Una vita in gabbia

di ValeDowney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ossigeno cercasi ***
Capitolo 2: *** Una breve deviazione ***
Capitolo 3: *** Un permesso negato ***
Capitolo 4: *** Letture proibite ***
Capitolo 5: *** Scompiglio a Kamar-Taj ***
Capitolo 6: *** Guastafeste ***
Capitolo 7: *** Traumi dal passato ***
Capitolo 8: *** Imprevisti ***
Capitolo 9: *** Un incantesimo estremo ***
Capitolo 10: *** Una piccola monella ***
Capitolo 11: *** L'amore di un padre ***
Capitolo 12: *** Lo stregone oscuro ***
Capitolo 13: *** Tre ospiti indesiderati ***
Capitolo 14: *** Festa della Luna Piena ***
Capitolo 15: *** La promessa di Babbo Natale ***
Capitolo 16: *** Un regalo speciale ***
Capitolo 17: *** Colpo al cuore ***
Capitolo 18: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 19: *** Una noiosa convalescenza ***
Capitolo 20: *** Un incantesimo mal riuscito ***
Capitolo 21: *** Una seconda possibilità ***
Capitolo 22: *** Aiuti inaspettati ***
Capitolo 23: *** Disubbidienza ***
Capitolo 24: *** Uniti si può vincere ***
Capitolo 25: *** Addii ***
Capitolo 26: *** Storia di un altro Stephen...e Stephanie ***
Capitolo 27: *** Cercando una soluzione ***
Capitolo 28: *** L'apprendista ***
Capitolo 29: *** Aiutando i genitori ***
Capitolo 30: *** Una scelta sbagliata ***
Capitolo 31: *** Il ritorno dello stregone oscuro ***
Capitolo 32: *** Ri- incontrando Peter ***
Capitolo 33: *** Vecchie facce amiche ***
Capitolo 34: *** Il più bel ricordo di Stephen ***
Capitolo 35: *** Trattamenti di sfavore ***



Capitolo 1
*** Ossigeno cercasi ***


UNA VITA IN GABBIA
 


Capitolo I: Ossigeno cercasi
 


Era strano poter passeggiare di nuovo per i corridoi dell’università dopo cinque anni. Era rimasto tutto come allora, come se il tempo non fosse mai passato.
Stephanie si faceva largo tra la folla di studenti, cercando di arrivare al suo armadietto ed evitando i loro sguardi interrogatori.
Non era mai stata una ragazza molto aperta, né incline a fare amicizia. Dopo le lezioni, si isolava costantemente, sfogliando un grosso libro di medicina.
La New York University vantava, infatti, uno dei corsi di miglior prestigio nel campo della medicina in tutta America. Nulla da invidiare ad Harvard o alla Columbia.
Stephanie aveva sempre avuto il meglio dalla vita, contando che suo padre non era altri che il Dottor Stephen Strange.
Fin dalla tenera età, il padre aveva viziato la figlia in modo spropositato. Del parere opposto era la madre, Christine Palmer, sua collega di lavoro.
Quest’ultima non voleva che la figlia diventasse una delle tante ragazzine con la puzza sotto il naso. Per lei desiderava un futuro nel quale avesse buoni amici sempre accanto e una vita sociale normale. Ma Stephen non era del parere.
Al compimento del quarto anno, i due si separarono e Stephen pagò profumatamente vari avvocati affinché gli venisse affidata del tutto la custodia della figlia. Vinse la causa e Stephanie si trasferì definitamente nel suo loft. Ma il suo amore per i genitori era equo. Voleva bene alla madre quanto al padre e, quando poteva, trascorreva i weekend con lei o andava a trovarla all’ospedale.
Più Stephanie cresceva e più diventava ambiziosa come il padre. Ogni sera, a cena, voleva che lui le raccontasse delle varie operazioni chirurgiche che aveva effettuato durante la giornata. Ascoltava affascinata ogni minimo dettaglio – che il padre non tralasciava – delle vite salvate, promettendosi che anche lei, come lui, un giorno sarebbe diventata una delle più brave chirurghe esistenti e anche tra le più richieste.
Alle superiori era sempre la prima della classe. Ottimi voti in tutte le materie. Stephen la seguiva costantemente con gli studi. La incoraggiava a fare sempre di più. Una piccola distrazione e poteva dire addio alla borsa di studio alla quale puntava e che le avrebbe permesso un accesso sicuro e di primo ordine alle università più prestigiose.
Non voleva fallire e renderlo orgoglioso era ciò che desiderava di più. Stephen era sempre stato una persona distaccata. Mai di sentimenti aperti e rude con i colleghi di lavoro. Voleva primeggiare su tutti loro. Renderli inferiori e incapaci nel loro mestiere. Non accettava mai casi semplici. Puntava sempre più in alto.
Ma quando rimaneva con la figlia – il suo cucciolo, come la chiamava lui – sembrava una persona totalmente diversa. Come una sua seconda ombra, la seguiva dappertutto. Quando era piccola, l’accompagnava sempre al parco accanto a casa: se anche solo un altro bambino provava a toccarla, o anche solo guardarla, lui era già lì al suo fianco, richiamando l’attenzione degli altri genitori e spiegando loro di quanto fossero incompetenti nel tenere a freno i loro figli.
Seguire una bambina era semplice, ma quando Stephanie raggiunse l’età adolescenziale badare a lei era diventato un po' più complicato. Avesse potuto l’avrebbe seguita anche a scuola, ma non voleva metterla in imbarazzo. Doveva essere tutto perfetto per lei e, alla fine, la tanto bramata borsa di studio arrivò.
Stephanie si diplomò con il massimo dei voti e molteplici università la richiesero. Fu indecisa tra Harvard o Columbia, ma il padre le sollecitò di iscriversi alla New York University. Lei provò a spiegargli che, anche trasferendosi in un'altra città, avrebbe seguito ottimi corsi di chirurgia, ma lui non voleva saperne ragioni. La motivazione? L’università era molto vicina al Sanctum Sanctorum e Stephanie capì che il padre non l’avrebbe mai lasciata andare via.
Dopo aver lasciato obbligatoriamente la carriera da chirurgo ed essere diventato lo stregone supremo, ebbe diversi vantaggi: poteva proteggere ancora di più l’amata figlia – utilizzando la magia e sorvegliandola qualora si fosse allontanata troppo dal Sanctum Sanctorum, loro attuale dimora.
Seppur svariate volte l’avesse dovuta lasciare a Kamar-Taj insieme a Wong per andare a combattere a fianco degli Avengers, aveva sempre quel timore che qualcuno potesse arrivare a lei e farle del male. Stephanie non era ancora molto pratica nelle arti mistiche e lui non era sempre accanto a lei. Contava in Wong, suo fidato amico, ma non era la stessa cosa.
Arrivò il “blip” o chiamato anche schiocco: il titano Thanos, pensando che troppo sovraffollamento potesse portare a una guerra, decise di dimezzare l’intera popolazione e Stephen, insieme anche a molti Avengers, venne dissolto. Non seppe se anche sua figlia subì lo stesso fato ma, cinque anni dopo, e dopo aver sconfitto il titano e riportato in vita la popolazione scomparsa, si riunì a lei, scoprendo l’amara verità: Stephanie era stata anche lei dissolta ma non la madre che, nel frattempo, aveva trovato un nuovo fidanzato.
Si chiamava Charlie e Christine lo aveva incontrato durante i cinque anni dello schiocco. Dopo essere ritornata, Stephanie lo aveva conosciuto – non che avesse voluto, ma la madre aveva tanto insistito. Sembrava un tipo simpatico, ma la ragazza lo detestava. Non sperava che i suoi genitori ritornassero insieme, ma secondo lei la madre si era solo approfittata dell’“assenza” di entrambi per rifarsi una vita.
Ma la vedeva felice come non l’aveva mai vista con il padre. Sempre in conflitto tra di loro, specialmente dopo la separazione e, quando l’andava a trovare in ospedale, il padre era sempre lì a osservarle, come se avesse avuto paura che Christine potesse portarla via.
Così era ritornata all’università, anche se prima dello schiocco era riuscita a seguire poche lezioni, come tutti gli altri studenti del resto. Continuò a farsi largo tra gli altri e, una volta raggiunto il suo armadietto, lo aprì inserendo la combinazione. All’interno c’era ogni sorta di libri di medicina – e di arti mistiche ben nascosti alla vista degli altri. Si fermò a osservare la fotografia, attaccata alla porta dell’armadietto, che ritraeva lei da piccola in braccio al padre e accanto alla madre. Sorridevano tutti e tre. Tempi felici, seppur il sorriso di Christine sembrava non trasmettere felicità. Dopo aver preso un paio di libri, richiuse l’armadietto, incamminandosi nuovamente.
Si diresse verso la bacheca, dove erano esposti gli orari dei vari corsi e altre attività. Stava cercando il suo, quando accanto a sé si fermò un ragazzo. Questi chiese: “Ciao, Stephanie. Come stai?”.
“Ciao, Irwin. Come al solito. O almeno, come al solito prima del blip” rispose, non distogliendo lo sguardo dalla bacheca. Irwin l’osservò. Poi spostò lo sguardo e disse: “Sei sempre bella come allora”.
Questa volta fu Stephanie a guardarlo. Ma che passava per la testa di quel ragazzo? Lei nemmeno gli piaceva. Era solamente uno con la testa sempre tra libri di matematica quantistica e isolato da tutti. Be’… in effetti un po' come lei. Scosse la testa. Lei non andava in giro con una ridicola camicetta a scacchi; la cravatta; pantaloni che sembravano ristretti in lavatrice e un paio di occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. Sì, era un ragazzo gentile e timido, ma si vergognava quando gli altri la vedevano in sua compagnia. Se lo avesse saputo suo padre, poi. Avrebbe innescato una tempesta.
“Oh, come si è fatto tardi. Sarà meglio che scappi. Sai, il Professor Thompson tiene alla puntualità. Ci vediamo in giro” disse e, a passo spedito, si allontanò. Irwin, dopo aver dato un’occhiata veloce alla bacheca, la seguì, affiancandosi in poco tempo a lei: “Pensavo che, magari, dopo le lezioni, potremmo incontrarci e studiare un po'. Sei libera?”.
“La frase ‘sono sempre impegnata’ ti è familiare?” disse Stephanie continuando a camminare.
“Non mi dire che tuo padre ti tiene rinchiusa in camera tua? O non vuoi che lui mi veda?” chiese. La ragazza si fermò, per poi dirgli: “Senti, arrivo subito al sodo. Sei un ragazzo molto dolce. Magari ce ne fossero così in giro ma… ecco …io… tu…”.
Non sapeva cosa dirgli, in realtà. Non voleva ferire i suoi sentimenti. Cercò le parole più adatte. “Credimi, sono davvero sempre molto impegnata. Mio padre mi sta con il fiato sul collo per lo studio. Vuole che superi gli esami a pieni voti e che mi impegni di più per diventare un’ottima chirurga come era lui. Prima o poi, troveremo il tempo” e voltandosi, si incamminò.
“Sai, dovresti anche un po' staccare” disse Irwin.
Stephanie si fermò: “Lo vorrei anche io”. E riprese il cammino.
Le successive ore di lezione furono interminabili. Stephanie preferiva sempre stare nei banchi in alto o, comunque, dove il professore non l’aveva sott’occhio. Di tanto in tanto, nascondeva un libro di arte mistiche dietro al libro di medicina, così da studiare nuovi incantesimi e prestare meno attenzione alla lezione. Suo padre, ovviamente, non era a conoscenza di nulla. Le aveva proibito di portare all’università i libri delle arti mistiche per concentrarsi solamente sulla medicina.
Odiava ammetterlo e, sicuramente, non l’avrebbe mai detto al padre, ma iniziava ad annoiarsi. Non che non volesse diventare chirurga, ma più andava avanti e più sentiva il peso che suo padre le metteva addosso costantemente. Aveva sempre deciso lui della sua vita. Non era mai stata libera di fare nulla e, dovunque andasse, era come se suo padre la stesse sempre pedinando. Non poteva allontanarsi più di tanto dal Sanctum Sanctorum e, a fine lezioni, doveva ritornare subito a casa.
Una volta uscita dall’Università, andava a passo spedito verso casa quando passò accanto a un gruppo di ragazzine che stavano parlando tra loro che, appena la videro, risero tra loro. Stephanie si fermò. Stava per aprire bocca, ma poi non parlò. Decise di riprendere il passo, ma una delle ragazzine disse: “Sai, non è cortese non salutare”.
Stephanie si voltò: “E perché mai dovrei dare conto a delle galline come voi? State sempre a fare gruppetto e, quando uno non è alla vostra portata, lo deridete”.
“Staresti bene nel nostro gruppo. Dopotutto, anche tu sei molto arrogante. Come tuo padre. Non mi meraviglia affatto che se ne stia sempre isolato nella sua casa e ti tenga tutta per sé. Ha paura che qualcuno ti porti via da lui? A proposito, ringrazialo apertamente da parte mia per quella volta che ha deciso che era meglio consegnare una stupida pietra a un pazzo alieno solo perché era la soluzione migliore. Ho perso mia sorella grazie a tuo padre” replicò la ragazzina.
“Magari tu volevi così. Magari non vedevi l’ora di sbarazzarti della tua perfetta sorella. Ora ci sei tu al centro dell’attenzione. Non era ciò che volevi?” disse Stephanie. A passo spedito, la ragazzina le fu di fronte, mollandole un forte pugno nell’occhio. Stephanie cadde a terra e, con lei, anche i suoi libri.
“Se fossi in te, incomincerei a fare meno la spavalda. Ti voglio ricordare che non c’è sempre il tuo caro paparino a proteggerti” replicò la ragazzina. Con la coda dell’occhio, Stephanie le parve di vedere proprio suo padre che osservava la scena standosene nascosto dietro a un albero. Poi riguardò il gruppetto e la ragazzina disse: “Ah, comunque avevo intenzione di invitarti alla festa di domani sera che farò a casa mia. Se non sei troppo impegnata a socializzare con la mobilia della tua camera, potresti anche venire, così magari impari a non trattare gli altri come fossero persone inferiori”. E, con le amiche, se ne andò.
Stephanie raccolse i suoi libri. Una volta in piedi si incamminò, ma fu subito affiancata da suo padre.
“Che ci fai qua?” gli domandò.
“Ho visto che tardavi ad arrivare a casa, così sono venuto a controllare. A quanto pare ho fatto bene. Quella ragazzina la pagherà per averti fatto questo” rispose.
“Non le farai nulla. E poi è solamente un occhio nero, niente di più” ribatté.
“Cucciola, nessuno deve farti del male! Sei mia figlia e una persona rispettabile. Non possono trattarti in questo modo” replicò.
“Papà, non sono più una bambina. Vado all’università: avrò diritto ai miei spazi. Invece mi stai sempre appiccicato” ribatté.
“Non ti permetto di parlarmi così! Sono tuo padre e so ciò che è meglio per te. Appena giunti a casa, andrai immediatamente in camera tua e ti metterai sotto con lo studio. Ti prenderò anche lo sling ring, così non ti verrà in mente di recarti a Kamar-Taj. Devi focalizzarti solamente su chirurgia!” replicò.
Arrivarono davanti al Sanctum Sanctorum. Stephanie si volse verso il padre: “E se io non volessi più studiare per diventare chirurga? Se volessi ambire ad altro?”
“Ti direi che stai avendo una pessima idea. Non puoi mandare a monte anni di sacrifici nello studio solo perché una stupida ragazzina ti ha preso a pugni! Devi reagire e devi farlo a testa alta come ti ho sempre insegnato!” rispose. Poi le mise le mani sulle guance e aggiunse: “Lo sai che ho sempre voluto il meglio per te e sempre ne vorrò. Ti voglio tanto bene e non posso accettare l’idea che qualcuno ti porti via o ti faccia del male. Ho solo te e con la magia posso proteggerti ulteriormente”. Dopo averla baciata sulla fronte, si diresse su per gli scalini.
“Perché non posso continuare a studiare le arti mistiche? Avresti un peso in meno” gli chiese.
Strange si voltò: “Perché così ho deciso! Studierai solamente chirurgia e diventerai la migliore neurochirurga che esista, proprio come lo ero io. Le arti mistiche lasciale a me!”. E, voltandosi entrò nel Sanctum Sanctorum.
Stephanie rimase lì. Sospirò. Davvero suo padre avrebbe continuato a scegliere sempre per lei?






Note dell'autrice: Buona sera a tutti/e ed eccomi qua con una storia che avevo in mente già da un bel pò. Stavolta con il nostro caro Doctor Strange e sua figlia. Recentemente sono andata a vedere Doctor Strange nel Multiverso della follia e mi è piaciuto un sacco (anche il primo ovviamente). La mia storia inizia prima del secondo film (e dopo gli avvenimenti anche di spider man no way home). Si vedrà una figlia un pò ribelle, ma tenuta come sotto una campana di vetro fin in tenera età da un padre fin troppo protettivo e che sembrebbe abbia già segnato il suo futuro. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto (sto già lavorando al secondo) . Grazie a chi è passato di qua ed anche solo ha letto questo primo capitolo.
Grazie, come sempre, alla mia carissima amica Lucia
Con ciò, speriamo di sentirci presto
Vi auguro una buona notte
Un abbraccio, Valentina

 

 

 
 
 

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Capitolo 2
*** Una breve deviazione ***


UNA VITA IN GABBIA
 


Capitolo II: Una breve deviazione


 
Stephanie era rinchiusa in camera sua, seduta sul letto a studiare l’ennesimo libro di medicina. Di tanto in tanto si perdeva a osservare fuori dalla finestra le persone che passavano in strada. Si soffermava a guardare i bambini con i loro genitori andare al parco lì vicino.
Sorrise nel ripensare a lei bambina in compagnia del padre, mentre erano al parco. Di come lui la spingesse sull’altalena o scendesse con lei dallo scivolo. Ma poi qualche bambino si avvicinava a lei e il padre diventava aggressivo. Richiamava gli altri genitori, ribattendo di tenere a freno i propri figli. Gli voleva molto bene ma, a volte, risultava fin troppo protettivo. Era come se si sentisse soffocata dall’affetto paterno.
Non si accorse dell’entrata di Strange, il quale portava un vassoio con sopra varie pietanze. Quindi le chiese: “Che stai facendo davanti alla finestra?”. Stephanie si voltò: “Niente. Stavo solo guardando fuori”.
“Vieni, ti ci vuole una piccola pausa. Ti ho portato la merenda” disse e depositò il vassoio sopra il letto. Stephanie si sedette e osservò ciò che le aveva portato. Poi guardò il padre: “Veramente mi hai portato succo di frutta e della frutta secca? Non ti basta farmi mangiare i cereali integrali a colazione?”.
“Tutto ciò ti aiuta a studiare meglio. Sono ottimi cibi che contengono acidi grassi e fibre, che ti permettono di caricare le energie e sfruttarle poi al meglio” spiegò Strange.
“Le sfrutterei meglio se mi lasciassi fare ciò che voglio. Per esempio, domani sera ci sarebbe una festa e…” iniziò col dire Stephanie, ma il padre la interruppe: “Assolutamente no! La festa è solo una distrazione e tu devi studiare a fondo per il prossimo esame”
“Ma non mi lasci mai uscire! È solo una festa!” ribatté.
“Appunto. È solo una festa” sottolineò Strange. Poi aggiunse: “Berrai e, sicuramente, ti ubriacherai. Non saresti la figlia che ho tirato su per tutti questi anni. Hai un esame fra qualche settimana. Non puoi permetterti di sbagliare. Inoltre, se ricordo bene, andrai anche in ospedale per assistere”
Stephanie roteò gli occhi, dicendo: “Sai che roba”.
“Stephanie!” La ragazza sobbalzò per il tono usato dal padre: “Ricordati ciò che ero e chi ero. Ero il migliore neurochirurgo in circolazione e, se non fosse stato per quell’incidente, lo sarei ancora”.
“Invece non lo sei più. Dimmi, chi preferisci essere? Un neurochirurgo che brama solo la notorietà o lo Stregone Supremo che salva il mondo?” domandò Stephanie.
Strange si diresse verso la porta. Si fermò: “Primo: decido io chi essere. Secondo: mangia e poi riprendi a studiare. E stai certa che non andrai a quella festa. Il tuo sling ring ce l’ho io, quindi non ti azzardare nemmeno ad aprire un portale per andare là. Terzo… terzo, non sono più lo Stregone Supremo”. E, uscendo, sbatté forte la porta.
“Quest’ultima cosa deve rodergli molto” disse Stephanie. Prese una manciata di frutta secca. La guardò sospirando, per poi rimetterla nella ciotola. Si rialzò, riguardando fuori dalla finestra. Suo padre era diventato troppo protettivo e doveva smetterla di decidere della sua vita. Doveva fare qualcosa, e quel qualcosa era andare alla festa.
La cena fu silenziosa. Né padre né figlia si scambiarono una parola e, appena finito di mangiare, Stephanie si rinchiuse in camera.
Strange entrò in camera della figlia. La vide distesa sul letto e con la schiena che dava alla porta. Si avvicinò a lei. La chiamò un paio di volte, ma non ricevette riscontro. Quindi disse: “Non devi avercela con me. Lo sai che lo faccio per il tuo bene. E poi è solo una festa. Perché ci tieni così tanto ad andarci?” Ma, nuovamente, non ricevette risposta. Stephen sospirò, mentre le accarezzava i capelli: “Non voglio che litighiamo, cucciola. Pondera bene la tua decisione”. E, dopo averla baciata su una guancia, uscì.
Stephanie si voltò, per poi guardare la foto sul comodino, che ritraeva lei con suo padre. Quindi disse: “Mi dispiace, papà, ma vorrei essere padrona della mia vita”.
Il giorno seguente, Stephanie uscì di buon’ora dal Sanctum Sanctorum. Lasciò un biglietto al padre, con scritto che si sarebbe recata a un bar lì vicino per fare colazione e passare successivamente in biblioteca per depositare dei libri che aveva preso precedentemente, visto che quel giorno avrebbe passato la lezione dell’università a far pratica in ospedale.
In realtà, Stephanie non fece niente di tutto ciò. Si diresse, invece, verso la farmacia. Aspettò il suo turno e, una volta al bancone, la farmacista le chiese cosa desiderasse. La ragazza ci pensò un po'. Era ancora restia, ma se quella sera doveva andare alla festa, allora avrebbe dovuto agire. Quindi rispose: “Mi serve un forte calmante. Sa, sono notti che non riesco proprio a chiudere occhio e, con gli esami che devo sostenere all’università, vorrei cercare di riposare”.
La farmacista si diresse verso uno scaffale, per poi ritornare da Stephanie con una scatolina: “Mi raccomando, non versare tutto il contenuto della bustina nell’acqua: ne basta poco, perché è molto potente” le spiegò.
“Non si preoccupi. Ci andrò cauta” disse Stephanie. Pagò e uscì dalla farmacia. Si fermò al di fuori e osservava la scatolina quando davanti a lei comparve Christine: “Ciao, tesoro. Che ci fai da queste parti?” le domandò.
Velocemente, la ragazza nascose la scatolina in tasca, per poi rispondere: “Niente di che. Mi stavo dirigendo in università”.
Christine alzò un sopracciglio. Poi chiese: “E come mai sei andata in farmacia? Sicura di stare bene?”.
“Sì, sì, mamma sto bene, non ti preoccupare” le rispose, sperando di tagliare corto quella conversazione.
“Non è da te essere così mattiniera. È accaduto qualcosa con tuo padre?” domandò. Stephanie distolse lo sguardo. Poi rispose: “È che da un po' di tempo è diventato molto protettivo. Non che non lo sia mai stato, ma mai così asfissiante come ora. Vuole che diventi a tutti i costi una neurochirurga come era lui. Solo che io…”.
“Tu non vuoi. Stephanie, non puoi continuare a vivere nelle incertezze. Devi dirgli ciò che desideri” disse Christine.
“Come se fosse semplice. Appena cerco di spiegargli le mie motivazioni, lui si arrabbia e dice che ormai ha deciso così per me. Le arti mistiche a lui. La medicina a me. Stasera ci sarebbe una festa e indovina un po'? Lui mi ha proibito di andarci, dicendo che è solamente una distrazione per i miei studi. Pensa che sia ancora una bambina. Non ho nemmeno potuto decidere in che università andare. Mi volevano ad Harvard. Ma no, lui ha deciso che la New York University andava bene, perché è vicina al Sanctum Sanctorum, dove può tenermi d’occhio. Non so se posso continuare ad andare avanti così” spiegò Stephanie.
Christine mise una mano sulla guancia della figlia, per poi dirle: “Tesoro, ancora non te ne rendi conto, ma tu e tuo padre siete molto simili. Entrambi ambite sempre a fare di più. Ad avere il meglio per voi stessi e criticate chi vi fa delle osservazioni. Prova a parlargli. Confidati con lui e sono sicura che capirà”.
“Sarà tutto fiato sprecato, credimi” disse Stephanie.
“Tu provaci lo stesso. Dopotutto è pur sempre tuo padre: che male potrebbe mai farti?” disse Christine e Stephanie sospirò.
Nello stesso momento, Stephen entrava nella camera della figlia, affiancato dalla sua cappa di levitazione. Vide il letto sfatto e alcuni indumenti a terra. Stephen scosse negativamente la testa: “Credo che non riuscirò mai a insegnare l’ordine a quella ragazzina, ma almeno è la più brava della classe. Di questo non posso lamentarmi”. Entrando, iniziò a raccogliere alcuni vestiti mentre la cappa volava accanto alla scrivania.
Stephen alzò lo sguardo, vedendo la cappa che gli ‘indicava’ i libri sulla scrivania. Depositò i vestiti sul letto e, avvicinandosi, disse: “Deve essersi dimenticata questi libri. C’è il biglietto della biblioteca e, visto che ora Stephanie sarà sicuramente impegnata in ospedale, potrei sempre riportarglieli io. Che cosa ne dici?” La cappa annuì, e Stephen, dopo aver preso in mano i libri, uscì dalla camera seguito ovviamente dalla fedele amica.
Poco dopo arrivò in biblioteca e, dopo essersi fermato di fronte al bancone, disse, sorridendo alla bibliotecaria: “Buongiorno, sono il Dottor Stephen Strange e questi sono i libri che mia figlia si è dimenticata di consegnare. Ma sicuramente l’avrà già vista stamattina presto”.
“Ah sì, Stephanie Strange. È una nostra assidua frequentatrice, ma questa mattina proprio non l’ho vista” disse la bibliotecaria.
“Non è possibile. Magari lei deve essere arrivata dopo che mia figlia era già passata” disse Strange.
“No, no. Sono stata io stamattina ad aprire la biblioteca e sua figlia proprio non l’ho vista” disse la bibliotecaria.
“Potrebbe, per favore, controllare se almeno ha depositato altri libri stamattina?” domandò, ormai già spazientito.
La bibliotecaria guardò sul computer, digitando qualcosa sulla tastiera. Poi guardò Strange e disse: “Mi dispiace, Doctor Strange, ma nel database non risulta nessun libro depositato da vostra figlia stamattina. Ma devono probabilmente essere questi, i libri che lei ha portato, ad essere depositati”.
Strange abbassò il capo, incominciando a respirare affannosamente. Strinse così forte le mani sul bancone che le nocche gli si sbiancarono.
“Doctor Strange, si sente bene?” chiese preoccupata la bibliotecaria, vedendolo in quello stato. Strange rialzò la testa e, facendo un sorriso forzato, rispose: “Tutto a posto. Solamente un piccolo calo di pressione”.
“Vuole che le porti un bicchiere d’acqua?” domandò.
“No, no. Sto bene. Grazie comunque… per tutto” rispose e, voltandosi, si incamminò. Una volta uscito, la cappa, che se ne era stata attorno al suo collo come una sciarpa, si librò accanto a lui. La guardò. Era furioso: “Stephanie mi ha mentito! Ma quando la prendo, giuro che non la passa liscia! Sono suo padre e non può comportarsi così con me!”.
La cappa abbassò la parte superiore, come se fosse triste: “Non fare così. Non ha scusanti e non cercare di difenderla come cerchi di fare sempre. Ora dobbiamo solo capire dove possa essersi cacciata quella monella!” La cappa alzò lo ‘sguardo’. Strange la seguì, per vedere Christine camminare al di là della strada. Dopo essersi rimesso l’amica intorno al collo, corse verso la donna, chiamandola. Christine si fermò per vedere Strange fermarsi accanto a lei.
“Stephen, che piacevole sorpresa. Non pensavo di trovarti qua. Anche tu sei un tipo da passeggiate mattiniere, vedo” gli disse.
“Christine, è una questione urgente. Per caso, di recente, hai visto nostra figlia?” domandò.
“Perché me lo chiedi?” gli chiese.
“Ti prego, Christine. Non ho tempo da perdere” ribatté.
“Poco fa, davanti alla farmacia. Sembrava molto turbata e, allo stesso momento, anche triste. C’è qualcosa che non va tra voi due?” rispose.
“Vorrei tanto saperlo anche io” disse Strange.
“Sarò sincera con te: mi ha confidato che non fai altro che decidere per lei e che vorrebbe, almeno per una volta, essere padrona della propria vita. Stasera c’è una festa: perché non la fai andare? È una bella occasione per farsi degli amici” disse Christine.
“Perché si distrarrebbe! Deve concentrarsi sugli studi se vuole passare il prossimo esame! Ora non venirmi a dire che ho fatto solo scelte sbagliate nella sua vita. Se è diventata quello che è, è solamente merito mio! È sempre stata la prima della classe; ha preso ottimi voti che le hanno permesso di ottenere quella borsa di studio che tanto ambiva. Non le permetterò di buttare al vento anni di sacrifici” replicò.
“Vorrai dire i tuoi sacrifici! Le tue scelte! Ma non le hai mai chiesto ciò che avrebbe veramente voluto fare? Stephen, devi renderti conto che, ormai, nostra figlia non è più una bambina e ha bisogno dei suoi spazi. Cosa che tu non le dai. Riflettici, ti prego” disse Christine.
“So solo che ora la devo ritrovare e mi sentirà per avermi disubbidito. Tu non ti intromettere” ribatté.
“Hai sempre voluto avere ragione tu. Forse è anche per questo motivo che il nostro rapporto non funzionava più. Almeno hai avuto un briciolo di cuore per non allontanarmi del tutto da lei, visto i tanti avvocati che hai pagato per avere la sua completa custodia. Ti auguro di ritrovarla e, se proprio vuoi saperlo, mi ha detto che si sarebbe diretta al parco” spiegò Christine.
Senza dire nulla, Stephen si tolse la cappa da attorno al collo e, dopo essersela messa dietro alla schiena, si cambiò d’abito – indossando quelli da stregone – e volò in aria. Christine lo guardò, sospirando.
Stephanie si trovava seduta sopra il ramo di un albero. Con la schiena contro il tronco, leggeva un libro di arti mistiche. Sfogliando un’altra pagina e osservando i vari incantesimi, disse: “Sarebbe bello avere qua con me il mio sling ring: potrei andare dove vorrei in un istante”.
“Peccato che non ce l’hai” disse, ad un tratto, una voce.
Stephanie abbassò il libro, per trovarsi suo padre che le volava di fronte. Dalla sua espressione capì che il padre non era dell’umore migliore. La ragazza non disse nulla. Ma il padre era furioso: “È così che ti rechi in biblioteca per poi correre in ospedale per la tua lezione di pratica?! Rispondimi, Stephanie!”.
“Ho deviato solo di un po'” fu la sua giustificazione.
“Dovrei sculacciarti per avermi mentito, ma così passerei per un padre cattivo e tu per una ragazzina che si comporta ancora come una bambina! Mi dici che cosa ti passa per la testa?! Non è così che ti ho insegnato a comportarti” replicò.
“Volevo solamente studiare, prima di far pratica” disse.
Stephen si avvicinò ancora di più e, dopo aver guardato la copertina, disse: “Arti mistiche. Credevo di essere stato chiaro quando ti dissi di lasciarle a me, mentre tu ti devi dedicare solamente alla chirurgia”.
“Forse non mi va più studiare chirurgia. O le lezioni sono troppo noiose. Oppure è la scuola che non mi va a genio, così come gli altri studenti che la frequentano. Ma dopotutto, non sono stata io a decidere che università frequentare. Potrei andare avanti ancora, lo sai?” spiegò Stephanie, chiudendo il libro.
“Ti prego, Stephanie. Non è il momento e non ho la voglia di litigare. Ora, per favore, potresti scendere da questo ramo prima che tu cada e ti spezzi l’osso del collo o, peggio, rimanga paralizzata?” disse Strange.
“Secondo te come ci sono salita qua? Vedi scale in giro? Come sono salita da sola, posso anche scendere” disse Stephanie e, con un po' di fatica, si alzò in piedi.
“Cucciola, non farmelo più ripetere. Scendi, prima che tu ti faccia del male” disse Strange.
“Va bene, va bene, quanta insistenza. Ora scendo” disse Stephanie, ma mise male un piede e cadde. Fortunatamente, il padre la prese in tempo tra le braccia, poi ritornarono tutti e due con i piedi per terra. Be’, solo Strange, visto che continuava a tenere la figlia in braccio.
“Visto, sto bene. Tu ti preoccupi troppo” disse Stephanie.
“Sono tuo padre: mi preoccupo il giusto o, forse, troppo poco” disse Strange.
“Per favore, ora potresti farmi scendere? Se passa qualcuno e ci vede così, penserà strano” disse Stephanie. Strange sorrise, per poi dire: “Non sono nato ieri. Ora ti porto dove saresti dovuta andare fin dal principio”. E, dopo averla fatta scendere, ma tenendola comunque bloccata con una mano, con l’altra creò un portale. Entrambi vi entrarono, trovandosi di fronte all’ospedale.
“Non era poi così lontano. Se non avessi fatto tutte quelle deviazioni, saresti già dentro” disse Strange, guardando male la figlia, la quale roteò gli occhi.
Poco più in là videro un gruppetto di studenti. Stephanie riconobbe tra loro Irwin. Sperò che il padre non lo notasse. Cercò di svignarsela, ma Strange la trattenne per una mano, per poi portarla di fronte a sé: “Hai paura che scappi di nuovo?” gli domandò.
“Posso fidarmi questa volta o, appena me ne andrò, ti recherai da un’altra parte?” le chiese.
“Avevo intenzione di andare in gelateria, ma…” iniziò col dire Stephanie. Il padre la interruppe: “Smettila di scherzare e prendi seriamente, almeno per una volta, la situazione. Rimarrò qui finché non ti avrò visto entrare in ospedale e mi sarò accertato che il tuo professore sia sempre accanto a voi”.
Stephanie sospirò. Poi disse: “E va bene”. Stephen sorrise e, dopo averle lasciato la mano, la voltò, dandole una leggera spinta sulla schiena. La ragazza fece appena in tempo a fare qualche passo prima il padre la chiamasse. Si voltò, vedendolo con una mano tesa mentre le diceva: “Non penserai veramente che ti lasci andare in ospedale con quello. Avanti su, dammelo”.
Stephanie gli consegnò il libro di arti mistiche e Stephen disse: “Questo, per il momento, finisce sotto chiave insieme agli altri libri di arti mistiche che troverò in camera tua. E, ti prego, quando ritornerai a casa, mettila in ordine: c’è un macello là dentro. Lo so che avevi fretta di scappare da me, ma almeno potevi rifarti il letto”.
“Con uno schiocco di dita ti cambi i vestiti. Potevi fare la stessa cosa anche con il disordine in camera mia” disse Stephanie.
“E che lezione impareresti? Metterai tutto a posto quando ritornerai a casa. E so che lo farai, perché sarò lì a guardarti. E ora fila dentro, prima che ti ci porti io” disse Stephen. Stephanie sospirò e, rivoltandosi, si diresse verso il gruppo, sotto lo sguardo attento del padre.
Arrivò al gruppetto. Irwin la guardò: “Finalmente sei arrivata. Tutto a posto?” Stephanie volse lo sguardo verso il padre, che continuava a guardarla con sguardo fermo, soprattutto ora puntando gli occhi sul ragazzo accanto alla figlia.
“Sì, sì, non è suonata la sveglia e ho fatto tardi” gli rispose, guardandolo. Irwin non ribatté, ma guardò di sfuggita Stephen che non li perdeva mai di vista.
Il professore si incamminò, seguito dal gruppetto. Irwin li seguì ma, vedendo che la ragazza non si muoveva, la chiamò. Stephanie riguardò il padre, per poi rivoltare lo sguardo e incamminarsi, seguendo gli altri all’interno dell’ospedale.
Stephen sospirò: “È meglio che tenga d’occhio quel ragazzo. Non mi piace come punta lo sguardo su mia figlia”.
La cappa strofinò la parte superiore contro la sua guancia. Stephen aggiunse: “Smettila! Lo faccio solo per il suo bene. Non lo sai cosa passa al giorno d’oggi nella mente dei ragazzi. Hanno solamente gli ormoni a mille e non sono ancora pronto per diventare nonno”. E se ne volò via.
 







Note dell'autrice: Buona sera. Eccomi qua con un nuovo capitolo. Inanzitutto...GRAZIE. Grazie per le bellissime recensioni. Grazie per aver messo la storia nelle preferite e seguite. Grazie davvero. Vi sta piacendo? (direte: va bè siamo solo al secondo capitolo) Da come avrete capito Stephen è un padre molto, molto, molto...bè....molto protettivo...ed ha scoperto subito dove si è cacciata la figlia. Ma lei andrà a quella festa secondo voi? Disubbidirà al padre?
Volevo ringraziare come sempre la mia amica Lucia
Grazie ancora tantissimo a tutti voi
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Passate una splendida nottata
Un grosso abbraccio
Valentina
 

 

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Capitolo 3
*** Un permesso negato ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 
Capitolo III: Un permesso negato
 


Una volta rientrata a casa, Stephanie fu mandata subito in camera sua per riordinarla, mentre il padre se ne stava sulla soglia della porta a osservarla. Guardava ogni suo movimento e le domandava come fosse andata la giornata.
La ragazza rispondeva brevemente, ma il padre insisteva: “Un giorno farò un salto in ospedale: i miei ex colleghi di lavoro sono solo degli incompetenti”.
“Per te tutti lo sono” gli precisò.
“Loro più di tutti. Non sanno distinguere nemmeno una laminectomia da un’erniectomia. È roba da principianti e sono coloro che vi insegnano a far pratica. Mi viene il voltastomaco. Se potessi verrei io” disse Stephen. Stephanie lo guardò, sgranando gli occhi, per poi dire: “Non dirai sul serio”.
“Invece sono serissimo. Verrei volentieri a insegnarvi tutto ciò che so e sarebbe divertente vedere gli altri sprofondare per la vergogna” disse Stephen affiancandola e, con uno schiocco di dita, fece ritornare gli ultimi vestiti nell’armadio.
Ci fu un po' di silenzio. Poi Stephen disse: “E ora sotto con lo studio e, per constatare la tua preparazione, ti interrogherò”.
“Non potrei fare una pausa?” propose Stephanie.
“Se avessi avuto la serietà di mettere a posto prima la tua camera, ora saresti già a buon punto con lo studio e, magari, staresti facendo la pausa. Prima studia e poi potrei riposarti. Ma solo dopo che ti avrò interrogato” spiegò Stephen e, con un cenno della mano, aprì un libro di chirurgia sulla scrivania. Stephanie guardò il padre che, sorridendo, aggiunse “Buon studio” e uscì.
La ragazza urlò dalla disperazione e diede un calcio al letto. Poi si distese sopra di esso e guardò il soffitto. Voleva bene a suo padre, ma lo odiava quando diventava così troppo protettivo. Basta, aveva deciso: quella sera sarebbe andata alla festa, anche a costo di incorrere poi nelle ire paterne.
Il pomeriggio passò tra studio e interrogazioni e a sera, dopo cena, padre e figlia si trovavano seduti uno di fronte all’altra nel salotto.
“Sono molto contento di come ti sei comportata oggi. Potrebbe anche farmi dimenticare della tua scappatella di stamattina, ma poi tu non impareresti niente” disse Stephen.
“Mi metterai in punizione?” gli chiese.
“Pensi che ci sia una punizione?” le domandò.
“Ti ho mentito e stavo per far tardi alla lezione di pratica. Il minimo che potresti fare è rinchiudermi in camera mia e gettare la chiave” rispose.
“Non sono così severo come tu pensi. Facciamo così: per questa volta chiuderò un occhio e mi fiderò della tua fiducia. Quella che ti sei guadagnata in tutti questi anni. Se farai la brava, ti riconsegnerò il tuo sling ring e forse potrò prendere in considerazione la proposta di Wong” spiegò Stephen.
“Quale proposta?” chiese con curiosità.
“Sembra che a Kamar-Taj servano dei nuovi apprendisti e lo Stregone Supremo ha fatto richiesta anche di te. Ovviamente ho declinato l’offerta, spiegandogli che tu diventerai una bravissima neurochirurga” rispose.
“Ovviamente l’avrà presa male” disse Stephanie.
“Mi ha detto: uno Strange era più che sufficiente, ma tu eri quasi insopportabile e senza pazienza. Tua figlia, fortunatamente, ha preso anche del buon senso dalla madre, ma credo che anche lei sia esuberante come te. Ma non farò fatica a essere il suo maestro” disse Stephen, ripetendo le parole che, tempo prima, Wong disse a lui. Poi aggiunse: “Ma rimango della mia idea: tu diventerai la migliore neurochirurga che esista. Nessuno sarà migliore di te. Tutti vorranno essere operati dalle tue brillanti mani. Sarai lassù, in cima, ricercata per la tua notorietà e io sarò lì a sorriderti e guardarti con orgoglio”. E le sorrise.
Stephanie abbassò lo sguardo. Poi alzandosi, propose: “Mi berrei un tè, se non ti dispiace. Vuoi farmi compagnia?”
“Come mai questo improvviso cambio? Di solito, dopo cena, te ne vai di fretta in camera tua” domandò.
“È che vorrei fare un po' come quando ero una bambina. Ci mettevano sempre sul divano a guardare insieme la televisione, oppure mi raccontavi le vite che salvavi in ospedale. Ora, invece, io vado in camera a studiare, mentre tu te ne rimani qua a leggere libri di arti mistiche. È come se ormai non avessimo più un dialogo” spiegò.
“Accetto volentieri quel tè” disse Stephen, sorridendo. Anche Stephanie sorrise, per poi correre in cucina. Una volta lì e, dopo aver preso due tazzine e una teiera, versò acqua calda in tutte e tre, per poi prendere tè pronto e mettere le bustine nelle tazzine. Infine estrasse la scatolina che aveva ancora in tasca. L’aprì. Al suo interno prese una bustina. Mise in ebollizione, e una volta pronto, versò il tè caldo nelle tazzine. In una, però, mise anche la bustina di calmante. Mescolò, lasciando il cucchiaino nella tazza che avrebbe dato al padre. Ritornò in salotto.
“Scusa se ci ho messo un po', ma non riuscivo a trovare il tè. Di solito sei sempre tu quello che lo prepara” disse Stephanie, consegnando la tazzina, con il cucchiaino, al padre.
“Non devi scusarti, cucciola. Sei stata molto gentile a prepararlo. Dovremmo avere più spesso questi momenti” disse Stephen e bevve un sorso. Stephanie lo osservò.
Una volta finito di bere. Stephen si alzò, ma iniziò a barcollare. Anche Stephanie si alzò, domandandogli: “Tutto bene?”
Stephen si portò una mano sulla testa: “Tutto a un tratto, mi sento così stanco”.
“Hai passato una giornata pesante nel cercarmi. Perché non ti rechi a letto? Ti fai una bella dormita e starai meglio” gli propose.
Stephen prese in mano la tazzina e, dopo averla portata al naso, disse: “Che ci hai messo dentro? Non profuma di tè”.
“Solamente un po' di calmante. La farmacista mi aveva detto di non usarlo in quantità esagerata” rispose Stephanie.
“Sei in un mare di guai, signorinella! Adesso io…” replicò furioso Stephen. Ma non fece in tempo a terminare la frase che cadde a terra, addormentandosi.
“Accidenti! Volevo solamente che si stancasse. Non che crollasse come un sasso. Ma almeno così ho tutto il tempo che voglio da passare alla festa. Quando tornerò, lui dormirà ancora” disse Stephanie e, come se nulla fosse accaduto, se ne uscì dal Sanctum Sanctorum.
La cappa di levitazione, però, si liberò dal padrone. Si avvicinò a lui, cercando di svegliarlo, sbattendo il tessuto – come uno schiaffo – sulla guancia. Ma Stephen russava e dormiva profondamente. La cappa, allora, da buona amica fedele, se ne volò dietro a Stephanie, cercando di tenerla d’occhio mentre il padre era fuori gioco.
Poco dopo, alla festa c’era gran fermento. Tanti ragazzi erano presenti e Stephanie cercava di farsi largo tra la folla mentre teneva in mano un bicchiere contenente dell’aranciata. Seppur avesse disubbidito al padre, almeno non voleva ubriacarsi. Quando lo avrebbe affrontato, voleva essere lucida.
Decise di fermarsi in un angolo a osservare il tutto. Non conosceva praticamente nessuno ma, per una volta tanto, si sentiva libera dal padre. Bevve un sorso di aranciata ma, quando volse lo sguardo verso la finestra, vide la cappa di levitazione al di fuori di essa che la “guardava” a sua volta.
Le andò di fronte: “Che cosa ci fai qua? Volatene a casa” Ma la cappa “scosse” negativamente la parte superiore. Quindi aggiunse: “Apprezzo la tua amicizia, ma non ho bisogno di un babysitter, come facevi quando ero piccola. Ormai sono adulta”.
La cappa se ne volò via, quando dietro a Stephanie comparve una ragazzina. La stessa che l’aveva invitata lì, nonché promotrice della festa. Le chiese: “Con chi stavi parlando?”.
Stephanie si voltò: “Con… ehm… non importa”.
“Certo che sei svitata, ma almeno sei riuscita a venire. Come hai fatto? Hai drogato tuo padre?” le domandò.
“Più o meno. Ho messo del forte calmante nel suo tè e, dopo che è crollato a terra, addormentandosi, sono scappata qua” rispose.
“Hai del fegato a metterti contro uno come lui. Vieni, ti voglio presentare ad alcune persone. Saranno elettrizzate nel conoscere finalmente la figlia del famoso Doctor Strange” disse e la condusse da un gruppetto.
La cappa ritornò alla finestra, cercando di tenere sott’occhio Stephanie ma, in mezzo a tutta quella folla, risultava difficile.
Ormai erano ore che la festa andava avanti. Tutto sommato Stephanie, seppur non avesse stretto delle vere amicizie, si stava divertendo anche se ora stava pensando a come avrebbe affrontato il padre una volta a casa. Con le ore passate, quasi sicuramente l’effetto del calmante era svanito ma, finché la cappa fosse stata nei paraggi, poteva ritenersi salva.
Sembrava stesse andando tutto bene, quando si sentì urlare. Stephanie si fece largo tra i presenti per vedere un ragazzo a terra. Accanto a lui ce ne era un altro, che disse: “Vi prego, fate qualcosa. Josh è svenuto”.
Stephanie gli andò dall’altra parte e, dopo aver messo due dita sul collo e aver teso l’orecchio sulla bocca, disse: “Non sta respirando. Cosa è accaduto?”.
“Non saprei, ma prima che svenisse, stava mangiando delle noccioline… Oddio… Josh ne è allergico” spiegò il ragazzo.
“E non ha con sé un antistaminico?” domandò Stephanie.
“Non credo di averglielo visto” rispose il ragazzo.
“È andato in shock anafilattico. Dobbiamo fare subito qualcosa, prima che muoia” disse Stephanie.
“Non voglio avere il suo corpo morto qui prima che ritornino i miei genitori dalle Maldive” replicò la ragazzina. Stephanie la guardò malamente, per poi guardare di sfuggita verso la finestra. La cappa era sparita. Ma ora non importava. Riguardò il ragazzo, dicendogli: “Portatemi un coltello e sterilizzatelo con dell’etilene”.
“Eti che?” chiese la ragazzina. Stephanie roteò gli occhi: “Frequentiamo tutti medicina e davvero non sapete cosa sia l’etilene?! Cercalo in bagno e portatelo subito qua insieme al coltello”. Sia il ragazzo che la ragazzina corsero in due svariati posti, per poi ritornare subito dopo con gli oggetti richiesti.
Stephanie prese il coltello e il ragazzo, dopo aver aperto la boccetta di etilene, ne versò il contenuto sopra di esso.
La giovane Strange portò il coltello verso la gola di Josh, ma le tremava la mano. Fece un lungo respiro, per poi procedere. In quel momento, si aprì un portale e da esso ne uscì Stephen. I presenti lo guardarono rimanendo in silenzio, ma il dottore puntò subito lo sguardo sulla figlia e su ciò che stava facendo.
“Stephanie! Che cosa stai facendo?” le domandò.
“È andato in shock anafilattico. Devo fargli subito una tracheotomia” gli spiegò. Strange le andò accanto, per poi dirle: “Puoi farcela, tesoro. Sangue freddo e respiri profondi. Sii decisa”.
Stephanie annuì e ripuntò il coltello contro il collo di Josh. In modo deciso gli incise la trachea, dalla quale ne uscì parecchio sangue.
“Oddio, che schifo! Così sta sporcando tutto il tappeto nuovo. Poi chi li sente i miei quando ritorneranno?” disse la ragazzina.
“Stai zitta!” le dissero insieme Stephanie e il padre. La ragazzina non disse altro.
Padre e figlia porsero di nuovo l’attenzione su Josh. Poi Stephanie disse: “Mi serve qualcosa per farlo respirare” Si guardò intorno e, quando trovò ciò che poteva fare al caso suo, aggiunse: “Datemi quella cannuccia”.
Il ragazzo gliela consegnò. Stephanie la disinfettò con l’etilene, per poi metterla nella trachea di Josh. Successivamente ne tagliò via la parte superiore – utilizzando un paio di forbici che lo stesso ragazzo le consegnò, dove averle sterilizzate. Josh iniziò a respirare.
Stephanie tirò un sospiro di sollievo mentre alcuni presenti applaudirono. Altri, ancora troppo scossi, se ne stettero in silenzio.
“Dobbiamo portarlo subito in ospedale” disse Strange e, dopo essersi alzato, si voltò aprendo un altro portale. Poi si rivoltò, mentre due ragazzi sostenevano Josh. Entrarono nel portale mentre Strange aspettava sua figlia. Quest’ultima era ancora inginocchiata, ma si alzò non appena il padre la chiamò. Lo raggiunse entrando nel portale, il quale si richiuse dietro di loro. I ragazzi che sostenevano Josh erano lì ad aspettarli.
Poco distante videro Christine, che stava parlando con un’infermiera. Stephen la chiamò. Si voltò e rimase a bocca aperta quando li vide. Mentre camminava verso di loro, chiese: “Santo cielo, che cosa è successo?”.
“Questo ragazzino è andato in shock anafilattico” disse Strange.
“È allergico alle noccioline. Ne ha mangiate un po' alla festa” aggiunse uno dei due ragazzi.
“Come mai ha una cannuccia nella trachea?” domandò Christine. Stephen guardò sorridendo Stephanie e, dopo averle messo un braccio intorno al collo, rispose: “Merito della nostra geniale figlia. Ha praticato una perfetta tracheotomia”. E riguardarono Christine, la quale, dopo aver chiamato l’infermiera con la quale stava parlando prima, aiutò Josh a stendersi su una barella, per poi spingerlo verso le sale operatorie.
“Grazie, ragazzi, per la collaborazione” disse Strange rivolto agli altri due; poi continuò: “Venite con me: vi riporto alla festa”. E, aprendo un portale, li ricondusse al precedente luogo.
Stephanie si sedette, osservandosi le mani ancora sporche di sangue. Passò poco, perché vide un’ombra sopra di sé. Alzò lo sguardo per vedere il padre che le porgeva un fazzoletto, che utilizzò per pulirsi le mani. Stephen si sedette accanto a lei, per poi dire: “Wow. Solo wow. Sei stata straordinaria stasera”.
“Papà, sicuro di stare bene? Non sei arrabbiato per… ecco… per il calmante che ti ho messo nel tè?” gli chiese, guardandolo.
“Di quello ne riparleremo una volta a casa. Ma cavolo, cucciola, meno male che la cappa è venuta a chiamarmi, se no non avrei mai assistito alla tua prima operazione. E tutti gli altri che ti guardavano a bocca aperta. Questo. È questo che volevo farti capire. Tu sei la migliore e lo hai dimostrato prima, prendendo una decisione in poco tempo e mantenendo il sangue freddo mentre tagliavi la trachea a quel ragazzo. E poi la cannuccia… che idea. Si vede che sei mia figlia. Ehi, ci sono: potremmo chiamarla “tecnica Strange”. Già in passato avevo proposto questa cosa a tua madre, quando inventai una procedura per la laminectomia, ma non accettò. Ho fatto bene quando ho declinato l’offerta di Wong. Tu diventerai la migliore neurochirurga che esista. Ne sono certo” spiegò Strange e la strinse contro di sé.
Stephanie non aveva mai visto il padre così euforico. Lei aveva agito d’istinto, visto che tutti gli altri sembravano essere diventati di pietra. Per una dimenticanza, quel ragazzo sarebbe morto e Stephanie si sentiva felice nell’aver salvato una vita. Forse diventare neurochirurga non era così male, ma una parte di sé amava anche quel misticismo che praticava il padre. Se avesse fatto la brava e ubbidito, probabilmente sarebbe riuscita a intenerirlo quel poco che bastava per convincerlo a mandarla a Kamar-Taj e diventare un’apprendista. Poteva funzionare. Ma fino a che punto?










Note dell'autrice: Inanzitutto....GRAZIE. GRAZIE infinitamente per le bellissime recensioni. Per chi ha messo la storia tra le seguite e preferite. Grazie davvero di cuore. Non pensavo potesse avere questo successo solo con i primi due capitoli
Vi sta piacendo? O sto facendo Strange troppo protettivo? (poi spiegherò il perchè ovviamente) Stephanie si sente troppo soffocata dalla protezione paterna e, in effetti, va alla festa anche se lui glielo aveva proibito
Grazie anche alla mia preziosa amica Lucia
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo e spero che la storia non vi annoi troppo
Buon inizio settimana e buon proseguimento di giornata
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 

 

 

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Capitolo 4
*** Letture proibite ***


UNA VITA IN GABBIA
 



  Capitolo IV: Letture proibite


 

Passarono le settimane e Stephanie non mancava ad una lezione, nemmeno a quelle di pratica in ospedale. Cercava di far intenerire suo padre. Se Strange vedeva che la figlia si impegnava con lo studio, magari poteva cambiare idea sul suo addestramento a Kamar-Taj. Lei desiderava tanto imparare di più sulle arti mistiche.
Un giorno, mentre si trovava a lezione, il Professor Thompson assegnò un compito da fare in coppia e, mise Stephanie insieme con Irwin. La ragazza non voleva crederci. Stava andando tutto così bene. Il professore doveva odiarla.
A lezione finita, Stephanie si diresse a passo spedito all’uscita dall’università e, una volta fuori, si fermò. Si guardò intorno. Nessuna traccia di Irwin. Sorrise soddisfatta nell’averlo seminato. Ma appena si voltò, si sentì chiamare ed Irwin la raggiunse.
“Stephanie perché non mi hai aspettato?” le domandò.
“Avrei dovuto?” chiese, incamminandosi. Irwin la seguì: “Be’, tecnicamente sì, visto che siamo compagni di studio”
“E questo cosa c’entra?” domandò.
“Dovremmo iniziare subito con la ricerca, non trovi? Potrei venire a casa tua” propose Irwin. Stephanie si fermò: “No! Assolutamente no! Ecco…si è allagata casa e stanno togliendo tutta l’acqua. Papà è arrabbiatissimo e, se porto a casa qualcuno, non credo gli faccia piacere con questa situazione”
“Allora potresti venire a casa mia” propose Irwin.
“Credo che a papà faccia piacere se gli do una mano a togliere l’acqua” mentì Stephanie. Poi tra sé aggiunse: “Ma quando lo capisce che non mi interessa proprio studiare con lui?”
“Alla biblioteca ti andrebbe bene?” chiese.
“Facciamo così: quando avremo tolto tutta l’acqua, ti chiamerò e potremo iniziare con la ricerca. Tu, intanto, mettiti avanti per conto tuo ed io per conto mio” rispose Stephanie.
“Ma così non sarà più un lavoro a coppie” disse Irwin.
“Chi ha detto che non si può fare anche a coppie scoppiate? Allora, ti faccio sapere quando l’allagamento sarà finito” disse Stephanie e, voltandosi, si allontanò velocemente e, dopo essere arrivata al Sanctum Sanctorum, chiuse in fretta la porta dietro di sé. Si recò su per le scale e, stava per entrare in camera sua, quando Stephen, che stava camminando per il corridoio mentre mangiava una mela, chiese: “Quando sei rientrata?”
“Proprio ora” gli rispose.
“Come mai tutta questa fretta? Qualcuno ti sta appresso?” domandò preoccupato, avvicinandosi a lei.
“Tranquillo, papà. Avevo solo voglia di ritornare a casa ed iniziare con i compiti. Il professor Thompson ci ha assegnato una ricerca da fare a coppie riguardo le crisi epilettiche. Cioè, questo argomento è stato assegnato a me” rispose, entrando in camera e depositando i libri sulla scrivania.
“Mi stai dicendo che non hai un partner?” le chiese, standosene sulla soglia della porta.
“Tecnicamente ce l’avrei, ma non voglio lavorarci insieme” rispose, guardandolo.
“Il tuo professore non sarebbe d’accordo, invece io dico chi se ne frega. Noi Strange abbiamo sempre lavorato bene anche da soli. E, se vuoi, ti posso dare una mano io con la ricerca” disse Stephen.
“Grazie papà, ma non ce ne è bisogno” disse Stephanie. Stephen entrò e, fermandosi di fronte a lei, mise le mani sulle spalle, dicendole: “Invece lo faccio molto volentieri. Sarà come quando eri una bambina e facevamo insieme le ricerche di geografia o storia. Prendevi sempre voti alti ed eri solo alle elementari. Niente da stupirsi. Sei una Strange, dopotutto”
“Va bene. Allora accetto volentieri la tua proposta” disse Stephanie e Stephen sorrise.
Qualche ora dopo, padre e figlia erano già a buon punto con la ricerca. Era come se stesse barando, visto che la ricerca avrebbe dovuto farla con il suo partner, ma il professore non lo avrebbe mai scoperto.
“Sai, mi mancava fare ricerche in tua compagnia” disse Stephanie.
“Anche a me. Dovremmo farle più spesso. E poi così passiamo anche del tempo insieme” disse Stephen, guardandola e sorridendole. Anche Stephanie gli sorrise.
Si aprì un portale, dal quale ne uscì Wong.
“Zio Wong!” disse entusiasta Stephanie e, dopo aver messo il libro sulla tavola corse da lui, abbracciandolo.
“Stephanie, ogni giorno diventi sempre più come tua madre” disse Wong.
“Ci sarei anche io qua” disse Stephen, alzandosi.
“Che bello rivederti. È passato un po' di tempo dall’ultima volta” disse Stephanie, guardandolo.
“Sembra un secolo” disse Wong.
“A dire la verità sono passati tre mesi; dieci giorni e quindici ore” spiegò Stephen.
“Sei serio?” disse Wong.
“Non è mai stato più serio. Fa paura quando si comporta così” disse Stephanie.
Stephen si affiancò a lei, domandando: “Allora Wong, a cosa dobbiamo questa tua visita? Dubito sia per un tè in compagnia”
“Veramente un tè l’avrei preso molto volentieri. Ma in realtà sono qua perché mi serve il tuo aiuto” rispose Wong.
“Non pensavo che allo Stregone Supremo servisse l’aiuto dell’ex Stregone Supremo. Potrei essere molto impegnato” disse Stephen.
“O solo molto geloso” aggiunse Stephanie. Ricevette un’occhiataccia da parte del padre. Entrambi riguardarono Wong, che disse: “Sono arrivati dei nuovi apprendisti e mi chiedevo se volevi venirmi a dare una mano per insegnare loro alcune tecniche”
Stephen e Stephanie si guardarono. Poi riguardarono Wong e Stephen disse: “E’ che io e Stephanie stavamo passando un po' di tempo insieme”
“Vai pure papà, non ti preoccupare. Quegli apprendisti hanno bisogno di un bravissimo maestro come te” disse Stephanie.
“E come facciamo con la ricerca?” le chiese, guadandola.
“La continueremo quando ritornerai” rispose Stephanie. Stephen le mise una mano sulla guancia, sorridendole. Poi, dopo aver chiamato a sé la cappa – che si mise sulla sua schiena- disse: “Non fare altro mentre non ci sono. Vorrei ritrovare il Sanctum Sanctorum intatto quando ritornerò”
“Tranquillo. Sarà tutto come lo vedi ora” disse Stephanie. Stephen la guardò, facendole un piccolo sorriso, per poi seguire Wong nel portale, che si richiuse.
“Finalmente ho un po' di tempo per me. Allora, cosa posso fare di bello?” disse Stephanie, quando qualcuno bussò al portone.
“No. No. Non ora, ti prego” disse Stephanie. Bussarono ancora. Andò ad aprire, per ritrovarsi di fronte Irwin, con impermeabile; stivali gialli ed un secchio in mano.
“Irwin, che cosa ci fai qua?” domandò sorpresa.
“Mi sembrava da maleducati non venire ad aiutare te e tuo padre a pulire. Così mi sono attrezzato” rispose.
Stephanie lo guardò da capo a piedi: “Lo vedo. Ma gli stivali ed il secchio erano necessari?”
“Hai detto che avevi la casa allagata” disse Irwin.
“Vieni dentro e non fiatare” tagliò corto Stephanie e, una volta dentro, richiuse il portone. Irwin si guardò intorno: “Avete fatto presto tu e tuo padre a tirare su tutta l’acqua. Che pulizia”
“Be’…papà ha i suoi metodi. Ora, però, non c’è: se ne è appena andato” disse Stephanie.
“Che peccato. Avrei tanto voluto finalmente conoscerlo. Il famoso Doctor Stephen Strange. Brillante neurochirurgo e potente Stregone Supremo” disse Irwin, incamminandosi e continuando a guardare con stupore l’enorme scalinata.
“È ex Stregone Supremo. A causa del blip, il ruolo è passato a qualcun altro. Ma non ricordarglielo. Soprattutto davanti a lui. Gli rode parecchio questa cosa e si arrabbia molto facilmente” spiegò Stephanie, affiancandosi a lui.
“Be’, visto che tu e tuo padre avete già sistemato casa, che ne dici se iniziamo con la ricerca?” propose Irwin, fermandosi. Stephanie lo guardò. Poi, dopo aver sospirato, disse: “Seguimi, ma non toccare nulla. Qua dentro ci sono antefatti molto antichi” e salirono su per la scalinata. Una volta in cima, Stephanie si diresse in camera sua, mentre Irwin continuava a guardarsi intorno.
Ritornò poco dopo da lui, tenendo in mano un quaderno e dei libri: “Mi sono già messa un po' avanti. Potremo continuare da lì” disse, non rivelando che, in realtà, aveva scritto tutto con il padre.
“Sicuramente questo posto avrà una biblioteca. Potremo andare lì” disse Irwin.
“Tecnicamente ci sono libri sparsi un po' dappertutto, anche nella camera di mio padre, per esempio. Ma, senza il padrone di casa presente, certi posti sono off limits. Quindi, niente biblioteca; niente sauna privata” spiegò Stephanie.
“Avete una sauna privata?!” disse stupito Irwin.
“No, ma mio padre ci ha fatto un pensierino più volte. Ma ora basta perderci in chiacchiere: prima finiamo e prima potrai andartene” disse Stephanie e lo condusse in un salottino.
Poco dopo, i due erano sommersi da un sacco di libri di medicina: “Sicura che non possiamo andare a cercare altri libri?” domandò Irwin.
“Te l’ho detto: finché mio padre non ritorna, alcuni posti sono proibiti. A lui non piace che gli estranei ficchino il naso in luoghi non consoni a loro. Quindi, per il momento, questi libri ci devono bastare” rispose Stephanie, trascrivendo altre informazioni sul quaderno.
“Dovrei usare il bagno. Dove posso trovarlo?” chiese.
“In fondo al corridoio. Ultima porta a destra” rispose Stephanie, continuando a scrivere. Irwin si alzò e, dopo essere uscito dal salottino, percorse un lungo corridoio.
Si guardava intorno, affascinato da tutti quegli antefatti rinchiusi in teche di vetro. Alle pareti erano invece appesi quadri raffiguranti strane figure della religione tibetana ed altre cose strane.
Passò di fronte ad una camera aperta. Si fermò. Si trattava di quella di Stephanie. Si guardò a destra ed a sinistra, accertandosi che la ragazza non fosse nei paraggi e, dopo aver visto campo libero, vi entrò. Era curioso se, nella sua camera, avesse trovato qualcosa inerente alle arti mistiche. Seppur era uno studioso perlopiù di matematica quantistica, non negava di essere attratto anche da tutto quegli incantesimi praticati dal Doctor Strange.
La camera di Stephanie era ben in ordine, ma non poteva aspettarsi di meno dalla figlia dell’ex stregone supremo. Lui voleva sempre l’efficienza da parte sua ed il meglio in tutto.
Si guardò intorno quando, sotto il cuscino, notò qualcosa. Si avvicinò e lo prese: si trattava di un libro. Ma non un libro di medicina: era di arti mistiche.
Lo sfogliò: era scritto in latino – o in un’altra lingua antica – ed erano raffigurati strani simboli e creature dall’aria poco piacevole. Perché mai a Stephanie avrebbe dovuto interessare tutto ciò?
Continuò a sfogliare il libro; poi si fermò: in quelle due pagine c’era una sorta di creatura nera, dall’aspetto demoniaco e dalla consistenza di fumo. Aveva due occhi gialli profondi ma, allo stesso tempo anche maligni. Rimase come ipnotizzato da quello sguardo e, senza neanche accorgersene, iniziò a leggere le righe presenti in quelle pagine.
Nello stesso momento, Stephanie continuava a scrivere sul quaderno, quando sentì un forte rumore. Alzò lo sguardo: “Papà. Sei tu?” Ma non ricevette risposta. Si alzò e decise di andare ad indagare. Uscì dal salottino e, lentamente, percorse il corridoio. Sentì un altro rumore. “Papà, sei ritornato? Dai non scherzare” Ancora nessuna risposta.
Decise di creare due dischi dorati in entrambi le mani, in modo da avere un po' di protezione. Il rumore proveniva da camera sua. Arrivò e rimase a bocca aperta non appena vide il macello: era tutto sottosopra.
“Papà mi ammazzerà” disse Stephanie, abbassando gli scudi. Improvvisamente qualcosa – o meglio qualcuno – apparve davanti a lei. Urlò per lo spavento; indietreggiò e rialzò gli scudi.
Dal soffitto, saltò Irwin, ma c’era qualcosa di diverso in lui: se ne stava abbassato e curvo; ringhiava ed i suoi occhi erano gialli.
“Irwin?! Cosa ti è successo?” domandò impaurita. Il ragazzo le saltò addosso. Stephanie cadde a terra e facendole scomparire gli scudi. Stephanie cercava di toglierselo di dosso, quando ci riuscì utilizzando una frusta dorata, scaraventandolo in là. Irwin si alzò e corse via, correndo su “quattro zampe” come fosse stato un animale.
Stephanie si rialzò: “Ma cosa diavolo gli è successo? Devo fare qualcosa prima che papà ritorni” Così rientrò in camera sua e la risposta la ebbe quando notò il libro di arti mistiche aperto e sul pavimento: lo raccolse e vide quella creatura nera dall’aspetto demoniaco. Riporse delicatamente il libro sulla scrivania. Aveva capito tutto, ma ora doveva escogitare qualcosa per riportare il suo amico com’era.
Andò nella camera del padre. Cercò in ogni cassetto quando, in quello del comodino, trovò il suo sling ring. Se lo infilò nelle dita della mano sinistra e poi corse a cercare l’amico.
Lo cercò dappertutto, quando lo trovò nella stanza degli antefatti. C’erano teche rotte ed oggetti sparsi a terra. Lo chiamò. Irwin si voltò: “Sono qui. È me che stavi cercando? Avanti, fatti sotto o sei troppo fifone?” Il ragazzo le ringhiò contro. Stephanie si voltò e corse, seguita da Irwin.
Mentre correva, di tanto in tanto si voltava e, utilizzando la magia, cercava di rallentare l’inseguimento, facendo cadere addosso al ragazzo svariati oggetti. Ma Irwin non si fermava e le era sempre più vicino.
Continuando a correre, Stephanie tese una mano davanti a sé, cercando di aprire un portale. Ma non era concentrata e riuscì a produrre solo delle scintille. Ci riprovò e, finalmente, dopo svariati tentativi, ci riuscì. Quando Irwin le saltò addosso ed entrambi caddero dentro al portale.
Stephanie riuscì a togliersi di dosso Irwin che, come precedentemente, se ne corse via. La ragazza si rialzò, guardandosi intorno: era certa di non trovarsi più al Sanctum Sanctorum. Davanti a lei si ergeva il palazzo di Kamar-Taj. Ora era nei guai.







Note dell'autrice: Eccomi qua. Buon pomeriggio. Vi sta piacendo la storia? Grazie infinitamente per le bellissime recensioni che avete scritto e grazie a tutti/e coloro che stanno seguendo la storia e che l'hanno messa tra i preferiti. Grazie anche a chi è solamente passato di qua e ci ha dato una letta.
Chi sperava di rivedere Irwin, be' eccolo qua (e ovviamente, visto che ora si trovano a Kamar-Taj, ci sarà anche dopo. Chissà Stephen come reagirà quando lo vedrà. Perchè...ovviamente...lo vedrà) Ovvio, non vi svelo nulla
Volevo ringraziare anche la mia carissima amica Lucia
Vi ringrazio nuovamente
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Auguro a tutti/e voi un buon proseguimento di giornata
Un abbraccio
Valentina

 
 
 

 

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Capitolo 5
*** Scompiglio a Kamar-Taj ***


UNA VITA IN GABBIA
 


  Capitolo V: Scompiglio a Kamar-Taj


 

Kamar-Taj era sempre stata origine e patria delle arti mistiche e di potenti stregoni. Tutt’ora, dopo secoli, continuava dare casa a tutti coloro che volevano cimentarsi in questa sacra cultura.
Stephanie osservava i vari apprendisti mentre imparavano dagli insegnanti, camminando sotto uno dei porticati, sperando che né suo padre e nemmeno Wong fossero nei paraggi.
Irwin non si trovava da nessuna parte, ma forse avrebbe potuto attirarlo con qualcosa. Normalmente, i demoni erano attratti dall’oscurità. Probabile che lì nel tempio avesse trovato un qualsiasi oggetto che facesse al caso suo.
Stava per entrare, quando sentì urlare. Non le ci volle molto per capire la fonte: senza farsi vedere, si andò a nascondere dietro una delle colonne, per vedere gli apprendisti attaccati da Irwin. Il ragazzo saltava addosso a chiunque, strappando loro gli indumenti e lacerando le carni.
Stephanie voleva intervenire, cercando di proteggere il ragazzo, qualora lui stesso – o qualcun altro- gli facesse del male.
In quel momento, però, venne sollevato a mezz’aria e imprigionato da vari scudi di energia. Stephanie vide arrivare di corsa Wong e suo padre. Quest’ultimo teneva le mani tese verso Irwin.
“State tutti bene?” domandò Wong, rivolto agli apprendisti, i quali c’è chi annuì e chi era ancora scosso dall’avvenuto. Poi guardò Irwin: “Ma chi diavolo è?”
“L’ho visto l’altro giorno nel gruppetto di mia figlia. Ma come ci sia finito qui, non saprei. Per il momento meglio metterlo dietro le sbarre e poi penseremo cosa farne di lui” rispose Stephen e si incamminò, continuando a tenere le mani tese verso Irwin, seguito da Wong.
Stephanie li seguì a debita distanza. Entrarono nel tempio e, successivamente, Irwin venne messo dentro una piccola gabbia. Appena Stephen lo liberò, questi cercò di aggredirli: “Cavolo, se tutti i ragazzi che frequenta Stephanie sono così, dovrò andare a scuola con lei e tenerla d’occhio ad ogni lezione”
“Temo possa essergli accaduto qualcosa” disse Wong, osservando meglio il ragazzo.
“I ragazzi d’oggi sono degli esagitati. Vogliono sempre fare colpo sull’altro sesso. Ho visto come l’altro giorno guardava Stephanie. Non le toglieva gli occhi di dosso. Giuro che se l’ha toccata…” disse Stephen.“Non credo che le abbia fatto qualcosa” disse Wong.
“E lo giudichi dall’espressione indemoniata che ha? Guardalo come è vestito: impermeabile; stivali gialli; un’acconciatura che sembra che gli sia esploso un phon in faccia ed occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. Per non parlare della ridicola camicetta a scacchi che gli spunta da sotto. Spero solamente che mia figlia non lo stia frequentando, se no la rinchiuderò in camera sua finché non deciderò quando sarà ora del suo matrimonio” replicò Stephen e Stephanie lo guardò stranamente.
Wong si abbassò, osservando Irwin negli occhi; questi lo osservò a sua volta. Poi lo stregone supremo, una volta rialzatosi, disse: “Credo sia stato impossessato”
“E lo hai capito perché mi si è rivoltato contro?” chiese Stephen, guardandolo. Wong lo guardò malamente. Entrambi rivolsero gli sguardi al ragazzo e Strange aggiunse: “Oh, vero: allo stregone supremo basta un’occhiata per intuire come stanno le cose”
“I suoi occhi sono gialli. Quanti ragazzini vanno in giro con quel colore?” domandò Wong.
“Ti stupirai, ma c’è parecchia gente. Avere gli occhi gialli significa che soffrono di una malattia epatica” rispose Stephen. Wong continuò a guardarlo malamente e Strange disse: “Riconosco una persona quando è impossessata. Santo cielo, ma dove è finito il tuo humor?” Poi a bassa voce aggiunse: “Non che ne avessi mai avuto anche prima”
“Dobbiamo trovare il contro incantesimo per aiutarlo” disse Wong.
“Be’, per il momento lasciamolo qui. Prima finisco con le lezioni e prima posso ritornare a casa da Stephanie e chiederle perché frequenta certi tipi di ragazzi” disse Stephen, incamminandosi.
“Non possiamo lasciarlo incustodito” ribatté Wong. Stephen si fermò e, voltando lo sguardo, disse: “Lì è innocuo. Al massimo potrà mordere le sbarre fino a rompersi i denti”
“Ti voglio ricordare che è impossessato da un demone” disse Wong.
“Lo so, non ho la memoria corta. Ma che ti aspetti da uno conciato così? Se il demone avesse impossessato uno come Hulk, allora sì che avremmo dovuto preoccuparci” disse Stephen. Voltandosi si incamminò nuovamente. Wong osservò il ragazzo, per poi seguire l’amico.
Accertatasi di avere campo libero, Stephanie uscì dal suo nascondiglio, andando di fronte alla gabbia. Guardò il lucchetto che la chiudeva: “Accidenti, questa non ci voleva ma, dopotutto, potevo immaginarmelo, anche se da papà e Wong mi sarei aspettata più un incantesimo di protezione”. Alzò lo sguardo verso il ragazzo, che se ne stava in un angolo della gabbia. Quindi aggiunse: “Mi dispiace molto, Irwin per come siano andate le cose. Devo trovare la chiave. Oppure…”
Si distanziò un po' dalla gabbia. Cercando di ricordare come faceva suo padre, mosse le mani, creando un incantesimo ma, in quel momento, venne contornata da numerosi specchi. Volse lo sguardo per vedere Wong e Stephen correre verso di lei.
“Ciao” disse semplicemente loro Stephanie.
“Wong ti libererà; poi ti sculaccio e infine ti metterò in punizione a vita” disse Stephen.
“Un semplice “cosa ci fai qui, invece di essere a casa” sarebbe bastato. Comunque, ho diritto a difendermi” disse Stephanie.
“Non ci vuole un genio a capire come è arrivato qua quel ragazzo. O, tutto ad un tratto, ha rubato lo sling ring che ti avevo sequestrato ed ha imparato ad aprire un portale che, guarda caso, lo ha portato proprio qua? E poi come ti salta in testa di liberarlo?!” replicò Stephen. 
“Se mi liberate, vi spiegherò tutto” disse Stephanie.
Stephen guardò Wong, il quale liberò Stephanie. La ragazza prese fiato e poi spiegò: “Il Professor Thompson ha assegnato diversi progetti: io ed Irwin, il ragazzo che vedete in gabbia, siamo stati messi insieme. Ma io non lo volevo come partner. Lui voleva venire al Sanctum Sanctorum, ma gli ho mentito dicendogli che era tutto allagato e che papà non voleva avere estranei in casa. Poi però lui è venuto lo stesso. Così abbiamo continuato la ricerca che io e te papà avevano già iniziato. Irwin voleva andare in bagno ma, molto probabilmente, deve aver prima sostato in camera mia, dove ha trovato un libro di arti mistiche che avevo nascosto sotto il cuscino. Avrà letto qualche cosa riguardanti i demoni e, il suddetto demone, lo ha posseduto. Mi ha attaccata. Mi sono difesa. Lui ha distrutto metà Sanctum Sanctorum. Sono andata in camera di papà, riprendendomi il mio sling ring. Ho aperto un portale e ci siamo ritrovati qua”
Calò il silenzio. Poi Stephen disse, puntando un dito contro la figlia: “Tu sei in un mare di guai!”; poi spostò il dito su Irwin: “Lui, una volta guarito, lo voglio lontano dal nostro continente” e, infine, spostando il dito su Wong, disse: “E tu smettila di invogliare mia figlia a diventare un’apprendista qua a Kamar-Taj! Lei diventerà una neurochirurga e nient’altro!”
“Ne deduco che sei un tantino arrabbiato, vero?” disse Stephanie.
“Sono furioso!” replicò Stephen.
“Il che ti rende ancora di più irascibile” aggiunse Stephanie.
“Tu non dovresti neanche aprire bocca, visto che tutto ciò è capitato per causa tua! Credevo di averti messo sotto chiave tutti i tuoi libri di arti mistiche, invece questo imbranato di ragazzo vestito come un pescatore, ne ha trovato uno sotto il cuscino nella tua camera!” ribatté Stephen.
“Forse ti sarà sfuggito” disse Stephanie, ricevendo un’occhiataccia da parte del padre.
“Ormai quel che è fatto è fatto. Ora dobbiamo solo trovare il contro incantesimo per salvarlo, prima che sia troppo tardi” disse Wong.
 “Cosa significa?” chiese Stephanie.
“Più il demone rimarrà dentro al corpo di questo ragazzo e più si impossesserà di tutto il corpo ed anche la mente. Non rimarrà nemmeno un briciolo di umanità in lui” rispose Wong.
“In poche parole è spacciato” aggiunse Stephen.
“Oh, Irwin, mi dispiace tanto. È tutta colpa mia. Non avrei mai dovuto lasciarti andare da solo a cercare il bagno” disse Stephanie.
“E magari potevi anche stendergli il tappeto rosso” disse Stephen. Stephanie lo guardò malamente. Poi il padre aggiunse: “La colpa è solo della tua disubbidienza. Se solo mi avessi consegnato tutti i tuoi libri di arti mistiche, ora…” “Ma non lo vuoi capire che, forse, le arti mistiche mi interessano ancora?! Ne sono attratta!” replicò Stephanie.
“No, tu devi essere attratta solamente dalla neurochirurgia! Nient’altro ti dovrà distrarre!” ribatté Stephen.“Basta! Smettetela entrambi! Litigherete dopo! Ora dobbiamo pensare a questo ragazzo” li interruppe Wong. Padre e figlia non dissero altro. Tutti e tre guardarono Irwin e Wong, mettendo le mani davanti a lui, praticò un incantesimo. Dietro al ragazzo comparve uno specchio.
Stephanie si avvicinò un po' di più, quando dallo specchio comparve il riflesso di un demone, che le ringhiò contro. Per lo spavento, urlò ed indietreggiò, finendo contro il padre, che le mise le mani sulle spalle.
“Quello è uno specchio riflettente” disse Wong.
“Che fantasia. Potevano dargli nome diverso” disse Stephanie.
“Anche tuo padre disse la stessa cosa” disse Wong, adocchiando Strange, che fece un piccolo sorriso beffardo. Poi Wong continuò: “Egli mostra la parte più oscura di noi. Secondo te, Stephanie, di che demone si tratta?”
Stephanie osservò meglio ciò che era comparso nello specchio. Poi rispose: “Sembrerebbe un Mu. È fatto perlopiù di fumo e si ciba delle paure di ognuno di noi. Come lo si sconfigge?”
“Il tuo amico è coraggioso?” chiese Wong.
Stephanie scosse negativamente la testa: “Non credo. Se ne sta sempre in disparte e gli altri lo prendono in giro per come si veste e per la sua intelligenza. Strano che non prendano in giro anche me”
“Ci devono solo provare, che li faccio diventare sterili” disse Stephen.
“Se al tuo amico manca il coraggio, il Mu lo divorerà piano piano dall’interno, fino a fare diventare del tutto oscuro il suo cuore e la sua anima. L’unico modo, per ora, è cercare il contro incantesimo. Venite con me: troveremo, di sicuro, qualcosa in biblioteca” disse Wong e si incamminò.
“Vieni, cucciola” disse Stephen, seguendo lo stregone supremo, ma Stephanie se ne stette ferma di fronte alla gabbia. Strange si fermò e, guardando la figlia, la richiamò. Stephanie lo guardò: “Vorrei rimanere qua con lui, se non vi dispiace”
“Sei impazzita?! È pericoloso! Potrebbe farti del male” replicò Stephen.
“Sono sicura, invece, che Irwin sia ancora lì dentro e, se ci parlo, potrebbe ascoltarmi. Tu vai pure con Wong in biblioteca: in due farete prima a trovare il contro incantesimo” disse Stephanie.
“Stephanie ha ragione: il demone non si è ancora del tutto impossessato del suo corpo. Probabile che ci sia del briciolo di umanità in lui e, ascoltando la voce di tua figlia, potrebbe ritornare per un breve tempo in sé” spiegò Wong.
Stephen si avvicinò a Stephanie e, dopo averle messo una mano sulla guancia, disse: “Mi raccomando, non ti avvicinare troppo a lui e, se prova a farti del male o, ha dei cambiamenti improvvisi, vieni subito a chiamarci. Non fare di testa tua, promettimelo”
“Te lo prometto” disse Stephanie. Stephen fece un piccolo sorriso, per poi stringerla a sé. Irwin si avvicinò alle sbarre, osservandoli e spostando di lato la testa.
Padre e figlia si staccarono. Poi Stephen, anche se un po' restio, seguì Wong. Una volta sola, Stephanie si voltò verso la gabbia, dicendo: “Irwin, se sei ancora lì dentro, ti prego cerca di combattere il demone. Non fare in modo che si impossessi del tuo corpo e della tua anima. Tira fuori il coraggio”
Il ragazzo ringhiò. Quindi Stephanie ci riprovò: “Senti…mi dispiace, ok? Mi dispiace per tutto. Tu volevi solo avere qualcuno accanto come amico, invece tiravo fuori qualsiasi scusa pur di allontanarti. Nessuno ti ha mai capito. Nemmeno io. Ti sarei dovuta stare vicino. Ti prego, perdonami”
Irwin si avvicinò e disse, con flebile voce: “Stephanie…Stephanie…” 
“Sì. Sì, sono io” disse Stephanie, sorridendo e facendo qualche passo verso la gabbia. Il ragazzo la continuò a chiamare e Stephanie avanzava sempre di più. Finché non gli fu di fronte e, anche lui a lei. Irwin allungò una mano fuori dalle sbarre, quasi a toccarle la guancia; poi però, le prese il braccio sinistro, graffiandoglielo. Stephanie urlò ed il ragazzo le rubò lo sling ring dalla mano, per poi allontanarsi dalle sbarre.
Stephanie si toccò il braccio dolorante e, con tre profondi graffi che le sanguinavano. Riguardò Irwin che stava mordendo lo sling ring, aprendo inavvertitamente un portale.
“No! Irwin non farlo!” ribatté Stephanie, ma il ragazzo attraversò il portale, che si chiuse.
“Devo andare ad avvertire papà e Wong, anche se papà mi ucciderà perché non sono andata subito da loro” disse Stephanie e corse fuori dal tempio.
Si fece largo tra gli apprendisti che stavano facendo lezione quando, in quel momento, si aprì un portale. Ne uscì Irwin, che attaccò gli apprendisti uno dopo l’altro. Chi poteva si difendeva lanciandogli degli incantesimi.
“No, non fategli del male” disse Stephanie, correndo verso di loro e, contemporaneamente, schivando gli incantesimi che non lo colpivano. Li raggiunse e si voltò verso Irwin, chiamandolo. Il ragazzo la guardò. Balzò, pronto ad attaccarla ma, in quel momento, arrivarono Stephen e Wong. Quest’ultimo gridò: “Difendete la ragazza!” e gli apprendisti, mettendosi intorno a Stephanie, crearono degli scudi.
Irwin cercava di oltrepassarli, passando da un portale all’altro: “Come ci riesce?” domandò Wong. Stephen guardò la figlia, per poi correre verso di lei, prima che l’amico potesse fermarlo. Si creò un buco tra gli apprendisti, andando accanto a lei. La ragazza lo guardò. Stava per aprire bocca, ma il padre, furente, replicò: “Non provare a discolparti! Chissà come ci sta riuscendo a spostarsi da un portale all’altro” Poi spostò lo sguardo sui tre graffi sul suo braccio ed aggiunse: “E quei graffi? Te li ha fatti lui, vero?”
“Pensavo che Irwin fosse, per un po', ritornato in sé. Mi ha chiamata e, così, mi sono avvicinata, poi però lui mi ha presa il braccio e mi ha graffiata” spiegò Stephanie. Stephen riguardò malamente il ragazzo: “Non la passerà liscia! Pagherà per averti fatto del male!”
“No, ti prego papà, possiamo ancora parlarci!” disse Stephanie.
“E hai visto le conseguenze che ha avuto su di te?! Ora si fa come dico io, visto che hai pensato bene di non venirci ad avvisare! Ti avevo detto di farlo, qualora avessi visto cambiamenti in lui! Invece no, hai voluto fare di testa tua!” replicò infuriato Stephen e, facendosi largo tra gli apprendisti, corse verso Irwin. Creò una catena dorata e lo immobilizzò. Poi guardò Wong: “Wong! Sbrigati con quel contro incantesimo!”
Wong iniziò a pronunciare il contro incantesimo. Il ragazzo si contorse dal dolore. Vedendo ciò, Stephanie si fece largo tra gli apprendisti. Raggiunse il padre, rimanendo dietro di lui, e implorandogli di smettere: “Ti prego, non vedi che sta soffrendo?”
“E’ l’unico modo che abbiamo” ribatté Stephen. Stephanie guardò Irwin. Non voleva vederlo in quello stato. Poi le venne in mente qualcosa: “Possiamo elettrizzarlo. Fargli venire un attacco epilettico”
“Tesoro, mi piace molto quando parli di medicina, ma non credo sia il momento più adatto” disse Stephen.
“Potrebbe funzionare. Mentre Wong continua con il contro incantesimo, contemporaneamente noi gli praticheremo una bella scossa” spiegò Stephanie.
“Noi?! Tu te ne rimarrai lì! Hai già rischiato troppo prima!” replicò Stephen, guardandola. Poi, riguardò avanti e, tirando a sé la catena dorata, in uno scatto veloce mise la mano destra sul petto di Irwin, praticandogli una forte scossa. Poi urlò: “Wong! Grida più forte il contro incantesimo”
Con Wong che pronunciava il contro incantesimo e Stephen che gli praticava forti scosse, Irwin incominciò a tremare. Poi si irrigidì e cadde a terra. Stephanie stava per fare qualche passo verso di lui, ma il padre la bloccò, mettendole un braccio davanti.
C’era silenzio. Stephen stava per tirare via la catena dorata, quando dal corpo di Irwin uscì il demone. Soffermò lo sguardo sugli Strange. Ringhiò e volò verso di loro, cercando di attaccarli. Stephen si mise davanti alla figlia, cercando di proteggerla e pronto a scagliargli un qualsiasi incantesimo. Quando, al suo posto, intervenne Wong, che imprigionò il demone dentro a degli scudi di magia. Stephen aprì un portale che conduceva in un ambiente isolato ed ostile. Wong lanciò dentro ad esso lo scudo e Strange richiuse il portale.
Stephanie stava per correre verso Irwin, ma Stephen la fermò nuovamente, girandola verso di sé e guardandola da capo a piedi: “Papà, smettila. Sto bene”
“Poco fa sei stata attaccata da un ragazzo che non ti toglie gli occhi di dosso da quando hai iniziato l’Università. Un ragazzo che è così stupido che ha pensato bene di leggere da un antico libro di arti mistiche, invece di farsi i fatti suoi, così da essere impossessato da un demone che, se non ti avesse rubato lo sling ring, ti avrebbe scorticato. Sei fortunata che te le sei cavata solo con questi tre graffi e tu dici di stare bene? E vuoi correre da lui? Noi ora ce ne andremo dritti a casa” disse Stephen.
Irwin riprese i sensi. Stephanie spostò il padre e corse da lui. Il ragazzo si sedette, guardandosi intorno spaesato: “Dove sono? Dove mi trovo?”
“Ben tornato tra noi, Irwin” disse Stephanie e, senza rendersene conto, lo abbracciò. Irwin rimase sorpreso da questo gesto, mentre Stephen roteò gli occhi.
“Non ti ricordi nulla di quello che ti è successo?” gli domandò Stephanie.
“So che ti avevo chiesto dove si trovasse il bagno. Però, poi, me ne sono andato in camera tua ed ho iniziato a leggere da un libro che avevi nascosto sotto il cuscino. Da lì non mi ricordo più nulla” rispose Irwin. Poi si guardò intorno: “Wow. Ma qua non ci troviamo più a casa tua”
“Alla fine ci sei arrivato, ragazzino. Certo che se al Sanctum Sanctorum ci fosse tutto questo spazio, vuol dire che ho dovuto abbattere un sacco di pareti” disse Stephen. Irwin si voltò verso di lui e, alzandosi velocemente, divenne rosso in viso.
“Non badare a lui. Gli piace stuzzicare le altre persone” disse Stephanie.
“Soprattutto quelle che entrano in posti a loro proibiti. Senti ragazzino, sarò schietto con te: non mi sei mai piaciuto dal primo momento che hai puntato gli occhi su mia figlia e ora sei diventato del tutto odioso, soprattutto dopo che hai tentato di ammazzarla” replicò Stephen.
“Non era in lui” disse Stephanie, guardandolo.
“La cosa non mi interessa. Ti è stato troppo vicino, mentre ora ti sta appiccicato! Ti avevo detto che, una volta guarito, lo volevo fuori dal nostro continente. Che ne dici del Polo Nord? Dicono che in questo periodo ci sia molto freddo, così magari ti si congela il cervello e pensi meno a mia figlia” ribatté Stephen.
 “Ecco…io…” disse imbarazzato Irwin.
“Non starlo a sentire. Senti, facciamo così: quando ti sarai ripreso del tutto, vieni al Sanctum Sanctorum dove potremo finire con la ricerca” propose Stephanie.
“Cosa non ti è stato chiaro in ciò che ho detto prima? Lui non ce lo voglio più a casa nostra!” replicò Stephen.
“Forse dovremmo dar retta a tuo padre. Finiremo la ricerca da un’altra parte” disse Irwin.
“Ecco, hai detto una cosa mezza sensata. E ora saluta mia figlia e va con Wong” ribatté Stephen.
“Perché devo andare io con lui?” chiese Wong.
“Tranquillo, gli apprendisti non moriranno se lo stregone supremo si assenterà per poco e, sono sicuro che non sentiranno nemmeno la sua mancanza” rispose Stephen, guardandolo e facendo un piccolo sorriso. Wong lo guardò, invece, malamente, per poi avvicinarsi a Irwin: “Su, coraggio andiamo. Dimmi dove abiti” Il ragazzo gli disse luogo e via e Wong aprì un portale. Poi Irwin guardò Stephanie: “Allora…ci vediamo”
“Sicuramente. Abbiamo sempre la ricerca da finire” disse Stephanie. Irwin sorrise, quando Stephen si mise tra i due e spinse il ragazzo dentro al portale. Sia Wong, che Stephanie lo guardarono malamente, ma poi lo stregone supremo lo seguì ed il portale si richiuse.
“Era proprio necessario?” domandò Stephanie.
“Non sono ritenuto a rispondere. Ora, vieni con me: devo curarti quei graffi e, se vuoi, potremo finire la ricerca” rispose Stephen, mettendole un braccio intorno ed iniziando a camminare.
“Non è che invece…ecco…” iniziò col dire Stephanie, ma venne subito interrotta dal padre: “Ti prego, non aggiungere altro. Non è del perché sei finita qua a Kamar-Taj ti dia la possibilità di studiare con gli altri apprendisti. Sai già qual è la tua strada da seguire”
“Vorrei che fosse diversa” sussurrò Stephanie.






Note dell'autrice: Eccomi qua con il nuovo capitolo. Grazie a tutti/e per le bellissime recensioni. Siete davvero molto gentili.
Stephanie si trova sempre nei guai e Stephen, da padre molto prottetivo che è, ovviamente si arrabbia parecchio quando la vede in pericolo (o con qualche ragazzo)
Irwin lo adoro (stephen invece no da come avete potuto capire. Lo vuole lontano il più possibile da sua figlia)
Grazie ancora per tutte le bellissime recensioni e grazie anche a chi sta seguendo la storia e l'ha messa tra le preferite e seguite. Scusatemi se ci impiego tanto ad aggiornarla, ma grazie per la fiducia e per la pazienza
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di giornata
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 

 

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Capitolo 6
*** Guastafeste ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

  Capitolo VI: Guastafeste


 

Stephanie non era mai stata una persona molto mattiniera, seppur il padre la facesse svegliare presto. Ma quella mattina era decisamente di buon umore. Scese di buon’ora, preparando la colazione per sé e per Stephen.
In quel momento, l’ex stregone supremo entrò in cucina e, quando vide la figlia, rimase stupito. Lei lo salutò: “Buongiorno, papà. Hai dormito bene?”. E mise la colazione sulla tavola.
Stephan sbatté un paio di volte gli occhi. Poi rispose: “Bene. Grazie. Ma da quando in qua ti svegli così presto?”. E si sedette.
“Dici che mi devi sempre sbattere giù dal letto. Oggi volevo stupirti” disse.
“Suvvia, dimmi che cosa vuoi in cambio?” le chiese.
“Niente” rispose semplicemente, bevendo un sorso di latte.
“Quando ti comporti così è perché cerchi di addolcirmi per qualcosa. Avanti, non mi arrabbierò” disse Stephen.
“L’ultima volta che hai detto così, mi hai messo in punizione per una settimana” disse Stephanie.
“Ci credo: avevi spinto una tua compagna di classe nel fango solo perché continuava a ribadire che il suo papà era migliore di me” disse Stephen.
“Avevo cinque anni e poi quella là era molto antipatica” disse Stephanie.
“Volevo insegnarti l’educazione fin da bambina, ma ho apprezzato la tua presa di posizione. Noi Strange siamo fatti così” disse Stephen e bevve un sorso di caffè.
Stephanie finì di bere il latte e, dopo aver appoggiato la tazza, disse: “Ok, io vado. Oggi ho pratica in ospedale. Meglio che non faccia tardi”. Stava per uscire dalla cucina quando Stephen, alzandosi, le andò di fronte: “Tesoro, prima che tu vada, gradirei che prendessi questi”. E le mostrò quaderno e biro.
“Perché mai dovrei prenderli? Dici sempre che scrivere appunti è da principianti. E poi, mi basta leggere una volta le cose per memorizzarle subito” disse Stephanie.
“Lo so, sei come me ma, per questa volta, prendili. Ti saranno utili, vedrai” disse Stephen. Stephanie lo guardò stranamente, per poi prendere gli oggetti.
Poco dopo, Stephanie stava passeggiando accanto ad Irwin per i corridoi dell’ospedale, seguendo il Professor Thompson e il resto della classe: “Come mai hai quaderno e biro? Di solito tu non prendi mai appunti. Dici sempre che è da principianti”.
“Mio padre dice così ma, ogni tanto, mi piace usare le sue frasi. Stamattina era strano ed ha insistito che oggi prendessi appunti. Chissà come mai” disse Stephanie. Quindi si fermarono. Il Professor Thompson si voltò verso di loro: “Bene, ragazzi, ora vi lascio nelle mani della dottoressa che vi insegnerà oggi. È una delle più brave che ci siano in questo ospedale e non solo. Mi raccomando, prestate attenzione ad ogni sua parola, perché vi sarà utile per gli esami”. E, dopo averli salutati, se ne andò.
Arrivò la dottoressa, che si presentò sorridendo: “Salve, ragazzi”. Stephanie rimase a bocca aperta: “Mamma?!”. Abbassò lo sguardo e cercò di nascondersi dietro ad Irwin.
“Bene, se volete seguirmi inizieremo la nostra lezione” disse Christine e, voltandosi, si incamminò seguita dal gruppetto. In ultima fila c’erano Stephanie e Irwin. Questi disse: “Wow, che onore: abbiamo la dottoressa Christine Palmer come insegnante”.
“Ora ho capito perché papà abbia tanto insistito perché prendessi quaderno e biro: mamma vuole sempre che scriva appunti per ogni cosa” disse Stephanie.
“Be’, non ha tutti i torti. Prendendo appunti, potremmo imparare cose che non vengono menzionate sui libri” disse Irwin.
“Come avrà fatto mio padre a sapere che stamattina sarebbe stata la mamma ad insegnarci? Mi deve qualche spiegazione” disse Stephanie.
Christine li condusse dentro a una stanza, non chiudendo però la porta. Sopra a due lettini, vi erano dei manichini: uno alto, mentre l’altro più basso. Dietro ad essi c’era una lavagna con delle scritte su due colonne.
“Ok, chi sa dirmi di cosa si trattano?” domandò Christine.
“Che domande: sono due manichini. Persino un bambino dell’asilo saprebbe cosa siano” rispose una ragazzina.
“Certo, ma notate delle differenze?” chiese.
“Sono dei manichini. Che differenze mai potrebbero avere?” disse un’altra ragazza.
“Non lo vedi che hanno stature diverse? Servono per simboleggiare un adulto ed un bambino” rispose Stephanie, dal retro.
“Molto bene, signorina Strange” disse Christine, guardandola e sorridendole.
“Vi pareva: è la cocca della mamma” disse la ragazzina.
“Non si tratta di essere la cocca della mamma, signorina Peterson. Qua è solo questione di guardare meglio le cose e non di soffermarsi solo su ciò che si vuole solamente vedere” disse Christine e la ragazzina abbassò lo sguardo. Poi Christine aggiunse: “Ora, guardate sulla lavagna. Notate qualcosa tra i sintomi?”.
“Sono uguali per entrambi i pazienti” rispose Irwin.
“È vero, signorino Anderson. Ma cercate di guardare più attentamente. Cogliete ogni singolo indizio” disse Christine. I ragazzi si fecero più vicino ai due manichini, cercando di osservare meglio ciò che c’era scritto sulla lavagna, ma nessuno rispose. Tranne Stephanie: “I due pazienti hanno età diverse”.
“Cioè tutto qui? Non può essere così semplice” disse la ragazzina.
“Invece sì, se hanno appunto età diverse. I sintomi sono uguali per entrambi, ma agiscono in modo differente in base a quale organismo attaccano. Nel paziente più anziano, la malattia agirà più lentamente, ma morirà con più dolore. Nel caso contrario, nel paziente più giovane, la malattia agirà più velocemente, ma con meno dolore” spiegò Stephanie.
“In poche parole, ci sarà meno tempo per la cura nel paziente più giovane, perché le sue cellule lavorano più velocemente, rispetto a quelle di un corpo più anziano. Ci sarà più tempo, ma sarà più dolorosa” aggiunse Christine.
Ci fu silenzio. Poi Christine aggiunse: “Eccellente spiegazione, signorina Strange. Suo padre dovrebbe essere molto fiero di lei”.
“Be’, cerco di dare il massimo” disse Stephanie. Christine fece un piccolo sorriso, per poi continuare con la spiegazione.
Poco dopo, la lezione finì. Il gruppetto uscì dalla stanzetta e la ragazzina, con le sue fidate amiche, raggiunse Stephanie ed Irwin: “Ti piace sempre metterti in mostra, vero, Strange? Ma sappi che il mondo non gira sempre intorno a te”.
“Me ne ricorderò, quando tu verrai bocciata ed io ne gioirò” disse Stephanie. La ragazza stava per obiettare, quando arrivò il Professor Thompson che li chiamò, ma Christine disse: “Vorrei che la signorina Strange ed il signorino Anderson si fermassero. È possibile?”.
“Certo, dottoressa Palmer. Non c’è nessun problema. Grazie ancora per la sua collaborazione. Sono sicuro che i miei alunni abbiano imparato molto oggi” disse il Professor Thompson.
“Grazie a lei” gli disse sorridendo e il professore, insieme agli altri, se ne andò.
“Abbiamo fatto qualcosa che non va, dottoressa Palmer?” domandò Irwin.
“No, niente affatto, signorino Anderson. Anzi devo fare i complimenti ad entrambi” rispose Christine. Poi spostò lo sguardo su Stephanie ed aggiunse: “E dire a tuo padre di smetterla di spiarci. Può anche uscire”.
Stephanie e Irwin volsero gli sguardi, per vedere Stephen uscire da dietro un muro e raggiungerli. Mentre camminava verso di loro, disse: “Non ti chiedo neanche come hai fatto a scoprirmi. Sei sempre stata un passo avanti a me”.
“E nemmeno io ti domando perché sei qua. Posso immaginarlo. Ormai sei come un libro aperto per me” disse Christine, guardandolo e facendo un piccolo sorriso.
“Papà! Mi hai spiato per tutto questo tempo! Ecco perché stamattina eri così strano” ribatté Stephanie, guardandolo.
“Volevo vedere come te la saresti cavata con tua madre e, devo dire, egregiamente” disse Stephen. Poi guardò Irwin ed aggiunse: “Tu un po' meno” e riguardò Christine, che disse: “Certo che non cambi mai. Vuoi che tutto ruoti intorno a te e, come se non bastasse, non ti fidi nemmeno di come insegno a nostra figlia”.
“L’ho fatto solamente per constatare quanto fosse preparata. Ha studiato a fondo in queste settimane, e sicuramente passerà a pieni voti l’esame. Ha riempito di vergogna gli altri del gruppo” disse Stephen.
“Te l’ho già detto: Stephanie non è più una bambina. Devi smetterla di trattarla tale. Ha bisogno dei suoi spazi” disse Christine.
“Ti prego, non ritorniamo su questo discorso. Lei diventerà una neurochirurga e lo sta dimostrando giorno dopo giorno. Deve dimenticarsi le arti mistiche, perché portano solo a brutte conseguenze. Come credi che si sia fatti questi?!” replicò Stephen e, dopo aver preso il braccio sinistro della figlia, aggiunse: “Sotto questa fasciatura, ci sono tre profondi graffi provocati da un demone che, in quel momento, possedeva il corpo di questo ragazzino qua” e guardò malamente Irwin, che abbassò lo sguardo; poi finì, lasciando andare il braccio di Stephanie: “Lei salverà delle vite, ma non utilizzando la magia. Tu e Wong siete uguali: dovete smetterla di incitarla nel percorrere una strada non sua! Solo io so ciò che è meglio per lei!”.
“E’ anche per questo tuo egoismo che ci siamo divisi ma, almeno, hai avuto il buon cuore di non mettermi contro Stephanie e sono contenta che lei ci voglia bene in egual modo” disse Christine, guardando la figlia e sorridendole, che le sorrise a sua volta.
“Non sono mai stato crudele. Potevate stare insieme a weekend alternati senza nessuno mandato dai servizi sociali che vi osservasse per tutto il tempo” disse Stephen.
“Meno male, se no è come se fossi stata in prigione. Non sai che dolore è per una madre non poter stare con la propria figlia e vederla crescere da un padre che le detta la propria strada per il futuro, non facendole scegliere nulla. Non ti sei mai chiesto perché Stephanie non abbia degli amici? Perché hanno sempre avuto paura di te. Non hai nemmeno voluto portarla mai ad una festa e, se ci andava, rimanevi lì ad osservarla per tutto il tempo. I figli non vanno tenuti sotto a una campana di vetro” ribatté Christine.
“Stephanie ha sempre avuto tutto ciò che voleva. Bastava che chiedesse e io l’accontentavo. Invece tu, che facevi? Una volta ti ha chiesto se l’accompagnavi a prendere un giocattolo e tu le hai detto che avrebbe dovuto guadagnarselo, facendo dei lavoretti e ricavandone dei soldi. È venuta a casa in lacrime quel giorno. Ho dovuto consolarla per tutto il pomeriggio” replicò Stephen.
“Volevo che imparasse una lezione! Che non tutto le è dovuto con una richiesta. Non tutti hanno, purtroppo, questa possibilità e volevo insegnarglielo. Non bisogna fare delle differenze con le altre persone. Lei doveva imparare ciò che è bene e ciò che è male ma, a quanto pare, tu vuoi che lei prevalga su tutti. Che gli altri le siano sempre inferiori” ribatté Christine.
“Io voglio che lei sia perfetta. È mia figlia e niente e nessuno potrà cambiarla!” replicò Stephen.
“Basta! Finitela di litigare almeno davanti a me! Lo facevate anche quando ero una bambina. Pensavate che fossi andata a letto, invece me ne stavo sulle scale ad osservarvi e sentire le vostre urla. Dite a me che non sono più una bambina. Be’, anche voi non lo siete più, quindi comportatevi da adulti! E poi ci troviamo in un ospedale. Siete due dottori rinomati: dovreste capire di portare rispetto in questo posto” ribatté Stephanie.
I genitori non dissero altro. Fu Irwin a rompere quel silenzio: “Io… andrei”
“Signorino Anderson, prima che se ne vada, stasera do una cena e vorrei che lei e mia figlia veniste. Che cosa ne dice?” disse Christine.
“Assolutamente no! Vengo io!” rispose Stephen.
“Non ti ho nemmeno invitato” disse Christine, guardandolo.
“Mi autoinvito, che problema c’è?” le domandò.
“C’è che avevo invitato il signorino Anderson e Stephanie. Sicuramente tu ti annoierai a parlare con Charlie e so anche che, sotto sotto, lo odi” rispose Christine.
Stephen guardò Irwin: “Ma lui ha un impegno molto urgente, vero?” e lo fulminò con lo sguardo.
“Emmm… ora che ricordo… sì… sì… i miei genitori escono ed io devo occuparmi di mia nonna. Non posso lasciarla sola. Non è autosufficiente. Comunque, la ringrazio molto per l’invito, dottoressa Palmer. Sarà per la prossima volta” spiegò nervosamente Irwin.
“Non ti preoccupare. Stai pure con tua nonna: ha bisogno delle tue cure. Ci sarà tempo per un’altra cena” gli disse Christine, sorridendogli.
“Allora ci si becca in giro” disse Stephanie.
“Sì, speriamo presto” disse Irwin, guardandola. I due si sorrisero, quando Stephen scansò da parte il ragazzo, spingendolo via dalla figlia. Irwin si allontanò non aggiungendo altro.
“Era proprio necessario?” domandò Stephanie, guardandolo.
“Sai già la mia risposta. Quello meno ti sta accanto, meglio è” rispose Stephen. Poi guardò Christine ed aggiunse, facendo un piccolo sorriso: “Allora, ci vediamo a cena”.
Venne sera. Padre e figlia si stavano preparando nelle rispettive camere. Stephen era davanti allo specchio e stava finendo di mettersi la cravatta, quando Stephanie arrivò sulla soglia della porta: “E poi dici a me che sono lenta nel vestirmi”.
“Io non ho mai detto una cosa del genere. Ti confondi con tua madre” disse Stephen. Stephanie entrò e, mentre camminava verso di lui, disse: “Probabile, ma anche tu non sei affatto veloce nel vestirti”.
“È questa cravatta: non riesco a legarla” replicò Stephen. Stephanie lo fece voltare verso di lei e, mentre gliela legava, lui disse: “Il vestito che indossi è un po' troppo scollato, per i miei gusti”.
“Credimi, ho vestiti più scollati nell’armadio” disse Stephanie.
“Allora dovrò andare a dare un’occhiata e fare un po' di pulizia” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso. Stephanie lo ammonì con lo sguardo, finendo poi di legargli la cravatta. Poi, mentre si metteva la giacca, la ragazza aggiunse: “Non è ora che ti cambi vestito? Lo hai indossato anche per la mia comunione”.
“Ti sembra uguale, ma non è lo stesso” disse Stephen, uscendo entrambi dalla camera.
“Secondo me è lo stesso, solo che non hai voglia di disfartene” disse Stephanie.
“Non ti piace, vero?” le chiese, mentre scendevano le scale.
“È carino, ma dovresti metterti qualcosa di nuovo. Se vuoi, quando siamo liberi entrambi dai nostri impegni, potremmo andare a fare shopping insieme. Ti farò cambiare stile” propose Stephanie.
Si fermarono nella hall. Stephen si voltò verso di lei: “Mi piace il mio stile, ma apprezzo la proposta. È bello passare un po' di tempo insieme, così almeno ti farò comprare meno vestiti scollati”. E, aprendo la porta, uscì. Stephanie roteò gli occhi, per poi seguirlo.
Poco dopo, stranamente la cena stava trascorrendo piacevolmente. Charlie rideva, ricordando il primo incontro con Christine: “Dovevate esserci. È stato molto divertente”.
“Peccato che eravamo entrambi blippati” disse Stephen.
Charlie smise di ridere; poi Christine, mentre prendeva un bicchiere di vino, disse: “Comunque, più che divertente è stato strano: noi due, in questa lavanderia a gettoni, che parlavamo del più e del meno mentre i nostri vestiti venivano lavati. È stato lì che abbiamo scoperto di avere molte cose in comune”. E bevve un sorso di vino.
“E anche che, ora, posseggo una camicia rosa” aggiunse Charlie, ridendo e Christine, per poco, non si strozzò con il vino.
“Che cosa ci sarebbe di divertente in una camicia rosa?” chiese Stephanie.
“Era la mia. Cioè… avevo per sbaglio messo una mia maglietta rosa nella lavatrice aperta di Charlie, non accorgendomi che era già occupata. Quando lui l’ha chiusa e fatta partire, ce ne siamo accorti troppo tardi. E ora, una delle sue camicie è rosa, perché ha preso il colore della mia maglietta” spiegò Christine.
“Solo che non l’ho mai buttata. Ho deciso di tenerla per ricordare il nostro primo incontro” disse Charlie e, dopo averle preso la mano destra, ne baciò il dorso. Christine gli sorrise.
“Non ci trovo nulla di romantico nell’avere il primo incontro in una lavanderia a gettoni, soprattutto in un periodo dove metà della popolazione – compresi me e nostra figlia – era stata ridotta in polvere” disse Stephen.
“Tu non trovavi romantico nemmeno quando tentavo di convincerti ad uscire insieme, solo noi due, per una cena al lume di candela” disse Christine.
“E mi dici a chi lasciavamo Stephanie?” domandò Stephen.
“C’era pur sempre la babysitter” gli rispose.
“Non volevo lasciare mia figlia con un’estranea! Chissà cos’era capace di farle! La mia piccola cucciola nelle grinfie di una sconosciuta e della sua mente psicopatica!” replicò Stephen.
“C’erano tante ragazze in cerca di un’occupazione” disse Christine.
“E che poi, magari, invitavano i loro fidanzati e facevano chissà cosa sul nostro divano, senza preoccuparsi che Stephanie potesse svegliarsi e vederli… non voglio neanche pensarci a cosa poteva accadere” ribatté Stephen.
Charlie si avvicinò un po' a Stephanie e, a bassa voce, le chiese: “Ma litigano sempre così?”.
“Questo è nulla in confronto a quello che si dicono le altre volte” gli rispose.
Charlie si schiarì la voce un paio di volte ma, notando che i due non stavano smettendo di litigare, guardò Stephanie, proponendole: “Che ne dici se ce ne andiamo sul balcone a berci qualcosa?”. E si alzò, così come la ragazza.
Fu in quel momento che Stephen li notò: “Dove state andando?” domandò.
“Visto che voi siete così intenti a litigare, ho pensato di fare prendere una boccata d’aria a Stephanie” rispose Charlie.
“Tu non la porti da nessuna parte!” replicò Stephen.
“Ehi, vacci piano, amico” disse Charlie. Stephen si alzò, ribattendo: “Non sono tuo amico!” Anche Christine si alzò: “Charlie voleva solo portarla un po' fuori. Niente di che”.
“E magari la voleva pure toccare!” replicò Stephen.
“Papà, era solo per stare lontano dalle vostre grida. E poi mi avrebbe offerto da bere” disse Stephanie. Stephen la guardò: “Noi ora ce ne andiamo a casa! La cena è finita!” E si diresse verso la porta. Christine lo seguì: “Ti stai rendendo ridicolo. Charlie voleva solo essere cortese”.
Stephen si voltò verso di lei: “E tu cosa ne sai?! Lo conosci così bene sotto ogni aspetto da capire se dica il vero o il falso?! Prima di portare Stephanie da qualche parte, doveva chiedere il permesso a me!”.
“Non è una bambina e non ci troviamo in un ristorante dove ci sono altre persone che possono assistere a tutto ciò! Siamo a casa mia e Stephanie – così come Charlie – può fare quello che vuole! Ma tu non lo capirai mai, questo. Non le lascerai mai i suoi spazi” disse Christine.
Stephen la guardò in silenzio. Poi il suo sguardo divenne furioso; guardò la figlia e replicò: “Stephanie! Muoviti!”. E, voltandosi, aprì la porta per poi uscire. Timidamente, la ragazza salutò Charlie per poi fermarsi accanto alla madre: “Scusami per tutto questo. A casa non era così”.
“Forse non avrei mai dovuto fare questa cena” disse Christine.
“È stata una bella serata e mi ha fatto piacere conoscere meglio Charlie. Sotto sotto non è così male, ma non credo piacerà mai a papà” disse Stephanie.
“Stephanie!” urlò Stephen dal corridoio.
“Sarà meglio che tu vada da lui, prima che si arrabbi ancora di più” disse Christine. Stephanie le sorrise; poi però l’abbracciò, mentre Charlie le guardava in disparte.
Ad abbraccio finito, madre e figlia si guardarono, sorridendosi. Poi Stephanie raggiunse il padre e Christine chiuse la porta, sospirando.
Poco dopo, Stephen e Stephanie stavano camminando fianco a fianco, costeggiando l’oceano. Da quando erano usciti dall’appartamento di Christine, non si erano detti una parola. Stephanie aveva cercato, più volte, le parole più adatte per iniziare una conversazione, non riuscendoci. Poi però Stephen deviò, fermandosi ad osservare l’oceano. In lontananza, la statua della libertà era ricoperta da ponteggi e tendaggi. Stephanie lo guardò.
“Non volevo reagire così, ma tua madre non sembra capire” disse Stephen.
“Forse non avresti dovuto prendertela così tanto con Charlie. Dopotutto non voleva farmi niente di male” disse Stephanie.
“Non è questo il punto. Tua madre sembra aver dimenticato cosa accadde anni fa. Ma io no” disse Stephen. Stephanie si affiancò a lui, domandandogli: “Cosa è accaduto?”.
Stephen si passò una mano tra i capelli. Sospirò e, infine, guardò la figlia: “Ti ho quasi persa. Come persi mia sorella”.
Stephanie sgranò gli occhi. Da quando suo padre aveva una sorella?








Note dell'autrice: Buongiorno ed eccomi qua con un altro capitolo. Grazie ancora infinitamente per tutte le bellissime recensioni. Non pensavo che questa storia avesse un così grande successo.
Finalmente mi collego a Doctor Strange nel Multiverso della Follia, ovvero che Stephen rivela alla figlia che aveva una sorella (poi non nel capitolo successivo, ma in quello dopo ancora le spiegherà come l'ha persa. Mentre in quello dopo capirete del perchè Stephen sia così iper protettivo nei suoi confronti)
Grazie ancora per chi sta seguendo la storia; chi l'ha messa tra i preferiti e tra le seguite e, ovviamente, chi l'ha recensita. Grazie ancora
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di giornata ed un buon week end
Un abbraccio
Valentina

 

 

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Capitolo 7
*** Traumi dal passato ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

  Capitolo VII: Traumi dal passato


 
Il Doctor Stephen Strange era tra i più rinomati neurochirurghi in circolazione. Tutti richiedevano le sue prestazioni, ma era lui a scegliere il miglior – e complicato – caso. Non ammetteva la semplicità e nemmeno sbagli. Tutto doveva essere perfetto. Anche per sua figlia.
Stephanie era il suo tesoro più prezioso. Nessuno doveva avvicinarsi a lei. La proteggeva – o almeno cercava – da chiunque e qualsiasi cosa.
Dopo la separazione da Christine, aveva ottenuto la totale custodia della figlia, seppur dovesse portarla dalla madre a weekend alterni. La bambina voleva bene a entrambi, ma era chiaramente la cocca del papà.
Una mattina, Stephen stava dormendo beatamente, visto che sarebbe dovuto andare a lavorare più tardi. Non sentì nemmeno dei passetti che si stavano avvicinando e qualcuno che saltò sul letto. Poi una vocina, vicino al suo orecchio: “Papà. Papino. Svegliati, avanti. È ora di svegliarsi”. Ma Stephen non si svegliava. O, almeno, aprì un occhio e sorrise.
La bambina, allora, passò sotto il suo braccio, finché non fu di fronte al viso: “Papà. Dai, svegliati o faremo tardi”. Stephen sorrise e l’abbracciò. Stephanie disse: “Papà, mi stai stritolando”. Stephen aprì gli occhi, per poi baciarla più volte in viso. La bambina ribatté: “Papà, mi sono già lavata il viso”.
Stephen le sorrise: “Buongiorno, cucciola. Come mai già sveglia? Di solito non sei così mattiniera”. E le toccò la punta del naso, facendola ridere.
“Te lo sei dimenticato? Oggi vado dalla mamma. Mi devi portare da lei” rispose entusiasta Stephanie. Il sorriso di Stephen scomparve. A lui non piaceva quando doveva separarsi dalla figlia. Ma non voleva mostrarlo davanti a lei: “Certo che no. Come potevo dimenticarmi una cosa del genere? Su, vatti a preparare, ché facciamo colazione”. E, dopo averla baciata su una guancia, si alzò, prendendola in braccio e, dopo essere uscito dalle coperte, scese dal letto, mettendo a terra Stephanie, che se ne corse in camera sua.
Stephen andò di fronte all’enorme finestra e, dopo aver tirato le tende, l’aprì uscendo sul balcone: New York era ricoperta di neve, ma la temperatura non era molto fredda. Quello sarebbe stato il primo Natale che Stephen e Stephanie avrebbero passato senza Christine. Era da un po' di tempo che i due, ormai, non andavano più d’accordo ma, per il bene della figlia, cercavano di non litigare almeno davanti a lei.
Quando era più piccola, lasciava Stephanie all’asilo nido dell’ospedale dove lui, o Christine, potevano, di tanto in tanto, andare a controllarla. Ora, da un paio di anni, l’avevano iscritta a un asilo non molto distante dall’ospedale dove lavoravano e, a pomeriggi liberi, l’andavano a riprendere.
Quel giorno, invece, era diverso: Christine aveva il weekend libero e la figlia lo avrebbe trascorso con lei, come concordato con il tribunale per i minori. A lui non era mai andata giù questa cosa, ma la legge parlava chiaro: fino al compimento della maggior età, Stephanie non avrebbe potuto decidere da sola.
Rientrò, per poi richiudere la finestra dietro di sé. Andò in bagno a cambiarsi e successivamente raggiungere la figlia, che lo stava già aspettando seduta alla tavola in cucina. Mentre preparava la colazione, la interrogava sulla lezione che avrebbe avuto all’asilo il lunedì successivo. Era la prassi di tutti i giorni. Voleva che Stephanie fosse pronta in ogni cosa e che, ovviamente, fosse anche la più brava di tutti. Christine gli aveva più volte ribadito di non metterle pressione, ma Stephen non aveva voluto sentire ragioni: Stephanie doveva primeggiare sugli altri e, un giorno, avrebbe seguito le sue orme.
“E quanto fa tre più cinque?” le domandò.
“Otto” rispose Stephanie.
“E nove più nove?” chiese.
“Diciotto” rispose nuovamente la bambina.
“Bravissima. Continuando così, potrai fare anche le moltiplicazioni e le divisioni. Roba che i tuoi compagni d’asilo si sognano solamente” disse Stephen, sorridendo, mentre metteva un bicchiere con del succo d’arancia davanti alla figlia e del tè per sé. Poi si sedette accanto a lei che, mentre mangiava una fetta biscottata, domandò: “Papino, tu e la mamma verrete alla recita di fine anno?”.
“Ancora non lo so, cucciola. Lo sai che il nostro lavoro ci mette davanti a giornate e turni molto impegnativi, che ci tengono occupati anche durante le festività. Ma sai una cosa? Per te cercherò in tutti i modi quel giorno di non operare nessuno ed essere lì in prima fila e guardarti con orgoglio” rispose e, avvicinando il viso a quello di lei, si misero fronte contro fronte. La bambina rise, per poi abbracciarlo e baciarlo su una guancia.
Poco dopo, padre e figlia si trovavano in macchina, diretti all’appartamento di Christine. Di tanto in tanto, Stephanie guardava fuori dal finestrino, osservando le varie decorazioni dei palazzi e la gente che correva qua e là in cerca dell’ultimo regalo di Natale.
Stephen la guardò di sfuggita e, dopo aver rivoltato lo sguardo sulla strada, fece un piccolo sorriso. Adorava con tutto il cuore sua figlia. Era  quanto di più bello avesse creato in tutta la sua vita e non se lo sarebbe mai perdonato se le fosse accaduto qualcosa.
“Papino” disse Stephanie.
“Dimmi, cucciola” le disse.
“Secondo te, Babbo Natale mi porterà i regali anche quest’anno?” chiese.
“Ma certo. Perché mai non dovrebbe portarli a una bambina dolce e gentile come te?” domandò.
“Perché quel giorno ho spinto Brittany nel fango, perché aveva detto che il suo papà era migliore di te. Tu sei il miglior papà di tutto l’universo ed anche il miglior chirurgo” rispose Stephanie.
Si fermarono al semaforo. Stephen avvicinò il viso alla figlia, dicendole: “Sai, Babbo Natale vede tutto e sa tutto. Quindi non penso che per questa cosa ti metta sulla lista dei cattivi. Da quanto ne so, invece, questa Brittany ha combinato di peggio. Una bambina di cinque anni con la puzza sotto il naso. Stai tranquilla, cucciola. Anche quest’anno troverai i regali sotto l’albero”. E la baciò sulla fronte. Stephanie rise e il padre riguardò la strada, per poi ripartire dopo che il semaforo ritornò verde.
Poco dopo, arrivarono di fronte all’appartamento di Christine e, una volta fermata la macchina, scesero. Stephanie stava per correre verso il portone, quando Stephen la fermò. La voltò verso di sé, per poi inginocchiarsi di fronte a lei, sistemandole cuffia, sciarpa, guanti e giubbotto.
“Sei sicura di aver preso tutto?” le domandò.
“Sì. Tutto, tutto” rispose, cercando di voltarsi per andare dalla madre. Ma il padre la rivoltò di nuovo verso di sé: “Hai controllato lo zaino?”.
“Sì, stamattina… forse” gli rispose. Stephen alzò un sopracciglio, per poi dire: “Fortunatamente l’ho ricontrollato io e c’era tutto”. Mise le mani sulle sue spalle, aggiungendo: “Sai che mi mancherai tantissimo in questi due giorni. Ma passano alla svelta e domenica sera, dopo aver finito il turno, ti verrò a riprendere. Tu promettimi di fare sempre la brava con la mamma, ma so che lo sei”. E la strinse a sé.
Finito l’abbraccio si rialzò, per poi darle un telefono: “Questo è per le emergenze. Sai già come funziona. Ci sono memorizzati i numeri più importanti e, in cima alla lista, c’è il mio cellulare. Se hai bisogno, non esitare a chiamarmi. Anche solo se stai poco bene” le spiegò.
“Ma anche la mamma è una dottoressa” disse Stephanie.
“Lo so, ma sono più tranquillo se chiami me. Lo sai che voglio solo il meglio per te” disse Stephen, sorridendole e accarezzandola su una guancia. Stephanie gli sorrise a sua volta, per poi voltarsi e andare verso il portone. Si alzò in punta di piedi, suonando il campanello della madre. Dall’altra parte Christine chiese chi fosse e dopo aver sentito la voce della figlia, l’aprì. Stephanie si voltò verso il padre, salutandolo con la mano e, dopo che ebbe aperto il portone, Stephen le disse: “Ti voglio bene, cucciola”.
“Anche io, papi” disse Stephanie e, dopo che il portone si fu chiuso dietro di lei, salì le scale. Stephen sospirò. A weekend alternati era sempre così. Doveva separarsi da sua figlia per un paio di giorni, poi poteva finalmente riaverla tra le sue braccia.
Ritornò in macchina e, dopo averla accesa, si diresse a tutta velocità verso l’ospedale.
Mattina e primo pomeriggio trascorsero serenamente, anche se Stephen, durante le sue pause, aveva già telefonato a Stephanie per sentire come stava andando. La bambina era molto eccitata e Christine volle farle una sorpresa: nel tardo pomeriggio, andarono al centro commerciale dove a attenderli c’era Babbo Natale. I bambini potevano sedersi sulle sue ginocchia e chiedergli ciò che volevano. Ma la fila era molto lunga e Stephanie, come gli altri, non era una bambina molto paziente.
“Ma quando tocca a me? È ore che siamo qua ferme” domandò, mentre teneva per mano Christine, che le rispose: “Ora non esagerare. Tu e tuo padre gonfiate sempre le cose, quando iniziate ad avere poca pazienza. Vedrai che, prima o poi, toccherà anche a te. Basta solo pazientare”.
Stephanie cercò di sbirciare al di là delle persone davanti a loro, ma con scarsi risultati. Finalmente, però, la fila sembrò scorrere, finché davanti a Stephanie e Christine non rimase che una mamma con il proprio figlio.
“Visto, che ti avevo detto? Bastava solo avere un po' di pazienza” disse Christine. Il bambino davanti a loro si sedette sulle ginocchia di Babbo Natale, elencandogli i giocattoli che voleva. Stephanie buffò, picchiettando anche ripetutamente il piede destro a terra, ma suo padre le aveva detto che doveva fare la brava. Così si calmò e attese e dopo un po' toccò a lei. La ragazza vestita da elfo la invitò ad avvicinarsi, mentre Christine si metteva da parte.
Timidamente Stephanie camminò verso il corpulento uomo vestito di rosso e con la barba bianca, che appena la vide le domandò: “Ma che bella bambina. E tu chi saresti?”.
“Sei Babbo Natale. Dovresti conoscere tutti i bambini del mondo, quindi anche me” replicò Stephanie. Christine si morse il labbro inferiore, sperando che la figlia non tirasse fuori il carattere ereditato da Stephen, sempre pronto a sbeffeggiare gli altri, ridicolizzandoli e rendendoli inferiori. Loro due si assomigliavano molto.
“Oh… sì… vero” iniziò imbarazzato l’uomo; poi continuò: “Ma Babbo Natale è molto impegnato e non può sempre ricordare tutto e tutti. Ma tu sei una bambina molto dolce e gentile e sono sicuro che ricorderai ad un vecchio come me il tuo bellissimo nome”.
“Mi chiamo Stephanie Strange e il mio papà, il Dottor Stephen Strange, è il miglior neurochirurgo che ci sia in tutto il mondo. Da grande diventerò come lui” disse con orgoglio Stephanie.
“È una bellissima cosa e sono sicuro che anche il tuo papà lo voglia. A proposito, è qui con te?” le domandò. Stephanie scosse negativamente la testa: “No, al momento è in ospedale che sta lavorando. Però mi ha accompagnato la mamma. Questo weekend lo passo con lei. I miei genitori si sono separati qualche mese fa”. E abbassò tristemente la testa.
Christine stava per andare da lei. Non voleva vederla in quello stato, ma Babbo Natale mise le mani sulle spalle della bambina, dicendole: “Dolce bambina, non devi essere così triste. Sono sicuro che, invece, i tuoi genitori decideranno di passare tutti e tre insieme il Natale”.
“Dici davvero?” chiese, guardandolo.
“Ma certo. Io sono Babbo Natale, no? Ora fammi un bel sorriso” rispose e, dopo che Stephanie ebbe fatto un piccolo sorriso, le domandò: “Allora, che cosa desideri quest’anno? Qualcosa in particolare?”.
“Il mio papà mi compra ogni cosa, quindi penso di avere tutto. Però, vorrei davvero che passassimo il Natale tutti e tre insieme, proprio come mi hai detto. Riesci a farlo?” rispose Stephanie.
“Be’, ci proverò, ma tu mi devi promettere di continuare a fare la brava ed ubbidiente bambina e di non far mai arrabbiare i tuoi genitori” disse Babbo Natale. Stephanie annuì e, sorridendo, disse: “Grazie, Babbo Natale. Ero sicura che non mi avresti delusa”. E, dopo averlo salutato, si diresse verso Christine, riprendendola per mano.
Venne sera e, dopo cena e dopo aver visto un film, Stephanie si trovava nella cameretta che usava quando andava dalla madre. Christine era seduta sul suo letto, sul quale erano presenti anche diversi libri di favole. Ne prese uno, mostrando la copertina alla figlia: “Che ne dici se ti leggo Cenerentola?” Stephanie scosse negativamente la testa; Christine ne prese un altro: “Allora Biancaneve e i Sette Nani?”. Ancora Stephanie negò. A Christine restò il terzo libro: “Niente principesse? Allora il Libro della Giungla. Almeno questo ti piacerà”. Ma la bambina scosse negativamente, per la terza volta, la testa.
Christine depositò l’ennesimo libro, per poi chiederle: “Che cosa c’è, tesoro?”.
“Stamattina ho chiesto a papà se verrete alla mia recita di fine anno. Ha detto che il vostro lavoro vi mette davanti a giornate e turni molto pesanti, che vi tengono sempre occupati. Però mi ha anche promesso che, per quel giorno, cercherà di non operare nessuno e di esserci in tutti i modi, mettendosi in prima fila e guardandomi con orgoglio. Anche tu, mamma, farai la stessa cosa? Per me vorrebbe dire molto” rispose.
Christine le accarezzò i capelli. Poi disse: “Come potrei non esserci anche io? Sei la mia bambina e sarei solamente una cattiva madre se non ti venissi a vedere. Se papà mi vorrà, sarò lì in prima fila con lui. In caso contrario, mi troverò un posto per poterti guardare da abbastanza vicino”.
Stephanie sorrise e, abbracciandola, disse: “Grazie, mammina. Questo sarebbe il più bel regalo di Natale di sempre”.
“Ne sono sicura anche io. Però ora dormi. Oppure, vuoi una storia?” propose Christine. Stephanie si ricoricò, rispondendo: “Raccontami di come tu e papà vi siete conosciuti”.
“Ma l’hai già sentita un sacco di volte” disse Christine.
“Ti prego, ancora una volta. Anche prima papà al telefono mi ha detto che, se fosse stato a casa con me, mi avrebbe raccontato la vostra storia” disse Stephanie.
“Oh, e va bene. Ma dopo a nanna, ché è già tardi” disse Christine e, dopo essersi messa più vicina alla figlia, iniziò a raccontare di come lei e Stephen si erano conosciuti tempo prima.
Domenica mattina arrivò velocemente e, come di consueto, Stephanie ricevette il buongiorno da entrambi i genitori. Il primo fu Stephen, che la chiamò presto, ripetendole più volte che non vedeva l’ora di poterla riabbracciare quella sera dopo il lavoro. Le raccomandò nuovamente di continuare a fare la brava e di ubbidire alla madre.
Stephanie, invece, gli raccontò di aver incontrato Babbo Natale al centro commerciale e di come lui le avesse promesso che avrebbe fatto di tutto pur di far passare tutti e tre il Natale insieme. Stephen non voleva rovinare quel dolce momento alla figlia. Non avrebbero passato il Natale tutti e tre insieme ma, per il momento, sarebbe rimasto in silenzio riguardo alla faccenda.
Christine le preparò una ricca colazione, composta da croissant, fette biscottate con la marmellata e latte al cioccolato. Stephanie le disse che il papà non voleva che mangiasse tutta quella roba. Che per lui era solamente fonte di una cattiva alimentazione e di una malsana crescita. Aggiunse anche che, ogni giorno, il padre la interrogava sulle lezioni che seguiva all’asilo, per prepararla al massimo in ogni cosa. Christine decise che era venuto il momento di aprire un bel libro all’ex marito.
Nel pomeriggio, Christine condusse la figlia al parco. Era parecchio frequentato da diverse famiglie, che giocavano con la neve o, semplicemente, facevano una passeggiata. I bambini, invece, si erano perlopiù radunati attorno al laghetto ghiacciato che, in primavera ed estate, ospitava ochette, anatre e cigni ai quali dar da mangiare. C’era chi avrebbe voluto pattinarci sopra, ma per precauzione il laghetto era stato recintato con dei nastri di sicurezza. Ovviamente, anche Stephanie raggiunse gli altri bambini, trascinando lì la madre.
“Mamma, dai, andiamo a pattinare sul laghetto ghiacciato” disse Stephanie.
“Tesoro, non vedi che non si può? Lo hanno recintato perché è pericoloso” spiegò Christine.
“Allora è pericoloso anche per le ochette che ci nuotano” disse Stephanie.
“Ma no, è pericoloso solamente in questa stagione. Il ghiaccio è molto sottile e, se qualcuno ci va su, rischia di rompersi. Vieni, perché non ci mettiamo da qualche parte e costruiamo un grosso pupazzo di neve?” propose Christine, mostrandole la mano. Controvoglia, Stephanie gliela prese ed entrambe si allontanarono dal laghetto, trovando un posticino un po' lontano dalla folla ed iniziando a costruire diversi pupazzi di neve.
Poco dopo, le due vennero raggiunte da una donna e un uomo, tutto vestito di rosso, e loro figlio: “Christine, quanto tempo” disse la donna. Christine si voltò: “Mary” e si abbracciarono. Erano state compagne di università e molto amiche ed ora i loro figli andavano all’asilo insieme.
“Lui è mio marito Matthew, lavora in banca. Mentre nostro figlio Kody già lo conosci” disse Mary.
“Mamma, io e Stephanie possiamo andare a giocare?” chiese Kody.
“Certo, ma non vi allontanate troppo e, soprattutto, non cacciatevi nei guai” rispose Mary e i due bambini corsero via.
“Stephanie, fai la brava, mi raccomando” le raccomandò Christine, ma ormai i bambini si erano dileguati.
“Oh, Christine, mi dispiace molto che tu e Stephen vi siate separati: eravate una così bella coppia” disse Mary.
“Ultimamente litigavamo spesso. In realtà litighiamo ancora, ma cerchiamo di non farlo davanti a Stephanie. Lui vuole solo il meglio per lei e cerca di portarla su una strada che la farà diventare la migliore neurochirurga. Stephen le vuole un mondo di bene e so che odia separarsi da lei anche per un solo giorno. È molto protettivo nei suoi confronti e posso anche immaginare il perché” spiegò Christine.
Nel frattempo Kody e Stephanie si erano avvicinati al laghetto: “È un peccato che non possiamo andare lì: la mamma dice che è pericoloso. Io volevo pattinare” disse Stephanie.
“Magari in un altro parco hanno installato una pista di pattinaggio. Potremmo chiedere ai nostri genitori se ci possono accompagnare lì” propose Kody.
“Non credo ci sia il tempo necessario. Nel tardo pomeriggio, viene a riprendermi il mio papà. Non vedo l’ora di poterlo rivedere e riabbracciare” disse entusiasta Stephanie.
Si fermarono accanto al laghetto, quando i due vennero raggiunti da un gruppetto di bambini. A guidarli, c’era Brittany: “Guarda chi si rivede: la cocca del paparino migliore del mondo” le disse.
“Non sono la sua cocca!” replicò Stephanie.
“Certo che lo sei. A proposito, dove si trova? Vorrei tanto ringraziarlo per aver insegnato alla sua adorata figlia come spingere le persone nel fango” disse Brittany. Lo sguardo di Stephanie divenne furioso, ma Kody disse: “Dai Stephanie, andiamocene via. Possiamo giocare da un’altra parte”. Cercò di trascinarla, ma la bambina non voleva muoversi.
“Oh guarda, la giovane Strange ha un fidanzatino. Ehi, ti consiglio di girarle alla larga, prima che suo padre lo venga a scoprire. Dicono che a tutti i bambini che le sono stati accanto lui abbia loro cucito gli occhi perché così non la possono più vedere” disse Brittany e gli altri bambini con lei fecero una faccia disgustata.
“Non è vero! Il mio papà è il miglior neurochirurgo che esista e lui non si comporta così! Rimangiati quello che hai detto se no, la prossima volta, oltre a spingerti nuovamente nel fango ti cospargo anche di piume di gallina, proprio come sei tu!” replicò Stephanie.
Brittany la guardò malamente. Si avvicinò a loro, fermandosi di fronte a Stephanie ma, invece di fare qualcosa alla giovane Strange, rubò la cuffia di Kody, il quale cercò di riprenderla.
“Ridagliela!” ribatté Stephanie.
“La volete?” domandò Brittany e, dopo essersi voltata, la gettò sul laghetto ghiacciato; riguardò i due: “Allora andate a riprenderla”. E, con il suo gruppetto, se ne andò.
Kody e Stephanie si affacciarono alla staccionata del laghetto. Stephanie stava per passarci sotto, quando Kody la fermò: “No! Lo sai che non puoi! Hanno messo questi nastri di sicurezza per tenerci alla larga”.
“Ma è la tua cuffia e so che ci tieni tanto. È stata un regalo di tua nonna prima che morisse. L’ha fatta a mano per te” disse Stephanie.
“Non importa. Vorrà dire che prenderò un’altra cuffia” disse tristemente Kody, abbassando lo sguardo, ma lo rialzò quando vide Stephanie oltrepassare la staccionata e camminare sul laghetto ghiacciato.
“Stephanie, torna indietro, per favore” la incitò l’amico, ma la bambina non lo ascoltò. Continuava ad avanzare verso la cuffia; passo dopo passo ci arrivò, riuscendo a prenderla. Si voltò e, sventolando l’oggetto, disse: “Ce l’ho!”.
“Bene, ora ritorna qua” disse Kody, ma appena fece un passo, il ghiaccio sotto di lei si ruppe e Stephanie cadde. Il bambino gridò, non vedendo più l’amica riemergere, quindi corse ad avvertire gli adulti e, quando li raggiunse, spiegò loro cos’era accaduto. Tutti corsero verso il laghetto. Christine chiamava la figlia, non vedendola da nessuna parte. Le si annebbiò la vista e pensò a Stephen quando avrebbe dovuto dargli la triste notizia. Gli si sarebbe spezzato il cuore.
Ma qualcuno si tuffò, per poi riemergere poco dopo con la bambina. Tirarono un sospiro di sollievo. Si era trattato del padre di Kody, che dopo aver depositato Stephanie a terra, avvicinò l’orecchio alla bocca di lei, per poi dire: “Non sta respirando bene. Bisogna portarla subito in ospedale”. Così fecero.
Christine cercò Stephen e, quando lui vide la sua cucciola sopra la barella e con il volto bianco e le labbra viola, fu come se il tempo si fermasse. Risentì un urlo. Una voce maschile che gridava e una figura che cadeva in un lago.
Il tempo riprese a scorrere, quando fermarono la barella accanto a lui. Sorpreso e allo stesso tempo impaurito, domandò: “Cosa è successo?”.
“Stephanie è caduta nel laghetto ghiacciato” rispose Christine. Stephen estrasse una biro e, aprendo prima un occhio della figlia, poi l’altro, illuminandone le pupille, disse: “Non c’è reazione. Sta andando in ipotermia. Dobbiamo riscaldarla”. E iniziò a spingere la barella.
“Voglio venire anche io” disse Christine. Stephen si fermò e, voltandosi verso di lei, replicò: “Tu hai già combinato abbastanza! Sii fortunata che nostra figlia non muoia, se no non puoi neanche immaginare come possa diventare!”. Rivoltandosi, riprese a spingere la barella, accompagnato da un paio di infermieri.
Christine se ne rimase nel corridoio, per poi portarsi una mano sul viso. Se Stephanie fosse morta, Stephen ce l’avrebbe per sempre avuta con lei.
Poco dopo, Christine stava aspettando seduta su alcune sedie in un corridoio separato alla sala d’attesa. Sembrava passata un’eternità da quando Stephen aveva portato via la figlia, poi però lo vide camminare verso di lei. Si alzò e, dopo che si fu tolto la mascherina, disse: “Per ora è fuori pericolo, ma dobbiamo ancora aspettare”.
Christine tirò un sospiro di sollievo; poi però Stephen replicò: “Come è potuto accadere una cosa del genere?! Avresti dovuto tenerla d’occhio!”.
“Lei e un suo amico sono andati a giocare fuori dalla mia vista. Stavo chiacchierando con i suoi genitori. Le avevo anche detto di stare attenta e di non avvicinarsi a quel laghetto” spiegò Christine.
“Non cercare di darle la colpa! È solamente tua per non aver prestato attenzione! E dire che sarei dovuto venire a riprenderla, invece me la ritrovo qua in fin di vita! Mi dici come posso fidarmi ancora di te quando arriverà di nuovo il momento per riaffidartela nel weekend? Come ti è venuto in mente di portarla in un posto altamente pericoloso?!” ribatté Stephen.
“Mi dispiace” disse Christine.
“Un semplice ‘mi dispiace’ non cancellerà ciò che hai fatto!” replicò Stephen e si incamminò. All’inizio, Christine non si mosse, ma poi lo seguì, trovandolo in una camera ed accanto al letto di Stephanie. La bambina dormiva e al suo braccio sinistro era attaccata una flebo, che Stephen stava controllando in quel momento.
Christine se ne stava sulla soglia della porta, non riuscendo a muoversi. Aveva visto tanti pazienti in quelle condizioni ma mai si sarebbe immaginata di vedere anche la figlia su quel letto di ospedale.
“Vuoi entrare o hai paura che ti cacci?” disse Stephen. Christine si mise dall’altra parte del letto. Osservò Stephanie, accarezzandole dolcemente i capelli: “E dire che ieri era così contenta di aver incontrato Babbo Natale. Gli ha semplicemente chiesto di poter passare il Natale tutti e tre insieme”
“Lo so. Lo ha detto anche a me” disse Stephen, guardandola.
“Credi che possa essere possibile?” gli chiese.
“Christine, lo sai in che situazione ci troviamo e sto cercando le parole più adatte per dirglielo. Per il momento, non voglio renderla triste” rispose.
“Potremmo provarci per il bene di nostra figlia. Ti prego, Stephen” disse Christine. Ci fu silenzio; poi si sentì una vocina: “Papino”. Stephen e Christine la guardarono e il padre, sorridendole e mettendole una mano sulla guancia, disse: “Ciao, cucciola, va tutto bene: il papà è qua”.
Stephanie volse lo sguardo verso la madre: “Mi dispiace, mammina. Non volevo disubbedirti. Mi avevi detto di stare lontana dal laghetto ghiacciato, invece io ci sono andata lo stesso”.
“È tutto a posto. Papà si è preso cura di te e presto uscirai da qua” disse Christine, sorridendole.
“È stato Babbo Natale a salvarmi. Prima che svenissi, ho visto un uomo vestito di rosso che nuotava verso di me. Lui è veramente molto buono con tutti e non immaginavo che sapesse anche nuotare. Al Polo Nord devono esserci dei laghi” spiegò Stephanie. Stephen e Christine si guardarono stranamente; poi la bambina, voltando lo sguardo verso la finestra, aggiunse: “Ehi, sta nevicando! Allora Babbo Natale ha esaudito quello che gli ho chiesto ieri al centro commerciale” e, guardando i genitori, disse: “Passeremo il Natale tutti e tre insieme”.
Stephen si avvicinò a lei, dicendole: “Ora cerca di riposare, cucciola. Torneremo fra poco. Chiamaci se qualcosa non va” e, dopo averla baciata sulla fronte, uscì. Christine fece lo stesso, per poi seguirlo.
Poco dopo, Christine stava prendendo un caffè dalla macchinetta, con Stephen accanto a lei, quando i due vennero raggiunti da un uomo ed una donna: “Christine, allora come sta Stephanie?” domandò la donna. Si trattavano di Mary e di suo marito Matthew.
“Per ora è fuori pericolo, però bisogna aspettare. Stephen si è occupato di lei” rispose.
“Ancora non capisco perché si possa essere gettata in quel laghetto. Stephanie è una bambina molto intelligente e pensa prima di agire” disse Stephen.
“Kody ci ha raccontato che è stata una bambina di nome Brittany a prendere la sua cuffia e a lanciarla sul laghetto ghiacciato. Kody aveva detto a Stephanie di non andarla a recuperare, ma lei ha affermato che quella cuffia valeva molto per lui, visto che era stato un regalo fatto a mano da mia madre prima che morisse. Vostra figlia è davvero molto gentile. Ha rischiato la sua vita per una cuffia. Fortunatamente mio marito si è tuffato per salvarla” spiegò Mary.
Stephen guardò Matthew, notando il vestiario rosso. Poi disse: “Ora capisco perché prima Stephanie ha detto che è stato Babbo Natale a salvarla”.
“Grazie ancora, Matthew. Senza di te, ora Stephanie sarebbe…” disse Christine, ma non riuscì a terminare la frase.
“Figurati. Vostra figlia non meritava di morire. Chi l’avrebbe poi sentito il padre?” disse Matthew e guardò Stephen, che non disse nulla.
“Kody ha fatto questo per Stephanie. Ha chiesto se potete farglielo avere” disse Mary, estraendo un foglio di carta con sopra un disegno, consegnandolo a Christine che, sorridendo, disse: “Ma certamente. Glielo daremo dopo”.
I genitori di Kody, dopo averli salutati, si congedarono. Stephen prese il foglio dalle mani di Christine e, guardando il disegno, lesse ciò che c’era scritto: “Guarisci presto, Stephanie. Ti voglio bene. Kody” E questi cuoricini qua, erano proprio necessari? Mia figlia non ha bisogno di spasimanti alla sua età. È ancora troppo giovane”.
“È solo una cotta giovanile” disse Christine.
“Farò in modo che quel bambino stia alla larga da lei. Avessi la magia potrei confinarlo in qualche posto sperduto” disse Stephen. Christine riprese il foglio e, mentre si dirigeva verso la camera della figlia, disse: “Invece, sei solo un neurochirurgo”.
“Allora potrei cucirgli gli occhi, così non potrà guardarla” disse Stephen, seguendola.
Si fermarono di fronte alla camera della figlia. Christine disse: “Mi dispiace che tu abbia dovuto rivivere un doloroso ricordo del tuo passato. È tutta colpa mia”.
“Non ho mai smesso di pensare a lei. Avrei potuto salvarla, invece sono rimasto sul bordo di quel lago ghiacciato, mentre affondava davanti a me. E, quando ho visto la mia Stephanie in quelle condizioni, e mi hai raccontato come è accaduto, mi è sembrato di essere ritornato indietro nel tempo” spiegò Stephen; poi guardò la figlia che si stava guardando intorno e aggiunse: “Stephanie non dovrà più essere fuori dalla mia vista. La terrò sotto stretta sorveglianza. La seguirò durante tutta la sua crescita e farò di tutto pur di proteggerla da qualsiasi cosa. L’ho giurato quando è nata e così sarà”.
“Questo è decidere della sua vita. Del suo futuro. È come se la rinchiudessi in casa per sempre” disse Christine.
“È per proteggerla” disse Stephen, continuando a guardare la figlia.
“Non sono d’accordo. Dovresti lasciarle i suoi spazi o, quando sarà diventata maggiorenne, potrebbe anche ribellarsi contro di te. Vuoi che accada questo? Pensaci bene” disse Christine. Stephen continuò a guardare la figlia. Sospirò. Poi Christine aggiunse: “Stephanie non è tua sorella. Sono due persone diverse e non puoi continuare a darti delle colpe per ciò che è accaduto. Ti fai solo del male per nulla”.
Stephen si voltò verso di lei, replicando: “Non dimenticherò quello che accadde a mia sorella! Stephanie crescerà come dico io e diventerà la miglior neurochirurga che esista. Io e lei opereremo insieme i casi più complicati e tutti ci verranno a cercare. Tu pensala pure come vuoi, ma la mia cucciola avrà solo il meglio!” Rivoltandosi, entrò nella camera, affiancandosi a Stephanie che, appena lo vide, gli sorrise, allungando le braccia verso di lui. Christine li guardava, stando al di fuori. Li vedeva felici. Era bastato stare accanto alla figlia, per far cambiare atteggiamento a Stephen.
Stephanie guardò la madre, sorridendole. Christine le sorrise a sua volta, per poi entrare in camera e raggiungerli. Le mostrò il disegno che Kody aveva fatto per lei e, mentre la bambina lo guardava, gli sguardi di Christine e Stephen si soffermarono l’uno su quello dell’altra. Non potevano continuare a litigare in quel modo e, forse, avrebbero potuto davvero festeggiare il Natale tutti e tre insieme. Solo per il bene della loro bambina.








Note dell'autrice: Buona sera e grazie ancora per tutte le bellissime recensioni. Vi sta piacendo la storia? E vi è piacciuto questo capitolo "puccioso"? Ho voluto far capire del perchè Stephen sia così iper protettivo con l'adorata figlia e, ovviamente, ha dovuto rivivere il brutto ricordo della sorella morta.
Grazie per tutti coloro che hanno recensito; che hanno messo la storia tra le preferite e seguite e anche a coloro che sono passati semplicemente di qua. Grazie davvero di cuore.
Spero che non vi stia annoiando troppo
Un grazie anche alla mia preziosa amica Lucia
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro una buona notte ed un buon proseguimento di settimana
Un forte abbraccio
Valentina








 
 
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Imprevisti ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 
  Capitolo VIII: Imprevisti



 
Stephanie continuava ad osservare il padre, mentre questi teneva le braccia appoggiate sulla balaustra e lo sguardo abbassato. Timidamente disse: “Non sapevo avessi una sorella. Non ne hai mai parlato”.
“È un argomento che tendo ad evitare” disse Stephen.
“E la mamma ne è a conoscenza?” domandò.
“Sì, ed è per questo motivo che, quando anni fa hai rischiato di annegare in quel laghetto ghiacciato, mi è ritornato in mente me stesso mentre vedevo mia sorella nelle tue condizioni” rispose. Poi guardò la figlia e aggiunse: “Ora capisci perché voglio proteggerti da qualsiasi cosa? Sei troppo importante per me”. Le mise una mano sulla guancia.
“Lo apprezzo molto e te ne sono grata, ma dovresti voltare le spalle al passato e cercare di andare avanti. In questo modo continuerai sempre a soffrire per una cosa alla quale non c’è rimedio” disse Stephanie. Stephen tolse la mano dalla guancia. Fece un passo indietro e replicò: “Quindi, mi stai cercando di far capire che ti sono troppo appiccicato?”.
“No… ma… non è questo” disse Stephanie.
“Invece lo è! Io cerco di proteggerti e tu vuoi allontanarti! Ho sempre voluto il meglio per te ed è questo il modo di ripagarmi?!” ribatté Stephen.
“E te ne sono grata come ti ho detto prima, credimi, ma non puoi continuare a darti delle colpe perché non sei riuscito a salvare tua sorella. Papà, devi lasciarmi andare: non sono più una bambina. Hai persino scelto tu l’università che avrei frequentato, pur di tenermi d’occhio. A momenti non mi lasci nemmeno andare in bagno da sola. Come ti saresti sentito se tuo padre ti fosse sempre stato con il fiato sul collo?” replicò Stephanie.
Tuonò e iniziò a piovere. Padre e figlia si guardarono in silenzio mentre venivano bagnati dalla pioggia. Poi Stephen, guardandola malamente, le passò accanto. Stephanie si voltò, per poi seguirlo.
Poco dopo, al Sanctum Sanctorum, Stephanie era in camera sua. Osservava fuori dalla finestra la pioggia che continuava a cadere incessantemente e le gocce che scendevano lungo il vetro. Lei e suo padre non si erano più detti una parola. Poi, però, prese coraggio e decise che lo avrebbe affrontato. Forse era stata troppo dura con lui. In fin dei conti, voleva solo proteggerla.
Uscì dalla camera dirigendosi verso il salottino e fu lì che lo trovò: seduto su una delle poltrone; lo sguardo abbassato e una mano sopra il viso. Non si era mosso da quando erano ritornati a casa ed era ancora bagnato dalla pioggia presa poco prima.
Fece qualche passo verso di lui, per poi fermarsi. La cappa se ne levitava accanto al caminetto acceso, voltando “lo sguardo” verso Stephanie e scuotendo negativamente la parte superiore. Forse non era un buon momento per parlare con il padre, ma Stephanie si sentiva in colpa. Quindi, fece un lungo sospiro e parlò.
“Papà, mi dispiace molto per prima. Forse sono stata troppo dura con te. Non avrei dovuto dirti quelle cose. Tu mi vuoi proteggere da chiunque, ma se poi non ci riuscirai? Se mi dovesse accadere qualcosa? Non te lo potrai mai perdonare. Non potendo salvare tua sorella, stai facendo di tutto per non farmi accadere nulla, ma non voglio essere un peso per te” disse Stephanie.
La cappa “guardò” Stephen, che continuava a tenere lo sguardo abbassato; poi lo alzò, così come lui. Camminò verso la figlia e, una volta di fronte a lei, fece un’unica cosa: l’abbracciò. La strinse a sé, come se non la volesse lasciare andare.
Stephanie rimase sorpresa da quel gesto. Si aspettava una sgridata o che la evitasse nuovamente, andandosene in un’altra stanza. Invece la stava abbracciando, mentre fuori lampi e tuoni squarciavano il cielo e la pioggia cadeva scrosciante.
Stephen la guardò: “Sappi che non sarai mai un peso per me. Sei mia figlia e sei ciò che di più bello abbia mai creato. Non voglio perderti. Porterò sempre dentro di me la perdita di mia sorella, ma indietro non si può tornare, nemmeno se avessi ancora con me la Gemma del Tempo. Soffrirei doppiamente, sapendo già cosa accadrebbe. Capisci perché voglio averti accanto?”
“Non mi perderai come hai perso tua sorella. Io ci sarò sempre, anche se mi dovrò allontanare. Ti prometto che sarò cauta” disse Stephanie. Stephen sorrise. Volsero entrambi gli sguardi verso le finestre quando un forte lampo, seguito dal tuono, squarciò il cielo. Stephanie riguardò il padre: “Dovresti andarti ad asciugare, prima che ti prenda qualcosa”.
“Non ti preoccupare per me, cucciola: non mi sono mai ammalato” disse Stephen, guardandola.
Il mattino seguente, aveva smesso di piovere ed era spuntato il sole, illuminando, di poco, il viso di Stephanie. La ragazza stava dormendo profondamente e, perciò, si voltò dall’altra parte quando qualcosa iniziò a schiaffeggiarle la faccia.
“Papà, oggi non ho università. Lasciami dormire” sbuffò Stephanie, tenendo chiuso gli occhi.
Si sentì nuovamente schiaffeggiare ma, quando aprì gli occhi, si ritrovò di fronte la cappa. Urlò e la cappa indietreggiò. Stephanie domandò: “Che cosa ci fai qua?” La cappa se ne rivolò di fronte a lei e “prendendola” per un braccio, cercò di trascinarla fuori dal letto.
“Ehi, smettila. Oggi è il mio giorno libero: lasciami in pace” replicò Stephanie, ma la cappa non voleva sentire ragioni. Continuò a tirare la ragazza, riuscendo a farla scendere da letto e portarla fuori dalla camera, fino a trascinarla in quella del padre. Stephanie rimase a bocca aperta non appena lo vide: era coricato; guardava il soffitto e non si muoveva.
La ragazza si avvicinò, mentre la cappa se ne rimase in disparte e, appena gli fu accanto, rimase stupita: “O mio dio: papà, cosa ti è successo? Sembri zombificato”.
“Non mi sento più le ossa. Mi fa male tutto… oddio… non capisco se non mi sento niente o mi fa male tutto. Ho il naso tappato e sento caldo e freddo allo stesso momento” disse Stephen, con voce rauca. Stephanie gli mise una mano sulla fronte: “Hai la febbre. Te lo avevo detto ieri sera di andarti ad asciugare, ma a quanto pare tu non ti ammali mai”.
“Ti prego, Stephanie, non ho le forze per replicare. Ma dovrei andare a Kamar-Taj: Wong ha bisogno di me per insegnare ai nuovi apprendisti” disse Stephen e cercò di alzarsi. Stephanie lo fermò prima che potesse farlo, dicendogli: “Tu non vai da nessuna parte conciato così! Wong può fare senza di te anche per un giorno”.
In quel momento, si aprì un portale dal quale ne uscì proprio Wong. Rimase stupito quando vide Stephanie che teneva il padre per un braccio e lo stesso Stephen che aveva quasi un aspetto cadaverico.
“Zio Wong, che… che cosa ci fai qua? Ti sono fischiate le orecchie?” gli chiese Stephanie, lasciando andare il braccio del padre, che ricadde sul letto.
“Sono venuto a controllare che fine avesse fatto tuo padre. Doveva venire a Kamar-Taj stamattina presto per aiutarmi con i nuovi apprendisti. Non vedendolo mi sono precipitato qua” rispose Wong.
“Da quando in qua si aprono portali nelle stanze altrui? Dove è finita la privacy?” chiese Stephanie. Stephen disse qualcosa di impronunciabile; quindi Wong domandò: “Cosa ha detto?”
“Che Wong tiene alla sua privacy, ma non a quella degli altri” rispose Stephanie, guardando il padre; poi guardò Wong ed aggiunse: “Comunque, come puoi vedere, papà non può venire a Kamar-Taj. Almeno finché non gli sarà passata la febbre, dovrai fare a meno di lui”.
“Mi dispiace molto che i nuovi apprendisti non avranno un valido insegnante. Ma se non può venire uno Strange, potrebbe venire l’altro” disse Wong.
Stephen si mise sui gomiti, dicendo: “Non ci pensare neanche! Stephanie ha da studiare per l’esame di domani”.
“Dai papà, che sarà mai? E poi quando mi si ripresenterà l’occasione con te ammalato e lo zio Wong che chiede a me di fargli da assistente? Prometto che tornerò in tempo per l’esame” disse Stephanie, guardandolo.
“No, tu non andrai! Sarò pure ammalato, ma sono pur sempre tuo padre e l’ex stregone supremo” ribatté Stephen, con un filo di voce.
“Ma lo stregone supremo ha urgente bisogno di aiuto. Non possiamo dirgli di no, vero?” disse Stephanie.
“Stephanie, non ti azzardare ad oltrepassare quel portale!” replicò Stephen.
“Ok, grazie papà. Faremo presto” disse Stephanie, come se non lo avesse neanche ascoltato e, in fretta, attraversò il portale.
Stephen guardò malamente Wong che, non proferendo parola, seguì la ragazza. Il portale si richiuse. Troppo stanco, Stephen rimise la testa sul cuscino e, mentre guardava il soffitto, disse: “Quella ragazza è in guai seri quando tornerà!”.
Stephanie e Wong camminavano fianco a fianco: “Non vedo l’ora di insegnare. Allora, cosa farò? Incantesimi? Uso degli artefatti magici?” disse entusiasta Stephanie.
“Difesa” disse Wong, fermandosi. Stephanie volse lo sguardo per vedere gli apprendisti disposti in file, mentre un’insegnante faceva apprendere loro come creare uno scudo.
“Ok, mi sembra facile da insegnare” disse Stephanie. Wong si incamminò, raggiungendo l’insegnante, una ragazza di colore. Appena lo vide, si fermò e, voltandosi ed inchinandosi, disse: “Stregone supremo”.
“Vedo che gli insegnamenti procedono bene. Le ho portato un altro apprendista” disse Wong e guardò Stephanie. Questa stupita disse: “Cosa? Credevo che dovessi insegnare?” e lo raggiunse.
“Non si può costruire una casa partendo dal tetto. Tu non hai ancora le basi. Devi imparare dal principio, se un giorno vorrai difenderti da sola” spiegò Wong.
“Se papà mi avesse permesso di studiare le arti mistiche, a quest’ora saprei di più di tutti questi apprendisti messi insieme. E avrei imparato a memoria la maggior parte dei libri che ci sono in biblioteca” disse Stephanie.
“Vedo che sei impaziente come lo era tuo padre. Hai deciso tu stessa di seguirmi” disse Wong, incamminandosi.
“Tu avevi bisogno di uno Strange e, con mio padre momentaneamente fuori uso, ero rimasta io” disse Stephanie. Wong si fermò; volse lo sguardo verso di lei, dicendole: “È vero, ma potevi fare una scelta”.
Stephanie non obiettò; poi Wong, rivolto alla donna di colore, disse: “Sara, occupati tu della giovane Strange”.
“Sì, maestro” disse la donna, facendo un piccolo inchino. Poi si avvicinò a Stephanie, aggiungendo: “Vieni: ti addestrerai con gli altri apprendisti”.
“Ma io…” iniziò col dire Stephanie. Poi però la seguì.
Poco dopo, Stephanie si trovava in mezzo agli apprendisti, mentre Sara ed altri maestri camminavano avanti e indietro tra loro, spiegando come creare uno scudo. Gli altri apprendisti ci riuscivano. Stephanie faceva fatica.
“Coraggio, metteteci più impegno. Ricordatevi: il nemico non vi darà tempo. Dovrete essere immediatamente preparati” spiegò Sara e, quando arrivò vicino a Stephanie, aggiunse: “E cercare di avere meno fretta nell’apprendere le cose” e continuò a camminare, per poi fermarsi di fronte a loro.
Gli scudi di Stephanie non erano perfetti come quelli degli altri. La ragazza cercava di impegnarsi, ma con scarsi risultati. In quel momento, accanto a Sara, arrivò Wong che osservò gli apprendisti, soffermando però lo sguardo su Stephanie. Poi Wong disse qualcosa a Sara, la quale si rivolse agli apprendisti: “Ok, fate pure una pausa” e si fermarono.
Wong e Sara camminarono verso Stephanie, che replicò: “E’ una cosa insensata!”.
“Nulla è insensato nelle arti mistiche” disse Wong.
“Sono già capace di creare uno scudo. Se no, mi dite come sono riuscita a difendermi da Irwin al Sanctum Sanctorum quando era impossessato da quel demone?” disse Stephanie, facendo un sorriso beffardo.
“Allora mostramelo” disse Wong. Stephanie mosse le mani per poi metterle davanti a sé, formando due scudi. Uno, però, svanì subito. La ragazza riabbassò le mani, dicendo: “Non sono concentrata. Prima ci sono riuscita”.
“Da quanto ho visto, penso di no. Non bisogna essere troppo sicuri di sé stessi. Anche tuo padre era così. Devi avere pazienza e imparare passo dopo passo, come fai con l’università” spiegò Wong.
“Medicina è cento volte più facile delle arti mistiche. Potrei imparare ad occhi chiusi anche queste, se solo papà mi facesse decidere per conto mio. Ma lui vuole che diventi solamente la miglior neurochirurga che esista. Vorrei potermi creare la mia strada” disse Stephanie.
Wong guardò Sara, la quale si congedò andando dagli altri apprendisti. Lo stregone supremo, invece, camminò verso Stephanie, incitandola a seguirlo.
“Perché non provi a parlargli?” propose Wong.
“Ci ho già provato parecchie volte e non ha funzionato. Papà non vuole sapere ragioni. Per lui devo solamente seguire ciò che ha già deciso per me. Ieri sera abbiamo avuto una piccola discussione, ma poi mi ha abbracciata, come se non volesse lasciarmi andare. Tu lo sapevi che aveva una sorella?” spiegò Stephanie.
“Non me ne ha mai parlato. Tuo padre è sempre stato molto misterioso sulla sua vita privata. Però non perde mai l’occasione per parlare di te e di come, se non avesse avuto quell’incidente, avreste lavorato insieme ai migliori casi di neurochirurgia” disse Wong.
“Magari, da qualche altra parte ci sono una Stephanie e uno Stephen Strange che sono i migliori neurochirurghi che esistano. Sarebbe bello poterli incontrare” disse Stephanie. I due si fermarono; poi Wong chiese: “Allora, cosa decidi di fare?”.
“È un tuo modo per dirmi se mi sento in colpa di aver lasciato papà a casa da solo in quelle condizioni?” gli domandò. Wong non rispose. Stephanie aggiunse: “Credo che ritornerò da lui. Ha bisogno di me in questo momento e, anche se per poco, gli ho voltato le spalle”.
Wong si voltò, aprendo un portale. Senza dire nulla, Stephanie ci entrò, ritornando nella camera da letto del padre. Il portale si richiuse. Stephen era lì, ancora coricato sul letto e che guardava il soffitto. Poi disse: “Sei ritornata. Ti ho fatto pietà?”.
“Mi sentivo in colpa. Non avrei mai dovuto andarmene” disse Stephanie.
“Potevi rimanertene a Kamar-Taj. Ce la faccio anche da solo” replicò Stephen. Stephanie si avvicinò a lui, dicendo: “Lo so che sei arrabbiato perché mi avevi detto di non seguire Wong, ma lui stesso mi ha fatto ritornare sui miei passi. Sei mio padre e non avrei mai dovuto pugnalarti alle spalle. Lascia che ti aiuti. Se non vuoi, me ne andrò in camera mia, ma comunque sarò qua”.
Stephen continuava a non guardarla e a tenere lo sguardo arrabbiato. Stephanie sospirò e stava per allontanarsi da lui quando disse, con voce flebile: “Resta”.
Poco dopo, Stephanie aveva preparato una minestra calda e ora, seduta sul letto, cercava di darla al padre: “Non sono moribondo! Quella roba la davamo in ospedale ai pazienti anziani” replicò.
“È per farti star meglio” disse Stephanie, abbassando lo sguardo. Vedendola così, Stephen si mise sui gomiti, per poi dire: “Vediamo se farai strada in cucina”.
Stephanie sorrise, per poi imboccarlo con il cucchiaio. Stephen mangiò e, una volta finita la minestra, la ragazza domandò: “Allora, com’era?”.
“Passabile, ma non sarai mai una cuoca a cinque stelle. Sono contento, invece, che diventerai una bravissima e brillante neurochirurga” disse Stephen.
Stephanie appoggiò il piatto vuoto sul comodino, poi chiese: “Hai bisogno di altro?”.
“Vai pure a studiare. Hai l’esame domani. Voglio che tu sia preparata al massimo” rispose.
“Potrei sempre studiare dopo” disse Stephanie.
“Stephanie” l’ammonì il padre.
“Lo so, ma ora voglio occuparmi di te, come tu hai fatto con me per tutti questi anni. Sei mio padre e sei più importante dello studio e di qualunque altra cosa. Potrei fare il bucato; mettere a posto vecchi artefatti o riordinare i libri in ordine alfabetico. Insomma, quello che farebbe una qualsiasi donna di casa” spiegò Stephanie.
Stephen la guardò stranamente, per poi dire: “Dovrei mandarti più spesso a Kamar-Taj: diventi più ubbidiente”.
“Cerco solo di fare la brava e di aiutarti nel momento del bisogno” disse Stephanie.
“Studia e basta! Mi interessa solo quello” disse Stephen, rimettendosi coricato. Stephanie non obiettò ma, poco dopo, si ritrovò seduta su una sedia accanto al padre, a studiare alcuni libri di medicina. Di tanto in tanto Stephen l’osservava, ripensando a lei bambina e di quanto si divertivano insieme. Avrebbe tanto voluto ritornare a quei tempi: sua figlia era cresciuta troppo in fretta. Fosse esistito un incantesimo che l’avrebbe fatta ritornare bambina, lo avrebbe usato immediatamente.
Un sorriso gli si stampò in viso, mentre la guardava sfogliare il libro di medicina ed imparare ogni singola cosa scritta in esso. Stephanie, proprio come lui, aveva una memoria fotografica e non poteva che andarne fiero.
Il pomeriggio passò così: con Stephanie che studiava e Stephen che riposava e la guardava, sorridendo.
Venne sera. I due avevano cenato nella camera di Stephen. Questi disse: “Mi dispiace che hai dovuto passare la tua giornata libera in questa maniera”.
“Non ti preoccupare: intanto la avrei passato lo stesso a studiare” disse Stephanie, non accorgendosi che, a stento, teneva gli occhi aperti.
Stephen si spostò e, con la mano, picchiettò sul letto: “Su, dai, vieni qui accanto a me”.
“Sei serio, papà?” domandò incredula, alzandosi per poi mettersi accanto a lui.
“Non vuoi più stare accanto a me? Non ti attacco l’influenza, promesso” disse Stephen e, una volta che la figlia gli fu accanto, le mise un braccio intorno. Stephanie appoggiò la testa contro la sua spalla, dicendo: “Non è quello. È che lo facevo quando ero una bambina ed avevo paura dei temporali”.
“Eppure sei qui. Però, se ti vergogni ed hai paura che la cappa di levitazione lo vada a spifferare a qualcuno, puoi sempre andare in camera tua” disse Stephen. Stephanie rise. Il padre aggiunse: “Era da molto tempo che non ti sentivo ridere. Sei felice?”.
Stephanie non seppe che rispondere. Davvero era felice? Felice di seguire una strada dettata dal padre fin da quando era una bambina? Ma lui le voleva bene e lei voleva solamente renderlo orgoglioso. Lo guardò, dicendogli: “Sì e tu?”.
Stephen spostò lo sguardo. Era felice anche se non aveva Christine accanto? Aveva la sua Stephanie e questo, forse, gli bastava. La guardò e, dopo averla baciata sulla testa, sorrise rispondendole: “Sì, finché ci sarai tu accanto a me” ed appoggiò la testa contro quella della figlia. Entrambi socchiusero gli occhi, addormentandosi con il sorriso.








Note dell'autrice: Eccomi qua e buona sera. Piccolo ripensamento (grazie anche a wong) per stephanie che ha l'occasione di andare ad imparare qualcosa a Kamar-Taj, ma poi ritorna dal padre che ha l'influenza per badare a lui, mentre contemporaneamente studia per l'esame del giorno dopo. Nel prossimo capitolo(alla fine del prossimo capitolo preciso) tenterò qualcosa di....estremo, sperando di fare qualcosa che possa funzionare (così come nei capitoli successivi) e che soprattutto possa piacervi.
Grazie immensamente a tutti/e coloro che stanno recensendo la storia. Grazie davvero immesamente. Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo, sperando che possa continuare ancora ad appassionarvi (e non annoiarvi) alla storia
Vi auguro un buon proseguimento di serata
Un abbraccio
Valentina

 

 

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Capitolo 9
*** Un incantesimo estremo ***


UNA VITA IN GABBIA
 



  Capitolo IX: Un incantesimo estremo



 
Il mattino seguente Stephanie si svegliò, non trovando però accanto a sé il padre. Si stiracchiò e sbadigliò e, in quel momento entrò Stephen mentre portava un vassoio: “Buongiorno, cucciola”.
“Buongiorno, papà. Ma cosa ci fai in piedi? Dovresti startene a letto” gli domandò.
“Non ti preoccupare. Sto già meglio. Grazie alle tue amorevoli cure di ieri, mi è anche passata la febbre” rispose, depositando il vassoio sul letto.
Stephanie guardò la colazione: succo di frutta e frutta secca. Sì, suo padre si era proprio ripreso. Prese il cucchiaio e, mentre mangiava la frutta secca, disse: “Forse dovrei ripassare per l’esame”
“Non se ne parla! Quello che hai memorizzato, ce l’hai tutto in testa. Ripassando, farai ancora più confusione” spiegò Stephen.
“E se dovessi sbagliare?” chiese. Stephen le mise le mani sulle guance: “Tu non sbaglierai. Sei sempre stata brava e sono sicuro che passerai anche questo esame a pieni voti. Sei pronta, solo che devi avere più fiducia in te stessa, come ce l’ho io” e la baciò sulla fronte.
Stephanie riprese a mangiare, anche se le si era un po' chiuso lo stomaco e, poco dopo, insieme al padre, si trovò nella hall.
“Allora, quando hai finito non dimenticare di chiamarmi. Voglio essere informato e non farmi stare in pensiero” le raccomandò Stephen.
“Tranquillo, sarai il primo che chiamerò. Poi la mamma; lo zio Wong e la cappa di levitazione” disse Stephanie.
“Vedo che non hai perso il tuo senso dell’umorismo. È un’ottima cosa. Fa tenere allenata la mente. Lo usavo anche io prima di operare” disse Stephen. Ci fu silenzio; poi il padre aggiunse: “Ora vai, che se no rischi di fare tardi e, mi raccomando, dà il meglio di te, come hai sempre fatto”.
Stephanie si voltò, aprendo il portone, uscendo ed incamminandosi sul marciapiede. Stephen l’osservò. La cappa “strofinò” la parte superiore contro la guancia. Stephen le disse: “No, no, stavolta non devi seguirla. Abbiamo altro da fare” e, dopo che la figlia ebbe voltato l’angolo, rientrò, chiudendo il portone dietro di sé. Aprì un portale e vi entrò, trovandosi a Kamar-Taj.
Camminò per uno dei porticati, osservando gli apprendisti ed i vari insegnanti. Sperava tanto di non incontrare Wong: lui non doveva neanche trovarsi lì.
Entrò in biblioteca, raggiungendo il bibliotecario che, vedendolo, disse: “Doctor Strange, che piacevole sorpresa. Il maestro Wong non mi aveva avvertito del suo arrivo”.
“In effetti mi stavo annoiando a casa, così ho pensato di farvi una visita. Sono in cerca di una nuova lettura non molto leggera. Al Sanctum Sanctorum sono sprovvisto di libri che riguardano incantesimi sul cambiamento, ma so che nella sezione proibita ce ne sarebbero alcuni molto interessanti” disse Stephen.
“Lo sa che quei libri sono di proprietà dello Stregone Supremo e lei…ecco…” disse il bibliotecario, aspettandosi una sfuriata da Strange, invece questi disse: “Oh, già, scusami ma devo essere ancora un po' febbricitante. Allora mi accontento di alcuni libri che hai qua nelle normali sezioni”.
“Glieli vado subito a prendere” disse il bibliotecario e si allontanò. Una volta fuori dalla vista, Stephen si diresse a passo spedito verso la sezione proibita. Si tolse la cappa da dietro di sé e, mentre questi gli levitava di fronte, disse: “Va a fare la guardia ed avvertimi se il bibliotecario ritorna” e la cappa se ne volò all’ingresso della sezione.
Stephen cercò il libro e, quando lo trovò, lo prese delicatamente togliendolo dalle catene che lo tenevano fermo. Sfogliò velocemente le pagine alla ricerca dell’incantesimo, quando lo vide: ne lesse ogni singola parola, cercando di memorizzarlo il più possibile ma, quando gli mancava poco, la cappa se ne volò da lui, “avvertendolo” dell’imminente ritorno del bibliotecario.
Stephen collocò il libro al suo posto ma, nella fretta, si dimenticò di riagganciarlo alle catene. La cappa si rimise alla sua schiena e, velocemente, ritornò alla scrivania, proprio nello stesso momento del bibliotecario. I due si guardarono e Stephen disse: “Ero andato in bagno”.
Il bibliotecario alzò un sopracciglio; poi, depositando i libri sulla scrivania, disse: “Questi sono ciò che ho trovato riguardo l’incantesimo da lei richiesto. Spero siano utili e sufficienti”.
“Non ti preoccupare, andranno bene” disse Stephen, prendendoli.
“Mi raccomando, li riconsegni il prima possibile, ma per lei non dovrebbe essere un problema, visto che quando era un apprendista ci metteva poco tempo a leggerli” disse il bibliotecario.
“Le voci girano molto velocemente” disse Stephen e, voltandosi, se ne andò. Ma, appena mise piede fuori dalla biblioteca, si ritrovò di fronte Wong: “Strange, non eri a letto con la febbre?”.
“Eppure sono qui, no? Oh, aspetta, forse sto utilizzando il mio corpo astrale” disse Stephen.
“Vedo che eri a corto di libri. Strano: il Sanctum Sanctorum ne è pieno” disse Wong.
“Li so già tutti a memoria. Volevo una lettura nuova, soprattutto ora che Stephanie non c’è” disse Stephen.
“Finalmente l’hai lasciata andare a vivere da sola. Era ora che la tua adorata cucciola lasciasse la tana paterna” disse Wong.
“Ma che ti sei bevuto stamattina?! Stephanie è andata solamente all’università a sostenere un esame. Le ho detto di chiamarmi non appena avesse finito. Figurati se la lascio andare a vivere da sola: si distrarrà e non penserà più agli studi” disse Stephen. In quel momento gli squillò il cellulare. Stephen consegnò i libri a Wong, estraendo l’oggetto ed accettando la chiamata. Si trattava proprio di Stephanie: “Cucciola, allora come è andata?”.
“Spero bene. Ho risposto a tutto, ma avrò i risultati fra qualche giorno” rispose Stephanie.
“Sapevo che lo avresti superato. Devi credere di più in te stessa, come ti ho detto stamattina. Ora rilassati e poi inizia a prepararti per il prossimo esame” disse Stephen.
“Papà non essere paranoico. Ancora non ci hanno dato le date. Prima aspettiamo i risultati di questo e poi si vedrà. A proposito, dove ti trovi? Non ti sento bene” disse Stephanie.
“Sono a Kamar-Taj. Wong mi ha chiamato urgentemente. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a cercare qualcosa” disse Stephen, guardando Wong, che lo guardò stranamente.
“Oh…va bene, ma cerca di non stancarti troppo. Ricordati che fino a ieri aveva un febbrone da cavallo ed eri anche piuttosto scorbutico” disse Stephanie.
“Non ero scorbutico. È che non volevo che ti occupassi di me, quando avevi da studiare per l’esame. Ma ora non importa più: sto bene e l’esame lo hai superato. Ci vediamo dopo. Ti voglio bene” disse Stephen.
“Anche io” disse Stephanie e chiuse la chiamata. Guardò il cellulare: suo padre si stava comportando in modo strano. Forse era ancora l’effetto della febbre.
A lei si affiancò Irwin: “Come è andato l’esame?” le domandò.
“Penso bene, ma non è quello che mi preoccupa” rispose, iniziando a camminare. Irwin la seguì: “E cosa allora?” chiese.
“Mio padre. Sono appena stata al telefono con lui e mi sembrava strano. Ieri ha avuto la febbre alta, ma stamattina stava già meglio. È come se volesse nascondermi qualcosa. Era a Kamar-Taj, ma può darsi benissimo, come mi ha detto lui, che Wong lo abbia chiamato per un’urgenza” spiegò.
“Ti preoccupi per questo? Non ti sei chiesta di come da qua a Kamar-Taj ci sia un così bel segnale con il cellulare?” domandò Irwin. Stephanie lo guardò stranamente; poi propose: “Ti andrebbe di andare a prendere qualcosa al bar qua accanto?”.
“Tuo padre non si arrabbierà se non ti vedrà subito a casa?” chiese.
“Ho fatto il mio esame come si deve e ieri mi sono occupata di lui. Credo che questo sia il minimo che mi possa concedere. Fidati, non ti spedirà da qualche parte se non lo viene a sapere” rispose.
Stephen mise via il cellulare: “Mi ha chiamato paranoico! Ma ti pare che lo sia?!” disse stupito. Wong alzò un sopracciglio e, mentre gli riconsegnava i libri, disse: “Comunque sarebbe saggio, da parte tua, dirmi del perché ti trovi veramente qua”.
“Ti sembra che ti stia mentendo? Non lo farei mai nei tuoi confronti. Ho veramente esaurito le letture al Sanctum Sanctorum ed avevo bisogno di qualcosa di nuovo” disse Stephen.
“Tengo aperto la mia offerta” disse Wong.
“Ed io continuerò a negarla. Stephanie non praticherà mai le arti mistiche” replicò Stephen e, voltandosi, aprì un portale, nel quale vi entrò. Wong sospirò, mentre il portale si richiuse.
Poco dopo, Stephen stava aspettando che Stephanie ritornasse a casa, ma avrebbe atteso che si fosse addormentata per praticarle l’incantesimo. Camminava avanti ed indietro, mentre la cappa “lo guardava”.
“Lo so che ce l’hai con me, ma Stephanie sta crescendo troppo in fretta e devo impedire questa cosa. Non voglio che se ne vada. Pensi sia giusto?” disse Stephen, fermandosi e guardando la cappa, la quale “scosse negativamente” la parte superiore.
“No, hai ragione, non lo è, ma è la mia bambina ed ho il diritto di starle per sempre accanto. Se andrà via, non potrò proteggerla. Qualcuno potrebbe farle del male” disse Stephen, riprendendo a camminare. La cappa mosse agitatamente la parte superiore; Stephen la guardò: “No, no non se ne parla: non accetterò mai l’offerta di Wong. Stephanie diventerà una neurochirurga. In famiglia basta solo uno stregone supremo, anche se ora sono un ex stregone supremo. Ma questo non toglie il fatto che Stephanie si debba solo concentrare sulla medicina. Niente arti mistiche” e la cappa abbassò la parte inferiore.
Stephen stava per riprende a camminare, quando sentì aprire il portone. Si precipitò velocemente alla scalinata, seguito dalla cappa, per vedere Stephanie entrare. Scese le scale, domandandole: “Dove sei stata per tutto questo tempo?”.
“Fuori con Irwin” rispose, chiudendo il portone dietro di sé.
“Lo sai che non mi piace che esci con quel ragazzo. Sei fortunata che non lo abbia ancora spedito dall’altra parte del mondo” disse Stephen, raggiungendola con cappa al seguito.
“E’ solamente Irwin: che male mai potrebbe farmi?” chiese Stephanie. Stephen le prese il braccio sinistro e, dopo averle tolto le bende, rispose: “Ti sei dimenticata chi ti ha provocato queste? Credevo di averti detto di metterci quell’unguento che ti ho dato”.
“Ce lo metto ogni sera” disse Stephanie.
“Ce lo devi mettere più volte al giorno. Vuoi che si infettino? Sono graffi di un demone: possono portare a terribili conseguenze se non vengono controllati a dovere” replicò Stephen.
Stephanie allontanò il braccio dal padre e, incamminandosi, disse: “Fatto sta che non è stato Irwin a farmeli. E comunque ci sto a dietro”.
“Come ci stai a dietro?! Quel ragazzo ha gli ormoni a mille e sbava quando sta in tua compagnia” ribatté Stephen, seguendola.
“Ma io stavo parlando dei graffi! Papà devi smetterla di essere così” disse Stephanie.
“Così come?” domandò. Stephanie si voltò: “Così appiccicoso! Non posso neanche fare un passo che tu mi sei dietro! Smettila di essere la mia seconda ombra. Ho bisogno di respirare e di vivere la mia vita! Devi smetterla di decidere per me! Non sono più una bambina!” e, voltandosi, salì su per le scale.
“Ancora per poco” disse Stephen e la cappa gli si affiancò, “guardando” Stephanie e poi il padre, per poi abbassare la parte superiore.
Dopo cena, passata in totale silenzio, Stephanie se ne andò dritta in camera sua. Stephen avrebbe tanto voluto obiettare ciò che la figlia gli aveva detto appena rientrata, ma doveva avere pazienza e presto avrebbe potuto riavere Stephanie come un tempo.
Aspettò che fosse quasi mezzanotte. Lentamente, entrò nella camera della figlia, avvicinandosi al letto: la ragazza stava dormendo. Una volta accanto al letto, fece un lungo respiro. Socchiuse gli occhi, cercando di ricordarsi la formula e, una volta in mente, li riaprì. Mosse le mani in varie posizioni. Un fascio di luce iniziò a formarsi. Stava per pronunciare le parole, quando qualcosa gli bloccò un braccio. Volse lo sguardo: si trattava della cappa.
“Che cosa stai facendo?! Lasciami subito il braccio!” replicò. Ma la cappa non voleva mollare.
“Perché devi essere sempre così testarda? Lo sai che lo faccio per il suo bene!” ribatté.  La cappa lo “guardò”, per poi schiaffeggiarlo: “Va bene. Non lo faccio per il suo bene, ma per me! Rivoglio la mia bambina e questo è l’unico modo. So di fare la scelta giusta, credimi”.
La cappa gli lasciò il braccio. Stephen riguardò la figlia e, come prima, mosse le mani in varie posizioni. Un fascio di luce si formò nuovamente, per poi iniziare a pronunciare le parole dell’incantesimo. La luce si intensificò, illuminando la stanza a giorno. Scoccò la mezzanotte e tutto cessò.
Per paura, la cappa se ne volò dietro a Stephen, che avanzò lentamente verso la figlia. Le scoprì le coperte e… un sorriso gli si stampò in viso: dove prima c’era una ragazza, ora vi era una bambina di circa quattro anni. L’incantesimo aveva funzionato e Stephen aveva nuovamente la sua cucciola da poter proteggere e tenere tra le braccia.








Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Come faccio a non ringraziarvi per le bellissime recensioni? E soprattutto per la fiducia che mi state dando? Grazie, grazie davvero per tutto. Mi state spingendo voi a continuare a scrivere la storia (e anche la mia amica Lucia). Lo so, ho voluto fare qualcosa di estremo, ma che nei prossimi capitoli capirete (e spero che come idea funzioni) E' tutto basato sulle scelte o, meglio, direi scelta. Una scelta che Stephen dovrà compiere e deve scegliere saggiamente.
Grazie, come scritto, per le bellissime recensioni; per chi ha messo la storia tra le seguite e le preferite
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di serata ed un buon inizio di settimana
Un grosso abbraccio
Valentina
 
 
 








 

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Capitolo 10
*** Una piccola monella ***


UNA VITA IN GABBIA
 

  Capitolo X: Una piccola monella



 
 
Stephen aveva vegliato tutta la notte su Stephanie. La bambina dormiva ancora, non consapevole di ciò che il padre le aveva fatto.
La cappa di levitazione se ne volava a destra ed a sinistra, “guardando” sia la bambina, che Strange, il quale disse: “Sì, è proprio la mia Stephanie. Mi sembra di essere ritornato indietro nel tempo, invece è solo frutto di un incantesimo che ho trovato tra i libri dello stregone supremo. Wong non lo verrà mai a sapere” e, sorridendo, accarezzò la figlia sulla testa.
In quel momento la bambina si svegliò. Si stropicciò un occhio; si guardò intorno, puntando poi lo sguardo su Stephen: “Papino!” e lo abbracciò.
“Cucciola, sembra che non mi vedi da una vita” disse Stephen, stringendola a sé. Stephanie lo guardò: “Ho fatto un sogno strano”.
“Ti va di raccontarmelo?” le domandò. Stephanie scosse negativamente la testa, quindi Stephen aggiunse: “Non importa. Quando vorrai, me lo dirai. Ora pensiamo a passare delle splendide giornate insieme” e strofinò il suo naso contro quello della figlia, che rise.
La cappa di levitazione volò accanto a lui. Stephanie la guardò un po' spaventata, stringendosi al padre, che le disse: “E’ tutto a posto. È nostra amica e non ti farà mai del male. Anzi, ti proteggerà” La cappa si avvicinò alla bambina che, lentamente, allungò una mano, per poi accarezzarle la parte superiore.
“Allora, sei pronta a passare tante belle giornate con papà?” le chiese.
“Ma non devi andare in ospedale? Sei sempre molto impegnato” domandò.
“Emm…il papà si è preso una vacanza solo per te. Tu sei molto più importante del mio lavoro e di qualunque altra cosa” rispose e la baciò su una guancia.
Poco dopo a colazione, Stephen mise davanti a Stephanie i cereali d’avena, ma la bambina spostò la ciotola da una parte. Stephen gliela rimise davanti, ma nuovamente Stephanie la spostò. Stephen sospirò: “Cucciola, ti sono sempre piaciuti i cereali d’avena. Come mai oggi dovrebbe essere diverso?”.
“Non mi piacciono i cereali d’avena. Voglio le fette biscottate con la nutella” disse Stephanie.
“I cereali d’avena sono ricchi di proteine utili per la tua crescita. La nutella ed altre cose non fanno bene. Tu devi crescere sana e forte” spiegò Stephen, mettendole davanti anche il succo di frutta.
Stephanie si guardò intorno; poi guardando il padre, domandò: “Dov’è la mamma?”. Stephen la guardò: a che età era ritornata la sua bambina? Quanto poteva rivelarle? Decise di optare per una bugia: “E’ uscita presto per andare in ospedale”.
“Andiamo a trovarla?” domandò.
“Magari un’altra volta” le rispose.
“Ma io voglio andare a trovare la mamma!” replicò Stephanie.
“Stephanie, ho detto un’altra volta! E ora mangia la tua colazione” ribatté Stephen.
La bambina spostò di lato il bicchiere di succo; Stephen glielo rimise davanti, ma la bambina lo spostò nuovamente. Il padre stava per perdere la pazienza: “Non mi ricordavo che fossi così disubbidiente” le disse, prendendo il bicchiere e cercando di farle bere il succo, ma Stephanie spostava il viso a destra ed a sinistra, finché non mosse una mano ed il succo cadde addosso a Stephen ed anche ai suoi vestiti.
Stephanie abbassò lo sguardo, mentre Stephen, dopo aver appoggiato il bicchiere quasi vuoto sulla tavola, prese uno strofinaccio, asciugandosi il viso e, tentando di levare le macchie dai vestiti. Guardò malamente la figlia, che rialzò lo sguardo, sorridendogli, ma dopo aver visto quello del padre, il suo sorriso scomparve, dicendo: “Scusami, papino”.
“Non fa niente, cucciola. Sai cosa? Ti porto a trovare la mamma: magari ti calmi anche un po'” disse Stephen e la bambina sorrise.
Poco dopo, padre e figlia stavano camminando mano nella mano per uno dei corridoi dell’ospedale. La bambina si guardava intorno, alla ricerca della madre e, quando la vide, lasciò la mano del padre, per correre verso di lei. Stephen non riuscì a fermarla in tempo.
Christine sentì qualcuno chiamarla mamma e, appena volse lo sguardo, vide una bambina, a lei molto familiare, che correva verso di lei. Si abbassò e la bambina fu tra le sue braccia, dicendole: “Mammina, mi sei tanto mancata. Papà ha detto che eri uscita presto per venire qua”.
Stephen le raggiunse: “Non sono riuscita a fermarla. Lo sa benissimo che non deve correre per l’ospedale”.
“Mi devi molte spiegazioni” gli disse Christine.
“E’ una storia lunga” disse Stephen.
“Fammi indovinare: volevi Stephanie tutta per te; hai cercato qualche strano incantesimo in quei libri di arti mistiche e, così, l’hai fatta ritornare nuovamente una bambina” disse Christine.
“Tutto corretto, ma hai la tralasciato la parte nella quale mi sono recato a Kamar-Taj a cercare il libro, contenente quell’incantesimo, nella sezione proibita” aggiunse Stephen.
“Suppongo che Wong non sappia nulla riguardo tutto questo” disse Christine.
“E non lo dovrà sapere mai” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso beffardo.
“Sei sempre stato un’egoista e, guarda che cosa ti ha portato a compiere! Non ci hai pensato, almeno due volte, prima di praticare un pericoloso incantesimo su nostra figlia? So che sei bravo con le arti mistiche, ma sei andato oltre” replicò Christine.
“Sapevo che non saresti stata d’accordo. Non sei mai d’accordo con le mie scelte! Ma ho dovuto portare qui Stephanie, perché insisteva nel volerti vedere” ribatté Stephen.
“Ti ha sporcato con il succo di frutta, vero?” domandò Christine. Stephen stava per aprire bocca, ma Christine lo bloccò: “Quando aveva circa quattro anni, era molto testona e difficilmente riuscivamo a farle mangiare ciò che volevamo. Con il tempo è diventata più ubbidiente”.
“Come c’eravamo riusciti?” chiese Stephen.
“Con la dovuta pazienza” rispose Christine; poi guardò Stephanie, aggiungendo: “Piccola mia, la mamma ora deve ritornare al lavoro, ma sono sicura che passerai una bellissima giornata con papà. Dopotutto, tu e lui vi siete sempre divertiti molto insieme”.
“Ci vediamo stasera?” domandò Stephanie.
“Probabile che, quando ritornerò, tu sia già a letto. Mi raccomando, fa tutto quello che ti dice papà e non allontanarti mai da lui. Mi mancherai tanto, piccola” rispose e l’abbracciò.
“Anche tu, mammina” disse Stephanie, abbracciandola a sua volta. Finito l’abbraccio, Christine guardò Stephen: “Stephen, rivoglio Stephanie com’era prima. Ripensaci, ti prego” Ma Stephen non replicò. Christine sorrise alla figlia e poi se ne andò.
“Su cucciola, andiamo. La mamma è molto impegnata per stare con te” disse Stephen, mostrandole la mano. Stephanie guardò tristemente la madre andarsene; poi però prese la mano del padre e, insieme, uscirono dall’ospedale.
Stephen e Stephanie stavano passeggiando per una delle vie di New York. La bambina indicava qualsiasi cosa, come se per lei fosse tutto una novità. Stephen non se la ricordava così esuberante. Forse iniziava già a rimpiangere la Stephanie ragazza. Scosse negativamente la testa: no, aveva fatto quell’incantesimo per poter riavere la sua bambina. Non sarebbe ritornato sui suoi passi.
Era immerso nei suoi pensieri, accorgendosi dopo che Stephanie non lo teneva più per mano. La cercò con paura, finché non la trovò accanto a degli altri bambini e con un cono gelato in mano. La raggiunse: “Stephanie, ti ho detto tante volte di non allontanarti. E se ti fosse capito qualcosa? Cucciola, non farmi preoccupare così”.
“Scusami papà, ma volevo un gelato. Ho visto questi bambini che ne avevano uno, così l’ho preso anche io” disse Stephanie.
“Sì e gradirei essere pagato” disse il gelataio, uscendo da dietro il carrettino.
“Guardi, ci deve essere stato un equivoco: mia figlia non ha nemmeno il permesso di mangiare il gelato. Le viene male alla pancia” disse Stephen, guardandolo.
“Io però glielo ho dato, quindi vorrei essere anche pagato. Non faccio gelati gratis” replicò il gelataio.
“Lei avrebbe dovuto prima chiedere a me” ribatté Stephen.
“Pensavo che il genitore fosse uno di loro e, poi, la bambina mi ha detto che stava con quegli altri bambini” spiegò il gelataio. Stephen guardò malamente Stephanie la quale continuò a mangiare il gelato. L’ex stregone supremo riguardò il gelataio: “Comunque non ho soldi con me. Vado a casa e glieli porto”
“Senti non sono mica nato ieri. Se mi dicono tutti così, a quest’ora sarei ricchissimo. Tu paghi o se no mi riprendo il gelato” disse il gelataio. Stephen non obiettò ed il gelataio strappò di mano il gelato da Stephanie. Alla bambina divennero gli occhi lucidi, per poi guardare il padre, abbassando anche il labbro inferiore, pronta a scoppiare in un acuto pianto.
“Questo non avresti dovuto farlo” replicò Stephen.
“Mi dispiace, amico: ma gli affari sono così. O paghi, oppure niente gelato” disse il gelataio. Stephen mosse la mano, muovendo contemporaneamente la mano del gelataio, buttandosi il gelato in viso. Poi fece girare lo stesso gelataio, il quale finì con la testa dentro ad uno dei gusti. Stephanie rise. Poi Stephen prese per mano la figlia, allontanandosi da lui.
“Papà, fai le magie” disse Stephanie, guardandolo con stupore ed ammirazione.
“Sì, ma non dirlo troppo in giro” disse Stephen, guardandola a sua volta e sorridendole.
 Il pomeriggio passò tra capricci, passeggiate e giochi al parco. Stephen faticava a stare dietro alla figlia, ma era contento di riaverla così, anche se non poteva non pensare alle parole di Christine quella mattina. Lui non era stato egoista: era solamente un padre molto protettivo che voleva bene alla figlia, cercando di proteggerla da ogni cosa. Pensava che, facendola ritornare bambina, sarebbe stato più facile tenerla d’occhio. Invece, si stava rivelando un’ardua impresa.
Arrivò sera. Stephanie non volle mangiare ciò che il padre aveva preparato per lei, ovvero insalata con carote e mais; broccoli e vari pezzi di frutta tagliati e disposti su di un piatto.
La bambina voleva tutt’altro e finì col quasi rovesciare l’insalata in terra, se la cappa non avesse “preso” in tempo la scodella.
Una volta a letto, Stephanie chiese una storia. Stephen non aveva in casa delle favole, essendo il Sanctum Sanctorum dimora delle arti mistiche, quindi se ne inventò una sul momento: “I tre porcellini, non trovando una casa adatta a loro, chiesero ospitalità ai tre orsi, ma in quel momento erano fuori per una gita in famiglia. Trovarono comunque la porta aperta, ma i letti erano occupati da una bambina dai riccioli d’oro. Decisero di lasciarla stare e proseguire il cammino, finché non videro una bella casetta fatta tutta di dolci. I due giovani porcellini stavano per correre verso di essa, ma il più anziano li fermò, dicendo loro che al suo interno, viveva una perfida strega che amava dare mele avvelenate alle principesse. Più avanti trovarono la casa dei sette nani e, visto che Biancaneve era andata a vivere con il principe, si stabilirono lì. Fine. E ora dormi” e, le rimboccò le coperte.
“Ma non era così la storia dei tre porcellini. Che fine ha fatto il lupo cattivo?” domandò.
“È andato via con il lupo di Cappuccetto Rosso e anche con quello dei sette capretti. Sono andati in pensione, perché erano stanchi di essere sempre uccisi” rispose, finendo di coprirla.
“Però è una storia che non ha senso” disse Stephanie.
“Cucciola, capirai che niente ha senso. Ora dormi. Oggi è stata una giornata piuttosto movimentata. Domani ci divertiremo ancora. Ti voglio bene” disse e la baciò sulla fronte.
“Anche io ti voglio tanto bene, papà” disse Stephanie. Stephen sorrise. Stava per lasciare la camera, quando Stephanie gli chiese: “Papino, dormi qua con me?”.
“Cucciola, ormai sei grande…” iniziò col risponderle. Poi però si rese conto che stava parlando ad una bambina; quindi si corresse: “Cioè…non c’è niente di cui aver paura. E poi, io sono nella stanza qua accanto. Per qualunque cosa, chiamami”.
Stephanie abbassò tristemente lo sguardo e, mentre Stephen usciva, la cappa entrò, mettendosi accanto al letto della bambina, vegliando su di lei.
Era notte fonda, quando Stephen fece uno strano sogno: vide lui stesso, o una versione di lui più oscura, che stava combattendo contro qualcuno. Abbassò lo sguardo, per vedere una ragazza con gli occhi sbarrati ai piedi della sua altra versione. Si avvicinò e rimase a bocca aperta: si trattava di Stephanie ed era morta. L’altra versione lo guardò: in lui c’era un’espressione malefica e, sulla fronte, era presente un terzo occhio.
Stephen si svegliò di soprassalto. Si passò le mani sul viso per poi guardarsi intorno: si trovava ancora nella sua camera al Sanctum Sanctorum. Uscì dal letto e, velocemente si diresse nella camera della figlia. La trovò addormentata e con la cappa accanto a lei. Tirò un sospiro di sollievo. Si avvicinò e, cercando di non svegliarla, le si distese accanto, stringendola forte a sé. La cappa se ne rimase al loro fianco per tutta la notte.
Era mattina presto, quando Wong, tramite un portale, arrivò al Sanctum Sanctorum. Si guardò intorno, non vedendo nessuno. Camminò per le varie stanze, chiamando l’amico: “Strange. Strange, dove sei?”.
Sentì delle risate e Stephen replicare: “Stephanie, smettila! Mi stai tutto bagnando!”
Wong fece in tempo a fare qualche passo, che si vide passare accanto e correndo una bambina e, quando rivolse lo sguardo, si ritrovò di fronte Strange tutto bagnato. Lo stregone supremo cercava di trattenere le risa, mentre Stephen disse: “Ridi, ridi pure. Tanto so che non vedevi l’ora di vedermi in questo stato”.
“Come mai sei bagnato da capo a piedi? Sembra che sia passato un maremoto” domandò stupito Wong.
“In effetti ti è appena corso accanto. Non ricordavo che fare il bagno a mia figlia fosse così traumatico” rispose Stephen, cercando di asciugarsi con un asciugamano.
“Quella era Stephanie?!” disse stupito Wong.
“Ho detto figlia?! Volevo dire…è la figlia di una seconda cugina di Christine” disse Stephen. Wong alzò un sopracciglio; quindi Stephen aggiunse: “Che c’è? È la verità. Christine non aveva tempo e così mi sono offerto per badare a lei”.
Stephanie ritornò da loro. Guardò Wong e poi Stephen, chiedendogli: “Papino, chi è questo uomo buffo?”.
“Lui è un mio vecchio amico. Si chiama Wong. Ha di buffo anche il nome, non trovi cucciola?” rispose Stephen, sorridendole, ma il suo sorriso scomparve, quando Wong lo guardò malamente.
Poco dopo, con Stephanie asciugata e vestita e che stava giocando sul tappeto insieme alla cappa, si trovavano nel salotto. Era chiaro che lo stregone supremo volesse delle spiegazioni: “Te lo assicuro, quella bambina è la figlia di una seconda cugina di Christine. Christine è in ospedale, quindi…”
“Ti ha chiamato papino e tu cucciola. È il nomigliolo che usi sempre per Stephanie. Non ti chiamerebbe papino se fosse la figlia della seconda cugina di Christine. Stephen, cosa hai combinato?” disse Wong.
“Ok, non posso più nascondertelo: rivolevo Stephanie da poter controllare come quando era una bambina. Così ho cercato un incantesimo adatto…nella sezione proibita a Kamar-Taj. In uno dei tuoi libri” spiegò Stephen.
Lo sguardo di Wong era furente. Poi Stephen aggiunse: “L’ho fatto per proteggerla ulteriormente”
“No, tu lo hai fatto per egoismo! Non ti rendi nemmeno conto della calamità della cosa! Questo va al di là delle leggi delle arti mistiche ed anche per il genere umano” replicò Wong.
“Come sei esagerato! Scommetto che esistono incantesimi ben più peggiori. Hai mai sentito parlare delle maledizioni? La gente le tira tutti i giorni quando è arrabbiata, eppure siamo stati blippati solamente una volta” disse Stephen.
“Pensi che sia una cosa da poco, invece non è così. Ci sono delle conseguenze” ribatté Wong.
“L’unica conseguenza è stata che ho potuto riavere Stephanie bambina, proprio come anni fa e la cosa mi rende molto felice” disse Stephen, abbassandosi mentre Stephanie andò da lui con un coniglietto di peluche in mano, mentre la cappa se ne volò sulla schiena del padrone.
“E’ molto dolce da parte tua, ma la legge della vita non funziona così” disse Wong.
“Al diavolo la legge della vita! Noi stiamo bene anche così vero, cucciola?” disse Stephen, sorridendo a Stephanie, che lo abbracciò.
Wong sospirò; poi disse: “Bene, vedo che qualunque cosa dica non conta per te, ma in quanto ex stregone supremo, sai bene che per ogni incantesimo fatto, c’è sempre un prezzo da pagare. O una scelta da compiere” e, voltandosi, aprì un portale. Stephanie lo guardò affascinata e, allontanandosi dal padre, raggiunse Wong. Stephen si rialzò.
“Bello. Bello. Voglio venire con te” disse Stephanie.
“Be’, se il tuo papà vuole, per me non è un problema” disse Wong, guardandola. Stephanie guardò il padre, che disse: “Wong non ci provare. Solo perché è ritornata bambina, ciò non vuol dire che puoi metterle in testa di diventare un’apprendista. Diventerà sempre una neurochirurga”.
“Io voglio andare con l’uomo buffo!” replicò Stephanie.
“Ok, potreste rimanere qua, ma c’è il rischio che si potrebbe presentare quel ragazzo che le va a dietro” disse Wong.
“Che ne sai di quello strambo?!” chiese stupito Stephen.
“Ieri, dopo che ha chiamato te, Stephanie mi ha contattato, riferendomi come fosse andato l’esame. Ha anche aggiunto, che si trovava fuori al bar con Irwin” rispose Wong.
“Perché a te deve raccontare queste cose?! Non sei suo padre! E, comunque, rimarremo per poco, giusto il tempo per farle vedere, con gli occhi di una bambina, com’è Kamar-Taj” disse Stephen, prendendo per mano Stephanie, che sorrise. Tutti e tre entrarono nel portale.
Mentre camminavano, Stephanie si guardava intorno con stupore e meraviglia. Quelle statue; stile e ambiente così diverso rispetto a New York. Persino le persone indossavano abiti strani. Indicava qualsiasi cosa, chiedendo al padre informazioni al riguardo. Wong sorrideva nel sentire, dal tono di voce di Strange, che l’ex stregone supremo era a carenza di pazienza.
 Si fermarono di fronte al tempio, ad osservare gli apprendisti e gli insegnanti. Sara si avvicinò a loro, facendo un inchino a Wong. Poi guardò Stephanie, chiedendo: “E chi è questa bella bambina?”.
“E’ la figlia di Strange” rispose Wong. Sara lo guardò: “L’altro giorno me la ricordavo più grande”.
“Dipende dai punti di vista” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso. Sara alzò un sopracciglio, poco convinta. Poi, rivolta a Wong, aggiunse: “Maestro, ci sono giunte voci di ex seguaci di Kaecilius nelle vicinanze. Non sarebbe opportuno mandare qualcuno a controllare?”.
“Credevo che li avessimo spediti tutti nella dimensione oscura” disse Stephen, guardandola.
“A quanto pare qualcuno è ancora in circolazione ed è scappato ben prima che spediste Kaecilius e gli altri nella dimensione oscura” disse Sara.
“Finché non si avvicinano a Kamar-Taj e non attaccano, non sono un problema. In caso contrario, preparatevi alla difesa, anche se non dovrebbero essere molto forti” spiegò Wong e Sara, dopo aver fatto un inchino, si diresse verso gli altri insegnanti.
“Le persone non hai mai finito di conoscerle: potrebbero nascondere delle sorprese” disse Stephen.
“Proprio come te” disse Wong e Stephen lo guardò stranamente. Abbassò lo sguardo, quando si sentì tirare il vestito e Stephanie gli disse: “Papà ho fame”.
“Vieni con me, piccola: lo zio Wong ti dà qualcosa che ti piacerà” disse Wong, mostrandole la mano. Dapprima Stephanie guardò il padre, il quale annuì; poi riguardò Wong, prendendogli la mano ed insieme, seguiti da Stephen, entrarono nel tempio.
Poco dopo, alcuni anziani depositarono su di un tavolino, un vassoio con dei biscotti, mentre un altro, con una teiera, versava qualcosa nella tazzina.
Stephanie li osservava con un po' di paura, stringendo a sé il coniglietto di peluche. Stephen si abbassò accanto a lei, sorridendole, per poi prendere un biscotto, mangiandone un pezzetto. Guardò la figlia: “E’ proprio buono. Sono sicuro che ti piacerà anche a te” e glielo consegnò. Incerta, lo prese, ma appena lo mangiò, lo risputò fuori.
“Stephanie, non si fa!” replicò Stephen, prendendo un fazzoletto e raccogliendo quello che aveva sputato la figlia.
“Non mi piace!” ribatté la bambina.
“Il miele ti fa bene: tiene lontano le malattie. Quando eri una bambina…emmm…non te lo ricordi, ma lo hai sempre mangiato. Ti piaceva quando ti prendevo i biscotti al miele” disse Stephen, mettendole una mano sulla testa e sorridendole.
“Voglio i biscotti con la nutella!” replicò Stephanie. Stephen guardò Wong; questi si abbassò, dicendole: “Sai, anche io quando avevo la tua età facevo sempre i capricci, soprattutto quando mio padre mi obbligava a fare una cosa che non volevo fare” e lanciò un’occhiataccia a Stephen, che non obiettò; riguardò la bambina: “Se non li vuoi mangiare, non fa nulla. I nostri monaci non se ne avranno per male. Ma sai, ti svelo un segreto: se tu chiudi gli occhi e mangi un pezzo di biscotto, immaginando che dentro ad esso ci sia qualcosa che ti piaccia, credo che poi male non saranno. Vuoi provarci?”.
Stephanie prese un biscotto; chiuse gli occhi e lo mangiò. Poi riaprì gli occhi. “Allora com’è?” le domandò Stephen.
“È buono” rispose, guardandolo. Poi guardò Wong ed aggiunse: “Grazie signore buffo per avermi fatto cambiare idea”.
“Bisogna sempre dare una seconda possibilità a tutto” disse Wong, sorridendole.
“Il papà dice sempre che quelli che lavorano con lui non hanno mai bisogno di una seconda possibilità. Che non sanno fare bene il loro lavoro e sono solo degli incompetenti. Solo la mamma è brava come lui” disse Stephanie.
Wong guardò Stephen, che disse: “Ma quando ho detto questa cosa? Non me lo ricordo” Wong si rialzò, per poi dire: “Strange, vieni con me. Dobbiamo cercare una cosa” Stephen stava per aprire bocca, ma Wong aggiunse: “Non ti preoccupare per tua figlia: i monaci si occuperanno di lei”.
Stephen guardò Stephanie, che lo guardava a sua volta, dicendole: “Il papà e lo zio Wong vanno via per un pochino, ma non ti preoccupare perché questi simpatici vecchietti si occuperanno di te”.
“Non posso venire con voi?” gli chiese. Stephen guardò Wong, che scosse negativamente la testa; riguardò la figlia, rispondendole: “Mi dispiace, cucciola. Ma vedrai che faremo presto. Tu stai qua e continua a mangiare questi biscotti. Quando ritornerò, papà giocherà con te”.
“Promesso?” domandò.
“Il papà mantiene sempre le sue promesse” rispose e la strinse a sé. Stephanie appoggiò la testa contro la sua spalla. Stephen si rialzò, tenendo in braccio la figlia.
“Strange” lo chiamò Wong, ma Stephen non voleva mollare la figlia. Wong lo richiamò; Stephen lo guardò e, dal solo sguardo dell’amico, capì che dovevano andare. Contro voglia, mise Stephanie a terra, ma la bambina rimase attaccata al suo vestito, nascondendosi.
“Cosa c’è cucciola?” le chiese.
“Non voglio rimanere con loro” rispose, indicando i vecchi monaci.
“Tranquilla, non sarai da sola” disse Stephen. Si tolse la cappa da dietro la schiena. Questi levitò di fronte a loro e Stephen le disse: “Fai compagnia alla mia bambina e tienila sempre d’occhio, mi raccomando. Se dovesse accadere qualcosa, vienimi subito ad avvertire”.
La cappa si abbassò, “guardando” Stephanie, per poi strusciarsi contro la sua guancia, facendola ridere.
“Bene, ora possiamo andare” disse Wong e si incamminò. Stephen baciò Stephanie sulla testa, per poi seguire l’amico.
Passò quasi mezz’ora da quando Stephen e Wong se ne erano andati. Seppur la cappa cercava di farla divertire, Stephanie si stava annoiando ma, la fortuna voleva che i vecchi monaci se ne erano andati. Per qualche strana ragione, le facevano paura: forse le ricordavano qualche sinistra figura vista chissà dove.
“Papà aveva detto che sarebbe stato via un pochino. A me sembra tanto tempo. Lo andiamo a cercare?” disse Stephanie, guardando la cappa, la quale “scosse negativamente” la parte superiore. Poi però se ne volò fuori dal tempio.
“Ehi, aspettami” disse Stephanie e, tenendo sempre stretto a sé il coniglietto di peluche, le corse dietro. Passarono in mezzo agli apprendisti. La bambina rideva, mentre correva dietro alla cappa. Poi, però, si fermarono all’entrata di Kamar-Taj. Un po' più in là, si estendeva una fitta foresta.
“Chissà cosa c’è là in mezzo” disse Stephanie. Stava per compiere un passo, quando la cappa la bloccò per un braccio.
“Dai, potrebbe essere divertente. Qua ci stiamo solo annoiando” disse Stephanie, ma la cappa continuava a tirarla verso l’interno delle mura.
“Guarda c’è papà” disse Stephanie, indicando dietro di loro. La cappa si voltò e la bambina ne approfittò per togliersela dal braccio e correre via. Notando che Stephen non era nei paraggi e che Stephanie l’aveva solo presa in giro, la cappa si rivoltò, per vedere la bambina correre. La seguì, ma non fece in tempo a fermarla, che la giovane Strange entrò nella foresta. A terra c’era il suo coniglietto di peluche.
La cappa non sapeva cosa fare: volò a destra ed a sinistra in modo frenetico. Andare ad avvertire Strange, oppure seguire la bambina? Forse poteva ancora raggiungerla. Decise per la seconda opzione, sperando poi che Stephen non si arrabbiasse.







Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con il capitolo. Grazie per tutti i bellissimi commenti. Li adoro tutti. Siete fantastiche/i. Grazie ancora.
Lo so questa è stata un'idea un pò estrema e quella che verrà (non nel prossimo capitolo, ovvero l'11, ma in quello dopo ancora, ovvero il 12) sarà ancora più avventata...ed oscura. Vi do un piccolo spoiler (per il capitolo 12): strange non sarà come lo conosciamo tutti. Se è qua è molto protettivo...be'...preparatevi perchè diventerà...molto, molto oscuro (no, non è la sua versione sinister strange nel secondo film. stavolta è proprio lui)
Grazie nuovamente a tutti/e per le recensioni; grazie per chi segue la storia e l'ha messa anche tra le preferite.
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di serata
Un abbraccio
Valentina

 
 
 

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Capitolo 11
*** L'amore di un padre ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XI: L'amore di un padre


 
Stephen e Wong si trovavano nella biblioteca. Stephen era seduto, tenendo il gomito appoggiato sulla tavola e la mano sotto il mento. Sembrava pensieroso e preoccupato allo stesso tempo. Di tanto in tanto, guardava verso l’entrata della biblioteca, sperando nella comparsa della sua bambina, ma ciò non avveniva. Probabilmente si trovava ancora fuori a giocare con la cappa. Poi spostò lo sguardo sul bibliotecario; questi sembrava nemmeno non notarlo. Riguardò avanti, quando Wong ritornò, tenendo in mano un libro.
“Hai fatto presto” gli disse. 
“Sei stato veloce a memorizzare l’incantesimo e rimettere al suo posto questo libro. Ma non abbastanza da riagganciarlo alle catene” disse Wong.
“Avevo fretta di evitarti” disse Stephen. Wong sospirò e, mentre sfogliava il libro, Stephen aggiunse: “Cosa significava quel sospiro? Non volevi vedermi?”.
“Vuoi un elenco delle regole che non hai rispettato?” gli domandò.
“Mi metterai in punizione? Non pensavo di aver fatto il bambino cattivo” disse Stephen. Wong lo guardò alzando un sopracciglio; poi riguardò il libro e, continuando a sfogliarlo, chiese: “Sei proprio sicuro di aver memorizzato tutto l’incantesimo?”.
“Certo. Se no come mi spieghi che Stephanie sia ritornata bambina?” disse Stephen.
“E’ una fortuna che tu abbia una memoria fotogenica. Ci sono stati stregoni che ribadivano di saper imparare a memoria un incantesimo, per poi combinare disastri naturali” disse Wong.
“Be’, quegli stregoni non erano me” disse Stephen, sorridendo.
“E, visto che sei sicuro al cento per cento di aver memorizzato tutto, allora ti ricorderai anche delle avvertenze” disse Wong.
“Ecco…c’erano delle avvertenze?” disse Stephen. Wong inarcò nuovamente un sopracciglio, quindi Stephen aggiunse: “Oh certo, quelle avvertenze. Cioè…che dicevano…be’…lo sai anche tu. Sei lo stregone supremo dopotutto: dovrai sapere ogni cosa”.
“Bene, quindi saprai che l’effetto dell’incantesimo ha una durata di quarantotto ore, dal momento in cui è stato lanciato? E, se si vuole spezzarlo, bisogna riportare il soggetto dove è stato praticato?” domandò Wong.
“No, un momento, non c’era scritto così!” replicò Stephen, alzandosi e prendendo il libro dalle mani di Wong. Diede una letta veloce alle pagine, notando solo in quel momento delle avvertenze in fondo alla seconda pagina. 
“Dove hai lanciato l’incantesimo?” gli chiese Wong.
“Al Sanctum Sanctorum. Nella camera da letto di Stephanie” rispose Stephen, continuando a guardare le pagine.
“E ti ricordi anche l’orario?” domandò.
“Era mezzanotte” rispose. Poi lo guardò: “Ma questo cosa c’entra? Abbiamo tutto il tempo”.
“No, Strange. È vero, c’è scritto che l’effetto dell’incantesimo ha una durata di quarantotto ore dal momento in cui è stato lanciato. Ma c’è anche scritto, che può essere irreversibile se non si porta la persona interessata nel luogo giusto. È tempo che tu faccia una scelta” spiegò Wong.
“Non farò ritornare mia figlia com’era prima” ribatté Stephen, chiudendo il libro e depositandolo sulla tavola.
“Riflettici, Strange. Non puoi far rimanere per sempre Stephanie una bambina” disse Wong.
“Non rimarrà per sempre una bambina: crescerà come tutti gli altri” disse Stephen e si incamminò. Wong lo seguì: “Non è come anni fa: è vero, crescerà, ma vuoi morire prima di lei? Ho visto come faticavi a starci dietro”.
“Era solo una tua impressione. Sono perfettamente capace di prendermi cura di una bambina di quattro anni. L’ho già fatto in passato” disse Stephen.
“Era diverso: non avevi tutti i problemi di ora. Conducevi una vita agiata; avevi il mondo ai tuoi piedi e primeggiavi su tutti. Per non parlare della strada che stavi creando per Stephanie” disse Wong.
“Non mi sembra che, ora, le cose siano poi così diverse: conduco ancora una vita agiata; primeggio sugli altri e sto tracciando la strada per la mia Stephanie. È tutto come prima” disse Stephen.
“E’ tempo che tu faccia una scelta” disse Wong. Stephen si fermò, per poi voltarsi: “Non decidi tu per me! So io cosa è meglio per Stephanie! Ho cercato di tutto pur di proteggerla e, ora che ho più possibilità di farlo, non mi farò scappare questa occasione!” e, rivoltandosi, si incamminò. Wong sospirò, per poi seguirlo.
Si fermarono all’ingresso del tempio. Stephen si guardò intorno, non vedendo la figlia da nessuna parla. Quindi la chiamò: “Stephanie. Stephanie. Cucciola, dove sei?” Ma nessuno rispose.
“Probabile che sia fuori a giocare” disse Wong. Così uscirono dal tempio, ma videro solamente gli apprendisti e gli insegnanti nel cortile centrale. Stephen iniziò ad ansimare. La sua piccola non c’era da nessuna parte. Strinse le mani a pugno ed iniziò a formarsi qualcosa dentro di sé. Sentì come una forte rabbia ma, allo stesso tempo, anche paura.
Wong si accorse dell’improvviso cambiamento dell’amico, quindi gli disse: “Strange, cerca di calmarti. Vedrai che Stephanie sarà qui da qualche parte. E poi non dimenticarti che con lei c’è anche la tua cappa: la proteggerà”.
“Ho come la sensazione che le possa essere accaduto qualcosa” disse Stephen.
“Ora non trarre conclusioni affrettate” disse Wong.
“Un padre lo sente, quando la propria figlia è in pericolo” disse Stephen guardandolo e portandosi una mano sul petto. Poi aggiunse: “Ma è anche vero che tu non puoi capirlo”.
“Cerco solo di non farti perdere la ragione. Potresti diventare molto pericoloso e non posso permettere la distruzione di Kamar-Taj. Quindi, per favore, ascoltami e, per il momento, reprimi la tua rabbia. Chiederò agli apprendisti ed insegnanti se l’hanno vista e, da lì, potremo iniziare con le ricerche. Non credo si possa essere allontanata più di tanto con la tua cappa al seguito: quell’oggetto è molto più intelligente di parecchie persone che conosco” spiegò Wong, guardandolo a sua volta. Stephen non aggiunse altro.
Nel frattempo, Stephanie si stava avventurando sempre di più nella foresta, con la cappa che la seguiva, standole il più vicino possibile.
Si guardava intorno, alzando lo sguardo e cercando di vedere le punte più alte degli alberi, quando sentì un rumore. Si fermò, così come la cappa che le volò accanto: davanti a loro c’era un coniglietto.
“Assomiglia al mio coniglietto di peluche. Forse, se lo prendo, posso mostrarlo a papà e chiedergli se possiamo portarlo a casa” disse Stephanie. La cappa “scosse” negativamente la parte superiore. La bambina la guardò: “Perché no? Dove abitiamo c’è tantissimo spazio e, poi papà mi dice sempre di sì. Mi compra qualsiasi cosa. Piacerà anche alla mamma” e, rivoltando lo sguardo in avanti, si avvicinò lentamente al coniglietto.
Cercò di compiere passi brevi e silenziosi in modo da non spaventare il coniglietto ma, appena gli fu vicino, l’animaletto alzò lo sguardo e drizzò le orecchie, per poi correre via.
“No, non te ne andare” disse Stephanie. Stava per seguirlo, quando si sentirono dei rumori. Qualcuno si stava muovendo tra gli alberi. La bambina vide dei movimenti veloci. La cappa si mise davanti a lei, quando, comparvero delle persone: due uomini ed una donna. Questi la guardarono, compiendo qualche passo verso di lei e circondandola come avvoltoi.
“Ciao, piccola: cosa ci fa una bambina come te da sola in questo posto?” domandò la donna.
“Mi…mi sono persa” rispose con paura Stephanie.
“Che peccato e scommetto che i tuoi genitori saranno molto preoccupati” disse la donna.
“C’è solo il mio papà e si trova al tempio con un uomo buffo” disse Stephanie. La cappa continuava a stare davanti a lei, “guardando” i tre che giravano intorno a loro.
“Quella cappa mi è molto familiare. Assomiglia molto a quella del Doctor Strange” disse la donna.
 “E’ il mio papà” disse entusiasta Stephanie. Poi chiese: “Anche voi lo conoscete?”.
“Certo. Lo abbiamo incontrato un po' di anni fa, ma non andavamo molto d’accordo” rispose la donna. Uno dei due uomini, invece, guardava la cappa, che volse “lo sguardo” verso di lui. Poi la donna propose: “Facciamo così: tu ci porti da lui ed io prometto che ripartiremo con il piede giusto”.
“Il papà mi ha detto di non parlare mai con gli sconosciuti” disse Stephanie.
“Hai parlato con noi fino adesso, no? Su, fa la brava e sono sicura che nessuno si farà del male” disse la donna. Nessuno si mosse. Poi, però, Stephanie corse via.
I tre le corsero dietro, ma la cappa riuscì a bloccare uno dei due uomini. La bambina continuava a correre e, di tanto in tanto, si voltava indietro per vedere i due che la inseguivano.
Contemporaneamente, la cappa si era messa sul viso di uno dei due uomini. Questi cercava di togliersela di dosso, quando ci riuscì, gettandola a terra. L’uomo corse dietro agli altri. La cappa si riprese, per poi volarsene via.
Stephanie continuava a correre, finché non si andò a nascondere all’interno di un piccolo tronco di un albero a metà. I tre si fermarono lì ed uno dei due uomini disse: “Dove si sarà cacciata quella mocciosa?!”.
“Sarà qua nei paraggi. Non penso possa essersi allontanata più di tanto senza quella cappa. Meglio tenere gli occhi aperti: il caro paparino potrebbe venirla a riprendere da un momento all’altro” disse la donna.
“Sempre se si è già accorto della sua assenza” disse l’altro uomo e se ne andarono. Stephanie sbucò con la testa, per vederli allontanarsi; poi rientrò nel tronco, sedendosi e portandosi le ginocchia al petto, appoggiando sopra di esse la testa e dicendo: “Papino dove sei?”.
Stephen osservava Wong, mentre parlava con ognuno degli apprendisti ed insegnanti. Stava in cima alle scale del tempio, con le mani chiuse a pugno, notando che nessuno pareva aver visto la sua bambina. Quella sensazione di prima; quell’odio si stava riformando dentro di sé. Se Wong non fosse stato nei paraggi, di sicuro avrebbe scatenato la sua ira.
Lo stregone supremo lo chiamò. Stephen lo raggiunse e Wong gli disse: “Sembra che nessuno l’abbia vista”.
“Come è possibile?!È una bambina, non un granello di polvere!” replicò Stephen.
“Calmati, Strange, te l’ho detto anche prima. Arrabbiarsi non risolverà la faccenda. Se non è qua, vorrà dire che sarà uscita dalle mura” disse Wong.
“Stephanie è intelligente: non farebbe mai una cosa del genere!” ribatté Stephen.
“Ma stiamo pur sempre parlando di una bambina: bisogna ragionare come lei. I bambini sono curiosi e, al primo movimento di qualcosa, vogliono scoprire che cosa sia. Sarà scappata via e la tua cappa, onde evitare che si trovasse in pericolo, l’ha seguita” spiegò Wong. Stavolta Stephen non replicò, ma si limitò a passare accanto all’amico, uscendo dalle mura di Kamar-Taj. Wong lo seguì, fino ai piedi della foresta e fu lì che trovarono il coniglietto di peluche. Stephen si abbassò per raccoglierlo.
“E’ della mia bambina” disse; poi si rialzò e, guardando verso la foresta, aggiunse: “E’ sicuramente andata lì dentro. Potrebbe essere in pericolo”.
“Dobbiamo andarci cauti: la foresta non è un posto sicuro” disse Wong. In quel momento, videro qualcosa muoversi velocemente tra gli alberi, diretto verso di loro. I due erano pronti a difendersi quando, quella cosa, si fermò: si trattava della cappa. Si muoveva in modo agitato, volando a destra ed a sinistra.
“Smettila! Non riesco a seguirti!” replicò Stephen. La cappa “lo guardò”, per poi indicare il peluche in mano a lui. Stephen lo osservò e capì; guardò Wong: “Me lo sentivo: Stephanie è in pericolo. Dobbiamo fare presto!”.
“La foresta è immensa: come faremo a trovarla in tempo?” domandò Wong.
“Sei lo stregone supremo e fai queste stupide domande?! Mi meraviglio che ti abbiano dato il titolo!” replicò Stephen e, dopo che la cappa se ne fu andata sulla sua schiena ed ebbe messo il peluche ben stretto nella cintura su un fianco, se ne volò via.
“Devo fermarlo prima che possa uccidere qualcuno” disse Wong, aprendosi un portale ed entrandoci.
Stephanie uscì dal suo nascondiglio. Si guardò intorno, cercando la via che l’avrebbe condotta a Kamar-Taj. Inoltre, era rimasta da sola: la cappa era sparita. Si incamminò, sperando di ritrovarla, quando qualcuno, da dietro, la prese per la maglietta. Era la donna di prima e, con lei, c’erano anche gli altri due uomini.
“Sapevo che non eri andata tanto lontana. Si sentiva così vicina la tua paura. Così persa senza quell’oggetto; così persa senza il tuo adorato papà. Ma non temere: presto lo rivedrai, in tempo perché lui possa guardare mentre metterò fine alla tua vita. Lo voglio vedere soffrire, come lui ha fatto soffrire tempo fa il nostro grande maestro Kaecilius. Eravamo così vicini a Dormammu, ma il caro Doctor Strange ha messo fine alla nascita di un grande impero. Forse non tutto è finito” disse la donna.
Stephanie la guardava con paura, quando le sputò in un occhio. La donna abbassò lo sguardo; poi riguardò la bambina, sorridendo maliziosamente. Le mise l’altra mano sul petto, tirandone via l’energia. Stephanie gridò.
Stephen stava sorvolando la foresta, guardando dappertutto, quando sentì gridare. Si fermò ed il nome di sua figlia uscì dalla bocca: “Stephanie!”. Velocemente scese, atterrando dalla fonte e fu lì che vide i due uomini e la donna, che stava assorbendo l’energia alla sua bambina. In un attacco di rabbia, Stephen creò un incantesimo, lanciandolo contro la donna, che lasciò cadere Stephanie.
Stephen cercò di andare da lei, ma gli altri due uomini lo attaccarono contemporaneamente. L’ex stregone supremo cercava di difendersi, anche se veniva ripetutamente picchiato. Fu a terra. I due uomini sopra di lui e la donna che avanzò, tenendo in mano una lancia di vetro appena creata: “Doctor Strange, sapevo che prima o poi avrebbe strisciato ai nostri piedi”.
“Lasciate stare mia figlia! Lei non c’entra niente!” replicò Stephen, togliendosi con il dorso della mano, un po' di sangue dal labbro inferiore.
“Oh, invece credo ci sarà molto utile. La sua paura, è nostra fonte di potere. Più grida e più ci rafforziamo. Come credi che siamo sopravvissuti per tutti questi anni?” disse la donna.
“Pensavo nascondendovi per la vergogna!” ribatté Stephen, quando uno dei due uomini lo calciò sul viso, facendolo cadere a terra. Stephanie guardava con le lacrime agli occhi, mentre quelle persone cattive facevano del male al suo papà. Poi però il suo sguardo divenne serio; si alzò ed avanzò verso di loro, stringendo le mani a pugni.
“Abbiamo sentito che non è più lo stregone supremo, quindi perché continuare a perdere tempo con lei? Forse, una volta, ci saremmo potuti divertire, anche se era ancora alle prime armi ma, ora, che senso avrebbe? Facciamo così: le daremo la possibilità di vedere la sua adorata mocciosa morire davanti ai suoi occhi e, poi, ci occuperemo di lei” disse la donna e, si voltò, proprio nel momento in cui Stephanie, creò una catena dorata, che lanciò addosso alla donna, tirandole via la lancia di vetro.
La donna la guardò malamente e, insieme ai due uomini, avanzò verso di lei. Stephanie indietreggiò e Stephen disse: “Stephanie, vattene via!”. Cercò di alzarsi, ma ricadde a terra.
La donna riprese la lancia di vetro; i due uomini crearono catene dorate. Poi la donna replicò: “Non avresti dovuto, mocciosa! A giocare troppo con il fuoco, ci si brucia!” e, contemporaneamente, lei ed i due uomini, le lanciarono la lancia e le due catene. Stephanie creò due scudi, proteggendosi.
In quel momento, tramite un portale, Wong arrivò accanto a Stephen. Lo aiutò a rialzarsi, chiedendogli: “Tutto bene?”.
“Ho visto di peggio” rispose Stephen. Entrambi guardarono Stephanie che, tramite gli scudi, continuava a difendersi dagli attacchi dei nemici. Wong disse: “E’ incredibile. Ha creato due perfetti scudi. E dire che, qualche giorno, da adolescente, non ci riusciva”.
“E’ mia figlia! Ti aspettavi di meno? Lei è perfetta in ogni cosa ed io non potrei che andarne orgoglioso” disse Stephen.
“Glielo hai mai detto questo?” chiese Wong, guardandolo. Stephen lo guardò a sua volta, ma non rispose. Riguardarono avanti, quando i nemici riuscirono a rompere gli scudi di Stephanie, la quale cadde a terra, anche dovuto allo sforzo compiuto.
“Adesso basta giocare! Finiamola qui!” replicò la donna e, abbassandosi, stava per prendere la bambina. In uno scatto veloce, Stephen andò da lei e, prima che gli altri due uomini potessero fermarlo, spinse Stephanie da una parte.
La donna era furiosa. Vide Stephen privo di forze, quindi ne approfittò: lo prese per il colletto del vestito, alzandolo, per poi dirgli: “Potrei ucciderti qua all’istante!”.
“Allora perché non lo fai?” chiese Stephen.
“Perché ho qualcos’altro in mente per te” rispose, sorridendo beffardamente. Stephen cercò di liberarsi, quando dagli occhi della donna uscì una strana energia oscura. Stephen fu come ipnotizzato. Quella magia oscura stava entrando in lui e non riusciva a fermarla.
Wong cercò di andare in suo soccorso, ma venne braccato dai due uomini, con i quali iniziò a lottare.
Stephanie guardò il padre: “Papino!” gridò, con gli occhi lucidi. Si rialzò, dirigendosi verso di loro, mentre nelle mani fuoriuscivano scintille arancioni.
“Presto sarai sotto il controllo del potere oscuro. Niente ci potrà fermare” disse la donna, quando qualcosa le si legò ad una gamba. Venne trascinata, seppur di poco, all’indietro, facendole mollare la presa di Stephen. Questi cadde a terra. Sbattè un paio di volte gli occhi per poi compiere respiri profondi. La vista gli era ancora un po' annebbiata, ma gli bastò per rialzarsi e creare anche lui una catena dorata, legando un braccio della donna, che volse lo sguardo verso di lui. Era intrappolata tra i due Strange.
Wong riuscì a mettere fuori gioco i due uomini, per poi dirigersi verso i tre, dicendo: “Zara, quanto tempo che non ci si vede. Credevo fossi stati tutti esiliati nella dimensione oscura”.
“E invece no! Non potete sconfiggere gli zeloti! Kaecilius sarebbe orgoglioso di noi” replicò Zara.
“Non se ti uccido!” ribatté Stephen e, con l’altra mano, formò una lancia di vetro. Era pronto a trafiggerle il petto, quando Wong lo fermò: “No! Non è così che agisce uno stregone supremo”.
“Io non lo sono più” replicò Stephen, facendo un piccolo sorriso beffardo, ma quasi maligno.
“Non importa! Non è ciò che ti ha insegnato l’Antico! Vuoi davvero commettere un’uccisione davanti a tua figlia? Che insegnamento le daresti?” disse Wong.
Stephen guardò Stephanie dall’altra parte; riguardò Zara e, infine, fece cadere la lama di vetro a terra.
Wong si avvicinò a loro e, una volta di fronte a Zara, mise delle manette dorate ad entrambi i suoi polsi, per poi dire: “Verrai esiliata, per il resto dei tuoi giorni, insieme ai tuoi seguaci. Stavolta per sempre” e, voltandosi, aprì un portale. Stephen e Stephanie fecero svanire le catene dorate. Zara, mentre veniva scortata da Wong, replicò: “Sconfitta da una mocciosa! Che disonore!”; poi guardò Stephen ed un sorriso malefico le si stampò in volto. Insieme a Wong oltrepassò il portale.
Stephen si abbassò, voltandosi verso Stephanie ed aprendo le braccia: “Piccola mia”. La bambina corse da lui, abbracciandolo forte. Stephen la strinse forte a sé; poi si guardarono: “Papino, ho avuto tanta paura” gli disse.
Stephen le mise una mano sulla guancia e, sorridendole, disse: “Ora non temere: siamo di nuovo insieme. Il papà è qua con te”.
Improvvisamente, uno dei due uomini, fu dietro di loro; Stephen spostò Stephanie, attaccandolo, ma non aveva fatto i conti con l’altro che, recuperando la lama di vetro lasciata precedentemente a terra da Stephen, gli fu addosso, ferendolo ad un fianco.
“No! Papino!” gridò Stephanie, mentre Stephen si inginocchiò a terra. La bambina stava per andare da lui, quando i due uomini si voltarono verso di lei. Stephanie indietreggiò, quando dietro di lei si aprì un portale, dal quale ne uscì Wong. Vide Stephen con una mano sul fianco e sofferente. Riguardò i due e, dopo essersi messo davanti alla bambina, creò due catene dorate, immobilizzandoli, per poi trascinarli nel portale. Successivamente li seguì.
Stephanie corse dal padre, inginocchiandosi accanto a lui: “Papino, hai la bua”.
“Non temere, cucciola: me la caverò. L’importante è che tu sia sana e salva” le disse, sorridendole. Stephanie lo abbracciò. In quel momento Wong ritornò: “Strange, tutto a posto?” gli domandò.
“E’ la seconda volta in meno di dieci minuti che me lo chiedi” rispose Stephen ma, dopo che Wong ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Almeno non sto morendo” e, spostando il mantello, rivelò che, dove era stato pugnalato al fianco, vi era il coniglietto di peluche, con un taglio nella pancia.
“Il mio coniglietto” disse entusiasta Stephanie e, mentre il padre glielo consegnava, le disse: “Cucciola, mi salvi sempre la vita. Oggi sei stata magnifica” e l’accarezzò sulla testa; poi aggiunse: “Mi dispiace per il tuo coniglietto: una volta a casa te lo aggiusterò”.
“Forse se inizierebbe ad addestrarsi a Kamar-Taj, diventerebbe molto brava” propose Wong.
“Non ci provare! Sai già cosa diventerà” disse Stephen, guardandolo; poi, spostò lo sguardo su Stephanie, dicendo: “Lei sarà la più brava neurochirurga che esista”. Stephanie lo guardò a sua volta, sorridendogli.
Qualche ora dopo, Stephen si trovava seduto su una sedia al di fuori del tempio, tenendo Stephanie tra le sue braccia. La bambina si era addormentata poco prima. Wong li raggiunse, portando del tè che depositò sul tavolino davanti a loro, per poi sedersi su una sedia lì accanto. Stephen lo guardò, ma non disse nulla.
“Zara e gli altri due sono confinati nella prigione del santuario di Ait Ben Haddou, nel deserto del Sahara” disse Wong.
“Credo di non aver mai sentito nome più strano” disse Stephen.
“E’ una città marocchina vicina a Marrakech ed è considerata una vera fortezza urbana” iniziò a spiegare Wong.
“Non riesco ancora a capire del perché alcuni stregoni supremi abbiano voluto edificare un santuario in una città praticamente sconosciuta a metà mondo? Non erano meglio i Caraibi?” disse Stephen.
“Hanno girato lì vicino Lawrence d’Arabia. I precedenti stregoni del posto erano molto fan del film” aggiunse Wong.
Stephen lo guardò stranamente, per poi dire: “Non sapevo che ti intendessi di film vecchi, ma dovresti dare un occhio alla cinematografia più recente” e guardò avanti, così come Wong.
Ci fu silenzio, poi lo stregone supremo disse: “Il sole sta tramontando”.
“Se volevi un appuntamento, la tua amica Sara è più disponibile di me” disse Stephen. Wong divenne leggermente rosso in viso, per poi dire: “E’ una cosa seria”.
“Guarda che io non dicevo per davvero. Tu e lei…sì…insomma…” disse Stephen, guardandolo, ma Wong replicò: “Non è quello! Si tratta dell’incantesimo che hai fatto su Stephanie! Le quarantotto ore stanno per scadere e tu devi fare una scelta!”.
“Sai già cosa scelgo” disse Stephen e, dopo aver baciato Stephanie sulla testa, continuò a coccolarla, tenendola stretta a sé. Wong sospirò, poi disse: “Strange, ascoltami molto attentamente: ciò che hai praticato, è un incantesimo potente, ma altrettanto pericoloso. Non sappiamo le sue conseguenze, se non che Stephanie rimarrebbe una bambina. Hai visto i pericoli che ha corso oggi. È vero è riuscita a difendersi, ma tu hai quasi rischiato di morire pur di proteggerla”.
“E’ quello che farebbe un qualsiasi padre per il proprio figlio” disse Stephen, guardandolo.
“Non è questo il punto e, in fondo, lo sai anche tu. Da bambina è un bersaglio ancora più facile ed è bastato poco perché sfuggisse alla nostra vista. Gli zeloti non erano un gran problema, ma hai visto cosa sono riusciti comunque a causare. Con nemici più potenti cosa potrebbe accadere? Riflettici bene” spiegò Wong e, alzandosi, entrò nel tempio.
Stephen sospirò, per poi socchiudere gli occhi, appoggiando la testa contro quella di Stephanie e stringendola ancora stretta a sé.
Il sole lasciò presto posto alle stelle. Wong stava meditando con i monaci più anziani, quando Stephen, con Stephanie ancora addormentata tra le sue braccia, lo raggiunse. Wong si alzò, fermandosi di fronte a loro.
“Ho preso la mia decisione” disse Stephen.
“Ti ci è voluto tutta la serata ma, almeno, ne è valsa la pena?” gli chiese Wong.
Stephen guardò la figlia addormentata; la baciò sulla testa e, dopo aver appoggiato la testa contro la sua, una singola lacrima gli rigò il viso. Poi disse: “So che me ne pentirò, ma è anche la scelta giusta da fare. Lo faccio per il suo bene, perché non potrei vivere senza di lei. Stephanie è ciò che ho di più prezioso in questo mondo. Credevo che, facendola ritornare bambina, avrei avuto più possibilità di proteggerla, invece oggi ho quasi rischiato di perderla. Starle dietro si è rivelata un’impresa molto ardua, che non ricordavo. Forse anni fa era diverso e non avevo nemici che mi volevano morto. Non l’ho fatto per egoismo come sostenete tu e Christine: il mio è stato un atto paterno. Ma ora mi rendo conto del prezzo che dovrei pagare. Salvavo vite e mi arricchiva. Pratico le arti mistiche e devo scegliere, ma non voglio che sia Stephanie a rimetterci. Non lo merita” e riaprì gli occhi.
Wong lo guardò in silenzio; si voltò ed aprì un portale. Riguardò l’amico, facendogli cenno con le mani di incamminarsi. Stephen strinse a sé la figlia. Compì qualche passo, fermandosi accanto a Wong: i due si guardarono, ma poi l’ex stregone supremo entrò nel portale, che si richiuse dietro di sé.
Si guardò intorno: si trovava nella camera da letto di Stephanie al Sanctum Sanctorum. Depositò delicatamente la figlia sul letto, accarezzandole i capelli. Guardò la sveglia posta sul comodino: segnava quasi mezzanotte. Riguardò la bambina. Ormai mancava poco e non l’avrebbe più rivista così piccola.
Si sedette su una sedia lì accanto, mentre la cappa se ne volò dall’altra parte del letto. Stette ad aspettare, finché non si addormentò, per venire successivamente svegliato da una forte luce che proveniva da sua figlia e, quando essa scomparve, Stephanie era ritornata ad essere una ragazza.
Si riavvicinò a lei, accarezzandole i capelli e, in quel momento, Stephanie si svegliò. Ancora assonata e, guardando il padre, disse: “Papà, ho fatto uno strano sogno”.
Stephen sorrise: lei stessa, il giorno prima, una volta che si era svegliata da bambina, aveva pronunciato la stessa identica frase. Quindi le domandò: “Vorresti raccontarmelo?”.
“Sono molto stanca. Sembra che abbia vagato per molto” rispose.
“Non importa. Hai solo riposato tanto e non te ne sei accorta” disse Stephen. Solo in quel momento, Stephanie si accorse di avere qualcosa tra le mani. Lo guardò: si trattava di un coniglietto di peluche con un taglio nella pancia. Guardò il padre, che disse: “E’ stata la cappa a mettertelo. Lo ha trovato per terra e lo ha appoggiato nel primo posto a sua disposizione”.
Stephanie guardò la cappa, che si mosse in modo frenetico a destra ed a sinistra, per poi andare in un angolo, dando loro di spalle. La ragazza riguardò Stephen che, allungando una mano verso il coniglietto di peluche, disse: “Se vuoi, lo metto in qualche baule in soffitta”.
“No. Credo che lo metterò qua da qualche parte. Dopotutto l’avevo da bambina. Solo che non ricordo avesse questo taglio nella pancia” disse Stephanie.
“Se vorrai, te lo sistemerò” disse Stephen. Stephanie non disse nulla; poi il padre si alzò, aggiungendo: “Sarai ancora stanca e domani hai l’università. Dormi e, se hai bisogno, sai dove trovarmi” e, dopo averla baciata sulla fronte, si diresse verso la porta.
“Papà” lo chiamò. Stephen si voltò; Stephanie sorrise, per poi dire: “Grazie per essermi sempre vicina e proteggermi”.
Stephen rimase senza parole: poteva sua figlia avere qualche ricordo di ciò che era accaduto in quei due giorni? Forse sì. Si limitò a sorriderle e dire: “Sono tuo padre: è compito mio far sì che tu sia sempre al sicuro. Sei il mio tesoro più prezioso e di ciò che ho importante in questo mondo. Ci sarò sempre per te, ricordartelo” ed uscì.
Stephanie sorrise per poi osservare il coniglietto di peluche e depositarlo sul comodino; guardò la cappa ancora nell’angolo del muro, dicendole: “Non credo che papà sia ancora arrabbiato per la nostra scappatella nella foresta” La cappa si voltò, per poi volare nuovamente in modo frenetico. La ragazza scosse negativamente la testa, per poi rimettere la testa sul cuscino e socchiudere gli occhi.
Stephen era in camera sua. Si stava cambiando, quando si portò una mano sulla testa: gli iniziò a fare molto male. Se ne andò in bagno e, dopo aver acceso la luce, si lavò nel lavandino. Si asciugò per poi guardare il suo riflesso allo specchio. La testa gli fece ancora più male. Poi il dolore cessò. I suoi occhi assunsero un colore giallo e, sotto le palpebre, comparvero segni neri e crepe. Sul suo volto comparve un sorriso maligno. Qualcosa in lui era cambiato.






Note dell'autrice: Eccomi qua e buona sera. Stavolta un capitolo un pò lunghetto (lo sarà anche il 12) e spero di non avervi annoiato. Finale con un colpo di scena. Vi avevo avvertito che ci sarebbe stato uno strange oscuro (e no, non è il sinister strange del multiverso)
L'amore di un padre può portare a tutto e vediamo se, nel prossimo capitolo, Stephanie (e non solo lei) sarà in pericolo, oppure no. Vi svelo solo che il nostro strange sarà ancora più potente. Molto, molto più potente e pericoloso e solo qualcosa, o qualcuno, potrà calmarlo
Grazie a tutti (come sempre) per le bellissime recensioni. Grazie a chi segue la storia; a chi l'ha messa tra le preferite o chi passa semplicemente di qua per una letta
Grazie alla mia amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di serata ed un buon inizio di settimana
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 

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Capitolo 12
*** Lo stregone oscuro ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XII: Lo stregone oscuro
 


Il mattino seguente, Stephanie si svegliò con il suono della sveglia. Tenendo ancora gli occhi chiusi, allungò una mano per spegnerla. Richiuse gli occhi, ma li riaprì, quando qualcosa non le tornava. Si alzò e, dopo essere scesa dal letto, uscì dalla camera. Si guardò a destra ed a sinistra, per poi dire:
“Papà. Papà, ci sei?” Ma non ricevette risposta.
Rientrò in camera; si lavò e vestì velocemente per poi cercare il padre dappertutto. Non c’era traccia di lui da nessuna parte. Stephen, di solito, la chiamava un minuto esatto prima che suonasse la sveglia. Non era da lui e, soprattutto, non era da lui andarsene senza lasciarne neanche un biglietto.
Guardò il cellulare: probabile che il padre le avesse lasciato un messaggio vocale, invece…niente nemmeno lì. La faccenda stava diventando strana. Ma Stephen era un maestro delle arti mistiche: se veniva attaccato, poteva difendersi anche ad occhi chiusi.
Per il momento decise di non darci molta importanza: lo avrebbe contattato una volta finito le lezioni. Prese un paio di biscotti e, velocemente, si diresse all’Università.
L’intera mattina e primo pomeriggio trascorsero normalmente. Stephanie rispondeva correttamente a tutte le domande poste dai professori e prendeva qualsiasi appunto possibile. Ormai le pagine dei suoi libri erano piene di ogni cosa – anche piccoli disegni di simboli delle arti mistiche, che ogni tanto scarabocchiava in un angolino della pagina quando si annoiava. Quanto avrebbe voluto praticarle, ma con suo padre era una battaglia persa.
Finalmente suonò l’ultima campanella. Stephanie depositò i libri nell’armadietto per poi uscire dall’Università. Si fermò; estrasse il cellulare e provò a chiamare suo padre, ma non rispose. Sbuffò, lasciandogli un messaggio vocale: “Appena riesci, richiami. Ti ho lasciato un sacco di chiamate e messaggi. Ma dove sei finito?” e riattaccò. Ora si stava preoccupando. Di solito Stephen la chiamava appena usciva dall’Università. Irwin si affiancò a lei.
“Ehi, ciao tutto a posto?” le domandò.
“No. Sono preoccupata per mio padre: gli ho fatto un sacco di telefonate e lasciato messaggi, ma nulla. Non è in lui. Di solito mi chiama appena esco e stamattina non ha nemmeno lasciato un messaggio, né mi ha svegliata. Non so che fare” rispose, mentre camminavano.
“Magari si sarà appisolato da qualche parte” disse Irwin. Stephanie lo guardò: “Stiamo parlando di mio padre: si addormenta solamente se c’è qualcosa, o qualcuno, che lo annoia. Ma non si dimentica mai di telefonarmi”.
“Ti va se ti accompagno a casa tua?” le chiese.
“A tuo rischio e pericolo. Ormai avrai capito che mio padre ti detesta e, meno ti vede, meno rischi di non finire sperduto chissà dove” rispose.
Arrivarono al bar dove, normalmente, si fermavano dopo l’università e videro uscire Christine. La raggiunsero: “Mamma, ho bisogno di parlarti”.
“Buon pomeriggio anche a te, tesoro” le disse; poi guardò Irwin, che disse: “Dottoressa Palmer, è un piacere rivederla”.
“Anche per me, signorino Peterson” disse Christine, sorridendogli; poi, guardò la figlia, domandandole: “Cosa è successo stavolta con tuo padre?”.
“Non riesco a contattarlo. Gli avrò lasciato un sacco di messaggi e stamattina non mi ha nemmeno chiamata prima della sveglia, così come non mi ha chiamato appena sono uscita dall’università” spiegò.
“Sicuramente sarà andato in quello strano posto a praticare le arti mistiche. Devi rilassarti, tesoro: sappiamo come è fatto. È molto protettivo nei tuoi confronti e difficilmente si farà scappare i tuoi spostamenti” disse Christine.
“E’ sempre stato molto protettivo ma, ultimamente, lo è diventato ancora di più. Non vorrei che ne avesse avuto per male quando gli ho detto che è appiccicoso e paranoico” disse Stephanie.
“Forse avresti potuto evitare di dirgli ciò: tiene molto a te. Pensa che, quando ti portammo a casa dall’ospedale, aveva spostato la culla accanto al nostro letto e rimaneva a guardarti finché non ti addormentavi. Poi, dopo che sei quasi annegata in quel laghetto, qualcosa in lui è cambiato. Non voleva che nessuno si avvicinasse a te, né ti toccasse. Era come se avesse costruito una campana di vetro intorno a te” spiegò Christine; poi fece un sospiro e, sorridendo, aggiunse: “Ma vedrai che sta bene e si farà sicuramente sentire. O lui, o quel suo amico”.
Dietro di lei comparve un portale, dal quale ne uscì Wong: “Parli del diavolo” disse Christine, voltandosi.
“Quale diavolo? Il diavolo si trova a Kamar-Taj e voi due dovete venire subito con me” disse Wong, indicando prima Stephanie e poi Christine. Questi domandò: “No, un momento, io cosa c’entro? Non ci sono nemmeno mai stata in questo posto”.
“Mamma, tranquilla: tu fai quello che ti diciamo noi. Cerca solo di rilassarti” cercò di rassicurarla Stephanie.
“Posso venire anche io?” chiese Irwin.
“Non credo tu possa essere d’aiuto, giovanotto” rispose Wong.
“Ha ragione, è meglio che rimani il più lontano possibile da mio padre. Te l’ho detto: meno ti vede e più sarai al sicuro” aggiunse Stephanie, guardandolo; poi guardò Wong che disse: “Presto, dobbiamo sbrigarci: vi spiegherò strada facendo” ed entrò nel portale. Stephanie guardò Christine e, dopo averle preso la mano, entrambe lo seguirono. Il portale si richiuse.
Irwin rimase lì: “Va bene, vi aspetterò qua…o a casa tua. Come preferisci” e si sedette ad uno dei tavolini del bar.
Wong, Stephanie e Christine comparvero nella foresta e, una volta che il portale si richiuse, Wong si incamminò, seguito dalle due donne. Stephanie gli fu a fianco, tempestandolo di domande: “Che cosa sta succedendo? Dove si trova papà? È da stamattina presto che non lo vedo e né si fa sentire. Ho provato a chiamalo un sacco di volte e mandargli messaggi sia scritti che vocali, ma non mi ha mai richiamato. Non è da lui e sono molto preoccupata. Sai qualcosa?”.
Wong non rispose, continuando a camminare a passo spedito; finché non si fermò. Stephanie aspettò che la madre l’affiancasse, per poi chiedere: “Prima, cosa hai voluto dire con il diavolo si trova a Kamar-Taj?”.
Wong le guardò con un’espressione piena di paura; riguardò avanti, mentre Stephanie e Christine si avvicinarono a lui. Rimasero a bocca aperta: davanti a loro si ergeva Kamar-Taj in rovina ed in fiamme.
“Andiamo” disse semplicemente Wong incamminandosi. Le due lo seguirono e, una volta entrati tra le mura distrutte, Stephanie domandò: “Che cosa è successo? Sembra che sia appena terminata una guerra”. Poi guardò Christine, aggiungendo: “Mi dispiace mamma, ma Kamar-Taj di solito non è così”.
“Dovranno mettere un’immagine diversa sui volantini se vogliono attirare i turisti” disse Christine.
“È stata solo una persona a causare tutto ciò” disse Wong.
“Chi?” chiese Stephanie, ma la risposta la ebbero, quando una figura, poco più in là, si voltò: si trattava di Stephen. Questi vestiva di abiti neri – anche il mantello e, sul suo volto, era presente un sorriso maligno. Ai suoi piedi giaceva un apprendista privo di vita, così come altri sparsi tra le macerie.
L’ex stregone supremo avanzò verso di loro e, mentre Stephanie e Christine si fermarono, Wong proseguì il cammino. I due furono uno di fronte all’altro e Stephen disse: “Bene, mio servitore: vedo che hai fatto ciò che ti avevo ordinato ed anche in breve tempo”.
“Mi aveva detto che mi avrebbe torturato molto lentamente se non avessi adempiuto al suo ordine” disse Wong, tenendo bassa la testa.
Stephen guardò Christine e Stephanie; poi riguardò Wong dicendo: “Molto bene, ora non mi servi più” e, con un colpo di mano, fece volare Wong da una parte.
“Zio Wong!” disse Stephanie e, stava per andare da lui, quando Stephen camminò verso di loro. Si fermò di fronte a Christine: “Christine, così bella e con la pelle delicata come la porcellana” le disse, accarezzandole una guancia con il dorso della mano; poi continuò: “Eppure, così sciocca ed egoista nell’andare con il primo che capita, incontrandolo in una lavanderia a gettoni. Non provavi pietà per me e tua figlia, che eravamo stati cancellati dalla faccia della terra? Hai fatto presto a consolarti”.
“Stephen, questo non sei tu che parli. Ti prego, ritorna in te. È solo il tuo odio che si manifesta” disse Christine.
Stephen fece un piccolo sorriso, per poi dire: “Credi veramente di farmi pietà?! Entrambe siete vive per una sola ragione: regnare al mio fianco come regina e principessa. Prima Kamar-Taj e poi gli altri santuari. Mostrerò a tutti il potere della dimensione oscura e metterò fine a chi oserà mettersi contro di me. Vi consiglio di fare le brave e forse vi risparmierò”.
“Stephen ti prego” disse Christine. Stephanie, con la punta dell’occhio, vide Wong riprendersi; riguardò il padre, quando chiese: “Allora, che cosa scegliete? Vivere o morire? Non mi sembra difficile per voi”.
Christine stava per replicare, quando Stephanie la interruppe: “Ho un piano migliore: e se andassi a prelevare personalmente gli stregoni degli altri santuari? Li costringerò a venire al cospetto del potente oscuro stregone supremo”.
Stephen fece un piccolo sorriso; si avvicinò a Stephanie e, dopo averle messo una mano sulla guancia, disse: “Ecco perché sei la mia prediletta: ragioni come me”. Poi volse lo sguardo verso Wong e, con uno scatto della mano, lo condusse verso di sé, dicendogli: “E, per fare in modo che non mi deluderai, lui verrà con te ma badate, avrete tempo fino al calar del sole. Se non riuscirete nell’intento, metterò fine alla vita di Christine e poi anche alle vostre” e guardò la donna in modo maligno.
Stephanie guardò la madre, che le disse: “Andate pure. Non vi preoccupate per me”. La ragazza annuì e, dopo che Wong le fu andato accanto, uscirono da Kamar-Taj. Stephen li guardò malamente, poi voltandosi si incamminò, ma con un cenno della mano, avvolse Christine con una forza invisibile, che la costrinse a seguirlo. La donna guardava con paura i corpi senza vita degli apprendisti e le tante macerie sparse che facevano da contorno a quella fortezza ormai distrutta. Quello non era Stephen, ma forse qualcosa di buono era ancora rimasto in lui.
“Ti prego, Stephanie, torna presto” sussurrò Christine ed una lacrima le rigò il viso.
Wong e Stephanie stavano camminando per la foresta. Poi la ragazza chiese: “Allora qual è il piano?”.
“Credevo ce l’avessi tu” disse Wong.
“Era solo un pretesto per non morire subito. Anche se, in fondo, credo che papà sia ancora presente. L’oscurità non si è ancora impossessata del tutto di lui” disse Stephanie.
“Quando è arrivato era furioso. Man mano che ha incominciato ad utilizzare la magia oscura, il suo vestito si è tinto degli stessi colori. Anche la cappa di levitazione non ha più controllo” disse Wong. Sospirò; poi aggiunse: “E, forse, so anche come è successo”.
In quel momento, Stephanie si portò una mano sulla testa e le venne in mente lei da piccola, che osservava il padre sollevato da una donna, la quale stava trasmettendo magia oscura in lui. Poi lei che creava una catena dorata, legando la gamba della donna, che lasciò cadere Stephen a terra. Sbattè gli occhi un paio di volte. Wong l’osservò, chiedendole: “Tutto bene?”.
“Ti sembrerà strano, ma ho appena visto me stessa da piccola che osservava papà trattenuto da una donna che gli passava l’energia oscura. È così che è diventato cattivo?” rispose, guardandolo.
“Non è strano: cosa ricordi dei due giorni appena passati?” le domandò.
“Non molto, se non me…da bambina e che utilizzavo la magia proprio come papà” rispose.
“E’ una storia un po' lunga, ma credo che sia tuo padre che debba raccontartela” disse Wong.
“Papà non è mai stato bravo a raccontare le storie: quando ero piccola, le mischiava sempre. Diceva che i sette nani erano andati a stare nella casa dei sette capretti e che i lupi di cappuccetto rosso e dei tre porcelli erano andati in pensione. Però mi piaceva” disse Stephanie. Wong fece un piccolo sorriso; poi la ragazza aggiunse: “Sarò sincera, non ho un piano vero e proprio. Ovviamente non andremo dagli altri stregoni, per convincerli a venire qua, ma ricordo di aver studiato qualcosa sugli dei tibetani. Ci deve essere qualcuno che può curare la magia oscura”.
Wong si fermò, così come Stephanie; poi disse: “Curare no, ma la può fermare tramite un oggetto. Seguimi, dobbiamo fare presto” e riprese il cammino, seguito da Stephanie.
Lasciarono Kamar-Taj e la foresta alle spalle, arrivando ai piedi di un sentiero che proseguiva fino in cima ad una montagna. Si fermarono.
“Ci siamo: il posto è questo” disse Wong. Stephanie si guardò a destra ed a sinistra, per poi riporre lo sguardo sullo stregone supremo: “Ma qua non c’è nulla”.
“Da qui inizia la nostra strada. Dovremmo arrivare fino in cima” disse Wong, indicando il sentiero.
“Bene: apriamo un portale e saltiamoci dentro” disse Stephanie.
“Non funziona così: per raggiungere un tempio sacro, bisogna percorrere il percorso con le proprie forze, per mostrare di essere degni al dio che si sta visitando” spiegò Wong.
“Ma ci impiegheremo tutto il pomeriggio: non ci arriveremo mai per il tramonto” disse Stephanie.
“Allora faremo meglio ad incamminarci” disse Wong, guardandola; poi spostò lo sguardo avanti e si incamminò. Stephanie sbuffò, per poi seguirlo.
Nel frattempo, a Kamar-taj, Stephen era entrato nel tempio, seguito da Christine, che si guardava intorno con paura. Poi si fermò davanti allo specchio riflettente: “Questo specchio mostra la parte oscura di ognuno di noi”. Fece un piccolo sorriso maligno ed aggiunse: “Be’, con me ci sta riuscendo”.
“Stephen, ti prego, ritorna in te. So che non sei diventato ancora del tutto oscuro” disse Christine.
“Tutti noi nascondiamo un lato oscuro, sai? Anche tu, mia cara Christine” disse Stephen e la guardò; la donna se ne stette in silenzio, mentre Stephen continuò: “Non ti ho mai perdonato per quella volta che nostra figlia è quasi morta in quel laghetto ghiacciato! Non avrei mai dovuto dartela, ma i servizi sociali volevano ciò e la legge era chiara!”.
“Mi dispiace e mi rendo conto di come ti sei sentito” disse Christine.
“No, invece! Nessuno ha mai capito quanto abbia sofferto! Mi hai quasi portato via la mia bambina e solamente perché l’hai persa di vista!” replicò Stephen, avanzando verso di lei, mentre nelle sue mani si formava magia nera.
“E’ storia passata ormai. Pensavo l’avessi superata” disse Christine.
“Stai zitta!” urlò, mollandole un forte schiaffo e facendola cadere a terra. Christine non fece in tempo ad allontanarsi, che Stephen si avvicinò a lei e, dopo averle preso il viso con una mano, la sollevò. Christine lo guardò con paura: i suoi occhi azzurri, erano oscurati da tutto quell’odio. Non emanavano più quella luce, ma solo oscurità.
Mise le mani sul suo polso, cercando di allentare la presa. Stephen ribatté: “Sai, forse più tardi potrei anche fare una visita al tuo caro Charles. Sarà in pensiero non trovandoti”.
“Lui non c’entra niente. Lascialo stare, ti prego” lo implorò Christine.
“Lo lascerò stare, se mi prometti di fare la brava e, soprattutto, se ti dimenticherai di lui e rimarrai sempre al mio fianco. Saremo di nuovo tutti e tre una famiglia” disse Stephen e sorrise malignamente.
Il sole stava piano piano calando. Stephanie e Wong continuavano a camminare lungo il sentiero: “Non pensavo fosse così ripido. Fermiamoci qui” disse Stephanie e si appoggiò contro una roccia.
“Ormai manca poco: non possiamo mollare proprio ora” disse Wong.
“Allora vai avanti tu. Io non sono abituata con i sentieri che vanno verso l’alto. Sono più per percorsi solamente in orizzontale” disse Stephanie.
“Non otterremo ciò che vogliamo, se andrò solo io. Servi tu” disse Wong. Stephanie lo guardò stranamente; si alzò e disse: “Non mi dire che…cioè…serve un sacrificio?”.
“Ma no, non viviamo mica all’età della pietra” disse Wong.
“Ma…insomma…” iniziò col dire Stephanie, ma dopo che Wong ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Ci sono certe religioni che venerano degli dei molto oscuri. Hai mai visto estrarre il cuore a qualcuno?”.
“Tuo padre ti fa guardare troppe robe strane. Una volta che sarà ritornato in sé, glielo dirò” disse Wong e, dopo aver ricominciato a camminare, aggiunse: “Coraggio, ancora un po' di strada e ci siamo”.
“Si vede che lui non avrà mai guardato un film di Indiana Jones” disse Stephanie e lo seguì.
Poco dopo, arrivarono in cima, dove trovarono un tempio, davanti al quale c’erano due statue di leoni. Mentre passavano accanto a loro, Stephanie li guardava: avevano un’aria solenne, ma allo stesso tempo anche minacciosa. Ricordava di aver letto qualcosa nei libri di arti mistiche, la loro funzione di tenere alla larga sia spiriti maligni, che persone malintenzionate.
Salirono le scale e, una volta alla soglia del tempio, Wong si fermò, facendo un inchino. Invitò Stephanie a fare lo stesso. Poi Wong si incamminò, affiancato dalla giovane Strange. Questi si guardava intorno meravigliata: “Non avrei mai immaginato di camminare in un tempio tibetano. Sì, l’ho già fatto a Kamar-Taj, ma è diverso”.
“La prima volta fa sempre questo effetto su tutti. A me capitò quando ero un bambino. Visitai il mio primo tempio con mia nonna” disse Wong.
“Ed è stato lì che hai capito che avresti voluto diventare uno stregone?” gli chiese.
“Sentivo che potevo aiutare le persone, ma facendole stare in armonia con il proprio spirito. Come pensava tuo padre, non siamo fatti solo di materia e l’Antico me l’ha fatto capire molto bene” rispose.
“Papà non era mai stato un tipo molto credente. Era più da scienza. Ma, dopo essere venuto qua, ha incominciato a vedere le cose sotto un altro aspetto, anche se non mi ha mai permesso di diventare un’apprendista. Mi piace studiare medicina e mi sono sentita bene quando ho salvato la vita a quel ragazzo alla festa. Papà era orgoglioso. Non lo avevo mai visto così felice. E dire che, poco prima, lo avevo persino drogato. È stato emozionante, ma sento che manca qualcosa in me. Come se non fossi perfetta” spiegò Stephanie.
“Nessuno lo è. Nemmeno tuo padre, ma non lo ammetterà mai” disse Wong.
Si fermarono davanti all’enorme statua dorata. Wong spiegò: “Stephanie, ti trovi al cospetto del dio Bhaisajyaguru: signore della medicina e del suo potere curativo”.
“Che coincidenza. Papà era un neurochirurgo; io aspiro a diventarne uno e tu mi porti dal signore della medicina. Dillo che lo avevi pensato fin dall’inizio” disse Stephanie.
“Non esattamente, ma era da un po' di tempo che volevo far vedere questo tempio a tuo padre, ma poi avevo paura che ripensasse alla sua vita prima che diventasse stregone supremo e cadesse in depressione” disse Wong.
Stephanie guardò meglio la statua, alla ricerca di qualcosa o di anche un piccolo indizio che potesse aiutarli; poi domandò: “Che cosa ci serve per far ritornare papà come prima?”.
“Bhaisajyaguru illumina gli esseri immersi nelle tenebre e riconduce sulla retta via coloro che si sono smarriti. Ma questi sono solo due dei dodici elementi che lo rappresentano. I suoi poteri sono incastonati in diverse pietre preziose presenti nel suo Palazzo Celeste” spiegò Wong.
“Il Palazzo Celeste?! E come ci arriviamo? Su una nuvola magica dorata?” disse stupita Stephanie, guardandolo. Wong la guardò stranamente. Stephanie riguardò la statua ed aggiunse: “Ah già, vero, papà mi fa guardare troppe robe strane, ma dovresti dare un occhio anche tu a certi cartoni animati. Insegnano parecchio su alcune culture in giro per il mondo”.
“Una leggenda narra che Bhaisajyaguru può donare una delle sue pietre, solo a colui – o colei – che ne è degno e che vuole usarla unitamente per scopo benefico. Se anche solo una delle sue pietre cade nelle mani sbagliate, può portare a terribili conseguenze” spiegò Wong.
“E come facciamo a farla comparire? È una statua costruita per adorarla. Non è un essere senziente” disse Stephanie.
“Ed è per questo che entri in gioco tu. Devi desiderarlo con tutto il cuore. Pensa a tuo padre; pensa al bene che gli vuoi e lui ne vuole a te. Solo i puri di cuore possono raggiungere la richiesta a Bhaisajyaguru” rispose Wong. Stephanie lo guardò in silenzio; poi riguardò la statua, inginocchiandosi di fronte ad essa. Socchiuse gli occhi e pensò a tutti i bei momenti passati insieme al suo papà.
 
Un ricordo fra tutti le ritornò in mente:
 
Stephanie, a quattro anni, stava correndo per il parco, andando su e giù per lo scivolo. Rideva, mentre Stephen l’osservava con occhio vigile, standosene seduto su una panchina. Di tanto in tanto, la bambina lo guardava, salutandolo, continuando a correre da tutte le parti. Stephen le sorrideva, quando sentì piangere. Si alzò, correndo verso la fonte e con la paura che fosse successo qualcosa alla figlia. Invece, si trattava di un bambino che era caduto dallo scivolo e si teneva dolorante un braccio. Stephanie era al suo fianco, così come anche la madre, che cercava di consolarlo, ma con scarsi risultati.
Intervenne Stephanie: “Il mio papà è il miglior neurochirurgo che esista” iniziò a dire con orgoglio; poi aggiunse: “Può guarirlo lui. Vero, papi?”.
Normalmente, Stephen non prendeva mai in considerazione quei tipi di casi, ma come faceva a dire di no alla figlia? Sorridendole disse: “Cucciola, tu sarai la mia assistente speciale” e le mise una mano sulla testa. Poi guardò la madre: “Lei, invece, si faccia da parte”.
“Ma mio figlio…” iniziò col dire la donna, ma Stephen la interruppe: “Le ho detto: si faccia da parte e lasci il posto alla mia bambina! Sarà lei ad aiutarmi e nessun altro”. Stava già perdendo la pazienza. Odiava ripetersi ed odiava quelle persone. Ma, cercò di restare calmo per sua figlia.
La donna si spostò, lasciando il posto a Stephanie. Stephen le disse: “Tesoro, devi cercare di farlo stare a suo agio, mentre io guardo cosa possa avere”.
Stephanie guardò il bambino: “Io mi chiamo Stephanie e lui è il mio papà, il Dottor Stephen Strange. Oggi è la prima volta che lo assisto. Vedrai che ti farà stare bene. Lui, tutti i giorni, salva le vite di tantissime persone. È il migliore che c’è. Anche la mia mamma è una dottoressa come lui”.
Mentre Stephanie lo distraeva, Stephen aveva potuto capire cosa avesse il bambino. La madre gli domandò: “Allora, che cos’ha?”.
“Ha una spalla fuori posto. Devo rimettergliela dentro. Non lo nego: sarà molto doloroso, quindi chi è molto sensibile, può anche andarsene”. Alcuni se ne andarono; altri rimasero, ovviamente anche la madre che, stava per aprire la bocca, ma Stephen, guardando la figlia, la interruppe nuovamente: “Cucciola, continua a tenerlo a suo agio”.
“Va bene, papino” disse Stephanie, guardandolo; poi riguardò il bambino, riprendendo a parlargli. Stephen ne approfittò per prendergli il braccio e, in uno strattone veloce, glielo rimise a posto. Il bambino urlò, ma fu un istante.
“Ecco fatto: ora dovete portarlo in ospedale dove faranno il resto” disse Stephen, rialzandosi.
“Visto, che ti avevo detto: il mio papà è il migliore. Lui aggiusta tutti” disse Stephanie. Stephen le porse la mano e lei, prendendogliela, si alzò, mettendosi al suo fianco.
“Grazie ancora” disse la madre.
“Non ringrazi me, ma mia figlia: se non me lo avesse chiesto, non mi sarei nemmeno prodigato ad aiutare suo figlio. Non sono casi che mi riguardano” disse Stephen e, senza neanche salutare, se ne andò con Stephanie.
Mentre camminavano fianco a fianco, Stephanie guardò il padre: “Papino”.
“Dimmi, cucciola” le disse, guardandola a sua volta.
“Da grande voglio diventare proprio come te. Oggi mi è piaciuto aiutare quel bambino e, sono sicura, che anche io salverò tante vite” disse Stephanie.
Stephen si fermò; la prese in braccio, dicendole: “Ed io, sono convinto che diventerai la migliore neurochirurga che esista. Insieme, ci occuperemo dei casi più difficili e tutti vorranno venire da noi per essere operati. Io e te sempre insieme” e, dopo averla baciata su una guancia, la strinse forte a sé.
“Ti voglio tanto bene, papino” disse Stephanie, appoggiando la testa contro il suo petto.
“Anche io cucciola. Te ne vorrò sempre” le disse.
“Ci sarai sempre per me?” gli domandò, guardandolo. Stephen la guardò a sua volta, sorridendole: “Sempre. Promesso”.

 
Stephanie aprì gli occhi. Videro qualcosa brillare nella statua. La ragazza si alzò, avvicinandosi ad essa. Al centro era comparsa una pietra. La prese delicatamente, per poi allontanarsi; guardò la statua e poi la pietra: era azzurra e quasi ovale. Si voltò verso Wong: “E’ turchese. Secondo la credenza rappresenta l’ascensione e la purezza. Inoltre calma l’animo, trasformando l’ira in saggezza” spiegò.
“Speriamo solo che funzioni” disse Stephanie.
“C’è solo un modo per scoprirlo” disse Wong.
Uscirono dal tempio. Videro il sole che era in procinto di tramontare. Wong si voltò, aprendo un portale: “Come mai ora puoi farlo?” gli domandò.
“E’ solo la salita il passo più grande. La discesa, invece…” rispose Wong. Senza dire nulla, la ragazza oltrepassò il portale, seguita dallo stregone supremo. Una volta dall’altra parte, il portale si richiuse. Si ritrovarono alle mura di Kamar-Taj. Stephanie fece un lungo respiro, incamminandosi. Wong la seguì.
Stephen, insieme a Christine, si trovava in cima al tempio: “Il sole è quasi tramontato”. Poi guardò in basso, per vedere Stephanie e Wong camminare verso di loro. Sorrise malignamente, librandosi in volo, seguito da Christine, con la quale teneva intrappolata con la forza invisibile.
Atterrarono nel cortile: “Bene, vedo che siete ritornati come richiesto. Sapevo che non mi avresti deluso, mia prediletta” le disse.
“Papà, ti prego, ritorna in te: so che ce la puoi fare. Tu sei lo stregone supremo, padrone delle arti mistiche. Sconfiggi l’oscurità che è in te. Lascia il passato alle spalle. So che fa male, ma non puoi continuare a vivere nel rimorso” disse Stephanie.
Stephen fece un piccolo sorriso, per poi dire: “Tu e tua madre siete uguali: parlate per cercare di intenerire qualcuno e portarlo dalla vostra parte. Credevo di averti insegnato diversamente, invece mi rendo conto di aver solo sprecato il mio tempo. Ma non temere, rimedierò subito: una volta fatto fuori chi mi intralcia, tu ed io formeremo un nuovo impero e tu sarai mia per sempre”.
Wong si lanciò all’attacco, ma Stephen, scaturendo fiamme nere dalle mani, lo scaraventò via. Christine cercò di liberarsi, dandogli dei pugni dietro la schiena. Stephen si voltò e, con una mano, creò un forte vento, che la fece cadere più in là. Wong ritornò all’attacco ed i due iniziarono a scontrarsi, lanciandosi vari incantesimi.
Stephanie ne approfittò per correre dalla madre. Mentre l’aiutava a rialzarsi, disse: “Papà è fuori controllo: non l’ho mai visto così”.
“Quello non è Stephen, non almeno come lo conosciamo noi. È solo un uomo pieno di malvagità e rabbia repressa, che gli ha scaturito tutto questo”. Si guardarono intorno, vedendo gli apprendisti morti e le macerie; poi aggiunse: “Stephen non avrebbe mai causato morte e distruzione. Bisogna fermarlo prima che possa andare oltre”.
Stephanie aprì la mano, osservando la pietra. Anche Christine la guardò: “Non so se possa funzionare, ma è l’unico modo che abbiamo” disse Stephanie e lei e la madre si guardarono. Poi Christine mise una mano su quella della figlia, dicendole: “Stai attenta, tesoro”.
“Riporterò papà tra noi” disse Stephanie, sorridendole, per poi correre verso i due che stavano ancora combattendo.
Wong venne scaraventato a terra. Cercò di rialzarsi, ma Stephen gli diede un calcio in viso, facendolo rotolare. Lo stregone supremo era pieno di ferite e sangue. Vide Strange fermarsi di fronte a lui, per poi dire: “E’ finita. Mi dispiace solo non potermi divertire ancora. Ti credevo più forte. E dire che ti hanno fatto stregone supremo”.
“Ti rode non esserlo ancora, vero?” disse Wong, quando venne sollevato a mezz’aria da una forza oscura. Stephen disse: “E’ qui che ti sbagli: ti ucciderò, così diventerò nuovamente io lo stregone supremo. E farò in modo che nessuno si ricordi di te” e, in una mano, formò una fiamma nera. Era pronto a colpire Wong, quando…
“Fermati!” disse una voce. Stephen volse lo sguardo: si trattava di Stephanie. Lasciò cadere Wong e, mentre camminava verso la ragazza, chiese: “Non vorrai veramente metterti contro il tuo caro papà? Voltarmi così le spalle, dopo tutto quello che ho fatto per te?”.
“Tu non sei il mio papà. Il mio papà è lì dentro, che sta combattendo contro i demoni del suo passato ed io voglio aiutarlo” disse Stephanie, indietreggiando.
“Non sai quello che dici. Vieni con me ed insieme costruiremo un impero tutto nostro, dove nessuno potrà fermarci. E ti insegnerò ad usare le arti mistiche” disse Stephen.
Sentendo ciò, Stephanie si fermò. Wong cercò di alzarsi, non riuscendoci; per poi gridare: “Stephanie, non starlo ad ascoltare! Vuole solo condurti dalla sua parte!”.
La ragazza lo guardò con la coda dell’occhio, per poi riporre lo sguardo sul padre, che disse: “Non era ciò che volevi fin dal principio? Il tuo caro papà te lo ha sempre impedito. Per lui esisteva solamente la medicina e volevi che diventassi la migliore in tutto. Non ti sei mai sentita soffocata dalla sua protezione? Io, invece, posso donarti la libertà. Darti la possibilità di fare tutto ciò che vorrai. Una ragazza come te non dovrebbe vivere sotto una campana di vetro. Coraggio, ti basta solo fare qualche passo e la tua vita cambierà per sempre” e le mostrò una mano.
Stephanie fu indecisa, quando Christine le disse: “Non farlo, Stephanie! Ascolta solamente il tuo cuore”.
“Il cuore” sussurrò Stephanie. Poi chiuse gli occhi, così come le mani, portandole al petto. Sentì i battiti del suo cuore, mentre ripensava a tutti i momenti con il suo papà, proprio come aveva fatto precedentemente al tempio di Bhaisajyaguru. Li riaprì. Si avvicinò a Stephen, prendendogli la mano, mentre lui sorrise malignamente. Poi però la ragazza disse: “Io ascolto il mio cuore. Ora devi farlo anche tu”.
Stephen inarcò un sopracciglio, ma abbassò lo sguardo quando capì cosa voleva fare Stephanie: questi aprì la mano, per poi mettere la pietra turchese dentro l’Occhio di Agamotto. L’oggetto iniziò a girare, inglobando la pietra dentro di sé.
“No!” gridò Stephen, cercando di togliere la pietra dall’amuleto, ma con scarsi risultati. Poi guardò malamente Stephanie, che indietreggiò, replicando: “Stolta ragazzina! Vorrà dire che ucciderò prima te e poi anche gli altri!” e, nelle sue mani, si formarono due fiamme nere.
Stephanie guardò Wong, chiedendogli: “Perché non ha funzionato? Quella pietra doveva fare qualcosa!”.
“Si attiverà solamente se verrà riempita con energia positiva. Ma deve provenire dal possessore dell’oggetto in cui è incastonata” spiegò Wong.
“Cioè da papà?! E come ci riesco?!” domandò Stephanie, ma non fece in tempo a ricevere risposta, che dovette schivare un raggio nero. Corse, nascondendosi dietro ad una roccia.
“Non scappare da me, ragazzina! Se sei veramente una Strange, dovresti avere fegato e combattere!” urlò Stephen.
“Non voglio combattere contro di te! Sei pur sempre il mio papà!” replicò Stephanie.
“Allora sei solamente una codarda!” ribatté Stephen. Sentendo ciò, Stephanie uscì da dietro la roccia; poi replicò: “Io non sono una codarda! E non lo è nemmeno il mio papà! E per ciò, gli dico di combattere con tutte le sue forze e cercare di sconfiggere il male”.
“Non servirà a nulla! Il tuo papà ormai è morto!” ribatté Stephen. Gli occhi di Stephanie divennero lucidi; camminò verso di lui, dicendo: “Un giorno, una persona mi disse che ci sarebbe stato sempre per me e che, insieme, ci saremmo occupati dei casi più difficili e che tutti sarebbero venuti da noi per essere operati. Non voglio perdere quella persona e, sono sicura, che anche per lui sia lo stesso” Gli si fermò di fronte, per poi abbracciarlo.
Christine e Wong rimasero in silenzio; le fiamme nelle mani di Stephen scomparvero e, anche lui, l’abbracciò, appoggiando la testa sopra quella della figlia. Poi disse: “Cucciola mia” e una lacrima gli rigò il viso.
Una forte luce provenne dall’Occhio di Agamotto: lo guardarono. Si trattava della pietra e stava brillando. La luce avvolse Stephen e, una volta dissolta, rimasero in silenzio.
“Papà” disse Stephanie. Stephen la guardò: mise le mani sulle sue guance, stringendola di nuovo a sé. Christine fece qualche passo verso di loro, così come Wong. Poi Stephen si guardò intorno, dicendo: “Che cosa ho fatto? Non volevo. Oddio, mi dispiace. Mi dispiace tanto”.
“Papà, non eri in te. Stai tranquillo. Ora è tutto passato” disse Stephanie. Stephen si osservò l’Occhio di Agamotto e la nuova pietra che stava brillando. Poi alzò lo sguardo verso Christine e Wong; si avvicinò a loro. Li vide con graffi ed espressioni pieni di paura, per poi notare una guancia rossa sul volto di Christine. Quindi disse: “Non dirmi che sono stato io”.
“Come ha appena detto Stephanie, non eri in te” disse Christine.
“Christine mi dispiace tanto. Non volevo farti del male. Sai che non te ne avrei mai fatto” disse Stephen con gli occhi lucidi.
“Non importa. Ora stai bene. Stiamo tutto bene, anche se mi sarei immaginata un’accoglienza diversa qua nel vostro posto di arti mistiche” disse Christine, facendo un piccolo sorriso. Anche Stephen sorrise, per poi mettere un braccio intorno Stephanie.
“Oggi ho capito che non dobbiamo mai farti arrabbiare. Hai quasi distrutto del tutto Kamar-Taj: ce ne vorrà di tempo per rimetterla a posto” disse Wong.
“Non è solo quello: ho anche commesso delle uccisioni e non si può rimediare a ciò” disse Stephen.
“Verranno onorati e dato loro una degna sepoltura. Ma ora bisogna occuparci dei feriti” disse Wong e, stava per andare da chi era rimasto, quando Christine propose: “Potrei venire anche io? Sarei d’aiuto”.
“Certo” disse semplicemente Wong e si incamminò. Christine stava per seguirlo, ma si voltò verso Stephen e Stephanie. Andò prima dalla figlia: “Sei stata molto coraggiosa, ma non farmi venire più una paura simile”.
“Ci proverò” disse Stephanie, sorridendole.
Christine guardò Stephen: “E’ colpa mia se hai dovuto avere dentro di sé così tanta rabbia repressa. Hai ragione: non so come ti sei sentito quando hai visto Stephanie su quella barella, dopo che era caduta nel laghetto ghiacciato. Ma nemmeno io mi sarei mai perdonata se nostra figlia sarebbe morta. Sono contenta di come l’hai cresciuta e ti stai occupando di lei, ma mi dispiace se non potremo stare insieme”.
“Non posso impedirti di costruirti la tua nuova vita. Vorrà dire che cercherò di conoscere meglio Charles” disse Stephen. Christine gli sorrise, mettendogli una mano sulla guancia. Poi si voltò e seguì Wong.
“Mi dispiace se ti ho spaventata. Non ti ho minacciato di ucciderti, vero?” domandò Stephen.
“Dopo che ti ho messo la pietra nell’Occhio di Agamotto, sì. Prima volevi che venissi con te per costruire un nuovo impero con la magia oscura. Eri davvero cambiato, ma sapevo che c’eri ancora tu dentro a tutta quella oscurità” gli rispose.
“Come ci sei riuscita? Intendo…come ci sei riuscita a far attivare questa nuova pietra?” chiese.
“Sei stato tu” rispose. Stephen la guardò; poi continuò: “Ho pensato a tutti i bei momenti che abbiamo passato, ma uno mi è parso davanti fra tutti: la prima volta che mi hai fatto assistere ad una tua operazione. È stato lì che ho capito che volevo diventare una neurochirurga come te”.
Stephen abbassò lo sguardo: aveva gli occhi lucidi, ma non voleva farsi vedere piangere davanti a Stephanie; poi lo rialzò, quando gli domandò: “E tu, come sei ritornato in te, se escludiamo la pietra? Wong mi aveva detto che, per attivarla, il suo possessore dove riempirla di energia positiva”.
“Quando mi hai detto che ci sarei sempre stato per te. Non ho mai dimenticato la promessa che feci quel giorno. Non ti abbandonerò mai. Qualunque cosa accada, io sarò sempre al tuo fianco” rispose e la strinse nuovamente contro di sé.
Stephanie era contenta di riavere il suo papà e ringraziò il dio Bhaisajyaguru per averla aiutata. Ma se davvero il ricordo più significativo per lei era stato quando aveva capito che voleva diventare una neurochirurga, allora la sua strada era davvero già stata segnata?.







Note dell'autrice: Eccomi qua e scusatemi per il capitolo lungo. Vi è piaciuto questo Doctor Strange oscuro? (che non è il sinister strange) Vi avevo avvertito che sarebbe stato molto malvagio e molto potente. Così mi è venuta in mente l'idea di mettere nuovamente una pietra all'interno dell'occhio di agamotto (ovviamente mi sono andata ad informare in giro per la rete sia per i vari dei tibetani (ed il loro significato) e le pietre tibetane (ed il loro significato)
Ok, Stephen è ancora innamorato di Christine, ma l'amore che prova per Stephanie è ancora più forte. E' un amore diverso: è l'amore di un padre e solo Stephanie (per me) poteva farlo ritornare in sè.
Volevo ringraziare enormemente tutti per le bellissime recensioni, in special modo Jarmione e Rainbow unicorn. Grazie ancora per le recensioni e non vi preoccupate se siete in ritardo a recensire: c'è tutto il tempo.
Grazie anche a tutti coloro che passano di qua o che hanno messo la storia tra le preferite e seguite
Grazie anche alla mia amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo (nel quale compariranno alcuni personaggi a voi molto noti. Dopotutto siamo prima di spider man no way home, quindi....)
Vi auguro un buon proseguimento di giornata
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 
 
 

 

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Capitolo 13
*** Tre ospiti indesiderati ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XIII: Tre ospiti indesiderati


 
Scuola finita; un nuovo amore ed il nemico sconfitto. Peter Parker si poteva ritenere un ragazzo fortunato, se non che, il suddetto nemico, prima di morire, aveva rivelato a tutti la sua identità come Spider Man.
Era oro per J.Jonah Jameson, editore e caporedattore del Daily Bugle, che aveva sempre ritenuto Spider Man una minaccia e, ora, poteva mettergli contro qualsiasi cosa.
Per Peter la vita era rovinata. Non che fosse stata semplice nemmeno prima, ma ora tutti gli stavano addosso, non lasciandolo nemmeno stare a casa. Si sentiva in colpa per sua zia May, così come per i suoi amici, Mj e Ned. Non avrebbe mai voluto tutto questo.
Inoltre era tempo di trovare un’università per continuare gli studi, ma sembrava che tutte le loro domande venissero rigettate.
Peter non voleva che anche i suoi amici subissero per causa sua, ma loro insistevano perché restassero sempre uniti e facessero tutto insieme. Dopotutto, Ned gli era sempre stato accanto, aiutandolo anche nel suo ruolo di Spider Man. Una spalla sopra cui piangere e sfogarsi o, semplicemente, passare i pomeriggi a costruire con i lego la Morte Nera.
E poi Mj, la ragazza della quale si era innamorato, ma che non era mai riuscito a dichiararle il suo amore, fino a quando non erano andati all’estero con la scuola e tutto era cambiato. Ora, non solo erano fidanzati, ma era a conoscenza della vera identità del ragazzo.
Per questi motivi Peter si sentiva colpevole. Sua zia May gli aveva proposto di andare a visitare alcune università e farsi un’idea più precisa su quale scegliere e, anche se il nipote le aveva detto che parecchie domande già fatte non erano state accolte, lei aveva insistito perché continuassero a provare.
“Non è da un Parker mollare” gli aveva detto.
Così un giorno, Peter, Ned ed Mj decisero di andare a visitare la New York University.  I corridoi pullulavano di tanti studenti e i tre facevano fatica a districarsi tra loro.
“Forse sarebbe meglio se chiedessimo a qualcuno dove poter andare. Stiamo girando da un quarto d’ora e non abbiamo risolto nulla” propose Ned.
“Forse faremmo meglio ad andarcene: stiamo sprecando solo del tempo” aggiunse Mj.
“Ragazzi un po' di fiducia: vedremo che troveremo qualcuno” disse Peter, guardandoli ma, appena volse lo sguardo, andò a sbattere contro un ragazzo. Quindi gli disse: “Mi dispiace, scusami. Non volevo. Non stavo guardando” si scusò subito Peter.
“Non fa niente. Tranquillo” disse il ragazzo, abbassandosi per raccogliere i libri caduti a terra causa con lo scontro. Peter si abbassò, aiutandolo e, una volta rialzatosi, il ragazzo domandò: “Siete nuovi di qui? Non vi ho mai visti”.
“Io sono Peter e loro sono Ned ed Mj” rispose presentandosi; poi aggiunse: “Stiamo cercando un’università che potrebbe fare per noi e, quindi, abbiamo pensato di visitarne qualcuna. Solo che non sappiamo dove incominciare e, poi, non volevamo disturbare nessuno”.
“In verità ci siamo persi, ma lui non lo vuole ammettere” disse Mj. Peter la guardò, ma rivoltò lo sguardo, quando il ragazzo disse: “Se volete vi posso aiutare io”.
“Oh, grazie: ci farebbe molto piacere” disse Ned e così si incamminarono per i corridoi. Poi il ragazzo disse: “A proposito, mi chiamo Irwin”.
“Irwin, grazie davvero per quello che stai facendo. A quest’ora avremmo continuato a vagare senza una meta” disse Peter.
“E’ una cosa normale quando non si è del posto. Comunque vi sto portando da una persona che vi potrà aiutare per davvero” disse Irwin e, poco dopo, si fermarono all’entrata di un’aula. Era pieno di studenti ed il professore stava spiegando. Peter guardò di sfuggita la lavagna, per poi dire: “A giudicare da quello che c’è scritto, sembrerebbe un corso di medicina”.
“Infatti lo è: la persona che vi potrebbe aiutare diventerà la migliore neurochirurga che esista” disse Irwin, facendo un piccolo sorriso.
“Sento già puzza di vanto” disse Mj.
La lezione finì e, uno dopo l’altro, gli studenti uscirono dall’aula e, quando fu il turno della ragazza in questione, Irwin la fermò: “Ehi, Stephanie: hai un minuto?”.
“Irwin lo sai benissimo che, finito le lezioni, devo tornare subito a casa. E, sai anche che, in questo periodo, mio padre ha pochissima pazienza” disse Stephanie, voltandosi verso di lui e, accorgendosi solo in quel momento, degli altri tre ragazzi.
“In verità ha sempre avuto pochissima pazienza… Comunque mi chiedevo, se potevi aiutare loro tre. Sono Peter, Ned ed Mj. Sono qua in visita e stanno cercando un’università adatta a loro” spiegò Irwin.
Peter stava per aprire bocca, ma fu Ned a parlare al posto suo e mettendosi davanti agli amici: “Ehi, ciao dolcezza. Ma lo sai che sei proprio bella?”.
“Primo: siete all’asilo o cosa? Venite qua, senza sapere dove andare e chiedete al primo che incontrate? Siete fortunati che Irwin fosse stato nei paraggi. Qua non gira molto gente a posto” iniziò col dire Stephanie.
“Come se lo fosse anche lei” disse Mj. Stephanie la guardò: “Secondo: devo andare subito a casa o mio padre incomincerà a tempestarmi di telefonate e domande e voi mi state facendo perdere tempo” Spostò lo sguardo su Ned, finendo: “E terzo: non mi chiamare mai più dolcezza!” e, voltandosi si incamminò.
“Visto, l’hai fatta arrabbiare! Ma come ti è saltato in mente di dirle quella frase?” replicò Peter, guardando Ned, che disse: “Ma è davvero bella. E poi pensavo di far colpo su di lei”.
“Quella ha un caratteraccio. Figurati se andrebbe con uno come te” disse Mj.
“Cavoli, assomiglia molto ad uno che conosco: il Dottor Strange ha lo stesso carattere” disse Peter. Sentendo ciò, Stephanie si fermò, voltandosi nuovamente verso di loro e domandando: “Conosci mio padre?”.
“Come?! Il Dottor Strange ha una figlia?! Ma non l’ha mai detto?!” disse stupito Peter.
“E quando è che avrebbe dovuto dirtelo?” chiese Stephanie.
“Emmm…non me l’ha detto direttamente: l’ho sentito dire da qualcuno che lo diceva a Ned. Vero Ned?” rispose titubante Peter, dando una leggera gomitata all’amico, che disse: “Sì…sì…e poi sono un suo grande fan. Con tutte quelle strane magie che fa”.
Stephanie fece un piccolo sorriso beffardo, per poi dire: “Ok. Allora, visto che, in questo momento, ho qualche minuto libero, vi farò fare un piccolo tour della scuola”.
“Ma tuo padre…” iniziò col dire Irwin. Stephanie lo bloccò: “Non credo si arrabbierà se tarderò un paio di minuti”.
“Lo sai benissimo anche tu che non puoi mostrare un’università grande come questa in un paio di minuti” disse Irwin.
“Chi ha detto che mostrerò loro tutta l’università?” chiese Stephanie, guardandolo e facendo un piccolo sorriso.
“Stephanie ho capito dove vuoi andare a parare, ma sappilo che ci sono tanti altri corsi interessanti oltre a medicina” rispose Irwin.
“Gli altri corsi sono noiosi” disse Stephanie; poi guardò i tre ed aggiunse: “Coraggio, seguitemi: non ho tutto il pomeriggio da perdere” e si incamminò. I tre, quattro con Irwin, la seguirono.
Mentre Stephanie mostrava loro le varie classi e ambienti, di tanto in tanto Ned cercava di affiancarsi a lei ed iniziare un discorso, ma ricevendo solamente occhiatacce.
 Poco dopo Stephanie si fermò: “Bene. Il tour finisce qui”. Mj guardò l’orologio al polso: “Wow, è stato il tour più corto a cui abbia mai partecipato: meno di cinque minuti. È un record”.
“Spero tu non fossi ironica” disse Stephanie guardandola.
“Invece lo ero eccome” disse Mj e Stephanie la guardò malamente.
“Grazie per tutto. Ci siamo fatti, più o meno, un’idea di questa università, anche se avrei preferito vedere gli altri corsi. Cioè medicina è passabile, ma non credo sia la migliore” disse Peter.
“Senti ragazzino, mi hai scambiato per una guida turistica? Qualche giorno fa, mio padre mi ha quasi uccisa e, se ora non avesse una pietra che lo tiene sano di mente, voi non sareste nemmeno qua in questo momento. Nessuno sarebbe qua. Quindi ritenetevi fortunati, come vi ho detto prima, di essere incappati in Irwin e che stia cercando di trattenere la mia pazienza con persone che conosco da neanche cinque minuti. Quando anche voi andrete all’università, vi renderete conto che non si tratta affatto di una passeggiata” replicò Stephanie e, voltandosi, si incamminò.
“Non ci ha nemmeno salutati” disse tristemente Ned.
Irwin la raggiunse velocemente: “Stephanie, non credi di essere stata un po' scortese con loro? Alla fin fine, bisogna fare bella figura, no? E, se vuoi veramente incentivarli ad iscriversi a medicina, forse sarebbe il caso di trattarli meglio”.
Stephanie si fermò; sbuffò e, rivoltandosi, camminò verso i tre: “Vi andrebbe una pizza stasera? A casa mia, al Sanctum Sanctorum. Per le otto, se vi va bene”.
“Certo che ci va bene. Veniamo di sicuro” disse Ned.
“Come mai tutto questo improvviso cambiamento? Non è che, magari, è tutta una trappola e, in verità, non dirai nulla a tuo padre di averci invitato così lui ci fulminerà con lo sguardo?” chiese Mj.
“Non hai mai fulminato nessuno con lo sguardo: al massimo potrebbe incenerirvi con qualche incantesimo. Ma non vi preoccupate: lo avvertirò. Dopotutto, non vuole avere ospiti indesiderati in casa sua, ma non penso dica di no per una pizza” rispose Stephanie. I tre rimasero in silenzio; poi la ragazza aggiunse: “Allora ci vediamo stasera. Mi raccomando: siate puntuali. Mio padre odia i ritardatari” e, voltandosi, se ne andò.
“È stato un piacere conoscervi: spero decidiate di iscrivervi qua” disse Irwin.
“Ma tu non vieni?” chiese Peter.
“Il Doctor Strange mi detesta, quindi meno mi vede e meglio è. E, poi, non voglio finire presto la mia vita” rispose Irwin e, stava per andarsene, quando Peter gli domandò: “E come mai dovrebbe detestarti?” Irwin si voltò, rispondendogli: “Perché una volta ho quasi ucciso sua figlia”. I tre si guardarono preoccupati. Il ragazzo li salutò per poi congedarsi.
“Wow ragazzi, ma ci pensate: conosceremo finalmente il Doctor Strange. Cioè…tu Peter già lo conosci, ma noi lo vedremo dal vivo. E vedremo anche il Sanctum Sanctorum: lì dentro ci sono un sacco di cose strafighe” disse entusiasta Ned.
“In verità non vedo il perché tu debba essere così eccitato nell’incontrare una persona che, molto probabilmente ci odierà dal primo momento che ci vedrà” disse Mj.
“Non essere così pessimista e, poi, non dimentichiamoci che c’è quello splendore di Stephanie: non vedo l’ora di rivederla” disse Ned.
“Non montarti troppo la testa per lei e, poi, secondo me non dirà nemmeno a suo padre che ci ha invitati. Quella ci odia” disse Mj.
“Potrebbe odiare voi due, ma con me ha fatto gli occhi dolci” disse Ned.
“Sicuro che stessimo guardando tutti e tre la stessa persona? Ogni volta che provavi ad avvicinarti a lei, ti cacciava indietro dandoti semplicemente delle occhiatacce. E tu quelli li chiami occhi dolci? Ned, non darti delle false speranze” disse Mj, mettendogli una mano sulla spalla.
Venne sera e Peter, Ned ed Mj si trovavano davanti al Sanctum Sanctorum: “Ok, chi bussa?” domandò Ned.
“Dovresti essere tu, visto che adori quella ragazza” rispose Mj.
“Perché non bussa Peter? Dopotutto, lui il Doctor Strange lo conosce già” disse Ned ed i due guardarono l’amico. Questi sospirò e si avvicinò al portone, bussando. Mentre aspettavano, Mj guardò la scatola di cioccolatini a forma di cuore che teneva Ned: “E’ un regalo sprecato”.
“Li adorerà e, poi, a tutte le ragazze piacciono i cioccolatini” disse Ned.
“Magari potrebbe essere allergica” disse Mj. Ned la guardò in modo preoccupato, ma riguardò avanti quando il portone si aprì. Davanti a loro c’era Doctor Strange. Li guardò stranamente, puntando lo sguardo su Peter: “Parker?! Che cosa ci fai qua?”.
“Siamo venuti per la cena” rispose Peter.
“Cena? Quale cena?” chiese stupito Stephen.
“Visto, ve l’avevo detto: sua figlia ci odia e non gli ha detto nulla” disse Mj.
Stephen li guardò malamente; poi guardò dentro urlando: “Stephanie! Vieni subito qui!” e riguardò i ragazzi. Peter deglutì per la paura, mentre Ned cercò di nascondere la scatola di cioccolatini. Mj, invece, non sembrava per nulla preoccupata.
Stephanie arrivò accanto al padre, domandandogli: “Che cosa c’è? Stavo studiando”. Stephen guardò avanti e la ragazza capì vedendo i tre; quindi disse: “Oh, siete voi”.
“Come mai quell’aria così sorpresa? Oh, aspetta, forse non sei proprio del tutto sorpresa. Indovino: non hai detto a tuo padre della cena?” disse Mj.
“Che sbadata: deve essermi andato via dalla testa. Ma rimedio subito” disse Stephanie. Guardò il padre: “Si fermeranno per una pizza. Intanto so che tu non dici mai di no per una pizza”.
“Con Parker il mio è un no netto!” replicò Stephen, guardandola.
“Oh, andiamo cosa ti costa? Facciamo così: rimarrai lì con noi ad osservarci, così se magari qualcuno fa qualcosa che non va, sei libero di intervenire. E poi lo sai che devi cercare di rilassarti: ricordati cosa ha detto lo zio Wong” disse Stephanie.
“Non sono un bambino che mi devi ripetere le regole!” ribatté Stephen. Peter, Mj e Ned videro la sua pietra brillare.
“Papà rilassati, su. Respiri profondi” disse Stephanie, mettendogli le mani sulle spalle. Stephen respirò, finché la pietra smise di brillare. Poi guardò i ragazzi: “Solo fino a cena! Poi sparirete subito dalla mia vista!” e rientrò. Stephanie si fece da parte, facendo entrare i tre e chiudendo la porta.
Si guardarono intorno meravigliati e Ned disse: “Tieni, questi sono per te” e le allungò la scatola di cioccolatini. Sentendo ciò, Stephen si fermò, ritornando velocemente da loro.
“Emmm…grazie, ma non dovevi” disse Stephanie e, stava per prendere la scatola, quando fu Stephen a prenderla al posto suo e dire: “Infatti non dovevi proprio”; poi guardò Ned, malamente aggiungendo: “Chi ti ha dato il diritto di portare un regalo a mia figlia?”.
“Ecco…signore…cioè…Dottore…pensavo fosse un bel gesto” disse, con paura, Ned.
“Non dovevi neanche pensarlo, ragazzino. Se volevi fare colpo su di lei, hai sbagliato fin dal principio!” replicò Stephen; poi guardò Stephanie: “Stai alla larga da lui!” e si diresse su per le scale.
“Stai tranquillo, non ti ucciderà. Non per il momento” disse Stephanie e lo seguì.
Ned stava ansimando e sudando. Peter ed Mj si avvicinarono a lui: “Tutto bene?” gli chiese Peter.
“Mi è appena passata tutta la mia vita davanti” rispose Ned.
“L’ho detto: quella là ci vuole morti” disse Mj.
Poco dopo, si trovavano nel salottino a mangiare la pizza. Stephen andava avanti ed indietro portando costantemente dei grossi libri e Ned si era premurato di sedersi lontano da Stephanie.
“Quel tuo amico ci ha detto che diventerai una bravissima neurochirurga” disse Mj.
“E’ quello che spero” disse Stephanie.
“Non ne sembri molto sicura” disse Mj.
“Devo” disse semplicemente Stephanie.
“Non può importelo lui” disse Mj. Tutti e quattro sobbalzarono, quando Stephen depositò con forza altri libri sulla tavola. Lo guardarono e lui guardò malamente loro, specialmente i tre ragazzi; poi si sedette sulla poltrona; prese un libro ed iniziò a sfogliarlo, anche se puntava spesso lo sguardo su di loro. I quattro si riguardarono, consumando la pizza in silenzio.
“Comunque, grazie ancora per averci invitato qua” disse Peter, cercando di iniziare una conversazione.
“Non dovete ringraziare me, ma Irwin: è stata una sua idea” disse Stephanie. Calò nuovamente il silenzio; poi Ned disse: “Sai, casa tua sarebbe il posto ideale per festeggiare una grande festa di halloween, tra tutti questi oggetti antichi appartenuti a chissà quale stregone o demone. Siete sicuri che non sia infestata?”.
“Che io sappia non abbiamo mai avuto dei fantasmi. Ma non ho mai controllato su in soffitta: forse ce ne è qualcuno lì” disse Stephanie.
“Non ci sono fantasmi, ma solo dei ficcanaso” replicò Stephen.
“Davvero? E chi sarebbero?” domandò Ned, guardandolo.
“Tre ragazzini, dei quali uno ci sta provando costantemente con mia figlia” rispose Stephen, guardandolo. Ned spostò velocemente lo sguardo, riprendendo a mangiare la pizza.
“Se ci odia, basta dircelo in faccia” disse Mj.
“Magari ve lo dirò prima che ve ne andiate. Ora non voglio rovinarvi la serata” disse Stephen e sfogliò il libro.
“Come se non fosse già rovinata” disse Mj. Stephen alzò lo sguardo, guardandola.
Peter si schiarì la voce: “Forse un giorno di questi potremmo andare fuori tutti e quattro insieme”.
“O magari potresti venire a casa nostra così ti facciamo vedere la Morte Nera costruita con i lego” aggiunse Ned e, avvicinandosi a Stephanie, aggiunse: “E, magari, poi possiamo anche vedere un film insieme” La ragazza lo guardò stranamente.
Stephen lo fulminò con lo sguardo; si alzò, replicando: “Credo sia venuto il momento per voi tre di ritornare a casa! E vi consiglio di andarci immediatamente!”.
Anche i ragazzi si alzarono e vennero letteralmente condotti giù per le scale da Stephen, il quale aprì loro anche il portone.
“Grazie per la bella serata” disse Peter.
“Sai, conoscendovi meglio, non siete poi nemmeno così male. Potrei anche prendere in considerazione la proposta di uscire insieme” disse Stephanie.
“Davvero? Sarebbe una cosa stupenda. Io sono sempre disponibile” disse Ned. A quel punto, lo sguardo di Stephen divenne furioso. La sua pietra iniziò a brillare. Stephanie se ne accorse; quindi, riguardò i tre: “E’ molto tardi e domani ho università presto. Ci sentiamo o, magari, ci becchiamo in giro”.
“Beccarci in giro è un’ottima idea” disse Ned.
Stephen si mise davanti a Stephanie, replicando: “Tu non la vedrai più, né le starai accanto! Scordati come è fatta. E, se ti dovessi beccare che le bazzichi ancora vicino, ti farò rimpiangere di essere nato! Hai capito bene?”.
“Sì…sì, signore” disse Ned, annuendo più volte e iniziando nuovamente a sudare.
“Bene e, ora, andatevene! Ah, un’altra cosa: vi detesto tutti e tre!” ribatté Stephen e, chiuse loro il portone in faccia.
“Be’, almeno è stato sincero” disse Mj.
“Avete notato che, ogni volta che si arrabbia, la sua pietra si illumina? Quando abbiamo combattuto contro Thanos non aveva nulla dentro a quell’oggetto” disse Peter.
“Eri preoccupato per la pietra? Non hai pensato a me che, oggi, in poco tempo, sono stato minacciato di morte più volte?” disse Ned, mentre continuava a sudare.
“Te l’avevo detto di lasciare perdere quella ragazzina. Ancora mi chiedo come suo padre abbia potuto procreare con il carattere che si ritrova” disse Mj.
In quel momento, il portone si aprì di poco: ne sbucò Stephanie. Guardò dentro, per poi riporre lo sguardo sui tre: “Volevo scusarmi per il comportamento di mio padre. Non è sempre così, ma quando qualcuno mi sta accanto perde il senso della ragione. È molto protettivo”.
“Guarda non ce ne siamo accorti” disse ironicamente Mj.
“E’ che non vuole che sia fuori dalla sua vista. Ha scelto lui l’università da farmi frequentare, per tenermi vicina. I miei si sono separati quando avevo quattro anni e mio padre ha messo contro mia madre un sacco di avvocati per avere la totale custodia su di me. Lo so che lo fa per proteggermi ma, a volte, risulta troppo appiccicoso. Cerco di renderlo felice, ma non mi ha mai detto che è orgoglioso di me” spiegò Stephanie.
“Ehi…ascolta…una volta ho cercato di essere come il mio mentore; volevo renderlo felice e fargli vedere di quanto potessi essere all’altezza. Ma, alla fine, ho combinato un disastro dietro l’altro e sai cosa ho capito? Che dovevo essere semplicemente me stesso. Prova a fare lo stesso anche tu e, sono sicuro, che tuo padre capirà. Non può pretendere di avere una copia di lui. Tu hai diritto di farti una tua strada. Tutti ce l’abbiamo. Scegli ciò che vuoi essere” disse Peter.
Stephanie rimase senza parole; poi sorrise e disse: “Grazie, Peter. Cercherò di seguire il tuo consiglio, ma non sarà facile”.
“Basta che ci provi e, se non ci riuscirai, vorrà dire che tuo padre avrà quello che ha sempre sognato” disse Peter.
Poco dopo, Stephanie era in camera sua, seduta alla scrivania a studiare un grosso libro di medicina. Stephen aprì la porta e l’osservò. Sospirò, per poi entrare, fermandosi dietro di lei. Poi disse: “Non è tardi? È ora che vai a letto”.
“Finisco il capitolo e poi ci vado” disse Stephanie, sfogliando una pagina e prendendo appunti. Stephen le chiuse il libro. La figlia lo guardò: “Per stasera può bastare. Hai diritto di riposarti”.
Stephanie guardò di sfuggita la pietra e poi il padre, che aggiunse: “No, non mi sto arrabbiando e ti sto dicendo la verità. Riposati, te lo meriti”.
“Me lo merito per cosa?” gli domandò.
“Ecco…per…per gli ultimi brillanti voti che hai portato a casa” rispose. Stephanie ci rimase male: in verità si sarebbe aspettata una risposta diversa, ma che molto probabilmente non avrebbe mai ricevuto. Quindi spense la luce, per poi coricarsi sul letto. Stephen le fu a fianco, guardandola.
“Qualcosa non va? Sei così diverso stasera” chiese Stephanie.
Stephen sorrise: “No. È che forse non avrei dovuto trattare così quei tre ragazzi. Anche se quello là ti stava troppo appiccicato”.
“Ammettilo: Ned ti sta più simpatico di Irwin” disse Stephanie.
“Nessuno dei due mi sta simpatico ma, almeno questo Ned, non ha ancora tentato di ucciderti. È un punto a suo favore” disse Stephen. Stephanie sorrise e, mentre si metteva da un lato, Stephen le baciò la fronte. Poi si avviò verso la porta; si fermò e, guardando la figlia, aggiunse: “Se vuoi, puoi invitarli ancora”.
Stephanie lo guardò stupita: “Dici davvero?”.
“Sì, ma non qua: c’è troppa roba dove possono ficcare il naso” le rispose. Stephanie sorrise: che suo padre avesse ascoltato la conversazione che aveva avuto fuori dal portone con i tre? Dopotutto, quando era rientrata, lui si trovava ai piedi della scalinata. Forse qualcosa in Stephen si stava addolcendo e probabile che, prima o poi, avesse trovato il coraggio di lasciarla andare.
Quella notte, dopo tanto, Stephanie si addormentò con un sorriso stampato in viso. Le cose, finalmente, stavano svolgendo al meglio.






Note dell'autrice: Buon pomeriggio ed eccomi qua con un nuovo capitolo (sono ancora in fase di completamento con il capitolo 14 quindi ho voluto aspettare un pò per pubblicare questo). Vi sta piacendo la storia? Inizialmente non sapevo ancora quando farla svolgere (se prima o dopo Spider Man No Way Home), ma poi ho pensato di ambientarla poco prima il film (e ovviamente prima del Multiverso della Follia). Ho voluto introdurre già Mj e Ned a Doctor Strange (cosa che in spider man no way home avviene nel film stesso e non prima) e, ovviamente, ora non saranno presenti solo il questo capitolo. Ned non ha vita facile nel continuare a provarci con Stephanie, soprattutto con il padre nei paraggi. Ho voluto collegare la nuova pietra di Stephen al suo umore: ogni volta che brilla, vuol dire pericolo in arrivo. Che stephen sta perdendo la pazienza e, se la pietra dovesse spezzarsi, potrebbe ritornare lo stephen cattivo (un pò come red della pixar, non so se lo avete visto, ma ve lo consiglio)
Volevo ringraziare tutti coloro che stanno recensendo la fanfiction: GRAZIE davvero di cuore. Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite. Grazie anche a chi passa semplicemente di qua per darci una letta.
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo (molto spooky, diciamo)
Vi auguro un buon proseguimento di giornata e buone ferie (per chi c'è in ferie ovviamente)
Un grosso abbraccio
Valentina

 

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Capitolo 14
*** Festa della Luna Piena ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XIV: Festa della Luna Piena



 
La notte di Halloween si stava avvicinando. Per l’occasione Stephanie aveva addobbato il Sanctum Sanctorum con ragnatele – anche se secondo lei ce ne erano già abbastanza, incolpando il padre di non pulire quasi mai – zucche; statuine di gatti neri; spaventapasseri; streghette e scheletri.
Stava addobbando la sua camera, quando in corridoio passò Stephen, con in mano una grossa scatola. Si fermò e, rimanendo in corridoio, le domandò: “Che cosa stai facendo?”.
Stephanie lo guardò: “Addobbo la mia camera. Non si vede?”.
“Ho visto tutte le cianfrusaglie che hai sparso per casa” replicò Stephen.
“Oh, andiamo, papà: una volta ti piaceva Halloween” disse Stephanie.
“Adoravo venire a fare dolcetto o scherzetto con te, ma solo perché me lo chiedevi. Per il resto la reputo una festa inutile” disse Stephen.
“Perché hai quello scatolone in mano?” gli chiese, cambiando discorso.
“Lo volevo portare in uno stanzino. Al suo interno ci sono oggetti della cantina. Sembra che abbiamo problemi con la caldaia” spiegò Stephen.
“Proprio ora?” domandò.
“No, in estate dell’anno prossimo. Certo, proprio ora. Come se qualcuno ci avesse mandato una maledizione!” replicò Stephen e, mentre riprese a camminare, aggiunse: “Quando avrai finito di far diventare casa nostra come se dovessimo tenere una festa, almeno abbi il buon senso di venirmi a dare una mano”.
Stephanie mise gli ultimi addobbi nella sua camera, per poi uscire in corridoio e raggiungendo il padre in una piccola stanza in fondo. Lo sentì brontolare e muovere cose. Quella stanza aveva tutta l’aria di uno sgabuzzino, ma era un po' più grande.
“Non pensavo avessimo tutti questi oggetti” disse Stephanie.
“Nemmeno io, finché non ho messo piede nel seminterrato” disse Stephen.
“Come mai sei andato lì? Non bazzichi mai da quelle parti” gli chiese.
“Ti sei mai chiesta come mai hai sempre i vestiti puliti?” le domandò, guardandola.
“Abbiamo una lavanderia in cantina?” disse stupita Stephanie.
“No. Semplicemente una lavatrice” disse Stephen e riprese a spostare roba. Poi aggiunse: “Invece di stare lì a porti domande sul perché me ne vado in cantina, entra e dammi una mano. Ci sono un sacco di oggetti da sistemare. Ma non stare lì ad osservarli: mettili subito via. Non so cosa possano fare”.
Stephanie entrò e, mentre prendeva alcuni oggetti, spostandoli, disse: “Certo che sei di pessimo umore. Di solito non mi dai queste risposte sgarbate”.
“Mi dispiace, cucciola, ma da quando quella zelota mi ha trasmesso l’energia oscura, è come se dentro di me ci fosse sempre qualcosa che voglia uscire. Come se avessi due personalità. Ma non voglio arrabbiarmi con te: mi hai salvato e sono in debito” spiegò Stephen, guardandola.
“Sei mio padre: non devi essere in debito. Poi tu ci sei sempre stato per me, proteggendomi” disse Stephanie. Stephen le sorrise, spettinandole i capelli, per poi riprendere a mettere a posto gli oggetti. Stephanie fece lo stesso quando le capitò in mano uno strano pugnale. Quindi chiese: “Che cos’è?”.
Stephen la guardò e, dopo aver visto cosa teneva in mano, glielo prese, replicando: “Cosa ti ho detto prima? Non devi osservarli. Non sappiamo cosa possano causare”.
“E’ un pugnale: al massimo ci puoi tagliare la carne” disse Stephanie.
“Con il coltello ci tagli la carne” la corresse Stephen; poi aggiunse: “Con un pugnale, non hai mai sentito nulla di buono. Per esempio, puoi trafiggere il corpo di qualcuno”.
Stephanie osservò meglio l’oggetto, dicendo: “Comunque, non avevo mai visto dei pugnali così”.
“Si chiama Phur-ba: è un pugnale rituale che serve per sconfiggere i demoni più terribili. Lì c’è rappresentato Garuda, il re degli uccelli ed è il messaggero fra gli dei e gli uomini, oltre ad esserne il protettore. Ma è incompleto: manca una pietra” spiegò Stephen.
“Come la pietra che hai nell’Occhio di Agamotto?” chiese Stephenie.
“Esatto e, per questo motivo, il pugnale, così com’è, non ha effetto. Ma, per precauzione, è meglio se lo tengo io” rispose Stephen e lo infilò nella cintura.
Stephanie riprese a mettere via gli oggetti, per poi proporre: “Visto che non vuoi fare una festa di Halloween qui, potremo andare da qualche altra parte. Kamar-Taj, per esempio, organizza qualcosa? E, già che ci siamo, potrei anche invitare Peter ed i suoi amici e pure Irwin”.
Sentendo ciò, Stephen la guardò, replicando: “Non se ne parla! E poi due di loro cercano sempre di starti appiccicati! Non ce li voglio!”.
“Mi avevi detto che avrei potuto invitarli ancora, solo non qua perché c’è troppa roba dove possono ficcare il naso” disse Stephanie. Stephen se ne stette in silenzio, per poi dire: “Kamar-Taj organizza la festa della luna piena, proprio il giorno di Halloween”.
“Dobbiamo andarci. Sicuramente sarà una cosa bellissima” disse entusiasta Stephanie.
“Ed anche molto pericolosa. Stiamo pur sempre parlando di Kamar-Taj: è un luogo antico e pieno di cose magiche e tentazioni” aggiunse Stephen.
“Non essere sempre così pessimista. Sono convinta, invece, che ci divertiremo molto. Non diciamo niente allo zio Wong: gli faremo una sorpresa” disse Stephanie e Stephen la guardò in silenzio.
Arrivò la notte di Halloween. Tramite un portale, Stephen, Stephanie, Peter, Mj, Ned ed Irwin arrivarono a Kamar-Taj: “Ok, ragazzi, qua non ci troviamo in un luogo di divertimento, quindi non toccate nulla e cercate di starmi sempre vicino” spiegò Stephen, mentre camminavano verso la folla.
“Possiamo andare dagli altri? Sembrerebbe una festa strafiga” disse Ned, guardando gli apprendisti.
“Hai l’ovatta nelle orecchie?! Cosa ho appena detto: di starmi vicino!  Ma, se andrete da loro, cercate di non guardarli negli occhi: gli apprendisti, durante questa notte, potrebbero diventare irascibili” disse Stephen e Ned lo guardò stranamente.
Wong si avvicinò a loro: “Non pensavo riuscissi davvero a convincerlo” disse e consegnò una banconota a Stephanie. Stephen sgranò gli occhi, per poi guardare lo stregone supremo e replicare: “Che storia è questa?!”.
“Ho fatto una piccola scommessa con Stephanie: le ho detto che se lei fosse riuscita a convincerti a venire stasera alla festa, le avrei dato qualcosa” spiegò Wong.
“Così inizio a mettere via un po' di mancia” aggiunse Stephanie, sorridendo e sventolando la banconota.
“E’ questo che sono diventato?! L’oggetto di una scommessa?! Almeno fatemi valere di più, invece che solo dieci dollari” ribatté Stephen.
“Su non te la prendere e vieni a goderti la festa” disse Wong. Stephen guardò i ragazzi: “Venite anche voi”.
“Lasciali in pace e falli divertire da soli. Sono grandi e responsabili” disse Wong.
“Su quest’ultima cosa avrei da ridire, soprattutto riguardo tre elementi” disse Stephen e guardò malamente Peter, Ned ed Irwin. Riguardò Wong, che disse: “Vieni al tavolo delle bevande e non pensarci: i ragazzi staranno bene” e si allontanò. Prima di seguirlo, Stephen si rivolse verso Mj: “Tu, che mi sembri la più responsabile, fa in modo che quei due – e sai a chi mi riferisco – stiano alla larga da mia figlia e, mi raccomando, state nelle vicinanze”; poi guardò Stephanie: “Tu, invece, sei libera di seguirmi quando ti sarai troppo annoiata. Lo sai che, più ti ho al mio fianco, meglio è”.
“Rilassati papà e cerca di goderti la festa” disse Stephanie. Stephen le sorrise per poi seguire Wong.
“Ok, che cosa facciamo?” domandò Ned.
“Non lo so ragazzi: forse è meglio fare quello che ha detto il Doctor Strange” rispose Peter.
“Da quando sei diventato così responsabile “scimmia della notte”?” chiese Mj.
“Scimmia della notte?!” disse stupita Stephanie.
“Emmm…è un nomigliolo che usa sempre per me” disse Peter. Stephanie inarcò un sopracciglio; poi volse lo sguardo verso il padre, intento a parlare con Wong e altri insegnanti, mentre teneva in mano un bicchiere. Poi riguardò gli altri: “Che ne dite di esplorare qua in giro?”.
“Ma tuo padre ha detto di rimanere nelle vicinanze” disse Irwin.
“So perfettamente cosa ha detto mio padre. Vorrà dire che esploreremo, stando all’interno delle mura di Kamar-Taj. Dopotutto, i luoghi sacri nascondono sempre qualcosa di misterioso” disse Stephanie e si incamminò, seguita dagli altri.
“Come succede sempre ad Indiana Jones: visita una città e si ritrova in una fogna piena di topi e catacombe” disse Ned.
“Oh, finalmente qualcuno che vede i miei stessi film” disse Stephanie.
“Sono onorato di sentirtelo dire. Comunque, tengo ancora aperta la mia offerta di invitarti a casa mia a vedere qualcosa. Però, non dirlo a tuo padre: quello ha tutta l’aria di volermi uccidere da un momento all’altro” disse Ned.
“Rilassati: finché ha quella pietra dentro all’Occhio di Agamotto non credo possa diventare pericoloso” disse Stephanie.
Si avventurarono tra le mura di Kamar-Taj alla ricerca di qualcosa che potesse attirarli per quella notte, ma trovarono solo rocce, dipinti e statue.
“Se volevamo annoiarci, potevamo rimanere insieme agli altri. Qua non c’è nulla” disse Mj.
“Forse potremo cercare un cimitero” propose Ned.
“E tu credi veramente che qua possa essercene uno?” domandò Mj.
“Be’, ci troviamo in un luogo sacro, quindi non vedo il perché non debba esserci anche un cimitero” rispose Ned e, appena svoltarono l’angolo, videro delle tombe.
“Wow, ragazzi guardate qua: che posto strafigo” disse entusiasta Ned, muovendosi tra di esse.
“Io non so che cosa tu ci trova di strafigo in un posto del genere: è pieno di ragnatele e non sprizza vita da nessuna parte” disse Mj, mentre lo seguirono.
“Lo sai Mj che Ned adora le cose strane: lasciamogli vivere questo bel momento” disse Peter.
Si fermarono di fronte ad un tempietto. Guardarono in alto: c’erano delle scritte.
“Sapete cosa possano significare?” chiese Mj.
“E’ latino e c’è scritto: “Attenzione a voi che entrate nell’inferno” rispose Stephanie; poi aggiunse: “Strano. Questa scritta non dovrebbe essere presente qua”.
“A me, invece, sembra il luogo proprio adatto: mia nonna diceva sempre che il latino era una lingua morta. Infatti guardate dove ci troviamo” disse Mj.
“Non è per quello: è che siamo in Tibet. Vi sembra normale trovare una scritta in latino, in un luogo di una cultura totalmente diversa?” disse Stephanie.
“La cosa non ci dovrebbe interessare, visto che non entreremo lì” disse Mj e, voltandosi, stava per andarsene quando Stephanie, guardandola, domandò: “Non avrai mica paura?”. Mj si voltò, vedendo il sorriso beffardo della giovane Strange. Quindi, camminando verso di lei, rispose: “Paura io? Ma per piacere” ed entrò nel tempietto.
“Lo so che Mj è coraggiosa, ma come ci sei riuscita a convincerla in così poco tempo? Nessuno ci riesce” chiese Peter.
“Si chiama “effetto psicologico” o “effetto inverso”: basta far capire l’esatto opposto di una cosa ad una persona e lei farà il contrario. Me lo ha insegnato mio padre” spiegò Stephanie.
“Non ci ho capito molto, ma è geniale” disse Ned. Senza aggiunger altro, i ragazzi seguirono Mj.
“Non si vede nulla: andremo a sbattere da qualche parte” disse Mj, quando si accese una luce. Volsero gli sguardi verso Irwin, che teneva in mano una torcia. Il ragazzo spiegò: “Mi porto sempre appresso un kit di sopravvivenza, nel caso che…”
“Nel caso incappassi nel dottore psicopatico e ti voglia uccidere” terminò la frase Mj. Stephanie la guardò malamente e Ned disse: “Non è una cattiva idea” e Irwin consegnò loro altre torce.
“Meglio se restiamo uniti: qualcosa mi dice che qua non sia un posto sicuro” disse Peter. Così si inoltrarono nel tempietto. Trovarono diverse catacombe e, alle pareti, strane figure di antichi dei ed animali tibetani.
“E’ così tutto maledettamente bello e macabro allo stesso tempo. È stata una fortuna che abbiamo trovato questo posto” disse entusiasta Ned, mentre osservava le varie tombe.
“Se tu la chiami fortuna” disse Mj.
“Queste persone erano, senza dubbio, molto legate al proprio dio: sono presenti oggetti davanti alle loro tombe inerenti a chi veneravano. Ma non capisco il perché siano stati sepolti qua? Se sono davvero stati degli stregoni supremi, perché allora non dargli una sepoltura più dignitosa?” disse Irwin.
“Forse perché avevano compiuto qualcosa di brutto” disse Peter.
Stephanie si era fermata a guardare una tomba, quando accanto a lei arrivò Ned. Il ragazzo la guardò un paio di volte; poi riguardò avanti a sé, dicendo: “Affascinante, non trovi?”.
“Per questo periodo sì, ma per il resto non lo includerei nella lista dei luoghi da visitare a Kamar-Taj” disse Stephanie.
Ci fu un po' di silenzio; poi Ned, riguardando Stephanie, disse: “Comunque, se ti va, uno di questi giorni potremo uscire a prenderci qualcosa da bere. Sempre se tuo padre vuole”.
“Mio padre ha detto che, per il momento, gli stai più simpatico di Irwin perché non hai ancora tentato di uccidermi e, ciò, è un punto a tuo favore” spiegò Stephanie, guardandolo.
“Carino da parte sua. Almeno so che non mi ucciderà presto” disse Ned. I due si guardarono in silenzio; poi Ned, appoggiando una mano contro la parete, aggiunse: “Sai, penso che io e te possiamo fare una grande coppia. Cioè…di mente…be’ non in quell’altro senso, anche se mi piacerebbe e…”. Ma non fece in tempo a completare la frase, che la parete si disintegrò e Ned cadde dall’altra parte.
“Ned! Ned stai bene?” lo chiamò Stephanie, andando da lui. Gli altri la seguirono, facendo luce nella stanza. Lo trovarono in mezzo alle macerie e pieno di polvere e ragnatele.
La giovane Strange lo aiutò a rialzarsi e, una volta in piedi, si guardò intorno, dicendo: “Wow, ma che posto è questo?! Siamo ancora nelle catacombe, vero?”.
“Sì, ma questo luogo sembra molto più oscuro. Come se qua avessero voluto nascondere qualcuno di pericoloso” rispose Stephanie.
Puntarono le torce sulle pareti: erano raffigurati demoni, strani simboli e scritte.
Stephanie si guardava intorno, quando sentì un brivido lungo il corpo. Poi come una voce che la chiamava. Volse lo sguardo verso un cunicolo oscuro e appena iniziò a percorrerlo, delle fiamme si accesero ad entrambe le pareti.
Si fermò; guardò indietro: gli altri non la stavano seguendo. Stava per ritornare da loro, quando quella voce la richiamò. Guardò gli amici, per poi voltarsi e inoltrarsi nel cunicolo. Più camminava e più sentiva una strana sensazione dentro di sé. Quando si fermò: davanti a lei c’era una tomba. Essa era ricoperta di ragnatele e muffa – come tutto del resto lì dentro.
In alto, c’era inciso un demone. Ma non era un demone qualunque: Stephanie lo riconobbe come il primo demone Chthon. Aveva letto di lui nei libri del padre, come il creatore del Darkhold, il libro dei dannati. Ma come mai la sua tomba si trovava nelle profondità di Kamar-Taj? Avrebbe dovuto essere stato esiliato. Invece, eccolo davanti a lei o, almeno, quello che ne rimaneva.
La sua catacomba era vuota, ma qualcosa brillò: Stephanie allungò una mano, per poi ritrarla ed aprirla: nel suo palmo, c’era una pietra nera. L’osservava e, in quel momento, una forte fitta penetrò nel suo braccio sinistro. I graffi iniziarono a bruciarle forte. Si tolse le bende e li vide rossi, come se fossero quasi in procinto di sanguinare. Li guardava con paura: non le avevano mai fatto così male. Avrebbe tanto voluto ascoltare suo padre e continuare a mettere quell’unguento. Poi si bloccò. I suoi occhi divennero rossi e sentì qualcosa trasformarsi in lei.
Irwin si guardò intorno, accorgendosi solo in quel momento della mancanza di Stephanie. Quindi domandò: “Ragazzi, ma Stephanie dov’è?”.
“Credevo fosse insieme a Ned” rispose Mj. L’amico comparve, ma era da solo. Gli altri si guardarono in modo preoccupato, decidendo di andare a cercare la giovane Strange, arrivando anche loro, davanti al cunicolo.
“Non penserete veramente che possa trovarsi qua dentro, vero?” disse Mj. Sentirono gridare.
“E’ Stephanie!” disse Irwin e corse nel cunicolo. Gli altri lo seguirono, quando si fermarono. Davanti a loro c’era Stephanie. Gridava e si stava trasformando: i suoi vestiti si ruppero; crebbe in altezza; le comparirono pelo, coda e orecchie a punta; si mise a “quattro zampe” e la pietra le cadde a terra. Poi si fermò. Ansimò.
Gli altri stettero in silenzio. Irwin fece qualche passo verso di lei: “Stephanie” la chiamò, ma non ricevette risposta. Provò di nuovo: “Stephanie”. A quel punto, si voltò: rimasero senza parole. Dove prima c’era una ragazza, ora si trovava un grosso lupo nero e dagli occhi azzurri. Sulla zampa anteriore sinistra, erano presenti tre profondi graffi rossi.
“Stephanie siamo noi: ci riconosci?” chiese Irwin. Il lupo li guardò. Poi ringhiò contro di loro. I tre si voltarono e iniziarono a correre.
Nel frattempo, Stephen era al tavolo delle bevande. Si guardava intorno preoccupato, non vedendo Stephanie da nessuna parte. Stava per andare a cercarla, quando Wong si affiancò a lui. Quindi gli chiese: “Non vedo mia figlia da nessuna parte: sai per caso dove possa essere finita?”.
“Forse accanto ad uno dei laghetti” rispose Wong.
“Wong non ci sono laghetti qua a Kamar-Taj. Quanto hai bevuto?” gli disse. Wong contò con le dita della mano, quando sentirono gridare e Irwin, Ned ed Mj correre verso di loro. Stephen alzò gli occhi al cielo e, una volta che i ragazzi li raggiunsero, domandò: “E ora che altro c’è? Perché frignate come delle ragazzine?” Guardò Mj ed aggiunse: “Senza offesa”.
“C’è…c’è…c’è un mostro” disse Ned, tremando.
“Oh, santo cielo. Anche voi avete bevuto come Wong?” chiese Stephen.
“Solo dell’aranciata prima che andassimo ad esplorare qua intorno. Se era veramente aranciata: non ne sono molto sicuro” rispose Ned.
“Dov’è Parker? Dov’è mia figlia?” replicò Stephen, iniziando a perdere la pazienza. Sentirono ringhiare per poi vedere il lupo correre verso di loro. L’animale si fermò. I presenti formarono degli scudi, mentre Ned, Irwin ed Mj si misero dietro a Stephen.
“E’ quello il mostro” disse Ned, indicando il lupo. Prima che Stephen aprisse bocca, Irwin aggiunse: “E’ Stephanie”.
“Stephanie?!” disse stupito Stephen guardando i ragazzi; poi guardò il lupo, che li guardava ringhiando. Irwin spiegò: “Siamo andati nelle catacombe. Poi Stephanie si è allontanata da noi: l’abbiamo ritrovata in un cunicolo scuro e davanti ad una tomba. Si stava trasformando ed i suoi graffi sono molto rossi”.
Stephen li notò in quel momento, per poi dire rivolto al lupo: “Stephanie, perché non mi hai ascoltato? Ti avevo detto di metterci su quell’unguento. Sapevo che, prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa”. Il lupo ringhiò.
“Perché c’è un lupo davanti a noi?” domandò Wong. Stephen roteò gli occhi ed Mj disse, guardandolo: “E’ serio?”.
“Non lo so più nemmeno io” disse Stephen; poi iniziò a compiere qualche passo verso il lupo. Gli apprendisti e gli insegnanti erano pronti ad attaccare, ma Stephen fece loro cenno di non agire. Riguardò la figlia: “Cucciola, sono io: il tuo papà. Non ti ricordi di me? Abbiamo passato tante bellissime cose insieme e lo sai che ti voglio tanto bene. Ti prego, ritorna in te: so che ce la puoi fare. Sei una Strange: niente è impossibile per te”.
Il lupo ringhiò, quindi Wong disse: “Apprendisti! Insegnanti! Preparatevi ad attaccare!”.
“No! Che nessuno si muova!” replicò Stephen.
“Ci ucciderà tutti!” ribatté Wong, guardandolo.
“Nessuno dovrà alzare un dito su di lei! È mia figlia!” replicò Stephen e la sua pietra brillò. Wong capì che non doveva andare oltre; guardò gli apprendisti e gli insegnanti, dicendo loro: “Aspettate un nuovo ordine” ed abbassarono le armi, ma non gli scudi.
Stephen fece qualche passo verso il lupo, alzando una mano e dicendo: “Stephanie, cucciola mia, vieni con me: finché ci sarò io, nessuno ti farà del male. Te lo prometto”. Era così vicino a toccarla, quando il lupo spostò lo sguardo sul pugnale che teneva nella cintura. Riguardò Stephen e, con una zampa, lo graffiò. Stephen cadde a terra.
“Attaccate subito!” ordinò Wong e gli apprendisti ed insegnanti lanciarono contro di lei incantesimi e frecce.
Il lupo ringhiò contro di loro ed era pronto ad attaccarli, quando qualcosa gli volò addosso, facendolo cadere. Spider-Man atterrò davanti a lui.
“Buono cucciolo: lo sai che non si gioca con il cibo?” disse Spider-Man; poi volse lo sguardo verso gli altri, chiedendo: “State tutti bene?”.
“Potevi arrivare anche prima, no?” disse Mj.
“Non trovavo un posto adatto dove cambiarmi” disse Spider- Man. Riguardò avanti, quando Irwin gridò: “Attento!” ed il lupo lo attaccò. I due rotolarono a terra, finché il lupo non fu sopra di lui, tentando ripetutamente di morsicarlo, quando Spider-Man gli lanciò una ragnatela negli occhi. Il lupo si staccò e, mentre con una zampa cercò di togliersi la ragnatela, Spider-Man si spostò, andando da Stephen. Questi si toccava un fianco dolorante, per poi alzarsi. Spider- Man cercò di aiutarlo, ma lo stregone lo scansò.
Wong e gli altri li raggiunsero: “Strange dobbiamo fare subito qualcosa prima che tua figlia possa uccidere qualcuno”.
“Ben ritornato tra noi: vedo che la sbronza ti è passata” disse Stephen, guardandolo; poi aggiunse: “E no, non faremo nulla. Lo ripeto: nessuno toccherà Stephanie, se non solamente io”.
“Ci hai già provato prima e guarda come è andata” disse Wong.
“Sarebbe andata bene, se non avesse visto questo” disse Stephen ed estrasse il pugnale dalla cintura.
“Come fai ad essere in possesso di un oggetto simile?” domandò Wong.
“L’ho trovato nel seminterrato: a quanto pare, al precedente residente del Sanctum Sanctorum piaceva collezionare vari oggetti” rispose Stephen.
“O, molto probabilmente, l’Antico deve averglielo consegnato per proteggerlo” aggiunse Wong.
“E’ un coltello strafigo” disse Ned. Stephen roteò gli occhi; stava per rispondergli quando, al suo posto, parlò Irwin: “In verità si tratta di un pugnale, di un Phur-ba per la precisione”.
“Ragazzino, quanto sei riuscito a leggere tra i miei libri quella volta in cui hai avuto la brillante idea di farti impossessare da un demone?” replicò Stephen.
“In verità avevo letto solo alcune pagine del libro che sua figlia aveva nascosto. È che mi piace documentarmi su parecchie cose” rispose Irwin iniziando a sudare.
“Se è un preteso per far colpa su Stephanie, ti consiglio di smetterla subito finché sei ancora in tempo, perché potrebbe mettersi molto male per te! Sai già come la penso nei tuoi confronti e, se ora la mia Stephanie si trova in queste condizioni, è solo per colpa tua!” ribatté furioso Stephen e la sua pietra brillò. In quel momento Irwin avrebbe tanto voluto sparire.
“Ehi doc, non credo che il ragazzo abbia fatto apposta. Dopotutto, tutti noi commettiamo degli errori” iniziò col dire Spider- Man, ma dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte di Stephen, continuò: “Emmm…tranne lei, ovviamente. Però, non credo che ci sia bisogno di arrabbiarsi così tanto con lui. Ora dobbiamo pensare a fermare il mostro”.
“Mia figlia non è un mostro! Penserò io a lei! Voi non azzardatevi a toccarla!” replicò Stephen e, dopo aver lanciato a terra il pugnale, volò verso il lupo. Questi, liberatosi dalla ragnatela sopra gli occhi, vide lo stregone. Stava per attaccarlo, quando davanti a sé vide l’immagine di una bambina in braccio allo stesso Stephen: i due stavano ridendo, per poi abbracciarsi. Il lupo mugugnò, per poi voltarsi e correre via.
“Stephanie! Stephanie vieni qua!” la chiamò Stephen e, accorgendosi che la figlia oltrepassò le mura di Kamar-Taj, decise ovviamente di seguirla.
Wong raccolse il pugnale: “Dobbiamo usare questo per liberare Stephanie”; poi alzò lo sguardo: “E lo dobbiamo fare prima che la luna scompaia”.
“In che senso prima che la luna scompaia?” domandò Mj.
“La notte di luna piena non dura molto: dobbiamo praticare il rituale, prima che essa venga oscurata dalle nuvole o Stephanie rimarrà per sempre un lupo” rispose Wong.
“Ci dica cosa ci serve per aiutarla” disse Ned.
“Potrebbe essere pericoloso per voi” disse Wong.
“Pericolo è il mio secondo nome. E, poi, sono sicuro che, se libereremo la ragazza, il Doctor Strange non scatenerà l’inferno. Perché potrebbe farlo, vero?” disse Spider-Man.
“Stephanie è l’unica che riesce a tenerlo sano di mente. Con la ragazza fuori uso, credo che la sua pietra possa rompersi e far scaturire nuovamente la sua parte malvagia. Qualche giorno fa, ha quasi del tutto distrutto Kamar-Taj e ucciso parecchi apprendisti” spiegò Wong.
“Pietra” disse Irwin; gli altri lo guardarono ed il ragazzo continuò: “Ma certo: quando Stephanie si stava trasformando c’era una pietra a terra. Forse l’aveva trovata nella tomba. Se non ricordo male, al Phur-ba serve una pietra per funzionare”.
“Sai, saresti un bravo apprendista” disse Wong, guardandolo per poi incamminarsi. Gli altri lo seguirono e Ned, affiancandosi a Irwin, disse: “Come sei riuscito a vedere che c’era una pietra a terra? Io ero più concentrato a scappare da Stephanie”.
Arrivarono nelle catacombe. Wong si abbassò per prendere la pietra; poi osservò la tomba davanti a loro. Quindi disse: “Questa non ci voleva. Si tratta della tomba di Chthon: è stato il primo demone ed il creatore del Darkhold, il libro dei dannati”.
“Se era un demone ed ha creato quel libro, come mai si trova sotto il vostro luogo dove studiate a fare incantesimi stile Harry Potter?” chiese Mj.
“I primi stregoni supremi, dopo aver catturato Chthon, decisero di seppellirlo qui per l’eternità e, per far in modo che non scappasse, oltre a proteggere queste catacombe con potenti incantesimi, misero nella sua tomba un Tamashii in Onice Nero. Questa pietra trasforma le forze negative in positive; il male in bene e l’odio in compassione. Nel corso dei secoli, però, alcuni suoi seguaci hanno cercato in vari modi di risvegliarlo, per poter ambire ai segreti che si celano nel Darkhold, rubando così il Tamashii. Gli stregoni riuscirono a sconfiggere i seguaci, ma purtroppo il Tamashii fu distrutto. Si salvò solamente una pietra. La stessa che abbiamo qua ora” spiegò Wong.
“E in questa piccola pietra c’è racchiuso un incantesimo potente?” chiese Ned.
“No. Basterà solamente metterla nel Phur-ba e ferire il lupo” rispose Wong.
“No!” dissero insieme Ned ed Irwin. I due ragazzi si guardarono; poi riguardarono avanti ed Irwin disse: “Non possiamo fare del male a Stephanie”.
“Concordo con lui. E poi chi lo sente il Doctor Strange? Prima era furioso quando ha detto di non toccarla. Diventerà una bestia se le verrà fatto del male” aggiunse Ned.
“So quanto tenete a quella ragazza, ma è l’unico modo che abbiamo. O volete che Stephanie rimanga per sempre un lupo?” disse Wong. Nessuno rispose, quindi lo Stregone supremo ritornò in superficie, seguito dagli altri. Estrasse il coltello, inserendo l’onice nera nella bocca di Garuda. La pietra venne illuminata dalla luna, facendola brillare.
“Ecco, ora non ci resta che ritrovare i due Strange e compiere il rituale” disse Wong.
“Non credo che il caro paparino super protettivo ci faccia avvicinare tanto facilmente alla sua adorata figlia. Verremmo disintegrati prima di compiere anche un solo passo” disse Mj.
“Ed è qui che entrerete in gioco voi: mentre lo distrarrete, io attirerò Stephanie da una parte e praticherò il rituale” spiegò Wong.
“Perché prevedo che finiremo male? Doctor Strange mi odia per come sto appiccicato a sua figlia, così come odia Irwin ed Mj. E anche Peter…emmm…Spider-Man non gli sta molto simpatico. E, poi, è molto astuto e forte: non riusciremo mai a distrarlo per darle il tempo necessario per compiere il rituale” disse Ned.
“Sarà anche più forte ed astuto, ma dobbiamo farlo per la nostra amica: Stephanie non si sarebbe tirata indietro se uno di noi fosse stato in pericolo. È nostro compito salvarla e farla ritornare come prima. Allora, siete con me?” disse Spider-Man. Gli altri dapprima non risposero, ma poi si limitarono ad annuire.
“Ce la faremo: confido in voi” disse Wong.
Nel frattempo, Stephen stava cercando la figlia. Era preoccupato ma, allo stesso tempo anche arrabbiato perché gli altri non avrebbero esitato nel farle del male. Doveva proteggerla a tutti i costi. Sentì mugugnare, quindi atterrò. La vide acciambellata accanto ad una roccia e si stava leccando i graffi sulla zampa sinistra.
Lentamente si avvicinò a lei, ma appena calpestò un rametto, il lupo drizzò le orecchie e lo guardò, ringhiandogli contro. Stephen alzò una mano: “Calma, cucciola, sono io. Non ti farò del male. Sono il tuo papà e ti proteggerò”. Il lupo mugugnò, smettendo di ringhiare.
Stephen si avvicinò ancora di più a lei e, quando le fu di fronte, si inginocchiò. Allungò una mano, riuscendo a mettergliela sulla testa. Il lupo abbassò le orecchie ed i loro sguardi si soffermarono l’uno su quello dell’altra. Stephen le sorrise, per poi sedersi accanto a lei. Infine disse: “Mi dispiace molto per ciò che ti è accaduto, piccola mia, ma vedrai che il papà sistemerà tutto e tu ritornerai la bellissima ragazza che sei sempre stata” e alzò lo sguardo verso la luna piena, ma lo riabbassò quando sentì qualcosa contro di sé: Stephanie aveva appoggiato la testa sulle sue ginocchia.
Stephen appoggiò la testa contro la sua, socchiudendo gli occhi, ma li riaprì quando sentì un rumore. Si rialzò ed il lupo drizzò le orecchie ed alzando lo sguardo. Sentì altri rumori e, con la coda dell’occhio, Stephen vide qualcuno correre tra gli alberi. Era pronto ad attaccare, quando si voltò per vedere tante ragnatele arrivare verso di lui. Creò un incantesimo, che trasformò le ragnatele in stelle filanti, ma poi Spider-Man lo colpì alle spalle, facendolo cadere poco più distante.
Il lupo mugugnò guardandolo, per poi voltare lo sguardo verso Spider-Man e ringhiargli contro, per poi alzarsi. Il ragazzo si guardò intorno, per poi dire: “Ned! Mj! Irwin! Credo che sia venuto il vostro momento”. I tre ragazzi spuntarono dagli alberi e, rimanendo a debita distanza, Ned disse: “E’ sicuro? Non è che arriva il dottore pazzo e fa fuori me ed Irwin?”.
“A lui ci penso io. Voi occupatevi di Stephanie e…” iniziò col dire Spider-Man ma, non fece in tempo a terminare la frase, che venne colpito da un incantesimo e Stephen, volò verso di lui, per poi replicare: “Non ti conviene metterti contro di me, Parker! Ti ho già detto di stare lontano da mia figlia!”.
“Mica ce l’ho con tua figlia: voglio solo distarti” disse Spider-Man. Stephen lo guardò stranamente, ma capì quando volse lo sguardo e vide il lupo che stava rincorrendo Irwin, Ned ed Mj. Stava per inseguirli, quando Spider-Man lo attaccò nuovamente.
I tre ragazzi continuavano a correre, pedinati dal lupo. Di tanto in tanto Ned volgeva lo sguardo all’indietro, per poi riguardare avanti e dire: “Si sta avvicinando”.
“Ormai dovremo essere quasi arrivati. Teniamo duro ragazzi!” li incitò Mj.
Continuarono a correre. Il lupo stava per attaccarli, quando qualcosa lo bloccò, ritrovandosi imprigionato in una barriera d’energia. Accanto ai ragazzi comparve Wong: “Siete stati bravi e siete sopravvissuti” disse loro.
“La prego, non ci chieda mai più di fare una cosa del genere” disse Mj. Il lupo cercava di attaccarli, ma con scarsi risultati. Wong disse: “Vi starete chiedendo del perché non riesca ad avvicinarsi. Per il semplice motivo che ho creato un cerchio, che lo tiene rinchiuso. È l’inizio del rituale”.
“Quindi ora qualcuno di noi dovrà entrare lì e pugnalarla?” chiese Ned.
“No, a nessuno di voi tre potrò mai chiedere di fare una cosa del genere: ci penserò io. Voi assicuratevi solamente che Strange non arrivi” rispose Wong.
“Ma c’è Spider-Man a distrarlo” disse Mj. Wong la guardò, ma non disse nulla per poi avvicinarsi alla gabbia d’energia. Il lupo lo guardò, ringhiando.
“Vuol dire che Peter è spacciato?” domandò sottovoce Ned. Mj lo guardò, ma non rispose.
Wong guardò il lupo ed estrasse il pugnale dalla cintura, per poi dire: “Mi dispiace” ed entrò nella gabbia. Il lupo ringhiò, allontanandosi da lui.
Stephen era furioso e scaraventò Spider-Man a terra, per poi sollevarlo con una magia invisibile e replicando: “Ti avevo detto di non metterti contro di me! Ma non mi hai voluto ascoltare, come anche i tuoi stupidi amici!” e la sua pietra brillò.
“Forse faresti meglio a calmarti, non trovi? Se no l’altro te stesso potrebbe causare un sacco di danni” disse Spider-Man.
“La mia pazienza si sta esaurendo! O ora mi dici che cosa tu ed i tuoi amichetti avete in mente con mia figlia, oppure stanne certo che farò passare il resto della tua vita imprigionato in qualche posto isolato dove nessuno potrà venire a salvarti!” replicò Stephen e nella sua mano si formò una fiamma nera.
Spider-Man sgranò gli occhi e vide, per un attimo, la pietra che si incrinò. Quindi disse: “Va bene, va bene: è stata tutta un’idea del tuo amico con lo strano nome. Ha parlato di un rituale e che vuole pugnalarla con quell’oggetto che tu stesso hai gettato a terra”.
Stephen fece scomparire la fiamma nera e, con la mano libera creò un portale. Vi entrò, trattenendo sempre Spider-Man e, quando vide Wong all’interno della gabbia d’energia e con in mano il Phur-ba, gettò il ragazzo a terra e volò anche lui dentro la gabbia, mettendosi tra l’amico ed il lupo.
“Strange, spostati!” replicò Wong.
“Non ti permetterò di fare del male alla mia Stephanie! Dovrai vedertela con me!” ribatté Stephen.
“Emmm…amico dal nome strano e con in mano il pugnale, avrei da dirti una cosa importante. Se fossi in te non giocherei troppo con il fuoco” disse Spider-Man, mentre si rialzava aiutato dagli amici giunti accanto a lui.
“Non abbiamo più tanto tempo: la luna piena sta per scomparire e tua figlia rischia di rimanere un lupo per sempre!” replicò Wong.
“Tu non la pugnalerai! La salverò io! Nessuno dovrà mettersi contro di me!” ribatté Stephen e nelle sue mani comparvero fiamme nere. Wong sgranò gli occhi.
“Ecco, era appunto di quello che volevo parlarle: prima ho intravisto la sua pietra incrinarsi e, se non facciamo subito ritornare la ragazza come prima, credo che la sua parte malvagia salterà fuori e saranno guai seri per tutti noi” spiegò Spider-Man.
Stephen lanciò le fiamme nere contro Wong, che evitò per poi andare verso il lupo, ma venne bloccato dall’ex stregone supremo che gli lanciò addosso una catena dora. Wong la prese, trascinando Stephen verso di sé e dandogli un pugno. Il lupo ringhiò: corse verso di loro, dando una zampata a Wong, che cadde. Poi il lupo prese in bocca il pugnale e lo spezzò in due.
“Oh mamma, questo non ci voleva” disse Ned.
“Non tutto è perduto: il rituale si può ancora compiere. Basta solo che Stephanie rimanga dentro il cerchio, illuminata dalla luce della luna insieme alla pietra. Poi però viene il bello: qualcuno deve ricordarle chi è veramente” spiegò Irwin.
“Be’, allora sappiamo già chi può aiutarla” disse Spider-Man e, con una ragnatela, trascinò Wong fuori dalla gabbia. Lo stregone supremo, lo guardò infuriato: “Ma che cosa ti è saltato in mente?! Devo riuscire a completare il rituale!”.
“Il ragazzo con gli occhiali e la pettinatura buffa, ci ha appena spiegato che, anche se il pugnale è spezzato, basta solo che Stephanie rimanga dentro il cerchio e…” iniziò col dire Spider-Man, ma Wong continuò: “…ed illuminata dalla luce della luna insieme alla pietra. So com’è il rituale anche senza il pugnale”.
“Ma sai anche che ci vuole qualcuno che le ricordi chi sia veramente? E sai benissimo che quello non puoi essere tu” disse Spider-Man e Wong non aggiunse altro. Porsero tutti l’attenzione, per vedere il lupo avvicinarsi a Stephen ancora a terra e privo di sensi. Mugugnò e con il muso gli mosse il viso, ma non si svegliava.
Quindi andò sotto il suo braccio ed avvicinò il muso al suo viso. Una singola lacrima rigò il suo viso e in quel momento, chi era all’interno della gabbia venne illuminato dalla luce della luna. Gli altri si protessero i visi e, quando la luce scomparve, poterono vedere Stephanie ritornata ragazza.
Stephen riprese i sensi e sorrise nel vedere sua figlia accanto a lui e non più un lupo. La ricoprì con la cappa, mentre Wong e gli altri si avvicinarono a loro. Stephen la strinse forte a sé e, in quel momento, vide che i tre profondi graffi sul suo braccio sinistro erano scomparsi del tutto. Stephen alzò lo sguardo sugli altri e si limitò ad annuire. Wong fece lo stesso, puntando lo sguardo, per sicurezza, sulla pietra di Stephen e notò che non era più incrinata. La luce della luna piena aveva rimesso a posto tutto. O forse no.
Poco dopo e con Stephanie che dormiva su una sedia ed ancora avvolta dalla cappa, Stephen e gli altri si trovavano al centro del cortile di Kamar-Taj. Tutti gli apprendisti e gli insegnanti erano intorno a loro, mentre Stephen aveva davanti a sé un braciere. Poi guardò Wong, chiedendogli: “Sei proprio sicuro di questo?”.
“Sicurissimo” rispose Wong.
Stephen fece un lungo respiro; guardò i ragazzi; poi gli apprendisti e gli insegnanti; soffermò lo sguardo su sua figlia e, infine, riguardando il braciere, iniziò a praticare l’incantesimo: “Che nessuno, eccetto me, ricordi ciò che è accaduto questa notte. Né ora, né mai” e l’incantesimo che si era creato intorno a lui, si sparse su tutti i presenti e, quando cessò, ognuno si disperse tra le tavolate. Stephen ritornò dal gruppetto.
“Peter, come mai sei vestito da Spider-Man?” domandò Mj, guardando il ragazzo.
“Probabile che sia accaduto qualcosa, ma non ricordo cosa” rispose Spider-Man, grattandosi la nuca.
“Faresti meglio ad andarti a cambiare prima che qualcuno ti prenda per pazzo” disse Stephen e Spider-Man corse via. Con la coda nell’occhio, Stephen vide la figlia che si stava svegliando e quindi si precipitò subito da lei.
“Papà” lo chiamò Stephanie, allungando una mano. Stephen gliela prese e, mentre le baciava il dorso per poi appoggiarla contro una guancia, disse: “Sono qua, cucciola. Il papà è qua, tranquilla”.
“Ho fatto un brutto sogno” disse Stephanie.
“Era solo un sogno. Stai bene e questo è l’importante e, probabile che la luna piena ti abbia anche fatto un regalo” disse Stephen, sorridendole. Stephanie abbassò lo sguardo per vedere i tre graffi prima presenti sul braccio sinistro, ora del tutto spariti. Riguardò il padre, che disse: “Alla fine, non è stata del tutto una cattiva idea venire qua. Dovremo uscire più spesso. Ma solo io e te” e la baciò su una guancia.
Stephanie guardò al di là del padre, per vedere Mj, Irwin, Ned e Peter, che le sorridevano. Anche Stephen li guardò, andando da loro. Li guardò malamente, per poi dire: “Non mi siete mai piaciuti e questo già lo sapete, ma in questo momento mia figlia ha bisogno di un po' di compagnia e credo che a lei stiate simpatici”. Puntò lo sguardo su Irwin e Ned, aggiungendo: “E voi due, non statele troppo appiccicati. Vi tollero solamente perché uno di voi due non ha ancora tentato di ucciderla e anche perché ora i graffi sono spariti del tutto. Vi tengo d’occhio tutti e quattro!” ed i ragazzi andarono da Stephanie.
Stephen li guardò, mentre Wong si avvicinò a lui tenendo in mano il Phur-ba spezzato: “Hai una vaga idea di come questo sia finito qua?”.
“Non porti certi tipi di domande e goditi il resto della serata. Forse dovresti smetterla di bere così tanto” disse Stephen.
“Già, forse hai ragione” disse Wong e guardarono le nuvole che lasciarono nuovamente posto alla luna piena.
 






Note dell'autrice: Eccomi qua e buona sera. Volevo farvi un regalo di Ferragosto ed ecco un nuovo capitolo. Scusatemi se è così lungo e spero di non avervi annoiato. Ma ho pensato: cosa sarà mai accaduto durante la festa di luna piena avvenuta a Kamar-Taj, visto che strange ha annullato i ricordi di quella nottata a tutti (tranne a lui a quanto pare)?
Per la storia del primo demone mi sono inventata tutto (cercando di rimanere almeno fedele con ciò che è doctor strange ed il darkhold); mentre per il Phur-ba ed il Tamashii mi sono andata a documentare per non scrivere cose non vere.
Vi sta piacendo la mia storia? Il capitolo 15 tratterà di un flashback (la famosa recita di natale che la piccola stephanie aveva chiesto ai genitori se fossero riusciti a partecipare. Nel capitolo scopriremo se sì oppure no)
Grazie alle bellissime recensioni. Grazie davvero. Grazia e tutti coloro che seguono la storia e che l'hanno messa tra le seguite e preferite
Grazie alla mia amica lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo. Grazie ancora per tutto. Davvero
Vi auguro ancora un buon ferragosto ed un buon proseguimento di giornata e buon inizio settimana
Un forte abbraccio
Valentina
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** La promessa di Babbo Natale ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XV: La promessa di Babbo Natale

 


La recita di Natale si stava avvicinando ed i bambini erano molto eccitati. Stephanie era stata scelta per la parte principale. Avrebbero dovuto interpretare “Miracolo nella 34esima strada” e, per l’occasione, Stephanie avrebbe anche avuto una parte solista cantata. Voleva fare bella figura davanti ai genitori, soprattutto davanti al padre e, per l’occasione, stava studiando la parte nei migliori dei modi.
Continuava a ripeterla sia a casa della mamma che a casa sua, finché un giorno Christine non le disse, mentre le stava pettinando i capelli: “Tesoro, non c’è motivo di ripetere tutta la tua parte: sono sicura che sarai bravissima”.
“Voglio essere la più brava di tutte, soprattutto per papà: voglio renderlo felice” disse Stephanie.
“Ma lui lo è già. È felice perché ha te” disse sorridendo Christine, per poi baciarla su una guancia. Sentirono suonare al campanello.
“E’ papà!” disse entusiasta dalla sedia e correndo verso la porta. Christine guardò l’orologio sulla parete: segnava le otto in punto. Stephen era sempre puntuale quando doveva venire a riprendere la figlia dopo il week end.
Dopo che Stephanie aveva quasi rischiato di morire cadendo nel laghetto ghiacciato, Stephen era diventato ancora più protettivo nei suoi confronti. Non voleva che l’amata figlia fosse più fuori dalla sua vista e, per questo, aveva stimato rigidi orari che anche Christine avrebbe dovuto rispettare. La donna, ovviamente, non era d’accordo: per lei Stephanie avrebbe dovuto vivere un’infanzia come tutti gli altri bambini e non dettata da regole ferree ed orari da rispettare. Era una bambina di quattro anni e come tale doveva comportarsi.
Christine l’accompagnò fuori dall’appartamento e, appena Stephanie vide il padre accanto alla macchina, gli corse incontro. Stephen si abbassò e, sorridendole, la prese in braccio, baciandola più volte sulle guance e stringendola forte a sé. 
“Se ti stai chiedendo se ha fatto la brava, non hai bisogno di una risposta” disse Christine.
“Infatti non te lo chiedo, perché so già che la mia bambina è sempre bravissima. Non è vero, cucciola mia?” disse Stephen, guardando amorevolmente Stephanie, che disse: “Sì, papino e vuoi sapere una cosa? Ho studiato tutta la mia parte a memoria”.
“Stasera sarai la più brava di tutte ed io sarò lì in prima fila a guardarti” disse Stephen.
“Allora riesci a venire!” disse entusiasta Stephanie.
“Non mi perderei per nulla al mondo la mia bambina che fa la parte della protagonista. E, poi, non vedo l’ora di sentirti cantare” disse Stephen, sorridendole. Poi guardò Christine ed aggiunse: “Visto che siamo sotto Natale, ho voluto farti un regalo: ho spostato il tuo orario, così stasera puoi venire anche tu alla recita”.
“Grazie, sei stato molto gentile ma non avresti dovuto. Avrei comunque trovato un modo per venire” disse Christine.
“E farti perdere la nostra bambina che recita davanti a tutti e canta con la sua bellissima voce? Che padre mai sarei stato?” disse Stephen. Christine lo guardò, non aprendo bocca.
“Papino, sai che ho un regalo per te? Me lo aveva dato Babbo Natale quando l’ho incontrato al centro commerciale” disse Stephanie.
“Ma non dovevi, cucciola mia” disse Stephen, guardandola.
“Tu mi fai sempre un sacco di regali” disse Stephanie.
“Allora vorrà dire che me lo darai dopo la recita” disse Stephen e Stephanie sorrise.
“Dovrei parlarti, se non ti dispiace” disse Christine.
“Cucciola, saluta la mamma e aspettami in macchina. Dietro c’è una sorpresa per te” disse Stephen e depositò Stephanie a terra. La bambina andò dalla mamma e, mentre l’abbracciava, disse: “Ciao mammina: ci vediamo stasera alla recita”.
“Ci sarò, stai tranquilla” disse Christine e, dopo averla baciata su una guancia, Stephen aprì la portiera: Stephanie salì sul retro, per poi dire: “Wow, mamma guarda cosa mi ha regalato papà” e, dopo essere spuntata dal finestrino, mostrò un pupazzo con un grosso fiocco legato al collo: “E’ Rudolph, la renna di Babbo Natale. Ha anche il naso che si illumina”. Guardò il padre dicendo: “Grazie papino” e si risedette.
Stephen le sorrise, ma quando guardò Christine il suo sguardo non era certo piacevole. La donna disse: “Era proprio di questo che volevo parlarti. Non puoi continuare a viziare nostra figlia”.
“Sono suo padre: la vizio quanto voglio!” replicò Stephen.
“Ma non in modo così spropositato! Vorrei che Stephanie crescesse come gli altri bambini e sicuramente ora, sotto Natale, le farai regali doppi” disse Christine.
 “Se ho voglia di fare dei regali a mia figlia, di certo non sarei né tu e nemmeno nessun altro a fermarmi. Stephanie merita solo il meglio in qualunque cosa” ribatté Stephen.
“Con te è una battaglia persa: non riuscirò mai a farti capire il mio concetto. Ma finché Stephanie è felice, lo sarò anche io. Cerchiamo di esserci entrambi stasera” disse Christine.
“Le ho promesso che ci sarò ed io mantengo sempre le mie promesse!” replicò Stephen.
“A quanto pare, i casi più brillanti vengono prima di nostra figlia” disse Christine.
“Se alludi al paziente che ho operato ieri alla colonna vertebrale, sappilo che è in perfette condizioni e non ha più bisogno di me. Ora possono riuscirci anche le infermiere, visto che si tratta solamente di procedure di routine. Il mio lavoro è finito con lui e sai benissimo che nessuna operazione, seppur essa sia importante, viene prima di mia figlia!” ribatté Stephen.
Calò il silenzio; poi Stephen aprì la portiera ma, prima di salire in macchina, guardò Christine e disse: “Non sarai tu a dirmi come crescere Stephanie. Lei diventerà la migliore neurochirurga che esista” e, dopo essere salito, richiuse la sportella per poi partire a tutta velocità.
Christine sospirò, sperando che, almeno per quella sera, Stephen avrebbe messo da parte il suo ego smisurato ma, con Stephanie nella parte della protagonista, ciò non sarebbe avvenuto.
Venne sera e Stephanie era eccitata e nervosa allo stesso tempo. Se ne girava avanti ed indietro per il loft, aspettando che il padre finisse di prepararsi. Finché, stanca di aspettare, si diresse nella camera paterna e fu lì che lo trovò, davanti allo specchio intendo a mettersi la cravatta.
Lo guardò standosene sulla soglia della porta, per poi ridere. Stephen la guardò dallo specchio e sorrise. Fece finta di nulla.
Vedendo che il padre non si mosse, Stephanie entrò, avvicinandosi lentamente a lui ma, appena gli fu dietro, Stephen si voltò, prendendola e facendola ridere, per poi coricarsi sul letto.
Continuavano a ridere; poi Stephen la baciò su una guancia, dicendole: “Lo sai, non potrei vivere senza di te. Sei ciò che ho di più bello al mondo e nessuno dovrà mai permettersi di separarci” e le spostò una ciocca di capelli dalla fronte.
“Papino quando posso darti il tuo regalo?” domandò Stephanie.
“Facciamo dopo la recita, ok? Ora dobbiamo finire di prepararci” rispose e, dopo averla baciata su una guancia, si alzò tenendola in braccio. Andò davanti allo specchio, depositandola a terra, riprendendo a mettersi la cravatta, mentre Stephanie l’osservava incantata. Per lei il suo papà sembrava un principe azzurro ed un eroe da seguire.
Poco dopo, arrivarono all’asilo e Stephen, tenendo Stephanie per mano, camminò fino alla prima fila. Stephen si abbassò, mentre Stephanie stava di fronte a lui; si guardò intorno, per poi chiedere: “Dov’è la mamma?”.
“Vedrai che ora arriverà, ma tu devi prepararti per la recita” le rispose.
“Io voglio aspettare la mamma!” replicò Stephanie.
“Stephanie, non è il momento di fare i capricci. Ti ho detto che la mamma arriverà” ribatté Stephen. I due furono raggiunti da una ragazza e, mentre Stephen si rialzò, questi disse, guardando sorridendo Stephanie: “Ciao, Stephanie”; poi, guardò Stephen, aggiungendo: “Buona sera, Doctor Strange. Finalmente la conosco di persona. Sua figlia non fa altro che parlare di lei. Io sono la sua maestra” e si strinsero la mano.
“Non posso dire lo stesso di lei” disse Stephen.
“Coraggio Stephanie, è ora di andare: la recita non può iniziare senza la protagonista” le disse la ragazza, mostrandole la mano. Ma la bambina si strinse al padre, dicendo: “Voglio aspettare la mia mamma”.
“Stephanie” l’ammonì il padre. Stephanie lo guardò e, dal suo sguardo, capì di non obiettare. Prese la mano della maestra e, insieme, andarono verso il palco. Stephen si sedette in prima fila e, poco dopo, qualcun altro, si sedette accanto a lui. Non voltando lo sguardo, Stephen disse: “Sei in ritardo”.
“Ho trovato traffico” disse questo qualcuno.
“Avresti dovuto partire prima” ribatté Stephen.
“Mi dispiace” disse semplicemente. Stephen volse lo sguardo, trovandosi accanto a sé Christine. Poi disse: “Nostra figlia ti stava cercando. Ha voluto aspettare finché non arrivassi, ma ha dovuto andarsi a preparare”.
“Ti ho detto che mi dispiace. Ho cercato di fare il più presto possibile per arrivare qui!” replicò Christine. I due si guardarono in silenzio; poi le luci si spensero. Riguardarono avanti e, mentre gli altri applaudirono, Christine sottovoce aggiunse: “E, per favore, cerchiamo almeno di non litigare davanti a nostra figlia mentre recita” e Stephen non disse nulla.
La recita iniziò – con l’introduzione da parte della maestra – e, dopo qualche breve scena, entrò Stephanie. Stephen e Christine applaudirono e sorridevano nel vedere la loro bambina su quel palco. Di tanto in tanto, Stephanie soffermava lo sguardo su di loro. Vedevano quanto era felice e quanto si era calata nella parte. Stephen era orgoglioso di lei, così come anche Christine.
A metà serata, però, il cellulare di Stephen squillò. Dapprima cercò di ignorarlo, ma la suoneria si faceva sempre più insistente. Chi era seduto vicino a lui – o nelle file adiacenti- gli puntava sguardi accusatori, incitandolo a spegnere l’apparecchio.
Infastidito, Stephen estrasse il cellulare dalla tasca, guardando chi lo stava chiamando: si trattava dell’ospedale. Anche Christine puntò l’occhio sullo schermo, per poi dire: “Dovresti rispondere”.
“Sapevano che non dovevano chiamarmi” replicò Stephen.
“Se ti hanno contatto vuol dire che le cose si sono complicate e solo tu puoi risolverle. Coraggio rispondi” disse Christine. Stephen la guardò; poi volse lo sguardo verso Stephanie che, in quel momento, non stava guardando verso la platea; infine, si alzò e, dopo aver accettato la chiamata ed essersi messo il cellulare all’orecchio, uscì di poco dalla porta, ribattendo: “Vi avevo detto che non volevo essere disturbato per nessun motivo!”.
“Ci dispiace molto Doctor Strange, ma abbiamo ritenuto contattarla perché lei è l’unico che può aiutare il signor Johnson. La prego, venga” disse l’infermiera.
Stephen guardò al di là della porta semi aperta, per vedere la figlia esibirsi. Della rabbia si formò dentro di sé, per poi replicare: “Ci vediamo fra poco!” e spense la chiamata. Sentì applaudire; stava per rientrare, poi però rimase con una mano sulla porta. Si voltò, andandosene.
Christine volse lo sguardo all’indietro e, non vedendo ritornare Stephen, capì subito che aveva scelto di andare in ospedale. Riguardò avanti, per vedere Stephanie osservare, anche solo per poco, davanti a lei, notando subito l’assenza del padre. Il suo sguardo si rattristì e sperò almeno di rivederlo prima che iniziasse a cantare.
Stephen arrivò a tutta velocità in ospedale e, una volta giunto in terapia intensiva, un’infermiera lo affiancò, mostrandogli il tablet: “Non ho molto tempo, quindi facciamo in fretta” si limitò a dire Stephen, prendendo il tablet e dandogli un’occhiata veloce, scorrendo una dopo l’altra, le immagini delle varie radiografie fatte al paziente.
“Da quanto è così?” domandò.
“Si è aggravato circa un’ora fa. Pensavamo che si stabilizzasse, invece…” iniziò col rispondere l’infermiera.
“Perché non avete chiamato il dottor West?” chiese Stephen, raggiungendo il paziente, ma prima che l’infermiera potesse rispondere, aggiunse: “Lo so io il perché: perché è solamente un incompetente, come tutti gli altri. Per loro vanno bene i casi di pediatria” e, dopo aver preso una penna, aprì prima un occhio e poi l’altro. Per poi dire: “Dobbiamo portarlo subito in sala operatoria” e si incamminò, seguito dall’infermiera – alla quale se ne aggiunse un’altra – che spingeva la barella.
Mentre camminava, Stephen guardava l’orologio e sperava tanto di ritornare presto alla recita per rivedere la sua bambina.
Poco dopo, Stephen stava operando delicatamente il paziente, cercando di fermare l’emorragia che si era formata. Di sottofondo, un’infermiera cambiò musica, mettendone una natalizia. Stephen si fermò, per poi replicare: “Per favore spenga quella cosa: mi sta distraendo!” e, senza farselo ripetere due volte, l’infermiera spense la musica.
Di solito, mentre operava, Stephen ascoltava la musica, ma non in quel momento: sentendo musiche natalizie, gli veniva in mente che avrebbe dovuto essere alla recita di Stephanie e, ciò, gli faceva salire solo rabbia. Si stava perdendo uno dei momenti più belli di sua figlia.
“Parametri vitali?” chiese, non distogliendo lo sguardo da dove stava operando. L’infermiera volse lo sguardo verso il monitor, per poi riguardarlo: “Tutto stabile”.
“Aspirazione” disse semplicemente Stephen e l’altra infermiera accanto a lui aspirò il sangue in eccesso; poi Stephen mise su un piattino lo strumento con il quale aveva appena operato, aggiungendo: “Ago e filo” e l’infermiera gli allungò ciò da lui richiesto.
Stephen iniziò a chiudere il taglio fatto prima e, una volta terminato, disse: “Portatelo in terapia intensiva e monitoratelo” e, dopo essere uscito dalla sala operatoria, si tolse mascherina e guanti, gettandoli in un bidone.
Mentre si toglieva il camice, gettandolo anch’esso nel bidone, l’infermiera si avvicinò a lui. Stephen, roteando gli occhi, replicò: “E ora che altro c’è?”.
“Non vuole avvertire i parenti di quello che abbiamo fatto?” gli domandò.
“Taglierò corto: mi avete disturbato mentre stavo guardando la recita di mia figlia, quando vi avevo espressamente ordinato di non farlo! Quando ieri ho operato il signor Johnson, stava bene e, a quanto pare, anche durante tutta la giornata di oggi, ha trascorso il periodo post operatorio con positività. Allora mi chiedo: come mai si è aggrevato proprio mentre ero impegnato con qualcosa di più importante? Chi non ha seguito alla lettera ciò che avevo detto di fare?” replicò furioso Stephen.
L’infermiera abbassò lo sguardo non rispondendo. Stephen la guardò malamente e, mentre si allontanava, ribatté: “Avvertite voi i parenti e non chiamatemi più!”.
“Doctor Strange, la prego, vada piano in macchina: in televisione hanno detto che il manto stradale è molto scivoloso a causa del ghiaccio” lo avvertì l’infermiera ma, ormai, Stephen era uscito. L’infermiera sospirò.
Stephen entrò in macchina e, dopo averla avviata, partì a tutta velocità.
Nel frattempo, Christine guardò l’orologio, per poi guardare il palco, mentre la maestra disse: “E, ora, accogliamo con un grande applauso Stephanie Strange, che ci delizierà con una bellissima canzone di Natale”. Si fece da parte, per far posto a Stephanie. Il pubblico applaudì e, mentre le mettevano a posto il microfono, Christine disse: “Stephen ma dove sei finito?”.
Stephen continuava a guidare a tutta velocità, superando svariate macchine. Voleva arrivare in tempo per vedere la sua bambina. Ormai non mancava molto a destinazione, quando, la macchina sbandò a causa del ghiaccio. Stephen non riuscì più a manovrarla, andandosi a schiantare contro un muro. Stephen finì con la testa contro il volante. Era tutto ricoperto di sangue e vetri e, prima di perdere i sensi, vide i presenti avvicinarsi e sentì qualcuno dire di chiamare i soccorsi. Poi divenne tutto nero.
Stephanie era pronta a cantare. Aprì bocca, poi però guardo la folla davanti a sé e vide ancora il posto vuoto accanto a sua madre: suo padre non era riuscito a ritornare in tempo. Gli occhi le divennero lucidi e si portò una mano nella tasca del vestito, dove aveva tenuto segretamente per la tutta la serata, il regalo che avrebbe dato successivamente al padre. 
Lui le aveva promesso che ci sarebbe stato per sentirla cantare, invece aveva preferito – come altre volte – ritornare in ospedale per occuparsi di un caso complicato e da lui ritenuto importante. Ma la bambina sapeva benissimo, come le aveva detto, che lei era molto più importante di qualsiasi altra cosa. Ma allora perché non si trovava lì?.
In quel momento, a Christine squillò il cellulare. Lo prese e, tirò un sospiro di sollievo nel vedere il nome di Stephen sullo schermo. Accettò la chiamata e, dopo esserselo messo all’orecchio, disse: “Stephen era ora, ma dove sei finito? Nostra figlia sta per cantare e sta aspettando solo te e…” ma chi era dall’altra parte non era Stephen, ma un’infermiera dell’ospedale, che le spiegò: “Dottoressa Palmer, mi dispiace molto darle questa notizia, ma il Doctor Strange ha avuto un terribile incidente ed ora è ricoverato in terapia intensiva. Se vuole, può venire subito”.
Christine allontanò il cellulare dall’orecchio e, per un attimo, le si annebbiò la vista, portandosi poi una mano sulla bocca. Guardò la figlia, che la guardò a sua volta, mentre nel cellulare si poteva udire ancora la voce dell’infermiera che la chiamava: “Dottoressa Palmer. Dottoressa Palmer, c’è ancora?”.
Christine si rimise il cellulare all’orecchio, per poi dire: “Sì, sì, sono qua. Arrivo subito” e spense la chiamata. Poi si alzò e, avvicinandosi al palco, disse rivolta a Stephanie: “Tesoro, mi dispiace che non potrai cantare, ma dobbiamo andare da papà”.
 “Papà sta male?” chiese Stephanie, ormai in procinto di piangere.
“Te lo spiego dopo. Ora andiamo” rispose Christine, allungandole una mano. Stephanie gliela prese e, dopo essersi abbassata, scese dal palco. Le due camminarono tra i presenti, mentre questi le guardavano in silenzio.
Poco dopo, madre e figlia arrivarono in ospedale. In macchina, Stephanie aveva posto ogni genere di domanda, ma Christine aveva cercato di essere il più vago possibile.
In terapia intensiva furono raggiunte da un’infermiera. La stessa che aveva avvertito Christine: “Dov’è Stephen?” domandò. L’infermiera si incamminò, seguita dalle due, per poi fermarsi davanti ad una stanza. Si voltò, dicendo: “Le do un consiglio, Dottoressa Palmer: non credo che per la piccola possa essere una bella idea entrare” ed entrambe guardarono Stephanie.
Christine si abbassò, dicendo: “Piccola, ora io entro da papà”.
“Voglio venire anche io” disse Stephanie.
“Forse, per ora, sarebbe meglio di no. Credo che papà stia dormendo e tu non vuoi disturbarlo, vero?” disse Christine.
“Ma quando vado a svegliarlo, lui è contento. Papà ha la bua, vero?” disse Stephanie, abbassando lo sguardo. Christine le mise una mano sotto il mento, per poi dirle: “Non ti preoccupare, tesoro: sai che papà è molto forte. Vedrai che guarirà. Ora promettimi che farai la brava con questa signorina”.
“Va bene, poi però voglio vedere papà” disse Stephanie, rialzando lo sguardo. Christine le sorrise e, dopo averla baciata sulla testa, si voltò, entrando dentro la stanza. Stephen era attaccato ad una flebo ed alla macchina che gli monitorava il cuore. Sulla bocca aveva una mascherina per l’ossigeno.
Christine si avvicinò e poté vedere che in viso era pieno di graffi e medicazioni. Quando gli fu accanto, prese la mano sinistra, dicendogli: “Oh, Stephen, ma cosa hai combinato? Nostra figlia ti aspettava e invece sei qua, in questo stato. Fra qualche ora sarà Natale e tu non puoi mollare proprio ora. Stephanie ha bisogno di te. Io…ho bisogno di te”. Avvicinò il viso a quello di lui, baciandolo.
Poi lo allontanò, ma mentre lo guardava, spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte, l’infermiera entrò di poco dalla porta, dicendole: “Dottoressa Palmer, sua figlia…”. Christine abbassò lo sguardo su Stephanie, che si trovava accanto all’infermiera; poi disse: “La faccia pure entrare”.
Stephanie entrò e, mentre si avvicinava alla madre, non distoglieva mai lo sguardo dal padre. Una volta accanto a Christine, questi, stando dietro di lei, le mise le mani sulle spalle. La bambina guardò il padre, per poi domandare: “Ma papà sta dormendo?”.
“Sì, tesoro” le rispose semplicemente.
“Perché ha tutte quelle cose attaccate?” chiese, riferendosi alla flebo ed alla macchina per il monitoraggio del cuore; poi aggiunse, mentre alcune lacrime iniziarono a bagnarle il viso: “Non doveva andare così. Babbo Natale è cattivo”.
“No, non dire questo” disse Christine. Stephanie si voltò verso di lei, replicando: “Invece sì! Mi aveva promesso che avremo passato il Natale tutti e tre insieme, invece papà è qua in ospedale e sta male” e pianse contro la madre. Christine la strinse forte a sé, cercando di consolarla: “Vedrai che tutto si sistemerà. Come ti ho detto prima, papà è molto forte e, se gli stiamo accanto, guarirà più velocemente. Lui sente che ci siamo”.
Stephanie la guardò, continuando a piangere; poi guardò il padre e, prima che la madre la potesse fermare, salì sul letto; passò sotto il suo braccio e si distese accanto a lui, appoggiando la testa contro il petto.
Christine stava per dire qualcosa, poi però decise di lasciarli da soli. Quindi uscì, mentre Stephanie si strinse ancora di più al padre e le lacrime continuavano a bagnarle il viso.
Passò qualche ora e, fra poco, sarebbe scattata la mezzanotte. Christine decise di rientrare nella camera di Stephen. Vide ancora Stephanie distesa accanto al padre. Si avvicinò. La bambina la guardò, per poi scendere dal letto e, mentre la madre le si affiancava, estrasse qualcosa dalla tasca del vestitino: si trattava di una campanella con un fiocco rosso. Quindi spiegò: “Questo me lo aveva consegnato Babbo Natale quel giorno al centro commerciale: mi disse di donarlo alla persona alla quale volevo più bene”. Guardò il padre, continuando: “Per questo, volevo regalarlo a papà. Babbo Natale disse anche che questa campanella avrebbe portato gioia e serenità. Invece, secondo me, non è così” ed alcune lacrime ripresero a rigarle il viso.
“Perché non provi a darglielo lo stesso?” propose Christine. Stephanie mise allora la campanella dentro la mano sinistra del padre. Sperava tanto che la stringesse, invece non accadde nulla. La bambina abbassò tristemente lo sguardo, quando fuori sentirono rintoccare la mezzanotte: era Natale.
“Avrei tanto voluto che papà mi sentisse cantare” disse Stephanie, asciugandosi alcune lacrime.
“Allora fallo” disse Christine e, dopo che Stephanie alzò lo sguardo su di lei, continuò: “Fallo per lui! Canta! Sono sicura che sentirà la tua voce”.
Così Stephanie iniziò a cantare la bellissima canzone di Natale che avrebbe dovuto portare alla recita. Chi era fuori dalla stanza, sentì la sua voce e si avvicinò, stando nel corridoio. Christine aveva gli occhi lucidi: la sua bambina aveva una bella voce.
Più cantava e più sembrava che nell’aria si diffondesse un messaggio di pace ed armonia. Come se i dolori – o le perdite – per un attimo svanissero.
In quel momento, la mano sinistra di Stephen si mosse e racchiuse la campanella. Christine se ne accorse, per poi vedere Stephen aprire lentamente gli occhi. Stephanie smise di cantare, proprio quando il padre la guardò e, da sotto la mascherina, sorrise e con voce debole e rauca le disse: “Hai una bellissima voce, cucciola mia”.
Stephanie sorrise, mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso ma, stavolta, non per tristezza, ma per gioia. Entusiasta lo abbracciò, dicendo: “Papino! Stai bene! Ho avuto tanta paura di perderti”.
“Non me ne andrò mai, cucciola: ti ho promesso che nessuno dovrà mai separarci. Io mantengo sempre le mie promesse” disse Stephen, stringendola a sé. Poi guardò la campanella, così come Stephanie che gli disse: “Buon Natale, papino”.
“Buon Natale, cucciola” le disse sorridendo Stephen; poi guardarono Christine che, anche lei con le lacrime agli occhi, disse: “Buon Natale, Stephen”.








Note dell'autrice: Eccomi qua con un nuovo capitolo. Ho voluto pubblicare ora, perchè poi mi devono portare via il computer e quindi poi non so quando avrei potuto pubblicare.
Vi è piaciuto questo capitolo? Avrei  dovuto avvertire all'inizio di preparare i fazzoletti
Ho già iniziato a scrivere il prossimo capitolo (ed anche questo sarà ambientato nel passato)
Spero che la storia vi stia piacendo e non smetterò mai di ringraziarvi per le bellissime recensioni che lasciate. GRAZIE. GRAZIE infinite
Grazie a tutti coloro che passano semplicemente di qua; che hanno messo mi piace alla storia e che l'hanno messa tra le preferite.
Grazie alla mia amica Lucia
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon inizio settimana
Un grosso abbraccio
Valentina

 

 

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Capitolo 16
*** Un regalo speciale ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XVI: Un regalo speciale


 
Stephen aveva appena terminato un’altra operazione e, ora si stava dirigendo verso l’asilo dell’ospedale, quando venne raggiunto da Christine. I due si salutarono, poi Christine disse: “Ho un po' di pausa, che ne dici se ci concediamo del tempo per noi? Conosco un posticino dove possiamo…bè, lo sai anche tu”.
Stephen si fermò, così come lei, per poi dirle: “In verità stavo andando da nostra figlia e, in questo momento, mi interessa solo lei” e riprese a camminare. Christine gli fu subito a fianco: “E’ proprio questo che voglio farti capire: da quando è nata Stephanie, non abbiamo mai più avuto un momento per noi due”.
“E cosa ti aspettavi? Siamo dei genitori ora ed è compito occuparci della nostra bambina” disse Stephen.
“Ma non ventiquattr’ore su ventiquattro. Avremo diritto ad una giornata per noi” disse Christine.
Si fermarono davanti all’asilo e Stephen domandò, inarcando un sopracciglio: “Dove vuoi arrivare?”.
“Potremo uscire fuori a cena, per poi concludere la serata in intimità” rispose Christine, mettendogli le mani sul petto.
“E Stephanie? Verrà con noi a cena” disse Stephen.
“No, Stephen! Intendevo solo noi due. Stephanie l’affideremo ad una babysitter” disse Christine.
“Non se ne parla! Nessuna estranea entrerà in casa nostra e si occuperà della mia bambina. Pensavo di essere già stato chiaro più volte riguardo questa cosa” replicò Stephen.
“Ed io pensavo tenessi a noi due” disse Christine. Calò il silenzio; poi Stephen, senza aggiungere altro, aprì la porta dell’asilo, seguito dalla stessa Christine. Appena entrarono vennero accolti da Gloria, l’infermiera che si occupava dei bambini: “Dottor Strange, Dottoressa Palmer” disse loro sorridendo.
Mentre Stephen, avendo già visto Stephanie, si stava dirigendo verso di lei, Christine invece si affiancò a lei scambiando qualche parola: “Gloria, allora oggi come sta andando?”.
“Vostra figlia è brava ma, se devo essere sincera, vuole sempre primeggiare sugli altri, dicendo anche loro che non valgono nulla” le rispose.
“Tutta sua padre” disse Christine.
Stephen aveva raggiunto la figlia, che stava disegnando standosene seduta al tavolino. Appena vide il padre, Stephanie gli disse: “Guarda papino che cosa ho disegnato” e gli mostrò il foglio di carta. Stephen lo prese in mano, dicendo: “Oh, ma che bello”.
“Questa sono io; questo tu e questa la mamma” disse Stephanie, indicando i vari personaggi disegnati.
“E questo qui è un sole sorridente. Aspetta che gli manca qualcosa” disse Stephen e, dopo aver preso un pastello nero, disegnò sopra gli occhi del sole. Poi disse: “Ecco fatto: al sole non potevano mancare gli occhiali da sole” e Stephanie rise. Venne presa in braccio dal padre ed entrambi si sedettero a terra, iniziando a giocare con delle forme lego.
“Quando è con il Dottor Strange sembra tutta un’altra bambina” disse Gloria, mentre li osservava.
“In effetti è come se vivessero in un mondo tutto loro e Stephen non vorrebbe mai lasciarla andare. Fosse per lui, rimarrebbe con lei ventiquattr’ore su ventiquattro. Non abbiamo neanche più tempo per noi due” disse Christine.
“Mi dispiace e poi, con il lavoro che fate, dev’essere anche stancante” disse Gloria.
“Oh bè, quello è il minimo: adoro mia figlia ma sembra che per Stephen non esista più qualcosa fra noi due. Prima gli avevo proposto se, una sera di queste, andiamo fuori a cena e lasciamo Stephanie con una baby sitter. Ovviamente ha declinato subito l’offerta, dicendo che non vuole assolutamente lasciare la sua bambina nelle mani di un’estranea” disse Christine. Poi le venne in mente un’idea; guardò Gloria ed aggiunse: “Ma forse tu…Ma certo…tu”.
“Io cosa?” disse stupita Gloria, guardandola.
“Tu potresti badare a Stephanie. Dopotutto lo fai già qua ed a casa nostra avresti solo lei. Io e Stephen ci fidiamo di te. Ormai ti conosciamo da molto tempo” rispose Christine.
“Non credo che il Dottor Strange si fidi molto di me” disse Gloria.
“Non badare a lui. Per me è sufficiente avere una come te che badi a Stephanie” disse Christine.
Stephen si rialzò e, dopo aver baciato Stephanie sulla guancia, si avvicinò a Christine e Gloria. In quel momento, il cercapersone di Stephen squillò: “Credo sia il tuo” disse Stephen.
“Non penso proprio” disse Christine ma, in quel momento, squillò anche il suo. Entrambi li estrassero e Christine disse: “Credo proprio che dovremo andare”.
“Non voglio lasciare la mia cucciola” disse Stephen, guardando amorevolmente Stephanie, che continuava a giocare con i lego.
“Lei è in buone mani” disse Christine. Poi rivolta a Gloria, aggiunse: “Ti farò sapere e spero che accetterai” e, dopo aver salutato Stephanie, uscì. Accorgendosi, però, che Stephen non la stava seguendo, rientrò, prendendolo per un braccio e trascinandolo fuori, ma prima di uscire, Stephen disse, rivolto alla figlia: “Cucciola, tu sei una Strange, quindi sai cosa fare” ed uscì. I due si fermarono alla finestra, per vedere Stephanie andare verso un altro bambino. Questi scosse negativamente la testa e, quindi, Stephanie lo spintonò per poi fargli cadere la torre di lego che aveva costruito. Il bambino iniziò a piangere, ma venne presto consolato da Gloria.
Stephanie guardò sorridendo i genitori e Stephen disse: “Brava, cucciola del papà. Così si fa. Il papà ti vuole tanto bene. Rendi gli altri inferiori”. Guardò Christine, ma appena vide che lo stava guardando malamente, disse: “Che c’è?”.
“Tu stai creando un mostro” disse e si incamminò. Stephen la seguì, dicendole: “Stephanie deve capire che gli altri sono niente in confronto a lei. Quando diventerà grande, lei sarà la migliore, soprattutto in neurochirurgia”.
“Ha solamente due anni. Ce ne è ancora di tempo” disse Christine.
“Meglio prepararla già da ora” disse Stephen e Christine scosse negativamente la testa. Poi Stephen domandò: “A proposito, cosa intendevi prima rivolta a Gloria con “ti farò sapere e spero che accetterai”?”.
“Ho proposto a Gloria di badare a Stephanie per una sera” rispose.
“No! Assolutamente no!” replicò Stephen, fermandosi. Anche Christine si fermò e, guardandolo, disse: “Perché no? Bada a Stephanie ed a molti altri bambini già qua all’asilo dell’ospedale. Abbiamo visto quanto è brava ed io mi fido di lei”.
“Ma io no!” ribatté Stephen. Christine ritornò da lui e, quando gli fu di fronte, disse: “Lo so che ti rende difficile allontanarti da Stephanie, ma si tratta solamente di una serata. Poi Gloria non è un’estranea. Anche io non voglio lasciare la nostra bambina con qualcuno che non conosciamo, ma so con lei è al sicuro”.
“Lo sarebbe più con me. Sono suo padre, dopotutto!” replicò Stephen.
“Lo so e sei un padre straordinario. Ma come ti ho detto, si tratta solamente di una serata. Solo noi due, dopo tanto tempo. Non ti piacerebbe anche a te?” disse Christine. Stephen annuì e Christine, alzandosi un po' sulle punte dei piedi, lo baciò. 
I loro cercapersone suonarono e, una volta staccati dal bacio. Stephen ribatté: “Giuro che se mi hanno chiamato per un raffreddore, li rinchiudo nello sgabuzzino”.
“Pensavo potessimo andarci noi” disse Christine.
“Non mi tentare. Ti voglio ricordare che è così che è arrivata Stephanie e non potrei che esserne più felice” disse Stephen, facendo un sorriso beffardo. Anche Christine sorrise e, incamminandosi fianco a fianco, Christine disse: “Comunque, non credo che scomodino il grande Dottor Strange per un raffreddore”.
“Sono tutti degli incompetenti: per loro un raffreddore è difficile quanto un’operazione a cuore aperto” disse Stephen.
“Vorrà dire che saranno bravi in altre cose” disse Christine. Si fermarono, guardandosi e Christine aggiunse: “Allora ci vediamo a fine turno. Passo a prendere Stephanie e ci incontriamo”.
“Non fatemi aspettare, mi raccomando” disse Stephen.
“So quanto puoi diventare irritabile” disse Christine e lo baciò. Si staccarono ed ognuno andò dal proprio paziente.
Passarono le ore e, dopo cena, Christine e Stephen si ritrovano sul divano: “Stephanie si è finalmente addormentata. Non voleva lasciarmi andare” disse Stephen.
“Forse ha paura che te ne ritorni in ospedale” disse Christine, guardandolo.
 “Non ci sono per nessuno: solo per le mie due principesse” disse Stephen, sorridendole e affiancandosi a lei, prendendole le mani. Christine appoggiò la testa contro la sua spalla; poi disse: “Ho trovato un localino che potrebbe fare al caso nostro per la cena. Dimmi tu quando vuoi uscire”.
“Io vengo, ma solo se tu mi permetti di fare una cosa” disse Stephen.
“Qualunque cosa. Intanto già basta che tu abbia deciso finalmente di uscire” disse Christine, sorridendogli.
Arrivò la giornata della cena. Christine aveva giornata libera e, per l’occasione, per metà mattinata e pomeriggio, uscì con Stephanie, andando a fare shopping, mentre Stephen era al lavoro.
Fecero tanti acquisti, finché non entrarono in un negozio di gioielleria. La campanella della porta tintinnò ed il gioielliere, che si trovava dietro al bancone, alzò lo sguardo e sorrise non appena vide Christine mentre spingeva il passeggino con dentro Stephanie.
“Dottoressa Palmer, che piacere rivederla” disse, mentre le raggiunse.
“Buongiorno” gli disse sorridendo.
“E vedo che ha riportato anche la sua bellissima bambina” disse, guardando Stephanie, che stinse a sé il coniglietto di peluche.
“Oggi giornata totalmente dedicata a noi due, mentre stasera uscirò con il padre. È per questo che siamo qua: è pronto?” chiese Christine.
“Come lei stessa aveva chiesto” rispose il gioielliere e, dopo essere ritornato dietro al bancone, si abbassò per prendere una scatolina. Christine, con Stephanie, si avvicinò: il gioielliere aprì la scatolina, rivelando al suo interno un bellissimo orologio pregiato e con il cinturino nero.
“E’ come lo voleva?” le domandò.
“È perfetto. E, dietro, c’è anche la scritta che avevo richiesto?” chiese. Il gioielliere estrasse l’orologio, voltandolo: Christine sorrise nel leggere la frase incisa. Guardò il gioielliere, che disse: “Spero che al Dottor Strange piaccia”.
“Lo spero anche io” disse Christine, sorridendo. Stephanie allungò una mano, dicendo: “Mio. Mio”.
“Lo vuoi vedere anche tu?” chiese il gioielliere e, dopo essersi abbassato, mostrò l’orologio alla bambina, per poi aggiungere: “Questo è un regalo per il tuo papà. Glielo ha fatto la tua mamma”.
“No! Io faccio i regali al papà!” replicò Stephanie.
Prima che il gioielliere potesse aprire bocca, Christine disse: “Glielo dirò che è da parte tua”.
“Vuole una confezione regalo?” domandò il gioielliere.
“No, va bene anche così. Stephen non ama molto scartare regali. Comunque grazie lo stesso” rispose Christine e, dopo aver pagato e, ovviamente, aver ritirato l’orologio, salutò il gioielliere ed uscì con Stephanie.
Venne sera e, mentre Christine stava finendo di prepararsi, Stephen stava invece apportando qualche modifica in salotto, sotto lo sguardo curioso di Stephanie, che stava seduta sul tappetto circondata da innumerevoli giochi.
Seguiva ogni spostamento del padre: “Papino, che stai facendo?” gli chiese.
Stephen la guardò: “Mi assicuro che la tua baby sitter non ficchi troppo il naso in cose che non la riguardano. E inoltre, non voglio che tu ti faccia male, cucciola mia” e riprese a mettere scotch su prese elettriche ed angoli dei tavoli.
Christine scese le scale e, appena arrivò in salotto, domandò: “Che cosa stai facendo?”.
Stephen la guardò: “Proteggo la casa da ospiti indesiderati” le rispose.
“Credevo che dovessimo mettere a suo agio Gloria” disse Christine.
“E tu mi avevi promesso che mi avresti lasciato fare qualunque cosa, visto che ho apertamente accettato di uscire con te questa sera, seppur sono ancora restio in questa decisione” disse Stephen, alzandosi.
“Sì, ma non pensavo che qualunque cosa, includesse mettere in sicurezza il nostro loft” disse Christine.
“Ho paura che Stephanie possa farsi del male” disse Stephen.
“E’ anche casa sua e, finora, non le è mai accaduto nulla” disse Christine. 
“Perché ci siamo sempre stati noi con lei. Questa è la prima volta che la lasciamo da sola e non sai quanto soffro” disse Stephen.
“La lasciamo da sola anche nell’asilo dell’ospedale” disse Christine.
“Non è la stessa cosa” disse Stephen.
Suonarono al campanello e, mentre Christine andava ad aprire, Stephen si abbassò accanto a Stephanie.
Christine aprì la porta, facendo entrare Gloria, che disse: “Scusate se sono arrivata in ritardo”.
“Sei in perfetto orario” disse Christine, chiudendo la porta.
“Ho portato dei cartoni animati” disse Gloria. Stephen si alzò e, guardandola, replicò: “Vorrai dire un modo per ipnotizzare la mia cucciola!”.
“No…io…in verità…” iniziò a dire con paura Gloria, ma Stephen, facendo qualche passo verso di lei, la interruppe: “Pensi di non essere brava a tenerla buona e, così, ti sei portata il piano b. E magari, una volta che si è addormentata, poi ti divertirai a tuo modo”.
“Stephen, piantala!” ribatté Christine; poi guardò Gloria, dicendole: “E’ il suo modo di inquietare la gente. Sono sicura che, invece, farai un ottimo lavoro con Stephanie e lei apprezzerà i cartoni animati che hai portato. Adora sempre guardarli con noi”.
“Ci divertiremo un sacco. Vero, Stephanie?” disse Gloria, guardando sorridendo la bambina, che la guardò a sua volta, per poi riporre l’attenzione sui giocattoli.
“Vado un attimo in cucina a prendere una cosa” disse Christine e si congedò.
Gloria cercò di compiere qualche passo verso Stephanie, ma Stephen le andò subito davanti: “Ascoltami molto attentamente: in questi giorni mi sono informato su di te e, credimi, ti affido la mia cucciola solamente perché non hai ancora ucciso nessun bambino. Sei un’infermiera rispettabile ma sarò sincero: non ti vorrei mai nel mio team. Non saresti all’altezza delle operazioni che scelgo. Il tuo è un curriculum mediocre, ma passabile per le tue prestazioni verso i bambini. Vedi di trattare la mia come se fosse una principessa: ho telecamere sparse per il loft e verrò a scoprire se la farai piangere anche solo una volta. Non perderla mai di vista e segui alla lettera i biglietti che ho sparso per la casa”.
Gloria deglutì per la paura; poi Stephen le consegnò un biglietto: “Qui ho scritto i numeri al quale puoi contattare me o Christine. Vorrei essere avvisato se Stephanie richiede di me o ha qualcosa che non va. Non fare mai di testa tua e, soprattutto, non far entrare in casa nessun altro. Spero che tu non abbia un fidanzato”.
“In verità io…” iniziò col dire Gloria, ma Stephen la interruppe: “Scordatelo! Se entra qui, è un ragazzo morto e lo sarai anche tu. Anzi, ti farò passare giornate d’inferno all’ospedale, se qualcosa andrà storto stasera. Sono stato chiaro?!” e Gloria annuì.
Christine ritornò da loro e, notando che si guardavano in silenzio, chiese: “Tutto bene?”.
“Sì, il Dottor Strange mi stava spiegando alcune regole” rispose Gloria.
“Immagino” disse Christine, spostando lo sguardo su Stephen e guardandolo poco convinta. Poi andò da Stephanie e, dopo essersi abbassata ed averla baciata sulla testa, disse: “La mamma ed il papà escono per poco, però tu promettici che farai la brava con Gloria, proprio come sei all’asilo dell’ospedale”.
“Va bene, mammina” disse Stephanie. Christine si alzò, lasciando il posto a Stephen che anche lui, dopo essersi abbassato, la prese in braccio, stringendola a sé: “Mancherai un sacco al papà, ma queste ore passano alla svelta. Vorrei che potessi venire con noi, ma la mamma non vuole” ma, appena volse lo sguardo verso di lei e vide che lo stava guardando in modo poco piacevole, riguardò la figlia, aggiungendo: “Ma, sono sicuro che farai la brava con questa ragazza. Non renderle la serata complicata, mi raccomando. E, lo sai, che se sei ubbidiente, poi il papà ti farà un bellissimo regalo” e la baciò su una guancia, per poi rimetterla a terra.
Si affiancò a Christine, ma non prima aver guardato malamente Gloria, mentre le passava accanto. I due genitori riguardarono Stephanie, che li salutava con una manina. Infine uscirono.
Gloria, che aveva osservato i due uscire, riguardò la bambina…ma era sparita: “Iniziamo bene. Ma dove si sarà cacciata?” ed iniziò a cercarla. Quella bambina di quasi tre anni non poteva essere così veloce a camminare – almeno all’asilo in ospedale non lo era. Non poteva essere svanita in una manciata di secondi. E se i genitori – specialmente il padre - fossero rientrati perché avevano dimenticato qualcosa e non avessero visto la figlia? Sarebbe stata disintegrata da Strange.
Sentì qualcosa cadere. Corse in direzione del suono, per vedere Stephanie in piedi su una sedia ed intenta a prendere un barattolo con dentro dei biscotti, posta in una scaffalatura abbastanza in alto. A terra vi era un contenitore di plastica e tante caramelle.
A passo spedito fu da lei e, dopo averla presa in braccio, le disse: “Mi volto due secondi e tu già vai in pericolo. Lo sai che non si fa? Avresti potuto cadere e farti male. Poi chi lo avrebbe sentito tuo padre? Con tua madre si può ragionare, ma con lui è come vedersi passare tutta la vita davanti. Spero che quando crescerai, diventerai come la Dottoressa Palmer”.
“No! Io diventerò come il mio papino!” replicò Stephanie. 
“Contenta tu” disse. Poi guardò a terra: “Guarda che pasticcio: meglio rimettere a posto e tu mi darai una mano” ma, appena fece scendere Stephanie, questi cercò di sgattaiolare via. Quindi Gloria disse: “No, signorinella: questo lo hai causato tu, quindi rimedierai”.
“No! Io voglio andare a giocare!” ribatté Stephanie, cercando di togliere la mano di Gloria dalla sua.
“I tuoi genitori non ti hanno insegnato a rispettare i più grandi?” domandò, ma vedendo che la bambina continuava a dimenarsi, aggiunse: “Evidentemente no”. Poi le venne in mente un’idea: “Facciamo così: visto che è ora di cena, ti darò la tua pappa preferita e poi guarderemo i cartoni animati. Cosa ne dici?”.
“No! Io voglio andare a giocare!” ripeté Stephanie.
“Non c’è proprio verso di farti cambiare idea. Sei proprio uguale a tuo padre. Allora facciamo così: mangerai la tua pappa preferita, mentre starai di là in salotto a giocare o guardare i cartoni animati. Così va meglio?”.
La bambina smise di dimenarsi ed annuì, così poco dopo, si ritrovò seduta sul tappetto, mentre mangiava una minestrina, imboccata dalla stessa Gloria. Accanto a sé, aveva diversi giocattoli e la televisione accesa trasmetteva i cartoni animati.
Mentre le dava da mangiare, Gloria disse: “Ok, incomincio ad essere confusa: ho cercato di seguire le regole scritte da tuo padre e che ha sparso per la cucina, ma penso di averne dimenticata qualcuna o, sicuramente, non averla seguita in ordine corretto. Non ricordo se aveva scritto di non darti da mangiare qua in salotto e solamente in cucina, o di darti da mangiare ma non di non farti guardare contemporaneamente cartoni animati e giocare. Tuo padre è troppo fiscale e non dovrebbe darti così tante regole già alla tua età”.
Stephanie rise, mentre Gloria scosse negativamente la testa. Quella sarebbe stata una serata molto lunga.
Nello stesso modo, lo pensava anche Stephen: da quando erano arrivati al ristorante, non faceva altro che guardare il cellulare.
Stavano aspettando che arrivassero le ordinazioni e Christine continuava ad osservarlo, per poi dirgli: “Ti prego Stephen, la potresti smettere di guardare il cellulare? Se Gloria non chiama, vuol dire che sta andando tutto bene”.
“Oppure che è successo qualcosa, ma non vuole chiamare per paura che mi precipiti a casa” disse Stephen.
“So che è ciò che vuoi fare da quando siamo arrivati qua, ma non devi sempre pensare male: Gloria è una ragazza responsabile” disse Christine.
“Potrebbe essere responsabile, ma è ancora poco matura. È una ragazzina che si perde facilmente nel suo mondo” disse Stephen.
“E tu cosa ne sai?” gli chiese, ma quando non ricevette risposta, aggiunse: “Non ci posso credere: l’hai fatta spiare, non è vero?”.
“Volevo essere sicuro di chi prendevo in casa. Ho dato un’occhiata anche al suo curriculum: non capisco come abbiano potuto assumere una persona così” disse Stephen.
“Tu vedi gli altri come degli inferiori, ma prima di giudicare devi conoscere meglio una persona. Gloria è brava con i bambini e, sono sicura, che lo sarà anche con Stephanie” disse Christine. Stephen la guardò, ma non obiettò e, in quel momento, il cameriere portò loro le ordinazioni. Christine ringraziò ed il cameriere se ne andò. Quindi aggiunse: “E ora, per favore, cerca di goderti questa cena visto che, raramente, usciamo” e iniziò a mangiare.
Stephen riguardò il cellulare e non notando nulla, iniziò a mangiare anche lui. Christine fece un piccolo sorriso e, se la serata fosse continuata senza altre preoccupazioni, successivamente gli avrebbe consegnato il suo regalo.
Stephanie era seduta sul tappeto a guardare i cartoni animati e Gloria, dopo aver pulito in cucina, la raggiunse. Stava per sedersi sul divano, quando qualcuno suonò al campanello. Di sicuro non potevano essere Stephen e Christine, visto che avevano le chiavi.
Dopo aver chiesto chi fosse – ed aver riconosciuto la voce – aprì la porta, per poi dire: “Ryan, che cosa ci fai qua?” gli domandò.
“Pensavo che ti stessi annoiando, così ho fatto un salto” rispose il ragazzo. Gloria lo fece entrare e, dopo aver chiuso la porta, chiese: “Come facevi a sapere che mi trovavo qua?”.
“Le infermiere della portineria chiacchierano sempre e sono solite spettegolare su tutti: si era sparsa la voce che il Dottor Strange ti volesse questa sera per badare a sua figlia” rispose.
“In verità è stata la Dottoressa Palmer a chiedermelo: il Dottor Strange mi detesta e, sono sicura, che abbia nascosto qualcosa per farmi fare un passo falso con sua figlia e farmi licenziare dall’ospedale” disse Gloria.
Ryan guardò Stephanie, che lo guardò a sua volta e, indicandolo, disse: “Ficcanaso” e rise.
“Sì, è proprio la figlia del Dottor Strange: ha il suo stesso carattere” disse Ryan.
“Ed è anche molto dispettosa. Da quando sono arrivata non ha fatto altro che farmi dei dispetti. È come se facesse apposta e volesse, a tutti i costi, che suo padre mi cacci” disse Gloria.
“E’ una bambina di quasi tre anni: non credo possa pensare in modo così maligno” disse Ryan.
“Non se suo padre le ha insegnato a trattare tutti gli altri come inferiori” disse Gloria. Ryan riguardò Stephanie e, notando che aveva riposto l’attenzione sui cartoni animati, riguardò la ragazza proponendo: “Visto che la piccola diavoletta è intenta con altro, magari noi due potremo rintanarci da qualche parte e divertirci”.
“Vuoi mettermi nei guai? Non possiamo farlo in casa proprio del Dottor Strange. E se dovesse ritornare prima? O, peggio ancora, ha collegato le telecamere del loft al suo cellulare?” disse Gloria.
“Lo so che è paranoico, ma non penso che possa esserlo così tanto a tal punto da collegare le telecamere al suo cellulare. È come se spiasse anche sua figlia” disse Ryan.
“Dopotutto è quello che vuole: tenerla d’occhio” disse Gloria.
“Infatti, in questo momento, si trova qua in salotto a guardare i cartoni animati. Noi potremo trovarci uno stanzino e…bè…già lo sai” disse Ryan. Gloria guardò Stephanie; ci pensò un po' e, riguardando Ryan disse: “E va bene, ma facciamo presto: se torna il Dottor Strange e ci vede, siamo spacciati”.
“Rilassati: vedrai che sarà intento a cenare. Poi c’è la Dottoressa Palmer con lui: non guarderà nemmeno il cellulare” disse Ryan.
Stephen aveva consumato a malapena neanche metà cena, quando riprese in mano il cellulare, schiacciando su alcune applicazioni presenti. Christine lo guardò: “Ancora non ti sei dato pace, vero? Starà andando tutto bene”.
In quel momento, lo sguardo di Stephen assunse un’espressione furiosa, per poi, sbattere il cellulare sulla tavola, facendo sobbalzare Christine. Mentre estraeva il portafoglio, la donna gli domandò: “Stephen che cosa stai facendo?”.
“La cena è finita: dobbiamo ritornare subito a casa” rispose, mettendo alcune banconote sulla tavola.
“Ma io dovevo…” iniziò col dire Christine ma Stephen, alzandosi, la interruppe: “Andiamo!” e si incamminò. Christine rimase sconcertata. Prese la scatolina e, dopo averla guardata, sospirò e, dopo averla rimessa nella borsetta, seguì Stephen.
Una volta in macchina, Stephen partì a tutta velocità. Christine gli diceva più volte di rallentare, ma lui non ne voleva sapere ragioni. La donna lo guardava con un’espressione impaurita: non lo aveva mai visto così arrabbiato. Doveva aver visto sicuramente qualcosa sul cellulare. Non che il suo stato d’animo fosse stato sereno per tutta la serata, ma era cambiato subito dopo che aveva preso in mano il cellulare. Provò a chiedergli cosa fosse accaduto, ma lui se ne rimaneva in silenzio, mugugnando poi qualcosa come “Adesso ci penso io”.
Appena arrivarono al loft, Stephen aprì la porta, urlando: “Gloria! Gloria dove sei?!”.
“Stephen calmati, per favore. Mi vuoi dire che cosa è successo?” disse Christine, affiancandolo.
Gloria li raggiunse e, vedendoli, stupita disse: “Siete già arrivati”.
“Stephen ha deciso di finire prima la cena. Ma non so il perché” disse Christine.
“Io sì” replicò Stephen e, dopo aver schiacciato qualcosa sul cellulare, lo voltò verso la ragazza ed aggiunse: “Ti sembrano familiari queste immagini?”.
Gloria vide delle registrazioni di lei che era con Ryan in uno stanzino proprio del loft e, qualche istante prima. Guardò Stephen, che la guardava a sua volta con sguardo poco benevole. Poi il dottore chiese: “Lui dov’è?”.
“Non gli farà del male, vero?” domandò.
“Ti ho chiesto: dov’è?” ripeté Stephen, facendo sobbalzare Gloria. Questi volse lo sguardo, chiamando il ragazzo. Ryan arrivò e, appena vide il Dottor Strange, sbiancò completamente.
“Ryan, che cosa ci fai qua?” chiese incredula Christine.
“Io…ecco…io…” rispose titubante Ryan.
“Lo so io cosa ci fa qua: quello che fanno tutte le ragazzine quando devono badare ai bambini degli altri. Invitano i propri fidanzati per fare i loro comodi!” ribatté Stephen.
“No!” dissero insieme Gloria e Ryan.
“Voglio subito una spiegazione, prima che mi arrabbi ancora di più. È un ordine, non un consiglio!” replicò Stephen.
“Dottor Strange, Gloria non mi ha invitato: sono venuto di mia spontanea volontà. Lei non c’entra nulla, la prego” spiegò Ryan.
“Lei stessa ha colpa quanto te: poteva benissimo rifiutarsi e non farti entrare. Invece il mio loft, tutto ad un tratto, è diventato un centro di accoglimento per ragazzi disperati ed in cerca di qualcuno per soddisfare i propri ormoni. Chi è stato a dirti che stasera, io e la Dottoressa Palmer saremmo usciti ed avremmo affidato nostra figlia alla tua ragazza?” ribatté Stephen.
“L’ho sentito…dalle infermiere della portineria” rispose Ryan.
“Lo sapevo che quelle pettegole non riescano mai a farsi i fatti propri! A quanto pare, nemmeno tu! Potrei darvi una bella punizione, ma sarei troppo gentile. Quindi, dico che il licenziamento sia più che d’obbligo” disse Stephen.
“No, la prego, la scongiuro non ci licenzi. Non sapremo dove andare a cercare un altro posto di lavoro” disse Ryan.
“Questo non è affar mio! Avreste dovuto pensarci due volte prima di fare una cosa del genere in casa mia” replicò Stephen.
“Dottoressa Palmer, almeno lei…” disse Gloria, guardando Christine.
“Non interpellatela! Sono io che ti pago, quindi qualsiasi decisione spetta a me!” ribatté Stephen. Gloria abbassò tristemente la testa, mentre le si annebbiò la vista. Ryan cercò di consolarla, ma lei lo scansò.
“Papino” disse una vocina. Volsero gli sguardi per vedere Stephanie sulla soglia della cucina, mentre teneva in mano un biscotto.
“Eccola dov’era finita” disse Christine, andando da lei.
“Vostra figlia sgattaiola via come un gatto: sparisce sempre e combina guai” disse Ryan.
“Mia figlia non è un gatto!” replicò Stephen, guardandolo e Ryan sbiancò nuovamente.
Christine prese in braccio Stephanie, che guardò Gloria, per poi riguardare la madre e chiedere: “Perché è triste?”.
“Perché lei ora deve andare via” le rispose. Stephanie riguardò la ragazza: “Non può rimanere? Mi sono tanto divertita stasera”; poi guardò Stephen: “Torna, vero papino?”.
Gloria rialzò lo sguardo, incrociando quello furioso di Stephen; questi la guardò in silenzio, per poi spostare lo sguardo su Stephanie e Christine. La donna alzò un sopracciglio. Stephen riguardò Gloria: “Dipende se la prossima volta si comporta bene e certe persone non la vengono ad importunare” e fulminò con lo sguardo Ryan, il quale non obiettò.
Poco dopo, a letto: “Secondo me, sei stato troppo cattivo nei confronti di Gloria: Stephanie si è divertita con lei” disse Christine.
“Io sono stato fin troppo corretto” disse Stephen.
“Corretto tu? Ma se hai cosparso la cucina di bigliettini con su scritto che cosa doveva fare. E per non parlare del terzo grado che le hai fatto prima che andassimo via. Hai traumatizzato quella ragazza” disse Christine.
“Volevo che tutto fosse perfetto per la mia Stephanie” disse Stephen.
“Così perfetto a tal punto da collegare le telecamere del loft al tuo cellulare?” domandò Christine. Stephen la guardò stupito e la donna aggiunse: “Non credere che non me ne sia accorta quando a cena hai sbattuto il cellulare sulla tavola dopo che lo avevi guardato”.
“Non mi sono mai fidato di Gloria e nemmeno di tutti gli altri. Non voglio estranei in casa mia, soprattutto se stanno accanto a Stephanie. È compito mio proteggerla” replicò Stephen.
“Non puoi proteggerla da tutto e, prima o poi, dovrai lasciarla andare. So che ora è presto per parlare di ciò, ma quando diventerà grande, sicuramente vorrà avere i suoi spazi. Non starle troppo appiccicato: lei ti vorrà molto bene ugualmente” spiegò Christine.
Stephen le mise una mano su una guancia, dicendole: “Tu sei sempre stata molto più paziente di me, eppure sei ancora al mio fianco, sopportandomi. Sei una madre straordinaria ed una dottoressa dalle doti brillanti. Voglio sempre solo te nel mio team”.
“Il tuo team comprende te stesso e me?” gli chiese.
“Me; te e la piccola Stephanie quando sarà diventata la migliore neurochirurga che esista…al mio pari, ovviamente” rispose. Christine sorrise ed i due si baciarono. Poi Stephen aggiunse: “Mi dispiace molto per la cena di stasera: so che ci tenevi tanto”.
“Non fa nulla. Sono sicura che ci sarà sicuramente un’altra occasione e, se vuoi, stavolta porteremo con noi anche Stephanie” disse Christine e Stephen sorrise.
Così, qualche sera dopo, Stephen e Christine andarono in un altro locale – scelto da Stephan - ma, stavolta, anche con Stephanie. La bambina sedeva su di un seggiolone in mezzo ai genitori. Rideva ogni qual volta il padre le faceva espressioni buffe, per poi imboccarla.
Christine li guardava sorridendo per poi chiedere: “Che posto elegante. Hai dovuto chiedere un altro prestito universitario?”.
Stephen smise di imboccare Stephanie e, mentre la figlia allungava le manine verso il cucchiaio- cercando prenderlo- la guardò, rispondendo: “No, ho venduto un rene che abbiamo espiantato la settimana scorsa” e, riguardando Stephanie, riprese ad imboccarla.
Christine fece un piccolo sorriso, per poi estrarre la scatolina dalla borsetta. Stephen la guardò e la donna disse: “Allora, ti ho preso una cosa. Congratulazioni” e gliela mise davanti.
“Che cos’è?” domandò Stephen.
“Mio. Mio” disse Stephanie, allungando le manine verso la scatolina.
“Apri e guarda” rispose Christine.
Stephen aprì la scatolina e, appena vide l’orologio, rimase senza parole. Guardò Christine dicendo: “Christine…questo è stupendo”.
“Non ce l’avrei mai fatta senza Stephanie: mi ha aiutato lei a sceglierlo” disse Christine, e guardò sorridendo Stephanie. Anche Stephen la guardò sorridendo e, dopo essersi alzato, prese in braccio la figlia. La baciò su una guancia, dicendole: “Grazie, cucciola mia”.
“C’ è dell’altro” disse Christine. Stephen la guardò stranamente; poi si sedette, tenendo Stephanie sulle ginocchia. Guardò l’orologio, mentre Stephanie allungò una manina verso di esso, per poi girarlo. Fu a quel punto che Stephen notò una scritta: “Il tempo dirà quanto ti amo”.
A Stephen divennero gli occhi lucidi e, reggendo in braccio Stephanie – che teneva tra le mani l’orologio - si avvicinò a Christine, baciandola. Poi si staccarono: “Come ho fatto a meritarvi entrambe?” domandò.
“Forse è stato il destino a farci incontrare e, dal nostro amore, è nata una splendida bambina. Speriamo che anche in futuro tutto ciò possa continuare ad esistere” rispose Christine. Si misero fronte contro fronte, con Stephanie in mezzo a loro, che continuava a guardare l’orologio.








Note dell'autrice: Buona sera a tutti/e: computer nuovo, ma vecchi file (meno male che non si è cancellato nulla). Eccovi qua un nuovo capitolo (ancora ambientato nel flashback ).
Ho voluto includere la scena che viene mostrata in Doctor Strange nel Multiverso della Follia, dove rivede lui e Christine fuori a cena e dove lei gli regala l'orologio (ho voluto ovviamente includere Stephanie, visto che la prima cena fuori la bambina non c'era e questo era un momento molto importante per Stephen)
Volevo ringraziare tutti/e coloro che sono passati/e di qua e che hanno recensito la storia; che sono passati/e di qui e che l'hanno messa tra le preferite e seguite.
Grazie a Jarmione; Rainbow unicorn e tutti gli altri/e per le bellissime recensioni. Grazie anche alla mia carissima amica Lucia
Con ciò vi auguro una buona notte. Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte abbraccio ed una buona continuazione di settimana
Valentina

 
 
 

 

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Capitolo 17
*** Colpo al cuore ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XVII: Colpo al cuore



 
Natale era sempre più vicino e le persone si affrettavano a cercare i regali migliori ed a prenderne il più possibile.
Anche Stephanie non vedeva l’ora di uscire per fare shopping e, stranamente, ci andava con suo padre.
Inizialmente, avrebbe dovuto passare la giornata con Peter, Mj e Ned, ma Stephen le aveva espressamente negato questa proposta, offrendosi lui stesso di uscire con lei. Dapprima, Stephanie ne rimase stupita: di solito suo padre non amava quel genere di cose, ma poi si ricordò della prima regola fondamentale datagli da Wong, ovvero mantenerlo sempre calmo, onde evitare che la pietra nell’Occhio di Agamotto, si rompesse, scatenando così la sua parte malvagia.
Stephanie se ne camminava avanti ed indietro ai piedi della scalinata e, mentre aspettava il padre, messaggiava con il trio, ma si fermò quando volse lo sguardo, sentendo una voce: “Spero solo che tu non stia mandando messaggi a chi so io” e vide il padre scendere verso di lei.
“E se anche fosse, mi sequestreresti il cellulare?” gli domandò.
“Lo sai che potrei anche farlo” le rispose, raggiungendola. Stephanie lo guardò da capo a piedi e lui chiese: “Che c’è?”.
“Sei serio? Esci così?” domandò stupita.
“Volessi che uscissi in giacca e cravatta?” chiese, incamminandosi. Stephanie lo seguì: “Non a quel punto, ma nemmeno con giaccone, felpa e stivali”.
“Ti accompagno perché voglio fare cambiare look a te, e non a me” disse Stephen, aprendo il portone.
“Credevo che la cosa fosse reciproca” disse Stephanie, fermandosi e guardandolo.
“Vedremo” disse semplicemente Stephen ed i due uscirono.
Poco dopo, si ritrovarono al centro commerciale e con già parecchie borse colme di vestiti ed altri oggetti: “Pensavo che dovessimo solamente comprare dei vestiti per te” disse Stephen.
“Ti piacevano i vestiti che ti sei provato. Era uno spreco non prenderli. Così, se ci capita di andare a qualche cerimonia importante, non ti metti sempre i soliti” disse Stephanie.
“Ok, allora vada per i vestiti, ma gli altri oggetti erano necessari?” domandò Stephen.
“Volevo fare qualche regalo. Tu, invece?” rispose.
“Non ho bisogno di fare regali, eccetto a te ovviamente” disse Stephen. Stephanie lo guardò di sfuggita e, dopo aver riposto lo sguardo in avanti, chiese: “Nemmeno alla mamma?”.
A quel punto, Stephen si fermò, così anche Stephanie, per poi rispondere: “A lei ci pensa già quel Charlie. Perché dovrei intromettermi anche io?”.
“Per il semplice motivo che, sotto sotto, la ami ancora e che, ovviamente, siete anche i miei genitori. Almeno a Natale, cercate di non litigare e, credo, che sia un buon gesto da parte tua farle qualcosa anche se non state più insieme da tempo. Siete comunque rimasti lo stesso in buoni rapporti. E poi cosa ti costa?” spiegò Stephanie.
Stephen sospirò; abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo e dire: “Va bene, ma le prenderò una cosa da poco” e si incamminò. Stephanie sorrise e seguì il padre, affiancandosi a lui.
Poco dopo erano a mangiare qualcosa ad un bar del centro commerciale: “Meno male che avevi detto che le avresti preso qualcosa da poco. Un collier non mi sembra cosa da poco”.
“Credimi, costava molto meno di altre cose presenti in quella gioielleria” disse Stephen.
“Mamma potrebbe pensare che sei diventato tirchio” disse Stephanie, addentando il panino.
“Non mi preoccupa la cosa: intanto è il pensiero che conta, no? Poi, da ora in poi, ci penserà Charlie a farle regali costosi” disse Stephen.
Stephanie non replicò e, dopo aver finito di mangiare il panino, si alzò, dicendo: “Vado un attimo in farmacia” e, prese con sé anche la borsetta.
“Devi andarci per…ecco…non è che tu…lascia perdere” disse Stephen guardandola.
Stephanie fece un piccolo sorriso e, avvicinandosi a lui, disse: “Tranquillo, papà, non sono stata con nessun ragazzo, se alludi a questo. Devo solamente acquistare degli oggetti per la pratica in ospedale”.
“Ma dovrebbero darteli loro” disse Stephen.
“Sì, ma preferisco usare cose mie” disse Stephanie e, dopo averlo baciato su una guancia, si avviò verso la farmacia. Stephen la guardò, ma alzò un sopracciglio, per poi dire: “C’è qualcosa che non mi convince”.
Aspettò che la figlia fosse fuori dalla sua vista e, dopo aver finito il panino, andò a pagare in cassa. Poi, dopo aver preso le borse con dentro i vari acquisti, si diresse verso la farmacia. Cercò la figlia tra i vari scaffali e tra le varie persone presenti, non trovandola. Chissà dov’era finita?.
Decise di chiedere alla farmacista, così si mise in fila, dietro ad un uomo, che indossava un lungo cappotto e che si guardava intorno con aria sospetta. Stephen non ci badò: lui voleva solo ritrovare la figlia e ritornarsene a casa.
Quando fu il turno dell’uomo, la farmacista gli chiese cosa volesse, ma lui estrasse una pistola: “Fa la brava e non fiatare”.
“Signore, lei deve cercare di stare calmo” disse la farmacista.
“Ho detto: fa la brava e non fiatare se no giuro che faccio una strage!” replicò l’uomo e puntò la pistola in alto. Chi era presente indietreggiò e, chi si trovava accanto alla porta, corse fuori velocemente, gridando: “C’è un uomo armato dentro la farmacia!” e, chi era nei paraggi si avvicinò per vedere meglio, ma una delle guardie di sicurezza cercò di tenerli lontano.
Stephanie, che stava uscendo da un negozio, vide la folla radunata al di fuori della farmacia. Si avvicinò, cercando di capire cosa stesse accadendo, quindi domandò: “Sapete cosa possa essere successo?”.
“Dicono che ci sia un uomo armato” rispose una donna. Stephanie cercò di guardare al suo interno e sbiancò non appena vide suo padre dentro alla farmacia ed accanto agli altri presenti.
“Oddio, ma c’è mio padre lì dentro” disse Stephanie. Si fece largo tra la folla, ma venne bloccata dalla guardia di sicurezza, che chiese: “Signorina, dove sta andando?”.
“C’ è mio padre là dentro: la prego, mi faccia passare” rispose.
“E’ troppo pericoloso: c’è un uomo armato. Dobbiamo aspettare l’arrivo delle forze dell’ordine” spiegò la guardia e Stephanie non dovette far altro che rimanere lì fuori a guardare.
Stephen era indietreggiato. Poi disse: “Calmati ed andrà tutto bene. Possiamo parlare”.
“Chi è lei?! E con che autorità apre bocca?!” replicò l’uomo, puntandogli contro la pistola.
“Sono il Dottor Stephen Strange e…” iniziò col rispondere Stephen, ma venne interrotto dall’uomo: “Il Dottor Stephen Strange?! Impossibile! Avevo sentito che era morto dopo lo schiocco”.
“Invece sono più che vivo, anche se in questo momento dovrei essere da qualche altra parte” disse Stephen.
“Ora mi ricordo di lei: anni fa ero andato all’ospedale con mia moglie. Stava poco bene: soffriva costantemente di mal di testa, ma il dottore che l’ha visitata l’ha rimandata a casa con delle pillole. Ma sono bastate poche ore perché ci ritrovassimo di nuovo in ospedale e mia moglie in preda al dolore. Il dottore che l’aveva mandata a casa, se ne è lavato le mani e così è arrivato lei. Ha guardato la sua cartella clinica e l’ha fatta ricoverare, ma non mi ha voluto spiegare cosa avesse. Ha detto solamente che era un caso che aveva già visto e di poca importanza e che, ovviamente, non sarebbe durato molto. Qualche giorno dopo mia moglie era attaccata ad una macchina per respirare e poi è morta. Me l’ha portata via! Non si è preso cura di lei!” spiegò l’uomo.
“Ora mi ricordo: avevo diagnosticato a sua moglie un aneurisma celebrale inoperabile. Sarebbe morta comunque” spiegò Stephen.
“No! Tu non l’hai nemmeno curata! L’avevi già decretata morta ancor prima di visitarla! Per te era un cadavere ambulante, senza più speranza. Ti è bastato guardarla per dire queste parole. Non dimenticherò mai!” replicò l’uomo e gli ripuntò contro la pistola.
“Ok, ho capito che ce l’hai con me, ma allora che motivo c’è di tenere in ostaggio anche tutte queste persone? Lasciale andare e risolviamo la faccenda tra di noi” disse Stephen.
L’uomo ci pensò un po', poi però disse: “Non sono uno stupido!” e, puntando la pistola contro le altre persone, aggiunse: “Nessuno uscirà di qua, finché non avrò ottenuto ciò che voglio!”.
“Non avrai indietro tua moglie, se è ciò che vuoi!” replicò Stephen.
“Stai zitto!” ribatté l’uomo e sparò. I presenti urlarono, così come chi era all’esterno.
“State calmi! State calmi, vi prego!” gridava la guardia di sicurezza, cercando di trattenere la folla. Stephanie ne approfittò, per passare tra di loro ed entrare in farmacia. Tutti la guardarono.
“Stephanie!” disse stupito Stephen, guardandola.
Stephanie stava per aprire bocca, ma poi fu sollevata nel vedere che il padre non era stato ferito; poi, però, il suo sguardo si fermò su una pozza di sangue che stava sporcando le piastrelle bianche del pavimento. Seguì la scia, per vedere un uomo a terra ed altri presenti abbassati al suo fianco, tra i quali anche la farmacista, che disse: “E’ ancora vivo, ma dobbiamo fare qualcosa”.
“Nessuno farà niente qua! Dovete stare tutti fermi!” replicò l’uomo. Stephanie lo vide solo in quel momento.
“Ma se non facciamo qualcosa, quell’uomo morirà: vuoi finire in carcere a vita per aver ucciso qualcuno? Se mi dai la possibilità di curarlo, la tua pena sarà minore” disse Stephen.
“Curarlo come hai fatto con mia moglie?! Lei era un dottore che bramava solo alla fama ed ai soldi! Non le interessava nulla della vita dei pazienti” ribatté l’uomo.
“Le ripeto che non ci sarebbe stato nulla da fare con un aneurisma celebrale a quello stadio. Nemmeno il migliore dei neurochirurghi ci sarebbe riuscito” disse Stephen.
“Lei era il miglior neurochirurgo che c’era: ce lo aveva ripetuto più volte. E ora, per colpa sua, mia moglie non c’è più e mia figlia non mi parla! Lei non ha motivo di esistere” replicò l’uomo.
“No, la prego, non uccida mio padre. È la persona che ho di più caro al mondo” lo bloccò Stephanie. L’uomo la guardò, ribattendo: “Come puoi amare una persona così? Ha fatto solo del male”.
“E’ mio padre: è sempre stato al mio fianco. Mi ha cresciuta e non sarei qui se non fosse stato per lui” disse Stephanie; poi, guardò gli altri: “Noi tutti non saremo qui se mio padre, insieme ad altre persone valorose, non avessero combattuto insieme per sconfiggere quel titano. Gli dobbiamo tutto a loro. Lo so, ci sono stati dei sacrifici, ma ora siamo qua ed abbiamo una seconda possibilità di poter rimediare ai propri sbagli o compiere quei progetti o sogni ai quali ambivamo. Nulla è perduto” spiegò Stephanie.
Calò il silenzio e Stephen guardò con orgoglio sua figlia, mentre cercava di dare coraggio a tutte quelle persone. Poi però l’uomo disse: “Sei tale e quale a tuo padre! Anche lui parlava, ma non agiva ed è così che mia moglie è morta. Sai, farò la stessa cosa con te” e le puntò la pistola contro.
“No!” gridò Stephen e, in uno scatto veloce, andò dalla figlia. Partì un colpo e Stephen cadde a terra.
“Papà!” gridò Stephanie e gli fu accanto. Stephen si toccò la spalla destra dolorante, dove l’uomo aveva sparato. Stava perdendo sangue, ma era cosciente; poi, guardò la figlia: “Cucciola, devi pensare a quell’altro uomo. Devi salvarlo”.
“Ma non so neanche da dove iniziare: non ho ancora fatto pratica su manichini colpiti da armi da fuoco” disse Stephanie.
“Tu sei una Strange: sei la migliore. Fidati di te stessa. Non pensare a me: io sto bene…per il momento” disse Stephen, mettendogli l’altra mano su una guancia.
“Ok, ma tu cerca di rimanere cosciente” disse Stephanie. Volse lo sguardo verso l’uomo armato, che stava tremando, per poi dire: “Che cosa ho fatto? Questo non sono io”.
Stephanie si alzò, andando da lui; l’osservò: quell’uomo aveva completamente cambiato atteggiamento dopo che aveva sparato a suo padre. Ne approfittò, dicendogli: “Va tutto bene, ma ora deve ascoltarmi. Stia con mio padre e lo faccia parlare. Poi le dirò io cos’altro fare, ma per il momento, questa è meglio metterla da una parte” e, delicatamente, gli sfilò la pistola dalla mano. L’uomo la guardò e, dopo che Stephanie l’ebbe fatto inginocchiare accanto a Stephen, se ne andò dall’uomo ferito.
L’uomo la guardò, ma spostò lo sguardo su Stephen quando questi gli disse: “Mi dispiace per sua moglie. Aveva ragione: avrei potuto curarla meglio, invece mi sono fatto prendere dal mio egoismo. Per me era un caso come tutti gli altri: sapevo già che sua moglie sarebbe finita attaccata ad una macchina. La sua tac era un campo minato: non sarei mai riuscito a toglierle quell’aneurisma” quando venne colpito da una fitta.
“Non volevo spararle” disse l’uomo.
“Mi è capitato di peggio: sono stato trafitto più volte da una lama di vetro; sono stato impossessato da una forza oscura e, ora, solo una pietra che, ha trovato mia figlia, mi tiene sano di mente. Ho quasi rischiato di rimanere intrappolato per sempre nella dimensione oscura e, come molti di voi, sono anche stato blippato da un titano pazzo, per poi combattere contro di lui e la sua armata con il rischio di non rivedere mai più mia figlia” spiegò Stephen.
“Deve volerle molto bene” disse l’uomo.
“E’ ciò che ho di più prezioso in questo mondo. Non potrei vivere senza di lei” disse Stephen. L’uomo guardò Stephanie, che stava dando istruzioni alla farmacista ed ai presenti per curare il ferito; poi riguardò Stephen, quando gli domandò: “Ha una figlia?”.
L’uomo non aprì bocca e Stephen aggiunse: “Prima, ha detto che sua figlia non le parla. Da quanto non la vede?”.
“In verità lei vorrebbe parlarmi: sono io che mi sono isolato da quando è morta mia moglie” rispose l’uomo.
Stephen estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e, allungandolo all’uomo, disse: “La chiami e le dica di venire qua”.
“Io non posso” disse l’uomo.
“Non sia sciocco: non può farsi scappare il suo unico membro della famiglia e l’unico collegamento con la sua defunta moglie. Avanti, la chiami” disse Stephen. L’uomo prese il cellulare. Stava per digitare il numero, quando a lui si affiancò Stephanie con delle garze. Guardò l’uomo e poi suo padre, che disse: “Voglio che chiami sua figlia, ma lui non vuole”.
“Lo faccia prima che se ne penta” disse Stephanie, guardando l’uomo, che disse: “Non mi risponderà mai”.
“Facciamo così: la chiamo io, mentre lei tampona la ferita di mio padre. Mi serve solamente il numero” propose Stephanie. L’uomo la guardò, consegnandole il cellulare, mentre lei gli diede le garze.
L’uomo le disse il numero e, mentre Stephanie lo digitò, l’uomo mise le garze sulla ferita di Stephen, che sussultò dal dolore. La ragazza si mise l’apparecchio all’orecchio e dall’altra parte rispose una voce femminile, ma in quel momento Stephanie si accorse che l’uomo non gli aveva detto il suo nome e nemmeno quello della figlia; quindi lo guardò, chiedendogli entrambe le cose: “Mi chiamo William Brown, mentre mia figlia Emily”.
“Emily, chiamo per conto di suo padre William Brown. Io sono Stephanie Strange e, al momento, ci troviamo alla farmacia del centro commerciale vicino a Central Park. La prego, venga subito” disse Stephanie.
“Non posso: al momento non saprei a chi lasciare mia figlia” disse Emily.
“Bene: porti anche lei e faccia presto” disse Stephanie e chiuse la chiamata. Poi riconsegnò il cellulare al padre e, guardando William, disse: “Continui così e tenga vigile mio padre. Sua figlia Emily sta arrivando…con una sorpresa. Io cerco di andare a salvare la vita di quell’altro uomo” e ritornò dal ferito.
“Ha una figlia in gamba. Glielo ha mai detto?” chiese William, guardando Stephen, che rispose: “Sa che le voglio molto bene, ma negli ultimi anni – escludendo i cinque nei quali siamo stati entrambi blippati – penso di esserle stato troppo appiccicato”.
“Forse non dovrebbe” disse William.
“Voglio solo proteggerla. Ora che sono un maestro delle arti mistiche, ho più nemici di prima ed ho paura che qualcuno possa farle del male e portarla via da me. Stephanie non merita di soffrire. Quando ero un ragazzo, ho perso mia sorella in circostanze tragiche ed io non ho potuto salvarla. Non voglio che accada lo stesso a mia figlia” spiegò Stephen.
“E’ ciò che farebbe qualunque padre: le sta troppo appiccicato, ma lei non è più una bambina e, per questo, vorrebbe essere più indipendente. La lasci andare e vedrà che si sentirà meglio” disse William.
“Lei come si è sentito quando ha lasciato andare la sua?” chiese Stephen. William se ne stette in silenzio. Stephen fece un piccolo sorriso ed aggiunse: “Immaginavo: ne è pentito, vero? Parecchie persone mi hanno sempre detto come sbagliavo a crescere mia figlia, ma Stephanie è diventata quello che è grazie a me e non lo nego. Ho solo cercato di crearle una strada nella quale, un giorno, lei diventerà la migliore neurochirurga in circolazione e, se non avessi avuto quell’incidente, avremmo potuto operare insieme ma, purtroppo, è un sogno che non si realizzerà mai” e spostò di lato lo sguardo.
“Si sentiva meglio quando salvava vite ottenendo fama e soldi, oppure ora quando la gente lo ringrazia, senza ottenere nulla in cambio?” domandò William. Stephen lo guardò. Stava per aprire bocca, quando da fuori, uno della polizia, con il megafono, gridava: “Non faccia pazzie ed esca con le mani in alto e nessuno si farà male! Faccia uscire chi è con lei”.
William si alzò e, mentre camminava verso la vetrata, Stephen cercò di richiamarlo indietro: “William ritorni qui: lì sarà solo un bersaglio facile. Non lo stia ad ascoltare”.
William si fermò, quando in prima fila vide sua figlia e la sua nipotina. Volse quindi lo sguardo e, guardando Stephanie, replicò: “Perché l’ha chiamata? Perché ha chiamato mia figlia? Non avrebbe dovuto farlo”.
Stephanie guardò stranamente il padre e fu lì che entrambi capirono: William aveva nuovamente cambiato carattere, quando lui stesso prima non aveva obiettato quando avevano chiamato Emily.
La ragazza si avvicinò, quindi, cautamente a William: “Signor Brown, lei è molto confuso e non sa quello che dice”.
“So perfettamente quello che dico! Non si intrometta come suo padre!” replicò William.
“Andrà tutto bene e nessuno si farà male. Lei rivedrà sua figlia: vi parlerete e tutto questo sarà solo un bruttissimo ricordo. Anzi, le assicuro che non si ricorderà nulla” disse Stephanie, continuando ad avvicinarsi a lui, ma William indietreggiò e, dopo essersi abbassato, riprese la pistola, puntandola contro la ragazza.
“No! William, butti quella pistola! Se solo si azzarda a fare del male a mia figlia, non può neanche immaginare di cosa sono capace di fare!” replicò Stephen.
“Lo so dei suoi giochetti da mago. Gli stessi che hanno permesso a quel titano pazzo di spazzare via mezza umanità. Anche mia moglie” ribatté William.
“No, sua moglie è morta di un aneurisma celebrale anni fa. Il “blip” non c’entra nulla. I suoi ricordi sono confusi perché lei è malato di Alzheimer” disse Stephen.
William lo guardò, ma riguardò Stephanie quando spiegò: “Perdita di memoria; confusione con tempi e luoghi; cambiamenti di umore e di personalità. Combacia tutto. Lei ha bisogno di aiuto e di qualcuno che le stia accanto. Emily, sua figlia, è lì fuori per lei. Venga con me e, come le ho detto prima, andrà tutto bene” e si avvicinò a lui, mettendogli una mano sul polso. William la guardò; gli tremava la mano. Poi si guardò intorno, notando le espressioni di paura dei presenti. Guardò Stephen e qualcosa di anni prima gli ritornò in mente. Volse lo sguardo verso Stephanie, muovendo agitatamente la mano: “Lei non può capire! Nessuno può capire!”.
“Allora ci aiuti a capire” disse Stephanie, cercando di fermarlo…quando partì un colpo.
Il grido di Stephen si mischiò alle urla dei presenti. Allungò una mano verso Stephanie che cadeva a terra. La chiamava. Urlava il suo nome, ma la ragazza, con il viso rivolto verso di lui, aveva gli occhi chiusi, mentre una pozza di sangue si formò sotto di lei.
In un attacco di rabbia, Stephen si alzò e, seppur continuava a sanguinare da una spalla, con una mano creò una catena dorata, che legò al collo di William. Questi cercò di togliersela, mentre Stephen si avvicinò a lui e, una volta di fronte, replicò furioso: “Ora, ti farò soffrire come hai fatto con la mia Stephanie! Non avresti dovuto toccarla!” ed i suoi occhi divennero rossi.
William lo guardò con paura e, in quel momento, i poliziotti entrarono, puntando le pistole contro Stephen e William.
“Lo lasci andare subito!” gridò uno dei poliziotti.
“Ha sparato a mia figlia: ha il diritto di morire!” replicò Stephen.
“Non per mano sua! Avanti, lo lasci andare!” ribatté lo stesso poliziotto.
Stephen continuava a guardare furioso William, che continuava a ripetere: “Non volevo. Non volevo. Non volevo”. Gli occhi di Stephen ritornarono azzurri: lasciò cadere a terra William, per poi correre ed inginocchiarsi accanto alla figlia.
“Stephanie, cucciola mia, ti prego apri gli occhi. Ti prego, fallo per il tuo papà” la implorava Stephen, mettendole una mano sotto la testa. Ma Stephanie non aprì quegli occhi così uguali ai suoi e, fu in quel momento che, dopo molto tempo, Stephen iniziò a piangere.






Note dell'autrice: Buongiorno ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Vi dirò: piano piano mi sto avvicinando a Spider Man No -Way Home(sto ancora mettendo un pò insieme le idee per introdurci, ovviamente, Stephanie) e, per la prima volta (forse) ho fatto piangere Stephen (almeno qua nella mia fanfict).
Grazie per le bellissime recensiomi; grazie per il costante sostegno che mi state dando per la storia: quando l'ho iniziata non pensavo di arrivare a diciasette capitoli. L'avevo già in mente di scrivere prima dell'uscita del secondo film di Doctor Strange e, dopo aver visto il film, ho deciso di pubblicarla. Grazie per tutto
Grazie ovviamente per chi è anche passato solamente per una letta ed anche a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite.
Grazie a tutti i recensori fedeli ed alla mia amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon inizio di week end
Un forte abbraccio
Valentina
 

 

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Capitolo 18
*** Corsa contro il tempo ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XVIII: Corsa contro il tempo




 
Più e più volte aveva percorso i corridoi dell’ospedale – sia per lavoro, che per alcuni momenti che avevano caratterizzato la sua vita, come la nascita della sua Stephanie.
Lui stesso aveva assistito al parto, per poi tagliarle il cordone ombelicale; controllare che fosse tutto a posto e successivamente tenerla in braccio per primo. E quando la piccola aveva aperto gli occhi, sorrise nel vedere che erano uguali ai suoi. Per lui, Stephanie era perfetta in tutto e si era promesso di proteggerla da chiunque avesse anche solo tentato di sfiorarla.
Ora si trovava lì, al pronto soccorso, mentre Christine gli medicava la ferita alla spalla: “Sei stato fortunato, che non ti abbia colpito al cuore” disse Christine, mettendo alcuni punti di sutura.
“Il mio cuore è già a pezzi: nessuno mi fa vedere Stephanie!” replicò Stephen.
“Sei stai fermo, finisco prima con te e poi potremo andare da lei” disse Christine. Stephen non replicò, ma si guardava intorno nervosamente, per poi riporre lo sguardo sulla pietra: sembrava tutto a posto, eppure quando aveva tentato di far del male a William, qualcosa di cattivo era ritornato dentro di sé.
Venne distolto dai suoi pensieri, quando Christine tagliò il filo con il quale aveva cucito la ferita: “Ecco fatto: tutto a posto. Cerca però di non dimenarti troppo, o i punti potrebbero saltare via”.
Stephen scese dal lettino, iniziando ad incamminarsi velocemente. Christine roteò gli occhi, per poi seguirlo, facendosi largo tra la folla presente.
“Stephen, per favore rallenta” disse Christine, ma Stephen continuava a camminare velocemente, raggiungendo le sale operatorie, per poi fermarsi e guardare a destra ed a sinistra, cercando la sala operatoria dove Stephanie era stata portata.
Vide un’infermiera. La bloccò mettendole le mani sulle spalle per poi replicare: “Dov’è Stephanie?! Dove avete portato mia figlia?!”.
L’infermiera lo guardò con paura: conosceva il Dottor Strange per la sua poca pazienza e, più volte, lo aveva visto arrabbiato con gli altri colleghi. Ma mai così furioso come in quel momento. C’era come qualcosa in lui, pronto ad uscire e scatenare un finimondo.
Fortunatamente, in suo soccorso arrivò Christine che, riuscendo a spostarlo dall’infermiera, disse: “Vieni, è evidente che non sa nulla”.
“Nessuno sa nulla qua!” replicò Stephen, quando da una delle sale operatoria, uscì il Dottor West. Stephen andò a passo spedito da lui, seguito da Christine e, una volta di fronte, ribatté: “Dov’è la mia Stephanie? Come sta?”.
“Forse, se ti dai una calmata, te lo dico” rispose il Dottor West.
“Non fare il gradasso con me! La mia pazienza sta finendo e, quando non ce ne sarà più, tutti voi fareste meglio a scappare!” replicò Stephen e la sua pietra si illuminò.
“Forse è meglio non farlo troppo arrabbiare, fidati” disse Christine.
“Ok, verrò subito al sodo: Stephanie era arrivata in condizioni molto critiche ed abbiamo dovuto usare un’intera sacca di sangue.  Però l’emorragia che si era formata è stata fermata” spiegò il Dottor West.
“Questa è una buona notizia. Ma c’è dell’altro, vero?” chiese Christine.
“La pallottola ha perforato il fegato: abbiamo dovuto asportarne una parte” rispose il Dottor West.
“Mia figlia…” iniziò col dire Stephen; poi guardò Christine che gli mise una mano sul braccio; riguardò il Dottor West, aggiungendo: “Nostra figlia ha bisogno di un trapianto di fegato?”.
“So che sarà una domanda inutile per voi, ma se volete la metterò subito in lista” disse il Dottor West.
“Voglio fare il prelievo. Voglio vedere se sono compatibile” disse Stephen.
“Anche io” aggiunse Christine.
“Sicuro. Conoscete le procedure, ovviamente. Venire pure a prepararvi” disse il Dottor West e li condusse in una stanzetta.
Poco dopo, Stephen osservava la figlia, portata in terapia intensiva, al di là di una vetrata. Stephanie era stata messa in una stanza solo per sé, come lo stesse Stephen aveva ordinato.
Christine si affiancò a lui: “Nicodemus ha detto che ci vorrà poco per sapere l’esito”.
“Ora lo chiami anche per nome. Non lo facevi più da anni” replicò Stephen.
“E’ sempre un mio collega di lavoro…ed ex collega per te. Ha operato nostra figlia, facendo il possibile per renderla fuori pericolo” disse Christine.
“Stephanie non sarà mai fuori pericolo, finché non avrà un trapianto di fegato” ribatté Stephen, continuando a guardare la figlia. Christine vide il riflesso della pietra brillare. Fece, quindi, voltare Stephen verso di sé, dicendogli: “Devi cercare di stare calmo, o quell’altro te potrebbe distruggere tutto. E tu non vuoi che faccia del male a Stephanie, vero?”.
“Non dovrebbe: sono sempre me stesso, dopotutto” disse Stephen, riguardando Stephanie, ma Christine gli mise una mano su una guancia, facendogli rivoltare lo sguardo: “No, invece: tu non te lo ricordi, ma l’ultima volta l’hai quasi uccisa. Stephanie è forte e ce la farà: è tua figlia. È una Strange: non ha mai mollato prima e non lo farà neanche adesso” e fece un piccolo sorriso. Anche Stephen le sorrise.
Il Dottor West li raggiunse, tenendo dei fogli in mano. Lo guardarono: “Allora” disse Christine. Il Dottor West scosse negativamente la testa; Christine si portò una mano sulla bocca, mentre lo sguardo di Stephen divenne furioso: “Mi dispiace, ma entrambi non siete compatibili” disse il Dottor West.
Stephen si voltò, sbattendo forte un pugno sul muro. La sua pietra brillò, per poi replicare: “E’ impossibile: siamo i suoi genitori. Abbiamo il suo stesso sangue”.
“Sapete benissimo che può esserci una probabilità del cinquanta percento che entrambi, anche se siete i suoi genitori, possiate non essere compatibili. Non sono casi rari, purtroppo” spiegò il Dottor West.
“È vero, ma esistono anche probabilità che saltino fuori dei falsi negativi. Devi rifare i test” disse Stephen.
“Non ce ne sarebbe il tempo e Stephanie è già in condizioni gravi” disse il Dottor West. Stephen e Christine lo guardarono in silenzio, per poi aggiungere: “La metterò in cima alla lista e cercherò subito dei donatori compatibili. Spargerò la voce tra le infermiere”.
“Grazie” disse semplicemente Christine.
“Vi avviserò quando ci saranno delle novità” disse il Dottor West, per poi andarsene.
“Non è possibile! Non può andare così! È tutta colpa mia!” replicò Stephen.
“E’ qualcosa che poteva accadere a chiunque” disse Christine.
“No, invece: quell’uomo ce l’aveva con me, perché non ho prestato le cure necessarie a sua moglie. Incolpa me per la sua morte. Se avessi usato la magia, ora Stephanie non si troverebbe qua” disse Stephen.
“Allora perché non l’hai usata?” domandò Christine.
“C’erano troppi civili ed avrei potuto fare del male a qualcuno” rispose.
“Sei un maestro delle arti mistiche: le sai controllare benissimo” disse Christine.
“Credo non più. Non almeno da quando quella zelota mi ha trasmesso l’oscurità. Se non fosse per questa pietra che ha trovato Stephanie, a quest’ora avrei distrutto e fatto del male a parecchie persone” spiegò Stephen; poi guardò al di là della vetrata ed aggiunse: “Stephanie non merita tutto questo e solo perché quello stupido non era seguito a dovere”.
“Stephen cerca di rilassarti: agitarti non ti fa bene e lo sai benissimo. Hai sentito che cosa ha detto prima Nicodemus: farà di tutto pur di trovare presto un donatore per Stephanie. Dobbiamo solo avere pazienza” disse Christine, mettendo una mano sulla spalla di Stephen. Questi, la scansò e, voltandosi verso di lei, replicò: “Quell’uomo deve morire! Ha osato fare del male alla mia bambina: non può passarla liscia!”.
“Hai ragione, ma non sul far del male ad una persona: non è la soluzione. Vuoi avere qualcuno sulla coscienza? Non ti importa questo?” disse Christine, indietreggiando.
“A lui è importato quando ha sparato a Stephanie? Non credo proprio! Allora, perché dovrebbe importare a me?” ribatté Stephen, avanzando verso di lei.
“Perché tu sei buono e non faresti mai del male ad una persona. Sei un Avenger ed è compito tuo proteggere gli altri. Tu stesso prima hai detto di non aver usato la magia, per paura di far del male alle persone che erano presenti con te. Puoi combattere la malvagità dentro di te: non farla vincere. Tu sei più potente” disse Christine, quando andò a sbattere con la schiena contro una parete. Stephen appoggiò una mano accanto il suo viso. La guardò furente. Poi Christine aggiunse: “Ti prego, Stephen. Fallo per Stephanie”.
Sentendo il nome dell’amata figlia, Stephen ritorno in sé. Allungò l’altra mano, mettendola sulla guancia di Christine. Questi mise una mano sulla sua, per poi dire: “So che hai paura di perderla, così come anche io, ma dobbiamo essere forti per lei e starle accanto. È anche in questi momenti che la famiglia sta unita”.
“Hai ragione: dobbiamo starle accanto. Farle capire che ci siamo, così si risveglierà prima” disse Stephen.
I giorni passavano e Stephen e Christine non lasciavano mai il capezzale della figlia. Giorno e notte le erano sempre accanto, sperando in qualche miglioramento ma, purtroppo, non si era ancora trovato un donatore. Anche Peter, Mj e Ned – saputo della notizia da Irwin – erano passati a trovarla, lasciando fiori ed alcuni regali, seppur all’inizio Stephen era molto contrariato.
I segni vitali di Stephanie erano stabili anche, se con il passare del tempo, le sue condizioni sembravano peggiorare.
Una mattina, Stephen stava guardando fuori dalla finestra nella camera di Stephanie, mentre teneva in mano una bevanda presa dalla macchinetta. Volse lo sguardo, quando entrò Christine, portando con sé due panini.
Si avvicinò a lui, allungandogliene uno: “Vengono dal bar: so che tu li hai sempre odiati, ma è ciò che ho trovato per ora”.
Stephen non disse nulla e riguardò fuori dalla finestra. Christine sospirò, per poi dire: “E’ da giorni che tocchi a malapena cibo”.
“Non ho fame” disse semplicemente lui.
“Cerca almeno di sforzarti a mangiare un po'. Devi essere in forze” disse Christine.
“Che senso avrebbe?” disse Stephen; poi si voltò e, camminando verso Stephanie, le accarezzò la fronte, aggiungendo: “Stephanie sta peggiorando ogni giorno che passa e non si trova nessun donatore. Non potrei continuare a vivere, sapendo che lei morirà”.
“Non puoi mollare così. Dov’è finito il Dottor Stephen Strange che conoscevo? Quello che sceglieva le operazioni più difficili; quello che non si arrendeva davanti a nulla; che faceva di tutto pur di essere presente a ogni momento più importante di Stephanie; il grande stregone supremo delle arti mistiche; di colui che ci ha salvato tutti da un folle titano, con il rischio di non rivedere più l’amata figlia. Io rivoglio quel Dottor Strange” disse Christine.
Stephen la guardò in silenzio, tenendo una mano sulla fronte di Stephanie. In quel momento, la porta della camera si aprì ed entrò di poco un’infermiera: “Dottor Strange; Dottoressa Palmer, qua fuori ci sarebbe una signora che vorrebbe vedervi. Potreste uscire un attimo, per favore?”.
Stephen e Christine si guardarono e, dopo che Stephen ebbe baciato Stephanie sulla fronte, i due uscirono, trovandosi di fronte una donna. Si trattava di Emily.
“Lei che ci fa qua?” replicò Stephen.
“Volevo vedere come stava vostra figlia” rispose Emily.
“Sta morendo, grazie a suo padre” ribatté Stephen.
“Mi dispiace per quello che ha causato ma, a volte, ha sbalzi di umore e perdita di memoria” disse Emily.
“Lo so: ho riconosciuto subito i sintomi dell’Alzheimer” replicò Stephen.
“Sarei venuta prima a trovare vostra figlia, ma ho dovuto mettere mio padre in una struttura adeguata” disse Emily.
“Avrebbe dovuto pensarci prima e tutto questo non sarebbe accaduto!” ribatté Stephen.
“Mi dispiace tanto. Se c’è un modo con cui si possa rimediare” disse Emily.
“Ci sarebbe, ma dobbiamo solo aspettare. Nostra figlia sta aspettando un donatore: durante l’operazione le hanno dovuto asportare metà fegato. Purtroppo, né io e nemmeno Stephen siamo compatibili. È in cima alla lista da giorni, ma non abbiamo ancora avuto fortuna” spiegò Christine.
“Mi offro io. Potrei essere compatibile” disse Emily.
“Assolutamente no!” replicò Stephen.
“Perché no?” chiese Christine, guardandolo.
“Non voglio che la figlia di quell’assassino si metta in mezzo! Ha già causato troppi danni!” rispose Stephen, guardandola.
“Ma lei non è suo padre ed è giusto che almeno provi. Dobbiamo tentare il tutto pur di salvare Stephanie” disse Christine. Stephen non replicò, quindi riguardò Emily aggiungendo: “Venga con me: la porterò dal Dottor West dove potrà fare gli esami” e, insieme alla donna se ne andò.
Stephen se ne rimase lì da solo; poi, ritornò dentro la camera di Stephanie, sedendosi al suo fianco. Prese una mano tra le sue e, mentre gliela baciava, disse: “Cucciola mia, come vorrei rivedere i tuoi bellissimi occhi. Spero solo che questo incubo finisca presto. Non voglio perderti. Non saprei vivere senza di te” ed una lacrima gli rigò il viso.
Passarono le ore: Christine ed Emily stavano aspettando gli esiti degli esami del sangue, standosene fuori dalla camera di Stephanie. Stephen era all’interno con la figlia e non voleva assolutamente che la figlia dell’uomo che aveva sparato, stesse accanto a Stephanie. Era ancora furioso per quello che era accaduto e la parte malvagia dentro di lui, non aspettava altro che uscire e causare una strage.
Stephen scosse negativamente la testa; si passò una mano tra i capelli e, alzandosi andò di fronte alla finestra. Vide il suo riflesso, quando proprio esso cominciò a parlargli: “So quanto vuoi lasciarmi libero: perché non mi fai uscire? Non hai voglia di andare da quell’uomo ed ucciderlo? Dopotutto ha fatto del male alla nostra bambina”.
“Non è tua figlia! E, no, non andremo da lui: è solo una pessima idea” disse Stephen.
“Lui non merita di vivere, mentre Stephanie è su quel letto che lotta tra la vita e la morte. E se non si trova subito un donatore, sai già come andrà a finire. Dai retta a me e non avrai più nulla sulla coscienza” disse la sua parte malvagia, facendo un sorriso maligno.
“Devi lasciarmi in pace, hai capito?! Io non cederò alle tue parole! Sono più forte di te!” replicò Stephen, puntandogli un dito contro.
“Io non credo proprio. Secondo me, sei solo debole. Così debole che ti sei fatto soffiare il titolo di Stregone Supremo da quel Wong: un semplice bibliotecario che non conosce nemmeno Beyoncè. Il grande e potente Dottor Strange ridotto a semplice maestro delle arti mistiche, mentre gli altri stregoni supremi non ti portano più il rispetto di una volta. Eppure chi è che ha guardato quattordicimila futuri possibili, per poi scegliere quello in cui davi la Gemma del Tempo a quel titano? Da quel momento – e da quando sei ritornato – molte persone ti odiano per quello che è successo. Ma non il caro Wong che, nel frattempo, ha preso il tuo posto e Christine che si è innamorata di un altro. Ora ti faccio io una domanda: ti senti ancora il più forte?” ribatté la parte malvagia.
Stephen lo guardò in modo furioso, per poi urlare: “Stai zitto! Stai zitto! Smettila!”.
“Credimi, tu non sei nulla senza di me” disse la parte malvagia. La pietra di Stephen brillava ripetutamente; i suoi occhi divennero rossi e la parte malvagia aggiunse: “Così, bravo, non senti l’odio percorrerti il corpo? Ora fallo uscire e divertiti” e rise malignamente.
“Basta! Smettila!” gridò Stephen e tirò un pugno alla vetrata, ovviamente ferendosi.
In quel momento, entrò Christine e, guardandolo, domandò: “Cosa succede? Ti ho sentito gridare”.
Stephen riguardò l’immagine riflessa, non vedendo più la sua parte maligna; riguardò Christine, rispondendole: “Niente. Ti sarai confusa con qualcuno che gridava fuori”.
Christine inarcò un sopracciglio ma, appena vide la mano sanguinante, si avvicinò velocemente a lui: “Cosa hai fatto alla mano?”.
“Non ti preoccupare: non fa male” disse Stephen. Christine gliela prese e, mentre la voltava – notando parecchie ferite e sangue – disse: “Ora te la medico e poi mi dici la verità”.
Così poco dopo, mentre finiva di fasciargli la mano, Stephen stava raccontando ciò che era accaduto: “Lui vuole sempre uscire e mi tenta. Se non fosse per questa pietra, avrei già causato parecchi danni e morte”.
“Non devi starlo ad ascoltare, perché è ciò che vuole. Non alimentare l’odio che è dentro di te: sfogati, ma non con la violenza. Parlando con qualcuno, si può risolvere parecchie cose” disse Christine.
“Io voglio solo che Stephanie si risvegli e non rivedere più quell’uomo, perché se ce l’ho di fronte io…” disse Stephen; Christine gli prese la mano e, stringendogliela, disse: “…tu non farai nulla, perché non sei lo Stephen che fa del male agli altri. È quello dentro di te che vuole che diventi cattivo, ma non devi permetterglielo. Combattilo a testa alta come hai sempre fatto e non farti tentare dalla magia oscura” e spostò la mano sulla sua guancia.
Stephen socchiuse gli occhi, ma li riaprì quando qualcuno li chiamò. Entrambi volsero gli sguardi, per vedere il Dottor West che li invitò fuori. Così lo seguirono e, con loro, c’era anche Emily; poi il Dottor West – che teneva in mano dei fogli – disse: “Finalmente ho delle buone notizie: la signorina Brown è compatibile con vostra figlia. Quindi potrà donarle parte del suo fegato”.
“Ma è una notizia meravigliosa. Possiamo intravedere la luce in fondo al tunnel” disse Christine con le lacrime agli occhi; poi guardò Stephen aggiungendo: “Non sei contento, Stephen? Stephanie si salverà”.
“Torna con i piedi per terra, Christine: lo sai benissimo che possono esserci dei rischi per questo tipo di operazione” disse Stephen.
“Lo so benissimo quali sono i rischi, ma dobbiamo avere fiducia” disse Christine, guardandolo; poi volse lo sguardo verso gli altri due: “E ringraziare la signorina Brown che si è offerta come donatrice”.
“Figuriamoci: lo ha fatto solamente per tenere pulito il cognome di famiglia” disse Stephen.
“È normale che sia ancora arrabbiato con mio padre, ma mi creda io lo faccio molto volentieri: vostra figlia non merita di morire. Quindi sono pronta per l’operazione ed anche a correre i rischi” disse Emily.
Stephen non replicò. Christine, invece, si avvicinò a lei e, prendendole le mani, disse: “E’ molto coraggiosa nel rischiare la sua vita, per salvare quella di una persona che neanche conosce. Io e Stephen gliene siano riconoscenti”.
“La ringrazierò solamente dopo quando Stephanie sarà fuori pericolo” disse Stephen.
“Ok, non perdiamo tempo ed andiamoci a preparare. Venga pure con me, signorina Brown: alcune infermiere l’aiuteranno” disse il Dottor West e, insieme a Emily, se ne andò.
Christine si voltò verso Stephen: “Finalmente ci siamo: Stephanie verrà operata”. Stephen rimase in silenzio; quindi Christine disse: “So a cosa pensi, ma devi smetterla di incolpare quella ragazza solo perché è la figlia dell’uomo che ha sparato alla nostra. Ora, l’importante è che l’operazione di Stephanie vada bene” e Stephen annuì.
Passarono le ore e Stephen e Christine erano seduti fuori dalla sala operatoria ad aspettare che qualcuno uscisse per portare loro buone notizie.
In quel momento, si aprì un portale, dal quale ne uscì Wong. Stephen sgranò gli occhi, chiedendogli: “E tu che cosa ci fai qua?”.
“L’ho avvertito io” rispose Christine.
“Ed ha fatto bene, visto che tu non ti sei degnato di dirmi nulla” disse Wong raggiungendoli, mentre il portale si richiuse. Stephen e Christine si alzarono e Stephen disse: “Avevo le mie buone ragioni se non ho voluto avvertirti”.
“Tua figlia è in gravi condizioni e tu pensi alle tue buone ragioni. Bell’amico che sei” disse Wong; poi guardò Christine: “Ma, fortunatamente, qualcuno è ancora gentile nell’informare gli altri, non escludendoli”.
“E come avrebbe fatto ad avvertirti senza creare un portale collegato direttamente con Kamar-Taj?” domandò Stephen.
“Non esistono solo le vostre magie per avvertire le persone: l’ho chiamato semplicemente con il cellulare” rispose Christine. Stephen stava per aprire bocca, quando la donna aggiunse: “Wong mi ha dato il suo numero, quel giorno che tu hai quasi distrutto del tutto Kamar-Taj”.
“Ammettilo: non stai riuscendo con Stephanie nell’intento di farla diventare un’apprendista e allora ci stai provando con Christine” ribatté Stephen, guardando Wong, che spiegò “Le ho dato il mio numero qualora qualcuno a Kamar-Taj avesse avuto bisogno di un buon medico. Però, l’idea di farla diventare un’apprendista non è male”.
“Grazie per l’offerta, ma credo che mi dedicherò solamente al lavoro di dottoressa. Lasciamo la magia ad un solo Strange” disse Christine.
“Sì, visto che Stephanie diventerà una neurochirurga” aggiunse Stephen, facendo un piccolo sorriso.
Passò altro tempo e nessuno dei tre aveva lasciato l’entrata della sala operatoria: “Perché non hai usato la magia? E non dirmi perché avevi le tue buone ragioni” chiese Wong, mentre camminava avanti ed indietro.
“Non volevo fare del male a nessuno” rispose Stephen.
“Sei un esperto delle arti magiche: avresti protetto tua figlia” disse Wong.
“Non riesco più a controllarle bene, ok?! La parte malvagia che è dentro di me, vuole sempre uscire e ciò non mi fa concentrare a dovere. Prima ho avuto una piccola conversazione proprio con lei e stava per finire male se non fosse arrivata Christine” spiegò Stephen.
“Tu pensi che sia quella pietra dentro all’Occhio di Agamotto a prevenire l’uscita della parte malvagia, invece sei te stesso che devi controllarla. Se uno stregone supremo e…” iniziò col dire Wong, ma venne interrotto da uno Stephen furioso: “Non sono più lo stregone supremo! Non grazie a te! E smettetela di farmi la morale! So perfettamente che devo stare calmo, se voglio controllare la mia parte malvagia, ma questo non è un buon periodo. Quando penso di avere un momento di calma, un vecchio pazzo spara alla mia bambina. È come se il mondo si fosse rivoltato contro di me. Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se non avessi mai dato la Gemma del Tempo a Thanos. Ci sarebbero sicuramente stati altri modi per sconfiggerlo, ma ho scelto l’unica soluzione possibile che avrebbe portato la pace. So che molti ce l’hanno con me, ma non per questo devono prendersela anche con Stephanie. Quindi, vi prego, smettetela di ricordarmi gli errori che ho commesso: so di essermi comportato da egoista e qualsiasi altra brutta parola che state pensando, ma per il momento voglio solo pensare a mia figlia e riaverla tra le mie braccia”.
Calò il silenzio; poi Christine disse: “Nessuno ti sta giudicando, ma devi cercare di avere più fiducia in te stesso. Solo così riuscirai a contrastare la parte malvagia che risiede in te. Fatti forza. Fallo per Stephanie”. Stephen la guardò, ma non disse nulla.
Le porte della sala operatoria si aprirono e delle infermiere uscirono, spingendo la barella con sopra Stephanie. Stephen fu subito al suo fianco: “Cucciola mia”.
“E’ sotto anestesia: non può sentirla” disse una delle infermiere.
“So benissimo che è sotto anestesia!” replicò Stephen, guardandola con gli occhi rossi; poi, però si calmò, quando Christine gli mise una mano sul braccio. La guardò, per poi riguardare la figlia ed accarezzarle la fronte.
Uscì anche il Dottor West, seguito da altre infermiere che spingevano la barella con sopra Emily: “L’operazione è andata tutto bene. Ora dobbiamo solo aspettare. Per precauzione metteremo Stephanie sotto coma farmacologico, finché i parametri vitali non saranno sufficientemente stabili da permetterci di risvegliarla. Le porteremo entrambe in terapia intensiva” spiegò il Dottor West.
“Voglio che Stephanie sia in una stanza per suo conto” disse Stephen, guardandolo.
“Ancora ce l’hai con quella ragazza? Ha salvato la via di nostra figlia” disse Christine.
“La ringrazierò solamente quando Stephanie si sarà risvegliata. Fino a quel momento, deve ancora starmi alla larga” ribatté Stephen, guardando Christine, che non aggiunse altro. Poi entrambi spostarono gli sguardi sul Dottor West, che fece cenno alle infermiere di seguirlo, trasportando le due pazienti in camere diverse.
“Potresti portare almeno un po' di rispetto” disse Christine.
“Non do rispetto a chi non lo merita: quella ragazza è fortunata che non sono ancora andato da suo padre” replicò Stephen.
Poco dopo, in terapia intensiva, Stephen, Christine e Wong si trovavano accanto a Stephanie. Il Dottor West stava sistemando le varie flebo e controllando i parametri vitali; poi si voltò verso i presenti: “Ora non ci resta che aspettare e sperare che il corpo non abbia un rigetto della nuova parte di organo”.
“Grazie per tutto” disse Christine.
“Dovreste ringraziare di più la ragazza che è nella stanza accanto e, per una buona volta, mettere anche da parte l’orgoglio” disse il Dottor West e guardò malamente Stephen, che però non volle incrociare il suo sguardo. Poi uscì.
“Wong non c’è motivo che rimani: avrai sicuramente da fare a Kamar-Taj” disse Christine.
“Non posso andarmene proprio ora: Stephanie è parte della famiglia e voglio starle accanto. Sarei arrivato prima se qualcuno si fosse degnato di avvisarmi” disse Wong e guardò Stephen che, tenendo una mano sulla fronte della figlia, disse: “Ti ho già spiegato il perché non l’ho fatto, ma ora non ritorniamo su questo discorso. Comunque Christine ha ragione: avrai sicuramente da fare a Kamar-Taj. Qua, dopotutto, non saresti molto d’aiuto o rimani perché hai paura che la mia parte malvagia possa uscire da un momento all’altro?” e lo guardò.
“Stephanie è più importante di ciò che ho da svolgere a Kamar-Taj ed in parte hai ragione: rimango anche per assicurarmi che tu non faccia pazzie. E, poi, è compito dello Stregone Supremo far sì che vada tutto per il meglio” spiegò Wong.
“Sempre tutto così perfetto” disse Stephen.
“Perché tu non lo eri?” chiese Wong.
“Lo ero come neurochirurgo, ma come Stregone Supremo tenevo a fare di testa mia. Dovresti anche cercare, ogni tanto, di lasciarti andare un po'”rispose Stephen.
“Senti da che pulpito viene” disse Christine. Stephen la guardò, ma non disse nulla.
Passarono altre due ore ed il Dottor West, dopo aver controllato i parametri sulla cartella di Stephanie, decise di svegliarla dal coma farmacologico: “Ok, ora non cercate di starle tutti appiccicati: deve svegliarsi lentamente”.
“Sappiamo benissimo come avviene un risveglio dopo un coma farmacologico” replicò Stephen, guardandolo.
“La paziente – seppur è vostra figlia – non deve essere stressata, quindi non penso che questo tuo tono di voce le sia d’aiuto” spiegò il Dottor West, guardandolo a sua volta. I due si guardarono in silenzio; poi riguardarono Stephanie ed il Dottor West provò a chiamarla: “Stephanie. Stephanie, senti la mia voce?”. La ragazza, però, teneva gli occhi chiusi.
“Stephanie, cucciola mia, è papà. Ti prego, apri gli occhi” disse Stephen, ma nuovamente la ragazza non apriva gli occhi.
“Perché non si sveglia?!” disse Stephen; poi guardò il Dottor West: “E’ andato qualcosa storto durante l’operazione?”.
“L’operazione è andata benissimo, ma come ho appena detto, il suo è un risveglio lento” disse il Dottor West. Stephen riguardò la figlia e, avvicinando il viso a quello di lei, mettendole una mano sulla fronte, disse: “Ti prego, cucciola mia: non puoi mollare proprio adesso. Papà e mamma sono qua con te. E c’è anche Wong. Tu sei forte: sei una Strange. Ritorna tra noi” ed una lacrima cadde sulla guancia di lei.
Ci fu silenzio, poi però i battiti del cuore segnalati sulla macchina del monitoraggio, aumentarono. Stephanie mosse una mano e, successivamente…aprì gli occhi. Si guardò intorno confusa e, appena puntò lo sguardo sui genitori, disse: “Mamma; papà”.
“Cucciola mia, finalmente ti sei svegliata” disse Stephen, con le lacrime agli occhi, così come Christine.
“Dove mi trovo?” domandò confusa.
“Sei in ospedale. Hai avuto un delicato intervento al fegato: te ne abbiamo dovuto asportare una parte, ma una gentile ragazza ti ha donato parte del suo” spiegò il Dottor West.
“Non ti ricordi nulla di quello che è successo?” chiese Stephen.
“So solo che io e te eravamo in farmacia e c’era quell’uomo armato. Cercavamo di calmarlo. Poi, però, era molto confuso ed ha sparato. Da lì non ricordo più nulla” rispose Stephanie, guardandolo.
“Aveva sparato a te. Sei arrivata qua in ospedale in condizioni molto gravi e, come ti ha spiegato il Dottor West, hanno dovuto asportarti metà fegato. Per diversi giorni abbiamo cercato un donatore, perché né io e nemmeno la mamma eravamo compatibili. Temevamo di perderti per sempre. È tutta colpa mia se ti hanno fatto del male: avrei potuto usare la magia per proteggerti, invece non l’ho fatto” spiegò Stephen, abbassando lo sguardo. Lo rialzò, quando Stephanie gli mise una mano sulla guancia, per poi dirgli: “Invece, la colpa è mia: ti avevo detto che andavo in farmacia, invece sono andata da un’altra parte. Tu mi hai seguita, invece non ero lì. Se io ti avessi raccontato la verità, invece di mentirti un’altra volta, quell’uomo non avrebbe sparato anche a te”.
“Ti hanno sparato?” domandò Wong.
“Sì, ma ad una spalla e poi non mi faceva neanche tanto male. Christine mi ha pulito e ricucito la ferita” rispose Stephen, guardandolo. Riguardò la fila, aggiungendo: “Tesoro, sicuramente se sarai andata da un’altra parte, è perché avevi i tuoi buoni motivi”.
Stephanie spostò di lato lo sguardo, quindi Stephen, accarezzandole la testa, disse: “Se non vuoi dirlo, non fa niente cucciola. Si vede che non era molto importante”.
“Invece lo era! Solo che…ecco…non posso dirtelo” disse Stephanie, guardandolo.
“L’importante è che ora sei sveglia e che il tuo corpo non abbia il rigetto della nuova parte di fegato. Cerca di riposarti ed andrà tutto bene” disse Stephen, sorridendole.
“E tu, invece, cerca di non arrabbiarti troppo” disse Stephanie.
“Con te ora sveglia riuscirò a controllare meglio la mia parte malvagia” disse Stephen.
“Speriamo in bene” disse Wong e lui e Christine si guardarono in modo preoccupato.







Note dell'autrice: Buon pomeriggio ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Lo so, lo so, nell'ultimo capitolo vi ho fatto prendere un bel colpo e stare in ansia. Mi scuso immensamente
Stephen, senza Stephanie che lo tiene sano di mente, fa' sempre più fatica nel tenere dentro di sè la sua parte malvagia (che lo istiga sempre di più) e se dovesse uscire...be' un assaggio di cosa può fare lo avete avuto in un capitolo precedente.
Volevo ringraziare per tutte le bellissime recensioni: grazie davvero di tutti.
Grazie a chi sta costantemente seguendo la storia; chi l'ha messa tra le preferite; tra le seguite o chi semplicemente passa e la legge.
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo. Vi auguro un buon proseguimento di giornata
Un grosso abbraccio
Valentina

 
 
 
 
 

 

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Capitolo 19
*** Una noiosa convalescenza ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XIX: Una noiosa convalescenza



 
Stephanie si stava annoiando. Era passata una settimana dalla delicata operazione subita e giorni da quando era stata dimessa.
Suo padre l’aveva rilegata praticamente in casa. Non che prima fosse diverso, ma ora Stephen era stato espressamente chiaro: non doveva lasciare il Sanctum Sanctorum per nessun motivo. Le aveva anche vietato di incontrarsi con gli amici e, di conseguenza, loro non potevano andarla a trovare.
Non faceva nemmeno in tempo a lasciare la sua camera, che subito suo padre – o la cappa di levitazione – la raggiungevano, tenendo d’occhio ogni suo spostamento. Anche quando doveva andare in bagno, la cappa- o suo padre – erano fuori dalla porta ad aspettarla.
La ragazza si trovava sdraiata sul suo letto, quando Stephen entrò. Stephanie gli domandò: “E’ giunto il momento della mia ora d’aria?”.
“Te l’ho già detto: puoi girare per il Sanctum Sanctorum. Dopotutto è casa tua e non sei rilegata in camera. Al contrario, però, non puoi uscire. Non devi stancarti troppo: il nuovo fegato potrebbe risentirne ed i punti aprirsi. Sei ancora in convalescenza” spiegò Stephen, mentre depositava sul suo letto un paio di coperte.
“Ma io mi sto annoiando” disse Stephanie.
“Allora trovati qualcosa di interessante da fare. Studia; leggi un libro; fai i compiti” propose Stephen.
“Fatto; fatto e…fatto. Ma non ho letto un libro di arti mistiche” disse Stephanie.
“Non ci provare: sai che sono tutti sotto chiave in un posto che so solo io. Non vorrai mica che ricapiti come l’ultima volta, vero?” disse Stephen.
“Non me lo ricordo: cosa è accaduto?” disse Stephanie.
“Te lo ricorderai più facilmente se ti dico che ho sempre voglia di spedire il tuo amichetto quattr’occhi in un posto molto, molto lontano ed ostile. Ma, fortunatamente per lui, i tuoi graffi sono spariti e quindi, per il momento, non ho così tanti istinti omicidi nei suoi riguardi” spiegò Stephen e, mentre apriva l’armadio, mise al suo interno le coperte appena portate.
“Fa piuttosto freddo, non trovi?” disse Stephanie. Stephen si voltò verso di lei: “Ah, già, se senti del pasticcio, è perché nella hall abbiamo ospiti”.
“Abbiamo ospiti?! Allora scendo subito a conoscerli” disse entusiasta Stephanie, ma Stephen la fermò: “Tu non andrai da nessuna parte. Si trattano solamente di apprendisti da Kamar-Taj e stanno dando una mano a me ed a Wong a pulire tutto dalla neve”.
“Neve?! Come facciamo ad avere della neve nella hall?” domandò stupita Stephanie.
“Una porta della sala circolare si collega alla Siberia: c’è stata una tempesta di neve…” iniziò col rispondere Stephen.
“…e ti sei dimenticato di praticare l’incantesimo mensile per le guarnizioni” finì col dire Stephanie.
Stephen inarcò un sopracciglio, per poi chiederle: “E tu come fai a saperlo?”.
“L’altro giorno sentivo che ne parlavi con lo zio Wong. Urlavate così tanto, che vi ho sentito persino con la porta chiusa” gli rispose.
“Be’, ora che lo sai, un motivo in più per startene qua in camera tua. Se hai freddo, sei libera di usare le coperte che ti ho appena messo nell’armadio” disse Stephen, andando verso la porta.
“Pensavo che poteva essere l’occasione per ritirare fuori i miei vecchi sci che ho messo in soffitta quando ci siamo trasferiti qua. Non li uso praticamente da una vita” disse Stephanie.
“Li hai usati una sola volta quando siamo andati a Courmayeur: avevi otto anni e quando hai scoperto che non li sapevi usare, li hai gettati da una parte e volevi andare a provare lo snowboard. Cosa che poi ovviamente ti ho espressamente evitato di fare” spiegò Stephen.
“Per forza non li sapevo usare: hai gridato contro il mio istruttore, dicendogli che era solamente un incompetente come tutti gli altri. Ovviamente lui ha smesso subito di insegnarmi e così ho messo da parte gli sci” disse Stephanie.
“Comunque niente sci: non voglio che ti vai a spaccare una gamba. E, se proprio vuoi saperlo, non sono io quello che si è dimenticato di praticare l’incantesimo mensile per le guarnizioni, ma Wong” disse Stephen, aprendo la porta.
“Non incolparlo del tutto: ora che è Stregone Supremo ha un sacco di robe in più da fare” disse Stephanie, ma appena vide la pietra del padre brillare, aggiunse: “Ma sono sicura che ti ringrazierà, se glielo ricorderai e, soprattutto, se gli darai anche una mano. Dopotutto – e che rimanga tra noi – tu sei quello più bravo”.
Stephen fece un piccolo sorriso, per poi dire: “Apprezzo la tua stima nei miei confronti, ma stai tranquilla so mantenere la calma. Non voglio creare caos proprio sotto Natale e nemmeno spaventarti un’altra volta”.
“Non è colpa tua papà, ma già ammettendo queste cose, è un passo avanti e tiene rinchiusa di più la tua parte malvagia” disse Stephanie. Stephen annuì socchiudendo gli occhi, per poi riaprirli ed uscire dalla stanza.
Stephanie si sdraiò, mettendosi con la schiena contro lo schienale del letto. Digitò qualcosa sul cellulare, per poi dire: “Papà mi ha proibito di uscire e vedere i miei amici. Ma non mi ha proibito di vederli in un altro modo” e, dopo aver schiacciato un numero, aspettò in videochiamata. Dall’altra parte comparvero Peter e Ned.
“Stephanie” dissero insieme.
“Ehi, ciao ragazzi, come va?” chiese loro.
“Bene e tu?” domandò Peter.
“Potrebbe andare meglio, ma me la cavo” rispose Stephanie.
“Il vecchio brontolone di tuo padre ti tiene ancora prigioniera in camera tua?” chiese Ned. Stephanie scosse negativamente la testa, per poi rispondere: “Primo: mio padre non è vecchio e guai se gli dici una cosa del genere – o anche solo la sente – e puoi dire addio alla tua vita. Secondo: può essere brontolone, ma lo sapete benissimo che lo fa per il mio bene. Dopotutto ho appena avuto una delicata operazione al fegato e, se non fosse stato per quella ragazza, a quest’ora…bè…non sarei qua”.
“Invece sei sempre uno splendore davanti a noi. Ehi, perché non vieni a trovarci? Al momento siamo a casa del fidanzato della zia di Peter” propose Ned.
“Non è più il suo fidanzato. Però, stanno ancora insieme. Be’…non ho ben capito la loro situazione sentimentale. Comunque ha ragione Ned: l’offerta è aperta e puoi venire qua quando vuoi” disse Peter.
“Mi piacerebbe tanto ragazzi, ma mio padre sta pattugliando il corridoio qua fuori e non credo riesca a raggiungervi tanto facilmente” spiegò Stephanie.
“Perché non usi quel coso per aprire i portali? Arriveresti qua senza che tuo padre se ne accorga” propose Ned.
Stephanie scosse negativamente la testa, per poi rispondere: “Mio padre ha sequestrato un’altra volta il mio sling ring, ma stavolta solamente perché non vuole che mi stressi troppo. Mi sto annoiando a non fare nulla e, perdi più, abbiamo anche la neve nella hall”.
“Neve nella hall?! Avete fatto le cose in grande per gli addobbi natalizi” disse stupito Ned.
“Magari: una delle porte circolari al piano di sopra si collega alla Siberia. C’è stata una tempesta di neve e lo zio Wong si è dimenticato di praticare l’incantesimo mensile per le guarnizioni. Volevo ritirare fuori gli sci, ma papà mi ha proibito di usarli per paura che mi rompa una gamba” spiegò Stephanie.
“Che peccato. Comunque sarebbe bello rincontrarci dopo la bellissima serata che abbiamo passato ad Halloween in quel posto dove tuo padre e l’altro suo amico praticano la magia” disse Ned.
“Mi piacerebbe anche a me ma, come vi ho appena detto, mio padre mi proibisce di vedervi. A proposito, Mary Jane come sta?” disse Stephanie.
“Oh, alla grande: ha trovato lavoro presso un negozio di ciambelle. Stavamo andando da lei prima che ci chiamassi” rispose Peter.
“Allora vi lascio andare e speriamo che papà mi faccia presto uscire” disse Stephanie.
“Lo spero anche io. Vederti solo tramite cellulare, non esprime tutta la tua bellezza” disse Ned. Stephanie fece un piccolo sorriso e, dopo averli salutati, chiuse la chiamata.
Sospirò; poi si alzò da letto; andò verso la porta e l’aprì di poco: nel corridoio non vide né suo padre e nemmeno la cappa di levitazione. Quindi ne approfittò per uscire ma, appena sentì il brusco cambio di temperatura, rientrò in camera, per poi riuscirne indossando un maglione ed un cappotto.
Percorse il corridoio e, quando raggiunse la scalinata, si fermò: era tutto letteralmente ricoperto di neve e, quasi vicino all’ingresso, c’erano un uomo ed una donna. Cercando di non scivolare, Stephanie disse loro: “Ehi ciao, sono Stephanie Strange e voi due dovreste essere apprendisti di Kamar-Taj”. I due non la guardarono, continuando a spalare la neve in piccoli secchi.
Stephanie li raggiunse; li guardò per poi proporre: “Sapete, con la magia fareste più alla svelta. Non esiste un incantesimo per raccogliere più velocemente tutta questa neve?”.
“Non siamo quella scuola di magia, sai?” disse, ad un tratto, una voce. Stephanie si voltò, per vedere Wong uscire da un portale e depositare alcune valigie. Poi lo Stregone Supremo aggiunse: “Tuo padre non ti aveva detto di rimanere in camera tua?”.
“Ti ha mandato lui dal piano di sopra per controllarmi?” gli domandò.
“Non sono il tuo baby sitter e tu sei abbastanza grande da prendere giuste decisioni” rispose Wong.
Stephanie roteò gli occhi, per poi chiedere: “Papà sa che te ne stai andando?”.
“Lo Stregone Supremo non ha bisogno di rivelare tutto” rispose Wong.
“Ma la figlia dell’ex stregone supremo potrebbe aprire bocca” disse Stephanie.
“Tuo padre non sentirà la mia mancanza se mancherò per qualche giorno” disse Wong.
“No, ma si infurierebbe ancora di più sapendo che tu puoi andartene dove vuoi, mentre lui deve rimanersene qua non solo a badare a me, ma anche al Sanctum Sanctorum. E sai benissimo che cosa accade se non riesce a contenere la pazienza” disse Stephanie, facendo un piccolo sorriso.
“Sei proprio uguale a tuo padre: voi Strange volete sempre avere l’ultima parola e primeggiare sugli altri. Quando imparerete ad uscire dal vostro cerchio della perfezione, forse sarà troppo tardi per rimediare” spiegò Wong.
“Non ho bisogno di una coscienza come quella di Pinocchio, ma solo di prendere un po' d’aria senza che qualcuno mi dica di ritornare in camera mia. È vero, sono quasi morta, ma ora sto bene ed avrò pur il diritto di vedere almeno i miei amici, no?” disse Stephanie.
“Li potrai vedere solamente quando lo deciderò io” replicò Stephen, atterrando in mezzo a loro; poi, guardando la figlia, aggiunse: “Credevo di averti detto di rimanere in camera tua. Dove è finita la tua ubbidienza?”.
“Sparita con l’operazione?” disse Stephanie, facendo un piccolo sorriso, ma dopo aver visto lo sguardo poco augurante del padre, aggiunse: “Eddai papà, stavo solo curiosando in giro”.
“Ti voglio ricordare che non è mesi fa che hai avuto una delicata operazione che ti ha salvato da morte certa e che continuo a ripeterti che non devi stressarti troppo. Cosa non ti è chiaro delle mie avvertenze? Torna in camera tua, prima che ti ci rinchiuda a vita!” replicò Stephen e la sua pietra brillò.
Stephanie sbuffò; poi guardò Wong: “Rilassati dovunque tu vada. Fai bene ad andartene da qua anche solo per qualche giorno” e, dopo aver dato un’occhiataccia al padre, ritornò su per le scale.
“Quando è che mi avresti fatto partecipe della tua partenza?” chiese Stephen, guardando Wong, che rispose: “Non sei tenuto a sapere sempre tutto di me, Strange. Dopotutto, sono un tuo superiore”.
“Non sono io quello che si è dimenticato di praticare l’incantesimo mensile alle guarnizioni nella sala circolare: dovresti restare qua e rimediare al danno causato” disse Stephen.
“Ora che sono stregone supremo ho anche altre cose da fare” disse Wong.
“Come per esempio lasciarmi in balia di due semplici apprendisti che sono ore nello stesso punto a raccogliere la neve?” ribatté Stephen. Il ragazzo e la ragazza lo guardarono; Stephen li guardò a sua volta dicendo loro: “Senza offesa, ma potreste fare di meglio e velocizzarvi. Di questo passo arriviamo all’anno prossimo” ed i due ripresero a spalare la neve, spostandosi di poco dal punto in cui erano.
“Senza di me avrai più tempo per badare a tua figlia ed a farle capire meglio che scelte compiere con ponderazione” disse Wong.
“Non ho bisogno di una coscienza” disse Stephen.
“Tu e Stephanie siete proprio uguali. Ripeto a te ciò che ho detto a lei poco fa: quando voi Strange imparerete ad uscire dal vostro cerchio della perfezione, forse sarà troppo tardi per rimediare. Dovreste trovare del tempo e parlare di molte cose” disse Wong.
“Stephanie ha da studiare per i prossimi esami, mentre io devo cercare di tenere in piedi questo posto, visto che tu hai pensato bene di prenderti una vacanza ed andare chissà dove. A proposito, dov’è che vai?” disse Stephen.
“A Macau, ma la cosa non dovrebbe interessarti più di tanto” rispose Wong.
“Invece mi interessa eccome. Lo stregone supremo, che dovrebbe controllare che al Sanctum Sanctorum fili tutto liscio, preferisce andarsene in Cina per non so quale ragione. Non penso sia una decisione saggia da parte tua” disse Stephen.
“Ho un appuntamento al Golden Daggers Club al quale non posso mancare: fa parte del mio addestramento da stregone supremo. Se voglio mantenere questo titolo, devo anche dimostrare che sono in grado di tenere alta la fiducia datemi dagli altri maestri” spiegò Wong.
“Rettifico quello che ho detto prima: non è una decisione saggia la tua, ma più da bambini ed aggiungerei anche egoista. La verità è che vuoi perfezionare le tue tecniche per fare in modo che nessun altro possa più superarti” replicò Stephen.
 “E questo nessun altro dovresti essere tu?” chiese Wong. Stephen non rispose, quindi Wong, dopo essersi voltato, aprì un portale, per poi dirgli: “E comunque, se vuoi riguadagnarti il titolo di stregone supremo, è compito tuo rimanere sempre all’interno del Sanctum Sanctorum, qualora qualcuno decidesse di attaccarlo”.
“Cioè sarei confinato qua dentro fino a quando per la precisione?” domandò Stephen. Wong lo guardò: “Fino a che non te lo sarai meritato”. Stephen lo guardò malamente e Wong aggiunse: “Così saprai come ti senti quando rinchiudi Stephanie qua dentro” e, voltandosi, entrò nel portale, che si richiuse.
Stephen guardò i due ragazzi, replicando: “Che avete da guardare?! Non sono affari vostri!” e, infuriato, se ne volò su per le scale.
Stephanie era in camera sua a leggere un libro di medicina, quando sentì qualcuno brontolare nel corridoio.
Dopo aver chiuso il libro ed averlo depositato sul letto, si alzò aprendo la porta, per vedere il padre mugugnare, camminando avanti ed indietro.
“Ma come si permette di trattarmi così?! Dopo tutte le volte che gli ho salvato la vita, lui mi ricompensa sbeffeggiandomi e ridicolizzandomi davanti a quei due semplici apprendisti, solo perché ora è lui lo stregone supremo! E si permette pure di andarsene a Macau a quel club, per perfezionare le sue tecniche. Ma quando ritornerà, gli renderò la vita un inferno. Per prima cosa gli nasconderò tutti i suoi dischi di Beyoncè, così ci penserà due volte prima di lasciarmi qua così. Quanto vorrei incatenarlo da qualche parte e fargli ascoltare musica che odia!” replicò Stephen e, fermandosi, la sua pietra brillò, battendo poi un piede a terra. I quadri lì appesi si incrinarono.
Stephanie uscì dalla camera: “Papà, tutto bene?”. Stephen la guardò e la pietra smise si brillare. Poi rispose: “Non ti preoccupare, cucciola. È solo che, con te che ho quasi rischiato di perderti per sempre; il Sanctum Sanctorum in queste condizioni; Wong che se ne va; io che ho perso il titolo di stregone supremo per una stupida scelta fatta; la mia parte malvagia che cerca sempre di uscire…” si passò una mano tra i capelli, per poi continuare: “…non so se riuscirò ad andare avanti sano di mente”.
Stephanie si avvicinò a lui e, dopo averlo preso per mano, lo condusse in camera sua, facendolo sedere sul letto. Poi si sedette opposto a lui. I due si guardarono in silenzio e la ragazza disse: “Ok, sono qua per te: sfogati”.
“Quello dovrei essere io a dirti queste cose. Sono io il genitore” disse Stephen.
“Per una sola volta metti da parte il ruolo da genitore e sfogati. Ogni tanto ti ci vuole una spalla sulla quale piangere” disse Stephanie.
Stephen sospirò; poi iniziò: “E’ da quando abbiamo sconfitto quel titano, che è come se tutti ce l’avessero con me e, per questo motivo, ho sempre paura di perderti. Credo di aver compiuto una scelta sbagliata, ma era l’unica che ci avrebbe fatto vincere. Non riuscirò mai ad ammettere apertamente di essere geloso di Wong, ma sì lo sono: ero io lo stregone supremo. Ho salvato la vita a tutti e, solo perché sono stato blippato, il mio ruolo è passato ad un semplice bibliotecario. Mettiamoci anche quella zelota che mi ha trasmesso l’energia negativa, penso che a questo punto ci sia qualcuno che mi voglia veramente male. Per non parlare di tuo madre che sta con un altro”.
“Facciamo un attimo il punto della situazione: la tua scelta non è stata sbagliata. È vero, ci sono stati dei sacrifici, ma avete salvato il mondo e sconfitto per sempre quel titano pazzo. Reputi lo zio Wong un semplice bibliotecario: parli così perché ora sei geloso di lui, ma ti voglio ricordare che è anche il tuo migliore amico, insieme ovviamente anche alla cappa di levitazione” iniziò col dire Stephanie e, l’oggetto nominato, staccandosi dalla schiena di Stephen, se ne volò in mezzo a loro, “annuendo” con la parte superiore.
Stephen la guardò in silenzio, per poi ripuntare lo sguardo su Stephanie, che continuò: “Se potessi, e lo vorresti, saresti ancora lo stregone supremo: devi solo riguadagnarti quel titolo. Hai tutte le carte in regole per poterci riuscire, ma è la fiducia in te stesso che ti manca. Per quanto riguarda la parte malvagia che vuole sempre uscire, credo che più di una persona ti abbia ricordato parecchie volte come comandarla: tu sei la mente. Lei potrà cercare in ogni modo di farti passare dalla sua parte, ma finché le tue azioni saranno benevoli, la tua pietra rimarrà intatta, così come anche i tuoi pensieri. Non fare in modo che lei ti corrompa la mente. Continua a combatterla e riuscirai a confinarla per sempre. Io credo in te”.
Stephen le sorrise, per poi abbracciarla. La cappa “li guardava”, quando se ne volò verso la porta. I due volsero gli sguardi verso di lei e Stephen disse: “Forse è arrivato qualcuno. Meglio che vada a vedere” e si alzò, dirigendosi verso la porta.
Stephanie stava per seguirlo, ma Stephen, voltandosi verso di lei, la fermò: “Tu non vai da nessuna parte”.
“Hai paura che possa trattarsi qualcuno di pericoloso?” gli chiese.
“La cappa “sente” quando c’è qualcuno di estraneo al Sanctum Sanctorum. È meglio per te se rimani qua. Inoltre sarò più tranquillo, se rimarrai al sicuro” le rispose.
“Va bene, ma non stare via molto. Magari dopo potremo guardarci un film insieme” propose Stephanie. Stephen le sorrise e, dopo averle messo una mano sulla guancia, si voltò uscendo dalla camera, con cappa di levitazione al seguito.
Stephanie si ricoricò sul letto. Prese il libro di medicina, ricominciando a sfogliarlo, ma dopo poche pagine, tutta la sua camera tremò. Per paura che si trattasse di un terremoto, andò a mettersi sotto lo stipite della porta, aspettando che la scossa cessasse.
Una volta finita, uscì dalla camera: i quadri del corridoio erano tutti a terra, così come alcune statuine che, precedentemente, erano poste sui piedistalli. Camminò con cautela e, una volta raggiunta la scalinata, vide suo padre urlare contro Peter e, letteralmente sbatterlo fuori dalla porta. Poi Stephen si voltò e Stephanie capì che dal suo sguardo furente, doveva essere accaduto qualcosa di poco piacevole.








Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Finalmente ci troviamo in Spider Man no way Home e, alla fine, ovviamente, è quando Stephen ha lanciato l'incantesimo per conto di Peter.
Spero che tutto ciò vi stia piacendo ( a giudicare dalle recensioni penso proprio di sì e per questo vi ringrazio tantissimo) e che nei successivi capitoli di scrivere al meglio tutti i personaggi presenti nel film. Stephanie ovviamente avrà interazione con loro
Come scritto prima, grazie tantissimo per tutte le bellissime recensioni e grazie anche per la costante fiducia che mi date per la storia: per me vale moltissimo.
Grazie anche alla mia amica Lucia
Con ciò vi auguro una piacevole serata ed una buona notte
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte abbraccio
Valentina


 

 

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Capitolo 20
*** Un incantesimo mal riuscito ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 


Capitolo XX: Un incantesimo mal riuscito



 
Appena Stephanie vide lo sguardo furente del padre, capì che era accaduto qualcosa di spiacevole. Onde evitare di incappare nelle sue ire, si voltò per andarsene, ma il padre la fermò: “Stephanie” la chiamò Stephen.
Stephanie si voltò, per vedere il padre che le fece cenno di raggiungerlo. Quindi, cautamente, scese le scale e, una volta di fronte a lui, questi le disse: “Perché quanto ti dico di fare una cosa, tu invece fai esattamente l’opposto? Non ero stato abbastanza chiaro, prima, quanto ti ho detto di rimanere in camera tua?”.
“Ho sentito la scossa di terremoto. Mi sono spaventata e volevo vedere cosa fosse accaduto” disse Stephanie.
“Quando succedono queste cose, non si lascia il proprio luogo di protezione” disse Stephen.
“Mi hai protetto la camera con un incantesimo?” domandò Stephanie.
“No, ma arriverò a praticare un incantesimo di prigionia se dovessi disubbidirmi un’altra volta” rispose Stephen.
“Ok, mi dispiace essere uscita dalla mia camera ma, proprio tu, mi avevi detto che potevo vagare liberamente per il Sanctum Sanctorum” disse Stephanie.
“Sì, lo avevo detto ma, dopo i recenti eventi, è meglio per te rimanere al sicuro in camera tua” disse Stephen. Stephanie sbuffò, quindi Stephen aggiunse: “Lo sai che lo faccio per il tuo bene. Dovresti ringraziarmi, invece che lamentarti”.
“Non mi sto lamentando. Sono settimane che non esco: a momenti non mi ricordo nemmeno più come è fatta la strada qua fuori. Cosa ti costa farmi passeggiare almeno nei dintorni? C’è un negozio di ciambelle qua vicino” disse Stephanie.
“Negozio di ciambelle? Ora capisco perché vuoi uscire” disse Stephen facendo un piccolo sorriso e scuotendo negativamente la testa. Stephanie lo guardò stranamente e Stephen continuò: “Ho sentito, poco fa, quando parlavi con i tuoi amichetti al telefono e Parker ha nominato che la sua fidanzata ha trovato lavoro presso un negozio di ciambelle”.
“Magari non è lo stesso” disse Stephanie.
“Non ci provare: ti ho già detto che non incontrerai i tuoi amici nel breve tempo possibile, compreso anche quello che ti fa la corte all’università. Quando ti sarai ripresa del tutto, allora deciderò se potrai rivederli” disse Stephen.
“Nel breve tempo possibile, per te equivale a quando Irwin, Peter e Ned avranno barba e capelli bianchi” disse Stephanie.
“Ti ho sempre fatto uscire con loro” disse Stephen.
“Le volte che sono uscita con loro si contano sulle dita delle mani. Suvvia papà, prometto che starò fuori poco” disse Stephanie.
“No!” disse secco Stephen e si incamminò verso la scalinata. Stephanie si voltò verso di lui: “Allora prima che faccia buio”.
“Stephanie non insistere: uscirai con loro quando te lo dirò io. New York è una città pericolosa e ci sono molti nemici che non vedono l’ora di vendicarsi di me, prendendosela con te. Non voglio che ti facciano del male: perderti mi si spezzerebbe il cuore. Ho già rischiato parecchie volte” replicò Stephen, fermandosi e voltandosi verso di lei.
“Qualsiasi città è pericolosa: uno, per esempio, esce di casa e gli cade addosso una tegola. Il problema è che tu mi vuoi sempre accanto a te e non capirai mai che, prima o poi, dovrai lasciarmi andare. Non avrò mai la mia vita in mano e nemmeno un futuro, perché quello è già stato dettato da te” disse Stephanie, con le lacrime agli occhi.
“Smettila di dire queste cose. Tu sei ciò di cui ho più importante al mondo. Mentre combattevo contro Thanos, pensavo a te ed a tua madre. Volevo sconfiggerlo, affinché voi avreste potuto avere una vita felice. Mi dispiace che anche tu sia stata blippata: non lo potevo sapere. Ma appena abbiamo sconfitto quel titano, ti sono venuto a cercare. Avevo paura di non rivederti mai più. Poi, quando ti ho ritrovata, ho fatto di tutto pur di non abbandonarti più” spiegò Stephen.
Stephanie lo guardò in silenzio. Forse quella era una delle poche volte che suo padre si apriva completamente da lei, da quando Thanos era stato sconfitto. Abbassò lo sguardo, dicendo: “E’ che loro sono gli unici amici che ho. Non voglio perderli”.
Stephen si riavvicinò a lei e, mentre l’abbracciava, disse: “Cucciola mia, non piangere. Se sono veramente tuoi amici, ti aspetteranno: non li perderai. Vedrai che tutto si sistemerà. Almeno lo spero”.
“Vorrei solo avere una vita come tutte le altre ragazze” disse Stephanie.
“Ma l’avrai e, quando ti sarai laureata, diventerai la migliore neurochirurga che esista” disse Stephen e, la guardò sorridendole. Anche Stephanie lo guardò, facendo un piccolo sorriso. Poi Stephen aggiunse: “Non voglio vedere il tuo bel viso bagnato da queste lacrime. Tu sei una ragazza solare e non hai bisogno di portare lo stesso peso mio” e, con il pollice, le tolse una lacrima che le stava bagnando il viso.
I due si guardarono, quando l’espressione di Stephen cambiò: Stephanie vide in lui preoccupazione. Quindi gli domandò: “Tutto bene papà?”.
“E’ come se sentissi una presenza ultraterrena” rispose Stephen.
“Come un fantasma?” chiese Stephanie.
“Non credo” le rispose; poi, camminando verso la porta, aggiunse: “Tu devi rimanere all’interno del Sanctum Sanctorum e non lasciarlo per nessuna ragione!”.
“Mi spieghi che cosa sta succedendo?” gli domandò, voltandosi verso di lui. Stephen si fermò e, guardandola, rispose: “Vorrei tanto saperlo anche io”. Si guardarono e Stephen uscì.
Stephanie se ne rimase lì. Guardò i due apprendisti che continuavano a spalare la neve, per poi salire su per le scale e dirigersi in cucina, preparandosi un panino con il burro d’arachidi. Ne diede un morso, ma si sporcò parte della maglietta.
Stephanie roteò gli occhi, per poi dire: “Questa non ci voleva. Va bè, visto che non ho nient’altro da fare se non annoiarmi, vorrà dire che andrò a fare il bucato” e, dopo aver finito il panino, si diresse nel seminterrato dove, accanto alla lavatrice, vide una cesta piena con altri panni. Dove averli presi, uno ad uno li mise all’interno della lavatrice. Stava per metterci anche la sua maglietta, quando sentì come un ruggito. Volse lo sguardo verso la parte più buia del posto, non vedendo nulla. Riprese a fare il bucato, quando sentì nuovamente ruggire.
Decise di seguire quello strano suono, addentrandosi nei meandri più bui del posto. Vide rovine dappertutto e quelle che parevano come delle celle, ma senza sbarre. Si guardava intorno, cercando di associare quel ruggito a qualcosa.
Non vedendo nulla, stava per ritornare alla lavatrice, quando qualcosa comparve dietro di lei. Sobbalzò all’indietro per la paura, ma qualcuno mise una mano sulla sua spalla: si trattava di suo padre. Lo vide ansimare e con un taglio che sanguinava sulla fronte.
“Stephanie, che cosa ci fai qua?” le chiese.
“Stavo mangiando un panino e…perché stai sanguinando?” gli domandò; poi, volse lo sguardo verso la strana creatura dentro la cella ed aggiunse: “E che cos’è questo coso?”.
“Se stavi mangiando un panino, perché sei venuta qui? Quando ti dico di rimanere in un posto, così deve essere!” replicò Stephen.
“Mi sono sporcata la maglietta con il burro d’arachidi e, quindi, volevo lavarla” spiegò Stephanie.
“Hai, come minimo, un centinaio di altre magliette nell’armadio. Era proprio necessario lavare quella che hai addosso?!” domandò furioso Stephen.
“Mi hai detto che potevo muovermi per il Sanctum Sanctorum, a patto di non uscire in strada” disse Stephanie. Stephen tirò un lungo sospiro, scuotendo negativamente la testa e portandosi una mano sugli occhi. Poi, riguardò la figlia, dicendo: “Ora le cose sono cambiate. Ti ricordi la presenza ultraterrena che avevo percepito poco fa? Bene, eccola lì” ed entrambi guardarono la strana creatura su due zampe che si muoveva avanti ed indietro.
“Avrei preferito che si trattasse di un fantasma” disse Stephanie.
“Credimi, anche io. Ho seguito la sua presenza fino alle fogne” disse Stephen.
“Credevo ci vivessero solo i coccodrilli e non anche strane creature simili a delle lucertole” disse Stephanie.
“Se vuoi vi posso trasformare entrambi in lucertole. Diventerete molto potenti” disse la strana creatura guardandoli.
“Non pensavo potesse parlare” disse stupita Stephanie.
“Nemmeno io ma, a guardarla bene, sembra avere tratti umani. Non è che sei il frutto mal riuscito di un qualche esperimento?” chiese Stephen.
“Sei molto intelligente. Saresti un ottimo alleato” rispose la creatura.
“Grazie, ma preferisco lavorare da solo” disse Stephen e, voltandosi, si diresse verso una strana struttura in pietra, per poi girarla. Una strana luce comparve davanti alla strana creatura, che emise come un sibilo.
“Papà” lo chiamò Stephanie. Stephen si voltò verso di lei e la figlia domandò: “Che cosa ne facciamo di questa creatura?”.
“Quando avrò trovato gli altri, la rispedirò da dove è venuta” le rispose.
“Gli altri? Ce ne sono degli altri così?” chiese stupita Stephanie.
“Probabile non esattamente come lui, ma sì ne arriveranno degli altri e tutto questo a causa dell’incantesimo richiesto da Parker” rispose Stephen e, dopo che Stephanie ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Ormai lo avrei già saputo da tutti i notiziari che Parker è Spider Man, quindi il ragazzino, visto che lui ed i suoi amici sono stati respinti da ogni università, ha pensato bene di venire da me e richiedere un incantesimo con il quale tutti avrebbero dimenticato la sua identità. Solo che continuava a farmelo cambiare e quindi l’incantesimo è stato manomesso. La conseguenza è che si è aperto il multi universo e ora strane creature come questa qua presente e che sanno che Peter Parker è Spider Man, stanno arrivando da ogni parte. È per questo motivo che devo imprigionarle tutte prima che le conseguenze possano diventare devastanti”.
“Lascia che ti dia una mano” disse Stephanie.
“Cosa non ti è chiaro di “puoi girare per il Sanctum Sanctorum, ma non uscire fuori”?” domandò Stephen.
“Starò attenta” disse Stephanie.
“Queste creature sono pericolose, anche se ancora non so il loro aspetto e di cosa sono capaci di fare” disse Stephen.
“Lo hai detto prima tu che probabile che non siano come la lucertola che hai catturato. Magari sono solo persone che si trovano spaesate e che devono essere aiutate” disse Stephanie.
“Tecnicamente il multi universo non dovrebbe neanche essere possibile. È un concetto del quale sappiamo spaventosamente poco” disse Stephen.
“Allora documentiamoci. Sicuramente nei tuoi libri di arti mistiche ci sarà sicuramente scritto qualcosa” disse Stephanie.
“Parla pure al singolare, perché non mi darai una mano. Te lo ripeto: è una faccenda troppo pericolosa e non voglio che ci vai di mezzo” disse Stephen.
“Visto che dovrò rimanere all’interno del Sanctum Sanctorum, almeno dammi la possibilità di darti una mano in qualche modo. Cercherò di trovare qualsiasi tipo di informazione sui tuoi libri ma, almeno per questa volta, non lasciarmi in disparte” disse Stephanie.
Stephen la guardò in silenzio, per poi dirle: “Va bene, ti raggiungerò non appena avrò risolto qua”. Stephanie sorrise. Si voltò per andarsene, ma il padre la fermò. Lo guardò: “Perché non provi a guardare anche nella piccola biblioteca che c’è al piano terreno? Forse potresti trovare qualcosa anche lì”.
“Grazie” gli disse semplicemente Stephanie e, voltandosi, se ne andò.
Poco dopo, Stephanie stava portando quattro grossi volumi di arti mistiche e, passando per la hall, vide suo padre sulle scale. Stava per raggiungerlo, quando sentì bussare al portone.
“Qualcuno ha bussato. Vado a vedere chi è” disse Stephanie e, mentre si dirigeva verso il portone, Stephen disse: “E, purtroppo, so anche di chi si tratta”.
La ragazza aprì il portone e si trovò sorpresa nel trovarsi di fronte Peter, Mj e Ned, quindi entusiasta disse: “Ragazzi, che bello rivedervi” e, spostandosi, li fece entrare.
“E’ più bello rivedere te, dolcezza” disse Ned e l’abbracciò, quando venne paralizzato da una magia invisibile. I ragazzi volsero gli sguardi verso Stephen che, tenendo una mano in alto e scendendo le scale, replicò: “Prima regola: non abbraccerai mai più mia figlia; seconda regola: devi starle alla larga; terza regola: prima mi stavi un po' simpatico, perché non avevi ancora cercato di uccidere Stephanie e, quindi, riuscivo ancora a tollerarti, mentre ora la mia pazienza con te è giunta al termine” e, una volta di fronte, terminò: “E quarta regola: chiamala ancora dolcezza e sei morto!” e, con un colpo della mano tolse l’incantesimo.
“Ned tutto bene?” domandò Peter, affiancandosi a lui.
“Ho la bocca tutta indolenzita” rispose Ned, toccandosi la mascella.
“E’ un effetto temporaneo, ma lo renderò permanente se non ubbidirai a queste regole, chiaro?!” replicò Stephen.
“Sì…sì, signore…anzi dottore” rispose Ned, annuendo ripetutamente. Stephen lo guardò furente e, per un attimo la sua pietra brillò. Poi si voltò e, mentre si dirigeva verso le scale, disse: “Bene, voi tre ve ne andrete nel sotterraneo, mentre io e Stephanie cercheremo informazioni su come rimandarli indietro. Prima troverete gli altri e prima ve ne andrete di qua, quindi tirate fuori i cellulari; setacciate internet e fiutate quelle carogne!”.
“Ci sta dicendo cosa fare anche se è il suo incantesimo che ha combinato il casino, il che vuol dire che è colpa sua” disse Mj.
“Mj ti prego, non infierire ancora di più: è già abbastanza furioso perché ho solo abbracciato sua figlia: non farlo arrabbiare ancora di più. Poi lo sai che, se la sua pietra inizia a brillare, la sua parte malvagia esce e crea danni” disse Ned.
“Lo so benissimo che il paparino tanto premuroso, ha anche poca pazienza, ma, dalle mie parti, ci sono delle frasi magiche che cominciano con le parole “per favore”.
Tutti lo guardarono in silenzio. Poi Stephen, che si era fermato in cima alle scale, ribatté: “Per favore, fiutate quelle carogne. E ora sparite nel sotterraneo!” e, dopo aver ripreso a camminare, aggiunse: “Stephanie muoviti e vieni con me!”.
“Ci vediamo più tardi ragazzi. Buon lavoro e…è bello rivedervi” disse Stephanie, sorridendo a loro e, voltandosi, corse su per le scale, cercando di non scivolare a causa dalla troppa neve ancora presente.
“È bello rivedere anche te, dolcezza” disse Ned ma, dopo essersi accorto della parola detta, si coprì la bocca.
“Che fai?” gli chiese Mj, guardandolo. Ned mugugnò qualcosa; quindi Mj gli tolse le mani da sopra la bocca. Ned rispose: “Ho detto “dolcezza”: era una delle regole che mi ha dettato prima. Ora mi ritroverò per sempre con la bocca paralizzata e poi mi ucciderà”.
“Non essere sciocco: lo diceva solo per spaventarti” disse Mj e si incamminò con Peter verso il sotterraneo.
“A me sembrava molto serio” disse Ned e li seguì.








Note dell'autrice: Buongiorno ed eccomi qua con un nuovissimo capitolo. Ormai siamo nel pieno di Spider Man no way home (anche se manca parecchia cosa ovviamente). Sto ovviamente cercando di far incastrare a dovere Stephanie nella trama del film, senza copiare di pari passo tutto (ed ogni singolo dialogo)
Non pensavo nemmeno di arrivare a ben venti capitoli e tutto grazie a voi (e a lucia) ed alle vostre bellissime (e sempre) recensioni. GRAZIE. GRAZIE davvero di cuore
GRAZIE anche a tutt/e coloro che passano semplicemente di qua; grazie a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite; grazie a chi ha partecipato agli scambi a catena
Grazie (come sempre) alla mia cara amica Lucia ed a tutti i recensori
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon proseguimento di giornata (buon lavoro(come me) o buona scuola)
Un grosso abbraccio
Valentina

 
 
 
 
 

 

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Capitolo 21
*** Una seconda possibilità ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 


Capitolo XXI: Una seconda possibilità




 
Padre e figlia si trovavano nel salotto, sfogliando vari libri di arti mistiche, quando Stephanie disse: “Forse ho trovato qualcosa” e, quando ebbe l’attenzione di Stephen, lesse tra le righe della pagina: “Esiste un oggetto chiamato “La Macchina di Kavadus: una reliquia antica creata in tempi remoti. Gli Stregoni supremi la utilizzavano per contenere gli incantesimi, le quali conseguenze potevano portare ad effetti devastanti ed irreversibili. Una volta intrappolato ciò che si desidera, basta formulare le parole corrette ed attivare successivamente un interruttore posto in cima alla scatola stessa. Il tutto deve essere fatto nel minor tempo possibile”; poi guardò il padre: “Abbiamo una cosa del genere qua in casa?”.
“Credo che il posto migliore dove trovarla sia a Kamar-Taj” rispose Stephen e, dopo aver depositato un libro sulla tavola, si spostò creando un portale. Poi guardò la figlia: “Mi raccomando: non andare nel sotterraneo. Non voglio che interagisci con quegli strani esseri”.
“Allora ne è arrivato un altro” disse entusiasta Stephanie.
“Togliti quell’espressione di entusiasmo dalla faccia, perché come ti ho appena detto, non devi interagire con loro” disse Stephen.
“Ma i ragazzi avranno bisogno di aiuto in più, ed ora che qua noi abbiamo finito e tu te ne vai, io…” iniziò col dire Stephanie, ma venne interrotta da Stephen: “Ho detto no! E poi è solo Parker quello che è andato a cercare le altre carogne! Stephanie, dico sul serio: è una faccenda della quale io stesso so relativamente poco. Non sappiamo le conseguenze, quindi rimani qua o, comunque, al piano superiore. Tornerò fra poco!” e, dopo essere entrato nel portale, questi si chiuse.
Stephanie sbuffò, ma dopotutto Stephen lo faceva sempre per la stessa cosa: tenerla al sicuro e proteggerla da chiunque. Ormai si era quasi abituata a vivere da “prigioniera”.
Quindi, decise di andare in camera sua e cambiarsi almeno la maglietta.
Poco dopo si recò in cucina, prendendo qualche biscotto da un vaso posto nella credenza, per poi andare nella hall. Si fermò e sospirò, guardandosi intorno: gli apprendisti avevano spalato parecchia neve, seppur erano solamente in due. Stava per salire su per le scale, quando però volse lo sguardo, per poi dire: “Al diavolo: papà non c’è e, se faccio alla svelta, posso dare solo una sbirciatina” e, velocemente si diresse nel sotterraneo.
Una volta giunta lì, vide Ned ed Mj alla scrivania; i due la guardarono: “Ciao ragazzi, tutto bene?” chiese loro.
“Il paparino super protettivo ti ha dato l’ora d’aria?” domandò Mj, guardandola.
“Papà al momento non c’è, quindi ne ho approfittato per vedere i nuovi arrivati” rispose Stephanie; poi, guardando davanti a sé li vide, intrappolati dentro a quelle specie di gabbie.
“Peter è alla ricerca dell’ultimo. Ne è arrivato uno tutto di sabbia ed un altro era fatto solamente d’elettricità, solo che ora è come noi” spiegò Ned, mentre Stephanie camminava lentamente verso le gabbie. I presenti la guardarono.
“Guarda, guarda chi è ritornata: la giovane ragazza figlia di quell’uomo dagli strani poteri. Dimmi, sei ancora dell’idea di essere trasformata in una lucertola e combattere al mio fianco?” le domandò la lucertola.
Stephanie la guardò, non rispondendo; poi spostò lo sguardo sull’uomo che, nella sua schiena, aveva quattro braccia meccaniche: “Anche tu hai partecipato a molte feste di compleanno come quello là?”.
“Feste di compleanno?!” disse stupita Stephanie.
“Non starlo ad ascoltare: è solo scosso e confuso perché si trova qua” disse l’uomo di colore e che indossava un gilet catarifrangenti.
“In verità lo siamo tutti: non sappiamo del perché ci troviamo qua” disse quello tutto di sabbia.
“Vi trovate qua a causa di un incantesimo mal riuscito di mio padre” disse Stephanie.
“Io voglio solo ritornare a casa da mia figlia” disse l’uomo di sabbia.
“Sono sicura che mio padre vi riporterà tutti nei vostri rispettivi universi. Dobbiamo solo aspettare che ritorni anche se, nel vedermi qua, si infurierà parecchio” disse Stephanie.
“Non dirci che hai paura di lui?” le chiese l’uomo con le quattro braccia meccaniche. Stephanie lo guardò, ma spostò lo sguardo sull’uomo di sabbia, che disse: “E’ tuo padre: non dovrebbe farti paura”.
“Non è quello: è che lui è molto protettivo con me fin da quando ero una bambina. I miei genitori si sono separati e lui ha messo contro mia madre un sacco di avvocati per avere la totale custodia su di me. Ha rischiato di perdermi un sacco di volte. Anche qualche settimana fa. Sono stata sparata al fegato e, se non fosse arrivato in tempo un donatore, a quest’ora sarei morta” spiegò Stephanie.
“Sì, sì molto interessante la storia della tua vita e, visto che il tuo caro papà è così protettivo nei tuoi confronti, potresti andarlo a chiamare e chiedergli di liberarci da qui. Sai, mi piacerebbe molto visitare questo universo: sento molta energia” disse l’uomo di colore e dalle sue mani comparvero scintille gialle, che fecero accendere e spegnere le luci.
“Forse avete solo bisogno d’aiuto” disse Stephanie.
“E questo aiuto dovrebbe venire da te? Ci hai guardato, ragazzina?! Siamo dei mostri! Chi mai vorrebbe darci una mano?” replicò l’uomo con le quattro braccia meccaniche.
“Io” disse semplicemente Stephanie. Gli altri si guardarono in silenzio, mentre Ned ed Mj si avvicinarono lentamente alla loro amica.
“E come ci aiuteresti? Con qualche strana pozione? O incantesimo? Altri ci hanno voluto provare nei nostri universi, ma hanno fallito. E poi, chi ci dice che vogliamo essere davvero aiutati? Secondo te perché sono diventato una lucertola?” disse il rettile.
“Non lo so, spiegamelo tu” disse Stephanie, guardandolo; poi guardò gli altri: “Perché siete diventati così? Non sicuramente perché lo avete voluto voi, vero? Deve essere accaduto qualcosa di spiacevole, per farvi assorbire elettricità; farvi diventare di sabbia o acquisire quattro braccia meccaniche nella schiena. C’è sempre una spiegazione per tutto…ed anche una soluzione. Credetemi mio padre non vi aiuterà: prima vi rispedisce indietro e meglio sarà per lui. Quindi, approfittatene finché non è presente”.
Calò nuovamente il silenzio; poi l’uomo con le quattro braccia meccaniche, chiese: “E chi ci dice che anche tu, proprio come tuo padre, poi non ci tradirai?”.
“Perché io non sono mio padre. È vero, lui vuole farmi diventare come era in passato, ma io voglio veramente aiutarvi. Datemi una possibilità” disse Stephanie, quando Ned ed Mj la presero da una parte.
“Stephanie sei impazzita? Sono dei cattivi e, sicuramente, staranno tremando qualcosa alle nostre spalle. Meglio aspettare che torni tuo padre. Anzi no…no, no: tuo padre non deve neanche sapere che tu vuoi aiutarli” disse Ned.
“E non lo saprà mai, perché nessuno glielo dirà vero?” disse Stephanie e li guardò entrambi. Mj e Ned non risposero; poi Mj disse: “Io aspetterei Peter: magari ha le idee più chiare delle tue”.
“Cosa intendi insinuare?” chiese Stephanie, guardandola.
“Niente, solo che è meglio sentire cosa ne pensa anche lui” rispose Mj.
“Sei gelosa perché possa avere idee migliori del tuo fidanzato” disse Stephanie.
“Non sono gelosa! È che, secondo me, un parere in più non guasterebbe” disse Mj e si voltò, quando una scintilla arancione colpì la guancia destra. Si voltò, per vedere Stephanie con una mano avanti a sé.
“Però, la ragazza ha fegato” disse l’uomo con le quattro braccia meccaniche, facendo un piccolo sorriso beffardo.
“Ci sarà da divertirsi” aggiunse l’uomo di colore.
“Non ho voglia di litigare proprio ora!” replicò Mj.
“Voglio solo farti capire chi comanda qua” ribatté Stephanie, facendo un sorriso beffardo. Ned si scostò da entrambe e, digitando velocemente un numero sul cellulare, chiamò aiuto.
“So che non siamo mai partite con il piede giusto, ma questo è il momento per collaborare e non odiarsi a vicenda. Quando tutto questo sarà finito, allora potremo ritornare ad essere nemiche come vuoi tu. Aspettiamo Peter e poi decideremo” disse Mj. Stephanie la guardò in silenzio, per poi abbassare la mano.
“Peccato: sarebbe stato un bello scontro” disse l’uomo di colore.
“Io puntavo sulla figlia del mago” disse l’uomo con le quattro braccia meccaniche.
Le due ragazze non si scambiarono più una sola parola e Ned, che se ne stava al computer, di tanto in tanto le guardava. Stephanie stava leggendo un libro di medicina, standosene seduta accanto alla cella dell’uomo con le quattro braccia meccaniche. Questi cercò di sbirciare quello che la ragazza stava leggendo. Stephanie lo guardò, per poi dire: “Devo studiare per il prossimo esame che ci sarà dopo Natale. Non ne devo mancare nemmeno uno o se no non posso prendere la laurea”.
“Ed in cosa se posso sapere?” le domandò.
“Neurochirurgia. Mio padre era il miglior neurochirurgo in circolazione, prima di quell’incidente. Ha perso l’uso delle mani ed ha speso ogni somma di denaro che aveva, pur di ritornare ad operare. Ma non c’è mai riuscito” spiegò Stephanie.
“Così ha puntato su di te. Non credi che sia un gesto egoista nei tuoi confronti? Vedersi il lavoro di tutta una vita buttata all’aria non riuscendo più ad usare le mani, ma con la speranza che l’adorata figlia segua la sua strada, senza neanche che sia lei a poter scegliere il proprio futuro” spiegò l’uomo con le quattro braccia.
Stephanie chiuse il libro e, fermandosi di fronte alla gabbia, replicò: “Lei non sa niente di mio padre! Non sa quello che ha dovuto passare negli anni avvenire, quindi non lo giudichi solo perché ha tanto desiderato che diventassi come lui. Mi piace lo studio che sto compiendo ma…”.
“…aspiri ad altro, vero? Fare le magie come lui, per esempio. Non devi essere sottomessa a tuo padre: non fa bene per te” terminò la frase l’uomo.
“Sembra tanto esperto a darmi questi consigli. Per caso, ci è passato anche lei?” chiese Stephanie. L’uomo la guardò malamente e, non rispondendole, le diede di schiena. Stephanie fece un piccolo sorriso, ma si voltò quando sentì delle voci e vide Peter raggiungerli con un uomo, che presentò loro: “Ragazzi lui è il Signor Osborn”.
“Ehi, dottore” lo corresse l’uomo.
“Certo, Dottor Osborn, loro sono i miei amici: Ned ed MJ e là in fondo c’è anche Stephanie Strange” disse Peter, presentando gli altri ragazzi.
Osborn soffermò lo sguardo su Mj, chiedendole: “Mary Jane?”.
“Michelle Jones, in verità” rispose Mj.
“Affascinante” disse Osborn e passò accanto a loro, per poi fermarsi accanto a Stephanie; la guardò e Stephanie lo guardò a sua volta. La scrutò da capo a piedi, per poi guardare avanti e stupito dire: “Octavius?!”.
L’uomo con le quattro braccia meccaniche si voltò e fu stupito di chi si trovò di fronte. Quindi disse: “Osborn?!”.
“Cosa ti è successo?” domandò Osborn e, mentre si davano botta e risposta, Stephanie si allontanò da loro; passò accanto agli altri ragazzi, dicendo: “Sentite, io me ne ritorno in camera mia: non voglio incorrere nelle ire di mio padre. Io non dovrei neanche trovarmi qua e non dovevo nemmeno interagire con i nuovi arrivati”.
“Se vuoi posso venire a farti compagnia” propose Ned.
“Grazie per l’offerta, ma credo che sarai più d’aiuto qua. E poi, se mio padre dovesse beccarti in mia compagnia, sai benissimo di cosa è capace di farti. Grazie ancora. Magari ci vediamo più tardi” disse sorridendogli Stephanie e, voltandosi, se ne ritornò al piano superiore.
Si andò a fare una bella doccia e, dopo essersi asciugata e cambiata, si diresse verso la hall, per vedere Ned ed Mj correre verso il portone. Li chiamò e, mentre Mj apriva il portone con una mano, Ned si voltò verso di lei: “Dove state andando?” chiese loro.
“Da mia nonna. Seguiremo tutta la faccenda da lì” rispose Ned. Stephanie puntò lo sguardo sull’oggetto che Mj teneva in mano: “Quella è La Macchina di Kavadus. Perché ce l’avete voi?”.
“E’ una storia un po' lunga” disse titubante Ned.
“Che non abbiamo tempo di spiegare. Coraggio, Ned, dobbiamo andare” disse Mj, incitandolo a seguire.
“Dov’è mio padre? E dove sono Peter e gli altri?” domandò Stephanie.
“Bella domanda ma, come ha appena detto Mj, il tempo stringe. Ti spiegheremo tutto più tardi” rispose Ned e, stava per seguire Mj, quando Stephanie lo bloccò per una mano. Gliela osservò e fu lì che vide l’oggetto tra le sue dita. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza chiese: “Perché hai tu lo sling ring di mio padre?”.
“Ecco…io…” disse titubante Ned.
“Ned, se non mi dici subito cosa è accaduto a mio padre, anche io posso diventare molto cattiva” replicò Stephanie.
I tre vennero raggiunti da Peter, seguito dai nuovi arrivati. Stephanie rimase a bocca aperta nel vederli fuori dalle loro gabbie e, quando uno dopo l’altro uscirono dal Sanctum Sanctorum, li seguì: “Dove state andando? Perché sono fuori dal sotterraneo?”.
“Stephanie non prendermi per pazzo, ma ho intenzione di curarli tutti, così insieme a mia zia, li porterò a casa di Happy” spiegò Peter, guardandola.
“E’ una cosa assurda e sicuramente avrai anche pensato alle conseguenze, vero?” disse Stephanie.
“L’ho sempre detto che la ragazza è più sveglia di tutti” disse la lucertola.
“Dobbiamo dare loro una seconda possibilità. Se ritorneranno nei loro rispettivi universi, moriranno tutti per mano degli altri Spider Man. Vuoi essere come tuo padre? Perché lui voleva questo” disse Peter.
“Cosa è accaduto a mio padre? Perché nessuno vuole dirmelo?” chiese nuovamente Stephanie.
“L’ho intrappolato nella dimensione specchio, rubandogli sia il cubo che il suo sling ring” rispose Peter. Prima che Stephanie potesse replicare, si fermò lì velocemente un camioncino con su scritto F.E.A.S.T. Alla guida era presente una donna, che affacciandosi al finestrino, disse rivolta a Peter: “Non pensavo fossero così tanti”.
“Non abbiamo più molto tempo” disse Peter.
“Ok, falli entrare tutti nel retro del camioncino” disse la donna e così, uno dopo l’altro, entrarono nel retro. Una volta chiuso il portone del furgoncino, Peter si avvicinò a Mj e Ned: “In bocca al lupo, ragazzi. Se qualcosa dovesse andare storto, sapete già cosa fare”.
“Non premerò il pulsante del cubo, non sapendo prima se stai bene” disse Mj. Peter non disse nulla e si baciarono. Ned si avvicinò a Stephanie, che replicò: “Se ti aspetti anche tu un bacio, fanno prima ad imparare a volare i maiali”.
“So che sei arrabbiata per quello che è successo a tuo padre ed anche perché ho il suo sling ring, ma vedrai che tutto si aggiusterà e non dovresti avercela con me” disse Ned.
“Allora perché non mi riconsegni lo sling ring?” chiese Stephanie, mostrando una mano. Ned si guardò l’oggetto tra le dita; poi guardò Stephanie: “Mi dispiace, ma non posso. Potrebbe servirmi”.
“Non essere sciocco: non ti indenti di arti mistiche” ribatté Stephanie.
“Potrei imparare. Sai, ogni tanto sento un formicolio alle dita. Mia nonna dice che è di famiglia” disse Ned.
“Allora hai bisogno di consultare un dottore” disse Stephanie.
“Glielo riconsegnerò quando lo vedrò. Promesso” disse Ned e, dopo averle dato un bacio veloce sulla guancia, insieme a Mj se ne andò. Peter salì sul furgoncino e, accanto a lui, sua zia disse: “Ciao, io sono May, la zia di Peter e tu devi essere Stephanie Strange. Peter mi ha tanto parlato di te”.
“May, ti prego, non abbiamo tempo da perdere” disse Peter, guardandola.
“Stavo solo presentandomi. È da maleducati non farlo. Comunque, spero che abbiamo modo di conoscerci meglio” disse May, sorridendole.
“Anche io e spero in circostanze differenti” disse Stephanie.
“Ti prego Stephanie, non odiarmi per quello che sto facendo” disse Peter, guardando la ragazza e May partì a tutta velocità. Stephanie li guardò, finché il furgoncino non svoltò l’angolo. Stava per rientrare nel Sanctum Sanctorum, quando vide Irwin correre verso di lei e, una volta che si fermò, gli chiese: “Irwin, che cosa ci fai qua?”.






Note dell'autrice: Eccomi qua e...vi ho già ringraziato per le bellissime recensioni? Be'...lo faccio ancora e non smetterò mai, perchè GRAZIE, GRAZIE infinite per tutte le bellissime parole scritte. E grazie anche per la vostra costanza nello seguire la storia (e pazienza nell'attendere i nuovi capitoli)
In questo capitolo ho voluto ovviamente introdurre i cattivi degli altri universi (e diciamo che Octavius e Connors sono coloro a cui sta simpatica Stephanie), ma non ho voluto copiare tutti i dialoghi tra loro ed anche lo scontro tra Strange e Peter (ma sono passata a quando i cattivi vengono trasferiti nell'appartamento di Happy)
Non voglio fare ovviamente un copia-incolla di spider man no way home (e spero di non farlo nemmeno con il multiverso della follia)
Grazie, come scritto prima, a chi recensisce; chi passa di qua; chi ha messo la storia tra le preferite e seguite
Grazie , come sempre, a Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo e...GRAZIE ANCORA
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 

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Capitolo 22
*** Aiuti inaspettati ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXII: Aiuti inaspettati



 
Una volta rientrati nel Sanctum Sanctorum, Stephanie si voltò verso Irwin, domandandogli: “Che cosa ci fai qua?”.
“Ned mi ha chiamato poco fa, dicendomi che tu ed Mj stavate litigando e che tu avevi un’espressione poco piacevole. Si è spaventato vedendoti così e…be’…eccomi qua” rispose Irwin.
“Ti arrabbieresti anche tu se qualcuno imprigionasse tuo padre nella dimensione specchio e facesse uscire dei cattivi provenienti da altri universi” disse Stephanie.
“Il multiverso è reale?” disse stupito Irwin.
“Non ne sembri alquanto sorpreso” disse Stephanie.
“Studio matematica quantistica: una materia che tratta fenomeni caratteristici della scala di lunghezza o di energia atomica e subatomica. È perlopiù tutto principalmente incentrato sulla scienza e fisica. Mi baso su ciò che vedo, ma appassionandomi anche alle arti mistiche ed alla cultura tibetana, ormai non mi meraviglio che tutto ciò possa essere possibile” spiegò Irwin.
Stephanie alzò gli occhi al soffitto, scuotendo negativamente la testa, per poi voltarsi e camminare verso le scale, chiese: “Nessuno ti ha mai detto che, comportandoti così, potresti risultare noioso?”.
“Nessuno in modo diretto, ma lo capisco dal modo in cui mi evitano” rispose. Stephanie si fermò e, voltandosi, spiegò: “Anche mio padre si comportava così con i suoi colleghi di lavoro: voleva essere superiore a loro e renderli inferiori. Far capire che era lui il più bravo di tutti. È una caratteristica di noi Strange, perché anche io ero così o, probabilmente, lo sono ancora perché non ho amici”.
“Non è vero: hai Ned; Mj; Peter e…me. Siamo noi i tuoi amici e, sappilo, che non riuscirai ad allontanarci tanto facilmente” disse Irwin e Stephanie sorrise; poi propose: “Ti va di vedere un film?”.
Poco dopo, i due si ritrovarono nel salotto al piano superiore, seduti sul divano a mangiare poc corn e guardare un film nel quale comparivano dei mostri: “E’ una cosa strana se, pensiamo che stiamo guardando un film con dei mostri, quando proprio dei mostri sono arrivati qua da noi non molte ore fa” disse Irwin.
“Non sono dei mostri – a parte quella strana creatura che assomiglia ad una lucertola – ma solamente delle persone che hanno avuto degli incidenti ed hanno bisogno d’aiuto” disse Stephanie.
“Tu volevi aiutarli, ma sei stata tagliata fuori” disse Irwin. Stephanie lo guardò malamente, per poi dire: “Non mi hanno tagliato fuori: forse hanno semplicemente deciso di non coinvolgermi”.
“E’ la stessa cosa” disse Irwin.
“Allora anche mio padre è stato tagliato fuori: Peter lo ha imprigionato nella sua stessa dimensione specchio” disse Stephanie.
“Ha avuto gran coraggio mettersi contro tuo padre: a me basta una sua occhiata, per farmela sotto” disse Irwin e Stephanie fece un piccolo sorriso. Entrambi riporsero l’attenzione sul film, quando sentirono degli strani rumori provenire da fuori. Dapprima non ci badarono, ma poi gli stessi rumori si fecero più insistenti.
“I vostri vicini hanno, per caso, dei gatti?” domandò Irwin.
“No ma, anche se si trattassero dei gatti, questi rumori appartengono a qualcosa di più grosso” rispose Stephanie. Rimasero lì, poi però di corsa si diressero in corridoi, seguendo i rumori fino in camera di Stephen.
Stephanie si trovava davanti, mentre Irwin dietro di lei: “Forse è tuo padre che è riuscito a liberarsi dalla dimensione specchio” disse il ragazzo.
“Sa controllare bene le arti mistiche, ma senza il suo sling ring anche lui non può scappare facilmente dalla dimensione specchio” spiegò Stephanie e, mentre entrarono lentamente nella camera da letto, creò due scudi dorati.
Videro un’ombra fuori dalla finestra e, mentre continuavano a camminare, Irwin estrasse il cellulare. Stephanie lo guardò e, sottovoce, gli chiese: “Che cosa stai facendo?”.
“Chiamo la polizia: potrebbe essere un ladro” rispose Irwin.
“Metti subito via il cellulare e ricomponiti: ce la caveremo da soli. Ricordati che sono figlia dell’ex stregone supremo: userò le arti mistiche” disse Stephanie, riguardando avanti.
“Quelle che tuo padre non ti ha mai lasciato studiare?” domandò Irwin ma, dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte della ragazza, mise via velocemente il cellulare.
Si avvicinarono ancora di più alla finestra, vedendo come una luce. Si fermarono e Stephanie disse: “Ok, vai avanti tu”.
“Perché proprio io?” domandò stupito Irwin, guardandola.
“Perché se poi ti attacca, io da dietro posso proteggerti e contro attaccare” rispose.
“In realtà non funziona proprio così, ma…” iniziò col dire Irwin, quando venne spinto in avanti da Stephanie, che replicò: “Vai e non fiatare!”.
“Sei proprio uguale a tuo padre” disse Irwin e, con paura, si avvicinò alla finestra, mentre Stephanie cercò di mantenere ben saldi gli scudi.
Il ragazzo era sempre più vicino alla finestra quando, quella cosa che era fuori, si voltò verso lui, illuminandolo con una forte luce bianca. Per lo spavento, Irwin urlò e cadde all’indietro. Quella cosa entrò, sfondano la finestra, seguita successivamente da altre tre cose identiche ad essa, tutte attaccate ad un uomo.
Irwin si rialzò, per poi correre a nascondersi dietro a Stephanie, che osservò meglio l’uomo, una volta che le due cose più lunghe lo avevano fatto atterrare delicatamente a terra. Poi disse: “Dottor Octavius? È lei?”.
“Sei la figlia di quel mago” disse l’uomo.
Irwin accese la luce e l’uomo si protesse gli occhi con una mano.
“Mi scusi. Se le dà fastidio, la spengo subito” disse Irwin, ma l’uomo lo fermò: “Non fa niente. Devo solo riabituarmici”. Stephanie l’osservò: c’era qualcosa di diverso in lui. Quindi abbassò gli scudi, facendoli scomparire.
“Che…che cosa fai?” domandò con paura Irwin, guardandola.
“Non sembra cattivo” rispose Stephanie, continuando ad osservare l’uomo.
“Come puoi esserne sicura?” chiese Irwin.
“I suoi aggeggi meccanici hanno una luce bianca. Di solito, il bianco esprime purezza, ma non so se ciò può essere associato anche alla scienza” rispose Stephanie.
“Perspicace come tuo padre. Hai ragione: la luce dei miei tentacoli è bianca, perché ho ripreso il controllo su di loro, grazie ad un nuovo chip inibitore creato da Peter Parker. Quel ragazzo è un genio e mi ha salvato la vita” spiegò l’uomo.
“Se voleva salvarle del tutto la vita, già che c’era poteva anche trovare un modo per toglierle quei quattro bracci” disse Irwin, ma si zittì dopo che Stephanie gli tirò una leggera gomitata nel fianco. Poi la ragazza, notando che l’uomo sanguinava dalla fronte, disse: “Ma lei è ferito: lasci che l’aiuti”.
“Non ti devi preoccupare: è solamente un graffio” disse l’uomo.
“Lo faccio molto volentieri” disse Stephanie. Così poco dopo, si ritrovarono entrambi seduti sul letto con Stephanie che gli medicava le ferite sul volto. Irwin li osservava standosene sulla soglia della porta, per poi dire: “Tuo padre si arrabbierà molto quando vedrà metà della sua camera da letto distrutta”.
“Mi dispiace molto, ma non sapevo in che altro modo entrare. Poi i miei tentacoli avevano avvertito qualcuno qua ed era l’unico luogo che conoscevo” disse l’uomo.
“Mio padre ricostruirà tutto: ormai il Sanctum Sanctorum ha pezze ovunque. Anni fa, un grosso tipo verde è finito nella hall, cadendo dal soffitto e, ovviamente, rompendolo” spiegò Stephanie, mentre finiva di pulire l’ultima ferita, per poi prendere ago e filo.
L’uomo guardò Irwin: “Non volevo spaventarvi”.
“Tranquillo, intanto io mi spavento anche se vedo un ragno…be’…non Peter, ovviamente, ma altri tipi di ragni” disse Irwin.
“Comunque, non ci siamo ancora presentati a dovere” disse Stephanie.
“Sono il Dottor Otto Octavius” disse l’uomo.
“Io Stephanie Strange, mentre il fifone alla porta è il mio amico Irwin” disse Stephanie, iniziando a cucire una ferita dopo l’altra. Octavius la guardò: “Tuo padre ha ragione: diventerai una bravissima dottoressa”.
“Mia mamma è una dottoressa: per lui devo aspirare ad essere la migliore neurochirurga in circolazione, come lo era in passato. Se non avesse avuto quell’incidente, avremmo operato insieme” disse Stephanie e, con una forbice, tagliò il filo.
“E tu lo vuoi veramente?” chiese Octavius. Stephanie lo guardò in silenzio, così come anche Irwin. La ragazza abbassò lo sguardo: “Voglio solo renderlo orgoglioso, ma lui non me lo dice mai. Non capisco se compio le scelte giuste, oppure no. Vorrei diventare una neurochirurga, ma mi attirano anche le arti mistiche. Papà ha perso l’uso delle mani, privandosi così del suo lavoro, ma studiando in Nepal per un anno, ha imparato a praticare incantesimi e magie sorprendenti, diventando lo stregone supremo. Lo so che tutto quello che fa, è per proteggermi ma, a volte, non si rende conto che mi tratta ancora come una bambina. Per lui non dovrei mai lasciare questo posto ma, prima o poi, vorrei crearmi una mia vita. Gli voglio tanto bene, ma ho bisogno del mio futuro”.
Octavius fece un piccolo sorriso; poi le mise una mano sulla guancia, dicendole: “Anni fa ero felicemente sposato con una donna che conobbi ai tempi del college. Si chiamava Rosie e studiava Letteratura Inglese, mentre io Scienze. Era una donna eccezionale e dolcissima. Avremmo tanto voluto avere dei figli, ma lei non poteva, così ci dedicammo unitamente al mio lavoro, ovvero a quello di creare la fusione con il Tritium. Ma qualcosa andò storto: la mia Rosie morì ed io mi ritrovai con queste quattro braccia meccaniche attaccate alla schiena. Il chip inibitore fu distrutto durante la dimostrazione e incomincia a sentire le loro voci nella mia testa, fino a stasera, quando Peter mi ha curato, riprendendo così il controllo su di loro. Tu sei una brava ragazza e sono sicuro che tuo padre, prima o poi, ti dirà quanto sia orgoglioso”.
Stephanie sorrise ed Irwin li guardò a bocca aperta, quando in quel momento gli squillò il cellulare. Accettò la chiamata mettendoselo all’orecchio: “Ehi, Ned cosa succede?”.
“Un macello, fratello: non riusciamo a trovare Peter da nessuna parte e, in televisione stanno dicendo che è successo un grosso incidente all’appartamento del fidanzato di sua zia. Sembra che ci sia un morto e Jameson dà la colpa a Spider Man. Così ho provato ad usare lo strano oggetto dello stregone che vuole sempre ucciderci e sai una cosa? È comparso un altro Peter Parker. Fratello devi vederlo”.
“Ned, come sarebbe a dire che è comparso un altro Peter Parker?” domandò stupido Irwin. Sentendo ciò, Stephanie ed Octavius lo guardarono; poi Irwin aggiunse: “E chi è il morto? Perché non riuscite a rintracciare il nostro Peter da nessuna parte?”.
“Non lo so: ho pensato intensamente a Peter ma, quando ho provato ad usare l’oggetto, si è aperto un portale e ne è uscito un altro. Ci sto riprovando, ma non accade nulla” rispose Ned.
Stephanie si alzò dal letto e, prendendo il cellulare di Irwin, schiacciò il vivavoce: “Ned, sono Stephanie: che cavolo hai combinato con lo sling ring di mio padre? Lo sai benissimo che, chi non sa padroneggiare bene le arti mistiche, può far accadere un macello”.
“Dolcezza che bello risentire la tua bellissima voce. Comunque, non ti arrabbiare, ma appena avremo risolto la faccenda, prometto che ti riconsegnerò subito l’oggetto” disse Ned.
“Continuate a cercare Peter, poi vi raggiungeremo” disse Stephanie e riattaccò.
“E ora che cosa facciamo?” chiese Irwin, mentre Stephanie gli riconsegnava il cellulare.
La ragazza ci pensò un po', per poi avvicinarsi al comodino ed aprire il cassetto, estraendo da esso un altro sling ring. Mentre se lo infila nelle dita, Irwin disse: “Ne hai un altro?!”.
“Certo: questo è il mio. Papà me lo ha nuovamente confiscato, dopo che sono stata operata. Se tutto andrà bene, troveremo Peter” disse Stephanie, tenendo la mano sinistra davanti a sé, mentre muoveva contemporaneamente la destra, creando dei cerchi.
Octavius si spostò accanto ad Irwin, osservando un cerchio d’energia che tentava di formarsi. Stephanie si concentrò di più, riuscendo finalmente a formare un portale. In fondo ad esso intravidero una figura, che corse verso di loro e, una volta oltrepassato il portale, esso si richiuse.
Chi era presente, lo guardò in modo stupito: era vestito anche lui da Spider Man. Questi si tolse la maschera, rivelando un ragazzo con in capelli un po' lunghi ed il ciuffo.
Prima che il ragazzo potesse aprire bocca, Irwin gli domandò: “Ti chiami Peter Parker?”.
“Tu come lo sai?” chiese, guardandolo.
“Forse non ho pensato intensamente al nostro Peter Parker” disse Stephanie. Il ragazzo la guardò: “Cosa significa al “nostro Peter Parker”?”; poi guardò gli altri: “Che cosa sta succedendo? Dove mi trovo?”.
“Chi glielo dice che abbiamo provato a cercare il nostro Peter Parker e che non si trova più nel suo universo?” chiese Irwin. Gli altri lo guardarono ed il ragazzo domandò: “C’è un altro Peter Parker?”.
“Sì ed un altro ancora, stando a quello che ci ha detto prima un nostro amico. So che sei confuso- lo siamo tutti in realtà- ma arriverò subito al sodo: l’identità del nostro Peter Parker è stata scoperta, così è venuto qua da mio padre, richiedendogli un incantesimo che facesse dimenticare a tutti chi fosse. Ma qualcosa è andato storto, così tutti quelli degli altri universi che sanno che Peter Parker è Spider Man, sono arrivati qua. Ora però mio padre è rimasto bloccato nella dimensione specchio” iniziò col dire Stephanie.
“E gli altri che sono arrivati con me si sono ribellati contro lo Spider Man di questo universo, seguendo le parole di Goblin” aggiunse Octavius.
“E gli altri che sono arrivati con lui si sono ribellati contro il nostro Peter Parker…” iniziò col dire Stephanie, ma dopo essersi accorta della frase pronunciata dall’amico, lo guardò e stupita gli chiese: “Come sarebbe a dire che gli altri si sono ribellati contro il nostro Peter, seguendo le parole di Goblin?!”.
“Ho provato a farli ragionare, ma Electro mi ha scaraventato fuori dalla finestra” rispose Octavius.
“Questa non ci voleva” disse Stephanie.
“Forse lui potrebbe darci una mano” disse Irwin.
“Calma ragazzi, sono appena arrivato e già con tutto quello che mi avete raccontato, mi sento più confuso di prima. E poi cosa sperate che io possa fare?” disse Peter.
“Be’, tu sei Spider Man e, insieme all’altro, potreste dare una mano al nostro” disse Stephanie.
“Ecco…io…non posso” disse Peter.
“Ma certo che puoi: come ha appena detto la ragazza, tu sei Spider Man. Potreste aiutarvi a vicenda” disse Octavius.
“Mi dispiace, ma ho lasciato da tempo quella strada. Non sono più lo Spider Man di una volta, non almeno quello che aiuta le persone” iniziò spiegando Peter e, dopo aver notato che gli altri non lo fermarono, continuò: “Da quando la mia fidanzata è morta, ho percorso una strada molto oscura, che mi ha fatto commettere atti non degni del costume che porto. Così mi sono isolato e la criminalità ha preso il sopravvento. Ho anche pochi contatti con mia zia May”. Si passò una mano tra i capelli, per poi osservare la maschera che aveva in mano; poi terminò: “Io non sono chi voi pensate”.
I tre si guardarono; poi Stephanie si avvicinò a lui, mettendogli una mano sotto quella che teneva la maschera. Peter alzò lo sguardo, incrociando quello della giovane Strange, che disse: “Tu sei Peter Parker, un ragazzo che ha solamente bisogno di ritrovare la fiducia in te stesso. Non credo che la tua fidanzata avesse voluto tutto ciò da te, ma non per questo devi dimenticarla. Anzi, con il suo ricordo devi farti forza, perché la gente del tuo universo ha bisogno di Spider Man. Tutti noi abbiamo un lato cattivo, ma lo possiamo combattere. Noi siamo con te” e gli sorrise. Anche Peter le sorrise a sua volta; poi Stephanie gli propose: “Vuoi farti una doccia?”.
“Non vorrei disturbare” disse Peter.
“Ti sei fatto letteralmente un salto da un universo all’altro. Vai pure nel bagno che trovi lì e poi ci prenderemo qualcosa da mangiare tutti insieme” disse Stephanie e Peter si diresse nel bagno della camera da letto.
“Stephanie ammiro il tuo voler aiutare gli altri, ma addirittura gli proponi di fare una doccia nel bagno della camera da letto di tuo padre” disse stupito Irwin.
“E allora?” chiese Stephanie, guardandolo.
“Se tuo padre torna, non solo farà fuori me, ma caccerà indietro il Dottor Octavius e ucciderà anche il Peter nel suo bagno. Forse siamo ancora in tempo” disse Irwin. Quando si sentì scendere l’acqua nella doccia.
“Ha solo bisogno di riottenere la fiducia in lui. Quando si sarà fatto una bella doccia ed avrà mangiato, lo porteremo dagli altri” spiegò Stephanie.
“Ricordati che abbiamo ancora il Peter del nostro universo da ritrovare e, prima ci riusciamo, prima il Peter che si sta facendo la doccia potrà andarsene” disse Irwin.
“Non dirmi che sei geloso?” domandò Stephanie. Irwin gli diede di spalle, incrociando le spalle, quindi Stephanie aggiunse: “O mio dio, sei davvero geloso!”.
“E se anche fosse? Tanto lui non rimarrà qua ancora per molto” ribatté Irwin, voltandosi verso di loro.
“Già” disse Stephanie, con un velo di tristezza nella sua voce.
“Visto che hai già fatto comparire un Peter, forse questa volta riuscirai veramente a far comparire il vostro Peter. Basta solo che ti concentri di più” disse Octavius.
“Hai ragione” disse sorridendo Stephanie, guardandolo e, dopo che si fu spostata, riprovò a ricreare un altro portale. Ci riuscì e qualcuno stava uscendo da esso ma, appena mise piede nella stanza ed il portale si richiuse, rimasero a bocca aperta nel vederlo.
Il nuovo arrivato si guardò intorno e, appena vide chi altri c’era, riguardò Stephanie, replicando: “Che diavolo sta succedendo?!”.
“Ciao anche a te, papà” disse Stephanie, facendo un piccolo sorriso, ma lo sguardo furente di Stephen non prometteva nulla di buono.








Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Svolta inaspettata nella mia storia, con il dottor Octopus (quando lo adoro come personaggio) che ritorna al Sanctum Sanctorum e diventa aiutante di Stephanie ed Irwin. Poi ho pensato: visto che Ned ha lo sling ring di stephen (e ovviamente nel film stephen non aveva nessun figlio), Stephanie ha ancora confiscato il suo di sling ring, quindi anche lei poteva cercare Peter. Così compare Peter 3 (quello di amazing spider man) e, ovviamente alla figlia, è lei che innavertitamente libera il padre dalla dimensione specchio. Che Stephanie si sia presa una cotta per Peter 3? (vedremo)
Grazie come sempre per tutte le bellissime recensioni che postate. Grazie a chi passa semplicemente di qua e chi ha messo la storia tra le preferite e seguite.
Grazie anche alla mia amica Lucia
Con ciò vi auguro un buon inizio week end ed una buona continuazione di serata
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte abbraccio
Valentina

 
 
 
 
 

 

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Capitolo 23
*** Disubbidienza ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXIII: Disubbidienza



 

Stephen osservava furente chi era presente nella stanza, soffermando però lo sguardo sulla figlia, che disse: “Papà ti posso spiegare”.
“In fretta e concisa” replicò Stephen.
Stephanie fece un lungo respiro; poi iniziò: “Peter ha liberato i cattivi e li ha portati a casa del fidanzato di sua zia, perché vuole aiutarli. L’unico, con il quale c’è riuscito, è stato il Dottor Octavius qui presente. Ma un certo Goblin ha fatto il lavaggio del cervello agli altri. Octavius è riuscito a scappare, entrando qua in camera tua. Poi Ned ha telefonato ad Irwin, dicendogli che non riescono a trovare il nostro Peter da nessuna parte. Così ha provato ad usare il tuo sling ring per cercarlo, ma è arrivato il Peter di un altro universo. Ho cercato di fare la stessa cosa, ma non ci sono riuscita nemmeno io. Ci ho riprovato e sei arrivato tu”.
Calò il silenzio. Stephen si portò una mano sugli occhi e, dopo aver scosso negativamente la testa, disse: “Ho bisogno di rinfrescarmi” e, prima che Stephanie potesse fermarlo, entrò in bagno.
“Moriremo, vero?” disse Irwin e Stephanie ed Octavius si guardarono in modo preoccupato.
Stephen si lavò la faccia nel lavandino, quando sentì l’acqua nella doccia spegnersi. Volse lo sguardo, per vedere un ragazzo uscire da essa, prendendo un asciugamano e legandoselo alla cinta. Si guardarono ed il ragazzo disse: “Salve”.
Lo sguardo di Stephen divenne furioso e la sua pietra si illuminò. Chi era in camera, lo sentirono gridare: “Fuori immediatamente di qua!” e videro Peter, ancora bagnato, correre verso di loro, per poi iniziare a vestirsi.
“Peter ma dove stai andando?” domandò Stephanie, guardandolo.
“Quell’uomo vuole uccidermi! Qua non ci resto un minuto di più!” rispose Peter. Stephen entrò nella stanza. La sua pietra brillava e lo stregone non dava segno di calmarsi. Poi guardò Stephanie: “Come ti è venuto in mente di aprire un portale, senza sapere usare correttamente le arti mistiche? Se, invece del ragazzo, fosse uscito un malintenzionato, come avresti fatto?”.
“L’avrei difesa io” disse Octavius.
Stephen lo guardò: “Lo avrei apprezzato, ma lei non si intrometta! Non dovrebbe neanche trovarsi qua!”. Spostò lo sguardo su Irwin: “E nemmeno lui!”. Riguardò la figlia: “Chi non porta il mio cognome lo voglio immediatamente fuori di qua!”.
“No! Nessuno se ne andrà!” ribatté Stephanie.
“Non possono rimanere: è pericoloso” disse Stephen e, prima che Irwin potesse aprire bocca, lo guardò, aggiungendo: “E non mi riferisco perché tengo alla vostra incolumità” ed il ragazzo abbassò lo sguardo.
“Non avrebbero dove andare” disse Stephanie.
“E’ per questo che li voglio rispedire nei loro rispettivi universi” disse Stephen. Stephanie guardò Octavius e, dopo essersi affiancata a lui, disse: “Non voglio che il Dottor Octavius muoia”.
“Cucciola, cerca di ragionare: il multiverso non può essere cambiato. Anche una sola scelta differente, può portare a scenari totalmente diversi, con conseguenze che nemmeno noi possiamo immaginare. La linea temporale non può essere alterata” spiegò Stephen.
“Peter ha cercato di dare loro una seconda possibilità: non facciamogliela sprecare” disse Stephanie.
“A quanto pare – se escludiamo il qua presente con le quattro braccia – gli altri non ne hanno voluto sapere di questa seconda possibilità. Quindi, perché mai dovremo farli vagare liberi, creando caos nel nostro universo? Recupererò la Macchina di Kavadus ed attiverò l’incantesimo che li ricondurrà indietro. Lo sai che sono sempre dalla tua parte, ma questa volta non posso darti ragione” spiegò Stephen.
Stephanie abbassò lo sguardo. Octavius la guardò, per poi spostare lo sguardo su Stephen: “Signor Strange…” iniziò col dire, ma Stephen lo corresse: “Dottor Strange”.
“Dottor Strange, potrei parlarle da solo?” gli domandò. Stephen lo guardò in silenzio, per poi dire: “Cucciola, aspetta fuori, per favore”. Stephanie guardò Octavius, che le annuì. La ragazza uscì, seguita da Irwin e Peter, i quali vennero squadrati da Stephen, mentre gli passavano accanto.
“Non ho molto tempo da perdere, quindi mi dica subito di cosa vuole parlarmi” disse Stephen.
“Di sua figlia” disse Octavius.
“Non so in che modo la mia Stephanie possa centrare con tutto questo. Più ne sta al di fuori e più sarà protetta” disse Stephen.
“E’ proprio di questo che volevo parlarle: protezione. Sua figlia mi ha raccontato di come lei le sia sempre stato accanto…forse troppo, aggiungerei” iniziò col spiegare Octavius. Stephen fece un piccolo sorriso, per poi scuotere negativamente la testa. Successivamente disse: “Perché mai dovete farmi tutti la morale di come cresco Stephanie? Sono stanco di sentirmi dire le stesse identiche cose tutte le volte. So io cosa è meglio per mia figlia!”.
“Così sicuro di sé, da non rendersi conto di starle troppo appiccicato? Stephanie non è una bambina e nemmeno una ragazzina delle superiori. È grande ed ha il diritto di decidere anche per conto suo” disse Octavius.
“Le sue decisioni non possono ancora essere considerate giuste per il suo futuro!” replicò Stephen.
“Questo è ciò che dice lei, ma ha mai chiesto un parere a Stephanie?” domandò Octavius. Stephen non rispose, ma la sua pietra smise di brillare.
“Io e la mia defunta moglie avremmo tanto voluto avere dei figli e Stephanie si avvicina a ciò che avrei desiderato. Deve ritenersi fortunato ad averla e dovrebbe anche imparare ad ascoltarla. Sono sicuro che dopo vi sentirete meglio entrambi” spiegò Octavius e Stephen fece un piccolo sorriso.
Nel frattempo, Peter, Irwin e Stephanie si trovavano nella camera di quest’ultima. Peter si guardava intorno, mentre veniva osservato dagli altri due ragazzi. Poi Irwin, chiese: “Secondo te tuo padre chi farà fuori per primo?”.
“Non essere sempre così pessimista nei suoi confronti” disse Stephanie.
“Non sono pessimista, ma realista. Tuo padre non vede sempre l’ora di sbattermi fuori o, peggio, uccidermi. Credi che, almeno, arriverò a laurearmi?” disse Irwin, guardandola e Stephanie scosse negativamente la testa. Irwin sgranò gli occhi e, riguardando avanti, aggiunse: “Lo sapevo: sono morto”.
Stephanie gli diede un leggero scappellotto dietro la testa, dicendo: “Che stupido che sei: il mio era un gesto di disapprovazione, solo perché pensi sempre male. Almeno per una volta cerca almeno di essere positivo”.
“Non ha tutti i torti” disse Peter, guardandoli.
“Be’, da quanto ci hai raccontato prima, non è che anche tu ultimamente sei stato positivo” disse Irwin e Peter spostò lo sguardo, per poi andare verso la finestra. Stephanie guardò malamente Irwin che, guardandola a sua volta, chiese: “Che c’è?”.
Stephanie non rispose, affiancandosi a Peter. Dapprima non seppe che dire; poi parlò: “Non ascoltare quello che dice Irwin: a volte parla senza prima pensare”.
“No, ha ragione: negli ultimi tempi non sono mai stato molto positivo” disse Peter.
“Tanta gente non lo è” disse Stephanie. Peter la guardò; poi aprì la finestra e, saltandosi su, si voltò e mostrò una mano alla ragazza, dicendole: “Vieni con me”. Stephanie esitò; poi gli prese la mano e Peter, tenendola stretta, la condusse sopra il tetto, per poi sdraiarsi sulle tegole. Irwin si affacciò alla finestra, cercando di vederli ma con scarsi risultati.
“Non sono mai venuta qua su. Non che mi sia mai venuto in mente di venirci in realtà” disse Stephanie.
“Hai paura? Se vuoi, ti riporto subito dentro” disse Peter.
“No, anzi grazie. Mi ci voleva un po' d’aria” disse Stephanie. Calò il silenzio; poi Peter disse: “Da quando è morta Gwen, non ho mai più pensato ad essere felice. Credevo che la mia vita fosse finita con lei. Non volevo più aiutare nessuno. Mi sono rinchiuso in me stesso, prendendo così una cattiva strada. Tuo padre ha ragione: rispedendomi nel mio universo, non sarei un peso per nessuno”.
Stephanie lo guardò, per poi prendergli una mano. Peter la guardò a sua volta: “Probabile che il destino abbia voluto che tu capitassi qua. Non sarai più solo: io e gli altri ti aiuteremo ed avrai sempre il mio sostegno”.
“Non devi per forza difendermi” disse Peter.
“So che è la cosa giusta da fare. Come ho detto prima a mio padre, agli altri è stata concessa una seconda possibilità: questo vale anche per te” disse Stephanie.
“Non penso di meritarmela” disse Peter, abbassando lo sguardo. Stephanie mise l’altra mano sulla sua guancia, alzandogli il viso in modo che la guardasse: “Smettila di dire così. Quando uno cade, deve rialzarsi a testa alta. Lo farai anche tu, ne sono certa”.
Peter sorrise; poi, accadde qualcosa: i loro visi si avvicinarono sempre di più. Erano poco distanti l’uno dall’altra.
Stephen andò di fronte al buco nel muro: “Mi dispiace per la finestra: la riaggiusterò” disse Octavius.
“Non si preoccupi: ho già riparato tante di quelle volte questo posto, che ormai ho perso il conto” disse Stephen.
“Comunque, sua figlia è molto brava a curare le persone e non intendo solo esternamente” disse Octavius. Stephen si voltò verso di lui, dicendogli: “Vorrei solamente che intraprendesse la mia carriera, che ho dovuto per forza mollare dopo quell’incidente”.
“Lei sta cercando ancora di vivere attraverso sua figlia. Perché non la lascia decidere per conto suo?” disse Octavius.
“La prego non ritorniamo su questo discorso. Ora, devo solamente ritrovare gli altri e riprendermi la Macchina di Kavadus, così vi rispedirò da dove siete venuti” disse Stephen.
“Ha proprio voglia di sbarazzarsi di me, vero?” disse Octavius, facendo un sorriso beffardo. Stephen scosse negativamente la testa, quando sentì dei rumori provenire dall’esterno. Si affacciò dal buco, guardando in basso, ma la cappa gli “indicò” in alto. Così se ne volò fuori e, appena vide Stephanie che si stava quasi per baciare con Peter, replicò: “Stephanie Donna Strange!”.
I ragazzi si allontanarono l’uno dall’altra e voltando lo sguardo in avanti, Stephanie disse: “Papà, ma che bella sorpresa. Non stavi parlando con il Dottor Octavius?”.
“A quanto pare, invece, ho fatto bene a venire qua” replicò Stephen; poi spostò lo sguardo su Peter: “Cosa ti ha detto il cervello, quando hai pensato bene di portare mia figlia in questo posto?! È pericoloso!”.
“Non sarebbe caduta e, poi, l’avrei presa” disse Peter. Stephen si avvicinò a loro, facendo indietreggiare il ragazzo, per poi ribattere: “Tu non devi neanche aprire bocca, visto che non fai parte di questo universo e presto ti rispedirò nel tuo! Devi starle alla larga!”.
“Chi ha che ha fatto la spia? È stato Irwin, vero?” domandò Stephanie, alzandosi.
“E se anche fosse?” chiese Stephen. Stephanie abbassò lo sguardo, ma lo rialzò quando Stephen le allungò una mano, dicendole: “Vieni”. La ragazza si avvicinò lentamente e, dopo avergli preso la mano, Stephen la tenne stretta a sé. Guardò malamente Peter, per poi scendere e rientrare in camera, depositandola a terra.
“Considerati in punizione” replicò Stephen.
“Cosa ho fatto?!” domandò stupita Stephanie.
“Ti avevo espressamente ordinato di non dare confidenza ai nuovi arrivati e tu, non solo chiacchieri amichevolmente con il dottor con le quattro braccia, ma te ne stai anche a sbaciucchiare con un altro Parker sul tetto! Ti sei dimenticata che hai appena subito una delicata operazione di trapianto al fegato?!” ribatté Stephen, mentre la sua pietra riprese a brillare.
“Quante volte me lo devi ripetere?” chiese Stephanie.
“Finché non ti sarà entrato in testa! È per la tua sicurezza, solo che tu non te ne vuoi ancora rendere conto! La devi smettere di renderti un bersaglio facile! Io non sono sempre accanto a te per proteggerti!” replicò Stephen.
“E meno male!” ribatté Stephanie.
Le luci della stanza si accesero e spensero ripetutamente. La pietra di Stephen continuava a brillare. Padre e figlia si guardavano in malo modo; poi però Stephanie si voltò, uscendo dalla camera ma, quando fu in corridoio incontrò Irwin. Si fermò, replicando: “Sarai contento, vero? Mai che riesci a tenere la bocca chiusa!”.
“Di che cosa stai parlando?” domandò Irwin.
“Non fare finta di nulla! Potevi anche non raccontare niente a mio padre e tenerti per te dove ci trovavamo in quel momento io e Peter. Quel ragazzo ha bisogno di essere aiutato, ma a quanto pare a te non interessa. Dopotutto, lo hai fatto solamente per gelosia” rispose Stephanie.
“Io non ho detto niente a tuo padre. Sei pure libera di non credermi, ma è la verità. Non mi permetterei mai di tradire la tua fiducia” disse Irwin.
“Quindi devo pensare che mio padre mi abbia mentito, solamente perché ti voleva lontano da qui? È una scusa sciocca” disse Stephanie.
“Da quando ci ha visti insieme all’università, non fa altro che pensare ad un modo per tenerci lontani. E se prima di Halloween cercava solamente di distanziarci, ora è passato alle minacce di morte. Se non volessi aiutarti, me ne sarei già andato via” spiegò Irwin.
Le parole dell’amico sembravano sincere. Stava per ritornare dal padre, quando il cellulare di Irwin squillò. Questi accettò la chiamata, portandosi l’apparecchio all’orecchio: si trattava di Ned.
“Ehi, Ned, ci sono novità?” gli chiese.
“Abbiamo trovato il nostro Peter: è a scuola. Ci si vede lì?” rispose. Irwin alzò lo sguardo verso Stephanie, che però non proferì parola. Poi disse: “Va bene. A dopo” e riattaccò.
Guardò Stephanie, che disse: “Scordatelo”.
“Sono i nostri amici: hanno bisogno d’aiuto” disse Irwin.
“Mio padre è già abbastanza incavolato: non voglio farlo arrabbiare ancora di più. Tu non hai visto di cosa sia capace la sua parte malvagia” disse Stephanie.
“Ok, fa pure come vuoi ma, se vorrai seguirmi, mi troverai a scuola” disse Irwin e, voltandosi, se ne andò.
Stephanie lo guardò, per poi volgere lo sguardo verso la camera da letto del padre, dalla quale lo poté sentire parlare con il Dottor Octavius. Stava per ritornare da loro, ma si fermò: aiutare i propri amici -gli unici che aveva – o ubbidire al padre?
Troppe scelte le aveva prese Stephen al posto suo: era venuto il momento di decidere da sola.
Andò in camera sua e, dopo aver lasciato un biglietto, uscì, scendendo le scale, per poi uscire. Si guardò intorno, quando ricevette un messaggio sul cellulare da parte di Irwin, nel quale c’era riportata la via della scuola.
Riporse il cellulare in tasca ed iniziò a camminare, non sapendo di essere seguita.
Si alzò meglio il colletto della giacca, cercando di non ammalarsi con l’aria fredda di quel periodo ma, più camminava e più sentiva come una presenza. Quando svoltò l’angolo, due brutti ceffi le si pararono davanti, bloccandole il cammino.
“Ehilà, ciao dolcezza, dove stai andando di bello?” chiese uno dei due.
“Non sono affari tuoi!” replicò Stephanie.
“La ragazzina ha carattere: mi piace” disse l’altro.
“Non vi conviene mettervi contro di me” disse Stephanie.
“Chissà cosa ci farai” disse il primo. Stephanie mise le mani davanti a sé, creando due scudi d’energia…ma uno dei due svanì. I due malfattori risero.
“Be’, se non ve la vedrete con me, verrà mio padre. Lui è un maestro delle arti mistiche e vi darà tanti calci nel sedere” disse Stephanie.
“Non credo che il tuo caro papà arriverà in tempo per salvarti. Su, fa la brava e non mordere” disse uno dei due avanzando, insieme al compare, verso Stephanie. La ragazza cercava di concentrarsi e creare almeno qualche catena dorata. Ma era agitata e spaventata allo stesso modo e ciò non l’aiutava.
In quel momento avrebbe tanto voluto ascoltare suo padre ma, come sempre, aveva compiuto una scelta sbagliata. Stephen aveva ragione: non era ancora pronta per andare a vivere da sola.
I due stavano per attaccarla, quando due ragnatele si attaccarono alle loro schiene, trascinandoli all’indietro. Appena si voltarono, Spider Man diede loro pugni e calci. Una volta storditi, il ragazzo porse la mano a Stephanie. Questi gliela prese e Spider Man, tramite una ragnatela, finirono sopra il tetto di un palazzo lì accanto. Da soli, Peter si tolse la maschera, ma venne subito abbracciato da Stephanie.
Il ragazzo rimase senza parole: era da tempo che nessuno lo abbracciava. Contraccambiò e, dopo che si staccarono, Stephanie gli disse: “Grazie. Grazie infinite”.
“Non dovresti girare da sola a quest’ora: se non fossi arrivato in tempo, quei due ti avrebbero fatto del male” disse Peter.
“Sarei riuscita a difendermi anche da sola” disse Stephanie ma, dopo che Peter ebbe inarcato un sopracciglio, si corresse: “Va bene, va bene, forse non ci sarei riuscita, ma solo perché mio padre non mi ha mai permesso di seguire le lezioni a Kamar-Taj”.
“Vedi che, ogni tanto, a mettere da parte l’orgoglio si diventa più simpatici” disse Peter.
“È stata questa la prima impressione che ti sei fatto di me?” domandò Stephanie. Peter si portò una mano dietro la testa, in modo imbarazzato. La ragazza sospirò. Peter si avvicinò a lei, prendendole una mano. Stephanie alzò lo sguardo. Peter le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi…la baciò.
Stephanie si staccò, quindi Peter chiese: “Hai paura che tuo padre lo venga a scoprire?”.
“Non è per quello. Non voglio essere un rimpiazzo della tua ragazza. Non lo meriterebbe” rispose Stephanie.
“Ti avevo detto che, con la morte di Gwen, la mia vita non aveva più un senso. Ma forse, ora, è venuto finalmente il momento di voltare pagina e lo vorrei fare con te” disse Peter. Stephanie lo guardò rimanendo a bocca aperta.






Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Sto un pò cambiando quello che sta accadendo in Spider Man no way home cercando ovviamente di includerci Stephanie. Volevo una redenzione per il Peter di the amazing spider man (anche se diciamo che l'ha avuta salvando Mj), ma mi sembrava giusto che decidesse di rintraprendere la strada giusta grazie a Stephanie. Spero che questo cambio nella trama vi piaccia
Come sempre volevo ringraziarvi per tutte le bellissime recensioni; per tutti/e coloro che sono passati/e di qua; che hanno messo tra le seguite la storia e tra le preferite
Grazie anche alla mia amica Lucia ed ai miei recensori che stanno seguendo la storia fin dal principio. Grazie infinite
Con ciò vi auguro una buona notte ed un buon proseguimento di settimana
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte abbraccio
Valentina


 
 
 
 

 

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Capitolo 24
*** Uniti si può vincere ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXIV: Uniti si può vincere



 
Stephanie era rimasta senza parole, quindi Peter, vedendola imbarazzata, disse: “Mi dispiace, non volevo turbarti”.
“No…è che non me l’aspettavo. Non almeno così presto” disse Stephanie e, dopo che Peter ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Credo di amarti”.
“Forse anche io. Non mi ero mai sentito più così da quando Gwen è morta. Ero felice insieme a lei e tu mi hai dato una seconda occasione per vivere. Ci sono stati momenti che avrei tanto voluto farla finita” disse Peter.
Stephanie fece un piccolo sorriso, per poi dire: “Allora sono contenta di essere la tua seconda possibilità”. Anche Peter fece un piccolo sorriso, per poi prendere le mani di lei tra le sue. I due si guardarono, quando Stephanie disse: “Dobbiamo andare ad aiutare gli altri. Peter ha bisogno di te”.
“In che modo potrei essergli d’aiuto?” domandò.
“Non lo so, ma un supporto in più fa sempre comodo” rispose.
Così, si ritrovarono a volare, con le ragnatele, tra un grattacielo e l’altro, mentre Stephanie si teneva ben stretta a Peter. Si sentiva…libera, come non lo era mai stata prima. Se solo suo padre l’avesse lasciata andare.
Poco dopo atterrarono sul tetto della scuola. Stephanie si staccò da Peter, ma entrambi volsero gli sguardi quando videro Ned ed Mj abbracciare l’altro Peter. Stephanie mise una mano sulla guancia del Peter con il quale era arrivata, per poi camminare verso gli amici. Peter alzò lo sguardo, vedendola: “Stephanie” e si alzò.
Appena i due furono uno di fronte all’altro, si abbracciarono. Poi Peter disse: “Zia May è morta”. Stephanie lo guardò ed il ragazzo aggiunse: “Goblin l’ha uccisa. Lei voleva solamente aiutare tutti, invece lui non ha voluto. Ha detto che il potere che avevano era una benedizione. Un dono che non li avrebbe più resi una nullità. Così l’hanno seguito. Tranne il Dottor Octavius”.
“Sì, lui si trova al Sanctum Sanctorum con mio padre” disse Stephanie.
“E tuo padre non l’ha ucciso?” domandò Ned. Stephanie lo guardò: “Stavano solo parlando normalmente. In effetti mio padre non sa nemmeno che sono qua e, quando lo scoprirà, bè…temo per la nostra incolumità”.
“Siamo morti. Siamo tutti morti” disse Ned, iniziando a sudare.
“Il problema non è il dottore pazzo” disse Mj.
“Certo che per te non lo è: non sei tu quella ha già minacciato di morte solo perché ho una cotta per sua figlia” disse Ned, ma dopo aver guardato Stephanie, arrossì, così come anche la ragazza.
“Stavo dicendo che il problema, al momento, non è il dottore pazzo, ma tutti quelli che hanno seguito colui che ha ucciso zia May. Dobbiamo fermarli” disse Mj.
“O curarli” disse Stephanie.
“No! Io ci rinuncio! Non lo meritano!” replicò Peter, scuotendo negativamente la testa.
“A tutti deve essere data una seconda possibilità” disse, ad un tratto, una voce e, dalla cima più alta del tetto, atterrò un altro ragazzo – più anziano di loro. Dall’ombra, sbucò anche l’altro Peter, che disse: “Se no si può finire su una cattiva strada, come ho fatto io”.
Peter li guardò rimanendo a bocca aperta, così come Ned ed Mj, vedendo un altro Peter – oltre al loro che avevano fatto apparire tramite un portale. Mj chiese: “Ce ne è un altro?”.
“Volevo ritrovare il nostro Peter, ma ne ho fatto comparire un altro. Poi ci ho riprovato ma, inavvertitamente, ho fatto comparire anche mio padre. Prima o poi lo avrei liberato, ma molto probabile dopo che avrei risolto tutto questo pasticcio” spiegò Stephanie.
“Ancora non ci riesci a mettere da parte l’orgoglio, vero? Ti ho già detto che, quando lo fai, diventi più simpatica” disse Peter. Stephanie lo guardò sorridendo, ma rispostò lo sguardo sul Peter del suo universo, quando ribatté: “E’ tutta colpa mia se zia May non c’è più. È morta invano. Perciò farò quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio” e, stava per prendere la Macchina di Kavadus da Mj, quando Stephanie lo fermò: “Cerca di ragionare”.
“No! Ho chiuso! Li rispedirò nei vostri universi. Decidete voi se ucciderli o no! Non è più un problema mia!” replicò Peter; poi guardò Stephanie, aggiungendo: “Tuo padre ha sempre avuto ragione, quindi ti riconsegno questo oggetto così potrai ridarglielo”.
“Mio zio Ben è stato ucciso: è stata colpa mia” disse il Peter più anziano.
“Ho perso Gwen: era la mia Mj. Non ho potuto salvarla. Non potrò mai perdonarmi per questo. Ho cercato di andare avanti. Ho cercato di essere l’amichevole Spider Man di quartiere, perché è so che quello che avrebbe voluto ma, ad un certo punto non ho più usato mezze misure e, così, sono diventato rabbioso. Mi sono inasprito. Non voglio che tu finisca come me” spiegò Peter; poi guardò Stephanie ed aggiunse: “Poi, sono finito qua ed ho incontrato una meravigliosa ragazza che mi ha fatto capire che dovevo ricominciare a testa alta. Che Gwen non era morta invano, proprio come tua zia May. Che anche io avevo bisogno di una seconda possibilità… ovviamente prima che suo padre mi uccida” e Stephanie sorrise.
“La notte in cui morì Ben, cercai l’uomo che ritenevo colpevole: lo volevo morto. Ho raggiunto il mio obiettivo, ma non mi ha fatto sentire meglio. Ciò ho messo molto tempo ad imparare ad uscire dall’oscurità” spiegò il Peter più anziano.
“Io voglio ucciderlo! Voglio farlo a pezzi! Anche dopo che è stata ferita ha detto che abbiamo fatto la cosa giusta. Mi ha detto che da un grande potere…” iniziò col dire Peter.
“…derivano grandi responsabilità” terminò la frase il Peter più anziano.
“Come fai a saperlo?” domandò stupito Peter.
“Lo disse zio Ben” disse l’altro Peter.
“Il giorno in cui morì” disse il Peter più anziano. Peter li guardò non dicendo nulla. Poi il Peter più anziano aggiunse: “Forse non è morta invano”.
“Se dobbiamo salvarli, dobbiamo farlo in fretta. Unendo le nostre forze, possiamo farcela” disse Peter, avvicinandosi a Stephanie, che disse: “Peter ha ragione: non sei da solo. Ci siamo tutti noi”.
“Io…non so come ringraziarvi. Siete in questo pasticcio per causa mia. Tuo padre sarà furioso quando saprà cosa stai facendo” disse Peter.
“Siete i miei amici: preferisco disuddidirgli, che perdervi” disse Stephanie. Gli altri sorrisero e così, poco dopo – ed anche insieme a Irwin che li aveva raggiunti – si ritrovarono in un’aula di chimica, intenti a trovare le cure per i nemici. Mentre i tre Peter lavoravano, gli altri stavano a guardare.
“Mi sento inutile a non poter far nulla” disse Stephanie.
“Non dire così: sei qua con noi e sei d’aiuto” disse Ned.
“Guardare non è aiutare. Posso operare e ricucire le persone in due secondi, ma preparare composti chimici non è la mia specialità” disse Stephanie.
“Se vuoi ti posso insegnare” disse Irwin.
“Grazie, ma preferisco dedicarmi solamente al ramo della neurochirurgia” disse Stephanie e, spostandosi dai due, si avvicinò ad una delle finestre. In quel momento, però, le squillò il cellulare: si trattava di suo padre. Guardò gli altri, così uniti a darsi una mano a vicenda, mentre lei si trovava come un pesce fuor d’acqua. Rivolse lo sguardo allo schermo del cellulare: stava per rispondere, poi però rifiutò la chiamata. Non poteva abbandonare i suoi amici.
Nel frattempo, Stephen ed Octavius, non vedendo Stephanie da nessuna parte – e nemmeno Peter- decisero di chiamarla, ma quando Stephen si vide la chiamata rifiutata, replicò: “Come si permette di buttarmi giù il telefono?! Sono suo padre e mi tratta in questo modo?! Dopo tutto quello che ho fatto per lei fin da quando era una bambina! La metterò in punizione a vita!”.
“Non sia così duro con lei, forse ha deciso di seguire i suoi amici” disse Octavius.
“Perché non vuole ubbidirmi? Io lo faccio per il suo bene. Ho rischiato di perderla troppe volte: non potrei vivere senza di lei! Ho già perso mia sorella, non potendo fare nulla per salvarla. Non voglio che capiti la stessa cosa a Stephanie. Se proprio accadrà il peggio, allora dovrò far uscire la mia parte malvagia: solo a quel punto, sarà davvero protetta” disse Stephen.
“Non lo faccia, creda a me: ho vissuto per molto tempo con le voci di queste quattro braccia nella mia testa, che mi dicevano cosa era giusto fare. Ma ciò mi ha condotto sulla cattiva strada. Ci pensi due volte, prima di commettere il mio stesso errore. Le scelte che ho fatto, mi hanno fatto diventare un mostro e perdere il mio sogno. Un sogno che era anche della mia Rosie. Penso di averla delusa, ma ora voglio redimermi. Lei ha ancora tempo per non sbagliare con sua figlia” spiegò Octavius.
Stephen lo guardò in silenzio, per poi dire: “Almeno avrebbe potuto dirmi dove si sarebbe recata”.
“Credo che qualcosa ci abbia lasciato” disse Octavius, notando qualcosa davanti ad una foto che ritraeva Stephanie da bambina in braccio a Stephen. Con uno dei tentacoli, lo prese e, dopo che fu davanti a loro, notarono che si trattava di un bigliettino. Sopra ad esso c’era scritto:
 
Ciao, Papà,
Mi dispiace molto se ti ho disubbidito un’altra volta, ma ho voluto seguire i miei amici: non voglio perderli. Sono gli unici che ho.
Lo so che tu vuoi proteggermi da tutto e lo apprezzo, ma lasciandomi fare ciò che voglio, questo non toglie il gran bene che ti voglio.
Peter ha bisogno di me ed anche gli altri vanno aiutati. Vorrei che riuscissi finalmente a capirmi.
Siamo diretti alla Midtown High School: se vuoi puoi raggiungerci lì.
Volevo ringraziare anche il Dottor Octavius per il suo conforto.
Ti voglio tanto bene, papà.
La tua cucciola”
 
“Ora cosa ha intenzione di fare?” domandò Octavius, guardando Stephen che, spostandosi leggermente da lui, rispose: “Ovvio: vado da loro”.
“Ne è proprio sicuro?” gli chiese. Stephen lo guardò: “Io sono sempre sicuro” e, mettendosi in posizione, stava per aprire un portale, quando Octavius lo fermò: “Non è che, se Stephanie lo ha scritto nel biglietto, lei deve per forza seguirla. È sottointeso che lei voglia essere lasciata da sola con i suoi amici”.
Stephen sospirò e, dopo aver abbassato le mani, si volse verso Octavius, dicendo: “Per favore, ditemi che cosa devo fare, se no giuro che libero veramente la mia parte malvagia e allora lì saranno guai per tutti. Sono stufo di sentirmi dire “Stephen non fare questo” “Stephen questo non va bene” “Stephen lasciala stare: non è più una bambina” Dovete smetterla di dirmi quello che devo fare!” e, mentre avanzava verso Octavius, facendolo indietreggiare, i suoi occhi divennero rossi, così come la pietra che iniziò a brillare.
“La prego Dottor Strange, cerchi di calmarsi: forse possiamo andare ad aiutare i ragazzi” disse Octavius, mentre due tentacoli si misero davanti a lui cercando di proteggerlo.
“Ora vai sulla difensiva. Hai paura di me? Hai paura che possa ucciderti? Non lo farò, perché sarai un valido aiuto per sconfiggere quelle carogne! Poi, insieme, spazzeremo via da questa città tutte quelle nullità che deprimono la mia vita. Infine, farò in modo che Stephanie rimanga per sempre con me!” replicò Stephen e, in un attacco di rabbia, scaraventò Octavius contro la televisione, che si accese.
Poi l’ex stregone supremo, creò una fiamma nera. La guardò, facendo un sorriso malefico. Successivamente spostò lo sguardo su Octavius, il quale notò che la pietra che portava al collo si stava incrinando. Cercò nuovamente di calmarlo: “Dottor Strange, ritorni in sé. Pensi a sua figlia: non vorrebbe vederla così. Non faccia uscire la sua parte malvagia: i ragazzi hanno bisogno di noi. Sua figlia ha bisogno di lei”.
In quel momento, la pietra smise di brillare; la fiamma nera sparì e gli occhi ritornarono azzurri. Stephen scosse la testa e, guardando Octavius a terra, stava per chiedergli cosa fosse accaduto, quando J. Jonah Jameson comparve in televisione: “Signori e signore, il numero verde del Bugle ha ricevuto una chiamata nietepopodimeno che dal noto fuggitivo Spider Man, fresco della sua furia distruttiva nei Queen. Allora Peter Parker, quale propaganda perniciosa stai vendendo?”.
“Solo la verità” disse Peter.
“Oh certo” disse, poco convinto, J. Jonah Jameson.
“La verità è che è tutta colpa mia. Ho accidentalmente portato qui delle persone pericolose e, se quelle persone stanno guardando, sappiate che ho provato ad aiutarvi. Insomma, potevo uccidervi in qualunque momento” iniziò col spiegare Peter e, per poco, mostrò la Macchina di Kavadus.
Nel vederla, Stephen sgranò gli occhi, replicando: “Quel piccolo, insignificante ragazzino con le ragnatele in testa, ha la mia Macchina di Kavadus! Appena gli metterò le mani addosso, giuro che…”.
“Continuiamo ad ascoltare: dobbiamo capire dove si trovano i ragazzi” lo interruppe Octavius e riporsero l’attenzione alla televisione.
“Ma non vi ho uccisi, perché la zia May mi ha insegnato che va data una seconda occasione e per questo sono qui” terminò col dire Peter.
“E qui dove sarebbe esattamente?” chiese J. Jonah Jameson.
“Un luogo che rappresenta le seconde occasioni” rispose Peter ed allargò l’inquadratura, così che tutte potessero vedere dove si trovava.
“La Statua della Libertà?! Buon dio! Sta per distruggere un’altra pietra miliare nazionale” disse stupito J. Jonah Jameson.
“Mondo, se stai guardando, fammi gli auguri. L’amichevole Spider Man di quartiere ne ha bisogno” disse Peter ma, prima di chiudere la chiamata, aggiunse: “E Dottor Strange, se anche lei sta guardando, non giudichi male sua figlia. Stephanie vuole solo aiutarci: è una grande amica e dovrebbe essere molto orgoglioso di lei” e la connessione si interruppe.
“Lo avete sentito tutti? Spider Man è una minaccia e, come tale, deve essere fermata! Rimanete sintonizzati per altri aggiornamenti” replicò J. Jonah Jameson.
Stephen spense la televisione, per poi ribattere: “Dobbiamo fermarli, prima che accada loro qualcosa di pericoloso”.
“Perché invece non li lasciamo provare? Dopotutto, Peter ha già curato me. Potrebbe riuscirci anche con gli altri” disse Octavius, guardandolo.
“Ecco, metta pure enfasi sul “potrebbe riuscirci”, perché i suoi amichetti non sembravano tanto della sua stessa idea di ritornare quelli di prima. Inoltre, non dimentichiamoci che là in mezzo c’è anche mia figlia: le faranno del male se non intervengo in tempo” replicò Stephen, guardandolo a sua volta.
“Stephanie non è sola: ci sono i suoi amici con lei” disse Octavius.
“Ora sì che sono molto più rassicurato di prima” disse Stephen.
“Prima Peter ha parlato delle seconde possibilità: perché non le vuole dare anche agli amici di sua figlia?” domandò Octavius.
“Visto che, almeno ha capito che ero ironico, le dirò la verità: quei ragazzi non mi sono mai stati simpatici e due di loro ci provano costantemente con Stephanie. So che lei, purtroppo, non ha mai avuto figli ma, se fosse stato al mio posto, come si sarebbe comportato? Sia sincero, la prego” rispose Stephen.
“Sarei stato un padre molto protettivo, ma avrei cercato di lasciare i propri spazi a mia figlia. L’avrei incoraggiata ad intraprendere la carriera da scienziata, ma la mia Rosie sicuramente mi avrebbe detto di non stressarla troppo con lo studio” spiegò Octavius, ma dopo aver visto lo sguardo poco piacevole di Stephen, finì col dire: “Comunque sarei preoccupato quanto lei se, in questo momento, mia figlia si trovasse in mezzo a delle carogne e dei ragazzini che non le tolgono mai gli occhi di dosso”.
“Ora sì che io e lei parliamo la stessa lingua” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso e, dopo essersi voltato, mise le mani davanti a sé, creando un portale. Poi guardò Octavius, dicendogli. “Dopo di lei”. Octavius fece un lungo respiro, entrando nel portale e, successivamente seguito da Stephen.
Appena furono dall’altra parte, il portale si richiuse. Erano finiti su di un’impalcatura, che imprigionava tutta la statua della libertà. Davanti a loro, videro tre Spider Man combattere contro gli altri nemici.
“Ce ne è un altro?!” disse stupito Stephen.
“Deve trattarsi del mio Peter. Quanto tempo è passato” disse entusiasta Octavius.
“Uno è stressante; il secondo appiccicoso. Spero che il terzo sia sopportabile” disse Stephen.
“L’ultima volta che l’ho visto, l’avevo giudicato brillante ma pigro, quindi penso che possa andare sul sicuro” disse Octavius.
Stephen osservava la battaglia, cercando di intravedere sua figlia: “Dov’è Stephanie?”.
“Magari è rimasta a scuola” rispose Octavius.
“Figuriamoci: sicuramente, invece, è qua da qualche parte su questa impalcatura. Seguirebbe i suoi amici fino in capo al mondo” disse Stephen, quando entrambi guardarono sul piano sopra di loro, sentendo delle voci.
“Ok, è venuto il momento di dividerci: lei vada ad aiutare gli arrampicamuri. Io, nel frattempo, cerco mia figlia” spiegò Stephen e, mentre se ne volò al piano superiore, Octavius si diresse verso gli Spider Man.
Una volta in cima, l’ex stregone supremo vide Mj, Ned, Irwin e Stephanie che avevano aperto un portale. Quando lo videro rimasero a bocca aperta.
“Siamo morti” disse Ned, sbiancando e Stephen li guardò furente.





Note dell'autrice: Buon pomeriggio ed eccomi con un nuovo capitolo. Siamo quasi alla fine di Spider Man no way Home (non volevo dilungarmi troppo con il film) e non volevo nemmeno copiare del tutto i dialoghi presenti (quello dei tre peter però mi sembrava molto importante) aggiugendo però anche il confronto di pareri tra Stephen e Octavius (cambiando anche che entrambi arrivano allo stesso momento alla statua della libertà)
Volevo ringraziare come sempre per tutte le bellissime recensioni: GRAZIE. Grazie per le bellissime parole scritte in ognuna di essere.
Grazie a tutti/e coloro che stanno seguendo costantemente la storia fin dal primo capitolo e chi ha iniziato a seguirla ora; grazie a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite
Grazie alla mia amica Lucia
Vi auguro un buon proseguimento di week end
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte abbraccio
Valentina

 

 

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Capitolo 25
*** Addii ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXV: Addii


 
Mj, Ned, Irwin e Stephanie rimasero a bocca aperta quando videro Stephen: “Siamo morti” disse Ned sbiancando.
“Oh, potete starne certi. Questa volta avete superato voi stessi! Non solo mi avete rubato la mia Macchina di Kavadus, ma anche lo sling ring, aprendo un portale non conoscendo nulla delle arti mistiche! Voi non sapete neanche lontanamente delle conseguenze a cui state andando incontro!” replicò Stephen, atterrando sull’impalcatura.
“Ci ucciderà tutti!” disse Ned.
“Non essere sempre così pessimista: prima vedrò cosa farvi e, forse, solo ad un paio di voi, infliggerò una severa pena. Ma, per il momento, non arriverò ad uccidervi” disse Stephen.
“No! Lui ci ucciderà tutti!” ribatté Ned, indicando davanti a sé. Stephen si voltò, per vedere la lucertola correre verso di loro, per poi saltare contro di lui. Stephen cadde dentro al portale, iniziando a combattere contro la creatura e cercando di togliersela di dosso, mentre i ragazzi correvano, evitandoli, per poi uscire dal portale.
“Dottor Strange, è un piacere rivederla. Le sono mancato?” disse la lucertola, mentre cercava di mordere Stephen il quale, spostando di lato lo sguardo, disse: “Non di certo il tuo alito” e riuscì a scaraventarlo via da sé.
La lucertola stava per riattaccarlo, quando Strange si voltò correndo via, cercando di creare un portale, non riuscendoci ma, appena svoltò l’angolo del piano su cui si trovava dell’impalcatura, un altro portale si aprì, dal quale uscì una forte corrente d’acqua che scaraventò all’indietro la lucertola.
Stephen volse lo sguardo, per vedere Ned con le mani davanti a sé. L’ex stregone supremo avanzò verso di loro; guardò Ned, dicendogli: “Anche se mi hai salvato la vita, non mi stai ancora del tutto simpatico”.
“Grazie comunque del complimento” disse Ned.
“Non era un complimento!” replicò Stephen e Ned deglutì. Poi Stephen guardò Stephanie, che disse: “So quello che stai per dire: ti ho disubbidito ancora e mi dispiace, ma so che questo è il mio posto”.
“No, il tuo posto è a casa. Al sicuro! Lontano da tutto questo!” ribatté Stephen.
“Peter aveva bisogno anche del mio aiuto” disse Stephanie.
“Specifica quale, perché mi è sembrato che tu fossi molto attaccata al Peter che hai fatto comparire in mia assenza” replicò Stephen.
Stephanie abbassò lo sguardo, sussurrando: “Il Peter del nostro universo”. Poi aggiunse: “…ma anche quello che ho fatto comparire”.
“Devi lasciarlo perdere! È una causa persa!” ribatté Stephen.
“Nulla è perso, quando si ha qualcosa per cui combattere e Peter si sta battendo a testa alta, aiutando i suoi nuovi amici. Mi ha ringraziata per avergli fatto capire che può ancora cambiare la sua vita” disse Stephanie.
“Ah, già e come: baciandoti?! Ti spezzerà solo il cuore e, a quel punto, gli farò molto male!” replicò Stephen.
“Peter ha già sofferto abbastanza: non c’è bisogno che lo fai anche tu” disse Stephanie.
“Soffrirai tu, cucciola mia e lo sai anche il perché: ritornerà nel suo universo e non lo rivedrai mai più. Vuoi questo? Vuoi vivere per sempre nel dolore?” ribatté Stephen.
“Proprio come te, che non ti dai pace da quando non stai più insieme alla mamma? Allora dev’essere una cosa di famiglia” disse Stephanie.
“Ancora non l’hai capito che, tutto quello che faccio, lo faccio per te?! Tua madre ha scelto di intraprendere un’altra strada lontano da noi e non posso permettere di perdere anche te! O fai quello che ti dico, oppure quando ritorneremo a casa ti rinchiuderò in camera tua finché non avrai imparato ad ubbidirmi!” replicò Stephen.
“Lo so che mi vuoi bene e cerchi di proteggermi con ogni cosa a tua disposizione, ma non puoi impedirmi per sempre di vivere la mia vita. Non molto tempo fa, mi dissi che se i miei amici erano considerati tali, mi avrebbero aspettato e che non li avrei persi. Be’, lo hanno fatto ed io ora voglio stare al loro fianco per aiutarli in questa impresa” spiegò Stephanie. Poi andò da Mj e Ned, prendendo da entrambi la Macchina di Kavadus e lo sling ring. Guardò il padre e, dopo avergli consegnato gli oggetti, aggiunse, tenendo una mano sopra la sua: “Ti prego, papà almeno per questa volta, lasciami andare. Voglio essere d’aiuto”.
Stephen la guardò in silenzio; poi si avvicinò alla ringhiera, per vedere la lucertola, avvolta da un fumo verde, che stava ritornando nelle sue sembianze umane. Anche i ragazzi si affiancarono a lui e Ned disse: “Il piano di Peter sta funzionando”.
“Quale piano?” domandò Stephen, guardandolo.
“Li sta curando” rispose Ned e riguardarono avanti.
“Che mi venga un colpo” disse Stephen, ma spostò lo sguardo sulla figlia, quando questi salutò il Peter che era davanti a quello che prima era la lucertola. Lo stesso Peter, guardandola, la salutò, ma sgranò gli occhi quando vide Stephen, che lo guardava malamente, scuotendo negativamente la testa.
Quindi, con una ragnatela, se ne volò dall’uomo di colore. Stephen si voltò verso Stephanie: “Vieni con me” ed aprì un portale. Stephanie guardò gli amici; riguardò il padre che inarcò un sopracciglio, per poi entrare nel portale. Stephen la seguì, comparendo entrambi nella parte più alta della Statua della Libertà, raggiungendo Octavius ed il Peter più anziano.
Stephanie guardò Octavius, sorridendogli ed il dottore le sorrise a sua volta. Entrambi spostarono gli sguardi, quando davanti a loro, ed accanto al Peter più anziano, atterrò il Peter del loro universo, dicendo: “Strange, aspetta, aspetta…”. Venne però interrotto da uno Stephen furente: “Finiscila! Sono stato appeso al Gran Canyon per quasi dodici ore e se non fosse stato per mia figlia che mi ha liberato, sarei ancora lì!”.
“Lo so, lo so e mi dispiace, ma i due Peter mi hanno aiutato. Sono gli altri me di altri universi. Non è figa come cosa?” disse entusiasta Peter, venendo raggiunto anche dall’ultimo Peter.
“Per colpa tua, Stephanie è stata coinvolta in una situazione molto pericolosa e non parlo solamente della carogne che tu hai attirato qua a causa del tuo capriccio!” replicò Stephen e guardò malamente il Peter del quale si era innamorata sua figlia.
“Grazie all’aiuto dei miei amici sono riuscito a curarli. Vivranno una vita migliore” disse Peter.
“Senti, sono sorpreso che tu sia riuscito a dar loro una seconda occasione, ragazzo, ma devono andarsene ora” disse Stephen.
In quel momento, il gruppo venne attacco da Goblin, il quale lanciò loro delle lame dal suo aliante, riuscendo a rubare la Macchina di Kavadus da Stephen. Questi spostò di lato Stephanie, prima che una delle lame potesse colpirla.
Octavius riuscì a fermare l’aliante di Goblin con uno dei suoi tentacoli, ma proprio uno di questi venne spezzato in due dall’avversario, non prima però che Stephen riuscì a recuperare la Macchina di Kavadus.
Lo stregone stava per attivarla, non accorgendosi che al suo interno era presente una bomba di Goblin. I tre Peter non riuscirono a fermarlo in tempo, che la bomba esplose.
I ragazzi caddero. Peter si buttò, cercando di salvare Mj, ma venne allontanato da Goblin. L’altro Peter gridò, buttandosi al suo posto e riuscendo a salvare Mj. Una volta a terra, Peter la guardò con occhi lucidi: finalmente era riuscito a redimersi.
Poi alzò lo sguardo, vedendo Stephanie che era riuscita ad aggrapparsi ad un piede di Ned: “Ti prego cerca di resistere” lo incitava la ragazza.
“Non ci riesco: mi stanno scivolando le mani” disse Ned; poi mollò la presa, ma qualcosa lo tenne in aria: si trattava della cappa di levitazione, che si era messa sulla sua schiena. Stephanie la guardava sorridendo.
La cappa li condusse accanto a Mj, per poi strusciarsi contro la guancia di Stephanie: “Come sono contenta di vederti”. Poi guardò Peter, e notando il suo sguardo lucido, stava per domandargli il perché, quando fu Mj a parlare al suo posto: “Mi ha salvato la vita. È stato molto coraggioso”.
“Ho fatto ciò che non ero riuscito a compiere tempo fa” disse Peter. Stephanie gli mise una mano sulla guancia: “Gwen sarebbe molto orgogliosa di te” e Peter le sorrise.
“Irwin dov’è?” chiese Ned, guardandosi intorno.
“Ragazzi, sto arrivando” rispose Irwin e lo videro atterrare accanto a loro, insieme al Peter anziano. Il ragazzo si volse verso di lui: “Grazie per avermi preso in tempo”.
“Figurati. Gli amici servono anche a questo, no?” disse il Peter anziano, guardandolo.
 Alzarono tutti gli sguardi, sentendo strani rumori per poi vedere delle fratture comparire nel cielo.
“Stephanie, tuo padre ha bisogno di te” disse Peter. La ragazza lo guardò: “Ma voi…”.
“Non ti preoccupare, ce la caveremo. Dobbiamo solo trovare l’altro Peter, prima che uccida Goblin” disse il Peter anziano.
La cappa di levitazione si mise sulla schiena di Stephanie. Peter si avvicinò a lei: “Mi raccomando, stai attenta”.
“Tornerò prima che ve ne andiate. Promesso” disse Stephanie. Le loro mani si sfiorarono, finché la cappa non la condusse accanto a Stephen, che si trovava sulla fiaccola della Statua della Libertà. Lo stregone la guardò “E’ pericoloso stare qui: vattene via!”.
“Non mi allontanerai di nuovo: voglio aiutarti” disse Stephanie, guardandolo. Stephen la guardò, notando, con la cappa sulla sua schiena, di quanto fosse uguale a lui. Quindi le disse: “Va bene, mettiti a schiena con me e fa quello che faccio io”. Stephanie sorrise, per poi imitare gli stessi gesti del padre, mandando scie dorate verso il cielo, cercando di chiudere le fratture comparse.
Octavius li guardava e sorrise nel vedere finalmente Stephen che lasciava praticare le arti mistiche a Stephanie. Forse il discorso che gli aveva fatto precedentemente era contato a qualcosa.
Padre e figlia cercavano in tutti i modi di fermare quelle fratture, ma si stavano aprendo ancora di più: “E’ troppo potente! Rischiano di arrivarne altri se non facciamo qualcosa!” disse Stephen; poi volse per un attimo lo sguardo verso Stephanie e, vedendola in difficoltà, le disse: “Cucciola, lascia andare: è troppo per te e non sei abituata ad usare così tanto le arti mistiche”.
“No…io…ce la faccio. Io…devo darti una mano. È giusto che sia così” disse Stephanie, quando i cerchi dorati presenti ad entrambi i suoi polsi, stavano svanendo uno dopo l’altro. Stephen la guardò non obiettando: ammirava sua figlia e voleva finalmente dirle di quanto fosse orgoglioso di lei. Ma la sua strada non era nelle arti mistiche e sarebbe andato fino in fondo pur di farla diventare la migliore neurochirurga in circolazione.
I due vennero raggiunti da Peter che, notando lo sforzo che stavano compiendo, domandò: “E se tutti dimenticassero chi sono?”. I due Strange lo guardarono ed il ragazzo continuò: “Vengono qui per causa mia, giusto? Perché io sono Peter Parker. Allora lanci un nuovo incantesimo, ma stavolta che tutti dimentichino chi è Peter Parker. Che tutti dimentichino chi sono”.
“No” disse Stephen, mentre gli occhi di Stephanie divennero lucidi.
“Ma funzionerebbe?” chiese Peter.
“Sì funzionerebbe, ma devi comprendere che tutti quelli che ti conoscono e ti amano, noi…non avremo ricordo di te. Sarebbe come se non fossi mai esistito” spiegò Stephen.
“Lo so. Lo faccia” disse Peter.
“Ok, meglio che tu vada a salutare tutti: non hai molto tempo” disse Stephen.
“Grazie, signore” disse Peter e, stava per andarsene, quando Stephen disse: “Chiamami Stephen”.
“Grazie, Stephen” disse Peter.
“Mi suona ancora strano. Addio, ragazzo” disse Stephen. Peter guardò Stephanie, che scosse negativamente la testa. Poi se ne andò.
Stephen volse lo sguardo verso la figlia, dicendole: “Su, va da loro”. Stephanie lo guardò e Stephen aggiunse: “Va da loro. Hai il diritto di salutarti”. Stephanie gli sorrise, abbracciandolo. Si librò in aria e Stephen le disse: “Cucciola, mi dispiace molto per la tua storia d’amore”.
“Sapevo fin dall’inizio che non sarebbe mai durata” disse Stephanie.
“Non voglio che tu soffra” disse Stephen.
“Non ti preoccupare: ho un altro uomo che so che mi starà sempre accanto” disse Stephanie, facendo un piccolo sorriso e, dopo averlo baciato su una guancia, la cappa la condusse dagli altri. Appena la videro, Mj, Ned, Irwin e Peter l’abbracciarono. Poi si staccarono.
“Ragazzi, sappiatelo che siete i migliori amici che uno Spider Man possa mai incontrare. Prometto che vi ritroverò, dovunque voi siate e ritorneremo ad essere una squadra” disse Peter.
“Ci puoi contare. Dopotutto è difficile liberarsi di una Strange” disse Stephanie. Peter la guardò, sorridendole; poi disse: “Cerca di seguire il tuo sogno e non fare in modo che tuo padre ci metta sempre in mezzo il suo dolce caratterino. Tenta di tenerlo con la testa sulle spalle, perché l’amichevole Spider Man di quartiere potrebbe, un giorno, affrontare la sua parte malvagia quindi, mi ci vuole una degna alleata”.
“Tenterò di seguire i tuoi consigli ma, anche tu, cerca di stare lontano dai guai. New York ha bisogno del suo Spider Man” disse Stephanie. Peter annuì, per poi voltarsi verso gli altri. Stephanie andò da Octavius e, appena gli fu di fronte, il dottore le disse: “Stephanie, credevo ti fosse accaduto qualcosa di brutto. Stai bene?”.
“Vorrei poterti rispondere di sì, ma devo dirvi addio. Mio padre sta per lanciare l’incantesimo che vi riporterà tutti nei vostri universi” disse Stephanie.
“Magari non è proprio un vero addio. Ci rincontreremo. Tu promettimi che seguirai i consigli di tuo padre. Non farlo troppo arrabbiare, anche perché ho visto la sua pietra incrinarsi” disse Octavius.
“Mi dispiace che, per colpa mia, hai quasi rischiato di essere incenerito dai suoi incantesimi. Sarei dovuta rimanere con voi e risolvere le faccende con mio padre parlandogliene” disse Stephanie.
“Va tutto bene e tu hai fatto ciò che ritenevi più giusto per te, ovvero aiutare i tuoi amici. Siamo tutti qua, perché ognuno ha compiuto la sua parte, compresa tu. Sei stata bravissima e ripeto ciò che ti dissi mentre eravamo a casa tua: avrei tanto desiderato una figlia come te” disse Octavius.
Stephanie lo abbracciò, mentre alcune lacrime le si formarono negli occhi. Anche Octavius l’abbracciò. Poi si staccarono e Stephanie gli disse: “Mi raccomando, cerchi di non farsi più controllare dai suoi tentacoli. Lei può aiutare le persone. Ritornerà ad essere il brillante scienziato che era, ne sono sicura”.
“Tenterò di ripulire il mio nome e non vivere più come un criminale” disse Octavius.
“Mi mancherà tanto” disse Stephanie.
“Anche tu e cerca di seguire i tuoi sogni” disse Octavius. Stephanie annuì; poi si voltò verso i due Peter, andando da loro. Il Peter anziano disse: “Vi lascio da soli”, ma prima che potesse andarsene, Stephanie gli disse: “Grazie per il tuo aiuto”.
“Mi dispiace solo che non abbiamo potuto conoscerci meglio” disse Peter.
“Anche a me” disse Stephanie. Peter fece un piccolo sorriso, per poi allontanarsi. Stephanie guardò l’altro Peter, che disse: “Be’ ci siamo”.
“Avrei tanto voluto che il nostro momento fosse durato di più” disse Stephanie. Peter gli mise una mano sulla guancia: “Ogni momento passato con te, è stato meraviglioso. Sei stata tu la mia seconda possibilità”. Stephanie sorrise ed i due si baciarono appassionatamente. A bacio finito, si misero fronte contro fronte.
“Non voglio dirti addio” disse Stephanie, con le lacrime agli occhi.
“Devi: facciamo parte di due universi diversi. Ma sono contento che le nostre strade si siano incrociate” disse Peter. Stephanie lo guardò, quando si sentì tirare il braccio all’indietro, vedendo che era la cappa.
“Smettila! Non vedi che questo è un momento molto delicato?” replicò Stephanie, quando riuscì a tirarsela via. Nel compiere questo gesto, le rimase in mano un piccolo pezzo di stoffa rosso. La cappa, spazientita, se ne ritornò dal suo padrone.
“Ha lo stesso carattere di tuo padre” disse Peter. Abbassò lo sguardo, quando vide Stephanie che gli stava legando il piccolo pezzo di stoffa rosso al polso. Peter se lo guardò e Stephanie disse: “Così avrai sempre qualcosa di cui ricordarti di me”.
Peter la guardò con gli occhi lucidi, per poi dire: “Io però non ho nulla da darti”.
In quel momento, Stephanie si ricordò di qualcosa: estrasse quindi il cellulare dalla tasca dei pantaloni e, mentre lo alzava, Peter disse: “Devi avere un cellulare molto robusto, se dopo tutto quello che hai passato non si è rotto”. Stephanie sorrise, per poi scattare diverse foto, tra le quali anche una di loro due che si baciavano. Poi disse: “Ecco: ora ho qualcosa anche di te”.
Peter si osservò il pezzo di stoffa legato al polso: “Credi che possa darmi qualche potere in più? Tipo, farmi volare più veloce? O qualcosa legato alle arti mistiche?”.
“Se anche non dovesse donarti nulla, rimarrai comunque lo spettacolare Spider Man” disse Stephanie.
“Sei una delle poche persone che lo pensa” disse Peter.
“Quando ritornerai nel tuo universo, promettimi una cosa, forse la più importante: la prima persona che deve avere fiducia, sei tu. Solo così ritornerai sulla buona strada. Gli altri hanno bisogno di te” disse Stephanie.
“La cosa più importante rimarrai sempre tu” disse Peter. I due si ribaciarono e, mentre accadeva ciò, Stephen attivò l’incantesimo e, uno dopo l’altro, chi non era di quell’universo, scomparve. Così come anche Peter, che disse: “Ti amerò per sempre, Stephanie Strange”.
“Anche io, Peter Parker. Non ti dimenticherò mai” disse Stephanie e Peter scomparve davanti a lei. Fu a quel punto, che Stephanie scoppiò in un forte pianto, inginocchiandosi a terra.
Stephen la raggiunse, ma si fermò dietro di lei e, in quel momento, decise di lasciarla sfogare.
Passarono le settimane ed arrivò il Natale. Sembrava che quasi tutti si fossero dimenticati dello scontro avvenuto alla Statua della Libertà. Nessuno pareva più porsi domande al riguardo, né del perché alla statua mancasse lo scudo di Capitan America che era stato precedentemente messo come omaggio al compianto eroe. Tutto era tornato alla normalità, così come anche per Stephen e Stephanie.
I due Strange si trovavano nel salotto del Sanctum Sanctorum, seduti sul tappeto accanto all’enorme albero di Natale e scartando regali. Stephen guardò la sua cappa, per poi dire: “Ancora non capisco del perché la mia cappa abbia uno strappo in fondo”.
“Te l’ho già spiegato: ho fatto un piccolo regalo a Peter” disse Stephanie.
“La cosa non mi piace molto, ma finché non rivedo quel ragazzo accanto a te, mi sento più sollevato. Mi dispiace solo che ti abbia fatto soffrire” disse Stephen, riguardandola.
“Forse, dopotutto, non è stato proprio un vero addio. Come mi hai detto una volta, il multiverso è un concetto del quale sappiamo spaventosamente poco” disse Stephanie.
“Sì ed è stato un miracolo che sia riuscito a richiudere tutte quelle fratture” disse Stephen.
“Cosa, invece, che non riesci con la tua pietra” disse Stephanie. Stephen abbassò lo sguardo guardandosi la pietra al collo; lo rialzò e la ragazza aggiunse: “Il Dottor Octavius, prima di andarsene, mi ha detto che la tua pietra si era incrinata, quando tu hai cercato di ucciderlo. Dovresti cercare di contenere più la tua rabbia”.
“Sarebbe più semplice, se non avessi una figlia che continua a disubbidirmi” disse Stephen. Stephanie fece un piccolo sorriso; poi si sedette accanto a lui e, allungandogli un pacco, disse: “Tieni: questo è il primo regalo per te”.
Stephen lo aprì ed i suoi occhi divennero lucidi non appena vide cosa si trattava: era un quadretto nel quale c’erano tutte insieme le loro foto.
“Dovevo ritirarlo quella giornata al centro commerciale. Ti mentii apposta, dicendoti che mi sarei recata in farmacia ad acquistare oggetti per la pratica in ospedale, invece sono andata in un altro negozio, dove ero già d’accordo con il proprietario. Ho messo le nostre foto fin da quando ero piccola ad ora, includendo anche il diploma e vari premi. Spero che ti piaccia” spiegò Stephanie.
Stephen la guardò e, con gli occhi lucidi, l’abbracciò, per poi dirle: “Io…io sono molto…non dovevi, cucciola mia”. Poi la guardò, finendo: “Il più bel regalo sei tu” ed anche a Stephanie divennero gli occhi lucidi.
Stephen le allungò il suo regalo: “Ecco: questo è per te”. Stephanie lo scartò: era già entusiasta, sperando che all’interno di quel grosso pacco ci fosse ciò che sperava, invece appena lo aprì, il suo sorriso scomparve o, almeno, divenne un finto sorriso. Guardò il padre, dicendo: “Che bello, mi hai regalato un camice da dottore ed uno stetoscopio”.
“Ma non è uno stetoscopio qualunque: è stato il mio primo stetoscopio ed ora è giusto che lo abbia tu. Come un passaggio di testimone” disse Stephen e, dopo averlo estratto dalla scatola, lo mise al collo della figlia. Poi disse: “Ti dona tantissimo, cucciola mia. Sei già una perfetta neurochirurga”.
Stephanie non replicò. Prese un altro regalo, allungandolo al padre. Questi lo scartò e, dopo aver preso ciò che c’era al suo interno – ovvero due stivali e due polsini – gli disse: “Volevo fare un upgrade al tuo vestito, così ti ho preso due stivali nuovi e due polsini. Secondo me ti donano”.
“E’ un tuo preteso per dirmi che devo cambiare anche il guardaroba da stregone?” le chiese.
“No, semplicemente che spero prima o poi, ritornerai ad essere tu lo Stregone Supremo. Non me ne voglia lo zio Wong, ma secondo me, quel titolo sta meglio a te” rispose Stephanie, appoggiando la testa contro la spalla del padre.
“Lo spero anche io, cucciola” disse Stephen, stringendola a sé.
“Dipende solo da te” disse Stephanie.







Note dell'autrice: Buona sera (quasi buona notte) ed eccomi qua. Ed eccomi anche alla fine di Spider Man no way home (non alla fanfiction ovviamente. Manca ancora parecchia carne sul fuoco) Non ho voluto dilungarmi troppo con Spider Man no way home, anche perchè se no diventava un copia-incolla del film. Vi è piaciuto? Vi sta piacendo? Ma soprattutto vi è piaciuto  la mia piccola storia d'amore (chissà se continuerà. Spero di sì) tra Stephanie ed il Peter di The Amazing Spider Man?
Volevo ringraziare, come sempre, per le vostre splendide recensioni e grazie che seguite con passione questa fanfiction. GRAZIE per tutto.
Grazie a tutti/e coloro che sono anche semplicemente passati/e di qua; che hanno messo la storia tra le preferite e seguite.
Grazie anche ai recensori veterani (che hanno sempre seguito la storia fin dal principio. GRAZIE DI CUORE)
Grazie anche alla mia amica Lucia
Vi auguro una buona notte ed un buon proseguimento di settimana
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Ancora una buona notte ed un forte abbraccio
Valentina

 

 

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Capitolo 26
*** Storia di un altro Stephen...e Stephanie ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXVI: Storia di un altro Stephen...e Stephanie



 
Stephanie Strange era diventata la migliore neurochirurga della sua età e tutti la cercavano. Lei stessa voleva i casi più brillanti, proprio come faceva suo padre e nessuno doveva essere superiore a lei.
Suo padre aveva sempre voluto il meglio per lei, chiedendole di dare il massimo in ogni cosa ma, la sua vita non poteva, di certo, considerarsi delle migliori. La pressione paterna non le aveva mai permesso di potersi scegliere cosa fare, nemmeno la scuola da frequentare.
Ma Stephanie voleva solamente rendere orgoglioso il padre, cosa che però lui non le aveva mai detto apertamente. Le voleva bene, ma non era la stessa cosa.
Con il passare degli anni, però, suo padre era diventato cinico, arrogante e distaccato, soprattutto dopo il matrimonio di Christine con un altro uomo, conosciuto durante i cinque anni del “blip”.
Stephanie aveva cercato di stargli il più possibile accanto, ma lui l’aveva incoraggiata a proseguire per la sua strada e rimanere la migliore nel suo campo. Così, la ragazza si era allontanata dal Sanctum Sanctorum, trasferendosi in un loft per conto suo. 
Inizialmente, Stephen non voleva lasciarla andare via; poi, però, aveva cambiato improvvisamente idea, acconsentendo alla sua richiesta. Ciò non le passò inosservato, così un giorno, dopo aver finito il turno in ospedale, decise di recarsi al Sanctum Sanctorum.
Una volta arrivata, guardò quella che un tempo era anche casa sua. Ora sembrava una dimora dall’aria spettrale e, per un attimo, vide suo padre dall’enorme finestra in cima.
Entrò. La porta cigolò. Si guardò intorno, notando quasi un totale stato di abbandono. Un tempo, suo padre era sempre stato un tipo molto maniacale con l’ordine. Sempre preciso in tutto, sia nel lavoro, che in casa. Ciò, però, non lo si poteva dire in quel momento.
Camminò sulla scalinata e, una volta arrivata in cima, cercò suo padre, trovandolo nel salotto e davanti alla finestra. Si fermò, osservandolo. Sembrava che, ogni giorno che passasse, invecchiasse sempre di più.
“Finalmente sei venuta. Non ci speravo più” disse, con voce quasi roca.
“Non ci vediamo da un po' di tempo e, mi sembrava corretto, venirti a trovare” disse Stephanie.
“Pensavo che, anche tu, ti fossi dimenticata di me” disse Stephen.
“Come potrei: sei mio padre, dopotutto. Mi hai cresciuta fin da bambina e mi sei sempre stato accanto. Anche se negli ultimi anni…” disse Stephanie. A quel punto, Stephen la guardò: la ragazza vide in lui un’espressione cupa e quasi totalmente differente dal padre che conosceva.
“Anche se cosa?! Ora non venire anche tu a farmi la morale!” replicò Stephen e, voltandosi totalmente verso di lei – tenendo le braccia dietro la schiena – iniziò a camminare, continuando: “Nessuno è mai riuscito a capire il tormento che mi infligge, nemmeno tua madre. Quando sei nata, ho cercato fin da subito di essere un padre presente e protettivo. Non volevo perderti come era accaduto con mia sorella. Tutti dicevano che sbagliavo come ti stavo crescendo, ma sei diventata la migliore neurochirurga in circolazione e questo grazie a me. Poi c’è stato il “blip” e, in quei cinque anni nei quali non c’eravamo, tua madre ha pensato bene di rifarsi una vita, dimenticandoci”.
“Non si è dimenticata di noi” disse Stephanie.
“Perché una che va con un altro e poi lo sposa, non è dimenticarsi di noi, vero?” disse Stephen, guardandola. Stephanie non disse nulla; quindi Stephen, riprendendo a camminare, aggiunse: “Al matrimonio mi chiese: “Stephen, sei felice?” ed io risposi: “Certo che lo sono. Finché ci sarà Stephanie accanto a me”. Nessuno poteva separarci. Poi hai terminato gli studi ed hai voluto andartene da qua. All’inizio non volevo lasciarti andare, poi però mi sono detto: “Sei un maestro delle arti mistiche: per te nulla è impossibile e potrai avere tua figlia tutta per te” e guardò Stephanie con un sorriso maligno.
“Quindi mi hai lasciata andare volutamente?” gli domandò.
“Certo, anche perché sapevo che avrei potuto riaverti in qualsiasi momento” rispose. Stephanie lo guardò malamente, stringendo i pugni.
“Ma non temere, cucciola mia, perché ho trovato il rimedio a tutti i nostri problemi” disse Stephen e, mise le mani accanto ad un libro sul tavolino. Stephanie sgranò gli occhi: “E’ il Darkhold: il libro dei dannati”.
Stephen la guardò: “Lo conosci?”.
“Lo zio Wong me ne aveva accennato un giorno che andai a Kamar-Taj. È pericoloso: non dovresti possederlo. Può condurre alla pazzia” rispose Stephanie.
“Non accadrà: studierò ogni suo incantesimo, che mi permetterà di viaggiare per gli altri universi alla ricerca di Christine. Ritorneremo ad essere una famiglia” disse Stephen.
“Ti prego, non farlo. Non puoi manomettere il corso degli eventi” disse Stephanie.
“Sembri tanto esperta riguardo il multi universo. Chi ti ha dato lezioni: il caro defunto zio Wong?” disse Stephen.
“Aspetta…cosa intendi dire con…” disse incredula Stephanie.
“Hai proprio capito bene, cucciola mia: dovevo riprendermi di diritto il titolo di Stregone Supremo che mi era stato strappato senza motivo. Così, mi sono recato a Kamar-Taj alla ricerca del Darkhold, trovandolo nei meandri più oscuri e proibiti della biblioteca. Ma sono stato intercettato da Wong: continuava a ripetermi che ciò che stavo per compiere era sbagliato e che mi avrebbe condotto su una strada di non ritorno. Così l’ho ucciso, portando con me il Darkhold” spiegò Stephen.
“Lo zio Wong non può essere morto” disse Stephanie, con gli occhi lucidi.
“Puoi sempre andarlo a chiedere al suo cadavere se non ci credi. Apri gli occhi sulla realtà: è tempo di riprendermi ciò che è mio” disse Stephen e, dopo aver aperto il Darkhold, iniziò a sfogliarlo.
“Ritorna in te, ti prego: sei ancora in tempo” disse Stephanie.
“Il tempo è relativo: bisogna agire in fretta. Viaggerò per gli altri universi e, quando avrò trovato quello in cui sarò felice, andremo lì” disse Stephen.
“Ma così porterai via la vita allo Strange di quell’universo” disse Stephanie. Stephen la guardò: “E chi ha detto che gli porterò via la vita? Non possono esistere due Strange nello stesso universo” e sorrise malignamente.
“Non sei più il padre che conoscevo” disse Stephanie.
“Invece sono sempre io. Sei tu che fatichi ancora nel vedermi così. E poi non ho più niente da perdere” disse Stephen.
“Ti sbagli: hai me” disse Stephanie. Stephen la guardò e la figlia, voltandosi, se ne andò. Quindi Stephen gridò: “Non voltarmi le spalle, Stephanie! Sono tuo padre e farai ciò che ti dirò!”.
“Ho chiuso nel seguire le tue regole! Sono grande ed ho la mia vita! Non continuerai a dettarla tu!” ribatté Stephanie, continuando a camminare, per poi scendere dalla scalinata ma, prima che potesse uscire, si ritrovò il padre a sbarrarle la strada. Il suo sguardo era furente.
La ragazza si voltò, ma Stephen la bloccò per un polso, per poi replicare: “Stavolta non ci sarà una pietra per fermarmi, né tanto meno una stolta banda di ragazzini. Tu sarai mia per sempre, così come anche Christine. Mi seguirai dovunque e farai ciò che ti dirò. Se non ubbidirai non sarò il padre tanto amorevole che ero”.
“Puoi stanne certo: mio padre è morto da tempo. Tu sei solamente un uomo pieno di rabbia e rancore, che vuole tutto per sé ma che non si rende conto del male che causa agli altri. Solo perché hai sofferto tu, non è detto che debbano soffrire anche le altre persone” replicò Stephanie.
“Chi ha detto che devono soffrire? È tutto più semplice mettere subito fine alle loro vite” disse Stephen. Stephanie sgranò gli occhi; poi il padre aggiunse: “Vieni con me: abbiamo un sacco di altri universi da visitare. E poi, non sei curiosa di vedere cosa fanno le altre te?” e, dopo aver aperto un portale, ritornarono al piano superiore. Lì, si diresse verso il Darkhold e, dopo aver letto un incantesimo, si aprì un portale, nel quale vi entrò, trascinando con sé Stephanie e portandosi appresso anche il prezioso libro.
Passarono i giorni e le settimane. Padre e figlia visitarono ogni sorta di universo ma, più andavano avanti e più Stephen diventava cattivo. Inoltre, l’uso eccessivo del Darkhold, istigava in lui magia oscura e poteri al di sopra di uno stregone supremo, facendogli addirittura comparire un terzo occhio sulla fronte.
Stephen non aveva pietà per nessuno: aveva, infatti, già ucciso altre sue varianti, ma mai ottenuto l’amore di Christine, né quello di Stephanie. Le figlie degli altri Stephen erano diventate, perlopiù, rinomate neurochirurghe, lasciando la casa paterna da parecchio tempo. Sembrava che gli altri Stephen non fossero stati così protettivi nei loro confronti, permettendo di crearsi una propria vita, senza troppe regole da seguire.
Stephanie avrebbe tanto voluto ritornare nel loro universo, ma la rabbia del padre era infrenabile. Dovunque andasse, sterminava morte e distruzione e, ogni suo tentativo di fargli cambiare strada, era ormai andato in fumo.
Più volte aveva pensato ad un modo per impossessarsi del libro e distruggerlo, ma sembrava che il padre guardasse ogni suo singolo movimento. Se anche provava ad allontanarsi di un po', lui le era subito dietro come una seconda ombra, finché un giorno, mentre stavano visitando l’ennesimo universo, vennero bloccati da un gruppo di persone. Alla domanda di Stephen, su come si chiamassero, uno di loro rispose: “Noi siamo gli Illuminati”.
“Allora illuminatemi del perché ci avreste bloccato. Non stavamo facendo nulla di male. Siamo solamente padre e figlia che abbiamo deciso di concedersi una piccola vacanza” disse Stephen.
“E tu pensi che crediamo veramente alle tue parole? Sappiamo chi sei. Abbiamo già trattato con una tua variante” disse una donna con uno scudo in mano.
“Vi dovrei ringraziare per questo lodevole gesto: mi avete risparmiato il tempo che avrei impiegato per ucciderlo” disse Stephen.
“L’altro te era un nostro carissimo amico, ma ha voluto compiere una strada lontano da noi, agendo da solo ed usando la magia oscura. Abbiamo vinto, ma ha distrutto un intero universo” spiegò la donna di colore.
“Ha ritenuto ciò che era più giusto fare per il bene di tutti” disse Stephen.
“Ma con le vite degli altri. Così abbiamo preso una triste decisione: ucciderlo” disse la donna con lo scudo.
“Noto, però, che avete mascherato bene la faccenda: qua fuori ho visto una statua a lui dedicata” disse Stephen.
“Abbiamo dovuto: volevamo che agli occhi dei cittadini apparisse come l’eroe che aveva sconfitto Thanos” spiegò la donna di colore.
“Prima o poi la verità verrà a galla e sarà solo questione di attimi” disse Stephen.
“E, questa verità, dovrebbe arrivare da te?” chiese l’uomo vestito di blu e con la barba.
“Vi farei un grosso favore” rispose Stephen.
“Tu ed i tuoi favori: non hanno mai portato a nulla” disse, ad un certo punto, una voce e insieme al gruppo, arrivò un uomo di colore, insieme ad un uomo in carrozzina.
“Ma guarda chi si rivede: il caro vecchio Mordo. L’ultima volta ti ho staccato la testa, non prima però che mi imploravi di risparmiarti la vita” disse Stephen e Stephanie lo guardò impaurita. 
“Il Mordo del tuo universo aveva paura di te. Ma non io e, per questo, ti sfido!” replicò Mordo.
“Non vedo l’ora di batterti un’altra volta. Vediamo di divertirci” disse Stephen.
“Ti prego, non è necessario: andiamocene e basta” disse Stephanie.
“Ti sei già dimenticata del perché siamo venuti qua?! Non me ne andrò finché non avrò ottenuto ciò che vorrò” ribatté Stephen guardandola. 
“E cos’è che vorresti?” domandò la donna di colore.
 “Rivoglio la mia Christine e voi non mi impedirete di averla!” replicò Stephen, voltando lo sguardo verso di loro.
“Non possiamo permetterti di creare un’incursione: distruggeresti il nostro universo e anche il tuo” disse l’uomo in carrozzina.
“E’ un rischio che sono disposto a correre. Avrò Christine anche a costo di uccidervi tutti” ribatté Stephen e formò magia viola.
La donna gli lanciò lo scudo, ma lui lo evitò; lo scudo rimbalzò contro una parete, ritornando dalla proprietaria. La donna di colore volò verso di lui e Stephen le lanciò addosso fasci di energia viola.
Stephanie si spostò, cercando di non essere coinvolta nello scontro. Vedeva il padre combattere contro quelle persone, eccetto per l’uomo in carrozzina. Quindi decise di avvicinarsi a lui per parlargli: “Non c’è modo per fermare tutto questo?” gli chiese.
“Tu dovresti essere Stephanie Strange” disse l’uomo, guardandola.
“Mi conosce?” domandò Stephanie.
“Conosco la Stephanie Strange di questo universo. Brillante come il padre. È diventata molto brava nelle arti mistiche, ma dopo ciò da lui compiuto, ha preferito seguire la madre al centro di ricerca, mettendo a frutto anche le sue doti da neurochirurga, utilizzando le più efficaci tecniche all’avanguardia” spiegò l’uomo.
“A quanto pare, questa Stephanie è più completa di me ed ha potuto seguire il suo sogno. Lo Stephen di questo universo non deve averla tormentata con troppe regole” disse Stephanie.
“Stephen adorava sua figlia con tutto il suo cuore: avrebbe donato la sua vita pur di proteggerla e vederla sempre felice. Così non le ha mai negato nulla, ma non parlo di beni materiali. L’ha lasciata libera di scegliere il suo futuro, ma lei ha comunque deciso di rimanere al suo fianco, finché lui, cercando un modo per sconfiggere Thanos, non ha ricorso al Darkhold” spiegò l’uomo.
“Anche lui possedeva questo libro? Credevo ne esistesse solo uno in mano a mio padre” disse stupita Stephanie.
“Il Darkhold in possesso di tuo padre, non è l’unica copia in circolazione. Purtroppo ne esistono altre. Siamo riusciti a distruggere solamente questa. Dalle ricerche del nostro Stephen, risulta che per mettere veramente fine alla sua magia, bisogna recarsi dove è stato creato” spiegò l’uomo.
“Perché allora non siete andati prima in quel luogo?” chiese Stephanie.
“Ci abbiamo provato, ma Stephen in qualche modo, ce lo ha impedito. Voleva agire da solo e, così, ha fatto. Poi sai già cosa è accaduto. Ci ha rattristito molto doverlo uccidere. Era un carissimo amico, ma era anche diventato un pericolo per questo universo. Per questo motivo devi agire prima che tuo padre distrugga anche il vostro” spiegò l’uomo.
“E come? Non mi vuole ascoltare. È pieno di rabbia e pensa solo al suo obiettivo” domandò Stephanie.
“Parlandogli” rispose l’uomo.
“Come se fosse semplice: mio padre non mi ascolta mai” disse Stephanie.
“E’ tuo padre: se ti vuole veramente bene, ti ascolterà” disse l’uomo. Stephanie si voltò, per vedere Stephen a terra e gli altri davanti a lui.
“Cinque contro uno: non è leale” disse Stephen, guardandoli.
“Anche l’altro te, negli ultimi tempi, si è sempre comportato in modo sleale. Per lui i suoi amici non esistevano più, ma solamente l’obiettivo di uccidere Thanos, incorrendo nell’uso della magia oscura. Non era più lo Stephen che conoscevamo e, anche tu, sei diventato come lui. Per questo motivo non possiamo permetterci anche la distruzione del nostro universo” spiegò Mordo e, nella sua mano, formò una lancia di vetro. Stephen cercò di alzarsi, ma non vi riuscì.
“È finita, Strange: non farai più del male a nessuno” disse Mordo e, stava per attaccarlo, quando Stephanie si mise in mezzo a loro: la lancia la trafisse.
“No!” gridò Stephen, mentre la figlia cadeva accanto a lui. Gli tenne la mano, mentre disse: “Cucciola mia, non andartene: senza te, non ho più nessuno. Mi dispiace per tutto. Avrei dovuto ascoltarti prima”.
“Non far sì che il Darkhold si impossessi di te. Sei sempre stato il più forte” disse Stephanie, guardandolo.
“Ce ne ritorneremo nel nostro universo e cercherò di essere un buon padre” disse Stephen.
“Tu lo sei già stato. Ti vorrò sempre bene…papà” disse Stephanie ed una lacrima le rigò il viso. Poi spirò.
Stephen avvicinò il viso a quello di lei: “Mia piccola cucciola, il papà non ti dimenticherà mai ma…non posso adempiere al tuo volere. Devo vendicarti” ed il suo sguardo divenne furioso. Poi si alzò e, guardando Mordo, replicò: “Avete ucciso mia figlia!”.
“Si è messa in mezzo: non avrebbe dovuto” si giustificò Mordo.
“Non avreste neanche dovuto sfiorarla! Lei era tutto per me e voi me l’avete portata via per sempre! Ora non ci sarà più nessuno a fermarmi ed otterrò ciò che vorrò!” ribatté Stephen e, sulla fronte, gli comparve il terzo occhio.
“L’unica cosa che otterrai sarà la morte!” replicò Mordo e lo attaccò. Stephen lo attaccò a sua volta, prendendo energia dal Darkhold. Da lui usciva magia viola, scaraventando l’avversario a terra. Anche gli altri lo attaccarono, ma li sconfisse velocemente.
“Ora vi farò provare lo stesso dolore che ha provato mia figlia! Porterò con me Christine e distruggerò il vostro universo. Non volevate che nessuno sapesse la verità sul vostro Stephen? Be’, mettendo fine a tutto e tutti, nessuno la scoprirà mai. Siete contenti?” replicò Stephen e, formando un grosso fascio di energia viola, stava per colpirli, quando venne fermato da una forza invisibile.
L’uomo sulla carrozzina avanzò verso di lui, tenendo una mano davanti a sé, mentre l’altra sulla tempia. Poi ribatté: “Basta così! Hai portato troppo scompiglio nel nostro universo. È ora che ritorni nel tuo!” e, spostando la mano su quella di Stephen, controllandogliela, gliela alzò, facendogli aprire un portale. Poi, fece entrare lo stregone e la figlia in esso, richiudendolo. L’uomo, abbassò la mano in modo stremato.
“Professore, cosa accadrà ora?” domandò l’uomo, con la barba.
“Il nostro universo rimarrà intatto, ma il suo… “sospirò” Ora che sua figlia è morta, non c’è più nessuno che riesca a fermarlo. Andrà sempre peggio. Lui impazzirà e, nel suo cuore, non ci sarà più un briciolo d’umanità” spiegò l’uomo in carrozzina.
Stephen stava osservando il corpo senza vita della figlia. Ancora non voleva rendersi conto della sua grande perdita. Ora, il suo cuore, era del tutto vuoto. Non avrebbe più provato sentimento per nessuno. Chi si sarebbe messo sulla sua strada, avrebbe trovato solo morte.
“Non ti dimenticherò mai, cucciola mia. Avrei tanto voluto che le cose fossero andate in modo diverso. Forse sono stato troppo crudele nei tuoi confronti. Non dovevo starti troppo appiccicato. Mi dispiace per tutto” disse Stephen e le passò una mano sugli occhi, chiudendoglieli. Poi si diresse verso l’enorme vetrata, aggiungendo: “Christine sarà presto mia. Nessuno mi fermerà” e, voltandosi, sorrise malignamente e gli comparì il terzo occhio in fronte.

 
Stephanie si svegliò di soprassalto. Guardò la sveglia sul comodino: segnava le quattro di notte. Si portò le mani sul viso, rimettendo poi la testa sul cuscino. Non riuscì a riprendere subito sonno: ripensava al sogno appena fatto. Sembrava così reale.
Il mattino seguente, stava facendo colazione con suo padre. Stephen l’osservava, per poi dirle: “Se continuerai a mescolare quel latte, diventerà panna montata”.
Stephanie alzò lo sguardo e, depositando il cucchiaino accanto alla tazza, disse: “E’ che stanotte non ho chiuso occhio”.
“Hai fatto un brutto sogno?” le domandò, mentre prese la tazza, bevendo un sorso di caffè.
“Ho sognato te e me e l'altro te aveva un terzo occhio, mentre l’altra me era morta” rispose Stephanie. Stephen per poco non si affogò con il caffè. La figlia lo guardò: “Tutto bene?”.
“Mi è solo andato di traverso il caffè” disse Stephen e, dopo essersi un po' pulito la bocca con un tovagliolo, aggiunse: “E’ stato solo un brutto incubo, tesoro: niente di tutto questo è vero”.
“Nemmeno la mamma che si è sposata con Charlie?” chiese Stephanie.
“No, perché la mamma non ha mai parlato di nozze” rispose Stephen, facendo un piccolo sorriso. In quel momento, bussarono al portone. Stephanie andò ad aprire: si trattava del postino, che le consegnò una lettera. La ragazza richiuse il portone per poi raggiungere nuovamente il padre in cucina.
“Chi era?” domandò Stephen.
“Il postino ed aveva questa lettera indirizzata a noi” rispose Stephanie. Stephen si alzò e, dopo essersi affiancato alla figlia, la incitò ad aprirla.  Così fece e, dopo aver letto ciò che c’era scritto, entrambi sgranarono gli occhi. Sulla lettera era riportato:
 
“Alla cortese attenzione del Dottor Stephen Strange e sua figlia Stephanie Strange: siete entrambi invitati al matrimonio della Dottoressa Christine Palmer e di Charlie”
 
Stephen e Stephanie si guardarono e Stephanie gli disse: “Ora non dirmi che sono pazza”.






Note dell'autrice: Ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Si inizia ad entrare nel Multiverso....della follia. Anche se quel poco, ho adorato il Sinister Strange (ed anche il dead strange) ed ho voluto descrivere un pò la sua storia (non del tutto ovviamente). La Stephanie di questo universo è già diventata una brillante neurochirurga ma, come la Stephanie del nostro universo, è sottomessa dalle tante regole paterne (anche se lui l'ha lasciata andare, perchè sapeva che avrebbe potuto farla ritornare a casa in qualsiasi momento). Quello che avevo accennato nel capitolo "Una piccola monella", qua si capisce chi ha ucciso Stephanie e con chi stesse combattendo Stephen (quando l'altro Stephen lo aveva visto in sogno). Comunque...
GRAZIE come sempre per le bellissime recensioni. Grazie davvero di cuore (siete fantastici). Grazie ai nuovi recensori ed anche ai veterani (che seguono la storia fin dal principio). Grazie a chi ha messo la storia tra le seguire; preferite o chi è semplicemente passato di qua. Grazie anche alla mia amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro una buona notte
Un forte abbraccio
Valentina
 
 
 


 

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Capitolo 27
*** Cercando una soluzione ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 


Capitolo XXVII: Cercando una soluzione



 
Stephanie se ne stava seduta a terra, a gambe incrociate, mentre osservava Wong che depositava delle candele intorno a lei: “Non sono pazza” disse.
“Sei tu che lo dici, mica noi” disse Stephen.
“Scommetto che, però, lo avete pensato, se no perché mi avresti portato qua a Kamar-Taj? Dici sempre che devo stare lontano da questo posto. A te le arti mistiche, a me la neurochirurgia” disse Stephanie, guardandolo.
“Tesoro, devi cercare di rilassarti e vedrai che andrà tutto bene” disse Stephen, facendole un piccolo sorriso.
“E cercare di capire cosa hai veramente sognato” aggiunse Wong.
“Questo è parlare da psicologi” disse Stephanie, spostando lo sguardo su di lui.
“No, non è vero: vogliamo solo vedere nella tua mente” disse Stephen.
“Be’, uno psicologo scava nella mente del proprio paziente per cercare di tirargli fuori cose che non direbbe mai” spiegò Stephanie e, dopo che Stephen ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “E’ parlare da psicologo”.
“Dai retta alla parola di un ex neurochirurgo: non è la stessa cosa, perché noi non ti faremo tutte quelle strane domande riguardo il tuo io interiore” spiegò Stephen.
“Semplicemente cercheremo il tuo karma” disse Wong.
“Perché non mi sento lo stesso tranquilla?” disse Stephanie.
“Come ha detto prima tuo padre, devi cercare di rilassarti” disse Wong, finendo di sistemare le candele intorno a lei.
“Mi volete drogare?” domandò Stephanie.
“Smettila: vogliamo solamente aiutarti. Fidati di noi” disse Stephen.
Con un cenno della mano, Wong accese le candele. Stephanie le osservò per poi chiedere: “Cosa contengono?”.
“Per lo più sono aromi” rispose Wong.
“E per il resto?” domandò Stephanie.
“Smettila con tutte queste domande. Perché non ti fidi di noi?” chiese Stephen.
“Perché voi non vi fidate di ciò che vi ho spiegato. Ho già raccontato quello che ho visto” rispose Stephanie.
“A dire la verità mi hai solamente detto di aver visto un altro me ed un’altra te: uno con un terzo occhio sulla fronte, mentre l’altra decisamente stecchita” disse Stephen.
“Va bene, è inutile che ci giriamo troppo intorno: la verità è che vogliamo capire se sei stata impossessata da qualche demone” spiegò Wong.
“All’inizio ero contrario a questa cosa, poi però Wong è stato così convincente” disse Stephen.
“Avresti detto ricattatore, vero?” domandò Wong, guardandolo.
“Probabile, ma lo sai benissimo che farei di tutto purché mia figlia sia al sicuro” rispose Stephen.
“Sentite, apprezzo il vostro aiuto, ma sono sicura di non essere stata impossessata da un demone, anche perché abbiamo già avuto una certa esperienza a riguardo” disse Stephanie.
“E’ per il tuo bene e, poi, sarà veloce ed indolore” disse Stephen. Stephanie non replicò. Poi Wong disse: “Ora, chiudi gli occhi e cerca di liberare la mente. Non pensare a nulla”.
Stephanie fece ciò che le era stato detto ed aspettò. Wong mosse le mani verso l’alto e, davanti a loro, comparvero tante sfere luminose, dove al suo interno erano presenti i pensieri della ragazza.
“Bene, ora cerchiamo il suo sogno” disse Wong, guardando attentamente in ogni sfera. Anche Stephen fece la stessa cosa, quando il suo sguardo si fermò su una sfera in particolare: in esso era presente una Stephanie bambina, che era a terra e stava piangendo. Si ricordò perfettamente di quello che era accaduto. Ricordava ogni bel momento passato con la figlia.

 
Stephanie era caduta a terra e stava piangendo. Dopo essere scesa dall’altalena, corse verso il prossimo gioco, quando inciampò in una piccola buca. Appena versò le prime lacrime, Stephen fu subito al fianco, inginocchiandosi accanto a lei. L’aiutò a rialzarsi – mettendola seduta sull’erba – e guardandola da capo a piedi.
“Papino, mi fa tanto male” disse Stephanie, mentre si stropicciava un occhio. Stephen notò una piccola botta sul ginocchio sinistro; guardò la figlia, facendole un piccolo sorriso e, mentre l’accarezzava sulla testa, disse: “Non ti preoccupare, cucciola: ora ci pensa il tuo papà a farti passare tutto”.
Baciò il ginocchio; poi vi mise sopra le mani, racchiudendole, per poi alzarle in aria. Replicò questo gesto un altro paio di volte. Guardò la figlia, domandandole: “Come va?”.
Stephanie tirò su con il naso, rispondendo: “Non mi fa più tanto male. Hai fatto una magia, papino”.
“Te l’ho detto che ci avrebbe pensato il tuo papà a farti passare tutto” disse Stephen, sorridendole. Stephanie lo abbracciò, dicendo: “Sei il miglior papino di tutto il mondo. Tu fai passare la bua a tutti. Anche io voglio diventare come te”.
“Ne sono sicuro, cucciola mia: tu diventerai la migliore ed io e te cureremo un sacco di persone” disse Stephen. Stephanie lo guardò: “Con la magia?”.
“Non proprio, ma anche i dottori hanno sempre i loro assi nella manica” rispose Stephen e mise il naso contro quella della figlia, facendola ridere.

 
 
Stephen era rimasto abbagliato da quel ricordo, quando sentì una voce che continuava a chiamarlo: “Stephen. Stephen”. Strange volse lo sguardo e Wong disse: “E’ lodevole ricordare i bei momenti passati con tua figlia e, so che vorresti continuare, ma ho trovato quello che stiamo cercando” ed entrambi volsero gli sguardi verso una sfera. Stephen sgranò gli occhi non appena vide sé stesso: “Sono proprio io”.
“Sì, ma il suo sguardo non promette nulla di buono. Non capisco come abbia il terzo occhio sulla fronte” disse Wong.
“Forse ci vede poco con gli altri due” disse ironicamente Stephen, facendo un piccolo sorriso. Wong lo guardo malamente, per poi riporre lo sguardo sulla sfera: “Evidentemente deve aver fatto un uso eccessivo della magia oscura”.
“Quando l’ho visto io, stava combattendo contro qualcuno” disse Stephen.
“Cosa?!” disse stupito Wong, guardandolo.
“Cosa?!” ripeté altrettanto stupita Stephanie, aprendo gli occhi e guardando il padre.
“Tu non eri sotto incantesimo?” domandò Stephen, guardandola.
“Avevo solamente chiuso gli occhi. Ho sentito perfettamente tutto ciò che vi siete detti” rispose Stephanie e, dopo essersi alzata, aggiunse: “Come sarebbe a dire “quando l’ho visto io”?”.
“Un po' di tempo fa ho sognato l’altro me che stava combattendo contro qualcun altro. Ai suoi piedi c’era una la tua versione morta. Ma è durato pochi secondi, rispetto al tuo sogno molto dettagliato” rispose Stephen.
“Perché non lo hai detto prima?” chiese Stephanie.
“Non lo ritenevo importante. E poi, in quel momento, volevo solo badare a te, visto che eri ritornata bambina” rispose Stephen, guardandola.
“Sempre a causa del tuo egoismo” disse Wong.
“Ma le cose si sono risolte, quindi per favore possiamo non parlare più di quell’accaduto? Dedichiamoci al presente” replicò Stephen.
“Già e di come pensi che io sia pazza, mentre per te, anche se hai fatto il mio stesso sogno ma dalla durata ridotta, deve tutto filare liscio come l’olio” disse Stephanie.
“Non sei pazza! Voglio solo che tu sia al sicuro” ribatté Stephen.
“E come? Non facendomi più dormire, per paura che l’altro te possa rapirmi in sogno? È una cosa impossibile” disse Stephanie.
“Nessuno è mai morto se non ha chiuso occhio per un po'” disse Stephen.
“Ah, davvero? Be’, allora elencami cinque persone che conosci e che ci sono riuscite” disse Stephanie. Stephen stava per aprire bocca, per poi richiuderla subito. Stephanie fece un sorriso beffardo.
“In realtà ci sarebbe una soluzione” disse Wong. I due Strange porsero l’attenzione su di lui e Stephanie disse: “Se devo prendere delle pastiglie per il resto della mia vita, scordatevelo”.
“Tante persone lo fanno e sono sopravvissute” disse Stephen. Stephanie lo riguardò e, prima che potesse interromperlo, aggiunse: “E non chiedermi di elencarti cinque persone che conosco e che ci sono riuscite, perché ho prescritto questa cura a parecchi miei pazienti” e riguardarono Wong, che disse: “Non si tratta di pastiglie. Ricordati che non sono un dottore come lo era tuo padre, quindi non pensare in senso medico”.
“Mi stai dicendo che esiste una cura spirituale?” chiese Stephanie.
“Si tratta del Karma” rispose Wong.
“Be’, quello ce l’hanno tutti: basta solo riposarsi e salta fuori” disse Stephanie.
“A dire la verità non è così semplice. Esso lo si può trovare solamente quando si è veramente in pace con sé stessi. Quando corpo, anima e mente sono sullo stesso livello. Solo a quel punto, si avrà trovato il proprio Karma” disse Wong.
“Se è l’unico modo per eliminare questo sogno, io sono pronta” disse Stephanie.
“Il tuo sogno non si potrà mai eliminare del tutto, ma al massimo lo si potrà dimenticare, in modo che l’altro Stephen non possa può nuocerti” disse Wong.
“No…un momento: io prima non dicevo sul serio quando ho detto che l’altro Stephen potesse entrare nel mio sogno e rapirmi. Non ci troviamo mica in un film horror” disse Stephanie.
“Se l’altro Stephen sa usare molto bene la magia oscura, chissà quale maleficio avrà trovato per poter riottenere ciò che a lui era più caro. Quindi devi cercare un modo di essere completamente calma o lui potrebbe giocare con le tue paure e portarti dalla sua parte” spiegò Wong.
“Sarebbe tutto molto più semplice se un giorno non rischiassi di morire per mano di un pazzo armato e l’altro con papà che mi sta sempre appiccicato o continua ad aggiungere regole su regole” replicò Stephanie.
“Non è vero che aggiungo regole su regole: semplicemente ti ricordo come ti devi comportare e, finché non lascerai il Sanctum Sanctorum, farai ciò che ti dirò” ribatté Stephen.
“E’ questo il punto: per te non dovrei mai lasciare casa nostra! Mi tieni segregata in camera mia, solo perché ho subito un intervento al fegato” replicò Stephanie.
“Ne parli come se fosse una cosa da poco, quando invece stavi rischiando di morire! Quanti ti renderai conto che tutto ciò non è un gioco?! Ti voglio proteggere!” ribatté Stephen.
“E ti ringrazio, ma sono grande abbastanza da prendere da sola le decisioni. Non ci devi sempre essere tu dietro di me come una seconda ombra!” replicò Stephanie. La pietra di Stephen brillò ed i suoi occhi divennero rossi, quindi Stephanie disse: “Papà, cerca di calmarti”.
“Io non posso lasciarti andare! È troppo pericoloso!” ribatté Stephen.
“No, non lo sarà e se la finisci ti spiegherò anche il perché!” replicò Wong. I due Strange lo guardarono e, mentre a Stephen ritornarono gli occhi azzurri e la pietra smise di brillare, lo Stregone Supremo continuò: “Per trovare il suo Karma, Stephanie ha bisogno di tutta la quiete possibile ed è per questo che passerà un’intera settimana a Kamar-Taj”.
“Stai scherzando, vero?” domandò Stephen, inarcando un sopracciglio.
“Non sono mai stato più serio” rispose Wong.
“Io sto facendo di tutto pur di tenerla lontano da qua e tu mi vieni a proporre di farle trascorrere una vacanza” ribatté Stephen.
“Non si tratterebbe di una vacanza, ma di un soggiorno temporaneo finché non avrà trovato il suo Karma interiore” spiegò Wong.
“Per me, invece, ha proprio tutta l’aria di una vacanza: non potrà studiare e si divertirà un sacco. Dopotutto è quello che ha sempre desiderato” replicò Stephen.
“Papà, se veramente vuoi che stia bene, ti prego fammi venire qua. Prometto che mi atterrò alle regole e continuerò a studiare, così non rimarrò indietro per gli esami” disse Stephanie. Stephen la guardò; poi sospirò e disse: “E va bene, ma solo una settimana e vedi di mantenere la tua promessa, perché se verrò a scoprire che hai fatto altro, questa volta ti rinchiudo davvero in camera tua”.
Stephanie sorrise e, mentre lo abbracciava, disse: “Grazie, grazie, papà, vedrai che mi rimetterò e nessun altro Stephen verrà a prendermi nel sonno”.
“Ci devono solo provare, che dovranno vedersela con me e, solo lì, vedranno quanto possa diventare cattivo. Nessuno deve toccare il mio tesoro più prezioso” disse Stephen e l’accarezzò su una guancia. Wong li guardò standosene in disparte, per poi sospirare.
Poco dopo, Stephanie stava preparando la valigia, mentre era in camera sua. Stava osservando i vari vestiti che aveva messo in essa, per poi dire: “No, questi non vanno bene: non sono in sintonia tra di loro” e li estrasse. In quel momento Stephen entrò, mentre portava alcuni libri, che depositò sul letto. Poi guardò la figlia: “Guarda che stai via solamente una settimana e non per una vacanza”.
“Lo so, ma almeno voglio essere presentabile per gli altri” disse Stephanie, guardandolo.
“Gli altri chi? Guarda che se pensi di mischiarti tra gli apprendisti, sei fuori strada. Ti lascio andare a Kamar-Taj perché mi hai promesso che avresti continuato a studiare” disse Stephen.
“E’ per questo che mi hai portato tutti questi libri?” gli chiese.
“Sarebbero stati molto di più, ma sono sicuro che, per una settimana, questi ti siano più che sufficienti per non rimanere indietro con lo studio” rispose Stephen.
“Non mi ci staranno mai tutti in valigia” disse Stephanie.
“Certo che ci stanno: la tua valigia non deve essere piena solo di vestiti. Ricordati non è…” iniziò col dire Stephen.
“…una vacanza. Quante altre volte me lo ripeterai prima che vada via?” domandò Stephanie, terminando la frase.
“Finché non ti sarà entrato in testa. Ora, ascoltami molto attentamente: ho preparato questo foglietto, sopra al quale ho scritto come deve essere la tua giornata. Vai a letto presto e mangia cibo sano” disse Stephen, consegnando il bigliettino a Stephanie, che disse: “Hai paura che non mi nutriscano? Sei sopravvissuto tu per un interno anno, posso farcela anche io per una sola settimana”.
“Il cibo a Kamar-Taj non è male ma, quando ti sarai abituata, intanto sarà già tempo per te di ritornare a casa” disse Stephen. Stephanie guardò il foglietto, per poi dire stupita: “Non ci posso credere: mi hai scritto che devo andare a letto alle otto. Ci vanno le galline a letto a quell’ora!”.
“Devi avere la mente riposata, sia per studiare che per trovare il tuo Karma. Anche io andavo a letto presto quando mi trovavo a Kamar-Taj, quindi o fai ciò che c’è scritto sul biglietto, oppure rimani direttamente a casa” disse Stephen.
“Tanto sarà solo per una settimana” disse Stephanie.
“Esatto: solo per una settimana” ripeté Stephen, facendo un piccolo sorriso.
Si ritrovarono nella hall insieme a Wong, che aveva un portale aperto dietro di sé: “Ok, appena arrivi chiamami e, se la linea non prende bene, mandami un email”.
“Non ti preoccupare: intanto non vado mica in un posto sperduto dalla civiltà” disse Stephanie.
“Su questo avrei da ridire” disse Stephen. Guardò Wong quando questi si schiarì la voce; riguardò la figlia, aggiungendo: “Ma come mi hai detto poco fa, sono riuscito a sopravvivere per un anno intero. E poi, guardarmi come sono diventato stando lì”.
“Meglio che non dica ciò che penso di te in questo momento: non vorrei farti sfigurare davanti a tua figlia” disse Wong.
“Sei mio amico: dovresti sostenermi, invece di farmi soffrire in questo modo” disse Stephen, guardandolo.
“Ok, è tempo di salutarvi e Strange, stai tranquillo che tua figlia sopravviverà anche se ti starà lontana per una settimana” disse Wong ed entrò nel portale.
“Mi mancherai tantissimo. Non sono abituato a vederti lontano da me per così tanto tempo” disse Stephen.
“Vedrai, una settimana passa alla svelta” disse Stephanie. Poi, sottovoce, aggiunse: “Forse troppo alla svelta”.
Stephen l’abbracciò, stringendola forte a sé, ed anche la cappa “l’abbracciò” a sua volta. Stephanie sorrise: “Sì, anche tu mi mancherai, ma promettimi che ti occuperai di papà e cercherai di tenerlo lontano dai guai” e la cappa si strusciò contro la sua guancia.
Padre e figlia si guardarono e Stephen baciò Stephanie sulla fronte. Poi le disse, mentre le teneva le mani sulle spalle: “Ora va, cucciola mia ed ascolta sempre Wong. Non farti tentare da ciò che Kamar-Taj ha da offrirti: concentrati solamente sullo studio ed a trovare il tuo Karma interiore. Non vedo l’ora di riaverti già tra le mie braccia”.
“Intanto non sei da solo: hai la cappa a farti compagnia” disse Stephanie e la cappa se ne volò accanto a Stephen, che disse: “Apprezzo molto, ma purtroppo non è di molte parole” e la cappa abbassò la parte inferiore.
“Prendi questa settimana come una piccola vacanza per te: non dovrei rimproverarmi per qualsiasi cosa e cercare dove sono. Rilassati e, magari anche tu, troverai il tuo Karma interiore” disse Stephanie, facendo un piccolo sorriso. Anche Stephen si sforzò di sorridere.
Stephanie lo baciò su una guancia; prese la valigia ed entrò nel portale, che si richiuse dietro di lei. Venne subito affiancata da Wong: “Benvenuta a Kamar-Taj, ma ormai sarai abituata a venire qua”.
“Di tanto in tanto, ma questa è la prima volta che mi fermo qua per un tempo prolungato” disse Stephanie. Iniziarono a camminare, affiancando il grande cortile, dove gli apprendisti si stavano allenando.
“Quasi non ci speravo più che tuo padre ti lasciasse andare, ma ti vuole al sicuro e farebbe di tutto pur di impedire che qualcun altro ti porti via” disse Wong.
“Be’, non è che mi abbia mandato via per rilassarmi: mi ha dato un biglietto con scritto la giornata da seguire. Tutta divisa per orario” disse Stephanie.
 “E tu pensi di seguirlo?” chiese Wong.
“Non vuole che rimanga indietro con lo studio” rispose Stephanie.
“Tu sei venuta qua per rilassarti e cercare il Karma interiore, da impedire all’altro Strange di portarti via. Se farai le stesse identiche cose che compi a casa, tutto sarà inutile. Non ho detto la verità a tuo padre, perché sicuramente avrebbe obiettato la mia proposta” spiegò Wong.
Stephanie lo guardò inarcando un sopracciglio; poi Wong aggiunse: “Sarai un’apprendista”.
La ragazza si fermò e stupita disse: “Io…un’apprendista?!”.







Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo...ed un colpo di scena alla fine. Ebbene sì, Stephanie (seppur per una sola settimana) diventerà apprendista a Kamar-Taj (e probabile che ciò che le sia molto utile successivamente). Wong ha mentito a Stephen( e se Stephen lo verrà, prima o poi, a scoprire? ) Vedremo soprattutto se Stephanie resisterà un'intera settimana di allenamento
Volevo ringraziare (come sempre) per le bellissime recensioni. GRAZIE. Grazie a chi è passato di qua; chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite. Grazie ai veterani, che seguono la storia fin dal principio. GRAZIE INFINITAMENTE
Grazie alla mia amica Lucia
Vi auguro una buona notte ed un buon inizio week end
Un forte abbraccio
Valentina

 






 

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Capitolo 28
*** L'apprendista ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXVIII: L'apprendista


 


Stephanie era rimasta senza parole appena aveva sentito ciò detto da Wong. Quindi stupita gli chiese: “Ma…sei proprio sicuro?”.
“Non dico mai bugie…a parte a tuo padre. Se gli avessi raccontato la verità, non solo ti avrebbe rinchiuso con qualche incantesimo al Sanctum Sanctorum, ma sarebbe diventato furioso, scatenando la sua parte malvagia. Ho notato che la sua pietra è già incrinata: dobbiamo cercare di farlo rimanere il più calmo possibile” spiegò Wong.
“E tu pensi che, stando lontana da lui per una settimana, rimanga calmo? Poco fa non voleva lasciarmi andare e vedevo che era già abbastanza turbato” domandò.
“Non ti preoccupare: di tanto in tanto andrò a controllare…o manderò qualcuno per tenerlo d’occhio. Tu, devi solamente cercare di non pensare allo studio o tutto ciò che riguarda la tua vita quotidiana. Nemmeno a tuo padre” disse Wong.
“Sarà difficile, ma ci proverò” disse Stephanie.
“Bene, perché tutto lo stress alla quale sei abituata ad avere, soprattutto grazie a tuo padre, incrementerà di più la magia di quell’altro Strange. Nel tuo sogno, ho visto che lui ha ucciso parecchie persone solo perché lo voleva. Lo rendeva felice ma, ciò che desiderava, era solamente avere Christine tutta per sé e, quando ha visto che non era possibile, ha sterminato morte. Poi, con l’uccisione di sua figlia, non è rimasto un briciolo di luce in lui. È per questo che dobbiamo cercare di tenerlo il più lontano possibile da te e, solo ottenendo la pace interiore, potremmo riuscirci” spiegò Wong.
Stephanie lo guardò in silenzio ed i due ripresero a camminare. Wong la condusse negli alloggi. Accese la luce e, mentre Stephanie si guardava intorno, le spiegò: “Questa stanza apparteneva a tuo padre. Ritenevo giusto dartela a te per il tempo che trascorrerai qua”.
“È sufficiente e…grazie” disse Stephanie, voltandosi verso Wong, che disse: “Per così poco”.
“No, grazie per darmi l’opportunità di diventare un’apprendista, sperando che papà non lo venga a scoprire” disse Stephanie.
“Nessuno farà la spia: qua a Kamar-Taj sono tutti rispettosi delle regole e del proprio ruolo. Non dovrebbero neanche interessarsi dei problemi altrui. Stai tranquilla e goditi la tua settimana di riposo” disse Wong. Stephanie sorrise e lo stregone supremo uscì, chiudendo la porta.
La ragazza depositò la valigia in un angolo. Si sedette sul letto e, dopo essersi accertata quanto fosse morbido, vi si coricò, per poi dire: “Finalmente un po' di pace”.
Quando sentì squillare il cellulare. Si risedette e, dopo aver estratto l’oggetto, guardò chi la stava chiamando: si trattava di suo padre. Accettò la chiamata: “Ciao, papà, ti avrei chiamato a momenti”.
“Ti trovi bene lì? Tutto a posto? Ti trattano come si deve?” la tempestò di domande.
“Sono appena arrivata e non ho praticamente parlato con nessuno, eccetto per lo zio Wong. Alloggio nella tua vecchia stanza: è piccola, ma accogliente. Credo che mi ci troverò bene” rispose.
“Appena ti sarai sistemata, inizia con lo studio. Non voglio che rimani indietro. Hai degli importanti esami da sostenere nelle prossime settimane” disse Stephen.
“Ti ricordi del perché mi trovo qua a Kamar-Taj? Per cercare di rimanere lontana da tutto lo stress possibile, in modo che riesca a trovare il mio karma interiore. Se inizio subito a studiare, non ci riuscirò mai” disse Stephanie.
“Ti ho lasciata andare, solo perché mi avevi promesso che avresti continuato a studiare. Guarda che ci impiego poco per venirti a riprendere” disse Stephen.
“Lo so, lo so. Vorrà dire che, per farti contento, andrò a vedere cos’ha da offrire la biblioteca del tempio” disse Stephanie.
“Biblioteca del tempio? No, no, no, tu devi solamente concentrarti sui libri che ti ho messo in valigia. Stephanie, che cosa mi stai nascondendo?” disse Stephen, iniziando a spazientirsi.
“Credo che ci sia lo zio Wong che mi sta chiamando. Ci sentiamo più tardi, ok?” disse Stephanie, cambiando velocemente discorso e, prima che Stephen potesse chiederle di più, riattaccò la chiamata.
Stephanie tirò un sospiro di sollievo e depositò delicatamente il cellulare sul letto. Poi si alzò e, dopo aver aperto la porta, uscì.
Passeggiò costeggiando il cortile, raggiungendo Wong e Sara. Lo stregone supremo la guardò: “Suppongo che tu abbia già parlato con tuo padre”.
“Già” disse semplicemente la ragazza. Wong la guardò di sfuggita, per poi riporre lo sguardo in avanti e dire: “E, dalla tua espressione, deduco che la conversazione non sia finita nel migliore dei modi”.
“Credo che sospetti qualcosa” disse Stephanie.
“A Strange non si può nascondere niente: è sempre stato molto intuitivo ed un passo avanti a tutti” disse Wong.
“Sono appena arrivata e già rischio di ritornare a casa e rimanere per sempre rinchiusa in camera mia” disse Stephanie.
“Non accadrà…non almeno nel breve tempo possibile. Ora Sara ti accompagnerà a vestirti e poi potrai iniziare con l’addestramento” disse Wong.
Poco dopo Stephanie si trovava in mezzo agli altri apprendisti, cercando di imitare le loro mosse, ma con scarsi risultati. Wong e Sara passavano in mezzo a loro, con la donna che diceva cosa fare: “Dovete cercare di rimanere concentrati e ricordate di avere pazienza. Solo con essa potete ottenere ciò che vorrete”.
Stephanie osservava gli altri, ma proprio non riusciva nemmeno a creare uno scudo decente. Poi Wong disse: “Ok, ora basta così”. Tutti porsero l’attenzione su di lui, che disse: “Ora cercate di creare un portale. Pensate ad un luogo ed esso si aprirà proprio li. La concentrazione è la chiave di tutto”.
Così gli apprendisti porsero una mano davanti a loro, mentre con l’altra cercarono di creare un portale. Gli altri ci riuscirono al primo colpo. Stephanie no. Ma la ragazza non voleva mollare: “Andiamo, Stephanie: sei una Strange. Non puoi cedere proprio adesso. Per te tutto è possibile”.
Finalmente iniziò a formarsi un portale. Stephanie era contenta ma, appena si aprì del tutto e vide chi c’era dall’altra parte, il suo sorriso scomparve.
La persona al di là volse lo sguardo e rimase stupito non appena la vide: “Stephanie?! Che cosa stai facendo?!” e, prima che potesse raggiungerla, la ragazza richiuse velocemente il portale. Tutti la guardarono e Stephanie, per la vergogna, se ne corse via.
“Signorina Strange, ritorni subito qua!” la richiamò Sara.
“Lascia, vado io. Tu continua qua con gli allenamenti” disse Wong e, mentre si dirigeva da Stephanie, Sara guardò agli altri apprendisti: “Ok, ricominciate a creare un portale”.
Lo stregone supremo trovò la ragazza dietro la colonna. Appena lo vide, lo guardò: “Sono morta! Sono morta, zio Wong! Mi ha vista e verrà subito qua per riportarmi a casa! Non ne faccio mai una giusta e, appena riesco ad aprire un portale, ecco che vedo papà dall’altra parte. Perché sono così un disastro?!”.
“Stephanie cerca di calmarti Vedrai che andrà tutto bene” disse Wong.
“No, invece. Prima di richiudere il portale, ho visto il suo sguardo e non prometteva nulla di buono. Questa volta, uscirà per davvero la sua parte malvagia e nessuno riuscirà a fermarlo” disse Stephanie e, prima che Wong potesse aprire bocca, si sentì urlare: “Stephanie Donna Strange! Vieni subito fuori! So che sei qua!”.
Stephanie e Wong guardarono verso il piazzale, per vedere uno Stephen alquanto furioso. Sara stava cercando di calmarlo: “Non so cosa lei stia cercando, ma ha interrotto l’addestramento”.
“Non faccia finta di nulla! So benissimo che mia figlia si trova qua!” replicò Stephen. Sara vide i suoi occhi diventare rossi e la pietra brillare. Fortunatamente in suo soccorso arrivarono Stephanie e Wong. Appena li vide, Stephen ribatté: “E’ così che mi prometti di studiare?! Avevo fiducia in te e, se avessi saputo così, non ti avrei mai lasciata andare!”.
“Ti prego papà, cerca di calmarti. Possiamo spiegarti” disse Stephanie.
“Che cosa ci sarebbe da spiegare? È così evidente la cosa! Ora vieni immediatamente a casa con me, dove ti toglierai quegli stracci di dosso e ti metterai subito a studiare!” replicò Stephen e prese la figlia per un braccio.
“Lasciami andare! Non voglio tornare a casa!” ribatté Stephanie, cercando di togliere la mano del padre dal braccio.
“Tu fai quello che ti dico! Lo studio è molto più importante di queste cose farlocche!” replicò Stephen.
“Adesso basta, Strange! La colpa è solo mia. Stephanie non c’entra nulla” disse Wong. Stephen lo guardò e Wong aggiunse: “Ti ho mentito, perché raccontandoti la verità tu non le avresti mai permesso di venire qua”.
“Era da molto tempo, che volevi far diventare Stephanie un’apprendista. Più volte ci hai provato, ma finalmente ci sei riuscito ed io ci sono cascato come uno stupido. Ma nessuno deve più prendermi in giro: tu primo fra tutti!” ribatté Stephen e, nella sua mano, creò una fiamma nera.
“Ti sei già dimenticato, invece, il vero motivo del perché tua figlia si trovi qui? Vuoi che l’altro Strange te la rapisca, portandola nel suo universo, con il rischio di non rivederla mai più? Se vuoi questo, allora uccidimi pure e distruggi tutto. Al contrario, permetti che addestri Stephanie, in modo che possa impedire il suo rapimento. Se vorrai, potrai rimanere anche tu per aiutarla. Dopotutto mi avevi detto che avresti fatto di tutto, purché Stephanie stesse al sicuro. A te la scelta” spiegò Wong.
Stephen lo guardò furente; poi spostò lo sguardo sulla figlia che lo guardava con paura. Infine, fece scomparire la fiamma nera; i suoi occhi ritornarono azzurri e, riguardando Wong, disse: “Va bene, potrai addestrarla, ma a due condizioni: io dovrò essere sempre presente e riprenderà a studiare”.
“Per me va bene” disse Wong; poi guardò Stephanie: “Ritorna dagli altri apprendisti”. Stephen e Stephanie si guardarono e la ragazza, senza dire nulla e dopo che il padre le ebbe lasciato il braccio, ritornò dagli altri.
Stephen si voltò guardandola andarsene. Wong si affiancò a lui: “Hai fatto la scelta giusta”.
“Lo faccio solo perché la voglio al sicuro. Se fosse per me, l’avrei già riportata a casa” disse Stephen.
“Vedrai che non te ne pentirai” disse Wong.
“Spero tu abbia ragione” disse Stephen.
Passarono i giorni e Stephanie era divisa tra gli addestramenti e lo studio. Arrivava a sera che riusciva a malapena tenere gli occhi aperti mentre cenava. Stephen vedeva quanto fosse stanca: non avrebbe mai voluto che si riducesse a quello stato, ma notava lo sforzo compiuto da lei sia nell’addestramento che nello studio.
Un giorno, su permesso di Wong, decise di portala con sé in un luogo lontano da Kamar-Taj, che lui stesso però cercava di evitare il più possibile.
Una volta arrivati in cima ad una collina e sotto un grosso albero, si fermarono: lì trovarono una lapide, sopra alla quale vi era la fotografia di una bambina e, sotto ad essa, era inciso il suo nome. Stephanie sgranò gli occhi. Guardò il padre, che teneva lo sguardo abbassato e gli occhi chiusi, per poi riaprirli e dire: “Mi odierà: dovrei venirla a trovare più spesso, ma non amo particolarmente venire qui. I suoi fiori sono quasi appassiti” e, con un cenno della mano, li fece rifiorire.
“Perché mi hai portato qua dalla tomba di tua sorella, se tu stesso odi questo luogo?” gli domandò, guardandolo.
“Le volevo molto bene e non sono riuscito a proteggerla. Lì ho preso la decisione che dovevo salvare le altre vite, così sono diventato un dottore. Il migliore neurochirurgo in circolazione. Poi l’incidente e tutto il resto già lo sai. Ma la cosa più bella che mi è capitata sei tu. Quando sei nata e ti ho preso in braccio, ho capito fin da subito che avrei dovuto proteggerti da chiunque. Ho pensato che mia sorella mi avesse donato una seconda possibilità con te ed io non volevo sprecarla” spiegò Stephen.
Stephanie lo guardò in silenzio e Stephen continuò: “Scusami se, a volte, ti sto troppo appiccicato, ma non voglio perderti come è accaduto con Donna. Il mio cuore non riuscirebbe a reggere ad un’altra così grossa perdita. È colpa mia se quell’altro me rischia di portarti via: sei troppo stressata a causa della vita che ti faccio condurre, pretendendo sempre il massimo da te. Quindi perdonami, cucciola mia” e l’abbracciò. Stephanie se ne rimase immobile e senza parole. Era davvero suo padre quello che le stava davanti? Forse in quella settimana che l’aveva seguita sia con gli allenamenti, che con lo studio, era cambiato.
Stephen si staccò da lei, dicendole: “A volte, Kamar-Taj non è proprio un luogo tranquillo, così ho preferito portarti qua, dove potrò aiutarti a trovare il tuo karma interiore”.
“Tu…tu vuoi aiutarmi?” chiese stupita Stephanie.
“Sono tuo padre: perché non dovrei?” rispose Stephen.
“Perché tu dici sempre che…” iniziò col rispondere Stephanie; poi spostò lo sguardo sulla tomba di Donna: quel viso così innocente; una scomparsa così prematura. Suo padre per sempre ferito da quel doloroso ricordo, non potendo fare nulla per salvarla.
Lo riguardò e, facendo un piccolo sorriso, gli prese una mano, dicendogli: “Grazie per tutto” ed anche Stephen sorrise.
Poco dopo, si trovarono seduti uno di fronte all’altra a gambe incrociate. Entrambi tenevano gli occhi chiusi: “Cerca di concentrarti e non pensare a nulla. La tua mente deve essere libera da qualsiasi cosa”.
“Ma se devo pensare a nulla, penserò comunque a qualcosa. Non ha senso” disse Stephanie, aprendo un occhio.
“Nulla ha senso e lo capirai con il tempo. Concentrati e chiudi quell’occhio” disse Stephen e Stephanie richiuse l’occhio. Inspirò e cercò di sgomberare la mente da qualsiasi cosa.
La ragazza si ritrovò in una stanza totalmente bianca e vuota. Si guardò intorno con un po' di timore ed assaporando quel momento di pace. Si voltò sentendo qualcuno battere improvvisamente contro una porta e…effettivamente vide una porta bianca.
Si avvicinò lentamente ad essa, mentre chi era dall’altra parte continuava a battere incessantemente. Allungò una mano verso la maniglia, poi però la ritrasse: aveva paura di trovare qualcuno – o qualcosa – di pericoloso. Ma quella era la sua mente, quindi era lei a decidere. Con fermezza aprì la porta e…si ritrovò ai piedi di un lago ghiacciato.
Per la temperatura bassa ed i vestiti leggeri che indossava, cercò di coprirsi con le mani, quando dall’altra sponda, vide una bambina rincorsa da un ragazzo.
“Tanto non mi prendi” canticchiava la bambina ridendo.
“Donna torna qui: è pericoloso” disse il ragazzo. Fu a quel punto che Stephanie riconobbe in loro suo padre e sua zia.
“Dici così perché hai solamente paura. Dai, sarà divertente: potremo pattinare sul ghiaccio” disse Donna.
“Io non ho paura. Donna dico sul serio: è pericoloso. Il ghiaccio non è sicuro e poi lo sai benissimo che nemmeno mamma e papà vogliono che giochiamo qua. Su, rientriamo e prendiamoci qualcosa di caldo” disse Stephen.
“Parli come la nonna. Non sei più divertente” disse Donna.
“Smettila di comportarti da bambina ed inizia ad ascoltarmi!” replicò Stephen.
“Ma io sono una bambina” disse Donna.
“Allora cresci!” ribatté Stephen. Donna gli fece la linguaccia e, dopo essere passata sotto la staccionata, andò sul laghetto ghiacciato. Stephen si avvicinò, cercando di richiamarla: “No, torna qua! Ti prego, è pericoloso!”.
“Me lo hai già detto anche prima” disse Donna, guardandolo.
“E allora te lo ripeto ma, stavolta, devi ascoltarmi!” replicò Stephen.
“Avanti, fratellone: sei più grande di me e dovresti incoraggiarmi e sostenermi” disse Donna.
“Lo so che sono sempre stato dalla tua parte, ma non questa volta. Ti prego, Donna, torna da me” disse Stephen, allungando una mano.
“Va bene, se proprio insisti. Però poi, quando farà meno freddo, promettimi che pattineremo insieme” disse Donna.
“Sì, sì, te lo prometto” le disse sorridendo Stephen, continuando a tenderle la mano. Donna fece qualche passo verso di lui, quando il ghiaccio iniziò a cedere. Stephen sgranò gli occhi e, non fece in tempo ad oltrepassare la staccionata, che Donna cadde in acqua urlando.
“Donna!” gridò a sua volta Stephen, chiamandola più volte e cercandola. Sperò che riemergesse, invece…
 
Stephanie stava per andare in suo soccorso, quando qualcuno la bloccò: volse lo sguardo per trovarsi accanto a sé suo padre, che scosse negativamente la testa. Entrambi volsero gli sguardi, quando al posto dello Stephen ragazzo, comparvero i genitori di Kody; lo stesso bambino ed anche Christine.
Stephanie ansimò: si ricordava benissimo di quando era quasi affogata in quel laghetto. Successivamente vide il padre di Kody tuffarsi e salvarla. Una volta sull’erba, avvicinò il viso alla bocca, dicendo: “Non sta respirando” ed iniziò a praticare la respirazione bocca a bocca.
Christine le era inginocchiata accanto e, con le lacrime agli occhi, disse: “Ti prego, Stephanie, riprenditi: a tuo padre si spezzerebbe il cuore se dovesse perderti. Non può rivivere ancora questa situazione”.
Il padre di Kody continuava a praticare la respirazione bocca a bocca, quando Stephanie riuscì a sputare l’acqua, per poi perdere nuovamente i sensi.
“Dobbiamo portarla subito in ospedale” disse il padre di Kody, guardando Christine, che disse: “Stephen non sarà molto contento” e, mentre il padre di Kody prese in braccio la bambina, Christine aggiunse: “Tranquilla, piccola mia: ora il papà si prenderà cura di te” e scomparvero.
Stephanie e Stephen rimasero lì, mentre soffiò un vento freddo. La ragazza volse lo sguardo verso il padre, domandandogli: “Come mai sono riuscita a vedere ciò che accadde a tua sorella?”.
“Quando siamo in meditazione, le nostri menti sono connesse. Esse ci mostrano ciò che ci affligge di più. La morte di mia sorella continua a tormentarmi anche dopo tutti questi anni, così come quando ho rischiato di perderti alla sua stessa maniera. Ciò ci rende indifesi davanti al nemico, ma può anche rinforzarci, dandoci coraggio nell’affrontare le nostre paure” spiegò Stephen.
“E la tua paura più grande è perdermi?” gli chiese.
“Non smetterò mai di ripetertelo, ma tu resti sempre il mio tesoro più prezioso ed il dono più grande che mia sorella potesse darmi” rispose. Stephanie inarcò un sopracciglio, sperando che suo padre rispondesse che fosse stata sua madre a fargli quel dono. Poi Stephen aggiunse: “Se ti do tutte quelle regole ed ho scelto io l’università che avresti frequentato, non è per una questione di egoismo come hanno sempre pensato gli altri: è per proteggerti. Spero tu mi capisca”.
“Il tuo dolore non verrà mai compreso fino in fondo, ma quello che hai sempre fatto per me, è stato un gesto di amore paterno. Penso che tua sorella ti abbia perdonato da tempo: ora tocca a te sentirti nel cuore questa liberazione” disse Stephanie. Stephen non replicò, ma si limitò ad abbracciarla. Intorno a loro, ritornò tutto bianco e, fuori dalle loro menti, ad entrambi comparve un sorriso, mentre continuavano a meditare ed un leggero vento si alzò, trasportando via alcune foglie che si erano posate sulla tomba di Donna.
Il giorno seguente, Stephen guardava sorridendo sua figlia, mentre compiva perfettamente, insieme agli altri apprendisti, gli esercizi richiesti dagli insegnanti. In lei vedeva una luce nuova e la determinazione che non l’aveva mai abbandonata.
A lui si affiancò Wong: “Da ieri ha fatto enormi progressi. Cosa lei hai detto?” gli chiese.
“Niente di che. Forse ci siamo chiariti su alcune cose” rispose Stephen.
“Ma non completamente. Noto, però, che almeno ora è capace di creare scudi perfetti ed aprire portali” disse Wong.
“Forse ha finalmente trovato il suo karma interiore” disse Stephen.
“Aveva solo bisogno dell’appoggio di suo padre” disse Wong. Stephen lo guardò e Wong, senza aggiungere altro, raggiunse gli insegnanti ed apprendisti. Mentre essi si fermarono per ascoltarlo, Stephanie volse lo sguardo verso suo padre, il quale le sorrise. Stephanie gli sorrise a sua volta, per poi riporre l’attenzione su Wong.
Stephen sospirò: che fosse stata veramente quella la strada che avrebbe dovuto far seguire a Stephanie?







Note dell'autrice: Eccomi qua. Buon pomeriggio e buon inizio settimana con un nuovo capitolo tutto per voi. Inanzitutto volevo ringraziare tutti/e voi per le bellissime recensioni e le belle parole. GRAZIE.
Vi sta piacendo la storia? Fra poco arriverò al secondo film di doctor strange(nn volevo arrivarci subito)
Volevo approfondire di più la storia di strange (cosa ha ribadito più volte benedict nelle interviste ma che non gli hanno mai fatto fare. Come per esempio c'è tutta questa scena tagliata della morte della sorella nel primo film ed è solo accenata nel secondo) Io credo sia un aspetto fondamentale per capire il carattere di stephen (e perchè sia appunto protettivo nei confronti della figlia)
Ringrazio tutti/e coloro che sono passati/e di qua; che hanno recensito la storia; che l'hanno messa tra le preferite o tra le seguite
Grazie ai recensori veterani che hanno sempre seguito la storia fin dall'inizio e grazie anche ai nuovi recensori
Grazie alla mia cara amica Lucia
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo. Ancora un buon proseguimento di giornata e buon inizio settimana
Un forte (e caldo) abbraccio
Valentina
 

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Capitolo 29
*** Aiutando i genitori ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 


Capitolo XXIX: Aiutando i genitori



 
In quel periodo, il tempo a New York non era quasi sempre dei migliori. Avevano passato, comunque, un buon Natale con abbastanza neve, da rendere l’ambientazione adatta per la stagione.
Ora, invece, era in corso un forte temporale. Stephanie se ne girava per il piano superiore del Sanctum Sanctorum, mentre i lampi illuminavano i corridoi. Ciò rendeva l’abitazione ancora più spettrale. Stephen non amava molto che gli altri ficcassero il naso in casa sua e, per ciò, aveva chiuso quasi tutte le finestre.
Stephanie arrivò nell’enorme salone, quando un lampo illuminò l’ombra di suo padre su di una parete. Ciò che vide la rabbrividì: Stephen era accanto ad una corda, alla quale stava facendo un cappio. Se l’avvicinò a sé, quando Stephanie gridò: “No! Non farlo!” ed accese la luce.
Calò il silenzio, se non per il temporale che echeggiava fuori: Stephen, in cima ad una scala, stava staccando da una corda, del vischio, per poi volgere lo sguardo verso la figlia e guardandola in silenzio. La cappa, invece, se ne volava a destra ed a sinistra, staccando altre decorazioni natalizie e depositandole in alcuni cartoni.
“Perché mai non dovrei farlo? Natale ormai è finito o vuoi che teniamo queste decorazioni fino al prossimo dicembre? Potremo metterle insieme con quelle di Halloween” disse Stephen.
“Non sarebbe una cattiva idea” disse Stephanie, entrando nella stanza. Poi aggiunse: “Comunque, non era riferito alle decorazioni”.
“E allora a cosa?” domandò Stephen, prendendo il vischio, con corda annessa, ed iniziando a scendere la scala.
“Ti ho visto accanto ad una corda e che stavi facendo un cappio, quindi…” iniziò col rispondere Stephanie, ma Stephen finì la frase per lei, guardandola: “…quindi hai pensato che volessi impiccarmi, vero?”.
“Più o meno” disse Stephanie.
“E come mai ti è venuto in mente questa assurdità?” le chiese.
“E’ che da quando la mamma ha annunciato il suo matrimonio con Charlie, ti ho sempre visto triste e depresso. Pensavo che volessi farla finita” rispose.
“Come potrei farla finita a causa del matrimonio di tua madre? Ha preso lei una strada diversa dalle nostre ed io non posso impedirglielo. Neanche se avessi ancora con me la Gemma del Tempo, tornerei indietro per cambiare il passato. Non sarebbe corretto e creerei un’altra linea temporale, per non parlare della pericolosità che essa comporterebbe. Ho già rischiato troppo con l’apertura del multiverso” spiegò Stephen.
“Quindi niente istinti suicidi?” domandò Stephanie.
“Stai tranquilla, cucciola e smettila di preoccuparti per me. Concentrati sullo studio ed anche sugli addestramenti. Fra poco dobbiamo recarci a Kamar-Taj” rispose Stephen, depositando il vischio dentro ad uno scatolone.
“Me ne ero completamente dimenticata” disse Stephanie.
“Perché non ne sono affatto sorpreso? Dovresti cercare di seguire più attentamente la scheda che ti ho preparato, così non confondi lo studio con gli addestramenti” disse Stephen, guardandola.
“Io non confondo lo studio con gli addestramenti” disse Stephanie.
“Allora cosa mi dici dell’altro giorno quando a scuola hai creato una catena dorata facendo cadere un tuo compagno di scuola, mentre teneva in mano un vassoio con sopra il suo pranzo?” chiese Stephen.
“È stato solo un incidente” disse Stephanie.
“O un modo per metterti in mostra davanti ai tuoi amici. Credevo di essere stato chiaro, quando ti dissi di non usare le arti mistiche per queste cose, ma solo per legittima difesa” replicò Stephen.
“Ned ha detto che mi avrebbe dato più popolarità e che avrei asfaltato di vergogna Brittany e le sue amiche” disse Stephanie.
“Quante volte ti ho detto che non devi ascoltare quella zucca vuota?! E neanche il quattr’occhi? Devi stare alla larga da loro e, se vengo a scoprire che ti hanno fatto fare un’altra cosa stupida, sarò costretto a prendere dei seri provvedimenti con tutti e tre!” ribatté Stephen, mentre la sua pietra brillò. Poi si voltò e, mentre metteva nello scatolone altre decorazioni, aggiunse: “Dovevo minacciarli più volte di ucciderli: la mia parte malvagia aveva ragione”.
“Non mi dire che continui ad ascoltarla?” domandò Stephanie.
“A volte non riesco a non ascoltarla: diventa sempre più potente” rispose.
“Devi continuare a combatterla: solo così potrai sconfiggerla. Non devi alimentarla con l’odio ed il dolore, perché è quello che vuole lei” disse Stephanie.
“So già come devo comportarmi con lei. È con te, invece, che non so mai che strada prendere. Sembra che ogni regola, sia solo vento e, tutto ciò che ho costruito negli anni per te, non sia contato nulla. Alla fine sei diventata un’apprendista proprio come hai sempre desiderato e, piano piano, stai lasciando la via che ti condurrà a diventare la migliore neurochirurga che esista. Dopo tutti i sacrifici che hai fatto” spiegò Stephen.
“Posso seguire entrambe le strade e te ne ho già dato prova” disse Stephanie.
“Certo: arrivi a sera che non hai nemmeno la forza di mangiare. Non posso e non voglio vederti ridurti in questo stato” disse Stephen, guardandola.
“Tu stesso hai acconsentito per farmi seguire gli addestramenti” disse Stephanie.
“Solo se avresti anche proseguito contemporaneamente con lo studio. Invece, durante la settimana che ho passato con te, ho visto che non ci sei riuscita” replicò Stephen.
“Allora perché non me lo hai detto apertamente?” chiese Stephanie.
“Perché non volevo ferirti. Ti vedevo felice ed è anche per questo che ti sto facendo continuare con gli addestramenti. Ma, parte di me, vuole che tu smetta” rispose Stephen.
“Be’ io invece no! Ti prometto che riuscirò ad arrivare in fondo ad entrambi. Metterò tutta me stessa e supererò ogni esame. Tu, invece, smettila di essere sempre in conflitto con te stesso: non ti fa bene e, oltre alla salute fisica, ci puoi rimettere anche quella mentale. La pietra nell’Occhio di Agamotto non avrà più potere e, sarà lì che la tua parte malvagia si divertirà un sacco. Concediti un po' di tempo per te stesso: io saprò cavarmela” spiegò Stephanie.
Stephen la guardò in silenzio; poi spostò lo sguardo sulla cappa, che lo “guardò” a sua volta annuendo; infine riguardò la figlia, dicendo: “Ti aspetto oggi pomeriggio a Kamar-Taj: cerca di non tardare” e, le passò accanto.
Stephanie si voltò, domandandogli: “Ma come, ti rechi già là?”. Stephen si fermò, rispondendo: “Wong ha bisogno di me per preparare la prossima lezione”.
“Credevo che Wong ci potesse riuscire anche da solo” disse Stephanie. Stephen si voltò e, con gli occhi rossi e la pietra che brillava, ribatté: “Ho detto che Wong ha bisogno di me per preparare la prossima lezione!”.
“Va bene, dopotutto anche lo stregone supremo ha bisogno d’aiuto” disse Stephanie.
“Non lo aiuto! Do solo dei miei pareri!” replicò Stephen.
“Come vuoi tu e, comunque, prometto che non tarderò oggi pomeriggio” disse Stephanie. Gli occhi di Stephen ritornarono azzurri e la sua pietra smise di brillare. Scosse la testa, per poi chiedere: “E’ successo qualcosa, cucciola?”.
“Non ti ricordi nulla?” gli domandò.
“Non mi dire che è di nuovo stato lui?” chiese Stephen e, dopo che Stephanie non rispose, aggiunse: “Oh, tesoro, mi dispiace tanto”.
“Stai tranquillo, è tutto a posto. Poi lo hai detto anche tu prima che è sempre più potente” rispose Stephanie. Stephen si passò una mano tra i capelli e Stephanie disse: “Questi sbalzi d’umore stanno diventando fin troppo frequenti”.
“Lo so che dovrei cercare di stare più calmo e, con tutto quello che è accaduto di recente, non ha certo aiutato” disse Stephen.
Fu solo a quel punto, che Stephanie notò delle bottiglie di alcolici sul tavolino. Guardò il padre, domandandogli: “Hai di nuovo ricominciato a bere?”.
“Solo qualche bottiglia” rispose.
“Non conta e poi lo sai benissimo che effetto fa l’alcol su di te: ne abbiamo già avuto la prova quando nessuno voleva più operarti alle mani ed avevi venduto tutti i tuoi averi” disse Stephanie.
“A volte l’alcol serve per lenire il dolore” disse Stephen.
“Ma anche ad aumentare la rabbia” aggiunse Stephanie. Stephen la guardò e Stephanie disse: “Facciamo così: per il momento, chiudiamo qua questo discorso e dedichiamoci all’addestramento di oggi pomeriggio. Ci vediamo direttamente a Kamar-Taj. Finisco di studiare e ti raggiungo”. Poi spostò lo sguardo sulla cappa: “Cappa, tu tienilo sempre d’occhio e vienimi ad avvisare se, nel frattempo, commette qualcos’altro di stupido” e, mentre la cappa “annuiva”, la ragazza se ne andò.
Stephen sospirò, mentre la cappa svolazzò accanto a lui, per poi “guardarlo”. Stephen la guardò a sua volta, dicendole: “Non ho bisogno di una babysitter!” e la cappa lo schiaffeggiò.
Nel primo pomeriggio, Stephanie si ritrovò in un bar insieme ad Irwin e Ned. I due ragazzi la osservavano, mentre chiuse l’ennesimo libro, dicendo: “Basta, ci rinuncio”.
“Rinunci alla medicina?! Ma tuo padre ti farà fuori” disse stupito Irwin.
“Questi ti sembrano libri di medicina?” chiese Stephanie, guardandolo per poi alzare una copertina, sopra alla quale erano raffiguranti strani antichi simboli.
“Porti la cultura magica al di fuori del Sanctum Sanctorum? E, penso, senza che tuo padre lo sappia. Figo” disse Ned.
“Come mai li hai portati qua? Tuo padre non ti aveva detto – così almeno credo avessi accennato – che non potevi studiare la magia al di fuori di Kamar-Taj?” domandò Irwin.
“Sì, ma questi sono per uso personale. Sto cercando un incantesimo specifico per una certa cosa” rispose Stephanie e, dopo che i due ragazzi la guardarono con curiosità, proseguì: “Voglio che i miei si rimettano insieme”.
“Forte…ma sarebbe come barare” disse Ned.
“Concordo ed aggiungo che è anche contro ad ogni legge naturale e temporale. Andrai incontro a terribili conseguenze” disse Irwin.
“Voglio solo che mio padre sia felice. Ha ricominciato a bere e non riesce quasi più a contenere la sua parte malvagia. Sapete benissimo cosa accade se quest’ultima dovesse uscire, vero?” disse Stephanie.
“Saremo morti ancor prima di guardarlo negli occhi. Ok, ci sarà sicuramente una soluzione” disse Ned.
“Per ogni cosa c’è una soluzione, tranne che alla morte” disse Irwin.
“Allora troviamola” disse Stephanie.
“Te l’ho detto, andresti contro una qualsiasi legge naturale e temporale. È pericoloso” disse Irwin.
“E’ un rischio che sono disposta a correre, pur di rivedere felice papà” disse Stephanie.
“Pensa, Irwin: se il dottore pazzo ritorna con la sua vecchia fiamma, noi potremo ritenerci salvi. Non vuoi, anche tu, veder realizzare finalmente questo sogno? È da quando ho conosciuto Stephanie, che quell’uomo mi crea tormento. Lo sogno anche di notte. Ti prego, aiutaci in nome della nostra amicizia” disse Ned.
Irwin li guardò entrambi; sospirò, per poi spiegare: “Se non hai trovato nulla nelle arti mistiche, si potrebbe cercare benissimo in libri di altre culture, ma non abbiamo tempo da perdere. Quindi, se le mie innumerevoli conoscenze sono esatte – e lo sono, altre religioni praticano magie che possono aiutare le persone. Per esempio, gli indiani d’America veneravano gli animali, rendendoli loro protettori e costruendone totem. C’era l’aquila; il lupo; l’orso, solo per citarne alcuni”.
“Al massimo cosa potrò trovare qua a New York? Dei topi; coccodrilli che vivono nelle fogne e dei piccioni. Andiamo, Irwin: tu stesso hai detto che non abbiamo tempo da perdere. Non posso girare per la città, alla ricerca del mio animale protettore. No, dobbiamo pensare a qualcos’altro ed alla svelta: mio padre mi sta già aspettando a Kamar- Taj e sono sicura che sia già incavolato e spazientito” disse Stephanie.
“Be’ che ne dite del Voodoo?” propose Ned. I due lo guardarono ed il ragazzo proseguì: “Il Voodoo è strafigo: hanno un sacco di pozioni strane ed incantesimi bizzarri. Penso che possano avere anche quello che cerchi”.
“Bene, cerchiamo qualcuno che lo pratichi e ci dia qualche dritta” disse Stephanie.
“Piano, ragazzi: non si è mai sentito nulla di buono dal Voodoo. Non credo sia una buona idea” disse Irwin.
Stephanie roteò gli occhi, per poi dirgli. “E non si è mai sentito nulla di buono neanche con le altre religioni. Hai mai sentito parlare di sacrifici umani?”.
“E tu hai mai sentito parlare di maledizioni e macumbe?” chiese Irwin, guardandola a sua volta.
“Dai, che costo c’è nel provare? Diamo una sbirciatina e via” disse Ned e gli altri due lo guardarono in silenzio.
Poco dopo, si ritrovarono davanti ad un edificio dall’aspetto poco piacevole. Stephanie lesse il nome sull’insegna posta fuori: “Fratello Voodoo”; guardò Ned, domandandogli: “Sei serio?”.
“E’ l’unico che ho trovato nel breve tempo possibile. O, forse, è l’unico in circolazione. Sembra che qua non amino praticare il Voodoo” rispose, mentre mangiava delle patatine in un sacchetto.
“Chiedetevi anche il perché” disse Irwin.
“Ehi, fratello, sei stato tu a portarci qua. Io nemmeno sapevo dove si trovasse” disse Ned, guardandolo.
“Però tu sapevi della sua esistenza” disse Irwin.
“Perché l’ho visto una volta su di un volantino che distribuivano a scuola” disse Ned.
“Perché accidenti distribuiscono quelle cose a scuola? Pensano che i ragazzi inizino a praticare il Voodoo?” disse stupita Stephanie.
“I ragazzi di oggi hanno la mente molto contorta, quindi è facile incitarli a compiere qualcosa di strano” disse Irwin.
“Parli proprio come mio padre” disse Stephanie. Irwin la guardò stranamente, per poi riporre lo sguardo in avanti. Stephanie fece un lungo respiro, per poi entrare nell’edificio, seguita dai due ragazzi.
“Guardate quanta roba strana” disse Ned, mentre osservava i vari oggetti posti sugli scaffali, appesi o all’interno di barattoli.
“Non capisco perché tengono a costruire questi luoghi così stretti e bui” disse Irwin.
“Così ti soffermi di più sugli oggetti. Guardate questo per esempio: secondo voi è vivo?” disse Ned, fermandosi di fronte ad un serpente. Questi si destò dal suo sonno, mordendolo.
“Che modi” disse Ned, ritraendo subito la mano. Stephanie ed Irwin furono subito al suo fianco e la ragazza, prendendogli la mano, disse: “Non sembrerebbe grave, ma un morso di serpente non è mai una bella cosa”.
“Il morso di qualsiasi animale non è mai cosa bella” la corresse Ned.
“Intendo che, se il suddetto serpente è velenoso, bisogna sapere la sua specie e trovare immediatamente l’antidoto” spiegò Stephanie.
“Magari avrò dei superpoteri e mi trasformerò in qualcuno come Spider Man. Come credete che abbia ottenuto tutte le sue abilità? Probabile con un ragno geneticamente modificato. Potrei chiamarmi Snake-Boy o Snake-Man. Sputerò veleno ai cattivi e li stritolerò con la mia super forza” disse Ned.
“Ned, torna con i piedi per terra. Intanto questo serpente chiaramente non è geneticamente modificato. Se troviamo il proprietario, potremo smetterla di pensare al peggio e vorrei uscire da qui ed andarmene il più presto a Kamar-Taj prima che mio padre distrugga tutto” disse Stephanie.
“Perché tanta fretta, amici miei? Ne avete già avuto abbastanza del mio negozio?” disse, ad un tratto una voce e dall’ombra, comparve un uomo di colore. Alto e vestito con eleganti abiti ed un cappello a cilindro in testa.
“Sembra quello strano uomo in quel cartone animato dove c’è quel principe che viene trasformato in rana” disse sottovoce Ned.
“Tu guardi troppi cartoni animati” gli disse Irwin.
“Signore, noi siamo qua solo di passaggio. Stavamo cercando qualcosa di speciale” disse Stephanie.
“Mademoiselle, nel mio negozio ogni cosa è speciale” disse l’uomo, sorridendo. Stephanie, Ned ed Irwin si guardarono in modo preoccupato, per poi riporre l’attenzione sull’uomo, che proseguì: “Ma non abbiate paura: ditemi di cosa avete bisogno ed io vi accontenterò. Dopotutto vi trovate nel negozio del grande “Fratello Voodoo”.







Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Scusatemi per l'assenza, ma sono stata ammalata di Covid (e non so se ce l'ho ancora: domani ho l'altro tampone) ed anche tosse forte; rafreddore e mal di gola (e tutto questo nella mia settimana di ferie. Chi pià ne ha, più ne metta).
Appena mi è passata la febbre e sentivo di stare un pò meglio, ho deciso di riprendere a scrivere, mettendoci un cattivo che originariamente era stato pensato per il secondo film di doctor strange ( e che compare anche nei fumetti): Fratello Voodoo. Volevo già dedicare questo capitolo a lui, ma ad un certo punto vedevo che mi stavo dilungando troppo e, quindi, ho preferito dedicargli il prossimo (il numero 30....mio dio, già il trentesimo capitolo? Non pensavo di arrivare così in là)
Grazie, come sempre, per le bellissime recensioni; per tutti/e coloro che sono sempre rimasti/e fedeli alla storia fin dall'inizio; a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite o chi semplicemente ci ha dato una letta, passando di qua.
Grazie alle mie recensori veterane. GRAZIE DI CUORE (ed anche a quelli nuovi)
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Vi auguro un buon proseguimento di serata ed un buon lavoro (o buona scuola) per domani
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte e caloroso abbraccio
Valentina
 
 

 

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Capitolo 30
*** Una scelta sbagliata ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXX: Una scelta sbagliata


 

Stephanie guardava con paura mentre la parte malvagia di suo padre stava combattendo contro Fratello Voodoo. Tutto intorno a loro c’era distruzione e caos. Quindi disse: “Che cosa ho combinato?”.
Ma ritorniamo indietro di qualche ora, prima che tutto ciò accadesse…
 
Stephanie, Irwin e Ned si trovavano nel negozio di Fratello Voodoo, un uomo di colore dai vestiti bizzarri e che, molto probabilmente, nascondeva qualcosa di sinistro.
“Come ho appena detto, noi qua siamo solo di passaggio e stiamo cercando qualcosa di speciale” disse Stephanie.
“Sei innamorata di qualcuno?” le domandò, facendo un piccolo sorriso. Ned ed Irwin arrossirono in viso. Stephanie rispose: “C’è un ragazzo, ma non è di queste parti”.
“Forse potrei darti una mano per raggiungerlo” disse Fratello Voodoo.
“Senta, verrò subito al sodo: mi serve qualcosa che faccia rimettere insieme i miei. Da quando mia madre ha annunciato le sue nozze con un altro uomo, sembra che mio padre sia caduto in depressione. Ha ricominciato a bere ed ha attacchi di rabbia molto frequenti” spiegò Stephanie.
“Non che prima non ne avesse” disse Irwin e Ned annuì.
“Ha qualcosa che può fare al caso mio?” chiese Stephanie.
“Ci sarebbe una pozione. È molto semplice usarla: basta solo che ne versi un po' su quello che berrà o mangerà tua madre e compi lo stesso procedimento anche con tuo padre. Et voilà, i tuoi genitori si rimetteranno insieme” spiegò Fratello Voodoo.
“Perché sento puzza di tranello” disse Irwin.
“Che tranello vuoi ci possa essere, giovanotto? I genitori ritorneranno insieme e la ragazzina sarà di nuovo contenta. Tu ottieni quello che vuoi. Io ottengo quello che voglio” disse Fratello Voodoo, dando loro di schiena.
“E cos’è che otterrebbe?” domandò Stephanie. Fratello Voodoo fece un sorriso malizioso; poi si voltò e, mentre camminava verso Stephanie, rispose: “Mia cara ragazza, ciò che voglio sarà di poca importanza per te. Ma per me varrà molto”.
“Non ho oro con me e nemmeno nient’altro di prezioso” disse Stephanie.
“Non la stia ad ascoltare, è troppo modesta: suo padre vive in una casa di lusso. Sicuramente troverà qualcosa di molto pregiato da darle” disse Ned.
“Ned, stai zitto!” replicò Stephanie, guardandolo.
“Devi saper trattare: se tu dai a lui qualcosa di veramente molto pregiato, poi lui non ti rilascia una pozione che non funziona. Devi essere coperta in caso accada qualcosa di spiacevole” spiegò Ned. Stephanie lo guardò malamente e, dopo che entrambi ebbero rivoltato lo sguardo, Fratello Voodoo disse, prendendo una ciocca di capelli di Stephanie: “Non per forza ciò che sarà importante deve essere di valore o prezioso. A me bastano anche questi”.
“Vuole i miei capelli?!” disse stupita Stephanie.
“No, non sono così avaro: me ne bastano due. Nel caso ne perdessi uno” disse Fratello Voodoo e le strappò due capelli.
“Davvero non vuole nient’altro in cambio?” chiese Stephanie.
“No, sono a posto così, stai tranquilla. Io vado a prepararti la pozione. Nel frattempo potete guardarvi intorno” rispose Fratello Voodoo e, voltandosi, si recò in una stanzetta sul retro.
“Quel tipo continua a non convincermi” disse Irwin.
“Ormai siamo qua e non possiamo più tirarci indietro. E poi siete stati proprio voi a portarmi in questo posto” disse Stephanie, mentre osservava i vari oggetti.
“Il nostro era solo un consiglio. Avresti anche potuto non ascoltarci” disse Irwin, seguendola.
“Gli amici non danno mai consigli sbagliati. Almeno credo” disse Stephanie.
“Non se il suddetto amico voglia togliersi dagli istinti omicidi del padre dell’amica” disse Ned. Stephanie guardò Irwin, che disse: “Non starlo ad ascoltare. Sì, ho paura di tuo padre ma non mi permetterei mai di darti consigli sbagliati. Io stesso avevo detto di andarci cauti con il voodoo e di far scorrere i fatti”.
“Se faccio scorrere i fatti, i miei genitori non si rimetteranno mai più insieme, quindi bisogna anche accelerare la cosa, dandole una leggera spinta” disse Stephanie.
“E tu definisci utilizzare una pozione, dare una leggera spinta?” domandò Irwin.
“Non se ne accorgeranno neanche della differenza. Si troveranno solamente più attratti l’uno dall’altra” rispose Stephanie, facendo un piccolo sorriso ed Irwin scosse negativamente la testa.
“Ragazzi, guardate cosa ho trovato di bello” disse Ned. I due si avvicinarono a lui, per osservare l’oggetto che il ragazzo teneva in mano: era rotondo; di colore verde scuro e, al centro era presente l’immagine stilizzata di un pitone.
“Chissà di cosa si tratta” disse Ned.
“Mi sembra un sasso colorato, con su un semplice disegno. Rimettilo al suo posto e, dopo che mi avrà consegnato la pozione, andiamocene immediatamente da qua” disse Stephanie.
“Quello non è un semplice sasso colorato, ma un medaglione rappresentante Dagbe, la divinità più importante del Vudù e con le sembianze di un pitone. A lei i fedeli chiedono il potere di cambiare e di diventare persone migliori. Se hai trovato quell’oggetto in mezzo a tantissimi altri, allora vuol dire che è destinato a te” spiegò l’uomo ritornando da loro.
“In effetti mi allettava l’idea di comprarlo” disse Ned.
“Ha pronto la mia pozione?” chiese Stephanie.
“Impaziente come il padre” disse l’uomo e, dopo che Stephanie ebbe inarcato un sopracciglio, aggiunse: “Comunque, eccola qua. Il procedimento già lo conosci. Cerca di non esitare, perché una volta aperta la fialetta, non si può tornare indietro” e le consegnò la pozione.
“Sarò decisa, non si preoccupi. Non sono una che si tira indietro tanto facilmente” disse Stephanie.
L’uomo sorrise e, da una tasca interna della giacca, estrasse un’altra pozione e, mentre l’allungava a Stephanie, disse: “Tieni: è per poter rivedere il tuo amato di un altro universo”.
“Cos’altro vuole in cambio?” domandò Stephanie.
“Questa la offro io. Tu mi hai già donato tantissimo” rispose l’uomo.
“Che saranno mai due capelli” disse Stephanie.
“Oh, fidati che valgono molto” disse l’uomo, facendo un sorriso malizioso. Calò il silenzio; poi Ned disse, mostrando il medaglione che teneva in mano: “Emm…vorrei acquistare questo”.
“Ottima scelta, ragazzo” disse l’uomo e, dopo che Ned ebbe pagato, i tre si diressero alla porta, quando l’uomo disse: “Arrivederci…Stephanie Strange”. La ragazza si fermò; si voltò, guardandolo stranamente, ma l’uomo era già sparito. Quindi, con gli amici uscì.
“Con questo medaglione farò vedere a tutti chi sono veramente. Diventerò una persona migliore” disse Ned.
“Ma tu non ne hai bisogno, perché sei già una persona migliore” disse Irwin.
“Allora ho sprecato dei soldi per niente” disse Ned.
“Vedrai che lo utilizzerai in un’altra maniera” disse Irwin. I due guardarono l’amica e, vedendola silenziosa, Irwin le chiese: “Stephanie, tutto bene?”.
“Quell’uomo, come faceva a sapere il mio nome? Nessuno di noi glielo ha mai detto” rispose Stephanie, guardandolo.
“Magari ti aveva visto da qualche parte ed ha voluto informarsi chi fossi” disse Ned.
“E magari fa così con tutti i clienti che entrano nel suo negozio. È una cosa ridicola! Quell’uomo nasconde qualcosa” disse Stephanie.
“Che noi non scopriremo adesso, perché tu devi recarti subito a Kamar-Taj prima che tuo padre si arrabbi di più” disse Irwin.
“Va bene, ma voi cercate più informazioni possibili su di lui. Ci sentiamo in serata” disse Stephanie.
“Saremo i tuoi occhi e orecchie di questo universo…emmm…posto” disse Ned.
Poco dopo, Stephanie si ritrovò in mezzo agli altri apprendisti, mentre erano pronti a combattere uno contro l’altro, divisi in coppie. Stephen l’osservava, standosene a bordo del cortile.
“Mi raccomando, niente colpi mortali: queste lezioni servono per la vostra difesa e scoprire eventuali punti deboli per l’attacco. Ok, incominciate” disse Wong e gli apprendisti iniziarono a combattere uno contro l’altro.
Il ragazzo contro Stephanie disse: “Non ci andrò piano solo perché sei femmina”.
“Non te l’ho neanche chiesto” disse Stephanie. Il ragazzo andò all’attacco e Stephanie cercava di difendersi più che poteva, ma cadeva a terra più volte. Stephanie si rialzò: riusciva a parare qualche colpo, ma il ragazzo la faceva cadere nuovamente a terra.
“Basta, facciamo una pausa” disse Wong. Il ragazzo si avvicinò a Stephanie, allungandole una mano, ma la giovane Strange volse lo sguardo da una parte; si alzò, allontanandosi dal cortile. Il ragazzo la guardò rimanendo un po' dispiaciuto, mentre Stephen, mentre la figlia gli passò accanto, riuscì a fermarla.
“Mi dici che cosa ti prende?” le domandò.
“Niente” rispose corto lei.
“Fino a qualche giorno fa riuscivi a difenderti e ad attaccare in modo non del tutto brillante, ma non orribile come oggi. Non sei concentrata: a cosa stai pensando?” disse Stephen.
“Te l’ho detto: a niente. E poi, se anche fosse, a te cosa dovrebbe importare?” ribatté Stephanie.
“Non usare questo tono con me, signorinella! Come ho deciso di farti iniziare gli addestramenti, posso anche farteli smettere già da oggi! Quindi vedi di metterci di nuovo impegno, se no non rivedrai mai più questo posto!” replicò Stephen.
“Dovresti esserne felice: hai sempre detto che la mia strada era unicamente quella della neurochirurgia! Ora che faccio schifo con le arti mistiche, non dovrebbe più essere un problema diventare ciò che tu hai sempre pianificato per me!” ribatté Stephanie e, se ne andò. Stephen la guardò, gridandole: “Stephanie, torna subito qua! È un ordine!” e la sua pietra brillò, così come gli occhi che divennero rossi.
Stephanie, aveva ormai già svoltato l’angolo. A Stephen si affiancò Wong, che disse: “Non devi farle tanta pressione: ricordati che ha trovato solo di recente il suo karma interiore”.
“Lo so, visto che l’ho aiutata proprio io! Ma lei non si deve permettere di trattarmi in questa maniera! È chiaro che non è concentrata. Mi nasconde qualcosa, solo che non vuole dirmelo” replicò Stephen.
“Se continui ad urlarle contro, è logico che non te lo dirà mai. Meglio andarci piano e con gentilezza” disse Wong. Stephen lo guardò e la sua pietra smise di brillare, così come gli occhi che ritornarono azzurri. Wong guardò l’oggetto e, dopo averlo preso con una mano, disse: “Questa pietra non durerà ancora per molto”.
“Durerà il tempo necessario per tenere ancora intrappolata la mia parte malvagia” disse Stephen.
“L’hai sforzata troppo: la luna piena durante quella notte di Halloween, l’aveva rimessa a posto. Ora non ci sarà nulla per riportarla al suo sfarzo originale. Sta perdendo sempre più potere, come tu stai perdendo il controllo sulla tua parte malvagia. La prossima volta che ti arrabbierai, potrebbe essere la fine di questa pietra e della luce nel tuo cuore” spiegò Wong.
“Stephanie ci ha messo tutta sé stessa per trovarmi questa pietra: non posso mandare tutto a monte. Non sarebbe corretto nei suoi confronti” disse Stephen.
“Allora va a parlare con lei” disse Wong. Così Stephen andò dove alloggiava Stephanie. Bussò un paio di volte, non ricevendo risposta. Aprì la porta, per vedere la figlia che stava facendo la valigia.
“Così te ne vai” le disse.
“Tanto cosa rimango a fare? Meglio che mi dedico solo alla neurochirurgia, visto che con le arti mistiche non valgo nulla” disse Stephanie.
Stephen entrò nella stanza e, raggiungendola, disse: “Ehi, non dire così: tu sei bravissima in entrambe le cose”.
“Non è vero e lo hai potuto vedere anche tu: non ne azzecco una, combinando pasticci uno dietro l’altro. Gli altri apprendisti riescono ad aprire un portale con gli occhi chiusi, mentre io non riesco nemmeno a creare uno scudo perfetto. Grazie che mi difendi, ma non servirà a nulla” disse Stephanie, guardandolo.
Stephen si avvicinò a lei e, mentre l’abbracciava, disse: “Va tutto bene, cucciola. Mi dispiace per prima: non volevo urlarti in quella maniera. Devo cercare di calmarmi: la mia pietra non potrebbe sopportare un’altra sfuriata” e la guardò. Poi le mise una mano sotto il mento, aggiungendo: “Ma tu sai il gran bene che ti voglio e, qualunque cosa accada, io ti proteggerò” e Stephanie, guardandolo a sua volta, fece un piccolo sorriso.
Il giorno dopo, Stephanie si ritrovò nascosta dietro ad un cespuglio nel parco. Teneva in mano la pozione che le aveva consegnato quello strano uomo. Poi estrasse l’altra: la guardò, rigirandola nella mano. Davvero con quella piccola boccetta avrebbe potuto rivedere Peter? Dopotutto non aveva più avuto sue notizie da quando era ritornato nel suo universo. Avrebbe tanto voluto incontrarlo di nuovo; sapere come se la passava e se aveva, finalmente, cambiato vita. Non si erano nemmeno scambiati i numeri di cellulare, ma solamente una foto fatta insieme ed un pezzo della cappa di levitazione.
Stephanie sospirò e, mentre rimetteva via le boccette, venne raggiunta da Irwin e Ned: “Ragazzi che cosa ci fate qua?” chiese loro.
“Siamo venuti a farti compagnia” rispose Ned.
“Quando ci siamo sentiti ieri sera, ero stata espressamente chiara che volevo compiere questa cosa da sola” disse Stephanie.
“Che amici saremmo se ti avessimo ascoltata? Dobbiamo sostenerci a vicenda” disse Irwin. Stephanie scosse negativamente la testa. Poi tutti e tre porsero l’attenzione davanti a loro, dove Stephanie aveva preparato un tavolino con sopra dei dolci.
“Credi davvero che i tuoi genitori abboccheranno?” domandò Ned.
“Ho scritto ad entrambi biglietti talmente mielosi, che attirerebbero anche le api” rispose Stephanie.
“Scusa se ti contraddico, ma tuo padre non mi sembra tanto un tipo che si faccia molto intenerire” disse Ned.
“Con le cose sdolcinate che gli ho scritto, verrà di sicuro e, poi, è firmato da parte di mamma. Può dire no ad un sacco di cose, ma quando sente o vede la mamma, il suo cuore inizia a battere” spiegò Stephanie.
“E per quanto riguarda tua madre che cosa ti sei inventata?” chiese Irwin.
“Con lei è stato un po' più complicato, ma le ho scritto i bei e romantici momenti che avevano passato insieme. Spero si intenerisca a tal punto da mettere per un momento da parte Charlie e venire” rispose Stephanie. Sentirono dei passi e si nascosero meglio dietro al cespuglio. Videro arrivare Stephen, il quale si guardò intorno con curiosità, per poi puntare lo sguardo sui dolci. Stava per prenderne uno, quando alzò lo sguardo per vedere arrivare Christine. I due si guardarono in modo stupito.
“Stephen, che cosa ci fai qua?” domandò Christine.
“Il biglietto diceva che volevi vedermi proprio in questo posto” rispose Stephen. Poi aggiunse: “E tu?”.
“Stessa cosa: nel biglietto che mi hai scritto, dicevi di incontrarci qua” gli rispose.
“Chissà come sei riuscita a convincere Charlie a lasciarti andare” disse Stephen.
“Charlie non mi comanda e, poi, sono ancora padrona di decidere da sola” disse Christine.
“Ancora? Vuol dire che, dopo il matrimonio, non potrai più?” chiese Stephen.
“Stephen, per favore, se questo incontro era tutto un preteso per litigare, allora potevamo anche non vederci” replicò Christine.
“Allora tanto vale che non ti scomodavi nemmeno a preparare questi dolci: se volevi intenerirmi, sappilo che non ci sei riuscita” ribatté Stephen.
“Non sono stata io a prepararli e poi sapevo benissimo che per intenerire un tipo come te ci vuole ben altro” replicò Christine.
“Ma se non sei stata tu a prepararli e nemmeno io, allora chi è stato?” domandò Stephen.
“Forse qualcuno che voleva prenderci per stupidi ed io ci sono cascata in pieno. Credevo che, tra di noi, ci fosse ancora qualcosa. Invece, come volevasi dimostrare, non è così. Ed io che ci avevo messo anche un po' di speranza” rispose Christine.
“Dovevano andare così le cose?” chiese Ned.
“No e non capisco del perché nessuno stia mangiando quei dolci: è lì che ho messo la pozione” rispose Stephanie.
“Di questo passo i tuoi non ritorneranno mai insieme” disse Ned.
“Ve l’avevo detto che sarebbe stata solo una perdita di tempo” disse Irwin.
“No, tu avevi detto di lasciare scorrere i fatti” disse Stephanie.
“Praticamente è la stessa identica cosa” disse Irwin.
“Emm…ragazzi” li chiamò Ned, ma i due non lo stavano ad ascoltare.
“Se lasciavo scorrere i fatti, i miei faranno in tempo a diventare anziani e, probabilmente neanche a quella età, ritorneranno insieme” disse Stephanie.
“Da retta a me e lascia perdere. Se tuo padre davvero ama ancora tua madre, allora deve trovare il coraggio di dirglielo. È grande e non ha bisogno dell’aiuto di sua figlia” disse Irwin.
“Emmm…ragazzi, forse sarebbe meglio che…” riprovò a chiamarli Ned, ma ancora senza successo.
“Lui mi ha sempre aiutata e non posso voltargli le spalle in un momento come questo. Capirebbe che non me ne importa nulla della sua vita sentimentale” disse Stephanie.
“E, infatti, non dovrebbe, perché tu devi pensare anche a te stessa. Però non posso dire lo stesso di tuo padre, perché lui si è sempre interessato della tua vita sentimentale: da quando l’ho cosciuto, sono aumentate le minacce di morte e, stavolta, non solo da parte dei miei compagni di scuola” disse Irwin.
“Ecco appunto, allora vedi che ha bisogno di me” disse Stephanie.
“Emmm…ragazzi” li chiamò Ned e, stavolta, ebbe la loro attenzione: “Che c’è?” gli domandarono.
“I tuoi se ne stanno andando. Forse dovresti fare qualcosa, visto che non hanno nemmeno toccato quei dolci” rispose Ned. Riporsero l’attenzione avanti, per vedere Stephen e Christine che stavano per prendere due strade diverse. Senza pensaci due volte, Stephanie uscì allo scoperto e li fermò: “Mamma, papà, aspettate”. I due si fermarono e rimasero stupiti nel vederla.
“Tesoro che cosa ci fai qua?” chiese Christine.
“E non dire che stavi passando per caso, perché non ci credo” aggiunse Stephen.
“Stavo passando di qua e…” iniziò col dire Stephanie, ma dopo aver visto lo sguardo poco benevole del padre, continuò: “Vi ho visti ed ho pensato di raggiungervi”; poi guardò il tavolo con i dolci; riguardò i genitori ed aggiunse: “Bei dolci: sicuro che non ne volete un po'?”.
“Stephanie sputa il rospo” disse Christine.
“Ho scritto io quei biglietti: volevo che ritornarnaste insieme, così vi ho fatto incontrare qua. Ho anche messo una pozione su quei dolci” disse Stephanie.
“E dove avresti preso questa pozione? Dalle tante scorte di tuo padre?” domandò Christine.
“Lo sa benissimo che non deve assolutamente avvicinarsi a quelle ampolle o se no verrà rinchiusa in camera sua a vita” replicò Stephen.
“Sono andata in un negozio di vudù ed un signore, solo in cambio di due miei capelli, mi ha creato questa pozione” disse Stephanie.
Calò il silenzio. Poi Stephen replicò: “Non solo ti rinchiuderò a vita in camera tua, ma metterò anche le sbarre alla finestra!”.
“Dai, non è successo niente alla fine: voi non avete mangiato quei dolci e stiamo tutti bene” disse Stephanie.
“Sei andato in un negozio di vudù: ti rendi almeno conto della pericolosità della cosa?! Il vudù è considerata magia nera” ribatté Stephen.
“Se posso correggerla, Doctor Strange, sono solo vecchie dicerie” disse, ad un certo punto, una voce. Stephanie si voltò, per vedere camminare verso di loro lo stesso uomo del negozio di vudù.
“Chi è lei? E come fa a conoscermi?” chiese Stephen.
“Chi non conosce il grande Doctor Stephen Strange? Ex neurochirurgo brillante e ora Stregone Supremo che ha salvato il mondo da un titano pazzo che ha dimezzato l’umanità” rispose l’uomo.
“Questa storia è finita già da molto tempo suoi giornali, quindi deduco che lei sia solamente un altro ciarlatano” replicò Stephen.
“A quanto pare, per la sua adorata figlia, non vengo visto così, considerando che ha acquistato da me una pozione per farvi riavvicinare” disse l’uomo.
“È stata solo una scelta sbagliata e l’abbiamo già sgridata per questo. E poi, non abbiamo nemmeno preso quella pozione” disse Stephen.
“Che peccato e dire che vostra figlia ci teneva così tanto. Ma non importa, perché io ho ottenuto ciò che volevo” disse l’uomo e fece un sorriso malizioso.
“Stephanie spostati immediatamente!” ribatté Stephen e, dopo che la ragazza fu andata accanto a Christine, Stephen mosse le mani davanti a sé, creando due scudi.
“Ha davvero paura che possa farvi del male?” domandò l’uomo, mentre estraeva qualcosa da una tasca interna della giacca.
“Chiunque pratichi il vudù, non è mai visto di buon occhio. O se ne va via, oppure sarò costretto a diventare molto cattivo” rispose Stephen.
“Vuole fare del male ad un pover’uomo come me? La credevo più benevole nei confronti delle altre persone. Dopotutto lei fa parte degli uomini e donne che ci hanno tutti salvato” disse l’uomo.
“Io lavoro meglio da solo!” replicò Stephen.
“Le ripongo la domanda di prima: vuole davvero fare del male ad un pover’ uomo come me? Io ci penserei due volte” disse l’uomo e, dalla giacca, estrasse una bambolina vudù dalle sembianze di Stephanie.
Rimasero senza parole, così come Ned ed Irwin ancora nascosti dietro al cespuglio: “Non è una bella cosa” disse Ned.
“Credo che sia troppo tardi per tornare indietro. Lo sapevo che dovevate darmi ascolto prima” disse Irwin.
“Forse dovremmo intervenire” propose Ned.
“O forse prima è meglio vedere come si sviluppa la situazione e solo successivamente decidere se intervenire” disse Irwin.
“La vedi questa bambolina: come avete potuto vedere, ha le sembianze di vostra figlia. Voi direte: ma è una semplice bambola: non potrà farci male. Qui arrivata la sorpresa: ho preso due capelli da Stephanie, come merce di scambio per la pozione che le avevo preparato. Ne ho preparata un’altra, utilizzando i suoi capelli ed altri ingredienti che non sto ad elencarvi. Ho versato questa pozione sulla bambolina e provate un po' ad immaginare cosa può accadere da ora in poi” spiegò l’uomo e mosse il braccio sinistro della bambolina. Stessa cosa fece Stephanie.
“Tesoro, cosa ti succede?” chiese preoccupata Christine, guardandola.
“Non lo so, ma tutto ad un tratto sembra che non sia più padrona del mio corpo” rispose Stephanie.
“Ragazzina molto perspicace. Non mentii quando ti dissi che mi avevi donato tantissimo e ora posso comandarti a mio piacimento” disse l’uomo. Stephen e Christine rimasero senza parole; poi l’uomo aggiunse: “Preparati, Doctor Strange a vivere un incubo che, molto probabilmente, non avresti mai voluto vivere. Vediamo se hai ancora il coraggio di attaccarmi, perché questa volta ti batterai contro tua figlia” e, dopo aver sussurrato qualcosa nell’orecchio della bambolina, gli occhi di Stephanie divennero rossi.







Note dell'autrice: Eccomi qua con un altro capitolo. Il 30esimo per la precisione: a dire la verità, quando ho iniziato a pubblicare questa storia, non pensavo nemmeno di arrivare così lontano. Quindi ringrazio VOI per tutto il sostegno. E' grazie a voi se sono arrivata fino a qua: GRAZIE davvero
Vi sta piacendo? Pareri? Stephanie ci riprova a rimettere insieme i genitori (prima che la madre si sposi) ma ovviamente si va a cacciare in un grosso guaio. L'uomo in questione è Fratello Voodoo (presente nei fumetti di strange) e ne tratterò meglio nel prossimo capitolo. E' un antagonista di strange ed avevo letto che volevano introdurlo nel secondo film (cosa che poi non hanno fatto e sappiamo tutti come è andata la storia) Vedremo come andrà a finire
Grazie a tutti/e per le bellissime recensioni; per aver messo la storia tra le preferite e seguite o chi è semplicemente passato di qua per una letta
Grazie ai miei recensori veterani per il sostegno. Grazie davvero di cuore e per le sempre bellissime parole che spnedete nelle vostra recensioni
Grazie alla mia carissima amica Lucia
Vi auguro una buona notte (visto l'ora) ed un buon inizio di week end
Un forte e caloroso abbraccio
Valentina

 
 

 

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Capitolo 31
*** Il ritorno dello stregone oscuro ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 


Capitolo XXXI: Il ritorno dello stregone oscuro




 
Jericho e Daniel Drumm erano due fratelli originari di Haiti. Daniel, il primogenito, dopo anni di addestramento a Kamar-Taj, era diventato su nomina dell’Antico, lo stregone supremo del Sanctum Sanctorum di New York.
Jericho, incantato dalla magia del fratello, decise anche lui di intraprendere quest’arte. Così, dopo aver passato dodici anni in America a studiare Psicologia, ritornò ad Haiti. Una volta arrivato nel paese natio, incontrò Papa Jambo, lo sciamano del villaggio dov’erano cresciuti lui e suo fratello.
Papa Jambo lo prese come suo studente e, dopo poco tempo, Jericho divenne molto abile nelle arti mistiche e nei riti voodoo.
Ritornato a New York, si diresse al Sanctum Sanctorum ma, una volta al suo interno, trovò detriti e macerie. Si fece largo tra esse, quando vide un corpo. Ma non un corpo qualunque: si trattava di suo fratello.
Corse subito da lui e, dopo essersi inginocchiato al suo fianco, lo chiamò. Debolmente Daniel aprì gli occhi e, dopo aver focalizzato chi gli stava accanto, fece un piccolo sorriso, dicendo: “Jericho, sei ritornato”.
“Volevo farti una sorpresa ma, a quanto pare, tu l’hai fatta a me. Cosa è successo?” gli domandò.
“Stavo parlando con il Doctor Stephen Strange, un nuovo allievo dell’Antico, quando sono stato attaccato dagli zeloti. A guidarli c’era Kaecilius. Ho provato a difendermi, ma lui è stato più veloce di me” rispose Daniel.
“Sarei dovuto arrivare prima ed aiutarti” disse Jericho.
“Non avresti potuto fare nulla: Kaelicius ed i suoi zeloti erano troppo forti anche per uno come me” disse Daniel. Quando gli venne una forte fitta.
“E quel Doctor Strange? Non poteva darti una mano?” chiese.
“Non gli hanno dato il tempo di reagire” gli rispose.
“Allora cosa è venuto a fare qui, se non ti ha nemmeno aiutato? Ora dove è finito?” domandò Jericho, guardandosi intorno.
“Probabile che Kaelicius e gli altri lo abbiano inseguito” rispose Daniel; poi, dopo che il fratello lo ebbe riguardato, aggiunse: “Promettimi una cosa: non ti far tentare troppo dalle arti mistiche. Parecchi stregoni sono stati consumati dalla magia, finendo con l’impazzire e perdere sé stessi. Non commettere gli stessi errori. Tu devi essere più forte”.
“Ritornerò da Papa Jambo ed imparerò di più” disse Jericho.
“Recati a Kamar-Taj dove l’Antico potrà aiutarti. A me ha insegnato molto” propose Daniel.
“A quanto pare non c’è riuscito con questo Doctor Strange, perché poteva aiutarti, invece di scappare via. È solo un codardo. Vorrà dire che ci penserò io ad affrontare questo Kaelicius” replicò Jericho.
“Non sei ancora pronto. Ti prego, fa come ti dico: è il mio ultimo desiderio. Promettimelo” disse Daniel, allungando una mano. Jericho fu indeciso; poi prese la mano del fratello, dicendo: “Te lo prometto”.
“Ricordati: tu sei il più forte, ma non farti tentare dalla magia oscura” disse Daniel e spirò.
“Ci proverò…fratello” disse Jericho. Rimase lì, ad osservarlo in silenzio, contemplando ciò che gli aveva detto. Poi lo seppellì, non molto distante da lì. Avrebbe tanto voluto riportare il suo corpo ad Haiti, ma non avrebbe mai avuto il tempo necessario.
Si ritrovò a rovistare tra alcuni suoi oggetti, trovando foto di lui, insieme ad alcune persone vestite in modo strano, in un luogo sulle montagne e contornato da templi. In un angolo della foto c’era riportato Kamar-Taj. Fu lì che si recò, arrivandoci qualche ora dopo.
Cercò l’Antico, trovandolo. Si presentò come il fratello di Daniel Drumm, chiedendogli di insegnarli di più sulle arti mistiche. Ma l’Antico non lo accettò: gli disse che in lui non c’era l’equilibrio giusto per imparare e, vedeva nel suo cuore solo tanta rabbia e vendetta.
Jericho insistette, ma l’Antico continuava a rifiutare la sua proposta. L’uomo l’attaccò, ma l’Antico, voltandosi in tempo e portando una mano davanti a sé, lo bloccò con una forza invisibile. Gli disse che lui non avrebbe mai potuto prendere il posto di suo fratello al Sanctum Sanctorum di New York: che quel posto era già destinato ad un’altra persona.
Jericho capì: che quella persona fosse quel Doctor Strange di cui aveva parlato poco prima suo fratello? Non fece in tempo a porre altre domande, che l’Antico, tramite un portale, lo spedì in un altro posto.
Jericho era fuori di sé dalla rabbia e, dopo essersi recato alla tomba di Daniel, disse: “Mi dispiace, fratello, ma l’Antico non ha voluto prendermi come suo studente. Non adempierò alla tua promessa: farò di testa mia e nessuno potrà fermarmi! Troverò questo Doctor Strange e gliela farò pagare cara, per aver causato la tua morte e la mia disgrazia”.
Jericho ritornò ad Haiti, dove uccise senza pietà Papa Jambo. Si recò al tempio del dio Damballah, uccidendo i suoi seguaci e rubando la collana della divinità alla statua, acquisendone i suoi poteri. Si proclamò campione e stregone supremo di Haiti, cambiando il suo nome in quello di Fratello Voodoo.
Una volta ritornato a New York, aprì un negozio di oggetti del Voodoo, in una vecchia abitazione disabitata e, da quel momento, seguì ogni spostamento del Doctor Strange, che era diventato il nuovo stregone supremo del Sanctum Sanctorum di New York.
Con il passare degli anni e, dopo essere sopravvissuto allo schiocco di Thanos, seguì anche Christine e Stephanie, non perdendole mai di vista, così come anche Doctor Strange. Prima o poi quell’uomo avrebbe pagato con la stessa sofferenza che aveva passato lui dopo la morte di suo fratello. L’occasione gli capitò proprio quando, un giorno, la figlia di Strange entrò nel suo negozio.

 
Christine osservava la figlia, i quali occhi erano diventati rossi: “Stephen, cosa sta succedendo a Stephanie?” chiese preoccupata.
“Quel pazzo la sta controllando tramite quella bambolina. Dobbiamo prenderla e distruggerla” rispose Stephen, continuando a guardare Fratello Voodoo, che disse: “Se fossi in te, non lo farei: se distruggerai questa bambolina, potrai dire addio per sempre alla tua dolce figlioletta. Vuoi veramente questo? Perché io lo desidero da molto tempo”.
“Non so di che cosa tu stia parlando! Ti ripeto: non ti conosco!” replicò Stephen.
“Forse tu conoscevi mio fratello Daniel Drumm: è stato lo stregone supremo del Sanctum Sanctorum, prima che tu gli soffiassi il posto. Ma tu eri troppo intento a scappare, piuttosto che aiutarlo a combattere contro Kaelicius ed i suoi zeloti” spiegò Fratello Voodoo.
“Non ho potuto fare nulla: Kaelicius non mi ha dato il tempo necessario per difendere tuo fratello. Non è colpa mia se è morto” disse Stephen.
“Non mentirmi: mio fratello mi ha detto che, poco prima dell’attacco, stava parlando con te! Quindi è colpa tua se non si è potuto preparare a dovere per difendersi” ribatté Fratello Voodoo.
“Tuo fratello aveva predetto il loro arrivo tramite il piano astrale. Mi ha detto di non seguirlo: che non potevo competere con loro. Non l’ho ascoltato: volevo aiutarlo. Così sono sceso per la scalinata, ma non ho nemmeno fatto in tempo a compiere nulla, che Kaelicius lo ha ferito mortalmente con una lama di vetro. Tuo fratello era un grande stregone supremo” spiegò Stephen.
“Sì, lo era e tu non sarai mai come lui! L’Antico ha solamente sbagliato a prenderti come studente, perché con me si è rifiutata! Ha detto che non c’era l’equilibrio giusto per imparare e vedeva nel mio cuore solamente rabbia e vendetta. L’ho implorata di insegnarmi di più sulle arti mistiche, ma mi ha rigettato, dicendomi che il posto lasciato libero da mio fratello, era già destinato ad un’altra persona. Ho capito che si riferiva a te: il prediletto appena arrivato. Il dottore arrogante che pensava solo ai soldi, a sé stesso e non alle altre persone. Perché te e non me? Cosa avevi di diverso rispetto a me? Cosa ci ha visto in te l’Antico, da prenderti senza problemi?” replicò Fratello Voodoo.
“Ti sbagli: l’Antico mi ha cacciato. Non voleva insegnarmi. Ma io sono rimasto, finché non mi ha preso. Diceva che non avevo speranza; che ero troppo caparbio; arrogante; ambizioso: tutte cose che aveva già visto. Vuoi che vada avanti o ti è sufficiente per capire che ero un caso perso?” spiegò Stephen.
“Eppure sei diventato lo stregone supremo” disse Fratello Voodoo.
“No, ho perso il titolo durante i cinque anni che sono stato spazzato via dallo schiocco” disse Stephen.
“Non mi interessa, perché mio fratello è morto per causa tua! Ma io ti farò soffrire, come tu hai fatto con me!” ribatté Fratello Voodoo e sussurrò qualcosa nell’orecchio della bambolina. Stephanie avanzò verso di lui. Christine cercò di fermarla, mettendole una mano sulla spalla, ma la ragazza si voltò: prese la mano della madre, girandogliela. Christine urlò per il dolore e, successivamente, Stephanie la fece volare a terra tramite una magia invisibile. Poi si voltò e proseguì il suo cammino. Una volta di fronte a Fratello Voodoo, si voltò verso i genitori, creando due scudi dorati.
Stephen si inginocchiò al fianco di Christine, sorreggendola: “Come stai?”.
“Cosa è successo a nostra figlia?” domandò.
“Te l’ho detto: tramite quella bambolina, ora è sotto il controllo di quell’uomo. Devo cercare di sottrargliela e trovare un modo di spezzare il maleficio” rispose Stephen.
“Cerca di non fare del male a Stephanie” disse Christine.
“Tenterò e, se non riuscirò a liberarla, passerò alle maniere forti” disse Stephen e, con una mano, si toccò la pietra nell’Occhio di Agamotto, che brillò. Poi aiutò Christine a rialzarsi e la donna gli disse, mettendogli una mano sulla guancia: “Mi raccomando, stai attento”.
Stephen mise una mano su quella di lei; poi si voltò e, compiendo qualche passo, disse: “Riconsegnami mia figlia e finiamola qui”.
“Non è colpa mia se tua figlia non ha avuto il coraggio di utilizzare la pozione che le avevo preparato. Comunque ho ottenuto lo stesso ciò che volevo e lei non avrebbe mai dovuto venire nel mio negozio” disse Fratello Voodoo.
“Emmm…veramente l’idea è stata nostra” disse Irwin, uscendo dal cespuglio insieme a Ned, che aggiunse: “Sì, siamo stati noi a convincerla ad andare da lui”.
“Quando accade qualcosa di brutto, ci siete sempre voi due di mezzo! Una volta che avrò finito qui, sappiatelo che non ve la farò passare liscia!” replicò Stephen, guardandola. Poi, rivolse lo sguardo in avanti e, facendo scomparire uno scudo, creò una catena dorata che lanciò verso Stephanie. La ragazza si protesse, per poi lanciare uno dei due scudi verso di lui. Stephen lo evitò, così come chi era accanto a lui e lo scudo si andò a conficcare nel tronco di un albero.
“Cerchiamo di non fare danno a chi ci sta intorno” disse Stephen e, dopo aver mosso le mani, creò la dimensione specchio, inglobando lui, Stephanie e Fratello Voodoo.
“Pensi davvero che rinchiudendoci nella dimensione specchio, abbia meno potere?” chiese Fratello Voodoo.
“Non commetto gli stessi errori due volte. Così facendo, anche io avrò più potere” rispose Stephen.
“Non farmi ridere: così non sei nulla” disse Fratello Voodoo.
“Infatti, non hai ancora visto il meglio di me” disse Stephen e, dopo aver fatto un sorriso malizioso, estrasse la pietra dall’Occhio di Agamotto. La guardò brillare; poi spostò lo sguardo su Stephanie, dicendole: “So che ora non mi capirai: mi dispiace molto per tutta la fatica che hai fatto per prendere questa pietra, ma è l’unico modo per salvarti. Perdonami, cucciola mia” e, formando una fiamma nera, distrusse la pietra.
I suoi occhi divennero rossi, così come le vesti e la cappa assunsero il colore nero. Di Stephen non c’era rimasto più nulla: lo stregone oscuro era ritornato.
“Finalmente ora ci divertiremo” disse Fratello Voodoo; poi aggiunse: “Va, giovane Strange ed attacca tuo padre” e Stephanie andò all’attacco, creando due catene dorate.
“Odio dover combattere contro le belle ragazze, soprattutto se si tratta di mia figlia” disse Stephen e, lui stesso creò una catena dorata, “prendendo” quelle di Stephanie. La ragazza tirò, ma lo stregone supremo tirò ancora più forte, facendola cadere davanti a sé. Quindi ne approfittò per andare verso Fratello Voodoo. Questi cercò di attaccarlo, ma Stephen lo prese per il collo, sollevandolo a mezz’aria ed iniziando a stritolarlo.
“Non ti vergogni a nasconderti dietro a mia figlia? Abbi il coraggio di affrontarmi senza dover ricorrere agli altri” ribatté Stephen.
“Come vuoi tu ma, almeno, dammi il tempo di preparare la mia arma” disse Fratello Voodoo, facendo un piccolo sorriso e, lentamente abbassò la mano verso la bambolina che teneva in cintura.
Stephen se ne accorse e, in uno scatto veloce, con l’altra mano gli rubò la bambolina. Poi lasciò andare Fratello Voodoo e disse: “Vediamo come ti comporterai da adesso in poi” e, creando una fiamma nera, bruciò la bambolina.
Dall’esterno della dimensione specchio, Christine vide cosa Stephen stava facendo, quindi gli gridò: “No, Stephen, non farlo! Così ucciderai Stephanie!”.
“Non credo che la stia uccidendo, anche perché Stephanie dovrebbe bruciare” disse Ned. In effetti, alla ragazza non stava accadendo nulla ma, una volta che la bambolina fu carbonizzata del tutto, aprì gli occhi; si guardò intorno e, vedendo suo padre con i vestiti neri, domandò: “Papà, cosa hai fatto?”.
Stephen si voltò e, senza risponderle, con una forza invisibile la fece volare fuori dalla dimensione specchio. Atterrò accanto agli altri.
“Tesoro stai bene?” le chiese preoccupata Christine.
“Che cosa è successo?” domandò.
“E’ una storia un po' lunga, ma per farla breve quell’uomo pazzo aveva creato una bambolina voodoo con le tue sembianze. Eri totalmente sotto il suo controllo e tuo padre non poteva attaccarti. Così credo che abbia distrutto la sua pietra, facendo ritornare lo stregone oscuro. Poi lui ha carbonizzato la bambolina, liberandoti. Però c’è una cosa che non capisco: se quell’uomo, tramite la bambolina, poteva farti del male, come mai quando è stata bruciata da tuo padre, non ti è accaduto nulla?” spiegò Ned.
“Per il semplice motivo che, quando due magie sono uguali, non hanno effetti diversi” disse Irwin. Gli altri lo guardarono in modo strano; quindi Irwin aggiunse: “Il voodoo è ritenuto magia oscura, così come anche quella di tuo padre, ora che è ritornato ad essere lo stregone oscuro. Probabilmente lui già sapeva che questa sarebbe stata l’unica soluzione per rompere il maleficio che incombeva su di te tramite quella bambolina ma, così facendo, ha sacrificato la sua parte buona”.
Stephanie si alzò, aiutata dalla madre e, mentre guardava con paura suo padre e Fratello Voodoo che combattevano, mentre tutto intorno a loro – ma restando nella dimensione specchio – regnava distruzione e caos, disse: “Che cosa ho combinato?”.
Stephen e Fratello Voodoo continuavano ad attaccarsi a vicenda, quando Stephen scaraventò a terra l’avversario. Lo stregone oscuro avanzò verso di lui e, prima che potesse attaccarlo nuovamente, Fratello Voodoo riuscì a far comparire un lungo bastone, sopra la cui cima era presente un cristallo verde. Parò il colpo, facendo indietreggiare Stephen. Quindi si rialzò.
“Iniziavo ad annoiarmi: meno male che hai ancora qualche altro asso nella manica” disse Stephen e ritornarono a combattere.
“Dobbiamo cercare di far ritornare Stephen quello di prima. Qualche idea?” disse Christine.
“Ci servirebbe un’altra pietra per poter rinchiudere nuovamente la sua parte malvagia, ma non abbiamo molto tempo per andarla a cercare” disse Ned.
“Non per forza serve una pietra: le entità malvagie possono essere intrappolate anche all’interno di altri oggetti che riescano a contenerle” spiegò Irwin.
“Perfetto, allora ritorniamo al negozio dell’uomo strano e rubiamogli qualche oggetto che ci potrà servire” disse Ned.
“Nel frattempo che andiamo e torniamo, papà lo avrà già fatto fuori. Dev’essere qualcosa a portata di mano” disse Stephanie. In quel momento, a Ned venne in mente che, effettivamente, possedeva un oggetto. Dalla tasca dei pantaloni, estrasse quindi il medaglione con sopra stilizzato il pitone. Lo mostrò agli altri.
“Credete che questo possa funzionare?” chiese Ned. Stephanie lo prese in mano; l’osservò e, prima che gli altri potessero fermarla, corse verso suo padre e Fratello Voodoo.
“Stephanie, torna qua” la richiamò Christine e cercò di seguirla, ma venne trattenuta da Ned ed Irwin. Quest’ultimo le disse: “E’ pericoloso”.
“È pericoloso anche per Stephanie. Vi prego, lasciatemi andare a fermarla” disse Christine.
Stephanie continuava a correre. Era quasi arrivata, quando un forte incantesimo ruppe la dimensione specchio. La ragazza si fermò, cercando di proteggersi con le braccia, ma tutti i frammenti stavano finendo contro di lei, quando qualcuno si mise di fronte a lei: tolse le braccia, per vedere il padre che la guardava, facendole da scudo.
I due si guardarono in silenzio e, una volta che frammenti di vetro finirono, Stephen si voltò, tenendo sempre dietro di sé la figlia. Davanti a loro, Fratello Voodoo era pieno di graffi che sanguinavano. Puntò il bastone contro di loro: “Pensi che sia finita? Non mi sconfiggerai così facilmente!”.
“Stephanie ritorna da tua madre” le disse Stephen.
“Voglio aiutarti” disse Stephanie.
“Ho detto torna da tua madre! Ora!” replicò Stephen, voltandosi verso di lei. Stephanie non fece in tempo ad andarsene, che Fratello Voodoo, lanciò loro un incantesimo tramite il cristallo verde. Stephen e Stephanie caddero in avanti ed il medaglione si ruppe in due. Al suo interno vi era una pietra di colore nero. Stephanie la prese in mano, osservandola. Guardò il padre, avvicinandosi a lui. Stephen osservò l’oggetto che la figlia teneva in mano. Spostò di lato lo sguardo, per poi alzarsi e fronteggiare Fratello Voodoo. Stephanie se ne rimase a terra, guardandoli.
“Ti do due opzioni: o te ne vai, oppure morirai per mano mia” disse Stephen.
“Io voglio solo vendetta per mio fratello!” ribatté Fratello Voodoo.
“Allora morirai” disse Stephen. I due si stavano per lanciare un incantesimo, quando Stephanie si mise in mezzo a loro, mettendo la pietra davanti a sé. L’incantesimo di Fratello Voodoo colpì l’oggetto, facendo uscire da esso Damballah, il dio dalle sembianze di un pitone. Questi sibilò verso Fratello Voodoo, il quale inginocchiandosi disse: “Potente Damballah, abbi pietà di me: non era mia intenzione derubarti della tua collana, ma sono stato costretto. La mia sete di rabbia e vendetta mi ha fatto prendere decisioni sbagliate. Ti prego, risparmiami” ed alzò lo sguardo.
Damballah lo guardò; sibilò e, volando verso Fratello Voodoo, lo avvolse, facendolo scomparire in una luce dorata. Poi si fermò di fronte ai due Strange, soffermando lo sguardo su Stephanie: abbassò il capo, per poi ritornare dentro la pietra, che brillò.
Stephanie andò di fronte a Stephen, guardandolo. Questi disse: “Fa ciò che ritieni giusto”. Stephanie sorrise, per poi mettere la pietra nera all’interno dell’Occhio di Agamotto, che la inglobò. Gli occhi di Stephen ritornarono azzurri, così come le vesti del colore precedente. Gli altri andarono da loro.
“Stephen, come ti senti?” domandò Christine.
“Bene. Mi sento bene. Come se ora ci fosse un equilibrio anche con la mia parte malvagia” rispose Stephen.
“Forse questa nuova pietra è più potente dell’altra e probabile possa far uscire la tua parte malvagia, senza che essa reca ingenti danni. Speriamo che non si crepi” disse Stephanie.
“E dire che tutto questo poteva essere mio. Sono stato io ad acquistare quel sasso colorato” disse Ned. Stephen lo guardò – così come puntò lo sguardo anche su Irwin – per poi dire: “Pensavo di essere stato abbastanza chiaro quando dissi che non vi volevo più accanto a mia figlia ma, a quanto pare, quello che dico per voi non ha senso. Ma, per questa volta, chiuderò un occhio, perché se non fosse stato per voi, forse non avrei mai trovato l’equilibrio con la mia parte malvagia. La prossima volta, prima di recarvi da qualche uomo pazzo che fa magie con il voodoo, parlatene con me” e Ned ed Irwin annuirono.
“Sapete, forse una sera di questi, solo noi tre potremo andare fuori a cena. Che ne dite?” propose Christine. Stephanie e Stephen si guardarono e, riguardando Christine, Stephen disse: “Sì, direi che è un’ottima idea”.
“Come ai vecchi tempi” aggiunse sorridendo Stephanie.






Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi con un nuovo capitolo ed il ritorno del signore oscuro. Ma sembra che ora finalmente (forse) Stephen ebbe trovato un equilibrio con lei, grazie ad una nuova pietra più potente (e speriamo che questa non si distrugga e si crepi facilmente come l'altra)
Vi sta piacendo la storia? Vi voglio ricordare che Stephanie è ancora in possesso dell'altra boccetta che Fratello Voodoo (magari non è nemmeno morto) le ha consegnato per viaggiare dall'altro Peter e, chissà che il multiuniverso non arrivi prima del previsto per il nostro caro dottore.
Volevo ringraziare per le bellissime recensioni; per chi ha messo la storia tra le preferite; tra le seguite o chi semplicemente è passato di qua
Grazie anche ai miei recensori veterani ed alla mia carissima amica Lucia
Vi auguro un buon proseguimento di serata (più una buona notte visto l'ora) ed un buon proseguimento di settimana
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Un forte (e caldo) abbraccio
Valentina

 
 
 
 



 

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Capitolo 32
*** Ri- incontrando Peter ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXXII: Ri - incontrando Peter


 
Stephanie era in camera sua, distesa sul letto e stava osservando sul cellulare, la foto che ritraeva lei e Peter. Ci passò sopra l’altra mano, “accarezzando” l’immagine di Peter: gli mancava molto e chissà se a lui mancasse lei.
Si alzò e, dopo aver aperto un cassetto del comodino, da sotto alcuni oggetti, estrasse la fialetta. Ok, non era il nascondiglio perfetto, ma sperava che, almeno lì, suo padre non andasse a ficcare il naso.
Guardò la boccetta: avrebbe tanto voluto usarla e rivedere Peter, ma suo padre non glielo avrebbe mai permesso. Non almeno da sola. Richiuse il cassetto e, con boccetta in mano, cercò il padre per casa, quando lo trovò nella Sala Circolare.
Lo vide nella porta che conduceva verso una scogliera: era seduto, a gambe incrociate e con gli occhi chiusi, mentre le onde del mare si infrangevano sulle rocce sulle quali era seduto.
Lentamente Stephanie aprì la porta, per poi fermarsi dietro di lui, che le chiese: “Cosa vuoi, cucciola? Lo sai benissimo che è la mia ora di meditazione”.
“Scusami se ti ho disturbato. Se vuoi torno dopo” disse Stephanie e, stava per andarsene, quando Stephen la fermò: “No, intanto avevo quasi finito” e, dopo aver riaperto gli occhi, si alzò ed uscì, chiudendo la porta dietro di sé.
“Non è meglio che mediti nel deserto?” domandò Stephanie.
“Il rumore del mare mi rilassa di più” le rispose; poi le chiese: “Allora cosa vuoi? Di solito non vieni mai a disturbarmi quando sto meditando”. Stephanie gli mostrò la boccetta e Stephen roteò gli occhi.
“Sapevo che avresti reagito così” disse Stephanie, seguendo il padre, che domandò: “Allora perché me lo hai chiesto lo stesso?”.
“Perché pensavo che, dopo la meditazione, saresti stato più persuasivo” rispose.
“Stephanie, ci siamo già passati con il multiverso: non voglio ripetere quell’esperienza. È stato fin troppo difficile richiudere tutte quelle fratture, quindi non oso immaginare cosa potrebbe accadere se uno di noi finisce da un’altra parte” disse Stephen.
“E’ che vorrei tanto sapere come se la sta passando Peter: non posso intuire tutto da un selfie” disse Stephanie.
“Allora avreste dovuto pensarci prima che vi diceste addio, su cosa scambiarvi” disse Stephen.
“Peccato che qualcuno avesse così fretta di rispedirli nel proprio universo” disse Stephanie. Stephen si fermò, così come lei, per poi dirle: “Non voglio che vai in pericolo, soprattutto in un luogo dove non sappiamo cosa si potrà trovare”.
“Se vuoi stare tranquillo, potresti accompagnarmi” propose Stephanie.
“Stephanie, ho detto no” disse Stephen.
“Ti prego, papà: se mamma si trovasse in un altro universo, non andresti subito da lei?” disse Stephanie.
“Non è lo stesso paragone” disse Stephen.
“Esiste un’altra Christine, perché l’altro te ne ha parlato nel mio sogno, come esistono altri Peter. Ho bisogno di vederlo, poi prometto che non ci rincontreremo più” disse Stephanie. Stephen le mise una mano sulla guancia, dicendole: “Ti avevo avvertito che avresti sofferto e mi dispiace vederti con il cuore a pezzi. Ma, se è per farti felice, allora ti accompagnerò a trovarlo”. Stephanie sorrise e, mentre lo abbracciava, disse: “Grazie, grazie papà. Non sai quanto voglia dire per me”.
“Dillo a me che dovrò rivederlo” disse Stephen.
Poco dopo, si ritrovarono nel seminterrato davanti ad un grosso braciere. Stephen stava osservando la boccetta: “Non ti ha spiegato come farla funzionare?” chiese.
“Ero più interessata all’altra pozione” rispose Stephanie.
“Cucciola, prima di accettare oggetti altrui, è bene informarsi come usarli nel corretto dei modi” disse Stephen.
“Quindi è inutilizzabile: nessuno dei due sa come funzioni” disse Stephanie.
“Chi l’ha detto che non so usarla?” domandò Stephen e, dopo che Stephanie ebbe inarcato un sopracciglio, aprì la boccetta, versando il contenuto dentro il braciere. Successivamente mosse le mani, creando fasci di luce arancione che li avvolsero. Si alzò il vento ed i fasci iniziarono a girare, mentre Stephen diceva: “Che questo incantesimo, non alterando nulla in questo universo, ci conduca in quello dove è presente il Peter Parker innamorato di mia figlia. Che le nostre memorie rimangano intatte anche durante il ritorno”. Tutto tremò; la luce li avvolse, per poi farli scomparire.
Si ritrovarono in un parco. Stephen aiutò la figlia a rialzarsi e, mentre si guardava intorno, chiese: “Siamo nel posto giusto?”.
“Non saprei: tutti i parchi di New York si assomigliano. Meglio chiedere in giro” rispose Stephen e si incamminarono. Appena videro un signore, lo fermarono: “Mi scusi, solo una curiosità che avevo letto di recente sui giornali, ma c’è stato per caso un attacco di una strana lucertola?”.
“In verità è accaduto parecchi anni fa: pare si trattasse del Dottor Curt Connors. Pover’uomo: da quando ha perso il braccio, non si è dato pace, così, essendo stato uno scienziato, si è dedicato agli esperimenti” rispose l’uomo.
“Ora dove si trova?” domandò Stephanie.
“Dovrebbe aver finito di scontare la sua pena. Probabile stia facendo volontariato. Non credo sia ritornato ad insegnare all’Università” rispose.
“Grazie mille” disse Stephen e l’uomo se ne andò.
“Ok, ci troviamo molto probabilmente nell’universo giusto” disse Stephanie.
“Molto probabilmente?!” ripeté stupito Stephen.
“Chi ci dice che, in altri universi, non esistano strani scienziati che si siano trasformati anche loro in lucertole? Come esistono più Peter Parker; Stephanie e Doctor Strange, magari esistono anche più varianti dei cattivi” disse Stephanie.
“Dubito: quando abbiamo visto i cattivi degli altri universi, erano tutti diversi” disse Stephen, incamminandosi. Stephanie si affiancò a lui: “Anche gli altri Peter erano diversi, eppure portavano lo stesso nome e cognome”.
“E chi mi dici dell’altro me stesso?” chiese Stephen. Stephanie stava per aprire, ma poi la richiuse. Stephen fece un piccolo sorriso, quindi la figlia disse: “Ok, era uguale a te, ma questo non cambia le cose”.
“Cambia, considerando il fatto che conosciamo ancora poco il multiverso. Ora, ci sono due cose che dobbiamo fare: trovare il tuo Peter e trovare l’altro me stesso” disse Stephen.
“Esiste un altro te anche qua?” domandò Stephanie.
“Credo che ci sia uno Stephen Strange in ogni universo. Forse troveremo anche un’altra te stessa” rispose Stephen, guardandola e sorridendole.
“Dove vuoi arrivare?” gli chiese, guardandolo a sua volta.
“Se esiste un’altra te, quel Peter è già sistemato: ti lascerà stare e si metterà con quell’altra” rispose.
“Ammettiamo che esista un’altra Stephanie: lui la amerà, come ama me?” domandò.
Stephen se ne stette in silenzio, per poi riporre lo sguardo in avanti. Stephanie lo guardò, ma anche lei riguardò avanti.
Camminarono in silenzio e Stephanie si guardava intorno, alzando lo sguardo per vedere i grattacieli più alti. Quando andò a sbattere contro qualcuno. Questi replicò: “Ehi, stai attenta a dove vai” ma, appena si voltò, rimase stupito nel vederla: “Non ci posso credere: sei quella ragazzina figlia del mago”.
“Ci sarei anche io qua” disse Stephen.
“Lei è quello che aveva tutta quell’elettricità” disse Stephanie.
“Sì, ma ormai è storia passata: è mesi che me ne sono liberato, però devo ancora farci l’abitudine” spiegò. Gli altri due rimasero in silenzio, quindi aggiunse: “Non ci siamo mai presentati a dovere: mi chiamo Max Dillon, ma voi mi conoscevate come Electro”.
“Io sono Stephanie e lui Stephen” disse Stephanie.
“Portate anche quasi lo stesso nome” disse Max Dillon, ridendo.
“Non so che cosa ci trovi da ridere, ma sono stato io a decidere come chiamarla! Ora, saresti così gentile da condurci, o dirci, dove si trova Peter Parker?” ribatté Stephen. Max smise di ridere: “Allora è per questo motivo che vi trovate qua. Sapevo che tra te e Peter era nato qualcosa” e guardò Stephanie, che arrossì leggermente in viso.
“Allora ci porti da lui o passerò alle maniere forti?” chiese Stephen.
“Quanta poca pazienza che hai. Su, venite con me” rispose Max e si incamminarono.
Mentre passeggiavano, Stephanie gli domandò: “Ora che sei senza elettricità, di cosa ti occupi?”.
“Non ridete, ma il caso ha voluto che entrassi a far parte di un’azienda che svolge lavori elettrici. Però, sempre meglio qui che alla Oscorp” rispose Max.
“Ti hanno assunto per quello che hai commesso?” chiese Stephen.
“Diciamo che Peter ci ha messo la sua buona parola. Molto probabilmente, mi troverei in carcere a scontare una lunga pena” rispose Max.
“Come per il Dottor Connors?” domandò Stephanie. Max la guardò e stupito chiese: “Cosa sapete di lui?”.
“Prima un signore ci ha spiegato che ha finito di scontare la sua pena e starebbe svolgendo del volontariato. Pensavo foste rimasti in contatto o, comunque, alleati” rispose Stephen.
“No, ci siamo persi di vista non appena siamo ritornati qua. Connors era come impazzito: continuava a ripetere che, senza la sua formula che lo avrebbe ritrasformato in lucertola, era un uomo perso, senza più una ragione di vivere. Gli ho detto di pensare a sua moglie e suo figlio, ma non ne ha avuto ragioni. Una sera si è intrufolato alla Oscorp, cercando di creare un altro siero con il DNA della lucertola, ma è stato scoperto e portato in carcere. Peter, in aula di tribunale, lo ha difeso e così gli hanno scontato la pena. Non ho più saputo altro di lui” spiegò Max.
“Peter vi ha aiutato molto. Sono contenta che abbia trovato la strada giusta” disse Stephanie.
“Quel ragazzo ha un cuore d’oro. Forse lo hai davvero cambiato” disse Max, guardandola e Stephanie, riguardando avanti, arrossì. Stephen, che camminava dietro di loro, aveva invece uno sguardo furente.
Max li accompagnò dentro ad un edificio e, mentre camminavano per uno dei corridoi, l’uomo di colore spiegò loro: “Ci troviamo all’interno di un Centro di riabilitazione: so che Peter dovrebbe essere in una di queste classi”.
Continuarono a camminare finché, trovando una porta aperta, non lo videro: era in piedi davanti alla cattedra e, davanti a lui, c’erano persone di ogni età, sedute e che lo stavano ascoltando. Max, Stephanie e Stephen lo guardarono, standosene fuori dalla porta.
Il cuore di Stephanie iniziò a battere velocemente. Finalmente, dopo mesi, Peter era di nuovo davanti a lei. La campanella suonò e Peter congedò la classe ma, quando volse lo sguardo, rimase senza parole di chi si trovò di fronte. Si avvicinò a loro e Max disse, dopo averlo salutato: “Non ti dispiace se ti ho portato un paio di persone: erano da queste parti e volevano salutarti”.
“Niente affatto. Anzi, grazie” disse Peter, sorridendo.
“Di niente, amico” disse Max; poi guardò i due Strange, aggiungendo: “Be’, me ne ritorno al lavoro. È stato bello rivedervi e, speriamo, di rincontrarci nuovamente in un futuro non molto lontano”.
“Io, invece, spero sia molto lontano: viaggiare nel multiverso non è bella cosa” disse Stephen.
“Grazie ancora, Max e, sono contenta che la tua vita abbia preso una buona piega” disse Stephanie.
“Tutto merito del tuo amico” disse Max e, dopo che Stephanie ebbe inarcato un sopracciglio, se ne andò.
“Di che cosa stava parlando?” domandò Stephanie guardando il padre, che le rispose: “Non saprei, ma si trova parecchia gente strana nei vari multiversi” e guardarono Peter. Questi all’inizio non seppe che dire e, appena stava per aprire bocca, Stephen lo bloccò: “E’ stata tutta di Stephanie: è andata da uno che praticava il voodoo e si è ritrovata con un boccetta tra le mani e tanti casini dopo” e squadrò la figlia.
“Sei tu che ti sei offerto di accompagnarmi” disse Stephanie.
“Io non mi sono offerto! Mi hai praticamente implorato di venire! E, se non fossimo qua, avresti continuato all’infinito pur di rivedere il tuo amato” replicò Stephen.
“Se volete possiamo parlarne davanti a qualcosa da mangiare” propose Peter.
“Andate pure solo voi due. Io devo fare una cosa più importante” disse Stephen. Guardò prima Stephanie: “Quando ritornerò, ti voglio esattamente come ti ho lasciata. Niente cambiamenti e sai a cosa alludo”.
“No, non lo so: vorresti spiegarmelo?” domandò Stephanie, facendo un piccolo sorriso.
“Non tentarmi: sai benissimo che, ora, posso far uscire la mia parte malvagia quando voglio” rispose Stephen ed il sorriso di Stephanie scomparve. Lo stregone guardò Peter: “E tu, non metterle le mani addosso e non fare cose stupide! Se torno e scopro che le è accaduto qualcosa, desidererai non essere mai nato”.
“Con me Stephanie è al sicuro” disse Peter. Stephen lo minacciò con lo sguardo; poi si voltò e, mentre se ne andava, disse: “Ti chiamerò non appena saremo pronti per ritornare nel nostro universo” e sparì dietro l’angolo.
Stephanie riguardò Peter e, questi, sorridendole, disse: “Mi sei mancata tantissimo”.
“Anche tu” disse Stephanie e si baciarono. Poi Peter prese di mano Stephanie e corsero lungo i corridoi.
Poco dopo, Peter la condusse a casa sua, entrando nella finestra della sua camera.
“Mia zia non sa che sono Spider Man, quindi acqua in bocca ma so benissimo che, con te, il mio segreto è al sicuro” le spiegò.
“Noi Strange preferiamo farci gli affari nostri” disse Stephanie, seguendo Peter fuori dalla camera e giù dalle scale. Trovarono sua zia in cucina. La donna, voltandosi, rimase senza parole, non appena vide la ragazza: “Peter, non ti ho sentito rientrare”.
“Sono appena arrivato” disse Peter. La donna si avvicinò a loro e, guadando Stephanie, sorridendo chiese: “E questa bella ragazza chi è?”.
“Si chiama Stephanie Stran…” iniziò col rispondere Peter, ma Stephanie lo interruppe: “Mi chiamo Stephanie Palmer e lavoro nello stesso Centro di riabilitazione di suo nipote. Lei dev’essere zia May, vero?”.
“Sì, certo. Vedo che Peter ti avrà molto parlato di me. Ma, purtroppo, non posso dire lo stesso di te” disse zia May.
“Non sono arrivata da molto, ma io e Peter siamo entrati subito in sintonia” disse Stephanie ed i due ragazzi si guardarono sorridendo.
“È meraviglioso. Non vedevo mio nipote così felice da molto tempo. Da quando Gwen…” disse zia May, si fermò, portandosi una mano sulla bocca.
“Gwen non verrà mai dimenticata, ma è tempo di andare avanti. Ho commesso troppi errori e ho capito che quella non era la mia strada. Ma Stephanie mi ha fatto comprendere parecchie cose. Le sono riconoscente” spiegò Peter.
Zia May prese le mani di Stephanie tra le sue e, sorridendole, disse: “Allora grazie, grazie infinite per aver aiutato il mio Peter. Mi si spezzava il cuore vederlo continuamente triste e sempre chiuso in sé stesso. Ora, insieme a te, vedo in lui speranza e voglia di costruirsi un nuovo futuro”.
“Non mi ringrazi: non ho fatto nulla” disse Stephanie.
“Invece hai fatto tantissimo, cara” disse zia May, sorridendole. Ci fu silenzio; poi la donna aggiunse: “Ma che scortese sono stata: non ti ho neanche offerto qualcosa. Sedetevi pure che vi preparo i miei famosi cupcakes”.
“Non puoi dire di no ai suoi cupcakes” disse Peter.
“Allora li assaggerò molto volentieri” disse Stephanie ed i due si sedettero alla tavola.
Nel frattempo, Stephen stava continuando a camminare per le strade di New York, mentre veniva scrutato ed osservato dagli altri passanti. Sentiva provenire da loro frasi del tipo “Il carnevale è finito da un bel po'”; oppure “Il circo è arrivato in città?”.
Stephen cercava di ignorarli, seppur la sua parte malvagia, dentro di sé, gli chiedeva di farla uscire e divertirsi un po’. Lo stregone era molto tentato, finché non arrivò a destinazione: davanti a sé si ergeva il Sanctum Sanctorum.
Stava per bussare al portone, quando questi si aprì. Vi entrò: l’interno era pressoché uguale al suo Sanctum Sanctorum, se non per qualche piccola differenza.
Si stava guardando intorno, quando una voce lo fermò: “Benvenuto Doctor Strange: ti stavo aspettando”.
Stephen alzò lo sguardo, per trovare in cima alla scalinata…sé stesso. O, almeno, la sua versione in quell’universo. Questi si incamminò e Stephen si affrettò nel seguirlo, fino ad arrivare in un enorme salone.
L’altro Stephen era accanto ad una libreria, per poi voltarsi verso di lui, tenendo tra le mani un libro che stava sfogliando. Quindi disse: “Ti chiederai come facevo a sapere che saresti arrivato e, sicuramente, conoscerai già la risposta”.
“Sei praticamente me, quindi uno stregone” disse Stephen.
“Stregone supremo, se non ti dispiace” lo corresse l’altro Stephen.
“Vedo che sono l’unico a non aver mantenuto questo incarico” disse Stephen.
“Se lo desideri, lo riotterrai. Devi solo volerlo” disse l’altro Stephen. Stephen non aggiunse nulla. Fu l’altro a parlare: “Mesi fa, tramite un incantesimo altamente proibito persino agli stregoni supremi, hai aperto il multiverso. Scelta molto sciocca, considerando che le conseguenze non sono state delle migliori”.
“Torniamo all’apice del discorso: ho praticato quell’incantesimo, perché un ragazzino me lo aveva chiesto” disse Stephen.
“E per cosa, se posso sapere?” domandò l’altro Stephen.
“Per…per…a dire la verità, non me lo ricordo” rispose Stephen. L’altro Stephen fece un piccolo sorriso e, mentre continuava a sfogliare il libro, si incamminò verso Stephen, dicendo: “Probabilmente avrai successivamente praticato un incantesimo, per far dimenticare a tutti l’identità di quel ragazzino. Ma, ormai, quel problema è risolto. C’è, invece, da capire come mai tua figlia ami viaggiare tra i vari universi”.
“Non in tutti: solo in questo, dove c’è un ragazzo che le ha rubato il cuore” disse Stephen. L’altro Stephen si fermò, quindi Stephen gli chiese: “Dov’è la sua Stephanie?”.
L’altro Stephen lo guardò: “Non esiste in questo universo: io e Christine ci siamo divisi, ancor prima che nascesse”.
“Mi dispiace” disse Stephen.
“Era destino che non stessimo insieme” disse l’altro Stephen.
“Forse è destino di tutti noi Stephen. Ce ne è un altro, più oscuro, che vuole rapire mia figlia. Hai avuto modo di conoscerlo?” domandò Stephen.
L’altro Stephen smise di sfogliare il libro; abbassò il capo, rispondendo: “Purtroppo sì: il suo animo era molto tormentato e voleva a tutti i costi che gli rivelassi dove si trovasse Christine. Seppur io e lei ci siamo separati anni fa, siamo comunque rimasti buoni amici, così gli ho mentito, dicendogli che Christine era morta. Lui si è arrabbiato, fino a tal punto da far cadere quasi a pezzi questo posto. Fortunatamente sono riuscito a fermarlo e rispedirlo nel suo universo, prima che ciò avvenisse”. Alzò lo sguardo su Stephen, aggiungendo: “Devi stare attento con lui, perché utilizzerà ogni mezzo a sua disposizione per ottenere ciò che vuole”.
“Stephanie ha detto che è in possesso del Darkhold” disse Stephen.
“Esistono diverse copie di quel libro: per distruggerlo, devi recarti nel suo luogo di origine, ovvero il Monte Wundagore” spiegò l’altro Stephen.
“Ok, lo aggiungerò alla lista di cose da fare. Ora ho solamente bisogno di un modo per ritornare nel mio universo insieme a Stephanie” disse Stephen.
“E’ molto semplice: ti insegnerò come fare. Poi, chiamerai tua figlia, dicendole di venire qua, così potrete ritornare a casa” spiegò l’altro Stephen.
“Mi tolga una curiosità: prima, quando mi stavo recando qua, i passanti mi stavano guardando in malo modo, dicendo anche frasi come del tipo “Il circo è arrivato in città”: come mai questa reazione nei miei confronti?” chiese Stephen.
“Per il semplice motivo che, quando me ne vado in giro, indosso abiti civili. La gente mi vede di rado fuori con i vestiti da stregone” rispose l’altro Stephen.
“Vuoi dire che non combatti mai dei nemici?” gli domandò.
“Un paio di volte affiancato a Spider Man. Non mi piace mettermi in mostra. Preferisco praticare le arti mistiche per conto mio, rimanendo qua, oppure recandomi a Kamar-Taj. Chi ha bisogno d’aiuto, sono sempre disponibile a prestargli consiglio” spiegò l’altro Stephen.
“A quanto pare in questo universo non esistono gli Avengers” disse Stephen.
“Mi dispiace, ma non seguo molta musica, quindi di conseguenza, non conosco parecchi gruppi musicali” disse l’altro Stephen.
“In verità non si tratta di un gruppo musicale” iniziò col dire Stephen ma, dopo che l’altro Stephen ebbe inarcato un sopracciglio, finì col dire: “Lasciamo perdere”.
Nel frattempo Stephanie e Peter si trovavano nella camera da letto di quest’ultimo: “I cupcakes di tua zia erano veramente squisiti”.
“Erano anche i preferiti di zio Ben” disse Peter, con un velo di tristezza nella voce.
“Gli volevi molto bene?”  chiese Stephanie.
“I miei genitori sono morti quando ero molto piccolo. Sono stati zio Ben e zia May a crescermi. Devo tutto a loro, eppure, la colpa è mia se zio Ben è morto” rispose Peter.
“Peter non devi…” iniziò col dire Stephanie, ma Peter la interruppe: “Avevamo litigato e sono uscito di casa arrabbiato, dirigendomi ad un negozio. Zio Ben mi stava cercando, ma io lo evitavo. Non avevo abbastanza soldi per pagarmi del latte, così un uomo ha rubato dalla cassa, mentre il cassiere era distratto, per poi allungarmi il latte. Io sono uscito, non dicendo nulla, ma il cassiere, affiancandomi, se ne è accorto, urlando di fermare il ladro. Mi ha chiesto se gli davo una mano ed io gli ho risposto: “Non è la mia politica”. A quel punto Peter si fermò; scosse negativamente la testa. Stephanie gli mise una mano sulla spalla, dicendogli: “Non fa nulla se non vuoi continuare”.
“Ti rendi conto come gli avevo risposto? Solo perché non mi aveva potuto vendere il latte. Ma, quella frase; quel mio comportamento, mi è costato caro. Il destino stava già voltandomi le spalle. Zio Ben ha cercato di fermarlo, ma è partito un colpo. Il tizio è scappato, mentre zio Ben si accasciava a terra. Sono corso da lui, ma non c’era più nulla da fare. Non mi sono neanche potuto scusare. Digli quanto mi dispiaceva di come mi ero comportato. Digli che lui era sempre stato un padre per me. Ma era già morto” spiegò Peter e si mise a piangere.
Stephanie lo strinse a sé. Poi si staccarono e Peter disse, asciugandosi le lacrime: “Sono passati anni: non dovrei neanche più piangere”.
“Sono sicura che tuo zio Ben ti abbia già perdonato. Tutti noi commettiamo degli errori o diciamo frasi delle quali poi ce ne pentiamo. Non darti più questa colpa, così anche per la morte di Gwen. Il passato fa male, ma può anche far riflettere e farci diventare più forti davanti alle nostre paure e debolezze” spiegò Stephanie.
“Da quando sei diventata così saggia?” le domandò, guardandola.
“Merito delle meditazioni con mio padre. Anche lui si è sempre dato delle colpe per non essere riuscito a salvare sua sorella e, per questo, è sempre stato molto protettivo nei miei confronti. A volte odio questo suo comportamento ma, con il passare del tempo, ho capito che non lo fa per egoismo, ma solamente per il mio bene. O, almeno credo sia così visto che, ora, può far uscire a suo piacimento la parte malvagia” rispose Stephanie.
“Non vorrei mai avere l’occasione di affrontare la sua parte malvagia: già mi faceva paura quando era sé stesso” disse Peter. Stephanie fece un piccolo sorriso; poi, il ragazzo si alzò e, dopo essere andato davanti alla scrivania, aprì un cofanetto, estraendo da esso un oggetto. Si voltò, mostrandolo a Stephanie: si trattava del pezzetto della cappa di levitazione.
“Dovunque vada, me lo porto sempre appresso: oltre ad essere un porta fortuna, ed anche un modo per non dimenticarmi mai di te” disse Peter. Stephanie si alzò e, una volta di fronte, disse: “Anche io non mi sono mai dimenticata di te, anche se avevo solo una foto di noi due. Se avessi avuto di più, probabile che non avrei nemmeno utilizzato quella pozione per venire qua”.
Peter prese un bigliettino e, dopo aver scritto su di esso qualcosa, lo consegnò alla ragazza: “Ora hai anche il mio numero di telefono, così possiamo sentirci tutte le volte che vogliamo”. Stephanie sorrise e mise il bigliettino in tasca.
I due si guardarono in silenzio, quando il cellulare di Stephanie squillò. La ragazza lo estrasse, dicendo: “E’ mio padre”.
“Meglio che prendi, prima che si arrabbi: non voglio che arrivi a distruggere questo universo, solo perché sua figlia non ha accettato subito la chiamata” disse Peter.
“Quanto sei sciocco” disse Stephanie, sorridendo e scuotendo negativamente la testa. Poi accettò la chiamata, mettendosi all’orecchio il cellulare: “Ehi, ciao papà: come va la tua esplorazione in quest’altra New York?”.
“Molto bene, visto che siamo già pronti per ritornare a casa” rispose Stephen. Stephanie guardò tristemente Peter, dicendo: “Ah…così presto?”.
“Prima ritorniamo nel nostro universo e prima eviteremo incursioni. Non possiamo permetterci di rovinare la linea temporale. Ti aspetto al Sanctum Sanctorum” disse Stephen e riattaccò. Stephanie osservò il cellulare, per poi rimetterlo in tasca. Guardò Peter, dicendogli: “E’ ora che vada”.
“Se vuoi ti accompagno. Non mi va dirti ancora addio” le propose. Stephanie sorrise.
Poco dopo si ritrovarono al Sanctum Sanctorum. Si guardarono intorno e Stephanie disse: “E’ praticamente uguale al Sanctum Sanctorum del nostro universo”.
“Con la sola differenza che non ti avrei mai permesso di entrare affiancata da un ragazzo” disse Stephen, scendendo la scalinata e raggiungendoli. Poi aggiunse: “Se vi siete già baciati abbastanza, possiamo anche andare” e si voltò, incamminandosi. I ragazzi si guardarono, per poi seguirlo.
Andarono nel seminterrato dove, ad aspettarli, vi era l’altro Stephen. Questi si voltò e rimase senza parole non appena vide Stephanie. Li raggiunse: “Benvenuti ragazzi”.
“Salve, Doctor Strange” disse Peter, guardandolo.
“Già vi conoscete?” chiese Stephanie.
“Ho avuto modo di combattere al suo fianco un paio di volte” rispose.
“Vedi papà: anche tu potresti fare la stessa cosa con il nostro Spider Man” disse Stephanie.
“Non ci penso neanche! Piuttosto, prepariamoci a ritornare a casa. Saluta il tuo fidanzatino – anche se odio questa parola – e andiamocene” replicò Stephen e, mentre si avvicinava all’alto Stephen, Stephanie si voltò verso Peter, che le disse: “Chiamami tutte le volte che vuoi e potremo anche fare delle videochiamate”.
“Certo, lo farò. Tu, invece, salutami zia May e ringraziala tanto per quei cupcakes. Mi dispiace essere andata via, senza rivederla” disse Stephanie.
“Certo” disse Peter, sforzandosi di sorridere. Ma quello non era un momento gioioso per entrambi. Peter prese le mani di lei tra le sue, cosa che non sfuggì a Stephen che, mentre teneva in mano un oggetto appena datogli dall’altro Stephen, li guardò furente.
Il ragazzo mise una mano sulla guancia di Stephanie; abbassò il viso e si baciarono. Stephen stava per andare da loro, ma l’altro Stephen lo fermò. Peter e Stephanie si staccarono e, mentre la ragazza aveva le lacrime agli occhi, Peter le disse: “Non sarà un vero addio”.
“Ma non sarà la stessa cosa che vederti di persona” disse Stephanie.
“Non potremo mai vivere insieme, essendo di due universi diversi ma, nessuno sa mai cosa abbia in serbo il destino per ognuno di noi. Quella pozione che hai utilizzato ci ha fatto rincontrare: chi lo sa che in futuro non possa accadere di nuovo. Io ti aspetterò. È una promessa” disse Peter. Stephanie annuì e, dopo essersi asciugata le lacrime, entrambi si voltarono verso i due Stephen.
Lo Stephen di quell’universo, spiegò: “Bene. Allora prima che ve ne andiate, vi farò una piccola, ma importante raccomandazione: non tentate mai più di utilizzare qualcosa di pericoloso e proveniente da un’altra magia, per poter attraversare gli altri universi. Le conseguenze potrebbero essere molto disastrose e, la soluzione per rimettere a posto, non potrebbe essere a portata di mano. Vi è chiaro?”. I ragazzi annuirono.
Stephen guardò l’altro: “Ho consegnato un oggetto all’altro me stesso: si tratta del Dorje e simboleggia l’unione di metodo e saggezza, ma può anche significare un fulmine che illumina l’oscurità, così come il vostro cammino per i vari universi. Questo oggetto, infatti, è talmente potente da permettere a chiunque di attraversare il multiverso senza problemi ed è per questo motivo che, se dovesse finire in mani sbagliate, potrebbe condurre a terribili conseguenze. Quindi, utilizzatelo con saggezza e non prendete decisioni affrettate”.
“E’ lei è davvero disposto a dar via un oggetto simile?” domandò Stephanie.
“E’ l’unico modo per poter rimandarvi a casa” rispose.
“Visto che, quando hai accettato quella pozione, non hai pensato bene di chiedere a quell’uomo come utilizzarla sia per l’andata che per il ritorno” aggiunse Stephen.
“Non sia così severo con lei: ormai, quel che è fatto è fatto” disse l’altro Stephen; poi si avvicinò a Stephanie e, dopo averle messo una mano sulla guancia, aggiunse: “Come ho spiegato prima a tuo padre, purtroppo non esiste una tua controparte in questo universo: io e Christine ci siamo divisi ancora prima che nascessi. Sotto sotto so che tuo padre è molto orgoglioso di te, ma deve trovare il coraggio di dirtelo apertamente. D’altro canto tu continua a studiare e segui il tuo sogno”.
“Lo vorrei tanto se papà me lo permettesse” disse Stephanie.
“Dagli tempo e vedrai che, prima o poi, vi capirete e sosterrete a vicenda” disse l’altro Stephen. Stephanie guardò Peter e l’altro Stephen aggiunse: “Come ti ha detto lui, non sarà un vero addio. Il multiverso è un concetto del quale si sa ancora poco e, per questo motivo, tutto è prevedibile. Ma non cercare di alterare il presente, perché ciò comporterà un cambiamento per il futuro”.
Stephanie lo riguardò, dicendogli: “Mi dispiace molto che lei non abbia potuto avere l’occasione di diventare padre: sono sicura che la sua Stephanie sarebbe stata molto orgogliosa di lei”. Stephen fece un piccolo sorriso e, abbassandosi, baciò Stephanie sulla fronte. Poi si voltarono verso Stephen, dicendogli: “Procedi pure: ricordati ciò che ti ho insegnato prima”.
Stephen annuì; mise il Dorje in posizione orizzontale, tenendolo saldo ad ambo i lati con entrambe le mani. Chiuse gli occhi ed una luce arancione lo avvolse, creando come una spirale tutto intorno a lui. Dietro di lui si aprì un portale, nel quale si poteva vedere la hall del Sanctum Sanctorum. Stephen riaprì gli occhi e l’altro Stephen gli disse: “Ottimo lavoro. Vedo che hai imparato in fretta, ma non avevo dubbi”.
“Coraggio Stephanie, è ora di andare” disse Stephen.
Stephanie guardò l’altro Stephen: “Grazie di tutto e mi scusi ancora per questa intrusione”.
“Per amore si fanno cose da pazzi” disse Stephen. Stephanie andò da Peter e, prima che potesse aprire bocca, lo baciò intensamente. Stephen la guardò furente, ma decise di non intromettersi: quel momento era solo di sua figlia.
I due ragazzi si staccarono. Poi Stephanie si diresse verso suo padre, che le disse: “Vai avanti: io sarò dietro di te, così mi assicuro che non cambi idea e decidessi di rimanere qua”.
“Non ti preoccupare, ho già preso la mia decisione anche se…” iniziò col dire Stephanie e, dopo aver voltato lo sguardo verso Peter, continuò: “…mi si spezza il cuore”. Peter la guardò tristemente, non dicendo nulla.
Stephanie si voltò e, stava per raggiungere il padre, quando la terra tremò: “Che cosa sta succedendo?” chiese Stephen.
La terra tremava sempre di più, finché non si aprì un altro portale, dal quale comparve lo Stephen cattivo. Gli altri rimasero senza parole.
“No, non è possibile!” disse Stephanie.
“Finalmente ti ho trovata cara Stephanie e ti porterò via con me” disse lo Stephen cattivo.
“Non lo farai!” replicò Stephen. I suoi occhi divennero rossi e, mentre con una mano teneva saldo il Dorje, con l’altra formò magia nera, che lanciò contro lo Stephen cattivo. Contemporaneamente, Peter gli lanciò una ragnatela e l’altro Stephen una catena dorata, intrappolando lo Stephen cattivo.
“Stephanie entra nel portale!” disse Stephen. La ragazza si voltò e, stava per andarsene, quando lo Stephen cattivo, replicò: “Non mi scapperà! Lei è mia!” e, dopo aver fatto comparire il terzo occhio sulla fronte, scaraventò a terra gli altri tre. Nel cadere, il Dorje si attivò, aprendo inavvertitamente un altro portale.
Lo Stephen cattivo raggiunse Stephanie, prendendola per un braccio e facendola alzare. Gli altri tre li guardarono e Stephen ribatté: “Lascia andare mia figlia!”.
“Lei sarà mia per sempre: cercheremo Christine e, dopo essere ritornati nel mio universo, saremo di nuovo una famiglia” replicò lo Stephen cattivo.
“Te lo ripeto solo un’altra volta: lascia andare mia figlia e ti risparmierò la vita!” ribatté Stephen, alzandosi.
“Tu sembri diverso dalle altre varianti: nei loro occhi vedevo paura, mentre in te non riesco bene a capire se si tratti di sfacciataggine o solamente disperazione. Ti do un consiglio: lasciatemi andare e non distruggerò questo universo” disse lo Stephen cattivo.
Stephen e Peter si guardarono, mentre lo Stephen di quell’universo disse: “Ti ho già fermato una volta: non costringermi a farti del male”.
“Come ho ucciso le altre varianti, uccidere te sarà un gioco da ragazzi ma, al momento, non ho voglia di sporcarmi le mani” replicò lo Stephen cattivo; poi guardò Stephanie dicendole: “Saluta il tuo caro paparino, perché d’ora in poi, sarò io il tuo nuovo papà” e, stavano per entrare nel portale dal quale era uscito, quando Peter gli lanciò sugli occhi una ragnatela.
Lo Stephen cattivo spinse Stephanie che, cadendo, stava per essere trascinata dal portale che il Dorje aveva aperto inavvertitamente. Stephen riuscì a prenderle le mani, ma la forza del portale era troppo potente.
“Resisti, cucciola mia” disse Stephen.
“Non lasciarmi andare” disse Stephanie.
Lo Stephen cattivo riuscì a togliersi la ragnatela dagli occhi e, stava per attaccare Stephen e Stephanie, quando venne attaccato da Peter e dall’altro Stephen.
Stephen continuò a tirare, ma gli scivolarono le mani.
“Stephanie!” gridò, ma era troppo tardi: Stephanie era stata risucchiata dal portale, che si richiuse.
Stephen volse furente lo sguardo, per vedere lo Stephen cattivo scaraventare a terra gli altri due. Poi, accorgendosi che Stephanie era sparita, guardò Stephen ribattendo: “Ci rivedremo ancora, Stephen Strange di un altro universo!” ed entrò nel portale, che si richiuse.
Stephen era molto arrabbiato e, battendo un pugno a terra, gridando, creò una crepa. L’altro Stephen e Peter lo guardarono, non preferendo parola.





Note dell'autrice: Eccomi qua. Buona sera e buon 8 dicembre. Scusatemi per il capitolo lungo, ma stavolta avevo un pò da scrivere. Dopotutto non potevo non far rincontrare Stephanie e Peter(meno male che stavolta si sono scambiati i numeri di cellulari. Chissà se il cellulare prende tra un universo e l'altro). Colpo di scena finale: è arrivato lo Stephen cattivo e Stephanie è finita in un altro portale (quindi non a casa sua). Ho voluto inserire un nuovo oggetto (così che quando Wanda cercherà america chavex, magari si interessà anche a questo strumento. Vedremo...)
Grazie per le bellissime recensioni. Grazie come sempre e per le belle parole
Grazie a chi è passato di qua; chi ha messo la storia tra le preferite o tra le seguite
Grazie ai miei recensori veterani che seguono la storia fin dall'inizio, ma grazie anche a quelli nuovi
Vi auguro un buon proseguimento di serata ed un forte e caldo abbraccio
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Valentina
 
 
 

 

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Capitolo 33
*** Vecchie facce amiche ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXXIII: Vecchie facce amiche



Stephen e Peter guardarono l’altro Stephen mentre se ne passeggiava avanti ed indietro, molto arrabbiato: “Mi dispiace molto per quello che è accaduto” disse lo Stephen di quell’universo, cercando almeno di iniziare un discorso.
“Non doveva neanche succedere! Avete permesso che quell’uomo entrasse qui e cercasse di rapire mia figlia!” replicò furente Stephen, fermandosi e guardandoli.
“È stato imprevedibile: è comparso all’improvviso e non ci ha neanche dato il tempo per difenderci” disse Peter.
“Non cercare delle scuse! Quello là è riuscito a scappare e ora Stephanie si trova in chissà quale altro posto!” ribatté Stephen.
“Avresti dovuto tenerla più stretta” disse l’altro Stephen.
“E voi avreste potuto darmi una mano” aggiunse Stephen.
“Scusaci se eravamo un po' impegnati a fronteggiare l’altro noi” disse l’altro Stephen.
“Ok, abbiamo colpa tutti e tre. Ora, l’importante è cercare di rintracciare Stephanie: qualche idea?” disse Peter.
“Sarebbe tutto più semplice se avessimo ancora con noi il Dorje” disse l’altro Stephen.
“Peccato che sia stato risucchiato nel portale insieme a Stephanie” disse Stephen.
“Allora speriamo che Stephanie sappia usarlo” disse l’altro Stephen.
“Perché lo sa usare?” domandò Stephen ed i tre si guardarono in modo preoccupato.
Nel frattempo Stephanie era distesa a terra. Aprì debolmente gli occhi, quando sentì qualcuno che la stava chiamando: “Stephanie. Stephanie”.
Lo sentiva come in lontananza, ma era chiaro che si trovava proprio accanto a lei. Debolmente, riuscì ad aprire gli occhi, cercando di mettere a fuoco la persona che la stava chiamando. Quando ci riuscì, vide il Peter più anziano. Si alzò e, stupita chiese: “Peter che cosa ci fai qua?”.
“Io qua ci vivo. Tu, piuttosto, cosa ci fai da queste parti?” le domandò.
“Ero finita nell’universo dell’altro Peter insieme a papà. Volevo rivederlo e, poi, un altro Stephen ci ha aiutato con uno strano oggetto” iniziò col spiegare Stephanie. Poi si accorse di avere qualcosa dietro di lei: lo prese in mano ed i due lo guardarono. Quindi continuò: “Proprio come questo, ma non ricordo come farlo funzionare”.
“Forse conosco qualcuno che ti potrebbe aiutare” disse Peter. Sul viso di Stephanie comparve un sorriso. Poi Peter le allungò una mano, aiutandola a rialzarsi. La ragazza disse: “Allora andiamo da lui”.
“Hai così fretta di andartene?” chiese Peter.
“Prima ritorno da papà e meglio è per tutti” rispose Stephanie.
“Non me lo ricordavo così pericoloso” disse Peter.
“Prima aveva una pietra che riusciva a trattenere la sua parte malvagia: per colpa mia, ha dovuto distruggerla, per potermi liberare da un maleficio che mi aveva fatto un uomo che praticava il voodoo. Ora può far uscire la parte malvagia a suo piacimento, quindi è per questo motivo che è meglio che me ne ritorni subito da lui” spiegò Stephanie.
“Be’, allora in questo caso, sarà meglio muoverci. Prima, però, dovrei fare tappa all’Università: devo prendere delle cose per preparare una lezione” disse Peter e, mentre si incamminarono, Stephanie domandò: “Insegni lì?”.
“Sì: sono un professore di scienze, ma molti dei miei studenti sfortunatamente non brillano molto. Mi ci vedo molto in loro. Anche io ero così. Mio zio Ben continuava a dirmi che dovevo impegnarmi se volevo raggiungere i miei obbiettivi e, tenere ovviamente, costantemente la testa sulle spalle” rispose Peter. Poi sospirò.
“Ti manca molto?” gli chiese.
Peter la guardò e, prima che potesse porgerle un’ulteriore domanda, Stephanie aggiunse: “Anche all’altro Peter è morto lo zio Ben. Se le vostre vite sono uguali, suppongo che ti sia capitata la stessa cosa”.
“E’ colpa mia se è morto: non me lo perdonerò mai. Mi ci è voluto un po' per poter uscire dall’oscurità e confido che anche l’altro Peter possa superare questa fase” rispose.
“Sta aiutando parecchie persone. Forse ha finalmente ritrovato sé stesso” disse Stephanie.
“Grazie alla sua Mj” disse Peter e Stephanie lo guardò non aggiungendo altro.
Poco dopo arrivarono all’Università. I corridoi erano gremiti di studenti e professori. Peter condusse la ragazza in un’aula: “Aspettami qui” le disse e, mentre entrò, Stephanie si guardò intorno, quando il suo sguardo si soffermò sulla bacheca dei trofei. Si avvicinò, notando i vari premi e le foto degli studenti che più si erano distinti nel corso degli anni esposti accanto ad essi.
Una foto in particolare attirò la sua attenzione e sorrise quando lesse il nome posta in essa: ritraeva due giovani Dottor Octavius e Norman Osborn, mentre brandivano la coppa del primo premio al concorso di scienze.
Volse lo sguardo quando Peter la chiamò. Si avvicinò a lui e, appena entrata nell’aula, sorrise nel vedere un uomo, a lei molto familiare e con quattro braccia meccaniche attaccate alla schiena.
“Dottor Octavius” disse Peter. “Guardi chi c’è” finì la frase.
Il Dottor Octopus si voltò e rimase a bocca aperta non appena vide la ragazza. Si alzò dallo sgabello sopra al quale era seduto e, gli bastò qualche passo per ritrovarsi Stephanie tra le sue braccia.
“Stephanie quanto è bello rivederti” le disse.
“È bello rivedere anche lei, Dottor Octavius” disse Stephanie. I due si guardarono e l’uomo le domandò: “Ma che cosa ci fai qua?”.
“E’ una storia un po' lunga” rispose Stephanie.
“Spero che tuo padre ne sia a conoscenza” disse Octavius.
“Purtroppo non sa in che universo sia capitata” disse Stephanie. Octavius inarcò un sopracciglio, ma volse lo sguardo verso Peter quando questi gli disse: “Una variante cattiva del Dottor Strange sta cercando di rapire Stephanie. La ragazza aveva con sé questo oggetto quando è arrivata qua, solo che non sa come farlo funzionare” e mostrò il Dorje. Poi aggiunse: “Ma io conosco chi potrà aiutarla a farla ritornare da suo padre”.
“E dobbiamo farlo in fretta: ora papà può far uscire a suo piacimento la parte malvagia ed io non voglio che distrugga gli altri universi” disse Stephanie.
“Si tratta perlopiù di una questione d’amore” aggiunse Peter. Stephanie arrossì in volto.
“C’entra, per caso, un altro Peter?” chiese il Dottor Octavius.
Stephanie stava per rispondere, quando il cellulare di Peter squillò. Il ragazzo lo estrasse e, dopo aver visto chi lo stava chiamando, disse: “Scusatemi solo un attimo” e, accettando la chiamata, uscì dalla stanza, lasciando da soli i due.
“Allora, come sta andando?” domandò Stephanie.
“Non è stato facile reinserirsi nella società, ma sto cercando di ripulire la mia posizione. Vorrei tanto che gli altri non mi vedessero più come un criminale” rispose il Dottor Octavius.
“Sono sicura che ci riuscirà. Per quel poco che l’ho conosciuta, ho capito che è una persona alla quale non piace demordere tanto facilmente. Spero che gli altri riescano finalmente a vederla per quello che è, ovvero un brillante scienziato che ha sempre messo il suo intelletto a disposizione per il bene dell’umanità” spiegò Stephanie ed il Dottor Octavius sorrise, mettendole una mano sulla guancia.
Entrambi volsero gli sguardi, quando qualcun altro parlò: “Che mi venga un colpo: tu non sei mica la figlia di quel mago?”.
“Salve Dottor Osborn, che piacere rivederla” disse Stephanie.
“E’ un piacere rivedere anche lei, signorina. Scommetto che il nostro qui presente Octavius si è dimenticato di dirle che c’ero anche io” disse Osborn.
“Sarei arrivato a dirglielo” si difese Octavius.
“Quando inizia un discorso, Octavius si perde costantemente, dimenticandosi poi dei suoi colleghi” disse Osborn.
“Lavorate insieme?” chiese Stephanie.
“Dopo che siamo ritornati qua, ho saputo che la Osborn era stata venduta, dopo la mia dipartita e…quella di mio figlio Henry” iniziò col spiegare Osborn, per poi fermarsi.
“Se non vuole continuare, non fa nulla” disse Stephanie.
“Non so come mio figlio sia morto, ma non mi sembrava doveroso riprendere il mio posto alla Osborn. Volevo ricrearmi una vita. Così, Peter ha offerto a me e ad Octavius, di venire a fare delle ricerche qua. All’inizio non ero molto dell’idea: mi mancava stare a capo della mia azienda; poi però questo lavoro mi stava piacendo. Con le nostre scoperte, stavamo aiutando un sacco di persone e gli studenti, di tanto in tanto, vengono anche a chiederci pareri e confronti” finì Osborn.
“Sono così contenta per voi” disse Stephanie.
“E’ tutto merito del tuo amichetto che ci aveva condotti accidentalmente nel vostro universo” disse Osborn.
“Mi dispiace, ma di che amichetto sta parlando? Conosco solamente, Ned, Mj ed Irwin e loro non hanno fatto nulla di tutto questo” disse Stephanie.
“Senti, come credi che noi tre ci siamo conosciuti?” domandò Osborn.
“Tramite un incantesimo mal riuscito di mio padre. Anche se, a dire la verità, neanche lui si ricorda del perché ne abbia lanciato uno così. Può darsi che lo abbia invogliato la sua parte malvagia. A quel tempo, non riusciva ancora a controllarla del tutto” spiegò Stephanie. Osborn ed Octavius si guardarono e la ragazza aggiunse: “Perché è andata veramente così, vero?”.
“Forse abbiamo un po' tutti le menti confuse, ma sono sicuro che tuo padre, se scava nel profondo della sua, possa trovare la verità” disse Octavius. Stephanie lo guardò stranamente. Tutti e tre volsero gli sguardi all’indietro, quando Peter rientrò: “Scusatemi ancora, ma era una chiamata urgente: la piccola May non ha ancora imparato che non deve usare i suoi poteri per divertirsi”.
“La piccola May?!” ripeté stupita Stephanie.
“Io ed Mj siamo diventati genitori di una bambina: May Parker. Ha ereditato i miei poteri, ma non sa ancora usarli come si deve. Così mi danno anche una mano il Dottor Octavius ed il Dottor Osborn. Sono dei bravissimi baby-sitter” spiegò Peter.
“Ti ho già detto di non definirmi così. Sono un uomo di scienza: cerca di portarmi il dovuto rispetto” disse Osborn. Peter sorrise; poi guardò Stephanie, chiedendole: “Allora, sei pronta per ritornare a casa?”.
Stephanie guardò tristemente Octavius ed Osborn. Quest’ultimo disse: “Non fare quel faccino triste: non sei contenta di ritornare dal tuo papà? Sono sicuro che ci rincontreremo. Tu continua per la tua strada e vedrai che diventerai presto qualcuno”.
“Potrei venire con voi?” propose, invece, Octavius.
“Per me non c’è problema e non credo nemmeno per Stephanie” disse Peter. Così, poco dopo, si ritrovarono di fronte al Sanctum Sanctorum.
“Davvero stiamo per entrare nel Sanctum Sanctorum?” domandò Stephanie.
“Non dovresti esserne stupita” rispose Peter.
“No, niente affatto ed aggiungerei nemmeno sorpresa. Potevo benissimo aspettarmelo che, colui che può aiutarmi a ritornare da papà e ad utilizzare questo oggetto, è un’altra variante di papà” disse Stephanie.
“Almeno questa sua variante non ha ancora tentato di uccidermi” aggiunse Octavius. Il portone si aprì ed i tre entrarono. Nella hall principale li accolse Doctor Strange. Questi, a differenza del papà di Stephanie, non portava la cappa di levitazione ed aveva un codino.
“Benvenuti amici” disse Stephen, guardando Peter ed Octavius. Poi spostò lo sguardo su Stephanie: “E benvenuta anche a te, Stephanie Strange” e le sorrise.
“Grazie signore” disse Stephanie.
“Non essere così formale, anche se per ciò biasimo tuo padre. Io stesso, all’inizio, sono stato così con la mia Stephanie ma, poi, ho pensato che non era la cosa da giusta da fare” disse Stephen.
“Stephanie Strange è stata una brillante neurochirurga” aggiunse Peter.
“È stata?! Cioè è…” iniziò col dire Stephanie, ma Stephen la interruppe: “No, niente affatto: mia figlia, al momento, è una maestra delle arti mistiche. Ma, quando vuole, va anche ad operare all’ospedale. Le ho lasciato campo libero. Da lì ho visto che era veramente felice. Voleva rendermi orgoglioso, ma non riuscivo mai a capire cosa volesse realmente. Così un giorno le ho chiesto: “Sei felice?” e lei mi rispose: “Sì, ma se lo sei anche tu”. Così le dissi che dovevo smetterla di vivere attraverso lei. Che se io non potevo più essere un neurochirurgo, non dovevo costringerla a fare la mia stessa carriera. L’ho fatta scegliere e lei ha terminato gli studi di medicina, per poi dedicarsi alle arti mistiche. Nel frattempo mi sono perfezionato e la mia magia è cambiata”.
“La magia del Dottor Strange è bianca: ciò gli permette di compiere cose, che le sue varianti non sono in grado di fare” disse Peter.
“Come volare senza la cappa di levitazione” aggiunse Stephanie.
“Molto perspicace” disse Stephen, sorridendo. Poi, incamminandosi, aggiunse: “Ma ora non perdiamo altro tempo: dobbiamo aiutare la ragazza a ritornare nel suo universo”.
Mentre gli altri lo seguirono, Stephanie disse: “In verità, dovrei raggiungere mio padre che, in questo momento, si trova in un altro universo che non è il nostro”.
“Viaggiare per gli altri universi può risultare molto rischioso” disse Stephen, scendendo alcuni gradini.
“Lo so, ma non incolpi mio padre: sono stata io a chiedergli di seguirmi in un altro universo per andare a trovare una persona. Le prometto che non avverrà più” disse Stephanie.
Stephen si fermò, così come anche gli altri tre. Si voltò verso di loro e, guardando la ragazza, disse: “Il tuo è stato un gesto molto avventato ed è anche vero che tuo padre poteva benissimo impedirti ciò. Ma quel che è fatto è fatto e, ora, bisogna solo rimandarti indietro. La colpa è di entrambi ed è lodevole da parte tua, prendertela tutta ma, come ho appena detto, anche tuo padre poteva impedirti un folle gesto. Ma ciò è niente in confronto a cosa abbiamo dovuto affrontare in passato”.
“Quando sono ritornato qua, mi sono reso conto che non è poi così male lavorare in gruppo. Così mi sono recato dal Dottor Strange: in passato aveva fondato i “Defenders” ed ha deciso di prendermi con sé e gli altri. Qualche mese fa abbiamo fermato una setta che voleva evocare dei demoni” spiegò Peter.
“Basta con le chiacchiere: ora ti insegnerò ad usare il Dorje” disse Stephen. Stephanie osservò l’oggetto e l’uomo proseguì: “Impugnalo saldamente con entrambi le mani, tenendolo in modo orizzontale. Poi chiudi gli occhi e pensa intensamente alla tua destinazione. Isola la mente da tutto: in essa deve solo comparire l’immagine di tuo padre”.
Mentre gli altri si distanziarono da lei, Stephanie impugnò con entrambi le mani il Dorje, mettendolo in posizione orizzontale. Successivamente chiuse gli occhi, cercando di liberare la mente. In lei c’erano mille pensieri e la paura che, tra essi, potesse comparire lo Stephen che voleva portarla via. Poi, però, pensò a suo padre; alle sue dolci parole; ai momenti che avevano sempre passato insieme ed al suo senso di protezione e di amore. Si formò la sua immagine, aprendosi un portale. La ragazza riaprì gli occhi e guardò gli altri.
“Molto bene. Ora ascoltami attentamente: il Dorje deve essere utilizzato con cautela e saggiamente” iniziò spiegando Stephen e, dopo essersi avvicinata a lei, porse una mano sopra l’oggetto, illuminandolo di magia bianca. Poi aggiunse: “Ora funzionerà solamente con te e chi possiede il tuo stesso sangue. Per questo motivo, tu e tuo padre dovete impedire che esso finisca nelle mani sbagliate. So che c’è una mia variante che è molto cattiva e che vuole portarti via con sé. Solo perché lui ha perso tutto, questo non significa che può distruggere le vite degli altri. Se dovesse impossessarsi del Dorje, potrebbe essere la fine degli altri universi. Mi raccomando, state molto attenti”.
“Lo farò signore e grazie per tutto” disse Stephanie. Stephen le mise una mano sulla guancia, dicendole: “Sei proprio uguale alla mia Stephanie. Tu e tuo padre siete una famiglia: cercate di rimanere il più uniti possibile. Non fare in modo che nessuno tenti di separarvi e, se a volte risulta troppo appiccicoso, ricordati che è il suo modo per proteggerti. Nessuno di noi ha mai superato del tutto la perdita di nostra sorella Donna: la tua nascita è stata come un dono da parte sua”.
Stephanie lo guardò in silenzio, per poi spostare lo sguardo sul portale. Riguardò gli altri: “Faresti meglio ad andare. Speriamo di rincontrarci in circostanze diverse” le disse Stephen.
“Spero anche di rivederla” disse Stephanie e Stephen si limitò ad annuire. Poi guardò Peter: “Grazie Peter. Senza di te sarei stata persa”.
“Gli amici servono anche a questo” disse Peter. Infine guardò Octavius e, senza aggiungere altro, lo abbracciò. Il dottore le disse: “Non credo che, nemmeno questo, sia un vero addio. Come hai potuto vedere, ci siamo rivisti molto presto. Sono convinto che ci rivedremo ancora”.
Stephanie lo guardò con gli occhi lucidi ed Octavius, mentre le toglieva una lacrima con il pollice, aggiunse: “Voglio ricordarmi di te con un bel sorriso. Ricordati: è solo un arrivederci”.
La giovane Strange annuì e, dopo esservi voltata, fece un lungo respiro per poi entrare nel portale, il quale si richiuse dietro di sé. Una volta dall’altra parte, Stephanie cercò suo padre, l’altro Stephen e Peter. Li cercò per il Sanctum Sanctorum, finché non li trovò in una stanza, al quale centro si ergeva un enorme ologramma circolare della terra. Il primo ad accorgersi della sua presenza, fu Peter che, voltandosi, entusiasta disse: “Stephanie!”.
Anche gli altri due si voltarono e Stephen, correndo dalla figlia, l’abbracciò forte a sé, dicendole: “Cucciola mia, non sai che paura che mi hai fatto venire. Ho temuto di non ritrovarti mai più”.
“Sono qui, papà e ti prometto che rimarrò sempre accanto a te. Non mi interessa di tutte le regole che mi dai: lo fai per proteggermi e, per tutto questo, te ne sono e sarò sempre grata” disse Stephanie. Stephen socchiuse gli occhi, mentre gli altri due li guardarono in silenzio, sapendo che momenti così, purtroppo non sarebbero durati a lungo.






Note dell'autrice: Inanzittutto...SCUSATEMI. SCUSATEMI IMMENSAMENTE. Volevo scusarmi per tutto il tempo che ho fatto passare dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo. Non mi sono dimenticata di questa storia: è che ho passato dei mesi piuttosto pesanti (lavoro come cassiera in un supermercato e solo in questo periodo (post festività) sono un pò più libera. Ogni giorno aprivo word, ma ogni giorno arrivavo a casa stanca e non riuscivo a proseguire con il capitolo. Questo "famoso" capitolo 33 che mi porto avanti da fine novembre (che poi avevo ripreso a scrivere dopo che mi ero ammalata di Covid).
Comunque spero che i più fedeli lettori (e lettrici) non mi abbiano abbandonata e, per chi è nuovo...benvenuto in questa storia e grazie per essere arrivato/a fino a quì.
Non vi preoccupate: spero di non farvi aspettare ancora molti mesi con il prossimo capitolo. La storia continua e non ho intenzione (spero) di abbandonarla
Grazie a chi ha continuato a seguirla e leggere i capitoli. GRAZIE  a chi ha recensito o chi ha messo la storia tra le preferite e seguite. GRAZIE ai più fedeli, che sono rimasti anche dopo molto tempo che non aggiornavo. GRAZIE INFINITE
Vi auguro un buon proseguimento di serata (anzi visto l'orario, vi auguro una buona notte) ed un buon inizio di settimana a tutti/e
Al prossimo capitolo
Un forte e caldo abbraccio
Valentina

 

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Capitolo 34
*** Il più bel ricordo di Stephen ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXXIV: Il più bel ricordo di Stephen


 
Stephen controllò l’orologio che aveva al polso, per poi dire: “L’ultima contrazione è avvenuta circa dieci minuti fa. Ormai dovremmo esserci”.
“Hai detto la stessa cosa anche poco fa” disse Christine, mentre prendeva qualcosa dalla credenza. Stephen si avvicinò a lei, dicendole: “Lo sai che non devi troppo affaticarti: la bambina potrebbe risentirne”.
“Stiamo bene entrambe. Quand’è che smetterai di preoccuparti?” domandò Christine, guardandolo.
“Quando la piccola sarà nata” rispose Stephen, baciandola su una guancia. Poi spostò entrambe le mani sulla pancia, aggiungendo: “La bambina si sta muovendo”.
“È normale: si starà preparando per nascere” disse Christine, quando Stephen le prese il polso sinistro e, mentre guardava l’orologio, disse: “Hai il polso accelerato”. Guardò Christine, aggiungendo: “Dovrebbe arrivare un’altra contrazione a momenti”.
“Stephen, smettila. Lo so che sei agitato, ma devi cercare di stare calmo. Andrà tutto bene” disse Christine, prendendogli la mano e guardandolo sorridendogli.
“E’ che non voglio che vi accada qualcosa di spiacevole. Non reggerei al solo pensiero di perdervi entrambe” disse Stephen.
“Non ci perderai e tu sarai un papà eccezionale” disse Christine, quando arrivò un’altra contrazione. Si piegò dal dolore e Stephen, sorreggendola, disse: “Le contrazioni si stanno facendo più frequenti: dovremmo avviarci verso l’ospedale” e si incamminò all’entrata.
“Questa è stata solo un po' più forte della precedente: niente di che” disse Christine.
“Non essere modesta in queste occasioni: sai benissimo anche tu che, in questi casi, è meglio muoversi. Hai visto parecchie donne nel tuo stesso stato, arrivare in ospedale in preda ai dolori ed io non voglio arrivare a quel punto. Meno male che ho già caricato la borsa in macchina” spiegò Stephen, aprendo con una mano la porta.
“Sei sempre stato troppo previdente” disse Christine.
“E’ uno dei miei più grandi pregi. Non che abbia difetti” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso.
Poco dopo si ritrovarono a sfrecciare tra le vie di New York. Di tanto in tanto, Stephen guardava Christine, dicendo: “Cerca di fare dei respiri profondi”.
“E’ quello che sto facendo” disse Christine, mentre si teneva entrambe le mani sulla pancia.
“No, tu stai ansimando come un cane in calore” disse Stephen. Christine lo fulminò con lo sguardo, replicando: “E’ così che mi vedi?! Come un cane in calore?! Sappilo, caro mio, che se ora mi trovo in questo stato, è solo per colpa tua!” e riguardò avanti.
“Ora cerchiamo di calmarci: è normale essere nervosi” disse Stephen.
“Sono nervosa perché tu mi ci fai diventare! Mi hai appena paragonato ad un cane in calore, quando sono solamente una donna in procinto di partorire. Voi uomini non proverete mai il dolore che passiamo noi in questo stato” ribatté Christine.
“Mi dispiace, tesoro” disse Stephen.
“Dite tutti così. È la vostra risposta per ogni cosa: “Mi dispiace, tesoro, che non sia al posto tuo”; “Mi dispiace che sia tu a dover soffrire”; “Vorrei portare anche io quel peso per nove mesi”. Al diavolo le vostre scusanti!” replicò Christine.
“Ti amo ancora di più quando ti arrabbi” disse Stephen.
“Non aggiungere un’altra parola, Stephen Strange!” ribatté Christine, guardandolo e Stephen fece un piccolo sorriso.
Si fermarono dietro ad una lunga fila: “Magnifico, di questo passo non arriveremo mai in tempo in ospedale” disse Stephen.
“Credevo che la puntualità fosse tra i tuoi pregi” disse Christine.
“Non farmi dire cosa sto pensando in questo momento” replicò Stephen; poi aggiunse, uscendo con la testa dal finestrino: “Allora lì davanti, ci vogliamo dare una mossa?!”.
In quel momento, Christine sentì qualcosa di caldo scenderle lungo i pantaloni. Guardò Stephen, dicendogli: “Credo che dovrai cambiare i sedili nuovi”.
“Christine non è il momento di parlare di queste cose. Dobbiamo andare in ospedale, prima che tu finisca per partorire qua in macchina” disse Stephen, guardandola.
“Ecco, appunto” disse Christine. Fu lì che Stephen capì, per poi dire: “No, no, no, no”.
“Invece sì: credo che mi si sono rotte le acque” disse Christine.
“Questo lo avevo già capito! Dovrei avere tutto l’occorrente nel baule” disse Stephen.
“Non dirai sul serio?! Non voglio che la mia bambina nasca qua dentro!” replicò Christine, guardandolo.
“La nostra bambina” la corresse Stephen, per poi continuare: “Non nascerà qua in macchina, ma se il traffico non scorrerà allora non vedo altra soluzione”.
“Conosci anche tu quali sono i rischi per un parto in macchina” disse Christine.
“Sì, li so” disse Stephen, riguardando avanti. Poi puntò lo sguardo sullo specchietto laterale e su quello retrovisore. Infine, guardando di sfuggita Christine, aggiunse: “Reggiti, tesoro”. La donna fece appena in tempo a prendere con una mano la maniglia, che Stephen partì a tutta velocità, superando le varie macchine, finendo sul marciapiede e schivando le varie persone presenti.
“Stephen ti prego, rallenta: rischierai di ammazzare qualcuno” disse Christine.
“Non posso rallentare: ormai non dovrebbe mancare molto a destinazione” ribatté Stephen.
Continuarono a sfrecciare veloci per le strade di New York e, più di una volta, Stephen aveva quasi messo sotto qualcuno. Quando, finalmente, arrivarono all’ospedale. Stephen spense la macchina; poi, a passo spedito, andò dalla parte di Christine e, aprendole la portiera, disse: “Coraggio, Christine, scendi che entriamo”.
“Credo che, invece, stia scendendo qualcos’altro” disse Christine.
Stephen si abbassò e fu lì che capì: vide sbucare una testa. Per poco non sbiancò; ma poi si ricompose e, guardando Christine disse: “Ok, credo che la farò nascere ora”.
“No, ti prego, ne abbiamo già parlato anche prima. Non farla nascere qua. C’è ancora tempo” disse Christine.
“Non c’è più tempo: la piccola vuole uscire. Facciamo così: la farò nascere e poi vi porterò entrambe dentro l’ospedale. Ma ti devi fidare di me” disse Stephen, mettendo una mano sopra quelle di lei. Christine ansimava per il dolore. Poi però annuì. Stephen si alzò e, velocemente, dopo aver aperto il baule, ne estrasse una borsa, che portò con sé. Si inginocchiò di fronte alla donna e, dopo aver aperto la borsa, prese fuori guanti; una forbice e degli asciugamani.
In quel momento, il Dottor West stava passando di lì, quando notò la scena: “Strange, ma che cosa stai facendo?”.
“Sei talmente ottuso che non riconosci nemmeno un parto” disse Stephen, mentre si metteva i guanti.
“Ma tu non sei un ginecologo” disse il Dottor West.
“Grazie di avermelo ricordato e, ora, se non hai altre domande da fare, puoi anche andartene e lasciarmi al mio lavoro!” replicò Stephen, per poi allungare le mani verso Christine.
Il Dottor West si avvicinò e fu lì che si accorse cosa effettivamente stava accadendo. Guardò Christine che, guardandolo a sua volta, gli disse: “Ti prego Nicodemus, va a chiamare la dottoressa Garrison” ed il dottor West corse all’interno dell’ospedale.
“Tu non ti fidi di me, vero?” chiese Stephen, guardandola.
“Io mi fiderò sempre di te ma, in questo caso, è meglio lasciare il lavoro di ginecologia a chi lo sa praticare” rispose Christine.
Stephen non replicò e, riabbassando lo sguardo, allungò le mani, per poi dire: “Ora spingi”.
“Stephen, non credo che…” iniziò col dire Christine, ma Stephen ribatté: “Ho detto spingi! Vedo già metà testa fuori: non voglio che muoia soffocata”.
Così la donna iniziò a spingere, mentre una piccola folla di presenti – dottori e non – che avevano sentito le urla, si fecero lì intorno. Stephen avrebbe tanto voluto cacciarli ma, in quel momento, era solamente concentrato per far nascere la figlia.
Incitava Christine nel continuare a spingere, quando in quel momento, arrivarono di corsa il dottor West, accompagnato dalla dottoressa Garrison ed un paio di infermiere. Appena videro la scena, la dottoressa Garrison replicò: “Dottor Strange, le consiglio vivamente di spostarsi immediatamente da lì!”.
“Non posso: non vede che sto operando?” disse Stephen.
“Lei sta facendo nascere un bambino!” lo corresse la dottoressa Garrison. Poi aggiunse: “Dottor Strange non glielo ripeterò più: si sposti immediatamente da lì! È un ordine!”.
“Lei non è il mio capo, ma a volte solamente una collega in sala operatoria. Non mi sposterò da qui, finché non avrò fatto nascere mia figlia!” ribatté Stephen. Ci fu silenzio; poi la dottoressa Garrison, rivolta alle due infermiere, disse: “Fate allontanare i presenti” e le infermiere fecero come era stato appena loro chiesto.
La dottoressa Garrison riporse lo sguardo su Stephen, dicendogli: “Dev’essere il più delicato possibile, proprio come quando opera al cervello. Si assicuri che la bambina non abbia il cordone ombelicale legato intorno al collo: in quel caso dovremmo metterla subito in un’incubatrice”.
“So benissimo come devo comportarmi: non c’è bisogno che mi detta tutto per filo e per segno!” replicò Stephen.
“Ho seguito sua moglie per tutti i nove mesi della gravidanza: so in che stato è la bambina” disse la dottoressa Garrison.
“Ed io ho letto alcuni libri di ginecologia, memorizzandone ogni singola riga e pagina. Non sbaglierò, se è quello a cui sta pensando. Soprattutto con Christine e la piccola. Sono la mia famiglia: non posso perderle!” ribatté Stephen.
“Faccia come le pare ma, appena avrà fatto nascere quella bambina, la prenderò e la porterò immediatamente in ginecologia per assicurarmi che stia bene” disse la dottoressa Garrison.
“Va bene, ma ora mi lasci lavorare!” replicò Stephen.
Christine continuava ad urlare, finché…Stephen estrasse la bambina, che piangeva. La guardava amorevolmente, mentre la teneva tra le mani. Quel fagottino così piccolo, ma già così pieno di vita.
La dottoressa Garrison stava per prendere le forbici, quando Stephen la guardò malamente: “Non si azzardi neanche!”.
“Allora si sbrighi” disse la dottoressa Garrison.
Mentre con una mano sorreggeva la figlia, con l’altra prese le forbici, con le quali tagliò il cordone ombelicale. Poi avvolse la piccola in un asciugamano. La guardò: “Ciao, cucciola mia. Sono il tuo papà. Quanto ti ho aspettato” e la baciò sulla fronte. Alzò lo sguardo, quando Christine lo chiamò, vedendola allungare le mani. Riguardò la piccola, dicendole: “Ora andiamo dalla mamma” e la depositò delicatamente tra le sue mani.
“Ciao, piccola. Finalmente sei arrivata. Quante notti insonni mi hai fatto passare e quanti calci mi hai dato. Ma, dopotutto, sei figlia di tuo padre: sempre impaziente; combattivo e sicuro di sé. Non sai già il bene che ti vogliamo”.
“Dottoressa Palmer, mi dispiace interrompere questo dolce momento, ma devo portare subito la piccola in ginecologia” disse la dottoressa Garrison.
Christine la guardò in silenzio; poi guardò la piccola e, dopo averla baciata sulla fronte, disse: “Non ti preoccupare, piccola: ci rivedremo presto. Mamma e papà non vedono l’ora di riaverti tra le loro braccia” e consegnò la piccola alla dottoressa Garrison che, insieme alle infermiere, entrò nell’ospedale.
Stephen si affiancò a Christine. Strinse le mani di lei tra le sue, per poi dirle: “Sei stata bravissima”.
“Anche tu, ma non avevo dubbi” disse Christine, guardandolo.
“Ti avevo detto di fidarti di me. Non me lo sarei mai perdonato se vi avessi perso entrambe. Siete ciò che ho di più prezioso in questo mondo” disse Stephen ed i due si baciarono.
Poco dopo e dopo che Christine fu stata curata, i due si trovavano davanti alla nursery. La loro bambina, che in quel momento stava dormendo, era stata posta in una delle culle in prima fila, vestita con un pigiamino rosa e con una cuffietta dello stesso colore.
“Ancora non ci credo che finalmente sia arrivata. L’abbiamo aspettata per tanto” disse Christine.
“Sarà la bambina più viziata che ci sia. Non le farò mancare nulla e, da grande, diventerà la migliore neurochirurga in circolazione” disse Stephen.
“Ha poche ore di vita e già pensi al suo futuro? Cerchiamo, invece, di godercela finché è piccola” disse Christine, appoggiando la testa sulla spalla di Stephen. Questi la guardò sorridendo. Entrambi volsero gli sguardi, quando la Dottoressa Garrison, con un’infermiera, li raggiunse. La donna guardò Christine: “Allora, come si sente?”.
“Bene, grazie. Quando potremo tenere in braccio la nostra bambina?” domandò Christine.
“Molto presto e poi potrete portarla a casa. A proposito avete già deciso che nome darle?” chiese la Dottoressa Garrison.
“Stephanie. Lei si chiamerà Stephanie” rispose Stephen.
“Donna” aggiunse Christine. Stephen la guardò e Christine, guardandolo a sua volta, aggiunse: “Stephanie Donna Strange” e, guardando la dottoressa Garrison, finì col dire: “Lei si chiamerà Stephanie Donna Strange”.
La dottoressa Garrison si limitò ad annuire e, insieme all’infermiera se ne andò.
“Christine, io…” iniziò col dire Stephen. Christine gli mise un dito sulla bocca, dicendogli: “Pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Sì…insomma…non hai mai dimenticato tua sorella e non ti sei mai dato pace per ciò che le accadde. Lei potrebbe rivivere in nostra figlia”.
Stephen le mise una mano sulla guancia, dicendole: “Oh, Christine, mi hai fatto il dono più bello che io potessi desiderare. Ti amo. Ti amerò per sempre”.
“Anche io ti amo” disse Christine e si baciarono.
I giorni passavano ed i due neo genitori presto si dovettero dividere tra turni in ospedale; pappe; cambi di pannolini e strilli notturni. Ma erano felici, soprattutto Stephen.
Stephanie era la luce dei suoi occhi; la sua più grande gioia e lui ne era molto orgoglioso. Già prospettava il suo futuro, vedendola al suo fianco come brillante neurochirurga, operando solamente i casi più difficili.
Una notte, sentirono piangere la piccola dal baby monitor. Christine si rigirò nel letto e, tenendo gli occhi chiusi, mugugnò qualcosa: “Stephen, va tu per favore”.
“Ma non l’hai appena cambiata?” le domandò.
“Sì e le ho anche dato da mangiare” rispose.
“Allora vado a vedere cosa c’è che non va” disse Stephen e, dopo essersi alzato da letto, si diresse nella nursery, dove trovò Stephanie nella culla che piangeva.
“Cucciola mia, cosa c’è che non va? Non devi far preoccupare così papà e mamma. Su, smetti di piangere. C’è qua il tuo papà” disse Stephen guardandola sorridendole e, abbassandosi, la baciò sulla fronte. Stephanie smise di piangere, ma continuò a singhiozzare, guardando il padre con quegli occhi azzurri così uguali ai suoi.
Stephen le sorrise, quando alzò lo sguardo verso una figura che parlò: “Come siamo sentimentali. Il grande Stephen Strange che si fa addolcire così facilmente”.
“Chi sei? Vieni fuori!” ribatté Stephen.
La figura uscì dall’ombra, rivelando…un altro Stephen Strange.
“Tu?! Cosa ci fai qui?! Non dovrebbe essere possibile” disse stupito Stephen, riconoscendo la sua variante malvagia.
“Per me nulla è impossibile. Noto, però, che nei sogni sei molto cosciente. Questo sta a significare che sei ancora troppo attaccato al passato. Sei debole. Ed io credevo che tu fossi quello più pericoloso tra tutti gli altri” disse lo Stephen cattivo, avanzando verso la culla.
“Non osare toccarla!” replicò Stephen ma, appena cercò di attaccarlo, l’altro lo bloccò a mezz’aria, per poi dirgli: “Che cosa pensi di farmi? In questo sogno, non sei ancora diventato lo Stregone Supremo ma sei un semplice neurochirurgo con la sola sete di fama e notorietà”.
Si avvicinò alla culla, mentre Stephen lo guardava furente e cercando di liberarsi. Lo Stephen cattivo disse, guardando Stephanie che lo guardava a sua volta: “Porterò via la tua Stephanie e la crescerò come la mia. Poi prenderò anche Christine e tutti e tre insieme ritorneremo ad essere una famiglia”.
“Sei solo un codardo! Mi attacchi in questo momento, perché sai che contro la mia parte malvagia non avresti vittoria facile. Liberami e combattiamo!” ribatté Stephen.
“Nemmeno la tua parte malvagia è in grado di sconfiggermi: sono io il più forte! E, ora, preparati a dire addio alla tua dolce Stephanie!” replicò lo Stephen cattivo e, stava per prendere la bambina, quando una forte magia lo scaraventò a terra e, chi lo aveva attaccato, liberò anche Stephen. Questi alzò lo sguardo per trovarsi accanto Wong: “Wong?! Che cosa ci fai qua? E come sei riuscito ad entrare nel mio sogno?”.
“Le spiegazioni a dopo” rispose Wong. Entrambi guardarono lo Stephen cattivo che, dopo essersi alzato, replicò: “Questo è giocare sporco: due contro uno. Non si fa”.
“Potrei dire la stessa cosa di te: entri nei sogni altrui, nei momenti delle loro debolezze. Dovresti combattere ad armi pari” ribatté Wong.
“E, allora, che divertimento ci sarebbe vedervi soffrire? Dovreste, invece, ringraziarmi: ho ucciso le altre nostre varianti spingendole giù da alti edifici. Con te sto dando troppe possibilità di sopravvivenza. Però sto iniziando a perdere la pazienza: prenderò Stephanie anche a costo di distruggere il vostro insulso universo!” replicò lo Stephen cattivo.
“Avanti, ti sfido a provarci!” ribatté Wong e creò due scudi dorati.
“Non ho voglia di sporcarmi le mani con te: preferivo un combattimento uno contro uno” disse lo Stephen cattivo; poi spostò lo sguardo su Stephanie, che lo guardava, dicendo: “Con me avrebbe avuto potenziale: sarebbe diventata la più forte di tutti”. Riguardò i due aggiungendo: “Ma non è ancora finita qua: prima o poi lei sarà mia!” e, ridendo malignamente, creò un portale, nel quale sparì.
Stephen corse al fianco della culla e, guardando la piccola, disse: “Cucciola mia, stai bene?” e Stephanie rise. Wong si affiancò a lui e, prima che Stephen potesse aprire bocca…si svegliò.

 
Stephen ansimava. Si trovò Wong accanto al letto, chiedendogli: “Perché sei qua nel pieno della notte?”.
“Era un’urgenza e non potevo aspettare domani mattina” rispose.
“Fammi indovinare: l’urgenza riguardava la mia variante malvagia?” domandò.
“Ero in meditazione, quando mi sono accorto che qualcosa non andava. Così mi sono collegato con il piano astrale ed ho notato un notevole cambiamento di energia nella tua mente” rispose Wong.
“No, un momento: ti sei collegato alla mia mente?! Dove è finita la privacy?” disse stupito Stephen.
“Se non l’avessi fatto, quell’altro te sarebbe riuscito a portare via Stephanie” disse Wong.
Sentendo il nome della figlia, Stephen si alzò da letto ed a passo spedito si diresse nella camera di Stephanie. Tirò un sospiro di sollievo, vedendola che stava dormendo beatamente. Venne raggiunto da Wong.
“Come ci riesce?” chiese Stephen.
“Con il Darkhold: quando uno è del tutto disperato, il Darkhold gli fornisce ogni genere di maledizione. Dopotutto, è stato creato dal primo demone. Ogni cosa è possibile per chi vuole ottenere ciò che vuole” spiegò Wong.
Stephen si avvicinò a Stephanie e, dopo essersi abbassato, le mise una mano sulla fronte. La ragazza si mosse, ma non si svegliò. Poi guardò Wong: “Che cosa consigli di fare?”.
“Controbatterlo, ma tenendo costantemente la guardia. È un tipo molto pericoloso” rispose Wong.
“Così pericoloso, che nemmeno la mia parte malvagia è riuscita a contrastarlo. Se fossi stato più preparato” disse Stephen.
“Può attaccare in qualsiasi momento, cogliendoci di sorpresa. È per questo che non sei riuscito a contrattaccarlo” disse Wong.
Stephen riguardò Stephanie, sospirando per poi dire: “Al momento c’è solo una cosa da fare”.
Il mattino seguente Stephanie si svegliò, illuminata dai raggi solari. Si stiracchiò, ma le saltò subito all’occhio la stanza: “Un momento: questa non è la mia camera da letto”.
Scese e, velocemente si diresse verso la porta, trovandola chiusa. Provò ad aprire la maniglia, ma nulla da fare. Bussò incessantemente, chiamando il padre, ma nessuno andava da lei.
Andò verso la finestra, aprendola, rimanendo a bocca aperta: davanti a lei si ergeva il tempio di Kamar-Taj. Come era finita lì?







Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi con un nuovo capitolo. Vi avevo detto che non sarei più sparita per molto tempo (e spero di non sparire ancora). Volevo aspettare ancora un pò prima di arrivare al secondo film di Doctor Strange, approfondendo gli altri Strange (soprattutto il sinister). Spero che questa scelta vi stia piacendo. Non volevo, soprattutto, avere buchi di trama o quant'altro
Volevo ringraziare chi ha continuato a sostenere la storia (seppur son sparita per un paio di mesi). Quindi GRAZIE per il vostro continuo sostegno. Grazie a chi sta recensendo o chi è passato semplicemente da queste parti. Chi ha messo la storia tra le seguite e preferite. Grazie di cuore
Con ciò vi attendo al vostro capitolo (sperando non tardi ad arrivare)
Una buona notte ed un buon inizio di week end
Un forte abbraccio
Valentina

 

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Capitolo 35
*** Trattamenti di sfavore ***


UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXXV: Trattamenti di sfavore



Stephanie era molto eccitata: quella sarebbe stata la prima volta, da quando aveva iniziato la scuola materna, ad essere andata in gita senza i genitori. Non che a Stephen la cosa andasse giù, ma doveva farsela andare bene.
“Non ho mai acconsentito del tutto a lasciarla andare” disse Stephen, mentre osservava Christine mettere le ultime cose all’interno dello zainetto della figlia.
“Eppure hai firmato il permesso” disse Christine.
“Mi ci hai costretto” disse Stephen.
“Non è vero: ti ho solo consigliato di ponderare bene la tua decisione e, che avresti fatto felice nostra figlia. Non glielo hai letto negli occhi quanto ti era grata?” disse Christine, guardandolo.
“È stato un colpo basso” disse Stephen.
“Dai, è la sua prima gita senza di noi: è un passo avanti” disse Christine.
“Io, invece, lo trovo più pericoloso” disse Stephen.
“Vanno solamente allo zoo” disse Christine.
“Con animali pronti ad azzannarli” disse Stephen.
“Quanto la fai sul tragico. Dopotutto si trovano dietro alle sbarre” disse Christine e, dopo aver terminato di riempire lo zainetto, lo richiuse. Poi aggiunse: “Ecco fatto: Stephanie ha tutto l’occorrente per il grande giorno”.
“Vorrei che non arrivasse mai, anche se spero termini il prima possibile” disse Stephen. Christine lo riguardò: “Intanto abbiamo entrambi il turno in ospedale: vedrai, non te ne accorgerai neanche”.
Arrivò il giorno tanto atteso da Stephanie. I bambini, con i rispettivi genitori, si trovavano davanti al pulmino, pronti a partire. Ognuno dava loro raccomandazioni e Stephen non era da meno: “Stai lontana da quelle gabbie. Non voglio neanche che ti avvicini ad un qualsiasi animale, seppur esso si possa trattare di un lemure. Non puoi sapere di cosa possano essere capaci”.
“Ma sono dietro alle sbarre: cosa possono farci?” domandò Stephanie.
“Già Stephen, cosa possono fare?” ripeté Christine, guardandolo.
“Smettila!” disse Stephen, guardandola a sua volta; poi, entrambi riguardarono la figlia e, abbassandosi, aggiunse: “Non vedo l’ora che arrivi già stasera per poterti riabbracciare. Mi mancherai tantissimo, cucciola mia”.
“Anche tu, papino” disse Stephanie e lo abbracciò, appoggiando la testa contro la sua spalla.
Ad abbraccio finito, la bambina guardò Christine, che le disse: “Mi raccomando, stai sempre accanto ai tuoi amici ed ascolta la maestra”.
“Va bene, mammina” disse Stephanie. Christine le sorrise, per poi abbracciarla.
La maestra chiamò a sé i bambini che, allontanandosi dai genitori, si avvicinarono a lei, per poi salire uno dopo l’altro sul pulmino.
Una volta che anche la maestra fu salita, il conducente chiuse la porta e, mentre partiva, i bambini si affacciarono ai finestrini, salutando i genitori, che li salutarono a loro volta.
“Mi raccomando, cucciola mia: se qualcuno ti dà fastidio, tu fargli vedere chi sei, perché uno Strange non si tira indietro davanti a niente e nessuno” ed il pulmino volse l’angolo.
Mentre gli altri genitori se ne andarono, Stephen guardò Christine e, vedendo la sua espressione poco convinta, le chiese: “Che c’è?”.
“Te l’ho già detto anche in precedenza: stai crescendo un mostro. Di questo passo, diventerà arrogante con tutti” rispose.
“Deve capire fin da subito che non deve farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Solo così farà strada” disse Stephen.
“Pensavo che avessimo concordato che l’avremmo cresciuta facendole capire di rispettare gli altri e cercare di andare d’accordo con quelli della sua età” disse Christine.
“E’ una buona e brava bambina, ma se gli altri sono degli stup…” iniziò col dire Stephan, ma dopo che Christine lo guardò malamente, si corresse: “Ma se gli altri non sono alla sua altezza, non ci possiamo fare nulla”.
“Sono solo dei bambini: quando cresceranno impareranno” disse Christine.
“E’ meglio che imparino già in tenera età: dopo è troppo tardi” disse Stephen.
La giornata in ospedale trascorse come tutte le altre, seppur Stephen sembrava più nervoso del solito. Christine stava firmando alcune cartelle, mentre stava davanti alla scrivania delle infermiere, quando proprio una delle infermiere si affiancò a lei: “Oggi è proprio insopportabile”.
“A chi ti stai riferendo?” domandò Christine, non guardandola.
“Al Dottor Strange. Non che gli altri giorni non lo sia, ma oggi lo è ancora di più. Tratta tutti male, dicendoci che siamo più stupidi del solito e, che se non sappiamo fare il nostro lavoro – o non ci piace più – possiamo anche andarcene a lavorare al porto” spiegò l’infermiera.
“Lascialo perdere: si comporta così perché oggi Stephanie è andata alla sua prima gita senza genitori. Gli altri giorni non ha fatto altro che ripetere che lui non ha mai approvato a firmarle il consenso; che dove vanno è pericoloso e che non dovrebbero permettere a dei bambini così piccoli di andare in gita da soli” disse Christine e, dopo aver terminato di firmare la cartella, che consegnò all’infermiera dietro alla scrivania, si incamminò seguita dall’altra donna.
“Ma non sono del tutto soli: non dovrebbe esserci la maestra con loro?” chiese l’infermiera.
“Sì, ma secondo Stephen è come se fossero ugualmente da soli” rispose Christine.
“Fammi indovinare: ha ritenuta anche la maestra di vostra figlia stupida e non in grado di fare bene il suo lavoro?” domandò l’infermiera.
“Stesse identiche parole, con la sola eccezione che ti sei dimenticata di aggiungere che l’ha definita incompetente nel tenere dietro a dei bambini e, che se dovesse vedere anche solo una piccola ferita nella sua dolce Stephanie, la farà licenziare” rispose Christine.
“Se potesse, starebbe con vostra figlia tutto il giorno” disse l’infermiera.
“E’ anche per questo motivo che ho deciso di divorziare: stava diventando troppo appiccicoso con Stephanie ed io non voglio che la cresca in questo modo. Ma Stephanie lo adora. Per lei è il suo eroe e mi ha già detto che da grande vuole diventare come lui” spiegò Christine.
“Anche tu sei una dottoressa” disse l’infermiera.
“Lei ha detto precisamente così: “Voglio diventare come papà, non come la mamma che è una semplice dottoressa”. Ti rendi conto cosa Stephen le sta mettendo in testa? Io voglio che lei abbia degli amici ed un’infanzia felice. Invece Stephen la sta già tempestando di regole e non la vuole mai fuori dalla sua vista. Mi ha messo contro un sacco di avvocati pur di avere la sua totale custodia, perché sapeva che, secondo la legge, lei sarebbe dovuta venire a vivere con me fino al compimento della maggiore età. Almeno è stato gentile da non mettermi qualcuno a sorvegliarmi dei servizi sociali, mentre tengo Stephanie a week end alternati” spiegò Christine.
“Mi dispiace molto che hai dovuto passare tutto ciò: vi vedevo una bella coppia e speravo duraste” disse l’infermiera.
“Sotto sotto amo ancora Stephen, ma se non cambierà, le cose tra noi non possono ristabilizzarsi. Cercheremo di non litigare almeno davanti a Stephanie” disse Christine. Quando si fermarono, per vedere davanti a loro Stephen che stava urlando davanti a due ragazzi con i camici bianchi: “Siete solo degli incompetenti! Non siete in grado nemmeno di compilare una semplice cartella!”.
“Ci dispiace molto Dottor Strange, ma ci avevano detto di…” iniziò col spiegare uno dei due ragazzi, ma venne interrotto da Stephen: “Non me ne frega nulla di ciò che vi avevano detto di fare! Avete scelto il corso di medicina pensando fosse una passeggiata?! Be’, vi siete sbagliati, perché qua non accetto dei ragazzini come voi che stanno ancora attaccati alla gonna della mamma!”.
“Stiamo cercando di imparare e non è gridandoci contro che apprenderemo” disse l’altro ragazzo.
“Osi contraddirmi, ragazzino?! Alla vostra età ero già in grado di operare da solo, mentre voi non riuscite nemmeno a fare un semplice prelievo del sangue! Quindi sparite dalla mia vista, prima che vi appenda a testa in giù per i pollici, mentre vi faccio assistere ad un’autopsia!” replicò Stephen ed i due ragazzi corsero via.
Stephen volse lo sguardo, per vedere Christine, insieme all’infermiera, che lo guardava scuotendo la testa. Si avvicinò a loro e Christine disse: “Sei sempre molto gentile nei confronti degli specializzandi”.
“Oggi sono molto nervoso e loro mi hanno fatto saltare i nervi ancora di più!” ribatté Stephen.
“Non ce ne siamo accorte” disse l’infermiera ma, dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte di Stephen, guardò Christine aggiungendo: “Credo che le altre infermiere abbiano bisogno di me. Magari ci vediamo più tardi” e se ne andò a passo spedito.
“Certo che ci impieghi tutto te stesso nel spaventare le persone” disse Christine.
“Per favore Christine, ora non ti ci mettere anche tu: non è giornata” replicò Stephen, mentre estraeva il cellulare dalla tasca del camice.
“Dovresti cercare di rilassarti, invece te la stai prendendo con tutti” disse Christine.
“Tutti, tranne che con te” disse Stephen, facendole un piccolo sorriso e, dopo aver composto il numero scelto, si mise l’apparecchio all’orecchio.
Nel frattempo, i bambini stavano rientrando dalla gita. C’era gran fermento nel pulmino e la maestra sentì a stento il cellulare che le suonò in tasca. Lo estrasse e, dopo esserselo messo all’orecchio, disse: “Buon pomeriggio, con chi parlo?” e dall’altra parte risposero. Quindi aggiunse: “Oh, salve Dottor Strange. No, non si deve preoccupare di nulla: stiamo rientrando”.
“State rientrando?! E quand’è che ci avrebbe avvertito?!” ribatté Stephen.
“Poco prima di ritornare nel parcheggio dell’asilo. La giornata è andata bene” disse la maestra.
“Non me ne frega nulla di come è andata la giornata! A me importa solamente di come sta mia figlia!” replicò Stephen.
La maestra volse lo sguardo all’indietro per vedere Stephanie che stava ridendo e parlando con un’altra bambina seduta accanto a lei. Quindi riguardò avanti, dicendo: “Sua figlia sta molto bene. Stanno tutti bene”.
“Perfetto. Allora ci vediamo più tardi” disse Stephen e, prima che la maestra potesse salutarlo, riattaccò.
La maestra guardò il cellulare e, mentre lo rimetteva in tasca, disse: “Certo che è un tipo davvero strano. Non so come Stephanie possa adorarlo ma, dopotutto, si tratta sempre di suo padre”.
“Le bambine starebbero sempre appiccicate ai propri papà: è così anche la figlia di mio fratello. I maschi, invece, sono tutti l’opposto. Vorrebbero già essere indipendenti in tenera età, invece cercano costantemente la mamma” disse l’autista.
“Stephanie è una bambina molto dolce ma, più di una volta, l’ho sentita dire che gli altri sono tutti insignificanti in confronto a lei. Che uno Strange non deve mai farsi mettere i piedi in testa da nessuno” disse la maestra.
“Tutto suo padre ma spero che, quando diventerà grande, riesca a distaccarsi da lui. Il Dottor Strange ha sempre avuto un brutto carattere e mi dispiace un sacco che quella bambina voglia prendere la sua strada” disse l’autista.
“Meno male che, almeno la madre, ha ancora del buon senso e che riesce a tenere a freno il Dottor Strange. O, almeno ci prova” disse la maestra. L’autista sorrise, scuotendo negativamente la testa quando, improvvisamente, da un incrocio sbucò un altro pullman più grande, che andò a sbattere contro di loro.
L’autista perse il controllo del mezzo. I bambini urlavano e la maestra, alzatasi, cercava di calmarli. Ma il mezzo finì fuori strada, ribaltandosi.
Stephen riattaccò e, mentre rimetteva il cellulare in tasca, disse: “Ma ti pare possibile che quella donna ci avrebbe avvertito solamente quando sarebbero arrivati nel parcheggio dell’asilo?! Non ha rispetto nei nostri confronti!”.
“Non te la prendere per così poco” disse Christine.
“Giuro che se è accaduto qualcosa a nostra figlia, farò passare l’inferno a quella donna” disse Stephen.
“Cerca di pensarla in positivo: fra poco riavrai Stephanie tra le tue braccia” disse Christine.
Il telefono del centralino squillò e l’infermiera alla scrivania prese su la cornetta: “Metro General Hospital, mi dica” e, mentre dall’altra parte parlavano, l’infermiera trascrisse tutto, per poi dire: “Va bene, manderemo subito i soccorsi. Voi cercate di stare calmi e non muovete nessuno” e riattaccò. Accese il microfono, dicendo: “A tutti i medici ed infermieri: codice rosso. Ripeto: codice rosso. Prepararsi all’arrivo delle ambulanze in cinque minuti”.
Mentre tutti i medici presenti correvano verso l’entrata del pronto soccorso, Christine e Stephen, a passo spedito, li seguirono.
“Avrei tanto voluto terminare prima il turno per andare a riprendere Stephanie” disse Stephen, mentre si metteva i guanti.
“Vedrai che aspetteranno e, se proprio non riusciamo ad arrivare in tempo, vorrà dire che li avvertiremo” disse Christine.
Uscirono e, mentre aspettavano le ambulanze, Stephen disse: “Sai, non sarebbe una cattiva idea se, una serata di queste, uscissimo tutti e tre. Come ai vecchi tempi”.
“Definisci “vecchi tempi” il nostro divorzio di neanche un anno fa? Ti sei già pentito?” chiese Christine.
“Sei tu quella che ha deciso di divorziare” rispose Stephen.
“Ho avuto le mie buone ragioni” disse Christine. I due si guardarono in silenzio, ma riguardarono avanti quando iniziarono ad arrivare varie ambulanze.
A mano a mano che si fermavano, i paramedici scesero dalle porte esteriori, trasportando tutti gli stessi pazienti e con i medesimi sintomi: “Bambino; scontro tra pulmino e autobus. È sotto shock ma, al momento non sappiamo se riporta contusioni interne”.
“Dov’è la mia mamma?” domandò un bambino, mentre Christine si affiancò alla sua barella, rispondendogli e sorridendogli: “Arriverà subito. Tu cerca di stare calmo” ed andò accanto a Stephen che, con una biro, stava facendo seguendo la lucina presente in essa, da una bambina: “Reazioni positive. Portatela insieme agli altri” ed andarono da un altro bambino, quando Christine ne riconobbe uno: “Oh mio dio, quella è Tilly. È in classe con Stephanie” ed accorsero da lei.
La bambina continuava a chiedere ai paramedici dei genitori e loro cercavano di farla stare calma, quando vennero raggiunti da Stephen e Christine. Quest’ultima, domandò: “Tilly, cosa è successo?”.
“Abbiamo avuto tanta paura” rispose la bambina, guardandola.
“Dov’è Stephanie? Dove si trova?” chiese Stephen.
“Voglio i miei genitori” disse la bambina.
“Dimmi dov’è Stephanie!” replicò Stephen, quando la bambina iniziò a piangere. Christine lo spostò, così da permettere ai paramedici di trasportarla all’interno.
“Ma che cosa ti salta per la testa?! Quella bambina è già abbastanza spaventata! Non c’è bisogno che la terrorizzi ancora di più!” ribatté Christine.
“Perché non c’è Stephanie? Dove si trova la nostra bambina?” replicò Stephen.
“Magari sta arrivando con un’altra ambulanza” ipotizzò Christine.
“O, nel peggiore dei casi, è stata sbalzata fuori e non ci vogliono dire nulla! Ma soccorriamo gli altri bambini e lasciamo per ultima la figlia del Dottor Strange” ribatté Stephen e, dandole di schiena, si passò una mano tra i capelli.
“So che sei preoccupato: lo sono anche io, ma dobbiamo cercare di stare calmi e, nel frattempo, aiutare tutti questi bambini” disse Christine.
“Non me ne frega nulla di loro!” urlò Stephen, voltandosi verso di lei. Poi aggiunse: “Voglio solo avere Stephanie al sicuro tra le mie braccia!”.
Arrivò un’altra ambulanza, dalla quale scesero due paramedici e, uno di loro, teneva in braccio Stephanie. Appena la videro, Christine e Stephen corsero da loro e, subito, Stephen prese la figlia: “Cucciola mia, eravamo tanto in pensiero per te”.
“Come sta?” domandò Christine.
“È sana: ha solo tanta paura” rispose il paramedico.
Stephen guardò la figlia, baciandola su una guancia; poi, fu a quel punto che notò una cosa: “Perché non ha il collarino?” disse. Guardò i paramedici, ripetendo la domanda: “Perché non ha il collarino?”.
“Perché non abbiamo ritenuto necessario metterglielo” rispose il paramedico.
“Non lo avete ritenuto necessario?! Perché agli altri bambini sì, mentre alla mia no?! Che cos’ha di diverso mia figlia da non averle messo il collarino?!” replicò Stephen.
“Non era grave come gli altri bambini” rispose il paramedico.
“Questa è stata solo una vostra ipotesi! Anche mia figlia era in quell’incidente!” ribatté Stephen ma, dopo che Stephanie ebbe appoggiato la testa contro la sua spalla, aggiunse: “Se non ha nulla, siete fortunati. Se invece scopro che ha qualcosa che non va, non solo vi farò licenziare ma stiate pur sicuri che non arriverete alla fine di questa settimana!” e, furente entrò in ospedale. Senza dire nulla, Christine lo seguì, dove lo trovò non al pronto soccorso, ma in una stanza a parte, con Stephanie già coricata sul letto.
“Perché l’hai portata qua?” chiese Christine.
“Stephanie è sotto la mia totale responsabilità. Ed anche la tua” rispose Stephen.
“Non possiamo lasciare da soli tutti quei bambini: hanno bisogno delle nostre cure” disse Christine.
“Ci stanno pensando gli altri dottori. Te lo ripeto: di loro non me ne importa nulla! È Stephanie la mia priorità!” replicò Stephen, guardandola. Christine non obiettò. Poi Stephen, spostando lo sguardo su Stephanie, aggiunse: “Se vuoi puoi anche non rimanere: non ti obbligo, ma tua figlia dovrebbe venire prima degli altri”.
Christine si voltò: stava per uscire, ma poi chiuse la porta. Si voltò e, avvicinandosi a Stephanie, disse: “Tesoro, so che sei spaventata, ma diresti a me ed a papà cosa è accaduto? Vogliamo aiutarti” e l’accarezzò sulla testa.
Stephanie guardò il padre, che le sorrise; quindi spostò lo sguardo sulla madre, dicendo: “Un grosso pullman è sbucato all’improvviso e ci è venuto addosso. Il signore che guidava ha cercato di frenare, ma siamo finiti fuori strada, ribaltandoci. Prima che ciò avvenisse, la maestra ci diceva che sarebbe andato tutto bene; poi però…”. Si fermò, mentre le lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
“Se non ci riesci, non continuare: possiamo già immaginare il seguito” disse Christine.
“Tutti gridavano e piangevano. La maestra e l’autista non si muovevano. Io ero rimasta incastrata con un piede tra due sedili” disse Stephanie.
“Ok, cucciola mia, può bastare. Ora ci pensano mamma e papà a curarti” disse Stephen, accarezzandole una guancia con il dorso della mano. Poi con entrambi le mani, fece una leggera pressione su tutto il fianco sinistro della figlia, mentre quest’ultima, guardando la madre, le domandò: “Gli altri si salveranno, vero mammina?”.
“Ma certo, tesoro: staranno tutti bene” le rispose, sorridendo anche, se in cuor suo, sapeva che molti erano arrivati in gravi condizioni.
Stephen giunse alle gambe e successivamente al piede sinistro. Fu a quel punto che Stephanie sussultò. 
“Ti fa male?” le chiese Stephen. Stephanie scosse negativamente la testa. Stephen le toccò nuovamente il piede e Stephanie sussultò.
“Stephanie, devi dirci la verità. Solo così possiamo curarti” disse Stephen. Poi le ripeté la domanda: “Ti fa male il piede quando lo tocco?”. Stavolta la figlia annuì.
“Secondo te che cos’ha?” domandò Christine.
“Ad una prima occhiata sembrerebbe solamente una slogatura” rispose Stephen, guardandola. Poi spostò lo sguardo su Stephanie e, mettendole una mano sulla testa, aggiunse: “Cucciola, come ti hanno estratto dal pulmino? Prima, ci hai detto che avevi il piede incastrato tra due sedili. Come ti hanno tirato fuori?”.
“Due signori mi hanno presa per le braccia, tirandomi su” rispose Stephanie. A quel punto lo sguardo di Stephen divenne furioso. Guardò Christine: “Rimani qua con lei: vado a prendere la macchina per le lastre”.
“Perché? Cosa succede?” chiese allarmata Christine.
“Se l’hanno tirata fuori così, non sappiamo se può aver riportato lesioni interne. Quindi, voglio vederci chiaro” rispose Stephen ed uscì. Christine sospirò, ma si voltò quando Stephanie la chiamò: “Mammina, i miei amici hanno bisogno di te e papà”.
“Ma no tesoro, ci stanno pensando già gli altri dottori a loro. Sono in ottime mani” disse Christine, sorridendole.
“Tu e papà siete i migliori: loro hanno bisogno di voi. Non preoccupatevi per me” disse Stephanie. Christine si avvicinò a lei ed accarezzandola, le disse: “Sei sempre stata una buona e brava bambina, ma noi siamo i tuoi genitori e, come ha detto prima papà, sei la nostra priorità. I tuoi amici si salveranno, promesso”.
Stephen ritornò con la macchina per le lastre e, mentre la portava sopra la figlia, questi l’osservava con paura. Poi guardò Christine e, vedendola taciturna, le domandò preoccupato: “Che c’è? È successo qualcosa mentre non c’ero? È stata male?”.
“No, niente di che. È solo che…” iniziò col rispondere Christine.
“E’ solo che cosa?! Christine, per favore, non farmi preoccupare!” ribatté Stephen. 
Christine guardò Stephanie, dicendole: “Tesoro, dì a papà quello che hai raccontato prima a me”.
Padre e figlia si guardarono e Stephanie gli disse: “I miei amici hanno bisogno del tuo aiuto e quella della mamma. Voi siete dei bravissimi dottori e, con le vostre cure, sono sicura che si salveranno”.
Stephen sorrise e, mettendole una mano sulla testa, disse: “Cucciola mia, tu sei troppo importante per noi. Per questo motivo vieni prima di tutti gli altri. Sei molto dolce nel pensare ai tuoi amici, ma io e la mamma vogliamo occuparci solamente di te. Staranno bene, fidati di me. Ora stai ferma che ti scatterò qualche fotografia” e, dopo averla baciata sulla fronte, aggiustò meglio la macchina, per poi mettere sulla pancia della figlia una specie di piccolo telo grigio. Successivamente, premette un pulsante e la macchina iniziò a scannerizzarle il piede. Poco dopo finì e Stephen spostò il macchinario.
“Sei stata bravissima, piccola mia” le disse sorridendo Stephen. Christine si affiancò a lui ed entrambi guardarono sul monitor del macchinario le lastre appena fatte: “Proprio come avevo ipotizzato prima: ha una slogatura e sembrerebbe nessuna frattura”.
“Vuoi fasciarle il piede?” chiese Christine.
“No, lascio questo compito a te. Io devo andare a risolvere una faccenda” rispose Stephen, guardandola.
“Ti prego non fare nulla di stupido” disse Christine.
“Stai tranquilla: tu occupati di Stephanie. Al resto penserò io” disse Stephen ed uscì dalla stanza. Si recò a passo spedito verso i paramedici e, quando ne trovò uno vestito diverso da loro, disse: “Vorrei parlare con un superiore dei paramedici”.
“Sono io: mi dica pure” disse l’uomo, voltandosi verso di lui.
“Bene, taglierò subito corto: quando mia figlia è arrivata al pronto soccorso, non le era stato messo il collarino. I suoi dipendenti hanno detto che non era necessario” spiegò Stephen.
“Be’, allora non era grave” disse l’uomo.
“Non sono loro a decidere se mettere o no il collarino ad un bambino: poteva essere grave! Poteva avere lesioni interne! Non si può spostare qualcuno, senza accettarsi prima che stia del tutto bene e, a ciò, si arriva solamente quando il paziente viene portato qua in ospedale, dove siamo noi medici a formulare la prognosi!” replicò Stephen.
“Dottore, le tengo a precisare che i miei ragazzi sono tutti prepararti per qualsiasi caso gli capiti davanti. Se non hanno messo il collarino a sua figlia, vuol dire che non era grave” spiegò l’uomo.
“Me lo ha già detto due secondi fa ed io non accetto questi comportamenti da parte di persone non altamente qualificate. Solo perché è mia figlia, ciò non sta a significare che debba essere trattata diversamente dagli altri. Siete solo stati fortunati che abbia riportato una slogatura ad un piede” ribatté Stephen.
“Allora è tutto a posto” disse l’uomo.
“No, invece non lo è! Denuncerò la cosa e farò licenziare i suoi ragazzi. Vediamo se dopo sono bravi a trovarsi un altro lavoro!” replicò Stephen e, voltandosi si incamminò.
“Lei non può farlo solamente perché hanno sbagliato qualcosa con la sua preziosa figlia! Non è un dio in terra e nemmeno l’uomo più ricco che esista!” ribatté l’uomo. Stephen si fermò; si voltò e, incamminandosi verso di lui, si fermò per poi replicare: “No, non ho tutto questo potere, ma se qualcuno non tratta bene la mia famiglia, allora divento molto cattivo ed ottengo ciò che voglio. Dica ai suoi uomini queste contestuali parole: “Se dovessero ritornare in questo ospedale, il Dottor Stephen Strange sarà ben lieto di non prestare le cure necessarie ai pazienti che porteranno”.
“Esistono tanti paramedici: non potrà ricordarsi perfettamente dei miei uomini” disse l’uomo.
“Non si preoccupi, ho una memoria fotogenica: mi basta poco per memorizzare qualcosa o qualcuno. I pazienti che porteranno saranno contenti dei suoi uomini e lo dico in senso ironico” disse Stephen.
“Lei non è l’unico dottore di questo ospedale” ribatté l’uomo.
“No, ma sono il migliore” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso beffardo. L’uomo lo guardò malamente e, mentre Stephen si voltò per andarsene, gli disse: “Arriveranno tempi che sarà lei ad aver bisogno di noi. Cosa farà a quel punto, quando nessuno vorrà più aiutarla? Rimarrà solo”. 
Stephen si fermò: “Io non sarò mai solo” e riprese a camminare. Mai si sarebbe immaginato che, anni dopo, la sua vita sarebbe cambiata completamente.





Note dell'autrice: Buon pomeriggio ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Quando ho iniziato la storia non pensavo nemmeno di arrivare a così tanti capitoli e questo lo devo a voi. Al vostro sostegno; alle vostre bellissime recensioni. Quindi...GRAZIE. Non smetterò mai di ringraziarvi per tutto questo (e grazie anche per il sostegno alla mia amica Lucia). Vi sta piacendo la storia? Lo so ho fatto uno Stephen alquanto possessivo e molto sicuro di sè (come è sempre stato) e che, secondo lui, non sbaglia mai e non ha difetti. Ma Strange è Strange e sappiamo cosa gli accadrà
Come scritto prima, ringrazio tutti/e voi per le bellissime recensioni. Per aver messo la storia tra le preferite e seguite. E chi è passato semplicemente da queste parti per dare solamente una letta
Grazie ancora di nuovo
Vi auguro un buon proseguimento di giornata e settimana
Ci sentiamo al prossimo capitolo (sperando non tardi ad arrivare)
Un forte abbraccio
Valentina
 
 
 
 

 

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