L'Accademia dei Väalyani

di Danii2301
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno: Una Misteriosa Visita ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due: Il Mangiatore di Fuoco ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre: Pagine di Diario ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro: Ansie da Partenza ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque: Un lungo Viaggio ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei: L'Accademia ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno: Una Misteriosa Visita ***


19 luglio 2020,

 

Bologna

Caro Diario,

finora non è successo nulla di interessante…

Il giorno in cui la mia vita cambiò, non stavo facendo nulla di interessante. Ero lì, sdraiata sul letto di camera mia a scrivere sul mio diario e a parlare con la mia migliore amica, Giorgia. Eravamo da un paio d’ore al telefono.

-Ah, quindi non è successo nulla di che tra di voi? Insomma, nemmeno un piccolo bacio? -domandai, nel mentre che mi passavo la penna nera tra le dita. Non ero mai stata brava con le parole, la scrittura non era infatti una mia grande passione, eppure avevo questa sorta di disturbo che mi costringeva a segnare qualsiasi cosa d’interessante che accadeva nella mia vita. Avevo anche paura di dimenticare le cose, a volte tendevo ad essere una vera smemorata. Finora la pagina dedicata al mese di luglio era rimasta bianca.

-Niente purtroppo. Però mi ha accompagnata a casa sulla sua moto. È stato divertente, anche se avevo la costante paura che mi facesse cadere.

 Giorgia ha avuto paura di cadere da una moto. La solita esagerata…

-Tua madre sarà stata contenta-commentai con sarcasmo. Lei rise.

-Se lo scoprisse mi ammazzerebbe.

-Perché? Sei grande e vaccinata, non sei più una ragazzina. Hai il diritto di fare quello che vuoi-sorrisi tra me. Giorgia era una di quelle persone che reclamava la libertà, la spensieratezza, la gioventù, eppure faceva sembrare ogni minima cosa quasi come un gesto sovversivo nei confronti di sua madre. Era molto apprensiva e per qualsiasi faccenda si arrabbiava, dunque aumentava la voglia della figlia di fare completamente l’opposto, anche se non era qualcosa di così ribelle.

-Già… Mi sembra ieri che abbiamo finito il liceo-sospirò malinconica ed io ridacchiai.

-Cos’è? Sei triste per caso? Io sono contenta di aver concluso quegli interminabili cinque anni…

-In realtà mi mette tristezza il futuro che ci attende: tu andrai a Venezia, mentre io resterò qui, a lavorare nel negozio di mio padre. Che vita noiosa!

Al suono di quelle parole mi salì un groppo in gola.

-Lo sai che non mi sono ancora iscritta. Non so nemmeno se sono riuscita ad ottenere la borsa di studio-sbuffai, scacciando il pensiero dalla testa. Avevo fatto un test per entrare in un prestigioso collegio dell’università di Venezia, il quale mi avrebbe fatto vivere nella città a spese non dei miei genitori, sempre se ovviamente avessi mantenuto una media decente... Però ero sicura che fosse andato male. Ultimamente non riuscivo a concentrarmi bene, sembrava che le mie energie si fossero esaurite dopo aver svolto l’esame di maturità, anche se dovevo ammettere che una straziante sensazione era cominciata già all’inizio del quinto anno. Che sensazione?

Perdizione di sé, o per i meno intellettuali come me, non ho idea di cosa fare nella mia patetica vita.

Tutto era così poco stimolante ed estremamente grigio, se non anche più vuoto di una bolla di sapone. Avrei potuto trovare più interessante una scatola di cereali, che una brochure universitaria. Ma l’importante era che i miei non lo venissero a sapere.

-Ti è arrivata per caso qualche email? -domandò titubante Giorgia.

-No e non credo che arriveranno.

Nel medesimo istante il campanello suonò. Rimasi ferma sul letto sapendo che sarebbe andato ad aprire papà, solito a leggere in salotto al piano terra della casa.

-Che cosa vorresti fare, nel caso?

-Oh, non lo so-mi fermai, chiudendo definitivamente il diario. Guardai il telefono appoggiato sul letto e feci una smorfia. -È soltanto luglio, Gio. Io… non ci voglio pensare.

-Hai ragione. C’è ancora tutta l’estate da goderci. Saranno gli ultimi mesi di libertà, poi potrò dire addio alle vacanze scolastiche…

-A quest’ora saremmo dovute essere a Mykonos! Dovevamo seguire tutte le altre, invece siamo qui, a Bologna, dove ogni anno fa sempre più caldo!

Alcune nostre amiche ci avevano abbandonato per andare nelle isole greche a divertirsi, mentre noi eravamo rimaste in Italia perché non avevamo genitori altrettanto ricchi. O meglio, a parole di mia mamma non aveva senso sprecare del denaro in divertimento, quando lo si poteva sfruttare per qualcosa di ben più istruttivo, un museo ad esempio. Comunque la sola soluzione era andare in vacanza o a Rimini o a Riccione, ma alle altre non parve una buona idea, perciò presero da sole la prima nave per la Grecia. E come biasimarle…

-Sono state delle emerite egoiste, non c’è altro da aggiungere. Il prossimo anno ci vendicheremo, vedrai! Che ne so, andremo… a Santa Monica! E le invieremo delle foto. Anzi, ancora meglio, pubblicheremo una storia su Instagram e saremo più sgargianti di tutte quelle modelle in bikini!

Scoppiai a ridere.

-Va bene, come vuoi! Eppure se ci ritroveremo in Romagna a mangiare una piadina con prosciutto e squacquerone, sarò pronta a prendermela con te, sappilo!

-D’accordo!

Ricambiò la mia risata.

La porta di camera mia si aprì e una donna alta, bionda, con gli occhi azzurri e l’aria costantemente severa entrò senza preavviso. Lei era Carola Olivetti, ovvero la mia cara madre… Mi indicò di spegnere il telefono, dato che c’era qualcuno che voleva vedermi. La guardai confusa, non sapendo a chi potesse riferirsi.

-Ehm, Gio… Io devo andare, ci sentiamo dopo, va bene?

Dopo che mi diede una risposta, riattaccai subito e scesi dal letto. Mi avvicinai alla mamma e le domandai chi volesse vedermi.

-Non ne ho la minima idea-mi rispose con tutta onestà. -Ha detto solo che vuole parlarti. Immagino che sia una di quelle che viene a fare i sondaggi tra i giovani.

-E da quando si fanno dal vivo e non online? -chiesi confusa, facendo per uscire. Fui fermata prima di avvicinarmi alla porta.

-Hai intenzione di scendere così?

Guardai velocemente che cosa stessi indossando: degli shorts arancioni e una larga maglietta bianca. Faceva caldo, era estate, cos’altro mi sarei dovuta mettere? Mia madre era incorreggibile in fatto di apparenze, ci dava fin troppo valore, anche se si trattava di sconosciuti che chiedevano il tuo nome per degli stupidi sondaggi sui giovani. Che cosa da boomer!

Alla fine mi cambiai ed indossai un vestito estivo un po’ più elegante.

Scesi le scale e arrivai al piano terra, dove trovai in salotto i miei assieme ad un’insolita ed elegante figura. Era una donna molto bella, in apparenza alta e dall’aria mansueta, cordiale. Aveva i capelli rossi come una ciliegia e una pelle molto chiara e in apparenza anche curata. Indossava un vestito lungo di un blu intenso, il quale si abbinava spaventosamente bene ai suoi grandi occhi azzurri. Era seduta al tavolo rotondo del salotto tra papà e mamma, che cercavano di intrattenerla parlando del caldo che faceva a Bologna. Non appena mi intravide dalla porta, mi lanciò un semplice sorriso e mi indicò con lo sguardo la sedia di fronte a lei.

-Prego, cara. Vieni. Abbiamo molto di cui parlare.

Mi sedetti un po’ titubante come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Non ricordavo niente che mi avesse potuto mettere nei guai! Pensandoci bene, però, lo scorso sabato avevo avuto dei problemi con una vecchia signora. Aveva giudicato il mio modo di vestire e le avevo risposto a tono. Fosse stata la nipote, la donna di fronte a me? Nah, molto più probabile che volesse solo farmi qualche sciocca domanda.

Diedi un’occhiata a papà: Lukas Himmel aveva gli occhi marroni che mostravano un’aria del tutto imbronciata. Probabilmente quella misteriosa signora lo aveva disturbato dai suoi momenti di lettura, o come li chiamava lui, ‘faccende culturali’. Era un insegnante di italiano e di tedesco, per lui non c’era nulla di più importante del tempo dedito alla letteratura. Aveva origini sud-tirolesi, conosceva perfettamente la lingua austriaca e più volte aveva cercato di inculcarmela in testa, ma sin da piccola mi ero rifiutata. Non mi veniva naturale, preferivo di gran lunga l’italiano, o magari l’inglese.

-Bene, è arrivato il momento delle presentazioni-riprese la donna con sicurezza, come se lo avesse già fatto altre volte. –Io sono Elissa Rosmeria Lyorin, la governante e custode di un posto molto prestigioso-sorrise fieramente. Tirò fuori da una cartellina dei fogli che mi parvero essere diversi documenti e foto, poi li posò sul tavolo. Riportò lo sguardo su di me.

-Tu sei Caterina Sofia Himmel. Nata il 31 dicembre del 2oo1 a Trieste, ma vissuto prevalentemente qui, a Bologna.

Non mi stupì nemmeno che sapesse alcune cose sul mio conto, ormai vivevamo in un’epoca dove chiunque sapeva tutto di tutti, tuttavia aveva un modo vago di esporsi, specie su di sé, come se non fosse appartenuta al mio mondo. Il suo nome era in effetti un po’ strano… Mi incuriosì in fretta ed aspettai una spiegazione più chiara da parte sua.

-Sapete, quello che sto per annunciare a vostra figlia è qualcosa di molto speciale. Voi, signori, siete Lukas Himmel e Carola Olivetti. È corretto?

D’un tratto capì: e se avesse lavorato per il collegio di Venezia? Forse ero riuscita ad entrare, forse la governante del posto era venuta addirittura di persona per congratularsi. Sarebbe stato un gesto molto carino da parte loro, se soltanto mi avessero avvertita un po’ prima… Che poi, esistevano ancora le governanti nel 2020?

-Perfetto! -esclamò Elissa, non appena i miei genitori annuirono. Con una fastidiosa naturalezza, se ne uscì con questa frase:

-Allora, cara Caterina, è vero che non sai cosa fare nella vita?

Ebbi un sussulto: chi diavolo era quella donna? Come faceva a sapere che non avevo idea di che strada intraprendere? Insomma, non lo avevo detto a nessuno, eccetto per Giorgia, che un pochettino se lo immaginava.

Le mie mani cominciarono a tremare, così decisi di nasconderle sotto il tavolo. Evitai di guardare i miei genitori, sapendo già la loro opinione a riguardo: in casa mia era inammissibile non aver ancora deciso cosa fare della propria esistenza, specie dopo tutto quel tempo speso in brochures di università d’Italia. Anche perché, sottolineiamolo, non esisteva l’idea di andare a lavorare. Papà mi avrebbe diseredata.

-Come, prego? -domandò mamma confusa. -La nostra Caterina ha le idee chiare, no?

Provò a guardarmi, ma io la ignorai.

-Sì-insistette papà. -Vuole studiare lingue all’università di Venezia.

-Ah sì? Perché non me lo fate confermare dalla giovane chiamata in causa, allora. Dimmi, cara, è quello che vuoi fare veramente?

Elissa mi scrutò negli occhi cercando quasi di leggermi nel pensiero. Arrossì e mi sentì molto a disagio, tant’è che cominciai a sudare. Dio mio, non pensavo che le governanti si impegnassero anche in questo tipo di faccende.

Decisi di non dire nulla e così facendo preoccupai tantissimo lo sguardo dei miei. Fu Elissa a rispondere per conto mio.

-Non trovi una cosa adatta a te, vero? Sei stata brava durante gli anni di scuola, eppure niente ti ha veramente stimolato. O meglio, appassionato.

Di nuovo silenzio imbarazzante.

-Oh, suvvia, fatti coraggio! Ci sono qui io, i tuoi genitori non ti diranno nulla in mia presenza.

Sembrava fin dolce col suo tono gentile e spronante, eppure non potevo esserla altrettanto. Stava incasinando tutto ed io non ero ancora pronta ad affrontare la verità. Non poi senza alcun preavviso!

Sospirai e pensando di non avere scelta, parlai per la prima volta di fronte ai presenti. Mamma e papà erano così straniti da osservarmi come se fossi stata un alieno.

-Mi scusi, lei come… come fa a sapere tutto questo? Nel tema che ho inviato al collegio di Venezia, non ho parlato di dubbi e ansie per il futuro. Io…

Fui fermata subito da Elissa, che sembrava aver preso nuovamente la situazione tra le mani.

-No, no. Io non sono venuta per conto di quell’istituto. Io vengo a fare le veci di un altro posto. Credimi, anche migliore di quello in cui saresti disposta ad andare pur di compiacere i tuoi genitori.

I miei mi guardarono ed io non seppi che aggiungere. Quella donna misteriosa aveva parlato al posto mio, spiegando perfettamente la mia critica situazione.

-Signora Lyorin, io sono confusa-mi feci di nuovo avanti. -In che modo un’estranea come lei può sapere queste cose? Non ha senso…

La donna mi porse un’elegante smorfia. Ma come era possibile?

-Dammi pure del tu, il lei mi fa sentire vecchia! Ad ogni modo, cara Caterina, no, non sono un’estranea. Era destino che venissi qui, oggi. Precisamente alle cinque in punto-indicò l’orologio del salotto ed io per un secondo mi voltai. Fui ancora più confusa. –Era tutto scritto, sin dalla tua nascita. Io c’ero quando sei nata, ti ho vista nascere. Ero la sua ostetrica, signora Olivetti-disse rivolgendosi a mamma, che rimase senza parole.

-Come, prego? Io non mi ricordo… e poi dovrebbe essere… è tutto uno scherzo, vero? Lukas dille qualcosa!

Papà sembrò allibito quanto lei, ma decise di prenderla ugualmente sul ridere.

-Cara, rilassati. Di sicuro è una qualunque svitata che alla fine ci chiederà dei soldi.

Elissa sembrò offendersi.

-Non sono una svitata, signor Himmel. E no, non voglio un misero soldo da parte vostra. Per convincervi della mia onestà, vi dirò questo: la notte in cui Caterina è nata, non solo era la notte dell’ultimo dell’anno, ma anche la notte in cui voi due, signori, sareste dovuti andare alla festa dello zio Giovanni. Fu lei stessa, signora Olivetti, a dirmelo. La piccola sarebbe dovuta nascere ben trenta giorni dopo.

Entrambi impallidirono e si guardarono in cerca di conforto. Anch’io mi sorpresi, conoscendo bene la storia. Eppure trovai assurdo che quella potesse esser stata la mia ostetrica: era giovane, non era vecchia, e se avesse veramente aiutato mia madre a farmi nascere, avrebbe dovuto avere almeno una quarantina d’anni e a me appariva su per giù una trentenne. La sua giovinezza non mi sembrava tirata a lucido da trucco o da lifting facciale.

-Questo una svitata qualunque non potrebbe saperlo–constatò un po’ sfacciatamente a papà, facendolo arrossire. –Oh! E mi ricordo anche che la bambina, poco dopo la sua nascita, ha avuto un po’ di singhiozzo! È corretto?

Mamma annuì e con aria titubante chiese che cosa volesse.

-Sono venuta per aiutare vostra figlia-riprese più gentilmente. –Però dovete permettermi di parlare in privato con Caterina.

Per un momento mi allarmai: non volevo restare da sola con quella donna, nonostante fossi al sicuro in casa mia. Non mi metteva paura, avevo solo timore di fare qualche brutta figura. Dovevo ammettere però che la curiosità superava di gran lungo l’ansia. Forse mi avrebbe aiutato a capire cosa avrei potuto fare nel futuro. Forse qualche agenzia scolastica l’aveva mandata per aiutarmi! Non mi sarei stupita se la signora Rossi, la mia vecchia insegnante di inglese, avesse cercato qualche d’una per rinfrescarmi le idee. Durante gli ultimi mesi di scuola aveva intuito i miei grandissimi dubbi in tutto ciò che provavo a fare, malgrado avessi sempre negato l’evidenza. Avrei apprezzato molto il suo aiuto, era una brava donna. Eppure, perché cercare una giovane ostetrica/governante?

-Perché non possiamo sentire? –domandò un po’ burbero papà. -È nostra figlia, abbiamo il diritto di sapere.

-Vostra figlia non è più una ragazzina. Sta per compiere diciannove anni e per lo stato italiano è già maggiorenne, perciò credo che possa farcela benissimo da sola. Vero, cara? –concluse Elissa, facendomi un veloce e furtivo occhiolino.

Annuì, vogliosa di sapere.

-Per me non c’è problema. Andate pure-mi rivolsi ai miei genitori. Mamma si alzò un po’ insicura sul da farsi, però io le feci un sorriso relativamente sereno.

-Va bene, Caterina. Noi siamo in cucina-e fu seguita da papà. Chiusero la porta e ci lasciarono sole in salotto. Elissa sfogliò qualche foglio tra i documenti sul tavolo. Afferrò due foto: una era in bianco e nero e l’altra non la vidi bene.

-Bene, Caterina. Quello che ti sto per dire è strettamente importante e soprattutto riservato. Non ne puoi parlare con i tuoi genitori e con nessun altro. Non potrebbero comprendere.

-Come? Non capisco…

Mi sorrise.

-Lascia che ti spieghi. Ti dispiace se continuiamo in inglese? L’italiano non è la mia lingua madre, credo che tu lo abbia immaginato dall’accento…

-No, in realtà no. Parli piuttosto bene-commentai stupita. Mi sembrava italiana, anche se il cognome non era molto noto nel mio paese. Anzi, non lo era affatto.

-So essere una donna modesta, lo so. Comunque, ti dispiace?

Scossi la testa: ero brava in inglese, dopo anni di scuola e qualche mese passato a lavorare in Galles, avrei avuto anche il coraggio di definirmi madrelingua. Continuammo dunque la conversazione in quella lingua e notai Elissa essere più fluente e spigliata.

-Tu, mia cara, non sei una ragazza come le altre. Le domande che ti ho fatto all’inizio avrebbero dovuto fartelo intuire.

-Sono speciale solo perché non cosa fare nella vita? Sai, non sono l’unica ad avere problemi simili.

-Ogni persona ha una passione, Caterina. Alcuni non riescono a renderla il proprio mestiere oppure lo scopo della propria esistenza, ciò nonostante non vuol dire che non ci sia. Tutti, eccetto te, sanno di avere qualcosa che fa per loro.

Ci rimasi un po’ male e mi appoggiai allo schienale della sedia, incrociando le braccia con fare imbronciato.

-Questo non mi fa sentire meglio...

-E sai perché? –continuò Elissa, come se non mi avesse sentito parlare. –Perché non sai ancora quale possa essere.

-Dici che c’è qualcosa, là fuori… che non conosco, ma è proprio fatto per me? –domandai speranzosa. La donna annuì.

-Lascia che ti racconti una storia.

Le persiane delle finestre si chiusero d’un tratto, sbattendo sui vetri. Mi allarmai, trovandomi nel buio del salotto, dato che era illuminato solo da luce naturale.

-Vado un secondo ad accendere la luce-fermai Elissa, alzandomi dalla sedia. Lei mi bloccò a sua volta.

-Resta lì, non ce ne sarà bisogno.

Il lampadario del salotto si illuminò da solo, facendomi confondere ancora di più.

-Okay, che cosa diavolo sta succedendo? Ti sei accordata con i miei genitori? Volevate farmi uno scherzo?

Elissa non mi rispose, ma concentrò il suo sguardo sulla luce del lampadario che stava al di sopra del tavolo. Il piccolo fascio elettrico sembrò staccarsi dalla sua fonte, oscurando nuovamente la stanza. Vidi una palla di luce staccarsi dalle lampadine e presto mutare in quella che mi sembrò una cartina.

-Oh mio Dio-guardai stupita Elissa, credendo però che fosse ancora uno scherzo. -Com’è possibile? Cosa…

-Tu guarda e ascoltami. Tutti i tuoi dubbi avranno una risposta, te lo assicuro. Posso continuare?

Annuì titubante.

-Io vengo da Lyscha, un’isola a nord dell’Europa che si trova tra le isole Faroe e l’Islanda. Ciò che hai di fronte è la sua mappa, o almeno la parte che sono riuscita a ricostruire. Suppongo che tu non ne abbia mai sentito parlare. È un posto isolato, tanti non lo inseriscono nemmeno nelle carte e su internet non troverai nulla. I satelliti non lo segnalano nemmeno.

La luminosa mappa mostrava in un aspetto bidimensionale delle montagne rocciose e per sembrare che fosse un’isola delle onde la circondavano. Erano fatte così bene da farmi sentire quasi il rumore del mare e dei suoi gabbiani. Osservai meglio un punto in particolare, una sorta di abitazione o di istituto, che però svanì di colpo. Guardai a bocca aperta Elissa, che con aria compiaciuta si mise a realizzare altri disegni di luce. Immaginavo che fosse lei, per lo meno questa volta aveva mosso le mani. Rappresentò la figura di un uomo muscoloso, completamente illuminato, e un cavallo. La sua aria era piuttosto misteriosa. Decisi di non farci molto caso e di lasciarla continuare.

-Questa leggenda di cui ti voglio parlare è molto conosciuta a Lyscha e quasi ogni abitante la sa a memoria. Essa narra che ogni individuo, umano o animale, ha il destino scritto in tutto ciò che lo circonda.

Cominciò a rappresentare cose e persone senza un apparente collegamento: apparve un pastore, un cane, un vaso, una molla, un cacciavite, una donna...

-Ogni oggetto e persona che incrociamo nella nostra vita influenza il nostro futuro, il nostro destino. La storia di Lyscha spiega che tra queste persone ci siano delle figure speciali, i cosiddetti Bäsonders. Non si parla di geni assoluti come possono esser stati Leonardo da Vinci o Isaac Newton. Si parla di uomini e donne con doti legati al destino. Il destino ha più potere di quanto immagini-replicò seria ed io non riuscì a fare a meno di ricambiare il suo sguardo.

-Se il destino è legato ad ognuno di noi, è legato anche agli elementi che mantengono ordine e equilibrio nel mondo: fuoco, aria, terra, acqua e lo spazio.

-Lo spazio veniva considerato un elemento della natura? –domandai curiosa, guardando al contempo lo spettacolo di luci che era cambiato. C’erano delle fiamme, dei movimenti di luci che pensai rappresentassero il vento, delle onde, degli alberi e poi nient’altro.

-Il più importante di tutti! È quello che tiene uniti gli elementi e che li compone. La storia narra che millenni orsono ci fu un uomo, un uomo di nome Reyonar Lockord. Egli non era una persona qualunque, non voleva sottostare a leggi naturali stabilite dal destino, così si ribellò. Decise di prendere in mano il suo futuro e di creare le sue regole, di sfuggire a ciò che riteneva essere una trappola, una gabbia. Per raggiungere il suo scopo aveva bisogno degli elementi della natura, che uniti avrebbero potuto fargli controllare ogni cosa, anche la più piccola ed insignificante.

–Come poteva diventare così potente riuscendo ad impadronirsi del… libero arbitrio? –nel pronunciare l’ultima parola mi salì un po’ d’ansia.

-Non era solo questione di prendere in mano le proprie scelte. Sarebbe stato come bloccare un futuro già stabilito, qualcosa di molto sbagliato che col tempo avrebbe aggravato il corso naturale degli eventi. Un vero e proprio caos. Si dice che Reyonar riuscì a contattare una creatura molto antica, una praticante di stregoneria, o come la chiamo io, Arte Oscura. Trovò così il modo di controllare i cinque elementi e alla fine anche il suo destino. La sua brama di potere aumentò sempre di più e non gli ci volle molto per impadronirsi dei destini altrui.

-E poi venne fermato? -domandai preoccupata, osservando lo scenario di luci cambiare. Elissa aveva rappresentato il suo racconto raffigurando un uomo con la barba e con in mano diversi fili di luce, che supposi rappresentare i destini altrui. Fece lo stesso per il resto del racconto.

-Come Reyonar riuscì ad impadronirsi degli elementi, i pochi a cui non aveva rubato il destino decisero di affrontarlo e di imparare l’Arte dei Cinque, la magia elementale. Fu un modo di conoscere e di apprendere diverso da quello che utilizzò Reyonar, infatti lui sfruttò la stregoneria, mentre i Figli dei Destino, così vennero chiamati, iniziarono e conclusero da puro talento. Vedi, ci fu un motivo perché rimasero i soli a non essere controllati da Reyonar. I Figli furono i primi dominatori degli elementi, il loro potere sorse in un momento di bisogno. Reyonar non sapeva della loro esistenza e li dava semplicemente per invisibili, perché la stregoneria non gli permetteva di rintracciarli. I Figli si riunirono, si allenarono e alla fine sconfissero in un terribile e lungo duello Reyonar. Nello scontro, che secondo la leggenda durò ben 50 anni...

Spalancai gli occhi.

-Così tanto?

-Si sa, i miti e leggende tendono sempre ad esagerare sulle date-si fermò un secondo, facendo un’espressione un po’ buffa. Poi riprese con la storia. –I Figli del Destino lo sconfissero e morirono assieme a Reyonar. Liberarono tanta di quella energia che essa si sprigionò intorno al globo. Alcuni uomini e donne furono inglobati dal controllo degli elementi dei Figli e diventarono proprio come loro. Nacquero così i veri dominatori del fuoco, dell’acqua, della terra, dell’aria e dello spazio. In lysch, la lingua della mia isola, vengono chiamati Väalyani.

Come in tedesco, da quel poco che sapevo, la ä si pronunciava come una e.

Quando concluse, sorse in fretta uno strano silenzio. Sembrava che lei si aspettasse qualcosa da me, magari una reazione più entusiasta, invece ero solo molto perplessa. Fece svanire lo spettacolo di luci che ritornarono dritte al lampadario, riportando luminosità nella stanza.

-Va bene, come hai fatto? Lo devo ammettere, è un trucco parecchio ingegnoso, certo, ma pur sempre un trucco. Poi questa storia non mi ha spiegato proprio niente. Come potrebbe aiutarmi?

-Sei più cocciuta di quanto mi aspettassi, sai? -mi sorrise un po’ divertita ed io non riuscì a starle dietro. -Possibile che non hai ancora capito? Tu non fai parte del mondo dei tuoi genitori, del mondo dei semplici umani. Sei nata con un dono che presto sboccerà in te e ti farà sentire così bene da farti trovare finalmente il tuo posto nel mondo. Tu, Caterina, sei una Bäsonder, una Väalyana.

Non ne seppi il motivo, ma quella sua frase conclusiva mi fece stringere il petto. Avevo quasi diciannove anni, ero troppo grande per queste stupidaggini da ragazzini. Feci per parlare, ma sull’attimo ebbi qualche difficoltà, anche la mia voce si era ringrinzita.

-Tranquilla, posso comprendere che per te sia un po’ dura da assimilare…

-Un po’ dura? -domandai scioccata e alzando un tantino la voce. -È folle! Io non sono quella che affermi tu, io a malapena so tenere in mano un pallone senza farlo cadere, figuriamoci controllare il fuoco o l’acqua!

-Lo so, è difficile accettare tutto quanto per i Väalyani come te, però poi col tempo ci si abitua a questa nuova visione del mondo, te lo posso assicurare.

Mi morsi il labbro.

-Come posso credere che tu stia dicendo la verità? Al mio posto tu mi crederesti?

-Pensavo che la luce che ho smosso dal lampadario ti avesse convinta, ma… posso fare di meglio.

La vidi guardarsi intorno in cerca di qualcosa. Quando notò un vaso di fiori trasparente con dell’acqua dentro, si fermò e lo fissò attentamente sul posto. Muovendo le mani delicatamente, l’acqua fu rimossa dal vaso, la vidi galleggiare in aria. Per qualche secondo rimase sospesa ed io allungai un dito per rendermi conto di quanto potesse essere reale. L’indice si bagnò subito. Era tutto vero…

Evitai di rimanere a bocca aperta, malgrado fossi ancora sorpresa. Una parte di me avrebbe voluto che quello fosse un trucco, ma come poteva esserlo? Mi sembrava di essere finita in un film e di vedere di fronte a me soltanto degli effetti prodotti dal computer. Degli effetti anche parecchio buoni.

-Io controllo lo spazio e ciò mi permette di muovere gli oggetti intorno a me e di modificarli a mio piacimento-disse Elissa, dopo aver rimesso a posto l’acqua ed aver trasformato uno dei fogli sul tavolo in un fiore rosso.

-Ma è folle!

Lei sorrise. –Ci farai l’abitudine, non ti preoccupare.

Fece per mostrarmi le foto lasciate sul tavolo, ma io la fermai.

-Scusa, io continuo a non capire. Come posso esser parte di questo tuo mondo? Insomma, sono praticamente una ragazza scelta per caso.

-Questi doni si ottengono tramite genetica o destino. Soltanto che nei casi come il tuo ci vuole più tempo prima che compaiono. Verso i diciannove anni scoprirai il tuo elemento.

-E se ti sbagliassi? E se non fossi io?

-Sei tu, te lo posso assicurare-disse convinta. –Quando sei nata ero presente e non perché nel 2001 fossi diventata improvvisamente un’ostetrica. Ero venuta per assicurarmi della tua nascita e soprattutto della tua salute. Quelli scelti dal destino sono sempre scritti nelle stelle e nei testi sacri dei Väalyani. Sapevo che saresti nata il 31 dicembre del 2001. Ci ho messo ben 40 anni per capire dove, però alla fine ci sono riuscita. Sai, non sono in molti ad essere scelti. Sono rari tanto quanto i dominatori dello spazio.

Mi fermai, non sapendo più che dire. Era tutto così strano, nuovo, eppure anche dannatamente eccitante. Avevo bisogno di tempo per assorbire tutte quelle nuove informazioni.

-Ma quanti anni hai? –domandai di getto.

-Ho circa 133 anni-rispose tranquilla Elissa. –Non invecchio perché sono immortale. Ciò però non vuol dire che tutti noi lo siamo. È una cosa a cui si è predestinati ed è un po’ complessa da spiegare. Al momento non ne ho il tempo e malgrado io sia una dei pochi immortali al mondo, non sono la persona adatta per farlo.

La guardai confusa.

-Chi sarebbe adatto?

-Gli insegnanti dell’Accademia dei Väalyani, ovviamente. Si trova sull’isola di Lyscha ed è una scuola di magia elementale che ti aiuterà con l’arrivo del tuo elemento. Ti ci porterò verso la fine di agosto, quando riprenderanno le lezioni. È un istituto dove potrai stare per tutti e due i semestri e conoscerai ragazzi di tutto il mondo proprio come te. Nati da famiglie Väalyane e non.

-Come? Ma io non… -non trovai le parole giuste, anche se poi andai dritta al sodo. Arrossì. -Non credo di potermi permettere tutto quanto.

-Tranquilla, non dovrai alcun soldo all’accademia. Ogni anno ci sono sempre meno studenti, sempre meno Väalyani in tutto il mondo ed è un male, però anche un bene in fatto di spese. Siamo un mondo piccolo, purtroppo-sospirò amareggiata.

-Come mai? -chiesi un po’ angustiata, anche se poi mi venne da ridere. -Siamo… è come una specie in estinzione, per caso?

Evitai di utilizzare il noi, inserirmi propriamente in quel contesto mi faceva molto strano.

Elissa rimase piuttosto seria:

-Una cosa del genere, ma capirai meglio quando mi seguirai all’accademia. Al tuo arrivo troverai già tutto: alloggio, quaderni, libri… qualsiasi cosa che ti sarà utile, in pratica.

-E se mi rifiutassi di venire? Chi può dire che mi potrei trovare bene o che finalmente riuscirei a capire chi sono e cosa fare nella vita?

Malgrado tutto si stesse facendo assai interessante, avevo ancora molta paura. D’altronde non si poteva cambiare la propria vita da un momento all’altro, anche se nel mio caso ne avevo disperatamente bisogno.

-Cara, per tutta la vita ti sei sentita in gamba. Brava a fare i conti, ottima per le lingue e intuitiva abbastanza per comprendere le metafore, eppure mai veramente coinvolta. Questo è ciò che l’accademia vuol fare, appassionare l’animo e lo spirito dei ragazzi come te, giovani troppo speciali da poter perdersi nel mondo di oggi. Non appena scoprirai il tuo elemento percepirai sensazioni nuove, conoscerai un nuovo lato di te e ti si aprirà un mondo di nuove opportunità. Opportunità uniche, credimi.

Sospirai, non sapendo bene che pensare. Tentare non nuoceva di solito, che cosa avrei avuto da perdere? Una vita assai deprimente, su questo ero certa.

Puntai il mio sguardo verso le due foto sul tavolo.

-È questa l’accademia?

Si vedeva un grande edificio, eppure non molto bene. Oltre ad essere un po’ sfocata, l’immagine era anche molto vecchia. Mi sembrò un castello, però non ero sicura.

-Lo so-continuò Elissa. –La foto non è una delle migliori, ma… è la prima che è stata scattata all’istituto. Ed è anche l’unica. Per questioni di sicurezza evitiamo di spargere foto in giro. Nessuno, che non sia come noi, deve venire a sapere di questo luogo. Troppo tempo siamo stati ricercati dagli uomini normali. Per farti capire, nel Medioevo molti Väalyani sono morti sul rogo, specie le donne... Oggi potrebbero deviarci di qualche libertà e sfruttarci per scopi politici o peggio. Ecco perché non lo puoi dire a nessuno.

Annuì un po' spaventata, anche se cercai comunque di mostrarmi sicura: sapevo mantenere un segreto, nonostante facessi schifo a mentire. Ero certa, però, che non sarebbe stato difficile questa volta, visto che nessuno sano di mente mi avrebbe creduto. Magari solo Giorgia.

Spostai lo sguardo sull’altra foto, molto più chiara e nitida: raffigurava un uomo anziano con dei baffi bianchi e due tondi occhiali sugli occhi verdi. Domandai chi fosse.

-Lui è Thomas Ferguson. Ha fondato nel 1950 l’accademia. È ancora vivo, ma è non molto in forma.

-Che elemento controlla? –domandai curiosa, riguardando la foto.

-Nessuno. Il signor Ferguson è uno dei pochi esseri umani che sa della nostra esistenza. Ha fondato la scuola per il figlio, Axel, un dominatore del fuoco. L’ha ereditato dalla madre, la signora Ferguson, nonché la preside dell’accademia.

Mi grattai nervosamente il braccio. Elissa mi raccontava e mi informava, ed io pensavo soltanto che sarebbe stato difficile adattarmi e prenderci l’abitudine. Ero sconvolta, sorpresa, estenuata da tutte quelle scoperte su me stessa e sul mondo, ma almeno non mi sentivo più vuota. Percepivo una nuova realtà e un nuovo destino a cui aggrapparmi. Forse ero nuovamente parte di qualcosa.

-Senza il controllo di un elemento, la gente come noi fa fatica ad adattarsi nel mondo dei semplici uomini. Il controllo arduamente si impara da soli. Potrebbe diventare pericoloso per te e per coloro che ti stanno accanto. Credimi, lo so bene. Ai miei tempi non c’era una scuola per quelli come noi, perciò ho dovuto fare tutto da sola. Se avessi avuto l’opportunità di frequentare l’accademia, l’avrei colta senza nemmeno pensarci.

-Quindi la soluzione migliore è accettare? -domandai insicura. In realtà volevo già farlo, volevo dire che ci stavo, tuttavia c’era sempre un lato di me che faceva retro front a qualsiasi spaventosa novità.

-Non te ne pentirai-rispose Elissa con uno splendido sorriso. Di certo con quello avrebbe incantato anche l’uomo o la donna che più di tutti disprezzava l’amore.

-Se questo è tutto vero e non è frutto della mia immaginazione, credo che potrei…

Il cuore mi batteva molto forte, era come se quelle parole che stavo per pronunciare avrebbero definitivamente dato una svolta alla mia vita, una vera e propria decisione era giunta ed io dovevo solo afferrarla. Dentro di me sentivo una sensazione calda, come se qualcosa dentro di me si fosse risvegliato. Era proprio quella strada destinata a me? Era quello il mio destino?

-Credo che potrei frequentare l’Accademia dei Väalyani.

E avevo anche detto il nome correttamente.

Elissa non parve affatto sorpresa, anzi, era come se avesse già saputo la mia risposta.

-Perfetto, Caterina! I primi di agosto riceverai da parte mia una lettera nella quale segnalerò il luogo e l’ora del nostro incontro all’aeroporto di Copenaghen, Danimarca. Poi ti farò una lista di cose che devi portare, più che altro vestiti pesanti. Immaginerai anche tu che non potrai certamente indossare qualcosa come il costume da bagno. Fa fresco anche adesso che siamo in estate, perciò potrai capire…

-Meglio il freddo che il caldo-affermai sorridendo. Ero felice?

 

Elissa se ne andò, ma non prima di stringere la mano ai miei genitori e di dire di congratularsi con la loro figlia: ero stata appena ammessa ad un prestigioso collegio in Nord Europa! A loro dicemmo che quando se ne erano andati dal salotto, Elissa mi aveva sottoposto ad un colloquio per entrare in un lussuoso istituto danese. Il destino volle che la vecchia ostetrica della mamma fosse anche la governante di un prestigioso collegio. Fui fortunata che se la bevvero, solitamente erano sempre sospettosi. La mamma fu un po’ più difficile da convincere, dato che avrei dovuto partire da sola verso la Danimarca, ma dopo finte brochures e alcuni siti online, mi lasciò stare.

-Oh, tesoro, siamo così fieri di te-mi sorrise papà. -Avrei preferito però che ce ne avessi parlato prima. D’altronde, hai fatto una scelta parecchio coraggiosa.

-Perché non ce l’hai detto? -domandò mamma confusa e offesa. -Lo sai che avremmo approvato!

Mi strinsi goffamente le labbra, cercando di pensare a qualcosa da dire. Li guardai un po’ imbarazzata.

-Beh, io… volevo farvi una sorpresa.

Mi abbracciarono colpiti, non era da loro. Mi staccai pochi secondi dopo, dicendo che volevo subito ritornare in camera mia. Volevo appuntarmi tutto sul diario e poi raccontare ogni cosa a Giorgia. Ne avevo di cose da scrivere! Finalmente il bianco di quelle giornate avrebbe potuto tingersi d’inchiostro.  

-Oh, certo! -esultò mia madre. -Io vado subito a fare una videochiamata con la Rosa! Fa sempre la superiore con sua figlia che è stata presa alla Bocconi, voglio vedere la sua faccia quando le dico di Caterina!

-Mamma! -la richiamai, avvicinandomi alle scale. -Non credo che sia necessario farlo sapere a tutti...

-Ma dai, lo dico soltanto alla Rosa! -ribatté, spostandosi in salotto col telefono in mano. Sospirai, sapendo bene come sarebbe andata a finire. La famosa Rosa era una signora poco più grande di mia madre ed era nota nel mio quartiere per spifferare qualsiasi cosa a tutti e se c’era una cosa che odiavo era finire proprio sulla bocca di chiunque.

-Tranquilla, ci penso io-mi sorrise papà, che come me sapeva essere parecchio timido. Abbozzai uno sguardo riconoscente e poi corsi al piano di sopra.

Afferrai la custodia rossa del diario.
 

19 luglio 2020,

Bologna

Caro Diario,

credo di esser stata appena ammessa all’ Accademia dei Väalyani. Una donna dai capelli rossi e dall’abito blu è entrata in casa mia e ha…

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due: Il Mangiatore di Fuoco ***


Quel pomeriggio scrissi ben dieci pagine sul diario e solo quando conclusi realizzai nuovamente cosa diavolo fosse successo in quello strano pomeriggio di luglio. L’intera faccenda dei Väalyani, la storia di quell’uomo, Reyonar… Una vera e propria follia! E pensare che prima di un’ora fa non credevo nemmeno ai fantasmi…

Dovevo assolutamente parlarne con qualcuno e Giorgia era l’unica che non sarebbe andata a dirlo a nessuno.

Verso le sei e mezza uscì di casa con la scusa di prendere un po’ d’aria, anche se in giro per Bologna era così compatta e afosa da sembrare quasi irrespirabile.

Fortunatamente da sempre abitavamo in una villetta in centro, perciò non mi ci volle molto per raggiungere uno dei posti che più preferivo di Bologna, ovvero Parco della Montagnola. Una zona verde nella quale potevo riflettere in un relativo silenzio, che però a dirla tutta non cercavo. Non appena trovai una panchina all’ombra mi ci sedetti subito per riprendere fiato. Faceva troppo caldo anche solo per respirare! Mi ero portata dietro un ventaglio, ma poco aiutava.

-Uau, quindi da domani potresti, che ne so, sparare fuoco dalle mani? Cristo Santo che figata!

Come immaginato, Giorgia era l’unica folle disposta a credere ad ogni mia parola. Da un lato era preoccupante, sapeva essere fin troppo ingenua certe volte, eppure ero grata con tutta me stessa che mi prendesse sul serio. A modo suo, però lo faceva.

-Oddio, Gio, non dire così, che mi spaventi! -replicai dall’altro lato del telefono. Prima di uscire di casa mi aveva chiamata perché era troppo curiosa di sapere cosa fosse successo. D’altronde le avevo inviato un messaggio alquanto misterioso.

-Ma sono solo io l’entusiasta qui? Insomma, potresti diventare una sorta di supereroe!

-Non credo che funzioni proprio in quel modo. Poi io la sono entusiasta, credimi, solo che è successo tutto così in fretta e sono allo stesso tempo terrorizzata. Dai, mi conosci, so essere terribilmente paranoica e continuo a pensare di star vivendo in un sogno. Eppure era così reale!

-Se fosse un sogno probabilmente spunterebbe un unicorno viola con le ali da pipistrello o comunque qualcosa di molto ridicolo. Finora non è successo, no?

-Finora-sospirai guardandomi intorno. Delle persone che mi parvero essere turisti passeggiavano serenamente tra l’ombra degli alberi e dei bambini correvano spensierati assieme a due cani piuttosto grandi. Adesso che sapevo di essere diversa da tutti gli altri, avrei abbandonato quel tipo di vita? La normalità?

-Non è un sogno, Cate! Sei soltanto ancora un po’ scossa, in fin dei conti esser definita una dominatrice dei cinque elementi non succede tutti i giorni!

-Soltanto un elemento, non tutti. E chissà quale…-la corressi senza nemmeno farci caso.

-Visto? Ti stai già abituando!

-È proprio questo che mi preoccupa! E se fosse soltanto uno scherzo di cattivo gusto? Se uscissero delle telecamere da un momento all’altro, credo che rimarrei rinchiusa in camera per il resto dei miei giorni.

-E invece ci sono solo io!

Sentì la voce calorosa di Giorgia proprio di fronte a me. Voltai lo sguardo e vidi subito la sua folta chioma bionda e riccia di capelli. Aveva inoltre un sorriso a trentadue denti. L’abbracciai forte forte e mi trattenni quasi dal piangere.

-Dio, come fai la drammatica! -commentò divertita. Le diedi un pizzicotto con aria offesa e lei squittì come uno scoiattolo.

-Ehi! Stavo scherzando!

-Io ho paura, Gio! -mi staccai dall’abbraccio. -Ho paura che sia solo qualcosa d’inventato, che non sia reale! Dici che potrebbe avermi drogata? -la guardai allarmata.

-Beh, l’ipotesi non è poi così azzardata. Quante sono queste? -mi puntò di fronte le lunghe dita snelle della mano. Le contai fin troppo velocemente.

-Nah, stai benone!

Ci mettemmo a fare due passi stando a braccetto: di solito Giorgia aveva un passo molto più lungo e veloce del mio, era alta e magra, talvolta non lo faceva nemmeno apposta a farmi rimanere indietro. Camminando in quel modo saremmo potute rimanere in pari; le mie gambe non riuscivano a seguire i suoi movimenti da gazzella.

-Mi sembra di essere finita in un qualche film di Hollywood. Uno di quelli brutti, sai, con la trama scontata e tutto il resto.

-Io direi più un libro con scarsa fantasia-rise Giorgia.

-Forse perché la vita a volte sa essere poco originale.

La sentì alzare le spalle.

-Potrebbe. E comunque è tutto appena cominciato.

Borbottai qualcosa appoggiando la testa sulla spalla nuda di Giorgia. Camminavamo come una coppietta e a nessuna delle due dispiaceva.

-Sai, per quanto sia terrorizzata, sono anche così curiosa, così elettrizzata. Era da tempo che non mi sentivo così. Una parte di me è come se l’avesse sempre saputo che tutto ciò che vedevo attorno non fosse adatto alla mia personalità. Quella donna, Elissa… credo di doverle molto. Vorrei dire che avrei preferito incontrarla prima, eppure così non avrei incontrato te! -conclusi facendo un occhiolino a Giorgia. La vidi sorridere furbamente.

-Come avresti fatto senza di me?

-Come avresti fatto tu senza di me!

C’era complicità tra noi due, c’era sempre stata sin dal nostro incontro in prima superiore. Era bastato parlare di boyband e serie tv per andare d’accordo e d’allora eravamo diventate inseparabili.

-Oh, mi mancherai tantissimo a settembre! -brontolai come una bambina.

-Sì, lo so, piccola Cate!  

Come suo solito mi prese in giro per l’altezza: va bene, lei era decisamente più alta di me, sfiorava quasi il metro e ottanta, tuttavia io non ero neanche così bassa. La mia testa toccava giusto la punta della sua spalla. All’incirca…

Le feci una linguaccia, ma lei non ci diede così peso.

-Anche tu mi mancherai. Mi lascerai con Alessia e Alice, per non parlare di quella smorfiosetta di Jessica. Ora che ha il fidanzato, però, posso svignarmela facilmente. Che qualcuno ringrazi quella povera vittima sacrificale.

Risi di gusto. Alessia e Alice erano delle brave ragazze, con dei difetti certo, ma nulla di così problematico come invece era Jessica. Con Jessica era difficile non perdere la pazienza, non avevo ancora capito come Giorgia la stesse trattenendo da ormai cinque anni; io la conoscevo da più tempo, perciò l’avevo abbandonata da un po’. Jessica era una di quelle persone che purtroppo era difficile perdere di vista, specie se era in grado di farti sentire come una pessima persona soltanto perché reagivi a certi suoi comportamenti estremamente discutibili. Per non parlare del suo continuo vittimizzarsi per delle scemenze. Lei non mi sarebbe mancata affatto.

-Se ti darà fastidio chiamami, così le darò una bella lezione!

Gli occhi di Giorgia si illuminarono come due fiammiferi.

-Uh, sarebbe divertente vederla scappare da getti d’aria o magari di fuoco!

-Sarei tentata, però non voglio rischiare di andare in prigione per colpa sua-roteai gli occhi. -E poi non sarebbe un scontro equo. Sarebbe più facile riempirla di insulti quando si comporta male. Mi sentirei meno in colpa.

-Potere sfruttato malissimo secondo me!

Scoppiammo nuovamente a ridere, attirando l’attenzione di qualche passante per via della rumorosa risata. Sì, mi sarebbe mancata molto. D’altronde le migliori amiche non si trovavano ovunque e di certo non l’avrei rimpiazzata con la prima che avrei conosciuto. Non ero così infame.

Alla fine decidemmo di passare tutta la serata insieme e andammo a mangiare un kebab malgrado si morisse dal caldo. Quello del mitico Haji era delizioso e ci dava sempre le patatine fritte in omaggio! Eravamo delle clienti abituali.

Quando si fece buio camminammo un po’ per le vie del centro storico, fino ad arrivare a piazza Maggiore. Di sera faceva decisamente più fresco e si stava abbastanza bene. Il Kebab non era bastato a sfamare la nostra fame, così prendemmo anche un gelato. Da sempre entrambe eravamo delle mangione, con l’unica differenza che Giorgia non ingrassava nemmeno di un chilo grazie al suo veloce metabolismo, io invece dovevo stare più attenta. La invidiavo tantissimo.

-Mi mancherà anche il gelato, ne sono sicura! -replicai gustandomi la coppetta al cioccolato e alla crema.

-Cate, guarda! -gridò d’un tratto Giorgia, puntando il dito sul centro della piazza. Diverse persone erano raggruppate attorno a qualcuno, ma lei essendo più alta aveva già notato di chi si trattava. Mi prese il polso e mi ci portò vicina.

-Piano, mi fai cadere la coppetta! -mi lamentai.

Quando fummo davanti vidi un ragazzo intento a fare uno spettacolo col fuoco. Teneva in mano due bastoni neri infiammati e li muoveva attorno al corpo con una velocità impressionante. Era come se fossero stati una cosa sola, le fiamme non lo turbavano minimamente, persino quando sembravano sfiorargli la pelle della braccia e del collo libera dalla t-shirt nera. Faceva tutto da solo, eppure di attenzione ne stava attirando parecchio.  

La gente applaudiva, mentre Giorgia mi continuava a guardare come se fossi stata la prossima ad eseguire un numero simile. Io mi limitavo ad alzare gli occhi al cielo, non ero ancora pronta a pensare a qualcosa del genere. Poi quel ragazzo era soltanto un artista di strada ed io certamente non avrei voluto scegliere uno stile di vita simile al suo.

Il fuoco salì molto in alto, sembrò addirittura toccare il buio della notte, e si avvolse in una sorta di vortice senza fine. Poi con un battito delle mani si spense tutto e uno nuovo rumoroso applauso accolse la bravura del ragazzo. Se le godeva molto quelle attenzioni, lo percepivo dallo sguardo soddisfatto, specie osservando le offerte che gli erano state date.

-È carino, non trovi? -constatò Giorgia ed io ritornai alla realtà. La guardai un po’ confusa.

-Lui?

-Sì, lui. Chi se no? -rise come una ragazzina.

Annuì senza pensare, avevo come l’impressione che quel giocoliere del fuoco mi stesse osservando. In realtà stava scrutando l’intera folla che se ne stava già andando.

-Vi prego, signori! -esclamò in un accento che mi parve del nord. Non d’Italia, ma di qualche paese d’Europa. -Lo spettacolo non è ancora finito!

Lo guardai curiosa e per qualche breve secondo i nostri sguardi s’incrociarono. Giorgia aveva ragione, non era affatto male: alto, snello, capelli ricci e un’aria assai strafottente, se non anche un po’ arrogante. Di certo non saremmo potuti andare d’accordo, io odiavo quel tipo di persone.

All’improvviso la sua bocca divenne come quella di un drago, sputò un’ondata di fuoco altissima e con i bastoni l’afferrò e la fece completamente sua. Non c’era bisogno di un’atmosfera musicale intorno a quella danza, il ragazzo era in grado di crearne una propria con i movimenti delle fiamme. Era veramente bravo! Era un miracolo che non si fosse ancora bruciato le dita delle mani, che tra l’altro avevo giurato vedere toccare il calore del fuoco. E se fosse stato…? No, era solo un giocoliere del fuoco.

Concluse il suo spettacolo sputando un’ultima volta fuoco dalla bocca. Per un momento parve scomparire tra le sue stesse fiamme e assieme alla folla mi lasciai andare ad un applauso. Non era la prima volta che ne vedevo uno, da piccola mi piaceva chiamarli mangiatori di fuoco, eppure quel ragazzo mi sembrò il più bravo di tutti quelli che avevo visto in vita mia.

Giorgia rimase quasi delusa nel vederlo finire il suo piccolo show. Noi decidemmo di continuare la nostra passeggiata.

-Sarebbe stato bello se fosse durato di più! Con un po’ di coraggio, gli avrei chiesto se per caso avesse frequentato una scuola in particolare per imparare a muovere così abilmente quelle mani-sorrise furbamente ed io cercai di rimanere seria per non dargliela vinta.

-Oh, che c’è? Adesso che so di quei Valiani, o come cavolo si chiamano, vedo le cose diversamente!

-Väalyani! Detta in quel modo suona tanto come il cognome di un vecchio! E poi, beh… quel tipo avrà frequentato un circo qualsiasi, ecco tutto!

Una palla di fuoco volò sopra piazza Maggiore e un bel gruppo di persone, Giorgia ed io comprese, ebbero un sussulto. Il ragazzo che giocava col fuoco apparve tra la folla e l’afferrò con le mani. Ricevette di nuovo un applauso, anche se stavolta parve un tantino spaventato. Anch’io la ero. Ero abbastanza scossa.

-È come scoprire che esistono gli alieni-spiegò Giorgia. -Ce li abbiamo sotto gli occhi e non ci facciamo nemmeno caso.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre: Pagine di Diario ***


 

3 agosto 2020

Bologna

Caro Diario,

è appena arrivata la lettera di Elissa e sono molto felice. Non appena l’ho strappata dalle mani di papà, e per un pelo vorrei aggiungere, ho subito notato un indirizzo danese sul mittente. Prendono molto sul serio il concetto di anonimato.

L’arrivo della lettera mi ha fatto rendere conto di quanto tutta questa storia sia vera e… non vedo l’ora di imbarcarmi per l’accademia.

Voglio appuntarmi ogni cosa, perciò ho deciso di incollare la lettera sulla pagina accanto. Mi pare che sia stata battuta a macchina.

Cara Caterina,

spero che tu stia bene, l’inizio della scuola si fa sempre più vicino e devi essere pronta per questa nuova vita che ti attende con ansia! Prima di farti la lista delle cose da portare e non portare, volevo giusto lasciarti qualche informazione generale sull’accademia. Le lezioni si terranno tutte in inglese, con così tanti ragazzi da tutto il mondo la lingua ci permette di comunicare tra di noi perfettamente. Dopo il nostro incontro, non credo che per te sarà un problema. Tra i corsi che seguirai ci sarà comunque il lysch. La signora Ferguson ritiene che sia molto importante conoscerlo, d’altronde non mancheranno le giornate libere in cui potrai fare un giro nel centro di Lyschstadt, la capitale dell’isola. Assieme a questa lettera ho voluto aggiungere anche la lista di nomi delle altre materie che apprenderai e soprattutto i nomi degli insegnanti. Non ti preoccupare, il viaggio verso Lyscha durerà un paio di giorni perciò avrò tutto il tempo necessario per spiegarti a fondo che cosa studierai e l’intero funzionamento dell’accademia. Sappi che è molto simile a qualsiasi scuola del mondo dei semplici umani.

Hanno già pianificato lo smistamento delle camere e ti posso confermare che la tua compagna di stanza sarà Annie Cooper, una nata Väalyana del secondo anno. Vi troverete bene, ne sono sicura!

Ecco la lista di cose che devi portare:

-abiti pesanti e soprattutto impermeabili, sull’isola di Lyscha piove spesso ed è meglio essere riparati;

-non più di dieci oggetti affettivi da tenere in camera, è già successo che la stanza diventasse invivibile, perciò mi raccomando di non esagerare;

-ti consiglio di portare uno zaino o comunque una borsa larga dove mettere i libri. Ma credo che questo lo saprai già;

-non saranno necessari cellulari e computer, all’accademia non utilizziamo marchingegni elettronici, ma non temere, per tenersi in contatto con i propri genitori ci sono alcuni telefoni fissi. Si possono comunque spedire lettere, il servizio postale è ottimo!

-i set da bagno non serviranno: asciugamani, saponi e bagnoschiuma saranno reperibili direttamente all’accademia. Sei comunque libera di portarli.

Noi due ci vedremo il 31 agosto all’aeroporto di Copenaghen, all’interno di questa busta troverai già il biglietto del volo da Bologna. Sperando in nessun ritardo, ci vedremo esattamente alle 10 e 45 e insieme partiremo verso le isole Faroe per poi prendere un traghetto verso Lyscha.

Per dubbi o questioni in sospeso, non farti problemi a scrivere a questo indirizzo.

A presto,

Elissa Rosmeria Lyorin, governante e custode dell’Accademia dei Väalyani.

E qui sotto ci sono cinque sigilli che credo rappresentino gli elementi: c’è l’acqua, il fuoco, la terra, l’aria… Quello dello spazio è vuoto, suppongo che non sapevano come rappresentare tantissime cose in un posto solo.

Non mi dispiace l’idea di avere una coinquilina, almeno avrò la certezza che conoscerò qualcuno.

La cosa che in realtà mi ha più scosso è l’assenza di tecnologie. Okay, probabilmente dal momento in cui farò volteggiare una pianta o sputerò fuoco come un dannato Pokemon, non credo che i social media mi mancheranno così tanto. Ma il vero problema è che non potrò tenermi in contatto con Giorgia. Anche solo adesso ci scriviamo sempre ed abitiamo nella stessa città! Come sarà abitare in una sorta di isola sperduta senza nemmeno poterle inviare un misero messaggio? Sfrutterò al massimo i telefoni dell’accademia, di questo sono certa.

Elissa è stata molto gentile a comprarmi il biglietto, me lo aveva già accennato prima di uscire di casa quel fatidico 19 luglio, perciò sono contenta di non averne già preso uno a consiglio di mamma. Quanta pressione che mi mette quella donna! È da quando è andata via Elissa che continua a parlare dell’istituto danese e credo che abbia avvertito l’intera famiglia, se non addirittura l’intera città. È seccante, sul serio. Ma non durerà a lungo: tra meno di un mese me ne andrò da Bologna e raggiungerò finalmente quella scuola danese e scoprirò a cosa sarò più adatta. Il corso all’introduzione delle materie mi aiuterà? A mamma e papà sarò costretta a dire di sì, anche se non ce ne sarà per forza bisogno. Lo sento ogni giorno che passa che sto facendo la cosa giusta, anche se sono trepidante come un tamburo percosso ininterrottamente.

La lista delle materie e degli insegnanti dell’Accademia dei Väalyani è alquanto bislacca, anche se non dovrebbe esserlo per me.

In totale sono sette corsi.

-Professor James Gablin e la professoressa Gablin, insegnanti di Applicazione e Apprendimento degli elementi;

-Professoressa Karla Frederich, insegnante di Storia dei Väalyani ;

-Professor Carl Bottom, insegnante dell’Arte dei Cinque;

-Professoressa Lucy Richter, insegnante di Lysch;

-Professoressa Marysa Heine, insegnante di Runologia;

-Professor Hans Dillon, insegnante di Fuoco e Acqua;

-Professoressa Gyna Yuri, insegnante di Aria e Terra.

Stupidamente non ho immaginato che prendessero così sul serio ciascun elemento. Mi domando se l’Arte dei Cinque sia la stessa che i Figli del Destino hanno studiato per combattere Reyonar. D’altronde non è magia elementale?

Storia dei Väalyani è probabilmente quella che mi interessa di più, mentre non ho idea di cosa sia Runologia. Rune antiche di che tipo? Forse è la materia che più si discosta dalle altre. Non vedo l’ora che Elissa mi spieghi tutto, ecco. Ti terrò aggiornato naturalmente.

Non ho più niente da aggiungere, perciò ti saluto.

Con affetto,

Caterina

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro: Ansie da Partenza ***


Era un muro fatto di rose nere. Si poneva di fronte a me come un guardia pronta a non far passare alcuna anima viva. Eppure gli insetti s’intrufolavano, i ragni costruivano le ragnatele e gli scarabei rimanevano disinvolti di fronte alle taglienti spine. Allungai il dito indice verso una delle tante rose e la toccai delicatamente senza un apparente motivo. Forse volevo sentire se erano vere e dal tocco lo sembrarono. Erano nere come l’inchiostro della penna che usavo per scrivere, scuro e macchiava facilmente, proprio come la mia mano in quel momento. Si fece sempre più buia, sempre più sporca.

Non era reale, era solo un sogno. Tra poco mi sarei svegliata.

Cominciai a tossire e percepì la gola andare a fuoco. Provai ad allontanarmi dal muro di rose, ma una forza a me sconosciuta mi fece rimanere ferma dov’ero. Era buio? C’era il sole? Non mi sembrava, non vedevo niente. Dovevo trovare il modo di uscire, anche se non sapevo se fossi al chiuso o all’aperto.

Continuai a tossire, questa volta però fu diverso, qualcuno stringeva la mia gola.
No, nessuna persona la stringeva. Erano i gambi delle rose che si stavano lentamente rotolando intorno al mio collo come un boa e la sua preda. Provai a liberarmene con il fiato alla gola, ma le mie mani si fecero presto nere come il carbone e dense la come la pece.

Mi arresi in fretta osservando un punto impreciso del muro di rose e scossi la testa, come se avessi saputo che tra poco mi sarei svegliata. Chiusi gli occhi.

Non funzionò e terrorizzata ritentai di spostarmi dal posto, ma non ci riuscì.

Non era reale, era soltanto un sogno. Non era reale, era soltanto un sogno. Il mio sogno, il sogno che potevo controllare.

Afferrai i gambi delle rose che avevo ancora premute sulla gola e le afferrai strappandole via con forza, anche se non sembravo più avere delle  mani.

 

Aprì gli occhi e mi ritrovai nel mio letto tutta sudata. Avevo le guance umide dalle lacrime e il cuore mi batteva molto forte. Ma stavo bene, era stato solo un incubo. Uno strano incubo, però nulla che non potessi gestire. Non era la prima volta.

Allungai il braccio sul comodino e afferrai il diario per descrivere quel poco che mi ricordavo. Avevo come l’impressione di essermi svegliata troppo in fretta, come se da un momento all’altro fosse dovuto accadere qualcosa d’importante.

La storia dei miei insensati incubi cominciò all’età di cinque anni. Una notte mi svegliai in preda al panico e convinta di essere ancora dentro il sogno. Terrorizzata, raggiunsi la camera dei miei genitori in una valle di lacrime e loro parvero spaventati quanto me. Lo ricordavo bene, ci vollero ben dieci minuti per rendermi conto che ero sveglia e al sicuro. Il sogno, invece, era rimasto solo una nuvola grigia ed io che urlavo di avere paura. Nient’altro.

Verso i sei anni ci fu il lungo periodo di incubi, tant’è che mamma pensò addirittura di portarmi da una psicologa infantile o comunque qualcuno che potesse darmi una mano. La cosa assurda era che non ricordavo mai che tipo di sogno facessi, mi limitavo a definirlo con una semplice parola, caos. Ma alla fine non ne parlai mai con nessuno di esperto, d’altronde stavo bene, ero in salute, avevo soltanto qualche crollo notturno di tanto in tanto. Detta così suonava molto tragica, eppure non lo era. Va bene, stavo male giusto per qualche ora, ma poi tutto passava. Tutti facevano gli incubi ed era normale.

Più crebbi, più imparai a gestire la situazione, a calmarmi, a rendermi conto che ero sveglia e che gli incubi non facevano del male ad anima viva, erano soltanto sogni. Col tempo imparai ad essere più lucida, più attiva e meno passiva di fronte ad avvenimenti onirici, difatti cominciai a rendermi conto di star sognando. Non sempre ci riuscivo, ma le volte in cui facevo un incubo e realizzavo che era solo frutto della mia mente, era tutto finito, ero salva. Ma si sapeva: l’angoscia che provocava un’inspiegabile sogno era difficile da ignorare completamente. Ci provai ugualmente.

Il sogno del muro di rose nere era il più pittoresco che avessi mai fatto, eppure anche quello che mi procurò più inquietudine.

Era tutto normale: tra poco sarei partita per una nuova avventura, ero nervosa e gli incubi sarebbero diventati l’ultimo dei miei problemi. Ci diedi poco peso, non ne parlai nemmeno con Giorgia.

-Allora, cosa manca in valigia? -mi domandò seduta sul letto di camera mia. La sera del 30 agosto eravamo entrambe un po’ giù di morale e per ovvie ragioni. Giorgia era venuta ad aiutarmi con i bagagli.

-Questi, ovviamente.

All’interno della valigia dovevo ancora mettere cinque diari nuovi: avevano tutti le copertine colorate e sarebbero stati la mia fonte di salvezza all’accademia. Ero solita a consumarne una dozzina in un anno, la mamma non sapeva più dove metterli, eppure negli ultimi mesi, escludendo luglio e giugno, avevo scritto relativamente poco, tanto da non concludere il diario che avevo cominciato a gennaio. Iniziando una nuova scuola ero certa che avrei avuto un sacco di cose da raccontare.

Giorgia mi guardò perplessa.

-Oh, giusto, dimenticavo… Ci staranno in valigia?

-Certo, ma nel caso c’è spazio nello zaino.

-Sappi che devi farci stare anche il mio regalo d’addio. Sempre se, bè, non lo vuoi già indossare.

Mi voltai su di lei confusa e la vidi tenere in mano una piccola scatolina. Si fece sorridente ed io mi sorpresi portandomi le mani al petto.

-Ma io non ti ho preso niente. Adesso mi fai sentire in colpa.

-Sei tu che parti, non io! -constatò, posando il regalo sopra i vestiti piegati. -E poi dato che non ci potremo sentire tutti i giorni, volevo che avessi qualcosa che ti ricordasse di me.

Intenerita la ringraziai, ignorando per qualche secondo la scatolina. Fu lei a spronarmi ad aprirla ed io non me lo feci ripetere due volte. Trovai una pietra grigia incastonata all’interno di un pendente d’argento risaltato da ghirigori circolari e molti graziosi. Era piccola, Giorgia sapeva che odiavo attirare l’attenzione.

-Ma che bella! -esclamai. L’avrei potuta mettere in ogni occasione, anche quella più informale. Giorgia sorrise soddisfatta.

-L’ho trovata su Etsy, è un miracolo che sia arrivata in tempo. Ce n’erano di diversi colori e dato che non si sa ancora quale possa essere il tuo elemento, ho deciso di puntare sul grigio.

Le presi la mano e gliela strinsi.

-È perfetta. Non c’è altro da aggiungere-dissi con le lacrime agli occhi. Anche i suoi si stavano facendo lucidi come lustrini. L’abbracciai e scoppiai a piangere come una bambina. La sentì stringermi la schiena ed io mi sentì subito confortata: non ero l’unica avvolta dai singhiozzi.

Come avrei fatto senza Giorgia? Gli anni del liceo erano stati piuttosto duri, e non soltanto perché avevamo avuto un sacco di compiti e di verifiche, diciamo che le nostre vecchie compagne non erano tra le più gentili. Ma con Giorgia era stato più facile, più leggero e certe volte ero persino stata contenta di andare a scuola. Senza il suo supporto morale sarebbe stato tutto più difficile.

-Mi raccomando, fatti valere all’accademia-disse seria quando si staccò dall’abbraccio. -Sì, immagino che incontrerai un sacco di gente di gamba. Se tentano di abbassare la tua autostima, tu non permetterglielo. Promesso?

Annuì, asciugandomi una guancia. Non suonavo molto convincente, ma chi sarebbe apparso tale con la faccia rossa e gli occhi ridotti a due fontane?

-Promesso.

Giorgia mi aiutò con le ultime cose da mettere in valigia e insieme riuscimmo a mettere a posto tutti i diari e anche qualche libro. Verso le nove di sera se ne andò con mio grande rammarico. Per i primi giorni ci saremmo ancora sentite, perciò ero relativamente serena.

Prima di chiudere la valigia, infilai due cornici: una con Giorgia ed una con i miei genitori. Poi decisi di portarmi Teodorico, ovvero un pupazzetto di stoffa a forma di coccodrillo che da piccola trascinavo ovunque andassi. Aveva un nome regale senza un apparente motivo, probabilmente da bambina sentì pronunciarlo da qualche parte. C’ero comunque affezionata ancora oggi, con Teodorico avevo fatto diversi viaggi dunque mi avrebbe seguita anche sull’isola di Lyscha. 

Andai a dormire molto presto quella notte, malgrado mi addormentassi soltanto verso l’una di notte. Dormì quattro misere ore, però ero troppo agitata per riposare naturalmente. Andiamo, chi non lo sarebbe stato un po’ in ansia? Mondo nuovo, vita nuova. Era eccitante ed ero contenta, però diavolo quanta emozione!

In quelle poche ore spese nel sonno ebbi un altro incubo, ma non mi ricordai niente stavolta. Ne fui grata, altre angosce inutili non sarebbero state d’aiuto.

Mi svegliai alle cinque del mattino e mi alzai dal letto circa quaranta minuti dopo. L’aereo partiva alle otto e quarantacinque, perciò c’era tempo. Decisi di farmi una doccia e darmi una sistemata prima del viaggio: intrecciai due ciocche di capelli castani intorno alla tempia e provai a dare un’aria uniforme ai ricci liberi dagli elastici. Poi mi misi un filo di eyeliner sugli occhi altrettanto scuri e del correttore per coprire i segni della stanchezza, anche se di solito non erano molto evidenti. Avevo una pelle chiarissima, specie quella mattina ero proprio pallida, perciò provai a darmi un po’ di colorito con del fard sulle guance. Quando conclusi col trucco, misi dentro la valigia l’intera trousse.

Che cosa mi sarei messa? Ebbene, la sera prima avevo scelto un semplice paio di jeans a vita alta e degli anfibi rossi, infatti assieme a Giorgia avevo visto che a Copenaghen davano pioggia, perciò volevo essere preparata. Sopra indossai una camicia bianca e naturalmente anche la graziosa collanina che mi aveva regalato Gio. Mamma insistette che mi portassi dietro anche un giacchetto beige, in aereo faceva freddo!

Prima di uscire di casa con i miei trepidanti genitori, afferrai la borsa nera che mi portavo quasi sempre dietro. C’erano due diari e il cellullare con le cuffiette per ascoltare la musica. Giorgia mi aveva scaricato una playlist per il viaggio. Sapeva essere una piccola hacker a volte e non solo in fatto di musica.

Durante il breve tragitto in macchina verso l’aeroporto Marconi di Bologna, mamma per poco saltava dalla sedile e papà sorrideva così tanto che quasi quasi la mascella non gli si sarebbe più mossa. Va bene che erano fieri di me e di tutto quanto, ma anche meno… Tra poco avrei rischiato di mettermi a piangere di nuovo ed ero stanca di piangere.

-Mi raccomando, non appena atterri in Danimarca scrivimi un messaggio e poi chiamami! Almeno cercherò di stare tranquilla per il resto della giornata-mi ricordò mamma, prima che facessi i controlli di sicurezza. La valigia aveva già raggiunto la stiva.

-Sì, mamma, ho capito. È tipo la terza volta che me lo dici da mezz’ora. Lo farò, lo sai.

Il suo solito sguardo severo si contorse in un timido e triste sorriso, ma non pianse. Lei era dura come una roccia, un po’ come papà.

-Studia, ti farà bene! E poi per le vacanze di natale ti chiederò qualsiasi particolare sulla cultura e letteratura danese, sono certo che sia molto interessante.

Annuì sorridendo, anche se mi sentì un po’ in colpa a mentire così spudoratamente ad entrambi. Ma era per un bene superiore, no?

-Mi mancherete anche voi-li abbracciai d’un tratto. Li sentì stringermi caldamente e all’unisono mi dissero: ti vogliamo bene. Anch’io ne volevo a loro, pregi e difetti.

Ma francamente non vedevo l’ora di andarmene e di respirare aria diversa. La mia avventura sarebbe cominciata proprio con i controlli di sicurezza ed una guardia dell’aeroporto assai insolente. Non era la prima volta che prendevo l’aereo, perciò sapevo che alcuni oggetti metallici dalla punta non tanto arrotondata potevano essere sequestrati, eppure la chiave del mio diario non era tagliante come una mannaia, che cavolo!

-Senta, se mi ritirate la chiave del diario non riuscirò più ad aprirlo e dovrò rompere il lucchetto!

-È un così grande problema? -domandò confuso l’uomo ed io voltai lo sguardo per non divorarlo viva con gli occhi. D’altronde ero l’unica stolta a cui piaceva tenere per bene le proprie cose?

-Questa la tengo con me, il prossimo!

A quanto pare sì.

Scoraggiata, mi feci strada in avanti con il muso lungo, quando dietro di me sentì una voce che mi ricordò vagamente qualcuno. Non c’era nessuna sbavatura nell’accento, soltanto un tono pulito e assai perspicace. Mi girai e vidi Elissa. Non ci dovevamo incontrare a Copenaghen?

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque: Un lungo Viaggio ***


-Mi scusi, potrebbe controllare meglio? -domandò Elissa alla guardia dei controlli. L’ultima volta che avevo visto Elissa indossava un lungo abito blu estivo, quella mattina invece la trovai con addosso un cappotto blu chiaro e con i capelli legati in una coda di cavallo. Era pronta per il viaggio.

-Come prego? -chiese  l’uomo un po’ confuso. Aveva messo in una tasca la chiave del mio diario. Elissa si riferiva a quello? Non avevo capito, ero ancora un po’ sorpresa nel trovarla all’aeroporto di Bologna e non a Copenaghen.

-Controlli la tasca, credo che ci sia stato un errore-insistette, dandomi poi una veloce occhiata. Si fece scappare un occhiolino.

Sbattei gli occhi perplessa. Cosa aveva in mente?

La guardia controllò le tasche e trovò una semplice ed innocua molla di plastica.

-Ma come, mi era sembrata di…

Era rimasto di stucco e francamente un po’ anch’io.

-È tua, giusto? -si rivolse a me ed io annuì subito. L’uomo, che nel mentre si era fatto rosso come i capelli di Elissa, senza pensarci due volte mi diede la molla ed io la presi, anche se non sapevo che farmene ora che non era più la mia chiave. Elissa afferrò la sua borsa che aveva già ricevuto l’okay dalla macchine e sorrise gentilmente al controllore, intento a darsi qualche schiaffo per darsi una svegliata. Effettivamente lo scanner non mentiva, eppure non avrebbe mai potuto immaginarsi che era stata una Väalyana a mutare quell’oggetto.

-Non si preoccupi, scommetto che sta concludendo un lungo notturno. Sono cose che capitano. Le auguro una buona giornata-concluse, passando oltre i controlli e facendosi guardare da tutti come se fosse stata una modella. Beh, come lavoro part-time avrebbe anche potuto farlo.

-Ma buongiorno cara Caterina! Dormito bene? -esclamò raggiungendomi. Insieme cominciammo a recarci verso l’interno dell’aeroporto e di tutti i negozi prima di raggiungere il gate. Avevamo tempo, erano solo le otto.

-Io pensavo che ci saremmo dovute incontrare a Copenaghen-spiegai in difficoltà. -Ho capito male, per caso?

-No, affatto. Sono stata io a dover fare un piccolo cambio di programma. Oh, ecco la tua piccola chiave!

Con un veloce giro dell’indice fece ritornare come prima la molla che avevo in mano. La infilai subito nella tasca dello zaino.

-Beh, grazie! -sorrisi un po’ impacciata.

-Ma di che-continuò con nonchalance guardandosi un po’ intorno. Cercava qualcuno? Provai a non chiedermelo più, anche perché nel corso della giornata non accennò a nessuna persona.

-Ti dispiace se prendiamo un caffè? Stamattina non ho fatto colazione.

Si fermò di fronte ad un bar ed io annuì senza problemi.

-Può essere già un modo per conoscerci meglio, no? -sorrise avvicinandosi alla porta. La seguì e lei mi chiese se volessi qualcosa. Effettivamente avevo un certo languorino.

Ci mettemmo a mangiare accanto ad un tavolino in attesa di prendere l’aereo. Elissa si limitò ad un tazzone di caffè americano, mentre io, da brava italiana che si rispetti, presi un cappuccino e un cornetto alla marmellata.

-Sei emozionata? -domandò curiosa ed io annuì pulendomi la bocca con un tovagliolo .

-Molto, in realtà. Anche un po' impaurita.

-Sarebbe strano se non lo fossi. Le cose nuove ci spaventano sempre, l’importante è andare oltre quella paura. E credo che tu lo abbia già fatto.

Arricciai il naso poco convinta.

-Tu dici?

-Lo dico e lo penso. D’altronde l’accademia suscita sempre questo tipo di emozioni. E sarà ancora più amplificato con l’arrivo dell’elemento. Ti sembrerà di toccare le stelle! Io me lo ricordo quando scoprì dello spazio, avevo su per giù la tua età.

-Sei una… scelta dal destino? -chiesi curiosa e lei annuì fieramente, sorseggiando poi altro caffè.

-Certo, non è solo perché sono la custode che mi hanno mandato qui da te.

Il discorso di Elissa non faceva una piega ed io non ne rimasi sorpresa, in fin dei conti solo una Väalyana centenaria scelta dal destino avrebbe potuto comprendere il caos che in quel momento girava nella mia testa. Un caos che man mano stava unendo i puntini.

-Come si può intuire quale possa essere il proprio elemento? -feci d’un tratto alzando gli occhi marroni sui suoi azzurri. Ero curiosa, era da mesi che me lo stavo chiedendo e domandarglielo in una lettera sarebbe stato poco esaustivo.

-Dipende da Väalyano in realtà. Io quando l’ho scoperto non sapevo cosa fosse, è successo in un giorno come tanti. Mai avrei pensato di avere qualche legame con lo spazio intorno a me, eppure certi che ho conosciuto affermano di averlo saputo. Di aver sempre sentito un potenziale sentimento nei confronti del fuoco, dell’acqua, della terra… È una cosa che saprebbero spiegarti solo coloro che l’hanno percepita, una sorta di sesto senso-abbozzò un sorriso. -Tu credi di avere già un legame con qualche elemento?

-No, non credo-dissi incerta facendo una smorfia. -Cioè, non saprei nemmeno capirlo.

-Fidati di me, se ci sarà lo capirai.

Prima di prendere l’aereo Elissa mi spiegò tante altre cose: i nati Väalyani, ad esempio, sapevano che avrebbero ereditato 99 su 100 uno degli elementi dei genitori, e solo in pochi casi ciò non accadeva. Tanto rari quanto i dominatori dello spazio, sempre di meno da quasi 30 anni. Un tempo lo spazio era inserito come un’unica materia, ma dato che di Väalyani di quel tipo sfuggivano sempre per qualche malsana legge del destino l’avevano tolta dal programma degli studenti. All’accademia Elissa, assieme alla professoressa e professor Gablin, era la sola a poter controllare lo spazio e perciò tutti gli altri elementi. Potevano farci di tutto, solo non crearli. Era meglio tenerseli buoni...

-È strano, non trovi? -chiesi ad Elissa nel mentre che ci imbarcavamo sull’aereo. -Sembra quasi fatto apposta.

La donna si limitò a sorridere per nulla preoccupata, per quanto comunque potevo intuire da quel perfetto sguardo.

-Le cose accadono sempre per un motivo. Pensa alla storia di Reyonar: i Figli del Destino sorsero nel momento del bisogno. Se oggi non ci sono molti dominatori dello spazio è perché il mondo non ne ha effettivamente bisogno. L’equilibrio di ogni cosa si basa proprio su questo principio. La natura stessa lo crea tra i suoi esseri vitali e noi ne siamo i custodi. Una delle conseguenze dei pochi Väalyani sulla Terra è proprio l’inquinamento. Un tempo eravamo di più, riuscivamo a sostenere il peso su entrambi i lati della bilancia. Adesso è dura…

Sbarrai gli occhi sorpresa.

-Sul serio?

Elissa annuì severamente.

-È come se per un lungo periodo il mondo si fosse fin troppo abituato alla presenza dei Väalyani. L’equilibrio non è nella natura di nessuna creatura umana, eccetto per noi.

-Non credevo che fossimo così importanti…-dissi quasi in un sussurro.

-Nemmeno io, ma questo finché non vidi coi miei occhi le cause della rivoluzione industriale. Lo capirai meglio con Storia dei Väalyani. Sai, si accavalla perfettamente con quella che conosci già.

C’erano così tante cose da sapere, non vedevo l’ora di segnarmele tutte sul diario. Ero certa, però, che non le avrei dimenticate, lo sguardo angustiato di Elissa me le avrebbe fatte ricordare la notte. Tutto aveva una conseguenza nel mondo, il destino aveva già stabilito ogni cosa… ma il destino era una persona? Non ebbi il coraggio di chiederglielo, anche perché non volevo sembrare una stupida.

Durante le due ore d’aereo io e Elissa fummo separate, lei era a qualche posto più avanti al mio. Scrivendo e ascoltando la musica, le ore di volo passarono piuttosto in fretta. Come sempre Giorgia aveva i gusti migliori in fatto di pop e rock. Di lei mi potevo fidare. Non riuscì a dormire, il sonno lo avevo perso da un po’.

Giunte a Copenaghen sentì subito la differenza di gradi con Bologna, infatti quel giorno in Danimarca c’erano diciotto gradi. Il giacchetto beige fu alquanto utile.

Da Copenaghen prendemmo un pullman che ci portò dritte ad Hirtshals, una città a nord della Danimarca situata sull’isola di Vendsyssel-Thy, dove avremmo preso il traghetto di quasi due giorni verso le isole Faroe. Speravo con tutto il cuore di non soffrire il mal di mare. Se mia madre lo avesse saputo, come minimo mi avrebbe preso tre pacchetti diversi di pastiglie antinausea, che io palesemente avevo dimenticato di comprare.

Nel viaggio di quasi cinque ore avrei voluto fare un sacco di domande a Elissa, d’altronde lei stessa mi aveva spiegato che avremmo approfittato del tempo per quello, tuttavia mi sentì in colpa a tartassarla di quesiti anche un po’ inutili. Mi limitai a questioni più sensate possibili, anche se sul momento non me ne venivano molte.

-Gli anni all’accademia sono estremamente relativi, dipende da quanto lo studente si applica e prende sul serio gli studi. Se passerai tutti gli esami, non avrai problemi a raggiungere il secondo anno e nemmeno il terzo. Ci sono quattro anni in genere, eppure se sei molto brava potresti farne anche solo due.

-Quindi-riflettei per qualche secondo. -Se mi applico piuttosto velocemente potrebbe volerci di meno per, beh, diventare un’effettiva Väalyana?

-Esattamente. Poi ti verranno poste un sacco di opzioni. Noi Väalyani, come ti dicevo, ci occupiamo molto del pianeta, della Terra, non solo i dominatori dell’elemento. Potresti diventare anche un’insegnante, oppure sfruttare la tua magia nel mondo dell’arte, perché no. Tanti di noi imparano anche a combattere e ad aiutare le persone.

Giorgia non aveva tutti i torti a quanto pare.

-Ci sono diversi ordini, come i Nipoti del Destino.

-Sarebbero i nipoti dei Figli del Destino? -domandai curiosa e anche un po’ ironica.

-Puoi vederla anche così. È un modo per onorarli. Loro si impegnano a mantenere il segreto del nostro mondo e anche a difenderci. Non te lo volevo dire subito per spaventarti inutilmente, ma ancora oggi esistono delle persone che ci vogliono fare del male. Si fanno chiamare gli Scelti da Dio ed è dal medioevo che ci tormentano perché credono che plagiamo la mente dei ragazzi. Però come ti dicevo non c’è nulla di cui preoccuparsi, sono vent’anni che ne sento parlare sempre di meno e poi i Nipoti del Destino sono sempre in allerta. Credo che più passi il tempo, più si rendano conto che non siamo noi il vero nemico.

Mi accigliai, stringendomi le spalle. -N0n c’è mai stato modo di spiegare che, beh, nessuno fa del male a nessuno?

-Negli anni i nostri mondi si sono sempre più separati e difesi l’uno con l’altro. Ci sono stati degli scontri, ma mai delle soluzioni pacifiche e diplomatiche. Da quando ci siamo raccolti sull’isola di Lyscha, nessun Väalyano è più stato in pericolo-concluse, dandomi un’occhiata. -L’accademia è un luogo sicuro, nessuno degli Scelti da Dio l’ha mai raggiunta. Sai, è stata fondata sull’isola di Lyscha per un motivo per ben specifico. Pochi riescono a raggiungerla senza l’aiuto di un dominatore del vento o dello spazio, ci sono delle correnti molto forti.

-E gli abitanti di Lyschstadt lo sanno dell’accademia? O meglio, loro sono tutti  Väalyani ?

-L’anno in cui è stata fondata è stato stipulato un accordo con gli abitanti: i Väalyani si sarebbero impegnati ad aiutare la comunità, mentre la gente comune avrebbe mantenuto il segreto.

Sorrisi colpita: mi sembrò un rapporto basato sul rispetto reciproco, era una bella cosa. Se avessimo fatto così anche con la natura e gli animali, il problema dell’inquinamento ambientale non sarebbe nemmeno esistito.

Alle quindici in punto raggiungemmo la città portuale di Hirtshals e da quel poco che vidi, restammo lì giusto il tempo di prendere il traghetto, rimasi meravigliata: le casette a punta e i colori brillanti come il giallo o l’azzurro mi lasciarono di stucco, d’altronde avevo sempre avuto un debole per i paesaggi nordici. Gli odori, poi, sembravano essere tinti da una spezia marittima e molto salata, fresca come un cubetto di ghiaccio.

Il viaggio in nave non si riscontrò essere tanto disastroso, fui così stanca che non appena partì mi riposai in cabina per tutto il  pomeriggio. Avevo scritto fino alle diciotto, addormentata sui fogli senza nemmeno rendermene conto. Fui svegliata da Elissa, nella cabina accanto, preoccupata di non sentirmi più. Ma quando vide che ero stremata, si limitò a darmi la buonanotte. Che carina.

Ci vedemmo il mattino seguente per fare colazione alla mensa della nave: avevo una fame!

Cercare di trovare l’equilibrio sulla nave era molto divertente, anzi, divertentissimo, specie se fuori pioveva e il mare era mosso. Mi faceva sembrare ubriaca anche se l’unica cosa che avevo bevuto era dell’acqua marcia e del caffè più brodoso del brodo di mia nonna. Mi scappò comunque qualche risata, con Giorgia sarebbe stato tutto molto più iconico.

Elissa invece non perdeva l’equilibrio nemmeno con la forza, era assurdo! Quella donna era il classico esempio di eleganza e grazia, qualità che avrei sempre voluto avere, ma che non uscivano naturalmente dal mio corpo.

-Runologia è una materia molto affascinante, la professoressa Heine è molto brava a spiegare anche se dicono che sia molto severa. In pratica insegna tutti i tipi di rune che i nostri antenati Väalyani ci hanno lasciato in giro per il mondo. Sono molto simili a quelle celtiche, però nel complesso sono anche completamente diverse.

-Saranno il professor e la professoressa Gablin a spiegarti meglio il vero significato dell’apprendimento degli elementi e soprattutto di come metterlo in pratica, mentre la teoria basterà studiarla nei corsi a parte. Vedrai, sarà tutto più facile non appena cominceranno le lezioni lunedì.

Ovvero tra meno di una settimana. Che emozione!

-Lysch è difficile come lingua? -domandai sgranocchiando qualche nocciolina, mentre Elissa aveva già liberato il piatto dal cibo. Aveva come una mania di lasciare tutti in ordine e preciso, un po’ come mia madre.

-Il lysch si può considerare come un misto tra tedesco, islandese e danese. Perciò se non parli nessuna di queste lingue potresti essere un po’ in difficoltà.

-Se mio padre ci sentisse, direbbe che aveva ragione, avrei dovuto imparare il tedesco e non lo spagnolo. Sai, lui lo parla a meraviglia, mentre io non so nemmeno dire cose banali come ciao o come stai.

Elissa parve divertita.

-Non ha importanza, d’altronde il lysch rimane comunque una lingua a parte.

Sbattei le palpebre, pensando d’un tratto ad un’altra domanda da farle.

-Quando sul foglio che mi hai mandato ho letto l’Arte dei Cinque, ho pensato alla magia elementale dei Figli del Destino e mi stavo giusto chiedendo se fosse la stessa.

-Sono felice che tu mi stia facendo molte domande, di questo passo potresti diventare un’ottima studentessa-sorrise ammirata, facendomi arrossire un po’. -Comunque l’Arte dei Cinque è un antico metodo di apprendimento, derivato proprio dai nostri antenati e dai Figli del Destino. Tecnicamente è lo studio del metodo di magia elementale, diverso sia dalla pratica che dalla teoria delle altre materie. Io lo ritengo uno dei corsi più importanti, specie per i Vä alyani che hanno appena cominciato. Ti aiuta a capire come accogliere l’elemento, come gestirlo nel modo che ritieni più adatto. Ed è anche un’ottima introduzione, il professor Bottom d’altronde è un esperto.

Il giorno dopo sbarcammo finalmente a Tórshavn, la capitale delle isole Faroe. Dio mio quanto era bella! In apparenza una delle tante città del nord, solo molto più piccola, eppure avevo come l’impressione che avesse molto di più da offrire: pulita, colorata, circondata da una natura tanto verde quanto selvaggia. Poi con la chiara luce del mattino-faceva buio soltanto due ore d’estate, non avrei osato immaginare come sarebbe stato vivere al buio-si riuscivano a vedere tantissimi particolari. I tetti circondati da quello strano muschio verde, le finestrelle bianche come dei denti smaltati e i rumori degli uccelli marini, tutto un dettaglio dopo l’altro. Si stava abbastanza bene al sole, per quanto comunque l’aria del mare di Norvegia fosse molto fredda. 

Era un peccato non rimanere per qualche giro turistico, ma Elissa aveva un orario da seguire ed io dovevo starle dietro. A Tórshavn prendemmo un altro traghetto per raggiungere l’isola di Hestur, dove avremmo incontrato un uomo che lavorava spesso tra quel porto e Lyscha. Con una nave più piccola avremmo finalmente raggiunto l’accademia.

-Sai, da quando sei venuta a casa mia e mi hai spiegato tutto questo, non faccio altro che pensare ad una cosa.

Entrambe eravamo sul parapetto del traghetto ed eravamo intente ad ammirare gli scogli verdi e rocciosi e le montagne possenti che andavano a creare dei fiordi da perdere il fiato.

-Sì, insomma-continuai, sotto lo sguardo leggermente confuso di Elissa. -Adesso che so che sono diversa, il mondo resta sempre lo stesso? Per me non è così, non riesco più a guardare le cose come prima. Fino a poco tempo fa ero scettica su qualsiasi cosa, adesso che invece conosco una realtà diversa dalla mia, penso di poter essere disposta a credere a tutto! Fantasmi, vampiri, streghe… licantropi!

Elissa abbozzò una graziosa risata, sistemandosi un ciuffo rosso dietro le orecchie leggermente a punta.

-Tranquilla, i vampiri non esistono e nemmeno i licantropi. Riguardo ai fantasmi non sono molto certa, in cento anni di vita credo di averne visti almeno un paio, ma rimango comunque alquanto restia a parlarne… Le streghe, invece, sono probabilmente esistite un tempo, nel medioevo non cacciavano soltanto i Väalyani… Non è importante, però-si rivolse seria. -Solo perché sei diversa non significa che qualsiasi cosa intorno a te non sia per forza uguale a come era prima. Sì, sei una Väalyana e un giorno scoprirai il tuo elemento, ma resti comunque un essere umano con una vita non così diversa dalle altre.

Arrossì, non sapendo come altro reagire. Forse mi stavo facendo inutili paranoie. Come mio solito, d’altronde.

Quando arrivammo ad Hestur si fecero le nove e mezza del mattino e mi stupì nel vedere altri ragazzi assieme a me. Okay, era arrivato il momento di socializzare con qualcun altro oltre ad Elissa. Ce la potevo fare, non era affatto un problema. Bastava essere se stessi, no? Certo…

Elissa andò subito a salutare un uomo di mezza età con la barba folta e i capelli grigi. Parlavano o in danese o in lysch, non ne avevo idea. Ci trovavamo al porto di una qualche cittadina, il nome non me lo ricordavo, e c’erano diversi genitori con i propri figli. Avrebbero seguito me e Elissa, che infatti si rivolse a tutti in inglese. Nel mentre che si presentava, io guardai curiosa il resto del gruppo che in totale non era più di una decina: c’era una ragazza con uno chignon un tantino cadente e dei ciuffi castani che le cadevano sulle guance tonde e dorate, indossava inoltre un outfit tutto colorato; accanto a lei c’era un ragazzone alto molto più di una come Giorgia e aveva la pelle chiara ricoperta di lentiggini; poi circa cinque ragazzi si trovavano raggruppati giusto un po’ più lontani da me, dunque non riuscì a vederli molto bene.. Notai anche un ragazzo dagli occhi a mandorla e i capelli ordinati. Non mi parve essere accompagnato da nessuno.

-Bene, direi che è arrivato il momento di salutarci e di partire sull’isola-concluse Elissa, stringendo la mano all’ultimo genitore. Io mi recai subito verso la piccola nave dell’uomo di mezza età, ipotizzai infatti che fosse lui il capitano, e portai la valigia verso l’interno. Mi andai subito a sedere evitando di stare vicino agli oblò: se le correnti erano così forti come diceva Elissa, avrei di gran lunga evitato di stare male. Per sicurezza non avevo ancora fatto colazione quella mattina.

Fui seguita da altri due, compreso il ragazzo senza genitori. Si sedette proprio di fronte a me.

Con aria un po’ persa decisi di tirare fuori il diario e scrivere qualcosa prima che la nave partisse. Mi misi a parlare del viaggio da Tórshavn ad Hestur, anche se in realtà non era successo nulla di emozionante. Eppure per me contavano molto anche i dettagli insignificanti della mia vita, quelli che non interessavano a nessuno. Da una parte ero convinta che se un giorno qualcuno lo avesse letto, avrebbe potuto pensare ‘Oh, che noia, non lo leggo più!’. Questo, però, prima che una rossa di nome Elissa venisse a bussare alla mia porta. Adesso tutti quelli che conoscevo in Italia avrebbero adorato leggere il mio diario.

-Fammi indovinare, scelta dal destino anche tu?

Alzai lo sguardo e notai il ragazzo di fronte a me sorridermi impacciato. Annuì, accennando ad una risatina nervosa.

-Così dicono.

-È una follia, vero? -chiese appoggiando le braccia lungo il sedile. Lo osservai meglio: era molto magro ed esile, la pelle bianca sembrava curata e priva di impurità. I suoi occhi erano scuri, molto grandi avrei aggiunto, e il naso parve leggermente schiacciato sul viso.

-Sono mesi che non faccio che ripeterlo. È come se non smettesse mai di sorprendermi.

-Posso capirlo. Quando Gulan è venuto a spiegarmi che sono un Väalyano, non ci ho capito più niente. Ero tipo, cosa?!

-Esattamente! -esclamai assieme a lui. Poi mi incuriosì. -Gulan chi è?

Il ragazzo voltò lo sguardò e mi indicò con la testa un uomo seduto per i fatti suoi proprio accanto alla cabina del capitano. Aveva le braccia incrociate ed un cappello di lana sulla testa che gli nascondeva parte del volto. Sembrava che stesse dormendo.

-Oh, lo vedi quel tipo laggiù? Ecco, proprio lui! È il custode dell’accademia, è stato lui a spiegarmi tutto e ad accompagnarmi fin qui. È un tipo un po’ scorbutico e che non parla molto. A te è andata meglio venire con Elissa.

-Sì, lei è molto gentile-sorrisi. -Comunque sono Caterina-gli porsi la mano e lui la strinse. Fece fatica a ripetere il nome, ma alla fine ci riuscì.

-Io sono Hyun-Shik.

Ed io ebbi il suo stesso problema. Per comodità potevo chiamarlo anche solo Hyun.

Parlammo un po’ durante il resto del viaggio, giusto anche per distrarci dalle onde che si facevano sempre più turbolenti e nauseanti. Scoprì che Hyun veniva dalla Corea del Sud, nei pressi di Seoul e come me si era un po’ perso tra i propri pensieri. Non riusciva più a studiare medicina, cosa che i suoi genitori avrebbero voluto che continuasse.

-È assurdo, però almeno so che ho un’altra possibilità nella vita. Dovevi vedere lo sguardo di mia madre quando le dissi che non avrei continuato a studiare a Seoul. Sarebbe stata meno colpita se le avessi detto che volevo diventare un cantante k-pop.

Scoppiammo a ridere senza guardarci intorno, dove sorvolavano chiacchere ancora più rumorose.

-Anche mia madre è stata difficile da convincere. È sempre stata una donna severa, un po’ come papà d’altronde. Se le avessi detto la verità sulla magia elementale e l’accademia, non credo che mi avrebbe mai dato ascolto. Probabilmente non lo avrei fatto neanche io-scossi le spalle.

-Su questo ti do ragione. Vivi da sempre una vita più grigia di una lattina usata e poi ti ritrovi un tizio che ti parla di magia, una delle cose più colorate assieme agli unicorni che sputano arcobaleni.

-Sono adorabili, ammettiamolo! -sghignazzai. -Io in quinta elementare ero sicura che esistessero. Credo che sia stata più dura convincermi dell’inesistenza degli unicorni che di Babbo Natale.

Hyun si fece scosso.

-Perché, Babbo Natale non esiste?!

Stetti al gioco mantenendomi seria. All’incirca, almeno.

-Mi spiace tanto!

-Come farò adesso a vivere?! -esclamò tragicamente ed io non riuscì a non ridere.

-Che drammatico!

Sopra le nostre teste vedemmo d’un tratto delle palle di fuoco e di acqua svolazzare come se niente fosse. Mi voltai colpita e notai alcuni ragazzi muoverle con le proprie mani come se fosse stato solo un gioco. Avevo quasi dimenticato che i nati Väalyani erano già dotati del loro elemento. Dovevano avere all’incirca quindici/sedici anni, eppure a me sembravano dei dodicenni, specie i ragazzi. Erano così piccoli!

-Non so te, ma… io mi sento vecchio-spiegò Hyun, guardandosi intorno. Beh, era difficile non far caso agli elementi svolazzanti, specie se erano di fuoco. Diavolo, era pericolosissimo!

-Anch’io. Devo ancora compierne diciannove, ma fa lo stesso. In confronto a questi ragazzini mi sento già un’adulta.

-Un’adulta appena catapultata in un modo per ragazzini.

Gulan si alzò dalla sedia nella quale sembrò essersi addormentato e sgridò immediatamente i giovani che stavano facendo svolazzare le palle di fuoco e di acqua. Battendo entrambe le mani le spense e le asciugò immediatamente. A quanto pare era un dominatore dell’aria.

-Rifatelo un’altra volta e l’accademia la raggiungerete a nuoto!

Trattenni una risata, guardando gli sguardi dei ragazzini farsi pallidi come nuvole. Il tono di Gulan era stato molto convincente, i suoi occhi glaciali avrebbero messo in soggezione chiunque.

-Per una volta sono d’accordo con l’insegnante-ribadì Hyun, che poi realizzò:

-Sì, è ufficiale, sono vecchio.

Lyscha era come una delle tante isole del Nord Europa: non piccola come le Faroe, ma nemmeno così immensa come l’Islanda. Anzi, come fattezze era piuttosto modesta. Ma io avevo visto molto poco: eravamo giusto in un piccolo porto dove non c’era traccia di anima viva.

-Allora, ragazzi! -cominciò con aria scoppiettante Elissa, nettamente in contrasto con il musone come Gulan. -Innanzitutto benvenuti all’isola di Lyscha! Vi ho fatto lasciare i vostri bagagli sulla nave perché per raggiungere l’accademia dovremo seguire un sentiero lungo qualche chilometro e assai scivoloso, perciò non sarebbe una buona idea portarsi le valigie. Ve le faremo trovare oggi pomeriggio nelle vostre stanze. Bene, questo è tutto! Forza, seguitemi! E.. Gulan! Meglio che tu stia in fondo alla fila, voglio evitare che qualcuno si perda come l’anno scorso.

Come si faceva a perdersi? Non c’era nemmeno un misero albero in giro!

Senza aggiungere altro, Gulan raggiunse il fondo del gruppo che al suo passaggio si fece rigido come un mattone.

Seguimmo Elissa come formiche in fila indiana e fu alquanto stancante, mi mancava di continuo il fiato: certi punti erano in discesa ed in salita, altri erano pianeggianti, ma ad ogni modo deplorevoli per il mio corpo. L’aria era piovosa e malgrado indossassi l’impermeabile, sentivo le goccioline farsi strada tra i miei capelli. Non vedevo l’ora di farmi una doccia.

Elissa non sembrava fare per nulla fatica, si muoveva tra una roccia e l’altra senza tanti problemi. Per certo era abituata, avrà fatto quella strada come minimo il doppio della sua rispettiva età. Ecco perché era così snella, si teneva informa in quelle strade ricoperte di muschio.

E finalmente, dopo due ore di aereo, cinque ore di pullman e quasi tre giorni di viaggio in mare, eccola lì, l’Accademia dei Väalyani.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei: L'Accademia ***


-Ops…!

Dietro di me una ragazza scivolò per terra ed io mi voltai subito. Era la giovane dalla pelle dorata. Era caduta in un punto in discesa ed io, capendo perfettamente la situazione in cui si trovava dato che tendevo ad essere piuttosto maldestra, mi offrì per aiutarla.

-Ehi, tutto okay? 

Lei annuì divertita, come se cadere non le avesse causato nemmeno un briciolo di imbarazzo. Alla fine si fece alzare dal ragazzone alto, che con una semplice spinta della mano destra la riportò in piedi.

-Sì, dai! Non è la prima che scivolo sui miei stessi piedi! Si dal caso che so essere alquanto goffa, anche se a primo impatto non si direbbe! Mia madre dice che ho preso tutto da zia Carol, ma io non le credo molto-concluse in una smorfia. -Zia Carol è solo nota per far cadere qualsiasi cosa che tocca, ma non lei cade mai, resta sempre salda al suolo!

Sputò ogni singola parola in una decina di secondi e per un momento mi sembrò di parlare con Eminem. Feci fatica a seguirla, d’altronde l’inglese era pur sempre una lingua secondaria, eppure il suo tono giovale ed estremamente socievole mi distrasse da tutto il resto. Parlare della zia Carol a dei completi estranei era forse una sua abitudine.

-Okay-sorrisi un po’ incerta. -Se lo dici tu…

Rivolsi lo sguardo all’accademia.

Essa situava sopra un piccolo monte di un verde per nulla contaminato ed era oltrepassata da un fiumiciattolo che scendeva in un’alta e possente cascata verso una valle più piana. Noi ci trovavamo proprio lì, al di sotto, attenti agli schizzi. Il fruscio dell’acqua era molto rumoroso.

-Sai che me la immaginavo più grande? -mi disse subito Hyun.

-Credo che sia una questione di prospettiva-spiegò la ragazza di prima, sentendolo probabilmente parlare. Fece un sospiro sollevato. -È proprio come dicevano i nostri genitori, vero Dimitri?

Il ragazzone accanto a lei incrociò semplicemente le braccia. Lei rise ed io supposi che fosse la sua unica risposta.

-Prego, di qua! -esclamò Elissa, avvicinandosi ad una scalinata posta a qualche metro di distanza dalla cascata. Mi avvicinai e quando presi a salire gradino dopo gradino, cercai di prestare più attenzione possibile a dove mettessi i piedi e a non cadere come una pera cotta: era pieno di muschio ed era anche tutto bagnato.

Fatte le scale, fummo allo stesso livello dell’accademia ed ebbi modo di ammirarla più da vicino. Che dire, era una struttura molto particolare, pittoresca avrei aggiunto. Avrà avuto circa quattro piani piuttosto alti ed era costruita in vere e proprie pietre grigie. Come un castello medievale aveva sul tetto dei quadratini distanziati da piccoli spazi tra di loro, ero così ignorante da non sapere se avessero un vero e proprio nome. La mia insegnante di storia dell’arte, la Rossi, avrebbe dato di matto ed io come al solito l’avrei ignorata. Non era colpa mia se non mi era mai piaciuta la sua materia.

Elissa ci spiegò che il signor Ferguson aveva ristrutturato un castello di origine vichinga e si diceva che la stessa popolazione che lo aveva fatto costruire avesse avuto rapporti con i Väalyani. Forse li avevano persino aiutati con la realizzazione della struttura, il che spiegava la decisione di realizzarlo sopra un fiume, piccolo, certo, ma pur sempre un problema. Fu una scelta alquanto scomoda e che una popolazione qualunque avrebbe tranquillamente evitato, specie tra quelle immense valli verdi. 

La cosa che mi colpì di più furono le innumerevoli piante che crescevano sulle mura, affatto indispettite tra di loro. Piante di ogni tipo, non soltanto la solita erba verde che si trovava in tantissimi tetti delle case del posto. Mi sembrava di aver intravisto l’edera e poi persino delle rose. Mi venne in mente l’incubo che avevo fatto qualche giorno fa e mi salì una leggera inquietudine: le immagini erano piuttosto simili.

Quando ci avvicinammo ad un pontino in pietra, il quale portava alle due sponde del fiumiciattolo e all’entrata principale dell’accademia, notai delle graziose vetrate colorate in alcune finestre rettangolari. Rappresentavano diversi cerchi, supposi gli elementi, e poi alcuni strani ghirigori che a pensarci forse erano delle vere e proprie rune.

Entrammo da un immenso portone in legno sul quale erano solcati i cinque cerchi degli elementi. Elissa, girando le dita tra di loro, lo aprì in pochi secondi.

Assieme al piccolo gruppo mi ritrovai in un atrio. Vi era un forte odore di chiuso e anche un po’ di muffa, d’altronde l’umidità di quei posti non poteva creare altro. Il soffitto era molto alto e i muri attorno erano bianchi e ricoperti anche da qualche segno simile a quelli poste sulle vetrate esterne. Di nuove rune? Beh, erano un po’ ossessionati. Subito di fronte c’erano le scale che probabilmente portavano al primo piano, mentre ai lati altri due portoni in legno al momento chiusi. Elissa spiegò che a destra c’era l’infermeria, a sinistra, invece, l’ufficio dei custodi e probabile anche altre stanze.

-Come potete vedere ci sono rune ovunque sui muri dell’accademia-spiegava Elissa, salendo le scale verso il primo piano. Francamente ero stanca di salire le scale, era giusto la curiosità a farmi andare avanti. -Le abbiamo dipinte io e la professoressa Heine per rendere la scuola più sicura. La maggior parte che vedete sono rune difensive, permettono di far distogliere sguardi indesiderati dall’accademia.

Supposi che stesse parlando degli Scelti di Dio o comunque di gente estranea che non doveva venire a sapere della nostra esistenza. Quindi anche le rune erano magiche? Supposi che avrei trovato una risposta alla mia domanda durante la prima lezione di runologia.

I muri attorno a noi mi parvero molto più spessi, quasi come degli enormi blocchi di pietra. Neanche l’uomo più forte del mondo sarebbe stato in grado di fargli un buco. Perché avrebbe dovuto, poi…

Il primo piano dalle scale dell’atrio dava direttamente su un ampio corridoio molto illuminato grazie ad una enorme vetrata che non avevo notato dall’esterno. Era piena di colori come il verde, il blu, l’azzurro, il rosso e anche il bianco. Probabile che con la luce del sole fossero ancora più brillanti e luminosi. Accanto ad essa c’erano alcuni studenti intenti a parlottare tra di loro, quando però ci notarono si voltarono curiosi: due o tre dovevano avere per forza di cose la mie età, mentre altri ancora più piccoli o forse più grandi.  Tra tutti notai in particolare una ragazza piuttosto alta e formosa, con una pella molto scura e due occhi chiari come i ghiacciai. Aveva i capelli minuziosamente intrecciati e se li passava continuamente tra le dita lunghe e magre. Era molto bella, ma anche le altre ragazze accanto di certo non sfiguravano: una bionda con dei ricci simili a quelli di Giorgia ed una mora con un sorriso illuminato dal rossetto rosa.

-Bene, questo è il primo piano! -esclamò Elissa portandosi al centro del grande corridoio. Anche qui i muri erano coperti da un sacco di rune, tuttavia vi erano anche alcuni quadri di uomini eleganti, supposi che uno tra questi dovesse essere il signor Ferguson, donne sgargianti, Elissa più di tutte, e foto studentesche. Coi gli anni le classi erano passate da una trentina ad una decina. Mi salirono un po’ di brividi.

-Accanto me c’è la mensa scolastica-indicò tre porte sul muro alla sua destra: quelle laterali erano destinate agli studenti, quella centrale agli insegnanti, così non si creava disordine. -Solitamente è chiusa dopo le nove, eppure dato che siamo appena arrivati, verrà aperta per farvi rifocillare dopo la nostra visita dell’Accademia. Di qua c’è la sala comune.

C’era un’altra porta dal lato opposto: era leggermente spalancata, riuscì soltanto a notare la presenza di un forte colore blu. Elissa spiegò che avremmo potuto vederla al termine della visita. Era l’unica stanza aperta tutti i giorni, compresa la notte, anche se c’era un coprifuoco.

Ci spostammo poi verso destra, seguendo un corridoio più lungo e stretto. Vi erano altre stanze, come uffici e bagni.

Girando poi a sinistra sotto un portico, ci imbattemmo in una grande e luminosa scalinata che conduceva verso il basso. Scendemmo e ci trovammo di nuovo al piano terra.

Mi sentì subito accolta da un’atmosfera calda, ma al contempo anche fresca. Era difficile da spiegare, percepivo solo una sensazione primaverile, che da tempo però avevo dimenticato. Si sapeva, ormai non esistevano più le mezze stagioni.

-Benvenuti al giardino interno! -sorrise Elissa fermandosi poco più avanti al gruppo.

Tutti erano rimasti a bocca spalancata con due occhi che sembravano pronti ad uscire dalle orbite. Io non sapevo come reagire: non avevo mai visto nulla di così maestoso e abitavo in uno dei più paesi più belli del mondo!

Il giardino interno era molto grande ed era chiuso da un soffitto costruito in vetrate ondulate e a punta, molto graziose in qualsiasi angolazione che le si vedeva. Parecchia luce entrava e probabile che fosse la ragione di così tanto verde in quell’enorme stanza. Una quercia era posta al centro e con i suoi rami toccava giusto i terrazzi del terzo piano, perché sì, al di sotto della vetrata c’erano dei lunghi balconi rettangoli che incorniciavano l’intera struttura. Mi sembrava di essere all'interno di uno di quegli appartamenti di città, con la presenza di vasi e persino qualche vestito posto ad asciugare. Erano tutti e tre collegati tra di loro attraverso delle scale a chiocciola ferrate che partivano dal piano terra. Quest'ultimo era anche oltrepassato dal fiumiciattolo, indisturbato infatti scorreva lineare intorno all’albero e continuava verso un piccolo tunnel dal quale probabilmente fuoriusciva verso la cascata. Tra le altre cose c’era una serra costruita interamente in vetro e alcune panchine dove degli studenti stavano parlando. Dietro di loro, invece, c’erano dei portici colonnati collegati ad altre stanze e ad altre scale. Era immenso, veramente disorientante.

-Assieme alla sala comune, il giardino interno è uno dei luoghi di riposo e svago dell’accademia. Qui si può fare pratica con gli elementi ed esercitarsi. Un tempo questa era una semplice stalla, il signor Ferguson ha deciso di modificarla a nostro grande piacimento.

-Ci sono delle uscite-indicò due porte ai lati opposti alla scala da cui eravamo arrivati. -E portano direttamente al di fuori dell’accademia. Ci sono dei sentieri che guidano alla capitale Lyschstadt. Sabato e domenica siete liberi di uscire, tuttavia dovete sempre stare attenti a non perdervi. Proprio per questo nelle vostre stanze troverete alcune cartine che vi saranno utili per orientarvi sull’isola. Mi raccomando, seguite scrupolosamente gli orari stabiliti-ribadì seria. -Non vorrete mica far arrabbiare il povero Gulan.

L’uomo si limitò ad una smorfia, che da sola riuscì ad incutere timore.

Non avevo ancora capito come fosse strutturata l’accademia, molte cose non sembravano coincidere con il suo aspetto esterno, rispetto all’interno decisamente più piccolo. Poi però mi ricordai dei poteri di Elissa e di quando mi aveva detto che aveva aiutato il signor Ferguson per la ristrutturazione dell’accademia, un po’ come si raccontava all’epoca dei vichinghi. A quanto pare le leggi della fisica non erano prese in considerazione quando si poteva manipolare lo spazio.

Elissa ci portò poi al secondo piano.

Fui nuovamente sorpresa dalla non presenza di un dannatissimo ascensore. Andiamo, non potevo essere l’unica che si stancava a fare quelle numerose scale!

Trovammo le aule e la biblioteca, entrambe chiuse perché non era ancora cominciato l’anno scolastico. Elissa spiegò che le aule avevano tutte una runa precisa marchiata sulla porta, la stessa che avremmo trovato sui libri delle rispettive materie. Si orientavano così all’accademia, non erano amanti delle parole.

E finalmente raggiungemmo la parte che più mi interessava, ovvero le camere al terzo piano. Il quarto non lo vedemmo, era riservato agli insegnanti.

Era il più labirintico ed intricato essendo una serie di innumerevoli corridoi. Anche qui ci si orientava seguendo le rune incise sui muri che indicavano la strada verso le proprie camere. Mi sarei persa per i prossimi mesi? Certo che sì!

La mia stanza si trovava in fondo ad un corridoio sul lato est, zona opposta a quella di Hyun. Fece un breve cenno con le dita, dopo aver afferrato la chiave da Gulan.

-Beh, allora ci vediamo dopo alla mensa.

Annuì e lo salutai timidamente, seguendo Elissa con in mano la chiave della mia stanza. Raggiungemmo la porta e me la diede.

-Spero che ti piaccia e soprattutto che ti faccia sentire a casa-sorrise, indicando poi la runa incisa sul legno di fronte. Mi ricordava una specie di stella ripresa da innumerevoli ghirigori. -Questa è la runa della speranza, ti sarà di buon auspicio per l’inizio dell’anno. Prima che me ne vada, voglio giusto ricordarti che i libri scolastici li troverai sulla scrivania assieme all’orario delle lezioni. Ti ho lasciato in aggiunta anche quello della mensa e della biblioteca. Ebbene… direi che è tutto! Ti auguro un buon inizio, Caterina Himmel.

-Grazie di tutto. Davvero, io… ti sono riconoscente.
-Mi fa molto piacere, mia cara-sorrise, facendomi anche un elegante occhiolino.

Se ne andò ed io non aspettai molto per entrare. Era una camera rettangolare un po’ buia, nonostante un lampadario al centro e due finestre sul lato sinistro. Comprendeva due letti singoli dall’aria molto confortevole, visto le numerose coperte colorate e la presenza di non uno, bensì due cuscini! Davanti vi erano poste due scrivanie in legno marrone, che mi ricordarono quelle di un tempo con il poggiapiedi ed il tubicino dell’inchiostro, e naturalmente anche due sedie. Notai un foglietto con su scritto Caterina Himmel sulla scrivania accanto alla finestra, dunque supposi che fosse la mia. Vidi subito i quaderni e i libri che mi sembrarono dei mattoni. C’era anche un dizionario di lysch ed un portamatite pieno di penne e molto altro. Trovai anche un foglietto con su scritti degli orari: dall’inizio dell’anno scolastico la biblioteca sarebbe stata aperta dalle 9 fino alle 17 soltanto il sabato e la domenica, mentre nel resto della settimana dalle 12 fino alle 19; la mensa apriva per la colazione alle 7.15 e chiudeva verso le 9, poi il pranzo cominciava alle 12 e 30 e concludeva alle 14.15, mentre la cena durava dalle 18 e 30 alle 20.00.

I miei occhi si illuminarono notando finalmente il calendario delle lezioni. Ero troppo curiosa!

                                                                  Primo anno 2020-2021

Orario

Lunedì

Martedì

Mercoledì

Giovedì

Venerdì

8.45-9.45

Runologia

Aria e Terra

Aria e Terra

Runologia

Lysch

9.55-10.55

Arte dei Cinque

Fuoco e Acqua

Runologia

Lysch

Storia dei Väalyani

11.05-12.05

Storia dei Väalyani  

Lysch

Fuoco e Acqua

Storia dei Väalyani

Storia dei Väalyani

                                                                                    Pausa Pranzo

14.30-15.30

Applicazione e Apprendimento degli elementi

LIBERO

Arte dei Cinque

LIBERO

Applicazione e Apprendimento degli elementi

15.40-16.40

Applicazione e Apprendimento degli elementi

Runologia

Applicazione e Apprendimento degli elementi

Fuoco e Acqua

LIBERO

16.50-17.50

Aria e Terra

Arte dei Cinque

LIBERO

Arte dei Cinque

Lysch  

 

Come orario mi sembrò corretto, d’altronde ero abituata a quasi sette ore tutti i giorni, perciò non avrei avuto problemi. Poi fui grata delle giornate libere, avrei potuto cominciare a studiare in biblioteca.

Spostai il foglio dell’orario e notai la piccola mappa dell’isola di Lyscha e dei suoi percorsi verso la città. Erano chiari e precisi, a prova di idiota in poche parole. La forma dell’isola mi ricordava un pesciolino, proprio come la laguna di Venezia. Il coprifuoco era alle 10 da lunedì a venerdì, nel weekend si poteva andare a dormire un’ora dopo. Io ero maggiorenne, perciò forse potevo fare un po’ quello che volevo. Ma non ero mai stata una vera ribelle, perciò non ci tenevo a perder tempo in sciocchezze. Volevo diventare una Väalyana a tutti gli effetti e per farlo dovevo studiare duramente.

Appoggiai lo zaino sulla scrivania e mi misi a curiosare meglio nella stanza. Mi avvicinai alle due finestre e provai ad aprire per far entrare un po’ d’aria. La vista, comunque, era spettacolare: non c’era molto in realtà, giusto i campi verdi e l’orizzonte che sbocciava sul mare, eppure per me era tanto magico quanto il potere di un Väalyano. Entrambe le finestre avevano una tendina che avrebbe potuto oscurare la stanza durante le notti assolate.

Interessante, pensai, guardandomi ancora intorno. Non c’erano altri bagagli nella stanza e nessun oggetto personale sull’altro letto, perciò ipotizzai che la mia compagna non era ancora arrivata all’accademia. Decisi così di scegliere già il letto in cui avrei dormito, ovvero quello di fronte alla mia scrivania: sul comodino accanto posai giusto qualche merendina che avevo tenuto dentro la zaino e un libro che mi ero proposta di leggere durante il viaggio, ma che alla fine non ero riuscita nemmeno a sfogliare. Me lo aveva regalato papà, s’intitolava Piccole Donne. Era un classico della letteratura per ragazzi, ne ero pienamente al corrente e mi domandavo come mai non l’avessi letto prima, ma poco importava alla fine.

Il muro, sul quale si aggrappavano le tastiere del letto e alcune mensole vuote, era di un verde acqua, mentre il resto della stanza era in parquet scuro. Vicini alla porta del bagno, di fronte al letto della mia futura compagna di stanza,-com’è che si chiamava, Annie?-trovai due armadi di legno dipinti di blu chiaro e con alcuni ghirigori a forma di fiore. Erano spaziosi e si chiudevano con un piccola e graziosa chiave. All’interno trovai giusto una mascherina per gli occhi, supposi per le notti di sole, e alcune grucce. 

Curiosa, mi feci subito strada dentro il bagno e mio malgrado, rimasi di nuovo sorpresa: va bene, alla fin fine era un bagno come tutti gli altri, eppure le piastrelle di un bianco avorio e la vasca con i bordi ondulati mi faceva sembrare di essere in hotel vintage. Non c’era il bidet, un po’ come quando ero andata in Galles, e in mobile vicino al lavandino si trovavano delle salviette e delle carta igienica. Poco sopra il gabinetto vi era una finestra che dava sull’altra sponda del fiume.

Buttata sul letto stravolta e osservando il confortevole tetto di legno, esclamai:

-Sì, potrei abituarmici!

 

 

 

 

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