Serendipity

di ArtenKowska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***


I.


Fatico a stare al passo, James si muove velocemente e, nonostante gli abbia intimato più e più volte di rallentare un po’, non mostra la minima intenzione di aspettarmi.
«Potresti aspettarmi?» chiedo supplicante con il fiatone nella speranza che, almeno questa volta, mi ascolti.
È da ormai mezz’ora che camminiamo, le strade sono già buie e, oltre a noi due, c’è solo il rumore delle poche macchine ancora in movimento nelle strade vicine.
Lo sento sbuffare, le spalle rigide sotto il cappotto, prima di notare che ha diminuito il passo, quasi fermandosi. «Muovi il culo Alis! Arriveremo domani mattina se procediamo così, le lumache ci stanno superando.» dice voltandosi finalmente verso di me. La voce è seria ma il suo sguardo divertito lo tradisce.
Perché deve sempre prendersi gioco di me?
«Stronzo» dico mollandogli un pugno sulla spalla senza riuscire effettivamente a torcergli un capello.
La sua risata cristallina riempie il vicolo e sento la sua cassa toracica vibrare contro la mia faccia quando mi stringe in un abbraccio. Mi mancava avere questi piccoli momenti intimi con lui; da quando siamo cresciuti si è allontanato sempre più da me, sembra quasi che mi eviti come la peste. Fino ad oggi almeno.
Inutile dire che, quando mamma gli ha detto di “prendersi cura di me”, sono rimasta più che sorpresa dal sentirgli dire che non aveva nulla di cui preoccuparsi in quanto mi avrebbe tenuta d’occhio lui.
Come se ci fosse molto da controllare… La mia “intensa” vita sociale consiste in qualche passeggiata al parco con Frost, il nostro cane, un gelato con la mia migliore amica ed intere giornate passate in biblioteca a studiare o, più semplicemente, a leggere. Niente di cui preoccuparsi insomma.
Dopo qualche secondo scioglie l’abbraccio e, sempre tenendomi per mano, riprende a camminare mantenendo però un passo più lento così da non farmi correre. L’aria fresca inizia a solleticarmi le gambe scoperte, chi me l’ha fatto fare di indossare questo stupido vestito? Okay che volevo sembrare un minimo decente ma per quale assurdo motivo mi sono messa così a lustro? Non devo mica impressionare nessuno anche perché, francamente, non ho idea di chi ci sia a questa fantomatica festa di cui James parla ormai da una settimana.
Un sospiro di sollievo lascia la mia bocca quando intravedo una casa in fondo alla via da cui proviene una musica ovattata.
«Siamo arrivati!» James sembra leggere nei miei pensieri e dà loro voce confermando le mie teorie. «Alis mi raccomando, non dare confidenza alla gente ubriaca e-»
Non lo lascio finire perché la mia bocca si muove troppo in fretta per punzecchiarlo, «Non sei mica mio papà!» lo guardo con aria di sfida ma poi, notando che il suo sguardo è -stranamente- serio, aggiungo «Starò attenta, ok?»
Mi scompiglia i capelli ed entra dalla porta aperta. Sembra conoscere perfettamente questo posto e si comporta come se fosse a casa sua.
«Ehi Jack!» lo sento dire, le sue mani, che si sono staccate dalle mie prima di varcare la soglia, scompigliano i suoi boccoli mentre si allontanava andando incontro ad un gruppetto di ragazzi seduti su dei divanetti posti a ferro di cavallo.
Perfetto! Ora che faccio?
Mi guardo un po’ intorno nella speranza di riconoscere qualche faccia familiare ma ogni mia speranza va in fumo quando mi accorgo che qui sono tutti più grandi di me e che, ovviamente, sono tutti dei perfetti estranei.
Mi avvicino ad una ragazza bionda, i boccoli raccolti in una coda bassa, che mi sorride cordiale non appena mi nota.
«Sapresti dirmi dove si trova la cucina?» chiedo gentilmente grattandomi il braccio, mi sento completamente fuori luogo in questo posto: sono l’unica ragazza che indossa un vestito, anche se non elegante, e più sguardi si son già posati su di me per scrutare ogni piccolo dettaglio del mio corpo.
Odio essere al centro dell’attenzione.
«Certo! Vedi quella porta là?» dice indicando un punto dall’altra parte dell’ampia stanza, «Prendi quel corridoio, la prima porta a destra e sei in cucina.» conclude con una risatina leggera riportando l’attenzione ad un ragazzo che le sta difronte.
Mi avvio verso la mia meta quando un braccio si avvolge attorno alla mia vita tirandomi indietro.
«Ciao bambolina» una voce impastata raggiunge il mio orecchio causandomi una serie di brividi in tutto il corpo.
Che schifo!
Allontano subito le sue mani dalla mia vita e procedo velocemente verso la cucina.
Sono così sollevata nel notare che l’accogliente stanza non ospita nessuno al suo interno che mi lascio scappare un piccolo gemito di soddisfazione.
Mi avvicino al bancone e prendo uno dei bicchieri rossi impilati a fianco di alcune bottiglie di vodka ormai semivuote.
Riempio il contenitore con un po’ di liquido trasparente e, dopo aver richiuso la bottiglia, mi avvio verso la porta che dà al giardino. Sono sorpresa nel constatare che si affaccia su una piccola veranda decorata da delle luci gialle che rendono l’ambiente accogliente.
Mi siedo sullo scalino più alto e inizio a bere, la musica è stata abbassata, forse per evitare guai con i vicini.
Qui tutto è più calmo, chiudo gli occhi beandomi del fruscio creato dalle chiome degli alberi mosse dal venticello freddo, la luna e le stelle sono visibili chiaramente e mi chiedo come sia possibile dato che siamo praticamente in centro città. Lascio da parte le mie inutili domande e mi concentro sull’intricato disegno luminoso che ricopre il cielo nero.
Davvero questo posto ha qualcosa di magico, mi segno mentalmente di complimentarmi con il padrone di casa per questa piccola meraviglia.
Quando finisco di bere la poca vodka con cui avevo riempito il bicchiere appoggio il contenitore di plastica ai miei piedi ed estraggo il pacchetto di sigarette dalla mia piccola borsa.
Nonostante mi sia già un po’ riscaldata grazie all’alcol appena entrato in circolo nel mio corpo, ho bisogno di una delle mie dosi quotidiane di “serenità”. Gil dice che è un modo assurdo per definire una cosa che, a lungo andare, nuocerà alla mia salute ma, sinceramente, non può sapere la pace che può donare al tuo corpo anche solo un singolo tiro da una sigaretta. Sul serio, abbiamo discusso più volte riguardo questo argomento ostico e abbiamo anche rischiato di rovinare per sempre la nostra amicizia ma, dopo alcune discussioni animate, siamo arrivate ad un compromesso: lei non mi avrebbe più detto niente se io mi fossi limitata ad una sola sigaretta al giorno. E così è stato. Non volevo perdere la mia più cara amica per una sciocchezza.
Tiro fuori l’accendino e, dopo aver coperto con una mano la sigaretta stretta tra le mie labbra, faccio scattare la fiamma e accendo inspirando il fumo.
Quello che prima era stato il mio bicchiere ora si è trasformato in un perfetto posacenere. Sorrido all’idea e mi do della stupida perché, diamine, ho bevuto solo mezzo bicchiere e son già brilla.
Complimenti Alis, complimenti!
Continuo a far scorrere la nicotina giù per la mia gola, alternando tra istanti in cui tengo gli occhi chiusi e altri in cui fisso rapita il cielo.
Mi sento finalmente felice, tranquilla e rilassata.
In pochi minuti la sigaretta è finita e la schiaccio nel fondo del bicchiere ricoperto dalla cenere grigia.
Ora il vento si è fatto più insistente e inizio ad essere percorsa da brividi che mi fanno venire la pelle d’oca. Potrei rientrare ma non ho nemmeno le forze di alzarmi da questo posto bellissimo, sono incatenata qui.
Sobbalzo colta alla sprovvista quando una voce roca mi raggiunge dalle mie spalle. Dio, quando la smetterà di farmi prendere certi infarti?
«Alis vieni? Se ne stanno andando tutti a casa ed è ora anche per noi» la voce di James è diversa dal solito, lo noto subito, so che anche lui ha bevuto e, quindi, non mi preoccupo di nascondere il bicchiere quando mi alzo.
Sono colta alla sprovvista quando il pavimento inizia a muoversi sotto ai miei piedi appena mi alzo, faccio qualche passo traballante prima di riacquistare un briciolo di lucidità e riuscire a camminare senza distendermi per terra di faccia.
«Arrivo» gli rispondo sistemando meglio la borsetta sulla mia spalla, cammino lentamente verso di lui convinta che si sarebbe spostato per farmi strada verso l’uscita.
Mi blocco sul posto, a qualche passo da lui, quando mi accorgo che non ha intenzione di rientrare, mi sta fissando e il suo sguardo mi mette a disagio, perché continua a farlo correre lungo il mio corpo?
La mia presa sul bicchiere si fa più salda quando si avvicina di un passo, ora siamo faccia a faccia e, per sostenere il suo sguardo, devo alzare la testa. Mi ha sempre sovrastato di parecchi centimetri facendomi sentire una nana da giardino più e più volte con i suoi commentini assurdi sulla mia statura.
La sua mano calda raggiunge la mia guancia interrompendo i miei pensieri, le sue dita si muovono delicate sulla mia pelle arrossata e spostano una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. Mi sorprendo quando non si scosta da me, la sua mano è ancora a contatto con la mia faccia che, ne sono sicura, sta diventando sempre più rossa sotto il suo sguardo.
«Hai bevuto?» mi chiede avvicinandosi ancora un po’, il suo alito che sa da alcol mi dà la conferma che qui non sono l’unica ad essersi concessa un bicchiere.
Annuisco, incapace di far uscire la voce. Perché non riesco a parlare? Lo vedo accennare un sorriso prima che le sue labbra rosse si posino delicate sulla mia fronte a lasciare un semplice bacio.
Una piccola scia di brividi mi percorre da testa a piedi a questo piccolo contatto, il bicchiere mi scivola di mano facendo sporcare il legno scuro con la cenere.
«Cazzo» dico abbassandomi a raccogliere e pulire il più possibile.
Sento le sue mani che si stringono ai miei polsi allontanandomi leggermente. Il mio sguardo segue attentamente i suoi movimenti mentre spinge la cenere di nuovo all’interno del bicchiere rosso.
Quando nota che lo sto fissando mi sorride e, concluso il suo lavoro, si rialza porgendomi una mano che afferro e uso come aiuto per alzarmi.
«Andiamo» dice incastrando le sue dita tra le mie e avviandosi verso la cucina.
Chiudo la porta alle mie spalle e vengo accolta dall’aria tiepida all’interno, l’occhio mi cade su un piccolo orologio appeso sopra la porta che si affaccia al corridoio di prima e mi accorgo che manca poco alle due di notte.
Com’è passato in fretta il tempo!
James mi conduce in salotto dove sono rimasti solo sei ragazzi e tre ragazze tra cui la biondina di prima.
«Ehi Harold, chi è lei? Non l’ho mai vista da queste parti!» un ragazzo moro si alza venendoci in contro e, subito, il riccio al mio fianco lascia la mia mano. Mi sento un po’ offesa dal suo gesto ma faccio finta di niente. Vendendo che nessuno ha intenzione di parlare mi presento da sola.
«Sono Alis, la-» James mi interrompe afferrando il mio gomito e spingendomi verso il portoncino di casa, «E ce ne stiamo andando» conclude al posto mio fermando la mia voce che risulta più stridula del solito e rimbomba nelle mie orecchie. Che diavolo ci avevano messo in quella bottiglia? La vodka non mi aveva mai fatto questo effetto!
«Amico è tardi, fermatevi qui con noi! Volevamo fare qualche gioco e poi tutti a nanna!» un altro ragazzo biondo si aggiunge alla conversazione facendo una faccia da cucciolo buffissima.
«No, sul serio dobbiamo andare…» perché è così agitato ed impaziente di andarsene?
«Per me è okay» dico sorridendo. Non ho per niente voglia di camminare al freddo a queste ore.
James mi lancia uno sguardo infuriato, lo vedo benissimo: i suoi occhi verdi sono più scuri e le sopracciglia sono aggrottate. Anche se dovrei spaventarmi è davvero buffo.
Mi allontano da lui, sciogliendo la sua presa, che si è fatta più ferma, e seguo i due ragazzi andando a sedermi sul tappeto verde, in un piccolo spazio tra i due divani già pieni. James mi raggiunge e si siede al mio fianco sbuffando e rifiutando l’invito di una ragazza castana che gli intima di sedersi vicino a lei, è irritato.
«Sistemati la gonna» mi sussurra all’orecchio facendomi diventare rossa come un peperone quando mi accorgo che l’orlo del vestito è salito fin sopra metà coscia.
Mi sistemo imbarazzata e cambio posizione cercando di limitare al minimo i danni.
«Giochiamo a “obbligo o verità”!» un coro entusiasta si alza quando una delle ragazze propone il passatempo che più odio. È un gioco assolutamente inutile inventato solo per mettere in imbarazzo le persone e far fare loro cose impensabili.
Perché ho accettato la proposta di fermarci qui? Mi maledico da sola sbuffando piano. L’unica cosa buona è che non han proposto di giocare a “io non ho mai…” perché sarebbe stato troppo imbarazzante.
Tutti, compreso James, hanno una bottiglia di birra in mano e continuano a bere.
«Inizio io!» il ragazzo biondo di prima si guarda attorno prima di indicare un giovane dagli occhi color ghiaccio che gli sta più o meno difronte, «Obbligo o verità?» chiede sorridendo.
Quest’ultimo ci pensa su un po’ prima di rispondere «Obbligo»
Lo sguardo del ragazzo, che intuisco essere Lucas dai vari commenti, si fa più furbo e subito esplicita la sua richiesta «Palpa il culo a Joanna.»
Tutti gli altri scoppiano in una risata generale, James si limita ad un piccolo sorriso mentre io fisso incredula la ragazza bionda che si alza e si piega a novanta davanti al “povero malcapitato” che porta a termine il suo obbligo prima di parlare «Alis, obbligo o verità?» chiede subito fissandomi. Improvvisamente tutti gli sguardi sono su di me.
Mi sento a disagio e provo a scegliere l’opzione che, secondo me, potrebbe essere quella meno dannosa.
«Verità» sussurro facendo scorrere le mani sulle gambe scoperte, agitata.
«Con quanti ragazzi sei stata?» quasi mi strozzo con la mia saliva quando realizzo la domanda, questo gioco è un’assurdità senza senso. Sento James che si muove agitato al mio fianco.
«U… Uno» rispondo abbassando lo sguardo sulle mie mani che stanno torturando la gonna panna del vestito.
La sensazione che tutti gli sguardi siano puntati su di me aumenta ma so per certo che quello che più mi scruta e analizza è proprio quello del ragazzo al mio fianco.
Certo, sono consapevole che si debba dire la verità ma come posso rispondere che non sono mai stata con nessuno quando qui, quasi certamente, tutti hanno fatto sesso almeno una volta? E poi è solo una mezza bugia. Un ragazzo ce l’ho avuto per davvero. Certo, non ci siamo spinti oltre a dei semplici baci uno disteso sopra all’altra ma, diamine!, avevamo solo quindici anni!
Mi schiarisco la gola consapevole che sia il mio turno e, dopo essermi guardata un po’ intorno, indico Jack, il ragazzo con cui aveva parlato prima James. 
«Obbligo o verità?» la voce un po’ più sicura.
«Obbligo» risponde subito lui, senza indugi.
Ci penso un po’ su, sembra che qui tutto verta attorno argomenti sessuali così decido e parlo «Togliti la maglietta»
Tutti scoppiano subito in una fragorosa risata collettiva ma James mi guarda male. Che problemi ha?
Il giovane si alza e, facendo finta di fare uno spogliarello, si sbottona lentamente la camicia fino all’ultimo bottone per poi farla scivolare lungo le sue braccia muscolose.
Mentre è ancora in piedi ghigna verso la mia direzione e senza indugio chiede «James, obbligo o verità?»
Sento il giovane al mio fianco che si muove agitato, probabilmente anche lui sta vagliando le varie possibilità che lo aspettano.
«Obbligo» finalmente dice, dopo qualche secondo di esitazione.
«Bacia Alis.»
Tutti ci fissano con facce ammiccanti, in attesa di vedere qualcosa tra di noi.
A me manca il respiro, le mani mi sudano e il cuore prende una rincorsa pazza all’interno del mio petto.
James ha gli occhi strabuzzati ma, dopo aver deglutito rumorosamente sotto gli occhi di tutti, si gira lentamente verso di me. Sento che sono diventata rossissima in viso, la palle brucia sotto al suo tocco delicato quando posa la mano sulla mia guancia e si avvicina.
In questo preciso istante vorrei scomparire, mi andrebbe benissimo anche essere inghiottita da questo tappeto.
Contrariamente da quanto mi aspettavo, in realtà contrariamente alle idee di tutti i presenti, James posa le sue morbide labbra sulla mia guancia destra e si stacca dopo qualche secondo con un piccolo schiocco.
«James ma che cazzo! Un bacio vero!» Jack urla scuotendo le braccia in aria.
Lo stomaco mi si stringe e non capisco se è per quello che è appena successo o se per la sua affermazione.
«Non posso» lo sento ribattere mentre torna al suo posto e si ravviva i capelli.
«Che cazzo dici amico, non ti sei mai fatto problemi!» commenta il biondo di prima ridendo.
«Sul serio, non posso!» la sua voce è più alta, si sta innervosendo. I pugni chiusi lungo i fianchi.
«Dove hai messo tutta la tua virilità?» il commento della ragazza col caschetto moro lo fa scattare.
Si alza in piedi e, dopo aver afferrato il mio gomito e avermi tirato su con lui, urla «È mia sorella, cazzo!»
Mi trascina verso la porta e senza salutare usciamo fuori, cammina veloce allontanandosi in fretta da quella casa.
Cosa cazzo è appena successo?

 

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Capitolo 2
*** II. ***


II.

 

Sono in piedi ormai da mezz'ora ma questa fastidiosa sensazione di stanchezza non accenna a diminuire. Non ho dormito bene questa notte, i miei pensieri continuavano a correre alla festa e a quello che era successo con James; mentre mi trascinava a casa avevo provato a chiedergli perché si fosse comportato così ma le uniche risposte che avevo ottenuto erano stati dei mugolii, un «Alis» sussurrato con tono minaccioso alla “non fare domande” e un'occhiataccia quando stavo quasi per cadere rovinosamente a terra mentre cercavo di mantenere il suo passo affrettato.

Che cosa è successo?

Dopo essermi preparata una tazza di caffè mi siedo a tavola, i gomiti appoggiati al legno duro e le mani a massaggiare le tempie, sto cercando di non pensare a ieri sera, agli sguardi di James e dei suoi amici e a quello che è successo. In realtà dovrei proprio evitare di pensare, oggi è un'attività che mi porta via troppe forze e, sinceramente, sono già stremata.

«Buongiorno.»

Quando sento la voce impastata dal sonno di James sposto lentamente le mani dagli occhi, con calma punto lo sguardo verso di lui che si sta preparando del tè caldo.

«'Giorno» rispondo iniziando a sorseggiare dalla tazza. È la mia preferita, me l'aveva regalata proprio lui, parecchi anni prima, come souvenir da una gita.

Accarezzo con il pollice i due piccoli gattini disegnati sulla ceramica azzurra mentre mando giù la sostanza calda addolcita da una grande quantità di zucchero. Ho un problema con le cose dolci, sono come una droga per me.

«Mamma?» chiede sedendosi difronte a me.

Alzo la testa e mi ritrovo scrutata dai suoi occhi, ha i capelli scompigliati, come se ci avesse passato più e più volte le mani dal nervoso, e delle occhiaie rendono più evidente la stanchezza sul suo volto, «Ha chiamato?»

«No, non ha ancora chiamato» rispondo finendo il caffè ormai freddo.

Sposto le gambe di lato per alzarmi senza spostare la sedia, appena i piedi entrano a contatto con il pavimento freddo un brivido percorre tutto il mio corpo. “È decisamente arrivato il momento di indossare i pile e di accendere il caminetto” penso tra me e me.

Appoggio la tazza vuota nel lavandino e mi avvio verso le scale per salire in camera, oggi fa sul serio freddo ed ho intenzione di tirare fuori le prime felpe dell'anno.

«Scusa,» è solo un sussurro, le lettere biascicate, non sono neanche sicura di aver sentito bene, «scusa per ieri sera.»

Quando mi volto verso di lui ha la testa bassa, le mani giocherellano nervosamente con la tazza bianca e rossa. Sembra quasi che il liquido scuro e amaro al suo interno sia diventato tutto ad un tratto interessante.

Mi blocco sul posto, un piede già appoggiato al primo scalino, sono combattuta: da un lato vorrei mostrarmi indifferente e tornarmene in camera mia facendolo sentire così in colpa, dall'altro vorrei correre subito e sedermi difronte a lui per cogliere l'occasione al volo e cercare di capire qualcosa di tutta questa situazione assurda.

Dopo qualche secondo decido di dargli un'opportunità per spiegarsi, mi avvio con calma verso di lui e mi appoggio al bancone, vicino a dov'è seduto. Ci sono un'infinità di domande che vorrei fargli in questo momento.

«James, perché non hai detto loro che sono tua sorella?» mi lascio sfuggire d'impulso, la voce esce come un sussurro, quasi avessi paura della possibile risposta.

Si passa stancamente una mano sul viso e sospira, allunga le braccia sul tavolo e inizia a giocherellare con la tazza.

«Non ho detto niente perché avevo paura che ci provassero con te e che ti facessero stare male.» non so perché, ma ho l'impressione che sia una scusa inventata su due piedi, giusto per farmi stare buona, al momento però non mi va di insistere.

«Non sono più una bambina, sono in grado di cavarmela da sola, non credi?» cerco di mantenere un tono il più possibile pacato, non voglio certo finire a litigare come al solito.

«Lo so, Alis, lo so» si gratta la testa mentre si gira un po' verso la mia direzione, gli occhi corrono subito a cercare i miei, sembra parecchio teso, «solo che non riesco a non vederti ancora come la mia piccola sorellina che devo proteggere.» conclude infine distogliendo lo sguardo dal mio.

Ho la conferma ai miei dubbi: sta mentendo. È una cosa che ha sempre fatto quella di distogliere lo sguardo quando dice una bugia; mi ricordo ancora quando mamma ci richiamò in casa e iniziò a chiederci, con tono indispettito, chi fosse stato a mangiare tutta la cioccolata che c'era in tavola e un piccolo James era riuscito, con un discorso alquanto convincente -anche se non aveva guardato nemmeno per un secondo negli occhi nostra madre-, a scampare ad una punizione assicurata dando la colpa allo zio Mike, quella stessa sera mi aveva confessato che in realtà il colpevole del misfatto era proprio lui.

Sono ancora intenta a rievocare quei momenti passati che non mi accorgo nemmeno del telefono che squilla.

«Pronto?» sento dire ad James, «Ciao mamma, qui tutto bene, te come te la passi?»

Scendo dal marmo e mi avvicino, le nostre spalle si sfiorano.

«Ah» la sua faccia passa dall'essere perplessa all'essere felice in un attimo, «Quindi fino a lunedì non tornerai a casa?», la voce piena di speranza.

Capisco che nostra mamma non tornerà sul serio fino alla prossima settimana quando lo vedo esultare silenziosamente, facendo un gesto di felicità con la mano.

«Sì mamma, no mamma, stai tranquilla, non ti distruggeremo casa, promesso!» scoppio a ridere immaginandomi la possibile conversazione tra i due, le mille raccomandazioni di nostra madre e le suppliche a fare i bravi.

«Alis sta bene, è in gran forma direi» dice sogghignando.

«Sì è qui, ora te la passo» si volta verso di me, le nostre facce sono ad appena una spanna di distanza, «Non si fida di me, vuole accertarsi che tu stia bene» afferma roteando gli occhi in un'espressione infastidita dalla mancanza di fiducia nelle sue parole, mi passa il telefono e si alza appoggiandosi al bancone proprio dietro di me.

«Ciao ma!» esclamo sorridendo, «Tutto bene, sì, non preoccuparti» mi volto a guardare mio fratello come per chiedergli scusa da parte di nostra madre per la mancata fede.

«Sì… È andata bene, ci siamo divertiti e non abbiamo fatto tardi.» continuo a fissarlo e noto subito che, non appena ha capito di cosa stessimo parlando, il suo sguardo si è rabbuiato.

«Va bene, ti voglio bene anch'io! Ciao!» chiudo la chiamata e poso il telefono sul tavolo.

È calato un silenzio imbarazzato nella stanza.

«Beh» provo a rompere il ghiaccio che sembra essersi creato tra di noi in meno di cinque minuti, «non mi sono sembrati così male i tuoi amici» dico alzando i piedi e poggiandoli sulla sedia, abbraccio le ginocchia e ci poso la testa.

«Non sono male, sì» risponde atono.

«Perché ti sei arrabbiato tanto?» aspetto due secondi prima di riformulare meglio la domanda, «cioè, perché te la sei presa quando ti hanno chiesto di darmi un bacio?»

Non faccio in tempo a finire la frase che si è già staccato dal bancone e, con passo svelto, è uscito di casa lasciando dietro a sé dubbi non chiariti e il rumore assordante, amplificato dal silenzio dell'abitazione, della porta d'ingresso sbattuta.

Sospiro afflitta, ogni volta cercare di parlare con mio fratello è un terno al lotto.

«Frost!» chiamo il nostro cane che subito arriva scodinzolando dal salotto dove c'è la sua cuccia, «Vieni bello, andiamo a farci una passeggiata.»

Indosso in fretta una giacca e, dopo aver messo il guinzaglio al nostro adorato ammasso di peli e aver controllato di avere con me il telefono e le chiavi di casa, esco avviandomi verso il vicino parco.

Cammino lentamente, seguendo il passo calmo di Frost; mentre lui è intento ad annusare ogni minimo oggetto alla sua portata, io mi perdo ad osservarmi intorno, la luce del sole è tenue, offuscata da un leggero velo di foschia che ne smorza anche il tiepido calore, gli alberi stanno iniziando a seccarsi e a perdere le foglie, dalla vetrina del piccolo bar, il Dolcemente Amici, vedo alcune persone sedute davanti ad una tazza fumante chiacchierare in allegria. Spesso e volentieri io e Gil ci ritroviamo proprio in quel locale accogliente per scambiarci le ultime novità o qualche scoop, è l'ambiente ideale, piccolo ma accogliente.

L'unico autobus che passa in queste zone si è appena fermato dall'altra parte della strada, scendono alcune signore anziane, con le loro borsette ricolme di nuovi acquisti, e un giovane che si incammina nella mia stessa direzione. Ha un paio di cuffie alle orecchie, lo zaino sospeso malamente su una spalla sola. Riconosco subito chi è il giovane, solo lui ha una giacca di quell'inusuale color zucca.

Richiamo all'attenzione Frost e, dopo aver controllato che non ci siano macchine in arrivo, attraverso la strada. Subito mi porto alle spalle del ragazzo, che continua a procedere a testa bassa, e non appena lo raggiungo gli porto le braccia al collo.

«Alis! Porca vacca mi hai fatto prendere un infarto!» quasi urla saltando dallo spavento, gli occhi leggermente spalancati a causa del colpo.

«Scusa Matt!» dico ridendo, gli lascio un bacio sulla guancia prima di staccarmi da lui, «Ti ho visto scendere dal bus e ho pensato di salutarti.»

Ho conosciuto Matt ad una festa di compleanno, quando avevo undici anni. Ero stata costretta ad andarci, avevo provato in tutti i modi a convincere mamma a portarmi con lei e James, ma non ero riuscita a persuaderla: mentre io ero ad annoiarmi alla festa di una bambina che non mi stava nemmeno simpatica lei e mio fratello erano andati a divertirsi allo zoo. Ero seduta su una panchina, rigirandomi una piccola margherita tra le dita quando un bambino vispo e paffutello mi si era seduto accanto, un palloncino rosso legato ad un filo gli volteggiava intorno; in un primo momento non aveva detto una sola parola ma poi, quando stavo per alzarmi per cambiare panchina, se n'era uscito con un timido “Ciao, io mi chiamo Matt. Tu come ti chiami?”. Non so bene perché, forse sarà stato a causa della sua vocina fievole o dei suoi grandi occhioni verdi, ma fui subito attratta da lui, mi stava simpatico. “Mi chiamo Alis Ferguson,” risposi tornando a sedermi vicino a lui, “è tuo quel palloncino? È molto molto bellissimo” dissi fissando estasiata l'oggetto fluttuante. “Se ti piace te lo regalo” fu la sua semplice risposta, una sorta di accordo che sancì l'inizio della nostra amicizia.

Da quel giorno siamo sempre rimasti in contatto, giocavamo sempre insieme, il nostro punto di ritrovo era il piccolo parco giochi che si trovava esattamente a metà strada tra le nostre case. Con il passare degli anni, l'accumularsi di impegni scolastici e non abbiamo iniziato a vederci un po' più di rado ma, almeno una volta a settimana, avevamo un appuntamento fisso: pizza, film, pop-corn e pettegolezzi a casa mia o sua, in base a chi ce l'avesse avuta libera.

«Magari la prossima volta fai come tutte le persone normali e fatti sentire prima di piombarmi addosso…» ora che si è calmato anche lui sorride, «Dimenticavo, tu non sei normale!»

Scoppiamo entrambi a ridere alla sua affermazione, non del tutto sbagliata.

«Dove stavi andando di bello?» mi chiede infilando le cuffie in una delle tante tasche della giacca.

«Stavo portando a fare un giro al parco questa piccola peste» dico indicando con un cenno della testa il piccolo cagnolino che, continuando a procedere con calma al nostro fianco, punta il suo sguardo verso di noi non appena mi sente pronunciare il suo nome.

«Stavo andando proprio là anch'io!» esclama sorridendo.

Era da quasi un mese che non lo vedevo, ora che si è trasferito passiamo molto meno tempo insieme rispetto ad una volta.

«Allora, che mi racconti di nuovo?» mi chiede mentre varchiamo il cancello del parchetto.

Il prato, che normalmente si presenta come una distesa verde puntellata qua e là da fiorellini bianchi, gialli e azzurri, ha perso i suoi colori brillanti, testimone dell'imminente arrivo dell'autunno.

«Non ho molto da dire, sai che la mia vita non è così entusiasmante,» rispondo ridacchiando, «però ho uno scoop!»

Non appena sente le mie parole si concentra completamente su di me; libero dal guinzaglio Frost e mi siedo sotto ad una quercia nodosa, lui mi imita posizionandosi al mio fianco e incitandomi ad iniziare a raccontare la novità che tanto lo incuriosisce.

«Te lo ricordi Mark Collins?»

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Capitolo 3
*** III. ***


III. 

 

 

Quando sente il suo nome spalanca gli occhi, ora è completamente concentrato su di me. 

«Quel Mark Collins?» chiede lentamente, quasi fosse impaurito dalla risposta. 

«Sì, quel Mark Collins,» rispondo prima di continuare, «Gil mi ha detto che è stato beccato mentre si appartava nei bagni del cinema...» 

Non mi lascia nemmeno finire, strabuzza gli occhi alle mie parole, «Che porco!» quasi urla. Gli tiro un pugno sulla spalla intimandolo di parlare piano, siamo pur sempre in un parco pubblico. 

«Ma non mi hai lasciato finire! L'hanno beccato con un ragazzo...​​​​​​» concludo godendomi la sua faccia sorpresa. 

Questo non se l'aspettava proprio, stavolta il mio scoop ha avuto successo! 

La bocca di Matt è spalancata a formare una 'O' di sorpresa. Il famigerato Mark Collins, conosciuto come incurabile sciupafemmine, nonché incubo ricorrente del mio amico visto che continuava a tormentarlo a scuola per la sua timidezza, beccato in intimità con un ragazzo. 

Matt ha sofferto veramente tanto a causa dei suoi commenti, si è sempre messo in dubbio e autocriticato più del dovuto proprio perché l'altro ragazzo lo ha fatto sentire inferiore agli altri, più debole. 

«Bhe, non dici niente?» lo guardo un po' preoccupata, è passato qualche minuto ma ogni segno vitale sembra aver lasciato il suo corpo. 

«Questo sì che è uno scoop, cazzo!» quando finalmente si riprende i suoi occhi brillano di una luce strana, quasi contenta di aver ricevuto questa notizia. 

Continuiamo a parlare del più e del meno, mi racconta di come sta procedendo con il nuovo lavoro, motivo del suo trasferimento in un'altra città, e di come là fosse riuscito a farsi dei nuovi amici in poco tempo. Sono veramente contenta per lui, si vede che è felice di come stanno andando le cose. 

«Stasera hai impegni? Facciamo serata pizza, film e popcorn?» mi chiede all'improvviso speranzoso. 

Ci penso un attimo prima di rispondere, non dovrei avere altri impegni e sicuramente non ho voglia di correre dietro a James per vedere cos'ha intenzione di fare stasera. Annuisco sorridendo prima di alzarmi per richiamare Frost, si è allontanato un po' troppo per rincorrere una pallina rossa lanciata da un bambino al suo cane. 

Decidiamo di trovarci a casa mia visto che mamma non c'è, ci accordiamo per l'orario e ci salutiamo abbracciandoci stretti stretti proprio come facevamo da piccoli. 

Metto il guinzaglio a Frost e m'incammino dalla parte opposta rispetto al ragazzo, il mio amico a quattro zampe che mi segue camminando stancamente dopo aver corso tutta la mattina. 

Quando finalmente rientriamo a casa sospiro sollevata, abbiamo evitato la pioggia per un soffio. Il cielo si era coperto di nuvole mentre eravamo ancora al parco e in poco tempo quel po' di luce del sole era sparita per lasciare spazio ad un panorama quasi apocalittico: nuvoloni neri si spostavano veloci spinti dalle raffiche di vento e, dopo poco, diversi lampi avevano iniziato ad illuminare il paesaggio seguiti a ruota da forti boati. 

Appena sentito il primo tuono Frost ha iniziato a correre verso casa trascinandomi dietro a sé, fin da quando era piccolo ha sempre avuto il terrore dei temporali; una volta arrivati al vialetto di casa le prime gocce di pioggia hanno iniziato a bagnarci. 

«Che corsa!» dico al cane liberandolo dal guinzaglio, appendo la giacca al suo posto e mi sfilo le scarpe. 

In casa c'è silenzio, le luci sono tutte spente e la porta era ancora chiusa a chiave segno che James è ancora fuori. Chissà quando tornerà.

Sono tentata di chiamarlo, almeno per capire se tornerà a casa per pranzo visto che è quasi mezzogiorno, ma desisto e appoggio il cellulare sul tavolo in cucina.

Prendo una pentola e metto su dell'acqua per fare la pasta, ne preparerò anche per mio fratello nel caso dovesse rientrare.

"Chissà dov'è adesso​​​​​​" penso, con lui non sai mai cosa potrebbe succedere, un giorno è di buon umore e quello dopo potrebbe ucciderti con un solo sguardo.

Da piccolo non era così, era un bambino solare, sempre allegro e gentile con tutti; a scuola andava bene, tutte le maestre si complimentavano con mamma per lui, era anche il più bravo al corso di nuoto tanto che aveva persino vinto qualche medaglia. Eravamo una bella famiglia, uniti e contenti, fino a quando papà se n'è andato. Lì le cose sono cambiate. James è cambiato. Nonostante i nostri genitori ci avessero spiegato il motivo del loro divorzio lui non voleva capire, dava la colpa a mamma per aver rotto con papà quando, in realtà, avevano deciso insieme di porre fine al loro matrimonio.

​​​​​​​Durante il primo periodo non parlava più con mamma e anche con me era sempre sfuggente, se poteva ci evitava ed era sempre in giro a far festa con gli amici. Era una situazione pesantissima per noi, l'aria era sempre tesa, mamma piangeva ogni notte in preda alla disperazione non sapendo cosa fare con il figlio maggiore e io rimanevo lì a guardare, impotente. D'altro canto non riuscivo nemmeno a capire bene cos'era successo, io avevo appena sei anni mentre James ne avrebbe compiuti dieci qualche mese dopo.

Solo quando divenne maggiorenne le cose iniziarono a cambiare, seppur già negli anni precedenti la situazione si fosse già calmata un po'; mamma l'aveva messo davanti ad un bivio: "O cambi atteggiamento e ti trovi un lavoro per aiutarci, altrimenti quella è la porta.

Non l'avevo mai vista così decisa e seria, ma come biasimarla, dopo tutti quegli anni passati a sopportare in silenzio anch'io sarei scoppiata. 

Dopo quella discussione sembrava essere tornata la normalità in casa, avevamo raggiunto una sorta di equilibrio: James si era trovato un lavoro come barista, mamma aveva iniziato di nuovo a sorridere e ad essere spensierata e io non potevo che essere felice per come stavano andando le cose nonostante il rapporto con mio fratello non fosse lo stesso di prima.

Ritorno con i piedi per terra e butto il sale nell'acqua che sta già bollendo, ormai ne è evaporata un po', e aggiungo anche la pasta; prendo dal frigo un vasetto di conserva e la metto su un pentolino a scaldare.

Ho sempre trovato rilassante cucinare, probabilmente potrei prenderlo in considerazione come eventuale lavoro in futuro. 

Dopo undici minuti assaggio una pennetta per vedere se è cotta, quando la morsico sento che è al dente come piace a me, prendo lo scola pasta dalla credenza e ci verso il contenuto della pentola per poi ricoprire il tutto con il sugo e mescolare e aggiungo un filo d'olio per completare l'opera.

"Ha un profumo squisito!" penso mentre verso la mia porzione nel piatto, ricopro con un po' di formaggio grana e vado a sedermi a tavola. Mentre ripensavo alla mia infanzia l'avevo apparecchiata per due.

Mangio con calma gustando appieno il piatto. Basta poco per farmi felice, un po' di cibo e un buon bicchiere di vino sono sufficienti per conquistarmi. Mamma mi ha sempre chiamato "pozzo senza fondo" per il fatto che sono di bocca buona. 

Lavo velocemente le pentole e le stoviglie che ho usato e lascio il piatto di pasta avanzata coperto da un tovagliolo sul tavolo nel caso dovesse arrivare James. 

L'orologio in cucina indica che sono le due meno cinque. Decido di andare a riposarmi un po' prima di iniziare a preparare per la serata. Matt arriverà per le sette con le pizze e il film.

Frost mi segue in camera e si appisola subito sul tappeto beige; mi tolgo i vestiti, prendo l'accappatoio e vado in bagno per fare una doccia veloce.

Fuori continua a piovere, le gocce picchiano forti sulle finestre mentre il vento continua a far muovere incessantemente le fronde degli alberi ormai quasi del tutto spogli. Il tempo non sembra per niente intenzionato a cambiare. 

Il getto dell'acqua calda fa rilassare subito tutto il mio corpo ma la mia mente riprende a viaggiare, mi riporta a ieri sera e a tutto quello che è successo. Cosa sarebbe capitato se James non si fosse arrabbiato così tanto? Perché il suo sguardo mi è rimasto così impresso nella mente? Quante esperienze ha avuto per far sì che quella ragazza usasse la sua 'virilità' come pretesto per completare l'obbligo?

Cerco di scacciare tutti questi pensieri, mi insapono in fretta e altrettanto velocemente mi sciacquo, esco dalla doccia e mi avvolgo subito nell'accappatoio per asciugarmi. Infilo le pantofole e torno in camera a vestirmi. 

Sbuffo. Non ho più neanche sonno. Mi distendo comunque a letto e passo il tempo a guardare video su Youtube dal cellulare. 

Quando scendo giù per preparare il piccolo tavolino del salotto per il nostro bivacco la casa è ancora vuota, in cucina il piatto di pasta è ancora intatto e di mio fratello non c'è traccia. 

Metto in frigo il piatto, lo mangerò io domani per pranzo, e sposto la tovaglia in salotto, porto due bicchieri, una rotella per tagliare le pizze e dei tovaglioli, una bottiglia di Coca-Cola, due birre e dell'acqua. 

Il telefono squilla indicando che è arrivato un messaggio: è Matt che mi avvisa che tra cinque minuti sarà qui.

Quando suona il campanello gli apro subito, i cartoni delle pizze sono un po' bagnati, sfila da sotto la giacca il dvd che ha noleggiato per stasera. Sorrido, probabilmente siamo gli unici rimasti ad andare al noleggio per guardare un film.

«Cos'hai scelto alla fine?» chiedo mentre sistemo le pizze sul tavolino. 

«Come farsi lasciare in 10 giorni!» esclama contento. 

Una commedia romantica, ancora. Non si smentisce mai.

Preparo la tv e faccio partire il film. Chiacchieriamo tranquillamente mentre mangiamo e commentiamo le scene più buffe.

«Mamma mia cosa darei per essere al suo posto...» ho sempre avuto una cotta per Matthew McConaughey e lui lo sa bene, non perde occasione per prendermi in giro per questo.

«Asciugati la bava Alis!» scoppiano entrambi a ridere come matti al suo commento. 

Quando il film finisce sono appena passate le nove, sprepariamo in fretta e andiamo in camera. Per questa notte si fermerà a dormire qui, è tanto che non ci vediamo e fuori sta ancora diluviando. 

«Tua mamma?» chiede mentre si toglie i pantaloni, rimanendo con la maglietta e i calzetti, e si sistema sul letto. 

Una visione celestiale a cui avrei fatto volentieri a meno. Non è mai stato un brutto ragazzo,  negli ultimi anni si è allenato tanto per raggiungere una forma fisica perfetta, ha la fila di ragazze che gli corrono dietro. Eppure è stato a lungo single. Una vocina mi suggerisce che, forse, è perché ha un caratterino davvero particolare ed è estremamente esigente. 

«È via per lavoro, torna lunedì.» Infilo il pigiama e mi distendo al suo fianco. 

Scegliere un letto ad una piazza e mezza è stata una delle migliori decisioni che potessi prendere.

«Alis...» la voce è diventata improvvisamente seria, si gira verso di me e mi guarda pensieroso, «Ce l'ha con me e non mi parla più...»

Capisco al volo a chi si riferisce, sta per mettersi a piangere.

Lo stringo in un abbraccio prima di sussurrargli dolcemente «Sono sicura che si risolverà tutto per il meglio.»

Rimaniamo così, abbracciati, fino a quando entrambi ci addormentiamo.

 

 

Sento dei rumori strani arrivare dal piano terra, è come se qualcuno stesse graffiando il legno con un ferro, poi un tonfo e di nuovo silenzio. 

Mi alzo piano, cercando di non far rumore e svegliare il mio amico, e scendo lentamente le scale. Una figura è accasciato a terra, proprio vicino alla porta d'ingresso. 

Lo riconosco subito. Anche al buio la sagoma di mio fratello è ben distinta, il suo corpo è abbandonato mollemente a terra, i capelli bagnati sono appiccicati alla fronte.

«James?» sussurro avvicinandomi.

Mugugna in risposta cercando di alzarsi ma perde l'equilibrio e scivola di nuovo a terra. 

«Alis» biascica a fatica, l'alito puzza di alcool.

Mi inginocchio vicino a lui e libero la sua fronte dai ciuffi castani, sento che si irrigidisce al mio tocco.

«Che hai combinato» chiedo retoricamente, so già che non mi risponderà, «vieni, andiamo.»

Lo sostengo per il gomito mentre si rialza, si aggrappa a me e, dopo qualche secondo, riesce a rimanere in equilibrio. Appoggio il suo braccio sulle mie spalle in modo da fargli da appoggio e inizio ad incamminarmi su per le scale.

Ci mettiamo un'eternità perché ad ogni scalino si ferma e borbotta qualcosa. Aspetto in silenzio e quando vedo che si è calmato procedo con lo scalino successivo. Il corridoio, se possibile, è ancora peggio. Si appoggia in continuazione al muro e scivola verso terra tanto che devo riprenderlo più e più volte per evitare che tiri a terra anche me.

Quando finalmente arriviamo davanti la porta di camera sua non si oppone più, lascia che sia io a trascinarlo dentro e si getta di peso sul letto. La testa è abbandonata in avanti facendo ricadere tutti i riccioli baganti sul suo viso.

«Aspettami qui.»

Corro in bagno a prendere degli asciugamani puliti per asciugarlo e, quando torno in camera, lo trovo mentre cerca di togliersi la maglietta, senza però riuscirci.

Mi avvicino e lo aiuto a sfilare le braccia e la testa dalla maglia zuppa, la getto a terra e strofino la pelle bagnata ricoperta di brividi con l'asciugamano. Mi fissa in silenzio mentre passo a tamponare i capelli con calma, segue ogni mio movimento ma non dice e fa nulla. 

«Ecco,» gli passo una t-shirt bianca, «metti questa» gli do una mano ad indossarla e lo osservo un po' titubante, «dovresti levarti anche i...» indico i jeans arrossendo.

Non se lo fa ripetere due volte e li sfila in fretta, nonostante sia ubriaco c'è riuscito al primo tentativo. Mi fa segno di girarmi, faccio come dice e quando mi sfiora la mano torno a voltarmi verso di lui. Si è cambiato anche i boxer.

Faccio un mucchio con i vestiti e gli asciugamani da lavare vicino alla porta e torno da lui. 

«Ti conviene riposare, sei abbastanza distrutto.»

In questo momento sono sia infastidita dal fatto che si sia ubriacato così tanto sia incuriosita sul motivo che l'ha spinto a ridursi così. Che sia stata la nostra discussione di stamattina? ​​​​​​

Lo aiuto a stendersi sotto le coperte, mi assicuro che sia ben coperto e faccio per tornare in camera mia.

«Alis, aspetta» mi sussurra prendendomi la mano. I nostri occhi si incontrano, il verde delle sue iridi è velato a causa dell'alcool, «rimani qui.»

La sua è una richiesta semplice ma mi lascia comunque spiazzata. Tentenno, non so se sia una cosa giusta fermarmi qui con lui, non vorrei incasinare ancora di più la situazione. Lui però la vede diversamente, mentre sto ferma ai piedi del letto mi tira vicino a lui facendomi stendere al suo fianco. Il suo corpo è bollente e appena sfiora il mio vengo percorsa da brividi.

Si mette di fianco per farci stare entrambi e ci copre con le coperte.

«Non voevo litiare con te ogi» faccio fatica a capire quello che sta dicendo, parla talmente piano che devo avvicinarmi a lui per sentire e si mangia tutte le parole, «sei una bela ragasa» continua. 

Non sto proprio capendo nulla. 

«Cosa intendi? Cosa c'entra?»

«L'altra sera tuti ti guadavano» mi giro verso di lui per cercare di vedere che espressione ha visto che continuo a non capire, «e io ero...» 

Si blocca per strofinarsi gli occhi con le mani, se potessi lo trafiggerei con lo sguardo in questo momento.

«E tu eri...?» lo sprono a continuare impaziente. 

«Io... Avrei voluto...» non fa nemmeno in tempo a concludere la frase che si addormenta. L'espressione leggermente accigliata, le sopracciglia corrucciate, le labbra arricciate.

"Cazzo!" penso, puntale come sempre.

Lo osservo respirare con un ritmo sempre più lento. Ho un sempre più domande senza risposta e ciò mi lascia ancora più confusa, non ci sto veramente capendo niente. 

Un pensiero però continua a martellarmi la testa: ​​​​​​​cosa avrebbe voluto fare? 





 

Salve,
rieccomi dopo secoli ad aggiornare questa storia.
Che dire, in questo capitolo abbiamo Alis e Matt che passano parecchio tempo insieme, anche a letto...
Secondo voi è proprio come sembra?
E di James? Ne vogliamo parlare?
Cosa avrebbe voluto dire prima di addormentarsi?

Tante domande e poche risposte... 

Spero che siate contenti del mio ritorno e, come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate.

Un grande abbraccio,
ArtenKowska x

 

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