di amici piuttosto pazzo- Alessio iniziò a parlare con voce limpida, con una naturalezza incredibile.
-Ho conosciuto Giulia e Filippo più o meno nello stesso periodo delle superiori, intrufolandomi nelle loro vite come amico di amici- fece una breve pausa, voltandosi per qualche secondo all’indirizzo dei diretti interessati – Poi il destino è stato davvero impietoso con me, e non solo mi ha fatto diventare amico di entrambi, ma addirittura vicino di casa, da ormai un anno e mezzo. Sì, potete fare un minuto di silenzio per il sottoscritto-.
Dal resto degli invitati arrivò una grassa risata, alla quale si unirono anche Filippo e Giulia, che prese mentalmente appunto di vendicarsi per quell’affronto del suo vicino di casa, il prima possibile.
-L’abitare nel palazzo di fianco al loro comporta varie cose: per esempio, come conseguenza, ha portato il fatto di essere spesso invitato a cena da loro, ed essere rimproverato praticamente sempre per i miei ritardi dalla nostra cara sposa. Oltre a dovermi sorbire i migliori soprannomi che mi dedica ogni volta che ci incrociamo-.
-I miei soprannomi sono bellissimi!- esclamò Giulia, scatenando l’ennesimo accesso di riso.
Alessio la guardò malamente per qualche secondo, prima di proseguire:
-Giulia, in effetti, a volte sa essere davvero perfida, ma questo Filippo lo sapeva già da molto, ma ciononostante non è scappato oggi all’altare. Quindi direi di fare un applauso allo sposo, per il coraggio dimostrato, e alla sposa, che oggi ha davvero l’aspetto di un raggio di sole-.
Stavolta a partire non fu la solita risata divertita, ma l’applauso che Alessio stesso aveva invocato per entrambi.
Anche Giulia si ritrovò ad applaudire, insieme a Filippo. Si accorse solo un secondo dopo che, effettivamente, come Caterina aveva previsto, una lacrima le aveva rigato il viso.
Nulla di strano: probabilmente piangere al proprio matrimonio doveva essere una di quelle regole non scritte che vanno sempre e comunque rispettate.
 
*
 
Era calata la sera, e nonostante fossero le nove da poco passate, i colori violacei e rosa del tramonto avevano lasciato completamente posto al ceruleo che anticipava la notte.
Il rinfresco si era protratto per ore che, a tratti, a Giulia erano parse interminabili. Aveva cercato di non dare troppo nell’occhio per evitare domande indiscrete, ma non era riuscita a mangiare quanto avrebbe voluto: non voleva esagerare per rischiare di vomitare, cosa che era già di per sé abbastanza probabile senza sfondarsi di cibo. Alla fine, quando era arrivato il turno della torta, aveva tirato un sospiro di sollievo: c’erano volute ore per arrivare a quel punto, e finalmente non avrebbe più dovuto rifiutare più alcun piatto che le veniva offerto.
Dopo quel rinfresco così infinito e ricco, non c’era stata alcuna cena, e a Giulia andava benissimo così. Ci sarebbe stato più spazio per dei balli, per chiacchierare con i vari invitati e, infine, avviarsi verso la stanza del B&B  per riposarsi.
L’agriturismo aveva fatto loro il favore di assumere per la serata alcuni musicisti, ed in quel momento, mentre se ne stava seduta al proprio posto in maniera scomposta, Giulia ascoltava distrattamente la melodia arrivare dall’altra parte della sala, dove si erano posizionati. Aveva voglia di alzarsi, di fare qualcosa, ma doveva prima individuare Filippo, che si era allontanato qualche minuto prima per parlare con alcuni parenti che, a quanto pareva, non vedeva da un po’ di tempo.
Spostò lo sguardo per tutta la sala, fino a quando, posando gli occhi su un tavolo piuttosto distante, non lo aveva finalmente individuato. Stava ancora parlando con i parenti – Giulia non ricordava se fossero degli zii o qualcosa del genere-, standosene in piedi tra le loro sedie.
Giulia non attese oltre: si alzò, sgranchendosi finalmente le gambe, ed avviandosi verso quel tavolo, camminando lentamente e maledicendo i tacchi bassi ad ogni singolo passo.
Filippo si accorse del suo avvicinamento giusto poco prima che lei gli arrivasse accanto, dopo essersi voltato causalmente nella stessa direzione da cui stava provenendo Giulia. Lo osservò mentre si congedava dai suoi parenti per venirle incontro: si incrociarono a qualche metro dal tavolo dove lui era rimasto fermo fino a pochi secondi prima.
-Ehi, qualcosa non va? Ti senti bene?- Filippo parlò a bassa voce con apprensione, portando una mano alla spalla di Giulia.
-Sto bene, tranquillo- gli sorrise, prendendogli una mano tra le sue – Ma credo sia venuto il momento di movimentare un po’ la serata-.
Filippo la guardò accigliato:
-Che intendi con movimentare?-.
Giulia allargò il sorriso, una punta di malizia ad accompagnarlo; fece qualche passo verso la band di musicisti, trascinandosi Filippo dietro:
-Vuoi farmi da cavaliere per il primo ballo della serata?-.
Filippo rise piano, mentre la seguiva più convintamente:
-Cercherò di non pestarti troppo i piedi-.
Arrivarono a destinazione pochi attimi dopo, fermandosi proprio davanti allo spazio dove si trovavano i musicisti. Filippo chiese loro velocemente di passargli un microfono, per riuscire a farsi sentire meglio dal resto degli invitati:
-Come vi avevamo promesso, questa parte della festa sarà dedicata a un po’ di movimento. Un po’ di ballo, per concludere in bellezza la serata-.
-E soprattutto per aiutare la digestione- Giulia si era sporta verso il microfono per farsi sentire, e alla sua rase tutti scoppiarono in una fragorosa risata.
-Ringraziamo già in anticipo i musicisti che per questa sera ci accompagneranno- Filippo lanciò loro un veloce cenno, prima di tornare con gli occhi su Giulia – Ed ora vorrei dare il via alle danze con Giulia, se è rimasta della stessa idea di poco fa-.
-Certo che sì-.
Filippo ridette il microfono al cantante della band, prima di portarsi verso il centro dello spazio lasciato libero apposta per chi volesse ballare. Giulia l’aveva seguito a passi incerti: non si era resa conto fino a quel momento di quanto ritenesse importante anche quel momento. Temeva di sentirsi troppo sotto l’occhio di tutti, di sbagliare qualcosa e pestare i piedi a Filippo, o di inciampare sul vestito, ma le sue paure cominciarono a diminuire quando posò le mani sulle spalle dell’altro, e quando sentì lui posare le proprie sui suoi fianchi.
Avevano concordato già con i musicisti le canzoni che sarebbero state suonate, e Giulia non si stupì, quindi, quando intonarono la prima nota di Always. Non si stupì, ma le sue gote si arrossarono ugualmente e gli occhi si fecero più lucidi, mentre cercava di seguire il ritmo di Filippo a passi incerti, muovendosi lentamente.
-Stai andando bene- le sussurrò Filippo, accostando le labbra all’orecchio di Giulia, che rise sommessamente:
-In effetti ancora non siamo inciampati sui nostri stessi piedi, e tantomeno siamo caduti-.
-Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità di danzatore- Filippo fece finta di essersi offeso, prima di lasciarsi andare ad un sorriso ben più sincero – Affidati a me, e non inciamperai mai-.
-Come siamo galanti, stasera- Giulia passò lentamente le proprie mani sulla lunghezza delle spalle di Filippo, sentendo al tatto la morbidezza del tessuto della camicia chiara.
-Sai che devo sfogare il mio essere protettivo in qualsiasi modo-.
Giulia rise di nuovo. Stava andando decisamente meglio del previsto: si stava lasciando andare, ignorando gli sguardi dei presenti, che li seguivano ad ogni singolo passo. Si sentiva osservata, ma tutto ciò che circondava lei e Filippo era su un piano minore d’importanza, in quel momento. Contavano solo loro, e quel che si stavano dicendo, il loro essere vicini e liberi.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, anche se era consapevole che non sarebbe stato così. La canzone era già a metà, e di lì a poco anche il loro ballo sarebbe terminato.
Inconsapevolmente una lacrima le scese lungo il viso; Filippo studiò a lungo l’espressione di Giulia, prima di parlare di nuovo:
-Sicura di stare bene?-.
-Ormai dovresti sapere come funzionano gli ormoni della gravidanza- staccò per un attimo una mano dalla spalla di Filippo per asciugarsi il viso, prima di riportarla velocemente su di lui.
Filippo si morse il labbro inferiore, leggermente in imbarazzo:
-Lo so, ma mi hai un po’ spaventato-.
-Sai cosa ci vorrebbe ora, per tirarmi su il morale?- Giulia tirò su con il naso, cercando di impedirsi di piangere di nuovo.
-Cosa?-.
-Una bella fetta di sacher-.
Filippo la guardò corrucciato, a tratti sconvolto:
-Dici sul serio?
-Anche troppo-.
-Ma devi ancora ballare con mille altre persone, e poi … - Filippo non fece nemmeno in tempo a finire la frase, che Giulia cominciò già a rispondergli, accomodante:
-Ok, ma subito dopo giura che andiamo nelle cucine e ci facciamo dare qualcosa di estremamente dolce da mangiare-.
Passarono alcuni attimi di silenzio, nei quali Filippo la guardò a lungo con uno sguardo che Giulia non seppe decifrare. Era sul punto di chiedergli cosa non andasse, quando lui scoppiò in una risata sonora, che risuonò anche sopra la musica che li stava accompagnando:
-Le voglie della gravidanza- rise ancora, ignorando del tutto lo sguardo truce che Giulia gli rivolse – Ormai dovrei sapere come funzionano anche queste-.
 


Aver ballato con Filippo era stato solo una specie di riscaldamento. Subito dopo di lui, molti degli invitati si erano uniti sulla pista da ballo: Giulia, mentre ballava un lento con suo padre, era stata sicura di aver visto Nicola trascinare una alquanto reticente Caterina a ballare, e ricordava anche di aver scorto, allo stesso modo, anche Giada e Pietro. Filippo, invece, aveva ballato con sua madre, e solo dopo era stato il turno dei restanti genitori: Giulia aveva concesso a Simone di farle da cavaliere, ed Anita era stata scortata invece da Filippo.
Dopo tre sessioni di ballo, Giulia poteva dirsi ben soddisfatta. Le gambe cominciavano ad essere leggermente doloranti, e perfino la voglia di dolce che le era salita poco prima era sparita.
Dopo essersi lasciata alle spalle il proprio suocero, ora intento a convincere Mirta ad accompagnarlo, si allontanò un po’ dalla ressa di invitati intenti a ballare. Si lasciò cadere sulla prima sedia vuota che trovò, ad un tavolo poco distante; rimase ad osservare Filippo, che ora stava ballando con sua sorella Ilaria, accompagnati da una canzone dal ritmo decisamente più vivace delle precedenti.
-Ti sei già stancata delle danze?-.
Giulia quasi sussultò. Le bastarono comunque pochi secondi per ricollegare la voce che le aveva parlato, e non si stupì per niente nello scoprire Alessio, lì in piedi di fianco a lei, che la osservava con un’espressione come se la sapesse lunga.
-Dopo una giornata così saresti stanco anche tu, Raggio di sole- replicò lei, facendogli cenno di sedersi sulla sedia vicino alla sua. In realtà sapeva bene che la sua stanchezza derivava principalmente dalla gravidanza, ma questo Alessio non poteva saperlo: a parte Caterina, i suoi genitori e quelli di Filippo, nessuno lo sapeva ancora. Dopo il matrimonio ci sarebbe di sicuro stato più tempo per dare la notizia a tutti.
-Non credo mi sposerò mai, quindi non mi pongo nemmeno la questione- Alessio sorrise amaramente, sistemandosi le maniche della camicia sopra il gomito, probabilmente cercando di attutire un po’ la sensazione di troppo caldo.
-A proposito, Alice dove l’hai lasciata?- domandò Giulia, non vedendola nemmeno ballare in mezzo alla gente.
-Ha preso in carico Francesco. Nicola ha quasi portato di peso Caterina a ballare- spiegò Alessio, riavviandosi i capelli biondi, che ormai, Giulia ne era sicura, avrebbe potuto benissimo raccogliere in un codino.
-E tu non sei rimasto a fargli da babysitter con lei?-.
-Solo per un po’ di tempo- Alessio si lasciò sfuggire di nuovo un sorriso amaro, enigmatico quanto venato di malinconia – Sai che con i bambini non ci so assolutamente fare-.
Giulia lasciò cadere il discorso, non volendo infierire oltre. In un unico minuto era andata a toccare i due tasti più dolenti in assoluto per Alessio: il matrimonio e i figli. Forse avrebbe solo dovuto cercare un argomento per sviare quella vena di tristezza che era calata su entrambi, e che non accennava ad andarsene via dal viso tirato dell’altro.
Fu in quel momento, lasciando vagare gli occhi sulla sua figura, che Giulia notò qualcosa al braccio, subito sopra la mano: si chiese come aveva fatto a non accorgersi prima del tatuaggio che Alessio aveva proprio lì, dal polso e fino a metà avambraccio. Non era particolarmente elaborato, ma le parole “Just breathe” campeggiavano ben visibili sulla sua pelle; doveva essere piuttosto recente, non c’era altra spiegazione per non essersene accorta prima.
-E quello?- chiese, indicando il tatuaggio. Alessio abbassò lo sguardo, prima di spostare il braccio per rendere più visibile il disegno:
-È un tatuaggio. Mai visto uno?- la prese in giro lui, lasciandosi andare ad un ghigno allo sguardo torvo di Giulia.
-Intendevo dire che non mi ero accorta te ne fossi fatto uno- replicò, sbuffando – E poi non eri tu quello terrorizzato dall’ago?-.
Alessio alzò le spalle, con nonchalance:
-Arrivano sempre i momenti in cui devi superare le tue paure- rimase un attimo in silenzio, l’espressione pensierosa – C’era qualcosa che sentivo il bisogno di incidermi sulla pelle … E allora al diavolo l’ago-.
Giulia annuì, indecisa su cosa rispondere. Non aveva intenzione di chiedergli quale doveva essere il significato del tatuaggio – era piuttosto sicura che ne avesse uno ben preciso-, perché era altrettanto certa che, se avesse voluto dirglielo, lo avrebbe spiegato da solo senza domande ulteriori.
Dopo qualche secondo, il discorso sembrò essersi chiuso lì. Alessio teneva lo sguardo rivolto altrove, e Giulia cominciava già a sentirsi di nuovo annoiata. Un attimo dopo le passò per la testa un’idea che le parve subito folle, ma che, in fin dei conti, non era poi così irrealizzabile:
-Sai una cosa? Dovresti farmi anche tu da cavaliere, in un qualche ballo scatenato-.
La reazione di Alessio fu esattamente quella che si aspettava: si girò verso di lei, gli occhi sgranati e l’espressione perplessa come non mai.
-Scherzi, spero. Odio ballare, e non ne sono nemmeno capace-.
-Non sei tu che hai appena detto che bisogna sempre affrontare le proprie paure?- Giulia non riuscì a trattenere una risata di fronte allo sguardo disperato dell’altro. Decise comunque di non lasciargli scampo: si alzò, porgendogli poi una mano:
-Avanti, su. Non puoi negare questo favore alla sposa-.
Ad Alessio ci vollero altri secondi per decidere di alzarsi, e anche quando lo fece, non nascose per niente il suo essere indispettito. Si avviarono verso lo spazio adibito al ballo, con lui che continuava a masticare imprecazioni, e Giulia che, inevitabilmente, rideva anche fin troppo.


 
Alessio aveva sbuffato per la maggior parte del tempo in cui Giulia aveva cercato di smuoverlo; alla fine si era arresa all’evidenza, e al fatto che più che un umano Alessio era sembrato una statua di pietra per gran parte della canzone che li aveva accompagnati.
Filippo era sparito completamente dalla sua visuale, e a lei non era rimasto che avviarsi verso il tavolo centrale del buffet, dove ancora era avanzato qualcosa da mangiare e da bere. Alessio la seguì, anche se Giulia sospettava stesse percorrendo la stessa sua strada solo per tornarsene al tavolo dove Alice probabilmente lo stava aspettando.
Giulia arrivò al tavolo del buffet per prima, senza voltarsi indietro per vedere dove effettivamente Alessio fosse finito. Si voltò invece alla sua destra, convinta di aver intravisto qualcuno di sua conoscenza. Quando si girò, sorrise tra sé e sé trionfante: in effetti, Pietro era decisamente una persona che rientrava tra le sue conoscenze più strette.
-Oh, eccoti qui anche tu- a Giulia bastarono pochi passi per arrivargli di fianco, di soppiatto. Pietro, che a sua volta si stava versando del prosecco nel bicchiere, sussultò vistosamente. Quando si voltò verso di lei, già scoppiata inevitabilmente a ridere, non poté fare a meno di guardarla truce:
-Ringrazia che sia riuscito a non spandere nemmeno una goccia, o avrei anche potuto alterarmi-.
-Come sei esagerato- lo prese in giro lei, lasciandogli un pizzicotto sul braccio. Con la coda dell’occhio, Giulia notò che Alessio non era affatto tornato al tavolo di Alice: si era appena fermato a sua volta di fianco a lei, allungando un braccio verso una bottiglia di vino poggiata accanto a quella di prosecco, appena rimessa a posto da Pietro.
-Comunque non dovresti sprecare tempo ad ubriacarti- proseguì Giulia, con finta nonchalance – Avrei da suggerirti qualcosa di meglio da fare-.
Pietro buttò giù un primo sorso di prosecco, prima di chiederle con fare dubbioso:
-Del tipo?-.
Giulia ricambiò il suo sguardo con un’espressione ovvia dipinta in volto:
-Fare un giro di danza anche tu-.
-Senza offesa, ma non scoppio di gioia al pensiero di ballare con la moglie di un altro- disse Pietro ironicamente, abbassando un attimo gli occhi e infilando la mano libera dal bicchiere nella tasca dei pantaloni eleganti – Anche se, da quel che ho notato, praticamente finora hai ballato con chiunque qui presente, tranne che con tuo marito. O almeno, a parte il primo ballo-.
Alessio fece per andarsene, dopo aver lanciato una veloce occhiata a Pietro; Giulia, che aveva notato i suoi movimenti prima che potesse allontanarsi sul serio, lo afferrò per un braccio, trattenendolo sul posto. Sia Alessio che Pietro la osservarono interrogativi, a tratti preoccupati.
-A mio marito mi dedicherò con ardore più tardi, non preoccuparti- replicò lei, sull’orlo della risata – E non intendevo invitarti a ballare con me. Dovreste ballare voi due, ovviamente-.
Alessio per poco non rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva, e anche Pietro non ebbe una reazione troppo entusiasta: si limitò a far vagare lo sguardo da Giulia ad Alessio, in un misto di perplessità e timore.
-Ballare una volta mi è già bastato per farmi venire la nausea- Alessio parlò non appena recuperato abbastanza fiato da permettergli di risultare comprensibile. Tossì rumorosamente ancora una volta, sperando che il rossore del suo viso fosse attribuibile a quell’accesso di tosse violenta, piuttosto che a qualsiasi altro motivo.
Pietro smise di guardarli, abbassando gli occhi e trasferendo il proprio peso da una gamba all’altra con fare imbarazzato:
-E poi in realtà stavo parlando con qualcuno, quindi … -.
-E quel qualcuno è proprio qui!-.
Giulia riconobbe la voce squillante di Fernando all’istante, prima ancora di accorgersi del suo arrivo. Era arrivato di soppiatto alle spalle di Pietro, e Giulia non si era minimamente accorta del suo avvicinarsi, troppo presa a studiare le espressioni a disagio degli altri due.
Rimase stupita non poco dell’ipotesi che Pietro stesse parlando proprio con Fernando, almeno per i primi secondi prima di ricordarsi che, in occasioni evidentemente a lei del tutto sconosciute, sembravano aver legato tra loro. Il modo in cui Pietro stava osservando Fernando – come se lo stesse considerando il suo personale salvatore dalle situazioni difficili-, e il modo in cui Fernando gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, lasciavano intravedere una complicità ben più cementata di quel che si sarebbe aspettata. Giulia prese appunto mentalmente di domandare più specificatamente ad uno dei due da quando e come erano diventati così tanto amici.
-Io devo tornare da Alice- Alessio aveva interrotto il silenzio parlando con tono secco. Non aspettò nemmeno una risposta, prima di allontanarsi velocemente, lasciandosi alle spalle lo sguardo confuso di Giulia e quello impassibile di Pietro.
-Sembra che io abbia appena perso il cavaliere che mi volevi proporre- ironizzò Pietro, bevendo un altro sorso di prosecco. Fernando rise, scoccandogli un sorriso:
-Se ti senti proprio deluso, farò uno sforzo e ti porterò a ballare io-.
Come risposta, ricevette un’unica occhiata di fuoco dall’altro.
-Sembra che le mie capacità da Cupido stiano peggiorando notevolmente- sospirò infine Giulia, più confusa che altro da tutte quelle dinamiche nascoste che le si erano appena presentate agli occhi – Forse è meglio se anche io vado in cerca di Filippo-.
Si congedò senza indugiare ulteriormente, e tornando alla sua consueta ricerca di Filippo. Avanzò tra i tavoli, cercando di allungarsi per vedere sopra le teste degli invitati alzatisi per ballare, e stavolta ebbe decisamente più fortuna: Filippo era poco distante da lei, seduto ad un tavolo a parlare con Nicola.
Giulia arrivò nei loro pressi poco dopo, abbassandosi a cingere con le braccia le spalle di Filippo, arrivando dietro di lui:
-Dov’eri finito? Non ti ho visto per un bel po’- gli disse, appoggiando il mento sui suoi capelli ricci.
-Ero qui da un po’, in realtà- Filippo non rispose alla stretta di Giulia con l’entusiasmo che lei si sarebbe aspettata. La sua voce le era quasi parsa fredda, e anche l’espressione del viso sembrava alquanto tesa. Giulia alzò gli occhi su Nicola: nemmeno lui sembrava passarsela troppo bene. Sembrava preoccupato, a tratti seccato.
-Caterina dov’è?- Giulia lo chiese quasi istantaneamente, forse nella speranza di capire cosa stava succedendo. Si guardò intorno, ma non riuscì ad individuarla; fu Nicola a toglierle qualsiasi dubbio, un attimo dopo:
-È andata un attimo all’ingresso dell’agriturismo- spiegò, rivolgendole una smorfia spazientita – Suo fratello l’ha chiamata poco fa per dirle che stava arrivando qui-.
A Giulia si bloccò quasi il respirò, e dovette fare uno sforzo immane per non strozzarsi con la sua stesa saliva nel sentire quelle parole.
Ora riusciva a capire esattamente come mai Caterina non fosse lì, e il perché delle facce tutt’altro che felici di Filippo e Nicola.
-Non avevi detto che non sarebbe venuto?- Filippo si girò verso di lei, e Giulia si sentì terribilmente in colpa nell’incrociare i suoi occhi delusi. Mesi prima, quando era stato il momento di stilare una lista di invitati e di inviare gli inviti, avevano discusso a lungo se includere anche Lorenzo: Filippo ne avrebbe fatto volentieri a meno, anche per non dover dare strane spiegazioni a Caterina, ma Giulia aveva insistito per invitare anche lui. Era passata appena una settimana da quando lo aveva incontrato in ospedale dopo la nascita di Francesco, e sapeva che il senso di colpa per averlo escluso a priori non avrebbe fatto altro che accompagnarla. Alla fine anche Filippo aveva ceduto, e Giulia aveva mandato l’invito anche a Lorenzo, sperando in cuor suo di non sbagliarsi sul fatto che, quasi sicuramente, lui avrebbe comunque declinato l’offerta.
-Avevo detto che molto probabilmente non l’avrebbe fatto- farfugliò Giulia, abbassando lo sguardo. Cominciava già a preoccuparsi: per Filippo, e la gelosia evidente che lo stava attanagliando, per Nicola e il suo astio, del tutto ricambiato, per Lorenzo, e anche per Caterina, che di sicuro avrebbe fatto domande e chiesto spiegazioni sulla presenza di suo fratello. Aveva commesso un errore di valutazione con troppa leggerezza, e se ne stava rendendo conto solo in quel momento. Aveva dato così per scontata l’assenza di Lorenzo che non  aveva nemmeno più pensato alla sua possibile presenza.
Passarono solo pochi altri minuti, prima che Giulia intravedesse da distante Caterina fare ritorno, con Lorenzo al seguito. Erano passati diversi mesi dall’ultima volta in cui l’aveva visto, e non sembrava essere cambiato affatto; era solo vestito più elegantemente, e con la barba più curata e corta di come l’aveva a gennaio.
-Eccoci di ritorno- Caterina arrivò poco dopo, senza nascondere troppo il proprio imbarazzo per la situazione inaspettata – Non mi avevi detto che avevi invitato anche lui-.
Si era direttamente rivolta a Giulia per quell’ultima osservazione, e lei si ritrovò a guardare di rimando l’amica senza riuscire a darle una ragione valida.
-Colpa mia, non le avevo detto che sarei venuto stasera. Se ne sarà dimenticata- Lorenzo la salvò appena in tempo, e Giulia si ritrovò ad annuire, pur rimanendo in difficoltà:
-Infatti, è così. E poi mi sembrava maleducato tagliare fuori anche tuo fratello. D’altro canto, conosco anche lui- farfugliò Giulia, cercando di darsi un contegno. Caterina la guardò con la fronte aggrottata, ma non ebbe nulla da ridire: forse si era convinta a sufficienza per non fare ulteriori domande.
L’espressione di Filippo, invece, Giulia non ebbe il coraggio di studiarla. L’aveva sentito masticare a malapena un saluto – più o meno la stessa reazione che aveva avuto Nicola-, ma non aveva avuto la forza nemmeno di girarsi per un secondo veloce verso di lui. Riusciva comunque ad avvertire l’impaccio e il disagio della situazione ugualmente.
-Congratulazioni, comunque. Spero che la cerimonia sia andata bene- disse Lorenzo. Sembrava aver parlato sia a Giulia che a Filippo, ma la verità era che stava guardando solamente lei, come se Caterina, Filippo, Nicola e tutto il resto degli invitati non fosse nemmeno presente.
-Benissimo, grazie- rispose rigidamente Filippo, prendendo inaspettatamente la parola per la prima volta da quando Lorenzo era arrivato. Stavolta Giulia non riuscì a non lanciargli un’occhiata: anche il suo viso era totalmente impassibile, esattamente come la voce. Sembrava aver deciso di adottare lo stesso atteggiamento che Nicola teneva solitamente verso Lorenzo.
-È andato tutto bene, fortunatamente- Giulia si schiarì la gola, piuttosto indecisa su come proseguire quell’improbabile dialogo – E  a te, il viaggio? Tutto a posto?-.
Lorenzo annuì, lasciandosi andare ad un sorriso accennato:
-Lungo e stancante, ma tutto bene-.
Per alcuni secondi nessuno disse altro. Caterina continuava a spostare lo sguardo interrogativo su tutti i presenti – su Giulia soprattutto-; Filippo e Nicola sembravano determinati a non dare nemmeno la parvenza di non essere totalmente ostili all’ultimo arrivato, e Lorenzo sembrava volerli ignorare del tutto. Giulia, internamente, si ritrovò a sospirare stancamente: toccava di nuovo a lei cercare di rendere il tutto meno imbarazzante di quel che già era.
-Ti va qualcosa? Non so quanto sia rimasto da mangiare, forse qualche fetta della torta nuziale … O preferisci qualcosa da bere?-.
-Sono a posto così- Lorenzo mosse la mano in segno di diniego – Avrei … Avrei invece qualcos’altro da chiederti-.
Lorenzo era visibilmente arrossito, e Giulia sapeva che non era solamente perché Filippo gli aveva appena puntato gli occhi addosso. Ebbe la netta sensazione di non doversi aspettare nulla di positivo, oltre che qualcosa che non sarebbe mai riuscita a spiegare decentemente a Caterina.
-Posso invitarti per un ballo veloce?-.
Lorenzo lo disse talmente velocemente che Giulia stentò quasi a capire, ma il rossore sulle sue guance e gli occhi sgranati di Filippo le stavano facendo intuire di aver capito benissimo.
-Mia sorella mi stava raccontando che ti andava di ballare, stasera- proseguì Lorenzo, in un tentativo disperato di rendere quella proposta meno strana agli occhi degli altri presenti. Gli unici occhi che in quel momento Giulia voleva incontrare, però, non erano quelli di Lorenzo. Lanciò un’occhiata a Filippo, e fu contenta di intercettare il suo sguardo anche solo per un breve secondo. Non avrebbe voluto rifiutare a Lorenzo quella proposta – non innocente quanto poteva apparire, pensava, ma nemmeno così squallida e strana-, ma non avrebbe nemmeno voluto fare un torto a quello che era appena diventato suo marito.
-Se vuoi andare, vai- Filippo aveva distolto lo sguardo, ma aveva cercato di parlare il più normalmente possibile, mentre si alzava dalla sedia – Nel frattempo io andrò a prendere un po’ d’aria fresca fuori-.
Nicola si alzò a sua volta, sistemandosi la camicia ormai spiegazzata:
-Vengo con te-.
Giulia sentì un peso tremendo sul petto, mentre Filippo si allontanava con Nicola. Rimase ad osservalo fino a quando non sparì dal suo campo visivo, il senso di colpa che si insinuava in lei silenzioso e desolante.
-Allora io vado a recuperare mio figlio, visto che voi due dovete scappare insieme- Caterina si intromise in quel silenzio, lanciando un’ultima occhiata dubbiosa sia al fratello che a Giulia. Alla fine, in meno di qualche secondo, Giulia si era ritrovata da sola con Lorenzo, probabilmente come lui aveva sperato sin dall’inizio.
Si costrinse a sorridere, anche se per la testa rivedeva ancora l’espressione fredda di Filippo e la sua fuga lontano da Lorenzo:
-Credo che possiamo andare-.


 
Giulia cercò di trattenersi dal non arretrare al tocco delle mani di Lorenzo sui suoi fianchi. Non era fastidio quello che aveva provato nel sentirlo così vicino, quando avevano iniziato a ballare, ma disagio. Sperò che lui non se ne fosse accorto, anche se temeva che fosse evidente anche dal pallore e la tensione del suo stesso viso.
-Non pensavo saresti venuto- Giulia decise di parlare per prima, seguendo i passi incerti di Lorenzo, accompagnati da una canzone lenta che lei non riusciva a riconoscere – Non hai mai risposto all’invito. Alla fine avevo dato per scontata la tua assenza-.
-Ho preso questa decisione all’ultimo- rispose Lorenzo, distogliendo per un attimo lo sguardo – In effetti ho deciso solo stamattina di venire-.
-Mi fa piacere tu sia venuto. Non me l’aspettavo, ma è stata una bella sorpresa-.
Giulia si morse il labbro inferiore: non era del tutto una bugia, ma non era nemmeno del tutto la verità. Si era un po’ pentita di aver mandato quell’invito, soprattutto vista la reazione di Filippo e in vista delle domande che le avrebbe fatto Caterina.
Passarono alcuni secondi in silenzio, in cui Giulia prese ad osservare la direzione verso la quale era sparito Filippo poco prima, sperando di rivederlo tornare dentro. Si sentiva tremendamente in colpa nei suoi confronti, pur sapendo di non aver fatto nulla di male.
-Sei davvero bellissima oggi-.
Lorenzo la ridestò dai suoi pensieri, facendola quasi sussultare. Giulia si sentì arrossire, incapace di rispondere subito con qualcosa di sensato. Sapeva solo che quelle parole suonavano terribilmente fuori posto, e che le intenzioni di Lorenzo le ricordavano troppo quelle che le aveva riservato la notte in cui le si era dichiarato.
-Grazie- mormorò, schiarendosi la voce – Anche se in realtà penso potessi aver più ragione qualche ora fa … Ora credo solo di avere il trucco quasi del tutto colato e i capelli decisamente non al massimo-.
-Non importa, sei comunque una sposa davvero bella- Lorenzo le sorrise, e per la prima volta da quando era arrivato quello non fu né un sorriso di circostanza né un sorriso forzato. Giulia cerco di ricambiarlo, pur a fatica: continuava a sentirsi tremendamente fuori posto, tra le braccia di Lorenzo e con Filippo chissà dove in preda alla rabbia.
-Sei venuto solo per dirmi questo?- gli chiese, prima ancora di pensare di frenare quelle parole.
Il sorriso di Lorenzo assunse una vena malinconica, e gli servirono un paio di attimi di troppo prima di rispondere:
-Ci sono tante cose che avrei voluto dirti, e che forse avrei fatto meglio a dirti prima di questa giornata-.
-Cose che riguardano me e te?-.
Sapeva che addentrarsi in un discorso del genere proprio in quel momento era semplicemente da pazzi, ma Giulia non era riuscita a trattenersi. Forse la curiosità verso le vere intenzioni di Lorenzo era più forte persino della prudenza che, invece, avrebbe fatto meglio a seguire.
-Potrebbe essere- replicò lui, vago.
“Ci avrei scommesso” pensò Giulia, amaramente. Aveva sperato fino all’ultimo che Lorenzo fosse venuto fin lì senza secondi fini, ma evidentemente aveva riposto in lui fin troppa fiducia. Era come essere rimasti fermi alla notte di cinque anni prima, con le sole differenze che lui non era più ubriaco e lei si era appena sposata.
-Ascoltami- Giulia tirò un lungo sospiro, cercando di risultare rilassata e calma mentre parlava – Mi sono sposata con quello che è stato il mio fidanzato per gli ultimi sette anni della mia vita. È una cosa che ho voluto fortemente, per un sacco di motivi. Non tornerò indietro su questa decisione-.
Aveva cercato di non essere indelicata, ma di sembrare decisa allo stesso tempo. Non voleva lasciare adito a qualsiasi debolezza, non con Lorenzo. Non le stava piacendo dovergli parlare in quel modo, ma non poteva nemmeno dargli false speranze.
Lorenzo annuì tetro, soppesando le parole che Giulia gli aveva appena rivolto:
-Non hai avuto nemmeno un secondo di dubbio? Nemmeno per un attimo ti sei domandata di aver fatto la cosa migliore per te?-.
Giulia rimase per qualche attimo sbigottita. Si chiese se davvero non era sembrata abbastanza convinta in ciò che aveva detto, o se era Lorenzo ad essere troppo insistente.
-Era la cosa migliore e più giusta per tutti noi-.
Abbassò per un attimo gli occhi, stanca di quella discussione e adirata con se stessa per aver mandato quel maledetto invito.
-Per tutti voi? Intendi tu e Filippo?-.
Giulia rialzò di nuovo lo sguardo, ritrovando gli occhi verdi di Lorenzo a scrutarla con insistenza. Cominciava a non sopportare più quel tentativo di farla apparire tutt’altro che sicura di ciò che aveva fatto: forse era vero, in parte, che si era sentita insicura quella mattina stessa, ma era stato un momento passeggiero, uno di quei momenti di intensa confusione che anticipano un evento determinante. Non aveva nulla a che fare con il genere di dubbi che Lorenzo cercava di insinuare.
-Per me e Filippo, e per i figli che avremo-.
Giulia si pentì di aver aperto bocca nel momento stesso in cui si era resa conto di ciò che la sua voce aveva appena modulato. Aveva parlato senza riflettere, ed ora si ritrovava a gestire la propria sorpresa con l’espressione scioccata di Lorenzo. Sembrava che qualcuno gli avesse appena calato un macigno sulle spalle.
-Sono incinta, non lo sa ancora quasi nessuno- continuò, abbassando la voce e risultando appena udibile sopra il frastuono della musica – E un matrimonio, al giorno d’oggi, bene o male, serve anche per tutelare maggiormente i propri figli-.
-Sei incinta? Sul serio?- Lorenzo ritrovò la voce dopo qualche attimo di silenzio. Anche lui aveva abbassato la voce, e Giulia dovette sforzarsi per riuscire a capire cosa avesse appena detto.
-Sì- sapeva che, con quella semplice affermazione, aveva appena tagliato in due ogni possibile speranza di Lorenzo nei suoi confronti – Come ti ho detto, non lo sa ancora molta gente … Stiamo aspettando il momento adatto per dare la notizia-.
-A me lo hai detto- mormorò lui, incolore.
-Per farti capire meglio la situazione in cui mi ritrovo-.
“E per farti capire che sto costruendo la mia vita con Filippo accanto”.
La presa di Lorenzo sui suoi fianchi si fece più debole, come se stesse per abbassare le mani staccandole da lei da un momento all’altro. Quando la canzone che li aveva accompagnati fino a quel momento finì, fu esattamente ciò che avvenne: Lorenzo mollò la presa già tenue, e si fermò a pochi passi di distanza da Giulia. Aveva già cominciato a metter distanza tra di loro, e sebbene quello fosse esattamente il risultato al quale Giulia aveva anelato, non poté fare a meno di sentire crescere il senso di colpa anche nei confronti di Lorenzo.
-Sono felice per te- si costrinse a dire lui, con il viso terreo e impassibile – Sembra passato davvero un secolo da quando eri una ragazzina in crisi amorosa per il ragazzo che le piaceva-.
Giulia dovette trattenere un sorriso malinconico ai ricordi che avevano evocato le parole di Lorenzo. Ricordava benissimo quella sera, come se fosse appena successo tutto di nuovo. Eppure, nonostante il tempo che non sembrava essere passato, Lorenzo stava parlando di una Giulia che aveva smesso di esistere già da anni.
-È vero- replicò, decidendo infine di non nascondere quel sorriso che le stava nascendo sulle labbra – Non sono più quella ragazzina da molto tempo, ormai-.


 
-Devi spiegarmi una cosa-.
Giulia si voltò lentamente, e quando lo fece incrociò lo sguardo perplesso di Caterina. Era più o meno l’espressione che aveva mantenuto dall’arrivo di Lorenzo al momento in cui Giulia si era allontanata da lui dopo il ballo, passando per l’attimo in cui Filippo aveva preferito uscirsene chissà dove piuttosto che rimanere a guardare.
-Anzi, a dire il vero avrei almeno due cose da chiederti-.
Caterina si risistemò meglio Francesco in braccio – era andata da Alice a riprenderlo non appena Giulia si era allontanata con Lorenzo-, e prendendosi qualche attimo per formulare le fatidiche domande che Giulia già stava aspettando.
-Per prima cosa: perché diavolo non mi hai detto che avevi invitato anche mio fratello?-.
Caterina non sembrava arrabbiata o indignata, solo estremamente confusa, e Giulia non poteva darle torto. Dubitava altamente che Lorenzo si fosse mai lasciato sfuggire qualcosa con la sorella sul loro strano rapporto, e lei non aveva mai avuto il coraggio per raccontare a Caterina di Lorenzo e di alcuni suoi lati nascosti.
-Mi ero persino dimenticata io stessa di averlo fatto. Sai com’è, non rispondeva mai all’invito- farfugliò Giulia, rendendosi presto conto che quella era più una non risposta – E poi comunque lo conosco, mi sarebbe dispiaciuto non invitarlo nemmeno. Magari dubitavo molto sul suo arrivo, ma tanto valeva … -.
-Ok, non sei molto convincente, ma sorvoliamo- proseguì Caterina, corrugando la fronte – Seconda cosa: ma che è preso a Filippo?-.
Quella, se possibile, era una domanda ancora più ostica della precedente. Giulia cercò di apparire quanto più naturale possibile, anche se in realtà non aveva la più pallida idea di dove andare a parare. Sembrava che il momento di parlare a Caterina di certe cose riguardanti Lorenzo fosse finalmente giunto, dopo anni … Ed era giunto nel momento peggiore possibile, in una giornata nella quale Giulia non aveva la minima voglia di rivangare ancora una volta certe memorie.
-Potrebbe essere una questione di gelosia- sapeva che non era una motivazione abbastanza convincente per giustificare Filippo, e infatti Caterina le restituì uno sguardo ancor più scettico di prima – Ma è meglio se ti spiego in un’altra sede, magari un altro giorno-.
Giulia si pentì quasi subito di aver aggiunto quelle parole, perché ora Caterina la stava guardando come se non credesse alle proprie orecchie:
-In che senso? Cosa mi devi spiegare?-.
-Te ne parlerò- Giulia si morse il labbro inferiore, consapevole di aver appena fatto un’idiozia – E poi ora come ora non basterebbe il tempo che ci rimane per parlarne seriamente-.
-Ora mi fai preoccupare-.
Caterina si risistemò Francesco tra le braccia, cullandolo appena e cercando di calmarlo quando si lasciò andare a qualche lamento.
-Non dovresti, è solo … - Giulia non fece nemmeno in tempo a finire la frase, e forse fu meglio così: non sapeva bene cosa avrebbe potuto dire per cercare di tranquillizzare Caterina, né come spiegare bene la situazione senza doverla spiegare sul serio. Si era bloccata appena in tempo per non farsi sentire da Pietro, sopraggiunto alle spalle di Caterina e diretto verso di loro:
-Oh, finalmente la sposa e il braccio destro della sposa insieme- esordì, strascicando le parole. Non ci voleva molto per capire che doveva aver bevuto leggermente troppo, e a sentirlo parlare in quel modo sia Giulia sia Caterina trattennero a stento una risata.
-Alzato un po’ troppo il gomito?- Caterina lo prese in giro, voltandosi verso di lui ed alzando lo sguardo per guardarlo meglio in faccia.
-Sto benissimo- Pietro annuì con convinzione, anche se era piuttosto evidente che, in effetti, il gomito l’avesse alzato eccome. Dopo un attimo si rivolse direttamente a Giulia:
-Ehi, sposa- Pietro indicò subito dopo Caterina, come a voler far capire a Giulia in anticipo ciò che voleva dire – Devi concedere un ballo a Caterina. D’altro canto è lei la tua persona-.
-Tu sei davvero ubriaco- lo apostrofò Caterina, scuotendo il capo e ridendo ancor più forte di prima.
Anche Giulia rise, ma l’idea che le aveva appena suggerito Pietro non le era sembrata affatto campata in aria. Aveva ballato con tante persone quella sera … E per chiudere in bellezza quella festa, nulla le sembrava migliore di un ballo con lei.
-Ma non ha tutti i torti- disse, sorridendo maliziosa all’amica. Il discorso su Lorenzo e Filippo sembrava essere distante anni luce in quel momento, mentre lei tratteneva a stento le risate per lo sguardo pieno di panico che Caterina stava posando prima su di lei e poi su Pietro.
-Stai dicendo sul serio?- tornò a rivolgersi solamente a Giulia, non meno preoccupata di prima.
-Eccome- replicò lei, alzandosi già in piedi per evidenziare la propria convinzione – Non vorrai deludere la sposa con un rifiuto-.
-Non ho alcuna scelta, vero?- Caterina si lasciò andare teatralmente ad un sospiro profondo. Le ci volle qualche altro attimo prima di rassegnarsi all’idea di accompagnare Giulia, ed alzarsi a sua volta dalla sedia.
-Visto che sei stato tu a darle questo brillante suggerimento- Caterina stavolta si rivolse direttamente a Pietro, che fino a quel momento aveva assistito al loro scambio di battute sogghignando silenziosamente – Vuoi fare da baby-sitter temporaneo al tuo nipote acquisito?-.
Quella proposta di Caterina ebbe il potere di lasciarlo basito e a bocca aperta. Pietro alternò gli occhi sgranati dall’amica a Francesco, inconsapevole di tutto in braccio alla madre, incapace però di articolare qualsiasi risposta. Ciò bastò a Caterina per trarne una conclusione:
-Ok, forse è meglio che vada a chiedere a Nicola di tenere suo figlio per un po’-.
Quando si allontanarono da Pietro, sia Giulia che Caterina stavano ancora ridendo per la sua faccia all’idea di dover badare al bambino. Stavano ancora ridendo quando finalmente raggiunsero Nicola, impegnato in una discussione con Alessio ed Alice, e smisero a fatica solo quando arrivarono nei pressi della band. Era appena iniziata She’s the one quando giunsero alla meta.
-Deve essere un segno del destino, questo- commentò Giulia, meno rigida di Caterina nel muoversi a ritmo della musica.
-La degna chiusura della serata- Caterina rise appena, scostandosi velocemente una ciocca di capelli castani dagli occhi – D’altro canto è anche un po’ a causa mia se hai conosciuto Filippo-.
Era vero, su quello Giulia sarebbe sempre stata d’accordo. La cotta adolescenziale che allora legava Caterina a Nicola era stato uno dei motivi che l’avevano portata a notare Filippo; a ripensarci, non poté fare a meno di considerare, in un attimo di suggestione, che anche quello doveva essere stato una specie di segno del destino.
 
*
 
Era notte fonda quando finalmente si chiusero la porta della stanza alle spalle. Giulia non credeva di aver mai vissuto una giornata più lunga di quella: le dolevano tremendamente i piedi e le gambe, e cominciava a detestare il tessuto dell’abito sopra la pelle sudata. Faceva ancora caldo, e a poco serviva aver aperto le finestre non appena rientrati nella stanza prenotata per il post rinfresco.
Avevano passato le ultime ore a salutare tutti i parenti e gli invitati mentre questi, un po’ alla volta, lasciavano l’agriturismo. Giulia non ricordava nemmeno più quanta gente aveva dovuto salutare, ma sapeva solo che alla fine si era sentita davvero stremata.
Appena entrata in stanza avrebbe solamente voluto buttarsi sul letto e dormire per almeno dieci ore, ma si era costretta ad aspettare: non voleva rovinare il vestito – già abbondantemente sdrucito, in ogni caso-, e, ancor di più, voleva sapere come si sentiva Filippo. Non si erano più parlati dopo che Lorenzo l’aveva invitata a ballare, e anche quando si erano fermati a salutare gli invitati che se ne stavano andando, non aveva avuto davvero modo di capire se quello di Filippo fosse solo un sorriso finto o meno.
Giulia buttò la pochette – che le aveva tenuto per quasi tutta la giornata sua sorella- sul materasso, dopo aver tirato fuori il proprio cellulare. Scorse velocemente tutti i messaggi d’auguri e congratulazioni che parenti ed amici che non erano potuti venire le avevano inviato durante la giornata; avrebbe risposto loro uno ad uno, ma solamente dopo aver recuperato un po’ di ore di sonno. Cominciava a far fatica persino a reggersi in piedi. Lanciò anche il telefono sul materasso, distrattamente.
Un crampo alla gamba destra, improvviso e dolorosissimo come solo i crampi sapevano essere, la costrinse a piegarsi su se stessa. Doveva essere il segnale definitivo che al suo corpo serviva davvero una pausa.
-Giulia!- Filippo si era voltato verso di lei, e alzando il viso per guardarlo, Giulia si accorse che era fin troppo pallido – Stai bene? Cosa succede? I bambini stanno … -.
-Un crampo alla gamba- cercò di rimettersi dritta e di tenere dritta e tesa la gamba, aspettando che i crampi passassero – Troppe ore in piedi e con i tacchi bassi-.
Gli sorrise, cercando di rassicurarlo. Camminò lentamente fino a lui, appoggiandogli le mani sulle spalle. Anche Filippo aveva un’aria stanca: cominciavano a vedersi delle occhiaie sotto gli occhi, e le gote erano arrossate, contrastanti con il pallore del resto del viso.
-E tu? Come stai?- gli chiese, in un bisbiglio che ruppe a malapena il silenzio nella camera.
-Ho assolutamente bisogno di dormire- Filippo la guardò reprimendo a stento uno sbadiglio – E tempo per realizzare che ci siamo sposati sul serio-.
Rientrando in camera, non avevano nemmeno acceso le luci. La luce lunare che entrava dalla finestra bastava a rischiarare a sufficienza l’ambiente per riuscire ad orientarcisi; anche ai deboli raggi argentei della luna, comunque, Giulia riusciva a intravedere la sagoma della fede dorata all’anulare di Filippo. Le era bastato abbassare gli occhi alla mano per poterla notare.
-Allora siamo in due- rispose lei – O meglio, in quattro-.
Filippo portò la mano sinistra – la stessa a cui Giulia aveva appena rivolto lo sguardo- sul ventre di lei. Non era ancora particolarmente prominente, anche se le linee potevano già intuirsi sotto il tessuto leggero dell’abito nuziale.
-Avranno percepito anche loro la nostra agitazione di oggi?- mormorò Filippo, gli occhi abbassati al grembo di Giulia, che alzò le spalle:
-Può darsi-.
Era abbastanza sicura che avessero percepito almeno la sua, di agitazione. Era ancora presto per sentirli muovere nell’utero ma, se fossero stati nel periodo giusto, era certa che quel giorno l’avrebbero riempita di calci a causa dell’ansia che lei stessa aveva provato.
Un giorno, si ripromise, avrebbe raccontato loro di come lei e Filippo non fossero mai stati soli durante quella giornata, nemmeno durante lo scambio delle fedi.
Quando Giulia rialzò gli occhi, incrociò le iridi castano chiaro di Filippo. Aveva gli occhi terribilmente stanchi, e non poté fare a meno di pensare che, come se non fosse bastato il matrimonio e la festa lunghissima che l’aveva seguito, anche lei non aveva fatto altro che dargli ulteriori pensieri: ancora non si era minimamente perdonata l’errore che aveva fatto nell’invitare Lorenzo e nell’accettare di stare da sola con lui.
-Filippo, quando Lorenzo è arrivato … - si costrinse a pronunciare quelle parole, anche se non ne aveva affatto voglia. Eppure, per quanto spiacevole potesse essere, voleva affrontare l’argomento il prima possibile. Non voleva avvelenare il ricordo di quella giornata con l’unico errore che aveva commesso.
-Ho esagerato nell’andarmene via così- Giulia non riuscì nemmeno a finire la frase, che Filippo l’aveva interrotta – Ma ero troppo nervoso, temevo di dire qualcosa di cui mi sarei pentito. E poi c’erano anche Caterina e Nicola lì, non sarebbe stato il caso-.
Già, ripensò Giulia, alla fine non era successo un putiferio ben peggiore solo perché Caterina e Nicola erano lì con loro, quando era arrivato Lorenzo. Anche al parlare con Caterina avrebbe dovuto pensarci seriamente: ormai aveva lanciato il sasso, non poteva più nascondere la mano.
Giulia strinse maggiormente le mani sulle spalle di Filippo, piegando appena il tessuto della camicia sotto le dita:
-Non sei tu che ti devi scusare. Non avrei dovuto invitarlo e basta-.
-Ormai è andata così- Filippo sospirò a fondo, prima di prenderle il viso tra le mani, delicatamente – Però voglio che tu sappia che è di lui che non mi fido. E forse tu non avresti dovuto invitarlo, ma so che nonostante tutto l’hai fatto in buonafede-.
-Una buonafede che ha quasi rovinato la festa-.
Le mani di Filippo attorno al suo volto le impedirono di abbassare gli occhi come avrebbe voluto. Nonostante le sue rassicurazioni, il senso di colpa che la accompagnava continuava a rimanere lì, vivo e pulsante esattamente come quando erano ancora alla festa, quando aveva visto Filippo incupirsi ed andarsene e quando aveva detto a Lorenzo quelle parole di sottile rifiuto.
-Ma non è successo- a dispetto della stanchezza, la voce di Filippo appariva decisa e convinta – E sappi che ho sempre fiducia in te … E anche se a volte non condivido le tue scelte, posso capire che tu abbia le tue motivazioni per agire in un certo modo, e le accetto per questo. Beh, magari non sempre, ma perlomeno cerco sempre di capire il tuo punto di vista-.
Un sorriso affiorò sul viso di Giulia, ed inevitabilmente lo lasciò nascere del tutto, quando Filippo le si avvicinò per un bacio a fiori di labbra.
-Con o senza un anello al dito, sei parte di me: cercherò sempre di comprendere le tue scelte-.
Il display del telefono di Giulia, lasciato inerme sul materasso, lampeggiò di nuovo. Con la coda dell’occhio le sembrò di leggere il nome di Lorenzo come mittente, ma non se ne curò troppo. Forse lo avrebbe letto domani, forse gli avrebbe addirittura risposto; in quel momento non sapeva cosa sarebbe successo, e non le interessava nemmeno saperlo.
Le interessava solo di Filippo, delle sue labbra tornate sulle sue, del suo profumo che, mescolato al sudore accumulato durante la giornata, le pungeva le narici.
Le interessava solo pensare che sì, con o senza un anello al dito, anche lui era sempre stato parte di lei, e che qualunque cosa sarebbe successa da lì in poi, nel bene e nel male, lo sarebbe stato sempre.
 
Porterò a te il mio più bel pensiero
Ed ogni giorno ti regalerò
Una rosa dove posi il tuo bel viso
E ad ogni tuo risveglio ritroverai
Una parte di me, parte di me

(Francesco Sarcina - "Parte di me")*




 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Vi avevamo promesso sorprese e qualcuna ce n’è stata, alla fine dei conti!
Dopo la cerimonia, le promesse scambiate, si passa ovviamente al rinfresco e i discorsi di amici e parenti che, si sa, non possono mancare! E a prendere la parola finora infatti sono stati proprio gli amici di lunga data dei novelli sposi, quelli che meglio li conosco sia singolarmente che come coppia, e che li hanno visti conoscersi e crescere in questo anni. E così, con i racconti di Caterina e Pietro prima, e quelli di Nicola e Alessio (che si è dato ai tatuaggi… secondo voi che significato c'è dietro alle parole da lui scelte?) poi, abbiamo ripercorso le tappe fondamentali di questi due ragazzi ormai adulti, senza farci mancare l'ironia! 🤭
Ma veniamo alle note dolenti … Lorenzo, ebbene sì. Il fratello di Caterina fa la sua comparsa dopo diverso tempo, smuovendo l'animo di tutti: da Giulia piuttosto imbarazzata e preoccupata, a Filippo visibilmente geloso, per arrivare a Caterina che sembra aver intuito che qualcosa non torna. E proprio con lei Giulia va molto vicina a rivelarle alcuni accadimenti di anni fa, ma la questione sembra essere solo rimandata... Dopo anni, forse si scopriranno un po' di cose!
E la giornata del matrimonio deve pur avere un finale, con Giulia e Filippo che si chiariscono a fine serata, e che quindi possono finalmente andarsene a dormire tranquilli 😂
Si conclude qui questo capitolo lunghissimo pieno di emozioni e qualche sorpresa, e da qui in avanti non ci rimane altro che scopriremo cosa accadrà negli ultimi 11 capitoli di Growing. Qualche ipotesi su cosa vedremo in futuro?
Ci rivediamo in questi lidi mercoledì 12 ottobre con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
 
 
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 30 - Black holes and revelations ***


CAPITOLO 30 - BLACK HOLES AND REVELATIONS




 
L’inizio di settembre era arrivato, ma con esso non se ne era andata la canicola estiva che affliggeva Venezia ormai da maggio. Giulia cominciava a trovarla davvero stressante: la gravidanza le complicava ancor di più la sopportazione del caldo asfissiante, e ogni sera, dopo aver camminato per ore per lavorare, si ritrovava sempre in un bagno di sudore. Non si era trovata in una situazione così critica nemmeno ad agosto, quando il caldo, perlomeno, si era fatto più secco e molto meno umido di come era ora.
Sapeva già che quel maledetto caldo le avrebbe reso ancor più difficile sopravvivere a quel weekend, il secondo del mese. In quel momento, alle sette di sera di venerdì, non voleva nemmeno pensare alla tortura che l’avrebbe aspettata il giorno dopo, al matrimonio di Fabio: le veniva già da vomitare solo al pensiero di doversi alzare la mattina presto, insieme a Filippo, per raggiungere Torre San Donato.
Cercò di scacciare il pensiero dell’indomani, ed abbassò lo sguardo sulla sua coppetta di gelato già mezza sciolta. L’aveva ordinata sperando di potersi rinfrescare un po’, ma la nausea aveva fatto di nuovo capolino, ed ora si ritrovava a non riuscire nemmeno a mandare giù un boccone di più.
Si sentiva osservata, e quando alzò gli occhi, non fu molto sorpresa nel trovare confermata quella sua sensazione: aveva gli occhi di Pietro, Alessio e Nicola – che stava cercando di cullare Francesco tenendolo seduto sulle sue gambe- puntati direttamente su di lei, tutti ugualmente straniti.
-Che succede?- chiese Giulia, confusa.
-Nulla di troppo pregnante, solo un’osservazione- fece Pietro, puntando il dito alla sua coppetta – Non stai mangiando-.
Giulia lo guardò ancora più disorientata, aggrottando la fronte:
-Quindi?-.
-Tu che non mangi del gelato- ripeté Pietro, con tono ovvio – Ti prego, ricordami l’ultima volta che non sei riuscita a mangiare un dolce-.
Giulia rimase in silenzio, stordita e senza sapere bene cosa rispondere. Ciò spinse Pietro a continuare:
-Non te lo ricordi, vero? E sai perché?-.
Lei lo guardò confusa, in silenzio.
-Perché non è mai successo!-.
A Giulia non rimase che bloccarsi allibita. Li fissò tutti con occhi sgranati, incapace di mettere in fila due parole con un vago senso.
Avrebbe fatto meglio a dire a Pietro che un mal di stomaco poteva capitare a chiunque, o spiegare che mangiare con le nausee gravidiche era tutt’altro che facile?
La verità era che, quando quel pomeriggio Filippo aveva proposto a lei e a tutti gli altri di ritrovarsi ed uscire insieme prima di cena, Giulia non aveva preso sul serio in considerazione l’idea di parlare del suo stato. Certo, molto presto sarebbe stato evidente senza dire nulla – si stupiva che ancora nessuno si fosse ancora accorto di niente-, ma non aveva davvero pensato di trasformare quelle due ore insieme per un gelato serale in un momento di dichiarazioni di quella portata. Non aveva la minima idea di come reagire a quelle osservazioni di Pietro, né come sviare quel discorso senza far sorgere sospetti.
-Oh avanti, non fare drammi dove non ce ne sono- lo rimbrottò Filippo, che aveva preso la parola al posto di Giulia che, ancora dopo almeno un minuto, ancora non aveva deciso come reagire.
-Non ha tutti i torti, però- si intromise a sua volta Alessio, stringendosi nelle spalle e rivolgendosi direttamente a Giulia, studiandola con occhio critico – Stai male, per caso? Sei diversa dal solito-.
Giulia si schiarì la voce, con finta nonchalance:
-Diversa come?-.
-Non lo so. Diversa- alzò le spalle Alessio, con tono vago.
-Chi lo sa, magari lo è davvero- Caterina aveva pronunciato quelle parole con casualità calcolata, come a voler nascondere la mano dopo aver rubato qualcosa. Giulia la fissò ad occhi spalancati, e nel sorriso incoraggiante di Caterina vi poté scorgere un barlume di incitamento che altro non poteva che voler dire “Questo è il momento”.
Si girò verso Pietro, Nicola e Alessio: ad accomunarli tutti c’era il medesimo sguardo confuso e la fronte aggrottata. Si voltò anche verso Filippo, e non si meravigliò affatto di vederlo teso.
-Ci state nascondendo qualcosa?- domandò Nicola, piano.
-Mi pare evidente di sì- gli diede man forte Pietro, che ora fissava Giulia, Filippo e Caterina con sguardo torvo – Non è carino lasciare metà del gruppo all’oscuro di un qualche magnifico segreto-.
Giulia sbuffò sonoramente, guardando altrove. Il bar in cui si trovavano era localizzato in una delle minuscole piazze tra le calli, e a quell’ora di sera c’era ancora parecchia gente in giro. Al tavolo di fianco al loro un gruppo di ragazzi teneva sul tavolo vari bicchieri di spritz, e Giulia non poté fare a meno di invidiarli: le mancava poter bere un aperitivo alcolico decente.
-Niente segreti, solo … - Giulia prese un sospiro, prima di riportare lo sguardo lontano da quegli spritz – In effetti c’è una novità-.
Filippo le mise una mano sul braccio, stringendo appena per richiamare la sua attenzione:
-Vuoi dirlo adesso? Sul serio?-.
Giulia percepì la sua esitazione dalla voce e dagli occhi stralunati: non sembrava affatto convinto della cosa, ma ormai Caterina aveva messo la pulce nelle orecchie a tutti gli altri. E poi, di lì a pochissimo tempo, sarebbe comunque diventato il segreto di pulcinella.
-Tanto ormai sarebbe questione di giorni- mormorò in risposta lei, lanciandogli un’occhiata fugace.
-Aspetta- esordì Pietro, con fare cerimonioso – Non dire nulla: sei incinta-.
Per la seconda volta Giulia rimase impietrita. Cercò di non rendere troppo visibile la sua sorpresa – anche se doveva ammettere che il silenzio era la risposta più sincera ed immediata che potesse esserci-, ma dissimularla era un lavoro inutile, quando di fianco a lei Filippo era rimasto letteralmente a bocca spalancata.
Giulia tirò un sospiro: in fin dei conti era tutto più facile, quando c’era Pietro a parlare al posto suo e Filippo a confermare il tutto senza nemmeno il bisogno di dire una parola.
-Che osservatore attento- disse lei, con nonchalance. La sorpresa passò di colpo da lei a Pietro, Alessio e Nicola: dovette sforzarsi molto per non scoppiare a ridere di fronte ai loro occhi sgranati e al rossore delle gote.
-Cosa? Io stavo scherzando!- esclamò Pietro, scioccato, alzando appena la voce per l’incredulità che l’aveva colpito.
-Beh, evidentemente ci hai azzeccato- replicò Giulia, allargando le braccia.
-Ma tu pensi ad una gravidanza ogni volta che qualcuno deve dire qualcosa?- fece con voce strozzata Filippo, ancora non ripresosi del tutto. Pietro, invece, sembrava essere sulla buona strada per assorbire il colpo appena ricevuto:
-Nel vostro caso era un’ipotesi da prendere in considerazione-.
Per tutta risposta, Giulia gli lanciò un’occhiata fulminante.
-Congratulazioni, sul serio- Nicola interruppe quel battibecco sul nascere, rivolgendo a lei e Filippo un sorriso oscillante tra la gioia e la meraviglia. Un secondo dopo si voltò verso Caterina, guardandola con disapprovazione:
-Ho come l’impressione che qualcuno non sia molto sorpreso della notizia-.
-Scusa, ma non sarebbe stato molto giusto se te lo avessi detto io- alzò le spalle Caterina, allungando una mano per spettinare i capelli biondi di Francesco.
-Auguri- aggiunse anche Alessio, alzando un sopracciglio – Ora ho un motivo in più per declinare gli inviti a cena: non vorrei passare al livello successivo e fare pure da babysitter-.
-Peccato, saresti stato molto comodo- Giulia rise, rivolgendo all’altro un sorriso malizioso – E comunque so dove abiti. Possiamo sempre autoinvitarci da te, caro vicino-.
Alla vista dell’occhiata disperata che Alessio le rivolse, tutti scoppiarono in una generale risata divertita. Persino Filippo sembrava più rilassato rispetto a prima: Giulia gli sorrise ancora una volta, accarezzandogli il dorso della mano con la propria.
-Di quanto sei?- chiese ancora Pietro, dopo qualche attimo di silenzio. Sembrava aver superato del tutto la fase della sorpresa, in quel momento.
-Tre mesi, all’incirca-.
-Volevamo aspettare di essere più sicuri per dirlo in giro- aggiunse Filippo, a mo’ di scusa, abbassando per un attimo gli occhi e lasciandosi andare ad un sorriso timido.
Nicola aggrottò la fronte, come se ci fosse un dettaglio che gli stava ancora sfuggendo:
-Ma i vostri lo sanno?-.
-Solo i nostri genitori- Filippo mangiò l’ultimo boccone del suo gelato, gesticolando appena con la mano con cui teneva il cucchiaino – Non lo sanno neanche mio fratello o sua sorella-.
Giulia annuì in una muta conferma, mordendosi forte il labbro inferiore per non permettere ai sensi di colpa di tornare a farsi vivi ancora una volta. Dopo il giorno del matrimonio aveva ripensato spesso se dire a Lorenzo della gravidanza fosse stata la scelta azzeccata, soprattutto pensando che nemmeno sua sorella stessa ne era consapevole: continuava a chiederselo anche ora, dopo quasi due settimane. Non aveva confessato nemmeno a Filippo quel che gli aveva detto: temeva di farlo infuriare ulteriormente.
-Ecco perché siete così tranquilli, avete già sganciato la bomba- commentò Pietro, annuendo – Immagino la gioia dei futuri nonni-.
-Avresti dovuto vedere la gioia del futuro padre. È addirittura svenuto due volte- Giulia cercò di allontanare il pensiero di Lorenzo, occupando la propria mente con il ricordo di quando Filippo aveva saputo che era incinta. Si voltò verso di lui, e non poté fare a meno di non ridere quando incrociò il suo sguardo torvo e leggermente indispettito.
-Hai sempre avuto dei nervi di ferro, Filippo- persino Nicola rise, prima di fermarsi dopo che Caterina gli ebbe dato una pacca sulla spalla:
-Tu stai zitto. Avresti fatto meglio a svenire anche tu, almeno non avresti avuto le gambe funzionanti per scappartene a casa sua- disse, spostando gli occhi irritati su Alessio.
-Ehi, io ho cercato di fare da paciere, non c’entro nulla!-.
-Chiunque sarebbe svenuto al posto mio, chiunque- pose fine a quel dibattito Filippo, con un sospiro profondo.
-Come mai questa convinzione?- domandò Alessio, incuriosito.
Giulia rise ancora, più per il nervosismo in vista di ciò che stava per dire, che per reale divertimento:
-Perché già sapere di aspettare un figlio è una bella botta, figuriamoci scoprire di aspettarne due insieme-.
Il silenzio che seguì a quell’affermazione fu alquanto eloquente. Giulia fu sicura di poter leggere sulla facce di Pietro, Alessio e Nicola molto di più del senso di sorpresa avuto precedentemente: sembravano letteralmente traumatizzati.
Pietro fu il primo a ricomporsi, pur guardando sia Giulia che Filippo con occhi spalancati:
-Due mini Pippo? Mi domando cos’ho fatto di così male nella mia vita precedente per dover sopportare tutto questo in quella attuale-.
Filippo fu sul punto di dire qualcosa, ma dovette bloccarsi per la nuova ondata di risate che Pietro aveva causato con quell’affermazione. Dovette limitarsi a lanciargli un’occhiataccia, alla quale Pietro rispose ridendo ancora più forte.
-Per tornare al discorso da cui tutto è nato- Giulia cercò di riprendere fiato, prima di parlare e puntare un dito verso Pietro – Non mangio così tanto come tu credi-.
-Certo che no- la voce di Pietro non nascondeva affatto la vena sarcastica con cui stava rispondendo, né lasciava dubbi il sorriso eloquente stampato sulle labbra – Ma mi sarei aspettato di vedere quel gelato risucchiato in un sol boccone come un buco nero risucchia un pianeta-.
 
*
 
Il giorno successivo sembrò aver perso quasi del tutto l’aria estiva che si era respirata fino a ventiquattr’ore prima. Il cielo era ricoperto di nuvole grigie, e Giulia si stupì più di una volta del fatto che non era ancora piovuto da quella mattina.
L’umidità e l’afa persistevano comunque, ed era stato solo per quello che Giulia era riuscita a usare il vestito sbracciato che aveva messo da parte per il matrimonio di Fabio; era abbastanza sicura che, se si fosse alzato anche solo un po’ di vento, quella giornata si sarebbe tramutata in pochi minuti in un primo assaggio autunnale.
Lei e Filippo erano giunti a Torre San Donato direttamente quella mattina, di buon’ora. Avevano trovato ad attenderli alla stazione Simone e Mirta, già agghindati per la cerimonia del loro primogenito, ed agitati esattamente come lo erano stati solo due settimane prima, quando era stata la volta di Filippo.
Erano andati tutti in auto fino alla chiesa dove si sarebbe svolta la cerimonia, e dove Giulia aveva ritrovato anche sua sorella, invitata a sua volta; molti degli invitati li avevano preceduti, ed infine, poco prima dell’ora di pranzo, erano arrivati anche gli sposi. Osservando Fabio, a Giulia aveva dato l’impressione di essere ancor più in agitazione di quanto non lo era stato Filippo. Era evidente, però, che fosse altrettanto felice: lo aveva potuto intuire dal sorriso a stento trattenuto e dal modo in cui aveva guardato Aurora camminare lungo la navata, verso di lui.
La cerimonia non era durata più di un’ora e mezza, e nel giro di una mezz’ora avevano raggiunto il ristorante designato al rinfresco. Non ci avevano messo molto: si trovava in un paese vicino a Torre San Donato, e Giulia era rimasta colpita dall’eleganza dell’edificio di campagna – un vecchio mulino terragno ad acqua ristrutturato e ancora funzionante-, che costeggiava un canale.
Era rimasta ancor più piacevolmente sorpresa dal menu ideato apposta per la cerimonia: dopo un numero di portate che a Giulia parve infinito, potè ritenersi soddisfatta e colma come un uovo. Ringraziava solo il fatto che la nausea, almeno per quelle ore, avesse deciso di lasciarla in pace.
Aveva da poco poggiato il cucchiaino con cui aveva mangiato il dolce, che i camerieri avevano fatto un giro veloce per chiedere se qualcuno desiderasse un caffè finale. Filippo l’aveva accettato di buon grado, e lo stesso valeva per Ilaria, seduta di fianco alla sorella minore; Giulia si negò quel caffè malvolentieri: era una delle cose che più le mancava da quando aveva saputo di essere incinta.
-Davvero niente caffè per te?- il cameriere se ne era andato da pochi secondi, e Giulia si aspettava quella domanda di Ilaria da quando aveva detto che non avrebbe preso altro. Attese qualche attimo prima di girarsi verso sua sorella, che la stava fissando con aria sospettosa.
-Semplicemente non avevo voglia di berlo- disse, cercando di mantenere una facciata di serenità.
-Tu che non hai voglia di caffè? Seriamente?- rise Ilaria, continuando a guardarla insistentemente. Giulia si trattenne a stento dallo sbuffare, chiedendosi da quando sua sorella e Pietro fossero diventati così interessati nello studiare le sue abitudini alimentari.
-Magari ha mal di testa- si intromise Filippo, con talmente poca convinzione che, probabilmente, nemmeno lui avrebbe creduto ad una frase simile.
-O magari semplicemente non mi andava- replicò Giulia, gesticolando nervosamente. Doveva mantenere la calma, ma in quel frangente le sembrava tutto fuorché semplice.
Sua sorella continuò a studiarla in silenzio, con quello sguardo che le riservava sempre quando non era convinta di qualcosa e quando pensava che Giulia le stesse nascondendo qualche segreto. Ci aveva visto lungo per l’ennesima volta, e a quella consapevolezza Giulia dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a piangere dal nervosismo che la situazione – e gli ormoni- le stava causando.
Filippo sembrò cogliere quel suo cambio d’animo. Le lanciò un’occhiata lunga, apprensiva, prima di posarle il palmo della mano sulla gamba, come a volerle rendere ancor più palese la sua vicinanza.
Ilaria si era girata altrove, e forse a quel punto avrebbero fatto meglio a lasciar perdere il discorso, ma Giulia non ci rifletté molto oltre: forse sua sorella aveva già capito da tempo, e stava solo aspettando il momento di avere una conferma.
Dopo qualche minuto i caffè ordinati vennero portati; appena i camerieri si allontanarono, Giulia si schiarì la gola, e quando Ilaria si girò di nuovo verso di lei con aria interrogativa, si sentì mancare quasi del tutto lo slancio che l’aveva appena smossa:
-Ecco, io e Filippo volevamo dirti … -.
-Cosa volevate dire?-.
La voce le morì in gola, e si sentì sollevata dal fatto di non essere riuscita a dire altro. Fabio li aveva appena raggiunti alle spalle, e Giulia si era quasi ritrovata a sussultare nel riconoscere la sua voce.
-Qualcosa che magari avremmo detto anche a te. Tra qualche giorno- cercò subito di correggere il tiro Filippo, balbettando appena. Era rosso in faccia, e molto probabilmente aveva appena rischiato di strozzarsi con il suo stesso caffè.
-Tra qualche giorno?- Fabio si inginocchiò tra le sedie di Giulia ed Ilaria, evidentemente intenzionato a restare ancora un po’ – E perché non ora? Potrei sentirmi offeso. Ero venuto a fare quattro chiacchiere tranquille con voi, ed ora non volete condividere con lo sposo ciò di cui stavate parlando?-.
Filippo aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di rendersi conto di non riuscire a formulare alcuna scusa credibile. Giulia gli lanciò un’ultima occhiata, prima di schiarirsi la voce:
-È che … Magari sei impegnato, in fin dei conti è il tuo matrimonio- gli disse, cercando di dissuaderlo dal rimanere – A proposito, festa magnifica e ristorante ancor più magnifico-.
Le congratulazioni aveva avuto modo di fargliele appena finita la cerimonia, ma in quel momento non le venne in mente altro modo – se non quello di farlo parlare del matrimonio- per distrarlo. Avrebbe preferito di gran lunga che Fabio si allontanasse: non aveva idea se Filippo volesse parlare con lui subito, e forse il giorno del suo matrimonio non era nemmeno indicato come miglior momento per dargli quel genere di notizia. Il piano di Giulia andò in fumo quando Ilaria si ritrovò a sbuffare spazientita:
-Ma mi state mettendo ansia così-.
-Non è nulla di che- cercò di minimizzare Giulia, che a quel punto avrebbe preferito rimandare l’argomento anche con lei. Non fece in tempo a notare se le sue parole avessero sortito qualche effetto, che Filippo sembrò recuperare la voce e togliere qualsiasi dubbio su ciò che stavano per dire solo qualche minuto prima:
-Stiamo solo aspettando due gemelli-.
Giulia rimase immobile, troppo impegnata nello studiare le espressioni scioccate e gli occhi sgranati di Fabio ed Ilaria. Immaginava che anche Filippo non dovesse passarsela bene – se lo immaginava completamente in balia dell’imbarazzo, rosso come non mai-, ma non si girò ugualmente verso di lui. La tentazione di ridere di fronte alle bocche spalancate degli altri due era troppo forte, e ad un certo punto si chiese se sarebbe riuscita a trattenersi ancora per un po’.
-Cosa?- Fabio fu il primo a parlare, gli occhi ancora spalancati e il viso più pallido.
-Ma seriamente?- anche Ilaria sembrò ritrovare la voce, una mano portata a coprirsi la bocca con fare sconvolto – Oddio!-.
Fabio si alzò in piedi, e in quella frazione di tempo Giulia non seppe cosa pensare: poteva averla presa così male da volersene andare? O era forse la troppa euforia che lo rendeva inquieto e incapace di restare fermo?
-Ma potevate dirlo che stavo per diventare zio!- esclamò, a voce nemmeno troppo bassa. Giulia sperò che nessuno si fosse davvero accorto di ciò che aveva appena detto; non fece in tempo a chiedergli di abbassare la voce, che Fabio l’aveva già abbracciata forte.
La lasciò solo qualche secondo dopo, per andare verso il fratello minore; fu la volta di Ilaria di avvicinarsi a lei, abbracciandola a sua volta, con più calma ma ugualmente commossa. Giulia cercò di passarsi una mano sugli occhi nel modo più velato possibile.
-Da quanto lo sapete?- le domandò, non appena si fu allontanata un po’, sciogliendo l’abbraccio.
-Da luglio- Giulia si rimise più comoda sulla sedia, nel momento in cui Fabio ritornò a sistemarsi tra lei ed Ilaria, stavolta restando in piedi.
-E non ci avete detto nulla?- domandò, fintamente offeso.
-Volevamo avere qualche sicurezza in più prima di dirlo a tutti- gli rispose pacatamente Filippo, ancora rosso in faccia sia per l’emozione che per l’imbarazzo iniziale.
Giulia annuì, senza però dire nulla: con la coda dell’occhio, vide Aurora avvicinarsi sempre di più, in direzione di Fabio. In pochi minuti, molto probabilmente, li avrebbe raggiunti.
La osservò ondeggiare sui tacchi probabilmente parecchio alti, fasciata dal vestito bianco aderente e che le dava un tocco di eleganza. Era sicuramente una bella sposa, ma con l’aria di essere l’unica al mondo per potersene vantare.
-Eccoti dov’eri finito- come aveva previsto Giulia, Aurora arrivò alle spalle di Fabio poco dopo, appoggiando il mento alla sua spalla. Fabio le sorrise, girandosi verso di lei:
-Sentito la notizia?- a Giulia si gelò quasi il sangue, immaginando cosa Fabio avrebbe detto. Nonostante ciò, non fece nulla per fermarlo.
-Diventeremo zii!- proseguì Fabio, sorridendo ancor di più – Nemmeno un giorno da sposati, e mio fratello si è già assicurato che avremo dei nipoti a cui badare-.
-Ma non mi dire- Aurora si girò verso Giulia e Filippo, in un sorriso tirato che aveva ben poco di autentico ed entusiasta – Congratulazioni ad entrambi-.
Giulia si ritrovò ad annuire, rigidamente: più che le congratulazioni, aveva l’impressione che l’unica cosa che Aurora avesse voluto dire loro fossero improperi.
 


Giulia maledisse profondamente le nausee gravidiche e tutto ciò che veniva di conseguenza. Era letteralmente scappata nel bagno del ristorante, uno stanzino minuscolo – sebbene pulito e tenuto in ordine- e che era riservato sia agli uomini che alle donne. Aveva avuto perlomeno la fortuna di non trovarlo già occupato, quando i conati di vomito erano arrivati.
Ormai Filippo era abituato a quel genere di fughe, ma sperava di non aver spaventato troppo sua sorella. Non si sarebbe stupita di trovarla nell’antibagno, una volta aperta la porta per uscire a risciacquarsi il viso.
Giulia si appoggiò per qualche minuto alla parete piastrellata, cercando un po’ di refrigerio contro le mattonelle fredde. Inspirò ed espirò a lungo, cercando di calmarsi e cercando di allontanare il senso di nausea. Il vomito le aveva lasciato un sapore amaro in bocca che non vedeva l’ora di sciacquare via con un po’ d’acqua fresca; prima di uscire di lì, però, doveva perlomeno ritrovare le energie per riuscire a muoversi.
Cercò di asciugare le lacrime agli occhi che avevano fatto capolino a causa dello sforzo, sperando di non aver rovinato troppo il trucco leggero, poi si accostò per qualche secondo alla piccola finestra socchiusa che dava sul retro del ristorante. Da quel lato il sole non colpiva il locale, e Giulia, aprendola maggiormente, riusciva quasi a sentire una leggera brezza arrivarle addosso, rilassandola e asciugandole il sudore sulla fronte.
Non sapeva da quanto tempo era lì – dalla fretta aveva lasciato il cellulare al tavolo-, ma di certo erano passati diversi minuti. Cominciava a sentirsi meglio, anche se non escludeva che prima di sera un altro attacco di nausea avrebbe potuto benissimo ripresentarsi.
Sentì distrattamente la porta dell’antibagno aprirsi di colpo, e venire richiusa subito dopo. Per un attimo pensò che sua sorella doveva essere davvero accorsa in suo aiuto, ma sentendo che la persona che era appena entrata non la stava chiamando, intuì che doveva essere qualcun altro che, semplicemente, doveva usare il bagno.
Con riluttanza per dover abbandonare quel rivolo d’aria che le arrivava da quella finestra, Giulia si diresse verso la porta chiusa a chiave del bagno. Aveva già la mano sulla chiave, pronta a girarla, quando riconobbe la voce della persona che si trovava appena al di là della porta, nell’antibagno:
-Non può essere sempre la stessa storia ogni volta- Aurora parlava a bassa voce, probabilmente per non farsi sentire da chiunque stesse occupando il bagno in quel momento, ma non sufficientemente piano – Prima saltano fuori dicendo che devono sposarsi quando dovevamo farlo noi, ora quella è persino incinta … E ce lo dicono oggi. Che sorpresa, eh?-.
Giulia rimase pietrificata, letteralmente immobile e ora tutt’altro che decisa ad uscire. La tentazione di aprire la porta di colpo e prendere Aurora a schiaffi era forte, ma ancora più forte era l’istinto di rimanere lì in ascolto, e sentire che altro aveva da dire sul conto suo e di Filippo.
Aveva ben pochi dubbi sul fatto che, effettivamente, fossero proprio loro i soggetti di quel suo lamentarsi.
-Veramente sono io che ho chiesto loro cosa stesse succedendo- Giulia non si stupì molto nello scoprire che con Aurora c’era anche Fabio, stizzito e notevolmente irritato – Inizialmente non volevano nemmeno dirmelo-.
Si sentì sollevata nel constatare che almeno lui non li stava giudicando. Dal tono della sua voce sembrava quasi arrabbiato, tutt’altro che d’accordo con Aurora.
-In ogni caso lo avrebbero detto tra non molto- sbottò lei, con la stessa voce stridula che la caratterizzava ogni volta che si agitava.
Giulia sentì Fabio sospirare pesantemente:
-Non credo Giulia abbia fatto apposta a voler rimanere incinta proprio in questo periodo-.
-Però sono sempre loro ad essere al centro dell’attenzione. Trovano sempre qualcosa per essere protagonisti- proseguì imperterrita Aurora.
Giulia strinse le mani a pugno con forza, quasi conficcandosi le unghie nei palmi. Si sentiva così offesa e arrabbiata nei suoi confronti che dovette fare un notevole sforzo per non uscire subito di lì e sputarle in faccia tutti i peggiori insulti che le stavano venendo in mente.
-Sul serio la stai mettendo su questo piano?- a giudicare da come lo disse, persino Fabio sembrava sorpreso da ciò che aveva appena ascoltato – Mio fratello minore e mia cognata, cognata che peraltro conosco da anni, stanno per diventare genitori e tu sei convinta abbiano manie di protagonismo?-.
Giulia annuì tra sé e sé, incitando mentalmente Fabio.
La delusione cominciò a farsi strada in mezzo alla rabbia e al risentimento: con Aurora non aveva mai avuto molti contatti, ma non avrebbe mai detto di avere davanti una persona così gretta ed invidiosa. Proprio perché la loro era una conoscenza più che superficiale mai si sarebbe aspettata certe insinuazioni da parte sua.
Aurora riprese a parlare, lo stesso tono basso e lagnoso:
-Volevo solamente passare la giornata del nostro matrimonio senza sentirmi inferiore a nessuno-.
-Non siamo inferiori a nessuno- Fabio aveva atteso qualche secondo prima di parlare, la voce stanca e piena di rabbia mal repressa – Non mi sento inferiore a mio fratello se lui si è sposato e sta per avere dei figli prima di me. Sono solo felice per lui, e penso che prima o poi toccherà anche a me. Io alla sua età non avrei mai avuto il coraggio di vivere la vita che si è scelto Filippo-.
Aveva parlato senza esitazioni, segno che probabilmente quelle cose le pensava davvero, e non era solo il nervosismo verso Aurora a spingerlo a parlare in quel modo.
Giulia si sentì di nuovo sollevata nel sapere che Fabio non la pensava allo stesso modo di Aurora su di lei e Filippo: immaginava che, se così non fosse stato, la delusione sarebbe stata ben maggiore.
Sentì i passi di qualcuno – non riuscì a distinguere se fosse Fabio ad essersi mosso o Aurora- attraversare lo spazio stretto dell’antibagno. Forse stavano per uscire nuovamente.
-Dovresti provare a pensare che, magari, quella degli altri non è solo mania di protagonismo, ma solo voglia di condividere le cose belle che stanno capitando-.
Era stato di nuovo Fabio a parlare, e subito dopo Giulia avvertì distintamente il cigolio della porta, segno inequivocabile che almeno Fabio doveva essersene uscito. La porta che conduceva nel corridoio esterno sbatté; ne seguì un lungo silenzio che Giulia non seppe come interpretare.
Non aveva idea se anche Aurora se ne fosse uscita, o se Fabio sarebbe tornato indietro in pochi minuti. E lei non poteva rimanere ancora lì tanto a lungo ancora: probabilmente, dopo tutto il tempo in cui era rimasta lì, Filippo ed Ilaria dovevano aver cominciato a darla per dispersa.
Rimase ancora qualche secondo lì, esitante, prima di girare la chiave nella serratura, ed aprire infine la porta. Si guardò intorno guardinga, prima di capire ben presto che Fabio era l’unico ad essere uscito da lì.
Aurora, appoggiata contro la parete opposta, accanto ad un’altra finestra, la stava guardando con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, consapevole della figuraccia appena fatta. In una qualsiasi altra occasione, Giulia le sarebbe scoppiata a ridere in faccia, prima di avvicinarsi e mandarla a quel paese.
Ciò che fece, invece, sorprese persino se stessa: non fece alcun passo verso Aurora, che continuava ancora a guardarla con aria imbarazzata e sorpresa, incapace di formulare qualsiasi frase di scuse.
Giulia ricambiò lo sguardo, rivolgendole un sorriso radioso e totalmente finto, il nervoso che si trasformava silenziosamente in sarcasmo tagliente:
-Tranquilla, anche se ho sentito tutto quello che hai detto su di me e mio marito, rimarrà tutto tra queste quattro mura- Giulia parlò sorprendentemente in modo calmo, al limite della cordialità più che amichevole. Aurora continuò a rimanere in silenzio, guardandola con aria perplessa e sempre a disagio.
Giulia fece per andarsene, prima di bloccarsi davanti alla porta d’uscita; si girò lentamente, lo stesso sorriso affabile che avrebbe dovuto spaventare Aurora ben più di uno sguardo minaccioso:
-Sono convinta che il valore di una persona non si giudichi in base all’avere figli o meno. Sono ben altre le cose che dicono se si è una persona decente o no- iniziò a dire, con calma sovrannaturale – Comunque sì, devo dire che è davvero fantastico essere sempre la star al centro dell’attenzione di tutti. Tu invece non hai nemmeno le palle per dirmi cosa pensi di me in faccia-.
Abbassò la maniglia e se ne uscì, pestando i piedi a terra e senza più voltarsi indietro: non aveva alcuna voglia di ritrovarsi davanti agli occhi la faccia insignificante di Aurora ancora una volta.
 
*
 
Dalla finestra aperta sembrava arrivare a malapena una brezza leggera, che arieggiava a stento il salotto. Giulia si sistemò meglio sul divano, cercando di non finire proprio davanti all’aria generata dal ventilatore poggiato a terra, ma facendo in modo di non essere nemmeno troppo distante.
Il brutto tempo era durato solo il tempo di una giornata, e già dal giorno dopo il matrimonio il sole era tornato a splendere come non mai. Giulia aveva sperato fino all’ultimo l’arrivo anticipato dell’autunno: lavorare per ore intere, camminando e sudando per gran parte del giorno, cominciava a pesarle non poco. Il pensiero che l’indomani fosse già lunedì e l’attendesse l’ennesima settimana lavorativa la sconfortava come non mai.
-Eccoci qua di ritorno-.
Giulia alzò gli occhi su Caterina, appena rientrata nel salotto di casa sua, con Francesco ben saldo tra le braccia. A Giulia sfuggì un sorriso osservando quello che, a tutti gli effetti, considerava un nipote acquisito: cresceva a vista d’occhio, e ormai mancavano pochi mesi al suo primo compleanno. Più cresceva, più somigliava a Nicola, nei capelli biondissimi e nei lineamenti del viso, tranne che per gli occhi: il castano delle iridi era chiaramente ereditato da Caterina.
Richiamava Nicola anche nel carattere, per quel che aveva potuto notare fino a quel momento: Giulia non credeva di aver mai visto un neonato più silenzioso e tranquillo di Francesco. Sperava che quella fortuna potesse toccare anche a lei, perché si sarebbe volentieri evitata intere notti insonni per i pianti dei suoi figli.
-Già fatto? Ormai ci hai preso mano- commentò Giulia.
-Dovresti fare pratica anche tu, nel cambio dei pannolini- replicò Caterina, mentre raggiungeva il tavolino accanto al divano e riponeva delicatamente Francesco nella sdraietta reclinabile – Hai anche a disposizione un ignaro volontario. Che vuoi di più dalla vita?-.
-Non farmici pensare, vado nel panico anche solo al pensiero che dovrò fare tutto doppio- sospirò a fondo Giulia, con aria stanca. Non voleva pensare troppo a quanto tutto sarebbe cambiato nel giro di sei mesi: era un periodo futuro che riusciva a renderla felice già adesso e mandarla tremendamente nel panico allo stesso tempo.
Per un po’ di tempo nessuno disse nulla. Caterina era sprofondata a sua volta sul divano, tenendo gli occhi ben attenti su Francesco, che gorgogliava sommessamente mentre gli occhi gli si facevano sempre più pesanti per il sonno. Anche Giulia aveva chiuso gli occhi per un po’: il giorno prima lei e Filippo erano rientrati a Venezia con l’ultimo treno della sera, e le ore di sonno non le erano bastate per recuperare tutte le energie.
-C’è una cosa di cui vorrei parlare-.
Quasi sussultò nel sentire la voce di Caterina rompere il silenzio. Aveva parlato tranquillamente, eppure Giulia aveva subito sentito il battito del cuore accelerare. Aveva la netta sensazione che quelle parole precedessero soltanto qualcosa che non le sarebbe piaciuto, e per un attimo sperò tanto di essersele solo immaginate e che in realtà Caterina non avesse detto nulla.
-O meglio … - nonostante le speranze di Giulia, Caterina continuò a parlare – Eri tu che mi dovevi parlare di una cosa-.
-Di cosa?- Giulia si morse il labbro inferiore, pentendosi subito di aver fatto finta di non capire. Aveva intuito subito a cosa si stava riferendo Caterina, e proprio per quello ora sapeva che i suoi timori iniziali erano del tutto fondati.
Caterina gesticolò con una mano, e girandosi verso di lei:
-Al matrimonio avevi detto che dovevi spiegarmi una cosa. Su mio fratello e Filippo-.
-Dobbiamo parlarne proprio ora?- Giulia seppe di aver parlato con tono fin troppo esasperato, ma le importò poco. In quelle ultime due settimane aveva sperato che Caterina si fosse del tutto dimenticata di quel che si erano dette la sera del matrimonio: né lei né Giulia avevano più accennato a quel discorso, e Giulia aveva sperato che continuasse così ancora per un po’. La verità era che si era pentita amaramente di aver invitato Lorenzo, e di aver promesso a Caterina maggiore chiarezza.
-Sono passate due settimane, direi che è ora- insistette Caterina, aggrottando la fronte – Non sembri molto convinta-.
Giulia sospirò, agitandosi sul divano e sistemandosi più composta:
-È che potrebbe non essere ciò che ti aspetti- mormorò appena, rifiutandosi di guardare l’altra in faccia. Cominciava già a sentirsi in colpa, e sapeva già che quel momento sarebbe stato uno dei più difficili da affrontare. Combatté contro la tentazione di coprirsi il viso con le mani, e anche contro la voglia di scappare via.
-Che vuoi dire?-.
Anche se non la stava guardando, Giulia riusciva perfettamente ad immaginarsi lo sguardo confuso dell’amica.
-Che è una storia lunga, e che speravo di non doverti raccontare- replicò Giulia, sollevando le gambe e piegandole contro il petto, un braccio a circondarle all’altezza delle ginocchia. Si maledisse mentalmente per non aver parlato prima a Caterina dello strano rapporto che aveva costruito con Lorenzo, e in alternativa per non esserselo tenuto per sé ancora per qualche anno.
-Dopo queste premesse credo che a maggior ragione dovresti parlarmene- Caterina sembrava quanto mai disorientata, ormai a tratti irritata dalla reticenza dell’altra. A Giulia quel particolare piacque ancora meno.
-Non è facile-.
-Provaci lo stesso-.
Stavolta le mani sul viso Giulia se le passò sul serio. Chiuse per un attimo gli occhi, cercando di fare mente locale; doveva trovare il modo più gentile possibile per non far apparire Lorenzo troppo in cattiva luce, e per non far sembrare la cosa più strana di quel che già era.
Sperò che Nicola se ne stesse fuori casa ancora per un po’, e che non ripiombasse proprio durante quella discussione: non aveva nessuna voglia di far partecipe anche lui di quello che stava per dire.
-Anni fa tuo fratello provava qualcosa per me- Giulia riuscì ad articolare quelle parole dopo un tempo che le parve infinito, e con una fatica che non avrebbe pensato possibile – Filippo lo ha saputo già all’epoca, e non l’aveva presa benissimo. Anche se di fatto non c’è mai stato niente tra me e Lorenzo-.
Il silenzio che seguì quelle parole fu il più tetro e pesante che Giulia si era mai ritrovata ad affrontare. Cercò di evitare ancora lo sguardo di Caterina, spostando gli occhi in qualsiasi direzione che non prevedesse il viso dell’altra, ma alla fine non resistette oltre.
Interpretare ciò che il volto e l’espressione di Caterina sembravano voler dire non fu facile. Ad un’occhiata rapida sarebbe potuta sembrare impassibile, ma sotto quell’apparenza Giulia vi leggeva la confusione più totale; temeva che, oltre a quella, ci fosse anche la rabbia.
-In che senso Lorenzo provava qualcosa per te? Cosa provava?- chiese, scuotendo appena la testa. Era evidente che avesse già capito benissimo cosa aveva legato suo fratello a Giulia, ma era altrettanto evidente come cercasse di trovare qualcosa che lo smentisse.
Giulia si morse ancora il labbro, il cuore che le batteva a mille e la testa che le girava. Il momento in cui, il giorno prima, aveva dovuto starsene ad ascoltare le accuse che Aurora aveva mosso a lei e Filippo sembrava essere, in confronto a quello che stava vivendo in quel momento, ciò che più di idilliaco poteva esserci al mondo.
Sapeva che quello che avrebbe detto sarebbe stato un pugnale conficcato dritto nel petto di Caterina, ma arrivate a quel punto mentire o negare qualcosa che ormai aveva rivelato quasi del tutto sarebbe stato solo un prolungare l’agonia.
-Gli piacevo- esalò, stringendosi contro il petto le gambe piegate.
Caterina sembrò accusare il colpo; distolse lo sguardo subito, rimanendo in silenzio. Non disse nulla anche quando si alzò, muovendo pochi passi nervosi nello spazio vuoto del salotto.
-E Filippo lo sapeva?- domandò infine, a mezza voce, senza nemmeno fermarsi. Giulia fu tentata di pregarla di sedersi di nuovo, ma preferì lasciare perdere subito:
-Gliel’ho detto quando l’ho scoperto- disse lentamente, riportando alla mente il lontano ricordo di quella giornata – Ero sconvolta, e avevo bisogno di dirlo a qualcuno-.
Caterina teneva le braccia incrociate contro il petto, e ancora una volta la sua espressione a Giulia sembrò impassibile solo in parte. Riusciva a leggere il nervoso che doveva avere addosso in ogni singolo gesto del suo corpo.
-Quando è successo?-.
Si era aspettata quella domanda, ma Giulia ancora non aveva pensato a quale sarebbe stata la risposta migliore o, come temeva, quella meno peggio.
Non rispose, e fu solo a quel punto che Caterina si fermò, piazzandosi davanti a lei e guardandola con stizza:
-Quando?-.
-Anni fa- farfugliò Giulia. Quella mezza verità era la scorciatoia migliore, ma sapeva anche che a Caterina non sarebbe mai bastata. La osservò mentre sbuffava, portando le mani sui fianchi e sentendo gli occhi scuri e agitati su di sé:
-Giulia, se devi parlarmi di questa cosa almeno parlamene sul serio-.
Ebbe pochi secondi per decidere: mentire di nuovo, dopo tutti quegli anni di silenzio in cui aveva tenuto volontariamente Caterina all’oscuro, o dire la verità fino in fondo, rovinando per sempre l’immagine di Lorenzo che Caterina doveva avere.
Sapeva solo che, in entrambi i casi, alla fine il senso di colpa sarebbe stato presente ugualmente.
-Eravamo ancora al liceo. Stavamo finendo la terza superiore-.
Giulia quasi sputò le parole, senza rifletterci. Non sapeva bene se averlo detto così in fretta e senza la giusta delicatezza potesse essere sul serio la mossa migliore.
Caterina rimase ferma immobile davanti a lei, l’espressione del viso che piano piano mutava: sgranò gli occhi, le gote prima pallide ora arrossate come se avesse corso per ore sotto il sole. Giulia non si stupì molto nel rendersi conto che avrebbe cominciato a urlare di lì a qualche secondo.
-Me lo dici dopo tutto questo tempo?- Caterina si interruppe solo perché urlando a voce troppo alta avrebbe svegliato Francesco, che già aveva preso a muoversi risvegliandosi. Gli lanciò un’occhiata, ma rimase dov’era, sforzandosi di tenere basso il tono:
-Perché cazzo non lo hai detto anche a me, oltre a Filippo?-.
Giulia avrebbe quasi preferito sentirla urlare per davvero ed arrabbiarsi come era suo diritto fare. Quel tono sferzante, scioccato e a tratti sorpreso la metteva più a disagio che doverla ascoltare mentre gridava.
-Se tu non mi avessi fatto quelle domande al matrimonio credo che non te ne avrei parlato neanche adesso- replicò, sincera.
Il viso di Caterina stavolta tradì un senso di delusione che riuscì persino a far andare la rabbia in secondo piano:
-Non ti fidavi di me?-.
Giulia sospirò a fondo, alzandosi a sua volta dal divano. Lo sguardo ferito di Caterina non la stava aiutando, e si rese conto che, forse, le sue motivazioni per averla tenuta all’oscuro non erano così intuibili come aveva sempre creduto.
-Mi fidavo, ma saperlo avrebbe solo complicato ulteriormente le cose tra te e tuo fratello- rispose Giulia cautamente, avvicinandosi, e cercando di spiegarsi il meglio possibile – Quello che era successo ti avrebbe fatta sentire in colpa, e poi speravo che fosse solo una cosa passeggiera. Che fosse stata colpa dell’alcool-.
Le parole le erano uscite in maniera così naturale che Giulia si accorse troppo tardi di aver proferito dettagli che avrebbe preferito tacere a Caterina. Si morse il labbro inferiore, cercando di pensare ad una possibile scappatoia, ma si rese conto che era già troppo tardi: Caterina la stava di nuovo guardando con la fronte aggrottata:
-Colpa dell’alcool?- ripeté, incerta – Come fai a sapere per certo che a lui piacevi? Te l’aveva detto?-.
-Sì, me l’aveva detto-.
Giulia si domandò come dovesse essere per Caterina, cosa dovesse rappresentare quel momento: stava davvero peggiorando l’opinione già bassa che aveva di suo fratello? Sembrava più sconvolta dal fatto di non aver saputo nulla di quella storia per più di sei anni, che non per il fatto che suo fratello potesse essersi dichiarato a Giulia quando non era nemmeno ancora maggiorenne. Forse doveva realizzare ancora il tutto, o forse non si meravigliava davvero che Lorenzo potesse essere arrivato così a tanto in passato.
-Credo fosse fine aprile, una notte in cui sono rimasta da te- riprese Giulia, le memorie di quella sera che erano rimaste tanto a lungo silenti, ma che le erano rimaste impresse fino a quel momento – È tornato a casa un po’ ubriaco. Tu stavi già dormendo, e mi ha incrociata in corridoio mentre ero da sola… E me l’ha detto-.
Evitò di parlare anche di quel che era successo dopo: dubitava che Caterina sarebbe riuscita a trattenersi dall’urlare, stavolta, se avesse anche saputo che Lorenzo le aveva chiesto di dormire con lui, quella notte. E poi, non voleva iniettarle il seme del dubbio, facendole credere che tra lei e Lorenzo potesse esserci stato qualcosa di fisico.
-Magari lo ha detto solo perché era ubriaco- Caterina vagò per il salotto, chiudendo appena gli occhi e portandosi le mani alla fronte: sembrava stremata – Magari ha mentito, non lo so!-.
“Avrei tanto voluto fosse così”.
Caterina si fermò dopo qualche attimo, sospirando a fondo:
-Ma dopo quel periodo non l’hai più rivisto per secoli-.
-L’ho rivisto solo quando è nato Francesco, e al mio matrimonio- confermò Giulia, annuendo. Quando ebbe finito di parlare, già sapeva quale sarebbe stata la domanda successiva di Caterina:
-Cosa ti ha detto al matrimonio, quando siete rimasti da soli?-.
-Mi ha chiesto se fossi convinta della decisione di sposarmi- rispose Giulia, scuotendo la testa, e sentendosi ancora accendere di rabbia nel ripensare a quel momento. Aveva cercato di allontanare la memoria del ballo che aveva condiviso con Lorenzo per tutti i giorni di quelle ultime due settimane, per non dover rivivere il nervoso che aveva provato quella sera. Adesso, a ripensarci dopo tutti quei giorni, sentiva ancora la stessa rabbia per la supponenza che Lorenzo le aveva riservato.
-Pensi che provi ancora qualcosa per te?-.
Giulia alzò gli occhi verso Caterina. Non riuscì ad interpretare ciò che si celava dietro quella sua domanda: l’ira che l’aveva animata poco prima sembrava essersi smorzata, forse sommersa più dalla confusione e il timore.
-Onestamente non so cosa pensare- mentì Giulia. Dirle subito che era più propensa a pensare che Lorenzo provasse ancora qualcosa per lei era fin troppo, anche per il fatto che le sue potevano solo essere sensazioni. Di certo Lorenzo non si era esposto tanto quanto aveva fatto quella notte di primavera di sei anni prima.
Caterina annuì silenziosamente, facendo qualche passo verso il divano. Si fermò a controllare Francesco – che aveva già smesso di agitarsi-, prima di sedersi di nuovo sul bordo del divano, tenendo una mano sui capelli biondi del figlio.
-Gli ho anche detto che sono incinta-.
Giulia lo disse senza pensarci troppo, e solo l’attimo successivo si rese conto che, forse, non era stata la migliore cosa da dire. Forse non era stata nemmeno la mossa più astuta che aveva avuto a disposizione per tenere a distanza Lorenzo.
Caterina si voltò verso di lei sgranando gli occhi, incredula:
-Sei impazzita?-.
-Dovevo pur dirgli qualcosa per farlo desistere dal provarci con me- cercò di giustificarsi Giulia, gesticolando imbarazzata con le mani in aria. In realtà doveva ammettere che Caterina non aveva tutti i torti: cominciava seriamente a pensare di non aver ragionato a sufficienza quella sera.
-D’altro canto prima o poi l’avrebbe saputo comunque- sospirò Caterina, stropicciandosi gli occhi con stanchezza – Avresti dovuto dirmi di tutta questa storia-.
-Lo so- Giulia la raggiunse sul divano, lo sguardo perso davanti a sé – Non volevo creare problemi tra te e tuo fratello-.
Calò il silenzio, come se finalmente una tregua fosse stata raggiunta. Giulia percepiva comunque la tensione di Caterina: gliela leggeva nei respiri veloci ed agitati, e nello sguardo che teneva fisso davanti a sé, come se l’unica cosa che potesse vedere fossero solamente i pensieri che, in quel momento, dovevano affollarle la mente.
Giulia si prese quei minuti di calma per cercare di riflettere su quello che si erano appena dette. Forse, in fin dei conti, si sarebbe aspettata una reazione ben peggiore da parte di Caterina; o forse non aveva mai davvero pensato a come avrebbe potuto reagire ad una scoperta del genere.
Di certo le ci sarebbe voluto tempo per digerire il tutto, e per non condannare del tutto suo fratello. Giulia si sentì in colpa: doveva ammettere che, al posto di Caterina, si sarebbe profondamente turbata.
Il silenzio sembrò durare così a lungo che, quando Caterina parlò, a Giulia sembrò quasi di esserselo solo immaginato:
-Vorrei parlare con lui-.
Caterina aveva parlato a bassa voce e con calma, con insolita freddezza; per i primi secondi Giulia sperò di aver capito male, ma la brutta sensazione che l’aveva appena ammantata non lasciava dubbi del caso.
-Di quel che ti ho detto?- chiese esitante.
Caterina si girò verso di lei, alzando le spalle:
-Voglio solo fargli sapere che ora so tutto-.
Quello era un risvolto che Giulia non aveva affatto considerato. Si dette dell’idiota mentalmente per non averci pensato prima.
-Non è necessario- cercò di dissuaderla, anche se in cuor suo sapeva che sarebbe stato piuttosto inutile – Se succederà altro tra me e lui te lo dirò. Ora che sai tutto dal principio non c’è motivo perché te lo tenga nascosto. Ma parlargli … -.
La voce le morì in gola. Non voleva che Lorenzo venisse a conoscenza che sua sorella sapeva cose di lui che, sicuramente, non avrebbe mai voluto rivelarle. A quel punto si sentì in colpa anche nei suoi confronti.
-Non lo so, non so se è una buona idea- proseguì, la voce incerta – Ormai non sono più una ragazzina, sono sposata e non provo nulla per lui, non l’ho mai ricambiato. Magari se ne è reso conto-.
Si voltò a sua volta verso Caterina, incrociandone gli occhi scuri; sapeva che non l’aveva convinta affatto, ma implorare, arrivata a quel punto, non avrebbe nemmeno svilito troppo la sua dignità:
-Non farlo-.
Caterina tirò un sospiro, con aria dubbiosa. Si prese il mento tra le dita di una mano, ancora con la stessa aria pensierosa; forse, almeno in parte, le suppliche di Giulia avevano fatto vacillare la sua determinazione.
-Ci penserò- disse infine, con un altro sospiro stanco – So solo che questa storia non finisce qua-.
Giulia trovò quelle parole tutt’altro che rassicuranti: forse non era stata così convincente come aveva creduto qualche secondo prima. In qualunque caso, si ritrovò d’accordo con Caterina almeno su una cosa: nel bene o nel male, di sicuro quella storia non sarebbe finita affatto.
 

 


 
NOTE DELLE AUTRICI
Questo capitolo non ha nel titolo la parola "revelations" a caso, e infatti ci sono state diverse rivelazioni 😂 Le prime due riguardano la gravidanza di Giulia. Nella prima occasione, seppur con intenzioni scherzose e tirando solo ad indovinare, a far uscire la notizia è Pietro.
Di diversa portata è invece la notizia data al matrimonio di Fabio e Aurora: un po' costretti dalle circostanze, Giulia e Filippo danno la notizia della gravidanza. Con reazioni sorprese e felici, tranne che di una persona 😂 che Giulia scopre ascoltando involontariamente qualche pettegolezzo mentre è chiusa in bagno (Cose che spesso capitano ai matrimoni, true story) 😂
Ed infine, arriviamo al vero nocciolo della questione: per Giulia giunge il momento di affrontare un’altra conversazione, questa volta con Caterina e dall’argomento decisamente più ostico. Caterina infatti non ha dimenticato quel discorso relativo a suo fratello e Filippo lasciato in sospeso il giorno nel matrimonio di quest’ultimo. Dopo molti tentennamenti e timori, Giulia rivela i sentimenti che Lorenzo provava per lei anni prima, e l’amica di certo non rimane proprio impassibile. Caterina, possiamo dirlo, è giustamente un po' scioccata dal racconto di Giulia, e probabilmente anche parecchio arrabbiata nei confronti del fratello... Da cui, probabilmente, la decisione di volergli parlare, nonostante Giulia vorrebbe soltanto sotterrare ancora una volta questa storia. Ci sarà davvero questa conversazione tra fratelli? Magari lo scopriremo in futuro!
Ci lasciamo alle spalle questo capitolo, in fin dei conti piuttosto leggero, e preparatevi psicologicamente non solo al prossimo capitolo (che avrà diverse bombe al suo interno), ma in generale all'ultima decina che ci attende. Non sarà proprio un viaggio allegro, ma qualcosa di piuttosto malinconico 🤐
A mercoledì 26 ottobre con l'inizio del capitolo 31!
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 31 - Just breathe ***


CAPITOLO 31 - JUST BREATHE



 
“Why do I and everyone I love pick people who treat us like we're nothing?”
“We accept the love we think we deserve” [1]
 

Ottobre era passato nella calma placida ed annoiata che ormai caratterizzava ogni mese da un po’ di tempo a quella parte. Mancavano solo cinque giorni all’inizio di novembre, ma il freddo era già arrivato: quando Pietro, una volta entrato nel palazzo, si era tolto i guanti, si era accorto che le mani erano comunque gelate.
Avrebbe comunque preferito passare la serata fuori, piuttosto che tornare a casa in quel momento, con la consapevolezza di ritrovarvi Giada. Era sabato sera, e non ci sarebbe stato alcun motivo per cui lei non potesse trovarsi già a casa: d’altro canto era lui ad essere sotto accusa di passare gran parte dei weekend in giro con gli amici, piuttosto che a casa con lei.
Giada, in fin dei conti, non aveva tutti i torti, Pietro dovette ammetterlo a se stesso per l’ennesima volta mentre saliva gli scalini per arrivare al loro appartamento – al suo appartamento, perché ancora non riusciva a dire che quella casa fosse loro, sua e di Giada-: ormai ogni occasione era buona per passare altrove più ore possibili. Stava diventando esperto di neonati, visto la quantità di ore che aveva passato ultimamente da Caterina e Nicola, e cominciava a cavarsela bene persino in fatto di cucina spagnola grazie alle lezioni che Fernando gli impartiva quando lo invitava da lui.
Estrasse dalla tasca della giacca le chiavi dell’appartamento, inserendole nella toppa e girando; la porta emise il solito cigolio che produceva nell’aprirsi, ma Pietro non vi badò più di tanto. L’unica cosa che lo infastidiva era che quel cigolio avrebbe avvisato Giada del suo ritorno a casa.
Percorse velocemente il corridoio, dopo essersi tolto la giacca e averla riposta sull’appendiabiti in ingresso, dirigendosi infine in camera da letto. Non si stupì di ritrovare Giada alla scrivania, con la lampada da tavolo accesa, china su un mucchio di fogli che dovevano essere i compiti dell’ultimo parziale dei suoi studenti. Probabilmente doveva aver passato gran parte del pomeriggio a correggerli.
Si avvicinò piano alla scrivania, senza dire nulla: era sicuro che Giada fosse consapevole della sua presenza, ed era altrettanto sicuro che quel suo volerlo ignorare il più a lungo possibile fosse altrettanto voluto.
-Ciao- Pietro si lasciò sfuggire quel saluto appena borbottato, troppo a disagio per continuare a stare in silenzio. Non si era ancora abituato a quei lunghi silenzi che avevano cominciato a crearsi tra di loro da qualche mese.
Giada sospirò a fondo, continuando a tenere gli occhi incollati sui compiti da correggere, i lunghi capelli biondi stretti in una coda bassa per non lasciare che le cadessero davanti agli occhi:
-Ti sei divertito da Filippo e Giulia?-.
Pietro si trattenne a stento dal roteare gli occhi al cielo. Era sicuro che appena avrebbe aperto bocca, Giada avrebbe fatto in modo di farlo sentire in colpa. Ormai capitava quasi tutte le volte in cui lui usciva nel weekend, quando in quei due giorni in cui nessuno di loro due doveva lavorare Pietro non cercava altro che una scusa per allontanarsi da lei.
Gli faceva piacere passare più tempo che poteva con i suoi amici – aveva bisogno di sopperire alla mancanza di avere qualcuno davvero vicino, ultimamente-, ma in quel momento si ricordò anche dell’altro motivo per cui aveva cominciato a passare tutte quelle ore fuori casa.
Era il modo più semplice per tornare a respirare, per dimenticarsi e lasciare da parte la sua vita fallimentare per qualche ora, senza dover piantare gli occhi su Giada e leggervi dentro tutto il rancore che cominciava a dimostrargli per tutte le sue assenze e il suo distacco sempre più palpabile.
-Sì- rispose, stavolta senza indugi – Direi che mi sono divertito abbastanza-.


 
La cena era stata piuttosto silenziosa, e a Pietro andava bene così. Aveva tenuto gli occhi abbassati sul proprio piatto per gran parte del tempo, anche se sapeva che Giada gli aveva lanciato delle occhiate più di qualche volta. Forse aveva tentato di dirgli qualcosa, di parlargli, ma alla fine doveva aver rinunciato.
Non era una novità, ormai, che Giada avesse cominciato a rinunciare a parlargli. Pietro non avrebbe saputo spiegare cosa fosse cambiato negli ultimi mesi: sapeva solo che qualcosa era scattato, e le loro strade, già di per sé diverse, avevano preso a biforcarsi sempre di più. Vivevano sempre sotto lo stesso tetto, eppure a Pietro sembrava di abitare con un’estranea. In diversi momenti si era ritrovato a ripensare con nostalgia ai tempi in cui c’era Alessio a vivere lì: non rimpiangeva le notti agitate in cui ci si rigirava nel letto per il suo amore impossibile, ma gli mancava del tutto l’aria allegra che più di una volta Alessio aveva portato tra quei muri.
Ora, invece, con lui non c’era né Alessio – che vedeva solo sporadiche volte, e mai da soli-, e in un certo senso non c’era nemmeno Giada.
Era sabato sera, ma Pietro sapeva che non sarebbero andati da nessuna parte dopo cena. Immaginava che Giada fosse troppo stanca, dopo aver passato ore a correggere esami, e in fin dei conti nemmeno lui aveva troppa voglia di uscire di nuovo.
La camera da letto era diventata un buon rifugio per quel tipo di serate. Pietro si era steso sul letto appena finita la cena, aveva preso in mano il libro che stava leggendo, e si era isolato nel mondo racchiuso tra quelle pagine. Talvolta sostituiva la lettura con la scrittura degli articoli per Il Mattino di Venezia, ma per quella sera poteva andare bene anche distrarsi in maniera meno impegnativa.
Doveva essere passata almeno mezz’ora, quando Pietro percepì i passi di Giada avvicinarsi sempre di più alla stanza. Si ritrovò ad alzare gli occhi proprio nell’istante in cui lei fece capolino sulla soglia, l’aria incerta che non si addiceva per niente alla sua figura distinta e risoluta.
-Ti disturbo se mi metto lì?- Giada fece cenno con il capo alla metà del letto lasciata libera. Non sembrava troppo entusiasta di doverlo chiedere – probabilmente doveva essersi sentita quasi umiliata nel chiedere il permesso-, ma non sembrava nemmeno intenzionata a cedere. Pietro cercò di reprimere il senso di incertezza, e sperando di non aver lasciato trasparire troppa sorpresa:
-No, ovvio che no-.
La verità era che invece sì, si sarebbe sentito a disagio eccome con lei lì, così vicina. Era una sensazione che ormai accompagnava la loro crisi spesso e volentieri: erano rari i momenti in cui, ormai, Pietro accettava di buon grado la vicinanza di Giada.
Riabbassò gli occhi sul libro, anche se non riprese a leggere sul serio. Avvertì Giada camminare verso il letto, e percepì lo spostamento del suo peso sul materasso, di fianco a lui ma abbastanza distante da non sfiorarlo. Non erano sposati, eppure a Pietro parve di essere sul serio l’altra metà di una coppia sull’orlo del divorzio.
-Hai ancora mal di stomaco?- le chiese, per non sembrare del tutto menefreghista. Giada non era mai stata di salute cagionevole, eppure nell’ultima settimana Pietro l’aveva vista vomitare più volte.
-Solo un po’ di mal di testa- liquidò la questione lei, in fretta. Pietro non restò a guardarla a lungo, riportando gli occhi verso la pagina stampata del libro.
Si sentiva gli occhi chiari di Giada addosso, e non si meravigliò quando, poco dopo, la sentì rompere ancora una volta il silenzio:
-Vuoi davvero continuare a far finta di leggere?- gli chiese, lievemente irritata.
-Vuoi proporre qualcos’altro?- sbuffò a sua volta Pietro, alzando gli occhi al soffitto con fare altrettanto seccato.
Giada lo guardò con aria di sfida:
-In effetti sì-.
Cercò di reprimere il senso di meraviglia – meraviglia misto a sgomento-, quando Giada gli si fece notevolmente più vicina, allungando una mano verso il libro e buttandolo senza troppa grazia ai piedi del letto. Pietro soffocò a stento un’imprecazione, sapendo che, da quel momento in poi, la serata avrebbe preso una piega ancor peggiore di quel che si sarebbe aspettato.
Giada gli si era messa a cavalcioni ancor prima che lui potesse fare qualsiasi cosa per evitare maggiore vicinanza a quella che già c’era tra loro; spostò le mani altrove, lungo i fianchi e sul materasso, sperando che anche quello fosse un segnale abbastanza esplicito per farle capire che non aveva la minima intenzione di stare al suo gioco.
Pietro cercò di divincolarsi con maggiore forza quando lei si chinò in avanti per baciarlo, mentre faceva scorrere le mani fino all’orlo della felpa. Non aveva intenzione di farle del male, ma dovette posarle le mani sulle spalle per allontanarla da sé, e riuscire finalmente ad alzarsi dal letto. Giada ricadde scompostamente sul materasso, rossa in viso e con i capelli scompigliati, gli occhi pieni di rabbia.
-Non ti era abbastanza chiaro che non volessi fare nulla di simile?- le sibilò con ira Pietro, cercando di risistemarsi gli abiti, e guardandola con astio.
Giada ricambiò l’occhiata con la stessa espressione che avrebbe avuto davanti ad un insulto appena subito:
-Perché?-
-Perché non mi va!-.
Pietro fece fatica a trattenersi dall’urlare, e fece ancor più fatica di fronte allo sbuffo derisorio dell’altra:
-Come ogni giorno. E da quanto? Rinfrescami la memoria- allargò le braccia come ad invitare Pietro a fare ciò che gli aveva appena chiesto – Almeno due settimane? E altre due prima di quelle-.
-Sul serio vuoi aprire una discussione su questo?-.
Pietro la guardò esasperato, anche se non stentava a credere che Giada volesse davvero affrontare quell’argomento a quell’ora di sabato sera. Non si dava mai per vinta in nessun caso, e non accettava mai di perdere: di sicuro il fatto che dovesse sentirsi indesiderata come non mai prima di quel momento, doveva bruciarle parecchio.
-Voglio aprire una discussione sul fatto che mi ignori. Sono stanca di contare meno di un’ombra per te- Giada si alzò a sua volta, puntando il dito accusatore contro Pietro – Mi trascuri, non mi degni nemmeno di un’occhiata in certi momenti!-.
Pietro non si sentì colto alla sprovvista: sapeva che prima o poi gliel’avrebbe detto chiaro e tondo che, ormai, la loro relazione si basava sulla distanza.
Giada lo guardava con tutto il rancore che doveva aver cresciuto dentro di sé per giorni. In fin dei conti, Pietro non riusciva a darle del tutto torto: probabilmente, al suo posto, anche lui si sarebbe sentito allo stesso modo. E non poté fare a meno di pensare che, per quanto arduo potesse essere ammetterlo, quella situazione era solo colpa sua. Fu solo l’orgoglio e il nervosismo del momento a farlo restare sulla difensiva:
-Esattamente cosa vorresti sentirti dire, ora?- si strinse le braccia contro il petto, scuotendo il capo – È un periodo in cui va così, Giada, e non ci posso fare nulla-.
-È da quando sono venuta a vivere qua che va così-.
Aveva di nuovo ragione, e Pietro se ne era già reso conto da molto più tempo di lei. Forse, dopo tutto quel tempo, cominciava ad aprire gli occhi anche Giada sulla loro situazione.
-Non mi guardi, e a malapena mi ascolti quando ti parlo- continuò lei, imperterrita, la voce piena di esasperazione.
-Forse non ti ascolto perché hai delle idee del cazzo- borbottò Pietro, colto sul vivo.
Sapeva che arrivati a quel punto della discussione Giada avrebbe voluto tornare a parlare della sua idea di cambiare casa, e rinfacciargli il fatto di non averla nemmeno voluto ascoltare. E Pietro sapeva anche che, se fossero arrivati a litigare su quell’argomento, non si sarebbero parlati per almeno i due giorni successivi.
-Idee del cazzo?- Giada lo guardò spalancando gli occhi, prima di ridurli di nuovo a due fessure – Scusa se per te fare progetti sul nostro futuro equivale ad avere idee del cazzo-.
Nostro futuro.
Quella definizione – quella strana definizione, insolita e che Pietro ormai non riteneva più adatta riferita a loro due insieme- gli ronzò nelle orecchie, come una litania che rimaneva stampata in mente controvoglia. Non disse nulla, limitandosi al silenzio. Non si meravigliò nemmeno quando, di fronte a quella risposta muta che lasciava comunicare qualsiasi cosa, Giada preferì andarsene da quella stanza. La osservò mentre lo oltrepassava, gli occhi abbassati e – Pietro ci avrebbe scommesso- colmi solamente di rabbia.
Era rimasto finalmente solo, come avrebbe voluto fosse fin dall’inizio, e come avrebbe dovuto essere sempre. Si ricordò del primo incontro che aveva avuto con Giada fuori dall’università: era stata la sera in cui aveva cercato di scappare da Alessio e da quel che provava, finendo nella rete di un’altra persona. Forse, per qualche attimo negli ultimi quattro anni, aveva davvero pensato che con Giada sarebbe potuto andare bene, che sarebbe riuscito a soffocare una parte di sé che non accettava; era stata una falsa speranza, qualcosa a cui si era aggrappato nei momenti più bui solo per farsi meno pena.
Ora lo sapeva, e se ne rendeva conto più che mai: un vero futuro, con lei, da passare insieme, non ci sarebbe stato mai.
 
*
 
-Hai ripreso l’università, quindi?-.
Alla cena mancava un’ora circa, e nel salotto della casa c’erano solo Lorenzo e Caterina. Avevano preso posto sul divano, guardando distrattamente la televisione. Entrambi i loro genitori si erano rinchiusi in cucina da poco, per preparare la cena di quella sera.
Era da tempo che non tornava a Torre San Donato, ma non l’aveva trovata cambiata. Era rimasto il paese della sua infanzia e della sua adolescenza, e il luogo dove i suoi genitori avevano cresciuto lei e suo fratello, e il luogo dove loro vivevano ancora.
Per quanto si sentisse contenta di essere tornata solo per quel weekend, a Caterina tornava sempre il pensiero di Francesco: era la prima volta da quando era nato che si separava da lui, e sebbene sapesse che Nicola se la sarebbe cavata bene, non poteva trattenersi dall’essere in pensiero. D’altro canto, da quando aveva iniziato la magistrale all’università da settembre, aveva dovuto affrontare nuovi ritmi: non riusciva a seguire tutte le lezioni a causa del lavoro e del figlio, ma aveva comunque cominciato a passare più ore fuori casa rispetto al solito. Aveva anche cominciato a provare una stanchezza immensa. Sperava che quel breve weekend a Torre San Donato la aiutasse perlomeno a dormire qualche ora in più, a recuperare le forze e staccare per un paio di giorni da quel ritmo folle a cui aveva cominciato ad andare la sua vita.
Aveva seriamente creduto alla possibilità di riposarsi sul serio, almeno fino a quando, quel sabato pomeriggio, sua madre non l’aveva avvisata dell’arrivo di Lorenzo per la cena di quella sera.
Inizialmente aveva recepito quella notizia in maniera quasi impassibile, con sua stessa sorpresa. Non vedeva suo fratello da agosto – dal giorno del matrimonio di Giulia e Filippo-, e non l’aveva nemmeno più sentito per telefono.
Poi, un momento dopo, si era ricordata di quello che Giulia le aveva detto, e l’ira verso suo fratello era tornata viva esattamente come lo era stata nel momento stesso in cui aveva saputo tutto. Giulia l’aveva pregata di non dirgli nulla, e da un lato Caterina poteva anche comprenderne il perché.
Dall’altro, però, la rabbia la muoveva solamente verso l’idea di far sapere a Lorenzo quanto fosse stato stupido, avventato ed ingenuo. Non sapeva davvero se sarebbe riuscita a mantenere fede alla promessa che Giulia le aveva richiesto.
Quando era arrivato, nel tardo pomeriggio, e poi era entrato in casa, Lorenzo non era parso nemmeno troppo stupito di trovarla lì. Caterina l’aveva accolto con un’occhiata fintamente benevola: la verità era che, a ritrovarselo di fronte, l’ira non aveva fatto altro che crescere ancor di più.
-Sì, al giorno d’oggi è importante laurearsi anche alla magistrale- rispose indolentemente Caterina, la testa appoggiata sulla mano, e il braccio a sua volta posato sullo schienale del divano.
-E ce la fai a far combaciare tutto?- chiese di nuovo Lorenzo, che sembrava quasi esterrefatto.
Caterina continuò a restare girata verso lo schermo della tv, pronta a non lasciare spazio a nessuna esitazione nella sua risposta:
-Certo. Non è così difficile-.
Non aveva intenzione di dire che, in realtà, difficile lo era sul serio: non avrebbe sopportato le arie di superiorità che avrebbe potuto rivolgerle Lorenzo, né i suoi commenti contrariati su quanto fosse stata sbagliata la sua decisione.
-Hai appena iniziato, probabilmente le cose si complicheranno nei prossimi mesi- alzò le spalle suo fratello.
Caterina si girò appena, lanciandogli uno sguardo bieco, pronta a sferrare l’attacco:
-Non mi avevi detto che Giulia ti aveva invitato al suo matrimonio-.
Lo disse in tono del tutto vago, come se stesse parlando di cose banali. Si sforzò per non girarsi, anche se poteva immaginare suo fratello essersi irrigidito sul posto, ora all’erta e in tensione.
-Mi deve essere sfuggito di mente- rispose altrettanto vagamente Lorenzo, e Caterina dovette lottare contro se stessa per non lasciarsi sfuggire un sorriso soddisfatto: poteva percepire dalla sua voce quanto fosse in guardia, in quel momento.
-O magari me lo volevi tenere nascosto il più possibile-.
Lorenzo la guardò confuso, parlando cautamente:
-Non vedo perché avrei dovuto-.
-Non sarebbe la prima volta che non mi dici certe cose-.
Caterina si girò finalmente verso suo fratello, il volto che aveva abbandonato qualsiasi parvenza di rilassatezza, lasciando il posto a tratti tesi. Lorenzo ricambiò lo sguardo in silenzio, un’ombra di preoccupazione ad oscurargli gli occhi chiari:
-Cosa intendi?-.
-Che so tutto su te e Giulia- sibilò Caterina, facendo uno sforzo immane per non alzare la voce, per evitare che i loro genitori si fiondassero in salotto proprio in quel momento – E quando dico tutto, intendo veramente tutto-.
Vide Lorenzo sbiancare, il viso molto più pallido rispetto ad un minuto prima. Sembrava che quella fosse un altro dei segnali che lasciavano presagire tutta la sua ansia e la sua colpevolezza.
Non disse nulla per diversi secondi, limitandosi ad abbassare lo sguardo per un attimo, prima di riportarlo sulla sorella:
-Te lo ha detto lei?-.
C’era una venatura d’incertezza nella voce di Lorenzo, mescolata alla delusione che sembrava provare. Caterina fu indecisa se attribuire quello sconforto verso Giulia, che lo aveva evidentemente tradito rivelando tutto, o verso la situazione in generale.
-Secondo te?- lo rimbrottò subito lei, continuando a tenere la voce bassa a fatica – Credevi davvero che non me lo avrebbe mai detto? Prima o poi sarebbe arrivato il momento-.
-È successo un sacco di anni fa- replicò subito Lorenzo, quasi esasperato, a mo’ di giustificazione. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso:
-Proprio perché è successo un sacco di anni fa non so neanche come sto facendo a trattenermi dal menarti!- mormorò con rabbia Caterina, gli occhi venati d’ira – Non era neanche maggiorenne, ed era la mia migliore amica che invitato a casa nostra, pensando fosse al sicuro!-.
Lanciò un’occhiata veloce nella direzione della cucina: la porta era ancora chiusa, e i suoi genitori sembravano non aver udito nulla di quella conversazione tutt’altro che rilassata che stava avendo con Lorenzo. Sperò che non si accorgessero di niente ancora per un po’, anche se immaginava sarebbe stato difficile per il resto della serata mantenere un tono anche solo fintamente cordiale con suo fratello.
-Non le ho mai fatto niente. Non l’ho nemmeno sfiorata- Lorenzo non aveva quasi reagito alle parole di Caterina: le aveva solo lanciato uno sguardo carico di stizza, le labbra serrate e gli occhi assottigliati dietro alle lenti degli occhiali.
Caterina gli restituì lo sguardo torvo senza troppe esitazioni:
-Per tua fortuna-.
Fu a quel punto che Lorenzo distolse lo sguardo, guardando davanti a sé e sospirando a fondo, in un misto di nervosismo e frustrazione. Lasciò cadere la testa all’indietro, fino ad appoggiare la nuca allo schienale del divano, le mani giunte sul grembo:
-Non avresti dovuto sapere niente- mormorò, sferzante.
-Mi dispiace se ti sto mettendo i bastoni tra le ruote- Caterina non si lasciò prendere dalla pietà: guardava suo fratello, e vedeva solamente qualcuno che aveva cercato di approfittare di Giulia quando era solamente una ragazzina – In fin dei conti, sei tu quello che si è sempre divertito a dare problemi a me con Nicola. Deve essere strano essere dall’altra parte della barricata-.
-Che hai intenzione di fare, ora?- Lorenzo continuò a non guardarla, e a parlare piano come se non avesse più alcuna energia in corpo. Non sembrava davvero preoccupato dalla possibile risposta a quella domanda, non quanto appariva invece irritato per essere stato scoperto.
Caterina ci aveva riflettuto a lungo, nei mesi passati, su quel punto: Giulia le aveva assicurato che al matrimonio era stata abbastanza chiara con lui, ed infatti non c’era stato nessun ulteriore contatto tra di loro. Eppure, per quanto ora potesse sembrarle improbabile, sapeva che prima o poi Lorenzo avrebbe potuto benissimo riprovare ad avvicinarsi di nuovo: non era mai stato uno che mollava la presa facilmente, quando si metteva in testa qualcosa.
-Io niente, sei tu che devi stare al tuo posto- sibilò infine, la voce ferma e gli occhi piantati sul viso del fratello maggiore – Direi che non è il caso che tu vada a dare ulteriore fastidio a una persona a cui non interessi-.
Si alzò dal divano, sentendosi ribollire di rabbia e ben consapevole di non poter urlargli addosso tutto il rancore che sentiva di provare nei suoi confronti. Stavolta Lorenzo la guardò di rimando, le iridi verdi annebbiate da qualcosa che poteva sembrare anche vergogna.
-Stanne fuori-.
Caterina non attese una risposta ulteriore. Mosse qualche passo verso la cucina, cercando di respirare a fondo nel tentativo ultimo di calmarsi prima di entrare nella stanza dove si trovavano i suoi genitori, ignari di tutto. Ignari esattamente come lo era stata lei, per fin troppi anni.
 
*
 
Practiced all my sins
Never gonna let me win
Under everything

Just another human being
I don't wanna hurt

There's so much in this world to make me bleed
(Pearl Jam - "Just breathe")*
 
Il gusto della vodka migliorava sorso dopo sorso. Ormai la sensazione della gola in fiamme stava diventando piacevole; era il bruciore che lo faceva sentire vivo, il sapore forte e pungente dell’alcool che gli ricordava un po’ come anche la rabbia che si sentiva dentro era viva e bruciante.
Alessio si rigirò il bicchiere tra le mani, soppesando se fosse il caso di ordinarne un altro – il terzo in poco più di un’ora-, o se fosse il caso di rimanere furioso com’era con poco alcool in corpo.
Di certo ubriacarsi non rientrava nei suoi programmi per l’immediato futuro, ma anche l’idea di perdere un po’ di lucidità – che in quel momento gli risultava essere solamente scomoda- era piuttosto allettante.
Si guardò un attimo intorno: nessuno agli altri tavoli del bar lo stava guardando, nessuno lo fissava come se si trovasse di fronte all’ennesimo alcolizzato irresponsabile.
Non che gli sarebbe importato sul serio di quel che avrebbe potuto pensare la gente di lui. Potevano additarlo come pareva loro, l’importante era che nessuno gli si avvicinasse.
Si era infilato in quel locale unicamente per necessità: per allontanarsi da casa il più possibile per un po’ di tempo, per sfuggire alla pioggia che aveva cominciato a scendere, per il bisogno di bere assolutamente qualcosa di alcolico, e per impedirsi categoricamente di andare a cercare conforto dove non ne avrebbe più trovato.
Quando era uscito dal palazzo dove viveva, aveva pensato per prima cosa di andare da Pietro. Era stato un pensiero irrazionale, dettato dalla rabbia e dalla disperazione, e dal bisogno di sentirsi protetto contro tutto ciò che stava andando storto – perché, in fin dei conti, Pietro manteneva ancora l’aria di casa, del suo porto sicuro, e dell’unica persona al mondo che riusciva a leggergli dentro anche quando le parole non uscivano. Poco importava il fatto che non si parlassero seriamente da giugno: in quel momento era talmente stravolto che sarebbe passato sopra persino al suo orgoglio, pur di sfogarsi con lui.
Alla fine, invece, aveva desistito: non aveva alcun diritto di cercare Pietro solo quando ne aveva bisogno, solo quando era lui a richiedere la sua presenza. Aveva deviato il suo percorso, aprendo la porta di quel bar, sedendosi al primo tavolo libero, e fermando la cameriera per chiederle un bicchiere di vodka liscia. Il resto non era stato nulla di nuovo: si era odiato per aver ceduto ancora una volta al bere, ma si era sentito sempre meglio ad ogni sorso mandato giù. E poi aveva fermato la cameriera una seconda volta, di nuovo odiandosi e di nuovo sentendosi meglio.
Al secondo bicchiere finito le cose cominciavano ad assumere contorni differenti, meno nitidi e assoluti. Avrebbe voluto prolungare per sempre quell’effetto, rendere la propria memoria offuscata e dimenticarsi di tutto, sentirsi la testa girare leggera come nulla potesse preoccuparlo.
Fu in quel momento, dopo quei pensieri, che chiamò per la terza volta la cameriera, ordinando la terza vodka liscia.
Quasi ammirava la voglia di autodistruggersi che provava in momenti simili: era qualcosa di serio, l’autodistruzione, qualcosa da portare avanti con costanza ed attenzione. Era quello che stava facendo.
 


-Mi stai prendendo in giro, vero?-.
Alice non gli rispose subito. Si limitò a guardarlo in un misto di delusione e rabbia – no, di disgusto, Alessio era sicuro che nel suo sguardo ci fosse disgusto, per la maggior parte-, senza aprire bocca. Era stato il silenzio più tetro e prolungato che Alessio avesse vissuto nell’ultimo periodo.
-L’unico tra noi due che dovrebbe rimproverarsi sei tu-.
Alla fine la risposta era giunta, e Alice non si era tirata indietro dal muovergli quell’accusa. Alessio, in quel momento, avrebbe solamente voluto alzarsi dalla sedia della cucina e andarsene il più in fretta possibile.
Si sentiva soffocare.
“Respira, respira, respira. Respira e basta, cazzo”.


 
La cameriera non ci mise molto a portargli la sua ordinazione. Lo guardò per un lungo attimo, un cipiglio contrariato che Alessio colse ugualmente, nonostante la mente annebbiata. Probabilmente lo stava giudicando tra sé e sé, credendolo uno sconsiderato.
E probabilmente, in fondo, aveva ragione lei: anche lui si sentiva uno sconsiderato, in quel momento, mentre buttava giù in un unico sorso metà della vodka contenuta nel bicchiere.
Sentì la testa prendere a girare ancor più vorticosamente di prima, la sensazione di caldo che lo stava assalendo nonostante nel bar ci fosse freddo quasi quanto all’esterno.
Cercò di tirarsi su le maniche del maglione, in maniera impacciata, nel tentativo di trovare un po’ di refrigerio grazie alla sensazione della pelle nuda delle braccia lasciate scoperte.


 
Sbatteva nervosamente il piede a terra, trattenendosi a stento seduto. Aveva solamente voglia di alzarsi da lì, andarsene il più distante possibile. Si immaginava già ad urlare contro Alice, ed era esattamente quella cosa che voleva evitare più di qualsiasi altra: aveva già perso Pietro, per qualcosa di cui non aveva voluto sapere nulla, e forse era solo questione di poche ore prima di perdere anche lei.
Era lo sguardo che gli stava rivolgendo a farglielo presupporre – a renderlo piuttosto sicuro che di lì a poco tutto sarebbe giunto ad una fine-; gli occhi verdi di Alice che freddi non lo erano mai stati, e che ora erano granitici.
-Te ne saresti potuta accorgere in tempo anche tu- mormorò Alessio, alla fine, messo alla prova da quel silenzio troppo prolungato.
Sapeva che quelle parole avrebbero solamente peggiorato la situazione, ma era stato più forte di lui: non riusciva mai a chinare la testa, nemmeno di fronte alla prospettiva di mandare tutto a quel paese.
Forse era per quello che non riusciva mai a sentirsi in pace con se stesso e il mondo fino in fondo.
Alice chinò gli occhi solo per un attimo, un sospiro stanco che le sfuggì:
-È inutile stare qui ad incolparci a vicenda, ormai è tardi-.
Alla fine era stata lei a cedere per prima, come volevasi dimostrare. D’altro canto era la questione ad essere stupida di per sé: inutile cercare di stabilire chi si sarebbe dovuto accorgere prima di un preservativo bucato.
-Avresti potuto prendere la pillola del giorno dopo-.
Anche quelle parole erano uscite dalla sua bocca prima ancora che potesse rendersi conto di quello che significavano. Forse fu meglio il fatto che Alice rinunciò a rispondere, limitandosi a guardarlo immobile e con sguardo spento.
Sembrava avesse appena ricevuto uno schiaffo dritto in faccia, o forse quello sarebbe stato addirittura meno doloroso.
Alessio aveva di nuovo iniziato a respirare velocemente, in cerca di maggiore ossigeno. Era la stessa sensazione che poteva esserci nell’annegare, quell’incapacità di respirare e la ricerca di aria con cui poter vivere ancora.


 
I polpastrelli delle dita passarono sopra la pelle screziata dall’inchiostro nero, seguendo le linee sottili delle lettere che gli coprivano ora la pelle del polso.
“Just breathe”.
Forse si era tatuato quelle due parole per ricordarsi di non prendere sempre tutto di petto, e che in alcuni momenti bastava prendere un respiro profondo per calmarsi e riflettere meglio sulle situazioni. Respirare, ed aspettare il corso naturale delle cose, prima di giungere agli obiettivi prefissati.
È quello che avrebbe dovuto fare anche in quel momento, anche se si sentiva completamente incapace di farlo sul serio.


 
-Non ho intenzione di avere un figlio. Non ora-.
Alessio parlò a voce appena udibile, eppure nel silenzio della cucina risuonò in maniera quasi sinistra. Strinse le mani tra di loro, abbassando lo sguardo per evitare quello gelido di Alice. Non aveva idea di come lo stesse guardando in quel momento, ma immaginava che i suoi occhi non dovessero aver cambiato espressione.
-Non ora?- la voce di Alice parve più furente di quel che si sarebbe aspettato, tanto da spingerlo ad alzare gli occhi verso di lei – Probabilmente il tuo “ora” riguarda la tua intera vita-.
-Non è una colpa non volere figli-.
Non fu bello dirlo ad alta voce per la prima volta in vita sua.
Forse era qualcosa che non aveva sempre pensato, o qualcosa di cui non era sempre stato consapevole. Eppure l’aveva detto in quel momento, nel momento peggiore possibile, come se in realtà fosse sempre stata una consapevolezza nascosta nel suo animo.
Sapeva di aver ferito Alice, dicendolo finalmente a voce, ma tacerlo sarebbe equivalso anche a mentire.
-Tu non vuoi figli solo per un motivo preciso- Alice si alzò dalla sua sedia, dandogli le spalle e non curandosi di nascondere l’astio con cui gli aveva parlato. Alessio rizzò il busto, guardandola con occhi sgranati, perché quel tentativo di ferirlo mal si addiceva alla Alice che aveva conosciuto fino a quel momento.
-Non sai di cosa parli-.
La sua voce aveva tremato, nascondendo malamente l’insicurezza che lo aveva preso.
Doveva andarsene da lì, il prima possibile.
Doveva andarsene, e rinchiudere in quella stanza quelle parole che si stavano rivolgendo.
Alice si voltò di nuovo verso di lui. Aveva gli occhi lucidi, ma la voce era ferma e lo sguardo furioso:
-Il problema è che cercando di non assomigliare a tuo padre, rischi di sembrare lui in tutto e per tutto-.
L’attimo dopo, senza nemmeno pensarci, Alessio si era alzato in piedi di scatto. Non aveva nemmeno pensato di risponderle: si era diretto verso l’uscita della cucina, a passi lunghi e frettolosi.
Si fermò per un secondo solamente una volta uscito dal palazzo, rendendosi conto di essersi messo la giacca per uscire ed essersi sbattuto la porta di casa dietro di sé senza alcuna remora, senza guardarsi indietro nemmeno una volta.
Aveva il respiro pesante, come se un peso gli bloccasse le vie aeree. Il freddo gli congelava il fiato, bruciandogli la gola e le labbra.


 
Chiuse gli occhi, dopo aver mandato giù l’ultimo sorso della vodka ordinata solo qualche minuto prima. Sentiva di nuovo il cuore accelerare il battito, il respiro che si faceva affannoso nel ripensare a quello che si erano detti solo qualche ora prima lui ed Alice.
Doveva di nuovo cercare di ritrovare un punto di contatto con la realtà, evitare di lasciarsi sopraffare dal terrore e dalla paura di perdere di nuovo la vita che aveva sempre sognato e che aveva finalmente raggiunto.
Respirò a fondo, mantenendo le palpebre abbassate e isolandosi da tutto e da tutti per quei pochi secondi che gli servivano per calmarsi.
Respirò ancora una volta.
Ed una volta ancora.
“Respira, respira, respira. Respira e basta”.
 
*
Guardare la pioggia cadere era rilassante, anche se cominciava a sentirsi sempre più scoraggiato al pensiero che, di lì a non molto, avrebbe dovuto infilarsi sotto quell’acquazzone. Pietro si passò una mano sugli occhi stanchi, sperando che il caffè appena bevuto cominciasse a fare effetto e scacciasse quel torpore e la stanchezza che si sentiva addosso. Negli ultimi mesi aveva cominciato pian piano ad abituarsi al fatto che, ormai, il weekend fosse l’unico momento lasciato libero dal lavoro, ma il suo corpo ancora faceva fatica a sostenere gli orari lavorativi della settimana. Il fatto, poi, di non trovare pace nemmeno a casa a causa di Giada non facilitava il recupero.
-Pensavo di trovarti più in forma, onestamente- Fernando parlò con quella sua voce vellutata, così distante dal tono pieno di gelo e risentimento che Giada gli riservava ultimamente – C’è qualcosa che ti preoccupa?-.
Pietro continuò a guardare fuori dalla vetrina del bar in cui si trovavano, osservando il cielo ormai scuro nonostante fosse ancora pomeriggio:
-Non esattamente-.
-Non hai la faccia di uno rilassato- Fernando sorseggiò tranquillamente il thè caldo che aveva ordinato, tenendo gli occhi scuri incollati su Pietro, che per tutta risposta sbuffò piano alzando le spalle:
-Ho la faccia di uno che si alza tutte le mattine alle sei e rientra a casa alle otto-.
Fernando rimise la sua tazza a posto, sulla superficie scura del tavolino, guardandolo con scetticismo. In quell’istante, Pietro seppe esattamente cosa doveva essergli appena passato per la testa: “Non prendermi in giro, si vede distante un miglio che stai dicendo cazzate”.
-Sai cosa intendo- disse infine Fernando, sporgendosi appena verso di lui – E il lavoro non c’entra-.
Pietro si morse il labbro inferiore, tentando di reprimere una smorfia disperata: come volevasi dimostrare, Fernando non era caduto nel tranello della vaghezza.
Prese un respiro profondo, indeciso sul da farsi. Non aveva voglia di parlare di Giada – non ne aveva affatto voglia-, ma d’altra parte sapeva anche che sfogarsi e confrontarsi con qualcuno gli avrebbe fatto bene. E Fernando era l’unica persona con cui poteva essere se stesso fino in fondo, senza alcuna finzione.
-Credo di essere arrivato ad una conclusione- mormorò infine, abbassando gli occhi e prendendo tempo giochicchiando con la tazzina ormai vuota – Lascerò Giada-.
Quando sollevò di nuovo lo sguardo, Fernando lo stava osservando attonito, un sopracciglio arcuato in segno di sorpresa. A vedersi, quell’espressione sarebbe potuta quasi apparire comica, anche se in quel momento Pietro non aveva alcuna voglia di ridere.
-Hai deciso, quindi?- chiese Fernando, dopo alcuni secondi di assoluto silenzio.
Pietro sospirò a fondo, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Avrebbe voluto dire un sacco di cose a Fernando, in quel momento – come che decidere era una parola troppo grossa, o che ancora per qualche giorno di sicuro non sarebbe cambiato nulla, o che ormai erano più le circostanze ad averlo costretto verso quella scelta-, ma tutto ciò che riuscì a fare fu solo alzare le spalle.
-Sto solo aspettando il momento giusto, ma sì, sembra che andrà così- si costrinse a dire infine. Erano settimane che ci rifletteva, che ci rifletteva seriamente. Ed erano mesi che con Giada andava sempre peggio, che la loro relazione cominciava ad essere sempre più artefatta e soffocante; forse, se non fosse stato lui a porvi fine, sarebbe stata lei ugualmente.
-È questione di giorni. Appena si riprenderà un po’, le parlerò- proseguì ancora, senza addentrarsi troppo nella questione riguardante la salute di Giada. Sperava solo che il suo mal di stomaco e il mal di testa che l’avevano colpita da un po’ le passassero il più in fretta possibile: parlarle di una cosa così delicata, mentre era in quelle condizioni, avrebbe solamente reso il tutto più complicato. E lei si sarebbe irritata ancor di più di quel che già era.
Fernando batté le dita sulla superficie del tavolo, con aria pensierosa:
-Le parlerai, nel senso che la lascerai definitivamente?-.
Pietro lo osservò per un po’, prima di rispondere. Fernando aveva parlato con una vena di speranza nella voce, come capitava sempre più spesso ultimamente, quando finivano per parlare della possibile fine della relazione con Giada.
-Le farò presente che ormai siamo arrivati ad un punto morto. Per ora le dirò solo questo e non altro- Pietro sbuffò piano: per quanto ormai fosse difficile da tenersi dentro, non aveva ancora deciso di affrontare il discorso coming out con qualcun altro. Men che meno con Giada.
-Meglio di niente- alzò le spalle Fernando – Ti vedo finalmente deciso, devo dire-.
Pietro lo guardò scettico:
-Dici?-.
-Sì- rispose subito con convinzione l’altro, convinzione che nemmeno Pietro stesso sentiva di avere – Fino a qualche mese fa non avresti mai detto di lasciarla-.
-Credo che ormai sia evidente anche a lei che ormai è finita-.
“O almeno lo spero”.
-Te l’ho detto: ormai litighiamo per qualsiasi cosa, le poche volte che ci incrociamo-.
Fernando se ne rimase in silenzio per diversi secondi, l’espressione impenetrabile del viso. Pietro lo osservò con la coda dell’occhio: avrebbe voluto leggergli il pensiero, in quel momento, sapere esattamente cosa doveva passargli per la testa. Credeva fosse solo l’ennesimo falso allarme, e che Pietro sarebbe tornato sui suoi passi già il giorno dopo? O stavolta era davvero convinto che fosse la volta buona?
Forse l’unico motivo per cui voleva sapere cosa stava davvero pensando Fernando, era solo per avere maggiore appoggio ed un incoraggiamento.
-Non hai nulla da dire?- chiese infine, non riuscendo a trattenersi oltre. Fernando sollevò il capo, un sorriso sghembo ad increspargli le labbra:
-Sono contento- disse semplicemente – Non fraintendermi, so che non sarà semplice: ti sei affezionato a lei, è normale. Ma non puoi nemmeno continuare a stare con lei pur essendo consapevole che non è con lei che dovresti stare-.
“Non con lei, ma con te”: era così che a Pietro era suonata quella frase. Si ritrovò a pensare, per un fugace momento, che forse lui e Fernando come coppia non sarebbero stati poi tanto male: andavano d’accordo, e il carattere di Fernando era decisamente meno inquieto ed accomodante di quanto non era mai stato Alessio, o Giada stessa. Solo, Pietro non era poi così sicuro che lo star bene insieme e l’affetto si sarebbero tramutati automaticamente in amore.
-Detto così sembra che tu abbia già un’idea su chi sarebbe la persona con cui dovrei stare- disse, trasformando in parole i suoi pensieri. Cercò di sorridere all’altro, per non offenderlo né fargli credere di essersi infastidito.
In tutta risposta, Fernando rise scuotendo la testa:
-Non dire idiozie, se tu decidessi a guardarti un po’ intorno troveresti mille ragazzi pronti a provarci con te. Non per forza devi stare con il sottoscritto-.
Lo disse con naturalezza, anche se per un secondo a Pietro sembrò di vedere un’ombra di delusione negli occhi scuri.
Decise di lasciar perdere quel discorso: si sentiva ancora a disagio, nel pensare che di lì a poco tempo avrebbe potuto iniziare a frequentare qualcuno. Qualcuno che sapeva del suo orientamento, e qualcuno con cui iniziare qualcosa di totalmente nuovo, di autentico. Non sapeva ancora se quell’idea gli piacesse davvero o meno.
-Andiamo da te?- chiese, velocemente. Qualche giorno prima, per telefono, Fernando gli aveva promesso una fetta di coca di San Juan, che aveva cucinato quella settimana e che aveva fatto venire l’acquolina in bocca a Pietro al solo sentirla nominare.
-Por cierto- Fernando colse al volo quella via d’uscita da un discorso che si stava facendo troppo spinoso, alzandosi all’istante dalla sedia – Ma prima vado al bagno-.
Pietro si alzò a sua volta, più quietamente:
-Ti seguo anche io-.
 


L’acqua fredda del rubinetto gli gelò quasi le mani, ma non ci badò molto. Si risciacquò anche il viso, sentendosi già meglio. In quel bar faceva troppo caldo, e nonostante l’inverno rigido e il suo odio per l’acqua troppo fredda, Pietro si sentì comunque meglio dopo essersela passata sul volto.
Fernando lo raggiunse ai lavandini qualche attimo dopo, fischiettando un motivetto a Pietro ignoto.
Sembrava spensierato, a tratti felice, Pietro se ne rese conto subito non appena posò lo sguardo su di lui; il suo umore, da quando avevano parlato di Giada fino a quel momento, sembrava essersi risollevato come non mai.
Era bello vedere Fernando con quel sorriso allegro: solitamente le sue labbra erano sempre piegate in una linea scanzonata e maliziosa, pronta a lasciarsi scappare qualche parola avventata per far colpo su chi gli interessava. Non era quello il caso: in quel momento, quel sorriso sembrava più sincero di quanto non fosse in molti altri momenti.
-Che stavi canticchiando?- gli domandò Pietro, passandosi le mani bagnate sui jeans, nel tentativo di asciugarle almeno un po’. Fernando aveva appena smesso di fischiettare, continuando però a muovere il corpo al ritmo di un brano che doveva avere ancora in testa.
-Una qualche canzone commerciale che passano in radio- gli rispose semplicemente, sfregandosi le mani sotto il getto d’acqua del lavandino – Non ha importanza quale. Basta che sia ballabile-.
-Anche questo tuo lato deve essere un retaggio del tuo antico sangue spagnolo- commentò Pietro, riuscendo a stento a trattenersi dal ridere. L’allegria di Fernando riusciva quasi a influenzarlo, tanto era contagiosa spesso e volentieri.
-Non lo confermerò, né lo negherò-.
Fernando si rimise di nuovo a schiena dritta, girandosi verso Pietro e lanciandogli uno dei suoi sguardi astuti, che preludevano sempre a qualche gesto o frase sconsiderati:
-Noi spagnoli siamo sempre molto passionali in molte cose- disse, facendo qualche passo avanti, ed avvicinandosi pericolosamente a Pietro – Nel ballo, nel canto, nel teatro, e nel cinema-.
-E nell’amore?-.
Fernando gli era ormai addosso, il naso di Pietro che toccava quasi il suo.
-Soprattutto nell’amore-.
Ricevere un bacio da Fernando non gli sarebbe dispiaciuto, e non l’avrebbe evitato se si fossero trovati in un qualsiasi altro posto. Ma erano in uno squallido bagno di un bar, e Pietro non aveva alcuna intenzione di ripetere la stessa esperienza che aveva avuto con Alessio, in un posto del tutto simile a quello dove c’era stato quel maledetto loro bacio.
Fernando sembrò contrariato quando Pietro si scostò da lui, a disagio:
-Aspetta- mormorò, posando una mano sulla spalla dello spagnolo – Non qui-.
-Pensavo non ti andasse nemmeno da qualche altra parte- replicò Fernando, la voce roca per aver cercato di parlare a bassa voce.
Pietro avrebbe voluto semplicemente dirgli “Ma certo che mi va, idiota”, ma si limitò a restituirgli il ghigno astuto che pian piano stava tornando a piegare la bocca dell’altro.
-Andiamo da te-.
A quelle parole, Fernando non poté fare a meno di leccarsi le labbra, come pregustando già il sapore che avrebbe avuto quel bacio che Pietro gli aveva appena promesso.
 
*
 
Il tragitto verso l’appartamento di Fernando era stato frettoloso e disordinato, e sebbene non fossero arrivati lì da molto, Pietro ricordava già piuttosto sfocatamente gli eventi che si erano susseguiti da quando avevano lasciato il bar fino a quel momento.
Non ricordava bene quanto poco tempo avessero impiegato nel percorrere la strada che li separava dalla meta, né ricordava esattamente quale era stato il momento in cui si era reso conto che la torta che Fernando doveva offrirgli era stata solo una scusa per giungere lì. Non ricordava nemmeno esattamente quanto tempo era passato da quando Fernando aveva aperto la porta di casa sua, al momento in cui si era letteralmente fiondato sulle sue labbra.
Tutto il resto, però, Pietro lo ricordava, anche se i dettagli e i particolari erano già diventati offuscati. Sapeva solo che, almeno all’inizio, non aveva ricambiato con convinzione il bacio di Fernando. Non era il primo bacio che condividevano negli ultimi mesi – ce n’erano stati molti di più di quanto Pietro stesso avrebbe voluto ammettere-, ma in quel momento era stato diverso: avevano parlato di Giada fino a poco prima, e anche se ormai era solo questione di pochi giorni prima di lasciarla definitivamente, si era sentito più colpevole del solito nei suoi confronti. Poi quel pensiero era stato sostituito da quello di Fernando – di Fernando che continuava a baciarlo, baci che sembravano differenti da quelli che avevano condiviso finora-, e solo alla fine anche Alessio aveva fatto capolino nella sua mente. Negli ultimi mesi il ricordo di Alessio era diventato sempre più sfumato, anche se ancora presente; forse era stato proprio il ricordare lui e i suoi baci amari che aveva spinto Pietro a ricambiare finalmente gli approcci di Fernando.
Fernando non era il primo uomo che baciava, ma era l’unico che aveva mai baciato con la piena consapevolezza di essere un uomo a desiderare i baci di un altro uomo. Con Alessio era sempre stato troppo confuso ed inaspettato, ma con Fernando c’era quella presa di coscienza che era sempre mancata prima.
Il profumo femminile e dolce, la pelle liscia del viso di una donna erano le cose più distanti e diverse che si potessero associare a Fernando, e Pietro preferiva di gran lunga così. Si era chiesto come aveva fatto per gran parte della sua adolescenza a non rendersi conto prima che non erano le ragazze ciò che desiderava: adesso, dopo aver provato la sensazione di voler stare con un altro uomo, di baciarlo e toccarlo, sapeva che non sarebbe più potuto tornare indietro. Forse era anche per quello che, ormai, non riusciva quasi nemmeno più a sopportare l’idea di restare con Giada.
I baci di Fernando erano proseguiti a lungo – sulla sua bocca, sulla linea della mascella, lungo il collo, in un tragitto che aveva fatto vibrare Pietro-, quasi a volerlo preparare al nuovo contatto delle mani sui suoi fianchi. Fernando le aveva appoggiate cautamente, perché fino a quel punto si erano spinto solo qualche altra volta; nei mesi passati non c’era mai stato nulla di più fisico dei baci che si scambiavano al sicuro tra le mura dell’appartamento di Fernando.
Pietro non si era divincolato, come se tutti gli iniziali timori fossero finalmente scomparsi. Cominciava ad avere la mente annebbiata, troppo eccitata per pensare razionalmente che stava sbagliando – di nuovo, per l’ennesima volta-, che al posto di Fernando, in fondo, voleva ancora ci fosse qualcun altro, anche se ormai era quasi riuscito del tutto a mettere a tacere quella voce. Aveva accettato quel contatto, e non aveva impedito che Fernando lo guidasse verso il salotto. Non si ribellò nemmeno quando inciamparono tra i piedi l’uno dell’altro, finendo lungo distesi sul divano. Pietro aveva riso, e dopo un breve momento di tensione, anche Fernando si era lasciato andare ad una risata meno ansiosa.
Da quell’ultimo passo, fino al momento in cui si trovavano ora, Pietro non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato: sarebbero potuti essere cinque minuti come un’ora, tanto il tempo sembrava essersi dilatato.
Diversamente da come avrebbe pensato non si sentiva in trappola, con la schiena contro la superficie morbida del divano e sotto il peso del corpo di Fernando. Era insolito poter pensare di sentirsi a suo agio, a suo agio per davvero.
Non si era vergognato, poco prima, di aver artigliato le mani al bordo del maglione di Fernando, né di averlo fatto passare lungo la schiena fino a sfilarlo. Quando si era ritrovato a torso nudo, Fernando l’aveva guardato sorpreso, forse perché non se l’era minimamente aspettato, né sapeva come reagire a quel gesto; quell’occhiata insicura era durata comunque poco, perché Pietro gli si era di nuovo avvicinato, tornando a baciarlo come aveva fatto fino a quel momento.
Non si era fatto prendere dal panico nemmeno quando Fernando gli aveva ricambiato il favore, spogliandolo della felpa. Pietro aveva rabbrividito, sia per il freddo pungente che ora sentiva, sia per la scia umida di baci che Fernando gli aveva lasciato subito dopo lungo il torace e l’addome.
Cominciava a sentirsi sicuro di sé – forse fin troppo-, così sicuro e deciso come non si sentiva da tempo. Iniziava quasi a pensare che quella sensazione sarebbe durata ancora a lungo, se non per sempre, almeno fino a quando Fernando non si stese di nuovo su di lui, e la sua erezione premette inequivocabile contro la sua coscia.
Bloccarsi fu quasi istintivo, ma Pietro si dette ugualmente dello stupido quando interruppe repentinamente il bacio che Fernando stava cercando di ottenere da lui.
Fernando lo guardò in un misto di panico e colpa, dopo essersi fermato, il fiato ancora corto e il viso arrossato. Pietro aprì e richiuse la bocca più di una volta, prima di rendersi conto che non riusciva a trovare qualcosa di vagamente decente da dire. Aveva ancora la mente troppo annebbiata, e si sentiva ancora troppo stranito; cercò di pensare a qualsiasi cosa da dire, anche la più banale – “Non preoccuparti, sto bene”, “Non hai fatto nulla di sbagliato, sono io che ancora non mi sono abituato a tutto questo, “Ehi, in fin dei conti sono un uomo anch’io, mi sarei dovuto aspettare una reazione fisica simile”-, ma non riuscì a spiccicare parola. Era uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita, non solo perché si stava rendendo conto di apparire indifeso e ingenuo agli occhi di Fernando, ma soprattutto perché lo stava facendo sentire in colpa per un errore che non aveva commesso.
Calò un silenzio che a Pietro sembrò assordante, e totalmente fuori posto. Cercò di mettersi meglio a sedere, dopo che Fernando gli si fu allontanato maggiormente, sedendosi a sua volta all’altro lato del divano.
Per la seconda volta da quando lo conosceva, Pietro vide un Fernando spogliato di qualsiasi maliziosità e sfrontatezza: sembrava solo un ragazzo in preda ai sensi di colpa, stretto nelle spalle e senza alcuna barriera atta a nascondere quel suo lato insicuro.
Pietro allungò una mano verso la spalla nuda di Fernando, toccandolo appena:
-Scusami, io … - riuscì finalmente a dire qualcosa, anche se era solo una minima parte di ciò che gli stava vorticando nella testa. Il silenzio venne riempito da Fernando, che si girò verso di lui quasi subito:
-No, scusami tu- gli rivolse un sorriso, che però non aveva nemmeno la pretesa di apparire anche solo lontanamente convincente – Stiamo correndo troppo, e non è giusto nei tuoi confronti. Mi sarei dovuto fermare molto prima-.
Pietro annuì, capendo perfettamente come si doveva sentire Fernando in quel momento. Gli parve estremamente ingiusto che, per una sua esitazione, ora fosse l’altro a sentirsi colpevole.
-Se non mi andava, ti avrei fermato io stesso. E ora … -.
-Ora ti sei fermato- concluse Fernando, al posto di Pietro – E io per primo mi sarei dovuto fermare molto prima-.
Pietro si morse il labbro inferiore, incapace di gestire al meglio quella situazione. Comprendeva quel che voleva dire Fernando: si sentiva responsabile per avergli messo fretta, per aver cercato di accelerare quella sua prima volta. Forse in parte aveva ragione, avevano corso troppo, Pietro se ne rese conto; allo stesso tempo, però, non poté fare a meno di ripensare a quanto fosse stato liberatorio quello che c’era stato tra di loro.
-Non devi sentirti in colpa. Non stavamo facendo nulla di male- la carezza sulla spalla di Fernando si fece più decisa; le parole di Pietro sembrarono sortire qualche effetto, perché stavolta Fernando sorrise meno malinconicamente:
-Mi piace sentirtelo dire- ricambiò la carezza posando a sua volta la mano sopra quella di Pietro – Ma non voglio ferirti, né metterti alcuna fretta, e io per primo so che cosa vuol dire fare certe cose contro la propria volontà. Non avrei dovuto spingermi così in là con te, non in questo momento-.
-Non sono arrabbiato- replicò Pietro, chiedendosi per un attimo cosa volesse davvero intendere Fernando con quello che aveva appena detto – Ok, per me è ancora insolito trovarmi in situazioni del genere con un ragazzo … Ma mi stava piacendo. Sul serio-.
Si sentì arrossire, mentre faceva quell’ammissione. Non gli veniva così naturale esprimere ad alta voce quelle consapevolezze, ma si sforzò per togliere il peso della colpa all’altro. Per tutta risposta, Fernando rise piano, lanciandogli uno sguardo divertito: per un attimo, sembrò essere tornato tutto come sempre.
-Lo prenderò come un complimento-.
-Dovresti-.
Anche Pietro rise, stemperando la tensione che si era creata. Rimasero in silenzio ancora un po’, prima che Fernando si girasse ancora una volta verso Pietro, tenendo ancora la sua mano nella sua. Si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio leggero sulla spalla ancora nuda.
-Un passo alla volta, va bene?- mormorò, a pochi centimetri da lui, con una tale serietà che Pietro quasi si agitò – Non c’è alcun bisogno di correre. E poi prima devi chiudere la storia con Giada-.
Pietro ricambiò la stretta della mano, sorridendo piano:
-Un passo alla volta-.
 


Rimasero lì ancora un’ora; dopo essersi rivestiti, Fernando gli aveva finalmente offerto una fetta di coca di San Juan, come gli aveva promesso qualche giorno prima. Avevano mangiato restando in silenzio, un silenzio che però Pietro non avrebbe definito imbarazzante. Era più un silenzio fatto di parole sottintese, di frasi che stavano pensando entrambi ma che nessuno dei due avrebbe detto a voce.
Era stato strano trovarsi in una situazione così intima, ma era stato uno strano piacevole; era altrettanto strano, doveva ammettere Pietro, pensare che Fernando era ormai diventando da tempo un punto di riferimento per lui. Era qualcuno con cui sfogarsi, qualcuno con cui confidarsi ed avere un punto di vista più esterno di quanto non avrebbero mai potuto fare i suoi amici; ed era, soprattutto, qualcuno con cui non doversi nascondere.
Non si illudeva di poter sostituire Alessio con lui – per quanto pensasse molto meno a quel che provava per lui, l’amore per Alessio era ancora tutto lì, meno idealizzato e più doloroso che mai, sepolto sotto metri di ricordi dolceamari-, ma perlomeno era pur sempre qualcuno con cui essere il vero Pietro.
E ora che era venuta sera e la notte era definitivamente calata, sempre accompagnata dalla pioggia, stava anche venendo il momento di tornare al solito Pietro, quello che tutti pensavano di conoscere e che ormai cominciava a stargli fin troppo stretto.
-Devo tornare a casa- mormorò, passandosi le mani su un tovagliolo, prima di controllare l’ora sul display del telefono.
-Non sembri molto contento- commentò Fernando, con quel suo sorriso con cui sembrava sempre saperla lunga. Pietro sbuffò, esasperato: era abbastanza ovvio che la sua faccia dovesse sembrare la stessa che si aveva ad un funerale.
-Non lo sono, infatti- confermò, alzandosi dalla sedia e facendo qualche passo distante dal tavolo su cui avevano mangiato – Non è più un ambiente molto sereno-.
-Puoi ancora fare qualcosa per farlo tornare così, però- Fernando si alzò a sua volta, seguendolo verso l’ingresso, dove all’appendiabiti c’era la giacca dell’altro.
Pietro si fermò a guardarlo, mentre si rivestiva, pronto a lanciarsi fuori nell’aria piovosa e fredda di quella sera.
-Lo so- Pietro si concesse di sorridere ancora una volta, mentre si avvicinava a Fernando un’ultima volta, per lasciargli un ultimo bacio – Credo che la prossima volta che ci vedremo sarò cambiato qualcosa-.
“O forse sarà cambiato tutto”.
 
 



 
[1] da "The Perks of Being a Wallflower"
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Vi avevamo promesso un capitolo scoppiettante, e in effetti 😂
Dopo un piccolo salto temporale di più di un mese dall’ultimo capitolo, e che ci catapulta nel cuore dell'autunno a cavallo tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, ci ritroviamo a Venezia, dove scopriamo un Alessio piuttosto preso male e il motivo non è altro che la probabile gravidanza di Alice. Il difficile rapporto di Alessio con la paternità non è di certo una cosa inaspettata, e rende la situazione ancora più complicata.
Altra situazione non poco semplice è quella tra Caterina e suo fratello. Caterina alla fine non ha mantenuto la promessa fatta a Giulia, perchè di fronte a Lorenzo non è riuscita a trattenersi e a fare finta di nulla. Lorenzo ha ricevuto il cazziatone dovuto, e chissà se questo dettaglio cambierà qualche equilibrio in questa faccenda... Chissà!
E veniamo infine a Pietro: viste le premesse con Giada, forse non sorprende molto che finalmente abbia deciso che sia meglio troncare con lei definitivamente. E la prima persona a sapere di queste sue intenzioni è proprio Fernando … Il legame tra di loro si sta rafforzando sempre di più, anche se qualche momento d'indecisione e timore da parte di Pietro c'è ancora ... Ma chissà, magari da questo momento in avanti la loro relazione potrà avere una marcia in più, soprattutto tenendo conto del fatto che, in pochi giorni, Pietro lascerà Giada.
Nel prossimo capitolo molte cose potranno cambiare, esattamente come ne è convinto Pietro ... Sarà davvero così?
Lo scopriremo mercoledì 9 novembre!
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 34
*** Capitolo 32 - Watching as I fall ***


ANNUNCIO/QUESITO PER I LETTORI
Prima di lasciarvi al capitolo vorremmo porre un quesito a tutte le persone che ci seguono/ci leggono: vi piacerebbe se (probabilmente nei primi mesi del 2023) aprissimo un account Instagram? 
Pensavamo che potrebbe essere un buon mezzo per darvi qualche contenuto in più riguardo le pubblicazioni con anteprime, aggiornamenti e curiosità, e per tenerci più in contatto soprattutto in vista della pausa di pubblicazione tra la fine di Growing e ciò che verrà successivamente 😊
Fateci sapere cosa ne pensate nei commenti o mandandoci un messaggio privato!


 
CAPITOLO 32 - WATCHING AS I FALL


 
So this is where we are
It's not where we had wanted to be
If half the world's gone mad
The other half just don't care, you see
 
Aveva piovuto per le tutte le ultime due settimane; novembre era iniziato sotto una pioggia torrenziale, che però non aveva sciacquato via né le paure né le incomprensioni. Aveva smesso di piovere solo quella mattina di metà mese, e già quello, si era detto Alessio, scrutando dubbioso il cielo ugualmente plumbeo, doveva essere il segnale di qualcosa che stava per cambiare.
Con suo sommo rammarico, si era ritrovato ad avere ragione per davvero.
Era grato, in ogni caso, che la pioggia avesse smesso di scendere proprio in quella giornata. Nulla gli avrebbe impedito di camminare lontano da casa ancora una volta, lontano dalle grida che si erano rivolti lui ed Alice, e dal rimbombo di esse che ancora sentiva tra le mura di casa.
Non aveva nemmeno fatto in tempo a cambiarsi, dopo essere tornato dal lavoro, che tutto aveva cominciato a peggiorare inesorabilmente, in una escalation che era arrivata al culmine quando lui aveva preferito farsi un giro all’aperto. Era ancora in giacca e camicia, sotto il cappotto, e in fin dei conti non gli interessava nemmeno. Non si era nemmeno preoccupato di cambiare scarpe – quelle che indossava al lavoro non erano certo le più comode per camminare a lungo-, che si era sbattuto la porta dell’appartamento alle spalle, in un misto di furore e disperazione.
Forse era stato meglio così: probabilmente anche Alice aveva desiderato che se ne andasse, almeno per un po’. Non glielo aveva detto a voce, ma Alessio era sicuro di avervi letto quella richiesta nello sguardo adirato e ferito che gli aveva riservato per gran parte della loro discussione.
Poteva anche capirlo, il bisogno di rimanere da sola: non poteva darle torto, perché immaginava che anche lui, al posto suo, avrebbe reagito allo stesso modo. Ma non poteva nemmeno ignorare il suo, di stato d’animo: non ci poteva fare nulla se gli sembrava di impazzire a restare ancora un attimo di più lì con lei.
L’aria fresca della sera l’aveva calmato solo in parte. Era rimasto diversi minuti con la schiena appoggiata contro il muro del palazzo, gli occhi chiusi e la bocca aperta per respirare meglio e riempirsi i polmoni di aria gelata. Il mondo si era fermato per un attimo, ma solo per il tempo in cui aveva tenuto le palpebre calate sulle iridi azzurre.
Non aveva idea di dove andare. Forse si sarebbe rifugiato per un po’ da Caterina e Nicola, ma di sicuro dovevano aver il loro da fare con Francesco. Pietro rimaneva sempre il primo da cui sarebbe andato, in situazioni normali, ma non voleva costringerlo a subire la sua presenza – non ancora, non prima di aver toccato definitivamente il fondo. Sapeva già che gli sarebbe toccato girovagare come un vagabondo, senza meta e senza obiettivi. O forse si sarebbe infilato nel primo bar, cercando di combattere la tentazione di ordinare qualcosa di alcolico per sentire la testa leggera e sgombra di tutti i pensieri che la riempivano ora.
Si staccò dal muro di colpo, come se si fosse scottato contro la parete. Cominciò solo a camminare, senza pensare a niente: voleva che fossero i suoi passi a guidarlo, non la razionalità della mente.
Aveva percorso solo pochi metri, fino a quel momento, e non si stupì, nell’aguzzare la vista, di intravedere Giulia camminare nella direzione opposta. L’avrebbe raggiunto di lì a pochi secondi, nonostante stesse camminando decisamente piano.
In pochi secondi Alessio si ritrovò a dover decidere in fretta: cercare di non farsi vedere, in una qualche maniera, o sperare che Giulia fosse troppo stanca per lasciarsi andare a qualche conversazione. Non aveva alcuna voglia di parlare, e anche se ne avesse avuto voglia, l’unica persona con cui l’avrebbe fatto volentieri in quel momento era solo Pietro.
Prima che potesse decidere qualsiasi cosa, Giulia lo vide. Alzò il braccio in segno di saluto, e ad Alessio non rimase che rallentare a sua volta il passo, rispondendole con un cenno e muovendo la mano senza troppa convinzione. Dopo qualche attimo, si ritrovò Giulia praticamente di fronte.
-Che ci fai in giro a quest’ora?- gli domandò, sistemandosi gli occhiali scivolati avanti sul naso.
-Potrei chiederlo anche a te- Alessio alzò le spalle, evasivo. Era consapevole di non poter dire di star tornando a casa dopo il lavoro: non avrebbe avuto senso camminare nella direzione opposta rispetto al palazzo dove si trovava il suo appartamento.
-Io sto tornando dal lavoro- Giulia lo guardò a lungo, in una maniera che Alessio non seppe interpretare –  Tu piuttosto, non sembri diretto a casa-.
Alessio ingoiò a vuoto, l’agitazione che cominciava a farsi strada in lui. Non aveva intenzione di parlare con Giulia, non di quello che era appena successo. L’unica persona con cui avrebbe voluto parlarne, l’unica persona a cui sentiva di dover parlare, era anche la persona che non lo avrebbe più ascoltato. E a quel punto, preferiva il silenzio.
-Non lo ero, infatti- scrollò le spalle, nervosamente. Si voltò in un’altra direzione, rifuggendo lo sguardo di Giulia, come a voler evitare che si accorgesse ancor di più del suo disagio.
-Vai a fare compere?-.
-Più o meno-.
Quel voler evitare di incrociarne lo sguardo doveva averla insospettita ancor di più. Alessio se ne rese conto troppo tardi: quando decise di correre ai ripari, tornando con gli occhi sul viso di Giulia, lei lo stava già guardando perplessa.
-Sicuro di stare bene?- gli chiese, aggrottando la fronte – Sembri strano-.
-Potrebbe andare meglio-.
Alessio rispose in fretta, fin troppo per non far capire di avere la risposta già pronta. Era come se avesse appena dato la conferma implicita che in effetti qualcosa che non andava c’era eccome.
E ce n’erano fin troppe, di cose che non andavano.
Per un attimo fugace si ritrovò quasi ad essere tentato di sfogarsi con Giulia. D’altro canto era lei ad essere stata la prima a sapere della gravidanza di Caterina: doveva essere abbastanza affidabile per una situazione grave del genere. E sufficientemente comprensiva.
Si ritrovò quasi sul punto di parlare, quando poi lo sguardo gli cadde sul rigonfiamento del cappotto di Giulia, all’altezza del ventre.
Non disse nulla: forse, ora che era incinta, non avrebbe più capito allo stesso modo cosa volesse dire ritrovarsi con le mani legate e le gambe spezzate in un unico solo momento.
-È una storia lunga. Non ho voglia di parlarne- aggiunse, in un borbottio. Voleva sancire la fine definitiva di quell’argomento spinoso, e soprattutto voleva che Giulia capisse che insistere non sarebbe servito a farlo parlare. Il messaggio sembrò arrivare: la vide annuire, un sorriso amaro dipinto sulle labbra e lo sguardo meno allegro di prima.
-Gli anni passano, ma tu rimani sempre sfuggente come sempre, eh?-.
Alessio la guardò vacuamente, qualsiasi risposta che gli era morta in gola. Aveva ragione Giulia: era quello il suo problema, lo era sempre stato. Il non riuscire a parlare di sé agli altri – e nemmeno a se stesso- lo stava condannando sempre di più, verso una via da cui non c’era più scampo.
Giulia si lasciò andare ad un lamento, una smorfia di dolore a contrarle il viso, ed una mano portata velocemente al grembo. Alessio cercò di reggerla quanto meglio poteva, mentre Giulia si piegava leggermente in avanti per quella che doveva essere una fitta o un calcio dei bambini.
-Ce la fai ad arrivare a casa da sola? Posso darti una mano- Alessio attese che si riprendesse un po’, prima di lasciare le mani da lei. Temeva ancora che potesse cadere a terra, in un qualche modo.
-Sono abituata. Ho la schiena a pezzi, e qualcuno che mi sta sfondando l’utero a calci- Giulia rise appena, mentre accarezzava il grembo prominente da sopra il cappotto. Alessio non ricordava a quanti mesi dovesse essere precisamente, ma a giudicare dalle dimensioni del pancione, ormai doveva aver superato la metà della gravidanza.
-Mi dispiace- si limitò a mormorare, a disagio. Si sentiva ancor più in trappola, così, nel ritrovarsi con Giulia e alle prese con gli effetti visibili della gravidanza.
Sentiva solo il bisogno di scappare, di andarsene il più in fretta possibile per non soccombere.
-Tranquillo, è normale- Giulia non sembrò far caso al suo viso rabbuiato, o perlomeno non lo dette a vedere – Tra qualche mese ricorderò questi calci con un po’ di nostalgia-.
“Io li ricorderò solo con amarezza”.
-Scusami, ora devo proprio andare- Alessio si ritrovò a farfugliare quelle parole fin troppo velocemente, tanto che temette che Giulia non l’avesse nemmeno capito.
Lei annuì, accennando a qualche passo nella direzione dell’ingresso del suo palazzo:
-Vai pure-.
Alessio aveva già percorso diversi metri, camminando a passi lunghi e veloci, quando sentì Giulia rivolgersi di nuovo a lui, quasi urlando per farsi sentire:
-Non cacciarti nei guai, Raggio di sole!-.
Si girò verso di lei, in un secondo fugace: avrebbe tanto voluto poterle dire che lui non era tipo da mettersi nei guai. Ma lui, nei guai, ci era già finito, ed erano guai a cui non vi era soluzione alcuna; il mondo stava crollando a pezzi, e si ritrovava ancora una volta da solo ad aspettare la fine di tutto.
 
When it feels like the world's gone mad
And there's nothing you can do about it
No, there's nothing you can do about it [1]
 
*
 
E non vuoi nessun errore
Però vuoi vivere
Perché chi non vive lascia
Il segno del più grande errore
 
Aveva capito che c’era qualcosa che non andava nel momento stesso in cui era rientrato a casa, richiudendo la porta d’ingresso senza far troppo rumore. Era stato in quel momento che aveva udito degli ansimi.
Pietro si era fermato per diversi attimi, nel silenzio, rimanendo ad ascoltare: sembrava che qualcuno stesse cercando di reprimere dei singhiozzi a stento, non riuscendoci quasi per niente.
Riconobbe subito la voce di Giada quando, qualche secondo dopo, aveva imprecato, la voce rotta e tremante. Doveva essere successo qualcosa di grave, anche se non aveva idea di cosa potesse riguardare.
Si tolse il cappotto facendo altrettanto piano, cercando di ripercorrere con la memoria altre situazioni in cui aveva beccato Giada a piangere di nascosto: si rese conto che non ne ricordava nemmeno una. Forse non aveva mai davvero visto Giada piangere.
Con quel dubbio, percorse a passi lenti lo spazio che lo avrebbe portato nel piccolo salotto, dove Giada se ne stava seduta sul bordo del divano, le spalle basse e i capelli biondi scompigliati. Non alzò il viso, quando Pietro arrivò a qualche metro da lei, né cercò di nascondere i segni del pianto. D’altro canto, sarebbe stato impossibile cercare di negare l’evidenza: il viso bagnato di lacrime e gli occhi gonfi e arrossati avrebbero tolto qualsiasi dubbio.
-Che succede?-.
Pietro si fece avanti, l’angoscia che cominciava a crescere. Nonostante la situazione pessima in cui si ritrovavano, sentì il cuore stringersi alla vista di Giada, così fragile come non l’aveva mai vista. Era strano veder crollare una persona così forte come lei era sempre stata.
Le si sedette di fianco, mentre Giada ancora si rifiutava di voltarsi verso di lui. Non gli rispose nemmeno: si limitò a tirar su con il naso, passandosi poi una mano sugli occhi con un gesto tremante.
Pietro sentì l’ansia farsi pressante, accompagnata da un brutto presentimento. Cosa poteva essere successo di così grave da mandarla così tanto in crisi?
Si sforzò di metterle una mano sulla spalla, in segno di affetto:
-Mi vuoi dire che è successo?-.
Giada continuò a non volerlo guardare. Si passò nuovamente una mano sugli occhi, arrossando ancor di più la pelle sotto di essi; sembrava distrutta, e nonostante il rancore e la lontananza che stavano sperimentando in quegli ultimi mesi, Pietro si sentì in pena per lei.
-Non è facile- mormorò infine Giada, la voce spezzata ed appena udibile.
Pietro continuò ad accarezzarle la spalla, facendosi però più cauto:
-Riguarda noi?-.
Giada fece segno d’assenso con il capo, schiarendosi la gola e cercando di parlare più convintamente:
-Ho scoperto una cosa. Una cosa che non so come prendere, in questo momento-.
Pietro si sentì raggelare sul posto. Per un attimo fugace temette di essere stato scoperto nel suo volerla lasciare. Rimase per qualche secondo a riflettere: non ne aveva parlato a nessuno, a parte Fernando, e di certo lei non poteva essere venuta a sapere una cosa del genere.
-Che tipo di cosa?- si sforzò di domandarle, apparentemente calmo ma con il cuore in gola.
Forse poteva aver scoperto, in un modo o nell’altro, di lui e Fernando. Poteva averlo seguito mentre andava ad incontrarlo? Aver letto qualche messaggio ed aver intuito ci fosse qualcosa sotto?
Forse aveva anche scoperto della sua omosessualità.
Pietro allontanò la mano dalla spalla di Giada, andando a ricongiungerla con l’altra. Si torturò le mani in ansia, cercando di calmarsi con il pensiero razionale che fosse quasi impossibile, con così pochi elementi, scoprire l’una o l’altra cosa.
-Qualcosa che non mi aspettavo. Non ora, almeno- Giada rispose ancora vagamente, con l’unico risultato di farlo andare ancor più in paranoia.
-Così mi fai spaventare-.
Ci furono alcuni secondi di puro silenzio, prima che Giada decidesse finalmente di voltarsi verso di lui. Aveva ancora il volto contratto, come nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime non ancora cadute e che rischiavano di ricaderle sulle gote arrossate e bagnate.
Pietro sentì il battito accelerare ancora di più, in preda ad una sensazione di annegamento che cominciava a farsi sempre più dilagante.
-Aspetto un bambino-.
 
*
 
Conti ferito le cose che non sono andate come volevi
Temendo sempre e solo di apparire peggiore
Di ciò che sai realmente di essere
 
L’odore del fumo impregnava ormai l’aria della stanza. Pietro aveva lasciato la finestra appena socchiusa, per non rischiare di soffocare nell’olezzo acre delle sigarette che aveva fumato fino a quel momento. Aveva quasi finito il pacchetto, nuovo fino ad un’ora prima. Quella che teneva tra le dita era la terzultima sigaretta che rimaneva, il fumo che ormai gli bruciava gli occhi e la gola.
Per la verità, non era sicuro che gli occhi gli bruciassero solo per il fumo che saturava l’ossigeno: forse erano anche state le lacrime, scese incontrollabili per un tempo che non avrebbe saputo definire, a renderglieli così rossi ed irritati.
Un’ora prima, quando Giada gli aveva detto ciò che la rendeva così inquieta, aveva passato i primi secondi completamente in silenzio ed immobile. Per un attimo aveva creduto che, di lì a qualche momento, si sarebbe risvegliato nel suo letto. Non era successo nulla di simile: non era stato un incubo a catapultarlo in quella realtà distorta. Era stata solo la sua leggerezza, il suo continuare a procrastinare, il mancato coraggio per fare cose che avrebbe dovuto fare molto prima.
Alla fine non aveva detto nulla sul serio. Giada aveva continuato a piangere sommessamente, alzandosi poco dopo, lasciando Pietro da solo, seduto su quel divano e frastornato come se avesse appena ricevuto un calcio in faccia. Non sapeva dove se ne era andata, ma sapeva solo che anche lui voleva andarsene da lì. Si era alzato a fatica, e come un automa aveva percorso il corridoio della casa.
Non si era meravigliato molto, dopo essersi reso conto di essere finito in quella che, una volta, era la stanza appartenuta ad Alessio.
Ora era solo una stanza che Giada usava spesso come ufficio, e in cui Pietro raramente metteva piede. Erano quattro mura che racchiudevano troppi ricordi, ricordi di tempi passati che non sarebbero mai tornati e il cui ricordi lo lacerava ogni volta. Non era rimasto nulla di Alessio, lì dentro, se non il ricordo di lui e di tutte le cose che Pietro avrebbe potuto dirgli – dirgli la verità, dirgli che non avrebbe mai voluto vederlo andare via, dirgli che erano due idioti che combinavano solo casini per nascondersi-, e che ora avrebbe dovuto soffocare per sempre.
Eppure era lì che si era diretto, ed era sempre lì che aveva aperto al finestra, nonostante il freddo esterno, prima di accendersi la prima sigaretta del pacchetto nuovo che aveva ancora nella tasca dei jeans. Si era seduto alla sedia della scrivania, e tra una boccata e l’altra aveva cercato di soffocare i gemiti del pianto isterico e nervoso che l’aveva colto improvvisamente.
Prendendo l’ennesima boccata dalla terzultima sigaretta, si chiese distrattamente se anche Giada stesse continuando a piangere le lacrime amare che avevano solcato il suo viso fino a quel momento. Forse, piuttosto che restare in completo silenzio, avrebbe dovuto trovare la forza di consolarla, di farle capire che erano in due a ritrovarsi in quella situazione inaspettata. Ma come avrebbe potuto pretendere di calmarla, quando era lui per primo ad aver bisogno di qualcuno che gli desse la forza necessaria anche solo per respirare?
 
Conti precisi per ricordare quanti sguardi hai evitato
E quante le parole che non hai pronunciato
Per non rischiare di deludere
 
Finì anche quella sigaretta in poco tempo. Non ricordava di aver mai fumato così tanto in vita sua, né di aver mai avuto il respiro più affannoso di come era in quel momento. Lanciò un’occhiata alle due sigarette restanti nel pacchetto, ancora mezzo aperto e lasciato casualmente sulla superficie della scrivania.
Che ne sarebbe stata della sua vita?
Forse era quella la domanda che più si era posto nell’ultima ora. In quel momento, più di qualsiasi altro, si ritrovava di fronte ad un bivio che, in egual misura per quel che riguardava le scelte a cui si trovava di fronte, non gli lasciava alcuno scampo.
Era quasi ironico vedere come la situazione si era completamente ribaltata: un attimo prima si era ritrovato a poter quasi toccare la libertà, lasciando Giada e tutte le bugie che c’erano state tra di loro. C’era arrivato così vicino, aveva potuto quasi sfiorare quella parvenza di vita nuova, che ci aveva creduto per davvero.
E poi aveva dovuto ritrarre la mano, perché Giada gli aveva dato quella notizia facendola assomigliare ad un fulmine a ciel sereno – cosa che doveva essere stata anche per lei.
Si ritrovava di nuovo inchiodato allo stesso punto di prima, solo che stavolta lo era per davvero, in maniera definitiva.
Non sapeva se Giada avrebbe tenuto il bambino. Non riusciva ad immaginarsela madre – la sua idea di donna indipendente e professoressa in carriera mal si conciliava, nella sua mente, con l’idea di una Giada pronta a mettere da parte i propri sogni lavorativi per un figlio-, ma non poteva nemmeno scartare a priori la possibilità che decidesse di tenerlo. Aveva trentaquattro anni: l’età giusta per prendersi una pausa e diventare madre, se avesse voluto.
E lui?
Lui ci aveva mai pensato a diventare padre?
Con i bambini aveva un discreto talento, da quel che aveva potuto capire con Francesco, ma non aveva mai davvero pensato al se stesso del futuro con dei figli a carico.
Era così maledettamente inaspettato sapere che Giada stava aspettando un figlio. Un figlio loro, un figlio anche suo.
Un figlio al quale Pietro faceva fatica ad associare una qualche immagine, una qualunque caratteristica. Si erano sentiti così anche Nicola e Filippo, quando avevano saputo che sarebbero diventati genitori? Ci si sentiva sempre così sperduti e confusi, quando la vita ti metteva di fronte ad una prospettiva ed una responsabilità così grandi?
Pietro si passò le mani sul viso, tenendo gli occhi chiusi per qualche secondo. Cominciava a sentire la testa girargli, e gli occhi farsi nuovamente lucidi per un lungo attimo.
 
Torni a sentire
Gli spigoli di quel coraggio mancato
Che rendono in un attimo
Il tuo sguardo più basso
E i tuoi pensieri invisibili
 
Afferrò il telefono dalla tasca dei jeans più velocemente di quanto avesse anche solo pensato di farlo. Aveva bisogno di sentire la voce di qualcuno, anche solo di parlare di qualsiasi cosa.
Non avrebbe parlato di ciò che era appena successo, non ancora; ma aveva bisogno di ascoltare la voce altrui, di un interlocutore che ancora non aveva deciso.
Scorse lentamente la rubrica. Scartò subito i suoi genitori e i suoi fratelli: lo conoscevano troppo bene, e al solo sentirli parlare al telefono, Pietro sapeva che probabilmente non sarebbe riuscito a trattenersi dallo scoppiare di nuovo in lacrime.
Si soffermò più a lungo sulle voci di Filippo e Nicola, ma andò oltre anche in quei casi: anche loro lo conoscevano troppo bene per farsi ingannare dalle apparenze. Non si soffermò su Alessio: era la persona che più di tutte avrebbe voluto sentire, ed era allo stesso tempo la persona che più di tutte avrebbe solamente peggiorato le cose.
E poi giunse alla voce di Fernando. Non ci pensò molto, prima di far partire la chiamata: gli sarebbe bastato scambiare solo qualche parola con lui, sentire la sua voce calda e famigliare, ed assaporare – forse per l’ultima volta- quello spiraglio di libertà che aveva sperimentato insieme a lui.
-Pronto?-.
Fernando rispose quasi subito, solo dopo alcuni squilli. Pietro se lo immaginò sorridente, come sempre: persino la sua voce sembrava sorridere.
-Ti disturbo?- fece Pietro, rendendosi conto di avere la voce troppo roca per far finta di stare bene.
-No, mi sono svegliato da poco da un sonnellino pomeridiano- Fernando sembrò reprimere uno sbadiglio, prima di proseguire con fare incerto:
-Stai bene? Mi sembri strano-.
-Sono solo un po’ raffreddato-.
I sensi di colpa per quella bugia serpeggiarono in Pietro in un silenzio freddo, ma si impose di non aggiungere altro. Fernando doveva aver già la sensazione che sì, qualcosa che non andava per il verso giusto ci fosse eccome.
Non poteva lasciarsi scappare parole più compromettenti. Ciò che voleva era solo parlare con qualcuno: di qualsiasi cosa, ma non di quello che era appena successo.
-Se fossi lì ti riscalderei volentieri- un secondo dopo Fernando assunse il solito tono malizioso, quello che usava spesso per dire cose più spinte con il solo scopo di imbarazzare l’interlocutore. In qualsiasi altra situazione, Pietro sarebbe arrossito e avrebbe riso per sdrammatizzare; in quel momento, invece, riuscì a malapena a sorridere.
-Ti chiamavo per dirti una cosa-.
Pietro pronunciò quelle parole a fatica. Continuava a ripetersi che non era ciò che voleva, parlare a Fernando di Giada e della gravidanza. Non era quello il momento, né avrebbe mai voluto farlo per telefono. Non se lo meritava. Il dubbio e la tentazione, però, serpeggiarono in lui inaspettatamente, sbucati fuori quasi dal nulla.
All’altro capo del telefono, Fernando continuava a parlare con la stessa calma di sempre:
-Dimmi pure-.
“Se glielo dicessi davvero?”.
Pietro si morse il labbro inferiore, sentendo il battito cardiaco accelerare per la tensione.
Come avrebbe potuto dirgli una cosa del genere, quando dopo l’ultima volta che si erano visti lui stesso gli aveva promesso un futuro migliore – un futuro per loro?
L’unico futuro che vedeva, in quel momento, era quello accanto a suo figlio. E accanto a Giada, perché sapeva che se l’avesse lasciata proprio in un momento del genere, si sarebbe potuto scordare qualsiasi momento accanto a suo figlio e si sarebbe sentito solo un ingrato.
E forse, in fondo, quello era il primo momento di consapevolezza: forse la vita di suo figlio, quello sconosciuto che non doveva misurare più di qualche centimetro, ora come ora, veniva prima di qualsiasi vita felice che Pietro avrebbe potuto passare in alternativa.
-Pietro? Ci sei ancora?-.
La voce allarmata di Fernando lo riscosse d’improvviso; Pietro si passò una mano sulla fronte, non ben consapevole di quanto fosse rimasto in silenzio.
Sapeva solo che non poteva dirlo a Fernando. Non subito, non così.
-Sì. Volevo solo dirti che per un po’ di giorni non potremo vederci- si maledisse mentalmente per essere rimasto così sul vago – È successo un casino qui a casa-.
-Oh. Ok, va bene. Nessun problema- Pietro si maledisse una seconda volta, quando percepì la voce di Fernando rabbuiarsi – Posso farti una domanda?-.
-Certo- Pietro cercò di non apparire insicuro, anche se fu quasi certo di percepire la propria voce tremare. Sentì dall’altra parte Fernando sospirare a fondo, come per farsi coraggio poco prima di porre una domanda scomoda:
-Non mi stai evitando per quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti, vero?-.
A Pietro venne quasi da ridere: il ricordo del loro ultimo incontro sembrava così lontano, ora. Sembrava un ricordo appartenente ad un’altra persona, ad un’altra vita. Sarebbe potuto passare solo per un sogno lontano, che non si era mai davvero concretizzato.
-No, non è per quello- si costrinse a rispondere – È una cosa che non riguarda me e te-.
“Riguarda solo me”.
Stavolta, il sospiro che tirò Fernando fu di puro sollievo:
-Va bene. Riguardati, allora- fece una pausa, prima di aggiungere, esitante, a tratti timido:
-Mi richiami appena stai meglio?-.
Pietro non aveva idea di quando sarebbe stato meglio. Probabilmente non lo sarebbe stato per lungo tempo, forse per mesi interi. Dire quell’ennesima bugia a Fernando gli bruciò più delle volte precedenti:
-Sì, lo farò-.
 
Torni a contare i giorni
Che sapevi non ti sanno aspettare
Hai chiuso troppe porte
Per poterle riaprire
Devi abbracciare
Ciò che non hai più
 
Quando mise giù la chiamata, la stanza ripiombò nel silenzio. Era lo stesso silenzio che Pietro si sentiva addosso, dentro di sé, nelle ossa; un silenzio che per troppo poco tempo era stato interrotto dalla voce di Fernando, ancora inconsapevole di ciò che sarebbe successo.
Pietro si alzò dalla sedia su cu era rimasto fermo così a lungo, aggirandosi nello spazio della camera senza una meta o un obiettivo preciso. Lasciò il telefono inerte sulla scrivania, lontano da sé, come a voler allontanare anche le bugie appena pronunciate.
Stava andando tutto a rotoli, di nuovo.
Sentiva ancora la voglia di piangere, di sfogarsi in quell’unico modo in cui gli era possibile farlo. Non aveva mai pianto spesso, in vita sua, ma sentiva l’inedito bisogno di farlo ancora a lungo, di prosciugarsi fino all’ultima lacrima.
Avrebbe anche voluto urlare, a tutta voce, fino a sentire la gola grattare per il dolore. Si limitò invece a fermarsi, la schiena contro il muro e le mani a coprire il viso.
Era facile immaginare come sarebbe potuta essere diversa la sua vita, tenendo le palpebre calate. Nell’oscurità dei suoi occhi chiusi poteva cancellare ciò che Giada gli aveva rivelato un’ora prima. Poteva cancellare anche la loro intera storia; poteva cancellare gli ultimi quattro anni della sua vita in un attimo, più veloce addirittura di uno schiocco di dita.
In quel lasso di tempo limitato, poteva riaprire porte chiuse centinaia di giorni prima, quando ancora non aveva idea di come sarebbe stata miserabile la sua vita di adesso. Sembrava così facile, dopotutto, immaginare come sarebbe cambiato tutto, se quattro anni prima si fosse deciso a parlare ad Alessio di quel che provava. Forse sarebbe andata comunque male, ma avrebbe potuto dire di aver fallito provandoci.
Avrebbe potuto cambiare le cose in quella stessa stanza, tre anni prima, dicendogli che Giada era solo una distrazione per non pensare a quel loro amore impossibile, e una copertura per non dovere ammettere di essere qualcosa che non riusciva ad accettare.
E ancora una volta, non aveva avuto il coraggio di farsi avanti l’anno precedente, quando quel bacio sembrava aver rovesciato tutto. Erano tutte porte che doveva chiudere a forza, ora, e che niente avrebbe potuto riaprire.
Scivolò lungo la parete, finendo a terra, abbandonandosi sul pavimento freddo e al vuoto attorno a lui.
Non era stato in grado di decidere della sua vita, lasciandosi cullare in balia degli eventi. Ed ora, di nuovo, era la vita a decidere per lui, legandolo a Giada in quella maniera irreversibile e indissolubile quale era un figlio.
Pianse ancora un po’, rimanendo seduto scompostamente sul pavimento, infreddolito e solo, le lacrime come sue uniche compagne.
 
Scivoli di nuovo
E ancora come tu fossi una mattina da vestire e da coprire
Per non vergognarti
Scivoli di nuovo e ancora
Come se non aspettassi altro

Che sorprendere le facce distratte e troppo assenti
Per capire i tuoi silenzi
C'è un mondo di intenti dietro gli occhi trasparenti
Che chiudi un po' [2]






 
[1] Bastille - "World gone mad"
[2] Tiziano Ferro - "Scivoli di nuovo"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente alle rispettive band e ai loro autori. 
NOTE DELLE AUTRICI
Con questo aggiornamento possiamo ufficialmente dire che il mistero della paternità di Pietro, svelato nell'ultimo flashforward del prologo, è stato svelato: Giada è incinta, e visto come finirà Growing è molto probabile che la gravidanza proseguirà. Certo è che rimarrà da vedere in quali modalità verrà portata avanti, perché non è poi così sicuro che lei e Pietro continueranno a fare coppia comunque.
Ma andiamo con ordine: la situazione non è cambiata molto a casa di Alessio e Alice. Ci sono stati momenti migliori tra i due, impossibile negarlo, e proprio per questo motivo il momento di fuga di Alessio non appare nemmeno così strano. E che fuga sarebbe senza l'incontro di una persona amica? Peccato però che l'incontro con Giulia mette il nostro Raggio di sole di fronte a una fotografia del suo futuro, un futuro da padre. Come affronterà Alessio i mesi a venire? Cambierà idea sulla situazione oppure non ci sono speranze a tal proposito?
Alessio, comunque, non è l’unico a dover fare i conti con la questione paternità: la notizia della gravidanza di Giada provoca a Pietro uno sconforto incredibile. D'istinto chiama Fernando, un po' per distrarsi, un po' per consolarsi. La tentazione di dire la verità su quanto successo è forte, ma alla fine rinuncia. Quando riuscirà a dire la verità all'amico? Ma soprattutto, come lo farà? Come affronterà Pietro questa paternità improvvisa? E come evolverà il suo rapporto con Giada? Se da un lato la loro relazione come coppia è ormai agli sgoccioli, dall'altro lato qualcosa di nuovo li legherà per molto, molto tempo.
Come avrete potuto notare, gli interrogativi in vista del prossimo aggiornamento non mancano. Non resta che attendere i prossimi appuntamenti per far maggior chiarezza sul futuro di Pietro e degli altri protagonisti della storia, e quindi non che resta che ritrovarci sempre in questi lidi mercoledì 23 novembre!
Kiara & Greyjoy
 
 
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 33 - Somewhere I belong ***


CAPITOLO 33 - SOMEWHERE I BELONG

 
 
Let me apologize to begin with
Let me apologize for what I'm about to say
But trying to be genuine was harder than it seemed
And somehow I got caught up in between
 
“E ti dico ancora: qualunque cosa avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non accadrà mai che, nel momento in cui tu mi chiami seriamente e senta d’aver bisogno di me, mi trovi sordo al tuo appello. Mai” - Herman Hesse

 
Era già calata la sera, quando fece girare le chiavi nella toppa della serratura. Alessio sbuffò a quel pensiero: era appena metà dicembre, ed avrebbe dovuto attendere ancora molto per il ritorno della primavera, con più ore di luce e il sole che ricominciava a scaldare. Odiava vedere la notte già scesa nel primo pomeriggio, così come odiava l’aria tetra dell’inverno, con il suo sole pallido e il gelo che si insinuava fin nelle ossa.
Fece un passo dentro casa, trovandosi da solo nel silenzio dell’abitazione. Andava bene così: non aveva molta voglia di parlare, in quel momento, non dopo aver passato gran parte della giornata a partecipare alla festa di laurea di Nicola.
Era stato difficile dover fingere che andasse tutto bene, anche se non erano mancati momenti in cui, per una volta da un mese a quella parte, era quasi riuscito a non pensare alla marea di problemi della sua vita. Aveva aiutato anche il fatto che con lui non ci fosse Alice, partita a inizio settimana per Londra, e il cui ritorno era previsto qualche giorno dopo. Era partita dicendo che aveva bisogno di stare almeno una settimana con i suoi genitori, ed Alessio non aveva potuto fare a meno di darle ragione: forse, almeno loro, sarebbero riusciti a darle il sostegno necessario che da lui, inevitabilmente, Alice non riusciva a trarre.
Si era anche sforzato di non darci troppo dentro con l’alcool. Non si era sottratto ai vari brindisi al rinfresco che aveva seguito la proclamazione – era pur sempre una laurea da festeggiare-, ma si era ripromesso di non dover rischiare di dover essere portato a braccio fino a casa per il troppo alcool ingerito. Non era stato facile, ma ci era riuscito comunque.
In fin dei conti, non poteva dire di non essersi trovato bene: avrebbe avuto bisogno di più sere svagate come quella per riuscire a superare quel periodo, se non indenne almeno con l’ansia diminuita di un po’.
Si tolse le scarpe, lasciandole in un angolo dell’atrio – l’assenza temporanea di Alice gli permetteva di essere un po’ più disordinato del solito-, avviandosi poi verso la camera da letto. Si sdraiò sul materasso, con un sospiro profondo: aveva la schiena a pezzi, e anche i piedi erano doloranti.
Era stata una giornata intensa, particolarmente lunga: la proclamazione di Nicola si era tenuta, come sempre, a San Marco, a mezzogiorno. Per essere dicembre, erano stati fortunati ad avere una giornata di sole: a restare fermi per un’ora, con il cielo nuvoloso, avrebbero rischiato di rimanere tutti congelati.
Quando la cerimonia si era conclusa, Nicola aveva fatto il giro degli invitati: non erano in molti, ma abbastanza per rimanere fermi nella piazza ancora per una ventina di minuti. Alla fine, quando aveva raggiunto Alessio, fermo con Caterina, Giulia e Filippo, e con Pietro e Giada, Nicola gli era parso stremato. Eppure, nonostante la visibile stanchezza, continuava a sorridere come non mai. Guardandolo prendere in braccio Francesco, lasciandogli un bacio sulla guancia e sui capelli biondi, Alessio si era chiesto per la prima volta se, prima o poi, anche lui avrebbe provato lo stesso senso di orgoglio e felicità che doveva aver provato Nicola in quel momento, subito dopo aver concluso anche la magistrale con il massimo dei voti e tenendo stretto a sé suo figlio.
Era uno scenario che non riusciva ad applicare a se stesso, e non riusciva a capire se quella sorta di amara consapevolezza fosse accompagnata più dalla rassegnazione o dalla delusione.
Alla fine si erano avviati tutti verso il ristorante dove era stato prenotato il rinfresco; la camminata da San Marco al locale era stato probabilmente il momento in cui Alessio si era distratto di più, troppo preso a ridere per gli sfottò ironici di cui Nicola era stato vittima – ricordava ancora con un sorriso il geniale “Finalmente ti sei laureato, Tessera. Adesso il prossimo passo è farti crescere la barba, anche se per quello temo che dovremmo attendere ancora altri tre decenni” di Pietro.
Anche il rinfresco non era andato troppo male. Lì, paradossalmente, aveva avuto più momenti di silenzio di quanto non ce ne fossero stati fino a quel momento.
Non era stato facile sopportare la vista di Francesco – che, per quanto Alessio gli volesse bene, in quel frangente gli ricordava solamente quello che sarebbe stato il suo destino- e nemmeno del pancione di Giulia, a cui ormai mancavano solo tre mesi prima della data presunta del parto. Era stato difficile osservarli e pensare che un giorno d’estate si sarebbe trovato anche lui in quei panni. Panni che, ne era piuttosto sicuro, gli sarebbero stati estremamente stretti.
Era già calata la sera quando se ne era andato dal rinfresco, dopo aver salutato i suoi amici. Era riuscito a dribblare con una certa abilità le domande che gli avevano fatto sulla sua poca allegria, e forse li aveva davvero convinti che tutto stesse andando bene. Pietro era l’unico su cui aveva dubbi: l’aveva guardato a lungo, al momento del commiato, in un modo che Alessio non era riuscito ad interpretare.
Ora, però, ritrovandosi disteso sul suo letto in quell’appartamento vuoto e silenzioso, si ritrovava a sentire la mancanza dell’atmosfera di festa. Gli aveva fatto bene starsene un po’ in compagnia, e forse avrebbe fatto bene a rimanere ancora un po’. Cominciava a sentirsi talmente pentito di essere rientrato abbastanza presto da arrivare quasi a desiderare una delle cene sgangherate a casa di Giulia e Filippo.
Alessio si alzò un po’, reggendosi sui gomiti, allungandosi verso il cassetto del comodino, aprendolo alla ricerca di un pacchetto di fazzoletti. Doveva aver preso un bel po’ di freddo, quel giorno, perché si sentiva congestionato, e qualche attacco di tosse aveva fatto la sua comparsa poco prima di lasciare il rinfresco.
Rovistò a lungo nel cassetto, e dovette allungarsi un po’ di più per cercare meglio. Sembrava che non ci fosse alcun fazzoletto lì dentro, ma si ritrovò comunque con qualcosa tra le dita.
Quando ritrasse la mano aveva già capito cosa stava stringendo: ricordava bene di tenere lì dentro, ben custodite, la copia delle chiavi del suo vecchio appartamento, da quando Pietro gliele aveva fatte riavere l’anno prima.
Si rimise disteso, rigirandosi ancora le chiavi tra le mani. Una volta, quando ancora le usava praticamente ogni giorno per rientrare ed uscire dall’appartamento, avevano diversi portachiavi attaccati ad esse: ora, invece, erano spoglie, due semplici chiavi – quella del portone del palazzo e quella della porta d’ingresso- tenute insieme da un anello vagamente scolorito.
Ricordava bene quando Pietro gliele aveva ridate. Era stato un momento strano, uno di quei momenti che non avrebbe saputo descrivere mentre lo stava vivendo, e che ancora adesso faticava a decifrare. Sapeva solo che aveva dovuto lottare a lungo contro la voglia di stringere Pietro a sé, e che le parole che gli aveva detto, mentre gli donava quelle due chiavi, gli si erano come impresse nella memoria.
“Se un giorno, però, qualcosa dovesse ... Rompersi, se qualche giornata dovesse essere più storta delle altre, quando avrai bisogno di staccare anche solo per un minuto, o per un’ora, anche se ora non ci vivi più nel nostro appartamento, diciamo che per quanto tempo possa passare, rimarrà sempre anche un po’ tua, quella casa. È una di quelle cose che non si possono cancellare da un giorno all’altro, non così facilmente”.
Da quella sera ne erano successe talmente tante che Alessio dubitava che per Pietro quelle parole e quelle promesse valessero ancora.
Posò le chiavi sul comodino, sbuffando rassegnato. Era stato un mese in cui più di una volta aveva dovuto soffocare l’intenzione di parlare a tu per tu con Pietro. Forse non gli avrebbe parlato direttamente della gravidanza di Alice – avevano deciso di non parlarne troppo in pubblico ancora per un po’ di tempo-, ma sapeva anche che, se fossero finiti sull’argomento, con lui si sarebbe sfogato fino in fondo.
Anche Pietro, a giudicare da come gli era parso durante la giornata, non sembrava passarsela bene. Nel guardare lui e Giada – distanti e distaccati tra loro come due semi sconosciuti- ad Alessio era sembrato di rivedere se stesso ed Alice. C’era stato qualcosa, nei diversi momenti in cui Pietro se ne era stato in disparte dal clima di festa, in cui Alessio aveva avuto la netta sensazione che qualcosa non andasse.
Si girò ancora una volta verso quella chiave – quella maledetta chiave che sembrava stare a chiamarlo, a dirgli che ormai doveva agire e smetterla di farsi mille paranoie-, fissandola senza toccarla.
“Per quanto tempo possa passare, rimarrà sempre anche un po’ tua, quella casa”.
Forse, in fondo, nonostante tutto quello che era successo, quelle parole non avevano ancora perso del tutto il loro valore.
 
Let me apologize to begin with
Let me apologize for what I'm about to say
But trying to be someone else was harder than it seemed
And somehow I got caught up in between
 
*
 
Let me apologize to begin with
Let me apologize for what I'm about to say
But trying to regain your trust was harder than it seemed
And somehow I got caught up in between
 
Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che era stato lì. Doveva essere passato almeno un anno, forse un po’ meno; era comunque un sacco di tempo, tenendo conto che una volta quelle scalinate le percorreva ogni singolo giorno, alla mattina per andare a lezione e alla sera per rientrare.
Sembrava così lontana l’epoca in cui chiamava casa l’appartamento che aveva condiviso con Pietro. E in un certo senso, la sentiva ancora come casa sua, in un modo in cui non avrebbe mai sentito di poter chiamare l’appartamento in cui viveva con Alice: potevano passare anche anni interi, ma ricordava ogni singolo dettaglio alla perfezione, dalle crepe sul soffitto dell’atrio del palazzo, alle venature del marmo degli scalini, al campanello bistrattato della porta dell’appartamento. Si sentiva sempre al sicuro, lì dentro, tra quegli spazi che lo avevano visto crescere per tre anni.
Alessio si fermò di fronte a quella stessa porta, una mano in tasca e l’altra con cui rigirava nervosamente il suo vecchio mazzo di chiavi. Era entrato nel palazzo grazie a quelle, ma ora sarebbe stato decisamente più inopportuno riutilizzarle per entrare anche in quella che, a tutti gli effetti, era casa solamente di Pietro. Avrebbe rischiato di capitare in un momento inopportuno, oltre che sembrare un ficcanaso pronto ad invadere gli spazi altrui senza permesso.
Era vero che Pietro gli aveva donato quelle chiavi per dirgli che lì sarebbe sempre potuto tornare, ma era anche vero che da quel regalo il loro rapporto era scemato quasi del tutto, continuando ad esistere solo in sporadiche chiacchierate piuttosto distaccate.
Sentì stringersi il cuore a quella consapevolezza: era anche colpa sua se ora lui e Pietro sembravano a malapena dei conoscenti qualsiasi. E si sentiva ancor più idiota nel rendersi conto che, nel momento del bisogno, era proprio Pietro l’unico a cui aveva trovato la forza per parlare.
Alzò lo sguardo, puntandolo sul campanello. Se non lo avesse suonato entro il prossimo minuto, sapeva già che non lo avrebbe fatto mai più; se ne sarebbe andato, e Pietro né nessun altro avrebbero mai saputo che lui era stato lì, seppur per poco.
Prese un sospiro profondo, chiudendo gli occhi per un attimo. Non poteva andarsene, non dopo essere arrivato fino a quel punto.
Premette il polpastrello sul campanello così velocemente che quasi non se ne rese conto, e probabilmente fu meglio così: meglio farlo subito, che continuare a rimandare per poi, magari, lasciar perdere.
Ora sentiva il battito accelerare notevolmente: era riuscito a mantenere una parvenza di calma fino all’appartamento, ma solo in quel momento si stava rendendo conto che rivedere Pietro, da solo, lo stava mettendo in agitazione più di quanto non avrebbe mai creduto.
Attese per almeno un minuto, o così gli parve: il tempo sembrava essersi dilatato all’infinito, mentre il cuore gli rimbombava nelle orecchie e il respiro accelerava.
Alessio prese a guardarsi intorno, quasi sul punto di andarsene – forse Pietro non era in casa, forse era occupato, magari aveva deciso di passare il sabato pomeriggio altrove. E poi, probabilmente, doveva esserci anche Giada in casa, nel caso ci fosse stato anche lui.
Scosse il capo, dandosi dell’idiota mentalmente: era stata una pessima idea cercarlo lì, a casa sua. Non imparava mai dai suoi errori, continuando a ripeterli sempre di continuo.
Fece per scendere il primo scalino, il cuore ancora che batteva veloce e l’amaro in bocca che gli dava un sapore di fiele. Dovette bloccarsi nell’istante stesso in cui poggiò il piede sul gradino più in basso del pianerottolo, perché, se l’udito non l’aveva ingannato dandogli una qualche allucinazione sonora, la serratura della porta d’ingresso era appena scattata.
Alessio si girò lentamente, e solo quando si rese conto che ad averla aperta era stato proprio Pietro, sentì il battito del proprio cuore calmarsi.
-Alessio?-.
Pietro si sporse di più fuori dalla porta d’ingresso, la fronte aggrottata e gli occhi sgranati: sembrava completamente incredulo di trovarlo lì. Non c’era traccia di rabbia o di rancore, né nella voce né nello sguardo: era solo meraviglia, la sua.
-Ciao, Pietro-.
Alessio assaporò il nome dell’altro sulle labbra, come se bastasse già solo quello per sentirsi più al sicuro. Avrebbe voluto sorridergli, ma si trattenne: non si faceva troppe illusioni che il loro rapporto sarebbe tornato quello di prima solo perché quel giorno era andato da lui.
-Che ci fai qui?-.
Di nuovo nella voce di Pietro non sembrava esserci nervosismo. Era più una freddezza cortese, quella che stava usando, mista alla curiosità che doveva averlo spinto a porre quella domanda. Alessio alzò le spalle, vago:
-Posso parlarti?- fece una pausa, durante la quale temette che, arrivati a quel punto, Pietro gli avrebbe sbattuto la porta in faccia – In privato, se possibile-.
Ci furono alcuni secondi di totale silenzio, in cui Pietro si morse il labbro, lo sguardo un po’ perso altrove e l’indecisione dipinta in faccia. Alessio si ritrovò di nuovo ad attendere, in un’attesa, se possibile, anche peggiore della prima.
Alla fine Pietro sospirò a lungo, passandosi una mano tra i capelli castani, e portando gli occhi scuri su Alessio:
-Sono a casa da solo, Giada è andata da qualche parte a fare compere- aprì un po’ di più la porta d’ingresso, in un tacito invito ad Alessio di seguirlo all’interno dell’appartamento – Entra, possiamo parlare qui-.
 
Between my pride and my promise
Between my lies and how the truth gets in the way
The things I want to say to you get lost before they come
The only thing that's worse than one is none [1]
 
*
 
C’era ancora una certa tensione nell’aria, che Alessio non avrebbe saputo dire fosse più nervosa o imbarazzata. Pietro gli aveva offerto un caffè, e circa quindici minuti dopo essere rientrati insieme nell’appartamento, Alessio si ritrovava seduto sul divano del piccolo soggiorno, una tazzina fumante e calda in mano. Il caffè amaro – Pietro doveva ancora ricordarsi di certe sue abitudini- era ancora troppo caldo per essere bevuto, ed Alessio si stava limitando ad aspettare prima di mandarlo giù in un unico sorso.
Era anche un modo per temporeggiare: forse, dentro di sé, aveva ritenuto talmente improbabile che Pietro lo lasciasse entrare in casa, che ora si ritrovava completamente disorientato e senza saper bene cosa dire. O, come avrebbe fatto meglio a correggersi, senza sapere come dirlo.
Alessio lanciò uno sguardo di sottecchi verso Pietro, rimasto in piedi, in attesa a sua volta che il caffè smettesse di scottare: aveva delle brutte occhiaie sotto gli occhi, e l’aria di chi doveva aver passato parecchie notti insonni. Il viso pallido completava l’aspetto trasandato che sembrava aver adottato da un mese a quella parte.
-Non mi hai ancora detto come mai sei venuto fin qua-.
Pietro aveva alzato gli occhi all’improvviso, costringendo Alessio a voltarsi di scatto. Probabilmente Pietro doveva averlo beccato comunque nel fissarlo.
Alessio avvicinò la tazzina alle labbra, buttando giù il caffè, nonostante fosse ancora troppo caldo per essere bevuto. Represse una smorfia al passaggio bruciante del liquido sulle labbra e nella gola, sperando di aver guadagnato ancora un po’ di tempo per pensare.
Si era disabituato al parlare da solo con Pietro, e si era disabituato anche ad averlo intorno, così vicino, sempre da soli.
Alessio si rigirò la tazzina tra le mani, gli occhi azzurri abbassati:
-Volevi parlarti- iniziò, senza una reale convinzione – O forse volevo solo vederti-.
 
Hello my friend
We meet again
It's been a while, where should we begin?
Feels like forever
Within my heart are memories
Of perfect love that you gave to me
Oh, I remember
 
-Ci siamo visti anche ieri- replicò Pietro, aggrottando la fronte.
-È vero- si ritrovò ad annuire Alessio – Ma vederti in mezzo ad altre trenta persone non è esattamente la stessa cosa che vederti qui da solo-.
Si meravigliò per la naturalezza con cui riuscì ad dire quelle parole. Non gli era mai facile esternare i propri sentimenti, anche se a quanto pareva la forza della disperazione superava di gran lunga qualsiasi altro imbarazzo.
Anche Pietro doveva essere rimasto sorpreso: lo fissava perplesso, gli occhi neri puntati su Alessio in un muto interrogativo.
-Va tutto bene?- chiese infine, con lo stesso tono di confusione che Alessio riusciva a leggergli in faccia.
Lui non rispose subito. Si limitò a posare la tazzina ormai vuota sul tavolino di fronte al divano, pensando velocemente a cosa gli sarebbe convenuto dire – poteva fare finta di nulla e rifilargli un alquanto improbabile “Va alla grande, non si vede?”, o un più disperato “Sto meditando la fuga fuori dal Paese”-, ma tutto ciò che gli stava venendo in mente non ricalcava minimamente lo stato d’animo con cui si era presentato lì. Non era per buttare tutto sul ridere che si era recato da Pietro; in realtà, non capiva bene neanche lui perché aveva voluto così tanto andare da lui.
-No, non va tutto bene- mormorò Infine, il capo ancora abbassato – Sta andando tutto a rotoli-.
Pietro sbuffò piano, un sorriso amaro che gli disegnava le labbra. Scosse il capo, andando a sedersi all’altra estremità del divano:
-Non vorrei dirtelo, ma se sei venuto da me per consigli di vita, allora hai sbagliato persona. Io sto facendo solo casini su casini- Alessio si era aspettato fino a quel momento qualche risposta aspra, ma anche stavolta Pietro lo sorprese – Non sono il più adatto a consigliare qualcuno-.
Alessio represse a stento una risata, che sarebbe risultata guidata fin troppo dalla disperazione. Se Pietro combinava solo casini, allora erano nel posto giusto entrambi, ritrovandosi nello stesso posto: Alessio aveva come l’impressione che anche la sua vita, negli ultimi anni, fosse stata solo un casino dietro l’altro.
-Il problema è che ormai, anche se ci provassi, non potrei cambiare le cose. Non tutte, almeno-.
Tirò un sospiro lungo, sentendo lo sguardo di Pietro su di sé. Per qualche attimo nessuno dei due parlò più, almeno fino a quando non fu Pietro a spezzare il silenzio:
-È successo qualcosa con Alice?-.
Pietro aveva sempre avuto la capacità di capirlo meglio degli altri, e nonostante il tempo che avevano passato divisi, quella sembrava essere ancora una costante.
-Sì. E vorrei non fosse mai successo-.
Si bloccò subito, poco prima di continuare a parlare. Era stato istintivo, come se dirlo ad alta voce e a chiare lettere a Pietro fosse la svolta definitiva. La svolta che avrebbe reso tutto reale e perentorio: niente vie di fuga, stavolta.
-Aspetta un bambino-.
Non ebbe subito il coraggio di girarsi a guardare Pietro. Da lui la risposta sembrava univoca: il silenzio. A malapena lo sentiva respirare, e per qualche istante Alessio temette seriamente che Pietro stesso fosse sul punto di svenire. Gli ci volle qualche altro attimo per riuscire a voltarsi, spinto più dalla curiosità della reazione di Pietro, più che alla ricerca di un qualche conforto.
Alessio non si sorprese nel vederlo immobile, il viso stravolto. Gli occhi di Pietro sembravano più cupi del solito, come se qualcosa si fosse come incrinato.
-Anche lei- mormorò Pietro a mezza voce, scostando lo sguardo da Alessio. Si passò una mano tra i capelli, in un gesto che sembrò quasi meccanico e privo di alcuna funzione.
-Anche?- Alessio lo guardò senza capire. Gli ci volle un attimo, poi, per intuire il senso di quella frase, mentre sentiva che anche in lui qualcosa, da qualche parte, si incrinava talmente tanto da spezzarsi.
-Oh- gli uscì un sibilo quasi inudibile, mentre gli rimbombava in testa quella parola che gli aveva fatto capire subito dove Pietro volesse andare a parare – Non sapevo che … -.
-Non potevi saperlo, non lo sa ancora nessuno- Pietro concluse al posto suo, evitando ad Alessio il compito di trovare parole che, in quel momento, non avrebbe voluto affatto pronunciare – Ma nemmeno tu ed Alice l’avete detto in giro-.
Quella conferma implicita fece sprofondare Alessio all’istante. Ora cominciava a mettere insieme i pezzi mancanti del puzzle: iniziava ad intuire perché Pietro gli era sembrato strano, e forse riusciva anche ad intuire perché tra lui e Giada le cose non sembravano andare nel più facile dei modi.
Faticava a realizzare davvero quel che stava accadendo.
-No, non ancora. Non avrebbe molto senso farlo sapere a tutti sorridendo falsamente, quando l’unica cosa che vorrei fare sarebbe scappare il più lontano possibile-.
Pietro rise amaramente, mentre si torturava le mani nervosamente:
-Credo che ormai non possiamo farci più nulla-.
Il suo volto si era rabbuiato più che mai. Continuava a tenere gli occhi abbassati sulle mani intrecciate, chiuse a pugno.
-Non sembri molto contento nemmeno tu- disse con un filo di voce Alessio, ancora frastornato.
Pietro stava per diventare padre. Entrambi sarebbero stati padri, di lì a qualche mese. Era una consapevolezza difficile da digerire, lo era anche solo da immaginare. Eppure, tra la disperazione e la paura, Alessio sentiva anche la gioia di vedere Pietro con un figlio: aveva sempre immaginato che, prima o poi, sarebbe stato padre, e che quando lo sarebbe diventato avrebbe dato prova di meritarselo.
Pietro alzò le spalle, in una muta conferma:
-Stavo per lasciare Giada quando me l’ha detto- sospirò a fondo, come se fosse stremato – Tempismo perfetto-.
Alessio sgranò gli occhi, totalmente incredulo: ora cominciava a capire meglio a cosa fosse dovuto tutto quel pessimismo, e non poté fare a meno di comprenderlo.
-La stavi per lasciare?-.
Aveva sperato per così tanto tempo che Pietro si rendesse conto che Giada non era la persona adatta a lui, che ora, nel rendersi conto di essere stato ad un passo dal ricevere la notizia della loro separazione, si sentiva quasi sprofondare.
Per la prima volta da quando aveva saputo della storia di Pietro e Giada, si rese conto fino in fondo di quanto egoista era stato nel non averla mai accettata. Si sentiva quasi in colpa per la situazione che si era venuta a creare – riusciva a comprendere fin troppo bene cosa volesse significare dover crescere un figlio con una persona che avevi deciso di tagliare fuori dalla tua vita.
-Sì, era questione di qualche giorno. Ma ormai è solo un’idea passata- Pietro alzò le spalle, la voce che lasciava trasparire tutta la rassegnazione – Non me la sentirei di lasciarla comunque, adesso che sono cambiate le cose-.
Attese qualche secondo, prima di voltarsi verso Alessio, lo sguardo attraversato dal timore per un attimo fugace:
-Non dire a nessuno che te ne ho parlato. È ancora presto per dirlo in giro-.
Si torturò ancora un po’ le mani, prima di alzarsi nervosamente, senza però allontanarsi. Rimase in attesa davanti ad Alessio, in piedi, gli occhi scuri che più che guardarlo con indifferenza – come avevano fatto negli ultimi mesi-, sembravano supplicarlo di fargli quell’ultimo favore.
Alessio sentì per l’ennesima volta il cuore stringersi.
-Tranquillo. Vale lo stesso per me ed Alice-.
Si alzò a sua volta, lentamente. Dovette alzare un po’ il viso per poter guardare Pietro negli occhi: ci lesse la stessa delusione e la stessa rassegnazione che anche lui si sentiva addosso da un mese.
-Ho come l’impressione di aver sbagliato tutto negli ultimi anni-.
Pietro si lasciò andare ad un sorriso amaro, più simile ad una smorfia che ad un vero sorriso:
-Allora siamo in due ad averlo fatto-.
 
We've seen our share of ups and downs
Oh how quickly life can turn around
In an instant
It feels so good to reunite
Within yourself and within your mind
Let's find peace there
 
-Mi è mancato parlare con te-.
Alessio aveva abbassato gli occhi, per un attimo.
Non aveva calcolato di dirlo a voce – non quelle parole, non in quel momento, non di fronte a Pietro proprio quando sembrava essere al limite della vulnerabilità. Sapeva che era vero: si era sforzato di non pensarci per tutti quei mesi, ma la mancanza di Pietro era sempre stata lì, appena sotto la superficie. Non se ne era mai andata, ed ammetterlo davanti a lui lo faceva sentire dannatamente fragile.
Anche Pietro si ritrovò ad abbassare lo sguardo. Incrociò le braccia contro il petto – sembrava essere più sulla difensiva ora, come se si fosse appena reso conto di tutto ciò che si erano detti fino a quel momento, e se ne fosse pentito-, annuendo piano.
-Anche a me- disse a mezza voce, spostando il peso da un piede all’altro – Ma … -.
-Le cose non cambieranno, lo so. O meglio, non cambieranno tra noi- fu Alessio, stavolta, a lasciarsi andare ad un sorriso pieno d’amarezza, il rimpianto che si celava dietro quel tentativo di mascherarlo – Tutto il resto cambierà anche troppo-.
Non si era illuso nemmeno per un attimo, da quel punto di vista. Era andato lì per cercare qualche attimo di tregua dai problemi che lo stavano perseguitando, per trovare una spalla amica su cui poter piangere. Sapeva benissimo che, una volta varcata di nuovo quella porta per uscire, lui e Pietro sarebbero tornati a parlarsi a malapena, a non vedersi mai da soli, ad essere amici solo a distanza.
-Perché sei venuto proprio da me?-.
Pietro gli rivolse quella domanda quasi esitante, come se non fosse sicuro nemmeno lui di voler scoprire la risposta. Aveva risollevato gli occhi, scrutando Alessio in attesa.
Alessio ci mise un attimo: rovistò nella tasca dei jeans, ritirando la mano ed aprendo il palmo sotto gli occhi di Pietro, le chiavi in bella vista.
-Diciamo che qualcosa mi ha ricordato che questo posto sarà sempre un luogo dove potermi rifugiare-.
Alessio richiuse la mano, rimettendo le chiavi nella tasca dove le aveva trovate. Si sentì arrossire appena, di fronte al sorriso più sincero che Pietro gli stava rivolgendo in quel momento.
-In realtà non sapevo se valesse ancora … Ma volevo fare un tentativo-.
Pietro annuì di nuovo, il viso leggermente arrossito e la voce rotta quando parlò, qualche secondo dopo:
-Non ti sei dimenticato di quella promessa, allora-
Alessio si morse il labbro, cercando di impedirsi di lasciar scivolare le lacrime che si erano accumulate agli angoli degli occhi. Allungò una mano verso il viso di Pietro – si sentiva in imbarazzo, a disagio, ma anche terribilmente nel giusto-, in una carezza talmente leggera e lenta che quasi si sorprese di sentire sotto i polpastrelli la pelle calda di Pietro.
-No, non potrei mai-.
 
When you are with me I'm free
I'm careless, I believe
Above all the others we'll fly
This brings tears to my eyes [2]



 
[1] Linkin Park - "In Between"
[2] Creed - "My sacrifice"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente alle rispettive band e autori
 
NOTE DELLE AUTRICI
A qualche settimana di distanza dagli eventi del capitolo 32, le cose per Alessio non sembrano andare molto meglio. L'umore è sempre sotto le scarpe e l'entusiasmo per la futura paternità non è certo aumentato ... Ed è in questo clima che sorge in lui l'idea di parlare con un certo qualcuno.
E alla fine a sfogarsi non è solo stato Alessio, ma anche Pietro che, coinvolto dalle rivelazioni dell'altro, si è lasciato andare aprendosi a sua volta. Seppure, come pensa Alessio stesso, la loro amicizia continuerà ad essere più distaccata rispetto ad un anno prima, in questo capitolo abbiamo però anche la prova che nel momento del bisogno continueranno ad esserci l'uno per l'altro... E sembra che di momenti difficili ce ne saranno diversi nei momenti futuri. 
Che succederà prossimamente? Inizieremo a scoprirlo pian piano con il prossimo capitolo, per cui ci rivedremo mercoledì 7 dicembre!
Kiara & Greyjoy
 

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Capitolo 36
*** Capitolo 34 - In my feelings ***


CAPITOLO 34 - IN MY FEELINGS



 

Aveva smesso di piovere da poco, ma l’aria era ancora impregnata dell’odore della pioggia. Le luci dei lampioni di Venezia erano l’unica fonte luminosa che interrompeva la distesa di cielo plumbeo della notte.
Nicola richiuse la finestra del piccolo salotto dell’appartamento, cercando di non far troppo rumore e senza sbattere i vetri. Aveva aperto la finestra unicamente per controllare che non si fosse messo addirittura a nevicare, e pur rimanendo con il naso fuori solo per pochissimo, ora lo sentiva comunque intirizzito.
Si avviò con passo stanco verso la camera da letto, dove Caterina aveva lasciato accesa solo la lampada sul comodino. Prima di arrivare alla meta, si fermò sulla soglia della camera di Francesco, la porta tenuta socchiusa e la persiana che lasciava filtrare un po’ di luce dall’esterno.
Pur nella semioscurità, riusciva a distinguere il profilo addormentato del figlio, nel suo lettino, un peluche stretto tra le braccia. Nicola si lasciò sfuggire un sorriso intenerito: gli sembrava quasi impossibile che in un anno Francesco fosse già cresciuto così tanto.
Solo un anno prima, in quella stessa data e a quell’ora della sera, lui e Caterina si trovavano in ospedale, a qualche ora dal parto. Ricordava ancora abbastanza bene com’era stata logorante quell’attesa, e anche quanto gli tremassero le gambe e le braccia la prima volta che aveva tenuto Francesco in braccio. All’epoca lo vedeva minuscolo, fragile e pronto a rompersi letteralmente tra le sue mani.
Quando era nato tutti avevano avuto l’impressione che Francesco avesse ereditato per la maggior parte i tratti di Nicola: ora, ad un anno di distanza, il sospetto si era tramutato in certezza. Francesco rideva sempre quando Nicola gli scompigliava i capelli biondi e mossi, e Caterina non perdeva mai occasione per sottolineare quanto avessero un sorriso simile. Cercava sempre di non darlo a vedere, ma un po’ di orgoglio nel vedere suo figlio così tanto somigliante a lui un po’ lo sentiva.
Da Caterina, invece, aveva ereditato unicamente il colore degli occhi. Niente iridi azzurre: dopo i primi mesi dalla nascita, si erano scurite sempre di più, fino ad arrivare al castano scuro ed espressivo di sua madre.
Erano parecchie le cose che in un anno erano cambiate, e nonostante la fatica che in certi momenti lo portavano quasi all’esasperazione, Nicola non poteva dirsi che felice. Sentiva la serenità anche in momenti simili, in cui prima di andare a dormire si fermava sulla soglia della camera di Francesco, ad osservarne il profilo da distante.
-Ecco dov’eri-.
Nicola sussultò appena: preso dai suoi pensieri, non aveva nemmeno sentito i passi felpati di Caterina. Era già vestita per andare a dormire, il viso dall’aria assonnata. Sembrava piuttosto stanca: nonostante l’inizio dello svezzamento, e le ore decisamente aumentate per riposarsi la notte, Caterina aveva comunque le giornate sempre piene. Non era sempre facile nemmeno per lei.
-Stavo cominciando a domandarmi dove fossi finito- proseguì lei, accostandosi a sua volta alla porta, lanciando un’occhiata all’interno – Sta dormento?-.
-Tranquillo e beato- le rispose a bassa voce Nicola, sorridendo.
Caterina gli si avvicinò, posando il capo contro la spalla di Nicola, ed intrecciando le dita della mano con le sue. Se ne rimasero in silenzio per un po’, prima che Caterina parlasse di nuovo:
-Sembra strano pensare che tra qualche ora compirà già un anno, no?-.
-Già. Almeno quest’anno sarà una notte più tranquilla -.
Difficilmente Nicola si sarebbe scordato com’erano state le prime ore del 5 gennaio 2018. Non credeva di essere mai stato più nervoso in vita sua; nulla a che vedere con quella serata.
Lui e Caterina si erano ritagliati quel venerdì sera per festeggiare da soli con Francesco il suo compleanno. L’avevano fatto in anticipo, almeno di qualche ora, ma avevano preferito così; la vera festa, in ogni caso, sarebbe stata il giorno dopo, con Giulia, Filippo, Alessio, Alice, Pietro e Giada a cena.
Anche Caterina sembrava essere in preda ai ricordi dell’anno prima: strinse un po’ di più la mano di Nicola, sospirando con malinconia.
-Però quella dell’anno scorso non la dimenticheremo mai- disse infine, alzando il viso verso quello di Nicola. Nonostante la stanchezza e la difficoltà dell’ultimo anno, Caterina sembrava serena.
Nicola le sorrise di rimando, venato da una punta di malizia:
-Magari ci saranno altre notti che ricorderemo per lo stesso motivo-.
L’occhiataccia che gli rifilò Caterina subito dopo lo fece ridere inevitabilmente. Non aveva previsto una battuta del genere, ma gli era venuta spontanea: forse cominciava addirittura a prenderci gusto, nell’immaginarsi in futuro con altri figli, oltre a Francesco.
-Con calma- replicò Caterina, incrociando le braccia contro il petto, con cipiglio severo – Per ora goditi il primo compleanno del tuo primogenito-.
-Va bene- Nicola fece un passo verso di lei, portandole le mani sui fianchi con lentezza calcolata – Però nel frattempo potremmo tenerci in allenamento-.
Non l’aveva detto con sensualità calcolata, né con premeditazione: gli era venuto naturale, guardando Caterina con i capelli scomposti ricaderle sulle spalle, e trattenendo a stento la voglia di baciarla.
Lei sembrò piuttosto spiazzata: lo guardò dapprima sorpresa, poi con sguardo fintamente minaccioso. In realtà Nicola sapeva bene che stava cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
-Allenamento? Lo chiami allenamento, adesso?- gli chiese, facendo un passo indietro. Non riuscì comunque a scappare dalle mani di Nicola, che in un gesto veloce l’aveva attirata di nuovo a sé.
-Potrei chiamarlo così, in effetti-.
Risero assieme, mentre lui la sollevava di peso, mentre si dirigeva verso la loro camera. Nonostante quello fosse l’anniversario di una nottata che era stata fin troppo lunga e difficile, in quel momento Nicola si sentiva solamente felice, mentre sentiva risuonare tra le mura del corridoio le risate divertite di Caterina.
 
*
 
Continuava a picchiettare il piede a terra, insistentemente. Pietro si portò un’altra volta la sigaretta alle labbra, aspirando e buttando fuori il fumo. Nemmeno le sigarette sembravano sortire un buon effetto: si sentiva agitato esattamente quanto prima.
Prese il telefono in mano, guardando l’ora sul display: ormai non gli rimaneva più molto tempo, e di lì a poco avrebbe dovuto incamminarsi verso casa di Caterina e Nicola.
Forse non sarebbe venuto.
Ripensò un’altra volta a quella possibilità, tutt’altro che improbabile. D’altro canto non vedeva Fernando da due mesi, e lui non avrebbe avuto alcun motivo per volerlo vedere dopo tutto quel tempo passato in silenzio.
Pietro si guardò attorno, furtivo: gli aveva chiesto di raggiungerlo in una piccola piazza di Venezia, nella zona di Dorsoduro. Aveva preferito non andare direttamente a casa di Fernando: troppi ricordi che gli avrebbero riportato alla mente la breve sensazione di libertà che aveva respirato lì, con lui, prima di scoprire che era solo l’ennesima illusione. Preferiva vederlo in un luogo neutrale, totalmente slegato da ricordi troppo dolorosi.
A quell’ora di sera non c’era molta gente in giro, pur essendo sabato. Rimase a fissare ogni passante, attento a scorgere tra loro Fernando, ma per l’ennesima volta non lo riconobbe in nessuno di loro.
Non sarebbe venuto.
Pietro lasciò andare la sigaretta, ormai finita, a terra, pestandola nervosamente. Era stato uno stupido a pensare che avrebbe accettato di rivederlo così, senza una spiegazione o un buon motivo per farlo. Era stato uno stupido in tutti quei due ultimi mesi, in cui aveva rotto qualsiasi contatto con lui quasi a forza, per impedirsi di avere ripensamenti e dire tutto a Giada in ogni caso.
Si girò intorno per un’ultima volta, già pronto ad andarsene. Fu solo allora che notò una figura dai capelli castani e la barba a coprirgli le guance venirgli incontro. Si bloccò sul posto, chiedendosi se quella fosse solo un’allucinazione dovuta alla speranza, o fosse veramente Fernando in carne ed ossa che stava camminando verso di lui, scuro in volto e teso come non l’aveva mai visto.
Qualche secondo dopo Pietro ebbe la certezza che Fernando si era appena fermato davanti a lui, gli occhi scuri freddi e ben diversi da com’erano sempre stati quando erano insieme.
-Pensavo non saresti venuto-.
Pietro aveva la voce arrocchita per essere rimasto troppo a lungo in silenzio nel freddo di gennaio. Cercò di dissimulare il nervosismo, ma seppe sin da subito di risultare tutt’altro che convincente: gli tremava appena la mano che teneva fuori dalla tasca del cappotto, e continuava a non riuscire a restare con le gambe ferme.
-Sono rimasto indeciso fino all’ultimo- rispose Fernando, indifferente. Teneva le mani fuori dalle tasche del cappotto pesante, lungo i fianchi, e Pietro intravide una fasciatura che copriva l’intero dorso della sua mano sinistra. Poteva essere nulla di che – una semplice scottatura, e non sarebbe stato nulla di insolito per uno che si dilettava così spesso in cucina come Fernando-, ma il solo rendersi conto di non saperne nulla, di vedere Fernando ferito ed esserne rimasto inconsapevole, gli fece provare un vuoto all’altezza del petto.
-Che hai fatto a quella mano?- gli chiese, a mezza voce.
Fernando scrollò le spalle:
-Non è niente- liquidò semplicemente la questione. Era strano vederlo così freddo, si rese conto Pietro: Fernando poteva essere appassionato, entusiasta, furioso o triste … Ma l’indifferenza era la cosa che più si allontanava da lui, e che meno gli si addiceva. Era anche la cosa che più gli faceva male: avrebbe preferito sentirlo urlare, piuttosto che vederlo così controllato e distante.
Fernando rimase fermo immobile, le labbra serrate e tutt’altro che intenzionato a cedere per primo. Pietro gli leggeva l’ostinazione in faccia: non avrebbe parlato fino a quando non sarebbe stato lui a fare la prima mossa. D’altro canto, glielo doveva: era Pietro a dovergli delle spiegazioni, non il contrario.
Il senso di colpa si fece più presente, più sottile: si insinuava negli ultimi ricordi che aveva di Fernando, degli ultimi istanti che avevano condiviso prima di dividersi.
Erano stati anche gli ultimi istanti di libertà che Pietro aveva vissuto, nell’ingenua illusione che le cose sarebbero potute migliorare sul serio.
-Mi dispiace-.
Abbassò lo sguardo, tirando su con il naso. Si sentiva un idiota, oltre che un pezzente: cosa poteva farsene Fernando di scuse così squallide?
Non c’erano scuse giustificabili per chi aveva scelto di essere un codardo senza remore.
Fernando lo guardò ancora una volta con la stessa freddezza di prima:
-Per cosa?-.
-Per tutto-.
“Sono patetico”.
Pietro non riuscì a reprimere quel pensiero. Si stava rendendo ridicolo, e il problema era che l’aveva voluto lui: era lui che aveva scritto a Fernando una settimana prima per chiedergli di parlare. Fernando aveva smesso di cercarlo a poco a poco nel corso di dicembre. Alla fine Pietro non era stato nemmeno sicuro di trovarlo lì, pronto ad ascoltarlo.
-Sei consapevole che non ti basterà dire questo, vero?- per la prima volta da quando era arrivato, un filo di rabbia contorse i lineamenti del viso di Fernando – Sono mesi che rifiuti di vedermi, e di spiegarmi perché. Voglio una spiegazione che sia decente-.
-Sono successe delle cose. Cose impreviste- farfugliò Pietro, che per quanto si fosse aspettato una frase simile, non si sentiva ancora pronto a parlare a Fernando in tutta sincerità di tutto quello che era successo.
Parlarne con Alessio era stato facile, perché per quanto potesse avercela con lui, tra di loro certe cose le avevano sempre capite al volo. E poi condividevano lo stesso destino – che Pietro non aveva ancora digerito né nel suo caso né in quello dell’altro-, cosa che non poteva dire di Fernando.
-Del tipo che hai avuto l’ennesimo ripensamento?- Fernando lo guardò con un sorriso sarcastico, finto – Beh certo, immagino sia difficile mollare la vita perfetta da finto etero che hai-.
-Non ci ho ripensato- Pietro parlò più duramente di quanto si sarebbe aspettato, ferito dal dubbio che Fernando aveva insinuato – Semplicemente non ho potuto, e non avevo il coraggio di dirti perché-.
-E ora all’improvviso l’hai trovato?-.
La voce di Fernando era stata tagliente, tutt’altro che conciliante. Pietro non si aspettava nulla di diverso, e d’altro canto non pensava nemmeno di meritarsi qualcosa di meglio: doveva puntare il dito solamente contro se stesso per quella situazione.
-Mi mancava parlare con te. E vederti- disse, senza riflettere – Anche se d’ora in poi credo che dovremmo smetterla di ... Di … -.
-Di andare sul lato fisico della cosa? Eppure mi sembrava non ti dispiacesse affatto- concluse per lui Fernando, lo stesso tono sarcastico in cui non c’era assolutamente nulla di divertito.
Se possibile, tra tutto quello che gli era mancato della loro amicizia, Pietro avrebbe giurato che il lato fisico, come l’aveva definito Fernando, fosse all’ultimo posto. Parlare con lui con la serenità di non doversi nascondere e fingere di essere qualcun altro era qualcosa che gli sarebbe mancato più di qualunque altra cosa, addirittura più dei baci e delle carezze che si erano scambiati durante i loro incontri.
-Giada è incinta-.
Non aveva previsto di dirlo così, senza nemmeno una premessa, ma ormai l’aveva fatto e il silenzio calato subito dopo fu la dimostrazione piena del macigno appena lanciato.
Il viso di Fernando cambiò impercettibilmente, i tratti si fecero più tesi e gli occhi fino a quel momento freddi vennero adombrati da quello che Pietro credette di poter definire vero e proprio dolore.
-È per questo che non volevo vederti- continuò, a mezza voce, consapevole che ogni parola equivaleva ad una pugnalata – Mi sentivo troppo in colpa-.
Fernando aprì la bocca per replicare, ma la richiuse subito dopo. Di colpo tutta la freddezza e la durezza con cui si era posto verso Pietro fino a quel momento vennero a mancare: con lo sguardo vitreo e le spalle afflosciate, sembrava solo un ragazzo troppo giovane per vedersi sbattere in faccia l’ennesima porta.
-È incinta? Sul serio?-.
Nonostante il silenzio quasi totale della piazza, Pietro riuscì a distinguere a malapena ciò che gli aveva appena chiesto Fernando. Si ritrovò ad annuire, il groppo in gola che gli impediva di parlare.
Avrebbe voluto avvicinarsi a Fernando, in quel momento. Forse l’avrebbe abbracciato, o forse se ne sarebbe rimasto lì, di fronte a lui: gli sarebbe bastato anche solo quello per sentirsi un po’ meno solo, anche solo per pochi minuti.
Rimase fermo, senza accennare a muoversi, immobile di fronte agli occhi scuri e sgranati dell’altro.
-Che intendi fare?- Fernando abbassò ancor di più le spalle, in un’aria talmente abbattuta che Pietro non avrebbe creduto possibile.
-Per ora non voglio allontanarmi da lei. È anche mio figlio quello che nascerà- mormorò, incolore. Quello era l’unico motivo per cui riusciva ancora a sopportare la vicinanza di Giada e l’idea di rimanerle accanto: l’intenzione di esserci per quel bambino. Non gli era rimasto altro a cui aggrapparsi.
Fernando annuì, cereo in viso:
-E poi, quando nascerà?-.
-Ci penserò-.
Pietro non aveva ancora davvero pensato al dopo. Era questione di mesi, eppure gli sembrava un futuro ancora talmente lontano e talmente irreale che faticava a pensare con quella prospettiva.
Sperava solo di non rischiare di scoppiare poco dopo la nascita del piccolo, o perlomeno di essere sufficientemente preparato psicologicamente ad un momento simile.
-Non so se riuscirò o vorrò continuare a vederti solo come amico, Pietro-.
Fernando parlò all’improvviso, dopo che il silenzio era calato di nuovo per diversi secondi. Aveva parlato quasi con dolcezza, in un modo che prometteva tutt’altro che cose che Pietro avrebbe trovato positive.
Alzò gli occhi verso di lui, ritrovandosi di fronte un Fernando quanto mai provato.
-Ero convinto che stavolta saresti davvero riuscito a liberarti di tutte le bugie che ti sei costruito intorno finora-.
-Lo credevo anche io. E ci ho sperato- ammise Pietro, le mani contratte nelle tasche del cappotto, fuori dalla vista di Fernando – Ma non posso neanche fare finta di niente e non pensare che sto per avere un figlio … Non riesco ad anteporre il mio bene al suo. Neanche sforzandomi-.
Non era stato facile da ammettere, e probabilmente per Fernando non era nemmeno stato facile da ascoltare. Pietro lo poteva capire: in un certo senso era come si era sentito lui nello scoprire che anche Alice era incinta, e che anche Alessio si sentiva intrappolato in una paternità che non aveva voluto, non in quel momento.
-Lo posso capire-.
Nonostante la poca visibilità nell’aria serale, a Pietro quasi sembrò di notare gli occhi di Fernando farsi lucidi:
-Ma nemmeno io posso prometterti niente da parte mia. Non stavolta-.
In quel momento Pietro avrebbe voluto baciarlo. Baciarlo per un’ultima volta, prima di tornare al loro rapporto più ascetico e meno fisico che avevano avuto un anno prima.
Rimase di nuovo immobile, incapace di muoversi: l’ultimo bacio tra di loro c’era già stato, poco prima di scoprire che era tutto finito. Non ce ne sarebbero stati altri.
 
*
 
-Tra poco dobbiamo andare-.
Giulia ignorò quasi del tutto le parole di Filippo. Si limitò a sistemarsi un po’ meglio sul divano, cercando una posizione non troppo scomoda per tenere in mano il libro che stava sfogliando, senza che il pancione – ormai enorme e fin troppo ingombrante quando doveva restare seduta- le fosse troppo d’impedimento.
Era sera, e ormai l’ora di cena si stava avvicinando, e con essa anche l’ora di uscire di casa alla volta dell’appartamento di Nicola e Caterina.
Nonostante l’aver passato un sabato piuttosto tranquillo e lineare, Giulia si sentiva comunque affaticata: gli ultimi mesi della gravidanza le avevano portato gambe gonfie e spesso mal di schiena, dovuto al peso delle due bambine che portava in grembo. Aveva quasi cominciato ad agognare il parto solo per non dover soffrire più di dolori per tutte quelle ore ogni giorno.
-C’è ancora tempo- Giulia sfogliò pigramente un’altra pagina, senza staccare lo sguardo – E poi non dobbiamo nemmeno fare tanta strada. Possiamo uscire quindici minuti prima del ritrovo-.
Fosse stato per lei non si sarebbe mossa da casa, ma l’idea di festeggiare il primo compleanno di Francesco era stata sufficiente per convincerla ad uscire. Era strano pensare fosse già passato un anno intero, ed era altrettanto strano pensare a tutto ciò che era successo nel frattempo: le venne quasi naturale passare una mano sul grembo, ormai alquanto prominente, come a voler dare un saluto a quelle che – come aveva scoperto durante un’ecografia qualche mese prima- sarebbero state le sue bambine.
Ora che mancavano praticamente due mesi al parto Giulia cominciava ad accumulare ansia; iniziare il corso preparto con Filippo, poi, non era servito a farla stare più rilassata. Era in un costante miscuglio di entusiasmo ed agitazione, che probabilmente non si sarebbe smorzato fino al giorno in cui sarebbero nate le figlie.
-Hai letto qualcosa di interessante?- le chiese Filippo, trattenendo a stento uno sbadiglio.
-Qualche nome lo è-.
Uno degli ultimi acquisti natalizi era stato il dizionario dei nomi che Giulia aveva preso a sfogliare solo quel giorno. Realizzare di non aver ancora nessuna idea per i nomi le aveva dato così tanta ansia che si era messa a sfogliarlo quel pomeriggio stesso. Erano quasi tre ore che lei e Filippo si trovavano su quel divano, e a malapena erano riusciti a trovarsi d’accordo su qualche nome.
-Fammi un altro esempio, forza- la incoraggiò lui, accoccolandosi con il mento appoggiato alla spalla di Giulia.
-Mi piace Emma- iniziò lei, recuperando il telefono, lasciato sul bracciolo del divano, e leggendo sulle note i nomi che si era appuntata – Anche Martina non è male, lo stesso vale per Francesca e Noemi. Ma nemmeno Chiara … -.
-Sono troppo semplici- bofonchiò Filippo, aggrottando la fronte – Perché non nomi forti come Angelica e Vittoria? Qualcosa di evocativo … Anche Aurora non è male-.
Giulia strabuzzò gli occhi all’istante:
-Aurora, come la tua adorabile cognata che non credeva nemmeno fossi davvero incinta?- scosse il capo, sentendo già il nervoso crescere al pensiero di quell’arpia – Grazie del suggerimento , ma penso punteremo ad altro-.
-Hai altre idee?-.
Giulia lesse altri nomi dalla lista:
-Che ne dici di Viola o Rosa?-.
Filippo sorrise divertito, prima di risponderle prontamente:
-Dico che rilancio con Azzurra e Bianca- rise ancor di più, dopo l’occhiataccia minacciosa che gli riservò Giulia – Decisamente più eleganti di quelli suggeriti da te, non credi?-.
-Di questo passo non ci decideremo nemmeno quando saranno già nate- sbuffò Giulia, esasperata. Non si era aspettata di avere gusti così lontani da Filippo in fatto di nomi, e la cosa un po’ la destabilizzava: voleva trovare nomi significativi e importanti per loro, che pronunciandoli avrebbe potuto attribuire senza incertezze alle sue figlie … Si stava rendendo conto solo in quel momento che sarebbe stato tutt’altro che un processo semplice.
-Non dobbiamo certo scegliere per forza ora- Filippo le passò un braccio sulle spalle, lasciandole un affettuoso bacio sulla guancia – Credo che quando troveremo i nomi giusti lo sentiremo-.
-Ma non hai mai pensato ad un nome in particolare?- gli chiese d’un tratto Giulia, curiosa.
Filippo se ne rimase in silenzio per diversi minuti, l’aria pensierosa che si fece più esitante:
-Qualcuno sì- disse infine, prima di riportare lo sguardo su Giulia – E tu?-.
Quella era una domanda che Giulia si sarebbe aspettata anche prima di quel giorno. In fin dei conti aveva sempre avuto nomi preferiti, ma solo pochi davvero significativi. I nomi delle sue figlie dovevano rientrare nella seconda categoria: dovevano aver quel qualcosa in più rispetto a tutti gli altri nomi che le piacevano. E forse, in fondo, qualche idea precisa l’aveva sempre avuta.
-Caterina-.
Per i primi secondi nessuno disse nulla. Giulia guardò perplessa Filippo, mentre lui aggrottava la fronte con fare confuso:
-Caterina la nostra amica, compagna di Nicola?-.
-No. Cioè, c’entra anche lei- farfugliò Giulia, chiudendo di colpo il dizionario dei nomi e appoggiandolo sul bracciolo del divano – Dico solo che mi piacerebbe dare il suo nome ad una delle nostre bambine. Avrebbe un significato speciale, perlomeno-.
-Come sei sentimentale- la prese in giro Filippo, ridendo di fronte all’ennesimo sguardo torvo dell’altra – Però mi piace l’idea. Anche se non avevo mai pensato a Caterina sotto questa luce-.
-E poi è anche un nome dal significato profondo. Come piacciono a te- lo canzonò a sua volta Giulia, che a quel punto era altrettanto curiosa di sentire il nome che avrebbe detto Filippo:
-Tu a cosa avevi pensato?-.
Filippo si sistemò meglio sul divano, lasciandosi andare ad un sorriso beffardo:
-Avevo pensato anche io ad un nome lungo e dalla lunga storia, ma ora che mi ci fai pensare potremmo virare su altri nomi. Nicole non mi piace molto, ma a Petra ed Alessia darei una possibilità-.
Giulia afferrò il primo cuscino che le capitò sottomano, e percosse Filippo alcune volte, prima di fermarsi perché rischiava di soffocarlo dalle troppe risate.
-Stavo parlando seriamente!- sbottò lei, mentre lo osservava continuare a ridere a più non posso. 
Filippo si ricompose solo dopo qualche minuto, rosso in viso come un frutto maturo e completamente senza fiato. Giulia aveva atteso che la smettesse di ridere in completo silenzio, continuando a guardarlo malamente e tenendo le braccia incrociate contro il petto. Forse erano istinti guidati solo dagli ormoni della gravidanza, ma in quegli attimi aveva accarezzato l’idea di defenestrarlo definitivamente.
-Anche io parlavo seriamente, comunque- disse infine Filippo, dopo aver ripreso sufficiente fiato. Bastò lo sguardo feroce di Giulia per convincerlo a correggere il tiro:
-Ok, scusa- disse, alzando le mani – La smetto-.
-Ottimo- Giulia cercò di ammorbidire l’espressione, anche se a causa del nervoso le risultò difficile – Non hai ancora risposto alla mia domanda, in ogni caso-.
Filippo annuì silenziosamente, e per qualche attimo non rispose, assumendo un’aria pensierosa. Giulia rimase ad osservarlo comunque, chiedendosi quale nome avrebbe detto: forse era un nome che in un qualche modo implicito aveva già proposto, o che derivava da qualcuno facente parte della sua vita. Per un attimo Giulia ebbe il timore di avere qualche brutta sorpresa, ma già il secondo dopo si dette della stupida: dubitava che Filippo avrebbe scelto un nome che avrebbe potuto in qualsiasi modo ferirla.
-Premetto che non ho motivazioni personali e profonde come le tue per il nome che dirò- iniziò lui, infine, dopo almeno un minuto di silenzio – Ma come nome lo trovo comunque particolare. Credo mi sia cominciato a piacere da quando alle superiori abbiamo studiato Dante-.
Giulia aggrottò la fronte, prima di esclamare, sorpresa:
-Beatrice?-.
Filippo annuì di nuovo, a confermare che Giulia aveva appena indovinato sul serio. Lei si ritrovò ad annuire a sua volta: non aveva mai davvero pensato a Beatrice come nome da dare ad una delle sue figlie, ma più se lo ripeteva in testa, più riusciva a farci l’abitudine.
-Caterina e Beatrice- disse a mezza voce, quasi tra sé e sé, come ad assaporare il suono dei due nomi insieme – Suonano bene, devo dire-.
-Infatti- Filippo le sorrise, portandole di nuovo un braccio a cingerle le spalle.
-Anche se visto il tuo livello di conoscenza della letteratura, non avrei mai detto che ti saresti messo a scegliere nomi danteschi per le tue figlie-.
Stavolta fu Filippo a guardarla in cagnesco, e ad afferrare il cuscino per farlo atterrare – pur se più dolcemente-  sul capo di Giulia. A lei non rimase altro che ridere, cercando di ripararsi con le mani, sentendosi leggera e con un pensiero in meno in vista del parto.
 
*
 
-Sto per rotolare come una palla- Alessio tirò un sospiro profondo, la voce insolitamente strascicata – Forse ho mangiato troppo-.
-Ehi, guarda che quella che dovrebbe sentirsi una mongolfiera sono io- Giulia gli lanciò addosso lo straccio che stava usando per asciugare i piatti.
-D’altro canto tu non stai portando avanti una gravidanza gemellare- le dette corda Caterina, rivolta ad Alessio, scuotendo il capo come se avesse appena detto qualcosa di deplorevole.
-A meno che … - Giulia lo guardò con fare fintamente innocente – Sei incinto, per caso? Tu e Pietro ci state nascondendo qualcosa?-.
Alessio arrossì come non mai, rispondendo un cupo “No” che non bastò a calmare le risate di Giulia e Caterina.
In quel momento si trovavano nella cucina dell’appartamento di Caterina e Nicola, dopo la cena per il primo compleanno di Francesco. Dopo tutte quelle ore passate a star seduta, Giulia non ci aveva pensato due volte prima di offrirsi a dare una mano a Caterina per lavare i piatti. Per un motivo o per un altro, anche Alessio era rimasto lì con loro, distaccandosi dal resto del gruppo, riunitosi nel piccolo salotto dell’abitazione.
-Ecco fatto- Caterina passò a Giulia l’ultimo piatto, appena dopo averlo sciacquato sotto l’acqua del lavandino – Ora possiamo anche tornarcene di là-.
-Dobbiamo proprio?- chiese Alessio, con la stessa aria tetra che aveva mantenuto per gran parte della serata.
-Preferisci passare il resto della serata a lavare altri piatti?- gli si rivolse Giulia, guardandolo scettica.
Alessio si limitò ad alzare le spalle, prima di staccarsi dal tavolo della cucina, dove se ne era rimasto fino a quel momento, ed andarsene verso il salotto. Giulia rimase a fissarlo stranita fino a quando non lo vide oltrepassare la soglia, sparendo dalla sua vista.
-Non trovi che sia un po’ strano ultimamente?-.
Caterina si voltò verso di lei, scrollando le spalle:
-Alessio? Non solo lui, se è per quello- disse, a mezza voce, per non farsi sentire da coloro che si trovavano nel salotto in quel momento – Tra lui, Alice, Giada e Pietro non so chi sia il più strano, negli ultimi mesi-.
Quello che aveva appena detto Caterina era del tutto vero, anche Giulia l’aveva notato. Non era questione solo di quella sera – in cui Alessio e Pietro si erano lanciati strane occhiate che Giulia non aveva saputo interpretare-, in cui nessuno dei due aveva quasi interagito con la rispettiva compagna, ma di tutto l’ultimo periodo in generale: Pietro era apparso più sfuggente, ed Alessio, se possibile, ancor meno incline a distrarsi dal lavoro. Entrambi non avevano dato spiegazioni, e non sembravano nemmeno in vena di darle a breve.
Asciugato e sistemato l’ultimo piatto, sia Giulia che Caterina si avviarono verso il salotto. Giulia dovette trattenersi a stento dal ridere, nel trovare Filippo seduto per terra, intento a giocare con Francesco; immaginava tutto rientrasse nel suo programma di preparazione in vista della nascita delle gemelle.
-Stai facendo pratica, per caso?- lo prese in giro, mentre raggiungeva il divano, sistemandosi accanto ad Alice.
-In un certo senso- bofonchiò Filippo, un po’ impacciato, mentre allungava a Francesco uno dei suoi giochi.
-Temo ne dovrai ancora fare parecchia- aggiunse Nicola, che stava osservando la scena da vicino, in piedi accanto al figlio.
-Dagli tempo, tu hai un anno di esperienza sulle spalle- Pietro prese le difese di Filippo. Se ne stava anche lui in piedi, dall’altro lato rispetto a dove si trovava Giada, come a volere mantenere una certa distanza tra di loro.
-A proposito, tu come ti senti?- Alice si voltò verso Giulia, facendo un cenno verso il pancione – Ormai mancherà poco-.
-In effetti sì- annuì Giulia – Mi hanno fissato il cesareo a fine febbraio-.
-Come ti senti all’idea del cesareo?-.
Anche Giada si era avvicinata, rivolgendo a Giulia uno sguardo allo stesso tempo curioso e preoccupato.
Giulia alzò le spalle, indecisa sulla risposta da dare: sin dall’inizio della gravidanza, quando aveva scoperto di aspettare due gemelle, era stata piuttosto sicura che sarebbe finita per dover partorire con il cesareo. Non aveva nemmeno fatto in tempo a porsi la domanda se lo preferisse al naturale.
-Forse avrei preferito il naturale, ma con un parto gemellare è un po’ complicato- disse infine, incerta.
-Immagino- annuì Giada, stringendosi le braccia incrociate contro il petto – L’importante è che vada tutto bene-.
-Ma avete scelto i nomi, almeno? O aspettate l’ultimo minuto?- Caterina si sedette a sua volta sul divano, dall’altro lato di Alice, rivolgendo a Giulia un sorriso divertito.
-Stai cercando di metterle ansia?- la riprese Alessio, aggrottando la fronte. Caterina si voltò verso di lui con espressione ovvia, come se non riuscisse a capire la rilevanza della questione:
-Ma è vero, è una cosa importante!-.
A porre fine alla discussione nascente ci pensò Filippo, ancor prima di Giulia:
-Li abbiamo decisi, comunque- lanciò uno sguardo d’intesa alla moglie, arrossendo appena – O almeno così sembra-.
-Diciamo che abbiamo due nomi che sembrano convincerci- aggiunse Giulia, vaga – Ma non li diremo prima della nascita-.
-Vuoi mantenere l’effetto sorpresa?-.
Giulia si voltò verso Caterina: cercò di immaginarsi la faccia che l’amica avrebbe assunto nello scoprire che una delle sue figlie avrebbe ereditato proprio il suo nome. Alla sola idea, dovette trattenersi dal ridere: era sicura che, quando l’avrebbe scoperto, la sua reazione sarebbe stata impagabile.
-Esattamente-.
Prima che Caterina o chiunque altro potesse anche solo pensare di replicare qualcosa, la voce di Nicola si impose sulle altre, tesa ed emozionata allo stesso tempo:
-Cate- richiamò Caterina in un modo talmente strano che Giulia, come tutti gli altri, si ritrovò a girarsi nell’immediato – Guarda-.
-Cosa … - Caterina volse lo sguardo interrogativo verso Nicola, prima di rendersi conto che non era a lui direttamente che doveva guardare – Oh-.
Così come Caterina, anche Giulia si era voltata verso Nicola, per poi rendersi conto che lui stesso stava guardando nella direzione di Francesco. Il tempo sembrava essere rallentato fino a fermarsi, mentre si era alzato in piedi, inaspettatamente.
Trattennero tutti il fiato, senza dire una parola; Giulia era sicura che sia Caterina che Nicola si stessero trattenendo a stento dall’alzarsi ed avvicinarsi al figlio, con la paura di vederlo cadere di nuovo a terra facendosi male.
Francesco fece un primo passo incerto, e poco dopo un secondo. Fu al terzo che si ritrovò a barcollare, ma prima che potesse sul serio cadere rovinosamente, Nicola si era sporto in avanti, ancor più veloce di Filippo, nonostante fosse più distante.
-Oddio!- Caterina si scaraventò giù dal divano, verso Nicola e Francesco. Nel trambusto generale del momento, Giulia non riuscì a capire se l’amica fosse più emozionata dai primi passi del figlio, o più preoccupata che si fosse fatto male mentre ricadeva a terra.
Lei, per contro, si sentiva rientrante decisamente più nella prima categoria: era scoppiata a piangere, quasi senza accorgersene, probabilmente da quando si era accorta che Francesco aveva appena preso a camminare da solo.
Filippo intercettò il suo sguardo, sorridendole divertito:
-Non dirmi che ti sei già fatta prendere dall’emozione-.
Giulia gli fece una linguaccia, asciugandosi le lacrime sotto gli occhi:
-È pur sempre un evento unico-.
-Se piangi già adesso con Francesco, non oso immaginare con le tue figlie il prossimo anno- aggiunse Caterina, che si trovava seduta a sua volta sul pavimento, con le braccia a circondare Francesco. Giulia era stata l’unica a scoppiare a piangere, ma nonostante non ci fossero lacrime a rigarle il viso, Caterina aveva comunque gli occhi lucidi.
-Probabilmente scoppierà sempre a piangere- rincarò la dose Filippo, che sembrava sinceramente divertito dalla crisi di pianto di Giulia. A quella frase risero un po’ tutti, persino Nicola che, fino a quel momento, era rimasto ad osservare il figlio e a sorridergli come non mai.
Giulia puntò un dito accusatore verso Filippo, la voce ancora un po’ incerta:
-Quando sarai tu a commuoverti riderò parecchio, lo sai?-.
-Questa te la sei cercata, Pippo- rise Pietro, che a sua volta si era seduto sul divano, nel posto lasciato vuoto da Caterina.
Giulia si limitò ad asciugarsi meglio gli occhi, ammettendo tra sé e sé che, forse, Filippo non aveva tutti i torti: se si era fatta prendere in quella maniera dalle emozioni nel vedere i primi passi di Francesco, poteva solo immaginare cosa avrebbe potuto fare nell’udire il primo pianto delle sue figlie quando sarebbero nate.
Era decisamente fregata.
 
 




 
NOTE DELLE AUTRICI
Questo nuovo capitolo si apre con un lieto evento: il primo compleanno di Francesco! Il primo pargolo dei "magnifici 6", infatti, cresce giorno per giorno, capitolo dopo capitolo. Le emozioni sono tante e qualcuno, un biondino di nostra conoscenza, sembra voler ipotizzare, in un futuro non ben collocato, di voler fare la doppietta, venendo però fermato da Caterina.
Il cambio di scena ci porta poi in compagnia di Fernando e Pietro. Quest'ultimo, a quanto pare, aveva evitato l'amico per ben due mesi... Alla fine la loro conversazione è stata piuttosto civile e sincera, anche se la loro amicizia sembra essere parecchio in bilico dopo i recenti sviluppi ... Vedremo se riusciranno a mantenere un rapporto perlomeno amichevole, o se Fernando preferirà prendere definitivamente le distanze.
La seconda parte del capitolo, invece, torna ad avere toni decisamente più tranquilli: Giulia e Filippo, infatti, sono alle prese con la scelta dei nomi delle gemelle che nasceranno tra poche settimane. Un'impresa facile solo sulla carta, perché in realtà i due sembrano parecchio in disaccordo 😂  Alla fine i futuri genitori sembrano aver trovato un punto di incontro per le gemelle, e uno dei due nomi ci è piuttosto conosciuto: quale sarà la reazione, da qui a qualche mese, di Caterina nello scoprire che l'amica ha pensato a lei e al suo nome come "nome prescelto" per una delle due piccole? Che effetto fa avere un'omonima in miniatura nei paraggi?
Quello appena concluso si è infatti rilevato essere un capitolo di passaggio, ma gli sviluppi per il futuro non mancano. Qui sono stati accennati e attendono solo il prossimo aggiornamento, che arriverà puntuale mercoledì 21 dicembre (prendetelo come un regalo di Natale in anticipo di qualche giorno 😂).
Kiara & Greyjoy

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Capitolo 37
*** Capitolo 35 - Ghosts ***


CAPITOLO 35 - GHOSTS



 
Nonostante fosse gennaio inoltrato, fuori all’aria aperta non si stava così male. Al contrario di Nicola e Filippo, che si stavano stringendo nei loro cappotti pesanti e nelle sciarpe di lana, Pietro non sentiva freddo. Aveva addirittura lasciato il cappotto aperto, e aveva dimenticato la sciarpa nell’appartamento di Filippo; in quel momento preferiva concentrarsi unicamente sulla sigaretta che teneva in mano, e da cui di tanto in tanto faceva un tiro. La stava gustando con lentezza, come se fosse stata l’ultima sigaretta della sua vita.
-Sicuro di non avere freddo?- Nicola continuava a guardarlo accigliato, come se fosse un alieno.
Pietro alzò le spalle, continuando a guardare dritto davanti a sé:
-Sto bene così-.
Per la verità, non stava bene affatto. Non era il freddo a disturbarlo – non ci stava quasi facendo caso, incredibilmente-, ma tutto il resto. Forse anche la presenza di Nicola e Filippo non gli stava andando a genio, in quel momento, anche se averli lì vicino, in piedi di fianco a lui mentre fumava, gli ricordava i tempi del liceo. Le mattine in cui se ne stavano tutti fuori – lui, Nicola, Filippo, Gabriele e talvolta Alberto- ad aspettare che suonasse la campanella, nel timore di qualche verifica o interrogazione, sembravano quasi dei momenti di estrema serenità in confronto a quello che si ritrovava a vivere in quell’esatto istante.
Non aveva previsto di dire a tutti che Giada era incinta proprio in quella giornata. Filippo e Giulia li avevano invitati per un pranzo insieme – probabilmente l’ultimo prima di parecchio tempo, visto che mancava solamente un mese alla data fissata per il cesareo di Giulia-, e Pietro non era davvero partito con l’idea di dare quella notizia.
Forse era stato più semplice per via dell’assenza di Alessio, che a quanto pareva, come aveva spiegato loro Alice, se ne era tornato a Villaborghese per quel weekend. Era stato davvero un bene che non fosse a Venezia in quella giornata, Pietro lo doveva ammettere: almeno si era tolto dalla testa l’idea di passare anche per l’appartamento di Alessio, nel palazzo di fianco a quello di Giulia e Filippo, già in partenza.
Era stato relativamente facile dire a tutti che sarebbe diventato padre. Non aveva idea se anche Alice avesse già dato la notizia che la riguardava – anche se a giudicare da certi sguardi, la cosa sembrava altamente probabile-, ma poco sarebbe cambiato in qualsiasi caso. Giada aveva iniziato il discorso quasi per caso, stranamente tentennante, e quello doveva già essere stato preso sin da subito come un indizio che ci fosse qualcosa di grosso dietro quella sua presa di parola.
Pietro non l’aveva nemmeno lasciata finire, già infastidito per il tempo che stava perdendo Giada nel cercare il modo più entusiasta di dare la lieta novella – quando entusiasta non lo era nessuno tra loro due. Aveva fatto nascere il sorriso felice più falso possibile sulle sue labbra, aveva messo una mano sulla spalla di Giada – più per bloccarla dal parlare che per farle sentire vicinanza-, e se ne era uscito con un melenso quanto ipocrita “Stiamo aspettando un bambino, non è fantastico?”.
Si era sentito terribilmente soddisfatto da quella sua messinscena teatrale.
Ancor più soddisfatto si era sentito quando avevano preso tutti a congratularsi con loro. Quello era stato il momento più strano: Pietro non aveva badato molto a Giulia e Caterina, ma era alquanto sicuro che gli sguardi che gli avevano rivolto Nicola, Filippo ed Alice tradissero molta più incredulità di quanto non avessero voluto far trasparire a voce.
Loro, in un qualche modo, sapevano.
Sapevano che dietro le sue parole c’era solamente desolazione e disillusione. Dovevano averlo capito, anche se non si erano lasciati sfuggire molti segnali che lo facessero intuire.
Ora che il pranzo era finito, però, si sentiva decisamente più libero di parlare sinceramente. Con la scusa di uscire a fumare avrebbe avuto abbastanza spazio e tempo per non dover continuare quella farsa anche con Nicola e Filippo.
Erano loro con cui voleva parlare, in quel momento. Avrebbe voluto farlo anche con Alice, ma quella non era la giornata migliore: non credeva di poter reggere anche la pressione che si sarebbe sentito addosso nel parlare con lei, e pensare che, mentre chiacchieravano amabilmente, lei era anche colei incinta del figlio dell’uomo che lui aveva amato per anni. Il momento giusto per parlare con Alice a tu per tu sarebbe arrivato, ma non certo quel giorno.
Prese un’altra boccata dalla sigaretta, buttando la testa indietro mentre espirava fuori il fumo; per un attimo si sentì rilassato. Cosa ironica, visto che ciò di cui voleva parlare con Nicola e Filippo non lo rilassava affatto.
-Ve l’aspettavate una notizia simile?-.
Fu più forte di lui: non riuscì a trattenersi dal porre loro quella domanda. Era abbastanza sicuro della risposta che gli avrebbero dato, ma voleva sentirla arrivare dai suoi amici di una vita.
-Sinceramente?- Nicola alzò le spalle, la sua innata pacatezza che non lo abbandonava nemmeno in quel momento – No, ma in realtà non mi sorprende molto-.
Filippo si ritrovò ad annuire, lo sguardo vacuo e a tratti frastornato:
-Non mi sembri molto felice-.
Pietro dovette fare uno sforzo immenso per non scoppiare a ridergli in faccia: il fatto che non sembrasse affatto felice era un puro eufemismo, ma più che adatto per ingentilire la situazione. La verità era che la felicità del momento era direttamente proporzionale alla sua voglia di buttarsi nel primo canale e lasciarsi affogare.
-Avrei voluto dei figli- mormorò, dopo qualche attimo di silenzio – Solo non ora-.
“Solo non con Giada”.
Si morse il labbro inferiore, sperando di riuscire a tenere a bada il pensiero sia di Alessio che di Fernando:
-Ora è un momento del tutto pessimo-.
Anche quello era un eufemismo per camuffare almeno un po’ il giusto aggettivo con cui avrebbe dovuto descrivere quella situazione: quello giusto sarebbe stato “catastrofico”.
-Ti capisco-.
Pietro e Filippo si voltarono all’unisono verso Nicola, staccato da loro di qualche passo. Stava tenendo lo sguardo abbassato, il corpo rivolto verso il canale che passava placido davanti ai vecchi palazzi che davano sulla calle dove si trovavano.
-Voglio dire: anche per me è stato così- proseguì solo dopo qualche secondo, come se gli fosse servito un po’ di tempo per trovare le parole giuste – Quando l’ho scoperto sono andato fuori di testa, non riuscivo a capacitarmi della cosa-.
Quella era senz’altro una sorpresa: era la prima volta che Nicola raccontava loro come si era sentito, quando Caterina gli aveva detto di essere incinta.  Quello che aveva provato era piuttosto intuibile, ricordando com’era andata, ma sentirglielo raccontare dava una sensazione diversa.
-Però poi ti sei anche ripreso- azzardò, esitante.
Nicola spostò il peso sull’altro piede, arrossendo un po’ – probabilmente non per il freddo, si ritrovò a pensare Pietro-:
-Sì, ma mi ci è voluto tempo. Dovevo scegliere se crescere ed assumermi certe responsabilità, o lasciare Caterina a se stessa-.
“E hai scelto di rimanere con la tua famiglia”.
Pietro avvicinò di nuovo la sigaretta alle labbra, il sapore amaro che gli rimaneva in bocca tremendamente simile alla stessa amarezza che si sentiva dentro.
Lui, al contrario di Nicola, non ci aveva nemmeno pensato ad allontanarsi da Giada e dal figlio che aspettavano; il problema era che non farlo non lo stava facendo sentire bene come aveva sperato.
-Io invece credo di essere stato felice da subito- stavolta a parlare era stato Filippo, un sorriso imbarazzato stampato in viso – Certo, sotto shock lo ero anche io. Sono svenuto due volte, ma per il resto ero contento-.
-Ma tu e Giulia eravate d’accordo sull’avere figli in questo periodo della vostra vita- obiettò Nicola – La differenza sta tutta lì, nel volerlo ora o no-.
Filippo sembrò pensarci su per un attimo, prima di rispondere:
-Credo sia anche una questione di sentirsi pronti. Tu e Caterina non lo eravate, e avete dovuto abituarvi all’idea di diventare genitori in poco tempo-.
La sigaretta era praticamente finita, e a quel punto a Pietro non rimaneva altro che spegnerla definitivamente sotto la suola della scarpa, e cercare di comporre una frase di senso compiuto.
-Non è questione di crescere o no, e non è nemmeno una questione di volere figli adesso, in realtà- cercò di parlare senza infervorarsi troppo, ma sentiva già l’incrinatura della propria voce essere tremendamente vicina – È che … -.
La voce calò fino a raggiungere il silenzio. Ci sarebbero state fin troppe parole da dire, fin troppe cose da spiegare, e sapeva che prima di riuscirci le lacrime di rabbia e di tristezza gli avrebbero inondato il viso.
“È che io non sono io, non sono la persona che pensate. È che sono troppo codardo per lasciare una persona che non amo e non potrò mai amare. È che ho troppa paura di vivere la mia vita come vorrei. È che mi sento troppo in colpa verso mio figlio”.
Prese un respiro profondo, nel tentativo di calmarsi.
-Le cose non vanno bene con Giada, non andavano bene già prima- si costrinse a dire, a mezza voce – E non credo che una gravidanza possa sanare certe crepe-.
Sapeva che essere così ermetico non avrebbe fatto altro che attirare ulteriori domande, ma arrivato a quel punto non gliene importava nemmeno più. Osservò le espressioni sorprese di Nicola e Filippo, senza aggiungere altro.
-Certe crepe? Cosa intendi?- fu Nicola per primo a dare voce ai dubbi che dovevano affliggere anche Filippo. Sarebbe stato quasi facile per Pietro, in quel momento di quiete del primo pomeriggio invernale, dare voce e definire ciò che divideva alla base lui e Giada.
Immaginò per un attimo come sarebbe potuto essere dire la verità a Nicola e Filippo – coloro che lo conoscevano da più tempo di tutti, coloro che ormai considerava due fratelli, anziché due amici-: era piuttosto sicuro che non si sarebbero aspettati di sentirsi dire che era difficile convivere e fingere di amare una donna, quando invece era un uomo accanto ciò che avrebbe voluto di più.
Non aveva nemmeno idea di come l’avrebbero presa. Quasi si pentì di non aver mai nemmeno provato a sfiorare l’argomento con loro: in quel frangente, avere almeno un’idea parziale di come avrebbero potuto reagire, l’avrebbe fatto sentire meno insicuro. Forse anche meno sbagliato. E basarsi unicamente su come si comportavano nei confronti di Alessio non gli era sufficiente.
Eppure, per quanto liberatorio potesse sembrare l’idea di un coming out fuori programma, si ritrovò ad ammettere a se stesso che non avrebbe potuto sopportare un rifiuto anche da parte loro. Non quando aveva più bisogno del loro aiuto.
-Certe differenze inconciliabili. Certe cose che ci portano distanti, e non è possibile che sia altrimenti… - borbottò, potando una mano alla tasca del cappotto, cercando svelto il pacchetto di sigarette – Voglio solo dire che non so come comportarmi. Mi interessa solo di mio figlio, in questo momento-.
Sfilò il pacchetto dalla tasca, aprendolo per afferrare una seconda sigaretta. Sperò di non aver reso troppo visibile agli occhi di Filippo e Nicola il tremore delle proprie mani.
-Rimango solo per lui, nient’altro-.
Tentò di ricacciare indietro le lacrime che gli erano spuntate agli angoli degli occhi. Cercava di pensare il meno possibile a suo figlio – o figlia, ancora non lo sapeva-, perché il senso di colpa nei suoi confronti era fin troppo grande da sopportare. Riusciva ancora a venire a patti con ciò che stava facendo a Giada, e anche con l’illusione che aveva dato a Fernando, ma suo figlio era sempre su un altro piano. Sapeva che difficilmente si sarebbe mai perdonato per ciò a cui lo stava condannando a sua volta.
-Adesso lo senti come un sacrificio, ma quando nascerà ti renderai conto che ne sarà valsa la pena- Filippo gli dette una pacca incoraggiante sulla spalla, che però in Pietro sortì ben poco effetto.
-A meno che le cose con Giada non peggiorino nel frattempo- sospirò Nicola, lo sguardo perso in direzione del canale – A volte è meglio avere genitori separati e vivere serenamente, che averli insieme e costantemente sull’orlo di farsi guerra. Sappiamo tutti com’è andata con il padre di Alessio-.
Lo sapevano tutti bene, non c’era nemmeno il bisogno di confermarlo. Pietro si era chiesto a lungo se, un giorno, dopo anni passati a crescere suo figlio con Giada, si sarebbe ritrovato ad odiare la sua vita esattamente come doveva averla odiata Riccardo Bagliore.
-Non voglio essere quel tipo di padre- mormorò, più a se stesso che a Nicola e Filippo.
Non lo voleva essere, non voleva diventarlo, ma quell’ombra di timore rimaneva sempre lì, appena sotto la superficie. Il fantasma di se stesso – il Pietro che, invece, aveva avuto abbastanza coraggio per abbandonare quella vita falsa e limitante- continuava a non andarsene, in nessun momento.
 
*
 
So I play along
I nod my head when they say I’m wrong
But each night falls and away I run
On the other side 'till the daylight comes
 
Era passato diverso tempo dall’ultima volta in cui aveva preso il treno. A ben pensarci, era passato diverso tempo in generale dall’ultima volta in cui era tornato a Villaborghese, e se non ci fossero stati eventi più grandi a costringerlo a compiere quel viaggio, probabilmente lo avrebbe ritardato ancor di più.
Sua madre era stata contenta di sapere del suo ritorno, qualche sera prima, quando l’aveva chiamata per telefono per avvisarla. Alessio non le aveva accennato al vero motivo della sua visita, e andava bene così: voleva ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto spiegarle il perché aveva deciso di prendersi un weekend per tornare a Villaborghese.
Alice aveva protestato un po’ quando le aveva detto che aveva deciso di parlare a sua madre da solo: fosse stato per lei l’avrebbe accompagnato, ma alla fine era stata bloccata dal suo stesso corpo. La nausea più accentuata di quei giorni e un colpo di raffreddore particolarmente potente non avrebbero potuto essere più provvidenziali.
Alla fine, andava bene così: nel viaggiare da solo, sul treno verso casa, poteva fingere di star percorrendo qualche itinerario sconosciuto che l’avrebbe finalmente portato lontano da quella vita che, per la prima volta dopo anni ed anni, era tornata a stargli stretta.
Nell’osservare il cielo piovoso della mattinata di fine gennaio, e i campi brulli poco dopo la stazione Padova, era veramente facile immaginare di poter ancora fuggire da tutto e da tutti.
Ma sarebbe rimasta solo un’illusione, che si era ripromesso di mantenere tale.
 


La sua vecchia camera non era cambiata molto nel corso degli anni. Sua madre aveva preferito non metterci mano, e a parte qualche scaffale particolarmente spoglio – aveva deciso di portare a Venezia parecchie sue cose, tra libri, album musicali e chissà che altro- era rimasta praticamente identica a quando ancora ci viveva. Stare steso sul suo vecchio letto ad osservarsi intorno, però, sembrava un gesto appartenente ad un altro Alessio, qualcuno vissuto fin troppo tempo prima. Erano passati cinque anni da quando se ne era andato a Venezia, con la testa piena di idee e il cuore ancora ammaccato, ma sembravano molti di più: in quella stanza aveva vissuto momenti che non gli appartenevano più, se non in una memoria legata solamente al passato.
Forse, in fin dei conti, anche quella sua vita non doveva essere stata poi così male. C’erano stati parecchi momenti bui, di quello ne era sicuro, ma era sempre riuscito ad andare avanti, pur a fatica.
In quegli ultimi mesi, invece, gli sembrava di essere arrivato ad un punto morto, in un mare aperto in cui non riusciva a nuotare e stare a galla.
Non se la sentiva nemmeno di rendere partecipe sua madre della cosa. Il fatto che sarebbero stati loro due da soli, per quella sera, lo rendeva nervoso e tranquillo allo stesso tempo: era un lato senz’altro positivo che non ci fosse Alice lì, ma affrontarla da solo lo spaventava infinitamente in ogni caso. Un po’ si dispiaceva per l’assenza di sua sorella: Irene avrebbe di sicuro saputo trovare dell’ironia in tutta quella situazione. Avrebbe stemperato i momenti di tensione che sicuramente ci sarebbero stati, mentre diceva a sua madre che avrebbe avuto un figlio, e che si sentiva così arrabbiato con il mondo da essere piuttosto certo di non meritarselo. Non sarebbe stato facile nascondere a sua madre quella parte della storia: gli era sempre risultato difficile apparire sereno, quando in realtà avrebbe solamente voluto urlare tutta la frustrazione che si teneva dentro.
Si distolse da quei pensieri solo quando sentì bussare alla porta: fece appena in tempo a puntellarsi sui gomiti per tenersi un po’ sollevato, che il viso di sua madre fece capolino dalla porta, ora socchiusa.
Anche sua madre non era cambiata molto: i capelli biondi erano forse un po’ ingrigiti, e le rughe attorno agli occhi chiari erano forse aumentate, ma rimaneva sempre la stessa. Lo stesso volto famigliare che, quando era ragazzino, rappresentava l’unico conforto quando si trovava tra i muri di quella casa.
-Fa strano rivederti in questa stanza- Eva gli sorrise, mentre entrava. Alessio notò che teneva tra le mani diversi album fotografici: il solo vederli gli dette un sentore non particolarmente positivo.
-Anche a me fa strano- annuì Alessio, alzando le spalle – Ma sarà solo temporaneo, lo sai-.
Eva si sistemò accanto a lui sul materasso, sedendosi e poggiando gli album fotografici vicino alle gambe di Alessio:
-Lo so bene- replicò lei, sorridente, ma con la voce mesta – Per quanto mi piacerebbe vederti più spesso, è giusto che ti costruisca una vita tutta tua altrove-.
Alessio se ne rimase in un silenzio imbarazzato, senza sapere bene cosa dire. Non aveva programmato di dire subito a sua madre il vero motivo per cui si trovava lì, e di certo non avrebbe cambiato idea. Sperava solo che lei non gli chiedesse nulla riguardo ad Alice, perché in quel caso mentire, di fronte a sua madre, sarebbe risultato piuttosto arduo.
Sperava anche che non gli chiedesse del lavoro: per quanto Eva non lo biasimasse per le sue scelte, Alessio si rendeva sempre più conto che la metteva a disagio pensarlo impegnato in una carriera fin troppo simile a quella di suo padre. Decise di anticipare sua madre indicando gli album che si era portata appresso:
-A che ti servono quelli?-.
Eva abbassò lo sguardo, passando una mano sulla copertina dell’album in cima agli altri:
-Volevo scegliere una foto da aggiungere sul tavolino del salotto- spiegò, scostandosi una ciocca di capelli biondi – Ti va di darmi una mano?-.
-Vorresti una foto in particolare?- chiese Alessio, esitante. Sperava che fossero foto abbastanza recenti, perché sapeva già che, in caso contrario, non sarebbe riuscito a sopportare molto la vista di foto legate alla sua infanzia o alla sua adolescenza.
-Una qualsiasi di te e tua sorella andrebbe bene- Eva si alzò, lasciando i primi due album di fotografie sopra al materasso, e riprendendosi gli altri – Siete i miei soggetti preferiti, d’altro canto-.
Alessio si lasciò andare ad un sorriso appena accennato:
-In effetti siamo dei soggetti particolarmente perfetti-.
Eva rise a sua volta, allungandosi per lasciargli una carezza sulla guancia e poi per scompigliargli i capelli. Alessio si ritrovò a ricevere quel gesto meditando sul fatto che, forse, anche lui un giorno si sarebbe ritrovato a compiere simili gesti d’affetto nei confronti di suo figlio. Magari sarebbe successo davvero, se si fosse dimostrato un genitore perlomeno decente.
-Ti lascio alla tua ricerca- Eva fece un passo indietro, verso la porta – Ma vieni giù in salotto tra poco. Mi farai un po’ di compagnia prima di cena-.
Alessio annuì, mentre osservava sua madre uscire di nuovo dalla stanza. Eva manteneva ancora un discreto fascino, lo charme tipico di una quarantenne che aveva ancora tanto da dare.
Si ritrovò a chiedersi come mai non avesse cercato di intrecciare qualche altra relazione, dopo il divorzio: era abbastanza sicuro che le occasioni non le sarebbero mancate, ed era altrettanto certo che, da qualche parte, ci potesse essere un uomo che non l’avrebbe delusa nuovamente.
Accantonò quei pensieri qualche secondo dopo, quando decise di afferrare il primo album fotografico. Conteneva diverse foto, abbastanza recenti: riconobbe alcune foto che Eva aveva scattato il giorno della sua laurea triennale, quasi tre anni prima, e altre che ritraevano Irene, impegnata nel coro del suo liceo.
Si ritrovò a sfogliarle con un sorriso mesto a increspargli le labbra: a quel tempo ancora non aveva idea di cosa gli sarebbe aspettato, e l’unico suo sogno era quello di arrivare a concludere l’università e raggiungere tutti i suoi sogni che lo accompagnavano da sempre.
Gli risultava difficile, ora, riconoscersi nell’Alessio di quelle foto, immortalato in tempi ormai passati e lontani. A quasi ventisei anni si ritrovava quasi a rimpiangere quei giorni, in cui il mondo sembrava poter essere solamente ai suoi piedi.
Quando girò l’ultima foto si bloccò, raggelato.
Non aveva notato che, alla fine dell’album, ci fossero ancora alcune foto spaiate, fuori dalle pellicole trasparenti. Avrebbe preferito non notarlo affatto, perché, con un sentore che già gli faceva prevedere il peggio, riusciva quasi ad immaginare che tra quelle foto ne avrebbe trovate alcune che avrebbe preferito non rivedere mai.
Portò i polpastrelli agli angoli della prima fotografia, sollevandola lentamente. Era parecchio vecchia, su quello non c’erano dubbi: davanti agli occhi ora si ritrovava se stesso di circa cinque anni, sorridente e seduto su un tronco d’albero, in mezzo ad un bosco. Quella foto doveva essere stata scattata in qualche gita in montagna, di cui Alessio non aveva alcun ricordo.
E poi, dietro di lui, a pochissima distanza, c’era Riccardo.
Sebbene quella foto risalisse ad almeno vent’anni prima, era impossibile non riconoscerlo. Allora i suoi capelli erano ancora neri senza striature grigie, la bellezza era ancora nel fiore degli anni, e il corpo ancora atletico: risultava una persona completamente differente rispetto al Riccardo del presente.
Ma lui ed Alessio condividevano gli stessi identici lineamenti del viso, e sarebbero bastati quelli a rendere riconoscibile Riccardo in qualsiasi foto di qualsiasi epoca.
Si chiese se negli ultimi anni fosse cambiato ulteriormente: magari ora il nero dei capelli era stato sostituito completamente dal grigio, le iridi nere potevano essersi appesantite ed essere diventate meno lucide.
Il volto di suo padre era sfocato nella sua memoria, perché era passato fin troppo tempo dall’ultima volta in cui si erano rivolti la parola.
“Da quanto tempo sei sparito dalla mia vita?”.
Non aveva mai indagato su dove abitasse precisamente a Padova, né tantomeno aveva mai visto casa sua. Cominciava a ricordare a stento persino la sua voce, perché dell’ultima volta che si erano parlati aveva cercato di dimenticarsene il più in fretta possibile.
Rimase ad osservarlo meglio: nella foto Riccardo sorrideva, ed Alessio non riuscì a capire se fosse davvero un sorriso sincero o uno dei suoi soliti ghigni travestiti che tanto lo caratterizzavano. Era felice, con la sua famiglia, almeno al tempo di quella foto? O c’era già tutto il malessere che era poi scoppiato solo un decennio più tardi?
In quel momento avrebbe voluto chiederglielo sul serio, anche se non era sicuro che la risposta gli avrebbe fatto piacere: sapeva che si sarebbe sentito ferito in entrambi i casi.
Magari c’era stato davvero un tempo in cui Riccardo aveva davvero amato quello che lui ed Eva avevano costruito, anche se non l’aveva mai dato troppo a vedere. Persino nei suoi ricordi più remoti, Alessio era sicuro che Riccardo fosse sempre stato sfuggente e al limite dell’apatia; c’erano stati pochissimi gesti d’affetto tra lui e suo padre, e forse quei pochi che ricordava erano solo memorie addolcite.
Forse non era mai stato davvero bene con loro. Forse gli pesava troppo tutto.
Per un attimo, un lungo attimo in cui sperò di non averlo pensato davvero, si ritrovò a credere di star descrivendo se stesso anziché Riccardo.
Gli venne voglia di prendere la foto tra le mani ed accartocciarla fino a renderla solo una pallina non più riconoscibile. Si trattenne a stento solo per la velocità con cui si ritrovò a richiudere l’album fotografico con un gesto pieno di rabbia.
Si mise a sedere sul letto, tenendo il viso tra le mani. Era suo padre ciò che avrebbe rivisto Eva, quando si sarebbe resa conto che lui quel figlio che aspettava da Alice non lo voleva? Era sicuro che sul viso di sua madre avrebbe rivisto lo sprezzo silenzioso che le si era dipinto ogni volta che, nel corso degli anni, Riccardo se ne usciva con qualche frase infelice legata alla loro famiglia. Forse lo avrebbe disprezzato esattamente allo stesso modo, domandandosi dove doveva aver sbagliato nel crescere un figlio così ingrato.
Quel pensiero lo distrusse completamente.
Si prese qualche secondo per cercare di respirare a fondo, cercare di svuotare la mente da ogni pensiero, soprattutto di allontanare quelli legati a Riccardo. Servì a poco: pur tenendo gli occhi chiusi, rivedeva davanti a sé i capelli neri striati di grigio e il viso di Riccardo, così simile al suo stesso volto.
Era come la carezza di un fantasma, che aleggiava su di lui anche nella lontananza. D’altro canto, Riccardo era sempre stato il suo fantasma: colui che pur non presente, era comunque tutto ciò cui la sua vita girava intorno.
“Non sono come lui”.
Era davvero così? Vedeva le certezze che l’avevano accompagnato per tutta la vita cominciare a sgretolarsi dalle fondamenta.
Perché non riusciva ad essere felice di diventare padre? Era forse la paura di sbagliare a sua volta?
Era la paura di dover accantonare velleità e ambizioni che aveva inseguito per anni?
Forse anche Riccardo si sera sentito così. Forse anche lui aveva dovuto passare attraverso la stessa sensazione di infelicità, fino a che non era più stato possibile nasconderlo.
Era quella la fine che avrebbe fatto anche lui? Distruggere una famiglia intera per i suoi voleri personali?
“Non voglio essere come lui”.
Sapeva che con l’arrivo di un figlio avrebbe dovuto accantonare, almeno per un po’ di tempo, i progetti che aveva in serbo. Sapeva anche che farlo, inevitabilmente, gli sarebbe costato parecchio.
Era consapevole che serbare rancore per una situazione simile – che non aveva scelto, che non aveva mai voluto, ma in cui era dentro fino al collo comunque- era del tutto inutile. In fin dei conti, non poteva incolpare nessuno di ciò, se non se stesso insieme ad Alice.
Non si era mai soffermato, prima di adesso, a domandarsi – a domandarsi davvero- come si era dovuto sentire Riccardo nella sua stessa situazione. Forse lui, almeno all’inizio, non doveva essersi sentito in trappola, forse aveva reagito addirittura meglio di quanto non stesse facendo Alessio stesso.
Sapeva solo che, però, ad un certo punto, la sua famiglia non gli era bastata più. Quello era il perno attorno al quale girava tutta la faccenda.
Alessio si prese il viso tra le mani, la tentazione di piangere che si faceva sempre più forte, ma che stava cercando di reprimere per non farsi sentire da Eva ed allarmarla inutilmente.
Il bisogno di parlare con Riccardo, di sentire da lui com’era stato vivere quella stessa sensazione, lo stava ferendo più di qualunque altra cosa.
Si era sempre detto che poteva farcela anche senza di lui – e ce l’aveva sempre fatta davvero. Aveva sempre contato unicamente sulle sue forze, relegando suo padre a mero ricordo, nascosto nelle sue memorie e dietro gli avvenimenti della vita che condividevano.
In quel momento, però, era con lui che avrebbe voluto parlare. Eva poteva capirlo solo fino ad un certo punto, ma dubitava che avrebbe mai condiviso quel suo malessere nei confronti della genitorialità.
Era da lui che avrebbe voluto chiedere cosa fare – e forse così sarebbe anche riuscito a distaccarsi da quella paura di seguire le sue orme, di ripetere gli sbagli compiuti nei suoi stessi confronti nelle vesti di figlio-, perché, per quanto odiasse ammetterlo, Riccardo era l’unica persona che aveva vissuto quella stessa esperienza in un modo fin troppo simile.
Sapeva altrettanto bene che difficilmente avrebbe mai trovato il coraggio necessario per chiamarlo e chiedergli di parlargli. La sola idea di mostrarsi vulnerabile a Riccardo gli faceva venire la nausea.
Si sentiva tremendamente solo, in quella situazione. Sapeva già che nessuno intorno a lui avrebbe potuto capire fino in fondo quello che stava vivendo, né che qualcuno avrebbe potuto dargli dei consigli su come agire. Era così facile sbagliare, nella posizione in cui si ritrovava, che un solo errore l’avrebbe condannato a rivivere ciò che lui per primo aveva vissuto con suo padre – solo, stavolta, nella posizione opposta.
Alessio si lasciò ricadere a peso morto sul materasso, facendo cigolare appena le molle del letto. Rimase immobile, le braccia molli che finivano fuori dal bordo, gli occhi azzurri puntati verso il soffitto della camera.
Sarebbe stato così per sempre? Quanto ancora sarebbe durato quel peso che si sentiva addosso, quel vuoto al centro del petto che non gli dava pace nemmeno per un secondo?
Sembrava impossibile lasciarsi alle spalle tutte quelle sensazioni. Anche il pensiero di Riccardo rimaneva fisso, come se fosse riemerso dopo tanto tempo passato appena sotto la superficie, pronto a tornare presente da un momento all’altro.
Tra le mura di quella stanza sembravano aggirarsi mille fantasmi, tutti legati ai ricordi che aveva di suo padre, fantasmi che ancora non lo lasciavano andare e che, temeva, non l’avrebbero mai lasciato libero del tutto.
 
And when the lights go down
I see things I can’t explain
Calling out my name 
The lights go down
Holding every memory close
Tonight is for our ghosts

(Mike Shinoda - "Ghosts")*



 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Con questo capitolo compiamo un altro piccolo salto temporale, arrivando finalmente a gennaio 2019, nonché ultimo anno raccontato da Growing (eh sì, ci stiamo decisamente avviando alla fine!).
Pietro e Giada hanno finalmente dato la notizia della gravidanza ai loro amici, anche se, come sembra evidente, l'entusiasmo latita ancora parecchio. Ed è in questa occasione che Pietro, Nicola e Filippo hanno modo di confrontare le loro diverse esperienze riguardo la paternità: tutti e tre l'hanno vissuta o la stanno vivendo in maniere molto diverse, come emerge dalla loro conversazione. 
Poco dopo, invece, cambio scena, cambio focus... E così, dopo un luuungo periodo, ci ritroviamo ancora una volta nella vecchia casa di Alessio. Lo sfogliare i vecchi album pieni di foto per Alessio si trasforma prima in un tuffo nel passato, soprattutto riguardo ricordi legati al padre, e poi in una serie di riflessioni. E queste ultime sono legate proprio a Bagliore senior, al quale Alessio si sente legato, almeno per ora, per una certa somiglianza nelle rispettive esperienze legate alla paternità.
Da qui un certo bisogno di voler parlare e confrontarsi con Riccardo stesso ... La cosa, se mai dovesse tramutarsi in realtà, potrebbe sembrare un azzardo piuttosto grande, nonché un'idea piuttosto malsana. Sarà davvero così? Ma poi, avverrà mai una conversazione simile tra padre e figlio, calcolando come andò il loro ultimo incontro? Lo scopriremo solo continuando a leggere fino alla fine, quando ormai mancano solo 6 capitoli al gran finale.
Per il prossimo aggiornamento ci ritroveremo ormai nell’anno prossimo, esattamente mercoledì 4 gennaio!
And last but not the least, non ci resta quindi che augurarvi un buon Natale e buon anno nuovo a tutt*!🎄🎅🏻💫
Kiara & Greyjoy
 


 
 

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Capitolo 38
*** Capitolo 36 - A modo tuo ***


CAPITOLO 36 - A MODO TUO



 

Era un’insolita mattinata calda, quella del 21 febbraio. Nel camminare lungo le calli affollate alle prime ore della mattina, Giulia aveva quasi cominciato a sudare: il sole picchiava forte, stranamente forte per essere solo inverno, e il pancione non l’aveva affatto facilitata nella camminata. Ricordava di essersi aggrappata al braccio di Filippo, ad un certo punto, come a voler trarre la forza necessaria da lui per poter andare avanti e proseguire il percorso fino alla banchina del traghetto.
Lì in ospedale, in quel momento, non andava meglio in ogni caso: sebbene tutti gli ambienti fossero tiepidi e di una temperatura perfetta per quella giornata, Giulia si sentiva semplicemente troppo accaldata.
Non si meravigliava di ciò: l’agitazione le giocava sempre brutti scherzi, e non credeva di aver mai patito un’ansia simile in tutta la sua vita. Non prima di quel giorno, e non in quel modo.
Filippo continuava a camminare a passi lunghi per tutta la stanza, pallido in viso e con i ricci scuri completamente in disordine. Lei, perlomeno, stava cercando di contenere l’ansia; lui, al contrario, non stava nemmeno provando a far finta di non essere nel panico più totale.
Giulia si limitò ad osservarlo scuotendo la testa, e sperando che l’operazione non venisse rimandata: era rimasta a digiuno, quella mattina, ma non provava fame in ogni caso. Sentiva un vuoto all’altezza dello stomaco che le avrebbe impedito di mangiare qualsiasi cosa.
Erano rimasti soli da poco: un’infermiera se ne era appena andata dopo averla visitata e aver controllato il battito delle gemelle. Con enorme sollievo di tutti, sembrava essere tutto a posto.
-Secondo te mancherà tanto?- Filippo si fermò, finalmente, fissando Giulia con la fronte aggrottata.
-Non credo- Giulia non ne era molto convinta, ma era altrettanto vero che le ultime operazioni prima della sala operatoria erano già state fatte tutte – Penso che al massimo tra un’ora inizieremo-.
Non si era mai interessata troppo ai parti cesarei programmati, prima di scoprire di dover affrontare una gravidanza gemellare. Aveva sempre dato per scontato che le sarebbe capitato un parto naturale, quando parecchio tempo prima cercava di immaginarsi come sarebbe stato diventare madre; Caterina non le aveva mai raccontato dettagliatamente come si svolgeva il tutto, ma le aveva descritto piuttosto bene il dolore delle contrazioni. Almeno da quel punto di vista, nel dover fare un cesareo programmato senza alcuna contrazione, Giulia si riteneva fortunata.
La sua ginecologa, quando avevano fissato la data del parto all’ultimo controllo, poco più di un mese prima, le aveva spiegato un po’ come sarebbe stata la procedura: alcuni controlli per l’anestesia qualche giorno prima del ricovero, altri controlli il giorno stesso del parto, e poi meno di un’ora di intervento. Quando se l’era sentito raccontare, Giulia si era quasi sentita tranquilla; in quel momento, però, nel ritrovarsi a vivere direttamente ed in prima persona l’esperienza, si sentiva tutt’altro che serena.
La sua unica speranza era che andasse tutto bene senza complicanze per le sue figlie. Tutto il resto veniva dopo.
-Tu come ti senti?- domandò ancora Filippo, accostandosi al letto. Era la prima volta che le si avvicinava, da quando erano entrati in quella sala dell’ospedale.
-Come una che sta per essere portata in sala chirurgica- sospirò Giulia, passandosi una mano sul viso – Sono agitata-.
Durante la notte si era sforzata di dormire almeno un po’, consapevole che da lì in avanti il sonno sarebbe mancato spesso. La verità era che aveva dormito a malapena un’ora, continuando a rigirarsi nel letto, e sentendo le bambine scalciare a più non posso. Alla fine si era alzata alle quattro, anche se il ricovero era fissato per metà mattina.
-Non dirlo a me- Filippo si lasciò andare ad una risata nervosa – Se non ci sbrighiamo, rischio di non sopravvivere alla giornata-.
-Tu non rischi di sopravvivere?- Giulia dovette trattenersi dall’alzarsi per strozzarlo – Sono io che mi devo far tagliare in due, non tu!-.
Giulia non seppe nemmeno se scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione, o se piangere per sfogarsi almeno un po’. Non fece nessuna delle due: si limitò a passarsi le mani tra i capelli leggermente sudati, mentre osservava di rimando Filippo. Aveva abbassato gli occhi per alcuni secondi, prima di sedersi sul bordo del letto d’ospedale, e prenderle una mano nella sua:
-Hai ragione- Filippo aveva accennato un sorriso, teso e sincero allo stesso tempo – Tra noi due quello a darti un po’ di sollievo dovrei essere io, invece è il contrario-.
Continuò ad accarezzarle il dorso della mano con il pollice, lentamente, in movimenti circolari che fecero quasi rilassare Giulia per un breve momento.
-Dobbiamo entrambi cercare di darci una mano l’un l’altra- mormorò infine, le lacrime agli occhi – Sto morendo di paura anch’io-.
Ammetterlo a voce non le fu semplice. Giulia tirò su con il naso, sperando di non scoppiare in lacrime ancor prima del momento del parto; la verità era che aveva i nervi a fiori di pelle, e non credeva di essersi mai sentita più disorientata di così. Era così che ci si sentiva, poco prima di diventare madre a tutti gli effetti? Sole e terrorizzate?
Avrebbe voluto porre quella domanda a sua madre, sapere com’era stato per lei quando era nata Ilaria e poi quando era nata lei stessa. E avrebbe voluto chiederlo anche a Caterina, come si era sentita, quando solo un anno prima aveva visto nascere Francesco; aveva sempre evitato di porle quella domanda per paura di ritrovarsi a sua volta in un frangente simile, ma in quel momento avrebbe voluto invece sapere la risposta.
Si sentiva gli occhi di Filippo addosso, anche se stavolta era stata lei ad abbassare il viso. Lo sentì portare una mano ai suoi capelli, scostandoglieli dal viso in un gesto dolce. In un qualche modo, quelle piccole attenzioni che Filippo le stava rivolgendo riuscirono davvero a farla sentire meno sperduta.
Era inutile fingere di non essere spaventata. Lo erano entrambi, Filippo solo più visibilmente; lei, stoicamente, cercava di allontanare il più possibile il pensiero che qualcosa sarebbe potuto andare storto. Non voleva nemmeno soffermarsi sulla possibilità che quel giorno sarebbe potuto trasformarsi nel suo peggior incubo. Non voleva, e non poteva permetterselo: doveva essere forte per se stessa, per Filippo, per Caterina e Beatrice.
In un gesto automatico, appoggiò la mano sul proprio grembo, ormai gonfio all’inverosimile. Le gemelle erano più calme rispetto alla notte appena passata: scalciavano molto meno, ma si facevano comunque sentire. Percepivano la sua agitazione.
“Farò qualsiasi cosa per proteggervi e tenervi al sicuro. Ve lo giuro”.
Il silenzio calato nella stanza venne interrotto solo nel momento in cui la porta venne aperta, svelando la stessa ostetrica che aveva visitato Giulia appena arrivata in ospedale. Aveva un sorriso incoraggiante dipinto sul viso, ma la sua sola vista fece agitare Giulia oltremodo.
-Siamo quasi pronti- annunciò subito, appena richiusa la porta dietro di sé – Tra una quindicina di minuti inizieremo l’intervento-.
Giulia non ebbe nemmeno la forza di rispondere a voce: si limitò ad annuire, in silenzio, mentre ascoltava il battito impazzito del suo cuore contro il petto. Stava arrivando il momento, e solo allora si rese conto di non averlo ancora realizzato appieno.
L’ostetrica se ne andò così com’era venuta, lasciandola di nuovo da sola con Filippo.
Giulia si girò istintivamente verso di lui, il fiato corto e la voce che quasi le mancava:
-Non ce la faccio. Sono nel panico-.
Aveva creduto possibile riuscire controllare l’ansia, almeno in parte. In quel momento, invece, si sentiva completamente sopraffatta e paralizzata; strinse forte la mano di Filippo, come a cercare un sostegno in lui.
-Sono sicuro che andrà tutto per il meglio- stavolta sembrava essere lui quello meno agitato tra di loro, quello con più controllo – Sono chirurghi esperti, ed è tutto a posto … Andrà bene-.
Prese ad accarezzarle una guancia, gesto su cui Giulia cercò di concentrarsi; provò a respirare a fondo, cercando di calmarsi il più possibile.
-Non puoi saperlo sul serio- si ritrovò a mormorare comunque, passandosi una mano sugli occhi. Si sentì una sciocca: a che serviva cercare di cancellare le lacrime per non mostrarsi debole, se tanto si lasciava andare a parole piene di panico?
-Me lo sento. E mi fido del mio istinto-.
Filippo si sistemò meglio sul letto, cercando di abbracciarla al meglio possibile, per quanto quella posizione scomoda gli permettesse poco spazio di manovra.
Giulia si ritrovò ad aggrapparsi al suo maglione, appoggiando il capo sulla sua spalla: riusciva a percepire il respiro appena accelerato di Filippo, facendosi cullare piano.
-Vorrei fossi lì con me-.
Quando inizialmente aveva saputo che in quell’ospedale non erano accettati i famigliari durante i parti cesarei nella sala operatoria, Giulia era rimasta disorientata, ma non scoraggiata. Ora, invece, sperava solo in un cambio di programma all’ultimo: avrebbe voluto Filippo accanto, perché con tutta quella paura che si sentiva addosso, non si considerava in grado di gestire tutta quella situazione mentre era da sola. Avrebbe voluto qualcuno accanto per condividerne il peso.
-Anche io- Filippo non smise di accarezzarle il viso e di stringerle la mano – Ma sarà questione di poco tempo. Io sarò nella saletta lì a fianco, ad aspettarvi-.
Aspettarvi. Quando finirà tutto, non saremo più soli”.
Le faceva strano pensarlo. Era incredibile come tutto sarebbe cambiato da quando sarebbe entrata in quella sala operatoria, e ancor di più quando ne sarebbe uscita.
Era un passo talmente grande e radicale che faticava ad immaginarsi come si sarebbe sentita solo un’ora più tardi.
Filippo la osservò a lungo, prima di mormorarle definitivamente:
-Andrà tutto bene-.
 
*
 
Regnava una quieta confusione nella sala operatoria. Giulia non riusciva a capire se il disorientamento che provava fosse dovuto più all’anestesia locale che stava entrando in circolo, o all’agitazione estrema che sentiva infonderle il corpo.
Un monitor da qualche parte vicino al lettino operatorio scandiva velocemente il battito del suo cuore: non si meravigliava che i battiti risultassero così ravvicinati e rapidi. Si sentiva semplicemente scoppiare il cuore nel petto.
Tutto lo staff presente per l’operazione, poi, non faceva altro che aumentare la sua confusione; a stare sdraiata e con le luci puntate sugli occhi faticava a riconoscere chi fossero gli infermieri, il chirurgo che di lì a poco avrebbe dato il via al cesareo, e l’ostetrica che gravitavano attorno a lei.
Nemmeno il telo verde che avevano interposto tra il suo viso e la vista del suo grembo la facilitava nel mantenere la calma. Cominciava a pensare che avrebbe voluto osservare tutto ciò che sarebbe successo, anche se sapeva che le avrebbe fatto impressione vedere i medici inciderle il pancione con il bisturi.
L’anestesia aveva già cominciato a fare effetto, perché percepiva distintamente la sensazione di non sentire alcunché dal busto in giù, come se quella parte del suo corpo non le appartenesse. Anche quell’assenza di controllo, in un certo senso, la disorientava; accettava volentieri l’idea dell’anestesia solo perché, in un’operazione chirurgica a tutti gli effetti come quella, sarebbe stata fondamentale per non morire dal dolore.
-Iniziamo l’operazione alle dodici e cinque minuti-.
La voce profonda del chirurgo arrivò a Giulia ovattata e lontana. Recepì solo quelle parole, il segno tangibile che stava per iniziare tutto.
Cercò di controllare il respiro e di tenere la testa abbassata, ma non riuscì a tenere fede a nessuno di quei due propositi: si sentiva la testa girare dall’ansia e dall’eccitazione per quello che stava per succedere, ma continuò a tenere il capo inclinato in alto, cercando di osservare quanto più possibile. Il telo verde le disturbava la visuale, ma Giulia non accennò comunque a rimettersi completamente stesa.
Senza alcun riferimento temporale né alcun orologio su cui poter puntare la propria attenzione, stava perdendo la cognizione del tempo. Faceva fatica ad interpretare le azioni dei medici, e anche a capire quanto tempo stesse passando; sentiva solamente la testa che continuava a girarle e la stessa sensazione di disorientamento. Sotto la cuffia verdognola i capelli le si stavano appiccicando alla fronte, in un contatto fastidioso a cui, però, stava dando poca importanza.
Lì dentro, in quella sala operatoria dai colori asettici, senza poter osservare bene quel che stavano facendo al suo stesso corpo, i minuti sembravano passare tutti uguali. Per quanto ne sapeva, sarebbero potuti esserne già passati dieci come venti.
Sembrò fermarsi tutto solo poco dopo, quando le voci dei medici si erano fatte più concitate, mentre pronunciavano frasi brevi e spezzate che Giulia non riusciva ad udire se non per qualche parola. Avvertì una strana pressione all’altezza dell’addome, una sensazione così strana che non seppe ricollegare a nessun altra precedente esperienza.
E poi sentì un unico pianto, a pieni polmoni, che sembrò riuscire a riempire tutta la stanza.
Giulia quasi non si accorse di aver già iniziato a piangere; se ne rese conto solo quando una lacrima le aveva lasciato la guancia destra umida, bagnandola lungo la discesa dai suoi occhi al lettino operatorio sotto di lei.
Quando il medico che stava conducendo l’intervento alzò le braccia, Giulia maledisse gli occhi lucidi, le lacrime e l’assenza dei suoi occhiali, che le rendevano offuscata la vista: avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un’immagine nitida in cui una delle sue figlie era appena venuta al mondo.
Pur ancora sporca di sangue e con i pochi capelli appicciati al cranio, Giulia avrebbe comunque voluto stringerla subito a sé, studiarne le grinze della pelle e saggiare il poco peso di quel corpo minuscolo.
Era un istinto innato, quello che la spingeva a voler di nuovo riavere quella vicinanza che l’aveva legata alle sue figlie fino a quel momento.
Sentì altre lacrime rigarle il viso, e la propria voce risuonare in una risata felice.
Per la prima volta in quella giornata l’ansia e la paura se ne erano andate: ora c’era posto solo per la serenità che quell’istante le aveva appena donato.
 
*
 
Sarà difficile diventar grande
Prima che lo diventi anche tu
Tu che farai tutte quelle domande
Io fingerò di saperne di più
Sarà difficile
Ma sarà come deve essere
Metterò via i giochi
Proverò a crescere
(Elisa - "A modo tuo")*
 
Era calata la sera da diverse ore, e fuori dalle finestre Giulia riusciva a distinguere il riflesso dei lampioni accesi. Era quasi ora di cena, ma la fame quasi non si faceva sentire, in quel momento.
Si trovava a vivere una sensazione strana, come se fosse racchiusa dentro una bolla in cui il tempo aveva smesso di esistere.
Giulia cercò di sistemarsi meglio sul letto, a fatica, ma dopo pochi secondi dovette bloccarsi all’istante. Era imbottita di antidolorifici, eppure i movimenti non le risultavano né agili né del tutto indolori. Si sentiva un po’ come se un autobus le fosse appena passato sopra con tutte le ruote; quando le infermiere le avevano detto che l’avrebbero fatta camminare già la mattina dopo, aveva sgranato gli occhi pensando che fossero letteralmente pazze. In quello stato dubitava persino di poter compiere le azioni più basilari.
Il silenzio venne spezzato all’improvviso, quando la porta della stanza venne aperta.
Giulia rimase a fissare l’infermiera che era appena entrata, seguita subito da Filippo: avevano in braccio una gemella per ciascuno, silenziose entrambe come se stessero dormendo. Giulia sentì gli occhi pizzicare ancora una volta: dopo il parto le avevano visitate entrambe, e lei non aveva più potuto vederle, al contrario di Filippo. Era questione di poche ore, ma si rese conto, in quel momento, che le erano mancante tantissimo lo stesso.
-Stanno benissimo entrambe- esordì l’infermiera, fermandosi poco distante dal lettino sopra il quale era adagiata Giulia – Sono state fatte tutte le visite previste subito dopo la nascita. Domattina ne potrete parlare direttamente con il pediatra-.
-Grazie- disse Giulia, osservando la bambina che l’infermiera teneva ancora in braccio. Dietro di lei, Filippo teneva ben saldamente l’altra gemella, spostando lo sguardo da Giulia, all’altra bambina, fino a quella che teneva lui stesso. Aveva un sorriso talmente felice che Giulia non credeva di avergli mai visto dipinto in viso.
-Provi a tenerla- l’infermiera le si avvicinò, allungando cautamente le braccia ma tenendo ancora ben saldamente la neonata. Giulia doveva ammettere di aver fatto qualche prova a casa sulla maniera corretta di sorreggere dei bambini appena nati, ma tra un asciugamano arrotolato e sua figlia c’era una netta differenza: le tremarono le mani mentre le allungava a sua volta, la piccola che passò a lei in secondi di impaccio che a Giulia parvero infiniti. Quando poté ritrarre le braccia, e tenerla vicina al suo petto, il suo cuore cominciò a battere meno forte dall’agitazione di sbagliare qualcosa.
-Quando si sveglieranno avranno sicuramente fame- disse l’infermiera, scostandosi per lasciare il posto a Filippo accanto a Giulia – Tornerò per darle alcune indicazioni su come allattarle-.
A quelle parole Giulia si sentì ancora più in ansia, ma cercò di ignorare quella sensazione: ci avrebbe pensato sul momento, quando sarebbe arrivato.
L’infermiera si allontanò con un sorriso gentile, tornando verso la porta della stanza, richiudendola dietro di sé delicatamente. Fu in quel lasso di tempo di silenzio assoluto che Giulia si ritrovò a pensare che sua figlia era davvero leggera da tenere in braccio. Entrambe le gemelle erano già state vestite con i completini che lei e Filippo avevano portato da casa, dentro alla valigia preparata in vista dei giorni in ospedale; sembravano dei fagottini in tutine di cotone.
-Sono minuscole- si ritrovò a dire ad alta voce, cercando di cullare meglio che poteva la bambina che teneva tra le braccia.
-Ma cresceranno in fretta- Filippo cercò di sistemarsi accanto a Giulia, sedendosi nel poco spazio che rimaneva tra lei e il bordo del lettino – Dobbiamo ancora scegliere a chi dare quale nome-.
Giulia si era quasi scordata del tutto la questione del nome. Aveva cercato di farsi influenzare il meno possibile dalle sue immaginazioni, fino a quel giorno, ed ora si ritrovava senza sapere bene quale nome dare a quale figlia.
Le osservò in silenzio, cercando di cogliere i dettagli del viso minuscolo e degli occhi ancora chiusi: così piccole sembravano piuttosto simili, ma era sicura che una volta cresciute sarebbero state parecchio diverse tra loro. Avevano forme del naso leggermente diverse, ed anche i tratti dei visi sembravano suggerire una futura diversificazione.
E poi c’erano i capelli: la bambina che teneva in braccio Filippo era sorprendentemente bionda, come lo era stata Giulia appena nata. Quella che teneva in braccio lei, invece, aveva i capelli già più scuri, di un morbido castano che ricordava quello di Filippo. Ed anche quello di Caterina.
-Lei sarà Caterina- Giulia cullò appena la figlia, sorridendole, prima di alzare gli occhi sull’altra gemella – E lei invece sarà Beatrice-.
Filippo le scrutò a sua volta, come a voler studiare anche il più minimo particolare dei visi delle figlie. Solo dopo alcuni secondi sembrò avere una risposta:
-Sono d’accordo- disse infine, lasciando un bacio sul capo di Giulia – Devo ancora realizzare che siano già nate per davvero-.
In un certo senso, anche per Giulia era così. Si rendeva già conto del cambiamento – era difficile ignorare il suo corpo dolorante, il peso leggero di Caterina tra le sue braccia, e la vista del corpicino altrettanto minuscolo di Beatrice tra le braccia di suo padre-, ma un’altra parte di sé faticava ancora a realizzarlo. Le sembrava che le ultime ore fossero state solo un delirante sogno notturno, una sorta di premonizione di ciò che doveva ancora succedere.
Le risultava difficile ancora pensare che, da quel momento in poi, lei e Filippo sarebbero rimasti legati per il resto dei loro giorni da Caterina e Beatrice. Era difficile elaborare il fatto che per lunghi anni, prima che a se stessa, avrebbe dovuto pensare ad altre due persone.
-Hai visto che è andato tutto bene, come ti avevo detto?- Filippo doveva aver interpretato il silenzio di Giulia come un sintomo di stanchezza: prese ad accarezzarle i capelli, ancora un po’ sudati, con gesti lenti e calcolati.
-Anche se non è stato facile- disse lei, a bassa voce: non voleva rischiare di svegliare Caterina e Beatrice, che dormivano beate, come se credessero ancora di essere nel grembo della loro madre.
-Perché?-.
Giulia sospirò rumorosamente. Era difficile anche riportare alla mente le memorie del parto: era stata così agitata, in quegli attimi, che la sua memoria stava già agendo, rendendo i contorni del ricordo sfumati e offuscati.
-Non è una situazione che nessuno può prepararti a vivere- mormorò, chiudendo per un attimo gli occhi – Te l’immagini in mille modi diversi, ma va sempre nell’unico modo a cui non avevi minimamente pensato-.
Era strano convivere con la consapevolezza che era nato qualcosa dall’incontro tra lei e Filippo. Osservò le sue figlie ancora una volta, in un misto di meraviglia e serenità: anche lei riusciva a sentirsi in un qualche modo tranquilla, nel vederle dormire e saperle sane ed in salute. Quello era solo l’inizio, e nessuno poteva sapere quello che sarebbe potuto accadere anche solo domani, ma per ora andava bene così.
Avrebbe imparato passo dopo passo cosa sarebbe significato essere madre, a modo suo. Sperava solo di esserne all’altezza.
 
*
 
Il giorno dopo aveva preso a piovere, tra tuoni e fulmini che si susseguivano in un ritmo cadenzato. Giulia si sentì fortunata del fatto che la pioggia fosse arrivata quel giorno: perlomeno, con l’intervento fissato al giorno prima, si era evitata una caterva d’acqua sopra la testa lungo il tragitto fino  all’ospedale.
Non poteva dire lo stesso per Caterina: era arrivata piuttosto presto, per dare una mano a Filippo nell’attesa che arrivassero i famigliari suoi e di Giulia. Era rimasta lì parecchie ore, prima del loro arrivo. Si era beccata l’ora peggiore dell’acquazzone, arrivando in ospedale con i capelli umidi e il cappotto piuttosto fradicio.
Era quasi mezzogiorno, quando Anita, Carlo, Simone e Mirta avevano fatto il loro ingresso nella stanza di Giulia, con Filippo al seguito, sobbarcato dalle due gemelle, che teneva stoicamente entrambe in braccio.
Giulia non credeva di sentirsi pronta a ricevere tutte quelle visite: poteva venire a patti con la sola presenza di Caterina, ma ritrovarsi tutto quel gruppo tutto insieme l’aveva mandata in pallone in più momenti. Poteva dirsi quasi fortunata del fatto che l’attenzione fosse stata rivolta maggiormente a Caterina e Beatrice, anziché su di lei.
Solo nel pomeriggio, nella fascia oraria della seconda visita, erano giunti anche Ilaria e Fabio. In quel momento, mentre il temporale ancora imperversava e fuori dalla finestra della stanza si poteva osservare la pioggia cadere in maniera piuttosto intensa, Giulia aveva ritrovato un po’ di tranquillità: sua sorella e suo cognato erano decisamente meno rumorosi dei suoi genitori e di quelli di Filippo.
-Le hanno già viste i nonni?-.
Ilaria stava tenendo in braccio Beatrice, sempre meno insicura nella presa. Cercava di cullarla piano, sperando di non risvegliarla come, invece, era capitato qualche ora prima, all’ora di pranzo. Caterina, invece, si trovava in grembo allo zio paterno, sotto l’occhio vigile di Filippo.
-Suona strano sentirli chiamare nonni- commentò Giulia, assorta. Non si era ancora abituata all’idea che, effettivamente, ora i suoi genitori avevano ben due nipoti a cui pensare; faceva strano pensare che ora lei per prima non poteva più ritenersi unicamente solo una figlia, ma anche una madre.
Tutti i neo nonni, in ogni caso, avevano reagito con estasiata adorazione alla vista delle due bambine. Le avevano riempite di baci e moine praticamente per tutto il tempo in cui erano rimasti nella stanza.
-Comunque sì, le hanno viste. È stato un miracolo che non le abbiano svegliate entrambe-.
-E quindi non hanno potuto ammirare gli occhi molto verdi delle due fanciulle- aggiunse Fabio, ridendo, e beccandosi un’occhiataccia da Filippo. Effettivamente, quando quella mattina entrambe avevano aperto per la prima volta gli occhi, Giulia non era riuscita a reprimere del tutto un moto di meraviglia: per quanto si distinguessero nel colore dei capelli, gli occhi erano identici. Ed ereditati decisamente da lei.
-Nessuna delle due con gli occhi castani. Nessuna!- si lamentò Filippo, scuotendo il capo. Sembrava essere rimasto lievemente deluso dalla cosa, ma Giulia sapeva che gli sarebbe passata in fretta.
-Però almeno Caterina sembra aver ereditato i tuoi capelli- cercò di consolarlo, pur trattenendosi a stento dal ridere per l’espressione disperata di suo marito.
-Almeno lei mi dà soddisfazioni, non come Beatrice- mantenne il gioco Filippo, provocando leggere risate a tutti.
-Se inizi a fare preferenze già il giorno dopo dalla nascita, non ne esci più- lo rimbeccò suo fratello, che però sembrava alquanto divertito.
Giulia si dovette fermare a forza dal ridere: nonostante gli antidolorifici che le avevano dato anche quella mattinata, la ferita del cesareo continuava a darle fastidio, ed anche ridere le provocava fitte dolorose.
Ilaria dovette intercettare una smorfia causata dalla sofferenza:
-Come va la ferita?-.
Giulia si prese qualche secondo per rispondere, giusto il tempo per tornare a respirare normalmente e sentire le fitte farsi sempre meno intense:
-Dolorosa soprattutto quando mi sono svegliata e quando mi hanno fatto camminare. Mi stanno imbottendo di antidolorifici-.
Come le avevano promesso la sera prima, quella mattina le infermiere l’avevano sul serio portata giù dal letto. A Giulia era parso come dover reimparare a camminare: immaginava che non sarebbe stato facile procedere con un taglio così profondo e proprio in quella posizione, ma non credeva nemmeno sarebbe stato così difficile. Aveva mosso alcuni passi, sempre meno impacciati e difficoltosi, ma il dolore era rimasto.
Sperava con tutto il cuore di migliorare nei giorni successivi; in caso contrario, già cominciava a domandarsi come avrebbe fatto a casa, con due neonate e il solo Filippo presente a darle una mano per potersi spostare.
-Ma nel caso di un’altra gravidanza devi per forza rifare il cesareo?- domandò Fabio, mentre tendeva le braccia per facilitare Filippo a prendere Caterina.
Giulia sospirò sconsolata:
-Si vedrà-.
-Credo dipenda molto dal caso singolo- aggiunse Filippo, cullando la figlia, che sembrava essersi appena svegliata, che produceva mugolii sommessi.
-In ogni caso, non parlatemi di prossima gravidanza adesso- Giulia alzò le mani come a voler fermare già da subito quel discorso – Per ora mi è bastata questa-.
Filippo annuì, lanciando poi un’occhiata sia a Fabio che ad Ilaria:
-Ora pensate voi a sfornare dei cugini per le vostre nipoti-.
La risatina isterica che provenne da Fabio quasi cozzò con il sorriso serafico che si dipinse sulle labbra di Ilaria.
-Se noi dobbiamo pensare ai vostri nipoti, chi vi darà una mano o suggerimenti a cambiare i pannolini?- disse infine Ilaria, con lo stesso sorriso angelico che, però, gelò le espressioni di Giulia e Filippo.
Giulia si sentì interdetta: sua sorella, con i suoi undici anni in più, aveva fatto in tempo a cambiarle i pannolini nei suoi primi anni di vita. Era quasi incredibile pensare che, in fin dei conti, tra le due era proprio Ilaria ad aver più esperienza in fatto di neonati.
Si scambiò un’occhiata disperata con Filippo: già riusciva ad immaginarsi a casa, travolta dai pannolini sporchi da cambiare e dalle altre mille cose che si sarebbero ritrovati a dover imparare a compiere.
Giulia si ritrovò, inevitabilmente, a ridere istericamente.
 
 

 
 
 

*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla cantante e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Potevamo, noi autrici, iniziare il nuovo anno con un aggiornamento tranquillo? Certo che no! Meglio iniziare con il botto!
Siamo quindi al primo aggiornamento del 2023, e quindi la prima cosa che vi chiediamo è: come vi sono andate le vacanze natalizie?😊
Ma ora andiamo al capitolo: la vita che Giulia e Filippo hanno conosciuto finora, infatti, ha le ore contate perché dopo questa breve, ma intensissima e ansiosa attesa, i due non saranno più una coppia, bensì un quartetto. 👨‍👩‍👧‍👧 ora possiamo ufficialmente dare il benvenuto alle piccole Caterina e Beatrice!
Con "immensa" gioia di Giulia, insieme al lieto arrivo delle gemelle, alla fine sono arrivate anche le prime visite dei vari parenti suoi e di Filippo... che appaiono, però, decisamente meno liete agli occhi della neo mamma 😂
Ma questo è solo il primo passo, per Giulia e Filippo, verso una nuova quotidianità. Infatti, probabilmente già dal prossimo capitolo, potremo ammirare i due alle prese con poppate, cambi di pannolini e chi più ne ha più ne metta! Insomma... tutte le faccende appena elencate dai novelli zii!
Ci rivedremo sempre in questi lidi mercoledì 18 gennaio con un nuovo aggiornamento!
Kiara & Greyjoy 
PS: E con Capodanno sempre più lontano, l'Epifania è ormai alle porte: buona Befana e tanto carbone a tutti!😊 

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Capitolo 39
*** Capitolo 37 - Heavy ***


CAPITOLO 37 - HEAVY




 
Some days it doesn't take much to bring me down
Some days I'm struggling for control
Some days it doesn't take much to bring me down
But right now I'm floating above it all
 
Lo sfregare del cotone dell’asciugamano contro la pelle sudata delle gambe cominciava ad essere una sensazione fastidiosa. Fosse stato per lui se ne sarebbe liberato nell’immediato, lasciandosi andare alla nudità completa, in quel luogo in cui non c’era nessuno che potesse osservarlo.
Le pareti della stanza da letto erano cambiate. In realtà, guardandosi intorno, non avrebbe mai potuto dire con sicurezza che quella era effettivamente la sua stanza. Era più una sensazione, una consapevolezza profonda, quello che lo spingeva a dire che quel luogo, nel mondo reale, era diverso ed aveva una funzione completamente diversa da quella che si trovava a ricoprire lì, in quel mondo sfumato e dai confini imprecisi.
Faceva caldo, nella sauna, e Pietro teneva gli occhi chiusi per non dover assorbire quella luce rossastra causata dalle pareti in legno e dalla luce tenue. Si sentiva la pelle appiccicosa per il sudore, il caldo a tratti soffocante che cominciava ad infastidirlo.
Si era messo in piedi, come a voler più controllo su se stesso, ascoltando meglio i segnali che provenivano dal suo corpo.
Quando percepì la presenza di qualcuno dietro di sé, Pietro non riaprì gli occhi. Anche in quel momento, nell’oscurità delle sue palpebre abbassate, sapeva perfettamente chi fosse l’altra persona, che stava facendo vagare i polpastrelli sulla sua schiena nuda e sudata in un massaggio lento e lascivo.
-Non dovresti provocarmi così-.
Pietro parlò molto più gutturale di quanto si sarebbe aspettato, lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto per come le carezze appena accennate si fossero appena trasformate in gesti decisi, possessivi, che arrivavano fino ai suoi fianchi. Le sue stesse parole erano una provocazione: non erano altro che un modo per dissimulare ciò che avrebbe voluto davvero dire. Era perfettamente riuscito nell’intento di intensificare quel contatto.
Quando il massaggio si fece insopportabilmente piacevole, si arrese: si girò di scatto, riaprendo gli occhi e ritrovandosi di fronte il ghigno compiaciuto di Alessio.
Avrebbe voluto cancellargli quel sorriso impertinente con un bacio; cosa che fece subito dopo averlo pensato. Lo sentì sorridere contro le sue labbra, mentre teneva ancora la bocca sulla sua. Alessio mugugnò in segno di protesta, quando Pietro si staccò di nuovo, guardandolo in viso.
Era bello anche in quella realtà fatua, con i capelli biondi scuriti per il vapore e l’umidità, e gli occhi azzurri che lo guardavano con severità per il bacio interrotto.
-Nemmeno tu dovresti provocarmi così- lo rimproverò, mordendosi il labbro.
Pietro rise piano, passando una mano tra i capelli inumiditi di Alessio con un gesto dalla lentezza calcolata. Gli si avvicinò di nuovo, accostandosi all’orecchio, sussurrandogli con voce rauca:
-Puoi sempre vendicarti delle mie provocazioni-.
Sentì Alessio ridere, prima di avvicinarglisi per un altro bacio, più lungo e meno casto del precedente. Fu Alessio, stavolta, ad interromperlo: si allontanò da lui gentilmente, prima di scivolare in basso, fino a potersi inginocchiare.
Anche in quel momento Pietro non smise di accarezzargli le ciocche bionde, in adorazione, mentre Alessio alzava il viso verso di lui, le iridi azzurre luminose di eccitazione:
-Sei pronto per la mia vendetta?-.
Pietro avrebbe voluto rispondergli di sì con tutto il cuore, ma non ne ebbe il tempo. I contorni della sauna si fecero sempre più sfocati, e non per il vapore presente lì dentro.
Lo scenario cambiò all’improvviso, senza ulteriori segni che facessero prevedere che la sauna sarebbe scomparsa da un momento all’altro. Fu un cambiamento radicale, ma non deleterio: come Pietro riaprì gli occhi si ritrovò all’aria aperta, in un posto che conosceva.
Era in un giardino pubblico, in mezzo ad altre centinaia di persone che, come lui, si ritrovavano lì a passeggiare in pace. Quando tornò a guardare davanti a sé, capì come mai aveva la sensazione di essere già stato in quel luogo: la Tour Eiffel si stagliava maestosa davanti a lui, verso il fondo dei giardini.
Pietro cercò di sforzarsi, cercando tra i suoi ricordi il nome di quel posto. Era lo Champ de Mars, forse non troppo simile a quello reale, ma abbastanza accurato come ricordo.
Perché proprio Parigi?
Non ci metteva piede da dieci anni, eppure ora si ritrovava proprio lì.
Pietro sbatté gli occhi, e quando li riaprì fu sicuro di riconoscere la figura di Alessio davanti a sé, a qualche metro di distanza. Non fece nemmeno in tempo a muovere il primo passo, che Alessio prese a correre, lontano da lui.
-Aspettami!-.
Le gambe di Pietro si mossero con soffice leggerezza, all’inseguimento dell’altro. Per quanto si sforzasse di correre più veloce, non riusciva mai a raggiungere Alessio: poteva solo limitarsi a guardarlo da distante, con la speranza di non perderlo di vista, e di non perdere altro terreno.
Percorsero entrambi lo spazio rimanente dello Champ de Mars, arrivando sotto la figura imponente della Tour Eiffel.
Lo spazio intorno a Pietro si fece più offuscato, almeno fino a quando non si ritrovò a scalare una gradinata. Quando raggiunse la sommità del Trocadéro si fermò, il terrore in corpo: per quanto si sforzasse, non riusciva più ad individuare Alessio. C’era troppa gente intorno che gli impediva una visuale pulita: avrebbe voluto gridare a tutti di togliersi di torno, di lasciargli ritrovare Alessio.
Fece qualche passo incerto, verso il centro del piazzale. Ora la Tour Eiffel si ritrovava nella direzione opposta, quella da dove aveva iniziato a correre.
Non sapeva quanto tempo passò lì, con gli occhi ipnotizzati dal profilo monumentale della Torre – nei sogni il tempo era così relativo che un secondo poteva durare quanto un anno, ed un anno poteva essere così veloce da sembrare un secondo. Sapeva solo che, nel momento in cui si sarebbe girato alla sua sinistra, finalmente, avrebbe rivisto Alessio.
Fu esattamente così. Quando Pietro si voltò, lentamente per non rovinare la sensazione di speranza ed attesa, Alessio era proprio lì, di fianco a lui. La gente tutta intorno a loro era come sparita: il piazzale del Trocadéro era deserto, eccetto per loro due.
C’era un silenzio tombale, a tratti inquietante, ma Pietro lo trovò comunque piacevole.
Vide Alessio girarsi a sua volta, sorridendogli: era uno di quei suoi sorrisi che non gli rivolgeva da tempo, uno di quei sorrisi che indirizzava solo a Pietro, come per dirgli che tra loro sarebbe sempre andato tutto bene.
-Mi stavi seguendo-.
Nonostante quelle parole, Alessio continuava a sorridere. Pietro si strinse nelle spalle, avvicinandosi a lui di un passo.
-Volevo vederti-.
Quando gli posò entrambe le mani sulle spalle, Alessio non si sottrasse al contatto; si limitò ad alzare il viso, talmente vicino a quello di Pietro che gli sarebbe bastato pochissimo per colmare la distanza rimanente.
Pietro studiò il viso dell’altro: sembrava più giovane di quel che sarebbe dovuto essere, con la barba e i capelli meno lunghi, ma con gli stessi occhi chiarissimi che ricordava dalla prima volta che l’aveva conosciuto.
-Volevo stare con te-.
Sentì la voce tremare, in un sussurro che parve essere più una supplica. Appoggiò la propria fronte a quella di Alessio, chiudendo gli occhi: gli sarebbe bastato che fosse per sempre così. Gli sarebbe bastato rimanere incollato a quel momento per il resto dei suoi giorni, nel silenzio parigino e nel calore del corpo di Alessio.
Finì tutto il secondo dopo, quando Alessio fece un passo indietro, e poi un altro ancora. Quando finì di camminare, era a diversi metri di distanza da Pietro, in una lontananza che sembrava incolmabile.
Pietro rimase lì, paralizzato, le mani ancora a mezz’aria, dove poco prima c’erano le spalle di Alessio. Lo osservò, mentre il sorriso che aveva mantenuto fino a quel momento divenne malinconico.
-Hai rinunciato a tutto questo, e a tutto quello che sarebbe potuto essere, troppo tempo fa-.



 
Aprì gli occhi di scatto, come se le sue palpebre avessero appena toccato una superficie bollente.
Si puntellò sui gomiti, guardandosi intorno, disorientato: nella penombra della stanza con la persiana ancora abbassata, riusciva a distinguere i contorni dei mobili della sua camera.
Erano le stesse ombre che c’erano anche nell’altra stanza, la sauna, quella che aveva sognato. Ma quella era reale, non il frutto del suo inconscio; quello era il suo mondo vero, in cui si ritrovava a vivere sul serio.
Si rigirò nel letto, accorgendosi solo in quel momento che il lato occupato da Giada era vuoto: doveva essersi già alzata, intenzionata a non vederlo nemmeno a colazione. Non era una novità, e Pietro ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Forse, in fondo, era meglio così: si sarebbe sentito ancor più deluso ed arrabbiato con se stesso, se nel girarsi avesse trovato Giada stesa accanto a sé, e non Alessio. Sapeva che se fosse stato così avrebbe desiderato ancor più ardentemente richiudere gli occhi e riprendere il sogno esattamente da dove l’aveva lasciato.
Era da un po’ di tempo che Alessio non faceva capolino nei suoi sogni. Non che quel dettaglio lo facesse sentire meno divorato dall’infelicità: sognare Alessio, il più delle volte, significava ricordarsi a quante cose aveva rinunciato.
Quel sogno era stato così vivido che per un attimo, nell’aprire gli occhi, aveva quasi creduto che fosse la realtà. Le iridi azzurre di Alessio erano ancora stampate a fuoco nella sua memoria, come se fosse stato con lui fino a pochi secondi prima. Se si sforzava riusciva persino a riportare alla mente la sensazione della sua pelle sotto le sue mani, del suo corpo contro il suo e il suono cristallino della sua risata.
Persino il suo inconscio non poteva fare a meno di essere fin troppo crudele con lui.
Era una sensazione strana, quella che stava accompagnando la fine di quel sogno. Non riusciva a capire se fosse dovuta più alla sorpresa di aver ritrovato Alessio nei suoi sogni notturni, o per i dettagli che il suo inconscio aveva fatto emergere.
Cercò di ricordare il più possibile di ciò che aveva sognato: anche se l’eccitazione per come era iniziato stava calando a poco a poco, non riusciva a togliersi di dosso il senso di confusione ed agitazione che aveva avuto quando lo scenario era passato alla città. Si ritrovò a chiedersi perché proprio Parigi. Erano anni che non ci metteva piede, e tanto meno c’era mai stato con Alessio; non credeva nemmeno di aver avuto qualche motivo per ripensare alla Francia, negli ultimi mesi.
Pietro si rigirò ancora nel letto, lasciandosi ricadere sul materasso e affondando la testa nel cuscino. Poteva già immaginare che quel maledetto sogno l’avrebbe accompagnato per il resto della giornata, influenzando il suo umore molto di più di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere.
Rimase lì ancora per un po’, prima di trovare almeno la forza di pensare che avrebbe fatto bene ad alzarsi; era piuttosto consapevole che, in ogni caso, non sarebbe più riuscito ad addormentarsi per quella mattina.
Si alzò a fatica dal letto, domandandosi dove fosse finita Giada: non riusciva a distinguere alcun rumore proveniente dalle altre camere dell’appartamento. Forse era uscita, troppo annoiata o svogliata dal rimanere in casa in sua compagnia.
Quando si diresse in cucina, era piuttosto certo che non l’avrebbe trovata nemmeno lì. Dovette ricredersi quasi subito: fermo sulla soglia, Pietro poté osservarla mentre se ne stava seduta al tavolo, una tazza di thè fumante davanti a sé.
Per quanto fosse difficile per lui ammetterlo, Giada rimaneva sempre una bella donna: cercava di tenersi in forma, nonostante la gravidanza, e probabilmente era anche per quello che ancora non era ingrassata più di tanto. I capelli biondi erano diventati ancora più lunghi di quanto non li avesse un anno prima, setosi come sempre.
Pietro si sentiva costantemente in colpa, quando la osservava senza essere scoperto: era sicuro che, da qualche parte, esistesse un uomo in grado di poter apprezzarla per la donna forte ed indipendente quale era. Era un peccato che nessuno di loro due fosse stato in grado di guardare in faccia la realtà e rendersi conto che quell’uomo non era certo lui.
 -Come stai?- Pietro fece qualche passo, aggirando il tavolo e sedendosi infine di fronte a Giada. Lei lo guardò a malapena, mentre mescolava il suo thè con gesti bruschi.
-Non male-.
Aveva tutta l’aria di essere una bugia bella e buona, ma Pietro non insistette oltre: non voleva innervosirla più di quanto non sembrasse già. Si era abituato a quel perenne stato di Giada: sembrava avercela costantemente con lui, in qualsiasi caso e in qualsiasi momento. A stento si faceva toccare, facendo qualche eccezione solo quando il bambino si muoveva: almeno in quei momenti, Pietro poteva concedersi un sorriso intenerito nel sentire i calci di suo figlio contro il grembo di Giada.
-Mi puoi ricordare quand’è la prossima visita?- chiese poco dopo, cercando di reprimere uno sbadiglio. Cercava di non perdersi nemmeno un’ecografia, anche se a volte doveva far i salti mortali per far combaciare il lavoro con le visite. Erano appuntamenti importanti, anche per lui: non sapeva se avrebbe mai avuto un altro figlio, e non aveva alcuna intenzione di perdersi nemmeno un secondo della crescita del piccolo che Giada portava in grembo. Per quanto tra di loro i rapporti si fossero deteriorati, Pietro era fermamente convinto che di quello, suo figlio, non avesse colpa alcuna.
-Lunedì prossimo- Giada bevette un lungo sorso dalla tazza, evitando gli occhi di Pietro – Alle sei, se non ricordo male-.
Pietro si ritrovò ad annuire, prendendo mentalmente nota che sarebbe dovuto uscire in anticipo dall’ufficio ancora una volta.
-Prenderò un permesso, così posso accompagnarti- disse infine, alzandosi per prepararsi un po’ di caffè.
-Ma che gentile-.
Le parole di Giada erano state quasi silenziate dal rumore della sedia spostata, ma Pietro fu comunque quasi del tutto sicuro di ciò che aveva appena sentito:
-Scusa?-.
Si bloccò in piedi, tenendo gli occhi fissi su di lei. Aveva già capito che in quella giornata tirasse un’aria ancora peggiore del solito, ma non aveva nemmeno immaginato che potesse essere davvero così tanto peggiore.
Giada ricambiò lo sguardo con aria di sfida:
-Venire ad una visita che riguarda quello che è anche tuo figlio mi sembra il minimo-.
Pietro rimase immobile per diversi secondi, raggelato, la mente svuotata come se avesse appena ricevuto un pugno dritto in faccia.
Cercò di riportare alla mente le conversazioni degli ultimi giorni avute con Giada, come a voler ricercare il seme dal quale doveva essere nata quell’ostilità particolarmente viva di quella mattina.
Non ricordò nessuno sgarbo in particolare che doveva averle riservato.
-Che diavolo ti prende?- cercò di nascondere il meglio possibile la rabbia che si sentiva dentro, ma era piuttosto consapevole di esserci riuscito ben poco – Non mi sembra di aver saltato nemmeno una visita finora, e di non essermi nemmeno mai lamentato dei permessi che devo prendere per venire con te-.
Giada non sembrò minimamente impressionata; continuò a rigirare il cucchiaio nella sua tazza di thè, come a voler ignorare Pietro ancora per un po’. Dopo almeno un minuto passato ad attendere una qualsiasi risposta, Pietro giunse alla conclusione che l’unica che avrebbe avuto sarebbe stato quel silenzio pesante e teso.
Giada bevette un altro sorso di thè, prima di alzarsi a sua volta, circumnavigare il tavolo ed arrivare di fronte a Pietro. Lo teneva fissato con gli occhi azzurri, freddamente:
-Potrai anche non lamentartene a voce, ma ti si legge in faccia che preferiresti essere altrove piuttosto che qua-.
“Preferiresti essere altrove piuttosto che qua”.
Pietro sentì rimbombare quelle parole nella testa come una fastidiosa cantilena, una nenia avvelenata e acida che lo faceva sentire a disagio.
Eppure Giada aveva ragione, quello doveva riconoscerglielo. Solo, si sbagliava ancora una volta sul perché.
-Questo non ha nulla a che vedere con il bambino-.
Giada non capiva, non capiva fino in fondo la situazione assurda in cui si ritrovavano entrambi.
A Pietro si strinse il cuore, al pensiero che fosse proprio lei ad accusarlo, lei che più di tutti poteva assistere con i suoi stessi occhi a quanto dolore si portasse dietro ogni giorno, e quanto la sua unica gioia fosse proprio quel bambino.
-Secondo me non te ne frega nulla, anche se tenti di nasconderlo-.
Quella era la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
Giada poteva accusarlo di qualsiasi cosa, qualsiasi, ma non di non aver sacrificato ogni cosa solo per il figlio che lei portava in grembo. Quella mancanza di riconoscenza fece perdere a Pietro la poca calma che era riuscito a conservare fino a quel momento.
-L’unico motivo per cui sono ancora qua è proprio quel bambino-.
Si avvicinò pericolosamente con il viso a quello di Giada, trattenendosi a stento dall’urlare. Da quella vicinanza riusciva a distinguere ogni ruga d’espressione della donna che aveva di fronte, il viso corrugato dalla rabbia repressa.
-Non dire cazzate, perché se proprio dobbiamo dirlo, è solo per lui che sono rimasto-.
“Non per te”.
-Lo pensi sul serio?-.
Giada lo guardò freddamente, con un distacco che in realtà nascondeva un disagio ben più grande di quel che sembrava trasparire.
Pietro si rese conto che quella era solo l’ennesima provocazione della giornata; eppure, pur con quella consapevolezza, non si tirò indietro dal risponderle a parole:
-Sì-.
La mano di Giada si mosse talmente velocemente che Pietro quasi non si accorse dello schiaffo in arrivo. Se ne rese conto solo l’attimo dopo, quando la guancia già bruciava per l’impatto con le dita della mano.
Stavolta non reagì: si limitò a rimanere immobile, attonito, di fronte agli occhi lucidi di Giada e alla sua mano ancora alzata a mezz’aria.
Non fece nulla nemmeno per trattenerla, mentre la guardava percorrere a passi lunghi e veloci lo spazio che la separava dalla soglia, e poi fuori dalla stanza, in chissà quale parte della casa.
Se ne rimase lì, immobile, le braccia molli lungo i fianchi, inermi.
Per un attimo nella sua mente sentì rimbombare le parole che aveva rivolto ad Alice poco meno di un mese prima, quando l’aveva incrociata in attesa della prima visita alle figlie di Giulia e Filippo.
Gli risuonavano così tremendamente famigliari e vere, in quel momento, da non avere nemmeno la forza di arrabbiarsi con se stesso o chiunque altro.
“Ho preso decisioni completamente sbagliate, e ora ne pago il prezzo”.


 
Gli ambienti asettici degli ospedali non gli erano mai piaciuti particolarmente.
Si era ritrovato a pensarlo anche l’anno prima, quando in una mattina gelida di gennaio si era avviato in quello stesso ospedale per andare a far visita a Caterina e Nicola. In quel momento si era sentito così fuori posto da accarezzare l’idea di rimandare la visita; ma poi si era fatto coraggio, e la curiosità aveva preso il sopravvento. Non capitava tutti i giorni l’occasione di poter conoscere il figlio appena nato di due dei tuoi migliori amici.
Ricordava che anche prendere in braccio Francesco per la prima volta l’aveva fatto sentire inadatto: Nicola aveva tentato di insegnarli come reggerlo nella maniera giusta, ma Pietro si era sentito così insicuro, in quel frangente, da pensare ancora una volta di rinunciare.
Quando poi Francesco aveva smesso di piangere e dimenarsi, le cose si erano fatte più semplici, e Pietro aveva sorriso: forse non avevano lo stesso sangue, lui e quel bambino, ma sapeva che gli avrebbe sempre voluto bene come ne prova uno zio verso un nipote. In quel momento non si era sentito né inadatto, né nel posto sbagliato.
Forse sarebbe andata così anche quel giorno: non era ancora riuscito a vedere nemmeno Filippo di sfuggita, né tantomeno Giulia – a letto in una delle stanze di quel lungo corridoio d’ospedale-, e non riusciva a calmarsi in alcun modo.
Forse a renderlo inquieto era il pensiero che qualche mese dopo sarebbe stato lui stesso a trovarsi al posto di Filippo. Sarebbe stato lui a dover badare ad un neonato, in qualsiasi momento, a calmarlo quando piangeva, a cullarlo per addormentarlo. Si immaginava già a dover imparare in fretta e furia come maneggiare un corpo così piccolo e delicato, esattamente come aveva dovuto fare su due piedi la prima volta che aveva tenuto in braccio Francesco.
Non era così sicuro di potercela fare.
-Oh, ecco almeno te!-.
Pietro quasi sussultò, rendendosi conto che la voce femminile che aveva appena parlato proveniva da molto vicino. Si girò di scatto, rilassandosi subito dopo nel rendersi conto che era solo Alice. Doveva essere arrivata da poco, senza che lui nemmeno se ne accorgesse, troppo preso dai pensieri che gli ronzavano in mente.
-Pensavo che io ed Alessio fossimo i primi ad essere arrivati- proseguì Alice, sorridendogli calorosamente, prima di sedersi accanto a Pietro, i movimenti un po’ impacciati.
La gravidanza, se possibile, aveva donato ad Alice ancor più luminosità di quel che già trasmetteva: osservandola, Pietro si rese conto di trovarla ancor più graziosa del solito. La lunga treccia nella quale teneva legati i capelli rossi la faceva sembrare ancor più giovane di quel che già era.
-In realtà non sono qui da molto- rispose Pietro, sorridendole di rimando – E penso che Caterina sia già dentro con Giulia a darle una mano. È pur sempre quella più esperta tra tutti noi-.
Alice annuì, pensierosa:
-Almeno Giulia può contare su qualcuno oltre a Filippo anche qui a Venezia-.
-Già-.
Pietro non osava nemmeno immaginare quanto sarebbe stato faticoso badare a due neonate in contemporanea, senza il sostegno dei genitori di Giulia e Filippo. E immaginava che, per quanto Caterina potesse decidere di dar loro un aiuto, si sarebbero spesso ritrovati soli comunque. Di sicuro anche lui si sarebbe offerto di aiutarli, in un qualche modo. Era pur sempre un modo per prepararsi a quello che lo aspettava quell’estate.
-You’re quiet today-.
A Pietro non servì voltarsi per capire che Alice lo stava scrutando: si sentiva lo sguardo di lei addosso, le iridi verdi che dovevano star studiando la sua espressione assente e vacua, domandandosi cosa lo facesse essere così rabbuiato. Pietro si schiarì la gola, cercando qualcosa da dire che non rivelasse troppo quel che era il suo malessere:
-Fa strano pensare che anche Filippo sia diventato padre- si ritrovò a mormorare, più sincero di quel che avrebbe voluto – Certe volte ripenso a quando io, lui e Nicola eravamo solamente dei bambini, ed è stranissimo sapere che ora sono dei genitori. Sembra che il tempo sia volato-.
-Effettivamente è volato- sospirò Alice, posandosi una mano sul grembo che, nonostante i vestiti larghi, cominciava a intravedersi tra le pieghe del maglione – Però capisco cosa intendi: è una sensazione strana vedere se stessi e i nostri amici crescere-.
Pietro si lasciò sfuggire un sorriso divertito, venato di una nostalgia che non provava ormai da tempo per certi periodi della sua vita:
-Ricordo anche che quando Filippo sembrava essersi preso una cotta per Giulia, al liceo, non avrei scommesso su di loro nemmeno un centesimo. Ero convinto che sarebbero durati al massimo una settimana-.
Riportare alla mente quei ricordi gli fece in parte male, ed in parte lo rattristò ancor di più. Al liceo le cose erano sempre state diverse: quella tra i muri di scuola non era la vita vera, ma solo l’anticamera che la precedeva. Per quanto certi periodi fossero stati difficili, al Virgilio era stato tutto dannatamente più semplice. Ora faticava a districarsi tra i pensieri quotidiani, a darsi una direzione verso cui puntare. Forse, quella direzione, l’aveva già persa definitivamente mesi prima.
-A volte diamo per scontate cose che, invece, non lo sono affatto- commentò infine Alice, piano.
-Sì, succede anche troppo spesso-.
Pietro si accorse di una smorfia di dolore improvvisa che contrasse il volto dell’amica. La osservò tenere gli occhi chiusi per qualche secondo, la mano ancora aggrappata al ventre.
-Il bambino che scalcia?- chiese, abbastanza sicuro che fosse quella la ragione dell’espressione di dolore di Alice. Anche Giada era spesso vittima di quei momenti in cui, più che dei calci di un bambino non ancora nato, sembrava essere vittima di un pestaggio.
-Sì. È un po’ agitato oggi- rispose lei, annuendo. Passarono alcuni secondi di silenzio, prima che Alice parlasse di nuovo, a tratti esitante:
-Vuoi sentire?-.
Pietro le restituì lo sguardo disorientato. Per un attimo si sentì terribilmente a disagio, totalmente impreparato ad uno scenario del genere, ma poi annuì, senza dire nulla.
Quando Alice gli prese delicatamente una mano per posarsela sul grembo, Pietro avvertì il cuore accelerare all’impazzata. Non dovette attendere troppo: sotto il suo palmo, riuscì a sentire la pancia modellarsi sul piede del bambino, nell’ennesimo calcio.
Dovette mordersi il labbro inferiore per cercare di non lasciar scivolare nessuna lacrima lungo le guance.
Era la prima volta che aveva un contatto così diretto con quello che era anche il figlio di Alessio. Era abituato a captare i movimenti del figlio che Giada portava in grembo, ma era totalmente inesperto nei confronti della consapevolezza che anche Alessio stava per diventare padre. Pensarlo da distante era una cosa molto meno tangibile del toccare con mano la pancia gravida di Alice.
Quel momento, in un certo senso, era stata la conferma definitiva che anche per Alessio, da quel punto in avanti, la vita non sarebbe più stata la stessa.
Non si stupì di pensare che, nonostante tutto, voleva già bene a quel bambino come ne aveva voluto sin da subito a Francesco, o come ne voleva già alle figlie di Filippo. Per quanto potesse essere l’ennesimo ostacolo che li avrebbe portati distanti, era pur sempre una parte di Alessio.
Pietro sapeva perfettamente che, nonostante le cose non fossero andate come avrebbe immaginato e fossero cambiate nell’ultimo anno, per Alessio avrebbe sempre avuto un affetto particolare. Avrebbe sempre fatto parte di lui, nella memoria e nel cuore.
-Riesci a sentirlo?-.
Pietro tenne la mano sul pancione di Alice ancora un po’, riuscendo a sentire un altro calcetto.
-Si fa sentire chiaro e forte- scherzò, alzando gli occhi verso di lei e sorridendole. Anche Alice stava sorridendo, ma in un modo talmente malinconico che fece quasi supporre Pietro che fosse anche lei sull’orlo delle lacrime.
-So true- mormorò, a mezza voce – È un peccato che suo padre si rifiuti anche solo di avvicinarsi-.
Pietro aveva sempre avuto il sospetto che anche tra lei ed Alessio le cose non fossero migliorate affatto negli ultimi mesi. Sentirselo dire, però, non lo fece affatto sentire meglio.
-Dagli tempo. Prima o poi riuscirà a farlo-.
Alice non disse nulla, mentre Pietro lasciava scivolare lontano la mano, tornando al suo posto e non più sporgendosi verso di lei. Fu un silenzio che durò comunque poco, nonostante la voce incerta con la quale Alice proruppe:
-Posso chiederti una cosa?-.
Pietro si ritrovò ad annuire ancor prima di domandarsi a cosa avrebbe potuto portare quella fatidica richiesta.
-È una mia impressione, o anche in questo caso dare per scontato che tu sia felice sarebbe un errore?-.
Era inutile provare a negare. Alice lo conosceva a sufficienza per capire se mentiva o meno; e poi, a ben pensarci, non era affatto un segreto che quella situazione in cui si trovava gli aveva portato più problemi che gioie.
-Probabilmente lo sarebbe-.
Alice annuì piano, soppesando la risposta vaga che Pietro le aveva appena dato. Sembrava che l’allegria che aveva quando era arrivata fosse sparita a mano a mano che quella conversazione si addentrava in certi particolari.
-Nemmeno Alessio lo è- disse, sospirando a fondo – Mi fa male saperlo, ma sembra che io non ci possa fare niente. È chiuso dentro al suo guscio, in cui vede tutto nero-.
-Immagino sia così- convenne Pietro. Non gli risultava affatto difficile credere a quel che diceva Alice: più gli anni passavano, più Alessio si faceva criptico, anche se in quel caso in particolare la soluzione era molto più sotto la luce del sole di quanto Alice sembrava poter intuire.
-Penso però che io e lui siamo infelici per motivi diversi- Pietro proseguì, la voce esitante – Lui deve affrontare certi traumi che si porta dietro da tutta la vita, io invece ho preso decisioni completamente sbagliate, e ora … Ne pago il prezzo, molto semplicemente-.
Si morse il labbro inferiore, mentre si torturava le mani con lo sguardo abbassato. Quando lo rialzò si ritrovò davanti la fronte aggrottata di Alice, l’espressione interrogativa:
-Decisioni legate a Giada?-.
Sarebbe stato facile rispondere “Sì, la riguardano. Avrei dovuto lasciarla quando ne ho avuto la possibilità”, e per un attimo, per la seconda volta nell’arco di un mese, non gli sarebbe sembrato poi così strano parlare a viso aperto con qualcuno. Aveva l’impressione che con Alice avrebbe potuto esporsi ancor più di quanto avrebbe potuto fare con Nicola e Filippo, o con Alessio stesso; aveva il viso gentile e gli occhi tipici di coloro che non hanno come unico scopo della vita giudicare gli altri. Alice avrebbe potuto capirlo, nonostante tutto.
Pietro prese un sospiro profondo, la gola riarsa e le parole che, comunque, facevano fatica ad uscire:
-Il fatto è che … -.
-Oh, finalmente. Ti stavo cercando-.
Pietro non si prese nemmeno la briga di alzare subito gli occhi, perché la voce di Alessio avrebbe potuto riconoscerla anche tra un milione di voci diverse. Quando un secondo dopo si decise ad alzare il viso, Alessio stava spostando le iridi azzurre da lui ad Alice, l’espressione confusa:
-Ciao, Pietro- gli lanciò un’occhiata a disagio, prima di rivolgersi unicamente ad Alice – Ti ho chiamato poco fa per sapere dov’eri, ma non hai risposto-.
-Devo avere il telefono in silenzioso- rispose lei, freddamente. Si alzò con movimenti lenti dalla sedia, facendo qualche passo per distanziarsi da lui:
-Vado un attimo in bagno-.
Prima ancora che Alessio potesse risponderle qualcosa, Alice si allontanò lungo il corridoio, senza nemmeno guardarsi indietro. Pietro rimase in silenzio, alzandosi a sua volta, nascondendo le mani nelle tasche del cappotto per nascondere il tremore.
Si era ritrovato a tanto così dal parlare sinceramente ad Alice, prima che Alessio interrompesse qualsiasi suo tentativo. Forse era un segno di come, volente o nolente, nemmeno quella volta sarebbe riuscito a dir la verità.
-Come va?-.
Alessio lo guardava in imbarazzo; anche lui teneva le mani infilate nelle tasche dei jeans, come a volersi impedire di portarle alle spalle dell’altro. Era da un po’ di tempo che non si vedevano, e Pietro non poté fare a meno di notare delle profonde occhiaie violacee sotto i suoi occhi. Non aveva affatto una bella cera, ma d’altra parte nemmeno lui se la stava passando bene.
-Alla grande- mormorò Pietro, senza alcuna allegria o convinzione nella voce – Alla grandissima. A te?-.
Alessio sembrò intuire subito il reale significato di quelle parole. Nemmeno lui cercò di far finta di avere qualche determinazione nel nascondere il suo stato d’animo:
-Come a te. Alla grandissima-.
Pietro dovette sforzarsi per non ridere: l’assurdità di quella situazione superava di gran lunga qualsiasi ipotesi di futuro che aveva immaginato fino a sei mesi prima.
Poteva provare ad urlare quanto voleva, ma sembrava che nessun altro fosse in grado di sentirlo.
 
 You can call ‘till your voice is running out
But I can't hear you now
I can't hear you now
I'm somewhere far away where you can't bring me down
So I can't hear you now
I can't hear you now [1]
 
*
 
-Vai tu?-.
Il clic dell’interruttore sembrò rimbombare in tutta la stanza. Giulia non vide la luce accendersi solo perché teneva ancora gli occhi chiusi, cercando di convincersi che quello fosse solo un sogno – o più probabilmente, un incubo.
-Giulia?- Filippo la chiamò di nuovo, scuotendola piano per una spalla – Tocca a te andare-.
Se fosse stata meno esausta e meno assopita, Giulia si sarebbe girata a fulminarlo. Per quanto annebbiata fosse ancora la sua mente per il sonno interrotto nel bel mezzo della notte, ricordava perfettamente che, invece, quello sarebbe dovuto essere il turno di Filippo.
Non che ormai la sorprendesse più constatare che toccava quasi sempre a lei alzarsi per andare a calmare una delle due gemelle – o entrambe, nel peggiore dei casi.
Tirò un sospiro pesante, tra uno sbuffo irato e un sospiro rassegnato, staccando la testa dal cuscino e tastando con una mano il comodino, cercando di afferrare gli occhiali.
Quando si alzò si diresse automaticamente verso il fondo della camera da letto, dove per ora tenevano le culle delle due bambine; nell’alzarsi dal letto non degnò Filippo nemmeno di un’occhiata.
Stavolta, a quanto sembrava, era il turno di Beatrice di piangere; Giulia si ritenne fortunata del fatto che, almeno per quella notte, Caterina non si fosse svegliata in contemporanea alla sorella.
Prese delicatamente la figlia tra le braccia, avanzando poi verso il piccolo salotto dell’appartamento. Avrebbe potuto rimanere anche in camera, ma in quel momento l’idea di rimanere accanto a Filippo non faceva altro che innervosirla ancor di più.
Afferrò il cuscino per l’allattamento, già posato sul divano, cercando di sistemarsi alla bell’e meglio; ormai dopo un mese cominciava a compiere certi gesti in automatico, anche se di notte la lucidità per muoversi velocemente era sempre minore rispetto al giorno.
Si era abituata anche alla sensazione dell’allattamento, alla calma temporanea che portava quel momento quando solo una delle gemelle piangeva per la fame. Quando erano entrambe a farlo, invece, le cose si facevano decisamente più complicate, anche se da un po’ di tempo a quella parte aveva deciso di affidarsi maggiormente al tiralatte e al biberon. Con quel sistema anche Filippo poteva darle una mano, quando sia Caterina che Beatrice strepitavano per il latte.
Il problema era che spesso Giulia, con una nota di rammarico e delusione, si era domandata se Filippo volesse davvero darle una mano.
In quel primo mese le cose erano cambiate talmente tanto che faticava lei stessa a star dietro a tutti quei mutamenti. Era cambiata la loro casa, diventando spesso e volentieri disordinatissima; erano cambiati gli orari, che ormai sembravano non avere più alcuna logica … Ed era cambiato anche Filippo.
Giulia aveva sperato di non accusare sintomi del baby blues o della depressione post partum; i primi giorni dopo il parto li aveva passati tra un cambio d’umore e l’altro, vivendo nella preoccupazione che lo sbalzo ormonale non potesse fare altro che peggiorare quei sintomi.
Si era risollevata presto, anche se, purtroppo o per fortuna, tra lei e Filippo sembrava essere lui ad essere stato colpito da qualche sindrome. Le cose erano andate in peggiorando sempre di più: i primi giorni, quando lei e le gemelle avevano finalmente potuto lasciare l’ospedale, non c’erano state tensioni particolari. I loro genitori si erano trattenuti qualche giorno in più rispetto ai loro fratelli, per cercar di dare loro una mano almeno nelle basi delle azioni quotidiane che si sarebbero ritrovati a compiere ancora per mesi.
Alla fine della prima settimana, ripresasi un po’ dal parto, Giulia poteva definirsi abbastanza in forma e pronta ad affrontare quell’avventura da sola con Filippo. Da lì in poi era stato un giorno più delirante dell’altro: all’inizio era stata dura abituarsi a dover dormire solo poche ore alla volta, ed ancor più difficile era stato abituarsi a stare alzati anche per diverso tempo in piena notte.
Poi Filippo aveva ripreso il lavoro, e Giulia si era ritrovata spesso da sola a dover tenere a bada le gemelle. Caterina cercava di darle una mano il più possibile, ma era difficile far combaciare università, lavoro e figlio di un anno con il bisogno di aiuto che Giulia si era ritrovata ad affrontare.
Anche Alice non si era tirata indietro dal cercare di rendersi utile: nonostante i dolori alla schiena che la gravidanza le provocava, qualche pomeriggio Giulia si ritrovava in sua compagnia, ben lieta di un aiuto.
Pure Filippo, in quelle prime due settimane, aveva dato una mano il più possibile, quello Giulia doveva riconoscerglielo. Poi aveva cominciato a dimenticare – o ignorare- i turni per alzarsi la notte, ad essere spesso di cattivo umore durante le giornate; anche i battibecchi non erano stati risparmiati.
Giulia era consapevole che tutto quel malumore fosse dovuto principalmente alla stanchezza fisica e psichica che entrambi si stavano ritrovando a vivere, ma non poteva nemmeno fare finta di non vedere come le cose non stessero affatto migliorando. Aveva cercato di parlargli più volte, con tutta la calma possibile per il quieto vivere: da Filippo aveva ricevuto solo cenni d’assenso, ma mai nessun gesto che comprovasse di aver capito sul serio.
Non credeva di averlo mai sentito così distante come in quel periodo, e quella consapevolezza la spaventava. Forse la stanchezza stava giocando brutti scherzi, ma non riusciva comunque a capacitarsi dell’incomunicabilità che stava planando su di loro di quel periodo.
Giulia strinse la figlia tra le braccia, in un moto di tristezza. Era sempre stata convinta che avere dei figli portasse sconvolgimenti nella coppia, ma allo stesso tempo non si era nemmeno immaginata di poter vivere una delle esperienze più felici con una delusione così devastante.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlarne con Filippo a chiare lettere, pur rischiando di litigare pesantemente; eppure, come un’illusa che tenta ancora di giustificare tutto, rimandava ancora alla prossima volta, nell’attesa che Filippo capisse da solo.
Si sentiva tremendamente sola, e tremendamente vuota.
 
*
 
La mattina era arrivata più in fretta di quanto aveva sperato Giulia. Cominciava a detestare il suono della sveglia: sebbene in quel periodo non lavorasse e non frequentasse i corsi all’università, aveva comunque continuato a puntarla alle prime ore del mattino. Non era inusuale che capitasse di fare colazione insieme a Filippo, e salutarlo prima che uscisse per andare al dipartimento in università, dove era diventato ricercatore.
Svegliarsi definitivamente dopo l’ennesima nottata a dormire solo a tratti le era sempre difficilissimo, ma cercava di farsi forza ugualmente. Si girò dall’altro lato del letto, rendendosi conto che la zona di Filippo era vuota: doveva essersi alzato prima.
Giulia cercò di alzarsi dal letto facendo più piano possibile, sperando di non svegliare le figlie ancora dormienti. Cercò alla cieca gli occhiali e il cellulare sul comodino, usando la torcia del telefono per riuscire a farsi strada verso la porta della stanza. Non era difficile capire dove fosse Filippo: parecchi rumori provenivano dalla cucina, accompagnati da un forte odore di caffè appena preparato.
Giulia vi si diresse quasi in automatico, con gli occhi ancora semichiusi.  Quando finalmente giunse sulla soglia della cucina, osservò Filippo in piedi, intento a versare il caffè appena fatto in una tazzina; quando si accorse della presenza di Giulia, ne recuperò subito un’altra.
-Buongiorno- Giulia gli lasciò un bacio sulla guancia, prima di trascinarsi su una delle sedie attorno al tavolo. Per quanto poche attenzioni fossero riusciti a riservarsi in quel mese, Giulia cercava in ogni caso di non tralasciare alcun gesto d’affetto, nemmeno il più piccolo. Nemmeno quando si ritrovava a pensare, affranta, a quanto Filippo fosse cambiato nel giro di pochissimo.
-Come stai?- le chiese subito lui, allungandole la tazzina e sedendosi a sua volta su una sedia.
-Assonnata-.
“Come sempre”.
-Prima o poi cominceranno a dormire di più entrambe- borbottò Filippo, le cui occhiaie erano ben visibili sulla pelle chiara del viso.
Nemmeno a farlo apposta, Giulia non fece neppure in tempo a rispondere che un pianto a dirotto proruppe nel silenzio della casa. Nonostante fossero troppo piccole per aver già sviluppato voci diverse, riuscì comunque a riconoscere Caterina dal modo di piangere. Un attimo dopo si aggiunse anche la voce di Beatrice.
-Perfetto. Si sono svegliate entrambe, stavolta- mormorò, più tra sé e sé che non propriamente a Filippo.
Lui annuì, buttando giù il caffè in un unico sorso ed alzandosi subito dopo, dirigendosi al frigo:
-Credo sia giunto il momento di riscaldare il latte-.
Giulia annuì, impotente. Non le rimaneva che aspettare che Filippo tirasse fuori il latte conservato in frigo, opera compiuta da Giulia con l’aiuto del tiralatte la giornata prima, e che lo riscaldasse sul fornello. Ci sarebbe voluto un po’, giusto qualche minuto che Giulia doveva farsi bastare per cercare di non crollare a terra dal sonno, e per farsi forza psicologica nell’affrontare l’ennesimo allattamento collettivo.
Dopo qualche minuto Filippo versò il latte riscaldato in due biberon diversi; sarebbe già stato pronto ad avviarsi verso la camera da letto, se Giulia non si fosse alzata per bloccarlo:
-Hai controllato che il latte fosse tiepido?-.
Era palese che no, Filippo non l’avesse proprio fatto: per quanto fosse stato meticoloso nel preparare tutto l’occorrente, e per quanto lei faticasse ancora ad aprire bene gli occhi, era piuttosto sicura di non averlo visto versarsi qualche goccia di latte sul braccio per capire se non scottasse.
Filippo spostò lo sguardo confuso da lei ai biberon che teneva in mano, sempre più disorientato.
-Sì, credo di sì- disse infine, esitante. Probabilmente aveva fatto tutto così meccanicamente ed in preda alla stanchezza che doveva davvero essere convinto di aver compiuto tutti i passaggi.
-Credi?- Giulia cercò di essere il più gentile possibile, mentre sfilava uno dei biberon dalla mano di Filippo e cercava di far pressione per far fuoriuscire un po’ di latte. Non scottava, ma era comunque troppo caldo per essere bevuto subito dalle gemelle.
-Avresti dovuto scaldarlo meno- Giulia ripose il biberon sul ripiano della cucina, prendendo anche il secondo dalle mani di un Filippo piuttosto attonito – Aspettiamo un po’ che diventi più tiepido-.
-È stata una svista- dopo alcuni secondi Filippo tornò a parlare, la voce piatta di chi sembrava alquanto stanco – La mancanza di sonno fa male a tutti-.
Giulia dovette trattenersi a stento dal fargli notare che, tra loro due, lui era quello che sicuramente riusciva a dormire di più. D’altra parte era quasi sempre lei a cui toccava alzarsi di notte, accudire le piccole, e cercare di dormire nelle ore che la separavano dalla poppata successiva.
-Non dormiamo entrambi, ma devi stare più attento- replicò seccamente, il sonno che d’un tratto sembrava essere decisamente diminuito.
Filippo dovette percepire il cambio d’atteggiamento, perché si mise a guardarla truce, le braccia incrociate contro il petto:
-Credi che non ci stia attento? Lo faccio sempre, penso che per una volta che scaldo troppo il latte non debba scoppiare per forza la terza guerra mondiale-.
Giulia prese un respiro profondo, prima di dire qualcosa di cui poi, una volta a mente fredda, avrebbe potuto pentirsi amaramente.
Filippo aveva lasciato completamente da parte qualsiasi calma, adirato come non mai per quelle che credeva accuse del fatto che non gliene importasse abbastanza. Giulia era sicura che gli importasse eccome del benessere delle loro figlie; eppure, allo stesso tempo, non poteva nemmeno negare l’errore che aveva appena commesso. Era sicura fosse solo una disattenzione dovuta alla stanchezza mentale e fisica di entrambi, così come l’eccessiva rabbia di Filippo.
Dovette comunque trattenersi parecchio, prima di urlargli addosso di starsene zitto.
-Volevo solo dire che tutti qui dentro siamo stanchi, ma dobbiamo stare attenti. Potremmo farle stare male- cercò di essere più diplomatica Giulia, senza troppi risultati.
-Lo so benissimo da me!- sbottò Filippo, allargando le braccia e gesticolando spasmodicamente – Cerco di essere lucido anche quando mi alzo alle tre di notte quando piangono, cerco di esserlo sempre … Sul serio dobbiamo litigare per una cosa del genere?-.
“A quanto pare sì”.
Giulia ripensò amaramente a tutte le volte in cui si erano ritrovati a litigare per delle sciocchezze nell’ultimo mese: un’infinità di battibecchi, più di quanti non ne avessero mai avuti da quando stavano insieme.
-Sono quasi sempre io che mi alzo di notte anche se dovremmo fare a turno, o te lo sei dimenticato?- gli fece notare, sempre più infastidita.
Quello non sembrò aiutare affatto a distendere gli animi:
-Cerco di fare il più possibile- Filippo la guardò ancora una volta in cagnesco, offeso – Ma lavoro otto ore al giorno, almeno la notte vorrei riuscire a riposare qualche ora. Pretendo troppo?-.
Quelle parole ferirono Giulia ancor di più delle precedenti, talmente tanto da rimanere in silenzio più di qualche secondo.
Immaginava che dovesse essere dura per Filippo lavorare tutte quelle ore in università, e rientrare a casa senza la reale possibilità di riposarsi a fondo. Ma non aveva alcun motivo per farle notare quel dettaglio come se fosse una sua colpa: quando avrebbe potuto, anche lei sarebbe tornata al lavoro il prima possibile.
Le parole di Filippo l’avevano fatta sentire un’inutile mantenuta che se ne stava a casa per scelta, senza mai alzare un dito. Dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non mandarlo a quel paese.
-Voglio solo dire … -.
-Vuoi dire che non ti sono abbastanza d’aiuto e che combino guai- Filippo non le dette nemmeno il tempo di finire la frase, e probabilmente non le avrebbe nemmeno dato il tempo di replicare – Ecco cosa vuoi dire-.
Giulia lo guardò freddamente, arrabbiata con se stessa e con lui. Prima o poi nemmeno la politica del quieto vivere avrebbe più funzionato: immaginava che, ad un certo punto, sarebbe scoppiata del tutto. Ed in quel momento, ne era sicura, Filippo avrebbe fatto bene a preoccuparsi.
-Credi quel che vuoi- mormorò, con voce piatta.
Non fece nulla per fermare Filippo mentre lo guardava andarsene, uscire dalla cucina diretto in chissà quale altra parte della casa.
 
*
 
I don't like my mind right now
Stacking up problems that are so unnecessary
Wish that I could slow things down
I wanna let go but there's comfort in the panic
And I drive myself crazy
Thinking everything's about me
Yeah, I drive myself crazy
'Cause I can’t escape the gravity
 
Stava già calando la sera, nonostante fosse solo pomeriggio; le giornate di marzo ancora non accennavano ad allungarsi, limitando le ore di luce solamente fino al primo pomeriggio.
Alessio rigirò pigramente il cucchiaino, aspettando che il caffè si raffreddasse almeno un po’. Teneva gli occhi fissi davanti a sé, nel passeggino dove, ancora addormentato, se ne stava Francesco. Ora che aveva più di un anno, riusciva a notare ancor di più la somiglianza con Nicola: gli stessi capelli biondissimi, la stessa curva del naso, e i tratti del volto che richiamavano parecchio quelli del padre. Da Caterina aveva ereditato unicamente gli occhi, anche se – come le aveva appena fatto notare Alessio- poteva sempre sperare di rivedere qualcosa del suo carattere in quello del figlio.
Anche Caterina rigirava il cucchiaino, nell’attesa che il suo thè caldo fumante smettesse di scottare; quello che si era instaurato era un silenzio rilassato, uno di quelli in cui non c’era imbarazzo e in cui non c’era bisogno di riempitivi per spezzarlo a forza.
A quell’ora di sabato il bar in cui si trovavano era piuttosto affollato. A poco serviva il fatto che il loro tavolino fosse in un angolo del piccolo locale: il chiacchiericcio era quasi assordante, accompagnato dai tintinnii di tazzine e cucchiaini maneggiati dagli avventori e dai camerieri.
-Ti vedo pensieroso-.
Per quanto non stesse puntando gli occhi su di lei, Alessio sapeva che, al contrario suo, Caterina lo stava osservando eccome. Si sentiva studiato, anche se non ci voleva molto per capire che il suo umore non fosse dei migliori: aveva a malapena spiccicato parola da quando si erano incontrati, una quindicina di minuti prima, davanti al bar. E d’altra parte non si era fatto nemmeno convincere facilmente ad uscire: aveva ceduto solo perché Nicola era troppo indaffarato con alcune scartoffie del lavoro, e Caterina aveva voglia di qualche chiacchiera in tranquillità.
Il fatto che ci fosse anche Francesco con loro era solo una conseguenza che Alessio non aveva tenuto in conto, fino a quando non si era reso conto che la sua presenza sarebbe stata da tenere a mente sin da subito. Per quanto gli fosse affezionato, gli faceva strano andarsene in giro con un bambino piccolo appresso: in un certo senso, era solamente un promemoria di quello che sarebbe toccato anche a lui da luglio in poi.
Anche incrociare Alice ogni giorno a casa non aiutava a lasciar da parte almeno per un po’ il destino incombente: il pancione si faceva più sporgente ogni giorno che passava, lasciando ben pochi dubbi sul suo stato. Alessio non aveva ancora trovato il coraggio di accarezzarle il grembo come invece faceva spesso lei.
-Lo sai che non è un bel periodo-.
Alessio fece tintinnare un’ultima volta il cucchiaino contro la tazzina, prima di metterlo da parte e portarsi la tazzina alle labbra. Il caffè era ancora piuttosto caldo, ma lo buttò giù in un sorso comunque, amaro come lo prendeva sempre.
Caterina sbuffò debolmente, guardandolo scettica:
-È da dicembre che non è un bel periodo. Ormai va avanti da un po’-.
Alessio dovette trattenersi dal correggerla: se i tempi bui fossero iniziati da così poco, avrebbe fatto i salti di gioia lui stesso.
-E probabilmente durerà ancora per parecchio tempo- borbottò, più a se stesso che all’amica.
Gli occhi gli caddero di nuovo sul viso innocente di Francesco, le palpebre abbassate a nascondere le iridi castane. Sembrava sereno, mentre dormiva, in pace con il mondo: Alessio lo invidiava parecchio. Era ancora troppo piccolo per rendersi conto di quanto la vita di tutti i giorni fosse ardua, e di come i rapporti famigliari, talvolta, potevano affossarti in un battibaleno.
Si ritrovò a domandarsi, per un fugace secondo, come sarebbe stato suo figlio. Avrebbe ereditato la chioma rossa di Alice o i suoi capelli biondi, a loro volta eredità di sua madre Eva? E gli occhi, sarebbero stati verdi o azzurri? Non che l’aspetto fosse una questione di vitale importanza. Ad Alessio sarebbe bastato avere la certezza che il piccolo avrebbe ereditato il carattere di Alice, piuttosto che il suo: di personalità pessime, in famiglia, ne bastava già una, senza il bisogno che l’ereditasse anche lui.
-Alessio-.
Caterina lasciò perdere il thè, sporgendosi verso di lui e posandogli una mano sul braccio; a quel contatto inaspettato, Alessio si ritrovò quasi a trasalire.
-Lo so che non è facile. Sai benissimo anche tu che io ero l’ultima che avrebbe voluto avere un figlio così presto- non c’era traccia di dolcezza nella voce di Caterina, ma c’era comprensione nel suo sguardo – Però devi affrontare la cosa. È inutile continuare a piangere sul latte versato. Ormai è capitato … Dovresti cercare di andare avanti e capire cosa vuoi fare-.
Pur sforzandosi di non far trasparire nulla dalla sua espressione, Alessio si sentì punto sul vivo:
-Che intendi?-.
Sapeva benissimo cosa intendeva Caterina. Sapeva anche da solo che l’unica cosa da fare era smetterla di piangersi addosso e prendere in mano la situazione – un po’ quello che aveva fatto lei due anni prima quando aveva scoperto di essere incinta. Il problema era riuscirci davvero.
-Lo hai sempre detto tu stesso: non è bene far pesare sui propri figli i nostri rimpianti-.
Caterina teneva stretta la tazza di thè tra le mani, anche se non stava bevendo; lanciò un’occhiata veloce a Francesco, ancora profondamente addormentato, ed ignaro che gli occhi preoccupati di sua madre si fossero appena posati su di lui.
-È vero- si ritrovò a dire sottovoce Alessio, mordendosi un labbro – Ma non so più nemmeno io cosa voglio-.
Era difficile spiegarlo persino a Caterina, che tra tutti era colei che più poteva capirlo. Sapeva che da lei avrebbe ricevuto comprensione, perché non si era mai dimenticata quanto era stato difficile anche solo scegliere di portare avanti la gravidanza, e sapeva anche che non avrebbe ricevuto indignazione da parte sua.
Nonostante quelle premesse, parlarle a cuore aperto era quasi un’impresa.
“Con Pietro sarebbe diverso”.
Alessio sentì una fitta partirgli dal petto.
Cercava di pensare il meno possibile a Pietro – non che le occasioni per vedersi fossero molte-, perché la sola idea di saperlo legato per sempre proprio a Giada da un figlio gli faceva male a prescindere.
Lo aveva pensato perché si conosceva: con Pietro, pur dolorosamente, le parole sarebbero uscite naturalmente. Almeno quelle su quella situazione che li accomunava.
-Non è che non voglia figli. Magari in futuro ne avrei voluti, solo che … - si bloccò di nuovo, la voce spenta.
“Non ne volevo ora, non con Alice, e non così presto”.
-Cosa?- Caterina lo guardava con la fronte aggrottata, mentre lo incalzava a continuare.
-Non credo di essere del tutto pronto a concentrarmi sia sui i miei progetti e anche a dedicarmi ad un figlio-.         
Quella parte era stata facile da dire, ma il resto fu la cosa più difficile da pronunciare ad alta voce:
-Mi sembra di star diventando come mio padre-.
Tenne il capo chino, gli occhi abbassati sulla tazzina ormai vuota ma comunque sporca di caffè. Si torturò le mani, nascoste sotto il tavolino, consapevole che quel silenzio che era appena calato era ben più teso di quel che avrebbe potuto sembrare.
Sapeva che Caterina lo stava guardando – sentiva il peso del suo sguardo addosso, come un macigno-, e forse poteva anche già sapere cosa stesse pensando in quel momento.
Di sicuro stava cercando un modo per convincerlo del contrario, ma Alessio era piuttosto cosciente del fatto che non ci sarebbe riuscita.
Quella sensazione si rafforzava ogni giorno di più, senza arrestarsi mai. Prendeva forza dalla sua voglia di scappare da tutto quello che lo aspettava e dagli sguardi delusi di Alice.
Più si soffermava a pensarci, e più gli sembrava di rivedere la copia di sua madre e suo padre in Alice e lui.
-Non lo pensi sul serio- disse infine Caterina, in un soffio appena udibile.
Alessio alzò il viso per incrociare gli occhi scuri e apprensivi dell’amica:
-È da un po’ di tempo che vorrei parlargli-.
Quelle parole fecero sgranare gli occhi di Caterina ancor di più.
-Per avere un confronto o … Non lo so bene neppure io cosa vorrei da lui- Alessio continuò a torturarsi le mani nervosamente, come se bastasse il solo nominare Riccardo per renderlo inquieto – Forse vorrei solo sapere com’è stato per lui, almeno all’inizio-.
Sembrava un’idea stupida già al solo pensarci, eppure erano due mesi che non riusciva a togliersi quel tarlo dalla testa. Caterina doveva pensarla allo stesso modo, mentre lo fissava scettica:
-E sei sicuro che ti farebbe bene saperlo?-.
Alessio fece fatica a non scoppiare in una risata amara; sapevano benissimo entrambi qual era la risposta, ma per non sembrare del tutto ammattito doveva accantonare la logica almeno temporaneamente.
-Non lo so. Però per quanto mi abbia fatto del male, è pur sempre mio padre- Alessio si rese conto già da solo che quelle parole suonavano davvero malissimo, ma non si interruppe comunque – Lui ci è già passato da questo stadio. Sa cosa vuol dire ritrovarsi incastrati in una situazione del genere-.
-Stai forse dimenticando che siete stati tu e tua sorella a rimetterci per le sue scelte?- gli chiese Caterina, alzando appena la voce. Sembrava sul punto di arrabbiarsi, e quello era il segno peggiore che Alessio potesse aspettarsi.
-Non potrei mai dimenticarlo-.
Quello che aveva fatto passare Riccardo a lui, Irene e a sua madre sarebbe rimasto per sempre impresso sulla sua pelle. Detestava anche solo l’idea che Caterina potesse metterlo in dubbio.
-Ma non dimentico nemmeno che, per quanto possa essere insopportabile da pensare, mi sto ritrovando nei suoi panni più di quanto vorrei-.
Aveva parlato con voce dura, forse anche più di quanto avrebbe voluto, ma non fece alcuna marcia indietro. Alessio scostò lo sguardo di nuovo, aspettando che la rabbia del momento scemasse: non voleva litigare con Caterina. Non in quel momento, e tanto meno per Riccardo; non voleva perdere anche l’unica altra persona oltre a Pietro con cui avrebbe potuto parlare liberamente di quel fardello.
Sapeva di esser stato freddo, ma voleva farle capire; non era semplice nemmeno convivere con la consapevolezza di star rivivendo una parte della vita di suo padre, né lo era stato cercare di spiegarlo a voce.
Caterina rimase in silenzio a lungo; si limitò a sorseggiare il suo thè caldo, con calma e con gli occhi castani abbassati sulla tazza. Sembrava combattuta su che posizione prendere.
-Se proprio vuoi parlargli, allora forse dovresti- mormorò alla fine, senza molta convinzione nella voce – Se è una cosa che senti potrebbe aiutarti, allora provaci-.
Fece un’altra lunga pausa, prima di alzare il volto per osservarlo:
-Posso però darti un parere da esterna?-.
Alessio annuì ancor prima di decidere se voleva davvero sapere quale poteva essere l’opinione di Caterina. Aveva l’impressione che avrebbe pagato la sua durezza con altrettanta franchezza da parte di lei.
-Onestamente credo che tuo padre sia l’ultima persona che potrebbe darti una lezione su cosa voglia dire essere genitori-.
Caterina scosse il capo, come a voler rafforzare le sue parole. Sembrava anche lei sul baratro della rabbia, anche se sapeva nasconderlo meglio di lui.
-Ti ha dato problemi per anni, e ricordo ancora quanto male sei stato quando se n’è andato di casa- proseguì, imperterrita – Vuoi davvero chiedere aiuto ad una persona simile?-.
“Non ha tutti i torti”.
Alessio si costrinse ad ammettere che, in fondo, doveva prendere in considerazione anche la possibilità che Riccardo avrebbe potuto rappresentare solo un’ulteriore vuota delusione.
-Credi che potrei perdere il mio tempo con lui?-.
-Credo solo che difficilmente potrebbe darti consigli costruttivi su come vivere il diventare padre- Caterina accartocciò malamente il tovagliolo che aveva accanto alla tazza, in un gesto di nervosismo – Non vorrei ti influenzasse-.
-Non sono così stupido da farmi influenzare da lui. So benissimo anche io che tipo di persona è- ribatté Alessio, anche se non riuscì a dirlo con la convinzione con cui avrebbe voluto e in cui aveva sperato – Eppure è l’unico in cui io mi stia identificando in questi mesi-.
Era difficile ammetterlo, ed ancor più difficile sembrava per Caterina ascoltare quelle parole. Alessio le vide gli occhi rabbuiarsi, farsi meno vividi: probabilmente doveva sentirsi sconfitta per non essere riuscita a fargli cambiare idea del tutto.
Prima che Alessio potesse aggiungere qualsiasi cosa, Caterina allungò una mano sopra il tavolo, appoggiandola piano tra il polso e il dorso della sua mano. In quel gesto di vicinanza Alessio ci vide solo timore ed apprensione.
-Riflettici su, poi deciderai cosa fare- disse infine lei, a bassa voce. Sembrò un discorso chiuso, prima che Caterina tornasse a parlare di nuovo, stavolta con la stessa dura dolcezza con cui aveva parlato all’inizio:
-Ma fammi un favore, Alessio: se mai deciderai davvero di parlarci, fai attenzione, ok? Non vorrei ti facesse soffrire troppo, di nuovo-.
Alessio si ritrovò ad annuire, completamente sconsolato perché, in fondo, sapeva già che non avrebbe potuto mantenere quella promessa. L’unica certezza che aveva, da un possibile confronto con Riccardo, era che ne sarebbe uscito a pezzi di nuovo, in un modo o nell’altro.
 
I'm holding on
Why is everything so heavy?
Holding on
So much more than I can carry
I keep dragging around what's bringing me down
If I just let go, I'd be set free
Holding on
Why is everything so heavy? [2]




 
[1] Mike Shinoda - "Can't hear you now"
[2] Linkin Park - "Heavy"
Il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
L'aggiornamento di oggi inizia con un sogno piuttosto particolare di Pietro, dove ritrova Alessio e un possibile scorcio su quella che sarebbe potuta essere la loro relazione. Ma ovviamente i sogni rimangono sogni, e una volta sveglio non gli resta che affrontare una realtà in cui, invece, è tutt'altro che felice. Era già parecchio evidente, prima di oggi, che il rapporto tra Pietro e Giada fosse ormai poco idilliaco e che, di conseguenza, in quella casa si respirasse un'aria pesante. Dopo oggi, con un gesto tanto evidente come questo schiaffo, Giada ha solamente dato conferma di ciò. Certo... quello scelto da Giada non è di certo il metodo migliore per mettere nero su bianco il deterioramento del loro rapporto
Ritroviamo anche Giulia e Filippo, ad un mese di distanza dalla nascita delle gemelle: le cose tra loro non sono esattamente rosee, visto che tutti i cambiamenti derivati dall'arrivo delle figlie hanno cominciato a farsi sentire. L'occasione di un confronto tra di loro, alla fine, arriva in modo totalmente casuale e non programmato dopo un episodio di sbadataggine di Filippo. Riusciranno i neo genitori a risolvere le loro divergenze e i loro problemi?
Arriviamo poi alla conclusione di questo capitolo con un altro dialogo molto tranquillo 😂 Alessio sembra sempre più intenzionato a voler cercare un dialogo con il padre che non vede da anni, cosa su cui si confronta con Caterina ... Che, invece, non sembra affatto convinta che questa possa essere una buona idea. Per voi chi ha più ragione?  Ma soprattutto: Alessio ascolterà il consiglio dell'amica, o farà di testa sua cercando suo padre? 
Lo scopriremo nei prossimi capitoli! A mercoledì 1° febbraio con un nuovo aggiornamento :)
 
Kiara & Greyjoy
 
PS: e visto che siamo pur sempre autrici molto perfide, sappiate che nei meandri di questo capitolo c'è un easter egg che fa riferimento a qualcosa che succederà in un qualche capitolo futuro! Cosa sarà mai?
 
 
 

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Capitolo 40
*** Capitolo 38 - R-Evolve ***


 CAPITOLO 38 - R-EVOLVE


 
 
And my behavior is hard to understand
When I'm like a phone with no connection
But I'm still doing all I can
To try and get me some redemption [1]
 
Quando il cielo cominciò a rischiararsi, con le prime luci del sole, Pietro aveva ormai perso ogni cognizione del tempo. Osservò le sfumature dorate che tingevano le nuvole, cercando di reprimere l’ennesimo sbadiglio.
Era da moltissimo tempo che non assisteva a quel momento magico che era l’alba, ed era anche passato parecchio dall’ultima volta che si era sentito così calmo nell’ansia più totale. Era una sensazione strana, quella di essere consapevole di trovarsi ad un passo dall’agitazione più grande, ed era proprio quella consapevolezza a donargli la tranquillità necessaria per affrontare anche quel passo.
Si chiese se fosse lo stesso per Giada: anche in quel momento, stesa sul lettino, con la fronte madida di sudore e i capelli biondi completamente scombinati, riusciva ad essere bellissima. Teneva gli occhi chiusi, anche se non dormiva – sarebbe stato impossibile riuscire a chiudere occhio con le contrazioni che doveva avere-, come a voler concentrarsi solo su se stessa e sulle sensazioni che albergavano nel suo corpo.
Pietro si si mosse appena sulla sedia, l’unico appoggio che aveva avuto per tutta quella notte d’attesa. La mattina dell’11 luglio era giunta con un cielo rannuvolato e con la sensazione che, finalmente, sarebbe successo qualcosa.
Nonostante nella camera d’ospedale ci fosse una temperatura gradevole, e decisamente distante dalla soffocante calura estiva dell’esterno, anche Pietro si sentiva leggermente sudato a causa della tensione. Non aveva ancora avvertito nessuno, né famigliari né amici che, a quanto pareva, il suo primogenito aveva finalmente deciso di nascere in quella giornata di luglio; ci sarebbe stato tempo dopo per farlo, quando sarebbe stato sicuro che tutto fosse andato secondo i programmi.
Mancava poco. Era più una sensazione che una vera certezza – anche se presto ne avrebbe potuto avere la conferma eventuale all’ennesimo controllo che avrebbero fatto a Giada-, qualcosa di viscerale che si sentiva dentro. Riusciva a percepire i minuti farsi sempre più ridotti, a mano a mano che il momento di trasferirsi in sala parto si avvicinava.
Si sentiva pronto?
Non lo sapeva. Forse non lo avrebbe saputo ancora per diverso tempo.
Forse nemmeno Giada lo era, ma non c’era altra scelta.
Il tempo avrebbe dato, se non tutte, parecchie risposte che ora mancavano all’appello. Ed era un tempo che andava assottigliandosi sempre di più, fino al momento in cui a separarli entrambi dalla nascita del loro primo figlio non ci sarebbe stato neppure più un secondo.
Pietro tirò l’ennesimo sospiro profondo, passandosi una mano sul viso; era un’alba dal sapore diverso, quella a cui stava assistendo. Da lì in avanti non sarebbe più stato lo stesso.
 


Non si era immaginato così una sala parto – o forse non se l’era immaginata affatto, in quel momento non riusciva nemmeno a ricordarlo. Non si era soffermato nemmeno ad osservare troppo l’ambiente asettico dove si trovava: aveva il cuore in gola, il respiro affannato nonostante l’unica cosa che doveva fare fosse stare in piedi, agitato come non mai in vita sua.
Il camice che gli avevano fatto mettere addosso prima di entrare lo faceva sudare ancor di più, rendendogli i movimenti più goffi e impacciati. Non osava nemmeno spostarsi dal suo posto, con il terrore di intralciare gli infermieri e i medici in un qualsiasi modo.
L’unica certezza che aveva era che, in sala parto, il tempo sembrava fermarsi sul serio: c’era spazio solo per le istruzioni dei medici, le urla trattenute a malapena di Giada, e il rimbombo dei battiti accelerati che sentiva contro il petto. Era piuttosto convinto che, per l’agitazione, si sarebbe dimenticato dei dettagli di quel momento piuttosto in fretta, nonostante avrebbe voluto tenerseli impressi nella memoria per sempre.
Cercava di non dare ascolto a ciò che stava venendo detto dai dottori e dagli infermieri lì presenti – a meno che non fosse qualcosa di strettamente importante-, rinchiudendosi in una specie di bolla in un ultimo tentativo di autoprotezione dalla paura. Ecco, la paura era ciò che sentiva di più, in quel momento.
Riusciva a intravederla nella sua mano tremante mentre cercava di scostare alcune ciocche bionde dalla fronte sudata di Giada, contratta dal dolore delle ultime fortissime contrazioni che le prendevano il ventre.
La intravedeva anche nel suo volto, nelle rughe che si erano formate per lo sforzo, per le spinte che cercava di assecondare come le stava suggerendo l’ostetrica.
E se la sentiva addosso, mentre teneva gli occhi puntati su Giada e su nessun altro, domandandosi chi tra loro due fosse il più spaventato in quel momento.
-Non ce la faccio- espirò Giada, la voce esasperata e arrocchita per la fatica. In quel momento a Pietro sembrava fin troppo vulnerabile, pronta a spezzarsi da un momento all’altro.
Per quanto i problemi tra di loro li avessero ormai sempre più divisi, Pietro provò dispiacere per lei. Avrebbe volentieri preso per sé almeno la metà della stanchezza e del male che doveva provare Giada in quegli istanti interminabili, sperando di renderle la cosa almeno un po’ meno difficile.
-Stai andando bene- le disse, accarezzandole la fronte e i capelli – Non scoraggiarti-.
Forse Giada non l’aveva nemmeno udito, troppo presa dalle contrazioni e dai movimenti del bambino sempre più frenetici, ma a Pietro andò bene ugualmente. Era più importante essere presente, fisicamente e col cuore, che parlare.
Non seppe esattamente quanto passò, dal momento in cui Giada quasi aveva perso sia la forza che la speranza, a quando riuscì ad udire, nella confusione generale, il primo vagito.
Pietro si immobilizzò all’istante, riuscendo a malapena a girare il capo.
Il pianto del neonato sembrò riempire la sala, sovrastando le parole dei medici e il respiro affannato e singhiozzante di Giada. A prima vista a Pietro parve un essere minuscolo, riscoprendosi incredulo nel rendersi conto che dei pianti così acuti potessero provenire da un bambino così piccolo.
Sentì un fischio nelle orecchie, lungo e confusionario, mentre avvertiva la testa girare. Si costrinse a mantenere l’equilibrio, seppur a fatica.
Da quella distanza, tenuto in braccio dall’ostetrica e per metà coperto da un lenzuolo messogli addosso da un infermiere, Pietro riusciva a stento a notare il corpo ancora sporco di sangue e i pochi capelli appiccicosi di suo figlio.
Si allontanarono per un attimo, prima di tornare e stavolta avvicinarsi a Pietro e Giada: l’ostetrica che ancora teneva stretto il neonato urlante sorrideva in maniera confortante, a tratti incoraggiante. Forse era un tentativo per dar fiducia a Pietro, che la guardava con sguardo vitreo, ma funzionò poco: la testa continuò a girargli, e il respiro ad essere fin troppo veloce.
-Vuole prenderlo in braccio?-.
Le parole della donna gli arrivarono ovattate e lontane, ma Pietro si sforzò di tendere le braccia verso di lei. Avevano messo temporaneamente un telo azzurro addosso al neonato, anche se con lo scalciare delle gambe e delle braccia era sul punto di cadere a terra.
Pietro si ritrovò piuttosto impacciato, nel momento in cui l’ostetrica cercò di passarglielo nella maniera più delicata possibile. Si ritrovò in difficoltà anche nei primi secondi, mentre cercava di capire dove appoggiare le mani, come tenerlo in equilibrio nel modo migliore.
Il viso di suo figlio era rosso come non mai, congestionato dallo sforzo del suo primo pianto, gli occhi ancora chiusi e strizzati.
Quando l’ostetrica si allontanò di qualche passo, Pietro si sentì maledettamente da solo, senza alcun sostegno. Probabilmente era una sensazione a cui avrebbe dovuto abituarsi presto.
Con le braccia e le mani che tremavano ancor più di prima, si girò verso Giada con cautela ed attenzione. Vide anche il suo sguardo incrinarsi, e al sudore che le imperlava il viso si aggiunsero anche le lacrime.
-Sta bene- Pietro cercò di schiarirsi la gola, ma parlò ugualmente con voce roca, rotta dall’emozione – Stiamo tutti bene-.
Sapeva che anche a lui stavano cominciando a scendere lacrime dagli occhi. Non vi badò: era forse la prima volta, la prima da non ricordava nemmeno quanto tempo, che si lasciava andare ad un pianto liberatorio e felice.
-Non riesco a crederci- farfugliò Giada, mentre allungava le mani verso suo figlio.
“Nemmeno io”.
Pietro rise piano, chiudendo gli occhi per un secondo.
Per la prima volta da tanto tempo si sentiva in pace con se stesso.
 
*
 
And I will stay up through the night
Yeah, let's be clear, won't close my eyes
And I know that I can survive
I'll walk through fire to save my life
And I want it, I want my life so bad
I'm doin' everythin' I can
 
Il brulicare del corridoio era l’unica cosa che lo teneva davvero sveglio, in quel momento. Sapeva che avrebbe fatto bene a trovarsi un angolo in cui schiacciare un pisolino, prima che la fase finale del travaglio iniziasse sul serio.
Alessio si stropicciò gli occhi per l’ennesima volta, sperando di non versare nemmeno una goccia del caffè che teneva nell’altra mano. Era stata una lunga notte, quella appena passata, ed immaginava benissimo che anche la giornata che si prospettava davanti sarebbe stata ugualmente estenuante.
Non ricordava l’ora precisa in cui Alice aveva avvertito la prima contrazione. Ricordava solo che, in quel preciso istante, qualcosa in lui era scattato. Era stata come una molla improvvisa, che aveva spezzato il velo di indifferenza che negli ultimi mesi si era portato appresso in ogni momento.
Esattamente come Alice, si era ritrovato anche lui a monitorare i minuti, e le ore che passavano. E anche se aveva passato un po’ di tempo coricato a letto, la notte era passata senza che lui fosse riuscito a chiudere occhio. Ancora non aveva capito se l’insonnia fosse dovuta più all’agitazione o alla paura.
Ora che si trovava lì in ospedale, con ancora diverse ore di attesa davanti, rimpiangeva almeno un po’ di non aver approfittato delle prime ore di contrazioni di Alice per essersi riposato un po’. Era alquanto consapevole che, nel momento in cui lei sarebbe stata troppo debole e troppo stanca dopo il parto, sarebbe toccato a lui pensare sia a lei che al bambino.
Sì, forse era proprio la paura ad avere la meglio su qualsiasi altra sensazione che lo stava accompagnando.
Alessio si portò il bicchiere di plastica alle labbra, sforzandosi di non sputare il caffè annacquato ed insapore del distributore. Di certo non l’avrebbe aiutato molto a tenersi più sveglio, ma un tentativo andava fatto comunque.
Si mosse leggermente sulla sedia, nel lungo corridoio del reparto di Ginecologia ed ostetricia, guardandosi intorno a disagio. Riusciva ad individuare abbastanza facilmente le persone nella sua stessa situazione: facce tese, occhi stanchi, nell’attesa logorante di avere qualche nuova notizia o un segnale qualsiasi per capire come stessero proseguendo le cose.
C’erano anche fin troppi neogenitori, per i suoi gusti. Forse erano i loro sorrisi a metterlo più a disagio di qualsiasi altra cosa, più ancora dei neonati che si ritrovavano a tenere in braccio, mentre dormivano o in preda ai loro primi pianti.
Si alzò di scatto, avvicinandosi al cestino per buttare il bicchiere di plastica, ma senza realmente pensare a dove andare. Si era assentato solo da qualche minuto dalla stanza che avevano riservato ad Alice, e ancora non se la sentiva di tornare; voleva prendersi ancora qualche ultimo minuto da solo con se stesso, prima di ripresentarsi là dentro e osservare il volto di lei contratto dal dolore che le contrazioni le causavano.
-Alessio!-.
Si bloccò sul posto, domandandosi se quella voce fosse reale o meno. Si guardò attorno, chiedendosi se fosse lui l’Alessio che stavano chiamando.
Ogni dubbio venne spazzato via un secondo dopo, quando girandosi nella direzione opposta, Alessio si ritrovò ad osservare il volto famigliare di Pietro.
Prima ancora che potesse rispondergli qualsiasi cosa, Pietro gli andò incontro. L’attimo dopo Alessio si ritrovò stretto in un abbraccio sentito, caloroso, l’abbraccio tipico di una persona felice. Portò una mano sulla schiena dell’altro, ricambiando la stretta, cercando di nascondere la confusione che aveva in testa, rimanendo a godersi la sensazione delle braccia di Pietro che lo tenevano stretto.
Ricordava a malapena l’ultimo abbraccio che c’era stato tra di loro, ma ricordava che anche quello era stato intenso, anche se in maniera diversa.
Quando Pietro sciolse l’abbraccio, Alessio poté notare le occhiaie che contornavano gli occhi scuri. Aveva un’aria parecchio tirata, anche se su Pietro quell’ombra di stanchezza non faceva altro che aumentarne il fascino.
-Che ci fai qui?- chiese Alessio, prima di intuire da solo – No, aspetta: anche Giada è in travaglio-.
Non era una domanda, perché era abbastanza sicuro che la presenza di Pietro lì fosse dovuta al suo stesso motivo. D’altro canto, per quel che ne sapeva, il termine di Alice e Giada era in quegli stessi giorni.
Pietro annuì, lasciandosi andare ad un sorriso stanco:
-Fino ad un’ora fa lo era-.
Alessio sgranò gli occhi, non appena appreso il significato recondito dietro quelle parole:
-Oddio, è nato?-.
La risposta era piuttosto ovvia, ma gli era venuto spontaneo chiederne conferma. Si sentiva girare la testa, disorientato come non mai.
Non pensava che rendersi conto che Pietro era appena diventato effettivamente padre potesse essere così catartico e destabilizzante insieme: Pietro aveva appena vissuto il passaggio che sarebbe toccato anche a lui in quella stessa giornata, e a quanto pareva lo stava facendo con un’inaspettata felicità.
-Sì, da nemmeno un’ora- il sorriso di Pietro si fece ancor più largo, mentre arrossiva un po’ sulle gote – Gli stanno facendo i controlli di routine, ma sembrerebbe stare bene-.
Non l’aveva detto a voce, ma Alessio riusciva a leggere tutto il sollievo e tutta la contentezza che poteva provare Pietro in quel momento solo guardandolo in viso. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta in cui l’aveva visto così in pace.
Anche lui si lasciò andare ad un sorriso, più sincero di quel che si sarebbe aspettato, mollando una pacca entusiasta sulla spalla dell’altro:
-Ottimo! Sono contento, sul serio … E Giada come sta?-.
-Stanca, un po’ provata, ma si riprenderà-.
-E tu come stai?-.
Pietro scosse il capo, incerto, prima di ridere sommessamente:
-Non lo so nemmeno io- si portò una mano alla fronte, scostandosi alcune ciocche di capelli castani – È difficile da descrivere, non credo esista una sensazione uguale a questa-.
Alessio non faticava a crederlo. Avrebbe voluto accelerare i minuti e le ore per sapere davvero cosa si poteva provare, ma dall’altra parte avrebbe volentieri fermato il tempo, la paura di scoprire quella sensazione che gli faceva venir voglia di scappare anche in quel momento.
Pietro si dondolò da un piede all’altro, con fare indeciso. Sembrava sul punto di dire qualcos’altro, ma di non essere abbastanza sicuro per dirlo sul serio.
-È che vorrei già tenerlo in braccio, anche se allo stesso tempo ne ho una paura fottuta-.
“Sì, è così che ci si deve sentire: estremamente felici e fottutamente terrorizzati”.
-Credo sia una buona metafora per riassumere come ci si sente da genitori- si ritrovò a mormorare Alessio, a mezza voce.
Si chiese ancora una volta se anche lui, di lì a qualche ora, si sarebbe sentito esattamente allo stesso modo. Pietro aveva dato voce al pensiero che gli ronzava in testa da mesi: era così che ci si sentiva, nel vedersi diventare padre?
Si era sentito così anche Riccardo, quando era stato il suo turno?
Sarebbe stato lo stesso per lui, nel momento in cui avrebbe saputo che suo figlio era venuto al mondo?
-Mi sembra ancora impossibile. In fin dei conti sono contento- Pietro continuò a parlare, nonostante la voce intrisa di fatica – Sono anche stanco morto, mi sono fatto tutta la notte sveglio. Ma va bene così, spero solo si sbrighino a visitarlo-.
Alessio aggrottò la fronte, con un dubbio che gli attraversò la mente:
-Come avete deciso di chiamarlo?-.
Non ricordava Pietro o Giada far accenno al nome prescelto, nei mesi precedenti, così come nessuno dei loro amici. Forse era stata una scelta presa solo nelle ultime settimane, o un segreto portato avanti da molto più tempo.
Pietro sorrise dolcemente; anche la voce si fece più calma, mentre rispondeva:
-Giacomo. È Giacomo-.
Alessio rimase attonito per alcuni secondi, ripetendo a mente il nome che Pietro aveva appena pronunciato. Non si era mai immaginato come Pietro avrebbe potuto chiamare suo figlio, quindi non poteva dirsi né sorpreso né deluso. Più lo ripeteva mentalmente, più Giacomo sembrava prendere vita tra i suoi pensieri.
-Giacomo Cadorna- mormorò, come a voler testare l’effetto che poteva fare nel pronunciarlo ad alta voce. Si lasciò andare ad un sorriso, il più sincero fino a quel momento:
-Mi piace-.
Pietro accolse quella constatazione con un sorriso impacciato, annuendo senza dire nulla. Passarono alcuni secondi, prima che riprendesse la parola:
-E tu, come mai qui? Stesso motivo?-.
-Alice è entrata in travaglio, finalmente- rispose Alessio, alzando le spalle – Stavano cominciando a prendere in considerazione l’idea di indurre il parto, ma stanotte sembra che finalmente qualcosa si sia smosso-.
-Avrai ancora un po’ di ore di attesa-.
Per quel che ne sapeva, Alessio si aspettava molto di più di solo poche ore. Si prospettava un’attesa estenuante ai limiti del sopportabile, ma non aveva altra scelta: nonostante la paura, c’era qualcosa che lo teneva incollato lì, in quell’ospedale, a domandarsi quando finalmente sarebbe arrivato il tempo di suo figlio.
-Già, sembra di sì-.
Sapeva che quella conversazione era giunta al termine. Era un’impressione che aleggiava nell’aria, pronta a coglierlo già preparato per il momento dei saluti. Pietro doveva tornare da Giada e Giacomo, e a lui non sarebbe rimasto altro che rimanere lì, a ripensare che, in fin dei conti, quella chiacchierata improbabile gli aveva fatto molto meglio di quel che poteva anche solo ammettere.
Pietro lo prese in contropiede un’ultima volta, quando non aprì bocca per congedarsi:
-Come lo chiamerete?-.
Alessio soppesò la risposta per alcuni secondi, per niente abituato a pronunciare quello che sarebbe stato il nome di suo figlio:
-Christian, come il nonno di Alice. Ci teneva particolarmente-.
Osservò Pietro annuire, il volto stanco e tirato ma ancora sorridente. Si ritrovò a realizzare che Pietro, inconsapevolmente, almeno per qualche minuto, era riuscito a donargli la calma che gli era mancata del tutto fino a quel momento.
-Allora penserò anche a Christian, nelle prossime ore. Andrà tutto bene-.
Per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro, Alessio pensò che sì, poteva andare sul serio tutto bene.
 
Well I've got thick skin and an elastic heart
But your blade it might be too sharp
I'm like a rubber band until you pull too hard
But I may snap when I move close
But you won't see me fall apart
'Cause I've got an elastic heart
I've got an elastic heart [2]
 
*
 
I've got a lot of rage
And I'm struggling with ways to control it
When I wake in the morning
I've forgotten what it is to cope
I scratch at my eyes
And it renders me vision less
Even in the dark
What I want isn't what I need
 
Era una calma insolita quella che stava respirando in quel momento, nella saletta di fianco alla sala parto. C’era il silenzio ad aleggiare tra quelle quattro mura, finalmente la calma dopo la tempesta.
Alessio non aveva idea della baraonda che poteva esserci stata fino a mezz’ora prima, quando nel tardo pomeriggio Alice aveva varcato la soglia della sala parto. Di sicuro non doveva esserci stata quella quiete che ora invece regnava lì dentro.
Le ore che aveva passato tra la conversazione con Pietro e il momento in cui Alice era stata portata in sala erano state infinite, ma mai quanto il tempo in cui il parto era effettivamente avvenuto.
Ad Alessio non era rimasto che affrontare la tensione di quegli ultimi minuti, camminando su e giù lungo il corridoio del reparto, in attesa che un qualsiasi infermiere venisse per dargli notizie. Aveva perso il conto di tutte le volte che aveva percorso quello spazio, in quel lasso di tempo.
Si era chiesto a lungo se il tempo sarebbe passato più velocemente, se tempo prima avesse scelto di accompagnare Alice in sala parto. Probabilmente sarebbe stato così, ma se da una parte l’attesa sarebbe sembrata ridotta, dall’altra l’agitazione sarebbe stata addirittura più palpabile, più viva e diretta. Alla fine si era ritrovato ad ammettere che andava bene anche così, a camminare nervosamente per il corridoio del reparto di Ginecologia ed ostetricia.
Non aveva incrociato di nuovo Pietro, ed in fin dei conti anche quello andava bene così: era un’attesa che doveva affrontare da solo, un ultimo momento per prepararsi al passo successivo, a malapena sufficiente per realizzare che di tempo gliene sarebbe servito molto di più di quello che aveva a disposizione.
Anche quello che stava vivendo in quel momento era uno di quei passaggi che, nel bene o nel male, doveva affrontare da solo, con le sue uniche forze. Se ne era reso conto solo in quell’istante, quando, finalmente, dopo un’ora che gli era parsa eterna, aveva posato per la prima volta gli occhi sul fagotto che una delle infermiere teneva in braccio, entrando in quella stessa stanzetta dove Alessio era ora.
Si era immaginato a lungo come sarebbe potuto essere quel momento, ma si era ritrovato ad ammettere che Pietro aveva ragione: era impossibile descrivere il turbinio di emozioni, che potevano andare da un estremo all’altro senza entrare davvero in collisione tra loro.
Il tempo si era fermato a quel momento, come in una bolla isolata da tutto il resto. Alessio ricordava a malapena che avrebbe dovuto chiamare sua madre e sua sorella per avvisarle; l’avrebbe fatto dopo, più tardi, dopo quel momento di intensa solitudine che voleva – doveva- prendersi.
Il viso minuscolo di Christian saltava fuori dalla copertina in cui era avvolto, gli occhi ancora chiusi in un sonno che veniva interrotto solo ogni tanto da qualche gorgoglio. L’infermiera che l’aveva portato ad Alessio aveva commentato che, a quanto pareva, il piccolo era talmente pigro da non voler essere distratto dal suo riposino nemmeno da uno shock come quello del parto.
Era stato abbastanza facile imparare a tenerlo in braccio nel modo corretto, quello giusto per evitargli danni o dolori di ogni genere. Alessio se ne era in parte sorpreso, perché non poteva fare a meno di osservarlo e pensare a quanto piccolo e fragile il suo corpicino potesse essere in quel momento.
Aveva perso la cognizione del tempo ormai da un bel po’: potevano essere passati solo pochi minuti così come un’ora intera, da quando si era seduto su una di quelle sedie vuote della saletta, tenendo gli occhi abbassati sul bambino ancora addormentato.
Gli era ancora difficile identificarlo con il nome che Alice aveva scelto, ma era sicuro che, ad un certo punto, ci avrebbe fatto talmente tanto l’abitudine che sarebbe stato addirittura impossibile pensare di attribuirgli qualche altro nome.
Non aveva davvero presente il motivo per cui Alice aveva pensato a suo nonno e al suo nome per suo figlio: poteva intuire che a legarla a quella figura della sua famiglia fosse molto di più di un legame parentale ed affettivo, ma non aveva mai indagato oltre. Doveva immaginare però, che scegliere quel nome per il nuovo arrivato fosse qualcosa di beneaugurante.
Alessio continuò a rimuginarci su, mentre osservava attentamente i lineamenti di Christian, rendendosi conto che era ancora troppo presto per ravvisare una qualsiasi somiglianza con qualcuno della famiglia. Aveva solo potuto constatare il colore delle iridi, nel mezzo secondo in cui gli occhi di suo figlio si erano aperti nel passaggio dalle mani dell’infermiera alle sue: erano le stesse iridi azzurre di Alessio, la stessa sfumatura che lui aveva ereditato da sua madre a suo tempo. Si era sentito quasi sollevato nel ravvisare qualcosa che gli ricordasse Eva: preferiva guardare Christian e rivedere sua madre, piuttosto che anche solo il minimo particolare che potesse riportargli alla mente Riccardo.
Anche il biondo dei pochi ciuffi di capelli sembrava essere stato ereditato dal suo ramo famigliare; forse un giorno, quando sarebbe cresciuto, si sarebbero scuriti fino al rame dei capelli di Alice.
Un leggero sbuffo provenne dal neonato, che mosse un po’ un braccio, facendolo finire fuori dalla copertina che lo copriva. Alessio si mosse con cautela, mentre cercava di rimetterlo coperto, con movimenti lenti ed attenti; cominciava a pensare che, a dispetto dell’aver imparato subito a tenerlo nella maniera giusta, gli sarebbe servito molto più tempo per compiere altri gesti disinvolti con Christian in braccio.
Si sentiva talmente stravolto dalla stanchezza e da tutto il resto che, fino a quando non portò una mano al viso per stropicciarsi gli occhi, non si era accorto delle lacrime che gli avevano bagnato le guance scendendo fino al mento.
Si passò una mano su tutto il volto, chiudendo per un attimo gli occhi.
Si era sentito così anche Riccardo, quando l’aveva tenuto tra le braccia per la prima volta? Aveva provato lo stesso turbinio disordinato di emozioni, così difficili da tradurre e ricondurre a concetti razionali?
Sapeva che avrebbe continuato a porsi quelle domande fino a quando non avrebbe trovato una risposta. Forse non sarebbe nemmeno mai arrivata, ma sarebbe sempre rimasta lì, a ronzare nella sua mente.
Riportò gli occhi su Christian, ancora addormentato, un’espressione di pacifica calma stampata sul viso in una sorta di innocente ingenuità che l’avrebbe accompagnato ancora per parecchi anni.
Da quel momento in avanti, Alessio ne era consapevole ora più che mai, sarebbe stato un lungo cammino.
 
A revolution has begun today for me inside
The ultimate defense is to pretend
Revolve around yourself just like an ordinary man
The only other option is to forget [3]





 
[1] Placebo - "Hold on to me"
[2] Sia - "Elastic heart"
[3] Thirty Seconds to Mars - "R-evolve"
Il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente ai rispettivi cantante e ai loro autori.

NOTE DELLE AUTRICI
Il passaggio dallo scorso capitolo a quello attuale ha portato con sé anche diversi mesi... E così, in un lampo, ci ritroviamo in piena estate, un'estate che difficilmente verrà dimenticata da Pietro e Alessio.
In questa giornata di luglio 2019 il destino ha voluto, infatti, che per entrambi arrivasse il momento di diventare padre nello stesso giorno. Ed è proprio in ospedale che i nostri due protagonisti si incontrano, Pietro con il figlio appena nato e Alessio ancora in attesa ... E quindi non ci resta che dare il benvenuto a Giacomo e a Christian!
Ciò che stupisce maggiormente, a fine capitolo, è il momento di epifania in cui sembra essere immerso Alessio. Le cose, forse, potrebbero andare meglio di quando lui abbia pensato finora... Sarà davvero così o sarà una speranza vana e momentanea?
A mercoledì 15 febbraio per iniziare a scoprirlo!
Kiara & Greyjoy
 
 
 

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Capitolo 41
*** Capitolo 39 - High hopes ***


CAPITOLO 39 - HIGH HOPES


 

Cercò di asciugarsi il sudore dalla fronte con una mano, ben conscia che, in ogni caso, la calura di fine luglio non sarebbe comunque finita nel giro di un secondo.
Giulia si lasciò cadere a peso morto sul materasso, convinta di addormentarsi subito nonostante il caldo che si respirava dentro la stanza da letto. Non aveva mai sopportato troppo le temperature alte dell’estate, ma non pensava nemmeno che quell’estate sarebbe potuta andare così estremamente male. La stanchezza non l’aiutava per niente, e dubitava la situazione sarebbe migliorata prima dell’arrivo dell’autunno.
Si sistemò alla bell’e meglio, scostando il lenzuolo per poter rimanere il più possibile con il corpo scoperto, in cerca di un refrigerio che, però, non trovò.
Cercò di rimanere ferma immobile come meglio poteva, ben consapevole che più si sarebbe girata, più il suo corpo avrebbe poi sudato; rimase ferma anche per ascoltare il rumore dei passi di Filippo, sempre più vicini e sempre più nitidi. Pochi secondi dopo fece capolino sulla soglia, l’aria stanca e le occhiaie scure a farlo sembrare un po’ più vecchio di quel che era.
-Si sono addormentate?- gli chiese Giulia, pur immaginando già la risposta: di sicuro Filippo non se ne sarebbe andato dalla camera delle gemelle, se non dopo aver controllato che stessero dormendo.
-Sì, poco fa- le rispose lui, in un sospiro – Beatrice sembra stare un po’ meglio-.
-Meno male-.
Giulia chiuse gli occhi, mentre ascoltava gli ultimi passi di Filippo prima che raggiungesse il letto. Sentì il materasso abbassarsi, segno che lui l’aveva appena raggiunta e che le si era sdraiato di fianco.
Negli ultimi mesi le cose, pur rimanendo le stesse, erano anche cambiate. Forse era perché, alla fine, si erano abituati ai loro nuovi orari veloci e flessibili, o forse era stata più la rassegnazione al fatto che, volenti o nolenti, le cose non sarebbero mai state semplici come prima.
Filippo sembrava essersi messo l’anima in pace, e a poco a poco aveva imparato a sostenere gli stessi ritmi di Giulia: forse non si alzava così spesso quanto lei la notte, ma aveva iniziato a farlo comunque. Poi le bambine avevano iniziato a dormire sempre di più, a piangere meno e ad essere meno vulnerabili; Giulia aveva potuto tirare un sospiro di sollievo la prima notte in cui nessuna delle due aveva iniziato a piangere.
Le sembrava che tutto stesse migliorando sempre di più, fino a quando non era andata a sbattere con tutte le sue forze contro il muro rappresentato dalle coliche di cui soffriva Beatrice da quasi una settimana.
Era iniziato tutto piuttosto improvvisamente, con i pianti disperati ed insistenti durante un pomeriggio, mentre Giulia era impegnata ad allattare Caterina, ed era continuato così per ore.
Si era ritrovata a preoccuparsi non solo per la figlia, ma anche per l’esaurimento che Filippo avrebbe avuto quasi sicuramente. Stentava a credere che non sarebbe arrivato di nuovo il momento in cui lo avrebbe sentito lamentarsi: aveva smesso di illudersi quando nel giro di una settimana era tornato di umore pessimo esattamente come nelle prime settimane di vita delle bambine. Era solo questione di tempo prima che la situazione precipitasse di nuovo.
-Dovremmo provare a dormire anche noi- mormorò Filippo, sistemandosi meglio il lenzuolo addosso, come se temesse il freddo nonostante la calura mortale dell’estate.
-Spegni pure la luce-.
Il buio che calò, non appena Filippo ebbe spento l’abat-jour sul suo comodino, non donò più relax a Giulia. Era inevitabile che anche lei risentisse dello stress: non ricordava un altro momento della sua vita in cui aveva avuto la testa così piena di problemi e pensieri, nemmeno poco prima del matrimonio o quando aveva scoperto di essere incinta. Semplicemente, in certe giornate, si meravigliava di come non fosse ancora impazzita.
Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato da quando la luce era stata spenta a quando venne risvegliata dal pianto di Beatrice. Giulia si stropicciò gli occhi con un movimento stanco, lanciando uno sguardo allo schermo luminoso della sveglia: era piena notte, le tre appena passate. Doveva aver comunque dormito qualche ora.
-Non di nuovo, cazzo-.
La voce di Filippo le giunse impastata ed irritata, le parole dette a mezza voce ma ben udibili nel silenzio della loro camera.
-Vai tu?- Giulia glielo chiese senza nemmeno troppa convinzione. La notte Filippo aveva sempre odiato alzarsi: erano sempre rare le volte in cui andava a controllarle, anche se erano comunque aumentate rispetto ai primi tempi.
Non si stupì affatto quando lo sentì sbuffare seccato:
-Ma ci sono andato anche prima-.
Giulia non perse nemmeno tempo a replicare: si alzò di scatto, guidata dalla rabbia, camminando veloce verso la camera delle gemelle.
Per quanto il sonno potesse ancora ottenebrarle i pensieri e renderli meno lucidi, riuscì a decidere comunque che l’indomani niente avrebbe potuto fermarla dal parlare chiaramente con Filippo.
Aveva rimandato quella discussione per troppo tempo.


 
L’odore del caffè le riempì le narici, senza darle però quella minima gioia che provava ogni giorno nell’annusarne l’aroma. Giulia era consapevole che tenere la tazza tra le mani a lungo, senza bere, non avrebbe fatto altro che raffreddare il caffè appena fatto. Forse in fondo non le importava molto.
La mattina, da un po’ di settimane, era uno dei pochi e rari momenti davvero calmi nell’arco della giornata. Anche per quel giorno era così: c’era un silenzio quasi irreale nell’appartamento, segno che le gemelle ancora dormivano – e soprattutto che Beatrice forse stava migliorando davvero-, e che per lei si sarebbe potuta prospettare una colazione fatta in santa pace. Sarebbe potuto esserlo davvero, se non fosse stato per il senso d’attesa che si sentiva addosso premerle alla bocca dello stomaco, dandole un senso di nausea.
Si era seduta al tavolo da qualche minuto ad aspettare l’arrivo di Filippo, e non dovette attendere ancora a lungo: lo vide fermarsi sulla soglia a stropicciarsi gli occhi assonnati, prima di fare qualche passo in più verso di lei e il tavolo della cucina.
-Buongiorno- mormorò con la voce ancora impastata, passandole dietro e lasciandole una leggera e veloce carezza su una spalla – Sei sveglia da tanto?-.
Giulia alzò le spalle, con fare indifferente:
-Una mezz’ora circa-.
Senza voltarsi ascoltò Filippo compiere le solite azioni di ogni mattina: versarsi a sua volta un po’ di caffè nella sua tazza e recuperare un sacchetto di biscotti dalla credenza.
Quando si sedette a sua volta, di fronte a lei, Giulia non attese oltre: si sentiva già abbastanza tesa così, senza aggiungere altri minuti d’attesa alla conversazione dolorosa che li aspettava.
-Credo che dobbiamo parlare-.
Filippo continuò a girare il cucchiaio nella tazza, anche se Giulia aveva colto i primi segnali di sorpresa: lo vide irrigidire le spalle e aggrottare lievemente la fronte.
-Di cosa?- chiese, con una tranquillità che a Giulia parve piuttosto falsa. Prese un sospiro, decidendosi a lasciare la propria tazza di caffè ormai freddo ancora piena sul tavolo; congiunse le mani, mentre cercava di riportare alla mente il discorso che si era costruita durante la notte, quando dopo aver calmato Beatrice era tornata a letto, con il sonno ormai lontano.
-Di quel che ti sta succedendo- formulò, a mezza voce – E di quel che sta succedendo a noi-.
Filippo alzò gli occhi verso di lei:
-Che intendi?- domandò ancora, sulla difensiva.
Giulia era sicura che avesse capito, ma a quanto pareva voleva sentirglielo dire chiaro e tondo:
-Intendo che negli ultimi mesi non sembri nemmeno tu- sospirò di nuovo, sentendo tutto il peso che quelle parole le stavano portando – Pensi che io non sia stanca ogni giorno, che non sia una fatica dietro l’altra dalla mattina alla sera come per te?-.
Forse era la stanchezza e la fatica accumulati in mesi e mesi, forse il nervoso e l’ansia che l’avevano accompagnata per tutto il tempo in cui aveva atteso che Filippo arrivasse lì in cucina, o forse ancora erano le ore mancate di sonno che cominciavano a farsi sentire, ma Giulia si rese conto che gli occhi cominciavano a pizzicarle e a bruciarle non solo per il fatto di non aver dormito per tutta la notte.
-Non credevo sarebbe mai successo di sentirti così distante, eppure è quello che sta accadendo- continuò, sperando che le lacrime non scendessero proprio in quel momento – Non ho mai pensato che i primi mesi con le gemelle sarebbero stati facili, ma non pensavo nemmeno sarebbero stati così terribili-.
Filippo tacque per un po’, senza risponderle. Aveva abbassato il capo, rinunciando anche lui a bere il caffè che, ormai, doveva essere diventato tiepido.
Giulia attese, domandandosi se doveva forse essere ancora più chiara di così. Non aveva voglia di litigare, sapeva che nonostante tutto avrebbe cercato di evitarlo fino all’ultimo, ma non poteva nemmeno permettersi di apparire troppo morbida. Era da troppo tempo che sopportava e che cercava di convincersi che il giorno dopo sarebbe andata meglio.
-Non lo faccio apposta- Filippo sospirò a fondo, appoggiando una mano sulla fronte – Non  è semplice lavorare ogni giorno e poi tornare a casa senza mai un attimo di tranquillità-.
-Sapevamo più o meno a cosa andassimo incontro- mormorò Giulia, quasi sussurrando.
-Forse non me lo aspettavo davvero così-.
Giulia ricacciò le lacrime indietro, guardando duramente colui che era suo marito.
-E quindi?- si rese conto di aver parlato più ad alta voce di quanto avrebbe voluto, ma non fece nulla per cercare di calmarsi – Rimaniamo così, a incazzarci ogni minuto e a prenderci male ogni volta che Caterina o Beatrice si mette a piangere?-.
Si costrinse a non abbassare lo sguardo, continuando però ad incontrare solo il viso chino di Filippo, senza incrociarne gli occhi. Avrebbe voluto tanto cercare di capire che gli passava per la testa in quel momento, studiarne l’espressione che aveva per poterlo intuire: Filippo non le diede quella possibilità, come incantato a guardare la sua tazza di caffè ormai freddo sul tavolo della cucina.
-Non ce la faccio da sola, non posso stare dietro a tutto contando solo su di me, non così. Mi devi dare una mano- Giulia si passò una mano sugli occhi prima che qualche lacrima potesse cadere e rigarle le guance in maniera inequivocabile – Ho bisogno di te, in questo momento più degli altri-.
Lasciò scivolare la stessa mano con la quale si era asciugata le lacrime sulla superfice liscia e fredda del tavolo, abbandonata ed inerte. Un po’ come si sentiva lei in quel momento di vulnerabilità.
Non aveva mai nascosto i suoi momenti di debolezza a Filippo: lui era sempre stato uno dei pochi ad averla sempre vista in un qualsiasi stato d’anima – felice, impaurita, abbattuta o allegra che fosse-, ma c’era qualcosa che stonava in quel frangente. Aveva voluto evitare il più possibile di mostrarsi così davanti a lui – così debole e così stanca-, ma non ci era riuscita.
Sentiva l’amarezza attanagliarla forte, facendola sentire stupida e a disagio. Era una sensazione a cui non era per niente abituata, non con Filippo.
-Scusami-.
Giulia alzò appena gli occhi, quando si accorse del tocco dei polpastrelli delle dita di Filippo sul dorso della sua mano. Era una carezza talmente leggera che dovette osservare le sue dita muoversi sulla sua pelle per convincersi che fosse reale.
-Sul serio, mi dispiace- Filippo tirò un lungo sospiro, la voce affranta – Forse non mi sono mai reso conto nemmeno io del male che ti facevo-.
Giulia lo tenne osservato per alcuni secondi: riusciva a leggergli del rammarico nello sguardo, ed anche qualcos’altro che non riuscì ad identificare. Era come un’ombra leggera, che poteva anche solo essersi immaginata, qualcosa a malapena tangibile.
-Non mi bastano delle scuse- disse, duramente.
Filippo sembrò comprendere il messaggio: non le bastavano solo parole vuote al vento, non di nuovo. Le strinse maggiormente la mano nella sua, continuando a ricambiare lo sguardo di Giulia:
-Cercherò di essere più presente, di metterci più impegno-.
-Lo prometti?- Giulia ricambiò la stretta, cercando di convincersi che di Filippo poteva fidarsi – E bada di non promettere cose per cui non manterrai la parola-.
Si ritrovò a pensare, per la seconda volta in meno di un minuto, che l’espressione di Filippo celasse anche altro, oltre al pentimento. Cercò di allontanare quel pensiero: come poteva pensare di volere il suo aiuto, se non si fidava di lui? Non poteva permettersi di dubitare di lui in un momento simile. Doveva cercare di mantenere perlomeno la speranza che quella conversazione non fosse avvenuta invano.
In fondo, anche se negli ultimi mesi era cambiato, era pur sempre Filippo, sempre suo marito.
-Lo prometto. Lo farò, te lo assicuro-.
 
*
 
I remember it now, it takes me back to when it all first started
But I only got myself to blame for it and I accept it now
It's time to let it go, go out and start again
It's not that easy
 
La luce del sole entrava con i suoi raggi dalla finestra aperta del salotto. Era primo pomeriggio, e non girava un filo d’aria nemmeno a pagarlo. Pietro si stava godendo appieno la sensazione di frescura che il ventilatore gli stava donando, in quell’attimo di pace fugace.
Nelle ultime settimane aveva imparato in fretta ad approfittare di ogni momento libero per recuperare le forze. Non significava per forza dormire: bastava anche solo stendersi sul divano per un po’, distendere i muscoli e le gambe, lasciarsi andare per poco tempo senza pensare a niente. Era una cosa che anche Giada aveva iniziato a fare a sua volta, soprattutto da quando le ore di sonno mancato avevano cominciato ad accumularsi sempre di più.
Pietro si rigirò sul divano, tendendo l’udito per capire se i passi che aveva sentito fossero reali o meno. Richiuse il giornale che stava sfogliando, comprato quella mattina stessa nell’edicola vicino casa, quando era uscito per fare un po’ di spesa. Almeno in quei momenti di calma poteva permettersi qualche svago come quello. In quello stesso preciso istante Giada, con passi lenti e sbadigliando rumorosamente, fece il suo ingresso nel salotto. Doveva essersi risvegliata da poco, i capelli lunghi ancora disordinati e le occhiaie scure sotto gli occhi. Pietro non ci fece quasi caso: ormai quello era l’aspetto più gettonato per entrambi da quando Giacomo era nato. Le occhiaie continuavano ad essere sempre più scure ed evidente sui loro visi.
-Ti sei riposata?- Pietro si mise a sedere, lanciando un’occhiata a Giada. Si era fermata accanto al divano, senza però sedervisi.
-Abbastanza- rispose, con la voce ancora roca per il risveglio recente – Giacomo dorme ancora?-.
-Credo di sì- rispose Pietro, alzando le spalle: non aveva sentito Giacomo mettersi a piangere, segno che molto probabilmente stava ancora dormendo sul serio. Fortuna o meno, si era reso conto che, a solo dieci giorni d’età, suo figlio amava molto più dormire rispetto a qualunque altra attività. Il solo problema era che amava farlo soprattutto di giorno, e non di notte.
-Quando si sveglia gli faccio il bagnetto- sospirò Giada, passandosi una mano tra i capelli e sedendosi sul bracciolo del divano – Avrei già dovuto farlo-.
Pietro la guardò per qualche secondo in silenzio, prima di proporle ciò che gli stava passando per la mente in quel momento:
-Lo faccio io. Tu riposati ancora un po’-.
Era sabato pomeriggio, e almeno per una volta poteva permettersi di godersi suo figlio appieno senza dover tener conto delle ore di lavoro che gli toccavano durante la settimana.
Giada lo guardò confusa per un attimo, poi quasi speranzosa:
-Sicuro?-.
Pietro le sorrise, mentre si alzava per avvicinarsi a lei. Le accarezzò appena i capelli biondi ancora disordinati, in un gesto che gli parve più fraterno che quello tipico di un fidanzato:
-Sì, non c’è problema-.
Osservò Giada sorridergli di rimando, annuendo all’indirizzo di Pietro:
-Allora poi ricordati la crema per i rossori, dopo averlo lavato. Non vorrei peggiorasse- disse infine, alzandosi a sua volta, probabilmente pronta a tornare in camera e riposare ancora un po’.
-Tutto chiaro. Vai tranquilla- Pietro la precedette, avviandosi verso la camera di Giacomo – quella che un tempo, un tempo che gli pareva distante almeno un decennio, era stata la stanza di Alessio. Gli sembrò quasi buffo ritrovarsi a pensare a quel dettaglio: le cose erano cambiate talmente tanto, nel giro di due anni, che stentava a credervi sul serio. Era come aver voltato pagina una volta per tutte, ma essersene reso conto solo in quell’istante.
-Ah, probabilmente stasera uscirò un paio d’ore- disse, prima che Giada tornasse in camera. Lei lo guardò confusa, ma si limitò ad annuire, senza nemmeno chiedergli ulteriori spiegazioni. Doveva essere troppo stanca persino per quello.
Pietro lo prese come un segno del destino. Arrivò in camera di Giacomo con il cellulare tra le mani, scrivendo velocemente un messaggio a Fernando, chiedendogli se potessero vedersi quella sera. Sperava che la risposta  fosse positiva.
 
It’s time to let it go, go out and start again
But it’s not that easy
 
*
 
But I’ve got high hopes
It takes me back to when we started
High hopes
When you let it go, go out and start again
High hopes
When it all comes to an end
But the world keeps spinning around
 
Pietro cercò di fare più silenzio possibile, mentre riponeva il phon nel cassettone della camera di Giacomo. Non aveva idea se Giada si era riaddormentata sul serio o meno, ma nel dubbio preferiva fare attenzione a non provocare troppi rumori con i suoi movimenti.
Si girò verso suo figlio, steso sul fasciatoio, prendendolo di nuovo in braccio delicatamente. Giacomo non si addormentava mai subito dopo il bagnetto: ci voleva almeno un’ora prima che le sue palpebre cominciassero a calare e il sonno tornasse. Pietro si divertiva spesso ad osservare i suoi sforzi per non addormentarsi, nell’ultimo tentativo di non chiudere gli occhi: era una delle immagini più tenere di suo figlio, uno tra i tanti momenti in cui Pietro si ritrovava a pensare, senza alcuno sforzo, di voler imprimersi ogni singolo istante di Giacomo nella memoria.
Lo cullò per tutto il tragitto dalla stanza al salotto, nella luce azzurra e piena del sole estivo pomeridiano che inondava lo spazio attraverso i vetri aperti della finestra.
Pietro raggiunse il divano in pochi ampi passi, sedendovisi e lasciando che la schiena si appoggiasse completamente allo schienale. In un gesto d’istintiva tenerezza portò una mano ad accarezzare una guancia rosea di Giacomo, prima di lasciargliene un’altra anche su una delle mani minuscole.
Le dita di Giacomo gli si strinsero attorno al mignolo, in un gesto che Pietro non sapeva quanto fosse legato all’istinto o all’impulso di rispondere alle sue carezze.
Era sicuro di non aver mai toccato una pelle più morbida e delicata di quella di Giacomo, talmente setosa da sembrare quasi irreale.
Lo cullò ancora un po’, facendolo oscillare appena stretto al sicuro tra le sue braccia. Osservò con un sorriso divertito come le forze di Giacomo per combattere il sonno stessero avendo la peggio: le palpebre gli erano finalmente calate sulle iridi castane. Solo le sue dita rimasero aggrappate ancora al dito di Pietro, come a volergli dire di non andarsene, di non lasciarlo.
“Questo non succederà mai” pensò Pietro, con la consapevolezza di poter affermare con una certa sicurezza quelle parole.
“Te lo prometto”.
A dispetto delle sue aspettative, quei primi dieci giorni con Giacomo erano state belli. Faticosi, stressanti e a tratti allucinanti, ma comunque belli. Era quel bello distante dalla perfezione, che però a Pietro aveva portato una tranquillità che non si sarebbe mai aspettato, non a quel punto della sua vita.
Persino il suo rapporto con Giada sembrava essere migliorato, inaspettatamente: era ben lontano dall’essere idilliaco, ormai fermo ad essere solo una pallida copia della complicità che, nonostante tutto, potevano aver vantato nei primi tempi insieme.
Ora c’era la voglia di aiutarsi a vicenda, di fare del loro meglio per Giacomo. Non litigavano da quando era nato, in un clima nettamente migliorato. Pietro ancora stentava a crederci. Gli piaceva pensare che il collante tra di loro fosse proprio Giacomo, la voglia di non dividersi per non separarsi a loro volta da lui. In quel momento, osservandone il volto addormentato e calmo, Pietro non credeva nemmeno possibile l’idea di poter allontanarsi da lui volontariamente.
Giacomo rappresentava il punto da cui ripartire, da cui ricostruire qualcosa per cui valesse la pena andare avanti. Era anche l’unica ragione per cui riusciva a trovare ogni sacrificio un po’ meno pesante da sopportare.
Tra le sue braccia suo figlio sembrava ancor più piccolo di quel che era, più indifeso, avvolto nella sua innocenza da bambino che ancora per un po’ – Pietro sperava il più a lungo possibile- lo avrebbe accompagnato.
Forse un giorno, quando anche l’ingenuità dell’infanzia e dell’adolescenza se ne sarebbe andata, gli avrebbe raccontato come erano andate veramente le cose, prima della sua nascita. Forse gli avrebbe raccontato quanto il mondo gli fosse crollato addosso, alla notizia di aver un figlio in arrivo, di quanto tutto in quei giorni gli era sembrato inutile e superfluo, tutto perduto in un attimo.
Però poi – Pietro se ne rese conto sul serio solo in quel momento- avrebbe potuto anche dirgli quanto guardarlo, lì addormentato tra le sue braccia, e tenerlo stretto a sé per avere la prova tangibile della sua presenza, bastasse a rimettere le cose a posto. Almeno quelle che ancora potevano essere recuperate: i sogni che un tempo – solo nove mesi prima, ma che ora a Pietro sembravano così lontani che gli parvero anni- lo avevano reso speranzoso, gli amori a cui una volta si era aggrappato con tutte le sue speranze, quelli no. Quelli non sarebbero mai più tornati, o almeno non sarebbero mai più stati gli stessi.
Più guardava suo figlio dormire e più se ne accorgeva, più ne aveva la consapevolezza: doveva lasciare andare il passato. Continuare a pensarci non avrebbe fatto altro che trascinarlo sempre più giù, a picco, inevitabilmente. Giacomo non si meritava un padre infelice. Doveva perlomeno provare a trovare il lato positivo in quella situazione per lui, se non per se stesso.
Pietro accarezzò con il pollice la guancia fresca di suo figlio, cercando di ricacciare indietro le lacrime che gli rendevano gli occhi lucidi e la vista offuscata. Non voleva mettersi a piangere proprio in quel momento di serenità, e lasciarsi andare ancora una volta al dolore.
Per quanto male potessero fare i ricordi, doveva cercare di mettercela tutta ed andare avanti. Nulla li avrebbe cancellati, di quello era conscio: poteva però rinchiuderli in un angolo remoto di se stesso, soffocati dall’amore per suo figlio e dalla volontà di proteggerlo.
Si chiese, in un attimo di incertezza, se un giorno sarebbe toccato anche a Giacomo un’esperienza simile. Si sarebbe mai trovato a provare sentimenti che avrebbe poi dovuto reprimere? Si sarebbe mai ritrovato a dover scegliere qualcosa che non voleva per il bene di qualcun altro?
Pietro inclinò la testa indietro, fino a raggiungere lo schienale del divano con la nuca, chiudendo gli occhi per qualche attimo.
Forse un giorno avrebbe detto a Giacomo di non aver mai paura di essere se stesso, di non rinunciare mai a qualcosa che voleva per paura degli altri. Gli avrebbe anche detto che per qualsiasi cosa lui sarebbe stato sempre accanto a lui, ad incoraggiarlo, ad aiutarlo.
Riaprì gli occhi, ancora un po’ lucidi, puntandoli verso il soffitto bianco del salotto. Sentiva che, nonostante tutto, la speranza per il futuro non si era mai sopita davvero: forse ora, con Giacomo nella sua vita, c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena guardare avanti.
C’erano cose che aveva desiderato a lungo e che non avrebbe avuto mai; per la prima volta si rese conto che ce ne erano anche tante altre che, purtroppo o per fortuna, avrebbe invece potuto avere.
 
Yeah, but the world keeps spinning
Yeah, the world keeps spinning
How this world keeps spinning around?*
 
*
 
-Non mi aspettavo mi chiedessi di uscire-.
Fernando lo disse tra un sorso di spritz e un altro, ciocche di capelli castani che gli ricadevano in morbide onde sulla fronte.
-Pensavo fossi piuttosto indaffarato a casa-.
Pietro alzò le spalle:
-Diciamo che ho colto l’occasione al volo- disse, e in fin dei conti era esattamente per quel motivo che si era limitato a chiedere a Fernando se era libero quella sera solo poche ore prima – E comunque Giacomo è piuttosto tranquillo-.
A quelle parole Fernando rise piano:
-Ha proprio preso dal padre-.
Pietro lo guardò con finto astio:
-Sei ironico, per caso?-.
-Non oserei mai-.
Sebbene il leggero sarcasmo fosse decisamente identificabile nella voce dell’altro, Pietro si unì comunque alla sua risata.
-Non ne sono ancora molto convinto- insistette ancora, ma il suo sguardo si era già definitivamente ammorbidito – Come stai?-.
Era da un po’ di tempo che lui e Fernando non si vedevano. Troppi impegni per entrambi – e forse ancora troppo rimorso per certe occasioni perse. Pietro era perfettamente consapevole che, per quanto Fernando potesse sembrare sinceramente felice di vederlo, quella gioia era comunque accompagnata anche dal dolore. Detestava l’idea di essere lui stesso la fonte di quel sentimento.
Sperava di non essere in parte la ragione dell’aria stanca che aveva Fernando, il viso tirato come se stesse attraversando un momento della sua vita che gli prosciugava ogni energia.
-Non c’è male- rispose Fernando, gli occhi abbassati sul bicchiere che si stava rigirando tra le mani – Sto diventando letteralmente viola a forza di stare in spiaggia, però-.
-Lo vedo- Pietro sorrise appena, gli occhi che vagavano già sulla pelle lasciata scoperta dalla maglietta di Fernando, resa più dorata del solito dal sole estivo. Quando gli aveva scritto per chiedergli di vedersi aveva sperato di aver azzeccato uno dei suoi giorni liberi, e per una volta la fortuna era stata dalla sua parte.
E, a parte quello, non era stato sicuro che Fernando si sarebbe presentato fino a quando, all’ora prevista per il loro ritrovo, non l’aveva visto camminare nella direzione del bar dove ora si trovavano. Aveva temuto fino all’ultimo un suo cambio d’idea, e se lo avesse fatto non sarebbe riuscito nemmeno a dargli torto.
Sospirò a fondo, i suoi occhi scuri ora puntati sulla sua tazzina da caffè già vuota.
-Senti … - iniziò a dire, un po’ impacciato – Ti ho chiesto di vederci anche per un altro motivo-.
Aveva chiesto a Fernando di vedersi perché la sua compagnia gli mancava, e poi perché lui stesso gli aveva chiesto di raccontargli il prima possibile di Giacomo e di com’era andato il parto, ma c’era anche altro.
Fernando aggrottò la fronte:
-Cioè?-.
Pietro si prese ancora qualche secondo, prima di proseguire:
-Volevo parlarti di una cosa- disse, a mezza voce – Prima sul giornale ho letto un articolo che mi ha sconvolto abbastanza-.
-Ok- fece Fernando, se possibile ancor più confuso – E cosa dovrebbe avere a che fare con me?-.
-Hai sentito qualcuno parlare di aggressioni fatte nei dintorni di qualche locale LGBT ultimamente?-.
Fernando sembrò pensarci su per un po’, prima di scuotere il capo:
-No, non mi pare. Ma devo ammettere che negli ultimi mesi non sono andato molto in giro per locali in generale-.
Aveva ancora la fronte aggrottata, ma ora sembrava anche in parte preoccupato.
-Di che si tratta?-.
A quella domanda, Pietro preferì recuperare il proprio cellulare poggiato sul tavolino:
-Te lo leggo-.
Scorse nel sito del quotidiano sulle cui pagine, alcune ore prima, aveva letto quello stesso articolo, solo in formato cartaceo. Gli ci erano voluti alcuni minuti per calmarsi, ma fortunatamente, quando era stato interrotto da Giada, il suo personale momento di crisi era già passato.
-“Ha confessato di essere lui l’uomo, sulla cinquantina e arrestato ieri, identificato come il presunto aggressore che da mesi, ormai, terrorizzava la comunità LGBT veneta”- iniziò a leggere, tenendo gli occhi incollati sullo schermo – “Negli ultimi sei mesi erano state denunciate diverse aggressioni in diverse città del Veneto – tra tutte Verona e Padova, ma con casi anche nelle altre province-, che dalla somiglianza del modus operandi avevano cominciato a far presupporre agli inquirenti l’esistenza di un unico uomo dietro tutti gli attacchi”-.
Azzardò uno sguardo nella direzione di Fernando, e non poté dirsi stupito nel vederlo piuttosto rabbuiato in viso. Ascoltava in silenzio, gli occhi castani puntati nel vuoto davanti a sé.
-“Le aggressioni erano perpetrate dall’indagato, che, avvicinatosi alla vittima inizialmente senza indicare alcuno scopo malevolo, passava successivamente a violenze fisiche come calci e morsi, con lo scopo preciso di ferire le vittime. Si sospettano intenzioni a sfondo omofobico”- proseguì Pietro – “In attesa del processo, le autorità hanno diramato la comunicazione, diretta a tutte le vittime che ancora non dovessero aver denunciato e a coloro che già l’hanno fatto, di recarsi presso le aziende ospedaliere per effettuare un test MST”-.
Per i primi secondi, dopo aver finito di leggere, nessuno di loro disse nulla. Pietro avvertì lo stesso disagio che aveva provato la prima volta che aveva letto l’articolo, alcune ore prima, il solo pensiero che l’odio potesse portare qualcuno ad agire in modi così meschini che lo faceva soffrire incredibilmente.
“Se le cose fossero andate diversamente, forse ora mi toccherebbe ancor più da vicino”.
-Wow- fu infine il primo commento di Fernando, sottovoce.
-Avevi sentito qualcosa in giro?- gli chiese Pietro.
-No, non mi pare-.
Fu solo una sensazione fugace, durata meno di un secondo, ma Pietro ebbe l’impressione che Fernando non fosse stato del tutto sincero.
-Sicuro?-.
Fernando annuì di nuovo:
-Sì, certo. Credo che mi ricorderei di una cosa del genere-.
Teneva gli occhi abbassati come a voler evitare lo sguardo di Pietro, ma evidentemente doveva essere solo per lo sconvolgimento di quella notizia, e poteva comprendere appieno quella sensazione: si era sentito allo stesso modo anche lui, quando l’aveva letto per la prima volta.
-Almeno l’hanno arrestato- mormorò Pietro, mordendosi il labbro, in preda all’esitazione – Secondo te perché l’ha fatto? Perché proprio così?-.
Si era posto quella domanda innumerevoli volte, senza riuscire a trovare una risposta che potesse anche solo giustificare in parte le azioni di quell’uomo. E forse il succo della questione stava proprio lì: come poteva dare una ragione logica ad un gesto d’odio?
“È per persone del genere che ho troppa paura”.
Fernando alzò le spalle:
-Non lo so. Difficile entrare nella mente di uno squilibrato omofobo-.
-Se hanno consigliato alle persone aggredite di testarsi … - Pietro non riuscì nemmeno a finire la frase.
-Può essere solo una precauzione- tagliò corto Fernando, ma era come impallidito in viso. E sì, Pietro poteva anche essere d’accordo con lui, ma un avvertimento del genere in un articolo pubblico non era poi una prassi così comune.
Scosse debolmente il capo, pensando di essere troppo fatalista. Doveva smetterla di farsi trasportare troppo da quegli eventi, pensare solo al lato positivo – in fin dei conti, era una storia già chiusa.
-Può darsi. Fa attenzione lo stesso, ok?-.
Fu tentato di allungare una mano verso Fernando, racchiuderla tra le sue dita, ma si bloccò. Sarebbe stato l’ennesimo gesto di cui poi si sarebbe pentito, soprattutto pensando all’effetto che avrebbe potuto avere sull’altro.
-Sta tranquillo, so badare a me stesso- Fernando gli sorrise, seppure debolmente. Bevette un sorso generoso del suo spritz, prima di tornare a parlare:
-Allora … - iniziò a dire – Devi ancora finire di raccontarmi di Giacomo-.
Pietro rise appena:
-Cos’altro vuoi sapere?-.
Fernando sembrò pensarci su qualche secondo, prima di avere una risposta:
-A chi assomiglia di più?-.
E Pietro stavolta rise davvero, il cuore un po’ più leggero rispetto a pochi minuti prima.







*il copyright della canzone (Kodaline - "High Hopes") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
L'estate del 2019 è di certo ben diversa da quelle che l'hanno preceduta, almeno per Giulia e Filippo. A quanto pare le cose tra loro ancora non si sono sistemate del tutto, con una Giulia al limite della disperazione, e che continua a sentirsi abbandonata dal marito. Con la fine del suo sfogo arrivano le scuse di Filippo, ma riuscirà a mantenere la parola data?
Nel frattempo i primi giorni di Pietro con il piccolo Giacomo stanno andando meglio del previsto! Infatti, in barba a tutte le previsioni più negative, il clima in casa appare tranquillo. E poi, con questo aggiornamento, anche l'ultimo tassello del puzzle rappresentato dal prologo è andato al suo posto: il flash forward che riguardava Pietro, infatti, riguarda questo capitolo. Concludiamo con l’ultima scena: Pietro si è effettivamente incontrato con Fernando, dopo diverso tempo passato nel silenzio tra loro, e con notizie non buonissime... Anche se, dal finale, sembra che la loro serata proseguirà su una nota più serena. 
Siamo ormai agli sgoccioli di Growing, e quindi non ci rimane altro che darvi appuntamento a mercoledì 1°marzo per il penultimo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 40 - Running from my shadow ***


Prima di lasciarvi all'aggiornamento di stasera, volevamo darvi un piccolo annuncio su una cosa che arriverà tra due settimane, in concomitanza con la pubblicazione del gran finale: stiamo lavorando per aprire i nostri profili social su instagram e facebook!
Quindi stay tuned, e preparatevi a seguirci anche lì 
😎
 


CAPITOLO 40 - RUNNING FROM MY SHADOW


 
 
Well, you almost had me fooled
Told me that I was nothing without you
Oh, but after everything you've done
I can thank you for how strong I have become

’Cause you brought the flames and you put me through hell
I had to learn how to fight for myself
And we both know all the truth I could tell
I'll just say this is I wish you farewell [1]
 
“-La cosa assurda è che in realtà mi sei mancato. Non abbiamo più parlato perché io … Perché io non ho lasciato che succedesse. Perché avevo paura di te, e di quella parte di me che sei tu-.
-Perché parliamo adesso?-.
-Perché se c’è una parte di te in me, deve esserci una parte di me in te-.” - Mr Robot
 

Nonostante fosse quasi sera il sole estivo non sembrava intenzionato a calare. La finestra aperta non dava alcun sollievo, e ad Alessio non era rimasto altro che afferrare una scartoffia sulla sua scrivania e sventolarsela addosso, cercando un po’ di refrigerio momentaneo.
Lavorare il 14 di Agosto era letteralmente un’agonia, persino per lui, che del suo lavoro adorava ogni aspetto, dal più noioso a quello più creativo. Doveva resistere ancora poco: ancora dieci minuti e poi si sarebbe potuto alzare dalla sedia del suo ufficio fin troppo accaldato, pronto a rimettersi in auto ed andarsene verso Venezia; poteva risparmiarsi ore di straordinario il giorno prima dell’inizio delle ferie di Ferragosto.
Gli ultimi minuti passarono con l’inerzia tipica degli ultimi attimi del quotidiano lavoro, più lenti di tutte le altre otto ore. Alessio controllò un’ultima volta l’ora sul display del cellulare, prima di spegnere il computer ed alzarsi definitivamente, con un sospiro di sollievo. Ignorò le pieghe che si erano formate sulla camicia, arrotolandosi meglio le maniche fino ai gomiti; recuperò tutte le sue cose sparse sulla scrivania, prima di uscirsene dall’ufficio con un sospiro di sollievo misto a stanchezza.
Percorse con passo lento il corridoio che l’avrebbe condotto prima all’hall dell’azienda e poi fino al parcheggio. Non c’era quasi nessuno oltre a lui: gran parte degli impiegati e dei programmatori avevano preferito prendersi l’intera settimana di ferie. Alice gli aveva rinfacciato diverse volte di non aver fatto lo stesso: poco era cambiato che Alessio avesse cercato di spiegarle che, se voleva ottenere una qualche promozione il prima possibile, più lavorava e meglio sarebbe stato.
Salutò gli ultimi colleghi rimasti, senza però fermarsi a parlare con nessuno di loro, conscio che ad Alice avrebbe fatto comodo vederlo tornare a casa quanto prima. Su quel punto, perlomeno, non poteva darle torto: non doveva essere facile rimanere tutto il giorno con un neonato appresso, per quanto Christian si fosse rivelato un bambino piuttosto calmo.
Rallentò appena il passo in prossimità della hall, quando udì diverse voci parlare tra di loro con toni alti. Gli sembrò di non riconoscerne nessuna, segno che dovevano appartenere a gente di qualche altra azienda venuta lì per chissà quale motivo.
Si pentì di essere arrivato lì in quell’esatto momento nell’attimo in cui, percorrendo gli ultimi metri del corridoio, si ritrovò di fronte ai padroni di quelle voci. Si ritrovò ad essere sorpreso, quasi amareggiato, nel rendersi conto di non aver riconosciuto nemmeno la voce dell’unica persona che, tra tutte le presenti, conosceva fin troppo bene.
Alessio si bloccò a metà strada, incapace di continuare a camminare, gli occhi sgranati e il respiro che cominciava a farsi sempre più irregolare. Per un attimo pensò, sperò, che fosse solo un qualche miraggio dovuto al caldo; dovette ricredersi il secondo dopo, quando incrociò gli occhi neri di Riccardo, posatisi su di lui, probabilmente sentendosi troppo osservato.
Potevano essere passati anche cinque anni da quando l’aveva visto l’ultima volta, ma suo padre non era cambiato molto. Solo i capelli erano ormai più brizzolati che neri, il viso forse più asciutto di come lo ricordava. Conservava la stessa sicurezza di sempre, dritto nel suo gessato grigio: in quell’istante, osservandolo, Alessio quasi si vergognò del suo volto tirato e stanco per tutte le nottate in bianco per gli strilli di Christian, della sua camicia stropicciata e dei capelli ormai lunghi fino alle spalle.
Era sicuro che, se non avesse mosso un passo, Riccardo non gli si sarebbe mai avvicinato. Continuava a guardarlo, nemmeno troppo sorpreso – o forse era solo lui piuttosto bravo a dissimularlo-, e a parlare con un collega che gli stava di fronte.
Quell’ennesima mancanza di interesse spinse Alessio a fare quello che, in qualsiasi altra situazione, non avrebbe avuto il coraggio di fare: mosse il primo passo verso Riccardo, arrivandogli a qualche metro di distanza in meno tempo di quel che si sarebbe aspettato.
Fu solo quando gli fu di fianco che Riccardo sussurrò qualcosa sbrigativamente al collega per accomiatarsi, e voltarsi verso il figlio.
-Che ci fai qua?-.
Alessio se ne fregò di essere in mezzo a tanta altra gente. Probabilmente in molti dovevano essersi girati a lanciargli qualche occhiata, altri dovevano ancora stare a fissarlo, ma non vi badò. Tenne gli occhi chiari fissi su Riccardo, di fronte a lui, la stessa espressione enigmatica di sempre.
Ora che lo aveva più vicino poteva notare qualche ruga in più a solcargli il viso, una ragnatela di segni intorno agli occhi scuri.
Riccardo si sistemò la cravatta con un gesto veloce, sospirando profondamente:
-Affari di lavoro-.
Non sembrava intenzionato a sbottonarsi più di tanto, ma aggiunse subito:
-Non sapevo lavorassi qua-.
Ad Alessio venne quasi da ridere: era abbastanza sicuro che, invece, Riccardo fosse tutt’altro che sorpreso di vederlo lì. Doveva essergli giunta voce, nell’arco di un anno intero, che suo figlio fosse stato assunto dalla sua stessa ex azienda.
-Ci sono tante altre cose che non sai oltre a questa- gli dette corda, senza soffermarsi sulla questione.
Riccardo si lasciò andare ad un ghigno finto:
-Non ne dubito-.
Ad Alessio venne voglia di correre via il più veloce possibile, ma si costrinse a rimanere. Aveva ripensato a suo padre così spesso negli ultimi mesi che stentava quasi a credere che ora fosse veramente lì di fronte a lui, dopo cinque anni lunghissimi in cui di lui non aveva avuto nemmeno la minima notizia.
Ora che lo aveva lì gli tornarono in mente tutti i motivi per cui non gli era mai mancato in tutto quel tempo: lo sguardo ermetico, le poche parole che pronunciava, la vena di sufficienza nella voce che non veniva mai a meno. Potevano anche passare mille anni, ma era sicuro che Riccardo non sarebbe mai cambiato.
-Hai da dire solo questo?-.
Si sentì estremamente patetico mentre gli rivolgeva quelle parole, ed era solo l’inizio. Si pentì amaramente di aver continuato quella conversazione quando anche il ghigno sulle labbra di Riccardo si gelò:
-C’è altro che dovrei dire?- gli rispose, la finta sorpresa ad accompagnare quella domanda.
Alessio sentì talmente tanta rabbia crescere che dovette faticare a non urlargli in faccia.
-Sono passati cinque anni dall’ultima volta che mi hai visto- iniziò, un sorriso amaro ed ironico a distendergli le labbra – Magari un “come stai?” sarebbe gradito. Sai, è semplice buona educazione, non per forza una dimostrazione d’interesse verso l’altro-.
Se quelle parole colpirono Riccardo non riuscì a capirlo: restò silenzioso per qualche secondo, osservando Alessio dall’alto in basso per tutto il tempo.
-Sembri passartela bene- commentò infine, alzando un sopracciglio.
-Anche tu- Alessio gli restituì lo stesso sguardo – Forse con una tinta ai capelli staresti anche meglio-.
Suo padre rise appena – una risata che ad Alessio parve talmente finta da risultare fastidiosa-, mentre continuava a squadrarlo. Per un attimo, talmente veloce che gli parve quasi di esserselo solo immaginato, ad Alessio sembrò di scorgere un velo di tristezza negli occhi neri di Riccardo.
-Non sembri essere cambiato molto- gli disse infine, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti.
-Nemmeno tu-.
Alessio abbassò per un attimo gli occhi, esitante forse per la prima vera volta da quando avevano iniziato a parlare. Non aveva mai davvero preso in considerazione l’idea di rivedere Riccardo, non entro breve tempo. Ritrovarselo lì di fronte era anche l’occasione per chiedergli un confronto, anche solo qualche parola su come si era sentito lui quando era diventato padre, ed era anche l’occasione per affrontare le ombre che l’avevano inseguito per tutti quei mesi.
Quello che stava venendo meno, in quel momento, era la forza di chiederglielo ad alta voce. Si sentiva le iridi scure di Riccardo addosso: non era una sensazione a cui era abituato. Lo metteva a disagio, come se di fronte a lui non ci fosse nulla a poter coprire le sue vulnerabilità.
-Ti devo parlare- mormorò a mezza voce, dopo quasi un minuto di silenzio.
Vide Riccardo strabuzzare gli occhi, sorpreso sul serio:
-Di cosa?-.
-È una storia lunga- rispose Alessio, sbrigativamente. Sperava che Riccardo gli dicesse di vedersi un altro giorno, lontano da lì: gli serviva tempo per mettere insieme i pezzi e cercare di dare una logica ai suoi pensieri che l’avevano accompagnato per così tanto tempo. Dubitava moltissimo che sarebbe riuscito a parlare sul serio, così su due piedi.
Riccardo dette un’occhiata all’orologio che portava al polso, prima di tornare a guardare Alessio:
-Temo di non potermi fermare ora-.
“Meglio così”.
Alessio annuì, cercando di nascondere il proprio sollievo:
-Vivi sempre a Padova?-.
Non aveva idea di dove vivesse adesso suo padre: poteva essersi trasferito anche dall’altra parte del mondo, e lui ne sarebbe comunque rimasto all’oscuro. Davanti al lento annuire di Riccardo, però, si rese conto che, in fin dei conti, in cinque anni non era davvero cambiato granché.
-Che io sappia, sì- gli rispose semplicemente.
Alessio si morse il labbro inferiore, rimanendo in silenzio per qualche secondo prima di avanzare la proposta che aveva da fargli. Era l’insicurezza a frenarlo, la paura di vedersi rifiutare – di nuovo, per l’ennesima volta- e non sapere come reagire di fronte a quell’eventualità.
-Possiamo vederci lì un altro giorno?- chiese infine, a mezza voce – Non te lo chiederei se non fosse importante-.
Gli era sembrato quasi necessario aggiungere quella precisazione, come se fosse fondamentale fargli sapere che, in qualsiasi altra situazione, non si sarebbe mai nemmeno sognato di chiedergli una cosa simile. Riccardo non lasciò trasparire nulla di ciò che poteva star pensando, rimanendo fermo all’espressione inflessibile che aveva mantenuto la maggior parte del tempo.
Quando riaprì bocca per rispondere, Alessio non aveva la minima idea di cosa aspettarsi.
-Chiamami venerdì- la voce di Riccardo non era sfumata da nessuna inflessione, nessuna insicurezza o esitazione – Dovresti avere ancora il mio numero-.
Alessio annuì, cercando di ricordare se, effettivamente, avesse qualche contatto telefonico di suo padre registrato. La realizzazione del significato di quell’accettare la sua proposta gli arrivò solo in un secondo momento, come se la sola idea di rivedere Riccardo una seconda volta in pochi giorni fosse al di là di ogni sua qualsiasi aspettativa.
Anche in quel momento non capì come reagire: si sentiva contento all’idea di parlargli? Forse in fondo, in quegli anni, qualcosa in Riccardo poteva essersi ammorbidito. Dubitava che anni prima avrebbe ceduto a quella sua richiesta così facilmente, senza nemmeno chiedere spiegazioni. O forse avrebbe dovuto fare attenzione, come sempre, a non andare a sbattere contro il solito muro che c’era sempre stato tra di loro.
-Non è che poi troverai qualche scusa del cazzo per evitarmi?-.
Riccardo lo guardò stranito per qualche secondo, prima di ricomporsi:
-Se volessi evitarti te lo direi chiaramente-.
Quella risposta era esattamente da lui, parole che a Riccardo si adattavano perfettamente. Alessio annuì ancora una volta, lanciandogli un’ultima occhiata, prima di superarlo e girarsi verso di lui fugacemente:
-Ti chiamo venerdì-.
 
*
 
Di bestie come te
Ce ne sono in giro e non è facile
Scoprirle e sai perché
Sono fabbricanti di maschere

Ti sputano nel mondo
Solo per avere un pasto facile
Io sono ancora qui
Ho la pelle dura pure più di te
 
Piazza dei Signori era gremita a quell’ora del tardo pomeriggio. Ad Alessio sembrava di essere in piazza San Marco durante le ore di punta, quelle in cui a malapena si riusciva a fare un passo senza incappare in un qualche turista o in un qualche piccione che zampettava a terra. Anche a Padova di turisti ce n’erano parecchi, fin troppi, in un miscuglio di lingue molteplici. Per quanto si fosse sforzato, Alessio non riusciva a capire in che lingua stessero parlando i membri della famiglia seduti al tavolino di fianco al suo.
Faceva parecchio caldo, in città, ancor di più che a Venezia: non c’era il mare a mitigare almeno un po’ la calura d’Agosto, né l’ombra tra le calli a cui chiedere ristoro. Padova risplendeva di luce solare, nei suoi palazzi antichi e nei vivaci locali del centro.
Alessio si torturò le mani, guardandosi intorno per l’ennesima volta: doveva ancora capire se sperava di vedere spuntare Riccardo, o se la paura di vederlo fosse ancora più forte.
L’aveva chiamato il giorno prima, tutto come previsto. Era stata una chiamata piuttosto breve e veloce: era bastato chiedergli quando potessero trovarsi in centro per almeno un’ora, e Riccardo gli aveva dato appuntamento a quel sabato pomeriggio. Il resto era stato tutto attesa, timore di non riuscire a spiccicare parola o non riuscire a dire davvero quel che voleva dirgli.
Non era stato troppo difficile tenere all’oscuro Alice della sua vera ragione per la sua visita a Padova. Di certo non si era insospettita troppo quando le aveva detto che sarebbe passato da sua sorella per qualche ora: si era limitata ad annuire, fargli qualche domanda, e a lasciarlo andare. Forse un giorno le avrebbe raccontato la verità, ma non subito. Per il momento si sarebbe tenuto quel momento per sé, in qualunque modo sarebbe andato.
Quando si girò nella direzione opposta in cui era voltato, quasi sussultò nell’accorgersi di Riccardo a qualche metro dal suo tavolo. Rimase ad osservarlo fino a quando non arrivò alla sedia di fronte alla sua, spostandola lentamente.
-Cominciavo a pensare non ti saresti presentato- Alessio lo tenne osservato, mentre Riccardo si sedeva. Pur non in giacca e cravatta come il giorno in cui l’aveva visto in azienda, Riccardo conservava la stessa aria distinta che l’aveva contraddistinto tutta la vita: la camicia bianca gli dava un’aria di fascino che Alessio gli invidiava.
-Non trovavo parcheggio- disse, semplicemente, accavallando una gamba sull’altra – Problema che tu di certo non hai a Venezia-.
Alessio sbuffò debolmente:
-Ne ho tanti altri, di problemi, a Venezia-.
Rimasero in silenzio qualche minuto. Passò il cameriere, prendendo le ordinazioni; tornarono in silenzio subito dopo, in uno stallo che stava cominciando a far sudare Alessio. Inaspettatamente fu Riccardo a prendere parola, dopo che arrivarono i loro caffè:
-Cosa devi dirmi?-.
“Troppe cose”.
Alessio si prese un secondo per decidere da dove iniziare, prima di domandargli a sua volta:
-Hai sentito la mamma ultimamente?-.
-Non la sento da un po’- replicò Riccardo, zuccherando il suo caffè. Alessio prese la tazzina, bevendolo amaro e in un unico sorso.
-Allora non sai la novità- mormorò, subito dopo. Si torturò le mani, esitante. Si aspettava che sua madre non parlasse con Riccardo da tempo: era piuttosto sicuro che, se fosse stato il contrario, Eva non sarebbe stata in grado di tenersi per sé quell’informazione troppo a lungo.
-Ho avuto un figlio-.
Alzò lo sguardo, osservando le iridi nere di Riccardo scrutarlo immobili.
-È nato lo scorso mese- Alessio riportò la tazzina sul tavolo, con un colpo secco – Quindi congratulazioni, sei diventato nonno-.
Riccardo abbassò gli occhi solo per un qualche secondo, ma bastò comunque ad Alessio per avere l’impressione fugace – quasi inesistente- che per quell’attimo, inaspettatamente, le sue barriere fossero quasi crollate.
Quando rialzò lo sguardo, tornò tutto come sempre:
-Non lo sapevo- Riccardo non gli rivolse nemmeno un cenno che potesse far supporre una sua qualche contentezza – Come si chiama?-.
-Christian- mormorò Alessio, quasi pentendosi di pronunciare il nome di suo figlio davanti a suo padre. Quasi sentendosi in dovere di spiegare la scelta del nome, aggiunse:
-Sua madre è inglese-.
Riccardo annuì, sospirando a fondo:
-Quindi ora ti stai abituando alla vita da padre-.
Suonava vagamente come una presa in giro, ma Alessio decise – con uno sforzo enorme- di non badarci. Non poteva rischiare di litigare, non subito almeno.
Strinse talmente forte le mani, nell’attesa che la rabbia calasse, che le nocche sbiancarono.
-Tu invece non dovrai abituarti a quella da nonno-.
Riccardo non si prese nemmeno la briga di negare, disinteressato al fatto che quel silenzio sottintendesse esattamente quello, che lui non avrebbe fatto parte della vita di suo nipote.
Alessio lo guardò freddamente, un sorriso amaro a disegnargli le labbra:
-Pensavo che almeno su un argomento simile avresti avuto qualcosa in più da dire-.
Osservò suo padre respirare teatralmente, mentre allargava le braccia:
-Mi hai preso in contropiede, lo ammetto- disse con voce stanca, distaccata – Ma ad essere sinceri, quello che penso io ha un’importanza limitata: sei tu il padre, ora. Ma ho l’impressione che tu non ne sia del tutto felice-.
Alessio si strinse nelle spalle istintivamente, come in un ultimo tentativo di coprirsi dagli occhi neri di Riccardo, a cui non doveva essere sfuggita nemmeno quella sfumatura di difesa.
“Colpito e affondato”.
-Non è vero-.
Si rese conto, in un attimo, che stava cercando di dirlo a se stesso, non a Riccardo. Non gli importava davvero cosa potesse pensare suo padre: gli importava cosa pensava di sé, del convivere con il timore che, forse, la felicità era ben lontana dall’essere presente.
Per un attimo gli tornò in mente il momento in cui aveva visto Christian la prima volta, in ospedale: si era sentito in colpa e pieno di gioia allo stesso tempo, in un miscuglio difficile da districare.
-Forse all’inizio non è stato facile … - lo disse ancora a mezza voce, di nuovo più tra sé e sé – Ma voglio bene a mio figlio-.
 
Non è mai semplice
Accettare di riconoscerti
Tra le mie rughe che
Assomigliano sempre di più alle tue
È questo sangue che
Sa un po’ di mostro e anche un po’ di me
Mi fa pensare che vorrei dirti grazie
Perché non ci sei
 
Calò un silenzio che lo mise a disagio. Si sentì quasi nudo, di fronte alla mancata risposta di Riccardo, tanto da non riuscire nemmeno a sostenerne lo sguardo.
Per un attimo pensò che essere lì era soltanto un errore, una debolezza derivante dalla sua insicurezza. Qualcosa che Riccardo avrebbe potuto rigirare a suo vantaggio, per l’ennesima volta.
-Non ne dubito- lo sentì dire infine, la voce inflessibile ed asciutta.
-Non sono qui per dirti solo questo-.
Alessio si sentì estremamente stupido nel cercare di portare avanti comunque quella conversazione. Forse era l’istinto masochista che stava prendendo il sopravvento sul raziocinio, ma non cercò di dissuadersi dal lasciare perdere nemmeno in quel momento.
-Volevo anche chiederti una cosa- si costrinse ad articolare, le mani strette a pugno per l’agitazione – Come è stato per te, prima che nascessi io? Quando hai saputo che sarei nato … Cos’hai provato?-.
C’era qualcosa di diverso nelle iridi nere di Riccardo, qualcosa di sfuggente e che Alessio non sapeva come definire. Era forse uno sguardo meno duro, meno tagliente di quello che gli aveva rivolto fino a quel momento, anche se privo di calore.
Lo vide alzare un sopracciglio, sorpreso:
-Sei sicuro di volerlo sapere?-.
Non doveva essere qualcosa che potesse aspettarsi, di questo Alessio ne era sicuro. Non era sicuro, invece, di voler davvero la risposta alla domanda che si era posto in continuazione negli ultimi mesi. Annuì comunque: a che poteva essere servito essere arrivati a quel punto, se poi rinunciava in partenza ad un po’ di sincerità che poteva avere da Riccardo?
Era sicuro che gli avrebbe fatto male sapere, qualunque cosa suo padre dicesse. Ma non poteva nemmeno essere un male minore di quel che gli aveva già fatto per tutta la vita.
Riccardo abbassò lo sguardo per qualche secondo, senza dire nulla. Sembrava essere lui in difficoltà, stavolta, preso in contropiede da domande riguardo cose a cui non doveva aver pensato da anni.
Alessio si ritrovò quasi a sperare di poter sapere cosa gli stesse passando per la mente in quel momento.
-È difficile racchiudere in qualche parola quel che si prova a diventare padre-.
Sospirò rumorosamente, d’un tratto inquieto, mentre tornava a fissare Alessio quasi in modo truce.
-È stato più facile nei mesi prima che tu nascessi, le difficoltà sono venute dopo-.
-Che vuoi dire?- chiese subito Alessio. Non che gli fosse difficile credere a quel che Riccardo aveva appena detto: voleva solo capire quando le difficoltà erano comparse, e forse in parte anche il perché.
-Che non tutti siamo tagliati per la genitorialità. Lo si scopre strada facendo: non puoi saperlo prima, né saperlo subito- Riccardo si torturò le mani, portandosele in grembo – Lo capisci col tempo-.
Ad Alessio parve più una presa in giro che altro:
-Non mi meraviglia che tu abbia capito di non essere in grado di essere un padre-.
Si rese conto di averlo detto con aggressività, quasi sibilandoglielo in faccia. Per un attimo la tentazione di alzarsi ed andarsene sul serio fu fin troppo forte.
Poi ricordò il motivo per cui era lì: era proprio quello, il capire cosa avesse spinto Riccardo ad essere quel che era, ad averlo spinto a parlargli dopo anni di silenzio.
Si costrinse a rimanere, a respirare a fondo fino a quando non sentì di essersi almeno in parte calmato. Non guardò nemmeno Riccardo, insicuro di voler sapere cosa avrebbe potuto ritrovare nelle iridi scure in quel momento.
-Però ora sto cominciando a chiedermelo anche io, se ne sarò in grado-.
Alessio si bloccò di nuovo, alzando gli occhi chiari. Si ritrovò di fronte il viso di granito di suo padre, le rughe intorno agli occhi, i capelli sempre più grigi e non più neri come una volta. Era incredibile come, sotto i segni dell’età, i loro lineamenti continuassero ad essere percorsi dalle stesse linee, dalle stesse sfaccettature.
-Se finirò come te. Se anche mio figlio un giorno preferirà non vedermi affatto piuttosto che sopportarmi-.
Gli occhi di Riccardo erano cambiati negli ultimi anni. Sembravano stanchi, di quella stanchezza non solo fisica che, Alessio ne era sicuro, avrebbe avuto anche su di lui gli stessi identici segni evidenti.
-Ho passato gli ultimi mesi a chiedermelo ogni minuto di ogni giorno. E mi domando anche se le cose sarebbero potute essere diverse, se ti avessi avuto accanto-.
 
Poche rughe
Di espressione
Più nient'altro di te
Sopravvive in me
 
Si morse il labbro inferiore, quando temette di sentire la propria voce incrinarsi. Se c’era una cosa che non avrebbe fatto era piangere di fronte agli occhi freddi di Riccardo.
-Non so neanche cosa significhi avere un padre, come potrei sapere cosa voglia dire esserlo per qualcun altro?-.
Per la prima volta si rese conto di non aver detto quelle parole con il solo intento di ferire Riccardo. Erano domande a cui avrebbe volentieri dato una risposta, più che voler vedere una qualche reazione da parte di suo padre.
Riccardo si mosse appena sulla sedia, forse vagamente toccato da quel che aveva appena udito. Alessio vide il suo sguardo indurirsi ancor di più:
-Nessuno può avere la presunzione di saperlo. Non è qualcosa per cui ti prepari prima, o che sai esattamente come andrà- disse, la voce fredda – Ti ci abitui, impari dagli errori. Oppure nel farlo, ne farai anche di più. È così che funziona-.
Alessio rimase sbigottito, quasi sbalordito: non riusciva a ricordare una qualsiasi altra situazione in cui Riccardo aveva dato segni di disagio. L’aveva sempre conosciuto per la sua flemma pacata, indistruttibile nella sua freddezza in qualsiasi momento; per la prima volta riuscì quasi a vedere un sottile incrinarsi dell’aura fredda e distaccata che suo padre aveva avuto da sempre.
Per anni aveva inseguito quella reazione: avrebbe voluto vedere molte più volte Riccardo cedere a qualche emozione che non fosse semplicemente egoismo o disinteresse. Non si stupì, però, nel rendersi conto che, in realtà, in quel momento non gliene importava.
-L’unica cosa che so è che non voglio essere come te-.
Alessio lo disse senza l’intento di pungere di nuovo Riccardo come poco prima. Era una semplice constatazione, qualcosa di viscerale che sapeva già da molto tempo.
-Non puoi neanche immaginare quanto possa fare male avere una speranza del genere- mormorò, tenendo gli occhi fissi sul viso di Riccardo.
La collera che sembrava averlo animato fino ad un minuto prima sembrò diminuire: per quanto fosse difficile interpretare una qualsiasi delle sensazioni che dovevano influenzarlo, Riccardo sembrò abbassare gli occhi quasi dolorosamente.
Annuì lentamente, passando una mano sulla superficie del tavolo:
-Penso tu sappia già cosa fare per evitare di essere come me-.
Alessio lo guardò per un’ultima volta, prima di alzarsi dalla sedia dove era rimasto seduto per almeno un’ora. Sentì addosso gli occhi scuri di Riccardo seguire ogni movimento, in silenzio. Anche Alessio lo guardò a lungo: ne voleva memorizzare ogni dettaglio, da quello che odiava di più a quello che, seppur controvoglia, gli sarebbe mancato ogni singolo giorno.
-Sì. Ora che ci penso è meglio che me ne torni a Venezia. Da mio figlio-.
Fece per incamminarsi, senza attendere nemmeno una risposta da Riccardo, ma si bloccò. C’era un’ultima cosa che voleva chiedergli, qualcosa che si era domandato da quando l’aveva rivisto.
-Perché hai accettato di parlarmi?- gli chiese, con voce ferma – Non ti sei mai fatto vivo in tutti questi anni. Eppure sei venuto qui quando te l’ho chiesto-.
Non riuscì ad intuire nulla dei pensieri di Riccardo attraverso la sua espressione vuota, e quel particolare lo fece pentire ancor di più di averglielo chiesto – e di avergli chiesto di incontrarlo.
-Curiosità-.
Riccardo non esitò nel rispondere, gli occhi neri che dardeggiavano su Alessio.
-Ero curioso di sapere cosa avevi da dirmi dopo tutto questo tempo-.
“Quindi sono solo questo” Alessio si ritrovò a pensare, rendendosi conto che avrebbe potuto intuirlo sin da subito, “Solo una pedina di stranezza”.
Stavolta si allontanò davvero, senza dire null’altro. Non sapeva se quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivisto, ma non si voltò indietro lo stesso.
 
Un cognome da portare
Solo questo sarai
Né mai più mi vedrai
 
*
 
Non c'è più paura
E non c'è niente
Quello che era gigante oggi non si vede
Sulla schiena trovi cicatrici
E lì che ci attacchi le ali
 
-Sei diverso-.
Alessio si voltò lentamente verso Alice, in piedi sulla soglia della camera di Christian. Nonostante il parto, era già dimagrita parecchio: le sarebbe servita solo qualche altra settimana per tornare alla sua linea di sempre. I capelli rossi, più corti di quelli di Alessio, seppur di poco, le contornavano il viso arrossato per il caldo. Guardandola, così graziosa ed eterea, Alessio quasi si dispiacque del fatto che Christian sembrava aver ereditato più i suoi tratti che quelli della madre: i ciuffi biondi non accennavano a scurirsi, ed anche le iridi erano rimaste azzurre esattamente come alla nascita.
-In che senso?- le chiese, aggrottando la fronte.
Quando era tornato a casa, dopo l’incontro con Riccardo, non le aveva spiegato subito cos’era successo in realtà. Aveva eluso abbastanza abilmente le domande che Alice gli aveva posto, ripromettendosi di dirle la verità non appena si sarebbe sentito pronto a farlo. Era passato qualche giorno prima che questo avvenisse, ed in mezzo aveva dovuto mettere in conto anche un tatuaggio.

Do you ever cry for the days gone by?
Do they haunt you like a ghost until the end?”.

Ricordava ancora bene quanto doloroso fosse stato incidere il primo tatuaggio sul polso, l’anno prima. Quel secondo tatuaggio, se possibile, lo era stato anche di più, fisicamente e a livello mentale. Era stato quasi catartico, incidersi sulla pelle quelle parole, come se racchiudere nell’inchiostro tutto quello che poteva pensare su Riccardo lo potesse aiutare a metabolizzare.
Ora che a distanza di qualche giorno la sua pelle cominciava a cicatrizzarsi, sotto la pellicola che proteggeva i tratteggi sulla sua scapola destra, anche Alessio sentiva che lo strappo subito con l’incontro con Riccardo stava cominciando a guarire. Era come se pian piano l’ombra di suo padre se ne stesse andando, e lui potesse smettere di correre per scappare. Non era stato quel che si era aspettato, quello che aveva agognato, ma gli era servito ugualmente.
-Non lo so-.
Alice avanzò verso l’interno della camera, affacciandosi alla culla: Christian si era appena riaddormentato, dopo un’ora in cui Alessio aveva cercato di tranquillizzarlo e farlo smettere di piangere. Si era calmato solo quando aveva iniziato ad intonare una qualche canzone che ora nemmeno ricordava.
-È che sei tornato, e mi sei sembrato diverso da quando eri uscito di casa per Padova- continuò Alice, accostandosi ad Alessio, in piedi accanto alla culla – Non saprei dirti come, ma lo sei-.
Quando le aveva raccontato tutto, Alice l’aveva ascoltato in silenzio. Quella era stata forse la prima volta, da quando era rimasta incinta, in cui si erano parlati sinceramente. Per Alessio era stata quasi una liberazione, ancor di più quando Alice si era dimostrata più comprensiva di quel che si sarebbe aspettato.
-Forse più sereno, ecco- Alice gli poggiò il capo sulla spalla sinistra, sospirando – Sì, direi sereno-.
Alessio si limitò ad annuire, senza dire nulla. Forse Alice non aveva tutti i torti: forse del tutto sereno non ci si sarebbe mai sentito, e forse era ancor più strano pensare che tra tutte le ferite che Riccardo poteva avergli inflitto fosse nata comunque una consapevolezza di potercela fare, ma in parte era proprio così.
Per una volta, dopo parecchio tempo, si sentiva sereno.
 
I'm proud of who I am
No more monsters, I can breathe again
And you said that I was done
Well, you were wrong and now the best is yet to come
'Cause I can make it on my own
And I don't need you, I found a strength I’ve never known





 
[1] Kesha - Praying
[2] Ermal Meta - Lettera a mio padre
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Ormai siamo giunti ad agosto inoltrato e, con il calore che caratterizza questo mese, arriva anche il penultimo capitolo di Walk of Life - Growing
Decisamente più inaspettato è l'incontro che Alessio ha avuto in queste righe. Un incontro, quello con il padre, che può essere definito propizio e che, volente o nolente, fa riemergere vecchi dubbi che il biondo aveva avuto nei mesi scorsi.
Era forse nell’aria un confronto tra padre e figlio, dopo anni di completa assenza … E stavolta Riccardo sembra non essere scappato dalla richiesta fattagli da Alessio. Alla fine Alessio si trova ad uscire da questo breve (ma carico di emozioni) dialogo sia con diversi strascichi dolorosi, ma anche con qualche spunto utile ai suoi dubbi... Un finale decisamente diverso da quello che a cui gli eventi passati ci avevano abituati.
E così, siamo giunti al penultimo capitolo di questa seconda parte. Manca solo l'ultimo... Cosa succederà nel gran finale?

Segnatevi la data del 15 marzo, perché sarà la serata in cui chiuderemo Growing!
Kiara & Greyjoy
 


 

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Capitolo 43
*** Capitolo 41 - Before tomorrow comes ***


Prima di lasciarvi all'aggiornamento di stasera, il gran finale di Growing, volevamo ringraziare tutt* coloro che ci hanno seguito in questo nostro percorso. Quindi un grazie di cuore a tutte le persone che hanno votato i nostri capitoli, commentato, o anche solamente letto 💙
Abbiamo deciso di aprire le nostre pagine social, in modo da potervi tenere aggiornati con ciò che verrà e magari discutere su tutto quello che abbiamo pubblicato finora. 
Ci trovate su Instagram (https://www.instagram.com/kimando714/) e su Facebook come Chiara Gioiagrigia (https://www.facebook.com/profile.php?id=100089602535826), quindi andate a seguirci!
Non staremo molto lontane da questi lidi, in ogni caso: infatti, torneremo con Adulthood, la terza parte della trilogia dedicata a Walk of Life, il 3 Maggio!🔜
Detto ciò, ci rivediamo con il finale di Growing e con le note finali!



 
CAPITOLO 41 - BEFORE TOMORROW COMES

 

 
I couldn't sleep, I had to listen
To a conscience, knowing so well
That nothing comes from indifference
I look inside of myself
 
«Non so se è il momento giusto, ma vorrei davvero vederti. Lo vorrei davvero tanto».
Giulia cercò di reprimere l’ennesima smorfia che quelle parole le causavano. Era dalla sera prima che cercava di togliersele dalla testa, senza molti risultati: Lorenzo era riuscito a catalizzare su di sé i suoi pensieri con un unico, laconico quanto supplichevole messaggio.
Aveva riflettuto per tutta la sera su cosa rispondergli, come se la risposta fosse tutt’altro che semplice. Lorenzo le aveva chiesto di vederla nel momento più sbagliato possibile, anche se le cose con Filippo sembravano essere migliorate davvero negli ultimi tempi. Rimaneva comunque una di quelle settimane completamente no: i crampi che il ritorno del ciclo le stava causando non erano facili da ignorare.
Tornare a riabituarsi al proprio corpo dopo il parto si stava rivelando più difficile di quel che si sarebbe mai aspettata: c’erano giorni in cui si sentiva sformata, gonfia, al limite del riconoscersi. Trovava quasi ironico però che, nel giorno dell’anniversario del suo matrimonio, il suo corpo avesse deciso una volta per tutte di darle il segnale definitivo che la gravidanza era finita del tutto, che era ora di tornare ad abituarsi a com’era prima.
Si sedette stancamente sul divano, nel silenzio di casa sua. Filippo era uscito poco prima, assicurandole che quando sarebbe rientrato avrebbe avuto abbastanza pacchi di assorbenti per tutta la settimana. Giulia non aveva nemmeno dovuto insistere più di tanto per convincerlo a scendere nel primo negozio aperto per quell’emergenza: Filippo aveva accettato abbastanza quietamente, segno che, in fin dei conti, non si era del tutto dimenticato della promessa che le aveva fatto un mese prima.
Il campanello risuonò fragorosamente, riscuotendola di colpo. Giulia guardò rapidamente l’ora segnata sul display del proprio telefono, lasciato sul divano accanto a lei: Lorenzo sembrava essere in anticipo, ma non faceva alcuna differenza. L’importante era cercare di fargli evitare Filippo il più possibile.
Giulia si alzò, dolorante e con passo lento, per avvicinarsi al citofono. Premette il tasto per aprire il portone del palazzo senza nemmeno alzare la cornetta per controllare chi fosse, ben conscia di aspettare unicamente Lorenzo in quella giornata.
Rimase in piedi ad aspettare: si chiese, mordendosi il labbro inferiore, quanto si sarebbe trattenuto. Sperava fosse solo un saluto veloce, il suo. Non aveva idea di cosa potersi inventare nel caso Filippo fosse rientrato in anticipo: aveva preferito non dirgli nulla di Lorenzo, come se la cosa non lo riguardasse. In fin dei conti, era così: Lorenzo aveva scritto a lei, e per vedere solo lei. Continuava a ripeterselo per soffocare il senso di colpa che, inevitabilmente, la attanagliava ogni volta che ricordava di aver lasciato volontariamente Filippo all’oscuro di tutto.
Non passò più di qualche minuto prima che bussassero alla porta d’ingresso. Giulia si allungò per aprirla, rivelando Lorenzo oltre la soglia. Dal sorriso imbarazzato che aveva dipinto in viso non sembrava del tutto sicuro di ciò che stava facendo – e forse nemmeno lei lo era.
-Ciao- la salutò subito, mentre Giulia si faceva da parte per lasciarlo passare – Ti ho disturbata?-.
-No, non esattamente- mentì lei, richiudendo la porta. Si rese conto di sentirsi impacciata allo stesso modo di Lorenzo: non lo vedeva da un anno esatto, e ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile stare con lui al matrimonio con Filippo. Cercò di ignorare quei ricordi ancora una volta.
-Hai una bella casa-.
Lorenzo avanzò di qualche passo nell’atrio, guardandosi intorno. Sembrava sinceramente incuriosito di scoprire e vedere per la prima volta il luogo in cui viveva Giulia.
-Già, non mi lamento- disse lei, semplicemente.
Si chiese se fosse il caso di seguire qualche regola di cortesia – magari chiedere se voleva un po’ d’acqua per rinfrescarsi, un caffè o una qualsiasi altra cosa-, prima di andare al sodo. C’era una domanda che continuava a ronzarle in testa da quando aveva ricevuto il suo messaggio, e alla quale non era riuscita a dare una risposta certa.
Alla fine, fregandosene di qualsiasi formalità, si piazzò davanti a Lorenzo a braccia incrociate, guardandolo dritto in faccia:
-Perché sei venuto qui?-.
Lorenzo non parve sorpreso di udire quella domanda: era un dubbio più che lecito, tanto quanto l’altro che Giulia si stava trascinando dietro da quando aveva accettato di farlo venire a casa sua.
“Perché l’ho fatto?”.
-Volevo solo sapere come stavi- le rispose, quasi a mezza voce – E visto che oggi ero di passaggio qui a Venezia, volevo sapere se potevo vederti-.
Giulia soppesò per un po’ quelle parole. Non era una vera risposta, di quello era certa: in un anno Lorenzo non s’era mai fatto vivo nemmeno per una chiamata. Decidere di andare a visitarla direttamente a casa continuava a non convincerla.
-Sto bene, come vedi. E tu?- gli rigirò la domanda, stringendosi nelle spalle. La situazione continuava ad imbarazzarla esattamente come nel primo secondo in cui si era ritrovata di fronte Lorenzo, a farla sentire a disagio per il modo intenso con cui continuava a guardarla, come se le cose che voleva dirle fossero ben diverse da quelle che invece le stava rivolgendo.
-Non mi lamento- sospirò lui, alzando le spalle. Rimase qualche secondo in silenzio, prima di aggrottare la fronte:
-Sicura di stare bene?-.
Per un attimo Giulia ebbe la tentazione di dirgli che no, non stava affatto bene – i dolori alla pancia continuavano a stringerla in una morsa, si sentiva le gambe stanche e la testa che rischiava di scoppiarle-, ma poi vi rinunciò:
-Sì. Cosa ti fa pensare il contrario?- disse, cercando di abbozzare un sorriso di circostanza. Dovette trattenersi dal prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloni per controllare l’ora: non aveva idea per quanto ancora Filippo sarebbe rimasto fuori casa.
-Non lo so, solo un’impressione- le rispose Lorenzo, passandosi una mano sulla barba scura.
Prima che Giulia potesse farsi venire in mente qualcosa per portare avanti la conversazione – o per fargli capire che era meglio che se ne andasse-, il silenzio della casa venne interrotto dall’inizio di un pianto acuto, quasi disperato. Dopo pochi secondi quel primo strillo venne seguito anche da un secondo, segno che Caterina e Beatrice si erano svegliate entrambe e con qualche bisogno a cui Giulia doveva sopperire il prima possibile.
-Dio, le gemelle- Giulia chiuse gli occhi per un attimo, sentendosi ancora più stanca fisicamente al pensiero di dover badare ad entrambe contemporaneamente – Scusami, ma probabilmente dovrò cambiarle o allattarle-.
Vide Lorenzo abbassare gli occhi, stavolta palesemente a disagio. Per un attimo Giulia si chiese se si ricordasse del fatto che ora aveva delle figlie, e che non era solo più una questione riguardante il solo Filippo.
-Quasi mi ero scordato che ora sei una madre- mormorò lui, confermando implicitamente ciò che Giulia stava temendo. Le sembrò più in difficoltà che mai, in quel momento, tanto da farle quasi tenerezza e indurla ad addolcire il tono. Per un attimo accantonò persino l’idea di allontanarlo subito con la scusa di dover andare dalle figlie.
-Vuoi conoscerle?-.
Giulia si morse il labbro, ancora un po’ incerta se quella fosse stata una buona pensata. Era stata una domanda istintiva, su cui non aveva riflettuto molto.
Quando Lorenzo rialzò il viso, con un sorriso esitante dipinto sulle labbra, Giulia seppe già la risposta che stava per darle:
-Volentieri- annuì, gli occhi verdi più luminosi.


 
-Lei è Beatrice-.
Quando Giulia indicò la culla dove se ne stava la bambina bionda e urlante, il viso rosso per lo sforzo, Lorenzo sembrò quasi in panico. A lei venne quasi da ridere: era piuttosto evidente che non fosse abituato ai bambini piccoli. Dubitava persino che avesse rivisto Francesco qualche altra volta, dopo il giorno della sua nascita.
-E questa Caterina- proseguì, trattenendo una risata per l’espressione a disagio dell’altro.
Lorenzo si fermò davanti a Giulia, che ancora teneva saldamente tra le braccia Caterina, quella che tra le due sembrava aver preso più da Filippo: aveva gli stessi capelli scuri e ricci, e gli stessi occhi ambrati.
-Come mia sorella- disse, più tra sé e sé che a Giulia.
-Già- confermò lei, con un sorriso – Sono abbastanza buone, devo dire … Anche se stare dietro a due neonate è praticamente un’impresa-.
-Immagino che tuo marito ti dia una mano- le rispose Lorenzo, con una vena vagamente amareggiata ed ostile nella voce. Giulia cercò di ignorarla, anche se non poté reprimere del tutto il fastidio che provò nel sentirlo parlare di Filippo in quei toni. Rimase in silenzio anche perché non aveva intenzione di contraddirlo, né di alimentare quella discussione: l’ultima cosa che voleva era parlare della sua situazione con Filippo proprio con Lorenzo.
-Diciamo di sì- sospirò, senza troppa convinzione.
Prima che Lorenzo potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, la serratura della porta d’ingresso scattò. Giulia avvertì il rumore fin troppo distintamente, e fin troppo all’improvviso.
Quando si rese conto, in mezzo secondo, che quello significava solo una cosa, si sentì raggelare nel sangue.
Lanciò un’occhiata a Lorenzo, e rimise nella culla Caterina in tutta fretta: si sentiva così nei guai che riuscì persino ad andare oltre gli strilli delle figlie, ripromettendosi di pensarci appena avrebbe capito quanto la situazione si era fatta grave.
Quando uscì dalla camera delle gemelle per avviarsi vero l’ingresso, Giulia non si stupì affatto di ritrovarsi di fronte Filippo.
Aveva appena richiuso la porta d’ingresso, tenendo ancora in mano le sporte di plastica contenenti la poca spesa che aveva fatto. Quando si voltò verso Giulia, lei non gli lasciò nemmeno il tempo di dire nulla:
-Ehi!- lo salutò, cercando di sorridergli il più convincente possibile – Guarda chi è venuto a farci visita-.
Sapeva, anche senza voltarsi indietro, che Lorenzo doveva essere poco dietro di lei. Vide Filippo spostare lo sguardo da Giulia a lui e poi di nuovo verso di lei in una frazione di secondo, cambiando espressione altrettanto velocemente.
-Ciao- disse, abbastanza indifferentemente. Rimase immobile davanti all’ingresso, appoggiando con la mano libera le chiavi di casa sul mobile all’entrata.
-Ciao- Lorenzo si fece avanti, affiancando Giulia – Ero qui a Venezia, ho chiesto a Giulia se potevo passare per dare un saluto-.
Anche Lorenzo aveva cambiato atteggiamento: il sorriso esitante che aveva rivolto a Giulia la maggior parte del tempo era sparito, lasciando spazio solamente ad un volto tirato e per niente conciliante. Giulia cominciava a sentirsi soffocare dall’aria tesa che iniziava a respirarsi in quello spazio ristretto.
-Certo, non c’è problema- liquidò la questione Filippo, con un gesto sbrigativo della mano. Aveva cercato di dirlo in tono cordiale, ma l’unico risultato che ebbe fu quello di sembrare frettoloso e tutt’altro che disponibile.
Prima che Giulia potesse farsi venire in mente qualcosa per mettere alla porta Lorenzo e porre fine a quella situazione d’imbarazzo, fu Lorenzo stesso a trovare la soluzione:
-Ora dovrei andare, però-.
Si voltò verso Giulia per un attimo, come a chiederle silenziosamente il permesso di avviarsi verso la porta. Lei si ritrovò ad annuire debolmente, mentre gli faceva strada. Filippo si scostò velocemente, tenendo ancora le borse saldamente in mano ed avviandosi velocemente verso la cucina, senza dire una parola.
Quando Giulia aprì la porta d’ingresso per lasciare uscire Lorenzo, ebbe l’impressione che, nonostante il suo andarsene, le cose in casa non sarebbero migliorate.
-Ci vediamo- Lorenzo le si rivolse un’ultima volta, uscendo sull’uscio del pianerottolo – Avrei voluto rimanere per più tempo, ma ho l’impressione che non sarebbe una buona idea-.
Ora, più che ostile, sembrava solo dispiaciuto. Giulia si morse il labbro, a disagio:
-Già, non lo sarebbe- sospirò, a mezza voce – Grazie della visita, sul serio-.
Osservò per un’ultima volta Lorenzo, prima di richiudere la porta, lasciandolo fuori. Per i primi secondi, dopo averla richiusa, rimase immobile, le mani ancora sulla maniglia, cercando di regolarizzare il respiro.
Si chiese quando l’avrebbe rivisto la prossima volta: aveva la sensazione che, prima che succedesse, sarebbe passato parecchio tempo.
Rimase lì ancora per un po’, prima di avere il coraggio di muoversi. Le gemelle piangevano ancora, ma prima di tornare da loro, Giulia si fece coraggio e decise di fermarsi prima in cucina, dove Filippo stava sistemando le cose appena comprate.
Quando varcò la soglia vide Filippo che le dava le spalle, intento a riporre alcuni pacchi di biscotti nella credenza. Aveva quasi finito: erano rimaste poche cose sulla tavola – gli assorbenti che lei gli aveva chiesto di comprare erano lì, messi da parte, in bella vista-, e Giulia non ebbe il coraggio di parlare fino a quando Filippo non si girò verso di lei, per recuperare altre cose da mettere via.
-Che ci faceva lui qui?-.
Poteva sembrare una domanda casuale, più che legittima per qualcuno che era rimasto all’oscuro della cosa fino a quando non se l’era trovata sotto il naso. Ma bastava ascoltare con più attenzione, percepire quella lieve nota di risentimento e rabbia che Filippo doveva star covando in sé da quando aveva visto Lorenzo accanto a lei, non appena rientrato.
Anche in quel momento poteva apparire esteriormente calmo, ma il fatto che non la stesse nemmeno guardando mentre le parlava, per Giulia non fu altro che una conferma di quanto si stesse sentendo ferito.
-Quello che ti ha detto: solo un saluto. È restato qui sì e no dieci minuti- mormorò, dopo alcuni secondi di puro silenzio.
Filippo continuò con la sua indifferenza verso di lei: si voltò ancora una volta, aprendo qualche altro cassetto della cucina per mettere via le ultime cose.
-Non mi hai neanche avvisato- disse ancora, stavolta lasciandosi sfuggire molto di più la nota di fastidio che prima, invece, era risultata quasi impercettibile.
Per la prima volta, in quel momento, Giulia si sentì in colpa. Si pentì di averlo tenuto all’oscuro, si pentì persino di aver accettato di vedere Lorenzo lì, in casa loro, proprio mentre Filippo era uscito. Il fatto che si trattasse proprio di Lorenzo, poi, era ancora peggio.
Si sentì sporca.
“Che cosa ho fatto?”.
-Te lo avrei detto se ne avessi avuto il tempo- tentò di dire, consapevole della debolezza di quella giustificazione – Non ho quasi pensato al fatto che sarebbe passato-.
Sentì le proprie parole vuote risuonare nella cucina, ed infrangersi contro gli occhi spenti di Filippo, che ora la stavano scrutando con un’indifferenza che Giulia non gli aveva visto nelle iridi nemmeno nei momenti peggiori dei mesi passati.
-Va bene, ho capito- Filippo si riscosse quasi subito, scuotendo il capo – Lasciamo perdere e basta-.
Per un attimo Giulia sperò che cambiasse idea. Sperò di sentirlo arrabbiarsi, di chiederle più spiegazioni, persino di urlarle addosso la sua frustrazione. Avrebbe preferito mille volte quello alla fredda indifferenza che le stava riservando.
Non accadde nulla del genere. Filippo proseguì a riordinare la spesa, ignorandola. Non la vedeva nemmeno: Giulia era lì, ancora di fronte a lui, come se ai suoi occhi fosse diventata invisibile.
 
*
 
Will I find some kind of conviction?
Or will I bid the hero farewell?
Or will I be defined by things that could've been?
I guess time will only tell
I guess time will only tell
 
L’aria salmastra della laguna gli riempì le narici e i polmoni. Per un attimo tenne gli occhi chiusi, mentre ripensava a quanto il mare e la sabbia dorata gli sarebbero mancati durante quell’estate in cui, molto probabilmente, non avrebbe messo piede nemmeno una volta  in una spiaggia.
Pietro dondolò appena il passeggino, dando un’occhiata a Giacomo, steso ed addormentato tra le lenzuola leggere. Gli venne spontaneo sorridere mentre osservava le guance lievemente arrossate del bambino, il viso paffuto contornato dai radi capelli castani che stavano diventando sempre più scuri.
-Scusa il ritardo-.
Pietro si voltò alla sua destra, la direzione dalla quale proveniva la voce che aveva appena parlato. Fernando si era leggermente piegato verso di lui, sorridendogli in un modo timoroso che a Pietro parve strano.
-Non fa niente- Pietro si spostò maggiormente verso l’estremità della panchina dove era seduto, lasciando posto all’amico – Tanto lo sapevo che saresti venuto-.
-Non potevo perdere l’occasione di conoscere questa meraviglia- Fernando si sporse verso il passeggino, il sorriso che si aprì maggiormente mentre osservava il volto dormiente di Giacomo – Un po’ ti assomiglia-.
Pietro sbuffò senza troppa convinzione, internamente parecchio compiaciuto dall’affermazione:
-È ancora presto per dirlo-.
Fernando tornò ad appoggiare la schiena contro la panchina, un sorrisetto astuto dipinto in faccia:
-Che colore degli occhi ha?-.
-Castani, per ora. Si stanno scurendo abbastanza-.
Pietro si lasciò sfuggire un sorriso divertito, quando Fernando allargò le braccia con fare di chi la sa lunga:
-E allora ho ragione: ti assomiglia-.
La risata di Fernando era leggera e non forzata, ma a Pietro parve strana in ogni caso: il suo sembrava un sorriso tirato, insolito per lui. Lo osservò meglio in viso, notando i cerchi scuri sotto gli occhi e il viso vagamente tirato, come se il sonno mancasse da diverso tempo.
-Speriamo che almeno nel carattere non sia così- mormorò infine, cercando di sorridere a sua volta e reprimere la voglia di chiedere a Fernando se stesse bene: aveva come l’impressione che, se glielo avesse chiesto, non avrebbe comunque avuto una risposta sincera.
Fernando gli rivolse un’occhiata malinconica, rimanendo in silenzio. L’unica cosa che fece, senza dire ancora una parola, fu poggiare una mano sulla spalla di Pietro, stringendo appena come a volergli ricordare ancor di più la sua presenza lì di fianco a lui.
-Non continuare a ritenerti una cattiva persona-.
A quell’ora del pomeriggio, quando ancora il sole picchiava sulla pelle e c’era solo la brezza lacustre a rendere il caldo più sopportabile, non c’era molta gente in giro. Fernando aveva parlato così piano che Pietro era sicuro che, se solo ci fossero stati schiamazzi o persone a passeggiare lì vicino, non sarebbe riuscito ad udire nemmeno una parola.
Per un attimo si pentì di non aver mantenuto un tono leggero nella conversazione: aveva chiesto a Fernando di vedersi per passare qualche ora in spensieratezza, senza dover rivangare ricordi che – ne era certo- dovevano ancora essere difficili da affrontare.
Fernando annuì, come se tra sé e sé avesse continuato a parlare:
-Nemmeno io l’ho fatto, anche se avrei potuto avere qualche motivo-.
Fece rimanere la sua mano sulla spalla di Pietro ancora per qualche secondo, prima di farla scivolare, lontana dal tessuto leggero della maglietta e dalla pelle accaldata.
Si ritrovò a pensare che anche in quell’ultimo mese passato gli era mancato il contatto con Fernando. Erano mesi che vedersi era diventata un’occasione saltuaria, che capitava raramente: Pietro era sicuro che il negargli di vedersi troppe volte fosse stata una decisione consapevole di Fernando, un meccanismo di protezione. Non riusciva a dargli torto: era la stessa cosa che aveva fatto lui con Alessio. Allontanarsi rendeva il dolore più sopportabile.
-Stavo pensando ad una cosa-.
Pietro guardò suo figlio, mentre pronunciava quelle parole. Si sentiva già in colpa per quello che stava per dire.
-Se le cose fossero andate diversamente, magari a quest’ora ci saremmo ritrovati sempre qui, sempre in questa giornata … Ma non da amici-.
Non era voltato verso Fernando, ma poteva comunque percepire il sorriso triste che doveva essersi disegnato sulle sue labbra. Riusciva ad immaginarselo, a sorridere mestamente mentre teneva gli occhi scuri puntati sulle acque scure della laguna, perso tra ricordi che sembravano appartenere ad una vita precedente.
-Rimuginarci su ora è solo un male gratuito che ti fai- mormorò infine, sospirando – Sono sicuro che più andrai avanti e meno ci penserai-.
Forse Fernando era nel giusto, forse un giorno avrebbe smesso di pensarci. Eppure era ancora fin troppo facile immaginare una vita diversa, più spensierata, con meno compromessi di quelli che si era ritrovato sulle spalle.
-Lo spero-.
Quasi riuscì a vedersi, un sé stesso diverso – meno occhiaie a rendergli il volto ancora più stanco alla vista, meno pensieri a riempirgli la testa-, in piedi accanto alla panchina dove invece se ne stava seduto. Riusciva perfettamente ad immaginarselo, ed anche Fernando era un’immagine nitida nella sua testa: in un universo parallelo, in cui le cose erano andate diversamente e Giacomo non era mai nato, Pietro era sicuro che quella stessa giornata d’agosto l’avrebbero passata insieme, liberi da limiti troppo stretti.
Fernando interruppe il flusso di pensieri rivolgendogli un sorriso timido, una rarità per qualcuno che Pietro aveva sempre visto come fin troppo vivace:
-Allora, dopo più di un mese hai capito meglio come sia avere un figlio?- gli chiese, quasi casualmente.
Pietro si ritrovò a ridere, cercando di trattenersi dal lasciarsi andare ad un “Un incubo!” troppo pessimistico. Non voleva certo terrorizzare Fernando dicendogli che la paternità poteva essere considerata una lenta tortura.
-Piuttosto impegnativo- disse invece, la vena d’ironia che non era del tutto scomparsa – Le occhiaie non sono lì per caso-.
“E mi domando come mai sono lì le tue”.
-Immagino- Fernando rise a sua volta, anche se più forzatamente – Ti ci vedo a cambiare pannolini-.
-Ho un talento naturale per quello-.
Pietro si morse il labbro inferiore, ad un passo dallo smettere di trattenersi e domandare definitivamente a cosa fosse dovuta l’aria tirata che aleggiava sul viso di Fernando. Nemmeno l’ultima volta che si erano incontrati l’aveva visto così trascurato, così stanco. Il pallore del volto non faceva altro che risaltare ancor di più le borse scure sotto gli occhi.
-Tu come stai?-.
Pietro seppe di aver sbagliato domanda nel momento esatto in cui Fernando scostò lo sguardo, contraendo solo per un attimo fugace i lineamenti:
-Tutto normale, nulla di che- mormorò, a bassa voce. Stava osservando la laguna, anche se doveva essere solo un pretesto per non ricambiare lo sguardo che Pietro gli teneva addosso.
Nella culla Giacomo sembrò risvegliarsi, gorgogliando e muovendo un braccio fuori dal lenzuolo; Pietro sperò con tutto se stesso che il suo sonno si prolungasse ancora solo per qualche minuto.
-Hai un’aria strana-.
Stavolta, se anche quell’osservazione doveva averlo messo con le spalle contro al muro, Fernando non lo dette a vedere. Rimase voltato verso la laguna, immobile con le mani abbandonate sul grembo, perso in chissà quali pensieri che voleva tenere per sé.
-È solo stress del periodo- disse ancora, alzando le spalle. Era sicuro nella voce, ma Pietro ebbe la sensazione di leggervi anche altro. Ormai era una sensazione che si portava dietro spesso, quando si vedevano.
Lo guardò ancora a lungo, in silenzio, senza riuscire a capire cosa potesse esserci dietro quelle strane  sensazioni che gli stava dando Fernando.
-Se ci fosse qualcosa che non va me lo diresti, vero?-.
Fernando si voltò verso di lui lentamente, senza rispondere subito. Gli sorrise, stavolta senza esitazioni, ma di nuovo in un modo che sembrava sottacere qualcosa. Prima ancora di ascoltare la risposta, Pietro ebbe la certezza che, nonostante tutto, da Fernando quel giorno non avrebbe saputo nulla.
Sapeva solo che, guardandolo sorridergli in quella maniera a tratti sincera e a tratti malinconica, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava gli causò un groppo in gola.
-Certo- Fernando annuì, la voce quasi un sussurro che si perse nella brezza marina – Te lo direi-.
A Pietro non rimase altro che rimanere in silenzio.
 
*
 
I curse my worth and every comfort
That blinded me for way too long
 
Il cielo era terso e limpido, e Caterina si ritrovò a pensare che non avrebbe disdegnato qualche nuvola che coprisse un po’ il sole che ora, a quasi mezzogiorno, stava battendo al massimo su di loro.
Si sentiva il tessuto leggero del vestito incollato alla schiena, così come i capelli che – con stupidità- aveva deciso di non tenere legati prima di uscire, quella mattina stessa.
Nonostante fosse ora di pranzo, le strade del centro di Abano Terme brulicavano ancora di gente, turisti e abitanti allo stesso modo. La presenza del passeggino di Francesco, dove lui si era addormentato per la noia, con il volto all’ombra, non aiutava lei e Nicola a camminare un po’ più speditamente: c’era così tanto caos che erano costretti ad andare a passo lento, talmente lento che a tratti a Caterina sembrava quasi di essere costantemente ferma.
Stava cominciando a percepire i primi morsi della fame, ma si rese conto che cercare un bar con un tavolo ancora libero sarebbe stata un’impresa. Cominciava ad essersi pentita per aver insistito con Nicola di non essere passati per Abano alla sera, quando il caldo sarebbe diminuito almeno un po’ e non ci sarebbe stato il problema del cibo di mezzo. Forse, in fondo, si stava pentendo anche di aver deciso di passare quella giornata fuori casa.
Si era quasi stupita quando aveva appreso da Giulia che lei e Filippo non avrebbero dato alcuna festa d’anniversario per il loro matrimonio: quando ne avevano parlato, una settimana prima, Giulia glielo aveva detto con lo stesso tono con cui si annunciava un funerale. In fin dei conti, riflettendoci, Caterina non aveva trovato poi così strana quella scelta: sapendo di come se la passavano ultimamente lei e Filippo,  e calcolando che le gemelle erano ancora troppo piccole per passare una buona parte della giornata fuori con quel caldo, alla fine anche a lei era sembrata la scelta più saggia.
Nicola aveva insistito comunque per uscire, lasciandole la scelta del luogo. A Caterina non era rimasto altro che accettare e decidere di andarsene, almeno per quella giornata, lì ad Abano, in tranquillità.
Stavano quasi per oltrepassare il grande giardino del Grand Hotel Orologio, quando Caterina sentì vibrare il proprio cellulare nella sua borsa, appesa al passeggino. Lo tirò fuori un secondo dopo, aggrottando la fronte nel leggere il nome del mittente del messaggio che lampeggiava sul display.
«Tuo fratello ha volute vedermi, è venuto da me stamattina».
Caterina strabuzzò gli occhi per diversi secondi, ricordandosi a fatica di continuare a camminare. Rilesse le parole di Giulia diverse volte prima di comprenderne a fondo il significato, nonostante fossero chiare e messe nero su bianco.
Lorenzo non le aveva nemmeno accennato per sbaglio a quella stupida – folle, completamente folle- idea di passare da casa di Giulia a Venezia. Caterina non se ne stupiva affatto: era ben conscia del fatto che da suo fratello, sulla sua storia con Giulia, non avrebbe saputo più niente dopo la discussione che avevano avuto l’inverno prima. Era però rimasta fermamente convinta che si fosse finalmente tolto dalla testa quella pazzia. Evidentemente, da quel che le aveva appena scritto Giulia, si era sbagliata.
-Tutto ok?-.
Caterina non alzò gli occhi dallo schermo, anche se si sentiva addosso lo sguardo di Nicola. Digitò alcune parole sulla barra dei messaggi, per poi cancellarle subito. Si morse il labbro inferiore, cercando di formulare qualche altra frase, che però cancellò di nuovo subito dopo.
Con un sospiro scoraggiato abbassò per un attimo le braccia: le ci sarebbe voluto qualche minuto per riprendersi e scriverle qualcosa di razionale in risposta.
Si voltò verso Nicola, che ancora la scrutava in attesa:
-All’incirca- borbottò, scostandosi malamente un ciuffo di capelli dal viso – Era Giulia. Mi ha scritto appena adesso-.
Nicola la guardò ancora con più apprensione, senza capire:
-C’è qualche problema?- le domandò ancora, continuando a spingere in avanti il passeggino del figlio.
Per un attimo Caterina prese in considerazione l’idea di raccontargli ciò che era appena successo: si trattenne quando ricordò, in un secondo, che Nicola non sapeva nulla di Lorenzo, e che era meglio che continuasse a rimanerne all’oscuro.
-Non credo. Penso di no- rispose, alzando le spalle. Avrebbe davvero voluto sperare che fosse così, anche se da come Giulia aveva scritto quel messaggio sospettava che qualcosa doveva essere successo, durante quella visita.
-Dalla tua faccia non si direbbe- Nicola non sembrò così convinto come aveva sperato Caterina – Filippo lo vedo strano ultimamente … Anche Giulia-.
-Sono tutti strani, ultimamente- sospirò Caterina, sconsolata.
C’era da mettersi le mani nei capelli, nel guardare come stavano tutti nel loro gruppo: Giulia e Filippo erano praticamente sull’orlo della prima vera crisi coniugale, e per quel che ne sapeva nemmeno Alessio e Pietro se la stavano passando troppo bene, con i rispettivi figli nati da poco più di un mese. L’ultima volta che li aveva visti, Caterina aveva potuto constatare il conflitto personale che Pietro evidentemente stava vivendo, e la difficoltà di Alessio nel ritrovarsi a vivere in quelle nuove vesti da genitore.
Era un periodo turbolento come pochi altri.
-Giulia e Filippo stanno attraversando un momento difficile- convenne, annuendo – D’altro canto se già un figlio ti scombussola la vita, figuriamoci due insieme-.
Era piuttosto convinta che qualcosa fosse andato storto, dopo che le gemelle erano nate. Giulia non lo aveva mai confermato a voce, anche se da come le aveva sempre parlato dei conflitti che si erano venuti a creare con Filippo, sembrava essere sottinteso che il non essere più in due c’entrasse più di qualcosa.
-Noi non siamo andati così in crisi quando è nato lui- Nicola aggrottò la fronte, facendo un cenno verso Francesco, ancora scompostamente addormentato.
-Infatti ci siamo andati prima, a inizio gravidanza- gli rammentò Caterina, con un sorriso amaro. Troppo spesso Nicola tendeva a ricordare un po’ troppo ottimisticamente i primi tempi in cui lei aveva scoperto di essere incinta; era come se avesse cercato di dimenticare volontariamente il fatto di essersene andato di casa per un’intera giornata.
Nicola fece una smorfia, mentre cercava di superare con il passeggino una coppia di anziani che, davanti a loro, si era fermata all’improvviso.
-Però poi le cose sono andate bene- disse dopo un po’, quando Caterina era già convinta che avesse preferito lasciare cadere il discorso – Probabilmente anche loro si rimetteranno in sesto-.
Caterina alzò le spalle, molto meno disposta a cedere all’ottimismo che, invece, sembrava pervadere Nicola in quel momento.
-A meno che non vogliano spendere dei bei soldi per un divorzio piuttosto anticipato … -.
Caterina lasciò cadere la frase, mordendosi il labbro inferiore. Non credeva davvero che Filippo e Giulia sarebbero arrivati a quel punto – d’altro canto erano una delle coppie più solide che conosceva-, ma era altrettanto evidente che qualche problema se lo stessero trascinando da mesi.
Adocchiò, senza aspettarselo minimamente, un tavolo libero in uno dei bar della via: era piuttosto affollato, anche all’esterno, ma l’unico tavolo che rimaneva libero era in una posizione abbastanza defilata per non aver problemi con il passeggino. Caterina vi si avviò facendo cenno a Nicola di seguirla.
Qualche minuto più tardi, dopo aver chiesto conferma ad un cameriere se fosse effettivamente libero, si erano finalmente seduti. Nicola aveva destato dolcemente Francesco per farlo bere un po’, e anche Caterina aveva tirato fuori la bottiglietta d’acqua che teneva nella borsa per dissertarsi almeno in parte; in quel momento, seduta e ferma, si rese conto di essere davvero parecchio sudata.
-Comunque secondo me sei un po’ troppo pessimista su Filippo e Giulia-.
Nicola stava sistemato il cappellino sui capelli biondi di Francesco, mentre riprendeva quel discorso che Caterina credeva ormai chiuso. Si rimise composto, riponendo la bottiglietta d’acqua sul ripiano del tavolo e tornando a guardarla:
-I momenti difficili capitano, ma non per questo si deve mandare a monte un matrimonio-.
Non ne dubitava nemmeno lei, ma si ritrovò a pensare, ancora una volta, che quel voler minimizzare di Nicola fosse solamente da ciechi. O da ingenui.
-Rimango convinta del fatto che dovrò essere piuttosto ubriaca per accettare di sposarmi-.
Parlò d’istinto, senza rifletterci troppo su. Non era nulla di nuovo, nulla che non aveva mai detto e nulla che Nicola non sapesse già; nonostante quello, però, Caterina fu quasi del tutto sicura di vederlo adombrarsi non appena ascoltate quelle parole.
-È molto più semplice senza questo tipo di vincoli- aggiunse, mormorando, come a giustificarsi.
Nicola si lasciò ricadere indietro, con la schiena completamente appoggiata allo schienale della sedia, un sorriso amaro a stendergli le labbra:
-Quindi non mi sposeresti?- le chiese, la voce velata di delusione – Proprio mai?-.
Caterina si strinse nelle spalle: cominciava seriamente ad odiare quella conversazione. Cominciava a sentirsi in colpa ed in difetto, cosa che, se possibile, stava detestando ancor di più.
-Di certo non ora- gli rispose, duramente – Di problemi a cui pensare ne abbiamo già in abbondanza, direi-.
“E non ho nessuna intenzione di fare la fine di Giulia e Filippo”.
Afferrò il menu, che ancora non aveva guardato, abbassandovi gli occhi ed iniziando a sfogliarlo. Non stava leggendo davvero, ma sembrò bastare per far desistere Nicola da qualsiasi altro tentativo di insistere.
Lo rimise giù solo qualche minuto dopo, quando ebbe deciso cosa ordinare e quando fu del tutto sicura che la conversazione fosse chiusa. Solo in quel momento riprese in mano il cellulare, sbloccandolo velocemente.
Stavolta digitò velocemente le parole che avrebbe inviato in risposta a Giulia, senza cancellarle e senza ripensamenti.
«Sarà meglio vederci per parlarne, il prima possibile. Per il momento, se sentirò Lorenzo, farò finta di non saperne niente».
Prima che potesse venirle in mente di farle ulteriori domande, inviò il messaggio.
 
*
 
Damn it all I’ll make a difference from now on
Cause I’m wide awake to it all
Cause I’m wide awake to it al
 
Era stato strano rimettere piede a Villaborghese non da solo. Era stato piuttosto bizzarro ripercorrere la stessa strada che aveva sempre fatto da solo, nel silenzio tranquillo della sua auto, con Christian seduto e allacciato al sedile posteriore. Anche in quel momento, quando erano già arrivati a destinazione da almeno un’ora, Alessio continuava a sentirsi addosso la stessa ansia che l’aveva accompagnato per tutta l’ora d’auto che gli era servita per raggiungere Villaborghese da Venezia: aveva lanciato più occhiate allo specchietto retrovisore, per controllare suo figlio, in quell’ora che non in tutta la sua vita. Non che ce ne fosse stato davvero bisogno: il rombo dell’auto aveva contribuito a far calare il sonno a Christian più del dovuto, facendolo dormire praticamente per tutto il tempo, ben sistemato sul suo seggiolino.
Era sicuro che, se ci fosse stata anche Alice con loro, anche lei avrebbe passato il tempo del viaggio controllandolo, troppo apprensiva nelle vesti di madre ancora inesperta.
Era una bella giornata, quella del 25 agosto: calda quanto quella dell’anno precedente, anche se decisamente più rilassata. Alessio non sentiva particolarmente la mancanza del caos che aveva dovuto sopportare durante il matrimonio di Giulia e Filippo, aggravato dall’afa estiva.
Mancava ancora almeno mezz’ora al pranzo che sua madre stava preparando: per quanto Alessio avesse cercato di insistere per darle una mano, Eva era stata irremovibile nel lasciarlo libero di decidere come passare il tempo che li separava dal pranzo nel mondo in cui preferiva.
Alla fine aveva deciso di sistemarsi nella panca all’ombra dell’albero che si trovava nel giardino dell’abitazione – il giardino della sua infanzia, quello dove era cresciuto e che stava facendo conoscere a suo figlio per la prima volta-, cullando Christian tra le braccia, ora sveglio e incuriosito dalle farfalle che ogni tanto si avvicinavano per volare loro intorno.
C’era un’aura di tranquillità, lì fuori. Alessio si godette il filo di brezza leggera che si era alzata, più unico che raro in quei giorni di fine agosto. Abbassò lo sguardo sul volto di suo figlio: era appena arrossato, gli occhi grandi ed azzurri che si muovevano freneticamente per osservare quanto più possibile di quel nuovo scorcio di mondo.
Per un attimo Alessio si ritrovò ad invidiarlo: avrebbe voluto sapere anche lui cosa volesse dire vedere per la prima volta quella casa, senza nessuna coscienza dei significati e dei ricordi che vi erano legati.
-Posso unirmi a voi?-.
Alessio non si voltò, conscio che Irene gli si sarebbe seduta di fianco anche se le avesse detto di no. Le rispose comunque, in fin dei conti contento di poter passare qualche ora con sua sorella:
-Nessuno te lo vieta-.
Prima ancora che potesse finire la frase, Irene gli si era già sistemata di fianco. Con i pantaloncini corti, la canotta bianca e i lunghi capelli biondi che le ricadevano oltre le spalle ad Alessio sembrava ancora l’adolescente ribelle quale era stata. Faticava ancora a credere che sua sorella fosse ormai ad un passo dalla sua prima laurea, e che la maggior parte del tempo lo passasse a Bologna, dove studiava.
-Non fraintendere- Irene gli lanciò uno dei sorrisetti di sfida ai quali Alessio era abituato da sempre – Volevo solo vedere il mio nipotino, non certo te-.
-Non avevo dubbi su questo- le dette corda, trattenendo una risata.
Irene lo ignorò con nonchalance, abbassandosi su Christian ed iniziando a fargli linguacce con espressioni sempre più buffe: di fronte agli occhi curiosi del bambino, sembrava piuttosto intenzionata a non darsi per vinta fino a quando non avrebbe avuto almeno un sorriso da lui.
Il primo a ridere fu Alessio, anche se l’unico risultato che ebbe fu un’occhiataccia fulminante da sua sorella. Irene si rialzò, scostandosi i capelli biondi dal viso:
-Si può sapere cos’hai da ridere?- gli chiese, con tono fintamente offeso. Alessio la guardò stupito, come se la cosa fosse ovvia:
-Ridevo per le tue espressioni assurde- rise ancora, ignorando l’occhiata torva di Irene – Se avessi avuto uno specchio davanti avresti riso anche tu di te stessa-.
Irene sbuffò teatralmente, incrociando le braccia contro il petto ed accavallando le gambe con ampi movimenti, voltandosi dall’altra parte. Il suo fare offeso non durò comunque a lungo: quando calò il silenzio per alcuni secondi, tornò a girarsi verso Alessio, scrutandolo con le iridi verdi.
-Sei strano- disse infine di punto in bianco.
Alessio non rispose subito: passarono diversi secondi, prima che azzardasse a dire qualcosa:
-Lo stai dicendo come se fosse un dato di fatto di sempre, o come qualcosa di insolito?-.
-Sei più allegro del solito, e quindi è strano- Irene alzò le spalle, con noncuranza – Negli ultimi anni hai sempre tenuto il broncio-.
Alessio sospirò, a tratti seccato:
-Grazie per la considerazione-.
Irene ridacchiò soddisfatta, interrompendosi solo per guardare intenerita Christian, che aveva appena starnutito.
Per un po’ nessuno disse nulla. Era un silenzio rilassato, uno di quelli in cui non c’era per forza bisogno di dire qualcosa; Alessio chiuse gli occhi per un attimo, lasciandosi cullare dalla poca brezza e dal ronzio degli insetti proveniente dall’aiuola di fiori a qualche metro dalla panchina.
-A settembre dovrei laurearmi-.
Irene aveva parlato con noncuranza, come se avesse detto una cosa di poco peso. Non che fosse una novità, la sua laurea imminente: Alessio ricordava con certezza che la prima volta che gli aveva dato la notizia, anche se in maniera più vaga, era stata a luglio, quando Irene si era presentata a Venezia il giorno dopo la nascita di Christian.
-Se mi dici per tempo il giorno vedo di liberarmi per esserci- le disse, con serietà. Gli avrebbe fatto piacere esserci sul serio: da quando anche Irene non viveva più a Villaborghese le occasioni per incrociarsi erano irrimediabilmente diventate più che rare. Era l’ennesimo segno di quanto il tempo stesse passando in fretta: ad Alessio fece quasi venire un groppo in gola ripensare a quando, ancora troppo piccola anche solo per pensare di prendere la patente, Irene veniva a chiedergli passaggi in auto con la sua solita aria di sfida.
-Quale onore- gli rispose ironicamente lei, pur sorridendo. Senza nemmeno una mano libera per darle un pizzicotto, Alessio si limitò a darle una leggera gomitata:
-Smettila-.
Rimase per un istante in silenzio, indeciso se farle la domanda che gli era appena sorta. Si morse il labbro inferiore, ancora non del tutto convinto.
-Pensi di dirlo … Di dirlo anche a papà?-.
Non riusciva a vedere Irene direttamente in viso, non in quel momento: il volto di sua sorella non era girato verso di lui, rendendo la sua espressione sconosciuta ad Alessio.
-E che motivo avrei? Per sentirmi dire che sicuramente non potrebbe?- la voce di Irene non parve avere alcuna esitazione, anche se Alessio percepì un’incrinatura – E poi non lo sento da un sacco … E non lo vedo da anni-.
Si era del tutto aspettato una risposta del genere. D’altro canto nemmeno lui l’aveva mai invitato quando era stato il suo turno di laurearsi. Non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea, consapevole che, anche qualora lo avesse voluto lì con lui, in qualsiasi caso Riccardo non si sarebbe mai presentato.
Nemmeno Irene doveva essersi illusa del contrario. Per un attimo si sentì pervadere dalla tristezza e dal dispiacere nei confronti di sua sorella.
-L’ho incontrato-.
Alessio quasi si stupì di sé, quando si rese conto di aver detto quelle parole sul serio e di non averle solo pensate. Vide Irene voltarsi di scatto verso di lui, mentre aggiungeva velocemente:
-La settimana scorsa, intendo-.
Non aveva davvero preso in considerazione l’idea di dirglielo, né di accennare in alcun modo al perché aveva voluto vedere Riccardo. In quel momento, però, con sua sorella lì di fianco e con lo sguardo più preoccupato di quel che avrebbe lei stessa voluto mostrare, non gli sembrò così strano volerlo fare.
Sapeva che, in fondo, nonostante le loro profonde differenze, Irene non lo avrebbe giudicato.
-Sul serio? Dove?- gli chiese subito, velocemente.
-Era a Mestre per lavoro. L’ho incrociato per caso- rispose Alessio, pentendosi un po’ per averle detto solo quella mezza verità. Irene sembrava averlo già capito: lo guardava poco convinta, come se lo conoscesse troppo bene per capire che il discorso non poteva essere finito così.
Alessio rimase a riflettere per qualche secondo: era consapevole che, se le avesse rivelato anche l’altra parte del loro incontro, Irene avrebbe voluto sapere tutto. Una volta lanciato il sasso non avrebbe più potuto nascondere la mano.
-Però poi l’ho rivisto anche nel weekend, a Padova. Gli avevo chiesto di vederci-.
Sua sorella non sembrò affatto sorpresa di sentire quelle parole: doveva aver davvero intuito che ci fosse altro dietro. Alessio si chiese se dirglielo fosse stata la scelta più giusta.
-E lui ha davvero accettato?- gli chiese Irene, una nota d’amarezza nella voce.
Alessio alzò le spalle:
-Strano a dirsi, ma sì-.
Per un momento Irene non disse altro; tornò a distogliere lo sguardo, puntandolo in un qualche punto davanti a sé. Alessio temette per davvero di aver sbagliato a parlargliene: forse sua sorella non era così disposta ad ascoltarlo come aveva creduto.
Rimase in silenzio anche lui, abbassando gli occhi su Christian: lo osservò mentre muoveva le dita di una mano, gorgogliando appena.
-Perché volevi vederlo?-.
Irene parlò all’improvviso, tornando a guardarlo con sguardo duro.
Alessio si morse il labbro inferiore, consapevole di non avere una risposta pronta a quella domanda. Se l’aspettava, ma non aveva davvero pensato a cosa dire nel caso Irene glielo avesse chiesto sul serio.
Quando qualche giorno dopo aver incontrato Riccardo lo aveva raccontato ad Alice, lei non gli aveva chiesto spiegazioni sul motivo per cui aveva deciso di farlo: era come se per lei le sue ragioni fossero già lampanti, o come se non la riguardassero affatto. In quel momento avrebbe voluto averla lì vicino, chiamarla e dirle di lasciar perdere quel giorno di riposo che le si prospettava a Venezia, e raggiungerlo lì: era sicuro che lei avrebbe saputo quietare decisamente meglio di lui i nervosismi che sembravano far agitare Irene in quel momento.
-Gli dovevo parlare. Chiedere delle cose … - mormorò, insicuro – Non ero sicuro fosse una buona idea-.
Non era una vera spiegazione, ed Irene sembrava aver colto il suo tentativo di posticipare il momento dei perché. Non si dette comunque del tutto per vinta:
-Certo che non lo era!- replicò, alzando appena la voce e gesticolando nervosamente – Hai perso la testa, per caso?-.
“Forse un po’ sì”.
Riusciva a comprendere la furia di sua sorella. Non poteva darle torto se non riusciva a capire quei suoi gesti: era sempre stato consapevole che, tra loro due, era stata Irene a vivere meglio tutta quella situazione. Lei era andata avanti, quando lui si era limitato a cercare di sopravvivere per troppo tempo.
La osservò mentre scuoteva ancora il capo, contrariata, arrabbiata e chissà cos’altro tutto insieme:
-Non capirò mai questo tuo continuo bisogno di farti del male, fratello, sul serio-.
Irene non aggiunse altro a quelle parole dette quasi sottovoce, ma Alessio riuscì comunque a percepirvi talmente tanti non detti che quasi si sentì sollevato dal fatto che lei non disse nulla di più.
-Era un male necessario, stavolta- parlò anche lui a voce bassa, lanciando un’occhiata veloce verso la finestra socchiusa della cucina: sperava che Eva non ascoltasse nulla, nemmeno qualche parola udita per caso, di ciò che lui ed Irene stavano discutendo. Sapeva che farla venire a conoscenza di certe cose non avrebbe fatto altro che farle del male: l’ultima cosa che voleva era rovinare anche quell’unica giornata in cui sarebbero riusciti a stare tutti insieme, dopo troppo tempo che non succedeva.
-Davvero?- chiese scettica sua sorella.
-Sì. Mi è servito per riflettere su alcune cose-.
Alessio si rese conto di essere stato brusco nella risposta. Cercò di addolcire l’espressione, anche se in quel momento gli risultava difficile: cominciava a sentirsi così vulnerabile che ogni parola gli costava enormemente.
-Forse in fondo hai ragione, negli ultimi anni ho tenuto spesso il broncio- riprese, dopo alcuni secondi di silenzio – Negli ultimi mesi anche più del solito. È che non ero pronto a questo-.
Abbassò di nuovo lo sguardo su Christian, consapevole che anche sua sorella, ora, stava rivolgendo gli occhi su suo figlio. La sentì sospirare a fondo.
-Forse sarà stupido, ma volevo parlare con lui su come ci si sente a diventare genitori-.
Irene sbuffò debolmente, senza nemmeno cercare di nascondere il disappunto:
-Non è che forse è stupido, è certamente stupido. Sei andato a chiederlo all’ultima persona che potrebbe darti consigli sull’argomento- disse aspramente, incrociando le braccia contro il petto.
-Non gli ho chiesto consigli- rettificò lui, in difficoltà – Gli ho solo chiesto com’è stato per lui. Volevo cercare di capire una cosa-.
Irene lo precedette prima ancora che potesse decidere come spiegarglielo senza passare per pazzo:
-Tipo se anche tu avresti seguito le sue orme?- chiese, anche se da come lo disse Alessio capì subito che quella, più che una domanda, poteva essere altrettanto un’affermazione.
Rimase in silenzio, stringendosi nelle spalle e abbassano ancora una volta lo sguardo. Christian si era appena addormentato, lasciando calare le palpebre sulle iridi azzurre, inconsapevole di quello che stava venendo detto in quel momento attorno a lui. Per un attimo Alessio si ritrovò ad invidiargli quell’innocenza che avrebbe mantenuto ancora per anni.
-Non sono cose che puoi sapere in anticipo- sospirò Irene, lasciando perdere la durezza con la quale aveva parlato fino a quel momento – Non ho tanti ricordi di papà di quando eravamo piccoli … Ricordo solo che non era una passeggiata, certo, ma non era sempre così male. Di certo non avrei pensato che un giorno avrebbe preso e se ne sarebbe andato-.
Alessio cercò di ricordare, di riportare alla mente ricordi della sua infanzia vissuta lì, in quella casa: no, non era sempre stata terribile, su questo Irene aveva ragione. Riccardo era sempre stato sfuggente e poco incline alle dimostrazioni d’affetto, ma non aveva neanche mai fatto supporre di volersene andare e lasciarsi tutto alle spalle senza alcun rimorso.
-Non voglio essere come lui- mormorò a voce bassissima, come se stesse parlando più a se stesso che non a sua sorella.
-Solo perché sei suo figlio non vuol dire che devi per forza essere negato anche tu come padre- replicò Irene, girandosi verso di lui. Sembrava aver sbollito abbastanza velocemente la rabbia iniziale, lasciando posto a parole più comprensive. Alessio se ne sentì sollevato.
-Tu ti fai troppe pare per qualsiasi cosa, fratello- continuò ancora, senza lasciargli il tempo di rispondere – E poi dicono che siamo noi donne quelle complicate-.
Alessio rise, contro qualsiasi aspettativa da quando avevano iniziato quella conversazione. In un attimo, senza preavviso, Irene era riuscita a stemperare la tensione e il suo timore.
-Se vedessero te ci sarebbe proprio da disperarsi, altroché complicate- la prese in giro, voltandosi a sua volta verso sua sorella. La vide osservarlo con un cipiglio fintamente offeso:
-Ma allora qualcosa in comune lo abbiamo, fratellino- Irene fece finta di essere sorpresa, allargando gli occhi.
Alessio rise di nuovo per qualche secondo, prima che il silenzio tornasse a calare su di loro. Si rese conto, per la prima volta, di sentirsi un po’ più leggero.
-Non hai bisogno di lui. Ce la puoi fare benissimo da solo-.
Quando tornò a posare gli occhi su sua sorella, Irene lo stava guardando con intensità. Non era arrabbiata, non come prima, né preoccupata: aveva parlato con sicurezza e con forza, ed Alessio non poté fare a meno di esserle grato.
-Anche tu. E anche la mamma- mormorò in risposta, con un mezzo sorriso, lanciando una seconda occhiata verso la finestra della cucina: si immaginò Eva alle prese con le mille pentole e padelle che, poco prima che lui uscisse in giardino, stava tirando fuori per preparare chissà quali piatti.
Irene annuì, restituendogli il sorriso; si alzò un secondo dopo, portando le mani sui fianchi:
-In ogni caso, se mai ti dovesse venire la mezza idea di andartene e mollare mio nipote, sappi che la tua morte potrebbe diventare pericolosamente vicina- fece, con una vena velatamente minacciosa nella voce, prima di ridere ancora una volta.
-Lo terrò a mente, sorellina-.
Il domani sembrava essere un po’ meno buio di quanto non si sarebbe mai aspettato.
 
So don't let it be
Before tomorrow comes
Before you turn away
Take the hand in need
Before tomorrow comes
You can change everything
We could be so much more than we are
We could be so much more than we are
We could be so much more than we are
Oh this much I know*





 
*il copyright della canzone (Alter Bridge - "Before tomorrow comes") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Lo abbiamo ripetuto diverse volte, ma, nonostante ciò, fa ancora strano dirlo: Walk of Life - Growing è ufficialmente terminata!
Un ultimo capitolo molto diverso da quello di chiusura di Youth: stavolta abbiamo la mancanza di un incontro generale tra tutti i nostri 6 protagonisti, e un’atmosfera non propriamente serena per molti di loro.
Il gruppo dei nostri Fantastici sei sembra essere diviso, e rispecchia molto l'atmosfera che si respira ancora in casa Pagano-Barbieri. Troviamo Giulia, infatti, che, nonostante alcuni miglioramenti nel rapporto con Filippo, gli tiene nascosto della visita di Lorenzo (visita apparentemente disinteressata... ne siamo convinti?). Neanche Pietro se la passa troppo bene, e l’incontro con Fernando porta tante domande, insicurezze e dubbi su cosa sarebbe potuto essere se le cose fossero andate diversamente…
Non se la stavano cavando male, almeno in partenza, Nicola e Caterina: nella loro gita fuoriporta, durante la quale loro stessi parlano di come il loro gruppo di amici non se la stia passando al massimo in questi mesi, anche tra questi due sembra esserci traccia di qualche fulmine in lontananza ... Sarà davvero così?
E poi, infine, andiamo ad Alessio: anche lui non è a Venezia, ma nella sua vecchia casa, in compagnia di sua madre, sua sorella e di Christian. Proprio con questi ultimi due si ritrova a condividere qualche momento prima del pranzo ... E il finale di Growing è completamente affidato al buon Raggio di sole e che, in modo del tutto inaspettato, presenta una notta ottimista verso il futuro. Ve lo sareste mai aspettato da lui?
In attesa di scoprire, a partire dal 3 maggio, se in Walk of Life - Adulthood prevarrà un'atmosfera gioiosa e ottimista oppure una più cupa e pessimista, non esitare a dirci quali sono le vostre sensazioni in merito! 
Quindi... 3... 2... 1... Scatenatevi con i pronostici nei commenti e... A presto! 😊
Kiara & Greyjoy
 
 
 

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