DayDreamer le ali del sogno (STAVO CERCANDO TE) LA STORIA DI CAN PRIMA DI SANEM

di FrancescaTelesca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


  Tutto l'universo cospira affinché   chi lo desidera con tutto se stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni.
                                                                                                                         PAULO COELHO         

                 Nessuno però conoscere le strade che le stellò prenderanno per arrivarci...

Ieri (1995)
<>
Le urla e il suono dei cocci rotti rimbombano nella mia stanza.
"Ho paura sono solo."
Le parole di mia madre vengono interrotte dalle lacrime, e i pugni che papà dà alle porte mi fanno tremare. Sono paralizzato, non riesco a muovere le mani che tengono stretta la coperta sopra la testa.
<>
La voce della mamma sembra disperata. Perché dice queste parole? Sento il suono dei sue passi veloci. Papà non la ferma. Una porta sbatte, i vetri delle finestre tremano e poi silenzio. È ancora buio fuori. Ci fosse un pò di luce avrei il coraggio di alzarmi, ma tremo e non per il freddo. Ho sentito spesso le loro urla, ma questa volta è diverso. Lo capisco dai singhiozzi di papà: fanno piangere anche me.
"Sono grande. Sono il fratello maggiore. Sono io che devo proteggere Em, che forse avrà sentito le urla della mamma e si sarà spaventato."
Mi faccio coraggio, tiro fuori un piede e poi l'altro. Il pavimento ghiacciato blocca le mie lacrime. Sono in piedi. Mancano pochi passi alla porta.
"Sono grande, sono coraggioso."
Giro la maniglia. Anche papà se n'è andato.
"Em, arrivo, non avere paura: ci sono io."
Entro nella stanza e per fortuna il tappeto mi riscalda il cuore e i piedi, che ora corrono  verso il lettino. È così bella questa cameretta, come il mio fratellino che di sicuro dorme tranquillo.
<> sussurro nella penombra <>
La coperta con le nuvole verdi  giace solitaria sul pavimento e l'orsacchiotto da cui non si separa mai è sparito.
<>
Em non c'è. Anche lui se n'è andato.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Istanbul, vista sul Bosforo (2014) Mi gira la testa. Il locale lungo il Bosforo, uno dei tanti che frequento tutte le sere, brulica voci e risate. Ho bevuto troppo, ma in definitiva non è quello che faccio sempre? Com'è che si chiamava quella con cui parlavo? Afet? Sì, la bella Afet dai lunghi capelli neri. Non l'avevo già conosciuta da qualche parte? No, quella era Esin la rossa... L'acqua scorre lenta e le luci della città che si specchiano sul mare sono l'unica certezza di questa vita. Chissà chi abiterà in quella casa con la finestra illuminata. Anche loro avranno una bella figlia dai capelli lunghi? Chissà quanti amori avranno visto nascere queste luci e quanti bambini avranno, sognato di partire guardando le barche che scivolano sull'acqua. Ho bisogno di bere ancora. Un altro giro per festeggiare la serata. E pensare che non volevo neanche uscire stasera. > Sono uscito in terrazza per schiarirmi le idee, ma la voce di Metin blocca i miei pensieri: <> mi dice conciato. <> <> Ricordo di aver chiacchierato di viaggi e cibo vegetariano, con lei e con il barista. Non sapevo che la ragazza fosse lì con il fidanzato. Non sarebbe comunque cambiato niente, per me era solo una conversazione a tre. Non sono interessato a lei. <> rispondo confuso, cercando di raccogliere le idee. Ma lui continua <>. Non ne posso più, la testa comincia a farmi male. Devo andare via, tornare a casa, fare una doccia. <> Una voce arriva da dentro il locale. Esce un ragazzo tatuato, seguito da altri due. Dal modo in cui camminano mi sembrano ubriachi. Ma anche io non ci sono andato leggero stasera. << È lui il fidanzato della ragazza>> spiega Metin, <> <> continua a urlare. avvicinandosi minaccioso. <> mi implora Metin. <> <> prosegue l'altro. <> risponde Metin. <> << E tu chi sei? Stanne fuori>> gli intima l'uomo, dandogli una spinta. Metin perde l'equilibro rischiando di cadere. Sorreggo il mio amico e fisso l'umo dritto negli occhi. Di sicuro sta cercando guai. <> gli ordino, ma lui mi ignora. <> La sua voce si mescola al mormorio dei presenti nel locale e alle luci dei cellulari che riprendono la scena. <> interviene il suo amico. <> <> Ali, il proprietario del locale, spunta dalla folla tagliandola in due. <> <> gli fa eco il ragazzo con cui stavo litigando. Il sangue mi arriva al cervello e i drink che ho bevuto alimentano l'incendio che sento al centro del petto. Gli corro incontro e in un lampo sono sopra di lui. Un pugno solo, sferrato in pieno viso, lui perde l'equilibrio e cadendo sbatte la testa contro la ringhiera della terrazza. Qualcuno mi prende per la schiena e mi trascina a forza fuori dal locale, cerco di resistere ma non ce la faccio. In lontananza sento le sirene della polizia. Qualcuno deve averla chiamata. Le voci confuse dei miei amici mi riportano alla realtà a una orribile realtà. <> Eyup Police Station, Istanbul La piccola cella dove mi trovo è fredda. L'effetto dell'alcol stava svanendo mentre il dolore lancinante alla testa si fa sempre più forte. "Non posso averlo fatto. Non posso averlo ucciso un uomo. Non sono io" continuo a ripetermi. Sembra di essere tornato a due anni fa. La rissa, lo sguardo annichilito di Esel. Qualcuno ha detto che la storia si ripete, ma speri non abbia ragione. Penso sempre che sia solo un pugno, e invece a volte non riesco a controllare la forza. <> Un agente entra nella cella, facendo un rumore infernale che mi rimbomba nelle tempie. <> Mi prende per un braccio, mentre mi tiene stretto, attraversiamo un lungo corridoio pieno di luce al neon. I muri sono scrostati e il pavimento è sporco. Mi somiglia. Giriamo l'angolo. In lontananza riconosco una figura famigliare: <>. <> mi chiede con la faccia sconvolta. A pochi metri da lui Emre, pallido come un cadavere, si alza dalla sedia di legno e si avvicina dicendomi: <> Le sue parole sono inaspettate ma provocano in me un senso di sollievo. "Allora non l'ho ucciso?" penso. Cerco conferma ma non mi esce neanche una parola. Lo abbraccerei se l'agente non mi tenesse ancora stretto. Sono provato dalle luci al neon, che mi fanno lacrimare gli occhi. Sento un nodo allo stomaco. Che cosa ho fatto? Mio padre mi guarda fisso. Anche i suoi, gli occhi sono arrossati e ha l'aria di uno che ha passato una nottataccia. <> mi dice a bassa voce. Conosco Aycan Avukat da sempre: è uno degli avvocati più in gamba della città. È lui che si è occupato del divorzio dei miei genitori, è uno dei migliori amici di mio padre nonché il padre del mio miglior amico Metin. Mi sento sollevato. <> chiedo finalmente a Ebre. <> Le parole di mio fratello mi arrivano dritte al cervello come la lama di un coltello che gira in una ferita aperta. Non le sento però nel cuore, che è ancora gonfio di rabbia. <> cerco di spiegare agitando le mani <<è venuta lei da me mentre parlavo con il barista, abbiamo solo chiacchierato. Non sapevo che fossero insieme.>> <> I neon continuano a tormentarmi gli occhi. La situazione è surreale, perché le parole di Emre sono vere. Ogni volta che entro in un locale riconosco quegli sguardi mentre passo. Quelli che mi si attaccano addosso e mi seguono. Essere il figlio di uno degli uomini più ricchi di Istanbul fa la maglia. Non mi importa come sono, non mi importa cosa sento, a loro importa solo chi sono. Prima ci rimanevo male, ora preferisco bere qualche bicchiere in più per ottenebrare i sensi e isolarmi dai resti del mondo. Metin dice sempre che rifiuto le donne, ma non è così. Frequento qualche ragazza, usciamo insieme, ci divertiamo. Mi piace sentirle sciogliersi quando con le dita accarezzo le loro schiene nude, per poi ascoltarne i sospiri e immergermi tra i capelli setosi. Le amo tutte in quel momento, le disidero. Ma poi non riesco ad andare oltre a quel fugace incontro e a passare a una vera relazione. È come se fossi bloccato. Ogni volta spero che tra loro ci sia lei: la mia anima gemella. A volte ne sono quasi certo, mentre osservo quegli occhi che mi scrutano, lasciandomi intravedere mari calmi o vorticose tempeste. Ognuna di loro è un dono prezioso che incendia i miei sensi ma non scioglie il mio cuore. Mi piace guardarle ridere con le amiche e poi, curiose, girarsi verso di me. Amo vederle arrossire e penso sarebbe bello se quello che vedono i miei occhi lo vedesse anche il mio cuore. Ma è proprio lui che mi mette in guardia: "Ti lasceranno di nuovo da solo al buio come quando eri piccolo". anche se proprio loro potrebbero essere l'antidoto di trovare un cuore puro. Qualcuna che vada al di là, che riesca ancora a stupirmi e a convincermi che si può amare totalmente, con tutta l'anima. Casa di Aziz Divit -Distretto di Beykoz, Istanbul <> Le parole di Aycan sono tranquille e rassicuranti, anche se penso con rabbia che quel ragazzo aveva toccato un nervo scoperto: sto davvero danneggiando Aziz? Io lo metto nei guai e lui me ne tira fuori? L'avvocato mi dà una pacca sulla spalla e poi segue mio padre in giardino. Sono tornato finalmente a casa. Nonostante siano quasi le quattro è ancora buio, ma tra poco il sole sorgerà. In questo momento vorrei essere in riva al mare a guardalo mentre si alza, fino a dovermi coprire gli occhi con le mani. Vorrei essere un albatros che lo accompagna lungo il suo percorso, per riscaldare le mie piume dopo una notte troppo fredda. Volerei rincorrendo senza sosta per tutto il giorno, per poi aiutarlo a tuffarsi di notte ne mare. Da lassù tutto sembra più piccolo. Anche i problemi. Entro nella mia stanza: sono distrutto. Mi tolgo la camicia e i pantaloni. Ho bisogno di farmi una doccia. L'acqua calda mi scivola addosso e provo a lavare via ogni cosa. Ho le mani sulle piastrelle e quella pioggia confortante cade sulla mia testa schiarendomi le idee. Ripenso a quello che è successo "Potevo ucciderlo" continuo a ripetermi. La schiena è indolenzita e la pelle brucia sotto l'acqua bollente, ricordandomi dolorosamente chi sono. Rimango così per un tempo infinito durante il quale i miei pensieri girano a vuoto riportandomi sempre allo stesso punto. Esco dalla doccia e mi specchio. Ho segni rosso vivo sulle spalle e la mano mi fa ancora male. Mi ricorda chi sono diventato, ma non chi ero. Penso a Polen, ai suoi capelli, alle sue risate e agli occhi da cerbiatta. Sorrido. Lei ora saprebbe calmarmi? Saprebbe come fare? Forse era l'unica tra tutte che meritava il mio amore. Ma non l'ho mai capito. Eppure mi manca. Mi manca il suo modo di supportarmi qualunque cosa accada. Mi lego in asciugamano in vita e vado in cucina. Nonostante sia tardissimo, in giardino papà sta ancora parlando con Aycan. Sono amici da sempre e si stanno ritagliando un pò di tempo per loro. Posso sentire le loro parole della vetrata aperta. Ho voglia di un tè. Metto l'acqua a bollire ma nel frattempo bevo quella ghiacciata del frigo, che mi scivola nella gola regalandomi un brivido di piacere. <> dice mio padre ad Aycan. <> <> chiede curioso Aycan. <> Hai ragione mio padre. Polen mi manca, soprattutto ora che la mia vita ha preso strade contorte. Ma anche lei non c'è, come non c'è mia madre. Due risate inconfondibili attirano la mia attenzione. <> mi dice Emre entrando in cucina. Ha una mano dietro la schiena di Aylin, la sua perfida fidanzata, che indossa una camicia da notte trasparente, e la tiene stretta. Lei è un'impiegata della Fikri Harika: bella, furba e letale. <> Non mi piace quella donna e non sono il solo. Anche mio padre non la ma, a differenza di Emre che ne è completamente infatuato. <> le chiedo, conoscendolo già la risposta. <> mi dice Aylin con un tono di voce suadente. <> mi comunica Emre, guardandola negli occhi <> <> rispondo, salutandoli con la mano alzata. <> <> replica Aylin guardandomi di sfuggita. I suoi occhi sono due fessure nere. Assomiglia a quelle pantere che non puoi fare a meno di osservare anche se sai che sono talmente pericolose da poterti uccidere. Ma forse l'amore è proprio questo: non aver paura di morire pur di perderti negli occhi di qualcuno.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Residenza Aksu - Istanbul (2002) Ce l'ho fatta, pochi passi e sono in salvo. Sento il fiato sul collo del signor Adil che arranca dietro di me. <> dice con la voce rotta dal fiatone. Forse non è stata una buona idea tagliare tutti i fiori del suo giardino, però avevo perso una scommessa e io mantengo sempre la parola data. Sono a un isolato da casa, riesco a vedere il muro in lontananza. Ancora pochi passi e sarò dentro. Da un vicolo spunta il giardiniere del signor Adil. È grosso, muscoloso e anche lui ringhia il mio nome. "Sono davvero in trappola." Mi guardo introno disperato, in cerca di una via di fuga, ma sono con le spalle al muro... "Giusto il muro!" Mi giro e comincio ad arrampicarmi come un gatto, mentre il signor Adil e il giardiniere corrono tutti e due nella mia stessa direzione, quasi scontrandosi. Le piante di rose rampicanti mi graffiano le ginocchia, ma il loro profumo è talmente forte da non farmi sentire le spine. Le ho viste uguali al Palazzo di Topkapi, dove viveva il sultan. Forse questa è un'altra delle sue residenze? Sono finalmente in cima al muro. Guardo in basso i due con aria di sfida ed è proprio in quel momento che perdo l'equilibrio e precipito dall'altra parte. Cado con un tonfo sordo. Il dolore è lancinante. Deve essermi rotto qualcosa. Cerco di alzarmi ma un suono inconfondibile mi paralizza. Mi giro lentamente e il cane più grande mai visto in vita mia mi sta fissando e comincia a ringhiare. Ora la mia scelta è morire sbranata o per mano del signor Adil. Niente male per uno che ha solo tredici anni. <> Da lontano vedo arrivare di corsa una creatura bellissima. I lunghi capelli neri sembrano una tempesta mossa dal vento. Ha un vestito bianco e rallenta il passo quando mi vede. Si avvicina e mi osserva con un'espressione curiosa, come se fossi una delle prede che sicuramente quel molosso prenderà ogni giorno. <> mi dice, mentre con la piccola mano tiene fermo l'animale trattenendolo per il collare. Ha le guance arrossate dalla corsa, ma è fiera come una guerriera e mi osserva spiazzandomi con due occhi nocciola che somigliano a figlie d'autunno dai riflessi d'oro. <> chiedo incantato. <> <> Il ginocchio mi fa male e vedo che rivolto di sangue sta colando fino ai sandali. <> <> mento e cerco di respirare forte l'odore delle rose per evitare di concentrarmi sul dolore lancinante. <> Mi allunga la mano. Io la afferro come un'ancora di salvezza e mi alzo in piedi, trovandomi di fronte ai suoi occhi grandi e profondi. Non sento più alcun male. <> dice, <> <> rispondo stupito. <> <> dichiara, indicando con il dito in direzione di casa mia. Sento le sue parole ma mi perdo in quelle iridi screziante d'oro. Un senso di calore mi prende allo stomaco e mi fa dimenticare qualsiasi cosa. Sembra un angelo. Forse è un angelo. Mi sorride e il sole sopra le nostre teste pare fare le capriole. Non capisco cosa mi stia succedendo, ma improvvisamente tutto quello che mi circonda non ha senso. Le mie guance scottano e ho il desiderio di non andare mai più via da quel posto. <> balbetto. <> <> Il cane fugge alla presa e si dirige abbaiando verso un'altra figura che corre nella nostra direzione. Man mano che si avvicina vedo che si tratta di un'altra ragazza. Ha i capelli biondi e anche lei indossa un lungo vestito che si muove al ritmo dei suoi passi. Quando arriva davanti a me mette le mani sui fianchi e respira profondamente prima di parlare: <> <> risponde Esel, un po' intimorita da quella ragazza che pressa poco la sua età. <> chiede la nuova arrivata girandosi verso di me. Ha gli occhi verdi e le labbra a forma di cuore. <> <> mentre conclude la frase si gira nuovamente verso Esel, che nel frattempo è rimasta immobile come una statua. <> le dice in modo altezzoso. <> Casa Aziz Divit -Distretto di Breykoz, Istanbul (2014) Lei è sopra di me. Posso sentire il calore del suo corpo, le sue gambe che scivolano tra le lenzuola. Si inarca offrendomi le labbra color corallo. Le sento morbide quando si uniscono lieve alle mie, per poi farsi affamate. Sono inebriato dal suo profumo, che mi arriva sempre più intenso. Il suo corpo si muove a un ritmo famigliare e io la stringo a me come se avessi paura che fuggisse via. <> mi dice la creatura senza volto. E quella che era l'estasi di un pomeriggio d'estate si spezza come sotto lo scroscio di un temporale improvviso. Ti amo. Due parole che io non so riconoscere, come mi spaventano e mi minacciano. Chissà se anche io potrò innamorarmi...Con le mani le prendo il volto, che è un fascio di luce, e l'avvicino di nuovo alla mia bocca. I miei occhi cercano di vedere i suoi ma la luce è troppo accecante. <> chiedo, anche se non voglio che parli, che ripeta ancora quelle parole. Mi alzo di scatto. Sono nel letto della mia camera. Sono da solo. I raggi del sole ormai alto illuminano la stanza. È stato un incubo. Il solito incubo. Un senso di colpa mi prende allo stomaco nei confronti di tutte quelle ragazze di cui in questi anni non sono riuscito a innamorarmi. Guardo il telefono e trovo almeno dieci chiamate perse. Che ore sono? Le undici di mattina e ho dormito pochissimo. Con tutto quello che è accaduto questa notte non ce l'ho fatta a prendere sonno prima dell'alba. Devo andare al lavoro. Mi alzo e mi infilo sotto la doccia. Lascio cadere per terra l'asciugamano con cui mi sono addormentato. Penso che dovrei imparare ad affrontare tutte le difficoltà della vita con la stessa noncuranza. Con l'auto entro direttamente nel parcheggio sotterraneo della Fikri Harika, l'agenzia pubblicitaria di mio padre. Con la mano mi aggiusto i capelli, che sono ogni giorno più lunghi e cominciano a cadermi scomposti davanti agli occhi. Quando l'ascensore si apre riconosco il frastuono famigliare. La gente si aggira per l'enorme openspace con in mano cartelline colorate. Si sente ridere, chiacchierare, e da lontano arriva un forte aroma di caffè appena fatto. <> mi saluta la receptionist. <> Conosco tutti qui, ma spesso non ricordo i loro nomi. Dovrei andare nell'ufficio di mio padre, ma non ho voglia di vederlo. Mi fermo da Emre. <> <> <<È ancora ricoverato ma se la caverà. Papà ha detto che ha parlato con il suo avvocato e gli darà un bel pò di soldi per non farti denunciare.>> Detesto quelle parole. Detesto che ci sia qualcuno a togliermi dai guai, ma soprattutto odio chi mente, come la ragazza di quel tizio. Sono ancora immerso nei miei pensieri quando la nostra conversazione viene interrotta da una voce famigliare. Quella di Aylin. <> dice sorridendo maliziosa <> Indossa un paio di shorts e un top che le copre appena il seno. Sotto i capelli corti ondeggiano due enormi orecchini dorati che tintinnano a ogni passo. <> le rispondo guardandola dritta negli occhi. Per tutta la risposta lei mi fulmina con lo sguardo, che addolcisce solo quando si gira verso Emre. <> gli chiede soavemente, ottenendo in cambio un sorriso carino di promesse. <> le risponde lui con occhi innamorati. <> taglio corto, annoiato dai quei toni troppo sdolcinati, e mi dirigo nell'angolo ristoro che ho soprannominato salvezza, cercando disperatamente un tè caldo. È ormai buio quando mio padre entra nel mio ufficio. Ho passato tutta la giornata saltando da una riunione all'altra. Ci sono sei campagne pubblicitarie aperte da seguire. Gli occhi ricominciano a bruciarmi. <> <> dico mentendo. <> Ed eccola, con i suoi pantaloni stretti, i capelli castani tagliati a caschetto e l'immancabile tazza di caffè. Deren, una delle donne più in gamba che io conosca. In teoria è l'assistente di Aylin, ma in pratica è il braccio destro di mio padre e, di sicuro, colei che conosce tutti i segreti di questa azienda. Sempre in movimento e deliziosamente nevrotica, ha una grande dedizione al lavoro e controlla tutto in maniera maniacale, spesso andando anche nel panico via via che le date di consegna di avvicinano. Proprio questo la rende unica. Qualcuno di cui ci si può fidare. <> saluta aprendo la porta a vetri. <> Si siede con noi. Anche a quest'ora della sera un rossetto rosso fuoco le dipinge impeccabile le labbra carnose. Accavalla le gambe e posa la tazza del caffè sul tavolo, pronta a fare l'ennesimo resoconto della giornata. <> comincia a raccontare mio padre con un tono confidenziale <> <> interviene Deren <> continua concitata <> <> interviene mio padre. <> <> mi rivela Deren agitandosi. <> <> dice mio padre <> dice guardandola con la tenerezza di un genitore. <> aggiunge poi alzandosi. <> conclude malinconico, pensando al suo rapporto con l'ex moglie Huma. <> Io e Deren rimaniamo da soli. Siamo seduti uno difronte all'altra. Lei un pò imbarazzata mi guarda e so già cosa vuole chiedermi: <> dice arrossendo. <> le rispondo con finta noncuranza. <> La guardo serio e vedo l'imbarazzo sul suo viso. Poi scoppio a ridere, allentando la tensione. <>. Quando usciamo dall'ufficio una pioggia leggera bagna la città. In macchina accendo la radio, concentrandomi sulla musica per non pensare a ciò che mi è appena stato rivelato, e seguo l'auto di Deren che si muove agile lungo le strade della città. Mi sembra trascorsa un'eternità quando parcheggio accanto a lei e lascio che mi preceda dentro l'edificio dove c'è il suo appartamento, pregustando il resto della serata. Ci mettiamo comodi lasciandoci andare a qualche battuta per allentare la tensione dovuta sia al lavoro sia alla conversazione avuta poco prima con mio padre, mentre aspettiamo le pizze che abbiamo ordinato. O meglio, lei ha scelto la pizza, io sono più tradizionale. Per me non c'è niente di meglio di un lahmacun, la deliziosa pizza turca. Deren è fissata con il cibo europeo: le ricorda il periodo in cui studiava all'estero prima di tornare a Istanbul dopo la laurea. Si è laureata a Londra e poi ha frequentato anche un master in Francia. So che ha da sempre un debole per me, e nonostante in lei ci sia un fondo di timidezza, non fa niente per nasconderlo perché ci vogliamo bene. Mi rilassa guardare un film con lei, passare la serata a ridere e a mangiare. Lo facciamo spesso, come due vecchi amici. Anche a casa è ansiosa come in ufficio e passa da una stanza all'altra cercando di sistemare tutto, agitando le mani mentre parla. <> le chiedo mentre apparecchia la tavola con le pizze appena arrivate. Alza gli occhi e guarda dritta nei miei <> confessa quasi sollevata. <> le dico prendendo un pezzo di lahmacun e mettendolo tutto in bocca. <> rispondo sarcastico pulendomi la bocca con la mano. <> dice, fissandomi la bocca mentre gli occhi si illuminano. <> <> le spiego <> <> <> <> mi gela Deren. <> <> risponde interrompendomi. <> dice scherzando. <> <> le dico ridendo di cuore. Mi sveglio di soprassalto. Il solito incubo. La solita lei senza volto. È ancora notte fonda e sono sul divano di Deren con addosso una coperta che riesce a malapena a coprirmi le gambe. L'ultima cosa che ricordo è il film che stavamo guardando insieme. Cerco di riaddormentarmi ma ho tanti pensieri in testa. Le immagini degli ultimi anni della mia vita mi scorrono nella mente creandomi un senso di inquietudine. C'è qualcosa in me di profondamente sbagliato, una parte che mi attanaglia impedendomi di far uscire i miei veri sentimenti. E poi quell'incubo costante. Quella donna che popola i miei sogni, che non riesco mia a vedere in volto, ma che mi attrae irresistibilmente come una luce attrae una falena. <> la voce di Deren sembra arrivare lontano, ma in realtà è proprio vicina a me. Apro gli occhi e vedo che mi sorride avvolta in un accappatoio bianco. <> <> Sono contento di essermi fermato da lei. Dopo tutto quello che è successo la notte precedente avevo bisogno di un volto amico. Accendo il telefono e mi dirigo verso il bagno, ma riesco a muovere solo qualche passo prima che Deren mi chiami dalla cucina. <> il tono di voce è più agitato del solito. <> Arrivo di corsa e mi vedo: sono in tv mentre do un pugno al ragazzo della sera prima. Ricordo i cellulari che mi riprendevano, ormai le immagini sono pubbliche. "Can Divit, figlio del celebre imprenditore Aziz, si è reso colpevole di un brutale pestaggio che ha mandato all'ospedale un giovane di venticinque anni. Secondo le prime ricostruzioni, il noto fotografo e playboy avrebbe importunato la fidanzata del ragazzo per poi picchiarlo fino a lasciarlo quasi in fin di vita. Da fonti mediche si apprende che la vittima al momento fuori pericolo, con una prognosi di venti giorni a causa del trauma cranico. Divit, che lavora alla Fikri Harika, l'azienda di famiglia, non è nuovo a episodi di questo tipo. Un paio di anni fa venne coinvolto in uno scandalo per un motivo simile. In quel occasione venne fotografato in atteggiamenti inequivocabili insieme alla popolare modella turca Esel Atasoy, provocando la dura relazione del fidanzato di lei, che finì poi in ospedale. Anche in quel caso lo scandalo venne messo a tacere grazie al suo cognome, ma l'opinione pubblica si interroga su come sia possibile che episodi del genere possano accadere e se la sua ponte famiglia riuscirà per l'ennesima volta a impedire al rampollo d'oro di affrontare le proprie responsabilità davanti alla giustizia. Passiamo ora alle notizie locali. Aumenta il turismo in Turchia, Istanbul è la città più visitata...." È un incubo. Lo so, lo sento dentro di me. Sta succedendo di nuovo, dopo quel terribile momento con Esel. Lo sanno le mie mani che istintivamente porto alla testa per fermare i pensieri vorticosi che cominciano a viaggiare come schegge impazzite. Lo vedo negli occhi di Deren, che ora mi guardano con un misto tra stupore e incredulità. <> mi chiede, mentre le sue pupille si dilatano <> Incateno in mio sguardo al suo e cerco di aprire la bocca, ma le parole non escono. Mi accarezzo nervosamente i capelli con le mani in un gesto che ora sa di disperazione. Mi sento un leone in gabbia. <> Mi siedo cercando di darle ascolto. Non so cosa fare. Deren mi porge un caffè. <> le dico, ma lei non accetta obbiezioni. <> Dal salone arriva il ronzio del mio telefono. Deren mi guarda e poi, senza dire nulla, va a prenderlo. Sento che lo afferra e risponde. <> <> <> spiega, mentendo per evitare fraintendimenti e per mettere entrambi al riparo da possibili pettegolezzi. <<È successo qualcosa di molto grave e ho bisogno di parlare con mio figlio. Urgentemente.>> <> Quando Deren rientra nella stanza la guardo in faccia senza dire una parola: ho ancora gli occhi quelle immagini sfocate passate in TV. <> mi dice, quasi leggendomi nel pensiero <> Prima di salire in macchina prendo un te da un venditore ambulante. Non c'è niente di meglio per schiarirsi le idee. Me ne rendo conto mentre sfreccio da casa di Deren verso la Fikri Harika. Ora so esattamente cosa devo fare. A tante parole l'unica scelta possibile è rispondere con il silenzio.

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Capitolo 4
*** 3 ***


Residenza Aksu -Istanbul (2002) Scavalcare il muro della casa del sultano è la cosa che più al mondo mi rende felice. Non ci abita realmente il sultano, ma dentro c'è comunque una principessa. Non capisco cosa sia questo strano tormento dal giorno in cui ho incontrato Esel mi fa pensare a lei ogni secondo. A volte mi affaccio alla finestra della mia camera sperando di scorgerla in giardino a giocare. La immagino con i suoi capelli lunghi correre felice e poi fermarsi per prendere fiato. Mi sembra di vederla con le guance rosse, il lungo vestito sporco d'erba e quegli occhi luminosi. Ogni volta che la incontro sento ancora il brivido di quando mi ha sfiorato per la prima volta con la sua piccola mano e quel profumo di fiori che la circonda. Vederla però è quasi impossibile, rinchiusa com'è in quella fortezza dalle alte mura che ogni giorno provo a superare. <> la voce di mio padre mi fa sobbalzare <> mi dice facendomi l'occhiolino. È convinto che io mi sia preso una cotta, ma non è così. Polen è bellissima, ma è Esel che mi fa battere il cuore. Mi basta solo pensarla. "Se stasera venisse anche lei, se ci fosse e potessi vederla..." ritorno a volare con la fantasia. Non so gestire questa sensazione che mi prende allo stomaco e mi blocca i pensieri. Ovunque vada c'è solo lei nella mia mente. Metin e Akif hanno capito che sono strano in questo periodo. Prima, andare in giro con loro per il quartiere era la cosa che mi piaceva di più: correre per le strade polverose con le biciclette e fare a gara a chi frena all'ultimo momento nella discesa appena sotto casa mia o tirare sassolini alle finestre dei proprietari. Ora queste cose mi sembrano così lontane da me. Tutto il mondo pare sbiadito, senza più colori. Sento il citofono e precipito sotto. Al cancello trovo Metin. <> <> mento. <> Guardo negli occhi del mio amico ed è come se non riuscissi più a comprendere quello che mi sta dicendo, è come se Esel avesse completamente cambiato i miei desideri. Ora non penso più alla mamma lontana, a Emre che sta con lei in Svizzera mentre io sono rimasto qui da solo. Esel ha riempito il mio mondo. <> gli propongo, illuminandomi <> Metin mi guarda in modo strano, senza capire: <>. <> Prendo la mia bici e in quel lampo siamo davanti casa di Polen. Suono il campanello. <> Sento il clic del cancello, che si apre lentamente. La stessa cosa fa la bocca di Metin che chiede stupito: <>. <> Non appena entriamo, dal lungo vialetto vedo i cappelli biondi di Polen, che ci sta vendo incontro. <> le dico quando è vicina a noi. <> da dietro le spalle sento Metin che mi spinge. <> dice, allungando la mano verso Polen. Sembra molto colpito dalla sua bellezza, ma chi non lo sarebbe? Solo io, che non ho occhi che per Esel. <> domando imbarazzato. Polen mi fulmina con lo sguardo e risponde stizzita <>. La sua risposta è gelida, ma il sorriso che le distende le labbra mi tranquillizza. <> Il mio cuore fa una capriola. Metin nel frattempo ha ancora lo sguardo fisso. <> <> <> Le nostre parole si dissolvono nel vento, perché in quel momento i miei occhi sono tutti presi da Esel, che è spuntata timidamente dal grande porto di casa. Ha la testa bassa e tiene le mani strette danti a sé. Il cuore mi batte talmente forte che lo sento rimbombare anche nelle orecchie. Rimango lì impalato con le braccia lungo il corpo, guardando tutto come fosse al rallentatore, Esel che si avvicina, alza lo sguardo e incrocia il mio. Mi manca il respiro, ho la bocca secca e non dare un nome a quello che provo. Vorrei poterle correre incontro e abbracciarla, anche se fino a pochi anni prima giocare con una ragazza significava solo aver perso una scommessa. Ora le perderei tutte per di rimanere con lei. <> balbetto, il suo volto si illumina del sorriso più bello che abbia mai visto. <> L'aria è densa come nelle giornate più calde d'estate e mi impedisce quasi di respirare. Qualcuno prende la mia mano e la stringe forte: è Polen, che con quel gesto taglia il filo che lega i miei occhi a quelli di Esel. <> Le porge la sua mano al mio amico, che si presenta. La mia invece è prigioniera in quella di Polen. C'è qualcosa che è stato deciso ormai da tempo e a cui non riesco a oppormi. Questa sensazione mi opprime. <> propone Polen trascinandomi via <> aggiunge, girandosi verso Esel e Metin. Fikri Harika - Besiktas Istanbul (2014) Quando arrivo in agenzia non credo ai miei occhi. È completamente circondata da giornalisti, operatori e macchine da presa. Di nuovo l'assalto dei media, come due anni fa. Sembrano tanti corvi sui fili elettrici, che aspettano la preda prima di lanciarsi contro di lei tutti insieme. E la preda in questo caso sono io. Cerco di evitarli ma l'entrata del garage è presa d'assalto. Ho paura di far male a qualcuno ma devo comunque passare. Uno di loro mi vede e lancia il segnale a tutti gli altri, che si fiondano sulla mia macchina, circondandola. <> <> mento. <> Ascolto queste parole e non posso credere che la mente umana riesca a pensare cose del genere. Vorrei aprire il finestrino e dirgliene quattro, ma anche questo, come sempre, verrebbe usato contro di me. Riesco a farmi spazio sterzando e finalmente imbocco la rampa che porta ai parcheggi. Anche lì l'entrata è bloccata da molti di loro. Per fortuna la guardia di sicurezza riconosce la mia auto e viene in soccorso. Non appena entro nella grande hall il rumore famigliare di voci e risate si ferma all'improvviso. Un silenzio pesante mi scende addosso rendendomi difficile anche solo camminar. Tutti mi guardano carichi di domande, ma nessuno dice una parola. Deren mi corre incontro. È agitata e il ticchettare in ritmico dei suoi tacchi alti è l'unico rumore che si sente. <> <> Güliz, la più pettegola dell'agenzia, ha un sorrisetto più furbo dei suoi vent'anni e mentre cammino commenta sottovoce con un gruppetto di colleghe. Arrivo nel mio ufficio con la voglia di sbattere la porta. Purtroppo è di vetro e non sarebbe una grande idea. Mi sento in trappola. Faccio avanti e indietro cercando di raccogliere i pensieri, mentre Deren e mio padre entrano della stanza. <> mi dice Deren sedendosi <<è tutta la notte che abbiamo la stampa fuori dall'ufficio. Ci stanno attaccando sui social, il telegiornale parla di noi, ormai si tratta più di una scazzottata tra ragazzi, qui il discorso è più ampio...>> <> continua mio padre <> <> <> chiedono i due all'unisono. <> Esel. Quel nome esce dalla mia bocca, ma in realtà proviene direttamente dal cuore. Per una frazione di secondo la rivedo, bellissima, con i capelli scompigliati mentre mi abbracciava. Sento ancora il sapore dolce delle sue labbra e rivedo i suoi occhi perdersi dentro i miei. Ricordo ancora le sue lacrime il giorno in cui andò via e la mia disperazione perché non sapevo cosa fare. Ora però non so più quel ragazzo e so cosa fare. <> annuncio senza mezzi termini <> Nessuno al tempo di reagire perché, proprio in quel momento Aylin spalanca la porta. Fa una pausa e ci guarda a uno a uno prima di spiegare cosa l'ha portata qui. <> Deren, ancora sconvolta dalle mie parole, si alza e la precede fuori dalla stanza, lasciando a lei di chiudere la porta alle loro spalle. Aylin non aspettava altro per sorridermi sarcastica assottigliando gli occhi. Ha sicuramente sentito le mie parole e questa situazione, a quando pare, le piace molto. Mi tratta come se fossi un nemico da eliminare. Siamo rimasti da soli io e mio padre. <> < gli dico stringendolo forte e respirando ancora una volta il suo profumo, che tante volte quando ero piccolo mia aveva consolato insieme ai suoi abbracci. Casa di Aziz Divit - Distretto di Beykoz, Istanbul Finalmente sono a casa. La giornata è stata infinita ma una nuova energia mi scorre nelle vene. Mi siedo sul letto e ripenso a tutti gli eventi delle ultime ventiquattr'ore: ai giornalisti che hanno tentato di raggiungermi con lo stratagemma possibile, alle parole di mio padre e agli abbracci di Deren che non mi lasciava andare via. <> le avevo raccomandato prima di lasciarla andare. E poi penso a Emre che, incredulo per la notizia che sua fidanzata glia aveva già riportato, era entrato nel mio ufficio chiedendomi se ero impazzito. Sono sicuro che sia realmente dispiaciuto. Sono suo fratello e il suo sangue è il legame più forte, nonostante Aylin stia cercando di separarci. Cerco di dare un senso a quando è successo e comincio a fare le valigie, ma quando mi guardo intorno capisco che non ho bisogno di portare niente. Tutto quello che vedo fa parte di ciò che ero e che non voglio più essere. Istintivamente però la mia mano va alla pila di libri sotto la finestra. Sopra c'è un po’ di polvere che soffio via. Passo in rassegna i volumi fino a che non trovo quello che cercavo, quello che verrà con me e mi ricorderà la mia casa anche quando sarò lontano. sollevo Poesie d'amore del mio amato Nâzım Hikmet. Accarezzo la copertina chiara con il pollice e poi la annuso per sentire l’odore. Alcune pagine sono ingiallite e le scorro velocemente con le dita. Questo è l’ultimo regalo di Esel. Ricorda ancora quando mi è arrivato, un anno dopo che lei se ne era andata. Era volata via con le lacrime che le rigavano il volto e gli occhi sbarrati di chi non può credera a una verità troppo dolorosa. Cioè che io la stavo lasciando. Come i capelli erano stati la prima cosa che avevo visto in lei, così erano stati anche l’ultima. Una tempesta scura che, questa volta, non si avvicinava al mio cuore na lo abbandonava per sempre. Preso dalla nostalgia stringo istintivamente il libro al petto, ma mi scivola dalle mani e cade scomposto sul pavimento. È solo quando lo raccolgo che scopro che all’interno della copertina c’è una busta incollata. Come ho fatto a non vederla fino a ora? Tipico di Esel e dei suoi strani modi di comunicare. La stacco delicatamente e riconosco subito la sua calligrafia. “Per Can” c’è scritto sopra. Mi siedo sul pavimento appoggiando la schiena ai piedi del letto. Apro la busta ed estraggo un foglio di carta piegato più volte, che racchiude un piccolo bocciolo di rosa ormai secco, ma dai colori ancora vividi e intatti. Lo poggio delicatamente sopra la mia gamba e apro la lettera… Caro Mister C, prima di tornare da te era necessario che il tempo asciugasse le mie lacrime e lenisse il tuo cuore. Solo adesso posso scriverti un ultimo messaggio, certa che questo sia un addio solo tra due persone, perché l’amore continuerà a fiorire nelle nostre vite dando nuova linfa al prato deve ci siamo incontrati per la prima volta. Lontana da quello che è riuscito a separarci, mi sono piegata al volere che il destino ci ha riservato. Credo che la vita ci assegni un percorso dai cui è impossibile uscire, e il mio e il seguono strade separate. Nel mio cuore ora non c’è più nessun dolore, semmai nuova linfa e una nuova vita che presto nascerà, e che mi farà diventare madre. È il momento di andare avanti. Questo avvenimento così meraviglioso mi ha fatto capire molte cose. Anche le tue azioni, che mi sono sembrate così crudeli e dettate dall' orgoglio, in realtà appartengono ferrea convinzione di lasciar fuori dalla tua vita le menzogne, e questa è una cosa bellissima cheti prego di non cambiare mai. Ora ho capito che avevi ragione. Ho capito quando quella mia vita così superficiale, fatta solo di vestiti firmati e soldi, mi avesse cambiata. Sono riuscita a vedermi con gli occhi con cui mi hai vista tu quella sera e ti ringrazio ser avermi aiutata, anche se dolorosamente, a far cadere quel velo di stupidita vanità e senso di rivalsa nei confronti della vita che mi aveva bendato gli occhi, ed tornare la ragazza che ero. Tra qualche settimana mi sposerò, valevo che tu lo sapessi e che fossi felice per me. Sono corta che lì fuori, in qualche posto sperduto, si nasconda la tua anima gemella e so che questa volta nessuno potrà farle del male difendila, Can, difendila con tutto l'amore di cui sei capace. Chissà, forse per lei riuscirai a passare sopra a tutto, anche alla tua integrità, anche alla tua legittima intransigenza. Il bocciolo di rosa che ho inserito nella busta l’ho raccolto il giorno del nostro primo incontro, spero che manterrà per sempre i colori della nostra primavera. Esel Rimango immobile per un tempo infinito rileggendo quelle parole. Rivivo tutti i momenti trascorsi insieme, le gioie e le paure. Il mio addio. Ora il cerchio si è chiuso davvero. Ora è il momento di andare avanti.

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Capitolo 5
*** 4 ***


Casa di Sanem Aydin – Beykoz Kundura, Istanbul (2004) Non mi piace il vestito azzurro che indosso. Mia madre ci tiene tanto ma di sicuro stava molto meglio a mia sorella Leyla, la principessa bionda che lo ha indossato per il suo compleanno due anni fa. Oggi invece è il mio, di compleanno, e io ci tenevo tantissimo a sentirmi carina. Sono una delle poche bambine del quartiere che lo festeggia, perché a mia madre non sembra vero di avere un’occasione per poter fare una torta. Mentre mi pettina i capelli, tirandomeli all’indietro con una spazzola per farmi la coda, penso che prima o poi le rimangano tutti in mano per quanto li tira. Per questo ogni mattina prima di andare a scuola cerco di sfuggirle e lei mi insegue per tutta casa fino a che non suona Ayhan e io esco al volo, spettinata. Lei però non si arrende. Si affaccia alla finestra brandendo la spazzola allo stesso modo del mattarello che usa per minacciarmi quando faccio qualcosa che non va, e mi urla di tornare indietro: <>. Io faccio finta di non sentirla e con Ayhan accelero il passo in direzione della scuola, che è a pochi isolati da casa mia. <> dico passando davanti alla porta della bottega dove mio padre e quello di Ayhan stazionano sempre per chiacchierare e sorseggiare del tè. Ogni mattina mi fermo lì con la mia amica del cuore e lui ci regale un panino dolce appena arrivato dal forno vicino. Mentre mi abbraccia per salutarmi, spesso mi sussurra: <>. Io sorrido e so che lui mi comprende anche se ogni sera, pur di dar ragione a mia madre si la lagna della mia trasandatezza, finge di arrabbiarsi e mi dice: <>. Però poi mi fa l’occhiolino e capisco che non dice sul serio. Dunque, il mio vestito azzurro. Non mi piace, ma come seconda figlia sono destinata a portare tutti gli abiti di mia sorella Leyla. Andrebbe anche bene, se lei non fosse più alta di me e non avesse gusti completamente opposti ai miei. Vestitini, rouches, fiocchi, colori tenui. Ma perché deve vestirsi così? Adoro quando posso invece mettermi un paio di pantaloni e una maglietta ed essere libera di giocare per il quartiere insieme ad Ayhan, che avendo un fratello maschio ha la fortuna di indossare tutto quello che le piace. Oggi sono circondata da tutti i miei amici. C’è Osman, il fratello di Ayhan, Muzaffer, il ragazzino più strano del quartiere che ho soprannominato, Zebercet, mia sorella Leyla con la solita espressione da principessa acida, Ayhan, la mia amica del cuore, e qualche altro compagno di classe tra cui Cahide, che è la mia compagna di banco anche se con lei non è che vada proprio d’accordo. Però mia madre tiene alla formalità e lei è la figlia della più chiacchierona del quartiere. È arrivata solo da un paio di anni, ma ci è voluto poco perché lei e la sua famiglia diventassero i più antipatici e insopportabili. <> <> <<È la tua compagna di banco? Allora verrà alla tua festa. E vedi di mettere il vestito azzurro, quello che stava tanto bene a Leyla.>> “Ecco, appunto” penso “a Leyla, no a me.” E poi c’è lui, Sinam, il mio compagno di scuola che tutti noi chiamiamo Riccio per via dei capelli. Un ragazzino bellissimo, diverso da tutti gli altri compagni. È gentile e disponibile con tutti. Da quando è arrivato a scuola sono sempre insieme a lui ed a Ayhan a giocare. Le altre ragazze sono noiose. Stanno sempre a saltare la corda, a chiacchierare e a spettegolare. A me invece piace sentirmi libera, correre e divertirmi senza pensare che posso farmi male o che sporco il vestito. Mi ricordo il primo giorno di scuola quando ci siamo conosciuti. Mia madre mi aveva accompagnata e lasciata poi alla maestra Imran, che ci aveva fatto mettere in cerchio nel giardino della scuola. Ognuno di noi doveva dire il suo nome. Mi sentivo un po’ un pesce fuor d’acqua perché Ayhan era in un’altra classe, ma lui si è avvicinato e prima ancora di presentarsi a tutti ha allungato la mano e mi ha detto: <>. A quelle semplici parole, le mie guance hanno preso fuoco. In quel momento, ho avuto il desiderio di scappare ma anche quello di rimanere vicino a lui e guardarlo a lungo. A volte, quando siamo in classe, mi giro a osservarlo è quasi sempre scopro che anche lui mi sta guardando e sorride. Purtroppo non sono la sola a trovarlo carino e simpatico, anzi, molte bambine della mia classe, e persino della scuola, gli stanno sempre addosso e vogliono diventare sue amiche. Sono sempre lì a fargli i sorrisetti, a salutarlo, a chiedergli aiuto per i compiti. Lui è gentile con tutte, ma con me in modo particolare. Penso a quando inciampo a scuola, non so perché ma capita spessissimo, e a come ovunque lui si trovi mi vorrà subito vicino chiedendomi se mi sono fatta male. Mi sento proprio un disastro in quei momenti, così il più delle volte mi alzo e scappo via per non farmi vedere tanto impacciata e lui mi incorre pensando che si tratti di un gioco. Mamma esce dalla cucina e arriva in giardino con una torta a due piani, un dolce che ha preparato seguendo la ricetta di una delle riviste che vende al minimarket. Nonostante cucini solo piatti turchi, per i miei dodici anni ha fatto un’eccezione con “una di quelle torte che piacciono tanto in America “. <> grifano tutti i miei amici, e così senza farmelo ripetere troppo salgo sulla sedia davanti al tavolo che abbiamo nel piccolo giardino di casa. Sono un po’ traballante, ma riesco a resistere fino a che mia madre non mi posiziona la torta davanti con la candelina accesa. Tutti iniziano a cantare Happy birthday, la canzoncina che abbiamo imparato fino dall’asilo durante le lezioni d’inglese. Ho la torta davanti ma la ghiaia del giardino rende instabile la sedia, che sento traballare atto al mio peso. Sto per scovolate tra lo stupore di tutti quando mi sento affermare per un braccio. È Sinam, che con una pesca d’acciaio mi riporta in equilibrio tra le occhiatacce di mia madre e di mia sorella e le risate di tutti gli atri. Mi sorride e io ringrazio di cuore il mio Salvatore, ricambiando lo sguardo dolce e protettivo. Riparte la canzoncina e quando arriva a <<… happy birthday, Sanem>> qualcosa fa tremare nuovamente la sedia. Questa volta Sinam, che mi è rimasto vicino, non c’è la fa a prendermi e io e il mio vestito azzurro precipitiamo sulla torta, riducendola a una poltiglia facendola schizzare da tutte le parti. Mi alzo completamente ricoperta di glassa, pan di Spagna e cioccolato. C’è l’ho ovunque: sul vestito, in faccia, tra i capelli. Mi giro per cercare di capire cosa sia successo e dietro di me vedo Cahide con un sorriso perfetto stampato in volto. So che è stata lei, ma come faccio a dirlo? In quel momento vorrei strozzarla. Che figura davanti a tutti, ma non è la cosa peggiore. Le urla di mia madre possono essere sentite fa chilometrò di distanza. Ayhan, la mia amica del cuore, mi viene vicino e cerca di aiutare togliendomi i pezzi di torta dal viso e dal vestito. <<È stata lei, Cahide>> le sussurro facendo voltare le briciole di torta che mi sono finite in bocca. <> Mia madre interviene prendendomi per un braccio e mi porta in casa: <> <> <> <> Dopo quel disastro con la torta il vestito verde di mia sorella è proprio la ciliegina sulla torta che non c’è più, penso tristemente. <> mi riporta all’ordine mia madre a compagnando il mio nome con uno dei suoi sguardi fulminati. Non mi resta che pulirmi alla meglio e indossare l’orribile abito dall’enorme fiocco sulla schiena. Esco di nuovo sentendomi uno dei ramarri che vedo a casa di mia nonna, in campagna. Quella perfida di Cahide, tutta vestita di rosa, sta parlando con Sinam, ma non appena lui mi scorge l’alba lascia da sola e si avvicina. <> Apprezzo molto il suo intervento, ma mi sento a disagio. Per fortuna Muzaffer sta attirando tutta l’attenzione. È in piedi sulla sedia dalla quale ero caduta poco prima e spiega a tutti come è successo urlando che è un bambino un po’ particolare è ormai alle sue stranezze non fa più caso nessuno. <> mi chiede Ayhan avvicinandosi < <>la rassicuro ancora un po’ provata. <> mi dice allungandomi un occhietto avvolto in una bella carta rosa. <> la abbraccio e strappo la carta del pacchetto. Dentro c’è una specie di quaderno con sopra la foto di un grande uccello che sembra un gabbiano. << È un diario, Sanem. Sei così brava a scrivere e a raccontare storie! Così ho pensato che puoi scrivere tutto quello che vuoi. So che ti piacciono gli uccelli e ho scelto questo; non so cosa sia, ma lo trovo bellissimo.>> Il regalo di Ayhan mi piace moltissimo. Ho sempre sognato di avere un diario. Mi piace talmente tanto che ho iniziato subito a usarlo. Vorrei riempirlo di ricordi belli e felici e spero non saranno tutti episodi come la torta che ho distrutto candendoci sopra. Dopo Ayhan, anche Sinam si avvicina a me con un pacchetto rotondo. Persino senza aprilo capisco che si tratta di un pallone. <> Sono molto felice di quel regalo e lo per ringraziare, ma lui mi interrompe. <> mi dice guardandomi fisso. Io lo faccio e lui mi prende una mano e ci posa sopra qualcosa prima di richiuderla. Apro gli occhi e la mano e vedo un braccialetto d’argento. Lo avvicino per guardarlo meglio e noto un piccolo ciondolo a forma di pesciolino. Sinam sa benissimo che amo giocare a calcio con lui, ma adoro anche il mare. Rimango senza parole. Sento le mie guance andare in fiamme per la sorpresa inaspettata. Lui se ne accorge, prende il braccialetto e me lo aggancia al polso. Ho il cuore che mi batte forte e girandomi abbraccio d’istinto Sinam, felice e molto imbarazzata. Lui pero si scosta, arrossisce e indietreggi di qualche passo. Non capisco la sua reazione, ma in quell’istante su avvicina Cahide e si mette tra noi due. <> mi dice <> Non so perché ma non le credo e continuo a pensare che l’abbia fatto a posta. <> continua <> Quelle parole mi colpiscono profondamente, ma se pensa che le darò soddisfazione si sbaglia di grosso… Apro il regalo che mi ha portato, come se non avessi sentito quello che ha detto. Dalla carta viene fuori una delle magliette più brutte viste in vita mia, tutta fiocchi e perline. Orribile. <> La sua frecciatina colpisce nel segno, ma non voglio darle soddisfazione. <> le sorrido. <> Colpita, si gira e se ne va guardandomi male, mentre arrivano tutti gli altri con il loro pacchetti colorati. La festa è finita e a uno a uno i miei amici se ne vanno. Anche Sinam, che mi saluta da lontano che la mano mentre esce insieme e Cahide, che invece non mi degna di uno sguardo. Decido di andare a cena a casa di Ayhan e mia sorella si unisce a noi accentando l’invito di Osman che, come dice sempre sua sorella, è innamorato di lei. Mi piace molto passare la serata con loro. I suoi genitori sono come zii per me e dopo quello che ho combinato con la torta meglio stare un po' lontana da mia madre. Dopo cena vado in camera di Ayhan e cominciamo a parlare della festa e di quello che è successo. <> dico, ripensando al suo prima tentativo di aiutarmi a non cadere, e stringo tra le dita il ciondolo a forma di pesciolino che non ho più tolto dal polso. Poi però ripenso a quando l’ho abbracciato per ringraziarlo e lui si è spostato. <> <> mi risponde lui. <> <> Lascio cadere l’argomento e penso invece a Cahide, che con me è stata davvero perfida. <> << Ma perché Ayhan? Siamo compagne di banco, io sono sempre gentile con lei, perché mi tratta in quel modo?>> <> <> <> Bussano alla porta e Osman entra seguito da Leyla. <> chiede sorridendo il fratello di Ayhan. <> <> aggiunge Leyla avvicinandosi. <> dice Ayhan <> <> Osman si siede vicino a noi e mi sporgo verso di lui, incuriosita. <> <> Mi ricordo vagamente una cosa del genere, ma non sapevo che si trattasse del fratello di Cahide; in realtà non sapevo neanche avesse un fratello. <<È un bullo. Ha minacciato alcuni ragazzi della scuola insieme alla sua banda di amici.>> <> interviene Leyla <> <> Osman cambia espressione. <> Io e Ayhan scoppiamo a ridere nel vedere la gelosia di Osman, ma questo infastidisce Leyla. <> Il tono di voce da maestrina di mia sorella non ammette repliche e così saluto Ayhan e mi incammino verso casa. Nel brevissimo tragitto ripenso a Sinam. Non capisco il suo comportamento: prima mi regala un oggetto così bello e poi si sposta in maniera brusca. Lui è davvero un mistero, ora me ne rendo conto. Non ho mai visto i suoi genitori, non so neanche dove abiti in realtà, e la cosa è strana visto che nel quartiere ci conosciamo tutti. Sono a pochi passi da casa e in lontananza vedo una figura vicino al portone. Lo riconosco subito dai capelli ricci: è lui, Sinam. Non mi ha ancora visto e mentre mi aspetta cammina avanti e indietro calciando palloni immaginari. Si ferma solo quando mi vede arrivare. <> <> mi dice imbarazzato. <> <> <> <> la voce stridula di mia madre si palesa quando lei apre la porta. Io e Sinam ci geliamo e rimaniamo immobili senza dire una parola. <> mi ordina in un tono che non ammette repliche. <> dice poi rivolgendosi a Sinam. <> <> <> Sinam abbassa la testa come sconfitto e mi saluta con la mano mentre si allontana. Io entro in casa e mia madre non perde occasione di rimproverarmi. << Ma ti pare l’ora di mettersi a parlare fuori casa?>> <<> <> <> <> mi dice addolcendosi e abbracciandomi. <> Mia madre continua con il monologo che sento ogni anno, su quando ero appena nata e Leyla era piccola e mi guardava nella culla e poi… Una storia che conosco a memoria. Il mio pensiero va invece a Sinam. Che voleva dirmi? Perché è tornato a quest’ora? Domani devo assolutamente scoprire che cosa è successo. E devo raccontare tutto ad Ayhan.

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Capitolo 6
*** 5 ***


Zurigo (2004) <> la voce di Emre è piena di aspettative, mentre sale insieme a Hüma la scaletta dell’aereo che li sta riportando a casa. Lo attendono due ore e cinquantatré minuti esatti di volo, che ha diligentemente impostato sul nuovo cronografo che lei gli ha a comprato a Zurigo. A tredici anni, non è più il bambino che era partito con la mamma anni prima, lasciando il fratello e il papà. Ora è un ragazzino biondo con gli occhi azzurri, colori rari in Turchia ma molto comini in Svizzera, dove di giovani come lui ce ne sono a bizzeffe. Ha sentimento contrastanti rispetto a questo ritorno. Da una parte lasciare i suoi amici è molto doloroso, dall’altra sente la mancanza di Can e la protezione che suo fratello, puri così diverso da lui, gli dava. Pensa anche a suo padre e un senso di imbarazzo lo colpisce, come sei sua madre, seduta al suo fianco con in mano un bicchiere di scotch, potesse leggergli i pensieri e restarne delusa. Lui ama suo padre, ma quello che Hüma gli ha raccontato durante tutto quel tempo lontano da casa gli ha confuso idee e sentimenti. <> Quella frase, ripetuta molte volte, gli si era cementata nella mente ma aveva faticato a farsi spazio nel cuore. Gli piaceva pensare che Aziz fosse orgoglioso di lui, di quel figlio che studia in Svizzera e che ha quasi dimenticato come si parla in turco, ma che ora, più di un ragazzo, conosce correttamente atre due lingue. Adora immaginare che quella lontananza sia stata un tormento anche per suo padre e che, non appena si fossero rivisti, quella lunga separazione sarebbe diventata solo un brutto ricordo. Provava nostalgia per la Turchia, nonostante l’avesse lasciata quando era troppo piccolo per comprendere appieno cosa significasse quella terra per lui. Anche se non ricordava la lingua aveva però vividi ricordi di alcuni sapori e odori inconfondibili, che custodiva gelosamente nella memoria nonostante fossero stati pian piano sostituiti dai piatti elaborati e dai profumi costosi che aveva trovato a Zurigo. Adesso è quello che si può definire un giovane promettente rampollo della società europea. Non sfigurerebbe in Inghilterra o in Italia, anche se a un piatto di sushi o a uno di pasta preferisce le köfte che gli preparava la tata a Istanbul. Un ricordo lontano ma vividissimo, così come quello delle carezze di Aziz e dei giochi con Can. <> aveva sentito la madre confessare di nascosto a un’amica. Quella frase, un tarlo che picchiava forte sotto le perfette acconciature, a quanto pare era diventata un vero e proprio scopo da perseguire visto che stavano tornando: sicuramente per riconquistare il terreno perduto. Quando il cronografo gli ricorda che sono passate due ore e quaranta minuti dalla partenza, la voce del comandante richiama puntuale l’attenzione dei passeggeri: <>. Hüma posa il bicchiere, in cui restano sole poche gocce del liquore che aveva sorseggiato per tutto il tempo, si lecca le labbra e guarda Emre scompigliandoli affettuosamente i capelli: <>. Giardino degli Aksu – Istanbul Vedere Esel è lo scopo di ogni mia giornata. Finita la scuola mangio di corda e mi precipito sempre a casa di Polen. A volte viene anche Metin, che con noi si diverte. Però preferisco quando sono da solo e lascio a Esel un bigliettino in un punto preciso della strada, su un muretto, ver avvertirla dell’ora in cui ci vedremo. Voglio stare con lei, sono sempre impaziente di ascoltare i suoi discorsi, di vederla ridere e qualche volta anche di prenderle la mano facendola arrossire. Quando Polen è con noi finisce sempre per separarci e, sebbene sia impossibile non rimanere incantati dai suoi occhi verdi, nulla può essere paragonabile a quelli nocciola di Esel. Nel grande giardino della famiglia di Polen ho trovato un rifugio solo per noi due: una vecchia capanna abbandonata dove un tempo venivano riposti gli attrezzi. In quell’improvvisato luogo segreto, lontano dagli occhi di tutti, ho costruito il nostro piccolo mondo portando coperte e cuscini. Spesso ci arrivo carico di biscotti e cioccolato per farle una sorpresa, mentre di lei di solito è in cucina con la madre a sbrigare faccende. Poi, con la scusa di andare a studiare in giardino, mi raggiunge il più in fretta possibile per non farsi vedere da nessuno, soprattutto da Polen, che ha nei suoi confronti un atteggiamento particolarmente odioso. Non è sempre una bugia, a volte studio davvero con lei aiutandola a fare i compiti. Essere il primo della classe è per me un gioco da ragazzi: la mia capacità di apprendimento è sorprendente, tanto che dopo l’Alta Scuola hanno consigliato a mio padre di mandarmi in qualche college all’estero per perfezionare la mia istruzione. Altre volte passiamo il tempo a raccontarci cose divertenti, altre ancora ci sdraiamo sopra le coperte e guardiamo le nuvole e gli uccelli attraverso l’enorme buco sul tetto del capanno. È in momenti come questui che le mie mani, prima a farmi da cuscino sotto la testa, scivolano piano lungo i fianchi di entrambi e le dita si muovono come fossero calamitate dalle sue. Quando le sfioro la sento dapprima irrigidirsi e poi, lentamente, muoversi per cercarmi. Quel contatto crea tra di noi una sorta di corrente elettrica, qualcosa che si irradia nei nostri corpi passando dal mio al suo. Il cielo sopra di noi si sposta e così fanno i nostri occhi, fino a che non incrociamo l’uno lo sguardo dell’atra e rimaniamo lì immobili, incapaci di fare un passo in più per paura che anche un solo battito di ali di uno degli uccelli che volano sulle nostre teste possa rovinare la magia del momento. È uno di questi giorni che, ternando dal giardino di Polen dopo aver incontrato Esel, entro in casa e li vedo. Sono nel salone, abbracciati, occhi negli occhi. Mio padre e mia madre. <> la voce di Emre in inglese mi sorprende alle spalle, mi giro e rimango senza parole. Chi è questo ragazzo biondo che ho difronte?

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Capitolo 7
*** 6 ***


Casa di Sanem Aydin – Beykoz Kundura, Istanbul (2006) Sono passati due anni dall’ultima volta che ho visto Sinam. Oggi è nuovamente il mio compleanno e, come lo scorso anno, in questo giorno non riesco a pensare a lui. Mi capita soprattutto in questa data perché tutto mi ricorda l’ultima volta che l’ho visto: dai regali ricevuti alla torta, che due anni fa avevo distrutto cadendoci sopra. Nonostante sia passato tanto tempo, vorrei capire cosa è successo. Nel quartiere sono circondate tante chiacchiere, anche se nessuno conosceva bene la sua famiglia. Alla fine, mese dopo mese, nessuno si ricordava più di loro e anche a scuola il nome di Sinam è stato velocemente dimenticato. Da tutti, ma non certo da me. Farei qualsiasi cosa per sapere dove è finito e soprattutto cosa voleva dirmi l’ultima sera, quando è venuto a casa mia. Ricordo tutto come successo ieri: la festa, la cena a casa dei genitori di Ayhan, lui che mi aspettava sotto casa per parlarmi e mia madre che mi ha fatta rientrare. Ma quello che ricordo ancora meglio è quando successo qualche giorno dopo… Era ormai una settimana che non vedevo Sinam. Dalla sera del mio compleanno non era più venuto a scuola o a giocare, il pomeriggio, vicino a casa di Ayhan. Ogni mattina uscivo ancora prima di casa, senza neanche lamentarmi se mia madre mi tirava i capelli per farmi la coda. Anche Ayhan non capita tutta questa mia agitazione. Era sparito nel nulla e nessuno sapeva niente. Ero molto preoccupata, non sapevo dove abitava e soprattutto non sapevo a chi chiedere. Non mi ero mai interessata delle assenze degli altri compagni, a meno che non si trattasse di Ayhan, ma in quel caso conoscevo il motivo prima ancora della maestra. La cosa mi sembrava così strana, soprattutto dopo quello che mi aveva detto; anzi, che non mi aveva detto, sotto casa mia. Ho provato anche a parlare con Cahide, la mia compagna di banco: <> le avevo detto. Lei solitamente scontrosa, era diventata addirittura furente:<>. Io ero rimasta senza parole, ma se anche avessi voluto replicare non ne avrei avuto la possibilità perché l’insegnate ci aveva ripreso. Così mi ero chiesta in silenzio quale fosse il motivo di questo suo atteggiamento. Ripensavo spesso quando giocavamo insieme a calcio e lui sul campo cercava di “smarcarsi” – mi aveva insegnati lui che si diceva così – vedendomi vicino e provando a prendermi la palla. In quei momenti ci guardavamo dritti negli occhi, muovendo solo le gambe. E io mi divertivo da morire a toglierla, anche se poi ho pensati che forse era lui che mi faceva vincere. Durante la pausa mi sono avvicinata alla maestra e le ho portato il diario che mi aveva regalato Ayhan: <> le ho chiesto, mostrandole la copertina del diario. <> La maestra mi ha ascoltato, poi ha spostato lo sguardo sulla copertina del diario. << Brava Sanem, questo sembra un gabbiano, ma invece è un albatros.>> <> le ho detto, sperando in una sua spiegazione. La maestra ha finto di non sentire e ha continuati a parlare: << È uno dei più grandi volatili marini ed è famoso per le sue enormi ali. Arrivano fino alla lunghezza di due metri. Praticamente sono il doppio di te, Sanem. Ha il becco che sembra un uncino.>> mi raccontava sorridendo, mostrandomi la forma con il dito <>. <> le ho risposto. Poi, raccogliendo tutto il coraggio possibile, le ho chiesto d’un fiato: <> Lei si è rimessa gli occhiali e ci ha pensato un po' prima di rispondermi. <> Mentre tornavo a casa insieme a Ayhan ho deciso di raccontarle tutto. E poi intendo che ero preoccupata per Sinam perché mi sentivo che gli era capitato qualcosa di brutto. <> L’ho interrotta mentre mi stava parlando della sua ennesima idea da realizzare. <> Ayhan si è fermata e mi ha guardata seria: <> mi ha rassicurati, facendo segno di chiuderla come una cerniera lampo. <> le ho detto stringendo con due dita il bracciale che portavo al polso. <> Mentre pronunciavo quelle parole, dall’angolo del palazzo che stavamo costeggiano sono usciti cinque ragazzi. La strada, solitamente piena di gente seduta fuori di casa, quel giorno era vuota. Forse perché era iniziata a cadere una pioggerillina sottile o forse perché erano tutti a pranzo. Nulla di strano, eppure ho subito percepito in quei ragazzi qualcosa di preoccupante perché si avvicinano a noi compatti e silenziosi. <> <> Ayhan, affretta il passo…>> <> le parole le si sono bloccate sulla bocca quando uno dei ragazzi le si è parato davanti, sbarrandole la strada. Avranno avuto forse tredici anni e io non lo avevo mai visti nel quartiere. <> Ayhan ha abbassato la testa senza dire niente, mentre io mi sono fatta coraggio: <>: La pioggia stava aumentando e sentivo i capelli bagnati. Quelli non si muovevano, erano fermi davanti a noi e formavano una barriera che impediva di avanzare. <> ha chiesto il ragazzo al centro, indicando le nostre tracolle. << I libri di scuola.>> << ha poi detto indicando il regalo di Sinam. <> ha annuito il ragazzo vicino, rivolgendosi a un altro membro del suo gruppo. Avevo veramente paura; quei ragazzi erano li per derubarci, ma non avevamo mai niente da dargli e io non volevo prendessero il regalo di Sinam. Con la mano no tenuto stretto il ciondolo stringendolo forte, quasi a proteggerlo. Il ragazzo si è avvicinato mentre gli altri ci avevano circondato. <> Qualcuno cu stava chiamando. Mi sono girata di scatto e ho visto Osman e un paio di amici che correvano verso di noi. Ho tirato un sospiro di sollievo e ho lasciato il braccialetto visto che la tensione si era allentata. È stato in quel momento che il più grosso di tutti se è fatto avanti ì, strappandomelo dal polso e cominciando a correre insieme agli altri nella stessa direzione dalla quale erano venuti. Mi sono accovacciata a terra gridando, sia per lo spavento sia per il dolore che lo strappo mi aveva provocato. Ho messo la mano sul polso e ho visto un grosso segno rosso. Ayhan si è inginocchiata vicino a me: <>. Nel frattempo sono arrivati Osman e i suoi due amici, cercando di riprendere fiato dopo la lunga corsa. Osman ha abbracciato forte Ayhan e poi si è avvicinato a me per controllare il braccio: <>. “Ma chi erano quelli?” ho pensato, mentre dai portoni iniziavano a uscire persone attirate dal mio urlo e dall’arrivo di Osman. <> hanno chiesto tutti. Una signora è uscita con un bicchiere d’acqua e me la ha offerto: <> mi ha detto. Tutto era così confuso intorno a me. Mi sono poi sentita abbracciare alle spalle. Quando mi sono voltata ho visto mia sorella Leyla che mi stringeva forte: <> Mi ha baciati la guancia e io ho pensato che quello che era appena successo doveva essere davvero grave se mia sorella si comportava in quel modo con me. Dopo pochi minuti è arrivato anche il padre di Ayhan: <>. Nella confusione mi sono chiesta come avesse fatto il padre di Ayhan a saperlo, quando era praticamente appena successo. Però il quartiere è così e la cosa un po' mi confortava: quei ragazzi sarebbero stati sicuramente presi in fretta. <> continuava a ripetermi Leyla. In quel momento ho che mi volesse veramente bene, anche se sembrava sempre esasperata da me. Lentamente le persone sono rientrate nelle proprie abitazioni. Insieme al padre di Ayhan ci siamo incamminati verso casa, fermandoci prima la bottega dove papà Nihat ci stava aspettando preoccupatissimo. Quella sera mia mamma aveva invitato la famiglia di Ayhan a cena. Eravamo tutti un po' scossi, soprattutto perché era la prima volta che in un quartiere tranquillo come il nostro succedeva una cosa del genere. Nonostante le chiacchiere del pomeriggio, sembrava che nessuno avesse riconosciuto i ragazzi, che non erano sicuramente della zona. <> ha detto il papà di Ayhan. <> ha replicato per fortuna mia madre <> <> l’ha interrotta mio padre <> La cosa non mi piaceva affatto, adoravano andare e tornare da scuola da solo insieme ad Ayhan, e avere Osman e Leyla alle calcagna non era una cosa che amavo. Hanno suonati il campanello e ci siamo guardati sorpresi: non aspettavamo nessuno. <> gli ha detto zia Asu, la mamma di Ayhan. Non appena ha aperto la porto abbiamo sentito le urla fin dal giardino. <> Muzaffer è entrato con le mani alzate, e quando mi ha vista si è inginocchiato per la felicità. <> Subito dopo di lui è entrata sua madre Aysun: <>. <> ha detto mia madre. Parlava della parrucchiera del quartiere, che si era da poco trasferita e aveva aperto il negozio accanto alla nostra casa. Non le sfugge niente di quello che è successo, ma spesso esagera gli eventi e infatti orano eravamo certi che la maggior parte delle persone mi pensasse in mano a qualche rapinatore. <> ha urlato mio padre per riportare la calma. <> Aysun, la madre di Muzaffer, sembrava quasi delusa dalla notizia, ma si è seduta di buon grado accentando il tè che li veniva offerto. Da germofobica qual è, ha controllato prima il bicchiere per vedere se fosse perfettamente pulito. Nel frattempo io e Ayhan ci eravamo rifuggiate in camera mia, lasciando Muzaffer e le sue farneticazioni a Osman e Leyla. <> <> ho detto toccandomi il polso per sentire la piccola ferita provocata dallo strappo. <> <> <> mi ha chiesto Ayhan avvicinandosi. <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> Muzaffer è entrato in camera miao. <> <> ho detto a bassa voce. <> <> Io e Ayhan siamo rimaste a bocca aperta. <> <> La mattina dopo, quando Ayhan è venuta a prendermi sotto casa insieme a Osman, non vedevo l’ora di rimanere sola con lei. <> <> Ho sperato con tutto il cuore che quello che aveva detto fosse solo una delle sue stranezze. A scuola quel giorno Cahide sembrava di buon umore, anche se come sempre non mi ha salutata. La maestra a fatto l’appello e quando ci siamo seduti ha cominciato a parlarci. <> <> ho sentito dire sotto voce da Cahide. <> ha detto sorridendo. <> Da quel giorno sono passati due anni e io non ho mai saputo la verità. Oggi pomeriggio ci sarà la festa per il mio compleanno ma, come l’anno scorso, non sarà la stessa cosa senza di lui. Lo dico anche ad Ayhan mentre come ogni mattina andiamo a scuola. Per Fortuna sarà una cosa molto piccola e soprattutto ho chiesto a mia madre di non fare una torta monumentale.

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Capitolo 8
*** 7 ***


Residenza Aksu – Istanbul (2007) <> Attraverso lo specchio Esel vede che sua madre ha gli occhi umidi. Si gira verso di lei, facendo attenzione che il lungo abito azzurro non si stropicci. <> le dice Fatoş, prendendole dolcemente il viso tra le mani prima di aprire il cassetto da cui estrae una coroncina di fiori freschi. <> Qualche piano più su, nella splendida camera di Polen, due cameriere si affrettano facendo avanti e indietro cariche di vestiti e scarpe. <> <> <> Alzando gli occhi al cielo in cerca di aiuto, la cameriera esce dalla stanza scendendo di fretta due piani di scale fino ad arrivare alle cucine. << Fatoş? Dov’è Fatoş? L’avete vista?>> <<È nella sua stanza.>> Un altro piano di scale da scendere di corsa e finalmente ecco la porta. <> <> <> Fatoş fa un lungo respiro e invita Alya a entrare nella piccola stanza dove ci sono due lettini e un armadio. La donna si blocca quando vede Esel davanti allo specchio. <> le dice sorpresa. <> L’abito è il regalo che tutte le cameriere della casa hanno cucito a turno per lei. <> Le lacrime scendono dalle guance di Fatoş, che le asciuga con il dorso della mano. <> Alya la abbraccia forte. Quando Fatoş era arrivata in quella casa, Esel era ancora in fasce e anno dopo anno era diventata la figlia di tutte. Una bambina intelligente, che grazie alla bontà del padrone di casa ha ricevuto una borsa di studio per poter frequentare le stesse scuole di Polen che si è appena diplomata con il massimo di voti. Alla generosità del capofamiglia però si è sempre contrapposta la freddezza di sua moglie Irem, la madre di Polen e Yiğit. Una donna la cui presunzione è pari solo alla bellezza. Altera e intransigente, non approva il modo in suo marito tratta il personale di servizio. Molte delle cameriere che abitano nella grande villa hanno spesso pianto per i suoi rimproveri e alcune di loro sono state addirittura mandate via che per futili motivi. Dei suoi due figli Polen è la preferita: il suo piccolo clone sia nell’aspetto che nel carattere. Irem e Hüma, la madre di Can e Emre, sono ottime amiche e si frequentano spesso, da quando l’ex signora Divit è tornata a Istanbul. Entrambe cullano il sogno segreto che i loro due rampolli, Polen e Can, possano innamorarsi. Ma, se Hüma aveva sempre notato gli occhi di Polen illuminarsi ogni volta che vedeva suo figlio, Irem non poteva dire altrettanto. Anzi, Can non faceva distinzioni e passava il suo tempo non solo con Polen, ma anche con Esel una ragazza che lei considerava socialmente inferiore a lui. Ovviamente, per due donne come loro, amicizia significa dare una cena ogni settimana, invitando l’altra per farla ingelosire o per fare a gara a chi organizzava il party più bello. Questa volta l’aveva spuntata la madre di Polen, che era riuscita a strappare Hüma l’organizzazione di uno degli eventi mondani più importanti dell’anno: il Graduation Ball. Il ballo di fine anno segna la fine dell’Alta Scuola e mette i ragazzi davanti alla scelta dell’università. Can, Polen e anche Esel si sono diplomati quest’anno e organizzare la festa era stato un vero e proprio incubo per il personale di servizio, viste le altissime aspettative della famiglia Aksu e soprattutto di Irem. Alya da un bacio sulla fronte a Esel e si rivolge a Fatoş: <>. Fatoş sale di corsa le tre rampe di scale che la separano dalla camera di Polen ed entra trafelata: <>. <> “È nervosa” penso la donna. Quello che invece non sa è che Polen ha un piano per quella sera: far capitolare Can la sua ossessione che lei chiama amore. Si era innamorata di quel bambino dagli occhi scuri fin dalla prima volta che lo aveva visto, e quel sentimento è ancora più forte ora che è lui è uno splendido ragazzo alto e muscoloso, di una bellezza che ricorda un guerriero. Polen ha avuto altre storie, compagni di scuola, un ragazzo conosciuto durante una vacanza estiva, ma anno dopo anno Can è sempre e comunque rimasto il suo obiettivo. Spesso si chiede perché possa avere chiunque ma non lui. Can è sempre molto dolce con lei – lo è perfino con Esel, guardiamoci – ma quando si creano le occasioni per far scattare qualcosa, si scosta o cambia discorso, o va da Esel. Ha aspettato tanto tempo e quella è la sera perfetta per riuscire nel suo intento. Se gli altri ragazzi sono stati per lei solo un divertimento, Can è tutta un’altra cosa: lui deve diventare suo per sempre.

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