Cinque giorni a Brighton di holls (/viewuser.php?uid=3882)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cercasi Nathan ***
Capitolo 2: *** Tre quarti ***
Capitolo 3: *** In penombra ***
Capitolo 4: *** Senza parole ***
Capitolo 5: *** Piccole confessioni ***
Capitolo 6: *** Jingle Bell Rock ***
Capitolo 7: *** Chiusure ***
Capitolo 8: *** Quattro quarti ***
Capitolo 9: *** Radici ***
Capitolo 10: *** Rinascita ***
Capitolo 1 *** Cercasi Nathan ***
Nota: questa raccolta si
colloca dopo Due
Marlboro; pertanto, se non volete spoiler, vi consiglio di cominciare da
quella. Dovrebbe comunque essere godibile anche se non avete letto la storia
principale, per cui… buona lettura!
Cercasi
Nathan
È passata poco più
di un’ora da quando il pranzo della Vigilia è finito per lasciare il passo alle
chiacchiere, e solo dieci minuti da quando la sedia accanto alla sua ha
lasciato spazio a una scia di odori, tra i quali solo un olfatto attento
avrebbe riconosciuto un sottile aroma di Marlboro.
Alan
ogni tanto si volta in cerca di una testolina bionda, ma non la trova, non lì.
Si scusa senza troppa convinzione coi parenti, si alza e butta un’occhiata al
divano, dove trova solo suo cugino Thomas che parlotta con quella chioma rossa
di sua moglie e suo padre e suo zio che discutono di politica.
Lo
cerca in cucina, nelle camere, in bagno - non c’è. Eppure, pensa, non è
possibile che la casa se lo sia inghiottito, né che se ne sia andato a piedi da
qualche parte, col freddo che fa. Col respiro appena affannato per le troppe
porte aperte e altrettante speranze deluse, torna in sala dagli altri e
incrocia sua madre.
«Mamma, hai visto Nathan?», chiede, e poi sposta gli occhi in
ogni angolo della stanza non appena lei scuote il capo. La supera e prova ad
annusare l’aria, in cerca di quell’odore di Marlboro che però sembra come
svanito.
«Manca anche Virginia», aggiunge lei, ed è lì che il cuore di
Alan perde un battito nell’esatto istante in cui ha un’intuizione. Si volta
verso la porta che dà sul cortile interno e la raggiunge in un paio di falcate;
abbassa la maniglia e spalanca la porta, e la condensa che esce dalla sua bocca
esprime tutto il sollievo nell’averlo trovato.
Nathan e Virginia sono addossati alla parete, una cuffia per
uno, lui intento ad ascoltare una canzone, lei altrettanto, ma con
un’espressione eccitata che tradisce la speranza che gli piaccia. Alan si
avvicina, pronto a rifilargli un classico “Ti ho cercato dappertutto”, ma non
fa in tempo ad aprire bocca che la cuffia è già nel suo orecchio, con Back
for good dei Take That. Per averla riconosciuta subito Alan deve
ringraziare le radio che l’hanno passata a ripetizione almeno sei anni prima,
perché è questione di secondi prima che Nathan si rimetta la cuffietta
nell’orecchio e torni ad ascoltare.
«Sono fighissimi!», esclama lui, e Alan per un momento ha il
sospetto che non si stia riferendo solo alla canzone. Sbuffa a quel pensiero,
poi alza le spalle.
«Be’, sono i Take That.»
«Ma come ho fatto a vivere finora senza conoscerli?!»
Gli occhi di Nathan si illuminano mentre parla, e dietro
Virginia ridacchia, consapevole di aver creato un mostro.
«Non conoscevi i Take That? Ma dai, sono famosissimi», lo
canzona Alan, divertito dall’idea di saperne più di lui su qualche boyband.
Nathan però non lo ascolta davvero, e comincia anzi a intonare qualche parola
della canzone, seguito a ruota da Ginny da cui non stacca gli occhi. E se un
tempo Alan si sarebbe sentito geloso di quella sintonia tra il suo ragazzo e
qualunque altro essere umano, in quel momento è felice, perché felice lo è
anche Nathan, con la sua musica e la sua piccola scoperta.
Alan lo saluta e Nathan a malapena ricambia, poi rientra in
casa. Si dirige verso la sala da pranzo, va verso il posto che aveva lasciato
vuoto e si siede, col sorriso sulle labbra… a lasciare che l’odore di Marlboro
gli faccia compagnia.
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Angolo autrice
Salve a tutti, vecchi e nuovi
lettori! Ebbene sì, non ce la facevo a stare senza questi due, e visto che l’idea
del soggiorno inglese di Nathan mi frullava nella testa già da un po’… be’, non
ho potuto non scriverlo! Come forse avrete visto nei tag, questa sarà una
raccolta di missing moments (o forse solo “moments”, visto che in teoria
si collocano dopo la storia principale, quindi non sono poi così “missing”, ma
son dettagli XD), quindi più o meno avranno tutti questa lunghezza. È giusto
per dare una sbirciata alla fase “luna di miele” tra questi due testoni, e
anche per coccolarci con del sano fluff dopo tante peripezie.
I prossimi frammenti, per così dire,
arriveranno nei prossimi giorni, anche se non c’è una vera e propria trama.
Spero comunque che possa piacervi <3
A presto,
Simona
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Capitolo 2 *** Tre quarti ***
Tre
quarti
Alan
scende le scale e torna in cucina, dove trova sua madre e suo padre e un
orologio che ormai segna le dieci di sera. Lei finisce di asciugare un
bicchiere da vino e lo passa al marito, che lo rimette a posto nella credenza
aperta. I passi di Alan si fanno più vicini, e i suoi genitori si voltano,
prima l’uno e poi l’altro.
«È crollato?», chiede sua madre e Alan annuisce.
«Sì, poveretto, chissà da quanto è sveglio.»
Per un attimo, Alan ripensa a quella giornata ai limiti
dell’incredibile e sbatte le palpebre per assicurarsi ancora una volta che non
sia solo un sogno.
«Ho visto che Ginny lo ha importunato tutto il pomeriggio»,
ridacchia suo padre, e a ruota seguono anche lui e sua madre.
Si lascia scuotere da quella risata per qualche secondo, poi
ripensa al momento in cui ha spalancato la porta del cortile e lo ha visto
confabulare con Ginny. Il suo ricordo si sofferma sulle guance arrossate e
infreddolite di lui e su quegli occhi che lo hanno solo sfiorato, poi passa al
cd che la ragazza teneva in mano. Come in un lampo, si accorge che non ha un
regalo di Natale per Nathan, che invece a lui un regalo lo ha fatto eccome. Il
ricordo vira di nuovo verso il cd tra le dita di Ginny, e una smorfia
soddisfatta si apre sul viso di Alan.
«Gli hai dato la camera degli ospiti?», chiede sua madre.
«No», risponde lui, con la testa ancora sul regalo. «Dorme
con me.»
Sua madre esita un secondo nell’asciugare l’ennesimo
bicchiere, ma Alan non se ne accorge; e quando l’attenzione di lui torna sui
movimenti dei suoi genitori, la catena di montaggio che va dal lavello alla
credenza ha già ripreso a funzionare.
«Anzi», aggiunge, e il volto addormentato di Nathan gli
sfreccia per un attimo nella mente, «meglio che vada a dormire, prima che si
prenda i tre quarti del letto.»
Ancora una volta il meccanismo tra i suoi si inceppa, e
ancora una volta Alan è troppo preso da quel sogno a occhi aperti per farci
caso. Saluta i genitori e augura loro la buonanotte, poi comincia a salire le
scale, appoggiato al corrimano.
È scalino dopo scalino che ripensa a ciò che ha appena detto,
a come quei tre quarti di letto rivelino una consuetudine che in qualche modo
ha già avuto modo di conoscere. Si sente arrossire, ma è ovvio, pensa, che
essere una coppia significhi anche quello.
Posa la mano sulla maniglia della porta che dà sulla camera e
la spinge piano, e a poco a poco si fa strada un bagliore che rischiara la
stanza; e ad Alan basta un attimo per sentire un sorriso che si apre sul suo
volto, mentre si siede sul bordo di quel letto di cui è pronto a occupare solo
un misero quarto.
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Capitolo 3 *** In penombra ***
In
penombra
Alan credeva che
un quarto di letto sarebbe stato troppo poco per lui, e invece si ritrova a
pensare che la distanza che lo separa da Nathan, a pancia in giù e accoccolato
al cuscino, forse è pure troppa. Ma non ha il coraggio di fargli una carezza o
di baciarlo, sebbene lo voglia; teme di svegliarlo e di vedergli svanire
quell’aria innocente, quella che intravede grazie alla porta socchiusa.
Cerca
di chiudere gli occhi, ma non ci riesce, perché ha paura davvero che quella
realtà così vivida sia solo un sogno. Allora fissa il soffitto, i pensieri
ritmati dal respiro di Nathan, e ringrazia la vita per averlo riportato lì da
lui. Ruota il capo e ne scorge giusto i capelli, mentre il resto del viso è un
lavoro di immaginazione, di come lo ha lasciato due mesi prima e di come lo ha
ritrovato con quel filo di barba che non gli ha mai visto. Ed è in quel momento
che qualcosa dentro di lui esplode, come se il cuore fosse stato imbrigliato
fino a quel momento e sentisse ora l’esigenza di liberarsi dalle catene; così fa
risuonare quel sentimento, e batte più forte, e pompa, pompa tutto l’amore che
sente in ogni angolo del suo corpo, a tal punto che Alan sente di dover
lasciare al suo ragazzo almeno un bacio sulla tempia, almeno una carezza sulla
guancia. Lo fa, una volta, poi due, finché le sue labbra non rimangono posate
sulla sua pelle, e la mano gli cinge la testa con delicatezza.
Il
respiro di Nathan si scompiglia un po’, ma basta passargli le dita tra i
capelli perché torni regolare. E questo basta anche ad Alan per sentirsi
completo, per capire che davanti ha la realtà, la sua realtà, quella che
lo fa tornare nel suo quarto di letto a desiderare che il giorno arrivi il più
in fretta possibile, solo per dire a Nathan quanto è felice.
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Angolo autrice
Mi sto divertendo davvero tanto a scrivere questa
raccolta, sapete? Alan e Nathan mi erano mancati tanto, troppo! Per loro ho in
serbo ancora altre avventure, ma si tratta di una storia vera e propria che
quindi necessita della giusta struttura e ispirazione, a differenza di questa
raccolta che invece si fa scrivere con una semplicità disarmante. In testa ho
ancora almeno due o tre frammenti che vorrei buttar giù, ma chissà, magari
saranno anche di più!
Alla prossima,
Simona
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Capitolo 4 *** Senza parole ***
Senza
parole
Sono solo le sette
del mattino quando Alan si sveglia, e manca poco che gli prenda un coccolone
quando si accorge che c’è qualcuno nel suo letto. Basta un attimo, però, affinché
quell’espressione spaventata lasci il posto a uno sguardo tenero e a un sorriso
che non percepiva sul suo volto da almeno un annetto.
Si
sistema sul fianco verso il ragazzo davanti a lui e comincia a desiderare che
si svegli, perché gli basta sfiorarlo con lo sguardo per pensare a quanto
Nathan lo renda felice, di quanto abbia stravolto la sua vita in una maniera
che non avrebbe mai immaginato. Sorride pensando al loro primo incontro, a
quello che, ora lo ammette, è stato proprio un colpo di fulmine; e il sorriso
si allarga di più se ripensa a quanto abbia cercato di negarlo, a quanto si siano
rincorsi per essere lì dove sono ora, nello stesso letto, a passare il Natale
insieme.
È
proprio in quel momento che Nathan emette un gemito, poi struscia la faccia sul
cuscino e, infine, schiude gli occhi. Fissa Alan di rimando per un attimo, come
a volersi ricordare perché e come sia finito lì, e passa un istante prima che
anche le sue labbra si pieghino in un sorriso imbarazzato.
I
due smettono di guardarsi solo nel momento in cui Nathan gli posa un bacio a
fior di labbra, e Alan sente la gola stringersi di fronte a un gesto che
pensava irripetibile per il resto della sua vita.
«Buongiorno»,
gli sussurra l’altro.
Alan
non vuole spaventarlo, eppure le parole non gli escono di bocca; vorrebbe
rispondere al suo buongiorno, o anche solo augurargli “Buon Natale”, ma riesce
soltanto a pensare a quanto sia felice in quel momento. Nota che l’espressione
di Nathan cambia, diventa smarrita, ma nonostante questo non arretra, non
reagisce, quantomeno non come l’ultima volta.
«Nathan…»,
sussurra a sua volta con l’intento di terminare la frase, che però resta
sospesa perché non sa cosa dire. O forse sì.
«Dimmi.»
Sì,
sì che lo sa. Da almeno due mesi e mezzo.
«… Ti
amo.»
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Capitolo 5 *** Piccole confessioni ***
Piccole
confessioni
Nathan sa che non
riuscirà a evitarlo in eterno - non può. Ma ecco che nel frattempo intrattiene
una discussione con Stuart - o Stu, come si fa chiamare - sulla
colazione inglese e le differenze tra il bacon inglese e quello americano.
Nathan prova un sincero fascino mentre il padre di Alan prepara intanto le uova
strapazzate e gli spiega i trucchi del mestiere, ma l’attenzione svanisce non
appena il suo ragazzo entra in cucina.
È tranquillo,
Nathan, perché sa che Alan non parlerebbe mai di quanto accaduto poco prima
davanti a suo padre; ma quello che non sa è che il suo ragazzo non vuole
trascinare quella situazione troppo a lungo, tanto che di lì a poco lo afferra
per un polso e lo porta fuori dalla cucina, liquidando suo padre con un “Te lo
rubo” che non lascia spazio a domande.
Nathan posa gli
occhi sul pigiama blu scuro di Alan, ma sa che lui sta cercando il suo sguardo,
senza successo. Così lascia che trovi le sue mani, che Nathan intreccia in
quelle dell’altro, di cui avverte subito il calore sulle sue dita gelide.
«Mi
dispiace per prima, non volevo spaventarti.»
«Non
preoccuparti, è tutto ok», risponde, poi abbozza un sorriso.
«Nathan,
non sono cieco. È mezz’ora che mi stai evitando.»
Nathan
prova ad allentare la presa sulle dita di Alan, ma l’altro prontamente le
stringe per evitare che scivolino via.
«È
solo che…», e qui alza gli occhi verso quello che è il suo ragazzo da nemmeno
un giorno, «non me l’aspettavo.»
Si
vergogna a confessare che è la prima volta che qualcuno glielo dice, visto che
le sue “storie-durate-meno-di-un-anno” non si sono mai sprecate nell’impresa -
e sì, quella definizione che Alan gli ha rifilato appena conosciuti gli brucia
ancora.
«Hai
ragione, avrei dovuto aspettare un altro po’. Ma sai, era da almeno un paio di
mesi che quelle parole volevano uscire e…»
«Oh»,
risponde lui con leggerezza, «hai capito che mi amavi mentre ero via?»
Nathan
finalmente lo guarda e piega le labbra in un sorriso, senza rendersi conto che
per Alan quei sentimenti sono tutt’altro che una leggerezza.
«No,
da quando abbiamo fatto l’amore la prima volta.»
Il
sorriso sul volto di Nathan si spegne con la stessa rapidità con cui capisce
che Alan fa sul serio, e che quel Ti amo che gli ha rivolto poco prima
va oltre il voler essere semplicemente una coppia, ma è molto, molto di più.
«Anzi»,
prosegue, con lo sguardo che ruota alla ricerca di un pensiero, e che si ferma
solo quando lo ha trovato, «forse anche da prima.»
«“Da
prima” quando, scusa?»
Lo
sguardo di Alan ruota ancora, ma stavolta non cerca alcun pensiero, no, ma solo
un posto dove rifugiarsi da quella domanda indiscreta. Le guance gli si
colorano appena, e Nathan sorride con un filo di imbarazzo per quella
consapevolezza del tutto nuova per lui.
«Allora?»,
lo incalza.
«Be’,
ti ricordi quando abbiamo parlato da soli in centrale la prima volta e mi hai
lasciato il tuo numero? Ecco… Dai, non fare quella faccia!»
«Sei
serio?», chiede Nathan mentre si lascia scappare un risolino.
«Per
favore, è già abbastanza imbarazzante così. E comunque all’inizio era solo un’infatuazione,
ovviamente.»
Ride,
Nathan, e senza volere stringe ancora di più la sua mano in quella del suo
ragazzo.
«Ah
be’, se la metti così, alcune cose acquistano più senso ora. Io l’avevo detto
che alla festa la tua era gelosia!»
Le
guance di Alan ora sono di un bel rosso rubino, così imbarazzate che cominciano
a fargli male.
«Nathan…»
«Quella
sera hai fatto il fidanzatino offeso per tutto il tempo!»
«Credo
che la colazione sia pronta…»
Di
fronte a quella reazione non può non ridere ancora, perché Alan imbarazzato è
uno spettacolo del tutto inedito per lui. Si avvicina allora al suo viso e col
naso gli sfiora la guancia, dove gli lascia un piccolo bacio.
«Ora
che ci penso, da quel giorno non hai fatto altro che provarci con me»,
sussurra.
Alan
si gira, rosso come un semaforo, a pochi centimetri di distanza dalle labbra
del suo ragazzo.
«Te
l’hanno mai detto che parli troppo?»
«E
a te–», ma non fa in tempo a finire la frase, perché le labbra di Alan sono già
sulle sue.
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Capitolo 6 *** Jingle Bell Rock ***
Jingle
Bell Rock
Nathan è impegnato
a canticchiare Jingle Bell Rock di Bobby Helms, gracchiata da
quel mangianastri che ha fatto da protagonista per più di un Natale in casa
Scottfield, mentre va in giro con un sacchettino in mano, quello che contiene
le praline Lindt che ha preso al supermercato e che ancora non ha avuto modo di
dare ad Alan. Dopo un giro di ricognizione, lo trova seduto davanti all’albero
di Natale a ricontrollare gli ultimi bigliettini e regali insieme a sua madre,
destinati a quegli amici e parenti che ancora non ha avuto modo di rivedere.
Non
appena i suoi passi diventano percettibili, ecco che Alan si gira di colpo, e
Nathan fa giusto in tempo a nascondere le mani e il sacchetto dietro la
schiena. Gli basta fare un sorriso - nemmeno un cenno - e Alan schizza via
dall’albero per raggiungerlo.
«Be’?», gli chiede, con quel tono e quell’espressione a cui
non si può nascondere nulla. Ma Nathan ci prova lo stesso e allarga il sorriso
con una punta di malizia, e lo sguardo interrogativo e curioso dell’altro gli
fa capire che ha raggiunto il suo obiettivo. Alan un po’ sorride e un po’ lo
studia, cerca di guardare dietro la schiena un paio di volte, ma senza
successo; rassegnato pianta i suoi occhi in quelli di Nathan che alla fine, con
discreta soddisfazione, porta le mani davanti e il sacchetto sotto al naso di
Alan.
«Buon Natale», dice, mentre gli porge il regalo. Alan non
dice niente, semplicemente lo prende e se lo gira tra le mani, poi alterna il
suo sguardo tra quelle praline e lui, lasciando solo che il suo sorriso via via
si allarghi fino a sfociare in una piccola risata incredula.
«Non dovevi, davvero.»
«Be’, non potevo mica presentarmi a mani vuote, no?»
È con questa frase che lo sguardo di Alan smette di osservare
del tutto le praline e si concentra solo sul ragazzo davanti a lui, che
sospetta di dover cogliere un messaggio che però non riesce a interpretare.
«A mani vuote?! Davvero pensi di esserti presentato
qui a mani vuote?»
Nathan fa spallucce, incerto se considerarlo un rimprovero o
solo incredulità.
«Nathan, io pensavo…», prosegue l’altro, «pensavo che non ti
avrei rivisto mai più.»
Quelle due ultime parole impiegano un attimo a ribaltargli lo
stomaco, se pensa a quel “mai più” che Alan ha già vissuto in passato, e si
rende conto solo in quel momento di cosa possa aver significato la sua partenza
per quello che ora è il suo ragazzo.
«Quindi», continua ancora, «penso che tu mi abbia già fatto
un bellissimo regalo. Piuttosto, sono io che non ho niente per te, se non dei
miseri auguri.»
«Ma figurati, non preocc–»
Alan gli tappa la bocca con un bacio a stampo improvviso,
tanto che Nathan fa in tempo a malapena a chiudere gli occhi. Quando li riapre,
Alan è a pochi centimetri dal suo viso, quanto basta perché esistano solo loro.
«Buon Natale. Ma sappi che mi farò perdonare.»
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Angolo autrice
Salve a tutti!
Ma quanto è strano scrivere del
Natale quando fuori ci sono quaranta gradi all’ombra? XD È piuttosto surreale,
lo ammetto :D
Per il resto, approfitto di questo
spazio per ringraziare di cuore tutte le persone che stanno seguendo questa
raccolta, grazie grazie grazie!
Alla prossima,
Simona
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Capitolo 7 *** Chiusure ***
Chiusure
Seduto
sulla spiaggia ciottolosa, accoccolato ad Alan e a pochi metri dal mare in
penombra, Nathan guarda le onde infrangersi e ascolta il rumore della risacca.
È da qualche minuto buono che se ne stanno lì senza dire niente, mentre la mano
di Alan gli accarezza la testa seguendo il ritmo delle onde che vanno e
vengono.
Una folata di vento lo costringe ad avvicinarsi ancora
di più al ragazzo accanto a sé, che gli lascia un bacio sulla nuca. Nathan
chiude gli occhi e si gode il rumore del mare mischiato al chiacchiericcio di
sottofondo, l’aria salina sulla pelle e il calore di Alan che mitiga il freddo
dicembrino. Pensa di essere in quel paradiso celeste di cui parlano tutti, ma
poi riapre gli occhi e scopre che forse, come suggerisce Belinda Carlisle, il
paradiso è un posto sulla Terra.
«Mi manchi», sussurra all’improvviso,
in un momento in cui le onde sono quiete.
Anche se non lo può vedere, sa che
Alan ha voltato la testa verso di lui.
«Sono qui.»
«Sì, be’...», e lascia passare
un’altra onda. «Intendevo in un altro senso.»
Il petto di Alan si alza e si abbassa
repentino per una risata.
«Ho capito. In tutta onestà non sono
molto… attrezzato qui. Sai, non ci torno così spesso.»
«L’ultima volta che ho controllato mi
pareva che avessero inventato i negozi.»
La mano di Alan gli tira un buffetto
sulla testa.
«Stupido! È Natale, Nathan.»
«E quindi?»
Alan sospira e Nathan sente che
ancora una volta gli sta sfuggendo qualcosa.
«E quindi i negozi sono chiusi. Forse
domani troviamo qualcosa di aperto.»
Nathan pensa un attimo al nesso tra
il Natale e i negozi chiusi, poi la sua mente va a New York, a quel polmone
grondante di vita. Però pensa anche che gli piace il passo d’uomo di Brighton,
tanto da farsi scappare un sorriso.
«Va bene, vorrà dire che aspetteremo
domani.»
«Oppure», prosegue Alan, «tra qualche
giorno siamo a casa.»
Nathan scivola fuori da
quell’abbraccio per guardare Alan negli occhi. Condisce il suo sguardo con
ironia e malizia, finché l’altro non scoppia di nuovo in una risata.
«Stavo scherzando…», sussurra ancora
Alan, ora con lo stesso sguardo di Nathan e un mezzo sorriso. Poi lo riaccoglie
nel suo abbraccio, e insieme tornano a guardare il mare.
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Capitolo 8 *** Quattro quarti ***
Quattro
quarti
1
Sono le undici
passate quando la porta di casa Scottfield si apre all’improvviso insieme al
rumore della pioggia e a uno strascico di risate. Alan chiude la porta e con un
dito sulle labbra suggerisce di fare silenzio, ma né lui né Nathan ci riescono
poi così bene. L’altro però gli getta le braccia al collo e prova a baciarlo
tra una risata e l’altra, mentre le gocce di pioggia un po’ scivolano sul viso
di entrambi e un po’ si lasciano consumare dal contatto della loro pelle.
2
Quei due mesi e
mezzo di lontananza vengono finalmente annullati quando dei gemiti sommessi
riempiono la stanza. La coperta che fino a poco prima li aveva avvolti è ora in
fondo al letto, tanto che quei due corpi nudi si fanno calore solo con il
sentimento che provano. Alan non ricorda di aver mai fatto l’amore con qualcuno
in quel letto che l’ha visto adolescente e nemmeno in quella città che lo ha
soffocato così tanto, ma in quel momento essere dentro Nathan sembra non
stridere con nessuna delle due cose. In fondo, pensa, non c’è niente con cui
Nathan strida.
3
«Dormono?», chiede Kate quando Stu torna dal bagno. Lui
sogghigna.
«Non proprio», risponde, e basta
un’occhiata perché i due ridacchino.
«Sono bravi a non far rumore, eh», e
Stu si infila sotto le coperte con la moglie, «ma è il letto che li ha
fregati.»
Segue un attimo di silenzio dove
entrambi cercano di mantenere un’aura di serietà, una missione che fallisce
l’attimo dopo. Si distendono faccia a faccia, poi le mani di lei gli
accarezzano il viso.
«Era da tanto che non lo vedevo così
felice. Sembra tornato quello di un tempo.»
Stu le prende la mano e lascia un
bacio sul suo palmo, poi un altro. Intanto nota gli occhi di lei che si
chiudono.
«Già, hai ragione. Vuoi dormire?»
Ottiene
solo un mugolio come risposta.
4
Hanno finito di fare l’amore da venti minuti, ed ecco che
entrambi sono distesi al centro del letto, Alan che lo abbraccia da dietro e
Nathan che si lascia avvolgere. Nel baciargli la testa, Alan si domanda cos’è
che lo fa sentire così completo; e non è il sesso, si dice, è qualcosa di più.
Lascia vagare il suo sguardo verso le tende che coprono la finestra, poi lo
avvicina finché non scorge il bordo del letto e, più vicina, la sagoma di
Nathan.
Sorride ripensando ai tre quarti di
letto che si è preso le due sere precedenti e al quarto che gli ha lasciato; e
mentre nella testa gli sfreccia la stessa domanda di poco prima, è in
quell’esatto istante che la matematica trova la risposta per lui.
Quattro quarti…
… Uno.
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Capitolo 9 *** Radici ***
Radici
È
per un paio di cesoie che Nathan ha fatto capolino nel capanno degli attrezzi
di casa Scottfield insieme a Stu, anche se in realtà gli sembra più il capanno
delle cianfrusaglie. Sulla sinistra nota un banco da lavoro scolorito e
scalcinato, sul quale spiccano un paio di guanti e una chiave inglese in mezzo
a una marea di altri oggetti accatastati. Il resto del perimetro è riempito da
una manciata di scaffalature a muro, che la scarsa luce rende difficile
osservare con attenzione.
Nathan segue Stu e si domanda come riusciranno a
trovare un oggetto tanto piccolo e insignificante in mezzo a tutto quel casino,
finché il suo sguardo non viene attirato da una custodia nera dalla forma a
pera e alta poco più di un metro. Si distrae un attimo e in pochi passi segue
l’istinto di scoprire cos’è; e, quando è vicino, allunga una mano che trova un
tessuto spesso e un paio di ganci che chiudono una zip.
«Era mia, è una chitarra classica»,
dice Stu, e Nathan non si aspettava che fosse così vicino. «La sai suonare?»
Un ricordo sfreccia nella mente di
Nathan, che se ne va rapido lasciandogli un senso di malinconia. «Anni fa la
suonavo. Ora è un po’ che non ne prendo in mano una.»
Fa scorrere le dita su quel tessuto
un’ultima volta, poi per un attimo torna indietro nel tempo, un tempo che non
c’è più. Stu però si avvicina ai ganci della zip e ne fa scorrere uno per
aprire la custodia, poi estrae la chitarra. È di legno chiaro, senza fronzoli.
Stu gliela porge e indica a Nathan una sedia con le ruote che il ragazzo, nella
penombra, non aveva notato; si siede e gli basta sentire la cassa armonica
sulla coscia per mettere le dita sulle corde in maniera istintiva, nonostante
il freddo renda doloroso l’impatto sui polpastrelli.
Non impiegano troppo tempo ad
accordarla, e Nathan è soddisfatto quando finalmente l’accordo di Do non gli fa
più sanguinare le orecchie. Sorride a Stu che gli sorride di rimando, e gli
occhi di Nathan tradiscono un entusiasmo che ha radici lontane, tanto che dal
nulla comincia a suonare un giro di accordi e a tenere il ritmo con un piede.
L’uomo si siede sul pavimento accanto
a lui, le gambe strette in un abbraccio e la testa che comincia a dondolare al
ritmo di musica.
«Ah, la conosco questa. È “Over my
shoulder”, giusto?»
Nathan fa in tempo ad annuire, poi
attacca subito con la strofa. «Looking back, over my shoulder…»
I due cantano insieme e lui per un
istante torna quindicenne, in camera insieme a suo padre che, chitarra alla
mano, gli insegna quella nuova canzone – senza sapere che
sarebbe stata l’ultima.
La voce di Nathan si fa più forte e
sicura, le sue dita insistono sulle corde fino a farsi male, ma lascia che ora
sia la voce di Stu ad accompagnarsi alla sua fino alla fine della canzone.
Quando termina, entrambi provano ancora l’entusiasmo di una vecchia passione
che si riaccende.
«Allora, che altro suoniamo?», chiede
Stu. «“Losing my religion” la conosci?»
«Solo le
parole, niente accordi», risponde Nathan, prima di fare una piccola pausa. «Me
la insegni?»
|
Angolo
autrice
Lo ammetto: la voglia di scrivere
questa raccolta è nata unicamente da questa scena, dove Nathan e Stu suonano la
chitarra in un’atmosfera che per Nathan è molto familiare. Tutto il resto è
venuto a contorno, ma morivo dalla voglia di arrivare a questo punto. Pensate che
per questa scena (e per un’altra storia in realtà, ma per ora non dico niente
:P) ho pure comprato una chitarra io stessa per poter essere più realistica! XD
Penso che dopo questa flash ce ne
sarà solo un’altra e poi la raccolta sarà conclusa. Ringrazio intanto chi mi ha
seguito fino qui ^__^
A presto,
Simona
|
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Capitolo 10 *** Rinascita ***
Rinascita
Il
cicaleccio dell’aeroporto di Gatwick sembra avere il potere di sovrastare
qualsiasi conversazione, ed è per questo che Alan e sua madre stanno passando
più tempo abbracciati che a parlare, in quelli che sono gli ultimi saluti. È
questione di secondi prima che tornino a guardarsi negli occhi, poi lei gli
lascia una carezza sulla guancia, con una mano che, per la prima volta, non
trasmette alcuna tensione.
Con la coda dell’occhio Alan nota suo padre che
stringe le labbra mentre abbraccia Nathan, come a voler trattenere un’emozione
di troppo. L’abbraccio non dura molto, ma abbastanza perché sia molto più che
una mera formalità, e l’enorme sorriso sul volto di Nathan non fa che
confermare la sua ipotesi.
Con una mano prende la valigia, e l’altra la tende verso
il suo ragazzo, che la afferra subito; seguono cori di saluti e sventolate di
mano, finché non imboccano il corridoio per i controlli di sicurezza, Nathan in
testa. Alan infila una mano nella tasca posteriore dei pantaloni per preparare
i documenti, ma gli basta un’esplorazione superficiale per rendersi conto che è
vuota.
«Amore, ce l’hai tu il mio
passaporto?»
Nathan e la valigia si fermano di
colpo, poi lui si volta, gli occhi sbarrati.
«Non guardarmi così, ti giuro che–»
«Cos’hai detto?»
Alan perlustra ancora una volta la
tasca dei pantaloni e, esattamente come trenta secondi prima, la trova vuota.
«Dicevo, ti giuro che torneremo a–»
«No, ancora prima.»
Si gira indietro e nota che stanno
bloccando la fila, così fa cenno a Nathan di ripartire, dopodiché si tocca le
tasche esterne del cappotto per sentire se il documento sia lì.
«Ho detto che non trovo il
passaporto, ce l’hai tu?»
Nathan ridacchia, poi si gira verso
di lui con un mezzo sorriso.
«Non è questo che ho sentito»,
risponde, dopodiché torna a guardare davanti a sé, verso il corridoio. «Ah,
comunque», aggiunge, poi razzola in una tasca e tira fuori il passaporto di
Alan, «eccolo qua, tieni.»
Fa giusto in tempo a prenderlo prima
di tornare a pensare a cosa abbia detto e a decifrare la reazione di Nathan,
almeno finché non si fermano una volta raggiunta la coda. È lì che i dubbi
lasciano spazio ai suoi occhi che scorrono sulla sagoma del ragazzo davanti a
lui, che senza fare rumore gli è entrato dentro con quell’odore acre e
pungente, fino a farsi strada sottopelle, nelle più dolci delle sensazioni.
Perché Nathan in quel momento è la
sua felicità.
La sua speranza.
Il suo…
… oh.
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Angolo autrice
E così anche questa raccolta è giunta al termine! Mi sono
divertita molto a scriverla, e spero che per voi sia stato altrettanto
divertente leggerla. Se mai vi sentirete nostalgici di Alan e Nathan, sappiate
che ho in mente un sacco di storie per loro: una shottina ambientata a Pasqua,
una mini-long che si colloca circa un anno/un anno e mezzo dopo gli eventi di Due
Marlboro e, udite udite, una long (temo “molto long”) che si svolge nel 2015 - poi,
vabbè, in realtà ho in mente anche di riscrivere NB, ma dettagli XD. Insomma,
le idee per questa coppia non mi mancano, come vedete! Quindi ecco, come si
suol dire, stay tuned.
Grazie a tutti voi per aver letto!
A presto,
Simona
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