Il mostro del golfo azzurro

di Soe Mame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un metro e otto al di sotto del mare ***
Capitolo 2: *** Figli del Mediterraneo ***
Capitolo 3: *** Parte del xxo mondo ***
Capitolo 4: *** Mia triste anima sola ***
Capitolo 5: *** Xxxxxxx ***
Capitolo 6: *** Die Fische ***
Capitolo 7: *** Xxxxxxx pt.1 ***
Capitolo 8: *** Xxxxxxx pt.2 ***
Capitolo 9: *** Il silenzio è d'oro pt.1 ***
Capitolo 10: *** Il silenzio è d'oro pt.2 ***
Capitolo 11: *** Parte del mondo pt.1 ***



Capitolo 1
*** Un metro e otto al di sotto del mare ***


[Avviso] In questa storia è presente un cospicuo numero di naufragi (senza vittime o danni di importanza rilevante), trattati in modo non serio. Se pensi che ciò possa darti fastidio, è meglio tu non vada oltre. Credo che ogni tanto ci sia pure qualcosa che potrebbe lontanamente essere definito humor nero, quindi desisti dalla lettura anche se pensi possa darti fastidio una cosa simile!
[Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.]



La chiglia cadde con un tonfo ovattato. Il vortice che aveva accompagnato la sua caduta si diradò. La sabbia si sollevò in una coppia di onde scure, che presto si sciolsero sul fondale. La nave si inclinò e, con un suono secco e soffocato, si adagiò contro un enorme scoglio.
Ludwig rivolse lo sguardo al suo sovrano. I suoi occhi erano ancora nascosti dal binocolo. Ludwig serrò i pugni. Romolo abbassò il binocolo.
«Lovino!»


Capitolo I
Un metro e otto al di sotto del mare ~ Attraversa l'oceano di mille fathoms


C'era una volta, tanto tempo fa, da qualche parte in Italia, il misterioso e potente Regno del Mare.
Il re Romolo era un sovrano giusto e amato. Aveva due nipoti, e non si sapeva nulla dei suoi eventuali figli, fatto che rendeva l'albero genealogico reale confuso e lacunoso. Ma a nessuno importava, perché il giovane Feliciano era gentile e amato da tutti, e nessuno mai si sarebbe sognato di opporsi al suo viso dolce e alle sue maniere premurose. Tutti gli abitanti del Regno del Mare erano certi che sarebbe stato un re popolare e illuminato.
Purtroppo, Feliciano era il secondogenito. Il primogenito, nonché erede al trono, era Lovino, il tritone più rabbioso, sboccato e sfrontato dei Sette Mari. Come se non fossero bastate la sua lingua velenosa e la sua tendenza alla minaccia, il principe Lovino aveva un passatempo curioso, dalle conseguenze talvolta ingombranti, talvolta pericolose.


«'Sta qua era enorme, Lovì! Enorme!»
Forse stavolta aveva esagerato, doveva ammetterlo.
«Ehi, non è colpa mi-» Lo sguardo di suo nonno lo bloccò. In effetti, era colpa sua - E lui ne era ben fiero! Doveva soltanto spiegarsi meglio - E farlo prima che al nonno partissero gli occhi, ché erano già in procinto di abbandonare le orbite. «Che ci posso fare se quelli sono degli imbecilli?» Alzò le spalle.
Il nonno si spalmò una mano sulla faccia, forse un tentativo di ricacciare i bulbi oculari al loro posto. Un po' gli dispiaceva vederlo così.
«Ma de tutti li passatempi che ce stanno» Il nonno sbirciò tra le dita. «popo nun te ne potevi trova' uno 'n po' meno 'nvasivo?»
Lovino mise le braccia conserte e distolse lo sguardo. Non si voltò neppure quando sentì il sospiro - basso, pesante, esasperato - del nonno.
«Manco provi a dimme che te piace canta' e li naufraggi so' 'n incidente...»
Ora doveva decisamente voltarsi. «Ma chi cazzo ci crederebbe?»
«Poi armeno fa' finta, Lovì...» Il nonno alzò gli occhi alla superficie.
Gli costava doverlo ammettere, ma una mercantile di quasi centro metri poteva rientrare nel danno consistente.
«Non pensavo venisse giù tutta intera.» buttò lì: «Pensavo si spaccasse e finisse sulla spiaggia.» La sua voce stava diventando un borbottio poco compensibile e la cosa gli dava fastidio. «Di solito succede così, con quelle grosse...»
Un altro sospiro - basso, pesante, molto esasperato. «Armeno...» Il nonno si portò le dita alla radice del naso. «Nun è morto nessuno...»
«Ovvio!» Uscì quasi come un acuto. «Li attiro vicino alla spaggia apposta, e che cazzo!» Quegli stupidi umani e la loro mania di morire se privati di aria per più di qualche minuto!
«Dovresti premiare tutta questa attenzione da parte di Lovi!» Feliciano fece capolino da dietro una colonna spessa la metà di lui. «Così dobbiamo solo spostare un grosso relitto e non abbiamo piedi umani che fluttuano in giro!»
«Nun premierò quarcuno solo perché ha fatto meno danni de quanti ne avrebbe potuti fa'.»
«Ma hai sentito Lovi, no, nonno?» Feliciano uscì da dietro il suo nascondiglio fallito. Probabilmente, secondo lui, stava origliando. «È stato un incidente!»
«Non ho detto questo.» «N'ha detto questo.»
«E poi» Gli occhi gli brillavano. «è grazie a Lovi se abbiamo aperto il Cimitero dei Relitti! È una delle nostre attrazioni più popolari!»
«Che continua a riempisse de kraken.» Il nonno si lasciò andare contro il trono. «Ma da 'n do' vengono, poi? Che ce fanno ner Mediterraneo?»
«Forse vengono apposta dalla Scandinavia per visitare il Cimitero!»
«Felì, quelli li relitti se li magnano. Devono avelli scambiati pe' 'n buffèt.»
«Beh, meglio così, no?» Lovino riprese la parola. Meglio congedarsi e lasciare il nonno con il suo zuccheroso nipotino preferito. «Dì a Ludwig di far spostare la nave e pace. Io me ne vado.»
«Fermete, tu!» La voce da Sovrano. Doveva essere arrabbiato sul serio. «Nun potemo continuà ad avecce paura che ce caschi 'na nave 'n capoccia. Quinni...» Non c'era più stanchezza sul suo volto. Era serio, come di rado si mostrava. Pessimo segno. «Ludovico.»
«Sì, Maestà?»
Lo sgradevole crostaceo crucco prese la parola. Lo preferiva quando taceva - Anzi, lo preferiva quando non c'era - Anzi, non lo preferiva e basta.
«Te ordino de fa' 'a guardia a Lovino.»
No. «Cosa?»
Ludwig rimase impassibile. Solo la faccia sbiancata di colpo e il lampo di terrore che gli aveva attraversato gli occhi lo tradirono.
«Controlla che nun faccia più danni.» ordinò re Romolo: «Impediscije de fa' schiantà artre navi.» Scosse la testa, la voce di nuovo stanca. «Nun se po' campà così, nun se po'...»
Lovino guardò il capo delle guardie. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Ludwig sarebbe diventato idrosolubile.
«Che bello!» Feliciano giunse le mani. «Vengo con voi! Così saremo io, Ludwig e il mio fratellone!»
Che era esattamente ciò che entrambi avrebbero voluto assolutamente evitare.


«Non ricordi cos'è successo al povero Giorgio?»
«Sì.»
Feliciano finse di non aver sentito - Oppure aveva sentito e voleva dirlo lo stesso. «Gli è caduta una nave nel giardino!»
«E mica ho preso la mira apposta per fargli cascare una nave nel giardino!»
«Lo so, Lovi, lo so.» Feliciano gli afferrò le mani e gliele strinse forte. Incastonò gli occhi nei suoi. «Ma tu puoi smettere. Tu sei più forte! Puoi uscire da questa dipendenza!»
«Ma che dipendenza!» Sfilò le mani dalle sue. «Ho una sfida aperta con Scilla e Cariddi, quelle stronze si sono pure alleate!»
«Lovi! Non si dicono certe parole, soprattutto se si tratta di signorine!»
«E poi che ci posso fare se gli umani sono coglioni?» Mise le braccia conserte. «Stanno a pochi metri dalla riva, sentono cantare e cambiano direzione apposta per venire a vedere. Ma si può essere più imbecilli?»
«Tu canti molto bene, Lovi!» Era una risposta logica, eppure completamente priva di senso. Feliciano poteva questo e altro.
«Con permesso, principe.»
«No, non ti è permesso.»
«Devo concordare con il principe Feliciano.» La parola del nonno era più forte della sua, quindi Ludwig poteva permettersi di ignorare i suoi ordini. La voglia di ficcargli le dita negli occhi era quasi irrefrenabile - Gli unici freni, a ben vedere, erano la presenza di Feliciano e la forza fisica di Ludwig. «Dovreste dedicarvi a passatempi meno brutali. Sono certo ce ne siano.»
«Certo che ce ne sono.» Lo guardò dall'alto in basso - Più veloce di quanto avrebbe dovuto, altrimenti ci avrebbe impiegato qualche secondo di troppo nel percorrere con lo sguardo tutta la stazza dell'ingombrante crostaceo. «Tipo molestare le meduse.»
Ludwig incassò il colpo con la sua solita compostezza.
«Ludwig non molesta le meduse, Lovi!» protestò Feliciano: «Io sono sempre con lui, e ti posso assicurare che non ha mai mancato di rispetto a nessuna medusa!» Si voltò con fare offeso, e la sua gonna di alghe si gonfiò come l'ombrello di una medusa, le pinne simili a piccoli tentacoli.
«Oh, ma ora che ci sono io» Lovino pungolò Ludwig sul pettorale dell'armatura. «di certo non oserà avvicinarsi a nessuna medusa!»
L'unico dettaglio positivo dell'essere costretti a rimanere in presenza di quel crostaceo era anche quello che tanto crucciava il suddetto crostaceo: non poter allungare le sue sordide mani sul dolce e innocente secondogenito. Consolante, perlomeno. Anche se Lovino non poteva fare a meno di chiedersi come facesse Feliciano ad essere così scemo.
«Su, ora basta.» Lo scemo, per l'appunto, si avvicinò. Prese per mano sia lui che il decapode ed esibì il suo gran sorriso da stordito, come se non fosse stato offeso fino a tre secondi prima. «Perché non andiamo dal fratellone Francis?»
Lovino roteò gli occhi. Non la proposta migliore del mondo ma, negli ultimi tempi, aveva trovato un modo per andare d'accordo con quel pennuto.
«Hai trovato qualcosa di nuovo?»
Trattenne un conato di vomito, ma non potè impedirsi di rabbrividire. Non solo Ludwig dava del tu a Feliciano, ma gli parlava pure con un tono più gentile, più accondiscendente, più- Meglio smetterla, o non sarebbe bastata tutta la forza di volontà del mondo per impedirsi di vomitare.
«Sì!» Feliciano fece dondolare le mani, ancora strette nelle loro. «Andiamo a chiedergli cosa sono queste cose!»

Gli abitanti del Regno del Mare non erano certo confinati sotto la superficie. Spesso e volentieri salivano fino a sentire l'aria sulla pelle e, sugli scogli, sulla spiaggia o sul lungomare, incontravano le creature della terra e del cielo. Cani, gatti, cavalli e uccelli, le creature del mare rivolgevano la parola a chiunque. Tranne, naturalmente, agli esseri umani.
Tra le creature incontrate dai principi vi era anche un certo gabbiano. Il suo nome era Francis e, per lungo tempo, era stato usato come sagoma per il tiro della pietra da parte del principe Lovino, che non poteva tollerare la sua assenza di pudore e di vestiario. Quando, finalmente, il gabbiano aveva imparato a presentarsi con un paio di boxer neri con la scritta "Censura", Lovino gli aveva accordato il passaggio aereo.
In tal modo, il gabbiano Francis e il giovane principe Feliciano si erano potuti incontrare. Il gabbiano, grande guardone del mondo degli umani, conosceva i loro usi ben più dei loro costumi, cosa che portava il secondogenito a chiedergli di narrargli storie e spiegargli gli utilizzi degli oggetti da lui trovati nelle navi affondate.


«Fratellone Francis! Fratellone Francis!» Feliciano si sbracciò. Francis se ne stava sdraiato su uno scoglio, in una posa che qualche umano sotto tetrodotossina avrebbe appioppato ad una sirena. Quando si sentì chiamare, alzò il braccio per fargli cenno di avvicinarsi.
Lovino non aveva idea del perché suo fratello lo chiamasse "fratellone", dato che - per fortuna! - non erano imparentati. Forse era soltanto un altro modo che aveva Feliciano per sembrare più tenero, carino e indifeso. Evitò di pensarci oltre, ché il conato era ancora in agguato.
Se non altro, la fastidiosa presenza dell'energumeno corazzato avrebbe fatto passare al pennuto qualsiasi voglia di allungare le mani - Fosse anche per fargli pat-pat sulla testa, di Francis non bisognava mai fidarsi. Mai!
«Oggi siete venuti tutti.» Lo sguardo azzurro del gabbiano passò su tutti i presenti, prima di tornare su Feliciano.
«Sì!» Niente, suo fratello sembrava proprio contento. Almeno lui. «E ho anche delle cose da farti vedere!»
«Oh!» Francis si alzò e si mise seduto sullo scoglio. «Fa' vedere.»
Feliciano mise mano al sacchetto appeso alla cintura e ne uscì con un bizzarro oggetto umano - Beh, era umano, era ovvio che fosse bizzarro. La parte inferiore era una stecca, forse un manico; la parte superiore era rotonda e, da un lato, aveva del pelo bianco, corto e fittissimo.
Francis prese l'oggetto. Lo rigirò un paio di volte, ma era ovvio conoscesse già la risposta. «Questa» annunciò, con un accenno di sorriso: «è una spazzola. Gli umani la usano per districare e allisciare i capelli.»
Lovino si passò una mano tra i suoi, di capelli. Ora che ci pensava, in superficie i capelli andavano sempre verso il basso. L'aveva notato dalle sirene, ché lui, Feliciano e il brucatore di cavoli di mare avevano i capelli corti.
Feliciano ridacchiò. Aveva una risata adorabile che avrebbe sciolto chiunque - Tranne Lovino. Lovino ci era abituato. «Dici sempre cose assurde, fratellone!» Si riprese la spazzola. «Ma io l'ho capito cos'è davvero, questa spazzola!»
«Che cos'è?» chiese Francis, paziente.

Erano molte le domande che il secondogenito rivolgeva all'esperto gabbiano. Peccato che non credesse a nessuna delle risposte.

«È un'arma!» Feliciano la impugnò e la sollevò, gli occhi che brillavano. «Vedi, qui dietro è dura.» Picchiettò la parte rotonda liscia. «Con questa, colpisci la gente, magari in testa.»
«E a cosa servirebbe l'altra parte?»
«Per cancellare le prove!» Passò un dito sul pelo ispido della spazzola. «Sono sicuro che pulisca benissimo!»
Ludwig si schiaffò una mano in faccia. Lovino si morse le labbra per non scoppiare a ridere. Francis gli fece pat-pat sulla testa - Ah! L'aveva fatto! Ludwig era ufficialmente inutile!
«Come sei acuto, Felicianò.» Accentava tutti i nomi, perché veniva da Marsiglia.
«E questo?» Feliciano estrasse un altro oggetto. Era sferico, nero e di almeno mezzo metro di diametro.
«È una palla di cannone. Gli umani se le lanciano per far affondare le navi altrui.»
Lovino sentì tre paia di occhi su di sé. Ricambiò con un'occhiataccia che valeva per tre.
«È una cosa troppo stupida.» decise Feliciano. «Guarda com'è grande e senti com'è pesante! È ovvio che gli umani la usino come fermaporta.»
«E perché mai sarebbe nera?»
«Perché è elegante.» Prese un altro oggetto. «E questo?»
«È una scarpiera. Gli umani la usano per metterci le scarpe. Le scarpe» spiegò subito: «sono oggetti che usano per coprirsi i piedi.»
«Per me è una dispensa. Ha molto più senso avere un luogo in cui mettere il cibo piuttosto che coperture per piedi. E poi, quante ne servono? È ovvio che una scarpiera vera sarebbe molto più piccola!» Un altro oggetto. «E questo cos'è?»
«È uno squalo, Felicianò.»
«Oh.» Feliciano guardò lo squalo. «Mi scusi, temo di averla rapita mentre ero sovrappensiero.»
«Che razza di modi!» Lo squalo si divincolò e si rituffò in mare, sparendo alla vista.
«Feliciano.» Lovino non poteva più trattenersi.
«Sì?» Suo fratello lo guardò con i suoi occhioni castani pieni di innocenza.
«Ma dove cazzo la metti tutta 'sta roba?»
Feliciano sbattè le palpebre. Indicò il borsellino appeso alla cintura. «Qui dentro, che domande!»
Lovino decise di tacere.
Due minuti e un trolley (Secondo Feliciano, una giostra per pesci di piccole dimensioni, o una mazza da riempire di sassi per un impatto più efficace), una patente falsa (Un biglietto per ricordarsi chi fosse un certo ricercato), un oggetto che nessuno era riuscito ad identificare (No, neanche Feliciano aveva avuto idee) e uno spazzolino (Un massaggiatore per remore) dopo, il borsellino di Feliciano fu svuotato e il suo proprietario sentì il bisogno di mettersi a discutere con Ludwig di tutte le nuove scoperte delle giornata. Disgustosi.
«Anche oggi ti sei dato da fare, Lovinò.»
Scoccò un'occhiata a Francis. Feliciano e Ludwig erano talmente persi nel loro mondo che non si sarebbero accorti neppure di Cariddi in trasferta sotto le loro pinne. Si avvicinò al pennuto e parlò a bassa voce.
«Hai trovato niente di tuo gradimento?»
«Oggi no, purtroppo.» Francis sospirò. «Ma so che non sarà mai più come il tre Aprile. Ah, il tre Aprile!» Un altro sospiro, stavolta sognante. «Quant'erano belli i marinai di quella ciurma?»
Non aveva nessuna intenzione di sentire di nuovo parlare di quei cazzo di marinai di quella cazzo di nave che aveva fatto schiantare quel cazzo di tre Aprile. L'aveva capito che erano belli, cazzo. «Io, la mia parte, l'ho fatta.» Meglio ricordarglielo. «Tu continua ad avvisarmi, quando vedi navi in arrivo.»
Francis ritornò con le zampe per terra - Si era quasi sollevato in volo. «Oui, bien sûr.» Quel pennuto era perennemente avvolto da un intenso profumo di sapone, perché veniva da Marsiglia. «È un piacere fare affari con te, Lovinò.»
Lovino afferrò lo scoglio. Scoccò un'altra occhiata ai due scimuniti e tornò a rivolgersi a Francis, a voce ancora più bassa. «A tal proposito.»
«Oui?»
«Mio nonno mi ha messo quello» Indicò Ludwig con un cenno del viso. «come guardia. Se non me lo levo dalle palle, tu non "soccorri" più nessun affascinante naufrago.»
Il gabbiano raddrizzò la schiena, le piume arruffate, l'espressione quasi offesa. Guardò Ludwig anche lui, salvo tornare subito a Lovino. «Tuo fratello ha buon gust-»
«Dillo e riapro la caccia al gabbiano.»
Francis sbuffò, gli occhi al cielo. «Sei impossibile, Lovinò.» Un'altra occhiata a Ludwig. «Sto solo apprezzando la sua corporatura.»
Non l'avrebbe morso solo perché non sapeva se gli sarebbe piaciuto. «Primo. È esagerato. Tutti quei muscoli sembrano finti e fanno impressione.» Picchiettò le dita sullo scoglio. «Secondo. Biondo-occhi-azzurri? Sul serio? Cos'è, narcisismo?»
«Mi piacciono i biondi.» Quella doveva essere una risposta sensatissima, secondo Francis.
«Terzo.» Lovino si issò appena. «Ti sto dicendo che quello là ci sta in mezzo ai coglioni e tu stai a rimirarlo?»
«Ho il potere del multitasking, mon cherì.» Per qualche motivo, le parole albioniche suonavano strane, se pronunciate da lui. «Posso ammirare qualcuno di bello e, seppur con un certo dispiacere, pensare ad un piano per tenerlo lontano.»
«E...?»
«Guardali.»
Lovino si fece violenza e tornò a guardare la coppietta disgustosa. Non aveva idea di come fossero arrivati a parlare di spaghetti allo scoglio - Feliciano era così ossessionato da quel cibo umano da volerci pure mettere gli scogli, ora? -, ma la scena era sempre la stessa: Feliciano diceva cazzate, Ludwig ascoltava, annuiva e lo ammirava con un sorriso innaturale e inquietante. Rabbrividì di nuovo.
«Il buon Ludovic è completamente andato per il tuo fratellino.»
«Già.» Lo ringhiò.
«Non si è neppure accorto che stiamo parlando da un po'.» Francis sorrise, o meglio, ghignò. «Potrebbe passargli una nave davanti e neppure se ne accorgerebbe.»
Stava iniziando a capire. «Vuoi usare Feliciano?»
«Chiedergli piccole commissioni.» disse il gabbiano: «Tu vai con loro. Quando li vedi persi nel loro mondo, ti allontani.»
«Starò con loro molto poco, allora.» Gettare il suo fratellino in pasto a quel brutto decapode per togliersi il suddetto decapode dalle palle o proteggere la virtù del suo fratellino ma rinunciare alla libertà? «Suppongo gli darai una lista di commissioni piuttosto lunga.» La prima, ovviamente. Non era così coglione da pensare che Feliciano avesse ancora una virtù in primo luogo.
«Beh,» Francis alzò le spalle. «qualsiasi commissione io dia loro, so che sarebbero in grado di decuplicare il tempo necessario alla sua realizzazione. Soltanto...» Mosse appena le grandi ali bianche. «Non posso garantirti che lo farò quando passerà una nave grossa. Non potrei attirarli in superficie, con una nave che sta arrivando in porto. Quindi, approfitta di ciò che trovi.»
Lovino annuì. Gli porse la mano e Francis la strinse.
Un pensiero gli curvò le labbra verso l'alto.
"Chissà che il nostro buon capo delle guardie non passi qualche guaio."

*



«Vi voglio narrare una storia che parla del grande oceano blu, e di una sirena bellissima avvolta in un grande mistero laggiù!»
Le voci dei marinai indaffarati si accompagnavano alle note della musica dello sciabordio dell'acqua contro il legno della nave e del sospiro del vento salmastro. Il profilo della costa era ormai ben visibile sulla linea dell'orizzonte.
«È bello sentirli così allegri!» Antonio si appoggiò al parapetto. «Anche se abbiamo di nuovo mancato le coste della Spagna, non si lasciano abbattere!»
Gilbert serrò le labbra, per impedirsi di rispondere in qualsiasi modo.

Quello del capitano Antonio Fernandez Carriedo era uno dei nomi più sussurrati con timore, in ogni angolo e in ogni bisettrice dei Sette Mari: il nome di un pirata spietato e sanguinario, al comando di una flotta che mai aveva subito sconfitta e che tante navi aveva razziato fino all'ultimo doblone, lasciando dietro di sé falò galleggianti che, in breve tempo, venivano fagocitati dalle acque del mare. La leggenda voleva che la sua giacca fosse, in origine, candida come la neve dei Pirenei, ma che si fosse presto tinta di rosso per la crudeltà del feroce capitano. Nonostante la sua empia fama, però, il capitano Antonio Fernandez Carriedo aveva un difetto: era negato in geografia.

«Se ci lasciassi la possibilità di scegliere quando attraccare» Gilbert non riuscì a tacere. «lo faremmo non appena fossimo in vista di A Coruña o Cádiz!»
«No, Gil.» Antonio alzò gli occhi al cielo terso. «È dovere del capitano capire quando è il momento di attraccare.»
«Forse un buon capitano potrebbe anche accettare suggerimenti?» Con uno sguardo di pura compassione, Gilbert osservò José e Pedro trasportare lo striscione ormai arrotolato con su scritto "SIAMO ARRIVATI IN SPAGNA" a caratteri cubitali e colori alternati. Dietro di loro, Raul e Pablo arrotolavano il lunghissimo filo di lampadine ad intermittenza, disfattosi chissà come e chissà quando.
«Non posso permettermi di contare troppo su di voi.» La voce del capitano era grave. «Come potrei, altrimenti, aiutarvi nel momento del bisogno?»
«Eh, proprio...» Inarcò un sopracciglio nel notare il filo di lampadine iniziare a lampeggiare da solo.
«Ma non temere, Gil!» Antonio si voltò a guardarlo, con un gran sorriso. «Avremo mancato la Spagna, ma stiamo arrivando ad Ancona!»
«Ancona?» Il quartiermastro indicò la costa. «Ma quella è Napoli! Anni che ci attracchi e ancora-»
«Ha preso Raul!»
«Oh, no, Raul!»
Un urlo ben poco virile coprì le restanti parole di Gilbert: il filo di lampadine si era lanciato su uno dei pirati che lo stavano maneggiando, e aveva arrotolato il collo del malcapitato nelle sue plasticose spire colorate.
«Questa nave è piena di strane creature.» osservò Antonio. Prese l'alabarda da chissà dove e si avviò, senza troppa fretta. «Tenete fermo Raul, ora taglio!»
«Capitano, ma lei è proprio sicuro di-»
«Dubiti forse della mia mira?»
Gilbert alzò lo sguardo al cielo, così come aveva fatto il capitano, ma con un sentimento molto diverso. Anche quella volta erano finiti in Italia, eh?
«Raul, sei forse morto?»
«Temo che la sua alabarda così vicina al collo l'abbia un po' spaventato, capitano.»
Il quartiermastro trattenne una risata. «Schön, dich wiederzusehen, Italien.»

Il castello del capitano Carriedo era arroccato sulla spiaggia, in sfregio a qualsiasi sicurezza o permesso di costruzione - che, naturalmente, non era mai stato rilasciato, ma nessuno aveva mai osato farlo notare. Era una fortezza bianca dotata di quattro torri incastrate alla bell'e meglio, più simile ad un mazzetto di funghi che ad un castello. Era provvisto di un'ampia gradinata che, da una delle torri, scivolava dolcemente in acqua, così da offrire un atterraggio bagnato a qualsiasi malcapitato fosse scivolato meno dolcemente sui gradini umidi. L'ammiraglia attraccò a poca distanza, e i suoi occupanti entrarono nel castello dalla porta principale - Nessuno era così idiota da usare quella scalinata, esistente solo per pura estetica.
«Bentornato, capitano!» Manon fece un grazioso inchino, gli occhi che brillavano come stelle in una notte limpida.
«Anche stavolta siete attraccati in Italia.» Gilbert era certo che nelle parole di Abel ci fosse una nota di ironia, ma Antonio non parve notarla.
«Immagino abbia fatto un viaggio molto, molto lungo.» Lucilin annuì alle sue stesse parole. Anche i suoi occhi brillavano, ed erano spalancati.
Il capitano li guardò uno per uno. Dopo qualche secondo, si rivolse al più grande. «Hanno di nuovo fumato le felci qui fuori?»
Abel alzò le spalle. «Pensano siano chissà quale droga pesante. Non ho cuore di aprire i loro occhi alla verità.» Aveva parlato con voce normale e senza neppure provare a far finta di non star parlando di loro, ma i suoi fratelli sembravano star vedendo cose troppo fantastiche per prestarvi attenzione.
«Comunque!» Manon trotterellò da Antonio e lo prese sottobraccio. «Che bello che siete tornati! Finalmente si fa qualcosa!»
«Saltano i nervi» disse Lucilin: «anche al servo, se non servi, perché qui non c'è nessuno da servir.»
La cameriera sospirò, spalmata contro il braccio del capitano. «Ah, i bei vecchi tempi di una volta! Era tutto un grande scintillar!»
«Ma quando è successa, 'sta cosa?» Gilbert si ritrovò Lucilin appolipato al braccio. Ovviamente, Antonio si prendeva la ragazza carina, a lui toccava il ragazzino. Fanculo al mondo.
«Quanti anni passati!» si lamentò Manon: «Noi ci siamo arrugginiti senza dimostrar la nostra abilità!»
Lucilin le fece eco: «Tutto il giorno a zonzo nel castello, grassi, flosci e pigri-»
«Ehi!» La cameriera gli lanciò un'occhiataccia. «Grasso e floscio ci sarai tu!»
«Guarda che qualche chilo l'hai preso pure tu, eh.»
«Cosa?»
«Ah, Antonio.» Abel interruppe l'interessantissima discussione. «Ti sono naufragate trenta navi negli ultimi sei mesi, per un danno di tanti soldi.»
Antonio sgranò gli occhi, ma il pallore improvviso rendeva il suo sguardo molto diverso da quelli di Manon e Lucilin. «Trenta...?»
«Negli ultimi sei mesi.»
«... Per un danno di tanti soldi.»
«Già.»
«Tanti soldi sono tanti.»
Abel annuì. «Lucilin e io abbiamo tenuto i conti. Sono nello studio.»
Gilbert intervenne: «Non mi sembri troppo turbato del fatto che il tuo datore di lavoro abbia perso tanti soldi.»
Il maggiordomo si portò la pipa alla bocca. «Finché mi paga lo stipendio, francamente, me ne infischio.»
Non era certo da considerare il fatto che, in caso di disastro economico, Antonio sarebbe dovuto giungere a vendere le sue proprietà, che Abel sarebbe stato ben felice di pagare a prezzo ridotto per poi rivendere a prezzo maggiorato.
«Ma» Antonio riprese la parola e il colorito: «dove? E come? Non si è salvato niente?»
«Si sono salvate le persone.» rispose Abel.
«Nient'altro?»
«Nient'altro. Quanto al dove,» Indicò la finestra con la pipa. «proprio nei dintorni della spiaggia. La maggior parte delle tue navi è naufragata vicino agli Scogli Scomodamente Stazionati. Quanto al perché,» Riportò la pipa alla bocca. «pare ci sia una sirena.»
Calò il silenzio. Gilbert si scrollò Lucilin dal braccio e incontrò lo sguardo di Antonio. Il capitano tornò a guardare il maggiordomo. «Una sirena.»
«Già.»
«Perché non ne sono stato informato prima?»
«Perché i cellulari non sono ancora stati inventati, eri troppo lontano per vedere i segnali di fumo e assumere un addestratore di piccioni solo per inviartene uno sarebbe costato.»
«Perché avreste dovuto inviarmi un addestratore di piccioni...?»
«Non badare a queste quisquilie.» Gilbert fece un passo avanti, mani sui fianchi e petto in fuori. «Qui c'è una sirena che minaccia le tue entrate economiche!»
«E il nostro lavoro...» piagnucolò Manon.
«Tutti quei tesori che avremmo potuto investire, scambiare, spendere, lucidare o sperperare...» Lucilin si asciugò gli occhi asciutti con un fazzoletto. «Ora sono tutti in fondo allo Strapiombo Subdolamente in Sagguato.»
«"Sagguato"?»
«Eh, pareva brutto che non ci fosse una S...»
«Ma dicevo!» Gilbert riportò l'attenzione su di lui. «Qui c'è una sirena in sagg- agguato. E io» Si portò un pugno al petto. «mi offro volontario per risolvere questa perniciosa situazione.»
«Perniciosa?» Manon si staccò da Antonio e giunse le mani. «Prima i piccioni, ora le pernici. Che problemi avete, voi uomini, con gli uccelli?»
«Dove le hai viste, le pernici?» Lucilin guardò fuori dalla finestra. La sorella fece altrettanto. «Non le ho viste io, le ha viste Gilletje.»
Antonio scoccò un'occhiata ad Abel. «Sicuro siano felci?»
«Se non lo sono, la flora locale è decisamente unica nel suo genere.»
«Ehi!» Gilbert battè le mani. «Qui c'è il Magnifico che starebbe parlando!»
«Ti abbiamo sentito, Gil.» Il capitano gli posò una mano sulla spalla. «E apprezzo molto che tu ti sia offerto volontario. Ma,» Gli diede una pacca. «in quanto capo, sarò io ad occuparmene.»
Il suo piano stava naufragando. «Ma no, guarda, non ti disturbare!» Sventolò una mano, teatrale. «Cosa vuoi che mi faccia una sirena? Vado, la sistemo e-»
«Ciò che stai pensando è esattamente il motivo per cui ti affogherà, o almeno, tenterà di farlo con alte probabilità di successo.» Antonio glielo disse con un sorriso serafico e tutta la calma del mondo.
Il suo piano era naufragato. «Non mi farei fregare così facilmente.» Soltanto perché si trattava di andare ad affrontare, da solo, una donna presumibilmente bellissima, presumibilmente sensualissima e presumibilmente nudissima, magari con labbra carnose e seni grossi come cocomeri, non significava sarebbe per certo caduto sua vittima!
«Ma certo, Gil. Ti siamo comunque riconoscenti per il tuo coraggio.» Per qualche motivo, più che un conforto, quella frase sembrava una presa per il culo.
Dopodiché, Antonio mise le mani ai fianchi e guardò fuori dalla finestra, forse in sovrappensiero, forse in cerca di pernici. «Gli Scogli Scomodamente Stazionati...»

*



Doveva esserci un errore.
Afferrò un mappamondo, scorse ogni centimetro della parte pitturata di celeste. Afferrò un altro mappamondo, questa volta i mari erano di un blu più intenso. Afferrò una tavola con sopra inciso il mondo conosciuto, e scorse uno ad uno tutti quei nomi che ormai conosceva a memoria. Afferrò il libro incriminato e le pagine, essendo di carta ed essendo sott'acqua, furono sul punto di spolparsi. Schiantò i mappamondi tra loro e lanciò via tavola e libro.
«Non è possibile!» Si portò le mani ai capelli. «Com'è possibile che non abbia tenuto in conto il fatto che i Sette Mari non fossero sette?»
Eppure era logico. Finalmente, aveva avuto la risposta al suo più grande interrogativo: se lui era il sovrano dei Sette Mari, su cosa acciderbolina regnava re Romolo?

I Sette Mari avevano un solo ed unico sovrano: il suo nome era Arthur, ed era conosciuto come lo Stregone del Mare. Né buono né cattivo, l'unico obiettivo di Arthur era quello di essere il padrone del mondo sommerso e, finché non ci si fosse posti sulla sua strada, egli non avrebbe recato alcun danno.
Il motivo per cui era visto con inquietudine e sospetto era puramente caratteriale.


«Alfred!» tuonò Arthur: «Alfred Due!»
«Mi chiamo Matthew...»
«Eccoci!»
«Ho appena scoperto una cosa importante, ma fastidiosa.» Lo Stregone del Mare si sedette sullo scrittoio conficcato storto nel fondale. «Cosa fareste se scopriste che la matematica non è una scienza esatta?»
Alfred si grattò una guancia. Non era un grande conoscitore della matematica, quindi non avrebbe saputo dire se fosse una scienza esatta in primo luogo.
«Esaminerei tutte le possibili eventualità.» sussurrò Alfred Due: «È più probabile sia un errore di calcolo dovuto ad una mente fallace piuttosto che la scoperta di una falla in una scienza esatta.»
«Esattamente, Alfred.»
«Sono Matthew...»
«Ho guardato e riguardato tutti i miei possedimenti.» Arthur recuperò i mappamondi e li mise sotto il naso delle due piccole murene. «Sono indubbiamente sette. Oceano Indiano, Oceano Atlantico settentrionale e meridionale, Oceano Pacifico settentrionale e meridionale, e i due Mari Glaciali.»
Alfred e Alfred Due annuirono, il primo cercò di allontanarsi la palla geografica dalla faccia.
«Ma poi è arrivato Romolo!» Arthur lanciò di nuovo i mappamondi, e i tentacoli si abbatterono a terra.
«Veramente, Romolo è qui da molto più tempo di te...»
«Taci, Alfred.»
Stavolta, nessuno disse nulla. Alfred guardò prima il fratello, poi lo Stregone, indeciso sul da farsi.
«Questo libro...» Lo recuperò con un tentacolo. «Mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto comprendere. Mi ha fatto capire che» Inspirò. Era un'affermazione difficile da fare, ma Alfred e Alfred Due avrebbero capito. Poteva fidarsi di loro. «ho sbagliato
Nessuno dei due bambini spalancò gli occhi o la bocca. Forse erano troppo piccoli per comprendere la gravità della situazione - Forse era meglio così: magari, da grandi, non si sarebbero mai ricordati dell'unico errore commesso dal grande e potente Stregone del Mare.
«Il mio dominio si estende sui mari moderni.» spiegò: «Re Romolo regna sui mari antichi. Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, e il Mediterraneo orientale e occidentale.» Posò il libro a terra, senza lanciarlo. «Non so come abbia potuto ignorare un simile fatto.»
«Soprattutto perché ora siamo nel Mediterraneo.»
«Ehi, Artie!»
«Non chiamarmi Artie-»
«Ma, esattamente,» Alfred sorrise. «perché ci stai spiegando tutta questa cosa? Cioè,» Alzò le spalle. «chissene frega?»
Ancora una volta, Arthur si chiese perché si ostinasse a tenersi quelle due piccole murene. Lui le aveva raccolte dal ciglio dell'abisso nella speranza di dar loro in pasto qualche personaggio scomodo, ma loro non sembravano della stessa opinione - Anzi, si lamentavano pure se provava a sfamarli con qualche vittima ancora viva e grossa tre volte loro! Scosse la testa. Se non altro, erano dei buoni sottoposti. Doveva migliorare la loro educazione, però. Soprattutto Alfred Due, che lo convinceva poco.
«Questo altro non era che un insieme di informazioni fondamentali per capire il mio piano.»
«Hai un piano?» Alfred piegò appena la testa. «Per che cosa?»
«Quindi dovremo fare qualcosa?» pigolò Alfred Due.
«Ora ci arrivo, mie piccole anguille dentate.»
Alfred scoprì le due file di canini e le sfiorò, come ad assicurarsi che fossero ancora lì.
«Non posso dirmi re dei Sette Mari se tutti i Sette Mari non sono in mio possesso.» Portò le braccia dietro la schiena. «Ho dunque intenzione di conquistare i Sette Mari antichi.»
«Ma così non saresti il re dei Quattordici Mari?»
«Whoa, figo!» Se avesse potuto, Alfred avrebbe sprizzato lampi elettrici. Tuttavia, doveva arrendersi al fatto che le murene non fossero elettrofore. «E andrai lì con un sacco di squali e ti mangerai tutti e ti siederai su un trono fatto con le loro ossa?»
Arthur sventolò una mano, a scacciare simili parole sciocchine. «Se volessi una flotta di mercenari sanguinari, chiamerei i delfini. Comunque, no.» Riportò la mano dietro la schiena. «Non voglio spargere sangue nell'antico regno di re Romolo. Ho intenzione di conquistarlo pacificamente.»
«Quindi lo comprerai?»
«Oh, per l'amor d'Abisso, Alfred.» Scosse la testa. «Ma da dove ti vengono queste idee?»
«Ma è Matthew!»
«Nonostante le apparenze, re Romolo è molto, molto anziano.» Da quanto fosse in circolazione, nessuno lo sapeva. «Prima o poi, tirerà le cuoia.»
«Povero re Romolo...»
«Quindi» Alfred sembrava incapace di stare fermo o zitto. «gli darai una pozione che lo farà invecchiare ancora di più e lo farai diventare un mucchietto di ossa e allora potrai avere il suo trono?»
«No, sarei accusato di omicidio e regicidio e innescherei una rivolta ai miei danni.» Riportò le mani avanti, intrecciò le dita e vi posò il mento. «Più che altro, stavo pensando al suo erede.»
«Quello scemo o quello psicopatico?»
«Quello psicopatico.»
«Vuoi farlo sparire?»
«No, al contrario.» Un sorriso strano gli curvò le labbra. «Mi basterebbe avere lui per avere tutto il regno.»
Alfred e Alfred Due si scambiarono un'occhiata, per poi tornare a guardarlo.
«... Lo vuoi sposare.»
«Alfred, per favore!» Dieci tentacoli si inarcarono dal fondale, e adombrarono le due piccole murene. «Ti pare che voglia sposare uno psicolabile con la rabbia? Dei del Mare, sono un gentiluomo, io!»
Alfred e Alfred Due si scambiarono un'occhiata, più lunga della precedente.
«Quel che voglio fare» spiegò Arthur: «è entrare in legale possesso del primogenito.»
«Ooooh...» Alfred e Alfred Due, finalmente, manifestarono un'espressione di puro stupore. Poi, Alfred parlò: «E come farai?»
«Lo rapirai e chiederai come riscatto il legale possesso del regno?»
«No, Alfred.» Era proprio giornata di proposte scellerate! «Ti ho già detto che rischierei una rivolta ai miei danni.» I tentacoli tornarono a sdraiarsi nella sabbia del fondale. «Farò in modo che sia lo stesso erede a consegnarmisi. Devo solo aspettare il momento adatto.»
«Oh.» Alfred si portò una manina alla bocca. «Quello.»
«Quello.» fece eco Alfred Due. «A quello non si scappa.»
«Incredibile quanta gente stupida ci sia!»
«Sono disperati, Al, non prenderti gioco dei loro sentimenti...»
«Se davvero avessero bisogno di aiuto, basterebbe venire da me!» Alfred si gonfiò, non ottenendo assolutamente nulla. «Io sono un grande eroe!»
«Sì, Al...»
«Se vengono dal vecchio Artie vuol dire che sono proprio scemi!»
«Il vostro compito» Arthur richiamò la loro attenzione, a denti stretti. Era piuttosto certo che quei due pensassero di non essere uditi, ma le leggi della fisica erano contro di loro. «è pedinare i due eredi e aspettare il momento giusto per proporre un affare
«Yeee, che bello!» Alfred alzò le braccia. «Mi piace pedinare!»
«Perché anche il secondogenito?»
«Beh,» Lo Stregone del Mare sospirò. «metti che schiatti il primogenito, almeno ci portiamo avanti col lavoro.»
«Dai, Matt, sbrigati!» Alfred afferrò Alfred Due per un polso e lo trascinò via, lasciando dietro di sé un piccolo mulinello. Arthur intercettò il volo degli ingredienti delle pozioni con i tentacoli, e li rimise al loro posto, nelle credenze spaccate e ricoperte di... cosa diamine era quella roba, in effetti?
«Ora» Con un sospiro, recuperò teiera e tazza dal baule. «non resta che aspettare.» E quale miglior modo di aspettare se non salire in superficie e godersi una tazza di tè all'ulva lactuca? - Il metallo di quel frigorifero abbandonato e dovutamente surriscaldato dal sole era fantastico per far bollire l'acqua al punto giusto! Soltanto, sperava davvero che quel giorno il cielo non fosse appestato da dannati gabbiani.

.

Note:
* Il titolo si rifà a quello del film Il mostro della laguna nera. Tuttavia, dato che qui non c'è nessuna laguna nera, l'ho sostituita con il golfo di Napoli.
* I titoli del capitolo vengono da Fathoms Below (La canzone dei marinai in Italia), la prima canzone della Sirenetta Disney, e da The Sea of One Thousand Fathoms, The Shore Sand of Ten Thousands of Miles (Chihiro no Umi Banri no Suna), canzone composta da Uta-P e cantata dai Vocaloid Rin e Len Kagamine.
Il "metro e otto" è il corrispettivo metrico di un fathom. Ovviamente, il Regno del Mare è un po' più in profondità-
* Il riferimento ai piedi fluttuanti è dovuto al fatto che sono la prima cosa a staccarsi da un corpo rimasto troppo a lungo sott'acqua.
* La tetrodotossina è una neurotossina contenuta nei pesci palla, potenzialmente letale. Sembra che i delfini mastichino pesce palla per far rilasciare loro suddetta neurotossina, in quantità lieve, al fine di drogarsi. Sul serio. Per loro fa un effetto morfina.
* «Vi voglio narrare una storia [...]»: La canzone dei marinai, di cui sopra.
* Il quartiermastro, sulle navi pirata, era essenzialmente il secondo in comando. [0]
* «Schön, dich wiederzusehen, Italien.»: «Che bello rivederti, Italia.»
* Si sarà capito, ma lo dico lo stesso: Manon, Abel e Lucilin sono rispettivamente Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
* «Saltano i nervi [...]»: Stia con noi, da La Bella e la Bestia.
* «Francamente, me ne infischio.» Da Via col vento.
* La differenza tra i Sette Mari antichi e i Sette Mari moderni è già spiegata nel capitolo. La nota è giusto per specificare che il "Mediterraneo occidentale" è il Mar Tirreno, mentre il "Mediterraneo orientale" è il Mar Adriatico.
* Leggenda vuole che alcuni antichi romani usassero dare i loro schiavi in pasto alle murene (PENSAVATE I LEONI E INVECE-), ma si è più propensi a credere si trattasse di una diceria. [0]
* L'ulva lactuca, aka lattuga di mare, è un'alga comune nel Mediterraneo, usata anche nella cucina napoletana.

Ciao! ☆
Luglio si avvicina, e la mia beta mi ha minacc- mi sono detta che forse è ora di pubblicare questa storia. Non per altro, ma l'ho iniziata a Gennaio 2021, sono successe cose e ci ho messo un po'. Volevo pubblicarla per il Mermay 2022, poi per l'estate, ora arriva Luglio e- *Soe, non frega a nessuno*
DICEVO. Tutto è iniziato una notte sui moli vicino a Notre- quando io e la mia beta, Tayr, abbiamo scoperto che il film Disney de La Sirenetta si suppone sia ambientato "da qualche parte in Italia". (A rivederlo, in effetti, l'estetica è piuttosto mediterranea, le sorelle di Ariel hanno nomi italiani anche in originale e il live action l'hanno girato in Sardegna...) Io, che sono una donna di cultura, ho ricordato le innumerevoli Spamano a tema sirenico e le svariate leggende sireniche del Sud Italia. Tayr è partita, io le sono andata dietro, e questo è il risultato. La storia è all'80% colpa mia, ma Tayr ha dato i ruoli principali, mi ha istigata, e ha innumerevoli colpe a sua volta. Crediti anche a lei, dunque!

Come detto, la storia è ispirata a La Sirenetta - Il film Disney, ma anche la fiaba di Andersen, più di quanto possa sembrare. Tuttavia, prende anche da svariata altra roba pesciosa: Luca, Splash - Una sirena a Manhattan, La forma dell'acqua, Il mostro della laguna nera, Tropical Rouge Pretty Cure e una spolverata de La bella e la bestia. L'ultima non è pesciosa, sono io che ci sono fissata. Come si può vedere, è tutto molto coerente.
Ma, soprattutto, questa è una mia comfort storia. Stavo diventando la Regina Mida della tristezza (Tutto ciò che toccavo diveniva triste buio vuoto e molto profondoH), quindi mi sono messa a scrivere una storia con tutto ciò che mi piace. Dunque OTP, pirati, sirene e cose che non devono necessariamente avere un senso.

A tal proposito, sarete sicuramente piagati da delle domande che vi tarlano il cervello, quindi ecco le risposte che vi daranno la pace:
- Questa storia è zeppa di anacronismi senza soluzione di continuità. Non hanno i cellulari, ma possono avere il supercomputer della NASA o il raggio distruttore della Morte Nera. Non fatevi domande, accettatelo. (Cioè, se notate qualcosa di troppo strano fatele, le domande, perché potrei essere scema! ( ;°Д°))
- Una cosa stupidissima che metto ogni tanto è che, spesso, gli "animali" sono 100% umani con dei minuscoli dettagli animaleschi, ma agli occhi di tutti risultano "animali". Dunque Francis ha solo le ali, Ludwig si limita ad indossare una corazza, e per tutti sono al 100% un gabbiano e un granchio. Sì, è stupido come sembra.
- Antonio è un disastro in geografia perché, come detto sopra, il film de La Sirenetta è ambientato "da qualche parte in Italia". Da qualche parte. Ma non si sa dove.
- Il tre Aprile non ha nessun significato. Ho letteralmente puntato il dito a caso sul calendario.
- Cosa c'entrano i Vocaloid? Potrei dire che sono un sottile riferimento al canto delle sirene, ma in verità no, è solo che mi piacciono e io non so dare i titoli ai capitoli. Comprendo perfettamente possano non piacere, soprattutto perché spesso i vocal sono molto datati e sembrano più seghe circolari che voci cantanti. La canzone di questo capitolo non rientra tra le mie preferite, ma ha un titolo bello. *Motivazioni profonde!*

Se siete arrivati fin qui, i miei complimenti, avete una grande resistenza! Come premio, vi svelo una cosa incredibile: ... La storia non l'ho ancora finita, mi manca letteralmente l'ultima scena dell'ultimo capitolo, vediamo se pubblicarla mi sprona un po'. ( ゚д゚)

In conclusione, se anche pensate che io debba andare a scavare nella sabbia in cerca di conchiglie di paguro, leggete le Mermaid!AU - Ne hanno pure pubblicate da poco, in sezione! Le Mermaid!AU sono belle.

Però spero comunque di aver tirato fuori qualcosa che possa risultare decente! (,,꒪꒫꒪,,)

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Capitolo 2
*** Figli del Mediterraneo ***


Capitolo II
Figli del Mediterraneo ~ Avanti, inginocchiati!


«Vediamo chi c'è oggi...»
Nulla era più scomodo degli Scogli Scomodamente Stazionati, una conformazione roccea metà lame di pietra che emergevano dall'acqua metà letto di chiodi rocciosi pronti a sgusciare qualsiasi nave incauta - Il tutto posizionato in modo tanto pittoresco da sembrare un castello di sabbia realizzato per sbaglio da qualcuno con un pessimo senso estetico che, insoddisfatto del risultato, aveva lasciato libero sfogo alla sua ira. Lovino, in realtà, trovava quegli scogli piuttosto comodi - Le parti emerse erano piatte, perfette per sedervisi, e gli spunzoni ad mentula canis gli permettevano di osservare le navi senza che nessuno, marinai o visitatori della spiaggia, potesse vedere lui.
Una barca entrò nel suo campo visivo. Non era troppo grande e, facendo attenzione, si potevano notare due canne da pesca dritte come le antenne di un insetto.
«Barchetta di famiglia.» capì Lovino: «Pescatori. Neanche troppo ricchi. Tsk.» Si voltò, in cerca di altro. Le navi dei poveri non gli interessavano. Non erano divertenti, ecco perché non gli interessavano. Stupidi poveri.
Una zattera attraversò il suo campo visivo. Fu molto rapida, perché ci avevano attaccato il motore di un motoscafo. Le zattere truccate gli mancavano. Gli umani si divertivano davvero con poco - Le menti semplici non avevano bisogno di intrattenimenti sofisticati.
Finalmente, nel golfo fece il suo ingresso qualcosa di ben più interessante: un panfilo a caso. Lovino fece scroccare le dita. «Vediamo se anche questi sono così idioti.» Tra l'altro, quel panfilo ci aveva messo così tanto ad arrivare che la barchetta poraccia era scomparsa chissà dove. Bene. Così non avrebbe avuto distrazioni.
«Notte bianca di spavento, notte nera di terrore»
Non è che il panfilo fosse troppo veloce, se la stava indubbiamente prendendo comoda. Però bastarono pochi secondi perché iniziasse a rallentare.
«Acqua, pioggia, neve e vento, lampi e tuoni di furore»
Pochi istanti, e la nave cambiò rotta. A volte, Lovino aveva l'impressione che le navi tanto disposte a schiantarsi fossero capaci di sovvertire le leggi fisiche pur di assaporare la pietra sullo scafo.
«Con un rantolo agghiacciante, l’assassino col coltello»
Tra l'altro, un simile comportamento non poteva che far sorgere una domanda: cosa minchia pensavano di fare, gli umani? Volevano individuare la fonte di quel canto così ammaliante? Erano ubriachi di quella voce e perdevano il controllo delle loro azioni? Lovino non ne aveva idea ma, qualunque fosse la risposta, il risultato era divertente.
«squarta e taglia ad ogni istante»
Si aggrappò alla pietra.
«chiunque incontra nel castello.»
Lo scafo cozzò contro gli Scogli Scomodamente Stazionati. Sarebbe bastato andare ad una velocità normale, ma la zattera truccata doveva aver dato strane idee al pilota e la nave si era lanciata contro le rocce alla velocità di un motoscafo fuori controllo. In che modo un panfilo fosse stato in grado di raggiungere una velocità simile in una manciata di secondi, Lovino non lo sapeva, ma il botto che fece fu troppo comico per prestarvi attenzione. Pezzi di legno volarono oltre la sua testa, in sibili minacciosi simili a insulti, e lo scoglio sobbalzò come a volergli far fare compagnia ai legni volanti - Nessuno aveva mai detto che gli Scogli Scomodamente Stazionati fossero ancorati al fondale. Erano Scomodamente Stazionati mica per nulla.
Tante testoline umane emersero dalle finestre del panfilo, un vociare intenso riempì l'aria.
«Basta! È la terza volta che la nave si schianta qui!»
«Signora mia, mi creda, non vedevo uno schianto simile dall'altroieri.»
«Che bello! Lo rifacciamo?»
«Evacuare la nave! Ripeto, evacuare la nave! Abbiamo sette ore prima che la nave si inabissi, i tempi sono stretti!»
«Ma perché non la recuperano, invece di farla inabissare?»
«Perché ci vorrebbero sette ore e cinque minuti, caro, non farebbero mai in tempo!»
Lovino si gettò in acqua, mentre le zattere venivano fatte calare con tutta la calma del mondo - Qualche umano si buttò direttamente in mare, ché la spiaggia era a trenta secondi di nuoto.
«Quaranta.» Sorrise, trionfante. «Quaranta tonde, stronze!»
"Quanto sono teVVibili Scilla e Cariddi", "Quanto è spaventoso lo stretto tra Scilla e Cariddi" - Ma quelle due non erano niente, niente in confronto al principe Lovino del Regno del Mare! Quaranta navi affondate in appena sei mesi, danni economici a profusione (solo e soltanto per chi poteva permetterseli) e ogni singolo passeggero illeso e nel pieno possesso dei propri effetti personali! Ci voleva una tecnica raffinata per arrivare ad un simile traguardo, mica come quelle due rozzone! La fama dell'efferatezza del principe Lovino avrebbe fatto il giro dei Sette Mari e tutti - tutti! - l'avrebbero temuto e rispettato, molto più di Scilla e Cariddi!
Dato che ci sarebbero volute sette ore prima dell'inabissamento, Lovino aveva tutto il tempo per vedere fin dove fossero arrivati i legni sparati dall'impatto. L'ultima volta, il più lontano aveva raggiunto un punto indefinito molto lontano, e lui sperava che, prima o poi, almeno uno raggiungesse un punto abbastanza identificabile da potergli dar modo di vantarsi. Insomma, un conto era dire «È arrivato in un punto indefinito molto lontano!», un conto era dire «È arrivato fino alla Gretta Grotta Grama!». Come facesse poi una grotta ad essere gretta e grama, lo sapevano solo gli umani. Per lui, quello era solo un grottino buio. E ci stava pensando perché, proprio in quel momento, un'asse di legno fresca di volo galleggiava a pochi metri dalla Gretta Grotta Grama. Ancor di più, davanti alla Gretta Grotta Grama, c'era una barchetta.
Grande quanto un polpo sovrappeso, la barchetta altro non era che una bacinella di legno infilzata con un bastone, a cui era stato attaccato un fazzoletto nero. Un altro bastone era stato attaccato a mo' di sperone, e legato con una corda. L'altro capo della corda era dentro la Gretta Grotta Grama.
«... Ma che cazzo?»
Lovino si avvicinò. D'accordo, era una trappola. Stupida, ma pur sempre una trappola. Di certo non era l'imbarcazione privata di una fata o di uno gnomo - Loro avevano buon gusto, quell'accozzaglia di legno e disperazione non era certo opera di qualcosa di diverso da un umano scemo.
La trappola stupida iniziò a muoversi, trascinata placidamente in direzione del grottino buio. Dunque c'era qualcuno, nel grottino buio. Qualcuno che aveva notato che il suo fallimento miniaturistico aveva attirato l'attenzione di qualcun altro.
Doveva sapere. Doveva sapere chi fosse tanto coglione da fare una cosa del genere. Il fatto che la temibile trappola fosse stata posta nelle vicinanze degli Scogli Scomodamente Stazionati non lasciava troppi dubbi al fatto che fosse apposta per lui. Doveva trattarsi di uno di quelli a cui aveva fatto schiantare la nave - Dunque un idiota già certificato. Si immerse del tutto e seguì il guscio di noce gigante. Avrebbe potuto semplicemente seguire la corda, ma non era così crudele da infierire su un'autostima tanto bassa - per ora.
L'imitazione brutta di una nave si fermò, infine, a ridosso di una parete rocciosa. Lovino riemerse quel tanto che bastava per dare un'occhiata. L'interno del grottino buio era buio. E questo era confortante, perché il contrario l'avrebbe destabilizzato. Ad onor del vero, non era proprio buio: era un'intensa penombra, a causa della luce che entrava dai diversi buchi di diversa grandezza che crivellavano la superficie curva del grottino. La composizione novanta per cento acqua e dieci per cento semicerchio di roccia largo un metro scarso rendevano il grottino molto poco accogliente per creature che necessitavano di superfici solide per deambulare.
Eppure, esattamente davanti a dove si era fermata la barchetta fallita, c'era un baule. Un baule integro, dal legno non gonfio né rovinato, dal metallo non ossidato, privo di muschi e piante di cui a nessuno importava niente. Lovino si avvicinò. A meno che l'autore della temibile trappola non fosse un bambino, difficilmente si sarebbe potuto infilare là dentro per tendegli un agguato - Soprattutto, non avrebbe potuto tirare la corda. A meno che non ci fosse stato un complice. Qualora avesse scoperto che quel piano fosse frutto di più di una mente, Lovino avrebbe avuto la prova definitiva della deficienza umana.
Allungò le braccia verso il baule. Non era chiuso a chiave. Ma, dalla sua posizione, non sarebbe mai riuscito a sollevarne il coperchio. Sospirò. Di certo l'umano idiota doveva starlo guardando - Dove fosse nascosto non gli importava. L'unica cosa: quel baule aveva acceso un microscopico lume di curiosità. Perché cazzo gli aveva messo un baule? Perché non attirarlo nella grotta e lanciargli una rete? Perché un baule? C'era forse qualcosa di ancora più stupido, dentro?
Non c'era abbastanza spazio, su quel semicerchio di roccia, per sedersi accanto al baule. L'umano l'aveva messo in un punto infame, uno sputo pietroso incastonato tra grossi sassi. Forse c'era un significato nell'averlo posizionato lì, forse gli era solo sembrato carino. A prescindere, quell'umano iniziava a fargli sempre più pietà. Data la posizione ridicola, non poteva che approfittare di quelle due spanne di pietra orizzontale tra il baule e l'acqua.
Posò le mani sulla roccia, fece leva sulle braccia e le pieghe delle code atterrarono sul duro - e fecero un po' male. Quel bastardo l'avrebbe pagata. Altro che Scogli Scomodamente Stazionati. Finalmente potè aprire il baule.
La curiosità si spense. Quel baule poteva dirsi vagamente interessante solo perché intero e con colori originali, ma il suo interno era monotono - L'ennesimo baule ricolmo di dischetti gialli. Migliaia e migliaia di inutili dischetti gialli. Affondò una mano e ne riemerse con tanti dischetti gialli. Erano tutti incisi con le stesse cose, quindi non erano neppure pezzi unici o rari. Tutte le navi avevano quel tipo di baule, tutti rigorosamente pieni di dischetti gialli. Era una qualche superstizione? Un'offerta votiva? Erano troppo duri per essere mangiati, quindi cosa ci facevano?
«Quindi»
Giusto. C'era un umano, lì. Se n'era quasi dimenticato, negli ultimi cinque secondi. Era trasalito solo perché i suoi pensieri erano stati interrotti di colpo, non certo perché si era spaventato.
«sei tu la sirena che sta facendo naufragare le navi qui a Forlì.»
"Forlì?" Lovino si voltò in direzione della voce. "Ma siamo a Napoli, cazzo dice 'sto demente?"
L'umano era uno solo. La cosa lo rincuorò un pochino. Era un uomo ed era alto. La cosa lo irritò un pochino. Di certo non sarebbe rimasto accovacciato davanti ad un fallito. Si aggrappò al baule e fece scivolare le code fino a far toccare le pinne alla roccia. Si alzò. Quanto cazzo odiava farlo. Ora era pure costretto a rimanere nei dintorni del baule, ché col cazzo sarebbe rimasto in perfetto equilibrio per più di dieci secondi. Si rese conto che l'idiota rimaneva più alto. E che cazzo.
«E tu sei la mente sopraffina dietro questa trappola.»
«Hai capito che era una trappola.»
Parlare di filosofia esistenziale con una massa di plancton era più gratificante.
«Sono stupito.»
Lovino avrebbe voluto specificare che la frase corretta sarebbe dovuta essere "Sono stupido", ma aveva notato che anche l'umano, come lui, aveva un pugnale. Non era una spada e neppure una pistola, ma sapeva che certi umani, i pugnali, li lanciavano e voleva evitare di ritrovarsene uno in testa.
«Pensavo fossi una sirena.»
No, d'accordo, quell'imbecille era un caso perso, pugnale volante o meno. «E invece sono un fenicottero. Incredibile, vero?»

Quel che il capitano Carriedo intendeva - Ed è ovvio che l'umano in questione sia il capitano Carriedo - era ben lontano dalla scarsa intelligenza che Lovino gli attribuiva - Se a ragione o a torto, non è il caso di approfondire.
Antonio aveva rifiutato la coraggiosa offerta di Gilbert perché forte della sua sicurezza di essere immune al fascino della più bella delle donne. Il fatto che la sirena fosse un uomo non poteva che essere una punizione divina per la sua superbia: d'innanzi a quell'evidenza, la forza e la vulnerabilità di lui e Gilbert s'invertivano.
Il capitano Carriedo comprese quanto grande fosse il suo peccato di superbia quando, seppur nella penombra, indovinò le fattezze della sirena. Se non fosse affogato quel giorno, poteva dirsi certo che non sarebbe affogato mai.


«Non cercare di ingannarmi.» L'umano gli puntò contro il pugnale. Almeno, non sembrava volerlo lanciare. «So come sono fatti i fenicotteri.»
Lovino appoggiò i palmi al muro. Gli serviva un sostegno più stabile, ché lì si toccavano vette altissime.
«Qual è il motivo che ti spinge a fare una cosa simile?» Prima che potesse rispondere, l'idiota aggiunse: «A parte la tua natura di sirena.»
«Tritone.» Non poteva aspettarsi che un simile luminare conoscesse i termini corretti, quindi era meglio aiutarlo. «Perché lo faccio, mi chiedi?» Lui, come tanta altra gente prima di lui. «Perché è divertente.»
Lo scemo non disse nulla. Si limitò a guardarlo. Poi, finalmente, riprese vita. «Una motivazione piuttosto discutibile.»
«Nah.» Si puntellò sulle pinne. Le code iniziavano a cedere. «Sarebbe stata discutibile se ti avessi risposto di amare il suono delle urla disperate degli esseri umani o qualche cagata pseudosadica del genere.»
L'idiota non disse nulla, di nuovo. O non sapeva come rispondere, o aveva bisogno dei suoi tempi. Era quasi uno spreco che un tonto di tali proporzioni sembrasse avere un aspetto quasi gradevole - Per quanto gradevole potesse essere una creatura senza scaglie né pinne e con quattro arti troppo simili tra loro senza essere tentacoli.
«Qualunque sia il motivo,» Il cretino era uscito dalla sua bolla di pensieri - Forse, in effetti, le pause erano dovute allo stupore dato al percepire la presenza di un pensiero di senso compiuto. «smettila.»
«No.»
Tutto si sarebbe aspettato tranne un'espressione sorpresa. Con lui, le persone s'incupivano, si arrabbiavano, o alzavano gli occhi alla superficie. Forse anche lui era rimasto sorpreso da quell'espressione sorpresa.
«Non pensi di aver fatto abbastanza disastri?» Lo scemo tornò all'attacco. Verbale, non fisico. Aveva ancora un pugnale. «E poi non inizia a mancare spazio, là sotto?»
«Figurati.» Tamburellò le dita sul muro. Sperò davvero che l'umano stupido non si accorgesse del tremore alle code. «Tu, piuttosto. Perché sei così deciso a farmi smettere? Spirito di giustizia?»
«Trenta delle navi che hai affondato erano mie.»
Oh. Questo era un dettaglio molto più interessante. «Trenta.» ripetè. Gli sfuggì un sorriso soddisfatto. «Sei ufficialmente il mio cliente più affezionato.» Le code erano ormai al limite. Si sarebbe volentieri ributtato in mare, ma quell'ultimo dettaglio era troppo divertente per non infierire. «Come vuoi ripagarmi?» Indicò il pugnale con un cenno. «Vuoi uccidermi?»
«Era effettivamente l'idea iniziale.» confessò il cretino: «Però non sapevo se voi sirene foste una specie protetta e non avevo voglia di pagare penali.»
Lovino inarcò un sopracciglio. «Avresti potuto chiedere a qualche ente.»
«L'ho fatto, ma la risposta mi arriverà tra sei giorni e io ho bisogno di fermarti ora.» Una breve pausa. «Sei per caso una specie protetta?»
«E io che cazzo ne so.»
«Sarebbe educato informare le creature se sono specie protette o meno.» Un ragionamento degno di Feliciano. «Ciò mi fa propendere per il no.»
«Se questa era l'idea iniziale» Meglio distogliere l'attenzione, ché il deficiente rimaneva armato e dichiaratamente intenzionato a procurargli dolore fisico. «qual è l'idea finale?»
«Catturarti.»
«Mh.» Niente di originale, insomma. «E, dopo avermi catturato, cosa faresti?»
«Questa è la parte su cui devo ancora lavorare.» Lovino non sapeva se essere colpito o meno da tutta quella sincerità. Soprattutto, non sapeva se esserne colpito in positivo o in negativo. «Ti metterei in una vasca, suppongo.»
«E poi...?»
«Ci avevo pensato, ma ora non me lo ricordo.»
Oh. Forse c'era un altro motivo per cui quel coglione sembrava tanto rincoglionito. Come aveva fatto a non pensarci subito?
«Ti lascio al tuo piano.» In una qualsiasi altra situazione, sarebbe rimasto e sarebbe andato più a fondo. Magari avrebbe potuto tenere d'occhio quell'imbecille, e rimandare tutto ad Una Qualsiasi Altra Situazione. Magari sarebbe stato così rimbambito da dimenticarsi i suoi entusiasmanti intenti ai suoi danni. «Fammi sapere se ti torna in mente, eh! Addio!» Si lasciò cadere in acqua. Finalmente, le code ebbero tregua, e poterono sgranchirsi.
Sarebbe dovuto essere un momento di sollievo, se solo non avesse sentito una morsa stritolargli un polso, e strattonarlo verso l'alto. Una fitta al braccio, e si ritrovò con la testa fuori dall'acqua, fin troppo vicino ad un umano stupido che si era lanciato in mare per afferrarlo.
Quello poteva essere un problema.
«Ma che caz-»
«Ho detto che ti avrei catturato» gli ricordò il mentecatto: «ed è quello che ho intenzione di fare.»
Lo sguardo andò all'altra mano. Il pugnale non c'era più. Perfetto. Serrò il pugno libero e colpì in faccia l'umano. La presa sull'altra mano non diminuì - Anzi, si fece ancora più serrata, costringendo le sue dita ad aprirsi. Gli conficcò una coda nello stomaco e diede uno strattone con il braccio. Non riuscì a muoversi di un centimetro. Una fitta all'altro polso. Quand'era che gli aveva afferrato anche quello?
Fu lui ad essere strattonato, stavolta, e finì con lo schiantarsi addosso al deficiente. Se l'era spalmato addosso pur di non dargli modo di prenderlo di nuovo a codate. Tirò indietro la testa, per poi abbatterla sulla fronte del demente. Ancora una volta, non lo lasciò.
«Ma non potevi» Lovino ansimò. Troppo movimento tutto insieme. «lanciarmi una rete e basta?»
«Per farmela tranciare dal cimitero di navi qua sotto?»
Evidentemente, gli umani non avevano il senso della profondità. Meglio così.
«Bene.» Scoccò uno sguardo di sfida all'imbecille. Quello non sembrava affaticato - Sembrava, semmai, piuttosto offeso dal fatto che la creatura che aveva minacciato prima di morte poi di rapimento avesse cercato di scappare e l'avesse ripetutamente percosso. Percosse che, in realtà, non sembravano aver avuto troppo effetto - Difficile dirlo a livello fisico, in penombra. «Ora pensi di trascinarmi via com-»
La sua supposizione era stata corretta. Gli umani sapevano essere troppo prevedibili. Soltanto, non si aspettava arrivasse subito al punto - E anche con un certo trasporto.
Dovette interromperlo lui, quel bacio, perché gli stava venendo da ridere. «Ah, capisco.» Lasciò andare la risata. «Sei di quel tipo.»
«Voi sirene-»
«Tritoni.»
«-dovreste esserci abituate.»
«È raro che qualcuno di voi stupidi umani ottenga ciò che vuole, quando ci vede.» Lo guardò negli occhi. Erano verdi, come i suoi. Una coincidenza curiosa. «Lasciami.»
«Subito.» Allora anche quel demente era capace di ironia!
«Stammi a sentire, coso.» Poggiò la fronte contro la sua, stavolta senza intenzione di fracassargliela. «Sei l'umano più esteticamente accettabile in cui abbia avuto la sfortuna di imbattermi.» Un sussurro. «E non avrai alcun complimento più grande di questo in tutta la tua vita.»
«Ti ringrazio, sono onorato.» Non sembrava dovutamente colpito. «Ma non ti lascerò andare.»
«Non hai capito, ma la cosa non mi sorprende.» Gli avvolse le code alla vita. «Quindi te lo dirò in modo che anche tu possa capire.» Abbassò la voce. «Le mani mi servono.»

Non c'era un confine tra curiosità e buonsenso, soprattutto se c'era di mezzo qualcosa di divertente. Lo sapevano entrambi, così come entrambi sapevano che quello scambio di frasi sarebbe rimasto solo un insieme di parole dette con superficialità, e che non avrebbe mai portato a qualcosa di concreto.

Forse confidando nel fatto di essere prigioniero delle sue code, forse confidando nella sua apparente velocità di nuoto anche con tutte quelle vesti addosso, l'umano gli lasciò andare le mani. Lovino fu di parola. Infilò le dita tra i capelli - Erano ricci ed erano bagnati, una consistenza un po' bizzarra ma piacevole - e riprese il bacio interrotto poco prima. Spinse l'umano sott'acqua, con la bocca, con le mani e con il busto. Non aveva mai baciato un umano. Non sembrava troppo diverso da un tritone. Era strano sentire dita separate tra loro, come tanti piccoli tentacoli ossei, e pelle liscia che scivolava al tocco.

Tutto quello era solo e soltanto un gioco che presto sarebbe finito. Nient'altro che una manciata di minuti per spaventare uno sciocco umano.

Ah. Da quant'erano sott'acqua? Aveva perso il senso del tempo. Si scostò. L'umano sembrava ancora vivo. Gli lasciò andare la vita e lui, con assoluta calma, risalì in superficie. Lovino lo seguì, e riemerse quel tanto che bastava per vederlo in faccia. Era in penombra, ma era piuttosto sicuro non fosse blu. Quasi gli sembrava di sentire la voce di Feliciano - «Controlla se gli si stanno staccando i piedi!». Quanto cazzo erano delicati, gli umani?
Fece emergere tutta la testa. «Ma tu non saresti tipo dovuto morire male?»
L'umano gli rivolse un gran sorriso. Forse non era annegato, ma qualche danno mentale doveva averlo subito. O forse era così di natura. «Posso stare in apnea almeno venti minuti!»
E niente. Cosa doveva rispondere ad una frase del genere? Si sentì di nuovo trascinato, stavolta in modo meno violento.
«Volevi affogarmi.» Non era neanche una domanda.
Lovino scosse la testa. «Non ammazzo gli umani. Che schifo.»

Entrambi sapevano bene che non ci sarebbe stato nulla di

«Oh, perfetto, allora.» Stavolta fu lui a spingerlo sott'acqua. Forse era scemo, forse gli piaceva soffrire. Qualunque fosse la risposta, a Lovino piaceva stare sott'acqua, quindi poco gli importava.

Entrambi sapevano

C'erano troppe stupide stoffe di mezzo, perché gli umani erano troppo stupidi per regolarsi con le cose da indossare. Era una fortuna che la loro pelle senza scaglie fosse tanto scivolosa. Lo ricatturò con le code, e con le mani, e lui fece altrettanto con i suoi stupidi tentacoli d'osso.

Sentite, vaffanculo.

*



Gilbert passeggiava sulla spiaggia - O meglio, ciondolava senza meta lungo la spiaggia, gettando di tanto in tanto occhiate alla nave incagliata sugli Scogli Scomodamente Stazionati. Il futuro relitto era circondato da persone di varia età, sesso ed estrazione sociale, tutte intente a prelevare pezzi a caso della nave come souvenir - Con il passare dei naufragi poco casuali, gli aveva detto Manon, gli abitanti sembravano diventati esperti utilizzatori di fiamme ossidriche. C'era anche una delegazione del museo nautico locale che, gli aveva detto Abel, ormai aveva aperto un'intera ala dedicata - Come distinguessero i naufragi da sirena da quelli casuali, Gilbert non lo sapeva, ma supponeva che la verità passasse in secondo piano rispetto alla quantità e alla pubblicità. Oppure, semplicemente, nessuno nel pieno delle proprie facoltà mentali percorreva metri e metri fuori rotta apposta per buttarsi sugli Scogli Scomodamente Stazionati. Non aveva idea di quanto ci avrebbe messo la nave ad affondare, quindi si astenne dallo gettarsi al recupero di futuri reperti archeologici. Tra l'altro, gli aveva detto Lucilin, il traffico di reperti archeologici non era granché redditizio, data la loro altissima reperibilità.
I suoi pensieri furono spazzati via quando notò un cadavere sulla spiaggia. Ci vollero pochi istanti per riconoscerlo. «Oddio, m'hanno ammazzato Antonio!»
Corse da lui, e s'inginocchiò sulla sabbia. Metà faccia era gonfia, sulla fronte sembrava esserci l'ombra di un bernoccolo. I vestiti erano mezzi aperti, e sulla pelle spiccava qualcosa di simile a ferite circolari.
«Oddio.» Lo afferrò e lo scosse. «I creditori l'hanno trovato e gli hanno preso un rene!» Scostò la camicia. Quelle ferite ricordavano spaventosamente dei morsi. «E poi l'hanno gettato in pasto agli squali biscotto!»
«Gil, sono vivo.»
Vivo ma molto rimbambito. Più del solito, almeno. Non sembrava voler tornare nel mondo dei vivi di lì a breve, ma Gilbert voleva sapere. «Ma che cazzo è successo?»
Antonio riaprì gli occhi e scattò a sedere. La nave incagliata era esattamente davanti a lui, metri più avanti. «La sirena...»
Metà di Gilbert era stupita dalla repentina vitalità del moribondo. L'altra metà, però, prese il sopravvento. «La sirena?» Lo afferrò di nuovo, ma con un impeto diverso. «L'hai incontrata? Ma non eri andato solo a chiedere se fossero specie protetta?»
«È stata una decisione dell'ultimo momento.»
«Ed è pure sparita quella barchetta orrenda che hai fatto ieri sera!»
«Me l'ero portata dietro. Metti che avessi deciso all'ultimo momento di andare dalla sirena.»
«No, aspetta, chissene fotte della barchetta.» Gilbert scosse la testa. «Com'era la sirena? È lei ad averti ridotto-»
«Era bellissimo.»
Un'unica affermazione aveva rivelato troppe cose. La prima era che la sirena era un tritone. La seconda era che Antonio era un fallito. La terza era che quella voce sognante non poteva che essere la testimonianza della sua sconfitta.
«Ma porca puttana!» Gilbert lo lasciò andare e si sedette sulla sabbia. «Meno male che mi hai fermato, allora. Ci sarei rimasto di merda nel trovarmi un tritone.»
«Sì. Sono stato molto arrogante, e sono stato punito.»
Il quartiermastro gli sventolò una mano davanti agli occhi. Il capitano lo guardò, interrogativo. Almeno reagiva ancora agli stimoli esterni.
«Ci metterai un po' a disintossicarti.» affermò Gilbert, saggio: «L'ammaliazione da sirena è dura. L'importante è non consumarsi dal desiderio. So che ora ti metterai a fantasticare di poterlo sfiorare, o dargli un bacio, ma-»
«Me lo sono fatto.»
«-non devi lasciare che questi pensieri- Was?» L'acuto non era previsto.
«Me lo sono fatto.» Lo ripetè come se fosse la cosa più normale del mondo.
Gilbert non si azzardò neppure a chiedere se stesse scherzando. Il capitano non era tipo da scherzare - Non perché gli mancasse senso dell'umorismo, ma perché spesso le sue azioni trascendevano la barzelletta e la più incredibile delle stupidaggini era un fedele resoconto della realtà. E Gilbert era certo che quella frase non facesse eccezione.
«Ti sei scopato un pesce?» Spalancò le braccia, non sapendo cos'altro fare. «Così, di botto, senza senso!»
«C'era più di un senso, Gil.» Antonio era incredibilmente serio. Con lo sguardo perso nell'empireo, la voce sognante e la faccia di chi era stato gonfiato di botte, ma incredibilmente serio. «Era bellissimo.»
«Ma guarda come sei ridotto!» Solo in quel momento realizzò che quei morsi non potevano essere di squali biscotto. «Ti ha pestato e sbranato!»
Il capitano si passò una mano sulla guancia. Poi si diede un'occhiata ai vestiti. Forse stava iniziando a tornare nel giusto piano dimensionale. «Sì, ma-»
«Era bellissimo. Ho capito.» Piegò una gamba, puntò un gomito contro il ginocchio e posò la testa sul palmo. «Almeno non sarai perseguitato dal desiderio di toccarlo. Però...» Non riuscì ad evitarsi una nota di preoccupazione. «Lo sai che, se si è fatto toccare, è perché voleva tenerti a bada, sì? Non pensare che possa provare-»
«Gil.» Bene, era tornato alla realtà. Conservava ancora qualche traccia di rimbambimento, ma nessuno se ne sarebbe mai accorto. «Era solo bellissimo. Lo so che le sirene non hanno un'anima, non credo possano neppure provare emozioni effettive.»
Gilbert annuì, piano.
«E poi» Antonio toccò uno dei morsi. Forse si sarebbe dovuto far vedere. «era un bicaudato.»
«Oh, giusto.» Gilbert annuì con più decisione. «So che ce ne sono di bicaudate, da queste parti.» Ci pensò un attimo. «Gran porche, le bicaudate.»
«Magari ne troverai una anche te. Femmina.»
Il quartiermastro sbuffò. «Senti, non mi illudere. Sto ancora digerendo il fatto di essere la persona più magnificamente normale, qua in mezzo.»
Uno sguardo interrogativo.
«Eh, non lo so!» Indicò il castello. «Là ci sono due finti fattoni che cercano le pernici, qua c'è un demente che si scopa i pesci.»
«Stanno ancora cercando le pernici?»
«Tu non vuoi sapere cosa stanno facendo.»
«Ma anche tu vuoi scoparti un pesce.»
«Perché io sono Magnifico e posso!» Riportò le mani alla sabbia. Lanciò un'occhiata ad Antonio. «Comunque.»
«Sì?»
«Com'è scoparsi un pesce?»

*



Ludwig era certo di non essere mai stato nei guai come in quel momento.
Non solo aveva perso di vista il principe Lovino per ore intere, ma una nave era finita sugli Scogli Scomodamente Stazionati, e le probabilità che fosse opera dell'erede erano pari a Ovvio.
Doveva ritrovare il principe Lovino, e doveva farlo prima che la nave divenisse relitto. Feliciano gli aveva suggerito di non riportare al re la caduta di una nuova nave ma, se re Romolo avesse scoperto che alla sua lista di trascuratezze spiccava anche l'aver taciuto, l'esilio non gliel'avrebbe tolto nessuno.
«Tranquillo, Ludwig!» gli aveva detto Feliciano, deciso come non mai: «Se il nonno ti esilierà, io ti seguirò!»
Ludwig sapeva che Feliciano l'aveva detto per rincuorarlo, ma la verità era che gli aveva dato un ulteriore motivo di panico. Ovviamente, lui non gli avrebbe mai permesso di seguirlo ma, a volte, la testa di Feliciano era più dura di un carapace e nulla gli avrebbe vietato di andare a cercarlo.
Non aveva seguito il principe Lovino. Il principe Lovino aveva fatto schiantare un'altra nave. Lui avrebbe potuto tacere. Il suo esilio avrebbe potuto portare alla sparizione del secondogenito.
Doveva trovare il principe.
Quella mattina erano tutti e tre insieme, erano andati da Francis e, sempre tutti e tre insieme, erano andati a sbrigare delle commissioni per lui. Poi Feliciano aveva iniziato a parlare e, quando infine si erano voltati, Lovino era sparito. Non "sparito" nel senso "si era allontanato", "sparito" nel senso di "scheiße!".
L'aveva cercato nei luoghi più probabili - La sua torre, la torre di Feliciano, la sua grotta (Non era raro trovarvi il principe intento a mettergli ricci di mare sul letto o nella corazza di ricambio), l'area attorno agli scogli - e in quelli meno probabili - La sala del trono. Ormai non gli rimaneva che vagare, lasciarsi trascinare dalla corrente, e cercare di ricordare se nel Regno del Mare fosse ancora in uso la pena di morte.
Si bloccò. Qualche divinità marina doveva aver ascoltato le urla della sua voce interiore.
Mai come in quel momento era stato felice di vedere lo specchio rabbioso di Feliciano. Si avvicinò, e si guardò intorno. Erano nei pressi di quella che gli umani chiamavano Grave Grotta Grata, o qualcosa del genere. Certo, non era distante dagli scogli, ma perché il principe era lì? Non sembrava neppure troppo rabbioso. Se ne stava sul fondale, ad osservare quasi annoiato una montagnola alta neppure un metro che sbuffava acqua calda. Doveva essere rovente, in verità. Se non altro, il principe sembrava abbastanza lontano da non cuocersi.
Si schiarì la voce, per attirare la sua attenzione. Lovino si voltò verso di lui, piano. Non lo investì con una carica di insulti, né lo guardò male. Era una pura occhiata di sufficienza, con una certa sfumatura di disprezzo. Doveva essere di buonumore.
«Avete nuovamente provocato un naufragio, principe.»
«Mentre tu non stavi guardando, mio fedele pescecane da guardia.»
Una cosa che apprezzava di Lovino - L'unica. - era il suo inesistente desiderio di rimanere in sua compagnia, fatto che lo portava ad essere molto diretto.
«Sono colpevole.» Ludwig dovette riconoscerlo. «E sono pronto a ricevere la giusta punizione.» Non proprio, ma non era necessario che il principe lo sapesse. «Tuttavia, non pensate di-»
«Feliciano farebbe un sacco di storie.» Lovino distolse lo sguardo. Se per non vederlo oltre o se perché rapito dalla montagnola, potevano essere entrambe ipotesi giuste e sbagliate al tempo stesso. «Facciamo un patto, ti va?»
Ludwig sospirò. Avrebbe dovuto riportare tutto a re Romolo e accettare la punizione che gli sarebbe stata inflitta. Tuttavia, né lui né Lovino né Feliciano erano bendisposti ad accettarla, cosa che avrebbe reso inutile il fine correttivo della punizione.
«Ditemi prima i vostri termini.»
«La nave qui sopra è stato un puro incidente.» disse Lovino: «Tu eri con me e puoi testimoniarlo. Con noi c'era anche Feliciano. Non avrà problemi ad essere complice.»
Un accordo sensato e che non avrebbe arrecato danno a nessuno. Rimaneva un unico, piccolo problema.
«È un patto onesto.» Era difficile ammettere un errore tanto grande, ma era vitale per il buon fine di quell'accordo. «Tuttavia, più di una persona mi ha visto in compagnia del solo Feliciano.»
Il principe Lovino tornò a guardarlo. Stavolta era puro disprezzo. «Ma allora sei proprio coglione.»
«Stavolta ammetto di meritarmelo.» Più di una persona poteva confermare la sua assoluta serietà lavorativa. La presenza di Feliciano, però, lo portava a prolungati periodi di distrazione.
«È un passo avanti.» Si voltò del tutto verso di lui. «Per fortuna, ho la soluzione anche a questo.»
«Ditemi.»
«La nave qui sopra ha attirato un bel po' di curiosi.» Logico. «Tra loro, c'era un umano di mio gradimento. Voi due mi avete lasciato da solo con lui perché, in caso contrario, sareste stati disgustosi.»
Ludwig era certo di essere diventato del colore della sua corazza. «Arrivate a dire simili bugie pur di-»
«Non è una bugia.»
... Poteva ragionevolmente dire che quella giornata fosse piena di emozioni. «Avete sedotto un umano?»
«Con la mia sola presenza e senza neppure sforzarmi!» Il principe gli scoccò uno sguardo trionfante. «Non che stamattina mi sia svegliato con l'idea di farmi un umano, ma...» Alzò le spalle. «Gioisci, decapode imbalsamato. Ho un nuovo passatempo in cui la tua presenza è tutto tranne che richiesta.»
Ludwig deglutì. Si era distratto per un paio d'ore ed era successo di tutto. «Re Romolo vi crederà?»
«Al nonno importa solo che non caschino navi.» Mise le braccia conserte. «Se non ci saranno incidenti per un po', si scorderà pure di chiederti di fare rapporto.» Un'osservazione corretta.
Non sembrava esserci nulla di pericoloso, in quell'accordo. I vantaggi erano multipli, gli svantaggi inesistenti. L'unico a perderci sarebbe stato l'umano vittima del principe, ma re Romolo non avrebbe mai vietato ad una sirena di sedurre un umano e di farne ciò che voleva. Sì, era un buon accordo.
Allungò la mano. Lovino la strinse.
«Potrei dire che è un piacere fare affari con te» Il principe ritrasse la mano. «ma non sarebbe vero. La tua visione mi irrita.» La sventolò. «Sparisci.»
«Principe Lovino.»
«Cazzo vuoi, ancora?»
Non era una cosa bella da dire, ma non poteva non farlo. «Temo che potrò lasciarvi solo soltanto a partire da domani. Oggi avete comunque avvicinato una nave agli scogli.»
L'espressione di Lovino mutò in una di disgusto. «Quindi dovrò rimanere tutto il resto del giorno con te e quell'altro stordito.»
«Temo di sì, principe.»
«... Ma porca puttana.»

*



«Dunque» Arthur guardò le due piccole murene d'innanzi a lui. «cosa avete scoperto?»
«Cose noioooose!» Alfred allargò le braccia, come a voler dare una grandezza alla noia. «Re Romolo parla con una sirena diversa ogni ora!»
«Il principe Feliciano trascorre tutto il suo tempo con il capo delle guardie.»
«E il principe Lovino si sbaciucchia gli umani!» Buttò fuori la lingua. «Bleah, che schifo!»
«Anche il principe Feliciano e il capo delle guardie-»
«Infatti, che nooooia!» Alfred sbattè la coda a terra. «Pensavo che la vita dei re e dei principi fosse figa, invece è una palla!»
Arthur si tolse il bicorno nero e si grattò la testa. Che re Romolo fosse un donnaiolo era risaputo, che i principi fossero ancora in fase adolescenziale pur avendo superato la maggiore età da un po' gli mancava. O forse era una famiglia di pervertiti, chi poteva dirlo.
«Spero» disse, piano: «non siate rimasti a spiarli, allora.» Alfred e Alfred Due erano ancora piccoli, non dovevano vedere certe cose!
«Ma ti pare! Che schifo!» Di rado aveva visto un'espressione di tale disgusto sul viso di Alfred. A sua memoria, l'ultima - e unica - volta era stato quando aveva accettato i suoi biscotti di more fermentate.
«Eravamo piuttosto sicuri che né il principe Lovino né il principe Feliciano avrebbero offerto occasioni adeguate.» Alfred Due rimaneva immobile accanto al fratello esagitato. «Quindi siamo andati da papà Francis.»
Arthur quasi si strozzò con il nulla.
«Ah, a proposito!» si ricordò Alfred: «Ci ha detto di chiederti se sei libero domani sera.»
«Per l'amor d'Abisso, no!» I tentacoli si inarcarono, le punte si arricciarono. «Lo sapete che dovete sempre rispondere di no!» Era Francis a dover accettare un suo invito - quando e come gli saltava in testa di fare una simile follia -, non certo il contrario!
«Ad ogni modo.» Doveva cambiare argomento, ché Francis lo faceva rabbrividire con la sola pronuncia del suo nome. «Nonostante non mi aspettassi questa predisposizione dei principi alla natura di helostoma, devo ammettere che questa informazione potrebbe tornarmi utile.»
«Cos'è un helostoma?»
«Sssh, Arthur vuole spiegarci il suo piano, non interromperlo.»
«Avete detto che il principe Lovino è interessato agli umani, giusto?»
Alfred sbuffò. «Come re Romolo alle sirene.»
«Gli umani sono portatori di sventure.» Un sorriso troppo simile ad un ghigno gli curvò le labbra. «Sono certo che, presto o tardi, il principe Lovino verrà da me e sarà a causa di un essere umano.»
«Uffaaa!» Alfred diede una codata così forte da ribaltarsi. «E cosa vorrà? Una pozione d'amore?»
«Non so se sarebbe triste, banale o disgustoso.»
«Ma non sarebbe meglio» Alfred si raddrizzò. «se gli dessi una pozione che trasforma tutti gli umani in squali goblin e poi gli dicessi qualcosa tipo» Ingrossò la voce, aprì le braccia e assunse un'espressione truce. «"Prima che il sole cali sul terzo giorno, dovrai trovare il cristallo magico che fa tornare gli umani normali, altrimenti rimarranno tutti squali goblin!"»
«Ma, se rimanessero squali goblin, non soffocherebbero a stare sulla terraferma?»
«E si butterebbero in acqua, Matt! Sono umani, mica scemi!» Battè le mani. «Ma la verità sarebbe che» Il viso s'illuminò. «il cristallo magico ce l'avremo io e Matt e lui non potrebbe trovarlo mai e poi mai!»
Arthur guardò prima Alfred, poi Alfred Due. Nonostante tutto, li aveva cresciuti bene. Quasi si stava commuovendo.
«Purtroppo» Doveva farlo notare. «temo che il principe Lovino, secondo quanto si dice in giro, sarebbe più il tipo da rimanere seduto a guardare gli umani-squali-goblin che saltellano sulla terra per arrivare in acqua.»
Un «Oooh.» deluso quasi lo rattristò.
«Ma non temete.» Si sedette sullo scrittoio storto. «Arriverà il momento in cui avrà bisogno di me.»
«Perché ne sei così sicuro, Arthur? Non ha avuto bisogno di te fino ad ora.»
Un altro sorriso sinistro. «Perché gliela sto iettando, Alfred Due.»

.

Note:
* I titoli del capitolo vengono da Daughters of Triton / Le figlie di Tritone, e da Daughter of Evil (Aku no Musume), canzone composta da Mothy/Akuno-P e cantata dalla Vocaloid Rin Kagamine.
* La dolce canzone di Lovino è la sigla italiana di Bem, il mostro umano (Youkai ningen Bem).
* Il record umano di apnea è di ventiquattro minuti.
* «Così, di botto, senza senso!»: Da Boris.
* Le sirene bicaudate non se l'è inventate Starbucks, ed esistono come alto/bassorilievi e sculture fin dall'epoca etrusca. Conobbero una particolare diffusione in periodo romanico (X-XII secolo).
Nella quasi totalità dei casi, erano ritratte con le code divaricate, a mettere in mostra i genitali. Unito all'avere il seno nudo, erano un ovvio richiamo alla sessualità. Inutile dire che la loro funzione iniziale pagana era protettiva, per poi divenire l'ennesima incarnazione dello Dimonio con l'avvento del cristianesimo.
(Vi basta googlare "sirena bicaudata" per trovare tonnellate di articoli di ogni genere. Non ho idea del perché non abbiano una pagina Kiwipedia dedicata-)
* «Was?»: «Cosa?»
«Scheiße!»: «Merda!»
* Gli helostoma (helostoma temmincki) sono i famosi (?) pesci sbaciucchioni.

Ebbene sì, qui le sirene non sono monocoda ma bicaudate! ╭( ・ㅂ・)و (Nnnno, non si supponeva fosse un polpo di scena, è solo che nel capitolo precedente non c'era occasione di dirlo-)
Più che alle sirene bicaudate etrusche, sono più simili a Kougyoku Ren di Magi in djinn equip ([versione manga], [versione anime]) - Più versione anime che versione manga, ché nella seconda c'è più pelle che squame-
All'inizio non si supponeva avessero gonne o strisce di alghe, ma poi tutta la parte di Francis non avrebbe avuto senso, quindi eccoli un po' più coperti. *Questa cosa ha senso*
Lascio poi a voi pensare se i due scemi abbiano replicato la scena de La forma dell'acqua con apnea di settantadue ore o se siano stati a mollo ma non immersi.

Dato che il capitolo mi sembra piuttosto autoesplicativo, per stavolta niente venti metri di campi coltivati di note importantissime~
Spero sia stato di gradimento!

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Capitolo 3
*** Parte del xxo mondo ***


Capitolo III
Parte del xxo mondo ~ Eppure vuole sapere perché quella persona...


Forse aveva sottovalutato le parole di Gilbert. Era stato avvertito della pesantezza dell'affascinamento da sirena, ma mai avrebbe pensato che potesse invadere la mente a tal punto. Antonio si era ripromesso che non si sarebbe mai più preso gioco dei marinai e dei pirati che cadevano vittime delle sirene.
Quelle ventuno ore, tredici minuti e sette secondi trascorse dal suo incontro con la sirena maschio erano state quasi una sofferenza. Ecco perché era tornato alla Grossa Grotta Greca - O come si chiamava. Tra l'altro, aveva dimenticato di averci nascosto un baule onestamente sottratto ad una mercantile inglese, avrebbe dovuto farlo portare al castello, prima o poi - Abel, Manon e Lucilin sarebbero stati felicissimi e impegnati a contare le monete, così lui sarebbe stato libero di cercare la sirena maschio. Quella era anche l'idea con cui si era svegliato quel mattino ma, non sapendo né dove trovarlo né come, aveva deciso di tornare dove l'aveva incontrato. Ecco perché era tornato- Ah, l'aveva già pensato.
Se ne stava seduto sul bordo roccioso, gli stivali in acqua, in attesa.
Era disarmato. Non che potesse fare altrimenti - Il pugnale l'aveva gettato chissà dove, la pistola era diventata inutilizzabile dopo il bagno imprevisto e la spada sarebbe parsa un po' esagerata. Non avrebbe potuto catturare la sirena maschio ma, se lui fosse tornato, non ce ne sarebbe stato bisogno.
Non c'era nessun motivo per cui sarebbe dovuto tornare in quella grotta, in realtà. Tuttavia, se lui, Antonio, non fosse andato lì, sarebbe stato perseguitato dal pensiero che forse, invece, lui, la sirena maschio, fosse tornato. Ventuno ore, quattordici minuti e trentasei secondi. Era là dentro già da un paio d'ore. Non che avesse granché da fare. Gilbert gli aveva proposto di tornare in Spagna, Abel di privatizzare la spiaggia e far pagare un biglietto d'ingresso, Manon di tornare alla grotta almeno ventiquattro ore dopo per non sembrare troppo un disperato e Lucilin di procurarsi armi nuove attraverso il furto, ché la tesoreria faceva più eco della grotta. Nessuna di quelle proposte era abbastanza interessante. La sirena maschio avrebbe potuto fargli una qualche proposta, però, e lui l'avrebbe soppesata - D'accordo che la sirena maschio era bellissimo, ma Antonio era scemo fino ad un certo punto.
Si sentì osservato. Guardò davanti a sè. Non riuscì a trattenere un sorriso. «Sei tornato.»
La sirena maschio era immerso fino a metà del volto. Dopo qualche istante, emerse con tutta la testa. Aveva i capelli rossicci, o forse castani, difficile dirlo.
«Allora è vero.» La creatura si avvicinò, piano. «Se un umano incontra una sirena, dopo ne sarà ossessionato.»
«Parrebbe di sì.»
Aveva una bella voce. Era indubbiamente maschile anche se, quando l'aveva sentito cantare, non sembrava né maschile né femminile. Era solo bella, quando cantava. Era davvero bella, quando parlava.
Lo vide immergersi di nuovo, ma sapeva che non se ne sarebbe andato. Due secondi, e riemerse al bordo roccioso, tra le sue ginocchia. Aveva gli occhi verdi. Aveva molto di verde. Lo vide allungare le mani e posarle vicino alle sue gambe per issarsi. Lo baciò non appena fu abbastanza vicino. Ventuno ore, ventuno minuti e dieci secondi. Peccato non fossero ventuno. Sarebbe sembrato quasi destino. Scese con le mani ai fianchi e gli afferrò le code, per farlo sedere sulle sue gambe. Pesava più di quanto avesse previsto.
Forse la grotta non forniva l'illuminazione migliore, ma quelle scaglie verdi non avrebbero avuto lo stesso effetto in un luogo diverso. Sembrava quasi che si fosse cosparso di polvere di smeraldi lungo le braccia, le spalle, il collo e i fianchi, e si fosse passato le mani sul viso, sotto le orecchie. Non che avesse le orecchie, quanto delle pinne simili a piccoli ventagli. Gli afferrò il viso, e sentì quelle strane pinne sbattere una, due volte contro le dita. Le sue, di dita, erano strane, lunghe, esili e unite da una membrana sottile. Un morso sulla spalla gli ricordò che aveva anche i denti affilati. Era ovvio che fosse vittima di un qualche incantesimo, perché nessuno avrebbe potuto desiderare un mostro simile.
Però amava come rilucevano quelle scaglie verdi, e non riusciva a capire come non si potesse pensare che quel tritone fosse bellissimo.
«Me lo dici il tuo nome?» Non ci pensò neppure. Voleva solo saperlo.
Un accenno di risata. «Scordatelo.» Tornò a baciarlo. Forse voleva farlo tacere. Se quello era il modo con cui intendeva farlo, avrebbe taciuto volentieri.

*



Due settimane. Quattordici giorni senza nuovi relitti.
Se il nonno avesse capito o meno che l'ultimo fosse opera di Lovino, Feliciano non lo sapeva. L'unica cosa che importava al nonno era che - a quanto sembrava - Lovino aveva smesso di far piovere navi. Lui aveva dato il merito alla presenza imponente e imperturbabile di Ludwig - Che, a suo dire, aveva spinto Lovino a trovare altre cose da fare. La battuta scontata che avrebbe dovuto seguire quell'affermazione non era stata pronunciata da nessuno, chi perché coinvolto chi perché non ne vedeva il motivo chi perché la trovava semplicemente imbarazzante.
Feliciano, però, era piuttosto sicuro che gran parte del merito dovesse andare al povero umano finito tra gli artigli di suo fratello. Per questo, quel giorno, si era appostato per spiare i dintorni della Graffa Grotta Gratis, in attesa di vedere quel misterioso umano.
«Feliciano...» Più che esitante, la voce di Ludwig era talmente tesa da poterla usare per suonare. «Non credo sia una buona idea spiare il principe-»
«Non sto spiando Lovi!» Feliciano gonfiò le guance. «L'umano passerà da quelle parti, prima o poi, no? Non ho altro modo di individuarlo!»
Ludwig tacque. Parlò dopo qualche secondo: «Però il binocolo è uno strumento di servizio, non è il caso di usarlo per-»
Feliciano allontanò il binocolo dagli occhi e guardò il grande granchio accanto a sè. Gli fece un gran sorriso.
Uno, due, tre secondi. Ludwig capitombolò. «Va bene. Ma solo altri dieci minuti.»
«Grazie, Ludwig~» Gli regalò un altro sorriso, e tornò a guardare nel binocolo.
Entrambi erano nascosti dietro delle boe. Una boa per ciascuno, ovviamente, o Ludwig sarebbe stato troppo visibile. Feliciano era certo che nessuno li avrebbe visti - Le boe erano un segnale di pericolo, da guardare il meno possibile e con timore reverenziale, nessuno si sarebbe mai azzardato ad andare oltre le boe e così nessuno mai si sarebbe imbattuto in loro!
Mezzogiorno era passato. I riflessi del sole che si specchiavano sulle onde creavano uno splendido gioco di luci, finché una delle luci non finiva in un occhio e faceva passare qualsiasi senso di meraviglia per almeno un paio d'ore.
«Feliciano, dieci minuti sono passati-»
«Non posso perdere la priorità acquisita!» Era certo che, se si fosse allontanato in quel momento, l'umano sarebbe apparso. Non poteva sprecare tutte quelle ore dietro la boa!
«Feliciano, non hai acquisito nessuna-»
«Ah! Eccolo!»
Esattamente come profetizzato trentacinque millisecondi prima, un umano arrivò a nuoto sulla spiaggia. Era vestito di rosso, aveva i capelli scuri e la pelle più scura di quella degli umani che vedeva di solito in quella zona. Era arrivato dalla direzione della Graffa Grotta Gratis. O poco più in là c'era un punto perfetto per tuffarsi, o quello era l'umano che stava cercando. Feliciano dedusse che l'ipotesi corretta fosse la seconda: non aveva sentito nessuno tuffarsi, né aveva visto quell'umano sulla spiaggia, prima.
«In effetti,» ammise Ludwig: «sembrerebbe provenire proprio dalla grotta...»
Feliciano abbassò il binocolo. «Lo vedi anche tu?»
«Beh, sì, siamo a dieci metri dalla spiaggia.»
A ben vedere, Ludwig aveva ragione anche quella volta. Tuttavia, Feliciano gli aveva sottratto il binocolo e aveva tutta l'intenzione di restituirglielo boh. Quindi, tornò ad usarlo.
«Sembra un umano grande.» osservò: «Ma meno grande di Ludwig. Comunque più grande di Lovi.»
«Il suo abbigliamento lo porterebbe ad essere identificato come pirata.» La voce di Ludwig si fece seria. «Mi auguro non sia un cacciatore di creature marine.»
«Si chiamano "pescatori", Lud.»
«N-No, non era quello che-»
«Aspetta, ma» Seguì la figura finché non realizzò quale fosse il suo tragitto. Sentì la bocca aprirsi da sola per lo stupore. «sta andando nel castello!»
«Sì.» Era certo che Ludwig stesse studiando ogni movimento di quell'umano. «Abita lì, dunque.»
«Proprio a ridosso del mare!»
«Se è qui da ben due settimane, vedo difficile possa trattarsi di un ospite qualsiasi.»
«Quindi può essere solo due cose!» Lo vide sparire dietro una delle torri tozze e bianche. Solo allora abbassò il binocolo, per poi rivolgersi a Ludwig. Voleva urlare ma, se l'avesse fatto, il loro nascondiglio sarebbe stato scoperto. «O è un servo, o è il capo!»
«Potrebbe essere un servo con turno di notte.»
«O il capo che fa quello che vuole.» Non riuscì a trattenere un sorriso enorme. «Ma se lui è il capo e quello è un castello, vuol dire che quello è il re degli umani di Napoli?»
Ludwig mise le braccia conserte. «In tal caso, sarebbe un re molto assente. Com'è possibile che il principe Lovino non l'abbia mai visto prima?»
«Beh...» Feliciano indicò il castello. «Non è che quello è stato costruito in una notte. Abbiamo assistito alla sua costruzione, ve
«Anche questo è vero.»
Erano state quarantotto ore molto interessanti. Nessuno sapeva come avessero fatto a tirare su un castello in soli due giorni, ma tutti si spiegavano la sua planimetria affine al cubismo.
«Non sarebbe bello se quello fosse un re?» Feliciano afferrò le mani di Ludwig. «Lovi è un principe, e quello forse è un re!»
«Spero» L'altro non sembrava troppo convinto. «non porti ad incidenti diplomatici.»
Feliciano gonfiò le guance. «Sei davvero poco romantico, Lud.»
«Ora mi ridai il binocolo?»
«No.»

*



Feliciano e Ludwig si degnarono di tornare solo al tramonto. Insieme, ovviamente. Che bizzarro modo di lavorare che aveva, il capo delle guardie. Se però il nonno era tanto convinto che nessuno potesse essere alla sua altezza, buon per lui - O forse, il crostaceo crucco era tanto in vista perché le alternative erano granchi ancora più debosciati di lui. In tal caso, il Regno del Mare era messo davvero male.
Lovino osservava la gente dall'alto della sua torre - Da sopra la cupola della sua torre, sdraiato prono, in pigra attesa del ritorno del suo fratellino confettino e di quel fallimento di guardia. Probabilmente, quel giorno Feliciano si era appostato da qualche parte per vedere l'umano. Negli ultimi giorni, era stato un po' troppo insistente circa il voler conoscere il luogo e gli orari dei loro incontri. Se non altro - Ed era una sofferenza ammetterlo -, la presenza di Ludwig doveva avergli impedito di spiarli, i suoi incontri. Non che Feliciano fosse un guardone, era solo stupido. Lui, invece, più di una volta era stato obbligato a sopportarli mentre tubavano come piccioni - L'immagine rivoltante di Feliciano e il crostaceo vicini vicini, che si parlavano a bassa voce e si tenevano le mani, gli centrifugò lo stomaco e fu ad un passo dal fargli vomitare anche gli organi interni.
Sì. Doveva ammetterlo. L'umano era una distrazione piacevole, e non gli sarebbe dispiaciuto continuare ad incontrarlo. Niente Feliciano che si fingeva più imbecille di quanto non fosse solo per attirare l'attenzione del crostaceo, niente decapode teutonico che nuotava al suo fianco non appena ne aveva l'occasione, che lo guardava come un'opera d'arte, che lo-
«Argh, che schifo!» Abbattè la testa sulla roccia della cupola. Le immagini nella sua testa sfumarono un pochino. Fu abbastanza per riprendersi. Rialzò la testa. Feliciano e Ludwig erano entrati nel palazzo. Quasi sicuramente erano dal nonno.
Niente nonno e popolo che avrebbero desiderato che lui fosse il secondogenito. Nessuno gli aveva ancora chiesto di abdicare in favore di Feliciano, ma forse perché nessuno smaniava dalla voglia di parlargli. Un po' se le meritavano, le barche in testa. Di certo, se anche avesse abdicato, nessuno si sarebbe dimenticato del principe Lovino, il fondatore del Cimitero dei Relitti e temuto fautore di piogge di navi. Pensandoci bene, ormai era una collezione abbastanza corposa. Scheletri di navi, e senza nessun umano a rovinare la raccolta. Poteva dirsi soddisfatto.
Scese dalla cupola. Almeno un saluto a Feliciano poteva darlo. E far capire a Ludwig che, sì, li aveva visti tornare insieme, lui sapeva, lo sapeva che erano stati insieme troppo tempo e che doveva tenere le tenaglie al loro posto - Speranza vana ma, magari, prima o poi, le sue minacce avrebbero avuto effetto. Che tipo di effetto, non lo sapeva neanche lui.
Arrivò alla sala del trono. Nonno, fratello e intruso erano lì, come previsto.
«Oh!» Feliciano fu il primo a notarlo. «Ciao, Lovi!»
«Bentornati.» Calcò il plurale. Fece un cenno a Feliciano, diede a Ludwig un'occhiata più lunga del necessario. Il paguro, là, non abbassò lo sguardo. Pessimo.
«Ah, 'sti giorni se sta popo bene, nun trovate?» Il nonno scese dal trono e afferrò lui e Feliciano in un abbraccio un po' goffo. «Nun sarebbe bello continuà così, eh, Lovì?»
Lovino lo guardò male. Il nonno li lasciò andare, ma il suo sorriso gigante non svanì. «Mbè, c'avete fatto, oggi?»
«Ho giocato con le boe!» La risposta di Feliciano era così stupida da non lasciar dubbi circa la sua veridicità.
«Ho spiato gli umani.» Ultimamente, si metteva sugli Scogli Scomodamente Stazionati e osservava il viavai di umani sulla spiaggia. Quel giorno, era arrivato un gruppo di umani con carta, penna e strane scatole che lampeggiavano, tutti attorno a quello che aveva ormai imparato a riconoscere come il direttore del museo locale, che continuava ad indicare gli scogli e a declamare a gran voce la cronologia della formazione dei relitti.
«Parono du' cose 'nteressanti.» Sì, giocare con le boe doveva essere il passatempo più eccitante che tritone avesse mai conosciuto. «Me auguro continuate a divertivve così!»
Lovino dovette mordersi la lingua per evitare di dire qualcosa del tipo: «In realtà, stavo pensando di attirare umani qua sotto.» Così, giusto per fare qualcosa che potesse dargli fastidio. Quattordici giorni, due settimane che il nonno continuava a ribadire quanto si stesse bene senza navi in picchiata. Ne aveva i coglioni abbastanza pieni.
«Vi lascio a voi.» Di certo, il nonno e Feliciano avevano cose più interessanti - Per loro - di cui parlare, piuttosto che ripetere le stesse due battute all'infinito in attesa che lui si levasse dal cazzo.
«'ndo vai?»
Non diede la risposta più ovvio solo perché quello era suo nonno. «Non lo so.» Si voltò e se ne andò.
Probabilmente, avrebbe abdicato anche solo per non dover assistere in pianta stabile a siparietti tanto imbarazzanti.


«Mbè.» Re Romolo si voltò verso Feliciano e Ludwig. «Com'è 'nnata?»
Ludwig gli rivolse uno sguardo di pura compassione.
Feliciano fece un gran sorriso. «Un disastro completo!»
Il re sgranò gli occhi. «M-Ma-»
«Devi essere più rilassato. Parla come parli con tutti e varia gli argomenti!» Il principe gli nuotò accanto e gli prese una mano. «Puoi farcela, nonno! Non è così difficile parlare con Lovi!»
Ludwig gli rivolse uno sguardo di pura compassione.

*



«Questa andrà bene?» Alfred alzò la manina, un ramoscello rosso nel pugno.
«No, quella è gorgonia rossa.» Matthew srotolò l'alga e rilesse la lista. «Arthur ha chiesto gorgonia gialla.»
«Qui c'è solo rossa.» Alfred gli mollò il rametto in mano, per poi staccarne altri dalla paratia. «Gli diciamo che è gialla, ma che ha succhiato il sangue della nave ed è diventata rossa!»
«Le navi non hanno il sangue...»
«E Artie che ne sa?» Gonfiò le guance. «Ha fatto un'autostrada alle navi?»
«Autopsia.»
«E allora no!»
«Almeno la spo... spon...» Matthew si premette le lenti circolari sugli occhi. «Spongia officinalis possiamo prendergliela sul serio.»
«Se la troviamo.» Il fratello alzò le spalle. «Artie chiede tutte queste cose assurde!»
«Sono normali ingredienti, Al...»
«Sarebbe più facile se potessimo cercare i suoi preziosi ingredienti per tutto il mare!» Uno sbuffo. «Perché si è fissato che dobbiamo cercare 'sta roba proprio in questa nave qui?»
Ogni tanto, anche Alfred faceva domande sensate. Tuttavia, Matthew conosceva la risposta, e l'avrebbe conosciuta anche l'altro se solo avesse ascoltato Arthur. «Perché è caduta esattamente in un incrocio di linee magiche, e qualsiasi ingrediente trovato qui dentro ha un incredibile boost di forza magica.» Che poi la risposta fosse stupida era un altro discorso.
«Questa può passare per spugna?» Alfred gli mostrò un sacchetto di plastica bianco.
Matthew scosse la testa. «No, deve essere nera.»
«Uffa!»
«Però» Un'altra occhiata alla lista. «Arthur ha chiesto anche una busta di plastica bianca.»
Alfred guardò la busta, con timore quasi reverenziale. «Dunque è questo l'aspetto di un ingrediente dalla grande potenza magica...»
«No, gli serve per metterci cose.»
«E allora perché proprio bianca?»
«Dice che s'intona con i coralli del soffitto.»
«Alfred!» Una voce da fuori il relitto. «Alfred Due! Avete trovato tutto?»
Si erano quasi dimenticati che Arthur li stava aspettando fuori.
Alfred guardò Alfred Due Matthew. «Abbiamo trovato tutto?»
«No, ovviamente. Se gli portassimo questa roba e ci credesse, lo staremmo truffando.»
Alfred si avvicinò ad un oblò esploso e urlò: «Sì, Artie, ci manca solo la busta!»
«Fate in fretta!» C'era una certa urgenza, nel suo tono. «L'orario perfetto per la raccolta scadrà tra dodici minuti e tre secondi!»
Anche Matthew si era avvicinato all'oblò. I due fratelli si scambiarono una lunga occhiata.
«Ma, se è così di fretta,» disse Alfred, piano: «perché non viene a prendersele lui, le cose?»
«Perché sarebbe inutile avere dei sottoposti.» rispose Matthew, candido. «E poi, non credo c'entri, qui dentro.»
Doveva essere molto triste essere un calamaro e non potersi infilare nei relitti più piccoli del normale per paura di distruggerli.


Gorgonia rossa. Scaglie di ruggine. Almeno la busta di plastica era come l'aveva chiesta.
«Posso comprendere scambiare morbide spugne nere con affilate scaglie di ruggine marrone...» Arthur sventolò i ramoscelli rossi. «Ma confondere il rosso con il giallo?»
«E quello c'era!» sbuffò Alfred.
«Non abbiamo trovato niente di giallo, a parte i dischetti nei bauli...»
«Evidentemente, non avete cercato bene.» Gettò gorgonia e ruggine alle sue spalle. «Mi avete deluso. Siete sempre stati professionali. Forse sono stato troppo indulgente, con voi.»
«Papà Francis dice lo stess-»
«Non. C'Erano.» La voce di Alfred coprì quella di Alfred Due, e fu un bene, perché gli sembrava stesse dicendo qualcosa di irritante. «Stupido Artie!»
Eccola, l'influenza di quel gabbiano spennato! «Modera il linguaggio, signorino!» Portò i pugni ai fianchi. «Le stelle mi hanno garantito la presenza di quegli specifici ingredienti in questo specifico posto, e le stelle non mentono mai!»
«Ma Arthur» sussurrò Alfred Due: «le stelle sono globi di plasma che brillano a milioni di miliardi di chilometri di distanza, forse le hai sentite male!»
«Sciocchezze.» Gettò uno sguardo al relitto. «Le parole delle stelle mi sono sempre state cristalline.»
«Magari stavolta c'era una tempesta solare che ha creato disturbo e-»
«Taci, Alfred.» Ancora nove minuti e due secondi. Dopo, gli ingredienti avrebbero perso potere e tutta la sua tabella di marcia avrebbe perso significato. Se quei due si erano rivelati, inaspettatamente, tanto scansafatiche, era rimasta una sola possibilità. Avrebbe rischiato moltissimo - Quando gli sarebbe ricapitato un luogo di raccolta tanto conveniente? -, ma l'alternativa sarebbe stata aspettare un anno e lui aveva bisogno di quella pozione per modificare i sapori del cibo ora. Non avrebbe aspettato trecentosessantacinque giorni per far riconoscere alle due murene e al pennuto le sue indiscutibili abilità culinarie, anche a costo di arrecare danno a quell'oasi magica.
«Aspettatemi qui.» Si avvicinò all'ingresso. O meglio, al boccaporto dalle assi frastagliate dalla caduta. Era l'unica entrata da cui sarebbe stato in grado di passare. Non sarebbe stato difficile. Doveva solo cercare all'interno e lasciare i tentacoli fuori - Soprattutto, evitare di schiantarli da qualche parte.
«Sei sicuro?» La voce di Alfred era più esitante che timorosa.
«Ovvio!» Arthur sbuffò, mentre cercava di muoversi senza l'uso dei tentacoli. «Ora guardate come le trovo subito!»
Spesso si sottovaluta l'uso dei propri arti. In quel momento, lo Stregone del Mare realizzò quanto dieci tentacoli fossero indispensabili per una corretta mobilità, e si chiese come potessero le due piccole murene nuotare con un'unica coda. Lui, ormai nella stiva, poteva ragionevolmente dirsi prossimo all'incastrarsi.
C'era di tutto, là dentro: pesciolini grandi come un palmo di mano, coralli che fingevano un Erasmus dalla barriera corallina australiana per spacciarsi come specie protetta, dischetti gialli che tanto piacevano agli umani, gorgonie del colore sbagliato e creaturine marine che non valeva la pena descrivere. Tutto tranne gli ingredienti che cercava.
«Artie! Quant'è "subito"?»
Arthur sbuffò. Aveva già abbastanza problemi. «Uno yottasecondo!»
Finalmente un po' di silenzio. Alfred e Alfred Due sarebbero stati impegnati per un po' nel contare uno yottasecondo. Tornando agli ingredienti e alla stiva. Non che fosse un brutto posto, la stiva - Stretta, buia, il sogno di ogni mollusco -, ma uno scricchiolio sinistro gli ricordò quanto fosse fragile. Doveva aver mosso un tentacolo. Decise di issarsi con le mani, approfittando di qualsiasi asse rotta. Gettò uno sguardo nei piccoli fori del legno - Abbastanza grandi da infilarci solo una mano o un dito.
Una macchia gialla. Nascoste dietro un'asse precipitata da chissà dove e chissà quando, un rettangolo di legno era ricoperto di perfette, lucenti e giallissime gorgonie gialle.
«Le ho trovate!» Non riuscì a non urlarlo, giusto per sottolineare quanto lui non sbagliasse mai. Si sorresse al buco di un oblò, allungò la mano e staccò i rametti necessari. Sei minuti e cinquanta secondi. Aveva ancora tempo, non doveva essere frettoloso. I tentacoli dovevano rimanere immobili. Ripose le gorgonie nella tasca della giacca e si guardò intorno - Fosse mai che le spugne fossero nei paraggi. Caso volle che la risposta fosse sì: esattamente a pochi metri, in un angolo, un'invasione di spongia officinalis faceva bella mostra di sé. «Lo sapevo.» Non potè trattenere un sorriso soddisfatto. «Le stelle non mentono mai!» Tuttavia, mai come in quel momento doveva essere cauto: forse per le troppe spugne, forse per la tecnica di costruzione, forse per entrambe, quel punto della nave sembrava particolarmente fragile, talmente cosparso di forellini da terrorizzare un tripofobo. Avanzò a tentoni, sostenendosi e issandosi con le sole mani. Alla fine, raggiunse il suo obiettivo, che finì a far compagnia alle gorgonie nella tasca.
Aveva trovato ciò che gli serviva, ed era ancora in orario! Era proprio vero che certe cose era meglio farle per conto proprio, piuttosto che delegarle.
«Bene. Ora.» Si guardò intorno. «Come esco?» Avesse potuto flettere i tentacoli, non ci sarebbe stato alcun problema. Non fosse stato piegato come una vela gonfiata dal vento, sarebbe stato anche meglio. Tra l'altro, le braccia cominciavano a dar segno di cedimento, quindi era meglio sbrigarsi. L'unica via d'uscita - Letteralmente - era indietreggiare a tentoni, ripercorrendo centimetro per centimetro il tragitto fatto fin là dentro.
Qualcosa andò storto. Il rumore secco del legno che si spezzava, gli appigli che venivano meno, una caduta nel vuoto in barba alla pressione che sott'acqua altera la gravità, e Arthur si ritrovò insaccato in una rete da pesca.
Forse vi chiederete cosa c'entra la rete da pesca in tutto questo. Facciamo un salto indietro di qualche secondo e andiamo in superficie.

«Ah-ha! L'idea della zattera truccata era fantastica!»
«Mamma mia, quanto cazzo siamo trasgressivi!»
«Ehi, perché non facciamo un'altra cosa pazzissima?»
«Tipo?»
«Ora noi buttiamo questa rete da pesca...»
«E...?»
«E non la tiriamo su! La buttiamo e basta!»
«Sìììì, che cosa troppo trasgressiva!»



Caso ha voluto che la rete cadesse proprio addosso ad Arthur che, preso alla sprovvista, aveva iniziato a dimenarsi, salvo attorcigliarvisi meglio. Il risultato era mezzo calamaro arrotolato in una rete da pesca, un relitto con un nuovo buco di dimensioni ragguardevoli, e dieci tentacoli che giacevano dall'altro lato della barca ormai semidistrutta. Davanti a quello spettacolo, le due piccole murene non avevano parole per commentare.
«Alfred!» tuonò lo Stregone del Mare: «Alfred Due! Venitemi a liberare!»
«Ce lo dici cos'è uno yottasecondo?» urlò Alfred, di rimando.
Arthur sbattè le palpebre. «Ma che cazz-...?» Si riprese. «Sono tantissimi secondi. E ora liberatemi!»
«Ci eravamo già arrivati. Ma quant-»
«Alfred, giuro che se non mi liberate potete scordarvi la gita ai geyser!»
«Ma io che c'entro...?»
«Sei una noia, Artie!»
Nonostante le proteste, però, le due piccole murene erano intervenute. Provarono a tirare, con scarsi risultati. Poi decisero di usare i loro dentini affilati. La rete, a quanto sembrava, era più resistente e quel che ne ottennero furono delle bocche indolenzite.
«Andate a cercare qualcosa con cui tagliare la rete.» ordinò Arthur. Sbuffò, arresosi ma non per questo non a disagio. «Io non posso far altro che aspettare.» O meglio, avrebbe potuto liberarsi facilmente, ma avrebbe comportato la distruzione totale del relitto già abbastanza provato.
Alfred e Alfred Due annuirono e sparirono in una coppia di guizzi. Un altro sospiro, stavolta più irritato. Contava troppo sui suoi tentacoli. Doveva imparare a portarsi dietro delle armi - Non che, con le braccia bloccate dietro la schiena, potesse fare niente, ma almeno avrebbe potuto avvisare Alfred o Alfred Due e farle usare a loro per liberarlo. Aveva imparato la lezione. Chissà però perché le stelle non l'avevano avvisato del pericolo-
Alzò lo sguardo. Qualcuno lo stava fissando da sopra la nave.
«Ohi.» Il principe Lovino nuotò piano verso di lui. «Vuoi che ti libero?»
Un moto di stizza. «No, amo essere incastrato in una rete da pesca, è uno dei miei passatempi preferiti.» Era una risposta gratuitamente antipatica, ma la domanda era stata fin troppo superflua. Come avrebbe dovuto rispondere? «Oh, sì, ti ringrazio, mio salvatore!»?
«Ah, sei di quel tipo.» Lo stava prendendo in giro. Stava pure cercando di non ridere. «Allora ti lascio divertire, ciao!» Fece per andarsene.
«No, aspetta!» Uno scricchiolio lo avvisò di essersi mosso troppo, nello sporgersi verso l'altro. «D'accordo.» Dovette ammetterlo. «La mia irritazione per questa situazione mi ha portato a rispondere in modo eccessivamente poco gentile.» Si schiarì la voce. «Ti sarei molto grato se tu potessi liberarmi da questa rete.»
Lovino gli si avvicinò di nuovo. Stava studiando la rete. Forse non era un tritone così psicopatico, dopotutto, era anche passato sopra la sua rispostaccia e-
«Mah, non lo so.» Il principe lo scrutò. «Mi sembravi davvero convinto, prima. Sei proprio sicuro di voler essere liberato?»
Arthur si rimangiò ogni singola sillaba positiva spesa per quel piccolo mostro. «Vorresti lasciare una persona in difficoltà?» Lo chiese quasi a denti stretti. «Saresti un principe pessimo!»
«Oh.» Lovino mosse appena la mano, come a scacciare quella frase. «Temo di esserlo già. E comunque» Assottigliò lo sguardo. «mi hai riconosciuto e mi dai del tu senza permesso?»
L'erede al trono dei Sette Mari Antichi doveva solo ringraziare quel relitto che gli bloccava i tentacoli, o avrebbe assaporato l'ebbrezza di interpretare il ruolo della nave durante un attacco kraken.
Arthur inspirò a fondo, molto a fondo, prima di parlare. «Evidentemente tu non hai riconosciuto me.» Era difficile dare una buona impressione in quelle condizioni, ma contava nella fierezza naturale del suo sguardo e nell'indiscutibile timore reverenziale che incuteva in chiunque osasse porsi sulla sua strada. «Io sono lo Stregone del Mare, signore assoluto dei Sette Mari!» "Moderni", aggiunse una vocina nella sua testa troppo somigliante a quella di Alfred, ma non appartenente ad Alfred.
Occhi a mezz'asta. Sopracciglia appena inarcate. Non proprio la reazione che si aspettava. «Potresti star dicendo una puttanata...» Mise le braccia conserte. «Ma suppongo avresti detto qualcosa di un po' più credibile.»
«Non m'importa quel che credi.» Arthur alzò il mento. «È la verità.»
Lovino piegò appena la testa di lato, come se lo stesse studiando, soppesando l'ipotesi che lui fosse davvero il grande e potente Stregone del Mare. Quando si raddrizzò, diede il suo responso. «Ti credo, va.» Tuttavia, non diede cenno di muoversi. «Sai, ti pensavo un po' più» Lo sguardo andò al relitto. «maestoso? Austero? Grande e potente?»
Forse il relitto non serviva davvero. Forse avrebbe potuto trovare un altro luogo di raccolta. Forse non sarebbe stato così problematico ridurre in briciole relitto ed erede.
«Potrei liberarmi in qualsiasi momento, se solo lo volessi.» Ci tenne a precisare. «Ma poi arrecherei danni a-»
«Sì, sì, assolutamente.» Lovino non lo stava neanche più sfottendo. Si limitava a guardarlo, a metà tra la delusione e la pietà.
Cazzo se gliel'avrebbe tirata. Gliel'avrebbe tirata come mai aveva iettato qualcuno.
«Sai, signorino principe» Non riuscì a trattenere un ghigno. «temo tu mi stia mancando troppo di rispetto. Stai approfittando di un mio momento di debolezza per schernirmi. Ma pagherai caro questo affronto. Io sono il Re dei Sette Mari e-»
«Sì, ma ora siamo nel regno di mio nonno.» Il principe lo interruppe, la voce piatta. «E non ho alcun interesse a venire nel tuo.»
Fu in quel momento che lo Stregone capì. Capì quali dovessero essere gli ultimi dettagli del suo piano per la conquista dei Sette Mari Antichi: doveva entrare in legale possesso di quell'erede nello specifico, e fargli pagare ogni singola parola di troppo detta da quella sua linguaccia malefica su quel faccino da schiaffi.
«Temo che tra noi ci siano state delle incomprensioni.» sussurrò Arthur, la voce più gentile che riuscì a fare. «Chiedo dunque umilmente il vostro aiuto, principe. Siete disposto a liberarmi?»
Lovino lo guardò per un istante. Un lunghissimo istante. Poi sospirò. «Va bene.»
Ovviamente, era troppo tardi per ottenere il perdono di Arthur. Il suo piano non era cambiato di un segno d'interpunzione.
«Però» Ecco, appunto. Il principe sorrise, un sorriso un po' sinistro. «cosa mi dai per il mio silenzio?»
«Il tuo cosa?» Gli uscì un acuto imbarazzante. Serrò i denti per impedirsi di strillare ancora - O di insultare il suo interlocutore e tutta la sua dinastia fino a tre generazioni prima.
«Sei il grande e potente e superfigo Stregone del Mare, no?» Solo in quel momento Arthur si accorse che il principe stava giocherellando con le corde della rete. «Sarebbe un problema se andassi in giro a raccontare di averti trovato incastrato e insaccato.»
"You bloody son of a-" «Sì.» concesse lo Stregone, le parole scandite con cura, per assicurarsi di star dicendo quelle e non minacce di morte. «Dunque volete che compri il vostro silenzio.»
«Mh.» Lovino tirò appena una corda, e Arthur la sentì quasi tagliargli una spalla. «Sì. L'idea è quella.»
Una cosa che Arthur sapeva con certezza era che, una volta liberato, avrebbe dovuto ricorrere a tutta la propria forza di volontà per non scagliarsi su quel mostriciattolo. «Dunque cosa desiderate, maestà?»
Un'occhiataccia. Forse il principe pensava lo stesse deridendo. No, non lo stava deridendo. Stava covando il suo rancore come la più spietata delle galline.
«Non lo so.» fece lui: «Cosa puoi offrirmi?»
Stavolta, Arthur non riuscì a trattenere una risata. Ne aveva bisogno, in quel momento. «Cosa posso offrirvi? Maestà, io sono lo Stregone del Mare!» Alzò la testa in un moto di fierezza, ma uno scricchiolio gli intimò di stare fermo. «Posso darvi qualsiasi cosa!»
«Qualsiasi cosa?» Lovino si scostò dalla rete. Fluttuò davanti a lui, gli occhi ad un braccio di distanza dai suoi. «Da quanto sei qui?»
Che razza di domanda era? «Che razza di domanda è?»
Il principe inarcò appena le sopracciglia. «Non hai visto quello che ho?» Aprì appena le braccia. «Non ti sembra che io sia uno che ha tutto, ormai?» Indicò un punto in lontananza. Che stesse parlando del Cimitero dei Relitti? «Tesori, ricchezze... e una raccolta che ho fatto io.» Mise le braccia conserte. «Non credo nessuno al mondo ne abbia quanto me. Ho le cose più strane e curiose. Non ho nulla da desiderare.»
Arthur incassò il colpo. Dannazione, non era un principe avido! Quanto odiava le persone che non necessitavano di accumulare beni materiali pur possedendone più della norma!
«Se le cose stanno così...» Doveva trovare un'idea e forse quella faceva al caso suo. «Che ne dite di uno sconto su un mio incantesimo?»
Il principe aggrottò la fronte. Quello sguardo di pura sufficienza sarebbe stata una scusa accettabilissima per prenderlo a tentacoli in faccia - Tutti e dieci, su tutte e due le guance. «Come si fa uno sconto ad un incantesimo? Me ne dai mezzo?»
«Gli incantesimi sono servizi che si pagano, mia cara maestà.» Ah, i pagamenti per i suoi incantesimi. Erano la cosa che più amava del suo lavoro. «Sono solito chiedere qualcosa in cambio al momento esatto dell'acquisto. Nessun rimborso, nessuna possibilità di tornare indietro. Nessuno si è mai lamentato, devo dire.» Quali fossero i motivi per cui nessuno si fosse mai lamentato, poi, erano puri dettagli. «Vi offro la possibilità, nel caso vogliate usufruire di un mio incantesimo, di lasciarmi un pegno. Soddisfatto o rimborsato, ma solo nel vostro nobile caso!»
Lovino lo guardò. Ci stava pensando. Tuttavia, Arthur era certo non stesse pensando alla sua offerta quanto al fatto che non se ne sarebbe fatto nulla - Rendendo quell'accordo, dunque, abbastanza inutile. Ma, se si fosse rifiutato, l'avrebbe rimpianto. Oh, se l'avrebbe rimpianto!
«Senti.» Il principe si avvicinò e afferrò le corde. «Accetto perché mi stai facendo troppa pena.»
Arthur s'impedì di rispondere, perché sarebbe stato molto poco gentiluomo. E s'impedì di sorridere, perché era sicuro che il suo sorriso sarebbe apparso troppo strano. "Accetto", aveva detto il principe. La seconda cosa che amava del suo lavoro era ridere della disarmante ingenuità con cui la gente pronunciava quella semplice parola. Si dimenticavano sempre di limitargli qualsiasi libertà.
Lovino, intanto, aveva trovato il punto giusto dove tagliare - Là dove le corde si tendevano per bloccargli testa e spalla. Ora che Arthur ricordava, le sirene e i tritoni avevano denti piuttosto affilati, non sarebbe stato difficile-
Lovino estrasse un pugnale di selce dalla cintura e lo calò su di lui. L'urlo sorpreso scappò prima che potesse anche solo realizzarlo. Quando le corde cedettero, tagliate dalla lama di pietra, Arthur richiuse la bocca. Era stato molto imbarazzante. «Senti.» sibilò, alla volta del suo adorabile salvatore. «Chiunque urlerebbe se si vedesse arrivare un pugnale nel collo. Questa non conta.»
«Ah-ha.» Nessun ghigno. Nessuna presa in giro. Lo stava davvero compatendo. «Tranquillo.» Gettò uno sguardo al relitto. «Ti serve aiuto anche per uscire da lì?»
Le corde scivolarono via, sostituite da ondate di sollievo. Lo Stregone si sfregò le braccia, il sangue che tornava a fluire e i formicolii che venivano meno ogni secondo che passava. «No. Per quello faccio da solo.» Sforzò il tono più gentile che potè. «Grazie, maestà.»
«Prego, Stregone del Mare.» Stavolta il ghigno e la presa in giro ci furono tutti. Fu una fortuna che il principe considerasse quella conversazione chiusa e avesse quindi deciso di andarsene.
Una fortuna per lui, perché Arthur si era affrettato a rientrare nel relitto con due idee ben chiare in mente: recuperare l'uso dei suoi tentacoli e far ingoiare a quello scassapalle ogni lettera di scherno. L'idea di sottrargli il trono era così perfetta che sembrava assurdo l'avesse pensata prima di incontrarlo. Doveva essere destino. Ecco perché le stelle non lo avevano avvisato! Era tutto parte di un grande piano che voleva l'incontro tra lui e quel rompicoglioni, per fargli aprire gli occhi sulla sua natura di esserino irritante e spronarlo a portare avanti il suo piano con una nuova determinazione!
Si lasciò andare ad una risata, più piena della precedente, di soddisfazione al solo pensiero di vendicarsi di quel piccolo-
Alfred e Alfred Due erano dietro uno scoglio. Arthur diede un colpo di tosse. «Ce ne avete messo di tempo.»
Le due murene uscirono dal loro nascondiglio. Trascinavano un arpione gigante.
«Noi abbiamo trovato questo, ma-»
«Il principe Lovino ti ha liberato per primo.»
Un campanello d'allarme trillò nella mente di Arthur, in modo talmente ossessivo che gli tirò un pugno immaginario, facendolo saltare. «Per curiosità» chiese, piano: «da quanto siete qui?»
«E che ne sappiamo!» Alfred sbuffò. «Mica teniamo il tempo!»
«Più o meno» intervenne Alfred Due: «cinque o sei minuti.»
Hell.
«Prima che tu lo chieda.» disse subito Alfred: «Abbiamo visto credo tutto.»
Fucking hell.
«Ma, sai, Artie.» Alfred gli mise un braccino attorno alle spalle, con fare cospiratorio. «Credo che tu abbia un problema di credenzialità.»
«Credibilità.»
«... In che senso?» Nessuna delle due opzioni sembrava avere senso. Tra l'altro, stava ancora pensando se fosse eticamente corretto drogarli per cancellare loro le memorie di quelle ultime ore. Giunse alla conclusione che la risposta fosse no, ma lui faceva quello che gli pareva.
«Quegli urletti, quegli acuti...» Alfred scosse la testa. Arthur ripassò con la mente tutto ciò che aveva dietro, nella speranza di avere già a portata di mano gli ingredienti necessari. Purtroppo no. «Hai sentito la voce del principe, com'era bassa e decisa? Dovresti farla più come lui, ecco!»
Si stava davvero facendo dare consigli da una murena alta un metro e uno starnuto?
«Sono sicuro che» Alfred gli diede un pugno leggero alla spalla, con aria vissuta. «anche Francis ti prenderebbe più sul serio.»
Arthur guardò Alfred. Poi Alfred Due. Poi l'arpione. Poi di nuovo Alfred. Afferrò l'arpione con un tentacolo e lo sfilò dalle manine di Alfred Due.
«Conto fino a dieci.» Portò le mani ai fianchi. «Uno... Sei...»
«Ma il sei non viene dopo il-»
«Nove...»
Alfred Due afferrò Alfred e i due sparirono in un vortice di bolle.
«Dieci.» Abbassò l'arpione. Tanto quei due erano già troppo lontani. Si schiarì la voce. «Prova. Prova.» Sentì le guance andare a fuoco. Scosse la testa. «Io non faccio urletti acuti!»
Si fottesse, la voce del principe!

*
*



«C'è una cosa che volevo chiederti.» Lovino rimise le code in acqua. «Ma mi dimentico sempre di farlo.»
L'umano lo guardò, interrogativo. Stava finendo di rivestirsi.
«Quando hai intenzione di andartene?»
L'umano recuperò la giacca. Doveva pesare il doppio, fradicia com'era. «Non lo so.» Tornò a guardarlo. Sorrideva come un idiota. «Vuoi che rimanga per sempre?»
Lovino non riuscì a trattenere una risata. Quell'umano deficitava di intelletto, ma era senza dubbio divertente. «È questo che vorresti ti dicessi?» E, ad onor del vero, era anche l'unico che non lo guardasse male o cercasse di evitarlo, Feliciano a parte. Non esisteva nessun incantesimo delle sirene, quindi quell'umano doveva anche trovarlo la cosa più bella che avesse mai visto in maniera del tutto genuina. Sapere per quanto avrebbe avuto a disposizione qualcuno capace di farlo sentire così a proprio agio era un dubbio legittimissimo.
«Sarebbe senz'altro bello sentirsi dire che la propria compagnia è gradita.» Ecco, appunto. L'aveva capito persino l'umano scemo. «Però...» Strizzò una manica. Avrebbe potuto riempire un quarto di baule soltanto con l'acqua che ne uscì. «Non credo diresti sul serio.»
Lovino socchiuse appena gli occhi. Era indeciso. L'umano ci credeva davvero, a quella cazzata dell'affascinamento da sirena. Distruggere o no le sue convinzioni? Scelta ardua. Si sporse verso di lui, gli strappò la giacca dalle mani e la gettò in un angolo. Aveva notato che ci voleva un po' per infilare tutti i cerchietti della veste che aveva sotto la giacca, quindi si premurò di disfare il suo lavoro, apposta per dargli fastidio. «Non lo saprai mai.» Lasciarlo nel dubbio. Ecco qual era la cosa più divertente da fare. Alzò la testa. Neppure così erano alti esattamente allo stesso modo. Prese i lembi della stoffa appena aperta e lo tirò verso di sé. L'umano, obbediente, gli si avvicinò. Almeno un pregio ce l'aveva. «Non volevi catturarmi, tu?»
Una risata leggera. L'umano gli passò una mano sulla guancia - Sullo zigomo, sulla guancia, sul mento, come se stesse cercando di memorizzare i suoi tratti. Nonostante tutto, erano sempre stati vicini solo in penombra. «Credo di averti studiato abbastanza.»
«Ti sei sacrificato in prima persona per il bene della scienza.» Lovino annuì, comprensivo. «Che animo nobile.» Lo baciò, le mani alle spalle, sotto la stoffa umida. Non voleva togliergliela, voleva solo impedirgli di richiuderla, perché sì. Quando l'umano fece per approfondire il bacio, Lovino si tirò indietro. Sfilò le mani da sotto la stoffa, e lo spinse appena all'indietro. «Dunque qual è il tuo verdetto?»
L'umano sbattè le palpebre. «Cosa?»
Cercò di non ridere. Per quel giorno, l'umano ne aveva avuto abbastanza. Si lasciò scivolare in acqua - E sentì un certo sollievo, ché stava iniziando ad essiccarsi. «Il tuo verdetto.» Posò i gomiti sul bordo roccioso. «Hai detto di avermi studiato.»
«Ah.» L'umano tornò alla realtà. «Sì.» Un attimo di smarrimento. Poi scosse la testa, e sorrise di nuovo come un idiota. «In realtà, risultate ancora creature piuttosto misteriose.»
Lovino lo guardò di sottecchi. «Sei uno studioso di merda.»
«No, siete voi ad essere strani.» L'umano si riprese la giacca. «Di certo siete ben lontani dall'essere umani ma, a volte, mi sembra quasi...» Esitò. Forse non sapeva come dirlo. «... che non ci sia alcuna differenza.»
Lovino ridacchiò. «Piano con gli insulti.» Posò il mento su una mano. «Nessun tritone né sirena vorrebbe mai essere umano, fidati.» A parte una danese scema di cui aveva sentito parlare - che, tuttavia, era per l'appunto scema.
«L'aspetto non è poi troppo diverso.» L'umano sembrava non averlo sentito, o forse l'aveva ignorato. Era proprio stupido. «Anche il modo di parlare, di comportarsi, mi sembra quasi che abbiate delle emozioni effettive.»
Lovino inarcò le sopracciglia. «Non dovremmo averne?» Era davvero stupido. Ogni giorno lo stupiva sempre di più, doveva dargliene atto.
«Beh, no.» L'umano sembrava quasi sorpreso di quella domanda. «Non avete un'anima. Quindi, come potete provare emozioni effettive?»
Ah.
«Esplica» Forse aveva capito male. «cosa intendi per "anima".»
«Oh, non sai cosa sia?» No, coglione, lo sapeva benissimo. «In effetti, avrei dovuto immaginarlo, perdonami.» Doveva solo rispondergli, non girarci attorno come un imbecille. «È la parte spirituale dentro qualsiasi essere umano, ciò che gli fa provare emozioni e lo porta a vivere secondo o contro la morale.» Continuava a parlare con assoluta tranquillità. «È qualcosa di invisibile, ma che differenzia gli esseri umani dal resto delle creature viventi.»
No. Non aveva capito male.
«Dunque» Si tirò indietro, le braccia in acqua. «non c'è alcuna differenza tra me e un'alga?»
Lo sguardo del bastardo era di pura innocenza. «Tu puoi parlare.»
Lovino annuì, piano.
Era un'affermazione davvero stupida, quella dell'umano. Lo sapeva benissimo di avere un'anima - Tutti hanno un'anima, non serviva nessuno ad illuminare nessuno di tale incredibile verità. Era una cosa ovvia. Non è che ci si sta sempre a pensare. Non è che si pensa che il bigliettaio del Cimitero dei Relitti abbia un'anima, o che ce l'abbia la signora che cucina le alghe alle telline più buone dei Sette Mari, o che ce l'abbia il proprio fratello, il proprio nonno, o persino il granchio crucco. Era così, semplicemente. Erano persone. E il fatto che il primo coglione di passaggio avesse sparato una puttanata tanto grande, che chiunque avrebbe riconosciuto come Epocale Stronzata, rigorosamente con le maiuscole, non cambiava certo la realtà.
Però aveva sentito qualcosa di simile ad pugno allo stomaco, poi niente. Niente, soltanto niente. Avrebbe potuto controllare la pancia, per assicurarsi di non essere stato colpito, ma perché farlo? Non è che gli importasse davvero.
«Stai bene?» L'umano aveva continuato a parlare. Non aveva sentito niente di ciò che aveva detto. Sentì solo quella domanda. E qualcosa tornò.
Rabbia.
«Io ho un'anima.» Un sussurro, gelido.
L'umano mutò espressione. Era serio. «Purtroppo ti illudi di averla.» No. Peggio. Sembrava impietosito.
Lovino si avvicinò. Si issò sulla roccia. Gli afferrò i capelli e il viso, le unghie premute contro la carne. «O forse sei te ad illuderti.» Gli piaceva il volto di quell'umano. Davvero. In quel momento, però, sentiva solo di volergli aprire la pelle.
«Sei arrabbiato?»
Una fitta alla testa. Lovino sentì gli occhi bruciare, la gola riarsa. Scoprì i denti. «È un'emozione. Gioisci, la tua teoria è infondata.»
«Affatto.» L'umano non fece niente per liberarsi. Niente, assolutamente niente. Si limitava a sostenere il suo sguardo. «Ti ho detto una cosa che non ti è piaciuta. E tu vuoi farmi paura per farmela negare.»
Rabbia. Era rabbia, sì. Sì.
Le unghie affondarono nella pelle. «La pagherai.» Odore di ferro. «Ti giuro che la pagherai.»
Si gettò in acqua. Nuotò fino a toccare il fondale. Là era al sicuro. Si afferrò le braccia. Là nessuno avrebbe detto cazzate. Chiuse gli occhi. Aveva bisogno di ripulirsi la mente.
Ovvio che l'umano non lo disprezzava, non lo considerava neppure un essere vivente! Guardando il lato positivo, significava che tutti quelli che lo guardavano male lo consideravano un'effettiva creatura senziente. Bella merda.
Sospirò. Era un peccato. Gli aveva fatto trascorrere delle belle mattine/pomeriggi/sere - Alla fine, era tutto un po' casuale. Purtroppo, però, l'umano aveva svelato la sua natura più cogliona e Lovino non poteva non vendicarsi per l'insulto che aveva osato lanciargli. Gliel'aveva anche promesso! Che figura ci avrebbe fatto se non fosse stato in grado di vendicarsi, dopo quella dichiarazione di guerra tanto appassionata?
Gli venne da ridere. Che ridesse, allora. Aveva riso con l'umano, era giusto ridere pensando all'umano. Si sentiva a suo agio con lui, perché sentirsi a disagio ora che ripensava a lui?
Essere rancoroso e vendicativo era un lato imprescindibile della sua natura. E come si poteva essere a disagio nell'essere se stessi?

.

Note:
* I titoli del capitolo vengono da Part of your world / Parte del tuo mondo, e da Deep-Sea Girl (Shinkai Shoujo), canzone composta da Yuuyu-P e cantata dalla Vocaloid Miku Hatsune.
(Per la cronaca, la citazione intera sarebbe «Eppure vuole sapere perché quella persona che ha trovato ha incantato il suo cuore», ma faremo finta di niente.)
Una delle mie canzoni preferite di Miku, nonché piuttosto adatta a questa storia~
* Uno yottasecondo corrisponde a 1024 (1,000,000,000,000,000,000,000,000) secondi. Non ho capito se si legga "un quadrilione" o "un settilione", ma vabbè, chissene, sono tanti secondi. [0]
* La tripofobia è la paura di "gruppi irregolari di piccoli buchi o protuberanze" [cit. Kiwipedia], come ad esempio gli alveari.
* La parafrasi da Parte del tuo mondo durante il dialogo tra Lovino e Arthur credo si sia notata.


Well, that escalated quickly. Ma l'avevo detto che l'ispirazione era anche alla fiaba originale (feat. Antonio è un idiota)! In compenso, questo dovrebbe essere l'unico capitolo a concludersi con una nota più negativa. Il condizionale è perché dipende da cosa si intende per "negativa". *Soe cosa ca-*

Riguardo il capitolo di per sè. Forse gli attriti di Lovino e Arthur sembrano un po' esagerati e sì, lo sono: Arthur ha dato una rispostaccia, ma Lovino ha volontariamente continuato a fare l'antipatico perché sì, perché i pensieri che aveva avuto prima e la sceneggiata con il nonno e Feliciano l'avevano particolarmente irritato. Sì, è una ripicca che non ha alcun motivo di essere indirizzata ad Arthur, è irrazionale e infatti-

Ad ogni modo. Una volta tanto è Lovino che ha in pugno Arthur prigioniero - Di solito, nelle AU piratesche, è Arthur a fare prigioniero Lovino. In un primo momento, avrei voluto mettere più tropes ribaltati delle Pirate!Spamano, ma mi sono accorta che non ci sarebbero stati granché. (゚д゚) (Per la cronaca, io amo le Pirate!Spamano e i loro tropes. Magari non tuttissimi, MA.)

Infine, la parte a mio parere più comica non del capitolo, non della storia, ma di tutta la produzione fanmade di Hetalia: Lovino e Arthur sono doppiati da Namikawa e Sugiyama, entrambi con delle voci super belle, quindi andare a dire che uno dei due non ha una voce particolarmente incisiva è senz'altro comico, se non fantascientifico. Si vede che è una parodia! ☆

Detto ciò, spero che questo capitolo allegrissimo vi sia piaciuto~ Ciao ciao!

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Capitolo 4
*** Mia triste anima sola ***


Capitolo III.V
In fondo al mar ~ "Bet" è una scommessa, "bed" è per dormire, "back" è dietro di te, "bag" è una borsa, "cage" è una gabbia


«Destra sinistra, sinistra destra»
Lovino canticchiava, più che cantare, qualcosa di più prossimo al borbottio sovrappensiero.
«La folla guarda, grida e protesta»
Non era in superficie, non era sugli scogli scomodi, non stava cantando per gli umani. Era su uno scoglio, questo sì, ma era uno scoglio piccolo, sott'acqua, con la vista del palazzo in lontananza e nient'altro di significativo.
«Poi, per la legge del fil di ferro,»
Era così da un paio di giorni. Feliciano era preoccupato.
«si svita il collo, si stacca la testa.»
Era ovvio che la causa fosse l'umano. In un primo momento, Feliciano aveva pensato fosse partito ma, quando l'aveva rivisto sulla spiaggia, era rimasto più confuso che mai.
«Forse hanno litigato...» Guardò suo fratello. Era talmente assorto nei suoi pensieri che Feliciano neanche si era dato troppa pena di nascondersi - Ad ogni modo, era rimasto dietro un altro scoglio, ché magari Lovino si sarebbe sentito a disagio nel sentirsi fissato.
«Il principe Lovino» esordì Ludwig: «mi aveva dato l'idea di una persona più incline alla vendetta che alla disperazione.»
Feliciano si voltò a guardarlo. «Oh, ma Lovino è arrabbiatissimo.» Era abbastanza evidente. Il suo sguardo era più omicida del solito. «Probabilmente sta pensando ad un modo per vendicarsi, ed è sovrappensiero perché non ne trova uno abbastanza truculento.» Tornò a guardare il fratello. «Vorrei tanto sapere cos'è successo... Se l'umano ha sopportato Lovino per più di due settimane, cos'è che l'ha portato a litigare con lui?»
«Stiamo solo assumendo che abbiano litigato.» osservò Ludwig: «Potrebbe essere successo qualcosa di esterno, e il loro non incontrarsi potrebbe essere una conseguenza collaterale.»
«Mh.» Feliciano non era del tutto convinto. Era anzi convinto che la sua ipotesi fosse la più probabile, se non la verità. Mise le braccia conserte e sbuffò. «Non abbiamo altri indizi. Lovino non ce lo direbbe mai, e non c'è neppure la narratrice!» Sbattè le palpebre. «In effetti, dov'è la narratrice?»
«Si è licenziata al capitolo due.»
«Oh, mi dispiace.» Ritornò al problema. Doveva fare il punto della situazione, anche a beneficio del lettore.
Due giorni prima, Lovino era tornato a casa senza dire niente. Non aveva salutato lui, non aveva salutato il nonno e non aveva insultato Ludwig. Quella mattina stava benissimo, quindi doveva essere successo qualcosa nell'arco di quelle ore. E, per quanto ne sapeva, l'unica cosa che era successa era che Lovino aveva incontrato l'umano.
Feliciano aveva chiesto a Francis se sapesse qualcosa, ma il gabbiano gli aveva risposto che, lassù in superficie, non era successo niente degno di nota - A parte l'inaugurazione del Tour Abbordabile & Affondabile, una sorta di giostra con le navi al posto delle macchine da scontro. Feliciano non aveva idea di cosa fosse una macchina da scontro, ma solo il nome faceva supporre che gli umani avessero dei passatempi alquanto bizzarri.
Nei giorni successivi, Lovino non era più risalito in superficie. Parlava solo se interpellato, rispondendo con frasi secche non tanto stizzite quanto annoiate o assenti. Soprattutto, non aveva augurato sfortune a nessuno, non aveva scacciato lui e non aveva cercato di riempire il letto di Ludwig di tracine. L'ipotesi che si trattasse di un fattore esterno a Lovino e l'umano era piuttosto debole.
«Ho un'idea!» Si voltò di nuovo verso Ludwig, con un gran sorriso. «Rapiamo l'umano!»
Ludwig sgranò gli occhi. «Cosa?»
«Rapiamo l'umano.» Feliciano agitò le braccia, incapace di contenere la genialità di quell'idea. «Gli tenderemo un agguato sulla spiaggia! Io mi fingerò Lovino e, quando lui sarà abbastanza vicino, tu gli salterai addosso e lo terrai fermo, così io potrò interrogarlo e-»
«Feliciano, non credo sia-»
«Ah! Mi servirà qualcosa per illuminare! Dovrò recuperare delle penne di mare.»
«Ascoltami-»
«O magari posso chiedere alle meduse bioluminescenti del Festival Psichedelico?»
«Non credo possano risponderti. Ad ogni modo-»
«E ci serve una corda, ché dovremo legarlo! Ce ne sono tante, di corde, nei relitti, e sono più resistenti delle alghe!»
«Non possiamo-»
«Magari gli tiriamo un paio di ceffoni, così, giusto per mettere in chiaro che con noi non si scherza! Dovrà raccontarci tutto, e rivelarci perché-»
Ludwig gli afferrò le spalle. Lo guardò dritto negli occhi. «Feliciano.»
«Sì?»
«No.»
Feliciano gonfiò le guance. «Perché?»
«Perché sarebbe problematico se il principe e il capo delle guardie aggredissero un umano sulla base di mere supposizioni.»
«E se avessimo delle prove?»
«... Non sarebbe comunque il caso. Possiamo discuterne civilmente. E» disse subito, bloccandolo prima che potesse ribattere. «in ogni caso, questa è una cosa che riguarda il principe Lovino. A meno che non sia lui a chiedercelo, non ci immischieremo.»
Feliciano sbattè le palpebre. Ludwig non cedette. Feliciano sbattè di nuovo le palpebre. Ludwig non cedette. Feliciano sospirò. «Ma io voglio aiutare Lovi...»
«Puoi farlo anche senza macchiarti di aggressione, sequestro e abuso di potere.» Lo fece voltare appena, verso suo fratello. «Vai da lui.»

«Lovi!»
Ludwig era stato molto gentile, e Feliciano aveva avuto un'altra idea: se non poteva risolvere i problemi di Lovino, allora l'avrebbe tirato su di morale! Stavolta Ludwig aveva accettato le sue intenzioni, con anche un sorriso d'incoraggiamento. Anche se a Feliciano era sembrato che quel sorriso fosse vacillato quando gli aveva illustrato il suo piano, ma doveva essere perché Ludwig era sempre composto e ingessato.
«Mh?» Lovino alzò lo sguardo su di lui. Sembrava annoiato, ma il suo sguardo era brace sotto la cenere.
«Questi giorni sei molto triste.» Gli prese le mani e gli fece un gran sorriso. Lovino rimase impassibile. Ottimo, era esattamente la reazione più naturale, per suo fratello! «C'è qualcosa che ti rattrista, ma non so cosa sia. Però, sai, come dice Kiku,» citò, solenne: «"Domani soffierà il vento di domani"!»
«Non è che mi fidi molto di un ningyou che prima se ne sta tutto avvolto nel suo accappatoio-»
«Yukata!»
«-di alghe e poi se ne va nudo nelle fonti termali insieme a decine di altri ningyou
Non c'era stizza. Solo noia, quasi stesse spiegando un'ovvietà.
«Domani arriverà-»
«Sarà sempre "domani".»
«- ma non mi piace vederti triste oggi, Lovi.» Gli strinse le mani. «Sono triste anch'io, se tu sei triste!»
Gli parve che Lovino si fosse incupito. Forse aveva intuito il suo piano per tirarlo su di morale. Anche Lovino sapeva essere composto e ingessato, a volte.
«Quindi» Dondolò le mani. «ti canterò una canzone per farti sentire meglio!»
«No.»
Feliciano gli lasciò le mani, fece un piccolo applauso per dare il segnale. Pesci di ogni genere, numero e caso emersero da dietro gli scogli, chi con strumenti musicali, chi di sola presenza. Mise mano al sacchetto appeso alla cintura ed estrasse il dito indice di una statua colossale. Era grosso la metà del suo avambraccio e doveva tenerlo con due mani. Non che servisse davvero, era solo per fare scena - Aveva visto svariati umani cantare reggendo una piccola stecca, e sembrava una cosa carina! Certo, la loro stecca era nera, l'indice era di pietra grigia, ma aveva il muschio. Il muschio era morbido.
«Le alghe del tuo vicino ti sembran più verdi sai!»
«Felicià, abitiamo a palazzo, chi cazzo sarebbero i nostri vicini? Il resto del regno?»
Un barlume di stizza, di confusione. Il suo piano sembrava aver avuto successo appena iniziato! Se l'avesse portato del tutto a compimento, allora, Lovino non avrebbe più avuto la benché minima traccia di tristezza!
«Se poi ti guardassi intorno, vedresti che il nostro mar è pieno di meraviglie! Che altro tu vuoi di più?»
«Lo so benissimo che il mare è pieno di meraviglie e sto benissimo così.»
«Che bello! Bello! Bello! Che bello! Bello! Bello! Arte, musica, amore, cibo! Che bella! Bella! Bella! Che bella! Bella! Bella! Casa nostra è davvero, davvero la migliore!»
«Certo che è la migliore.»
Finalmente Lovino era tornato a guardarlo con quel fare seccato che tanto gli si addiceva! Era proprio vero, una bella canzone era l'ideale per tirare qualcuno su di morale! E i pesci suonavano davvero una bella musica, era stata una fortuna riuscire a trovare anche l'orchestra dispersa nel castello dopo il Festival Psichedelico! (Era stipata nella dispensa delle cucine in un'invidiabile composizione di Tetris che ignorava il volume della materia e la capacità dei contenitori. Perché l'orchestra fosse nella dispensa e come ci fosse entrata, Feliciano non aveva avuto il tempo di chiederlo, ma si era appuntato mentalmente di farlo.)
«Quaggiù tutti sono allegri guizzando di qua e di là! Invece, là sulla terra, il pesce è triste assai! Rinchiuso in una boccia, che brutto destino avrà! Se all'uomo verrà un po' fame, il pesce si papperà!»
«A volte sai essere abbastanza macabro.»
Era riuscito a recuperare anche le meduse bioluminescenti - Erano rimaste a vagare alla piazza del Festival Psichedelico. Quando aveva chiesto loro se potesse usarle come decorazione, loro non avevano risposto e lui l'aveva interpretato come un sì. Erano davvero belle - Intermittenti, colorate, psichedeliche - mentre fluttuavano senza uno scopo, cozzando gli ombrelli le une contro le altre e facendo scappare tutti i pesci dai dintorni dei loro tentacoli, in una fuga che portava pesci, crostacei e molluschi a sbattere tra di loro e sui sassi, e gli strumenti finivano per creare nuove melodie ad ogni botta imprevista. Era un peccato non fosse notte, al buio le meduse bioluminescenti erano molto più sceniche!
«Buongiorno, bel mattino! Come al solito, oggi lavoreremo, ma non troppo! Che tempo bellissimo! Ah, un bel gabbiano! Buongiorno!»
Lovino aggrottò la fronte. «Il nonno e il crucco lo sanno che ti sei masticato un pesce palla?» Abbassò la testa per evitare un'orata lanciata dal tamburello di uno scorfano colpito da una medusa. Le imprecazioni dell'orata e le grida dello scorfano sfumarono nel tintinnio del tamburello.
«Con questo ritmo, la vita è sempre dolce così! Anche la razza ed il salmon sanno suonare con passion!»
«Quello è uno storione.»
Un'acciuga vide la faccina di una manta e saltò per lo spavento. Il sassofono di madreperla le cadde dalle pinne e tramortì un polpo che cercava di scappare.
«Il sarago suona il flauto, la carpa l'arpa e la platessa il basso,-»
«Che problemi hanno tutti nel dire "tritone"?!»
Il sassofono di madreperla cadde sul fondale e sollevò un'ondata di sabbia. Le ostriche del controcanto non gradirono e si chiusero in sciopero.
«-poi c'è la tromba del pesce rombo,-»
«Felì, è un cavedano.»
Una cernia si autocoinvolse troppo in un virtuosismo alla chitarra ad elettrofori, e le torpedini attaccate allo strumento scivolarono via, esauste.
«-il luccio è il re del blues!»
«Che minchia è quel coso? E dove cazzo lo vedi un luccio?»
Un'aragosta che batteva il tempo su dei sassi colpì per errore il guscio di una cozza. La cozza si girò e le morse il muso.
«E tutti quanti ci divertiamo qui sotto l'acqua, in mezzo al fango,»
«Ma ti divertirai tu in mezzo al fango.»
Su uno scoglio apparve uno stormo di lumache di mare. Bastò loro un'occhiata per capire di essere ritardo.
«Ah, che fortuna vivere insieme in fondo al mar!»
Feliciano applaudì alla splendida esibizione dei pesci, per quanto l'indice di pietra glielo consentisse. I pesci sbatterono le pinne - Poverini, le loro pinne non si toccavano, quindi dovevano sbatacchiarle contro il corpo, ma apprezzava il pensiero. Pesci di dimensioni minori fluttuavano ricurvi, senza forze, dopo aver giocato ad acchiapparella con i tentacoli delle meduse per tutta la durata della canzone. Cosa provassero le meduse, invece, era difficile dirlo, non erano molto espressive. Delle lumache erano disposte in cerchio, in quella che sembrava una seduta di autoaiuto; un'aragosta agitava le chele, il muso coperto dalle valve nere di una cozza; un polpo e delle torpedini giacevano esanimi sul fondale, e venivano pian piano ricoperti dagli sbuffi di sabbia che uscivano dalle fessure delle conchiglie chiuse delle ostriche del controcanto. Sullo sfondo, un'acciuga fuggiva da una manta con una faccina simpatica e una cernia strimpellava uno strumento che non produceva alcun suono.
Ludwig era rimasto a guardare dallo scoglio dietro cui erano nascosti prima, serio e impassibile. Non si era voluto unire alla canzone, era un po' un peccato, ma comprendeva il suo desiderio di non immischiarsi in un momento tra fratelli.
«Ora stai meglio, Lovi?»
Gli aveva risposto seccato, lo guardava con totale stordimento, non aveva fatto altro che lamentarsi, sembrava tornato normale!
«... Sì.» Lovino annuì, prima piano, poi più deciso. «Senti, Feliciano.»
«Dimmi!» Strinse le mani attorno al dito di pietra. Che fosse davvero tutto a posto? Aveva aiutato il suo fratellone a stare meglio?
«Me la canteresti di nuovo?» Indicò i pesci. «Con tutte le musiche, dico, eh.»
«Ma ti è piaciuta così tanto?» Era certo gli stessero brillando gli occhi. Gli parve di sentire alle spalle qualcosa di simile a plurimi gemiti strozzati.
«Non immagini quanto.» Indicò Ludwig. «Stavolta coinvolgi anche lui. Sai, in tutto quel...» Roteò il polso. «Giro di bolle, capriole, urla, violenza e carenza di biologia.»
Forse la canzone aveva fatto troppo effetto. Ludwig? Voleva davvero davvero davvero coinvolgere Ludwig in quel momento tra fratelli? L'aveva dunque accettato?
Feliciano era certo che sarebbe esploso dalla felicità, se fosse stato così. Conosceva suo fratello, però, ed era palese avesse in mente altro. Tuttavia, se voleva sentire di nuovo la canzone, allora l'avrebbe cantata con ancora più passione!
E così fece. Trascinò Ludwig nel vortice di pesci suonatori - E riuscì persino a smuoverlo, si sentì fortissimo nel riuscire a farlo! Ora che guardava bene, gli sembrava che i pesci fossero un po' di meno, circa un quarto, e alcuni strumenti volteggiavano abbandonati nell'acqua, ma poco importava, la musica era sempre bellissima! Cantò di nuovo, si voltò verso Lovino e-
Lovino non c'era più.
Ed era solo alla seconda frase della canzone.
Battè le mani, per fermare l'orchestra. Gli strumenti si zittirono nello stesso istante.
«Oh.» Feliciano si voltò verso Ludwig. Il viso era sfumato del colore rosso della sua corazza. «Se n'è andato.»
«Subito dopo che hai iniziato a cantare di nuovo.» Gli posò una mano sulla spalla. «Sono certo che abbia apprezzato il pensiero.»
Feliciano annuì, e ripose l'indice di pietra nel sacchetto. «Lovino sa essere così timido!»
«Ehm, non credo sia-»
«Però va bene così.» Mise le mani dietro la schiena. «Si è ripreso.» Sorrise. Qualunque fosse la cosa che l'aveva reso triste, sperò che ora fosse in grado di affrontarla.


Capitolo IV
Mia triste anima sola ~ Un contratto segreto


Gilbert abbassò piano il boccale di birra. Manon alzò la testa dall'impasto del gauffre. Lucilin chiuse il registro con un gesto lento. Abel posò il vaso di tulipani sul davanzale.
«No, scusa.» Gilbert fu il primo a parlare. «Puoi ripetere?»
Antonio era confuso. Non era uno stato a lui del tutto sconosciuto, ma era la prima volta che i suoi sottoposti e il suo quartiermastro reagivano in quel modo ad un suo racconto.
«La sirena si è arrabbiata.» spiegò, di nuovo. Gli era parso di essere stato chiaro. «Quando ha capito che non sarei mai del tutto caduto nel suo incanto, ha-»
«No, la parte dopo.» Gilbert scosse appena la testa. «La cosa dell'anima, lì.»
Antonio era molto confuso. «Gli ho detto che non ha un'anima.» Guardò Gilbert, poi Manon, Lucilin, Abel. Lo stesso sguardo neutro. «Cosa c'è di strano? È la natura.»
Silenzio. Un lungo, lunghissimo silenzio d'innanzi a quattro statue che lo guardavano fisso.
«Tu» Manon fracassò il silenzio e ridiede vita alle statue. Gonfiò le guance e portò le mani ai fianchi. «non puoi andare a dire alle persone che non hanno un'anima!»
«Gli avrai spezzato il cuore, poverino.» Lucilin sospirò.
«Ed è stata un'affermazione molto maleducata.» aggiunse Abel, serio.
Lucilin posò il viso tra le mani. «Da come dici che ha reagito, deve esserci rimasto molto male.»
«Cercherà di vendicarsi.» Abel accese la pipa. «Sono con lui.»
Antonio era estremamente confuso. «Ma cosa ho detto di male?» Quattro sguardi di pura compassione. Certo, Abel lo avrebbe considerato in torto a prescindere, ma gli altri tre? Perfino Gilbert?
«Mh.» Manon si portò una mano alla guancia. «La situazione è più grave del previsto.»
«Va bene, qui c'è bisogno di un intervento superiore.» Gilbert riafferrò la birra.
«Nostro Signore?»
«Me!» Gilbert salì sulla sedia e si lasciò cadere sul tavolo con un tonfo. Era una fortuna che avessero cambiato il tavolo da poco - In effetti, che fine aveva fatto l'altro, quello di noce e quercia? Avrebbe dovuto indagare.
«Vede, mio caro capitano...» Il quartiermastro aveva il suo solito ghigno e la posizione scomposta e il boccale di birra in mano non gli davano un'aura di troppa serietà. Tuttavia, Antonio era certo che Gilbert non stesse scherzando. «Lei è un capitano eccezionale. Ma ha un difetto.»
Antonio battè le mani. Conosceva la risposta! «Sono spietato, avido e violento?»
Gilbert inarcò le sopracciglia. «Ma che c'entra? E poi, quelli sono tre.»
«Oh, giusto.» In effetti, erano soltanto i suoi nemici a definire quelli dei difetti. Che sciocco ad averci pensato!
«Lei» Si sporse appena verso di lui. «non ascolta mai gli altri.»
Antonio guardò Gilbert. S'indicò. «Io?»
Fu evidente che Gilbert si fosse trattenuto dal dare un'altra risposta. Dopo un istante, pronunciò, serio: «Sì.»
«Ohibò.»
«Eppure,» Manon mangiò una cucchiainata d'impasto. «mi pareva che all'inizio avessero detto un altro difetto.»
«Avrai sentito male.» Lucilin la raggiunse, con un cucchiaino spuntato da chissà dove e un'intenzione ben chiara.
«Ma quando, Gil? Quando?» Per quanto ci ripensasse, ad Antonio non veniva in mente neppure un singolo evento in cui aveva dato prova di non ascoltare i disinteressati consigli altrui!
«Beh, ad esempio,» buttò lì l'altro: «potresti accettare i suggerimenti geografici della ciurma.»
Il capitano assottigliò lo sguardo. «Tutto questo discorso era per arrivare a questo punto?»
«Eh?» A Gilbert quasi cadde la birra - Ma non successe, altrimenti l'avrebbero saputo anche a Madrid. «No, ovviamente!»
«Allora mi spieghi cosa c'entra la geografia con l'anima delle sirene? La trovo accanto alle loro barbabietole da zucchero interiori?»
«No, aspetta, stiamo andando fuori rotta-»
«Ecco perché tu sei il quartiermastro e io il capitano.»
«Gilbert è proprio pessimo nelle spiegazioni.» disse Lucilin.
Manon annuì. «Meno male che non abbiamo scommesso!»
Abel si limitava a guardare, avvolto nella sua nube misteriosa.
Gilbert si scolò il boccale d'un fiato. Quando lo abbattè sul tavolo, Manon e Lucilin gli fecero un piccolo applauso. «Quel che volevo dire!» esordì, deciso. «È che a volte pensi di essere il detentore dell'unica vera verità e non accetti che possa essere messa in discussione!»
«E ci voleva tanto?» Abel sbuffò, la nebbia iniziava ad inspessirsi.
Per una volta, Antonio doveva dargli ragione. Era quello, il problema? «Le mie convinzioni derivano da fatti e racconti. Se lo vedo, dev'essere vero.»
«Come la fatamorgana!» trillò Manon.
«O il sole a omega!» fece eco Lucilin.
... Non avevano tutti i torti.
«Se già i fatti che vedi non sono sicuri...» Gilbert alzò le spalle. «Quanto possono esserlo dei racconti di quinta mano?»
«Ma noi sappiamo che la fatamorgana e il sole a omega sono illusioni.» Non avevano tutti i torti, ma non per questo lui era in torto. «Nessuno, invece, ha mai messo in discussione la non esistenza delle anime delle sirene.»
«Perché nessuno si è mai posto il problema di dimostrare il contrario!» Gilbert lasciò pendere le gambe dal tavolo. «E dubito le sirene pensino che gli umani pensano che loro non abbiano un'anima.»
Non sapeva come rispondere. Era abbastanza certo di essere dalla parte della ragione - Era un dato di fatto, una cosa che sapevano tutti, un po' come il fatto che fosse meglio evitare i mulinelli per assicurarsi di vivere un altro po' - Fatto che, ad onor del vero, aveva migliaia di testimonianze che raccontavano la sorte di gente finita nei mulinelli, da cui si era argutamente dedotto che finire nei mulinelli non fosse divertente.
Le sirene... Nessuno aveva testimonianze diverse dalla loro passione per il canto, per la seduzione e per lo schianto di navi - Tutti elementi che, beninteso, si ritrovavano anche nel tritone verde.
Che questa assenza di informazioni fosse parte della loro trama per ingannare gli umani? Che manipolassero le persone in modo che, in situazioni simili, si arrivasse a dubitare di essere nel giusto per abbassare la guardia?
Doveva essere così. Doveva essere così, altrimenti avrebbe significato essere in torto e aver trattato una persona come un oggetto.
Ci pensò meglio. No, il problema non era quello. Lui trattava sempre i suoi nemici come oggetti, ma non aveva mai dubitato che avessero un'anima - Malvagia, corrotta, a volte, pochissime, onorevole. Era stato bene con il tritone. Non fosse stato un pesce distruttore di navi di sua proprietà e ingannatore di uomini come lui, l'avrebbe trovato persino simpatico.
Non capiva appieno, ma era certo che, se fosse stato in torto in quel momento specifico, avrebbe fatto una cosa orribile nei confronti di qualcuno a cui non avrebbe voluto fare niente di orribile.
«Tanto» Abel parlò: «non si è capita una mazza neppure dell'anima umana, quindi queste sono tutte chiacchiere al vento.» Una frase al tempo stesso conoscitrice di decine di dibattiti filosofici e capace di sfiorare la bestemmia. Nulla di nuovo. Il maggiordomo si rivolse alla sorella. «Ora come pensi di farlo, il gauffre?»
Manon e Lucilin abbassarono lo sguardo alla ciotola dell'impasto. Vuota.
«Non avevamo i popcorn!» Lucilin posò il cucchiaino.
«Ho ancora un sacco di ingredienti, cosa credi?» Manon alzò il mento, fiera.
«Siete consci del fatto che fosse un impasto di due chili, sì?»
«E con ciò?»
Lucilin sbiancò di colpo. «Il bicarbonato ce l'abbiamo ancora?»
«Certo.» Manon lo guardò, perplessa. «Sei troppo delicatino. Cosa vuoi che siano due chili di farina, zucchero e uova?»
«Ad ogni modo.» Antonio si rivolse a Gilbert. «Ti ringrazio per avermi dato il parere della ciurma, vedrò di fare del mio meglio.»
Gilbert annuì.
«Per il resto, non c'è da preoccuparsi.» Sorrise. «Lo so benissimo che siamo a Casalpusterlengo!»
«... Ora mi spieghi cosa cazzo-»

*



Da un lato, Lovino era felice per il fatto che Feliciano si fosse preoccupato per lui. Nonostante i suoi metodi di sollevamento morale fossero discutibili, si era comunque impegnato per farlo stare meglio. Ovvio, Feliciano era sempre buono con tutti. Sarebbe stato strano se fosse stato cattivo con lui nello specifico - Anche se nessuno gli avrebbe mai dato torto.
Dall'altro lato, Lovino era incazzato per il fatto che Feliciano si fosse preoccupato per lui. Da quant'era che si stava preoccupando? Perché suo fratello non era capace di farsi i cazzi propri? Addirittura, era triste? La colpa di tutta quella situazione era del bastardo umano, ed era lui a sentirsi in colpa per aver rattristato quell'idiota. Cosa avrebbe dovuto fare? Sorridere e far finta di nulla? O sorridere e pianificare una morte lenta e dolorosa per l'umano? - Pensandoci, Feliciano non si sarebbe tanto rattristato quanto spaventato, e non per il piano umanicida.
Non è che volesse uccidere l'umano. Voleva qualcosa di più, qualcosa di più piacevole - Tipo le sue scuse in ginocchio, umiliato e sanguinante, ma vivo. Ma come arrivare ad un tale risultato?
Possedeva delle navi, ma l'avergliene distrutte trenta non lo aveva gettato nel baratro della disperazione. Dunque, o ne possedeva centinaia di migliaia, o era scemo. Razionalmente, Lovino sapeva che la risposta corretta fosse la seconda.
Scosse la testa. Non aveva trovato nessuna idea per due giorni, non l'avrebbe trovata in quel momento. Soprattutto, quella delle navi era l'unica informazione in suo possesso. Avrebbe dovuto scoprire dove abitava quel bastardo, scoprire chi gli stesse vicino - E allora, cosa avrebbe fatto? Gli avrebbe distrutto la casa?
Sbattè le palpebre. Sì. Distruggergli la casa. Tartassarlo fino a fargli implorare pietà. Rovinargli la vita. Ecco una punizione adeguata alle sue parole! Come aveva potuto non pensare una cosa così ovvia? Lui era bravissimo nel fracassare i coglioni altrui e nel portare la distruzione, perché non usare dei simili talenti per i suoi scopi? Che prima fosse offuscato dall'ira, ma la canzone di Feliciano gli avesse aperto la ment- Va bene, c'era un limite a tutto.
Ma come raggiungere l'umano sulla terraferma? Se anche si fosse trascinato sulla sabbia, si sarebbe essiccato nel giro di un'ora e nulla avrebbe vietato ad un passante a caso di raccoglierlo, cospargerlo di sale e appenderlo a testa in giù.
«Ciao!»
Una murena. Una murena piccola - No, erano due murene piccole. Stessa zazzera bionda, stessi occhioni azzurri, stessa coda scura picchiettata di giallo.
«Senti,» La piccola murena che aveva parlato deglutì. «non è che potresti mettere via quel coso?»
Ah, giusto. Gli aveva puntato il pugnale alla gola. Colpa loro che gli arrivavano alle spalle. Abbassò l'arma e la rimise nella cintura, senza distogliere lo sguardo. Quei due bambini erano abbigliati in modo strano - Cappellino di alghe con sopra una piccola colonna simile ad un geyser, una medaglietta di conchiglia con sopra inciso un geyser, un fazzoletto di alghe bucherellato come le bolle dei geyser. Sembravano appena tornati da un parco di geyser - Ed essendo il più vicino in Islanda, dovevano aver fatto parecchia strada. O erano creature dalla resistenza al di sopra del naturale, o erano settimane che erano abbigliati in quel modo, rendendoli creature dal gusto al di sotto del naturale.
«Passavamo di qui per puro casissimo...» Murena Uno esordì come se nulla fosse. «E ti abbiamo visto, solo e triste, e abbiamo dedotto che tu fossi una triste anima sola.»
Lovino rimase impassibile. Quel mostriciattolo sapeva troppo.
«Quiiiindi, ci stavamo chiedendo...» Murena Uno si avvicinò, lo sguardo deciso, quasi trionfante. «Per caso hai bisogno di un aiuto che vada oltre l'aiuto che di solito viene dato alle tristi anime sole?»
«Eh?» Sapeva troppo, ma non si esprimeva in modo troppo chiaro.
«Lei ha un problema difficile da risolvere.» La voce di Murena Due era un sussurro quasi impercettibile. «Un problema che sembra non avere soluzione.»
Decisamente, sapevano troppo. «Per chi lavorate?»
Murena Uno si gonfiò. «Per Art- Ehm,» Un piccolo colpo di tosse, e assunse un'espressione serissima, incastonata nella cornice del suo abbigliamento da turista entusiasta. «Per il grande e potente Stregone del Mare!»
«Gente importante.» La prima cosa che gli venne in mente. L'aveva incontrato una manciata di giorni prima, lo Stregone del Mare. Era un idiota, ma gli aveva gentilmente offerto uno sconto su un suo incantesimo.
Non aveva mai avuto bisogno di ricorrere ai poteri dello Stregone del Mare. Era roba da disperati. E caso aveva voluto che, proprio prima di subire un affronto simile, avesse ottenuto una tariffa agevolata. Era dannatamente sospetto.
«Importantiiiiiissima!» Murena Uno annuì, con fare sapiente. «Lo Stregone del Mare è il più Stregone di tutti i mari! Esponigli il tuo problema, e lui lo risolverà!» La vera prova di forza, in quel momento, era non scoppiare a ridere in faccia ad un bambino che ripeteva frasi promozionali a cui non credeva troppissimo.
«Va bene.» concesse. «Portatemi da lui.»
Esattamente, quanto tendeva ad impegnarsi il buon Stregone del Mare per creare situazioni che gli avrebbero portato clientela?


«Siamo arrivati!» Murena Uno gli indicò la casa dello Stregone del Mare.
Ora, non era che si dovesse giudicare qualcosa dall'aspetto, ma quel luogo aveva un qualcosa di- Era un relitto, il relitto più grande che avesse mai visto. Ad occhio, poteva trattarsi di due centinaia di metri. Una nave colossale caduta lontano dalle zone abitate, lontano dagli occhi del re, lontano da qualsiasi forma di civiltà. Era incrostata di qualsiasi cosa tendesse ad incrostare i relitti, i colori originali ormai coperti dal bianco e dal rosso. Le finestre erano buchi smussati da coralli rossi. L'albero maestro si era spezzato ed era rotolato sul fondale, la vela mangiata dalle muffe. La polena era un blocco di coralli, i tratti del viso ormai deformati. I grossi sassi incrostati che spuntavano dalle fiancate un tempo erano cannoni.
Ecco, non era che fosse un ambiente un po' inquietante, era solo un po' turbato dal pensiero che ci fosse il sovrano dei Sette Mari, nonché potente fattucchiere, là dentro un relitto gigante che sembrava uscito da un racconto dell'orrore. Suggestione, ecco cos'era.
L'entrata era una voragine in una fiancata, in prossimità dello sguardo storpio e indurito della polena. Una volta superate le assi spezzate, gli occhi sprofondavano nel buio, come se non si avesse alle spalle una spaccatura lunga e larga diverse paia di metri. Una luce fioca, più avanti. Le due piccole murene fluttuavano come se stessero giocando in un parco di coralli, Lovino procedette con cautela - Nulla impediva ci fosse un pezzo di legno che sfiorava le loro teste e che invece avrebbe colpito con precisione la sua faccia. Dopo qualche metro, Lovino raggiunse la luce: due meduse grandi come pugni, brillanti di luce bianca, che vagavano senza scopo e senza senso all'interno di una bolla grande un paio di spanne. Ogni qualvolta colpivano le pareti della bolla, quella scoppiava, per poi riformarsi attorno alle meduse - Un'unica bolla se vicina, due se lontane, per poi riunirsi, ridividersi, seguire le meduse nel loro vagare.
«Venga, signore, venga!» Murena Uno sventolò una mano, metri più avanti. Nonostante la lontananza, la sua voce suonava comunque ridicolmente squillante.
Lovino avanzò. Gli oblò e i boccaporti scoppiati erano stati coperti con dei teli di alghe, ad assicurarsi che non passasse neppure il più misero raggio di sole. Solo la penombra delle luci delle meduse. Le schegge di legno somigliavano troppo a mani. Le assi spezzate sembravano persone. Il leggero movimento dei teli poteva quasi essere scambiato per la coda di una murena. Suggestione. Solo semplice e stupida suggestione. Come le stalattiti di corallo bianco davanti ai suoi occhi, un'imitazione di discutibile gusto di denti affilati. Suggestione, soltanto suggestione. Si costrinse a guardare le due murene. Erano piccole, quasi carine, innocenti. Guizzavano di qua e di là, se non erano inquiete loro, perché esserlo lui? - Non che fosse inquieto, sapeva benissimo che tutte le sue impressioni erano solo frutto di suggestione.
Un'altra bolla di meduse. E poi un'altra, e un'altra ancora. La successiva appariva quando la precedente era ormai un puntino fioco, lasciandogli percorrere uno o due metri nel buio totale. Lo Stregone del Mare doveva trovarsi al centro esatto della nave, ma si era ben premurato di evitare che i suoi clienti potessero arrivarci normalmente. Inoltre, tutta quell'assenza di luce impediva all'acqua di scaldarsi, così là dentro scorreva acqua gelida. Ecco perché iniziava ad avere i brividi. Stupida acqua gelida in un luogo dove qualcuno facilmente suggestionabile si sarebbe inquietato. Davvero un pessimo gusto - Ma nessuno aveva mai detto che lo Stregone del Mare fosse raffinato.
«Signore!»
Lovino ringraziò il buio. Le murene non dovevano averlo visto trasalire, o l'avrebbero senz'altro commentato.
«Lo Stregone del Mare!» Murena Uno scostò una tenda di alghe. Non era un panno scuro come gli altri - S'intravedevano motivi rossi, bianchi, blu e verdi, in una geometria difficile da seguire se per tre quarti nel buio. Lovino entrò. Non più corridoi senza fine, finalmente una stanza effettiva. Dei coralli bianchi pendevano dal soffitto, il pavimento era ricoperto da tappeti di anemoni rossi e le pareti erano più simili a brillanti rocce verde chiaro che legno di nave umana. Un oggetto umano - uno scrittoio, o qualcosa del genere -, rettangolare, era conficcato a terra per uno dei suoi lati più corti. Le mura erano costellate di scaffali e armadietti di legno, pietra e supponeva magia, date alcune fiale celesti immobili nel nulla.
Lo Stregone del Mare era seduto sullo scrittoio. Quando Lovino l'aveva incontrato, aveva appena realizzato il suo avere due cetrioli di mare pelosi sopra gli occhi, visibilissimi nonostante la zazzera bionda. Non si era reso davvero conto della sua statura piuttosto minuta di circa tredici metri e settanta - Quei dodici metri di tentacoli erano tutto tranne che rassicuranti, seminascosti tra gli anemoni e i coralli. Aveva capito fosse un calamaro, ma non un calamaro gigante. Sospettò di aver rischiato abbastanza, il giorno in cui l'aveva incontrato. La suggestione tornò ad attanagliarlo. Per nessun motivo se non per soffrire, gli tornarono in mente degli strani racconti che Feliciano aveva udito da Kiku a proposito dei calamari giganti. Sentì il bisogno di avvicinare la schiena alla parete.
«Benvenuto, maestà.» Lo Stregone gli fece cenno di avvicinarsi. Mai come allora Lovino odiò sentire quel termine - Non perché non fosse corretto, ma perché sapeva troppo di scherno e si stava autosuggestionando.
«No, guarda, sto benissimo qui.» Lovino sventolò una mano. «È casa tua, è giusto che sia tu al centro.»
Una risata appena accennata. Laggiù lo Stregone era decisamente ed ovviamente più sicuro che strizzato in una rete e incastrato in una nave troppo piccola. «Così offendete la mia ospitalità, maestà.» I tentacoli si curvarono, sollevandosi dal pavimento, scivolando dal soffitto. «Concedetemi l'onore di vedervi bene in volto, mentre parliamo.»
Là si vedeva tutto benissimo. Nessuna medusa, solo colonie di penne di mare che risalivano le pareti e brillavano come stelle nel cielo notturno. Belle, eh, ma il calamaro là in mezzo era inquietante. Cioè, era inquietante per la suggestione. Ad ogni modo, Lovino si avvicinò. Se non l'avesse fatto, sarebbe sembrato spaventato - E nulla vietava allo Stregone di invitarlo con la forza di dieci grosse appendici, e Lovino tutto voleva tranne averci a che fare.
«I miei sottoposti hanno ritenuto che voi aveste bisogno di aiuto.» La voce dello Stregone del Mare era calma, quasi ipnotica. Peccato per la scenografia autosuggestionante. «Hanno ragione?»
Lovino trasse un respiro profondo. Doveva calmarsi e fare ricorso a tutta la sua razionalità. Quello era un fottutissimo relitto buio. Grazie al cazzo che era buio, e grazie al cazzo che le correnti, lì, erano fredde. E lo Stregone del Mare, il sovrano dei Sette Mari, era al tempo stesso un cazzone e una figura importante. Lo stava spudoratamente prendendo per il culo, lui che era il prossimo sovrano del Regno del Mare, e non poteva permettere a quel mollusco lungo quasi quattordici metri e con dieci tentacoli giganti pronti a stritolarlo, farlo a pezzi o brutalizzarlo peggio di come raccontava Kiku per voce di Feliciano- Dov'era? Ah, sì, non gli avrebbe permesso di continuare a parlargli in quel modo. Era quello il punto principale.
«Dovresti conoscere la risposta.» Assottigliò lo sguardo. «Oppure è stato un caso che io ti abbia incontrato poco prima di ricevere un insulto da lavare col sangue?»
Un'altra risata, stavolta più esplicita. Ad essere proprio onestissimi, non era esattamente la reazione che Lovino aveva sperato.
«La verità è che io seguo ciò che mi dicono le stelle.» La risposta dello Stregone era stupida, ma lui ne sembrava convinto. «Ma, se lo desiderate,» Sorrise. Non gli piaceva. «potete pensare sia stato tutto calcolato.» Alzò il mento. «Volete dirottare il vostro desiderio di vendetta su di me, dimenticando l'offesa ricevuta? O volete raddoppiare il vostro odio?»
Lovino non rispose. Ovvio che la risposta fosse no. Ed era piuttosto sicuro che l'ipotesi che lo Stregone avesse suggerito idee stupide all'umano fosse troppo campata per acqua - Sia perché l'umano sembrava il tipo da reagire alla presenza di un calamaro con una griglia, sia perché quelle parole erano abbastanza coglione da essere naturali.
«Se fosse un tuo piano...» Esordì, quindi: «Significherebbe che sei in grado di aiutarmi, e che sei disposto a farlo.»
«Io sono disposto ad aiutare chiunque.» Il sorriso dello Stregone del Mare era strano. Troppo soddisfatto, troppo sinistro. «Anche un principe arrogante come voi.»
Un brivido. Ovvio non fosse bendisposto nei suoi confronti.
«Dunque, cosa desiderate?»
Perché continuava ad ascoltarlo? Perché non se ne andava? Perché accettare di seguire due piccole murene e affidarsi allo Stregone del Mare? Solo i disperati si affidavano allo Stregone del Mare, e lui non era disperato!
«L'unica cosa che voglio è che l'umano paghi per la sua offesa.» La voce suonò ferma. Lovino se ne stupì.
Gli occhi dello Stregone luccicarono. Pessimo, pessimo segno. «E avete già un'idea?»
«L'ideale sarebbe rovinargli la vita di persona.» L'aveva solo pensato. Sentire quelle parole sembrò quasi concretizzare quell'idea. E il solo pensiero di renderla realtà lo fece fremere. «Distruggere i suoi possedimenti. Isolarlo, povero, triste e solo. Far sì che implori pietà. Che mi preghi, colpito nell'anima, lui che pensa di avercela.»
Era un pensiero bellissimo.
«Un desiderio a dir poco meraviglioso, maestà.» Lo Stregone sembrava del suo stesso parere. Con un moto di spavento, Lovino realizzò che non stesse scherzando. Né lui, né l'altro. «Avete già pensato al modo?»
«No.» Avrebbe voluto dirlo, ma la voce non uscì. Scosse la testa, invece. Perché quel dubbio, ora? Bramava la sofferenza dell'umano, no?
«Dovreste trovare il modo di avvicinarvi a lui.» I tentacoli strisciarono verso alcuni armadietti.
«È quello che-»
«Potreste diventare umano voi stesso.»
Lovino vacillò. «Ma col cazzo, proprio.» Davvero lo Stregone del Mare avrebbe potuto fare una cosa del genere? Una cosa che, pensandoci bene, sembrava l'unica via per arrivare nella tana dell'umano e rimanervi senza correre il rischio di essiccarsi?
«Umano per soli trenta giorni, naturalmente.» La voce dello Stregone del Mare s'insinuò nella sua mente. «Volesse l'Abisso che un così nobile tritone diventi un sudicio umano per sempre.»
Almeno su questo poteva dirsi del tutto d'accordo, senza ombre di inquietudine.
«Questa è la mia proposta, maestà.»
Lovino rialzò lo sguardo. Non si era reso conto di averlo abbassato, di aver iniziato a guardare altrove. Gli occhi verdi del re dei Sette Mari, però, erano difficili da sostenere.
«Vi darò una pozione che vi trasformerà in un umano per soli trenta giorni.» E fin qui c'era. «Prima che il sole cali sul trentesimo giorno, dovrete ottenere la vostra vendetta.» E qui la cosa iniziava a farsi preoccupante.
«Altrimenti...?»
«Se riuscirete ad ottenere la vostra vendetta, tornerete un tritone e sarete tanto felice.» Non era quella la parte che interessava allo Stregone, però. «Qualora, invece, non riusciste a vendicarvi, tornerete un tritone-»
Ma?
«-e diverrete di mia legale proprietà.»
Lovino schiantò la schiena contro il muro. «Allora quella roba che diceva Kiku è vera!» Afferrò il pugnale e lo puntò contro lo Stregone. «Sei uno schifoso pervertito con kink strani che-»
«Bloody fucking hell!» La voce dello Stregone salì di quindici ottave e i timpani fecero male. «Ma perché tutti pensano subito al sesso? Ma siete tutti maniaci?»
«Tu sei un mania-» Qualcosa gli si schiaffò in faccia, preciso sulla bocca. Freddo e pieno di ventose. Lovino rabbrividì dalla testa alle code, e dalle code alla testa. Il pugnale quasi gli cadde di mano.
«Mettiamo le cose in chiaro, my little knobhead.» Con un unico movimento, lo Stregone gli fu vicino, le mani ai fianchi e lo sguardo che mandava lampi. «Io ti sto offrendo un deal fantastico, e tu non solo insult me in every thinkable and unthinkable way, ma arrivi a make me lose my composure
Lovino non capiva la metà delle cose che stava dicendo, ma fu ben lungi dal farglielo notare in qualsiasi modo.
«So, actually, forse in passato sono stato un po' cattivo.» Il suo tono scese l'intera scala musicale, fino a tornare accettabile. «Ma sono cambiato, sapete? Non sono più così! La mia vita è diversa!» Il tentacolo venne via e Lovino si sentì rinascere - Anche se la sensazione delle ventose sulle guance non accennò a sparire. «Certo, se qualcuno si dimentica di pagarmi, lo punisco, questo sì.» Un sospiro, prima che il suo volto furioso si rilassasse. «Ma, in verità, io cerco solo di aiutare le pathetic persone più infelici attorno a me.»
Lovino era piuttosto sicuro ci fosse qualcosa di strano. «Mi sembra» La voce suonò roca, e non gli piacque. «comunque esagerato chiedere che io diventi tuo schiavo in cambio di una vendetta su di un umano.»
«Al contrario, è perfettamente equilibrato.» Lo Stregone del Mare tornò sullo scrittoio al centro della stanza, calmo e composto come se nulla fosse successo. «Il vostro desiderio è rovinare la vita di qualcuno.» Di nuovo quel sorriso. «Il vostro fallimento è la rovina della vostra vita.»
Ah. Giusto. Stava mettendo in palio una vita. Fino a quel momento, aveva pensato esattamente come quel bastardo.
«Certo, c'è da chiedersi» disse lo Stregone: «se una vendetta valga un simile rischio.» Posò il mento su una mano. «Soprattutto perché voi siete l'erede al trono.»
Quel minuscolo dettaglio che voleva ignorare ad ogni costo. Certo, era l'erede al trono e poteva costringere gli altri a tributargli i dovuti onori. Era l'erede al trono e doveva considerare il rischio a cui stava sottoponendo l'intero regno per una vendetta - Era una vendetta giusta, dovuta? Era solo un capriccio? Era davvero un futuro sovrano così marcio da mettere in pericolo il Regno del Mare per una rivincita su uno stupido, insignificante umano senza cervello?
«Comprendo sia una scelta difficile.» La voce dello Stregone del Mare era inquietantemente soffice, gentile. «E sappiate che non ho dimenticato lo sconto che vi ho promesso.»
Lovino incontrò il suo sguardo. Era difficile, ma doveva sostenerlo.
«Se accettate questo patto,» spiegò: «vi chiederò un pegno. Voi mi lascerete questo pegno per tutti e trenta i giorni, e lo riavrete al tramonto del trentesimo giorno.» Era molto chiaro e specifico. «Grazie all'esistenza di questo pegno, potrete chiedere l'annullamento del patto in qualsiasi momento.»
Il cuore schizzò nella gola. «In qualsiasi...?»
«In qualsiasi momento prima dello scadere del trentesimo giorno, ovvio.» Lo Stregone sorrise. «Sì, potete chiedermelo anche pochi minuti prima della scadenza.»
Era un'ipotesi troppo bella per essere vera. «Ma...?»
«Niente ma.» Un sorriso gentilissimo. «L'ho detto. Voglio solo aiutare le tristi anime sole di questo mondo.»
«Fammi capire.» Voleva essere sicuro di ogni singolo dettaglio. Erano quelli a generare le fregature. «Tu mi fai diventare umano per trenta giorni. Io ti do un pegno, che riavrò alla fine del contratto, che io fallisca o meno.»
«Esattamente.»
«Posso sciogliere il patto in qualsiasi momento prima della scadenza.»
«Qualsiasi.»
«Se avrò la mia vendetta, tornerò un tritone, riavrò il mio pegno e tu sparirai dalla mia vita.»
«Se così desiderate.»
«Se non avrò la mia vendetta, invece, tornerò un tritone, riavrò il mio pegno e sarò tuo schiavo.»
«Per sempre.»
Era un accordo straordinariamente chiaro, straordinariamente perfetto e straordinariamente folle.
«Dato che vi ho concesso un pegno, però»
Lovino si irrigidì. Ecco la fregatura.
«sono costretto a mettere una piccola clausola.»
«Non avevi parlato di clausole, quando mi hai proposto lo sconto.»
«Voi eravate troppo preso da voi per chiedermi dettagli, maestà.»
Lovino tacque.
«In cambio di questa concessione,» proseguì lo Stregone: «dovete far sì che l'umano non scopra la vostra identità.»
«Eh?» Sbattè le palpebre. «E allora a che pro-»
«Potrete sempre rivelarglielo alla fine.» Lo Stregone si portò una mano al petto. «E, siccome sono buono, vi concedo che l'umano dovrebbe dirlo esplicitamente.»
Serrò i pugni, uno ancora attorno al pugnale. L'umano era abbastanza stupido da non riconoscerlo, ma era anche abbastanza stupido da riconoscerlo e urlarlo ai quattro venti. «Cosa succederebbe, se mi riconoscesse?»
«Il patto giungerà alla sua conclusione.» Le parole successive erano ovvie, ma fecero male lo stesso. «Con il vostro fallimento.»
«Questa cosa del pegno è ridicola.» Lovino distolse lo sguardo. «Invece che semplificarmi le cose, me le-»
«Potete sempre rinunciarvi.» Non avesse sentito lo Stregone del Mare sbottare più volte con tono isterico, l'avrebbe detto serafico e imperturbabile. «Quella che vi faccio è un'offerta, non un'imposizione. Soltanto,» Serafico, imperturbabile ed inquietante. «qualora accettaste di rinunciarvi, sareste costretto ad onorare il patto, qualsiasi risultato esso abbia.»
Era follia. Era ridicolo. Per quanto quel patto sembrasse attraente, la soluzione perfetta al suo problema, era assurdo pensare di dar retta a quel pazzo. Sì, voleva rovinare la vita di quell'umano. Sì, lo voleva, voleva che lo pregasse in preda alla disperazione. Voleva accettare, perché sarebbe potuto tornare indietro in qualsiasi momento - Voleva accettare, perché non era poi così impossibile ottenere la sua vendetta. Era se stesso che aveva messo in palio, la sua vita, il suo regno e-
Sì.
Lui era il prossimo sovrano. Era il prossimo sovrano e stava davvero pensando di mettere in pericolo il regno intero per una sua vendetta personale - Giusta o sbagliata che fosse.
Chiunque fossero sua madre e suo padre, li ringraziò di aver dato al regno un altro erede.
«Qual è il pegno?»
Forse, quel patto sarebbe stato anche la soluzione per il regno intero. Se le cose si fossero messe male, gli sarebbe bastato dire un'unica frase. Un'unica frase, e il Regno del Mare si sarebbe finalmente liberato della sua presenza. Se quell'accordo fosse finito con la sua sconfitta, avrebbe trovato la forza di fare ciò che l'intero popolo gli premeva silenziosamente di fare da anni.
«Un pegno del tutto simbolico.» Lo Stregone si alzò. «Una sciocchezza, in confronto a ciò che vi do. Una cosa di cui, oserei dire, potete fare benissimo a meno.» I tentacoli tornarono ad arricciarsi. «Quello che voglio è la vostra voce.»
«Eh?» Era già pronto a dover sacrificare un braccio, i ricordi, la sua stessa anima che quel bastardo negava avesse - Ma la voce? Una cazzata del genere? «La mia voce?» S'indicò la gola, quasi temesse parlasse di una qualche voce del gomito.
«La vostra voce bassa, colma di rancore e ribollente di rabbia.» Un sorriso del tutto fuori luogo, con quelle parole. «Non ho mai udito una voce come la vostra.» Se voleva essere un complimento, non lo sembrava. «Ora che conoscete la natura del pegno, siete-»
«Accetto.»
Lo Stregone del Mare aprì gli occhi un poco di più. Doveva averlo stupito. La sua espressione tornò soddisfatta. «Con o senza pegno?»
«Prenditi la mia voce.» Dato che stava per perderla, tanto valeva usarla per bene. «Fammi diventare umano. E vedremo, tra un mese, cosa ne sarà di me.» E del Regno del Mare.
«Benissimo, allora!» Lo Stregone del Mare trillava, gli occhi brillavano. «Lasciate che vi prepari la pozione.»
Subito, rapido, indolore. Almeno sperava. Lo Stregone non aveva specificato quanto ci sarebbe voluto per creare la pozione, ma sembrava abbastanza smanioso da fargli sospettare che la risposta fosse "poco".
Un tentacolo scivolò ad un armadietto e, senza esitazione, afferrò una scatola piena di spine che emetteva una cupa luce bluastra. Le spine si ritirarono nella scatola, per poi riuscire, e rientrare. Un altro tentacolo fece altrettanto con un altro armadietto, uscendone con una bottiglietta di liquido giallo che brillava come i raggi del sole sull'acqua. Per il rumore che si udiva nel muoverla, sembrava che al suo interno non ci fosse tanto un liquido quanto un pugno di sassolini. Quando Lovino abbassò lo sguardo, si accorse che lo Stregone aveva creato una bolla larga almeno un metro. Un istante dopo, il contenuto della scatola - Qualsiasi esso fosse - e l'intero contenuto della bottiglietta finirono dentro la bolla. Per qualche reazione strana, la bolla si riempì di fumo viola.
«Lorem ipsum dolor sit amet,» Lo Stregone parlò con voce ferma, le mani che ruotavano la bolla, a mescolarne il poco rassicurante contenuto. A Lovino parve di intravedere delle piccole esplosioni azzurre nella nube viola. «consectetur adipisci elit, sed do eiusmod tempor-»
«Dolorem.»
«Cosa?» Lo Stregone del Mare alzò lo sguardo. Sembrava confuso.
«È Dolorem ipsum.» Per quanto preso dalle stregonerie di quel calamaro, Lovino non poteva tacere un simile ammasso di pezzi di parole senza senso. «Dolorem ipsum, quia dolor sit, amet, consectetur, adipisci velit, sed quia non numquam eius modi tempora incidunt.»
Lo Stregone del Mare sbattè le palpebre, piano. Stava realizzando. «Conoscete il latino.» Non era neanche una domanda.
E per fortuna. «È una delle lingue ufficiali del Regno del Mare.» Lovino mise le braccia conserte. «E quella è una citazione abbastanza famosa.» Gli parve di sentire qualcosa, alle sue spalle, qualcosa di simile ad una risatina. Con la coda dell'occhio, notò le due piccole murene. Pensava se ne fossero andate.
«Oh.» Una risata forzatissima. «Mi avete scoperto, maestà.» Un tentacolo gettò un pezzo di legno nella bolla. Quello si sciolse. Lovino deglutì e si assicurò di avere il pugnale ben stretto nella mano. «Confesso che questa formula fosse più per scena che per reale utilità.» Quasi ammirò lo sforzo con cui stava cercando di tenere la voce bassa e tranquilla.
«Potreste almeno citarla per bene, allora.» Forse non avrebbe dovuto dirlo. Se ne pentì proprio sull'ultima sillaba.
Lo Stregone del Mare lo guardò. Semplicemente. Due tentacoli emersero alle sue spalle, e buttarono nella bolla due cose pulsanti dall'aspetto spaventosamente organico. L'interno della bolla si condensò, si colorò di un verde accecante, come la livrea di un animale velenoso.
«Santra badra winza na,» Lo Stregone parlò di nuovo. Stavolta, non era latino, non era nessuna lingua che Lovino conoscesse. «wonpa torana intrakantera. Santra badra winza na, wonpa torana intrakantera.» La nube verde parve piovere sul fondo della bolla, fino a divenire una pozza verde. Con una mano, lo Stregone mosse appena la bolla verso l'alto. Con l'altra, pose una bottiglietta esattamente al di sotto, la bocca di vetro contro la bolla. Con un tentacolo, fece scoppiare la bolla, e il suo contenuto ricadde nel contenitore. L'acqua parve impregnarsi di un sapore strano, intenso, quasi nauseante.
«E questa formula,» Lovino provò a dire qualcosa, qualsiasi cosa pur di spezzare quel silenzio improvviso. «serviva, invece?»
Lo Stregone del Mare gli sorrise. «Chissà.» Perfetto. «Con questa,» Gli mostrò la bottiglia verde. «diverrete umano nel giro di pochi minuti. Salite in superficie e bevetela.»
«Perché in superficie?»
«Perché non ho interesse a far affogare un mio cliente.» Ah, giusto. Gli umani non respiravano sott'acqua.
Lovino si portò una mano alle branchie. Respirare solo aria per trenta giorni. Era un pensiero strano, ma non per questo sgradevole. Solo strano, ecco.
«E se...» Azzardò: «Io prendessi quella pozione e non la bevessi?»
«Nel modo più fine in cui posso dirvelo,» replicò lo Stregone: «cazzi vostri. Il nostro accordo entrerà in vigore non appena firmerete.»
Un contratto firmato. Lovino cercò di non mostrare la minima emozione - E non seppe se ci fosse riuscito o meno. A lui piaceva fare patti. Patti, accordi, ormai era diventato quasi naturale rapportarsi agli altri in quel modo - Con il pennuto, persino con il crostaceo. Però erano strette di mano. C'era qualcosa di meno incombente nello stipulare accordi solo per voce, firmarli con una stretta di mano. Lo Stregone del Mare faceva sul serio.
«Fammi firmare.» Allora anche lui avrebbe fatto sul serio.
«Nonostante tutto, siete un tritone saggio.» Alla frase dello Stregone, Murena Uno apparve davanti a lui, con una pergamena di alghe e un pennino di selce. Il loro contratto, scritto in modo chiaro, così come l'aveva ripetuto lui stesso - Forse le due murene l'avevano scritto proprio prendendo le sue parole come dettatura?
Si assicurò non ci fosse nessuna clausola della clausola, frasi in piccolo, in controluce, in diagonale, leggendo le parole e le lettere al contrario o solo le iniziali delle frasi. Sembrava in tutto e per tutto il patto che conosceva. Inspirò. Rimise il pugnale nella cintura, prese il pennino che la murena gli porgeva.
La sua fine o la fine dell'umano. Ad ogni modo, Feliciano sarebbe senz'altro stato un re migliore di lui.
Firmò. Restituì il pennino a Murena Uno, che guizzò dal suo padrone, a mostrargli il contratto firmato. Lo Stregone del Mare annuì, e sussurrò qualcosa che Lovino non riuscì a capire. Quando tornò a guardarlo, la sua espressione era di puro trionfo.
«Prima di avere questa pozione, però...»
Lovino sobbalzò. Un tentacolo si era parato d'innanzi ai suoi occhi, con un'ampollina.
«Prendete questa.»
Era trasparente, e dentro c'era un poco invitante liquame paludoso. La prese con due dita, ben attento a non toccare neppure una ventosa - La sensazione sulle guance era scemata solo da un paio di minuti, e ora gli era tornata in mente. Una volta che l'ampollina fu nelle sue mani, il tentacolo si ritirò e Lovino sentì i muscoli rilassarsi - Da quanto erano così tesi?
«Dobbiamo far uscire la voce.» La spiegazione dello Stregone era al tempo stesso utile e inutile.
«Suppongo di doverla bere?»
«Non tireremo fuori la voce se la aspirate col naso.» Stava abbandonando il ruolo dello Stregone tentatore e stava tornando in vena di ironia. Ma com'era simpatico.
Lovino buttò giù lo schifo paludoso in un sorso e morì.
Almeno, la morte doveva essere qualcosa di molto vicino a quel dolore lancinante a qualsiasi cosa. Il disgusto gli ribaltò lo stomaco una, due volte, fino a fargli risalire tutti gli organi per la gola e sputarli con centinaia di coltellate in bocca.
No, non aveva sputato gli organi. Solo una sfera grande come uno dei dischetti gialli degli umani. Sembrava di cristallo, era rossa come un corallo e al suo interno sembrava ardere quello che gli umani chiamavano fuoco.
Il tentacolo prese la sfera e la portò tra le mani dello Stregone. L'ampollina fluttuava, svuotata del suo contenuto abominevole.
«Non ne ho mai viste di così rosse e accese.» Quindi era pratica comune lasciare in pegno la propria voce? «Davvero unica.»
«Quella merda faceva schifo!» La cosa più spontanea che gli venne da dire. Lovino tremò un istante. Aveva mosso le labbra, fatto vibrare le corde vocali, ma non era uscito il minimo suono. La gola ancora doleva per la porcheria di poco prima.
Murena Due portò allo Stregone una scatolina di legno. Era così tempestata di perle e gemme da essere visibili uno ad uno anche da quella distanza. La sfera - La sua voce - fu posta al suo interno. Ciò che aveva sacrificato per trenta giorni era ora in una scatola kitch. L'umano l'avrebbe pagata anche per questo, e per sempre.
Lo Stregone del Mare gli si avvicinò, gli porse la pozione verde. «Ora andate, mia triste anima sola.»
Lovino afferrò la bottiglia. Era ridicolmente fredda.
«Grazie per essere venuto da me, maestà.»
Quello era un ottimo momento per andarsene.
«Prego, Stregone del Mare.» Non potè dirlo, ma lo mimò con le labbra.
Forse quello che lo Stregone aveva detto alla murena era qualcosa del tipo «Abbiamo vinto su questa anima sola.». Ecco perché era così soddisfatto e trionfante - Era l'espressione di un vincitore. Già pensava di aver vinto e se ne compiaceva.
Non sapeva se fosse un illuso, uno stupido o un bastardo. Nessuno avrebbe potuto volere lui, era cristallino volesse il Regno del Mare. Se lui avesse perso, allora sarebbe stato il Regno del Mare ad uscirne trionfante e vincitore.
Per qualche motivo, qualsiasi cosa fosse successa di lì a trenta giorni, qualcuno sarebbe stato felice della sua sconfitta. E, per quanto ci pensasse, ad essere felice della sua vittoria sarebbe stato soltanto lui.

.

Note:
* I titoli della prima parte del capitolo vengono da Under the Sea / In fondo al mar (L'AVRESTE MAI DETTO-), e da It isn't "capipara" but "capybara". (Kapipara de wa naku, Capybara desu.), canzone composta da Utata-P e cantata/parlata/narrata (!) dalla CeVIO One. La traduzione è di RanVocaloidSubIta (QUI).
Quelli della seconda parte vengono da Poor Unfortunate Souls / Mia triste anima sola e da Walpurgisnacht (Walpurgis no Yoru), canzone composta da Nina Shelka e Takuya Watanabe e cantata dalla Vocaloid Gumi.
Da Mia triste anima sola, si sarà notato, sono tratte anche diverse frasi di Arthur.
* L'allegra canzone di Lovino è la sigla italiana di Jenny la tennista (Ace wo nerae!).
* «Domani soffierà il vento di domani.»: Proverbio giapponese.
* Il ningyou (scritto 人魚, perché 人形 è "bambola") è una creatura marina del folklore giapponese, più o meno corrispondente alle sirene occidentali. [0]
* La canzone di Feliciano è un mesh-up di In fondo al mar e una delle sue character's song, Che bello! My House is the Greatest! (Che bello! Orenchi wa saikou da yo) - Che ha pure alcuni pezzi strumentali simili e, considerato che parla di quant'è bella casa sua, direi che è una citazione abbastanza palese- [0]
I problemi di riconoscimento zoologico, invece, derivano semplicemente dal fatto che, per ovvi motivi, nella versione italiana si è dovuto modificare qualche pesce. Per la precisione, salmone-storione, sarago-tritone (la salamandrina, in questo caso), pesce rombo-cavedano e luccio-Halibut del Canada. Mi sembra giusto che Lovino non sappia cosa sia.
* La fatamorgana (o Fata Morgana) e il sole a omega (o Etruscan vase effect) sono due illusioni ottiche.
Il primo è presente soprattutto nello Stretto di Messina, e causa la trasformazione in blob levitante di qualcosa presente nell'orizzonte. Il secondo lo si può vedere all'alba o al tramonto, momento in cui il sole sembra sciogliersi o ricomporsi sulla linea dell'orizzonte, assumendo la forma della lettera greca omega (Ω). [1, 2]
* "Lorem ipsum", per chi non lo sapesse, è un celebre testo placeholder per stampe e pagine web. Si tratta di un estratto spezzettato di un testo di Cicerone e, così com'è, non ha nessun vero significato ("Lorem ipsum dolor sit amet" si potrebbe pure tradurre letteralmente in "(do)lore stesso dolore sia ami"). [0]
Per la cronaca, la traduzione del pezzo (presa dalla kiwipedia) sarebbe: "[non c'è nessuno che] ami, insegua, voglia raggiungere il dolore in se stesso, soltanto perché è dolore, ma perché qualche volta accadono situazioni tali per cui attraverso la sofferenza o il dolore si cerca di raggiungere un qualche grande piacere.". *Boh, lo specifica perché le sembrava potesse starci*
* L'effettiva formula dell'incantesimo, invece, l'avrete riconosciuta ma lo dico lo stesso viene dalla England's Evil Demon Summoning Song (Akuma wo yobisou na Igirisu no uta).


Non so se durante la canzone bellissima ci sia stato un miscuglio nonsense di pesci di acqua dolce e di acqua salata - Potrei controllare, ma non mi va. Perché io sostengo sempre l'attenzione al dettaglio! *alza il pollice*

Il "Capitolo III.V", in realtà, si chiama così non perché da accorparsi al terzo ma perché è un "mezzo capitolo" che esiste solo perché mi sono resa conto che nessun altro si sarebbe potuto intitolare In fondo al mar. *Il ritorno delle motivazioni quelle solide, unite ad una grandinata di "perché"*
A proposito! I capitoli totali dovrebbero infine essere dodici. "Dovrebbero" perché ancora non ho finiCOFF. Tra l'altro, sono dodici perché ho dovuto dividerne tre a metà-

In questo capitolo viene nominato Kiku. Inizialmente, avrei voluto che Feliciano lo citasse più spesso ma, alla fine, non ce n'è stata granché occasione. Mi dispiace che sembra ci si scordi che loro due sono amykettyh!(。・Д・。)(Se ci fosse stato qualche ruolo libero avrei volentieri inserito anche lui. Anche se in realtà avrei voluto mettere anche dei riferimenti a/lla Danimarca per ovvi motivi, ma sono riuscita ad inserire solo "la danese scema" e i kraken in trasferta dalla Scandinavia. *sospira*)
La scena di Lovino e Arthur fa un po' quella del loro incontro di Esp, ma ho cercato di differenziarle il più possibile - Per quanto, a mia discolpa, Ursula non vive in un castello pastello attorniata da morbide pecorelle, e Ariel è giustamente inquieta. Non chiedetemi il perché del castello pastello e delle pecorelle. E ne ho anche approfittato per mostrare un po' il lato più facilmente autosuggestionabile di Lovi, ché mi sembra sempre di non farlo mai vedere. (,,꒪꒫꒪,,)
Infine, per una migliore immersione (ah ah.) in questo specifico capitolo (So che lo volete tantissimo!), vi consiglio di leggere con il sottofondo delle canzoni cantate/citate. Naturalmente, In fondo al mar e Che bello! My House is the Greatest! vanno messe insieme. Contemporaneamente. [Nota: Non mi assumo nessuna responsabilità qualora lo facciate e le vostre cuffie o i vostri timpani vi chiedano l'indipendenza.]

Dal prossimo capitolo, p0rn0. No, non è vero, Antonio si è autocondannato alla castità fino a data da destinarsi - Tre volte che scrivo Spamano e tre volte che succede. Dovresti proprio smetterla, Antò. - e 'sta storia già si sogna l'arancio, figurarsi il limone. Dal prossimo capitolo, inizia la spietata vendetta di Lovino. Considerato che "inizia" e non "si attua", le premesse sono incoraggianti.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 5
*** Xxxxxxx ***


Capitolo V
Xxxxxxx ~ Ti mostrerò come mi sento!


Perdere tempo a guardare la bottiglietta con la pozione verde era stupido. Lovino ne era perfettamente conscio, ma svitare il tappo e trangugiare quella roba era una sequenza di azioni più complessa del previsto. In un primo momento, il principe aveva pensato fossero gli scrupoli a far esitare la sua mano, a togliergli la forza di compiere un gesto tanto semplice quale l'aprire una bottiglietta. Dopo qualche minuto, Lovino aveva realizzato che fosse una bottiglietta stronza.
Era il tramonto. Il sole si scioglieva nel mare, ma solo metaforicamente, perché il contrario avrebbe portato conseguenze apocalittiche. Anche se, pensandoci bene, in un caso del genere, forse non ci sarebbe più stata alcuna forma di vita ad assistere ad un evento simile.
Lovino decise di tentare un'altra volta. Doveva essere trascorsa un'ora, da quando aveva cercato di aprirla. L'aveva stritolata, messa al contrario, sbattuta sugli scogli, lanciata in acqua, presa a testate, niente, rimaneva sigillata. Afferrò il tappo e lo girò. Clack.
"... Dillo che sei stronza. Dillo." La bottiglietta si era infine aperta. Se prima aveva dei timori, quel dannato contenitore glieli aveva risucchiati tutti. Era voluto, o i calamari non erano consci della forza che mettevano nel chiudere le cose?
Si sistemò meglio sulla sabbia, le code bagnate dall'acqua del mare. In un primo momento, aveva pensato di bere la pozione sugli scogli, salvo venire colto dal dubbio di non saper nuotare, se privato delle code. La spiaggia era la soluzione migliore. Scosse la testa - I preparativi li aveva ultimati da, beh, un'ora. Era il momento di fare ciò per cui era venuto lì, magari prima di provare emozioni affini al dubbio o al pentimento - Perché le emozioni le provava, lui.
Inspirò. Si sarebbe dovuto abituare a respirare solo aria, da quel momento. Trattenne il respiro e bevve la pozione in un sorso.
Nettuno, Partenope e Abisso.
Che schifo.

Alzò un braccio e tirò un pugno. Riaprì gli occhi. Aveva chiaramente sentito le dita cozzare contro qualcosa, e il qualcosa aveva anche fatto «Ahia!».
Scattò seduto. Era ancora sulla spiaggia. Era svenuto? Il sole stava scomparendo sulla linea dell'orizzonte, quindi doveva essersi trattato di una manciata di minuti. Una qualche forza superiore aveva impedito al sapore della pozione di rimanergli in bocca - Se era svenuto, non era stato certo per l'emozione.
Guardò al suo fianco. Sì, in effetti aveva colpito qualcuno. Se avesse saputo prima chi fosse, ci avrebbe messo più forza.
«Oh, sei vivo.» Francis sembrava genuinamente sorpreso, mentre si massaggiava una guancia. «Pensavo avessi ingoiato un portalattine di plastica e fossi morto soffocato.»
"Come sei specifico." Ah, vero, non poteva parlare. Sbuffò e distolse lo sguardo.
Cos'erano quelle cose.
No, lo sapeva cos'erano, erano le sue code, ma non c'erano più né scaglie né pinne. Che mostruosità avevano gli umani, al posto delle pinne? E non si sentivano scarnificati, con la pelle così in mostra? Si guardò le mani. Le dita erano staccate, e sembrava si dovessero staccare dal palmo da un momento all'altro. Ma gli umani si sentivano al sicuro, con le dita così separate? Dove trovavano, in primo luogo, la forza per afferrare gli oggetti? Se non altro, avevano anche loro il pollice opponibile. Si toccò le branchie. O meglio, dove prima c'erano le branchie. Pelle. Solo pelle. E le pinne superiori erano state sostituite da piccole pinne ovali che non si muovevano neppure. Rabbrividì. Gli umani facevano senso - E lui se l'era pure fatto, un umano! A sua discolpa, nel quasi buio non aveva realizzato appieno la mostruosità che aveva davanti.
«Non sono affari miei,» Giusto. C'era Francis. «ma ci sono troppe cose che non mi tornano.»
Lovino tornò a guardarlo. A sua memoria, non l'aveva mai sentito parlare con una voce tanto seria. Pensava non potesse farla affatto.
«Tu, dal Sorcier de la Mer? Per diventare umano?» Scosse la testa. «Non m'intrometterò, ma questa cosa non ha il minimo senso.»
"Chi cazzo vuole diventare umano!" Era ancora senza voce. Per quanto, ne era sicuro, la sua espressione fosse cristallina, era difficile comunicare i dettagli. Guardò il bagnasciuga. Il sole era tramontato, ma c'era ancora un po' di luce. Affondò un dito nella sabbia e scrisse la risposta. Più stringata di come l'avrebbe espressa di solito, ché scrivere era più lento del parlare e lui aveva fretta di spiegarsi.
"Temporaneo / Come sai dello Stregone?"
Francis gettò uno sguardo alla risposta. Un sospiro. Allontanò la mano dal punto colpito - A giudicare da com'era rosso, non sarebbe passato in poche ore. «Conosco mon perfid calamar. Pozioni eccellenti, ma disgustose oltre ogni conoscenza terrena.» Indicò qualcosa. La bottiglietta stronza. «Nessun altro potrebbe trasformare un tritone in umano in così breve tempo, con tale precisione. A giudicare dallo stato in cui ti trovi, direi che gli hai dato la tua voce in cambio di una temporanea natura umana.»
Lovino annuì. In fondo, quel pennuto era sempre stato un osservatore. Anche se, pensandoci bene, era piuttosto ovvio che dovesse c'entrare quel mollusco psicolabile.
«Arthùr non fa patti così benevoli.»
Ecco, appunto.
«E tu non hai nessun motivo di essere umano, neppure per un minuto.» Più che serio, sembrava quasi preoccupato. Possibile? «Felicianò lo sa?»
Oh, giusto, doveva essere preoccupato per il piccolo Felicianò. Non rispose. Rimase a guardarlo, impassibile. O forse lo stava liquefacendo con lo sguardo, non lo sapeva e non gli importava. Un dubbio improvviso.
"CHE CAZZO STAVI FACENDO CHE ERI VICINO A ME"
Mise mano al pugnale, ma non lo estrasse ancora. Francis sgranò gli occhi. «Volevo solo accertarmi che fossi vivo! Ero così preoccupato, stavo per-» Gli lanciò la sabbia. Neanche voleva sentirlo. Respirazione bocca-a-bocca. Aveva rischiato la vita.
Non aveva più tempo da perdere. Doveva cercare l'umano. Camminare non doveva essere difficile - Se aveva capito, doveva mettersi in equilibrio sulle code, poi metterne avanti una, poi l'altra, e così via. Piegò le code, in modo che le pinne fossero contro la sabbia. Si diede la spinta con le mani, gettò il peso sulle pinne e si alzò.
Una coltellata lungo la schiena - Una spadata, una frustata, qualcosa di molto grande e molto doloroso gli aprì la schiena. Le code cedettero, il naso fece male e la bocca si riempì di sabbia.
«Oh, devi averlo fatto arrabbiare, eh?» Francis saltellò vicino a lui. Era certo avesse riso. Ne era sicuro. «Camminare non è così doloroso, te lo garantisco. È solo Arthùr che ama divertirsi in modi discutibili.»
Pure. Pensava di essere lui, quello rancoroso. Riemerse e sputò la sabbia.
«Tranquillo, passerà.» La preoccupazione nella voce di Francis era quasi svanita. Era rimasta solo una cantilena irritante, molto più adeguata a lui. «Perché vuoi fare l'umano?»
Lovino alzò la testa. Aveva giocato con le tracine, ora sperimentava la loro vita. Che vita di merda. Allungò un dito. Stava calando la notte e Francis non sarebbe mai riuscito a leggere le sue risposte, sulla sabbia, al buio.
"Vendetta su un bastardo"
Francis inarcò un sopracciglio. «Avevo sentito aveste litigato, ma non pensavo fosse così grave.» Giusto. Francis doveva conoscere l'identità di quel bastardo. Lo sentì schiaffare le mani, con un'inquietante soddisfazione. «Sai, Lovinò, se Arthùr non stesse palesemente tramando qualcosa, ti direi che è un'idea divertente.»
Lovino si rialzò. Almeno, ci provò. Non aveva idea di quale fosse il collegamento fisico tra il fare forza sulle pinne e sentire dolore alla schiena - Parecchio dolore -, ma faceva un male porco e lui non aveva neppure la voce per insultare una qualsiasi entità marina - Tipo lo Stregone del Mare.
«Però» continuò il pennuto: «direi che, al momento, tu abbia un problema più urgente.»
Lo ignorò. Era riuscito a tornare in piedi. Ringraziò il buio, ché stava iniziando a lacrimare dal dolore. Mosse una coda in avanti. La coda gli mandò una fitta tale da mozzargli il respiro. Il respiro venne definitivamente meno quando il petto e lo stomaco si schiantarono su uno scoglio. Non l'aveva notato. E ora era morto.
«In onore al meraviglioso equipaggio del tre Aprile,» Non il tre Aprile, non il tre Aprile! «ti impedirò di continuare a dare un simile spettacolo.»
Lovino alzò appena la testa dallo scoglio e gli rivolse un'occhiata non lo sapeva neanche lui. Forse era stanca, forse era speranzosa, forse era incazzata, forse era disperata. Era tante cose, ma lui voleva solo alzarsi e camminare. Non era neppure il primo punto del suo piano, erano i preparativi e, grazie ad un calamaro simpatico come la carezza di una vespa di mare, si stavano rivelando più dolorosi del previsto.
«Non sarà facilissimo sulla sabbia,» ammise il gabbiano: «ma almeno attutirà le cadute. Sempre che tu non sia calamitato dai sassi.»
Si stava facendo aiutare da Francis. Quanto cazzo era caduto in basso. Il bastardo l'avrebbe pagata anche per quello.

«Perfetto!» Francis mise le braccia conserte, un gran sorriso sulla faccia da schiaffi. «È bastato uno spazio bianco per far passare tutta la notte e insegnarti a camminare come un umano zoppo!» Magari, se gli spazi bianchi fossero stati due, avrebbe anche imparato a camminare come un umano e basta.
Non aveva dormito, ma non ne aveva sentito il bisogno. Il desiderio di vendetta gli dava forza, gli scogli lo tenevano sveglio con i loro buffetti sassosi e la presenza di Francis gli dava un ottimo motivo per non abbassare la guardia. Il pennuto gli aveva spiegato che ora le sue pinne erano piedi, le sue code gambe e la loro piega era chiamata ginocchio.
«Conoscere il lessico corretto ti aiuterà a mimetizzarti meglio tra gli umani.» E Francis avrebbe anche avuto ragione, se lui non fosse stato muto e quindi impossibilitato ad usarlo, il lessico corretto.
La schiena non faceva più troppo male e le gambe lo reggevano abbastanza bene. Non era certo in forma, ma almeno riusciva a percorrere qualche metro da solo - Se si appoggiava ad una qualche superficie, poi, riusciva a percorrere anche l'intera spiaggia! Certo, poi si accasciava a terra neanche gli avessero chiesto di spingere via il crostaceo malefico, ma l'importante era sapere di poter camminare così a lungo.
Ora che il sole era sorto, poteva di nuovo comunicare per via scritta - E le onde avrebbero cancellato ogni rimasuglio di prova da lui già cancellata con una manata. Fosse mai che passasse di lì la persona sbagliata.
"Trovare l'umano" Si sentiva un po' stupido ad essere così stringato, ma doveva accontentarsi. Francis scese dallo scoglio su cui era rimasto per quasi tutta la notte. Piuttosto gentile, da parte sua, aveva dovuto riconoscerlo - Gli aveva segnalato la presenza dello scoglio standoci sopra, ma entrambi avevano sottovalutato la conformazione senza senso di quella spiaggia e i suoi scogli a sorpresa.
«Di questo non ti devi preoccupare.» rispose il gabbiano: «Non abita lontano da qui. Credo, anzi, potresti incontrarlo da un momento all'altro.»
Lovino si fece attento. Francis non aveva motivo di mentire. I preparativi per la sua vendetta erano stati difficili, lunghi e dolorosi, ma fortunatamente la riga di testo bianca li aveva resi più digeribili; il primo punto del suo piano, al contrario, sembrava quasi di una facilità ridicola. Doveva trovare l'umano, ma possibile che sarebbe stato l'umano a trovare lui? E soprattutto, una volta trovato, cosa avrebbe fatto? - Lui, non l'umano. Gli sarebbe saltato addosso e l'avrebbe riempito di pugni? Gli avrebbe piantato il pugnale nella gamba? Gli avrebbe fatto ingoiare chili e chili di sabbia?
No, la violenza fisica non era un buon modo per iniziare. Avrebbe potuto mettersi al suo fianco e pungolarlo fino a fargli implorare pietà e fargli riconsiderare ogni sua scelta di vita. Sì, questa era un'idea molto migliore.
«Non posso però esimermi» Francis parlò dopo qualche secondo, forse per dargli il tempo di affinare il suo piano. «dal farti notare che risulti un po' losco.»
"Eh?" Dato che non poteva dirlo, si limitò a lanciargli un'occhiata interrogativa.
Il gabbiano indicò la sua cintura. Lovino abbassò lo sguardo. Il pugnale? Lo prese e glielo mostrò. Francis scosse la testa. Ovvio che non poteva essere quello, anche l'umano era armato.
«Il tuo abbigliamento.» spiegò: «Chiunque capirebbe che sei un tritone con un aspetto umano.»
"Tu sei l'ultimo a poter parlare di abbigliamento, hai letteralmente addosso solo una censura."
Aveva ragione, però. Aveva già notato quanto gli umani rimediassero all'assenza di scaglie con strati e strati di stoffa. Lui aveva una normalissima cintura con strisce di alghe lungo le code - Senz'altro più virile dell'ombrello medusoide algoso di suo fratello - ma, per un umano, non doveva sembrare troppo normalissima.
«Penseranno ti abbiano rapinato.» Francis continuava a blaterare. «Senza dubbio attirerai l'attenzione, ma nessuno penserà che tu non sia umano!»
Lovino gli rivolse un'occhiata disgustata. Ma pure di primo mattino? Con uno sbuffo, si trascinò ad uno scoglio e ci si sedette sopra. Accavallò le gambe e mise le braccia conserte. Fissò Francis.
Francis ricambiò con uno sguardo perplesso. «Non credo così tu non sia sospetto...»
Continuò a fissarlo. A quanto pareva, non era stato abbastanza chiaro. Indicò se stesso. Indicò la sua cintura di alghe. Indicò lui. Indicò alle sue spalle. Indicò di nuovo se stesso.
Francis sbattè le palpebre. Uno, due secondi e realizzò. «Vuoi che ti porti dei vestiti?»
Lovino annuì. Era un pervertito, ma almeno non era tragicamente scemo. Se l'avesse chiesto all'umano, di certo quello gli avrebbe risposto qualcosa tipo: «Vuoi che ti arrotoli nelle alghe e ti faccia rotolare per la spiaggia?».
«Ma dove li trovo, dei vestiti?» Cazzi suoi. «E dovrei rubarli?» Nessun rimorso nel molestare la gente, ma titubanze nel furto. I valori di quel pennuto erano mescolati come il cervello dell'umano.
Scosse la testa. Perché continuava a pensarci? Sbattè le palpebre.
Umani. Li vedeva, non lontanissimi ma neanche vicinissimi. Doveva aver assunto un'espressione particolare, perché Francis si voltò.
«Scusa, ma è meglio che vada.» Tornò a guardarlo. «Gli umani pensano che tutti i gabbiani siano piccoli.»
Lovino annuì appena. Gli fece un cenno, che sarebbe potuto sembrare di ringraziamento o un invito a levarsi dalle palle. Che lo interpretasse come voleva.
Il gabbiano volò via. Lovino si alzò e camminò, piano, verso uno scoglio alto quasi quanto lui - La sua testa lo aveva percepito svariate volte, quella notte. Si issò sullo scoglio, tenendosi con i gomiti, lo sguardo agli umani che si avvicinavano. Erano in due. Al momento, non era abbastanza veloce per un'aggressione a sorpresa, quindi doveva attirarli - Una volta vicini, li avrebbe tramortiti e avrebbe sottratto loro i vestiti. O, al limite, li avrebbe minacciati con il pugnale. In un modo o nell'altro, si sarebbe impossessato delle loro vesti.
«Sono certo si stiano struggendo per il Magnifico Me!» Uno dei due aveva una voce a dir poco squillante. Era roca e gracchiante, e sembrava quasi finta. «Carmen, Dolores, Consuelo, Esmeralda, Ines, Nina! È così tanto che non mi vedono!»
«Puoi sempre tornare da solo!» L'altro non aveva una voce squillante. Aveva solo un volume ridicolmente alto.
E, soprattutto, avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
Soppresse qualsiasi istinto umanicida, o il suo piano ne avrebbe sofferto.
«Ma tu sei scemo! Così la regina penserà che alla fine ti abbiamo venduto ai saraceni!»
«Non credo ci rimarrebbe troppo male, sai?»
«E la tua ciurma ti è abbastanza fedele da tornare solo con la tua presenza, vivo o cadavere.»
Quel debosciato era a capo di una ciurma? O meglio, era a capo di qualcosa? Improvvisamente, capì appieno la gravità delle parole di suo nonno a proposito della competenza di Ludwig.
«So che ci tenete, a tornare. Se volete, vi do una dispensa.»
«Ma quelli non tornano neanche se gli dai una cucina intera. Ma torna in Spagna e fine, perché ti ostini a rimanere qui?»
«Ho ancora un conto in sospeso.»
«Non parliamo di conti, ché ho ancora paura di ritrovarmi Lucilin appeso al soffitto che mi chiede se sono in regola con le tasse.»
«Sta solo facendo il suo dovere.»
«Non cambiare discorso! Lo so qual è il tuo misterioso conto in sospeso, e posso assicurarti che, per come sono messe le cose, non c'è alcuna speranza che tu-»
Voleva saltargli addosso per farselo lì sulla spiaggia gonfiarlo di botte. Al buio, non aveva realizzato del tutto quanto fosse bello accettabile passabile niente di che a dir poco disgustoso. Si pentì amaramente di avergli dichiarato guerra e non poterlo dunque toccare in quel preciso istante avergli anche solo concesso di poterlo sfiorare. Finalmente lo vedeva alla luce, persino asciutto, e maledisse lo scoglio tra di loro ringraziò lo scoglio tra di loro, perché sentiva un irrefrenabile desiderio di baciarlo fino a portarlo ad un passo dal soffocamento spaccargli la faccia.
«Lo conosciamo?» La voce gracchiante dell'altro umano gli ricordò che c'era un altro umano. Si era distratto. Non poteva non distrarsi, avendo il suo peggiore incubo ad uno scoglio di distanza.
«Forse?» Ora sì che lo riconosceva del tutto. Rincoglionito. Rincoglionito come poche persone al mondo. «Perdoni, buon uomo.» L'imbecille si fece avanti. Un altro passo e sarebbe stato così vicino da potergli ficcare le dita negli occhi verdi. «Le abbiamo per caso affondato una nave?»
Bizzarro modo di approcciare qualcuno. Bizzarra scelta di termini, visto che si trattava di lui. Lovino non fece una piega. Continuò a fissarlo con purissimo e sentitissimo odio.
«O magari una flotta intera?»
Impassibile.
«Abbiamo dato fuoco ai suoi possedimenti?»
Impassibile.
«Abbiamo affondato la sua nave dopo averle dato fuoco?»
Impassibile.
«L'abbiamo derubata? O forse truffata? Magari in un scambio spacciato per equo o al tavolo?»
Impassibile.
«L'abbiamo per caso minacciata di morte per farci rivelare dove teneva i suoi possedimenti?»
Era quasi curioso di sapere fin dove si spingeva la sua fedina penale.
«Abbiamo per caso cercato di ucciderla?» L'umano sembrava confuso. Rincoglionito e confuso. Quasi gli faceva pena. Lo scimunito ci riprovò: «Non è che siete un creditore?»
«Non ha molto la faccia da creditore.» Un bisbiglio roco da lì accanto.
«Magari è un creditore che è stato aggredito e privato dei suoi possedimenti.»
«Non mi sembra che la cosa gli stia dando troppi problemi.»
Ma pensavano che non li sentisse? Idioti. Gettò un'occhiataccia al compare del cretino. Sembrava uno scheletro, con capelli bianchi e occhi rossi. In tutta onestà, era più inquietante dello Stregone del Mare - Che tuttavia non era inquietante, ma solo molto prono al far autosuggestionare i suoi clienti.
«Forse è traumatizzato.» Il cretino lo disse con tutta la tranquillità del mondo. «Per questo non parla.»
«Antò, sembra ti voglia ammazzare, qualcosa devi avergli fatto.»
A meno che non si chiamasse "Antozoo", quel bastardo doveva chiamarsi "Antonio". E prima parlavano di tornare in Spagna. Quel coglione era spagnolo e si chiamava Antonio. Ringraziò di averlo saputo in quel momento, ché cercare uno spagnolo di nome Antonio sarebbe stato come cercare una specifica sardina in un banco di sardine sapendo solo di dover cercare una sardina.
«Sì.» Il bastardo lo guardò per un istante, salvo tornare subito da lui. Aveva staccato lo sguardo per quell'unico secondo. «Ma, se non mi dice cosa, non è che posso indovinarlo.»
"Annamo bene." Dato che si stava tenendo soprattutto con i gomiti, aveva le mani libere. Quindi, gli indicò la giacca che indossava.
«Cos'è, un rebus?» La voce gracchiante dell'albino fu coperta da quella del cretino: «Vuoi la mia giacca per coprirti?»
"Ma porca puttana, come cazzo l'ha capito?"
Forse non era così stupido come pensava. O forse - E tremava all'idea di averci azzeccato - era soltanto quello che pensava di fare da qualche minuto.
Lovino annuì. Come se non aspettasse altro (Argh!), l'idiota si tolse la giacca e gliela porse. Lui la prese e si lasciò scivolare dietro lo scoglio. Aveva visto quella giacca svariate volte, ed era piuttosto sicuro fosse un'altra. Quasi uguale, ma di una gradazione di rosso leggermente diversa e con i cerchietti appena più piccoli.
«Non sarebbe il caso di portarlo in ospedale?»
«Penserebbero che sia colpa nostra! Non ricordi il Grillotalpa?»
L'albino trattenne il fiato. «L'ultima volta che ci hanno visto là era con il Grillotalpa?»
«Eh, sì, Smith l'abbiamo imbarcato sulla Trapassante in una botte.»
«Gott, meno male che non sono andato al pronto soccorso per quel taglio!»
Lovino si riscosse. Guardò di nuovo la giacca. Di certo non se la sarebbe messa addosso, o avrebbe fatto un orrido effetto Feliciano-con-l'-armatura-di-Ludwig e- Cazzo, ci aveva pensato. E aveva pensato pure a quanto Ludwig lo trovasse palesemente tenero. Le pozioni dello Stregone del Mare non erano nulla in confronto al disgusto di quelle scene.
Si tolse le alghe e il pugnale e li nascose sotto la sabbia. Si legò la giacca in vita - Con il nodo sul fianco, o avrebbe reso abbastanza inutile la richiesta di un capo di abbigliamento.
Riemerse dallo scoglio, stavolta camminando. Tenne comunque una mano contro il sasso. Tutto voleva tranne che cadere davanti al bastardo.
«Che...» L'albino era confuso. «... modo originale di indossare una giacca.»
«Sei ferito.»
La frase del cretino lo costrinse ad abbassare lo sguardo. Sul torace spiccavano i segni dei morbidi abbracci lasciati dalla sabbia nel suo stato precedente l'erosione. A vederli alla luce, davano un'idea perfetta del piacere che aveva provato nel ricambiarli.
«Ti porto a palazzo.» L'idiota aveva deciso da solo. «Manon è una brava infermiera, saprà cosa fare.»
«Manon è una brava ragazza, ma scambia l'acquavite con l'acqua ossigenata.»
«Sta ancora imparando.» L'espressione del mentecatto era quasi grave. «Le ci vorrà un po' per capire che l'acqua ossigenata non serve a niente.»
No. Un attimo. Palazzo? E prima non avevano parlato di una regina? Un sospetto atroce.
Indicò il fallimento architettonico sulla spiaggia. L'umano scemo annuì - Continuava a non staccare lo sguardo neppure per sbaglio. «Sì, abitiamo là.»
Una regina che doveva avere un qualche interesse nella sua presenza o assenza. Una ciurma ai suoi ordini. Il palazzo come residenza.
O in Spagna funzionava in modo strano, o quel coglione rischiava di essere del suo stesso rango - O, peggio, superiore.
Forse aveva già fallito, perché la sua sete di vendetta non si sarebbe placata neppure se lo avesse pregato per un mese intero.

Ci avevano messo un po' ad arrivare all'ingresso. Lovino non sapeva se fosse una fortuna o una sfortuna che non fosse quello a mollo nel mare, ma uno che dava sulla strada. Da una parte, avrebbe preferito stare in acqua, ché la terra sotto i piedi pungeva; dall'altro, non era sicuro né di saper nuotare né di riuscire a stare in equilibrio su qualcosa di bagnato. Tanto valeva pungersi i piedi.
Il bastardo gli aveva porto un braccio. Era così evidente che zoppicasse? Gli ci era voluta una frazione di secondo per realizzare di averglielo afferrato, prima di schiaffarlo via e accelerare il passo. La stoffa asciutta era strana. Aveva tutta un'altra consistenza. Le sue mani erano sempre bastate per bagnare qualsiasi cosa in superficie, essere asciutti e toccare qualcosa di asciutto che rimaneva asciutto faceva un effetto bizzarro.
Comunque, poteva dirsi fiero. Aveva percorso la spiaggia e parte della strada da solo. Gli sembrava di aver nuotato per chilometri, stava cercando di non ansimare e non era del tutto sicuro di non avere alcuna ferita sotto i piedi, ma era perfettamente autonomo e dignitoso.
«Ce la fai a salire le scale?»
Ovvio. Non era mica così difficile. Affatto. Doveva solo alzare di più il piede, che problema c'era. Lo fece, e tutto andò bene.
«Sei proprio sicuro di farcela?»
Lovino incenerì l'umano con un'occhiataccia. Alzò una mano, chiuse il pugno e lasciò dritto solo il dito centrale. Abbattè il pugno a terra e si rialzò. Non era scivolato. Aveva solo sottovalutato quanta forza fosse necessaria per issarsi con le gambe. E non si era fatto un male porco al ginocchio. Con tutta la tranquillità del mondo, si avvicinò ad un'asta orizzontale perpendicolare a quella costruzione del demonio. Si rivelò più efficace dei sassi e, in poco tempo, fu in cima a quella tortura.
L'albino era davanti al portone aperto - Era arrivato qualcosa come un quarto d'ora prima di loro. Insieme a lui c'erano altre tre persone: un ragazzino, un colosso e un'adorabile fanciulla con un volto simpatico. Erano tutti e tre biondi, tutti e tre con gli occhi verdi e tutti e tre elfi.
"Tutte 'ste scene per un tritone e poi si tiene in casa tre elfi?" Scartò l'ipotesi che l'imbecille non l'avesse capito: le orecchie a punta grandi il doppio di quelle umane e l'intenso odore di alberi e resina erano indizi abbastanza poco subdoli.
«Oh, poverino!» La ragazza si precipitò al suo fianco. Tra le mani aveva una tavoletta fucsia. «È proprio come ha detto Gilletje, sembra un naufrago rapinato e molto sfortunato!»
«E ferito.» le ricordò il ragazzino.
«Dobbiamo assolutamente occuparcene.» Chiunque sarebbe stato felice di essere guardato con tanto desiderio da una sì graziosa damigella. Il problema era l'evidenza che la graziosa damigella lo stesse considerando una grossa bambola con cui giocare dopo mesi di noia. «Stai tranquillo, ti curerò io!» Gli prese una mano. Era calda, e asciutta. «Sono arrivata alla quinta uscita del corso di infermiera, sai? Non hai nulla da temere!» Non avrebbe temuto solo se le uscite fossero state sei, perché se fossero state cinquantadue avrebbe avuto tutto da perdere. «E poi avrai bisogno di vestiti consoni.» Un'espressione più triste. «Speravo fossi una ragazza, ma Gilletje era troppo poco entusiasta nel parlare di te, quindi già sapevo...»
«Ehi!»
«Però posso comunque darti i miei vestiti!» Era una ragazza molto carina e premurosa, ma- «Ti aiuterò a metterteli, so che possono essere un po' difficili, ma-»
«Credo che i miei andranno benissimo.» Il ragazzino gli mise una mano sulla spalla e lo spinse ad entrare. Il gigante, in silenzio, aveva preso la donzella per le braccia e l'aveva semplicemente spostata di lato.
«Credo possa fare da solo.» Fu l'unica cosa che disse, quando la ragazza lo guardò male. Ormai erano tutti dentro l'abominio chiamato palazzo. C'era un caldo più tiepido rispetto all'esterno e, soprattutto, era fottutamente pieno di fottutissime scale.
«Magari ha bisogno di aiuto!»
«Bastiamo Lucilin ed io.»
La ragazza gonfiò le guance e assottigliò lo sguardo. Poi parve ricordarsi di qualcosa e tornò all'attacco. «Gilletje ci ha detto che non parli.» Gli porse la tavoletta. Lovino la prese. Era un rettangolo fucsia, la cornice in legno scuro. Un pennino di un qualche tipo di materiale sconosciuto era appeso ad un angolo con una cordicella. Nella parte inferiore della cornice, a sinistra, un piccolo pomello era incastrato in una striscia vuota. Provò a muoverlo. Scorreva, ma non sembrava servire a niente.
«Puoi scrivere!» La ragazza prese il pennino e glielo porse. «E poi puoi cancellare!» Indicò il pomello.
"Ma sul serio?" Fece uno scarabocchio. Effettivamente, la linea tracciata dal pennino rimaneva impressa sulla tavola fucsia, di un rosa brillante. Fece scorrere il pomello. Qualsiasi traccia rosa scomparve. Guardò la ragazza, gli occhi spalancati. Sapeva quanto gli elfi fossero saggi e conoscitori di grande magia, ma era davvero difficile credere di avere tra le mani uno strumento magico di tale valore.
«Sai scrivere?» Quella della ragazza era una semplice domanda. Non c'era nessuna punta di scherno. Lovino comprese che doveva trattarsi della persona più intelligente e gradevole di quel palazzo - Non che gli altri due elfi o lo scheletro gli avessero fatto niente, ma era senz'altro più bella da vedere. Mica come il relitto cerebrale là dietro.
Lovino annuì. Per dimostrarlo, scrisse qualcosa. Glielo mostrò. «"Grazie."»
Scrivere con un pennino su una superficie era molto più comodo che farlo con le dita sulla sabbia. Poteva scrivere le frasi per intero, persino con la punteggiatura.
La ragazza sorrise. «Prego!» Si indicò. «Io mi chiamo Manon e sono la cameriera di palazzo!» Indicò i due elfi. «Loro sono i miei fratelli. Lui» Si rivolse al gigante. «è Abel, il maggiordomo. Lui» Guardò il ragazzino. «è Lucilin, il tesoriere.» Si voltò verso i due umani. «Gilbert e Antonio li hai già incontrati. Sono il quartiermastro e il capitano,» Sì, già conosceva la triste notizia. «ma non pensarci troppo.»
«"Eh?"»
«Tu, invece, come ti chiami?» Il bastardo era apparso alle spalle di Manon e aveva posto proprio una delle poche domande a cui non avrebbe risposto - Soprattutto a lui.
Forse avrebbe dovuto pensare ad un nome falso. Tuttavia, non gli aveva detto il suo vero nome, di certo non gli avrebbe concesso preziosi secondi di meditazione per la scelta di un nome falso tirato fuori apposta per ingannarlo.
«Non hai un nome?» Manon intervenne, la voce dolce. Lovino realizzò solo in quel momento che le stessero lasciando fare la portavoce, dato che sembrava l'unica a cui si rapportava in modo normale. Ovvio che lo facesse. Chiunque l'avrebbe fatto. Però non avrebbe risposto neppure a lei. Non l'avrebbe guardata male, ma non le avrebbe risposto.
«Non vuole dircelo.» L'albino, Gilbert, parve capirlo prima degli altri - O almeno, lo esplicitò.
«È nei suoi diritti.» Il ragazzino, Lucilin, annuì, comprensivo.
«Ma non possiamo chiamarlo il Naufrago Rapinato e Molto Sfortunato, è troppo lungo!» protestò Manon: «E neppure NReMS, suona malissimo!» Nondimeno, era una definizione di merda, nonché falsa.
«Beh,» Il bastardo tornò a farsi sentire. «se non vuole dirci il suo nome, ha implicitamente accettato che gliene dessimo uno noi.»
"Ma anche no."
«Quindi,» Sembrava troppo allegro. Lovino si preparò alla cazzata. «in onore a questa città, ti chiameremo "Romano"!»
Non era un brutto nome. Però...
«"Che cazzo dici, brutto idiota, siamo a Napoli!"»
Gli elfi celarono malissimo una risata. Forse non volevano davvero celarla.
«Romano le porta grande rispetto, capitano.» Abel, il gigante, estrasse dalla tasca un bizzarro oggetto di legno simile ad una stecca con un piccolo contenitore. Se lo portò alla bocca dalla parte della stecca. Con una magia, accese un fuoco tra le dita. Gli elfi erano creature davvero misteriose e straordinarie, forse anche più dello Stregone del Mare.
«Ma non era ferito?» La voce gracchiante dell'albino glielo ricordò.
«Sì, ma non si sta mica portando in mano le budella.» Manon era tranquillissima. «Non è così grave!»
«Ti porto al bagno con la vasca.» Lucilin intervenne, a voce abbastanza bassa da farsi sentire solo da lui. Forse voleva farlo sgusciare via da quell'incrocio di attenzioni e gliene fu abbastanza grato. «Spero che per te non sia un problema, è al terzo piano.»
Lovino alzò lo sguardo. Scale. Scale. Scale. Forse sarebbe arrivato in serata, ma ce l'avrebbe fatta - Da solo.
Aveva trovato l'umano - O meglio, l'umano gli aveva risparmiato la fatica e si era fatto trovare. Sapeva dove abitava, si era subdolamente - O qualcosa del genere - intrufolato nel suo nascondiglio e avrebbe avuto libero accesso alla sua persona in qualsiasi momento. Forse. Doveva ancora lavorare su quel punto. E pensare a come rovinarlo in modo concreto.
«Gli offro la mia camera.»
Lovino si mise in ascolto. Era già al quinto gradino, non poteva deconcentrarsi troppo.
«Non ce ne sarà bisogno, capitano! Abbiamo la stanza degli ospiti!»
«Ah. Giusto.» Voce più funerea non poteva esistere. «Abbiamo una stanza degli ospiti.»
«Siamo pieni di stanze degli ospiti! Siamo in cinque in un palazzo!»
E la povera Manon doveva pulirlo da sola da cima a fondo? Sporco schiavista! L'avrebbe pagata anche per quello! Un dubbio. Lasciò un attimo la stecca parallela alle scale per scrivere una cosa a Lucilin.
«"Ma quel cretino non è un capitano? Dov'è la sua ciurma?"»
«Oh, non si preoccupi per la ciurma.» Lucilin era molto beneducato, anche senza sapere di stare parlando con un principe ereditario. «Risiedono tutti alla Locanda di Catriona la Figona, a qualche isolato da qui.»
«"Immagino sia molto frequentata."»
«Certamente. Fanno una pizza che non ha eguali.»
Cos'era una pizza. Doveva scoprirlo. E, nel tempo libero, avrebbe iniziato ad attuare il suo piano. L'idiota gli aveva già suggerito un'ottima idea.

*



Due grammi di euglenoide del Mar dei Sargassi - che era suo.
«Lorem ipsum dolor sit amet...» Un grammo e mezzo di crisofita del Mar degli Smargiassi - che era suo.
«Consectetur adipisci elit...» Le bolle sulla superficie scoppiarono. Un mazzetto di dinoflagellate delle montagne di Thule - che, essendo nell'Atlantico del Nord, era sua. Un pizzico di diatomea delle praterie di Lemuria - che, essendo nell'Oceano Indiano, era sua.
«Sed do eiusmod tempor incidunt...» Una spruzzata di feofita delle nuvole di Atlantide (che, essendo nell'Atlantico, era sua), e un pugno di foglie di arthrospira platensis (che, avendola raccolta lui, era sua).
«... ut labore et dolore magna aliqua.» Il liquido color miele ribollì, i riccioli di fumo si persero nel vento.
Dodici minuti e quindici secondi. Il tempo perfetto. Arthur tolse il bollitore dal frigorifero e lo versò nella teiera. Il tempo necessario non era indifferente, ma il tè ai frutti di mare non identificati era pur sempre il tè delle grandi occasioni. Si accomodò sullo scoglio e aspettò che la teiera annullasse la temperatura lavica del suo contenuto.
Tè ai frutti di mare non identificati, scones di farina di scoglio alla confettura di ciliegia marina e la promessa dell'ultima parte del mondo ancora non sotto il suo dominio. In più, la giornata era meravigliosa e Alfred e Alfred Due stavano giocando felici nelle tane degli squali martello, a chilometri di distanza.
Versò il tè. La tazzina non si sciolse, quindi la bevanda era ragionevolmente sorbibile. La assaggiò. Perfetta. E, soprattutto, nessuna ustione di quinto grado.
Sì, era un giorno stupendo. Un futuro radioso, una mattina rilassante come poche ne aveva avute, e-
«Arthùr!»
I tentacoli emersero dall'acqua, dieci arpioni puntati contro il gabbiano. Arthur abbassò la tazzina, piano.
«One last wish, before dying?»
«Mon cher, perfide calamar.» Francis portò le mani ai fianchi. «Cosa stai combinando.»
«Sto per uccidere un gabbiano.» Era bastata la sua sola presenza a guastare il sapore perfetto del tè.
«Chéri, è di cattivo auspicio uccidere un gabbiano.»
«No, lo è uccidere un albatro.» Posò la tazzina. «Goodbye, frog-voiced seagull.»
Francis si piazzò sullo scoglio esattamente davanti a lui. Il suo desiderio di abbandonare la vita era quasi triste. «Smettila di dire sciocchezze, chéri. La situazione è già abbastanza grav-»
Doveva ammetterlo, ormai era diventato piuttosto bravo a schivare i suoi attacchi. Riuscì a non farsi colpire neppure da un arpione. Gli concedette un piccolo applauso.
«Arthùr!»
«Sparisci, prima che ti trasformi in marmellata di pollo.»
Francis spalancò gli occhi. La faccia divenne quasi blu. «Sai, chéri, qualsiasi nome di cibo, se pronunciato da te, diviene una minaccia. Non farlo mai più, s'il te plaît
Arthur inspirò a fondo. Molto a fondo. Non aveva potuto fare quella pozione per modificare i sapori. Apprezzava la precisione e la puntualità richieste da certi incantesimi ma, a volte, finivano per ritorcersi contro di lui - E questo non lo apprezzava affatto.
«No, non mi plè
Il pennuto fece una smorfia disgustata. «E non pronunciare mai più una parola in francese.»
«Dimmi cosa vuoi e poi estinguiti.» Posò la tazzina sul frigo. «However, why should I speak French-»
«Hai fatto un patto con il principe Lovinò.»
Oh, era quello il problema. Doveva aspettarselo. Era già irritato per il ricordo della pozione sfumata, quindi quell'argomento era perfetto. «Non sapevo fossi amico del principe.»
«Non lo sono.» Ah, ecco. «Ma siamo soci in affari.»
«Non voglio sapere altro.» Non pensava che quel piccolo mostriciattolo fosse coinvolto in giri così loschi. Quante cose che si scoprivano.
«E le petit Felicianò è adorabile, mi dispiacerebbe dargli un dolore così grande come fargli sapere che suo fratello è finito tra le tue malvagie grinfie.»
«È stata una sua scelta.» Riprese la tazzina. Forse era meglio avere il tè a portata di tentacolo. Era il più buono dei suoi tè, in fondo. «Io gli ho fatto un'offerta. Lui l'ha accettata. Se vuoi dare la colpa a qualcuno, dalla a lui.» Bevve. Ma perché continuava a prestare attenzione a quel gallinaceo? Ad ogni modo, quello era davvero il migliore dei suoi tè.
«Mon cher.» Era serio. Forse avrebbe potuto concedergli uno sguardo di sufficienza in più. «Tu fai leva sulla disperazione delle persone. Difficilmente i tuoi clienti sono del tutto in grado di intendere e volere.»
«Tu seduci gente appena naufragata.»
«Non sto dicendo che sbagli.» Sventolò una mano. «Ma ti pare? Io porto gioia e conforto a chi è reduce da un naufragio, tu porti gioia e conforto a chi è triste e solo. Siamo persone di buon cuore, noi!»
Arthur soffocò una risata nel tè. Per un istante, si era ricordato perché tollerasse la presenza dello struzzo, lì. Poi si era ricordato che era Francis e la sua espressione era tornata seccata come doveva essere.
«Quello che non mi torna» proseguì il gabbiano: «è il patto di per sé. A vederlo così, direi che hai dato a Lovinò un aspetto umano in cambio della sua voce.»
«Precisamente.»
«Sarebbe come accettare di costruire un castello intero in cambio di un caffè.»
«Io chiederei del tè.»
«Qual è il vostro vero patto?» Braccia conserte, sguardo serio e fisso su di lui. Era una visione sbagliatissima.
«La vera domanda è» Abbassò la tazzina. «perché vuoi saperlo?»
Era ovvio che il patto non fosse una cosa così stupida. Soltanto lui e pochissimi altri avrebbero potuto fare una cosa potente e grandiosa come trasfigurare una creatura per un tempo così prolungato, e lui era l'unico a poterlo fare senza lasciare tracce della forma precedente. Era uno degli incantesimi di cui andava più fiero e non l'avrebbe mai venduto per una sciocchezza come una voce di tritone - Per quanto senz'altro remunerativa, ancor più in quanto di un principe ereditario. Francis lo sapeva benissimo ma, in teoria, non gliene sarebbe dovuto fregar di meno.
«Perché ho un dubbio, Arthùr.» Voce ferma. Conosceva già la risposta.
Arthur non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto. «Il gabbiano dalla voce di rana ha un dubbio. Muoio dalla voglia di scoprirlo.»
Francis sospirò. Un sospiro a metà tra l'esasperato e il preoccupato. Strana miscela di emozioni, per un gabbiano così irritante. «Lovinò ti ha promesso il Regno del Mare, vero?»
Che sarebbe presto stato suo. Era uno dei pensieri più belli che avesse avuto negli ultimi dieci anni.
«Non sono così avido.» Il tè era ormai quasi finito. «Mi ha promesso di divenire mia legale proprietà.»
«Quoi?» «I won't marry him!»
Riuscì a coprire in tempo la voce gracidante di quel pennuto. Così, giusto per specificare per la ventesima volta che non aveva intenzione di sottoporsi al peggiore dei supplizi.
Francis aveva tutte le piume arruffate, gli occhi e la bocca spalancati. «Sarebbe il colmo!» La voce era quasi soffocata. «Hai sempre rifiutato le mie proposte di matrimonio, ci mancherebbe pure che tu sposassi il primo che passa, anche se principe!»
«I won't marry you, too.» Lo specificò, per la centoventesima volta. Così, giusto per stare sicuri.
«Arthùr.» Sembrava essersi ripreso. «Questa cosa finirà-» Aveva allungato una mano. La ritrasse con un verso stizzito e si afferrò le dita scottate. «Ancora la barriera, chéri
«La barriera c'è sempre, quando ci sei tu in circolazione.» Non era vero e lo sapevano entrambi, ma era troppo comoda per non approfittarne per tenere lontane le zampacce di quel pennuto. Doveva solo ricordarsi di attivarla - E, ultimamente, se lo stava scordando troppo spesso, e Alfred e Alfred Due si scordavano di ricordarglielo.
«Dicevo.» Francis mise le dita a mollo. «Questa cosa finirà male, Arthùr.»
«E perché mai?»
«Hai già il mondo, Arthùr.» Continuava a non vedere il problema. «Accontentati di ciò che hai e non peccare di avidità. Lo sai che una simile arroganza non potrebbe mai rimanere impunita.»
«A me sembra che la ruota del destino stia srotolando il tappeto rosso per il mio ingresso trionfale nel Regno del Mare.» Accavallò due tentacoli. «Un semplice sopralluogo in un piccolo relitto ha fatto sì che la mia strada si incrociasse con quella del principe ereditario. Dopo, lui stesso è venuto a chiedermi aiuto, offrendomi di fatto il suo regno, proprio mentre stavo cercando un modo per sottrarglielo!» Posò il viso su una mano. «Se non è destino questo, non so cos'altro possa esserlo.»
Francis scosse la testa. «Tutta la iettatura che hai fatto ti tornerà indietro.»
«Oh, temo mi sia già ampiamente tornata indietro.» Lo squadrò dall'alto in basso. «E poi, non vedo come questo patto possa volgere a mio sfavore.» Sorrise. «Re Romolo non è eterno. E il principe Lovino non abdicherà mai in favore di suo fratello. Il suo regno lo detesta e, a giudicare dal fatto che è venuto da me per vendicarsi di un torto stupido da parte di un umano idiota, il principe è una delle persone più rancorose che i Sette Mari abbiano mai conosciuto. Oserei pensare che trascinare il Regno del Mare sotto il mio dominio sia per lui qualcosa di equiparabile alla vendetta verso il suo stesso popolo.»
Francis fece per dire qualcosa. Tacque. Richiuse la bocca e distolse lo sguardo. Sembrava irritato.
Arthur non riuscì a trattenere un risata leggera. «Questo è un patto che, qualsiasi risultato avrà, fra trenta giorni farà felici sia me che il principe. I Sette Mari non hanno bisogno di essere quattordici.» Mosse la mano libera, a scacciare il suo ospite sgradito. «Torna a spiare gli umani, feathered frog. Lascia il tuo socio ai suoi affari.»
Il tè era finito. Era davvero buono. Aveva fatto bene a prepararlo per quel giorno.

*



Se si escludevano le scale, gli ematomi da schianto, le scale, gli spagnoli, le scale e gli spagnoli sulle scale, ogni minuto in quella tragedia architettonica trascorreva con grande senso di meraviglia.
C'erano le bolle anche in superficie ma, al contrario del mare, volavano verso il basso invece che risalire. Sgorgavano da una schiuma bianca, profumata e non fonte di organismi in decomposizione. Era stato un po' strano ritrovarsi a mollo da umano, meno di ventiquattr'ore dopo aver lasciato il mare, ma non era stato brutto. Faceva più impressione l'idea di asciugarsi e di non rinsecchirsi.
Dopo il bagno, Lucilin l'aveva portato in una stanza, e nella stanza c'era Manon, armata di kit del pronto soccorso. Nessuna poltiglia o sassi curativi, ma una serie di striscioline marroncine che rimanevano attaccate alla pelle. Erano lunghe poco meno di un dito e, nella parte centrale, avevano un quadrato più morbido - La parte da mettere a contatto con la ferita. Dovevano essere strumenti elfici di grande potere.
«Tra poco serviremo il pranzo.» annunciò Manon: «Per qualsiasi problema orientatorio, consulta la mappa!» Con questa criptica stringa oracolare, se ne andò.
"Quale mappa?" Lovino guardò d'innanzi a sé e si ritrovò a ricambiare il suo stesso sguardo.
Davanti a lui stava uno specchio - O meglio, una cassettiera con uno specchio grande il doppio della stessa. Sulla cassettiera, bello in vista, stava un foglio di carta, con sopra disegnata la piantina del castello. Lovino la prese e si rese conto di come l'interno fosse ben peggiore di quanto si potesse sospettare dall'esterno. Il fatto che ci fosse un'intera sezione cancellata con la scritta "abbattuta da una cannonata" e un piano con una X e la scritta "errore di stampa" non la rendeva certo migliore.
Con un sospiro, Lovino piegò il disastro e se lo mise in tasca. Aveva una giacca lunga, ora, e persino delle tasche. Manon aveva armeggiato con la tavola magica, attaccandoci una cordicella e consentendogli di portarla a tracolla piuttosto che in mano. Poteva dirsi ben attrezzato ad affrontare il castello umano, ma la prudenza non era mai troppa.
Aprì il primo cassetto. Una spazzola apparve davanti ai suoi occhi. La prese e la alzò, per studiarla. Probabilmente aveva ragione Francis, serviva per pettinarsi i capelli. Tuttavia, l'idea di Feliciano non sembrava poi così fuori dal mondo. La battè piano sulla superficie di legno della cassettiera. Il suono che risuonò era abbastanza duro. Poteva funzionare. Infilò la spazzola nella cintura, a temporanea sostituzione del pugnale, e cercò altro.
Una massa di capelli. Una massa di capelli attaccata ad una retina. Gli umani dovevano avere un problema con i capelli - Arrivavano persino a cambiarseli? Scartò subito l'ipotesi che gli umani fossero calvi di natura e utilizzassero quelle masse di capelli per coprire la testa - In caso contrario, i ricci del bastardo gli sarebbero costantemente rimasti in mano.
Accanto, due folti ciuffi di pelo scuro. Sul retro, sembravano quasi le striscioline marroncine che aveva sul busto. Li alzò all'altezza degli occhi. Gli ci volle qualche secondo per riconoscerli come baffi. Sì, gli umani avevano un problema con il loro crine.
Seguirono bottigliette profumate, rettangoli di polveri colorate, pennelli minuscoli e pastelli neri grandi un pollice. Quella era una stanza pensata per un'ospite donna - Oppure, più probabile, era una stanza degli ospiti in cui Manon aveva messo oggetti di sua proprietà.
Un brivido. Che Manon volesse usare quegli strumenti su di lui? Non sembrava un'ipotesi troppo azzardata.
Comunque, la spazzola era requisita fino a nuova decisione.

Non sapeva quanto ci avesse messo ad arrivare alla sala da pranzo e non gli importava. Se non altro, era una bella stanza: le pareti erano di vetro e davano una splendida vista sul mare. Era strano vedere il mare da così in alto. Era stato così preso dalle scale da non aver prestato attenzione a ciò che vedeva oltre i vetri. Cosa che non avrebbe potuto fare per bene neppure in quel momento, dato che tutti e cinque gli abitanti del castello stavano aspettando lui.
Il bastardo sedeva a capotavola. Alla sua destra, lo scheletro. Settantadue chilometri più in basso, il trio di elfi. Lui era l'unico coglione a sedere sul lato sinistro. Si accasciò sulla sedia, ma cercò di non far trapelare troppo la sua stanchezza. Era certo di aver salito e sceso almeno cinque centinaia di scale, nell'arco di quella mattinata.
«Speriamo che il pranzo sia di tuo gradimento!»
Lovino trasalì. Non si era accorto che Manon era apparsa al suo fianco, né che avesse servito tutti. Fece appena in tempo a vedere il suo grande sorriso luminoso, prima che lei trotterellasse al suo posto. Portò lo sguardo al pasto. O meglio, a tutto ciò che c'era davanti a lui sul tavolo.
I piatti erano tre. Uno era un piatto piatto, uno era un piatto meno piatto e uno era curvo, tutti impilati. A destra, due pugnali sottili e una piccola cazzuola concava - Era una delle diavolerie trovate da Feliciano, almeno quella sapeva cos'era! A sinistra, tre piccoli tridenti e un rotolino di stoffa. Al di sopra dei piatti, tre calici, un tridente minuscolo, una cazzuola concava ancora più minuscola e un piattino su cui era stato posto del pane.
Una cosa era certa: gli umani amavano complicarsi la vita.
«Stavolta hai cucinato te, Manon?» La voce gracchiante dell'albino lo riportò alla realtà.
Per tutta risposta, la ragazza ridacchiò. «Certo che no! Abbiamo ordinato da Gennaro!»
Lovino non aveva idea di chi fosse Gennaro, ma sperava sapesse cucinare bene. Guardò il contenuto del piatto d'innanzi a sé. Attinie giallognole immerse in una crema semiliquida rossa. Una ciotolina che non aveva notato prima conteneva della polverina bianca e una cazzuolina concava. Alcuni dei suoi commensali ricoprivano le attinie di abbondanti spolverate, alcuni davano una passata leggera, altri le lasciavano sguazzare nella poltiglia rossa. Dato che non aveva idea di cosa fosse niente di tutto quello - Anche se aveva l'impressione di aver già visto qualcosa di simile -, tanto valeva provare per gradi. Soprattutto perché non aveva fatto colazione, né cena, né... merenda? Quant'era che non mangiava? Aveva preso troppo alla lettera il detto secondo cui la vendetta andasse mangiata fredda. O qualcosa del genere.
Afferrò una manciata di attinie. Erano calde, ma in modo piacevole. Le assaggiò. Non erano attinie, e non erano neppure pesce. Ricordò. Quella era la roba umana di cui Feliciano andava tanto ghiotto - Pasta, spaghetti, quella roba là. Doveva dargli ragione. Era dannatamente buona. E dannatamente scomoda da mangiare. La poltiglia rossa sgocciolava ovunque - Tavolo, gambe, vestiti, faccia, braccia -, lui si sporcava con una facilità ridicola e, se non trattenuto, il cibo riprecipitava nel piatto ad una velocità assurda. Come facevano gli umani a vivere in quel modo?
«Aah, Romano mangia come mangiavi te.»
Lovino alzò lo sguardo. L'albino lo guardava con occhi sbarrati, il viso marmoreo. Il bastardo sembrava starsi divertendo come non mai. Manon soffocava una risata, Lucilin fingeva (male) di non starlo guardando e Abel lo stava apertamente osservando.
«Forse viene dalle tue parti.» Il cretino stava parlando con Gilbert.
Quest'ultimo annuì appena. «Sì.» Sembrava pensieroso. «Forse.»
"Ma direi proprio di no." Un altro pensiero, ben più urgente. Nonostante, a quanto sembrasse, anche Gilbert soleva mangiare in quel modo, quel modo non era il modo in cui gli altri solevano mangiare. Si passò il braccio coperto di stoffa sulla bocca e sul mento, per darsi una parvenza di ripulita.
«Un po' alla volta, Romano.» Il tono dell'imbecille era disgustosamente accondiscendente. «Metti la forchetta» Prese un piccolo mucchietto di attinie con il tridentino. «giri» Per magia, i filamenti gialli si arrotolarono attorno ai denti della forchetta. «e tiri su.» Quando il tridentino fu alzato, le attinie rimasero arrotolate e non precipitò la minima goccia di poltiglia rossa. Poltiglia rossa che, a dispetto di tutto, era buona, era un crimine sprecarla e che quindi si stava premurando di leccare via dalla mano e dalle dita.
Era ovvio che il bastardo usasse la magia - magia elfica su concessione dei suoi dipendenti, probabilmente - per mangiare le attinie. Voleva umiliarlo, mostrargli come fosse facile e poi ridere della sua incapacità, in quanto all'oscuro delle tecniche segrete utilizzate. Quindi, schiaffò di nuovo una mano nel piatto e riprese a mangiare come prima.
«Oppure puoi continuare a mangiare così.» Il cretino alzò le spalle. Lovino si tirò su una manica e recuperò con la lingua la paccottiglia rossa che gli era finita sul braccio, sotto la stoffa. Per tutta risposta, incenerì l'idiota con un'occhiataccia. Non sembrò dovutamente spaventato.
Provò anche la polverina bianca. Le attinie erano buone sia con che senza. Erano gusti diversi, ma entrambi buoni. Era assurdo che gli umani potessero produrre cibi così variegati - Insomma, erano stupidi, come potevano?
Dopo le attinie, fu il turno di qualcosa di più normale. Pesce. Salmone. Rettangoli di carne di salmone, con mezzelune gialle e fili di alghe più pastose. Era tutto molto più facile da mangiare - Mangiare e non sbranare, mica era un tritone selvaggio che addentava le prede un attimo dopo la loro morte. Andavano un po' lavorate, prima!
Al salmone con mezzelune e alghe seguì una cosa rotonda gialla. La cosa rotonda gialla fu tagliata in spicchi e ciascuno ne prese uno. Era dolce e sapeva di limone. Lo spicchio era molto buono. Il pesce era stato molto buono. La pasta era stata fottutamente buona. Il cibo era molto buono. Gennaro era senz'altro un uomo molto buono. Gli umani, quando si trattava di cibo, erano molto buoni.
«Puoi prenderne un'altra fetta!» Non poteva dire di no al sorriso incoraggiante di Manon. Anche Manon era molto buona. C'era molta bontà.
Aveva sofferto molto - Il suo stomaco aveva sofferto a causa delle pozioni, il suo corpo aveva sofferto per gli scogli e le scale, la sua mente aveva sofferto per il calamaro, il gabbiano e il coglione, ora stava ricevendo un dovuto compenso. Magari la vendetta l'avrebbe mangiata fredda, per ora si beava del cibo caldo e del mare oltre le vetrate.

*



Quando Ludwig tornò con lo sguardo cupo, Feliciano capì che le ricerche erano state vane. Strinse il binocolo al petto. Non sapeva più cosa fare, dove cercare.
La sera precedente, Lovino non aveva accolto lui con sguardo di disapprovazione e Ludwig con un augurio di morte prematura e dolorosa. Il nonno non l'aveva visto rientrare. Il letto e l'armatura di ricambio di Ludwig non contenevano trappole. La camera di suo fratello era vuota. Lovino era scomparso e gli ultimi ad averlo visto erano stati lui e Ludwig.
Il nonno lo aveva fatto cercare per tutta la notte. Feliciano era salito in superficie, ma il mondo era una gigantesca macchia d'inchiostro di seppia e faticava a vedere persino la boa a cui era abbracciato. Al mattino, era andato alla Graffa Grotta Gratis, si era azzardato ad entrarci, ma l'aveva trovata vuota. Se Lovino si fosse trovato davvero in superficie, poi, sarebbe stato impossibile trovarlo, con i loro mezzi - La terra emersa, seppur più piccola dei mari, era di un'estensione non indifferente e tutti loro sarebbero diventati bidimensionali e liofilizzati nel giro di una giornata, quindi cercarlo lassù era fuori questione.
«Avremo sue notizie» esordì Ludwig: «nel caso si tratti di rapimento. Ci verrà chiesto un riscatto.»
Feliciano alzò lo sguardo. Era sicuro di avere un'aria disperata, perché Ludwig assunse quell'espressione di tristezza tipica di quando incontrava il suo sguardo disperato. «Ludwig...» Posò una mano sul pettorale della corazza. «Ma chi si vorrebbe così male da rapire Lovino? Se ci dovessero contattare dei rapitori, sarà per chiederci di venirli a salvare.»
Ludwig annuì, piano. «Sarebbe comunque una buona cosa.»
«Sì, almeno sapremmo dov'è!» Si sarebbe volentieri gettato tra le sue braccia, ma l'ultima volta si era schiantato e gli era uscito un bernoccolo sulla fronte - E quella volta Ludwig neppure aveva l'armatura. «Ho un brutto presentimento. So che non è morto,» si affrettò a dire: «ma ho paura che si sia cacciato in qualche grosso guaio.»
«Il principe Lovino sa come cavarsela in caso di attacco squalo, attacco orca, attacco kraken, attacco delfino, attacco stelle marine e attacco rete da pesca.» Ludwig gli accarezzò la testa, un modo un po' rude di rincuorarlo, ma apprezzava il pensiero. «Dubito sia caduto vittima di qualcuno di questi. Avremmo trovato il suo cadavere, o qualche pezzo.» Feliciano guardò Ludwig. Ludwig guardò Feliciano. Diede un colpo di tosse. «Intendevo, non abbiamo modo di credere sia ferito. O morto.»
«Né avreste modo di crederlo morto solo per un arto staccato.» Gli prese la mano ancora sulla sua testa. «Credo sia in superficie.»
«Feliciano...»
«Possiamo chiedere al fratellone Francis.» Serrò le labbra. «Anche se non mi ha risposto, stamattina. Forse era troppo lontano.»
«O è migrato.»
«Se non riuscissimo a trovare il fratellone Francis» Non voleva arrivare a tanto, ma era per suo fratello. «rapiremo un umano, ruberemo degli spaghetti e minacceremo di fargli mangiare spaghetti tagliati, scotti e senza condimento se non ci darà informazioni soddisfacenti su Lovino!»
Gli occhi azzurri di Ludwig erano due sfere colme di terrore. «Feliciano... Arriveresti persino a-»
Feliciano annuì. «Non risolveremo niente rimanendo quaggiù.» Alzò lo sguardo. «Sono un po' sicuro che Lovino sia in superficie.»
«Un po'...?»
«Ve~ Mica sono del tutto sicuro.»

«Fratellone Franciiiiiiis!» Feliciano chiamò di nuovo. Nulla. Erano ormai dieci minuti che invocava l'apparizione del gabbiano ma, per la prima volta, le sue chiamate sembravano non sortire alcun effetto.
«Se Francis sa dov'è il principe,» azzardò Ludwig: «potrebbe starlo seguendo. Per questo non ti sta rispondendo.»
Feliciano annuì. Voleva crederci. Di certo, era molto sospetto che fossero scomparsi sia Lovino che Francis, quindi voleva pensare l'ipotesi più positiva.
«Chissà se Lovino mi sente.» Sospirò. Guardò gli scogli. «Se mi mettessi a cantare, mi risponderebbe?»
Una mano sulla spalla. Lo sguardo deciso di Ludwig negli occhi. «Con tutta la bontà, Feliciano, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso è portare delle navi verso gli scogli.»
«Sì, ma» In realtà, al momento non gli importava nulla di navi e scogli. «lo sai che il canto delle sirene arriva a tantissimi chilometri di distanza! Non so quanti, ma so che sono tantissimi! E, se cantassi, lui potrebbe sentirmi anche se è lontano e-»
«No, Feliciano.» Era una di quelle affermazioni a cui non si poteva ribattere. Non che Feliciano non avrebbe potuto imporgli il silenzio, ma poi Ludwig si arrabbiava, diventava tutto rosso, iniziava a fumare e sfiorava l'esplosione, e lui non avrebbe mai voluto che Ludwig esplodesse.
«Felicianò!»
Feliciano si voltò di scatto. Con un ritardo di dieci minuti e mezza mattinata, Francis era apparso, e si era appollaiato sopra gli scogli. Ad aggiungere stranezze su stranezze, la sua voce era funerea e il suo sguardo abbattuto. Decisamente, sapeva qualcosa.
«Lovino è scomparso!» Feliciano artigliò gli scogli e fece appena leva per sollevarsi. «Tu sai qualcosa, vero? Cosa-»
«Je sais tout.» Un sospiro. «Je sais tout.»
Feliciano si calò di nuovo in acqua. Si mise in ascolto, Ludwig al suo fianco.
Bastarono due minuti per raggelargli il sangue.
«Lo Stregone del Mare...» Stritolò il binocolo. Le nocche sbiancarono. «Per vendicarsi...»
«Ha messo in palio il regno.» Anche Ludwig era sbiancato, ma sulla faccia. «La situazione è più grave di quanto pensassi.»
«Esattamente.» Francis annuì. Sembrava stanco. «La cosa peggiore è che il contratto è valido e legale. Non possiamo fare niente. Deve cavarsela da solo.»
Feliciano si voltò verso il castello degli umani. Francis aveva detto che Lovino era lì, con degli umani - Con quell'umano.
«Io» Un sussurro. «volevo che trovasse il modo di reagire. Ma non era questo che volevo.»
La mano di Ludwig sulla testa, la sua colossale presenza accanto a sé.
«Non è colpa tua.»
«Certo che non è colpa mia.» Scosse la testa. Sentiva la voce spezzarsi ad ogni sillaba. «Però, forse, avrei dovuto cantargli una canzone diversa.»
«Non credo c'entri niente-»
«Tipo, com'era? I due indiani stanno al sole per un po', un si fuse come cera e uno solo ne restò.»
«È probabile avesse già preso la decisione di vendicarsi in modo pittoresco.» Ludwig lo stava ignorando di proposito. Non gli piaceva, quando non ascoltava le sue idee.
«Ma... Diventare umano?» Lo guardò. «Lui disprezza gli umani!»
«Evidentemente, l'odio per quell'umano è più forte del suo disprezzo per gli umani.»
Feliciano abbassò lo sguardo. Era assurdo. Quella situazione era assurda. Ed era tutta colpa di un unico essere umano.
Si voltò verso Francis. «Voglio parlare con lui!»
«Ehm...» Il gabbiano alzò un dito. «Ti ho detto che ora è muto, no?»
«Troveremo il modo di comunicare.» Brandì il binocolo. «Cercherò di attirare la sua attenzione e farlo scendere sulla spiaggia, ma non sono sicuro di riuscire a trovarlo, là dentro.»
Tra l'altro, il sole si rifletteva sui vetri, e dai vetri accoltellava gli occhi dei poveri stolti che osavano guardare in quella direzione a quell'ora del giorno.
«Mi serve il tuo aiuto, fratellone.» Lo supplicò con tutta la forza del suo sguardo adorabile. «Non sono affatto sicuro di riuscire ad attirarlo sulla spiaggia. Ti prego, individualo e digli che voglio parlare con lui!»
Francis trasse un lungo sospiro. Brutto segno. «Io sarei felicissimo di aiutarti, Felicianò.»
Ma?
«Ma Lovinò, ora, è sempre attaccato agli umani. Soprattutto ad Antoine.»
«Antoine?» Feliciano sbattè le palpebre. «È l'umano di cui Lovino vuole vendicarsi?»
«Più precisamente si chiama Antoniò, mais oui, c'est lui
Aveva un'informazione in più. Abbastanza inutile ma, per nessun motivo, sentì di aver fatto dei progressi.
«Quindi non puoi avvicinarti troppo.» Era un brutto colpo, ma Feliciano lo incassò. «E sarà difficile anche per me riuscire a parlargli.»
«Per me, per te e anche per lui.» Francis fece un cenno a Ludwig. «Senza contare che Lovinò sembra star tenendo segreta la sua identità. Non so se sia parte del suo piano folle o se faccia parte del patto con quel folle.» Qualsiasi motivo avesse avuto Francis, quel che era certo era che fosse preoccupato quasi quanto lui. «Se qualcuno lo vedesse parlare con un tritone o un granchio non ci metterebbe molto a risalire alla sua identità.» Parve pensare a qualcosa. «Sempre che non ci siano già risaliti.» Un'aggiunta sottovoce, più un borbottio che una frase rivolta a qualcuno in particolare.
Feliciano tornò di nuovo a rivolgersi verso il castello, evitando con cura di guardare le finestre.
«Feliciano.»
Il principe secondogenito scosse la testa.
«Feliciano, dobbiamo dirlo al re.»
Feliciano scosse di nuovo la testa. «Il nonno non può farci niente.» Non guardò Ludwig. «E si preoccuperebbe soltanto.»
«È una cosa che riguarda il regno intero. Non posso tacere.»
«Ti ordino di tacere.»
Stavolta fu il turno di Ludwig di sospirare. Se avesse iniziato anche lui, si sarebbero potuti riunire sotto un certo ponte di Venezia. In ogni caso, il capo delle guardie non sembrava affatto sorpreso, né arrabbiato.
«Abbiamo un mese.»
Feliciano annuì. «Voglio aiutare Lovino.» Finalmente, tornò a guardarlo negli occhi. «Se le cose non dovessero sistemarsi entro la fine del mese, ti prometto che ti ordinerò di non tacere più. Fino ad allora, obbediscimi.»
Ludwig chinò la testa. Feliciano sforzò un sorriso.
Non aveva modo di contattare Lovino, c'era il rischio di incappare in qualche clausola assurda che lo avrebbe messo in pericolo e il regno di suo nonno rischiava di essere inglobato dall'impero del re dei Sette Mari.
La cosa che più lo spaventava, però, era il rendersi davvero conto di cosa stesse succedendo. Lovino aveva preferito fare un patto con uno stregone e diventare qualcosa che disprezzava piuttosto che parlare con lui o con il nonno, ed era andato in un luogo che schifava senza avvisare nessuno, in cambio della libertà.
Era odio quello che provava per la loro casa?

*



Il pomeriggio trascorse nell'esplorazione della città degli umani. O almeno, questo era il piano di Lovino. La realtà era che Lovino aveva voluto sdraiarsi sul letto due minuti e, quando aveva riaperto gli occhi, erano le otto di sera e il fattorino di Gennaro aveva appena consegnato la cena.
Se non altro, lo sminchiamento del suo bioritmo tornò utile al suo piano di vendetta. Dopo la cena, s'impegnò nello studio della mappa del castello. Non era facilissima da leggere, dato che alcune didascalie avevano delle frecce che finivano affanculo, a segnare un trasferimento di stanza. Su quella cartina era segnato di tutto. In particolare, spiccavano quattro stanze, tra cui quella in cui risiedeva, segnate come "camere di Manon", con abbondanza di cuoricini - Indizio che portava a pensare che l'autrice di tutto fosse la cameriera. Degne di nota erano anche le didascalie "serra di Abel" e "Lucilin non vuole che si entri qui" - Non aveva idea di cosa coltivassero in quel castello, né perché il tesoriere non volesse gente in una determinata stanza, ma non aveva troppa smania di scoprirlo. I suoi occhi, piuttosto, furono presto calamitati da una stanza in particolare.
Uscì dalla sua camera verso le undici. Quando arrivò a destinazione, sentì in lontananza i rintocchi della mezzanotte. Che modo curioso di indicare l'ora all'intera città, persino di notte, ogni fottutissimo quarto d'ora. Almeno era utile.
Le gambe tremavano un po', ma i dolori erano passati quasi del tutto. L'odio per le scale no. Quello non sarebbe mai passato. Aprì la porta della camera del bastardo. Non fosse stato per la luce della luna e per le due finestre giganti, sarebbe stata al buio. Il bastardo dormiva, e dormiva supino. Lovino si lasciò sfuggire un ghigno e mise mano alla tasca. Tirò fuori il primo strumento della vendetta. Si avvicinò allo specchio in punta di piedi e si prese tutto il tempo del mondo per passare la punta densa del pastello nero sulla superficie riflettente.
Concluso il disegno - Non per peccare di superbia, ma era bellissimo -, Lovino si rivolse all'imbecille. Aveva un letto enorme e dormiva al centro. Avrebbe preferito rimanere con i piedi al pavimento - Strano a pensarlo, in effetti - ma doveva adeguarsi. Si inginocchiò sul letto e avanzò carponi, fino a trovarsi alla dovuta vicinanza. Estrasse il secondo strumento di vendetta. Lo mise dritto. Ora era il momento di fare piano. Con calma, delicatezza. Si chinò sulla vittima, avvicinò l'arma e-
Click.
Lovino sgranò gli occhi. Deglutì, ché di colpo si era ritrovato un groppo in gola. No, meglio non parlare di colpi. Il foro della pistola era premuto contro la sua tempia.
«Romano?» Antonio sbattè le palpebre. Sembrava incredulo. Abbassò la pistola e Lovino trattenne un sospiro di sollievo - Non si era spaventato, era solo stato colto di sorpresa!
«Che ci fai qui?» Sì, il cretino era confuso. Oppure era tranquillissimo, difficile dirlo. «Hai idea di quanto hai rischiato? Perché non hai chiamato-»
Con un attacco da vero guerriero agile e scaltro, Lovino bloccò quella cascata di domande stupide portando a termine la sua tortura. Antonio si toccò la faccia. I baffoni scuri erano saldamente attaccati al suo brutto muso e niente - Niente! - avrebbe potuto salvarlo, ora!
Gli stavano così male, erano così brutti, che Lovino scoppiò in una risata silenziosa.
"Questa devo farla anche al crostaceo!" Con una certa prepotenza, l'immagine di Ludwig, biondissimo, bianchissimo e serissimo, con dei mustacchioni giganti scuri in mezzo alla faccia si schiaffò nella sua mente. Lovino si lasciò andare all'indietro e ricadde tra le coperte. Mai gli era tanto dispiaciuto non poter fare una bella risata sguaiata - Possibilmente molto malvagia. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe bastato un paio di baffoni brutti per rovinare per sempre la reputazione di qualcuno? Magari il nonno avrebbe licenziato Ludwig per oltraggio alla decenza, e Feliciano non l'avrebbe più voluto, l'avrebbe (finalmente) trovato brutto e-
«Oh, i baffi per i travestimenti.»
Lovino riprese fiato. Gettò uno sguardo all'idiota. Sgranò gli occhi. Tornò seduto di scatto. Se li era tolti. Se li era tolti. Come aveva osato.
«Sono nella tua stanza, quindi?» Un sorriso enorme ed ebete. «Suppongo ci siano anche le parrucche. È un po' che li cercavamo, in certi casi sono molto utili!»
No. Non era tutto perduto. Aveva disegnato i baffoni anche sullo specchio quindi, quando il bastardo ci si fosse riflesso, li avrebbe visti sulla sua orrida faccia anche se non erano fisicamente presenti! Sarebbe andato nel panico, perché lo specchio avrebbe riflesso qualcosa di diverso da ciò che lui vedeva - E avrebbe avuto paura, avrebbe pensato di essere perseguitato da qualche entità misteriosa - E sì, lo era, era perseguitato da un tritone che voleva la sua vendetta, tremenda, sanguinaria, spietata vendetta!
«Sei venuto nella mia camera per mettermi i baffi mentre dormivo?» Una risata. «Che hai qualcosa contro di me l'ho capito, ma questo è un modo alquanto strano di vendicarsi.»
Lovino lo polverizzò con lo sguardo. Almeno, avrebbe voluto. L'intenzione c'era tutta. Come già quella mattina e quel pomeriggio, l'umano tutto sembrava fuorché spaventato. Doveva deficitare - tra le tante cose - anche di istinto di autoconservazione. Una persona normale l'avrebbe supplicato di lasciarlo in pace, di avere pietà di lui, avrebbe evitato con timore il suo sguardo, avrebbe cambiato strada non appena l'avesse scorso in lontananza - Il deficiente, invece, sosteneva il suo sguardo, lo fissava più del necessario, gli si avvicinava con troppa confidenza e-
No, quello era qualcosa che andava oltre la confidenza. Quello tra i loro visi era uno spazio di una manciata di centimetri, ma riuscì a schiaffare una mano sul grugno del maiale e a girargli la faccia. Purtroppo non gli spezzò il collo, quindi il subumano sopravvisse - In effetti, cosa sarebbe successo, in caso di morte del demente? Non era un'ipotesi a cui aveva pensato. Giunse alla conclusione che sarebbe bastato revocare il patto.
L'umano riuscì a liberarsi dalla sua presa. Se non altro, si rimise al suo posto. Rideva. In fondo, gli faceva pena. Di certo aveva molti problemi, soprattutto mentali. Con un ultimo sguardo schifato, Lovino scese dal letto. Aveva lasciato la tavola magica in camera, quindi c'era un solo modo per comunicargli la sua dichiarazione di guerra. Estrasse la matita nera, tornò allo specchio e, sotto gli orrendi ma ben disegnati baffoni neri, scrisse: "Questo è solo l'inizio.".
Senza degnare il cretino della minima attenzione, uscì dalla camera e si premurò di sbattere la porta. La sua vendetta era iniziata. Certo, l'idiota non se n'era reso conto ma, pian piano, la crudeltà delle torture avrebbe avvelenato la sua mente, fino a distruggerlo.
Si accorse di aver scordato i baffoni in camera. O meglio, in mano al bastardo.
Così come aveva lasciato la cartina sulla cassettiera, e non ricordava quali rampe di scale avesse fatto esattamente per ritrovarsi lì. Il castello, a quell'ora, era buio - Molto buio. E lui, senza voce, non avrebbe potuto chiedere niente a nessuno - Non che l'avrebbe fatto, ma la possibilità di poterlo fare, in qualche modo, era rassicurante. Lovino si guardò intorno. Dove cazzo era.
"... E ora come minchia torno in camera mia?".

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Note:
* Il titolo del capitolo viene da Love is War (Koi wa Sensou), canzone composta da Ryo e cantata da Miku Hatsune.
(Famosa, iconica, ma forse migliore in cover. Ad ogni modo, è praticamente la canzone portante di questa storia-)
L'altro titolo veniva da Baciala (Kiss the girl), ma qualcosa è andato storto.
* «I due indiani stanno al sole per un po', un si fuse come cera e uno solo ne restò.»: Una delle ultime strofe della filastrocca Dieci piccoli indiani.


Che crudeltà! Che spietatezza! La furia del principe Lovino è inarrestabile! (O qualcosa del genere.) Date le due canzoni che danno il titolo a questo capitolo, infatti, si può ben capire come Lovino sia mosso da genuina furia umanicida e rancoroso desiderio di vendetta, e che Antonio sia assolutamente terrorizzato dalla sua presenza. Tipo. Sempre che non faccia e soprattutto dica cose bizzarre.

(BTW, ma quant'è comodo che il nome da nazione di Sud Italia sia anche un nome effettivo? Così, se si scrive di Lovino che assume un altro nome, c'è già "Romano" bello pronto!) (... O viceversa, certo-)

Da questo capitolo entra in scena un elemento importantissimo: la tavola magica, alias la lavagna magica, che è importantissima perché è quella che avevo io da piccola. Non che ci scrivessi nulla di profondo o ci disegnassi Cappelle Sistine, è che trovavo affascinante tutto il suo funzionamento, e mi è tornata in mente mentre scrivevo, quindi eccola qui come Elemento Indispensabile! ☆

Con il prossimo capitolo si sarà ufficialmente a metà storia~ Tuttavia, dato che me ne vado in vacanza, ci si risente tra un paio di settimane. (Sarebbe stato più carino fare una pausa a metà precisa, ma così ha voluto il calendario-)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e auguro a tutti buone vacanze! (Fatele. Prendetevi il vostro tempo. È importante.) Ciao ciao!

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Capitolo 6
*** Die Fische ***


Capitolo VI
Die Fische ~ Voglio mangiare tonno, voglio mangiare tonno, voglio mangiare pesce fresco!


«Dove state andando, a quest'ora?»
Manon si voltò, e Lovino con lei. Gilbert era all'ingresso con Abel e il bastardo, e sembrava quasi confuso di trovare lì anche loro.
«A Sorrento!» Manon tirò su il cappuccio rosso della sua mantella. Sorrideva, luminosa come il sole appena sorto alle loro spalle.
«Non credo i negozi siano aperti, ora.» Sì, Gilbert era visibilmente confuso. Lovino non sapeva cosa pensare: la sera prima, Manon gli aveva detto soltanto che sarebbero andati a far compere a Sorrento.
«Ma per le undici sì.» Manon sollevò un dito. «Ora scusaci, il treno partirà tra poco!»
«Sono quasi le sette, che diamine-» L'albino si bloccò. Sgranò gli occhi. «Non vorrai mica-»
«Torneremo in un momento imprecisato tra le tre e le cinque!» Manon prese Lovino sottobraccio e lo spronò a camminare. «Ciao ciao!»
In verità, anche lui cominciava ad essere confuso. Il cretino e Abel erano rimasti in silenzio, Gilbert sembrava turbato. Lanciò un'occhiata a Manon: non avesse avuto lui attaccato al braccio, avrebbe saltellato fino alla sua destinazione. Non proprio l'atteggiamento di una persona spaventata. Forse gli elfi non provavano paura.
«Tranquillo, Romano!» Doveva aver notato il suo sguardo dubbioso. «La Circumvesuviana è un'esperienza che va vissuta in prima persona!»

Erano trascorsi sette giorni dal suo arrivo al castello. Dato che si era rifiutato di spiegare da dove venisse e di andarsene da lì, i cinque abitanti dell'abominio architettonico avevano deciso che si sarebbe guadagnato vitto e alloggio lavorando come domestico. Manon era stata la più veloce e l'aveva subito preteso come collega. Lovino era stato felicissimo della cosa. Poi lei aveva cercato di fargli indossare un vestito da cameriera più nei gusti di Feliciano che dei suoi e Lovino aveva optato per la fuga. Avrebbe benissimo fatto il cameriere con i suoi vestiti. Era un lavoro ottimo. Eccellente, avrebbe detto.

«Non trovo più i miei stivali.»
«Ah, mi chiedevo perché fossi scalzo.»
«Manon, hai visto i miei stivali?»
«Uh? No, perché avrei dovuto?»
«Romano, sai dove sono i miei stivali?»
«"..."»
«Romano, dove hai messo i miei stivali?»
«"..."»
«Vabbè, non è una tragedia, mettitene un altro paio.»
«Intendevo... Dove sono
tutti i miei stivali?»


Fare il cameriere gli permetteva molta più libertà di quanto avesse potuto sperare. Soprattutto perché Manon era stata molto brava nel dividere equamente i loro compiti: lei si sarebbe occupata delle camere dei suoi fratelli, di Gilbert e delle quattro di sua autoproclamata proprietà - Dunque la sua era compresa -, mentre lui si sarebbe occupato di quella del bastardo. Non era sicurissimo fosse una divisione matematicamente perfetta ma, se Manon era contenta così, chi era lui per opporsi?

«Sai, Manon...»
«Cosa, Antonio?»
«A volte ho l'impressione che tu ti stia divertendo alle mie spalle.»
«Oh, ma io non riderei mai di qualcosa che ti dispiace!»


Per quanto riguardava il resto del castello, Lovino aveva scoperto il segreto di Manon: un giorno - Lei gli aveva spiegato che lo faceva una volta a settimana -, usciva di buon mattino, e tornava con una ventina di donne abbigliate tutte allo stesso modo, dall'aria decisa e dalle braccia da far invidia a Ludwig. Nel giro di una mattinata, lustravano il castello da cima a fondo. Al momento di andarsene, Manon dava a ciascuna una cospicua quantità di dischetti dorati.
Lovino si era sentito rassicurato: Manon non era costretta a pulire l'intero castello da sola - né sarebbe stato costretto lui. L'elfa era senz'altro una donna saggia e lungimirante.
Poteva dire lo stesso anche dei suoi fratelli. Ne aveva avuto una prova ascoltando un discorso tra Abel e Capitan Cazzone.

«Purtroppo è così. Non possiamo più sostenere i costi delle terre alle pendici del vulcano Heruptione Hymminen.»
«Dovrò vendere anche quelle?»
«Temo proprio di sì.»
«È triste, ma almeno ci guadagnerò qualcosa.»
«Guarda, non voglio rovinarti l'umore, ma non posso non farti notare che sarà estremamente difficile trovare qualcuno che ti compri roba da quelle parti.»
«Dobbiamo comunque provare. Quelle terre valgono molti soldi, non è un affare da buttar via.»
«Antò, già è difficile, se le metti a molti soldi puoi star certo che non le vorrà nessuno.»
«E allora cosa posso fare?»
«Te le compro io.»
Un lungo, lunghissimo istante di silenzio.
«Come quelle sulla Scogliera Sgretolante, eh?»
«E quelle sui Monti Dispersi.»
«Va bene. Dammi molti soldi e sono tue.»
«Non se ne parla. Accontentati di un po' di soldi.»
«Un po' di soldi? Assolutamente no! Un po' molti soldi, invece?»
«Troppo. Un po' meno di molti.»
«Un po' molti di meno?»
«Un po' molti di meno di molti.»
«Affare fatto!» Un altro lunghissimo istante di silenzio. «Anche se ho come l'impressione che ci sia qualcosa di sbagliato.»
«A me non sembra.»


Il castello era un posto un po' strano. Però non era sgradevole, e quattro abitanti su cinque erano accettabili. Inoltre, la sua vendetta procedeva senza intoppi. Pensandoci bene, non vedeva alcun motivo per cui pensare che le cose non sarebbero andate per il verso giusto.

*



I timori di Feliciano e Francis si erano rivelati fondati: era impossibile avvicinarsi al principe Lovino.
Ludwig e Feliciano avevano tenuto sotto controllo il castello per sette giorni. In quella settimana, avevano scoperto che quel luogo era abitato da cinque persone - Il famigerato Antonio, di solito vestito di rosso, un uomo vestito di nero che spesso accompagnava il capitano, un gigante, un giovane abbigliato in modo elegante e una donna - e il principe Lovino era sempre insieme ad almeno una di quelle cinque persone - Soprattutto la donna e, strano a dirsi, il capitano. Anche quando non usciva dal castello, l'edificio era occupato sempre da almeno un'altra persona. Se fosse un piano, la casualità o la sfiga, non seppero dirlo.
In compenso, avevano tracciato gli orari di uscita e di rientro dei vari inquilini. Ciò che tornava più spesso era la tendenza a lasciare completamente vuoto il castello una mattina sì e una no. Il capitano e l'uomo in nero erano quelli che si assentavano più spesso, seguiti dal gigante, dalla donna e, infine, dal giovane. Il principe Lovino si adeguava ai tempi del suo accompagnatore, e faceva una certa impressione vederlo camminare su due gambe - Vederlo senza scaglie o pinne, umano come mai sarebbe voluto essere.
Ad onor del vero, Ludwig vedeva tutti da lontano, perché Feliciano non sembrava intenzionato a restituirgli il binocolo. L'importante, tuttavia, era il fatto che fossero stati in grado di attuare un piano.
Quella mattina si era rivelata perfetta per mettere in atto il Piano B. (Il Piano A era di Feliciano, e consisteva nel portare in superficie un cannone trovato in un qualche relitto e usarlo per sparare uno squalo nel castello. Il piano era fallito ancor prima di iniziare in quanto nessuno squalo si era offerto volontario, e Feliciano non aveva cuore di costringere nessuno a partecipare ad un piano tanto stupido rischioso. Interrogato sul perché un piano del genere avrebbe potuto avere un qualche effetto, Feliciano aveva semplicemente detto che Lovino non avrebbe mai potuto dubitare che quella fosse opera sua, e che quindi fosse ovvio che stesse cercando di contattarlo.) Il Piano B prevedeva che il castello fosse deserto: a quel punto, Ludwig si sarebbe introdotto nella fortezza, e avrebbe cercato la camera assegnata al principe; una volta trovata, avrebbe adagiato da qualche parte un'alga con un messaggio per lui - "Stiamo cercando di contattarti.". (Feliciano avrebbe voluto scrivergli qualcosa di più profondo, ma Ludwig gli aveva fatto notare che avrebbero potuto sbagliare stanza, di fatto facendo sì che il principe fosse scoperto. Aveva però chiesto a Feliciano di scrivere il messaggio di suo pugno - La sua sarebbe stata l'unica calligrafia che avrebbe impedito a Lovino di stracciare l'alga.) Un messaggio semplice e diretto, a cui sarebbe stato facile rispondere - Sarebbe bastato presentarsi sulla spiaggia, o affacciarsi ad una finestra. Se il principe non li avesse voluti intorno, il suo ignorarli sarebbe bastato a lasciarlo intendere.
Quella mattina, il castello era vuoto e, secondo i loro calcoli, la prima a tornare sarebbe dovuta essere la donna, verso le due del pomeriggio. C'era una buona possibilità che tornasse prima il giovane, verso mezzogiorno, ma era meno probabile. In tal caso, avrebbero avuto due ore di tempo. Sembrava abbastanza per vagare in un edificio e analizzarne le stanze, in modo da individuare quella che avesse più probabilità di appartenere al principe Lovino.
Il castello aveva un'entrata principale sulla strada degli umani, una che dava sul mare che sembrava più una trappola mortale che un ingresso e una molto più piccola e nascosta - A giudicare dal fatto che ci passavano solo se avevano grosse buste cariche di cibo, doveva trattarsi della porta della cucina. Era laterale e abbastanza nascosta e, soprattutto, non era mai chiusa. C'erano tre possibili motivi per cui quella porta non venisse mai chiusa. Il primo era puramente tecnico: forse la porta era rotta e non avevano mai pensato di sistemarla. Il secondo era più incosciente: forse quella che veniva chiusa a chiave era la porta che dava dalla cucina al resto del castello, e nessuno aveva sentito il bisogno di occuparsi anche di quella che dalla cucina dava all'esterno. Il terzo era più preoccupante: semplicemente, erano tutti abbastanza sicuri di uscire vincitori da un incontro ravvicinato con un malintenzionato. Il terzo punto era preoccupante perché, a conti fatti, Ludwig si apprestava ad introdursi in un edificio non invitato, passando da una porta seminascosta, cosa che avrebbe potuto farlo scambiare per un malintenzionato. Doveva essere rapido e deciso. Nessuna esitazione e nessun errore.
«Feliciano...»
«Sì, Ludwig?»
«Potresti allentare un po' la presa sul collo?»
«Veee~»
Ludwig si era opposto alla decisione di Feliciano di seguirlo. Oltre ad essere un compito pericoloso, le code e le pinne di Feliciano non erano fatte per camminare sulla terraferma. Ludwig si era opposto, si era opposto con tutte le sue forze, era dovuto ricorrere al suo tono più severo e al suo sguardo più intransigente, e ora il secondogenito era abbracciato saldo alla sua schiena.

La porta era difettosa. Dunque la motivazione era quella più tecnica. Nulla vietava, tuttavia, che fosse corretta anche la terza.
La cucina era molto più piccola di quella del castello del Regno del Mare. Non superava i quattro metri d'altezza, ed era ampia abbastanza da farci sdraiare una megattera. Il perimetro era ricoperto di banconi, dispense e ripiani assortiti. La parte centrale era occupata da due tavoli e, nonostante le sedie, era più probabile servissero alle attività culinarie che al mangiare effettivo.
Arrivarono nella stanza dopo aver percorso un breve corridoio buio, buio per nessun motivo se non per una probabile dimenticanza di luci. Erano spuntati nell'angolo in basso a sinistra della stanza e la porta per il resto del castello era in alto a destra. Bizzarra planimetria.
«Ludwig!»
Ludwig scattò sull'attenti, la mano andò alla frusta. «Cosa?»
«Quello è un tritasassi vero!»
Ludwig si rilassò. Feliciano stava indicando quello che secondo Francis era un mattarello, che serviva a stendere l'impasto per l'amata pasta di Feliciano e tante altre belle cose. Per qualche motivo, Feliciano si era convinto che servisse a picchiare i sassi fino a triturarli - E che potesse essere usato anche contro le persone, magari senza triturarle.
«D'accordo che non c'è nessuno,» Ripose la frusta. «ma non per questo dobbiamo urlare. Cerca di prestare attenzione a ciò che vedi-»
«È quello che sto-»
«-e che ti possa ricordare il principe Lovino. Ogni indizio circa l'ubicazione della sua stanza è prezioso.»
Sentì Feliciano annuire. Ogni indizio era prezioso per accorciare il tempo, sia per timore che rientrassero gli umani, sia perché non sapeva quando l'altro avrebbe iniziato ad essiccarsi. Non era un giorno torrido, ma era senza dubbio caldo.
Percorse la cucina e giunse alla porta in alto a destra. Girò la maniglia e quella non si oppose - Anche quella veniva lasciata aperta? O quelle persone erano spaventose, o erano un branco di incoscienti. Aprì la porta.
Scale.
Scale ovunque.
Scale in verticale, in diagonale, persino in orizzontale - Tutto era scale, la visione d'insieme dell'interno del castello sfumava nel concetto stesso dell'unione dei singoli gradini. E andavano in alto, molto in alto, troppo in alto.
Sentì Feliciano allentare la presa. Anche lui fu sul punto di arrendersi. «Scheiße.» Richiuse la porta. Doveva essere forte. Doveva essere forte soprattutto per Feliciano.
«Feliciano.»
«Ve?»
«Non credo sia fattibile.»
«Non credo.» La sua voce si era svuotata di ogni entusiasmo.
Sulla terraferma, i loro corpi erano fissati al suolo e non potevano andare ovunque volessero - Dovevano sottostare alle leggi della fisica. Ispezionare ogni singola stanza avrebbe richiesto del tempo, ma percorrere tutti quei gradini avrebbe allungato le tempistiche di almeno il doppio, se non il triplo. Ovviamente, Feliciano non sarebbe mai stato in grado di affrontare le scale. Ludwig avrebbe potuto, ma non era certo che il suo addestramento sarebbe stato abbastanza per non farlo collassare in un punto imprecisato - Con Feliciano sulle spalle, poi, sarebbe stato ancora più difficile.
Si riprese. Doveva risistemare le idee. «Dobbiamo pensare ad un Piano Bβ.»
«Non C?»
«No, il piano B va benissimo.» Tornò indietro e si inginocchiò con le spalle ad una sedia. Feliciano si lasciò cadere e Ludwig potè rialzarsi senza passeggeri. In troppi sottovalutavano il reale peso delle code delle sirene e dei tritoni. «Ma dobbiamo apportare delle modifiche. Esplorare ogni stanza è fuori questione e andare a caso sarebbe solo una perdita di tempo.»
«Potremmo esplorarne un po' per volta?»
Ludwig scosse la testa. Si lasciò andare contro uno dei banconi. «Questo è un piano rischioso, non è il caso di prolungare la sua esecuzione per diversi giorni. Inoltre, nulla ci garantisce che, nel mentre, al principe non venga assegnata un'altra stanza, magari una di quelle che avremmo già visto.»
Feliciano annuì, piano. Era abbattuto, ma Ludwig non aveva idea di cosa dire o fare per tirarlo su di morale. Veder crollare un piano ad un passo dalla sua riuscita era una cosa terribile - Senza contare l'ansia che doveva star provando per suo fratello. Non fosse che il principe Lovino non aveva chiesto la loro interferenza, si sarebbe arrabbiato con lui. Ma quella situazione era troppo paradossale, troppo pericolosa per poter pensare di arrabbiarsi con qualcuno.
No, d'accordo, avrebbe voluto fare la più lunga ed elaborata delle strigliate al principe Lovino, tirare un ceffone allo Stregone del Mare e tirarne due al capitano Antonio. Non avrebbe potuto fare nessuna delle tre, ma ne assaporava l'idea nella mente.
«Ci sarebbe il Piano A...»
«Feliciano, non attueremo il Piano A.»
Qualunque cosa potessero pensare, però, rimaneva il fatto che il Piano B fosse andato a rotoli e che nessuno di loro due sembrava avere neppure un abbozzo di idea per un Piano Bβ. Non che Ludwig pensasse che Feliciano potesse ideare un Piano Bβ coerente e fattibile, ma avrebbe potuto offrire qualche idea utilizzabile in un contesto più-
Si fermò. Qualcuno era entrato. Feliciano fissava l'entrata. Da dove era seduto, vedeva il corridoio nella sua interezza, ingresso compreso. E, nel vedere i suoi occhi sbarrati, era ovvio che qualcuno stesse ricambiando il suo sguardo.
Doveva trattarsi di uno degli umani. Gli umani avevano diverse armi, ma la sua corazza sarebbe dovuta essere in grado di proteggerlo da all'incirca tutte. Lo spazio tra il bancone, il tavolo, la sedia e la porta era troppo stretto e, se avesse usato la frusta, avrebbe rischiato di colpire Feliciano. A meno che non si fosse trattato del gigante, Ludwig poteva dirsi certo di essere fisicamente più forte di chiunque fosse nel corridoio. La cosa migliore da usare erano le tenaglie.
La persona nel corridoio avanzava piano. Non sentiva i suoi passi, ma non doveva star abbandonando lo sguardo di Feliciano. Era abituata a non farsi sentire, ma doveva aver sentito loro e, quasi certamente, doveva aver visto dove Feliciano stesse guardando fino ad un attimo prima. Era ovvio che volesse uscire di colpo dal corridoio e aggredire l'altro intruso. Lo sguardo fisso di Feliciano non poteva che significare che l'umano stava brandendo un'arma.
Un lampo nero. Ludwig scattò in avanti e afferrò un collo grande quanto uno solo dei suoi pugni. La pistola cozzò contro la sua armatura, ma non ci fu nessuno sparo. Due occhi rossi, dei capelli bianchi e un volto pallido che conosceva.
«Was-»
«Ludwig?» L'uomo in nero aveva pronunciato il suo nome. La voce era soffocata per ovvi motivi, ma quel tono rauco e gracchiante l'aveva già sentito.
«Gilbert?»
Per quanto il mondo degli umani fosse strano, era impossibile che esistesse un altro albino dalla voce gracchiante che lo chiamava per nome e aveva la faccia di suo fratello.

*



Manon aveva ragione. Quel viaggio era stato un'esperienza che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Aveva passato diversi minuti a fissare della verdura appesa sopra i sedili, mentre nell'aria l'odore di un qualche tipo di cipolla si mischiava ad un bizzarro odore di bruciato. Durante il tragitto, il rumoroso regaleco di ferro si era fermato in un luogo dove soffiava la bora e, leggeri, cadevano dei fiocchi di neve, anche se era piena estate. Aveva imparato il termine "materiale rotabile" - Non aveva capito cosa significasse, sapeva solo che, qualsiasi cosa fosse, mancava. Era stato confuso nel seguire alcune persone che discutevano dello stato di esistenza delle cose - Tipo che tale Poggiomarino non fosse Sorrento, o qualcosa del genere. Poi, Manon gli aveva detto di tenersi forte, e le era stato grato perché, quando il regaleco di ferro si era fermato la prima volta, degli sventurati erano volati un metro più avanti. In tutto quello, la curiosa tendenza della creatura ferrosa a fermarsi nei luoghi più disparati, a volte senza ragione alcuna, gli aveva permesso di guardare quel mondo asciutto, fatto di pietra, alberi e aria. Le nuvole erano lontane anche lassù, le montagne rimanevano enormi anche lassù. Che cosa bizzarra.
Tornato a Napoli, era così assorto da metterci qualche secondo a realizzare la presenza di Abel e del cretino all'uscita della stazione.
«Romano è sopravvissuto.» commentò Abel. Se non altro, non sembrava troppo stupito.
«Sono le quattro e mezza.» Manon guardò prima suo fratello, poi l'altro scemo. «Ci state aspettando dalle tre?»
«Nah.» L'idiota alzò le spalle. «Abbiamo finito ora anche noi. Mi sembrava giusto che Abel ti riaccompagnasse a casa. Non pesa troppo, tutta quella roba?»
Lovino era certo che mancassero almeno due collegamenti logici in quelle frasi. In ogni caso, scosse la testa. Manon aveva un carrello e i carrelli di superficie avevano le ruote, quindi non c'era alcun problema nel trasportare quei diciassette bustoni di spesa - quattordici dei quali straripavano di limoni, limoncelli, bottiglie a tema limone, dolci al limone e calamite a forma di limone. Aveva supposto che gli elfi amassero molto i limoni, ma c'era da dire che la città stessa in cui erano stati era capace di convincere il prossimo che i limoni fossero fondamentali per la sopravvivenza.
Anche Manon aveva scosso la testa. Si guardò intorno. «Gilletje?»
«Stamattina è andato alla Birreria della Birraglia Birracchi. Credo volesse la birra e perculare gli agenti di polizia. Non so dove sia ora. E» aggiunse subito il cretino: «Lucilin sta portando avanti il suo Monopoli 3D. Sta gestendo un'asta per la Banca di Barbabarca.»
«Che carino!» Non il commento che avrebbe fatto Lovino, ma Manon era libera di commentare come voleva.
«Su, Abel.» L'idiota fece un cenno al carrello. «Fa' il gentiluomo.»
«Il gentiluomo.» Abel trattenne un sorriso troppo simile ad un ghigno. «Certo.» Si rivolse a Manon. «Manonnetje, il capitano ti ringrazia per le tue sfavillanti doti di guida turistica.» Prese il carrello con una mano e lo spinse verso l'uscita. Manon guardò l'imbecille, interrogativa.
«Come capitano e padrone di casa,» Un sorriso un po' troppo soddisfatto, per quello che stava dicendo. «ora mi occuperò io di Romano. Tu va' pure con Abel.»
«"Nessuno mi ha interpellato a riguardo."» Lo scrisse sulla tavoletta, ma nessuno si degnò di leggerlo.
Manon, invece di difenderlo a spada tratta, sorrise, gli fece «Ciao ciao!» e saltellò dietro al fratello. Forse, l'elfa aveva capito quale fosse il suo scopo e, con grande saggezza, aveva permesso che rimanesse da solo con lui per poter attuare la sua vendetta. Che donna piena di arguzia!
«Avete pranzato?»
Lovino scoccò un'occhiataccia al deficiente. Non era una domanda assurda, ma non avrebbe reagito in altro modo a qualsiasi sua domanda.
«Direi di no.» Gli porse il braccio. Lovino, come sempre, lo rifiutò. «So dove portarti. Seguimi.» Lovino, come sempre, lo seguì senza scrivere una parola, ma osservandolo con tutto l'odio di cui era capace.

Aveva già sentito parlare di Catriona la Figona. Lucilin gli aveva spiegato che era lì che risiedeva la ciurma del bastardo. A prima vista, sembrava un normalissimo luogo di ristorazione, con tanto di tavolini all'aperto. Ed era ad uno dei tavolini all'aperto che Lovino era seduto, tavola magica in grembo e sguardo sullo strano cibo che gli era stato portato - Ordinato dal cretino, senza interpellarlo, dicendogli solo che: «Dato che ti piace mangiare con le mani e il pomodoro, questa ti piacerà senz'altro!».
Era rotondo, e copriva il piatto alla perfezione. Il bordo era più alto di almeno due dita, una pasta bianco-gialla-marroncina con piccole chiazze bruciacchiate. Al centro, per la quasi totalità della sua estensione, la salsa rossa chiamata sugo di pomodoro, delle spugne bianche e delle foglioline verdi. L'odore era ipnotico. Qualcosa di ancora più potente del canto di una sirena.
Si sarebbe volentieri lanciato su quello strano cibo, ma la presenza del cretino lo distraeva. Lui aveva già mangiato, quindi si limitava ad aspettare di vedere se lui si sarebbe lanciato su quella pasta rotonda che si mangiava con le mani e aveva un odore fin troppo buono.
«Mangia, o si fredda!»
«"Ti hanno mai detto che è inquietante guardare la gente che mangia?"»
Il cretino non parve imbarazzarsi neppure un po'. «Non sono così inquietante. Voglio sapere se ti piace, poi ti lascerei stare.» Lovino aveva i suoi profondissimi dubbi.
D'un tratto, il bastardo parve accorgersi di qualcosa. Si voltò, guardò in alto. Lovino seguì il suo sguardo. C'era qualcosa, su una delle finestre del piano superiore del locale: tre lenzuola legate tra loro fluttuavano senza vento, dirette verso il cielo.
«Capitano!»
Lovino abbassò lo sguardo. Un uomo era arrivato al tavolino di corsa, l'espressione sconvolta. Il tizio si accorse di lui, sorrise e chinò la testa: «Buon pomeriggio, signore!». Tornò a guardare quello che la sfortuna aveva voluto fosse il suo capitano, la faccia di nuovo spaventata.
«Cosa succede?» Capitano che, stranamente, era serio.
«Le lenzuola stanno cercando di evadere!» Ormai l'uomo boccheggiava. «José e Pedro stanno facendo di tutto per trattenerle, ma sono troppo forti!»
«Raul? Dov'è Raul?»
«Le lenzuola l'hanno chiuso in bagno, capitano.»
«E che cazzo, Raul.»
«Pablo crede che potrebbero diventare violente e prendere qualcuno in ostaggio.»
«Non dire altro.» Il bastardo si alzò. Si rivolse a Lovino, con il suo solito sorriso ebete. «Tu mangia pure, Romano, mi dirai quando torno!» Quando tornò all'uomo, il suo volto era cupo e in mano aveva un'alabarda. Da dove e quando l'avesse presa, era ignoto. «Portami da loro.»
Dato che quel demente si era tolto dalle palle, Lovino poteva dedicarsi al cibo - Ah, pizza, si chiamava! Ora ricordava! Era curioso di provarla, in effetti. Era già tagliata a fette, quindi la assaggiò.
Gli umani erano senz'altro sciocchi, ma non potevano essere malvagi. Come può qualcosa di malvagio creare qualcosa di così bello?
Forse, la misteriosa Catriona era una divinità. Pensandoci bene, però, c'erano tantissime persone in grado di fare quel pasto - Dunque, in realtà, Napoli era abitata da divinità? O che fosse stata Partenope, la sua divina antenata, a donare agli uomini il segreto della creazione dell'ambrosia? Come sarebbe potuto tornare nel mare, ora che aveva assaggiato il frutto proibito che già mise nei guai Eva e Proserpina?
No, pensandoci bene, la frutta avrebbe fatto schifo, là sopra. Il pomodoro, le spugne bianche e le foglioline verdi erano perfette. Aveva notato diverse combinazioni, in realtà, ma non aveva mai approfondito - Non poteva sapere se quel cibo gli sarebbe piaciuto, allora era troppo ingenuo per comprendere la natura superiore di quel dono divino.
«Romano, il piatto non si mangia.»
Lovino tornò al mondo terreno. Il bastardo era tornato, la pizza era sparita e lui stava addentando il piatto. Ripose il piatto sul tavolo e si pulì con il fazzoletto - Ci aveva messo solo due giorni a capire a cosa servisse il ritaglio di stoffa sulla tavola! Solo che quello che aveva ora non era stoffa vera, era molto più ruvida.
«Direi che avevo ragione!» L'imbecille sembrava compiaciuto. Poverino, per una volta che aveva ragione nella sua triste esistenza. Lovino lo lasciò fare. Con la coda dell'occhio, notò che non c'era più alcuna traccia di lenzuola volanti.
«Dato che tu non dormi, dopo pranzo...»
Lovino si alzò prima che il bastardo potesse porgergli il braccio o la mano.
«C'è un altro posto in cui vorrei portarti.»
Sarebbe voluto essere titubante, guardarlo male come sempre, però l'aveva portato in un luogo benedetto dalle divinità, quindi le probabilità che fosse un posto interessante volgevano a suo favore. Sarebbe comunque rimasto guardingo. Era pur sempre il bastardo.

Pensava fosse una grande scatola sulla costa, invece era un museo pieno di navi. Non era esattamente come il Cimitero dei Relitti: le navi a casa sua erano rotte e per la maggior parte nuova patria di svariate forme di vita acquatica, quelle là dentro erano ancora intere - Non sapeva pronunciarsi riguardo al funzionanti, ma tanto erano in una grossa scatola sulla costa, e non sarebbero mai passate per la porta d'ingresso. La cosa più affascinante era la presenza di navi così piccole che non potevano che essere state costruite da gnomi o da fate. Perché fossero in un museo umano, non lo sapeva e la targhetta non diceva niente a riguardo - Parlava solo di scale con numeri divisi da due punti.
Doveva essere un luogo interessante, per un umano poco avvezzo alle navi. Per lui, era normale amministrazione. Più che altro, perché il cretino, un pirata proprietario di un vasto numero di navi (affondate), sarebbe dovuto entrare lì dentro?
Ebbe la sua risposta quando arrivò ad una certa sala. Nessuna nave intera, solo pezzi staccati o ritagliati male dalla chiglia o dalla carena, brandelli di vele, un timone intero, un paio di bandiere e frammenti di scogli. Le forme a checazzogono gli garantirono che si trattava di frammenti di Scogli Scomodamente Stazionati. Sulla parete di fronte all'entrata spiccava un quadro alto un paio di metri, che ritraeva una squinzia nuda spiaggiata con le gambe avvolte da un panno blu. Accanto all'entrata, invece, un cartellone illustrava la storia della Sirena degli Scogli, con una dovizia di particolari che garantiva il suo corrispondere a fatti realmente accaduti - Giusto la descrizione della sirena come splendida donna dai lunghi capelli biondi e grandi occhi blu stonava un po', ma questo potevano saperlo solo Lovino e il bastardo.
Dunque era quella la sala dedicata a lui al museo nautico. Trattenne un sorriso. Quello era lo specchio in superficie della sua collezione sottomarina. Non fosse stato costretto a nascondere la propria identità, avrebbe preteso che la squinzia svergognata fosse fatta sparire e che il quadro fosse sostituito da una statua megalitica raffigurante le sue meravigliose fattezze.
«Sai,» Il bastardo prese la parola. Guardava il quadro. «in realtà, la Sirena degli Scogli non somiglia affatto a quella là.»
Lovino non aveva idea di che reazione avere a quell'affermazione. L'unica cosa che sapeva era che doveva aumentare il numero di centimetri di distanza dal cretino, ché le loro braccia quasi si sfioravano. Eseguito il suo dovere morale, decise che la cosa migliore da fare fosse guardare il quadro a sua volta, magari con un'espressione che sperava sembrasse pensierosa.
«Anzi,» Sentì il cretino trattenere una risata. «a guardarla bene, è molto meno bella della Sirena.»
Era la seconda volta, quel giorno, che concordava con quell'imbecille. La straordinarietà dell'evento poteva ridursi alla semplice constatazione che, nonostante la stupidità, il capitano avesse quantomeno un gusto eccellente in fatto di bellezza fisica.
«Io l'ho incontrata, sai?»
Sì, era sottinteso dalle sue parole. Un dubbio. Forse non era poi così normale, per gli umani, incontrare una sirena. Forse l'idiota gliel'aveva detto per suscitare in lui una qualche reazione di stupore, o di ammirazione. Se le cose stavano in quel modo, non poteva permettersi di non sfotterlo. Mise mano alla tavola.
«"Certo, come no."»
«Dico sul serio!» Non sembrava offeso. Sembrava, anzi, divertito. Non che Lovino avesse (troppo) sperato il contrario.
Scrisse un'altra frase. Gliel'aveva servita come neppure la nobile Catriona gli aveva servito la divina pizza. «"E magari lei si è perdutamente innamorata di te."»
«No, in realtà mi odia.» Semplice, diretto e, soprattutto, corrispondente al vero. «Cioè,» Il cretino inarcò appena le sopracciglia, nel difficile tentativo di pensare. «all'inizio non ci stavamo simpatici. Dopo siamo andati d'accordo. E ora lui mi odia.»
Non si poteva negare che quella vicenda si fosse evoluta in modi quantomai bizzarri, e con una certa rapidità. Lovino non aveva idea di che espressione avesse, ma doveva essere qualcosa che una persona poco sveglia avrebbe identificato come interrogativa.
«Ci siamo incontrati un mese fa. Circa.»
Era in vena di racconti, a quanto sembrava. Lovino si fece attento - Era curioso di sapere in che modo assurdo quel bastardo avrebbe manipolato la realtà, per poter apparire come la povera vittima martirizzata di un mostro spietato e senz'anima. Se non altro, sarebbe stato solo lui a sentire quella sequela di puttanate, data l'assenza di qualsiasi altra forma di vita in quella stanza.
«Più che incontrati, ci siamo scontrati.»
"No, tu mi hai attirato in una grotta del cazzo con un insulto di trappola. Non che io sia caduto nella tua trappola, ero solo impietosito." Già iniziava a distorcere i fatti. Si iniziava bene.
«Lui mi aveva fatto un torto,» E questo poteva essere considerato vero. «e io volevo fermarlo.» Anche questo, più o meno. «Già che c'ero, mi ero detto che avrei potuto studiarlo. Non capita tutti i giorni di incontrare una sirena!»
Gli aveva confermato che non fosse normale incontrare gli abitanti del Regno del Mare. Quindi, Lovino avrebbe dovuto continuare a comportarsi come se l'altro stesse dicendo una marea di cazzate, e la cosa non avrebbe richiesto il minimo sforzo.
«Alla fine, però, siamo giunti ad un accordo pacifico.» Il bastardo alzò le spalle.
«"Accordo pacifico?"»
Il cretino non si scompose. «Affascinamento da sirena.» Accennò ad un sorriso, ma molto meno ampio di quanto si sarebbe aspettato. «Dubito crederesti al resto.»
Se aveva capito come funzionavano gli umani, in effetti nessuno avrebbe creduto ad un pirata che andava dicendo di essersi fatto una sirena.
«Un giorno, gli ho detto una cosa che non gli è piaciuta.» Mise le mani in tasca e tornò con lo sguardo al dipinto. Non lo stava vedendo davvero. «Mi ha proclamato odio eterno e mi ha promesso di vendicarsi.» Incontrò il suo sguardo. «Mi credi?»
Lovino serrò le dita attorno alla tavola. Avrebbe dovuto sentire una gran voglia di fracassargliela sulla testa, o di imprimergli il calco della sua, di testa, sulla fronte, magari spappolandogli la faccia. Invece, scrisse una frase.
«"Che cosa gli hai detto?"»
Il bastardo lesse la frase con più lentezza del dovuto. Ovvio ci avesse messo un secondo, erano gli altri cinque ad essere superflui. Alla fine, alzò lo sguardo su di lui.
«Che non aveva un'anima.»
Nessun dramma, nessun tentativo di compatimento, neppure un po' di rabbia, o testardaggine. La sua voce era solo terribilmente fredda.
Lovino cancellò la scritta e conficcò il pennino sulla superficie. Sentì degli stridii, ma non gli importava, anche se la tavola non era sua e avrebbe dovuto restituirla, prima o poi - Ma, tanto, sarebbe stata colpa del bastardo, se fosse rimasta rigata o se si fosse rotta.
«"È OVVIO CHE SI SIA INCAZZATO CHE CAZZO DI FRASE È MA SEI COGLIONE"»
L'imbecille non cambiò espressione. Sembrava solo aver preso atto della sua scritta. «Non sei il primo a dirmelo.»
Bene, almeno conosceva persone intelligenti. Povere persone intelligenti, costrette a stare a contatto con un simile plancton cerebrale.
«"Tiferò per lui, quando si vendicherà e a te non rimarrà che tornartene da dove sei venuto!"» Lovino si bloccò, il pennino a mezz'aria. C'era un dettaglio che non tornava, in tutto quello. Scrisse, stavolta più piano. La tavola non sembrava essersi rigata, e la cosa lo tranquillizzò. «"Ma tu perché sei ancora qui? Non abiti in Spagna?"» Tra l'altro, se ben ricordava, Gilbert lo aveva più volte spronato a tornare, segno che non avesse nulla da fare, a Napoli.
Finalmente il bastardo cambiò un po' espressione. Era una parvenza di stupore. Il silenzio che seguì gli fece capire che non era tanto per la domanda, quanto per il rendersi conto della risposta. Povero cretino, si stupiva dei suoi stessi pensieri.
«È che...» Parlava piano. «Sembrerà assurdo, ma non voglio andarmene senza prima aver sistemato questa faccenda.»
"Ma davvero?" Non lo scrisse. Scrisse altro, più velenoso. «"Perché hai paura che, se te ne andassi e poi tornassi qui a Napoli, ti farebbe naufragare tutte le navi, vero? Vuoi tenertelo buono per salvaguardare i tuoi tesori."»
Il bastardo lesse. E qualcosa dovette esplodere nel suo cervello, perché in nessun modo a quelle affermazioni si sarebbe potuto rispondere con una risata divertita.
«Ma come ti viene in mente, Romano?»
In quel momento, del tutto a caso, Lovino impiegò qualche secondo nel realizzare che "Romano" fosse lui.
«La sirena ha già affondato trenta delle mie navi, non può arrecarmi più danno economico di quanto già non me ne abbia fatto!» Ottimo a sapersi. Un po' triste, ma ottimo che gli avesse inflitto un colpo così pesante. «Ma come hai fatto ad intuire che fossi andato a cercarla perché mi aveva affondato le navi?»
Lovino trasalì. «"In che senso?"»
«Non ho mai detto che queste» Bussò contro un pezzo di carena. Nessuno rispose - Per fortuna. «fossero mie.»
L'allarme orca incazzata gli perforò la mente, senza che neppure ci fosse un allarme orca incazzata. Scrisse qualcosa sulla tavola, e sperò che fosse abbastanza credibile. «"Che cazzo di domande fai? Questa non è la stanza riservata alla sirena che affonda le navi? E che cazzo di torto avrebbe dovuto farti? Sei povero da far schifo, è ovvio che sia colpa sua!"» Era stato tentatissimo dallo scrivere "merito suo", ma forse sarebbe sembrato più sospetto che perculatorio.
«Sei davvero astuto, Romano!»
«"No, sono solo una persona normale."» Guardò il pezzo di carena che avevano accanto. «"Tu sei talmente idiota che hai donato pezzi delle navi al museo, piuttosto che rivenderli. Fai schifo con l'economia. Meno male che se ne occupano Abel e Lucilin."»
Il bastardo alzò un dito, l'espressione appena colpevole. Parlò a bassa voce, ed era una cosa stupida, perché non c'era nessuno - Ed era una cosa irritante, perché fu costretto ad avvicinarsi. «Non posso rivendicarle. Temo non fossero esattamente, pienamente, totalmente legalmente mie.»
L'unica cosa che si meritava era una lunga, lunghissima occhiata di sufficienza. «"Fallito."»
Non lo prese come un insulto. Doveva stare iniziando ad assuefarsi, e ciò era male. Dopo un paio di secondi, l'idiota parlò di nuovo. «Se tu fossi la sirena» E già partiva malissimo. «cosa penseresti dovrei fare?»
Soltanto in quel momento Lovino si rese conto di un dettaglio minuscolo ma fondamentale di tutta quella situazione. Si diede dell'imbecille, perché soltanto un imbecille non si sarebbe fatto quella domanda appena messo piede in quella sala. Perché cazzo l'aveva portato lì?
Era assurdo che l'altro l'avesse scoperto - Certo, non aveva fatto assolutamente nulla per nascondere la sua identità, ma il capitano era stupido, la cosa non avrebbe dovuto costituire un problema. Forse era stato Gilbert a capirlo, e gliel'aveva fatto notare. Escluse i tre elfi, perché la probabilità che l'avessero scoperto era alta, la probabilità che l'avessero detto al loro capo era quasi nulla. Ad ogni modo, c'era il rischio che qualcuno lo avesse scoperto e lui non poteva permettere che il cretino avesse prove materiali dei suoi sospetti - Dei sospetti di probabilmente Gilbert. L'unica cosa che poteva fare, in quel momento, era fingere totale estraneità.
«"Quale sirena?"» No, quella era troppa estraneità. Non fece vedere la scritta al bastardo, e si affrettò a cambiarla. «"Riguardo cosa? Il farti perdonare? Potresti iniziare andando alla spiaggia e invocando il suo perdono, promettendogli di fare le più cruente penitenze per poter ottenere anche solo una sua occhiata meno crudele."»
L'altro lesse. Inarcò appena le sopracciglia. Sembrava perplesso. Quando tornò a guardarlo, abbozzò quello che sembrava un sorriso di scuse. «Per quanto tu e Gil possiate dirmi il contrario,» Ah, bene, la persona intelligente era Gilbert. «non credo di essere nel torto.» Ma allora era proprio coglione. «Vorrei solo» Esitava, quasi. Doveva star esaurendo la forza per dire cazzate. «placarlo.»
Lovino si affrettò a scrivere. «"Potresti iniziare smettendo di essere un deficiente."»
«Una risposta un po' vaga.»
Dovette dargli ragione, e si odiò per questo. Scrisse di nuovo. «"Se tu hai un'anima, perché non può averla anche lui? Solo perché l'hai detto tu?"»
«Non l'ho detto io.» Una risposta tranquillissima. «È sapere comune.»
Era un sapere di merda. «"Magari per la sirena è sapere comune che gli umani sono tutti stronzi."»
L'idiota guardò quelle parole per troppi secondi. Quando ormai Lovino era certo di iniziare a sentire le muffe risalirgli le non-code, il cretino riprese vita. «Quindi lui mi odia» Alzò lo sguardo su di lui. «perché sono andato contro la sua idea morale?»
Che cazzo di frase inutilmente complicata era. Al di là di ciò, poteva dirsi abbastanza azzeccata. Annuì.
«Capisco.» Buon per lui. La sua espressione, però, non era di giubilo per aver scoperto una Grande ed Ovvia Verità della Vita. «Pensavo di essermici abituato.»
Tra le tante cose che Lovino odiava, c'era il non riuscire a seguire una conversazione. Che fosse per distrazione, per difficoltà dei termini o per la stupidità degli interlocutori, la cosa lo irritava. Dato l'evidente combaciare della situazione corrente con il punto tre, scrisse un'unica frase: «"Ma che cazzo?"»
Un accenno di sorriso. Pensare doveva averlo proprio stremato. «A volte mi dimentico che quello che facciamo io e la mia ciurma può avere altri tipi di conseguenze.»
Lovino comprese due cose, e le comprese in un istante. La prima era che quella frase inutilmente complicata doveva essere qualcosa che aveva sentito da terzi e non frutto della sua mente bacata, e la cosa lo tranquillizzò. La seconda era che il sottinteso di ciò che aveva detto lo spaventava. Lo spaventava, perché conosceva benissimo un'altra persona che si era rassegnata a ricevere certi sguardi e certe parole. E non aveva la minima intenzione di metterla a paragone con quel bastardo.
Trasse un respiro profondo. L'idiota si era messo a guardare i sassi, quindi bussò sulla tavoletta per richiamare la sua attenzione. Quando l'imbecille si voltò, trovò un'altra scritta.
«"Perché mi hai portato qui?"»
Nessuno stupore, stavolta. Solo il gran sorriso da deficiente ebete che aveva di solito. «Non mi dispiace, qui!»
No, non era stato scoperto. Nessuno aveva detto niente. La sua identità era involontariamente protetta da quel potente scudo infrangibile che era la stupidità di capitan Carriedo.

*



Feliciano non avrebbe mai immaginato che il loro piano per contattare Lovino si sarebbe trasformato nel ritrovamento del fratello perduto di Ludwig. Il fatto che nessuno avrebbe potuto immaginarlo gli garantiva di non essere tonto lui.
Ad onor del vero, il signor Gilbert gli aveva fatto un po' paura - Il suo sguardo rosso nel buio, il suo aspetto spettrale, la sua pistola puntata contro erano tutti elementi che lo avevano paralizzato sul posto. Però c'era Ludwig, e Ludwig l'aveva sottoposto ad un duro allenamento per resistere a qualsiasi tipo di minaccia da parte di malintenzionati - C'era stato un tempo in cui il nonno aveva temuto che qualcuno potesse rapire i suoi nipotini, per ricattarlo. Con il passare degli anni, non solo nessuno avrebbe avuto il coraggio di rapire Lovino, ma Feliciano sospettava che la totale assenza di potenziali rapitori nei suoi paraggi fosse da ricondurre a Lovino stesso. E Ludwig, perché Ludwig era un'ottima guardia del corpo.
«Perché sei qui?» Il fratello di Ludwig, il signor Gilbert, si era allontanato di due passi - Non per cattiveria, doveva essere stata una cosa inconscia, appena Ludwig gli aveva lasciato andare il collo.
«Dovrei essere io a farti questa domanda.» Forse Ludwig sarebbe voluto suonare deciso e un po' minaccioso, ma il suo stupore e la sua confusione erano talmente palesi da fagocitare qualsiasi altra intenzione. «E poi» Lo osservò, pallido. «sei umano
Questo era, in effetti, un dettaglio bizzarro. Logica avrebbe voluto che il fratello di Ludwig fosse un granchio come lui, ma Feliciano non voleva mettere bocca su cose sconosciute come la biologia.
Il signor Gilbert non rispose. Evitò, anzi, il suo sguardo. Sembrava nervoso. Ludwig non aggiunse altro. Si limitava a fissarlo, come se piantargli gli occhi addosso potesse in qualche modo spingerlo a parlare. Il signor Gilbert, però, si ostinava a fissare una sedia. Feliciano aveva i suoi legittimi dubbi sul fatto che il signor Gilbert sperasse che la sedia iniziasse a parlare, magari in sua difesa. C'era tuttavia da dire che, qualora fosse successo, Ludwig sarebbe rimasto così turbato da permettere al signor Gilbert di fuggire indisturbato. Nessuno dei due ottenne la minima risposta dall'altro o dalla sedia e, nel giro di pochi secondi, l'atmosfera parve solidificarsi tanto da sentirla pesare sulle spalle.
Feliciano strinse i pugni. Sapeva che non era corretto intromettersi negli affari altrui, ma le alternative erano lasciarsi schiacciare dalla tensione o recuperare un pesce sega e affettare l'aria. «Dunque è lei il signor Gilbert?»
Il signor Gilbert sobbalzò, in modo quasi comico. Si voltò verso di lui, gli occhi rossi spalancati. Si era dimenticato della sua presenza? Feliciano si trattenne dal gonfiare le guance - Ovvio fosse più preso dal suo fratellino, era giustificabilissimo.
«Ehm» Sembrava faticasse a sostenere anche il suo, di sguardo. «Mi chiamo Gilbert, se è ciò che intendi.»
Feliciano battè le mani e gli rivolse un sorriso ampio e luminoso. «Ludwig mi ha parlato spesso di lei!» rivelò: «La pensavo più simile a lui, sa? E non avrei mai pensato di incontrarla qui, in un'occasione del genere!»
«Ah...» Finalmente, il signor Gilbert si degnò di guardare Ludwig. Fu solo un istante, e tornò a guardare lui. «Q-Quindi Ludwig ti ha parlato di me, eh?»
Feliciano annuì. Ludwig era pietrificato.
«E» Il signor Gilbert sembrava ancora più a disagio. «cosa ti ha, uhm, detto, esattamente?»
«Mi ha raccontato che, quando era piccolo, lei è scomparso.» Giunse le mani in grembo. Non abbandonò il suo sorriso, sperando di sembrare incoraggiante. «Così, da un giorno all'altro, si è persa ogni traccia di lei e della sua Corazza Anti-Magia. In molti l'hanno cercata, ma non sono mai riusciti a trovarla.»
«Il Magnifico Me» lo interruppe il signor Gilbert. Che bizzarro modo di appellarsi. «o la Anti-Magie-Rüstung?»
Feliciano continuò a sorridere. «Sono certo abbiano cercato anche lei!»
«Non hai rispost-»
«Un anno dopo» riprese a narrare: «Ludwig ha deciso di cercarla nel resto dei Sette Mari. Ed è arrivato qui, nel Mediterraneo.» Ricordava quel giorno con una gran vividezza di particolari. Gli piaceva ripensarci. «Era quasi morto, non sapeva dove andare e non aveva più nessuno, dato che lei se n'era andato, quindi il nonno ha deciso di prenderlo a lavorare con sé e ora vive qui felice e contento!»
Ludwig si schiaffò una mano in faccia. Era diventato dello stesso colore della sua corazza. Il signor Gilbert, di contro, era impallidito. Feliciano non seppe come fu possibile ma, evidentemente, esistevano le sfumature di bianco.
«Un racconto molto dettagliato.» fu l'unico commento che fece.
«Gilbert.» Ludwig riprese vita e la sua colorazione originaria. Il suo racconto doveva averlo risvegliato e Feliciano non potè non considerarla una vittoria. «Cos'è successo?»
Il signor Gilbert era ancora perso nel suo mondo - Un mondo non troppo piacevole, a giudicare dall'espressione. Poi, fece un cenno al corridoio. «C'è una busta con delle birre, all'ingresso. Posso andare a prenderne una?»
«No.» Per qualche motivo, la risposta di Ludwig era stata prevedibilissima. «Ne approfitteresti per scappare. La vado a prendere io.» Si rivolse a Feliciano. «Se vedi che prova a fuggire, urla.»
Annuì con decisione. Certo, ora il signor Gilbert era un umano, e lui avrebbe potuto mettersi a cantare e rimbambirlo per un po', ma Ludwig gli aveva chiesto altro, quindi avrebbe obbedito.
Rimase solo con il signor Gilbert. Lui si era seduto su un tavolo, non troppo distante. Lo osservava con un misto di curiosità e... divertimento?
«Siete qui per Romano, vero?» Nonostante il pallore mortale e l'evidente stato di shock, il signor Gilbert sorrise. O meglio, ghignò. Quella era più una faccia da ghigni che da sorrisi.
Feliciano sbattè le palpebre. «Romano?»
«Il signor Non-sono-assolutamente-un-tritone.» Una risata bassa e gracchiante. «Lo ospitiamo da una settimana ed è una delle cose più divertenti che ci siano capitate.»
Doveva trattarsi di Lovino. Non era un'intuizione, era pura ovvietà. Però... «Sa che è un tritone?» Si portò una mano alle labbra. «Sapete tutti che è un tritone?» Il fratellone Francis aveva detto qualcosa a proposito della possibilità che stesse cercando di celare la sua identità, che si fosse sbagliato? O Lovino era in pericolo?
«L'abbiamo capito tutti tranne Antonio.» La risposta del signor Gilbert lo tranquillizzò all'istante. «Avevo i miei onestissimi sospetti quando ho visto come indossava le giacche e ne ho avuto la prova quando l'ho visto zoppicare.» Scosse la testa. «Il pranzo è stata la conferma schiacciante. Non so come Antonio non abbia ricollegato il tizio che lo guarda male, gli parla male, ce l'ha palesemente con lui, zoppica e sembra non conoscere il mondo umano e il tritone che gli ha giurato vendetta tremenda vendetta, ma...» Alzò le spalle. «Ci offre grandi momenti di ilarità.»
Da come parlava, il signor Gilbert non sembrava intenzionato a rivelare l'identità di suo fratello - né sembravano volerlo gli altri inquilini del castello. Evidentemente, l'ingenuità del signor Antonio era davvero troppo comica per privarsene.
«Sono suo fratello.» spiegò Feliciano: «Anche lui era scomparso e-» Si bloccò. Ora aveva capito. Era ovvio. Era ovvio, ed ebbe paura.
«Sì, l'avevo capito che siete parenti.» Il signor Gilbert non sembrava essersene accorto. O, più probabile, stava fingendo. «Siete praticamente uguali! Tranne per» Scosse la testa. «il carattere. Romano è un riccio di mare, tu sembri adorabile!»
Nonostante tutto, Feliciano si sforzò di sorridere. Era buona educazione rispondere ai complimenti.
«Tieni.» Una bottiglia di birra già aperta apparve davanti al signor Gilbert. A tenerla era Ludwig, un'altra bottiglia di birra già aperta nell'altra mano. Ovvio avesse preso le bottiglie trentasei ore prima e fosse rimasto ad origliare. Una volta, Ludwig gli aveva confessato che, per quanto non smaniasse dalla voglia di fargli correre dei rischi, averlo intorno era utile, perché Chiunque era più disposto a parlare, se c'era lui in giro.
«Danke.»
Ludwig non rispose. Prese una sedia, la girò verso il fratello e si sedette. Un granchio grande e grosso da un lato, un tritone tenero e carino dall'altro. Il signor Gilbert era circondato e doveva essersene accorto.
«Gilbert.» Il tono di Ludwig era serio. Il signor Gilbert dovette raccogliere tutte le sue forze per guardarlo, perché sembrava quasi sofferente. «Ora non puoi più rimandare.»
Doveva pensarlo anche il signor Gilbert. Feliciano lo vide tracannare un sorso abbondante dalla bottiglia - Due sorsi abbondanti, forse anche tre. Quando abbassò la bottiglia, ghignò di nuovo. Ma aveva qualcosa di diverso da prima - Non c'era divertimento, neppure un'ombra.
«Romano ha fatto un patto con lo Stregone del Mare, eh?» La bottiglia dondolò, tenuta per il collo. «Quindi lo Stregone del Mare è nel Mediterraneo, ora?»
Feliciano non si chiese come il signor Gilbert l'avesse capito. E, di certo, non se lo chiese neppure Ludwig. Quel che lui stava aspettando era sentire suo fratello dire ad alta voce cose che avevano già capito.
«Gran bastardo, lo Stregone del Mare.» Ridacchiò. «La cosa peggiore è che si limita ad esaudire le richieste di chi è tanto coglione da rivolgerglisi. E il Magnifico Me, quel giorno, sono stato il più coglione tra i coglioni.» Un altro sorso. Quando riabbassò il braccio, per un attimo Feliciano temette stesse per lanciare la bottiglia. «È stata una cosa molto poco magnifica, da parte mia. Ero giovane ed ero sicuro di avere la vittoria in pugno. Quindi» Fece per bere di nuovo. Non lo fece. «sono andato da lui e gli ho chiesto di farmi diventare umano. Lui mi ha chiesto l'Anti-Magie-Rüstung. Dato che non mi sarebbe più servita, gliel'ho data.»
Ludwig si spalmò una mano sulla faccia. La passò tra i capelli, ormai non più ordinati. Feliciano si trattenne dall'andare da lui. Sapere che il tesoro del Baltico del Sud era finito tra le mani dello Stregone del Mare doveva essere tutt'altro che piacevole - Uno dei pochi motivi per cui il re dei Sette Mari non usava impunemente la magia a casa loro, a voler essere precisi. Tuttavia, sapeva che, se si fosse mosso, il signor Gilbert non sarebbe riuscito ad andare avanti.
«Non l'ho detto a nessuno perché volevo tornare vincitore.» La bottiglia dondolava con più velocità. «Non so cosa ci fosse da considerarmi vincitore, dato che avevo barattato l'Anti-Magie-Rüstung ma, per me, aveva perfettamente senso. Curioso, no?» Finalmente, guardò Ludwig negli occhi. «Ero il più degno di avere l'Anti-Magie-Rüstung e guarda che le ho fatto. Il vecchio Fritz avrà voluto uccidermi.»
Ludwig non rispose. Il signor Gilbert proseguì: «Il patto era semplice. Un normalissimo scambio. Non sarei mai tornato un granchio, perché non ne avrei avuto motivo. La mia vita sarebbe stata perfetta, in superficie.» La bottiglia tornò in alto. E, in pochi secondi, non contenne più nulla. Feliciano si sentì girare la testa solo nel vedere trentatré centilitri di birra mandati giù in un paio di tornate. «È andata male. Mi ha invitato al suo matrimonio. Come testimone.»
Ludwig non mostrò alcuna emozione. La cosa peggiore era sapere che ne stava provando, e anche molto violente. «Erzsébet.»
«Liz mi vedeva come un insostituibile rivale.» Bevve di nuovo, ma non trovò niente. Parve stupirsene. «Me l'aveva sempre detto, e io non avevo mai capito. L'ho persino assistita nei suoi piani demenziali per attirare l'attenzione di quel pianista rincoglionito, ma pensavo fosse una cotta passeggera. Perché avrebbe dovuto volere lui, quando poteva avere il Magnifico Me?» Guardò l'etichetta della bottiglia. «Sai quando l'ho capito? L'ho capito quando sono arrivato già pronto per il mio matrimonio, certo che lei mi dicesse di sì. Rod, intanto, le aveva composto non so quante sinfonie sui fiori, i laghi e gli amori omosessuali, e le ha chiesto la mano.» Sorrise. Non era un ghigno. «Liz non ne ha mai saputo niente. Le ho fatto da testimone, e sono scappato. Non potevo tornare a casa. Non potevo rimanere lì. Ero già stato dato per disperso una volta, non sarebbe stato un problema essere disperso una seconda volta.»
Ludwig non aveva toccato la propria bottiglia. Ma non la porse al fratello. Quest'ultimo l'aveva guardata un istante, ma non aveva insistito oltre.
«Ero povero, solo e senza un cazzo di scopo nell'esistenza.» Posò la bottiglia sul tavolo. «E, se qualcuno avesse scoperto che avevo ceduto l'l'Anti-Magie-Rüstung, sarei anche stato ricercato. Avrei potuto trovare asilo presso il re ma» I brividi furono ben visibili. «chi cazzo sarebbe così masochista da andare a fare da schiavo allo Stregone del Mare? Quello è un pazzo squilibrato, potrebbe usare i suoi servi come pedine sacrificali o cavie per i suoi esperimenti culinari!»
Feliciano sperò di risultare impassibile come Ludwig. Il possibile destino di Lovino sembrava ancora più spaventoso di quanto avesse potuto pensare.
«Piuttosto la morte.» Un'affermazione lapidaria. «Quindi, ho vagato un po' senza scopo, finché non sono stato avvicinato da Antonio.» Per qualche motivo, quel ricordo sembrava divertirlo. «Mi aveva visto gonfiare un paio di cretini che pensavano di fare il cazzo che volevano. Mi ha detto che voleva assolutamente avere nella ciurma qualcuno brutale come me e con un aspetto inquietante come il mio.» Si asciugò una lacrima che non c'era. «A quanto sembrava, non aveva un quartiermastro, quindi mi rese tale. Quanti saccheggi, quanti arrembaggi, quanti furti da allora!»
Feliciano sorrise. «È una bella cosa che il capitano Antonio abbia valorizzato le sue qualità più disturbanti e meno raccomandabili!»
«E per questo gli sarò sempre grato.» Il signor Gilbert si portò un pugno al petto. «Forse la pirateria era la mia vera vocazione.»
«Per questo hai barattato un tesoro preziosissimo per qualcosa di effimero.»
Il signor Gilbert incassò la frase gelida di Ludwig. Stavolta, Feliciano si sentì legittimato ad andare da lui. Provò ad alzarsi. Pessima idea. Allungò un braccio verso di lui, lo sventolò appena. Ludwig comprese, si alzò e andò da lui. Si portò dietro la sedia. Il signor Gilbert era un po' più libero - Ma, per qualche motivo, non parve rilassarsi. Se non altro, ora guardava suo fratello.
«So che non te ne faresti un cazzo delle mie scuse.»
Ludwig non era arrabbiato, in realtà. Non aveva la faccia di quando si arrabbiava. Era triste, questo sì. Per questo Feliciano gli accarezzava il braccio, in silenzio.
«E so benissimo di essere stato una merda. Con te, con Liz, con il vecchio Fritz, con chiunque.»
Nessuna risposta. Solo uno sguardo impassibile.
«Però, sai, per quello che può valere una frase del genere da una testa di cazzo molto poco Magnifica,» Accennò a lui. «sono felice che tu ora abbia vicino un amico e non un fratello scellerato.»
«Ludwig non è mio amico.»
Il signor Gilbert spalancò gli occhi. Così erano ancora più inquietanti. Feliciano resse il suo sguardo. Quello era un punto su cui non transigeva.
«Ludwig ed io siamo promessi sposi.»
Ludwig si schiaffò entrambe le mani in faccia.
«Certo, siamo amici, ma non amici nel senso di amici.» Feliciano doveva sempre specificarlo, perché putroppo aveva notato che troppa gente non capiva. Mise le braccia conserte, gonfiò le guance. «Sono mesi che vogliamo sposarci, ma Lovi continua ad opporsi! Sono sicuro che questo suo modo di fare gli si ritorcerà contro. Va bene insultare Ludwig, capisco lui abbia gusti strani nelle simpatie, ma questo suo continuo mettersi in mezzo è-»
«"Lovi"?»
Feliciano si tappò la bocca. Aveva parlato un po' troppo. Glielo dicevano spesso, ma continuava a farlo.
«Il principe Lovino è il fratello di Feliciano.» Ludwig liberò la faccia dalle mani. La sua espressione era ferma, come quando era in servizio. Doveva aver soffocato qualsiasi altra frase nei confronti del fratello.
Feliciano gli si accostò. «È il caso di dirgli tutto?» sussurrò.
Ludwig annuì. «Ora Gilbert abita qui. Potrà aiutarci lui a comunicare con il principe.» Incontrò lo sguardo dell'altro. Non traboccava di dolcezza, e il signor Gilbert lo notò benissimo. «Lo farai, vero?»
«Tutto ciò che posso per esserti utile.» Sembrava sincero. «Solo... "principe"?»
«Sì.»
Lo sguardo del signor Gilbert parve brillare. Una scintilla di emozione positiva in quel mare di rassegnazione e vergogna. «Ma allora anche il piccolo Feliciano è un principe! Ti sei proprio accasato bene!»
In fondo, il signor Gilbert sembrava simpatico. Gli avrebbe proposto di far loro da testimone, se non avesse appena rivelato di avere un trauma con quel ruolo.
«Aspetta.» L'espressione dell'albino si congelò. Doveva aver capito. «Feliciano...»
«Sì?»
«Sei tu il principe ereditario?»
«No.»
Il signor Gilbert serrò le labbra. «Avete altri fratelli o sorelle?»
«No.»
«Cazzo.» Aveva capito, e con una precisione invidiabile. Era proprio il fratello di Ludwig!
«Per questo stiamo cercando di contattarlo.» C'era una nota di urgenza nella voce di Ludwig. «Il patto stretto con lo Stregone del Mare sembra più complesso del tuo, e ciò che c'è in palio è-»
«Antonio si era conquistato i favori del prossimo re del Mediterraneo» Il signor Gilbert abbattè gli stivali a terra e si alzò. «e se li è giocati per fare l'idiota?» Alzò gli occhi al soffitto. «Gott, navigare con la benevolenza del sovrano dei sette mari antichi sarebbe stato così fottutamente perfetto! E ora no, ora siamo piagati dalla sua ira!»
Feliciano e Ludwig lo guardarono. Il signor Gilbert guardò loro. Diede un colpo di tosse e tornò seduto. «Perdonatemi. Mi fa incazzare che Antonio abbia fatto il coglione davanti ad una simile botta di culo.» Gli sembrava di sentire parlare Lovino. Ma dovevano arrivare al punto, dato che avevano già impiegato diverse decine di minuti a parlare.
«Dicevo.» L'espressione di Ludwig zittì qualsiasi altra affermazione del signor Gilbert. «Quello del principe Lovino non è stato uno scambio e basta. Non conosciamo tutti i dettagli, ma sappiamo che ha barattato la sua voce per una natura umana.» Lo sguardo interrogativo dell'altro lo invitò a continuare. «Tuttavia, quel che il principe ha promesso allo Stregone del Mare è» Inspirò. Non era facile da dire. Feliciano gli fu di nuovo vicino. «la legittima proprietà su di sé. E, dunque, sul Regno del Mare.»
Gli occhi del signor Gilbert erano di nuovo due sfere rosse.
«Questo in cambio di una qualche vendetta nei confronti del capitano Antonio.»
Il signor Gilbert giunse le mani, i gomiti contro le ginocchia. Sbuffò, ma era visibilmente inquieto. «Un doppio scambio.» gracchiò: «La voce per le gambe, la vendetta per la libertà. Ma, per avere il Regno del Mare, suppongo dovrà riavere le sue code.»
Feliciano annuì.
«Questo vuol dire che rimarrà umano solo per un certo periodo. È uno scambio con una condizione.» Guardò prima lui, poi suo fratello. «Ci sono buone probabilità lo sia anche l'altro.»
«Un mese.» mormorò Feliciano: «Il fratellone Francis ha detto qualcosa a proposito del fatto che Lovi dovrà cavarsela da solo.»
«Francis?» Il signor Gilbert scosse la testa. «No, magari un'altra volta.» borbottò. Tornò a riflettere. «Dunque ha un mese di tempo per portare a termine la sua vendetta. Non ha alcun senso che lo Stregone l'abbia privato della voce in cambio delle gambe. Se il loro patto implicava barattare la libertà con la vendetta, l'offerta dei mezzi per attuarla sarebbe dovuta essere inclusa.»
«Francis» ricordò Ludwig: «aveva detto qualcosa anche a proposito del non far scoprire la propria identità.»
«Meno male che deve vendicarsi di Antonio, allora.» Il signor Gilbert era molto schietto. «Però, no, questo patto è tutto tranne che lineare.» Il suo sguardo rosso si posò su entrambi. «Parlerò con lui. Devo dirgli che mi mandate voi?»
«Sì, per favore.» Feliciano si sporse appena nella sua direzione. «Se può, può dirgli anche che vorrei parlare con lui di persona? È importante!»
Il signor Gilbert lo fissò. Il suo sguardo mutò lentamente, fino a divenire quasi commosso. «Non è possibile, sei troppo adorabile!»
Ludwig si alzò. Il signor Gilbert scattò indietro sul tavolo. «E-Era solo un commento, non intendevo certo-»
Il capo delle guardie rovesciò la bottiglia di birra, e la versò sulla testa, le spalle e le braccia di Feliciano. Solo in quel momento il principe secondogenito realizzò quanto fosse disidratato, e di come la birra fosse piacevole.
«Perdonami, non ricordo se l'acqua corrente sia già stata inventata.» si scusò Ludwig: «Spero ti vada bene anche questa.»
La birra era piacevolissima. Feliciano annuì con forza. «Dovrei fare più spesso bagni di birra!» Alzò le braccia. «La birra è buonissima!»
«Ludwig...»
«Sì. Sapevo sarebbe successo. Me ne prendo ogni responsabilità.»

*



«Questa» Alfred si accomodò tra due scogli, le braccia conserte. «è l'operazione di spionaggio più noiosissima che abbiamo mai fatto!»
Una volta tanto, Matthew dovette dargli ragione. E sì che Alfred, all'inizio, era più che entusiasta di quella missione - Implicava vendette e suppliche, doveva essere meravigliosamente cruenta e spietata, proprio del genere che piaceva a lui! Matthew non era troppo in disaccordo, ma aveva sperato non si rivelasse anche splatter, perché gli facevano impressione i pezzi staccati e le fontane di interiora.
E invece erano lì da giorni, tra gli scogli, a spiare un castello brutto. Di tanto in tanto, vedevano uscire due umani, tre elfi e il principe Lovino, ma poi li vedevano andare in città e non li vedevano più.
«Perché Artie non ha trasformato in umani anche noi? Avremmo potuto spiarli quando andavano in giro!» Fece un'espressione ferocissima. «O introdurci di nascosto, di notte, nella loro abitazione!»
«Perché sapeva che ti saresti distratto.» Era triste, ma era la verità e Matthew non poteva che dare ragione ad Arthur. «E che ci saremmo senza dubbio infilati nel castello. Sarebbe stato pericoloso.»
«Capirai!» Alfred sbuffò. «Cosa vuoi che ci faccia un tritone zoppo?»
«Credo lo preoccupassero di più i pirati e gli elfi.»
«Ma così è noiosissimo!»
«Abbassa la voce, Al!»
«Volevo gli squartamenti, invece devo stare ad aspettare che arrivi un tritone umano ricoperto di sangue ad annunciare al mare - cioè a noi, cioè ad Artie - che ha compiuto la sua vendetta!» Si spalmò sulla roccia. «Perché tutte le cose interessanti succedono off-screen
«Perché così compri l'edizione integrale in blu-ray a prezzo maggiorato.»
«E Artie ci ha pure vietato di parlare con papà Francis per tutta la durata della missione.» Alfred portò le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino. «Siamo solo io e te, appostati nei dintorni di un castello brutto in cui non succede niente, e dove rischiamo persino di vedere adulti che si sbaciucchiano!»
«Forse» azzardò Matthew: «potremmo comunicare con papà Francis con i gesti?»
Alfred si fece attento.
«Mi manca tanto la boullabaisse.»
«E le mouclade charentaise.»
«E la quenelle de brochet.»
«Ehi, Matt!» Alfred scattò dritto. «Ho un'idea!»
Aveva una mezza idea di quale fosse questa idea, ma Matthew rispose lo stesso. «Dimmi.»
«E se noi» Suo fratello si avvicinò, gli occhi brillanti e i dentini affilati in mostra. «comunicassimo con papà Francis con i gesti?»
Matthew sospirò. Ovviamente. «È quello che ho detto, Al.»
«Finalmente» Alfred gli afferrò le manine. «saremo liberi dal suo burned fish and rocky chips
Annuì. Nonostante tutto, era quella la cosa più importante.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da I want to eat a tuna (Maguro tabetai), canzone composta da Saitamanist e cantata da Luka Megurine (e Tako Luka, che è bellissima).
L'altro titolo viene da Les Poissoins, solo che non si parla di francesi ma di tedeschi (!).
* Manon ha una mantella con il cappuccio rosso perché l'Hetaween 2011 è bellissimo.
* La descrizione del viaggio in Circumvesuviana viene dagli appassionanti racconti di Amykettah e dalla pagina Facebook Circumvesuviana Mon Amour. Io ho avuto occasione di prenderla meno volte delle dita di una mano, quindi mi sono affidata a testimonianze più solide. (!)
* In teoria, il quartiermastro era eletto dalla ciurma e non scelto arbitrariamente dal capitano, ma mi pare ormai chiaro che la nave di Antonio non funzioni secondo la logica.
* Due appunti riguardo la pizzeria: 1. Catriona la Figona è sempre aperta, quindi fa le pizze anche alle quattro del pomeriggio. 2. Non dite a Lovino che il pomodoro è un frutto.


Si ritorna dopo due settimane con, uhm, l'ultimo capitolo che non ho dovuto dividere in due perché ridicolmente lungo. Oh, beh~

Mi rendo conto che il titolo possa risultare fuorviante: non ci sono tonni, né gente che vuole mangiare pesce fresco, né cuochi francesi esauriti che distruggono la cucina per inseguire granchi volanti - Però si parla indubbiamente di pesci, italiani e tedeschi! (O meglio, pesci italiani e crostacei tedeschi. Vabbè, avete capito.)

Ebbene sì, qualora ci fossero stati dei dubbi la parentela di Ludwig e Gilbert trascende l'AU e la biologia. Qualsiasi eventuale domanda troverà risposta nei prossimi capitoli - Tipo, perché Eliza non abbia mai casualmente notato che Gilbert non fosse umano. (... Almeno, l'idea è dare una risposta a qualsiasi eventuale domanda POI NON LO SO ARGH-)
Confesso di non essere proprio 100% sicurissimissima di aver reso bene Gilbert e tutta la sua scena in generale. ( ;°Д°) Mi dà un po' una sensazione da "tirata via", ma non riesco a capire dove sia esattamente il problema. (?)

Per il resto, come detto nel capitolo precedente, si è giunti a metà della storia che mamma mia come andrà a finire ah no aspetta la fiaba originale ha un lieto fine molto bizzarro vabbè facciamo finta di nulla. Lovino riuscirà a vendicarsi, o sarà troppo distratto dalla persona di cui si deve vendicare e che gli offre in dono della pizza? Feliciano si perderà sulla via dell'alcolismo? Gilbert arriverà alla fine di questa fanfiction con le sue sembianze o come supplì? Ci sarà mai qualche altra scena di Arthur e Francis insieme o continueranno a comunicare via figli? Manon riuscirà mai a vestire Lovino da maid? Abel finirà mai di raggirare Antonio? Lucilin avrà mai qualche altra battuta? Alfred e Matthew potranno mai avere una cena decente? Antonio si accorgerà mai di essere l'unico umano nel raggio di svariati metri? Ma, soprattutto, la frutta, al di là del pomodoro, sta davvero così male sulla pizza?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 7
*** Xxxxxxx pt.1 ***


Capitolo VII
Xxxxxxx ~ Tu non ti sei accorto di niente, quindi non bado a te, non bado a te per niente


«So che potrebbe sembrarti strano.» Erano quelle parole ad essere strane. Lovino si mise in allerta. «Ma sono qui per conto di tuo fratello Feliciano.»
Pochi minuti prima, Gilbert gli aveva chiesto se potesse parlargli in privato. Lovino aveva accettato: se davvero quell'uomo aveva capito la sua identità, sarebbe stata un'ottima occasione per scoprirlo. Non si preoccupava troppo della possibilità che lo minacciasse di dirlo al cretino - Gli umani sapevano essere ridicolmente superstiziosi, dubitava ci avrebbe messo troppo a convincerlo di possedere chissà quali poteri in grado di ricoprirlo di sfortuna.
Pronunciata la prima frase, la curiosità era stata sostituita dal sospetto. Pronunciata la seconda frase, il sospetto era stato sostituito da un principio di collasso.
«"Tu cosa?"» La scritta riempiva quasi tutta la lavagna.
Gilbert annuì. Era serio. «L'ho incontrato oggi pomeriggio. Era con Ludwig e-»
Lovino gli piantò un dito nel petto, e riuscì anche a spingerlo. L'albino ammutolì.
«"Per prima cosa, mi dici chi cazzo sei."»
«È una storia un po' lunga.» E certo, la storia era lunga, ma ovviamente aveva senz'altro avuto tutto il tempo di raccontarla al suo fratellino carino e tenerino. «Però sono dalla vostra parte. Di Ludwig e di Feliciano. E dalla tua.» Ma che carini, Feliciano e Ludwig. Gli avevano mandato un baby-sitter. «Feliciano vuole incontrarti e-»
«"Io no."» Aggiunse un istante dopo: «"Se ne restino a palazzo. Lui e il crostaceo."» Mai come in quel momento avrebbe voluto avere la sua voce. Avrebbe anche voluto avere il suo pugnale, perché minacciare qualcuno era molto più efficace se si aveva un'arma in mano. Gli sarebbe andato bene anche avere entrambe le mani libere per poter impugnare la spazzola, ma così non era, quindi sperò che il suo sguardo bastasse. «"Vi voglio fuori dai coglioni, a voi tre. Tu vedi di non metterti in mezzo alle palle e, soprattutto, vedi di non far sapere nulla al bastardo."»
Era surreale. Gilbert l'aveva scoperto e, per qualche assurdo giro di eventi, era finito per incrociare la coppia peggiore dell'universo. Avrebbe voluto saperne di più, ma avrebbe implicato dare confidenza all'albino - Che, per la cronaca, si era appena bruciato qualsiasi accenno di simpatia da parte sua.
«Ma perché non vuoi aiuto?»
Lovino gli fece cenno di abbassare la voce - Gli sventolò la tavola davanti, così vicina da poterlo colpire in modo assolutamente accidentale.
Gilbert non era arrabbiato. Era più una strana stizza di fondo. «Senti, ci sono passato anch'io con lo Stregone del Mare, so che non-» La voce si spense in un gemito. Lovino gli aveva conficcato un tallone nel piede.
Gli sbattè la tavola quasi sul naso. «"Taci e lasciami in pace."» Si voltò e si allontanò. Feliciano doveva star combinando qualche cazzata, e doveva bloccarla sul nascere. Aveva altro a cui pensare, un fratellino scemo, una guardia imbecille e un ficcanaso erano le ultime cose che gli servivano. E poi cos'era quella frase? Un reduce da un incontro fallito di auto-aiuto?
Si fermò. Sospirò. Lasciò andare la testa contro la parete. Avrebbe ascoltato Gilbert, un giorno. Però non voleva incontrare Feliciano. Era stato lui a fare tutto quello, non avrebbe permesso a suo fratello di aiutarlo - di tirarlo fuori da quel patto assurdo. Lui avrebbe potuto tirarsi indietro in qualsiasi momento. Aveva lasciato la sua voce proprio per quel motivo. Non che ne avesse bisogno. Avrebbe vinto lui. Avrebbe vinto lui e sarebbe tornato da Feliciano da vincitore. Avrebbe vinto lui e il Regno del Mare avrebbe potuto continuare a pregare di essere regnato da suo fratello. Non voleva incontrare Feliciano. Non in quel momento. E Feliciano avrebbe dovuto smetterla di intromettersi nei suoi affari, avrebbe dovuto smetterla di pensare a lui così tanto. Prima o poi l'avrebbe reincontrato, e l'avrebbe rassicurato. Feliciano aveva sempre bisogno di essere rassicurato. Non era mica lui.

Gilbert non aveva ben capito come quella conversazione fosse andata a rotoli, né come si fosse ritrovato con un piede e un naso doloranti. Era stato abbastanza certo che Romano l'avrebbe guardato male, magari non gli avrebbe creduto, ma non si era aspettato una reazione così violenta. Non gli sembrava di aver detto parole strane, quindi l'unica risposta era che il principe Lovino fosse un mezzo squilibrato - Non l'avrebbe mai detto ma, in effetti, in certi aspetti somigliava un po' allo Stregone del Mare.
Scosse la testa. Una mano andò in tasca, l'altra tornò ad assicurarsi che il naso fosse ancora al centro della faccia. Ci aveva provato. Avrebbe dovuto riferire l'assurdo risultato a Ludwig e Feliciano. Sarebbe voluto tornare con una buona notizia - Almeno una cosa buona! -, ma-
«Cos'è successo, Gil?»
Gilbert si voltò. Antonio era appoggiato alla parete, le braccia conserte e l'espressione seria. "Porca troia." «Il Magnifico Me e Romano abbiamo avuto una discussione più accesa di quanto potessi prevedere.» La cosa migliore era dire la verità, soprattutto se si ometteva una corposa dose di dettagli.
«L'avevo notato.» Lo sguardo si spostò appena nella direzione in cui era andato Romano, per poi tornare da lui. «Cosa gli hai detto, che l'ha fatto arrabbiare così tanto?»
Ora poteva buttare ai porci tutta la verità. Interrogare i prigionieri era una delle parti che adorava, ma odiava essere lui l'interrogato. «In verità,» E la verità non era. «gli ho chiesto quello che avresti dovuto chiedergli tu con un po' più di insistenza, fin dal primo giorno.»
L'espressione di Antonio si spezzò, per lasciare il posto ad una stupita. «Ossia?»
«Chi è.» Portò in tasca anche l'altra mano. «Da dove viene. Cosa vuole.» Non era sicurissimo che sbattergli quelle domande in faccia fosse un ottimo modo per depistarlo, ma era certo che tacerle le avrebbe rese fin troppo sospette.
«Non credo che Romano sia una minaccia.» Ovvio che non lo credesse. Era ancora vivo e vegeto, del resto. «Ha avuto un sacco di occasioni per uccidermi!»
«Avrà in mente qualcos'altro.» In effetti, nessuno gli aveva spiegato che tipo di vendetta volesse mettere in atto il principe. Ebbe l'orrido sospetto che, in realtà, non lo sapesse neppure il diretto interessato. «Non ti viene in mente niente? È ovvio che ce l'abbia con te, devi avergli fatto qualcosa. Non ti ricorda nessuno?»
Antonio scosse la testa. «No.» Le braccia tornarono lungo i fianchi. «Niente che possa essere reale, almeno.» Un sorriso dei suoi, serafici come se non esistesse alcun problema nel mondo tutto. «Nessun pesce può sopravvivere per troppo tempo fuori dall'acqua, no?»
Gilbert aveva fallito nel parlare con Romano e avrebbe portato una brutta notizia a suo fratello e al fratello di lui. Evitare la catastrofe che incombeva come un albero maestro in picchiata dopo una cannonata era un dovere. «Eh, no.» S'indicò il collo. «Temo soffocherebbe.»
Antonio annuì. L'albero maestro era caduto, ma non aveva colpito nessuno, né sfondato il ponte. Gilbert, tuttavia, rimpianse più che mai il non aver preso subito la prima nave in partenza per la Spagna.

*



Altri sette giorni si erano sommati ai sette che aveva trascorso in quel castello dall'estetica discutibile. Da un lato si erano rivelati molto produttivi, dall'altro si stavano rivelando un disastro totale.
Lovino trascorreva almeno due ore a notte a pianificare attacchi per il giorno successivo. Aveva anche iniziato a fare delle prove, usando spazzole e parrucche come pedine - E spazzole con parrucche, e parrucche con spazzole incastrate forse per sempre. Occuparsi di crine finto in superficie non faceva per lui, era evidente. Soprattutto perché lo distraeva dalla pianificazione. La pianificazione, si diceva. Tra le sue pedine di prova, c'erano anche le scarpe. Le scarpe non le capiva - O meglio, capiva che nessuno volesse camminare sulle strade puntute degli umani, ma andare in giro con le non-pinne infilate in due bozzoli rocciosi aveva un che di sinistro. Ma la pianificazione, si diceva.
Il primo, ossia ottavo, giorno si era dovuto svegliare un'ora prima dell'alba per racimolare gli strumenti necessari. Quando era arrivato il momento giusto - Ossia, quando era giunto il momento di sistemare la camera del bastardo -, aveva recuperato i sacchi di sabbia e aveva sparso il loro contenuto per tutta - tutta! - la stanza. Sul pavimento, sui davanzali delle finestre, nell'armadio, sul letto, sotto le coperte e anche sotto il letto, non aveva tralasciato neppure un centimetro di superficie disponibile, si era anche premurato di spalmarla con le mani! Una volta tornato, il bastardo non avrebbe saputo cosa fare, sarebbe stato costretto a dormire in mezzo alla sabbia, e il dolore fisico che avrebbe subito non sarebbe stato altro che la concretizzazione del dolore che lui aveva causato-
«Piuttosto pintoresco, Romano.» Il cretino osservava la camera insabbiata con quella che sembrava spaventosamente curiosità. «Non avevo mai riflettuto su quanto fosse bello da vedere un mobile color sabbia.»
Lovino gli aveva lanciato un'occhiata incredula. Lo stava prendendo per il culo?
«Però» Aveva messo le braccia conserte. «dovresti ripulire entro domattina. Non vorrei che il caldo di questi giorni trasformasse tutto in vetro. Sarebbe molto scenico, ma farebbe male.»
Lo stava prendendo per il culo o era proprio scemo? Oltre alla profondità, gli umani non erano capaci di misurare la temperatura? Di fronte a quelle affermazioni, Lovino prese la tavoletta e fece notare: «"Oppure ogni singolo granello si ricoprirà di madreperla e avrai tonnellate di perle."»
Il bastardo si era voltato di scatto verso di lui. Non era sconvolto, né indispettito. Era qualcosa di molto peggiore. Era commosso. «Romano...» Si era portato una mano al petto. «Stai forse cercando di aiutare le nostre finanze?»
«"No."»
«È un pensiero così buono, da parte tua, arrivato qui da così poco...»
«"STO SCHERZANDO COGLIONE"»
«Ma purtroppo servono delle ostriche per far sì che ciò succeda.» Lo aveva platealmente ignorato, non leggeva sulla tavoletta e, cosa ancora più imperdonabile, gli aveva messo una mano sulla spalla. Chi gli dava tutte quelle confidenze? Imbecille e anche invadente!
«Mi si spezza il cuore, sapendo le tue reali intenzioni-»
«"VAFFANCULO"»
«-ma devo chiederti di ripulire. È il tuo compito, qui, no?»
Come osava fargli fare ciò per cui continuavano ad offrirgli vitto e alloggio? Imbecille, invadente e anche pigro! Lui puliva solo al mattino, la sera era un ospite qualunque, e quel capitano da quattro acciughe voleva imporgli dei lavori domestici!
«Nel mentre, temo dovrò dormire altrove.»
Lovino non si era ancora liberato del suo sordido tocco, sconvolto com'era da quelle parole tanto arroganti. Quando lui gli sorrise, però, si sentì in dovere non solo di divincolarsi ma di farlo con una certa veemenza.
«Mi ospiti nella tua camera?»
«"No."»
«Ma è l'unica già pronta, e ha anche un letto matrimoniale!»
«"Va' da Gilbert."»
«Gilbert ha un letto singolo.» Parve pensarci un attimo. «Anche se Gil dorme sotto il letto, in effetti...»
«"Ecco, puoi andare da lui."»
«Potrei.» Il bastardo annuì. Poi fece un gran sorriso. «Ma sono sicuro che da te si stia meglio!»
Lovino si fermò prima di scrivere. Era tentato dal dire: «"La camera è di Manon, quindi devi chiedere a lei."», ma non era proprio del tutto completamente certissimo che la cameriera gli avrebbe risposto di no. Si ricompose. Il suo avversario era un idiota. Non serviva troppa astuzia per batterlo.
«"Va bene."» acconsentì.
Il cretino sgranò gli occhi. «Davvero?»
«"Certo. Questo castello è tuo, del resto."» Attese un istante, giusto per godersi l'espressione confusa del demente. «"Io vado a dormire in un'altra stanza."»
«Ma non ce ne sono altre pronte!»
«"Sticazzi."»
E se n'era andato, lasciando il deficiente a contemplare i massimi sistemi, di fronte alla stanza insabbiata - Stanza che, purtroppo, aveva infine dovuto pulire il mattino successivo, senza che neppure un granello di sabbia avesse nuociuto al cretino.
Il secondo, ossia nono, giorno aveva accettato di passeggiare per Napoli con il bastardo.
Non era strano che il bastardo gli chiedesse di fare un giro con lui e Lovino, forte dei suoi principi morali e conscio dello scopo ultimo della sua presenza lì nel mondo degli umani, accettava ogni volta. Doveva conoscere il suo nemico per poterlo fronteggiare e poi sconfiggere! Esplorare il mondo umano e sopportare la presenza del cretino erano cose sfiancanti ma, per fortuna, la nobile Catriona o un altro prescelto dagli dei gli fornivano cibi divini con cui ritrovare tutte le energie e affrontare qualsiasi triste sfida.
Ed era mentre stavano guardando il mare da un castello che aveva qualcosa a che fare con delle uova che Lovino comprese di poter mettere in pratica la sua vendetta. Era uno dei primi piani a cui aveva pensato eppure, per qualche motivo, non l'aveva mai attuato. Sciocco, sciocco Lovino! Aveva sollevato un dito, l'indice, un dito soltanto, e aveva puntellato il braccio del bastardo accanto a lui. Una, due, tre, ventisette, ventotto, ventinove, quaranta volte, senza tregua. Ma il cretino non implorava pietà. Non piangeva calde lacrime di sofferenza. Non cercava stoicamente di resistere ad una simile tortura. Continuava a guardare il mare con tutta la tranquillità del mondo.
«Sai,» disse, all'improvviso, a caso, talmente a caso che Lovino si sarebbe quasi spaventato, se fosse stato più distratto dalla realtà e più preso dalla sua vendetta. «mi ricordo una volta, tanto tempo fa...» Sembrava nostalgico. «Mi avevano catturato dei pirati nemici. Volevano sapere dove avessimo nascosto il tesoro rubato alla Lacustre. Non ho parlato, e loro mi hanno sottoposto alla tortura della goccia.» Scosse appena la testa. «La Lacustre era così bella, avvolta dalle fiamme del tramonto... Proprio come la loro!»
Lovino si fermò. Qualcosa gli suggeriva che la sua tortura non stesse avendo il minimo effetto.
«Ah, ma abbiamo salvato il salvabile, prima di darle fuoco!» si affrettò a dire il capitano, come se qualcuno gliel'avesse chiesto. «E non sai quant'è stato divertente quando si sono accorti che mi ero slegato! Forse pensavano che-»
Lovino gonfiò le guance. Ogni giorno che passava aveva l'orrido sospetto che le sue vere rivali non fossero Scilla e Cariddi.
Era stato difficile accettare che la prima tortura pensata fosse fallita come se non fosse neppure stata attuata, ma doveva stringere i denti e andare avanti.
Il terzo, ossia decimo, ossia insomma il decimo, il decimo giorno aveva deciso di fare qualcosa di più estremo.

«Uhm, Antò?»
«Ah, ciao, Gil! Hai per caso visto i miei vestiti?»
«Nnnno, ma non è la seconda volta che ti spariscono?»
«No, no, l'altra volta erano solo gli stivali, stavolta sono
tutti i vestiti!»
«Capisco. Ho i miei sospetti su chi sia il colpevole.»
«Dici Romano? Ma certo che è colpa sua. Però non lo trovo, quindi devo cercarmeli da solo.»
«Scusa la domanda, eh...»
«Dimmi!»
«Come ha fatto a rubarti i vestiti che avevi addosso?»
«Stavo facendo il bagno.»
«E tu non ti sei accorto di niente?»
«Oh, sì, ma sai, Romano fa queste cose strane, ero curioso di vedere cosa ne avrebbe fatto!»
«... Senti, mettiti qualcosa, prima che ti vedano occhi innocenti.»
«Ah, tranquillo, a Manon ho già chiesto.»
«Dicevo Lucilin.»


Stranamente, il suo piano non aveva sortito alcun effetto - Alla fine, i vestiti erano stati ritrovati, nonostante li avesse nascosti con cura per tutto il castello, un capo in ogni stanza. Il bastardo si era pure complimentato per la pazienza, e Lovino aveva capito che sarebbe dovuto essere più crudele, con lui.
L'undicesimo giorno aveva fatto una scoperta: la stanza subito sopra a quella del bastardo si era riempita di lumache.
«Oh, sì, può succedere.» gli aveva spiegato Manon: «Quando ci si fa il bagno, la condensa potrebbe salire al piano superiore. Poi sai com'è il ciclo dell'acqua, si viene a creare un ambiente ideale e si riempie di lumache.»
Non aveva potuto non approfittarne.

«Romano...»
«"Cazzo vuoi."»
«I miei cassetti sono pieni di lumache.»
«È il cerchio della vita.»
«Eh?»


Contro ogni previsione, al bastardo non importava niente della presenza delle lumache nel suo cassetto. Oltre a negare l'esistenza delle anime delle sirene, era pure noncurante del cerchio della vita! - O del ciclo dell'acqua, vabbè, erano più o meno la stessa cosa.
Il dodicesimo giorno aveva fatto un giro in cucina e aveva trovato qualcosa che gli sarebbe potuto tornare utile. Aveva infilato in tasca l'ennesimo strumento della vendetta e, ottenuto l'accesso mattutino alla camera del bastardo, aveva messo in pratica il suo piano.

«Romano...»
«"Cazzo vuoi."»
«Tutti i miei pettini e le mie spazzole sono pieni di miele.»
«"Forse le api hanno trovato nei manici un bugno perfetto. Devi accettarlo e conviverci."»
«Eh?»


Il bastardo aveva accettato la decisione delle api e aveva probabilmente deciso di conviverci. Lovino aveva quasi scaraventato via la lavagnetta, per due motivi: il primo era che il bastardo dava più retta a delle api che a lui; il secondo era che quelle fottute api non esistevano quindi, in pratica, lui veniva dopo degli insetti inesistenti.
Il tredicesimo giorno si era preparato con largo anticipo. Era andato da Manon e le aveva scritto che, per quella sera, non se la sentiva di mangiare, quindi poteva ordinare una porzione in meno.
«Stai bene, Romanotje?» Lei sì che era buona e premurosa. Lovino aveva annuito. Quando era arrivata l'ora di cena, però, si era presentato in sala da pranzo.
«Oh!» Manon gli aveva sorriso. Era davvero gentile! «Vuoi farci compagnia lo stesso?» Lovino aveva annuito, di nuovo. La cameriera aveva servito le porzioni e, una volta sedutasi, lui si era alzato, era andato dal bastardo, gli aveva preso il piatto ed era tornato al suo posto. Gli aveva scoccato un'occhiata di disprezzo - A lui e alla sua faccia confusa da idiota - e aveva mangiato. Aveva fatto lo stesso per il secondo e per il dolce. Le uniche reazioni che c'erano state da parte di Manon, Gilbert, Abel e Lucilin erano state dei tentativi fallitissimi di nascondere delle risate. Al primo, il bastardo era rimasto confuso. Al secondo, l'aveva guardato quasi con curiosità. Al dolce, Lovino aveva avuto il sospetto gliel'avesse lasciato. Finita la cena, il cretino l'aveva guardato, ma l'aveva guardato senza odio, senza rancore, senza tristezza, senza paura.
Lui stava facendo di tutto per rovinargli la casa, fargli sperperare tutti i suoi pochi averi, convincerlo di cose stupide per minare la sua già provata intelligenza - Ce la stava mettendo tutta, ogni giorno, senza dargli tregua, e lui non solo non lo cacciava a calci in culo ma continuava a guardarlo come i decerebrati guardavano Feliciano. Perché non poteva vendicarsi di una persona normale?

Lovino si era sempre detto bravo in quasi qualsiasi cosa facesse, ma c'erano alcune cose per cui chiunque gli avrebbe riconosciuto un talento innato. La minaccia, il ricatto, il raggiro e lo scassinamento erano tra queste. In cuor suo, aveva sognato una lunga e tesissima sequenza di minuti passati a cercare di scassinare, non visto, la stanza del bastardo, e poi, una volta introdottosi, impossessarsi della chiave e diventare padrone indiscusso di quella camera. Avrebbe scacciato il bastardo e si sarebbe insediato nella stanza del padrone del castello, una prova di forza e superiorità che quel cretino non avrebbe potuto in alcun modo accettare con un sorriso idiota! Lovino aveva pregustato quegli attimi di tensione, minuti in cui tutto il suo talento sarebbe stato messo alla prova, ma poi era giunto di fronte alla realtà. Era entrato nella camera del bastardo, quel mattino. Non c'era nessuna chiave. Non ci sarebbe stato nessuno scassinamento, perché lui aveva libero accesso a quel posto, e quel posto non era mai chiuso a chiave. - Ora che ci pensava, neppure la porta segreta della cucina era mai chiusa a chiave. Interrogata a riguardo, Manon gli aveva risposto che non avevano soldi per ripararla e, dato che era segreta, era molto in fondo nella loro lista di priorità.
Ad ogni modo, Lovino voleva fare qualcosa ad alto rischio di scoperta, quindi aveva fatto visita ad una stanza piena di attrezzi strani, aveva preso dei chiodi grossi come turritelle, un martello e una sega e aveva usato quest'ultima su una sedia brutta abbandonata in una stanza dimenticata. Dopodiché, aveva portato tutto in camera del bastardo - Bastardo che era via con Gilbert chissà dove e sarebbe rientrato chissà quando. D'accordo il brivido del rischio, ma mettersi a martellare con il cretino a due passi sarebbe stato da idioti. Nel giro di mezza mattinata, infine, Lovino aveva creato un enorme chiavistello di non indifferente bruttezza. Per quanto avesse potuto levigare il legno con una strana carta abrasiva che gli aveva passato Abel - Abel era passato a dare un'occhiata, giusto per assicurarsi che non avesse infine deciso di prendersi a martellate sui denti, e gli aveva dato qualche consiglio sul come operare -, il chiavistello continuava ad essere tozzo e sgraziato. Se non altro, funzionava.
Così, Lovino se ne stava seduto sul letto, a rimirare il suo duro lavoro, circondato di pezzi di legno, schegge, chiodi e altri oggetti potenzialmente dolorosi. Ora mancavano solo le urla di disperazione del bastardo - La camera ormai era sua! Sua! Era lui il padrone del castello, era lui il padrone di tutto ciò che quel cretino possedeva (cioè poco)!
Un rumore alla porta. Lovino si fece attento. La maniglia girava, ma il chiavistello resisteva, brutto ma resistente.
«Romano...?» La voce del bastardo era esitante. Non spaventata, ma neppure allegra. Bene, stava cedendo!
Lovino aprì la bocca per rispondere. Non uscì alcun suono. Aggrottò la fronte. Non poteva percularlo. E lui non avrebbe mai potuto leggere le sue frasi colme di superiorità, con una porta in mezzo. Aveva fatto tutto quello e non poteva sfottere quell'idiota!
Affondò il viso tra le mani. Stava ottenendo la sua vendetta, ma a quale scopo? Che piacere c'era nel saperla in corso ma non poterla vedere?
«Romano, sei lì dentro?»
Rialzò il viso. Doveva dare un segno della sua presenza, o il bastardo non avrebbe mai capito chi fosse stato ad avergli precluso per sempre quella stanza! Scattò in piedi, si avvicinò alla porta e bussò. Abbastanza sciocco, visto che era lui ad essere dentro, ma non sapeva come altro farsi sentire.
«Cos'hai combinato?» Quasi sconforto. Ottimo, ottimo! Ma perché non poteva assistere, perché? Bussò di nuovo. Sentiva il sorriso tendergli le labbra.
«Ah, giusto, non puoi dirmelo.» Sconforto completo. Non per ciò che Lovino sperava, ma l'importante era giungere al suo obiettivo.
Passi. Passi che si allontanavano. Si spalmò sulla porta, l'orecchio teso a cercare di carpire il più flebile dei suoni. Sembravano effettivamente passi che si allontanavano. Nessuna finta. Tuttavia, non aprì la porta - Nessuno gli diceva che fosse da solo, magari aveva fatto allontanare Gilbert o chi per lui e lui era appostato lì dietro, in attesa che aprisse la porta per controllare. Non sarebbe caduto in una trappola così stupida.
Si allontanò di un passo. Il piede andò su un pezzo di legno - Ecco a cosa servivano le scarpe. In quella stanza, in quel momento, erano molto utili. Si guardò intorno. Metà della stanza era un disastro. Si supponeva pulisse lui? Anche ora che la stanza era sua? Non c'era alcuna possibilità di poter far pulire al bastardo? Lui a fare il capo, il cretino a servirlo - Dato che era un principe ereditario, sarebbe stato solo il seguire la natura.
Un pensiero fastidioso. Molto fastidioso. L'aveva dimenticato, ma la verità era che avrebbe preferito non scoprirlo affatto. Quel bastardo era invischiato nella famiglia reale di Spagna. Dato che passava giorni a farsi torturare in terra straniera, dubitava fosse il re. Qualora lo fosse stato, avrebbe rivalutato qualsiasi suo dubbio riguardo la sua possibile ascesa al trono del Regno del Mare.
Vetri esplosero e caddero a terra. Lovino si voltò. La finestra più a destra era in frantumi e, in piedi tra i pezzi, c'era il bastardo.
«Romano.» Un sospiro. Lo sconforto era scomparso. Cazzo. «Oggi ti sei proprio impegnato, eh?»
Lovino alzò una mano, il dito centrale in mostra. C'erano troppe cose sbagliate. Mezza camera era disseminata di oggetti affilati e potenziali armi, la sua vendetta si era afflosciata come un'alga portata in superficie e il bastardo era nella stanza.
«Mi stupisci ogni giorno.» Non l'avrebbe fatto. Non l'avrebbe fatto, non in una situazione del genere. E invece lo fece. «Questo di oggi è il dispetto migliore, sono curioso di vedere cosa farai tra altre due settimane!» Si era illuminato a giorno e la sua voce era suonata come un trillo.
Dispetti, dunque. Beh, sì, lo erano. Se non altro, li aveva riconosciuti come tali e non come qualcosa di inquietante tipo tenere manifestazioni di boh, riconoscenza? Ed era così sicuro che avrebbe continuato a fargliene ogni giorno - Così sicuro che nessuno dei suoi dispetti lo avrebbe scosso -, che sarebbe rimasto lì per altre due settimane - Fino alla fine del mese.
Era già passata metà mese.
«Ora riapriamo la porta.» Con tutta la calma del mondo, il bastardo era andato al chiavistello. Lo guardava con un certo interesse. Dato che a terra c'erano un martello e una sega, in caso di commenti a proposito della sua estetica, avrebbe potuto infliggergli una morte lenta e dolorosa. «Anche se...» In realtà, gli stava venendo un'altra idea. «Sembra un po' duro da aprire.» Lovino andò alla finestra. Una intera, non quella rotta, con in bella mostra i pezzi di vetro pronti ad accogliere qualcuno tra le loro punte affilate. «Come hai fatto a chiuderlo, in primo luogo?» Aprì la finestra. Mise le mani sul cornicione. Il bastardo ci avrebbe messo un po' ad aprire la porta, avrebbe potuto abbandonarlo al suo destino, da solo, e poi sfotterlo a dovere una volta riuscito ad uscire - Chiedere che rimanesse bloccato dentro era chiedere troppo, lo sapeva. Si diede la spinta.
Il respiro si mozzò. La schiena sbattè contro qualcosa. I piedi non toccavano terra. La cornice della finestra era davanti a lui.
«Qué demonios creías que estabas haciendo?»
I piedi toccarono terra. Giusto. In superficie si rimaneva sempre attaccati alla terra. Qualsiasi tentativo di opporsi a questa regola veniva punito con un riattaccarsi alla terra forzato e accelerato. L'aveva dimenticato.
Il sospiro troppo vicino non era condiscendente. Era di sollievo. Un istante dopo, si sentì cadere e si ritrovò seduto sul letto. Realizzò di avere le braccia del bastardo attorno al busto, e il resto del bastardo a fargli da sedia.
«Togliti dalla testa l'idea di usare il cornicione.» Sentì la sua fronte contro la nuca. Nonostante fosse un'ottima occasione, non si sentì tentato dal tirare la testa in avanti e assestargli una craniata in faccia. «Sì, hai ripreso a camminare in modo normale, ma non pensare di avere di nuovo lo stesso equilibrio!» Peccato che lui non aveva mai camminato e non aveva mai avuto bisogno di quel tipo di equilibrio. Il bastardo non disse altro. Continuava a stritolarlo. Lovino gli afferrò le braccia. Bastava spingerle via. Non aveva la voce per protestare, ma una tallonata nello stinco sarebbe stata altrettanto allusiva. Bastava un solo movimento, qualsiasi lui volesse. Solo uno e si sarebbe potuto rialzare. Avrebbe fatto finta di niente, ché non è che avesse fatto qualcosa di male. Si era solo dimenticato di un dettaglio delle leggi fisiche che regolavano quel mondo. Un dettaglio che avrebbe potuto farlo diventare una poltiglia di pesce, ma pur sempre un dettaglio. La cosa che gli faceva rabbia, invece, era il fatto che quell'imbecille gli avesse oggettivamente salvato la vita, e che subito dopo gli avesse ricordato di essere lo stesso bastardo che lo abbracciava nella grotta. E lui se ne stava lì come una razza in tanatosi. Fanculo.
«Lo so che ti ho fatto qualcosa.» La sua voce era ancora più insopportabile del solito, ora che i ricordi della grotta erano tornati vividi, marchiati nella sua mente. Fanculo ai suoi ricordi e fanculo alla grotta. «Però, se non mi dici che cosa, non posso farci niente.» Fanculo alla grotta, aveva detto. Fanculo. Era nella grotta che il bastardo si era macchiato del più agghiacciante peccato di stupidità. E anche quello se lo ricordava bene, ora. Ovvio che se lo fosse sempre ricordato ma, in quel momento, vaffanculo. Si voltò verso di lui. Il cretino lo lasciò muoversi. Non che avesse risolto niente, ora che vedeva la sua faccia di cazzo. L'unica cosa, la sua espressione era diversa dal solito. Avrebbe detto seria. Doveva essere la faccia da idiota che aveva la prima volta che l'aveva incontrato. Non aveva idea di che espressione avesse lui. Neppure gli importava, in realtà. Sperava solo fosse abbastanza colma di odio. Un'altra sua grande capacità era trasmettere, forte e cristallino, tutto l'odio e il rancore che provava verso qualcuno. Gliel'avevano detto spesso che quello era uno dei suoi talenti più eccezionali.
Una mano sul viso - Sullo zigomo, sulla guancia, sul mento. Forse il cretino era così stupido da non rendersi conto delle sue manifestazioni di odio, e si sentiva in diritto di toccacciargli la faccia. L'aveva già fatto. Sapeva benissimo come sarebbe andata a finire. Doveva allontanarsi in quel momento, o avrebbe realizzato del tutto che nessuno, da fuori, avrebbe aperto quella porta.
Si scostò e si alzò. Non trovò opposizioni. Prese la tavoletta. «"Io apro. Tu pulisci."»
L'imbecille lo fissò per un istante, come se non sapesse di cosa stesse parlando. Anche quello l'aveva già fatto. E anche stavolta tornò in sé. «Potrei aprire io?»
«"No."» Senza dargli altra attenzione, Lovino andò alla porta e iniziò ad armeggiare con il chiavistello. Sperava si riaprisse. Era abbastanza sicuro potesse riaprirsi. In caso contrario, avevano un martello. E una sega. Potevano aprirla, la porta, loro che erano gli unici là dentro.
Inspirò, piano. C'era una cosa da fare. Mise le mani sulla porta. Bussò un paio di volte. Quando si girò, notò che il bastardo lo stava guardando. Lovino fece un cenno alla finestra. Tornò a guardare la porta. Bussò di nuovo.
Che capisse il cazzo che voleva.

*



«Feliciano sta bene?»
Ludwig si prese tutto il tempo del mondo, come se la bottiglia di birra fosse una Maß e non una trentatré centilitri. Era abituato a dare risposte secche ed esaustive, a riferire i dettagli più importanti nel minore tempo possibile - Ma, come sempre, i suoi modi di fare iniziavano a vacillare se si trattava di Feliciano.
Erano stati dei giorni intensi, doveva ammetterlo. A Feliciano la birra era piaciuta e gli aveva gentilmente chiesto di portargliene altra. Ludwig aveva obbedito con un briciolo di vergogna nel cuore: portare birra a Feliciano implicava prenderne anche per sé, portare birra a Feliciano implicava che Feliciano tale birra l'avrebbe bevuta, con tutte le conseguenze del caso. Per un fugace istante, Ludwig aveva temuto che Feliciano fosse, a sorpresa, del tipo da sbornia triste. Era bastato poco, molto poco, per rendersi conto di avere davanti il tipo da sbornia iperattiva. Erano aumentati a dismisura il volume della voce (Era certo che qualche umano dotato di apparecchi metallici con tante lucine avesse registrato quei suoni e li avesse scambiati per brandelli di radiazione cosmica di fondo), la velocità di fuga (Rendendolo dunque invisibile all'occhio marino, supponeva), la quantità di parole che riusciva a dire in un minuto (Considerato ciò che diceva, l'ascoltatore sfiorava il lavaggio del cervello) e la rapidità con cui pensava a cose diverse (Questo a Ludwig non piaceva, perché erano già tre volte che Feliciano lo baciava come a fargli le più perverse promesse da sirena mitologica per poi andare ad impilare una palizzata di sassi o chiedergli se gli anemoni si mettessero d'accordo nel muoversi tutti insieme nello stesso momento. Quando poi gli aveva detto di amare il colore nero e lucido del guscio delle cozze, Ludwig si era sentito punto nel vivo della sua natura di granchio e l'aveva gentilmente catapultato nel primo relitto in vista.).
Ludwig abbassò la bottiglia. Aveva preso abbastanza tempo per formulare una risposta veritiera e ponderata. «Sì.» Del resto, Gilbert non gli aveva chiesto se la riscoperta passione di Feliciano per la birra gli stesse drenando le energie. Né se Feliciano bevesse ancora - In tal caso, la risposta sarebbe stata no, perché Ludwig, con grande spirito di sacrificio, aveva iniziato a rifiutarsi di portargli ulteriori bottiglie. Nel giro di quarantotto ore, Feliciano era tornato come prima - Cioè tutte le cose di cui sopra ma a velocità più accettabile.
Partenope, di fronte a tale grande sacrificio, gli aveva fatto dono del senso di colpa di Gilbert: per convincerlo a rimanere più tempo con lui, suo fratello gli faceva puntualmente trovare delle bottiglie di birra tutte per lui. Non che Ludwig fosse tipo da astio o vendette o cose del genere - Il principe Lovino era imbattibile su questo campo, e lo ammettava senza timori -, ma Gilbert era sparito da un giorno all'altro, l'aveva abbandonato e, per quanto ne sapeva lui, poteva essere morto e l'Anti-Magie-Rüstung poteva essere stata venduta per due biscotti di krill, quindi si sentiva legittimato a portargli rancore e ad indulgere un pochino nel suo evidente rimorso.
«Almeno lui.» Gilbert si guardò di nuovo lo stivale. «Ma perché Romano non è tranquillo come Feliciano?»
«Feliciano non è tranquillo.» Ludwig osservò la bottiglia. Non c'era più neanche una goccia di birra. «Devo però ammettere che, di solito, il principe Lovino rimane alle aggressioni verbali. Le aggressioni fisiche sono più rare. Deve averti davvero preso in odio.»
Con la coda dell'occhio, notò Gilbert annuire, piano. Non stava davvero guardando il suo stivale.
Era la quarta volta che s'incontravano sugli scogli, lui e suo fratello. Gilbert gli portava una mezza dozzina di birre, azzardandosi a berne solo una, quasi fosse un'offesa privare suo fratello minore di luppolo e malto. Si scambiavano qualche frase, a volte riuscivano a parlare persino per tre minuti interi. Poi cadeva il silenzio.
Trascorrevano minuti, se non ore, a guardare il mare in silenzio. Rumore di onde, tintinnio delle bottiglie sulla roccia, vociare in lontananza. Ludwig non sapeva se preferire il rumore di fondo ad una voce gracchiante che conosceva fin troppo bene. Non sapeva neanche cosa si supponeva dovesse succedere. Per quanto avesse trascorso anni in compagnia di Feliciano, ricordava ancora cosa fosse la logica: se una persona commetteva uno sbaglio e lo riconosceva, andava a chiedere scusa a chi era stato colpito dal suo errore e la vita riprendeva normalmente. Era impossibile non commettere sbagli. Era impensabile condannare per sempre qualcuno per uno sbaglio, per quanto grande. Gilbert si era scusato, era visibilmente rammaricato e, in modo piuttosto goffo, stava cercando di ottenere un'esplicita conferma di essere stato perdonato. Gilbert aveva fatto la sua parte, Ludwig avrebbe dovuto fare la sua. Ripensandoci bene, forse la compagnia di Feliciano gli aveva fatto perdere ogni cognizione del senso della logica.
«E il vecchio Fritz?»
La voce gracchiante coprì il rumore di fondo. Ludwig si scosse e guardò apertamente Gilbert. «Cosa?»
«Sta bene?»
Gilbert era fossilizzato in quella posizione fin da quando era arrivato: seduto su uno scoglio, appallottolato su un ginocchio piegato, la gamba con il piede ferito (mortalmente, a sentire lui) distesa sullo scoglio più avanti. La testa si muoveva appena, e neanche troppo spesso. Lo sguardo andava a lui, di tanto in tanto, soprattutto quando era certo non lo stesse guardando. In quel momento, infatti, era dritto davanti a sé, verso il mare.
Chissà da quant'era che voleva chiederlo.
«Non lo so.» Ludwig posò la bottiglia vuota vicino alle altre due. «Non lo vedo da anni.»
Gilbert annuì di nuovo. «Pensi mi punirà?»
Questa era una risposta facile da dare. «Ovviamente.»
Dalla sua espressione, era palese fosse la risposta che si aspettava e che non voleva sentire. «Dopo, pensi mi perdonerà?»
«Forse.» Ci pensò meglio. «Le tue possibilità aumenteranno, se gli riporti l'Anti-Magie-Rüstung.»
Gilbert sbuffò in modo strano. Una risata mascherata malissimo. «Appena ritrovo l'Hexenmeister gliela chiedo!»
«Tu non ci parli, con l'Hexenmeister.» Ludwig si stupì di come la sua voce suonasse tranquilla. «Sia mai che ti convinca a barattare una gamba per una nave che poi si scopre essere bucata.»
«Non baratterei mai una gamba per una nave!» Gilbert affondò il mento nel muro di braccia. «Mi deve offrire almeno una birreria intera, con tutte dipendenti donne bellissime!»
«Per poi scoprire che la birreria è infestata di topi che portano malattie estinte da anni, e che viola tutte le norme basilari di sicurezza e igene. Quando poi proveresti ad approcciarti a qualcuna delle tue dipendenti, scopriresti che sono tutte lesbiche e che non potrebbero mai avere il minimo interesse nei tuoi confronti.»
Gilbert emise un verso strozzato. «Sei spietato.»
«Sono realista.» Nondimeno, era uno scenario quasi divertente. Diede un leggero colpo di tosse. Forse, a malincuore, aveva passato troppo tempo anche con il principe Lovino.
Onde del mare. Vociare in lontananza. Il volume di quei suoni era rimasto immutato, eppure gli sembrava si facesse più alto, quando suo fratello non parlava. Forse, in tutti quegli anni, Ludwig non aveva mai davvero compreso la natura della realtà. Realizzò che avere un pensiero del genere confermava che, alla fine, Feliciano era riuscito a distruggere ogni certezza della sua vita.
«E Ludwig?»
Questa era una domanda bizzarra. «Cosa?»
«Pensi mi perdonerà?»
Questa era una risposta facile da dare. «Forse.» Nessun no. Nessun sì. Non lo sapeva neanche lui.
Finalmente incontrò lo sguardo di Gilbert. Era da un po' che non lo vedeva da così vicino. Umano o crostaceo che fosse, era come lo ricordava.
«Quando starà meglio con me vicino?»
Ecco perché non aveva chiesto se lui stesse bene. La risposta era palese. «Forse.» Una parola in grado di voler dire tutto e niente, nello stesso momento. In verità, era una parola che Ludwig trovava alquanto irritante. "Forse" non era una risposta. Il mare non era "forse" bagnato, il cielo non era "forse" azzurro, il castello alle loro spalle non era "forse" brutto. Eppure, "forse" era la parola che meglio descriveva il suo contrapporsi alla logica consequenzialità degli eventi: errore, scusa, perdono. Errore, scusa, "forse" perdono. Aprì un'altra bottiglia di birra. "Forse" era una parola irritante e, pensandoci bene, era perfetta per quella situazione.
«Puoi dirmelo» La voce di Gilbert era più bassa del rumore delle onde. Era straniante. «se non vuoi più vedermi.» Distolse lo sguardo per un secondo, ma tornò subito. Doveva stare faticando a sostenerlo. «Lo capisco, eh!»
Ludwig trovava irritante la parola "forse". "Forse" non voler più vedere Gilbert non era un'affermazione sensata. Era lì con lui, era la quarta volta che era lì con lui. I fatti dimostravano che la risposta, almeno a quella domanda, non fosse "forse".
«Quando questa faccenda con il principe sarà sistemata,» Sperava seriamente per il meglio - Per Feliciano, per il re, persino per il principe Lovino, ma soprattutto per i suoi già provatissimi nervi. «ti accompagno da Frederich.»
La testa di Gilbert emerse dalla muraglia di braccia. Gli occhi erano sfere perfette e rosse come un betta halfmoon. «Davvero?» Ci teneva così tanto a farsi perdonare? Si curava di ogni sua sillaba fino a quel punto?
Una vocina nella sua testa, molto soffice, molto tenera e molto fonte di domande esistenziali gli sussurrò: «Forse.».
Ludwig sospirò. Tornò a guardare il mare. Non avrebbe risposto in quel modo. «Sono curioso di vedere come ti punirà.»
Stavolta, la risata di Gilbert risuonò come la ricordava - sguaiata, vera nel suo suonare finta, osò azzardarsi a pensarla quasi nostalgica. «Sei diventato sadico, Vest!»
«Qui abito nell'ala sud.» Bevve un sorso di birra. «E non sei il primo a fare un'affermazione del genere.»
Gilbert ridacchiò. Parve realizzare qualcosa. La sua espressione si congelò. Si voltò verso di lui. «Aspetta, in che senso?»
«Sono il capo delle guardie.» Gliel'aveva già detto? Non ricordava. «Mi occupo anche di torturare i prigionieri.»
Gilbert era impallidito. Un'altra gradazione di colore in meno e sarebbe diventato trasparente. «Davvero?»
Non c'era bisogno che suo fratello sapesse che, ultimamente, da quelle parti non c'erano stati conflitti o prigionieri in primo luogo. S'impedì di sorridere. «Forse.»

*



Due settimane. Feliciano aveva già pensato quelle due parole, ma era stato in una situazione diversa, più positiva: due settimane in cui Lovino non aveva attirato navi sugli scogli - e, soprattutto, sul fondale marino. Ora che ci pensava bene, faceva anche rima. Avrebbe preferito continuare a pensare a quello che al fatto che suo fratello fosse "scomparso" da due settimane, e che erano due settimane che il nonno faticava a cambiare espressione. All'inizio, in verità, mostrava una gamma di emozioni più vasta - deciso, preoccupato, furioso, teso, triste. Ora variava solo tra il preoccupato e il triste. I primi giorni trascorreva il tempo con qualche sirena, in senso letterale - La sirena di turno fluttuava accanto a lui, neanche fosse una dama di compagnia o una guardia del corpo -, poi aveva smesso di cercarne.
A volte, Feliciano era tentato dal dirgli che Lovino fosse in superficie, neanche troppo distante da loro. Certo, la situazione non era delle migliori, ma almeno il nonno si sarebbe dato pace. Tuttavia, se l'avesse fatto, avrebbe provocato uno tsunami, forse neanche troppo metaforicamente. Avrebbe dovuto dirgli che Lovino era umano. Che aveva fatto un patto con lo Stregone del Mare. Che lo Stregone del Mare, il re dei Sette Mari, si era avvicinato al primogenito del Regno del Mare - Ed era palese cosa volesse, ed era esattamente ciò che Lovino gli aveva promesso. Feliciano dubitava che il nonno avrebbe badato a quisquilie quali un patto. Si sarebbe armato e avrebbe affrontato lo Stregone del Mare in prima persona.
Insomma, suo fratello aveva messo a repentaglio la pace del Regno del Mare in una quantità di modi quasi ammirevole. Non che Feliciano lo ammirasse, per questo, ma doveva riconoscergli un certo talento.
L'unica cosa che poteva fare lui, in quel momento, era cercare di contattare Lovino e, nel mentre, tacere al nonno l'intera faccenda. C'era un'altra cosa che poteva provare a fare, però.
Si avvicinò al nonno. Se ne stava seduto in cima ad una delle colonne della sala del trono. Erano un paio di giorni che lo faceva.
«Nonno?»
«Felicià.» Parve accorgersi di lui solo in quel momento. Non stava facendo nulla di particolare, il suo sguardo era perso nell'orizzonte fino ad un attimo prima. «Notizie?»
Feliciano scosse la testa. Non doveva sforzarsi per fare un'espressione dispiaciuta, gli bastava ripensare a tutta quella situazione.
Il nonno parve sgonfiarsi. Non come un pesce palla, qualcosa di più lento, come un castello di sabbia eroso dalle onde.
«Lovino nun t'ha mai detto niente?»
Feliciano gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Nun 'o so, magari quarche idea che c'aveva...» Era tornato a guardare l'orizzonte. «N'ha lasciato niente. Manco 'n alga pe' dicce che se ne 'nnava. N'era premeditato, forse?»
Avevano già escluso il rapimento. Era ovvio che l'unica risposta che il nonno riusciva a darsi era che gli fosse successo qualcosa di grave.
Feliciano fece un respiro profondo. Poteva provare a fare qualcosa, almeno in quel momento. «Forse no.» ammise. Si lanciò sul nonno e lo abbracciò. Lui ci mise un secondo a ricambiare. Doveva averlo colto di sorpresa. Succedeva, anche se Feliciano non capiva cosa ci fosse di strano in un abbraccio. «Però, qualsiasi cosa sia successa, io credo stia bene.» Si scostò, per guardare il nonno negli occhi. Era preoccupato. Almeno non era più triste. La tristezza era rassegnazione, la preoccupazione era un barlume di speranza. «Sono sicuro» Mise quanta più decisione possibile nelle sue parole. «che me lo sentirei, se gli fosse successo qualcosa di brutto! E io non mi sento così male!»
Il nonno annuì, piano. Forse, un paio di settimane prima, gli avrebbe fatto un gran sorriso e gli avrebbe assestato una pacca sulla schiena. Visto il tipo di pacche sulla schiena che rifilava il nonno, con tutto il bene che gli voleva, fu grato non fosse dell'umore. «Nun riesco a nun pensà...» esordì, piano: «... che Lovino sia scappato.»
Pensare alla situazione. Pensare alla situazione. Pensare alla situazione. Non poteva permettere al suo sguardo preoccupato e al suo sorriso d'incoraggiamento di vacillare solo perché il nonno poteva aver intuito qualcosa!
«Nun semo mai riusciti a parlà bene.» Il nonno gli accarezzò la testa. «E 'o so che c'ha problemi a parlà anche coll'artri. E so anche che ce stanno certi che nun 'o vorebbero come prossimo re.»
Allarme orca infuriata, e senza che ci fosse nessuna orca.
«Pe' quanto ne so, Lovino nun ha amici.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero. «Ha solo te. E te stai quasi sempre co' Ludovico. E Lovino odia Ludovico.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero, parte due. «N'è poi così strano che se sia dato.» Era brutto da sentire, ma era purtroppo vero, conclusione. «Forse avrei dovuto fa' quarcosa.» La mano sulla sua testa si fermò. «È 'n po' 'na frase fatta, ma nun riesco a nun pensalla.»
Cosa avrebbe dovuto dire, in un momento del genere? Non poteva negare la realtà. D'accordo voler tirare qualcuno su di morale, ma mentire spudoratamente non era l'ideale. Accennò ad un sorriso. Almeno qualcuno doveva farlo.
«Non so dove sia Lovino,» E addio al non mentire spudoratamente. «ma sono sicuro che tornerà.» Quella, almeno, non era una bugia. Lui era sicuro. Che poi alla sua sicurezza corrispondesse la verità era un altro discorso. «E quando tornerà» Strinse i pugni, assunse un'espressione decisa. «avrai l'occasione di rifarti, nonno!»
Il nonno gli rivolse un'occhiata stanca, ma non triste. L'importante era che non fosse triste. «Dici?»
«Dico!» Annuì, a rafforzare le sue parole.
E sperava davvero, ma molto davvero, che alla sua speranza corrispondesse la verità.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da Melancholic, canzone composta da Junky e cantata dalla Vocaloid Rin Kagamine.
L'altro titolo viene di nuovo da Baciala, ma c'è qualcosa che continua ad andare storto.
* Il bugno è una versione antica degli alveari per l'apicoltura, fatto con tavole e tronchi d'albero.
* Maß è il termine tedesco con cui essenzialmente si indica il boccale di birra da un litro.


Non so perché io finisca sempre per scrivere di gente che idea piani stupidi - Probabilmente perché mi diverte. (?) In realtà, per questo capitolo, io ho pensato solo ad alcuni dei Terribili Piani di Vendetta, mentre gli altri sono suggerimenti di Tayr, madrina di questa storia. Non vi dico quali, lasciate che cotanta idiozia fluisca nel capitolo senza soluzione di continuità. (!)

Da queste vicende più che mai, una domanda si fa sempre più pressante: Antonio è scemo senza possibilità di redenzione o, a sorpresa, sta effettivamente prendendo in giro Lovino? (Potrei usare la terminologia usata da Lovino stesso, ma il doppio senso sarebbe troppo palese e la risposta alquanto scontata.)

Una domanda che forse ci si starà facendo è: chi è "il vecchio Fritz"? Il re del Baltico del Sud? Il generale a cui Gilbert rispondeva? Il padre di Ludwig e Gilbert? Non vi darò la risposta, quindi pensatelo come volete~

Il titolo del capitolo. Dato che Xxxxxxx era già il titolo del capitolo cinque, mi sarebbe piaciuto usare un'altra canzone per questo e il prossimo (Prima e seconda parte del settimo, anche se alla fine non credo cambi granché considerarli semplicemente il settimo e l'ottavo-), ma non mi andava di usare tutte canzoni del film animato e poi andare a prenderne una sola dal musical o dai sequel. Evvabbè. ¯\_( õ ‹3 ó)_/¯

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 8
*** Xxxxxxx pt.2 ***


Capitolo VII.V
Xxxxxxx ~ Ah, il cielo si è schiarito prima che me ne accorgessi. Non va affatto bene.


Lovino aprì la finestra della sua camera. Erano trascorsi venti giorni dal suo arrivo sulla terraferma, ma ancora non si era abituato a quell'odore di sale, caldo e pietra. Non aveva idea di che odore fosse il "caldo", ma era una miscela di odori che appariva quando faceva molto caldo, e lui era troppo pigro per stare lì a dividerli e riconoscerli uno per uno. E, soprattutto, aveva una vendetta da portare avanti.
Però, con quel panorama, con quell'atmosfera, in tutto quel bel quadro, c'era una cosa che iniziava a mancargli. Cantare. Cantare ciò che provava nel profondo del suo cuore colmo di buoni sentimenti e amore verso il prossimo- No, non era vero, voleva cantare di sangue, dolore e vendetta.
«Come vorrei avere quel che è tuo» Avrebbe cantato. «Cosa darei per farti soffrire, vorrei che tu potessi supplicarmi» A voce alta, piena. «Ti tormenterò come vorrò e dei tuoi incubi parte farò, guarda e vedrai che la vendetta mia si avvererà!» E ci sarebbero state bene delle onde scenografiche, a sottolineare il concetto della natura implacabile e vendicativa.
E invece era muto, e non avrebbe potuto cantare neanche impegnandosi. Tra l'altro, avrebbe cantato allo stesso modo, ora che era umano? Oh, no. Perché ci aveva pensato. Ora era curioso di sapere se sarebbe stato in grado di attirare navi contro gli scogli anche in forma umana. Il suo canto ammaliante era un suo talento o era una conseguenza della sua natura di tritone? No, pensandoci bene, non voleva saperlo. Soprattutto, aveva delle cose più urgenti da fare.
Non era trascorso giorno che non si fosse impegnato a minare la stabilità dell'esistenza del bastardo. Eppure, per quanto impegno potesse metterci, quel cretino si ostinava a resistere - Non solo a resistere, a non mostrare il minimo- Vabbè, se l'era già ripetuto più di venti volte. In quei giorni, più che altro, l'idiota sembrava voler fare in modo di rimanere da solo con lui, e per solo intendeva loro due in un luogo senza testimoni. Lovino non si preoccupava dell'ipotesi di omicidio - Supponeva l'avrebbe già fatto. Era il proprietario di un castello brutto e quelli che ridacchiavano delle sue sventure erano comunque suoi sottoposti, avevano il dovere morale di tacere e aiutarlo a nascondere il corpo. Non si preoccupava neanche dell'ipotesi che volesse allungare le mani, perché quello già lo faceva e lui lo rifiutava sdegnosamente. Dopo qualche secondo, con uno sguardo (schifatissimo) di troppo, ma lo faceva. Sì, lo faceva anche quando s'intrufolava nella sua camera da letto per vendicarsi, sì, anche di notte, e poteva dirlo - o scriverlo - con certezza perché era serissimo. Lui aveva una vendetta da portare avanti, e non si sarebbe fatto distrarre da cose futili quali la persona di cui doveva vendicarsi.
Attuò il piano di vendetta di quel giorno. Una bella idea, se poteva concederselo, con un messaggio di base profondo e progressista. Aveva preso dei secchi dalla cucina, era andato in spiaggia, li aveva riempiti d'acqua, era rientrato, andato nella camera del bastardo e aveva rovesciato i secchi sul pavimento. Aveva ripetuto l'operazione altre due volte. Manon gli aveva chiesto delucidazioni al riguardo, e lui aveva risposto, solenne: «"L'acqua favorisce la produzione di muffa. Così facendo, promuoviamo la salvaguardia dell'ecosistema reintegrando funghi e spore."»
La cameriera si era picchiettata il mento con un dito. Strano fosse dubbiosa. Di solito, era sempre entusiasta dei suoi piani di vendetta. «È un piano molto nobile, ma non credo che il mondo abbia davvero bisogno della muffa...» Forse era il suo animo da cameriera a farla parlare. Lovino non la biasimò. Ci voleva tempo e buona volontà per accettare cose al di fuori della propria sfera di esistenza - Ad esempio, nonostante la sua intelligenza superiore e compresione emotiva, lui ci aveva impiegato un po' ad accettare che non tutti fossero circondati di comodità, con schiere di servitori pronti a scattare al minimo capriccio, che non fossero liberi di dire e fare qualsiasi cosa senza conseguenze e di insultare liberamente il principe secondogenito e, soprattutto, il capo delle guardie. Che esistenza strana doveva essere, la loro.
Era appena tornato in cucina, a riporre i secchi, che incontrò Gilbert. Per mettere subito le cose in chiaro, lo incenerì con un'occhiataccia. Non gli aveva più rivolto la parola, l'aveva anzi ignorato così platealmente che Manon e Lucilin gli avevano pure fatto patpat sulla schiena. Dato che il fantasma non diede alcun cenno di timore reverenziale, Lovino lo superò e rimise i secchi al loro posto. Era un po' irritante che "il loro posto" fosse a due centimetri dal quartiermastro, ma aveva il legittimissimo sospetto che quello lì non si fosse posizionato in un luogo casuale della cucina.
Quando i secchi furono al loro posto, infatti, parlò con la sua voce gracchiante. «Il Magnifico Me può avere udienza, maestà?»
Trasalì, e quasi lo schiaffeggiò con la tavola magica. Lovino si guardò intorno. Non c'era nessuno. Sospirò di sollievo. «"Ma sei coglione? E se ti avesse sentito qualcuno?"» "Qualcuno" a caso.
«Antonio è uscito poco fa.» Lo informò, quasi annoiato. «Perché credi che il Magnifico Me sia venuto proprio ora?»
Era un ficcanaso, ma dovette ammettere che, almeno, non sembrava intenzionato a metterlo nei guai. Doveva essere merito dell'adorabile faccino del suo altrettanto adorabile fratellino. Feliciano era un manipolatore spaventoso.
«La risposta, maestà?»
«"Sta' zitto."» Lo guardò male, di nuovo. Però non sentiva nessuna ondata di rabbia. Serrò la presa sulla tavoletta. Forse avrebbe potuto concedergli un'udienza, sì. Solo per sentire cosa avesse da dire - Cosa avessero da dire Feliciano e il decapode. Se l'era già detto. Avrebbe accettato di parlare con Gilbert, un giorno. Forse il giorno era quello. «"Accordato."»
Gilbert ghignò. Era un po' inquietante. «Perfekt!»
Lovino realizzò una cosa. Era stupido realizzarlo in quel momento, ma c'era da dire che il dannato granchio crucco non era esattamente il primo dei suoi pensieri - Pur rientrando nei primi dieci, e non in modo amichevole. Il granchio era crucco. E Gilbert aveva un forte accento straniero, decisamente non spagnolo. In un primo momento, aveva pensato venisse dallo stesso paese di Manon e dei suoi fratelli, ma un sospetto terribile si fece strada nella sua mente. Perché, in primo luogo, Feliciano e il suo molestatore avevano contattato Gilbert? Aveva pensato fosse il primo che fosse capitato, ma ebbe l'orrido dubbio che Gilbert e Ludwig avessero qualcosa a che fare l'uno con l'altro. Tipo che fossero entrambi crucchi. Tipo che si conoscessero da prima. Scrisse sulla tavoletta. «"Andiamo da un'altra parte, non voglio parlare in cucina."»
Gilbert annuì. «Idee?»
Non la spiaggia. Sarebbe stato il posto perfetto, in realtà, se non fosse che non voleva farsi sentire da Feliciano, Ludwig, il nonno, lo Stregone del Mare, le sue murene e tipo la popolazione marina al completo, senza considerare che il bastardo sarebbe potuto essere lì a cazzeggiare invece di fare ciò che si supponeva facesse quando usciva. Lovino non aveva mai indagato troppo a riguardo, tanto sapeva che nessuna delle cose che faceva fosse legale o fruttuosa.
«"Camera mia."»
Il quartiermastro inarcò le sopracciglia. Sembrava genuinamente sorpreso. «Se Antonio mi vede uscire dalla tua camera, è la volta buona che rimane di nuovo senza magnifico secondo in comando.»
«"Un motivo in più per non perdere tempo."» Gli rivolse un gran sorriso, ed era certo fosse un ghigno troppo soddisfatto. Che bello sfruttare le paure altrui per i propri comodi! Gli piaceva, quando non lo facevano a lui.

Lovino si sedette sul letto, gambe accavallate e braccia conserte. Gilbert rimase appoggiato alla porta chiusa. Era curiosamente educato, dato che Lovino non gli aveva fatto alcun cenno di accomodarsi e lui non l'aveva fatto. Era una buona cosa che gli piacesse la porta, perché lì sarebbe rimasto.
«"Parla. Ti ascolto. Vai subito al punto."» L'avrebbe ascoltato, certo, ma non era sicuro che la sua magnanimità sarebbe durata troppo a lungo.
«Con piacere.» Gilbert aveva presto recuperato la sua faccia da demone ghignante. «Partiamo dalle presentazioni. Quelle vere.» Dunque sì, anche Gilbert aveva dei segr- «Il Magnifico Me è il fratello maggiore di Ludwig.» Cosa. «Come puoi ben vedere, ora le mie magnifiche fattezze sono quelle di un umano. È il risultato di un patto con lo Stregone del Mare.» Cosa. «Nessuno lo sa. Tranne» Alzò gli occhi al soffitto, seccato. «Herr Meereshexenmeister, ovviamente.» Sospettò parlasse dello Stregone del Mare, ma gli sembrava più una formula per evocare qualche creatura abissale. «L'altro giorno, per puro caso, ho reincontrato il mio fratellino, e con lui c'era il tuo, di fratellino.» Ridacchiò. «Non vi somigliate per niente.»
«"Neanche tu e quel crostaceo."» Così, giusto per specificare che sentimenti provasse nei confronti del granchiaccio.
«E meno male, direi.» Mise le mani in tasca. Sbuffò. Non ghignava più. «Si erano introdotti nel castello.» COSA. «Feliciano voleva mettersi in contatto con te. Vuole mettersi in contatto con te.» Sì, gliel'aveva già detto.
Lovino distolse lo sguardo. Stava parlando con Gilbert, forse poteva- Scosse la testa. No, Feliciano doveva rimanere fuori da tutta quella storia. Soprattutto, se sapeva, l'aveva detto al nonno? Suo fratello era imprevedibile - Poteva fare la spia come il più insopportabile dei fratelli minori o essere complice del più efferato dei crimini, senza una logica apparente.
Doveva riempire quel silenzio. Scribacchiò sulla tavoletta. «"Come ha fatto a venirlo a sapere?"» Un altro dettaglio che non gli tornava. Non lo scrisse, ma sperò che non avesse incrociato lo Stregone del Mare. Anche se, ora che ci pensava, avrebbe trovato piuttosto comico uno scontro tra un calamaro gigante psicopatico e un odioso granchio gigante ingessato.
«Francis.» Una risposta molto semplice, quasi scontata. Ovvio. Poteva riuscire a far tacere il bastardo, che parlava spesso, ad alta voce e non per dire sensate, ma non poteva sognarsi di far tacere una pettegola.
«"Che cosa ti ha detto, esattamente?"» Quanto sapeva, Gilbert? E, soprattutto, quanto sapeva, Feliciano? A rigor di logica, avrebbero dovuto sapere solo ciò che lui aveva detto a Francis, ma non sapeva se quel gabbiano avesse scoperto altro.
«Che il tuo patto è strano.» Lasciò andare la testa contro la porta. «Sembra un doppio patto. Voce per gambe, vendetta per il possesso del Regno del Mare.» Oh, bene. Sapevano praticamente tutto. «Quel che non torna è» Gilbert inarcò un sopracciglio. «perché doppio? Tu vuoi vendicarti di Antonio-» Si fermò. Lo guardò di sottecchi. «Per la faccenda dell'anima, eh?»
Lovino annuì. Secondo quanto gli aveva detto il bastardo, Gilbert era la persona intelligente che gli aveva detto che era un idiota. Erano messi bene, lassù in superficie.
Gilbert scosse la testa. Un altro sbuffo. «Antonio è una brava persona disonesta, però ha questo problema del pensare di non avere mai torto...»
«"Coraggioso, da parte sua, visto quant'è stupido."» Non doveva essere stato il primo a cui il bastardo aveva fatto saltare i nervi, e non per qualche crimine riconosciuto come tale. Tuttavia, poteva dirsi il primo che si stava impegnando per fargliela pagare.
Perché era quell'affermazione il motivo per cui stava facendo tutto quello. Per cui aveva fatto tutto quello. Per cui era certo di vincere. Tipo. Ecco perché continuava a ripeterselo. Perché sapeva che era un obiettivo solido e che avrebbe potuto raggiungere senza problemi. Perché ne era sicuro.
«Dicevo, però.» Gilbert riprese la parola. O meglio, parlò, visto che Lovino poteva solo scrivere. «Perché il patto è doppio? L'aspetto umano sarebbe dovuto essere compreso nel prezzo, se la tua idea era avvicinarti ad Antonio per vendicarti.»
Ah.
Vero.
Inspirò, piano. Non lo fece apposta. Però era vero. Lo Stregone del Mare gli aveva fatto dare in pegno la sua voce in cambio di qualcosa che avrebbe potuto avere gratis. Scosse la testa, per riprendersi. Non era una cosa strana, era solo una scusa per potergli dare il pegno. Il pegno che lui, lo Stregone, gli aveva proposto in tempi non sospetti.
Sentì la gola secca. Quanto era premeditato, tutto quello? Lo Stregone del Mare era così sicuro che lui non solo non sarebbe riuscito a far supplicare quell'umano, ma non avrebbe neanche revocato il patto? Strinse la tavoletta. Sentiva le dita fredde. Lo Stregone del Mare non era di quei luoghi. Ovvio avesse sentito parlare di lui, ovvio che avesse escogitato il suo piano basandosi sulle informazioni che aveva raccolto. Che razza di informazioni poteva avere, allora, per delineare il quadro di un tritone così irascibile, impulsivo, incapace, orgoglioso e stupido?
Prese il pennino. Scrisse. Non guardava più Gilbert. «"Lo Stregone mi ha offerto uno sconto. Ha la mia voce in pegno. Posso revocare il patto quando voglio."»
Il tempo che l'altro leggesse, e l'atmosfera cambiò. Un'emozione scontata, l'incredulità. E poi, un'emozione che conosceva bene. Rabbia. Solo, non si aspettava di sentirla da un'altra persona, in quel momento.
«Quindi tu stai qui a giocare al folletto rompicoglioni, a mettere a repentaglio la libertà del Mediterraneo tutto e a far preoccupare a morte la tua famiglia quando potresti far finire tutto anche in questo preciso istante?» Non aveva urlato, ma la sua voce roca era così aggressiva da sembrare alta.
Giusto. Giocare. Non stava davvero facendo sul serio. Ed era stupido pensare che muffe, sabbia o acqua potessero infastidire quel deficiente fino a fargli implorare pietà, né c'era un motivo sensato per cui ciò avrebbe dovuto fargli riconoscere che i tritoni - che lui - avessero un'anima. Era partito tutto da lì.
No, non era partito tutto da lì. Quella era stata solo l'occasione perfetta.
«Io non sono potuto tornare indietro!» Stavolta, la voce era alta sul serio. «Ho fatto del male a non so quante persone perché sono stato un coglione, e l'unica cosa che mi era rimasta era fuggire!» Lo raggiunse in due falcate, gli stivali si abbattevano sul pavimento come se volesse calpestarlo. Lovino rialzò lo sguardo. Gilbert era inquietante, e non per il suo aspetto. «Sai cos'ho barattato, io?» Ovvio che non lo sapeva. «Una corazza che rende inefficace la magia. Capito? Ho buttato una protezione magica per una magia di merda!» Non era quello il problema, era ovvio. «Quella corazza era il tesoro del nostro regno. Solo il più valoroso dei guerrieri ha il diritto di possederla e indossarla.» Oh. Era davvero un problema, allora. «Ed eravamo fortunati ad averla, perché così potevamo permetterci di mandare affanculo lo Stregone del Mare. E io l'ho data allo Stregone del Mare. E sai perché?» Continuava a fare domande retoriche. «Perché volevo sposare un'umana.»
Lovino sgranò gli occhi. Gilbert era scappato di casa ed era bloccato in quella forma umana per amore di un'umana? Gilbert? Lo stava prendendo per il culo?
«Era la mia migliore nemica.» Se la metteva in questi termini, non poteva che essere sincero. «Da anni. Molti anni. Le avevo nascosto di essere un granchio.» ... Come aveva fatto? «Ad un certo punto, mi sono convinto che avremmo passato insieme tutta la vita.» Appena aveva nominato l'umana, la sua voce si era smorzata. Forse non era un ricordo rabbioso, quanto triste. O forse non riusciva ad arrabbiarsi se ripensava all'umana. «Era un pensiero a cazzo. Era qualcosa che avevo dato per scontato. Che io avevo dato per scontato.» Mise le mani in tasca. «Non ti devo dire anche com'è finita, no?»
Lovino sbattè le palpebre. Gilbert... era un idiota. Ma un idiota di una stupidità a dir poco abissale. Ma non l'abisso Calipso, proprio le Marianne.
Gilbert parlò di nuovo, prima che potesse anche solo riprendere il pennino. «Ero sicuro di vincere.» Alzò le spalle. «Quando ho perso, mi sono reso conto di aver perso molto più di Liz.»
Stavolta, Lovino recuperò il pennino. «"È tutto molto drammatico, ma tu sei un imbecille che ha barattato il tesoro super figo di casa tua e la tua stessa natura per una donna umana."»
Gilbert lo squadrò dall'alto in basso. Come osava. «Scrisse il principe che diede in pasto il suo regno ad un calamaro perché un pirata gli ha detto una puttanata.»
Il pennino picchiettava sulla tavoletta. Tic. Un secondo. Tic. Un secondo. Tic. La voce di Gilbert era diventata molto sgradevole. Gli stava facendo venire il mal di stomaco.
«Tu che puoi farlo,» Gilbert tornò alla porta. La conversazione si avviava alla sua conclusione. «torna indietro. Lo Stregone del Mare si nutre delle debolezze altrui. Nessuno ti biasimerà, sarai solo rinsavito.»
Tic. Un secondo. Tic. Un secondo.
«Io non so come riesco a guardare mio fratello minore.» La mano andò alla maniglia. «Non è una sensazione che ti consiglio.»
Tic. Tic. Un secondo. Tic. Tic. Tic.
«Dubito riuscirai a vendicarti di Antonio, qualsiasi cosa tu abbia in mente. Se hai qualcosa in mente.» Tic. Tic. Tic. «Torna a casa, e pensa ad un altro modo per vendicarti.» Un sorriso che non aveva nulla di allegro. «Perché l'alternativa è perdere. E, se perdi qui, sarà orribile, perché saprai che la colpa non è dello Stregone del Mare.» Un cenno di saluto. «Neanche questa è una sensazione che ti consiglio.» Uscì e si richiuse la porta alle spalle.
Tic.
Un secondo.
Tic.
Un secondo.
Un secondo. Un secondo.
Era lì da venti giorni. E non aveva fatto altro che giocare. Mentre lui era lì, Feliciano aveva paura per lui, e chissà in quanti temevano per le sorti del Regno del Mare - Come se, tra l'altro, ci fosse il rischio che, boh, il re dei Sette Mari arrivasse sparando laser dagli occhi e incenerisse tutte le città del Mediterraneo. Quello stupido incosciente del principe Lovino giocava con la proprietà del suo regno, e ideava piani idioti solo per divertirsi alle spalle di qualcun altro. Era ovvio che un piano ideato da lui non portasse a niente, se non ad una sconfitta. Era il nonno quello bravo, era Feliciano quello buono, mica era lui quello bravo e buono.
Un secondo. Un secondo. Un secondo.
Tutta quella situazione era ridicola. Aveva giocato per venti giorni, era ora di farla finita. Lui era il principe Lovino, e non avrebbe lasciato il Regno del Mare - il regno di suo nonno, dei loro antenati, la sua casa - in mano al primo calamaro gigante magico che passava da quelle parti. Gilbert aveva ragione. Doveva smetterla di giocare, doveva riconoscere i propri sbagli e fare, per una volta nella sua vita, una cosa giusta.
Un secondo. Un secondo. Un secondo.
Espirò. Non si era accorto di aver trattenuto il respiro per qualche secondo. Era così che si sentivano gli umani, sott'acqua?

*



Feliciano sentì il cuore fare una capriola. Finalmente. Finalmente!
«Quando vuole incontrarmi?» Per lui sarebbe andato bene anche subito, in quel preciso istante!
«Tra un'ora.» spiegò Francis: «Dal lato del castello che dà sulla porta segreta.»
Era successo tutto in meno di due minuti e ancora faticava a processare tutto, ma Feliciano era pronto. Da quando erano riusciti a contattare il signor Gilbert, non era mai mancato di salire in superficie una o due volte al giorno - Non nello stesso orario, perché doveva assicurarsi che il nonno non sospettasse nulla. Quel giorno, a quanto sembrava, Lovino si era finalmente deciso a parlargli. A quanto gli aveva riferito Francis, Lovino aveva prima chiesto al signor Gilbert, salvo sentirsi rispondere che, in effetti, lui non aveva nessun modo di contattarlo quando voleva - Ops. Così, per qualche motivo, aveva chiesto al signor Gilbert di urlare a squarciagola "Tre Aprile". Feliciano si era annotato quelle parole perché, a quanto pareva, avevano richiamato Francis. E così, era stato Francis a farsi portatore del messaggio di suo fratello.
«È una fortuna che ci sia io.» aveva commentato il gabbiano: «Scommetto» L'espressione chi sa di averci azzeccato. «che nessuno di voi ha pensato alle piccole spie di Arthùr, n'est pas?» E infatti ci aveva azzeccato.
«Lovinò avrebbe voluto incontrarti il prima possibile,» proseguì Francis: «ma mi serve del tempo per trovare Alfrèd e Mathieu e attirarli lontano da qui.»
«Sono le spie dello Stregone?»
Francis annuì. «Se non hanno fatto colazione, mi ci vorranno pochi minuti a convincerli.» Il suo sguardo s'incupì. «Se l'hanno fatta, li ritroverò in fin di vita.»
Feliciano deglutì. Lo Stregone del Mare sembrava una creatura spaventosa!
«Come farò a sapere se li hai trovati?»
Francis indicò il binocolo che portava appeso al collo. «Lo vedrai da solo, Felicianò.» Spiare delle spie? Sembrava divertente! «Tuttavia...» Il gabbiano sospirò. «Non ti posso garantire troppo tempo. Venti minuti, trenta al massimo. Arthùr s'insospettirebbe nel non ricevere informazioni per troppo tempo.»
Feliciano annuì. «Capirebbe che qualcuno ha distratto le sue spie.»
«No, saprebbe che sono con me e salirebbe in superficie per litigare.» Scosse la testa. «E noi non vogliamo che Arthùr salga in superficie.»
«Eh, no...»
Avrebbe fatto tesoro di quei minuti preziosi. Era un lavoro di squadra - Lui, Francis, il signor Gilbert e Ludwig. Non avrebbe permesso che qualcuno - nonno, Stregone o umano scemo - scoprisse il segreto di Lovino.
Ah, ovviamente, Ludwig era a pochi metri da loro. Era scontato.

Aveva già visto Lovino da umano. Però l'aveva visto da un binocolo, ed era grande un pollice, mentre ora era a grandezza Lovino e lo vedeva fin troppo bene. Era... strano. Non brutto, solo strano. Non c'erano più le scaglie verdi, non c'erano più le pinne sulla testa, e le code erano più sottili, e si piegavano solo in un verso.
«Lovi!» Feliciano strisciò fino al bagnasciuga, trascinandosi con le mani. Lovino gli si inginocchiò davanti, quasi volesse fermarlo. «Stai bene!» Gli prese il viso tra le mani. Era asciutto, e assurdamente liscio, e faceva senso non sentire le pinne contro i polsi.
Lovino si scostò. Aveva a tracolla una tavola fucsia. Vi scrisse qualcosa, e glielo mostrò. L'aveva visto comunicare in quel modo, ma era strano che lo stesse facendo anche con lui - Era strano non sentire la voce irritata e tonante di suo fratello. «"Ovvio. E tu ti sei portato dietro il brucacavoli di mare?"»
Si voltarono entrambi a guardare Ludwig. Se ne stava con la schiena contro gli scogli, le braccia conserte, abbastanza lontano da concedere loro un po' di privacy, abbastanza vicino da intervenire in qualsiasi momento. Ricambiò lo sguardo di entrambi, e tornò a guardare davanti a sé, verso il castello.
Feliciano ridacchiò. «Dovevi aspettartelo.»
Lovino annuì. Era strano. Sì, l'aveva già pensato, ma era strano il fatto che non fosse furioso. Peggio. Sembrava gli andasse bene.
«... Stai bene?» Gli accarezzò una guancia. Ora era bagnata, dato che l'aveva toccato poco prima.
Suo fratello non rispose. Continuava a guardarlo, quasi assente. Alla fine, scrisse qualcosa. «"Come sta nonno?"»
«È molto preoccupato per te! Non l'ho mai visto così!» Cercò di imprimere quanta più urgenza nella voce. «Non gli ho detto niente, per ora, però ti prego, Lovi, c'è un modo per farti tornare normale? Se ti serve qualcosa, dimmelo e-»
Lovino alzò una mano. Feliciano tacque. Un'altra scritta. «"Sei disgustosamente buono, Feliciano."»
Feliciano espirò. Non si era accorto di quanto fosse teso. Perché era teso, in effetti? Era felice di rivedere suo fratello sano e salvo, ecco perché il cuore gli stava martellando nelle orecchie e si sentiva così rigido. No, non era una reazione normale. Era perché era strano vedere Lovino con quell'aspetto, così silenzioso, così poco iroso, con uno sguardo così spento. Tutto era sbagliato.
«"Chiama qui il granchio."»
D'accordo, quella era la prova schiacciante del fatto che qualcosa non andasse. Non si mosse. Guardò Lovino negli occhi. «Dimmi cosa sta succedendo.»
Per tutta risposta, suo fratello annuì. «"Te lo dico. Chiama qui il granchio, voglio dirlo anche a lui."»
Feliciano scoccò un'occhiata a Ludwig. Lui si voltò subito. Feliciano fece per alzare la mano, a chiamarlo, ma la sentiva pesantissima, e il cuore impazzito stava iniziando a fargli male. Però non potevano perdere tempo, Francis non avrebbe potuto tenere lontane le spie troppo a lungo. Guardò di nuovo Lovino. Qualcosa non andava, avrebbe dovuto capire cosa, ma non ci riusciva. Perché non era più intuitivo?
Lovino alzò lo sguardo. Dovette incontrare quello di Ludwig, perché gli fece cenno di avvicinarsi. Feliciano sentì l'acqua muoversi, dietro di sé. Non distolse lo sguardo da suo fratello.
«"Mi servite tutti e due."» Lo sguardo di Lovino andò prima a lui, poi a Ludwig. «"E guai se ne fate parola con qualcuno, fino a tempo debito. Giuratelo."»
«Di cosa stai parlando, Lovi?» Feliciano giunse le mani, si torse le dita. «Fai... fai paura, così.»
Non la frase giusta da dire. Pessima frase da dire.
«N-Non nel senso che sei spaventoso!» Cercò di recuperare. «Mi stai facendo preoccupar-» Di nuovo la mano alzata. Tacque. Lovino picchiettò il pennino sulla parola "Giuratelo".
Ludwig aspettava la sua decisione. Non avrebbe giurato, se non l'avesse fatto lui. E lui non poteva continuare ad esitare e temporeggiare in quel modo. Lovino aveva bisogno di lui, di loro, e lui stava facendo una sceneggiata ridicola. Trasse un respiro profondo e annuì. «Mi fido di te, Lovi.» Sperò di sembrare deciso, anche se gli era parso di sentire una scheggia, nella sua voce. «Lo giuro.»
«Lo giuro.» Ludwig gli fece eco.
Lovino girò di nuovo la tavola. Cancellò la scritta, e scrisse qualcos'altro. Girò la tavola.
Feliciano sentì le forze venire meno. Scosse la testa. Premette i palmi aperti sugli occhi. «Non ho letto, Lovi! Non ho letto nient- Ahia!» Liberò la vista, si portò una mano alla testa. Lovino l'aveva colpito con la tavola e aveva fatto parecchio male. Se non altro, l'aveva colpito di piatto e non di angolo, per quanto arrotondato.
«Princ-» Anche Ludwig tacque. Non perché fosse stato colpito, ma perché Lovino gli aveva messo la tavola davanti agli occhi. Era impossibile non l'avesse letta, così come era impossibile che non l'avesse letta anche Feliciano.
«Perché?» Non era stata un'impressione. La sua voce era davvero scheggiata. «Vuoi rimanere nel mondo degli umani, forse?» Forse era quello, il motivo. Forse era quello, e allora avrebbe accettato, altrimenti-
Lovino scosse la testa, un lampo di indignazione negli occhi. Somigliava più a suo fratello, ma era ciò che non voleva sentirsi rispondere.
"Io, Lovino, rinuncio al trono del Regno del Mare in favore di mio fratello Feliciano."
Bastava un solo testimone per rendere valida quell'affermazione, ed era stato crudele a far sì che il testimone fosse Ludwig.
Lovino scrisse altro. Era un bene, perché così aveva finalmente cancellato quella frase orribile. «"Perché tu sei stupido, ma è impossibile non volerti bene. Sarai un re perfetto. Diverso dal nonno, ma tutti ti ameranno ancora di più."»
Feliciano scosse la testa. Serrò i pugni. «Pensi davvero che accetterò questa cosa senza protestare?»
«"E cosa vorresti fare? Abdicare in favore di Ludwig?"» L'aveva persino chiamato per nome. Finalmente sorrideva, ma era più il sorriso di trionfo che aveva dopo aver fatto schiantare una nave.
«Non ti azzardare.» Un sibilo da parte del diretto interessato.
Feliciano scosse di nuovo la testa. «Non ho intenzione di farlo.» Tornò a guardare suo fratello. I pugni tremavano. «Perché sei così cattivo?» Non erano solo i pugni a tremare. «Pensi di poter scappare in eterno?»
A Lovino non era piaciuta la sua domanda. Non era più assente, o pensieroso, o felice di avergli fatto il dispetto più cattivo che avrebbe mai potuto fargli. Ora era il Lovino che conosceva, e Feliciano sentì il cuore appesantirsi nel rendersi conto che corrispondeva al Lovino pronto a saltare al collo e azzannare. E l'obiettivo era lui.
«"Sei disgustosamente buono, Feliciano."» L'aveva già scritto. C'era un'altra frase, però. «"Infatti sei stomacante."»
Fece appena in tempo a leggerlo, che Lovino si alzò e si allontanò a passo rapido.
Sentì Ludwig voltarsi verso di lui. «Devo prenderlo?»
«No.» Si lasciò andare sulla sabbia. «Ludwig...»
«Sì?»
Nascose il viso tra le braccia. «Mi dispiace di essere così tonto.»
Ludwig non disse niente. Si avvicinò, e gli accarezzò i capelli.
Era successo tutto in meno di cinque minuti e ancora faticava a processare tutto, ma Feliciano era esausto. Non voleva davvero processare tutto.

*



«Alfred!» tuonò Arthur: «Alfred D-»
«Eh, eccoci, Artie, che ti urli?»
Arthur trasalì. Alfred e Alfred Due erano d'innanzi a lui. Li fissò, perplesso. «Da quanto siete qui e perché non siete in superficie.»
Non suonavano come domande, ma Alfred rispose lo stesso. «Perché ci chiami sempre verso quest'ora per fare rapporto.» Mise le mani dietro la testa. «Quindi tanto valeva.»
«Oh.» Puntualità. Un altro pregio che poteva associare alle sue piccole murene spia.
«Piuttosto,» Alfred inarcò un sopracciglio. «siamo qui da un paio di minuti, ma non ci hai visto? Sei così vecchio che non ci vedi più?»
Sfrontatezza. Un altro enorme, francesissimo, difetto che poteva associare alle sue piccole murene spia.
«Allora.» Decise di far finta di nulla, ché lui era tanto magnanimo. Si sedette sullo scrittoio, giunse i polpastrelli. «Come sta andando il nostro principe avvelenato?»
Alfred fece per dire qualcosa, ma Alfred Due lo precedette: «È un modo di dire, Al. Per quanto si sia bevuto le pozioni di Arthur.»
«Allora.»
«Sta andando CHE NOIA!» Alfred agitò i pugni. «Questo è l'incarico più noioso che ci hai mai dato, non succede letteralmente nulla!»
«A parte il tentativo del principe Feliciano e del capo delle guardie di espugnare il castello.» ripetè Alfred Due. Era l'unico evento degno di nota che era successo, e ci tenevano a ricordarlo.
Arthur annuì, piano. «Vi confesso che, visto il soggetto,» borbottò: «pensavo anch'io ci sarebbe stato da divertirsi. Sto iniziando ad annoiarmi persino io che non passo tutta la giornata a guardare un castello brutto!»
Alfred e Alfred Due gli scoccarono un'identica occhiata di sufficienza. «Eh, povero Artie.» Percepiva una certa, inglesissima, ironia. Sì, li aveva cresciuti bene.
«Mettete al lavoro i vostri cervellini da bambini.» I bambini erano sempre la miglior fonte di piani malvagi. «Voglio i vostri suggerimenti per movimentare questa vicenda.»
Gli occhioni blu di Alfred brillarono. Alfred Due si sistemò le lenti rotonde.
«Possiamo prendere della dinamite da una delle navi affondate e-»
«Potremmo mandare una falsa lettera minatoria al principe Lovino, dicendogli di aver rapito il principe Feliciano e-»
«-la mettiamo sotto al castello, così poi esplode e-»
«-chiederemmo qualcosa di estremo per la sua liberazione, possibilmente qualcosa di emotivo, perché le ferite mentali sono più profonde di-»
«Sweetie, sweetie.» Mosse i tentacoli, a far cenno di calmarsi. Erano un po' troppo infervorati. «Per quanto deliziose siano le vostre proposte, abbiamo un obiettivo da raggiungere.» Un tentacolo s'infilò in un armadietto, e ne riuscì con la scatolina che conteneva la voce del principe. «Quindi, vi darò delle linee guida. Prompt: voce.»
Alfred si grattò la testa. Alfred Due si guardò intorno, in cerca di ispirazione. Il primo parlò dopo qualche secondo. «Lo torturiamo fino a vedere se gli torna spontaneamente la voce a suon di urla di dolore?»
Arthur aprì la bocca. La richiuse. Purtroppo quel piano, per quanto interessante, non avrebbe portato a nulla di fruttuoso.
«Il principe e l'umano si sono sempre incontrati nella grotta.» fece notare Alfred Due: «La grotta è abbastanza buia. Forse l'unica cosa chiara che avevano l'uno dell'altro è la voce.»
Arthur si mise in ascolto. Sia perché sembrava un'idea eccellente, sia perché la voce di Alfred Due era appena più alta dei sussurri degli abissi dell'Ammasso di Perseo.
«Tu hai la voce del principe. Puoi usarla a tuo vantaggio per ingannare l'umano e fargli credere di stare parlando con il principe.»
Sì. Un'idea eccellente - Eccellentissima!
«Magari gli puoi fare qualche scherzo, o attirarlo a largo, o fargli credere di essere pazzo, o-»
«Rassicurarlo del fatto che i tritoni siano completamente vuoti e senz'anima.»
Alfred e Alfred Due s'immobilizzarono. Arthur aprì la scatolina ed estrasse la sfera rossa. Pulsava e lampeggiava, come se odiasse essere toccata. Peccato che era esattamente ciò che lui aveva intenzione di fare. Se la rigirò tra le mani. Aprì la bocca.
«Ma che creatura diabolica e fantastica sarò...»
Alfred e Alfred Due spalancarono la bocca. Arthur non aveva parlato con la sua voce.
«Ogni mossa è stabilita e i miei piani seguirà...»
Sì. Sì, gli era venuta un'idea piuttosto divertente.
«Sarà vana la vendetta e l'oceano avrò per me!»
Scoccò un'occhiata ad Alfred e Alfred Due. Il secondo era un po' dubbioso. Il primo annuì. Alfred Due dava idee migliori, ma Alfred era più interessato a seguire i suoi piani. Uno sguardo d'intesa, e due - tre, in realtà - risate malvagie risuonarono nel colossale relitto dello Stregone del Mare.

*



"Prima che il sole cali sul trentesimo giorno", aveva detto lo Stregone del Mare. Dunque mancavano poco più di ventiquattr'ore.
Il tempo era volato. Con un certo scorno, Lovino aveva realizzato come avesse apprezzato di più i primi venti giorni che non gli ultimi nove. Erano scorsi come i granelli di sabbia in una clessidra, ma gli erano parsi tutti tristemente uguali. Doveva essere perché non aveva avuto più idee per vendicarsi del bastardo.

«Niente piano di distruzione, oggi?»
Lovino aveva alzato lo sguardo. Abel era alla finestra, come sempre avvolto dalla sua nube misteriosa. Avrebbe detto fosse incuriosito, e l'avrebbe dedotto più dal tono di voce che dall'espressione.
Aveva semplicemente annuito, in risposta. Non è che avesse niente da aggiungere. Era stato così e basta. Un giorno intero senza pensare a niente di terribile e raccapricciante per tormentare il capitano idiota.


E a quel giorno se n'erano aggiunti altri, fino a diventare la norma.

«Non prenderla come un'offesa,» aveva detto Lucilin: «però è strano vederti così tranquillo e pacifico. Va tutto bene?»
Forse era un po' preoccupato. Forse le sue parole sarebbero effettivamente potute suonare offensive. Per Lovino non lo furono. Rispose annuendo. Non aveva altro da dire.


Erano strano pensare che, fino ad una manciata di decine di ore prima, trascorreva le notti ad ideare piani stupidi e le mattine o i pomeriggi a metterle in pratica.
Non aveva più parlato con Gilbert. Lo vedeva, di tanto in tanto, lanciargli occhiate fredde, di chi sta cercando di contenere la propria irritazione - fallendo. Non lo biasimava. Dato che era ancora umano e senza voce, per quel che ne sapeva lui, non c'era stata nessuna azione utile, da parte sua.
Lovino era stato certo che liberarsi del peso più grande lo avrebbe portato a stare meglio. Era certo che quegli ultimi giorni da umano sarebbero stati anche migliori dei precedenti - Non avrebbe avuto più nulla di cui preoccuparsi, nessun regno, fratello o nonno sulla coscienza, e alla fine se ne sarebbe semplicemente andato chissà dove con uno Stregone non troppo a posto con l'umore.
Però ogni guizzo di immaginazione era come scomparso, da un secondo all'altro. E aveva trascorso più di venti giorni nella città umana, ormai non si stupiva più come prima. Si sarebbe dovuto sentire leggero come una bolla, invece si sentiva leggero come il relitto di un galeone. E poi c'era Feliciano, che lo perseguitava. Non il suo fratellino confettino di per sé - Il suo sguardo, le sue parole, la sua voce, era più irritante del solito.
Ed era stupido pensare a tutto quello, lo sapeva. Il Regno avrebbe festeggiato, suo nonno se ne sarebbe fatto una ragione senza troppi problemi e suo fratello avrebbe colmato il terribile vuoto esistenziale dato dalla sua scomparsa con un aitante e noioso crostaceo teutonico.

«Sei...» Manon gli scoccò un'occhiata esitante. «sicuro di non voler venire?»
Lovino annuì. Sarebbe rimasto a palazzo, quel giorno. Non aveva voglia di uscire.
Manon non parve troppo convinta. «D'accordo.» Fece per allontanarsi, ma si fermò e si voltò di nuovo verso di lui. Forse sperava la fermasse. «Magari domani, eh?» Gli rivolse un sorriso d'incoraggiamento.
Lovino annuì di nuovo. Nient'altro.


Da parte sua, lasciava che il patto giungesse alla sua naturale conclusione, con la sua sconfitta. Era quella la parte più naturale, per la cronaca. Si sarebbe goduto quegli ultimi giorni in quell'insulto architettonico, sarebbe stato con gente che subiva o seguiva con un certo interesse le sue prodezze di vendetta, e poi se ne sarebbe andato. Lo Stregone del Mare veniva da Albione e aveva sette mari a disposizione, gli sarebbe andato bene qualsiasi posto - Tranne il Mediterraneo.
Andò in cucina. Era quasi sera, ma faceva un caldo terribile. Bevve due bicchieri d'acqua. L'incantesimo doveva star perdendo efficacia - Aveva scoperto che gli umani, quando avevano molto caldo, perdevano acqua. Assurdo a dirsi, ma la natura aveva deciso così. Lui, invece, era da un paio di giorni che provava la non troppo sconosciuta sensazione di essiccamento. Di solito bastavano uno o due bicchieri d'acqua, a volte doveva berli, a volte doveva buttarseli addosso.
Si sedette su uno dei banconi, la schiena contro il muro. Si sfilò la tavoletta e la mise accanto a sé. Il castello era enorme, ma le cinque persone al loro interno riuscivano sempre a farlo sembrare pieno - Almeno, Manon, Gilbert e il bastardo parlavano a voce così alta che li si sentiva tre piani più in alto e più in basso, Lucilin e Abel erano più civili. Era bizzarro, quindi, sentire il castello silenzioso, e illuminato dalla luce del tramonto. Gli altri erano usciti, lui era voluto rimanere lì. Doveva pensare al giorno successivo. Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato un tritone di colpo - Puff, code e scaglie ovunque lui si trovasse? E se si fosse trovato al quindicesimo piano? Come sarebbe sceso? Sarebbe venuto a prenderlo lo Stregone del Mare? E se avesse provato a scappare nell'entroterra a bordo di una vasca da bagno con le ruote e piena d'acqua? Non che lui volesse, erano solo ipotesi logiche da fare.
Non che scoppiasse di entusiasmo all'idea di diventare servo dello Stregone del Mare, ma gli era parso che Feliciano, Gilbert e compagnia ne avessero fatto un dramma più grosso di quanto non fosse. D'accordo, non era simpatico, ma non è che frustasse a morte i suoi sottoposti o li torturasse in modi indicibili - Tranne la parte del cibo che rifilava loro, quella doveva avere qualcosa di sinistro. Tuttavia, se aveva due murene minorenni e in salute, non poteva essere nulla di insostenibile.
Il Regno del Mare era al sicuro, ora. Nessuno si sarebbe più dovuto preoccupare di quello. E non vedeva nessun dramma da calde lacrime di sangue, lamenti strazianti, capelli strappati e invocazioni di pietà nel diventare servitore. Feliciano era un idiota che ingigantiva i problemi, ma sarebbe senz'altro stato un re migliore di lui. E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. E-
Lovino alzò lo sguardo. Era rimasto solo nel castello, no?
«Qualcosa non va?» Il bastardo era nella cucina da... Era nella cucina. Prese una sedia e ci si sedette al contrario, le braccia sopra lo schienale. Si era messo a distanza di un calcio, e Lovino fu tentatissimo dal rifilarglielo - Ormai era sicuro delle sue gambe, le aveva usate continuativamente per ventinove giorni!
«Sono un po' di giorni» Non aveva neanche aspettato la sua risposta. Che lui poi fosse rimasto immobile per un'intera manciata di secondi era un dettaglio irrilevante. «che sei un po' assente. È successo qualcosa?»
Cos'era, gli mancava essere tormentato? Sospettava fosse masochista, ora ne aveva la certezza. Lovino non diede cenno di riprendere la tavoletta. Si limitò a guardarlo.
Come al solito, il bastardo non abbassò lo sguardo. Anche lui continuava a guardarlo, sempre, ad ogni occasione, a riprova che dovesse decisamente farsi una vita. «È quasi strano pensare che tu sia qui da appena un mese.» Infatti erano ventinove giorni. «Da quando ti abbiamo trovato» Sorrideva, ma sarebbe stato strano il contrario. «non è trascorso giorno in cui ci annoiassimo. Sei stato una ventata di buonumore!» Oddio, porelli, com'erano messi male. «Non hai mai perso il tuo fare aggressivo, hai sempre risposto male - soprattutto a me -, non hai mai perso occasione per fare dispetti sempre più creativi, quindi» Il sorriso vacillò appena. «ora si sente che c'è qualcosa che non va. Se ci dici cosa, forse possiamo aiutarti.»
Ora a Lovino sarebbero andati a fuoco i piedi, si sarebbe messo dritto, avrebbe tremato e sarebbe stato sparato nella stratosfera, verso il cosmo e le stelle - Ovviamente, avrebbe lasciato un bel foro nel castello, che tanto era talmente brutto che magari l'avrebbe pure migliorato.
"È tutta colpa tua, brutto imbecille, ogni singola cosa è colpa tua, cazzo fai quello comprensivo quando sei un emerito coglione-"
La tavoletta non sarebbe bastata a comunicare tutto l'odio e il rancore che provava. Un'occhiataccia era più efficace.
Il bastardo rimase in silenzio per qualche secondo. Strano. Sospetto, quasi. «È bello averti qui.»
Cosa.
«Sono serio. Ci hai regalato delle giornate movimentate come non ne abbiamo mai avute, qui nel castello.» Gettò uno sguardo ad una finestra. «Manon e gli altri mi hanno detto che, di solito, scommettevano su quali navi si sarebbero schiantate sugli Scogli Scomodamente Stazionati.»
Lovino si mise bene in ascolto.
«Io non ho avuto modo di farlo. Te l'ho detto. Quando sono arrivato, sono subito andato a cercare la sirena. Suppongo non facesse più naufragare navi perché era con me.»
Aspetta.
«Però, dopo che ci siamo separati,» Aspetta. «ero sicuro che i naufragi si sarebbero intensificati. Invece, la sirena sembra del tutto scomparsa.»
Aspetta. Aspetta.
Il bastardo sembrava pensieroso. «Da circa un mese.» Sembrava pensieroso. Si atteggiava a tale, ma stava facendo un'insinuazione ben precisa. Tornò a guardarlo. Non c'era traccia di emozioni negative, nel suo sguardo, ed era assurdo, perché parlava della sirena - del tritone - che l'aveva minacciato e- «Avrei voluto rivederlo, sai? Soprattutto perché gli scogli si vedono benissimo, dalla mia camera.»
Cosa.
«Cioè, si vedono benissimo per tutta l'ala ovest e l'ala sud del castello.» specificò, come se quello fosse un dettaglio fondamentale. «Ma la mia camera è in alto, quindi si vedono molto bene.» Scosse appena la testa. «Non l'ho mai visto da lassù. Ero curioso di vederlo. Sai,» Stava parlando sempre più veloce, più entusiasta. «l'ho sempre visto in penombra. Non è stato per molto tempo, quindi mi sono rimasti impressi solo alcuni dettagli.»
La curiosità ebbe la meglio. Lovino riprese la tavoletta. «"Tipo?"»
Quel cretino si tirò su, quando lesse quella parola. Lovino pensò, pur sapendo quanto fosse stupido, che fosse perché aveva finalmente dato segni di vita.
«La voce.»
Oh. La voce. Ovvio. Era un tritone, del resto. Per cosa erano famose, sirene e tritoni? «"Doveva avere proprio un bel canto."»
«L'ho sentito cantare una volta sola.» E doveva essere un bel ricordo, a giudicare dalla faccia. «Era bello, sì, ma non intendevo quello.»
Eh?
«Il suo canto era qualcosa di ultraterreno. Forse è per questo che una mente umana non riesce né a comprenderlo né a ricordarlo alla perfezione.» Ah. «Intendevo, la voce di quando parlava. La sua voce.»
... Ah.
«Era molto bella.» La sua espressione cambiò appena. Quello era un bel ricordo. «Bassa, con una nota sempre arrabbiata o infastidita, se non arrogante.» Buon per lui che quelli sembrassero pregi. «Per quanto riesco a ricordare, avrei preferito continuare ad ascoltare quella che il suo canto.»
Si vedeva che era proprio un imbecille. Il bastardo lo guardò negli occhi. Per qualche motivo, attese qualche secondo prima di parlare di nuovo. «È il tipo di voce con cui penserei te, sai?»
L'aria venì meno.
L'espressione di quell'emerito idiota si era fatta seria. «Tu sei la-»
Aveva detto che gli piaceva, il castello in silenzio? Non ricordava. C'era silenzio, in quel momento. Almeno, nessuno stava parlando. Forse non poteva dirsi silenzio vero, dato che sentiva chiaramente il suo respiro pesante.
Aveva fatto un gran fracasso nel lanciarsi contro il bastardo - schiantare i piedi a terra, buttarsi su di lui facendo indietreggiare la sedia, e schiaffargli una mano sulla bocca. Poi c'era stato un finto silenzio. Finto, perché no, non poteva essere silenzio, finché avesse continuato a respirare in quel modo. Ma non era colpa sua. L'aria era venuta meno, e stava davvero faticando a inspirare ed espirare - E la gola era secca, faceva quasi male. E poi, il bastardo gli aveva detto delle cose stupide. Più stupide del solito, intendeva. La sua voce naturale era più piacevole del suo canto da tritone? Ridicolo. Stupido. Solo un idiota del genere avrebbe potuto fare pensieri simili. E Lovino era idiota quasi quanto lui - Quasi, perché lui non era così idiota -, perché gli piaceva sentire certe idiozie. Gli piaceva che quel cretino - E quello specifico cretino - gli dicesse che i suoi insulti erano più belli del suo dono in dotazione con la sua natura. Era masochista da far schifo. Oltre che stupido.
Per questo scostò la mano e, per evitare dicesse quell'unica frase che avrebbe portato le porte dell'Apocalisse a spalancarsi come in un giorno ventoso - O qualcosa del genere -, lo fece tacere con le sue labbra. L'avrebbe fatto prima. Molto prima. Subito, in realtà. Era stata tutta colpa dell'idiota. Lui aveva tutta la buona volontà del mondo, e avrebbe volentieri continuato ad incontrarlo nella grotta fino a tempo indefinito - Nella grotta, o da qualsiasi altra parte. Era colpa sua, quindi gli afferrò la nuca e gli impedì di allontanarsi, lo costrinse a baciarlo, contro la sua volontà. Il fatto era che si era ritrovato seduto sul bancone, e non sapeva neppure quando fosse successo - per quanto, in effetti, avesse sentito il rumore della sedia che veniva mandata verso nuovi orizzonti -, e aveva il ragionevole sospetto che, più che costringerlo, gli avesse dato il permesso di fare qualcosa che voleva fare da... Tipo subito.
Per quanto la differenza di intelligenza fosse palese, avevano sempre avuto le stesse intenzioni, eh?
Chissà da quant'era che il bastardo aveva capito. La gita al museo non era stata casuale, dunque. Sarebbe stato davvero comico se il bastardo l'avesse riconosciuto all'istante. Comico, anticlimatico e terribilmente piacevole.
Lo sentì scostarsi. Un sussurro. «Me lo dici il tuo nome?»
Lovino trattenne una risata. Fece scivolare la mano lungo il bancone, fino a recuperare il pennino. Scrisse. Fece un cenno al bastardo. Lui abbassò lo sguardo. E fu lui a trattenere una risata.
«"Scordatelo."»
Forse c'era qualcosa che gli sarebbe davvero dispiaciuto, nel fare da servitore allo Stregone del Mare. Dubitava che il suo Signore Et Padrone gli avrebbe permesso di passare le ore che voleva con un pirata umano. Sì, forse quello gli sarebbe dispiaciuto. Anche se era stupido. Anche se tutta quella situazione era partita da una sua frase - Da una sua idea - fuori dal mondo.
Già. La persona con cui più apprezzava stare era una che neppure lo considerava un essere senziente.
Fece un altro cenno al bastardo. Si toccò la gola.
«Sei disidratato.» Non era neanche una domanda. Doveva averlo sentito chiaramente, mentre lo baciava e gli accarezzava la pelle sotto la stoffa, mentre sentiva le sue mani sotto la camicia. Beh, almeno le labbra non erano rimaste secche e spaccate.
Gli porse un bicchiere d'acqua - Lo stesso di prima. Lovino lo guardò. Lo prese e se lo gettò addosso. Non era abbastanza. Ormai non era più abbastanza. Pensava che l'incantesimo avrebbe perso forza il giorno della scadenza, non a partire da ventiquattr'ore prima.
Mise le mani sulle spalle del cretino e lo fece indietreggiare di qualche passo. Scese dal bancone, senza lasciare la presa. Gli battè le mani sulle spalle, e premette appena. Aveva lasciato la tavoletta sul bancone. Sperava fosse chiaro. "Resta qui."
Fece qualche passo verso l'uscita. Si voltò a guardarlo. Il bastardo era rimasto dove l'aveva lasciato. Serio, forse appena preoccupato. Però aveva capito che non avrebbe dovuto seguirlo. Che poi pensasse di farlo, era un altro discorso. Si voltò di nuovo e uscì dal castello.

La porta della cucina dava direttamente sulla spiaggia. Forse era stata la sabbia a comprometterne i cardini. Ma ciò che importava davvero era che fosse a pochi metri dal mare. E il mare, supponeva, sarebbe stato abbastanza per rimediare all'essiccamento - Almeno, di solito era più che abbastanza. Ci viveva, nel mare. Ci era vissuto, nel mare.
Aveva iniziato a correre, ad un certo punto, aveva camminato a passo svelto nell'acqua e, quando l'aveva sentita ai fianchi, si era tuffato, aveva nuotato fin dove non potesse toccare più, e si era immerso. Era meglio dei bicchieri d'acqua. Molto, molto meglio, una singola goccia contro un acquazzone. Di certo là sotto non si sarebbe mai essiccato, neppure se l'acqua fosse diventata caldissima. Prese un gran respiro e-
Il respiro si mozzò. Gli avevano ficcato chili di sabbia indurita in gola, nel naso, nelle orecchie - Gli occhi bruciavano, la gola bruciava, le braccia e le gambe erano di piombo. Gli occhi bruciavano anche se li aveva chiusi, ma sapeva che la superficie era vicina, lassù sarebbe stato meglio. Però le braccia non facevano ciò che diceva, e le gambe non reagivano, e tutti e quattro gli arti erano troppo pesanti. Forse l'aveva sfiorata, la superficie, con la testa, ma era tornato giù. Se le braccia e le code avessero obbedito, non avrebbe avuto problemi. Se non fosse stato un umano, non avrebbe avuto problemi. Se non fosse stato un tritone, non avrebbe avuto problemi.
Qualcosa attorno alla vita. Una presa salda. Uno strattone, e l'aria gli pizzicò il viso. Tossì, tossì di nuovo e di nuovo, e avrebbe volentieri vomitato tutti gli organi - E poi se li sarebbe rimessi dentro, ovviamente dopo averli lavati. Riaprì gli occhi. Bruciavano come se dovessero sciogliersi. Si sfiorò le ciglia, per assicurarsi che non si stessero liquefacendo - Difficile a dirsi, dato che era fradicio. La linea dell'orizzonte si faceva sempre più lontana, il livello del mare si abbassava. Lo stavano riportando sulla spiaggia. Artigliò le spalle che premevano contro le sue. Sottili, sentiva le scaglie sotto le dita. Quando la nuca cozzò sul bagnasciuga, il volto di Feliciano apparve sopra il suo.
«Cosa stavi facendo?» Aveva gli occhi sgranati. Se esprimesse più terrore il suo viso o la sua voce, non seppe dirlo. «Sei un umano, ora!»
Lovino si voltò e vomitò probabilmente tutto il Tirreno. L'acqua era sempre stata così disgustosa? Il sale gli esplodeva sulla lingua, in gola e nello stomaco, continuava ad avere conati anche quando tutto il Tirreno fu in quella spiaggia. Si passò una manica bagnata sulla bocca bagnata, e guardò Feliciano. Non aveva idea di che sguardo avesse. Bagnato, probabilmente.
«Non so cosa pensavi di fare-» Smettere di essiccarsi. Molto semplice. Ma Feliciano doveva aver pensato le cose più assurde. Feliciano pensava sempre le cose più assurde. Ecco perché non riusciva a prenderlo sul serio, quando era così terrorizzato, perché era tutto frutto della sua immaginazione troppo catastrofica. Era per quello che faticava a guardarlo, ovviamente. «-però, ti prego, smettila con tutta questa storia! Revoca il patto e torna a casa!» Si tirò indietro, si mise seduto, forse per lasciargli un po' di spazio per respirare. Facile a dirsi. Persino il sale nell'aria gli ustionava il respiro.
Lovino si sedette. La testa girava. Faceva male dove si congiungevano il naso e la bocca, faceva male la gola, faceva male il petto - Doveva aver riempito stomaco e polmoni di acqua salata, e non era una cosa che un corpo umano gradiva. I conati continuavano, ma non c'era più nulla da vomitare. Alzò lo sguardo su suo fratello. Se ne stava lì, seduto sulle code piegate, le mani giunte in grembo, le labbra serrate di chi vorrebbe solo urlare.
Ora lo perseguitava anche dal vivo. Non bastava come l'aveva guardato, e ciò che gli aveva detto. Era pure rimasto a sorvegliarlo, per nove giorni. Che diamine pensava di fare. Stupido Feliciano. Un futuro re avrebbe dovuto riguardarsi di più, e non perdere tempo dietro a tritoni stupidi.
Avrebbe voluto dirglielo, ma non poteva. La tavoletta era nel castello, e lui non aveva la forza per scrivere una cosa simile sulla sabbia. Sentiva le dita tremare. Sentiva tutto tremare. Doveva essere per il sale. E l'acqua. Anche se ora non si sentiva essiccarsi.
Forse Feliciano pensò di aver aspettato abbastanza una sua risposta. Si sporse verso di lui, le braccia a tenersi sulla sabbia. «Il nonno ancora non sa nulla.» sussurrò: «Torna indietro. Se c'è qualche problema, dimmelo.» Le dita affondarono nella sabbia. «Lo so che sono tonto, e che non potrei mai risolvere nessun problema, però, ti prego, non fingere che io non esista!» Oh, quello non l'avrebbe mai fatto. Sarebbe stato impossibile, anche se avesse voluto. «Sono qui.» Un sussurro così basso che avrebbe potuto fingere di non averlo sentito. «Sono qui anche ora.» E avrebbe finto. Avrebbe finto di non aver sentito. Stupido Feliciano. Stupido fratellino. Perché gli era capitato un fratello così stupido? Perché non gli era capitato un fratello uguale a lui, cattivo ed egoista? Sì, se le parti fossero state invertite, si sarebbe arrampicato sugli scogli e avrebbe riso delle sue sventure, perché non ci si poteva aspettare niente di buono da un fratellino così stupido. Sì, avrebbe fatto così. Senza dubbio, avrebbe fatto cos-
«Romano.»
Feliciano spalancò gli occhi. Lovino era certo di aver fatto altrettanto. Lo vide spostare lo sguardo alla sua sinistra, insieme a lui.
Il bastardo era a pochi metri da loro. Li fissava, prima uno, poi l'altro. Ed era serio. Spaventosamente serio.
Lo raggiunse con pochi passi e, senza troppe cerimonie, lo fece alzare e allontanare di qualche passo. Le gambe tremavano - Non rispondevano - e, suo malgrado, dovette afferrare il braccio del bastardo per sorreggersi.
Feliciano si era ritratto, ma non era scappato. Se fosse per temerarietà o per stupore, era difficile dirlo.
«Stagli lontano.» Aveva sentito quel tono solo una volta. Ed era una volta che odiava. Ed odiava sentire quella voce così vicina, quel tono così vicino, quasi mormorato. E, soprattutto, ancora una volta rivolto a lui.
Il bastardo tornò a rivolgersi a Feliciano. «Così» Con lo stesso, odioso tono, ma più alto, più freddo. «è questo il modo in cui intendi vendicarti?»
Lovino incontrò lo sguardo di suo fratello. Per quanto fossero diversi e si esprimessero in modi diametralmente opposti, era certo che, in quell'istante, nelle loro menti ci fosse lo stesso pensiero.
Cazzo.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene di nuovo da Love is War, ma ci sta troppo bene. (!)
* Nell'Ammasso di Perseo è stato registrato il suono più basso dell'universo, non percepibile da orecchio umano. [0]


La scena finale (e quel che ne segue) è una delle prime cose a cui ho pensato, e mi sarebbe piaciuto se fosse stata a fine capitolo - Mamma mia, che cliffhangerone! Sono riuscita a metterla dove volevo e ne sono soddisfattissima~
Questo capitolo è genericamente molto allegro. Cioè, a me sembra nella media, ma mi rendo conto possa sembrare genericamente molto allegro. Perdono, non durerà~

Q&A rapido, ché mi sa che qui potrebbe volerci:
Q: Viene detto che Feliciano non ha modo di contattare Gilbert quando vuole, ed è per questo che ricorrono a Francis. Ma allora come fanno Gilbert e Ludwig ad incontrarsi?
A: A caso. Gilbert va sugli scogli in attesa di Ludwig quando è sicuro che nessuno lo stia guardando/seguendo, idem Ludwig. Per questo si sono incontrati così poche volte!
Q: Se Lovino ha deciso di lasciarsi perdere, perché non revoca il patto e basta?
A: Perché in quel caso finirebbe con un'esplicita "vittoria" di Antonio. È irrazionale come sembra.
Q: Quindi Antonio, nonostante tutto, ha davvero capito che Lovino è il tritone?
A: È proprio una (s)fortuna che Arthur abbia concesso che avrebbe dovuto dirlo esplicitamente!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 9
*** Il silenzio è d'oro pt.1 ***


Capitolo VIII
Il silenzio è d'oro ~ Niente, niente, non sono senza cuore, io?


Era difficile stabilire con certezza se quella situazione fosse più bizzarra, comica o disturbante.
Lovino aveva rinunciato al trono, in poco più di ventiquatt'ore avrebbe riacquistato le code e la voce e perso la libertà, una manciata di minuti prima aveva cercato di scampare all'essiccamento con un affogamento accidentale e le sue gambe sembravano risentirne talmente tanto da costringerlo ad artigliare il braccio e la spalla del primo bastardo che passava su quella spiaggia. Il primo bastardo che passava su quella spiaggia, oltre ad essere la causa di ogni male, sembrava aver scoperto la sua identità segretissima che non aveva fatto nulla per nascondere, salvo poi mostrare che no, a quanto pareva non aveva capito un cazzo, perché le parole e lo sguardo che stava riservando a quell'idiota di suo fratello erano tutto tranne che equivocabili. Suo fratello, invece, che era sì idiota ma ormai futuro re del mare, se ne stava a guardarli con gli occhi a palla e le code inchiodate alla sabbia. In tutto quello, Lovino non poteva comunicare, perché la tavoletta era nel castello, lui non si era mai dato pena di imparare il linguaggio dei segni e, ad ogni modo, nessuno degli altri due conosceva il linguaggio dei segni, dunque era spacciato.
Ma doveva andare con ordine. Non aveva abbastanza forza per provare a tramortire il bastardo, quindi cercò lo sguardo di Feliciano. Quando lo incontrò, gettò una rapida occhiata a Capitan Cretino e poi scosse la testa. La cosa più importante, in quel momento, era che l'imbecille non pronunciasse una certa dannata frase - E, per come si stava mettendo la situazione, avrebbe potuto pronunciarla alla persona sbagliata, ma forse sarebbe stato meglio così.
Vide Feliciano stringere i pugni, e fare un respiro profondo. Era agitato da prima, quella situazione doveva starlo turbando parecchio. Ma non si sentì in colpa, né provò dispiacere. Era stato Feliciano ad intervenire e a salvargli la vita. Figurarsi se lui si sentiva in colpa! O dispiaciuto! Assolutamente no!
«Ah ah ah!» Oh, no. Lo shock aveva sconvolto Feliciano a tal punto da fargli perdere la ragione. «Ebbene sì! Cazzo! Mi hai scoperto! Cazzo!» Mise i pugni ai fianchi, e si erse per quanto gli era possibile - E arrivava ai suoi, di fianchi. Non troppo spaventoso. No, neanche se faceva la voce grossa. «Sono la cazzo di sirena dei cazzo di scogli! Cazzo!»
"Felicià, ma come cazzo parli?" Era raro sentire Feliciano imprecare, sentirlo sciorinare una simile sequela di- Un dubbio.
Feliciano puntò un dito contro di loro. «Ho cazzo aspettato un mese, cazzo! Ero pronto a rapire il tuo ospite, cazzo, e a fargli cose molto cattive, cazzo, ma tu sei arrivato, cazzo!»
... Lo stava imitando, secondo lui? "Ma che minchia di opinione hai di me?"
«E» Il bastardo parlò. Lovino si voltò verso di lui. La sua voce era lo specchio della sua espressione molto, molto, molto confusa. «come mai hai aspettato un mese, per rifarti vivo?»
Feliciano non disse nulla. Rimase a guardarli, con le sopracciglia a V e un sorriso tiratissimo che, forse, nella sua testa doveva sembrare molto malvagio. Rispose dopo qualche secondo, il tempo di pensare ad una risposta senza fare niente per nasconderlo. «Ah ah ah!» E, uhm, prendere ulteriore tempo. «Cazzo! Non pensavo avresti cazzo notato la mia cazzo di assenza per un cazzo di mese intero! Cazzo!»
"Cazzo, Felicià, smettila di continuare a dire cazzo!"
A parte quello, la risposta non diceva niente. Il bastardo era visibilmente in difficoltà. Feliciano era un avversario temibilissimo, quando si parlava di stupidità.
«Non capisco cosa tu abbia in mente»
"Guarda, credo che al momento non lo sappia neanche lui."
«ma stai lontano da Romano.» Il braccio che lo sorreggeva lo spinse indietro. «È con me che ce l'hai.» Almeno era pronto ad affrontare la sua giustissima ira, senza mettere in mezzo degli innocenti. Poteva concedergli quel pregio.
Nel sentire quelle parole, Feliciano aveva abbandonato la sua espressione credibilissima. Non era sicuro fosse volontario.
«Ma tu» Continuava a fare la voce grossa - Cercava di imitare la sua? Le loro voci erano molto simili, ma il risultato non era esattamente preciso. -, ma parlò con una nota più pacata. «hai capito perché ce l'ho con te?» Parve ricordarsi di qualcosa. «Cazzo?» Ecco, appunto.
Il bastardo era così confuso che, se quel discorso senza senso fosse continuato, avrebbe fatto il giro e sarebbe diventato un genio. La risposta che diede, con una calma del tutto ingiustificata, colse Lovino di sorpresa.
«Vuoi dirmelo tu?»
Feliciano scosse la testa. Tornò seduto sulle code. «Sai già la risposta.»
Lovino era certo che, se mai fosse successo qualcosa di atroce tipo che il bastardo e suo fratello s'incontrassero e iniziassero un dialogo demenziale, avrebbe sentito la testa in procinto di esplodere per la marea di cazzate al secondo. In realtà, in quel momento in cui l'infausto incontro era avvenuto, aveva il sospetto che parlassero intendendo tutt'altro, ed era un tutt'altro che sembravano capire. Feliciano non era più spaventato, il bastardo non aveva più quello sguardo gelido. Cosa minchia stava succedendo? Cosa cazzo si stavano dicendo? Perché stracazzo non stava capendo una minchia? Era lui il più intelligente, là in mezzo, perché stava facendo la figura dell'imbecille?
Ci fu un momento di silenzio. Lovino ne approfittò. Mosse le gambe, quelle finalmente risposero. Si liberò del braccio del bastardo e s'incamminò a grandi passi verso il castello. Con un po' di fortuna, il cretino avrebbe seguito lui, e Feliciano avrebbe avuto l'occasione di scappare. Dei passi alle sue spalle. Bene. Pochi secondi dopo, il rumore di qualcosa che si buttava in acqua. Si voltò. Non che pensasse che Ludwig fosse apparso da dietro uno scoglio, avesse buttato a mare l'idiota e avesse iniziato a seguire lui sulla sabbia, ma meglio controllare. A proposito, dov'era il crostaceo? Non lo vedeva da nessuna parte. Con una punta di inquietudine, si chiese se non stesse coprendo Feliciano con il nonno.
Una stretta al polso. Alzò lo sguardo. Sì, ovvio che avesse visto il bastardo avvicinarsi, ma non pensava gli avrebbe stritolato un polso.
«Romano...» Sembrava gli fosse costato parecchio dire il nome che lui gli aveva dato. O meglio, sembrava che quello fosse l'unica certezza che aveva. Bello come non fosse il suo vero nome. «Pensavo di aver capito.» Parlava a bassa voce, come se fosse pieno di gente ad ascoltarli. «Ero certo tu fossi-» Si bloccò, e Lovino lo ringraziò - Prima e ultima volta, che non si abituasse, tanto l'aveva fatto solo mentalmente. Il bastardo scosse la testa. Evidentemente, il vincitore di quello scontro tra titani doveva essere Feliciano, visto quanto sembrava scosso - Scosso? Non lo era, fino a pochi secondi prima. Era freddo, poi calmo, forse pensieroso, ma scosso? Perché, di botto, era così scosso? Feliciano gli aveva attaccato le sue emozioni? Era possibile, in primo luogo? Era un potere dei tritoni di cui non era a conoscenza? «Però no.» Continuava a guardarlo negli occhi, nonostante tutto. «Non ha senso. Non ha mai avuto senso.» Un po' come le sue parole. «Non era una cosa naturale, ma io ho pensato che...» Sospirò. Lovino cominciò ad inquietarsi. «Ti prego.» D'accordo, era stupido, ma stava iniziando a delirare. «Perdonami.» La mano che gli bloccava il sangue al polso lo lasciò libero, salvo intrecciare le dita alle sue. «Io... Ero certo tu fossi un mostro.» Il sale ancora gli faceva male ad ogni respiro. «Un mostro che, in qualche modo, aveva assunto l'aspetto di un umano per ingannarmi.» Era il sale, senza dubbio. «Ci ho messo un po', ma... Ora ho capito che non lo sei.» Le gambe lo stavano sostenendo, vero? «Sei una persona. Non un mostro.»
Lovino liberò la mano con uno strattone. Non si mosse. Rimase a guardarlo. Forse non aveva bisogno della tavoletta. Forse poteva esprimersi in altro modo. Le gambe rispondevano, no?
Assestò una ginocchiata al bastardo, nello stomaco. Ma il bastardo non cadde in ginocchio, si limitò ad un lamento soffocato, e a portarsi le mani al punto colpito. Ma perché non era caduto in ginocchio? Avrebbe voluto calpestargli la testa.
Che illuminazione, che aveva avuto. Se il tritone che voleva vendicarsi era Feliciano, allora lui doveva essere un comune essere umano, quindi non poteva essere un mostro senz'anima! Una sequenza di pensieri bizzarramente logica.
E lui perché aveva pensato che il bastardo potesse pensare diversamente? Ora avrebbe pure dovuto ringraziare Feliciano. Senza il suo intervento, non avrebbe mai realizzato quanto il bastardo fosse- Non lo sapeva neanche lui. Però si ritrovò a camminare, e non era in direzione del castello. Il bastardo l'aveva seguito, aveva detto qualcos'altro, ma lui era riuscito ad assestargli un pugno sui denti, e poi una testata in fronte. Solo allora aveva smesso di dargli il tormento.
Doveva solo aspettare ventiquattr'ore, e tutto sarebbe finito. Avrebbe potuto fare qualcosa. Non sapeva cosa, ma qualcosa di diverso da tutto quello. Senza nessuna delle persone insopportabili che lo circondavano. Solo ventiquatt'ore. Ventiquattr'ore.

*



Arthur calò il tricorno nero sulla fronte. Alfred e Alfred Due erano arrivati di corsa, su di giri come poche volte li aveva visti - Di solito, in concomitanza di una catastrofe -, e non voleva spaventarli con il suo travestimento. Soprattutto perché sembrava avessero notizie fantastiche. E le notizie furono fantastiche davvero.
«Oh, hanno litigato?» Si portò una mano alla guancia. «How sad! Anyway.» Richiamò le due piccole murene all'attenzione. Comprendeva e condivideva il loro entusiasmo, ma era il momento di intervenire. «Questa è un'occasione fantastica. Possiamo approfittarne per dare a questo accordo un finale molto più movimentato.»
Alfred era più incapace del solito di stare fermo. «Hai in mente qualcosa?»
Arthur annuì e Alfred, se possibile, sembrò ancora più impaziente. «Per l'occasione, ho deciso di usare questa.» Un tentacolo aprì il cassetto dello scrittoio, e ne uscì con una sfera nera. Alfred e Alfred Due si avvicinarono. «È la magica palla otto magica.»
«Ha detto "magica" due volte! Deve essere proprio magica!»
«È il pagamento che hai avuto in cambio di quella gelatina verde strana?»
«Esattamente.» Meglio che nessuno dei due indagasse troppo sulla gelatina verde. «Ah, fermi!» Alfred aveva alzato un braccino, ma Arthur aveva ritratto il tentacolo. «È uno degli strumenti magici più potenti che possiedo. Non ve lo farò toccare, può essere molto pericoloso.»
Alfred si aggrappò al tentacolo. «Ma che cosa fa?»
Alfred Due lo imitò. «Non dà delle risposte?»
«Certo, dà delle risposte.» Rimirò la superficie lucida della palla. Oltre che potente, aveva anche una bella estetica. «Tuttavia, quando le si pone una domanda, darà sempre la risposta più stupida e insensata possibile.»
Alfred e Alfred Due si scambiarono uno sguardo dubbioso. Ovvio. Aveva fatto apposta una pausa, prima di rivelare il vero, temibile potere della magica palla otto magica.
«E costringerà il consultante a seguire quella risposta.»
Alfred e Alfred Due spalancarono gli occhi, in sincrono perfetto. Le manine scivolarono dal tentacolo, e si allontanarono.
«Bravi, bambini.» Arthur controllò di avere tutto. La palla ce l'aveva. La sacca ce l'aveva. E, ovviamente, la voce del principe ce l'aveva. L'aveva messa su un bracciale dal retro cavo, in modo che la sfera potesse toccare la sua pelle. Finché avesse mantenuto il contatto, avrebbe potuto usare la voce del principe. Se lo riepilogò nella mente, fosse mai che la sua mente superiore se ne scordasse. «Andiamo dall'umano.» Rigirò la magica palla otto magica tra i tentacoli. «È stato lui la causa di tutto, che dia un bello spunto per il gran finale.»

Era sera, ormai. L'umano - Che, come lui, indossava una giacca rossa, e ad Arthur già stette sulle palle - se ne stava seduto su uno scoglio a caso in mezzo alla sabbia, strumento indefinito in una mano, alabarda nell'altra. Dal rumore sinistro che risuonava nella spiaggia altrimenti vuota, doveva star affilando la lama.
Arthur, Alfred e Alfred Due erano nascosti dietro la catena di scogli che, come logica voleva, erano in acqua.
«Ma è rimasto lì tutto il tempo?» bisbigliò Alfred.
«Evidentemente, il principe Lovino non è ancora tornato.»
«Lo sta aspettando?!» Alfred sbattè le palpebre. «Ma saranno passate un paio d'ore, e tra poco farà freddo!»
«Che pena.» Arthur ridacchiò. «È proprio un imbecille!» Guardò prima Alfred, poi Alfred Due. «Andiamo?»
I due bambini annuirono. Con un movimento deciso, il tentacolo lanciò la magica palla otto magica. La sfera nera cadde ad un paio di metri dall'umano. Uno scenografico, lento rotolare nella sabbia, lo sguardo dell'umano che seguiva il suo movimento - E chissà dove si sarebbe fermata? In qualche luogo simbolico? E che cosa avrebbe rivolto all'umano, il pannello delle risposte o il suo numero, il simbolo dell'infinito che-
Arthur sbuffò. La fisica funzionava in modo diverso e la palla si conficcò nella sabbia con un tump soffocato. L'umano le gettò un'occhiata. Mosse appena la testa, come se la stesse studiando dall'alto. Tornò all'alabarda.
«Cosa?» Arthur soffocò l'urlo. «Perché non è andato a prendere un oggetto estremamente sospetto lanciato dal mare? Ridicolo!»
«E ora come facciamo?» chiese Alfred.
«Non possiamo uscire dal nascondiglio e costringerlo,» pigolò Alfred Due: «o tutto questo non avrebbe senso!»
«Aspettate.» Arthur si guardò il polso. Poteva essere un'idea interessante. Toccò la sfera rossa. Parlò a voce alta, piena, con una voce non sua.
«Beh? Cosa stai facendo?»
L'umano alzò lo sguardo di scatto.
«Il mare ti lancia qualcosa e tu lo ignori?» Arthur posò il viso su una mano. «Non vuoi scoprire cos'è?»
L'umano scese dallo scoglio. Aveva messo lo strumento per l'affilatura in tasca, ma l'alabarda era ancora in mano. Alfred e Alfred Due non perdevano di vista la lama.
«Sei stato tu a lanciarlo?» L'umano non sembrava spaventato, né arrabbiato. Dal tono, sembrava cauto.
«Chissà.»
L'umano abbassò lo sguardo alla magica palla otto magica. La toccò con il bastone dell'alabarda. La- Arthur sobbalzò, ma s'impedì di dire qualsiasi cosa - La stava quasi martellando con il bastone, e Arthur non era sicurissimo di quanto la palla fosse resistente. Se gliel'avesse rotta, all'Abisso il patto, l'avrebbe stritolato e fatto a pezzi.
«Vuoi romperla o darci un'occhiata?» Non potè tacere oltre. Sperò che il fastidio contribuisse a rendere il suo tono più credibilmente principelovinesco.
L'umano si fermò. Guardò nella sua direzione - Ovvio sentisse da dove proveniva la voce, l'importante era che non si avvicinasse. Non che sarebbe stato troppo un problema, ad Arthur sarebbe bastato immergersi e riemergere da un'altra parte, ma non voleva rischiare che l'umano si gettasse in mare e trovasse dieci tentacoli che non sarebbero dovuti esserci.
«Tu non sei una voce. Sei solo un fischio nelle orecchie.»
Alfred e Alfred Due si scambiarono un'occhiata. «Sta resistendo?»
«Se tu sirena chiami e io ti ascolto- Ma non lo farò.» specificò: «Lo sbaglio sarebbe solo mio.»
Arthur trattenne uno sbuffo. Alfred e Alfred Due gli avevano garantito fosse stupido, cos'era quella prudenza, ora? Tanto valeva osare, allora. «Non stai immaginando nulla. E quello è solo un piccolo dono da parte mia.» Cercò di suonare più derisorio che potè. «Davvero non vuoi dargli un'occhiata?»
Non era sicuro che l'umano fosse convinto. Però aveva guardato la magica palla otto magica qualche secondo più a lungo.
«Il tuo richiamo è forte, ma non mi catturerà.»
Cos'era, una preghiera? Arthur non volle approfondire. Tuttavia, l'umano stava cedendo. Non fosse stato per gli sguardi che lanciava alla palla, se si dava alle preghiere doveva sentirsi messo all'angolo. «Non c'è nessuna domanda che ti perseguita?» Era il momento giusto per insistere. «Pensi di sapere tutto? Di essere in possesso della ver-»
«Y basta, me lo has dicho miles de millones de veces!»
Arthur ammutolì. Non si aspettava quello scatto irritato. A giudicare da com'erano sobbalzati Alfred e Alfred Due, neanche loro.
«Está bien. Le daré un vistazo.»
Arthur non aveva idea di cosa avesse detto, ma lo vide chinarsi e prendere la magica palla otto magica e tanto gli bastava. Quando tornò in piedi, i suoi occhi sembravano calamitati dalla palla. Guardando con più attenzione, erano calamitati dallo schermo delle risposte. Arthur dovette tappare la bocca ai bambini - Per quanto fosse in attesa anche lui. Doveva aver pensato ad una domanda. E la risposta - di merda - doveva essere apparsa sullo schermo. L'incantesimo stava per fare effetto. Presto avrebbero saputo cosa l'umano aveva in serbo per concludere quel patto di cui era stato causa scatenante.
La magica palla otto magica ricadde nella sabbia, da qualche parte. Tump. L'umano inspirò come se dovesse respirare tutta l'aria di Napoli.
«Come ho fatto a non pensarci prima?!» Se le onde sonore fossero state solide, Arthur era certo sarebbe stato sbalzato via - Lui, le murene e i tentacoli, magari pure qualche scoglio. Alfred Due si tappò le orecchie. «È ovvio! È la soluzione a tutto!»
L'umano corse alla porta in precario equilibrio ai piedi di uno dei lati del castello. Rimase sulla soglia, e urlò.
«Sposerò Romano!»
... Oh.
Arthur serrò le labbra. Non doveva scoppiare a ridere. Le sue risate malefiche erano molto rumorose.
«... Un matrimonio?» fece Alfred, schifatissimo. «Vedi che alla fine si torna sempre alle cose schifose?»
Alfred Due disse qualcosa, ma già era impossibile da sentire, con dei simili boati sonici a pochi metri era pura utopia pensare che potesse comunicare vocalmente.
Arthur mosse le dita, arricciò i tentacoli. Era disgustoso, ma era fantastico. Una delle occasioni più belle di sempre per rovinare qualcuno e spezzare più di un cuore!
«Alfred.» chiamò, a bassa voce. «Alfred Due.»
Le due murene si fecero attente - E dovevano esserlo perché, nonostante i fuochi d'artificio vocali, non poteva alzare troppo la voce, soprattutto perché stava usando ancora quella del principe.
«Se l'umano stava aspettando, vuol dire che il principe Lovino non è ancora tornato. Trovatelo. Rinchiudetelo da qualche parte, finché non tornerà un tritone.»
Alfred Due disse qualcosa, chissà cosa. Arthur, però, lo intuì sagacemente. Sorrise. «Il principe non mi ha mai detto che non potevo intromettermi~»
Alfred ridacchiò. Alfred Due abbozzò un sorrisetto.
«Io mi spaccerò per il principe.» Gettò un'occhiata divertita all'umano - Che... stava... correndo per la spiaggia urlando che avrebbe sposato Romano? Va bene. Stava correndo per la spiaggia urlando che avrebbe sposato Romano. «E mi premurerò di rovinare questo bel matrimonio.»
Con un gesto scenografico, si tolse il cappello. Alfred e Alfred Due trattennero il respiro. Sì, sapeva quanto i suoi travestimenti fossero efficaci. Dopo tutti quegli anni, i due piccoli ancora non riuscivano a capacitarsi.
«Sei davvero Artie?» farfugliò Alfred, gli occhioni spalancati. «Sei perfettamente indistinguibile dal principe Lovino!»
Arthur si passò una mano tra i capelli, non più biondi ma castano rossiccio. «Buono a sapers-»
«E quanto ci hai messo a raderti le sopracciglia? Fai paura, non sei più tu!»
Arthur non commentò. Si limitò a lanciargli un'occhiataccia. «Sbrigatevi.» sibilò: «Sia mai che il principe decida di tornare ora!»
Con un ultimo sguardo intimorito, Alfred e Alfred Due si immersero, ad obbedire.
Arthur aveva altro da fare: il suo travestimento non era ancora completo. Con un sospiro di disappunto, trasformò i tentacoli in un paio di gambe - Come facessero i bipedi a camminare su soli due piedi, non lo sapeva, ma lui odiava farlo. Mise mano alla sacca che si era portato dietro e ne estrasse un paio di pantaloni. Li indossò, per poi togliersi la giacca e avvolgerla nella sacca, rimanendo in camicia. Sperò che Alfred e Alfred Due intuissero che, una volta allontanato l'umano, avrebbero dovuto recuperare la sacca con la giacca e la magica palla otto magica - Quest'ultima in qualche modo, visto che era stata lanciata chissà dove sulla spiaggia.
«Oh.» sussurrò: «Stavo per dimenticare.» Picchiettò le dita sulla gola e si inibì la voce. Fosse mai gli scappasse qualche commento involontario. "Romano" era muto, del resto.
Emerse da dietro gli scogli. L'umano - Antonio, tipo - si accorse di lui in una frazione di secondo. Gli corse incontro e lo stritolò in un abbraccio troppo soffocante anche per un polpo. Con un moto di stizza, Arthur lo spinse via. Antonio non fece una piega - Aveva in faccia un gran sorriso, grande e luminoso, e gli occhi brillavano come solo chi era vittima di un incantesimo piuttosto potente.
Ah, quanto amava la magica palla otto magica! L'ideale per speziare ogni situazione!
«Finalmente sei tornato, Romano!» Antonio gli afferrò le mani e gliele stritolò. Arthur sospettò che la sua presa potesse essere forte quasi quanto quella dei suoi tentacoli. «Domani ci sposiamo!»
"Domani?!" Ringraziò di aver inibito la voce, perché non riuscì a non commentare. Forse la magica palla otto magica era stata troppo potente. Oppure, più probabile, quell'Antonio era un fallito.
«Celebreremo appena possibile! Ho già pensato a tutto!» Parlava a velocità fin troppo elevata, anche più di Alfred nei suoi momenti di entusiasmo. «Mi è ancora rimasta una nave e possiamo caricare a bordo le sedie della cucina purtroppo non abbiamo soldi per il cibo ma possiamo provare a rubare una pizza una pizza con tanto pomodoro o forse solo del pomodoro in effetti possiamo far vestire tutti di rosso e far servire solo pomodori e invece del riso ci lanceranno i pomodori ah no aspetta forse porta male però sarebbe buono e i pomodori costano meno del riso certo se li rubiamo la cosa non cambia granché ma»
"... Non è che la magica palla otto magica ha suggerito un'idea di merda anche a me?"

*



Feliciano era riemerso appena il sole aveva fatto capolino sulla linea dell'orizzonte. Avrebbe voluto avere Ludwig al suo fianco ma, quel mattino, c'erano le udienze e la sua presenza al fianco del re non era negoziabile. Aveva puntato il binocolo verso il castello, nella speranza di vedere qualcuno - preferibilmente Lovino, ma anche il signor Gilbert non sarebbe stato male.
Non aveva intenzione di abbandonare Lovino. Quello era l'ultimo giorno rimasto, e non gli avrebbe permesso di scappare. Voleva parlargli di nuovo. Voleva sapere cosa fosse successo la sera precedente, dopo che lui se n'era andato. Voleva sapere se il patto fosse ancora valido, se l'avesse revocato, o se l'umano l'avesse scoperto, nonostante la sua recita eccezionale - Feliciano ne era rimasto molto soddisfatto, se poteva concederselo. Conosceva Lovino da tutta la vita, chi avrebbe potuto imitarlo tanto bene, se non lui?
Non vedeva con precisione cosa stessero facendo gli inquilini del castello. Ma gli sembrava ci fosse un gran tramestio. Aveva intravisto Lovino, però, e aveva almeno la sicurezza che fosse ancora al sicuro nel castello - Anche se quel Lovino aveva qualcosa di strano. Era indubbiamente lui, ma Feliciano provava una sensazione bizzarra. Era come se ci fosse qualcosa di sbagliato, qualcosa di molto palese, ma non capiva cosa.
Scosse la testa. Non poteva stare lì a dubitare e rimuginare, doveva agire, e doveva agire subito! Attuare il Piano A di settimane prima avrebbe richiesto troppo tempo e preparativi, a lui serviva qualcosa di immediato.
"Ragiona, Feliciano." Inspirò. Doveva calmarsi. Kiku gli diceva sempre che agitarsi non era mai una buona soluzione. Le buone idee venivano da una mente lucida. Doveva guardarsi intorno, e lasciarsi ispirare.
Sabbia. Scogli. Castello brutto. Mare. Cielo. Il rumore delle onde. Il chiacchiericcio che iniziava ad alzarsi dalla città. Degli schiamazzi oltre gli scogli.
Feliciano si fece attento. Degli schiamazzi oltre gli scogli? Si avvicinò, piano, e sbirciò: un gruppo di ragazzi umani si stava facendo il bagno. Aveva sentito del bagno di mezzanotte, ma il bagno dell'alba gli mancava. Erano in cinque, ed erano abbastanza a largo. I loro vestiti giacevano sulla riva.
Un'idea. Sì, forse avrebbe potuto farcela. Nuotò fino alla spiaggia, strisciò sulla sabbia. Di tanto in tanto, gettava qualche occhiata agli umani - Sempre più lontani, ma dove dovevano andare? Oh, beh, prima o poi il mare li avrebbe ributtati a riva. Studiò le diverse stoffe davanti a sé. Alcuni vestiti avevano la forma di quelli che indossava Lovino. Suppose dovesse mettersi quelli, per passare inosservato. Prese un vestito bianco. Aveva dei tubi in cui mettere le braccia e si allacciava davanti con dei cerchietti piccoli e duri. Si tolse la gonna di alghe e prese un vestito nero con due tubi in cui inserire le code. Non fu esattamente l'azione più facile della sua vita - I tubi erano strettissimi e, se era riuscito a farne scorrere uno per una pinna, l'altro si rifiutava. Buttò all'aria quello strumento malefico e afferrò un altro vestito - Una gonna lunga simile alla sua, però fatta di stoffa e completamente rossa. Quella fu ben più facile da indossare. Sulla sabbia c'erano anche dei rettangoli di una stoffa spugnosa, non enormi ma neanche piccolissimi. Ne prese uno, lo sbattè per togliere i granelli di sabbia e se lo avvolse attorno alla testa, per nascondere le pinne del viso. Si trascinò fino all'acqua e vi si specchiò. Fece un gran sorriso. Ora che era indistinguibile da un umano, non avrebbe dato nell'occhio e nessuno avrebbe provato a fermarlo - Né, nel caso, avrebbe sospettato nulla di Lovino, vedendolo in sua compagnia.
Il piano era ormai chiaro nella sua mente: se suo fratello non voleva venire da lui, allora sarebbe stato lui ad andare da suo fratello!
Sì, ecco, l'idea era quella. Doveva arrivarci, però, da suo fratello. Si tuffò - La stoffa sul busto era scomodissima, in acqua - e tornò dove aveva incontrato Lovino, la sera prima. Da lì, sarebbe potuto entrare nel castello dalla porticina della cucina - Ormai la conosceva bene.
Non poteva strisciare, però. Sarebbe stato difficile, ma poteva farcela. Trasse un gran respiro, si sorresse sulle mani e puntò le pinne sulla sabbia. Si buttò all'indietro e- Ricadde seduto in acqua. Sì, ci avrebbe messo un pochino - Ma, se non ci fosse riuscito nei successivi dieci minuti, avrebbe strisciato fino al castello!
«Buongiorno, principe!»
Feliciano sobbalzò. C'era qualcun altro, lì? Si guardò intorno e realizzò due cose. La prima era che sulla spiaggia c'era un arpione: l'arpione era collegato ad una corda e la corda stava venendo tirata da una piccola murena bionda in acqua. A guardare meglio, sembrava che una palla nera stesse rotolando nell'ardiglione, mentre l'arpione veniva tirato. La seconda cosa era che, a pochi centimetri da lui, c'era un'altra piccola murena bionda che lo guardava con enormi occhi blu e un gran sorriso allegro.
«Buongiorno!» Feliciano sventolò la mano. Essere di fretta non giustificava l'essere maleducati!
«Dovete venire con noi!»
La murena non aveva cambiato espressione. Feliciano sbattè le palpebre. Poi scosse la testa. «Mi dispiace, ma adesso non posso!» Giunse le mani, in segno di preghiera. «Magari un'altra volta, sono proprio di fret-»
«Ma non era un invito!» Il bambino scoprì i denti affilati. «Sono ordini dall'alto!»
«Eh?»
Non c'era più sabbia, non c'era più acqua. Le code si agitarono nel vuoto, arrivando a schiaffare la spiaggia solo di sfuggita. Feliciano guardò sotto di sé e trattenne il respiro. La murena, piccola ed esile, l'aveva sollevato fin sopra la testa come se pesasse pochi grammi.
«Non vi agitate, principe.» Feliciano non seppe come udì quel sussurro. Spostò lo sguardo e un brivido gli attraversò la schiena: l'altra murena si era avvicinata, la palla nera in una mano, l'arpione nell'altra. «Vi potreste far male, con questo vicino.»
«Matt, Matt, sgancia la corda, così lo leghiamo!»
«Stavo per farlo, in verità.»
«Avete sentito, principe?» La murena lo lanciò in aria - Per svariati metri in aria - e lo recuperò come se nulla fosse - Il suo stomaco cominciava a pensarla diversamente. «Non vi agitate!» Scoppiò a ridere, una risata acuta e a volume ridicolamente alto.
"Lovino..." Feliciano lanciò un'ultima occhiata al castello, gli occhi più calamitati dall'arpione e dai due Davy Jones. "... Magari non arrivo subito, ma farò del mio meglio, quindi non fare cose stupide, va bene?"
Aveva l'atroce sospetto che la risposta sarebbe stata no.

*



In quelle ore, Arthur aveva potuto studiare il peculiare esempio di architettura post-sbronza che si ergeva su quella spiaggia, e l'aveva fatto per due minuti - Gli abitanti erano ben più interessanti di quella massa informe di scale e porte.
Gli inquilini erano cinque: l'umano causa di tutto, tre elfi e un ex-granchio di sua conoscenza. Si era dovuto trattenere dal fare qualsiasi commento, ma la sua presenza lì, in assenza di qualsivoglia donna - E no, l'elfa non sembrava la donna per cui aveva abbandonato la sua vita e la sua dignità -, non poteva che fargli sospettare che, forse, i suoi piani non fossero andati a buon fine. Oh, che triste anima sola! - Letteralmente.
In tutta onestà, Arthur aveva avuto un accenno di allarme quando aveva visto gli altri tre: gli elfi erano creature magiche, quanto ci sarebbe voluto perché intuissero la verità? Fin da subito aveva notato come lo stessero scrutando, più perplessi che guardinghi. Poi, li aveva sentiti.

«Non ti sembra che Romano abbia qualcosa di diverso?»
Il più giovane aveva annuito. «Eppure è lui. Lo vedi benissimo che è lui!»
«Ma» La ragazza si era portata una mano al mento. «non puoi negare che abbia qualcosa di strano...»
«È identico a Romano,» aveva detto il gigante: «si comporta come Romano, non è umano come Romano,» Ovviamente, l'avevano capito subito. «ma sì, ha decisamente qualcosa di strano.»
Ed erano rimasti a pensare, tutti e tre, senza infine capire.


Arthur non si aspettava di riuscire ad imitare il principe Lovino con tanta efficacia ma, a quanto pareva, gli bastava essere altezzoso, arrogante e scostante per dissipare ogni dubbio. Davvero una persona disdicevole. Era davvero difficile mantenersi così, senza lasciar trasparire la sua naturale classe e il suo innato carisma.
Antonio, invece... Antonio era troppo preso dai preparativi del suo matrimonio per badare al suo futuro marito. Starlo a guardare era interessante sia come studio magico - Dunque l'incantesimo della magica palla otto magica faceva ossessionare con la risposta letterale, dato che il pirata era presissimo solo ed esclusivamente dalla cerimonia - sia come studio antropologico - Erano gli umani o era quell'umano ad avere energie, voce e idee stupide illimitate?
«Riassumendo!» Antonio aveva chiamato tutti a raccolta. Se avesse dormito, nessuno lo sapeva. «Abbiamo una sola nave, quindi è lì che si svolgerà la cerimonia.» La donna e l'elfo più giovane, Manon e Lucilin, annuirono più per cortesia che per convinzione.
«Però non abbiamo soldi per le decorazioni.» fece notare Lucilin.
Antonio annuì. Poco ci mancava iniziasse a brillare. «Lo so! Ma possiamo buttare qua e là un po' di lenzuola bianche e fingere siano tende e festoni.»
«In effetti» borbottò Manon, a bassa voce: «perché abbiamo tutte quelle lenzuola?»
«Per le sedie, prenderemo quelle della cucina.» Antonio proseguiva nel suo ciarlare entusiasta. «Tanto ci siamo solo noi e la ciurma. Chi non ha una sedia, resta in piedi o si siede per terra.»
Era uno studio meraviglioso, anche se doloroso - Faceva male allo stomaco e alle guance cercare disperatamente di soffocare una risata.
«Lasciamo stare testimoni, portafedi e tutte quelle figure inutili.»
«Oh!» Manon si rabbuiò. «E io che volevo fare la damigella...»
«Meglio mettere gente tra il pubblico che mettere tutti a fare qualcosa e lasciare le sedie vuote.» Una logica inoppugnabile. «Ah, Gilbert?»
Il diretto interessato si riscosse. Sembrava non avesse ascoltato una sola parola. «Sì?»
«Tu hai studiato per fare il prete, vero?»
Esisteva una cosa del genere? Arthur scoccò un'occhiata stupita all'ex-crostaceo. Lui, un prete? Ma perché ci aveva pensato, ora il dolore era raddoppiato.
Lo sguardo rosso di Gilbert vacillò. «Ssssssì, ma molto poco...»
«Perfetto!» Antonio gli assestò una pacca sulle spalle, e il povero quartiermastro finì quasi per schiantarsi addosso al gigante, Abel. Da quale botta avrebbe ricavato più danni, difficile dirlo. «Allora il celebrante sarai tu!»
«Antò, che straminchia-»
«Abel, riesci a procurarci un po' di fiori?»
«Legali?»
Antonio alzò le spalle. «Ma quello che trovi, basta siano fiori!»
«Ti prego.» Manon afferrò un braccio del fratello. «Niente papaveri da oppio, marie o-»Papaveri da oppio? C'erano papaveri da oppio, in quel castello? Un'informazione interessante, ma magari per un'altra volta.
«Intendevo» spiegò Abel, calmo come sempre: «se i fiori dovessi pagarli o meno.»
«Oh.» Manon ritrasse la mano. La sua voce fu ridotta ad un sibilo. «Ovvio che no, o dovremmo saltare la cena di stasera!»
«Chissà perché Gennaro non si fa incantare...» borbottò Lucilin, chiunque fosse Gennaro.
«Mi raccomando, indossate i vostri vestiti migliori! Ma non bianchi, perché solo Romano ed io abbiamo questo privilegio, perché è il nostro matrimonio!»
Arthur alzò le mani, la faccia impassibile, a mimare un sentitissimo "evviva".
«A proposito.»
«Dimmi, Lucilin.»
«Ma è vera quella storia che i suoi vestiti, in origine, erano bianchi?»
Antonio piegò appena la testa di lato. «Eh?»
«C'è una leggenda che dice che i suoi vestiti siano bianchi, e che siano diventati rossi a seguito delle sue imprese-»
«Ehi!» Antonio scattò su, l'espressione non più da black moor ma indignata. «Io li lavo, i vestiti! E poi non sarebbe igienico!»
Gilbert annuì, con fare grave. «Avevamo una lavatrice, a bordo. E funzionava, in qualche modo.»
Un rumore di campane riempì la sala. Il rumore solenne di una manciata di rintocchi della Big Ben, ma come se ci si trovasse ad un braccio di distanza dalla Big Ben.
«Oh!» Antonio si voltò verso l'ingresso. «Suonano alla porta!»
Quella roba era il campanello? Ma soprattutto, quel castello aveva un campanello?
Manon trotterellò al portone e lo aprì. Un verso di sorpresa, dei convenevoli, poi la domestica tornò, seguita da due figure, una donna e un uomo. La donna era vestita di verde e aveva dei lunghi capelli castani. Sembrava un'elegante signora dell'aristocrazia. L'uomo era vestito di nero e viola e portava gli occhiali. Sembrava un altezzoso signore dell'aristocrazia.
«Elisa!» Antonio li raggiunse in un paio di falcate. «Rodrigo! Che entrata in scena conveniente e nient'affatto forzata! Cosa ci fate qui?»
Dopo altri convenevoli di rito e doppi baci come pensava si facesse solo a casa del dannato pennuto, fu la donna - Elisa? - a parlare. «Ah, sapevo che la lettera non ti era arrivata!» Portò una mano al viso e sospirò. «Stavamo facendo un viaggio e ci siamo detti "Ehi, Antonio sarà morto, alla fine?". Così volevamo venirti a trovare, ma non ho mai riposto alcuna fiducia nel sistema postale.»
«Nessuno l'ha mai riposta.» la corresse l'altro, Rodrigo.
«Siete venuti con il treno?»
Elisa scosse la testa. «Siamo partiti ieri. Se avessimo preso il treno, saremmo arrivati il mese prossimo. Quindi, abbiamo usato due deltaplani. Li abbiamo parcheggiati qua fuori, disturbano?»
«Ma no, figurati!»
Mentre Antonio ed Elisa parlavano di cose interessantissime, Rodrigo stava studiando la piccola folla nella sala. O meglio, stava cercando di guardare la figura che si era nascosta dietro Abel.
«Gilbert?» Lo chiamò, ad un tratto.
L'ex-granchio trasalì - Pensava davvero di essere invisibile? - ed emerse dal suo nascondiglio. Prima di voltarsi, Arthur lo vide bene, aveva un'espressione di puro terrore. Ne aveva viste parecchie, così. Quella era particolarmente scioccata. Lo Stregone del Mare finalmente si concesse di ridacchiare, ma soffocò la risata in un pugno. Qualcosa gli diceva che la bella Elisa fosse qualcuno che Gilbert conosceva molto bene.
«Rod!» Quando li guardò, Gilbert aveva recuperato l'espressione sbruffona che Arthur ricordava. «Liz!» L'ex-granchio si avvicinò a loro. «Il Magnifico Me non vi ha sentito arrivare, vi avrei fatto un'accoglienza degna di me!»
Rodrigo lo guardava da sopra gli occhiali, impassibile. Elisa era impallidita, la bocca appena aperta.
«Vi conoscete?» Lo sguardo di Antonio andava prima ad uno, poi all'altra.
Manon, Abel e Lucilin si unirono in un muro compatto.
«Tre su Erzsébet.» sussurrò Manon.
«Tre su Gilbert.» ribattè Lucilin.
«Perché dovresti scommettere su Gilbert?» La domanda di Abel era di genuina confusione.
«Gilbert...» Elisa, Erzsébet o come diavolo di mare si chiamava si avvicinò a Gilbert, piano. «È passato così tanto tempo...»
Gilbert annuì, pancia in dentro petto in fuori, gonfio come un pesce palla. «Eh, sì!»
Erzsébet abbassò lo sguardo. «E stai bene...» sussurrò, in un filo di voce.
Gilbert annuì di nuovo, un po' meno gonfio. «Eh... sì...»
Erzsébet rialzò lo sguardo. Lo fissò, per qualche secondo, quasi a sincerarsi che fosse vero. Gli afferrò una mano. Gilbert sobbalzò come se si fosse preso una scarica elettrica.
«Allora...»
Un boato, e Gilbert atterrò sul pavimento con un'imprecazione che tuonò per tutta la sala.
«perché» Erzsébet troneggiava sopra di lui, gli occhi prossimi al lanciare lampi. «sei sparito, dannata testa di cazzo?»
Arthur non potè più trattenersi. Si avvicinò ai tre elfi e fece loro un cenno. Alzò tre dita e indicò Erzsébet. Amava le sfide, ma non si sarebbe tirato indietro di fronte ad una vittoria facile.

*



Ludwig era certo di non essere mai stato nei guai come in quel momento. La cosa assurda era che fosse la seconda volta che pensava una cosa del genere nell'arco di un paio di mesi, e sperò vivamente di non doverla pensare una terza - Perché aveva rimediato a tutto, certo, non perché era stato esiliato, condannato a morte o-
D'accordo. Forse stava esagerando. La scomparsa del principe Lovino in concomitanza di una nave prossima alla natura di relitto era un conto, la scomparsa di Feliciano in concomitanza della risoluzione - negativa - di un patto di suo fratello con lo Stregone del Mare era un altro.
Doveva essere razionale. Non poteva permettere all'agitazione di avere la meglio su di lui, anche se si trattava di Feliciano. Forse non era tornato al castello perché si era perso a guardare la migrazione dei salmoni. Forse non era sulla spiaggia perché in realtà stava tornando al castello e l'aveva perso per un soffio. Forse non era né al castello né alla spiaggia perché lo Stregone del Mare aveva scoperto che Lovino aveva rinunciato al trono in suo favore e-
No. Niente scenari apocalittici. Si stava parlando di Feliciano, di solito la soluzione era quella più semplice e insensata.
Si era azzardato ad avvicinarsi alla riva, ora che era vuota. Avrebbe voluto contattare Gilbert o Francis, ma non doveva dare nell'occhio e lui, con la sua stazza e la sua corazza rossa, era l'ultima cosa al mondo che non avrebbe dato nell'occhio.
No, balle, non era andato nel castello solo perché la cosa si sarebbe potuta ritorcere contro il re - Il capo delle guardie che sfonda la porta di una proprietà privata e mette tutto sottosopra perché deve trovare uno- due- insomma, deve trovare l'erede al trono scomparso - che fino a pochi giorni prima non era l'erede al trono, e il re non sapeva che l'erede al trono fosse lui e non l'altro principe scomparso, principe che supponeva avrebbe trovato nel castello e-
Ludwig si prese la testa tra le mani. Era certo gli stesse uscendo il fumo dalle orecchie, ed era invisibile, ecco perché non lo vedeva. Oh, no. Ormai pensava come Feliciano.
Qualcosa sulla spiaggia. Guardò meglio. Il cuore sobbalzò, ma non riuscì a capire se in positivo o in negativo: sul bagnasciuga c'era la gonna di alghe di Feliciano. Non sembrava strappata, doveva essersela tolta da solo.
Bene. Aveva un indizio di non poco conto. Feliciano era disperso e senza vestiti. Era un indizio importante, perché era una cosa insensata, quindi vicina alla soluzione.
Doveva stare calmo. Anche con il sole a picco sulla testa e l'ansia che lo assaliva come un'ondata di larve - Larve che gli strisciavano su ogni centimetro di pelle, migliaia, milioni, più un solletico inquietante che una minaccia, ma comunque poco piacevole. Trasse un respiro profondo. Feliciano. Spiaggia. No vestiti. Castello. Lovino.
Doveva essersi travestito da umano per raggiungere Lovino.
Si schiaffò una mano in faccia. Se non altro, il castello era facile da raggiungere, il principe Lovino avrebbe potuto soccorrerlo e idratarlo. Sperò che fosse andata così. Sentiva il bisogno di sapere che fosse andata così. Eppure una vocina nella sua testa, una vocina che somigliava spaventosamente a quella di Feliciano, gli diceva che non era così. Ludwig si fidò. Era la voce dell'irragionevolezza, e per qualche motivo ci azzeccava sempre, quando si parlava di Feliciano.
Un'ombra passò sopra di lui. Alzò lo sguardo. Doveva essere un segno.
«Francis!» Probabilmente l'avevano sentito anche a Rostock.
Il gabbiano fece una manovra a U e si lanciò in picchiata su di lui, salvo atterrare in acqua. Ludwig non disse niente - O Francis era molto agitato, o era-
«Sii breve, cherì.» -molto arrabbiato.
«Feliciano è scomparso.» E breve sarebbe stato. «Qui c'è la sua gonna. Credo si sia travestito da umano per raggiungere il principe Lovino. Deve essere nel castel-»
«Non ho visto Felicianò.» Francis guardò il castello come se volesse vederlo esplodere. «Ma non è nel castello. E neppure Lovinò è nel castello.»
«Cosa?» D'accordo. Era insensato, e anche molto irragionevole. Ma così era troppo.
«Non so dove sia Felicianò.» Il gabbiano fece per rialzarsi in volo. Un'ultima occhiata. «Ma sono sicuro c'entri Arthùr.»
Doveva trattarsi dello Stregone del Mare. Francis era già volato via. Ludwig mise mano alla frusta. Forse Francis era talmente arrabbiato che la sua rabbia era diventata contagiosa.
Si era già detto che avrebbe dato un po' di ceffoni al principe Lovino e al pirata Antonio, e si era ripromesso di darne anche allo Stregone del Mare. Era salito in vantaggio, con la vicenda di Gilbert. Ma ora... Ora voleva ritrovare Feliciano e non era sicuro avrebbe avuto la lucidità di passare dal re a chiedergli il permesso di ridurre in poltiglia un grosso calamaro magico.

*



Era una cosa molto poco Magnifica da ammettere - o, forse, la Magnificenza stava nell'umiltà di ammetterlo? -, ma Gilbert non aveva la minima idea di cosa fare.
La situazione era iniziata a precipitare quella notte: di colpo, Antonio si era messo ad urlare di voler sposare Romano - E fin qui nulla di strano, a parte le corse per la spiaggia -, e che il matrimonio si sarebbe dovuto svolgere in meno di ventiquattr'ore. Questo era strano, invece. Molto strano. Inquietante, persino. In un primo momento, Gilbert aveva pensato che Antonio avesse parlato sotto gli effetti dell'alcool ma no, era lucidissimo e ben deciso a portare a termine il suo progetto demenziale.
I tre elfi non si erano opposti. Forse non avevano realizzato la portata dell'idiozia di quell'idea o, più probabile, l'avevano capito e volevano divertirsi. Romano era un altro elemento che l'aveva confuso: non si era opposto - Dunque Antonio gli si era davvero proposto, e Romano aveva davvero accettato? -, ma non stava facendo niente per aiutare il suo futuro marito nel loro matrimonio. "Aiutare" si sarebbe potuto intendere in chiave non necessariamente produttiva, quanto più distruttiva e rasente l'autosabotaggio.
E poi che fine aveva fatto il suo piano di vendetta? Era ancora umano e muto, quindi non aveva revocato il patto - Quindi, insomma, che cazzo stava succedendo?
Poi era arrivata Erzsébet. Sì, c'era anche il damerino, ma la cosa più assurda, ridicola, impossibile da credere era che lì, a Napoli, in quel castello, fosse apparsa Erzsébet. Erzsébet. Erzsébet.
A quanto pareva, Erzsébet conosceva Antonio perché era il damerino a conoscere Antonio. Il mondo di superficie non era piccolo, era lillipuziano.
Per quanto Magnifica, la sua mente non poteva reggere tutto quello che stava succedendo. Prima Ludwig, ora Erzsébet - e, nel mentre, Antonio usciva di testa e lo Stregone del Mare era a pochi fathom da lui. Il mondo era intenzionato ad aggredirlo e Gilbert sapeva che si sarebbe dovuto difendere - Era un arrembaggio, quello, un arrembaggio alla più pericolosa e armata flotta nemica che avesse mai incontrato. Per affrontare al meglio una simile, epica battaglia, aveva bisogno di concentrazione.
«Uhm, signor Gilbert?» Lucilin lo guardò, un sopracciglio inarcato.
«Sì?»
«Cosa ci fa nell'armadio?»
«Rifletto.»
Lucilin annuì, piano. «È una gruccia, quella laggiù? Può passarmela?»
Gilbert gliela porse. Con un «La ringrazio.», l'elfo uscì dalla cornice illuminata dell'anta lasciata aperta. Il quartiermastro sbattè le palpebre. Pensava che un luogo stretto e buio l'avrebbe schermato dal disagio della realtà per un po', ma Francis appollaiato sul davanzale della finestra gli fece comprendere quanto si sbagliasse. La finestra era lasciata aperta in diagonale, di modo che l'aria entrasse solo da sopra. Era impossibile che Francis riuscisse ad entrare. Giusto, altra cosa che l'aveva colpito ma che, in tutto quello, era passato in quindicesimo piano - Da quando Francis era un gabbiano? E perché conosceva Romano - anzi, Lovino? Se l'era chiesto, ma il momento promesso delle spiegazioni non era mai arrivato.
«Mancano poche ore al matrimonio.»
La voce di Lucilin lo riportò alla realtà. Francis, dall'altro lato del vetro, era trasalito fino quasi a saltare. A guardarlo bene, in effetti, sembrava abbastanza turbato da qualcosa. Cosa stracazzo era successo, ancora?
«Dovrebbe prepararsi.» Lucilin riapparve davanti a lui, oscurandogli la finestra. «Abbiamo reperito una tunica bianca. Può indossare quella.»
«Reperito dove?»
«Da un lenzuolo. Manon ci ha disegnato sopra una croce con un pennarello nero.»
«Was?» Gilbert si aggrappò all'anta chiusa. «Il Magnifico me non indosserà una cosa tanto ridicola!» D'accordo Erzsébet. D'accordo Ludwig. D'accordo Antonio. D'accordo Francis. D'accordo tutto. Ma una poracciata simile no. Uscì dall'armadio, Lucilin si fece da parte. Con la coda dell'occhio, Gilbert notò che Francis stava agitando le mani, in un tentativo di richiamare la sua attenzione. Forse avrebbe dovuto mandar via Lucilin con una scusa e ascoltare cosa Francis avesse da dirgli - Glielo stava pure mimando e scandendo, ma lui non era mai stato bravo con le sciarade, né aveva mai imparato a leggere il labiale. La seconda ce l'aveva sulla lista delle cose da fare, però!
«E allora cosa vuole indossare?» Lucilin non sembrava minimamente turbato.
«Dovrei avere qualcosa.» Un vecchio vestito da chierico, dato in omaggio al seminario. L'ultima volta era nel secondo cassetto, quindi...
«E perché non ce l'ha detto prima?» Lucilin gonfiò le guance. «Vorrà dire che con quel lenzuolo ci faremo dei fiocchetti...»
«Ma chiedetele prima, le cose-»
Sì, Francis si stava spazientendo, ormai lo vedeva benissimo. Si sarebbe messo ad urlare, Lucilin l'avrebbe visto e si sarebbe fatto domande sensatissime sul tipo di fauna locale - Sul tipo di gente che frequentavano lui e Antonio, invece, nessuno si era mai fatto la minima domanda.
Francis scomparve dietro la tenda. Gilbert non potè non voltarsi esplicitamente verso la finestra. Romano aveva tirato la tenda, e si era girato a guardarli. Quando era entrato? Perché aveva chiuso la tenda?
Romano sollevò la lavagnetta. «"È quasi tutto pronto. Dovreste vestirvi."»
«Anche tu dovresti vestirti.» Lucilin sorrise. «Sei uno dei protagonisti di questa serata!»
Anche Romano sorrise. Ghignò, come suo solito, ma in un modo diverso che a Gilbert non piacque. Decisamente. Quel Romano davanti alla tenda aveva qualcosa di sinistro.

.

Note:
* Il primo titolo del capitolo viene da Silence is Golden, canzone cancellata del film Disney che è servita da base per Poor Unfortunate Souls.
Il secondo titolo viene da Prisoner of Love and Desire (Aiyoku no Prisoner), canzone composta da Hitoshizuku & Yama e cantata da Len e Rin Kagamine. Una delle mie canzoni preferite dei Kagamine - E, nonostante la trama, mi fa ridere. Tutta colpa di Len. Also, ha l'inquietante potere di sedimentarsi in testa al primo ascolto e non andarsene mai più.
* «How sad! Anyway.»: Da Loki (Che in realtà era «Yes, very sad. Anyway.», ma tant'è. Anyway.)
* «Tu non sei una voce. [...]»: Into the unknown/Nell'ignoto, da Frozen II, sia la versione inglese che quella italiana. Non c'entra niente, ma mi martellava in testa e mi sembrava ci stesse bene. (?)
* «Y basta, me lo has dicho miles de millones de veces!»: «E basta, me l'hanno detto miliardi di volte!»
«Está bien. Le daré un vistazo.»: «Va bene. Darò un'occhiata.»


Per prima cosa, mi scuso per aver saltato l'aggiornamento della settimana scorsa. La RL mi sta risucchiando come Cariddi. ( ꒪Д꒪)ノ Non posso garantire al mille per mille che cioè guarda proprio non ti dico non succeda di nuovo, ma l'idea è fare in modo non succeda. (!)

Parlando del capitolo. Per chi se lo stesse chiedendo, il travestimento troppo bellissimo di Arthur è letteralmente Arthur con le sopracciglia fini e i capelli castano-rossiccio. Fine. Nella mia testa è divertente. (Come l'inizio del capitolo. Sì, mi diverto con molto poco.)
(Poi, per quanto la UkSp mi piaccia, niente scene UkSp. Non credo ci starebbero a fare niente, qui. (・□・;))

Nota a parte: non avete idea di quanto sia soddisfatta del fatto che esista una versione beta proprio di Poor Unfortunate Souls e che abbia un titolo del genere. Trovo sia parecchio azzeccata, sia per il testo sia per la sua natura di "versione beta"/"canzone cancellata"!

Spero che questo capitolo tardivo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 10
*** Il silenzio è d'oro pt.2 ***


Capitolo VIII.V
Il silenzio è d'oro ~ Tutto ciò che assomiglia ad un'anima svanisce


L'acqua della Gretta Grotta Grama era sempre fresca. Doveva essere perché non riceveva mai sole diretto. Lovino vi mosse la mano. Aveva imparato che i tritoni non funzionavano come le piante - Non bastava mettere una mano in acqua per assorbirla ed espanderla a tutto il corpo, se ci si stava essiccando ci si doveva bagnare integralmente. In quei momenti, sdraiato sulla pietra, rotolava e si lasciava cadere in acqua, per poi riemergere e tornare sul semicerchio di pietra.
Non aveva idea del perché fosse andato proprio lì. Era il posto più stupido in cui potesse andare. La sensazione della pietra sulla pelle era troppo familiare, e guardare il soffitto roccioso rievocava ricordi che non avrebbe voluto rievocare. No, balle, altrimenti non sarebbe andato lì. Non sapeva perché fosse così stupido da farsi del male in quel modo.
Non che fosse rimasto lì tutto il tempo - A colazione, pranzo e merenda era andato da Catriona o da un altro eletto dagli dei per mangiare tutto ciò che voleva, e ovviamente mettere tutto sul conto del bastardo. Aveva mangiato a sazietà e aveva dormito un numero ridicolo di ore. Non fosse stato per i ricordi legati a quel luogo, avrebbe potuto dire che quella fosse stata la giornata più rilassante di sempre.
«Lovinò!»
Lovino sbuffò. Rimase immobile. Magari il piccione se ne sarebbe andato in fretta.
«Lovinò! Se mi senti, rispondi, s'il te plait
Ma non aveva appena finito di pensare quanto fosse stata bellissima e rilassantissima quella giornata? Francis non aveva nessun altro da molestare? Gli mancavano qualcosa come due ore prima di diventare un servitore dello Stregone del Mare, perché doveva abbandonare la sua libertà con una rottura di coglioni?
«Si tratta di Antoine!»
... No. Non si sarebbe gettato in acqua e no, non sarebbe uscito da quella grotta e no, non avrebbe permesso che Francis lo localizzasse. Assolutamente no. Il bastardo poteva anche marcire in fondo al mare, circondato da tanti mostri senz'anima.
«Lovinò!»
Non voleva sapere cosa fosse successo a quell'idiota. Se era morto, tanto meglio. A lui non dispiaceva. La cosa non l'avrebbe minimamente colpito. Non voleva sapere niente.
«Antoine» Non voleva sapere niente, aveva detto! «sta per sposare Arthùr!»
...
Si gettò in acqua. Con poche bracciate, uscì dalla grotta, si arrampicò sullo scoglio più vicino e si alzò in piedi. Alzò lo sguardo al cielo, alla ricerca di un pollo irritante. Un secondo, e il pollo irritante trovò lui.
«Ero sicuro fossi da queste parti!» Non aveva mai visto Francis ridotto in quello stato - Pallido, spettinato, con gli occhi cerchiati di nero, sembrava appena riemerso da un viaggio in un maelstrom. La cosa peggiore di tutto quello era che, se un tacchino vanitoso come Francis era in quelle condizioni, non doveva star dicendo puttanate. «Avrei dovuto immaginare fossi-»
Lovino lo bloccò. Ricordò di non avere più la tavoletta e che non avrebbe potuto scrivere sugli scogli. Sperò l'altro capisse i suoi gesti o, semplicemente, fosse abbastanza sagace da capire che non gliene fotteva nulla dell'introduzione.
«Non so esattamente come sia successo.» Francis fu abbastanza sagace. «Ma Arthùr si sta spacciando per te-»
"Cosa?"
«-e ha convinto Antoine a sposarlo. Si sposeranno tra-» Guardò alla sua destra. Lovino seguì il suo sguardo. Sentì il cuore saltare, sbattere sulla gola e riprecipitare nel petto. Un galeone stava prendendo il largo ed era partito dal castello. «Beh, direi poco.»
Non gli importava del bastardo. Non gliene importava, no. Lo faceva solo incazzare che lo Stregone del Mare avesse... Cosa, in effetti? Cosa pensava di fare? Che cazzo di piano era, quello? Cosa voleva ottenere? Come se non bastasse, la sua forma umana si stava disfacendo sempre di più - Ecco perché sentiva le gambe molli, e faceva fatica a stare in piedi. Ecco perché sentiva di colpo così freddo, perché l'aria era più fredda dell'acqua e lui sarebbe presto dovuto tornare in acqua. Ecco perché gli occhi bruciavano tanto, perché non erano abituati all'acqua salata. E-
Si toccò le guance. Risalì fino agli occhi. "Ma che cazzo...?" Cosa minchia stava succedendo. Partenope, infine stava succedendo: gli si stavano squagliando gli occhi! Diede un colpo meno leggero del previsto al braccio dell'altro e, quando si voltò verso di lui, si indicò gli occhi - Forse con più fretta del necessario, forse con la mano che tremava più del necessario. Ma era giustificatissimo - Prima il cuore che si staccava dalla gabbia toracica e andava in giro, ora i bulbi oculari che si liquefacevano. Era svenuto quando era diventato umano, non pensava che la trasformazione potesse essere così cruenta-
«Lovinò...» Francis non era allarmato. Sembrava... dispiaciuto?
"Oh, guarda, Lovinòòò, ti si stanno sciogliendo gli occhi, sono molto dispiaciuto per te!" Non lo stava prendendo sul serio?
Forse il cormorano, lì, capì qualcosa. «Va tutto bene. Succede, agli umani.»
Ah, bene. Soffocavano sott'acqua e i loro occhi erano soliti sciogliersi - Oltre alla loro bizzarra mania per il loro vello e la carenza di scaglie ovviata da strati di stoffa scomoda. Gli umani erano creature assurde. Visto, però, che ancora ci vedeva e che l'unica controindicazione dello scioglimento oculare sembrava essere un leggero bruciore e dell'acqua in faccia, poteva rilassarsi e pensare alla cosa più importante: sopprimere bastardo e Stregone del Mare.
Una cosa non tornava però. Guardò di nuovo Francis. Indicò il galeone, poi lui, unì i polpastrelli e agitò la mano. "E tu che minchia c'entri con loro?"
Il Francis che conosceva lui sarebbe rimasto a godersi lo spettacolo. Certo, l'avrebbe avvisato, ma non con quell'aspetto stravolto, non con quel tono d'urgenza.
«In breve.» Parlò più velocemente del solito. «Arthùr si è travestito da te, ma non può certo pensare di ingannare moi. Ha ingannato tutti gli altri, in compenso.»
Ovvio che avesse ingannato il bastardo. Persino Feliciano c'era riuscito, fallire sarebbe stato una vergogna.
«Non ho intenzione di far finire Antoine nelle sordide trame di Arthùr.» Ma lo conosceva? «E, soprattutto,» La sua voce divenne un ringhio. «non permetterò ad Arthùr di sposarsi con qualcun altro, non dopo aver rifiutato tutte le mie proposte!»
... Ora aveva capito. Avrebbe dovuto realizzarlo prima. Per quanto si atteggiasse, Francis aveva dei gusti di merda.
«Potrei intervenire, ma» Francis sospirò, più per calmarsi. «sembrerei solo un gabbiano che sta dando fastidio. E Antoine crederebbe più ad Arthùr - anzi, a te - che a me.»
Lovino gli scoccò un'occhiata. Dato che non era del tutto sicuro di volerlo guardare male, lo guardò e basta, poi che deducesse lui.
«Devo portarti sulla nave.»
No. Lui doveva arrivarci, sulla nave, e non c'era nessuna legge che imponeva il volo su gabbiano maniaco come mezzo di raggiungimento del suo obiettivo. Alzò le braccia e le incrociò in una X.
Quando Francis rispose, l'unica sfumatura nella sua voce e nella sua espressione non era di incredulità ma di leggera irritazione. «Se vuoi arrivare in tempo, farai meglio a mettere da parte i tuoi pregiudizi.»
Pregiudizi di cosa, Lovino era serissimo. Anche Francis era serissimo, e la situazione era così assurda che la sua frase suonava sensata. Tuttavia, proprio perché lo conosceva da tempo sapeva di non potersi del tutto fidare di lui - Tipo, fino a un minuto prima non sapeva né delle sue mire sullo Stregone del Mare né tantomeno che lo conoscesse, cosa vietava che fosse anche suo complice? Una persona più ingenua avrebbe risposto "il modo in cui è ridotto", ma Lovino stava cercando scuse per non farsi sfiorare dal fagiano e non avrebbe prestato attenzione all'ovvio. Doveva esserci un altro modo per arrivare alla nave in tempo. Doveva solo-
«Mierda! No deberíamos haberlos conseguido tan baratos!»
Lovino guardò in direzione della voce - Delle voci - e notò Francis fare altrettanto. Sì, c'era un galeone in lontananza ma, ben più vicine, due barchette che fluttuavano nel mare stavano facendo la schiuma. Una terza barchetta era ancora sulla spiaggia. Gli uomini che la circondavano, pronti a metterla in acqua, si bloccarono.
«Quién cojones tuvo esta idea de mierda?»
«Fue Raul!»
«Mierda, Raul!»
Una decina di uomini nuotava verso la riva. Avevano abbandonato le barchette schiumose - Che si facevano piccole, sempre più piccole, fino a scomparire in una pozza di schiuma frizzante.
«Sono...» Francis era esterrefatto. «barche idrosolubili? Ne avevo sentito parlare, ma...»
Lovino guardò bene. Il legno e le vele erano diventate bolle. Le reti e le corde, invece, galleggiavano, lasciate a loro stesse. Erano reti e corde vere, dunque?
Aveva avuto un'idea. Probabilmente destinata a fallire, dato che l'aveva concepita lui, ma voleva provare comunque.
Fece segno a Francis di seguirlo. Aveva bisogno di una superficie su cui scrivere e la spiaggia era vicina. Tutto ciò che gli serviva era vicino.
Lo Stregone del Mare l'aveva fatto incazzare, ovvio. Tuttavia, dato che non gliene fotteva uno stracazzo di niente del bastardo, avrebbe fatto in modo che si ricordasse di lui: se, per quanto poco pensabile, fosse riuscito nel suo piano, avrebbe potuto dire di avergli finalmente rovinato qualcosa.

*



Ora che era più lucido, Gilbert poteva dire con assoluta certezza che tutta quella situazione fosse una cazzata gigantesca.
Era un matrimonio, e già si partiva male. Aveva sviluppato un'intolleranza ai matrimoni. Certo, quella volta non era il testimone ma addirittura il celebrante - E per fortuna che aveva ritrovato la sua tunica bianca e nera, ché sennò aveva giurato che avrebbe celebrato nudo, tanto non sarebbe dispiaciuto a nessuno - e l'unico legame che aveva con uno degli sposi era il fatto che quest'ultimo fosse suo amico, capitano e datore di lavoro - Sì, insomma, era un pochino meno emotivamente coinvolto in prima persona, ma il suo Magnifico intuito gli diceva che tutto quello fosse una cazzata.
«Oh, la ciurma non ce l'ha fatta a venire?»
«Sembra abbiano preso navi idrosolubili.»
Antonio sospirò. «Se solo fossero arrivati in orario, sarebbero saliti insieme a noi e non avrebbero dovuto reperire altre barche per raggiungerci...»
Gilbert - e tutti i presenti, a quanto pareva - evitarono di fargli notare che avrebbero semplicemente potuto raggiungerli a nuoto. Evidentemente, anche la ciurma al completo pensava che niente stesse avendo senso.
Antonio continuava a preferire le orrende decorazioni al suo sposo che, in verità, continuava a fregarsene bellamente e a stare seduto sulla balaustra, con fare annoiato. Non gli dava torto: le decorazione erano davvero brutte e consistevano in lenzuola. C'erano lenzuola appese agli alberi della nave, una a schermare i cinque ospiti (Manon, Lucilin, Abel, il damerino e... Liz.) dal sole - Che tanto era prossimo al tramonto, quindi cazzo gliene fregava? -, l'altra a schermare il nulla, visto che la ciurma non era arrivata. Un altro lenzuolo era srotolato a terra, a mo' di tappeto. In un primo momento, Antonio aveva preteso un arco di lenzuola sopra la sua Magnifica persona, ma c'erano stati due problemi: il primo era che non c'erano appigli di nessun tipo, il secondo era che il lenzuolo era fuggito. Alla fine, con una parlantina da far invidia al più spietato degli avvocati, Manon era riuscita a convincerlo della poesia degli archi di nuvole nel cielo, risparmiando a tutti i presenti tante ore di sofferenza e a lui la sofferenza di dover stare sotto qualcosa di tanto orrendo.
Gli abiti erano messi giusto un pochino meglio. A parte il suo Magnifico abbigliamento clericale, gli altri erano vestiti... eleganti, supponeva? Avevano reperito - in qualche modo - dei vestiti da sera, Antonio e Romano erano gli unici vestiti interamente di bianco. Liz era vestita di verde, ed era bellissima come sempre. Si era legata i capelli in un'acconciatura ridicolmente complicata e strapiena di fiorellini, che su di lei sembravano raffinati e non pacchiani per intercessione di qualche divinità florale.
Ma Liz aveva iniziato a guardarlo male - Ancora non le aveva dato spiegazioni -, quindi era meglio pensare ad altro. Tipo. Il disastro che stava per compiersi.
«Ma tu...» Gilbert si avvicinò ad Antonio. Parlò a bassa voce, e per lui fu quasi una sofferenza. «Sei proprio sicurissimo al massimo come non mai in vita tua che vuoi sposarti Romano ora adesso in questo momento?»
Antonio lo guardò. Solo lo sguardo tradiva una probabile intossicazione da sangria. «Assolutamente sì. Non ho mai desiderato qualcosa così tanto.»
Gilbert annuì, ma era ancora meno convinto di prima. Si avvicinò a Romano, dall'altra parte della nave, e gli parlò a voce ancora più bassa. «Senti, ma...»
Romano gli rivolse un'occhiata di sufficenza. Dov'era finita tutta la sua rabbia?
«Quand'è che scade il tuo patto?» Gettò uno sguardo al sole prossimo al tramonto. «Mi pareva fosse questi giorni. Azzarderei persino oggi.» Un dubbio, e non gli piaceva. «Cosa vuoi fare? Trasformarti davanti a lui? È questa la tua vendetta?»
Romano sorrise. Di nuovo quel sorriso che non gli piaceva.
Quell'idiozia era un piano di Romano? Possibile che Romano avesse ideato un piano con una consequenzialità logica? E, se così era, cosa intendeva fare, esattamente?
«È ora, Gil!»
Gilbert trasse un respiro profondo. Lanciò un'ultima occhiata titubante a Romano, prima di rivolgersi ad Antonio. «Sì. Arrivo.»
Aveva il sospetto che quella situazione non fosse così degenerata come credeva. Era sempre più sicuro che, nella prossima ora, sarebbe stato peggio. Si preparò.

*



«Cette chose est absurde et je n'en vois pas le sens, mais» Francis stava più borbottando tra sé e sé che parlando con lui. «j'espère que ton plan fonctionne.»
Lovino annuì, serrò la presa sulla corda. Il piano era semplice. Tutti i suoi piani lo erano. Avevano soltanto la tendenza a fallire - Ma non a fallire nella messa in pratica, a fallire nel loro obiettivo. Dato che, in quel caso, la messa in pratica coincideva con l'obiettivo, aveva più fiducia nella sua riuscita.
«Te l'ho già detto,» Francis stava di nuovo per dire qualcosa di stupido. «ma sei conscio del fatto che questa cosa vada contro svariate leggi della fisica, vero?»
Lovino si passò una mano sotto il mento. "Me ne sbatto delle leggi della fisica."
La corda era stata legata. Lui stava tenendo la corda con entrambe le mani. Francis stringeva il capo libero della corda.
Il principe agitò un pugno. "Un colpo secco."
Il gabbiano annuì. Non era convintissimo, ma era meglio lo fosse, perché metà del piano dipendeva da lui - E dalla sua rabbia. Lovino non si fidava così tanto di Francis, ma non dubitava della sua furia calamaricida. Il pollo si alzò in volo e andò nella direzione opposta alla nave. La corda si tese nell'aria. Quando divenne una perfetta diagonale nel panorama, Francis si fermò. Lovino piantò i piedi, si avvicinò alla corda come a volerla tenere anche con i gomiti.
La cima della corda tesa iniziò a muoversi verso il galeone. Era come aspettare l'istante in cui una nave si fosse scontrata con gli scogli. Un solo istante prima del botto. Un solo istante, e lui si teneva agli scogli per non essere sbalzato via. Era la stessa, identica cosa.
Un colpo secco, la superficie saltò. Le mani rimasero incollate alla corda - Le gambe tremarono, ma riuscì a riportarle dritte. Gli Scogli Scomodamente Stazionati si disancorarono dalla loro posizione e si piegarono in diagonale, trascinati dalla corda. Ecco, la piega diagonale non l'aveva del tutto prevista - Infatti i piedi continuavano a scivolare e, alla fine, dovette arrendersi a mettersi a cavalcioni della corda.
Lui non era mai stato bravo con i piani. Ma quel piano comprendeva una nave e degli scogli - Poteva dire di cavarsela, con quelli. E, se la nave non andava agli scogli, allora avrebbe fatto sì che gli scogli andassero alla nave!
Il fianco della nave si avvicinava a velocità sempre maggiore. Nonostante gli schizzi negli occhi, riusciva ormai a distinguere le figure sul ponte - Erano in pochi, c'era il bastardo e c'era... Se stesso? Odiava ammetterlo, ma lo Stregone del Mare era davvero bravissimo nel travestimento.
La punta più alta degli scogli era in dirittura d'incontro con il legno. Ancora una volta. Un solo istante prima del botto. Trattenne il respiro, l'aria era impregnata di sale.
Un boato. Lovino scivolò dall'altro lato della corda, le braccia e le gambe ancora allacciate - probabilmente per sempre, se avesse stretto un altro po'. Alzò lo sguardo. Esattamente sopra di lui, la punta degli scogli si era fatta strada nel legno, seguita dalle altre punte. Quei metri erano ormai uno scolapasta, ed erano bastati solo una manciata di secondi!
Delle voci dall'alto, le persone coperte dalla roccia degli scogli. Cercò un punto adeguato. Uno dei fori più grandi era abbastanza largo da permettergli di passare. Piano piano, si arrampicò lungo la corda, fino a raggiungere la roccia che gli serviva. Non aveva considerato si sarebbero messi in diagonale, ma quella posizione gli offriva un'infinità di punti d'appoggio insperati.
S'infilò nella nave. Che Francis prendesse tempo. E che il sole non avesse fretta di tramontare.

*



Antonio, Manon ed Erzsébet erano corsi al parapetto. Gilbert si era avvicinato piano, come se stesse camminando su una trave sospesa a mezz'aria. Roderich era rimasto seduto, composto, e si era limitato a sistemarsi gli occhiali.
Lucilin, immobile sulla sedia, si voltò verso Abel. I suoi occhi erano due sfere perfette. «Un gabbiano ha appena trascinato degli scogli con una corda?»
Abel sbattè le palpebre. La mano andò al taschino dove teneva la pipa. Guardò la balaustra. Guardò suo fratello. «Quindi non l'ho visto solo io.»
«Abbiamo bucato!» squittì Manon: «Questo non lo ripariamo neanche pregando!»
«Possiamo dire addio all'ultima nave che ci era rimasta.» Gilbert si portò un pugno al petto. «Dovremo tornare in Spagna con il treno.»
Erzsébet sbuffò. «Te lo sconsiglio.»
Arthur li osservava. Non si era mosso dall'"altare" - Il castello di prua. Aveva messo le braccia conserte. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma era curioso di saperlo.
«Arthùr.» No, d'accordo, non era più curioso di saperlo. «Tu as juré que tu n'épouserais personne!» Stava delirando, poverino. Trattenne un ghigno. Ma davvero pensava che quella cerimonia sarebbe arrivata alla sua conclusione?
«Francis?» Antonio tornò al centro della nave, lo sguardo verso l'alto.
Il gabbiano maledetto si era posato sul pennone centrale dell'albero maestro, pugni ai fianchi e sguardo fisso su di lui. Quando Arthur incontrò il suo sguardo, alzò appena il mento, in un gesto di sfida. Che provasse a dire qualcosa, tanto nessuno gli avrebbe creduto. (In tutto ciò, il pennuto era riuscito a vedere oltre il suo travestimento? Allora era vero che fosse un osservatore molto attento...)
«Ma perché sei un gabbiano?»
«Antò.» Gilbert lo raggiunse. «Non puoi chiedere alla gente perché è un gabbiano.»
Arthur soffocò una risata. Gabbiani, granchi, pesci, calamari... Il povero capitano era suo malgrado - e a sua insaputa - frequentatore di una discreta quantità di fauna marina.
«Qualsiasi cosa stia succedendo,» Antonio era serio. «dobbiamo riprendere il matrimonio.»
Gilbert lo guardò, gli occhi così sgranati da sembrare un teschio. «Forse stiamo imbarcando acqua e tu vuoi continuare-» Si bloccò un istante. «E poi continuare cosa, ché ho detto solo "Siamo tutti qui riuniti"?»
«È comunque iniziato!» La risposta del capitano fu secca, fredda. Il potere della magica palla otto magica era spaventoso. Arthur aveva ragione - Come sempre - nel definirlo un artefatto pericoloso.
«Io mi oppongo!» Francis lo urlò, come solo un gabbiano irritante poteva urlare.
Fu la volta di Antonio di sgranare gli occhi. Ma lui non era spaventato o incredulo. Era indignato. «Non osare.»
Arthur fece qualche passo avanti. Era uno spettacolo meraviglioso - Anche il resto del pubblico doveva pensarla così, visto come erano tutti tornati ai loro posti e si stavano passavano dei popcorn spuntati dal nulla.
«Sì che oso!» Ad essere sinceri, Arthur doveva ammettere di non aver mai visto Francis così fuori di sè, e quel dettaglio era istantaneamente diventato la sua cosa preferita della serata. «Guardalo bene, Antoine!» Francis lo indicò. «Sei davvero sicuro sia chi afferma di essere?»
«Ma che...» Francis urlava, Antonio aveva abbassato la voce. «Cosa sono questi trucchetti, Francis? E cosa t'importa? È perché non ti abbiamo invitato?»
«Oh, sì, forse avreste potuto invitarmi.» Non staccava gli occhi da quelli di Arthur. «O forse Romanò non mi avrebbe voluto qui presente?»
Arthur si trattenne dal sospirare. Era divertente, quasi tenero, nella sua furia e nella sua impotenza, nel suo starsene lassù a starnazzare, nel suo poter solo dare fastidio per-
Aspetta. Perché Francis se ne stava lassù a starnazzare, invece di gettarglisi addosso e cercare di gonfiarlo di botte? Non aveva mai visto Francis così furioso, sì, ma non aveva mai neanche visto Francis così prono all'immobilità. Sembrava quasi stesse prendendo temp-
Un botto. Gli sguardi di tutti furono calamitati dal boccaporto aperto di scatto.
Sì, Francis aveva preso tempo. Arthur guardò verso la linea dell'orizzonte. Lasciò andare il sorriso. Aveva come l'impressione che presto avrebbe riso di gusto.

*



Lovino emerse dal boccaporto. Cazzo erano quei lenzuoli. Vabbè, non era importante. Francis era appollaiato sull'albero maestro. Sotto un lenzuolo sospeso - Partenope, cosa minchia stava vedendo - c'erano Manon, Lucilin, Abel e due persone che non conosceva. Sul castello di prua, disturbante a vedersi, c'era una sua copia - Lo Stregone del Mare -, vestita di bianco. Non gli stava male, ma il contesto gli diede una morsa allo stomaco - Era un conato, ovviamente. A pochi metri da lui, Gilbert era vestito con poca fantasia cromatica, anche se mai quanto il coglione accanto a lui, monocromatico, bastardo e idiota.
Salì sul ponte. Nessuno venne in suo soccorso, e vaffanculo, già aveva corso per arrivare fin lì, e ringraziava di aver già esplorato relitti per avere una vaga idea di dove andare. Vide Gilbert allontanarsi - Pure! E vaffanculo! O forse aveva uno sguardo troppo omicida che l'aveva terrorizzato? Beh, chissene fotteva.
Il bastardo era immobile. Lo fissava come se avesse appena visto un fantasma - O, non lo sapeva, uno spietato mostro senz'anima che riemergeva dagli abissi. Aveva già visto quella faccia di cazzo al tramonto. L'ultima volta era stato ventiquattr'ore prima. Ventiquattr'ore prima non era così incazzato come in quel momento. Era solo... Solo cosa? Ma che cazzo gliene fotteva.
Scoprì i denti. Corse verso il bastardo e lo centrò con una testata - E lo colpì preciso sul mento, pochi centimetri sopra e gli avrebbe fatto saltare i denti! Magari gli avrebbe potuto fare così male da spaccargli le labbra e impedirgli di parlargli e di baciarlo. Sì, sarebbe stata un'ottima idea. Avrebbe dovuto prendere meglio la mira.
«Romano...?» Il bastardo era indietreggiato di qualche passo, ma era tornato subito da lui. Gli aveva afferrato le braccia e poco ci mancava lo scuotesse.
Lovino si liberò delle sue mani. Gli artigliò le spalle. Lo guardò negli occhi. Cazzo quanto lo odiava. «Vaffanculo!» Era da tanto, tantissimo che voleva dirglielo. «Mi chiamo Lovino!» Affondò le dita nella stoffa. «Se ti sembra stupido, cazzi tuoi!»
Le gambe cedettero. Antonio lo afferrò per la vita. I piedi non rispondevano più come prima. I pantaloni gli stavano stritolando le code. La stoffa tra le sue dita era scomparsa sotto la membrana verde. Puntò le pinne contro il legno, ma non si scostò. Che il bastardo lo sorreggesse, almeno, dopo tutto quello che aveva fatto di male.
Il sole era scivolato al di sotto della linea dell'orizzonte. Il cielo era ancora dorato. Sul castello di prua, lo Stregone del Mare aveva estratto qualcosa da un bracciale e il qualcosa si era trasformato in fumo rosso.
«Cosa» Il bastardo non aveva mai abbandonato il suo sguardo. Esitava. «sta succedendo?»
«Volete raccontarglielo voi, maestà?» La voce dello Stregone del Mare costrinse tutti a voltarsi nella sua direzione. Quando realizzarono le sue parole, Lovino sentì gli sguardi di tutti i presenti tornare su di lui. Non rispose. Si limitò ad incenerirlo con lo sguardo.
«Maestà...?»
Lovino evitò lo sguardo del bastardo. Ne aveva avuto abbastanza.
«Allora farò io!» Lo Stregone del Mare era troppo su di giri. «Ebbene, capitano Carriedo...» Finalmente quello là smise di guardarlo, per rivolgersi al finto Romano. «Il principe Lovino ha stretto un patto con me - A proposito, io sono il re dei Sette Mari, nonché Stregone del Mare - per potersi vendicare di te, e ha messo in gioco la sua voce, la sua libertà e il suo regno.» Sorrise. «Indovina un po'? Ha perso!»
Il bastardo era sempre pronto a rispondere con la cosa più sbagliata possibile e proprio in quel momento non aveva parole. Era davvero inutile. Lovino avrebbe voluto sentirlo parlare, perché la voce dello Stregone del Mare gli era insopportabile.
«Tutto questo è colpa tua, capitano Carriedo!» Lo Stregone del Mare aprì le braccia. «E ti è bastata un'unica frase per distruggere una persona! Sei davvero uno dei pirati più abili dei Sette Mari!»
Ne aveva abbastanza. «Tutto questo non era nei patti!»
«Proprio perché non era nei patti» ridacchiò lo Stregone: «ho potuto farlo. Siete ridicolmente superficiale, principe Lovino, dovreste prestare più attenzione a ciò che firmate!»
Avrebbe davvero, ma davvero voluto spaccargli la faccia. Però lui era distante, c'erano in mezzo delle fottute scale e- Antonio lo sollevò di peso e lo fece sedere sulla balaustra di legno.
«Anche se» disse lo Stregone del Mare. Il suo tono era sinceramente confuso. «tu non dovresti essere qui. Avevo fatto in modo che tu sparissi fino a dopo il tramonto. Avrebbero dovuto rilasciarti ora.»
«Alfrèd e Mathieu!» esclamò Francis, a voce fin troppo alta. «Mon Dieu, allora, forse-»
«Ro- Lovino.» Il bastardo lo distrasse. Lovino si degnò di dargli di nuovo attenzione. In realtà era più difficile non farlo, dato che l'aveva fatto sedere ma non l'aveva lasciato. «È davvero» Si accorse che si stava sforzando di non abbassare lo sguardo. Parlava a voce troppo bassa per essere lui. «colpa mia?»
Sì. Era una sillaba facile da dire. Era una sillaba che voleva dirgli, che gli avrebbe permesso di rinfacciargli tutto, di farlo sentire la merda che era. Era solo una sillaba.
«Della tua stupidità? Sì.» L'aveva detto. Era stato facile. Del resto, non gli aveva chiesto se fosse "tutta" colpa sua.
Finalmente il bastardo lo lasciò andare. Aveva abbassato lo sguardo, infine. Si era scostato da lui. Mai che ne facesse una giusta.
«Il momento dei saluti è finito, principe Lovino.» Lo Stregone del Mare non la smetteva di sorridere in quel modo sinistro. «Anche perché credo che tra un po' inizierete ad essiccarv-»
Uno scoppio, delle scintille volarono per la nave - Ma, stranamente, non prese fuoco. Lo Stregone del Mare si voltò alla sua destra. Sembrava sorpreso.
«Capitano Carriedo!» Mosse un piede come per fare un passo indietro, ma cambiò idea. «Sei stato rapido, e sì che stavo guardando-»
«È una stregoneria, questa?» Il bastardo era sul castello di prua, l'alabarda che era appena stata sbalzata all'indietro da qualcosa, prima che potesse toccare lo Stregone.
«Una semplice barriera.» Lo Stregone tornò a sorridere, trionfante. «Sai, nel caso qualcuno cercasse di darmi fastidio mentre sono distratto.»
«Quella dannata barriera!» Francis planò fino al ponte, e atterrò al fianco di Gilbert. «Preferivo quando te la scordavi!»
«Motivo in più per ricordarmela.»
«Cosa succederà ora a Lovino?»
Lo Stregone del Mare guardò il bastardo. Non rispose subito. Rise, piano, e si passò una mano tra i capelli. Quelli, da castano rossicci, tornarono biondi. «Come da contratto, ora lui - e il suo regno» Lo calcò. «sono di mia proprietà.»
Dato che era stupido, stavolta fu il bastardo per intero ad essere sbalzato ad un metro di distanza, e poco ci mancò gli atterrasse l'alabarda sul naso. Idiota.
Lovino scosse la testa. «Piantala, bastardo.» Era uno spettacolo penoso. Non capiva come gli altri si stessero strafogando di popcorn.
«Pensi di fare qualcosa, capitano?» Se Francis era fuori di sé come Lovino non l'aveva mai visto, lo Stregone del Mare non era mai stato così di buonumore.
«Non ti farò scendere da questa nave.» Il bastardo - stupido, idiota, senza speranza - si rimise in piedi. «Dovessi portarti con me in fondo al mare.»
«Ehi, e noi?» sussurrò Manon, allarmata.
Lucilin la rincuorò con una pacca sulla spalla. «Lo sai che agli spettatori non succede mai niente.»
«In fondo al mare.» Stavolta, lo Stregone del Mare rise. «Vuoi portarmi a casa mia, capitano?»
«Ci sei nato, ci morirai.»
Forse lo Stregone del Mare ci aveva ripensato, sul ripensarci nel fare un passo indietro. Smise di ridere, ma non abbandonò il suo sorriso. «Provaci, allora.»
«Oh, non lascerò che mi ammazziate Arthùr.» Francis si avvicinò. Ora che Lovino guardava bene, aveva una spada. Dove straminchia l'aveva tirata fuori una spada? Cos'era poi, un fioretto? «Però consentimi di fargli un po' male, Antoine.»
Antonio gli scoccò un'occhiata rapida. La sua espressione era gelida. «Hai interrotto quella farsa di matrimonio. Te lo devo.»
«Merci.»
«In tal caso...» Guardò un'altra persona. «Gilbert.»
«Sarei intervenuto comunque.» Gilbert estrasse una spada da sotto la tunica e salì a sinistra. «Non sta simpatico neppure a me.»
«Gilbert...» Lo Stregone del Mare ridacchiò. «Sono sicuro l'abbia pensato anche tu. Il mondo di superficie è davvero minuscolo.»
Gilbert ghignò. «Almeno su una cosa ci troviamo d'accordo.»
Lo Stregone del Mare gli rivolse un'ultima, lunga occhiata. Guardò il bastardo, alla sua destra, poi il pennuto, davanti a sé. «Oh, no.» Alzò le braccia. «Sono circondato. Povero me.»
«Fai pena come attore.»
Arthur tornò a guardare Antonio. «Me lo dici proprio tu, capitano? Tu non che mi hai neppure distinto dal tuo caro Romano?»
«Che cosa pensavi di fare?» Il bastardo si avvicinò. Gilbert e Francis fecero lo stesso.
Lo Stregone del Mare indietreggiò. Mise un piede sullo sperone. «Cosa pensavo di fare cosa? Tutto ciò che volevo l'ho ottenuto.»
«Il matrimonio.»
«Oh, quello!» Un altro passo indietro. «Volevo abbandonarti sull'altare.» Un altro passo indietro. «E umiliarti davanti a tutti. Sarei stato una creatura a dir poco crudele e senz'anima, non è vero?»
Il bastardo non disse nulla. Sembrava pietrificato.
Lovino sbuffò. Distolse lo sguardo. Perché la stavano tirando tanto per le lunghe? Perché stavano perdendo tempo? Ormai era quasi calata la sera, lui aveva perso e doveva già essere lontano da lì. Stupidi. Stupido bastardo. Sarebbe dovuto tornarsene al suo castello brutto e riflettere sulla sua stupidità, e lasciarlo in pace una volta per tutte.
Il boccaporto tremò. Dalla botola aperta uscì qualcuno - Qualcuno molto alto, molto corpulento, molto biondo e molto incazzato.
«Seehexenmeister!» Ogni passo sul ponte era come un tuono. Poco ci mancava le sedie saltassero di qualche centimetro. La frusta schioccò sul legno. «Wo ist Feliciano?»
... Ora. Sì, non aveva mai visto Francis tanto arrabbiato, ma non aveva mai visto Ludwig tanto arrabbiato. Il buio in arrivo, la sua stazza, la voce fonda e quella lingua dura, insomma, davano un po' di autosuggest- Però, prima. Più importante.
«Che cazzo hai detto di Feliciano?»
Vide le spalle di Ludwig tremare. Era trasalito? Il crostaceo si voltò verso di lui, guardandolo come se l'avesse visto solo in quel momento - Probabile, in verità.
«Principe...» Si riscosse. «Feliciano è scomparso» Cosa. «e la colpa è dello Seehexenmeister.» O aveva appena bestemmiato, o parlava dello Stregone del Mare. Che era più o meno la stessa cosa.
«Cosa cazzo hai fatto a Feliciano?» Se avesse avuto il suo pugnale e la capacità di deambulare per terra, si sarebbe unito a quei tre debosciati e al decapode.
«Feliciano?» Lo Stregone del Mare quasi sputò quel nome. Come osava. «E che ne so io?»
«Tranquillo, Ludovic.» s'intromise Francis, stranamente calmo. «Temo c'entrino le adorabili murene di Arthùr. Se è così, è al sicuro.»
Ludwig non parve troppo rassicurato, ma sembrava meno folle di prima. Lo Stregone del Mare sbattè le palpebre più volte. «Cosa... Hanno preso il principe sbagliato?»
Partenope e Abisso, cosa cazzo stava succedendo.
Lo Stregone del Mare, però, fu presto distratto dai quattro che gli si avvicinavano sempre di più. Aveva una barriera, certo, ma nessuno aveva detto che quella barriera fosse impenetrabile. Soprattutto con un'alabarda, una frusta, un fioretto, una spada, un granchio rancoroso, un granchio incazzato, un gabbiano incazzato e un imbecille incazzato.
«Uh, che slealtà...» Lo Stregone del Mare era ormai arrivato a metà dello sperone. Ammirevole come riuscisse a rimanere in equilibrio. «Quattro uomini armati contro un povero Stregone disarmato.»
Qualcosa parve scattare in Francis. «Merde!»
Lo Stregone del Mare si lasciò cadere di lato, e scomparve alla vista.
«Si è buttato in acqua!»
«Sta scappando!»
«Fermi!» Francis volò e riuscì ad afferrare Gilbert, ma non Antonio né tantomeno Ludwig. «Non vi avvicinate alle balaustre!»
Onde si alzarono nel fragore di un temporale e l'acqua di mare travolse il ponte. Lovino si aggrappò alla balaustra. Con la coda dell'occhio, notò Abel prendere al volo Manon e Lucilin e la donna sconosciuta tenere una mano alla balaustra e l'altra a stringere l'uomo sconosciuto. Dal castello di prua, Francis era riuscito a volare via, mentre Gilbert era sì volato ma sul ponte, per svariati metri, fin quasi precipitare nel boccaporto aperto. Ludwig era rimasto saldo nella sua posizione. Il bastardo aveva infilato l'uncino dell'alabarda nella balaustra ed era riuscito a limitarsi a scivolare lungo le scale. Nella sera, dieci torri erano emerse dal mare e avevano circondato la nave. In simpatia, ciascuna torre, molle e ricoperta di ventose grosse come pugni, stringeva un arpione.
«So che vi state chiedendo» Lo Stregone del Mare riapparve sullo sperone, ma solo la sua metà superiore era antropomorfa. «da dove sono usciti gli arpioni.»
«Veramente no.» Gilbert sputò una copiosa quantità d'acqua.
«Dai, bruder...» Ludwig lo guardò, titubante. «Ce lo vuole dire, non è educato non farglielo dire.»
«Tu passi troppo tempo con Felicianò.»
Lovino si premurò di coprire la frase di Francis con un accoratissimo: «A' Ludwig! Ma vattene affanculo!»
«Mentre tu eri preso dall'incantesimo della magica palla otto magica-»
«La cosa?»
«Magica palla otto magica.» Lo Stregone del Mare mise le braccia conserte. «Ricordi la palla nera di stanotte? Ah, giusto, la voce era del principe, ma ero io a parlarti.»
Il bastardo si era tirato su, e guardava i tentacoli giganti con una certa inquietudine - Lovino, a malincuore, lo comprese. «Sono stato ingannato da una palla?»
«La cosa si fa sempre più umiliante.» Lo Stregone del Mare annuì, con fare saputo. «Ma dicevo degli arpioni. Mentre il capitano era perso nell'incantesimo, io ho incastrato gli arpioni qui sotto la nave. Sapevo sarebbero tornati utili!»
«Una palla mi ha lanciato un incantesimo?»
«Hai sentito, Vest? Era una puttanata!» Gilbert tornò alla prua. «Basta cincischiare e andiamo a pesca!»
«Gilbert...» Francis gli si avvicinò, ma si sentiva benissimo cosa gli stesse dicendo. «Siamo quattro contro dieci.»
«Dodici.» Lo Stregone del Mare riportò le braccia lungo i fianchi. Da non si sapeva dove, erano spuntate due spade.
«Cherì!» Il gabbiano sembrava indignato. «Sei inavvicinabile!»
«Non sono il re dei Sette Mari per mancanza di pretendenti!»
Un'altra esplosione. Il bastardo aveva provato a colpire un tentacolo ma, a quanto pareva, anche quelli erano protetti dalla barriera.
«Fatemi indovinare...» Ludwig si portò la mano libera alla radice del naso. «Noi non possiamo colpire lui ma lui può colpire noi.»
«Non vinci niente,» fu la laconica risposta di Francis: «era scontato.»
Ovvio. Andasse bene una cosa - Una. E uno dei tentacoli era pure schifosamente troppo vicino a dove era seduto lui. Gli tornò in mente quando gli si era schiaffato sulla bocca - Rabbrividì. Fissò la carne, i colori inscuriti dal buio. Facevano più impressione le ventose, in realtà.
Non aveva il pugnale con sé. Se solo l'avesse avuto, ne avrebbe approfittato per cercare di piantarglielo nel primo spazio disponibile. Non aveva il pugnale, ma aveva qualcos'altro di affilato.
I denti si richiusero tra due ventose. Le mandibole lo mandarono affanculo e la lingua si suicidò. Il tentacolo tremò come se fosse stato colpito da una torpedine. Nelle orecchie, un'imprecazione in una lingua che non conosceva, da una voce che conosceva e trovava irritante.
«Let me go! Let me go, you fucking-»
Con uno strattone, la presa venne meno e Lovino atterrò sul ponte bagnato, e rotolò per qualche metro - Piantò le mani e le code a terra, in tempo per evitare il volo nel boccaporto.
«Credo che noi due dovremmo discutere, principe Lovino.»
Qualcosa gli stritolò lo stomaco, e i fianchi, e la schiena. Il legno sotto le code e le mani venne meno e si allontanò troppo velocemente. Il mare, invece, si stava avvicinando troppo velocemente. Come uno scoglio in testa, si ritrovò sott'acqua. Stavolta poteva respirare, anche se stava annegando.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da The Disappearance of Hatsune Miku -DEAD END-, canzone composta da CosMo@Bousou-P e cantata da Miku Hatsune.
* Il dialogo della ciurma:
«Cazzo! Non avremmo dovuto prenderle così economiche!»
«Di chi cazzo è stata quest'idea di merda?»
«È stato Raul!»
«Cazzo, Raul!»

* «Cette chose est absurde [...]»: «Questa cosa è assurda e non ne vedo il senso, ma spero che il tuo piano funzioni.»


Questo è ufficialmente il capitolo più breve (Anche se era parte del precedente, quindi in realtà- Vabbè, avete capito) ed è anche quello a cui sono più legata. Strano a dirsi, vista la scarsa lunghezza e il fatto che oggettivamente ci siano solo due scene, ma sono Scene Importantissimissime, aromatizzate di harmony (Cose che capitano, con la Spamano) e, soprattutto, pregne di cazzate.
Ah, se vi state facendo domande sul perché e per come Lovino sia riuscito ad azzannare Arturo, non temete, sarà spiegato! (Io spiego tutto! E, se una cosa non viene spiegata, è perché me la sono scordata! (๑•̀ㅂ•́)و✧)

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!

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Capitolo 11
*** Parte del mondo pt.1 ***


Capitolo IX
Parte del mondo ~ Non sono incompetente, non sono indeciso, è solo che non ho abbastanza coraggio.


«Ez király!» Erzsébet non riusciva a stare ferma - Ed era un po' un problema, visto che la scialuppa era lunga appena tre metri e doveva sostenere otto persone, di cui due piuttosto ingombranti. «È stata una battaglia fantastica, la migliore a cui io abbia mai assistito!»
«Devo concordare.» Roderich annuì. Era imperturbabile, nonostante tutto quello che era successo. «Non appena il tritone è stato portato via, è scoppiata la più incredibile e scenografica battaglia di cui abbia memoria.»
«Peccato che alla fine lo Stregone del Mare abbia krakenato la nave.» Manon, affacciata alla bagnarola, guardava i pezzi di galeone fluttuare nella notte. «Porteremo il ricordo di questa battaglia nei nostri cuori.»
«Spero sia stata descritta nel dettaglio.» Gilbert non sembrava appena scampato ad un annegamento, data l'energia nella voce. «Una battaglia simile dovrà essere tramandata ai posteri! Soprattutto per l'insostituibile aiuto dato dal Magnifico Me!» Nessuno gli diede retta.
Purtroppo, la battaglia non era stata descritta e il lettore non saprà mai cosa avvenne in quei minuti di pura adrenalina. Gli sarà però concesso sapere come si sia arrivati ad avere otto persone su una scialuppa e un galeone in pezzi - O meglio, solo la parte delle otto persone su una scialuppa, ché Manon ha già fornito informazioni circa il galeone in pezzi.
Durante la battaglia, i tre saggi elfi avevano compreso che dieci tentacoli giganti attorno ad un galeone avrebbero portato ad un solo finale. Quindi, Abel aveva fatto salire Erzsébet e Roderich sull'unica scialuppa di salvataggio del galeone - Le altre le avevano vendute -, e suo fratello e sua sorella lo avevano seguito. Ad onor del vero, Erzsébet si sarebbe voluta gettare nella mischia, ma Manon era riuscita a farla desistere con una supercazzola del tipo: «È una cosa molto romantica, tu non c'entri niente, resta a fare la spettatrice~».
Nessuno degli avversari dello Stregone del Mare era infine riuscito a fare breccia nella sua barriera. Per tal motivo, ad un certo punto, lo Stregone aveva deciso di porre fine a quella battaglia e a quella nave, stritolandola in un abbraccio particolarmente violento. I suoi quattro avversari erano riusciti a scappare - in volo o gettandosi in acqua - appena in tempo.
Tuttavia, per una non ben chiara sequenza di eventi, Gilbert si era visto e soprattutto sentito arrivare in testa un pennone, e gli aveva fatto discretamente male. Ludwig, sott'acqua, se n'era accorto e si era trovato davanti ad un bivio: inseguire lo Stregone del Mare - non proprio la cosa più invisibile del mondo - o soccorrere il fratello degenere? Ecco perché ora era con un Gilbert redivivo sulla scialuppa, nonostante lui da solo occupasse il posto di due persone esili.
Francis si era semplicemente appollaiato sul bordo della scialuppa. Non avrebbe potuto seguire lo Stregone del Mare, una volta che fosse sceso in profondità, quindi vi aveva rinunciato a priori. L'unico assente, a parte il principe Lovino, era il capitano Antonio, che si era lanciato all'inseguimento dello Stregone del Mare. Ora che il riassunto è completo, si può tornare al presente.
«Senti un po', Magnifico Me.» L'unica illuminazione era l'accendino di Abel, eppure lo sguardo di Erzsébet brillava come fulmini. «Ora vossignoria sarebbe così gentile da spiegarmi cosa cazzo ci fai qui e perché cazzo sei scomparso di punto in bianco?»
Gilbert sbiancò. Ludwig non credeva potesse diventare più bianco di quanto non fosse, ma aveva compreso come il mondo fosse sempre pieno di novità. Incontrò il suo sguardo rosso e vi lesse una muta richiesta di aiuto. Quella, però, era una cosa che avrebbe dovuto risolvere da solo. Scosse la testa. Gilbert comprese. Ludwig gli afferrò il braccio, prima che si ributtasse in mare.
«Eh...» Gilbert deglutì. Evitava di guardare Erzsébet - Che, nel frattempo, si era avvicinata quasi a gattoni, visto il poco spazio libero. «Sai, non ci facevo più niente lì, e-»
«Non ci facevi più niente?!» Ormai Erzsébet l'aveva raggiunto e non gli aveva messo le mani al collo solo perché stava cercando una posizione comoda. «Rod ed io ci eravamo appena sposati, avremmo voluto averti-»
«Cosa? A fare il terzo incomodo?» Gilbert scattò in avanti. Ludwig lo lasciò andare. «Vi eravate sposati ed eravate nel vostro mondo di zucchero e miele, la mia Magnificenza vi avrebbe distratto!»
«Ma che cazzo dici?»
«Concordo.» disse Roderich. Guardava nella loro direzione. Non si riusciva a vedere il suo sguardo, ma il suo tono era molto flemmatico. «Per quanto una coppia sposata necessiti dei propri spazi, è comunque composta di singole persone. Eliza aveva piacere nel vederti, e altrettanto si poteva dire di te.»
«Certo che a me fa piacere vedermi!»
Roderich sospirò. La frase di Gilbert era stata scontatissima, e la cosa migliore era che fosse serio. «In un primo momento, il timore era quello che ti fosse successo qualcosa. Ma eravamo in errore, a quanto sembrava. Abbiamo compreso ci fosse qualcosa di sospetto nel momento in cui abbiamo scoperto che non risiedevi in alcun dove.»
Gilbert scoccò un'occhiata indecifrabile ad Erzsébet. «Come minchia comunicate voi due? Lui sembra un testo ministeriale, tu sei una scaricatrice di porto, come-»
Finalmente, le mani di Erzsébet raggiunsero il collo di Gilbert. Nessuno alzò un dito in sua difesa.
«Smettila di prendere tempo» Erzsébet iniziò a scuoterlo. «e dimmi perché te ne sei andato! Perché ti ritrovo qui? Cosa sta succedendo?» Gettò un'occhiata a Ludwig. «Perché sembri conoscere questo granchio e» E a Francis. «quel gabbiano?» Tornò a Gilbert. Dato che stava assumendo una leggera tonalità di blu di Prussia, lo lasciò andare. «Gil, per favore...» Sospirò. La sua voce si era abbassata. «Non puoi neppure mimarmelo?»
Gilbert stava ancora riprendendo aria. Sembrava destino gliene mancasse, quella sera. Con un sospiro più forte, tornò seduto composto. Guardò Erzsébet negli occhi. Fece schioccare la lingua. Scattò in piedi, Erzsébet quasi cadde all'indietro.
«Se mi preghi così,» La sua voce era salita a livelli ridicoli. «il Magnifico Me non può che esaudire la tua richiesta!» Si schiarì la voce. Aprì le braccia. «Sono un granchio anch'io!»
Erzsébet sbattè le palpebre. Ludwig era certo che anche gli altri ospiti della barchetta avessero fatto altrettanto. «Sei un...» Lo sguardo della donna andava prima a lui, poi a suo fratello. «Ma... Ma da quanto...?»
«Dalla nascita, mia cara Liz!» Gilbert schiaffò uno stivale sul bordo della barca. Quella oscillò in modo inquietante. Dato che Ludwig era incastrato tra suo fratello e Manon, Francis fece il favore si spostarsi dal lato opposto, in modo da bilanciare il peso. «Ho fatto un patto con lo Stregone del Mare-»
«Cosa?» Non fu solo Erzsébet a dirlo. Manon e Lucilin l'avevano sussurrato, Francis gli aveva lanciato un'occhiataccia.
«-e sono diventato umano.» Gilbert annuì alle sue parole, come se stesse dicendo cose belle. «È stato il giorno in cui quello là» Fece un cenno a Roderich. «ti si è proposto.»
«Ma... Ma...» Erzsébet continuava a sbattere le palpebre. Si tirò uno schiaffo, risuonò l'eco - Doveva esserselo dato piuttosto forte.
«Eliza, per favore.»
«Ma tu» Erzsébet ignorò Roderich. «non sei mai stato un granchio! Ti ho conosciuto per anni, sei sempre stato umano!»
«Sì, in effetti...» Ludwig prese la parola. Doveva sapere, e non poteva permettere a Gilbert di fare giri di parole per evitare una risposta precisa. «Come hai fatto a nasconderle la tua natura?»
«Mio caro, tenero fratellino...»
«È questo il tuo fratellino?» Erzsébet spalancò gli occhi. Che reazione bizzarra.
Gilbert annuì, e riprese: «Mi sono semplicemente tolto la corazza!»
Calò il silenzio.
Per un minuto, due minuti, nessuno parlò. Gilbert continuava a guardarli, uno per uno - Per quanto potesse vedere nel buio della notte marina, con solo un accendino a squarciare un pugno di centimetri di tenebre -, forse in attesa di segni di vita. Alla fine, fu Manon a spezzare quel silenzio. «Quindi,» esordì, esitante: «ad un granchio basta togliersi la corazza per sembrare umano?»
Gilbert le fece il segno della pistola con entrambe le mani. «Esattamente!»
«Secondo questo ragionamento» disse Roderich, pacato: «se un umano prendesse in mano una ruota, sarebbe indistinguibile da una carriola.»
«Non ho mai provato, ma potrei darci un'occhiata.» concesse Gilbert.
«D'accordo...» Erzsébet riprese la parola. Nonostante ciò che aveva detto, non sembrava affatto "d'accordo". «Sei un granchio. Posso accettarlo.» Da come parlava, avrebbe faticato molto. «Hai fatto un patto, sei diventato umano e sei sparito.» Sbattè di nuovo le palpebre. «Se volevi vedere il mondo, saremmo potuti andare insieme-»
«Nessun altro ha altre cose da rivelare?» Gilbert alzò la voce, a coprire quella di Erzsébet. «Tipo, Francis, perché sei un gabbiano?»
«Non puoi chiedere alla gente perché è un gabbiano.» gli fece eco Ludwig.
«Infatti.» Francis concordò. «E poi, il Magnifico non ha finito, no?»
«Cazzo, Gil!» Erzsébet scattò in piedi. La barca ondeggiò di nuovo. «Sei sparito appena mi sono sposata, perché-» Si bloccò. Sgranò gli occhi. L'espressione di chi aveva avuto la più sconvolgente delle epifanie.
«Beh,» Gilbert sbuffò. Stava parlando solo per riempire il silenzio. «ho una gran sfiga con i matrimoni.»
Erzsébet scosse la testa, piano. «È per questo...» La voce era ridotta ad un filo udibile a stento. «Sei sparito così... Per questo?»
«Oh, ho fatto ben di peggio.» Un'occhiata amara a Ludwig. Tornò a guardare Erzsébet. «Non hai idea di quanto-»
«Perché cazzo non mi hai detto niente?» Erzsébet si lanciò su Gilbert. La barca quasi sobbalzò. Le mani si erano chiuse a pugno e avevano la ben precisa intenzione di raddoppiare di volume la faccia dell'altro. «Perché non hai voluto dirmi niente?» Un'altra scarica di pugni. «Avrei capito! Avrei capito, sai? Ti avrei potuto aiutare, se tu non fossi potuto tornare indietro! Ma se tu non mi parli,» Gli assestò una testata. «come pensi che io possa capire? Cosa speravi di ottenere, scappando? Dannato imbecille!»
Ludwig le afferrò i polsi. Aveva infierito a sufficienza. «Ha appena combattuto ed è quasi affogato.» Le ricordò, quando incontrò il suo sguardo stupito. «Potrà continuare dopo, signora.»
«D...» Gilbert rantolò. «Dan... ke... schön...»
Qualcosa emerse dal mare. Chi era ancora in possesso delle proprie facoltà motorie si voltò verso un lato della barca. Antonio era ricomparso, e si era aggrappato. Dato che non c'era più granché posto, nessuno si fece da parte per farlo salire e rimase a mollo.
Diede una rapida occhiata alla scialuppa. «Perché Elisa sta uccidendo Gilbert?»
«Si è appena perso un risvolto molto drammatico e molto romantico, capitano.» spiegò Manon. «Gilbert era un granchio, ha fatto un patto con lo Stregone del Mare per diventare umano e sposare la signora Erzsébet, ma lei ha scelto il signor Roderich.»
«Oh, che schifo.» Antonio gettò un'occhiata impietosita a ciò che rimaneva di Gilbert. «E tu avevi il coraggio di farmi la predica?»
Gilbert mosse appena una mano. Ludwig tradusse per lui. «Parlerete dopo. Al momento è impossibilitato ad esprimere frasi di senso compiuto.»
«Capisco.» Antonio si aggrappò alla scialuppa con entrambe le mani. «Spero di essere arrivato al momento in cui spiegate cosa sta succedendo. Tipo,» Si voltò verso Francis. «perché sei un gabbiano?»
«Perché tutti vogliono sapere perché sono un gabbiano?»
«Per favore,» Ludwig era molto paziente - Non sarebbe stato fidanzato con Feliciano, altrimenti -, ma quel giorno la sua pazienza era stata messa a durissima prova. «di' perché sei un gabbiano, o non ne usciremo più, e abbiamo svariate cose da dire.»
Francis mise le braccia conserte. «Ci sono nato, gabbiano. È solo che mi mimetizzavo da umano per studiare il vostro mondo.» Questo spiegava perché ne fosse così esperto.
«E come?» chiese Manon. Sembrava interessata, per qualche motivo.
«Mi vestivo e mi mettevo un mantello per coprire le ali.» La risposta fu incredibilmente banale e assurdamente logica. «Prima che me lo chiediate, sì, conosco Arthùr da diverso tempo. Dev'essere per questo che ho visto oltre il suo ridicolo travestimento.»
«Quello che ha detto lo Stregone del Mare» disse Antonio, con una nota di urgenza. «è la verità? Lovino aveva stretto un patto con lui, era un principe e ora il suo regno è in pericolo?»
«Oui, cherì.»
Il capitano non disse nulla. Ludwig si ricordò di una cosa. Lasciò i polsi di Erzsébet e si sporse verso di lui. «Capitano.» Quando ottenne la sua attenzione, si presentò. «Sono Ludwig, capo delle guardie del Regno del Mare, fratello di Gilbert, guardia del corpo dei principi Lovino e Feliciano.»
Antonio parve realizzare qualcosa. «Dunque l'altra sirena, quella identica a lui...»
Cosa aveva combinato, Feliciano? «Se ha incontrato un tritone dalle fattezze simili a quelle del principe Lovino, doveva senza dubbio trattarsi di suo fratello, il principe Feliciano.»
«Che direi» s'intromise Francis: «essere in compagnia di Alfrèd e Mathieu, le due murene di Arthùr. Devono averlo scambiato anche loro per il principe Lovino.»
Ludwig annuì. «Ora ci arriviamo, Francis. Prima devo fare una cosa.» Tornò a guardare l'umano. L'umano causa di ogni cosa. «Le sono molto grato per aver placato la furia naufragofila del principe Lovino. Tuttavia, sono molto furibondo per tutto ciò che è avvenuto per causa sua.» Fece scroccare i pugni. Antonio li fissò. Indietreggiò. «Le chiedo dunque di accettare le mie rimostranze come giusta e dovuta compensazione a tutto ciò che ho dovuto subire.»
Seguì una scena di inaudita violenza, che salteremo a causa del rating di questa storia.
«Dunque, Francis.» Ludwig si voltò verso il gabbiano. Antonio galleggiava prono. «Tu sai dove posso trovare queste murene?»
Francis annuì, piano. «Ti faccio strada, Ludovic.» Volò fino al bordo più vicino a lui e gli posò una mano sui pugni ancora chiusi. «Ma solo se mi prometti di non far loro del male. Sono dei bambini, e stanno solo eseguendo gli ordini di Arthùr.»
Dei bambini... Ludwig inspirò. Quello poteva essere un problema. «Non posso prometterti di rimanere impassibile, qualora sia successo qualcosa a Feliciano.»
«Dieu, speriamo di no! Alfrèd e Mathieu non sono quel tipo di sottoposti!» Francis gli fece patpat sui pugni. «Nel caso, cherì, ricorda ciò che ti ho detto. Stanno solo eseguendo gli ordini di Arthùr. Sei liberissimo di vendicarti su di lui.»
Ludwig annuì. Del resto, aveva già le chele pronte per quel calamaro.

«Il signor Ludwig se n'è andato, ora abbiamo spazio. Che dite, tiriamo su il capitano?»
«Ma sì, dai, sennò metti che annega sul serio, chi ce li ha i soldi per un funerale?»
«E poi non voglio sentire storie dalla regina Isabella!»
«E il signor Gilbert?»
«Il signor Gilbert si riprenderà tra qualche ora, se non ha fratture.»
«Dunque qual è il bollettino medico?»
«Due quasi morti e distruzione dell'ultima nave. Abbiamo ancora la scialuppa, però.»
«Speriamo non si sia macchiata di sangue, così possiamo rivenderla a prezzo pieno!»



*



«Come,» Arthur parlò piano. Era sicurissimo che il suo udito funzionasse alla perfezione quindi, magari, dopo tutte quelle incredibili emozioni, era arrivato alle allucinazioni acustiche. «scusa?»
«Ho detto» Il principe Lovino osò guardarlo dall'alto in basso, l'espressione impassibile. «"no".»
Lo Stregone del Mare si riteneva una persona raffinata, posata, paziente e sadica. Realizzò in quel momento quanto lo spezzarsi di una determinata routine incidesse sul mantenimento dei primi tre aggettivi. Per quanto aveva memoria, alle sue vittorie era sempre seguita una gran gioia, e il suo ritirarsi nei suoi appartamenti con una soddisfazione che sarebbe svanita nell'arco di uno o due mesi.
Quella sera aveva vinto, aveva vinto su tutti i fronti - Il principe Lovino aveva perso, il Regno del Mare era suo, ora lui era il sovrano indiscusso dell'intero impero sommerso, il tutto dopo aver affondato un galeone e affrontato quattro avversari insieme. Il fatto che tra di loro - sconfitti - ci fosse anche Francis l'aveva riempito di gioia. Doveva ammettere, poi, che rivedere quel granchio vanaglorioso, che non aveva raggiunto il suo obiettivo, era stato piuttosto divertente.
Certo, il principe Lovino lo aveva indispettito - Sentiva ancora pulsare il segno del morso, porche zanne di tritone e porco status di servitore che gli faceva bypassare la barriera -, ma era stato divertente scagliarlo in mare e costringerlo a rimanere sott'acqua, mentre sopra imperversava una battaglia all'ultimo sangue - Se poi poteva concedersi un po' di vanteria, era stato davvero bravo. Una battaglia fantastica. Non per niente, aveva vinto.
Quando era tornato nella sua tenuta del Regno del Mare, aveva messo in conto di doversi occupare di un altro paio di cose - Tipo scoprire dove si fossero cacciati Alfred e Alfred Due, e scoprire se il principe Feliciano fosse tra le loro adorabili manine.
Qualcosa era andato storto.
«Mi servono delle alghe.» Liberato dal tentacolo, il principe Lovino - Allontanatosi di un miglio e mezzo in un picosecondo - si era seduto sulla prima asse disponibile, aveva accavallato le code e l'aveva guardato male.
«Alghe...?» Arthur aveva inarcato un sopracciglio. Era tornato al suo aspetto originario, sopracciglia importanti comprese. Ed era stato un bene, perché così il principe aveva potuto vedere bene la sua espressione, anche con quei quarantasei chilometri a separarli.
«Non ho intenzione di continuare a tenere questa roba!» Si era battuto una mano sulle code. Indossava ancora i pantaloni umani, ma si era liberato della camicia. «E non pensare me ne vada in giro come il tuo caro pennuto!»
Arthur aveva capito quanto avesse bisogno di riposare. La sua pazienza si stava prosciugando. «Va bene, vatti a prendere le tue alghe. Tanto,» Aveva abbozzato un sorriso soddisfatto. «ora sei un mio servitore. Puoi andare dove vuoi, tanto ti ritroverò sempre.»
Lovino non aveva risposto subito. Aveva continuato a guardarlo male - peggio del solito. «Come le tue murene?»
«Mi fido di loro.» Semplice e vero. «Posso controllare la loro posizione più tardi.» Gli si era avvicinato. Era comico vederlo così pronto a scappare ad ogni suo movimento - Temeva lo spremesse con i suoi tentacoli? «Tu, piuttosto. Non perdere tempo. Devi metterti al lavoro.»
«No.»
E così, Arthur aveva dubitato di tante cose. Nonostante ciò, i suoi sentimenti non positivi nei confronti del principe erano una certezza granitica.
«Forse» Lo Stregone del Mare sollevò le mani. «non hai ben chiara la situazione.» Si avvicinò, molto più di prima. Ora lo vedeva bene, e vedeva quanto volesse essere ovunque tranne che lì. Trattenne un sorriso. Quella casa inquietava svariate persone, ma Lovino sembrava esserne quasi terrorizzato. «Hai perso. Sei un mio servitore. Dovresti servirmi.»
«Già.» Il principe distolse lo sguardo. «Ma adesso non mi va.»
Non... era esattamente una cosa che aveva previsto. D'accordo, non sperava in grida disperate, uno gettarsi ai suoi tentacoli a mani giunte, delle preghiere spaventate, insomma, non sperava in cose che avrebbero rallegrato il suo quarto aggettivo, ma almeno un dispiacerino piccolo, una rassegnazione depressa quanto bastava, un singhiozzo tanto per gradire? E quella sillaba... Non si supponeva dicesse quella. Doveva dire l'altra, magari seguita da "mio signore", o qualcosa del genere. O che almeno lo sfidasse! Sì, una sfida senza scampo, un vano tentativo di resistenza!
«Principe.» Anzi. «Lovino.» Il diretto interessato gli scoccò un'occhiataccia più esplicita. «Non funziona così, tra servo e padrone.» Ora doveva pure mettersi a spiegare l'ovvio. Alfred e Alfred Due sì che erano bravi sottoposti, lui ordinava e loro eseguivano, fine! «Se io ti ordino qualcosa, lo scopo della tua esistenza è far sì che quell'ordine venga adempiuto.»
«Sono un principe,» Lovino sbuffò. Non sembrava esattamente turbato dalla sua nuova condizione di schiavo e causa principale dell'avvenuta conquista del suo regno inconsapevole. «le so, queste cose. E, per la cronaca,» Gettò uno sguardo all'asse su cui era seduto. «sono sempre stato dalla parte di chi gli ordini li dà.» Sembrava irritato da qualcosa, e Arthur ebbe l'atroce dubbio che fosse più infastidito dall'assenza di luoghi in cui sdraiarsi senza ritrovarsi schegge in posti che non si sapeva neppure di avere.
Ad onor del vero, Arthur aveva sospettato che non sarebbe stato un bravo servitore. Non pensava in questo modo, però. «A proposito...» Aveva bisogno di ritornare a cose ben migliori. Se poi suddette cose ben migliori fossero state un colpo pesante a quel piccolo pesciolino odioso, sarebbero assurte al sublime. «Dovresti portarmi la corona di tuo nonno.» Intrecciò le dita, posò il viso sulle mani. «Non potevo darti primo ordine diverso.»
Lo sguardo di Lovino si era rabbuiato, più cupo che rabbioso. Non esattamente perfetto, ma abbastanza soddisfacente. «La corona?»
Arthur annuì. «Ovviamente, dovrai spiegare la faccenda a tuo nonno. E a tutto il tuo ex popolo.» Arricciò le punte dei tentacoli. «È giusto sappiano chi è il loro nuovo sovrano.»
«Oh, per quello non c'è problema.»
Qualcosa non andava. Lovino lo stava guardando dritto negli occhi e stava ghignando. «Sarà lo stesso erede ad annunciare la lieta novella al mio ex popolo.»
Cosa.
«Spiegati.»
«È il secondo ordine?»
Stava seriamente iniziando ad alterarsi. Due tentacoli strisciarono fino al principe. Lo vide trasalire, e il suo sguardo arrogante vacillò. E sì che non l'aveva neppure ancora sfiorato! Peccato l'irritazione crescente sporcasse un momento tanto divertente.
«Spera di trovare presto le tue murene, Stregone del Mare.»
No.
«O dovresti spiegare perché hanno rapito una persona tanto importante per questo regno.»
Non era...
«Hai» No. «rinunciato al trono» Non era così che doveva andare. «in favore di tuo fratello?» Non era assolutamente così che doveva andare.
«Sì.» Quella sillaba era arrivata troppo tardi, e con un sapore rivoltante. L'altro, invece, doveva trovarla la parola più saporita che avesse mai pronunciato.
«Non era nei patti.»
«No.» Forse stava cercando di non ridergli in faccia. «Per questo ho potuto farlo!» Brutto... «Hai chiesto la proprietà su di me, non sul mio regno. Dovresti essere più preciso, non dare le cose per scontate!»
La voce - Quella dannatissima voce - gli morì in gola quando i tentacoli gli si strinsero attorno ai polsi. Era persino sbiancato. Almeno una soddisfazione in quel mare di schifo.
«Dimmi.» Arthur sciolse le dita. «Perché ora non dovrei tirare forte forte e aprirti a metà come una cozza?»
Ah, finalmente un po' di sano terrore, in quella faccia da schiaffi! Si era fatto desiderare, era arrivato meno piacevole del previsto, ma era arrivato.
«Non lo faresti.» Il sussurro soffocato di chi non crede ad una sola sillaba di ciò che dice.
«Non lo farei?»
Finalmente, qualsiasi traccia di insolenza era stata spazzata via. Ora lo guardava come era giusto lo guardasse.
«Non hai altri ordini?» Quella voce che aveva tenuto in una scatola e in un bracciale, ora, doveva esserglisi incastrata in gola. «Forse ora mi va di darti un po' retta.»
«Tu mi garantisci-»
«Guarda, ti garantisco quello che ti pare.»
«-che ti servono tutti e quattro gli arti?»
Lovino annuì. Era serissimo. «Nessuno di diverso da voi potrebbe capire, signor Stregone del Mare.»
Arthur roteò gli occhi. Lasciò andare il tritone. Non c'era tempo per disperarsi o imprecare, aveva delle cose da fare. «Vai in quella che era la cabina del capitano.» Non gli disse dov'era. Era più divertente cercarla, e Lovino sarebbe senz'altro stato entusiasta di girovagare per quel relitto, solo e al buio. «È la sala del tesoro. Pulisci gli oggetti lì dentro.»
Lovino inarcò le sopracciglia. Un lampo di arroganza negli occhi. «Siamo sott'acqua, come cazzo fanno ad essere sporchi? Li ha coperti una colata di fango?»
«No. Coralli, spugne e solita roba che ricopre tutto ciò che sta fermo troppo a lungo.» Agitò una mano. «Potrai mettere pinna fuori da qui solo dopo che li avrai puliti tutti. E lo saprò, se l'avrai fatto.» Non aveva la forza di formulare minacce più colorite, né di rivolgere sguardi più incisivi.
Le cose non erano andate come previsto. Non solo il post-vittoria, ma tutta la faccenda. Era sempre stato convinto che il principe non avrebbe mai abdicato, che avrebbe condannato il suo popolo, che- Insomma, il principe Lovino era un tritone rabbioso e rancoroso, non si supponeva facesse una cosa del genere. Aveva cambiato idea per qualche strano motivo o Arthur aveva semplicemente informazioni carenti su di lui? O era forse stato un gesto impulsivo, atto più che altro ad ostacolare lui? Qualsiasi fosse il motivo, era stata una mossa inaspettata. O meglio, era una mossa plausibilissima, era inaspettata che a farla fosse quel tritone. Dubitava fosse stato il principe Feliciano a convincerlo a fare una cosa del genere e, per quanto ne sapeva, re Romolo non era (ancora) al corrente di tutto ciò che era successo. Quasi gli sfuggì un sorriso al pensiero. Il sovrano attuale - ancora attuale, chissà per quanto ancora - avrebbe dovuto prestare più attenzione ai suoi eredi.
Doveva trovare Alfred e Alfred Due, prima che li trovasse re Romolo. Il principe Feliciano era stupido, ma persino lui avrebbe riconosciuto un rapimento, se la vittima fosse stata lui. Poi, doveva parlarci, con re Romolo. Sarebbe stato triste, nel sapere il nipotino tra i suoi tentacoli? Se così fosse stato, sarebbe stato suo dovere morale offrirsi di curare la sua triste anima sola.

*



Feliciano non aveva idea di dove si trovasse. O meglio, sapeva di trovarsi in una grotta sottomarina, e che tale grotta sottomarina doveva essere ancora nel Regno del Mare, perché non era stato trascinato per troppo tempo. Avrebbe persino osato azzardare che fosse ancora nei dintorni di Napoli. Queste erano le uniche informazioni in suo possesso ed erano inutili.
Era ancora avvolto nella corda, stretta abbastanza da immobilizzarlo ma non abbastanza da bloccargli la circolazione del sangue - E questa era una cosa bella, perché aveva il sospetto che, in caso contrario, avrebbe sofferto. Una volta in acqua, dove lo strapotere della gravità veniva sensibilmente limitato, aveva provato a liberarsi, ma la murena che l'aveva sollevato aveva una forza assurda e si era limitato a trascinarselo dietro come un bizzarro palloncino urlante.
Feliciano non aveva idea di dove si trovasse, sì, e non aveva idea neppure di che ore fossero. Il tramonto doveva essere passato da un pezzo, forse il sole del giorno dopo non era ancora sorto. L'aveva intuito perché i due bambini, seduti fuori dalla grotta, avevano cenato con qualcosa che non era riuscito a capire, a causa del rettangolo pixellato che vi fluttuava sopra. Le due murene avevano mandato giù il cibo misterioso con espressioni gravi, quasi funeree. Pochi minuti dopo, la murena con le lenti circolari aveva iniziato a galleggiare in posizione arcuata, e il fratello - Era abbastanza sicuro fossero fratelli, vista la somiglianza - aveva dovuto recuperarlo prima che arrivasse in superficie. A quella scena straziante non ne era seguita un'altra, quindi o erano bimbi che seguivano una dieta sregolata - Saltare la colazione non era salutare! - o, semplicemente, non era ancora arrivata l'ora della colazione. In tutta onestà, si era stupito di non sentire i crampi della fame. Forse era stata la visione agghiacciante di ciò che gli sarebbe successo qualora avesse chiesto del cibo, forse era la preoccupazione per Lovino.
Sospirò. Alla fine era stato tutto inutile. Quasi certamente Lovino aveva perso la sua libertà, e lui non aveva potuto fare niente per aiutarlo. Forse, anzi, i suoi interventi avevano peggiorato la situazione. Ludwig glielo diceva sempre, in modo implicito perché era molto buono e gentile, che i suoi piani erano discutibili. Però... Però non voleva abbandonare suo fratello. Non era l'umano, non era il patto, Lovino non gli aveva detto niente, non aveva detto niente al nonno, non diceva mai niente a nessuno, e lui aveva capito cosa stesse succedendo nel momento peggiore - Quando il disastro non si era ancora compiuto, ma non si poteva fare niente per fermarlo.
Feliciano non voleva essere re. Quello era un diritto e un dovere di Lovino. Non poteva pensare di addossarglielo e scappare a rinchiudersi nel ruolo di schiavo dello Stregone del Mare. La cosa peggiore di tutto, quella che gli rendeva il petto più pesante di tutta la catena di scogli in superficie, era il fatto che Lovino non l'avesse ritenuto degno di confidenza. Ai suoi occhi, lui, suo fratello, era esattamente uguale a tutti gli altri. Ci aveva messo troppo tempo a capirlo, ma quello che Lovino provava per chi lo circondava non era sdegnosa sufficienza.
Suo fratello era stupido. Stupido, e anche idiota. Forse lui non era stato il migliore dei fratelli, ma avrebbe dovuto dirglielo, insultarlo come faceva con gli altri, e correggere tutti i suoi errori con uno sbuffo stizzito. Come avrebbe fatto a sapere di stare sbagliando? Perché Lovino urlava, imprecava e straparlava e poi taceva con lui? Era o non era come tutti gli altri? Stupido fratello. L'avrebbe recuperato, in qualche modo, e gli avrebbe tirato le pinne, e gli avrebbe detto che era fratello stupido che non si fidava nemmeno di lui, e-
«Sentite, principe.»
Feliciano alzò lo sguardo. Le due murene si erano avvicinate e lo scrutavano con grandi occhi blu colmi di sospetto e... timore?
«Dimmi.» Non poteva essere scortese solo perché stava sgridando suo fratello nella sua mente.
«Ma voi quand'è che siete tornato pesce?»
Feliciano sbattè le palpebre, piano. Doveva dare una risposta convincente. Quei due bambini erano stati mandati a rapire Lovino, doveva essere un piano malvagio dello Stregone del Mare, quindi fingersi lui avrebbe permesso a suo fratello di avere modo di... Di peggiorare la situazione nel modo più ostinato possibile, supponeva?
«Al tramonto.»
Dovette risultare una buona risposta, perché Murena Uno si voltò verso Murena Due senza opposizioni. «E noi l'abbiamo trascinato sott'acqua...»
«Circa due ore prima del tramonto.»
Murena Uno annuì alle sue parole sussurrate - Chissà perché Murena Due parlava in quel modo. Voleva risultare più inquietante, o scenografico? Magari era per fare atmosfera!
«Quiiiiiindi, però, era umano.»
Murena Due annuì. Murena Uno mise le braccia conserte, l'espressione assorta. «Anche se è un pesce.» Murena Due annuì di nuovo. «Quindi sarebbe dovuto morire male.»
Feliciano trasalì. Si era completamente dimenticato che gli umani non respiravano, sott'acqua.
«È una fortuna non sia successo.» Murena Due si torse le dita. «Arthur si sarebbe arrabbiato molto.»
«Sarebbe stata una tragedia!» Murena Uno si schiaffò le mani sulle guance. «Una macchia terribilissima nel nostro dispotico curriculum di sottoposti!»
«Distinto.» Lo sguardo di Murena Due si spostò su di lui. «Però è come sospettavo. Non è cambiato di un millimetro. Unito al fatto che non è morto, credo che questa persona fosse un tritone fin da quando l'abbiamo prelevato.»
Feliciano deglutì. Era una murena piccola ma molto astuta! «No! Ca-» Avrebbe potuto usare le parolacce davanti a dei bambini? Forse persino Lovino ci sarebbe andato più leggero. «-cchio! Io sono il cavolo di principe Lovino! Cacchio!»
Murena Uno inarcò un sopracciglio, una curva perfetta. «Il principe Lovino ha un cavolo? In che senso?»
«È solo che so trattenere il respiro per tantissimo tempo! Cacchio!»
«Principe Feliciano?»
«Sì?» Si morse un labbro. Cacchio.
Le due murene si scambiarono uno sguardo piatto.
«Abbiamo preso il principe sbagliato.»
Murena Uno annuì, il volto serio e concentrato. «È stato un errore. Un errore comprensibile. I principi sono indistinguibili.»
«Anche l'abbigliamento umano ci ha sviati. È stato un travestimento degno di Arthur.»
Abbigliamento che gli stava anche dando un po' fastidio, e di cui si sarebbe volentieri sbarazzato.
«Anche i migliori sbagliano.» Murena Uno diede una pacca sulle spalle al fratello. «Non devi crucciarti, Matt.» Oh, che carini! Si stavano tirando su di morale! Feliciano si sentì quasi in colpa di averli ingannati, anche se lui non aveva fatto niente per spacciarsi per suo fratello, fino a pochi istanti prima. «Nonostante possa sembrare il contrario, devo ammettere di non essere ancora pienamente perfetto.»
Feliciano era certo di avere lo stesso sguardo a mezz'asta di Murena Due.
«Ma non temere.» Murena Uno parlava con voce bassa, impostata. «Deve dipendere dall'età. Da adulto, sarò perfetto.»
Feliciano non era del tutto sicurissimo che quello fosse un buon modo per tirare qualcuno su di morale, e la faccia di Murena Due sembrava confermarglielo. Dato che gli dispiaceva di essere causa di tanto cruccio in due creaturine così piccole ed innocenti, decise di intervenire. «Scusate se non sono Lovino.» Ma erano comunque rapitori, non poteva mostrarsi intimorito! Ludwig l'aveva addestrato! «Però» Assunse un'espressione cattivissima. «voi non me l'avete chiesto!»
Murena Due guardò Murena Uno. «Ha ragione. Non gliel'abbiamo chiesto.»
«Promemoria per il futuro.» Murena Uno alzò un ditino. «Se Artie ci farà rapire qualcun altro, chiedere al diretto interessato se è la persona che stiamo cercando.»
«Però il diretto interessato potrebbe ingannarci dicendoci che non è la persona che stiamo cercando quando invece lo è.»
Murena Uno spalancò la bocca. «Hai ragione!» Scosse la testa. «Certe persone sarebbero così perfide da arrivare a mentirci pur di non farsi rapire!»
Murena Due tacque. Murena Uno continuò a borbottare qualcosa. Feliciano decise di riempire lo pseudosilenzio. «Ad ogni modo,» Soprattutto perché l'educazione era una cosa importante. «voi conoscete me, ma io non conosco voi. Chi siete?»
Murena Uno si voltò di scatto verso di lui. I suoi occhi erano così pieni di stelle che quasi gli sembrava avesse iniziato ad emettere luce. «Io sono Alfred! Sono un eroe grande e potente ancora in formato miniaturizzato!» Gli nuotò a pochi centimetri dal viso, i pugni stretti. «Tra qualche anno raggiungerò la mia forma finale, e sarò grande e potente come da descrizione, e potrò aiutare tutte le tristi anime sole di questo mondo e di tutti i multiversi esistenti!»
Feliciano gli avrebbe fatto un piccolo applauso, se avesse avuto le mani libere. «Un eroe! Che bello!» Sorrise. «Non ne ho mai incontrato uno dal vivo! Ne ho sempre sentito parlare solo nelle leggende!»
Il sorriso di Alfred andava da un orecchio all'altro, la coda si dibatteva come impazzita. «E ora ne hai uno davanti! Non è fantasticissimo?»
Feliciano annuì. «Però...» Piegò appena la testa di lato. «Io ho sempre sentito che gli eroi aiutano le persone.»
La coda di Alfred rallentò. Il suo sorriso si spense alle estremità. «E... E quindi? Cosa vuoi dire?»
«Beh...» Gettò un'occhiata alla corda che lo bloccava. «Mi avete rapito. E mi pare di capire che lavoriate per lo Stregone del Mare.» Alfred annuì, piano. Il sorriso era scomparso. «E lo Stregone del Mare non è...» Doveva scegliere le parole con cura. Erano bambini, non parlavano dello Stregone con timore, dovevano fidarsi di lui. Bizzarro che un simile calamaro fosse benvoluto da dei bambini - Ma erano bambini, le creature più spietate dei Sette Mari, non si sarebbe dovuto stupire. «Simpatico.»
Alfred lasciò andare il respiro. L'aveva trattenuto? «Certo che Artie non è simpatico!» Portò le mani dietro la testa. Mise il broncio. «Mi avete spaventato. Pensavo steste per dire che Artie è cattivo!»
«Tutti» La voce impercettibile dell'altra murena ricordò ad entrambi dell'altra murena. «sono cattivi per coloro a cui si oppongono.»
L'altra murena era rimasta in disparte, ad osservare. Feliciano si sentì un po' in colpa per averlo ignorato - E stavolta era un po' colpa sua sul serio, per quanto la parlantina di Alfred invadesse il cervello fino a fargli perdere contatto con la realtà. «E tu sei?»
«Matthew.»
«Lui è Matthew!» Alfred riapparve nel suo campo visivo, la sua vocina tonante coprì quella di Matthew come una colata di sabbia bagnata. «È il mio gemello, ma non il mio gemello cattivo, è il mio gemello spalla!»
«Gemello spalla...?»
«Sì!» Alfred nuotò da Matthew e gli prese un braccio, come se lo stesse presentando ad una folla. «Io sono un eroe e lui è il mio aiutante! Come Batman per Robin, o Capitan America per Falcon, o Iron Man per War Machine!»
Feliciano era completamente a digiuno di storie di supereroi, quindi accettò le sue parole con un sorriso comprensivo. «Siete davvero bravi, allora!»
«Siamo i migliorissimi sulla piazza!» Alfred mise i pugni ai fianchi e scoppiò in una risata sguaiata. Matthew lo guardava, semplicemente.
Nonostante fossero bambini, non erano cattivi. Gli stavano persino simpatici. «Allora, se siete i migliorissimi sulla piazza...» Lo sguardo più tenero del suo repertorio. «Sareste così gentili da aiutarmi?» Era un repertorio molto vasto, l'aveva ampliato in anni di manipolazione del prossimo.
Alfred e Matthew si scambiarono uno sguardo esitante. Poi, tornarono a guardarlo. Fu il primo a parlare. «Ma tu sei un nemico di Artie. Non possiamo.»
«Quindi...» Abbassò lo sguardo, il tono si rattristò. Abbassò un po' anche la testa, contribuiva ad accentuare il messaggio emotivo. «Lascereste in difficoltà una persona in difficoltà?»
Alfred si grattò la testa. Il suo sguardo andava a lui, a suo fratello, alle pareti della grotta. «Se ti aiutassimo, non saresti più una persona in difficoltà. Ti andrebbe bene?»
Feliciano annuì. Non con troppa enfasi, doveva ancora mostrarsi dispiaciuto e rassegnato. «Ero così felice di aver incontrato un vero eroe...» Sospirò. «È così triste che io mi trovi nella fazione sbagliata. Dovrò trovare un altro eroe che venga a salvarmi.»
Gli occhi di Alfred sembravano impazziti. Lo sguardo schizzava ovunque. La bocca era appena aperta, e anche l'altra mano era andata alla testa. Il povero piccino sembrava sul punto di implodere.
Era una visione struggente e, nonostante il fine giustificasse i mezzi, Feliciano non voleva sembrare cattivo. «Se mi aiutate, giovani eroi...» Rialzò la testa. Sorrise, stavolta sincero. «Potrò darvi qualcosa in cambio.»
Alfred si bloccò. Matthew parve farsi più attento. «E cosa?»
Aveva visto abbastanza. Aveva percepito i loro sentimenti. La risposta gli era stata suggerita dal cuore. «So cucinare.»


«Le corde non erano troppo strette, vero?»
«Oh, no, erano perfette!»
«Al non riesce mai a regolare la sua forza.»
«È perché sono ancora alla mia prima fase, il regolamento della forza lo apprendo al livello venti.»
«A che livello sei, Alfred?»
«Cinque!»
«Ma allora sei proprio potente! Da come parlavi, pensavo fossi all'uno, massimo al due!»
«E invece no! Stupito, vero?»
«Tantissimo.»
«Feliciano...?»
Feliciano si voltò. Il cuore sobbalzò, grande come l'intero petto e caldo come i raggi del sole. «Ludwig!» Lasciò le manine delle due murene e si gettò sul suo granchio. Il petto caldo divenne anche dolorante. Doveva proprio smetterla di compiere azioni così avventate.
«Feliciano, ma cosa...?»
Si scostò da Ludwig. Era ragionevole fosse confuso, quindi si affrettò a spiegargli: «Alfred e Matthew hanno promesso di aiutarmi a liberare Lovino!» Si voltò verso di loro. Si erano fatti vicini, le spalle quasi fuse, lo sguardo su di Ludwig era... Oh, no, erano spaventati, poveri piccini! «Non abbiate paura di Ludwig!» Battè una mano sulla corazza rossa. Altro gesto avventato. «Nessuno più di lui è dalla nostra parte!»
«Sì...» sussurrò Matthew: «Lo sappiamo.»
«Feliciano...»
«Sì, Ludwig.» Gli accarezzò una guancia. Quella non era in lonsdaleite, solo diamante. «Puoi proseguire.»
«Non ti avevano rapito?»
Feliciano annuì. «E ora mi stanno aiutando.» Gli prese le mani. «Andremo a salvare Lovino. Prima, però, devo andare a fare i biscotti.» Ludwig si limitò a rivolgergli uno sguardo interrogativo. «Per Alfred e Matthew.»
«Il salvataggio del principe Lovino non è più urgente?»
«Una cosa per volta, Ludwig.» Gli posò un bacio sulla guancia. «Prima i biscotti, poi mi levo questa roba e solo allora andremo da quello stupido.»
Ludwig gettò uno sguardo al di sopra della sua spalla. Feliciano seguì il suo sguardo. Alfred e Matthew stavano schiumando.
«B-Bambini?»
Alfred gorgogliò qualcosa a proposito di cose disgustose. Dato che non sembrava nulla di letale, Feliciano non si allarmò.
«Il principe Lovino» esordì Ludwig: «ti ha contagiato con il suo linguaggio.»
«Per quanto io possa imitarlo bene, non sono al suo livello.»
«Senti.» Feliciano si fece attento. Ludwig usava quel tono così serio solo nelle situazioni peggiori. E quella lo era. «Sei sicuro sia ciò che vuole Lovino?»
Doveva essere questo che Lovino aveva voluto evitare. Suo fratello non parlava mai e, anche quando lo faceva, rendendo dunque inutile la parola "mai", faceva dei giri di parole equivoci. Non era bravo a parlare di sé. E non poteva pretendere che gli altri capissero il reale significato delle sue parole. Non erano tutti indovini.
Feliciano, però, ci era cresciuto con Lovino. Non era un indovino, e ci aveva messo decenni a capire cosa intendesse davvero. Ora che era certo, non gli avrebbe permesso di farsi del male.
«Non gli permetterò più di scappare.» La sua voce era ferma. «Voglio che sia lui a scegliere cosa fare. Non le voci degli altri nella sua testa.»
Forse, là in mezzo, c'era anche la sua, di voce. Non era sicuro fosse una cosa buona e voleva rimediare. La sua bellissima canzone l'aveva portato a gettarsi tra i tentacoli dello Stregone del Mare, il suo volerlo incontrare aveva spezzato qualcosa tra lui e quell'umano, ogni sua idea era stata un disastro. Ma voleva riprovarci. Era davvero stupido come gli diceva il suo stupido fratello.
«Va bene.» Ludwig gli accarezzò la testa. «Ma non sarai tu ad ideare un piano.»
Ecco, appunto. «D'accordo.» Ci avrebbe riprovato. Magari non avrebbe seguito un piano ideato da lui.
«È tutto molto bello, ma» Feliciano e Ludwig si voltarono verso Alfred. Lui e Matthew erano tornati alla vita. «i biscotti?»
«Ve, ora andiamo e li facciamo~» Tornò da loro, riprese le manine. «A cosa li volete~?»
«Sciroppo d'acero.» «Hamburger, salsa barbecue, uova, pane e semi di sesamo!»
«Non dovrebbero andarci anche lattuga e pomodori?»
«Che schifo! Chi la vuole, la roba salutare?»
«Ehm, bambini.» Ludwig diede un leggero colpo di tosse. I bambini, per lui, erano creature aliene. Quando lo guardarono, Feliciano era certo fosse rabbrividito. «Francis è qua sopra. Se volete passare a dargli un salut-»
«Ora che il patto è finito» trillò Alfred: «potremo tornare a parlargli con le parole!»
«Francis è dalla parte di questi signori.» osservò Matthew: «Quindi, anche se sono nemici di Arthur, non possono essere cattivi.»
«Maaaaatt!» Alfred sbuffò, spazientito. «Ci danno i biscotti e sanno cucinare, chissene frega!»
Feliciano ridacchiò. Ludwig scosse la testa. In realtà, prima di recuperare Lovino, c'era un altro punto. Il punto due virgola cinque. Per cambiarsi, sarebbe dovuto tornare a palazzo.
«Ludwig.» Il tono più serio. Era un ordine. «Non devi più tenere segreto ciò che è successo.»
Ludwig annuì. «Come ordinate, maestà.»
«Però...» Trasse un respiro profondo. Serrò i pugni. «Lascia che sia io a parlare con il nonno.»

*



«Ma perché non sorridete mai? Lo sapete che sembrate davvero antipatico, così?»
«Dovreste fare come il principe Feliciano. Il suo sorriso scalda i cuori delle persone, è impossibile non amarlo!»

«Il principe Lovino è inascoltabile, chi gli ha insegnato a parlare in quel modo?»
«Povero re Romolo, meno male che ha il principe Feliciano!»

«Certo che il principe Lovino è proprio stronzo. Risponde sempre male!»
«Sì, anche alla gente che vuole aiutarlo. Che ingrato!»
«Dovrebbe fare come il principe Feliciano. Lui è sempre così gentile con tutti!»
«Siamo proprio sicuri che il primogenito non sia lui? Magari c'è ancora speranza...»
«Se il principe Lovino diventa re, io mi trasferisco.»

«Che poi, in tutta onestà, il canto del principe Lovino non è neanche così bello. È molto al di sotto della media.»
«Si vede che è tutto il contrario del principe Feliciano.»



Il sole era sorto da poco. Era a metà della sua salita nel cielo, ma Lovino non aveva idea di come si calcolasse l'orario seguendo la posizione del sole, né gliene era mai fregato granché.
Lovino aveva trovato rifugio su un sasso piatto quadrato nel nulla. Letteralmente. Era uno scoglio triste, piatto, di forma quadrata, in mezzo al mare, con un paio di altri sassolini tanto per non sentirsi solo. Le navi dovevano adorarlo. Non aveva idea di quanto fosse grande ma, sdraiandosi, occupava metà perimetro - Quindi supponeva che la sua area si calcolasse due Lovini per due Lovini. Non aveva idea di quanto ammontasse, ma dubitava potesse essere un'informazione interessante.
Aveva trascorso la notte - O meglio, quelle ore del mattino in cui il sole non era ancora sorto - là sopra. Era tecnicamente in superficie, quindi gli dava l'idea di essere al di fuori del dominio dello Stregone del Mare. Certo, aveva le pinne in acqua, ogni tanto un braccio ma, in quelle ore, l'aria era stata abbastanza fresca e umida da non costringerlo a rituffarsi.
L'altra parte della notte l'aveva trascorsa nella sala del tesoro. Aveva visto altre cabine dei capitani, ma le aveva viste distrutte, bucate, sottosopra. Quella, invece, era assurdamente ben tenuta - L'aveva ricostruita lo Stregone? Aveva buttato lo sguardo qui e là - Una colonna di marmo bianco che in realtà era bidimensionale, dalla consistenza liscia, e che aveva scoperto a sue spese aveva l'antipatica tendenza a cercare di arrotolarsi attorno al braccio di chi la sfiorava; un cubo viola fluttuante con gli angoli in fiamme (fiamme?), il fuoco sottomarino che ardeva di colore verde e faceva salire una scia di bollicine, che in tutta onestà gli avevano dato una sensazione d'inquietudine; un qualcosa di spaventosamente simile ad una testa umanoide, in realtà una scultura di pessimo gusto scolpita in una sostanza gelatinosa rosa e sul cui utilizzo non voleva indagare -, poi si era accorto di tanti, tantissimi oggetti più piccoli. C'era un bracciale di perle e coralli grande abbastanza da entrare ad un bambino, e andando più vicino aveva sentito che stava sussurrando qualcosa. Si era subito allontanato. C'era il pettorale di un'armatura che sarebbe andato bene ad una bambola. Era nero, attraversato da incisioni dorate poco riconoscibili vista la loro piccolezza, ma a Lovino era parso di riconoscere delle forme che ricordavano dei granchi e delle chele. Quando l'aveva toccato, quello si era ingigantito, fino a diventare grosso il doppio di lui e pesante almeno il triplo - Si era ingigantito sopra altri tre oggetti e aveva provato a spostarlo, con scarsi risultati. Nel momento in cui aveva potuto vederlo bene, aveva avuto la conferma che quei disegni raffigurassero decisamente dei granchi. C'era quello che era indiscutibilmente un peluche. Forse era un cane, non era pratico di razze canine, né aveva voluto approfondire, quando la bestiola aveva cercato di morderlo - La boccuccia di stoffa era andata a chiudersi sul bordo del tavolo, e quello si era riempito di bolle rosse. Era stato il caso di armarsi. Su alcuni di quegli abomini c'erano effettivamente spugne, coralli e incubi alieni come tulipani di mare e pigne di mare, ché ritrovarsene una decina in un unico punto era disturbante. Purtroppo, lo Stregone del Mare si era casualmente dimenticato di dargli qualsiasi oggetto per "pulire", quindi era dovuto tornare indietro e cercare qualcosa - Un pugnale, o magari un cannone. Era una questione di difesa, non di pulizia. Alla fine, aveva trovato un coltello in quella che doveva essere la cucina. In teoria, era ben tenuta anche quella, ma sembrava reduce di numerose esplosioni - Esplosioni partite dall'interno della stanza, non risultato di cannonate nemiche. Le paratie avevano anche un colore diverso rispetto al resto del relitto, erano più scure e sembravano brillare. Alla fine, Lovino aveva dovuto accettare che il tempo della procrastinazione era finito e aveva passato ore indefinite ad accoltellare oggetti assurdi - Se per divellere gli schifi di mare o per evitare di ritrovarsi robe attorno al collo era puro dettaglio.
Ad un certo, indefinito punto, le due murene dello Stregone del Mare avevano fatto il loro ingresso nella stanza e gli avevano portato dei biscotti.
«Li ha fatti lo Stregone del Mare?» D'accordo che non era di umore splendente, ma non meditava il suicidio.
Murena Uno aveva fatto una faccia inorridita. «Assolutamente no! Ti pare?»
Era stata più la sua indignazione che la sua risposta a convincerlo. Gli era bastato un morso per comprendere due cose: la prima era che avesse una fottuta fame. La seconda era che somigliavano ai biscotti che di tanto in tanto Feliciano preparava sulle fonti di acqua rovente. Visto che erano in mano a quei due, forse Feliciano aveva ottenuto quella ricetta da Francis, e quei biscotti erano suoi. Aveva avuto la conferma quando lo Stregone del Mare era tornato, seccato.
«Ciao, Artie! Eravamo con Francis!»
«Lo so. L'ho percepito.» Aveva le braccia conserte e aveva parlato come se stesse scegliendo le parole con cura. «Vi ho lasciato a lui.» Aveva abbassato la voce. «Anche se vi avevo detto di non dargli più confidenza.»
«No, ci avevi detto di non parlargli più per tutta la durata dell'incarico!» Murena Uno aveva alzato un dito. «Ora che è tutto finito, tutto è tornato alla normalità!»
«A proposito.» Sì, lo Stregone del Mare era decisamente irritato. «Avete sbagliato principe. Dov'è Feliciano?»
«Ci siamo accorti dell'errore.» Murena Uno aveva annuito, serissimo. «Quindi l'abbiamo liberato con tante scuse.»
Lo Stregone del Mare aveva alzato gli occhi alla superficie. «E infine...»
«Sì?»
«Perché c'è gran parte del contenuto della sala del tesoro sparso per la casa?»
«Opera del principe Lovino. Ci ha detto di dirti che non avevi specificato che non avrebbe potuto buttarli in giro.»
«Però sono molto puliti!»
Lovino si era dileguato, trattenendo a stento una risata. Si era involontariamente allenato, in quel mese in superficie, perché gettare alle ortiche di mare tutto quel duro lavoro?
Forse, e sospettava forse, lo Stregone del Mare stava iniziando a riconsiderare l'idea di averlo come servo. Mentre riconsiderava, però, era meglio stargli lontano, sia mai riconsiderasse l'idea che necessitasse di arti attaccati al corpo.
Uno sciabordio.
Lovino scattò seduto. Era così perso a rimuginare che non se n'era accorto, e ora era vicino. Si voltò.
«Sei sveglio.» Una considerazione imbecille, degna dell'imbecille che l'aveva pronunciata. «Pensavo stessi dormendo.» Ah, scusa, la rimarcazione ovvia imbecille, come aveva potuto non considerarla.
Forse perché era troppo preso dal realizzare cosa avesse davanti. C'era un bastardo su una porta che usava un'asse spezzata come remo. Non era un concetto difficile, ma stava faticando a comprenderlo. Indicò il mezzo di trasporto. «Una porta?»
«È la porta della cucina.» Il bastardo rispose come se fosse una cosa divertentissima. «L'abbiamo divelta! Questo, invece,» Alzò l'asse. «è un pezzo della nave!»
«Quella del nostro matrimonio?»
Quel sorriso da idiota si spense. Non la piega delle labbra, quella persisteva come una paresi, era lo sguardo, l'espressione, tutto si era spento. «Già.»
Lovino annuì, piano. Cambiò posizione, gettò le code dall'alto lato, verso il bastardo. Non sapeva come lo stesse guardando. Propendeva più alla rassegnazione che all'ira. In compenso, la porta si era avvicinata.
«Prima mi insulti.» sussurrò: «Poi vuoi sposarmi. E cerchi di sposarti una mia copia.»
«Non-»
«E mi hai insultato subito dopo aver visto un'altra mia copia.» In effetti, quanti cazzo di Lovini c'erano? «Vaffanculo.»
La coda si abbattè su un lato della porta. Senza che il bastardo potesse fare niente, quella si ribaltò e lui cadde in acqua. L'asse-remo tornò in superficie mezzo secondo dopo, il cretino ci mise un attimo in più.
Forse avrebbe voluto dire qualcosa, ma la coda arrivò sulla sua testa, rigettandolo sott'acqua. Finalmente. Era da un po' che voleva schiacciargli la testa.
Purtroppo, la pinna non faceva presa, quindi il bastardo riuscì a sgusciare via e a riemergere. Invece di risalire sulla porta, si issò sullo scoglio triste. Forse era per avvicinarsi ma, più probabilmente, era per evitare altri voli in acqua - E questo sarebbe stato tutto da vedere.
«Era un incantesimo!» Il volume più alto e il tono più secco gli garantirono volesse specificarlo da prima.
«Stavolta non posso darti torto, per quanto per te qualsiasi cosa sia un incantesimo.» Riportò le code sullo scoglio e le abbracciò al petto. «Immagino quanto sia stato difficile, per lo Stregone del Mare. Una volta nella tua testa, l'incantesimo avrà sentito l'eco, avrà avuto paura e avrà chiamato a raccolta una decina di altri incantesimi per non sentirsi solo, ché tanto avanzava pure spazio.»
«Vuoi ancora arricchire le tue descrizioni per gli insulti o mi lasci parlare?»
Lovino trasalì. Cos'era quella domanda? Da quando il bastardo si opponeva ai suoi giustissimi insulti? Gli era persino passata la paresi. Doveva essere grave.
«Fosse per me,» sibilò Lovino: «dovresti tacere per sempre.»
«Non lo farò, tantomeno ora.»
«Mi sembra giusto.» Un ringhio. «Tu puoi darmi del mostro senz'anima, io non ti posso dire che sei un bastardo senza cervello.»
«Lovino.»
Lovino tacque. Se proprio il bastardo voleva di nuovo sommergerlo di cazzate e fargli di nuovo venire voglia di spaccargli la faccia, l'avrebbe lasciato fare. Avrebbe preferito il contrario, ma era bastardo mica per nulla.
«Quello che ha detto lo Stregone del Mare è vero?» Era serio. Un'espressione che non gli stava affatto bene.
Lovino annuì. «Solo una cosa è sbagliata.» Il bastardo parve farsi più attento. «Il Regno del Mare non gli appartiene. Sì, ero l'erede,» Per qualche motivo, sentì che qualcuno gli aveva artigliato il petto, e stava stringendo la presa. «ma ho rinunciato in favore di mio fratello, Feliciano. Che, per inciso,» Gli rivolse l'occhiata più velenosa che potè. «era il tritone che hai visto con me.»
«Sì, l'ho incontrato.»
Qualcosa era bloccato all'altezza della gola. «Ah, sì?»
Il bastardo annuì. «Ci siamo riuniti, tutti quanti. Ci siamo spiegati un po' di cose. E ho incontrato anche Feliciano. Sta bene.»
«Non te l'ho chiesto.» Anche se sentì la morsa al petto farsi meno violenta. «È adorabile, vero?»
«Sì.» Di nuovo un sorriso. Due cose sapeva fare: sorridere come un idiota e dire cazzate. Spesso le due cose andavano insieme. «Siete quasi uguali, ma caratterialmente siete opposti.»
«Rimane molto impresso.» Sciolse la muraglia di braccia. «È buono, dolce e carino. Non si può prendere il suo posto. È indimenticabile
«Non ti chiederò scusa per essere stato vittima di un incantesimo.» Il sorriso si era smorzato di nuovo. «Ma questo non significa che io ne sia felice.»
Mal di testa. «Ed eri vittima di un incantesimo, quando hai visto Feliciano con me?» Si sporse verso di lui, le mani sullo scoglio. «Ed eri vittima di un incantesimo, quando hai ribadito persino al me umano quanto Lovino fosse un mostro senz'anima?» Quanto era alta, la sua voce, se sentiva dolore alle orecchie e alla testa? «Ed eri vittima di un incantesimo, quando hai-»
«Aspetta.» Lo disse con tanta urgenza che Lovino commise l'errore di tacere. «Non mi starai dicendo che-» Si bloccò. Forse doveva inventarsi qualche puttanata ancora più grossa, e stava prendendo tempo per pensarci. «Aspetta.» L'aveva già detto. Forse avrebbe dovuto riprendere ad urlargli contro. «Ma tu...» Uno sguardo smarrito. «Ecco perché eri...»
«Puoi arrivare al punto o andiamo avanti a puntini di sospensione?»
«... Io non volevo dire che Lovino fosse un mostro senz'anima.»
Oh, no, era una puttanata troppo grande! Doveva scappare, o sarebbe stato travolto, sarebbe morto!
«Aspetta.» Ecco, di nuovo. «Lasciami parlare.» Aveva alzato le mani, come se avesse voluto afferrarlo ma ci avesse ripensato. Grazie che non l'aveva fatto. Non avrebbe più avuto mani con cui farlo. «Posso?»
Lovino glielo concesse con uno sguardo di puro odio.
Il bastardo trasse un respiro profondo. Forse perché era difficile da dire, forse perché avrebbe dovuto dire cose comprensibili ed era quello ad essere difficile. «Ho sempre pensato che le sirene non avessero un'anima. Ma questo già lo sai.» Lovino alzò gli occhi al cielo. «Ecco. Per me, sei sempre stato una compagnia piacevole. Dico sul serio!» Il suo sguardo di diffidenza doveva essere proprio potentissimo, se si era affrettato a specificarlo. «Non pensavo che dirti una cosa simile potesse... farti fare cose simili. Pensavo avresti cercato di uccidermi.»
«Forse avrei dovuto.»
«Sarebbe stato qualcosa a cui sono abituato.» Immaginava. «Quando poi ti ho visto... Non potevo credere fosse vero. Eri umano, ma tu sei una sirena, come potevi essere uman-»
«Aspetta.» Oh, no, ora sembrava lo stesse imitando. «Zitto un secondo.» Così era meglio. «In che senso? Vuoi forse farmi credere che avevi capito che Romano e Lovino erano la stessa persona?»
Antonio sbattè le palpebre. Sembrava spiazzato. «Beh, sì.»
Come "Beh, sì."? «E da quando?»
«Da quando ti ho visto sullo scoglio.» Ci pensò meglio. «La prima volta che ti ho visto umano, hai presente? C'era anche Gilbert, tu eri nudo-»
«Non ero nudo.» Ci tenne a specificarlo. «Avevo la cintura di alghe. Me la sono tolta quando mi hai dato la giacca.»
«La mia giacca rosso sangria con passamaneria dorata e bottoni di legno, perché quelli in madreperla li abbiamo venduti!»
Perché ricordava con tanta ridicola precisione di particolari una cosa del genere. In che senso l'aveva capito subito. «Come hai fatto a riconoscermi?»
La risposta fu esitante. «Beh... Eri uguale.»
«Oh, giusto.» Sbuffò. «Come Feliciano.»
«Ma perché continui a tirare in mezzo Feliciano?»
Una coltellata al petto. Aveva spezzato la morsa, ma aveva fatto più male. «Io non continuo a tirare in mezzo Feliciano.»
«Non hai fatto altro che dire il suo nome!»
Serrò i pugni. «Vuoi forse dirmi che non è vero? Tu, che pensavi che quello fossi io? Che ne sapevi? Magari era Feliciano ad essere Lovino, e Romano era Feliciano!»
«E invece non è stato così, quindi lasciami parlare.» Per quanto non stesse urlando né lo stesse guardando male, le sue parole avevano un che di aggressivo. Lovino lo lasciò parlare. «Dicevo. Io ero sicuro fossi tu. L'unica cosa che mi impediva di crederci pienamente era che tu fossi una sirena, non un umano.»
«Mutaforma, questi sconosciuti.»
Una scintilla di stupore. «Potete mutare forma?»
«No.» Con orrore, si accorse di avergli appena dato ragione, quindi si corresse. «Per natura, almeno. Ma, come hai ben visto, esistono incantesimi che possono permetterci di farlo.»
Dallo sguardo dell'altro, capì che gli aveva dato quella risposta per buona. Cos'era, ora, quel modo di fare? Voleva stargli sul cazzo più di quanto non ci stesse già?
«Dopo un mese, però, non potevo non credere che fossi tu. Eri troppo tu. Dovevo sapere.»
«Se avessi pronunciato quella frase,» lo interruppe: «io avrei perso in quell'istante.»
«Dunque era questo.» Più una considerazione a se stesso. «Avevo capito di non doverla dire, quando mi hai fermato.»
«Che astuto.» Tuttavia, era arrivato al momento del racconto in cui il buono, dolce e tenero Feliciano aveva fatto il suo ingresso. Cosa si sarebbe inventato per sembrare bravo e intelligente?
«È stato poco dopo che è arrivato tuo fratello.» Ecco, appunto. «Da lontano, pensavo fossi tu. Certo. Ma pensavo anche volessi fare del male a Romano, per attuare la tua vendetta. Sai...» Un sorriso divertito che non gli piaceva. «Stavo ancora aspettando una vendetta.» Forse poteva fracassargli i denti. «Dopo, però...» Tornò serio. «Ho capito. Quella sirena non eri tu. E, se non eri tu e ti somigliava così tanto, doveva essere tuo fratello, gemello forse. Feliciano è stata la prova definitiva del fatto che tu fossi la sirena della grotta.»
«Wow.» Tono piatto. «Quindi hai voluto ribadire quanto fossi un mostro?»
«Temo...» Abbassò la voce. Il suo sguardo era... di scuse? Se lo stava allucinando? «Di non essermi spiegato bene.»
«E allora fallo, ora.» Un sussurro più simile ad un ringhio. I pugni stretti tremavano. «Spiegati bene. Spiegamelo bene, come sono un mostro.»
«Se Romano eri tu» riprese il bastardo: «significava che avevi assunto quell'aspetto umano per avvicinarti a me. Volevi vendicarti da vicino, ma continuavi a non farlo. Restavi lì, ma non facevi niente di davvero dannoso.» Non c'era bisogno di rimarcarlo! «Credevo avessi assunto quell'aspetto umano per ingannarmi, ma non era così. Non so perché tu l'abbia fatto, in effetti.» Per la vendetta, almeno quello l'aveva azzeccato. «Con il passare dei giorni, però, mi sono accorto di non pensare a te come ad una sirena.» Perché era un tritone. «Sembravi così... umano.» Con grande magnanimità, non lo prese come un insulto. «Non era per il tuo aspetto. Continuavi a fare cose bizzarre - Come anche Gilbert, ora che ci penso. A parte quelle, però, tutto il resto era...» Un sospiro. Stava parlando troppo velocemente. «Alla fine, non me ne importava più niente di cosa tu fossi. Non me ne frega più niente se le sirene hanno un'anima o no.»
«Carino, da parte tua.» Il tono velenoso. «Ora fingerò che tu non mi abbia detto niente di brutto e cattivo.»
«Mi dispiace di averti dato un simile dispiacere.» La buttò lì, quasi fosse ovvio. «Pensavo non te ne sarebbe importato niente.»
«E non ti sono sorti dei dubbi, dopo?»
«No.» Minchia, che coglione. «Però, dopo tutto quello che è successo, dopo ieri...» Ancora una volta, quello sguardo smarrito. «Non ho ascoltato nessuno. Non ho mai ascoltato Gilbert, non ho mai ascoltato Manon e gli altri, e quindi nessuno ha cercato di fermarmi, quando ero vittima di quell'incantesimo. Era così normale che stessi andando in un'unica direzione senza ascoltare nessuno? Fino a questo punto? Fino a non vedere alcuna differenza tra me e un incantesimo?»
«Pensa quanto sei deficiente.»
«Non so neanche parlare, a quanto pare.» Un'ammissione rassegnata. «Non capivo perché avessi reagito in quel modo, nel sentirti dire che non pensavo più che tu, Lovino, fossi un mostro senz'anima. Che per me eri uguale a chiunque altro.»
Lovino si portò una mano al cuore. «Sono commosso.» No, non lo era, e mise quanto più sarcasmo possibile nelle parole. «Un discorso molto toccante. Sarebbe davvero un problema se tu non avessi distinto me da Feliciano manco per il cazzo.»
Il bastardo sgranò gli occhi. «Ma io vi ho distinti.»
«Certo.» Un ghigno. «E da cosa? Dalla sua voce più soave? Dalla sua aura più gentile? Dalla sua sconvolgente tenerezza?»
«Lui non ha gli occhi verdi.»




... Era una richiesta di ucciderlo. Non poteva interpretarla altrimenti. Avrebbe alzato le mani, gli avrebbe conficcato le dita nelle orbite e gli avrebbe strappato i bulbi oculari. Quindi si scagliò su di lui e agì. Non con le mani, e non cercò di strappargli gli occhi. Perché avesse scelto di usare la bocca e di cercare di strappargli la lingua, preferì non pensarci. Però gli afferrò il viso, per assicurarsi che non scappasse. Per quanto cercasse di buttarlo all'indietro, in acqua, però, non ci riusciva - Il bastardo opponeva troppa resistenza, e continuava a rimanere fermo anche se lui si era alzato sulle pieghe delle code. Doveva buttarlo in acqua, perché lì sarebbe stato lui in vantaggio - In vantaggio di cosa non lo sapeva. Però il bastardo era un bastardo, perché non riusciva più a controbattere alle sue puttanate, perché si ricordava dettagli inutili, perché continuava a chiamarlo con il nome che lui gli aveva detto fosse il suo, perché era venuto a cercarlo su una porta scardinata, perché era arrivato fin lì solo per dirgli idiozie, perché gli aveva detto che la sua voce era bella, perché aveva rifiutato di continuare a parlare di Feliciano, perché cazzo era sdraiato sul sasso quand'era successo.
«Ohi.»
«Eh?»
«Il mio attuale padrone non mi darà una pausa così lunga.» Lasciò andare la testa contro la roccia. Una sensazione familiare che stupidamente non gli dispiaceva. «Tornatene a casa, o rimani qui a morire di stenti, non me ne frega niente.»
Il dannato bastardo idiota cretino coglione posò la fronte sulla sua. «Cercheremo di fare qualcosa.»
«Qualcosa?» Le mani sul viso andarono ad allacciarsi dietro il collo. «Noi chi?» Sarebbero dovute andare al collo e stringere, e invece replicavano gesti fatti troppe volte. Stupide mani. Non fece niente per cambiare la loro traiettoria.
«Qualcuno a cui non piace che tu sia servo dello Stregone del Mare.»
Aveva giusto una vaghissima idea di chi potesse essere il "qualcuno", e aveva pronunciato il suo nome svariate volte negli ultimi minuti. «E tu rientri tra i "noi".» Però era "noi", non "loro". Era assurdo che la cosa non lo disgustasse. Era ridicolo che la cosa non gli dispiacesse. Era stupido che- No, quello non l'avrebbe pensato. «Ti manca così tanto farti un pesce?»
«Anche.»
«Maniaco.»
Una risata leggera. «Ma vorrei anche vedere quali altri dispetti ti inventeresti.»
Doveva dirglielo. Ne andava del suo orgoglio. «Non erano dispetti. Era la mia vendetta.»
Il bastardo non rispose. Si limitò a guardarlo.
«Volevo logorarti. Rovinarti la vita.»
Un altro sorriso di scuse. «Lovi... non è stato granché efficace.»
«Chi cazzo ti ha dato il permesso di chiamarmi Lovi.»
«È carino!» Una realizzazione. «Lovino... carino... Fa rima!» S'illuminò. «In effetti, potrei continuare a chiamarti Lovino!»
«Chiamami Lovi.»
«E Lovi sia.»
«Quindi» Ma perché continuava a parlargli? «sono al pari di un'alga che può parlare?»
«No, sei più un riccio di mare. Pieno di spine e con il ripieno buono.»
«... In che senso?»
«Interpretala come voi.» Si scostò appena. «Mentre ci pensi, stai fermo.»
«Perché?»
«Perché non ti ho mai visto alla luce del sole effettiva.»
«Cazzo dici, mi hai visto per un mese.»
«Così, intendo.» Di tutte le scaglie che doveva accarezzare, proprio quelle della vita, proprio quelle dei fianchi, proprio quelle che voleva toccasse. «Ma...»
«Cazzo vuoi.»
«Non ti stai essiccando?»
Lovino sbuffò. Non poteva neanche accusarlo di stare facendo una domanda stupida. «È ancora presto. E» Buttò uno sguardo a lato. Non potè impedirsi un tono ironico. «se non hai notato, è piuttosto umido, qui.» Ovviamente, avrebbe giurato eterna e sincera fedeltà allo Stregone del Mare piuttosto che fargli notare che il principale motivo del suo non essiccamento fosse l'avere a zero centimetri di distanza un idiota dai vestiti fradici.
Un sorriso avrebbe osato dire gentile. «Bene, allora.» E l'altra mano avrebbe osato dire maniaca, visto che era sulla stoffa dei pantaloni. «Te li sei tenuti?»
«Non ho avuto modo di cambiarmi.» Alzò appena il mento. «Neanche dodici ore e già sono stato schiavizzato.»
Il sorriso da idiota sfumò in una risata. «Non mi dispiacciono.» Ovvio non gli dispiacessero. Aveva usato il coltello da difesa per lacerare i lati interni di quei tubi di stoffa, dal bordo inferiore ad una spanna sopra la piega delle code, e non faticava ad immaginare cosa passasse per la testa di quel-
«Non sai quanto voglio togliermeli.» E, proprio perché lo sapeva benissimo, voleva infierire.
«In che senso?» Il tono del bastardo si fingeva innocente e confuso, ma la sua espressione era divertita.
La risposta era scontata. «Interpretala come vuoi.» Assottigliò lo sguardo. «O magari puoi dirmi in che senso "ripieno buono".»
L'idiota scosse la testa ed ebbe il coraggio di tornargli vicino, baciarlo, la mano che andava dietro la schiena, ad avvicinarlo ancora di più, senza dubbio una premura per impedirgli di essiccarsi, naturalmente. Allo stesso modo, Lovino cercava il contatto con quella stoffa bagnata, che logica avrebbe voluto fosse fredda e non troppo piacevole neppure per un pesce, perché pantaloni fradici, millemila miglia di mare e la temperatura ancora non troppo alta non erano abbastanza, ovviamente.
«Interpretala come vuoi.» Un sussurro, non si diede la pena di allontanarsi troppo.
«Sai cosa?» Un altro bacio, la voce non più alta di un soffio di vento. «Tu sei un cefalo.» Avrebbe voluto mordergli un labbro, ma si limitò a sfiorarlo. Le bocche umane erano troppo delicate per i denti di un tritone. «Hai un aspetto mediocre e un ripieno che fa schifo.»
Per qualche strano motivo, non sentiva più dolore da nessuna parte. Forse, un pochino, solo al suo orgoglio ferito dall'inutilità dei suoi sentitissimi tentativi di vendetta.
Ma di tutte le persone di cui avrebbe mai sentito un bisogno così violento di vendicarsi...?

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Note:
* Il titolo del capitolo viene da Childish War (Okochama Sensou), canzone composta da Giga-P e cantata dai Vocaloid Rin e Len Kagamine. La traduzione è di Tayr/Bara no Kagami (QUI!).
Una delle canzoni più bellissime e orecchiabilissime dei Kagamine~
L'altro titolo viene di nuovo da «Parte del tuo mondo», ma stavolta è intesa la reprise.
* «Ez király!»: Che figo! (Letteralmente, "Questo è un re!"), in ungherese.


Il ritorno del potere maGGGico degli occhi verdi! L'avevo detto che in questa storia avevo messo tutte le cose che mi andavano. ╭( ・ㅂ・)و (Sì, per quanto l'anime sia indeciso se Lovino abbia gli occhi castani o verdi, per me sono del colore che mi conviene di solito verdi.)

Spero che tutto il pentimento/perdono di Antonio e Lovino sia chiaro. ( ;°Д°) *Dato che c'è svariata roba sottintesa, teme sempre che gli altri debbano ricorrere alla deduzione sherlockiana o alla telepatia.*
(Ho realizzato tipo ora che il povero Antonio non ha più avuto POV. Povero Antonio.)

Mi sono resa conto di aver iniziato a postare all'inizio dell'estate, sarebbe stato molto scenografico se avessi concluso la storia all'inizio di autunno - E, in effetti, avrei potuto farlo, se avessi effettivamente postato ogni settimana e avessi il capitolo finale. Purtroppo no, l'ultimo capitolo non è ancora stato scritto. Devo sedermi e scriverlo. (ノ゜▽゜)

Nel frattempo, grazie a tuttx coloro che hanno dato una possibilità a questa storia! Spero di portarvi un finale decente (O anche solo un finale, così, in generale-).

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