Hunger Games - The labyrinth

di jarmione
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'alba della mietitura ***
Capitolo 2: *** Questione di tessere e possibilità ***



Capitolo 1
*** L'alba della mietitura ***


Salve, è la seconda volta che scrivo in questa sezione, ma è la prima volta che tento una long.

Faccio una premessa.

Ho deciso di fare una What-If/finale alternativo.

In pratica leggerete già in questo capitolo che Katniss non è sopravvissuta ai 75° Hunger Games (quelli della memoria) dando, quindi, a Snow una vittoria e facendo sì che i giochi rimanessero in vita.

Spero che vi piaccia, accetto qualunque suggerimento/critica/insulto e mi auguro di non annoiarvi troppo.

Buona lettura

 

 

 

Distretto 12, ore 06:15

 

Era l’alba, i minatori erano già partiti per le miniere mentre qualche abitante iniziava a svegliarsi.

La maggior parte non era riuscita a prendere sonno quella notte e non solo a causa dei morsi della fame, a cui erano quasi abituati, ma per paura.

Era già passato un lungo ed estenuante anno e la mietitura stava per arrivare.

Dai tredici anni in su erano ormai tutti abituati a quell’iniziazione e, seppur terrorizzati che il loro nome potesse uscire, cercavano di stare più tranquilli che potevano.

Quelli di dodici anni, invece, essendo la prima volta non riusciva a celare del tutto le loro espressioni, ma facevano del loro meglio per non darlo a vedere in pubblico.

Se c’era una cosa in cui i distretti più poveri prevalevano era nascondere le emozioni come la paura e la tristezza.

Non dovevano e non volevano mostrarsi deboli.

Le loro famiglie erano già in pena a sufficienza senza bisogno che loro ci mettessero di mezzo lagne o piagnistei.

Ci sarebbe stato tempo più avanti per lasciarsi andare.

L’interesse era tentare di sopravvivere.

Nell’arco dell’anno, tutti i potenziali tributi parlavano tra loro e provavano a cercare idee su come sopravvivere.

Molti ragazzi, basandosi sulle storie degli adulti, avevano provato ad ipotizzare quale arena sarebbe spettata ai tributi dell’anno, ma avevano scoperto che era tutto casuale e non vi era uno schema di qualche genere.

Altri, per capire quanto potessero resistere, facevano scioperi della fame e della sete, ma più di una settimana non riuscivano a reggere.

Infine tentavano la fortuna con alcune bacche e foglie nonché sfruttando la linfa degli alberi.

Nel Distretto 12 era solito aiutarsi a vicenda per quanto riguardava il lavoro e l’aiuto alle famiglie, ma quando si parlava degli Hunger Games erano tutti divisi.

Si diceva, fra gli anziani, che dopo i 75° Hunger Games e dopo la morte della ragazza di fuoco, l’arena era diventata ancora più brutale rispetto alle precedenti.

Qualcuno diceva che l’edizione 69°, un deserto in fiamme, era una favola il che era tutto dire.

Molti, pur di far smettere questo scempio, erano arrivati a non guardarli più, pur di non dover affrontare quella maledetta arena.

Ma a Capitol City e nei Distretti 1 e 2 non era dello stesso parere e, per questo motivo, i Pacificatori erano giunti al punto di obbligare le persone a guardarli e con l’ordine di uccidere chi non lo faceva.

Dicevano che i giorni bui erano stati i peggiori di tutta la storia, ma gli Hunger Games lo erano di più.

Non si parlava di una rivolta in cui veniva esplicitamente dichiarata guerra, ma si trattava di prendere a caso degli innocente e sbatterli in un arena per vederli morire e soddisfare la sete di sangue del pubblico...oltre al loro sadismo.

A Capitol City i bambini giocavano fingendo di essere negli Hunger Games, senza sapere quanto brutale sia in realtà.

Girava voce che ai più piccoli facessero credere che era solo un gioco e che in realtà nessuno moriva davvero.

Uno schiaffo in faccia ai sopravvissuti che avevano davvero vissuto quell’orrore e a cui la fortunata aveva giocato a favore.

Non era fortuna e lo sapevano bene.

Ci sono state edizioni dove non era sopravvissuto nessuno ed altre in cui il gioco finiva ancora prima di cominciare.

Infine vi erano le edizioni cosiddette normali dove un solo ed unico vincitore arrivava alla fine, per lo più dai Distretti 1 e 2.

Ma a quale prezzo?

Quell’anno si sarebbe svolta l’edizione della memoria, erano i 100° Hunger Games.

Molti potrebbero pensare che, trattandosi di un ripescaggio dei vecchi concorrenti, i giovani ragazzi e le giovani ragazze erano salvi dall’essere estratti e chi sarebbe stato all’ultimo anno di sorteggio poteva considerarsi libero a tutti gli effetti per sempre.

Ma non era così.

Nel Distretto 12 tutti sapevo che vi erano solo due vincitori e tutti e due maschi.

Peeta Mellark e Haymitch Abernathy

Di Haymitch si sapeva solo che faceva ancora da mentore ai tributi del 12, ma nessuno lo vedeva più da anni e nessun tributo era sopravvissuto agli Hunger Games per raccontarlo.

Peeta, invece, era ancora al distretto e si divideva tra il lavoro al forno e l’isolamento totale.

I pochi che erano riusciti ad avere un dialogo con lui hanno scoperto che la morte di Katniss Everdeen durante i 75° Hunger Games lo aveva reso pazzo.

Se fosse uscito il suo nome, questa sua pazzia poteva essere un vantaggio nell’arena ma, dall’altro lato, risultava un bel problema per sé stesso e l’eventuale tributo femminile.

Quelli, però, erano interrogativi senza risposta.

Ciò che quel giorno tutti volevano sapere era: chi sarebbe stato il tributo femminile?

Essendoci l’obbligo di avere una coppia per ogni Distretto, le femmine erano state costrette alla partecipazione.

Stando alle statistiche, il 12 era l’unico Distretto senza una campionessa femmina.

Pur di essere di sostegno alle loro figlie, le famiglie delle ragazze avevano passato quasi tutta la notte a sistemare gli abiti belli per presentarle e, quando l’alba fu ormai sorta definitivamente, passarono il restante tempo a pettinare i loro capelli, parlare di cose più allegre possibile e dare parole di conforto.

Ma nulla aiutava le ragazze ad essere meno nervose e terrorizzate.

Negli ultimi venticinque anni ci sono stati altrettanti vincitori e tutti derivanti dagli altri Distretti.

Non era certo l’esperienza che mancava e le ragazze del 12 lo sapevano bene.

Chi avrebbe impedito agli altri tributi di farle fuori per prime?

Ma le ragazze che avevano famiglia non erano le uniche ad aver paura.

Nella baracca più remota del Giacimento, che stava in piedi solo perché non soffiava vento, Kimia Letark si svegliò di soprassalto a causa di una nave di Pacificatori che stava transitando sopra casa sua e l’aveva fatta tremare tutta.

Aveva delle lacrime che le rigavano il volto, il respiro affannato e la fronte madida di sudore.

Un’altra notte passata, un altro incubo avuto.

Realizzò che era giunto il giorno della mietitura e realizzò, anche, che quello era il primo anno in cui avrebbe dovuto iscriversi.

Si alzò molto lentamente perché, almeno sperava, così facendo anche il tempo rallentava con lei.

Avanzò, sempre adagio, verso quello che avrebbe dovuto essere uno specchio posto sulla parete opposta a quella del giaciglio di paglia su cui dormiva.

Una ciotola con dell’acqua gelida e sporca era il suo lavandino con cui darsi una ripulita alla meno peggio.

Non era stato un anno semplice, anzi tutt’altro.

Due anni prima, durante i 98° Hunger Games, avevano sorteggiato suo fratello maggiore Histar, che era all’ultimo anno di iscrizione.

Era morto per mano di un tributo del Distretto 4, che lo aveva pugnalato mentre dormiva il giorno dopo l’inizio del gioco.

Pochi giorni della mietitura per i 99° Hunger Games, la madre era deceduta di infarto e lei era rimasta sola.

Molte anziane si erano offerte di aiutare Kimia, ma lei non aveva voluto ed era rimasta isolata cercando di sopravvivere come poteva e aiutando gli altri.

Ma la sua salute ne stava risentendo.

Era pelle e ossa e gli unici due vestiti che aveva le stavano larghi, cosa che non accadeva quando il fratello e la madre erano in vita.

Gli occhi azzurri erano gli unici che spiccavano sul suo volto sporco e scavato dalla fame e dal lavoro.

Mancava davvero poco all’inizio della mietitura Kimia stava meditando come provare a fuggire.

Chi glielo avrebbe impedito?

Chi mai si sarebbe accorto della sua assenza?

Sì, l’idea di fuggire e nascondersi era davvero allettante, ma tornò con i piedi per terra quando le balzò alla mente il ricordo di una famiglia qualche anno prima.

Erano nella zona più agiata del Distretto e, quando la loro sola ed unica figlia aveva raggiunto i dodici anni, decisero di nascondersi fino alla fine della mietitura.

Purtroppo si erano scordati che ogni nuovo nato veniva immediatamente registrato e se non si presentava alla mietitura erano guai seri.

I Pacificatori erano andati a prenderli con la forza, avevano registrato la bambina e atteso la mietitura.

Non era stata estratta, ma questo aveva comportato a lei e la sua famiglia la morte per ribellione.

Tra la morte per mano dei Pacificatori e la morte per fame o nell’arena, Kimia pensò che non vi era molta differenza.

Non voleva aver a che fare con i Pacificatori, specie quando usavano la forza.

Avrebbe potuto aggrapparsi all’età, dopo tutto aveva ancora undici anni e non avrebbe compiuto gli anni prima di altri tre mesi.

Ma a Capitol City non importava.

Nel momento che si entrava nell’anno dei dodici anni eri obbligato ad iscriverti.

Dopo aver sospirato, Kimia osservò fuori dalla finestra, utilizzando l’unico punto pulito che c’era.

Aveva ancora un po’ di tempo prima che la signora Brick giungesse fino alla sua baracca per renderla presentabile alla mietitura.

Voleva uscire, respirare e fingere di essere in tutt’altro posto.

Si tolse la camicia da notte, un tempo bianca, per mettersi i pantaloni e la camicia ormai corti e logori.

Da tener conto che i pantaloni stavamo su solo grazie ad una vecchia cintura del fratello.

Dopo la morte della madre, Kimia aveva venduto tutti gli abiti che vi erano in casa per potersi permettere cibo commestibile.

Sommando quello che era avanzato in casa con quanto ottenuto dalla vendita, aveva ottenuto alimenti per almeno un mese.

Stando molto attenta era riuscita a tirare avanti due mesi, poi era cominciata la fame e da lì nessun nuovo cambiamento.

Era sempre grazie alla signora Brick, la quale aveva perso suo figlio nella 90° edizione, che Kimia era ancora abbastanza in forze.

Quando aprì la porta, facendo attenzione a non farla cadere, Kimia fece il suo primo respiro profondo della giornata.

Voleva goderselo a pieno perché poteva essere fra gli ultimi, nonostante le possibilità che il suo nome uscissero erano scarsissime.

Si avviò verso il confine del Distretto, dove si fermò appena prima del filo spinato ad alto voltaggio.

Oltre quella ringhiera vi era un prato immenso, verde e rigoglioso, dove si potevano intravedere alcuni conigli che mangiavano indisturbati.

A loro non importava degli Hunger Games, forse neanche si rendevano conto.

Stavano lì, immobili, guardando gli esseri umani come se fossero prigionieri in una gabbia e, purtroppo, avevano ragione.

Gli animali andavano e venivano dal Distretto come più gli pareva, mentre loro erano costretti all’interno senza mai vedere cosa ci fosse dall’altra parte.

Kimia venne distratta da quei pensieri quando udì il fischio del treno di Capitol City in lontananza.

Gli accompagnatori erano giunti.

Deglutì, sentendo il suo stomaco chiudersi dalla paura.

Avrebbe voluto piangere, urlare e nascondersi: perché doveva registrarsi? Cosa centravano lei e tutti gli altri tributi, maschi e femmine, con i Giorni Bui di cento anni prima?

Nessuno di loro esisteva all’epoca e non era rimasto in vita nessuno dei ribelli dell’epoca.

Perché andavano avanti ancora con gli Hunger Games?

Pensò velocemente ad un piano per evitare la registrazione ma, ovviamente, non gliene venne in mente neanche uno.

Tentò, comunque, il meno drastico che aveva pensato e, per questo, decise di ritornare verso la baracca e si fermò vicino alla prima pozza di fango che trovò.

Anche se sapeva che non sarebbe servito a nulla e che, poi, ne avrebbe pagato le conseguenze, vi si rotolò all’interno, rendendosi impresentabile e irriconoscibile.

Una volta sicura che fosse ben imbrattata e sperando che i Pacificatori, nel vederla, la rispedissero a casa, Kimia si riavviò verso la baracca, bloccandosi quando vide la signora Brick davanti alla porta.

La donna spalancò la bocca e alzò le braccia al cielo trattenendo un’imprecazione.

“Kimia Letark, che diavolo hai fatto!?”

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Capitolo 2
*** Questione di tessere e possibilità ***


La signora Brick era una donna minuta la cui corporatura era appena sopra la soglia dello scheletro.

Dieci anni prima, durante la mietitura dei 90° Hunger Games, aveva assistito all’estrazione del suo terzo ed ultimo figlio.

Il ragazzo aveva appena diciotto anni, era il suo ultimo anno.

Era un ragazzo sveglio e laborioso, tanto che faceva qualunque cosa gli capitasse per aiutare la sua famiglia.

Aveva iniziato da piccolo facendo il contrabbandiere e vendendo merce persino ai Pacificatori in cambio di aiuti.

Anche se la sua famiglia era povera, non era mai mancato nulla in casa e, volendo vedere, avrebbe persino potuto evitare di chiedere tessere extra durante le iscrizioni.

Ma Seth, quello era il suo nome, era un tipo orgoglioso e aveva a cuore il valore della famiglia.

Tutti aiutavano tutti e lui aveva fatto così.

Quell’anno, in totale, era giunto ad avere trentacinque tessere, cioè trentacinque possibilità di essere estratto.

La signora Brick aveva sperato fino all’ultimo di non sentire il nome del figlio e, quando era accaduto, il mondo le era crollato addosso.

Tre figli, due mai estratti e uno sì.

Le ultime parole che Seth aveva rivolto alla madre erano di incoraggiamento e cercava di invogliarla a non lasciarsi andare.

E lei obbedì.

Non si lasciò mai andare, lo fece per suo figlio e per mantenere il suo ricordo ancora vivido.

Nessuno la vide mai piangere per il figlio, la cui fine era stata molto cruenta, così come nessuno la vide mai piangere per il marito deceduto in miniera a causa di una perdita.

Era sempre stata una donna forte e, quando Kimia aveva perso la sua famiglia, non aveva esitato ad aiutarla e prendersi cura di lei nonostante il carattere ribelle della bambina.

L’aveva sempre spronata a reagire e non lasciarsi mai andare e Kimia aveva obbedito.

Nel Distretto 12 non c’era il tempo di piangersi addosso.

Quel giorno, dopo aver obbligato la piccola a seguirla a casa sua, aveva organizzato tutto solo per lei.

Aveva preparato una bella vasca piena di acqua calda e tutto il sapone che era riuscita a recuperare, nonché una spugna dalle setole morbide per aiutarla a ripulirsi dal fango.

Le ci volle mezz’ora solo per sgrassare i capelli e farli tornare al loro colore originale, biondo molto chiaro, più un altro quarto d’ora per rivedere il rosa pallido del suo corpo.

Il tutto condito con sbuffi da parte di Kimia, che non era mai stata un amante del bagno.

Potendoselo permettere poche volte all’anno, aveva creato un’alleanza particolare con la terra e con il fango.

Le poche volte che vedeva l’acqua era per esasperazione o quando si buttava nel fosso che circondava il Distretto per giocare con gli altri compagni.

I bambini dei Distretti avevano una particolarità: erano grandi dentro.

Mantenevano sempre il loro lato infantile, visibile in momenti di ribellione o di svago, ma erano molto più maturi rispetto ai bambini di Capitol City, i quali non avevano bisogno di combattere sia nella vita che nell’arena per sopravvivere.

Kimia aveva ancora il suo lato bambino, che stava bellamente mostrando durante il bagno, ma in quasi dodici anni di vita aveva già mostrato molta maturità e capacità di cavarsela in ogni situazione che le si presentava.

Tranne durante il bagno, lì non era in grado di adattarsi con tranquillità.

Dopo averla ripulita e svuotato la vasca, piena di acqua sudicia, la signora Brick si dedicò a pettinarle i capelli.

Fu la parte più lunga ma, quando furono completamente senza nodi e perfetti, li acconciò in una lunga treccia che poi arrotolò formando uno chignon ordinato dietro la testa.

Infine, prese da un baule accanto al letto un vestito azzurro cielo la cui gonna era adornata da pizzi e merletti bianchi come la neve.

Intorno alla cucitura all’altezza della vita, vi era un nastro del medesimo colore che fungeva da cintura.

In aggiunta vi erano un paio di scarpe nere e lucide con il cinturino.

Kimia rimase a bocca aperta, non aveva mai visto un abito così bello e, in realtà, non ne aveva mai avuto bisogno.

La signora Brick le sorrise dolcemente e le lasciò tutto lo spazio necessario per cambiarsi e mettersi in ordine.

Kimia si prese tutto il tempo del mondo, anche se in realtà aveva appena mezz’ora.

Avrebbe voluto avere sua madre accanto, sentire la sua voce che le sussurrava parole dolci e che la faceva sentire come una principessa.

Voleva avere al suo fianco Histar, che la prendeva in giro e la teneva allegra.

Avrebbe voluto anche il padre, burbero e dolce allo stesso tempo, che brontolava perché non si sbrigava a prepararsi.

Erano sempre stati una famiglia disastrata, che tirava la cinghia e cercava di farsi forza nei momenti difficili, ma era una famiglia che mai e poi mai avrebbe cambiato.

Le mancavano tutti quanti e sentiva la mancanza di una stabilità.

Era terribile immaginare che, nel caso fosse estratta la sua tessera, non ci sarebbe stato nessuno a piangere la sua morte.

Guardò il lato positivo, lei avrebbe avuto meno possibilità di altri in quanto le sue tessere sarebbero state esclusivamente quelle obbligatorie.

Aggrappandosi a questo pensiero, finì di prepararsi e poi si presentò davanti alla signora Brick, che incrociò le mani vicino al volto e sorrise fiera.

“Sei meravigliosa, Kimia” disse commossa la donna, che cercava di vedere il lato positivo in quella situazione.

Non stavano andando ad una festa, quello era più che ovvio, ma la signora Brick cercava di rendere il tutto meno drammatico e voleva che Kimia non sentisse la paura.

“Ti sta di incanto” proseguì la donna avvicinandosi e stringendola a sé, facendo attenzione a non romperle le ossa ben visibili “Questo è il vestito che mia madre mi fece per offrirmi in tributo” disse con tono malinconico “L’ho sempre tenuto con me per due motivi: primo, per ricordare a me stessa quanto sia stata fortunata a non essere mai estratta, secondo, per darlo ad un eventuale figlia femmina per portarle fortuna” accarezzò il volto di Kimia “Ora lo passo a te e che ti porti la fortuna che meriti”

Kimia si sentì onorata e non riuscì a non sorridere, nonostante avesse le gambe che tremavano.

La signora Brick aveva sempre fatto il mondo per lei e Kimia sentiva di non averle mai dimostrato a pieno la gratitudine che aveva nei suoi confronti..

Pensava che standosene isolata e aiutando ogni tanto con quello che riusciva a trovare fosse più che sufficiente.

Il suo pensiero era se sto lontana e mi arrangio non devo gravare su di lei che mi ha sempre dato tutto.

Invece si accorse che, per dimostrare gratitudine, c’erano i piccoli gesti, gli sguardi e le intese.

Fare dei complimenti e ringraziare era più soddisfacente che isolarsi.

La signora Brick non meritava solo dei complimenti, quelli erano niente, ma un grazie sincero e di cuore.

Un’abitudine che Kimia aveva iniziato a perdere dopo la scomparsa del fratello e definitivamente con la morte della madre.

Ma non era estranea alle buona maniere e sapeva quanto la donna fosse importante per lei e viceversa.

Solo in quel momento si accorse del tempo sprecato e non sapeva se ne avrebbe avuto ancora occasione.

“Grazie, signora Brick” disse venendo nuovamente stretta, quasi a soffoco, dalla donna la quale, nonostante fosse molto minuta, aveva una forza incredibile.

Sarebbero rimaste abbracciate per ore, ma vennero interrotte da Lowell, il primo figlio della signora Brick, che fece il suo ingresso nella casa.

Lui ed il fratello Alistar si erano presi la mattina libera per assistere alla mietitura e fare da sostegno alla loro madre e a Kimia, che consideravano come una sorella minore.

“E’ ora” disse in un sussurro e guardando la madre come per dire ambasciator non porta pena.

Poi volse lo sguardo verso la bambina, sfoggiando un sorriso dolce e fiero “Sei splendida, Kim” sorrise Lowell, ricevendo uno sguardo imbarazzato dalla piccola.

Lowell e suo fratello Alistar erano uomini molto magri ma avevano una buona muscolatura e una buona salute che permetteva loro di lavorare in miniera senza troppi problemi.

Lowell era sposato ed aveva un figlio, mentre Alistar era solo sposato.

Se non fosse che fra i due vi era una differenza di cinque anni, tutti avrebbero potuto scambiarli per gemelli in quanto la somiglianza era incredibile.

La signora Brick guardò il figlio come se volesse dirgli perché lo hai detto? Dalle più tempo, poi si voltò verso Kimia e le sorrise appena.

Voleva bene alla bambina e il solo pensiero che nell’urna ci sarebbe stato il suo nome la faceva tremare.

Aveva solo una possibilità, ma sempre una era e questo obbligava la piccola a presentarsi come tributo.

Purtroppo non vi era una legge che tutelava i figli senza genitori.

Dopo un bel respiro profondo, la signora Brick la prese per mano ed uscirono per recarsi nell’anfiteatro.

Qualche ragazza più grande sfrecciò di fianco a loro per non fare tardi.

Kimia aveva visto più volte scene di questo genere, ma non riusciva a capire la fretta di iscriversi.

Avevano così tanta voglia di essere scelte? O avevano così tanta voglia di morire?

Giunta all’ingresso dell’anfiteatro, la signora Brick fu costretta a lasciare Kimia da sola per la registrazione, ma non mancò di stringerla forte prima di entrare e attenderla dentro.

Kimia deglutì e si mise in fila insieme ad altre ragazze, comprese quelle che l’avevano superata prima.

Nella sua mente aveva cercato di fare tabula rasa, isolarsi e non ascoltare le conversazioni degli adulti che osservavano le iscrizioni.

Di solito si vedevano due file, maschi e femmine, stavolta non c’era nessuno maschio a registrarsi, loro erano già dentro ad attendere.

Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse di aver raggiunto il suo turno.

Sentì il fiato mancarle, lo stomaco chiudersi e la strana sensazione di voler vomitare.

Come Pacificatore addetto alle registrazioni c’era una donna.

Era giovane e con l’aspetto rassicurante, ma chi aveva già avuto modo di vederla all’opera non era per nulla d’accordo.

I suoi modi erano molto bruschi e se capitava che qualche bambina si faceva prendere dal panico, lei era la prima a farla muovere e rimettere in riga minacciandola con la pistola di ordinanza.

Kimia sentiva di essere sull’orlo di questa crisi, ma fece qualunque cosa in suo potere per non arrivare oltre il limite.

Quando la donna le chiese la mano, lei la allungò e lasciò che la pungesse sul dito indice della mano destra.

Il sangue che fuori uscì dal dito servì come inchiostro e presero la sua impronta digitale dalla quale scaturì il suo nominativo.

Una volta eseguita questa operazione, Kimia venne indirizzata da altri Pacificatori, con i volti ben nascosti dai loro caschi, verso l’interno dell’anfiteatro.

Sul fondo si erano radunate, come sempre, le famiglie dei tributi, al centro vi erano i ragazzi e le ragazze dai dodici ai diciotto anni ed infine il palco.

Sotto di esso, sparsi per tutto il perimetro e sopra gli spalti, vi erano i Pacificatori con armi cariche e pronte all’uso.

I tributi femmina, ad eccezione dei maschi, erano state messe in ordine di età.

Davanti le più piccole fino ad arrivare alle più grandi.

Kimia venne indirizzata in prima fila, davanti al palco.

Appena giunta in postazione si voltò e cercò la signora Brick, che le sorrise in segno di incoraggiamento.

Chiuse gli occhi, tenendo le braccia distese lungo i fianchi e stringendo i pugni.

Poco dopo, il portone dietro al palco si spalancò.

Fece il suo ingresso Effie Trinket, ormai molto conosciuta nel Distretto 12.

Nonostante l’età già avanzata, era sempre vestita in modo eccentrico.

Quell’anno si era presentata con un vestitino verde smeraldo, lungo fino al ginocchio, con maniche a sbuffo e scarpe abbinate.

I capelli, o meglio la parrucca, erano color argento acconciati con nastri dello stesso colore dell’abito e in mezzo a tutto qualche piuma variopinta.

Era impossibile non notarla ed era altrettanto difficile riuscire a distogliere lo sguardo da lei per due motivi: primo, in mezzo a tutta quella gente era l’unica che spiccava e obbligava l’occhio a seguirla. Secondo, tutti speravano che i loro non scegliere me/non scegliere mia figlia giungesse alla sua mente.

Dopo i 75° Hunger Games erano cambiate parecchie cose ed Effie Trinket non era stata più la stessa.

Girava voce che era diventata più comprensiva e ci teneva molto ai tributi che le venivano affidati, ma finché non si veniva scelti non si poteva avere la conferma ufficiale.

Vista la situazione, quella conferma non la voleva nessuno.

“Benvenuti” annunciò Effie con un gran sorriso “Benvenuti a tutti voi a questa nuova edizione degli Hunger Games” come sempre, nessuno applaudì ed Effie proseguì “Questa è un edizione particolare in quanto trattasi del centenario dalla fine dei Giorni Bui, un periodo che tutti vorremmo cancellare dalle nostre menti e dai libri di storia, ma in particolar modo questa è l’edizione della memoria” si voltò verso l’enorme schermo posto alle sue spalle “Prego, guardate questo video” fece partire il video.

I proiettori mandarono in onda prima alcune scene della guerra avvenuta cento anni prima, cosa che ormai conoscevano tutti bene.

Poi mostrarono i video di tutti i vincitori di qualunque edizione...tranne quella dei 74° Hunger Games.

Era ovvio, a Capitol City nessuno voleva ricordare colei che aveva osato sfidarli e ribellarsi.

In compenso, per l’edizione dei 75° Hunger Games, il video mostrò prima la morte di Katniss Everdeen e poi la vincita di Peeta.

Qualunque cosa dicesse la voce narrante del video, nessuno la stava davvero ascoltando.

Fra gli anziani qualcuno aveva osato mostrare disappunto per le immagini diffamatorie relative a Katniss, ma non appena i Pacificatori avevano impugnato le armi avevano cambiato espressione e si erano zittiti, fingendo di non aver detto nulla.

Erano tutti intenti ad osservare quel video da non accorgersi che, nel frattempo, altri due Pacificatori avevano portato le due urne accanto ad Effie.

Come già sapevano, l’urna dei maschi conteneva solo due tessere mentre quella femminile ne aveva molte di più.

Quando il video si concluse e la tensione tornò a regnare sovrana, finalmente gli unici due tributi maschili salirono sul palco.

Il primo a mostrarsi era Haymitch Abernathy.

L’età per lui non era semplicemente avanzata, ma lo aveva letteralmente ridotto uno straccio.

Era ubriaco, si vedeva lontano un miglio, ed i suoi capelli ormai grigi ricadevano spettinati sul volto, il quale era ricoperto da un filo di barba.

Il vestito giacca e papillon che stava indossando era un vano tentativo di nascondere la robustezza del suo corpo ed il suo aspetto molto trasandato.

Dietro di lui seguì Peeta Mellark.

Lui era più conosciuto rispetto ad Haymitch, avendo quest’ultimo dimora fissa a Capitol City.

A parte un filo di barba che gli ricopriva il volto, Peeta era affetto da spasmi che gli facevano tremare le mani quando era nervoso e nei momenti più impensati.

Spesso e volentieri borbottava fra sé e sé frasi incomprensibili e, inoltre, aveva spesso dei tic nervosi che gli facevano scattare gli occhi e la testa.

Era sempre scontroso con chiunque ed erano davvero pochissimi quelli che riuscivano a dirgli più di due parole senza essere mandati al diavolo o presi a mestolate.

Nonostante questo suo comportamento, era ancora in grado di gestire il forno al meglio e di fornire prodotti ottimi a tutto il Distretto.

Il ragazzo che lavorava con lui, preso durante i 95° Hunger Games, diceva che non apriva mai bocca e che insegnava il mestiere semplicemente mostrandolo in modo pratico e non con teorie e paroloni.

Aveva persino confermato che non era mai stato in ritardo con i pagamenti e, da quel che si diceva, stava ancora sfruttando la vincita degli Hunger Games...sia quella dei 74° che quella dei 75°.

Era l’unico ad esserne uscito vivo in quanto lontano dall’albero su cui era caduto il fulmine, lo stesso che aveva ucciso Katniss.

Ed era anche l’unico ad essere uscito vivo da due Hunger Games consecutivi.

“Bene” cinguettò Effie, la quale cercò di nascondere la tristezza dovuta al video e all’assenza della vincita di Katniss Everdeen “E’ sempre emozionante non è vero?” domandò, non ricevendo risposta “A questo punto, essendo il Distretto 12 senza un tributo femminile da proporre, Capitol City ha permesso al vostro Distretto di proporre le ragazze come se fossero dei normali Hunger Games” disse “Ciò significa che la fortunata che verrà scelta sarà schierata con uno dei nostri due veterani e dovrà battersi con altri volti noti, non è meraviglioso?” domandò, nascondendo il suo stesso ribrezzo.

Non era favorevole a quella scelta, ma non era lei a fare le regole.

“Viste le circostante, quest’anno partiremo prima con gli uomini” Effie lanciò uno sguardo verso Peeta ed Haymitch i quali la guardarono senza dire nulla.

Sapevano che, qualunque nome fosse uscito, non era colpa sua e che entrambi erano pronti a morire già da molto tempo.

Haymitch era stufo dello schifo che regnava a Capitol City e di quanto gli Hunger Games fossero diventati cruenti dopo Katniss.

Lo stesso valeva per Peeta, il quale aggiungeva all’elenco anche la morte della ragazza che ancora amava.

Quei giochi li avevano portati alla pazzia e ad una vita che ormai non gli piaceva più, infatti nessuno dei due aveva più desiderio di vivere.

Quando la tessera venne estratta, Effie la aprì e lesse il nome.

“Peeta Mellark”

Peeta mosse nervosamente la testa, scosso da un tic, avvicinandosi ad Effie nel più totale silenzio.

“Il nostro primo tributo” disse la donna, fingendosi felice di quell’estrazione “Peeta Mellark, cari cittadini, applaudite al nostro tributo”

Ma nessuno del Distretto applaudì, si limitarono solo a guardare Peeta ed alzare il braccio in alto, con le tre dita allungate, in segno di saluto e di sostegno.

Effie sospirò e resto in silenzio qualche secondo prima di riprendere.

“Ed ora passiamo alle signorine” lentamente si avvicinò all’urna contenente le tessere delle ragazze.

I tributi femminili iscritti erano trentadue, ma le tessere all’interno dell’urna superava le centinaia di gran lunga.

Le più grandi, che erano all’ultimo anno di estrazione, stavano sperando di non essere scelte e di porre fine definitivamente a quella parentesi di terrore.

Erano le più spaventate in quanto avevano sette tessere per obbligo più quelle extra.

La ragazza che ne aveva di più era Cindy Aberforth, con un totale di cinquantadue tessere.

La mano di Effie si faceva strada attraverso quelle tessere con lentezza, sperava ancora di sentire qualcuno fermarla dicendole che le regole erano cambiate e non doveva pescare qualche ragazzina inesperta.

Ma non accadde nulla di quanto pensato e fu costretta ad estrarne una.

La prese dal fondo e tutti poterono udire le sue unghie finte battere sul vetro e rompere il silenzio glaciale che si era formato.

Quando la tirò fuori, le ragazze dai quindici anni in su iniziarono a tremare ancora di più di quanto già non stessero facendo.

Lentamente, la donna aprì la tessera cercando di sfoggiare un sorriso dolce e amichevole.

“Kimia Letark”

L’anfiteatro si riempì di persone con la bocca spalancata.

Tutti conoscevano, chi personalmente chi di vista, Kimia e tutti erano al corrente che la bambina non aveva più una famiglia a cui fare riferimento.

Sapevano che avrebbe avuto una sola ed una tessera all’interno dell’urna e che le possibilità di essere pescata erano letteralmente scarse.

Alcune bambine più piccole, che l’anno dopo sarebbero state obbligate ad iscriversi, si aggrapparono alle braccia delle madri con il terrore.

A quanto pare una sola tessera poteva bastare.

Nessuno notò il volto pallido di Kimia la quale, nel silenzio più totale, avanzò tremando sul palco, scortata da un Pacificatore.

Peeta, quando la vide, sgranò gli occhi e provò a sussurrare qualcosa ad Effie che, purtroppo, non poté dargli retta.

“Su, cara, coraggio” incitò la donna, mentre Kimia si mosse lentamente fino al suo fianco.

“Kimia Letark, un bell’applauso per questa coraggiosa donna”

Ciò che accadde per Peeta avvenne anche per lei.

La signora Brick si fece strada dal fondo e, per la prima volta, Kimia la vide in lacrime.

La donna tratteneva a stento i singhiozzi e alzò il braccio allungando le tre dita.

Subito dopo, Lowell insieme ad Alistar e le loro famiglie, fecero lo stesso e con loro tutto il resto dell’anfiteatro.

Kimia sentiva solo la voglia di piangere e di fuggire, ma era troppo tardi e nessuna si sarebbe mai offerta volontaria per lei.

“Felici Hunger Games” disse Effie “Possa la fortuna sempre essere a vostro favore” detto questo, i Pacificatori fecero svuotare l’anfiteatro, mentre i due tributi vennero portati sul retro.

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