Miss Bahun: caccia ai Vampiri

di BabaYagaIsBack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** Extra: Avviso ***
Capitolo 6: *** IV ***
Capitolo 7: *** V ***
Capitolo 8: *** VI ***
Capitolo 9: *** VII ***
Capitolo 10: *** VIII ***
Capitolo 11: *** IX (1) ***
Capitolo 12: *** IX (2) ***
Capitolo 13: *** IX (3) ***
Capitolo 14: *** IX (4) ***
Capitolo 15: *** x ***
Capitolo 16: *** XI (1) ***
Capitolo 17: *** XI (2) ***
Capitolo 18: *** XII (I) ***
Capitolo 19: *** XII (II) ***
Capitolo 20: *** XII (III) ***
Capitolo 21: *** XIII ***
Capitolo 22: *** XIV (1) ***
Capitolo 23: *** XIV (2) ***
Capitolo 24: *** XIV (3) ***
Capitolo 25: *** XIV (4) ***
Capitolo 26: *** XV (1) ***
Capitolo 27: *** XV (2) ***
Capitolo 28: *** XV (3) ***
Capitolo 29: *** XV (4) ***
Capitolo 30: *** XV (5) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Prologo

A voi, che siete nessuno e tutti, io scrivo.

Vi starete forse chiedendo chi io sia, da dove nasco e perché sto lasciando ad estranei queste mie pagine vergate, quindi signori, lasciate che vi risponda come meglio credo - o come più sono capace.

Il nome che mi è stato dato più di due decadi or sono è Katarina Aranka Bhaun, figlia del maestro d'armi Emil Bahun e di una donna che conobbi solo attraverso diari e dipinti abbandonati in una soffitta di una casa che ancora non riconosco. Nacqui in Transilvania all'inizio del 1795, in quello che si può oggi definire come uno tra gli inverni più freddi della storia della mia terra.

Venni allevata lontana dalle braccia amorevoli di una famiglia, in un monastero nei pressi di Bistria - un piccolo conglomerato di casupole in cui, un ordine di esorcisti ormai dimenticato, si prende cura di alcuni bambini considerati speciali, destinati a compiere imprese fuori dal comune a causa del sangue che scorre loro nelle vene e il cui fine ultimo è quello di uccidere lui, Dracul, il Re di tutti i vampiri.
Sin da subito, agli infanti come ero io anni or sono, viene insegnata l'arte della guerra. Passando dal maneggiare un anonimo fermacarte in legno ad una pistola a ruota, ci destreggiamo tra le più brutali pratiche marziali conosciute dagli esorcisti. Oltre a questo però, ci viene inculcata a forza la conoscenza della botanica e dei veleni, della Bibbia della Vergine Oscura, la nostra somma e misericordiosa Signora e di tutto ciò che riguarda il mondo dei demoni, da cui ci è impossibile fuggire una volta entrati - scelta che purtroppo non ci è concessa fare, ma piuttosto subire come patetici schiavi. 
Non abbiamo il diritto di possedere realmente nulla, ogni nostro bene è infatti amministrato dai cardinali e sacerdoti che popolano le casate più promettenti della curia; non possiamo amare alcuna persona, perché il nostro cuore può appartenere solo alla Vergine, anche se i piaceri della carne non ci sono negati: togliere i vizi ad un condannato di questa guerra santa non è poi atto ben visto, agli occhi dei beati. Ci è permesso mettere al mondo figli solo con l'obbiettivo ultimo di dar vita ad un altro vânător che prenderà il nostro posto in questa tetra realtà una volta sconfitti dalla morte.

Non dobbiamo mettere in dubbio la dottrina dell'Ordine o infrangerla in alcun modo, essendo questa l'unica filosofia di vita che ci deve appartenere. Ma siamo umani come molti altri ed è capitato che l'istinto prendesse la meglio su di noi, annientando brutalmente il raziocinio e la consapevolezza d'andare in contro alla scomunica ed in seguito la morte.

Tanto magnanima quanto feroce è la nostra Signora.

Siamo dunque armi al servizio della Sacra Chiesa di Roma, l'unica forza in grado di contrastare il male che infesta questo mondo da eoni.

Siamo assassini, ma al contempo protettori.

Siamo mortali tra i mostri dell'Inferno.

Siamo coloro che nella notte più scura si aggirano per le strade delle città, inseguendo bestie deformi, avvelenate dal sangue dei primi Corvinus. Le combattiamo mettendo a tacere per sempre le loro orripilanti grida, urla che terrorizzano donne e piccini, alle volte persino facendo sporcare le brache agli uomini che si professano impavidi. 
Solo poche creature particolarmente innocue sono escluse da questa guerra che si protrae dalla Notte dei Tempi, ma non per questo si possono definire prive di peccato, lo stesso che ci viene giornalmente chiesto di esorcizzare.

Eppure, seppur contro ogni dogma e dottrina che mi è stata insegnata, in questo preciso momento della mia vita non posso far altro che chiedermi: sto combattendo i veri demoni oppure sto solo abbattendo i loro fantini senza mai scalfire i cavalieri o comandanti?

I miei fratelli stanno morendo per la giusta causa, motivata scorrettamente, o lo stanno facendo per la ragione sbagliata, ma correttamente motivata?

Il bene e il male sono realmente la luce e il buio che si professa nelle Sacre Scritture?

In questa Europa infettata da un veleno per cui non si conosce cura, siamo rimasti in pochi che possono vantare il privilegio di poter uccidere degli esseri sovrannaturali e proteggere gli innocenti, ma le nostre file continuando a diminuire e i nuovi allievi non sembrano mai essere abbastanza pronti per affrontare le minacce che ci si presentano davanti.

Stiamo morendo, ma in particolar modo sta perendo la nostra capacità di oltrepassare il velo di bugie che ci viene teso davanti agli occhi e, per questo, voglio lasciare un memoir a coloro che verranno dopo di me - affinché anch'egli possa capire, attraverso queste pagine, come la realtà possa sovvertire le credenze più concrete a tal punto da far dubitare persino la fedeltà delle amicizie più care.

Sappiate solo una cosa, prima di iniziare: la storia viene scritta dai vincitori, ma i vinti hanno sempre molte più cose da dire.

Vostra,

 

Miss K. A. Bahun
 

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Capitolo 2
*** I ***




I

Roma, 1820

Miss Bahun si guardò attorno con circospezione, cercando di capire da quale delle immense porte della Cattedrale della Vergine Oscura sarebbero entrati Padre Costantino ed il Vescovo Nikolaj, gli uomini che da quando aveva preso i voti da vânător si erano occupati delle sue commissioni da parte del Santo Padre.

Intorno a lei decine di occhi dipinti le parvero posarsi sulla sua testa, dove un'acconciatura simile ad una crocchia minacciava di sfaldarsi da un momento all'altro. 
Seppur si trattasse di un incontro ufficiale, quella mattina proprio non ce l'aveva fatta a sistemarsi a dovere, come imponeva l'etichetta insegnatale al monastero dove era cresciuta, nei pressi di Bistria, finendo così con l'annodare a caso i capelli ed infilarsi i primi vestiti trovati nel baule in fondo al letto. Non che normalmente prestasse tanta attenzione al proprio aspetto, in fin dei conti la comodità era per lei nettamente più importante di qualche pizzo e merletto in più, ma certamente avrebbe potuto avere un occhio di riguardo per simili situazioni.

Svogliatamente piegò la testa da un lato, in modo da riuscire a vedere con la coda dell'occhio il quadrante di un orologio finemente decorato - uno dei tanti oggetti preziosi presenti nella stanza. Rimase muta, in attesa che le lancette segnassero ben dieci minuti in più sull'orario dell'appuntamento prestabilito: tutto tempo che quei due le stavano sottraendo dal pisolino pomeridiano. Come avrebbe fatto, la notte, a rimanere sveglia e andare a caccia? Il sonno era per lei qualcosa di estremamente prezioso, più di tutti gli ori presenti nel salone in cui si trovava in quel momento. Ne aveva poco e solo durante le ore diurne, quando i seguaci del Male si andavano a rintanare nei loro involucri umani fingendosi persone qualunque, quindi non voleva permettersi di sprecarlo a quel modo. Uno sguardo attento avrebbe potuto scorgere sul suo viso, sotto la cipria chiara, occhiaie di un viola smunto, capaci di raccontare della perenne insonnia in cui era costretta; un lavoro come il suo, d'altronde, richiedeva molte più energie di quanto fosse possibile immaginare e sacrifici degni di epopee eroiche.

Un chiacchiericcio lontano e leggero si fece strada tra i corridoi oltre le porte che aveva di fronte, distraendola dal ticchettio continuo delle lancette.

Le persone per cui svolgeva quella strana e macabra attività stavano arrivando e, come di consuetudine da quando li conosceva, sarebbero entrati senza badare a lei fino al momento dei saluti di circostanza; si sarebbero fatti baciare le mani ingioiellate e avrebbero preso posto sulle poltrone imbottite che si trovavano al di là di un tavolino per il tè, cercando in tutti i modi di far sembrare quell'incontro la cosa più normale del mondo e forse, sotto un certo punto di vista, si sarebbe potuto realmente descrivere così.

Per quanto Miss Bahun potesse ricordare, era da poco più di un decennio che ogni mese, alle volte settimane, si recava in quel luogo per ascoltare le richieste della Curia e rifornire la propria già ampia collezione di artifici da battaglia, consacrati secondo i Sacri Riti della Vergine. Non che fossero armi speciali o con qualche particolare potere magico, non avevano nulla di diverso da quelle che si potevano comprare nelle armerie o al mercato nero, ma venivano comunque sottoposte a pratiche religiose che, si diceva, portassero fortuna al cacciatore - anche se fino a prova contraria solo in quell'ultimo anno avevano dovuto seppellire ben cinque suoi compagni. Il fatto di battezzare pistole, pugnali, coltelli, balestre e quant'altro potesse essere utile ad assassini dell'occulto come loro, era più una sorta di favola da raccontare ai futuri vânător che, in questo modo, finivano con l'avere molta più fede nella causa che erano in realtà costretti a servire.

Finalmente la maniglia all'angolo destro della sala si abbassò, permettendo a due uomini dai visi e dalle pance tonde di fare il loro ingresso con passo solenne. Padre Costantino, notò Miss Bahun, vestiva il suo solito saio bianco latte, ricamato finemente con fili color ottone intrecciati con talmente tanta maestria da riprodurre, sulla zona alta del busto, una sorta di collana di viti e croci sottili. I pochi capelli rimastegli sulla testa erano stati bagnati e portati indietro per coprire la zona ormai completamente glabra, su cui le prime macchie della vecchiaia avevano iniziato a fare la loro comparsa. Al suo fianco, intento a ridersela con gusto, il Vescovo Nicolaj Wassily II si distingueva per l'opulenza della mantella indossata sopra ad un abito viola come gl'iris più belli del giardino al di fuori dell'immensa Chiesa in cui si trovavano. Dalla sua figura trapelava senza fatica il suo gusto per lo sfarzo, cosa che, se messa su un uomo di fede come quello, poteva solo farne scadere la credibilità. 
Agli occhi della vânător, però, non erano altro che pomposi emissari di un Papa impaurito dal crescente numero di omicidi commessi dai mostri.

Si alzò lentamente, tirando un sorriso a labbra strette ed attendendo che entrambi giungessero nei pressi del tavolino e delle sedute da dove lei non era intenzionata allontanarsi, poi, come previsto, si svolse tutto nella solita monotonia: qualche chiacchiera cortese e un fugace bacio su pietre tanto grandi da occupare quasi tutto lo spazio di un dito. Fare vanto della ricchezza in cui le caste più alte della Curia si ritrovavano non sembrava certo essere un problema, per loro - ma sfamare i poveri vecchi agli angoli della Città Santa aveva tutt'altra considerazione.
Fu quindi impossibile per la donna non pensare a quanto quegli anelli potessero valere, a quante pistole a ruota o radici di belladonna avrebbe potuto comprarsi rubandone uno. Forse, si disse, portando anche solo il più piccolo di essi da un qualche orafo lì nei pressi della capitale del Regno, avrebbe potuto guadagnare una somma maggiore del suo ordinario stipendio che, tolte le spese varie per le missioni in cui la spedivano, si riduceva a solo una manciata di monete d'oro zecchino. Gli unici a poter vantare dei guadagni degni di nota erano i grandi cacciatori, quelli che secondo le file ecclesiastiche erano stati in grado di compiere imprese fuori dal comune, esattamente come era capitato a suo padre, il maestro Emil Bahun - il cui sguardo severo torreggia su di un'enorme tela al centro della sala da pranzo nel monastero in cui era cresciuta: un monito per gli studenti più ribelli e un idolo a cui gli insegnanti non potevano negare una benedizione.

Padre Costantino le rivolse la parola, distraendola dai pensieri riguardanti la vendita di contrabbando: «Vi trovo bene, Katarina, sembrate più riposata rispetto all'ultima volta che vi ho incontrata». Come dargli torto del resto? Quando si erano visti, tre mesi prima, lei era rimasta seduta su una branda nell'infermeria di Bistria mentre due Ecclesiastici di basso rango cercavano di ricucirle un taglio sul braccio e toglierle dalla mano opposta schegge di vetro, souvenir di uno scontro finito meglio di quanto avesse sperato.

La cacciatrice poggiò entrambe le mani sopra alla propria bombetta, lisciandone ogni tanto il rivestimento: «Si fa quel che si può per non morire, non pensate anche voi?» con sguardo insolente si rivolse ad entrambi gli uomini che, all'unisono, annuirono.

La loro era stata chiaramente un'asserzione di circostanza, magari anche intimoriti dal fatto che di fronte non avevano una signorina di buona famiglia qualunque, ma un'assassina in grado di ucciderli senza farsi troppe remore. Cosa potevano saperne, quei due, della lotta per la sopravvivenza? Non avevano mai rischiato la loro vita nello stesso modo in cui aveva fatto lei, né mai si erano preoccupati di impugnare un'arma e difendere una persona al di fuori di se stessi.

A quel punto, forse notando il disagio scaturito da una simile conversazione, un chierichetto si avvicinò al tavolino reggendo, su di un vassoio di pregiato argento, tre tazze e una teiera. Era uso, per Padre Costantino, sorseggiare un tè caldo mentre si parlava di questioni importanti e orribili come quelle, quasi le zollette di zucchero che tendeva ad annegare nella propria coppa fossero abbastanza per addolcire le terribili notizie che portava e riceveva. 

«Vi siete dunque ripresa, ora?» la voce del Vescovo parve molto più fastidiosa di quanto Miss Bahun ricordasse, ma provò a non dargli peso, concentrandosi nuovamente sulla questione principale per cui era giunta fin lì, rinunciando a del sano quanto meritato riposo nella bettola in cui tendeva ad alloggiare quando metteva piede in città. A quei tristi e inutili incontri, avrebbe preferito decine di volte un'arringa con qualche soggetto sputato fuori dall'esercito della notte, oppure qualche ora in più rintanata sotto alle coperte. Afferrò la tazza, storcendo appena la smorfia: «Non vedo l'ora di rimettermi al lavoro, Vostra Grazia» e subito dopo sorrise con vacuità, portandosi il bordo dell'argenteria alle labbra e prendendo un lungo sorso. Quantomeno doversi recare in quel luogo aveva i suoi vantaggi: godersi del tè così pregiato era vanto di pochi, in un periodo di magra come quello.

Nikolaj Wassilly ricambiò l'espressione: «È un piacere, per le mie orecchie, sentirvi così desiderosa di riprendere la missione datavi dal Santo Padre in persona. Voi vânător siete indispensabili per il genere umano e per questo la Vergine vi riserverà un posto d'onore nella sua Casa tra le stelle più luminose del firmamento. La vostra fede è invidiabile, Signorina!» a quelle parole, Katarina avvertì un brivido freddo correrle lungo la schiena.

Fede? No, la sua non era devozione totale per una Dea e degli ideali astratti, per qualcosa di intangibile; lei non credeva in nessuna delle centinaia di fandonie che sin da bambina avevano provato ad inculcarle nella mente e, se avesse dovuto parlare a cuore aperto delle proprie motivazioni, avrebbe sicuramente citato la necessità sempre più crescente di far male, di punire qualcuno per tutto il male che pian piano aveva iniziato a divorarsi l'Europa. Come altri era stata costretta ad intraprendere una strada del tutto diversa da quella dei suoi innocenti coetanei, rinunciando alle cose più naturali della vita: una famiglia, degli amici, un lavoro e l'amore. L'avevano strappata dal torpore delle braccia materne per buttarla nel buio delle celle in cui i monaci tenevano gli allievi; l'avevano colpita ripetutamente per insegnarle la disciplina militare, privandola di ogni bene fino al giorno dell'investitura a cacciatrice e poi, una volta libera, si era concessa il lusso di trovare giovamento in quella realtà così perversa ed oscura, partendo dal sadico piacere di mettere in "scacco" tutte le creature appartenenti alle tenebre.

«Siete mai stata a Londinium, mia cara?» Padre Costantino le posò addosso uno sguardo curioso, quasi gli interessasse veramente la questione. In fin dei conti si trattava di un uomo buono ed ingenuo, capace di essere manipolato senza gran fatica e certamente, nel suo cuore circondato dal grasso, provava per lei una sottospecie di tenero affetto.

Miss Bahun scosse la testa. 
No, non era mai stata nella capitale dei Domini di Britannia e tutto ciò che ne sapeva a riguardo erano storie narrate nelle osterie di Roma, dove i viaggiatori andavano e venivano in continuazione, portando con sé oggetti fuori dal comune.

Il prete a quel punto ridacchiò appena, mettendo in mostra le gote gonfie e rosse come pomodori: «Quale migliore occasione, allora, per andarvi? Sapete, ci sono sopraggiunte alcune particolari informazioni, sia dalla stampa, sia dal Dipartimento di Polizia Centrale riguardo ad alcuni strani casi d'omicidio. Non avete letto nulla a riguardo?» le domandò infine lisciandosi i baffi pallidi, ancora vagamente biondi sul limitare del pelo.

«Non amo leggere notizie di cronaca nera, dopotutto è un argomento che affronto quotidianamente» la donna rimise la propria tazza sul pattino, attendendo il proseguo della conversazione.
«Sì, sì, me lo dite ogni volta ed io me ne scordo sempre! Che sbadato» l'uomo continuò a ridersela in solitaria, mentre il Vescovo, che era solo al suo terzo incontro con la vânător, non smise per un solo istante di indagarne la figura, osservandola con così tanta intensità che Katarina avrebbe potuto dire con assoluta certezza in che punto del suo corpo lo sguardo dell'uomo si stesse soffermando di volta in volta: prima sull'acconciatura malferma da cui spuntavano ciocche sparse, sugli occhi truccati con colori caldi, sul lungo collo che andava a nascondersi in un colletto nero merlato, poi sulle mani affusolate, sulle gambe che uscivano da sotto la gonna, avvolte in un paio di parigine color cammello.

Ogni centimetro non coperto dall'abito era un buon appiglio da cui trarre informazioni. Era palese che la stesse studiando, quasi non fosse certo di aver davanti qualcuno degno di portare a termine una missione come quella che stavano cercando di proporle.

Sarebbe stato divertente, pensò, fargli notare come non avesse poi grande possibilità di scelta vista la moria di cacciatori che aveva decimato le loro file. 
Dracul sembrava essersi fatto molto più potente, così come Ludwig Lycan e altri soggetti poco piacevoli d'avere intorno che, di quel passo, sarebbero riusciti a mettere in ginocchio l'Ordine, la Chiesa e persino i mortali.

«Ad ogni modo,» riprese il meno potente dei due, «vorremmo che andaste lì a controllare. Per ora gli unici due cacciatori presenti nella città non hanno saputo fare alcun progresso in materia. Pensiamo che la vostra esperienza e le vostre competenze possano essere loro utili». Alla donna venne da ridere. Se lei era davvero l'unica vânător che ritenevano essere adeguato per un simile compito, dovevano davvero essere messi male.

«Si tratta di azioni compiute dai vampiri? O parliamo di licantropi? Altre creature? Non avete nulla più di queste vaghe informazioni per prepararmi al viaggio?» domandò lei, piegando lievemente il capo da un lato, in modo da osservare meglio le figure che aveva innanzi.

Padre Costantino scosse la testa, continuando a mantenere il suo snervante buonumore: «Miss Bahun, purtroppo come vi ho già detto, nemmeno i suoi colleghi già presenti sul posto sono stati in grado di fornire più di quello che io riporto ora a voi. Abbiate pazienza, ma soprattutto fede nelle vie scelte dalla Santa Vergine».

Trattenendo una smorfia contrita, Katarina finse di non dar peso alla negligenza collettiva.

«Come desiderate allora, partirò domani stesso per la capitale dei Domini di Britannia» fece una breve pausa, riprendendo a lisciare il feltro del proprio cappello. Dopo alcuni secondi parve però ricordarsi qualcosa: «Posso chiedervi se mi verrà assegnato un alloggio?» anche quelle apparenti sciocchezze avevano la loro importanza in simili momenti. L'ecclesiastico, seppur felice di vantare i propri tesori e metterli in mostra in ogni angolo delle varie dimore di sua proprietà, lo era un po' meno quando si trattava di dover badare alle spese e ai bisogni dei suoi servitori. A Katarina infatti, non era mai capitato di poter partire per una missione senza mai curarsi delle spese a cui sarebbe andata incontro.

Questa volta a risponderle fu il Vescovo, improvvisamente tornato partecipe della conversazione.

Nikolaj si portò una mano al viso come se volesse sorreggerlo: «Non abbiate tutta questa premura, di grazia. Vi abbiamo preparato una breve missiva che potrete leggere con calma sul treno a vapore. Dopotutto vi attendono quasi due giorni di viaggio per arrivare a Londinium» e le sorrise con arroganza, provando sicuramente una sorta di piacere nel saperla rinchiusa per tutto quel tempo in un vagone gremito di gente. La sua misoginia trasudava in maniera evidente, nonostante lui cercasse in tutti i modi di camuffarla con modi e frasi innocue.

Stolto, disse tra sé e sé la vânător, mentre con una lieve riverenza del capo si accingeva a congedarsi dall'incontro per cui aveva dovuto rinunciare ai piaceri e bisogni  quanto più primari.
Se credeva di metterla in difficoltà affidandole un simile compito, si sbagliava di grosso.

 

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Capitolo 3
*** II ***




II

Londinium, Regno di Britannia, 1820


Londinium si presentò con addosso una coperta di grigiume che parve alla vânător tutt'altro che accogliente.

Gli enormi nuvoloni, che si andavano a muovere lenti sopra alle case e i monumenti della città davano l'impressione di dover scaricare da un momento all'altro una mole incalcolabile di acqua e per Miss Bahun, che metteva piede fuori dalla stazione per la prima volta dopo due giorni passati a leggere e sonnecchiare in un vagone fin troppo affollato, la cosa non apparve affatto essere un buon segno. Per un solo attimo nella sua mente si andò formare un pensiero maligno: che magari tutto ciò stesse a presagire il fatto che non sarebbe più tornata a casa? In fin dei conti ogni giorno, per quelli come lei, poteva essere l'ultimo e forse il cielo si era deciso a piangere in anticipo la sua morte, cosicché anche lei potesse assistere allo spettacolo dello struggimento di una città straniera.

Sospirò, abbandonando l'idea che qualcosa, in quel viaggio, potesse alla fine andare per il verso giusto.

Sin dal momento in cui era uscita dal proprio appartamento a Roma, quarantottore prima, gli eventi avevano deciso di farle lo sgambetto: nel tragitto da casa alla stazione ferroviaria aveva rischiato di essere investita da una carrozza, finendo così con il pestare un escremento d'animale che si era rifiutata di identificare e poi, quasi non fosse abbastanza, aveva tentato d'inciampare sui gradini che conducevano al binario 5. 
Infine, quasi a voler concludere in gran bellezza la giornata, si era ritrovata a condividere la panca con un vecchio pieno di reumatismi e lamentele da spargere ai quattro venti e, nemmeno a metà del primo giorno di viaggio, aveva dovuto fare i conti con una fiaschetta di vodka completamente vuota.

La morte sarebbe stata solo l'apice di tutta quella sventura.

Aveva constatato da sé, sin subito dopo aver preso i voti da esorcista, che la vita dei vânător fosse già di suo segnata dalla sfortuna, quindi non avrebbe poi fatto gran differenza sopportare delle sciocchezze del genere nell'intramezzo tra la nascita e la sepoltura - eppure non riuscì ad impedirsi di pensare a quanto i suoi nervi si stessero tendendo.

Katarina sospirò ancora, questa volta provando a buttar fuori tutta la malinconia che d'un tratto con quei pensieri l'aveva assalita e poi, cautamente, tirò fuori da una delle tasche del cappottino verde che aveva indosso un orologio d'argento puro.

9:41
L'orario perfetto per un pisolino.

Rimise a posto l'oggetto e  inspirando a pieni polmoni il vapore malsano dei treni e di alcune nuovissime e rare automobili presenti attorno alla stazione, si mise alla ricerca di una diligenza in grado di condurla a destinazione: l'Istituto delle Suore Velate, uno dei tantissimi distaccamenti della Santa Chiesa presente a Roma e luogo in cui avrebbe dovuto alloggiare.

Per quanto Katarina fosse avvezza agli ecclesiastici, ancora non si era tolta il vizio di preferire alle loro dimore - fossero queste enormi cattedrali, abbazie, monasteri o scuole - le camere nei bordelli di periferia; c'era qualcosa di più corretto, secondo lei, nello stare in mezzo alla mala gente della società.

Seppur Padre Costantino, e tutti i fedeli con cui aveva avuto a che fare nel corso della sua vita, insistesse nel dire che persino i cacciatori erano figli amati della Vergine Oscura, restavano comunque criminali, assassini, gente in grado di ammazzare a sangue freddo uomini, donne o bambini; oh, e quanti ne aveva uccisi lei! C'erano state streghe che piangendo avevano supplicato pietà, padri di famiglia che avevano dato la loro mortalità in cambio di cibo con cui sfamare i figli; c'erano stati mocciosi nati dal malsano amore, o semplice raptus di passione, tra umani e démonok - e lei lì aveva messi a tacere tutti. Un lavoro come il suo non consentiva di avere pietà, nonostante la cosa andasse completamente contro alle dottrine gridate a gran voce dal clero che, a conti fatti, era l'emissario di tutto quel male. 

L'ipocrisia, aveva presto capito la donna, era stata l'unica dote che gli alti ranghi delle caste sacerdotali avevano appreso e conservato nel corso dei secoli.

Scosse appena la testa, rimandando quei pensieri nell'angolo della mente da cui erano venuti e, muovendosi svelta tra la cospicua folla addossata intorno all'entrata della stazione, Miss Bahun riuscì a farsi strada verso una sorta di fermata per le diligenze; lì, incurante delle buone maniere, superò alcuni turisti per arrivare a guadagnarsi un posto a sedere all'interno del primo mezzo disponibile.

Cascasse il mondo, lei non avrebbe fatto tardi. Non quando l'incontro doveva essere con le Suore - che solitamente più erano vecchie, più sviluppavano una perversa passione per le tirate d'orecchi.

Prima di salire sulla diligenza però, lasciò al cocchiere la propria valigia, ch'egli faticò ad issare anche solo pochi centimetri da terra, e poi, con un sorriso sfacciato ed un britannico assai rudimentale chiese: «È possibile raggiungere la sede centrale delle Sorelle Velate?» Seppur Londinium fosse una città assai più atea rispetto al luogo da cui lei era partita, non mancavano sul suo suolo sedi del culto o scuole in cui i giovani dell'alta società venivano istruiti al meglio, alle volte usando anche metodi poco rispettosi - ma del tutto accettabili se usati dai servi della Santissima.

L'uomo la squadrò qualche secondo, senza nascondere la curiosità nello sguardo. Probabilmente non riusciva a spiegarsi come, un fagottino di donna come quella che aveva di fronte, fosse in grado di sollevare con tanta facilità un bagaglio di tali dimensioni e peso e, per quale assurdo motivo, volesse recarsi in un luogo del genere.

Se solo avesse saputo cosa vi era contenuto all'interno di quella borsa e chi stesse per far salire sulla propria carrozza, le avrebbe certamente rifiutato la corsa.

Nonostante gli esorcisti fossero riconosciuti dalla Santa Chiesa come servi della Vergine e del suo promesso sposo, il Dio della Luce, e combattessero costantemente per salvaguardare gli emberek, venivano visti da questi ultimi esattamente come i diavoli che al calar del sole prendevano vita. Venivano odiati pur facendo del bene.

Il tizio annuì, asciugandosi dalla fronte un velo di sudore e, a quel punto, Katarina tese nuovamente il sorriso, allungandogli un paio di monete d'oro.
«Perfetto. Devo essere lì per le undici esatte» sentenziò infine, issandosi al di sopra del gradino che separava la carrozza dal terreno e sparendo oltre la porticina di legno.

Fretta non ce n'era, ma non per questo poteva concedersi il lusso di perdere tempo a vagabondare per la città, soprattutto visto l'aumento improvviso di umidità nell'aria - presentarsi al cospetto della Superiora completamente fradicia avrebbe compromesso la sua serietà professionale. 
La priorità, oltre a non essere travolta dall'imminente temporale, era di giungere a destinazione che Padre Costantino le aveva dato, parlare con la donna al comando dell'istituto e gli altri vânător presenti lì e decidere quale strategia adottare.

E a quel punto trovare un letto in cui sprofondare fino a notte, magari lontano dagli echi delle preghiere.
 

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Capitolo 4
*** III ***




III


 
La diligenza fermò esattamente di fronte all’enorme cancello in ferro battuto dietro cui, in tutta la sua inquietante imponenza, si ergeva l’ennesimo istituto gestito dal culto della Vergine Oscura. Miss Bahun recupererò la propria valigia e, al posto di correre al riparo dalla pioggia, si soffermò a fissare l’edificio in cui, per le settimane seguenti, avrebbe trascorso i suoi giorni. Dal basamento, di un marmo grigio scuro, una facciata gotica si andava ad innalzare per una decina di metri, intervallandosi qua e là da finestre bifore al cui interno il vetro doveva essere sabbiato, in modo da rendere difficile poterne scorgere gli ambienti oltre. Piccoli bassirilievi andavano a disegnare tra un piano e l’altro il racconto di come la Santa avesse dato il proprio sangue agli ecclesiastici, in modo che questi potessero sconfiggere il male e purificare le anime dei fedeli.
La struttura poi proseguiva la sua corsa verso il cielo, concludendosi in guglie di un marmo più pallido e scolpito, creando un gioco di boccioli e corolle di fiori simili a rose. Era, come anche le cattedrali dedicate alla santità del culto, un’opera d’arte fatta e finita, creata con il solo e semplice scopo di mostrare, a persone più o meno ignoranti, la bellezza di una donna capace sia di ammaliare che di soggiogare; sì, perché la Vergine Oscura altro non era che questo: una strega nascosta sotto il velo di una Santa. Katarina lo sapeva bene, aveva dapprima, nella sua fanciullezza più innocente, letto i libri sacri con ammirazione, poi nell’adolescenza con occhio indagatore e mente dubbiosa, infine da adulta con una criticità e sfacciataggine tutt’altro che consona al suo ruolo di esorcista. In tutto quel tempo era riuscita a disinnamorarsi della donna che tutti elogiavano a gran voce, implorando miracoli, ma era anche riuscita ad estraniarsi dalla fede che muoveva le mani e le armi di quelli come lei.
Miss Bahun sbuffò, distogliendo lo sguardo dalla struttura e la mente da simili pensieri. Doveva sbrigarsi ad entrare, sennò di quel passo avrebbe fatto attendere troppo la Madre Superiora e, di conseguenza, i suoi colleghi vânător. Afferrò la maniglia della valigia e, sotto agli occhi increduli del conducente, la sollevò senza alcuna fatica, quasi fosse ricolma di piume e non di armi e vestiti. Sistemandosi la bombetta con l’altra mano, iniziò a camminare verso il portone d’entrata, lì dove il silenzio sembrava farsi più fitto. Dall’esterno, l’enorme anta di legno non presentava alcun tipo di pomello, quasi le suore non volessero permettere alle persone di entrare nel loro mondo, nella sacralità di un luogo volto solo al servizio della Vergine. A Katarina sfuggì un sorriso. Sapeva che donne come quelle serbavano dentro di sé una sorta di gelosia e perversione nei confronti delle loro usanze, passioni e quant’altro, ma mai si sarebbe aspettata di vedere qualcosa del genere in una città come Londinium.
Con lo sguardo cercò intorno a sé una qualche sorta di campanello da utilizzare per annunciare la sua presenza al di là del portone e, dopo alcuni secondi, scorse una catenella sottile, al cui finire vi era appeso un ciondolo riportante il simbolo del culto, una doppia croce dalla cui metà si diramava un cerchio spinoso e due ali floreali. Tirò, aspettandosi il fastidioso suono di una campana che non arrivò. Doveva esserci, collegato a quella curiosa corda di metallo, un qualche marchingegno innovativo del tutto estraneo ai forestieri come lei, appartenenti a quello che veniva definito come il Continente Vecchio.

Attese in silenzio, continuando imperterrita ad indagare l’ingresso dell’Istituto, magari sperando di trovare qualcosa di strano o degno di nota da annotare nel proprio taccuino; in fin dei conti si trovava in una delle capitali più famose per la continua sete di novità e sperimentazioni. D’improvviso però, il suono di chiavistelli in movimento riportò le attenzioni di Miss Bahun sulla porta in legno difronte a sé, lì dove una piccola fessura andò ad aprirsi: al di là del buco, nulla. Katarina corrugò le sopracciglia. Possibile che non riuscisse a vedere niente di niente? Eppure con tutta quella luce, ben diversa da quella della luna, avrebbe dovuto scorgere anche il più piccolo dettaglio fuori posto.
Curiosa, mosse qualche passo verso il rettangolo che metteva in comunicazione il dentro con il fuori, poi in punta di piedi ed aggrappandosi con una mano al bordo, provò a dare una sbirciata. Non fece in tempo a mettere a fuoco ciò che vi era oltre l’apertura che due occhietti vispi fecero la loro comparsa, spaventandola appena. La vânător trattenne un gridolino, ma non riuscì ad impedirsi di mollare la presa e retrocedere qualche centimetro. Seppur addestrata a combattere e dover affrontare emissari del male, quando il sole era alto nel cielo riusciva ancora ad essere presa alla sprovvista dalle piccole cose, come la comparsa del viso di una suora in uno spicchio di vuoto.
«Desidera?» la vocetta squillante della donna attraversò il legno, pizzicando le orecchie di Katarina. Da quei pochi indizi, doveva trattarsi di una novizia, oppure di una gyakorló.
L’esorcista si schiarì la gola, calandosi al petto la bombetta infradiciata. Elegantemente compì un mezzo inchino, sforzandosi di sembrare il più educata e femminile possibile, doti che alle volte avrebbe voluto non dover possedere: «Ho un appuntamento con Sorella Sylvia Goldchild, sono la vânător mandata ad aiutarvi».
Le due pupille scure si misero a fissare con curiosità la figura di Miss Bahun che, spostando appena il cappello, mostrò, attaccato al colletto della camicetta, lo stesso marchio che loro portavano sulle tuniche e come ciondolo attaccato al campanello: la voglia della Vergine. Quello era l’unico, tra tutti i possibili dettagli, a distinguere i membri appartenenti ad un qualche ordine della Chiesa.
«Sì, vi stavamo aspettando. Attendete» e così dicendo, il rettandolo si chiuse, facendo tornare l’anta una lastra di legno anonima. Come era stato fino a poco prima, l’esorcista rimase sola con il rumore della pioggia scrosciante ed il suono delle ruote di carrozze e diligenze a correre sull’asfalto, nulla più. Fu inevitabile pensare, a quel punto, di ritrovarsi nel posto sbagliato. Katarina non amava i modi, alle volte burberi, di alcuni membri della chiesa; quella sorta di diffidenza perenne nei confronti delle persone come lei. Li sfruttavano per i lavori sporchi, per non macchiarsi del peccato d’omicidio, eppure non riconoscevano loro alcun merito -la fama e la gloria se li tenevano persino più stretti del Doppio crocifisso della Vergine. La Chiesa, più che un luogo di culto, stava diventando un luogo di lucro, in cui l’arroganza e l’avarizia avevano la meglio sulla fede. Seppur Miss Bahun non fosse una credente delle più devote -ma si potesse meglio definire come un’atea filo eretica- riconosceva negli scritti della Santa alcuni elementi degni di nota, benevoli, di origine pura; tutte cose che ogni giorno le sembrava di veder lacunose all’interno della condotta di Cardinali, Vescovi, Preti e Madri Superiore: solo i poveri, gli stolti ed i deboli potevano dire di aggrapparsi ancora ad una morale.
Indispettita sbuffò. Come al solito il cinismo aveva preso possesso dei suoi pensieri e, oltre a ciò, dopo tutte le ore di viaggio che aveva dovuto sopportare, circondata da sguardi sospettosi e bisbigli poco nascosti, era nuovamente a fare i conti con una snervante attesa.
Socchiuse gli occhi. Era stanca, in parte infreddolita, snervata e, anche se non lo avrebbe ammesso ad alta voce per non passare per una sadica, ansiosa di iniziare il lavoro e andare a caccia di qualche demon, in modo da sfogare tutta la sua frustrazione su di loro. Affondare un pugnale d’argento nella carne di quei mostri, o premere il grilletto mirando al loro cuore forse nemmeno pulsante, le dava un senso di appagamento che avrebbe potuto descrivere in pochissimi altri modi. Forse quella strana perversione era stata frutto di tanti anni passati a non fare altro che quello: combattere, inseguire, fuggire, cercare, uccidere. Non si sarebbe nemmeno potuta definire una passione, o un hobby, o qualcosa di trascendentale -era solo una conseguenza, un obbligo nei confronti del sangue che le scorreva nelle vene.
Il rumore di chiavistelli in movimento riportò Katarina alla realtà, cogliendola quasi di sorpresa. Veloce si rimise in posizione composta, attendendo che il battente si aprisse sull’interno dell’edificio. Ci vollero alcuni secondi, istanti che le misero una strana tensione addosso, ma poi tutto ebbe fine, rivelando di fronte a lei un lunghissimo corridoio illuminato sia dalla luce filtrante dalle finestre, probabilmente condotta fin lì da un cavedio interno, sia dalle lampade ad olio posizionate ritmicamente sulla parete opposta. Fu strano notare quanto spoglio fosse quel luogo, del tutto differente dai monasteri ed istituti presenti nella Capitale.
La donna rimase sulla soglia, scrutando imperterrita lo spazio presente fin quando, la stessa vocina e gli occhietti scuri che l’avevano accolta, non fecero nuovamente capolino nel suo campo visivo. Come previsto, davanti a sé la vânător si ritrovò una novizia. I capelli rasati da entrambi i lati, con una lunga treccia centrale che le arrivava fino a metà schiena, la veste di un beige slavato con inserti bianchi ad abbellirne la siluetta: tutto in quella ragazzina trasudava la tradizione del percorso che l’avrebbe condotta nelle schiere delle Suore Velate. A guardarla, Miss Bahun si rese conto che non doveva avere più di quattordici anni e che, seppur vestita in quel modo così austero, la sua fanciullezza non guadagnava alcun anno, ma al contrario la faceva apparire come una bambina nelle vesti materne. Fu impossibile non pensare che, nel giro di qualche anno, avrebbe dovuto coprire quel suo bel visino con la maschera dell’Ordine, diventando a tutti gli effetti membro del Culto.

«Sorella Goldchild vi aspetta nella serra. Potreste gentilmente seguirmi, dunque?» chiese la piccola, invitando la donna ad entrare con un cenno della mano. Rispetto a prima, i suoi occhietti non si alzarono nemmeno una volta verso il volto dell’ospite, ma rimasero piuttosto a vagare su un punto indefinito del suo cappotto: i bottoni? Le tasche? O forse il modo in cui la stoffa si lasciava increspare dalle pieghe? Ora che non era più protetta dall’enorme porta in legno doveva sentirsi soggiogata dalla presenza così singolare dell’esorcista. Poteva tranquillamente darsi che fosse la prima donna a ricoprire quel ruolo, che la piccola vedesse in vita sua, così come poteva semplicemente essere che l’aurea sprigionata dalla cacciatrice avesse una strana influenza su di lei; in fin dei conti, seppur non eccessivamente bella, Katarina poteva vantare un fascino in grado di trascendere i canoni dati dalla società -ovviamente però, non valeva per tutti.
Dopo qualche breve riflessione Miss Bahun annuì, abbozzando uno dei suoi sorrisetti deliziati. Poteva anche essere giovane, ma la novizia possedeva quella sorta d’innocenza in grado di stuzzicarle gli appetiti; in più, le vesti da caste e devote avevano sempre avuto una strana avversione sulle fantasie della vânător, per non parlare dell’imbarazzo che si impossessava spesso delle giovani con cui entrava in contatto.
Così, soddisfatta per aver ottenuto ancora una volta una reazione come quella, si lasciò guidare lungo tutto il corridoio, ammirando con più attenzione l’architettura austera della pietra ed il mosaico a toni caldi del pavimento, che creava un percorso a trama floreale in direzione del cuore della struttura. Era incredibile notare come, a differenza degli ordini religiosi composti da uomini, quelli femminili prestassero più attenzione a decorazioni meno opalescenti, legate in maggior modo alla figura della Vergine Oscura, nata in un letto di rose e trafitta dalle loro spine che, bevendone il sangue, avevano dato origine ai giardini del Paradiso.
Le due camminarono per pochi metri, impedendo all’esorcista di osservare l’evoluzione della trama, poi fecero qualche svolta in totale silenzio, giungendo infine alle porte della serra che altro non erano se non enormi vetrate sabbiate, rifinite a quel modo per non permettere ad occhi indiscreti di vedervi oltre, come se fossero conservati all’interno della stanza centinaia di segreti. La riservatezza di quel luogo diventava ogni istante sempre più apprezzato da parte dell’ospite che, in tutto quello, vi leggeva una specie di avvertimento: nessun occhio o voce avrebbe oltrepassato le pareti del monastero, lasciando tutto nelle mani della fede.

La novizia bussò e, subito dopo, si mise in posizione d’attesa: testa china, mani strette davanti al ventre e piedi vicini, tanto d’apparire come un piedistallo sotto alla tunica. Il modo in cui il suo corpo se ne stava rigido accanto alla porta aveva un ché di comico, una sorta di forzatura del tutto fuori luogo. Doveva essere però una caratteristica comune di tutte quelle persone ancora bambine, non del tutto sviluppate ed inserite in contesti e ruoli non consoni all’età.
Katarina ne fissò la postura, l’atteggiamento e solo a quel punto notò il modo in cui lo sguardo di lei cercava di posarsi sulla sua figura, senza però oltrepassare lo scollo del cappotto, come se temesse ciò che vi fosse dopo. Le pupille nere salivano dagli stivaletti lungo le calze, seguivano gli sbalzi della gonna per poi saltare sul tessuto e l’allacciatura del soprabito, bloccandosi all’altezza della curva appena accennata del seno, lì dove partiva la camicetta color panna. Un nuovo sorriso le allungò le labbra. Doveva aver realmente catturato la sua curiosità, tanto da farle compiere quelle piccole trasgressioni al regolamento comportamentale di una suora di basso rango.
Una voce, al di là del vetro opaco della serra, arrivò flebilmente alle loro orecchie, invitando l’esorcista a farsi avanti. Il suono che Miss Bahun percepì fu per le sue orecchie un delizioso squillo a ridosso dei timpani e, senza alcun indugio, ne seguì il richiamo aprendo la porta da sé, esattamente come se si trovasse a casa propria. Un’umidità insolita la schiacciò sotto al peso della pressione atmosferica e degli indumenti invernali, spaesandola per alcuni istanti in cui, stranamente, credette di essere sul punto di svenire. Stavano forse cercando di ucciderla? Come poteva un essere umano sopportare quello sbalzo climatico tra dentro e fuori?
La vânător si tenne forte al manico della propria valigia, cercando di ritrovare la lucidità e farsi abbastanza forza da procedere ancora di qualche passo.
Intorno a sé Katarina si accorse della moltitudine di piante tropicali presenti, dell’enormi foglie sospese qualche centimetro sopra la sua testa e degli steli sottili, capaci di sorreggere la chioma e sfidare il peso dell’umidità meglio di quanto potesse far lei.

Procedette di qualche metro, cercando di intravedere qualcosa nel fitto intreccio di rami che le si parava davanti ad ogni falcata. Era certa che ci fosse qualcuno lì dentro, e allora perché non riusciva a trovarlo? Forse perché era giorno, forse perché il suo umore era completamente diverso dall’emozione generata della caccia imminente; forse perché si trattava di suore, ma comunque stava di fatto chr non aveva la più pallida idea di come individuare Sylvya Goldchild lì in mezzo.
Si schiarì la gola, spostando l’ennesima foglia a penzoloni sopra di lei «Sono Miss Katarina Aranka Bahun, la vânător mandata dalla Capitale» disse, sperando che la voce che l’aveva invitata ad entrare si facesse nuovamente viva, indicandole la direzione da seguire per riuscire a trovare i presenti. Perdersi in una serra all’interno di un Istituto monastico, inoltre, sarebbe stata una cosa tanto ridicola quanto impensabile per una donna del suo calibro. Se si fosse saputa una cosa del genere, tra i suoi colleghi cacciatori, sarebbe diventata senza alcuna eccezione lo zimbello dell’Ordine; proprio lei che aveva ricevuto le migliori parole da parte dei Monaci Precettori quando si era votata alla causa!

D’un tratto, dietro all’ennesima palma in miniatura, apparve un piccolo spiazzo ricoperto dalle stesse piastrelle dei corridoi al cui centro, seduti attorno ad un tavolino con alcune sedie in ferro battuto, se ne stavano due uomini dall’aspetto singolare e al contempo conosciuto, insieme ad una bellissima donna dai lunghi capelli biondi, vestita con i colori e gli orpelli delle Sorelle Velate: la Madre Superiora.


Ania' Space
Finalmente è arrivato il terzo capitolo e, come certamente non vi aspettavate, non è successo assolutamente nulla di nuovo. Con il prossimo aggiornamento avremmo qualcosa di più discorsivo ed un approfondimento (utile) a ciò che sta succedendo a Londinium. 
Sappiate che sono aperta a qualsiasi tipo di osservazione, quindi non abbiate pietà! So che è una bozza, quindi c'è ancora da lavorarci, ma i consigli sono sempre ben accetti.

A presto, lettori ♥

 

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Capitolo 5
*** Extra: Avviso ***




Avviso I



Buonasera neo-lettori di "
Miss Bahun: caccia ai vampiri",
m'intrufolo tra le vostre notifiche giusto per dirvi un paio di cose che forse potrebbero interessarvi.

In
primo luogo vorrei scusarmi con voi per la brusca interruzione dell'opera - che mi auguro potrà presto riprendere senza troppi problemi, visto che lo schema di stesura è già stato redatto. Purtroppo mi sono ritrovata a non gradire il quarto aggiornamento e così, tra una rielaborazione e l'altra ho perso la cognizione del tempo; inoltre l'università sembra essere contro di me in quanto tempo libero da dedicare alla scrittura (basti vedere le altre 4 storie presenti sul mio profilo).

In
secondo luogo, vi avviso che sto riscrivendo i primi tre capitoli, in modo da renderli più completi e "corretti" possibile. La prima versione con cui ve li ho presentati era pressoché basilare, mentre ora mi auguro che possa sembrarvi più sobria e attinente con il contesto - potrete comunque riconoscere le nuove versioni grazie alla grafica più curata e creata a doc per l'occasione.

Ultimo, ma non per importanza, potete trovare aggiornamenti ed extra sul profilo instagram dedicato al lavoro che sto svolgendo sia qui, sia su Wattpad, dove, a parte il mio primissimo approccio con la scrittura (n.d.a "Il diario di Jay"), sono presenti tutte le mie storie.
In caso vogliate lasciare un follow, entrare in contatto con me e/o tenervi al passo con ciò che accade nelle realtà che vado a creare, il nick è: aniayagalochuaine (Ania Lochuaine).

Come potete vedere dall'intestazione di questo avviso, posterò anche artwork e schizzi dedicati ai miei personaggi, come ad esempio l'improbabile protagonista di questa storia: Miss
Katarina Arànka Bahun!

A presto, la vostra Ania Y. LochUaine



 

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Capitolo 6
*** IV ***




IV

Katarina inarcò le sopracciglia, stupendosi non poco nello scoprire che Sylvia Goldchild, quella che aveva creduto essere una donna di mezz’età rovinata dagli anni di servizio all’istituto, fosse in realtà una bellissima ragazza poco più grande di lei, con al posto degli occhi due immensi zaffiri blu. Era raro che le sue supposizioni si rivelassero inesatte, soprattutto in casi come quelli – il potere ecclesiastico non era spesso ceduto a persone giovani, men che meno se si trattava di donne.
Prima ancora che Miss Bahun potesse aprir nuovamente bocca, gli uomini seduti al tavolo con la suora si alzarono, compiendo una riverenza in segno di saluto.
«Buondì Miss, la stavamo giusto aspettando per il thè» la voce di Sorella Sylvia risuonò leggera fino alle orecchie dell’esorcista, tanto delicata d’apparire simile al canto di una sirena: «Vi prego, accomodatevi» la invitò e Katarina, come Ulisse, si lasciò stregare da quel richiamo avvicinandosi svelta al tavolo.
«Vi ho forse fatto attendere?» la vânător estrasse nuovamente l’orologio dalla tasca, lanciandogli un’occhiata dubbiosa: possibile che avesse perso così tanto tempo d’aver accumulato ritardo?
Uno tra i due uomini le sorrise, mettendo ancor più in evidenza la piccolezza dei propri occhi, tipica della popolazione orientale: «Assolutamente, non preoccupatevi» e spinse la sedia in modo d’accompagnare la flessione delle gambe. Agli occhi della donna non sfuggì la presenza dei guanti scuri sulle mani e, men che meno, come la stoffa della giacca sembrasse rigida sulle braccia – entrambi segni di qualcosa che, al momento, era solo un vago sospetto.
A quella distanza però, Miss Bahun poté notare anche un’altra cosa: il simbolo per proprio ordine tatuato appena sotto al mento dell’uomo, nascosto in mera parte dalla barba incolta di un paio di giorni. Come le era stato accennato, altri esorcisti avrebbero collaborato con lei sia alle indagini sia alla caccia di Dracul. Esattamente come era accaduto a Roma, quando Padre Costantino l’aveva informata privatamente degli ultimi dettagli, si ritrovò a dover trattenere una smorfia di fastidio – tra le cose che più detestava del suo lavoro, il fatto di dover spesso e volentieri far parte di una squadra era in cima alla lista.
La Superiora ringraziò la gentilezza del suo ospite e, con quel suo sorriso fanciullesco, si rivolse nuovamente a Katarina che, sfortunatamente, fu colta in flagrante contemplazione del suo viso angelico.
«Vogliate concedermi l’occasione per presentarvi due tra i vânător rimasti in città, Mister Suzu Whiteman, maestro delle polveri da sparo» l’uomo che l’aveva fatta accomodare, quello dagli occhi leggermente a mandorla si portò una mano al cuore, ripetendo la riverenza, «e Lord Julius Terry, il miglior spadaccino che io abbia avuto l’onore d’incontrare» e anche il compare si concesse un gesto di saluto, ricambiato da un cenno del capo. A quel punto Sylvia riportò gli occhi difronte a sé: «Loro saranno i vostri colleghi per tutto il tempo che resterete qui, a Londinium. Abbiamo scelto il meglio per accompagnare la nostra ospite».
Katarina non riuscì ad impedirsi un sorriso. Senza troppi convenevoli prese la teiera sul tavolo e si versò una tazza di quello che dal profumo doveva essere Earl Grey.
«Il meglio, dite? Scusatemi se mi permetto, Madre, forse volevate dire “l’unica resistenza rimasta in città”»
«Come vi permet-» Lord Terry prontamente si aizzò in difesa del proprio onore, ma fu fermato dal compagno, forse meno incline di lui a scenate di quel tipo.
«Miss, credo che sia scortese da parte vostra supporre simili cose» Suzu sorrise, andando lentamente a sedersi accanto alla nuova, quanto irriverente, arrivata.
La vânător alzò la tazza difronte alle proprie labbra, senza smettere nemmeno per un istante di mostrare ilarità nello sguardo. Non era tipa da nascondere la propria sfrontataggine, soprattutto quando doveva aver a che fare con uomini e questioni di lavoro – in un ambiente come il suo, le donne erano le prime a venir rovinate dalla misoginia dei colleghi e violenza dei diavoli.
«Eppure questo è ciò che è giunto alle orecchie di Roma. Sbaglio nel dire che i servi del Male vi hanno decimato?» con un battito leggero di ciglia rivolse le proprie attenzioni verso Mister Whiteman, cercando di vedere un minimo cedimento nella sua compostezza; cosa che sfortunatamente per lei non accadde. L’uomo apparve completamente a proprio agio in quella conversazione, persino quando aprì bocca per confutare le insinuazioni di Katarina: «No, non sbagliate».
«Quindi,» Miss Bahun bevve: «O siete davvero bravi come dice Madre Goldchild, o la vostra fortuna rasenta il titolo di miracolo, che pare essere una conclusione più appropriata. Se ora vi chiedessi di alzare entrambe le maniche della vostra giacca, Mister, cosa vi troverei oltre alle vecchie cicatrici?» ci aveva messo un po’, ma alla fine era riuscita a capire per quale ragione il vestiario del suo interlocutore le risultasse così peculiare per la situazione. I guanti scuri, che all’interno di una serra dalla temperatura estremamente alta erano totalmente fuori luogo, dovevano servire a coprire le abrasioni provocate dalla polvere da sparo, ma anche a nascondere le macchie di sangue che avrebbero potuto far capolino sul cotone bianco. Le maniche, invece, restavano rigide per via dello spessore creato dai bendaggi che dovevano fasciare entrambi gli avanbracci – anch’essi feriti in battaglia.
Suzu sorrise.
«Siete un’osservatrice attenta, Katarina Bahun. Suppongo sia una dote di famiglia, la vostra»
Katarina sentì improvvisamente un sapore amaro sulla punta della lingua, come se il thè offertole si fosse tramutato in liquido di scarico. Nella sua lunghissima lista di cose spiacevoli che la riguardavano, c’era anche quella: suo padre – e con lui tutti i riferimenti che le toccava sentire da parte di esorcisti ed ecclesiastici. Emil Bahun era una leggenda. E lei la sua unica erede.
«Supponete quel che meglio credete, caro. Mio padre e io, comunque, siamo due persone nettamente diverse, nonché vânător di livello differente» no, non le piaceva per niente essere paragonata a lui, né nel bene, né nel male.
A quel punto, come risorta da un breve letargo verbale, Sylvia Goldchild prese parola, interrompendo lo scambio sempre più teso di battute tra gli esorcisti: «Non ne dubito, Miss» con occhi luminosi e un sorriso radioso allungò le proprie mani su quelle di Katarina, afferrandogliele dolcemente. La cacciatrice poté chiaramente avvertire un brivido correrle lungo la schiena e, senza volerlo, le guance scaldarsi. Possibile che persino nei casi meno opportuni una bella ragazza riuscisse ad agitarla tanto?
«Sono convinta che voi abbiate un talento tanto portentoso quanto divergente da quello di vostro padre. Me lo dice la Vergine» e strinse la presa, come a tentar d’infondere sicurezza nella propria interlocutrice.
E seppur si stesse nuovamente facendo riferimento a Emil, Miss Bahun non si scompose. Stavolta, tutto quello su cui la sua mente riuscì a concentrarsi fu un unico pensiero: non pensare ad atti impuri tra le mura della Chiesa. Nemmeno se si tratta di una suora come lei!
Sì, perché durante il suo percorso di crescita a Bistria, Katarina aveva dovuto fare i conti con la triste realtà del mondo in cui era finita: amare era peccato. Innamorarsi una sciagura. Restare incinta dell’uomo di cui si era invaghite, una condanna. Aveva visto fin troppo presto la triste fine che spettava alle vânător che si concedevano prima del dovuto ad un loro compagno, così come aveva scoperto che relazioni durature non potevano esistere – e quindi aveva trovato la sua personale soluzione, costringendosi a preferire le curve di un corpo femminile agli spigoli di quello maschile. Ci si era convinta con così tanta forza che, ad un certo punto, aveva finito con il crederci. Ed ora, Sylvia Goldchild stava seriamente mettendo a dura prova le sue fantasie.
Svelta sottrasse il dorso della propria mano dai palmi della suora, riportando tra di loro il vuoto di un tavolo in metallo.
«Sì… ne sono certa. Ad ogni modo vorrei delucidazioni in merito agli avvenimenti che hanno portato a tanto trambusto. Sono qui per portare a termine il lavoro nel minor tempo possibile, se non vi spiace».
Visibilmente delusa, forse dal gesto riluttante di Katarina o forse dalle sue parole, la Madre Superiora fece un cenno a Julius Terry che, finalmente calmo, si decise a parlare all’ospite: «Come abbiamo scritto nelle missive alla Santa Chiesa Oscura di Roma, è da alcuni mesi che una nuova minaccia sta portando caos e morte per le strade di Londinium. Non sappiamo esattamente di cosa si tratti, ma crediamo sia opera dei vampiri sotto la guida di Dracul e-»
«Dracul è qui?» ad occhi sgranati, Miss Bahun interruppe il collega, sporgendosi nella sua direzione. Non poteva essere vero. Era da ben tre anni che non si trovava così vicina a lui, che camminava sul suo stesso terreno. Se il re di tutti i succhia-sangue si trovava lì, era suo compito trovarlo e staccargli la testa.
Julius, indispettito dall’ennesima interruzione, sbottò: «Così pare, ma non sappiamo dove sia la sua tana. Ad ogni modo, Miss, se mi concede l’opportunità di proseguire gliene sarei grato!» I baffi gli si arricciarono sotto al naso, nascondendo la piega presa dalla bocca.
«Ma se Dracul è a Lond-»
«Lasciate perdere Dracul, sant’Iddio! Qui la questione è: posso finire o no?»
Katarina si strinse nelle spalle, sorpresa da quella reazione. Cosa c’era di più importante di Vlad Țepeș?
«Ebbene» Lord Terry le lanciò un’occhiata eloquente, così severa che la donna parve farsi piccola nella giacca verde: «Supponiamo che sia opera dei vampiri per via del fatto che il sangue delle vittime è poco, ma soprattutto nero. Sembra pece nelle vene. Eppure non vi sono fori sui loro colli, nemmeno una piccolissima traccia. Gli occhi si svuotano completamente, resta solo la pupilla… pare che stiano guardando la Morte stessa».
Miss Bahun corrugò le sopracciglia, provando ad elaborare quelle informazioni. Non aveva mai sentito parlare di sangue nero, men che meno di occhi vuoti. Possibile che i vampiri si stessero evolvendo? O che stessero tramando qualcosa di terrificante?
«Chi sono le vittime? Vergini? Infanti?» domandò, conscia del fatto che tutti i servi del Male avessero una tipologia ben precisa di prede. I seguaci di Dracul avevano una predilezione per le donne, soprattutto se vergini; i licantropi per gli uomini giovani e ben sviluppati; i fantasmi colpivano per lo più famiglie, le fate i bambini, mentre i kelpie e le sirene i marinai. Ognuno aveva il proprio piatto preferito, quindi sapere quali tipi di persone erano state attaccate avrebbe certamente ristretto il campo di ricerca.
Suzu scosse la testa: «Non vi è alcuna costanza. Attaccano chiunque. Il primo corpo trovato è stato quello di un vecchio senza dimora, l’ultimo una fanciulla prossima al matrimonio».
«Non vi è nulla che leghi una vittima all’altra?»
«Assolutamente» Julius estrasse una pipa dalla tasca interna della giacca: «E’ per questo che ci stanno decimando. Combattiamo contro una forza a cui non siamo preparati. I vampiri ci stanno sfuggendo di mano».



Yaga:
Tardi ma mai troppo, ecco il ritorno della nostra Katarina che, finalmente, fa la conoscenza sia di Sylvia Goldchild, sia di quelli che saranno i suoi colleghi da oggi in poi.
Che dire, spero vi siano piaciuti! Suzu è un mix Giappone-Inghilterra, mentre Julius dovete immaginarvelo un po' come un Ron Wisley invecchiato. 
So di avervi presentato un capitolo molto descrittivo, ma che ve ne pare? Le rivelazioni che ci sono state vi hanno sorpreso? Se sì, fatemelo sapere nei commenti qui sotto o sul profilo instagram dove vengono pubblicati tutti gli aggiornamenti (aniayagalochuaine)!
A presto!

 

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Capitolo 7
*** V ***




V

Katarina si morse il labbro, provando a far mente locale il più in fretta possibile. Nessun legame tra le vittime voleva dire che, o si trattava di esseri fuori controllo, o di una ribellione a cui non erano pronti – né i vânător, né gli umani.
Altra cosa destabilizzante, per la sua testolina, era la mancanza di fori sui colli dei cadaveri. Come avevano fatto i vampiri a sottrargli sangue e trasformarne i resti in catrame, se le loro zanne non gli si erano conficcate in una vena? E per quale ragione avevano modificato il loro modus operandi?
Suzu si piegò con il busto nella sua direzione, quasi volesse confidarle un segreto: «Ora capite per quale ragione vi è tanto sgomento? Perché abbiamo chiesto aiuto a Roma?» domandò, lanciandole uno sguardo supplichevole, molto più profondo di quanto lei si sarebbe aspettata. Una sorta di comprensione, mista a compassione, le si mosse nel petto.
In qualche modo le parve che, al posto di ciò che aveva realmente pronunciato, le avesse detto: “sono stufo di vedere i miei compagni morire, eppure non so come impedirlo”. E lei sapeva bene cosa si provasse, lo aveva vissuto molto tempo prima – con la sua prima e unica squadra, trucidata proprio dai vampiri durante il crepuscolo.
«Avete parlato con qualcuno di loro? Prigionieri o… Exilati?» se non sapevano nulla più di quello che le avevano riferito bisognava ricorrere a rimedi estremi: interrogare i diretti interessati. Ovviamente però, la maggior parte dei succhia-sangue ancora fedeli a Dracul non avrebbe parlato spontaneamente con loro, ma gli esuli… loro avevano rinnegato il legame con Vlad, chiedendo clemenza e rifugio alla Chiesa, quindi non avrebbero certo rifiutato a degli emissari del Papa stesso un aiuto. Seppur spiacevole, era il modo più veloce per capirci qualcosa.
Julius buttò fuori dalla bocca una folata bianca: «I prigionieri non parlano, piuttosto preferiscono farsi ammazzare».
Già, ci avrebbe dovuto pensar da sé, rifletté versando ancora un ultimo goccio di thè nella tazza. Se Dracul aveva usato su di loro il suo putere, impedendogli di dire anche solo una sillaba a riguardo dei suoi piani, nemmeno una pistola puntata alla testa avrebbe potuto farli parlare.
«Inoltre,» eruppe Sorella Goldchild catturando le attenzioni di Katarina: «i pochi Exilati presenti a Londinum sono fuori dalle questioni della loro specie da anni, forse decenni. È brava gente, solo un po’ sfortunata». Allargando il sorriso provò nuovamente ad ammaliare l’esorcista sedutale di fronte. Quella suora, per quanto pura e casta, doveva essere ben consapevole della propria bellezza, usandola a suo piacimento per ingraziarsi le altre persone – dote che sicuramente poteva tornare utile nel momento in cui l’Istituto necessitasse di fondi: nessun uomo avrebbe resistito ad un visino come il suo.
La vânător, di tutta risposta, alzò maliziosamente un sopracciglio: «Madre, vi assicuro che volenti o nolenti, le nostre nature non possono essere soggiogate». Con il cucchiaino smosse l’acqua ambrata, senza però staccare gli occhi dal viso della suora: «Una volta vampiri, si resta sempre tali. Magari non parteciperanno alle cacce umane, ma sicuramente avranno mantenuto dei contatti»
«Quanto scetticismo nella vostra voce. Non credete nella redenzione, Miss?»
Katarina fece tintinnare il ferro sul bordo della ceramica, concedendosi qualche istante per gustare un ultimo sorso di Earl Grey – il migliore che avesse mai saggiato.
Non le capitava spesso che ad un primo incontro le si rivolgessero simili domande, men che meno che fosse un’ecclesiastica a farlo. Solitamente donne come Sylvia Goldchild si limitavano a sorridere, annuire e fare qualche commento di circostanza, ma nulla più.
«No, Madre, non è questo il punto» le sorrise: «Sono, per lo più, convinta del fatto che sia difficile abbandonare i legami instaurati nel tempo, così come in determinati momenti della vita». Con la lingua si portò via i resti di teina dal labbro inferiore: «Però permettetemi una domanda» sotto un trasporto che raramente si permetteva di far trapelare, si avvicinò con il corpo al centro del tavolo, accorciando lo spazio vuoto tra sé e l’interlocutrice.
«Se vi foste svegliata una notte, mutata nel corpo quanto nell’anima, e aveste trovato conforto nelle parole e nella compagnia di esseri che, seppur malvagi vi sono simili, non pensate che anche voi potreste far fatica a recidere in modo tanto netto i rapporti con chi vi è stato amico?»
Lord Terry sobbalzò sulla propria sedia, rischiando di far cadere a terra la pipa in bilico tra le labbra. Quel modo di rivolgersi alla Superiora doveva averlo assai stupito, forse facendo apparire il quesito di Miss Bahun come una sorta di mancanza di rispetto. Chissà come si era permessa di paragonare un angelo al pari di Sylvia a demòni quali la stirpe di Dracul.
La suora alzò subito una mano, fermando l’imminente intromissione dell’uomo. Sul suo viso comparve una sorta d’espressione divertita, come se le piacesse confrontarsi a quel modo con una persona che non si preoccupava dell’abito che portava addosso.
«Sì, faticherei, soprattutto perché vorrei vedere salve le anime di coloro a cui mi sono affezionata. Mi batterei, Miss Bahun. Cercherei in tutti i modi di cambiare il loro volere» ammise, imitando il movimento compiuto dall’ospite poco prima. Ora erano faccia a faccia, separate da solo un palmo e, a quella distanza, Katarina poté ammirare tutte le screziature presenti negli occhi della sua interlocutrice. Quanto sarebbe stato semplice afferrarle il viso e morderle il labbro carnoso, si ritrovò a pensare in un momento di totale estromissione dalla realtà.
«Quindi come desiderate procedere?» la domanda di Suzu arrivò senza preavviso, spezzando la malia d’attrazione in cui Katarina si era ritrovata coinvolta e facendole voltare lo sguardo, velatamente infastidito.
Per un istante rimasero fermi a fissarsi, lui in attesa di risposta, lei di capire in che modo sbarazzarsene. Alla fine, capendo di non poter certo cucirgli la bocca, Miss Bahun si lasciò andare sullo schienale della sedia, sospirando. Possibile che dovesse per forza lavorare con altri esorcisti? Non vi era alcun modo per portare a termine quella missione in solitaria?
«Quanti Exilati ci sono in questa città?»
Julius si mise a contare, alzando un dito ogni volta che nella mente gli tornava vivido il nome di uno dei vampiri interessati: «Quattro. Tre uomini e una donna» concluse alla fine, osservandosi con fierezza la mano, quasi quel conteggio fosse stato per lui un lavoro di grande impegno. Il suo quoziente intellettivo, valutò la cacciatrice, non doveva superare quello di un comune abitante, umano, di Londinium – cosa che spiegava da sé l’ancora incompleta raccolta d’informazioni per affrontare il caso.
Provando a non concentrarsi su quel particolare, si mise a valutare la risposta datale. Quattro, in una capitale come quella, era un numero pressoché irrisorio, ma comunque abbastanza utile da poter permettere loro di riuscire a scoprire qualcosa più del nulla che avevano attualmente tra le mani.
Infilando le dita nel taschino del cappotto ne tirò fuori l’orologio d’argento.
Mezzogiorno era da poco passato e, ad un orario del genere, nessun vampiro avrebbe avuto il piacere d’ospitare in casa propria un gruppo di vânător. Era quindi il momento perfetto per muoversi.
«Quale di loro abita più vicino all’Istituto?»
Le sopracciglia pallide di Sylvia Goldchild, di fronte a quel quesito, si alzarono e di conseguenza le lunghe ciglia sbatterono più volte: «Pardon?»
«Mi serve sapere chi si trova nelle vicinanze più immediate, in modo da poter mettermi all’opera»
«Certo, capisco, ma non credete che sia un momento della giornata… inadeguato? I vampiri tendono a essere suscettibili e nervosi a quest’ora» cercò di esortarla la Madre Superiora, forse incerta riguardo alle tecniche investigative della sua ospite.
Katarina sorrise, alzandosi lentamente dalla propria seduta, del tutto incurante dei timori della suora. Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, ma non per questo sarebbe riuscita a farle cambiare idea. Proprio perché nervosi, i vampiri avrebbero cercato di liberarsi degli esorcisti il prima possibile e, non potendo certamente ucciderli o attaccarli – in quanto emissari della Chiesa – si sarebbero limitati a dargli le informazioni di cui avevano tanto bisogno.
«Affatto, il dì è sempre un buon momento per un colloquio con le creature del Male» con la mano inguantata Miss Bahun afferrò la propria valigia: «Inoltre, vorrei liberarmi per metà pomeriggio, così da riposare e prepararmi per la notte»
«Uscire dopo il tramonto è pericoloso, ormai» si affrettò a dire Julius scattando in piedi. Sul suo viso, un’espressione dura fece capolino. Non sembrava per nulla propenso a partecipare ai piani della collega e, men che meno, lasciare che lei stessa ne prendesse parte.
Perplessa, la donna non poté che chiedersi il motivo di tanto timore. Un vânător non aveva ragione di temere le ombre o di muovercisi nel mezzo, loro erano stati addestrati ad affrontare quella vita sin dalla notte dei tempi, quando i Corvinus avevano gridato al mondo il loro arrivo subito dopo essere usciti dal ventre della sposa del Diavolo stesso.
«Avete paura, Lord?» domandò, piegando appena la testa da un lato. Più fissava l’uomo, meno trovava in lui le doti necessarie per portare a termine quel lavoro – o qualsiasi altro, a dire il vero. Julius, ai suoi occhi verdi, sembrava proprio stonare in mezzo a quella realtà.
«Ne avreste anche voi, Miss, se aveste visto un’orda di licantropi muoversi per le vie di Londinum con le fauci grondanti di sangue e le carni lacerate da artigli sconosciuti»
«Può darsi, ma sono una cacciatrice dell’occulto e, a prescindere dalle mie paure, ho un lavoro da portare a termine con o senza di voi» il petto di Katarina si gonfiò sotto alla coltre di vestiti e, nonostante non potesse vantare un gran seno, sentì tirare la stoffa lì intorno: «Stanotte uscirò per le strade di questa città e andrò a dare un’occhiata nei dintorni. A differenza vostra, Julius, so cosa è giusto fare e ricordo alla perfezione il giuramento del nostro Ordine» sbottò, sentendosi più temeraria di qualsiasi persona lì presente – cosa assai strana, visto che di norma i cacciatori di sesso maschile tendevano a pavoneggiarsi più del dovuto e mettersi costantemente in gara con i colleghi.
Compiendo un movimento brusco, la donna si rimise in testa la bombetta nera, furibonda di fronte a tanta negligenza: «Ora, di grazia, potremmo andare da un dannatissimo succhia-sangue e fare ciò che in due non siete ancora riusciti a portare a termine? Non avete nemmeno una pista affidabile e pretendete di venire a dire a me come comportarmi, dovreste farvi un esame di coscienza a riguardo» con veemenza il suo tacco picchiò il suolo e Julius Terry sussultò per la sorpresa. Possibile che in una città come quella, i vânător fossero tanto codardi?

 

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Capitolo 8
*** VI ***




VI

Katarina faticò non poco a trovare l'uscita della labirintica serra in cui aveva passato le ultime ore e, tra le varie cose, ciò che più di tutto aveva messo a dura prova la sua pazienza furono le continue proteste di Lord Terry, ancora restio all'idea di far visita agli Exilati di Londinum.
A metà del corridoio che l'aveva condotta dalla Madre Superiora, dove la novizia li stava conducendo silenziosa verso l'uscita, Miss Bahun non riuscì più a trattenersi, così, voltandosi furente verso il collega, prese a dargli contro: «Lord Julius, per l'amor del cielo, potreste concedere alle mie povere orecchie un po' di pace?» domandò esasperata, allargando le braccia prima di riprendere. «Che voi siate, o meno, d'accordo con me, non mi può per nulla importare. Da quanto va avanti questa situazione? Mesi? E quanti compagni avete perso? Troppi!» Katarina divenne un fiume in piena, cosa più unica che rara: «Ebbene, non avete fatto nemmeno mezzo progresso! Se foste stati abbastanza diligenti, la Santa Chiesa della Vergine non mi avrebbe mandata in vostro soccorso, quindi v'invito a tacere e seguire le mie indicazioni» sbottò in conclusione, sentendo la gola terribilmente secca dopo tutte quelle parole – per sua sfortuna però, la vodka era finita già da troppo tempo.
Nonostante lo sfogo di Miss Bahun, Lord Terry non demorse, riprendendo il proprio inutile sproloquio: «Permettetemi, ma io non capisco la necessità di disturbare gli Exilati. Come abbiamo già detto non vi sono fori né sui polsi, né sui colli delle vittime».
A quella controbattuta, Katarina appoggiò l'enorme valigia a terra per poter incrociare le braccia al petto – ed evitarsi così d'aggredire con un cazzotto l'uomo.
Più e più volte, in quei secondi di silenzio, si chiese con quale criterio venissero scelti i vânător in quell'angolo di mondo; possibile che la triste verità si limitasse a una semplice discendenza di sangue? Che non vi fosse allenamento, formazione o qualsiasi altra dannatissima cosa che aveva dovuto subire lei?
«A voi, mio caro, deve davvero sfuggire qualcosa...»
«Invece voi carpite tutto, Miss?»
Miss Bahun si ritrovò a gonfiare il petto per il nervoso. Dentro di lei, il desiderio d'atterrare Julius e gestire in solitaria la questione si stava facendo estremamente allettante – ma doveva desistere, essendo un'ospite. Certo c'era da dire che, quando Padre Costantino le aveva assegnato quell'incarico, non si sarebbe mai aspettata di dover affrontare problematiche tanto infantili. Nella sua breve, o meglio brevissima, esperienza di lavoro di squadra, non aveva mai dovuto trattenersi dall'aggredire un proprio pari.
«No, ma sono a conoscenza del fatto che i più importanti esperti di sangue siano i Vampiri. Magari, anche se sono scettica a riguardo, non sono loro i mandanti di questi efferati omicidi, ma potrebbero comunque sapere cosa rende il sangue delle vittime nero» a quel punto Lord Terry ammutolì. I suoi occhi si fecero grandi di stupore e, in un angolo recondito della mente di Katarina prese forma l'idea che l'uomo potesse aver capito. E finalmente, dopo tutto quel battibeccare, Suzu intervenne, poggiando una mano sulla spalla dell'amico: «La nostra ospite ha ragione, Julius, tentar non nuoce».
Ancora infastidito dal fatto che una donna gli stesse dando filo da torcere su argomentazioni di cui avrebbe dovuto essere esperto, il Lord bofonchiò: «Agendo così finiremo per attirare le attenzioni sbagliate» e rivolse uno sguardo complice al compare, quasi cercasse in lui sostegno.
La vânător afferrò nuovamente la maniglia del proprio bagaglio, trasformando la rabbia in eccitazione e non nascondendo un sorriso: «Amo le attenzioni sbagliate».
Se comportandosi così avrebbe attirato l'interesse di Dracul, si sarebbe spinta ancora più oltre: Exilati, prigionieri, reietti e chiunque appartenesse alla sua prole.

 


 

Il buon nome di Lord Terry aveva fatto sì che una carrozza a vapore si fermasse senza grandi esitazioni non molto dopo essere usciti dall'Istituto, trasportandoli in fretta e furia verso una bella palazzina bianca nei pressi del Tamigi.
Appena Miss Bahun mise piede sul marciapiede alzò gli occhi sulle enormi finestre della facciata, oltre cui spesse tende si frapponevano tra i pallidi raggi diurni e l'interno della casa, diventando fragile scudo per colui che vi si nascondeva all'interno – un vampiro che, come qualsiasi creatura della notte degna di tale nome, soffriva la luce.
Katarina si abbassò gli occhiali da sole fin sulla punta del naso: «Li trattate bene i vostri Exilati» constatò ad alta voce, più ragionando tra sé e sé che cercando una conversazione.
Suzu le si avvicinò silenzioso, alzando il viso nella sua stessa direzione: «Voi no?» domandò, sorridendo appena, forse estraneo alle pratiche che venivano usate in terre infestate come quelle da cui arrivava lei.
La donna spostò lo sguardo su di lui: «Non così tanto» ammise.
Per quel che ricordava, solo un paio di vampiri avevano avuto l'onore di guadagnarsi case tanto eleganti e, per farlo, avevano dato agli esorcisti informazioni molto preziose, si erano sottoposti ad alcuni esperimenti di dubbia utilità e avevano rinunciato ai propri canini, le uniche armi che avessero potuto spaventare l'Ordine – caratteristica che sicuramente, il proprietario di quella bella casetta, ancora poteva vantare.
Involontariamente Miss Bahun si portò una mano alla coscia, lì dove, sotto al tessuto della gonna, si celava una delle sue innumerevoli armi: un pugnale con l'anima di cipresso.
In lei, lo scetticismo non sembrava dissiparsi mai e, persino sapendo del patto tra Chiesa e Exilati, preferì assicurarsi di essere pronta a tutto, soprattutto a uno scontro.
Julius Terry si affiancò loro: «Volete precederci, Miss?» con la mano indicò l'ingresso della palazzina, invitando Katarina ad avvicinarcisi e bussare.
«Non ditemi che avete paura di fare gli onori di casa» punzecchiò nuovamente la donna, tirando un malizioso sorriso e, come a volersi dimostrare, l'uomo si infervorò subito. Doveva veramente odiare il fatto di dover avere a che fare con un soggetto del genere, dall'apparenza tanto innocua e dalla lingua altrettanto tagliente.
Compiendo falcate lunghe e decise, Julius si portò fino al battente e lì, senza esitazioni, colpì più volte l'anta per annunciare il loro arrivo.
Persino a qualche metro di distanza, Miss Bahun poté vedere le spalle del collega irrigidirsi subito dopo aver bussato, testimonianza di quanto temesse ciò che di lì a poco sarebbe successo. Ma ciò che stava accadendo a Londinium, era tanto spaventoso da riuscire a traumatizzare persino esorcisti dell'Ordine a quel modo? Temere degli Exilati in fin dei conti aveva quasi del ridicolo.
Katarina si morse il labbro, voltandosi appena in direzione di Suzu: «Posso farvi una domanda, Mister Witheman?» L'altro annuì, accennando un sorriso.
«Ciò che avete visto è davvero qualcosa di tanto aberrante da riuscire a scalfire il vostro animo di vânător?» perché nella sua mente, certamente più perversa e avvezza ai massacri di quella di qualsiasi altra persona, l'erede di Emil non riuscì a immaginarsi come fosse possibile che un cacciatore dell'occulto potesse farsi ancora scioccare dal Male.
L'uomo si toccò il mento, riflettendo. Con sguardo fisso verso il proprio collega, ancora intento ad aspettare una qualche risposta dal proprietario di casa, parve valutare al meglio le parole da dire: «Dipende, Miss. Voi sembrate nettamente più preparata di noi ad affrontare le tragedie della notte» volgendo lo sguardo verso il Tamigi, Suzu parve contemplare per un istante la sua città: «Qui a Londinium abbiamo sempre avuto a che fare con un Piccolo Popolo servizievole, vampiri borghesi, schizzinosi e licantropi di passaggio: trovarci nell'orda di creature assetate di battaglia e sangue non è propriamente all'ordine del giorno» ammise infine con un sospiro.
«Ciò che più di tutto ci ha traumatizzato è stato vedere quei corpi ricolmi di umori scuri apparire senza logica all'alba, ma anche scoprire che non eravamo poi tanto preparati allo scontro. I nostri compagni sono morti per via del fatto che mai avevano avuto modo di combattere veramente...» d'improvviso tornò a fissarla, questa volta con una strana speranza nello sguardo: «ma voi, cara, sembrate poterci insegnare a sopravvivere» e Katarina, sentendosi rivolgere quelle parole, non riuscì a impedirsi di corrugare le sopracciglia in un modo di confusione. Cosa stava insinuando?
Fece per rispondere, mavenne interrotta dal cigolio stridulo della porta. Finalmente il vampiro avevadeciso di accoglierli nella propria dimora.


 

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Capitolo 9
*** VII ***


VII

In casa, l’odore asfissiante d’incenso colpì Katarina con talmente tanta forza che per un attimo si sentì mancare. Vacillò pericolosamente sui suoi stivaletti e, per evitarsi di ruzzolare a terra, si soffermò qualche istante sulla soglia d’entrata, boccheggiando. Seppur abituata agli aromi coinvolgenti di piante e fiori, quel tanfo fu troppo persino per lei.
Disorientata, cercò di capire se anche i colleghi fossero stati presi alla sprovvista, ma né Julius, né Suzu, parvero soffrire in egual misura quel sentore nauseabondo.

Come era possibile?

Il maestro delle polveri da sparo si rivolse nella sua direzione e, toccandosi la punta del naso con l’indice, sussurrò: «Serve a coprire l’odore di morte». 
Certo, peccato che “coprire” sarebbe diventato impossibile, se fossero deceduti anche loro per soffocamento!

Facendosi forza, Miss Bahun provò a procedere sempre più nell’androne, un angolo di casa rivestito in legno scuro su cui troneggiava qualche piccolo quadretto riportante i musi tristi di cani dalla dubbia razza. Vi erano anche, a intervalli regolari, alcune lampade a olio capaci d’illuminare in modo soffuso gli ambienti, facendo sembrare l’ingresso una sorta di camera mortuaria all’insegna degli amici a quattro zampe.

E a Katarina si accapponò la pelle.

Possibile che il proprietario di casa avesse una qualche sorta di feticismo? O quelle erano tutte vittime delle sue scorpacciate settimanali?

Lord Terry però la riportò presto con la mente alla realtà, schiarendosi la voce e provando a chiamare qualcuno: «Mister Gregory, siete in casa?» il suo vocione riecheggiò lungo le stanze, dando quasi l’impressione di trovarsi all’interno di un tamburo – di risposta, solo silenzio.
La donna, di fronte al quesito del collega alzò gli occhi al cielo, pregando il Signore di Luce di non farle perdere il controllo e seviziare Julius sul posto. Con un sole capace d’illuminare anche la via più buia di Londinium, dove credeva che potesse andare un vampiro? Perché a parte qualche eletto, come erano Vlad Tèpéş e le sue spose, nessuno poteva camminare sotto i raggi scottanti del giorno.
Nuovamente l’uomo si permise un passo in avanti, facendo scricchiolare le assi di legno sotto ai propri piedi: «Mister Gregory? Siamo i cacciatori dell’Ordine, avremmo bisogno di conferire con voi» ma ancora silenzio. La casa pareva sul serio essere vuota, peccato che Miss Bahun avesse la certezza che qualcuno, nascosto nell’ombra, vi fosse – e li stesse osservando.
Sospirando, il Lord si volse nella direzione dei collaboratori: «Credo non sia qui» decretò infine. 
La sua espressione fece ben capire che non si era per nulla reso conto della situazione in cui si trovavano, men che meno delle condizioni climatiche che stavano imperversando oltre la porta. 

Katarina scosse la testa, sempre più incredula: «Posso fare anche a voi una domanda?»

L’altro corrugò le sopracciglia, senza capire – reazione che non stupì affatto la donna.

«Per caso, vostro padre e vostra madre, hanno qualche sorta di legame di parentela?»
Julius piegò la testa da un lato, visibilmente più confuso di quanto non fosse prima e, alzando le spalle, valutò il quesito per alcuni secondi: «Cugini, Miss. Perché?»
Un sorriso rassegnato le si appollaiò sul viso.

Ora si spiegavano molte cose.

«Nulla che debba turbare il vostro spirito» sogghignò tenendosi per sé le meschine considerazioni e, nel mentre, un’altra risata spezzò il silenzio intorno a loro, facendoli irrigidire sul posto.
Un suono roco scese lungo le scale, arrivando sempre più nitido alle orecchie. Non ci volle molto prima che eleganti scarpe di vernice comparissero in cima alla rampa, attaccate a lunghissime gambe che proseguivano in un busto su cui, infine, s’inerpicava un volto provato dal tempo. Rughe spesse e peli bianchi erano testimoni del digiuno a cui il demone si stava sottoponendo, ma i suoi occhi guizzanti, di un rosso cupo, ne tradivano la natura.

Il vecchio si portò una mano al viso, cercando di nascondere l’ilarità: «Quanta cattiveria in un corpicino tanto grazioso, milady» si affrettò a dire passando da un gradino a quello seguente e aizzando i sensi di Katarina in modo pericoloso.

Exilati o meno, per lei, finché i vampiri possedevano le zanne erano una minaccia per l’umanità e, nonostante la mano a coprire parte delle labbra, riuscì a scorgere nella bocca dell’uomo punte tutt’altro che amichevoli – istintivamente la mente portò a galla il ricordo delle armi che aveva indosso, incluse quelle che teneva al sicuro nella valigia. Una decina, a onor del vero e tutte equamente letali.
Miss Bahun porse la mano: «È una forma di autodifesa, milord. Più la mia carne è acida, meno si potrebbe desiderare di morderla» disse con un sorriso beffardo a illuminarle il volto. Il commento rivoltole non le era affatto piaciuto, troppo ambiguo per passare come innocente alle sue orecchie; così aveva cercato di mettere subito in chiaro le cose, in modo da non dover ricorrere ad alcuna lama o alla sua amata pistola a ruota.
Mister Gregory afferrò con estrema gentilezza le sue dita e, compiendo un inchino preoccupante, le baciò il dorso guantato. Per un solo momento, Katarina pensò che la sua schiena potesse spezzarsi, troppo vecchia per sostenere i movimenti di un corpo digiuno, ma poi si ricordò di tutti i vampiri che, all’apparenza innocui, si erano rivelati ossi duri da eliminare e, a quel pensiero, un brivido le corse lungo la schiena, facendole desiderare con tutta sé stessa di ritrarre la mano.

«Ma dubito che quelli che un tempo ho chiamato fratelli abbiano resistito a tanta vita» lento, e senza staccarle gli occhi scarlatti di dosso, il padrone di casa si rimise dritto.
Fu un solo istante, ma a seguito di quel commento il cuore della donna smise di battere – lui sentiva lo scorrere del suo sangue. Lo percepiva con una chiarezza quasi annichilante e lei riusciva a leggerglielo in viso; era una bestia affamata, un predatore pronto alla caccia e Miss Bahun, sfortunatamente, la lepre che aveva attirato la sua attenzione.

Deglutendo a fatica, l’esorcista allontanò il proprio palmo da quello del lipitoare: «Per questo hanno incontrato il riposo eterno, quello vero» sibilò repentinamente, sottolineando il suo ruolo in quel momento, anche se in modo indiretto.
Da quella distanza, le rughe sul viso di Mister Gregory parvero una mappa dell’Inferno. Più si scendeva lungo le guance, più si infittivano, diventando vie minacciose verso il punto in cui si trovava il Male più puro: la bocca ricolma di denti fin troppo affilati, soprattutto i canini.
Katarina rimase rigida a fissarne gli intrecci, valutando quale arma fosse la più vicina alle sue dita per poter affrontare un demonio del genere – il pugnale si trovava nello stivale destro, mentre la pistola oltre la sottana, ma uno stiletto era ben fissato tra alla manica del cappotto e quella della camicia. Ci avrebbe impiegato ventisei secondi a estrarlo, lo sapeva bene, si era allenata per giorni prima di optare per quel nascondiglio.

Il vampiro sogghignò, volgendosi subito dopo verso Julius e Suzu, liberandola dall’ansia di doversi preparare alla difesa personale - non che in realtà le dispiacesse l’idea di avventarsi su un Figlio della Notte per percuoterlo in una qualsiasi maniera...

«Finalmente un cacciatore simpatico tra le file di Londinium!» ma il suo commento parve non generare lo stesso entusiasmo che stava mostrando lui in quel preciso momento. Lord Terry, in particolar modo, sembrò venirne offeso.
La sua espressione di circostanza mutò in una sorta di maschera di delusione e il disappunto trapelò anche dal commento che ne seguì: «Vogliate scusarci, Mister, ma non siamo qui per fare amicizia. La Santa Sede chiede la vostra collaborazione per un’indagine». Lapidario, l’uomo mise la parola fine ai convenevoli e il vecchio, rendendosi conto del tasto dolente che doveva aver toccato, indicò con la mano una delle porte sui lati dell’androne.

«Vogliate accomodarvi, dunque» con una mezza riverenza del capo invitò gli ospiti a precederlo e Katarina, purtroppo educata alle buone maniere e conscia di non poter certo mostrarsi per la diffidente che era, dovette anticipare tutti i presenti verso il luogo designato per quel colloquio.

Le donne dovevano sempre essere le prime - anche a venir uccise, aggiunse tra sé e sé muovendo il primo passo verso quello che, probabilmente, doveva essere il salotto.

Superò dapprima il demonio, avvertendo un lieve brivido correrle dalla nuca al centro delle scapole, poi i suoi colleghi e, ignorando i terribili quadri appesi, i cui occhi continuavano imperterriti a fissarla, varcò la soglia della stanza.
Come aveva notato già dall’esterno, spesse tende cercavano di filtrare al meglio la luce, anche se qualche impavido raggio riusciva comunque a trapassare le congiunzioni tra i lembi di stoffa, colpendo il tappeto persiano sul pavimento e illuminando un poco l’ambiente, anche se non abbastanza da diventare nocivo per il padrone di casa.

Gli occhi della cacciatrice, in quel contesto nettamente più accessibile per le sue pupille stanche, trovarono con molta più facilità i dettagli salienti dell’arredo: poltrone di pelle imbottite, una vetrinetta piena di bottiglie dalle diverse fatture, scaffali ricolmi di libri di poesie, teste di animali impagliati, qualche ritratto di amici o parenti probabilmente defunti, polvere e ragnatele sottili agli angoli dei soffitti. Nessun’arma, men che meno specchi.
Tutto in quel luogo era stato studiato per colui che lo abitava e, storcendo la smorfia, Katarina si ritrovò a pensare che a Londinium sia l’Ordine, sia il Governo, riservassero troppo riguardo nei confronti delle creature che fino a qualche anno prima avevano sterminato senza remore i loro cari. Possibile che perdonare fosse tanto semplice? Possibile che la loro memoria fosse così labile da dimenticare

Contraendo la mandibola e stringendo la presa sul manico della propria valigia, Miss Bahun provò a non concentrarsi troppo su quei dettagli, anche se le veniva difficile. In lei il desiderio di aizzarsi contro quella negligenza si fece forte, sempre più. Dove era la justiție in tutto ciò?

Mister Gregory le passò nuovamente accanto, evitando con una certa facilità la striscia di luce sul tessuto del tappeto. Parve quasi che conoscesse a memoria i punti esatti in cui il sole, in precisi momenti della giornata, si trovasse.
Le sue scarpe in vernice piroettarono fino alle sedute e lì, con un sorriso mefistofelico a increspargli il viso, li pregò di mettersi comodi: «Gradireste un tè? Purtroppo non dispongo di alcun maggiordomo al momento, quindi se aveste la premura di aspettare qualche minuto sarò lieto di trattarvi con il riguardo adeguato per degli ospiti del vostro calibro» aggiunse mentre gli esorcisti prendevano posto.

Julius fece per rispondere, ma subito Katarina gli parlò sopra: «Non curatevi di simili sciocchezze. Un bicchiere di un qualunque alcolico ancora bevibile sarà più che sufficiente» e i suoi occhi calarono severi sulla vetrinetta posta accanto alla testa di un cervo. Ad occhio e croce, constatò che l’unica bottiglia a doversi essere conservata a dovere fosse quella della grappa - sempre se di grappa si trattava.
Una risatina provò a levarsi dalle labbra del vampiro: «Non vorrete dirmi che già alla vostra età vi dilettate nella degustazione di distillati e liquori, Miss...?»

Il termine degustazione, alle orecchie della donna, parve una sorta di eufemismo e in parte la cosa la fece vergognare di sé stessa. La sua si poteva definire come una vera e propria dipendenza ormai.

Il primo sorso di vodka lo aveva fatto all’età di diciassette anni, festeggiando la fine dei propri studi a Bistria e cercando di assopire i fantasmi di un dolore che non aveva ancora ben capito come affrontare. Al compimento dei diciannove, aveva dovuto fare i conti con la prima sbornia - un susseguirsi di ricordi confusi, corpi sconosciuti in cui si era persa e conati di vomito che alla fine erano diventati parte della sua routine. Con il raggiungimento dei ventiquattro, Katarina si era ufficialmente guadagnata la reputazione di "bevitrice incallita" in buona parte delle bettole di Roma e altre capitali d'Europa.

La vânător poggiò la valigia a terra, facendo tintinnare una parte del contenuto al suo interno, poi prese a levarsi i guanti: «Katarina Arànka Bahun, Mister Gregory» disse più impassibile che mai - sapeva bene che un cognome come il suo, soprattutto tra i Figli del Male di un certo rango, era tanto conosciuto quanto temuto, ma purtroppo non per volontà sua.

«Oh, come i Bahun di Transilvania?» l’espressione della creatura si fece meno gioconda. Nella sua curiosità non si poteva ignorare una certa preoccupazione.

La fama di Emil superava di gran lunga quella della maggior parte dei cacciatori al servizio della Curia. Aveva ucciso più demoni lui, con quella sottospecie di setta che chiamava squadra, che il più vecchio vânător presente al Vaticano - non era quindi cosa insolita che si parlasse di lui sia con ammirazione, sia con timore.

Katarina tornò a fissare la vetrinetta: «Direi che per vostra fortuna esistono solo i Bahun della Transilvania» anche perché nessuna delle scappatelle di suo padre aveva mai prodotto pargoli da condannare al suo stesso destino, grazie al cielo.

«Ad ogni modo, siamo qui per ben altri motivi» tagliò corto, rinunciando persino a bere un qualsivoglia liquore capace di placare i suoi nervi - affrontare il giorno da sobria era quasi peggio del dover sopportare la notte.

Suzu si sedette sulla poltrona accanto a lei, abbozzò una sorta di sorriso e prese parola, accodandosi così al suo discorso: «Perdonate la nostra scortesia, Gregory, vi assicuro che è dovuta solo alla circostanza» con una mano poi, invitò la collega ad accomodarsi a sua volta e, appena lei fu con il fondoschiena ben infossato nella seduta, anche gli ultimi uomini rimasti in piedi presero posto, improvvisamente seri e pronti a far fronte alla conversazione.

«Vedete, la Santa Sede sta affrontando alcuni… disguidi, ecco, con il Mundi Obumbratio».

Il vampiro corrugò la fronte, ma non si permise d’interrompere. Accavallò con pigrizia le lunghe gambe, dando quasi l’impressione che si dovessero spezzare da un momento all’altro, poi avvicinò un indice alla tempia, in segno d’ascolto.

Gli occhi scuri di Suzu non si spostarono mai dall’interlocutore, dettaglio che Katarina notò con un certo piacere. Quel tizio doveva nascondere più cose di quanto le avesse fatto intendere fino a quel momento e, più di lui scopriva, più la curiosità di vederlo all’opera si faceva intensa.
«Immagino abbiate sentito parlare degli omicidi che da qualche mese a questa parte infestano Londinium...»

Mister Gregory alzò un angolo della bocca, abbozzando un sorriso: «Di grazia, come potrei? Sono un Exilati, Whiteman. Le uniche visite che mi sono concesse sono quelle di un prete tanto magro da non stimolarmi l’appetito e le vostre. L’unica cosa insolita che temo di aver udito, mio caro, sono gli ululati di quei fetidi licantropi» affermò senza alcuna esitazione, socchiudendo appena le palpebre violacee.

A Miss Bahun quel gesto non piacque, lo trovò terribilmente teatrale, forzato persino. Qualcosa, nei movimenti e nelle parole del vampiro, non la convinse affatto, eppure non fu lei a mettere in luce quel particolare. Suzu riprese, più serio che mai: «Gregory, vi ricordo che mentire va contro gli accordi con la Santa Sede...» fece presente.

L'altro sbuffò: «Miei cari cacciatori, esattamente cosa cercate da me?» il busto del vampiro si protese in avanti, abbandonando la posa tenuta fino a quel momento. Con i suoi occhi carmini, dalle pupille vacue, osservò ognuno dei presenti picchiettando l'indice sul lato della fronte. Per un attimo parve studiarli, capire quanto e cosa dire: «Ho sentito di alcune morti, certo. Questa città pullula di cadaveri, ma nessuno più preoccupante di altri. Perché mai dovrebbero interessarmi, quindi?» dal tono con cui si rivolse loro fu chiaro che avesse intuito qualcosa.

Con la coda dell’occhio, la donna vide Lord Terry torturarsi le mani, ma non seppe dire se fosse per la paura di doversi scontrare verbalmente con il vecchio o per l'eccessiva vicinanza a un vampiro. Qualsiasi fosse il motivo comunque, non fece altro che generare in lei un ulteriore ribrezzo nei confronti dell'uomo. Come poteva temere quel lipitoare? Era stanco e fragile, in netto svantaggio su di loro e, soprattutto, costretto a mantenere fede agli accordi con Roma.

«Perché i vampiri sono gli unici ad avere un certo feticismo per il sangue, milord» sbottò d’un tratto Miss Bahun, distraendosi dal collega che, era certa, sarebbe finita con il far picchiare. Un uomo come lui non le ricordava altro che i peggiori allievi del monastero di Bistria, vânător che, a essere sinceri, non avevano poi fatto molta strada prima di venir uccisi. 

«Ed è proprio di sangue che vogliamo parlare» Katarina si passò la lingua sulle labbra, mimando un gesto che le si era impresso nella memoria moltissimo tempo prima e che, involontariamente, avrebbe alluso alla natura della creatura di fronte a lei.

Mister Gregory allargò il sorriso, per qualche secondo provò a trattenersi, ma alla fine si lasciò sfuggire una risata: «Milady, non siatene certa… c’è così tanta sete di vita altrui a questo mondo! Però, se persino la figlia di Emil Bahun è qui, vuol dire che a farvi paura non sono solo due fori nella carne, giusto?» la sua espressione si fece curiosa, tanto che la vacuità dello sguardo parve farsi meno densa.

Qualsiasi cosa quel vecchio sapeva, si disse lei, gliel'avrebbe fatta dire.


lipitoare (succiasangue)
 
justiție (giustizia)
Mundi Obumbratio (Mondo delle Ombre)


 

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Capitolo 10
*** VIII ***



(artwork di mia produzione e proprietà)

VIII

Katarina s'irrigidì. 
Non le piaceva affatto venir citata a quel modo, essere considerata importante quando suo padre - lei era tutt'altro per quell'uomo: era la sua spina nel fianco, il disonore di una casata di cacciatori altolocata come i Bahun. Lei era la figlia di una pazza, nonché l'erede che meno avrebbe desiderato.

Strinse i denti con forza, cercando in fretta qualcosa da dire - sia per allontanare il discorso dalla figura di Emil, sia per giustificare la sua presenza lì; dopotutto non potevano permettersi il lusso di far sapere alle creature del Mundi Obumbratio che c'era qualcosa, a Londinium, capace di mettere in ginocchio persino i temibili vânător.

Suzu si schiarì la gola, allargando il sorriso: «Sfortunatamente per i fuorilegge della città, la nostra ospite si trovava qui per altri motivi. Una scorta, a essere precisi. Per noi invece è l'occasione perfetta per imparare qualche rudimento dall'unica erede del maestro Bahun» i suoi occhi si chiusero, diventando due fessure scure contornate da grinze d'espressione.
Udire le sue parole fu per la donna come levarsi un sassolino dalla scarpa e, se Katarina avesse dovuto fare qualche elogio ai due colleghi affibbiatole, sicuramente sarebbe stato nei confronti della prontezza di risposta di Mister Whiteman.

Il vampiro piegò la testa da un lato, andando ad appoggiare la propria tempia sull'indice alzato. Osservò i due con circospezione, poi sospirò: «Dubito fortemente sia così, ma non indagherò oltre. Ciò che riguarda il Popolo del Notte non è cosa che mi riguarda... non più, quantomeno».

«Quindi non volete aiutarci?» Julius sussultò sulla propria poltrona, tornando improvvisamente alla realtà - non che ci fosse mai stato del tutto, si ritrovò a considerare lei.

«Se si tratta di semplici morsi sul collo e dissanguamenti quanto più classici, miei cari, no. Purtroppo ho interrotto qualsiasi rapporto con il mondo esterno. Se ciò che vi interessa è altro, allora ne possiamo parlare» Mister Gregory tirò le labbra, facendo spuntare appena, ai lati della bocca, la sagoma dei canini. Era inquietante, persino da quella distanza si poteva notare quanto fossero lunghi e, nonostante la sottigliezza, letali.

Miss Bahun si portò al naso il bicchiere di Brandy, annusandone il profumo. Girò e rigirò, con lievi movimenti del polso, il liquore che le era stato offerto, soppesando la sua prossima battuta. Non era ancora pronta a berlo, forse per via del fatto che, appena le sue papille gustative ne avessero saggiato il sapore, la sua volontà avrebbe iniziato a reclamare tutta la bottiglia. 
Così tornò a crucciarsi sul da farsi. Chiedere espressamente del sangue nero però, sarebbe stato troppo compromettente, avrebbe potuto suscitare nel padrone di casa una curiosità che doveva rimanere dormiente. 

Anche se la Chiesa lo aveva "perdonato", Katarina non ci sarebbe mai riuscita: un mostro era e un mostro sarebbe rimasto e nulla gl'impediva di aspettare la notte per confidare le buone nuove, per quelli come lui, a qualche compagno ancora al servizio di Vlad Țepeș. 

D'un tratto interruppe il moto circolatorio dell'arto, alzando nuovamente gli occhi sul vecchio: «Quelli del vostro genere, milord, possono infettare il sangue altrui?» chiese, ma accorgendosi subito di non aver ben formulato la domanda, la donna si sistemò sulla seduta con fare concitato, appoggiando il bicchiere sul ginocchio e sorreggendolo con le dita: «No, scusate, lasciatemi esprimere in modo diverso ciò che intendo dire» abbozzò un vago sorriso. L'esorcista si bagnò le labbra con la lingua, assaporando qualcosa che nemmeno lei avrebbe saputo come definire: «Tutti i presenti sanno che un vostro morso può portare a due finali differenti, per la sfortunata vittima. Nel primo caso di parla di morte, se mai doveste bere tutto il sangue nelle sue vene, nel secondo, dovremmo fare i conti con una trasformazione, se ovviamente vi è lo schimb. Oh, per non scordare i rari casi in cui vi è un legătură, ma pochi di voi sanno come gestire tale potere, quindi non mi premuro a considerarlo importante» la sua voce era sicura, ferma, mentre la sua lingua si muoveva svelta nella bocca. Sembrava quasi che stesse istruendo degli inetti, eppure nessuno dei presenti era un ignorante in materia - o quantomeno lei si augurò che non lo fossero, continuando imperterrita.
Di tanto in tanto però, a far corrugare la fronte degli interlocutori, vi era qualche termine della sua lingua natia che le sfuggiva, delle toppe che iniziò a mettere per ovviare la mancanza di vocaboli a cui doveva far fronte - dopotutto, quel che sapeva lo aveva imparato viaggiando, ma l'inglese era stato un alfabeto masticato poco, forse quello che meno riusciva a usare.
«Ebbene, può una trasformazione avere degli effetti collaterali? Mutare qualcosa nella genetica del corpo?» Concludendo quella domanda, Katarina si sentì improvvisamente schiacciata dal peso degli sguardi collettivi, tre paia di occhi che non volevano saperne di staccarsi da lei. La donna avrebbe tanto voluto scrollarsi di dosso quella sensazione, perché da sobria faticava a sentirsi a proprio agio in mezzo alle attenzioni altrui, ma strinse i denti e attese che qualcuno, in particolare il padrone di casa, spezzasse il silenzio - e Mister Gregory non tardò a esaudire il suo desiderio.

Il vampiro corrugò maggiormente la fronte, compiendo così un chiaro gesto di riflessione. Stava soppesando quel quesito con particolare interesse e serietà, quasi si fosse aperto un dibattito più impegnativo di quanto non si sarebbe mai aspettato.
«Per quel che ne so, mia cara, no. O meglio, nulla che non sia già risaputo e che diventi poi parte integrante dell'essere un vampiro» il vecchio staccò la tempia dall'indice, rimettendo dritta la testa: «Pelle pallida, occhi scarlatti e la quasi totale assenza di funzioni vitali, ma oltre a questo, nei miei centoventisei anni di... non vita non ho assistito niente di più strano».

«Ne siete certo?»
«Più di quanto vorreste che io lo sia, milady» il suo sorriso fu tutt'altro che apprezzato, ma sicuramente più sincero di tutti quelli fatti fino a quel momento. Poi, prima che qualcun'altro potesse intervenire o congedarsi, il vecchio si protese verso di lei - nelle sue iridi carminee non vi era altra immagine se non quella della donna: «Ciò che domandate però, non è qualcosa di impossibile, mia cara. Forse improbabile, raro o come preferiate chiamarlo, ma non impraticabile... peccato solo che l'unica creatura a potervi rispondere sia l'Impalatore stesso, un colloquio con lui potrebbe darvi molto più di ciò che offro io». Stavolta, a svettare sul suo viso, furono le lunghe zanne che emersero dai lati alti della bocca.

Aveva udito bene?
Era il soprannome di quel principe demoniaco a essere stato pronunciato?

Un brivido incontrollato e del tutto spiacevole scese dalle guance di Miss Bahun lungo le braccia e la schiena, facendole improvvisamente desiderare di saltare al collo del vampiro e puntargli il pugnale che teneva sotto la sottana, di argento e salice, al centro della fronte. Si sentì fremere dal bisogno di aggredirlo, minacciarlo ed estrapolargli quante più informazioni possibili su Dracul - perché lui doveva essere a Londinium, ne era certa -, ma la prontezza di Suzu la trattenne dal farlo. La sua mano si posò sulla manica del cappotto verde di lei, impedendole di guizzare dalla poltrona alla seduta del mostro e, subito dopo, la voce di Julius fece capolino nella stanza, dissipando la rabbia momentanea che l'aveva colta.
«Gregory, di grazia, badate alle vostre parole. Non sono certo io a dovervi rammentare che persino dopo tre decadi la vostra frase è ancora augurio di morte, tra i fedeli di Vlad III di Valacchia» improvvisamente, come mai capitato prima, nel suo tono si poté udire un avvertimento pungente, una minaccia velata; così, quando Katarina si volse nella sua direzione, ciò che vide la stupì. L'ombra furente e a tratti omicida nello sguardo del collega era tutto fuorché in linea con l'immagine che fino a quel momento si era fatta di lui - insieme a qualche neurone mancante, quella sorta di incesto tra i suoi genitori doveva aver dato forma a un bipolarismo assai curioso, o forse a della semplice follia.

Però le piacque. Quella sfumatura cupa e violenta le parve un po' sua, riuscendo così a farle provare per lui una vaga empatia.

Il padrone di casa prese ad agitare le mani di fronte a sé: i palmi rivolti verso gli ospiti, le dita aperte. Sul viso una smorfia innocente provò a prendere forma, anche se ormai nessuno, tra i vânător, pareva essere rilassato come nel momento in cui si erano seduti in quel salotto.
«Suvvia, non era mia intenzione! Non potrei mai augurarmi che una donzella in salute come Miss Bahun possa essere vittima di una qualsivoglia sventura, men che meno di quella» si affrettò a dire, ritornando a fissarla dritta negli occhi: «Anche perché dubito che il grande Emil perdoni chiunque torca un solo capello alla sua unica e amata erede».
Fu quel commento, in definitiva, a far saltare i nervi della donna. Non seppe se per il tono o per l'occhiata di sfida che le parve di scorgere, però l'insieme bastò a farla agire.

26 secondi.

Non uno in più e nemmeno uno in meno.
Quella manciata di istanti fu sufficiente a farle rovesciare il Brandy ancora intoccato sul prezioso tappeto persiano, a scattare in avanti nonostante l'ingombrante gonna e puntare lo stiletto nascosto nella manica al collo del vecchio. La punta rasente il pomo d'Adamo, lo sguardo della morte rivolto dritto verso quell'empia creatura.

Poté quasi udire il respiro di tutti i presenti mozzarsi nel momento in cui le sue dita sfiorarono la pelle del trono su cui era seduto il lipitoare.

Katarina era forse tra i cacciatori meno rinomati della capitale, ma ciò non la rendeva meno letale, semplicemente più riservata. I vescovi parlavano di lei solo per sentito dire, facendo schioccare le loro malelingue su palati eccessivamente vellutati per sopportare il peso dei suoi misfatti. Tutti, nei ranghi della Curia, la credevano la sciagura dei Bahun: troppo occupata a prendersi cura di reati e demoni minori, mischiare erbe e preparare veleni per far fronte ai suoi nemici, bere come un uomo tra le bettole di Roma, finire in risse poco consone a una giovinetta come lei e mettere la faccia tra le cosce di donnacce pagate per darle giusto qualche mero momento di piacere. 
Eppure lei era molto di più.

Padre Costantino conosceva solo una parte delle sue colpe, quelle che l'esorcista gli confessava nella speranza di togliersi di dosso un peccato antico, impronunciabile, ma l'uomo se li teneva ben stretti per paura che una notte, al posto di sgozzare qualche troll corpulento, lei decidesse di far visita proprio a lui - gli leggeva quella paura in viso ogni volta che uscivano dal confessionale e, a dirla tutta, non lo biasimava affatto. Per questo su di lei svettava l'ombra del genitore e si raccontava solo dello stile di vita tanto deplorevole che aveva deciso di seguire.
La figlia di Emil però era esattamente come il padre, anche se qualcuno aveva osato dire fosse peggio.
A Bistria, nel piccolo agglomerato di casupole in cui i monaci si occupavano dei figli dei vânător, qualche vecchio signorotto di fede si ricordava ancora di lei, di ciò che aveva fatto e di come da quel momento il patriarca della sua casata non l'avesse più guardata con i medesimi occhi.

Miss Bahun premette appena la lama, lasciando sulla pelle raggrinzita un lieve segno rossastro: «Riempitevi nuovamente la bocca con il nome di quell'uomo e il mio insieme, e non esiterò a fare il vostro corpo a pezzi e darlo alle fiamme. Se non erro è il modo più atroce in cui un vampiro possa morire» sibilò a denti stretti, provando a non farsi sentire da altri se non lui. Il vampiro deglutì, probabilmente preso alla sprovvista da quel gesto tanto impulsivo. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che celasse un'arma proprio al di sotto della stoffa del cappotto, men che meno che potesse perdere il lume della ragione con tale facilità; forse era la mancanza di etanolo nel sangue a renderla così suscettibile.
Mister Gregory picchiettò con la propria unghia ricurva sulla lama: «Le mie sono solo innocue parole, la vostra una minaccia vera e propria». Sul viso rugoso della creatura, dalla carnagione tendente a una malsana colorazione di grigio, comparve un'espressione di inusuale soddisfazione - era chiaro che stesse per usare quel suo gesto avventato contro di lei: «Cosa vi succederebbe, Miss Katarina Arànka Bahun, se alle orecchie di un qualsiasi Vescovo di questa vaporosa e puzzolente città dovesse arrivare voce che mi avete puntato una lama alla gola? Dopotutto, ho stipulato un accordo con il Santo Padre stesso e voi non volete disubbidirgli...»

Katarina sentì i muscoli irrigidirsi. Seppur fosse lei quella con lo stiletto in mano, a reggerne l'impugnatura era lui.

Già, si disse, a cosa sarebbe potuta andare incontro? 
Una scomunica? Di quella a dire il vero le importava gran poco, in fin dei conti l'aveva rischiata già troppe volte con il suo comportamento. Una punizione? Probabile, e vista la sua ignoranza su quali fossero le mode sadistiche del momento, in particolare a Londinium, preferì restare nel suo oblio d'incoscienza.

Un Exilati era ben diverso da un normale demonio e per questo non poteva permettersi il lusso di fare ciò che di più folle e avventato le passasse per la testa. Non poteva ferirlo, bistrattarlo od osare chissà quale altra forma di mancanza di rispetto - agli occhi della Curia, loro erano alleati. Così, stringendo ancor più i denti e imprecando in tutte le lingue di cui fosse a conoscenza, si allontanò dal vecchio con un colpo di reni, rinfoderando l'arma.

«Come supponevo...» continuò lui, alzando giusto un angolo della bocca: «siete l'ennesimo cagnolino ai piedi della Vergine e del suo Sposo». Fece infine, forse cercando di aizzare nuovamente la sua furia e dimostrare pubblicamente quanto, invece, fosse debole di fronte al volere della Chiesa.

A quel punto Suzu si alzò, afferrando la collega per un braccio e impedendole così di compiere un altro passo falso - perché il suo gesto non poteva essere definito in altro modo. Katarina avvertì la sua presa comprimerle la carne, così salda e stretta da farle chiedere se le ustioni alla mano gli stessero procurando il medesimo fastidio che sentiva lei, ma tacque, conscia di essere dalla parte del torto. Con il suo sguardo sottile, il maestro delle polveri da sparo le lanciò un silenzioso rimprovero, poi si volse verso il padrone di casa: «Siamo tutti schiavi di qualcuno o qualcosa, non credete? Miss Bahun, a quanto pare, di un'irruenza poco consona al suo ruolo e genere» e nuovamente, la pressione sul braccio aumentò. Anche Lord Terry si fece vicino, diventando una sorta di montagna alle spalle della donna: «Vi porgiamo le nostre scuse, Gregory. La qui presente signorina, probabilmente, non ha alcuna familiarità con i nostri usi e costumi, soprattutto in circostanze del genere» una sua mano, enorme dovette constatare lei, le si poggiò sulla spalla. Improvvisamente, avvertendo la pressione di entrambi i loro palmi addosso, Katarina si sentì al pari di un criminale accompagnato sul carretto della polizia: i due colleghi non la stavano fiancheggiando, bensì bloccando - e come biasimarli? In fin dei conti aveva messo i propri piedi sulla linea di confine da non oltrepassare, rischiando così di essere punita. 
Era lì per aiutare, per indagare, per capire cosa stesse accadendo, non certo per farsi sbattere in qualche fetida cella a subire le angherie di un qualsivoglia boia. E poi aveva appena dato prova a tutti i presenti di poter facilmente perdere le staffe - anche se era solo una conseguenza delle pochissime ore di riposo e dell'alcol che non ingeriva da più di mezza giornata. Eppure, quando aveva stretto il bicchiere di quel nettare tra le mani, aveva preferito rovesciarlo a terra che usarlo per tenere a bada i propri nervi.

«Vogliate scusarci ora, ma è giunto il momento del nostro congedo» riprese Julius, sospingendo Miss Bahun verso il corridoio da cui erano arrivati.

«Ne convengo, miei cari. Però dovrete scusarmi se non vi accompagno fino alla porta, conoscete da voi i miei limiti» un nuovo sorriso gli si allargò in volto, mentre cautamente si metteva dritto. Fuori il sole era ancora alto ed era chiaro volesse evitarsi qualsiasi pericolo - anche se il peggiore, forse, lo aveva proprio alle spalle. 
Il vampiro mosse qualche passo verso l'uscita, precedendo gli ospiti come l'etichetta insegnava, poi, una volta raggiunta la scala da cui li aveva accolti, si fermò: «Nonostante ciò che è successo comunque, mi auguro possiate venire a capo dei vostri problemi» subito il suo sguardo calò su Katarina, ancora stretta nella presa dei due uomini con lei. 

Temevano fino a quel punto la sua impulsività? 

«In particolare voi, milady. Sia con l'alcol,» si picchiettò la punta del naso più volte, facendo capire che sentiva su di lei l'odore dei liquori che aveva ingerito nel corso di quelle ultime settimane: «sia con i peccati che vi agitano tanto» concluse poi con un'espressione complice che, alla donna, apparve tutto tranne che amichevole. Come aveva fatto a capire che c'era qualcosa, sotto ai suoi vizi, da dover restare sepolto? Possibile che fosse più potente di quanto le sue membra dessero l'impressione?

Un brivido le corse lungo la schiena. Avrebbe voluto chiederglielo e, se fosse stato necessario, strappargli la risposta di bocca nello stesso modo con cui l'aveva minacciato in precedenza, ma si trattenne.
Nè Suzu, nè Julius, glielo avrebbero mai permesso. Inoltre, fino a prova contraria, lei era ospite sia loro, sia dell'Istituto e inimicarseli era la mossa peggiore che potesse fare - almeno fin quando non avesse scoperto dove si trovasse Dracul.


 

schimb - scambio

legătură - collegamento/legame

lipitoare - succhiasangue

Yaga:

Non uccidetemi per la lunghezza, apprezzatemi perché tanto pubblico una volta ogni morte di Papa :D

ps. ogni feedback è sempre gradito

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Capitolo 11
*** IX (1) ***


IX (1)


 

Il piacere del riempirsi nuovamente narici e polmoni con aria "pura" fu una sensazione breve, un frangente che venne presto interrotto dalla disapprovazione dei due colleghi.
Nonostante il suo desistere dall'aggredire nuovamente Gregory, Lord Terry e Mister Whiteman non parvero giustificare l'atteggiamento avuto in precedenza; così, appena furono abbastanza lontani da non scorgere più il profilo della casa dell'Exilati, presero a rimproverarla al pari d'una fanciullina.
«Avete esagerato!» si pronunciò uno.
«E' un convertito» continuò l'altro, ma lei parve non badare a nessuno dei due, troppo occupata a fissare il via vai di persone sul marciapiede opposto per impedirsi di pensare al fastidio procuratole da quel vampiro, nonché il desiderio sempre più impellente di alcol.

Doveva bere.
Non un semplice bicchiere, ma quanto più le fosse stato possibile. E doveva riposare.
Sì, chiudere gli occhi per almeno un'ora stava diventando una questione di vitale importanza, anche perché sulle panche del treno che l'avevano condotta fin lì, dormire, era stato una tortura, non un piacere. Il legno della seconda classe era sì, più comodo delle sedute della terza, ma non sarebbe mai stato piacevole come quello della prima.

«Miss» una delle mani inguantate di Suzu tornò a stringerle il braccio, facendola tornare sul presente: «questa è Londinium, non la Transilvania, qui vigono altri usi e costumi».

Gli occhi autunnali di Katarina calarono sul punto in cui le dita dell'uomo raggrinzivano la stoffa del suo cappottino verde, poi salirono verso il volto di lui: «Che a quanto pare non vi stanno portando da alcuna parte, o sbaglio?» la sua lingua schioccò sul palato, sottolineando il disappunto che un simile gesto le stava suscitando; erano pochi i tocchi che gradiva su di sé, soprattutto se non appartenevano a qualche bella signorina.

Il Maestro delle Polveri da Sparo però non sembrò venir intimidito da quella risposta, men che meno dallo sguardo minaccioso della donna, così rinfrancò la presa, stavolta cingendole con veemenza anche la carne: «Se anche fosse, vi ricordo che siete un ospite e non vi è permesso minacciare la nostra sicurezza. Forse non ve ne rendete conto, ma siamo una squadra. Ogni vostra azione sconsiderata ha effetto anche su di noi» sbottò poi, mollando il braccio di Miss Bahun e mettendo nuovamente distanza tra i loro corpi - una distanza che nella mente contorta della donna apparve perfetta per colpirlo e atterrarlo, magari riuscendo persino a spezzargli l'arto la cui mano aveva osato afferrarla.

Ci fu un istante di totale silenzio, un frangente in cui i due non fecero altro che fissarsi con astio, studiandosi in ogni piega dell'espressione - anche se la donna, come purtroppo le capitava un po' troppo spesso, non riuscì a evitarsi di pensare a come liberarsi di quei guastafeste londinesi.

Ad ogni modo era ovvio, guardandoli, che fossero entrambi fermamente convinti delle proprie parole, tronfi degli insegnamenti con cui dal giorno dei voti avevano affrontato il Mundi Obumbratio - nessuno si sarebbe fatto indietro, anche se tutti e due erano consci di quanto fosse importante collaborare. Ma Katarina non amava lavorare in squadra, lei non era fatta per i confronti tra colleghi o i piani studiati in gruppo. Lei aveva sempre agito da sola, affrontando in solitudine i pro e i contro di una simile scelta e, non vedere le facce di quegli uomini per qualche ora non avrebbe certo guastato il suo umore.

«Di grazia,» grugnì l'orientale a un tratto, interrompendo il silenzio: «datevi una regolata» concluse infine, rimettendosi a camminare verso uno dei tanti ponti che sormontavano il Tamigi, credendo forse di aver messo un punto a quella conversazione; peccato solo che non conoscesse ancora a sufficienza la sua interlocutrice.

Miss Bahun si sistemò gli occhiali da sole sul naso ricurvo e, seguendolo prima con lo sguardo e poi con i passi, diede aria al proprio ego: l'ultima parola doveva essere la sua.

«Vi pentirete di codesta richiesta, Whiteman. Fidatevi» sentenziò, decisa come non mai a dimostrare a quei due il valore della sua presenza per le strade di Londinium. Visto che a loro avviso doveva "darsi una regolata", Katarina gli avrebbe fatto vedere quanto, il suo temperamento, fosse importante all'interno di quella missione: dopotutto non era sopravvissuta otto anni a caccia di demoni solo per fortuna!

Dopo una camminata di circa venti minuti, in cui il tempo era riuscito a mutare altrettante volte, i tre cacciatori si ritrovarono di fronte a un nuovo edificio. Nel percorrere la strada dalla dimora di Mister Gregory a quella dell'Exilati successivo, Miss Bahun si era concessa il lusso di studiare con circospezione ed evidente interesse alcune delle stranezze della città. Aveva scorto, da oltre il parapetto del ponte, dei sommergibili tanto piccini da sembrare casse mortuarie di corten e vetro, poi le erano passate accanto diligenze a vapore di cui a malapena era riuscita a intravedere il motore scoppiettante. Era avanzata tra le gambe metalliche di spazzacamini arroccati su trampoli di almeno un metro e mezzo, tanto alti da metterle le vertigini, così come aveva scorto baracchini ambulanti in cui si vendevano fumanti tazze di tè che le avevano piacevolmente solleticato l'olfatto.

Londinium dava l'idea di essere la Città dei Balocchi, eppure qualcosa, infondo alla viscere, le diceva che tanta meraviglia poteva essere accompagnata solo da eguali segreti.

Prima di avvicinarsi alla porta d'ingresso però, la donna trattenne i propri colleghi muovendo alcune osservazioni: «Le strade sono più affollate del previsto, non trovate?» domandò sporgendosi un poco all'indietro con la schiena, in modo d'aumentare la propria visibilità.

«Per quale ragione non dovrebbero esserlo, Miss?» Julius, con la sua pipa spenta stretta tra le labbra, seguì la traiettoria dello sguardo di lei, confuso come ogni qualvolta avessero iniziato una conversazione. Il barlume che Katarina aveva visto accendersi in lui a casa del vampiro precedente pareva essere, più che un ricordo lontano, una vera e propria allucinazione; il triste scherzo di una mente troppo stanca per poter distinguere la realtà dalla finzione.

La vânător fece un passo indietro, liberando completamente la visuale dal profilo longilineo dell'uomo: «I cittadini non temono la morte, qui?» chiese con autentica innocenza, continuando imperterrita a fissare le andature e i visi dei passanti - nessuno però, pareva temere il pericolo dei Figli del Male. Le lady passavano sorridenti, scortate a braccio dai loro padri, fratelli, fidanzati o mariti. I commercianti svolgevano con serenità le proprie mansioni, attirando clienti, truffandoli, compiacendoli o chissà che altro, e persino i bambini correvano felici per le vie. Non pareva esservi alcuna ombra a turbare i loro cuori.

«Ovviamente, come in ogni luogo» Lord Terry tirò un sorriso sotto ai suoi baffi color carota: «Però si fidano del nostro operato, così come sono consci che in città ci sono solo creature innocue rinchiuse nelle loro bettole nei sobborghi».

Katarina rise. Il suo fu un divertimento genuino che, purtroppo, venne smorzato subito dagli sguardi confusi dei due uomini con lei.

«Oh, eravate serio?»

Il viso di Julius prese ad arrossarsi, facendo trapelare ancora una volta la sua insofferenza nei confronti della loro ospite - tanto necessaria quanto indesiderata, si ritrovò a pensare lei. Così, cercando di non peggiorare la già labile calma che sembrava essere tornata tra loro, Miss Bahun si affrettò ad aggiungere una spiegazione fittizia al suo commento: «Perdonatemi, la mia reazione deve essere dovuta a una mancanza d'informazioni. Vorreste dirmi che gli abitanti di Londinium si sentono sicuri nonostante gli avvenimenti delle ultime settimane?» In realtà, anche se ancora non lo avrebbe ammesso così spudoratamente, ciò che l'aveva tanto divertita era stato il fatto che, qualche povero ingenuo, riuscisse realmente a fidarsi della guardia portata avanti da vânător come quei due. In fin dei conti non le avevano ancora dimostrato nulla, se non una diplomazia a lei fastidiosa.

«Mesi, Miss. Quello che sta accadendo nella nostra città va avanti da mesi» Suzu intervenne lapidario, lanciandole un'occhiata tutt'altro che confortante, poi riprese: «E sì, i nostri concittadini non temo alcuna minaccia, perché invero non ne sono a conoscenza».

A quelle parole, Katarina rimase sorpresa. Aveva udito bene?

«Spiegatevi» lo esortò subito la cacciatrice, facendosi a sua volta seria. L'argomento la interessava, ma al contempo le creava uno strano senso di incomprensione. Come era possibile che nessuno avesse saputo degli stravaganti omicidi avvenuti nelle settimane precedenti? E per quale ragione non si era notato l'evidente diminuimento di membri dell'Ordine? Davvero le persone presenti nei confini di Londinium erano tanto cieche od ottuse da non accorgersene?

«Vi è ben poco da dire, Bahun. Pochi omicidi che si protraggono da mesi, tutti passati in sordina sui quotidiani locali. La gente non bada a eventi così sporadici» Suzu si piegò nella sua direzione, cercando di creare una sottospecie di intimità per la loro conversazione: «Chiunque voleste fermare ora, vi direbbe che non teme il pericolo, che tanto in cuor suo sa che la prossima vittima non avrà il suo volto».

«Per quanto riguarda i nostri colleghi, invece» Julius si accodò al discorso, facendola voltare nuovamente: «abbiamo cercato di nascondere il crescente numero di perdite causate dalle ribellioni del Mundi Obumbratio, ma prima o poi si noterà la nostra impossibilità nel frapporci alla loro forza. Voi siete un prestito di Roma, ma presto dovremmo attingere alle riserve europee per ripopolare la città di cacciatori» la sua espressione non era altro che una smorfia stizzita - non doveva affatto piacergli quella situazione, il dover dipendere da altri che non fossero la sua squadra o gli amici che si era fatto durante gli anni di formazione.

La donna fece per domandare ancora qualcosa ma, d'un tratto, la sua attenzione fu rapita da altro. Un profumo lieve di ciliegia e mirto le sfiorò l'olfatto, risvegliando dei ricordi e intrigandola a tal punto da spostare le proprie attenzioni dalla conversazione a una signorina passatale accanto. Non era la prima volta che i suoi polmoni si riempivano di una simile essenza e, visto il contesto, non poté che stupirsene. Possibile che persino a Londinium le capitasse d'imbattersi in simili soggetti?

Con la coda dell'occhio seguì il cappellino piumato, scendendo lungo il collo lasciato libero dall'acconciatura e sul bavero del soprabito cipria. Studiò quei dettagli finchè, prevedibilmente, la signorina si volse appena, sbattendo le lunghe ciglia pallide nella sua direzione.
Miss Bahun rimase qualche istante ancora al suo posto, permettendosi il lusso di alzare un angolo della bocca in un ghigno divertito e, senza sprecare ulteriore tempo, mosse un passo indietro: «Comprendo e, per tanto, vi dò piena ragione sul fatto che mi debba comportare in maniera diversa, con voi e i vostri protetti» nel pronunciare quell'ultima parola, la cacciatrice faticò non poco a trattenere una smorfia di disgusto - tra tutti, i vampiri erano le creature che meno riusciva a sopportare, ma il suo odio andava dissipandosi gradualmente di razza in razza, anche se a nessuno negava una certa dose di pericolosità. «Mi scuserete, quindi, se al posto di entrare con voi e rischiare un'altra sceneggiata come quella avuta a casa di Mister Gregory, io preferisca concedermi una tazza di caffè e la pace di un tavolino in cui prendere nota delle informazioni raccolte fino ad ora» un sorrisino innocente le si appollaiò in viso.

Suzu la guardò con un sopracciglio alzato, confuso: «Pardon?» 
Era ovvio che dopo tutte le belle parole che aveva propinato loro, quel suo atteggiamento fosse assai ipocrita, eppure la cosa parve non interessarle - o quantomeno, non in quel momento. Non stavano certo dando la caccia a qualcuno, si disse, un paio di domande in merito al sangue nero avrebbero potuto farle benissimo anche in sua assenza, no?

«Comprendete la mia fatica, Whiteman. Ho viaggiato per estenuanti ore su un treno tutt'altro che confortevole. Il mio corpo necessita qualche minuto di riposo» un altro passo la fece arretrare lungo la larghezza del marciapiede, discostandola completamente dai due uomini. Se si fosse voltata ora, nulla le avrebbe impedito di scorgere quel cappellino piumato in tutta la sua bellezza, per non parlare di quella della sua proprietaria.

«Non metto in dubbio che siate stanca, Miss, ma siete stata voi a insistere per agire subito» il Maestro delle Polveri di Sparo non pareva affatto gradire quella sua improvvisa ritirata, ma grazie al cielo qualcuno al suo fianco, sì.

Julius, ovviamente inebriato dall'idea di potersi finalmente liberare di lei, le poggiò una mano sulla spalla, soccorrendola: «Miss Bahun avrà modo di aiutarci per tutto il tempo che sarà necessario, amico mio. Qualche minuto di solitario riposo non sarà affatto un problema. Che difficoltà dovremmo riscontrare nel porre qualche domanda?»
E, seppur la donna dovesse ringraziargli un tale intervento nella questione, non riuscì a fermare se stessa dal pensare che, per lui, magari qualche difficoltà poteva esserci.

«Katarina, non vi preoccupate» quando si rivolse a lei, sul suo volto un sorriso radioso era abbinato a uno sguardo quasi febbrile che, nell'insieme, regalava all'uomo un'espressione simile a quella degli psicopatici. Per un attimo l'esorcista si trovò a temere che, oltre ai neuroni mancanti, vi fosse anche una vera e propria diagnosi di bipolarismo a pendere sulla testa di quel tizio.
«Prendetevi pure del tempo per voi, ci troviamo qui tra un'ora, credo che basti a entrambe le parti, no?»

L'orientale, visibilmente confuso e poco convinto, alzò un indice per obiettare, ma prima che dalle sue labbra riuscisse a venir fuori anche mezza parola, la collega annuì: «La vostra gentilezza mi lusinga, Lord Terry! Sono certa che senza di me non avrete nulla di cui temere» e, priva di qualsiasi remora, si mise a camminare svelta per il marciapiede, preoccupata che da un momento all'altro potessero cambiare idea e costringerla lì, anche se lo dubitava, visto che il modo migliore per evitare un'altra figuraccia era non averla presente.

 

 

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Capitolo 12
*** IX (2) ***


IX (2)

Miss Bahun mosse i propri piedi velocemente, alzando un poco la gonna per facilitare le falcate sempre più lunghe e riuscire così a riportare nel proprio campo visivo il soprabito cipria o la piuma bianca che aveva incrociato in precedenza. Cercò di non andare eccessivamente di fretta, in modo da non insospettire i suoi colleghi che, sicuramente, la stavano ancora scrutando dallo spiazzo di fronte alla loro meta, ma comunque non poteva permettersi di prendere quella sorta d'inseguimento sottogamba: il rischio di perdere un'occasione del genere era concreta, più di quello che si poteva immaginare e, se le sue supposizioni fossero state corrette, Katarina avrebbe acciuffato due piccioni con una fava - un dettaglio che poteva rivelarsi assai saporito per le fauci fameliche di un animale a digiuno come lei.

Così schivò cittadini intenti a passeggiare, bambini presi a rincorrere i sassi e bagarini occupati a guadagnarsi qualche moneta vendendo giornali. Seguì il sentore fruttato fin dentro alle vie più anguste, dove i bolognini a terra alle volte si ritrovavano privi di un tassello, oppure dove le vetrine dei locali avevano iniziato a farsi meno pulite e ricercate a causa dei fumi che venivano dispersi al loro interno. I begli edifici dalle facciate pulite e da qualche vago metro quadrato di verde ad affiancare le entrate e renderle più signorili si sostituirono presto con palazzette di mattoni e tetti spioventi, dove non si parlava più di case unifamiliari, quanto più di stanze affittate a gruppi di famiglie fin troppo numerose. Nonostante intorno a lei vi fossero ancora abbastanza persone dalle facce tranquille, la vânător si accorse del modo in cui i loro vestiti avevano preso a essere meno raffinati e di come, ora, potesse scorgere dietro alle tende qualche ombra meno rassicurante. Inoltre, il sole malato di Londinium aveva iniziato a sfiorare la strada solo di tanto in tanto.
Sicuramente, si disse la cacciatrice muovendo qualche sguardo furtivo appena sopra alla propria testa, al di là di quelle tende fatiscenti qualcuno aveva preso a osservare la sua corsa, forse domandandosi cosa ci facesse, una donna con la valigia, in quell'angolo di mondo.

Katarina infatti si sentiva osservata. Avvertiva sul feltro della propria bombetta gli occhi curiosi di qualche sconosciuto o possibile ladruncolo che l'aveva presa di mira, ma nonostante la possibile minaccia non arrestò per un solo momento la propria avanzata - nessun umano poteva farle paura, quanto più dovevano essere loro quelli a temerla.

Ad ogni modo, se fino a qualche passo prima aveva faticato a definire in una qualsiasi maniera quelle anonime viette, ora le venne naturale constatare di essere sopraggiunta in un'area adiacente ai primi, squallidi sobborghi. In un "quartiere" come quello, sempre se così si poteva definire, doveva prender forma la vita notturna della città: bordelli di bassa lega, bolere dalla musica suonata malamente e osterie piene di ubriaconi dovevano fare da padroni della sera - o almeno fino a quando i mostri non si mettevano a terrorizzare la gente e diventare i sovrani delle tenebre. In un ambiente del genere, la quantità di creature soprannaturali doveva essere maggiore di quanto ci si sarebbe aspettati e, purtroppo per l'etichetta e i costumi più canonici, Miss Bahun riuscì quasi a trovarsi a proprio agio di fronte a tale prospettiva - posti così poco raffinati andavano a braccetto con qualsiasi perversione l'esorcista avesse preso a coltivare nel corso degli ultimi dieci anni. Certamente, dovette ammettere a malincuore, sia i rappresentanti della Santa Chiesa della Vergine Oscura, tra cui Padre Costantino e il Vescovo Wassily, sia il famigerato Emil Bahun e la società borghese a cui sarebbe dovuta appartenere non avrebbero mai gradito saperla lì e, men che meno, conoscere i suoi momentanei pensieri, eppure eccola, sempre più confortata dall'ambiente malsano in cui si stava addentrando.

Fu in quell'istante, mentre soppesava tutte quelle scomode considerazioni che, con la coda dell'occhio, riuscì nuovamente a scorgere il colore che tanto stava bramando, seguito da un lieve ticchettio di scarpe e una risata frizzante.

La preda era vicina, si disse, avvertendo già il sapore della vittoria sulla punta della lingua - insieme a un altro che sarebbe stato meglio non citare. Così, con circospezione si portò una mano al bavero del cappotto verde e, sapiente, sganciò la spilla dell'Ordine - seppur scettica nei riguardi della sua esistenza, Katarina conservava ancora una sorta di rispetto verso una Santa a cui, forzatamente, aveva dovuto giurare fedeltà. A quel punto, lanciando un'ultima occhiata alle proprie spalle e abbozzando un sorriso mefistofelico, si mosse svelta verso il vicolo in cui ella era sparita, trovandola appoggiata alla parete di un anonimo edificio solo poche falcate dopo.

La fanciulla se ne stava lì, sorridente. La fissava con interesse e malizia, due aggettivi che ben stonavano sul suo visino di porcellana: «Non ero certa veniste» l'apostrofò sbattendo le lunghe ciglia sporche di mascara. Era bella, esattamente come Katarina si era aspettata che fosse, e gli occhioni viola con cui la fissava avevano qualcosa di magnetico e invitante, quasi stessero provando a farle una malia - e, per spezzare quella sorta di incanto, la cacciatrice alzò gli occhi sulla facciata dello stabile, riconoscendone alcuni dettagli familiari. 
«E' il tuo lavoro, far venire le persone, soprattutto qui. Sbaglio, forse?» Non che nei bordelli si facesse molto altro, dopotutto.

«E voi, Miss? Mi avete seguita per questo?» con un movimento del capo la prostituta indicò l'insegna all'angolo dell'ingresso, lì dove il tariffario stava bellamente appeso ad arrugginire. Grossi numeri seguivano piccole diciture che vergognosamente riportavano senza grandi giri di parole i servizi svolti e l'esorcista, lanciandovi uno sguardo fugace, fece finta di prestarvi attenzione - anche se era altro a interessarle veramente.


Katarina sorrise, piegando la testa da un lato. Ciocche vinaccia le scivolarono lungo il viso, schermando in minima parte lo sguardo malizioso: «Avete altro da offrirmi?» domandò, avvicinandosi pericolosamente.

Quel profumo; quella lieve nota fruttata era stato il motivo per cui l'aveva seguita. Aveva parlato più di quanto stavano facendo ora e, per questo, senza alcuna pudicizia Miss Bahun si protese tanto da schiacciarsi contro la puttana e rubarle un bacio lento, intenso, e del tutto fuori luogo per una donna come lei - chi avrebbe perdonato a un'emissaria della Chiesa un simile gesto? Eppure lei non si fermò, premette sempre più, infilando la propria lingua oltre le labbra dell'altra.

C'era stato un tempo, quando i voti erano un ricordo fin troppo vivido nella sua memoria, in cui senza l'alcol ad annebbiarle i sensi non si sarebbe mai permessa un'azione tanto goliardica, dove l'idea di infilarsi tra le lenzuola di una signorina, una donzella del genere, era fonte d'imbarazzo e goffaggine - ma erano anni ora lontani, momenti che l'esperienza e la costrizione avevano finito con il farle apprezzare sempre più; perché i piaceri più riprovevoli, aveva imparato, colmano i vuoti più profondi e leniscono le ferite degli animi. E c'erano state stagioni in cui Katarina aveva creduto di non poter sopportare il peso delle sue colpe senza simili anestetici.

In risposta a tanto impeto persino la giovane in cipria si lasciò andare e, afferrando il viso della vânător tra le proprie dita inguantate, se la trascinò oltre la porta del bordello, forse sentendo già il tintinnio delle monete sul proprio piatto dei guadagni e vibrando all'idea di un ennesimo e occasionale piacere - in fin dei conti, nessuna di loro bramava altro che il vile denaro unito a qualche tocco meno violento del solito.

L'interno dell'edificio, Miss Bahun lo studiò con la coda dell'occhio, senza smettere di cercare il sapore della bocca altrui. Vide in controluce le sagome confuse di altre giovani donne, alle volte qualcuna più attempata, che con il trucco spesso aveva cercato di nascondere i solchi di un tiranno impietoso: la vecchiaia. Aveva scorto poltrone in velluto sbiadito, tendaggi ornati da trame floreali, candele consumate fino all'ultimo centimetro di picciolo. Al suo naso era arrivato con sempre maggiore intensità il profumo fruttato, non più privilegio solo della preda che la stava conducendo verso l'ennesima camera intrisa di umori e spasmi, ma dote di molte e condanna di molteplici.

Eppure nulla, di ciò che i suoi sensi incontrarono, parve essere abbastanza innocente - vi erano peccati nascosti dietro a ognuna delle strisce di carta da parati appesa alle pareti e lei lo sentiva, lo percepiva con quell'intuito che Emil le aveva dato in eredità, un lascito di ogni Bahun che si era bagnato del sangue del Demonio.

Katarina lasciò che i propri stivaletti salissero svelti lungo una scalinata malconcia, un gradino per volta, seguendo adesso, senza distrazioni, la mantellina cipria che copriva la schiena di una donna che avrebbe fatto meglio a non fidarsi né di lei né del suo argento. Perchè un cacciatore resta tale, anche quando non vi è nulla da braccare.

La vânător si fece condurre per un corridoio oltre le cui porte, di tanto in tanto, si udivano gemiti e grugniti, gli spasmi di vecchi porci incapaci di conquistare una qualsiasi donzella senza sfruttare le monete nascoste nelle proprie saccocce. Hidos, pensò la donna allontanando lo sguardo dal legno smunto, doar o grămadă de idioți, aggiunse poi con un sorriso beffardo stampato sulle labbra arrossate, avanzando e pregustando già il piacere che di lì a poco l'avrebbe colmata. Seppur uguale per obbiettivo, era diversa da qualsiasi cliente l'avesse preceduta in quell'angolo di mondo, peccato che nessuno, a parte lei medesima, ne fosse a conoscenza - ciò che l'attendeva era ben più interessante di ciò che stava accadendo in ognuna di quelle cabine.


Così, dopo qualche inutile metro, Miss Bahun si ritrovò a oltrepassare la soglia di una delle ultime stanze lungo quel rumoroso cunicolo di assi scricchiolanti e letti cigolanti, giungendo infine alla meta tanto desiderata. Era dentro, al sicuro da qualsiasi occhio non volesse su di te, ma soprattutto pronta a ottenere un premio assai succulento.

Appena i suoi piedi furono nuovamente posizionati di fronte a quelli della fanciulla, la porta alle sue spalle si chiuse con un lieve tonfo a la valigia che aveva con sé cadde a terra facendo tintinnare la ferraglia e il vetro che vi si nascondevano all'interno. Con le mani ora libere si avventò sui lacci della mantellina cipria, iniziando a slacciare i fiocchetti di seta. Aveva premuta, voleva togliere quanta più stoffa possibile per arrivare a ciò che davvero le importava nel minor tempo, dopotutto, le ore diurne a sua disposizione erano assai limitate e i suoi colleghi si sarebbero presto insospettiti.

«Co-cosa ave-avete... lì den-ntro?»
«Nulla che ora ti debba interessare» Katarina pareva tutto tranne che interessata a concludere la sua momentanea fuga con una chiacchierata, così, un bottone alla volta, le camicette di entrambe finirono con l'aprirsi su bustini e canotte in raso. Miss Bahun afferrò il viso della giovane, rubò altri baci e si schiacciò a lei assaporando appieno quel sentore fruttato che tanto l'aveva intrigata, delineando nella propria memoria una sequenza di ricordi che le strapparono un sorriso sinistro.
Lenta fece scendere i propri polpastrelli lungo le spalle, accompagnando le maniche fino alla fine degli arti superiori. Lasciò cadere la camicetta, finendo poi con l'arrivare fino all'allacciatura della gonna a ruota che, lesta, sganciò; e in meno di pochi minuti, la donnaccia fu svestita dei propri indumenti - in quell'istante gli occhi della cacciatrice scorsero ciò che fino a quel momento era stato solo un sospetto, accentuando il sorriso che le tendeva le labbra.
La pelle della ragazza di fronte a lei pareva una membrana, rifletteva in modo lattiginoso la luce che filtrava da oltre le imposte socchiuse, e le vene che vi stavano apparvero come un intricato dedalo di linee verdastre.

Una zână, ecco cosa aveva davanti a sé.
Una stupida e lussuriosa zână che si sarebbe presto pentita di aver cercato di fregare proprio lei.

Forse a Londinium non vi era poi tanta rettitudine; forse in una città tanto avanguardistica le creature che avevano firmato i Patti del Mundi Obumbratio non erano visti con gli stessi occhi di Roma; forse a quei luridi vecchi incapaci di avere un'erezione, troppo offuscati dalle loro riprovevoli perversioni per riuscire a soddisfare le proprie moglie, piaceva deflorare i corpi diafani delle Fate, pensando quasi di poterle spezzare con un colpo d'anche un po' più veemente del solito, chissà. Ma mentre loro cercavano di arrivare al culmine del piacere con le figlie di Titania, molto più pericolose di quello che le loro menti ottuse avrebbero mai potuto immaginare, elle incantavano le loro membra, assopendone i sensi e permettendo a quegli stupidi Fauni nascosti dietro ai paraventi di uscire e fregarsi tutte le loro monete.
 

Così Katarina, fingendo di non star facendo altro che godere della compagnia di quell'essere, riportò la propria mano sul suo collo, ne accarezzò la pelle con infinita dolcezza, quasi stesse sfiorando del cristallo e poi, lentamente, strinse tanto da mozzarle il fiato. Sentì il corpo nella sua morsa reagire, irrigidirsi tutt'a un tratto e, così, rallentò la foga dei baci fino a fermarsi.

Quale immagine poteva essere più eccitante della paura disegnata su un viso tanto abominevole? Quale sensazione poteva farla sentire viva e potente se non la consapevolezza di avere il controllo?

Miss Bahun aveva ereditato anche quello da Emil: un feticismo che più volte aveva preso il nome di sadismo.


Gli occhi della Fata si fecero grandi di stupore e spavento, rivelando, oltre al naturale color ametista, anche il riflesso della creatura caprina alle loro spalle, nascosta nell'ombra e altrettanto impreparata a una simile evenienza.

Le unghie della cacciatrice si premettero nella carne, creando mezzelune bluastre sui lati della giugulare e, svelta, dalla propria crocchia malferma estrasse uno stiletto di legno che puntò al ventre della prostituta. Poi sbuffò.

«Tanto belle quanto ingenue, le Fate... non pensi, Fauno?»

Il figlio di Pan, forse sentendosi preso in causa più del dovuto, provò a muovere un passo nella loro direzione, ma appena Katarina ne intravide l'immagine negli occhi della sua vittima, premette la punta dell'arma improvvisata sul grembo pallido della giovane, in mezzo alle allacciature allentate del bustino: «Ah-ah! Stai lì, sennò la trapasso».

Lanciando uno sguardo oltre la propria spalla, la cacciatrice fece sfoggio dell'espressione sul suo viso, un mix di febbrile eccitamento e ingiustificata malignità.
Ciò che il suo sguardo incontrò a quel punto, fu l'aberrante volto glabro di un ragazzo dagli occhi di capra, dai cui ricci spuntavano due lunghe corna ricurve. La giacca scura aveva aiutato la sua mimetizzazione tra le ombre della stanza, ma il fatto che avesse chiuso la porta alle loro spalle una volta entrate ne aveva presto rivelato la presenza - per non parlare del lieve rumore di zoccoli che la Fata aveva cercato di coprire con le proprie risate.

«Non vi ha fatto nulla, stava solo cercando di...»
«Oh, ma non è lei il problema. Non del tutto, quantomeno. Tu però hai provato a derubare un emissario della Santa Chiesa della Vergine Oscura, per non parlare del fatto che avresti guardato per tutto il tempo. Non so, cosa credi sia più grave? Il fatto che stavi per infrangere i Patti, oppure che avresti leso la mia intimità di donna?» Katarina intervenne con fastidio, interrompendo sin da subito la creatura e, il Fauno, di fronte a quella risposta si ritrovò a spalancare la bocca, visibilmente confuso. Non doveva capitargli spesso di essere scoperto e messo in simili situazioni.

«I-io... io...»
«Non sprecare fiato inutilmente, non ho tempo per simili sciocchezze, inoltre le vostre parole preferisco vengano spese per altro» nuovamente, lo sguardo della donna tornò sulla Fata. La osservò con velato interesse, schifando la sua natura ora tanto evidente. Chissà come aveva ancorato le sue fragili ali. Forse il bustino le stava trattenendo con forza alla schiena, impedendo loro di dispiegarsi nell'aria e tradirne la copertura.

«C-cosa volete da... noi, esorcista?» La voce del ragazzo tremò nella sua direzione, provando a capire per quale terribile scherzo del destino, quel giorno, nel loro bordello avesse messo piede un'assassina del genere - perché in fin dei conti Miss Bahun dubitava che quelli della sua specie potessero definirla in altri modi.«Informazioni, Fauno» bagnandosi le labbra, Katarina continuò a osservare ogni lembo di pelle nuda che l'essere davanti a lei le metteva a disposizione: «e magari un piccolo accordo... in onore dei Patti, s'intende».



Yaga:

Dopo EONI eccomi di ritorno con la seconda parte del capitolo. Non sono pienamente convinta della sua resa, ma mi auguro che possiate darmi i vostri pareri a riguardo, in modo da perfezionarlo al punto giusto e proseguire con quella che credo farò diventare la terza parte.

A presto!

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Capitolo 13
*** IX (3) ***




IX part III

«Informazioni?» 
Dal tono con cui le rivolse quella domanda fu chiaro che il mezzo-caprone fosse più confuso di quanto lei si sarebbe mai aspettata, forse ritrovandosi per la prima volta a dover fare i conti con una richiesta del genere e, così, con uno sbuffo la vânător mollò la presa sul collo della giovane figlia di Titania, non risparmiandole una minaccia: «Ti avverto che ho un'ottima mira. E addosso porto più di tre armi».

Appena fu libera la prostituta tossì, avida d'aria come mai prima; si prese il collo tra le mani e le lanciò uno sguardo carico di odio ben lontano dalla malizia con cui l'aveva adescata: «Killer salach (lurida assassina)» inveì poi - peccato che la speranza che Katarina non conoscesse l'irlandese fosse mal riposta. Le poche lingue che mancavano al suo repertorio, infatti, erano quelle dei territori al di là della Federazione Russa e al di sotto dei possedimenti della Santa Chiesa di Roma, tutte le altre, anche se non perfettamente, era stata costretta a impararle.

«Bí cúramach, fraochÚn le sciatháin, mharaigh mé ar a lán níos lú (stai attenta, puttana con le ali, ho ucciso per molto meno)» e lo sbigottimento della Fata si tramutò presto in terrore, anche se la cacciatrice dubitava che fosse per via della veridicità delle sue parole. In effetti, in circostanze ben diverse e visibilmente scombussolata dalla vodka, Miss Bahun aveva sgozzato sirene e piazzato pallottole d'argento nella fronte di qualsiasi creatura il Vaticano le avesse detto di uccidere - che avessero commesso un qualche reato o meno non se l'era mai chiesto -, trapassare la gola di quella sgualdrina con il proprio stiletto quindi non avrebbe poi fatto chissà quale differenza: il numero di omicidi che aveva alle spalle era già abbastanza preoccupante, uno in più non l'avrebbe resa meno colpevole.

Però quella tipa non poteva saperlo. Nessuno di loro poteva, a dire il vero.
La fama di Katarina iniziava e finiva con il suo cognome - le efferratezze più spietate, spesso, erano semplicemente affibbiate a suo padre e lui non si premurava di smentire nemmeno uno di quei pettegolezzi: una figlia non aveva alcun diritto di eclissare la grandiosità dell'uomo che l'aveva messa al mondo e, finché lui la ignorava, lei era felice di lasciargli tutti i suoi successi e nascondere i peccati, anche se spesso le due cose non erano altro che la medesima azione.

Fără inimă (senz'anima), le aveva detto una volta la madre di alcune delle sue vittime, e lei non aveva potuto obbiettare in alcun modo: essere un esorcista dei monasteri di Bistria strappava di dosso ogni cosa, inoltre, nel suo caso, a peggiorare la situazione era arrivato Dracul. Lui l'aveva battezzata a quella vita e da famigerato condottiero e spietato assassino qual'era non aveva potuto far altro che trasformarla in un mostro del suo calibro - entrambi avevano le mani macchiate di sangue, erano soli e, soprattutto, erano stati privati di un'anima da redimere; perché c'è un limite ai peccati che possono essere perdonati, aveva sentito dire da qualche prete campagnolo molto tempo prima. E lei, più di una volta nelle notti di solitaria sobrietà, si era rimproverata di aver superato quel confine. Uccidere, negli anni, era diventato un lavoro meno faticoso - ma non per questo ingrato e, seppur spietata, Miss Bahun era ancora un'umana che doveva essere giudicata al cospetto del Dio della Luce. Vânător o meno, lei era una carnefice. Che stesse agendo per la Chiesa o per piacere personale poco importava, un solo passo falso, un solo sgarro al giuramento che aveva fatto e nessuno avrebbe più pregato per lei, lasciandola marcire fuori dai cancelli del Giardino Celeste.
 

D'un tratto, a interrompere quel susseguirsi di insulti e amari pensieri, il Fauno sgattaiolò verso la propria amica e cingendola per le spalle provò a capire se vi fossero ferite gravi a cui far fronte - dopotutto, per il Piccolo Popolo il ferro era letale tanto quanto l'acido.
«Lasciateci in pace» mormorò osservando con i suoi occhi caprini il punto in cui una piccola macchia violacea aveva irritato tutta la pelle della Fata: «noi non siamo altro che reietti, facciamo lavori riprovevoli per poter sopravvivere a voi... daonna (umani)».

Lanciando un'occhiata furtiva alle proprie spalle, Katarina si lasciò cadere sulle lenzuola ancora troppo ordinare e, muovendo lo stiletto con una certa nonchalance, sorrise: «Dubito che la tua amichetta consideri questo lavoro riprovevole... per quel che ho imparato negli anni tutte le fairy sono ninfomani, o almeno in parte!» Bagnandosi le labbra ricordò quante volte, nei suoi lunghi viaggi a piedi o in diligenza, avesse scorto bellissime donne dalla pelle verde e gli occhi viola usufruire del corpo di poveri malcapitati e, una volta finito, sbarazzarsi di loro il più in fretta possibile nella speranza di non averli condannati.

La Fata a quel commento digrignò i denti, ora sottili come quelli di uno squalo e, incurante del fatto che il suo corpo si stesse ribellando alla costrizione di una forma più umana, provò a ringhiarle contro: «Tu non mi co-»
«Il voi, Fata. Nessuno ti ha dato l'autorizzazione di rivolgerti a me diversamente».

E quella, colta dalla rabbia trattenuta fino all'ultimo istante, tentò di balzarle al collo per vendicarsi di tutto ciò che le aveva fatto sino a quel momento. Prima che potesse anche solo allungare un dito in direzione della cacciatrice però, Katarina le afferrò entrambi i polsi e la fece voltare di schiena, costringendola a sedersi tra le sue gambe ora aperte. Era bastato che con un piede le colpisse la giuntura del ginocchio più vicino per farle perdere l'equilibrio e finire nella sua trappola, poi, con la mano libera le aveva nuovamente puntato l'arma al viso: «Zână stupidă (stupida fata)» le sibilò a ridosso dell'orecchio appuntito prima di alzare gli occhi al cielo, esasperata dalla resistenza che continuava a fare.

Possibile che qualsiasi Figlio della Notte la sottovalutasse a tal modo? Sì, non aveva un aspetto minaccioso, men che meno poteva dirsi imponente o massiccia, però era comunque abbastanza letale da entrare negli incubi dei mostri - e, a dimostrazione di ciò, vi era il fatto che più la ragazza si agitava sul suo corpo, più Miss Bahun stringeva la presa al pari di un serpente con la propria preda.

«No, vi prego!» Il Fauno, probabilmente mosso da una lungimiranza meglio sviluppata rispetto a quella della baldracca, tendendo un braccio verso di loro provò a chiedere clemenza: «Non fatele del male. Avete detto che volete informazioni, no? Ve ne posso-»

«Éist suas! Ná cuir trócaire ort (zitto! non implorare pietà)» dalle labbra della Fata uscì l'ennesimo tentativo di ribellione; come biasimarla? Per lei Miss Bahun rappresentava il male più assoluto e aiutarla sarebbe equivalso a tradire la sua specie - peccato che alla donna tutta quella riluttanza fece fremere le interiora. Oh, quanto adorava le cose impossibili, vietate - con un po' di autocritica avrebbe persino detto di apprezzarle più delle uniformi - la resistenza, inoltre, era un fattore ancora più stimolante per lei.

Così, allentando le inibizioni, la vânător percorse con la punta della lingua l'elice della sua prigioniera che, mossa da una sorta di ribrezzo, s'irrigidì contro la sua schiena.
«Di cosa hai paura, zână
Ma lei tacque. La sua bocca si sigillò al pari di una serratura arrugginita - e quella era l'occasione perfetta per recuperare il tempo perso e riuscire finalmente ad arrivare al motivo per cui l'aveva seguita sin lì.
Già, perché sin dal principio Katarina aveva compreso la sua vera natura: quel sentore fruttato era un chiaro richiamo delle Figlie di Titania, un profumo ammaliatore che solo coloro dai bisogni repressi potevano fiutare. E lei, anche se era un po' umiliante ammetterlo, desiderava quel tipo di compagnia al momento, soprattutto dopo aver incontrato la meravigliosa Sylvia Goldchild. Ad ogni modo, appena l'aveva riconosciuto un'idea riprovevole le era balzata tra i pensieri e, a mali estremi, sarebbe ricorsa a estremi rimedi - la cosa peggiore che le sarebbe potuta capitare, in fondo, aveva il nome di "amplesso".

«Aiutatemi, suvvia. Se mi darete ciò che voglio,» lo sguardo di Katarina scese lungo la lama dello stiletto, fece tesoro di ciò che vi si rifletteva sopra e poi si staccò per ricadere sul viso sconvolto del povero mezzo-caprone: «quando voglio,» sorrise appena, malignamente: «io vi lascerò in pace. Potrei persino decidere di fingere di non sapere di questo vostro... passatempo» con la punta dell'arma prese a indicare tutta la stanza, in modo da mettere bene in chiaro a cosa si stesse riferendo.

La bestia corrugò le sopracciglia.
«E sono le informazioni, ciò che volete?»

Miss Bahun lo imitò: «Dubito possiate offrirmi altro».

«Potrei dissentire» fece infine la Fata ritrovando la parola; e in effetti non aveva torto. La cacciatrice dovette mestamente annuire di fronte a quel commento, ricordandosi da sola con quale, tra i vari intenti, l'aveva seguita dentro a un bordello.

«Non lo nego, la mia carne è debole, terribilmente» sospirò: «Però al momento ho altre priorità».
«Le informazioni» si accertò ancora una volta il Fauno, suscitando nella donna un certo scetticismo e riportandole alla mente i baffi color carota di Lord Julius Terry - chissà se quei due condividevano la stessa sfortuna di essere frutto di un incesto...
«Sì, quelle».

«Di che tipo?»

Katarina si bagnò il labbro prendendo tempo. Non era certa che parlarne a quei due fosse la scelta migliore, però sapeva da sé che le prostitute erano la miglior fonte d'informazione da cui attingere per delle indagini: tutti i clienti si confessavano con loro, alle volte più che con i preti. Loro erano meretrici, eppure per un'ora, o due al giorno, diventavano Sante. Scioglievano le lingue come le massaie con i gomitoli di lana, davano piacere e conforto facendo credere a quei poveri fedifraghi di essere al sicuro tra le loro braccia lascive - e loro raccontavano, parlavano di ogni cosa si trovasse nelle loro teste. Ciò che più di tutto l'aveva convinta a fare quello che stava facendo però, era il fatto che colei che teneva stretta a sé era una Fata. Chi, meglio di un membro del Mundi Obumbratio, poteva dirle ciò che le interessava? Chi, se non uno di loro, poteva scoprire le dicerie che giravano per i bassifondi di Londinium senza scatenare il panico o l'odio?

«Non piacevoli, sfortunatamente per voi».
«Quando di mezzo ci sono i vânător non sono mai questioni piacevoli» bofonchiò la ragazza, spostando lo sguardo sul viso dell'altra. Erano così vicine che nelle sue iridi Miss Bahun poté scorgere pagliuzze più chiare, simili all'argento e, per un solo istante, pensò che fossero incredibilmente belle - forse tra le tante cose che rendevano quella specie così ammaliante c'erano anche i loro occhi, il modo in cui osservavano le prede umane.

«Non credo di poter obiettare, zână. Dove c'è un vânător c'è morte, dite voi, quindi eccomi qui».

Il Fauno sussultò: «Che volete dire?».
«Semplice, che qualcuno di voi si sta comportando male, molto. Per questo vi chiedo se, erroneamente, avete sentito parlare di strani omicidi».

«Ci sono morti ogni giorno, qui a Londinium» sputò la Fata compiendo un nuovo, maldestro e fallimentare tentativo di fuggire dalla presa di Miss Bahun. Chissà cos'era che la infastidiva tanto, se la minaccia dello stiletto, quel contatto non più desiderato, oppure il fetore di sangue che Katarina portava con sé.

«Sì, me lo hanno detto» tagliò corto, scacciando con prepotenza il ricordo di Mister Gregory dalla mente: «Ma questi sono... singular».
Il ragazzo capra scosse la testa cornuta incalzando: «Miss, tutto ciò che si è udito in queste notti è stato l'ululato dei Mannari, noi non sappiamo altro!» Peccato che quel suo fare, al posto di essergli d'aiuto, fu talmente fastidioso che i nervi dell'esorcista parvero tendersi come corde di violino. Non le piaceva essere interrotta a metà, ma ciò che più di tutto le diede noia fu il fatto che quello stupido figlio di Pan stesse mettendo in dubbio le sue competenze in fatto di caccia ai Figli della Notte. Così, quasi ringhiando, Katarina lo mise a tacere: «So riconoscere le tracce di un Mannaro, capră prostească! (stupida capra) Loro sbranano, lacerano...» fece una pausa, stringendo le dita intorno allo stiletto per impedirsi di lanciarglielo contro: «mentre queste vittime sono pressoché integre, è il loro sangue il problema...»

 



 

ps. ho lasciato le traduzioni accanto alle parole in rumeno e irlandese, spero che così la lettura vi sia più semplice.

 


 

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Capitolo 14
*** IX (4) ***





IX (4)


 

La Fata sussultò: «Che intendete? Se vi servono informazioni sul sang-»
«I vampiri, lo so» nuovamente Miss Bahun si ritrovò a dover tagliar corto, ma più la conversazione con quei due proseguiva, più dubitava di aver preso la decisione giusta - oppure erano veri i suoi sospetti sulla pessima formazione degli esorcisti di zona? Fece un sospiro: «Loro però affermano di non avere alcuna conoscenza in materia».
«Dubito sia così» sprezzante, la prostituta si permise di mimare uno sputo. Nessuno amava i vampiri, alle volte nemmeno tra di loro riuscivano a sopportarsi, eppure esistevano e piegavano sotto il loro brutale potere fin troppi esemplari delle varie specie che abitavano quel mondo: umani, Piccolo Popolo, sirene, streghe e maghi e, di tanto in tanto, persino i licantropi, anche se quei cagnacci provavano in tutti i modi a resistergli.

«Anche io, ma non posso provarlo» Katarina finalmente mollò la presa sulla sua prigioniera, ma questa, forse troppo impegnata a capire il suo piano o comoda in quell'angolo di letto, non mosse nemmeno un muscolo per allontanarsi dall'aguzzina: «per questa ragione mi sono recata qui».

«Non comprendo... le Fate non giacciono con gli eredi di Dracula» - sì, la vânător sapeva anche quello; in fin dei conti solo un folle si sarebbe lasciato avvicinare in qualsiasi modo da un vampiro e, a prescindere da tutti gli insulti che aveva rivolto alla donzella alata fino a quel momento, Miss Bahun sapeva bene che quelle della sua specie erano tutto tranne che stupide. Nemmeno la più menomata tra le figlie di Titania avrebbe donato il suo corpo a uno di quei mostri.

Il Fauno, forse accorgendosi della nuova condizione dell'amica, la strattonò verso di sé e con un tonfo il sedere della giovane finì a terra. Ancora una volta le due donne si ritrovavano faccia a faccia, ma ora, guardandola, Katarina vide nella Fata tutto ciò che da sempre le era stato insegnato dovesse evitare. A Bistria le regole erano ferree, così come la magnanimità un lusso, per questo i cacciatori che uscivano dal quel monastero sperduto erano pochi e molto più preparati di molte altre divisioni dell'Ordine.

Scrutando il corpo di fronte a sé, la donna non si poté evitare di soffermare i propri occhi sulla tonalità verdastra della pelle della creatura, sull'arabesco quasi traslucido delle vene e dei capillari che le ornavano le carni - chissà se mordendole avrebbe inciso quella delicata epidermide, se a furia di sfiorarla avrebbe finito con il creare solchi. 
Sotto ai pallidi boccoli biondi, che tanto le avevano ricordato quelli di Sylvia Goldchild, le orecchie si appuntivano nell'area dell'elice, mentre, oltre le labbra che Katarina aveva avaramente baciato, i denti si erano trasformati in lame sottili - ciò che mancava, a deturpare definitivamente la bellezza con cui la Figlia di Titania aveva catturato le attenzioni dell'esorcista, erano le ali ancora costrette nel bustino succinto.
Seppur ora contrariata dai pensieri avuti in precedenza, mentre i loro corpi si erano premuti l'un l'altro e le sue labbra avevano cercato quelle della Fata, Miss Bahun non aveva potuto impedirsi di trovarla bella, un ottimo palliativo per gli appetiti carnali che avevano iniziato ad agitarsi in lei alla vista della Madre Superiora. Aveva rivisto, nel volto di una, le stesse linee dolci e provocanti dell'altra, così come in entrambi i casi la coscienza del "vietato" le aveva solleticato la mente - peccato che davanti a sé avesse un mostro, non una Santa.

Distogliendo lo sguardo, in modo da non desiderare di poter nuovamente sovrapporre le due figure, la cacciatrice cercò intorno a sé un orologio, ricordandosi quanto minacciosamente il tempo fosse trascorso. Quanti minuti erano passati dal congedo con Julius e Suzu? Se avesse avuto il suo cappotto abbastanza vicino si sarebbe concessa il lusso d'osservare la cipolla d'argento, ma, come per la valigia, anche quell'oggetto era a terra e ben lontano dalle sue dita.
Con gli occhi color autunno vagò per la stanza, soffermandosi solo all'ultimo su di un comodino alle proprie spalle. Lì, una piccola sveglia in ottone segnava le tre e quarantacinque del pomeriggio, sollevandola dall'ansia di aver indugiato troppo tra le mura del bordello. Aveva ancora qualche manciata di minuti e, inoltre, la scusa di non conoscere le strade di Londinium avrebbe potuto giocare a suo favore in caso di un ulteriore ritardo.


«Sì, suppongo sarebbe sciocco da parte tua e, a onor del vero, non sono qui per chiederti nulla di simile» disse d'un tratto, tornando con la mente sul presente e gli occhi sulla creatura verdognola innanzi a sé. La studiò qualche istante, dapprima allontanando i pensieri meno consoni a quel momento, poi valutando svelta come gestire la situazione - ma alla fine, sentendo l'urgenza delle lancette, si sporse per raccogliere con l'indice e il medio la propria bombetta. Se la mise in grembo, conscia del fatto che se desiderava evitare sospetti doveva iniziare a rivestirsi.

«Ciò che vi chiedo, a entrambi,» severa lanciò un'occhiata in direzione del ragazzo cornuto: «è di prestare attenzione alle chiacchiere intorno a voi. Che i vostri informatori siano membri del Piccolo Popolo, streghe, fantasmi, licantropi o vampiri non m'interessa, potete persino indagare tra le supposizioni dei vecchi porci che portate in questa stanza. Quello che voglio, badate bene, è conoscere ogni diceria che aleggia attorno alla moria di Londinium» poi, sapiente, nascose la propria capigliatura sfatta sotto al cappello. Non doveva far scorgere nemmeno un indizio di ciò che era accaduto in quell'ora di separazione, anche se, visto l'acume di Julius, dubitava di andare incontro a un qualsiasi rischio.

Il Fauno balzò in piedi, afferrando il cappotto della donna e porgendoglielo con una timorosa riverenza: «P-perdonatemi, Miss, m-ma che intendete e-esattamente con moria? I-io... io non credo d-di capire».

«E io non capisco perché riserviate fiducia in noi. Chi vi assicura che non fuggiremo?»
Qualcuno, notò la cacciatrice con un certo compiacimento, aveva improvvisamente ritrovato la propria riluttanza ad obbedire.

Alzandosi, Miss Bahun prese dalle mani del caprone il proprio soprabito: «Se desideri conoscere la morte, mia cara, basta dirlo, sarò lieta di presentartela In caso contrario, ti conviene ubbidirmi. Nessuna creatura è mai sfuggita alle mie pallottole d'argento».

«Potrei essere la prima».

Katarina sorrise, arcigna. Quel caratterino era proprio un toccasana per il suo già latente buonumore.

«Potresti, è vero. Però se fossi in te non sfiderei la sorte, zână. Dopotutto fino a qualche minuto fa eri tremante tra le mie braccia e con uno stiletto puntato alla gola» i lati della bocca si tesero ancor di più. A quel pensiero un brivido scese lungo la spina dorsale della cacciatrice, ricordandole l'eccitamento di pochi istanti prima.
A Katarina piaceva lottare, avvertire la soggiogazione delle proprie vittime farsi sempre maggiore mentre lei prendeva il controllo. Amava sentire l'adrenalina esploderle in corpo e il sapore della violenza riempirle la bocca, per quello, nonostante con la Fata non fosse andata fino in fondo, raccolse con soddisfazione la propria valigia da terra. In qualche modo, molto contorto, fu come aver usufruito dei servizi offerti.

L'altra grugnì.
Sicuramente doveva aver apprezzato poco quell'osservazione, così come il fatto che una vânător qualsiasi l'avesse oltraggiata e minacciata più e più volte mentre lei, apparentemente, stava solo svolgendo il proprio lavoro; peccato che la verità, pensò Miss Bahun, fosse un boccone assai amaro alle volte, esattamente come il potere, in particolar modo se nelle mani altrui. E lei lo aveva avuto. Per tutto il tempo passato all'interno di quella sudicia stanza Katarina aveva avuto il putere - avrebbe potuto ucciderli in qualunque modo o momento, nessun uomo l'avrebbe biasimata, ma alla fine li aveva risparmiati, seppur per brevi istanti avesse sentito gli arti cedere all'istinto di affondare lo stiletto. Lei era un'esorcista, il mastino ai piedi della Vergine, l'emissario più temibile della Chiesa - per questo loro le avrebbero obbedito.

Issando il bagaglio si portò nei pressi dell'uscita poi, voltando il capo per osservare i due mostri un'ultima volta, aggiunse: «Non siate insistenti, non create sospetti per alcun motivo e in alcuna persona. Dovete agire come mosche sui muri e...» con un'occhiata più severa si rivolse alla Fata: «per l'amor del cielo, non mettetemi i bastoni tra le ruote. Potreste pentirvene».Il Fauno tornò al fianco dell'amica, forse avvertendo il tono velatamente minaccioso dell'ospite: «M-m-ma c-come..?»
«Sarò io a venire da voi, non preoccupatevi» e con un unico movimento aprì la porta, uscendo dalla stanza. Doveva tornare dai colleghi e, soprattutto, togliersi dalla mente i pensieri più scomodi. Inoltre aveva un disperato bisogno di mettere fine a quella sua veglia diurna, in modo da essere pronta per la notte, una di quelle che si presentava assai più interessante del solito.

 

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Capitolo 15
*** x ***



(Sì, il disegno è mio e sì, è Katarina)

X

Passo dopo passo, in un percorso a ritroso che Katarina faticò a ricordare, riuscì a tornare in quella che pareva essere una zona di Londinium più rispettabile, ma non seppe dirsi con certezza se fosse rispuntata nella parte giusta della città. Le vie si rassomigliavano tutte ai suoi occhi stanchi, inoltre non aveva prestato la corretta attenzione ai dintorni durante l’inseguimento della zână - l’unica cosa certa, si ricordò un po’ a malincuore, era il nome di quello stravagante e fatiscente bordello, dove fate e fauni davano orgasmi in cambio di mance, portafogli, e qualche anno di vita, trasformando i loro sventurati clienti in succubi bavosi.

Come fosse possibile, che un luogo del genere esistesse in un Paese affiliato con la Chiesa della Vergine Oscura, era qualcosa che la donna non seppe spiegarsi e, guardandosi attorno, quasi confusa, si soffermò su ognuno dei passanti alla ricerca di un particolare, uno solo, capace di darle risposte.
Sì, anche a Roma, Viennsburg, Nuova Parigi e in moltissime altre capitali del Vecchio Continente era possibile trovare qualche creatura del Mundi Obumbratio intenta a portare avanti il proprio commercio di pozioni, testi eretici, erbe, cristalli, armi e tanto altro, ma lì, per quelle strade affollate, a Miss Bahun parve che Londinium fosse ben diversa. Gli umani non temevano, né schifavano, le cosce sode delle Figlie di Titania, men che meno ritenevano gli Exilati della feccia, insulsi doppiogiochisti ancora capaci di far del male; ma perché? Per quale ragione non comprendevano il pericolo?
Eppure, era certa, nei suoi venticinque anni di vita aveva visto le tragedie peggiori essere perpetrate proprio dagli eredi dei Corvinus, ma anche dai membri del Piccolo Popolo. Villaggi interi erano stati ridotti in ginocchio da licantropi privi di remore, esattamente come le vite dei giovani erano state succhiate via dai loro colli pallidi a causa di qualche ripugnante vampiro. Madri e padri avevano scoperto nelle culle dei loro figli i corpi deformi di troll, fate, fauni e molto altro ancora, mentre qualcuno si era ritrovato a piangere sul corpo bubbonico di un caro, baciato e soffocato nelle profondità più oscure del mare da letali sirene. 
E lei aveva visto tutto ciò - forse persino di più. 
Aveva camminato tra pozzanghere di sangue evitando carcasse, aveva esaminato cadaveri costretta a inalare il puzzo dei loro umori. Si era ritrovata a perdere conoscenti e a erroneamente sacrificare innocenti per riuscire a debellare solo una piccola parte della piaga che affliggeva quel mondo, ma agli abitanti della capitale dei Possedimenti di Britannia pareva che tutto ciò fosse oscuro. Ognuno di loro, seppur possibile vittima delle atrocità peggiori, camminava con infinita spensieratezza, accettando la presenza della minaccia come prede consapevoli dell’imminente fine. Possibile?

I piedi di Katarina presero a rallentare l’andamento, fino a fermarsi. Immobile su un marciapiede affollato, la donna si rese conto di non capire assolutamente quell’atteggiamento. Una passività così evidente nei confronti di tali mostri era per lei un vero e proprio scempio, eppure non seppe come affrontare l’annichilante coscienza che per quelle persone fosse normale. Sapevano di camminare accanto ai loro aguzzini, ma non gl’importava.
«Oh, la Vergine sia lodata! Miss Bahun!» Un richiamo, non molto lontano dalle sue spalle, la fece voltare nella direzione da cui era venuta e, con un certo fastidio, si ritrovò a posare gli occhi sulla figura di Lord Terry, intento a sventolare la mano in cielo per farsi vedere - come se il suo metro e ottanta abbondante, unito a quei terribili baffi color carota, non fossero sufficienti a farlo spiccare in mezzo alla folla. Credeva davvero che un esorcista abituato a cacciare di notte potesse farsi sfuggire la sua presenza alla luce del giorno?
Beh, se il  vânător in questione era lui, pensò Katarina, forse non era cosa poi così ovvia.

Tirando un sorriso, ben lontano dall’essere sincero, la donna attese l’arrivo del compare senza muovere un singolo passo e, quando questi finalmente le fu di fronte, si poggiò una mano sul petto a sottolineare la fatica della corsa: «Sono minuti che vi cerchiamo, Iddio! Non avevate detto che sareste stata alla caffetteria?»
«Invero, Lord Terry...» ed ecco che, come aveva presupposto, il momento di mentire era infine giunto. Ammettere la verità avrebbe certamente mandato in fumo il suo piano per ottenere informazioni anche dal fronte nemico, soprattutto non conoscendo ancora il modus operandi dei suoi nuovi - e momentanei - colleghi. Seppur gli abitanti di quell’eccentrica città sembrassero predisposti ad accettare ogni forma di libertà senza grandi polemiche, Katarina non possedeva alcuna certezza che quei due avrebbero sostenuto il suo iter professionale - certamente, se si fosse trovata a casa propria, gli altri membri dell’Ordine non avrebbero visto di buon occhio i suoi modi così rozzi, loschi, lontani dalla morale richiesta dalla Santissima Sede.

«Il problema è che, potrete notarlo da voi, credo di essermi persa nel tentativo di trovarne una!» Gli zigomi presero a farle male, ma non cedette; doveva dar l’impressione di essere innocua, il minore dei loro mali, anche se il sangue che le scorreva nelle vene era sinonimo di ben altro.
«Eppure siete andata via correndo, Miss. Solitamente è un atteggiamento che si ha quando l'obiettivo è chiaro e non lo si vuole perdere».
La donna al cospetto di quella affermazione sussultò e, inesorabilmente, il sorriso si fece meno teso. Aveva compreso bene? Era dalle labbra dello stesso Lord Julius Terry che aveva chiesto a un vampiro se fosse in casa, in pieno giorno, che una simile affermazione era uscita? Faticava a crederlo, eppure confidava nel proprio udito abbastanza da non arrovellarsi troppo sulla questione. Forse tanto scemo quell’uomo non era, anche se glielo aveva fatto credere - e, al cospetto di una simile evenienza, Miss Bahun doveva assicurarsi di non dargli modo di metterle i bastoni tra le ruote - non ora che aveva messo in moto la propria personalissima strategia.
«Vi assicuro che era così. Ero certa di averne scorta una però… sì, insomma, la stanchezza deve avermi tradita» muovendo una mano poco sotto al viso e mimando gesti che solitamente si sarebbe risparmiata, troppo teatrali per i suoi gusti, cercò di distrarre il collega dalla propria espressione sempre più forzata: «quando sono arrivata dinanzi alle vetrine mi sono accorta essere una… brutărie (panetteria)».
Il gesticolare della cacciatrice si interruppe di colpo con il concludersi della frase e, con altrettanta repentinità, anche l’uomo fu scagionato dalla malia delle sue dita affusolate e nascoste in parte dietro alla pelle dei guanti.
«Brutarie… sì, qualsiasi cosa sia» l’uso di termini rumeni parve confonderlo a sufficienza da permetterle un sospiro, ma in un angolo recondito di sé sapeva di star camminando accanto a un precipizio. «Ci avete fatto preoccupare, ve ne rendete conto? Vi ricordo che siete sotto alla nostra tutela! Voi qui siete un’ospite, non possiamo assolutamente permetterci di perdervi tra le strade di Londinium vista l’attuale situazione di disagio e tutte quelle creature che rovinano il nostro rip-»
«State respirando?»
Le sopracciglia di lui si alzarono quasi fino a sfiorare l’attaccatura dei capelli, così come le palpebre sbatterono più volte in un evidente stato di sorpresa. Il Lord si raddrizzò per osservarla meglio, ma nel compiere tale movimento non fece altro che apparire ancora più alto di quanto già non fosse, una sorta di quercia in mezzo a un giardino di cespugli. 
«Sono abbastanza vivo da supporre di farlo... sì, mia cara, direi che sto respirando. Certo, non bene come mio solito, sapete, l’allergia ai pollini mi crea un certo disagio, ma lo faccio. Vi ringrazio per l’interessamento, siete davvero un’ottima osservatrice» un sorriso un po’ timido comparve sotto ai baffi sapientemente arricciati e Katarina proprio non se la sentì di svelare che, il suo quesito, era dato solo e semplicemente dalla curiosità di sapere come fosse possibile dire tante parole senza mai fare una pausa.
«In effetti non siete il primo a dirmelo…»
«E’ una dote da non sottovalutare nel nostro lavoro».
«Concordo, Lord Terry» ammise, tirando nuovamente il sorriso e domandandosi se anche lui, in realtà, l’avesse sviluppata e stesse quindi solamente fingendo di essere così rintronato. «E a proposito del nostro lavoro, come è andato l’incontro con l’Exilati?»
«Senza la vostra esuberanza a minacciare l’incolumità dei nostri protetti, Miss, direi bene, seppur non a sufficienza» stavolta, a risponderle, fu Suzu. Al di là della schiena del collega, il maestro delle polveri da sparo fece la sua comparsa. Un’espressione indecifrabile, dalla sfumatura divertita però, gli raggrinziva i lati della bocca, facendo chiedere a Katarina da quanto tempo li stesse ascoltando; dopotutto, nel marasma che erano le strade di Londinium alla luce del giorno, non era riuscita ad avvertire la sua presenza fino a quando lui stesso non aveva deciso di rivelarsi; un dettaglio che la mise notevolmente a disagio.
«Cosa vorreste dire?»
L’orientale le si avvicinò con una certa lentezza, porgendole il braccio. Miss Bahun rimase qualche istante ferma, lo sguardo poggiato sulla manica sotto cui era certa si nascondessero le abrasioni dell’ultimo scontro a cui l’uomo aveva preso parte. Dubitava fortemente che accettare quell’invito fosse la scelta migliore, dopotutto ancora non aveva inquadrato nessuno dei due vânător che le erano stati affiancati per quella missione: c’erano momenti in cui le sembravano degli incapaci, altri in cui il loro lato violento e pericoloso emergeva senza preavviso in lampi incontrollati. Più li osservava più nella mente le si andava a formare un'unica domanda: c’era da fidarsi di loro? Non ne aveva idea. Temeva che si potessero rivelare meno competenti di quanto quegli sporadici momenti le facevano credere - e affidare la propria vita a qualcuno che poteva metterla a repentaglio era certamente la decisione peggiore da prendere, lo sapeva fin troppo bene, per questo amava lavorare da sola.
Così, senza troppi complimenti, rifiutò l’invito: «Mi perdonerete, ma non sono donna che si appoggia a un uomo per percorrere la propria strada».
Suzu annuì, abbassando l’arto.
«E voi perdonerete me se mi permetto di dire che dalla figlia di Emil Bahun non ci si potrebbe aspettare diversamente».
Katarina fece finta di non trovare quell’affermazione fastidiosa, ma in cuor suo avrebbe preferito che il nome di suo padre smettesse di venir associato a lei per qualsiasi tipo di ragione - essere frutto del suo sperma non la rendeva in alcun modo simile a lui. Era e sarebbe sempre rimasta il risultato collaterale di un coito interrotto troppo tardi. O almeno, per quel che poteva ricordare, quella era stata la definizione che Emil stesso aveva deciso di utilizzare per descriverla.
Volgendosi, la donna prese a muovere i primi passi lungo la strada. Intorno a lei il caos sembrava essersi attenuato, ma non a sufficienza da permetterle di distinguere con nitidezza ogni cosa la circondasse.
«Ad ogni modo, per rispondere alla vostra domanda, il nostro incontro è stato pressoché inconcludente. Miss Palvin non ha saputo dirci nulla più di quello che Mister Gregory ha avuto l’onore di rivelarci».
«Quindi dal niente siamo passati al nulla, o sbaglio?» Ritmicamente, l’enorme valigia della cacciatrice rimbalzava sulle sue gambe, scandendo con piccoli tonfi la passeggiata.
Suzu sorrise, abbassando il capo. I lunghi capelli neri, avvolti in dreadlock alle volte colorati, alle volte ornati da perle esotiche, probabilmente in legno, permettevano solo a piccoli ciuffi di scappare dal groviglio per sfiorargli la fronte e addolcirgli i tratti, facendolo apparire un po’ più giovane di quel che in realtà doveva essere - e chissà se, come per i guanti e l’abito un po’ più morbido, anche quell’acconciatura era stata scelta per motivi professionali.
«Avete un modo d’esprimervi assai peculiare, Miss, ma non posso negare che sia un’osservazione corretta».
Una nota di piacere pizzicò l’orgoglio della donna, facendole sfuggire dalle labbra una sorta di risata sottile. Amava sentirsi dare la ragione. 
«E prima che vi esponga il mio piano, Whiteman, come pensate di agire ora?»
L’altro si umettò le labbra, ma la sua espressione non parve mutare in alcun modo. Era divertito, o forse infastidito da tanta saccenza, ma non per questo provò a ostacolarla - rispetto a Julius, silenzioso alle loro spalle, Suzu sembrava comprendere quando fosse tempo di tacere, concordare o ribattere.
«Vi sarebbe ancora un Exilati da incontrare, ma qualcosa mi dice che non sia di vostro interesse fargli visita».
«No, infatti» estraendo dalla tasca il proprio orologio in argento, Katarina valutò quanto tempo le fosse rimasto prima del tramonto: meno di una manciata d’ore - troppo poco per indagare ancora, e al limite della sufficienza per concedersi un riposo adeguato per affrontare la prima notte a Londinium. Doveva quindi scegliere, ma per farlo erano necessarie alcune informazioni. «L’obitorio è molto lontano?»
«Non credo sia un posto adatto a v-» con un’occhiata di tralice da sopra la spalla, Miss Bahun mise a tacere l’uomo dietro di lei. Julius parve davvero venir fulminato, tanto che le sue guance persero un po’ del colore e il suo viso cercò appiglio altrove, allontanandosi da lei. Seppur grande e grosso, non doveva essere abituato ad avere a che fare con donne del suo calibro, vanătôr in gonnella temprate dai freddi inverni est europei e da esercizi marziali privi di alcuna pietà per sesso ed età.
«Almeno mezz’ora di strada, mia cara» tossì dopo qualche secondo, continuando però a evitare il suo sguardo.

Trenta minuti non erano affatto irrilevanti, non in un simile contesto e con alle spalle solo sporadici pisolini su scomodissime panche di legno in una seconda classe eccessivamente affollata. A grandi linee, soppesò, per far visita ai cadaveri ritrovati sino a quel momento avrebbe dovuto rinunciare al riposo tanto anelato, alla doverosa cena e alla propria già lacunosa pazienza - per non parlare dell'alcol. La sua fiaschetta era ancora terribilmente vuota, i colleghi invece parevano tutto tranne che amanti delle bevute da bettola e lei, purtroppo, non aveva alcuna idea di come raggiungere un bancone e un oste disposto a servirla per poche monete a bicchiere - o boccale.
Insomma, se desiderava riprendersi dal viaggio sfiancante doveva fare un passo indietro e decidere quanto, quella gita tra salme vivisezionate e tanfo di decomposizione, fosse importante per la perlustrazione notturna.

Non a sufficienza, si rispose dopo qualche secondo. Dracul certamente non si sarebbe fatto trovare con facilità; non era né uno stolto né un uomo amante delle attenzioni altrui, quindi il massimo che avrebbero potuto incontrare durante la prima ronda sarebbe stato qualche neofita esaltato o creature di poco conto - tutti diavoli che Katarina era certa di poter contrastare, vista l'esperienza pregressa.

«Ebbene,» sospirò: «sappiamo quale tappa ci attenderà domani in tarda mattinata. Ora, di grazia, torniamo all'Istituto e organizziamoci per la notte. Ho bisogno di alcune informazioni e di sapere cosa aspettarmi con più precisione» e, schioccando la lingua, senza però essere certa di essere sulla strada giusta, Miss Bahun aumentò il passo. A dire il vero, non le importava affatto di far trapelare l'urgenza del sonno e, men che meno, desiderava passare altro tempo con quei due se non necessario.

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Capitolo 16
*** XI (1) ***





XI 1


Al suo ritorno all'Istituto delle Sorelle Velate, con un certo disappunto, Katarina non fu accolta dalla sublime visione della Madre Superiora, Sylvia Goldchild, ma piuttosto dalla medesima ragazzina che le aveva fatto d'accompagnatrice solo qualche ora prima. Per un solo istante, nel guardare l'esile figura nascosta sotto alla veste evidentemente troppo grande, la cacciatrice si era chiesta per quale ragione, alla fine, fosse tornata lì, ma poi, rimembrando la mera quantità di monete concessale dalla Santa Sede, aveva tirato un sospiro rassegnato e mosso i primi passi nel lungo corridoio che le si estendeva di fronte, fermandosi solo allo scoprire di non essere seguita.

Confusa, tornò quindi a osservare i due uomini con lei, fermi sulla soglia e con i cappelli ancora ben piazzati sulle teste.

Fu naturale per lei piegare il capo da un lato e domandare: «E dunque, avete bisogno di un invito? Siete forse stati morsi da qualche Exilati durante la mia breve assenza?» un angolo della bocca le si alzò in segno di scherno, ma parve la sola a cogliere l'ironia in quelle frasi.
Suzu, infatti, le concesse solo un sorriso sghembo, portandosi poi una mano al petto e compiendo una mezza riverenza: «Mi duole deludervi, Miss, ma non ci è più concesso mettere piede all'interno di questo sacrario. Vista la vostra arguzia non dubito possiate comprenderne la ragione» ma Katarina si ritrovò più confusa di prima.
Per qualche momento, forse a causa della stanchezza o della troppa sobrietà, la donna non riuscì a comprendere il senso di quell'atteggiamento. Osservandoli con attenzione, provò quindi a cercare sui loro visi un qualche indizio che potesse aiutarla a capire e, proprio lì, tra baffi, barbe e mascelle ben delineate trovò la risposta.
In quel luogo abitavano solo donne, serve fedeli di una Santa troppo mitizzata di cui dovevano prendere l'esempio, e il cui voto impediva loro di cogliere e bearsi dei piaceri più umani - peccato che loro stesse fossero tali e, per questa ragione, quell'attrezzo aggiuntivo che penzolava tra le gambe degli uomini poteva diventare per loro fonte di terribile curiosità e peccaminosa tentazione; e non tutti i vânător erano propensi al rispetto delle regole morali altrui, lei per prima - ma sfortunatamente, vista la mancanza di carne in eccesso tra le cosce, le suore parevano crederla innocua. 

Che pessimo scherzo del destino, pensò con un sospiro.

«Mi sovviene ricordarvi che avremmo dovuto discutere dell'incontro di stasera.»
Il sorriso di Suzu si fece più ampio, ma non meno ambiguo: «Non vi è nulla di cui discutere, Miss.»

Katarina si volse con tutto il busto, fronteggiando il collega a petto gonfio. «Davvero?» gli domandò poi, pronta a dargli battaglia come una vera cacciatrice con la preda. Non si sforzò nemmeno di nascondere lo scetticismo nella propria voce, tronfia come un pavone nel suo piccolo angolo di giardino.
La caccia ai demonok era per lei una sorta di luogo familiare, un rifugio malsano in cui sfogare ciò che l'alcol non riusciva a placare e, pertanto, non le piaceva venir esclusa da decisioni che avrebbero potuto rovinarle quel mero piacere - ancor meno quando si trovava in territorio estraneo e accompagnata da due soggetti che, come Lord Terry e Mister Whiteman, non era ancora riuscita a inquadrare del tutto. Non si fidava delle loro abilità e nemmeno della loro persona, indi per cui non gli avrebbe concesso di prendere il comando di quella missione - dopotutto, tra le bettole di Roma e i sorrisi delle belle fanciulle voleva ancora tornare. Intera, se possibile. 
Umettandosi le labbra mollò la presa sulla propria valigia, andando poi a incrociare le braccia al petto e sottolineando maggiormente il disappunto: «Perché sapete, io credo che parlare e confrontarsi siano due dettagli fondamentali per il nostro lavoro.» E per quel che aveva imparato negli anni, affidarsi senza esitazione ai piani altrui era la decisione peggiore che un vânător potesse prendere. Bisognava far affidamento solo su se stessi e le proprie capacità, in modo da evitarsi un arto mutilato o la frattura dell'osso del collo, ma assicurandosi anche un po' di divertimento.

A quel punto, inaspettatamente, Suzu mosse un passo in avanti oltrepassando l'ingresso che fino a pochi minuti prima era stato attento a non superare, poi ne fece un altro e un altro ancora, arrivando così a poche spanne da lei. Se possibile, il suo sguardo si fece ancora più sottile, divenne tagliente quanto una lama e, stranamente, la donna sentì crescere dentro uno strano interesse, una sorta di lieve, seppur febbrile, eccitazione. Percepiva la minaccia, l'avvertiva tutt'intorno a sé - e le piacque come la sensazione del contraccolpo di uno sparo, il cedimento della carne sotto al suo pugnale con l'anima in cipresso o il peso morto di un corpo esanime.

«Allora non posso frenarmi, Miss, dal domandarvi dove siate stata oggi.»

A quella richiesta, per poco, la vânător non sussultò. Il cuore perse un colpo, la sorpresa fu totale e, inevitabilmente, si chiese se l'avessero scoperta, ma soprattutto come. Si erano forse spinti a seguirla? Qualcuno l'aveva riconosciuta mentre sgattaiolava fuori dal bordello? Oppure quella stupida puttana alata, insieme al suo amichetto cornuto, aveva trovato il modo per sfidarla e metterla in difficoltà? Se così fosse stato, avrebbe certamente trovato un modo per ripagarla - eccome!

La mano di Suzu si alzò fino al colletto del suo cappotto, lì dove ancora, si rese conto poco prima che potesse toccarlo, non aveva riattaccato la spilla dell'Ordine, lasciando alla mercé degli occhi altrui i fori creati dall'ago e una prova contro le sue bugie.

Rahat! (Merda!) Si trovò a pensare mentre le dita di lui percorrevano l'orlo dell'indumento verde che aveva indosso, sottolineando con evidente compiacimento l'errore commesso.

«Sapete, io dubito di poter competere con voi. E non parlo del fatto che siate l'ultima erede di una tra le stirpi di vânător più longeve e stimate dell'Ordine, ma proprio della vostra persona. Siete spigliata, colta e intrigante sotto certi punti di vista, ma avete anche un'innata riluttanza nel dare confidenza e lo sguardo di chi, a questa guerra tra sacro e immondo, sta volontariamente dando la propria anima. Mi vien naturale paragonarvi a una belva, anche se ciò si discosta molto dal vostro aspetto esteriore, eppure... è esattamente ciò che siete. E mia madre, Miss Bahun, molti anni fa mi ha insegnato di dover stare attento a quelli della vostra specie, perché possono mordere la mano che li ha sfamati.»

I loro occhi rimasero gli uni negli altri durante tutto il discorso, ma solo sul finale, in quell'ultimo sussurro che parve echeggiare per i corridoi dell'Istituto, Katarina avvertì un brivido risalirle lungo le gambe, la schiena e minacciare le guance - ma nonostante la fastidiosa sensazione non si fece intimorire; così avanzò, riducendo la distanza tra sé e Suzu a meno di una spanna. Poteva avvertire il panno del proprio cappotto sfiorare il panciotto dell'uomo, il calore umano del suo corpo, gli occhi di Julius Terry e della povera novizia ancorarsi alle loro spalle, eppure rimase ferma.

Senza inibizioni o rispetto delle buone maniere, la donna si spinse in punta di piedi e tese il collo verso il viso dell'esorcista, incontrandone il respiro: «Curioso come vostra madre non vi abbia anche insegnato che mettere piede nel territorio della belva vi porti inesorabilmente incontro a spiacevoli conseguenze.» Un sorriso maligno le tese le labbra: «Se prima temevate un semplice morso, mio caro Suzu, ora dovreste preoccuparvi di non essere sbranato.» Soffiò poi, poggiando nuovamente i tacchi sul pavimento.

L'uomo rimase qualche istante in silenzio, quasi ammaliato. Sembrava non aspettarsi una simile risposta, ma ridestandosi, un po' come dopo una trance, ricambiò l'espressione di lei con altrettanta malizia. 
«Come ho detto, siete una persona interessante, Miss Katarina Arànka Bahun, ed io non vedo l'ora di vedervi all'opera e scoprire le trame che state tessendo qui a Londinium» a quel punto fece un paio di passi indietro. Tra di loro tornò spazio a sufficienza da permettere ai muscoli di rilassarsi appena, ma la cacciatrice rimase comunque all'erta - non le aveva giustappunto dimostrato di essere, almeno a parole, più temibile di quanto le aveva fatto credere per tutta la giornata? Ebbene, fin quando non lo avesse visto in azione avrebbe dovuto stare attenta, soprattutto viste le premesse. 

L'orientale si afferrò il cappello e lo alzò appena, chinando la testa. I dreadlock scivolarono accanto al viso, penzolandogli ai lati come stalattiti scure: «Ma con mio grande dispiacere non è questo il momento e, per ora, vi posso solo augurare un buon riposo fino al nostro incontro di stasera. Saremo qui fuori ad attendervi per lo scoccare delle otto.»

Nessuno aggiunse altro: la novizia forse troppo sconvolta da ciò che i suoi occhietti innocenti avevano visto, Lord Julius per mera comprensione della situazione - o muto compiacimento. Così Katarina osservò il collega muoversi a ritroso, raggiungere il compare e poi richiudersi il portone alle spalle, sparendo dalla sua vista.
Rimase immobile per qualche momento, osservando il legno perfettamente conservato, le cinghie e le serrature di metallo che dividevano il mondo dalle Sorelle Velate, poi tra i pensieri aggiunse: finalmente sola. O quasi, visto che né la tensione accumulata in quei pochi minuti, né la mocciosa al suo fianco vollero saperne di dissolversi con quei due  e, prima di rimettersi in cammino verso quella che sarebbe stata la propria stanza e l'agognato riposo, buttò la testa all'indietro concedendosi un profondo, sonoro, sospiro.

Sarà un lunga permanenza.


 

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Capitolo 17
*** XI (2) ***




XI(2)

Una permanenza che Katarina si ritrovò a odiare già qualche corridoio più in là e una ventina di minuti dopo, quando, libera dalla compagnia di qualsiasi essere vivente, si fece cadere sul più duro dei materassi. Per un attimo, osservando la cella che le Sorelle Velate avevano messo a sua disposizione, aveva sperato di poggiare il proprio deretano su un giaciglio quantomeno più accogliente del treno su cui aveva passato gli ultimi due giorni; invece, nell'istante in cui le sue speranze erano andate in frantumi, quasi si ritrovò a rimpiangere quella scomodissima panca. Non era importato in quale posizione si fosse messa, ogni volta si era ritrovata a imprecare a denti stretti e, nel passare per l'ennesima volta le dita sulla coperta in lana cotta, si domandò con quale coraggio, Lord Julius Terry e Mister Suzu Whiteman, l'avessero lasciata lì. Dubitava fortemente che quei due avrebbero sofferto le sue medesime pene; certamente le loro chiappe si stavano appoggiando su sontuosi letti a baldacchino o soffici poltrone di pelle - mentre a lei, che tanto era stata descritta come un ospite d'onore, toccava quel tugurio. Persino la bettola dove era solita alloggiare quando stava a Roma sembrava migliore di quella sottospecie di camera.

Le mura erano pallide, spoglie; la scrivania, guardandola bene, dubitava avrebbe sorretto un peso superiore a quello del suo taccuino e la cassapanca ai piedi del giaciglio era anch'essa abbastanza trascurata da dover essere ormai dimora di intere famiglie di tarme - e nel constatarlo, non poté impedirsi di ricordare gli anni trascorsi al monastero di Bistria, dove l'essenzialità era quasi la stessa. Seppur la sua stanza dell'epoca fosse più piccina ed estremamente più fredda, trasudava la medesima sensazione di soffocante prigionia - e se avesse potuto, avrebbe preferito dormire sul pavimento del corridoio lì fuori.
Odiava rivivere le stesse impressioni di allora, così come detestava l'idea che qualche ricordo del periodo potesse riaffiorarle nella mente. Sì, all'Ordine doveva tutto ciò che sapeva, nonché le sue abilità nella caccia, nell'omicidio e in tanti altri campi, ma ciò non toglieva che avrebbe preferito dimenticare completamente i dodici anni trascorsi lì. Erano stati i peggiori e, se avesse potuto, non avrebbe augurato a nessun vânător di nascere e crescere dove era nata e cresciuta lei.

Con un sospiro si tirò dritta, prendendosi il viso tra le mani. Doveva riposare, eppure le sembrava un'impresa pressoché impossibile. Più si guardava intorno, meno il sonno sembrava sul punto di assalirla - e allora, si disse, tanto valeva fare il punto della situazione.

Nello sfilarsi gli stivaletti con i piedi, si allungò verso la scrivania. Le dita si poggiarono sul legno logoro dando il via a una serie di scricchiolii tutt'altro che rassicuranti e, in uno slancio per evitare il crollo del mobiletto, afferrò il taccuino e se lo portò in grembo. Per qualche istante rimase in attesa del tonfo, certa di aver usato troppa violenza, ma appena comprese che nulla sarebbe accaduto tornò al proprio quadernino.
Katarina sfilò la stilografica d'argento, disfò il nodo che teneva chiusa la copertina rigonfia di fogli e foglietti che spuntavano dai bordi e aprì alla pagina dove aveva lasciato il segnalibro l'ultima volta. Accanto alla pagina vuota ve n'era una piena di scritte fitte, sbilenche, di sottolineature, cancellature e segni d'ogni tipo che riportavano in sintesi le informazioni preliminari del caso. Vi erano date, luoghi e dettagli mischiati in un ordine che ai più sarebbe apparso come caos, eppure lei riuscì a individuare senza fatica tutto ciò di cui aveva bisogno per riprendere il filo.

Mettendosi la penna in bocca ne tolse il cappuccio coi denti e senza badare a dove potesse finire lo sputò poco più in là tra le coperte. Al centro della pagina, svelta, scrisse "Exilati" e in ordine sparso aggiunse le informazioni che aveva acquisito quel giorno - ben poche rispetto a quelle che si sarebbe aspettata.
"Quattro. Nessuna guardia. Case nei quartieri benestanti." aggiunse una freccia: "Estrazione sociale delle vittime (?)" Senza indugio si spostò in un altro punto del foglio. "Hanno i denti" stavolta aspettò a mettere il punto, quasi sentisse di star dimenticando qualcosa - ma cosa, esattamente? Cerchiò quella nozione, poi mise un trattino: "Puzzo di morte" - altra freccia - "Mister Gregory", punto.
Gli occhi della donna corsero sulla pagina precedente, fissandosi su "Sânge Negru". Era quello il dettaglio più saliente, l'informazione su cui tutto si sarebbe dovuto concentrare; dopotutto nessuno aveva mai sentito parlare di una simile mutazione dell'emoglobina - e forse, pensò, avrebbe dovuto insistere maggiormente sul visitare l'obitorio prima del calar della sera. Avrebbe dovuto dar precedenza ai cadaveri, a osservare quel singolare aspetto della loro morte, ma una vocina le aveva ricordato che, a differenza dei vampiri, quelle salme non sarebbero potute andare da nessuna parte e che quindi poteva concedersi di farli attendere ancora un po' - i colpevoli, invece, sarebbero potuti sgattaiolare ovunque, soprattutto se come credeva si trattava dei vampiri. Senza guardie o restrizioni potevano compiere qualsiasi misfatto e passarla liscia; grazie al favore delle tenebre quei luridi succhiasangue potevano uccidere indisturbati, compiendo chissà quale atrocità - sì, ma c'era un altro dettaglio che in quel momento le tornò alla mente.

Nuovamente poggiò la punta della stilografica sulla pagina appena iniziata e, con più calma, quasi vi stesse riflettendo, aggiunse "Vârcolaci": lupi mannari. Ricordava abbastanza chiaramente il disprezzo con cui Lord Terry li aveva nominati, affermando che da qualche tempo per le strade di Londinium, con l'infittirsi della notte, si potevano udire i loro ululati, e la cosa le era apparsa assai strana, se ci rifletteva bene. I licantropi, insieme alle fate e al Piccolo Popolo, erano tra le creature che meno di tutte sopportavano la città. Le strade, il cemento, il traffico erano solo alcune delle cose che la loro natura rigettava - si trattava di bestie dopotutto, e come tali prediligevano gli spazi verdi e incontaminati. Erano infatti soliti prendere di mira piccoli villaggi, case appartate o sventurati in viaggio e, sì, poteva capitare che qualcuno di loro irrompesse in aree urbane così grandi, ma normalmente si trattava di individui, non di branchi interi - e, se non errava, sempre Julius aveva parlato del fatto che fossero tanti, violenti e che avessero attaccato molti dei loro colleghi, decimandoli. Chi le stava dicendo che non potessero essere loro i colpevoli di un simile crimine? Certo, essendo mostri, animali a dire il vero, erano soliti uccidere mordendo, graffiando, lacerando e dilaniando i corpi, ma per quel che sapeva anche i vampiri lasciavano tracce sulle loro vittime - eppure quelle ritrovate in quegli ultimi mesi sembravano intonse. Più o meno. Solo il sangue, gli umori e la vacuità degli occhi erano prove inconfutabili del fatto che la loro morte avesse dell'innaturale, del violento, dello spaventoso.

Forse gli studi sui fratelli Corvinus non erano stati così approfonditi da scoprire tutte le perverse sfaccettature della loro stirpe. O forse a mancarle vi era qualche tassello fondamentale - e scoprire quale fosse, pensò amaramente, dubitava sarebbe stata impresa facile.

A quel punto sbuffò, lasciando cadere la testa all'indietro. Chissà se almeno la puttana alata e la sua capra sarebbero state in grado di portarle qualche informazione degna di nota, indizi utili a delineare con maggior chiarezza ciò che stava succedendo a Londinium. Non era certa di potersi fidare di loro, a dire il vero assoldarli non era stato il suo obiettivo principale quando era corsa dietro a quella fata; l'idea le era venuta dopo, quando aveva scorto l'insegna del bordello e scoperto il fauno all'interno della sua stanza, si era accorta di poter sfruttare sia le conoscenze dell'una che le abilità dell'altro. Entrambi si muovevano sul confine sottile tra la vita degli umani e quella del Mundi Obumbratio - potevano riferirle tutte le dicerie che aleggiavano attorno alla questione, dirle da chi andare e chi evitare. Lui sarebbe potuto sgattaiolare ovunque, origliando conversazioni di ogni tipo e rubando cose che per un vânător sarebbe stato difficile, mentre lei avrebbe potuto persuadere le creature più lascive di entrambi i mondi - e a pensarci, nel silenzio assoluto della stanza, Katarina non negò di essere incuriosita da quel pensiero. 
Riusciva a figurarsi senza fatica il modo in cui lo sguardo di quella Zână, accattivante e malizioso, di quel viola slavato eppure intenso, avrebbe cercato quello della vittima creando un primo contatto; subito dopo avrebbe incurvato le labbra, tendendole in un sorriso più simile a un invito. Avrebbe scosso la chioma lasciando che il proprio profumo arrivasse dritto alle narici del malcapitato e a quel punto, quasi certamente, la sua malia lo avrebbe costretto a inseguirla. Esattamente come aveva fatto lei, l'ipotetica preda le sarebbe corsa dietro tra le stradine sempre più buie della città fino a raggiungerla e, appartati, la fata gli avrebbe poggiato le mani sul suo petto persuadendola nel migliore dei modi.
Oh sì, pensò Miss Bahun svicolando in avanti con il sedere. Poggiando la piega del collo sul bordo del letto chiuse nuovamente gli occhi, abbandonandosi a quell'immagine. Non dovette nemmeno sforzarsi per tornare con la mente nel vicolo di qualche ora prima e, nel farlo, le sembrò di poter percepire le mani di quella creatura su di sé. Le avvertiva addosso, poco sopra al seno, lì dove ora nessun cappotto si stava frapponendo - e volontariamente lasciò la presa sul taccuino e la penna.
Lentamente si passò la lingua sul labbro inferiore, cercando su di esso un sapore che sapeva non avrebbe trovato, ma poco le importò. Premette i denti nella carne e ripercorrendo le sensazioni del primo bacio sentì un brivido scenderle lungo il corpo, arrivando al ventre. Sorrise.

Una parte di lei sapeva che ciò che stava provando era sbagliato, che quell'interesse da parte di un esorcista nei confronti di una fata era davvero un oltraggio al codice dei vânător, eppure non trovò una scusa sufficientemente valida per smettere - stava solo fantasticando, dopotutto. E se non poteva avere né alcol né riposo, e ancor meno la compagnia di Sylvia Goldchild, cosa le impediva di distrarsi a quel modo?

Con le mani si sfiorò le cosce, scese piano sino alle ginocchia continuando a rivangare l'incontro del pomeriggio, poi con la stessa premura afferrò la gonna alzandola a sufficienza da sentire la pelle venir accarezzata dalla frescura della cella in cui si trovava. I polpastrelli passarono a filo dell'imbracatura che le cingeva la parte alta delle gambe, sorreggendo il pugnale da un lato e la pistola a ruota dall'altro. 
Più le immagini nella sua testa si facevano vivide, insieme alla consapevolezza di star infrangendo gran parte delle regole morali e di buon gusto da tenere in un luogo sacro, più le carezze diventavano prese, strette, graffi - e dove i ricordi carnali finivano, il brivido diventava più intenso. Non era solo l'idea della Zână premuta vigorosamente a sé, la sensazione della sua carne calda e soffice tra le mani a eccitarla a quel modo, era anche il dopo: il fremito di quella creatura a ridosso del suo busto, il respiro caldo, accelerato quanto il battito sincopato di quel cuore mostruoso. Era l'idea del suo sangue, della paura che aveva provato, della soggiogazione di cui era stata preda mentre lei le sfiorava l'orecchio senza smettere di minacciare la sua giugulare - per non parlare della testardaggine con cui aveva osato sfidarla nonostante l'agitazione.
Fece per slacciare il fiocco delle brache e spingersi nettamente oltre il confine della decenza, ma appena le dita afferrarono il cordino in cotone qualcuno bussò, mandando in fumo anche la sua ultima possibilità di rendere quella giornata meno catastrofica.

Fu una sorpresa. Katarina si ritrovò addirittura a dubitare di aver sentito bene, dopotutto la stanchezza poteva starle giocando qualche scherzo di pessimo gusto, pensò, eppure, dopo alcuni istanti di attesa, il secondo "toc-toc" le fece capire di essere ancora fin troppo lucida per sbagliare.
Dalle labbra le sfuggì un'imprecazione e amaramente dovette definitivamente fermare le mani. Un moto di irritazione le fece storcere le labbra e digrignare i denti prima di aprire gli occhi sul soffitto pallido che la riportò definitivamente alla realtà. 
Possibile che le fosse negato qualsiasi sfizio? Si domandò mordendo la lingua. Non aveva potuto bere, men che meno dormire, e in quel momento le stavano vietando persino un po' di piacere - era proprio vero che quella missione si stava rivelando la peggiore a cui avesse mai preso parte!

Stizzita si rimise a sedere, sistemò la gonna alla bene e meglio e a passo spedito si diresse poi verso la porta, pronta a difendere la propria intimità: «Arrivo, dumnezeule (santo cielo), arrivo!» Afferrò con vigore la maniglia tirandola a sé, eppure quando aprì tutte le buone intenzioni parvero morirle in gola.

Con stupore Katarina si trovò di fronte il viso angelico di Sylvia. 
Come richiamata dai desideri più peccaminosi della vânător, la superiora si era palesata alla sua porta sorridendole timidamente, con quell'espressione innocente capace di risvegliare in lei i peggiori dei pensieri e, se non fosse stato per un inspiegabile autocontrollo, vista l'attività appena interrotta, la cacciatrice non avrebbe esitato ad afferrarla e costringerla nella propria stanza. 
«Vi ho disturbata, Miss Bahun?»
Sì. Sì, dannazione!
«No, assolutamente» ricambiò il sorriso, trovandosi però a stringere la presa sul ferro gelido della maniglia: «C'è qualcosa che posso fare per voi, Madre Goldchild?»

La sua bellezza era innegabile, superava di gran lunga quella di moltissime altre donne, ma ad attrarre Katarina c'era altro e non certo quella divisa da monaca. Non avrebbe saputo dire se fosse il suo sguardo, la sagacia con cui aveva conversato con lei quella mattina oppure l'aspetto così simile alle raffigurazioni della Vergine, eppure c'era qualcosa di ammaliante in lei.

«A dire il vero, sono qui per voi.» Un fremito scosse la donna, ma fu breve: «So bene che i vânător lavorano prevalentemente durante le ore notturne, e certamente voi avrete bisogno di riposo visto ciò che vi attende e il lungo viaggio a cui avete fatto fronte, ma ho pensato anche che poteste aver fame. Non vi siete fermata un singolo minuto, o sbaglio?» Il sorriso di Sylvia si allargò: «Ho quindi supposto vi potesse far piacere cenare, prima di tornare in città.»
A quelle parole, ogni pensiero maligno si dissolse, lasciando in bocca a Katarina un retrogusto amaro. Avrebbe preferito udire altro, non lo negava, in fin dei conti essere interrotta per una sciocchezza di quel tipo era l'ultimo dei suoi desideri, ma non poté negare di apprezzare il pensiero.
La Madre Superiora si volse verso il fondo del corridoio, quasi stesse constatando qualcosa, poi tornò all'ospite: «Ho incaricato una delle novizie di portavi un pasto caldo. Immagino siate abituata a ben altre leccornie, ma spero comunque possiate gradire la nostra zuppa di cipolle, erbette e aglio» e Miss Bahun d'un tratto si ritrovò a trattenere una risata che non passò inosservata.

«Ho detto qualcosa di strano?» L'altra scosse la testa, sempre più divertita: «Affatto, Sylvia» la rincuorò prima di chinarsi in avanti e afferrarle una mano: «Grazie al vostro buon cuore stanotte non dovrò preoccuparmi di nulla» aggiunse prima di portarsela alle labbra e depositarvi un bacio. Quella zuppa sarebbe stata la sua salvezza sia dai vampiri sia dalle possibili conversazioni con Lord Terry e Mister Whiteman, pensò - e forse, alla fine, quell'interruzione non era stata poi così tragica come aveva creduto. Sì, aveva rinunciato a qualche fantasia, ma almeno la sua prima caccia a Londinium non si sarebbe condita di inutili chiacchiere.

 

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Capitolo 18
*** XII (I) ***





XII (I)

Se il giaciglio aveva ampiamente insoddisfatto le sue aspettative, Katarina non poté dire altrettanto della zuppa. All'inizio era apparsa scettica nell'afferrare il vassoio offertole dalla novizia, la stessa che l'aveva accolta quella mattina, ma dopo qualche minuto di contemplazione e un paio di cucchiaiate aveva finito con il divorare il pasto e desiderarne ancora un altro po' - peccato che le lancette del suo orologio da taschino non avessero smesso di avanzare, riducendo drasticamente il tempo a sua disposizione. Così aveva dovuto amaramente rinunciare a quella delizia per dedicarsi, piuttosto, ai preparativi; non che ci fosse molto da fare, a dire il vero. Se doveva essere sincera, non era affatto convinta che quella notte, con Lord Terry e Mister Whiteman al seguito, avrebbe fatto qualcosa di interessante. Tuttalpiù, pensò, la sua sarebbe stata una lunga e sfiancante passeggiata per le strade di Londinium, vista la compagnia, ma a prescindere da ciò, si sarebbe comunque preparata per ogni evenienza: in fin dei conti ancora non aveva escluso la possibilità di aggredire uno dei due colleghi - o entrambi.

Miss Bahun aveva quindi issato la propria valigia sul letto sentendolo cigolare sotto il suo peso, poi con il pollice e l'indice aveva fatto scattare le chiusure. C'era stato qualche tintinnio sospetto ad accompagnare quei gesti, ma nulla che sembrò preoccuparla - dopotutto conosceva il contenuto di quel bagaglio a menadito e, anche nel peggiore dei casi, sapeva che i danni collaterali sarebbero stati minimi. Così, con poca premura, alzò la parte superiore dell'involto permettendo alla struttura d'ottone ai lati delle due estremità di aprirsi a raggiera. Tanti piccoli spicchi intagliati si susseguirono come parti di un ventaglio, bloccandosi con un click poco dopo aver superato i novanta gradi. Si trattava di un meccanismo semplice, seppur estremamente curato e pratico, il cui scopo principale era quello d'impedire una possibile e involontaria richiusura della valigia - serviva a contrastare il peso di ciò che Katarina vi aveva nascosto dentro: fiale, arnesi, taccuini pieni di appunti e armi utili per qualsiasi esigenza. E stranamente, nel marasma di oggetti che la donna vi aveva ficcato dentro, vigeva un ordine quasi rigoroso - o per lo meno per lei. Ognuna delle cose presenti era ancorata al lato superiore del bagaglio attraverso un sistema di tasche e taschini sovrapposti l'un l'altro. Bastava staccare i bottoni ai lati del primo modulo per scoprire uno nuovo e poi un altro ancora.
Sotto, quasi a difesa, vi erano invece i suoi vestiti: due gonne, un pantalone che non indossava da anni, varie tipologie di calze e delle brache, qualche camicetta, dei guanti e infine un paio di bustini, tra cui proprio quello che stava cercando: una chicca che aveva commissionato anni prima e che, ancora quel giorno, riteneva il suo capo di maggior valore.


Ad una prima e rapida occhiata, comunque, a Katarina nulla sembrò essere fuori posto. Non c'erano lame disperse tra la stoffa né boccette di vetro andate in frantumi; ogni cosa pareva essere rimasta lì dove lei l'aveva lasciata - e non negò di esserne stupita. Dopo il viaggio, il trambusto della giornata e il rumore di poco prima si sarebbe aspettata almeno una fiala di polvere di belladonna rovesciata in mezzo ai vestiti o qualche pallottola a zonzo tra il resto dei suoi averi, eppure non ne trovò.


Così, annuendo con un certo compiacimento, si lasciò sfuggire un: «Meglio del previsto, non c'è che dire...» prima di portarsi le mani dietro alla schiena e sfilare il bottone dall'occhiello della gonna, facendola cadere con noncuranza ai propri piedi. La stoffa si raggomitolò sul pavimento della cella esponendo le gambe sottili della vânător, l'imbracatura in cuoio che saliva fino alla vita e le armi che ancora non aveva avuto modo di sfilarsi di dosso - da un lato la sua amata pistola a ruota, con sei pallottole d'argento puro a pesare nel caricatore, all'altro il pugnale con l'anima di cipresso ben fissato nel fodero - e poi, dopo qualche istante di gelo e autopersuasione, Miss Bahun si sfilò anche la parte superiore della mise. Sotto al cotone della camicia, un bustino liso fece la sua comparsa, rivelando la costrizione in cui il suo corpo era obbligato da ore e giorni, esattamente come prevedeva il buongusto della società. Il seno le era così compresso d'apparire persino più grande e tondo di quanto in realtà fosse e i fianchi, già di per sé prominenti, venivano accentuati attraverso una curva sinuosa, seppur evidentemente troppo rigida. E se per certi versi amava la visione del proprio corpo così imprigionato, nonostante non fosse mai stata una donna eccessivamente vanitosa, per altri odiava doversi sottoporre a simili supplizi per soddisfare i costumi di quell'epoca.

Ad ogni modo, dopo un respiro profondo, Katarina poggiò le mani sulla clessidra disegnata dal corsetto. Lo fece esitando appena, conscia di come il freddo le avrebbe minacciato la digestione e rovinato il ricordo di del suo primo pasto a Londinium, ma non per questo esitò - mancava poco al suo incontro con i due colleghi e, volente o nolente, doveva farsi trovare pronta. Afferrando le due estremità superiori dell'indumento, quindi, prese a sganciarne l'allacciatura frontale. Sentì con sollievo sempre maggiore la pelle staccarsi dalla stoffa lavorata e dalle stecche d'osso di balena, così come avvertì la pancia gonfia lasciarsi andare a quella breve libertà e, per un attimo, valutò l'idea di non sostituire quel tanto convenzionale strumento di tortura femminile con uno che, seppur nettamente più affascinante, era si sarebbe potuto definire meno inclemente. Nuovamente però, si ricordò che non farlo, soprattutto di notte e durante una ronda - e con il forte sospetto di poter fare a botte con qualcuno-, sarebbe potuto costarle la vita: così sospirò. Abbandonando il bustino ormai slacciato sul materasso accanto alla valigia, Miss Bahun riprese a fissarne il contenuto. Ogni cosa lì dentro la chiamava a sé, sirene tentatrici per tutti i fantasmi che si portava dentro e, in punta di dita, quasi stesse sfiorando qualcosa di incredibilmente fragile, quasi onirico, si mise ad accarezzare il cuoio ricucito in più punti che la fissava da dentro il bagaglio. Con i polpastrelli percorse quel materiale su e giù, ammirandolo con fin troppo trasporto e, di tanto in tanto, lasciandosi solleticare dal filo teso, si concesse il lusso di sibilare i nomi dei luoghi e delle creature che le avevano procurato quegli sfregi - morti evitate, c'era da sottolineare. Quel bustino, tra tutti i suoi averi, era l'oggetto che più preferiva, non poteva negarlo. Lo aveva ideato lei, dal primo dettaglio sino all'ultimo. Su uno dei suoi tanti taccuini aveva schizzato più volte i particolari, riportandovi affianco tutte le caratteristiche che desiderava avesse e, una volta raggiunta un'idea pressoché chiara e definitiva, lo aveva fatto confezionare da una delle sarte di Padre Costantino in cambio di... beh, qualcosa di certamente poco consono per le mura della Canonica.
Ciò che in particolare lo distingueva dagli altri corsetti in suo possesso era la parte interna, foderata con un sottile strato di maglia metallica che impediva a lame, frecce o artigli di conficcarsi nella carne e ferirla, se non addirittura ucciderla. Le ci erano voluti un paio d'anni per abbozzare un disegno che la soddisfacesse a sufficienza, e non negava di essersi più volte pentita di aver sprecato soldi nei suoi vizi piuttosto che in quel progetto, eppure alla fine, con una certa fatica e le giuste tecniche, aveva trovato qualcuno in grado di dar vita alla sua idea senza chiederle più di qualche moneta per i materiali - perché Roma era colma di sarti bravi, ma nessuno di loro si poteva certo dire a buon mercato, nemmeno quando il richiedente era un vânător. I prezzi nelle botteghe della capitale non scendevano più di qualche spiccio per i membri dell'Ordine e, se proprio doveva scegliere, Katarina preferiva spendere i suoi guadagni in alcol, armi e prostitute piuttosto che darli a quegli ingrati strozzini - quindi, seppur rendendosi conto di essere succube dei propri peccati, aveva finito con l'accumulare un ritardo di cui si era pentita, ma alla fine era comunque riuscita ad avere ciò che tanto aveva desiderato; insieme all'imbracatura, un extra per tutto ciò che di piacevolmente sconveniente gli occhi delle statue e degli affreschi della Canonica avevano dovuto vedere.

Miss Bahun si era creata il proprio guardaroba con minuzia, anno dopo anno perfezionandosi sempre più, e alla veneranda età di venticinque anni era riuscita a ottenere qualcosa di abbastanza apprezzabile - così, fiera di quella cognizione, afferrò il corsetto.
Lo allacciò con estrema facilità e, una volta tirati anche i lacci sulla schiena, avvertì nuovamente la voluttuosa quanto asfissiante costrizione delle stecche unirsi alla pressione della maglina. Il fastidio che provò venne presto scacciato della deliziosa consapevolezza di starsi preparando per una ronda, spesso e volentieri preludio della caccia, e quel pensiero le scatenò in lei un brivido.
C'era qualcosa di malato nelle reazioni del suo corpo e della sua psiche, lo sapeva bene; lo aveva scorto negli occhi di chi l'aveva vista all'opera, di chi aveva letto i rapporti e le testimonianze dei superstiti o aveva sentito qualche voce di corridoio, eppure Katarina aveva smesso da tempo di frenare quei pensieri e quelle sensazioni - la facevano sentire viva, motivata.

Uno alla volta, in un percorso a ritroso, tornò a indossare gli indumenti tolti poco prima, dalla camicetta agli stivaletti e, arrivata al cappotto, si premurò di fissare al proprio posto la spilla tolta durante l'inseguimento alla Fata; non era intenzionata a dare a Suzu Whiteman altri motivi per metterla con le spalle al muro e, inoltre, voleva che fosse ben chiaro ai membri del Mundi Obumbratio quale fosse il loro bersaglio. 



Yaga

Mi scuso per l'enorme attesa, la brevità dell'aggiornamento e l'enorme mole di dettagli e descrizioni di dubbia riuscita.
Sappiate che il tempo a mia disposizione al momento (per poter scrivere) è davvero limitato, ma ciò non mi ferma dal pensare a questa storia e ai capitoli che vi attendono!


 

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Capitolo 19
*** XII (II) ***





XII (II)

Sotto al portico e con lo sguardo ben vigile sui dintorni, Katarina provò a scorgere tra le prime ombre del crepuscolo e i vaghi accenni di nebbia - o vapore - la carrozza con cui quel giorno lei e i colleghi si erano mossi per la città. Più il tempo passava però, meno le sembrava di riuscire a intravedere per strada una qualche forma di vita. Non c'erano passanti, ancor meno cavalli o carrozze e, viste le premesse, si ritrovò anche a dubitare che la Divisione di Londinium avesse educato a dovere i suoi vânător per far loro rispettare persino un semplice appuntamento. Non a caso, oltre all'evidente ritardo dei suoi accompagnatori, altri dettagli la portarono a pensare le cose peggiori. Sì, a Bistria e in tutta la Transilvania la condotta dell'Ordine arrivava a sfiorare l'ossessione, a sfidare i limiti della sopportazione umana, ma lì invece pareva essere l'esatto opposto. Il caos dava l'idea di regnare sovrano e la disciplina di non essere di casa, eppure, per ciò che ne sapeva, fino a quel momento non erano sorte lamentele da parte né dei cittadini, dei membri dei Patti, nè degli ecclesiastici presenti. La Divisione di Londinium quindi non doveva essere pessima come le era parsa durante la sua prima giornata in città, ma allora perché si trovava in cotanta difficoltà? Quanti esorcisti erano rimasti tra i Domini di Britannia se la Santa Sede aveva addirittura scelto di mandare a chiamare proprio lei? Probabilmente pochi. Troppi pochi per riuscire a gestire il precario equilibrio in cui umani e monștri (mostri) sembravano vivere. Eppure, nella loro quasi nauseante goffaggine, sia Suzu sia Julius parevano nascondere l'indole giusta per quel lavoro. Nelle ore trascorse al loro fianco aveva scorto la luce febbrile che caratterizzava gli occhi di ogni vânător, rendendoli minacciosi al punto giusto; come avevano fatto, quindi, i loro colleghi a venir decimati? Ed era saggio da parte sua fare affidamento su quelle impressioni? Se si fossero rivelati degli inetti con la sola abilità di saper fingere bene? Di certo non poteva permettersi il lusso di scoprire la verità a proprie spese. Era già successo troppe volte e per quel che la riguardava non ci teneva a rompersi altre ossa per cercare di salvare la vita a esorcisti grandi e grossi come quei due.

Con uno sbuffo, Miss Bahun tirò fuori dal taschino il proprio orologio d'argento studiando la posizione delle lancette. Dodici minuti e mezzo di ritardo sulla tabella di marcia erano un vero scempio, così come far attendere una signora, anche se del suo genere, era un comportamento assai riprovevole per qualcuno che aveva la presunzione di fingersi un gentleman e, vista la riluttanza di Lord Terry nel prendere parte a quell'attività, le venne fin troppo facile pensare che potessero averle infine dato buca, in modo da dissuaderla dall'oltrepassare il perimetro dell'Istituto; ma se quello era il caso, si disse, dovevano proprio essere due stolti. Piuttosto che dargliela vinta e rinunciare alla propria ronda avrebbe corso il rischio di perdersi!
Rimettendo la cipolla nel cappotto Katarina si concesse un respiro profondo e, giusto dopo aver mosso i primi passi lungo il selciato, si fermò ancora, esitando appena. Non aveva idea di quale direzione seguire né si era presa la briga di trovare una mappa a cui far riferimento - a dire il vero, aveva dato per scontato che quei due sciagurati, per quanto refrattari, non avrebbero mai permesso a una donna di girovagare da sola per una città sconosciuta, di notte, e con chissà quali creature nascoste nell'ombra; ma a quanto le parve, quello era il primo errore che aveva commesso confidando in loro. Possibile che fossero tanto codardi?

«Naiba!(diamine!)» bofonchiò pestando i piedi e passandosi una mano sul viso. Quel viaggio era davvero iniziato nel modo sbagliato e ad ogni nuova decisione sembrava volerle dimostrare di poter ancora peggiorare: che fosse per errore finita vittima di una maledizione? Scosse la testa. Per quel che ne sapeva non aveva fatto torto ad alcuna strega di recente. Le uniche creature che si era limitata a maltrattare, se così si poteva dire, erano stati il fauno e la sua compare - ma purtroppo per lei, la sfortuna aveva iniziato a perseguitarla già a Roma, escludendo anche quei due dalla possibile lista dei sospettati.
Con un grugnito tornò a fissarsi intorno. Doveva mettersi in moto. Star ferma a lamentarsi di tutti gli aspetti negativi di quel viaggio non avrebbe certamente migliorato la situazione, così come non l'avrebbe condotta da nessuna parte, specialmente da Dracul - ma da che parte sarebbe stato meglio andare? Non lo sapeva.
Girò il capo. Seguendo quale strada avrebbe raggiunto il centro? E se avesse invece preferito la periferia? Non conosceva quella città a sufficienza per poter prendere una decisione sensata, eppure non poteva nemmeno permettersi il lusso di restare con le mani in mano.
Si morse le labbra.
Magari per qualche metro avrebbe potuto ripercorrere la via presa per raggiungere la dimora di Lord Gregory, ma poi? Chissà... Inoltre non aveva alcuna importanza quanta attenzione avesse prestato al tragitto percorso quel pomeriggio, se la nebbia si fosse alzata ogni riferimento sarebbe diventato privo di valore. Persino distrarsi qualche secondo per attraversare un incrocio avrebbe potuto condurla in chissà quale angolo di Londinium; e tornare all'Istituto a quel punto sarebbe stata una vera impresa. Dubbiosa si volse per osservare la lingua di bolognini che ricordava aver imboccato qualche ora prima.
Certo, non aveva una meta precisa, a dire il vero le ronde non avevano quasi mai lo scopo di condurla da qualche parte in particolare, ma per qualche strano motivo non seppe come muoversi. La sua non era paura, solo confusione - e sì, anche un lieve timore di non tornare in tempo per una sana e lunga dormita.

Un suono la fece sussultare.
Drizzandosi a ridosso del muretto intorno all'Istituto, dove era rimasta per tutto quel tempo, Katarina fece saettare lo sguardo tra i banchi di nebbia lieve alla ricerca di una sagoma, un baluginio. Quel tempaccio era tutto tranne che d'aiuto, inoltre non aveva alcuna idea di cosa potesse aspettarla, così con la mano sinistra corse alla propria coscia, lì dove una tasca finta le avrebbe permesso di raggiungere la pistola a ruota, estrarla, e minacciare qualsiasi tipo di malintenzionato stesse avanzando verso di lei - perchè, fino a prova contraria, Londinium pullulava di monștri (mostri) e lei doveva essere pronta a ricordargli quale fosse il loro posto: preferibilmente qualche metro sotto terra.
Il cuore prese a batterle con più forza, a scaricare l'adrenalina nel sangue, ma prima che potesse stringere le dita sul calcio qualcuno parlò.
«Miss Bahun, di grazia, siete voi?» A grandi falcate una figura emerse dalle ombre serali ergendosi ben sopra le lingue di nebbia e, forse per via della domanda sciocca, o della sua stazza, Julius comparve di fronte a lei in tutto il suo... impaccio, ecco.

Katarina sentì i muscoli distendersi all'unisono con il suo sospiro: «Per l'amor della Vergine, Lord Terry, chi mai dovrei essere?»
Questi sussultò: «Beh...» bofonchiò: «potevate essere chiunque.»
«Oh, davvero? Non pensavo che i cancelli dell'Istituto fossero un punto di ritrovo tanto in voga tra i cittadini di Londinium! Dovrò tenerlo a mente!» Portandosi le mani ai fianchi, la vânător cercò nuovamente di reprimere il desiderio di andargli incontro e percuoterlo. Julius aveva un dono per farle perdere le staffe.

Di tutta risposta, poco lontano, una risata si levò nella loro direzione rivelando così la presenza di un'altra persona. Suzu, stringendosi nella cappa scura e con molta più calma del compare, forse anche per via di quei venti centimetri in meno di stinco, si fece largo nella foschia: «Suvvia, Miss, non accanitevi con tanto fastidio sul povero Julius. La nebbia può trarre in inganno chiunque e, per quanto mi duole dirlo, dopo il tramonto su queste strade si può trovare qualsiasi tipo di donzella» e quando anche lui fu abbastanza vicino da essere illuminato dalla luce flebile di un lampione, Katarina notò sul suo viso qualcosa di strano, un rossore decisamente anomalo per una carnagione come la sua.
Incuriosita, fece qualche passo verso di lui che, colto alla sprovvista, retrocedette appena - dopotutto non tutte le donne avevano la sfacciataggine di farsi tanto vicine a qualcuno con cui avevano così poca confidenza. Nell'allontanarsi da lei però, Mister Whiteman sembrò incerto e, aguzzando la vista, la donna notò un altro dettaglio interessante sul suo volto: lo sguardo languido.

«Avete bevuto?!» Di certo, chiunque avrebbe sospettato che l'indignazione di Katarina fosse data dal fatto che fossero "in servizio", ma la realtà era ben meno virtuosa. Come avevano osato bere senza di lei e avere la sfacciataggine di nasconderlo così malamente?
Suzu tentennò: «Giusto un goccio di vino durante la cena, mia cara, nulla che possa ledere la nostra lucidità.»
«Oh, davvero?»
«Ve lo posso assicurare.»
Inarcando le sopracciglia, Miss Bahun piegò la testa da un lato. Avrebbe saputo riconoscere uno sbronzo in mezzo a un gruppo di bevitori incalliti e, di certo, con quell'espressione da ebete Mister Whiteman si sarebbe fatto notare anche dagli occhi di un tipo come il suo collega; quindi chi credeva di fregare, quel disgraziato?
Poggiandogli una mano sulla spalla, Katarina fece una lieve pressione: lo avrebbe fatto capitolare in modo tanto ridicolo da fargli passare la voglia di mentire! E, di primo acchito, il busto di Suzu sembrò davvero cedere a quella spinta, piegandosi all'indietro e quasi staccandosi dalle dita di lei, ma poi, con grande sorpresa, parve bloccarsi e irrigidirsi al pari di una statua. Non importò quando i polpastrelli della donna si premessero contro di lui, il Maestro delle Polveri da Sparo non perse l'equilibrio e, piuttosto, le afferrò il polso con la mano guantata - quella stessa mano che qualche ora prima le aveva sfiorato il bavero del cappotto. L'uomo strinse senza sostenersi. La brancò come a minacciarla di tirarla in terra con sé se mai fosse caduto, ma nulla di tutto ciò accadde, rimanendo piuttosto lì, sospesi in quella posa tanto scomoda e innaturale.

Katarina deglutì.

«Come vi ho detto, Miss, non abbiamo compromesso le nostre capacità» abbozzò un sorriso, ma nel suo sguardo vi era qualcosa di ben diverso dal divertimento: «ma vorrei che capiste che ci è servito un piccolo aiuto per accettare la vostra discutibile proposta di partecipare a una ronda notturna. Saremo anche degli inetti a confronto di un Bahun, ma non siamo tanto ignobili da lasciarvi sola.» Lentamente, Suzu assunse nuovamente una posizione composta, costringendo lei a fare altrettanto.
«Cos'è che vi spaventa tanto?» Non riusciva a capire. Più ci provava, più le sembrava impossibile che un vânător  temesse la notte. Erano nati per quello nel vero senso della parola. Venivano addestrati sin dall'infanzia per poter vivere sia alla luce del sole sia a quella della luna e portare termine quel genere di lavori - e per quanto le tecniche di insegnamento cambiassero da Divisione a Divisione, lo scopo e i bersagli erano i medesimi in qualsiasi Paese.

«E' semplice» Lord Terry picchiettò sulla mano del collega, facendogli mollare la presa su di lei: «temiamo ciò che non conosciamo.» Lo sguardo di Katarina si spostò su di lui. «Per quanto Londinium sia grande, non ci sono tutti i problemi che si possono trovare in Europa, dove questa... piaga è più dannosa. Siamo riusciti a trovare una sorta di stasi, un equilibrio tra tutti coloro che vivono qui.» Julius si lisciò i baffi: «Tra le acque del Tamigi non ci sono sirene e kelpie che attaccano i marinai, dalle finestre non entrano folletti a portare caos. Non ci sono fauni e goblin che rubano bambini dalle loro culle, e nemmeno fate che seducono e rubano anni di vita a poveri malcapitati» - anche se su quello, se non avesse significato rivelare del suo accordo con la Zână, la donna avrebbe avuto da ridere - «e fino a qualche tempo fa non c'erano nemmeno licantropi che con la luna piena scorrazzavano tra le strade. Men che meno morti inspiegabili. Avevamo tutto sotto controllo, i nostri unici problemi erano dati da vampiri neonati o pazzi, fantasmi e qualche demonio uscito da chissà dove, nulla più. Ora però è diverso, stiamo cadendo al pari di foglie secche e non siamo preparati all'inverno che ci attende. Londinium non è la vostra Roma, ancor meno la Transilvania in cui siete cresciuta. Qui il Mundi Obumbratio non sempre è sinonimo di morte.» Tra i cacciatori a quel punto cadde il silenzio. Sicuramente Julius dovette credere di aver risposto in modo esaustivo, di aver placato le polemiche della loro ospite, ma in realtà aveva aizzato in lei molti più dubbi. Katarina in quella pausa sentì l'irritazione crescere al pari delle domande, avvertì una risata nervosa tenderle le labbra, eppure non si lasciò sopraffare - e preferì cambiare discorso per non sprecare la serata in quello stesso punto. Dopotutto, lei stava ancora cercando di arrivare a Dracul, tutti quei quesiti potevano attendere.
«Beh, miei cari, come avete detto voi adesso non è più così, quindi vedete di farvene una ragione e smetterla di tenere il fondoschiena appoggiato sugli allori» disse prima di mordersi la lingua. «Se non volete che la vostra tanto amata città diventi come la mia Transilvania» quasi ringhiò nell'enfatizzare la sufficienza con cui Lord Terry aveva pronunciato quelle ultime frasi: «vedete di tener fede al vostro giuramento e difendere questo posto a costo della vostra stessa vita. Tutti abbiamo paura, anche i Bahun,» svelta lanciò un'occhiata a Suzu: «ma ciò non ci ferma dallo spingere pali di legno nel cranio o nel cuore di quei luridi succhiasangue. Men che meno evita al mio dito di premere il grilletto. Un vânător è tale perché si erge a difesa dei deboli, perché combatte i dannati e rinuncia a ogni cosa, anche se alla fine siamo solo omicida ben preparati.»
Ancora silenzio, questa volta più pesante. L'unica cosa che le orecchie di Katarina riuscirono a sentire fu il groppo di saliva che Julius spinse giù per la gola; poi, dopo qualche minuto, Suzu poggiò la propria mano sulla spalla dell'amico, quasi a rincuorarlo, a dirgli che potevano farcela, e con la medesima lucidità con cui era riuscito a scampare la caduta disse: «Come vi avevo già accennato oggi, Miss Bahun, sappiamo di aver bisogno d'aiuto, per questo siete qui. Dobbiamo onorare la Vrei (voglia) che portiamo addosso, ritornare a essere i cacciatori del giorno in cui ce la siamo guadagnata. Dateci giusto il tempo di toglierci di dosso la ruggine, così potremmo farvi ricredere.»

Stavolta le fu impossibile trattenere la smorfia stizzita: «La pazienza è la virtù dei morti, così come il tempo un loro lusso. E visto che noi non possiamo permetterci nulla di tutto ciò direi di metterci in marcia, non siete d'accordo? Abbiamo perso fin troppo tempo a causa della vostra bivaccata e questa futile conversazione.» E così dicendo, ignorando il fatto che fino a poco prima non avesse alcuna idea di quale strada imboccare, Katarina passò loro in mezzo. Passo dopo passo ripercorse quella che credeva essere la via da cui i colleghi erano arrivati e, a distanza di qualche falcata, sentì poi la voce di Julius apostrofarla: «L'essere scorbutica è una dote di famiglia o lo siete diventata col tempo?» e se non fosse stata tanto lontana e certa che un primo colpo l'avrebbe portata a una rissa in grande stile, nulla l'avrebbe fermata dal girarsi e piazzargli un pugno in pieno viso. Come diamine si permetteva?
 

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Capitolo 20
*** XII (III) ***




XII (III)

Un passo dopo l'altro, mantenendo un rigoroso silenzio, Katarina aveva seguito i colleghi tra i banchi di nebbia sempre più fitti. Le suole dei suoi stivaletti avevano cadenzato la loro passeggiata insieme ai pensieri che non avevano smesso per un solo istante di riempirle la mente, aizzandola sempre più alla violenza. Sarebbe stato così facile, dal punto in cui si trovava, sfilare dalla tasca del cappotto l'orologio da taschino, tendere la catenella d'argento, arrotolarla intorno ad una delle mani e poi stringerla al collo di Suzu. Un movimento lesto, un omicidio veloce e quasi indolore - semplice, avrebbe osato dire. L'effetto sorpresa avrebbe giocato un ruolo perfetto nonostante la presenza di Lord Terry, ancora evidentemente assuefatto dall'alcol, permettendole così di dare un avvertimento tutt'altro che innocuo, proprio come piaceva a lei. Oh, e quanto l'avrebbe soddisfatta agire a quel modo! E più ci pensava, più le dita parevano formicolare di bramosia. Come la sua mente, anche loro sembravano anelare la durezza della lega metallica, la resistenza del corpo che, avvolto nel mantello scuro, ancora ciondolava lungo il marciapiede di fronte a lei. Certo, la battutina di Mister Whiteman ad ogni modo non era stata nulla di eccessivamente irrispettoso o pungente, lo sapeva bene, ad essere onesti in un contesto differente non le avrebbe suscitato un fastidio come quello provato poco prima, ma purtroppo, doveva ammetterlo, l'essere tanto sobria e limitata negli spostamenti la rendeva terribilmente suscettibile, un po' come se fosse un animale in gabbia; così eccola lì, intenta da chissà quanti minuti a immaginarsi un modo per punirlo di tanta irriverenza. Aveva pensato a un'infinità di ripicche, c'era da dirlo, e dalle più innocue, come ad esempio uno sgambetto a tradimento, era presto passata a quel piano assassino - dopotutto poco le importava se la sua lista di vittime si fosse allungata, ciò di cui si doveva preoccupare e che non poteva affatto ignorare era, piuttosto, la punizione che la Santa Sede, al cospetto di un crimine del genere, le avrebbe riservato. Era stata mandata lì per aiutare i cacciatori di Londinium, non per sterminarli del tutto; e dubitava fortemente che il Vescovo Wassily si sarebbe preso la briga di redimerla da un simile peccato, anzi, avrebbe forse colto l'occasione per liberarsi in definitiva di lei. A quel pensiero, quindi, prendendo un grosso respiro Katarina si limitò a stringere i pugni, in modo da impedirsi d'agire d'istinto. Con uno sbuffo poi, volse il capo sul lato opposto della strada, provando a scorgere tra gli strati di foschia qualsiasi cosa che non fosse uno dei due uomini di fronte a lei. Gli steli dei lampioni si ergevano, a distanza regolare l'uno dall'altro, scuri quanto alberi secchi e più lo sguardo si innalzava verso l'alto, più si andavano definendo grazie alla mera luce di quelle che, persino dal marciapiede opposto, Miss Bahun si accorse non essere candele, ma qualcosa di estremamente similare. Allo stesso modo, dietro ad essi, si potevano ancora intravedere i salotti borghesi di qualche cittadino intento a trastullarsi, a intrattenersi con familiari e amici, o a lavorare. Osservando quei rettangoli luminosi oltre cui faticava a distinguere con precisione le linee dei soprammobili, i soggetti ritratti nei quadri appesi qua e là e i motivi delle carte da parati, Katarina non riuscì a trattenere quella che si sarebbe potuta definire una flebile risata. Fortunati loro che non dovevano sorbirsi l'umidità della sera e la compagnia di due... nuovamente portò, seppur schifata, lo sguardo sulle schiene di Suzu e Julius, intenti a chiacchierare: dement, le suggerì subito la mente - e inesorabilmente un altro sbuffo le sfuggì dalle labbra.
Per quale ragione aveva accettato quell'incarico? In fin dei conti non era il solo che le era stato proposto da Padre Costantino, solo quello per cui quel vecchiaccio aveva insistito di più. Oh, e per cui l'avrebbero pagata maggiormente, giusto, per non parlare poi del fatto che il suo sesto senso, sin dal momento in cui il prete le aveva accennato della questione, aveva iniziato a gridare a gran voce il nome di quel farabutto di Vlad III di Valacchia. Era per lui che aveva accettato. I soldi erano solo stati un incentivo.

Mordendosi il labbro, la vânător decise quindi di mettere da parte l'orgoglio e accelerare il passo, affiancando i colleghi.
«Supponendo che voi siate abbastanza lucidi da intrattenere una conversazione, miei cari, posso porvi una domanda?»
«Supponendo che voi siate abbastanza cheta da intrattenere una conversazione senza celarvi dietro alla vostra tracotanza, Miss, saremmo lieti di rispondervi» alzando un angolo della bocca, Mister Whiteman parve accennare un sorriso fin troppo divertito nella sua direzione, ma stavolta, al posto di adirarsi come in precedenza, Katarina si ritrovò sorprendentemente compiaciuta: allora un midollo spinale quei due lo avevano ancora, pensò leccandosi via dalle labbra la smorfia.
«A quanto pare l'alcol vi rende davvero più...» agitando una mano all'altezza del viso, la donna provò a trovare nella memoria la parola che in quel momento pareva proprio sfuggirle: «solerti, credo sia il termine» concluse alla fine, sentendosi la lingua arrotolata e restando incerta sul significato di ciò che aveva detto - e Lord Terry, forse meno lucido del compare, si trovò a soffocare una risata a cui stranamente lei non diede attenzione.

«Come vi abbiamo detto, Katarina, un po' di alcol aiuta ad affrontare le insidie della notte. E non solo.»
«Quindi non vi spaventa l'impertinenza della domanda che potrei porvi?»
La testa di Suzu ciondolò da un lato, quasi soppesando il pericolo a cui sarebbe potuto andare incontro; in fin dei conti la loro ospite non si era mai risparmiata alcuna cattiveria o battutina tagliente da quando era arrivata.

«Mi spaventa qualsiasi cosa possa uscirvi di bocca, se devo essere onesto, ma voglio illudermi che non siate, e perdonatemi l'ardire, solamente una spocchiosa presuntuosa.» E a quel commento, Katarina corrugò le sopracciglia, confusa: modo assai elegante per dire che era una stronza!
D'improvviso, intrufolandosi nella conversazione, Lord Terry le si fece vicino e chinandosi un poco per riuscire a farsi sentire meglio, quasi il suo vocione baritonale potesse sfuggire all'udito di qualcuno, disse: «Vedete, voi siete come una matrioska, cara Miss Bahun, avete presente? Fuori siete una bambola ben intagliata, quasi graziosa, oserei dire, ma dentro, oh, dentro nascondete la vostra natura di basilisco! Mai visto tanto veleno uscire dalle labbra di una donna!» E a quel commento entrambi i colleghi rallentarono il passo fino a fermarsi, sbattendo le ciglia e fissandolo con più curiosità, incapaci, in egual modo, di comprendere la sfacciataggine di quella sua uscita.
«Julius, amico mio... non credo che-» ma prima che Suzu potesse realmente concludere la frase, Katarina scoppiò in una fragorosa risata, spezzando l'imbarazzo.
«Oh, Whiteman!» biascicò colpendolo amichevolmente a una spalla: «Potete dire quello che volete, ma il vostro compare qui presente è stato infinitamente più creativo di voi nel darmi della carogna!» e sulle gote dell'uomo, che per un attimo avevano dato l'idea di tornare al proprio colore naturale, una nuova sfumatura di rosso prese il sopravvento.

«N-no, Miss, i-io non intendevo...»
«E cosa intendevate con "spocchiosa presuntuosa"?»
«Io...» ma il tentativo di difesa del Maestro delle Polveri da Sparo si tramutò presto in un'ammissione di colpa. Nascondendo l'imbarazzo con una mano, Whiteman sospirò vigorosamente: «... non volevo essere tanto diretto né così volgare, Katarina, ve lo posso assicurare» ma alla vânător poco sembrò importare. Scuotendo la testa e bagnandosi le labbra, la donna riprese a camminare nella direzione in cui fino a poco prima stavano avanzando i colleghi, quasi sapesse dove stessero andando: «Vi ricordo che solo qualche ora fa mi avete definita voi stesso una "belva", o avete rimosso? Inoltre mi domando se pensiate davvero che me ne importi qualcosa della vostra opinione riguardo alla mia persona..» parve domandare mentre univa le mani dietro alla schiena, compiendo falcate lente e teatrali: «Almeno adesso se al posto di vedervi correre in mio soccorso vi dovessi veder scappare a gambe levate saprò come giustificare le vostre azioni. Chi vorrebbe accollarsi un animale che potrebbe mordere la mano che lo ha sfamato?» e interrompendo i propri passi, da sopra la spalla, lanciò in direzione di entrambi gli uomini uno sguardo loquace. Di certo lei, per loro, non sarebbe tornata indietro. Rischiare la propria vita per due soggetti tanto sbagliati nei ruoli che ricoprivano le suonava strano quanto agitare la fiaschetta che teneva nella tasca interna del cappotto e sentirla vuota. A dire il vero però, quel suono fastidioso lo avrebbe udito anche se al posto di Suzu e Julius ci fosse stato un qualsiasi altro cacciatore.

Mister Whiteman schiuse appena le labbra, forse cercando sulla punta della propria lingua qualcosa da dire, ma prima che potesse trovarla un rumore catturò l'attenzione di Katarina, facendola girare. Il suo respiro si fece tanto lieve da diventare quasi impercettibile persino per lei e l'udito, al pari di quello di un predatore, si assottigliò: «Avete sentito?» Non si sarebbe potuto definire un boato, troppo lontano per decretarne l'intensità, ma non era nemmeno così leggero da passare inosservato, o quantomeno per le sue orecchie.

Julius mosse un passo nella sua direzione, poi un altro ancora fino ad affiancarla e, abbassandosi all'altezza della spalla di lei, chiese: «Cosa, esattamente?»
«Un tonfo, credo.»
Rimettendosi dritto, l'uomo tese il collo verso l'alto, guardandosi intorno con una certa curiosità. Pareva cercare qualcosa, ma scrutandolo con la coda dell'occhio Miss Bahun dubitò che fosse la stessa che stava interessando lei. La testa di lui infatti si girò prima da una parte e poi, con estrema cauzione, dall'altra, ma mai si andò a soffermare nella medesima direzione in cui lei era certa aver udito provenire il suono. Tra i banchi di nebbia i suoi occhi davano l'idea di cercare altro - cosa, però, Katarina non avrebbe saputo dirlo; di certo nulla che potesse interessarle.
«Plausibile, mia cara» sposandosi dietro le spalle di Katarina, Julius allungò un braccio accanto alla sua guancia destra, indicandole un punto in cui la foschia si faceva più densa: «Proseguendo lungo quella strada si può raggiungere il Westminster Bridge. Suppongo che il rumore che avete sentito sia stato prodotto da qualche ciurma intenta a scaricare le proprie merci.»
Scansandosi a sufficienza da riuscire a volgere il capo, la vânător corrugò le sopracciglia in una smorfia di evidente dubbio: «Ne siete certo?» E ancora una volta il Lord si chinò alla sua altezza, invitandola con un cenno a osservare il punto in cui il suo indice si stava tendendo: «Guardate.» E seppur non meno scettica, Miss Bahun lo fece. Ci mise qualche secondo per riuscire a individuare ciò che lui le stava mostrando; i suoi occhi dovettero focalizzarsi su un unico punto per poter fendere la nebbia e la penombra della sera, ma a quel punto, appena sotto al cornicione del palazzo sull'altro lato della strada, la donna scorse un dettaglio assai inusuale. Una linea longitudinale, di un azzurro talmente smunto da passare inosservato, percorreva con lo spessore di una spanna tutto il perimetro dell'edificio - e per un attimo, mentre Lord Terry spostava la propria mano per seguire quella striscia di colore, invitandola a non distogliere l'attenzione, parve un padre intento a mostrare alla propria bambina qualcosa di stupefacente. All'inizio Katarina parve non capire, ma poi, quando il dito di lui passò al palazzo successivo e quello dopo ancora, continuando a percorrere quella linea, si rese conto di non essere semplicemente di fronte a un capriccio estetico di qualche architetto.

«Basta seguire il percorso» venne poi sussurrato alle sue spalle: «Tutta Londinium è mappata.»
Oh. Quella sì che era un'informazione allettante.
«Come avete potuto constatare stanotte, qui le condizioni atmosferiche sono spesso un problema,» Julius si ritrasse: «quindi serviva una soluzione pratica per evitare che i cittadini si potessero perdere. Ciò non significa che non accada, anzi, ma aiuta molti. La nebbia è pesante, quindi è più fitta verso il basso, per questo si è optato per i cornicioni.»
«E come... come fate a orientarvi? Come... funziona

Infilando le mani in tasca, Lord Terry scrollò le spalle: «Con i colori. Più ci si avvicina al Tamigi, più le tonalità virano verso l'azzurro. Più ci si allontana, più sfumano nel giallo, fino ad arrivare all'ocra. Potremmo quasi dire che la città è stata... stratificata.»
Il viso di Katarina si illuminò. Ingenios (geniale), si disse allargando il sorriso, perfect (perfetto), aggiunse dopo. Quella trovata era davvero la soluzione ai suoi problemi: adesso avrebbe potuto sgattaiolare fuori dall'Istituto e agire anche da sola, liberandosi finalmente di quei due guastafeste.

 

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Capitolo 21
*** XIII ***




XIII


 

Un grugnito, seguito da una sensazione fastidiosa. Un calore inusuale a pizzicare il viso e contrariare le pupille oltre le palpebre chiuse. Un altro grugnito. Katarina provò a voltarsi e rivoltarsi in ogni modo sotto la coperta di lana cotta, in modo da costringere Morfeo a non abbandonarla, ma nessuno dei suoi sforzi parve alleviare il sentore spiacevole; nemmeno infilare la testa sotto a quella sottospecie di cuscino le permise di ignorare il fatto che il sole fosse sorto e il giorno, come poche volte prima, la stesse reclamando - così, soffocando un grido nella ben misera morbidezza del materasso, Miss Bahun si rimise supina. Con il respiro grosso e gli occhi rivolti al soffitto, in cerca forse di qualche visione mistica, la vânător provò a capire per quale, stupido motivo, fosse già sveglia. Sì, la ronda della sera prima non si era poi prolungata per chissà quante ore, e men che meno qualche creatura maligna aveva dato loro filo da torcere, ma tra il disastroso viaggio in treno, la corsa dietro alla Fata e la consequenziale scarica di adrenalina, per non parlare della scomodità di quel materasso, avrebbe gradito qualche ora in più di riposo. Se lo meritava, in fondo. Eppure qualcuno, una forza superiore a cui avrebbe preferito non dover dare alcuna identità, sembrava essere tutto fuorché d'accordo con lei.

Intontita dagli ultimi rimasugli di sonno rimastale addosso, Katarina diede un colpo di reni e, in un lasso di tempo che le apparve incredibilmente breve, si ritrovò seduta: le punte dei piedi a toccare il pavimento gelido e la vestaglia a ricaderle malamente da un lato del corpo, lasciando fin troppa pelle alla mercé dell'umidità di quel tugurio che era la sua stanza. Il freddo del mattino - nemmeno si pose il problema se fosse primo o tardo - le riempì cosce, busto e braccia di una lieve pelle d'oca, facendola prontamente pentire di essersi tolta di dosso le coperte con tanta premura.

«Rahat! (merda!)» le sfuggì di bocca prima ancora che se ne potesse rendere conto. Nemmeno nelle peggiori bettole di Roma, in pieno inverno, aveva mai patito un simile gelo - come fosse possibile che in un edificio tanto imponente e curato dovesse ritrovarsi in una simile situazione le fu inconcepibile.

Piegò il collo da una parte, poi dall'altra, e subito dopo lo scrocchio delle ossa, rivolta con la testa verso la porta, un suono insolito e inaspettato catturò la sua totale attenzione. Persino il freddo e i muscoli intorpiditi passarono in secondo piano. Protendendo il busto quanto più le fosse possibile, senza però alzarsi del tutto, Miss Bahun si mise in ascolto. In lontananza un mormorio concitato si mise a stuzzicare la sua curiosità: sembrava una litania, eppure non avrebbe saputo dire con certezza quale preghiera fosse e quante voci la stessero recitando. Così, ignorando il fatto d'essere ben lontana dal presentabile, Katarina si issò dal letto e, stirando un muscolo dopo l'altro, si avvicinò alla maniglia, abbassandola e tirandola a sé. Circospetta si mise a spiare dal ritaglio di spazio tra la porta e lo stipite e, non trovando anima viva nel corridoio, scivolò fuori dalla stanza. I piedi si mossero svelti sul pavimento, carezzando silenziosi il mosaico di fiori e spine che il giorno prima l'aveva condotta alla serra in cui si trovava la Madre Superiora: sembrava formare un percorso, una sorta di flusso continuo che conduceva proprio dove, consciamente o meno, Miss Bahun voleva andare - e senza rendersene conto, ancora una volta, lo seguì. Un passo dopo l'altro, aguzzando l'udito, Katarina avanzò lungo l'ambulacro quasi in balìa del canto che l'aveva spinta fuori dalla propria cella. E più si avvicinava all'origine della litania, e quindi le parole si scandivano, più la sua curiosità si faceva vorace: non aveva mai udito nulla di simile, eppure, rispetto a moltissimi altri inni o preghiere, quella risultava essere... invitante. Acquattandosi alla parete, quasi provando a rifuggere i raggi che dal cavedio e qualche piccola finestra si insinuavano nell'edificio, esattamente come uno di quei vampiri che tanto odiava, Miss Bahun si fece sempre più vicina a una porta che, il giorno prima, nemmeno si era accorta esistere. Rispetto alle soglie delle celle, quella pareva essere qualche spanna più larga e alta, mentre il legno, segnato in più punti, riportava curiose incisioni.

Le dita della vânător si mossero prima ancora che lei potesse realmente realizzare le proprie azioni e, in punta di polpastrello, percorsero con una sorta di deferenza le linee frastagliate di quello che aveva tutto l'aspetto di essere agrifoglio - e un sorriso appena abbozzato le si appollaiò sul viso.
Apărare (difesa), le suggerì la mente, precauție (precauzione) le sfuggì poi di bocca in un sussurro talmente lieve da essere quasi impercettibile, seguito poi da un eternitate (eternità) altrettanto silenzioso. Una scelta perfetta per decorare un luogo come quello, soprattutto vista la fede cieca del Clero nei confronti del Dio di Luce e della sua Sposa; non a caso, spostando appena lo sguardo, Katarina scorse sull'anta quelli che le parvero essere myosotis, o più comunemente "non ti scordar di me", aechmee e... d'improvviso corrugò le sopracciglia, ritraendo le dita. Anemoni.
Per un attimo pensò d'essersi confusa, eppure più guardava più era certa di non sbagliarsi: ma perché mai inserire un fiore simile? Che significato poteva assumere la nostalgie (nostalgia) in quel contesto?

Nuovamente portò la propria attenzione alla nenia oltre la porta, tendendo l'orecchio. Anche quel canto, a dispetto di quelli che conosceva, possedeva una sfumatura amara, lontana, quasi dolorosa: che fossero in qualche modo collegati? Che significato avevano? E possibile che a Londinium esistessero inni così diversi da quelli della sua terra o di Roma?

Con rinnovata curiosità il palmo della donna si poggiò sul legno e, lentamente, Miss Bahun spinse fino a sentire i cardini ruotare su se stessi, creando uno spiraglio da cui le fu possibile spiare l'interno di quello che suppose essere il refettorio. Il timore di essere udita si dissolse alla stessa velocità di un battito di ciglia: visto il brusio concitato, quella sorta di litania costante che le voci delle Sorelle Velate stavano producendo, dubitava fortemente che si sarebbero accorte di lei. Così si premette col viso sullo stipite e, sorprendentemente, ciò che i suoi occhi incontrarono una volta schiusa l'anta fu una penombra densa a cui non si abituarono subito, soprattutto vista la luce che riempiva il corridoio alle sue spalle e che, purtroppo, disegnò sul pavimento uno squarcio luminoso che la fece imprecare a bassa voce. Se il cigolio poteva essere passato inosservato, quella striscia di luce difficilmente avrebbe ottenuto la medesima grazia. Nemmeno le candele consumate, le cui fiammelle avevano sciolto la cera che era poi colata lungo i doppieri in ferro, e che si intervallavano alle ombre della stanza in modo disordinato, potevano eguagliare la possanza del sole, ostacolando così l'intento della vânător di passare inosservata - doveva quindi scegliere in fretta cosa fare: se sgattaiolare dentro, al pari di una ladra, o tornare mestamente nella propria camera, fingendo di non essere mai stata lì. E quale fosse la decisione più saggia, Katarina lo sapeva bene, eppure il suo istinto predatore e quella curiosità che nel tempo era diventata un suo tratto peculiare la spinsero comunque a muovere l'ennesimo passo in avanti, scegliendo di comportarsi nel modo scorretto. Sarebbe entrata, acquattandosi contro la porta e diventando ombra; si sarebbe mossa lesta lungo il perimetro di quel refettorio e avrebbe spiato novizie e religiose più attempate mentre prendevano parte a quella preghiera; perché, nonostante gli anni di servizio, le era capitato raramente di entrare in contatto con un Ordine come quello delle Sorelle Velate, ancor meno, se non mai, aveva avuto modo di esser loro così vicina da conoscerne abitudini e riti. Miss Bahun avrebbe quasi potuto dire di esserne, in quel momento, più affascinata che incuriosita, di provare per quella possibile scoperta una sorta di attrazione.
Le dita scivolarono lungo il legno laccato, il palmo vi si staccò, posizionò i piedi per poi ruotare il corpo in modo da passare attraverso il misero spazio creatosi quando, senza preavviso, una voce la fece sobbalzare.
«Che sollievo trovarvi sveglia!»
Katarina si morse la lingua e senza dovervi riflettere molto trasformò il movimento di poco prima in uno totalmente diverso, girandosi verso l'interlocutrice e richiudendosi la porta alle spalle: «Bramavate la mia compagnia...» ma solo in quell'istante realizzò effettivamente di chi si trattasse, tendendo in un ghigno le proprie labbra: «madre Goldchild?» E presa altrettanto alla sprovvista, la donna parve arrossire.
«Bramare?» ripeté corrugando le sopracciglia, quasi stesse soppesando quel termine: «Non credo sia un'emozione a me appropriata, Miss, ma di certo mi stavo crucciando sul disturbare o meno il vostro riposo. Vi ho vista rientrare presto stamane e so che solitamente i vânător scambiano il giorno con la notte.»
Sapientemente Katarina si scostò dall'anta a cui era rimasta attaccata sino a quel momento, cercando di far passare la sua presenza lì come qualcosa di poco conto: «Credo che il vostro concetto di "presto" non sia il mio, anche se in effetti sì, sono rientrata prima del mio consueto. Purtroppo la notte non è stata proficua, ma sapete, quando la vescica chiama...» sapeva bene che con quel commento non avrebbe fatto buona impressione sulla Superiora, ma di certo l'avrebbe aiutata a dissipare i sospetti che poteva aver generato in lei.
«Oh! Stavate quindi cercando il gabinetto?» Le lunghe ciglia di Sylvia sbatterono più volte, mentre con lo sguardo vagò nei dintorni, pensierosa: «La novizia che vi ha mostrato la vostra stanza, quella che vi ha anche accolta al vostro arrivo, non vi ha indicato dove si trovassero i bagni?»
E anche se Katarina ricordava bene che nel misero scambio di parole con quella povera ragazzetta le era stato detto dove trovare tutto ciò che le sarebbe stato utile, scosse la testa: «Deve esserle sfuggito. L'ho vista particolarmente agitata dalla mia presenza.»
«In effetti è raro avere ospiti come voi.»
Miss Bahun si ravvivò una ciocca sfuggita alla treccia sfatta: «Nonostante non sia cosa insolita, le vânător sono comunque meno comuni dei loro colleghi con le brache. E' normale fosse intimorita.»
Con un gesto della mano la madre Superiora sembrò indicarle la via e, all'unisono con lei, si mise a camminare nella medesima direzione lungo il corridoio.
Spalla a spalla per la prima volta, Katarina si accorse come, a onta del fatto che fosse scalza, superava Sylvia di qualche centimetro; non molti, giusto a sufficienza per farla sembrare ancor più delicata e indifesa, nonché perfetta per essere premuta al muro in situazioni di natura ben meno innocente di quella in cui si trovavano - e a quel pensiero si dovette nuovamente mordere la lingua. Che fosse il fascino della divisa, o quello del proibito, poco importava: Sorella Goldchild aveva su di lei un influsso tutt'altro che casto e retto.

«Non credo sia per quel motivo, sapete?» Ancora una volta la voce della suora la colse alla sprovvista, facendola sussultare. «Suppongo piuttosto che sia semplicemente la vostra persona» e, per la prima volta dopo il loro incontro nella serra, il giorno prima, i loro sguardi si incrociarono e sorressero con un'intensità che fece fremere le viscere di Katarina. Sarebbe stato così sbagliato, inopportuno e avventato afferrare i polsi di quella donna e tirarla a sé? Sarebbe stato sconveniente premere la propria bocca su quella di lei come aveva fatto con la Fata nei vicoli bui di Londinium solo un paio di manciate d'ore prima? Se lo chiese premendo i denti nella carne delle labbra, quelle stesse labbra che avrebbero voluto conoscere il sapore di Sylvia, un frutto succulento e proibito che dal Giardino della Vergine sembrava invitarla a commettere l'ennesimo peccato. Miss Bahun aveva fame. Un desiderio atavico di così tante cose che in quel preciso momento si sentì sul punto di cedere. Voleva calore, carne in cui affondare, sangue d'ascoltare scorrere; bramava corpi, pensieri vuoti, respiri affannosi e cuori al limite dell'esplosione. D'improvviso la sua curiosità aveva smesso di spiare oltre la porta ornata, si era lanciata come una faina lungo il corridoio seguendo il profumo della Madre Superiora e di fronte a lei si era fermata, beandosi della vista di quella preda.
«E a cosa si deve una simile supposizione?» Senza distogliere lo sguardo, la vânător piegò appena la testa da un lato, facendo scivolare accanto al viso una ciocca vinaccia che, invece, fece distrarre l'altra donna tanto da fermare la loro avanzata. Le labbra carnose di Sylvia si schiusero leggermente, come se qualcuno avesse infilato un dito in mezzo alla sua pelle e fosse penetrato fino al nocciolo di quel frutto. Con i suoi occhi cristallini parve seguire i capelli dalla lunghezza alle punte, soffermandosi su ogni sfumatura della tinta: «Non siete come gli altri vânător, Miss Bahun. C'è qualcosa di diverso in voi, qualcosa che vi rende più pericolosa, ma al contempo speciale... credo sia normale sentirsi confusi accanto a voi.» Le sfuggì in un tono lento e sensuale che, piuttosto che incantare maggiormente Katarina, la fece irrigidire, spingendola a sfiorarsi il braccio sinistro in un gesto istintivo, come se stesse proteggendo una vecchia ferita mai guarita.
A cosa si stava riferendo? Che in qualche modo sapesse... «Oh, giusto!» Madre Goldchild sussultò, cambiando completamente tono ed espressione: «Siamo arrivate» annunciò volgendo il capo: «Il gabinetto. Vogliate scusarne la modestia, ma purtroppo i bagni sono solo a nostro uso. Gli studenti non hanno accesso ad altre aree dell'Istituto se non quelle dedicate all'istruzione, quindi non ci è mai sembrato necessario apportare migliorie.»
Miss Bahun rimase zitta, quasi non avesse idea di che dire - in realtà, però, avrebbe voluto chiedere a Sylvia più spiegazioni, avrebbe voluto conoscere le origini di quei pensieri. Chi avrebbe potuto rivelare i suoi segreti? E a che scopo confessarli a una donna come lei?

La religiosa mosse un passo: «Vi lascio alle vostre cose, Miss. Avrete certamente bisogno di ottimizzare i tempi e tornare al vostro ripos-» ma Katarina le afferrò il braccio prima ch'ella potesse allontanarsi abbastanza, bloccandola e facendola impallidire. Nemmeno si rese conto di quel placcaggio, il suo corpo agì prima che potesse realmente pensarci - e subito se ne pentì, mollandola. Di certo doveva averla colta alla sprovvista, spaventandola.
«I-io... scusatemi. Non so cosa mi sia preso. Vi ringrazio per avermi accompagnata e...» doveva dire qualunque cosa che potesse giustificarla, così deglutì: «volevo anche informarvi che uscirò tra qualche ora per delle indagini. Vorrei che fossero avvertiti Mister Whiteman e Lord Terry, se non vi è di troppo disturbo» concluse, riportando la mano al proprio fianco.

Che le era preso?

Sylvia sbatté le lunghe ciglia, cercando in tutti i modi di evitare il viso di Katarina: «C-certamente, lasciate che me ne occupi io» e così dicendo prese a camminare svelta, sparendo presto tra i corridoi dell'edificio prima che il pugno della vânător si potesse picchiare contro il muro.

Come aveva potuto essere così maldestra? Si chiese, ma soprattutto, c'era davvero qualcosa di cui preoccuparsi nelle parole di quella suora? 

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Capitolo 22
*** XIV (1) ***





XIV
parte I

Fuori dal finestrino della carrozza a vapore le linee colorate che Julius le aveva mostrato si susseguivano come proiettili sparati di seguito, eppure Katarina non riusciva a dar loro il giusto peso. Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto prestare attenzione a tutti quei dettagli, alle piccolezze, ai luoghi, alle informazioni seppur sciocche che i suoi accompagnatori si stavano scambiando, ma non ci riusciva. Non in quel momento. Non dopo quello che era accaduto prima.

Ce a vrut sa spuna? (cosa intendeva?) si chiese ancora, per l'ennesima volta - e per l'ennesima volta strinse le dita della mano sinistra sulla gonna in flanella. Fece tanta pressione da avvertire i tendini irrigidirsi, i muscoli contrarsi su lungo il polso, l'avambraccio e, infine, il braccio. Immaginò la Voglia della Vergine muoversi come se uno spasmo l'avesse scossa, poi digrignò i denti.
Per quale ragione Madre Goldchild aveva usato quel singolare gioco di parole? Possibile che le fosse giunta voce-

«Qualcosa vi turba?»
Miss Bahun spostò solo lo sguardo, il viso non sembrò in alcun modo volersi staccare dal palmo su cui era poggiato.
«Cosa ve lo fa supporre?» Suzu scrollò appena le spalle, distogliendo gli occhi dalla donna. La bocca gli si tese leggermente, creando due grinze ai lati: «Siete qui da due giorni e non vi siete fatta scappare nemmeno un'occasione per lanciare frecciatine saccenti nei nostri confronti, eppure stamane siete stranamente silenziosa.»
«Beh, a quanto pare non avete familiarità con i ragionamenti, Mister Whiteman, altrimenti sapreste che i pensieri sono silenziosi e occupano spazio.»
Lui rise. Le labbra si separarono appena mostrando i denti e poi volse il viso altrove. Con una mano afferrò la tesa della bombetta e la tirò verso il basso, come a voler nascondere la propria ilarità - e, nel farlo, la manica si ritirò tanto da mostrare le bendature che dal palmo salivano chissà fino a che punto. Come se le era procurate, per Katarina restava ancora un curioso interrogativo.
«Mi chiedevo solo se non fosse meglio rimandare la visita all'obitorio vista la vostra concentrazione, magari avreste preferito riposare.»
La donna tornò a fissare fuori dal finestrino: «Il vostro senso del dovere non mi delude mai, sapete? Ad ogni modo non sprecate preoccupazioni inutili per me, Whiteman, riposerò quando tornerò a Roma.»

Julius mosse il proprio bastone, facendogli fare una sorta di movimento circolare: «Potrebbero volerci settimane, Miss, e il riposo è fondamentale per gente come noi.»
«Prego?» Una sensazione fastidiosa colse Katarina, facendole scomporre la posa. A quel punto Lord Terry fece un gesto teatrale, una sorta di fronzolo con la mano guantata di bianco - un colore riprovevole per gente come loro.
«C'è bisogno di riposo per combattere i Figli della Notte, concentrazione e prestanza che la stanchezza potrebbe compromettere.»
Le venne da ridere. O da vomitare. Nemmeno lei aveva ben chiaro come fosse più opportuno reagire a un simile commento. Certo, il riposo avrebbe fatto bene, tanto alcol in corpo avrebbe fatto meglio però; sarebbe stato capace d'anestetizzare il dolore e annebbiare la paura, l'ansia, i pensieri peggiori - ma c'era una cosa che avrebbe giovato più di tutte le altre, ed era la stessa che la differenziava da quei due, a suo avviso: il disgusto, che spesso prendeva la forma di rabbia, vendetta o di insaziabile desiderio di violenza. Tutto ciò avrebbe potuto sanare la mancanza di sonno per giorni, ma probabilmente vânător come loro non potevano saperlo. Chissà se nella loro carriera dopo i voti avevano mai messo piede fuori da quella sorta di caotica città; se avevano mai provato il sapore crudo della violenza, della stanchezza o solo del proprio sangue. Chissà se nelle loro braccia era rimasto esanime il corpo di qualcun altro o se, semplicemente, avevano svolto un ruolo diverso da quello di meri perlustratori, guardiani dell'ordine cittadino.

«E ve ne siete presi molto, ultimamente, per quel che mi pare di capire.»
La smorfia di Julius assunse una sfumatura stanca, nostalgica. I suoi occhi si posarono sul manico argento del bastone da passeggio che si portava appresso da due giorni. Le dita vi si strinsero sopra, lambendo minacciose quella che sembrava essere la testa di un cervo. Era la prima volta che Katarina si soffermava su quel dettaglio, fino a quel momento non si era accorta della maestria con cui quell'oggetto era stato lavorato da... corrugò le sopracciglia, notando d'un tratto una minuzia: un gancio. Piccolo e raffinato, un prolungamento innocente del pelo della bestia che andava a mutare completamente il senso di quell'arnese. L'impugnatura all'improvviso divenne ai suoi occhi un'elsa e lo spesso cilindro di noce un feretro - e senza alcuna attinenza col discorso le sfuggì: «È davvero un'arma incantevole.»
L'uomo sussultò. Le dita strinsero con più forza, gelose, ed in totale contrasto con quel gesto poi, sul suo volto, si sforzò d'appollaiarsi un sorriso che Miss Bahun non seppe interpretare. Era forse fastidio?
«Invero» tagliò corto allontanando lo sguardo e confermando così le supposizioni di Katarina che, come un gatto che scorge la coda del topo, si fiondò sulla questione con rinnovato interesse.
«È di puro argento? La lama non sembra essere molto... spessa. Ha la dimensione di un fioretto se non erro» Miss Bahun sapeva di star pizzicando una corda tesa, lo poteva vedere in ogni piccola contrazione sul viso del collega, dal modo in cui le sue spalle si andavano irrigidendo e le nocche spuntavano sotto il cotone dei guanti, eppure non si fermò. Era curiosa, non poteva negarlo. «Chi l'ha realizzata deve avere eseguito un lavoro di fino. L'avete commissionata voi, vero? Sembra relativ-» ed esattamente come ci si sarebbe aspettato, Lord Terry finalmente perse la pazienza. Picchiando il bastone sul fondo della carrozza mise a tacere la donna. Persino Suzu al suo fianco parve venir colto alla sprovvista, finendo col compiere un sussulto quasi impercettibile.
Nello sguardo di Julius, intanto, Miss Bahun colse la stessa luce rabbiosa che l'aveva stupita a casa dell'Exilati, facendole nuovamente chiedere quanto quell'uomo giocasse a far lo stupido e quanto, in realtà, lo fosse. Per un momento le sembrò di aver di fronte una persona completamente diversa da quella con cui aveva parlato sino a qualche minuto prima, eppure c'era qualcosa, nell'espressione del Lord, che la convinse trattarsi del medesimo vânător.
«Non siete mai stata tanto eloquente su questioni che non fossero il Caso o i Maligni da quando avete messo piede in questa città, mia cara, non capisco perché dobbiate esserlo adesso.» L'uomo si bagnò le labbra, le morse appena come a stemperare il proprio fastidio. Allontanò gli occhi da lei giusto qualche istante e poi si concesse un sbuffo dalle narici, quasi arrendendosi davanti a una constatazione fatta tra sé e sé: «Risponderò alle vostre domande perché sono pur sempre un gentiluomo, ma graziatemi con quel che resta della vostra educazione e rispettate la mia riservatezza.»
Ma Katarina non capì. Quella riluttanza, il fastidio nel parlarle di una stupida arma era per lei incomprensibile. Ad uno sguardo più attento quel bastone non sembrava in alcun modo essere un cimelio di famiglia; l'impugnatura era troppo lustra, immacolata, così come la gamba quasi completamente priva di segni d'usura. Doveva essere stato usato poco, se non mai, in situazioni pericolose, fossero queste state scontri o semplici inseguimenti. Per quel che poteva supporre, non doveva avere più di un paio d'anni - perché arrabbiarsi, quindi?

«Non vi facevo un uomo geloso, Julius,» si affrettò a dire poggiando il gomito sul bordo del finestrino e poi il viso sulle dita alla fine del braccio: «sono solo particolarmente appassionata d'armi. La mia è una curiosità giustificata.»
«E per ciò non vi colpevolizzo. Dubito vi sia un solo vânător che non sia interessato a queste cose» il suo sguardo restò altrove, così come l'espressione non si addolcì minimamente. Il suo turbamento permeava, era ovvio, ma dire su che piano si trovasse era difficile.
Lord Terry sospirò, soppesò con attenzione pensieri e parole. Dopo qualche secondo di silenzio che a Katarina fece storcere il naso e soffocare uno sbuffo, parve decidersi a parlare.
«È un'arma recente, avete ragione» la voce che riempì l'abitacolo però non fu quella del nobiluomo, bensì quella di Suzu sedutogli accanto. Nemmeno lui la stava guardando, quantomeno non all'inizio del discorso. Osservava fuori dal finestrino tenendo traccia di qualcosa, forse le strade, i volti o i pensieri che stava mettendo in fila nella mente: «È stata realizzata poco più di un anno fa da un orafo ormai in pensione, un caro amico della famiglia Terry.»
«Un orafo?» Miss Bahun scandì bene quel titolo, lo fece con estrema cura, confusa, subito prima di stringere tra le labbra una risata: «Per quanto poco possa conoscere la vostra lingua sono certa che si dica fabbro, o armaiolo, non orafo.»
Le dita di Julius allentarono la presa sull'elsa, carezzarono lente la testa del cervo privo di corna. Con la coda dell'occhio Katarina lo vide scivolare dal muso allungato dell'animale su lungo la fronte, il capo e le orecchie, fermandosi una volta raggiunta l'estremità più vicina a sé.
«No, intende proprio ciò che ha detto» sibilò: «Ho chiesto a un orafo in pensione di crearmi un'arma speciale, unica» forse mordendosi la lingua, l'uomo si volse nella stessa direzione dell'amico: «il poveretto si è rintanato un mese nell'officina di un fabbro e ha collaborato con lui, poi ha speso altri quindici giorni nella falegnameria di un fratello più giovane che sta a Whitechapel. Dopo due mesi mi ha portato questo gioiello. Un fioretto dalla lama più spessa, simile a uno stiletto ma resistente quanto una spada vera e propria, tutto argento. Non gli sarò mai grato a sufficienza» dichiarò infine, portando finalmente l'attenzione sull'interlocutrice che, seppur insoddisfatta dalla risposta, non pretese altro. C'era qualcosa, nella vacuità dell'espressione di Julius, che aveva il sapore della forzatura - e d'un tratto le fu impossibile insistere. Comprese da sé che la parte succosa riguardante l'origine di quell'arma era qualcosa di cui nessuno dei colleghi voleva parlare, una sorta di segreto tacitamente accordato.
«Spero che il pover'uomo si sia fatto pagare bene, viste le pretese» bofonchiò dopo qualche momento di riflessione prima di riportare lo sguardo fuori dell'abitacolo, esattamente come Suzu. Non aveva alcun senso insistere, non quel giorno quantomeno - e se la sua speranza di levarsi quei due di torno nel giro di poco si fosse rivelata reale, probabilmente mai. Potevano tranquillamente tenersi i loro segreti, lei ne aveva già abbastanza con cui fare i conti.

D'improvviso, riportando realmente l'attenzione sulla città oltre il vetro sottile della carrozza, Katarina si accorse di come il paesaggio fosse cambiato, di come le strade si fossero fatte caotiche e affollate e i palazzi avessero preso ad ammassarsi gli uni sugli altri. A terra binari affusolati dividevano lo sterrato come cicatrici lungo la pelle di Londinium e sopra, quasi paralleli, cavi spessi si collegavano qua e là ad altri, creando una sorta di ragnatela che divideva i passanti dal cielo, quasi a imprigionarli. Per un istante quella visione la portò indietro di qualche anno, quando Padre Costantino l'aveva convinta a seguire un caso nella Repubblica Parigina; era stata la prima volta in cui i suoi occhi avevano incontrato il complicato reticolo creato dalle linee tranviarie e, se non fosse stata abbastanza lucida, persino l'ultima. Un brivido fastidioso le fece scuotere le spalle e ritrarre dal finestrino, mimando un'espressione inorridita.
Aveva rischiato di morire in un modo così sciocco che ancora, ripensandoci, le sembrava impossibile crederci. Nell'inseguire un sospettato aveva mosso passi veloci oltre il marciapiede: il sole tramontante negli occhi, intervallato solo da quei cavi che si era chiesta a cosa servissero, e il caos cittadino a riempirle le orecchie. Era stato un attimo, poi il trillo fastidioso di una campanella l'aveva costretta a spostare lo sguardo, voltare il capo e... toc! Lo scatto all'indietro le era costato un ruzzolone a terra, un dolore al coccige e gli insulti del conducente. Aveva vent'anni e sufficiente esperienza per non perdonarsi un errore così sciocco, una svista che le era costata il proprio bersaglio - dispersosi in fretta e furia tra la gente e i cavalli per evitare di trasformarsi davanti a tutti.

Un "la naiba!" (Mannaggia!) le sfuggì afono di bocca prima che i denti potessero affondare nella lingua.
Grazie al cielo nessuno dell'Ordine l'aveva vista.

«Miss Bahun?» la voce di Suzu interruppe i suoi pensieri, facendole nuovamente voltare il capo.
Con la falange dell'indice l'uomo picchiettò sul vetro accanto al proprio viso, sorridendo con una certa soddisfazione: «Se presta attenzione al fondo di questa strada potrà scorgere Scotland Yard, la sede centrale della polizia locale. È lì che si trovano i cadaveri delle vittime.»
Katarina ruotò il busto, sfiorò col naso prominente il vetro freddo e tentò di scorgere la struttura indicatale dal collega. Non le fu difficile notarla: Scotland Yard si distingueva in modo netto dal resto degli edifici, sia per aspetto che per dimensioni. I mattoni rossi, intervallati da bianchi che andavano a disegnare linee dritte lungo tutta la facciata, non avevano nulla da spartire con le costruzioni che vi stavano attorno. La centrale di polizia se ne stava isolata dentro a cancelli relativamente alti, in ferro battuto e dall'aspetto fragile; non c'erano piante ad abbellirne l'entrata e fuori uomini in divisa davano l'unico tocco di colore.

«Per quale motivo?» chiese in tono piatto, all'apparenza disinteressato. Stava studiando quel luogo: punti d'entrata e d'uscita, dimensioni, zone cieche. Nella testa stava già mappando l'esterno perché, in fin dei conti, tutto poteva succedere - magari il colpevole sarebbe andato a far visita alle sue vittime, oppure loro stesse si sarebbero risvegliate e avrebbero cercato di fuggire.

Mister Whiteman si schiarì la gola, forse tentando di raccattare le parole giuste per non far sembrare la Divisione di Londinium ancora più incompetente: «I corpi sono stati segnalati alle autorità civili. Loro hanno poi provveduto a informarci.»
«E non li avete portati alla Sede di competenza?» la nota accusatoria uscì spontanea, Katarina non provò nemmeno a nasconderla. Il protocollo era chiaro e persino lei, che delle regole se ne fregava per la maggior parte del tempo, lo sapeva - così come parve saperlo Suzu, che esitò.
«No.»
La donna staccò il naso dal vetro, posò gli occhi prima sulla propria gonna in tweed, che lisciò un paio di volte con le dita, poi su di lui: «Così facendo rendete difficoltose le indagini. Inoltre mettete a repentaglio l'incolumità degli umani, ve ne rendete conto?»
«Non abbiamo capienza sufficiente per ospitare questi corpi, e nemmeno personale per analizzarli.»
Trattenne una risata.
«Stiamo parlando di tre cadaveri, Whiteman, non di un plotone.»
Lo vide mordersi il labbro: «Lo so bene, credetemi, ma abbiamo già tutti gli oculi pieni e i frati al lavoro.»
«Quanti?»
«Pardon?»
«Quanti oculi avete?»
Il vânător sobbalzò, impreparato - e Katarina suppose di aver toccato l'ennesimo tasto dolente.
La carrozza iniziò a rallentare. I cavalli nitrirono poco più in là.

«Quindi?»
Suzu guardò Julius, ma l'uomo non spostò l'attenzione dal proprio bastone, nonostante rispose al posto dell'amico.
«Sette, Miss.»
«E sono tutti occupati?» Il sorriso le si tese maggiormente, creando strane arricciature accanto alle narici.
L'uomo a quel punto sospirò, le sue dita si mossero veloci sull'elsa del bastone e schivo aggiunse: «Alcuni ospitano anche più di una salma, Miss.»

Il veicolo si fermò facendoli oscillare sui sedili e con le sopracciglia aggrottate e le labbra schiuse, quasi senza accorgersi, Katarina chiese: «Come?»
 

 

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Capitolo 23
*** XIV (2) ***





XIV
parte 2


Suzu sospirò. Lo fece in quel modo grave, tipico delle brutte notizie che Katarina tanto non riusciva a sopportare, poi si schiarì la gola: «Quando siete arrivata già vi era stato detto che le nostre fila si stavano sfoltendo. Ebbene, su trentacinque membri attivi nei Possedimenti di Bretagna siamo rimasti in venti.» L'uomo fece un gesto al cocchiere che si era avvicinato allo sportello per aprire, così questi si allontanò dalla carrozza per lasciar loro la privacy necessaria: «Di questi venti, almeno la metà sono vecchie glorie dell'Ordine, esorcisti che meriterebbero di riposare, non di lanciarsi in una nuova guerra.»
Miss Bahun tornò a poggiare il viso sul dorso della mano destra: «Perché, esiste davvero un modo per ritirarsi da questa guerra?»
Whiteman scambiò un'occhiata di rassegnazione col compare, ma non riportò subito lo sguardo sull'interlocutrice: «Non siamo tutti come vostro-»
«Non parlo di Emil» lo zittì Katarina, già consapevole di ciò che stava per dire. I suoi occhi si soffermarono con durezza su di lui, cercò quasi di schiacciarlo, di farlo sentire piccolo di fronte al suo volere - perché sinceramente credeva di essere stata chiara il giorno precedente, ma probabilmente si doveva essere sbagliata. Cosa c'era di difficile nel comprendere che il nome di quell'uomo doveva essere citato il meno possibile in sua presenza? A suo avviso, nulla.
«A essere onesta, non stavo parlando di alcun cacciatore nello specifico» aggiunse dopo qualche secondo cambiando completamente tono e tornando a fissare Scotland Yard oltre la finestrella della carrozza con una certa noncuranza.
Da così vicino l'edificio sembrava ancora meno minaccioso di quanto le fosse parso. Con quei mattoni grigiastri a vista non sembrava una centrale di polizia, un luogo dove la legge umana cercava di imporsi sulla criminalità: piuttosto dava l'idea di un distaccamento municipale, un conglomerato di uffici perennemente sovraffollati.
«Il nostro sangue ci definisce. Il nome che portiamo ci condanna. L'addestramento a cui veniamo sottoposti ci forgia a tal punto da piegarci per sempre e una volta compiuto il rito, giurato, una volta marchiati... noi non torniamo più indietro. Nati vânător lo restiamo fino al momento in cui esaliamo il nostro ultimo respiro. E non perché uno stupido Dio ci fissa dall'alto di uno scranno sacro mentre la sua Sposa ci illude di ricevere misericordia per gli atti vili e mostruosi che compiamo ogni giorno, no...» più le parole defluivano fuori dalle sue labbra, più la rabbia di Katarina prendeva il sopravvento. Ad ogni sillaba sentiva i muscoli del viso contrarsi maggiormente, le dita dei piedi piegarsi e il desiderio di sferrare un pugno contro qualcosa aumentare, così si fermò. Provò a controllare il respiro, frenare il battito prima che potesse accelerare e, umettandosi le labbra, si sforzò di recuperare contegno. Quando fu convinta di esserci riuscita riprese: «Il motivo è che siamo talmente abituati a uccidere che non riusciamo più a fare altro. Non siamo fatti per vivere in pace... e mi domando come facciate voi» come la canna di una pistola le sue pupille tornarono sui due uomini, pulsarono per il cambio di messa a fuoco e li misero spalle al muro: «a stare qui, con le mani in mano a lamentarvi di cosa sta succedendo senza agire veramente. Ci fossero stati gli esorcisti di Bistria...» soffocò una risata: «avrebbero già rivoltato questa città dalle fondamenta.»
Julius d'un tratto sembrò tornare sulla conversazione e, esattamente come a casa dell'Exilati, perse le staffe: «Ebbene! Se siamo tanto inetti a confronto vostro perché non avete ancora scoperto ciò che sta succedendo?» Il suo busto si allungò tanto da lasciar giusto due spanne tra il proprio viso e quello della donna e, a quella distanza, Miss Bahun notò l'evidente rossore della sua sclera. Stava trattenendo qualcosa, ma non riuscì a capire se fosse rabbia o altro.
In segno di sfida staccò il mento dalla mano, avvicinandosi a sua volta all'avversario: «Perché la mia guerra è altrove e i cadaveri là dentro sono solo altri corpi privi di qualsivoglia valore per me. Sono qui solo perché costretta da un giuramento.»
«Ma sono vânător!» tuonò l'uomo battendo il bastone: «Nostri compagni, fratelli

Le dita di Katarina si allungarono, stringendosi intorno alla maniglia dello sportellino. Non distolse lo sguardo nemmeno per un istante e lentamente, pregustando il proprio momento di gloria, sorrise: «Per quel che mi riguarda, Julius, io sono figlia unica» e con uno scatto abbassò il polso. Fingendo di aver appena intrapreso la più futile delle conversazioni saltò fuori dalla carrozza sistemandosi cappotto e bombetta. Si guardò attorno inspirando l'aria viziata della città, le mani vicino al grembo indecisa su dove poggiarle e lo stiletto a irrigidire l'avambraccio, poi aggiunse: «Ad ogni modo non c'è alcun bisogno di scaldarsi tanto, Lord Terry. Ognuno di noi ha le proprie ragioni per star qui e compiere il dovere impostoci, probabilmente le mie mi spingono a essere più meschina di quanto facciano le vostre.»

Julius la seguì fuori dall'abitacolo. Per qualche secondo Miss Bahun si sentì i suoi occhi addosso, fermi all'altezza del collo. Che volesse strangolarla? Beh, non sarebbe stato il solo a nutrire un simile desiderio, la lista di chi la voleva morta si allungava di anno in anno e ormai aveva perso il conto di quanti non riuscissero a sopportare la sua sfacciataggine. Oltre le loro spalle, anche i passi di Suzu si unirono a quelli di decine di altre persone e, quando probabilmente fu abbastanza vicino al compare, questi distolse lo sguardo e si incamminò, precedendoli: «Vogliate seguirmi, allora. Vediamo di farvi raggiungere i vostri obiettivi il più in fretta possibile.» Era chiaro fosse nervoso, lo si poteva capire dal modo in cui teneva il pugno stretto accanto al fianco, dal mento all'insù e dal fare impettito, come se avesse un'asta di legno a tenergli dritta la schiena.
Le venne nuovamente da ridere, ma prima che la mano potesse raggiungere la bocca per coprirne il ghigno, Whiteman l'accostò: «Avete esagerato.»
«Nel far cosa, di grazia?»
Si scambiarono un'occhiata: «Nel comportarvi nuovamente così. Forse non vi è chiaro il significato di buone maniere o gentilezza, forse non avete cuore o semplicemente non avete mai avuto amici, difficile supporlo... ma sia Julius che io siamo qui per aiutarvi, quindi, ve ne prego, la prossima volta che la vostra linguaccia vorrà sputare qualche cattiveria, mordetevela!»
Davvero credeva di poterle dire ciò che doveva fare?
Katarina alzò un angolo della bocca tendendo un sorriso tutt'altro che rassicurante: «Non dobbiamo diventare compagni di merende, Suzu, dobbiamo solo dare la caccia a un Maligno e trafiggergli il cuore, staccargli la testa o, se preferite, dargli fuoco. Nulla di più. Al di fuori di questa missione voi sarete ancora voi: Mister Suzu Whiteman, maestro delle polveri da sparo, e il suo caro amico Lord Julius Terry. Verrete visti come uomini rispettabili, cacciatori dalle grandi doti, impavidi... ma io sarò ancora la vânător che arriva dalla Transilvania e con cui nessuno vorrebbe avere a che fare.» Fece una breve pausa, rifletté sulle parole da aggiungere e infine sbottò con un commento assai poco elegante per una signorina: «Beh, a parte per quelle poche persone che apprezzano sia il modo in cui uso la mia lingua sia lo sputo.»
L'uomo sbiancò. I suoi occhi si fecero tanto grandi da rendere lo sbigottimento palpabile - e Miss Bahun si crogiolò in tutto ciò.

Suzu deglutì: «N-non c-credo di-» ma lei non gli diede tempo di finire. Muovendosi a passo spedito, Katarina macinò i metri che la separavano da Julius e dall'ingresso di Scotland Yard. Ad ogni falcata sentiva il sangue nelle vene farsi sempre più caldo, l'eccitazione aumentare come una marea alla sola idea di varcare la soglia dell'obitorio e poter poggiare il proprio sguardo sulle vittime di quello che era certa essere l'ennesimo piano di Dracul. In quei corpi sull'orlo della decomposizione avrebbe trovato la mappa per raggiungerlo, per capire cosa diamine avesse in mente e fermarlo - perché nessuno poteva aver ideato qualcosa di così subdolo ed enigmatico se non il Re delle Tenebre, ne era certa.
Le sue gambe si mossero più veloci e d'un tratto, quasi senza accorgersene, si ritrovò oltre i cancelli della centrale di polizia con Lord Terry poco dietro. Frenò la corsa solo quando l'uomo la chiamò con un soffio, come se non volesse farsi sentire, e a quel punto la vânător si rese conto d'essere circondata dagli sguardi sdegnati degli uomini in divisa blu lì presenti. Ognuno di loro la fissava con un cipiglio tutt'altro che amichevole, giudicandola per chissà quale ragione; fu come tornare nelle strade di Roma, tra le vie della Città Santa o di qualsiasi altro luogo che aveva visitato in quegli ultimi anni. Per la prima volta da quando era arrivata si sentì improvvisamente fuori posto anche a Londinium, una reietta, un'assassina a piede libero.

Un'ombra scura e slanciata l'affiancò, poggiandole una mano sulla parte bassa della schiena facendola irrigidire.
Julius sembrò schermarla, mentre il rumore dei passi leggeri di Suzu si fece sempre più vicino.
«Vi prego di restare al nostro fianco, Miss, non siamo i benaccetti qui.» E dal modo in cui con la coda dell'occhio gli vide gonfiare il petto e alzare il mento capì di essere entrata in una sorta di territorio nemico.


 

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Capitolo 24
*** XIV (3) ***





XIV (3)

La tensione si percepiva a ogni passo che muovevano all'interno della centrale. Katarina riusciva a sentire gli sguardi indignati dei poliziotti ovunque su di sé, quasi volessero spogliarla per capire quante armi avesse addosso, eppure non si sentì più a disagio di quanto le capitasse a Roma. Anche lì la faida tra agenti dell'ordine e vânător andava avanti da quando ne aveva memoria e, se ci scavava bene in mezzo, riusciva ancora a ricordare il suo primo incontro con quegli stronzi. L'avevano placcata in tre subito dopo averla vista uscire dalla bettola in cui alloggiava, era poco più che sedicenne, ma aveva alle spalle già un paio di omicidi. Con i loro manganelli di legno avevano provato a impaurirla, a dirle che forse sarebbe stato meglio tornare in camera e lasciare a veri agenti il compito di salvaguardare la città visto che quelli della sua specie altro non erano che fanatici senza freni, reietti, feccia che osava infangare il nome della Chiesa e dei suoi Santi; uno di loro aveva persino avuto l'ardire di tentare di sottrarle la valigia che ancora si portava appresso. Miss Bahun però non aveva battuto ciglio. Lo aveva colpito con una gomitata alla bocca dello stomaco appena le si era avvicinato, poi con un movimento lesto della mano aveva estratto dalla fodera del cappottino un pugnale che gli aveva puntato alla gola. Inutile dire che da quella volta si era ben inimicata il Commissario Moncalieri, l'Ispettore Terzi, il Vice Ispettore Trabucchi, il Sovrintendente Falcone e De Paoli, così come tutta la loro schiera. Non importava che fosse la pupilla di Padre Costantino e lavorasse per il Vescovo Wassily in persona, appena calava la sera e le loro strade si incrociavano, quei dannati provavano a metterle i bastoni tra le ruote.

Julius dietro di lei si piegò appena: «Sono costernato nel dovervi far subire un simile trattamento. Qui...» ma Katarina non lo fece finire. Gonfiando il petto e aggiustando la postura rispose ad ogni sguardo con il medesimo astio.
«Non rammaricatevi, Lord Terry. A Roma la situazione non è differente» lo informò, anche se avrebbe osato dire che era persino peggio.
«Beh, almeno una cosa in comune c'è, allora» stavolta fu Suzu a parlare. Si stava guardando attorno con circospezione, quasi temesse che da un momento all'altro qualcuno potesse fermarli o aggredirli. La precedeva di un paio di passi, come a volerla schermare da quelle possibilità e, se doveva essere del tutto onesta, Katarina avrebbe preferito non lo facesse. Qualsiasi persona avesse osato turbare le sue indagini, nonché la calma precaria che aveva raggiunto in assenza di vodka, si sarebbe ritrovato la canna della sua pistola a ruota direttamente in bocca - evitare che il grilletto venisse premuto, poi, sarebbe stato solo affare loro.
D'un tratto Whiteman iniziò a rallentare fino a fermarsi del tutto una volta arrivato a ridosso di una scrivania dietro cui un uomo di mezz'età, stempiato e con enormi baffi ricurvi, lo stava squadrando. L'uniforme blu che aveva indosso sembrava gridare pietà, gli occhielli della casacca erano talmente tirati che forse, con un colpo di tosse, avrebbero trasformato i bottoni in proiettili. Miss Bahun corrugò le sopracciglia in una smorfia a metà tra il disgustato e il preoccupato, chiedendosi come potesse respirare in condizioni simili: possibile che nessuno dei colleghi si preoccupasse per lui?
Suzu si schiarì la gola: «Siamo qui per visitare l'obitorio, ci manda il distaccamento britannico dell'Ordine degli Illustri Vânător di Transilvania sotto direttive di sua Santità il Papa.» L'agente si accovacciò sulla scrivania strizzando gli occhietti scuri e contornati da rughe appena accennate, cercando qualcosa che l'altro gli mostrò dopo un grugnito sommesso. Il mento di Whiteman si alzò giusto di qualche centimetro, rivelando un tatuaggio scuro sotto alla barba rada. L'altro bofonchiò qualcosa, poi con un cenno del capo si rivolse a Katarina e Julius: «Loro?»
La donna arricciò il naso. Davvero dubitava che fossero vânător? Stava forse chiedendo anche a loro di mostrare la Voglia?
«Miss Katarina Arànka Bahun è qui per volere del vescovo Wassily in persona, mentre Lord Julius Terry è parte della mia squadra da anni. Potete prendere i loro nominativi e chiedere direttamente al Cohorte Coordinator se dubitate della mia parola. Non penso sia necessario che una giovane donna nubile come la qui presente Miss Bahun debba togliersi le vesti in mezzo a cotanto pubblico, o sbaglio?» Suzu non le aveva mai chiesto dove fosse la sua Voglia, probabilmente non ne aveva la più pallida idea, eppure doveva aver capito da solo che non si trovava in alcun punto accessibile alla vista.
Il poliziotto le lanciò uno sguardo torvo: «No... per ora.»
Katarina nascose una risata. Quel "per ora" sarebbe rimasto un "mai", non avrebbe dato a quel vecchio e i suoi commilitoni il piacere di scoprire dove si fosse tatuata il simbolo della Vergine - quella era cosa soltanto sua e delle poche persone a cui lei avrebbe scelto di mostrarlo.
«Dritti lungo il corridoio ovest, poi a destra e infine scendete le scale, lì troverete un altro corridoio. Terza porta sempre a destra. Il dottor Montgomery vi terrà d'occhio e...» fece una pausa corrugando le sopracciglia in una smorfia divertita: «a tal proposito, quand'è che vi deciderete a portare via i vostri rifiuti? Ci stanno intral-»
Un colpo contro il legno fece sobbalzare l'agente, Suzu e qualche altro figurino in divisa, mentre Miss Bahun si ritrovò a sbattere più volte le ciglia, sorpresa. Il pugno di Lord Terry attirò più attenzione del previsto, eppure lui non si scompose ulteriormente. Lentamente si rimise dritto, si sistemò il cappotto e poi abbasso appena la tesa del cappello: «Grazie, agente» teneva gli occhi socchiusi e le labbra tese in una sorta di sorriso poco rassicurante, falso, «non ci serve udire altro dalla vostra bocca» e nel concludere aveva fatto un mezzo inchino invitando Katarina a precederlo. Lei esitò giusto un istante, accertandosi che oltre a quel gesto tanto avventato l'uomo non avesse in serbo altro, poi s'incamminò ponendosi un'unica domanda: chissà se anche gli sbalzi d'umore di Julius derivavano dall'assenza di alcol; dopotutto lei tendeva a essere estremamente più irascibile quando astemia.
Volse il capo giusto a sufficienza per spiare Lord Terry da sopra la spalla. Con quei suoi baffi folti e rossi sul viso magro, la sua stazza e quel fare alle volte un po' troppo ingenuo, dava tutto fuorché l'idea di essere l'avventore di qualche osteria. Sicuramente doveva esserci capitato di tanto in tanto, probabilmente per errore durante qualche ronda, ma a parte quegli sporadici attacchi di rabbia nulla in lui tradiva il suo status di damerino per bene. In una bettola come quelle che frequentava lei e tra le cosce delle donne con cui aveva giaciuto, di certo quel tizio non aveva mai messo piede - e forse era meglio così.

«Capisco la rabbia, Julius, ma questo non è il luogo per attaccar briga» sentì dire da Suzu in quello che probabilmente doveva essere un discorso privato, visto il tentativo di non farsi sentire: «persino la nostra ospite è-» si interruppe, dubbioso.
Katarina svoltò a destra, compiacendosi mentre seguiva le indicazioni date loro dall'agente strizzato nella divisa. Attese qualche secondo sperando di sentire il resto della frase, ma non udendo altro s'intromise: «Oh, ditelo pure, Whiteman! Amo i complimenti» fece una mezza piroetta, mettendosi così a camminare all'indietro. Il suo sguardo e il sorriso beffardo si puntarono in direzione dei colleghi, mentre gli occhi dei poliziotti si posavano con più tensione sulle loro figure. Li stavano osservando, studiando. Erano consci di non poterli aggredire in alcun modo fintanto che se ne stavano buoni a parlare tra di loro - e Miss Bahun si beò del fatto che la sua indifferenza suscitasse in quel branco di altezzosi tanto fastidio. Peccato che né Suzu né Julius riuscissero a levarsi di dosso quella sensazione di disagio; gliela si poteva vedere in viso, nel modo in cui scrutavano i dintorni.
«Non ve ne stavo rivolgendo, stavolta.»
Lei piegò il capo da un lato, lasciando che le poche ciocche sfuggite alla crocchia le solleticassero le guance: «Giurerei il contrario...» tese maggiormente gli angoli della bocca.

Il Maestro delle Polveri da sparo scrollò la testa, tentando di nascondere la lieve luce di divertimento nello sguardo.
«Pensatela come volete, Miss, ma non vi darò tale soddisfazione.» Le sue parole però suonarono come una conferma alle orecchie di lei che, con un'altra mezza piroetta, tornò a camminare correttamente. Le scale difronte ai loro nasi si facevano pian piano più vicine, così come la sensazione che presto si sarebbero liberati di tutti gli sguardi torvi degli agenti lì intorno.
Nel suo avanzare Katarina notò come ovunque vi fossero fogli appesi alle bacheche sulle pareti: annunci di animali e persone scomparse, articoli che lodavano l'operato di Scotland Yard, avvisi di eventi a cui sarebbe servita la presenza di qualche squadra per tenere controllata la zona. Era difficile distinguerli, solo i titoli potevano dare un'idea di cosa fosse scritto su quei pezzi di giornale. Ad intervalli regolari scrivanie di mogano spezzavano la monotonia del corridoio, accogliendo i sederi di uomini più o meno giovani - e ciò che subito le saltò all'attenzione fu l'assenza quasi assoluta di donne. Ce n'erano poche e quelle presenti non sembravano lavorar lì.

Un vero peccato, pensò. Dopo l'incontro con Sylvia quella mattina e la tensione procuratale dalla Zână il giorno prima avrebbe davvero voluto concedersi qualcosa con cui distrarsi - perché tutti quei gendarmi gonfi di cibo e vino scadente, per non parlare del proprio ego, le stavano facendo venire male agli occhi. Più li guardava, più l'idea di chiudersi nell'obitorio diventava allettante. Fu un sollievo poggiare le dita sul corrimano della rampa di scale che li avrebbe portati nel seminterrato.
Katarina fece i gradini a passo svelto e nonostante non fosse necessario sollevò l'orlo della gonna per evitare d'inciamparvi. Contò ogni falcata fino a raggiungere la porta su cui svettava, incisa su una targhetta, la scritta "Morgue" e a quel punto, sentendo una sorta di formicolio alle mani, appoggiò il palmo guantato sul legno pallido. Il grigio tenue con cui l'avevano dipinta ricordava l'incarnato smunto dei cadaveri, mentre la finestrella che permetteva di sbirciare all'interno era posizionata talmente in alto da far sorgere il dubbio che avesse una qualche utilità. Nemmeno spingendosi sulle punte Miss Bahun fu in grado di vedere cosa l'attendesse.

«Sembrate una bimba fuori da una pasticceria» Suzu si fermò a pochi passi da lei, le braccia conserte e un'evidente curiosità nello sguardo. Tutta la tensione accumulata dal momento in cui erano scesi dalla carrozza sembrava essersi dissolta, lasciando posto a un divertimento che le fece storcere il naso. Il tacco dei suoi stivaletti tornò quindi a toccare terra e con una scrollata di capo gli rispose: «Sono solo bramosa di progredire con le indagini, Whiteman. Voi no?» 
L'uomo si sporse appena, provando a sbirciare a sua volta: «Sì» sibilò, «un po' meno di mettere piede lì dentro.» La sua espressione si fece cupa, gli occhi calarono sul pavimento. Katarina avrebbe quasi voluto provare le sue medesime emozioni, capire lo struggimento che dovevano provare quei due entrando in un obitorio dove dovevano trovarsi anche i corpi di quelli che erano stati loro compagni. Le sarebbe davvero piaciuto, ma l'unica cosa che riuscì a provare fu noia mista a fastidio. Forse erano stati loro amici, un tempo, ma ora erano solo cadaveri utili alla risoluzione della missione che la Santa Sede le aveva affidato.

Ed era anche per questo che odiava l'idea di far parte d'una squadra. Meglio non legare con alcun collega, ci si toglieva un sacco di problemi.

Poggiando la mano sulla maniglia e stringendovi intorno le dita, Miss Bahun si preparò a entrare: «Peccato dobbiate farlo, a meno che non vogliate riporre piena fiducia nel mio operato» lo punzecchiò dopo un sospiro. Anche se si trattava di una sciocchezza ancora non le era passata la seccatura per quanto successo a casa dell'Exilati e voleva farglielo presente, come a minacciarlo di una possibile, futura ritorsione - perché Katarina in fin dei conti non poteva negare d'avere più difetti che pregi e la permalosità era in cima alla lista; insieme a testardaggine, rifiuto per l'autorità, irriverenza, malizia e l'evidente problema con l'alcol ormai noto a tutti i suoi pochi, pochissimi conoscenti. Insomma, presto o tardi avrebbe ripagato quei due con la stessa moneta e, forse, quello era il momento opportuno.

Spinse l'anta cercando di non distogliere lo sguardo dai colleghi, ma appena il suo corpo oltrepassò la soglia dell'obitorio un miscuglio di disinfettante, sangue, cera e odori che non volle riconoscere l'aggredì con incredibile violenza. Non importava quante volte avesse ucciso e squartato creature inumane, il fetore di morte che si respirava lì dentro non sarebbe mai stato paragonabile a quello che seguiva una caccia. Persino trovarsi ricoperta di organi altrui era meglio di ciò che le sue narici stavano percependo dentro quella stanza.
Miss Bahun deglutì, cercando di ricacciare nello stomaco il conato che per un istante aveva provato a minacciarla. 

Nessuna sala autoptica sarebbe mai stata meglio del campo di battaglia e a pensarlo probabilmente non fu la sola. Quando Lord Terry le si affiancò Katarina notò con un certo sollievo che anche sul suo viso si poteva scorgere dello schifo.
«Mi auguro che siate un'osservatrice attenta quanto una lesta raccoglitrice d'informazioni, Miss, perché se le mie narici non dovessero abituarsi in fretta sarò costretto a chiedervi una pausa» come se della sua presenza le importasse qualcosa.
Di risposta la donna avanzò ancora, adesso imperturbabile, fino a ritrovarsi quasi al centro di una saletta circolare dove tavoli per autopsie, e annesso qualche cadavere nascosto sotto spessi teli bianchi, se ne stavano incustoditi. Grosse lampade pendevano dal soffitto e seguendone i cavi Katarina notò un sistema di carrucole per abbassarle o alzarle a seconda della necessità. Il soffitto doveva stagliarsi almeno un paio di metri sopra le loro teste, incurvandosi come una mezza cupola su pareti ornate, di tanto in tanto, da colonne intagliate nella pietra al pari di altorilievi e nella luce tra una e quella successiva, sportelli numerati il cui utilizzo fu fin troppo chiaro occupavano tutto lo spazio: loculi. Quel luogo sembrava essere il risultato dell'unione tra un mausoleo asettico e il laboratorio di uno scienziato vicino alla demenza, ma ciò che più di tutto la infastidì fu il pallore alienante; persino il pavimento a scacchiera alternava piastrelle bianche ad altre di un grigio slavato.
Con cautela, sentendosi terribilmente fuori luogo, Miss Bahun si avvicinò alle barelle di ferro. Non sfiorò nulla per paura che qualcosa le si potesse appiccicare ai guanti o ai polpastrelli dell'indice e del medio, nudi. Non temeva il sangue di qualcun altro, men che meno i prodotti con cui i medici legali trattavano quei corpi, ma piuttosto la sensazione di disagio che un posto così curato le metteva addosso.

D'un tratto, il rumore di passettini concitati e scarpe di cuoio rigido rimbombarono ovunque, seguiti da una sorta di litania piena di lamentele.
Svelta si volse nella direzione da cui le parve provenire la voce e, con stupore, un'apertura in una delle pareti alle sue spalle fece entrare in scena un ometto basso, con la testa calva e i rimasugli di una folta chioma tutt'intorno alle orecchie, simile a una corona d'alloro. Persino a quella distanza e piegato in avanti per togliersi una macchia dal grembiule grigiastro fu chiaro che non dovesse essere più alto della spalla di Katarina.
Mentre questi si faceva avanti forse ignaro della loro presenza lì, Suzu piegò leggermente il capo, afferrò la tesa del cappello e salutò.
«Dottor Haymitch Fairwheel, buongiorno» il vecchio sussultò, sgranando gli occhietti di un insolito colore dietro alle spesse lenti e, alzando lo sguardo, alcuni dettagli catturarono l'attenzione della vânător che d'improvviso s'irrigidì. Fece un passo indietro, mettendo distanza.
«Mister Whiteman, Santa Luce!» La litania si interruppe e la mano con cui fino a qualche istante prima si teneva il grembiule si poggiò sul cuore per essere certo che non gli cascasse fuori dal petto - ma Katarina, ad essere onesta, lo avrebbe gradito. «Cosa ci fate qui?»
«Vi avevo preannunciato una visita, o sbaglio? Quindi eccomi qui» un sorriso amichevole  gli tese le labbra: «Vi ricordate il mio partner, Lord Terry?»
Il medico legale annuì prima di chinare il capo: «Come dimenticare un simile ragazzone! Buon salve, mio Lord» sotto ai baffi, forse persino più folti di quelli di Julius, si allargò una mezzaluna di un bianco sporco, lattiginoso, tutt'altro che piacevole alla vista. «E lasciate che vi presenti la nostra collega arrivata giusto qualche giorno fa da Roma per aiutarci» a quel punto il braccio di Suzu si tese verso la donna, il palmo aperto e le dita rilassate in un gesto di totale innocenza: «Miss Katarina Arànka Bahun» l'annunciò, ma fu ovvio che lo stomaco del vecchio udendo quel nome si strinse su se stesso come un serpente marino. Il sangue gli defluì dal viso mettendo in evidenza le punte verdastre dei baffi. Come avrebbe potuto non impaurirsi di fronte a lei? Dopotutto Emil Bahun era conosciuto come lo Sterminatore Slavo, cacciatore di mostri di ogni sorta - e quel tipo con i suoi occhi rossi dava proprio l'impressione di essere in parte vodyanoy.


 

Vodyanoy (Vodnik - ver. boema leggermente differente): è uno spirito dell'acqua appartenente al folklore slavo. Essenzialmente è una creatura maligna e vendicativa che tende ad annegare le persone (un po' come le sirene). Ha le sembianze di un vecchio dalla barba verdastra e i capelli lunghi, con il corpo ricoperto di squame scure, alghe e fango. Al posto delle mani ha due zampe palmate e il corpo termina in una coda di pesce. Un'altra loro caratteristica sono gli occhi rossi come tizzoni ardenti. Per il suo aspetto è chiamato anche "nonno" o "avo".
 

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Capitolo 25
*** XIV (4) ***





XIV
parte 4


 

Il medico legale vacillò. Deglutire fu per lui uno sforzo evidente e Katarina non seppe che dire. Era allibita, così confusa da non saper nemmeno chi guardare.
Sì, anche a Roma c'erano delle creature meno... maligne delle altre, ma mai avrebbero ricoperto ruoli di quel tipo. Nelle terre del Vaticano li tenevano segregati, controllati al pari di lebbrosi. Alle volte potevano tornare utili per qualche affare losco, i vânător di tanto in tanto li usavano come informatori, ma appena si oltrepassavano i confini del papato ogni membro del Mundi diventava un nemico - metterli addirittura a gestire l'obitorio di una stazione di polizia, a contatto con gli umani in quel modo così innocente era... spaventevole. Chi assicurava alla Divisione Britannica che i corpi portati lì, i loro unici indizi su quel caso, non venissero alterati? E chi controllava che dalle porte, magari di notte, non entrassero delle creature a portarsi via sangue, carne o altro? Un vodyanoy dopotutto restava pur sempre di indole malvagia, anche se nello specifico di quel vecchietto sembrava che ci fosse stata qualche intossicazione umana da parte... della madre? O forse addirittura la nonna?
Miss Bahun corrugò la fronte. L'istinto di puntargli addosso la canna della propria pistola le fece scivolare le dita lungo il fianco e la coscia, toccare il bordo della tasca che nascondeva l'imbracatura di cuoio. Doveva essere stato il fetore di lui il motivo del suo disagio, anche se, mischiato col resto, doveva esserle sfuggito.

Con una smorfia schifata si volse verso i colleghi: «Vi state burlando di me, spero.» Come fosse possibile che la vita a Londinium differisse in tal maniera da quella di tutto il resto d'Europa a Katarina parve un mistero irrisolvibile. Non capiva. Era sempre stata abituata alla caccia, al disprezzo, alla violenza nei confronti di tutte le creature che non fossero umane, eppure lì nulla di ciò che le era familiare sembrava esistere. Dove era la diffidenza? La paura? La percezione del pericolo e di conseguenza l'istinto di autoconservazione? Non si rendevano conto che sarebbe bastato uno schiocco di dita per far cadere tutto in rovina? Gli Exilati vivevano come signorotti in case nel centro città, sfamati regolarmente anche se controllati a vista, ma restavano pur sempre nelle condizioni di ribellarsi; le fate e i fauni camminavano tranquillamente per le strade, aprivano bordelli in cui fregavano uomini più o meno abbienti tirando fuori dai loro portafogli denaro e dai loro corpi anni di vita. Il Tamigi era probabilmente pieno di kelpie selvaggi che con il calar della notte annegavano tutti gli stolti che per un solo istante, nella loro ubriachezza, avevano creduto di poterli addomesticare, mentre dietro ai banconi delle attività ci si poteva trovare un padre di famiglia o una creatura di chissà quale specie che, forse, quello stesso padre di famiglia se l'era mangiato per cena: con che coraggio gli esorcisti di quella città chiedevano aiuto alla Santa Sede, se il loro stile di vita correva così vicino al bordo di un precipizio?
Londinium, più che la città del progresso, avrebbe dovuto prendere l'appellativo de "la culla della perdizione".

Suzu piegò il capo da un lato, facendo ciondolare alcuni dreadlock: «Pardon?»
Le ciglia di Katarina sbatterono più volte: «Per voi è normale che vi sia un vodyanoy qui?!» ma appena la sua voce risuonò per la stanza circolare che costituiva l'obitorio, l'uomo le si fiondò addosso. Senza toccarla e provando a fare un sorriso rassicurante che ebbe più l'aria dell'imbarazzato, Mister Whiteman cercò di farla tacere: «Vi prego, Miss, non siate così precipitosa-»
Lei, di tutta risposta, gli diede una pacca a mano aperta sulla spalla nel tentativo di farlo allontanare: «Precipitosa? Oh, Whiteman! Se fossi stata precipitosa stareste raccogliendo cervella bluastre dal pavimento, ve lo assicuro!» o quantomeno, l'ultima volta che era stata eccessivamente frettolosa era finita così - e le conseguenze l'avevano in parte fatta penare. C'erano voluti giorni, poi, per farle trovare il covo dei troll a cui stava dando la caccia.
«Katarina, vi prego...» possibile che non avesse previsto quella reazione visti i precedenti? E perché diamine stava provando in tutti i modi a farle tenere un tono di voce basso? Dopotutto la natura di quell'uomo non era certo un- sgranò gli occhi e, sul viso del collega, lesse una conferma che non le piacque affatto.

Scotland Yard non sapevano cosa fosse, per questo doveva tacere.

«Che il Dio di Luce mi aiuti...» sibilò nonostante la poca fede riposta in lui.
«Comprendo la vostra confusione, davvero, ma permettetemi di spiegare» Suzu lanciò un'occhiata veloce oltre la propria spalla, come se volesse essere certo che Julius e il medico legale fossero ancora al loro posto, poi si concesse un sospiro: «È un nostro informatore. Il dottor Fairwheel presta servizio qui in modo da fornirci notizie riguardanti casi che Scotland Yard prova a rubarci. È stato lui a comunicare alla Divisione i primi casi di...» scosse la testa: «Beh, qualsiasi cosa sia ciò che sta uccidendo i cittadini di Londinium.»
Lei guardò il vodyanoy. Se ne stava titubante vicino a una barella di metallo, gli occhi bassi nel tentativo di non incrociare il suo sguardo e le mani in tasca, probabilmente strette a pugno. Qualsiasi persona poco avvezza al Mundi lo avrebbe scambiato per un attempato normale e capiva che, visto il cattivo sangue che scorreva tra polizia e vânător, mettere un loro cacciatore a ricoprire quel ruolo sarebbe stato un errore. Il tatuaggio della Voglia lo avrebbe fregato, tagliandolo fuori e generando intrighi degni dei migliori enigmisti - e non importava se l'Ordine fosse al di sopra di quei poveracci in divisa, loro avrebbero fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote.
«Il dottore collabora con noi da più di dieci anni, ci è stato d'aiuto e ha dimostrato che la sua volontà può piegare la natura maligna del sangue che gli scorre nelle vene.»
Miss Bahun tornò a studiare il vecchio. Non aveva un viso cattivo, men che meno il suo corpo dava l'idea di nascondere una forza disumana, eppure dall'esperienza raccolta in quegli anni Katarina non si sarebbe fidata nemmeno di un neonato: troppi changeling avevano cercato di intenerirla prima di azzannarla.
Grugnì, riportando con stizza lo sguardo sul collega. Suzu era un misto di preoccupazione e decisione, per quanto le due cose potessero risultare discordanti. Era palese che temesse una sua qualsiasi reazione, ma sarebbe stato pronto a mettersi in mezzo per impedirle di perpetrare qualsivoglia tipo di violenza, fosse questa stata verbale o un tentativo di omicidio.
«Ora capisco perché il vostro spirito di auto conservazione vi abbia portati sin qui» sbuffò infine la donna, arrendendosi. Avrebbe potuto impuntarsi e rifiutarsi di procedere, forse se lo stavano aspettando anche Mister Whiteman e Lord Terry, ma non era forse stata lei ad assoldare una fata è un fauno solo ventiquattr'ore prima? La sua ipocrisia non era sufficiente a negare agli informatori della Divisione Britannica una chance.
Scrollò il capo: «Ebbene, dottor... Chairwheel?»
«F-F-Fairwheel, a di-dir il v-vero.»
Katarina notò come gli occhi del medico legale continuassero a soffermarsi ovunque tranne che nei pressi della sua persona, come il sudore freddo avesse preso a imperlargli la fronte e l'ansia a fargli stringere le spalle per renderlo quanto più piccolo possibile. La paura che provava nei suoi confronti era evidente e, in qualche modo, ciò la tranquillizzò. Non le avrebbe dato filo da torcere vista la fama che si portava dietro - per meriti o per disgrazia.
«Giusto...» sospirò mentre Suzu e Julius in sordina si concedevano uno sguardo d'intesa, sollevati più del vodyanoy di non dover recuperare arti o budella bluastre in giro per l'obitorio. «Non sono molto ferrata sui nomi, soprattutto in questi casi» che in realtà stava a dire "quando non mi interessa", visto che nemmeno si prese la briga di scusarsi per l'errore. Miss Bahun a dire il vero aveva una memoria di ferro, era un'osservatrice attenta e scrupolosa soprattutto perché la sua mente funzionava per sequenze di immagini e associazioni. Ciò che scordava, o per meglio dire archiviava, erano informazioni di cui spesso e volentieri non aveva alcun bisogno.

Lord Terry avanzò di qualche passo, prese una pipa d'ebano dalla tasca del cappotto e se la piazzò tra le labbra prima di aggiungere un: «Nemmeno con le buone maniere, ma questo non ci dissuade dal lavorare con una donna del vostro calibro, giusto dottor Fairwheel?» e gli diede una pacca tanto forte che a Katarina parve d'udire il colpo risuonare nella gabbia toracica del vecchio che, per non capitombolare a terra, dovette sorreggersi a una delle barelle.
Ci mise qualche istante a ritrovare l'equilibrio e quando fu certo di aver ancora gli occhiali ben piazzati sul naso si concesse d'annuire: «I-io... io ho... ho sentito molte cose s-su di voi...»
E di certo, pensò Miss Bahun, sia che fossero questioni legate direttamente a lei, o indirettamente grazie a Emil, non doveva essere nulla di buono.
«Posso immaginare.»
«S-siete la p-p-pupilla di P-Padre Costantino» gli sentì farfugliare.
«Quanto più la sua punizione, oserei dire.»
Haymitch Fairwheel giunse le mani, girandosele l'una nell'altra nervosamente: «E siete anche l-la vânător che ha... d-distrutto u-un monastero n-nei pre-pressi di Pivka...»
L'impellenza di bere un sorso di vodka le rimontò in gola con ferocia. Ricordava fin troppo bene quell'incidente, se così lo si poteva definire; le era costato metà salario, la riconoscenza dei cittadini, la mobilità della spalla sinistra per circa un mese e una lettera di richiamo dal Vescovo Wassily che la minacciava di rinchiuderla a Roma a svolgere pratiche burocratiche.
«Rischi del mestiere» rispose, deglutendo a fatica il sapore amaro della sobrietà.
«Oltretutto v-voi s-s-siete...» Miss Bahun sentì le mani formicolare al solo pensiero di ciò che il vodyanoy stesse per dire. Sapeva che avrebbe citato suo padre, ne era certa, tutti commettevano quel lurido errore. Strinse i pugni, pronta a udire nuovamente il nome di quell'uomo. «La... la più giovane a-allieva d-di Bistria a-ad aver preso i... i voti, giusto?» Quelle parole la colpirono al pari di uno schiaffo. Percepì il proprio corpo sussultare e il pavimento sotto ai piedi farsi instabile. La sua cerimonia di investitura non era certo un'informazione riservata, in molti all'interno della Chiesa sapevano che era avvenuta prima del previsto, ma udirla dalla bocca di quel mezzo demonio la fece vacillare. Quanto e cosa sapeva su di lei? E per quale motivo la conosceva sino a quel punto? Veloce come un brivido le venne in mente l'evento di quella mattina, Sylvia Goldchild che a sua volta sembrava sapere su di lei ciò che tanto sperava nascondere. Perché a Londinium le pareva che tutti conoscessero più del dovuto sul suo conto?

Suzu si volse, le sopracciglia alzate in segno di stupore: «Davvero, Miss? Avete preso i voti così presto? Non sapevo che-»
Ma Katarina interruppe subito il discorso: «Sì.» Si bagnò le labbra: «Sì, avevo quindici anni» ammise. Persino Julius, ancora alle spalle del vecchio, sembrò restarne sorpreso.

«Fenomenale» sibilò Whiteman dopo una breve pausa. Aveva già ammesso, fuori dalla casa di Lord Gregory, di nutrire nei suoi confronti fiducia e ammirazione, ma quell'informazione parve enfatizzare maggiormente la stima che le riservava; ciò che aveva fatto sembrava essere un'impresa eccezionale, ma chissà come avrebbe reagito se avesse saputo che già a quattordici anni, Katarina, aveva portato a termine la sua Proba Credintei (prova di fede).
Miss Bahun si morse la lingua, provò a distrarsi dalla sensazione fastidiosa che l'attenzione dei presenti le metteva addosso. Non voleva parlare di Bistria, ancor meno di sé.
Con la mano tesa lungo il fianco cercò ancora la tasca nella gonna, lo spiraglio che portava all'imbracatura. Quando era in missione era proprio sotto la pistola a ruota che agganciava la fiaschetta. Oh, e quanto le avrebbe giovato prendere un sorso di vodka in quel momento! Aveva la bocca secca, allappata. Le sarebbe bastato giusto bagnarsi la lingua per ritrovare la sua consueta sicurezza, pensò.
«Beh, rispetto ai vostri standard credo che lo sia.» Si costrinse a dire: «Ma se vogliamo che la mia resti una nota di gloria direi di passare a questioni più importanti. I cadaveri, dottor Chair- volevo dire Fairwheel, può mostrarmeli?»
Sui visi dei colleghi lesse confusione, o forse delusione. Di certo avrebbero gradito indagare maggiormente la questione.

Il vodyanoy annuì. Con passo veloce e movimenti goffi si avvicinò a una delle pareti: «C-certo Mi-Miss, da quale d-desidera p-p-partire?»
«La salma della prima vittima è qui?» munendosi di una calma ancora poco familiare, Katarina avanzò verso il medico legale.
«Per v-vostra dis-disgrazia no.»
Sobbalzò. Aveva udito bene?
«Da quanto non è più qui?» Persino Suzu, che nel mentre l'aveva affiancata, parve restarne sorpreso. Dal suo tono trasparì una nota di disappunto che Miss Bahun sentì in parte propria.
«Un paio di settimane, se non erro.»
La donna corrugò le sopracciglia: «Chi ha impartito l'ordine?»
«Oh, n-nessuno!» E a quell'affermazione la confusione generale divenne ancora più intensa, nessuno dei tre vânător sembrava capire: «Miss Pond si è semplicemente polverizzata

Cosa?

Se non fosse stata abbastanza temprata a ricevere brutte notizie Katarina avrebbe quasi osato dire che il suo cuore avesse perso un battito. Di certo, lo stomaco parve svuotarsi tutto d'un colpo.

«P-potreste ripetere, Haymitch?»
Il dottor Fairwheel aprì bocca, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una parola.
«Polverizzata? Oppure intendete dire incenerita come un vampiro alla luce?» Nel petto di Miss Bahun si mosse qualcosa, un palpitio crescente che la fece sentire come una bimba il giorno del proprio compleanno - anche se lei, i compleanni, li aveva sempre vissuti male. Non aspettava altro che una notizia di quel tipo, una sorta di prova che confermasse che dietro tutto quel trambusto ci fossero i luridi succiasangue. Si morse il labbro sopprimendo l'eccitazione.
«A d-dire il vero... la sal-salma di Elizabeth M-marie Pond è diventata polvere, non cenere. N-non c'era a-a-alcun o-odore nell'aria.»
«Ne siete certo?» Katarina mosse un altro passo, accorciando la distanza tra sé e il vodyanoy come se fosse sul punto di metterlo spalle al muro. Faticava a trattenersi quando in ballo poteva esserci Dracul.

«Sen-senza ombra di dubbio. Quel-quel giorno ho tolto la salma d-dalla sua cella e a-appena l'ho toccata s-si è polverizzata. Era più pallida d-del solito, cosa co-comune a dire il vero, ma aveva le vene qu-quasi in rilievo.»
Il bastone di Lord Terry colpì il pavimento, Katarina ne udì il rimbombo come se fosse ben più lontano della realtà, un suono ovattato: «Che intendete?»
«Solitamente l'apparato circolatorio diventa più evidente sui cadaveri, le vene tendono a un blu più intenso, ma quelle di Miss Pond... concedetemi il paragone, avevano l'aria di essere vene varicose per quanto emergevano. Il corpo di una vecchia...»

Quella nuova informazione lasciò Miss Bahun di stucco. Nonostante volesse credere che i vampiri fossero i mandati di quella moria, le nozioni raccolte diventavano sempre più fuorvianti. Certo, sangue e vene erano collegati, e di conseguenza riportavano alla prole di Vlad III, ma il fatto che i cadaveri diventassero polvere e non cenere... no, quello era inusuale.
Con una nuova falcata, ampia, Katarina si portò di fronte all'enorme parete bianca e lì, finalmente, notò rettangoli incisi nel marmo. Le celle refrigerate li circondavano, erano ovunque eppure nascoste.

«Tirateli fuori, dottor Haymitch. Tutti.»
 


 

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Capitolo 26
*** XV (1) ***




XV (1)

Per i corridoi di Scotland Yard nessuno di loro osò pronunciare una parola, anche se ci sarebbe stato tanto da dire.
Nelle spalle di Suzu Whiteman si scorgeva la tensione, in quelle di Lord Julius Terry un'insolita calma che puzzava di finzione. Katarina li osservò entrambi con estrema attenzione, continuando a rimuginare sulle informazioni raccolte. Tante. Troppe.
Sul costato sentiva premere l'urgenza di approfondire la questione degli attacchi da parte di licantropi e fae, ma anche di chiedere di più su Melody e Tobias - peccato che mancasse ancora tempo prima di poter estorcere dai colleghi le risposte alle domande che le assillavano la mente.
Circospetta si guardò attorno. Molti più agenti di prima si erano radunati nei corridoi e li seguivano con gli occhi, studiandoli come se fossero criminali diretti al patibolo. Erano schifati dalla loro presenza lì, infastiditi dai profumi che indossavano e che impregnavano l'aria che si respirava all'interno dell'edificio. Non si sarebbero potuti permettere alcun passo falso, altrimenti sarebbero piombati loro addosso e dato il via a una rissa dalla quale non era certa sarebbero usciti facilmente - ma solo perché ancora non conosceva le abilità di Mister Whiteman e socio.
Qualcuno dei poliziotti sembrò caricare uno sputo nella loro direzione e istintivamente le dita di Miss Bahun si mossero, pronte ad accogliere lo stiletto ancora nascosto nella manica del cappotto. Di quel gesto però non dovette essere l'unica ad accorgersi, perché dalle labbra di Suzu, come un bisbiglio, arrivò subito un ammonimento: «Contegno, miei cari. Non è il momento.» E in un angolo recondito di sé, udendo il suo tono, Katarina comprese che la frustrazione dell'uomo, se mai fosse scoppiata una rissa, avrebbe sovrastato la sua volontà; quindi, ci sarebbe stato da divertirsi. Sforzandosi abbassò il capo per nascondere il divertimento con la tesa della bombetta, conscia che non fosse il caso di mostrarsi tanto compiaciuta della cosa e, in rigoroso silenzio, avanzarono fino all'uscita, poi lungo il piazzale sterrato e oltre i cancelli. Grosse nuvole solcavano il cielo annunciando tempesta e un vento gelido dal sapore dolce si infilò sotto l'orlo della gonna di Miss Bahun lambendole le cosce. Finalmente erano fuori, lontani da quei mentecatti che non riuscivano proprio a digerire il fatto che i vânător, per quanto a loro non piacesse, erano fondamentali; dopotutto una pistola non era sempre l'arma più adatta allo sterminio del Male.
Julius alzò un braccio, la mano guantata di pelle nera a richiamare l'attenzione di un cocchiere qualunque nella speranza che la sua diligenza li allontanasse in fretta da lì. Era  come vedere un vampiro che, accorgendosi del chiarore del cielo, d'improvviso sentisse l'urgenza di scappare. In quell'attesa, una goccia colpì la corona della bombetta di Katarina, un'altra la spalla del cappottino verde e un'altra ancora le sfiorò la punta del naso ricurvo, facendole alzare il mento. Il meteo di Londinium stava nuovamente cambiando, allineandosi con l'umore degli uomini di fronte a lei quasi gli fosse succube.

«Ci mancava questa...» Il profilo di Lord Terry si alzò al cielo con un fastidio evidente nello sguardo. Quasi non sembrava lui quel giorno. E più le informazioni si andavano snocciolando nel corso della loro uscita, più dell'uomo svampito e stralunato che le era parso si perdevano le tracce. Sotto la gaiezza dello spilungone davanti a Miss Bahun si doveva nascondere un'altra persona, un trauma forse, ma subito l'interesse della donna nei suoi riguardi svanì. Ogni cacciatore aveva qualche problema irrisolto, chi più e chi meno grave, e di certo Katarina in quel momento non aveva tempo per distrarsi con quelli di un mezzo sconosciuto che, finito quell'incarico, sperava di non rivedere. Anche se la storia dietro la sua arma... fece scivolare lo sguardo sul braccio di Julius, giù fino all'impugnatura del bastone. Era davvero di ottima fattura, nulla a che vedere con la sua pistola a ruota o il pugnale che d'improvviso si ricordò avere attaccato alla coscia. L'abitudine di indossare l'imbracatura e quelle armi ormai era tale che quasi se ne scordava. Erano prolungamenti del suo corpo, parti essenziali. Alle volte, senza, si sentiva nuda.

«Finalmente.»
Il lieve passo in avanti di Lord Terry la riportò alla realtà. Le ciglia incrostate di vasellina e galena che probabilmente aveva indosso da più giorni di quanto ricordasse sbatterono alla ricerca della diligenza, una cassa blu notte con grosse ruote di legno che si fermò innanzi ai loro nasi. Il cocchiere alla guida, vestito degli stessi colori, fece un saluto col capo stando attento a non mollare le redini e il frustino. 
«Miss, prego, dopo di voi» Julius le aprì lo sportello lasciando a Suzu il compito di dare indicazioni e contrattare sul prezzo, poi la raggiunse all'interno: «Andiamocene prima che qualche villano possa trattenerci.»
«Temete che possano farlo?» Katarina osservò un'ultima volta Scotland Yard, i mattoni a vista e le finestre dietro cui non le fu difficile scorgere le sagome dei poliziotti ancora intenti a osservarli.
Whiteman li raggiunse e la carrozza prese a muoversi.
«Non sarebbe la prima volta.»
Divertente come, pur differendo le abitudini e gli insegnamenti delle diverse Divisioni sparse per il mondo, l'astio tra forze dell'ordine e vânător restasse uguale ovunque andasse, si ritrovò a notare. Un sorriso d'improvviso provò a tenderle le labbra e svelta lo nascose passandoci sopra la lingua.
 «Bene,» disse poi, allontanando gli occhi dal panorama oltre le finestrelle e riportandoli sui suoi colleghi: «ora parliamo di cose serie, che ne pensate? Credo ci siano parecchie dinamiche da chiarire.»
«E voi non pensate di aver già avuto abbastanza informazioni per oggi?» La bocca di Suzu aveva per la prima volta, da quando erano entrati nell'area della stazione di polizia, preso una piega diversa da quella della tensione. I lati stavano provando a sfidare la stanchezza e il fastidio che il resto del suo viso non riusciva a nascondere, ma a Katarina poco importò. No, non ne aveva affatto abbastanza se doveva essere onesta. La sua mente continuava a lavorare, tessendo trame al pari di un telaio la cui stola passa svelta tra i fili pari e dispari. Doveva raccogliere altre informazioni, studiare un piano d'azione, agire riuscendo a non fregarsi come l'ultima volta, quando quel dannato mezzo orientale di Whiteman si era accorto della sua spilla mancante.
In un gesto tutt'altro che appropriato si lasciò cadere contro lo schienale imbottito della seduta, sul viso una smorfia di sfida: «Oh, voi oggi avete solo stimolato la mia fame portandomi in quell'obitorio.» Ammise, fissandolo senza tregua. No, stavolta non avrebbero evitato il discorso.
«A noi invece oserei dire che si è chiuso lo stomaco.»
Miss Bahun scosse la testa, un angolo della bocca si alzò contraendole i muscoli della guancia: «Per la Santa Vergine, che problemi avete con questo lavoro?»
«Mia cara,» Julius si protese verso di lei, l'espressione ancora contrita in contrasto con il tono pacato delle sue parole: «non si tratta di questo, davvero. Cercate dentro di voi un po' di comprensione, per noi non è una situazione facile.»
«Ma non parete nemmeno propensi a renderla tale per me, Lord Terry.»
Per qualche istante l'uomo sorresse il suo sguardo. Stava inutilmente e mutamente sperando di farle cambiare idea, di persuaderla, ma alla fine con un sospiro si lasciò andare sul sedile, arreso. Il bello di lavorare da soli era anche quello, diventare tanto cocciuti da vincere simile battaglie.
«A quanto pare ciò che si dice sui vânător appartenenti al Primo Ordine è vero...» brontolò: «non avete cuore.»

Con la stessa prepotenza di un rigurgito nella bocca di Katarina si fece strada un sapore amaro. Un cuore?, si chiese. I pochi cacciatori usciti con lei dal monastero, a dispetto suo, erano dei fervidi credenti pronti a immolarsi per quello stupido Dio e la sua Sposa, certo, ma non era sicura si potessero definire privi di un cuore. Probabilmente lo avevano ancora e batteva per i motivi sbagliati, come la fede, il compito affibbiato loro dalla Santa Sede o i cittadini innocenti che avevano così bisogno dei loro servigi; il suo, però, le era invece stato strappato a pezzi, uno dopo l'altro - e il solo pensiero di averlo ancora fisicamente in mezzo al petto la nauseava.

Ingoiò tutto.
«In questa vita non ne abbiamo bisogno, Julius... fossi in voi me ne libererei in fretta perché è solo un'esca che ci portiamo appresso. È il punto in cui affondare i denti per vincerci e i mostri là fuori lo sanno. Un cuore ci rende deboli, per questo non riuscite a guardarmi in faccia e parlare dei vostri compagni là dentro.»

Sul viso del Lord calò una maschera di sbigottimento e orrore, quasi avesse pronunciato la più atroce delle accuse. Suzu, al suo fianco, non parve da meno.

«Buon Dio, Miss Bahun!» Esattamente come a casa dell'Exilati, la personalità di Julius ebbe un cambio repentino, riportando sul suo viso la stessa snervante ingenuità e frivolezza dei giorni precedenti: «Cosa avete subito di tanto atro da farvi convincere di simili nefandezze?»

Katarina si irrigidì. Da dove doveva iniziare? Dal giorno in cui era venuta al mondo, oppure dal momento in cui aveva preso coscienza di Emil Bahun? Dalla morte di sua madre, una donna che nemmeno aveva avuto la sfortuna di conoscere e di cui a malapena rimembrava il nome, o dal suo ingresso al monastero di Bistria? O forse... il flusso di pensieri si bloccò con brutalità e l'acidità del rigurgito montò con maggiore violenza.

Rahat! (Merda!) Doveva assolutamente cambiare discorso. O bere, perché in effetti il fatto di essere sobria da così tanti giorni iniziava a giocarle scherzi come quello: ricordare. Era una cosa che non le piaceva, soprattutto se si trattava dei giorni e degli anni prima della sua investitura a vânător. 
Strinse i denti sulla lingua, la fece sanguinare: «Questa vita, Julius. E voi» con il mento li indicò entrambi: «dovreste essere i primi a darmi ragione.» Una luce cupa attraversò lo sguardo del Lord come se in fondo sapesse, capisse quelle parole, ma fu giusto questione di un momento. Far parte dell'Ordine era un onore, ma soprattutto un dovere condannevole. «Quindi, Melody e Tobias. Parlatemi della loro dipartita.»
Ci furono lunghi istanti di silenzio, occhiate di muto confronto tra i due uomini e, infine, Suzu si schiarì la gola: «Prima lei, poi lui. È stata una morte inaspettata.»
«Avete assistito alla scena?»
Whiteman scosse la testa: «Melody è stata trovata nella sua casa vicino a Piccadilly Circus, a qualche isolato dalla residenza di Mister Gregory, per darvi una vaga idea geografica.» Quel dettaglio catturò tutta l'attenzione di Miss Bahun. Un vampiro non molto lontano dal luogo di ritrovamento della vittima, perché non la stupiva? Era solo l'ennesimo pezzo di un puzzle che era certa alla fine avrebbe mostrato il volto di Dracul; dopotutto non erano loro i più grandi esperti di sangue?
«A che ora?» chiese, protendendosi verso di lui, bramosa di carpire ogni singola parola. Quell'incarico, all'inizio così ambiguo, era un affresco dipinto sopra a un altro disegno. Le bastava grattare con l'unghia sulla superficie per far emergere sempre più l'opera originale.
Le sopracciglia di Suzu si inarcarono tanto da sfiorare quasi l'attaccatura dei capelli: «Mi cogliete un po' impreparato» ammise, cercando aiuto nel compagno: «Mattina presto, ma non conosco l'orario esatto. E' stata la domestica della famiglia a rinvenire il corpo.»
«Quindi è stata uccisa nella notte?»
«Non ne abbiamo la certezza, potrebbe essere successo nelle prime ore dell'alba.»
«Davvero? Le altre vittime sono state rinvenute di giorno?» Il capo di Katarina fece un movimento insolito, come quello di un corvo che osserva con attenzione qualcosa. Era sicura che la risposta sarebbe stata "no", ma volle comunque sentirlo dire da lui.

«La maggior parte.»
«E quante di loro erano ancora calde, tanto da poter dire essere morte di lì a poco?»
La mascella dell'uomo si contrasse.

Touché.

«Perfetto» sorrise, ma la cosa non parve piacere.
«State pensando che Mister Gregory possa essere un sospettato?»
«Sto pensando che i vampiri siano ancora in cima alla mia lista.»
Julius scosse la testa, si mise in mezzo: «È un Exilati, non può uscire dalle mura di quell'edificio.»
«Magari le guardie sono corrotte o lui ha dei complici.»
«No, Miss! Voi non capite. Non può

Per un istante Katarina si sentì confusa. Il modo in cui Lord Terry aveva sottolineato quell'ultima frase le fece dubitare di capirne veramente il senso.
«È sigillato, Miss, abbiamo creato un cerchio di sale e cemento intorno alla casa. Non può uscire a meno che non venga spezzato, così come entità maligne non possono entrare.»
I vecchi trucchi del mestiere, perché non ci aveva pensato prima? In fondo i vânător di Londinium non dovevano poi essere tanto sciocchi, anche se la cosa non escludeva il coinvolgimento di quel vecchio succhiasangue in tutta la faccenda. Chi confermava loro che non avesse contatti con l'esterno, con altri vampiri? Sarebbe bastata una missiva, qualche codice particolare...
«Conosceva Miss Melody?»
Suzu prese nuovamente parola: «No, non credo abbia mai fatto visita a Mister Gregory. A lei competeva la sorveglianza di Madama Pennywise, l'Exilati a cui abbiamo fatto visita senza il piacere della vostra compagnia.»
«Come mai se abitava vicino a lui?»
«Gli altri membri della squadra di Melody hanno domicilio nei pressi di Madama Pennywise, a Holborn. La maggioranza quindi vince.»
Aveva senso. Poco, ma ne aveva.
«C'erano segni di irruzione dall'esterno? La domestica ha notato qualcosa di insolito?»
Entrambi i colleghi scossero la testa con una sorta di rassegnazione, quasi avessero voluto darle una risposta diversa dalla realtà.
«È stato suo fratello Joe a fare i sopralluoghi. Ha riferito di non aver trovato nulla, non una finestra aperta né tracce d'intrusione nella casa.» Suzu si umettò le labbra come scusa per fare una pausa, ricordare le parole e i fatti: «Tutto ciò che ha visto d'insolito sono state le lenzuola sporche di umori scuri e il corpo della sorella mezzo rivoltato a terra.»
Incredibile. Inspiegabile.
Come avevano fatto a ucciderla? Che ci fossero passaggi segreti o mutazioni? O forse era stato Vlad in persona a entrare in casa della donna, sotto forma di nebbia nera, attraverso le serrature?
«E del ragazzo, invece, che mi dite?»

Un nitrito si levò fuori dalla carrozza, seguito prima dal verso del cocchiere, poi dall'arresto delle ruote. I loro corpi oscillarono in quella frenata poco delicata e nel voltare il capo Katarina vide la facciata dell'Istituto salutarla con gran poco rincuoro. Aveva bisogno di più tempo, di altre informazioni, ma quella fu la scusa per liquidare lei e la sua curiosità.
«Direi che questa è la vostra fermata, Miss Bahun» e fu Lord Terry a confermarlo: «Vi aiuto a scender-» prontamente Katarina gli bloccò il passaggio con una gamba, svelando la calza oltre lo stivaletto e catturando con un certo imbarazzo lo sguardo del collega. Il rossore sulle sue guance fece capolino più velocemente del previsto e la cosa la spinse a guardare con più intensità quel viso che stava diventando un tutt'uno con i lunghi baffi e i riccioli carota.
«Non ho bisogno del vostro aiuto, Julius, ho bisogno delle vostre risposte.»
Lui deglutì. Lo fece rumorosamente, faticando a distogliere lo sguardo da quel pezzo di biancheria che solo i nobiluomini abituati a signorine per bene guardavano con tanto avvampamento - poi, dita estranee le sfiorarono lo stinco, spingendolo verso terra.
«Vi prego, Miss.» Suzu, a differenza dell'amico, pareva tutto fuorché a disagio. Persino toccare la gamba di una donna con cui aveva poca confidenza sembrava non causargli alcun impaccio. «Affronteremo il caso di Tobias a tempo debito. Ora vi chiedo la cortesia di lasciarci liberi.»
«E quando intendete farlo?»
«Domani.»
«Perché non adesso? Fermatevi e finiamo il discorso.»

L'uomo scosse la testa con decisione: «Comprendo la vostra foga, ma avremo tempo per discuterne, dateci solo un minimo di tregua.»
«Stasera?»
«Domani.»
«E la ronda?» Una pausa. Lei e Suzu si guardarono negli occhi. Di certo aveva sperato che il discorso non saltasse più fuori, che visti gli attacchi da parte dei licantropi e del Piccolo Popolo concedesse loro un minimo di riposo - in particolare perché, ricordando le fasciature sulle mani di Mister Whiteman, Katarina aveva il dubbio che si fosse procurato quelle ferite proprio durante una ronda finita male. Con grande probabilità se non fosse stato per lei, e per l'obbligo da parte della Santa Sede di affiancarla durante la sua permanenza, sia Suzu sia Julius sarebbero ancora stati degenti. Quindi chissà di che entità erano le scottature che aveva riportato...

Libero dalla malia della calza, Lord Terry riprese a fare ciò per cui si era alzato, interrompendo lo scambio tra lei e il collega: «Per stanotte sono già state predisposte due squadre, non preoccupatevi. Pensate a riposare e valutare il da farsi dei prossimi giorni.»

«Non sono abituata a lavorare così.»
«E di grazia, a parte ai vostri scatti d'ira, all'evidente problema a relazionarvi civilmente col prossimo e all'ossessione per i vostri doveri di vânător, a cosa siete abituata?»
Per la prima volta Miss Bahun si ritrovò priva di parole di fronte a un commento di quel damerino che, senza lasciarsi sfuggire l'occasione, balzò giù dalla diligenza e le porse la mano: «Prego, Miss.»
Suzu si afferrò la tesa: «Come dicevo, a domani, Katarina. Prendete tempo per valutare le informazioni raccolte oggi.»


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Capitolo 27
*** XV (2) ***





XV (2)

Già, a cosa era abituata?
Mentre la carrozza con a bordo Julius e Suzu si allontanava e lei restava ferma sotto la pioggerellina lieve torturandosi il labbro, la risposta a quella domanda montò d'un fiato. Era abituata a tutto ciò che per loro sembrava così estraneo. Era abituata alla violenza subita e procurata, al sangue, alla sensazione d'estasi derivata dalle percosse. Era abituata a cacciare come un animale, stando sveglia per giorni e notti negli habitat più avversi; alle ferite che faticavano a rimarginarsi perché non dava loro tempo per farlo, al freddo che entrava nelle ossa e alle corse che piegavano in due. Era abituata agli incubi e ai demoni, reali o meno, che la perseguitavano senza tregua, ma dubitava che quei due potessero realmente capirlo. Sì, avevano perso qualche compagno più del solito, ma cosa c'era di strano? Era parte del loro mestiere, sin dal giorno in cui le loro dannate famiglie li abbandonavano di fronte alle porte dell'Ordine sapevano a che destino potevano andare in contro - per questo, se avevano un cuore, era meglio fingere che non esistesse.

I denti affondarono con più forza nella carne secca delle labbra e qualcosa di tiepido le scivolò lungo la curva di quello inferiore, sfiorandole il mento prima di cascare a terra. Katarina seguì con gli occhi quella goccia, la vide macchiare il selciato e risvegliarla da una sorta di trance.
Aveva bisogno di bere, davvero stavolta. E come un segnale mandatole dal destino, un rintocco lugubre le fece alzare il capo. Lì, stagliato contro il cielo di un grigio accecante, il campanile dell'Istituto le fece venire una strana idea. C'era una parte di quel luogo dedicata all'insegnamento, ma di certo ci doveva essere anche una piccola cappella nascosta in qualche area non troppo lontana. Le Sorelle Velate, a parte la Madre Superiora, non potevano uscire da lì se non per cerimonie ufficiali o commissioni di vitale importanza, quindi, la messa del Quinto Giorno doveva per forza essere celebrata all'interno - e questo significava che doveva sempre esserci almeno una bottiglia di spirito alla salvia a portata di mano.

Un ghigno malizioso le riempì il viso.

Con il dorso della mano guantata si levò dal viso i segni del rivolo di sangue che le era sfuggito dalle pieghe del labbro e con nuovo slancio avanzò verso l'ingresso dell'Istituto. Tirò lo stesso catenaccio dei giorni precedenti,  facendo scivolare le dita sino al pendente con la Voglia della Vergine e attese: uno, due, cinque, dieci secondi. La punta del piede a battere il tempo in attesa di qualcuno. Ora che quella consapevolezza le aveva avvelenato la mente non riusciva a pensare ad altro che al retrogusto amaro dello spirito, al bruciore dell'alcol lungo la gola e sul fondo dello stomaco. Quanto ci stavano mettendo ad aprirle?
I secondi divennero minuti e uno sbuffo le si riversò fuori dalla bocca.

Rahat!, pensò mentre la pioggia alle sue spalle si faceva più forte, impedendole di carpire qualsiasi rumore oltre il portone dell'edificio - e possibile che ogni volta che arrivava di fronte a quell'anta di legno e ferro il meteo le giocasse lo stesso scherzo?

D'un tratto lo spioncino si aprì con il consueto, fastidioso cigolio e gli occhietti scuri della solita novizia la salutarono: «Oh, siete voi Miss Bahun!» aggiunse, richiudendo il tutto velocemente e iniziando subito a far girare i chiavistelli. Prima da una parte, poi dall'altra, in basso e in alto fino a quando l'ultimo non fece scattare la serratura. «Siete rientrata presto, pensavo non vi avrei rivista fino al tardo pomeriggio» e sul suo viso un sorriso timido fece capolino, allontanando lo sguardo e generando in Katarina una sorta di tenerezza. Per quanto la divisa e l'innocenza di quell'aspirante suora suscitassero in lei battute e pensieri non proprio leciti, più tempo passava all'Istituto più si rendeva conto essere solo una bambina - e non avrebbe mai osato fare qualcosa di inappropriato quando a disposizione c'erano tutte le sue Sorelle. O una meraviglia come Sylvia Goldchild.
Le pizzicò il mento come una zia farebbe con la propria nipotina: «Già ti mancavo, Niamh?»
Lei sussultò, fu evidente che il groppo di saliva fece fatica ad andarle giù: «N-no! No, semplicemente...»
Miss Bahun tese le labbra e l'oltrepassò, ignorando l'imbarazzo che aveva generato in lei per mettersi subito sulle tracce della propria preda, anche se doveva farlo con una certa circospezione, assicurandosi di non destare troppi sospetti. Congiungendo le mani dietro la schiena si mise a scrutare il pavimento ornato. Seguendo per qualche metro la trama floreale uscì dal corridoio e lì, poi, i suoi occhi salirono lungo gli archi a sesto acuto lanceolato che davano su uno dei cortili interni, quello su cui si affacciavano buona parte degli alloggi delle Sorelle Velate, le stanze comuni e quelle dedicate alla loro vita privata. A dividerlo dall'altro, dove si trovava la serra della Superiora, una parte di edificio rettangolare che si sviluppava verso l'alto, accogliendo anche la torre campanaria. Era in quell'angolo di Istituto che doveva arrivare, ma sperava vivamente che per farlo non fosse necessario passare tra i corridoi dove si svolgevano le lezioni per quei pochi spocchiosi figli di famiglie benestanti.

«Niamh, tu sai la storia di questo posto?» Glielo chiese allargando il sorriso, lanciandole un'occhiata falsamente amichevole da sopra la spalla. Chiederle direttamente l'informazione che le interessava sarebbe stato un passo falso, parlando con le altre suore quella mocciosa avrebbe potuto involontariamente tradirla, così Miss Bahun optò per un giro di boa più lungo, in modo da prevenire.

La novizia si morse il labbro spostando dietro l'orecchio, come se fosse una ciocca di capelli, il velo che le copriva il capo. Il suo doveva essere un riflesso involontario, un ricordo corporeo rimasto impresso nelle dita. Quando si iniziava il percorso per diventare una Sorella Velata, di cui restavano davvero pochi Istituti in Europa, la prima cosa che veniva richiesta come sacrificio alla Vergine era la propria chioma - e poi ogni altra cosa. Solo una volta presi i voti si poteva tornare a sfoggiare qualche ciocca o treccia.
«Beh... in parte, Miss. S-so che l'edificio è stato costruito circa... trecentoventi anni fa e che ha subìto alcune modifiche nel tempo.»
«Di che tipo?» Katarina mosse ancora un paio di passi, continuando a prestare alla giovane il proprio orecchio sinistro. Sapeva già da sola quali parti fossero state aggiunte dopo, lo si notava dall'usura delle mura, dai punti in cui le strutture si univano, dove lo sbalzo di colore catturava subito l'occhio, ma doveva attendere e mostrarsi ingenua, incuriosita.
L'altra le si fece vicina, mantenendo comunque un rispettoso e timoroso distacco. Ancora non si era abituata alla sua presenza, oppure l'idea che con le stesse mani che Katarina stringeva dietro la schiena avesse ucciso chissà quali mostruosità sotto sotto la spaventava. Non sarebbe stata la prima a trovarla riluttante.

«Vedete, prima c'era... c'era solo questa parte di Istituto, collegata direttamente a quella sul lato opposto, dove avete conosciuto...» prese un respiro e Miss Bahun la guardò con più intensità; sul viso della piccola una smorfia serafica, trasognante: «Madre Goldchild» concluse infine, buttando fuori l'aria raccolta nei polmoni. C'era adorazione in lei, una sorta di referenza che prese Katarina alla sprovvista. Quello sguardo, il mezzo sorriso disegnato dalle labbra... quante volte aveva visto la medesima espressione sui visi dei ragazzini rinchiusi con lei a Bistria, quando durante le investiture devolvevano le loro vite, le proprie anime, a due entità che tanto salvifiche e benevole non erano? Troppe. Ma quantomeno Sylvia era reale, se quella bambina avesse voluto allungare la mano, aggrapparsi a lei, avrebbe potuto farlo; i suoi compagni dell'Ordine invece non avevano altro che il nulla.
Si morse la lingua.
«Quindi l'Istituto aveva una pianta rettangolare?»
Niamh annuì: «Sì, ma poi la Santa Sede ha voluto che gli Istituti... diventassero utili, quindi ha imposto delle modifiche. Dovevano portare... profitti, sì, così che le spese per il loro mantenimento non gravassero su Roma.»
A Miss Bahun venne da ridere. Quelle donne, la loro decisione di essere tanto stupide da sacrificare la propria vita e tutte le cose belle che ne conseguivano non doveva gravare sugli introiti di quegli avidi e lussuriosi dei Vescovi, Arcivescovi e annessi. Dubitava anche che tutti i guadagni di quella sottospecie di scuola venissero davvero devoluti alle Sorelle vista l'austerità di quel posto; non un arazzo di pregiata fattura o un quadro, men che meno ornamenti d'oro o d'argento. Solo ferro battuto, legno e pietra. E nell'aria l'odore nostalgico delle cose perse.

«Per questo ora ha una pianta a croce commissa...» finse di valutare tra sé e sé ad alta voce. «E prima di questa modifica c'era una cappella per la messa del Quinto Giorno? O è arrivata dopo?»
«Oh...» la novizia parve riflettere, incerta. La sua istruzione in merito a quel posto non sembrava essere poi tanto approfondita: «A dire il vero è stata quasi dismessa dopo l'ampliamento.»
Katarina per poco non sussultò. Come era possibile?
«Sapete, Miss Bahun... siamo rimaste in poche all'Istituto, a-all'incirca una decina e... beh, Madre Goldchild trova triste celebrare il Quinto Giorno in una cappella vuota...»
«E la torre campanaria?»
«Beh, è autonoma.» Disse quella frase con un fare innocente, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «La campana viene suonata grazie a meccanismi e ingranaggi che si muovono per mezzo dell'acqua. Sotto all'Istituto passa... un canale direttamente collegato con il Tamigi.»

Ah!, questa le giungeva nuova. Alla Santa Sede, nonostante il Tevere che attraversava la città, non avevano nulla di simile - ecco un altro dei motivi per cui Londinium era la destinazione ultima per coloro che aspiravano a compiere grandi innovazioni. Non erano solamente più comprensivi nei confronti del Mundi, avevano anche un'apertura mentale da far invidia a tutte le proprietà della Chiesa.
«E quindi non celebrate il Quinto Giorno?» Allargò il sorriso, stranamente divertita. Una decisione del genere sarebbe potuta costare cara a tutte loro, soprattutto a Sylvia che, in quell'istante, prendendo consapevolezza di quel suo atto di ribellione, le parve ancora più eccitante. Davvero una donna come lei poteva compiere una simile trasgressione? E quante altre ne avrebbe attuate?

«No! No, Miss! Cosa vi salta in mente?» La piccola balzò dritta, gli occhi grandi di stupore, le gote rosse e le mani strette sulla gonna della tunica come a trattenere un misto di agitazione e rabbia. «Il Quinto Giorno è sacro, la Vergine non ci accoglierebbe nel suo giardino se osassimo compiere un simile tradimento!»
Il sorriso di Katarina si spense e quella sorta di formicolio che le aveva sfiorato il basso ventre e la mente si chetò. Peccato.

«Non comprendo, allora.»
«N-noi celebriamo il Quinto Giorno nel refettorio. Madre Goldchild ha trasferito lì... tutto il necessario. E'... più intimo e ci sentiamo a casa.»

Il refettorio... Katarina ricordava bene quel posto, c'era stata quella stessa mattina - o quantomeno ci aveva provato. La strada dalla sua stanza era abbastanza semplice e se si fosse mossa con scaltrezza, stavolta, sarebbe riuscita a entrarvi senza problemi. Mancavano ancora un paio d'ore all'inizio dei preparativi per la cena e, visto che lei sarebbe rimasta relegata nella propria cella durante il pasto, poteva farci un salto quasi immediatamente, prima che le suore potessero scoprirla.


Si umettò le labbra. Era fatta.

«Comprendo le vostre ragioni, dunque. Fate bene a trovare un luogo familiare in cui svolgere i vostri doveri di credenti» e mentre le parole le uscivano di bocca, in gola sentiva la nausea montare. Nemmeno con tutta la forza di volontà riusciva a sopportare simili cavolate: «la devozione deve essere qualcosa di naturale e piacevole, non un'imposizione.» Si volse meglio, sorridendole: «E in fatto di doveri,» tirò fuori dalla tasca il proprio orologio d'argento, vi posò sopra gli occhi senza realmente guardare: «credo sia per me giunta l'ora del riposo. Ho una ronda che mi aspetta, stasera. A questo compito purtroppo non posso sottrarmi.» E le strizzò l'occhio con complicità, come se le avesse rivelato un segreto.
Le gote della novizia s'infiammarono e la posa si fece tanto tesa da tradire ogni tentativo di restare impassibile al suo cospetto - e a Katarina quasi dispiacque. In quella ragazzina c'era una tale fiducia verso di lei che le sembrava davvero da stronza usarla per i propri riprovevoli scopi, eppure le bastò volgere il capo e togliersela dalla vista per dimenticare quella sensazione; in fin dei conti Niamh non era nulla se non l'ennesima persona con cui avrebbe di sfuggita incrociato il cammino, ferirla o riconfermare la sua brutta reputazione anche lì poco le importava.
Senza aggiungere altro, Katarina avanzò svelta lungo i corridoi dell'Istituto. I suoi stivaletti calpestarono mosaici di fiori senza alcuna remora, schiacciandoli sotto le suole come se stesse avanzando sui resti di un campo di battaglia - non fosse che l'unica guerra che stava avendo luogo era quella dentro di lei. In un'anticamera delle mente udiva ancora rimbombare le domande di Lord Terry e Whiteman, le sentiva muoversi nel tentativo di raggiungere la parte cosciente per piantarle uno stiletto nelle tempie - e non doveva permetterglielo. Accelerò. Con i sensi in allerta si fece strada sino alla propria cella, salutando con un sorriso di circostanza e un cenno del capo le poche Sorelle che incrociò lungo la marcia. Tentò in tutti i modi di apparire il più tranquilla possibile, ma sentiva il desiderio di bruciarsi le interiora con l'alcol urgere.

Quanto le mancava?  Meno di quanto ricordasse, ma più di quanto sperasse. Dal mosaico di un albero in fiore riconobbe il corridoio che aveva percorso ore prima. Tre porte sulla destra e avrebbe raggiunto la sua cella, poi altrettante e si sarebbe immessa nella seconda area vecchia, lì dove i bagni e il refettorio la stavano attendendo.
 


 

 

Perché in questo World Building viene usato lo Spirito alla Salvia al posto del vino?
Ebbene, ogni pianta citata all'interno di questa storia porta sempre con sé un significato - si è visto nelle incisioni sulla porta un paio di capitoli fa e nel pugnale di Katarina molto prima - quindi anche in questo caso non potevo scegliere qualcosa di banale.
La Salvia è una pianta officinale molto comune (antibatterica e antinfiammatoria), ma il suo significato esoterico è legato alla purificazione. Nell'antica Roma era usata per purificare gli altari dove si facevano sacrifici, mentre i Celti la utilizzavano per sfregare i cadaveri prima di cremarli, in modo che venissero privati di ogni male e accettati nell'aldilà. Leggenda narra anche che il "letto d'amore" del dio Bel insieme alla Dea fanciulla (wiccan) fosse fatto di salvia e, quindi, ho voluto prendere di ispirazione questo dettaglio per legare la grappa usata nelle cerimonie alle due divinità che governano il mondo di Miss Bahun.

La spiegazione può essere tranquillamente approfondita, ma per ora preferisco non ammorbarvi più del dovuto. In ogni caso sono a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti.

 

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Capitolo 28
*** XV (3) ***





XV (3)


 

Katarina entrò nella propria cella lasciando l'uscio socchiuso per poter udire passi e brusii. Con poco riguardo buttò la bombetta sulla sottospecie di letto che le era stato assegnato e allo stesso modo fece con il cappottino verde. Il tintinnio della catenella dell'orologio sui bottoni le fece storcere il naso e d'istinto voltare verso la porta come se qualcuno potesse aver udito il rumore e la sua presenza lì - un atteggiamento sciocco, se lo rimproverò da sola. Chi mai poteva accorgersi di un suono tanto lieve? E quale Sorella Velata gli avrebbe attribuito una connotazione ambigua come quella di una persona che si prepara alla caccia? Scosse la testa smorzando un sorriso. Era così abituata ad agire in sordina da farsi paranoie inutili anche quando non serviva; dopotutto stava andando a rubare un po' di Spirito alla Salvia, non certo ad assassinare un essere vivente!
In un riflesso involontario si sistemò i guanti e i polsini della camicetta, poi si diresse in punta di piedi verso lo spiraglio di spazio tra la porta e il muro, appoggiandosi a quest'ultimo con la schiena.
In rigoroso silenzio scrutò il corridoio che aveva abbandonato poco prima, guardinga. Non c'era più nessuno all'orizzonte, nemmeno una mosca. Per un istante trattenne il fiato, poi si passò la lingua sul labbro inferiore convincendosi che non fosse poi cosa strana, visto l'irrisorio numero di suore presenti all'Istituto - così, agile, sgattaiolò fuori dalla cella. Con passi leggeri scivolò lungo le pietre non più mosaicate del pavimento al pari di un fantasma e tendendo l'orecchio più di quanto una persona qualsiasi avrebbe fatto avanzò. Il fragore della pioggia echeggiava per i corridoi entrando dalle finestrelle e allungandosi dal cortile interno verso le aree più intime dell'edificio, mettendole i bastoni tra le ruote. Ogni tre falcate Katarina era quindi costretta a lanciare uno sguardo alle proprie spalle, scrutando nella luce malata di quel tardo pomeriggio ogni ombra. Non era certa di poter udire il pericolo al momento giusto, ma allo stesso tempo sentiva di starsi preoccupando eccessivamente. Anche se qualcuna delle Sorelle l'avesse beccata cosa poteva succederle? Probabilmente nulla. Si sarebbe inventata una scusa, oppure avrebbe sfoggiato qualche battuta d'abbordaggio abbastanza esplicita da deviare l'attenzione altrove, scampando il pericolo di essere ripresa da una delle tante autorità ecclesiastiche di cui non desiderava fare la conoscenza.
Rallentò, concedendosi un respiro.
Contò i secondi insieme ai passi seguendo il ricordo di quella mattina, aspettandosi da un momento all'altro il sopraggiungere fastidioso di un richiamo che, invece, non arrivò. Quando i suoi occhi si posarono sulla porta intarsiata che aveva scoperto nel torpore di alcune ore prima, il sorriso le si allargò bruciante in viso. Il sangue fuoriuscito dal taglio le si posò sulla punta della lingua, ma Miss Bahun quasi non se ne accorse: già pregustava il sapore intenso dell'alcol. Con rinnovata urgenza si fiondò sulla maniglia, vi strinse intorno le dita e... attese. Cauta poggiò un lato del viso sull'anta, vi schiacciò contro l'orecchio e trattenne il respiro.
Zgomote (rumori), ecco cosa doveva udire. Ne sarebbe bastato uno per farle rivalutare tutto il piano. Prima di fare qualsiasi cosa era ovvio dovesse essere certa che nel refettorio non vi fosse nessuno, nemmeno Niamh che, tra tutte, sarebbe stata la più facile da intortare.
Deglutì lentamente, con una certa timidezza, poi pigiò i denti sulla lingua cercando di agganciare la concentrazione insieme al muscolo.
Nel refettorio non doveva esserci anima viva.
Katarina abbassò la maniglia, fece scattare la serratura in quel modo pacato e aiutandosi con la spalla spinse. Si aprì uno spiraglio largo tre dita e vi spiò attraverso. Le candele erano spente e a differenza di quella mattina la luce lattiginosa del tardo pomeriggio filtrava da piccole finestre, feritoie che permettevano ai raggi di estendersi come maniche ad angelo lungo un braccio immaginario, proteso verso chissà cosa. Miss Bahun rimase in allerta. I suoi occhi baluginarono in ogni direzione per capire se la stanza fosse realmente vuota e, dopo alcuni istanti, si decise a entrare. Lo fece lanciando un ultimo sguardo verso il corridoio, decisa più di prima a procedere e, una volta oltrepassata la soglia, chiuse la porta con la stessa premura con cui l'aveva aperta.
Dentro!, pensò tirando il primo sospiro di sollievo mentre staccava la mano dal ferro della maniglia. Un senso di sollievo le invase il petto quando il rumore lieve dell'anta oltre le sue spalle le fece capire di essere momentaneamente al sicuro. Per un istante ricordò le prime fughe dalla stanza che Padre Costantino le aveva affittato a Roma, in una delle strade subito fuori Città del Pontificio, quando ancora le importava qualcosa della sua reputazione di vânător. In quell'edificio, oltre a lei, soggiornavano per brevi periodi altre sue colleghe che, esattamente come Katarina, erano tenute sottocchio da Donna Stefania e Donna Emanuela, due ligie laiche innamorate ciecamente del Vescovo Wassily, pronte a tutto per svolgere in modo eccellente i compiti che quest'ultimo affidava loro - ricordava ancora le espressioni sognanti con cui rientravano dalle messe a cui lui prendeva parte. All'inizio, forse per il suo buon nome, avevano creduto fermamente che fosse una ragazza di sani principi, educata, servizievole, ma dopo meno di un anno dal suo arrivo avevano chiesto in lacrime al povero prete di trovarle un altro alloggio. Tra post-sbornie in cui anche lei aveva pensato di morire, succhiotti e lividi che avevano impiegato giorni per sparire e ospiti spesso indesiderati, le poverette avevano decretato che Katarina avrebbe solo rovinato la loro reputazione e portato guai. Forse Padre Costantino a un certo punto era persino riuscito a convincerle a darle un'altra possibilità, ma quando lei si era presentata a colazione in camicia da notte, trucco sbavato e una bottiglia di vodka sottobraccio Donna Stefania aveva perso il controllo. Nel giro di mezza giornata si era ritrovata per strada. 
Negli anni non si era mai pentita del modo in cui aveva ripagato la finta gentilezza di quelle due e, probabilmente, non lo avrebbe fatto nemmeno nei confronti delle Sorelle Velate a cui stava per rubare lo Spirito alla Salvia; anzi, se l'avessero invitata a trovare un nuovo posto in cui alloggiare sarebbe solo stata contenta, risparmiandosi la fatica di dover dire al suo referente di non aver gradito la sua offerta.


In punta di piedi Miss Bahun avanzò, notando intorno a sé sempre più dettagli. Il soffitto in quel punto dell'Istituto era notevolmente più basso, permettendo al refettorio di svilupparsi in lunghezza. Alle pareti non vi era un singolo decoro, né mosaico né arazzo, ancor meno quadri. La pietra grigia avvolgeva pavimento, muri e colonne rendendo tutto così spoglio e spartano. I candelabri di ferro che quella mattina aveva visto sorreggere candele e fiammelle ora sostenevano solo i cadaveri di cera avanzata e si alternavano con regolarità lungo tutta la stanza. Le finestre a sesto acuto avevano quel vetro sabbiato di cui si era accorta il giorno del suo arrivo lì, permettendo alla luce di filtrare e alla riservatezza di proliferare indisturbata. Nessuno avrebbe potuto scorgere dentro quelle mura, così come le Sorelle non si sarebbero potute distrarre con l'esterno. Katarina le guardò a lungo, riuscendo a cogliere di sfuggita le sagome delle gocce che correvano lungo la superficie così chiara da ferirle gli occhi.
Seppur molto lentamente, si stava avvicinando alle panche e ai tavoli su cui le suore probabilmente condividevano i pasti, quelli a cui non le era concesso partecipare per via di chissà quale regola, quando, senza preavviso, dal fondo del refettorio si sentì un tonfo seguito da un cigolio. Il corpo della vânător agì prima ancora che lei potesse effettivamente capire quale fosse il pericolo e, afferrandosi la gonna e compiendo una mezza piroetta, Katarina si acquattò a terra. La mano libera corse alla tasca, ci si infilò dentro e poi scese lungo la coscia. Istintivamente le dita si strinsero sull'elsa del pugnale, pronte a estrarlo e uccidere, ma lei se ne rese conto solo nell'istante in cui scorse una porta spalancata al lato sinistro del refettorio, sul fondo, da cui prima spuntò una pila di paioli e mestoli, poi una delle Sorelle Velate improvvisatasi giocoliere. La donna aveva il viso contrito e per quel che le parve non doveva essersi accorta della sua intrusione. Dagli spazi tra gli arredi Miss Bahun la seguì come un predatore. La vide prima scrollare il capo, con il tallone chiudere la porta da cui era uscita bofonchiando qualche lamentela per il lavoraccio e poi avanzare nella sua direzione. 
Dă-te dracu! (Merda/vaffanculo), imprecò. Doveva cambiare nascondiglio, sfuggire allo sguardo del nemico e raggiungere il suo obiettivo prima che lei potesse notarla - così tirò fino al ventre l'orlo della gonna e muovendosi a ritroso a ritmo dei passi della suora girò intorno alla panca. Quando furono praticamente alla stessa altezza, Katarina era già al sicuro sotto un'estremità del tavolo. Mentre quella avanzava in direzione dell'ingresso da cui era arrivata, la vânător faceva altrettanto verso quella da cui era uscita. Non si girò per controllare se avesse notato o meno la sua presenza, non dubitò nemmeno per un istante di aver fatto un passo falso. Sgattaiolò quasi a gattoni lungo le tre file di deschi, fermandosi solo quando fu arrivata all'ultimo. In rigoroso silenzio attese che la Sorella Velata uscisse e, quando lo fece, si concesse un lungo sospiro. Aveva cantato vittoria troppo presto, se lo rimproverò da sola. 
Con cautela si alzò in piedi, osservò il punto in cui ora non vi era più nessuno e si concesse ancora qualche istante prima di agire in qualsiasi modo - preferiva evitare un altro possibile incontro compromettente con qualcuna delle padrone di casa, vista l'assenza di nascondigli degni di quel nome.
Trattenendo il respiro mise il corpo in reale allerta, come in una caccia. I muscoli si tesero, il sangue rallentò la corsa nelle vene e i pensieri si ammutolirono, lasciando solo ai rumori circostanti il lusso della sua totale attenzione. Sì, quel furto era una sciocchezza, un capriccio a cui sapeva di non dover prestare tanta preoccupazione. Se lo era ripetuto più volte da quando era uscita dalla propria cella, eppure la necessità di anestetizzarsi con l'alcol lo stava trasformando in una vera e propria missione per un bene superiore. Il suo, certo, ma pur sempre un bene di vitale importanza.

Nimeni (nessuno), si disse dopo secondi che parvero infiniti, pe bune de data asta (per davvero, stavolta).

Volgendosi con convinzione posò la mano che prima aveva tenuto l'orlo della gonna sull'ennesima maniglia e, continuando a mordersi la lingua, spalancò la porta da cui la Sorella Velata era spuntata.

Da...! (sì...!) Di fronte a sé, Katarina trovò una piccola stanza. Dentro vi erano scaffali che si innalzavano fino al soffitto le cui mensole ospitavano cassette con cibarie, spezie, stoviglie e bottiglie per la maggior parte impolverate, forse dimenticate lì chissà quanto tempo prima. Cordoni di aglio e peperoncini scendevano tra una spalla e l'altra delle credenze dando a quel luogo una connotazione rustica e in parte familiare, perché persino nelle case della sua terra o nelle osterie di Roma era possibile trovare qualcosa di simile.

Miss Bahun socchiuse la porta alle sue spalle e tendendo un angolo delle labbra pregustò il sapore di ciò che l'attendeva - e se le papille gustative le riempirono la bocca di acquolina, lo stomaco fece le sue solite lamentele a cui lei non diede conto. In un impeto si gettò sulle cassette sparse per quella sorta di dispensa e in punta di dita prese a fiorare tutto ciò che pareva essere una bottiglia o damigiana. Lesse etichette scritte a mano che riportavano nomi altisonanti di oli per la maggior parte finiti, aceti di chissà quale provenienza, succhi di frutta che amava e altri che odiava. Trovò qualche bottiglia di vino ormai talmente vecchio da risultare acido anche allo sguardo, oltre che al naso, e infine, nell'angolo più estremo di quella stanza, nascosto dietro a un sacco di patate che all'inizio l'aveva tediata dalla ricerca, scorse l'oggetto del suo interesse: un capannello di fiasche nuove, dal vetro chiaro e dal contenuto cristallino. Fu un sollievo, quasi non ci volle credere fino al momento in cui ne afferrò una. Il vetro freddo le fece correre un brivido di piacere lungo le dita e il sorriso le si allargò in viso ancor prima di poterlo fermare. Non che volesse, a dire il vero.
Il primo stappo fu un suono divino alle sue orecchie, per non parlare del profumo pungente che si levò dalla bottiglia in quell'istante.
Bevve senza pensarci. Ingollò sorsi così grandi e brucianti che gli occhi per poco non le lacrimarono. Lo Spirito alla Salvia le sfiorò il labbro inferiore e scese lungo la gola pizzicandola violentemente, si posò nello stomaco generando un fastidio che le era mancato e che sembrò corrodere gradualmente non solo il suo organo, ma anche ciò che la conversazione con Lord Terry e Mister Whiteman aveva rischiato di risvegliare. Lo lasciò depositare per ferirla e disinfettarla, per liberarla.
Katarina bevve con la stessa foga di un assetato nel deserto. Si staccò solo per prendere aria e poi ricominciare fino a quando metà bottiglia non fu finita; a quel punto spalancò la bocca, espose la lingua e cercò di sedare il bruciore, esattamente come avrebbe fatto se si fosse versata quella roba su un taglio fresco.
Che schifo, pensò appoggiandosi a una parete con la schiena e restandovi accucciata. Quanto mi era mancato, aggiunse subito dopo, soffocando una risatina.
Tenendo il collo di vetro, fece roteare il liquido al suo interno, lo osservò mentre il torpore alcolico le si diramava nel corpo con una dolcezza nostalgica. Pareva a tratti una carezza, anche se la sua pancia in quel momento avrebbe voluto tirale un pugno.
Era un ottimo distillato, valutò tra un gorgoglio e l'altro. Da un gruppo di ecclesiastiche come le Sorelle Velate non si sarebbe mai aspettata una simile ricercatezza, un sapore così pungente e deciso da concorrere con i migliori alcolici che avesse saggiato negli ultimi anni. Chissà da dove arrivava e quanto costava loro. Chissà come riuscivano a farsi concedere dalla Santa Sede il permesso per usare un prodotto così distinto.
Beh, pensando al sorriso di Sylvia, alle sue labbra turgide e rosee, agli enormi occhi azzurri una risposta riuscì a immaginarla. Quella donna avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa da un branco di uomini repressi nelle loro tonache.
Bevve ancora. E poi ancora. Arrivò alla fine senza rendersene realmente conto, perdendo pian piano contatto con la realtà. Più il tempo le sfuggiva più si sentiva calda ed euforica come il giorno in cui aveva stretto il corpo della Zână a sé, percependo la pulsazione della sua carotide a ridosso della mano che reggeva il pugnale, bramando la fisicità di una lotta, la violenza di un'uccisione. Miss Bahun leccò gli ultimi rimasugli dello Spirito alla Salvia dalla cercine, si mordicchiò il labbro ricordando le sensazioni di quell'episodio e dopo un tentativo poco coordinato rimise il tappo al suo posto sibilando: «Sono sobria da così tanto che paio una novellina!» e poggiò la fiasca in mezzo alle altre, come se mai l'avesse toccata. «A Roma si prenderebbero gioco di me» aggiunse pensando agli oste di fiducia da cui passava con regolarità quando si trovava in città e a quei pochi morti di fame che del suo ruolo, sesso e nome non si curavano, gareggiando con lei a chi vomitava per ultimo.
Scostandosi una ciocca dal viso si volse nuovamente verso il piccolo tesoretto al suo fianco valutando con seria indecisione quale mossa fare: stappare subito un'altra bottiglia, aspettare un po' nella speranza di potersela godere in santa pace lì, oppure compiere un vero e proprio furto per essere certa di avere sempre una scorta in camera. Beh, qualsiasi fosse stata la sua decisione, poteva rifletterci meglio prendendo un altro piccolo sorso.
Katarina allungò il braccio, sfiorò il sughero di quella più lontana e si fermò. Per un brevissimo lasso di tempo credette di esserselo sognata, ma poi un nuovo fruscio la mise in allerta. 

Stava arrivando qualcuno. 

Il suo capo si volse come quello di un avvoltoio, il suo sguardo baluginò nella penombra della dispensa e prima che la porta potesse aprirsi scattò in piedi, lucida più di quanto fosse stata solo un paio di secondi prima. Doveva essere svelta a nascondere ogni traccia del suo peccato e trovare una giustificazione per la sua presenza lì. Poteva dire di aver fame, no?
L'anta si spalancò.
Miss Bahun mandò giù un groppo tanto spesso che le parve di potersi soffocare - ma una volta giù, sarebbe stata libera di mentire spudoratamente. O almeno lo credette fino al momento in cui onde dorate entrarono nella sua visuale, muovendosi nell'aria come brezza estiva.

Dă-te dracu!, imprecò ancora una volta riconoscendo Sylvia Goldchild.

I loro occhi si incontrarono e la sorpresa le colse entrambe alla sprovvista. Le infinite ciglia della Madre Superiora sbatterono un paio di volte, le sue labbra si schiusero come un bocciolo e dalla misera fessura creatasi uscì ancora una volta il richiamo di quella mattina: «Miss Bahun...» la gola di Katarina divenne improvvisamente afona. Tra tutte le Sorelle Velate, certamente, non si sarebbe immaginata di incrociare ancora lei. Per quale ragione era lì? Non era forse compito delle novizie o delle più anziane occuparsi della cena? Eppure, tra di loro, quella che meno avrebbe dovuto trovarsi nel refettorio e più precisamente nella dispensa, non era certo Sylvia, ma lei.
«Che fate qui?»
La vânător si trattenne dal sobbalzare e ritrovando la voce che aveva pensato perduta, si riscosse. Era arrivato il momento di mentire. «Oh, Madre Goldchild, che lieto incontro! Scusate la mia... intrusione.»
«No, no, figuratevi! E' solo che...» l'espressione della suora era un misto di confusione e lieve preoccupazione, come se stesse temendo qualche suo gesto riprovevole - e se avesse saputo per quale reale motivo si trovasse lì, Miss Bahun era certa che non l'avrebbe perdonata; dopotutto il furto era reato.
«Avevo un languore» si affrettò a dire, tendendo le labbra. Per colpa dello Spirito rimastovi sopra le sentì bruciare ancora, ma non poteva evitarsi quella recita, non doveva lasciare a quella donna modo di immaginare, di ritrovare nella memoria i dettagli che riguardavano la sua sconsiderevole fama perché, come le aveva dimostrato ore prima, sapeva di lei più di quanto Katarina avrebbe voluto. «Scusate la mia impertinenza nel venir qui, avrei dovuto avvisare. Vedete,» abbassò lo sguardo provando a mettersi in volto l'espressione più innocente che aveva nel repertorio: «molti vânător finiscono col confondere giorno e notte. Penso che-»
I passi di Sylvia improvvisamente sovrastarono i rumori circostanti e i suoi pensieri, costringendola ad alzare nuovamente gli occhi. La Madre Superiora avanzò come una brezza implacabile fino a raggiungerla e, altrettanto improvvisamente, alzò una mano in direzione del suo viso. Miss Bahun non riuscì nemmeno a scansarsi, colta alla sprovvista si sentì avvampare. Così vicina la suora avrebbe sentito nel suo alito l'odore dell'alcol, avrebbe scoperto cosa stava tramando lì dentro, eppure non fu solo quello a farle balzare il cuore in gola. Per la prima volta erano davvero vicine. Tanto che il tepore della sua mano divenne minaccevole, il profumo ammaliante.
«Siete ferita...» ed ecco che le dita di Madre Goldchild si appoggiarono delicate a lato del suo viso mentre, titubante, il pollice si fermò a filo del labbro inferiore. Il tocco della donna sembrò mozzarle il fiato, Katarina si ritrovò a schiacciarsi contro la parete a cui era rimasta appoggiata come se la stesse mettendo in trappola - ma non era stata forse lei a sognare di premere il proprio corpo a quello dell'incantevole donna che aveva innanzi, imprigionandola tra sé e un qualsiasi muro di quel posto?
Il polpastrello della suora si posò sul taglio che Miss Bahun si era  procurata al rientro, pigiò su di esso strofinando via il sangue che non doveva essersi accorta esser colato fuori, diluitosi a causa dello Spirito alla Salvia. Nel compiere quell'atto, Sylvia scatenò in Katarina qualcosa di inaspettato: una pulsione, un desiderio che doveva tacere. E mentre quella era impegnata a pulirle il labbro, a lei sfuggì il controllo. Non seppe dirsi se fosse per colpa di un principio di ubriachezza o meno, ma quando il pollice si premette con più forza al centro del labbro, la vânător se lo infilò in bocca, intrappolandolo delicatamente con i denti.

Lo stomaco le si torse. Il cuore accelerò il battito. Era certa che da un momento all'altro Madre Goldchild avrebbe alzato inorridita lo sguardo, si sarebbe ripresa il proprio dito, l'avrebbe schiaffeggiata e in un secondo momento cacciata via dall'Istituto perché peccatrice, folle, irrispettosa - eppure non accadde. La mano di lei strinse con più veemenza il suo viso, il pollice affondò nella lingua mentre quelle turgide labbra rosa si schiudevano per raccogliere l'aria che aveva smesso di respirare. Katarina allontanò gli incisivi dalla falange di Sylvia, le permise di penetrare con più bramosia nella sua cavità orale e saggiò il sapore della sua pelle morbida come il petalo di una rosa. Chissà se mordendola la consistenza sarebbe stata la medesima... di certo, sapeva di bergamotto e un'altra pianta che Miss Bahun non riuscì a identificare - e inconsciamente ne volle di più. Staccandosi dal muro tirò indietro il capo, lasciò che il dito della Madre Superiora si sfilasse per inerzia e, una volta liberate entrambe da quel primo passo oltre il limite della decenza, la vânător invertì i ruoli.
Mossa da una foga che le nasceva dal basso ventre si schiacciò a lei, le afferrò il viso con entrambe le mani intrecciando le dita a quei meravigliosi capelli dorati, chiuse gli occhi per godersi meglio l'assaggio successivo e-

«Miss...?»
Katarina batté le palpebre come se si fosse appena svegliata da un sogno.
Sylvia era a un paio di passi da lei, in viso la stessa espressione confusa di quando l'aveva trovata lì nella dispensa. Teneva i palmi stretti tra il mento e il petto in un gesto di evidente preoccupazione e del rossore che le aveva riempito le guance durante il loro scambio nemmeno una traccia.
«State bene? Avete affrontato qualche mostro? Vi serve un medico?»
Come?
Si guardò attorno.
Qualcosa non quadrava.
«Scusatemi, ma... noi non...?»
L'altra corrugò le sopracciglia: «Noi cosa, Miss?»
«Noi stavamo...» Katarina fu sul punto di descrivere quello che avevano fatto, di ricordarle il punto in cui avevano lasciato le cose, ma quando si rese conto di quanto sarebbe potuto risultare inappropriato tacque, permettendo al sorriso di Madre Goldchild di dissipare ogni dubbio: «Mi stavate raccontando del vostro languore.» Già, un languore di Spirito alla Salvia che aveva camuffato con quello per il cibo, permettendo all'alcol di annebbiare la sua ragione trasformandolo poi in qualcosa che se non si fosse sbrigata a sfamare avrebbe davvero causato problemi.
«Se volete possiamo portarvi qualcosa subito» ancora quel sorriso e l'espressione innocente, ancora quegli occhi così ammalianti e quelle labbra che avrebbe voluto mordere e leccare come...
Miss Bahun scosse la testa: «No!» decretò. «No, non preoccupatevi, io... devo uscire a dire il vero. Ho qualcosa di molto importante da fare.»
«Ma-» Le passò accanto senza farle finire la frase, svelta si precipitò fuori dalla dispensa mentre Sylvia l'inseguiva.
«Vi prego di non aspettarmi né per cena né per la notte, Madre Goldchild. Tornerò appena...» appena cosa? Nemmeno lei lo sapeva. Deglutì a forza il disagio che sentiva addosso e solo una volta arrivata alla porta che collegava refettorio e corridoio si volse verso la suora, restandone nuovamente incantata. Quanto avrebbe voluto che ciò che si era immaginata fosse accaduto. Quanto le era sembrata reale ogni sensazione. Si morse il labbro: «appena avrò finito.» Concluse abbandonando la sua figura, mozzando sul nascere l'istinto di fare marcia indietro e premere con cupidigia le labbra sulla bocca di lei, prendendosi tutto, ogni respiro e ogni goccia di saliva, ogni tocco e spaso.

Dannazione quanto era debole di fronte a Sylvia e quella sua divisa!



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Capitolo 29
*** XV (4) ***





XV (4)

Non aveva idea di cosa stesse succedendo, nella sua testa continuava a pulsare l'immagine di Sylvia di fronte a lei, gli occhi languidi e le labbra schiuse in attesa della sua bocca, di quel bacio che era sparito prima di nascere lasciandola in fibrillazione.
Katarina si rese conto d'avere fame. Una fame atavica di pelle, carne da stringere, calore da trasformare in sudore, saliva e... si morse la lingua. No, quei pensieri doveva allontanarli in fretta o avrebbero risvegliato in lei desideri che sapeva avrebbe faticato a mettere a tacere, soprattutto dopo tanta astinenza. Mentre a grandi falcate ripercorreva il corridoio tra il refettorio e la sua cella si rese conto di dover mettere quanta più strada possibile fra lei e la Madre Superiora, altrimenti... cosa? Avrebbe ceduto a istinti inopportuni. E dov'era il problema? Non aveva forse pomiciato con alcune delle domestiche del Vescovo Wassily negli anni? O con ragazze che a differenza sua non avevano la più pallida idea di cosa stessero facendo? Eppure con Sylvia, per quanto lo volesse, non riusciva ad andare oltre alle proprie fantasie. Lo avrebbe fatto se lei glielo avesse concesso, un po' come un mastino che aspetta l'ordine del proprio padrone per attaccare, eppure non era successo e, forse, mai sarebbe accaduto. Che fare, quindi?

Con un unico movimento abbassò la maniglia ed entrò nella stanza, trattenendo un'imprecazione. Come si sarebbe tolta quel languore di dosso?
Guardò il proprio cappotto incerta sul da farsi, troppo confusa dalla sequenza di eventi e dall'intensità dello Spirito alla Salvia che aveva ingollato. Era da tanto che un liquore non le dava le vertigini, inibendola fino a quel punto - e dannazione se lo aveva apprezzato! Una fiaschetta di quello, ogni giorno, avrebbe risolto quasi tutti i suoi sbalzi d'umore, pensò.
Con i denti si morse il lato dell'indice, una delle poche dita lasciate libere dalla costrizione del guanto. Se solo fosse stata a Roma, tra le vie che era solita visitare... Un'illuminazione la colse all'improvviso, facendole spalancare gli occhi. Certo! Il modo migliore per sedare la fame di carne era con altra carne. E sangue, magari. Mettersi sulle tracce del nemico avrebbe aiutato, allontanando la mente da tutto ciò che erano Sylvia e le sue diaboliche labbra. Sarebbero bastati un inseguimento o l'estorsione di informazioni da qualche bestiaccia del Mundi per rendere quella serata meno lunga.
Svelta si mise il cappotto, piazzò la bombetta sul capo e nuovamente uscì dalla cella in fretta e furia. I suoi passi riecheggiarono per i corridoi con decisione, mossi da una foga e un desiderio sempre meno propensi a ubbidirle. Ignorando i saluti delle Sorelle in giro per l'Istituto, Miss Bahun avanzò imperterrita fino all'ingresso e lì, non trovando come al solito Niamh pronta ad aprirle, si mise a osservare gli ingranaggi e le serrature del portone. C'era un ordine preciso in cui far girare le chiavi e di certo lei non si era mai premurata di ascoltare attentamente la sequenza in cui scattavano i meccanismi - ma poteva capirlo, se si fosse concessa qualche minuto. Le serrature erano state lasciate a vista, così come i sistemi di blindatura. Chiunque avesse eseguito quel lavoro aveva deciso di renderlo un orpello aggiuntivo, di farlo diventare parte integrante della decorazione floreale dell'edificio e seguendo un ramo e poi un altro...
Si accovacciò.
Poggiando i gomiti sulle cosce e aguzzando la vista Katarina percorse con lo sguardo ogni singola linea metallica cercando di capire quale arrivasse dove, in modo da intuirne la sequenza. La serratura sopra arrivava al fondo, quella centrale andava verso l'alto, l'ultima si trovava a metà e poi quella appena più in alto andava dritta a combaciare con i chiavistelli che aveva di fronte.

Si tirò in piedi, un sorrisino appena accennato in viso. Quanto amava la sensazione del successo! Così senza più esitare prese a ruotare le chiavi, una dopo l'altra secondo l'ordine appena appreso, e dopo ogni "click" un senso di soddisfazione le tese sempre più le labbra fino a formare un vero e proprio sorriso. Abbassò la maniglia e il portone si aprì con il consueto cigolio di benvenuto. L'aria umida le sferzò il viso, ad ogni passo con più spietatezza. Il tonfo alle sue spalle arrivò leggero, tanto che quando se ne accorse, nello sbattere le ciglia, si rese conto essere già arrivata alla fine del selciato. Le gocce di pioggia a tamburellarle sulla tesa del cappello e sulle spalle avvolte nel cappotto verde. Si inumidì le labbra. Era fuori ed era sola, due cose che fino a qualche giorno prima le erano parse impossibili. Katarina tornò a guardare davanti a sé.
Le strade erano semivuote e guardando in cima ai palazzi, cercando la striscia colorata che Julius le aveva mostrato alla loro prima ronda, si rese conto di non saper decifrare quella sorta di mappa. Sì, il collega le aveva spiegato che più si avvicinava al centro di Londinium più la colorazione assumeva tonalità fredde, azzurrate, mentre se desiderava uscirne doveva puntare verso il giallo e l'ocra, ma questo non era poi di grande aiuto. Se avesse voluto visitare la casa di Melody, dove il suo corpo era stato rinvenuto, ad esempio, che colore avrebbe dovuto cercare? E se avesse voluto raggiungere la casa di Mister Gregory? Imprecò, cercando di fare mente locale. Cosa aveva notato il giorno della visita a quel dannato succhia sangue? Si morse il labbro. Era una zona tutto sommato raffinata, il sole non aveva edifici troppo imponenti a coprire la sua traiettoria e poi... certo! Il Tamigi. Aveva notato i sommozzatori intenti a recuperare qualcosa dalle sue acque e, pensandoci bene, da quel che sapeva il fiume divideva a metà la città, passandoci quasi nell'esatto centro. Se fosse quantomeno arrivata lì avrebbe potuto fare qualche passo avanti e magari nelle sere successive raggiungere i luoghi di suo interesse; il tutto senza dover coinvolgere quei due smidollati di Lord Terry e Mister Whiteman.
Bastò quello a convincerla.
Miss Bahun si mise in marcia come se stesse per andare al fronte - e in tutta onestà, viste le sensazioni ancora così vivide in lei, stava davvero affrontando una guerra con se stessa.
Senza mai guardarsi indietro, ma tenendo il naso all'insù nonostante la pioggia, i suoi passi la spinsero lontana: dapprima in quartieri che ricordava appena, che sapeva aver visto scorrere oltre le finestrelle delle diligenze prese in quei giorni, poi in zone che non avrebbe saputo identificare. Non si accorse dello scorrere del tempo, smaniosa di trovare qualcosa. Un pub dall'aspetto fatiscente, un membro del Mundi o... si interruppe. I piedi le dolevano un poco. Era abituata alle lunghe camminate; spesso nelle missioni era stata costretta a spostarsi a piedi chiedendo ospitalità in villaggi in cui, se avessero saputo della sua identità, probabilmente l'avrebbero cacciata coi forconi - perché i vânător erano apprezzati solo all'occorrenza e per periodi brevi, come i temporali. Portavano sollievo nelle terre che visitavano quando ve n'era bisogno, ma la loro permanenza era presagio di sventura, di cattivo raccolto. Eppure, dopo quasi un mese dalla sua ultima disavventura con un Maligno, gli stivaletti che indossava non parevano più così comodi.
Sospirò portandosi le mani sui fianchi. Dannazione, pensò socchiudendo gli occhi, nemmeno il tempo che aveva trascorso a vagare per Londinium aveva alleviato i suoi desideri. Le dita involontariamente premevano con violenza sulla stoffa, stringevano alla ricerca di un corpo che non era il suo. I denti morsero il labbro inferiore, lo tirarono appena. Perché non vi era alcun sapore sopra? E perché lo voleva tanto sentire? L'immagine di Sylvia la colse alla sprovvista e fu costretta a scuotere la testa per allontanarla dai suoi pensieri.
Non doveva essere lì. O quantomeno non doveva essere solo lì, si disse, peccato che non ci fosse alcuna possibilità che ciò accadesse. Madre Goldchild era tanto bella quanto pura e, nonostante la cosa solleticasse l'interno coscia e il basso ventre di Miss Bahun, sapeva che mai avrebbe ceduto a una come lei. In primo luogo perché era una cacciatrice, in secondo proprio perché era una cacciatrice e in ultimo, o quasi, perché per diventare una Sorella Velata Sylvia doveva aver fatto solenne voto di castità - e Katarina non era certo così avvenente da far dubitare donne del suo calibro. Con fastidio riprese a camminare. Le sue falcate si fecero ampie e i pensieri radi. Tenne l'attenzione fissa sulla mappa dipinta sopra i cornicioni più alti e, quando i formicolii del suo corpo provavano a tradirla, si mordeva forte la lingua e pigiava le unghie nella pelle del guanto sperando di trovare la propria carne.
Miss Bahun non si fermò fino al cartello di Hungeford Bridge, lo stesso ponte che aveva attraversato con quei due stolti di Julius e Suzu e che l'aveva accolta una volta scesa dalla diligenza. Nella luce fioca del tardo pomeriggio si accorse di dettagli che quella volta le erano sfuggiti, forse anche a causa della foga. La monorotaia a vapore passava nell'esatto centro della strada, un solco simile a un taglio di metallo che si rifletteva nel cielo sotto forma di cavo. Lo vide oscillare minaccioso nel vento e, nel seguirne la direzione, iniziò ad attraversare il ponte. Intorno a lei più persone di quante si sarebbe aspettata di trovare in un giorno tanto uggioso camminavano svelte verso chissà quali destinazioni. I loro passi si mischiavano a chiacchiere e imprecazioni, al tamburellare delle gocce sopra il suo cappello e allo scroscio dell'acqua sotto di lei. Si sporse appena verso destra, lasciando cadere il proprio sguardo a terra, se così si poteva dire. Le acque scure del Tamigi scorrevano imperiose attorno a lei, lambendo le pile di mattoni grigi che si innalzavano dal letto del fiume fino a fondersi con il parapetto bianco a cui si era accostata. Non aveva smesso di procedere, ma sicuramente aveva rallentato per cogliere ogni dettaglio e, di tanto in tanto lungo quel percorso, la vânător notò una peculiarità che le tese le labbra in un sorriso forzato. Placche di ferro con sopra la raffigurazione del Dio di Luce si stagliavano in mezzo alla pietra, esattamente come facevano sugli edifici di Roma e di tanti altri paesini d'Europa. Avrebbe voluto sfiorarle per sentirle calde sotto i polpastrelli, ma un senso di nausea la frenò. Non aveva mai riservato alcuna fede in quella fantasia, il Dio per lei non aveva valore. Lo guardò con disgusto. Era raffigurato nello stesso modo di sempre, con il volto quasi completamente coperto da lunghi capelli che lasciavano visibile un solo occhio, per ricordare a tutti che Lui avrebbe sempre vegliato sulle anime dei suoi fedeli. Soffocò una risata. Dopo i pensieri che aveva avuto su Madre Goldchild e che ancora la minacciavano, probabilmente toccare quei santini le avrebbe bruciato i polpastrelli, un po' come succedeva ai Maligni.

Si umettò il labbro alzando lo sguardo e d'improvviso la sua marcia tornò a essere decisa. Più si avvicinava al centro del ponte, lungo diversi metri, più la brezza autunnale si faceva tagliente. La sera si stava avvicinando, così come la sperata sazietà - perché proprio non riusciva a togliersi dalla mente quella bocca carnosa, quelle labbra che sarebbe stato così delizioso mordere. Velocizzò il passo. Arrivò dall'altro capo dell'Hungeford Bridge con il battito accelerato e la schiena accaldata, i guanti fastidiosi sulla pelle quasi al pari del cappotto sul corpo. Si guardò attorno. Sui cornicioni quel colore simile alle acque del Tamigi, forse un po' più azzurrato che d'improvviso non aveva più alcuna utilità. Dove andare, quindi?
I suoi occhi balzarono da un angolo all'altro della zona nella speranza di trovare indicazioni utili, peccato che ve ne fossero davvero poche. L'unica informazione di qualche rilevanza gliel'aveva data Suzu il giorno prima parlando di Piccadilly Circus, ma dove era ubicata la casa di quel dannato matusalemme di Mister Gregory rispetto a quel luogo? E l'altro Exilati?  Sicuramente non molto lontano da lì. Ricordava alcuni degli edifici di fronte a lei, ma non era certa di potersi orientare bene come avrebbe sperato. Sospirò, provando a far mente locale.
La diligenza chiamata da Lord Terry li aveva lasciati non molto lontani dal ponte, sulla sinistra, e da quello che si erano detti all'obitorio era a diversi quartieri dalla casa di Melody, al contrario di quella della vampira a cui i suoi colleghi avevano fatto visita subito dopo, quindi... imboccò la prima traversa sulla destra ignorando qualsiasi altra possibilità. Avanzò incurante di tutto per un po', scrutando ogni strada che si apriva in mezzo alla città. Le sarebbe bastato ricordare un solo dettaglio per trovare almeno quel punto di riferimento, poi, una volta lì, avrebbe chiesto a qualche passante la via più breve per la sua destinazione - e l'inizio delle sue indagini avrebbe fatto un piccolo passo avanti.

Già, questo era il piano. Peccato che senza rendersene conto, il suo istinto le fece seguire i dettagli sbagliati, portandola fuori strada. Katarina non seppe dirsi come fece a ignorare la casa dell'Exilati, oltrepassandola e avanzando tra le vie di Londinium come se il suo obiettivo fosse un altro. Forse era stato il fatto che assomigliasse a tante altre, forse lo Spirito alla Salvia che ancora aveva nello stomaco aveva davvero fatto un ottimo lavoro anestetizzando il suo raziocinio, forse... si portò una mano alla fronte, scuotendo il capo.
Di certo, tra tutti i posti, non avrebbe optato per quello viste le sue precarie condizioni. Aveva scelto di distrarsi dalle sue voglie con un po' di sano lavoro, della violenza gratuita nei confronti di qualche povero Maligno di passaggio, provando a non cedere ai suoi soliti vizi, quelli che l'avevano sempre resa una vânător riprovevole, eppure eccola lì. Ancora.
Sarebbe bastato davvero poco per farla tornare sulla retta via, come ad esempio distogliere lo sguardo, frenare la mano che si stringeva intorno alla maniglia, non muovere alcun passo all'interno del locale.

Non fece nulla di tutto ciò e quando le labbra le si tesero e dalla gola le uscì un saluto deciso, in parte soddisfatto, si rese conto di essere una perfetta idiota.
Qualcuno l'accolse, ma lei non gli prestò attenzione. Tutto ciò che riuscì a distinguere della persona che le si fece incontro furono il sesso e la chioma cinerea: «Buonasera, cara, posso esservi utile? Credo che voi abbiate sba-» Prima che potesse finire, Katarina l'interruppe compiendo semplicemente un gesto. L'unghia del suo indice picchiò un paio di volte sull'argento della Vrei che aveva appuntato al cappotto, poi fece calare lo sguardo sulla donna che aveva davanti, allargando il sorriso.
«Oh! Io... mi scuso, non volevo. C-come posso...» Doveva essere relativamente su di età nonostante la sua bellezza naturale e quel colore di capelli, ma Miss Bahun tornò a guardare oltre le sue spalle, ignorandola.
«Non badate a me, Madame. So già dove devo andare.»
Quella non aggiunse nulla, si spostò dalla traiettoria della vânător timorosa di poter compiere un passo falso. Dalla mano che si portò al petto, però, fu chiaro che stesse temendo il motivo della sua presenza lì. Perché mai un emissario della Chiesa, un cacciatore, si doveva trovare nella sua attività commerciale? Beh, la risposta l'avrebbe avuta più tardi.

A Katarina bastò sparire oltre la rampa di scale, lontano dagli occhi indagatori della donna, per dimenticarsi di lei e, quando fu di fronte alla porta di suo interesse, pronta ad entrare, nemmeno si ricordava di aver incrociato qualcuno.
Senza annunciarsi entrò.

La stanza era vuota.

Oh.



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Capitolo 30
*** XV (5) ***





XV (5)


 

Katarina aggrottò la fronte. Perché aveva dato per scontato che vi avrebbe trovato qualcuno? Non lo sapeva, ma di certo quella scoperta l'aveva indispettita. Non che nell'ultima ora qualcosa avesse reso la sua giornata apprezzabile, in fin dei conti aveva discusso con Lord Terry e Suzu praticamente per tutta la mattinata, aveva scoperto che un lurido vodyanoy svolgeva il lavoro più importante per il caso a cui stavano lavorando e aveva bevuto un ottimo Spirito alla Salvia che per sua sfortuna le aveva procurato allucinazioni talmente realistiche d'averla condotta lì, mandando in fumo i buoni propositi. 
Sbuffò e socchiudendo gli occhi fece l'ennesima scelta discutibile: richiudersi la porta alle spalle. Avrebbe potuto andarsene, decidere di tornare al piano iniziale e comportarsi da vera vânător così come insegnava ed esigeva l'Ordine, peccato che lei avesse dimostrato più volte di essere una sorta di anomalia. Nessuna fede, nessun rispetto delle autorità e dell'iter, nessuna etica - ma quella, probabilmente, era una dote di famiglia.
Quando riaprì le palpebre, quindi, Miss Bahun si sentì meno colpevole.

Avanzò di qualche passo all'interno della  stanza e inevitabilmente i suoi sensi si misero all'opera. Come un segugio durante una battuta di caccia, il corpo di Katarina indagò, fiutando nell'aria il profumo di ciliegia e mirto che riempiva ogni angolo di quella baracca. Lo trovò tra le assi in legno del pavimento, impigliato tra le tende pallide della finestra aperta, sul tappeto che sfiorò con la punta dello stivaletto e certamente, se si fosse avvicinata al letto, l'avrebbe ritrovato anche sulle lenzuola. Dolce e minacciosamente ammaliante, la fragranza avvolgeva il suo corpo stimolando l'appetito.
Si guardò attorno nel tentativo di distrarre la mente dai possibili pensieri che sarebbero potuti sopraggiungere e, nel farlo, fece cadere lo sguardo su un paio di quadri raffiguranti paesaggi lontani. Le chiazze d'acquarello davano colore alle pareti, mentre uno specchio lì vicino rimandava indietro la sua figura. Vi ci soffermò qualche istante. L'espressione stranita che aveva in viso e le guance rosse che si incontravano sul picco della gobba del naso, proprio come quando beveva troppo o il freddo le pizzicava, le davano un aspetto ben più innocente di quanto avrebbe voluto, mentre la treccia che disordinata scendeva accanto al collo testimoniava la sua fretta nell'arrivare in quel posto - anche se avrebbe voluto negare che quella fosse sempre stata la meta del suo istinto.

Sospirò.

Era stata davvero una sciocca a entrare lì.

I suoi piedi si mossero sconsolati verso la finestra, curiosi di scorgere all'orizzonte quell'angolo di Londinium, di capire se da oltre il rettangolo di legno potesse vedere una porzione maggiore della città. Nel suo incedere sfiorò con le dita il pomolo d'ottone al lato del letto, sentì i polpastrelli bollenti bruciare contro il freddo della lega metallica e d'improvviso si arrestò. Nemmeno lo aveva notato la volta precedente. Beh, in tutta onestà aveva notato ben poco di quel luogo durante la sua prima visita. Era stata occupata a preoccuparsi di-
Un cigolio delle assi la fece sussultare. Gli occhi baluginarono nella direzione da cui le parve arrivare il suono e lo stupore che la colse non parve prendere alla sprovvista solo lei.

«Voi?» Miss Bahun sorrise con soddisfazione, beandosi in parte di ciò che aveva ora di fronte - cosa che stavolta, invece, non sembrò essere condivisa. «Che diamine ci fate qui?» La Fata strinse la presa sul telo con cui si doveva essere tamponata i capelli bagnati, gli occhi ridotti a due fessure e la mascella contratta per la spiacevole sorpresa. Di certo la giornata di quella poveretta doveva essersi rovinata tanto quanto quella di Katarina sembrava essere migliorata.

La vide scuotere il capo. I boccoli umidi si mossero pesanti, liberando alcune gocce che vennero subito assorbite dal legno poroso del pavimento. Non aveva alcun incantesimo addosso. La sua pelle chiara aveva quel tono verdognolo talmente delicato da far credere potesse essere solo un'illusione e le vene violacee le correvano sull'epidermide come tatuaggi sbiaditi, spuntando dagli orli della vestaglia che teneva indosso e che, di tanto in tanto, restava appiccicata al corpo bagnato rivelando parzialmente le forme che aveva cercato di celare. Quella visione aveva qualcosa di incredibilmente ripugnante nella mente di Katarina, eppure come la prima volta sentì la gola seccarsi. C'era sempre stato, attorno ai membri del Mundi, un alone di grottesco fascino da cui Miss Bahun, e non solo, era stata attratta e respinta.

La Fata avanzò provando a essere minacciosa. L'espressione indurita a evidenziare la bellezza  e la pericolosità della sua specie.
«Non ho le informazioni che mi avete chiesto, chiaro? E non sono nemmeno interessata a fornirvele. Denunciatemi alla Santa Sede se vi aggrada, oppure ucc-»
Mentre parlava, Katarina si tolse il cappotto poggiandolo sul bordo del materasso. «Quanto?» disse interrompendola. Stava completamente ignorando le sue lamentele e il fatto che il suo nervosismo fosse giustificato, vista l'intrusione. Miss Bahun però aveva altro per la testa, qualcosa che nemmeno lei era certa dovesse stare lì.
L'altra sussultò. La sua smorfia cambiò, addolcendosi appena per lo stupore.
«Anche se mi deste giorni» iniziò la zână fissandola mentre l'altra si toglieva guanti e cappello: «ho già detto di non essere interessata ad aiutarvi.»
Katarina si volse completamente verso di lei, in viso un sorriso accennato, ambiguo. La decisione con cui subito dopo si mosse verso l'interlocutrice non lasciò alla mente alcuno spiraglio per far entrare i pensieri. Il corpo agì d'istinto.
Sotto le dita della vânător i muscoli del collo della Fata si irrigidirono, le labbra non ebbero il tempo di chiudersi a dovere mentre la bocca di Miss Bahun prendeva seccamente un assaggio di peccato.

Si scostò appena, giusto per ripetersi in modo forse più comprensibile: «Cé mhéad? (quanto? - irlandese)» I suoi occhi incontrarono quelli viola di lei, restandoci sospesa in mezzo. Chissà se, tra tutte  le sciocchezze che aveva compiuto negli anni, quella le sarebbe valsa una scomunica.
«A-avete intenzione di uccidermi così?» udì il suono della sua deglutizione e un brivido perverso le risalì dal basso ventre alla bocca. Perché diamine era tanto eccitante?
«Non ho la presunzione di pensare d'essere brava fino a quel punto» scherzò, sapendo però con fin troppa chiarezza a cosa si stesse riferendo la zână. Scrollò la spalla con violenza e lasciò che lo stiletto scivolasse fuori dalla manica senza fermarlo. Il suono dell'argento contro il pavimento fu come un segnale e lo sguardo dell'altra tornò su Katarina. «Volete davvero fare questo?» Non sembrava convinta, eppure sia il suo battito sia il modo il cui il respiro le si era fatto caldo e veloce tradivano la tensione che stava forzatamente cercando di tenere a bada per non darle il piacere d'averla in pugno - ma non c'era bisogno che s'impegnasse tanto, poteva leggere il suo corpo come se fosse stato un libro imparato a memoria.
Il sorriso di Miss Bahun si allargò maggiormente, il suo volto si avvicinò impercettibilmente arrivando a far muovere le proprie labbra su quelle dell'altra: «Tutto ciò che offri, zână.»
Fu un soffio, eppure smosse ogni cosa. 

Benché la presa sul suo collo non si fosse allentata, la Fata si schiacciò a lei come se avesse aspettato quel momento dal loro primo incontro. Senza chiedere permesso, senza domandarle cosa volesse, infilò le proprie dita filamentose tra i capelli sanguigni della vânător, le cinse il capo per assaporare ogni millimetro di carne al pari della più passionale delle amanti.
E il sorriso di Katarina si tese molto più di quanto si sarebbe immaginata. Permise alla prostituta di infilarle la lingua in bocca mentre svelta si slacciava la gonna. I loro passi pesanti scandirono il percorso dalla soglia della toletta al ciglio del letto.

Avevano fretta e fame tutte e due, Miss Bahun lo percepiva come se la zână fosse un'estensione di sé. Anticipava i suoi movimenti, li assecondava prima di contrattaccare come in una danza o in una lotta. Appena quella provava a prendere un respiro, lei le premeva sensualmente i denti nel labbro inferiore e quando Katarina le allontanava le mani per sfilarsi di dosso i vestiti la Fata era già pronta a toglierle l'indumento successivo. Solo quando l'imbracatura cadde a terra con un tonfo sordo fu chiaro che non ci sarebbe stato alcun punto di ritorno, che stava davvero per violare una delle regole primarie del Codice dell'Ordine degli Illustri Vânător di Transilvania - ma a chi poteva importare? Qualsiasi cosa sarebbe successa in quella stanza non avrebbe potuto provocare alcun effetto collaterale. Avrebbe potuto negare ogni cosa.

La Fata si scostò. I petti di entrambe si alzavano e abbassavano velocemente, la pelle era accaldata e appiccicosa in quello stato appena prima del sudore, e la tensione era talmente palpabile da far sorgere un'unica domanda nella mente della vânător: perché diamine si era fermata? Miss Bahun mosse un passo verso l'altra pronta a tirarla nuovamente a sé, ma questa la fermò poggiandole le dita sullo sterno. Sorrideva in quel modo effimero, a metà tra il minaccioso e il seducente e ciò poteva dire solo una cosa: aveva in mente qualcosa. Che fosse positiva o meno, Katarina era certa l'avrebbe scoperto a breve.
«Stai per vendicarti di me?» Le chiese alzando l'angolo della bocca in un'espressione sprezzante. Qualsiasi cosa avesse in mente quel mostro non l'avrebbe trovata impreparata - non sarebbe stata la prima Figlia di Titania che avrebbe ucciso a mani nude, in caso le cose fossero volte per il verso peggiore.

La zână si leccò le labbra quasi vi fosse rimasto sopra un sapore succulento: «Non ho mai considerato la supplica un tipo di vendetta» ammise prima di spingerla e farla cadere col sedere sulle lenzuola profumate di mirto e ciliegio. Il basso ventre di Miss Bahun divenne un fuoco di fronte a tanta sicurezza, al modo in cui nuovamente quella prostituta alata osava sfidarla - poi la vide inginocchiarsi di fronte a sé.
Oh, sarebbe quindi stata lei a supplicare pietà? Lo stupore le fece per un istante abbassare  la guardia, ma fu carenza breve. Col busto Katarina provò a protrarsi per godersi la scena, per osare qualche battuta, tuttavia non le fu possibile proseguire.
Come una serva ai piedi della propria signora, la Fata si mise a slacciarle gli stivaletti. Teneva gli occhi viola fissi nei suoi e con quelle immense pupille pareva volerla avvolgere in un'oscurità tutt'altro che minacciosa. Con una lentezza discorde alla foga di poco prima glieli sfilò per poi risalire cautamente, in punta di dita, lungo il cotone delle parigine che Miss Bahun aveva indosso. Percorse il tratto di carne tra la caviglia e il ginocchio come se stesse toccando un oggetto prezioso, solleticandola al punto da farle stringere i denti per soffocare involontari mugolii - infine la sentì giungere all'orlo della calza e posare sulla pelle nuda le proprie labbra. Calde e suadenti, baciarono l'interno coscia facendo vibrare il corpo di Katarina al suono di un desiderio primordiale. Il torace le si gonfiò e i polmoni non osarono farsi sfuggire nemmeno un rivolo d'aria. Era certa che quell'apnea, l'attesa in cui si trovò sospesa, sarebbero valse qualcosa.
Il respiro della zână le carezzò l'epidermide costringendola a mordersi le labbra e a tirare indentro la pancia in un inutile tentativo di resistenza.
Dumnezeule mele! (Mio dio!) sentì però rimbombare nella propria mente in un rantolo di puro piacere, cedendo. Aveva aspettato così tanto... Era da quando aveva incontrato Sylvia Goldchild, il suo primo giorno a Londinium, che aveva sperato di provare una simile voluttà e doveva ammettere che quella dannata prostituta alata stava ampiamente soddisfacendo i suoi desideri - quelli interrotti nella propria cella all'Istituto e quelli che erano stati risvegliati con così tanta violenza dallo Spirito alla Salvia poco prima.
Ingoiò un risolino.
Dannazione quanto era debole la sua carne... si trovò a realizzare.
Poi, un soffio fresco le sfiorò gli stinchi facendo allontanare i pensieri dalla Superiora, ricordandole dove era e su chi doveva restare focalizzata.
Anche se era sbagliato.
Anche se sarebbe potuto costarle caro.
Anche se quella creatura non era chi avrebbe davvero voluto con sé in quel momento.
Però a lei andava bene ed era sufficiente per farle chiudere gli occhi e dimenticare tutto. Ciò che stava succedendo era come l'alcol che ingurgitava ogni volta che ne aveva modo per dimenticare il mondo intorno a sé.

E d'improvviso i suoi occhi si spalancarono nuovamente, un verso le si riversò fuori dalla gola in quella nota che nessun orecchio avrebbe mai frainteso. La testa le cadde all'indietro mentre le dita scivolarono nell'umido dei capelli della zână, stringendo. Pulsava dove le labbra di lei stavano ora baciando, bagnando, assaggiando - e lo faceva così bene che Katarina si sentì sopraffare. Nell'osservare il soffitto sopra di loro si rese conto che la mente stava perdendo contatto con la realtà, che tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi erano le sensazioni appaganti che la Fata le stava procurando. Era brava, non poteva negarglielo, forse più di altre prostitute con cui si era svagata nelle giornate a Roma. 
Le mani dell'altra le strinsero la carne della coscia come se avessero voluto sprofondarvi all'interno, il suo bel nasino le sfiorò ancora l'intimo. Miss Bahun boccheggiò e in un istante di lucidità si ritrovò ad agire come una belva. Con le dita intrecciate ai suoi capelli la strattonò allontanandola dal proprio inguine e i loro sguardi si riempirono l'una dell'altra.

La Figlia di Titania aveva i boccoli arruffati, le gote arrossate per la foga, la bocca umida e ancora più invitante nonostante i denti appuntiti che facevano capolino oltre le labbra. Katarina la baciò. Lo fece con uno slancio che non seppe spiegarsi, costringendola ad allungare il collo e a sollevare le ginocchia da terra, poi si staccò giusto per soffiare un ordine nella sua lingua: «Dezbracă-te (spogliati).» Non aveva più freni né lucidità a cui appigliarsi, in un angolo ormai recondito di sé lo sapeva. Anche senza capire il senso di quella parola, la zână dovette intuire cosa volesse dal modo avido in cui la stava guardando, dalla smania che le mozzava il respiro - e le ubbidì senza alcuna esitazione.
In un unico gesto si tolse la vestaglia rivelando ogni centimetro del proprio corpo, mostrando di non provare alcun pudore. Le ali le si aprirono dietro la schiena, piccole e belle come quelle di una libellula, fragili. Miss Bahun concesse loro solo un'occhiata fugace. Riconobbe dentro di sé l'istinto di strappargliele, così, per mettere a tacere quel richiamo, le strinse nuovamente il collo spingendola a terra. Aperte in quel modo sulle assi del pavimento, divennero una sorta di coperta che riuscì a ignorare, mentre a carponi sopra la Fata sorrideva tra un ansito e l'altro. 
Ancora una volta calò su di lei, le morse il labbro, la sentì bramare di più. E Katarina non si fece attendere. Si curvò maggiormente, con la lingua tracciò una linea di saliva dalla bocca al seno della Fata. La mano libera scivolò tra le cosce di lei, stuzzicò per vederle salire in viso il bisogno, la supplica.
«Implora-mă (pregami), zână.»
Non la capì. Non avrebbe potuto, eppure poco importava. Il suo respiro affannoso, il modo in cui dalla gola le uscivano rantoli che dovevano essere tentativi di invocarla bastarono a convincere Miss Bahun ad avanzare, a prendersi tutto ciò che quella donna le poteva offrire.  La vide sbarrare gli occhi, spalancare le labbra in un boccheggio infinito, inarcare la schiena sotto di lei per concederle altra carne di cui impossessarsi. Era in totale balia di Katarina, succube della tensione e delle sue mani, priva di remore esattamente come lei - e quella consapevolezza la spinse oltre. Sul pavimento di quella stanza, tra il profumo di mirto e ciliegio, umide di un desiderio fine a se stesso, consapevoli di essere nell'errore entrambe, finirono con il consumarsi senza esclusione di colpi. Katarina si riempì la bocca del suo sapore, la fece contorcere sotto di sé in una meravigliosa litania di spasmi e ansimi. Ci furono talmente tanti baci, morsi, impronte lasciate sul corpo l'una dell'altra che quando finirono Miss Bahun si ritrovò ad arrancare su gambe traballanti fino al letto ancora intatto dove finì col crollare. Incapace di darsi un contegno si poggiò col capo sul ventre della Fata, abbandonandosi in un dormiveglia sereno. Si sentì cedere alla stanchezza, nemmeno provò a contrastarla, e l'altra le permise di accoccolarsi a sé in un'intimità che raramente, per quel che Katarina sapeva, le prostitute concedevano.

 




ps. vi lascio anche un piccolo artwork realizzato tempo fa in onore di questa insolita coppia

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