Be a lady and a freak

di IroccoPerSempre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** No dejes camino por coger la vereda ***
Capitolo 2: *** Ay ay ay ay, canta y no llores ***
Capitolo 3: *** Solo espero que me perdones para volver ***
Capitolo 4: *** Pero nadie me llame cobarde sin saber hasta donde la quiero ***
Capitolo 5: *** Quizas te puedas preguntar que le hace falta a esta noche blanca ***
Capitolo 6: *** Love is a doing word - Parte 1 ***



Capitolo 1
*** No dejes camino por coger la vereda ***


Ma quella del mese scorso” gesticolò Rocco incredulo “n’altra volta è venuta?”.
Sì, proprio quella, quel genio che voleva entrare in una 42!” esclamò Irene mentre masticava il suo panino, appoggiata al bancone davanti alla scrivania di Armando.
Quel giorno lei e Rocco stavano consumando il loro pranzo in magazzino, invece che all’aperto come erano soliti fare. La Moreau si era lasciata sfuggire che desiderava portarsi avanti del lavoro arretrato e Irene aveva colto la palla al balzo per offrirsi di aiutarla, per poi arrivare in magazzino da Rocco già a metà pausa pranzo. Lui l’aveva aspettata per mangiare assieme – dandole in questo modo la sua più grande dimostrazione d’amore – e nel frattempo si era anticipato con delle commissioni assegnategli da Armando, tenendo la mente lontana dal pensiero che a quell’ora avrebbe volentieri divorato un bue, tanto era affamato.
L’approccio di Irene alla propria ambizione di diventare capocommessa stava cambiando lentamente insieme a lei e, se prima cercava di scavalcare le altre, ora cercava semplicemente di mostrarsi servizievole, facendo passare il proprio zelo per mancanza d’appetito, per non mettere in cattiva luce le sue colleghe.
Talìa tu” commentò Rocco scuotendo la testa “sempre qua dentro sta…
Irene chiuse gli occhi, mentre addentava il panino, in segno di assenso.
Te lo giuro, la prima cosa che farò quando potrò decidere io sarà tenere lontani individui del genere… ci mettono a soqquadro il negozio per poi andare via a mani vuote” disse Irene spazientita, tra un boccone e l’altro.
Rocco abbassò la testa, ridendo sommessamente. Aveva smesso di commentare le manie di grandezza della sua fidanzata quando si tradiva con congiunzioni quali “quando”, e non “se”, come introduzione a “potrò decidere io” (ergo “diventerò capocommessa”). Non che lui non avesse sogni e non fosse ambizioso ma lei era una forza della natura, aveva quella sicurezza che prima o poi ce l’avrebbe fatta che lui in svariati ambiti non aveva in egual misura.
Quindi, perché smorzare quell’entusiasmo? L’amava per quello e gli era di ispirazione.
Lui la aiutava semplicemente a temperare quegli istinti omicidi che le prendevano con quella categoria di clienti difficili, istinti, a dirla tutta, poco consoni al suo ruolo di commessa, figurarsi a quello di capocommessa.
Ecco, forse non è proprio la cosa giusta da fare… forse” suggerì Rocco ironico “vedi che il cliente ha sempre ragione, ah, lo dice pure il Dottor Conti”.
Irene allargò le braccia, in segno di esasperazione “Ho capito, Rocco”, concesse lei “ma questa gente non è un investimento per il Paradiso; perdiamo tempo appresso a loro e non ci caviamo un ragno dal buco”.
Che c’entrano i ragni mo’?” chiese Rocco facendo il finto tonto.
Irene inclinò la testa, intenerita da quella domanda: “È un modo di dire Rocco, significa ‘non ottenere risultati’”, rispose mentre accartocciava l’involucro del suo panino.
Rocco, che non vedeva l’ora di sfatare quel mito: “Lo sapevo! C’è nel libro che sto leggendo per la scuola”, ribatté tutto orgoglioso.
Irene schioccò le labbra, lanciandogli stancamente l’involucro del panino addosso, mentre nel frattempo rideva.
Rocco rise a sua volta: “Disordinata!” fece chinandosi a raccogliere la pallina di carta. “Be’, pe’ na volta che so qualcosa, sono contento
Irene inclinò la testa e si avvicinò a lui accarezzandogli le braccia: “Ma io lo so che sai un sacco di cose, sei tu che hai sempre il bisogno di dimostrarmi qualcosa”.
Rocco la guardò senza sapere cosa dire. Forse era vero che sentiva spesso di dover essere alla sua altezza. E obiettivamente sapeva di non averne motivo. Se c’era qualcuno che l’aveva sempre trattato come l’uomo che era, che non gli aveva mai nascosto la verità con la scusa di “proteggere i suoi sentimenti”, o altre accortezze stupide e inutili, era lei. Forse, chissà, era una semplice paura incontrollata di perderla, perché ancora non riusciva a credere che stessero assieme. Anzi, era sicuramente quello.
Quando aveva confidato questa cosa ad Armando, lui gli aveva risposto in tono ironico: ‘Ma dai… stai finalmente con la persona di cui sei innamorato e hai paura di perderla? Assurdo...
Rocco, ma è NORMALE. Almeno agli inizi è così, i primi mesi che stavo con Emma, la guardavo in continuazione per paura che non fosse reale o che non stesse davvero al mio fianco. Poi le cose cambiano…
E Rocco si era immediatamente illuminato dinanzi a quel segnale di speranza ‘Poi si guarisce da sta cosa?’ e Armando si era fatto una bella risata ‘Sì, poi se le cose vanno bene, il sentimento si trasforma in qualcosa di più saldo e ti viene una specie di… sicurezza’. ‘In che senso?’ aveva chiesto Rocco, curioso.
Be’, che ne avete passate tante ma siete ancora lì, nonostante tutto, e che quella persona ti ama pur avendo visto il peggio di te’, concluse Armando.
Rocco dopo quella conversazione se ne era andato via pensoso. A quel punto non sapeva se desiderare che attraversassero dei problemi e delle incomprensioni serie per arrivare a quello stato di sicurezza o sperare che evitassero degli screzi profondi e rimanere col dubbio.
Sai che con me non devi?” chiese Irene ridestandolo da queste riflessioni.
Lo so, lo so.” si affrettò a puntualizzare lui. L’ultima cosa che voleva era riversare su di lei questi complessi esistenziali. “È che non te l’ho detto ma stamattina il Dottor Conti mi ha detto che un giorno mi farà capomagazziniere ma devo prendere prima la terza media.
Il desiderio di prendersi quel titolo, Irene e Rocco, lo avevano discusso fin dai primi giorni della loro relazione, quindi non serviva il Dottor Conti a spingerlo in quella direzione. Anzi, conoscendolo, i due fidanzati erano sicuri che non l’avesse detto perché lo riteneva davvero un prerequisito necessario per ricoprire quel ruolo – lui prima di tutti era certo che Rocco lo meritasse già, perché capace e ligio al dovere – lo usava semplicemente come sprone in più a fargli proseguire gli studi, lasciati in sospeso da quando aveva conseguito la quinta elementare.
Insomma, sto un po’ teso, ce la voglio fare…” Irene gli strizzò gli occhi per vedere come concludeva la frase e poi lui si affrettò a puntualizzare “… per me prima di tutto.
Oh, bravo!”. Lo voleva sentir parlare proprio così. “Comunque lo sai che, come ti ho detto una volta, ci vuole un certo stile per imparare le cose” e iniziò a misurare la stanza a grandi passi solenni “una buona intonazione facilita la memoria”.
Rocco sogghignò scuotendo la testa davanti alla sua drammaticità.
Non ridere!” gli intimò puntandogli un dito contro, recitando volutamente con aria drammatica “lo sai che ho ragione…” e si riavvicinò alla scrivania di Armando per prendergli il libro. Lo aprì su una pagina a caso e si mise a leggerlo a voce alta con la sua solita disinvoltura.
Per esempio, se leggi così: ‘Gli esseri viventi vivono in relazione tra loro e con l’ambiente che li ospita” si aiutava con gesti plateali della mano “all’interno di particolari ecosistemi dotati di un equilibrio ben preciso’ ti rimane più impresso”.
Lui le passò avanti, divertito, e le sfilò il libro dalle mani - e Irene rimase interdetta con le mani aperte a mezz’aria - “Seh, l’intonazione ti aiuta pure con gli esercizi di matematica, Ire’?”. Imitò volutamente quel tono scettico che ebbe la prima volta che Irene lo aiutò con gli esami, quando le chiese: ‘Che è, Lascia o raddoppia, Ire’?’. Ma se allora, scettico, lo era davvero, adesso era solo felice di essere lontano anni luce da quel momento. Da quell’universo, ormai per lui surreale, in cui non si erano ancora trovati.
Non la lasciò rispondere a quella domanda retorica e continuò in tono scherzoso “Comunque grazie lo stesso perché mo, co sta scenetta che hai fatto,” le disse puntandole il palmo della mano “sti ecosistemi qua…” disse colpendo lievemente il libro con le sue nocche “non me li dimentico”, mentre con il braccio si accostava Irene contro il proprio fianco e si appoggiava al bancone.
Vedi come ti torna utile il fatto di avere una…” e alzò il mento per impegnarsi a pronunciare bene quelle due parole  in siciliano “‘zita fodde’?”. (fidanzata pazza [n. d. a.])
Rocco scoppiò a ridere rumorosamente portandosi la mano alla bocca.
Irene rise di rimando e lo provocò dicendogli: “Dai sono stata brava, dì la verità”.
Rocco scosse la testa, ancora incapace di parlare per il ridere, e infine disse con sicurezza: “Sono più bravo io col lombardo”.
Irene gli disse  “È tutto da vedere…”. Niente, non smetteva di ridere. Allora Irene, in un insolito moto di umiltà, gli chiese: “Allora insegnami tu!
Quando si calmò Rocco le rispose: “Eh, piccio’, prima il dovere poi il piacere. Dopo l’esame” e le stampò un bacio sulla guancia per poi tornare a sfogliare il suo libro con la rassegnazione dell’esaminando che vede già la propria fine imminente.
Irene glielo rubò dalle mani: “Be’, ma se ci pensi il piacere può anche essere un intermezzo al dovere” non sapeva neanche lei perché quel piglio la colse proprio in quel momento - stupì prima di tutto lei - fatto sta che proferì quelle parole con una voce diversa, volutamente ambigua, “così poi il dovere ci pesa di meno”.
Rocco corrugò impercettibilmente la fronte e si schiarì la gola, un’azione incontrollata per tentare di celare l’effetto che semplici parole come quelle avevano su di lui, se pronunciate da Irene.
Poi d’istinto la prese per mano e la guidò furtivamente tra gli scaffali.
E a cosa devo questo gesto?” chiese Irene cadendo dalle nuvole, con un luccichio negli occhi, mentre le loro mani si intrecciavano. Domanda tutt’altro che innocente. Sapeva esattamente a cosa fosse dovuto.
E Rocco rispose con ovvietà “Faccio come dici tu: in-ter-mez-zo il dovere col piacere” tirò a indovinare, con un sorriso malizioso stampato sul volto.
E Irene gettò la testa all’indietro ridendo di gusto. Rocco rise con lei mentre prendeva il suo viso tra le mani e raggiungeva la sua bocca.
***
Non era un caso che si fossero rintanati proprio lì.
Non era un caso che quell’angolo di magazzino lo considerassero ormai tutto loro. E soprattutto che fosse strategicamente dietro le tende. Avrebbero così avuto tutto il tempo di ricomporsi dopo aver ascoltato i passi dell’eventuale primo arrivato.
Erano mesi che le loro pause pranzo finivano così e a Irene sembrava di fare ogni giorno uno sforzo più grande per riacquistare la percezione del tempo e dello spazio attorno a sé, per riaprire gli occhi e riabituarli alla luce, per far sparire quel rossore sconveniente con cui si sarebbe facilmente tradita con il resto del mondo.
Sarà che il modo in cui Rocco la toccava si faceva sempre più disinvolto, sicuro, sarà che Irene percepiva ad ogni occasione meno timidezza da parte sua nell’incollarsi completamente a lei, meno soggezione nel farle sentire le reazioni incontrollate del suo corpo… e poi c’era quel dannato modo che aveva di accarezzarle d’istinto la nuca mentre si baciavano, per poi risalire con quelle sue dita lunghe e intrecciarle coi riccioli biondi, così da sostenerle la testa dolcemente.
Qualsiasi di questi fosse il motivo, il risultato non cambiava. Quel giorno non riuscì a trattenere quello che per tutti i mesi precedenti si era ripromessa di non confessargli per pudore, riuscendo sempre, sapientemente, nell’intento.
Si staccò dalle labbra di lui per riprendere quel fiato che sembrava esserle mancato per un tempo indefinito e mentre le palpebre erano ancora pesanti e gli occhi ancora lucidi, le uscì naturale come l’aria sussurrargli: “Rocco, voglio fare l’amore con te”.
 
Silenzio.
 
Dopo una manciata di secondi senza alcuna reazione Irene lo guardò fissa nel volto, lievemente allarmata.
Rocco era indecifrabile.
L’effetto lusinghiero di quelle parole su di lui durò nel suo cuore esattamente una frazione di secondo, per poi essere rimpiazzato da un misto di confusione e altri elementi ancora poco chiari.
Ire’” gli venne solo da dire.
Lei poté percepire un lieve tono di rimprovero.
Irene era sempre stata ai suoi occhi una persona più disinibita delle altre, senza i freni che avevano le altre ragazze per cultura, per convenzione, per decoro…. ma era un tratto che si ravvisava più che altro nel suo modo di parlare e di relazionarsi agli altri, non nel suo modo di vivere. Si era innamorato di quel suo modo di stuzzicarlo, di ravvivare ogni conversazione con la sua scintilla e i suoi interventi ironici e fuori dalle righe.
Ma questo? Questo era …. troppo.
Irene era una brava ragazza, seria - si ripeté Rocco nella sua testa.
Ma allora come faceva ad aver detto quelle cose? Come faceva una ragazza seria anche solo a pensarle? Lui era un uomo e non osava pensarci, perché lei invece sì? Cosa faceva questo di lei?
Per la prima volta nella sua vita sperimentò quanto potessero andare veloci i pensieri di un essere umano.
 
Si irrigidì. “Come fai a voler una cosa che non conosci…” deglutì, mentre si insinuava nella sua mente quel dubbio atroce “perché… non la conosci, vero?
 
La sua voce – la studiò Irene - era solo lievemente più docile rispetto alla veemenza che, era sicura, avrebbe usato due anni prima, quando ancora vedeva le donne come degli esseri inferiori. Che dire, non era proprio un gran miglioramento.
E la cosa assurda è che non aveva nemmeno detto nulla di particolarmente grave. Al sentirla, quella domanda, poteva risultare legittima se posta da una persona come Rocco, che si cimentava per la prima volta con un’idea nuova.
Purtroppo, però, erano i suoi occhi a parlare, erano quelli che non riconosceva e che probabilmente, a loro volta, non la riconoscevano più.
La reazione di Irene fu immediata; si chiuse a riccio allontanandosi di almeno mezzo metro, assunse la sua vecchia aria spavalda, quella che avrebbe usato con un passante o cliente scortese, e si mise a braccia conserte, affondando i polpastrelli nelle braccia fino a farsi male. Si sentì stringere il cuore al constatare che proprio Rocco gli avesse provocato quell’istinto.
E se invece la conoscessi?” chiese con uno sguardo altrettanto gelido.
Rocco sentì un groviglio nello stomaco dinanzi a quello che lui avrebbe giurato essere un silenzio assenso e, in quel preciso istante, la sentì lontana anni luce. Bene, ora alle sensazioni di prima andava ad aggiungersi anche una gelosia bruciante.
E se-se la conoscessi” balbettò furioso “penso che sarebbe una cosa che una brava ragazza non fa”.
E immagino sia una cosa che una brava ragazza non può nemmeno pensare, giusto?” controbatté lei.
Appunto!” disse lui in tono secco.
 
Peggio di quanto pensasse.
 
Irene si passò un dito sulla fronte, esausta, coi nervi a fior di pelle.
Una domanda… Questa cosa la pensi tu oppure la dici perché te l’hanno insegnata?” gli chiese, alla disperata ricerca di un barlume di ravvedimento in lui. Le sembrava tutto surreale. Era come se stesse assistendo alla conversazione guardando sé stessa dall’esterno.
Sempre così te ne esci tu” alzò la voce lui, visibilmente innervosito “non tutto quello che ti insegnano è sbagliato”.
Mettere in dubbio il fatto che una donna sia seria o brava, solo perché ama una persona da due anni e desidera fare l’amore con lei, è profondamente sbagliato secondo me, ma… che vuoi che ti dica… forse sono io che sbaglio” disse Irene allargando le braccia.
Rocco esitò, toccato in qualche modo da quelle parole. Perché quella pausa pranzo così piacevole era dovuta finire così? Perché si stava comportando in maniera così odiosa? Perché Irene è troppo difficile da gestire, ecco perché - disse a sé stesso. Ma è davvero Irene a essere difficile da gestire? – gli diceva la sua coscienza.
Lo sai che non è quello…” disse lui iniziando a tentennare, ma lei non se ne accorse. “Il problema è che fare queste cose prima del matrimonio… non va bene”.
 
Irene abbassò lo sguardo, sconfitta. Quella verità doveva per caso farla sentire meglio? Peccato che non le servisse a niente. Era la verità di Rocco. Una verità che non sentiva propria. Ma d’altronde di cosa si lamentava? Al solito, era lei contro i mulini a vento.
La religione gli dava ragione, la società gli dava ragione.
Forse era solo lei che era sbagliata. Come sempre.
Ingenua e stupida - si recriminò - per aver pensato che quei due anni a Milano, il loro rapporto di mesi e la sua stessa esistenza di donna anticonvenzionale al suo fianco potessero aver insegnato a Rocco ad avere un concetto diverso su una donna che faceva certi pensieri.
 
Rocco colse quell’accenno di profonda tristezza negli occhi bassi di Irene e d’istinto alzò impercettibilmente un piede da terra per riavvicinarsi a lei ma, ancora una volta, esitò.
 
Ingenua e stupida – continuava Irene a ripetere a sé stessa - ingenua e stupida.
Avrebbe voluto moderare i toni, essere la prima a cedere. Rassicurarlo dicendogli pacatamente che la sua intenzione non era mai stata quella di cambiare il suo modo di pensare, bensì semplicemente di manifestargli cosa provava lei.
Avrebbe potuto, non era certo l’umiltà che le mancava all’occorrenza.
Ma a cosa sarebbe servito?
A cosa serviva, se al suo fianco aveva un uomo che riteneva una poco di buono una ragazza che osava anche solo pensare che le donne potessero avere gli stessi bisogni fisici e spirituali che avevano gli uomini di tutti i tempi, senza che NESSUNO gliene facesse una colpa.
A cosa serviva? A sentirsi dire: ‘Vabbè Ire’, ti perdono’? Inorridì di disgusto al sol pensiero. Piuttosto preferiva spararsi un colpo in testa.
Allora si indurì di nuovo. Serrò la mascella e tornò a guardarlo dritto negli occhi.
Lo sai che ti dico? Che sono vergine, ma in questo momento vorrei non esserlo solo per scandalizzarti ancora di più”.
E girò i tacchi, furente, per oltrepassare la tenda e avviarsi verso la galleria.
 
Roccò si sentì sferzare in volto. Era sicuro che uno schiaffo ben assestato non gli avrebbe fatto così male.
La vide allontanarsi, a bocca aperta, e si sentì un peso insostenibile sul cuore come mai l’aveva avuto. Ancora una volta il suo istinto lo spinse a inseguirla, a raggiungerla oltre quel muro che avevano innalzato – o piuttosto che ‘lui soltanto aveva’ innalzato, tornava a tormentarlo la sua coscienza. Ma i suoi piedi non collaboravano, erano ancorati a terra come da catene.
Cosa le avrebbe detto, poi, una volta raggiuntala? Era lei che era in errore…. No?
Era così. Doveva essere così. Irene non poteva averla vinta anche in questo.
Ma perché cos’è, una battaglia? – lo derise l’altra parte di sé.
Ma la purezza di una donna… La Chiesa diceva che così si perde la purezza…
Era Irene che voleva mettersi sempre contro tutto e contro tutti, anche contro le cose giuste.
Ma perché non si può semplicemente rimanere ognuno con le proprie idee? – gli suggerì quella voce dentro di sé.
NO… perché allora vorrebbe dire che l’ho trattata male. E tanto. E invece io ho fatto bene a dirle che certe cose una ragazza non le deve fare ma nemmeno pensare - cercò di autoconvincersi.
Ma perché quelle convinzioni non lo aiutavano allora? Perché si sentiva soltanto un enorme, imperdonabile cretino…?
Serrò gli occhi portandosi istintivamente i palmi delle mani alla fronte, come colto da un dolore lancinante alla testa.
Quei pensieri contrastanti continuavano a martellargli nel cervello togliendogli il respiro.
 
Gioia…. Che hai fatto?!” lo sorprese Agnese che aveva già oltrepassato la tenda, trovandolo praticamente con la testa fra le mani.
Considerando che quell’angolo di magazzino era l’ultimo posto in cui chiunque sarebbe andato a verificare, ciò significava che era già da un po’ che evidentemente lo stavano cercando e lui non se ne era reso minimamente conto.
Brutto segno, pensò.
Niente zi’” rispose Rocco, evasivo. Ma figuriamoci se il suo viso sbattuto e i suoi occhi lucidi avrebbero mai potuto convincere Agnese.
Nel frattempo, si era affacciato anche Armando, senza però dire nulla, con un’aria leggermente preoccupata.
Non è vero che non hai fatto niente, vieni qua, forza” insistette Agnese prendendogli il viso fra le mani, con la sua caratteristica risolutezza.
Ho detto che non ho fatto niente, zi’’” si divincolò Rocco spazientito, con un tono duro che non gli apparteneva. Agnese fece per aprire bocca, con un’aria tra l’indignato e l’allarmato, ma Armando la fermò prendendola delicatamente per un braccio.
Neanche morto e seppellito Rocco avrebbe raccontato alla zia che aveva avuto un’incomprensione con Irene. Non perdeva occasione di recriminargli di aver scelto lei invece di Maria e di certo non avrebbe perso occasione questa volta di usare il tipico, materno e anche inutile, ‘Te l’avevo detto’.
Però adesso la zia si era semplicemente preoccupata nel vedere la sua brutta cera. Cosa c’entravano le sue opinioni sulla sua vita privata? - rivalutò Rocco.
Allora tornò sui suoi passi e, voltatosi, le disse con un fil di voce: “Scusa zi’, non ho bisogno di niente, grazie” e spostò la tenda per varcarla.
Allora sai chiedere scusa quando vuoi! – gli suggerì sarcastica quella voce dentro di sé. Ripensò amaramente all’ottusità usata invece con Irene pochi minuti prima e a come l’aveva fatta allontanare e gli salirono le lacrime agli occhi. Inspirò con tutte le sue forze, per evitare di piangere a pochi minuti dall’inizio del secondo turno, e si incamminò senza una meta.
In realtà una meta ce l’aveva, anche se non osava ammetterlo a sé stesso…
Rocco…” sentì la voce comprensiva di Armando alle sue spalle e trasalì quando sentì la mano di lui poggiarsi dolcemente sulla sua schiena.
Armando ritrasse la mano, rendendosi conto che Rocco era teso come una corda di violino.
… se hai bisogno, a me sai che puoi dirlo” gli sussurrò paternamente Armando inclinando la testa.
Rocco deglutì per ricacciare indietro le lacrime, sperando con tutto sé stesso di mantenere la propria dignità almeno in quello, e gli rispose “Ho litigato con Irene” e alzò lo sguardo incontrando gli occhi di Armando “ma adesso non mi va di parlarne”.
Armando annuì, comprensivo, e lo lasciò andare.
Rocco si congedò per avvicinarsi alla porta comunicante con la galleria.
Era quella la sua meta di poco prima. Che senso avesse recarsi proprio lì ancora non l’aveva capito. Poco prima non era nemmeno riuscito a inseguire Irene per fermarla, per spiegarsi, e ora la cercava?
Forse voleva solo osservarla da lontano.
Forse è l’unica cosa che hai il coraggio di fare, codardo – lo sferzò ancora la sua coscienza.
Incontrò invece lo sguardo di Maria, che si stava dirigendo dall’atelier verso il bancone a parlare con Sofia. Non c’erano più molte occasioni per Rocco di incontrare la sua compaesana da quando si era trasferita in un altro appartamento in città e, per ovvie ragioni, rifuggiva il magazzino come la peste. Da quando Rocco aveva fatto la sua scelta, Maria aveva insistito perché fosse lei, e non Irene, ad allontanarsi da un edificio in cui vivesse anche un solo membro della famiglia Amato. Si era dignitosamente defilata, insomma. Il suo astio inoltre, nei mesi, stava lentamente scemando e la ragazza, fortunatamente, si stava aprendo ad altre possibilità che non fossero quella di andare per forza in sposa a un uomo del proprio paese.
Lei alzò una mano per salutarlo e lui ricambiò con un cenno del capo.
Poi lei tornò alle sue cose, ma Rocco rimase ad osservarla per qualche secondo, riflettendo sulla calma e la quiete che ispirava. Per carità, bel caratterino anche lei, ma comunque un terreno conosciuto, a lui familiare, da sempre. Se avesse scelto una vita con lei, sarebbe stato tutto così tranquillo, pacifico… prevedibile. Probabilmente il loro più grande litigio sarebbe stato qualcosa di davvero banale come la tavoletta del gabinetto alzata o il dentifricio spremuto dalla parte sbagliata. Si maledisse. Perché non era riuscito ad accontentarsi? Perché aveva dei “gusti complicati”, come proprio Maria aveva detto profeticamente una volta?
Se avesse scelto Maria, non si sarebbe mai dovuto preoccupare di entrare in crisi su concetti che considerava ormai assodati. Certamente il resto del mondo sarebbe comunque cambiato attorno a lui negli anni, ma niente l’avrebbe mai davvero destabilizzato non interferendo direttamente con la sua quotidianità.
Non sarebbe stato tutto più semplice?
 
….
 
Poi qualcosa di ben più importante attirò la sua attenzione e si ridestò da quell’atteggiamento stanco e pensoso. Si raddrizzò all’istante e, senza volerlo, si ritrovò a grattare nervosamente la soletta con le dita dei piedi, come attraversato da una leggera scossa.
La vista di lei.
Si stava affaccendando per cercare di accontentare una cliente tra le più altolocate di Milano. Il suo passo era svelto, agile, ma anche preciso, competente. La signora faceva attenzione a non lasciar cadere la sua maschera di classe e contegno, ma spesso tradiva un’aria sinceramente divertita dai modi di fare della Venere.
Rocco sorrise d’istinto, emozionato.
E fu allora che tornò sulla domanda che si era posto in precedenza, trovandovi una risposta.
La vita con Maria sarebbe stata più semplice.
Ma sarebbe stata più semplice… e basta.
Mentre Rocco avrebbe volentieri barattato decenni di semplicità per come si sentiva vivo in un minuto con lei, fosse stato anche un minuto trascorso in un litigio o un minuto trascorso a non sapere cosa le passava per quella testa intricata.
Anche se ancora non aveva gli strumenti per comprenderla, voleva sforzarsi di farlo perché non c’erano alternative per lui. Avesse scelto qualsiasi altra vita per sé stesso, si sarebbe sempre voltato a cercare Irene.
 
 
 
NOTA 1: la frase pronunciata da Irene prima di uscire dal magazzino è ispirata alla celebre frase di Kurt Cobain "I am not gay, although I wish I were, just to piss off homophobes"
NOTA 2: il paragone tra Irene e Maria che fa Rocco è ispirato alla storia d'amore tra Sennar e Nihal ne "Le Cronache del Mondo Emerso" di Licia Troisi
NOTA 3: il concetto sulla semplicità è ispirato alla scena finale del film The Proposal (2008): "I think it would be easier if we just forgot everything that's happened and I just left"...."You're right. That would be easier." 
 

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Capitolo 2
*** Ay ay ay ay, canta y no llores ***


Ormai all’imbrunire di quel tardo pomeriggio fresco che già preannunciava l’inverno, Irene chiuse la porta dello spogliatoio dietro di sé e, all’udire quello scatto ormai familiare, di fine giornata, tirò un sospiro.
Che non era però affatto di sollievo.
Espirando le rimase comunque un peso amaro, che non sapeva come strapparsi dal cuore.
Solo in quel momento si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il secondo turno e negare a sé stessa che era stata praticamente in apnea solo per non piangere dinanzi a clienti, colleghe e superiori equivaleva a mentire.
Era stata sua precisa intenzione essere l’ultima a lasciare il Paradiso quella sera. Ed era perfettamente cosciente di quanto fosse stato infantile nascondersi dietro il paravento dello spogliatoio, nell’attesa che tutte andassero via, solo per evitare le domande indiscrete delle ragazze alla vista della sua faccia sbattuta.
Ma chi voleva prendere in giro: in realtà, era solo per evitare Rocco.
Quello di Irene non era nemmeno desiderio di tenere il punto; era che, davvero, non avrebbe saputo cosa dirgli qualora avesse incontrato il suo sguardo.
Giurava che Rocco si sentisse allo stesso modo perché, in condizioni normali, l’avrebbe cercata anche nei pertugi o negli stipiti delle porte, neanche fosse un animaletto minuscolo.
Accidenti, a volte Irene lo faceva persino apposta a nascondersi in ogni dove per sorprenderlo alle spalle, solo perché rideva fino alle lacrime vedendolo saltare per lo spavento come un gatto davanti a un serpente.
Le venne una fitta al cuore al sol pensiero di immaginare sé stessa e Rocco ancora felici, sorridenti. Una scena che in quel momento le sembrava ormai lontanissima e irraggiungibile.
Si guardò attorno, realizzando solo in quel momento quanta strada avesse fatto e dove si trovasse.
Fortuna che l’aveva guidata la sua memoria muscolare fino alla fontana in piazza perché, fosse stato per la sua testa, che si trovava da tutt’altra parte, si sarebbe sicuramente persa.
E così, alla vista della prima panchina in pietra che si trovò davanti, ci sprofondò sopra, esausta.
E pianse.
Ringraziò Dio che la piazza fosse ormai vuota - era infatti quasi ora di cena – e poté singhiozzare apertamente, cosa che non aveva mai fatto nemmeno in casa propria per paura che qualcuno potesse sentirla.
Non si sarebbe mai aspettata che le facesse così male avere ragione.
Perché stavolta ne era certa, aveva ragione lei.
Curvò la schiena stringendosi nelle spalle per la vergogna quando le ripassò davanti agli occhi come un lampo lo sguardo inquisitore di Rocco. L’aveva fatta sentire sporca e quella brutta sensazione non l’aveva ancora abbandonata.
Aveva dimenticato quasi tutto del catechismo, ma ancora ricordava che Eva aveva avuto una reazione simile dopo che Dio l’aveva messa davanti alla sua colpa.
Andiamo bene, la derise una vocina.
Già il semplice fatto che le fosse venuto in mente quel paragone assurdo da terza elementare, le suggeriva che aveva fatto bene a scappare da quella conversazione. Come Adamo ed Eva erano scappati dall’Eden.
Erano stati cacciati, ignorante! - la corresse quella vocina.
Dettagli… Vabbè, lei non sopportava le sconfitte, quindi era andata via da sola prima che si azzardassero a cacciarla.
Insomma, progenitori dell’umanità a parte, c’era qualcosa che non andava e aveva fatto bene a defilarsi così, si disse.
Non c’era nulla di normale, e men che meno di accettabile, in un fidanzato che ti facesse sentire come una sgualdrina. Per un motivo simile, poi.
Quindi tutto le confermava che aveva ragione, per l’appunto.
Ragione, ragione. Ho ragione io.
Si ripeteva quelle paroline come una frasetta motivazionale.
Normalmente avere ragione le era dolce come il miele, le restituiva la sua caratteristica spavalderia, la rassicurava riguardo alla giusta direzione da intraprendere.
Ma ora?
Niente di tutto questo.
Stavolta avere ragione non le era affatto d’aiuto, su nessun fronte.
A che serviva avere ragione se Rocco le mancava come l’aria? A che le serviva se non poteva avere lui?
Non puoi avere lui, le ricordò la vocina.
Traduzione: a quest’ora poteva averlo già perso per sempre, realizzò.
 
Scosse la testa e cercò di ricomporsi, fallendo.
 
A che serviva tenere il punto con la persona che amava se poi, perdendola, la sua vita sarebbe valsa infinitamente meno? (Ovvio, lungi da Irene Cipriani anche solo pensare che la vita di una donna non sarebbe valsa affatto dopo aver perso un uomo)
Ma, davvero, non conveniva scegliere il male minore?
E quale sarebbe esattamente questo “male minore”, chiese l’altra parte di sé, fingere per tutta la vita?
Non era da lei fingere di essere qualcun altro. Aveva già provato per un giorno e non era stato affatto credibile. Né pratico. Né giusto, a dirla tutta.
Fingersi qualcun altro no, continuò, ma almeno essere più comprensiva, forse?
 
Dopo lo sfoggio in bicicletta, Rocco non aveva quasi battuto ciglio dinanzi alla novità delle donne coi pantaloni; quando ripensava alla presentazione dell’abito British, la intenerivano ancora le sue guance rosse e quanto velocemente aveva distolto lo sguardo davanti alle sue ginocchia lasciate scoperte da quel lembo di stoffa troppo corto, ma poi aveva accettato anche quello; e, suo malincuore, si era ormai abituato all’idea che le donne sentissero il bisogno (ma che bisogno c’è, ricu iu, quando lo diceva a parole sue) di indossare un bikini in spiaggia.
Si portò una mano alla fronte, realizzando solo in quell’istante che al centro di ognuno di quegli eventi c’era una costante. Sé stessa.
Sempre lei a scandalizzarlo, a spingerlo spesso molto oltre il limite delle sue convinzioni. Che cosa pretendeva ancora da lui?
 
Be’ pretendeva che almeno non reagisse in maniera così ottusa; anche questo era chiedere troppo?
Il fatto è che lui non è ottuso; è solo che è puro, innocente, corresse mestamente quella vocina.
Forse avrebbe fatto bene a rimanere…
Se fosse rimasta, se si fosse presa il tempo per cercare di spiegargli che certe sensazioni sono normali anche in una donna…
La riassalì la paura che ora fosse troppo tardi.
 
Prima dell’inizio della loro relazione entrambi avevano previsto quanto sarebbe stato difficile conciliare due caratteri così diversi; era come se stessero costantemente in bilico su un filo sottile che separava l’assolutamente arricchente dall’assolutamente tossico.
E fin lì nulla di nuovo. Anzi, lo “sforzo” di mantenersi in equilibrio su quella corda immaginaria non era nemmeno da considerarsi un vero e proprio sforzo.
Era eccitante, stimolante, non ci si annoiava mai.
Il problema sorgeva con scontri come questo (e di quella gravità non se ne erano mai verificati prima tra loro), dove si prospettava un dubbio atroce:
“venirsi incontro” significava ancora amarsi in modo sano oppure annullarsi in favore dell’altro?
 
Basta! - intimò a sé stessa.
Si guardò intorno di nuovo, fisicamente provata da quel tumulto interiore.
Come aveva osservato poco prima, la piazza era vuota perché era ora di cena; unico momento di vera congregazione in una città frenetica come Milano.
D’istinto si asciugò le gote umide e si alzò dalla panchina.
A causarle quella reazione immediata era stata la premura di seguire l’esempio di chi, a quell’ora, si stringeva attorno alla propria famiglia.
Mai come quella sera sentiva che le era di conforto tornare da Stefania;
perché, se sapeva di non poter stringere tra le braccia Rocco, almeno avrebbe potuto godere della presenza di un altro membro di quella famiglia così singolare che si era costruita.
Incontrare gli occhi di qualcuno che teneva davvero a lei. Anche solo per farsi pregare dall’amica di raccontarle cosa c’era che non andava e farla impazzire di frustrazione quando le diceva senza mezzi termini che non aveva abbastanza esperienza per poterla capire.
Sorrise. La sua natura spartana in fatto di sentimenti poteva abbandonarsi almeno una volta a quel desiderio egoistico?
Decise di sì.
E così, nonostante il grande peso sul cuore che non accennava ad andarsene, si sforzò di focalizzarsi su quella piccola speranza di sollievo e affrettò il passo verso casa.
 
 
Ma non vi siete più parlati da allora?” chiese Stefania accorata.
Rocco abbassò lo sguardo e poi sussurrò: “No, non mi sono ancora avvicinato”.
Stefania lo guardò confusa: “Scusa ma perché bisbigli? Ti ho già detto che Irene non c’è…
Macché, mica bisbiglio per quello” sussurrò Rocco e poi si corresse, ricordando amaramente lo stato delle cose con la sua fidanzata: “Cioè se ci fosse lei, farei la stessa cosa”, ammise.
Poi si voltò e agitò la mano puntando il pollice verso casa propria.
Ahhhh” esclamò Stefania realizzando che Rocco si riferiva alla zia Agnese, ergo a quanto avrebbe gongolato se avesse saputo del litigio tra i due fidanzati.
Insomma, una conversazione clandestina su tutti i fronti, pensò Stefania.
Eh. Capito mò?” disse Rocco alzando le sopracciglia in segno di complicità.
Stefania annuì solenne. Poi Rocco riprese: “Ma come l’hai trovata tu oggi?” chiese già paventando la risposta.
Stefania sospirò allargando le braccia: “L’ho trovata come Irene…” ironizzò “come quando sta male per qualcosa, ma le chiedi cosa c’è che non va e non ti risponde neanche se la corrompi con un biglietto gratis per la Settimana della Moda”.
Come si aspettava. Rocco si portò una mano al viso massaggiandosi gli occhi.
Comunque ora vedo di estorcerle qualcosa appena rientra” si affrettò a rassicurarlo Stefania toccandogli d’istinto il braccio in segno di conforto.
Rocco era uno straccio, pensò la ragazza, e, se aveva delle colpe in quella situazione con Irene, di sicuro in quel momento stava espiando tutti i suoi peccati.
Rocco annuì “Grazie, Stefa’” poi si voltò d’impulso verso la tromba delle scale: “SE rientra…. mi sto iniziando a preoccupare
Stefania storse la bocca, valutando, “Chissà, magari è andata dal padre?
Seh, ‘dal padre’” fece Rocco distrattamente “quando Irene sta male, il padre è l’ultima persona che vuole vedere”.
Stefania si convinse a escludere quell’opzione vista la sicurezza di Rocco. D’altronde nessuno la conosceva come lui.
Poi, cercando di sdrammatizzare un po’, ma non perché fosse curiosa (no, affatto), gli chiese:
Ma giacché ci sei, perché non mi dici TU cos’è successo?” lo implorò con le mani giunte sbattendo platealmente le ciglia come una bimba innocente.
Era riuscita nell’intento perché il volto di Rocco si ammorbidì momentaneamente in un sorriso tra l’esausto e il divertito. E schioccò le labbra mentre alzava la mano per deriderla: “Va che bedda, ha finito Irene a fare la cuttigghiara (pettegola, ndt) e mò cominci tu”.
Eddai eddai eddai” implorò Stefania, ormai senza ritegno, piantandogli entrambe le mani sull’avambraccio.
Rocco cercava stancamente di divincolarsi ma non voleva ammettere che gli stava facendo bene sorridere in quel momento: “NO-NE, Stefa’ eddai, è Irene che è amica tua e se vuole te lo dice lei”.
Stefania lo liberò dalla presa all’istante, fingendo indignazione e appoggiandosi le nocche sui fianchi “Ah, e io non sono tua amica?! Be’, in tal caso non so che ci facciamo qui, buonanotte Rocco” e si voltò drammaticamente facendo finta di andarsene.
 
Rocco le prese fiaccamente il braccio e la costrinse a voltarsi mentre ancora sorrideva: “NEL SENSO CHE” si affrettò a precisare “è amica tua, confidente va’, e vi dite le cose – certo, quando Irene sta di luna perché lei mica è ‘na persona normale – ma insomma hai capito”.
Sì, vabbè…” lo liquidò Stefania divertita. “Io chiedevo perché visto che lei, come hai detto appunto tu, spesso non ‘sta di luna’ per parlare, almeno se ne so qualcosa in più riesco ad aiutarla meglio” disse a braccia conserte guardandosi la punta della scarpa, mentre si fingeva totalmente disinteressata.
Precisiamo, io SONO disinteressata, pensò Stefania. Ed era vero, adorava Irene come una sorella, ma era anche TANTO curiosa e poi si sentiva anche un po’ in diritto, a dirla tutta, visto che era la sua migliore amica insieme a Roberta e, di riflesso, Rocco l’aveva ufficialmente adottata come una sorellina minore.
Con sfottò annessi.
In ogni caso quella scenetta non avrebbe convinto nessuno, figurarsi Rocco, che, quanto a malizia, aveva preso la laurea a Scuola Cipriani.
Rocco sogghignò scuotendo la testa “NO Stefa’, fai la brava su… controlla solo se mangia, che quando sta nervosa salta il pranzo, la cena e compagnia bella” disse gesticolando.
Stefania abbassò le braccia sconfitta, mettendo su la sua tipica faccia imbronciata di quando non riusciva a spuntarla.
E va bene” rimarcò lei con voce volutamente più greve “allora se non vuoi parlare con me perché non parli con la diretta interessata?
Rocco chiuse brevemente gli occhi, colto nel vivo. “Devo capire… delle cose, prima” disse rimanendo sul vago mentre menava una mano per l’aria.
Stefania inarcò le labbra in un’espressione confusa: “Ah, chiarissimo…” commentò ironicamente.
 
Poi d’improvviso sobbalzò alla vista di qualcuno (qualcuno a caso), che solo lei riusciva a scorgere perché rivolta verso il pianerottolo, e con un guizzo degli occhi fece segno a Rocco.
Colto il segnale, il ragazzo cambiò discorso alzando ostentatamente il tono di voce: “Allora, Stefa’, hai detto prossima settimana viene la signora per la pigione?!”.
Stefania gli resse il gioco e annuì vigorosamente “Sì sì!”.
Neanche lui risultava molto credibile. Anzi, peggio, si sentiva patetico e stupido.
Avrebbe fatto bene a schiaffeggiarsi; perché era arrivato a comportarsi in modo così infantile? - si chiese.
Per un attimo si sentì di nuovo come quel Rocco ignaro del mondo che se ne stava impassibile vicino alle pecore.
 
Ce la fai a guardarla in faccia almeno?!  - lo rimproverò la sua coscienza.
Cercò di farsi coraggio e riuscì a voltarsi verso di lei.
 
A quell’incrocio di sguardi, sia Rocco che Irene percepirono quello che sembrava loro un pugno allo stomaco.
Ciao…” fece lui flebilmente.
Irene socchiuse le labbra per usare lo stesso saluto ma le uscì solo un deferente anche se poco energico “Buonasera…”, che si costrinse a rivolgere a entrambi e di cui si pentì, prevedibilmente, subito.
Ora, Stefania ci metteva tutto l’impegno per non ridere – si portò una mano alla bocca con nonchalance e si morse il labbro superiore – ma questi due gliela rendevano difficile.
All’asilo sono più maturi, decretò tra sé e sé sentendosi un po’ mamma.
E pensare che avevano fatto di tutto per non incrociarsi durante la giornata proprio per quel motivo, ovvero evitare situazioni di imbarazzo come quella.
Entrambi fecero per aprire bocca e dire qualcos’altro ma la gola si seccò loro all’istante.
Allora Irene abbassò lo sguardo ed entrò trafelata in casa passando dietro a Stefania. Ringraziò Dio che la porta fosse spalancata.
Rocco e Stefania si scambiarono un breve sguardo; il primo delusissimo e più triste di prima, anche se non sorpreso, e la seconda gli fece cenno con l’indice che la conversazione era solo posticipata, mentre lo salutava con la mano e chiudeva la porta dietro di sé.
Fece un sospiro preparandosi psicologicamente ad affrontare un’Irene nervosissima o tristissima (?) o entrambe le cose (?), pensò. Cercò di capirci qualcosa in più osservando i suoi movimenti scattosi, ma allo stesso tempo stanchi, mentre le dava le spalle ed era insolitamente silenziosa.
 
Poi la ragazza si guardò intorno, incerta, e cercò di iniziare la conversazione risollevandole un po’ l’animo, come aveva fatto poco prima con Rocco:
‘Buonasera’?” disse sogghignando “ma l’avevi capito che stavi salutando Rocco e non Antonio Segni?” rifacendosi al saluto ossequioso proferito da Irene poco prima.
Mmh” rispose Irene a mezza voce “chissà se da domani non ci sarà più differenza tra i due” mentre metteva a posto la giacca sulla sedia “o forse già da oggi… chi può dirlo…” disse con ironia amara voltandosi verso l’amica.
E fu solo allora che Stefania poté scorgere gli occhi lucidi di Irene e si intenerì, abbandonando per un attimo quel fare giocoso.
Solo per un attimo però. Se infatti Irene per ora aveva convissuto solo col proprio punto di vista, Stefania aveva visto anche quello di Rocco e la sua faccia da cane bastonato le diceva che stavano male entrambi allo stesso modo e che quindi tra loro non poteva essere finita, contrariamente a quanto insinuato da Irene.
A differenza del disfattismo di quest’ultima, a caratterizzare Stefania era ancora quello spirito romantico dell’adolescenza, che le consentiva di affermare in tutta certezza frasi come: ‘L’amore è sufficiente per superare ogni ostacolo’, e tutte quelle scemenze là, come ci teneva a precisare Irene.
Questo fu il rapido flusso di pensieri che passò per la mente di Stefania, mentre spostava una sedia e vi ci si accomodava, così facendo capire all’amica che era disposta a mettersi all’ascolto.
È andata davvero così male?” chiese con voce quasi materna.
 
Non ci tengo a sentirmi derisa anche da te, quindi immagino che rimarrai col dubbio” rispose Irene categoricamente, senza inflessioni della voce.
Stefania alzò gli occhi al cielo e Irene si ricordò di quello a cui stava pensando mentre era seduta in piazza.
La storia si ripeteva: Stefania la pregava e lei si faceva desiderare.
Non quel giorno.
Vabbè mi dirai quando ti sentirai pronta, SE ti sentirai pronta” e appoggiò entrambe le mani sul tavolo per alzarsi teatralmente e andarsene nella sua stanza.
Aspetta!” fece Irene.
Stefania sorrise maliziosamente mentre le dava le spalle. Aveva sortito l’effetto desiderato.
Non la conosceva come Rocco, ma ci stava andando vicino.
Irene attese che la ragazza si rimettesse a sedere e poi, così, di getto:
Ho detto a Rocco che volevo fare l’amore con lui e ha reagito male” disse senza guardare l’amica negli occhi, mentre con la mano stirava delle pieghe inesistenti sulla tovaglia.
Stefania, come andando a rallentatore, spalancò gli occhi e si coprì la bocca con entrambe le mani.
Soffocò un suono gutturale per evitare di ridere apertamente, ma, agli occhi di Irene, che infatti la osservava di sottecchi a braccia conserte, il gesto era ugualmente grave.
Il problema era che non riusciva a trattenersi; si immaginò la scena come in un lampo e si vide davanti Rocco, l’essere forse più innocente sulla faccia della terra, che a un certo punto, senza alcun preavviso, si sente dire queste ‘paroline magiche’ e strabuzza gli occhi per la vergogna, dopodiché non ci capisce più nulla, dice qualche stupidaggine e poi scappa via, oppure no, forse rimane ma arrossisce e redarguisce…
Volendo sarebbe potuta andare avanti per ore, pensando a scenari ed epiloghi alternativi.
E non gliene veniva in mente neanche uno che non fosse grottesco.
 
Hai finito?” la ridestò la domanda secca di Irene.
Il tu per tu che aveva avuto poco prima con sé stessa l’aveva aiutata a inquadrare le cose con maggiore lucidità; quindi, essere presa in giro adesso dopo i progressi fatti, oltre a farle rivivere un’umiliazione ancora troppo fresca, le ricordava anche il suo tremendo errore di valutazione: aver pensato che Rocco potesse quantomeno capire quella parte di lei mai confessata.
Insomma, era un approccio francamente inutile.
 
Stefania allargò le braccia in segno di tacite scuse, poi si mise a mani giunte: “Scusa Irene, ma come ti è venuto in mente?”.
Irene si spazientì ulteriormente e si voltò per andare in camera sua.
Si accinse a mettere a posto dapprima la sua borsa, quindi a fare qualsiasi cosa (qualsiasi) che la distraesse, mentre nel frattempo Stefania si alzava da tavola (di nuovo!) per seguirla come avrebbe fatto un’ancella.
Non lo sai come è…” proseguì Stefania.
“…. ‘non lo sai com’è fatto Rocco’?” fu Irene a concludere quella domanda “Perché era questo che stavi per dire vero?” mentre sfilava la federa dal suo cuscino e lo addentava per infilarlo in una pulita “Hanno stancato tutte queste accortezze: ‘Rocco è innocente’, ‘Rocco è buono’, ‘Rocco è puro’, ve lo dico io cos’è Rocco” e gettò bruscamente il cuscino vicino alla testiera del letto “Rocco è UN UOMO, non è fatto di cristallo, e se non riesce a reggere neanche una confessione su come mi sento IO” si puntò il dito sul petto “senza guardarmi come mi guarda ogni giorno Agnese Amato, ossia come una sciacquetta, allora non ho capito a che serve stare assieme!” disse tutto d’un fiato, bisbigliando per paura che la sentissero (o peggio, che la sentisse proprio lui, attraverso quelle pareti sottilissime).
Stefania, che nel frattempo si era seduta sul letto di Irene, ammutolì per una manciata di secondi, fissando lo sguardo in un punto a caso per riflettere.
Perdonami, non pensavo che ti avesse fatto sentire così” disse Stefania in maniera quasi asettica, ancora fissa su quel punto.
Faceva sempre così quando stava elaborando un’idea, un concetto.
Irene alzò il mento, accettando le scuse.
Stefania tentò di analizzare la cosa, indirettamente anche scusandosi per la sua leggerezza iniziale: “Non avrà forse pensato che gli stessi mettendo pressione?” chiese.
Stefania, ma quale pressione? Gli ho detto questa cosa, mi ha detto con uno sguardo che una brava ragazza non si comporta così e io me ne sono andata, fine.” rispose Irene ancora infastidita, affaccendandosi per piegare dei panni puliti che Stefania le aveva lasciato sul letto “Non c’è stato tempo di mettere proprio nessuna pressione, neanche se avessi voluto”.
La ragazza le tirò delicatamente le mani, senza dire nulla, e la costrinse a sedersi di fianco a lei, nel tentativo di placare il nervosismo che aveva addosso.
Non voglio dire che fosse tua intenzione” disse pacatamente Stefania, e non solo per evitare l’ira funesta dell’amica ma perché stava iniziando a mettere a fuoco le remore di entrambi, “ma inquadra la cosa dal punto di vista di Rocco: si sente dire per la prima volta nella sua vita una cosa che maaaaai si sarebbe aspettato di sentirsi dire da una ragazza, figuriamoci dalla propria, e,” soppesò bene le parole “non per rigirare il coltello nella piaga, ma è una cosa su cui è particolarmente sensibile, data la sua educazione,… cosa vuoi che pensi?...” alzò le braccia come per mostrarle l’ovvietà di quella conclusione “… semplice, pensa che tu voglia qualcosa da lui”.
Irene abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ colpevole: “Ma io non volevo fargli cambiare idea…” disse quasi in un sussurro.
Poi sentì Stefania appoggiare il gomito sul letto per inseguire il suo sguardo: “Sicura…?” chiese con un sorrisetto dei suoi.
Anche se fece di tutto per trattenersi, a Irene uscì una risata sommessa e arrossì all’istante: “Daii…” esclamò spintonandola lievemente per un braccio “è ovvio che mi farebbe piacere se cambiasse idea” si spiegò “ma non ho certo detto quella frase perché CONTAVO sul fatto che succedesse”.
Era quella la verità, Irene non stava mentendo. Se quella frase le era uscita così di getto era perché ovviamente quel desiderio c’era ma, al contrario di quanto stava implicando Stefania, che sembrava momentaneamente affetta da amnesia, anche Irene conosceva bene Rocco e non si sarebbe certo aspettata da lui una reazione rivoluzionaria rispetto alle sue convinzioni.
 
Stefania fece spallucce come a voler suggerire tacitamente: ‘sì, ma il risultato è stato lo stesso’.
E comunque questo non giustifica come mi ha fatto sentire”, si difese subito Irene, “te lo giuro, mi sarei aspettata di tutto,” proseguì, “che arrossisse, che mi dicesse ‘sei sempre la solita’… Tutto, ma non questo” abbassò la testa, di nuovo triste in volto.
Stefania la guardò con profonda comprensione e immenso affetto.
Meditò su quella triste realtà, quella in cui erano sempre le donne a doversi sentire colpevoli, sbagliate e in ogni caso a dover pagare, qualora si cedesse IN DUE a errori di quel tipo.
Non certo per sadismo, ma con amarezza, Stefania diede allora voce a quei pensieri:
E mi dispiace tantissimo, però” fece una pausa, visibilmente in difficoltà, “guardati intorno Irene, gli uomini purtroppo la pensano così: se una donna non è più vergine, difficilmente qualcuno se la sposa poi. Quelli di qui sono così per cultura…” si riferiva a quelli del nord “Rocco è così per cultura E per religione, ma il risultato non cambia”.
A Irene venne subito in mente Marcello. Avrebbe giurato che quel ragazzo non avrebbe mai infranto la promessa di sposare Roberta (che peraltro indossava già il suo anello di fidanzamento) solo perché si era “macchiata” (nauseava Irene il sol pensiero di quel termine orribile) di aver perso la verginità con lui.
Ma Marcello era una mosca bianca nonché l’eccezione che confermava la regola. Non aveva quindi senso, oltre che essere indiscreto nei confronti di Roberta, portarlo come esempio.
Stefania aveva ragione, la società in cui vivevano era ipocrita e profondamente sessista.
Irene strinse i pugni e si voltò di scatto verso Stefania: “E a te sembra giusto questo?” chiese retoricamente.
Stefania ammutolì, interdetta. Mmmh, no, era ovvio che non le sembrasse giusto, ma…
IO DICO DI NO.” si infiammò Irene ancora di più “Perché se è così, gli uomini devono cambiare e se gli uomini non cambiano, allora noi non ce ne facciamo proprio nulla di loro. Meglio stare sole! Non ci mancano certo uno stipendio e le capacità per essere indipendenti” concluse, quasi paonazza per la rabbia.
Quel piccolo comizio improvvisato, simile a quel giorno di svariati mesi prima in cui era dritta in piedi sul divanetto delle veneri con una gonna corta e tutte le movenze di una suffragetta, le aveva lasciato il fiatone, ma Irene fece subito appello alla propria forza di volontà per calmarsi.
Stefania corrugò la fronte, mentre sfruttava quella tregua concessale dall’amica per meditare sulle sue parole.
‘Gli uomini sono così? La soluzione NON è dover essere noi a piegarci perché tanto funziona così. La soluzione è farne proprio a meno!’
Quel sillogismo le sembrò tutt’a un tratto di una giustizia, o giustezza (?), disarmante.
Inutile dire che prima di allora nessuno che l’avesse cresciuta le aveva prospettato quell’opzione.
Dopo aver riflettuto, concluse che da quel momento amava Irene un po’ più di prima. Non sapeva come fosse possibile, ma solo lei riusciva sempre ad andare alla radice del problema con quell’ovvietà e quel coraggio.
In questo caso anche a costo di perdersi per strada chi amava.
Era tutta un fuoco lei, caratteristica comune a tutti i trascinatori di popolo. Purtroppo, però, il fuoco aveva la tendenza a mietere vittime in maniera indistinta, anche laddove c’era qualcosa di recuperabile.
E fu allora che a Stefania tornò in mente lo sguardò abbattuto di Rocco. È vero, non si era ancora avvicinato alla fidanzata per parlarle, ma aveva tutta l’aria di essere in conflitto con sé stesso e quindi parzialmente contrito.
E se così era, allora apparteneva alla categoria di vittime che “quel fuoco” avrebbe potuto risparmiare, no?
Anche quello le sembrò un sillogismo pieno di senso.
Hai ragione” concesse Stefania sorridendo teneramente “… ma tutti i più grandi cambiamenti necessitano di tempo e pazienza. E le rivoluzioni troppo rapide rischiano solo di sfumare troppo velocemente non lasciando alcun segno.” Poi le prese la mano. “E così con Rocco,” sottolineò volutamente quelle parole e Irene incontrò il suo sguardo “devi dargli tempo di metabolizzare”.
Irene assentì, stupita da quel paragone insolito ma indovinato.
Era più serena ora che anche Stefania le suggeriva che poteva trattarsi solo di tempo, ma in un certo senso era anche più confusa di prima.
Come doveva muoversi? Doveva essere lei a forzare un confronto o semplicemente attendere pazientemente? Sospirò.
La pazienza, una virtù che le veniva difficile praticare, soprattutto nel ruolo di fidanzata.
 
Stefania la riscosse da quei pensieri, tornando al suo tipico atteggiamento allegro perché già sicura di suscitare la reazione positiva di Irene:
“… e poi, se ti avesse già escluso dalla sua vita, non si sarebbe mai fermato a chiedermi come stai, né si sarebbe preoccupato che non sei ancora rientrata a casa”.
E quella reazione non tardò ad arrivare.
Ah sì?” il volto di Irene si riaccese di speranza, ma lei si schiarì la gola, facendo passare l’intenzione di quella domanda per pura curiosità e non vero interesse. Ovviamente fallì.
L’ingenuità, un tratto che Irene non avrebbe mai riconosciuto come proprio, l’aveva portata a bersi la storia che Rocco si stesse informando per davvero della proprietaria e della sua stupidissima pigione, piuttosto che della sua fidanzata.
Ma seriamente ci aveva creduto? Sì.
Ed era l’amore che rendeva le persone così disfattiste? Ancora sì.
Che stress, pensò.
Ma guardala, la nostra rivoluzionaria” cantilenò Stefania divertita “prima ‘non so che farmene di uomini del genere’” scimmiottò la voce solenne usata da Irene poco prima “e poi le dico di Rocco e va in brodo di giuggiole…” e le stuzzicò il fianco con il solletico.
Irene si dimenò ridendo, con l’accenno a un ritrovato buon umore.
Poi, sempre sull’onda del disfattismo, ma stavolta con fare decisamente più giocoso, minimizzò: “Vabbè si è informato di come stavo, si fa di solito con i vicini di casa di lunga data, no?”.
Stefania scosse la testa trattenendosi dal ridere: “Non ti rispondo neanche guarda...!”.
ANZI NO!” esclamò Irene “Forse vuole stare ancora con me, MA” alzò un dito per puntualizzare “solo perché sono ancora vergine e quindi ancora… ‘papabile’? È così che si dice?
Stefania sospirò, rassegnata, e si accinse ad alzarsi dal letto.
Niente, mi tocca tenermela così, pensò mentre rideva tra sé e sé. “Il bello è che ci credi pure. Impossibile, pessimista, cupa e negativa!” cantilenò con tono volutamente greve, mentre la sua voce si perdeva nell’altra stanza.
Io avrei detto ‘realista’, ma va bene” controbatté Irene appoggiandosi alla porta.
Stefania la ignorò di nuovo: “… pure lamentosa come una gatta in calore. E permettimi di dire che” gesticolò con le braccia “questa sera, ‘in calore’, è un’espressione decisamente appropriata” disse, evidentemente con il chiaro desiderio di morire, del tutto conscia dei modi efferati che la sua amica avrebbe escogitato per porre fine alla sua vita.
Irene fece per aprire bocca quasi sul punto di ridere, mentre le passavano per la testa mille insulti tra i più coloriti.
Per buona sorte di Stefania, lei aveva però già fatto grandi passi avanti sul fronte autocontrollo; alzò quindi solo un sopracciglio e rispose con voce neutrale: “Sono indecisa se optare per un cucchiaio di legno o aspettare sulla sponda del fiume il cadavere del mio nemico, che saresti tu,” e la indicò “e ridere di gusto quando toccherà a te”.
Stefania scoppiò a ridere: “Aspetta aspetta” e bofonchiò tra uno sbadiglio e l’altro “Ti usciranno i capelli bianchi se continuo di questo passo”.
Irene scosse la testa dinanzi alla vera e propria inesorabilità che Stefania scorgeva nel proprio destino di ragazza alla ricerca, per ora fallimentare, del ragazzo giusto. Inesorabilità. A neanche vent’anni. Non faceva una piega.
Non si sa chi è più melodrammatica stasera” commentò semplicemente, mentre Stefania frugava tra le sue cose alla ricerca dello smalto.
Ah, senti, io ho già cenato per la disperazione ma ti ho lasciato della pasta in frigo” la informò Stefania.
Ma no, non ho fame”, disse Irene con lo stomaco ancora in subbuglio per le emozioni, “dà qua, te lo metto io lo smalto, sei già assonnata e finisce che lo sbavi tutto” fece mentre le si avvicinava.
Stefania si scansò, “Non se ne parla proprio, fila in cucina,” puntò il dito verso quella stanza in maniera categorica, senza nemmeno guardarla, “Rocco si è raccomandato con me di farti mangiare”.
Irene saltò un battito, presa in contropiede: “Ah!”. Si portò una mano allo stomaco, per tenere a bada le farfalle chissà, e sorrise.
E lo so che stai sorridendo” disse Stefania mordendosi a sua volta il labbro per non cedere.
Irene storse il naso, spazientita, e si voltò di scatto per recarsi in cucina.
Ma non smise di sorridere.
Che poi, non ho capito una cosa:” stuzzicò Stefania nel suo ennesimo atto di insubordinazione della serata, “ma sei davvero vergine?”.
Irene rimase bloccata con la scodella di pasta a mezz’aria: “Senti, novellina, vedi di abbassare la cresta. E comunque no, non sono vergine. Come sai, sono di maggio e quindi Gemelli, contenta?
Sentì risuonare la risata di Stefania dalla sua camera.
Faceva solo finta di infastidirsi per quell’insolenza assorbita dalla ragazza a forza di vivere assieme, ma Irene non poteva che andarne fiera.
Stefania stava venendo su bene. Saggia ed equilibrata lo era sempre stata, ma ora quella stessa capacità che aveva acquisito di scherzare in maniera a tratti tagliente denotava se non altro una grande sicurezza in sé, ben lontana dall’immagine di fanciulla timorosa degli inizi.
Irene sperava che la sfuriata di cui era stata artefice quella sera avrebbe aiutato Stefania ad aprire gli occhi in futuro, per evitare come la peste uomini che la facessero sentire da meno.
Poi il suo pensiero tornò a quel piatto di pasta che aveva davanti a sé.
Freddissima di frigo, ormai scotta, ma che lei stava mangiando così di gusto, perché inspiegabilmente aveva ritrovato l’appetito.
La realtà è che sapeva spiegarselo benissimo il perché.
E lì il suo pensiero volò a Rocco.
Vero, quel pomeriggio si era comportato proprio come uno di quegli uomini che non avrebbe mai augurato a nessuna delle proprie amiche, ma Irene lo conosceva e sapeva bene quanto era cocciuto e tenace nel difendere le proprie idee se ci credeva davvero. E se fosse stato davvero convinto di quello che aveva fatto, non avrebbe mai più chiesto di lei, non si sarebbe mai preoccupato che quella sera potesse magari essere troppo triste per mangiare (e mannaggia a lui quella cosa la commuoveva particolarmente), in altre parole, non si sarebbe mai voltato indietro.
Allora forse si trattava solo di aspettare che cadesse a pezzi quell’ultimo baluardo di pregiudizi che lo avevano accompagnato per troppo tempo e che nessuno si era mai preoccupato di intaccare.
Non sapeva se questa “fede” in lui le veniva per l’amore che gli portava oppure lo amava perché aveva fede in lui.
Ma che importa, si rimproverò scrollandosi di dosso quel dubbio inutile, non cambia comunque il risultato.
 
Ed era questo il risultato. Sorrise, asciugandosi una lacrima: forse anche questa volta sarebbero riusciti a rimanere in equilibrio su quel famoso filo, scampando alla caduta.

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Capitolo 3
*** Solo espero que me perdones para volver ***


Rocco era seduto alla scrivania del magazzino, con la lampada puntata sul libro di studio, per la precisione su una pagina che era sempre la stessa da un tempo indefinito. Aveva scelto con cura di evitare quella degli ecosistemi, che lo catapultava inevitabilmente al giorno del litigio con Irene.
Anzi peggio, al momento subito precedente, dove si punzecchiavano allegramente come al loro solito e nessuno dei due immaginava che di lì a poco si sarebbero separati.
Sbuffò per una fitta al cuore che lo colse al pensiero di quel momento lontano secoli, o forse solo giorni, e appoggiò bruscamente la testa sulla mano alla disperata ricerca di un po’ di concentrazione.
Tutto inutile. In quella posizione gli sembrava solo di sentire di più il peso dei propri pensieri.
 
La data dell’esame di terza media non era lontana e, in quei giorni, aveva chiesto al signor Armando se potesse farlo rimanere un po’ di più la sera per studiare, dato che a casa c’erano “troppe distrazioni”. Armando aveva sorriso ed esaudito la richiesta, intenerendosi dinanzi a quella spiegazione che entrambi sapevano essere una bugia.
Evitava di rimarcare che non ci fosse alcun bisogno di mentire; aveva saputo dell’alterco con Irene lo stesso giorno e, anche se così non fosse stato, la cera che Rocco aveva da allora avrebbe ugualmente parlato da sé. Se evitava di spronarlo, anche solo indirettamente, a confessare i motivi di quel litigio era perché sapeva quanto fosse controproducente: se c’era un modo di far chiudere ulteriormente Rocco era ficcanasare nella sua vita privata.
 
Che poi, a pensarci bene, la scusa delle troppe distrazioni era parzialmente accurata. In casa regnava uno strano silenzio, dato che Salvo rincasava spesso tardi e la zia Agnese aveva promesso ad Armando di non immischiarsi e soprattutto non fare osservazioni infelici su Irene, se ci teneva a preservare l’affetto del nipote. Eppure, quei semplici sguardi tra il preoccupato e l’inquisitorio mettevano addosso a Rocco una pressione esagerata.
Aveva anche pensato di sfogarsi in separata sede con Salvo. In fondo il cugino aveva attraversato diverse questioni sentimentali… ma ben presto si ritrovò a scartare quell’opzione tanto velocemente come l’aveva presa in considerazione.
Non è che i due cugini non si volessero bene. Diamine, non c’era nemmeno bisogno di precisarlo; anzi, chiunque avesse avuto l’infelice idea di attaccare l’uno, se la sarebbe dovuta vedere con l’altro. Abbracci e pacche sulla spalla, intrisi di una gioia sincera, erano i gesti che usavano da sempre per lodare i vicendevoli successi. Il “problema”, se così lo si poteva chiamare, non che nessuno dei due lo percepisse come tale, era che non erano mai stati fatti per quel tipo di rapporto. Su argomenti così privati finivano sempre, puntualmente, per prendersi in giro o per interrompere goffamente una conversazione non appena toccava tasti più delicati.
Quell’imbarazzo su faccende così intime era forse dovuto alla sensibilità schiva che caratterizzava entrambi e vien da sé che, essendo troppo simili, non potevano quindi aiutarsi.
Nella lista mentale dei confidenti papabili, Rocco aveva annoverato anche Pietro.
Alla fine, lo considerava ormai un amico…
Mo’ non esageriamo, era più che altro un compagno di allenamento.
Certamente, quando successe la storia del padre e il ragazzo stava prendendo una brutta strada, Rocco aveva contribuito a raddrizzarlo, ma da lì a pensare di affrontare un discorso del genere con lui, ce ne passava. Se il timore con Salvo era che lo avrebbe preso in giro, mille volte di più era vero con Pietro.
Il ragazzo era giovane ed essenzialmente inesperto in fatto di donne.
Senti chi parla, Rodolfo Valentino.
Ecco, che bisogno aveva di una persona che lo deridesse, se c’era già la sua coscienza a farlo.
Certo che se depennava i possibili interlocutori con quella facilità, non gli sarebbe rimasto più nessuno e di lì a poco avrebbe fatto terra bruciata attorno a sé.
La verità era che aveva bisogno di Irene.
Irene non era solo la sua fidanzata, era prima di tutto la sua migliore amica e se c’era una persona che voleva al suo fianco in momenti di buio, dubbi, accoramenti, gioie e successi – faceva prima a dire “sempre” – era solo ed esclusivamente lei. Era per questo che non si era preoccupato più di tanto di trovarsi un amico maschio(?). In realtà non ne conosceva il motivo, sapeva soltanto che chiunque, a confronto con lei, peccava di qualcosa: non era abbastanza arguto, non abbastanza capace di sdrammatizzare la sua natura a volte un po' suscettibile, non abbastanza d’aiuto, non abbastanza in grado di guardargli dentro…
Si riscosse da quella morsa di forte nostalgia e si sforzò di essere pratico. Era inutile pensare di voler parlare con Irene. Non poteva. Era proprio con lei che era sorto il problema.
Però c’era anche la questione di Irene stessa. Che avrebbe detto se avesse scoperto per sbaglio che il suo fidanzato aveva svelato un loro problema così intimo? Lo assalì un po’ di paura; se aveva perso un milione di punti agli occhi di lei, quanti ancora ne avrebbe persi dopo aver violato anche quel suo lato che la caratterizzava più di tutti, ovvero la riservatezza?
Sì, però come faccio faccio sbaglio allora, pensò…
 
A interrompere quelle riflessioni ci pensò un Armando un po’ stravolto, come succedeva spesso a fine giornata, che entrò in magazzino e iniziò a girarsi attorno mentre cercava qualcosa che probabilmente aveva smarrito.
Rocco si sporse all’indietro con la sedia per osservarne i movimenti.
Signor Arma’, tutt’a posto?” chiese Rocco intenerito. La stanchezza eccessiva di quello che lui considerava un padre putativo era un chiaro segnale che era quasi arrivato il momento di chiedere magari un orario di lavoro ridotto, oltre al fatto che era già vicinissimo all’età pensionabile. Rocco lo aiutava già come poteva, sobbarcandosi molte delle incombenze del suo ruolo, ma a volte non sembrava essere sufficiente.
Sì, è che cerco le chiavi e stasera rimango fuori davvero se non le trovo. Marcello è uscito con la Roberta” rispose Armando distrattamente.
Il buon, vecchio Armando. Non gli rimaneva che lui per sfogarsi. E il fatto che fosse in fondo alla sua lista non era perché fosse meno importante bensì perché, anzi, era stato quasi sempre lui a spingerlo a spogliarsi dai suoi pregiudizi incancreniti, a dargli una prospettiva nuova sulle cose. Non voleva essere una zavorra anche stavolta. Eppure, che alternative aveva? Parlare con il Dott. Conti?
Lui sì che ne sa di donne, valutò fra sé anticipando gli istinti omicidi di Irene nell’assurda eventualità che, fra tutti, scegliesse proprio il direttore per aprirsi.
Avrebbe fatto bene ad attaccarsi una macina al collo e gettarsi nei Navigli da solo, prima che ce lo lanciasse lei.
Ridacchiò teneramente fra sé, immaginandosi il suo viso truce… Dio, quanto gli mancava.
Sbatté le palpebre per costringersi a tornare alla realtà e abbassò lo sguardo sul cassetto della scrivania; senza replicare nulla, tirò fuori le chiavi di Armando per poi avvicinargliele sotto il naso.
L’ho vista stamattina mentre ce le metteva” disse Rocco.
Armando mormorò facendo una smorfia di imbarazzo: “Grazie, Rocco… è una fortuna che almeno la testa io ce l’abbia attaccata al collo”.
Rocco sorrise affrettandosi a rassicurarlo “Ma no, Signor Arma’, deve solo riposarsi un po’. Vada a casa…” ma non riportò lo sguardo sul libro ed esitò.
La cosa non sfuggì ad Armando che colse la palla al balzo per scalfire la barriera innalzata dal ragazzo.
E te? Vedo che fai dei progressi, eh?!” esclamò ironicamente mentre gettava un occhio su quella famosa pagina del libro di Rocco, ormai diventata un fossile.
Rocco accennò a un sorriso insicuro, “non ce la faccio proprio a concentrarmi…” e ancora incrociava timidamente lo sguardo del suo capo, incapace di chiedere aiuto ma con tutta l’aria implorante di chi vuole che gli venga offerto.
Rocco vuoi parl…?” chiese Armando cautamente.
È che mi vergogno troppo” lo interruppe il ragazzo senza nemmeno fargli terminare la domanda.
Armando si sforzò di fingersi impassibile mettendo in atto una strategia che con Rocco funzionava sempre: “Va bene, quando ti sentirai pronto allora…” e accennò a proseguire per la sua strada.
Penso che sia successa quella cosa che aveva detto lei un po’ di giorni fa” insistette Rocco, costringendo Armando a fermarsi, “quella di ‘vedere il peggio nell’altro’”.
Chi ha visto il peggio di chi?” domandò Armando voltandosi di nuovo verso il ragazzo.
Rocco alzò le spalle in maniera un po’ sconsolata “Lei di me e io di lei, forse…” disse Rocco impennando la voce verso la fine, come un interrogativo che stava ponendo a sé stesso.
Ma tu la ami ancora?” chiese Armando, ma la sua era una domanda retorica. Gli si leggeva in faccia.
Il ragazzo annuì senza esitazione inarcando le labbra in un’espressione malinconica.
Allora, come ti ho detto un po’ giorni fa,” concluse Armando rigirando a Rocco le parole che aveva usato poco prima “l’esame è superato!
Bisogna vedere che pensa lei però” esclamò Rocco con fare dubbioso.
E allora chiediglielo, è l’unico modo di saperlo” ribatté prontamente Armando con la sua tipica naturalezza.
Rocco schioccò le labbra in segno di scherno “Signor Arma’, non mi aiuta però, non ci posso andare ‘così’” gesticolò in aria riferendosi alla natura molto vaga della situazione “… lei non lo sa qual è il problema”.
Armando roteò gli occhi e gesticolò spazientito, “Rocco, è difficile darti un consiglio tirando a indovinare, mi hai detto TU che non ne vuoi parlare perché ti vergogni. Deciditi! E allora...!”.
Rocco quasi si sbilanciò sulla sedia per quello scatto e, fra tutte le reazioni che avrebbe potuto avere, si mise a ridere.
Si rendeva conto da solo che era intrattabile, che non faceva altro che contraddirsi, che da quella fatidica lite si sentiva ogni giorno più disorientato perché Irene, nella sua follia, era paradossalmente la sua ‘bussola’, che avrebbe voluto urlarlo al mondo e invece ora, se si fosse deciso ad aprire bocca, avrebbe dovuto farlo prima di tutto per ammettere che l’aveva ferita, allontanata e fatta sentire piccola. Perciò, a quel punto, gli si seccava la lingua e taceva.
Ecco. Solo in quel momento realizzò che non era quindi la natura “intima” della questione a causargli vergogna, bensì il suo stesso comportamento.
 
Be’, ma tutto facile fin qui, no? Quello che aveva dentro seguiva un ordine ben preciso: senso di colpa, poi nostalgia, cui sarebbe seguita la soluzione più ovvia, ossia le dovute scuse con la diretta interessata.
E invece no; ogni volta che ripercorreva ciclicamente questa sequenza si scontrava con la dolorosa verità che, purtroppo, mancava un pezzo:
non sapeva cioè come conciliare quello che provava per lei con il concetto di donna che gli era stato propinato per tutta la vita, o quantomeno di “quel tipo” di donna che esprime e/o desidera provare certe esperienze, quelle che Don Saverio definiva per nulla edificanti.
Amava Irene profondamente ma si era ritrovato a scoprire che lei e quel tipo di donna coincidevano.
Il suo bisogno ‘di pancia’ era quindi quello di raggiungerla ma, se con la mente allungava una mano, non la trovava lì. Era lontanissima.
 
Mi scusi, signor Arma’, mi perdoni. La sto facendo uscire pazzo.” disse Rocco contrito, e Armando espirò decontraendo i muscoli e sorridendogli.
Girò una sedia e si sedette di fronte al ragazzo cercando i suoi occhi, quindi gli mise una mano dietro la nuca per incoraggiarlo, “Devi avere coraggio di chiedere aiuto se è quello di cui hai bisogno”.
Rocco fece un respiro profondo e annuì risoluto, “Va bene, glielo dico”.
Se era un consiglio quello che voleva, lo scotto minimo da pagare era accettare la possibilità di essere deriso. Dio sapeva quanto se lo era meritato.
Irene, quel giorno,” disse sfregandosi nervosamente le mani “mi ha detto che voleva stare con me...
Armando aggrottò la fronte e poi commentò scherzosamente “Si è ricordata presto, sono mesi che state assieme…”.
“…che voleva stare con me… in quel senso” specificò subito Rocco.
Armando spalancò per un attimo gli occhi ed esclamò “Ahhh…”, poi i due si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Per un attimo Armando sembrò rimuginarci sopra, come se per un momento si fosse estraniato dalla conversazione, e, con un cenno inequivocabile di ammirazione, esclamò semplicemente “Però…!”
Rocco reagì all’istante: “Però che…?
Niente… dicevo…” disse Armando gesticolando per spiegarsi “sempre coraggiosissima la signorina Cipriani”.
Lei – lei dice?” balbettò Rocco preso in contropiede.
Armando sogghignò a voler rimarcare l’ovvietà di quell’affermazione “Chiunque dica una cosa del genere al proprio fidanzato, e quel fidanzato sia Rocco Amato, evidentemente non teme rimproveri”.
Quello che non sapeva Armando, il quale aveva piena fiducia nel fatto che Rocco avesse ormai superato certi preconcetti e aveva fatto quel commento solo per esorcizzare un passato ormai lontano, era che ‘rimprovero’ era un termine molto riduttivo in quel caso.
Ma poi vide Rocco abbassare il capo, e fu allora che cercò lo sguardo del ragazzo, allarmato, “… ma tu non l’hai rimproverata vero?
Peggio… le ho detto che una brava ragazza non fa né pensa certe cose” sussurrò Rocco senza alzare gli occhi.
Silenzio assoluto per tre o quattro secondi buoni. Il volto di Armando si indurì visibilmente; si poteva affermare con quasi assoluta certezza che viveva la cosa come il fallimento personale di un padre.
Rocco ma…” fu il suo commento indignato, ma Rocco scattò in piedi senza farlo finire “Lo so, signor Arma’, lo so che sono un cretino, che Lei mi ha insegnato un sacco di belle cose e che Le sembra che invece io non ho capito niente, ma…”
“Non è che ‘sembra’, TU NON HAI capito niente, Rocco” lo corresse fermamente Armando alzandosi a sua volta “ho perso il conto di quante volte abbiamo affrontato questo tipo di discorsi!”.
Rocco incassò il colpo e si passò lentamente una mano sulla fronte “Signor Arma’, LO SO” insistette “e, come Le ho detto, ‘cretino’ me lo dico pure da solo, ma è inutile che adesso si mette a urlare, questa cosa è GIÀ successa ormai e non la posso cambiare!”.
Armando riprese, se possibile anche più furioso di prima, gesticolandogli davanti al viso, “Ma CONTINUERÀ a succedere, è quello che non capisci! Continuerà a succedere se continuano anche solo a passarti per la testa certe idee antidiluviane” concluse, cercando di riprendere fiato.
Rocco non ribatté con la stessa veemenza. Tutt’altro. Era... sconfitto.
E secondo lei perché sono qui? … voglio provare a capire…” mormorò mentre si appoggiava al bancone.
Armando vedendolo così distrutto, si ammorbidì e si avvicinò a lui: “Rocco, io non posso aiutarti se continui a vedere le donne su un piano diverso rispetto agli uomini, se continui a pensare che un uomo abbia il diritto di avere certi desideri e una donna no”.
Rocco si riscosse. No, in questo non si riconosceva. Il sé di qualche anno prima sicuramente sì, ma ora era diverso e molte delle cose che il signor Armando gli aveva insegnato le aveva interiorizzate davvero. Diamine, Irene non guardava nemmeno nella sua stessa direzione quando era un bifolco appena arrivato a Milano con quelle idee così grette in testa. Né tantomeno lui guardava una ragazza così fuori dalle righe come lei, a dirla tutta.
Ma è proprio questo il punto signor Arma’, vale pure per me che sono uomo, se una cosa non si fa, non si fa” asserì categoricamente “io non li faccio certi pensieri” disse poi abbassando lo sguardo.
Armando cercò nuovamente i suoi occhi per vedere fino a dove arrivavano le bugie che Rocco era capace di raccontare a sé stesso.
No, scusa, mi vuoi dire che tu, che non hai nemmeno trent’anni e sei innamorato pazzo di questa ragazza, quando sei con lei – l’abbracci, la baci, la guardi, la accarezzi – NON provi certe sensazioni…” lasciò la domanda in sospeso in segno di esasperazione, ma gli si leggeva in faccia che le parole mancanti erano le stesse di un’occasione risalente a circa un anno prima, quando gli disse che ‘c’è un limite alle stupidaggini che una persona può sentire nell’arco di una giornata’, “guarda, dimmelo che ti porto da un medico Rocco eh, scusa la franchezza…” concluse.
Rocco si infiammò all’istante per l’imbarazzo, “NO, Signor Arma’, dove devono funzionare le cose, funziona tutto!” disse categoricamente “e non ho bisogno di nessun medico, grazie mille,” perché imbarazzato sì, ma c’era anche una punta di orgoglio nelle sue parole, “quello che volevo dire è che io mi sforzo di non fare certi pensieri, perché so che non lo posso fare, non lo DEVO fare.” concluse con esitazione, con un’espressione che Armando fece fatica a decifrare; non si capiva se la sua fosse vera convinzione o pura e semplice autoimposizione.
Nel dubbio, Armando decise di essere condiscendente “Rocco, questo va benissimo, per TE, è uno stile di vita che TU vuoi seguire, ma con tutti gli altri che invece li fanno questi pensieri” disse imitando le parole di Rocco “che facciamo? Li portiamo davanti a un tribunale per ‘violazione della morigeratezza’?” sottolineò platealmente Armando con un tono a dir poco sarcastico.
Rocco esitò, corrugando la fronte nel tipico sguardo di chi non ha capito un termine astruso, ma va avanti lo stesso perché ha afferrato il senso generale.
Ma a me infatti gli altri non mi riguardano, signor Arma’, Irene sì però, è LEI la mia fidanzata, come facciamo se lei la pensa diversamente su questa cosa?” chiese Rocco sbracciandosi per l’affanno.
“Immagino che non lo scoprirai mai visto che l’hai fatta scappare dandole praticamente della poco di buono” ribatté Armando con voce neutrale.
Con il braccio appoggiato alla sedia e la mano che sosteneva pigramente il viso, se lo rimirava, come quando si osserva qualcuno che sta per sbattere contro il muro dei propri sensi di colpa ma si astiene dall’intervenire perché la salvezza arriva proprio dallo schianto stesso.
Rocco rabbrividì, come ogni volta che gli ripassavano davanti gli occhi di Irene, pieni di umiliazione e poi di gelo, ed è lì che si ripresentava il girone infernale da cui non veniva fuori.
Mi dispiace…” sussurrò perché, appunto, non riusciva ad andare oltre.
Rocco, puoi dire ‘mi dispiace’ all’infinito, ma finché non ti chiederai QUI” e con una mano gli toccò il petto in corrispondenza del cuore “perché ti è anche solo passato per la testa di chiamarla in un certo modo o di pensare di lei certe cose, il problema si ripresenterà sempre” disse, stavolta con rinnovata tenerezza.
Rocco incontrò lentamente gli occhi di Armando, ma rimase interdetto senza riuscire a rispondere. Allora Armando, capendo che aveva bisogno di ulteriore guida, proseguì “Che cos’è che ti fa DAVVERO paura di questo suo modo di pensare?
Rocco mosse velocemente gli occhi come quando si sta elaborando un pensiero a fatica “Di non essere abbastanza. Che lei poi si stufa di me, perché non le posso dare questa cosa che lei vuole.
Va bene” disse Armando riflettendoci un po’ “E questo è un dubbio legittimo. Ma allora perché non le hai detto questo?
… perché-perché se n’è andata…” disse Rocco con voce tentennante.
Armando cercò il suo sguardo, nell’ennesimo tentativo di farlo arrivare alla verità “E sappiamo anche il perché… non credi?
Rocco, ancora una volta, tacque. Quelle risposte imbronciate e goffe, quel mettersi sulla difensiva, erano un chiaro segnale che stava prendendo tempo perché gli era difficile, quasi insormontabile, fare i conti con sé stesso.
Rocco…” insistette Armando docilmente, “io non so se lei te l’ha detto perché non le basta più la relazione così come sta, non la conosco abbastanza per darti questa risposta, o se te l’ha detto per…” esitò per cercare le parole “convincerti a pensarla come lei. Di questo ovviamente dovreste parlarne voi due. So soltanto che se fosse stata solo la paura di perderla, non ci sarebbe stato alcun bisogno di farla sentire come una sgualdrina”.
Altra sferzata in pieno volto. Stavolta però il ragazzo prese pian piano la parola. “Signor Arma’, come glielo devo spiegare. È che io non ci sono abituato a donne che parlano così, che c’hanno sti grilli per la testa…” gesticolava pieno di frustrazione.
Ecco, la cosa ha a che fare eccome con una donna, altroché!, pensò Armando.
“…Anzi no”, si corresse Rocco andando avanti. “Ci sono pure troppo abituato” e strinse gli occhi senza specificare. Armando se ne accorse. “Cioè sono donne che quasi sempre passano pure da un uomo all’altro con facilità…
Armando aggrottò le sopracciglia, concludendo ormai che quello che bloccava Rocco aveva tutta l’aria di essere un trauma del passato.
Certo, c’era la solita vecchia ‘scusa’ della forte educazione religiosa caratteristica dell’ambiente in cui era cresciuto, ma ormai da sola non bastava a giustificare la sua ottusità sull’argomento. Non dopo due anni di trasformazione in una persona immensamente più aperta e a tratti persino illuminata.
Armando si riscosse da quella riflessione e scrutò il ragazzo con attenzione.
Se ne stava lì con le spalle ricurve e i pugni chiusi. Sembrava uno scricciolo indifeso.
Era evidente quanto quella verità mai espressa lo facesse - anche visivamente - ripiegare su sé stesso.
Armando gli prese le mani, come forse mai aveva fatto.
Rocco sobbalzò impercettibilmente, anche lui sorpreso dal gesto. “Ha a che fare con quella donna che ti ha fatto del male? Quella di cui non hai mai voluto parlare?” chiese Armando a bassa voce, con la stessa cautela che si ha vicino a un servizio di cristallo.
Rocco si irrigidì al sentirsi menzionare quel ricordo ma poi, sapendo che ormai non aveva più senso tenergli nascosta quella verità, annuì lentamente e disse: “Mia madre”.

Finalmente.
Quelle due semplici paroline rimbombarono nelle orecchie di Rocco come se ancora non credesse di averle pronunciate e colpirono Armando quasi in egual misura. Tra tutte le persone che questi si aspettava di sentirsi menzionare, la madre era proprio l’ultima della lista. Agnese non aveva fatto altro che cantarne le lodi.
Tua madre?” chiese Armando confuso.
Rocco fece di sì con la testa “Io le sentivo le voci della gente in paese, quando dicevano che non ero figlio di mio padre…” disse a bassa voce, nell’inconscio timore che qualcuno potesse origliare nonostante fossero soli in tutto l’edificio.
Armando ascoltava, sempre più sorpreso.
… e sicuramente c’avevano ragione” proseguì Rocco “visto che mio padre mi ha sempre trattato malissimo. Ma questo già Lei lo sa da un sacco di tempo”.
Armando rimuginò per qualche secondo prima di prendere la parola, “Rocco non lo sapevo, mi dispiace”. Il ragazzo fece cenno con la testa per accettare le parole di compassione.
“…soprattutto mi dispiace che questa cosa ti abbia fatto sentire ‘sbagliato’. Che tuo padre ti abbia fatto sentire sbagliato, che il paese ti abbia fatto sentire sbagliato…” concluse Armando.
Certo! Come un figlio bastardo” ammise Rocco con il viso torvo. Si vedeva che aveva ancora tanta rabbia dentro.
Non usare queste parole Rocco, per favore, dai…” lo pregò Armando quasi implorando pietà.
Eh, Signor Arma’, posso pure non usare questa parola, ma comunque è quello che sono… e tutto questo tempo ce l’ho avuta con mio padre ma lui si può pure comprendere perché è mia mamma quella che ha sbagliato. Se sono un bastardo è solo colpa sua, così come diceva la gente” decretò Rocco con ovvietà.
La gente, eh?” chiese Armando per provocarlo.
Rocco alzò il mento per assentire.
“Quante volte devo dirti che non perché una cosa la dice o la fa la gente allora è giusta? Rocco, tu non sei un figlio bastardo, SEI UN FIGLIO, e basta, senza nessun altro aggettivo vicino”, disse Armando tutto d’un fiato. Poi, come colto da un pensiero che non faceva altro che ripetergli in altre parole da due anni aggiunse:
E di quella che tu chiami ‘gente’ fai parte anche tu”.
Che vuole dire con questo?” chiese Rocco, come colto di sorpresa.
Dico che in questo momento stai mettendo tutto in un grosso calderone e stai giudicando la situazione così come fa la gente”, disse Armando senza paura alcuna di ferire i suoi sentimenti “senza pensare e senza rifletterci”.
Invece ci penso bene, Signor Arma’, ci penso eccome” controbatté Rocco all’istante, offeso, “infatti a me proprio non mi sembra giusto che mia madre ha messo le corna a mio padre, perché mo’ non mi venga a dire che pure mettere le corna è giusto!”.
Armando incassò il colpo, pensando immediatamente alla sua storia segreta con Agnese. Fece per aprire bocca, ma tacque perché non poteva, per ovvi motivi, tirar fuori quell’esempio. Si sentiva però certamente chiamato in causa perché, sebbene fosse la cosa più riduttiva e degradante del mondo descrivere la propria amata come “una donna che mette le corna al marito”, agli occhi della società era incasellabile proprio in quella categoria, e prima o poi avrebbero dovuto superare il fatidico scoglio rispondendo a commenti come quello appena proferito da Rocco.
Ma questa era un’altra storia.
È riduttivo e degradante dare un giudizio simile, ribadì a sé stesso Armando, e Rocco doveva capirlo.
A parte il fatto che non sai cosa possa aver spinto tua madre a fare una cosa del genere, soprattutto perché da figlio ci sono cose di tua madre e tuo padre come coppia che non potrai mai capire…” e menò la mano per l’aria con il tipico gesto perentorio, sperando fortemente che Rocco non capisse quanto gli stava a cuore l’argomento.
… il discorso del tradimento di tua madre non c’entra niente e lo sai anche tu”.
E Rocco incrociò gli occhi di Armando, rendendosi conto che gli aveva appena letto nell’anima, per poi distogliere lo sguardo in segno di rifiuto.
Guardami Rocco!” gli ordinò Armando.
E Rocco pian piano si voltò di nuovo verso di lui.
Rocco, sono passati due anni da quando ti sei trasferito qui. Ora, ho davvero bisogno di spiegarti che” e lì fece una pausa già anticipando il rossore in volto di Rocco “voler fare l’amore con la persona che si ama” rossore che non si fece attendere “non ha niente a che vedere con la capacità di essere ‘fedeli’?” chiese Armando con voce retorica.
Davvero non ci arrivi da solo, dopo tutta la strada che hai fatto?” insistette.
… Silenzio.
Lo so…” mormorò Rocco dopo un po’.
Obiettivamente lo sapeva, lo sapeva anche da solo, che la sua era stata principalmente incapacità di controllare e in primis discernere le proprie paure, ma…
 
E allora che ci facciamo qui, Rocco?! Perché continui a pensare che Irene sia una persona che ha addirittura dei grilli per la testa” scimmiottò le parole di Rocco, visibilmente alterato, “e invece, se chiedi la mia opinione, ha semplicemente avuto il coraggio di ammettere ad alta voce il desiderio più naturale di questo mondo, a differenza di tutti gli altri” rimarcò puntando il dito contro una platea immaginaria “che, per mantenere la bella faccia di fronte A QUELLI COME TE, o negano o rimangono zitti!”.
E quelle parole di Armando continuarono a trafiggere Rocco da parte a parte.
Gli tornò in mente quello che il suo mentore aveva detto poco prima: “coraggiosissima la signorina Cipriani”. Una cosa che era per Armando così lapalissiana, fino al punto da scherzarci su, e che invece lui, che era il fidanzato di Irene, non aveva saputo riconoscere.
Lei l’aveva conquistato NON senza paure, aveva scavalcato la barriera del proprio carattere schivo, e quella della testardaggine di lui, tanto era forte quel ‘ti amo’ che sentiva di dovergli gridare, e stavolta gli aveva messo a nudo quella parte di sé pur anticipando un possibile, anzi quasi sicuro, scontro.
Fu così che le lacrime cominciarono a rigargli il volto.
Sapeva che quello che aveva dentro era ancora una matassa informe di idee poco chiare, ma voleva provare, come esercizio, a descriverle ad alta voce nel tentativo di sbrogliarle.
Non lo so, signor Arma’, non lo so perché l’ho detto, non so perché l’ho pensato, forse è solo perché non ci ero abituato… e come dice Lei” fece spallucce “ho paura che le persone che parlano così liberamente è più facile che si stufano, se ne vanno, scelgono un’altra persona…?” mormorò timidamente. Non sapeva se quel filo di pensieri avesse senso, molto probabilmente no, ma non sapeva fare di meglio.
Armando scosse teneramente la testa. “Rocco, se pensi che ‘queste persone’” ripeté sarcasticamente, come a voler rimarcare che Rocco le vedeva quasi come una specie aliena, “siano più inclini a tradire, sei proprio fuori strada. Perché si può essere ‘licenziosi’ e disinibiti rimanendo fedeli alla stessa persona per tutta la vita”, sul momento Rocco non capì bene il perché, ma quelle parole lo intrigarono particolarmente e sentiva che prima o poi le avrebbe comprese, “e d’altro canto la persona più casta e pura di questo mondo tutt’a un tratto può innamorarsi di qualcun altro e così tradire il proprio consorte anche con un solo sguardo…” disse Armando rimanendo sul vago e pensando, di nuovo, alla sua Agnese.
Erano passati mesi, se non addirittura un anno intero, prima che si toccassero in maniera inequivocabile, eppure, ogni volta che usciva il discorso con lei, Agnese si sentiva di essersi macchiata di adulterio fin dai primissimi tempi, quando si trattavano ancora con deferenza, si scambiavano solo degli sguardi furtivi o addirittura non si incrociavano per giorni e giorni.
Per lei i sentimenti verso il marito erano semplicemente sfumati.
Eppure, nella sua vita non aveva mai avuto quelli che Rocco chiamava “grilli per la testa”, anzi, aveva fatto tutto secondo le pie regole impartitele.
Purtroppo, però, nemmeno questo poteva dire a Rocco. Non ancora.
Per adesso il ragazzo doveva accontentarsi di credergli sulla parola.
Lei-lei dice?” lo riscosse Rocco da quei pensieri mentre si asciugava il volto con il dorso della mano.
Armando annuì energicamente. “È tutta una questione di cuore, sta tutto QUI” e gli toccò di nuovo il petto, per la seconda volta quella sera, e, se poco prima gli aveva suggerito di guardare dentro il proprio di cuore, ora gli stava suggerendo di guardare quello di Irene.
Perché aveva ‘sentito’ Irene, ma non l’aveva davvero ascoltata, aveva ‘visto’ i suoi occhi mentre lei proferiva quelle parole, ma non l’aveva davvero guardata.
Ed era successo per un semplice motivo: perché aveva fatto a sé stesso il medesimo sgarbo, quello di brancolare nella nebbia delle sue idee prefabbricate.
Le lacrime continuarono a scendergli a rivoli sulle guance.
Tu dici di aver reagito così perché in fondo hai solo paura di perderla” continuò Armando, “ma non hai mai pensato che anche lei potrebbe aver avuto la stessa paura? Dopo tutta la pazienza che ha avuto con quella tua testa dura, non ti sei ancora convinto che ti ama?”
A ridestare Rocco dal suo atteggiamento di ascolto non fu la battuta bonaria di Armando, bensì il dubbio atroce insinuatogli da questi: che cioè lui poteva aver condannato entrambi al terrore che la loro potesse essere una separazione definitiva.
E non aveva nemmeno la certezza che lei si sentisse davvero così, ma già al sol pensiero si sentiva franare la terra sotto i piedi.
Voleva rassicurarla, scusarsi, convincerla che si sarebbe impegnato per dimostrarle che poteva essere ancora alla sua altezza e un mucchio di altre cose che, per quanto ancora confuse, sarebbe stato meglio farle sapere, che tacere; che, per quanto ancora confuse, voleva chiarire non più grazie ai bei consigli di qualcuno, ma parlando CON LEI.
E tra tutte le cose che aveva capito quella sera grazie ad Armando, questa era sicuramente la conquista più grande.
Scattò in piedi all’istante, così facendo sobbalzare anche Armando.
Voglio andare a parlarci adesso, signor Arma’” tirò su con il naso per ricacciare indietro le ultime lacrime.
Adesso?! Ma Rocco ma lo sai che ora è?” domandò Armando sbigottito.
No, è importante?” chiese Rocco con fare risoluto.
Eh be’, direi di sì, è mezzanotte! Potresti prenderti una ciabatta in fronte non solo da Irene ma anche dalla signorina Colombo” scherzò Armando.
Rocco schioccò le labbra, deluso, misurando nervosamente la stanza a grandi passi.
Aveva fatto passare diversi giorni per parlare con lei e proprio in quel momento inopportuno lo assaliva la paura che il tempo gli stesse scivolando dalle mani.
Guarda che non cambia niente se ci parli domani” lo rassicurò prendendolo per la nuca.
Rocco annuì, poco convinto.
Spero solo che mi perdoni e che non è troppo tardi” suonava melenso, lo sapeva, ma quel desiderio gli uscì dalle labbra così, di getto, tanto era forte il suo timore.
Non lo è mai quando ci si ama” lo confortò Armando.
Rocco sorrise, più tranquillo, “Grazie Signor Arma’”, sussurrò con profonda gratitudine. “Lo so che non è facile stare appresso a sta zucca vuota”.
Quello è vero, talmente vuota che ancora non ci entra l’uso del congiuntivo” lo prese alla sprovvista strofinandogli le nocche sulla testa.
E i rispettivi ‘ma va’, ‘ne avessi azzeccato uno’, ‘dai, uno sì’, ‘certo, di questo passo l’esame non lo supererai mai’, insieme alle loro risa, si dissolsero nell’aria gelida delle strade milanesi.
 
Quella sera, per quanto lo avesse tranquillizzato Armando, Rocco non riuscì ad appoggiare la testa sul cuscino, la tenne invece tutta la notte contro il muro in comune con la stanza di Irene, disegnandovi di tanto in tanto delle linee a caso con i suoi polpastrelli, nell’inconscio tentativo di sentirla più vicina.
Anche quel gesto poteva sembrare patetico e melenso e, se qualcuno l’avesse visto in quel momento, avrebbe giurato che stesse uscendo di senno.
Ma lui sorrise noncurante; per la prima volta la prospettiva di quel qualcuno immaginario gli era totalmente indifferente.
Per Rocco era solo sentore che stava per ritrovare la sua bussola.

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Capitolo 4
*** Pero nadie me llame cobarde sin saber hasta donde la quiero ***


PERO NADIE ME LLAME COBARDE SIN SABER HASTA DONDE LA QUIERO 

 

Può andare in cassa con questo, grazie” disse Irene porgendo una maglia di kashmir rossa a una delle clienti più affezionate del Paradiso. “E torni presto a trovarci!” aggiunse con un sorriso affettato che persino la Moreau avrebbe giudicato esagerato se l’avesse osservata in quel momento. Come se fosse facile farsene venire uno più sincero nelle primissime ore di una fredda giornata lavorativa. 

Che voglia ha la gente di fare compere a quest’ora, non avessi niente da fare io di prima mattina, altro che compere, fu il commento che le uscì di getto tra sé e sé, e ringraziò Dio che non le fosse scappato ad alta voce.  

Espirò rumorosamente poggiando entrambi i palmi delle mani sul bancone della sua postazione e ciondolando la testa per un momento.  

Ma cosa le diceva la testa: ADORAVA fare compere e un’uscita con le amiche per quel proposito era forse una delle pochissime cose per cui avrebbe volentieri interrotto il suo sonno mattutino non avendo l’incombenza del lavoro. Si innervosì ulteriormente realizzando che era proprio la sua agitazione quella che toglieva il sapore alle cose che le piacevano e… le rendeva ancora meno sopportabili quelle che non le piacevano. 

E questo cosa accidenti significa? - sbuffò interrogandosi, ancora una volta, grazie a Dio, in silenzio. 

Inconsciamente provò a spiegarselo pensando ai caloriferi.  

Ai caloriferi? Sì, ai caloriferi. 

Ecco, nonostante stessero funzionando a pieno regime, non erano affatto sufficienti a riscaldare tutto l’ambiente della galleria e molto meno lei, che già poco sopportava quella stagione, attraverso la stoffa sottile della divisa. 

Un brivido le percorse la schiena e tremò. Chiuse gli occhi per un attimo… 

 

 

A Rocco non sfuggì quel tremore incontrollato e sorrise teneramente. “Chiattidda, c’hai i brividi? 

Irene non rispose niente, fece solo una smorfia, ma le sue labbra già si inarcavano in un sorriso mentre lui si avvicinava per circondarla da dietro.  

Mmmmh” mormorò “Lo sai che odio l’inverno” e si beava di come la teneva stretta. 

Shhh” Rocco le sussurrò nell’orecchio. Innocentemente, di sicuro. Ma in quel modo che suscitava in lei sempre pensieri poco compatibili con il luogo di lavoro. Premette delicatamente i propri palmi contro il dorso delle mani di Rocco. Era il suo modo per dirgli che avrebbe continuato a lamentarsi a oltranza perché la somministrazione di quelle ‘cure’ non finisse mai. 

Dai che adesso arriva la neve”. Bacino sulla guancia. “… e poi il Natale”. Altro bacino. “… e le luci”. 

Irene scostò la testa per guardarlo in volto. 

Ma io. Sento. Freddo.” scandì, ora con un sorriso più divertito. 

Seh seh” disse lui con aria di sfida “dopo lo vedi, quando ti tiro le palle di neve e le devi schivare, se senti ancora freddo”. E le stampò un bacio più lungo che la fece sbilanciare e ridere di gusto. 

Poi le strizzò il fianco con i polpastrelli in segno di sprone e la esortò “Forza, al lavoro”.  

 

… un attimo che fu sufficiente a farla sognare.  

Ecco che significa, ammise riluttante: che senza Rocco non riusciva ad apprezzare le cose che pure le piacevano e tollerava ancora meno quelle che già non le piacevano. 

Spalancò gli occhi, terrorizzata dalla vergogna preventiva che qualcuno potesse averla sorpresa in quel momento di ‘rapimento’. 

Era sicura che le sue compagne avrebbero riso a crepapelle perché, se i ruoli fossero stati invertiti, sarebbe stata la pena a cui avrebbe bonariamente condannato loro, tacciandole di romanticone. 

Constatando che fortunatamente il mondo non girava intorno a lei, tornò a occuparsi della vergogna che invece sentiva nei confronti di sé stessa, dinanzi all’amara conclusione che si era ridotta a fare questi pensieri da rammollita, mentre piuttosto avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che era arrabbiatissima con Rocco. 

Sbatté le palpebre e si mise nervosamente a ripiegare i capi che stava visionando la cliente appena andata via. 

Ci aveva provato ad essere paziente, ripetendosi che Rocco doveva “capire delle cose”, così come aveva riferito a Stefania; voleva capire che avesse bisogno di tempo per metabolizzare, ma erano passati la bellezza di quattro giorni e la natura impaziente di Irene stava tornando a farsi strada suggerendole che lui non sentisse il bisogno di capire proprio un bel niente.  

Ti preoccupi per quattro giorni? Devi ringraziare il cielo se gli bastano quattro mesi, le ricordò la parte più obiettiva di sé.  

Alzò lo sguardò e lo vide entrare in galleria. Stesso pugno nello stomaco che la colpiva puntualmente alla vista di lui. 

Perché è così bello quando sorride…? - pensò prima che potesse impedire a sé stessa di far prevalere l’istinto.  

Scoppiò mentalmente quella bolla di venalità in cui era avviluppata nel momento stesso in cui realizzò che quel sorriso non era per lei. 

Quanta drammaticità, le disse la sua coscienza, non starà mica sorridendo perché deve andare a sposarsi, è sicuramente un sorriso di circostanza rivolto a … chi 

Da quell’angolazione non riusciva a scorgere chi delle ragazze si trovasse in quel momento dietro la colonna. 

Né gli interessava. Le bastava sapere che il primo sorriso che vedeva sul viso di Rocco da giorni non fosse per lei.  

Più capricciosa e viziata di una bambina che pretende di pranzare con la cioccolata, la criticò la sua coscienza senza misericordia. 

Ma la parte più pessimista di sé proseguì imperterrita.  

Vederlo con un volto anche impercettibilmente disteso le esaltava ancor più il contrasto con il suo stato d’animo divorato dai tormenti e la portava a dedurre facilmente che Rocco stava bene così, che non solo non aveva capito di doverle delle scuse – quello era chiedere la luna apparentemente – ma non aveva nemmeno la banale ‘curiosità’, se non altro, di capirci di più grazie a una conversazione con lei. 

Certo, perché tu in questi quattro giorni hai cercato una conversazione almeno un’infinità di volte, vero? – la rimproverò quella voce. 

Touché. Si morse il labbro, colpevole. 

Be’, meglio che io non l’abbia fatto. Almeno ora ho capito che è sereno anche senza di me. 

Le si fermò l’aria in gola per la frustrazione e si voltò bruscamente, dirigendosi verso Dora in cassa con una scusa qualunque. 

 

+++++ 

 

Nonostante la notte quasi totalmente insonne per l’agitazione, l’ottimismo di Rocco quella mattina faceva invidia a un corridore che sta per spararsi una tappa da quasi duecento chilometri. Non che fosse certo che Irene lo avrebbe accolto a braccia aperte. Anzi, a giudicare da come sapeva che (non) l’avrebbe accolto, dovette concludere che la sua era più che altro incoscienza. Gli rivennero in mente in un baleno le ultime parole di Armando prima di congedarsi la sera prima. 

‘Se vai da Irene a quest’ora, ti tira una ciabatta’. 

Rocco non aveva specificato ad Armando che quella frase era imprecisa. 

La più breve ‘Se vai da Irene, ti tira una ciabatta’ era invece quella corretta. 

Posò frettolosamente sul bancone del magazzino giacca e chiavi, mentre nel frattempo escogitava la strategia più giusta per avvicinarla.  

‘Avvicinarla’? Matri mia, mancu fussi nu scimmiuni (‘mamma mia, neanche fosse un gorilla’, n.d.a.) 

Rise apertamente fra sé – meno male che era ancora solo in magazzino – per tutte quelle considerazioni sulla propria fidanzata, che si spingevano fino al punto di assimilarla a un gorilla arrabbiato da dover trattare con docilità.  

E poi rise di sé stesso. Rise di quanto tutto questo NON lo dissuadesse affatto. 

Anzi. Assurdamente non vedeva l’ora che arrivasse quel momento.  

Era però banale dire che la sua era semplice nostalgia, al pari di quella di un adolescente alla prima cotta che dice: ‘se necessario mi sorbisco anche la noia delle sue rimostranze pur di rivederla’. 

No.  

Stava realizzando che, dopo quei giorni di nebbia fitta, la conversazione con Armando era stata provvidenziale a tal punto da restituirgli l’apertura necessaria per incuriosirsi e cercare di decifrare il diverso che era in lei.  

Era come se gli avessero staccato dalle caviglie la prima grossa pietra che lo teneva ancorato a terra. Parlare con lei, pur litigandoci, avrebbe solo potuto alleggerirlo ulteriormente.  

Un atteggiamento spigoloso di Irene non avrebbe quindi mai potuto scacciarlo. Il contrario.  

Poi, facile… innanzitutto stavolta se lo era meritato davvero; non solo, gli avrebbe anche ricordato quello che amava di lei:  

ovvero che non fosse ovvia o prevedibile, di quanto fosse capace di dargli una prospettiva diversa sulle cose, la quale, combinata con la sua, chiudeva il cerchio e formava una prospettiva completa. 

Che Amare con la A maiuscola non significasse proprio questo?  

‘Superare l’esame’ di cui parlava Armando tempo addietro e ripartire più uniti di prima? 

Sì, però basta pensare mo’, hai pensato pure troppo, si disse, ancora col sorriso sulle labbra, e, mentre si avviava a passo fermo verso la galleria, si abbandonò a quell’unica tentazione di ragazzo in preda agli ormoni in cui di solito non si riconosceva. 

Trepidare per quegli occhi verdi.  

Che, per la precisione, non incrociava da quella famosa sera sulla soglia di casa. 

Ecco, vederli inviperiti non gli dispiaceva affatto; anzi, a nessuno avrebbe potuto negare che la trovava bellissima anche da arrabbiata. 

 

*** 

Entrò in galleria trafelato (o uscì sulla galleria? Non capiva mai qual era il dentro e qual era il fuori) in cerca di… Stefania. 

E LA vide. 

Irene. Vide Irene. 

Proprio in quell’istante si stava voltando per andare in cassa. 

Rocco si riprese da quella prima sconfitta della giornata in una frazione di secondo, per di più con fare impertinente. 

Guarda caso, chiatti’, pensò Rocco ridacchiando tra sé e sé, perfettamente consapevole del fatto che quella di Irene era una precisa intenzione di non incontrare il suo guardo, più che una vera coincidenza. 

Ma tu pensi che questo mi scoraggi a me? - pensò d’istinto, ‘sfidando’ Irene come se fosse davvero la sua interlocutrice. 

Ecco, ho pensato pure al congiuntivo giusto; sennò va a finire che la fanno scappare prima i miei errori che il resto. 

Indubbiamente continuava ad affrontare il tutto con buonumore.  

Durante queste riflessioni si trovava già nella postazione di Stefania, proprio dietro la colonna, eppure non la vedeva.  

Al suo posto c’era solo l’appendiabiti, particolarmente zeppo di capi quel giorno. 

Poi lo aggirò ed eccola che era lì. 

Stefa’!” esclamò Rocco. 

Rocco, buongiorno” esclamò lei in risposta, con lo stesso tono allarmato. 

Eh, buongiorno pure a te, ma uno che ti cerca che deve fare, la caccia al tesoro?” chiese Rocco allegro. 

Rocco, Rocco, Rocco, per favore” implorò in una litania, alzando una mano in segno di pietà, come se quel giorno le desse fastidio pura la voce delle persone, “sei troppo allegro stamattina per i miei gusti, guardati intorno” indicando la folla di clienti che popolava il Paradiso già così presto “ne vedi motivo? 

Sì! Perché stasera mi mandi Irene in magazzino con una scusa”, disse Rocco deciso, “grazie mille” aggiunse, per compensare senza successo quel fare pretenzioso. 

Difatti Stefania se lo guardò di traverso lo stesso. Praticamente se l’era cantata e se l’era suonata tutta lui. 

Ma non dovevi capire delle cose tu?” chiese sospettosa. 

Per quello ci voglio parlare, perché sennò? Perché le ho capite!” rispose Rocco con ovvietà. 

Ecco. Secondo me no invece, perché tra le tante cose che avresti dovuto capire, c’è anche quella di dover prendere le cose di petto” lo rimproverò Stefania. 

Nchesenz?” chiese Rocco corrugando la fronte. 

Stefania lo guardò di sottecchi senza rispondere. Non se la beveva proprio che Rocco non sapeva a cosa si riferisse, piuttosto faceva il finto tonto, ne era sicura. 

Non fanno così tutti gli uomini quando non gli conviene rispondere? pensò, con una sfiducia nel genere maschile sempre più avvicinabile a quella della sua coinquilina. 

Poi Rocco riprese, così dandole ragione. “Ma infatti io ‘di petto’” disse ripetendo quelle parole e dandosi un colpetto sul petto “ti sto chiedendo se puoi fare qualcosa per mandarla in magazzino” poi si mise a mani giunte e cercò di addolcirla con un sorriso, “per favore… 

Ma non puoi, che ne so,” fece gesticolando “invitarla a cena fuori come le persone normali? Anzi no, come i veri uomini???” si corresse suscitando in Rocco un’espressione a dir poco seria. 

Stefa’, mo’ non te ne uscire co’ste allusioni alla galanteria – e si fece i complimenti da solo che gli fosse venuto in mente quel parolone – per prima cosa, al ristorante cci si va quando si va d’amore e d’accordo, non quando ci si deve urlare in faccia, seconda cosa,” e si servì delle dita per elencare “fuori per strada fa freddo, se non te ne sei accorta, a casa locu (‘lì’, n.d.a.) possono ascoltare e non mi va, e figurati se va a Irene. Quindi, che alternative cc’ho?! 

Accidentihai pensato proprio a tutto” disse Stefania a braccia conserte, senza inflessioni, non volendo dargli la soddisfazione di ammettere che forse poi tutti i torti non ce li aveva. 

Certu” annuì Rocco orgoglioso. 

Stefania fece per ammorbidirsi ma poi ci ripensò, perché lei era così ogni tanto, si fissava sul ‘principio’, “E va bene, scegli tu il posto per litigare, ma comunque devi chiederglielo tu”. 

Ti pare facile. Non mi guarda nemmeno più in faccia disse Rocco cedendo lievemente allo sconforto. 

Mmmmmhhhh” cantilenò Stefania spazientita “mi avete stancata tutti e due con questi atteggiamenti infantili. Quella risponde male ogni sera da quando non sta con te e io devo stare attenta a schivare i suoi morsi…”  

Al ché, Rocco alzò lo sguardo illuminandosi in volto. “Tu ‘la guardo ma non mi guarda’” disse scimmiottandolo “che neanche all’asilo parlano così. Siete patetici e mi avete stufata”. 

Ma Rocco non aveva colto praticamente nulla di quell’ultima parte.  

Ah sì?!” chiese lui con un sorriso da parte a parte, che però la ragazza non poteva vedere, tanto era affaccendata con quell’appendiabiti. 

Sì, sì” assentì vigorosamente con la testa “mi avete stancata”. 

Noooo, non hai capito, volevo dire, davvero è nervosa da quando non sta con me?” chiese Rocco con occhi speranzosi. 

Non sapeva neanche lui perché avesse percepito quella come una vera e propria rivelazione; era ormai lontano da quei dubbi atavici risalenti a un’epoca in cui non riusciva a convincersi che Irene ci tenesse davvero a lui; se lo spiegò pensando che forse, in quella particolare circostanza in cui il loro rapporto era stato messo a dura prova, non era più sicuro di niente. 

Stefania, dal canto suo, roteò gli occhi davanti a tanta melassa. E davvero non capiva perché il fatto che una ragazza che si trasforma in una iena per semplice nostalgia del suo fidanzato fosse percepito come qualcosa di anche solo vagamente romantico. 

O forse lo capiva ma faticava ad ammetterlo, dato che, come aveva confessato a Irene in altre parole, pensava di essere ormai destinata a finire i suoi giorni come una vecchia zitella appassita.  

Eccone un altro” commentò sconsolata scuotendo la testa. 

Rocco, col cuore in gola e con il cervello che gli andava come i cricetini su una ruota, tagliò corto per congedarsi.  

Sicuramente Stefania non aveva tutti i torti, era LUI a doversene occupare direttamente, senza contare che senz’altro anche Irene l’avrebbe apprezzato di più. 

Vabbene, ho capito Stefa’, non fa niente, me la vedo io” le disse, con quel sorriso che non si smuoveva di un centimetro, “e tu nt’aggita’ così tanto. Più pane e zucchero la mattina, cia’!” e le diede un colpetto sulla spalla a mo’ di saluto, con una faccia insolente che Stefania fulminò con gli occhi. 

Dillo alla tua fidanzata che deve essere più dolce, non a me che sono un barattolo di miele!” gli gridò mentre lui si stava già allontanando. 

E Rocco si girò di nuovo verso di lei camminando a ritroso per risponderle a tono: “Glielo direi pure, ma tu non mi aiuti” scherzò, ma in realtà lo disse solo per irritarla ulteriormente, come un fratello maggiore quando fa dispetto alla sua sorellina. 

Con la testa era ormai lontano anni luce da quella richiesta d’aiuto a Stefania perché, essenzialmente, sapeva di non averne più bisogno. Non riusciva a togliersi dalla testa che Irene fosse nervosa e tesa quanto lui e questo, paradossalmente, lo placava.  

E così sgattaiolò in magazzino, canticchiando prima della giornata di lavoro che lo aspettava, come se invece lo attendessero tonnellate di cibo al pranzo di una cerimonia. 

Stefania, però, non poteva ‘vedere’ o rendersi conto di tutti questi moti interiori di Rocco ed era quindi ancora convinta di avergli spietatamente negato un favore.  

Si girò inconsciamente verso la porta del magazzino, mentre la sua coscienza la punzecchiava per spingerla ad aiutare quel ‘fratello adottivo’. 
Sbuffò.  

Perché voleva bene a quei due come a una famiglia? Perché? 

Stefania Cupido, altro che Colombo, mi dovevo chiamare io, ruminò dentro di sé. 

Uffaaaaa” le uscì ad alta voce prima che avesse la prontezza di frenarsi. 

Signorina Colombo!” la richiamò da dietro una voce inconfondibile che la fece sobbalzare.  

Aveva un tono fermo, ma allo stesso tempo anche dolce e materno.  

Ecco, un po’ troppo materno; e questa cosa la metteva spesso in difficoltà con le altre, alle quali, quando dicevano che era la ‘sua cocca’, era costretta a malincuore a dar ragione. 

Oh, signorina Moreau, mi perdoni!” sussurrò Stefania abbassando lo sguardo, mortificatissima. 

Qualcosa non va con il signor Amato?” chiese la capocommessa inclinando la testa con un sorriso, come soleva fare. 

Stefania era tentata di dare una risposta inequivocabile semplicemente rettificando la domanda, ‘c’è qualcosa che non va NEL Signor Amato’, ma ovviamente si trattenne. 

Poi, si mise a riflettere sul fatto che una qualsiasi altra capocommessa al posto suo l’avrebbe strigliata per aver strepitato come una pazza in un contesto così inopportuno, altro che chiederle cosa c’era che non andasse.  

Niente” sorrise Stefania in modo deferente “questioni di cuore” rimase sul vago con la prima cosa che le veniva in mente. 

Ah! Lui e la Cipriani…” disse la Moreau lasciando la frase in sospeso. 

Seh!” rispose la ragazza cercando uno sguardo d’intesa con la sua capocommessa, ma non aggiunse altro per evitare di condividere particolari privati. 

Be’, sono sicura che qualsiasi cosa li affligga la risolveranno, quei due ragazzi sono molto uniti” si affrettò la Moreau a concludere, non per disinteresse, bensì per discrezione, e si accinse a voltarsi educatamente “ora però torniamo al lav…” ma Stefania non le fece terminare la frase. 

A proposito di quei due, signorina Moreau,” chiese la ragazza intrecciando le mani timidamente “potrei chiederLe un favore? 

 

 

*** 

 

Aja!” gridò Irene fra i denti inciampando contro la base dell’appendiabiti che era in magazzino.  

Ma io vorrei capire chi l’ha messo qui, così a ridosso dello spigolo!  

Si piegò per massaggiarsi a fondo il dorso del piede che aveva urtato, ma pensò subito a raddrizzarsi per verificare quello che più le interessava in quel momento. 

Poggiò tentativamente il piede per terra. Le faceva male, sì, ma non da non poter camminare.  

Bene… perché tanto in ogni caso sarebbe uscita di lì anche strisciando.  

Si affrettò a trovare un posticino dove appendere quell’abito fallato (tutti gli abiti fallati venivano temporaneamente messi da parte e venivano poi distribuiti ai meno abbienti in giornate specifiche) proprio per dileguarsi, mentre si interrogava sul perché la Moreau avesse mandato lì proprio lei. Erano in chiusura ed era prassi riordinare la galleria prima di chiudere i battenti, ma quell’abito era di una cliente di Dora, l’incombenza avrebbe dovuto essere sua. Invece, la capocommessa l’aveva sfilato dalle mani dell’amica e l’aveva appioppato proprio a lei, con tanto di risolino malizioso sul volto. 

Ecco qual è la conseguenza di mostrarsi troppo servizievolila gente poi se ne approfitt… 

Ire’…” una voce inconfondibile dietro di sé interruppe quel filo di pensieri. Era un misto tra il titubante e il tenero. 

In un lampo a Irene sembrò di rivivere il giorno in cui si era dichiarata a lui; era finita in magazzino contro la sua volontà e anche in quell’occasione qualcuno l’aveva sorpresa da dietro. Una microscopica parte di sé si abbandonò alle preoccupazioni di una tredicenne: come andrà a finire stavolta? 

Si voltò lentamente verso di lui. Schiuse le labbra ma non disse niente.  

Era la prima volta che incontrava di nuovo i suoi occhi.  

Ciao…” proseguì Rocco nello stesso tono di prima, mentre avanzava verso di lei come se si stesse materializzando dagli scaffali al di là del bancone. 

Il ‘ciao’ di lei fu quasi scostante, invece.  

Tipico. Il suo cuore gridava una cosa e le sue labbra dicevano un’altra.  

Rocco fece attenzione a non tradire un sorriso. Intendeva proprio questo quando si soffermava a pensare a questo spessore dell’aria. Non l’aveva mai confessato a nessuno, nemmeno a lei, ma era diverso quando c’era Irene in una stanza. Almeno per lui, lo era. 

E tu che ci fai qui?” chiese lei, non sapendo che dire. 

Ci lavoro qui, sai com’è…” rispose Rocco a tono, quasi ridendo ora. 

Stava solo aspettando che Irene capitolasse, ma nel frattempo si godeva lo spettacolo, quella strana elettricità che emanava quando era alterata. Irene abbassò lo sguardo per l’umiliazione di aver fatto una domanda così stupida, ma cercò di riprendersi. “Be’, io sono venuta qui perché mi ci ha mandata la Moreau” informazione non richiesta e, perciò, ennesima sciocchezza da dire. Irene si infiammò ulteriormente per la vergogna.  

Quello che non sapeva lei era quanto fosse invece importante quell’informazione per Rocco. Il ragazzo fece una rapidissima associazione e capì che doveva esserci stato, per forza di cose, lo zampino di Stefania. Gli si riempì il cuore di gratitudine. 

… ma stavo andando via…” lo ridestò Irene. 

Istintivamente Rocco alzò una mano per tentare di fermarla. “Aspetta, ho capito delle cose, ho parlato con il Signor Armando…”.  

Si maledisse immediatamente. Non suonava proprio benissimo detta così.  

Iniziare col dire altro, magari?  

Troppo tardi. 

E infatti la reazione di Irene non si fece attendere. Si mise a braccia conserte: “Mmmh, ‘hai parlato con il signor Armando e hai capito delle cose’” ripeté scetticamente quelle parole, più a sé stessa che a lui, “mi chiedo cosa succederebbe se non ci fosse il signor Armando, che non sia il caso di iniziare una relazione direttamente con lui?”. 

Sei odiosa! – le disse quella vocina dentro di sé – A che serve una frase del genere adesso? È inutile e fine a sé stessa. Ascoltalo almeno! 

Rocco serrò la mascella. Ora era ingiusta, pensò. “Perché tu mi vuoi dire che non hai raccontato tutto a Stefania?” chiese retoricamente. 

Irene non seppe che rispondere. Doveva dargli ragione. Anche lei si era sfogata con Stefania ed era obiettivamente inumano pretendere che non ci si ‘servisse’ dell’amicizia quando c’era un problema, ma Irene faticava ancora ad assimilarlo. Inoltre, sapeva per certo che Rocco, soprattutto in questo caso, non poteva farcela da solo altrimenti. 

Poi riprese: “Be’, comunque, non ho visto tutto questo interesse nel cercare una conversazione…” perché in ogni caso aveva deciso che Rocco non doveva averla vinta così facilmente. 

Rocco storse la bocca, facendo uno sforzo dei suoi per non perdere le staffe. “Ero venuto a togliermi il camice e a prendere la giacca” disse mostrandogliela col braccio “per venire da te in spogliatoio, anche se forse non mi credi”. 
Irene si strinse impercettibilmente nelle spalle senza dire niente. 

Ci sediamo e parliamo per favore?” intonò lui con il suo inconfondibile accento. 

Irene valutò la proposta per un attimo e infine disse: “Devo andare a prendere le mie cose in spogliatoio prima” ma come fece per voltarsi le si ripresentò il dolore al piede ed emise un lieve grido soffocato. 

Che hai fatto?!” chiese lui allarmato e accorse subito verso di lei, ma lei si ritrasse inaspettatamente.  

Per Rocco fu come una pugnalata.  

Solo in quel momento gli fu pienamente evidente quanto l’avesse combinata grossa, al punto tale che Irene non voleva nemmeno farsi toccare. 

Il ragazzo inspirò e invocò tutta la forza che aveva in corpo per ricomporsi. 

Ho sbattuto il piede all’appendiabiti; la prossima volta mettilo proprio in mezzo alla strada a bloccare il passaggio, mi raccomando!” rispose lei sarcasticamente. 

Ah, voleva stuzzicare? Benissimo, lui sarebbe stato al gioco. 

Ti vengo a dire come devi mettere le maglie in galleria io a te?” chiese Rocco con uno sguardo furbo. 

Ma guarda che insolente, pensò Irene. Ora le si era avvicinato tanto che le mancò il respiro. Si guardarono negli occhi, prima che lui le porgesse bizzarramente il palmo della mano. 

Dammi le chiavi dell’armadietto, ci vado io a prendere la tua roba”. 

Ah già, la mia roba in spogliatoio, ricordò Irene, distratta dalla vicinanza di Rocco. Strinse la mascella per la rabbia di sentirsi così debole di fronte a lui, ma alla fine dovette cedere. Si sfilò le chiavi dalla tasca della divisa e le fece cadere sul palmo aperto di Rocco, facendo attenzione a non sfiorarlo. 

C’era una parte di lei che voleva che quel chiarimento fosse già finito. Perché non era nemmeno iniziato e lei era già esausta. Quel tumulto di sensazioni la sfibrava; non ci era abituata e non voleva abituarcisi. 

Eppure, era lì, e doveva andare fino in fondo, e non aveva senso farlo con un atteggiamento indisponente. 

Rocco la riscosse da quei pensieri indicandole la cassa che si trovava proprio a fianco all’appendiabiti. “Vedi perché l’ho dovuto spostare?” dandole una spiegazione taciuta poco prima “Ci ho messo la nostra cassa, così ci sediamo lì. Ce la fai a camminare?” chiese Rocco esitante, testando le reazioni di lei. Irene era ancora scettica ma il suo volto era lievemente più disteso. Ed era vero; udire ‘la nostra cassa’ così, dal nulla, aveva incrinato la corazza che indossava, tanto quanto avere la conferma che Rocco non mentiva quando aveva lasciato intendere di essersi preparato per quell’incontro. 

Irene annuì e poi aggiunse un ‘grazie’ senza inflessioni della voce. 

E lui avrebbe voluto spingersi fino a proporle di usare anche le ‘loro candele’ ma non sapeva se stesse correndo troppo; le candele significavano anche altr… 

Le candele le tenete sempre nello stesso posto? Le possiamo accendere… sempre che il signor Armando sia già andato via” chiese Irene leggendogli nel pensiero. L’espressione di stupore mista a gioia negli occhi di Rocco fu subito evidente e lui cercò di celarla goffamente con un colpo di tosse.  

Sì sì,” rispose balbettando “sempre nello stesso cassetto della scrivania.” E, prima di sparire dietro l’angolo, ci tenne a precisare “Armando è andato via prima, per lasciarci un po’ soli”.  

E Irene, dinanzi a quei piccoli gesti impacciati, che sapeva essere per Rocco delle conquiste indicibili, iniziava pericolosamente a cedere. 

 

++++ 

 

Per essersi attardato solo un paio di minuti, Rocco doveva aver praticamente volato, ma soprattutto – Irene sospettava – doveva aver ignorato parecchie domande indiscrete delle ragazze al vederlo bussare la porta dello spogliatoio. 

Quando rientrò la trovò già seduta. Pensò che fosse ancora più bella alla luce delle candele, come quelle sere di tanto tempo prima in cui non osava dirlo ad alta voce, per paura che gli arrivasse uno schiaffo alla promessa di amicizia infranta. La situazione adesso non era poi così diversa; il contesto, cioè, non gli permetteva di abbandonarsi a farle degli apprezzamenti. Così, al vederla con un accenno di sorriso in volto e più rilassata rispetto a pochi minuti prima, lo colse una stretta al cuore, perché non poteva far nulla per evitare a entrambi quella tortura. 

Quella di chiarirsi, di esporsi al rischio che quel sorriso in volto le si spegnesse di nuovo. 

Non potevano semplicemente dimenticare tutto, abbracciarsi, baciarsi e tornare a casa mano nella mano?  

E certo, vastasu (sciagurato, n.d.a.)! Perché stavolta sei tu che devi chiederle scusa! -  lo derise la sua coscienza. 

Sfilò la giacca di Irene dal resto del suo cambio e la portò alla sua attenzione. 

Fece un altro tentativo; voleva provare a vedere se si sarebbe ritratta di nuovo. 

Posso?” le chiese, offrendosi di mettergliela addosso personalmente. 

Va bene...” mormorò Irene dopo un attimo di esitazione.  

Meglio. 

Le circondò la schiena con il cappotto e i loro volti si scoprirono vicinissimi, ma Irene non osò alzare lo sguardo stavolta.  

Peccato che la sfera visiva non fosse l’unica a giocare un ruolo importante.  

Per entrambi si fermò il tempo per una frazione di secondo, quella in cui sentirono il profumo l’una dell’altro, e per entrambi fu faticoso ignorarlo. 

Rocco si mise a sedere di fianco a lei, mantenendo comunque una certa distanza di ‘cautela’, e, specularmente ai gesti di avvicinamento di lui, Irene decise di prendere parola.  

Allora... che ci facciamo qui, Rocco?” la frase poteva suonare provocatoria e saccente, ma lo sguardo di Irene diceva tutt’altro. Si stava sforzando di andargli incontro a modo suo. 

Rocco inspirò e provò a guardarla il più a lungo possibile, senza distogliere lo sguardo, poi si sfregò le mani come faceva ogni volta che era teso: “Ci facciamo che…” deglutì “io ti volevo chiedere scusa per quello che ti ho detto Ire’” fece una pausa, come per raccogliere le idee. Era evidente che dovesse approfondire il concetto però, quindi Irene non intervenne. Si chiese semplicemente che sguardo avesse: era intimidatorio? Allarmato? Non sapeva dirlo, ma si stava sforzando di fare la propria parte cercando di essere il più paziente possibile, in altre parole, di essere il meno possibile… Irene.  

Rocco riprese: “So che ti dà fastidio che ho parlato di cose nostre, intime,” specificò, rosso in volto, al signor Armando, però davvero lui mi ha fatto capire tante cose…” e, prima che lei potesse arrabbiarsi per quanto fosse sceso nei particolari con il suo confidente, precisò: “e poi, stai tranquilla perché ha difeso sempre e solo te” cercando di farla ridere.  

Sortì l’effetto desiderato; Irene abbassò lo sguardo e sorrise. Poi scosse la testa e, dopo averci riflettuto un po’ su, confessò: “Non me l’aspettavo”. 

Che ti difendeva?” chiese Rocco.  

Irene annuì “Be’, sì… so che sono cambiate tante cose dalla questione dei vestiti, però non mi aspettavo comunque che in questa cosa mi difendesse… un uomo” sottolineò, come se solo in quel momento si fosse ricordata del perché erano lì. 

Rocco abbassò lo sguardo, conscio di essersi ampiamente meritato quella diffidenza nel genere maschile. “No, anzi, ha detto che sei stata coraggiosa” sorrise quasi amaramente, per non essere stato lui il primo a rendersene conto, “a dirmi… delle cose che nessuna ragazza mi avrebbe detto”.  

Tutto bellissimo, ma a Irene interessava altro. “E tu? Che ne pensi tu?” chiese lei, quasi timorosa. 

Rocco esitò “Eh io non lo so, Ire’” poi mise le mani avanti, consapevole di quanto suonasse ambigua quella frase “Cioè, non mi fraintendere, io lo so che sei tanto coraggiosa, ma non so se mi hai detto quelle cose per coraggio o perché non ti basta più quello che abbiamo e quindi vuoi che ci lasciamo se questa cosa tra di noi non succede… disse tutto d’un fiato, con evidenti segni di agitazione. 

Rocco, frena frena frena…” lo bloccò Irene. “Tu pensi che io te l’abbia detto perché mi sono stancata della nostra relazione… Così poco mi conosci?!” chiese incredula e anche visibilmente offesa. 

No, Ire’, non la mettere su questo piano, allora pure io devo dire la stessa cosa? si schernì lui Che tu non mi conosci perché sai come sono, eppure questa cosa me l’hai detta lo stesso?”. 

Be’” chiese Irene alterata “lo pensi davvero?” intenzionata ad andare fino in fondo alla questione. 

Non lo so… no… non lo so” farfugliò Rocco, poi le chiese, confuso “dimmelo tu, mi volevi far cambiare idea?”   

Irene inspirò, contando fino a dieci, anzi fino a 100, se possibile, per evitare di reagire come una pazza. 

Rocco…” si portò i polpastrelli al naso per organizzare le idee “che significa ‘cercare di far cambiare idea a qualcuno’, secondo te? 

Anzi, no…” rettificò subito “che significa ‘NON cercare di far cambiare idea a qualcuno’?”  

Rocco corrugò la fronte, non capendo dove voleva andare a parare. 

Forse significa non dire mai nulla che possa turbare o sconvolgere l’altro? Forse significa non dire mai nulla che sia contrario al modo di pensare dell’altro?” chiese Irene retoricamente. “Perché se significa questo, Rocco, mi dispiace dirtelo, ma io e te non dovremmo stare proprio assieme”. 

Rocco rimase interdetto. Effettivamente il discorso non faceva una piega, ma... 

Sì, ho capito quello che vuoi dire tu... però, Ire’, questo è diverso, questa…” fece lui gesticolando, alla ricerca delle parole giuste “opinione è diversa dalle altre; se tu vuoi una cosa e io c’ho altri principi su questo, come facciamo, proprio materialmente, ad andare avanti?” chiese lui sconsolato, desiderando con tutto sé stesso di sbagliarsi. 

No, Rocco, questa cosa non è diversa proprio per niente, perché lo sai anche tu che quella che stai usando è una scusa bella e buona” gli insinuò Irene. 

Come ‘una scusa’? In che senso?” fece lui irritato. Come poteva pensare che lui cercasse addirittura una scusa per litigare? Aveva odiato ogni minuto di quei giorni! 

Nel senso che se fossi stato davvero interessato a quello che penso e a quello che potrebbe significare per noi, perlomeno ti saresti preso la briga di ascoltarmi. E invece no! Sai cosa hai fatto? Mi hai giudicata e basta” Rocco inspirò più volte per prendere parola ma Irene era un fiume in piena “mi hai fatta sentire come tutte quelle persone che mi fissavano sprezzanti mentre ero in gonna corta davanti al Paradiso, compresi mio padre, tuo zio, tua zia e tutti quelli da cui proprio TU” fece lei puntandogli il dito contro “mi hai difesa!”. 

Anzi peggio, perché degli altri non mi importa” aggiunse, ferita. 

Eccolo il motivo per cui odiava sé stesso; come aveva potuto guardare quel viso - che in tutti quei mesi, o per meglio dire anni ormai, l’aveva convinto di quanto lei ci tenesse a lui - e giudicarla come se non la conoscesse per quello che era, come se la sua Ire’ gli avesse mai fatto sospettare che un desiderio del genere potesse essere per lei un ‘capriccio del momento’? 

Sulla base di cosa poi? Di insegnamenti relegati in un cantuccio della sua mente in un passato ormai lontano e mai spolverati? 

Apparentemente sì, la sua stupidità era arrivata fino a quel punto. 

In ogni caso, per quanto fosse stato stupido e per quanto avrebbe voluto schiaffeggiarsi in quel momento, doveva comunque ammetterglielo, doveva comunque partire dalla verità. 

Scusa Ire’, scusami” mormorò, scuotendo la testa, “da dove vengo io, le donne non parlano così e... mi hai preso in contropiede” allargò le braccia, innervosendosi, perché sapeva per certo che quelle parole lo ‘incriminavano’, se possibile, ancora di più, “lo so che non ti basta come spiegazione, ma è l’unica che ho... 

Irene sogghignò, con l’amaro in bocca, “A te basterebbe? A te basta mai quando qualcuno si giustifica dicendoti ‘dalle nostre parti si usa così’? Cocciuto come sei?”. 

Quelle ultime parole gli provocarono un tremito inspiegabile di felicità, come ogni volta che Irene gli confermava tacitamente di conoscerlo così bene. 

Ma cercò di non deconcentrarsi. 

Lo so, Ire’” specificò “lo so che non è una giustificazione... ti stavo solo spiegando come è successo...” e lasciò quella frase in sospeso, in attesa che lei gli facesse la misericordia di pazientare ancora dinanzi a quel flusso sconnesso di pensieri.  

La verità è che anche quando... siamo più vicini, diciamo così, non mi sono mai fermato a pensare a quello che potrebbe venire... dopo” proseguì, arrossendo, nel tipico linguaggio in codice, condito di timidezza e trasparenza, che usava quando era imbarazzato e dinanzi al quale le labbra di Irene si inarcavano puntualmente in un sorriso, “perché so che per la Chiesa è peccato fare queste cose prima del matrimonio e... e io, Ire’, alla Chiesa ci credo...” balbettò, quasi come se si stesse scusando per le proprie idee. 

Irene si allertò all’istante; aveva sentito abbastanza.  

L’ultima cosa che voleva era che credesse di doversi sentire in colpa per il suo modo di pensare... in altre parole, che si sentisse come purtroppo lui aveva fatto sentire lei. 

Lo vedi che era così facile...?” intervenne, allora, con delicatezza, spiattellandogli ironicamente l’evidenza dei fatti. 

Cosa?” chiese Rocco, sorpreso da quella reazione. 

Questo” rispose Irene indicando un punto qualsiasi davanti a sé “reagire così... Poteva andare così quattro giorni fa e non ci saremmo mai separati.” sorrise davanti a uno sguardo palesemente confuso di lui. Poi proseguì: “Rocco, io non mi aspettavo niente di diverso da questo. Ero certa che mi avresti fatto l’elenco di tuuuutti i principi ecclesiastici” roteò gli occhi scherzosamente facendolo sorridere “per cui è sbagliato non rimanere illibati prima del matrimonio”. 

Veramente?” sussurrò lui, ancora timoroso. 

, Rocco, SÌ. Veramente!” insistette lei, sempre più offesa da tutta quella diffidenza. “Non saresti tu se avessi risposto in maniera...” sbuffò, perché non le veniva un termine migliore “licenziosa. Io avevo solo bisogno di dirti quello che sento IO, sapere che posso avere la libertà di parlare, come sempre, perché io e te abbiamo SEMPRE parlato di tutto” gli disse cercando insistentemente il suo sguardo. 

Rocco rimase inebetito, visibilmente sul punto di picchiarsi, ancora una volta, per aver dubitato di lei, per essersi lasciato ingannare dai propri fantasmi e così averla aggredita senza capire che lei desiderava essere semplicemente ascoltata. 

Possibile che tu ancora non capisca che ADORO quando arrossisci, che adoro essere IO quella che ti fa arrossire...?” continuò lei con la guance rosee per la foga, anche lei sul punto di cedere, perché non era avvezza a concedere dichiarazioni d’amore.   

E anche se quella era la più bizzarra mai pronunciata sulla terra, per lei era comunque una dichiarazione in piena regola, e lo sforzo che le costava ne era la conferma. 

Se lei poi non era abituata a farle, figuriamoci Rocco a riceverle, men che meno in un frangente in cui sapeva per certo di non essersene meritata una neanche per sbaglio. Perciò, all’udire quelle parole, gli scese una lacrima che si asciugò prontamente con il polsino della giacca.  

... siamo ‘noi’, è quello il bello di me e te, non credi?” proseguì lei accennando a un sorriso, infliggendo un altro colpo di grazia a lui... ma anche a sé stessa. 

Rocco sorrise con gli occhi lucidi e annuì con fermezza perché era l’unica cosa che riusciva a fare. Era sicuro che, se avesse aperto bocca, non sarebbe riuscito a formulare una frase intera per il groppone che aveva in gola.  

Quello che accompagnava queste rare confessioni di Irene era sempre un peculiare senso di catarsi, che tuttavia lasciava sfortunatamente spazio anche al suo caratteristico disfattismo. 

Così, analogamente alle paure di Rocco di poco prima, Irene proseguì il discorso, che assunse ora note più pessimiste “purtroppo però la differenza tra arrossire e la tua reazione di quattro giorni fa è enorme; quindi, a questo punto, io non sono più sicura di potermi sentire libera con te... questa è la verità” concluse dolorosamente, deglutendo per evitare di piangere. 

La reazione viscerale di Rocco non tardò ad arrivare. Si protese verso di lei con slancio ma si contenne in tempo, consapevole di non potersi prendere, ora meno che mai, la libertà di toccarla: “NO, Ire’, no! Per favore, ti ho chiesto scusa, non voglio... Non voglio che smetti di parlare con me, di dirmi quello che pensi... ti prometto che tutto questo non succederà più... ti prego, perdonami!”. 

A Irene si strinse il cuore al vederlo così agitato, con la fronte quasi madida di sudore nonostante il freddo in magazzino. 

Aveva palesemente paura di perderla e Dio solo sapeva quanto ne avesse anche lei di perderlo a sua volta; tuttavia, aveva più paura di rimanere nell’eterno dubbio di proseguire quella relazione sentendo di doversi inibire ogni volta che apriva bocca. 

Rocco, non è questione di perdono, davvero. Quando mi hai chiesto di sederci a parlare ti avevo già perdonato...”.  

Le costava caro dirlo ad alta voce, perché sapeva per certo che quelle parole suonavano come un ultimatum per entrambi, ma nemmeno riusciva a far qualcosa per impedire che lo sembrassero. “... il punto è che non so più se posso fidarmi... Non so nemmeno se sei tornato sui tuoi passi soltanto perché ti ho detto che sono ancora vergine... e a questo punto non lo saprò mai” disse con un fil di voce. 

Quindi, a che serviva proseguire quella conversazione se sapeva già di non avere strumenti per potersi convincere del tutto? 

No...” si oppose Rocco ma non riuscì ad andare oltre vedendo Irene, mesta, in procinto di alzarsi. 

Niente le faceva più male di quel peso atroce nel petto, che le muoveva a piacimento i piedi in direzione contraria rispetto a quella doveva voleva essere, ovvero tra le sue braccia.  

Rocco, mosso dalla disperazione, le prese il braccio per fermarla, alzandosi a sua volta. L’aveva toccata, finalmente, ma la beffa delle circostanze in cui l’aveva fatto gli impediva di provare ogni possibile forma di gioia o anche semplice sollievo; albergava in lui solo il terrore che potesse essere l’ultima volta. 

Erano a due centimetri di distanza. “Ire’, per favore, rimani” la implorò. 

Mi dispiace Rocco...” si oppose lei con voce rotta, mentre i suoi occhi, ormai rigati di lacrime, penetravano in quelli di lui “quasi sicuramente rimarrò sola a vita, ma io davvero non ce la faccio a stare con un uomo che crede che una donna non più vergine in qualche modo sia meno degna di rispetto, si meriti il titolo di ‘donnetta’ fece lei con una smorfia, come se quelle parole avessero un ‘sapore’ e quel sapore fosse disgustoso, “e che, peggio, debba essere esclusa dalla possibilità di farsi una famiglia. Neanche avesse fatto del male a qualcuno!  

Ribadisco, SONO vergine, ma che sarebbe successo se non lo fossi stata?! Non oso immaginare come mi avresti guardata allora. Non è giusto per me e non è giusto per R...” si fermò in tempo prima di pronunciare il nome di Roberta.  

Pensare di avere al proprio fianco un uomo che potesse esprimere, o anche solo avere, la benché minima opinione negativa su una donna che aveva deciso di concedersi alla persona di cui era innamorata era un affronto non solo per chi, in questo caso, considerava come una sorella, ma per tutto “... il genere femminile” e furono quelle le parole che infine proferì per Rocco. 

Irene rimase con il fiato in gola, in procinto di proseguire la sua arringa, ma fu distratta dalla mano di Rocco che mollava la sua presa. 

Lo udì sprofondare nel suo sgabello, a testa bassa, sconfitto, mentre davanti a sé vedeva tutte le speranze di quella mattina sfumare come polvere nel vento. 

Che sciocco che era stato a pensare di potersela cavare con delle scuse.  

A Irene interessava il concetto di fondo. Com’era giusto che fosse. Armando aveva scavato più di quanto avrebbe fatto qualunque altra parte non coinvolta nel problema; cosa gli aveva fatto pensare che Irene non sarebbe andata oltre? Per un attimo credette di sentire nitidamente la risata impietosa della sua coscienza, che lo derideva per aver conservato quell’ingenuo ottimismo fino alla fine.  

Certo, perché sapeva sarebbe stato difficile... non impossibile.  

Ora invece si ritrovava gli occhi di Irene puntati addosso – nemmeno inquisitori, bensì spenti, il ché era mille volte peggio – e quelle ultime parole di lei, rimaste sospese nell’aria e taglienti come un vento gelido, contro cui lui... nulla poteva. 

Come poteva infatti smentirla? Lui rientrava esattamente in quella categoria di uomini orribili che Irene aveva appena descritto. E poco importava che la sua idea di donna fosse ampiamente cambiata da quell’episodio che preferiva dimenticare... 

Non aveva comunque gli strumenti per convincere Irene.  

Quindi, dato il sentore fortissimo di non poterla riconquistare, decise d’istinto di raccontarglielo per davvero quell’episodio.  

 

Ma era matto? A che pro raccontarle una cosa che, se possibile, lo metteva in una luce ancora peggiore? Forse perché, sapendo di averla persa, sentiva di doverle quantomeno la verità? Non seppe rispondersi. 

Hai ragione” mormorò lui, ormai incapace persino di pronunciare il suo nome. “Hai ragione a non voler più stare con me”. 

Irene rimase interdetta, tra tutte le possibili reazioni, quella era proprio l’ultima che si aspettava.  

E, prima che potesse abbandonarsi ad analizzare il significato recondito dell’arrendevolezza di Rocco, questi proseguì. 

Tu lo sai già che se due anni fa ho iniziato a ‘frequentare’ Maria” disse, senza attendere che gli venisse un termine più adeguato, dato che quella con Maria non l’aveva mai considerata una vera e propria frequentazione con sfumature sentimentali, “è stato per mia zia Agnese che era d’accordo con...” e alzò il mento distrattamente come a voler indicare qualcuno “sua zia, per farci sposare non dico a tavolino, ma quasi”. 

A quella menzione, scambiò un brevissimo sguardo di intesa con Irene, che in prima persona l’aveva messo in guardia sul fatto che la sua famiglia volesse controllarlo. Irene ricordò, senza nostalgia, la ramanzina fattagli in galleria; con addosso il livore di una gelosia che significava... anche altro, certo, ma che in primis era sincera preoccupazione per il fatto che quel suo ‘caro amico’, così intelligente e pieno di potenziale, rischiasse di finire in una vita che non aveva scelto per sé stesso. 

Sempre senza guardarla negli occhi, Rocco continuò: “Quello che però non sai è che prima che Maria venisse a cena da noi, ho fatto della domande su di lei, perché, sì, è vero che ci conoscevamo da picciriddi in paese, ma non sapevo niente di lei alla fine, il perché non si era ancora sposata, eccetera. E mia zia mi ha raccontato la sua storia con quel farabutto che...” agitò la mano in aria come volendo sorvolare su particolari superflui “insomma, conosci pure tu”. Deglutì, sempre più in difficoltà “Dicevo... quello che non sai è che, per accettare di frequentarla, ci chiesi a mia zia se... se... insomma, se Maria aveva scoperto delle cattive intenzioni di quel farabutto... ‘IN TEMPO’” concluse Rocco.  

Quindi alzò finalmente lo sguardo per incontrare quello di Irene; era quello di un condannato dinanzi al suo boia. 

In quel lungo momento di silenzio che seguì, l’eco di quel racconto rimbombava tanto da appesantire l’aria in maniera insopportabile.  

Il ragazzo si morse il labbro inferiore fino a farsi male, come a voler inconsciamente ricacciare indietro, senza successo, le parole che firmavano la sua condanna. 

Irene lo fissò per un attimo senza reagire e lui riprese la parola per suscitare una reazione in lei. Se c’era una pena capitale, e c’era, ne era sicuro, allora che arrivasse il più presto possibile, perché quei secondi interminabili erano uno strazio. 

Lo capisci adesso? Di questo sono stato capace io!” disse ormai piangendo apertamente mentre con una mano si massaggiava il sopracciglio “Che colpa ne aveva Maria per esempio, ah, se era stata ingannata?” chiedeva a Irene, ma in realtà stava abbaiando al sé stesso di due anni prima, cercando di sgonfiare la spocchia dell’ottusità che lo caratterizzava, così come avevano fatto allora tutti coloro, Irene compresa, che l’avevano aiutato a diventare un uomo pensante.  

Poi abbassò lo sguardo, smarrito. 

Irene, dal canto suo, era a dir poco spaesata. Si guardò attorno d’istinto per un attimo, quasi a voler riprendere percezione dell’ambiente circostante, tanto era disorientata da quella svolta di eventi inattesa. Non aveva ancora calcolato l’impatto di quella confessione su di lei - non sentiva di connettere molto in realtà - sapeva soltanto che Rocco non aveva alcuna necessità di ‘incriminarsi’ ulteriormente raccontando i dettagli di un momento non di grande orgoglio della propria vita. Avrebbe potuto tenere quel particolare tranquillamente per sé. Se invece vi stava dando libero sfogo, era perché era pronto a fronteggiare i propri demoni e, cosa più importante, voleva farlo insieme a lei.  

Fu allora che tornò a sedersi di fianco a lui. Ma Rocco se ne accorse solo quando sentì una mano attorno al mento che cercava di attirare la sua attenzione.  

E, anche se non poteva aspettarsi che fosse di qualcun altro se non di Irene, sobbalzò comunque perché, che lei lo toccasse, era il suo sogno più inarrivabile in quel momento. 

Guardami, Rocco” sussurrò lei.  

Le obbedì e, per un attimo, Irene fissò quegli occhi rigonfi di lacrime e insieme anche pieni di stupore. 

Stai parlando di una cosa che è successa due anni fa... quando ancora sbagliavi fermata perché non sapevi leggere i cartelli e ti ‘infilavi le scarpe nei calzini’” scherzò, con la precisa intenzione di allentare la tensione servendosi di una battuta usata due anni prima da un Salvo scettico sulle competenze di tecnico di juke-box del cugino. 

Rocco inarcò le labbra in un sorriso che non fece in tempo a raggiungere i suoi occhi e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani. 

E cosa è cambiato?” chiese retoricamente, sconsolato, “ho comunque rovinato tutto e adesso giustamente non ti fidi più di me... 

Irene deglutì, soppesando bene le parole successive.  

Era vero, lo aveva messo lei contro un muro, svuotando di senso ogni suo eventuale tentativo futuro di spiegarsi o di convincerla. Si morse il labbro mentre le formicolavano le dita per la tensione. 

Ti ricordi quando ti ho detto che eri come un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro?” gli chiese finalmente. 

Lui ridacchiò stancamente massaggiandosi la fronte e le rispose con ironia: “Come dimenticare...”. 

Irene sorrise a sua volta: “Ecco, da allora, sei riuscito a creare cose meravigliose ogni volta che ti sei deciso a pensare con la tua testa”. 

Rocco rifletté un istante su quella frase e, senza riuscire a frenarsi, la stuzzicò sul suo punto debole, ovvero la vanità:  

Cose meravigliose tipo scegliere te, dici?”.  

Irene scoppiò a ridere, cogliendo subito lo scherzo: “Come minimo!” rispose poi a tono, con una smorfia vanesia. 

Gli occhi di Rocco si illuminarono all’istante. Se era inopportuno fare battute in un momento del genere, era inopportuno anche reagire ridendo, pensò Rocco. E se era successo, voleva sperare che quello fosse un segno.  

Cioè, segno che siamo sempre i soliti scemi? - scherzò quella vocina dentro di sé. 

Se si voleva usare quelle parole, allora sì; e quindi anche segno che si stava riaffacciando la loro essenza più vera? 

Irene, con il viso ancora acceso da quel piccolo scambio, gli specificò:  

Dai, ero seria...”. 

Rocco si fece subito solenne e, guardandola dritto negli occhi, le mormorò:  

Anche io”. 

Le guance di Irene si infiammarono all’istante e, senza pensare, si passò un dito sul sopracciglio come a voler nascondere quel rossore in volto, poi si schiarì la voce: “Intendevo che... apprezzo tantissimo che tu abbia voluto confessarmi questa cosa. Non deve essere stato facile ma... e in quel nanosecondo in cui Irene lasciò la frase in sospeso Rocco fece i pensieri più catastrofici che la sua mente potesse partorire su come lei avrebbe potuto mettere fine alla loro storia “ma è da tempo che sono convinta che tu non sia più così, anzi... storse la bocca riflettendoci “sono sempre stata convinta che non sia mai stato davvero TU il ragazzo degli inizi, quello arrivato a Milano con una valigia in mano, e che tanti pensieri ottusi tu te li sia semplicemente lasciati cucire addosso” fece una pausa ricordando quel pensiero doloroso, che ancora la tormentava “Ed è per questo che mi sono arrabbiata l’altro giorno... Tutt’a un tratto non eri più tu il Rocco che conosco e che...”. 

Ma infatti è per questo che ti amo, Ire’” intervenne Rocco con semplicità. L’espressione della sua voce era neutrale, come se stesse recitando una legge fisica che tutti sanno essere vera, incontrovertibile e Irene si emozionò all’udirlo così sicuro, scientifico. “Mi hai sempre dato un credito che io non credo di meritare... anzi, ti ho proprio dimostrato che non merito” sussurrò, commuovendosi di nuovo, “cioè, anche quando per tutti ero ancora un bambinone, tu già da allora eri l’unica che mi trattava come un uomo”. 

Tu hai fatto lo stesso con me, e lo sai” si affrettò lei a rassicurarlo dicendogli nient’altro che la verità “o vuoi che ti confessi anch’io com’ero prima che tu arrivassi qui a Milano?” chiese poi retoricamente sorridendogli. 

No, bastano i racconti di Tina” rispose lui, scherzando ancora. 

Bene, perché nemmeno io ne vado particolarmente orgogliosa”. 

E risero di nuovo insieme. 

Irene si chiese per un attimo cosa stessero facendo; stavano scivolando nella naturalezza delle loro interazioni giornaliere come se nulla di quell’incubo fosse mai accaduto, lei lo stava convincendo di non essere un mostro neanche cinque minuti dopo avergli confessato che non sapeva se sarebbe riuscita più a fidarsi di lui.  

Era tutta matta? Molto probabilmente sì.  

Ma per qualche motivo sentiva che quello che stavano facendo era giusto; che ora, sì, stavano facendo leva sulla forza di quel ‘noi’, evitando di ripetere l’errore commesso qualche giorno prima, ossia quello di ‘presupporre’ piuttosto che ascoltarsi. 

Anche se il futuro era ancora pieno di incertezze e verosimilmente sarebbe stato ancora costellato da pietre d’inciampo. 

Rocco poi si fece solenne, acceso dalla stessa sua speranza che le cose potessero ricominciare per davvero: “Ire’, forse non sono più in tempo per convincerti di tante cose” fece una pausa, e Irene sapeva per certo che Rocco si riferiva al dubbio da lei espresso poco prima e che l’aveva quasi spinta ad andarsene, “so soltanto che SOLO CON TE mi sento che vado avanti e... io indietro non ci voglio tornare più”. 

Irene si morse il labbro, emozionata, pensando che quello fosse il ‘ti amo’ più bello che avesse mai sentito nei loro mesi assieme, ma siccome era sempre la solita si sforzò di mascherare la propria commozione con lo scherzo: “Mi fai sembrare come un... mmh, esperimento sociale”.  

Ma vaaaa” rispose spintonandole leggermente la spalla con la propria, non capendo del tutto cosa volesse dire con quelle due paroline, ma perfettamente consapevole che quello fosse il suo modo per avvisarlo che il miele di quella conversazione stava oltrepassando i suoi limiti di tolleranza.  

Va bene” decretò poi lei tutt’a un tratto, con voce pacata ma ferma.  

Gli occhi di Rocco si illuminarono e, timidamente, senza sbilanciarsi per paura di aver interpretato in maniera troppo ottimistica quella frase, chiese: “Va... bene? 

Irene intrecciò la propria mano con la sua e Rocco saltò un battito, o diversi, chissà. 

Va bene” ripeté lei, ancora spaventata per il futuro, ma felice oltre ogni logica per essersi decisa a compiere ‘quell’atto di fede’, come raramente le concedeva la sua anima razionale. 

Rocco sorrise senza far rumore, di un sorriso che le smentì la sua stupida gelosia di quella mattina: non c’era dubbio che Rocco sorridesse così solo a lei. 

Quindi, ancora una volta in silenzio, Rocco alzò le loro mani intrecciate e si portò quella di Irene alla bocca. Vi depositò un bacio senza staccare gli occhi da quelli di lei, mentre lo tradiva una lacrima che gli percorse la guancia.  

Irene si commosse di rimando senza riuscire a trattenersi, ora che vedeva cedere anche lui. Poi si coprì istintivamente il viso a voler soffocare una risata isterica, dovuta alla gioia, alla commozione e anche un po’ alla vergogna di aver tradito la sua natura stoica, e così fece ridere Rocco ancora di più. 

La smetti di piangere per favore?” gli intimò, tra una lacrima e una risata. 

Ancora con le guance umide, Rocco la guardò di traverso, sfidandola:  

La smetto quando la smetti pure tu!”. 

Irene ribatté, fingendosi indignata: “Ma se ho iniziato per colpa tua! 

E va bene, fammi smettere.” le concesse Rocco, smorzando i toni. 

Con uno schiaffo? Volentieri...” scherzò lei, che dallo sguardo di lui già intuiva quale sarebbe stata la richiesta. 

Rocco si morse il labbro inferiore ignorando volutamente lo scherzo e osò:  

Con un bacio... 

Pensò che non era passato nemmeno un minuto intero da quando si erano ritrovati e già quella famosa bussola interna tornava a puntare verso quel ‘sé stesso’ che meno gli dispiaceva.  

Sensibile, ma deciso. Riflessivo, ma anche propositivo. 

.... 

Ah.” fu la risposta sconnessa di Irene.  

Il suo primo impulso mentre gli si avvicinava fu quello di toccargli la guancia, forse per un trauma residuo che lui potesse dileguarsi non appena le si fossero riaperti gli occhi. 

E lì rimase la sua mano, a guidare lentamente il viso di lui verso le proprie labbra. Come se ce ne fosse bisogno... 

Le labbra di Rocco la assalirono con la peculiare energia che lo caratterizzava, quell’ossimoro fatto di slancio e timidezza, tanto che Irene non riuscì a trattenere un risata sommessa, felice, contro la bocca di lui. 

Rocco sorrise a occhi chiusi, consapevole, senza però scostarsi dal viso di Irene neanche di un centimetro. Abbandonò le labbra di lei solo per percorrere la sua gota all’ingiù e disegnarvi un sentiero di baci fino all’incavo della sua gola dove, finalmente, approdò. 

Sereno. O quasi... 

Teneva stretto in pugno un lembo del cappottino color ocra che Irene aveva indosso, come per aggrapparsi a lei, mentre cercava dolcemente frizione tra la propria guancia e il suo collo e così si rifugiava nel suo profumo.  

Se ne stettero così per un tempo indefinito di cui persero temporaneamente cognizione. 

Peccato, pensarono all’unisono, che di quel momento perfetto avrebbero avuto solo un ricordo offuscato.  

Ma d’altronde, la felicità assordante, quella che ‘senti il battito del tuo cuore fin dentro le orecchie’, ne faceva di quegli scherzi... 

 

Andrà sempre così, mmh?” gli chiese poi Irene a bassa voce, seguendo la stessa armonia di quel silenzio, “che capiremo dove abbiamo sbagliato solo dopo aver parlato con terze persone? 

Rocco si staccò da lei a malincuore, lasciandole un ultimo bacino sulla guancia prima di rimettersi dritto sullo sgabello.  

Poi protruse la bocca mentre rifletteva: “Secondo me l’importante è che lo capiamo Ire’, non è tanto importante come... non pensi? 

Irene ci pensò su per un attimo e concluse: “Sì, quello è vero... però non so, mi piacerebbe che il nostro rapporto fosse davvero ‘tutto nostro’, che ci ascoltassimo, ecco, non so come spiegarlo...”.  

E lo facciamo Ire’, anzi... secondo me finora l’abbiamo sempre fatto... rispose con semplicità Rocco, senza sforzarsi di convincerla, bensì piuttosto sottolineando un dato di fatto.  

E Irene pensò che quel suo fare disinvoltamente rassicurante al momento giusto non fosse un caso, perché era vero che riuscivano a rasserenarsi, a essere quiete l’una per l’altro - ma anche tempesta l’una per l’altro - sempre, rigorosamente, a fasi alterne. 

E se quello non si chiamava equilibrio, non sapeva davvero che altro nome avesse. 

... però ci sono delle volte, Ire’” continuò Rocco “come ad esempio questa, che secondo me facevamo più danno se continuavamo a parlare tra noi” e bastò che si guardassero per un istante perché quel momento di serietà capitolasse miseramente lasciando spazio a una risata fragorosa da parte di entrambi.  

Allora sarai contento di sapere che Stefania quella sera mi disse che avrei dovuto essere più calma, più paziente, più comprensiva...” cantilenò Irene roteando gli occhi. 

E c’ha ragione, te ne sei andata come una pazza...” disse Rocco pronunciando le ultime parole mentre gli scappava una risata, in attesa della vendetta di Irene.  

Che arrivò, puntualmente, con un pugno sul braccio. E via giù a ridere di nuovo. 

Poi Rocco tornò ad armeggiare con quel sassolino nella scarpa che gli aveva precluso una serenità piena, poco prima, mentre la baciava. 

Forte del calore delle loro mani ancora intrecciate, si lasciò andare: “Cioè io ho paura, Ire’” senza più filtrarle i propri timori prima di darvi voce. 

Di cosa?” chiese pazientemente Irene. 

Di allontanarci ancora. Di comportarmi ancora come uno scemo solo perché ho paura di perderti, e più ho paura di perderti, più mi comporto come uno scemo ed è brutto questo...” non terminò la frase per mancanza del termine corretto ma fu inequivocabile il gesto della sua mano per aria. 

Circolo vizioso?” suggerì lei. 

Sì, brava, quello” esclamò Rocco. 

Irene cercò di interpretare quelle risposte sconnesse di Rocco e concluse che, Dio non volesse, ma se fosse stato ancora necessario in futuro, lui si sarebbe nuovamente rivolto a qualcuno per un consiglio o un aiuto – mettendo quindi di nuovo alla prova la propria anima timida –  pur di ritrovare la strada verso di lei dopo un litigio. 

Irene abbassò la testa e rise sommessamente; Rocco spalancò gli occhi sorpreso.  

Che c’è?” chiese. 

Niente, mi è tornato in mente quel giorno, o meglio il momento in cui stavo tornando a casa, e pensavo che io ho fatto anche di peggio” confessò Irene. 

Cioè?” Rocco chiese sempre più incuriosito. 

Ero seduta a una panchina e, per sentirmi meglio, ripetevo a me stessa che avevo ragione e...” fece una pausa e incontrò i suoi occhi per cercarvi complicità “e sai come sono fredda, autoritaria e calcolatrice io, quando so di aver ragione” 

Rocco annuì vigorosamente “Eh! Un incubo vivente proprio!”  

E risero insieme. 

Ma per la prima volta è successo un fatto strano... Non riuscivo a sentirmi meglio.  

Di quella ragione non sapevo che farmene perché comunque non mi riportava da te...” 

Fece una pausa per cercare di nuovo il suo sguardo, ma solo brevemente, perché faceva fatica a mettergli così a nudo la propria anima, ammettere che era stata così debole, e che lo era stata per nessun altro motivo se non quello di amarlo.  

“... anzi, poi mi sono sentita anche peggio, perché ero sicura che se tu avessi scelto.... altre persone, incomprensioni di questo tipo non sarebbero mai sorte”.  

Entrambi sapevano a chi si riferisse Irene. 

“Ire’ ma...” cercò di intervenire Rocco per rassicurarla, commosso e onorato di aver avuto la conferma che cercava il giorno prima con Armando, ossia che anche lei aveva avuto esattamente la stessa paura di perdere lui.  

Certo, in quei mesi non le aveva mai dato motivo di dubitare che si fosse pentito di non aver scelto Maria, ma le ultime parole di Irene gli insegnavano che il suo gesto di allontanarla non l’aveva solo ferita di per sé, bensì l’aveva anche fatta sprofondare nel timore di sentirsi inadeguata a confronto con lo stuolo delle innumerevoli ‘Marie’ a cui era stato abituato nella sua vita e che aveva inconsciamente preso a modello in quello scontro con lei.  

Come se poi nella quotidianità, le frecciatine della zia Agnese aiutassero la causa.  

Ecco, quindi, oltre a sentirsi commosso e onorato, si sentiva, ancora una volta, un vastasu. 

Ma Irene non lo lasciò finire; si erano già chiariti su quel punto e non aveva certo aperto il discorso per fargli ancora delle recriminazioni. “No, non serve Rocco, davvero... era solo per dirti che anche io ho avuto paura e che forse... non so... quattro giorni fa hai reagito così male perché ti hanno insegnato la regola che... una donna che si muove e si comporta in un certo modo, o fa le cose in un certo modo” si mise ad elencare Irene, a mo’ di litania “ti assicurerà una vita e un matrimonio felici. Ma secondo me non funziona così...” 

Rocco continuava ad ascoltarla attentamente e gli tornarono in mente delle parole simili usate dal suo mentore il giorno prima: Perché si può essere ‘licenziosi’ e disinibiti rimanendo fedeli alla stessa persona per tutta la vita e d’altra parte la persona più casta e pura di questo mondo tutt’a un tratto può innamorarsi di qualcun altro e così tradire il proprio consorte anche con un solo sguardo’. 

Arrivò a sospettare che Armando e Irene fossero imparentati e sorrise fra sé. 

... la realtà è che, almeno secondo me, in questa cosa non ci sono regole. Non è seguendo determinate regole che avrai successo...” poi si corresse, alzando di nuovo gli occhi verso di lui, che AVREMO successo. Non ci sono scorciatoie, bisogna solo ascoltarsi decretò poi per concludere. 

Rocco finì per capire, come in un’illuminazione, quello a cui Irene era arrivata già poc’anzi, nel momento in cui si era decisa a prenderlo per mano, a ricominciare. 

Che, se era sorto il problema e successivamente avevano entrambi sentito il bisogno di parlare con altre persone, era perché innanzitutto avevano smesso di ascoltarsi. Che certamente non c’era nulla di male a chiedere aiuto a una persona fidata - in fondo tutto quello che concorreva al bene della coppia era da considerarsi positivo - ma quella era comunque e sempre una ‘cura’. 

Non era meglio prevenire del tutto? 

 

Rocco riuscì solo ad annuire, col cuore in gola, perché ora finalmente la sua serenità poteva considerarsi COMPLETA. 

Ma decise che aveva pianto abbastanza per quella sera; così, allungò una mano per accarezzarle il viso e imitò il suo atteggiamento di poco prima: camuffare l’emozione con lo scherzo. 

Quantu mi si diventata saggia” e le strizzò delicatamente le guance coi polpastrelli. 

Ah ‘diventata’?!” gli fece eco fingendo indignazione e divincolandosi dalla sua mano. “Tu invece saggio per niente; non lo sai che per chiedere scusa a una ragazza le devi pagare la cena?”.  

Al ché Rocco pensò che le donne avevano tratti moooolto simili visto che Stefania aveva espresso lo stesso concetto quella mattina. 

E intanto si alzarono assieme e Rocco si mise cappotto e sciarpa. 

Ah prima la ‘parità dei sessi’, come la chiamate voi locu” fece Rocco “e poi devo pagare per forza io la cena?” le gridò Rocco da lontano mentre si avviava ad accendere le luci. 

E certo, ‘chi rompe paga’!” ribatté Irene mentre soffiava sulle candele. 

Ah, così funziona?” le chiese con quell’accento che la mandava fuori di testa. 

Sì!” confermò granitica. “E adesso vieni qua, fammi appoggiare perché mi fa ancora un po’ male il piede”. 

Rocco le porse il braccio mentre si metteva il cappello e insieme uscivano dal magazzino. 

E invece, vanitosa come sei, dovresti esse’ contenta che stasera non ho pensato a mangiare. Vedi come mi riduci tu a me...” le disse guardandola di sottecchi. 

Irene alzò lo sguardo verso di lui e sorrise senza dire nulla. Effettivamente a quello non aveva pensato. Appoggiò la guancia sul suo braccio – perché era talmente alto rispetto a lei che sarebbe stato impossibile appoggiarla sulla sua spalla – e si strinse a lui come una bimba. 

Si godette ancora per qualche secondo in silenzio quel senso di protezione che emanava e poi disse: 

Ora è comunque tutto chiuso. Pianerottolo anche stasera?” gli propose nel loro linguaggio in codice. 

A volte per starsene un po’ soli la sera dopo cena, sgranocchiavano qualcosa assieme giù per le scale, parlando e scherzando a bassa voce e così facendo attenzione a non svegliare il vicinato, in primis le loro famiglie. Con il sopraggiungere delle basse temperature si avvolgevano con una vecchia coperta, una che ormai riconoscevano come la loro, ma il più delle volte Rocco, che meglio sopportava la stagione invernale, non ne aveva bisogno, allora Irene teneva semplicemente indosso il maglione di quando era piccolo che lui le aveva regalato tempo addietro, o per meglio dire che lei non gli aveva più restituito, come piaceva a Rocco sottolineare. 

Stefania non sapeva più in che lingua convincere Irene che non le dava fastidio la presenza di Rocco in casa, e difatti Rocco passava spesso da loro, ma Irene si rifiutava comunque di metterla in difficoltà in momenti della giornata in cui chiunque desiderava starsene soltanto in déshabillé. 

Rocco approvò la proposta, contento. “Va bene, vedo se posso rimediare un po’ di pane a casa...?” 

“E io un po’ di formaggio” approvò Irene sorridendo, quindi commentò “Peggio degli sfollati!”, in una vena autoironica che lo fece ridere. 

Poi Rocco iniziò a tamburellare nervosamente i polpastrelli sulla spalla di lei, incerto su come riprendere il discorso lasciato in sospeso quattro giorni prima. Faceva sul serio quando quella sera l’aveva implorata di non smettere di aprirsi con lui, ma ora si chiedeva se, dopo aver scelto di ricominciare, una parte di Irene si fosse chiusa per sempre, involontariamente magari, solo per la paura inconscia di sentirsi ancora giudicata. Ecco, era proprio quello che Rocco non voleva.  

Si premette le labbra tra loro, un po’ in tensione, e, sforzandosi di farla sembrare la conversazione più casuale possibile, le domandò: “Allora me lo dici adesso com’è per te? 

Irene corrugò la fronte, “Cosa? 

Eh, quello che mi stavi dicendo quel giorno...” arrossì Rocco non osando specificare. Certo che se anche lui parlava in codice, la cosa suonava ancor di più come un affare di stato. 

Irene sgranò gli occhi per una frazione di secondo, cosa che non gli sfuggì.  

Ecco. Come volevasi dimostrare, si vergognava ancora. 

Niente, Rocco, che altro c’è da dire? Era una frase e l’ho detta, nient’altro da aggiungere” rispose frettolosamente. 

Rocco storse la bocca, scettico, mentre camminava guardando davanti a sé ma anche buttando di tanto in tanto un occhio su di lei per studiarla: “Mmh, l’altro giorno non mi sembrava... 

Cioè?” chiese, confusa. 

Eh, avevi gli occhi come se volessi aprire un discorso” disse con sicurezza, forte della convinzione di conoscere persino il significato recondito delle pause che la sua fidanzata faceva tra un respiro e l’altro. 

Irene sorrise. “Addirittura?” chiese, sorpresa.  

Facciamo che me lo dici mentre cammini, così non mi guardi in faccia e ti vergogni di meno...? insistette Rocco e gettò uno sguardo su di lei quando si accorse dei suoi occhi stupiti. Scoppiarono a ridere. 

Irene scosse la testa non sapendo da dove cominciare e per il nervosismo affrettò istintivamente il passo – ormai il dolore al piede non era più così forte da rallentarla. 

Deglutì, pensando che certe cose era paradossalmente più facile confessarle con la nebbia dell’eccitazione addosso, che così, a comando. Ma ci provò lo stesso. 

Niente...” esordì, con forzata nonchalance “Rocco, ci credo anche io in Dio, anche se pensi che sono una scomunicata” e lo fece ridere di gusto “al catechismo ci sono andata come tutti... Però io, sinceramente, questa cosa non riesco a vederla come un peccato... 

Si girò verso Rocco, quasi timorosamente, forse anche stavolta con l’intenzione di testare la sua reazione.  

La guardò di rimando; aveva un’aria riflessiva ma distesa, e Irene tirò un sospiro di sollievo. 

Ma infatti, Ire’, la Chiesa non è che dice che non si può fare, dice semplicemente che non si può fare prima del matrimonio” commentò lui in un goffo tentativo di rassicurarla (?). 

Irene sorrise dinanzi a quell’ovvietà. “Sì, questo lo so anche io, ma il punto è che non capisco proprio perché dovrebbe essere un peccato. Perché, se una persona lo fa con amore? Che Dio mi perdoni, ma io davvero non lo capisco”.  

Fece una pausa mentre Rocco, ancora più pensieroso, non riuscì a replicare nulla. 

Cioè Rocco,” allora continuò “ci sono certe sere che stiamo così bene che non mi basta darti la buonanotte e aspettare l’indomani per rivederti, vorrei dormire con te, sentirti... ti vorrei completamente, perché ti voglio in tutti i sensi” disse Irene tutto d’un fiato. 

Rocco strinse la presa sulla mano di lei in un gesto incontrollato, poi si schiarì la gola.  

Solo allora Irene si rese conto di quanto avesse osato con quella frase sconclusionata, ma a quel punto era troppo tardi per rimangiarsela. 

Scusa” gli sussurrò lei, mortificata, “quando ho detto ‘non mi basta’ non era per farti pressioni...” esitò, mentre avrebbe voluto accartocciarsi su sé stessa per quanto si sentiva scema. Non aveva fatto altro che assicurargli che la sua intenzione non era mai stata quella di porre delle condizioni alla loro relazione, e ora che faceva? Dimostrava tutto l’opposto con una frase del genere? Ma un po’ meno impulsiva non sapeva esserlo? 

... mi è uscito così, mi hai chiesto tu di parlartene e...” continuò balbettando. 

Ma la testa di Rocco era da tutt’altra parte. “Tranquilla, Ire’” la interruppe lui distrattamente “stavo pensando a quello che hai detto dopo...”  

‘Pensare’ era riduttivo però; anzi, la realtà è che non pensava più molto lucidamente. 

Ah... E...?” trepidava Irene, in attesa del responso. 

‘Ti vorrei completamente, perché ti voglio in tutti i sensi’... 

... Rocco non riusciva a schiodarsi dalla testa quelle paroline, apparentemente così banali, che forse lo avevano colpito proprio perché di una semplicità disarmante.  

In quel momento gli balenò per la testa che aveva sempre visualizzato il sesso - in quella percentuale prossima allo zero che lo conosceva, certo - in maniera quasi asettica, come un concetto sociale astratto, una ‘cosa’ che si può fare o non si può fare, a cui si è autorizzati a pensare o no. 

Quella invece era la prima volta che gli veniva descritto come un’emozione, un calore, un desiderio che ti parte da dentro e che altro non è se non quello di fonderti totalmente con la persona che ami perché ‘non ti basta più’ (ed ecco, ora si rendeva conto che effettivamente non c’erano altre parole per esprimere la cosa, se non quelle usate da Irene) sentirla attraverso i sensi con i quali senti invece... tutti gli altri. 

Rocco...?” insistette Irene. 

Rocco inspirò rumorosamente, ridestandosi “Ehm, scusa, no niente...” balbettò e diede un colpo di tosse “volevo chiederti... e se tu vuoi una persona così, completamente, allora non senti il bisogno di sposarti? Cioè, a quel punto che altro c’è da aspettare? 

Irene sorrise perché effettivamente il sillogismo di Rocco non faceva una piega, ma soprattutto si intenerì perché si ricordò di quei pochi minuti risalenti a mesi addietro, trascorsi in un camerino dove l’aveva trascinata per convincerla che potevano colmare le loro differenze. 

Anche adesso, come allora, lo stava facendo con la semplicità di un bambino e lei e la sua mente contorta, a volte, avevano bisogno proprio di quello. 

Effettivamente quello metterebbe d’accordo tutti, eh?” scherzò lei, guardandolo in volto. 

Eh!” confermò, sorridendole a sua volta. 

La risposta è sì, certo che mi viene in mente, e lo vorrei in futuro, sposarmi intendo” disse non alzando lo sguardo mentre con la coda dell’occhio sentiva Rocco girarsi subito verso di lei “mmh... però ecco, per spiegartelo in maniera semplice, se rimarrò vergine fino al matrimonio, diciamo che non sarà per volontà mia, tutto qua”. 

Calò il silenzio per alcuni secondi durante i quali Rocco era tornato a riflettere a testa bassa e lei fingeva tranquillità ma in realtà si sentiva il cuore come un tamburo, nel timore che Rocco non stesse replicando nulla solo perché troppo sconvolto. 

Ci... sei?” poi gli chiese. 

Rocco si voltò verso di lei dopo un attimo di esitazione, aveva lo sguardo ancora pieno di interrogativi propri, che tuttavia non sembrava voler toccare quella sera, dato il suo sguardo sereno. 

Le sorrise teneramente prima di rispondergli con una domanda retorica “Lo sai che sei DAVVERO coraggiosa, Ire’? 

Dove quel ‘davvero’ non voleva significare ‘tanto’, bensì ‘lo sei per davvero’. 

Mmh 

Irene scoppiò a ridere: “Traduzione: ‘quando lo disse ieri il signor Armando che sei coraggiosa ci credevo e non ci credevo, mentre adesso ci credo davvero’?” lo prese in giro cercando di interpretare i suoi pensieri. 

Rocco scoppiò a ridere a sua volta. 

E NON NEGHI NEMMENO, ma grazie!!!” lo stuzzicò ancora Irene. 

No ma senti qua...!” esclamò lui richiamandola all’ordine, mentre ancora continuavano a ridere come due cretini. “Seriamente...” ripeté lui, ancora con le lacrime agli occhi. 

Eh... ti ascolto” confermò lei mentre si asciugava una lacrima. 

Ti ricordi quando è venuta quella signora americana che voleva per forza quel vestito della nuova collezione?” si accinse a spiegarle, dopo essersi calmato. 

Irene spalancò gli occhi mentre cercava di fare appello alla propria memoria:  

Ah, sì!....” per poi strizzarli “Come ti è venuta in mente questa cosa adesso, di grazia?! 

Eh...” rispose lui, un po’ languidamente “mi ricordo che quel vestito non potevi neanche venderlo perché dovevamo aspettare ancora una settimana per mettere in esposizione quella collezione, però volevi far contenta la signora, pure perché veniva da tanto lontano...”. 

“Sì...?” disse Irene non capendo ancora dove volesse arrivare, mentre si avvicinavano al loro edificio e Irene si sfilava le chiavi del portone dalla giacca. 

“E niente, questo per dirti che è facile obbedire.... come si dice” e scrocchiò le dita perché non gli veniva la parola “ciecamente, sì, ciecamente, ... ma tu sei andata contro a una regola che per te non aveva senso e penso che, per rischiare così,” fece spallucce “ci vuole tanto coraggio”. 

E la guardò insistentemente negli occhi, prima di farle una carezza sulla guancia. 

Lei, dal canto suo, non sapeva in che lingua tradurre a parole la propria gratitudine per quella che poteva sembrare una banalità, ma che per lei non lo era, ossia quel singolare modo che aveva avuto di descrivere il suo apprezzamento per lei. Anche se in pochi se ne rendevano conto, Rocco aveva uno spirito osservatore, arguto, e ora più che mai era certa che meritasse tutta la fiducia da lei riposta tanto tempo addietro. 

Si erano scambiati più dichiarazioni significative dopo un litigio di quella portata che nei mesi precedenti di pace assieme. E se avesse avuto la certezza che ogni eventuale scontro futuro avesse portato sempre a un frutto migliore, sarebbe stata disposta a sopportare altri giorni come quelli senza esitazioni. Giorni in cui si era sentita mutilata, è vero, ma ne era valsa la pena perché quell’accresciuta certezza di riuscire a superare l’impossibile era impagabile. 

E cosa ho rischiato stavolta secondo te?” poi lo stuzzicò, mascherando sapientemente le proprie emozioni “La dannazione eterna? 

Shh, non dire queste cose brutte” reagì immediatamente adagiandole un dito sulla bocca. “No, hai rischiato che succedesse quello che infatti è successo, cioè che sugnu un cretino e vabbè, niente...” rettificò il senso della frase in corso d’opera, in una vena di sfiducia in sé stesso, “alla fine se mi avessi perso, sarebbe stato pure meglio per te”. 

Questo. NO. - pensò Irene. 

Ma sì...” disse Irene con disinvoltura “in fondo molto meglio i tempi in cui i rampolli come Guarnieri mi salvavano la giornata come si fa con una donzella in pericolo” lo provocò, riferendosi proprio all’episodio da lui menzionato in cui era stato Riccardo Guarnieri a difenderla dalle intenzioni catastrofiche della Molinari. 

La gelosia colse Rocco tanto velocemente quanto avrebbe fatto una reazione allergica. 

Serrò istintivamente la mascella e si fece subito serio in volto.  

Ah sì?” quindi chiese, impennando la voce più del dovuto. 

E fu un attimo.  

Irene partì a razzo per salire in fretta i gradini che li separavano dal portone, dando così a Rocco il segnale implicito di volerlo sfidare in una gara. 

Rocco, preso alla sprovvista, iniziò a correrle dietro con un leggero svantaggio, cosa che le diede il tempo di aprire il portone e iniziare a macinare gradini prima di lui. 

Per un pelo riuscì a soffocare l’istinto naturale di gridare, tipico di quando si è rincorsi. Nonostante l’adrenalina addosso, era infatti perfettamente cosciente che già con i tonfi sordi delle loro scarpe su per le scale avrebbero potuto facilmente svegliare i vicini. 

Con enorme affanno, riuscì finalmente ad arrivare al loro piano e a toccare prima di lui il muro che separava le porte dei loro rispettivi appartamenti, a cui si appoggiò di schiena, sfinita, per riprendere fiato. 

Rocco aveva in mente un altro tipo di gara, però. 

Prima che Irene potesse rendersi conto che lui stava raggiungendo il suo viso, gli sussurrò “ho vinto i...”, ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che si ritrovò le labbra di Rocco sulle proprie e le sue mani sui fianchi. 

La dolce disperazione con cui la cinse era così vibrante che si sentì quasi sollevare da terra, e forse era solo una semplice impressione, ma non importava. Le piaceva così. 

Quando le loro lingue si sfiorarono, d’istinto la presa di lui sul corpo di Irene si fece più intensa. E prima che le mani di lei potessero rispondere con la stessa veemenza, come ogni volta che stava per perdere il controllo durante un bacio, lui si scostò e le chiese, fiero: 

Pure ora ti mancano i rampolli come Guarnieri?” e rimarcò quella parola che aveva sentito per la prima volta quella sera da lei e di cui aveva, per forza di cose, intuito subito il significato. 

Lei ignorò quella domanda come se lui non l’avesse mai fatta.  

Perché quel dubbio non aveva nemmeno motivo di esistere, e sotto sotto lo sapeva anche lui.  

Così ti voglio... sicuro di te” gli mormorò spostandogli un ciuffo, per fargli sapere che era esattamente quello l’effetto che voleva sortire. 

Gli occhi di Rocco, ancora luccicanti per quel gesto inatteso prima di tutto per lui che ne era stato l’artefice, si permearono di un desiderio... nuovo, in cui Irene non riconobbe più le caratteristiche striature di pudore, bensì una venatura senza remore.  

Vederlo così, e oltretutto stranamente incurante del luogo in cui si trovavano, le provocò un senso di vertigine. 

Così, quando le si avvicinò di nuovo, intenzionato a ripetere, lei gli toccò le labbra per fermarlo... a malincuore. “Non so se ti sei accorto che siamo sul pianerottolo” gli comunicò, sorridendo. 

E vabbè...” fu l’unica risposta sconnessa che la sua mente annebbiata riuscì a produrre in quel momento, mentre nel frattempo non riusciva a smettere di fissarle le labbra schiuse... 

 

Vi prego, ditemi che quello è un bacio e che non vi state picchiando” fu l’intervento che li interruppe, delicato come una secchiata d’acqua gelata in qualsiasi stagione, di una certa persona che si affacciò alla porta con atteggiamento implorante. 

Buonasera pure a te, Stefa’” esclamò Rocco fingendosi scocciato, e ormai di nuovo lucidissimo dopo che era bruscamente sfumato l’incantesimo degli attimi subito precedenti. 

Irene alzò un sopracciglio verso la coinquilina “Sei diventata come le pettegole che spiano i passanti dalle tendine di casa” commentò con voce neutrale, come fossero già nel bel mezzo di una conversazione. 

Stefania serrò i denti tra loro, nella sua tipica espressione disgustata. “E io che pensavo che fare pace con Rocco ti avrebbe fatta tornare com’eri prima, ovvero un po’... meno insopportabile”. 

Grazie” disse Irene con gli occhi piccoli “praticamente alterno momenti di schifo a momenti di schifo un po’ meno schifoso”. 

Esattamente” disse Stefania con aria spavalda. 

Poi Irene cambiò totalmente espressione, perché era arrivato il momento delle coccole, e tra loro ce n’era sempre uno durante la giornata. 

Al massimo uno, poi basta.  

Sono stata parecchio odiosa?” le chiese – retoricamente, perché la risposta era ovviamente ‘sì’ – protrudendo la labbra come una bimba dispiaciuta e avvicinandosi a lei. 

Stefania si mise a braccia conserte, fingendo di rifletterci su, poi alzò un braccio, quindi alzò anche l’altro e li tenne in posizione parallela tra loro “Un pochino...” rispose con una vocina innocente. 

NO!” rettificò Irene “pochino COSÌ” tenendo pollice e indice vicinissimi tra loro. 

Poi Stefania protestò di nuovo, certo, ma in maniera del tutto inutile perché Irene già l’aveva avvinghiata alla vita, fingendo di addentarle il collo, per poi schioccarle un bacio che la fece ridere rumorosamente. 

Piaaaaaaano, che mò svegliate tutto il condominio!” fu il rimprovero divertito di Rocco mentre si godeva quella scenetta, al pari di tutte quelle che ricorrevano con cadenza quasi quotidiana tra le due. 

Al ché, Irene e Stefania guardarono Rocco e spalancarono gli occhi, spaventate dalla stessa eventualità, e abbassarono il tono di quelle risa. 

Abbiamo fame, dimmi che c’è ancora un po’ di formaggio” le chiese poi Irene in tono di supplica. 

Meglio, c’è il gelato!” rispose Stefania, inorgoglita dalla brillante idea che aveva avuto di acquistare il gelato in pieno inverno. 

Poi la ragazza sgranò gli occhi dinanzi a un grido soffocato di esultanza che si scambiarono Rocco e Irene.  

Noooo, Stefa’, vabbè... mettiti l’anima in pace che sto gelato stasera finisce!” fu la semplice ‘comunicazione’ di Rocco. 

Domani te lo ricompriamooo...” gridò Irene che nel frattempo era già scomparsa dalla vista per entrare in appartamento a prendere: gelato, due cucchiaiNI e la loro coperta, approfittando anche di liberarsi del cappotto ma soprattutto dei tacchi che, dopo quella lunga giornata, le avevano ridotto i piedi in poltiglia. 

Quando poi si riavvicinò alla porta per tornare fuori, li sentì bisbigliare e le parve di decifrare un ‘Grazie per oggi’ sussurrato di Rocco a Stefania, ma non era sicura di aver capito bene. 

Si può sapere che state confabulando?” chiese Irene guardando prima l’una e poi l’altro. 

Rocco fece un gesto sbrigativo della mano “Lei sa” rispose con un sorriso furbo. 

Mentre Stefania le rispose con un occhiolino. 

Di nuovo, Irene se li rimirò entrambi e, sollevando le sopracciglia, commentò: “Un’associazione a delinquere desta meno sospetti di voi”. 

Stefania ignorò la drammaticità e rinnovò l’invito che faceva di consueto ai due fidanzati, “Ma entrate dentro, morite di freddo qua fuori, io tanto vado al letto! 

NO! Ci sediamo qui! Vai a dormire!” fu la risposta prevedibile di Irene. 

Rocco guardò Stefania mentre Irene le passava davanti e alzò una mano per minimizzare le risposte fintamente burbere della fidanzata “Lascia sta’ Stefa’, che stasera sta su di giri”. 

AH, IO?” lo penetrò Irene con lo sguardo per ricordargli il suo ‘spirito di iniziativa’ – a voler usare parole innocenti – di qualche minuto prima. 

Rocco abbassò il capo e poi sorrise, consapevole.  

Stefania, che da quella brevissima interazione già aveva percepito un’elettricità strana nell’aria, tagliò corto: “Vabèèèèè... buonanotte a voi, a domani!” seguita da loro che la ringraziarono e si congedarono da lei. 

 

Rocco si sedette prima di lei sui primi gradini della rampa, quindi si portò subito le ginocchia al petto in un inconsapevole gesto di riserbo.  

Ben presto si accorse di quanto fosse sciocco quell’atteggiamento, dato che era bastato uno sguardo per tradirsi con Irene.  

Proprio come quella mattina aveva previsto, o per meglio dire sperato, un'altra zavorra immaginaria si era disincagliata dalle sue caviglie e trovò singolare che quella svolta non fosse dovuta ad alcun avvenimento particolarmente eclatante.  

In fondo, cos’era successo?  

Rocco non aveva cambiato idea sulla propria illibatezza, né le aveva promesso in alcun modo che sarebbe mai successo in futuro; e Irene, a sua volta, si era mostrata giustamente impenitente quanto alle proprie idee... 

 

Aiutami” la voce di Irene lo distolse dai suoi pensieri e Rocco alzò lo sguardo verso di lei, che era ancora in piedi. 

Labbro inferiore tra i denti, tutta intenta a non far cadere per terra la coperta che aveva indosso a mo’ di scialle, mentre nel frattempo metteva un piede dietro l’altro per cercare posto affianco a lui sui gradini, ma lentamente, dato che era scalza e le collant sul marmo delle scale potevano farla scivolare.  

E lo sapeva pure, l’incosciente, pensò Rocco sorridendo fra sé.  

Mano sinistra a reggere la vaschetta di gelato per aria, quasi come fosse un trofeo – e lo era davvero, perché di lì a poco se lo sarebbero conteso come due bambini – mentre con l’altra mano, quella in cui teneva i due cucchiaini, si tirava su la gonna perché non le si strappasse la divisa attillata mentre si sedeva. 

In quella sequenza di movimenti le ricadde un ciuffo sulla fronte, a completare lo spettacolo, e Rocco trattenne il respiro. 

Mai in vita sua una scena così ordinaria e apparentemente sgraziata gli era sembrata così intensamente femminile. 

Le sfilò cucchiaini e vaschetta dalle mani perché non perdesse l’equilibrio, quindi stese le gambe giù per le scale e, picchiettandosi la coscia, le fece segno di adagiarvi sopra le sue. 

Al primo boccone di gelato Irene rabbrividì, nonostante si fosse avvolta per bene la coperta attorno al busto. Era stata troppo ottimista nel credere che non le avrebbe provocato quell’effetto, date le basse temperature di stagione. 

A Rocco non sfuggì quel tremore incontrollato e sorrise teneramente. “Chiattidda, c’hai i brividi? 

Irene si girò di scatto verso di lui, scioccata dalla realizzazione che la scena da lei immaginata quella mattina le si era materializzata davanti. Rocco, dal canto suo, era più sconcertato di lei quando Irene gli spiegò a cos’era dovuta la commozione che seguì quel déjà vu. 

 

Proprio quelle piccole grandi conferme lo riportarono alle riflessioni di poco prima: 

In fondo cos’era successo quella sera? Nulla di eclatante. 

Lei non era cambiata per lui e lui non era cambiato per lei. 

Ma era proprio quello il vero miracolo: amarsi ancora senza aver perso sé stessi. 

 

 

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Capitolo 5
*** Quizas te puedas preguntar que le hace falta a esta noche blanca ***


Allora me lo vuoi ripetere o no questo Giolitti?!” insistette Irene, mentre la sua mano, intrecciata a quella di Rocco, si dondolava in mezzo a loro e, con passo tutt’altro che svelto, percorrevano insieme il tragitto verso la scuola dove di lì a poco si sarebbe tenuto il fatidico esame di terza media. 

Con la pazienza che NON la contraddistingueva, Irene stava onorando comunque la sua richiesta di farlo ripetere, pur avendo cercato di dissuaderlo in tutti i modi da quell’azione a cinque minuti prima del patibolo, dato che, a detta sua, aveva il solo effetto di confondere le idee e aumentare l’ansia. 

Dopo un leggero spintone per svegliarlo da quella trance – che pareva stesse recitando le litanie del Rosario nel mezzo della processione per un funerale – finalmente Rocco si ridestò: 

Eh... sì!” esclamò, volendo puntualizzare che era presente a sé stesso, “Aspe’, di chi hai chiesto?” e fece poi ricadere gli occhi sul libro che teneva a mezz’aria nell’altra mano. 

Non fare finta di non aver capito, signorino, solo per prendere tempo e sbirciare” disse Irene stringendo le labbra tra loro per evitare di ridere. 

Ma che fare finta... no, Giolitti lo so, mi è simpatico” e le lasciò la mano per picchiettare il libro mentre si avvicinavano al muretto dell’istituto “ha fatto un sacco di cose belle per il Meridione” spiegò inorgoglito. 

Irene ridacchiò “Rocco, ma puoi parlare di una figura storica iniziando col dire ‘mi è simpatico’? Ma che modo di ripetere è? 

Picchì? Che c’è di male, se io dico ‘mi è simpatico’ o ‘mi è antipatico’, il professore capisce che l’ho studiato per bene” disse gesticolando a modo suo e poi fece una pausa per rifletterci su “e quindi secondo me mi premia di più!” concluse tronfio, come se avesse localizzato Atlantide. 

Irene strizzò gli occhi pensandoci un po’ e poi disse “In effetti sbagliata come teoria non è”. 

Ma...?” chiese Rocco fingendosi scocciato, come ogni volta che premoniva un’obiezione di Irene. 

Nessun ‘ma’...” lo graziò lei “semplicemente prega che ti capiti uno di larghe vedute, perché se è dello stampo di quelli che ho avuto io a scuola...” disse Irene lasciando volutamente la frase in sospeso e strabuzzando gli occhi. 

Troppo tradizionalista?” chiese Rocco curioso, suscitando lo stupore di Irene. 

Era sconcertata positivamente dal fatto che Rocco non si sentisse più rappresentato da quella categoria di persone. 

Sì! Per non parlare di quelli che ha avuto Roberta all’università prima della Barone...” sorrise Irene prima di cambiare repentinamente volto. 

Roberta!” si diede un colpetto sulla fronte, “la devo chiamare per confermarle che stasera deve portarsi via Stefania con una scusa, mentre tu porti in casa il ‘carico pesante’” disse Irene riferendosi al regalo congiunto per Stefania, ovvero da parte sua e di Roberta, con il contributo (per niente obbligato, no) dei rispettivi fidanzati. 

Grazie, piccio’!” proruppe Rocco fintamente irritato, “meno male che oggi è la ‘mia giornata’... che tra l’altro non so neanche come va a finire” ci tenne a specificare Rocco alzando un dito “e invece di farmi riposare mi fai travagghiari?” 

Irene sorrise roteando gli occhi “Allora, innanzitutto” elencò con le dita “non fare il melodrammatico che hai dato pure la disponibilità al magazzino per lavorare oggi dopo l’esame” e Rocco rispose inarcando le labbra come a dire ‘meno male che ci credi tu’, “seconda cosa, chi ti dice che per te non ci sia un regalo stipato ancora più bello?! E, terza cosa, di QUEL regalo per Stefania” rimarcò “lo sai già, ne usufruirete tutti...” concluse con una smorfia maliziosa. 

“Mmh” annuì Rocco poco convinto, mentre le prendeva i mignolini “vabbè va, fammi entrare” ma ci ripensò, provocandola scherzosamente, “tanto se non passo l’esame do la colpa a te che mi hai fatto piangere per quattro giorni interi, mentre nel frattempo potevo studiare di più” 

“Se ti fossi comportato meglio” ribatté Irene senza esitare, stando al gioco, “credimi, che non avresti pianto neanche un minuto” 

Poi lo fece girare su sé stesso e gli diede un colpetto sul didietro per spingerlo in direzione del portone d’ingresso. 

IRE-NE!!!” fu il rimprovero soffocato di Rocco, misto all’imbarazzo che qualcuno potesse aver visto il gesto. 

IN BOCCA AL LUPO!” scandì lei con altrettanta veemenza, mentre gli sorrideva già da una certa distanza. 

Rocco scosse la testa con una punta di delusione per il luogo in cui si trovava, inadatto a restituirle un dispetto pressoché equivalente. 

Niente, non si aggiusta ‘sta pazza, commentò teneramente fra sé, senza però riuscire a distogliere subito lo sguardo da lei nonostante fosse ormai di spalle. 

Cappottino rosa, guanti di lana bianchi, andatura raffinata che mai scadeva nell’appariscente, gonna appena sopra il ginocchio - perché, a distanza di poco più di un anno dallo scandalo che aveva fatto vociare Milano, quella che prima era una gonna vergognosa era diventata cosa quasi normale. 

Era bella da togliere il fiato... quella mattina, aggiunse Rocco fra sé in uno sforzo, del tutto vano, di minimizzare la cosa. 

In realtà quello non era il primo giorno che la vedeva con quegli abiti o notava in lei quello stile peculiare; non era certo la ‘novità’ a fargli saltare un battito. 

È che ogni giorno la vedeva più bella. 

E pur non essendo particolarmente bravo a tradurre a parole il vero motivo di quella sensazione, sapeva per certo che non era la solita banalità animalesca e vuota che accomunava tutti i maschi. 

In un certo senso la vedeva così perché la sentiva più... sua. 

Era ben cosciente che, detta così, non suonasse affatto bene; già rideva se immaginava la reazione omicida di Irene nell’eventualità che potesse sentirsi assimilata a un oggetto di proprietà. 

E infatti non era così; perché la sentiva sua tanto quanto lui stesso sentiva di appartenerle. 

In quel senso che gli permetteva di chiudere gli occhi e allungare la mano con la certezza che l’avrebbe trovata lì, anzi che forse c’era sempre stata; in quel senso che, pur vedendola ancora obiettivamente fuori dalla propria portata, la sua reazione non era più quella di abbassare lo sguardo o di sentirsi inadeguato. 

Semplicemente ora sentiva che si appartenevano, come persone alla pari. 

Sbatté le palpebre e si rese conto solo in quel momento della velocità con cui aveva formulato quei pensieri, visto che Irene non si era allontanata tanto di più. 

Ire’!” gli venne quindi spontaneo gridarle. 

Al ché lei si voltò subito verso di lui, sorridendogli senza parlare. 

Rocco alzò l’indice per aria e inclinò la testa come un bimbo triste, giocandosi l’unico gettone di ‘fidanzato appiccicoso’ che gli era concesso di riscattare nell’arco di una giornata: 

Manco un bacio m’hai dato le disse solo muovendo le labbra, nella speranza che Irene riuscisse a leggergliele anche da lontano. 

Irene rispose prontamente sciorinando il suo più bel sorriso, quindi soffiandogli un bacio. 

A stridere con l’armonia di quella piccola interazione fu il fischio di due compari in età matura, che si rimirarono Irene da capo a piedi con bramosia. 

Rocco corrugò la fronte in un moto immediato di rabbia e alzò istintivamente un piede in direzione della piazza, per poi bloccarsi subito dopo. Sapeva infatti che a Irene seccava essere difesa da altre persone, persino da lui, quando era perfettamente in grado di sbrigarsela da sola. 

Perché non ce lo dai anche a noi un bacio? Uno vero, però” bofonchiò sgradevolmente uno dei due, seguito da una risata sguaiata dell’altro. 

Ma guarda stu...” borbottò Rocco tra i denti, pieno di livore. Di quel passo avrebbe fatto tardi per l’esame, ma figuriamoci se in quel momento gli importava. 

Ah sì?!” civettò Irene per tutta risposta, sorridendo a quell’uomo da parte a parte – di sicuro la cosa che fece infuriare Rocco di più perché non riusciva a spiegarsela. 

Ma ben presto quell’atteggiamento apparentemente sciocco si rivelò essere una sua precisa strategia. 

Spiacente, l’unica cosa che posso darvi è un bastone per la vecchiaia, pervertiti!” proruppe Irene senza la benché minima esitazione, lasciando di stucco quei due e tutti gli astanti, Rocco compreso, prima di proseguire per la propria strada, fiera. 

Pareva quasi che quella scena se la fosse preparata a tavolino per quanto bene era stata recitata. 

Rocco scoppiò a ridere sommessamente, quindi annuì fra sé, tutto orgoglioso, in segno di tacita approvazione per quel gesto. 

Eccola, la chiattidda mia” sussurrò tra sé girando i tacchi per fare il suo ingresso nell’edificio, solleticato da una nuova energia. 

  

*** 

Irene era appena tornata alla propria postazione, dopo essersi allontanata per chiamare Roberta in gran segreto nello spogliatoio; poco importava se l’altra sua migliore amica le aveva specificato ripetutamente che non poteva essere disturbata in cantiere per questioni che non fossero della massima urgenza. 

E comunque, nell’ordine di priorità di Irene Cipriani, quella lo era eccome, soprattutto se volevano sorprendere Stefania facendole trovare già in casa il regalo di Natale da parte loro al suo ritorno. 

Il piano era quindi quello: Roberta sarebbe venuta a prendere Stefania per portarla al cinema e nel frattempo Rocco avrebbe portato dentro casa il regalo. 

Ora a Irene restava solo da dire alla sua coinquilina che non avrebbe partecipato alla serata ragazze, e per quello non aveva bisogno di giustificarsi dato che era più che legittimo voler festeggiare con Rocco la buona riuscita dell’esame. 

Solo non voleva mandare in fumo tutti gli sforzi che aveva fatto in quei mesi per non far sentire Stefania a disagio in casa propria ed era esattamente quello il rischio, visto che, per mandarla via di casa quella sera, avrebbe dovuto usare la scusa di voler rimanere sola con Rocco. 

‘Mamma mia, devi fingere solo fino a sera, che sarà mai!’ si rimproverò, seccata con sé stessa.  

Guardò d’istinto in direzione dell’amica mentre ripiegava una camicetta, mordendosi il labbro superiore, nervosa circa il da farsi, e nel giro di pochissimo Stefania si accorse con la coda dell’occhio che Irene la stava fissando. 

Stefania strabuzzò gli occhi e alzò la spalla come sentendosi attaccata da quello sguardo. “Irene, se ti sembravo così mostruosa stamattina potevi dirmelo prima di uscire di casa!” la provocò ridendo. 

Eh?” esclamò Irene sbattendo le palpebre “Ma figurati, stai benissimo, scusa, ero solo un po’ sovrappensiero” facendole così intendere che era più che altro uno sguardo nel vuoto, il suo. 

Stefania le si avvicinò, comprensiva “Sei in ansia per l’esame di Rocco? Lo capisco...” domandò a Irene retoricamente. 

Eh sì, moltissimo!” esclamò Irene, facendo appello a tutte le proprie doti recitative, in un’esclamazione sproporzionata persino per lei. 

Se Stefania credeva fosse quello il motivo della sua tensione – e non lo era, sicura com’era che Rocco avrebbe superato la prova – tanto valeva cavalcare l’onda, poteva sfruttarla a proprio favore. 

Stefania si mise di fianco a lei senza dire nulla e le accarezzò dolcemente la schiena. 

E poi, si è impegnato in questa cosa...” proseguì Irene “e il regalo che gli ho fatto mi sembra davvero poco”. 

Stefania si voltò di scatto e la guardò perplessa, facendole intendere che il presente acquistato da parte sua per Rocco, tutto le sembrava, fuorché da due soldi. 

“Ma no, no, certo, lo so che è un ‘buon’ regalo... intendevo più che altro che vorrei ricevesse anche qualcosa di speciale, magari qualcosa che faccio con le mie mani” gesticolò Irene deglutendo il miele stucchevole di un modo di parlare che non sentiva come il proprio. 

Stefania la fissò di nuovo, stavolta con il preciso intento di stuzzicarla sfruttando il doppio senso, “Irene, pensavo fossimo ormai d’accordo, niente iniziative sconce con Rocco! 

Irene le lanciò la camicetta, trattenendosi dal ridere “E io tutto pensavo meno di dover sentire qui dentro qualcuno oltre a me parlare per doppi sensi 

Stefania afferrò la camicetta al volo “Chiamasi ‘arma a doppio taglio’... quando l’allieva supera la maestra!” rise. Poi si sforzò di tornare seria, non era mai facile per lei: “Dai, seriamente, che intendi?” chiese a Irene mettendole una mano sulla spalla. 

Non so, pensavo ad esempio di... cucinare per lui?” suggerì Irene insinuandole l’idea di un’attività per cui avrebbe avuto bisogno della casa. 

... mi pare che avessi proposto un regalo, non una gita all’ospedale” stuzzicò Stefania ancora in vena di scherzare. 

Certo che oggi proprio non ce la fai a rimanere seria, eh?!” la spintonò Irene con uno sospiro di frustrazione mentre per poco non le scappava l’aspra osservazione che il suo merito di ricevere regali, per quello e gli anni a venire, era in rapido tracollo.  

A me sembra che non ti lamenti quando cucino io” si limitò a commentare per non sbottonarsi. 

Eh certo, siamo tutte più brave dopo aver fatto scuola da Maria” osservò Stefania con un sospiro drammatico. 

Cretina” Irene la fulminò con lo sguardo. “Non farò una ricetta siciliana oggi” promise. 

“E quale invece?” chiese Stefania incuriosita. 

“Un bel piatto di casoncelli alla bergamasca...” sussurrò Irene con voce suadente passandole davanti una mano, che Stefania seguì come si fa dietro ai movimenti di un incantatore di serpenti, “delizioso... e poi, una torta al cioccolato per dessert!” disse Irene impennando la voce e Stefania esclamò un ‘oh’ a bocca aperta. 

Che dire...” scattò Irene con un sospiro vanesio, rompendo l’incantesimo, e Stefania inciampò leggermente per l’ubriacatura provocata dall’acquolina in bocca, “tutte cose di cui non avrai neanche un assaggio” concluse Irene con un risolino di vendetta sulle labbra. 

Stefania fece un finto muso duro per due secondi contati, mentre reggeva ancora scherzosamente il gioco, ma poi abbassò lo sguardo, “stai tranquilla, comunque non sarei rimasta a cena con voi... 

Davvero?!” proruppe Irene impulsivamente, in quella che sembrava un’esclamazione alquanto entusiasta. ‘Missione compiuta’ pensò. Ah, no... 

Stefania strabuzzò gli occhi, sorpresa. 

Volevo dire... davvero?” si corresse Irene assumendo ora un tono mogio, mogio. ‘Ecco, sei pietosa’, si maledisse. Era un vero fastidio quel senso di colpa che le contaminava la credibilità dell’interpretazione. “... cioè, effettivamente so che Roberta ci teneva a portarti al cinema, per esempio... 

Stefania si piantò il pugno sul fianco e inclinò la testa per fissare Irene, in un primo momento senza parlare. 

Ah, ‘per esempio’?” poi intonò verso l’amica trattenendosi dal ridere “cos’è che fai ora, chiami i rinforzi per badarmi? Così mi sento ancora più zitella!” quindi alzò  la mano per gesticolare nel tipico gesto di dubbio “Poi che significa ‘Roberta TI PORTA al cinema’? Che sono un cagnolino?” 

Irene ridacchiò, a voler commentare la puntigliosità “No, che sei la più piccola e noi AMICHE” sottolineò “ci prendiamo cura di te” e le diede un buffetto sulla guancia “non è che devono assalirti le crisi esistenziali ogni volta che ti invitiamo!”. 

Stefania gettò la testa all’indietro - mentre Irene la spingeva per le spalle di nuovo alla sua postazione e lei si lasciava spingere a peso morto – borbottando, quasi fra sé e sé, “Questa cosa che sono più piccola mi perseguiterà fino agli 80 anni!”.  

Certo, saremo più grandi di te a vita, non mi risulta sia una cosa che cambi col tempo” rispose subito Irene, che invece aveva sentito tutto. 

Stefania se la riguardò di sottecchi col suo broncio da bimba ribelle.  

E comunque quante volte te l’ho detto che se vuoi rimanere sola con Rocco a casa, basta chiedere, non servono tutti questi giri di parole...” puntualizzò poi una volta tornata al suo bancone. 

Irene aprì bocca, in un primo istinto di dissuaderla, ma per fortuna non si tradì.  

Se continuava con quella morbidezza d’animo, sarebbe stata la fine.  

Va bene, la prossima volta ti dirò direttamente di levarti di torno senza mezzi termini. Vedi come sto imparando?” le disse ancora sforzandosi di atteggiarsi in una smorfia noncurante.  

Niente, non le veniva proprio più naturale dire una cosa che poteva causare anche solo un momento di imbarazzo a un’amica. ‘Che brutta fine che ha fatto la megera che era in te!’ sbuffò, irritata da sé stessa. 

Per me va bene, basta che mi lasci la torta al cioccolato” le disse facendole un occhiolino che sembrava più un ordine che una richiesta gentile. 

Ah, praticamente posso comprarti con queste tangenti?” inarcò le labbra Irene, valutando. 

Ovvio! Chi non si venderebbe per un pezzo di torta al cioccolato? Tu saresti la prima...” risposte Stefania con sicurezza. 

Per tutta risposta, Irene le fece una linguaccia, a cui Stefania rispose prontamente. 

*** 

Mmh, mmh” fu il colpetto di tosse che interruppe quello scambio goliardico. “Non sapevo che a una Venere fosse concesso fare linguacce...”.  

Per il semplice capriccio che una cliente le negasse, pur a ragione, un briciolo di leggerezza, il primo pensiero di Irene prima ancora di voltarsi fu ‘E ora che vuole questa pesante?’; poi guardò finalmente la cliente in viso e fugò ogni dubbio. 

Buongiorno, Brigitta” salutò Irene, accennando a un sorriso intriso del minimo sindacale di cortesia che ci si aspetterebbe da una Venere. “Scusaci per la scenetta...” ‘neanche per niente’ pensò fra sé “dimmi, avevi bisogno di qualcosa di specifico o vuoi dare prima uno sguardo? 

A quel punto anche Stefania si voltò allarmata, non perché indirettamente era stata ripresa anche lei, bensì perché sapeva cosa significasse la presenza della compagna di Tommaso Cipriani per Irene lì al Paradiso. 

Volevo proprio qualcosa di specifico...” rispose terminando la frase con un sorrisetto malizioso. 

Ecco, Stefania non poteva esserne sicura, ma comunque un sentore di guai ce l’aveva. 

Non l’aveva mai vista di persona - la conosceva solo per nome appunto - ma già stando a quel modo di fare e a quel richiamo che raramente partirebbe da una giovane donna che, a occhio e croce, aveva poco più di Irene, Stefania aveva già intuito che corrispondeva alla descrizione impietosa che l’amica faceva sempre di lei: ovvero un’oca giuliva. 

Non aveva ancora capito se quell’atteggiamento da ‘nuova ricca’ fosse da attribuirsi all’attrito evidente con la figlia del suo compagno oppure semplicemente - e tristemente - alla sua personalità. Sperava per quella donna che fosse la prima. 

Irene, hai bisogno di una mano...?” le chiese quasi in un sussurro e, anche se la domanda poteva essere interpretata come un’offerta di aiuto fra colleghe, le due amiche sapevano che Stefania si riferiva a ben altro. 

Irene le rispose con un sorriso pieno zeppo d’affetto, facendo per aprire bocca, ma giunse Dora tutta trafelata... 

Stefania, ti vogliono al telefono” disse Dora rimanendo sul vago, ma Irene sapeva già che non poteva che essere Roberta. 

Vai, ci penso io qui” le disse Irene rassicurante “sarà sicuramente la signorina Pellegrino che vuole darti conferma su quella questione”. 

Stefania si congedò con un cenno cortese della testa, non seppe neanche lei il perché, e si voltò per recarsi in spogliatoio. 

Atteggiamento indecoroso, telefonate personali... che altro devo aspettarmi da questo posto?” disse Brigitta con fare provocatorio quando lo sguardo di Irene tornò su di lei. 

Irene strinse nel pugno il foulard che si trovava a mo’ di adorno sul suo bancone senza farsi vedere. Meno male che sia lei che Dora avevano avuto l’accortezza di rimanere sul vago perché non si capisse che Stefania aveva ricevuto una chiamata personale sul lavoro, ma evidentemente non era stato sufficiente a sopperire allo sfrenato desiderio di quella... brava ragazza di sfruttare qualsiasi scusa possibile per lanciare frecciatine. 

‘Adesso l’ammazzo’ pensò fra sé, premendosi le labbra tra loro per paura che quelle parole le uscissero davvero. 

Mi dicevi, qualcosa di specifico di che tipo? Una camicetta, una maglia?” chiese dopo essersi convinta che la soluzione migliore era ignorare del tutto il commento. 

No no” rispose con un acuto, alzando il dito come una maestrina. “Cercavo una gonna... 

Irene annuì inarcando le labbra nel solito sorriso prefabbricato e alzando un braccio per mostrarle la strada “Seguimi, ti mostro quello che abbiamo... 

Brigitta la seguì e arrivarono al reparto delle gonne, dove Irene cominciò a mostrargliene di ogni, in diversi modelli e colori. Il suo occhio competente aveva già concluso che quella di Brigitta doveva essere una taglia 48, essendo lei di stazza molto più corpulenta di Irene. 

La ragazza gliene sfilò delicatamente una dalle mani e se la riguardò in lungo e in largo. 

Mmh” fu l’elegante mugolio che emise mentre valutava. “Credo che questo sia proprio il colore adatto”. 

Ottima scelta, un colore abbinabile più o meno su tutto” commentò Irene la camicia color panna scelta da Brigitta. 

“... o mi avevi detto che era da abbinare su qualcosa in particolare?” chiese Irene retoricamente. 

NON TI AVEVO detto” puntualizzò Brigitta con la solita faccia da schiaffi, a voler usare una percossa gentile. 

Sì, era per dire...” disse Irene fra i denti, con un sorriso forzato e il volto paonazzo per l’orticaria di non poterle assestare un manrovescio. Si maledisse per tutte le volte che in passato aveva avuto un atteggiamento bellicoso come quello, specialmente se in maniera del tutto gratuita. Evidentemente Dio l’aveva messa di proposito in quella situazione per farle espiare la sua lunga serie di peccati, non trovava altra spiegazione. 

Comunque sì, è una cappa color vinaccia che tu dovresti conoscere molto bene” aggiunse poi Brigitta a scoppio ritardato, per rispondere alla domanda di Irene. 

Irene aggrottò le sopracciglia, “Mmh, non mi sovviene scusami, non credo di averti mai vista con indosso un capo di questo tipo”. 

Infatti non avresti potuto, me l’ha appena regalata tuo padre... era di tua madre” ribatté Brigitta, come dandole una semplice comunicazione, mentre intanto continuava a rimirarsi la gonna. 

Sul viso di Irene affiorarono rapidamente tutte le tonalità possibili di viola e il suo respiro si fece più accelerato. 

... prego?” chiese poi, in un mormorio confuso. 

Sì, hai capito bene, me l’ha data lui, ha detto...” poi proseguì alzando sempre la solita mano per spiegare. ‘Giuro su qualsiasi cosa che ora gliela stacco’ pensò Irene. “...‘Brigi, prendila, tanto non è il genere di Irene; se l’ha lasciata qui, è perché non le interessa’... 

Irene fumava da tutti i pori; non sapeva se odiare di più la meschinità e mancanza di amor proprio di Brigitta per aver accettato in regalo un capo d’abbigliamento della defunta moglie del suo compagno, e andarne pure fiera, oppure di più il padre per aver fatto quel genere di regalo alla sua compagna senza aver prima consultato la legittima erede.  

In realtà no. Nessuna di queste cose, anche se combinate, era sufficiente a equiparare il disgusto che sentiva al sol pensiero di una donnetta qualunque con indosso un oggetto che era appartenuto alla persona che Irene aveva amato di più al mondo. Il contrasto tra la bassezza dell’una e la superiorità dell’altra cosa era a dir poco stomachevole. 

Se l’ho lasciata lì è perché non ho avuto lo spazio per portarmi tutti i vestiti di mia madre nella nuova casa e non perché...” scandì Irene a denti stretti mentre il suo graduale innalzamento del tono di voce iniziava seriamente a richiamare l’attenzione di chi gli stava intorno. 

Dovette ringraziare l’intenzionale colpetto di tosse del Dottor Conti dall’alto del ballatoio se quella frase era rimasta in sospeso e soprattutto se era stata catapultata di nuovo alla realtà da cui si era momentaneamente estraniata. Più tempo avrebbe passato in quello stato di trance, infatti, maggiori sarebbero state le possibilità che quella donna non uscisse dal Paradiso sulle proprie gambe.  

Irene avrebbe voluto massacrarla con le proprie mani. 

Sono mortificata” intonò Brigitta con una voce più falsa di una banconota da 15.000 lire “Non sapevo che ti avrebbe dato fastidio, altrimenti...”  

“Ah no?” disse Irene ignorando l’ultima parte con uno sguardo gelido come una statua. “Come se sventolarmi in faccia questa notizia non fosse esattamente il motivo per cui sei venuta fin qui...” mentre i suoi occhi si gonfiavano di lacrime d’ira, quello fu l’unico commento caustico che si lasciò scappare. 

E per fortuna anche l’ultimo... 

L’interazione catastrofica sfumò per via del borbottio in avvicinamento di Dora e della Moreau, mentre si consultavano palesemente sul da farsi per cavare Irene da quella brutta situazione. 

Lo sguardo della Moreau si riconfermava quello materno di sempre, non quello inquisitivo e risentito di chi le sta macchiando il buon nome del Paradiso quanto al trattamento delle clienti. 

Buongiorno, signorina” fu il cortese saluto che porse a Brigitta la signorina Moreau, con il suo consueto fare esperto, mentre Dora le andava dietro come un’ancella. Irene amò profondamente anche quest’ultima, che cercava insistentemente i suoi occhi e nel frattempo rimaneva lì in attesa, a disposizione per qualsiasi cosa servisse alla capocommessa per reggere il gioco.  

Bellissima quella gonna, uno dei capi più in voga quest’anno, farà un figurone indossandola” quindi aggiunse andando direttamente al sodo, e sperando in tutti i modi che la tappa successiva fosse direttamente la cassa. “Prende solo questa o voleva vedere qualcos’altro?” dovette però chiederle per senso del dovere. 

Solo questo, grazie” rispose Brigitta distrattamente, in qualche modo delusa dal fatto che a trattare con lei non fosse più Irene. 

Benissimo! La nostra Venere La accompagnerà alla cassa. Buona giornata.” rispose la Moreau, evitando accuratamente di aggiungere il consueto ‘torni a trovarci’ e congedandola con un sorriso – di sollievo – mentre porgeva delicatamente il capo a Dora.  

Brigitta si allontanò allora finalmente da Irene per avviarsi in cassa, fissandola per un’ultima volta con sguardo indecifrabile, mentre Irene la penetrava da parte a parte con gli occhi vitrei di una statua di sale.  

Ora che almeno Brigitta era sparita dalla sua vista – a differenza di tutti i presenti – lo scatto di rabbia che aveva nascosto sapientemente (o quasi) fino a quel momento minacciava di venir fuori. Mentre quindi con il dorso delle dita si copriva la bocca, Irene si allontanò più rapidamente che poteva dalla galleria per rifugiarsi in spogliatoio, captando a malapena il gesto tenero della signorina Moreau che le carezzava il braccio.  

Irene...” la chiamò senza successo Stefania, che invece stava uscendo dallo spogliatoio dopo aver riagganciato con Roberta. 

Appena entrata in spogliatoio, Irene sprofondò sgraziatamente su uno dei divanetti e, mentre stringeva i pugni tanto forte che le unghie quasi le trafiggevano i palmi delle mani, si concesse un unico, sommesso grido di rabbia, ancora una volta soffocando per buona parte il proprio impeto per paura che la sentissero fin dietro le porte.  

Poi decise che, se non poteva punire Brigitta per quella provocazione come avrebbe voluto, almeno voleva vomitare addosso al padre la propria rabbia. Almeno quello le era concesso?  

Così, si alzò di scattò dal divanetto e sganciò bruscamente la cornetta per telefonargli.  

***  

Una chiamata breve, da cui aveva sperato di ottenere una giustificazione decente per quel gesto ai suoi occhi assurdo, che la rassicurasse almeno in parte sul rispetto che il padre nutriva per il ricordo della defunta moglie.  

E l’aveva persino ottenuta... teoricamente... ma non le bastava affatto.  

Quello che le restava era solo ed esclusivamente un grande senso di vuoto.  

Il punto è che, prima con i suoi pernottamenti autoimposti in magazzino, ora con questa sua reazione forse spropositata, si rendeva conto che non faceva altro che ricadere nello stesso errore: pretendere che il padre sperimentasse l’assenza di Diana Cipriani come la viveva lei, sua figlia. Doveva smetterla di fare la capricciosa, perché era palesemente chiedere troppo.  

Il risultato era che però si sentiva sola, solo tanto tanto sola, a vivere in maniera così vivida e piena la mancanza di una persona che ormai non mancava più a nessuno.  

 

Che poi non le pesava mica, normalmente - anzi, custodiva ogni giorno la nostalgia della madre come un tesoro che non necessariamente sentiva il bisogno di condividere con qualcuno - ma come poteva rimanere indifferente alle provocazioni di una sciocca che strumentalizzava il ricordo di sua madre per ottenere... cosa poi esattamente?  

Ah perché, in tutto ciò, non era proprio riuscita a capirlo. 

 

Irene...” la chiamò di nuovo Stefania, stavolta affacciandosi alla porta dello spogliatoio. 

Arrivo subito...” le rispose sbrigativamente lei, certa che la stessero richiamando all’ordine. Era un miracolo se non si beccava un ammonimento del Dottor Conti per lo spettacolo che aveva dato.  

Il Dottor Conti sarà furioso, mannaggia...” disse quasi in un sussurro mentre si strofinava il volto.  

Stefania le prese dolcemente entrambi gli avambracci senza lasciarla finire “Nessuno ce l’ha con te. Hanno capito...” specificò Stefania con grande tatto.  

Anche il Dott. Conti, pur essendo lontano, aveva captato le due paroline magiche (‘mia madre’) nonché le uniche che avrebbero potuto innescare nella stoica Signorina Cipriani un atteggiamento così fuori luogo per il contesto e per la caratteristica professionalità della venere sul luogo di lavoro.  

Andiamo bene...” commentò Irene per nulla sorpresa... devo aver proprio gridato, pensò mortificata. 

... e saresti potuta rimanere qui tutto il tempo di cui hai bisogno...” specificò Stefania rispondendo al suo dubbio di poco prima “... ma è tornato Rocco e pensavo ti facesse piacere...”  

Dov’è?” chiese Irene senza nemmeno lasciarla finire mentre gettava uno sguardo fuori dalla porta con la testolina di un passerotto curioso. Si era illuminata in volto all’istante. 

Stefania abbassò la testa ridendo sommessamente perché già avvezza a notare meccanismi del genere nella sua amica. 

Irene non era bipolare, né si sentiva tale, e men che meno aveva dimenticato il recentissimo episodio che l’aveva spinta a rifugiarsi in spogliatoio, ma quello era il giorno di Rocco, e festeggiarlo non solo la aiutava a non pensare a quel forte dispiacere ancora fresco, ma viveva anche la cosa come un successo di entrambi, un successo anche suo. 

Stefania si voltò per puntare il dito in direzione del bancone di Dora “Ti aspetta lì”. 

Ma è scemo, perché non è entrato dal magazzino, deve pure attaccare al lavoro” mormorò mentre si sporgeva per guardarlo mentre chiacchierava con Dora. 

Perché il suo primo pensiero ancora prima di cambiarsi è stato venire a salutarti, magari?? Sai com’è...” le disse Stefania sarcasticamente menando una mano per l’aria.  

Irene le sorrise mentre arrossiva evitando di ammettere anche l’evidenza.  

Si vede qualcosa?” poi chiese all'amica protendendo il viso verso di lei per mostrarle gli occhi. 

Stefania iniziò a passarle delicatamente i pollici sotto entrambi gli occhi per toglierle le sbavature, “Che facciamo, iniziamo il dramma dei segreti e dei sotterfugi?” 

“Quanto la fai tragica, mamma mia” reclamò Irene allargando le braccia “Domani glielo dico, adesso ha appena fatto l’esame...! Certo...” poi rivalutò, “sempre che non gliel’abbia già detto quella lingualunga di Dora”, commentò con affetto nonché la faccia tosta del bue che chiama cornuto l’asino. 

Quindi entrambe si sporsero come due civette e potettero constatare che Rocco era praticamente un fiume in piena per quanto era felice. Era palese che Dora non avesse smorzato la sua foga raccontandogli quello che era successo alla sua fidanzata. 

Poi Irene si mise in punta di piedi per farle segno di far girare Rocco. 

Vabbè vi lascio soli” disse Stefania con un faccino malizioso, “fai la brava” si allontanò facendole l’occhiolino. 

Irene scosse la testa e si mise a ridere per quell’insolenza, aspettando fino all’ultimo per girare la vista e incrociare lo sguardo del suo fidanzato. 

Le sembrava abbastanza patetico che, dopo mesi, la smuovessero ancora così quegli occhi marroni di cui avrebbe saputo distinguere anche le sfumature, tanto bene li conosceva, eppure era come se inconsciamente si prendesse sempre una frazione di secondo per prepararsi a incontrarli, soprattutto quando vederlo aveva un nonsoché di inatteso, quando attirarlo a sé aveva un nonsoché di proibito. 

Mentre sorridendo le si avvicinava, Rocco si morse il labbro guardandosi attorno, in tensione per paura che i capi potessero vederlo entrare nello spogliatoio delle ragazze. 

Per l’appunto. 

Irene arricciò il naso col cuore in gola, godendosi il rossore sulle sue guance.  

Quando finalmente entrò, Irene gli si gettò al collo facendolo sbilanciare. 

Va’, stamattina te ne sei andata così, invece mo rischio che mi fai pure cadere, mica sei normale tu!” rise Rocco di quella foga mentre la teneva stretta a sé, sollevata dal pavimento. 

Mmh” cantilenò mentre posava di nuovo i piedi a terra “quanto ti lamenti! Lo sai che sono una persona che dimostra tantissimo affetto...” - gesticolò vistosamente Rocco per prenderla in giro - “... a porte chiuse” specificò Irene. 

Rocco roteò gli occhi rivalutando “Ah, ora sì”. 

Poi, in un rinnovato slancio di amorevolezza gli si avvicinò ancora, stavolta per torturarlo di baci intercalati ai ‘bravo’, ‘bravo’, ‘bravissimo’ del caso, con la precisa intenzione di farlo dimenare senza posa. 

Tu si na foddelamentandosi solo darle contro, ma in realtà beandosi di quelle effusioni “tutte ste feste e non sai neanche se ho passato l’esame, ah?” le disse protendendo il viso per provocarla. 

Ma per favore” gli disse estendendo una mano per deriderlo “che già di spalle si vedeva che eri al settimo cielo, non che avessi dubbi stamattina...” 

“Vero è?” chiese lui e Irene annuì mentre gli passava una mano sugli occhi e il viso stanco. “Stasera mi racconti tutto, però ora non posso trattenermi ancora...” poi gli disse. 

Rocco intrecciò le mani con le sue e si girò attorno come se solo allora stesse realizzando dove si trovava “Ma perché, tu che ci facevi qua piccio’, ti si è strappata una calza? 

Irene annuì vigorosamente, stando immediatamente al gioco per non lasciarsi tradire “Sì sì, neanche a metà giornata, tu vedi che scocciatura” disse esagerando. 

“Eh, e da quello che vedo pure il trucco...” le disse lui mentre strizzava gli occhi per guardarla meglio e gli toglieva con i polpastrelli un po’ di polvere di rimmel che evidentemente Stefania non era riuscita a scorgere. “Ma hai gli occhi rossi chiatti’, che è successo?” chiese Rocco sgranando lievemente gli occhi. 

Irene scostò il viso da lui delicatamente, forzando un sorriso, mentre si passava il dorso delle dita sulla guancia “Ohh, quante storie per un po’ di raffreddore di stagione...” esclamò per dissimulare “su, al lavoro, ché non ti sei preso neanche tutta la giornata... te l’ho mai detto che sei il cocco di Armando?” 

“A finiscila, che so’ tornato qua per te...” disse lui nel suo tipico atteggiamento suscettibile misto a timidezza, che però, da quando facevano coppia fissa, lasciava sempre increspare gli occhi in un sorriso velatamente appassionato e provocatorio. 

L’emozione che le dava sempre quel suo fare la sentì fin dentro allo stomaco e non importava se era una sensazione meravigliosa, l’avrebbe fatta frignare lo stesso come una disperata, visto il recente episodio che le aveva scoperto il nervo e fatto venire la lacrima facile. 

Deglutì per impedirsi di cedere e si avvicinò a lui, poi si mise in punta di piedi mentre gli posava un braccio sul petto e con l’altra mano gli prendeva dolcemente la nuca per attirarlo a sé in un bacio a fior di labbra. Rocco chiuse gli occhi all’istante, perdendosi come niente in quel contatto. 

Non mi aspettare a fine turno, ci vediamo direttamente a casa” poi gli sussurrò ancora vicinissima alle sue labbra. 

Pure?!” si lamentò Rocco, pur ricalcando la voce delicata di Irene. “E perché? 

Sorpresa... visto che ne avevo in mente una anche per te?” gli rispose sorridendogli e si premette le labbra fra loro, tesa, in un principio di sudorazione improvvisa. 

D’altronde solo Irene Cipriani poteva annunciare una sorpresa al proprio fidanzato contando sul fatto che la sua capocommessa le avrebbe dato un permesso che non aveva ANCORA chiesto. E che soprattutto gliel’avrebbe concesso dopo il teatrino di cui era stata artefice in galleria. 

Ma, d’altronde, ci voleva fegato a essere Irene Cipriani. 

 

*** 

Nonostante fossero a ridosso del Natale e già col personale al completo ci fosse il sentore costante di una venere in meno – figurarsi quando ne mancava una all’appello – la Moreau non se la sentì di negare il permesso alla Cipriani, che solitamente non gliene chiedeva uno neanche in fin di vita. 

Irene sorrise ripensando al volto titubante e in difficoltà della capocommessa mentre tirava fuori dal forno il suo dolce al cioccolato e si pentiva amaramente di essersi messa ai fornelli. La cucina non era il suo punto forte, anche se solitamente – pensò con una punta d’orgoglio – a una presentazione non proprio bellissima, si accompagnava perlomeno un sapore più che decente. 

Si rimirava il dolce mentre lo teneva a mezz’aria con le presine pensando che si era sgonfiato troppo; in ogni caso, nulla che non si potesse correggere visivamente con un po’ di zucchero a velo e, in termini di gusto, con un po’ di farcitura di crema, che nel frattempo si era già preparata a parte. 

Uscendo prima dal lavoro aveva avuto il tempo di fare quasi tutto, dove per ‘quasi’ si intendeva che un impeccabile angelo del focolare, nelle stesse ore, sarebbe stata forse in grado di preparare anche secondo e contorno, rimanendo al contempo fresca come una rosa, mentre lei al contrario si sentiva di aver sudato già sette camicie a fare un po’ di pasta in casa e il dessert e, per di più, fumava fino alla punta dei capelli per l’apprensione di non riuscire a mettere pronto per l’arrivo di Rocco. 

Era ben cosciente che il suo fidanzato non stesse con lei per le sue capacità culinarie, e l’avrebbe offesa il sol pensiero che lui potesse aspettarsi una sua trasformazione nel modello di donna comunemente considerata perfetta, ma proprio perché il suo passo avanti era stato quello di andare controcorrente rispetto ai suoi retaggi passati non scegliendo una donna per quelle caratteristiche, era lei stessa che voleva provare ad accontentarlo di più su quello che adorava: il cibo. 

Non prometteva nulla – soprattutto ad alta voce e davanti a lui, per evitare di creare ed eventualmente deludere delle aspettative – ma a sé stessa ripeteva spesso di volersi impegnare per migliorare foss’anche solo in quell’ambito.  

Se sospettava infatti che a Rocco non avrebbe fatto molta differenza collaborare in casa passando una saponata per terra per esempio, era assolutamente certa che gli sarebbe pesato dover imparare a prepararsi da mangiare dopo una lunga giornata di lavoro e che magari il risultato fosse, nonostante gli sforzi, quello di un pasto a malapena passabile. D’altronde non significava esattamente questo pianificare una vita assieme? Organizzarsi per apportare ognuno il proprio contributo? 

Certo, se Rocco avesse osato vanificare i suoi sforzi commentando una sua ricetta con ‘Mia zia l’avrebbe fatta così...’ o ‘da noi si fa così...’, sarebbe rimasto vittima di un ceffone automatico, ma quello non c’era bisogno di specificarlo.  

Perché innamorata sì, scema no. 

Prese il coltello dal cassetto per dividere il pan di Spagna in due dischi mentre realizzava le scemenze che le passavano per la testa; ‘collaborare in casa’? ‘una vita assieme’? Non era nemmeno sicura di ricordare se avessero già affrontato l’argomento in passato, e invece eccola lì, la sua fantasia correva già all’impazzata.  

Cosa andate a vedere?” chiese per pensare ad altro, ad alta voce perché Stefania potesse sentirla attraverso la porta socchiusa del bagno, mentre quest’ultima si rinfrescava dopo la giornata di lavoro e si ritoccava il trucco. 

Qualsiasi cosa che mi faccia dimenticare per un attimo che sono così disperata da suscitare la pietà di un’amica e del suo santo ragazzo che mi presta la fidanzata per una sera” disse, con una nota di amaro sarcasmo, alludendo a Roberta, che doveva star quasi per arrivare. 

Irene roteò gli occhi “Siamo alle solite... sembri un disco rotto” le disse distrattamente soffiandosi sul ciuffo che le era scappato dal cerchietto. 

Stefania uscì dalla stanza e si avvicinò a Irene studiando il dolce con occhio analitico e da varie angolazioni “E quel dolce SEMBRA tutt’altro che commestibile” disse rimarcando la stessa parola. 

Irene si voltò per guardarla con occhi impassibili “Meno male che preferivi le ‘torte imperfette’” le fece il verso, per alludere all’occasione in cui Stefania le aveva confessato quanto le mancasse una madre mai conosciuta, che secondo lei, fosse stata viva, le avrebbe fatto personalmente tutte le torte di compleanno, invece di comprarle in pasticceria, “continua pure a offendere la mia creazione, mi sarà solo più facile venir meno alla promessa di lasciartene un pezzo...” disse mentre continuava ad armeggiare con la torta senza accorgersi che Stefania, nel frattempo, stava prendendo silenziosamente un cucchiaino dal cassetto per rubarle un boccone di crema. 

Ho cambiato idea, mi accontento solo di questa” disse estasiata, assaporando la crema a occhi chiusi. 

Irene aprì la bocca nella tipica ‘O’ di sorpresa e le diede un sonoro schiaffo sulla mano dove reggeva il cucchiaino, “giù le mani da questa crema, ché poi non basta per il ripieno!”  

E nel frattempo suonò il citofono. 

Aja!” esclamò Stefania massaggiandosi le nocche, per poi affrettarsi a rispondere. “Sali, Robi!!!” gridò al citofono più del dovuto. 

A Roberta servono ancora i timpani... li hai spaccati a me!” si lamentò Irene, chinata sulla torta. 

Roberta si presentò tutta trafelata, con il caschetto deliziosamente spettinato e le gote rosse per la foga di aver fatto tutto di fretta, così come era la sua vita da quando aveva lasciato il Paradiso.  

Si avvicinò con un abbraccio e un bacio per entrambe, tipico saluto quasi distratto dato dall’enorme confidenza che c’è solo con determinate persone di elezione.  

E ciò che per Stefania e Irene la distingueva dall’essere coinquilina era solo ed esclusivamente il fatto di non dormire lì, perché costretta dalle distanze a star più vicina al suo lavoro, ora assiduo, all’università e in cantiere. Ultimamente si chiedeva però che senso avesse vivere così lontano visto che, a giorni alterni, bazzicava in quel condominio per via di Marcello e passava quindi comunque a scambiare sempre una chiacchiera e una confidenza con le ragazze. La risposta era che i futuri sposi si ripromettevano di limitare quel sacrificio al breve tempo indefinito che li separava dal loro matrimonio – ‘indefinito’ perché prediligevano un periodo ma non avevano ancora fissato una data – momento in cui si sarebbero trovati un nido d’amore che fosse indicativamente equidistante dal lavoro dell’uno e dell’altra. Fino a quel momento, quindi, erano e sarebbero stati all’ordine del giorno gli spostamenti alterni in macchina per raggiungersi dall’altra parte della città.  

Sì, in macchina, perché Roberta Pellegrino era stata la prima donna della combriccola a prendere la patente di guida, in barba alle lamentazioni bibliche di Marcello contro il concetto di ‘ragazza in giro di notte con la macchina’. Inutile precisare che Roberta aveva vinto quel diverbio in men che non si dica ricordandogli che, se aveva avuto il coraggio di far da esca perché la polizia cogliesse il Mantovano in flagrante, così liberando il proprio fidanzato dal giogo dell’anzidetto, era perfettamente in grado di guidare in orari poco consoni. E lui ribatteva che neanche in quel caso era stato affatto concorde, bensì si era trovato costretto ad accettare solo perché le minacce di Roberta gli avevano fatto più paura del muso duro del suo ricattatore e, a quel punto, la conversazione cadeva lì, con un Marcello ammutolito e sconfitto.  

Detto ciò, il ragazzo era ormai rassegnato a perdere quel tipo di battaglie verbali con la sua fidanzata dato che, all’opposto di una natura pressoché umile e non particolarmente interessata a primeggiare, Roberta si ritrovava a essere involontariamente apripista in più di un ambito. 

Scusate ragazze, sono stravolta” disse porgendo a Stefania una busta.  

Stravolta ma sempre fastidiosamente bellissima” disse Irene con quella finta sufficienza mista a sana invidia e profondo affetto che nutriva per le sue amiche più care. 

Stefania gettò un urlo vedendo il contenuto della busta; era un vassoio con le brioche rimaste della caffetteria dalla mattina. 

Sì, Marcello le rimanda a voi e Rocco” scoppiò a ridere Roberta per tanto fervore. 

Queste vuote le possiamo riempire con questa crema!” propose Stefania con l’allegria di una bimba. 

NON CI PROVARE, TI HO DETTO!” disse Irene categorica, trattenendo però stancamente un sorriso. 

Ma che ti prende?” sorrise Roberta con il suo tipico sguardo affettuoso ma inquisitorio “di solito per le brioche esulti pure tu... 

C’è che ho da fare e mi state intralciando in cucina” mentì Irene in maniera poco convincente.  

Stefania allargò le braccia, esausta dalla riservatezza della coinquilina “Dai... 

Dai che...?!” chiese Irene guardandola, mentre Roberta se le guardava entrambe senza capire. 

Stefania allargò solo di nuovo le braccia, senza rispondere, e Roberta capì che c’era un problema nell’aria. 

Chi dobbiamo mandare in galera oggi?” chiese poi quest’ultima mettendosi a braccia conserte. 

La fidanzata del padre” disse Stefania in un lampo, prima che Irene insistesse nuovamente con quel fare misterioso. 

Irene lanciò un’occhiataccia a Stefania e una frazione di secondo dopo si mise a ridere, mettendo a fuoco solo in quel momento l’intervento di Roberta “Mi sa che tu ci stai prendendo un po’ troppo gusto ad assecondare il tuo lato oscuro” osservò ironicamente. 

Hai voglia” disse Roberta con una punta di orgoglio, alzando il sopracciglio, “Che ha fatto questa qui, sentiamo?” poi chiese, andando subito al dunque. 

È venuta in negozio a sbandierarle in faccia che il padre le ha regalato una cosa della madre” vomitò Stefania tutta d’un fiato, per paura di essere interrotta.  

Ma tu vuoi due sberle... la finisci?!” si rivoltò Irene contro Stefania (“Ehhh, tu ti fai tirar fuori le cose con le tenaglie, sei sfiancante!” le ribatté Stefania sotto voce). 

E quindi cosa dovrebbe importare a Irene se il padre di Brigitta le ha regalato una cosa della madre?” chiese Roberta confusa. 

Ma quale padre di Brigitta...!” roteò gli occhi Stefania, spazientendosi con Roberta. 

Hai detto ‘il padre’” rimarcò Roberta. 

IL PADRE DI IRENE!” esclamò Stefania come se fosse una cosa che Roberta, secondo lei, avrebbe dovuto dare per scontata. 

Ahhhhhhhhhhhhhhh, ma sii più specifica” ribatté Roberta senza però scomporsi. 

Irene si chiedeva cosa avesse fatto di così brutto nella vita per meritarsi quelle due comari delle sue amiche adorate che parlottavano delle sue disgrazie come se lei non fosse presente, mentre andava pure di fretta, tra l’altro. Sotto sotto però ringraziava Stefania per averle risparmiato l’esposizione di un racconto così insulso, così da lasciare a lei la parte in cui avrebbe dovuto ammettere come quella faccenda avesse inciso su di lei.  

Peccato che non fosse particolarmente propensa a fare neanche quello. Ci mancava solo che si innervosisse di nuovo e si rovinasse quella serata che si era ritagliata per lei e Rocco.  

Sospirò rassegnata e tornò ad affaccendarsi con la farcitura, come a voler dire chiaramente: ‘io sto qui nel frattempo; avvisatemi quando avete finito’. 

Quindi, praticamente, il padre di Irene ha regalato una cosa della madre di Irene a Brigitta e Brigitta è venuta a vantarsene con Irene” ricapitolò Roberta gesticolando di qua e di là con le dita come quando faceva lezione per i suoi ragazzi all’università. 

Stefania annuì energicamente. 

Poi l’espressione di Roberta si tramutò in quel broncio che la caratterizzava quando era turbata, un’ira focosa ma in un certo qual modo anche pacata e controllata. 

Ma questa qui è da rinchiudere!” disse poi alzando le mani come faceva lei. 

Mmmh” assentì Irene mentre girava il piatto e spalmava la crema “e su questo non ci piove”. 

“Ma poi io voglio capire il perché!” si chiese Roberta in uno dei suoi consueti scatti di razionalità. 

Che carina che te lo chiedi, io invece voglio solo rinchiuderla” replicò Irene distratta dalla sua attività. 

(Stefania scoppiò a ridere e commentò: “Anche io, devo ammettere”) 

No, seriamente, l’hai provocata in qualche modo?” chiese Roberta. Non perché non avesse fiducia nel fatto che la sua amica avesse ormai imparato a contare fino a dieci prima di avere una reazione scattosa, ma perché Roberta era così; le cose, per quanto assurde, dovevano per forza avere una spiegazione, altrimenti non stava in pace. E allora faceva l’interrogatorio. 

(Stefania fece di no con la testa “Non stamattina. Si vedeva che si era presentata già sul piede di guerra”.) 

Oltre al MODO in cui la detesto, dici? Non credo... era da quella famosa cena che non la vedevo; e stavo benissimo così, francamente”. 

Irene si riferiva al fatto che, qualche settimana prima, lei e Rocco erano stati malauguratamente invitati a cena - dal padre(?), da Brigitta(?) Chi aveva avuto l’iniziativa? Queste domande non avevano avuto risposta nemmeno a loro tempo.  

La cena non era neanche andata poi così male considerando che, uno: Rocco era un santo; due: Rocco, con il padre, ci andava d’accordo più di lei e quindi il padre lo adorava; tre: la raccomandazione di Rocco prima della cena era stata ‘Comportati bene!’ così come si fa con i bambini piccoli, e quindi lei, quattro: per tutta risposta, aveva cercato di portare all’ennesima potenza le sue doti diplomatiche con Brigitta e, peggio, con la combinazione esplosiva di lei e del padre insieme. Il risultato era che il suo viso nel corso di tutta la serata era stato un misto di ipocrisia e cortesia, condito da un’impossibile contrattura dei muscoli facciali. 

Si chiedeva come le fosse anche solo venuto in mente di desiderare per sé stessa una vita aristocratica, se la sua natura era perdere le staffe come niente. Di certo a quella categoria di persone sembrava che venisse così naturale mantenere un contegno, anche se provocate. Ringraziava Dio di avere Rocco al suo fianco che la placava, perché l’alternativa con persone come Brigitta sarebbe stata commettere un omicidio pressoché giornaliero. 

E poi, scusami, ma io non capisco prima di tutto tuo padre, sinceramente” disse Roberta riscuotendo Irene dai suoi pensieri, “regalare una cosa di tua madre senza interpellarti? Su di lei sorvoliamo, perché non è nessuno per te, ma tuo padre è LUI!” disse Roberta con il suo caratteristico senso di giustizia. E Stefania dovette annuire, mortificata. 

Lo so...” disse Irene con il volto velato di una tristezza quasi ineluttabile, il primo sguardo sconfitto che si era concessa da quando era iniziata quella conversazione. Roberta diceva bene; suo padre era lui, e forse Irene si concentrava sull’odio che nutriva nei confronti di Brigitta solo per ignorare il fatto che l’atteggiamento di suo padre era quello che le faceva più male. Ed era così proprio perché era anche l’unico padre che aveva.  

Poi si riscosse e con il dorso della mano si spazzò dalla gota della polvere di farina inesistente. “Comunque adesso basta, o farete tardi” disse Irene con fermezza lasciando intendere che, avessero continuato per quella strada, si sarebbe messa a piangere e sarebbe stato un disastro con Rocco in arrivo e loro che, effettivamente, sarebbero rimaste a digiuno per non saltare lo spettacolo al cinema. “Anche perché non c’è niente qui per voi” rise per sdrammatizzare, con una lacrima che minacciava di rovinarle lo sforzo “se vi offro qualcosa Rocco poi mi rimane affamato”. 

Ma non ce n’era bisogno, le sue amiche la conoscevano fin troppo bene per capire che era solo un tentativo vano di rassicurarle. A turno se la abbracciarono e, mentre Stefania correva in camera per recuperare qualcosa che stava per dimenticare, Roberta rimase più a lungo stretta a Irene, circondandole il collo con un braccio in segno di protezione, mentre le sussurrava: “Se vuoi domani ne parliamo ancora, con tutta calma”.  

Sentiva di voler compensare per la sua assenza in casa, per la pecca di non poter consolare (ed eventualmente farsi consolare da) le sue amiche ogni volta che voleva, come invece loro due avevano la fortuna di fare ogni volta che fosse necessario. 

Che confidenze vi state scambiando voi due?” ironizzò Stefania tornando in cucina, con un finto broncio di bimba viziata. 

Irene si scostò da Roberta per ribattere “Niente, mi stava dicendo che al suo matrimonio la testimone col vestito più bello sarò io” e protruse la labbra nel suo caratteristico sguardo vanesio. 

Roberta roteò gli occhi prima di sorridere e non rispose niente.  

Sì, sì”, le fece il verso mentre con gli occhi bassi sistemava frettolosamente la sua borsetta “si sa qual è la preferita di Roberta ed è difficile per te da accettare”.  

Ogni volta che si riunivano tutte e tre, Irene e Stefania battibeccavano scherzosamente su chi fosse la più meritevole del suo affetto. Ma d’altronde è risaputo che, alla base di ogni scherzo c’è sempre un fondo di verità e, se Roberta era ‘contesa’, era perché tra tutte e tre era tacitamente considerata la migliore, anche se lei, dal canto suo, non si sentiva affatto così. La più affidabile, la più realizzata, quella in grado di dispensare i consigli più saggi, la più equilibrata; inoltre, per completare un quadretto che, detta così, poteva sembrare quello di una ragazza ‘tutta d’un pezzo’, la presenza di Marcello le conferiva quel pizzico di leggerezza e umorismo in più, che, prima di lui, Roberta raramente si concedeva.  

La ragazza sgranò gli occhi e taglio corto “Va beeeeene, buona serata a voi e... fai la brava con Rocco”, prese sotto braccio Stefania e se la trascinò via – mentre questa faceva una linguaccia a Irene per poi soffiarle un bacio, da brava bipolare qual era. 

Irene aprì la bocca col volto scioccato su quell’ultima raccomandazione “Eccone un’altra! Guarda che alla fine io sono più santa di tutte voi messe assieme, anche più di Maria Puglisi!!” gridò mentre le ragazze si stavano ormai allontanando.  

La signorina Pellegrino, futura signora Barbieri, si stava approfittando un po’ troppo del fatto che Irene fosse l’unica a sapere QUEL segreto e ‘marciava’ ancora convenientemente sulla sua facciata da santarellina. Il pensiero fece sorridere Irene tra sé e sé. 

+++ 

E dal nulla apparve Rocco. “Seh, santa tu... che io qua stavo secondo te...” commentò ironicamente rifacendosi alle parole pronunciate un attimo prima da Irene.  

Era entrato dopo le ragazze - dopo essersi scambiato con loro un saluto veloce e un occhiolino con Roberta di nascosto da Stefania - già docciato e con indosso la sua polo a maniche lunghe color vinaccia, quella che evocava un così caro ricordo per i due fidanzati e che si intravvedeva sotto la giacca di lana.  

I suoi riccioli neri rilucevano, stavolta non per la brillantina che doveva usare inevitabilmente per disciplinarli al lavoro, ma perché per correre da lei aveva rinunciato ad asciugarli.  

Irene sobbalzò chiudendo all’istante il frigo dietro di sé, con dentro la torta che voleva rimanesse una sorpresa. Almeno quella. 

E tu che ci fai qui? Sei in anticipo!” esclamò Irene presa in contropiede.  

Piccio’, se sapevo che mangiavamo qua, portavo una bottiglia di vino...” le disse ignorando la sua domanda, mentre le si avvicinava con la sua voce più morbida e le dava un buffetto tenero sulla guancia. 

Lascia stare il vino che è già sul tavolo, stappato a prendere aria” disse porgendogli impercettibilmente il viso per lasciargli fare quella carezza e poi, illuminandosi in volto, gli chiese trepidante: “Se ne sono andate?”. 

Rocco sgattaiolò rapidamente fuori dalla porta ancora aperta per raggiungere le scale, da dove si sporse per verificare che i passi concitati e il vociare allegro delle ragazze fossero ormai lontani, prima di morire definitivamente con il tonfo sonoro del vecchio portone d’ingresso. 

Torno a casa a prendere il regalo, chiatti’, se ne so’ andate” sussurrò con atteggiamento complice. 

Se ‘se ne so’ andate’” gli rifece il verso sussurrando allo stesso modo e trattenendosi dal ridere “allora perché bisbigli?! 

Ma che ne so?!” ribatté Rocco con la stessa veemenza della sua domanda, curvando le spalle e inarcando le labbra in un’espressione dubbiosa prima di scomparire dietro la porta. E Irene scoppiò in una risata fragorosa ringraziando il Cielo che esisteva lui. 

 

*** 

Quanto pisa stu cosu, matri mia” grugnì Rocco per lo sforzo mentre Irene nel frattempo aveva sbloccato anche l’altro lato della porta, in via necessaria perché Rocco potesse passarci senza problemi, lui e il suo carico ingombrante. 

Ire’, ma dove lo poso?!” si guardò Rocco intorno. 

Oddio è vero, non ho preparato il tavolino!” esclamò Irene dandosi un colpetto sulla fronte mentre si precipitava in camera sua. 

Tornata in cucina si mise a fare le prove su quale potesse essere l’angolazione migliore del tavolino che aveva designato per quel proposito e se lo rigirava da un lato all’altro, valutando in tutta calma così come avrebbe fatto con un appendiabiti in galleria. 

.... e intanto il tempo passava. 

No ma vai tranquilla, tanto mica muoio schiacciato nel frattempo” disse Rocco ancora sotto sforzo. 

Oddio scusa!” Irene realizzò per poi scoppiare a ridere di gusto, “poggia, poggia”. 

Rocco scosse la testa, divertito, e poi tirò un sospiro di sollievo quando finalmente posizionò il televisore, (quasi) ultimo modello, acquistato come regalo per Stefania.  

Era già da tempo che la televisione era arrivata in Italia e, per natura, a Irene non piaceva rimanere indietro, perciò si convinse che la sua scelta era comunque in un certo modo pionieristica perché quell’acquisto non si collocava poi tanto più in là rispetto all’inaugurazione del Secondo Canale, risalente a poco più di un anno prima. 

Già immaginava i gridolini di giubilo della sua amica una volta tornata a casa e prevedeva anche che il loro appartamento, da quel momento in poi, sarebbe stato un porto di mare, visto che per assistere a programmi importanti, come ad esempio il Festival di Sanremo, il loro gruppo di amici si riuniva generalmente in caffetteria.  

Però quella prospettiva a lei non dispiaceva; la sua personalità era incline alla buona compagnia. Agnese poi aveva già abbastanza motivi per considerarla una con cui qualunque uomo avrebbe perso inesorabilmente la retta via; che importava se da quel momento in poi la sua casa sarebbe stata bollata come luogo di perdizione? Era pertinente con quella descrizione. 

Ma non rivolto verso il divano, Rocco” lo esortò pacatamente Irene mentre nel frattempo era già di nuovo vicina ai fornelli. Voleva che Stefania lo scorgesse subito e inequivocabilmente nel rientrare a casa. Inoltre, direzionato verso la tavola, avrebbe anche fatto loro compagnia la sera mentre preparavano e consumavano la cena. 

Aspe’ che lo devo provare, anzi, lo DOBBIAMO provare” e incontrò il suo sguardo con occhi complici come a voler intendere che avrebbero passato buona parte della serata accoccolati sul divano con la scusa, appunto, di provare quanto bene si vedesse la televisione.  

Irene gli sorrise di rimando arrossendo in volto, poi si girò verso la pentola per verificare se l’acqua per i casoncelli bolliva. 

Allora dobbiamo comprare un divano più grande” proseguì Irene senza guardare nella sua direzione, con la precisa intenzione di stuzzicarlo con quello che sarebbe stato volutamente un doppio senso. 

Mentre si affaccendava per cercare la presa più vicina, Rocco alzò immediatamente lo sguardo dopo quella provocazione. 

Ah sì?” chiese deglutendo, con un fil di voce. “Perché...? 

Intendevo... per ospitare tutti voi che verrete a disturbare la quiete delle nostre serate e ad approfittarvi della nostra televisione” precisò poi lei, accennando a malapena a un sorriso furbo e così ‘scaricando’ su Rocco la responsabilità di aver pensato con malizia. 

Da un po’ di settimane era così tra loro, per la precisione da quel grande chiarimento, al termine del quale erano giunti alla tacita conclusione che avrebbero mantenuto ognuno la propria opinione. 

Irene, da quel momento in avanti, era sempre stata la prima a interrompere i baci che si scambiavano ogni volta che erano soli (non che capitasse spessissimo).  

Lo faceva per lasciarlo desideroso di volere di più? Lo faceva per ricordargli ‘cosa ci si perdeva’ a bloccarsi quando invece avrebbero potuto semplicemente lasciarsi andare? Avrebbe mentito se avesse negato che c’era anche una piccola componente di venalità in quell’istinto. D’altronde, chiedere a Irene di non provocare avrebbe significato chiederle di non essere Irene. Tuttavia, la sua intenzione era stata prima di tutto quella di dimostrare a Rocco che prendeva sul serio il suo modo di pensare e che era pronta a rispettare fattivamente la sua decisione, anche se a ogni occasione le costava più di quanto credesse staccarsi fisicamente da lui.  

In ogni caso, qualsiasi fosse il proposito alla base, era evidente che stesse smuovendo in lui qualcosa di... nuovo. 

Non che all’inizio della loro relazione non succedesse, ma ora sembrava che anche piccoli dettagli di lei, oltre alle cose che già li univano, lo distraessero nei momenti più sconvenienti della giornata. Spesse volte si trattava di cose apparentemente banali, come la ruga che le veniva tra le sopracciglia quando era concentrata, i riccioli che le ricadevano sulla nuca, le sue mani che si muovevano nel terreno conosciuto della sua quotidianità lavorativa, l’orgoglio che gli provocava vedere addosso alla sua pelle chiara quei sobri pendenti di perla che le aveva regalato a maggio per il suo primo compleanno da fidanzati, e che indossava proprio quella sera.  

Insomma, particolari totalmente privi di nota agli occhi di chiunque non avesse perso del tutto la testa, come invece era capitato a lui.  

Si soffermò a osservare la sua figura mentre si sporgeva in avanti sui fornelli. Per una volta, aveva lasciato liberi da lacca i suoi boccoli, fermati invece per l’occasione da un cerchietto da cui ogni tanto sfuggiva testarda una ciocca. Ai tacchi, che già portava per più di otto ore al giorno, aveva preferito un paio di ballerine blu.  

Non sia mai cucinare con pantofole e un grembiule da ottantenne. A preservare un minimo di raffinatezza ci teneva anche se non avevano in programma di uscire. Dal canto suo, Rocco non avrebbe saputo chiedere di meglio: lei era un connubio (im)perfetto di due mondi opposti. 

Nel frattempo nella sua testa prendeva sempre più forma la realizzazione che erano soli in casa e che, in ognuna delle poche volte in cui era capitato, aveva fatto finta che dalla porta non sarebbe rientrato nessuno e che quella fosse semplicemente ‘casa loro’. Quella sera non faceva eccezione e, a giudicare dall’aria rilassata e a suo agio di Irene, anche lei si sentiva così.  

Una volta chiuso il mondo fuori, l’ansia di Irene che quella sera potesse andare storto qualcosa era sparita, e non era di certo perché era convinta che sarebbe andato tutto bene... 

Hai fatto? Funziona?” si girò poi lei, distogliendolo da quei pensieri.  

Sì, Ire’, qua non è che c’è molto da fare, ddu canali sono” disse Rocco con ovvietà, poi si illuminò in volto e le fece segno con la mano di avvicinarsi “vieni, vieni, la mia preferita!”. 

Irene si asciugò frettolosamente le mani con un canovaccio per raggiungerlo. 

A quell’ora trasmettevano Carosello che, sebbene fosse un programma prevalentemente amato dai più piccoli, suscitava l’interesse anche dei grandi, che lo guardavano nell’attesa di godersi le pellicole o i programmi in prima serata e finivano per imparare a memoria le canzoncine di quelle sequenze pubblicitarie. 

Irene ridacchiò roteando gli occhi quando vide sullo schermo l’incipit della pubblicità del caffè Paulista. “Peggio di un bambino...!” scosse la testa girandosi verso di lui. 

Dalle insidiose foreste del Brasile, il Caballero misterioso torna dalla bellissima donna che gli ha incendiato il cuore...” recitava solennemente la voce narrante. 

Aspetta, aspetta...” disse lui per poi sparire in camera di Irene. 

Uscì dalla stanza con indosso il cappello estivo che Irene usava per le gite al lago, appena in tempo per la battuta che, per ovvi motivi, attirava di più la sua attenzione:  

Dov’è, dov’è, dov’è la bionda?” si mise a cantare, inscenando la famosa scena del Caballero in groppa al suo cavallo, in cerca dell’amata Carmencita.  

Irene dapprima scoppiò a ridere e poi, in men che non si dica, stette subito al gioco iniziando a interpretare a turno, con voci e movenze diverse, tutti i personaggi a cui Caballero chiedeva notizie della ragazza. 

Ma la ragazza in realtà non si trovava perché era rimasta prigioniera nella dimora di un tale Paranà e, per immedesimarsi nel ruolo di questo Paranà, Rocco si tolse il cappello e cambiò voce.  

Chi non bacia Paranà, non esce più di qua!” e iniziò a rincorrere Irene per tutta la stanza, la quale, imitando il tono acuto e tipicamente concitato di Carmencita, si mise a gridare: “Aiuto, ma che fa?! Mi rincorre tra i sofà?!”. Proprio nel cercare di sfuggirgli, poi, Irene gettò un grido di sorpresa, stavolta autentico, nel momento in cui Rocco l’afferrò per buttare entrambi sul divano. 

Seguì una fragorosa risata di entrambi, avvinghiati e l’uno sull’altra, che li lasciò senza respiro. Irene, tra un risata e l’altra, a fatica disse: “Insomma, hai lasciato la povera Carmencita prigioniera dell’antagonista! ... Non siamo nemmeno arrivati alla parte in cui Caballero arriva in suo soccorso!”. 

Rocco col fiatone rispose prontamente “Ma dopo quelli parlavano di caffè... che mi importa a me? Stu Caballero proprio nu babbo, trova la donna che ama e si mette a parlare di caffè?!”. E Irene scoppiò di nuovo a ridere dinanzi a un’argomentazione così lineare quale poteva essere quella di un bambino – con la differenza che un bimbo avrebbe ignorato in maniera del tutto genuina che l’epilogo di quella breve trama era tale perché finalizzato a pubblicizzare un prodotto – poi commentò con fare categorico: “Be’, mi dispiace deluderti ma io, la mattina al risveglio, ti amo sicuramente meno di un caffè”. 

Rocco schioccò la lingua in modo canzonatorio prima di proseguire con le sue teorie bizzarre:  

... che poi...” affondando una mano nel divano per pesare il meno possibile sul corpo di Irene, “non ho capito perché la canzonetta dice ‘Dov’è la bionda?’ e chidda c’ha le trecce nere! Mah, tutta da rifare proprio...” decretò con l’espressione inclemente di un giudice disgustato. 

Irene si coprì il viso, di nuovo incapace di proferire parola per il troppo ridere. 

Ma infatti dice ‘Dov’è la DONNA?’! Non ‘la bionda’!!!” rettificò poi.   

.... dopo alcuni secondi di evidente crollo mentale, Rocco esclamò:  

Ma veramente?!”, con il viso attonito di chi osserva impotente schiantarsi al suolo tutte le certezze della vita. 

Eh. Ti volevo correggere prima ma eri troppo, come dire, calato nella parte” specificò lei gesticolando. 

Vabbè, a me non m’interessa” disse poi lui smorzando i toni scherzosi e avvicinandosi impercettibilmente al suo viso “io continuo a dire ‘la bionda’, mi piace di più...” ed entrambi sapevano anche il perché. 

Irene sorrise teneramente cambiando anche lei espressione. Lasciò avvicinare Rocco finché il naso di lui non sfiorò il suo e... oh, se non ci rialziamo adesso da qui, non lo faremo mai più, come quella sera in caffetteria, pensò Irene. 

Gli stampò un bacio sbrigativo e sorridente sulle labbra e poi lo riprese: “NON SI DICE ‘A ME MI’; ora ti tolgo pure la licenza elementare! Forza, che l’acqua bolle!” 

Rocco non riuscì a trattenere un lamento soffocato di disappunto nella piega del collo di Irene; tuttavia, si alzò rapidamente e la afferrò da entrambe le mani per aiutarla a riemergere dal divano. 

Dai, aiutami ad apparecchiare, che per la pasta non ci vuole molto!” lo esortò affrettandosi poi nuovamente verso la cucina per immergere i casoncelli in acqua. 

Nel frattempo sentiva Rocco che apriva il primo cassetto della credenza alla ricerca, senza successo, della tovaglia.  

Irene tenne le labbra strette per celare un’espressione impaziente. 

‘Lo sai dove teniamo la tovaglia, Rocco, dai, sembra che tu non sia mai venuto qui!’ sentì poi recitare Rocco ad alta voce.  

Si girò di scatto verso Irene. “Vadda a chista...!” fu il commento di Rocco a quell’inattesa iniziativa della fidanzata di lasciare nel cassetto della credenza un bigliettino, forse il primo di altri (?), in pieno stile ‘caccia al tesoro’... 

Eh, ti sbagli sempre!” osservò semplicemente lei, sempre più ansiosa che Rocco andasse avanti. 

Non è neanche qui, scemo’ lesse Rocco quello che era un secondo bigliettino nel secondo cassetto che Rocco aprì. Al ché, stavolta si mise sulla difensiva: “Noooo, questa non vale perché la tovaglia è proprio qua di solito! 

Va bene, lo ammetto” alzò lei le mani non riuscendosi a trattenere dal ridere “l’ho fatto solo perché la caccia al tesoro altrimenti sarebbe durata poco! 

Al ‘tesoro’?” chiese Rocco aggrottando le sopracciglia interdetto, mentre apriva il terzo e ultimo cassetto. E lui che pensava che fosse solo un gioco dei suoi per burlarsi di lui - che effettivamente dimenticava puntualmente l’associazione tra i cassetti di quella credenza e quello che contenevano - ma non si aspettava che fosse previsto un regalo. 

Se sei arrivato fin qui, oltre alla tovaglia, hai trovato anche il tuo tesoro!’ recitò il contenuto dell’ultimo bigliettino e poi spostò la vista su una custodia nera di velluto, oblunga; tutte caratteristiche che lasciavano presupporre un solo contenuto... 

Con tutta la delicatezza del mondo, Rocco aprì la scatola, già preventivamente commosso, e vi trovò adagiato un bracciale d’oro, di maglia sottile, elegante ma non vistoso, con una placchetta centrale su cui Irene aveva fatto incidere in corsivo il nome di lui. 

Irene, che nel frattempo gli si era avvicinata, si era inconsapevolmente portata le mani giunte al viso. Non sapeva nemmeno lei perché fosse così agitata; in genere, non era così ansiosa di scoprire la reazione a un regalo che faceva, data la sua sicurezza di sé.  

Ma quella situazione era diversa: a parte il tremendo errore della birra pre-allenamento in bici, un cono gelato all’inaugurazione del carretto dei gelati davanti alla caffetteria, e i pasti e spuntini che gli offriva a occasioni alterne, si poteva ben dire che non aveva mai regalato a Rocco molto altro o comunque niente di particolarmente significativo. Quello era il primo regalo di un certo peso che gli faceva, anche perché, quando si erano messi insieme, il compleanno di Rocco era già passato. 

Lui, dal canto suo, non riusciva a proferire parola; si morse il labbro evitando di cedere, ma una lacrima gli scivolò comunque lungo la guancia. 

Dio, vederlo commuoversi con niente faceva sciogliere anche lei come una cretina; un gigante dal cuore di burro, proprio come quello che una volta fu lui ad attribuirle. 

Irene approfittò di quel silenzio per spiegarsi, anche lei irrequieta: “Forse questo regalo è più per me che per te, perché hai delle mani bellissime e immaginavo che sarebbero ancora più belle con un bracciale, e niente...” si rendeva conto del suo parlare sconnesso, ma non riusciva a stare zitta, “poi volevo anche far incidere una bicicletta affianco al nome” specificò indicando con l’indice la placchetta “però poi ho pensato che magari ti avrebbe condizionato troppo; chissà, magari un giorno non vorrai nemmeno più andarci. Poi, ecco, lo so che fai un lavoro manuale, perciò se mentre lavori te lo vuoi togliere, non sentirti in dovere di...” e quel farneticare sconclusionato fu interrotto da un bacio di Rocco, che le cinse completamente le spalle con un braccio mentre nell’altra mano ancora teneva la custodia con il bracciale. 

È troppo bello, Ire’...” mormorò qualche secondo dopo quando finalmente si staccò da lei. Poi scosse la testa, “ma che togliere...” sussurrò, ancora profondamente commosso, “non me lo voglio togliere proprio mai, anzi... mi aiuti?” le chiese sfilandolo dai fermi della scatola di velluto per appoggiarselo attorno al polso.  

E Irene fece appena in tempo ad allacciargli la chiusura del bracciale che dovette correre verso i fornelli. 

La pasta!” gridò mentre l’acqua stava quasi per fuoriuscire dalla pentola. Mentre abbassava la fiamma e girava i casoncelli, sentì le braccia di lui circondarla da dietro e abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue mani intrecciate attorno alla propria vita, inorgogliendosi immediatamente alla vista del bracciale. 

Grazie...” le sussurrò poi lui nell’orecchio “ma sicuramente hai speso troppo, chiatti’...” 

“Infatti tra questo e il televisore mi sono praticamente svenata; dovrai fartelo bastare anche come regalo di Natale, mi spiace!” ribatté lei sorridente girandosi verso le labbra di lui. 

Tipico di lei: ogni volta che si commuoveva o si abbandonava a uno sprazzo di romanticismo, doveva ristabilire gli equilibri perduti con la sua caratteristica lucidità. 

Ma comunque, in parte, sono i soldi che avevo messo da parte da restituirti per la pensione e che non hai accettato...” puntualizzò Irene nell’inconscio tentativo di continuare a far passare quel regalo come nulla di particolarmente straordinario. 

Seh seh, te l’ho già detto una volta che sei fatta di burro” le sussurrò ancora, facendola rabbrividire, “è inutile che minimizzi”. 

Irene, più scioccata dal termine forbito usato da Rocco che colta nel vivo per il commento in sé, esclamò: “Ma senti, senti, che paroloniii!”  

Annuì lui tutto orgoglioso mentre già si era staccato da lei per apparecchiare: “Me l’ha detto pure il professore oggi infatti” aggiunse pavoneggiandosi. 

Irene sorrise sommessamente mentre metteva la pasta in tavola e insieme si sedevano, poi proseguì: “Alla fine, avevi ragione tu o io? 

Di che?” chiese Rocco. 

Era un professore di ‘larghe vedute’?” specificò Irene alludendo a quello che aveva suggerito quella mattina “ché già ti vedo rispondere alle domande sulle figure storiche come se stessi recitando una pièce teatrale e, insomma, non tutti apprezzano” commentò come se lei non avrebbe fatto esattamente la stessa cosa, messa nella stessa situazione. 

Esagggerata commentò Rocco sorridendo mentre addentava il primo boccone di pasta “no, è stato gentile dai, alla fine mi ha pure chiesto che voglio fare dopo...” e, ancora a bocca piena, cambiò immediatamente espressione e interruppe quello che stava dicendo “oddio Ire’, ‘sta pasta è buonissima” cantilenò a occhi chiusi, in estasi, con il viso appoggiato sul dorso della mano che reggeva la forchetta. 

Grazie” rispose Irene presa alla sprovvista “l’ho fatta con le mie mani” aggiunse semplicemente. 

Vero è?!” chiese Rocco sconcertato. In quei mesi insieme, Irene aveva dimostrato di non essere poi così male in cucina, come a tutti piaceva invece raccontare, ma fino a quel momento Rocco non pensava fosse in grado di cimentarsi anche con la pasta di casa, o meglio, non credeva che avesse conservato la pratica acquisita durante le lezioni di economia domestica fatte a scuola. 

Irene fece sbrigativamente di sì con la testa prima di tornare all’argomento precedente.  

Quindi, dicevi, ti ha chiesto che vuoi fare ora...” proseguì ingoiando un boccone anche lei “Ansiogeno, però... va bene che te lo voglio chiedere anch’io, però un attimo di respiro almeno oggi che hai fatto l’esame, te lo puoi pure concedere...!” ironizzò lei allargando le braccia. 

Eh lo so, Ire’, però quello mica mi vedrà tutti i giorni come te...” scherzò lui di rimando e sorrisero assieme, poi ci tenne a precisare: “ma guarda che ne possiamo parlare, mica mi fanno venire l’ansia ‘sti cosi”. 

E va bene, se è così...” replicò Irene dopo essersi pulita la bocca col tovagliolo, raddrizzandosi sulla sedia, con un’aria ironicamente ossequiosa: “Cosa pensa di fare adesso della Sua vita, Signor Amato? 

Ma che ne so Ire’, oggi è troppo presto per dirlo...!” esclamò prontamente Rocco prendendola in contropiede. 

Irene, cascataci come una pera cotta, gli lanciò il tovagliolo ridendo: “Ma lo vedi che sei un cretino?! 

Eh, ma serio sono” ribatté prontamente ridendo e raccogliendo al volo il tovagliolo, “il progetto più immediato, adesso, adesso, in questo momento preciso” picchiettò sul tavolo con i polpastrelli “è di finirmi questa pasta buonissima, poi si vedrà...” e continuò a masticare di gusto, tutto contento. 

Irene sospirò rassegnata, ancora col sorriso, e tornò alla sua pasta: “Mmh, e scommetto che hai risposto la stessa cosa al professore quando te l’ha domandato lui: ‘Professore, i piani per la mia vita futura si fermano alla cena di stasera, dove mi rimpinzerò di cibo!’”. 

No” la smentì Rocco senza esitazione “a lui ho risposto che volevo solo tornare subito al lavoro per vedere la mia fidanzata...”  

Irene lo guardò negli occhi per una frazione di secondo per poi abbassare lo sguardo mentre gli sussurrava: “Scemo...”, ma non poté celare un’espressione più che soddisfatta. 

Poi Rocco tornò serio per un attimo, mentre versava un goccio di vino a entrambi: “Non lo so, penso che con l’esame di oggi mi sono solo, diciamo, messo in pari con tutti gli altri... più o meno, si può dire...” fece ondeggiare la mano, mentre cercava senza successo una definizione più efficace. 

Irene annuì in attesa che proseguisse. 

... ma continuare a studiare mi piacerebbe; certo, non è che ora mi devo prendere la laurea, ah” puntualizzò lui mettendo subito le mani avanti. 

Infatti, non sia mai... potrebbe esploderti il cervello” lo prese in giro Irene come soleva fare lei. 

Eh, Ire’, mo, va bene tutto, però...” ribatté lui raccogliendo la provocazione, sopraffatto al sol pensiero, “fare quello che fa....” e menò la mano per aria quando le venne in mente il nome di “Roberta, per esempio, mica è da tutti...”. 

Ma guarda...” ridimensionò Irene con una punta di orgoglio “Roberta è la mia amica, e non nego che sia una delle persone più brillanti che io conosca, ma la differenza tra te e lei non è mica una questione di capacità, è solo questione di motivazione... e poi neanche quella, perché anche tu eri motivato a prenderti la licenza elementare e ci sei riuscito, conciliando studio e lavoro, esattamente come ha fatto lei” e Rocco stava ad ascoltarla riflettendo...  

... poi hai fatto lo stesso con la licenza media... quindi vedi? La differenza tra te e Roberta è che lei sta prendendo un titolo superiore al tuo, ma solo perché quelli precedenti li aveva già presi da piccola” concluse sottolineando l’ovvietà per scivolare su una nota più leggera e Rocco fece finta di accigliarsi. 

Questo per dire che” e tornò di nuovo seria, “se trovi una cosa che ami fare, riesci a farla, pur con tutti i sacrifici; basta trovarla...”. 

Rocco continuava a masticare in silenzio, valutando: “vabbene” concesse poi “allora, diciamo che non sono motivato ad avere la capacità di studiare tutti quegli ANNI....” rimarcò con la voce soprattutto quel punto “qualsiasi cosa sia...” fece poi un cerchio con la mano, inequivocabile e onnicomprensivo. 

Irene scoppiò a ridere per quell’accozzaglia di parole e si coprì gli occhi con una mano, “Sei tremendo...” commentò scuotendo la testa.  

Tutto quel tempo sui libri no dai, Ire’” esclamò in propria difesa “‘na cosa moderata...” e Irene alzò le sopracciglia e sorrise. 

Nonostante il tono scherzoso, sapeva che in fondo Rocco stava facendo una sana autocritica. E forse era in grado di scherzarci su perché, col tempo, aveva essenzialmente imparato a individuare i propri limiti e a conviverci in maniera sana, a differenza di lei che manteneva un atteggiamento ancora piuttosto competitivo.  

Ed era esattamente quello che spesse volte incrinava la sua serenità.  

Inutile dire che, per la propria salute mentale, Irene sentiva di avere tanto da imparare da lui anche in quell’ambito.  

Rocco la sorprese così, ancora col sorriso stampato sulle labbra, mentre con la mano si sosteneva il viso pensierosa. 

Oh, chiatti’, che è? Ti sei incantata?” chiese Rocco corrugando la fronte. 

Mmh? Niente, pensavo che una cosa che farebbe al caso tuo ci sarebbe...” replicò lei storcendo la bocca, con aria riflessiva, poi ridacchiò nel ricordare “visto che sei capace di riparare, così, A SENTIMENTO, cose come juke-box e .... altri marchingegni simili...” esitò rimanendo sul vago. Figurarsi se era così patetica da confessargli la visione avuta quando lui la raccolse dall’albero di Natale nel lontano gennaio ‘61, nonché proprio quella su cui si era involontariamente ‘incantata’ (come diceva lui) un attimo prima: Rocco con un loro ipotetico figlio sulle proprie gambe, di circa sei o sette anni, a cui insegnava ad aggiustare una radiolina. 

Forzare su di lui, in maniera anche solo subliminale, un’immagine futura di loro due con prole al seguito era una cosa che Irene non avrebbe mai accolto nella propria natura ed era, pertanto, l’unico punto su cui ancora conservava un sano maschilismo e si riprometteva di lasciare che fosse lui a proporle... iniziative di quel peso.  

... la Scuola Radio Elettra di Torino” fu il suggerimento. 

Ma sai che l’ho sentita?” mormorò Rocco dopo un po’ riflettendo. 

“E certo che l’hai sentita, Rocco” sorrise lei roteando gli occhi mentre si alzavano per sparecchiare (“Sparecchiamo che poi il dolce lo mangiamo sul divano” gli aveva fatto segno lei, mentre lui si illuminava all’istante in volto al sentir nominare quella semplice parolina). “La conoscono tutti.” 

“Ma è a Torino però, anche per questa mi dovrei spostare...” rivalutò poi lui un po’ deluso. 

Ma no” ridacchiò Irene “si iscrivono in moltissimi proprio perché è una scuola che si fa per corrispondenza”. 

“Vero?!” domandò lui entusiasta (“Asciugo con questo?” le chiese poi nel frattempo, alzandole a mezz’aria lo strofinaccio lì in uso. “No, prendine uno pulito nella credenza; il cassetto giusto, mi raccomando” gli rispose lei scherzosamente). 

“Certo, figurati che uno dei messaggi promozionali è proprio ‘Impara a casa tua una professione vincente’!” recitò Irene. “Non so bene come funzioni, ma credo che oltre al materiale teorico da studiare ti spediscano a casa anche quello per realizzare impianti...” gesticolava, a corto di parole più specifiche “insomma, poi dipende dalla specializzazione che prendi”. 

“Ma tu mi ci vedi?” chiese Rocco dopo aver fissato per un tempo imprecisato un punto a caso nel vuoto, in meditazione, mentre con lo strofinaccio disegnava movimenti circolari infiniti sul piatto che stava asciugando. 

Se ti ci vedo, Rocco” fece spallucce  “se non è per te quella scuola, non so per chi sia; è estremamente orientata alla pratica e tu hai un talento innato per queste cose...” e sorrise preventivamente, anticipando una vendetta per quello che stava per dire “certo, basta che non si tratti di costruire arnie... quelle non sono proprio il tuo forte” lo stuzzicò, alludendo all’iniziativa a tema del Dottor Conti sulle api, risalente a circa un anno prima, dove Rocco e Pietro avevano costruito la proposta di arnia forse più orrenda della storia. 

“Ma!” sbottò lui e afferrò prontamente l’altra estremità dello strofinaccio con l’altra mano per ingabbiarla e stringerla a sé per le spalle (“Era decente quell’arnia alla fine” le sussurrò Rocco fingendosi offeso. “Certo, solo perché poi è intervenuto il Dottor Conti per la disperazione” ribatté lei). 

Poi il pensiero di Irene tornò su una cosa menzionata da Rocco poco prima, e su cui aveva inizialmente sorvolato, “Scusa, perché prima hai detto ‘ANCHE PER QUESTA mi dovrei spostare’? 

Rocco sospirò aspettando una manciata di secondi prima di rispondere, come se gli costasse valutare quella possibilità, “Niente, che il si’or Armando è da un po’ che mi dice che potrei pure buttarmi sul ciclismo agonistico, che c’ho la stoffa, e tutte chidde scemenze là” disse Rocco con sufficienza. 

Ah” fu il commento dapprima neutro di Irene, che aveva ricollegato la cosa con la frase precedente “e dovresti spostarti... 

Rocco annuì. “... a Roma” rispose poi a quella tacita domanda. “ché lì c’è un tizio che mi osserva da un po’ e vorrebbe lavorare con me”. 

Be’, ma a te piacerebbe?” indagò Irene, tentando – forse senza successo – di celare l’ansia che le stava salendo inconsciamente.  

Rocco alzò le spalle, esitando, “A me la bicicletta piace, e mi piace pure gareggiare, così per gioco” spiegò gesticolando “sfidare quel babbo di Pietro” si mise a ridere senza rendersi conto che anche lui sentiva inconsapevolmente il bisogno di tagliare quella tensione quasi palpabile “ma non so se... farlo proprio come lavoro” rimarcò storcendo la bocca “sarebbe la stessa cosa”. 

“Non lo sai, appunto” disse poi Irene risoluta tentando di reprimere il magone che aveva nello stomaco “quindi devi provarci per capirlo... devi andarci perché potresti rimpiangere di non averlo fatto e...” senza rendersene conto la sua voce si stava gradualmente alzando e fu solo quando Rocco la interruppe con quel suo fare genuino e diretto che realizzò. 

Ehhh, Ire’, piano... un attimo” esclamò Rocco mimando il suo innalzamento di voce. “La fai facile tu...” disse poi con il faccino mogio. 

La faccio facile perché È facile” rispose lei senza esitare. Come no, soprattutto per noi, una meraviglia, pensò amaramente fra sé nello stesso momento in cui pronunciava a Rocco quelle parole diametralmente opposte a quanto aveva dentro. 

Se è facile per te, per me no” disse lui convinto e Irene non seppe rispondere, interdetta. A volte lo invidiava perché non aveva paura di mettersi a nudo, era totalmente privo di filtri; quello che sentiva lo diceva, “a parte per il lavoro... cioè, metti caso non fa per me questa cosa, perdo il lavoro qui senza motivo... ma poi NOI?... Se a te però non importa...” suggerì lui visibilmente deluso e si rimise a sedere, dato che avevano anche finito di rassettare. 

E Irene, svuotato di ogni senso l’atteggiamento precostruito di poco prima, si ammorbidì anche lei, “È questo che pensi? Credi davvero che non mi cambi niente se rimani qui o parti?” gli chiese, sinceramente sconcertata da quanto riuscisse a sembrare dura quando se lo proponeva, al punto che lui finiva per credere un’assurdità simile. 

“A volte così sembra...” ribatté lui incrociando le braccia sul petto, come tutte le volte che era offeso o faceva finta di esserlo, e Irene alzò gli occhi al cielo mentre lui non la vedeva, intenerita da quel candore. Si trovò senza alcuna altra scelta tra le mani se non quella di essere semplicemente sé stessa e lasciarsi andare precisamente a quello che voleva fare in quel momento, senza pensare a quello che implicava oppure chi o cosa accidenti avrebbe condizionato abbandonandosi a quell’istinto.  

Spense semplicemente il cervello, e non era mai facile per lei se si trattava dei propri sentimenti. 

Rimanendo in piedi dietro la sedia di lui, si chinò e gli circondò il collo con entrambe le braccia, appoggiando la propria tempia sulla sua e inspirando per una frazione di secondo il suo profumo a occhi chiusi. “Ma tu hai idea di quanto mi costi spingerti ad andartene per inseguire quello che potrebbe essere il tuo sogno? 

Lui non le rispose subito; dapprima espirò, come allentando la tensione, poi avvicinò la propria guancia a quella di lei e fece risalire un braccio per stringere il suo tra le mani. “Forse sì, ma allora perché non me lo dici? Perché devi fare sempre la dura... pure quando non serve...” protestò in un sussurro accorato. 

E Irene scoppiò a ridere per il ‘quando non serve’; perché se Rocco non fosse stato troppo coinvolto, si sarebbe reso conto da solo che quello era invece uno dei rari casi in cui ‘serviva’ per davvero essere risoluti, considerando la facilità con cui due innamorati avrebbero fatto l’errore di scegliere la via comoda. 

Vuoi la verità?” gli chiese, allora, in maniera retorica. 

Lui annuì e lei si sentì graffiare piacevolmente la guancia da quel suo accenno di barba. Poi Irene fece il giro della sedia, gli si mise a sedere davanti e gli prese le mani tra le sue. “Perché sento che, se mi raddolcisco, cado più facilmente nella tentazione di pregarti di restare, e lo sai anche tu che non sarebbe giusto farlo, né per me né per te”. 

E perché no...?” rispose volutamente con una domanda nonché con il sorrisetto tipico di un bimbo capriccioso. Sapevano entrambi che quello era il suo modo di evitare di ammettere che Irene aveva ragione da vendere. 

Irene roteò gli occhi e gli sorrise in modo canzonatorio “Non fare lo scemo per non andare in guerra, che non attacca... come pensi che potrei accettare l’idea di tenerti qui vicino a me, mentre nel frattempo potresti aver trovato la tua strada?” insistette. 

Ire’” tornò serio e le strinse a sua volta le mani, “ma non è che mi TIENI TU vicino a te, a me piace la mia vita qui, non è solo perché ci siamo io e te, te lo giuro – che poi Gesù dice che non si giura però, vabbè, era per dire (era adorabile quando mormorava quelle cose più a sé stesso, che a lei) – mi piace la famiglia che siamo al Paradiso, come sono stato trattato qui, da tutti...” disse poi guardandosi attorno, quasi commosso, “... se andassi a fare questa cosa, ci andrei soltanto per togliermi il dubbio, va’...” balbettò interrompendosi per la frustrazione di non sapersi spiegare meglio. 

Irene iniziò a chiedersi seriamente se per caso non stesse assumendo un atteggiamento ipercorrettivo con lui, ovvero quello di fare la fidanzata esageratamente solidale per il timore di non esserlo affatto.  

Rocco sembrava davvero poco determinato dinanzi alla prospettiva di abbandonare tutto alla volta di quella nuova esperienza. Che non lo stesse spingendo in quella direzione solo perché era lei a volersi ripulire la coscienza immolandosi in quel sacrificio d’amore disinteressato? 

Poi però provò a fare un esercizio all’inverso e, una volta trovata la risposta, si dileguò dal suo cuore ogni perplessità sul da farsi e si mise l’anima in pace. 

Si interrogò sull’alternativa. E l’alternativa era, appunto, quella di spingerlo a rimanere col dubbio.  

Ecco, quella sì che era un’opzione totalmente priva di logica e buon senso. 

E va benissimo così” intervenne allora lei, con fare molto più mansueto stavolta, “è proprio per quel dubbio che devi a te stesso una possibilità... perché le cose vanno provate prima di capire se vanno bene e, se vale per i vestiti,” gli sorrise per buttarla sullo scherzo “tanto più vale per le scelte di vita”. 

Rocco si lasciò scivolare sulla sedia e sbuffò perché Irene era, purtroppo, incontrovertibile.  

O forse ancora no... 

Vabbè” tagliò cortomo, dopo che hai fatto la parte della fidanzata saggia... bello tutto quantoera vero, la considerava ed ERA saggia in quegli ambiti, ma in quel momento quelle verità tutte assieme gli facevano male e quindi la stuzzicava,non abbiamo comunque risolto i problemi che ti ho detto all’inizio...”.  

Meno male che Irene era avvezza a quei meccanismi di autodifesa e invece di dargli un ceffone, rideva rassegnata, nell’attesa che terminasse di dire le sue scemenze; ma non c’era fretta, il buon umore che lui le metteva anche nel bel mezzo di discorsi così grevi era spesso la sua salvezza; e così in quel momento, dove, per quanto odiasse quella seppur doverosa conversazione, il suo magone iniziale era comunque parzialmente (e di sicuro solo temporaneamente) più tollerabile. 

Intanto però si trattenne dal ricordargli che, neanche mezz’ora prima, le aveva specificato come quei discorsi ASSOLUTAMENTE non gli mettessero ansia. Si vede, pensò ridendo sommessamente. 

Il lavoro al magazzino dici?” chiese poi. 

Eh... punto primo” precisò lui alzando il pollice, perché figurarsi se poi non doveva passare anche al punto che gli stava più a cuore, “cioè, mi licenzio qua e dopo? Se voglio tornare, il Dottor Conti giustamente mi dice ‘tanti saluti’ e c’ha pure ragione”. 

E Irene sbuffò, mentre si alzava per prendere i piattini e le forchettine per il dolce nella credenza, prima di rispondergli: “Ma figurati se Vittorio Conti, colui che vede opportunità pubblicitarie per la sua azienda dove nemmeno esistono, non riprenderebbe a lavorare un... ciclista pentito” definizione appena coniata da lei in quel momento, che proferì come se fosse l’ultima genialata del secolo. 

Un ciclista-come?!” stavolta era il turno di Rocco di ridere a crepapelle per un’improprietà di linguaggio di Irene cosa che, per ovvi motivi, succedeva meno di frequente. 

Un ciclista pentito, sì...” ribadì sicura di sé “credo che per l’occasione assolderebbe persino il giornale locale con un titolo del tipo:” e mimò la comparsa di un titolo immaginario per aria con la mano in cui teneva la paletta del dolce “‘Ciclista promettente rinuncia alla carriera su due ruote per tornare al Paradiso....” 

Seh, ‘...alla Casa del Padre’!” la interruppe poi lui sfruttando un palese doppio senso. “Tanto se sarò ‘pentito’ come dici tu, ci torno pulito, pulito, da Nostro Signore”. 

Irene schioccò le labbra e rise mentre tirava fuori la torta.  

Matri mia, la torta al cioccolatoooo” esclamò Rocco a quella vista e in segno di tacito ringraziamento si avvicinò a Irene per stringersela da dietro, mentre lei posava la torta sul tavolo. “E noi? Se poi scopro che quel lavoro mi piace, che fine facciamo noi?” le sussurrò poi, incapace di lasciarla andare.  

E Irene sospirò: “Certo che se mi dici ‘fine’, penso che...” e si girò intorno, alla ricerca visiva di una punizione efficace, “ecco, penso che non ti do neanche un pezzo di torta”.  

Sentiva che tutte le energie spese a convincere il fidanzato contro il proprio interesse meritavano una ricompensa a vita in dosi massicce di cioccolato, altro che la piccola tortina che aveva fatto. Comunque, anche solo quella era un buon inizio. 

Rocco le prese la paletta dalle mani per assicurarsi che non attuasse quella vendetta e iniziò a fare lui le porzioni. “Dai, facevo il cretino...” 

Irene piantò le braccia sul tavolo riflettendo, affianco a lui che armeggiava, “Ma non esistono squadre ciclistiche anche qui al Nord?” poi chiese agitando la mano in aria “Che so io, qui vicino, ad esempio... in Lombardia... oppure proprio... a Milano, per dire?”  

Rocco sghignazzò, colta l’ironia delle sue domande, e fu lui a terminare la frase rimanendo sulla stessa nota “Ma sì, pure qua dietro casa, perché no...”; poi se la abbracciò per la tenerezza che gli ispirava quando esprimeva ciò che sentiva senza rimuginarci troppo e le strizzò la faccia con la mano (“mi fai male” borbottò lei, fingendosi impassibile davanti a quello slancio d’amore, con il viso tutto arricciato dalla sua presa).Giniusa, sei” e le diede un bacio sonoro sulla guancia. 

Cioè?” impennò lei con voce acuta. 

Bella... ma in tanti sensi” mormorò con uno sguardo misto tra il sognante e il riflessivo... 

Penso di sì comunque” le rispose poi “... ma poi stando sul posto inizio a conoscere l’ambiente e vedo pure di trovare un modo per riavvicinarmi a te” ipotizzò, speranzoso, “magari non devo starci sempre, basta che mi alleno e faccio le gare...” e alzò la mano per puntualizzare “questo SEMPRE SE mi piacerà la carriera, ché noi qua parliamo, parliamo...” 

Mentre prendeva dalle mani di Rocco il piatto che le aveva preparato con il dolce, come dopo un’illuminazione, Irene si aprì a un’altra prospettiva mai considerata fino a quel momento: “Ma poi ci pensi? Se invece fossi io a trasferirmi da te a Roma, potrei candidarmi per un posto in qualche prestigioso negozio di Via Condotti o Via del Corso e mi prenderebbero subito con le mie capacità e le referenze che avrei in mano... certo, però, qui ho già l’anzianità e arriverei più velocemente a essere capocommessa” storse la bocca valutando, come se quelle due opzioni le si fossero già materializzate davanti e il suo unico compito fosse quello di sceglierne una. 

Rocco rimase a fissarla per due secondi contati, con la forchettina ancora in bocca, incerto se essere più sbalordito dall’ennesima dimostrazione di straordinaria ‘modestia’ di quell’invasata della sua fidanzata o più felice per il fatto che la stessa aveva preso in considerazione la possibilità di essere lei a raggiungerlo.  

Nel dubbio si illuminò in viso, mentre la sua mente correva veloce: se quell’alternativa si fosse concretizzata, avrebbe avuto la ‘scusa’ perfetta per proporle matrimonio, cosa che normalmente se la faceva sotto a chiederle per timore che fosse esageratamente presto per lei. 

Rocco fece un passo verso Irene con gli occhi che gli brillavano: “Chiatti’, ma ci verresti davvero?” e avrebbe voluto aggiungere che non gliel’aveva chiesto lui solo perché gli era mancato il coraggio per farlo, ma forse quell’idea già si leggeva chiaramente nello stupore del suo viso. 

Irene resse il suo sguardo per una frazione di secondo, felice e stupita come lui di quello che aveva appena proposto, come se ne fosse stata solo testimone e non artefice.... poi però la buttò sullo scherzo e l’atmosfera si ruppe. 

Visto? Adesso non hai proprio più scuse; hai tutte le soluzioni servite su un piatto d’argento” e nel frattempo si sedettero sul divano.  

Solo dopo aver spento la luce del soggiorno/cucina, realizzarono di aver ignorato la televisione per tutta la durata della cena. L’avrebbero lasciata accesa solo perché potessero sfruttarne la luce fioca.  

Ora se non vai, inizierò a pensare che è perché sei pigro e non vuoi farti tutto da solo, visto che lì a Roma non ci sarà mammà” rimarcò volutamente. 

“‘Mammà’?” rise e poi puntualizzò mentre gustava la torta “Mia zia, casomai”. 

Dettagli, nel tuo caso è la stessa cosa...” rispose lei facendo spallucce.  

Perché, quando saremo sposati” incredibile come il suo inconscio fosse già partito per la tangente, tanto che da quel momento in poi avrebbe probabilmente insinuato quell’argomento in ogni discorso, “non farai tutto tu in casa?” e premette le labbra tra loro per contenere una risata, mentre anticipava le tante reazioni letali che Irene avrebbe potuto avere. 

Irene si girò nella sua direzione in maniera robotica, con gli occhi piccoli e assassini, al ché Rocco non ce la fece più a trattenersi.  

Ripeti un’altra volta una frase del genere e ti recido tutte le appendici del corpo” lo minacciò.  

Ajaaaa” gridò lui piegandosi istintivamente in una posizione fetale, come se già immaginasse il dolore, “tanto, guarda, che non ci crederei manco se lo vedessi, ah”. 

E faresti bene” replicò lei secca. 

Anzi” poi aggiunse lui, provocandola, “secondo me, disordinata come sei, è a me che toccherà fare tutto” paventò sgranando gli occhi. 

Irene schioccò le labbra, “cretino... ma esigere che solo la donna faccia tutto in casa non solo è maschilista, è anche totalmente privo di senso pratico” disse lei ingoiando un boccone perché figurarsi se rinunciava al suo cioccolato per portare a termine le sue arringhe “si fa in due e si fa prima, così poi INSIEME ci si dedica al tempo libero e a tutto il resto... non credi?” si girò lei di scatto per chiedere conferma, non che le sue parole lasciassero molto spazio per controbattere. 

E infatti... 

Se ‘credo’?!” chiese Rocco, allibito dal fatto che Irene avesse pure la faccia tosta di chiedergli un’opinione. Neanche Rocco avesse voglia di morire. Piccio’, ci devo credere per forza, sennò mi arriva ‘na masciddata! 

Irene si girò di nuovo verso di lui, stavolta con un’espressione confusa in volto, “Una che?” 

“‘no schiaffo, Ire’” spiegò lui con la bocca piena. 

Io ero ferma a timpulata...puntualizzò Irene, psicologicamente provata, e Rocco alzò gli occhi, riflettendo e spostando la testa di qua e di là, “Anche...” poi si mise a ridere quando vide l’espressione sofferente di Irene. 

Irene si lasciò andare a un sospiro di frustrazione e gettò all’indietro la testa contro lo schienale.  

TU” poi si riscosse, colta dal ricordo di una vecchia promessa, e puntò la forchettina nella sua direzione “avevi promesso di insegnarmi il siciliano dopo l’esame. Ecco, ADESSO è dopo l’esame”.  

Rocco ci pensò un po’ “ca cettu” e poi chiese per sondare il terreno: “perché prima o poi non la vuoi conoscere tua s..” si interruppe per timidezza e poi si corresse “mia madre?” 

Irene si voltò verso di lui e sul suo volto comparve un sorriso caldo, segno che si era accorta di quell’autocorrezione, “Solo LEI voglio conoscere...” e abbassò lo sguardo. – Tutto quello che Rocco le aveva raccontato di sua madre le era piaciuto, le era stata descritta come una donna premurosa e dolce (‘poi, chissà, magari quando mi conoscerà, subirà lo stesso effetto che faccio ad Agnese Amato; si farà il segno della croce e reciterà una preghiera di liberazione dagli spiriti cattivi’, pensò Irene tra sé); inoltre, grazie alla lunga conversazione avuta con Armando qualche settimana prima, in cui avevano sollevato l’argomento, Rocco stava pian piano riabilitando anche la sua immagine, che negli anni era stata macchiata dalle dicerie e malelingue che lo avevano accompagnato per tutta la sua vita. E scoprire se quelle avessero o meno un fondamento non aveva nemmeno più importanza. Sua madre era stata una buona madre e solo quello doveva bastare a lui come figlio. Anche Irene l’aveva aiutato in quel senso: ‘i figli sono di chi li cresce’ era un concetto che ribadiva spesso ‘tuo padre non ha quindi nessuna scusante per il comportamento che ha avuto nei tuoi riguardi; se non se la sentiva di riconoscerti come figlio, poteva tirarsi indietro fin da subito, e non trattarti da essere inferiore; come se poi un bambino potesse avere qualche tipo di colpa...’ – “... ma ho il sospetto che dovrò conoscere anche ‘altre persone’ che invece non faranno altro che insultarmi, quindi devo capire bene quello che dicono per difendermi” disse lei con voce neutrale, senza patetici vittimismi di sorta. 

Ehhhhh, esaggerata” disse lui girando la forchettina in aria “comunque” e si alzò dal divano per andare a prendere la torta non tagliata che era rimasta sul tavolo “possiamo fare così: io ti dico una cosa e tu la me la ripeti; se me la ripeti bene, ti do un boccone, sennò, picciò” disse allargando le braccia “se sbagli, il boccone è mio”. 

E figuriamoci se Irene si lasciava intimorire da una sfida. Alzò il sopracciglio e gli tese la mano perché lui la stringesse in un patto.  

Che poi ‘se lo ripeti bene’” rivalutò lei “chi lo determina? Tu? Per quanto ne so, potresti dire che sbaglio tutto per rubarmi la torta”. 

Ehhh, picciò, mo, quante ne vuoi, ti devi fidare... sennò, se vuoi, chiamo mia zia e ci viene ad aiutare...” aggiunse con nonchalance, ben cosciente di quanto le due si detestassero, e rise quando Irene esclamò: “Nooooo, mi fido mi fido”. 

Poi Rocco si picchiettò il petto e le fece segno di adagiarsi con la schiena contro di lui. Meno male che Irene aveva tenuto da parte un po’ di crema perché Stefania la usasse per farcire i suoi amati cornetti; con la sfida appena lanciata, era sicura che di quella piccola tortina non sarebbe rimasto nulla. 

Irene si appoggiò come le aveva indicato lui e il piatto di torta, nonché trofeo, se lo mise in grembo. Da quell’angolazione il viso di Rocco era appena dietro il suo e poteva sussurrarle nell’orecchio senza alzare la voce. Era il tipo di vicinanza che Irene preferiva e, se Rocco non lo sapeva direttamente, quantomeno lo sospettava, dato che negli ultimi tempi era proprio lui a cercarla più di frequente e, ogni volta che lo faceva, Irene era sicura di riuscire a scorgere nei suoi occhi una venatura a malapena percettibile di malizia.  

Certo però che, se continuava a pensare a quanto quel contatto seppur casto le rizzasse i peli, non avrebbe imbeccato neanche una frase in siciliano, e lei non poteva accettare di perdere.  

Prima per orgoglio poi ‘per cioccolato’. 

Cominciamo con” scandì Rocco con aria riflessiva e poi, illuminatosi, fece una premessa “ecco, chiatti’, una frase che ti descrive alla perfezione proprio: ‘Ti patti arraggiata come nu scimmiuni”. 

Irene corrugò la fronte spremendosi le meningi e iniziando a emettere dei mugoli sconnessi per l’impazienza di dare una risposta “mi suona ‘come una scimmia’ ma non sono sicura della parte iniziale...” e Rocco, inclemente, affondò la forchettina nella torta per poi portarsene teatralmente un boccone alle labbra, ma Irene lo fermò con la mano: 

Aspetta! ‘Arraggiata’ deve significare ‘arrabbiata’ di sicuro, perché hai detto che è riferito a me! Sì!!! ‘Sono arrabbiata... cioè, mi arrabbio come uno scimmione!’” disse tutta entusiasta. Rocco trovò buffissimo che non le importasse nemmeno del contenuto della frase; poteva essere anche un insulto, a lei durante una gara importava solo di vincere. Poi lui strizzò gli occhi inclinando la testa e infine dovette ammettere a malincuore:  

Non è proprio preciso preciso così, ma te la lascio passare, va’’” disse tutto impettito e poi le comandò “Adesso ripetila!”. Era comico da osservare come se la stava spassando a vendicarsi di tutte le volte in cui era stata Irene a fargli da ‘maestrina’. Lei allora ripeté la frase proferita e scoppiò a ridere per autoironia, così trascinandosi dietro anche lui. Superfluo aggiungere che non perse tempo per prenderla in giro per via di quella pronuncia ancora troppo ‘rigida’, e tuttavia adorabile, alle sue orecchie.  

Allora le mise una mano sotto il mento per non far cadere le briciole mentre lei addentava il suo primo boccone.  

Ben presto però, Irene propose un approccio meno rigoroso alle regole del gioco, visto che ci teneva tanto anche a evitare un’indigestione, e, da quel momento in poi, condivisero ogni morso che era in palio.  

Su quella falsa riga - fatta di punzecchiamenti e rimbeccarsi continui, di ‘dai, questa era quasi giusta!’, ‘no, fa’ la persona obiettiva, non hai azzeccato proprio niente invece’ - proseguirono fino all’ultima briciola, momento in cui si ripromisero che quella lezione sarebbe stata solo la prima di una lunga serie. 

A gara finita, quando non c’erano più piattini e forchettine che li separassero - e che difatti erano stati impietosamente relegati sul pavimento, di fianco al piede del tavolino - scivolarono in un gioco di mani intrecciate, carezze apparentemente involontarie, baci furtivi misti a sussurri... 

Intanto la televisione continuava a guardarli e, mentre se ne stavano finalmente un po’ in silenzio, Irene si soffermò sull’alzarsi e abbassarsi del torace di Rocco proprio sotto di lei. Tese il collo all’indietro per guardarlo in volto; era sereno come suggeriva il suo respiro. Irene, invece, avrebbe mentito se avesse detto che era esattamente lo stesso per lei. 

In quel silenzio, infatti, le riaffiorò fastidiosamente il dispiacere di quella mattina e, anche se le sembrava un sacrilegio turbare la pace di Rocco, sapeva che quei momenti in cui potevano starsene per conto loro come una piccola famiglia erano, purtroppo, molto rari. 

Di solito erano costretti ad accontentarsi del breve tragitto condiviso la mattina, di quella mezz’ora in pausa pranzo in cui scambiavano una chiacchiera con la bocca piena e del freddo marmo delle scale a fine serata. Perciò, contrariamente alle intenzioni iniziali cui aveva mantenuto fede fino a quel momento, si arrese al proprio bisogno di confidarsi con lui. 

Non perché Rocco fosse un maestro di dialettica, non perché le dicesse sempre quello che lei voleva sentirsi dire, non perché non sapesse anche essere brutale...   

Ma perché, anzi, aveva quel dono adorabilmente maldestro di dirle senza mezzi termini quello che davvero le faceva bene.  

Lui era lui. Era come se Irene sentisse inconsciamente di non aver affrontato del tutto qualcosa che la affliggeva finché lo taceva a lui.  

Oggi è passata Brigitta al Paradiso” sussurrò quindi Irene seguendo con lo sguardo un’immagine a caso sullo schermo.  

Ah.” rispose Rocco dopo un attimo “prima o dopo che sono tornato io?”.  

Irene sospirò. “Prima...” rispose, ben consapevole del perché Rocco aveva posto quella domanda.  

Rocco le prese il mento per attirare il suo viso a sé e cercare i suoi occhi “Che è successo?le chiese con voce sospettosa. 

C’è che se oggi non hai visto il mio nome sui giornali di cronaca nera è perché al lavoro mi hanno impedito di staccarle la testa” ribatté lei, con voce gelida e cupa. 

Addirittura Ire’… ma perché?” le domandò con voce esasperata, sperando in cuor suo che quello della fidanzata fosse solo il suo consueto vizio di amplificare le cose. Anche a lui tornò in mente l’occasione in cui erano stati invitati a mangiare a casa Cipriani, e non era andata poi così male. Certo, ricordava anche la sua fidanzata ribollire durante la cena, ma spesso la scarsa tolleranza di Irene non faceva testo; non era molto elevata in ogni caso. 

Mio padre le ha regalato una cappa di mia madre disse Irene senza approfondire - grazie a lei e al suo lavoro, Rocco ormai aveva una conoscenza di terminologia dell’abbigliamento che faceva invidia a uno stilista - e lei, ovviamente, ha pensato bene di venire a spiattellarmelo in faccia”. 

Rocco corrugò non solo la fronte, ma tutta la faccia. Anche se Irene era sempre stata una figlia ribelle, cosa non particolarmente gradita agli occhi di un padre vecchio stampo come il signor Cipriani, quella sembrò a Rocco una carognata puramente insensata e gratuita. In stile avvicinabile al suo, di padre. 

Ma scusa, ‘sta cosa si può fare? Quella non dovrebbe essere roba vostra… tua?” chiese interrogandosi inaspettatamente su quanto fosse ‘lecito’ quel gesto. 

Appunto, roba nostra, e finché è in casa sua, evidentemente ne fa ciò che vuole…” poi si ammorbidì e assunse una vocina mesta, cercando inconsciamente un appiglio per odiarlo di meno “L’ho chiamato poco dopo e mi ha detto che non l’ha fatto in mala fede... semplicemente ha pensato che non fossi interessata, dato che è una cosa che normalmente non indosso e non ho portato con me qui in casa nuova”. 

A quelle parole, Rocco ricordò il particolare del trucco sbavato “ecco perché eri in spogliatoio quando sono arrivato, non era per la calza smagliata…”.  

E lei fece spallucce senza rispondere niente. 

Ma tu quando me le dici ‘ste cose, Ire’?” indagò lui, accorato. 

Irene rispose senza esitare “Avevi fatto l’esame, eri così contento... che potevo fare? Mi pento persino di non aver aspettato almeno fino a domani 

Rocco schioccò le labbra in segno di apprezzamento per quell’accortezza e le strinse ancora di più le braccia attorno al ventre. “Mah, comunque, secondo me” alzò lui un braccio come quando esprimeva la sua opinione in maniera convinta “doveva chiedere prima a te se volevi darla via… 

Appunto… mi ha anche detto che, se voglio, possono ‘restituirmela’” storpiò la voce su quell’ultima parola per scimmiottare la voce del padre “ma figurati se mi abbasso a quel livello… mi fa anche pena, è l’unica cosa che potrebbe indossare di mia madre quella...” fece una pausa con il groppone in gola per il nervoso per poi esclamare “… mucca! 

Rocco ridacchiò sommessamente - le reazioni colorite di Irene quando si inalberava erano, ogni giorno di più, motivo di intrattenimento per lui, anche se la sua missione implicita nella vita era sedarle - “Ire’, eddai” le mormorò teneramente, con atteggiamento quasi paterno. 

Che c’è?” ringhiò. 

Eh... lo sai che c’è” rispose lui con la stessa calma di prima. 

No. Non lo so.” rispose, secca. “Per caso adesso neanche con te posso sfogarmi?”  

Ma assolutamente non sto dicendo questo, chiatti’ precisò Rocco “ma forse, ‘sta poveretta va solo compatita...” suggerì, cercando di farla ragionare. 

Irene strabuzzò gli occhi allontanandosi all’istante da lui, come colta da orticaria improvvisa: “Poveretta, LEI? Lei viene a provocarmi su una questione delicata come mia madre ed è pure da compatire?!” proruppe, al culmine dello sdegno. 

Ire’, ma ragiona un attimo” disse lui, ancora una volta con la compostezza di chi sapeva prenderla, controbilanciando la sua aggressività. “Chi è la più povera tra voi due?”  

Irene aggrottò le sopracciglia “Vuoi scherzare?! Ovviamente io... replicò, tagliente pago la pigione e lei vive, mantenuta, in una casa di proprietà”. 

Rocco roteò gli occhi. Era chiaro che Irene perdesse buona parte della propria obiettività nel discutere un argomento che le stava così a cuore, a tal punto che era Rocco, fra tutti, a doverle ricordare il significato di una metafora. “Ma non in quel senso, Ire’... più povera di testa!” disse picchiettandosi la tempia con l’indice. Poi si spiegò senza lasciarla controbattere: “questa qua stamattina ha preso,” elencò spiegandosi con entrambe le braccia “è uscita da casa sua, ha attraversato tutta la città per venire in questo negozio dove, guarda caso, ci sta la figlia del suo compagno a lavorare, e ci è venuta apposta per provocarla sapendo che non poteva rispondere male... 

... eh... e quindi? Abbiamo fatto una grande scoperta: commentò Irene sarcastica, non capendo bene dove volesse andare a parare. che ci gode nel vedermi soffrire, una cosa che prima non sapevamo per niente”. 

Eh, ma perché, Ire’?... Secondo me perché questa si sente attaccata... si sente attaccata da ‘stu fantasma di una donna bellissima, con una figlia che è uguale spiccicata a lei, e che la odia pure” disse puntando il dito verso il pavimento “perché, scusami, però la sera della cena a casa loro, si è visto pari, pari” precisò lui risoluto “e magari non si sente all’altezza e caccia gli artigli così” fece spallucce. 

Ironico che anche Rocco, come Roberta a inizio serata, tendesse a psicanalizzare le intenzioni di Brigitta, mentre lei se ne infischiava altamente di scovare i motivi reconditi di quel comportamento; al contrario, voleva solo essere lasciata in pace. Anche perché non c’era nessuna regola implicita che le imponesse di imparare ad amare quella persona, pensò.  

Era letteralmente rinata da quando si era trasferita dalle amiche svariati mesi prima, proprio perché evitava di respirare l’ambiente soffocante che c’era in casa con quei due. 

Che bisogno aveva dunque Brigitta di tornare a cercare quel contatto anche dopo che i loro destini si erano comodamente separati? Ci ravvisava del masochismo, persino. 

Certo, perché io, quando faccio l’acida, sono cattiva e basta, mentre lei invece ha una giustificazione per comportarsi male, eh?!” chiese Irene retoricamente, ancora indignata. 

Ma io non la sto giustificando, Ire’, però la vogliamo risolvere ‘sta situazione infinita o no?” disse unendo le dita della mano tra loro, sfiancato anche lui dal fatto che quell’astio durasse ormai da troppo tempo, “Quella, proprio che ti arrabbi e piangi va cercando”. 

Irene scosse la testa, sfinita. “Ora ti dico la stessa cosa che mi hai detto tu prima... ‘la fai facile tu’, vorrei vedere come reagiresti se una persona che già detesti ti prendesse in contropiede in quel modo” disse lei visibilmente corrucciata.  

Sapeva bene che era odiosa e che aggrovigliava il filo della conversazione mentre Rocco cercava pazientemente di sbrogliarlo solo per il suo bene, ma quel fattaccio le aveva tolto il senno per tutto il giorno e purtroppo non riusciva a partorire risposte più intelligenti di quella.  

Rocco ignorò la provocazione ma si girò all’istante, pronto a rettificare, “Non dico che sarà facile, Ire’, ma non posso neanche dirti che sopra a quella ci devi passare con un carro armato solo per farti contenta...” e le sfiorò la guancia con le nocche, mentre condividevano un risolino abbozzato per quella battuta. Lei chiuse brevemente gli occhi e inclinò impercettibilmente la testa verso quel contatto. 

Rocco proseguì “Sei tanto brava a fare la superiore tu!” e cercò i suoi occhi mentre la sua bocca si inarcava in un sorriso complice. “Da adesso in poi, con lei, questo devi fare, così lei si smonta e non c’ha più niente da dire disse con quella sua fermezza caratteristica di certe occasioni “... tanto non sono queste scemenze le cose che ti legano a tua madre. 

Proprio quell’ultima breve frase detta da Rocco non era passata inosservata e le rievocò una scena ricorrente della sua infanzia. 

Dopo un attimo trascorso a trovare le parole, sussurrò “Sai, la pasta che ti ho fatto stasera non l’ho imparata a scuola...” mentre distrattamente giocherellava con le sue dita. 

E Rocco inclinò la testa, incuriosito. 

Me la insegnò mia madre che ero molto piccola” poi le sue labbra si aprirono in un sorriso sognante che trasportò anche Rocco nel vivo di quei ricordi. “Mi ricordo che neanche arrivavo al tavolo tanto ero piccina e lei mi metteva un rialzo sotto i piedi perché almeno potessi poggiarci i gomiti”. Poi alzò lo sguardo davanti a sé e guardò fuori dalla finestra per associazione “Quando piove penso sempre a quei momenti...” 

“Perché quando piove?” chiese Rocco con il viso appoggiato sulla mano, e il gomito appoggiato sul ginocchio, mentre non staccava gli occhi da lei. 

Perché quando pioveva mamma non sapeva come intrattenermi... – di solito invece il pomeriggio uscivamo per delle lunghe passeggiate – e allora facevamo le ‘cose manuali’, così come le chiamava lei” poi guardò Rocco e sorrisero assieme. 

Rocco rifletté in silenzio, capendo finalmente perché Irene aveva bruscamente fatto cadere la conversazione durante la cena, dopo aver ricevuto i complimenti per il piatto.  

Già una volta gli era capitato di sentire un forte senso di vuoto, che era certamente improprio chiamare nostalgia, verso quella donna mai conosciuta; ovvero quando aveva scorto per la prima volta la foto che Irene teneva sul comodino, di lei bimba in braccio alla madre. Questo era uno di quei momenti... Raramente Irene si lasciava andare a quello sguardo trasognato quando gli parlava di sua madre ma, quando accadeva, era questa la sensazione che evocava in lui. Grazie a quelle parole, Rocco, era come se se la vedesse davanti, ma, alla fine del racconto, lo scontro con la dura realtà in cui la suocera non c’era più era ancora più brusco. E pensare che a entrambi avrebbe fatto così ‘comodo’ – a voler usare un’espressione degradante – avere una figura materna vicino, sebbene nessuno dei due fosse in grado di ammetterlo ad alta voce. Sua madre - doveva ammettere - era stata l’unica persona nella sua vita prima di Milano a dargli amore, ma sfortunatamente era lontana, troppo lontana per avere un ruolo determinante nella loro vita di coppia. Agnese invece, neanche a dirlo; su di lei non si poteva contare affatto, dato che si rifiutava testardamente di approvare quella relazione. 

Lo vedi...” quindi le mormorò “QUESTE sono le cose che ti legano a lei... i ricordi... e quelli non te li può togliere né Brigitta né nessun altro”.  

Irene strinse le labbra tra loro e annuì, ora decisamente più serena rispetto a prima.  

Poi, con il preciso intento di farle allentare tutta la tensione accumulata, aggiunse: “Però, sai che c’è” e alzò le spalle con fare divertito “se te lo vuoi andare a prendere in casa quello che è rimasto di tua madre, male non fai”.  

Irene lo spintonò lievemente con la spalla e scoppiarono a ridere insieme: “Che scemo... e io che ti do ancora retta” così, Rocco, in una crisi di astinenza da lei, approfittò di quel gesto per attirarla nuovamente a sé.  

Comunque ti odio...” sospirò Irene, in un rinnovato moto di lamentazioni, mentre poggiava la testa sul suo petto. 

Rocco alzò gli occhi al cielo per quella frase drammatica che Irene si dilettava a ripetergli con cadenza periodica “Perché, stavolta? 

“Perché non assecondi mai i miei istinti omicidi. Mai una volta che fosse una...” disse alzando l’indice in aria “mi fai sempre la paternale 

La risposta provocatoria di Rocco non si fece attendere “Ma perché io per natura ti devo contraddire, Ire’... 

Alzò la testa per guardarlo nuovamente negli occhi “Se è così facile, la prossima volta ti dirò che voglio bene a Brigitta come a una sorella, vediamo che dici...” replicò fingendosi accigliata. 

Ehhh, mo, va bene che sei una brava attrice, ma fino a quel punto no...” ironizzò lui. 

Mmmh” commentò lei poco convinta, mentre tornava ad accoccolarsi e il sonno iniziava ad avere la meglio su di lei. “Conosco solo un modo con cui puoi farti perdonare; cantarmi quella canzone siciliana...” propose poi scrocchiando stancamente le dita della mano per aiutarsi a ricordare “di cui scordo sempre il titolo”.  

In genere non era il tipo di ragazza da fare richieste così svenevoli, ma quella giornata le aveva regalato emozioni tanto contrastanti da sfibrarla in ogni senso possibile e, in quel momento, aveva solo voglia di addormentarsi con la voce di Rocco nelle orecchie. 

Lui aggrottò le sopracciglia sforzandosi di ricordare, mentre le carezzava la fronte e i capelli ormai liberi dal cerchietto. “Quella dei fiori?” le suggerì alla fine, sapendo che, se fosse stata del tutto vigile, era così che l’avrebbe chiamata.  

Non solo Irene ma anche tutti quelli che lavoravano o che capitavano in magazzino avevano ormai imparato a conoscere Ciuri ciuri, che Rocco aveva l’abitudine di canticchiare distrattamente mentre lavorava.  

Era forse una descrizione esageratamente romantica, ma la sua voce così calda e quella melodia così languida sembrava davvero che donassero un’anima a quel freddo stanzone del Paradiso. 

Irene ebbe solo la forza di fare di sì con la testa mentre con il braccio gli si abbarbicava sempre più attorno alla vita. Nel frattempo si era sfilata le ballerine sfregando i piedi tra loro per potersi rannicchiare sul divano, un gesto ordinario che secondo lui solo Irene era capace di rendere sensuale.  

‘Non me ne voglio andare, non me ne voglio andare, non me ne voglio andare’ fu il primissimo pensiero, incontrollabile e capriccioso, che la sua mente riuscì a formulare mentre intonava quella canzone per lei. Fosse stato ancora un bambino avrebbe sbattuto in piedi in terra. Se pensava che di lì a poco avrebbe dovuto staccarsi dal calore del suo corpo per andare a coricarsi, da solo, tra le fredde lenzuola della sua camera, gli si fermava il respiro in gola.  

Nel momento in cui riprese fiato tra una strofa e l’altra, lo colse all’istante il profumo dei capelli di lei, che subito gli riportò alla mente il ricordo di una scena simile avvenuta circa un anno prima in quel corridoio di magazzino, in cui era rimasto a consolarla a lungo per il litigio con il padre. Come a voler recuperare il tempo perduto, ne inspirò l’odore buonissimo e la strinse ancora di più a sé, sgualcendo il suo golfino di lana tra le dita... 

Ciuri ciuri, Ciuri ciuridi tuttu l’annu, l’amuri ca mi rasti ti lu tornu. 

... quel ritornello gli rievocò invece il loro primo, maldestro bacio, o per meglio dire quel bacio che Irene gli aveva rubato in maniera troppo audace per quello che si addiceva a una ragazza perbene, o almeno fu quello il pensiero da lui grettamente partorito allora.  

Si era innamorata di lui in un momento in cui il sé stesso di allora, tutto faceva, meno che meritare quell’amore. Anche all’indomani di quell’episodio, Irene si era mostrata allegra, spigliata come sempre, ma, se pur avesse conosciuto la sua sensibilità anche solo la metà di quanto la conosceva ora, avrebbe potuto facilmente dedurre che celare i segni di quell’umiliazione doveva esserle costato uno sforzo sovrumano.  

L’amore che mi hai dato te lo rendo, era la traduzione del ritornello, ma non sapeva o non ricordava se la sua fosse la corretta interpretazione da dargli.  

Ma che importava in fondo? A lui piaceva pensare che indicasse la possibilità che aveva ora, nel momento presente, di restituirle tutto l’amore che lei gli aveva dato, e lui le aveva rifiutato, all’inizio.  

Ire’” la scosse lievemente con il preciso intento di svegliarla.  

Mmmh” rispose assonnata.  

Ti ricordi quando mi hai baciato in magazzino, mentre facevamo le prove per il fotoromanzo?” le chiese retoricamente. 

Assolutamente no, il ricordo è stato rimosso da te che scappi come una lepre” gli rispose lei poco dopo, pungente anche tra le braccia di Morfeo. 

Rocco ridacchiò sommessamente con le labbra fra i suoi capelli. Era costretto ad alzare le mani dinanzi a quel risentimento. Era sicuro di esserselo ampiamente meritato. 

Poi aggiunse “Ti volevo dire ‘scusami’” con la voce più solenne, e al contempo tenera, di cui era capace. 

Sei un cretino… andavi dietro a quell’insipida di Marina” bofonchiò, ancora a occhi chiusi. 

‘Chi?’ pensò Rocco per una frazione di secondo, prima che finalmente gli tornasse in mente di chi si stava parlando. 

Assurdo come quel nome non gli dicesse più nulla e avesse ormai rimosso persino i motivi per cui aveva mai significato qualcosa. 

Solo tu ti puoi arrabbiare ancora per una cosa che è successa due anni fa, comunque eh” la prese in giro, ma solo per esorcizzare quanto a lungo aveva ruminato lui stesso sulla cosa fino a un attimo prima. 

Solo io? Pfff, tu di donne continui a non capirci niente” commentò Irene tra uno sbadiglio e l’altro. 

Rocco non l’avrebbe amata così tanto se avesse risposto qualcosa di diverso. 

Avevo addosso questo golfino” commentò poi, dopo essersi raddolcita. 

Rocco rabbrividì perché la sua mente era tornata a quella sera anche accarezzandola attraverso il golfino. 

... io però adesso non me ne andrei” le sussurrò dopo aver preso coraggio. 

Nella nebbia del dormiveglia, Irene continuava a non capire perché il fidanzato avesse tirato in ballo quell’argomento e, men che meno, perché si sentisse in obbligo di precisare cose ormai ampiamente accertate.  

“Siamo messi male se dopo mesi c’è ancora bisogno di chiarire questi dubbi” ironizzò lei. 

Sono serio, Ire’, se ricapitasse adesso non me ne andrei proprio da quel magazzino e magari potremmo dormire là e...” deglutì “vorrei baciarti per tutta la notte… 

Solo dopo quelle parole Irene si svegliò completamente e alzò la testa verso di lui per studiarlo. Rocco, come lei poco prima, si era messo a seguire con lo sguardo le immagini della TV solo per evitare di incrociare i suoi occhi.  

E, dopo parole del genere, normalmente lei gli avrebbe rifilato un suo tipico ‘Siamo in vena di romanticherie stasera’, ma si bloccò quando scorse quel viso indecifrabile. Rocco era bizzarramente teso, combattuto, come se le avesse appena confessato qualcosa di proibito. 

Allora gli rispose in un sussurro la cosa più ovvia, che poi era anche la verità. 

Lo sai che lo vorrei anch’io... e tanto” e gli prese il viso per costringerlo a guardarla negli occhi “ma... mi dici che ti prende?” gli chiese con dolcezza. 

Rocco si allontanò delicatamente dalla sua mano e abbassò lo sguardo... “Te lo dico solo se mi prometti che non ridi”. 

E va bene” sorrise lei, dopo aver alzato gli occhi al cielo per la drammaticità. 

Dopo essersi schiarito la gola, Rocco prese parola “Qualche giorno fa ho parlato con Don Saverio... di questa... mmhh... cosa che mi succede, cioè che voglio stare con te... anche io...”  

.... e Irene, nel frattempo, attraversò in un nanosecondo ogni fase possibile ed esistente di incredulità, fino al punto da trascendere da sé stessa e guardare la situazione dal di fuori tanto era lo shock di quanto stava succedendo e la velocità con cui stava succedendo.  

‘Voglio stare con te, anche io’... ma in che senso? Perché non poteva essere ... quello. No?  

E, se era quello, non riusciva a credere che Rocco non glielo stesse comunicando come l’informazione centrale della frase, bensì piuttosto come un’informazione di passaggio, già assodata. 

“Aspetta...” scosse la testa lei e poi alzò una mano “tu hai parlato a Don Saverio di noi?”  

“Ire’, prima che mi rimproveri che ho parlato di me e te a un prete, ti dico subito che non ho parlato di noi, ma di me... di me e basta... va bene?” la rassicurò Rocco in modo fermo, e anche un po’ scocciato, perché già avvezzo a quella che poteva essere l’obiezione più ovvia della sua fidanzata. 

No, ma non ti stavo rimproverando...” specificò subito Irene. “Era per chiederti se...” Fantastico, ora si era incartata da sola. “cioè che... che cosa gli hai detto, scusa?” e impennò la voce sul finale. 

Che voglio stare con te...” ripeté lui con naturalezza “... in quel senso, insomma 

Ah. Aveva capito bene al primo giro allora. 

Capisco...” commentò con la prima parola che le venne in mente, mentre nel frattempo le si seccava la lingua. “perché A ME non l’avevi detto... per esempio”. 

Rocco assunse un’espressione più che perplessa “ma come ‘non te l’avevo detto’? Ma stai babbiannu, Ire’? 

Veramente no” replicò Irene titubante. 

Ire’, ma tu che pensi? Che l’impedimento di tutta ‘sta storia” fece un cerchio con entrambi gli indici “era che NON TI VOGLIO?” le chiese sconcertato. “va bene che sembro nu scimunito, ma fino a ‘sto punto...” e allargò le braccia, con una punta di orgoglio. 

Irene si morse il labbro per trattenere una risata, poi si schiarì la gola e gli concesse “no no, ci mancherebbe...”. 

Assurdo come quella conversazione stesse assumendo dei toni quasi comici. Era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata dopo la serietà con cui avevano affrontato la questione qualche settimana prima. E forse anche Rocco, vista la sua tensione iniziale. 

Quindi... dicevi... com’è iniziata la conversazione?” riprese poi Irene continuando a torturarsi quel labbro. 

E com’è iniziata...” esordì, per temporeggiare “è iniziata che gli ho detto che avevo ‘sto dubbio, che nemmeno io capisco perché questa cosa non si può fare prima del matrimonio e lui mi ha risposto che è così e basta, che prima del matrimonio è considerata forni... mmh...” si interruppe e scrocchiò le dita 

“... fornicazione” completò Irene, oltremodo intenerita. 

Eh, brava... mentre dopo il matrimonio” e alzò l’indice per puntualizzare “è una cosa sacra, anzi”  

Poi si ricordò di aggiungere una premessa importante: 

Ah, tutto questo dopo che mi ha fatto una paternale di tre ore, che ‘pecco solo a pensarci a ‘sti cosi’, che ‘non mi riconosce più’, che ‘ho preso la cattiva strada’, eccetera eccetera’” cantilenò Rocco roteando gli occhi. 

A quel punto, Irene si portò una mano alla bocca non riuscendo più a nascondersi. 

Ti avevo chiesto di non ridere però, Irene” si lamentò Rocco pronunciando il suo nome per intero, come ogni volta che faceva l’offeso. 

Irene scosse la testa e gli infilò una mano nel polsino della polo per rassicurarlo “No, non sto ridendo di te...” - e forse in un certo senso invece sì, ma come faceva a dirgli che lui era l’unica persona al mondo per cui nutriva un’attrazione fisica spropositata, ma al contempo quel suo candore la faceva spesso sorridere di tenerezza? Non poteva... le due cose suonavano totalmente incompatibili tra loro - “è che, insomma, me l’aspettavo già che ti avrebbe dato una risposta del genere, quindi, niente... vorrei che ti fossi risparmiato questa... lavata di capo, ecco”. 

Rocco alzò impercettibilmente le spalle “Sì, però per me era importante almeno andarci e cercare di capire...” disse a occhi bassi. 

Irene annuì continuando a carezzargli il polso. Quindi, con tutto lo sforzo di immedesimazione di cui era capace, nonostante non capisse appieno quel bisogno di cercare una riconciliazione con la sua fede, gli chiese: “e dopo aver parlato con lui ci capisci qualcosa in più ora? 

Lui alzò di nuovo le spalle e fece un lungo sospiro “No...” mormorò scuotendo la testa “cioè, io lo capisco e sono d’accordo che il matrimonio è un sacramento e quindi rende tutto sacro, eccetera... però io già lo so che voglio sposare te” e a quel punto gli venne un groppo in gola, subito consapevole di quanto si fosse sbottonato, e si girò verso di lei; quello scambio di sguardi durò una buona manciata di secondi, che poteva tranquillamente essere un’eternità dalla loro prospettiva, “cioè insomma non adesso se non vuoi, so che magari forse è presto per te” si affrettò a specificare per evitare di spaventare Irene.  

Lei, dal canto suo, sentì il viso infiammarsi all’istante, come quella volta in cui l’aveva raggiunta in spogliatoio con un fiore di carta fatto con le proprie mani e aveva usato parole tanto giuste da farle capire che c’era sempre stato solo e soltanto... lui. 

... quindi che differenza fa se prima o dopo?” concluse, con sguardo interrogativo. 

A quella domanda retorica Irene assunse un volto rassegnato, ma sereno. Scrollò le spalle ed espirò: “A questo, mi dispiace, ma non so risponderti... sai bene che il dubbio di cui parli io l’ho sempre avuto... 

Gradualmente iniziava a metabolizzare il pieno significato di tutto quanto le aveva confessato Rocco e, tutt’a un tratto, la colse la realizzazione che la felicità che sentiva in quel momento non le veniva solo dalla banale trepidazione al pensiero che avrebbero potuto unirsi fisicamente, bensì dallo scoprire che a Rocco stava ormai stretta un’osservanza cieca di regole che non comprendeva o non avevano molto senso per lui.  

Mai avrebbe desiderato che il suo fidanzato perdesse quella sua componente spirituale o religiosa, che lei invece, almeno fino a quel momento della sua vita, non era mai riuscita a fare del tutto propria; tuttavia, non poteva che sentirsi sempre più vicina a lui man mano che l’approccio di Rocco alle cose si faceva più ragionato, più critico.  

Non ci capiva molto di teologia, ma le veniva naturale fare un paragone con il concetto espresso proprio da Rocco quella mattina prima dell’esame. ‘Se io spiego i motivi per cui un personaggio storico mi piace o non mi piace, faccio capire che l’ho studiato per bene, mi ci sono impegnato a capirlo’.  

Quindi, cosa preferiva Dio? Un’obbedienza totale, ma sterile e schiava, oppure un’obbedienza possibilmente anche imperfetta, ma pensata, umana, intrisa di un vero dialogo con Lui?  

Personalmente, lei voleva credere in un Dio che preferisse la seconda, e ora forse anche Rocco. 

 ‘Sì, vabbè, bello tutto quanto’ - pensò Irene a quell’espressione spesso usata dal fidanzato - ma ora, quelle belle e nobili considerazioni lasciavano spazio a un desiderio più primitivo e del tutto comprensibile: voleva saltargli addosso senza troppe cerimonie.  

Quindi arrossì... 

Che c’è?” le fece lui, ma già credeva di aver capito la natura dei cricetini che giravano veloci nella testa della fidanzata. 

Lei scosse la testa “... lo so che avrei potuto intuire quello che sentivi, però, se posso fare un appunto, certe cose è bello anche sentirsele dire per bene...” sorrise e incontrò lo sguardo complice di Rocco. 

E mo te le ho dette...” si difese lui, alzando un sopracciglio in modo provocatorio. 

Come no... se mi avessi comunicato che uscivi a fare la spesa, ci avresti messo più sentimento...” ribatté Irene, senza timore di esagerare. 

Rocco non raccolse la provocazione, al contrario, abbozzò un sorriso silenzioso, forse perché già emozionato da quello che stava per dirle. “... è come quella cosa che hai detto tu l’ultima volta... ho capito che anche per me è sempre stato così, ma mi sforzavo di non pensarci per i motivi che sai...” si grattò distrattamente il sopracciglio con un dito in un gesto di riflessione. 

Irene annuì, incoraggiandolo a spiegarsi meglio. “Cioè? 

... cioè che certe volte non ce la faccio a darti semplicemente la buonanotte... vorrei di più, molto di più...” disse tutto rosso in volto senza guardarla “questa sera per esempio, come tante altre volte...”. 

Quel suo modo di confessarle qualcosa di davvero poco innocente per i suoi standard preservando comunque il suo candore la mandava completamente su di giri.  

‘Ti sforzavi’ hai detto.... e ora?” indagò allora Irene, ancora in ansia. 

E adesso forse non mi voglio sforzare più... perché ogni volta che mi viene da pensarci, quello che sento mi sembra tutto, tranne che sbagliato...” suggerì con un piglio, forse ancora acerbo, di autodeterminazione. 

Al ché, la mente di Irene tornò ai pensieri di poco prima.  

Voleva. Ufficialmente. Saltargli. Addosso. 

.... ma purtroppo nel tempo aveva sviluppato una coscienza. E i tentennamenti e i “forse” di Rocco, peraltro più che legittimi data la sua educazione, la spaventavano ancora tanto. 

Va bene.” ipotizzò lei “Allora ammettiamo che lo facessimo...” 

Eh...” commentò Rocco cercando di sembrare naturale. 

... se poi ti penti – e lo sai anche tu che potrebbe succedere – che facciamo se poi dai la colpa a me...?” chiese Irene allarmata. 

Ma!...” sbottò Rocco all’istante. “Ire’, ma come ti vengono in mente ‘sti cosi? Cioè allora veramente credi ancora che non riesco a pensare solo con la mia testa?” chiese alzando leggermente il tono di voce. 

NO, non mi fraintendere” rispose Irene categoricamente “lo vedo bene che è una decisione che stai prendendo tu ma... 

‘Ma’ che, allora?” ripeté lui, interrompendola. “Perché ti dovrei incolpare a te, sintemu? 

Dai, Rocco... lo sai perché” allargò il braccio evidenziando l’ovvietà della cosa. “Secondo te, se non ti avessi mai detto come mi sentivo, quello che volevo, se non avessimo mai affrontato l’argomento allora, pensi davvero che saresti arrivato alle stesse conclusioni?... Se avessi avuto al fianco, che ne so, una Maria, che è una persona devota, per dire...” disse in un moto di irragionevolezza. E forse in quello che stava dicendo c’era davvero pochissimo di ragionevole in ogni caso. 

Ora pure Maria era andata a ripescare? Avrebbe mai smesso di fare quei paragoni sminuenti verso sé stessa? Forse un giorno chissà, ma dinanzi a quella dinamica purtroppo era più forte di lei: vedeva Rocco prendere in un certo senso le distanze dal suo Dio, o più che altro da quello che aveva sempre professato, e non poteva fare a meno di sentirsi responsabile.  

Rocco quasi sobbalzò, ora più che spazientito. “Ancora co sta Maria, Ire’? Basta. Che c’entra adesso Maria? Non sei Maria, non sarai mai Maria e ti dico sempre ‘meno male’. Quante volte ancora te lo devo ripetere? 

Irene deglutì, delusa e persino appesantita da sé stessa; sentiva che le sue dannate paure in qualche modo rovinavano sempre tutti i bei momenti, al punto da colmare la misura della pazienza persino a lui, che l’aveva sempre saputa prendere con un alto grado di mansuetudine.  

A quel punto Irene inspirò per aprire di nuovo bocca, ma... 

... che poi dico no? Allora quelle cose che me le hai dette a fare? L’ultima volta abbiamo litigato proprio pe’ ‘sta cosa o sbaglio?” proseguì lui con una domanda retorica mentre lei se ne stava lì, interdetta. “Tu a dirmi che era giusto avermi detto quello che senti, che ‘in una coppia si fa così’, che ‘ci si dicono le cose’... e mo che fai? Ti rimangi tutto?” insisté lui oltremodo confuso. 

Touché, pensò lei. E chiuse brevemente gli occhi, a dir poco trapassata da quelle parole.  

Sapevano entrambi com’era andato il loro diverbio: Rocco le aveva fatto una colpa di aver anche solo pensato a certi argomenti proibiti e lei, proprio per quel motivo, era andata su tutte le furie. Ricordava ancora lo sfogo con Stefania nella sua stanza, a denti e pugni stretti, in uno slancio femminista che condannava i moralismi bigotti di cui erano vittime le donne:  

Se non sono libera di dire al mio fidanzato quello che sento, allora non vedo a cosa serva stare assieme!’  

Ora che invece Rocco si stava addirittura aprendo al suo pensiero, proprio come sotto sotto aveva sempre sperato lei, invece di essere semplicemente felice, faceva la preziosa perché non voleva essere ‘responsabile’ di averlo allontanato dalle sue convinzioni?  

Ed era assodato che non lo fosse, come aveva ben detto Rocco. Perché chiunque sulla faccia della terra avesse un principio fermo non poteva cambiare idea così facilmente, soprattutto non a distanza di poche settimane. 

Ma ammesso e non concesso che la sua si potesse definire una ‘responsabilità’, di cosa si lamentava ora? Voleva la botte piena e la moglie ubriaca; voleva essere libera di confessargli i propri desideri più reconditi e viziosi e poi pretendeva che su di lui avessero lo stesso effetto che gli avrebbe fatto la recita del Santo Rosario? 

Era un concetto perbenista bello e buono. 

Quel flusso di pensieri fu interrotto da Rocco: “Vabbè va’ tagliò corto, ormai stanco di tanto parlare, vado a dormire e piantò entrambi i pugni sul divano per alzarsi e avviarsi a recuperare la giacca “domani dobbiamo lavorare ed è già tardi... 

In un primo momento, Irene alzò lo sguardo verso di lui come se stesse guardando la scena a rallentatore e non potesse fare niente per fermarla. 

Poi l’istinto la spinse a raggiungerlo e, prima che riuscisse a rendersene conto, si ritrovò con le braccia attorno al collo di lui.  

Che ironia. Quando prima aveva sognato di saltargli addosso non pensava che avrebbe finito per farlo con l’obiettivo di chiedergli perdono. 

Rocco, preso totalmente in contropiede, si sbilanciò per la foga con cui Irene l’aveva assalito. 

Hai ragione... scusami!” gli mormorò lei con la mortificazione in volto. 

Rocco espirò e scosse impercettibilmente la testa, dapprima a corto di parole. 

Mi perdoni?” insisté lei, sincera. “A volte penso troppo e mi faccio problemi anche dove non esistono”  

Eh” confermò lui “e pure perché ‘larga ‘un te veni e stritta ‘un te trasi’” (‘non te ne va mai bene una’, n.d.a.) e si godette quei due secondi di gloria, ma nel frattempo le sue mani non riuscivano a non cedere alla tentazione di rispondere a quell’abbraccio e risalivano lentamente la schiena di lei. 

Esatto, quella cosa lì...” assentì Irene. E Rocco trattenne una risata perché Irene conosceva il significato della frase, tante erano le volte che la usava su di lei per descriverla, ma non aveva ancora imparato a ripeterla. 

Era adorabile quando faceva così... gli provocava almeno sette mal di testa al giorno ma, dinanzi a gesti come quello, lui capitolava di lì a poco: se c’era una cosa che Irene sapeva fare era appunto chiedere scusa e, ogni volta che lo faceva, sentiva per davvero ogni parola.  

Che poi, lui senza mal di testa ormai non ci sapeva più stare... 

Però lo sai che ti amo...” proseguì lei, inclinando la testa in un sorriso languido, caldissimo. 

Rocco deglutì; gli faceva sempre effetto sentirglielo dire e, mannaggia a lei, troppo raramente glielo diceva solo per la voglia di dirglielo; in genere lo faceva appositamente per ‘cercare di passarla liscia’, proprio come ora. 

E pensa se non mi amavi...” le rispose lui, ancora sarcastico, sfruttando spudoratamente la propria altezza per dominarla con lo sguardo. 

Ma non era credibile. Agli occhi di Irene era già più che evidente quanto si stesse ammorbidendo.  

Ma tu non sei stanco di tutto questo parlare?” cambiò poi discorso, dopo essersi scambiata con lui una velata espressione di complicità, e abbassò volutamente il capo per insinuarglisi nell’incavo della gola. 

Il collo no..., implorò Rocco tra sé e sé, ma era troppo tardi.  

Stanchissimo... infatti non per niente me ne stavo andando a dormire...” iniziò a balbettare, mentre alzava istintivamente il mento per lasciarle spazio e le sue palpebre già non reggevano più. 

E ci andrai... non vorrai mica passare la notte qui” lo provocò Irene e nel frattempo la sua bocca si schiudeva sempre più e i suoi baci si facevano ogni istante più umidi, generosi. 

Certo che lo voglio, mannaggia a te, Ire’, ripeté tra sé e sé con un tono di supplica che sentì fin dentro la propria testa, mentre intanto le gambe lo tradivano al contatto delicatissimo dei polpastrelli di Irene sulla sua nuca. 

Ma era superfluo risponderle su quel punto, tanto era ovvia la tortura che sarebbe stata per entrambi quella di separarsi in vista del rientro di Stefania. 

Stefania! realizzò subito Rocco...  

Ire’, non possiamo stare qui, torna la picciridda tra poco” disse pronunciando quell’affettuoso soprannome che aveva appioppato di recente alla ragazza – con grande gioia di quest’ultima - da fastidioso ‘fratello maggiore’, e si staccò da Irene quel tanto che bastava per indicarle con lo sguardo dov’erano, ovvero proprio vicino alla porta e quindi visibili dalla finestra... 

Dopo quell’osservazione per poco Irene non sobbalzò, tanto era stata brusca la realizzazione di dove si trovava. La terrorizzava spesso la misura della sua noncuranza nei confronti del mondo quando era in intimità con Rocco, al punto che finiva per dimenticare cose che normalmente sarebbe stata la prima a puntualizzare, come appunto la riservatezza. 

Sperava vivamente che quell’oblio fosse dovuto alla penombra regnante nella stanza, ora più fitta con il vuoto televisivo comparso sullo schermo al termine dei programmi, la quale li circondava entrambi come una specie di bolla. 

Poi si guardò attorno innervosita, mordendosi il labbro alla ricerca di una soluzione.  

C’è la tua camera, stupida, te lo ricordi che hai una camera?, si riscosse mentalmente. 

Di certo una soluzione a cui sarebbe arrivata molto prima, se solo fosse stata più lucida in quel momento.  

Gli prese allora la mano, in uno scatto quasi frenetico, per trascinarlo con sé verso la propria stanza.  

Fermatasi lungo il percorso per spegnere il televisore, Rocco la sorprese da dietro tanta era l’impazienza di tornare a ristabilire il contatto interrotto poco prima; così, mentre lei appunto armeggiava al buio con la manopola dell’apparecchio, le scoppiò un risolino sommesso quando le labbra di lui le solleticarono la guancia e le sue mani grandi la presero fermamente per i fianchi mentre entrambi incespicavano. 

E poi, una volta dentro, ancora penombra.  

Rocco aveva dato un piccolo calcio alla porta quantomeno per socchiuderla, gesto che causò una risata fragorosa di entrambi.  

Erano storditi da quella vicinanza. Dal fatto di essere confinati in uno spazio ora più ristretto in cui potevano sentire distintamente ed esclusivamente la dolce cadenza sensuale dei loro respiri accelerati. 

Non che la cosa non fosse anche un po’ comica. Con autoironia non mancarono di commentare la loro goffa posizione, scomodi com’erano in quel letto così minuscolo, dove per la tanta foga si erano letteralmente ‘schiantati’ in modo sgraziato.  

Mai più” commentò Irene dopo un po’, come se stessero lì già da ore. 

Che?” disse Rocco corrugando la fronte. 

Mai più in questa trappola per topi di letto” rispose lei trattenendosi dal ridere. 

Rocco assentì energicamente “Prossima volta per terra, direttamente sul pavimento” rispose prontamente lui e scoppiarono a ridere di nuovo.  

Ma se non riuscivano a smettere di prendersi gioco di quelle gambe buffamente avvinghiate tra loro, e di un letto troppo angusto anche per una persona sola, era anche per un lieve e più che comprensibile imbarazzo.  

Erano consapevoli di non essersi mai spinti così in là prima di allora e, anche se la loro benedizione da sempre era quella di essere completamente sé stessi l’una con l’altro, erano pur sempre una coppia inesperta sul fronte in cui stavano per addentrarsi.  

Veniva quindi da sé che la situazione creasse impacciataggine e rossore. 

Mentre si baciavano, per esempio, Irene non sapeva se la mano di Rocco indugiasse ancora sulla sua spalla per pudore, rispetto, timidezza, ansia da prestazione (?) o tutto il subbuglio completo, chissà.  

Ma le sembrò comunque la cosa più dolce del mondo che, nonostante tutto quello di cui avevano parlato, lui stesse ancora aspettando tacitamente il permesso di andare oltre.  

Lo amò più che mai.  

A quel punto allora, si allontanò inaspettatamente dalle sue labbra, ma solo per sostituirle con la sua mano.  

Se la portò infatti alla bocca e ne baciò il palmo - la mandava fuori di testa il fatto che fosse così grande da avvilupparle praticamente tutto il viso - poi lo guardò intensamente negli occhi e osò farla scivolare sul proprio seno.  

Era un terreno nuovo, dei gesti fino ad allora inesplorati, e Irene aveva per questo il costante timore di offenderlo se mai si fosse spinta troppo oltre.  

Trattenne quindi il respiro paventando la benché minima reazione di fastidio nei suoi occhi. 

Non ne trovò... anche il cuore di lui aveva saltato un battito, ma quella di Rocco era solo emozione.  

Le sorrise trepidante e, in un nuovo slancio, raggiunse con più ardore le sue labbra. 

Si erano capiti.  

Prese poi coraggio e le sbottonò pian piano la camicetta, quel tanto che bastava a scoprirle lo sterno, la spalla e finalmente la curva del seno.  

Per la prima volta nella sua vita si stava abbandonando intenzionalmente al desiderio di seguire una sensazione e, anche se c’era e ci sarebbe stato di sicuro anche in futuro un latente senso di colpa lì a graffiargli la coscienza, quello gli sembrava comunque il peccato più giusto che potesse commettere, se a farlo era con lei. 

Così, chiuse gli occhi per... 

 

IRENEEEE...?” interruppe l’idillio la vocina acuta di Stefania fuori dalla porta, con un tono tra l’incredulo, l’entusiasta e il titubante. 

Quasi certamente i primi due stati d’animo erano dovuti al fatto di essersi ritrovata un oggetto non identificato - ma molto gradito! - in casa dopo aver acceso la luce principale; per il ‘titubante’ invece bisognava ringraziare la porta solo ‘socchiusa’ da Rocco. Se fosse stata infatti completamente chiusa, la ragazza avrebbe creduto Irene già addormentata e avrebbe contenuto a fatica la propria curiosità fino all’indomani (ma, conoscendola, forse anche no). 

Intanto, i due consorti erano scattati all’impiedi neanche avessero ricevuto un richiamo alle armi. A voler essere più precisi, a Rocco sembrava piuttosto che avessero assestato un pugno in pieno viso. 

Ehiii, arrivo, aspettami lì” gridò Irene tirandosi giù la gonna in fretta e furia, ancora intontita per essere stata buttata giù dal letto. Letteralmente.  

Mannaggia a me e a quando non ho chiuso la porta” le sussurrò Rocco, che ancora non si perdonava quella svista.  

Irene gli mise una mano sulla bocca dopo essersi riabbottonata la camicetta, “shhhh”. 

Rocco storse il viso per divincolarsi, mentre si passava le mani sul capo a mo’ di pettine, “ma che ‘shhh’ Ire’? Di qua devo uscire comunque!”. 

Irene si mise a ridere per autoironia perché effettivamente il discorso non faceva una piega. 

... certo, forse non subito” precisò poi. 

Ma come ‘non subito’? Esci dopo con quale scusa? Che eri svenuto?” sussurrò Irene con gli occhi sgranati.  

Che, vista dal di fuori, la cosa era anche abbastanza ridicola.  

Per amor del cielo, si stava parlando di Stefania ed erano lì a sudare. Se li avesse sorpresi un Dottor Conti o un Armando, come avrebbero soffocato la vergogna? Praticando un suicidio romantico a due? 

Non lo so, Ire’, mi invento qualcosa, ma mo non posso uscire. Rassegnati.” e le fece quell’ultima singolare esortazione con la fermezza farsesca di quell’‘Immagina, puoi’ che le aveva risposto in un’occasione di tanti mesi prima mentre lei lo stava spudoratamente prendendo in giro.  

Al ché, Irene si portò subito le mani alla bocca per attutire la risata che seguì.  

Poi le cadde lo sguardo sul corpo del fidanzato e capì senza ombra di dubbio che la sua necessità di ‘sbollire’ era assolutamente imperativa. “Ah. Scusa, scusa” gli disse allora. 

Ecco, vattinn’ va” le fece segno lui di uscire, con la stessa faccia impertinente di prima, e Irene sgattaiolò fuori con aria ancora divertita.  

*** 

Stefania cambiò faccia appena se la vide uscire. Si vedeva che era partita col volerle porre tutt’altra domanda. 

Scusa, ma ti sei rivestita di tutto punto solo per ME?” le chiese incuriosita. 

Rivestita? Non mi sono mai spogliata”. Perché sei tornata in tempo, altrimenti..., pensò Irene tra sé e sé, ma quello non poteva dirlo ad alta voce, per ovvi motivi.  

E il bello era che ora l’imbarazzo di essere stata quasi colta in flagrante aveva lasciato spazio a una totale noncuranza. Di quella noncuranza che poteva anche cascare il mondo in quel momento, ma lei era così ‘stupidamente felice’ che si sarebbe spostata di lato.  

Dal punto di vista di Stefania, Irene sembrava quasi ubriaca, si teneva il labbro superiore tra i denti come se stesse costantemente sul punto di ridere.  

Stefania inarcò le labbra, confusa: “Boh, ci hai messo una vita a venire fuori”. 

Poi puntando finalmente il dito verso il televisore, tornò probabilmente a quella che voleva essere la prima domanda: “Non per sapere eh, ma che cosa ci fa un televisore in casa nostra?”  

“‘Cosa ci fa un televisore’” ripeté Irene per prenderla in giro “chiedi come se un macigno del genere potesse capitare qui per sbaglio!”  

Poi si avvicinò platealmente all’oggetto come una valletta che sta per fare un annuncio commerciale.  

Questo, signorina,” e vi posò una mano sopra “è il nostro regalo di Natale per te! 

A quel punto, il viso di Stefania si illuminò di tante lucine e la ragazza si coprì immediatamente la bocca con le mani per soffocare un gridolino di giubilo.  

Cosaaaaaaa?” impennò la voce e si avvicinò per rimirarsi il televisore da tutte le angolazioni possibili, con gli occhi sgranati di una bimba con la prima bambola della sua vita.  

Ma come ‘regalo di Natale’, da chi, come, perché? chiese subito dopo in modo sconnesso, ancora col cuore in gola.  

Irene inspirò per rispondere, ma poi la bocca di Stefania si aprì in una O di stupore e realizzò praticamente da sola... “Ecco perché oggi vi siete messe d’accordo, voi due pazze!” e storse la bocca a voler indicare scherzosamente il disappunto per essere cascata nel tranello di lei e Roberta.  

Quindi si gettò al collo di Irene per ringraziarla e si tennero strette per un attimo. 

Da quella prospettiva, rivolta verso le camere da letto, Stefania vide Rocco uscire dalla stanza di Irene.  

Nello specifico, vide il suo volto subito prima che i loro occhi si incrociassero, e poté scorgerlo nel momento preciso in cui faceva appello a tutti i poteri divini conosciuti per riuscire a sembrare naturale. 

Ehiiii, picciri’, buonasera, piaciuto il regalo? esclamò poi lui con la voce incrinata di chi si sforza di far finta di niente. 

Era uno spasso da osservare, impacciato com’era, e ora stava a Stefania cercare di non ridere.  

Oppure no... 

“Ragazzi...? Scusate...” cantilenò dopo essersi staccata da Irene e facendo penzolare le braccia per la costernazione, mentre il suo sguardo mortificato passava dall’uno all’altra.  

Vi ho... disturbati” aggiunse a occhi bassi. 

Al ché, tra i due interpellati ci fu un cortocircuito di sguardi al termine del quale apparvero entrambi, se possibile, più imbarazzati di prima. 

Stefa’, ma ti pare che ti devi scusare di rientrare a casa tua?” intervenne quindi Rocco per rassicurarla. 

Che poi tecnicamente Irene era in camera sua, nonché spazio riservato esclusivamente a lei, ma, insomma, in quel momento Rocco non era in grado neanche di mettere due parole in fila; era già tantissimo che gli fosse uscita una frase di senso compiuto.  

Ecco, infatti” enfatizzò Irene per dare manforte al fidanzato. Buffo come la sua loquacità fosse bellamente andata a farsi benedire e quelle fossero le uniche, misere parole che le uscirono. 

Poi, per una manciata di secondi che sembrarono secoli, calò un silenzio tombale, del tutto inconsueto per le personalità singole dei coinvolti nonché per lo spirito brioso che li caratterizzava solitamente nelle loro innumerevoli interazioni a tre.  

Allora Irene, visto che apparentemente era l’unica ad aver preso l’imbarazzo a risarella, per evitare di sembrare di nuovo come sotto l’effetto di qualche sostanza, si rivolse a Rocco con forzata disinvoltura: 

Allora poi ci ved...” gli suggerì gesticolando in maniera esplicativa. 

SÌ, ci vediamo domani!” rispose lui risolutamente, senza neanche farla finire, come se all’udire quelle parole avesse realizzato quanto fosse ridicolo star lì impalato ad aspettare non si sa bene cosa. 

Si avvicinò allora prima a Stefania: “Allora, Buon Natale picciri’ e le stampò un bacio affettuoso sulla tempia. (‘Buon Natale’... perché?, si chiese Stefania. Ah, per il regalo forse... perché giustamente, per interpretare quella scenetta, bisognava andare a tentativi). 

Poi fu il turno di Irene. I due si guardarono intensamente per un nanosecondo, ma Rocco finì per farle solo una dolce ma breve carezza sulla guancia, e le mormorò sbrigativamente:  

Ti amo, ciao.” per poi svignarsela come un ladro.  

(‘Ti amo, ciao’?! Ma sei veramente un deficiente!, si maledisse poi, una volta chiusa dietro di sé la porta di casa ragazze). 

Intanto, anche Irene si interrogava su quel saluto insieme goffissimo e tenerissimo (era stato forse il suo tentativo inconscio di compensare per non averla potuta salutare in modo degno di quanto avevano condiviso quella sera? Chi poteva dirlo ormai). Allora si portò di nuovo la mano alla bocca, ma stavolta non bastò a contenere la sua risata.  

Ebbene sì, ‘stupidamente felice’ si riconfermava come la definizione perfetta di sé stessa in quel momento. 

Al vederla di nuovo così ‘scomposta’, Stefania aggrottò le sopracciglia (probabilmente era già alla centesima volta nell’arco dei soli cinque minuti trascorsi dal suo rientro a casa): 

Ma si può sapere che hai bevuto stasera?” indagò. 

Irene scosse la testa e alzò immediatamente le mani per mettersi sulla difensiva “Non guardare me perché io, stavolta,....” e fece una giravolta in direzione di camera sua “non sono responsabile...” ne fece un’altra mentre spalancava teatralmente la porta “... di niente e di nessuno!”. 

Stefania intanto assisteva a quelle movenze con occhi piccolissimi, spostandosi di qua e di là con passo ovattato come osservando un fenomeno alieno “mmh, neanche di te stessa...?” chiese ironicamente. 

MOLTO MENO di me stessa” rimarcò quelle parole per poi lasciarsi sprofondare scenograficamente all’indietro su quel letto ormai impunemente disfatto. 

Intanto, Stefania si era avvicinata allo stipite della sua porta, dove si appoggiò con la mano, mentre si piantava l’altra sul fianco come una saggia matrona.  

... è per caso successo... quello che penso?” chiese dopo un attimo di riflessione per tentare di chiarire il dubbio atroce che nel frattempo si stava insinuando nella sua mente. 

Irene staccò i suoi occhi sognanti dal soffitto e la guardò emozionata “Non proprio, cioè non ancora, però... Sì...? Succederà...”  

Stefania strabuzzò gli occhi a rallentatore ed emise un grido: “Tentatrice svergognata!” prima di buttarsi sgraziatamente sul corpo di Irene. 

L’urlo che seguì, stavolta da parte di entrambe, riempì la stanza e di sicuro la oltrepassò.  

Irene indignata, prese immediatamente il suo cuscino e iniziò a torturarla cadenzando i colpi con le parole “Ti. Ho. Detto. Che. Non. È. Colpa. Mia. Stavolta.”  

Dopo essere riemersa da una posizione fetale, assunta poco prima per difendersi dalla rappresaglia dell’amica, Stefania gridò: “È SEMPRE colpa tua!” e via giù di nuovo a torturarsi l’un l’altra con cuscini e solletico a non finire, mentre perdevano qualche costola per il tanto ridere. 

Una cosa era certa: se i vicini non avessero chiamato i carabinieri per disturbo della quiete pubblica dopo quegli schiamazzi, non l’avrebbero più fatto. 

Una volta esaurita tutta quell’energia, c’era da dire davvero notevole al termine di una giornata così estenuante, rimasero a spettegolare come due quindicenni fino a notte fonda, noncuranti del fatto che l’indomani fosse un giorno lavorativo.  

Si raccontarono di tutto senza tralasciare alcun dettaglio: dalla serata che Stefania aveva trascorso con Roberta, e i loro rispettivi progetti e sogni, per poi passare a quella di Irene, palesemente la più movimentata tra le due, stavolta trattando l’argomento in maniera decisamente più seria. 

Irene avrebbe saputo spiegarlo solo molto dopo, ma la ragione per cui lottò contro il sonno per scambiare qualche confidenza in più con la sua coinquilina/sorella era uno strano presagio, forse perché il peso delle decisioni prese quella sera su più fronti avrebbe inevitabilmente portato con sé dei cambiamenti radicali per il futuro. 

Il futuro, pensò Irene languidamente. 

Non poteva sapere ancora in che modo, ma già sentiva che da quella sera in poi, in un senso o in un altro, la sua vita non sarebbe stata più la stessa.  

Nota 1: L'affermazione denigrante che Irene fa di Brigitta nella conversazione con Rocco non è un pensiero di me autrice, ovviamente, bensì una cosa che ritengo sia molto in carattere per Irene soprattutto se offesa e attaccata da una persona che detesta. Non vorrei che offendesse nessuno. Nota 2: Rocco che fa riferimento a un evento precedente in cui ha scoperto una foto che Irene tiene di lei da piccola con la madre sul comodino è stato descritto nella mia fic "Passato. Presente. Futuro" Nota 3: La visione a cui pensa Irene in questo capitolo di lei e Rocco con due figli farà parte di una confessione che gli farà nella mia fic "L'albero e la scala" Nota 4: la scenetta del Carosello mi è venuta in mente grazie a mia madre che mi insegnava i jingle del Carosello sin da piccola. Vi lascio il video da cui è tratta la scenetta tra Irene e Rocco https://www.youtube.com/watch?v=4pERdxOvA5Y&list=PL73DVtZK6LzRVzhGuGuEPMr_Ru9HwLmjw&index=64

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Capitolo 6
*** Love is a doing word - Parte 1 ***


Allora... che fa? Hai messo in valigia una camicia da notte decente o mi devo preoccupare?” la punzecchiò Rocco, cercando di nascondere quanto fosse in realtà preoccupato che le scelte di vestiario della fidanzata potessero essere fattivamente incompatibili con il luogo che stavano per visitare. 

Irene aggrottò le sopracciglia a quella domanda e riemerse lentamente dalla spalla di lui, dove si era rannicchiata per farsi cullare meglio dagli scossoni cadenzati del treno che li portava in Sicilia. 

Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui mi avresti chiesto una cosa del genere” rispose Irene strofinandosi stancamente la guancia con una mano “Sei prevedibile”. 

“Ah vabbè, io lo dicevo pettedisse dopo averla studiata un attimo ed aver automaticamente interpretato quella risposta vaga come un no “con mia nonna ci devi dormire tu, mica io” e si girò verso il finestrino premendosi le labbra tra loro per evitare di ridere.  

Stai scherzando vero?” le chiese Irene dopo un attimo di esitazione con la voce tentennante di paura. 

Rocco si girò di nuovo verso di lei “No, guarda... ti fanno dormire con me, Ire’” gesticolò con ironia. 

Irene picchiò fermamente la testa contro lo schienale e sbuffò. Effettivamente cosa si era aspettata da un luogo in cui i valori della tradizione contavano molto di più che altrove, non si era ben capito. E forse non sapeva rispondersi nemmeno lei. 

No, con te no, certo, ma magari... da sola?” suggerì.  

Rocco sghignazzò immediatamente. Altra supposizione, evidentemente, più che erronea. 

Seh, l’albergo in città!” continuò Rocco con aria divertita “ma lo sai come dormivamo da piccoli noi, io, i miei fratelli, i miei cugini, ecc.? Uno a capo e uno a piedi!” le illustrò muovendo le mani in maniera esplicativa. “Non c’è proprio spazio... Anzi, devi ringraziare se dormi SOLO con mia nonna” bisbigliò Rocco per non svegliare alcuni passeggeri che si erano appisolati nel loro scompartimento. 

Irene chiuse gli occhi maledicendosi per essersi prestata a quell’‘esperimento’. Non poteva conoscere semplicemente la famiglia di Rocco come facevano certi futuri coniugi costretti a un matrimonio combinato, ossia per corrispondenza?   

Intrattenne puerilmente quel pensiero solo per temporeggiare e ritardare lo scontro con la dura realtà; che, cioè, quella era una soluzione a dir poco impraticabile, oltre che ridicola. 

Ma lasciatemi perdere; questi sono semplicemente gli ultimi vaneggiamenti prima di una morte certa nella fossa dei leoni, da un po’ di giorni a quella parte definiva così la prospettiva di visitare la Sicilia.  

Le uscì solo un sospiro profondo in risposta a quella spiegazione.  

Lo sguardo di Rocco insistette su di lei e si increspò in un mezzo sorriso, poi scosse la testa e sospirò anche lui “Che c’è? 

Eh, che c’è...” mentre nella sua testa urlava a squarciagola ‘a te non sembra una tragedia far dormire Irene Cipriani con tua nonna?!’ “penso che dobbiamo fare un ripasso di siciliano” rispose invece. 

Rocco aggrottò le sopracciglia, poi commentò “Mmh” con un segno di assenso del capo. Quello era poco ma sicuro; sua nonna non spiccicava una parola in italiano. Come molte donne nate e cresciute in una realtà rurale, infatti, non aveva potuto studiare. 

Ma stavolta ci esercitiamo con frasi del tipo ‘Sei una svergognata, una poco di buono’, cose così insomma...” commentò Irene in preda allo sconforto. 

Rocco chinò il capo e scoppiò a ridere mettendosi una mano davanti alla bocca. 

... e non è per le camicie da notte” si affrettò a puntualizzare Irene con un dito, scoppiando malvolentieri a ridere anche lei, “tranquillo che per quelle ho risolto facendomene prestare un paio di noiosissime e tristissime” e rimarcò il sibilo che producevano quei superlativi. 

A quelle parole la prese in contropiede: “E che sarà mai, tanto sei bella pure senza pizzo nero...” commentò di getto, mentre le guance gli si velavano di un colore rosaceo, non si capiva se per lo sforzo di farsi intendere nonostante il basso tono di voce o più per aver virato la conversazione su immagini poco innocenti.  

Irene non rispose, ma il suo sguardo si distese in un’espressione carica di quella sua innata e sobria malizia. Quella che la coglieva a ogni piacevole riconferma che Rocco, anche se sul momento sembrava non accorgersene o non necessariamente commentava, notava eccome certi particolari che condividevano nell’intimità.  

Una brusca strattonata li riscosse... Entrambi si voltarono di scatto verso l’omone che aprì la porta scorrevole del loro scompartimento.  

Buongiorno”, borbottò il nuovo passeggero dopo aver preso posto. Tutti risposero all’unisono con cortesia. 

Irene e Rocco si schiarirono la gola nemmeno se qualcuno li avesse colti in flagrante nel mezzo di un’effusione. Se finora avevano bisbigliato, adesso, con lo scompartimento al completo, probabilmente avrebbero dovuto esprimersi a gesti.  

Intimità, per l’appunto. Una parola che avevano fatto completamente propria da alcuni mesi a quella parte. Mesi che non avevano visto solo quello come unico cambiamento, ma anche una decisione potenzialmente ancor più determinante per le loro vite. 

Rocco aveva finalmente preso il coraggio di fare quel passo sofferto fortemente suggeritogli da Irene appena prima di Natale. Di lì a pochi giorni si sarebbe trasferito a Roma per tentare la carriera agonistica nel ciclismo e, anche se Irene cercava di farsi forza per lui e continuava a ripetere (anche a sé stessa) quanto quella scelta fosse la ricetta perfetta per evitare rimpianti futuri, Rocco nutriva ancora numerosi dubbi al riguardo.  

Guardò brevemente all’orizzonte fuori dal finestrino e contrasse i muscoli della schiena e del collo come se si sentisse a disagio nei suoi stessi vestiti. Irene se ne accorse e in maniera adorabilmente premurosa gli toccò la nuca: “Togliti la giacca”, gli sussurrò, attribuendo quel gesto inconsulto alla probabilità che stesse iniziando a sentire caldo man mano che si allontanavano dal freddo mordente della loro Milano. 

Assentì distrattamente con il capo mentre si toglieva la giacca, per evitare di specificarle il motivo di quel sussulto. Da un po’ di giorni a quella parte aveva lo strano sentore che durante il suo imminente allontanamento dalla città sarebbe successo qualcosa. Non sapeva dire se una cosa bella o brutta, semplicemente... fuori dall’ordinario. 

Ma non voleva dirlo a Irene; era stupido dirglielo quando un’irrazionale paura dell’ignoto sarebbe servita soltanto a preoccuparla senza metterle in mano alcuna soluzione. 

Irene si raggomitolò stringendosi nelle spalle, intirizzita nonostante le temperature via via più clementi, “Solo a vederti così, che ti spogli, sento ancora più freddo”.  

Rocco alzò il mento e allargò le braccia: “Piccio’, me l’hai detto tu di spogliarmi, deciditi” e, con complicità, si guardarono per poi sorridere silenziosamente, mentre Irene gli appoggiava nuovamente il capo sulla spalla come a volergli dire: Lasciami perdere, in questo momento non so neanche io quello che dico. 

La tensione crescente di conoscere la famiglia di Rocco se la stava letteralmente mangiando - per la precisione da quando si erano risolti a partire e subito dopo che avevano comprato i biglietti - e quando era troppo contratta per vocalizzare la propria ansia con lui, la manifestava sfregandosi le mani tra loro, camminando nervosamente per una stanza e, con buona pace per le orecchie del suo fidanzato, rispettando un innaturale silenzio.  

Ecco, quello era uno di quei momenti. Momenti in cui, Rocco ne era sicuro, Irene partoriva i pensieri più catastrofici. 

Dio solo sapeva quante cattiverie firmate Agnese Amato precedevano il suo arrivo in Sicilia, pensò Irene. Di certo bastavano per sette vite, visto che già il polverone alzatosi a Partanna quando fu ufficializzata l’‘uscita dai giochi’ di Maria dalla vita di Rocco si era sentito chiaro e forte anche a Milano.  

Le passò una mano sul viso intuendo con facilità i suoi pensieri, lei alzò di sbieco gli occhi verso di lui senza però muovere la testa.  

Dopo uno mi chiede perché rimarremo in Sicilia solo pochi giorni...” strinse le labbra mentre escogitava un piano per risollevarle l’umore. 

Irene gli ripeté a campanella quello di cui avevano parlato mentre organizzavano il viaggio “Perché tra poco ti devi trasferire a Roma, sai com’è...” con la bocca amara ogni volta che era costretta a menzionare quel ‘piccolo’ particolare, “C’erano comunque pochi giorni a disposizione... 

Rocco alzò la mano in un gesto di esagerazione cercando di sembrare convincente “Eh... quella è la scusa ufficiale...”. 

Irene aggrottò le sopracciglia e alzò subito la testa, sospettosa, “ma di che parli, scusa? 

Ma come di che parlo, Ire’” temporeggiò lui, con un’espressione in volto da uomo navigato dall’alto della sua incommensurabile sapienza, “tu mi muori co’ tutta sta ansia”. 

Irene serrò istintivamente la mascella e si raddrizzò pian piano sul suo posto a sedere, come a volersi inconsciamente dare un contegno, ma rimase ancora in silenzio per un attimo a raccogliere i pensieri. 

Ve’? Funziona..., pensò Rocco inorgoglito. Era sicuro che, se fosse riuscito nell’intento di farle vedere la cosa come una sfida da superare, quel soggiorno le sarebbe sembrato un gioco da ragazzi. E stava funzionando, perché sul suo viso stava riaffiorando la sua caratteristica reattività. 

Guarda che io sono perfettamente in grado di reggere tutta l’ansia del mondo; anzi, non capisco perché mi vedi ansiosa se a malapena ho aperto bocca!” e pronunciò quelle ultime parole in un climax tra il risentito e l’offeso, tanto da destare l’attenzione degli altri passeggeri, tra cui uno che, scocciato, abbassò il giornale. 

A volte la straordinaria capacità di Rocco di capirla anche se taceva, paradossalmente, la esasperava; invalidava, cioè, tutta la fatica che faceva lei per celare la propria anima capricciosa. 

Rocco le prese delicatamente la mano per distoglierla da quegli sguardi inquisitori, mentre nel frattempo cercava in tutti i modi di restare nella parte.  

Se si fosse tradito, tutti i suoi sforzi si sarebbero rivelati vani e Irene si sarebbe sentita seriamente presa in giro. 

Ire’, ma guarda che mica è una colpa, è solo che non ci sei abituata...” minimizzò lui. 

A che cosa?” incalzò Irene “alle malelingue della gente? Direi anche un po’ troppo... 

Macchééé... alla campagna...” spiegò Rocco. 

Alla campagna?” chiese Irene colta di sorpresa. 

Rocco roteò gli occhi “Ire’, ma che è oggi? Sembra che caschi dalle nuvole! Hai capito bene sì, la campagna...” insistette annuendo energicamente. “Non sei mai vissuta in campagna, mica è semplice se uno non ci è abituato...” 

Effettivamente aveva concentrato le sue energie sull’odio che era sicura avrebbe ricevuto da tutto il cocuzzaro di Partanna, al punto tale da sottovalutare ingenuamente la parte forse più complicata da superare in termini logistici.  

Aveva solo una vaga idea di cosa aspettarsi e aveva anche paura di chiedere delucidazioni, anche se sospettava che le illustrazioni verbali di Rocco non si sarebbero fatte attendere. 

Tanto per cominciare non c’è l’acqua in casa...” disse Rocco alzando il pollice per elencare. 

Ecco. Appunto. 

E dove la vai a prendere, al ruscello?” fece lei con un risolino nervoso, facendo una domanda che lei pensava fosse pura esagerazione. 

No, dai, un pozzo davanti casa ce l’abbiamo, al ruscello ci si va per lavare i panni...” rispose Rocco impassibile.  

Ecco, pensava male. Il ruscello non era comunque un’esagerazione. 

Anzi, doveva pure ringraziare che ‘almeno-c’era-il-pozzo-davanti-casa'.  

Il suo spirito iperbolico già immaginava sé stessa in una situazione tragicomica in cui non si sarebbe potuta rifiutare di andare a prendere l’acqua su richiesta di qualcuno.  

Si sarebbe sicuramente messa in ridicolo facendo rovesciare… come si chiamava l’aggeggio che si usava in questi casi? 

E dal pozzo si prende con la conca...” continuò lui. 

Giusto, la conca. E ora che aveva (ri)scoperto quel termine, tutt’a un tratto la sua vita aveva acquistato un senso, pensò con amara ironia.  

Poi, sveglia presto con le famose pecore...” frase che non riuscì a terminare senza scoppiare a ridere. Pascere le pecore era un’attività tanto risaputa di lui tra quelle del suo passato da essere diventata una propaggine di sé: Tanto piacere, mi chiamo RRocco Amato, pascevo le pecore. 

Irene scoppiò a ridere anche lei perché era impossibile non farlo su quel punto, ma poi si affrettò a chiedere: “Ma scusa perché, per tre giorni che rimaniamo, le pecore le fanno pascere a me, non ho capito!”  

Ma no, ci mancherebbe...” disse lui, e le tornò la speranza che forse non le avrebbero messo tanta pressione addosso, “solo per tre giorni no... 

Ma guarda un po’. Che. Misericordia. - pensò Irene sarcastica. 

Allora lo vedi che torna il discorso mio?” concluse lui con le sue arie di saggezza, toccandosi il petto con entrambe le mani, “meglio che rimaniamo solo tre giorni”. 

Irene alzò lievemente il mento e si incrociò le braccia al seno, con un carico di orgoglio nettamente visibile dal suo sopracciglio lievemente alzato: “Tu davvero non mi credi capace di ambientarmi, dì la verità”. 

Rocco ci rifletté un po’ strofinandosi il mento come uno scienziato che analizza una teoria dell’astrofisica e poi decretò “Capace sì, disposta un po’ meno... solo ddu schifiu che lasciavi in magazzino ogni mattina...” 

Irene si premette le labbra tra loro, ma già i suoi occhi tradivano una risata dinanzi a quella distinzione argutamente selezionata al momento giusto (e ignorò volutamente il colorito appunto finale, che sottolineava la sua proverbiale tendenza all’entropia). 

Che spirito stamattina…” cantilenò strascicando lievemente le parole “ti vorrei ricordare che quando ti insegnavo a fare i pacchetti regalo in galleria non eri né capace né disposto, eppure hai imparato ugualmente (dopo cent’anni, ma hai imparato)” disse tagliente. 

Come vedi, invece, io sono già a metà dell’opera…” poi concluse con una smorfia di presunzione. 

Se lo dici tu” rispose lui con un mezzo sorriso sfrontato, cui non poté non cedere sebbene la sua missione di farle tornare la combattività potesse dichiararsi già conclusa. A onor del vero, infatti, neanche a lui dispiaceva avere l’ultima parola in una conversazione. 

Poi finalmente le sue membra si decontrassero e tornò a lasciarsi distrarre dalle spennellate di colore fuori dal finestrino.  

Lo riscosse il calore del fiato di Irene addosso. Una confidenza piacevolmente inaspettata. 

Però mi mancherà dormire con te di notte” gli sussurrò nel tono più flebile che potesse emettere, con la stessa aria sognante con cui parecchi mesi prima gli confessò timidamente che le sarebbe mancato alloggiare, niente di meno che, in un luogo scomodo come il magazzino. E anche allora entrambi sapevano il perché. 

Dopo aver processato quelle paroline si girò di nuovo verso di lei, avvicinando così il viso al suo, mentre le guance gli bruciavano più del dovuto e i suoi occhi ispezionavano rapidamente gli sguardi falsamente disinteressati dei presenti. I gesti che si scambiavano due giovani innamorati in pubblico erano sempre e comunque oggetto di scrutinio, che solo nel migliore dei casi era silenzioso e non accompagnato da additamenti e rimproveri per asseriti danni al buon costume. 

Eh, perché a Milano proprio... tutte le sere” le rispose lui con la sua tenera ironia ruotando la mano a mezz’aria. Una frase a cui mancavano volutamente dei pezzi perché la capisse solo Irene. 

No, lo so" sorrise lei con lo stesso sguardo di prima, “ma almeno lì sappiamo che il magazzino è sempre a disposizione e, se non ci andiamo più spesso, è solo per non ‘farla troppo sporca’” e si scambiarono uno sguardo di intesa.  

Erano entrambi volutamente dimentichi di quanto sfidassero la sorte ogni volta che decidevano di rimanere in magazzino. Forti anche del fatto che, per il momento, nessuno li aveva ancora scoperti. 

Per il momento.  

Certo, sempre che Armando, una mattina prestissimo di qualche giorno prima, avesse preso davvero per buona la scusa ridicola rifilatagli da una Irene (apparentemente) sola al risveglio in quello stanzone, con tanto di coperta per terra al seguito. Se per pura misericordia si sceglieva di non contare quell’occasione, allora non erano mai stati colti in flagrante, no.* 

Senza dubbio la voglia era tanta - nonché la droga che erano diventati l’una per l’altro - se soprattutto Rocco riusciva a superare la fifa innata che la suddetta eventualità potesse materializzarsi solo per sfruttare l’unico modo possibile per passare la notte assieme (dato che era fatto divieto a coppie non sposate prendere una stanza d’albergo).  

E se ora finalmente il loro approccio teorico e pratico al sesso era più rilassato e sciolto, delle loro prime volte non si poteva dire certamente lo stesso.  

Per usare un’espressione più calzante, il quadro iniziale era stato assimilabile a quello di una tragicomedia, per come l’avevano presa a parti alterne.  

Un susseguirsi di emozioni, su un continuum che aveva spaziato dalla timidezza, alla titubanza, alla tristezza, per poi arrivare all’accettazione, all’autoironia e infine alla complicità.  

Non che ciò stonasse con la singolarità bizzarra della loro relazione... 

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Noooo’ impennando la voce, ‘a me stu cuttigghiu (N.d.A.: Pettegolezzo) non mi piace’ fu il commento di Rocco alla brillante idea che aveva avuto Irene di chiedere a Roberta delucidazioni sul da farsi.  

Non solo.  

La scostumata aveva pure l’ardire di voler condividere con lui quanto aveva appreso! (‘Ovvio, i particolari di questa conversazione servono anche a te, o preferisci che ne parli col figlio del lattaio?!’ era la sua risposta che lo lasciava incapace di controbattere) 

Irene lo guardò di traverso sdegnata, ‘adesso mi offendo: innanzitutto lo sto dicendo a te e non lo sto affiggendo in pubblica piazza, seconda cosa mi sono rivolta a lei per un motivo preciso’. 

E quale sarebbe?’ chiese Rocco impassibile. 

Per una questione di vita o di morte’ esagerò. 

Ire’, ma che mo veramente incapaci siamo?’ protestò Rocco in uno stato di insofferenza. 

Irene inclinò la testa come a volergli suggerire che, sì, su quel fronte era abbastanza ovvio quanto fossero incapaci. 

Che poi eri tu quella che voleva che la nostra relazione fosse nostra, e nostra soltanto’ tergiversò lui col suo tipico faccino da cagnolino bastonato, così instillando in lei il senso di colpa. 

Se la metteva così però, era un colpo basso.... ‘Ma no, dai, non vederla così’ concesse lei non prima di aver roteato gli occhi dinanzi alla melodrammaticità del fidanzato, ‘vedila semplicemente come un… manuale di istruzioni, giusto per non farci assalire dalle paure all’inizio 

Rocco sospirò ‘E va bbbene, sentiamo…’. 

Quando Irene cominciò la sua narrazione, pian piano Rocco passò dalla tipica espressione di diffidenza iniziale, a quella dell’ascoltatore partecipe, per poi finire per lasciarsi seriamente intrattenere dal racconto.  

Effettivamente, il modo in cui si erano confrontate le due amiche sull’argomento aveva del comico. Anche se invece di ‘confronto’ era più corretto usare la parola ‘affronto’, dato che Roberta era stata vittima dell’assalto di Irene nel momento più impensabile della giornata.  

Chi, infatti, non avrebbe voluto parlare di sesso appena prima di partire alla volta della guida di un cantiere? 

Alle prime ore di un mattino qualunque, il quasi ingegnere Pellegrino, dopo una delle sue frequenti notti passate a casa del fidanzato, era passata in galleria a salutare prima dell’orario di apertura. Irene la scorse mentre lei e Marcello, legati unicamente da due mignolini adorabilmente intrecciati, stavano conversando del più e del meno con il dottor Conti. 

Oh, eccola lì, distratta da una conversazione assolutamente priva di significato che non mi farò problemi ad interrompere’ pensò Irene avviandosi verso di lei. 

Prima di attirare la sua attenzione, si soffermò brevemente a fare nota mentale di quel meraviglioso ‘non-detto’ che aleggiava in maniera potente e palpabile tra i due sposi promessi, anche se si scambiavano uno sguardo o erano semplicemente l’uno al fianco dell’altra. Irene non poté fare a meno di sorridere. 

Ve la rubo un attimo’ la strattonò poi in modo gentile ma fermo, con il migliore tra i suoi sorrisi artificiali, mentre per poco Roberta non rovesciava il suo caffè dalla tazzina e scambiava un’occhiata di tacita complicità con fidanzato ed ex capo per via dei ‘soliti modi della Signorina Cipriani’. 

Delicatissima come sempre’ commentò Roberta con gli occhi piccoli. ‘Cos’è tutta questa fretta? 

Niente, volevo chiederti alcune cose su come si fa l’amore’ replicò Irene con lo stesso tono che avrebbe usato se le avesse proposto di andare al cinema. 

Roberta, in sequenza, sgranò gli occhi, per poco non sputò il caffè mentre lo sorseggiava dalla tazza e si guardò rapidamente attorno, terrorizzata che qualcuno potesse aver captato quelle paroline magiche. 

‘Ireneeeeee’ fu la sua redarguizione gridata a bassa voce. 

Pure! Solo il passante oltre la vetrina del Paradiso non ha ancora guardato verso di noi, dai Roberta, dai più nell’occhio, pensò Irene. 

Poi si mise a braccia conserte ‘Come si vede che sei sempre stata una studentessa modello; non ti hanno mai detto che se vuoi nascondere qualcosa devi agire con naturalezza e non starnazzare come stai facendo ora?’ 

‘Ma come ti viene in mente di parlare di una cosa del genere a quest’ora? In questo posto? Con me?’ bisbigliò Roberta imperterrita. 

Figurarsi se per Irene i primi due punti avevano un’importanza di qualche tipo.  

Per l’appunto, nessuna.  

Quindi, si concentrò sul terzo: ‘Senti, l’alternativa era rivolgermi a Paola Cecchi; volevi davvero lasciarmi in balia di Paola Cecchi per consigli sull’argomento?’ 

Non si capiva se per una punta di orgoglio o se per.... una punta di orgoglio, ma Roberta sospirò e la sua espressione dapprima intollerante fece spazio a un sorriso birichino. 

E va bene, che vuoi sapere?’ cedette finalmente. 

La dovizia di particolari cui si abbandonò Roberta nella lezioncina che seguì era, di sicuro, perfettamente in linea con la sua deformazione professionale di plasmatrice di giovani menti all’università. La cosa a dir poco strampalata era però la giustapposizione tra la sua serietà e l’argomento di cui stava parlando.  

Una cosa era certa, dopo quella conversazione Irene poté concludere di sé stessa che solo all’apparenza era una persona più disinibita delle altre, ma il suo livello di stupore su alcuni dettagli condivisi da Roberta le dava conferma che, fino ad allora, anzi, aveva condotto una vita più illibata di molte altre ragazze (‘... perché poi ci si tocca, capito...’ suggerì Roberta incidentalmente, come dando ormai per scontato che tutti avessero il suo stesso livello di esperienza in materia. Irene replicò con sufficienza: ‘Ma va... come si farebbe senza toccarsi sennò?’. Roberta sorrise per il candore: ‘No, Irene, non parlavo in generale...’ e, con un piccolo guizzo del capo, indicò verso il basso. Irene arricciò il naso, segno che non aveva capito, poi, come dopo un’illuminazione, spalancò gli occhi. ‘AH...’ le venne solo da dire, e abbassò subito la testa come se avesse rubato un cioccolatino all’alimentari). 

Marcello, che le aveva viste conversare animatamente e arrossire in volto in un crescendo di colori variopinti, si avvicinò con passo ovattato e chiese tentativamente ‘Tuttoooo bene?... Non per rompere il vostro idillio...’ disse lui con il suo tipico faccino ironico ‘ma così fai tardi al lavoro, amore” e si guardò l’orologio al polso. La risposta/richiesta a bruciapelo della fidanzata non si fece attendere: ‘Sì amore ora vado, ma prima... ci porteresti due spremute fredde? 

GELATE, con ghiaccio, grazie Marcello’ aggiunse Irene.  

Marcello le guardò incredulo, quindi gettò un occhio fuori dalla vetrina del Paradiso – in strada fioccava a cielo aperto – e non capì se fosse segno che le due si erano prese una bella influenza. 

Chi rischiò di essere polverizzato a vista furono le amiche colleghe che passarono di lì proprio quando si nominarono parole innocentissime come ‘orgasmo’... 

Di che parlate, ragazze?’ chiese Dora appoggiando stancamente il mento sulla spalla di Irene mentre passava di lì. 

Dell’organza!’ improvvisò Roberta balbettando.  

Dio mio, non sa proprio mentire, pessima, sospirò Irene fra sé con sgomento. 

In cantiere avevi nostalgia dei tessuti di lusso per caso?’ chiese Dora sospettosa. 

E tu hai nostalgia di una manata sul viso?’ intervenne Irene mostrandole un sorriso plastico. Dora capì l’antifona. Se Irene ringhiava, era solo perché in quel momento era un cagnolino cui erano andati a smuovere la scodella del cibo. Niente di personale. 

Stefania, invece, fu liquidata con la solita vecchia scusa noiosa: ‘Sei piccola, questa conversazione non è per te’, subito seguita da un ‘Daiiii, non mettere quel broncio, ti racconto a casa’ per correre ai ripari. 

Rocco, dal canto suo, ascoltando interessato il resoconto, interrompeva persino Irene di tanto in tanto, facendo domande specifiche e lanciandosi in esclamazioni quali ‘Appidaveru?’, ‘Come, come, come? Aspe’, ripeti, non ho capito’, ‘Però! Hai-capito-Robbbertina’, quest’ultima volutamente proferita per far alterare Irene, che infatti gli sferrò un pugno sul braccio per intimargli di astenersi da commenti sottilmente denigranti sulla sua amica. 

Ecco, adesso chi era il cuttigghiaro (N.d.A.: Pettegolo) tra i due? 

Col senno del poi, Irene ringraziò la propria prudenza di aver chiesto a Roberta; le prime volte con Rocco le fece male per davvero e, se l’amica non l’avesse preventivamente rassicurata sul fatto che fosse una cosa abbastanza comune, sarebbe stata in passione per giorni interi. 

Certo, con l’ansia di fabbrica di cui era chimicamente composta Irene, la situazione non era stata poi tanto più tranquilla… se ne stava spesso con lo sguardo perso nel vuoto, a volte incapace di guardare Rocco negli occhi, come se fosse timorosa di aver fatto qualcosa di sbagliato.  

Rocco, quando la vedeva così, le tirava delicatamente la mano per attirarla a sé e abbracciarla - e allora, sì, che Irene si abbandonava a un pianto sommesso - e le ripeteva teneramente: ‘e meno male che non dovevamo farci assalire dalla paura’. 

E se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato in me?’ insisteva lei guardandolo con quei suoi occhioni grandi e limpidi. 

Ma che ‘qualcosa di sbagliato’! Te l’ha detto pure il manuale di istruzioni che è tutto normale, no?’ minimizzava Rocco. 

Cioè, intendi Roberta?’ chiedeva lei, confusa. 

Eh. 

Irene finiva sempre per ridere stancamente: ‘Non ce la faccio a rimanere triste con te, con le stupidaggini che dici 

E infatti era quello l’obiettivo’ faceva Rocco tutto orgoglioso. 

Superate poi le barriere, per così dire, fisiche di Irene, nonché più di una dose massiccia di ripensamenti da parte di Rocco sul piano religioso (cosa abbondantemente preventivata da entrambi), le cose iniziarono finalmente ad appianarsi e si ristabilirono gli equilibri. 

Così, la prima volta che filò tutto liscio, scoppiarono a ridere come due cretini, pazzi di una gioia incredula, e con addosso il rimpianto di chi ha perso troppo tempo a privarsi di una cosa così bella. 

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Guarda che, se è per quello, non c’è un posto migliore della campagna, te lo dico io.” fece Rocco un gesto categorico, in un attacco improvviso di campanilismo. Continuava a parlare in codice solo per lei, ma in quel frangente nemmeno Irene era sicura di aver ben capito a cosa si riferisse. 

Dopo essersi concessa un attimo per decodificare...  

Ah, in mezzo alle sterpaglie...? Ma neanche morta...” lo derise, oltremodo scettica. 

Ma non hai detto che ti volevi ambientare tu?” controbatté lui all’istante per provocarla. 

Sì...?” balbettando, cosciente di essersi fatta autorete, “Ma non vedo dove...”   

E allora fidati...” la interruppe lui, ora quasi ridendo, “ricordati che i pregiudizi so ‘na cosa brutta, piccio’” facendole volutamente il verso per tutte le volte che lei aveva giustamente puntualizzato i suoi preconcetti.  

Irene, di fronte a quello sguardo malandrino, che con il tempo Rocco faceva sempre più proprio, rimase piacevolmente senza parole. E sospettava che non sarebbe stata l’ultima volta, visto che si apprestava a vederlo finalmente muoversi in luoghi a lui conosciuti da sempre. 

Comunque, anche se cerchi in tutti i modi di tirarmi su il morale, lo vedo che anche tu sei teso...” osservò lei dopo un po’, passandogli una mano tra i capelli. 

Il viso di Rocco si increspò in un’espressione indefinita; proprio come Irene poco prima, era conscio di essere stato messo a nudo e neanche lui sapeva se la cosa facesse sentirlo propriamente a suo agio.  

Da cosa?” chiese lui scuotendo la testa. 

Ogni tanto ti perdi a guardare fuori dal finestrino...” specificò lei facendo spallucce. 

Chiatti’, stiamo sul treno, non è che c’è molto da fare...” replicò lui quasi stizzito. 

Irene, senza lasciarsi turbare, cercò piuttosto uno sguardo complice nei suoi occhi: “Pensi davvero che non riesca a decifrare se sei pensieroso o stai semplicemente ammirando il paesaggio?” 

Interdetto, Rocco tentò di dare una risposta: “Ma no, che c’entra... è solo che è tanto tempo che non torno giù... adesso tornare con te, poco prima di partire per Roma... tante cose tutte assieme” 

Irene si sforzò di non cedere al proprio pessimismo e di non mostrarsi irritata dall’eventualità che quel ‘tornare con te’ potesse avere accezioni negative. Dopo tutto, era stato lui a insistere perché lei conoscesse la sua famiglia e perché visitassero Partanna in un momento chiave come quello, ovvero prima del suo trasferimento.  

Come se fosse una promessa. E per lui lo era. 

Abbassò lo sguardo, in cerca delle parole giuste: “Prometto di non ‘fare sempre la solita’” e alzò gli occhi al cielo “e di non farti fare brutta figura davanti a nessuno della tua lunga schiera di parenti”. Poi, prima che lui potesse controbattere, aggiunse: “neanche davanti a tuo padre...”.  

Lo disse per farlo sorridere nonché come accortezza nei suoi confronti, e Rocco ne era consapevole, ma entrambi sapevano anche che Irene avrebbe piuttosto preferito far pentire quell’uomo di essere nato. Quella però era un’altra storia.  

Rocco sorrise con una smorfia di malinconia “Ire’, ma che dici... semmai è tutto il contrario... ho paura che LUI faccia fare una brutta figura a me... 

Ma io non credo sia possibile, sai...?” valutò Irene dopo un attimo di pausa “Si può parlare di brutta figura se qualcuno delude le nostre aspettative, ma né io né te ci aspettiamo niente da lui, anzi semmai ci aspettiamo il peggio, quindi... se succederà qualcosa di spiacevole, forse non ci toccherà più di tanto... non pensi? 

Rocco ci rifletté un po’ e sorrise. Tutti i torti forse Irene non li aveva. “Speriamo che almeno non mi fa pentire di essere partiti...” aggiunse allora lui scrollando le spalle. 

Senti, lui non è certo il motivo per cui scendiamo in Sicilia; quindi, dubito che possiamo arrivare a pentirci di essere andati... ci sarà un motivo se siamo saliti su questo treno o no?” chiese retoricamente Irene, invitandolo a ragionare. 

Rocco assentì, con lo sguardo fisso in un punto, all’ascolto, “Mia madre...” poi aggiunse, in uno slancio di positività, “e qualcun altro che forse si salva pure, dai”. 

“Ecco... allora già da adesso siamo sicuri di aver fatto la scelta giusta” disse Irene con naturalezza. 

Poi, per prevenire una certa frasetta che Rocco amava ripetere come pane quotidiano, Irene preferì stroncare l’impulso sul nascere: “E se mi rispondi ‘sicura è solo la morte’, stavolta ti arriva uno schiaffo” lo minacciò lei ridendo, e si portò dietro anche lui. 

Inutile dire che, ancora una volta, disturbarono i presenti. Era un miracolo che non fossero stati ancora redarguiti a dovere, con tutto il trambusto che avevano fatto da quando erano saliti. 

“Fai fai, dopo vai a finire sul corridoio” scherzò lui e stirò lentamente la propria figura slanciata nella misura in cui glielo permetteva lo spazio esiguo a disposizione. 

Poi, esausto, lasciò andare il capo sulla spalla di Irene e, rasserenatosi un poco, si appisolò. 

Irene gli passò le labbra sulla fronte, momentaneamente in pace anche lei.  

In qualsiasi posto stessero andando, sapevano di essere comunque a casa finché avevano l’un l’altra.  

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Se penso che, non solo dopo il traghetto mancano altri tre treni, ma che tra pochi giorni dobbiamo fare tutto il viaggio al contrario, mi viene voglia di buttarmi in mare” sospirò una Irene lamentosa perché esausta, non appena salpati da Villa San Giovanni.  

Ehhhh?” urlò Rocco, incapace di sentirla per il forte vento man mano che si avvicinavano al parapetto della nave traghetto. 

Niente” Irene scosse la testa, troppo a pezzi anche per ripetere tutto, “sono stanca e il viaggio è ancora lunghissimo” urlò in risposta. 

Iiiih, sempre che ti lamenti.... guarda...” e allungò un braccio invitandola ad ammirare il punto in cui i due lembi di terra, il calabro e il siculo, tendevano l’uno verso l’altro senza riuscire a toccarsi.  

Irene si voltò verso l’orizzonte e lentamente il suo viso si distese in un’espressione di velato sbalordimento. Non riusciva a commentare, ma stavolta non per la forza del vento.  

Non aveva viaggiato molto nella sua vita da quando la madre era deceduta, ma fino a quel momento poteva seriamente affermare di non aver mai visto nulla di così maestoso in natura.  

Schiuse la bocca e si girò di nuovo verso di lui senza proferire parola, con gli occhi spalancati di chi intende dire: ‘Anche tu lo vedi bello come lo vedo io’? 

Rocco assentì sorridendole: “Visto? Ti piace, Chiatti’? 

Davvero tanto” ammise Irene ancora in contemplazione, provocando un sorriso compiaciuto in Rocco. Era comprensibile che fosse così inorgoglito dallo stupore che leggeva negli occhi di Irene; non poteva fare a meno di fare la comune associazione mentale tra sé stesso e quel paesaggio mozzafiato. ‘Adesso anche tu puoi vedere le cose belle del posto da cui vengo’ era l’idea che persisteva in lui. 

Però non mi dire che questo ‘viaggio della speranza’ non sta stancando anche te solo per fare la parte dell’eroe masculo, perché non sei credibile... guarda che occhiaie, guarda...” e rideva mentre gli tormentava impietosamente il mento perché le mostrasse il suo viso. 

Avaaaa, ma guardati le occhiaie tue” si scansò, divertito. 

Ecco, non voglio neanche sapere che faccia ho adesso”, si compianse adagiandosi una mano sulla guancia, con una smorfia di insofferenza, “penso che farò a meno di truccarmi e guardarmi allo specchio per tutto il tempo che staremo”. 

“Eh, ma infatti lascia proprio perdere, in campagna mica ci si trucca” approvò Rocco. 

Si rabbuiò lei facendo l’offesa “Uffa, tu ti vergogni di come sono... lo sapevo”. 

“Macchéééééé, Chiatti’ cantilenò Rocco “ti voglio solo semplificare la vita, vedi se ti guardano come na picciotta che sta sulle sue, che si dà le arie...” gesticolò in maniera effeminata suscitando una risata nella fidanzata. “Invece così ti memi... mmmmh...“ serrò le labbra, mentre rifletteva e scrocchiava le dita. 

Irene aggrottò le sopracciglia: “Mi mimetizzo?” tirò a indovinare. 

Eh, brava, ‘ti mimetizzi’” confermò lui illuminandosi in volto. 

Irene scoppiò a ridere e scosse la testa dinanzi a quell’immagine di sé stessa paragonata a un animaletto della giungla: “Certo, con questa chioma biondissima in mezzo alle siciliane, ne dubito...”. 

Seh...” reagì Rocco all’istante, colto dall’orticaria che gli provocava quello stereotipo anche troppo diffuso al nord, “mia cugina è pure più bionda di te!”  

Ah” inarcò le labbra Irene, sorpresa, “E io che pensavo di essere una mosca bianca nella tua vita...” suggerì lei poi per testare la sua reazione. 

E invece no Chiatti’...rispose Rocco con fermezza, e lasciò volutamente la frase in sospeso per instillare in lei il dubbio se ricordasse o meno quel modo di dire “sei solo una mosca bionda” poi concluse con un sorriso furbo, provocando in lei una risata di pancia che si perse nel fragore dei flutti. 

Poi Irene avvertì la piacevole ruvidezza del viso di Rocco sulla propria tempia e le sue braccia che da dietro le stringevano sempre più la vita quanto più forte soffiava il vento. Sembrava quasi che volesse impedirle di volare via. 

Il ponte su cui si trovavano era pieno come un uovo, non poterono quindi trovare un posto a sedere per tutta la traversata. Ma a loro non dispiacque affatto; le loro gambe intorpidite dalla prima lunghissima tratta in treno ne trassero giovamento e la bellezza che i loro occhi potevano respirare contribuiva allo scorrere veloce del tempo.  

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Messina-Palermo, Palermo-Castelvetrano, Castelvetrano-Partanna.  

Irene non peccava di esagerazione quando menzionava ‘altri tre treni’. 

I miei complimenti per esserti sbagliato SOLO a Torino senza sapere né leggere né scrivere” sussurrò Irene con uno sguardo non esattamente vigile, mentre soffocava uno sbadiglio, “penso sia meno complicato raggiungere l’Australia”. 

Rocco fece un inequivocabile segno di assenso con le sopracciglia mentre si strofinava una mano sugli occhi. 

Entrambi erano seriamente arrivati al limite della resistenza psicofisica e avevano esaurito già da tempo le energie per prendersi vicendevolmente in giro su chi dei due fosse più stanco. Una reazione più che umana se si considerava che, anche grazie alle svariate pause intermedie tra una tappa e l’altra, avevano abbondantemente scavallato il secondo giorno di viaggio. 

Si aggrapparono fermamente ai braccioli vicino alla porta d’uscita per evitare che il brusco scossone finale li ribaltasse. Ironico come, dalla loro angolazione, la prima cosa che si stagliò loro davanti fu proprio il cartello con su scritto ‘Partanna’ sull’edificio della stazione.  

Anche se non c’era nulla di più comune al mondo che il nome di un paesello associato al relativo casello ferroviario, trovarsi quella scritta lì in bella mostra, per di più in concomitanza col fischio del treno, sembrava senza esagerazioni un chiaro segnale divino.  

Anzi no, uno sberleffo. E non per questo un segnale meno divino. 

Pareva quasi che volesse dire con tono di sfida: ‘Ora sta a voi’. 

Rocco deglutì, Irene alzò il mento in maniera all’apparenza impudente – che poi era solo un modo per farsi forza...  

Dall’espressione di condannati al patibolo che indossavano, tutte le belle parole di cui si erano riempiti la bocca durante il tragitto apparivano ora svuotate di ogni significato e i due continuavano a serbare un testardo timore verso l’incognito. 

Non si dissero niente, in realtà non ebbero nemmeno il tempo di farlo, visto che si trovarono subito sospinti in avanti da una fiumana di persone che pressava per scendere, neanche se fuori da quel treno ci fosse la risposta ai problemi del mondo. 

Misero piede a terra alle luci del tramonto, un tramonto sicuramente più limpido del grigiore di Milano, ma non accompagnato dalle temperature miti che si sarebbe aspettata Irene. Be’, è pur sempre ancora febbraio e sono pur sempre più di 400 metri di altitudine, fece un rapido calcolo Irene mentre inconsciamente imitava la gestualità di Rocco.  

Girando in tondo con la sua parte di valigie, si era messo in punta di piedi con la speranza di scorgere un viso familiare tra quella folla di sorrisi bramosi di riabbracciarsi e ritrovarsi. 

Non sapeva neanche lei perché gli andava dietro, dato che a malapena sarebbe stata in grado di riconoscere la madre da quella foto sbiadita che Rocco custodiva nel suo portafogli. 

La folla cominciò a diradarsi e, con il passare dei minuti, il volto di Rocco assumeva le tinte via via più caratteristiche della delusione. 

In quel preciso istante, Irene poté rivivere sulla propria pelle quella massima di vita che solo con la madre aveva già sperimentato: ‘Se vedi soffrire chi ami, soffri anche tu’; essere testimone di quell’avvilimento nel suo fidanzato era quanto di più affine al male fisico. 

Data l’inutilità dell’attesa, iniziarono a incamminarsi e Irene gli sfiorò silenziosamente la manica del giaccone con il dorso della mano, in segno di vicinanza. 

Intanto, Rocco camminava a testa bassa e schioccava la lingua in una litania cadenzata: 

Tuttu ‘stu viaggio, tutti ‘sti chilometri e nessuno capace manco di affacciarsi...  pure per vedere se serviva una mano con le valigie” scosse la testa per poi abbassarla di nuovo, mentre tra i denti masticava una rabbia crescente.  

All’udire quelle parole, a Irene venne un tale magone che quasi la fece piangere, ma si sforzò con tutta sé stessa di minimizzare: “Ma dai... magari tua madre è rimasta a casa a cucinare proprio in vista del tuo arrivo...”  

Rocco continuava a scuotere la testa senza ascoltare. E le venne in mente che, al vedere la cosa dal di fuori, era triste già solo pensare che il primo istinto di Rocco non fu trovare una spiegazione, una giustificazione plausibile all’assenza di qualunque membro della sua famiglia nei locali di quella stazione, bensì pensare subito il peggio.  

Era ovvio dedurre da ciò che fosse abituato a ricevere più male che bene da quel posto. 

Irene alzò la testa verso di sé, mentre anche lei arrancava con due valigie, una per ogni parte. 

Solo una era piena zeppa di regalini che avevano comprato in particolar modo per il lungo stuolo di bambini, compresi i nipotini di Rocco: scatolette e bustine contenenti leccornie e prodotti tipici di Milano. E ora proprio quella valigia le pesava più che mai. Tanto sforzo e neanche un po’ di riconoscenza, si ripeteva in testa. 

Deve esserci per forza una spiegazione, Rocco dai...” si sforzava di abbozzare un sorriso, cercando i suoi occhi. 

Ecco, ora stava rivolgendo quell’esortazione anche a sé stessa, in un istinto di autopreservazione. Perché si conosceva: se il soggiorno fosse partito nel modo sbagliato in cui si stava prospettando, avrebbe tirato fuori il lato peggiore di sé. Quello antipatico e scontroso che tutti temevano e allontanavano.  

Svoltarono un angolo per poi avviarsi verso la parte in cui si sfoltiva il caseggiato della piccola cittadina e iniziava la zona rurale che conduceva a casa di Rocco.  

I loro occhi si persero verso l’orizzonte ormai spoglio di case e fu in quell’istante che scorsero un gruppetto bello nutrito che incedeva a passo svelto nella loro direzione.  

Per Irene avrebbe potuto trattarsi di chiunque e di certo non voleva fare commenti al fidanzato per alimentare false speranze, ma lei si voltò comunque a esaminare il viso di Rocco per capire se avessero attirato anche la sua, di attenzione.  

Lo vide strizzare gli occhi per cercare di identificarli e …. 

RRRRRRRROCCO” gridò tutt’a un tratto una signora di media statura sventolando felice la mano in aria, visibilmente in punta di piedi.  

Aveva un nonsoché di simbolico, pensò Irene; la donna capeggiava inconsapevolmente quella piccola compagine di persone e, così facendo, sembrava ritrarre lo spirito e i colori de ‘Il quarto stato’. 

Irene sorrise a Rocco, che ricambiò, e prima che potesse commentargli in qualsiasi modo quanto fosse sollevata per lui, questi rispose al grido di sua madre con la stessa euforia, alzando goffamente il braccio che teneva la valigia. 

Mentre si avvicinavano a loro, Irene non poté fare a meno di sussurrargli “Hai visto che ti sei preoccupato per niente?” ma glielo disse con una contentezza sincera, non con la gratuità di un ‘Te l’avevo detto’.  

Rocco arrossì e annuì, in un principio di commozione, e non si capiva se quegli occhi umidi fossero dovuti all’imbarazzo di aver emesso un giudizio troppo affrettato e temerario o alla felicità di essersi sbagliato. Ma che importava... a Irene si strinse il cuore comunque. 

E fu solo l’inizio. 

Erano finalmente davanti a lei: Bice Amato.  

Crocchia bassa, che raccoglieva capelli folti, lucenti e ondulati, di un nero intenso, corvino, e tratti del viso molto marcati, che, messi nel giusto risalto, sarebbero stati sicuramente la parte più interessante di lei.  

Irene non ravvedeva una grandissima somiglianza tra i due se non, forse, nel bellissimo sorriso del suo fidanzato. 

E Bice lo mostrò eccome, quel sorriso, nella maniera più diretta e sincera possibile, mentre allargava le braccia in attesa che Rocco si chinasse su di lei e le porgesse il suo viso. 

Figghiu miu, gioia mia” sussurrò lei in un fil di voce che si perdeva tra le proprie mani, le quali aveva adagiato sulle guance del figlio. Pareva quasi che, invece di salutarlo, si stesse già congedando da lui, tanto fedelmente ricordava il dolore l’intenerimento che rigava il volto della donna. 

In uno slancio dei suoi, Rocco le circondò inaspettatamente la vita per sollevarla da terra: “Mammuzza mia” poi le sussurrò, tra un sorriso e una lacrima, provocando un gridolino di giubilo in lei. 

Sarebbe sicuramente arrivato un momento della loro vita di coppia, pensò Irene, in cui avrebbe iniziato a nutrire la tipica gelosia di fidanzata/moglie per il rapporto tra il proprio uomo e sua madre.  

Ma non era quello il giorno... 

In quel momento, dinanzi a quell’immagine inedita, Irene riuscì a sentire solo ed esclusivamente una profonda compartecipazione. E le venne subito in mente una parola: Appartenenza. Per la prima volta da quando lo conosceva, vedeva un Rocco non più orfano. 

Tutti questi pensieri attraversarono la mente di Irene in un lampo, prima che anche lei venisse sommersa dai baci e gli abbracci dei presenti...  

Sospettava che a quella piccola ‘spedizione’ avessero partecipato anche molti curiosi, e non solo coloro che erano sinceramente interessati a rivedere il giovane compaesano. Si sapeva: ‘la visita di quelli che vivono al nord’ era un vero e proprio evento per la vita tranquilla di un piccolo paesino. Erano visite per forza di cose accompagnate da racconti e storie che, alle loro orecchie, suonavano come favole incredibili di un mondo irraggiungibile. Se era pura curiosità, ipocrisia, cortesia o affetto autentico, Irene non sapeva dirlo, per il momento vedeva solo tanto calore, un calore a cui non era abituata e che non si sarebbe mai aspettata di ricevere. 

Quantu ti si fattu beddu, vita mia” disse poi Bice rimirandosi il figlio dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, e poi ancora daccapo. 

Quindi Bice sobbalzò, e si voltò subito, mortificata, verso Irene “M’a scusari... Mi devi scusare...” si corresse subito, rivolgendo un ultimo sguardo fugace al figlio, “Rocco...” e avvampò, “stiamo parlando in siciliano...”, così suggerendo che l’uso del dialetto fosse una mancanza di rispetto verso la ragazza. 

Irene inspirò per risponderle di non preoccuparsi, ma prima che potesse parlare, Rocco intervenne: “Ma vedi che lei capisce tutto, mamma” e le cinse un fianco con un braccio mentre le depositava un bacio sulla tempia, pieno d’orgoglio.  

Irene arrossì, contenta, mentre sentiva addosso gli occhi di tutti gli astanti: “Non esageriamo... tutto tutto, proprio no”. 

Poi la suocera si avvicinò a lei e le prese entrambe le mani, cogliendo Irene in contropiede; la guardava intensamente e con un affetto inatteso, intriso di una sana curiosità e di una buona dose di intuito: “Tanto piacere, Irene”. 

Rocco non interruppe quel contatto significativo con il fianco della fidanzata neanche mentre le due si avvicinavano. Irene alzò allora la vista verso di lui, che, mordendosi il labbro, emozionato, le annuì in segno di incoraggiamento. 

Irene prese quindi coraggio e, ricambiando gli stessi sentimenti, le rispose: “Molto piacere, Donna Bice”. 

 

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*L’episodio in cui Armando scopre Irene in magazzino è oggetto della mia minific “Qualcosa da raccontare ai nostri nipoti”. 

*Fun fact: Castelvetrano, la cittadina di cui nel capitolo viene menzionata la seconda stazione del percorso #Irocco verso la Sicilia, è anche il paese natale di Giancarlo Commare nonché uno dei comuni confinanti con Partanna. 

*Ho visto la miniserie Netflix “From scratch” e le fattezze che attribuisco a Bice Amato sono quelle di Lucia Sardo, l’interprete della mamma di Lino, il protagonista maschile. Ha i lineamenti ‘giusti’ e anche quella tenerezza malinconica nel volto che mi immagino per la mamma di Rocco. 

 

Ringrazio le mie amiche: in particolar modo Ele (chicca) per il suo supporto/amore/sopporto incondizionato e il suo beta reading, Ver (sistah) per le sue lezioncine sbavose di siciliano e il suo stimolo (a calci) a farmi scrivere e Paola (Lale) per suo immenso amore e supporto 

 

 

 

 

 

 

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