Parlami di Maddie

di Krgul00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO UNO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO DUE ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO TRE ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO CINQUE ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO SEI ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO UNO ***


CAPITOLO UNO
 
Maddie Foster si rese conto dell’arrivo di maggio nel modo peggiore.
Negli ultimi anni il cambiamento del clima si era fatto sempre più evidente e, nonostante Sunlake fosse un piccolo paese in mezzo alle montagne, con l’arrivo della primavera le temperature già sfioravano i venticinque gradi. Per fortuna, nella contea di Lake Rock, dove era nata e cresciuta, l’aria era sempre stata secca e questo non dava segni di voler cambiare; pertanto, nessuno aveva mai davvero sofferto il caldo.
Tuttavia, Twin Lake City, vera e propria città nell’omonima contea limitrofa, era più bassa rispetto a Sunlake e quando il vento spirava da ovest, portando con sé nuvole grigie gonfie di calore, poteva trasformarsi in un vero e proprio forno. Principalmente perché questa cappa di umidità si incuneava tra le alte Vette dei Mille Laghi, andando a formare una magnifica serra naturale, almeno finché il vento non iniziava a soffiare in un’altra direzione.
Anche stare fermi era sufficiente per iniziare a sentire una piccola patina di sudore ricoprire ogni lembo di pelle scoperta e non, e soltanto un pazzo avrebbe scelto quella mattina di maggio per fare jogging per le strade di Twin Lake City.
Un pazzo e Maddie.
Anche se, a differenza di un qualsiasi tizio con improvvisi intenti suicidi, lei non si era ritrovata a correre per il marciapiede per un puro e semplice diletto personale.
In realtà, si potrebbe dire che i suoi guai risalivano a ventidue anni prima, quando una piccola Maddie Foster aveva chiesto, nella sua lettera a Babbo Natale, un unico regalo: un cucciolo. Perché se c’era una cosa che aveva sempre – e da sempre – desiderato era avere un cane.
Naturalmente, il barbuto signore in rosso l’aveva accontentata e, quella mattina del venticinque dicembre, ad attenderla sotto l’albero aveva trovato un piccolo e tenero gattino nero.
Così, il Natale successivo, Maddie aveva scritto ancora al Polo Nord, spiegando, senza possibilità di fraintendimenti, l’equivoco avvenuto l’anno prima e chiedendo un cane che andasse d’accordo con il suo adorato Mr. Cuddle.
Tre giorni dopo, una lettera firmata dal Primo Elfo di Babbo Natale l’aveva informata che i cani, per quell’anno, li avevano finiti e non avrebbero potuto esaudire la sua richiesta: che riprovasse l’anno prossimo.
Ma il suo desiderio era stato negato – per un motivo o l’altro - per i due anni successivi; finché, non era arrivato il momento che ogni bambino non avrebbe mai voluto arrivasse: diventare grande. Quindi, la sua infanzia era finita e con quella la grande bugia chiamata Santa Claus, e tutto aveva acquisito un senso: sua madre aveva paura dei cani, sin da quando, da ragazza, era stata morsa ad un braccio.
Nonostante vivesse da sola da quando aveva ventitré anni, Maddie non aveva mai approfittato di quella sua indipendenza per esaudire il suo desiderio. Almeno, non fino a nove mesi prima.
Infatti, quando la sua migliore amica, Charlie, le aveva chiesto se volesse adottare una femmina di pastore tedesco di nome Astra, lei aveva acconsentito con grande entusiasmo.
Le era stato detto sin da subito che Astra non era un cane come tutti gli altri. Innanzitutto, il suo padrone era morto un anno prima e il cane aveva risentito di quella perdita in modo sorprendentemente umano, cadendo in un vortice depressivo che gli aveva tolto anche l’appetito.
Maddie se ne era resa conto, in effetti: per i primi mesi insieme era stato davvero difficile spingerla anche solo a spostarsi dalla sua cuccia. In ogni caso, l’immenso affetto che aveva da dare le aveva donato nuova energia e vitalità: non l’aveva mai lasciata sola, portandola con sé al lavoro - in biblioteca - e approfittando di ogni momento per farle le coccole o coinvolgerla in qualche gioco.
Era inutile dire che Maddie si era affezionata velocemente a quel magnifico pastore tedesco; non solo perché averne uno era sempre stato il suo più grande desiderio, ma anche perché Astra era davvero facile da amare, con un orecchio a punta e l’altro perennemente pendente – a causa di una cartilagine assente – aveva un musetto davvero dolce e simpatico.
In secondo luogo, era stato Matthew Allen, superiore e collega di Charlie, che lei aveva conosciuto l’anno prima, a consegnarle il cane.
Nessuno, nemmeno il suo futuro marito, Logan, sapeva di preciso in che cosa consistesse il lavoro di Charlie Royce per i servizi segreti; tuttavia, preoccupata che Astra, piena della sofferenza per la morte del padrone, potesse manifestare atteggiamenti aggressivi, Maddie non aveva dato troppo peso a quella considerazione.
Però, non ci aveva messo molto a rendersi conto di quanto fossero state sciocche le sue iniziali paure: quel cane eseguiva qualsiasi ordine le venisse imposto; d’altronde, come poteva essere diversamente?
L’aveva realizzato un giorno, sulla strada per la biblioteca, quando il gatto della signora Terrile era spuntato da un cespuglio e gli si era parato davanti, in quel modo fastidioso che solo i gatti hanno nei confronti dei cani. Astra aveva iniziato ad abbaiare e a tirare il guinzaglio come una pazza, nel tentativo di raggiungere la sua nemesi naturale, e, mentre cercava di trattenerla, a Maddie era venuto spontaneo gridare “no!” e Astra aveva improvvisamente perso interesse – nel modo più assoluto - per il gatto.
Vien da sé che, una volta scoperto questo, Maddie aveva iniziato a formulare un qualsiasi ordine le venisse in mente, per vedere se il cane vi rispondesse, e Astra rispondeva eccome.
E quello non era tutto.
Una sera, mentre oziava sul divano con un poliziesco in tv, le era venuta in mente un’idea: aveva preso una pallina e gliel’aveva fatta annusare. Poi le aveva detto di rimanere ferma lì, sul divano di casa sua, ed era uscita per sotterrare la pallina in mezzo al terreno – ancora spoglio - del suo orto.
Una volta rientrata, le era bastato dire “cerca” e, scodinzolando a più non posso, come se fosse un gioco super divertente, Astra l’aveva portata dritta dritta all’obbiettivo.
Pertanto, in quei nove mesi, la loro vita insieme era stata assolutamente serena e priva del più piccolo dramma, almeno fino a quella mattina di inizio maggio, quando Maddie si ritrovò a correre per le strade di Twin Lake City.
Lei, che non aveva mai corso neppure dietro al bus della scuola – soprattutto perché sapeva che il signor Myers, da sempre un gran brontolone, non si sarebbe mai fermato ad aspettarla – si ritrovò ad inseguire un pastore tedesco improvvisamente impazzito. Perché era questa l’unica spiegazione a cui la donna riuscisse a pensare: un momento prima era in piedi, ferma davanti alla vetrina di un negozio d’abbigliamento e, l’attimo dopo, si era ritrovata distesa a terra, sull’asfalto bollente del marciapiede a contemplare il cielo coperto da quella insopportabile foschia umidiccia.
Quando era riuscita a rialzarsi, Astra aveva già travolto cinque persone e attraversato due incroci rischiando d’essere investita. Ed ora, due isolati dopo, eccola lì, rossa in viso, madida di sudore e con diverse ciocche di capelli sfuggite alla treccia che si era fatta, con tanta cura, quella mattina.
Aveva smesso di gridare già da un pezzo, ormai. Già dopo le prime tredici volte che le aveva urlato di fermarsi, era stato chiaro che il cane sembrasse diventato improvvisamente sordo a qualsiasi comando. In ogni caso, non avrebbe avuto fiato nemmeno per spegnere la fiammella di un’insulsa candelina di compleanno.
Svoltato l’angolo, Maddie non riuscì ad andare oltre e si fermò, aggrappandosi ad un lampione, nella speranza di riuscire a non cadere. Le gambe le tremarono per lo sforzo di reggerla in piedi e lei rimase per un momento così, ferma sul posto ad osservare la figura di Astra allontanarsi, facendosi spazio lungo la via: il cane, a differenza sua, non era affatto stanco da quella corsa spericolata.
Mi riposo solo un momento. Si disse, chiudendo gli occhi per un istante; ma, quando li riaprì, per poco non le venne un colpo, il che era tutto dire: era un miracolo se ancora non le era venuto un attacco apoplettico.
Per un momento, guardò sbigottita Astra entrare in una caffetteria e, quindi, scomparire alla vista.
Tutto questo casino per un po’ di caffè?
Si costrinse a spingersi in avanti e per poco non inciampò in un idrante.
Prese un appunto mentale per sé stessa: iniziare ad allenarsi con Charlie; non era possibile che a trent’anni si sentisse i polmoni in fiamme per quel piccolo sprint.
Riuscì ad arrancare fino al negozio e, una volta sulla soglia, le sfuggi un rantolo sconvolto alla vista della scena che le si parò innanzi: con la coda che si muoveva frenetica e uggiolando senza sosta, Astra poggiava le zampe anteriori sulle gambe di uno dei clienti seduti ad un tavolo, quasi cercando di salirgli in braccio, e gli leccava ogni parte del corpo che riuscisse a raggiungere, senza nemmeno fermarsi a riprender fiato.
Orripilata, Maddie si gettò in avanti, allungandosi subito a separare Astra dalla sua vittima.
“Oddio.” Farfugliò, ancora senza fiato.
Con tutta la forza che riuscì a racimolare, tirò il collare, riuscendo, con estrema difficoltà, a farla tornare con tutte e quattro le zampe a terra. Dovette ripetere due volte “ferma” prima che recepisse il comando, e anche allora, con la lingua penzoloni, sembrava a dir poco irrequieta, come se avesse in mente di saltare addosso a qualcun altro.
“Sono davvero mortificata.” Iniziò a scusarsi, con il fiatone, cercando di contenere quell’inspiegabile entusiasmo. “Non so proprio cosa le sia preso, non è mai capitata una cosa del genere prima. Di solito non è… oh.” Si bloccò di colpo, non appena alzò gli occhi verso l’uomo che, seduto su una delle sedie in ferro battuto della caffetteria, la guardava dall’alto in basso.
D’accordo, forse si era sbagliata ed era morta sul serio. Fatto che non l’avrebbe lasciata nemmeno troppo sorpresa: la sua preparazione fisica faceva davvero schifo. Tuttavia, non capiva proprio cosa potesse aver fatto di male in vita sua per esser finita all’inferno.
Perché, di certo, quello non poteva essere il paradiso.
Indizio numero uno: faceva troppo caldo e lei era sicura che in paradiso avessero l’aria condizionata.
Indizio numero due: solo in un loop infernale si sarebbe potuta ritrovare in quelle condizioni – sudata e chiazzata dai segni dello sforzo – difronte ad un esemplare maschile tanto meraviglioso.
Nella sua vita, passata in larga parte a Sunlake, Maddie poteva contare sulle dita di una sola mano gli uomini che l’avevano davvero stupita per la loro bellezza.
Uno di questi, sicuramente, era Luke Thomson, vicesceriffo e suo amico d’infanzia – per cui lei e Charlie avevano avuto una piccola cotta da adolescenti - che non poteva negarsi fosse oggettivamente molto attraente.
Aveva sempre considerato, poi, anche lo sceriffo, Logan Moore, come un uomo avvenente; anche se non si poteva definire bello in modo classico, come l’altro, aveva un suo fascino intrinseco che lasciava alquanto ammaliati.
Eppure, se avesse dovuto stilare una classifica, l’uomo davanti a lei sarebbe schizzato sicuramente al primo posto e, per stare tranquilli, Maddie gli avrebbe volentieri riservato anche il secondo.
Non solo era davvero splendido, con lineamenti ben proporzionati e una carnagione color caffè-latte che gli conferiva un ché di esotico, ma intorno a lui pareva aleggiasse un’aurea tutt’altro che quieta, come un leggero sentore di pericolo che non poteva far altro che catturare l’attenzione e la curiosità di una donna.
Non era quel tipo di pericolo che ti spingeva a girare i tacchi e dartela a gambe, scappando il più lontano possibile urlando di terrore; no, più che altro, Maddie ebbe l’impressione che, se provocato, quell’uomo sarebbe stato un serio rischio per chiunque, uno di quelli che non avrebbero lasciato un buon ricordo.
Sotto sopracciglia scure, dello stesso colore dei capelli rasati quasi a zero, profondi occhi scuri la fissarono con cupa intensità, e la sua bocca carnosa non tradì alcun sorriso, conferendogli un’espressione severa, al limite dell’irritato.
Maddie si sentì arrossire sotto quello sguardo cinico, e non seppe se a causa del fastidio di cui quell’uomo non sembrò fare mistero, oppure per l’infinita sfortuna – o fortuna, a seconda dei punti di vista – che, tra tutti gli uomini di Twin Lake City, il suo cane avesse scelto il più innegabilmente attraente da assalire.
Està bien.” Le assicurò lui. “Non importa.”
Fu così che si rese conto di esser rimasta a fissarlo imbambolata; non che l’uomo parve dispiacersene, in ogni caso.
Si riscosse, scuotendo la testa e sforzandosi di sembrare – per quanto ormai fosse difficile – una persona normale. Con una mano si tolse le ciocche umide che le ricadevano disordinate davanti agli occhi e pregò che, almeno, il suo deodorante mantenesse fede alla sua esagerata promessa promozionale: il sudore sarà solo un ricordo.
Si, come no.
In ogni caso, la cordialità che contraddistingueva ogni abitante di Sunlake emerse e la spinse ad accompagnare quelle scuse con un gesto di sentito rammarico: “Permettimi di offrirti la colazione, mi pare il minimo che io possa fare...”
Si tirò in piedi, ancora trattenendo Astra per il collare, fissando la sua maglia bianca macchiata di terra e polvere. Non le era mai capitato di doversi scusare con un uomo per esser stato assalito da un pastore tedesco di cinque anni dal peso di trenta chili ma, immaginava, che offrire una colazione non fosse una brutta idea.
Lui la valutò per un lungo momento, e non come potrebbe fare un uomo interessato ad una donna, quanto piuttosto come una guardia di sicurezza all’aeroporto: con quel pizzico di cautela e diffidenza.
Maddie sentì il suo stomaco contrarsi sotto quel minuzioso esame e, nervosa, si sistemò una ciocca inesistente dietro l’orecchio.
In ogni caso, alla fine, lui dovette arrivare alla conclusione che una donna come lei era, in fin dei conti, piuttosto innocua e incapace di costituire alcuna minaccia, perché le fece un semplice cenno di assenso con la testa.
“Mi chiamo Maddie, a proposito.” Si presentò, quindi, sedendosi sulla sedia difronte a lui, interpretando quel suo consenso come un invito, e protendendo una mano tra loro, aspettando che la stringesse.
Ancora con quella maschera di severità indosso, i suoi occhi risalirono per tutta la lunghezza del braccio di lei, fino a fissarsi nei suoi dolci occhi color caramello. 
Continuò a fissarla in silenzio, come se dovesse pensare a quale fosse il suo nome o se rifiutarsi di rispondere, prima di protendersi in avanti e avvolgerle la mano con la sua.
“Max.” Proferì, infine, con un tono duro e grave che, era sicura, non avrebbe dovuto scombussolarle lo stomaco come fece.
Distolse lo sguardo, e si soffermò sulla piccola bottiglietta d’acqua frizzante, ancora intonsa, davanti a lui. Alla sola vista, si rese conto di quanto fosse secca la sua bocca e si umettò le labbra aride in cerca di sollievo. “Ti dispiace se…?” Domandò timidamente, accennando all’oggetto.
Lui si limitò semplicemente a spingerla verso di lei e quando la sete fu solo un ricordo, e appoggiò la bottiglietta, ormai vuota, sul tavolino, si rese conto di avere tutta l’attenzione del suo nuovo e imprevisto accompagnatore.
Maddie si schiarì la voce, sentendo il suo cuore iniziare a battere all’impazzata. “Allora…” Iniziò, facendo finta di niente e sistemandosi più a suo agio sulla sedia. “Sei qui in vacanza?”
Anche stavolta, parve prendersi un momento prima di elaborare la risposta, e lei ne approfittò per  osservarlo attentamente: appoggiato allo schienale, con un braccio morbidamente proteso sul tavolo, avrebbe potuto incarnare il ritratto di un uomo disponibile, se non fosse stato per quella sua espressione di lapidaria imperturbabilità.
“Per lavoro.” Fu tutto quello che rispose, non accennando in alcun modo a voler contribuire alla conversazione.
Certo, si disse lei, nessuno sarebbe dell’umore di perdersi in chiacchiere, dopo esser stato assalito.
Pertanto, pensò di scusarsi ancora una volta: "Sono davvero dispiaciuta per prima. Mio dio, guarda la tua maglietta. Posso pagare la lavanderia se vuoi, oppure-"
"Non c'è bisogno." La interruppe, afferrando uno dei menù e iniziando a scorrerlo con attenzione, chiaro segno che per lui la faccenda era stata definitivamente archiviata.
Il silenzio calò tra loro e, interdetta, Maddie guardò Astra accucciarsi, felice e beata, ai piedi di Max, sotto il tavolo, e si disse che se un cane così intelligente riteneva quell’uomo degno di tutta quella simpatia, allora lo avrebbe fatto anche lei; quindi, non si fece scoraggiare dal suo ostinato mutismo e si convinse che fosse la timidezza a spingerlo a quella ritrosia.
Anche se, doveva ammettere, non c’era proprio nulla di timido in lui.
Lo imitò e prese il menù, ma lei, a differenza sua, non riuscì proprio a stare zitta.
“Sto morendo di fame. Non sono ancora riuscita a fare colazione questa mattina, credo proprio che prenderò i pancake al cioccolato… uhm, anche se non sembra ci mettano la polvere di cocco. Non sono la stessa cosa senza, ti pare? Però, potrei accontentarmi anche della granella di nocciola. Lo sapevi che sembra i pancake siano stati inventati dagli antichi romani? Certo gli ingredienti erano differenti ma comunque si può dire che la loro versione è l’antenata della nostra. E li vendevano anche per strada! Quindi hanno inventato anche lo street-food, non lo trovi incredibile?”
Max abbassò lentamente il menù, fino a poggiarlo di nuovo sul tavolino e i suoi occhi si posarono sul viso pieno di evidente meraviglia di lei.
Era chiaro che lei lo trovasse davvero incredibile.
L’uomo inarcò uno scuro sopracciglio verso l’alto, evidentemente sorpreso dal considerevole numero di parole che Maddie era riuscita a pronunciare senza doversi fermare a riprender fiato. Naturalmente, la donna non aveva ancora finito e, concentrata sulla carta che aveva tra le mani, la sua attenzione fu richiamata da ogni singolo dolce che v’era presente.
“Oddio! Hanno anche la torta al triplo cioccolato! Sono sicura che non è buona come quella della signora Peterson ma, dai, con tre tipi diversi di cioccolato niente può essere meno che squisito, ti pare? Daisy mi ha addirittura dato la ricetta, ma nessuno riesce a farla buona come la sua. È davvero impossibile.” Commentò in un brontolio e un leggero gesto della mano. “Uh, forse dovrei prendere anche le fragole, in fin dei conti ho già fatto esercizio oggi.” Ridacchiò tra sé. “Non c’è niente di meglio delle fragole di stagione, te lo dico io. C’è anche la torta di zucca, cavolo! E la cheesecake ai frutti di bosco! Sono così indecisa, tu cosa mi consigli? Vieni spesso, qui?”
Solo allora alzò gli occhi verso di lui e lo trovò intento a studiarla con palese curiosità, e quando lei gli rivolse un sorriso a trentadue denti, che le illuminò tutto il viso, le sopracciglia dell’uomo si aggrottarono.
“No.” Disse a mezza bocca, riportando lo sguardo al menù, ma, inevitabilmente, la sua attenzione fu di nuovo catturata dalla donna difronte a lui.
“Questo posto è davvero molto carino. Nonostante viva a Sunlake, non sono mai entrata in questa caffetteria, prima d’ora. Non che questo voglia dire nulla, non devo per forza conoscere ogni singolo negozio di questa città, in fondo non è nemmeno la mia contea.” Continuò, guardandosi intorno con radioso stupore, come se stessero facendo colazione nella regia di una regina e non in un’anonima caffetteria qualunque. “Anche il loro menù mi piace molto, devo dire ad Annabelle e…”
Maddie, sul punto di continuare quella conversazione a senso unico, fu interrotta dall’arrivo del cameriere, un ragazzo piuttosto giovane, un po’ brufoloso, che sembrava alquanto annoiato dal suo lavoro.
“Cosa posso portarvi?” Domandò con voce monotona, di chi è costretto a ripetere sempre la stessa cosa.
Maddie si mordicchiò il labbro inferiore, preda dell’indecisione. “Sui pancake al cioccolato mettete anche la polvere di cocco?”
“I piatti sono serviti proprio come c’è scritto sul menù.” Disse, come un automa, evidentemente stanco di stare dietro a qualunque pretesa dei clienti.
“Allora prenderei una fetta di torta di mele, un muffin ai mirtilli, le fragole e una spremuta d’arancia, per favore.”
Il ragazzo lo scrisse velocemente sul suo taccuino.
“Per me un caffè nero e la colazione classica.” Ordinò sbrigativamente Max. “Gracias.” E gli porse i loro menù.
Rimasero di nuovo soli.
Lui la fissò, ancora con quel suo sguardo intellegibile, e lei si sentì in dovere di giustificarsi: “Non fa mai male esagerare con la frutta…” Osservò, riferendosi alla sua ordinazione e giocherellando con il bordo della sua tovaglietta.
Non c’era bisogno di specificare che la torta di mele veniva servita con la panna montata o che le fragole erano affogate nel gelato alla vaniglia, era comunque frutta in ogni caso.
Le parve che un angolo delle labbra di Max avesse un fremito, ma dovette esserselo immaginato perché il suo tono piatto non tradì alcun divertimento quando acconsentì: “Mi pare giusto.”
In ogni caso, quelle parole la fecero rilassare sullo schienale della sua sedia e lei gli rivolse un altro caloroso sorriso, colmo di gratitudine per il suo – seppur tiepido - supporto.
Erano due le cose per cui Maddie Foster era famosa nel piccolo paese di Sunlake, a parte la sua gentilezza. Innanzitutto, era risaputo che, proprio come suo padre Arthur, Maddie andasse pazza per qualsiasi cosa contenesse zucchero - tranne i terribili dolci della sua amica Charlie ma, d’altronde, quelli non piacevano proprio a nessuno.
Non che qualcuno le avesse mai fatto pesare la cosa o si fosse mai azzardato a dirle che era grassa – a parte quell’idiota di Cameron Harris, naturalmente - perché non lo era affatto. Maddie aveva sempre saputo di non essere una donna eccezionalmente bella come Charlie, ma si reputava decisamente carina: alta poco meno di un metro e settanta, non faceva molto esercizio fisico – più che altro le piaceva molto camminare, soprattutto fare lunghe passeggiate per i bellissimi sentieri di montagna, in quel periodo – ed era formosa, ma i pochi amanti che aveva avuto – tre in tutto – non si erano mai lamentati delle sue curve.
I suoi lunghi e folti capelli castani, che, quando sciolti, le arrivavano sotto le spalle in morbide onde naturali, incorniciavano un viso grazioso illuminato da grandi occhi color caramello, di cui lei era sempre stata molto fiera.
In ogni caso, faceva sempre molta attenzione a quello che mangiava, cercando di soppesare in quel modo al suo stile di vita perlopiù sedentario. Ma quando si trattava di dolci, il suo autocontrollo andava a farsi benedire e per lei diventava davvero impossibile trattenersi.
In secondo luogo, Maddie era famosa per la sua parlantina nervosa. Tutti a Sunlake ricordavano la volta in cui, a tredici anni, lei e Charlie si erano intrufolate di notte nella biblioteca del paese ed erano state colte in flagrante – ironia della sorte - dall’allora bibliotecaria, e di come la signora Robinson fosse stata stremata dall’infinita e prolissa spiegazione della giovane Maddie sul perché della loro visita notturna. Aveva tirato in ballo le argomentazioni più contorte – ma comunque convincenti – che, di certo, non ci si aspettava da una ragazzina di tredici anni, la quale, da qualche parte nella sua lunga e accorata arringa, aveva anche citato Seneca e s’era appellata alla Costituzione.
Anche se Max non era a conoscenza di nulla di tutto ciò, di sicuro se ne rese conto da solo, perché gli unici momenti di silenzio tra loro furono quando la donna era troppo occupata a gustarsi con immensa goduria la sua colazione.
Tra un boccone e l’altro, però, lei gli raccontò del suo lavoro e di quanto le piacesse gestire la biblioteca. Si perse a descrive addirittura l’odore dei libri di cui era circondata e di come avesse letto, da qualche parte, che quel particolare profumo non fosse altro che il mescolarsi di diversi fattori chimici che il cervello umano associa ad un’esperienza positiva.
Naturalmente, ogni tanto rivolse qualche domanda anche a Max ma, fin da subito, le fu chiaro che quell’uomo non aveva interesse nel contribuire al discorso e si limitava a rispondere con il minor numero di parole possibile.
Tuttavia, l’ascoltò.
L’ascoltò davvero, con quello che le parve sincero coinvolgimento, ed era difficile per lei ottenere una tale considerazione quando iniziava a parlare senza sosta. Non era infrequente che gli interlocutori di Maddie, ad un certo punto, perdessero interesse per il fiume di parole che lei gli riversava contro, e lo capiva. Sentiva l’irrefrenabile bisogno di render partecipi gli altri di nozioni che lei scopriva tra le pagine, nella speranza che il suo interlocutore condividesse la sua stessa meraviglia.
Sapeva che a Sunlake erano troppo gentili per interromperla o dirle semplicemente di farla finita; perciò, ad un certo punto della conversazione, vedeva lo sguardo del suo interlocutore perdersi nel vuoto e focalizzarsi su altri pensieri.
Con Max non fu affatto così.
L’attenzione dell’uomo rimase su di lei e seguì attentamente ogni sua divagazione.
Maddie era sicura che fosse solo per gentilezza, in fin dei conti la doveva sopportare solo fino alla fine della loro colazione; eppure, quando arrivò il momento di pagare il conto, quella sua convinzione vacillò per un momento.
Mentre lei si affrettava a prendere il portafogli nella sua borsetta, Max passò la sua carta di credito al cameriere e lei non poté far altro che battere le palpebre confusa.
“Pensavo avessimo detto che avrei offerto io…” Osservò, quindi, guardando il ragazzo allontanarsi verso la cassa.
“Lo spirito della mia abuela mi perseguiterebbe in eterno se permettessi ad una bella donna di pagare il conto.” Fu la piatta spiegazione.
Gli occhi di Maddie schizzarono fulminei verso di lui, per trovarlo ancora intento a studiarla, comodamente appoggiato allo schienale della sua sedia.
Batté le palpebre più volte, come per schiarirsi la mente, in preda alla confusione e alla sorpresa. Le era parso, infatti, di aver percepito nel suo tono di voce una certa vena seduttiva; eppure, il suo viso non cambiò affatto espressione, in assoluto contrasto con le parole che aveva appena pronunciato.
Tuttavia, non poté impedirsi di avvampare e si domandò come fosse possibile che a maggio, nel pieno della primavera, in quella caffetteria continuassero ancora a tenere i riscaldamenti al massimo.
“Beh, g-grazie.” Fu tutto quello che riuscì a balbettare, incredibilmente a corto di parole, e nemmeno lei seppe se si riferisse a quel complimento inaspettato o al fatto che le offriva la colazione.
Probabilmente ad entrambi.
In ogni caso, non era un idiota, e non si soffermò troppo su quella gentile lusinga e la prese per ciò che era: una semplice cortesia.
Uscirono insieme, con Astra scodinzolante ed entusiasta di cambiare scenario, e, una volta uno difronte all’altra sul marciapiede, finalmente Maddie ebbe l’opportunità di ammirarlo nella sua interezza.
Era più alto di lei di almeno quindici centimetri. Non aveva un fisico massiccio, ma asciutto e slanciato, e indossava un paio di pantaloni grigi della tuta, che gli abbracciavano morbidamente la vita, con una semplice maglia nera a mezze maniche che gli aderiva addosso, mettendo in evidenza ogni singolo muscolo del suo petto. Deglutì e distolse lo sguardo, non volendo esser colta di nuovo a fissarlo.
Comunque, per loro era arrivato il momento di salutarsi.
Si schiarì la voce, spostando il peso da un piede all’altro. “Ti ringrazio per la colazione e mi dispiace ancora per Astra, non so davvero come sia potuto succedere.” Si scusò ancora, chinandosi ad accarezzare il cane tra le orecchie.
Seduta di fianco a lei, decisamente più tranquilla, Astra parve piuttosto soddisfatta da quella sua premura, e socchiuse morbidamente gli occhi, godendosi quella più che benvenuta grattatina.
L’uomo osservò con attenzione quel suo gesto, ma non disse nulla; pertanto, Maddie si sentì in dovere di continuare: “Mi ha fatto piacere conoscerti, Max.”
Le iridi scure di lui tornarono su di lei e Maddie ebbe l’impressione che fosse stranamente distratto, fatto evidenziato dal semplice cenno che le rivolse in risposta, come a voler dire che per lui era stato lo stesso, e lei dovette reprimere l’inspiegabile delusione che iniziò a fiorirle nel petto.
A disagio per il silenzio imbarazzato calato tra loro, tipico di due sconosciuti che non sanno come salutarsi, e dal suo sguardo pieno di… - indecisione forse? – qualsiasi cosa fosse, Maddie fece un passo indietro, portando Astra con sé.
Alzò un pollice sopra la spalla, ad indicare una vaga direzione. “Io e Astra abbiamo un appuntamento al parco.” Gli sorrise timidamente, prima di accennare un esitante saluto con la mano. “Allora… ciao.” E detto questo, si girò e si incamminò.
Riuscì a fare solo due metri prima di sentirsi chiamare da quella voce profonda: “Maddie.”
“Si?” Odiò il suono pieno di aspettativa che le uscì dalle labbra e la repentinità con cui si voltò. Come una disperata che desiderava non la lasciasse andare senza chiederle il numero di telefono o, comunque sia, senza farle capire, in qualche modo, che anche a lui aveva fatto piacere stare in sua compagnia.
Non che fosse una disperata, assolutamente no.
Era di gran lunga l’uomo più bello che avesse mai visto e, sospettava, fosse anche l’uomo più bello che avrebbe mai potuto vedere in vita sua; perciò, lei era assolutamente consapevole che fosse oltremodo fuori dalla sua portata.
D’accordo, forse, una piccola, minuscola, parte del suo cervello aveva fantasticato di un mondo in cui, una volta che si fosse voltata, avrebbe trovato Max in ginocchio, pronto a chiederle di sposarlo perché: sì, lei era la donna della sua vita!
Tuttavia, razionalmente sospettava che, tutto ciò che le avrebbe mai potuto effettivamente chiedere sarebbero state le indicazioni per raggiungere l’autostrada e così uscire per sempre dalla sua vita. Con grande probabilità, una volta che avesse varcato il confine dello stato, se non prima, si sarebbe già dimenticato di lei.
Invece, con le mani nelle tasche e la solita espressione impassibile, l’uomo le andò incontro e pronunciò parole che non avrebbe mai e poi mai immaginato.
"Mi piacerebbe molto accompagnarvi al parco. Posso?"
Oltre ad essere una delle frasi più lunghe che le avesse rivolto fino a quel momento, quella domanda, tanto gentile, ebbe l’effetto di lasciarla frastornata, come se le avesse appena mollato uno schiaffo in pieno viso.
“A-accompagnarci?” Ripeté, infatti, in un balbettio.
“Sì.” Ma, stavolta, difronte alla palese confusione di lei, che non accennò a rispondere, gli occhi di Max la scrutarono preoccupati e continuò: “Sempre che per te non sia un problema…”
“No!” Quasi urlò, protendendo una mano verso di lui come se volesse impedirgli di scomparire in una nuvola di fumo.
La guardò accigliato, forse pensando ad un modo per sottrarsi dalla proposta appena fatta: nessuno avrebbe voluto accompagnare al parco una matta, dopotutto.
Per cercare di darsi un contegno, Maddie chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e, così, con le palpebre ancora ben chiuse, in un tono di voce normale – quasi professionale - disse: “Non è un problema.”
Quando riaprì gli occhi, lo trovò ancora più vicino, che la fissava dall’alto e a Maddie parve di vedere un baluginio di divertimento comparire nelle sue iridi color cioccolato.
“Permetti?” Le chiese in un tono basso e confidenziale, e lei, incantata dalla perfezione dei suoi lineamenti, non aveva la più pallida idea a cosa potesse riferirsi ma, comunque, annuì.
In quel momento, gli avrebbe permesso qualsiasi cosa, anche di asportarle un rene seduta stante.
Solo quando lui le sfiorò la mano che ancora teneva il guinzaglio e glielo prese, Maddie si riebbe.
Non era l’unica ad essere entusiasta della piega che avevano preso gli eventi; anche Astra era assolutamente elettrizzata all’idea di passare del tempo con lui.
Lei non vi aveva fatto caso ma, non appena Max si era avvicinato, il cane gli era andato incontro scodinzolando, incurante di avvolgere, così facendo, le gambe di Maddie con il guinzaglio.
E a quel punto, successe una cosa strana.
Cioè, ancor più strana del fatto che uno sconosciuto davvero bellissimo le avesse appena chiesto di accompagnarla al parco.
Le labbra di Max si protesero in avanti, come a schioccare un bacio – per poco non le venne un colpo -, e fischiò brevemente per due volte. A quel suono, le orecchie di Astra scattarono verso l’alto e subito iniziò a girarle intorno, nel verso opposto, liberandola.
“Oh.” Mormorò lei, impressionata da quel trucchetto. “Devi assolutamente insegnarmelo.”
Il tragitto verso il parco più vicino, oltre ad essere breve, fu silenzioso.
Maddie, decisamente meno nervosa, fu troppo presa dai suoi pensieri.
Si chiese il perché di quella sua richiesta; insomma, va bene, l’aveva ascoltata per tutto il tempo della loro breve colazione, ma era sicura che fosse solo un modo di non sembrare scortese, in fin dei conti, nulla nella sua espressione immutabile le aveva mai fatto capire che apprezzasse davvero la sua compagnia. Era di gran lunga più coinvolto da Astra che da lei, ma le parve assurdo che le chiedesse di accompagnarla solo per poter passare più tempo con il suo cane.
Che si fosse sbagliata?
Perciò lo studiò attentamente e, se anche Max si accorse di come lei lo sbirciasse, non lo diede a vedere e continuò a camminare incurante, senza mai dar segno d’accorgersi della sua attenzione su di sé.
C’era qualcosa di familiare nel suo modo di muoversi, nell’andatura disinvolta e decisa, quasi predatoria, con cui calcava il marciapiede, ma Maddie non riuscì a comprendere chi o cosa le ricordasse.
Decise che era messicano o, in ogni caso, latino e, per la prima volta, notò un tatuaggio sul polso sinistro, che faceva capolino sotto un sottile bracciale di cuoio lavorato ed intrecciato – davvero splendido, secondo lei.
Il tatuaggio sembrava una lettera, una D o una O, non seppe dirlo, ma vi fece caso solo perché aveva il braccio proteso in avanti, a tenere il guinzaglio e perché risplendeva sotto la luce del sole.
Man mano che lo osservava, poi, si rese conto di come quei suoi occhi scuri non rimanessero mai fissi su qualcosa: o si guardava continuamente intorno, oppure parevano facessero ordine tra una moltitudine di pensieri che gli frullavano per la testa.
Forse, era per quel motivo che non amava parlare – come era stato evidente a colazione –, preferiva soffermarsi sulle sue riflessioni personali, non consentendo, però, agli altri di accedervi e chiudendosi, di fatto, in sé stesso.
C’era qualcosa che le sfuggiva, però, se lo sentiva.
In ogni caso, arrivò alla conclusione che Max desiderasse semplicemente qualcuno che gli facesse compagnia. Non si trattava di lei, dunque. Chiunque altro sarebbe andato bene allo scopo, bastava qualcuno che si sedesse vicino a lui e gli ricordasse del resto dell’umanità al di fuori dei suoi pensieri.
E ne ebbe l’assoluta certezza quando si sedettero su una panchina, con Maddie che ogni tanto si alzava per lanciare ad Astra dei bastoncini presi da terra.
La guardarono correre, saltare e accucciarsi per rosicchiare il suo premio.
Successe allora, proprio mentre osservavano il pastore tedesco che se ne stava sdraiato sotto un albero a diversi metri da loro: l’uomo accanto a lei sospirò profondamente.
Quel silenzio che lei non si era ancora azzardata a interrompere l’aveva fatto sprofondare talmente tanto nelle sue riflessioni che, pareva, si fosse scordato di non esser solo, concedendole, così, uno piccolo spiraglio su quell’attimo di vulnerabilità.
Quel profondo anelito, fatto a pieni polmoni, non fu di sollievo o di appagamento, come quello di chi si gode una bella giornata di sole e relax; no, fu un sospiro infelice, grondante tristezza.
Così, quella maschera di austerità assunse tutt’altra forma agli occhi di lei e, finalmente, l’ultimo pezzo del puzzle andò al suo posto: quello che aveva visto sul suo viso non era irritazione o impassibilità, ma dolore profondo che pareva non abbandonarlo.
I suoi occhi scuri non erano duri e severi, ma semplicemente… spenti.
E il silenzio sembrava avesse come unico effetto quello di trascinare quell’uomo sempre più affondo negli abissi del suo tormento.
Pertanto, Maddie fu travolta dall’impellente bisogno di parlare, di dire qualcosa che lo distraesse, almeno per un momento, da quelle emozioni opprimenti. E la prima cosa che le venne in mente, nell’agitazione di trovare un qualsiasi argomento utile, fu: “Sono stata io a rompere Gino!”
Con la coda dell’occhio, vide la testa dell’uomo voltarsi di scatto verso di lei a quella sua improvvisa ammissione, e Maddie si sentì arrossire sotto il suo sguardo attento.
Abbassò gli occhi sulle sue mani in grembo, che subito iniziarono a torcersi tra loro nervosamente.
“Non ce la faccio più, lo devo dire a qualcuno, altrimenti impazzirò: sono stata io. Sono andata a cena a casa di Annabelle ieri sera e forse non avrei dovuto bere quel bicchiere di vino.” Lo sbirciò e le parve di vedere il biasimo nel suo sguardo a quella sua piccola bugia – non che vi fosse davvero, naturalmente, era solo frutto dei suoi sensi di colpa. “Oh, va bene! Due bicchieri. Ma non ero brilla, è solo che… era buio e io non l’ho proprio visto e ci sono inciampata.” Si voltò verso di lui, quindi, come cercando la sua comprensione. “È appena caduto da un lato e si è frantumato! Voglio dire, non l’ho colpito così forte, è stato solo un piccolo calcetto. Pensavo che quei cosi fossero più resistenti di così, e invece: puf! Andato. Completamente disintegrato. “
“Chi è Gino?” Gli chiese lui, il ritratto della perplessità.
Maddie lo guardò, sorpresa da quella domanda. “Lo gnomo da giardino della signora Howard, la mia vicina di casa.” Spiegò debolmente, senza fiato da quella sua sorprendente partecipazione.
Non aveva l’abitudine di dare dei nomi a quegli affari, solo a quelli che faceva a pezzi e “Gino, lo gnomo da giardino” suonava magnificamente nella sua testa.
Le sopracciglia scure di Max si aggrottarono e una piccola rughetta vi apparve nel mezzo. “Uno gnomo.” Ripeté a sé stesso, come a voler assimilare per bene quell’informazione.
“Si. Gracie è davvero gelosa dei suoi gnomi da giardino. Ripete in continuazione a tutti di non passare in mezzo al suo prato perché ha paura che uno dei suoi preziosi pezzi da collezione possano rompersi, ma nessuno le dà mai retta, a parte me. E poi? Per una volta che lo faccio anche io, rompo Gino. Non è giusto.” Sospirò, sconsolata per la terribile sorte toccata a quello stupido gnomo. “Lo avrei sostituito, davvero. Però, questa mattina, quando sono uscita di casa per venire a comprarlo, Gracie era già sulla scena del delitto e… sono andata nel panico; quindi, potrei averle detto…”
Si coprì il viso con entrambe le mani, cercando di nascondere la sua vergogna, non riuscendo a trovare il coraggio di continuare.
Qué?” Chiese Max in un mormorio curioso. “Cosa le hai detto?”
Maddie sollevò la testa e si voltò a guardarlo.
Con un braccio disteso sulla spalliera della panchina, verso di lei, e leggermente proteso in avanti, si ritrovò il viso di lui incredibilmente vicino e, per un momento, Maddie ebbe difficoltà a fare chiarezza tra i suoi pensieri.
“Le ho detto che è stato Cameron.” Sussurrò a sua volta e, subito, arrossì a quell’ammissione. Tuttavia, insieme a quell’afflusso di sangue, anche l’indignazione risalì in superficie. “E se l’è meritato, quell’idiota! Lui non dà mai retta alla signora Howard e passa sempre sul suo prato. Inoltre, sono sicura che, quella volta che ha rubato il mio frappè, non è stato solo una piccola svista. Oh, no. Col cavolo che lo era. Lo sanno tutti che sul mio frappè al cioccolato Ben mette la granella di nocciola, e lo fa solo per me. Perché me lo merito, visto che l’aiutavo sempre con le versioni di latino!”
Si ritrovò accaldata e con il respiro corto a causa di quella piccola sfuriata.
“Sembra davvero una persona terribile.”
“Oh, non ne hai idea.”
Naturalmente, Cameron Harris non era davvero così tremendo, semplicemente, si poteva dire che i due non andassero molto d’accordo.
Tutti avevano una nemesi nella vita.
Quella di Maddie era Cameron.
La loro antipatia era nata alle scuole elementari, per poi prender la forma di una sorta di faida alle scuole medie, quando lei aveva nascosto un serpente finto nel sottobanco di lui, facendolo spaventare a tal punto da farlo urlare così forte che il suo grido era riecheggiato – insieme alle prese in giro dei loro compagni – tra le pareti della scuola per un mese intero.
Lo aveva fatto solo perché Cameron non la smetteva di dare il tormento a Charlie, ma quell’episodio non era semplicemente caduto nel dimenticatoio, perché l’altro aveva risposto a quello scherzo e Maddie si era ritrovata a dover spiegare alla loro insegnante di storia che era sicurissima di aver messo nello zaino, quella mattina di anni prima, il suo tema sul colonialismo e la tratta degli schiavi, inspiegabilmente sparito.
Si sarebbe potuta risolvere così, quindi, con un bel pareggio. Ognuno aveva avuto quel che si meritava e potevano ritenersi soddisfatti, ma per due ragazzini, ovviamente, non fu così e quei reciproci dispetti continuarono; tantoché, una volta diventati adulti, non persero l’abitudine di approfittare di qualsiasi occasione utile per infastidirsi a vicenda.
Essendo diventati vicini di casa, poi, occasioni di questo tipo capitavano continuamente, per quel motivo, quindi, la macchina di Cameron spesso occupava due parcheggi invece di uno, oppure Maddie ammucchiava tutta la neve tolta dal suo vialetto su quello appena pulito dell’altro.
Eppure, stavolta, alla donna pareva d’aver superato un limite invisibile e indefinito.
Quelle furono tutte cose che Maddie raccontò a Max, insieme alle possibili ipotesi su quale sarebbe stata la risposta dell’altro – cosa per cui non aveva mai avuto bisogno di preoccuparsi.
Le sue chiacchiere ebbero come effetto sorprendente quello di riuscire a far sorridere quell’uomo che pareva esser fatto di granito e la prima volta che le labbra di Max si curvarono lentamente verso l’alto Maddie rimase senza fiato. Si perse a contemplare la piccola fossetta che vide comparire sulla sua guancia e, incredibilmente, le parve ancora più sexy, il che era tutto dire visto che già toccava le vette più alte del suo personale rivelatore di sexappeal.
Si era incantata a fissarlo, quindi, chiedendosi distrattamente cosa sarebbe successo se le avesse rivolto un sorriso vero, uno che mostrasse i denti. Probabilmente i suoi vestiti avrebbero preso fuoco e lei sarebbe morta di autocombustione. Semmai si fossero rivisti – cosa di cui dubitava – avrebbe dovuto assicurarsi di avere un estintore a portata di mano.
In ogni caso, si era riscossa, quando l’aveva chiamata per nome, con un tono basso che le aveva fatto vibrare ogni organo interno come una corda di violino.
Era capitato di nuovo, poi, e ogni singola volta Maddie aveva avuto bisogno di distogliere lo sguardo per poter fare mente locale e proseguire con il suo racconto.
In ogni caso, solo il brontolio del suo stomaco affamato la fece render conto di quanto tempo fossero rimasti seduti su quella panchina e, quando guardò l’ora sul display del suo telefono, Maddie si alzò di scatto, attirando l’attenzione di Astra che le si avvicinò subito, con il solito orecchio leggermente pendente e la lingua di fuori.
“Mio dio, è tardissimo, i miei mi aspettano per pranzo tra trenta minuti. Farò sicuramente tardi e già posso sentire la voce di mia madre rimproverarmi di avere la testa tra le nuvole.” Disse, iniziando a raccogliere la borsa e il guinzaglio dalla panchina, per poi abbassarsi e allacciarlo al collare di Astra.
Anche Max si alzò, guardandola svolgere quei semplici gesti meccanici per poi incontrare subito i suoi occhi color caramello, quando alzò la testa nella sua direzione.
Maddie gli sorrise, anche se una parte di lei avrebbe tanto voluto lasciarsi andare allo sconforto di dover salutare – stavolta definitivamente – quell’uomo.
Aveva vissuto trent’anni con la consapevolezza che nell’universo esistessero altri esseri umani dotati di tutta quella bellezza - anche se, prima d’allora, non aveva mai incontrato di persona un esemplare maschile appartenente a quella categoria – ed era sicura che potesse riuscire ad andare avanti ancora per altri settanta, se tutto andava bene.
Tuttavia, per convincere il suo cervello a mollare la presa da quella sua fantasia di una bella casa con lo steccato bianco, due piccoli marmocchi che correvano in giardino e lei abbracciata a quell’uomo che sembrava esser spuntato da una rivista di moda, decise che si sarebbe fermata a comprare un po’ di cioccolato, lungo il viaggio di ritorno – Sunlake distava più di un’ora di macchina da Twin Lake City, quindi gliene sarebbe servito parecchio.
In fin dei conti, se si fosse fermata un momento a ragionarci su, non sembrava avessero nulla in comune loro due e, di sicuro, se ne era accorto anche lui. Probabilmente un tipo così poteva circondarsi di tutte le belle donne che voleva e lei era di sicuro un’anonima tizia qualsiasi; anzi, magari parlava anche troppo per uno che sembrava spiccicasse appena due sillabe.
Aprì la bocca per salutarlo, ma le parole le morirono sulle labbra, quando lui parlò per primo: “Ti va di vederci di nuovo qui, domani?”
Ora, sul serio, cosa avrebbe mai potuto rispondere?

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Capitolo 2
*** CAPITOLO DUE ***


CAPITOLO DUE
 
Da uno dei tavoli del Red, unico Caffè di Sunlake, dove era seduta, Charlie Royce poteva tranquillamente far spaziare lo sguardo su tutta la pizza, al cui centro torreggiava, indifferente alle semplici attività di paese, un abete con lunghi rami che si facevano strada verso l’alto in spirali via via sempre più strette, fino a culminare in una punta un po’ spelacchiata. Era facile notare, tra gli aghi verdi, i fiori rosso scuro dalla forma conica che aveva portato l’arrivo della primavera. Il prato sottostante era stato appena pulito e sembrava risplendere al Sole, sia per il suo vivido color smeraldo, sia per i getti d’acqua degli irrigatori che, per effetto della luce, formavano archi argentati con riflessi d’arcobaleno.
Quelli non erano gli unici colori che illuminavano la giornata. Le facciate gialle degli edifici che davano sulla piazza – come il municipio e la biblioteca pubblica – sormontate da rossi tetti spioventi, da sole erano sufficienti a viziare l’occhio di un qualsiasi osservatore; eppure, l’effetto era amplificato dai fiori d’ogni forma, dimensione e colore che decoravano i balconi delle case e che spargevano il loro profumo tutt’intorno, senza avarizia alcuna.
Anche le bandiere che garrivano al vento sopra il municipio attiravano l’attenzione e, come se non bastasse, le antiche montagne sullo sfondo, con le cime ancora innevate, insieme al cielo azzurro attraversato da bianche e soffici nuvole, sembravano dipinte dall’esperta mano d’un pittore.
Era il luogo ideale dove godersi un fantastico latte macchiato.
Tuttavia, c’era un’unica nota che stonava in quell’armoniosa perfezione: Maddie.
Non era il suo silenzio distratto ad impensierire Charlie, bensì il modo svogliato con cui piluccava la povera ciambella difronte a lei. Non una ciambella qualsiasi, in verità, ma una ricoperta di cioccolato e cosparsa di polvere di cocco: la sua preferita. Era così che gliela portava Benjamin, ogni mattina.
Solo Maddie poteva credere che il riguardo dell’uomo nei suoi confronti – la polvere di cocco, infatti, era un’aggiunta fatta solo per lei – fosse una cortesia in onore dei vecchi tempi. Non riusciva a credere di come l’altra non si accorgesse della palese ammirazione con cui lui la guardava.
In ogni caso, Charlie aveva già una vaga idea di quali potessero essere i pensieri che avevano risucchiato l’attenzione di Diddi. L’unica sorpresa era l’ostinazione di lei a non parlarne.
Nonostante le due donne avessero passato tredici anni lontano – dopo che una Charlie quindicenne era stata mandata alla scuola militare – il loro legame non si era mai allentato e, quando si erano ritrovate l’inverno dell’anno prima, avevano ripreso la loro amicizia da dove l’avevano interrotta, come se non fosse passato nemmeno un giorno.
Maddie non era mai stata brava a mantenere dei segreti con lei. Durava a malapena ventiquattr’ore, prima che il bisogno di confidarsi con Charlie la sopraffacesse. Stavolta, però, pareva esser diverso.
Era da una settimana, ormai, che Maddie chiudeva la biblioteca con un’ora d’anticipo e si precipitava a Twin Lake City. Non che avesse fatto chissà quale sforzo per nasconderlo, ed infatti Charlie non era l’unica ad averlo notato.
Non aveva detto nulla. Insomma, era anche giusto che Diddi avesse dei segreti con lei; tuttavia, stava morendo dalla curiosità. Perciò, mercoledì, quando c’era mancato poco che Maddie la buttasse fuori dalla biblioteca di peso, farneticando di alcune commissioni in città, Charlie aveva sentenziato: “Va bene, ti accompagno.” E per poco non era scoppiata a ridere difronte all’espressione impanicata dell’amica.
“C-cosa?” Aveva farfugliato. “Perché? Non c’è bisogno, davvero. È meglio che me la sbrighi da sola.” E poi, mentre chiudeva a chiave le porte, si avvicinava alla sua macchina – non aveva mai auto bisogno di prenderla per andare al lavoro – e vi faceva salire Astra, aveva continuato a parlare senza sosta e ad ogni frase le aveva suggerito un motivo sempre più assurdo per non accompagnarla. Addirittura, verso la fine, aveva avanzato l’idea che facesse una sorpresa a Logan e Jake con una bella cenetta preparata da lei. Insomma, Charlie Royce – il terrore delle cucine e il flagello d’ogni fornello – che cucinava la cena.
L’aveva lasciata andare, facendo finta che quella fosse una fantastica idea.
In ogni caso, il suo fare distratto, il sorriso sognante che, sempre più spesso, le curvava le labbra senza alcun motivo apparente, così come tutta quella fretta di scappare in città senza dire nulla a nessuno, erano un indizio più che sufficiente per chiunque.
Giusto Annabelle King – avversa a credere che la causa di quel comportamento potesse essere un uomo – si era convinta che ruotasse tutto attorno al lavoro e a una nuova libreria aperta in città che, finalmente, avrebbe risolto il problema della fornitura di nuovo materiale di cui ormai Maddie si lamentava da mesi.
Non c’è bisogno di dire che Annabelle era completamente fuori strada e che Charlie avesse ragione. Anche in quel momento, mentre strappava un piccolo pezzetto della sua ciambella e se lo infilava in bocca, i pensieri di Maddie Foster ruotavano attorno ad un unico fulcro.
Anche lei si era chiesta più volte il perché di tutto quel mistero. Di solito, non avrebbe esitato un solo istante a confidarsi con la sua migliore amica. Il cielo solo sapeva quante volte, nel corso degli anni, avrebbe voluto crogiolarsi nelle rassicurazioni dell’altra e come avesse odiato la distanza che gli eventi avevano interposto tra loro; eppure, ora che l’aveva difronte, taceva.
La verità era che aveva paura.
Maddie aveva paura che pronunciando anche solo una parola relativa a quell’uomo avrebbe potuto causare un dissesto nelle leggi cosmiche che regolano l’universo e quindi rompere un delicato equilibrio che faceva sì che, ogniqualvolta si ripresentasse in quel parco, ci fosse Max ad aspettarla.
Solo Max.
Non sapeva quale fosse il suo cognome. In realtà, non sapeva proprio nulla su di lui; sennonché, ogniqualvolta metteva piede in quel parco, con Astra al guinzaglio, lo trovava sempre lì, sulla stessa panchina di una settimana prima. Quando lo vedeva e la tensione l’abbandonava, si rendeva conto di quanto avesse lo stomaco annodato dal timore che lui le desse buca.
Non voleva pensare al calore che le pervadeva il petto alla sua sola vista e al potere che aveva di stemprare la sua insicurezza, come lamponi bollenti che sciolgono delizioso gelato alla vaniglia, in uno dei suoi dessert preferiti.
Buffo, perché quel dolce, servito con panna montata e gustosissime cialde, si chiamava Amore Caldo.  
In ogni caso, semmai Max avesse deciso di averne abbastanza di lei, tutto quello che doveva fare era, semplicemente, smettere di presentarsi e, così, sarebbe sparito per sempre.
Lei, allora, si sarebbe risvegliata da quel sogno, e per i successivi tre mesi – almeno – si sarebbe rigirata nel letto chiedendosi cosa diavolo avesse detto per farlo scappare e cosa c’era di tanto sbagliato in lei.
Proprio come era successo con Christopher quattro anni prima.
Anche in quel caso, aveva incontrato quell’uomo in città, allo stesso locale che Aubrey Morgan – una sua cara amica - aveva scelto per festeggiare il suo compleanno. Christopher era lì con dei suoi amici e le aveva chiesto di ballare. Maddie era troppo gentile per rifiutare un’offerta del genere; inoltre, era stata davvero lusingata da quel gesto: non le capitava spesso che qualcuno le si avvicinasse per un invito simile. Sua madre diceva che era a causa del suo modo di vestire – troppo serio e ingessato – se gli uomini si tenevano a distanza.
Dunque, aveva accettato, e lei e Christopher avevano ballato tutta la notte.
Prima di andare via, lui le aveva strappato la promessa di un appuntamento la sera seguente e, ancora una volta, Maddie aveva detto di sì.
Era così che avevano iniziato una relazione, nonostante i ripetuti avvertimenti di Aubrey. La donna, infatti, non l’aveva risparmiata dalla sua impressione su Christopher: era solo un farfallone – nemmeno troppo bello – alla disperata ricerca di un passatempo per l’estate. Non era stata l’unica a cui aveva chiesto di ballare, era solo l’unica che non lo avesse rifiutato.
Non aveva dato retta a quegli avvertimenti, e anche se fin da subito aveva saputo che la loro storia aveva come data di scadenza la fine della stagione, Maddie si era lasciata coinvolgere così tanto che, ad un certo punto, aveva pensato che Christopher avrebbe deciso di restare o, quantomeno, di chiederle di andar via con lui; invece, quando lei l’aveva pregato di non lasciarla, prima di addormentarsi nel suo abbraccio, nella loro ultima notte insieme, si era risvegliata in un letto vuoto.
Lo aveva chiamato, dopo, ma non aveva mai ricevuto risposta e aveva capito che Audrey aveva avuto ragione fin dall’inizio: era stata l’unica ad esser stata davvero coinvolta emotivamente per quei tre mesi trascorsi insieme.
Quella, oltre ad esser stata l’ultima volta in cui l’aveva visto, era stata anche l’ultima volta in cui aveva permesso ad un uomo d’entrare nel suo letto e quindi, di fatto, di lasciare un segno nella sua vita.
Ripensandoci, poi, non riusciva proprio a capire cosa l’avesse attratta di Christopher; in ogni caso, sapeva di dover assolutamente parlare con Charlie di Max. Qualcuno doveva metterla in guardia e ricordarle cos’era successo l’ultima volta che aveva pensato che un uomo potesse trovarla davvero interessante.
Perché la verità era che, nonostante lo conoscesse da una settimana e nonostante non sapesse assolutamente niente su di lui, Max le piaceva.
Le piaceva il modo in cui lui la faceva sentire, rimanendo semplicemente in silenzio ad ascoltarla come nessuno mai aveva fatto prima. Non c’era stata volta in cui Max si fosse estraniato o avesse perso interesse per i suoi discorsi sconclusionati. Persino sua madre non era in grado di riuscirci.
Invece, di fianco a lui, su quella panchina, si sentiva una donna diversa da quella che si era sempre creduta: decisamente non banale e, forse, addirittura affascinante.
Naturalmente, quella con Max era una relazione platonica. Non aveva nulla a che fare con ciò che aveva condiviso con Christopher. Non che Maddie non avesse mai fantasticato sull’eventualità che quell’uomo potesse essere a sua volta interessato ad una come lei. Insomma, le era sempre piaciuto immaginare scenari impossibili – decisamente più avvincenti della realtà – ma un conto era figurarsi un mondo in cui i broccoli avevano lo stesso sapore della crema pasticciera e, ben altro, era concepire un universo in cui quell’uomo, in qualche modo, potesse effettivamente corteggiarla. Se la prima eventualità era difficile ma possibile – con l’aiuto della chimica e della genetica era sicura sarebbe potuto accadere – il secondo, per quanto la riguardava, era proprio fantascienza.
Tuttavia, ogni giorno, quando arrivava il momento di tornare a casa, Max le chiedeva sempre di incontrarsi di nuovo lì, l’indomani, e Maddie non si permetteva di vederci nulla di più di ciò che era: semplice simpatia.
Però, rimaneva il fatto che aveva urgente bisogno di condividere quella novità, e fu per quello che, in un mormorio basso, si lasciò sfuggire: “Ho conosciuto una persona.”
Occhi blu incontrarono subito i suoi e, senza distogliere lo sguardo da quello color caramello di lei, lentamente, Charlie si portò la tazza alla bocca. Schioccò le labbra e prese un piccolo sorso del suo latte macchiato, per poi posarla di nuovo sul tavolo. Si appoggiò alla spalliera della sua sedia e la studiò con calma per un lungo momento.
Lei, sotto quell’esame, iniziò ad agitarsi e fu sopraffatta dal sollievo quando furono interrotte. Ma il sollievo durò davvero poco quando si accorse che era arrivata Annabelle e che si stava sedendo accanto a Charlie.
“Eccomi! Ce l’ho fatta, scusate il ritardo ma Daisy non mi lasciava più andare…” Disse, mentre sistemava la borsa sullo schienale della sedia e si metteva comoda. Si accorse subito della strana atmosfera che si respirava a quel tavolo e fece scorrere lo sguardo tra loro, improvvisamente consapevole di aver interrotto qualcosa. “Che succede?”
Fu solo allora che le labbra di Charlie si schiusero e la donna le rivolse il suo fantastico sorriso. Un sorriso che diceva tutto e che le procurò un brivido lungo la schiena: lo sapeva.
Avrebbe dovuto aspettarselo.
“Sei arrivata giusto in tempo, Anne. Diddi mi stava appunto dicendo dov’è che se ne va, in tutta fretta, dopo il lavoro.” Se il suo tono gongolante non fosse stato un indizio sufficiente, ci avrebbero pensato le sue iridi azzurre, brillanti di soddisfazione, a rivelarle quella verità.
“È per quella nuova libreria in città, vero?” Chiese Annabelle, stranamente speranzosa.
Fu Charlie a rispondere al suo posto. “Oh, no. Ha conosciuto una persona.
L’altra si sporse in avanti. “Sicuramente non un uomo. Giusto, Maddie?”
Lei si sentì stranamente sotto pressione, come se la sua risposta dovesse sancire il destino dell’umanità; pertanto, ancora una volta, si ritrovò a borbottare sottovoce: “Si chiama Max.”
Le reazioni delle due donne furono diametralmente opposte: Charlie buttò la testa indietro e scoppiò a ridere, mentre Anne si accasciò sulla sua sedia brontolando un “maledizione” a mezza bocca.
“Mi devi cinque dollari.”
Quello catturò tutta l’attenzione di Maddie. “Avete scommesso su di me?” Domandò, incredula.
Ma le sue parole caddero nel vuoto, perché le altre due la ignorarono completamente.
“Non posso crederci.”
“Avresti dovuto dare retta a Logan, ti aveva avvertito che avrei vinto io.”
“Probabilmente hai barato.” Borbottò imbronciata Annabelle.
L’altra ridacchiò e soffocò il suo divertimento con un altro sorso di latte macchiato. “Ti assicuro di no. Non scomodo i servizi di intelligence per poter vincere una scommessa tanto facile.”
Annabelle, alla fine, dovette capitolare e a malincuore posò cinque dollari sul tavolo. Dopodiché, l’attenzione di entrambe tornò su di lei.
“Dove vi siete conosciuti?” Chiese Charlie, proprio mentre Anne domandava: “Almeno è carino?”
Maddie indugiò un momento prima di rispondere: “L’ho incontrato sabato scorso, in una caffetteria giù in città e lui è…” Abbassò gli occhi e con un sospiro ammise: “È davvero mozzafiato.”
Si sentì i loro sguardi addosso ma non osò alzare la testa per verificarlo, invece, con la punta di un dito iniziò a seguire nervosamente il bordo della sua tovaglietta.
Anche Astra, sdraiata comodamente per terra, di fianco alla sua sedia, si accorse del suo lieve disagio, perché alzò la testa a guardarla. Evidentemente, però, decise che avrebbe potuto cavarsela benissimo da sola e tornò di nuovo a sonnecchiare.
Anne batté le palpebre dalla sorpresa. “Mio dio, ti ha lasciato senza parole…” E subito dopo, battendo una mano sul tavolo, aggiunse: “Voglio conoscerlo!”
Il suo tono fu un po’ troppo alto e Maddie vide la testa della signora Young – nota pettegola del paese – voltarsi nella loro direzione. Dicerto, non voleva farlo sapere a tutti. Anche perché, con tutta probabilità, avrebbero travisato.
Ed infatti, non fece nemmeno in tempo a concludere quel pensiero che Charlie affermò: “Quindi vi frequentate.” E la sua non era affatto una domanda.
Maddie si raddrizzò sulla sua sedia e si sforzò di usare il suo miglior tono categorico. Non poteva permettere che le sue amiche si facessero strane idee. “Assolutamente no.” Tuttavia, difronte all’incredulità dell’altra concesse: “Cioè, non nel senso che intendi tu. Siamo solo amici.”
O, almeno, lei immaginava lo fossero. Sicuramente Max sapeva un sacco di cose sul suo conto; anche se lei non poteva dire lo stesso di lui.
“Solo amici.” Ripeté Charlie in uno sbuffo derisorio. “Diddi, davvero vuoi farmi credere che ti fai più di due ore di macchina al giorno, ogni giorno da sette giorni consecutivi, al solo scopo di andare a trovare un amico?
Ci pensò su un momento e arrivò alla conclusione che, si, lo avrebbe fatto se questo amico, ogni giorno, le avesse chiesto di rivederla. Perciò, poté rispondere con sicurezza: “In realtà, si. Lo farei.”
Si fissarono negli occhi, in una gara di sguardi che le ricordò la loro infanzia, quando si sfidavano a chi rideva per prima. Solo dopo un lunghissimo momento Charlie annuì. “D’accordo, hai ragione. Sei una delle persone più dolci e gentili che io conosca, quindi probabilmente lo faresti. Ma che mi dici di lui?”
“Di Max?”
L’altra annuì e Maddie iniziò ad avvertire una punta di disagio farsi strada in lei. Era arrivato il momento di ammettere un’imbarazzante verità. “Beh, veramente non so molto su di lui. Per lo più sono io a parlare. Max è un tipo molto gentile, mi chiede sempre della mia giornata, ma è anche una persona parecchio riservata e non si lascia sfuggire molto sul suo conto.” Abbozzò un piccolo sorriso. “Una volta l’ho trovato a leggere, mentre mi aspettava. Il Grande Gatsby. Ha detto che era curioso, visto che ne avevo parlato il giorno prima.” Arrossì e ammise: “Forse mi sono dilungata un po’ troppo sul tema, ma sapete quanto mi piace Scott Fitzgerald! Comunque sia, anche io avevo un libro con me, quindi ci siamo messi a leggere insieme.” Al ricordo delle piccole interruzioni che ogni tanto uno di loro due faceva, per condividere qualche considerazione su ciò che avevano appena letto, il sorriso di Maddie si fece più profondo e con un sospiro – vagamente sognante - che non poté trattenere, concluse: “È stato un bel pomeriggio.”
Così come tutti gli altri pomeriggi che aveva trascorso in sua compagnia, in verità. Quella soggezione iniziale che Maddie aveva provato in sua presenza era evaporata quasi subito, e aveva scoperto di trovarsi incredibilmente a suo agio con lui. Inoltre, era sicura che il sentimento fosse reciproco. Nonostante fosse ancora avvolto da un mantello di malinconia, aveva l’impressione che l’uomo sorridesse ogni giorno di più.
A volte lo vedeva da lontano, prima di varcare i cancelli del parco, con quello sguardo fisso e perso, il busto proteso in avanti e gli avambracci poggiati sulle ginocchia, come se da un momento all’altro dovesse accasciarsi sotto il peso di qualsiasi cosa l’opprimesse. E poi, come raggi solari che squarciano la foschia della nebbia, arrivava il momento in cui si accorgeva di lei e si voltava a guardarla. Quegli occhi scuri, per un momento, parevano rivivere e brillare mentre l’osservava avvicinarsi, e quel piccolo accenno di sorriso e fossette le faceva sempre contorcere lo stomaco come un boa constrictor e le provocava un leggero formicolio ad ogni più piccolo follicolo.
“Solo un amico.” Ripeté ancora Charlie, strappandola ai suoi pensieri. “Tu ci credi?” Chiese, voltandosi verso Annabelle.
“No, direi di no. Guarda la sua faccia…” La spalleggiò subito l’altra, alzando una mano ad indicarla.
Maddie le osservò scambiarsi un’occhiata cospiratoria e si ritrovò a chiedersi come diavolo era possibile che quelle due, che prima si erano sopportate a stento, fossero diventate tanto affiatate.
In ogni caso non fu preparata per quello che disse Charlie, dopo: “Devi invitarlo a cena a casa nostra.”
“Cosa? Ma…” Fece rimbalzare lo sguardo dall’una all’altra, prima di concentrarsi nuovamente sulla bionda. “Ti ho detto che lo conosco poco. Non so quasi nulla su di lui.”
“Presentarlo ai tuoi amici è il modo perfetto per approfondire la vostra amicizia.” Intervenne Anne.
Non diede troppo peso alla vena ironica con cui sottolineò l’ultima parola, era troppo impegnata a cercare un’altra scusa per cavarsi d’impiccio. “Non posso portarlo a cena da te, Charlie. Come minimo rischieresti d’avvelenarlo.”
In un altro momento, sarebbe stata fiera di sé stessa per aver provato a sdrammatizzare, ma quel suo tentativo fu fiacco anche alle sue orecchie; soprattutto considerando che, pochi giorni prima, nella foga di farla desistere ad accompagnarla in città, la stessa Maddie aveva suggerito a Charlie di mettersi ai fornelli.
“Logan fa un’ottima lasagna, sono sicura che a Max piacerà.”
“Io potrei portare un secondo, che ne pensi?” Si accodò Annabelle e, poi, rivolgendosi a lei: “Chiedi a Max se gli piace la trota.”
Maddie represse una smorfia. “Veramente, la trota non è proprio il mio pesce preferito…” Il che era un eufemismo, ma non avrebbe mai detto ad Annabelle che la sua trota al forno – che aveva fatto finta di adorare in diverse occasioni – le faceva schifo, proprio come qualsiasi altra trota al forno che avesse mai mangiato.
In ogni caso, avrebbe anche potuto dire che preferiva mangiare carne umana e le altre due l’avrebbero semplicemente ignorata, troppo prese dal loro importantissimo nuovo progetto.
Guardò con orrore il viso di Charlie illuminarsi per l’entusiasmo. “Potrei chiedere a Luke di fare le sue fantastiche enchilada. Sono sicura che non gli dispiacerebbe.”
Aveva ragione, non gli sarebbe dispiaciuto. Dopo aver contribuito ad arrestarla, l’anno prima, Luke era disposto anche a stendersi al suolo per evitare a Charlie di sporcarsi le suole delle scarpe, se solo la donna glielo avesse chiesto.
Si ritrovò a sospirare e non poté far altro che capitolare: “D’accordo, glielo chiederò.” Anche se, da come reagirono, le altre due parvero aver dato per scontato la sua collaborazione al loro piano.
Tuttavia, da qui sorgeva un problema a cui, nel corso di tutto quel venerdì, Maddie cercò di far fronte: come fare a convincere un uomo ad accompagnarla ad una cena a casa dei suoi più cari amici, senza che questi travisasse le sue intenzioni e pensasse che lei volesse portare il loro rapporto ad un nuovo livello?
Perciò, per non dover affrontare il futuro impreparata, aveva pensato ad un discorso. Lo aveva ripassato più e più volte nella sua testa, mentre era immersa tra i libri e il suo lavoro, e lo aveva modificato e revisionato finché non ne era stata soddisfatta.
Era davvero un gran bel discorso, peccato che non appena entrò nel parchetto pubblico, quella sera, e riconobbe subito la figura seduta ai piedi della piccola fontana circolare, si rese conto d’aver dimenticato ogni singola parola del suo monologo e il suo cuore iniziò subito a martellarle nel petto come un tamburo.
Si costrinse a prendere un respiro profondo e si chinò per togliere il guinzaglio ad Astra che, non appena fu libera, si precipitò a salutare Max. Era assurdo con quanta rapidità e intensità quel cane si fosse affezionato a lui, ogni volta che vedeva Astra corrergli incontro per fargli le feste se ne stupiva.
Osservò l’uomo chinarsi verso il pastore tedesco e accoglierlo con carezze vigorose che non fecero altro che aumentare la frequenza delle scodinzolate del cane.
Poi, successe. Alzò gli occhi su di lei e le sorrise. Sempre quel suo sorriso a bocca chiusa che, chissà come, aveva il potere di farle tremare le gambe.
Lei gli andò incontro, torturando il guinzaglio che ancora stringeva tra le mani e cercando di ricordare il suo discorso. Iniziò ad agitarsi, come in uno di quei brutti incubi in cui ti presenti ad una verifica di matematica, dopo aver passato interi pomeriggi a studiare, e ti ritrovi il testo del problema scritto in una lingua che non esiste. Perciò, se fino a quel momento s’era sentita preparata nell’affrontare Max, adesso le sembrò di dover intavolare una conversazione in spagnolo.
“Ciao.” Esordì quando si fermò difronte a lui e, per la prima volta in vita sua, non riuscì più a dire nulla. La mente sembrò come essersi svuotata, quindi se ne rimase lì in piedi, come una sorta di bambola inquietante, a cercare di metter ordine nella sua testa.
“Ciao, Maddie.” Come al solito, le parve che nel pronunciare il suo nome, l’uomo ne accarezzasse ogni sillaba, come se volesse assaporarne la musicalità, e quello le valse un brivido di piacere che fomentò il suo nervosismo. Naturalmente, Max si accorse del suo disagio e si mise anche lui in piedi, il sorriso ormai sparito e al suo posto un velo di preoccupazione. “Tutto bene?”
“Si, scusa.” Scosse la testa. “Come stai?”
Gli occhi di Max si addolcirono, tuttavia non smisero di scrutarla, chiaro segno che non l’aveva convinto. In risposta si limitò ad annuire e, ancora con la sua espressione impassibile, disse: “Ti ho portato una cosa.”
“Oh.” Maddie spalancò gli occhi e lo guardò stupita mentre raccoglieva un piccolo sacchetto anonimo di carta dalla panchina. Quando glielo porse, portandosi una mano al petto, mormorò estasiata: “Per me?”
Claro que sì.” I suoi occhi color cioccolato si ammorbidirono e non le stacco gli occhi di dosso mentre apriva il pacchetto leggermente unto.
“Adoro le sorprese.” Ammise Maddie senza fiato, non riuscendo a trattenere l’enorme sorriso che iniziò a spuntarle sul viso e che, incredibilmente, s’allargò ancor di più quando finalmente vide cosa le aveva portato.
Churros.
Ne avevano parlato il giorno prima e lei aveva ammesso di non averli mai assaggiati. Una volta aveva passato un’intera estate a cercarli tra le pasticcerie della città, ma nessuno a Twin Lake City, o tantomeno a Sunlake, sembrava venderli.
Maddie si strinse il sacchetto al petto. “Grazie.”
Al suo tono, così pieno di meravigliata gratitudine, Max abbassò la testa, per nascondere il suo divertimento e con una scrollata di spalle minimizzò: “Sono solo Churros…”
Non erano solo Churros, non per lei almeno, ma non disse nulla e si limitò a sedersi sulla panchina, seguita dall’altro. Tra loro calò un silenzio amichevole, fatto di sguardi e sorrisi, mentre si godevano quella deliziosa merenda.
Arrivando all’ultimo morso, però, a Maddie sovvenne nuovamente quale fosse la missione che le era stata affidata. Si percepì un mutamento in quell’atmosfera serena e rilassata, soprattutto perché lei si bloccò, l’ultimo boccone ancora in mano, e si schiarì la voce una, due, tre volte senza mai iniziare a parlare.
“Cosa succede, Maddie?” La voce calda di Max la fece voltare e si ritrovò difronte alla sua espressione curiosa e un po’ preoccupata.
D’accordo, era il momento di farsi valere. Le aveva appena dato l’opportunità perfetta per introdurre il discorso e, comunque, Max era un tipo gentile, non l’avrebbe mai respinta in malo modo. Sicuramente, avrebbe inventato qualche scusa di circostanza per sottrarsi al suo invito.
“Sono un po’ nervosa.” Ammise, quindi.
La piccola rughetta tra le sopracciglia di lui si fece più profonda. “C’è qualcosa che ti preoccupa?”
Maddie si mordicchiò il labbro inferiore prima di prendere un profondo respiro. “Ho fatto colazione con le mie amiche, oggi. Ho raccontato loro di… beh, di te in realtà e hanno pensato che-”
“Charlie cos’ha detto?” La interruppe lui e alzò la testa per guardarsi intorno, soffermandosi brevemente sugli alberi e le siepi sul limitare del parco, prima di riportare gli occhi sul viso di lei.
Maddie ridacchiò nervosamente, il modo in cui la fissò, come se volesse carpire la più piccola informazione anche dalla sua espressione, contribuì ad agitarla.
“È un po’ questo il problema, in realtà. Insomma, io le ho detto che non credevo fosse una buona idea, ma quando Charlie si mette in testa una cosa diventa peggio di Astra con la sua ciotola di croccantini.” Al sentire il suo nome, il pastore tedesco le si avvicinò e le poggiò la testa sulle gambe. Il calore del cane, e il poter affondare le dita nella sua pelliccia morbida, le diede un po’ di fiducia. “Comunque, non è niente di ché. Dicerto una cena non mi trasformerà in una nuova Didone che, presa dal furor d’amore, ti maledice. No, aspetta, forse questa non è la similitudine migliore. Dopotutto, noi siamo solo amici. Forse una nuova Arianna?” Scosse la testa, non stava andando per niente come aveva sperato. “No, decisamente no. Direi che è meglio non attingere affatto dal mito e lasciar perdere con le similitudini. Comunque, per farla breve: ti piace la trota?”
Quello lo fece rilassare e Max allungò le gambe davanti a sé. “La trota?” Si passo una mano sul viso, incredulo. “Vuole invitarmi a cena?” Scosse la testa e parlando tra sé e sé mormorò: “Questa sì che è bella.”
Evidentemente l’uomo non si accorse del lampo di dolore che illuminò le iridi color caramello di lei al suo tono ironico e, ignaro, preso da un divertimento tutto suo che ancora gli danzava negli occhi, aggiunse: “Non credo proprio che sarebbe una buona idea, in ogni caso.”
Maddie non poté sottrarsi all’ondata di cocente delusione e mortificazione che la investì, nonostante vi fosse preparata. “No, certo. Non ci conosciamo ancora così bene, in effetti.”
Dal viso di Max sparì ogni traccia di calore, quando si rese conto di come la donna avesse interpretato le sue parole. “Non è per quello che-”
“No, va bene.” Maddie sperò di riuscire a convincere anche sé stessa. “Ho capito.”
“Sinceramente, chica, ne dubito…”
“Mi rendo conto che a volte parlo davvero tanto, e già mi sopporti tutti i giorni. Immagino che anche una cena sia davvero troppo.” Si sforzò di ridacchiare, per alleggerire il tono delle sue parole. Non sapeva nemmeno perché non se ne rimanesse semplicemente zitta.
Per tutta risposta, Max mormorò: “Madre de dios.
“Sarebbe stata una cosa tra amici, comunque.” Continuò, assolutamente concentrata sulle sue mani che affondavano nella pelliccia di Astra ad ogni carezza. “Non ho mai creduto che tu… insomma, sarebbe davvero assurdo, lo so perfettamente. Sarebbe come mettere del bacon su un tiramisù. Sapevo che non era una buona idea, ma dico solo che mi avrebbe fatto piacere, tutto qui.”
Maddie si costrinse a chiudere la bocca e arrischiò un’occhiata a Max, ancora in silenzio vicino a lei, che  guardava i pesci nuotare sereni nel laghetto, sforzandosi di comprendere quello che aveva appena detto. “Non credo di seguirti.” Sentenziò infine.
Ma riprendere quel discorso era l’ultima cosa che lei avrebbe voluto; quindi, fu davvero grata che il suo splendido cane scelse quel momento per scostarsi da lei e avvicinarsi all’altro.
Con il muso toccò la mano brunita di lui, poggiata sulla gamba, e dopo una brevissima annusata, Astra iniziò a leccargli le dita. Fu davvero una cosa carina, come se ci tenesse a fargli sapere che non s’era scordata di lui. Gli diede tre piccoli bacetti prima di strusciare la testa sulla sua mano, ad implorare una carezza: non ebbe bisogno di insistere molto, l’uomo l’accontentò subito.
Dunque, Maddie prese la palla al balzo e virò il discorso con una brusca sterzata. “Gli piaci davvero tanto.” Osservò, quasi ipnotizzata dal ritmo delle carezze di lui.
Un angolo delle labbra di Max si alzò verso l’alto, unico segno della sua approvazione.
“Ad Astra piacciono tutti, in realtà, ma con te ha una sintonia davvero particolare.” Stavolta si voltò verso di lei rivolgendole il suo solito sorriso a mezza bocca. Tuttavia, questo sparì non appena lei continuò e Maddie fu troppo presa dal sollievo d’esser riuscita a sviare il discorso per accorgersene. “Sembra felice, non è vero? Sai, qualche mese fa non ha passato un bel periodo: il suo padrone è morto.”
Il corpo di fianco a lei si irrigidì e le carezze si arrestarono.
“Non ne so molto, ma credo che sia stata una tragedia. Astra è piuttosto piccola e dubito che una persona anziana si sarebbe presa in carico una responsabilità del genere. Certo, questa è solo una mia idea. Ma non posso fare a meno di pensare che abbia avuto la mia età. Mi si spezza il cuore solo al pensiero di tutte le persone che ha lasciato dietro di sé e che ora saranno-”
“Piantala. Smetti di parlare, malediciòn.” Ringhiò Max e Maddie si bloccò di colpo, alzando lo sguardo scioccata.
Lo osservò piegarsi in avanti e portarsi le mani alle tempie, per sorreggersi. Lo sentì prendere respiri profondi, come se cercasse disperatamente di calmarsi. Le sue dita, tremanti, si fecero strada tra i suoi cortissimi capelli scuri.
Preoccupata, Maddie iniziò a protendersi verso di lui, allungando una mano per accarezzargli la schiena e cercare di aiutarlo ma fu gelata dalle parole dell’uomo: “Non toccarmi.”
“Cosa ci faccio qui? Non ne vale la pena.” Dopodiché, iniziò a ripetere queste ultime cinque parole in un mantra che, per qualche motivo, parve calmarlo.
Quando il suo respiro tornò normale e le sue spalle si rilassarono, Maddie rilasciò il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento e le parole che aveva ripetuto in quell’interminabile minuto – che le era sembrato un anno – la colpirono in pieno, con tutta la loro forza.
Pareva che, ancora una volta, avesse travisato le intenzioni di un uomo.
Proprio come era successo con Christopher.
Non capiva cosa avesse spinto Max a chiederle ogni giorno di rivedersi e, a quel punto, nemmeno le importava.
Sentì le lacrime iniziare a salirle agli occhi ma si sforzò di tenerle a bada e le ricacciò indietro. Non avrebbe pianto davanti a lui, le rimaneva ancora un briciolo d’amor proprio.
Il tornado d’emozioni che l’aveva travolta così bruscamente - prima la delusione per il rifiuto al suo invito a cena, poi la paura di vederlo star male e, infine, la mortificazione nel rendersi conto di aver frainteso anche la sua simpatia – le fece girare la testa e sentì una parte di sé, quella piena di speranza e ottimismo per il futuro, iniziare ad appassire.
Odiò che qualcuno avesse il potere di farla sentire in quel modo e Maddie seppe di dover andar via di lì al più presto. Non sarebbe riuscita a trattenere quel pianto rabbioso e liberatorio ancora per molto.
Doveva assolutamente raggiungere la sua macchina, lì le lacrime avrebbero potuto scorrere libere.
Così, fissando gli alberi sul limitare del parco, Maddie riuscì a trattenersi dallo scoppiare a piangere e aspettò finché non fu certa che Max si fosse ripreso.
“Maddie, io…” La voce di lui si insinuò tra il dolore del suo stordimento ed ebbe lo stesso effetto di uno sparo che dà inizio ad una gara.
Lei scattò in piedi e afferrò subito il guinzaglio posato sulla panchina. “Devo tornare subito a casa!”
Anche Max si tirò su, guardandola impotente mentre lei fissava il moschettone al collare di Astra. “Di già?”
“Si, mi sono appena ricordata che ho da fare.” Disse, lapidaria, e non sentì nemmeno il bisogno di giustificarsi.
“Maddie…” Sospirò Max, prima che lei potesse girarsi e andarsene.
“Si?” Lo sguardo della donna si concentrò sulla sua mascella liscia e squadrata, non trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Io…” Per un momento, sembrò indeciso su cosa dire, ma poi si riprese e con la sua solita espressione imperturbabile domandò: “Ci vediamo sempre qui, domani?”
“Certo che sì.” Mentì lei. “Non vedo l’ora.” Aggiunse, forzando un sorriso.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO TRE ***


CAPITOLO TRE
 
“Mi sembra davvero assurdo che tua madre – tua madre! – debba venirlo a sapere dalla signora Young.” Si lamentò indignata Emily Foster al telefono con sua figlia. “Perché non me l’hai detto? L’ho incontrata al market prima e mi ha fatto un sacco di domande sul tuo nuovo fidanzato. Non sapevo nemmeno di cosa diavolo stesse parlando!”
Maddie, il cordless incastrato tra testa e spalla, prese in mano la cartellina dell’inventario e la scorse velocemente, fino ad arrivare alla riga giusta, che evidenziò in giallo. A quel punto, mentre sua madre ancora parlava al telefono, prese un’altra scatola piena di libri e iniziò a suddividerli in due pile.
Aveva ricevuto tantissime donazioni ultimamente, perlopiù da parte di gente che, durante le pulizie di primavera, si era accorta di quanta polvere facessero i libri in casa e che, quindi, aveva deciso di disfarsene senza, però, buttarli nella spazzatura. Tuttavia, alcuni non potevano che fare quella fine, erano ridotti troppo male per poter essere utilizzati; perciò, le toccava l’ingrato compito di scegliere quali tenere e quali no. Non era una delle sue mansioni preferite, quella; eppure, preferiva di gran lunga dedicarsi a quel noioso compito piuttosto che stare ad ascoltare i deliri di sua madre.
Adorava sua madre, sul serio; però, erano tre giorni che si sforzava di non pensare all’episodio di venerdì e quella era la prima mattina in cui fosse stata in grado di riuscire in quel faticoso intento, finché sua madre non aveva chiamato.
D’accordo, tralasciando il piccolo monologo privato e decisamente tardivo che aveva avuto sotto la doccia con un Max incorporeo e frutto dei suoi ricordi – che, per la cronaca, aveva impressionato con un discorso degno di Winston Churchill -, non aveva pensato affatto a quell’uomo. Non aveva continuato a borbottare, risentita, mentre si preparava la colazione, dopo la doccia; così come non aveva espresso la sua indignazione ad Astra, in una conversazione a senso unico lungo la strada per la biblioteca, come, d’altronde, faceva da tre giorni a quella parte.
No, le piaceva credere di non averlo fatto.
Ma adesso, con sua madre che continuava a parlarne, non poteva negare nemmeno a sé stessa di sentire il doloroso imbarazzo con cui quel ricordo le pungolava il cuore e la mente.
“Mamma, la signora Young si sbaglia. Non c’è nessun fidanzato.” Ammise tranquillamente, facendo finta che quella verità non le facesse alcun effetto. Non perché volesse che Max fosse effettivamente il suo fidanzato, ma perché aveva creduto che quell’uomo, se non altro, fosse suo amico.
Il rumore metallico in sottofondo, di attrezzi che venivano maneggiati, le disse che sua madre era nel suo laboratorio artistico e si stava preparando per uno dei suoi lavori. “Sappiamo entrambe che c’è sempre una base di verità nei suoi pettegolezzi.”
“Già, come quando credeva che Charlie e Luke uscissero insieme.” Sbuffò Maddie, mentre prendeva un libro dalla scatola, lo sfogliava velocemente e lo posava nella pila di quelli che avrebbe tenuto.
“Può capitare a tutti una svista ogni tanto. E non cercare di cambiare discorso, lo so che mi stai nascondendo qualcosa, domenica non hai nemmeno voluto un pezzetto della mia crostata. L’ho notato, non credere che non l’abbia notato. Anche tuo padre se n’è accorto, e ho detto tutto.” Maddie riuscì a immaginare perfettamente la mano svolazzante di sua madre che liquidava la faccenda dandola per assodata. “Dunque, vuoi raccontarmi di questo nuovo fidanzato oppure devo chiamare Charlie e farmelo dire da lei?”
Quello era un altro tasto dolente: non aveva raccontato nulla di ciò che era successo alle sue amiche; un po’ a causa dell’imbarazzo e un po’ per paura della reazione che avrebbe avuto Charlie. Quella donna aveva una pistola e, non sapeva come funzionavano le cose nei servizi segreti, ma aveva visto abbastanza televisione da essersi convinta che avesse anche la licenza d’uccidere, e Maddie non voleva una vita sulla coscienza. Quindi, le stava lasciando credere che sabato avrebbe portato Max a cena a casa sua. Naturalmente, avrebbe inventato una scusa all’ultimo secondo per giustificare la sua assenza. Qualcosa di innocente, che non avrebbe messo Max in cattiva luce, comunque.
Dunque, alzando gli occhi al cielo, Maddie aprì un nuovo volume che aveva distrattamente preso dalla scatola e si ritrovò a fissare pagine scolorite e macchiate di muffa nel mezzo della nuvola di polvere che si innalzò dalla carta.
Iniziò a tossire e si affrettò a richiudere il libro e a buttarlo nella pila degli scarti. “Per la milionesima volta, mamma, Max non è il mio fidanzato!” Riuscì a dire tra uno starnuto e l’altro, e solo il silenzio inquietante che accolse quelle parole dall’altra parte della linea la fece render conto del suo madornale passo falso.
Chiuse gli occhi e pregò che sua madre non avesse prestato troppa attenzione alle sue parole, il ché equivaleva a sperare che qualcuno, da un giorno all’altro, si presentasse e le regalasse un milione di dollari: sarebbe stato davvero bello ma, dicerto, non ci avrebbe fatto molto affidamento.
“Quindi qualcuno c’è.” La soddisfazione di sua madre non avrebbe potuto esser più evidente nemmeno se fosse passata attraverso la cornetta e le avesse stretto la mano.
“No, non è così.” Sospirò Maddie, afferrando il telefono e appoggiandosi con un braccio alla scatola di cartone che ancora ingombrava la sua postazione.
“Dovresti invitare Max a cena, io e tuo padre vogliamo conoscerlo.”
Già, proprio una brillante idea, pensò amaramente lei. Solo al ricordo di come aveva deriso la sua proposta precedente, le veniva da piangere.
“Mamma…”
“Chiedigli se è allergico alle noci, voglio preparargli la mia torta salata. Sono sicura che l’adorerà.”
Era l’unica a trovare assurdo come, d’improvviso, tutti morissero dalla voglia di cucinare qualcosa ad un uomo che neanche conoscevano?
Fu così che tutta la frustrazione che aveva provato negli ultimi giorni le offuscò la mente e non si accorse affatto del campanello del bancone dell’accoglienza – identico a quello di un hotel, trovato per caso in un negozio delle pulci anni prima - che l’avvisò di un nuovo arrivato; anzi, sentì nascere dentro di lei il boccio dell’irritazione: “Non gli chiedo proprio niente, perché non verrà a cena, né da nessun’altra parte! Max non è il mio fidanzato e non è nemmeno un mio amico. È solo un tizio che ho conosciuto al parco. Un tizio davvero molto figo, certo, ma comunque un tizio che non rivedrò mai più, quindi smettila di insistere.”
Iniziò a muoversi nel piccolo spazio del magazzino per l’inventario, già pentendosi d’aver alzato la voce.
A sua madre, però, non parve importare più di tanto e, come nulla fosse, commentò: “Ho capito.” E a quell’insperata comprensione, Maddie prese un sospiro di sollievo. Ma l’altra non aveva finito: “Avete litigato. Non è un problema: a tutte le coppie capita di bisticciare di tanto in tanto, è normale. L’unica cosa, fammi un favore, quando voi ragazzi vi sarete riappacificati, portalo a cena a casa, d’accordo?”
Maddie posò la cornetta del telefono sul tavolo e si coprì il viso con le mani, di modo che sua madre non poté sentire il grido di frustrazione soffocato dai suoi palmi.
Riafferrò il telefono e se lo portò nuovamente all’orecchio: la donna stava ancora blaterando. Aprì la bocca, sul punto di ribadirle ancora una volta come stessero davvero le cose, quando fu raggiunta dal secondo tintinnio del campanello.
Si girò di scatto verso la porta della stanza dell’inventario che, essendo socchiusa, non le consentiva di vedere chi ci fosse dall’altra parte, in attesa dietro il bancone. La sua fronte, altrimenti liscia, si aggrottò nel tentativo di ricordare se Astra avesse abbaiato. Il cane lo faceva sempre, quando entrava qualcuno in biblioteca. Emetteva un unico latrato per avvisarla della presenza di un nuovo ospite.
Guardò l’orologio: quasi le undici e mezza. Il signor Myers doveva essere in anticipo. Strano, di solito era puntuale al secondo e non avrebbe dovuto arrivare prima di dieci minuti.
In ogni caso, a Maddie non importò. “Arrivo subito, signor Myers. Il tempo di sistemare qui e sono da lei!” Gridò in direzione della porta e, poi, a voce più bassa, si rivolse di nuovo a sua madre: “Devo andare, mamma. Ci sentiamo dopo, okay?”
“D’accordo, tesoro. Ti voglio bene.” Cinguettò di rimando.
Posò il telefono e cercò di pulirsi le mani dalla polvere dei libri, sfregandole fra loro. Mentre usciva dall’inventario si sistemò distrattamente la leggera camicetta verde, con piccoli fiorellini bianchi, che aveva indosso, ma le sue dita si congelarono sul tessuto non appena i suoi occhi si posarono sulla figura che attendeva al di là del bancone.
Si fermò sulla porta.
Sicuramente quello non era il signor Myers.
Decisamente no.
“Max.” Esalò in un sospiro sorpreso e senza fiato, costringendo i suoi piedi a muoversi, per trovare rifugio dall’altra parte del banco.
Di fianco a lui, seduta ai suoi piedi, scodinzolante di gioia, c’era Astra. Per questo non l’aveva sentita abbaiare: evidentemente non reputava che quell’uomo fosse una minaccia di cui doveva esser avvertita.
L’unico cambiamento sul viso, altrimenti impassibile, di lui fu l’ammorbidirsi dei suoi occhi che, subito, la studiarono da capo a piedi. Non fu come la prima volta che si erano visti, perché i suoi occhi parvero animati da una certa scintilla che Maddie non riuscì a identificare. In ogni caso, la reazione del suo corpo fu sempre la stessa, nonostante avesse tentato di convincersi più volte che non aveva affatto un debole per lui: cuore impazzito, palmi sudaticci e stomaco in subbuglio.
“Ciao, Maddie.” La salutò, con quella voce profonda che, si rese conto con disappunto, un po’ le era mancata. “Come stai?”
Deglutì e si costrinse a riprendere il controllo di sé. Ignorò la sua domanda e, sfoggiando il suo miglior tono indifferente – decisamente poco convincente -, chiese: “Cosa ci fai qui?”
Si fissarono per un lungo istante e Maddie vide da vicino il calore abbandonare le iridi scure di lui. Sentì subito affiorarle nel petto il senso di colpa e dovette trattenersi dal riempire il silenzio che s’era formato con le sue solite chiacchiere inutili; non fu difficile, dato il ricordo di come l’avesse zittita la volta precedente.
Per fortuna, fu Max a parlare: “Vorrei prendere in prestito un libro.”
Si mise le mani nelle tasche del giubbotto di pelle che indossava, uno da motociclista ad occhi e croce. Non aveva idea che possedesse una moto, l’aveva sempre visto a piedi; in ogni caso, non le importava.
Non erano amici, come le aveva lasciato intendere la volta scorsa, quindi non avrebbe nemmeno dovuto notarlo.
Lo guardò in viso e batté le palpebre, perplessa. “C’è una biblioteca anche a Twin Lake City.” Gli fece notare e subito arrossì alla sua sfacciataggine, ma non aveva potuto fare a meno di esprimere ad alta voce quella osservazione sorta tanto spontaneamente. In fin dei conti, non era altro che la verità: a quale scopo farsi tutti quei chilometri per prendere in prestito un libro, quando aveva un servizio identico ben più vicino?
Comunque sia, l’uomo non ne parve affatto turbato. “Preferisco questa.” Si limitò a ribattere tranquillamente.
“Va bene.” Maddie raddrizzò le spalle e si avvicinò al computer sul bancone, decisamente più a suo agio nel ruolo che rivestiva da anni: la bibliotecaria. Lui si mosse con lei, seguendola, e fermandosi proprio difronte. “Mi servirebbe un documento, devo registrarti.”
Non poteva negare che non vedesse l’ora di metter le mani sulla sua carta di identità, moriva dalla curiosità di sapere quale fosse il suo nome completo; tuttavia, l’uomo non accennò a muoversi e prendere il suo portafogli; invece, cambiò completamente argomento.
“Non sei più venuta al parco.” Osservò, senza tradire alcun biasimo.
Maddie afferrò il mouse e fissò lo sguardo sul monitor del computer, tenendosi occupata nel creare la nuova scheda di registrazione di Max. “Uhm, no.” Bofonchiò imbarazzata. “Astra non aveva molta voglia…” Come scusa era pessima anche alle sue orecchie ma, in fin dei conti, cosa diavolo si aspettava quell’uomo da lei?
Ancora una volta, Max non fece una piega. “Capisco.” Sospirò, distogliendo lo sguardo e voltandosi verso gli scaffali della sezione Gialli, alla sua sinistra. Sembrò prendere in considerazione tutte le alternative – a lei sconosciute - che gli erano rimaste e quando arrivò ad una conclusione, l’unica emozione a figurare sul volto di lui fu la determinazione. “Sei arrabbiata per quello che è successo venerdì.”
Maddie si bloccò e alzò lo sguardo dal monitor. “C-cosa?”
“Non avrei dovuto reagire in quel modo, mi dispiace. È solo che…” Se glielo avessero detto, non ci avrebbe mai creduto, eppure Max, l’impenetrabile Max, sembrò improvvisamente insicuro. “Io…” Si schiarì la gola, sempre meno determinato di prima. “Ho perso un caro amico, mesi fa e…” Poggiò una mano sul bancone e lentamente la fece scivolare verso quella di lei, che ancora teneva il mouse del computer. “Quando hai iniziato a parlare di…” Esitò e deglutì “Del padrone di Astra io…”
Paralizzata dall’intensità del dolore nel tono di lui e ipnotizzata da quella mano che, ormai, era arrivata ad un soffio dallo sfiorare la sua, Maddie non si accorse che non erano più soli.
“Giovanotto, siamo in una biblioteca, non in una discoteca. Prendi il libro per cui sei venuto e levati dai piedi, alcuni di noi non hanno tutto il giorno da perdere aspettando che tu abbia finito di importunare la signorina Foster.” Esordì il signor Myers, facendola sobbalzare dallo spavento.
L’uomo, un minuto vecchietto pelle e ossa che si sosteneva ad un bastone nodoso, fulminò Max con uno sguardo di biasimo e disapprovazione – che non parve sortire molto effetto - quando questi si raddrizzò e si voltò a guardarlo.
Era ovvio avesse travisato la scena cui si era ritrovato ad assistere: Max, leggermente proteso in avanti, sportosi per toccarla, che le parlava con voce bassa e intensa.
Maddie si affrettò ad allontanare la mano da quella pericolosamente vicina di lui e rivolse al nuovo arrivato un caloroso sorriso di benvenuto, cercando di distrarlo dal suo intento di cercare d’incenerire Max sul posto. “Buongiorno signor Myers! Come sta oggi? Venga, posi pure qui.” Disse riferendosi al libro che l’uomo aveva sottobraccio. “Sono sicura che a Max non dispiacerà cederle il suo turno.”
“Naturalmente.” Acconsentì subito l’altro, facendosi da parte. A guardarlo adesso, lo sguardo sereno e i lineamenti rilassati in un’espressione d’attesa, non si sarebbe mai potuto dire che un attimo prima fosse stato sul punto di confessarle d’un lutto ancora fresco e, senza dubbio, profondamente doloroso.
Maddie lo sbirciò fugacemente, sorpresa da quella scoperta. Non aveva idea di come comportarsi con lui, a quel punto, e, in ogni caso, non ebbe nemmeno modo di pensarci, poiché il signor Myers s’avvicinò, lanciando un’occhiataccia a Max mentre gli passava accanto.
“Ti sta dando fastidio?” Le chiese sempre con quell’aria arcigna che non l’abbandonava mai e Maddie sentì il suo cuore scaldarsi per l’affetto che provava verso l’uomo più anziano.
Sicuramente, non si poteva dire che il signor Myers fosse un gran simpaticone, era decisamente scorbutico; eppure, quando voleva, sapeva essere davvero attento e persino dolce. Era come uno di quei biscotti natalizi: un po’ bruttini e duri all’apparenza, ma sorprendentemente gustosi nella realtà.
Maddie scosse la testa. “Lo conosco.” Lo rassicurò.
Si andò a creare un silenzio teso mentre lei batteva sulla tastiera del computer per registrare la restituzione del libro del signor Myers e, poi, il nuovo prestito di quella settimana. Maddie sapeva già quale libro volesse l’uomo più anziano; stava leggendo una serie investigativa composta di cinque volumi che pareva l’avesse preso molto, pertanto, quella mattina, la prima cosa che aveva fatto era stata preparare il terzo capitolo della saga.
Mentre finiva di compilare la scheda per il prestito e si accingeva a scrivere la data di riconsegna sul foglietto apposito, interno al libro, la voce di Max ruppe il silenzio e, con quello, anche le speranze di lei di rimandare la loro conversazione a dopo che il signor Myers fosse uscito.
“Verrei volentieri a cena con te, Maddie.” Esordì, e a quelle parole, che non avrebbe mai pensato Max potesse proferire ad alta voce e difronte a testimoni, lei alzò di scatto la testa verso di lui, ad incontrare la sua espressione seria illuminata unicamente da due iridi brucianti di ritrovata determinazione.
Le labbra di Maddie si schiusero, mosse da vita propria, forse per riprender fiato o, forse, per trovare la forza di lasciarsi scappare l’assenso che, improvvisamente, agognava disperatamente di dargli.
Il momento, però, fu irrimediabilmente rovinato dall’intervento del loro pubblico e non poté far altro che voltarsi con orrore verso il signor Myers ed assistere alla catastrofe che, era sicura, si sarebbe consumata sotto i suoi occhi.
“Beh, giovanotto, questo sì che vuol dire arrivare dritti al punto.” Commentò l’uomo più anziano, catturando l’attenzione di Max. “Ho sentito dire che le nuove generazioni bruciano le tappe, ma non pensavo che il discorso valesse anche per il corteggiare una donna. Ai miei tempi non era così.” E sottolineò il concetto schioccando la lingua. “Ma sono sicuro che le donne di Sunlake sappiano ancora apprezzare il giusto impegno per conquistare il loro cuore, e la signorina Foster non fa eccezione.”
“Veramente Max non sta cercando di fare niente del genere, lui-” Si intromise subito Maddie, ma lo scetticismo con cui la guardò il signor Myers le fece chiudere di scatto la bocca.
“Sarò anche vecchio, ragazza, ma non sono stupido e, posso assicurarti, che ci vedo ancora benissimo.” E poi, tornando a guardare Max, continuò: “Allora, lo vuoi un consiglio?”
“Si, signore.” Non c’era da stupirsi che Max acconsentisse; era un uomo gentile, in fin dei conti.
Il signor Myers lo squadrò da capo a piedi e, chissà come, arrivò ad una conclusione sorprendente: “Eri nell’esercito, figliolo?”
La sorpresa dell’altro, a quella costatazione, fu espressa unicamente dal sollevarsi interrogativo d’un sopracciglio: “Si.”
E quell’unica sillaba consentì a Maddie d’aggiungere un nuovo tassello al gigantesco puzzle che era Max e finalmente, si rese conto chi le ricordasse la sua andatura e, più in generale, il suo modo di muoversi: il Maggiore Stephen Royce, il padre di Charlie.
Tuttavia, non ebbe il tempo di rimanerne troppo sorpresa, perché assistette al radicale cambiamento nell’atteggiamento dell’uomo più anziano. “Lo immaginavo. È fantastico!” Esultò come se quello fosse uno spettacolare colpo di scena. Forse, a ben pensarci, era molto probabile che per lui lo fosse, visto che, a suo dire, solo la vita militare poteva tirar su degli uomini degni d’esser chiamati tali: disciplinati e con spirito di sacrificio.
Bah, va’ a capire…
Maddie aveva smesso di provarci già da tempo.
In ogni caso, se poco prima non era stato entusiasta all’idea che Max potesse effettivamente provare un interesse romantico per lei, adesso, sotto ai suoi occhi, si trasformò nel suo più accanito sostenitore. Non aveva mai assistito a nulla del genere. Per fortuna, Maddie sapeva per certo che il signor Myers non aveva mai nemmeno cucinato un uovo sodo, in vita sua, quindi, sicuramente, non si sarebbe proposto di preparare qualcosa per lui.
“Ti dirò come ho fatto a conquistare la mia adorata Giorgi.” Disse, con un’aria severa di chi non ammette d’esser deriso. Sollevò il bastone e lo picchiettò sul braccio dell’altro, anche se già aveva tutta la sua attenzione. “Ebbene, il segreto sta tutto nel saper farla ridere.”
Chissà perché, ma Maddie non ce lo vedeva affatto il signor Myers a cercar di far ridere qualcuno, anche adesso, con quell’espressione imbronciata e leggermente arcigna non sembrava certo capace di fomentare l’ilarità nelle masse; tuttavia, lo assecondò e annuì – cosa che non sfuggì affatto a Max-, mostrandosi d’accordo, cercando di non tradire il suo scetticismo. Magari, prima della morte della moglie, il signor Myers era stato un uomo super divertente e lei era stata troppo piccola per rendersene conto.
In ogni caso, l’uomo prese il suo libro dal bancone e s’incamminò verso l’uscita, non prima, però, di fare l’occhiolino – fece l’occhiolino! – all’altro e augurargli buona fortuna – per cosa, poi, va’ a sapere.
Il mondo stava impazzendo, non c’era altra spiegazione.
Seguì stupefatta la schiena leggermente ingobbita del signor Myers, finché, con camminata claudicante, non raggiunse l’uscita e, a quel punto, fu estremamente consapevole d’esser rimasta di nuovo sola con Max.
“Ehm, allora…” Iniziò, non sapendo cosa dire.
“Vieni al parco, oggi pomeriggio.” La interruppe lui, riavvicinandosi al bancone.
Quelle esatte parole, in effetti, potevano dirsi la realizzazione di un sogno, per Maddie. In quei tre giorni che non l’aveva visto, infatti, suo malgrado, si era più volte immaginata in quella stessa situazione e, a mente fredda, con l’orgoglio ferito, si era detta che mai e poi mai avrebbe accettato di tornare in quel parco con lui.
Le sue scuse le avrebbe accettate, certo. Ma non di ricominciare tutto da capo.
A ben pensarci, era una decisione piuttosto severa; tuttavia, era una scelta obbligata per lei. Non aveva alcuna intenzione di rivivere l’esperienza che aveva avuto con Christofer. Non voleva sentirsi di nuovo in quel modo: usata e abbandonata. Come un oggetto di nessun valore.
Eppure, quelli erano i pensieri di una donna ferita e risentita, che era arrivata a quella conclusione nel silenzio della sua camera da letto, mentre cercava di addormentarsi. Adesso, invece, con il rimbombare sordo del suo cuore nelle orecchie e con quegli occhi scuri, dolci e amari al tempo stesso - come il miglior cioccolato fondente - difronte a lei, esitò.
“Io… non so se è una buona idea.”
Quello che Maddie non si sarebbe mai aspettata, però, fu quello che successe dopo. Senza che la sua espressione mutasse in alcun modo, Max disse: “Due candele hanno un incidente, una dice all’altra: “ma non l’hai visto lo stoppino?””
Presa in contropiede, Maddie si ritrovò a battere le palpebre, sorpresa, e in uno sbuffo che mascherò una risata interdetta, riuscì solo a chiedere: “Come?”
“Ha detto che avrebbe funzionato...” Spiegò, accennando alla porta da dove era uscito il signor Myers e subito continuò: “Sai perché se sali sull’autobus con il mal di testa, devi pagare due biglietti?”
Quando sentì le sue labbra piegarsi verso l’alto e iniziare a schiudersi in un sorriso, Maddie si mordicchiò il labbro inferiore e scosse la testa. “No, perché?” Domandò divertita, guardandolo da sotto le ciglia.
“Perché il mal di testa è passeggero.”
Non resistette e, portandosi una mano al viso, come per nascondersi al suo sguardo, iniziò a ridacchiare. Non tanto per la freddura in sé, quanto piuttosto per il contrasto con l’espressione mortalmente seria di Max. “Smettila, ti prego. Sono terribili.”
E fu allora che accadde. La linea dritta e severa della bocca di lui si schiuse e le rivolse un sorriso. Uno vero, che rivelò una dentatura semi perfetta e non fece altro che accentuare le deliziose fossette che gli comparvero sulle guance. Fu come una pioggia estiva, benefica e necessaria alla terra, rinfrescante e piena di vita, dopo la quale rimane il dolce odore di erba bagnata. E, inevitabilmente, quell’uomo parve diventare ancora più attraente. Un certo sollievo, misto a sorpresa, sembrò pervadere la sua espressione, come se, ormai, si fosse convinto di non esser più in grado di sorridere in quel modo: con autentico trasporto.
Per tutto il tempo di quel sorriso, parve non esserci più dolore in quelle iridi. Come se, per un momento, ogni ricordo amaro fosse stato accantonato e Max potesse finalmente tornare a respirare.
“Dimmi che verrai.” I suoi occhi sembrarono cercare l’assenso che tanto desiderava in quelli di lei e, per cancellare la piccola traccia di dubbio che vi trovò, in un sussurro aggiunse: “Por favor.”
Il suo corpo decise per lei, prima della sua mente, e Maddie si ritrovò ad annuire. “Va bene.” Riuscì ad articolare; tuttavia, la sua parte razionale parve riprendersi ed aggiunse: “Ad una condizione.”
Il sorriso di Max si approfondì. “Lo que quieras.”
Nonostante non avesse idea di cosa le avesse appena detto, Maddie immaginò che fosse il suo modo di acconsentire. “Vorrei che mi parlassi di te.”
Immaginava che, in quel modo, avrebbe potuto risolvere quel piccolo debole – ormai era evidente, inutile girarci intorno – che aveva nei confronti di Max. In fin dei conti, non lo conosceva davvero così bene. Sapeva che era un uomo silenzioso, riflessivo e gentile che, in un momento di difficoltà era stato un po’ brusco, d’accordo, ma poteva capitare, giusto? Magari, se ne avesse saputo di più, avrebbe scoperto che non sopportava affatto il modo in cui parlava di sua madre o le sue idee in fatto di musica, oppure che fumava come una ciminiera, tanto per fare un esempio. Non che questo avrebbe pregiudicato la loro amicizia ma, forse, avrebbe placato – sperava fino a spegnerla del tutto – quella sua tiepida, inopportuna e totalmente assurda infatuazione.
Anche perché era chiaro che Max avesse bisogno di un amico, di sentirsi parte di qualcosa, e Maddie – forse presa da un’acuta sindrome della crocerossina – voleva aiutarlo.
Dunque, con un semplice cenno della testa, Max acconsentì alle sue condizioni e Maddie sperò di non aver appena sancito una condanna per il suo povero cuore.
In ogni caso, l’uomo se ne andò senza prender il libro per cui aveva detto esser venuto.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO QUATTRO ***


CAPITOLO QUATTRO
 
Maddie era nervosa. Max se ne accorse non appena le parole della donna si fecero più frenetiche e, si rese conto, si stavano avvicinando alla fine della via. Non aveva voluto che l’aiutasse a portare la crostata che stringeva tra le mani, tutta incartata su un vassoio, e lui non aveva insistito. Con Astra che faceva strada, libera dalla costrizione del guinzaglio e ben consapevole di dove fossero diretti, il loro breve tragitto a piedi era stato accompagnato dalle chiacchiere rilassate e senza peso della donna, anche se, man mano che si avvicinavano a casa Moore la parlantina di Maddie si faceva sempre più veloce e incessante, non consentendogli di intervenire nella conversazione.
Non che a Max dispiacesse, tutt’altro.
Negli ultimi tre giorni, da quando la donna era tornata a sedersi sulla loro solita panchina, Max aveva pronunciato più parole di quante ne avesse mai pronunciate in vita sua e quel ritorno alle origini – a un periodo in cui lui si limitava perlopiù al silenzio - era senz’altro gradito. Si era chiesto, in effetti, cosa l’avesse spinto a prometterle di soddisfare ogni sua curiosità e, quando era uscito dalla biblioteca il martedì precedente, era stato convinto che non sarebbe mai riuscito ad assolvere a quel proposito; invece, incredibilmente, non si era mai trovato così tanto a suo agio nel parlare di sé con qualcuno.
Inoltre, adorava sentirla parlare: il suono dolce della sua voce, quel suo tono basso e calmo, lo ammaliava. Quando Maddie parlava – qualsiasi cosa dicesse, non aveva minimamente importanza se parlasse della Guerra del Golfo o il modo migliore per stirare una camicia – quel miele che erano le sue parole pareva allontanare ogni pensiero indesiderato, e Max non aveva bisogno di pensare a null’altro se non al presente.
Tuttavia, in quel particolare frangente, non capiva per quale motivo Maddie fosse così agitata; in fin dei conti, stavano andando a cena a casa dei suoi amici. Avrebbe dovuto esser lui quello agitato al solo pensiero della reazione che avrebbe avuto Charlie vedendoselo apparire davanti; eppure, non si sentiva minimamente preoccupato. All’inizio, aveva avuto i suoi dubbi su quella cena ma, man mano che l’inevitabile andava avvicinandosi, non poteva far a meno di pensare che, in fin dei conti, non era stata affatto una cattiva idea. Dopotutto, non aveva nulla da nascondere…
“È stata una pessima idea.” Commentò Maddie, decisamente controcorrente rispetto al corso dei pensieri di Max, arrestandosi bruscamente all’inizio del vialetto di una piccola villetta, costringendolo, quindi, a imitarla. Rimasero per un breve istante in silenzio, a contemplare la facciata della casa. La luce che illuminava una finestra, riverberando nell’aria fresca di quella serata primaverile, delineava le ombre dei suoi inquilini e degli altri ospiti che erano già arrivati.
“Sarà un disastro. A cosa stavo pensando? Sarà sicuramente un disastro. Scommetto che Luke parlerà del pagliaccio pazzo della Fiera del Granturco. So che lo farà. E allora Charlie ricorderà della volta in cui siamo state beccate a fare il bagno senza permesso nella piscina dei Flores e io sono caduta in acqua mentre cercavo di rimettermi la maglietta per scappare.”
Max fece il grave errore di guardare verso il basso, ai suoi seni pieni e squisitamente invitanti che spuntavano appena dalla scollatura del semplice vestito verde a pois bianchi che aveva indosso. Non era un vestito provocante, proprio per niente, a dire il vero, con i bordi leggermente slabbrati e il colore sbiadito per i troppi lavaggi; eppure, quel verde – seppure spento – le risaltava gli occhi e il delicato colore del suo viso, incorniciato tra due ciuffi castani sfuggiti alla treccia – aveva notato che li acconciava spesso in quel modo – che le ricadeva morbidamente su una spalla. In ogni caso, guardando il soffice avvallamento dei suoi seni, Max non poté fare a meno di immaginarsi Maddie, appena caduta nella piscina del signor Flores, con indosso una maglietta bianca, anch’essa fradicia, che le aderiva ad ogni curva. In quella sua fantasia, poi, lei non indossava il reggiseno e, subito, il signor Flores fu rimpiazzato da Max stesso che, sicuramente, non sarebbe stato affatto dispiaciuto di ritrovarsela difronte in quello stato.
“Mark ancora mi prende in giro per il mio costume di Hello Kitty.” La voce di Maddie fece breccia tra i suoi pensieri e Max riportò subito lo sguardo sul suo viso. Per fortuna, non si era accorta di nulla, troppo distratta dalla sua stessa agitazione. E quello era senz’altro un bene, doveva darsi una regolata, altrimenti quella cena sarebbe iniziata in modo decisamente imbarazzante. Per prima cosa, doveva calmare Maddie e prender abbastanza tempo per poter smaltire un po’ del suo entusiasmo pericolosamente esuberante.
Si schiarì la gola, sforzandosi di non distogliere gli occhi dal suo viso. “Andrà tutto bene.” E quello era più o meno tutto il suo repertorio di frasi per confortare una donna. Insomma, cos’altro c’era da dire in quei casi? Era solo una cena… Non dovevano mica prepararsi ad una lotta corpo a corpo per avere il diritto di sedersi a tavola, no? Inoltre, se qualcuno avesse rivolto a lui quelle parole di consolazione, Max era sicuro che si sarebbe saputo accontentare; invece, fu evidente che per Maddie non erano lontanamente sufficienti, perché lo ignorò completamente.
Se non avesse detto nulla, sarebbe stato lo stesso.
“Oddio. Traviseranno completamente l’intera situazione. Anzi, già lo hanno fatto! Si sono già fatti un’idea completamente assurda!”
Non aveva idea di cosa stesse parlando ma, comunque, non fu difficile vedere il panico iniziare a crescere in quelle iridi color caramello e anche Astra parve fiutare l’umore della donna perché iniziò un basso uggiolato che, ben presto, avrebbe attirato l’attenzione delle persone che li attendevano al di là della porta a pochi metri da loro.
Max fece schioccare la lingua, chiedendo – ed ottenendo - il silenzio di Astra. Voleva evitare di richiamare là fuori i loro ospiti: già aveva una donna da calmare, meglio non aggiungerne un’altra che, probabilmente, avrebbe avuto voglia di accoltellarlo piuttosto che starlo ad ascoltare.
Si ritrovò a dover improvvisare: le catturò delicatamente il mento con una mano – quella che non teneva la bottiglia di vino che aveva portato –, costringendola così a guardarlo e lui cercò di trasmetterle, con quel contatto visivo, tutta la sua sicurezza. “Sono tuoi amici Maddie. Stanno dalla tua parte. Ti vogliono bene e non diranno nulla per metterti in imbarazzo.”
“Invece lo faranno…” Ribatté subito lei, ma, almeno, con tono decisamente più calmo. Poi, distogliendo lo sguardo dal suo, continuò: “Alla fine della sera penserai o che sono noiosa o che sono pazza, e ancora non ho deciso quale delle due è peggio.”
Sentì le sue labbra sollevarsi in un sorriso. Diavolo, aveva sorriso più in quella settimana che negli ultimi dieci anni. Doveva esserci per forza qualcosa di strano in quella donna.
Mamita, ti assicuro che, la noia, è l’ultima cosa che potrei mai provare, vicino a te. Per quanto riguarda la storia della pazzia, invece, devo confessarti che non ho mai creduto tu fossi normale.” Mormorò e gli occhi di lei schizzarono di nuovo verso di lui. Le sue labbra invitanti si schiusero in un sospiro e, per un fugace momento che Max non poté non notare, lo sguardo di lei si fissò sulla sua bocca, per poi tornare ai suoi occhi. Era chiaro che stesse pensando l’avrebbe baciata e, diavolo, Max non avrebbe voluto altro. Quante volte si era chiesto che sapore avessero quelle labbra? Immaginava fossero fatte di zucchero. Era sicuro che baciare Maddie fosse l’equivalente di ingurgitare un’intera torta nuziale: quell’impennata glicemica avrebbe mandato chiunque in estasi. Solo il cielo sapeva quanto fosse amara la sua vita, e non aveva mai desiderato tanto addolcirla come in quel momento.
Ma non poteva.
Gli sarebbe bastato piegarsi in avanti e toccare quella bocca con la sua, ma non osava.
Non osava sfiorare in quel modo una donna tanto dolce e innocente. Le sue mani su di lei avrebbero lasciato solo impronte scure, indelebili. Un uomo come lui non avrebbe mai potuto avere una donna come lei.
Mai.
Ed era giusto così.
La lasciò andare e la sua mano gli ricadde lungo i fianchi. Fece un piccolo passo indietro, lontano dalla tentazione di lei. Sentì il suo viso assumere la solita espressione indecifrabile ma, comunque, non mancò di imprimere al suo tono tutta la sua convinzione quando riprese e disse: “Non c’è niente che possano dire per farmi cambiare idea su di te, Maddie. Ti conosco, e già mi hai confessato di aver distrutto lo gnomo da giardino della signora Howard e di aver incolpato un uomo innocente.” Non poté fare a meno di stuzzicarla. “Eppure, sono ancora qui.” E si sarebbe goduto ogni istante, almeno fino a che non sarebbe arrivato il momento di andarsene.
Incredibilmente, funzionò e Maddie si rilassò. Gli rivolse un sorriso di gratitudine, uno di quelli che avevano il potere di migliorare anche le giornate peggiori, prima di annuire, raddrizzare le spalle con ritrovata fiducia, salire le scale della veranda e suonare il campanello.
Ad accoglierli fu un ragazzino di circa dieci anni che non badò affatto a loro e che, invece, si rivolse al pastore tedesco. “Astra!” Il cane iniziò subito a scodinzolare quando le mani di Jake Moore gli affondarono nella pelliccia e, solo dopo aver salutato Astra, alzò la testa verso di loro. Sorrise a Maddie e a lui, anche se con una certa timidezza. Ma Max non vi badò molto, perché la sua attenzione si focalizzò sulla donna bionda in cucina, intenta ad affettare delle verdure.
Dalla porta d’ingresso, la penisola ad angolo della cucina era perfettamente visibile, e viceversa; perciò, incontrò facilmente gli allegri occhi blu che si fissarono su di lui. Ma il simpatico calore di quelle iridi si trasformò in una fornace incendiaria non appena lei lo riconobbe, e a Max furono subito chiare due cose: innanzitutto, non era affatto felice di rivederlo e, in secondo luogo, quella non era affatto la Charlie Royce che ricordava lui.
La donna di cui aveva memoria lo avrebbe fulminato con un’occhiata di gelida impassibilità, mentre alla bionda che aveva difronte non parve importare affatto di nascondere le sue emozioni e, in quel momento, gli stava riversando addosso tutta la sua rabbia.
Sì, era decisamente incazzata a giudicare dal modo in cui le sue dita si chiusero attorno al coltello che aveva in mano, ma lui, nonostante tutto, non avrebbe mai permesso alla sua espressione di tradire il minimo disagio. Comunque, non ebbe importanza, perché d’improvviso si ritrovò la visuale ostruita dal corpo di Logan Moore; lo riconobbe dalla descrizione che, immancabilmente, gli aveva fatto Maddie e dovette ammettere che descrivere quegli occhi solo come “percettivi” era una grandissima limitazione. Max non aveva idea se l’uomo avesse colto qualcosa nello sguardo della sua futura moglie ma, in ogni caso, il fare diffidente con cui lo studiò gli parve decisamente consapevole. Come se anche lui avesse una chiara idea di chi fosse – cosa alquanto improbabile visto che Charlie, vincolata dal segreto d’ufficio, non poteva parlarne.
Maddie non si accorse di quella strana tensione che s’era creata tra loro, perciò procedette, ignara, con le presentazioni. “Ciao, Logan. Lui è Max. Max, ti ho già parlato dello sceriffo.” Al sentir pronunciare la sua qualifica, le sopracciglia dell’altro si sollevarono in un gesto che Max comprese alla perfezione: ricordati che ho il potere di sbatterti in galera.
Non si accorse dell’altro uomo, che lo guardava con sorriso beffardo, dietro le spalle di Logan, finché, Maddie non glielo presentò: il famoso Luke Thomson. Lui gli sembrò proprio come Maddie glielo aveva descritto: incapace di prendere qualsiasi cosa sul serio.
Fece finta di non notare, poi, le labbra di Annabelle King muoversi, all’indirizzo dell’amica, per formare le parole “mio dio” in un evidente apprezzamento rivolto a lui. Le venne presentata anche lei e, arrivati a quel punto, mancava solo una persona: Charlie Royce.
Non servì che Maddie facesse le presentazioni, la donna si avvicinò con finta tranquillità al comitato di benvenuto che ancora li teneva lì sulla porta, arrivando alle spalle dello sceriffo. Gli mise un braccio intorno alla vita e si poggiò a lui, per poi rivolgendogli il sorriso più falso della storia, allungare un braccio e presentarsi. “Max, sono Charlie.” Calcò sul suo nome con grande enfasi. “È un piacere.” Anche se i suoi occhi dicevano chiaramente il contrario.
D’improvviso, rimasero solo loro tre sulla porta. Maddie venne trascinata dentro, insieme ad Astra, da Jake; mentre Luke ed Annabelle tornarono a controllare la cena e, da solo, Max non fu più così sicuro che fosse il benvenuto ad entrare. Non disse niente, si limitò semplicemente ad annuire, aspettando di vedere che piega avrebbe preso quella situazione.
“Vuoi che me ne occupi io, tesoro?” Chiese lo sceriffo Moore alla sua fidanzata.
La mano sinistra di lei, che sfoggiava uno splendido diamante, si strofinò sul tessuto della maglia di lui, in un inconfondibile gesto di rassicurazione. Scosse la testa. “Ci metto cinque minuti, cowboy. Al massimo dieci.” E su quelle parole, Max fu spinto fuori di casa e si ritrovò, ancora una volta, sul vialetto di quella stessa villetta che poco prima aveva trovato tanto accogliente. La donna gli afferrò un braccio e lo trascinò fino alla strada. Max glielo lasciò fare, in fin dei conti, era grato che non si fosse portata dietro il coltello.
Si fermarono sul marciapiede e, solo allora, lei lo lasciò.
“Che diavolo ci fai qui, Luis?”
Sentirle pronunciare il suo nome di battesimo gli diede più fastidio del solito. Quel nome era legato a doppio filo a decisioni a cui preferiva non pensare.
Luis Maximo Rios aveva un unico ricordo di sua madre: un’indistinta figura minuta, dai capelli castani, sempre sdraiata sul letto, avvolta dalle coperte che, pareva, dovessero proteggerla dal resto del mondo. Solo quando era diventato più grande era riuscito a dare un nome alla malattia che, alla fine, aveva costretto sua madre ad un gesto disperato: depressione. Era stata la sua abuela a dirgli che, se sua madre aveva avuto quel mostro a divorarla da dentro, la colpa era stata solo di suo padre.
Suo padre - l’uomo che la mamma aveva amato più di qualsiasi altra cosa, e che lui non aveva mai visto - aveva un’altra famiglia. Aveva un'altra donna.
Quindi, non c’era stato nulla per lei al di fuori del suo letto e delle sue lacrime. Niente era parso alleviare l’indicibile sofferenza di quell’abbandono, nemmeno suo figlio. Un figlio che portava lo stesso nome – ma non il cognome - dell’uomo che le aveva spezzato il cuore.
“Tu non sei come tuo padre, mi hijo.” Gli diceva la sua abuela. “Non diventare mai come lui. Rimani sempre il mio dolce e tenero Max.”
Pertanto, il rifiuto di sua nonna di chiamarlo Luis, come l’uomo che le aveva portato via sua figlia, lo aveva ribattezzato e, per tutta la sua infanzia, passando per l’adolescenza, ed arrivando fino alla sua giovinezza, lui era sempre stato, agli occhi del mondo, solo Max.
Poi, tutto era cambiato quando sua nonna, l’unica persona che gli era rimasta, era morta.
Ricordava ancora il momento esatto in cui aveva ricevuto quella chiamata devastante: stava per entrare in aula. Era il suo primo anno di college e aveva scelto ingegneria civile come indirizzo, perché sua nonna aveva sempre desiderato avere un ingegnere in famiglia. Gli piaceva ma, in fin dei conti, era consapevole che lo stava facendo solo per lei. Ma il dolore che la sua scomparsa aveva provocato – soprattutto perché non era riuscito a perdonarsi di non esser stato al suo fianco quando era successo - l’aveva portato a cercare sollievo in fondo ad una bottiglia.
Aveva passato i successivi sei mesi in un perenne stato di stordimento, finché non gli era stata revocata la borsa di studio e, d’improvviso, il sogno di sua nonna era evaporato. Era stato l’equivalente di una megagalattica botta in testa, per lui. Come se avesse sentito sua nonna, dall’aldilà, gridargli di piantarla di piangersi addosso.
Solo e senza soldi, non aveva potuto fare nulla per salvare la sua carriera universitaria; pertanto, si era arruolato nell’esercito. Se non altro, il quel modo, avrebbe dovuto per forza rigare dritto.
Ma, lo sapeva, la guerra avrebbe macchiato per sempre le sue mani del sangue di altri uomini. Uomini che, come lui, combattevano per il loro paese. E quelle non potevano essere le mani di Max, il dolce e tenero Max che sua nonna aveva amato come un figlio. Pertanto, da quel momento, fino al presente, Max era scomparso e, al suo posto, era rimasto Luis. Tutti, anche Daniel, l’unico – e il più caro - amico che si era fatto all’accademia, lo avevano sempre chiamato così.
Finché, Maddie Foster non aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato il suo, e lui si era ritrovato a contemplare occhi color caramello. Un’unica parola gli era risuonata nella testa a quella vista: zucchero. Quella donna era, in assoluto, la cosa più zuccherosa su cui avrebbe mai potuto mettere gli occhi e, inaspettatamente, si era ritrovato a desiderare che quelle labbra, rosse come succose ciliegie, pronunciassero il suo nome. Non poteva sopportare l’idea che lei lo chiamasse in un modo che, in fin dei conti, non gli era mai appartenuto. Avrebbe odiato sentirsi chiamare Luis da lei.
Naturalmente, aveva saputo fin da subito che non avrebbe mai potuto anche solo sfiorare quella donna con lei sue mani imbrattate di dolore e sofferenza, rischiando così di contaminarla. Aveva cercato di combattere contro sé stesso, ma a nulla era servita la consapevolezza d’avere tre identità fittizie su cui avrebbe potuto facilmente ripiegare, al momento delle presentazioni; invece, le aveva regalato la parte più segreta di sé e lei, naturalmente, nemmeno lo sapeva.
Ma a Charlie Royce, è ovvio, non lo avrebbe mai detto; perciò, si limitò a scrollare le spalle e disse: “Mi hanno mandato a risolvere il disastro che hai combinato.” E, dopotutto, quella era la verità – o almeno, una parte.
Dall’ esperienza nell’esercito, lui e Daniel erano finiti nelle forze speciali e, poi, sempre insieme, ai servizi segreti. Era lì che aveva conosciuto Charlie. Non avevano mai stretto amicizia, sia a causa del fare schivo di Max, sia per la diffidenza a cui il loro ambiente lavorativo li abituava.
Tuttavia, Max aveva ben presenti le migliaia di voci che circolavano su di lei, e se erano così tante era principalmente per un unico motivo: Charlie Royce era di gran lunga la migliore nel suo ambito. Se volevi esser sicuro di ottenere informazioni di qualità su un determinato obiettivo, o avevi bisogno di trovare una persona – non importava che si fosse nascosta nel più piccolo e insulso buco sulla faccia della terra – Charlie era la donna a cui ti affidavi. E questo, unito al fatto che era oggettivamente una donna irraggiungibile e dalla bellezza disarmante, suscitava grande invidia tra i loro colleghi, che le avevano anche affibbiato un nomignolo: Bionda.
Dicerto, non era difficile affrenarne la frecciatina maligna.
A Max quegli idioti non erano mai piaciuti granché e, proprio per questo – e per il suo essere solitario –, avevano affibbiato un nomignolo anche a lui. Sapeva perfettamente cosa si dicesse sul suo conto: veniva dipinto come un uomo senza scrupoli, un sicario a sangue freddo. Forse alcuni avrebbero persino giurato che fosse crudele, ma per Max, non c’era alcuna differenza tra l’uccidere qualcuno in uno scontro di guerriglia, oppure piantargli una pallottola in mezzo agli occhi nel sonno, nel letto di casa sua. Era pur sempre guerra e lui rimaneva pur sempre un soldato. Anzi, forse, in quel modo, aveva l’occasione di colpire in maniera mirata solo gente davvero spregevole: trafficanti di droga, di organi, di donne e bambini, terroristi e altri avvoltoi che portavano via della povera gente da casa loro, approfittandosi delle loro sventure.
In ogni caso, un anno prima, Charlie aveva individuato un noto trafficante di droga, Cole Rodriguez, nella zona di Twin Lake City. Tuttavia, la sua operazione – che poi era stata anche l’ultima – aveva portato all’arresto di tre tirapiedi di Rodriguez, mettendo l’uomo, già latitante, sul chi vive e spingendolo a nascondersi.
Pertanto, adesso, ai piani alti avevano un bel grattacapo. E se i suoi superiori avevano un problema, allora chiedevano a Max di occuparsene e, il problema, semplicemente, smetteva di esistere.
Ma quello, non spiegava affatto cosa ci facesse lui in compagnia di Maddie e Charlie Royce non era un idiota. “Sai perfettamente a cosa mi sto riferendo, Luis. Non prendermi per il culo.”
Max rimase semplicemente a fissarla, con la sua migliore faccia da poker. Si, sapeva a cosa si riferisse, ma non lo avrebbe comunque ammesso. Invece, decise che quello era un ottimo momento per una sigaretta.
Era un’abitudine sporadica, che si concedeva solo per poter stemperare la tensione. Se ne portava sempre dietro una, e l’ultima che aveva fumato risaliva ad almeno due mesi prima.
La donna non nascose affatto la sua irritazione – sembrava diventata incapace di celare qualsiasi emozione, in verità – nel vederlo accendersi in tutta tranquillità la sua sigaretta e prenderne la prima boccata.
“Devi stare lontano da Maddie.”
Quasi non scoppiò a ridere. Quasi. “Non ci penso proprio, Bionda.”
Charlie non fece una piega al sentirgli tirar fuori quel nomignolo; anche perché Max non gli diede affatto un’accezione negativa. Quanta gente aveva fregato, quella donna, fingendosi una bionda imbranata senza cervello? Forse, era più un monito: non doveva dimenticare quanto Charlie fosse pericolosa.
“Se credi di poter venire qua, fare il cascamorto con la mia migliore amica, rubarle il cane e-”
“Non è rubare. Lo chiamerei: recuperare una cosa che mi appartiene.” La interruppe.
“Non è tua, era di Daniel. Tu non hai mai avuto alcun diritto su Astra.”
Guardò il fumo farsi strada verso l’alto, in sinuose spirali grigiastre. “Avrebbe voluto che l’avessi io.”
“Non puoi saperlo, Luis. Non puoi-”
“Era il mio migliore amico! Vivevamo insieme, dannazione! Quel cane è l’ultima cosa che mi sia rimasta di lui!” Si sforzò di calmarsi, ma il suo tono fu pericolosamente basso quando continuò: “Sei tu che non sai un bel niente, Bionda, e lo dimostra il fatto che continui a chiamarmi con il nome sbagliato.”
L’atteggiamento della donna cambiò drasticamente alle sue parole e Max cercò di ignorare la fugace scintilla di pietà che attraversò gli occhi di lei. Quasi quasi la preferiva armata di coltello.
In ogni caso, il suo atteggiamento sospettoso venne sostituito da genuina curiosità, che nascondeva una compassionevole comprensione. Piegò la testa su una spalla e lo guardò dal basso verso l’alto, anche se, c’era da dire, che quella donna riusciva a dar l’impressione di poter sovrastare anche un uomo di cinque metri.
“L’avrebbero affidata a te, lo sappiamo entrambi, però, chissà perché, hai deciso di tirare un destro a Sanders.” Fece spallucce, come se quella non fosse poi gran cosa. “Mi hanno detto che è stato proprio un bel gancio, a proposito, e, ti dirò, un po’ ti invidio. Di certo, però, non ha aiutato la tua causa tirare un pugno a quel viscido bastardo. Di sicuro ti sarai accorto di quanto può essere vendicativo.”
Già, non aveva aiutato affatto. Non tanto perché Sanders avesse un chissà quale ascendente sui vertici del suo dipartimento ma, soprattutto, perché Max non si era affatto giustificato. Aveva lasciato che Sanders raccontasse la sua versione e, nonostante fossero un gran bel mucchio di cazzate, Max non aveva dato voce alle sue motivazioni. Non aveva ripetuto a nessuno le parole che quello stronzo aveva avuto il coraggio di dire su Daniel – morto da nemmeno una settimana, all’epoca. Aveva accettato la sua sospensione di due mesi e l’obbligo di vedere uno psicologo che l’aiutasse ad affrontare la difficile perdita che stava affrontando.
Quindi, Max si era limitato ad accettare le conseguenze. Ripensava sempre con grande vergogna alla sua reazione e, ogni volta, si ritrovava a chiedersi cosa avrebbe detto sua nonna di quella vicenda. Sicuramente la sua abuela non ne sarebbe stata contenta, come quella volta in cui era dovuta andare a prenderlo a scuola perché era stato coinvolto in una rissa. Non aveva avuto importanza che fosse intervenuto per difendere un suo compagno di scuola: “la violenza non può mai essere la soluzione, Max” gli aveva detto e lui, che in mezzo alla guerra ci aveva vissuto, lo sapeva benissimo.
Si era immaginato sua nonna scuotere lentamente la testa in un gesto che esprimeva tutta la sua delusione e si era sentito pervadere dalla vergogna; tuttavia, non poteva credere avessero deciso di togliergli Astra, l’unica famiglia che, a quel punto, gli era rimasta. Aveva cercato di percorrere tutte le vie legali per farsela ridare ma, a distanza di nove mesi, le speranze che potesse riuscirci si erano drasticamente ridotte. Pertanto, quando aveva sentito dell’incarico lì a Twin Lake, aveva colto la palla al balzo.
Charlie aveva ragione, all’inizio aveva pensato di riprendersi Astra e portarsela via; nonostante si fosse detto che lo avrebbe fatto solo nel caso avesse constatato che il cane fosse stato infelice, lontano da lui. Inutile dire che, quella, era solo una scusa, che quello infelice era lui e che quindi non avrebbe avuto importanza a chi l’avevano affidata: l’avrebbe portata via in ogni caso.
I suoi piani, però, non avevano tenuto conto di un’incognita dagli occhi color caramello.
La prima volta che aveva chiesto a Maddie di accompagnarla al parco, aveva cercato di convincersi che, quella proposta, servisse solo per portare a termine i suoi propositi. Così come la seconda volta, e la terza e tutta la settimana che era venuta.
Poi, quando Maddie non si era più presentata, aveva capito d’aver preso una decisione già dal primo giorno: avrebbe lasciato Astra lì, con quella donna che l’amava incondizionatamente. Gli era rimasta solo una cosa da fare, a quel punto: portare a termine l’incarico e poi sparire. Tuttavia, non era riuscito a far pace con il tormento di averla ferita e, per quel motivo, aveva continuato a tornare al parco nella speranza che lei si presentasse. Si era detto che, se al terzo giorno non si fosse fatta viva, avrebbe lasciato perdere; invece, ancora una volta, era andato contro ad ogni suo pensiero razionale ed era andato a cercarla.
Max si rigirò la sigaretta tra pollice e indice, osservando per un momento la punta rossa consumare la carta e il tabacco, per poi portarsela di nuovo alla bocca.
“Non mi dirai cosa ti ha detto per farti incazzare in quel modo, vero?” Al silenzio ostinato di Max, Charlie sbuffò. “Tu che perdi le staffe, quando me l’hanno detto non ci credevo… Vuoi sapere cosa penso?”
“In realtà, no. Ma sono sicuro me lo dirai comunque.”
“Penso che tu avresti molte più chance di riottenere Astra se solo ti decidessi a confessare che Sanders ha offeso la memoria di Daniel; ma, fino ad allora, non ti permetterò di fare degli stupidi giochetti con la mia migliore amica. Devi andartene.” La veemenza di quest’ultime parole non lasciarono dubbi che Charlie sarebbe ricorsa a qualsiasi espediente pur di tenerlo lontano dalla sua vita.
Si voltò a guardarla. No, quella non era la Charlie Royce di cui aveva sentito così tante voci. Quella donna non avrebbe mai scoperto le sue carte così in fretta; eppure, questa sua versione, spinta dall’impeto dell’amore verso i suoi affetti, sembrava di gran lunga più pericolosa e capace di tutto. In ogni caso, Max non si scompose. “Mi hai invitato a cena, e ora mi stai cacciando via?” Domandò tranquillamente.
“Esatto.”
“Non sembra molto gentile da parte tua.”
La replica di Charlie fu interrotta dall’aprirsi della porta d’ingresso e dalla comparsa di Maddie sulla soglia. Vistosamente perplessa dal trovarli da soli lì fuori, gli occhi di lei cercarono subito Max, come per assicurarsi che fosse ancora tutto intero e, con fare esitante, chiese: “Tutto bene, ragazzi?”
Nonostante la domanda fosse posta ad entrambi, era chiaro che Maddie si stesse rivolgendo a lui.
“Tutto bene, Diddi.” La rassicurò Charlie, ma l’altra donna, a parte una rapida occhiata all’amica, non si mosse e continuò a guardarlo.
Quella sua tenera preoccupazione era una delle cose più dolci che avesse mai visto. Quanto tempo era passato da ché qualcuno si fosse dato pensiero per lui? L’ultima era stata sua nonna.
Le labbra di Max si aprirono in un sorriso – non ne poteva proprio fare a meno – e annuì. “Stavamo solo chiacchierando.”
Gli occhi di Maddie si spostarono, scettici, su Charlie: era ovvio che credesse l’amica lo stesse mettendo in guardia dal nuocerle in qualsiasi modo e, in effetti, era proprio quello che stava facendo.
“È pronto. Rientrate?” Non gli sfuggì la nota leggermente supplichevole con cui lo chiese, nell’evidente speranza di interrompere gli ammonimenti invadenti – dal punto di vista di Maddie – che Charlie si era auto incaricata di rivolgergli. Non sapeva che, in realtà, la sua amica aveva tutte le ragioni di non volerlo a cena lì, quella sera.
Max annuì. “Cierto. Arriviamo subito.”
La guardò rientrare, incantato dall’ondeggiare sinuoso della sua treccia sulle spalle, così come dal movimento aggraziato dei suoi fianchi morbidi e femminili, avvolti dalla stoffa verde del suo vestito. Solo quando la porta si richiuse dietro di lei, si voltò verso Charlie. La trovò a fissarlo, entrambe le sopracciglia inarcate verso l’alto e la sorpresa, già ben evidente sul suo viso, parve aumentare ancor di più e la donna sbatté le palpebre più volte, come se fosse stata presa in contropiede.
Fu solo per quel motivo che Max si rese conto di star ancora sorridendo.
Era certo che Charlie non lo avesse mai visto ridere né, tantomeno, sorridere. In realtà, nessuno in dipartimento, tranne Daniele ovviamente, poteva dire di avergli visto quell’espressione in volto e Max sapeva per certo che quello fosse uno dei principali motivi che alimentavano le voci sulla sua presunta spietatezza.
Il suo sorriso gli morì sulle labbra e subito si nascose dietro alla sua maschera di imperturbabilità. Anche se, ormai, era tardi.
Gli occhi blu di Charlie lo studiarono attentamente e poi, sorprendendolo, si avviò verso casa: “Spero ti piaccia la lasagna.”
 
Maddie aveva ragione: Luke parlò eccome della fiera del granturco. Venne fuori che Maddie aveva il terrore dei clown e nessuno le aveva detto che, all’ultimo momento, ne era stato ingaggiato uno per intrattenere i bambini più piccoli. Fu evidente che l’uomo fosse oltremodo divertito dalla reazione spropositata che Maddie aveva avuto, quando il pagliaccio – che poi, altri non era che suo cugino – l’aveva sorpresa alle spalle: gli aveva rovesciato addosso il contenuto del suo bicchiere e del suo piatto, urlando come una matta. Tuttavia, negli occhi dei suoi amici era ben evidente il profondo affetto e la stima che nutrivano nei suoi confronti, soprattutto quando arrivò alla parte in cui Maddie si era frapposta tra il piccolo Jake, ancora seienne, e il loro terribile assalitore.
Durante quello spassoso racconto, Max, in modo assolutamente naturale, aveva allungato una mano sotto il tavolo, fino a toccarle il ginocchio in una breve stretta che voleva essere d’incoraggiamento, ma la sua ritirata era stata bloccata dalla mano calda di Maddie che aveva stretto la sua, fino alla fine della storia.
Per il resto, la serata era stata alquanto piacevole. Come Maddie – che non si era affatto trattenuta in complimenti – aveva adorato la trota di Annabelle e, alla fine della cena, aveva anche mangiato i famosi biscotti di Charlie. Non li trovava affatto schifosi come sosteneva Maddie; certo non erano eccezionali ma, di sicuro, lui non li avrebbe disdegnati e, infatti, sotto lo sguardo sconcertato e assolutamente disgustato di Jake, Max aveva spazzolato mezzo vassoio.
Fu così che, alla fine di quella serata, si ritrovò di nuovo a salire i gradini della veranda di Maddie, guardandola tirare fuori le chiavi di casa dalla sua borsa. Non perse tempo e le infilò velocemente nella toppa ed aprì la porta quel tanto che bastava per permettere ad Astra di entrare in casa. Maddie, però, rimase lì, sulla soglia e si voltò verso di lui.
Max ricambiò il sorriso che lei gli rivolse ed osservò attentamente i suoi denti affondare nella morbida carne del suo labbro inferiore, preda dell’indecisione.
“Vuoi entrare?” Subito le sue guance presero colore. “Per bere qualcosa, naturalmente. In realtà, ho solo l’acqua, però, forse potrei avere una birra, ma non ci giurerei. Ma posso sempre farti un tè, se vuoi!” E subito fece una smorfia. “Anche se, fa troppo caldo per il tè. Una limonata magari… Ho fatto la spesa proprio questa mattina, quindi sono sicura di avere i limoni.”
Max si appoggiò allo stipite della porta. Non aveva idea del perché di quella improvvisa agitazione ma trovava gli strani ragionamenti della sua mente fin troppo avvincenti e affascinanti per interromperla. “Forse è meglio che vada, Mamita.” Anche quella volta, parve che quel nomignolo le facesse effetto, perché le sue labbra si schiusero e il suo petto si alzò in un profondo sospiro. Si allungò a sistemarle una ciocca dietro l’orecchio e dovette sforzarsi di allontanarsi da lei e smettere di toccarla. “Buenas noches.”
Scese il secondo gradino, diretto alla sua moto, prima che lei lo chiamasse. “Max.”
Si girò e le sorrise; tuttavia, non fu affatto preparato a ciò che successe dopo. Come se, tutto d’un tratto, una donna molto più sicura di sé avesse preso possesso del suo corpo, Maddie gli andò incontro, fermandoglisi proprio difronte.
Con due scalini di differenza, erano esattamente alla stessa altezza, perciò Maddie non dovette allungarsi per posargli le mani sulle spalle. A quel contatto, così intraprendente da parte di lei, Max si immobilizzò. Gli parve di uscire dal suo corpo e assistere alla scena da fuori. Le mani di lei, leggere come farfalle, si fecero strada verso l’alto, solleticandogli il collo, fino a fermarsi sulle sue guance. A quel punto, Maddie si chinò in avanti e labbra morbide si posarono sulle sue, in un contatto appena pronunciato. Tanto lieve quanto breve.
Lei per prima parve stupirsi dalla sua audacia, perché arrossì e, timidamente, in un sussurrò riuscì a dirgli: “Buonanotte, Max.” Poi, senza voltarsi indietro, si rifugiò oltre l’uscio di casa sua.
Lui rimase ancora lì, fermo sul secondo gradino della veranda. Si passò la lingua sulle labbra, nel tentativo di riuscire a scoprire che sapore avesse la bocca di lei, ma quel bacio era stato troppo volatile, impercettibile, pertanto non aveva lasciato alcuna traccia del suo passaggio.
Senza saperlo, Maddie aveva appena disintegrato ogni sua più ferrea intenzione a starle lontano, perché, d’improvviso, la sua voglia d’assaggiare lo zucchero delle labbra di lei, si fece necessità.
 
 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO CINQUE ***


CAPITOLO CINQUE
 
Non avrebbe mai più toccato un goccio di vino.
Mai più.
Se l’era già detto altre volte, prima d’allora, ma adesso gli eventi l’avevano messa difronte all’evidenza: l’alcool portava solo a pessime decisioni.
Prima Gino e poi questo.
D’accordo, forse qualcuno avrebbe potuto sostenere che quella era una scelta fin troppo drastica. In fin dei conti, due bicchieri li reggeva benissimo e non si era mai ubriacata in vita sua. Ma, allora, cosa diavolo le era preso?
Tra tutte le cose che avrebbe potuto fare, aveva scelto di baciare Max! Non era assolutamente una cosa che avrebbe fatto da sobria. Era sempre stata una donna coscienziosa.
Sempre.
Aveva sempre pagato le bollette, fatto la fila alla posta, ogni domenica andava a trovare i suoi genitori e la cosa più estrema che si era mai concessa era di non mettere il reggiseno per andare a fare la spesa.
Certo, senza contare la volta in cui si era finta la moglie di Charlie al concessionario del signor Edwards, l’anno precedente. Oppure, quando aveva fatto la Charlie’s Angel. Per non parlare di quando era una ragazzina e Charlie la trascinava in ogni sorta di guaio.
Ecco, in effetti, ora che ci pensava, era l’influenza dell’altra a renderla avventata e sconsiderata; infatti, proprio la sera prima, quando Max aveva rifiutato il suo invito ad entrare e l’aveva salutata sulla soglia di casa sua, Maddie si era chiesta “cosa farebbe Charlie al mio posto?” e da lì, da quella semplice domanda innocente, si era ritrovata a sfiorare le labbra di lui.
Dopo, non era nemmeno riuscita a dormire. Si era rigirata nel letto chiedendosi più e più volte cosa diavolo potesse aver pensato Max di quel suo goffo tentativo di rendersi sensuale. Probabilmente credeva fosse una disperata. Magari, quel bacio, lo aveva trovato addirittura terribile!
Santo cielo, doveva smettere di rendersi ridicola difronte agli uomini: era troppo vecchia. Si era ripromessa che, dopo Christopher, non si sarebbe mai più invischiata in una situazione di quel tipo e, invece, aveva baciato – sempre se di bacio si potesse parlare – un uomo che, sicuramente, non sarebbe rimasto.
Un uomo che aveva un’altra vita; un uomo che – era evidente – poteva avere qualsiasi donna desiderasse e che era decisamente fuori dalla sua portata.
Max era a Sunlake solo per lavoro, doveva tenerlo ben a mente e, semmai si fosse ritrovata in un’improbabile situazione simile a quella con Christopher, doveva evitare di intraprendere una relazione puramente fisica con lui. Non che ci fosse qualcosa di male, ma lei non era affatto capace di prescindere il sesso dal sentimento. Per Maddie non esisteva l’uno senza l’altro, e innamorarsi di Max voleva dire risvegliarsi di nuovo da sola nel letto con uno spazio vuoto nel petto, in corrispondenza del cuore.
Quella di Christopher era una lezione che non avrebbe dimenticato.
Assolutamente no.
Se non altro perché, la volta precedente, la mortificazione aveva rischiato di devastarla.
Per fortuna, però, aveva un piano. Un piano alquanto ridicolo e infantile ma, comunque, un buon piano che, sicuramente, avrebbe potuto risolvere il problema che più le dava pensiero: come avrebbe fatto a guardare nuovamente negli occhi Max con la consapevolezza d’esser stata una stupida? Non poteva. O, almeno, avrebbe dovuto far passare abbastanza tempo di modo che lui se ne scordasse: qualche anno, magari. Così, lei avrebbe avuto tutto il tempo di trovare un brav’uomo, sposarsi e metter su famiglia. Allora, quando Max fosse ripassato da quelle parti, semmai fosse successo, lei avrebbe riso di quella volta in cui aveva cercato di baciarlo perché, ormai, sarebbe stata sposata e non avrebbe avuto più alcuna importanza.
Cosa mai poteva andare storto? Bastava solo evitarlo per più di trecentosessantacinque giorni e i giochi erano fatti. Non sarebbe stato nemmeno troppo difficile: non si erano scambiati il numero di telefono e lui, prima o poi, sarebbe ripartito; quindi, ecco fatto.
Era tutta la vita che evitava quell’idiota di Cameron Harris: ormai era allenata.
C’era un unico problema, però, a cui Maddie non aveva pensato: Cameron non era mai stato interessato ad incontrarla. In più, a differenza della volta precedente – in cui aveva avuto una valida ragione -, si sentiva incredibilmente in colpa a dar buca a Max per il loro solito appuntamento al parco. E proprio per questo, almeno per quella domenica, aveva fatto di tutto per tenersi impegnata: aveva pulito da cima a fondo casa, riordinato il suo guardaroba secondo le gradazioni di colore, così come la sua libreria e la sua collezione di vinili in ordine alfabetico.
Quando aveva finito erano le undici e trenta e, al solo pensiero di Max che la doveva star aspettando già da mezz’ora, ormai, il suo stomaco si era contratto in una morsa.
Ad acuire quel suo senso di colpa, poi, aveva provveduto Charlie. La donna, infatti, stranamente preoccupata, l’aveva chiamata inspiegabilmente un cinque minuti dopo, per chiederle dove fosse e se stesse bene. E quando lei le aveva detto che si era svegliata all’alba per poter ripulire da cima a fondo casa sua e che, sì, stava bene, dall’altro capo della linea era seguito un lunghissimo silenzio prima che l’amica, quasi come nulla fosse, domandasse: “Non dovevi vederti con Max?”
“Si…” Era risuscita a rispondere in un mormorio colpevole.
“Non capisco. È successo qualcosa ieri sera?”
“Nah, non direi…” Era riuscita ad articolare in maniera non troppo convincente.
“Cos’ha fatto?” Silenzio. “Ti giuro, sto per uscire di casa e andare a cercarlo, Diddi. Dimmi che diavolo ha fatto.”
“Niente!” Aveva cercato subito di rabbonirla. “La colpa è mia. Ho fatto un casino ed ora sono troppo in imbarazzo per rivederlo, quindi ho deciso di evitarlo, però ora mi sento così tanto in colpa che io… non so più cosa devo fare, Charlie.” Le ultime parole erano state soffocate dal piccolo cuscino viola del suo divano, nel quale aveva immerso la faccia.
La risata di sollievo di Charlie le era risuonata nell’orecchio. “Addirittura. Cosa puoi aver mai fatto di tanto terribile?”
“Non ha importanza.” Aveva brontolato nella morbida stoffa.
“Potrà anche esser vero ma voglio saperlo comunque.” Il divertimento nella sua voce era evidente. “Lo hai insultato?”
Maddie aveva alzato di scatto la testa dal divano a quell’ipotesi. “No! Non lo farei mai.”
“Non di proposito ma magari hai detto qualcosa che potrebbe averlo offeso.”
“Non è per qualcosa che ho detto.”
“Non vedo cosa tu possa aver fatto, allora. Insomma, non gli sarai mica saltata addosso, no?” Aveva suggerito piena di divertita ironia ma, poi, quando Maddie non aveva risposto, il suo tono era diventato incredulo. “Aspetta, gli sei saltata addosso?”
“Non la metterei proprio così…” Era riuscita a balbettare e poi le aveva raccontato di come, la sera prima, si era fatta avanti e aveva ricambiato la buonanotte di Max con un bacio a fior di labbra.
“È fantastico!” Aveva esultato Charlie.
Maddie era riemersa dal cuscino e aveva aggrottato la fronte. “Come fa ad essere fantastico? Adesso penserà che io abbia una cotta per lui e che passo tutte le mie notti a scrivere i nostri nomi sul mio diario rosa tra centinaia di cuoricini rossi. Il che non potrebbe essere più lontano dalla realtà: non ce l’ho nemmeno un diario!”
“Mi sembra che tu stia esagerando. Lo hai baciato, e allora? La gente si bacia in continuazione…”
“Probabilmente l’avrà trovato orribile.”
“Non l’ha trovato orribile.”
L’aveva ignorata. “È tutta colpa di quel secondo calice di vino. Non avrei mai dovuto berlo, maledizione.”
“Diddi, sono certa che a Max non sia dispiaciuto affatto.”
La convinzione nel tono di Charlie l’aveva un po’ rincuorata. “Lo pensi davvero?”
“Ne sono sicura. E sono davvero fiera di te, sul serio. Per una volta hai preso l’iniziativa, così si fa! E stai tranquilla, non hai fatto assolutamente niente di male, anzi, sei stata fantastica e sono sicura che lo pensa anche Max. Quindi, non c’è nessun motivo di nascondersi, devi affrontarlo a testa alta. E se lui è così idiota da non voler ripetere l’esperienza, allora chi se ne frega. Non è l’unico uomo sulla faccia della terra!”
Maddie si era raddrizzata sul divano, le parole dell’amica le avevano dato nuova carica, come un allenatore che motiva la sua squadra per sconfiggere un avversario impegnativo. “Già! Posso baciare tutti gli uomini che mi pare e quando mi pare!” Le aveva fatto eco, sull’onda dell’entusiasmo.
Charlie aveva riso, deliziata da quella sua ritrovata vitalità. “Dannatamente giusto, sorella. Perciò, nuovo piano: domani vai lì e lo affronti.”
E quale modo migliore di fare ammenda e alleviare i suoi sensi di colpa se non preparare una bella torta per l’uomo che aveva lasciato da solo su una panchina ad aspettarla? Pertanto, quel pomeriggio, Maddie si ritrovò al market della signora Peterson. Aveva lasciato Astra fuori, a giocare con Jake e i suoi amici in piazza, mentre lei prendeva tutto l’occorrente che le serviva.
A quell’ora, il negozio era vuoto. C’erano solo lei, Daisy Peterson, naturalmente, e Lara Young, la moglie del sindaco. Tutti sapevano che l’hobby preferito della donna era spettegolare; perciò, non c’era da sorprendersi se, mentre sistemava la spesa sul bancone davanti a Daisy, ne approfittasse per mettere l’altra al corrente delle ultime novità.
Le loro chiacchiere, quindi, facevano da sottofondo mentre Maddie sceglieva la confettura con cui farcire la sua crostata: fragole o albicocche?
“Qualcuno dovrebbe fare qualcosa. Quel ragazzo sta davvero esagerando. Prima rompe le preziose statuette da giardino di Gracie e poi nemmeno si assume le sue responsabilità.” Stava dicendo la signora Young.
Maddie guardò attentamente l’etichetta della confezione che stringeva nella mano destra. Sapeva di gente che era allergica ai frutti di bosco e non sapeva se Max fosse tra questi, quindi, forse era meglio ripiegare sulla marmellata di albicocche.
“Ancora sostiene che non sia stato lui?” Sbuffò Daisy. “Emma l’ha visto rompere quel maledetto affare, è inutile che contini a negare. Dovrebbe occuparsene Logan, così vediamo se Cameron avrà ancora voglia di scherzare.”
Tuttavia, Maddie preferiva di gran lunga quella di fragole. Era più dolce e con la frolla ci stava decisamente meglio; però, certamente, non poteva rischiare che Max non la mangiasse. Anche perché, quell’uomo evitava persino di mettere lo zucchero nel caffè! E se ne era accorta eccome, diavolo...
“Oh, salve!” Non fece molto caso al tono sorpreso della signora Peterson all’ingresso di un nuovo cliente; anche se, teoricamente, avrebbe dovuto visto che, in un paese come Sunlake, i suoi acquirenti erano sempre gli stessi da più di trent’anni e non aveva davvero molto per cui esser sorpresa.
In ogni caso, la voce fin troppo familiare, con un accento inconfondibile, che ricambiò quel saluto, la notò eccome: “Buenas tardes.”
Maddie alzò subito la testa in direzione della porta, anche se, dal bel mezzo della corsia del market, dove era perfettamente nascosta, non poteva vederla. Un suono di passi le disse che l’uomo si stava avvicinando al bancone della cassa. “Stavo cercando Maddie. È qui?”
Al sentir pronunciare il suo nome, la donna fece istintivamente un passo indietro e il suo indietreggiare fu fermato solo dallo scaffale pieno zeppo di barattoli di cibo pronto dietro di lei. Vi si appoggiò, con il cuore che le correva forsennato nel petto, neanche Max fosse un assassino da cui lei sarebbe dovuta fuggire a gambe levate.
In realtà, dopo la sua chiacchierata con Charlie, quella mattina, si era ritrovata ben determinata ad affrontare quell’uomo; eppure, quella sua momentanea tranquillità era dovuta, in tutta probabilità, all’aver procrastinato il tutto al giorno successivo: ad un futuro che, in fin dei conti, le sembrava ancora lontano.
Ma in quella domenica pomeriggio, nel bel mezzo del market, alla presenza di due delle pettegole più attente di tutto il paese, Maddie non si sentì affatto preparata a quell’inevitabile confronto.
La signora Peterson, però, non era affatto consapevole del suo turbamento, ovviamente; pertanto, da brava padrona di casa, si affrettò subito a rispondere: “Certo! È proprio qui!”
Fu evidente che la donna fosse oltremodo soddisfatta del solo fatto che – come sempre – Maddie avesse scelto di fare la spesa proprio nel suo negozio; per altro, l’unico di tutta Sunlake. “Maddie!” La chiamò, e dalle labbra della ragazza, che si aprirono per rispondere, non vi uscì alcun suono.
“Strano, non mi pare sia andata via…” Considerò Daisy, evidentemente perplessa.
“No, infatti, nemmeno a me.” Le diede man forte la signora Young.
“Forse avrà quegli affari nelle orecchie e non ha sentito. Pare che voi giovani non possiate fare a meno di ascoltare la musica in ogni singolo istante della vostra vita.” Il suo sbuffo contrariato arrivò fino a Maddie. “Va’ pure, giovanotto. Guarda se è ancora qui, altrimenti sarà uscita e non ce ne siamo accorte.”
Le corsie del market, delineate dalle semplici scaffalature in legno, ripiene di ogni sorta di bene alimentare e non, si estendevano in un lungo corridoio chiuso dalla forma serpentina. Pertanto, per arrivare all’ultima corsia si doveva obbligatoriamente passare per tutte le altre. Di certo, quella disposizione non era proprio il massimo della comodità, ma così era sempre stata, già dai tempi del padre della signora Peterson e, con tutta probabilità, di suo nonno.
In ogni caso, non seppe dirsi nemmeno lei perché, ma alla consapevolezza che quell’uomo, una volta svoltato nella seconda corsia, l’avrebbe vista lì in piedi, il cestino della spesa appeso al braccio, addossata agli scaffali come nella speranza di confondersi tra i barattoli, Maddie si ritrovò ad affrettarsi nella direzione opposta. Solo quando fu sul punto di svoltare nella terza corsia fu folgorata dalla consapevolezza di quello che stava facendo: perché diavolo sto scappando? Si chiese. È solo Max.
Si fermò. Il petto che si alzava ed abbassava repentinamente per l’agitazione. Si appoggiò allo scaffale dei pomodori in scatola, proprio nel breve tratto di curva per passare da una corsia all'altra, e si sforzò di fare dei respiri profondi per calmarsi.
È vero, si era proposta di affrontarlo il giorno successivo al parco, ma ormai lui era lì; perciò, che senso aveva rimandare? Doveva solo ricordarsi il discorso di Charlie e tutto sarebbe andato per il meglio: non aveva niente per cui essere in imbarazzo.
“Sono fantastica.” Si disse in un sussurro di incoraggiamento, ripetendo le stesse parole che l’amica le aveva rivolto solo poche ore prima. Fece un altro profondo respiro e raddrizzò le spalle. “Sono dannatamente fantastica, maledizione.” E sull’onda della ritrovata determinazione che ora le scorreva in corpo, Maddie uscì fuori da quel suo nascondiglio improvvisato, per tornare indietro nella seconda corsia.
O almeno, ci provò.
Per poco non andò a sbattere contro un corpo caldo e solido. E lì, appoggiato con una spalla ad uno scaffale, con il divertimento che gli illuminava lo sguardo e un leggero accenno di sorriso ad addolcirgli la bocca, c’era Max; che allungò una mano ad afferrarle un braccio, per aiutarla a ritrovare l’equilibrio che, per un momento, rischiò di perdere.
Maddie, da parte sua, si sentì senza fiato. Non aveva idea se fosse per la sorpresa di ritrovarselo davanti, per la sensazione della sua mano che, prima di lasciarla andare, indugiò sulla sua pelle per un momento in una morbida carezza, oppure per l’innegabile bellezza di quell’uomo che, anche vestito con dei semplici pantaloncini bordeaux al ginocchio e una maglia nera, sembrava pronto per un servizio fotografico.
“Max!” Riuscì a farfugliare con l’ultimo refolo d’aria che le era rimasto nei polmoni. E il suo nome, uscitole di bocca come una preghiera, parve avere il potere di accendere le iridi dell’uomo di una luce che, in un istante, inghiottì tutto il suo divertimento, donandogli la capacità di far formicolare ogni singola parte del corpo di Maddie su cui i suoi famelici occhi si posarono.
Il silenzio, carico di elettricità, li inghiottì per un lungo istante, come riportandoli alla sera prima, ad un momento durato – ora se ne rendeva conto – fin troppo poco. Tuttavia, Maddie lo sapeva, quella era unicamente una sua impressione.
In ogni caso, la magia fu spezzata dalle parole che, seppure con l’intenzione d’esser sussurrate, giunsero alle sue orecchie e, di conseguenza, a quelle di Max: “Quello deve essere il nuovo fidanzato di Maddie, Emily me ne ha parlato proprio l’altro giorno.” Chiosò la signora Young.
Un calore bruciante le affiorò subito alle guance e Maddie abbassò la testa, evitando così di incontrare il suo sguardo, e solo allora si accorse di star ancora stringendo tra le mani i due barattoli di marmellata.
“Stavo giusto pensando a te.” Proruppe e, solo dopo che quelle parole le furono sfuggite dalle labbra, Maddie si rese conto delle loro possibili implicazioni e, subito, arrossì ancor di più. “Cioè, voglio dire, stavo proprio pensando di prepararti una torta. Una crostata, per l’esattezza. Mia nonna mi ha insegnato a fare una frolla morbida e deliziosa, che si scioglie in bocca. La mia non sarà come la sua ma, ti garantisco, non ne rimarrai affatto deluso. Devo solo decidere la confettura.” Sorrise e alzò i due vasetti che aveva in mano, nella speranza che questo bastasse a nascondere il suo imbarazzo. “Fragole o albicocche? Ti avverto, questa è la marmellata di Millie e la sua confettura di fragole è la più zuccherosa che esista. Probabilmente nemmeno ti piacerebbe.” Abbassò il vasetto più scuro e fissò quello dal colore aranciato. “Forse è meglio l’albicocca.”
“Le fragole vanno bene.”
Lo guardò perplessa. “Credevo che le cose troppo smielate non ti piacessero. Insomma, il caffè lo prendi nero, e hai detto che la Nutella è troppo dolce...” Il che era al limite della blasfemia, per quanto la riguardava. A parte i churros, non lo aveva mai visto far colazione o merenda con qualcosa anche di solo vagamente zuccherato.
Ad ogni modo, l’uomo parve decisamente compiaciuto del fatto che lei ci avesse fatto caso, e un piccolo angolo delle sue labbra si sollevò verso l’alto. “Ultimamente ho scoperto di adorare le cose zuccherose.” Le fece l’occhiolino. “Le trovo fantastiche.”
Maddie non avrebbe saputo dire perché, ma quelle parole, così come il tono basso e roco con cui Max le disse – quasi fossero un segreto scandaloso -, la lasciarono con il dubbio che lui – a differenza di lei - stesse ancora parlando della marmellata di Millie. In realtà, la fecero ripensare alla sera prima. A quando, ancora con il dolce sapore dell’audacia sulla lingua, aveva sfiorato le morbide labbra di Max.
Inoltre, le rivelarono che Max aveva sentito il suo privato discorso motivazionale.
Santo cielo, non poteva andar peggio di così.
L’uomo si avvicinò, protendendosi leggermente in avanti, e il loro visi furono pericolosamente vicini. A Maddie sarebbe bastato alzarsi sulle punte per ripetere l’esperienza della sera prima e, se l’improvviso calore che le pervadeva nel petto, ribollendo ad ogni respiro, era un indizio, non avrebbe voluto altro.
Si rese conto di star fissando proprio la sua bocca e si affrettò subito a distogliere lo sguardo.
Non puoi farlo di nuovo, Maddie. Non puoi!
Si schiarì la gola e fece un passo indietro, mettendo i due barattoli di marmellata dentro il cestino che ancora le pendeva dal braccio. “Beh, li prendo entrambi. Prima o poi li userò, in ogni caso.”
Si avviò alla cassa e Max la seguì. Svuotò il contenuto del suo cestino sul bancone, con il gentile aiuto dell’uomo, e sotto l’occhio vigile e attento della signora Peterson che, parve, non voleva perdersi nemmeno la più piccola interazione tra loro.
E quando, finalmente, tutto il contenuto del cestino di Maddie fu disposto sul banco, la ragazza si voltò verso Max e gli rivolse un sorriso riconoscente. “Grazie.”
La mano abbronzata di lui le sfiorò delicatamente una guancia e risalì verso l’alto, a sistemarle una ciocca dietro l’orecchio. “Quando vuoi, Mamita.
Al sentirgli pronunciare quel nome – lo stesso del giorno prima – Maddie fu pervasa da un brivido che le arrivò diritto dritto all’utero. Santi numi, se non avesse saputo fosse impossibile, avrebbe creduto che fosse appena rimasta incinta. Quell’accento spagnolo e la musicalità di quel nomignolo le davano alla testa. Forse si era sbagliata, non era il vino a spingerla verso di lui. Sembrava come se Max avesse il potere di richiamarla a sé, annullando ogni suo pensiero razionale.
Per un momento, si ritrovò a considerare che, dopotutto, non c’era bisogno d’esser tanto severi. In fondo, era come diceva Charlie: la gente si baciava in continuazione, e lei avrebbe voluto provare solo un'altra volta.
Una sola. Poi basta.
Inoltre, lo aveva già fatto una volta, quindi il pasticcio era già stato fatto. Magari, se si fosse…
“Voi due siete proprio una bella coppia.” Maddie fu riportata bruscamente sulla Terra dalla signora Peterson.
Batté velocemente le palpebre, per un attimo spaesata, come se non si ricordasse nemmeno di stare per saltare addosso ad un uomo nel bel mezzo del market di Sunlake.
Cercò di trovare la propria voce per dissuadere Daisy dall’idea completamente erronea che s’era fatta, ma Max la precedette: “La ringrazio, signora. Lo penso anche io.”
Lo fissò a bocca aperta. Aveva davvero appena concordato con la signora Peterson? Cosa diavolo stava facendo?
Max, da parte sua, ricambiò il suo sguardo costernato con uno di imperturbabile attesa. Completamente a suo agio nel suo ruolo di fidanzato – vero o falso che fosse.
Maddie si guardò intorno. Sicuramente, da un momento all’altro, avrebbe visto una cavalletta zampettare sul bancone tra lei e Daisy: primo indizio dell’invasione delle locuste e, quindi, dell’apocalisse. Erano tutti completamente impazziti.
“V-veramente, signora Peterson, non stiamo insieme. Siamo solo amici.” Le sopracciglia della donna si sollevarono in un’espressione di assoluto scetticismo. Si voltò brevemente verso Max, come cercando conferma delle sue parole, e quando tornò a guardarla Maddie si sentì in dovere di ribadire: “Solo amici, davvero.”
“Come vuoi, tesoro.” Acconsentì con poca convinzione. “Sono diciassette dollari e ventitré.”
Si affrettò a pagare e, finalmente, uscirono di lì.
Fu Max a prendere la busta della spesa e, una volta varcata la soglia del negozio, a chiamare Astra con un fischio che, con gran dispiacere di Jake e i suoi amici, gli corse subito incontro.
Maddie sapeva cosa sarebbe successo adesso. Max era venuto a cercarla per un motivo, dopotutto. E cosa poteva esserci di tanto urgente da spingerlo ad arrivare fino a Sunlake per parlare con lei? Le avrebbe detto che non era interessato, che gli dispiaceva – perché Max era pur sempre un tipo gentile – ma lei aveva frainteso le sue intenzioni: voleva solo esserle amico, nulla più.
E Maddie voleva lo stesso, naturalmente. Non sapeva cosa l’aveva spinta al folle gesto della sera prima, ma era sicurissima che fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
Il market distava cinque minuti a piedi da casa sua, ma nemmeno lei, con le sue chiacchiere incessanti, sarebbe riuscita a distrarre un uomo deciso a parlarle con cinque minuti consecutivi di sproloqui senza senso.
In ogni caso, lo sapeva, doveva scusarsi.
Si schiarì la gola nel silenzio, interrotto solo dal rumore dei loro passi sull’asfalto. “Mi dispiace di non essere venuta stamattina. Il fatto è che…”
“Eri nervosa per quello che è successo ieri sera.” L’aiutò Max.
Le sfuggì una risatina nervosa. “Forse sì.” Che bugiarda: decisamente e inequivocabilmente sì.
“Volevo parlarti proprio di questo, in effetti.”
Eccoci. Lo sapeva che sarebbe andata a finire così.
Lo sbirciò. Camminava con una mano nella tasca dei pantaloncini, e Maddie riusciva a malapena a distinguere la lettera D che aveva tatuata alla base del polso, sovrastata dal solito bracciale di cuoio. Fece risalire il suo sguardo verso l’alto e, nonostante la maglia scura nascondesse la pelle color caffelatte di Max, riuscì ad intuire la forma dei pettorali ben definiti al disotto.
Mannaggia a lui. Come diavolo faceva ad essere così bello? Era sicura che era costretto ad affrontare il discorso che stava per fare a lei in continuazione con un mucchio di altre donne.
Poteva essere davvero colpa sua se si era ritrovata a baciarlo? Non poteva andarsene in giro con tutta quella sua perfettissima perfezione, non era corretto. Era come metterle sotto il naso una torta al cioccolato appena sfornata ed aspettarsi che lei non avrebbe allungato una mano per rubarne un pezzetto minuscolo.
Sentì una punta d’indignazione risalirle lungo la schiena al pensiero di quella fantomatica ingiustizia sociale e, improvvisamente, le sovvenne che anche lei aveva qualcosa da dire!
Si fermò di botto, raddrizzò le spalle e si voltò ad affrontarlo. “Già, infatti: parliamone.” Persino lei fu sorpresa dalla vena leggermente bellicosa di cui fu permeata la sua voce. E anche Max dovette rendersi conto che la donna s’era stranamente messa sulla difensiva, perché a quel suo tono alzò un sopracciglio, anche se il divertimento che bruciava nel suo sguardo non si spense. “È vero, ti ho baciato, e sai cosa? Non me ne pento affatto. Quindi se sei venuto fino a qui per dirmi che non succederà più, hai perso tempo perché non mi interessa!” Come si permetteva di credere che fosse l’unico a non voler intraprendere una relazione sentimentale?! Anche lei non voleva saperne niente, non era mica l’unico. “E se non vuoi rifarlo allora peggio per te, ci sono un sacco di uomini che vorrebbero baciarmi. Beh, forse non proprio un sacco ma sicuramente più di cinque!” Che presuntuoso, credeva sul serio che se era più di un anno che non baciava nessuno era solo perché stava aspettando lui? “Sai quanta gente bacio ogni giorno? Una caterva! Perché io sono fantastica e se non te ne sei ancora accorto allora sei un idiota!”
Riemerse da quella sua filippica sconclusionata con il fiatone e solo allora si rese conto di averlo appena insultato.
Arrossì.
Diavolo, doveva prepararseli meglio i suoi discorsi.
Con le braccia incrociate al petto – postura che, per la cronaca, gli gonfiava i bicipiti – la guardò dall’alto e dall’espressione impassibile che aveva in viso, Maddie non seppe dire se fosse arrabbiato oppure no.
In ogni caso, non sarebbe stata tanto sciocca da aspettare e scoprirlo; perciò, girò i tacchi e si affrettò verso casa. Era quasi arrivata ormai: poteva già vedere le piccole statuette del giardino della signora Howard, così come la Triumph nera parcheggiata vicino al suo vialetto.
Dannazione.
Non sembrò faticare per tenere il suo passo e le fu accanto in un attimo.
“Hai ragione.”
Lo sbirciò di nuovo, mentre attraversava il vialetto di casa sua. Era fuori di testa se pensava di farle credere che non gli importasse che gli aveva appena dato dell’idiota. Tuttavia, non si aspettava di certo ciò che seguì: “Ti passo a prendere domani sera, allora.”
Con un piede sul primo gradino della veranda, Maddie si voltò di scatto a guardarlo. “C-come?”
“Alle sette, ho prenotato un ristorante che sono sicuro ti piacerà.” Le sorrise e, dio santo, per poco il cuore non le spezzò una costola.
“Ma…” Si guardò intorno, convinta che qualcuno sarebbe saltato fuori da un cespuglio urlando “Marameo! Ci sei cascata!”, invece, non successe. “Hai sentito cos’ho detto?” Gli chiese in un sussurro incerto. Gli aveva appena detto che non era interessata a una storia e lui le stava chiedendo… le stava chiedendo di uscire, giusto?
Claro. E, come ho detto, hai ragione: sarei un fottuto idiota a non voler ripetere.” Le si avvicinò, finché le sue labbra non le sfiorarono l’orecchio. “Non immagini quante volte ho pensato di baciarti da ieri sera, Mamita. E, ti assicuro, che la prossima volta non sarà affatto un bacetto a fior di labbra, come quello di ieri. Mi prenderò tutto il tempo per assaggiarti e, quando avrò finito, me ne chiederai ancora.”
Un brivido le corse lungo la schiena, e sentì un calore divamparle ovunque. Si sentì improvvisamente affannata e chiuse gli occhi, appoggiando la tempia alla sua.
“Domani. Alle sette.” Ripeté e lei non poté far altro che annuire, come stordita dal profumo fresco di Max.
Riaprì gli occhi giusto in tempo per vederlo salire sulla sua moto e schizzare via.
Aveva un disperato bisogno di un bicchiere di vino.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO SEI ***


CAPITOLO SEI
 
Alle sette meno venti, una Triumph nera si accostò davanti casa di Maddie Foster. Quindi, Max spense il motore e subito il canto allegro degli uccelli tornò ad essere il suono prevalente tra gli alti sempreverdi che abbellivano il lungo viale da cui era venuto. Tuttavia, se qualcuno avesse chiesto all’uomo quale fosse l’unico suono che gli rimbombava nelle orecchie nel preciso momento in cui mise il piede sull’asfalto, non avrebbe certo risposto “il cinguettio degli uccellini”. No, sicuramente no.
Era uscito dal suo appartamento in affitto a Twin Lake City in tutta tranquillità, e la calma che da sempre lo contraddistingueva lo aveva accompagnato fino a metà strada quando, lentamente, aveva iniziato ad abbandonarlo.
Ora, il cuore pareva martellargli nelle orecchie e si sentiva stranamente teso. Guardò incerto la porta d’ingresso della piccola villetta a schiera di Maddie, indeciso se aspettare vicino la sua moto gli ultimi venti minuti, per poi suonare alle sette in punto, oppure percorrere il vialetto e bussare alla porta.
Fece un respiro profondo, nella speranza di rilassarsi un poco, e si asciugò i palmi leggermente umidi sui jeans che aveva indosso.
Quando mai era stato così nervoso all’idea di uscire con una donna?
Mai.
In effetti, Max non era mai stato chissà quale Dongiovanni. Di certo non gli era mai piaciuto filtrare, considerando che era un tipo piuttosto taciturno e riservato; eppure, le donne non gli erano mai mancate. Quello certamente no.
Non che poi ne avesse effettivamente avute chissà quante, però non aveva mai dovuto esporsi in nessun modo: erano sempre state loro ad essere quelle propositive.
Anche ai tempi del liceo era stato così: un giorno aveva prestato una matita alla sua compagna di banco e il giorno dopo erano fidanzati.
In tutta franchezza, non ricordava nemmeno come fosse successo.
Non era durata molto, in ogni caso. Ben presto Cindy – così si chiamava la sua prima e unica ex ragazza – si era stufata del suo tiepido coinvolgimento e lo aveva mollato. Max ci aveva messo un minuto per farsene una ragione.
Pertanto, non aveva mai invitato esplicitamente una donna ad uscire. E, di certo, non era mai stato così nervoso a causa di una ragazza.
In realtà, non era mai stato così nervoso e basta. Persino al di là del mirino di un fucile non aveva mai versato una goccia di sudore.
Si sistemò lentamente i polsini della camicia che spuntavano leggermente dalla giacca blu primaverile che la commessa del negozio dove era entrato quella mattina stessa gli aveva assicurato esser fatta apposta per lui.  
Esatto, aveva comprato una giacca. E anche la camicia, dannazione. Tutta quella pena per un paio di deliziosi occhi color caramello, incorniciati da folte ciglia che parevano danzare come ali di farfalla quando sbatteva le palpebre, e un sorriso disarmante.
Dios mìo, quel sorriso!
Le cose che non avrebbe fatto per quel sorriso…
E proprio sull’onda di quel pensiero, la porta d’ingresso di casa Foster si aprì e Maddie ne uscì trafelata. Gli diede le spalle, trafficando con la borsetta per poter chiudere la porta, e Max si prese tutto il tempo per guardarla.
Aveva indossato un vestito celeste chiaro a maniche lunghe che le arrivava appena sopra il ginocchio. Dei piccoli ricami colorati, che da quella distanza Max non riuscì a distinguere – dei fiori, forse? – adornavano la stoffa.
Fece scivolare lo sguardo sul profilo della guancia destra di Maddie, lungo le spalle e i riccioli castani che le ricadevano in una cascata lungo la schiena. Scese ancora verso il basso, apprezzando le curve dei suoi fianchi morbidi e del sedere; continuò lungo le gambe scoperte, così candide e invitanti, fino a soffermarsi sulle scarpe: tacchi a spillo bianchi lucidi.
Sembravano nuove, perché nemmeno un graffio ne deturpava in alcun modo la pelle. Non poté trattenere le sue labbra dal curvarsi in un sorriso soddisfatto: le importava.
Gli aveva dato molti segnali che suggerivano che anche a lei importasse ma, in ogni caso, non poteva non essere più che felice di constatare quell’ulteriore segnale dell’interesse della donna.
Si voltò verso di lui e i loro occhi si incontrarono. I denti bianchi di Maddie, che un attimo prima stavano tormentando il suo labbro inferiore, apparirono in un fugace sorriso incerto e – nonostante i diversi metri che li separavano – Max vide le sue guance prender colore.
Avanzò verso di lui con una sicurezza che, era chiaro, aveva racimolato con grande sforzo; il fruscio dell’orlo della gonna che svolazzava e risaliva di pochi centimetri ad ogni suo passo – a proposito, erano decisamente dei piccoli fiorellini quelli ricamati sulla stoffa – e il ticchettio leggero dei suoi tacchi sul vialetto lastricato erano gli unici suoni che, a quel punto, parevano esistere nell’universo di lui.
Per la seconda volta, i suoi occhi si fecero strada sul corpo di lei, come con l’intento di assaggiare ed assaporare ogni più piccola curva del suo corpo.
Maddie si fermò di fronte a lui e, di nuovo, gli sorrise timidamente, guardandolo dal basso verso l’alto. “Ciao.”
E come un fulmine che cade dal cielo illumina il buio della notte in un lampo improvviso, quell’unica parola innocente – che dicerto aveva sentito pronunciare milioni e milioni di volte – parve folgorarlo con una improvvisa ed incrollabile certezza: era lei.
Ricordava ancora la volta che, a quindici anni, aveva davvero compreso come fosse morta sua madre. La sua abuela gli aveva sempre detto “Tua madre ha perso la battaglia contro la malattia”, ma non aveva mai davvero capito fino in fondo cosa volesse dire. Invece, un giorno a scuola, un suo compagno di classe aveva deciso di chiarirgli le idee definitivamente e nel modo peggiore. Era tornato a casa in lacrime e nonostante tentasse di confortarlo, sua nonna non aveva potuto negare la dura realtà: sua madre si era tolta la vita.
Era rimasto tre giorni nel mutismo più assoluto. Non tanto per il dolore di quella scoperta, ma per la rabbia che presto ne aveva preso il posto: li aveva abbandonati.
Sua madre aveva scelto di abbandonarlo, e tutto per colpa di suo padre.
“Innamorarsi fa schifo.” Era sbottato finalmente a cena con la sua abuela. “Non mi innamorerò mai. Non farò la fine di mia madre.” Aveva brontolato ancora, guardando ostinato il suo piatto di spaghetti con polpette.
Il silenzio era calato tra loro e solo al suono della forchetta della donna più anziana che veniva posata sul piatto aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo.
“Anche tuo nonno pensava una cosa simile, sai. Ma un giorno mi disse che, al nostro secondo appuntamento, aveva capito di aver perso quella sfida contro sé stesso. Mi ha amata per sessantacinque anni. Gli piaceva ripetere che sposarmi è stata la decisione migliore che avesse mai preso.” A quel punto la donna si era allungata oltre il piccolo tavolo da pranzo per carezzargli amorevolmente una guancia: “Vedrai che ci ripenserai, devi solo incontrare la persona giusta.”
Ed eccola lì, davanti a lui con un sorriso incerto e un tenero nervosismo negli occhi.
“Ciao, mamita.” E non fu possibile per lui nascondere tutta l’emozione di quella improvvisa comprensione – così deliziosa e inconsapevolmente desiderata – in quelle poche parole. In quel suo saluto vi era tutta la sorpresa del riconoscimento. Sicuramente la morte di sua nonna e poi di Daniel lo avevano fatto sentire più solo che mai, e proprio per quel motivo voleva riavere Astra nella sua vita: il pastore tedesco era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia; in ogni caso, non si era mai illuso di poter mitigare quel vuoto con qualcun altro. E non aveva mai nemmeno avuto intenzione di provarci.
Ma non aveva mai sentito il desiderio d’esser guardato come lo guardava Maddie Foster: con quegli occhi color del caramello che parevano riuscire a vedere solo il meglio di lui.
Non si era mai reso conto di voler esser guardato in quel modo, come se la sua anima non fosse poi così nera. Come se le sue mani non fossero mai state macchiate di sangue.
Sotto quello sguardo poteva finalmente tornare a sentire il calore del sole dopo un lunghissimo inverno. Un inverno che non si era mai accorto fosse arrivato, fino a quel momento.
Seppe che mai nessuno avrebbe potuto avere quell’effetto su di lui.
Solo Maddie.
La sua dolce Maddie.
Non si rese nemmeno conto di aver allungato una mano, finché le sue dita non sfiorarono la calda e morbida pelle del viso di lei. “Ciao.” Ripeté ancora e, stavolta, una beata serenità sostituì lo stupore e la meraviglia che prima avevano venato il suo tono.
L’aria tra loro sfrigolò di una nuova tensione.
Catturato dai suoi occhi, Max si avvicinò a lei, come una falena attratta dalla luce. Le labbra di Maddie si schiusero e i suoi seni, fasciati dalla stoffa colorata del vestito primaverile, sfiorarono il petto di Max al ritmo del suo respiro improvvisamente ansante.
La donna alzò la testa, offrendogli le labbra, e chiuse gli occhi, per assaporare il bacio che sperava le avrebbe dato; e nonostante Max morisse dalla voglia di assaggiare quella bocca, si trattenne.
Non avrebbe fatto nessun passo falso con quella donna.
L’avrebbe portata a cena e solo dopo averla riaccompagnata a casa avrebbe chiuso la serata con un bacio spettacolare sotto il portico. Proprio come accadeva nei film d’amore o nelle soap opera che la sua abuela lo costringeva a vedere da ragazzo.
Con uno sforzo notevole, fece un deciso passo indietro, lasciandola andare.
Vide l’imbarazzo di Maddie dipingersi sulle sue guance quando, in un frullio di ciglia, sbatte le palpebre e riaprì gli occhi. Quel rossore e il modo nervoso con cui lei distolse lo sguardo, gli provocarono una stretta al cuore. Perciò le prese una mano – gesto che gli valse un timido sorriso, quasi speranzoso – e le fece strada verso la fine del vialetto, dove la sua Triumph ancora attendeva.
“Ho prenotato in un posto a qualche chilometro da qui.”
E quando si fermarono davanti alla moto, ancora tenendole una mano per aiutarla, Max le fece cenno di salire in sella.
“Oh.” La sorpresa si dipinse sul volto di Maddie nel guardare la moto cromata difronte a lei. “Andiamo con questa?”
Solo difronte all’incredulità della donna, a Max sovvenne all’improvviso che con l’abito che indossava, i cappelli appena fatti e i tacchi a spillo che aveva ai piedi, un giro in moto non era proprio l’ideale.
Mierda. Aveva già toppato. Si guardò intorno, come in cerca di un’idea, e i suoi occhi si posarono sull’auto di Maddie. “Possiamo prendere la tua macchina se vuoi e…”
“Non sono mai salita su una moto.” Riconobbe una certa eccitazione nella sua voce. “Mio padre ne ha sempre avuto paura ed io non ne ho mai avuto l’occasione.”
“Ti ho portato un casco…” Buttò lì lui. Gli sembrava un buon momento per condividere quell’informazione, ed infatti Maddie gli regalò un sorriso enorme in cambio.
“È fantastico! Grazie mille!” Esultò lei, e Max non poté fare a meno di ammirarla illuminarsi come una bambina a Natale mentre prendeva con meraviglia il casco che le porgeva e se lo infilava in testa con impazienza.
Dopo che l’ebbe aiutata ad allacciare la piccola cinghia sotto il mento, Maddie fece un passo indietro, per consentirgli di guardarla meglio. “Come mi sta? Sembro una vera centaura?” Domandò con divertimento.
Con le guance leggermente arrossate dall’entusiasmo, incorniciate dal casco un po’ troppo grande per lei e il corpo minuto fasciato da quell’innocente vestitino a fiori, Maddie non aveva assolutamente nulla del centauro.
Tuttavia, Max non avrebbe dicerto smorzato la sua deliziosa esaltazione: “Certamente. Estàs preciosa.”
Montò in sella per primo, seguito subito dopo da lei, che lo abbracciò da dietro con fare esitante. Il suo entusiasmo non sembrava aver completamente mitigato la sua timidezza, ma quando, arrivato sulla statale, Max accelerò, le braccia di lei lo strinsero con decisione e lui poté godersi la sensazione del suo corpo schiacciato al suo. I suoi seni premuti contro la sua schiena e le sue cosce che avvolgevano le sue.
Quel viaggio gli parve durare fin troppo poco e quando finalmente parcheggiò davanti l’entrata del ristorante e Maddie si staccò da lui, lo assalì uno strano senso di perdita.
“Il Trout on the Lake.” Sospirò Maddie in quello che a Max parve un mormorio di estasiata sorpresa.
Non sarebbe stato affatto strano esser sorpresi, dopotutto. Il Trout on the Lake era il ristorante più in della contea. Annidato su una sporgenza sul lago, vantava una vista a dir poco mozzafiato, soprattutto al tramonto, quando il sole infuocato d’arancio calava tra le montagne e colorava l’acqua di splendidi riflessi rossastri.
Inoltre, era noto – oltre per essere incredibilmente costoso - per avere come ingrediente fondamentale di ogni suo piatto la trota di lago. Era stato piuttosto difficile riuscire a prenotare, considerando che la lista d’attesa era di svariati mesi. Max aveva dovuto tirar fuori tutte le sue doti persuasive per riuscire nell’impresa, ma ne valeva la pana anche solo per vedere Maddie così sbalordita.
Dopo tutte le lodi che la ragazza aveva rivolto alla trota al forno di Annabelle – davvero notevole, doveva ammetterlo – durante la cena a casa di Charlie, aveva pensato che quel posto fosse perfetto per un primo appuntamento.
“Ti piace?” Chiese lui, la soddisfazione che già gli riempiva il cuore.
Il povero Max non poteva sapere che per Maddie la trota era il pesce più disgustoso che le sue papille gustative avessero mai assaporato e che, difronte ad Annabelle King, Maddie si trasformava nella più entusiastica amante dell’odiato pesce. Questo perché quando una sera Annabelle l’aveva invitata a cena da lei e Maddie si era ritrovata a dover consolare la donna in lacrime, non aveva avuto il cuore di confessare il suo disgusto per la trota al forno con le patate che, si dà il caso, quella volta aveva cucinato per loro.
E così la volta dopo. E quella dopo ancora. Finché era diventato impossibile per lei ritrattare.
Ora, nonostante Maddie si tenesse ben alla larga dal Trout on the Lake, sapeva perfettamente che era impossibile – a meno di non versare una somma davvero cospicua – riuscire a prenotare in quel posto con solo un giorno di anticipo; pertanto, anche in quel caso, non avrebbe mai confessato la verità.
“N-non so davvero cosa dire.” Ed in effetti, era senza parole.
Solo quando sentì la tensione abbandonare le sue spalle, Max si rese conto di quanto fosse stato nervoso per la reazione di lei alla scelta del ristorante. E il suo desiderio di sbalordirla lo rese cieco di fronte al sorriso forzato che la donna gli rivolse.
“Vieni, siamo giusto in tempo per il tramonto.” E prendendole la mano, fece strada verso l’ingresso. Il cameriere che li accolse li accompagnò ad uno dei tavoli migliori, proprio vicino al parapetto in vetro che li separava dallo strapiombo sull’acqua.
Il lago pareva essere incastonato tra le alte pareti bianche di roccia, come un prezioso zaffiro in un ciondolo d’oro bianco. I colori turchesi dell’acqua limpida e incontaminata si mescolavano a quelli rosso intenso del tramonto, in un gioco di riflessi quasi ipnotico. In alcuni punti si aveva persino l’impressione di riuscire a vedere il fondo o addirittura qualche pesce che nuotava inconsapevole. E poi c’era il sole: una palla di fuoco incandescente, che rischiarava il cielo nei colori dell’arancio e del viola.
“È davvero mozzafiato.” Commentò Maddie in un sospiro stregato, appoggiata alla balaustra. Come Max, era rapita da quello spettacolo naturale.
L’uomo si voltò verso di lei, osservando la luce del crepuscolo che le illuminava gli occhi e il viso, illuminandole i capelli di venature rossastre. Il sorriso dolce con cui si godeva il calore degli ultimi raggi di un sole morente, pareva quello di chi vede un tramonto per la prima volta e che è grato di quell’esperienza per alcuni tanto scontata.
Maddie dovette percepire il suo sguardo su di sé, perché si girò a guardarlo, incontrando i suoi occhi scuri. “Grazie Max, è davvero bellissimo.” Il sorriso che gli rivolse stavolta le illuminò tutto il volto.
“Grazie a te per essere venuta, Mamita.”
Ordinarono del vino bianco e lo sorseggiarono lì, in piedi vicino al parapetto, continuando ad ammirare il tramonto. “Sai, quando eravamo dei ragazzini venivamo da queste parti.” Maddie gli indicò un punto dall’altra parte del lago, leggermente spostato sulla sinistra, dove la parete di roccia era più vicina all’acqua. “Laggiù c’è una sorta di sporgenza da cui ci si può tuffare. È un bel salto, credo siano dieci metri circa. Quando avevamo quattordici o quindici anni ci venivamo con Charlie e altri compagni di classe. Credo che sia venuto anche Luke una volta…” Gli si avvicinò ed abbassò la voce quando confessò: “Non ho mai avuto il coraggio di tuffarmi. Ho sempre usato le scalette di risalita per scendere in acqua.”
E quando le sue guance si tinsero di rosso, Max non resistette e le avvolse un braccio intorno alla vita. Il vino doveva aver dissipato completamente il nervosismo della donna, perché invece di irrigidirsi a quel contatto, si rilassò contro di lui, appoggiando la testa sul suo petto. “Mi chiedo se non sto vivendo anche la mia vita in questo modo. Guardo gli altri tuffarsi, senza mai prendere coraggio e buttarmi a mia volta.”
Max ripensò alla sua eccitazione per il solo fatto di salire in sella alla sua moto. Ripensò anche a come l’avesse baciato, qualche giorno prima, dopo la cena a casa di Charlie Royce. Quella era una donna che aveva preso coraggio e si era lanciata. “Credo che dovresti riprovarci.”
“Tu dici?”
Absolutamente sì. Possiamo farlo insieme, se vuoi.” E dal sorriso che lei gli rivolse, pareva Maddie non vedesse l’ora.
Quel primo appuntamento poteva dirsi per Max un gran successo. O almeno, fu un gran successo per la prima ora o giù di lì. Il tramonto era sicuramente stata un gran mossa, l’istruzione a forza di film romantici che la sua abuela gli aveva impartito era valsa a qualcosa, in fin dei conti. Maddie aveva apprezzato la trota anche più di quella di Annabelle e Max si sentiva così tanto a suo agio che aveva contribuito alla conversazione anche più del solito.
Tuttavia, un’ombra calò sul loro tavolo non appena ebbero ordinato il dessert. Un’ombra che apparteneva ad Elijah Seraphim anche conosciuto come Dumbo, per le sue impressionanti orecchie a sventola.
“Josè! Amico mio, come stai?” Esordì l’uomo, senza preoccuparsi di interrompere la loro conversazione. Nel vedere l’uomo che gestiva il traffico della droga per conto di Cole Rodriguez interrompere l’appuntamento con quella che era convinto essere la donna della sua vita, il volto di Max cambiò in un secondo: il sorriso che prima curvava gli angoli della sua bocca sparì, il calore dei suoi occhi scuri scomparve e la calma placida che aveva sempre sentito appartenergli ogni volta che aveva avuto a che fare con Dumbo, tardò ad arrivare.
Il cuore gli batteva così forte nel petto che avrebbe potuto pensare potesse incrinargli una costola. L’adrenalina gli riempì le vene insieme alla paura.
In ogni caso, il suo tono, l’espressione del suo viso e il suo linguaggio del corpo non tradirono affatto il minimo turbamento. “Elijah, è un piacere rivederti.”
“Ti ho detto un mucchio di volte di chiamarmi Dumbo, fratello.” Disse l’altro con un ghigno divertito. “Ero lì al bar ad aspettare di cenare quando ti ho visto ed ho pensato: dimmi tu se quello lì non è José che si è deciso ad uscire dalla sua caverna. Sono giorni che ti chiamo, amico mio, che fino hai fatto?” E poi, con sommo orrore di Max, gli occhi di Elijah Seraphim scivolarono su Maddie. La sua dolce Maddie. “Ma adesso mi è tutto chiaro… Chi è questo delizioso coniglietto?”
E Maddie, ignara di chi avesse difronte, iniziò ad allungare la mano per presentarsi. “Tanto piacere, sono Ma-”
Max disse addio al suo autocontrollo e si alzò in piedi di scatto. “Non è nessuno.” Sancì, gelido e lapidario. Non badò nemmeno al sussulto con cui la donna accolse le sue parole. Elijah Seraphim non doveva nemmeno sapere dell’esistenza di Maddie Foster. Per lui quella donna non doveva esistere.
Tuttavia, quella sua reazione aveva già detto troppo; infatti, l’altro alzò un sopracciglio e sorrise in modo beffardo: “Non direi proprio che sia nessuno.”
Max non rispose, invece afferrò il braccio dell’altro uomo e lo incoraggiò in direzione del bar. “Ho sete, ti offro un drink.”
 
Maddie, ancora seduta al tavolo, guardò Max allontanarsi con il suo amico; anche se, rifletté, non poteva essere chissà quale grande amico visto che continuava a chiamarlo con il nome sbagliato. Ma quello, in fin dei conti, era l’ultimo dei suoi pensieri.
Le parole di Max ancora le rimbombavano per la testa, come una eco crudele che la sbeffeggiava e derideva: non è nessuno.
Anche per Cristopher non era stata nessuno e ciò l’aveva quasi distrutta. Max era diverso, certo. Non aveva mai provato le sensazioni che lui riusciva a suscitarle con un solo sguardo, prima di allora. Era innegabile che ci fosse della chimica tra loro. Maddie poteva sentirla sfrigolare ogni volta che la sua pelle toccava la propria.
Tuttavia, aveva considerato l’eventualità che Max non provava lo stesso interesse per lei – eventualità molto più realistica rispetto le alternative.
Certo, magari anche lui si era accorto della chimica tra loro; pertanto, poteva volerla esplorare una sola volta, per togliersi la curiosità, e basta.
Rimaneva una sola domanda: lei era disposta a consentirglielo? No, certo che no.
Non avrebbe corso il rischio di rimanerne bruciata ancor peggio della volta precedente. Non aveva il coraggio, come non aveva mai avuto il coraggio di tuffarsi nel lago da dieci metri d’altezza.
L’arrivo del cameriere con il dessert la sviò da quelle considerazioni e Maddie si sforzò di sorridere e ringraziare.
Fissò il suo sguardo nel piatto in cui giaceva l’unica pietanza di quella sera a non essere a base di trota. Il suo stomaco avrebbe dovuto esultare davanti al tortino al cioccolato; tuttavia, nonostante avesse sempre spazio per il dolce, Maddie sentì il suo stomaco contrarsi in una morsa di rifiuto.
Voleva solo tornare a casa, mettere il pigiama ed intrufolarsi sotto le coperte insieme ad Astra. Magari avrebbe anche pianto.
Anzi, sicuramente avrebbe pianto.
Fino a qualche minuto prima avrebbe detto di star vivendo il miglior appuntamento che aveva mai avuto, nonostante la scelta completamente sbagliata del ristorante.
Seppure all’apparenza Max sembrasse un uomo duro, poco avvezzo al sorriso e forse a tratti anche intimidatorio, Maddie lo trovava sorprendentemente dolce.
Aveva sempre adorato il modo in cui la guardavano quei suoi occhi scuri.
Non è nessuno.
Dove aveva sbagliato? Era mai possibile che non fosse mai abbastanza?
Alzò lo sguardo e vide Elijah presentare a Max una splendida bionda che gli sorrideva in modo piuttosto esplicito. Osservò le loro mani stringersi in una stretta formale e poi le dita lunghe e curate di lei risalire lungo il braccio di lui, in una carezza sensuale.
Maddie distolse subito lo sguardo.
Lei sembrava essere decisamente qualcuno.
Non trovò nemmeno la forza di arrabbiarsi. Semplicemente non capiva: perché invitarla ad uscire, allora?
Ma una cosa era chiara, doveva tenersi il più possibile sulla terra ferma. Non poteva permettersi di tuffarsi in acqua e rischiare che le alghe del lago la risucchiassero a fondo.
Con Cristopher era quasi affogata, non avrebbe corso lo stesso rischio di nuovo. Anche perché la parte più recondita di lei sapeva che, a differenza della volta prima, con Max correva il serio pericolo di conoscere gli abissi più profondi del lago. E forse non sarebbe nemmeno riuscita a riemergere.

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