dust n' bones

di Les_Cher
(/viewuser.php?uid=234972)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** it's so easy ***
Capitolo 2: *** Rainbow Bar & Grill ***
Capitolo 3: *** welcome to the jungle ***
Capitolo 4: *** Paradise City ***
Capitolo 5: *** There's a lady who's sure all that glitters is gold ***
Capitolo 6: *** Starlight ***
Capitolo 7: *** You're a lie ***
Capitolo 8: *** Since i don't have you ***
Capitolo 9: *** Patience ***
Capitolo 10: *** Don't Cry ***
Capitolo 11: *** the power of love ***
Capitolo 12: *** live and let die ***
Capitolo 13: *** All that glitters ain't gold. ***
Capitolo 14: *** Don't damn me ***
Capitolo 15: *** Walk all over you ***



Capitolo 1
*** it's so easy ***


Ricordo quando partii per l'America.
Morivo dalla voglia di vedere quel posto, quello delle legende, dei bar dove grandi band avevano suonato prima di diventare famosi e dove ogni rocker che si rispetti punta ad andare almeno una volta nella sua vita, per suonare e fare carriera, e chissà che poi non ci riesca davvero!
Credo di essere fra di loro, fra quei rocker con un sogno nel cassetto: la città paradiso, Los Angeles.

Trascinavo il mio trolley lungo le strade della mia città, poi arrivai finalmente all'areoporto.
Stringevo tra le mani il mio biglietto, quasi avessi paura di perderlo, e lo controllavo continuamente, come se potesse cadermi anche con una stretta così forte.
Andai a fare il check-in con un sorriso stampato sul viso.
Non vedevo l'ora, finalmente sarei partita, avrei coronato quel sogno, avrei finalmente soddisfatto quel desiderio che avevo da quando ero solo una quindicenne.
Feci la fila e poi finalmente toccò a me.

Quei pochi minuti necessari mi sembrarono un'eternità, ma quando mi chiesero di imbarcare subito i bagagli perché l'aereo stava quasi per partire tornò immediatamente la felicità.
Feci ciò che mi era stato chiesto di fare e poi mi precipitai verso l'aereo, salii di corsa e finalmente sedetti al mio posto, accanto al finestrino.
Si accesero i motori e l'aereo si alzò in volo.
Durante tutto il viaggio continuai a guardare la terra sotto di me. Era bellissimo, era quasi come vedere il mondo in miniatura, continuavo a pensare "il momento in cui toccherai dinuovo terra sarà il più bello della tua vita."
Così fu.
***
Arrivammo finalmente. Il pilota annunciò l’atterraggio, la lucina che segnalava l’obbligo di tenere la cintura si spense e così potei alzarmi dal mio posto ed inserirmi in fila con gli altri per la discesa.
Scesi dall'aereo, presi i bagagli e poi salii su uno dei tanti taxi parcheggiati fuori dall'aereoporto, diedi l'indirizzo dell'hotel e finalmente partimmo.
Avrei alloggiato in un nuovo hotel, appena aperto, elegante ma conveniente, il che era un bene, visto che con me non avevo molti soldi. Tuttavia, mi ero non ero partita senza un piano: quello stesso pomeriggio, infatti, mi attendevano per un colloquio al Rainbow Bar & Grill
Guardavo dal finestrino quella città incantata che era intorno a me. Ero finalmente arrivata!

Raggiungemmo la destinazione nel giro di dieci minuti, diedi i soldi all'autista, presi il mio trolley e mi avviai verso l'ingresso dell'hotel, poi entrai e mi diressi subito alla reception.

"buongiorno, sono appena arrivata e ho una camera prenotata a mio nome. Sono Les, abbiamo parlato ieri al telefono, si ricorda?" Sorrisi alla Receptionist.

Mi guardò un attimo, come per squadrarmi, poi mi sorrise anche lei:

"Certo che mi ricordo" Infine prese una chiave dalle mille che si trovavano alle sue spalle e me la porse "Camera 110, primo piano".

Come inizio non c'era che dire, l'hotel non era male e non lo era nemmeno il personale dell'hotel, ora restava solo da vedere come sarebbe stato lavorare al Rainbow.
Presi l'ascensore, salii al primo piano e dopo aver cercato un po' trovai finalmente la mia camera.
Entrai, ma, non avendo voglia di disfare le valigie, lasciai il trolley chiuso accanto alla porta.
Mi distesi un attimo sul letto, ma quando voltai la sveglia sul comodino mi ordinò di rialzarmi e raggiungere il Rainbow o avrei rischiato di fare tardi al colloquio.

Sinceramente non sapevo nemmeno da che parte si andasse per il Rainbow, così, una volta in strada, chiesi informazioni ad un ragazzo che passava di lì, uno di quelli che non sarebbero mai potuti passare inosservati, chiunque essi fossero.
Era alto come minimo un metro e novanta, aveva gli occhi che andavano dal grigio al verde e i capelli biondi, sicuramente ossigenati, erano troppo chiari per non esserlo.
Indossava una canottiera nera, dei pantaloni di pelle e dei camperos, ma il dettaglio più particolare era la catena con il lucchetto appeso al suo collo.
Gli chiesi informazioni su dove si trovasse il bar e come arrivarci:

"è facile, basta che prosegui su questa strada, tra quattrocento metri circa lo trovi sulla sinistra." Parlava con una tale tranquillità che sembrava che gli avessi chiesto la cosa più banale e scontata del mondo, quasi come se conoscesse a memoria quel locale.

Lo ringraziai e poi iniziai a camminare nella direzione che mi aveva indicato.
Arrivai finalmente davanti al pub, lo riconobbi per la grande insegna verticale che era attaccata ad esso.
Entrai, incrociai le dita e poi andai al bancone del bar dove si trovava un signore un po' robusto, più o meno cinquantenne con i capelli lunghi e brizzolati e dei baffi.
Ipotizzai che quello fosse il capo del bar e così andai a parlargli:

"Salve, sono Les, sono qui per un colloquio"

"Ah, si, giusto, ciao." fece una pausa e continuò a guardarmi "Vieni, seguimi."

Lo seguii e entrammo in una stanza.
Mi chiese un sacco di informazioni, le mie esperienze lavorative, gli studi, il diploma e molte altre cose. Dopo un quarto d'ora finì il colloquio, mi disse solo " Inizi a lavorare stasera stessa", poi se ne andò.
Era fatta, avrei lavorato lì!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rainbow Bar & Grill ***


Rimasi lì nel bar, ad aspettare che il mio turno iniziasse.
Giravo per il locale, volevo conoscere ogni angolo di quel locale, ogni singolo tavolino, ogni sedia ed ogni muro e di muri da conoscere ce ne erano davvero tanti.
Era immenso quel posto, davvero grande, ma l'avrei dovuto conoscere appieno se volevo lavorare lì.

Sui muri si trovavano foto di Rockstar, evidentemente state ospiti in quel bar.
Era meraviglioso quel posto, lo era davvero tanto e la paura di poter essere licenziata saliva ogni qualvolta il mio sguardo incrociava una foto di una rockstar.
La mia attenzione si soffermò su una foto di un gruppo che, prima di allora, non avevo mai visto.
Sullo sfondo si trovava un cerchio oro, con dentro un paio di fucili e, anche se si intravedevano appena, due rose. Supposi fosse il logo della band. A coprire quel logo c'erano cinque ragazzi.
Il primo aveva dei capelli biondi e mossi, delle ciocche gli ricadevano sugli occhi e in testa aveva un cappello, uno di quelli da baseball.
Il secondo ragazzo era il più particolare fra tutti. Aveva dei capelli lunghi, ricci e neri che gli coprivano tutto il visto, lasciando scoperti solo il mento e la bocca. In testa portava un cilindro nero che, a guardarlo, sembrava incastrato in cima al capo.
Il terzo invece sembrava un ragazzo completamente sicuro di se, forse era per quello che era l'unico in primo piano, mentre tutti gli altri erano dietro di lui. Aveva dei capelli lunghi e rossi che gli ricadevano sulle spalle, sulla fronte aveva una bandana blu. Il braccio sinistro era pieno di bracciali e la mano sinistra di anelli, mentre sul braccio destro era tatuata una strana croce.
Per quanto riguardava il quarto dei cinque non c'era molto da dire, si intravedeva appena il viso, e, a giudicare dall'espressione, avrebbe preferito non esserci proprio in quella foto. Sembrava scocciato, un ragazzo tutto sulle sue, con dei capelli non tanto lunghi e neri.
Mentre il quinto... quello si che mi colpì davvero tanto. Quel ragazzo che fra tutti era sicuramente il più alto, aveva dei capelli biondi, ossigenati sicuramente, un fisico mozzafiato, degli occhi splendidi e un sorriso che lasciava senza respiro.
Continuavo a guardare l'ultimo ragazzo, mi sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma chissà dove, poi notai un particolare, una collana. In realtà non era proprio una collana, era una catena con attaccato un lucchetto.
Quella collana era la stessa che aveva il ragazzo a cui, poco prima, avevo chiesto informazioni.
Ma certo! Ecco dove l'avevo visto, quello della foto era il ragazzo che avevo visto qualche ora prima.
Le ore passarono veloci e finalmente iniziò il mio turno di lavoro.
Andai al bancone aspettando che arrivassero i primi clienti, ma bastò poco tempo e il bar era già pieno.
Prima di andare a prendere le ordinazioni Chris, il mio capo, mi diede un consiglio:
“Se qualche cliente allunga troppo le mani lascialo fare, a meno che tu non voglia nessuna mancia.”
Lo guardai ad occhi sbarrati, ma non potevo fare altrimenti. Mi servivano i soldi e delle mance non le potevo di sicuro rifiutare, non potevo permettermelo.
Iniziai a prendere le ordinazioni ai vari tavoli, finché non capitai ad un tavolo dove, seduti, c'erano i cinque ragazzi della foto.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** welcome to the jungle ***


Raggiunsi quei cinque ragazzi al tavolo, facendomi strada tra le varie mani che si allungavano su di me, qualcuno anche cercando di tirarmi a sé, rendendo quei pochi metri estremamente faticosi.
 
“Ciao ragazzi, volete ordinare?” Chiesi guardandoli ad uno ad uno in faccia.
 
“Non ci chiedi un autografo?” A parlare era stato il ragazzo con il cilindro, con un sorriso beffardo in viso.
 
“Emh no, vorrei solo la vostra comanda” Alzai un sopracciglio come reazione alla sua sfrontatezza, poi scossi semplicemente la testa.
 
“Tesoro siamo i Guns N' Roses, come puoi non volere un autografo?” Questa volta a parlare era il ragazzo troppo sicuro di se, quello con i capelli rossi.
 
Tutti e cinque si misero a ridere e io mi sentii in imbarazzo.
 
“Senti, se non vi avessi visti in quella foto attaccata qui al locale non vi avrei nemmeno riconosciuto, non vi conosco quindi o mi dite ciò che volete o passo al tavolo dopo” Iniziai ad innervosirmi ma cercai di mantenere la calma.
 
“Io prendo te, posso?” era sempre quel ragazzo con i capelli rossi a parlare e risero tutti dinuovo.
 
Iniziavo a stancarmi, ma intervenne fortunatamente il ragazzo ossigenato a cui avevo chiesto indicazioni dando una gomitata all'amico
 
“Dai Axl, fai il serio. Ordiniamo e basta, non è una delle tue solite groupie”
 
Wow, quindi il ragazzo con i capelli rossi si chiamava Axl. Un passo avanti per conoscere i Guns N' Roses, chiunque essi fossero.
Ma ciò che mi colpì di più fu il comportamento del ragazzo biondo ossigenato.
 
Mentre io scrivevo i cinque continuavano a sparare nomi di panini e ad ordinare almeno una bottiglia di Jack Daniel's ciascuno.
Senza pensarci troppo scrissi quello che mi avevano chiesto e poi portai il foglietto al bancone.
Lì Chris attaccò subito a parlarmi di quei cinque, dopo aver passato tutti i precedenti minuti a fissarmi e studiare il mio comportamento:
 
“Non so se tu li hai mai sentiti, ma quelli sono i Guns N' Roses piccola, la band più popolare in circolazione in questo momento qui in California e non mi interessa dei tuoi modi da suora, se uno di quelli ti tocca lascialo fare o non torneranno più qui, okay? Quindi ora va lì, sbattigli culo e tette in faccia. Il bagno è là, vedi di non farli andare via definitivamente”.
 
Iniziava a darmi sui nervi quel suo modo di ragionare. Praticamente a sentire lui mi sarei dovuta vendere a quei tipi solo per farli tornare al bar, solo perché avevano i soldi o il nome.
Lo dovevo fare però, mi servivano anche a me dei soldi, non solo al bar, così gli diedi ascolto e feci esattamente ciò che mi era stato chiesto di fare.
 
Tornai lì con i loro panini camminando in modo sexy, odiavo farlo, ma dovevo.
Sbattei tette e culo qua e la fra quei cinque ragazzi, ma sapevo che più che altro dovevo puntare ad Axl, era quello che stava a capo del gruppo, quindi dove andava lui andavano gli altri.
Non mi sentivo a mio agio in quel ruolo, quello della groupie non era il mio. Mi sentivo goffa ma evidentemente non lo ero, non lo ero per niente a giudicare da quello che successe dopo.
***
 
Mi diressi verso il bagno, volevo darmi una rinfrescata prima di riprendere a lavorare.
Mi sciacquai il viso, mi asciugai con le salviette che stavano lì e quando mi girai qualcuno attendeva alle mie spalle, facendomi sussultare
 
“Axl, che ci fai qui? Insomma questo è il bagno delle donne e tu sei un uomo” inarcai un sopracciglio.
 
“Lo so, ma non sono qui per andare in bagno, cercavo qualcun'altra a dire la verità”.
 
“oh, capisco … “ Ora sollevai anche l'altro sopracciglio, aprendo un po' di più gli occhi “e l'hai trovata?”
 
“direi proprio di si” sorrise maliziosamente mentre si avvicinava a me.
 
“mi fa piacere” cercai di evitarlo, continuavo ad indietreggiare e lui a venire verso di me, ma ben presto mi trovai incastrata, spalle contro il muro.
 
“tesoro tu non puoi provocare in quel modo e poi pretendere di non essere sfiorata nemmeno con un dito da me, sai?!” mise una mano intorno al mio collo, stringendolo, il che mi rese inevitabilmente preoccupata da quella situazione.

 “Axl mi fai male” cercai di dire con la voce appena strozzata, ma a lui non sembrò importare molto, mentre si avvicinava sempre più con il viso al mio collo fino a poggiarci le labbra contro per baciarlo e morderlo.
Avrei dovuto ribellarmi, urlare, farmi aiutare da chiunque fosse nelle vicinanze, ma la realtà era che, innanzitutto, mi avrebbero licenziata, secondo poi, e forse questo era il peggio, quella situazione mi piaceva. Tanto. 
 
Ci ritrovammo nudi, io in braccio a lui e lui che mi schiacciava contro il muro, intento ad entrare in me. 
Fortunatemente, aveva messo una delle due mani a premere contro la mia bocca, mentre lui teneva stretto tra i denti il suo labbro inferiore, il che era un bene, almeno così i nostri gemiti non sarebbero stati sentiti in tutto il locale, come se il nostro stare lì dentro per così tanto tempo o l’uscire insieme da un bagno non avrebbe destato comunque sospetti dalle facili risposte. 
 
Venne dentro di me e non ebbi il tempo di capire se fu più eccitante la sua espressione di quel momento o vederlo stremato con una mano poggiata ancora contro il muro a riprendere fiato.
Ma fu davvero un momento, poi ci rivestimmo, io di fretta, lui un po' meno ed uscimmo dal bagno.

 Il vero imbarazzo lo sentii uscendo da quella porta, per tornare in mezzo ai tavoli. Sentii gli sguardi di tutti su di me, cercai di non farci caso ma potevo percepirli da ogni lato, tuttavia dovevo tornare a lavorare, come se fosse tutto normale, come se non fosse mai successo null, e così feci.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Paradise City ***


Tornai in albergo distrutta, mi buttai sul letto e mi addormentai quasi subito.
 
La mattina dopo notai un bigliettino sotto la mia porta con sù scritto "buongiorno splendore. Axl"
 
Che diavolo voleva? E come aveva scoperto dove alloggiassi?
Sicuramente glielo aveva detto Chris, ovvio.

Poi il telefono della stanza suonò. Risposi al secondo squillo, era Axl.

"Ciao Axl, buongiorno anche a te. Sai, mi sto chiedendo come fa una persona di cui conosco a malapena il nome a rintracciarmi così, è strano ed inquietante, non trovi?!"

"Ciao anche a te splendore" Rise con quella beffardaggine che sembrava accompagnarlo sempre "Vuoi sapere di più di me? vieni oggi pomeriggio davanti al Rainbow, ti porterò in un posto e scoprirai qualcos'altro"

Quella domanda arrivò inaspettata prendendomi di sorpresa, ma alla fine accettai.
 
Il pomeriggio mi feci trovare davanti al Rainbow, Axl mi porse il braccio e io lo presi a braccetto.
 
“Dove stiamo andando?”

“Ti porto a vedere cosa faccio nella vita per campare”

Scossi le spalle e lo seguii.
 
Arrivammo davanti ad un locale, dove entrammo.
Il locale puzzava di birra, un odore pungente e fastidioso, mischiato a quello di una cappa di fumo di decine e decine di sigarette, così densa da potersi tagliare con un coltello.
Dovemmo scendere una scala e poi ci trovammo davanti ad una porta, quando l'aprimmo capii.
Eravamo alla loro sala prove, quella dei Guns N' Roses. Improvvisamente, Axl non mi sembrava più così male, insomma aveva deciso di aprirsi in qualche modo, visto che mi conosceva da molto poco non era per niente scontato, per cui era inevitabile almeno apprezzare il gesto
 
Ovviamente nella sala c'erano anche gli altri ragazzi, ognuno con il proprio strumento.
Il ragazzo ossigenato teneva in mano un basso, quello con il cilindro accordava una chitarra elettrica, l'altro ragazzo biondo continuava a far girare delle bacchette intorno alle dita e l'ultimo dei cinque, quello con l'espressione perennemente annoiata, se ne stava seduto con un'altra chitarra.
 
“Ora ascolterai la mia vita”.

Risi, quella frase sembrava tratta da uno qualsiasi di quei film romantici e drammatici. Poi lui andò a prendere un microfono mentre gli altri si posizionarono ai loro posti, e fu allora che iniziò la loro canzone:
 
“Take me down to the paradise city
When the grass is green and the girls are pretty
I want to please take me home!”
 
Era fantastico stare lì a guardarlo, non sembrava più quel ragazzo rude e perverso che avevo conosciuto al bar, ora sembrava così dolce, quasi come se, davanti ad un pubblico, per quanto esso potesse essere modesto, non riuscisse più a nascondersi dietro quell'aspetto da duro. Così capii: la musica, il canto, il suo gruppo era la sua vita.

Persa nei miei pensieri non mi resi conto che la canzone era giunta al termine, ma riuscii a cogliere la fine di quella canzone. Tutto era stato meraviglioso, la canzone era fantastica e la grinta di Axl era incredibile!
 
“Allora, che ne pensi?” Chiese lui venendo verso di me
 
“Wow, Axl siete stati fantastici!”
 
“Grazie piccola”
 
Non disse né fece altro, mi lasciò semplicemente lì, come se nulla fosse, rimasi attonita. Gli altri poi si avvicinarono a me, ma solo il ragazzo ossigenato venne a parlarmi con un gran sorriso

“Non è sempre così freddo Axl, solo quando canta davanti ad una ragazza e non davanti ad un pubblico” rise “io sono Michael ma chiamami Duff, piacere”

"Io sono Les” sorrisi “ Spero di non essere stata un peso”
 
“ma no, figurati” continuava a sorridere “Vieni, ti presento gli altri”
 
Mi prese per mano e mi portò verso gli altri membri del gruppo.
 
“Allora ragazzi, lei è Les”

Si presentarono tutti, il che mi fece scoprire che il batterista si chiamava Steven, il chitarrista solista Saul, ma si faceva chiamare Slash, e l'altro chitarrista si chiamava Jeffrey, ma tutti lo chiamavano Izzy.
 
“Stiamo andando a prendere una birra al bar qui fuori vuoi venire?”
 
“Va bene” sorrisi e mi unii a loro.
***
 
Arrivata al bar vidi Axl guardarmi quasi come per dirmi “ancora qui?”, per un po' lo ignorai, poi però finalmente si decise a parlarmi.

“vieni con me” mi prese per mano e mi portò in una stanza poco affollata .
“Senti, quello che hai visto, insomma, il mio essere delicato mentre cantavo, il mio non essere duro nei miei modi di fare, non raccontarlo a nessuno ok? Mi manderesti in rovina”.
 
“Ma perché? Eri fantastico!”
 
“ Non farlo cazzo!”iniziava ad alterarsi “Le teen-agers sono quelle che comprano più cd e ormai per loro sono un uomo duro e perverso, uno di quelli che verrebbero volentieri in uno dei loro letti, ma non è così! Hanno creato questo personaggio su di me ed a quanto pare funziona.
Mi piace scopare, si, non vedo il problema e non faccio fatica ad ammetterlo, ma non sono duro, né tanto meno pedofilo! Quindi non andrei mai a letto con una di quelle fottute ragazzine, non voglio altri guai con la legge, ma se tu rovini il mio personaggio rovini me e rovini loro, gli altri, il gruppo e non deve succedere okay?”
 
“va bene, non dirò nulla, tranquillo”
 
“giuralo”
 
“non ti fidi?”
 
“giuralo cazzo!”
 
“okay, lo giuro! cazzo Axl calmati!” Sgranai gli occhi, quel suo essere così bipolare mi lasciò allibita, sembrava impazzito.
 
“Al diavolo” Ecco, appunto.
 
“Dio, ma perché fai così?”
 
“Non mi fido okay?"
 
“Nemmeno io mi fido di te, ma io te lo sto giurando e sono sincera!”
 
“D'accordo" Sospirò, in un chiaro intento di ritrovare un po' di calma "ma prova a svelare tutto e saranno cavoli tuoi” poi finalmente si calmò.
 
“Non lo farò” abbassai lo sguardo, un po' scossa da quel suo atteggiamento e sicuramente delusa dal modo in cui mi aveva trattata, ma cosa mi aspettavo d'altronde?

Prese il mio mento tra le dita, sollevando il viso in modo da riportarmi a guardarlo e mi baciò intensamente. Le nostre lingue si intrecciarono per cinque interi minuti, portai le dita tra i suoi capelli morbidi, mentre lui percorreva la mia schiena fino a scendere sulle mie natiche.
Sarei potuta rimanere così a lungo, mi piaceva come mi faceva sentire, quella sua sicurezza mi faceva sentire un po' al riparo, sebbene, visto il suo atteggiamento di poco prima, non era certo lui che avrebbe potuto proteggermi, anzi forse era proprio da lui che avrei dovuto difendermi.
Qualche minuto ancora, poi raggiungemmo dinuovo gli altri al tavolo.
Quando tornammo Duff, Slash, Izzy e Steven ci guardavano come se avessero capito tutto di quello che era successo tra noi, evidentemente era una cosa tipica di Axl stare interi minuti solo a limonare con una ragazza.
 
Passamo un paio di ore a scherzare, ridere, fare casino insomma, accompagnati da diverse birre.
Alle sette di sera Axl mi riaccompagnò in hotel, mi baciò e poi se ne andò.
Tornai in camera continuando a pensare alle sue parole, non l'avrei deluso.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** There's a lady who's sure all that glitters is gold ***


Mi sdraiai sul letto, mentre continuavo a pensare a lui, ad Axl. Quel suo essere duro, imprevedibile e dolce, in qualche modo, aveva un nonsoché di magnetico.
Sapevo che per lui ero un passatempo, era una rockstar in uno dei momenti più alti della carriera ed ero consapevole che, prima o poi, mi sarei bruciata. Tuttavia, era riuscito a prendermi.
Sarei dovuta stare attenta, certo, ma non avevo nessuna intenzione di allontanarmi ora da lui. D'altronde, ero a Los Angeles, ero in qualche modo e con qualche ruolo entrata nella cerchia di una delle band più gettonate del momento e, per quanto pericoloso potesse essere, scagli la prima pietra chi si sarebbe effettivamente tirato indietro al mio posto.
Continuai a pensare a lui per un' oretta almeno, poi finalmente mi addormentai.

***

La luce iniziò a filtrare oltre le tende della camera, diretta verso il mio cuscino, il ché mi svegliò.


Rimasi per un po' nella mia camera, da quando ero lì non avevo mai effettivamente osservato quella stanza, se non di sfuggita, nel tratto porta-letto.
Era bellissima, non era una suite, ma era comunque spaziosa.
All'ingresso si trovava un piccolo divanetto con un tavolino, c'era poi un breve corridoio che si diramava in tre stanze, la camera con la cucina, il bagno e la camera da letto.
In realtà la cucina e l'ingresso erano divise solo da un muretto basso in marmo grigio.
La camera aveva un armadio a muro che prendeva tutta una parete laterale, aveva le ante nere e le maniglie in legno, le pareti erano anche quelle nere e il letto, posto in mezzo alla camera, era bianco.
Di quest'ultimo colore era anche il bagno, con una vasca idromassaggio rotonda che riempiva quasi tutto lo spazio.

Finii il giro, mi vestii e scesi nella hall dell'albergo.
Le mie intenzioni erano quelle di andare a pranzo al Rainbow, ma qualcosa cambiò i miei programmi.

“Signorina Les, hanno lasciato queste cose per lei”

Mi avvicinai al bancone della segreteria. Avevano lasciato un paio di chiavi e un foglio con un indirizzo scritto sopra.

“Sa dirmi chi l'ha lasciati?”

“No, non ha voluto fare nomi. Parlava di una sorpresa … chiunque esso sia era un bel ragazzo”

Sorrise e sorrisi anche io, poi presi le chiavi e il foglietto e, dopo aver chiamato un taxi, raggiunsi l'indirizzo.
Quando arrivai a destinazione, la sorpresa fu sicuramente grande.
Un enorme giardino delimitato da dei roseti ospitava un'altrettanto grande villa, una di quelle da rivista che non si vedono comunemente nelle vie.
Scesi dal taxi, mi avvicinai al cancello di quattro metri in ferro e, dopo aver provato le varie chiavi, riuscii ad entrare.
Qualche passo lungo il vialetto in ciottoli al centro del campo in erba, poi finalmente si parò davanti a me la porta dell'abitazione. Era aperta, così con un timido "permesso" mi decisi ad entrare.

“Ciao piccola”

 

Non capii bene da dove arrivasse quel saluto, ero sola in quel salone immenso, ma riconobbi la voce: era Axl. 
Lo vidi scendere la scala bianca che si parava imponente davanti ai miei occhi: era bellissimo, in quel momento impegnato nell'allacciarsi dei pantaloni di pelle neri. Di una maglietta nemmeno l'ombra però.

“Cavolo, la casa è pazzesca!”

“Sono felice che ti piaccia tesoro”

“E non poco” risi, ma evidentemente non fu una cosa divertente perché non mosse ciglio, così tornai subito seria e cercai di eliminare velocemente quel momento di imbarazzo “Allora, come mai hai voluto che io venissi qui?”

“Così”

“Ma come così! Lasci le chiavi della casa dove vivi alla prima persona che trovi?”

“Questa non è la mia casa, qui ci porto le groupie dopo i concerti, la mia casa è a Lafayette”

“Axl, vedi di metterti in testa che io non sono una delle tue solite groupie okay?!”

“Ehi tesoro, non l'ho mai pensato!”

“Hai detto che qui ci porti le tue groupie ed hai portato me!”

“Questo non vuol dire che io ti consideri una groupie cazzo! Ti ho sempre considerato diversa, già da quella sera al bar”

“Meglio per te allora”

“beh ma questo non vuol dire che non mi piacerebbe fare sesso con te”

“Ma seriamente?!" Davvero non riusciva a pensare ad altro?

“Tranquilla, se non vuoi farlo oggi io posso aspettare, per quanto la mia testa continui a dirmi di non sprecare tempo. Ma non sono uno stupratore, quindi puoi star sicura che non ti salterò addosso e rispetterò i tuoi limiti”

“Oh beh grazie, iniziavo ad aver paura” risi.

“Ehi, per chi mi hai preso?” rise anche lui.

“per il cantante di un gruppo Rock, al quale sbavano dietro tremila ragazzine, erro?!”

“no, non erri”

“Bene, ed essendo tutto un 'droga, sesso e rock n' roll' iniziavo a preoccuparmi sulla parte 'droga e sesso' ”

“Questo non significa mica che rimaniamo rintanati ventiquattro ore su ventiquattro dentro casa a bucarci o a sniffare, né tanto meno vuol dire che siamo degli stupratori!" Scosse la testa, poi sbuffò una piccola risata tenera, mentre con una mano prese una ciocca dei miei capelli, con i quali iniziò a giocare "Piccola, hai ancora tanto da imparare.
Questo è Rock, è uno stile di vita di cui la gente con altri ideali non sa praticamente nulla.
Non siamo una massa di drogati o depravati! ci piace fare sesso, ma a chi non piace?! E ogni tanto sniffiamo qualche grammo di cocaina, è vero, ma cerchiamo anche di contenerci! Se vedi un rocker uccidersi di coca vuol dire che qualcosa non va. Non siamo stupidi e non arriviamo ad ucciderci o a farci arrestare senza motivo.
Hai ancora tanto da imparare.”

“Potresti insegnarmi tu”

“Va bene, ma non rimanere delusa se poi scopri che non è tutto oro quel che luccica”

“Tranquillo, non lo farò”

“posso baciarti?”

“Se vuoi” Scossi appena le spalle, mentre quel suo cercare di insegnarmi i loro ideali, il loro stile di vita, mi aveva fatto sentire così piccola da guardarlo quasi con gli occhi di una bambina.

Poi si avvicinò a me, mi prese il viso con le mani e iniziò a baciarmi, prima con piccoli baci ripetuti, infine concluse il tutto con un bacio lungo e intenso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Starlight ***


Dopo il bacio, ci guardammo qualche secondo negli occhi, io sorridevo dolcemente, lui sembrava notare in me tanta ingenuità. Poi mi prese per mano e mi portò al secondo piano della casa.
Ovviamente, essendo Axl Rose, non poteva accontentarsi di una semplice casa ad un piano, quella casa ne aveva ben tre, al primo c'era solo il salone collegato alla cucina, mentre al centro della stanza una scala in marmo bianco portava ai piani superiori, i quali si affacciavano sulla sala del piano terra.

Salimmo la scala e arrivammo al piano intermedio. Consisteva in un corridoio lungo il quale si trovavano le porte di varie stanze, una delle quali doveva fungere da “studio”, con una scrivania coperta da varie scartoffie ammucchiate sopra, una libreria che riempiva tutta la parete dietro alla scrivania, due poltrone ed un tavolino.
Il corridoio si diramava poi in due direzioni, entrambe finivano con due stanze, una era un bagno, l'altra invece era chiusa.

Axl e io ci fermammo proprio davanti alla stanza chiusa, ma prima di aprire la porta si voltò verso di me e mi guardò negli occhi:

“ Non lasciarti contagiare da ciò che vedrai, ho detto che aspetterò quando sarai tu a voler fare ancora sesso e mantengo la mia parola. Non ho cattive intenzioni, sul serio”

“Okay, cercherò di non pensare male” risi e lui sorrise di risposta.

Aprì la porta e mi trovai nella sua camera da letto. Quella stanza aveva quasi le dimensioni di un monolocale, con due finestre per ogni parete, tranne quella dietro al letto, ognuna coperta da delle tende bianche.
Al centro della stanza si trovava un enorme letto rotondo dello stesso colore, il che non fece che portare la mia testa ad immaginare quante groupie avessero potuto giacere con lui su quel materasso, lasciandomi quasi disgustata.

Mi trascinò sul letto e mi sedetti sul bordo, lui invece si sdraiò.

“Perché non ti sdrai anche tu?”

“Non mi va” mentre parlavo guardavo davanti a me, senza mai incrociare il suo sguardo.

“Sembri disgustata"

“ è tanto evidente?!”

“abbastanza, ma tesoro, puoi stare tranquilla: su questo letto non c'è stata una sola groupie, sei la prima ragazza che lascio sedere qui, per le groupie ci sono i letti al piano di sopra, i divani, i tavoli e le sedie.
In realtà, ci sono anche delle sale giochi al piano di sopra, per quando vengono i ragazzi, e tre stanze a parte per gli ospiti.” Sembrava tenerci davvero tanto a milantare la sua "casa vacanze".

“Ma perché mi dai tanta importanza? Mi conosci appena e mi hai fatto venire in questa casa pur non considerandomi una groupie, mi fai stare sul tuo letto e sono l'unica ragazza che è mai stata in questa stanza. Mi concedi così tanto e ti fidi talmente tanto di me da lasciarmi persino le tue chiavi di casa. Ci conosciamo da tre giorni al massimo, perché tutto questo?” La domanda nacque spontanea a quel punto. Insomma, io di lui sapevo solo che si chiamava Axl, che era un cantante e che la sua band sembrava avere molto successo. Dall'altro lato, lui di me conosceva solo il mio nome e la mia momentanea occupazione. Per cui, perché?

“Te l'ho già detto, tu sei diversa”

“ ma come fai a dirlo?” Chiesi portando finalmente gli occhi su di lui, girandomi con una leggera torsione del busto, sicuramente una posizione poco comoda, così mi aiutai appoggiando una mano contro il letto, sulla quale feci leva. 

"lo dico perché beh, Les quando scopo le altre io non provo niente, se non del semplice e puro divertimento ed appagamento personale. Ma quando sto con te è... non lo so, diverso."

"Wow Axl, non ti starai mica iniziando già ad affezionare!" Risi scuotendo appena la testa, che poi inclinai su un lato, lasciando che i miei capelli sciolti coprissero la spalla ed il braccio su cui gravava parte del mio peso.

“non l'ho detto, ho detto solo che è diverso!" RIse anche lui "ma non è nulla di preoccupante, tranquilla, ne uscirai viva” presi un cuscino e gli tirai una cuscinata che lui parò con un braccio “dai, ora ti sdrai accanto a me?”

“Daccordo, anche se, in realtà, vorrei chiederti altre cose, ma penso che per oggi la smetto con le domande” alzai le mani in segno di resa, poi mi distesi poggiando la testa sul suo petto prima di iniziare a passarmi delle ciocche dei suoi capelli tra le dita.

“ti piacciono i miei capelli?”

“tanto” risi.

“ anche i tuoi sono belli, ma devo ammettere che i miei non sono niente male”

e così rise anche lui.

“oh beh, modesto!”

“ me lo dicono spesso”

“ e che altro ti dicono spesso?”

“ oh axl ah!” imitò i gemiti di qualche ragazza, e come risposta gli tirai un piccolo schiaffo scherzoso “no, in realtà mi dicono che sono molto ritardatario e non si sbagliano, lo sono davvero. Per esempio...” guardò un orologio che era poggiato su un comodino accanto al letto tirandosi appena su con il busto "...in questo momento sono in ritardo, sarei dovuto stare mezz'ora fa in sala a provare con i ragazzi, domani abbiamo un concerto"

“e allora vai, che aspetti?!” Sorpresa sollevai entrambe le sopracciglia, mentre la bocca rimase semi-aperta, un po' per il divertimento ed un po' per lo stupore

“vieni con me?”

“ Va bene, vengo” Rise, evidentemente colse nelle mie parole un doppio senso “vengo nel senso che ti accompagno!” E dinuovo quell'espressione di sorpresa ed allegria si palesò sul mio volto

“oh si, era quello che stavo pensando! Che ti fa credere che stavo pensando ad altro?!” Questa volta fu lui ad alzare le mani come ad arrendersi, con una finta aria di innocenza

“ niente, giusto le tue risatine”

“Va bene, evito di fare il coglione... ci provo” poi scese dal letto, prese la giacca di pelle e mi aspettò sulla porta “allora,andiamo?”

Mi alzai dal letto e lo raggiunsi, gli diedi un bacio e scesi al piano di sotto, poi mi girai per vedere se fosse dietro di me e, quando arrivò, uscimmo.
Salimmo sulla sua Harley Davinson, che era parcheggiata davanti alla casa e partimmo, dirigendoci verso la sala prove. Dieci minuti dopo eravamo lì. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** You're a lie ***


“Ehi Axl, ce l'hai fatta!” era Duff che parlava “Ciao Les” sorrise guardandomi.

 “Ciao Duff, è colpa mia se Axl è in ritardo”

 “non preoccuparti, siamo abituati”.

 Axl non disse una parola, ma compresi che gli aveva dato fastidio quello che Duff aveva detto, sebbene stesse scherzando.

“allora, iniziamo le prove?” Axl si mise nella sua postazione, impugnò il microfono, mi guardò, sorrise e ammiccò, poi iniziarono a suonare.

 
***
 
Passarono un paio di ore, tra una canzone e l'altra il tempo correva, suonarono una decina di pezzi, alcuni li ripeterono più volte, altri li accennarono solo, altri ancora li suonarono per intero ma solo una volta.

“Direi che per oggi può andare bene così” Axl era il leader, per quanto ognuno fosse importante e indispensabile nella band, lui era a capo dell'organizzazione delle prove, nonostante la poca affidabilità legata al suo vizio di essere perennemente in ritardo.

. “ Avrei preferito riprovare l'intro di Sweet Child O' Mine" borbottò Slash spegnendo l'amplificatore. Sembrava molto stressato mentre parlava e abbastanza irritato.

“Lo proverai domani” rispose Axl senza dargli neanche troppo peso, poi venne verso di me e mi baciò “allora, che te ne è parso?”

“ Siete stati fantastici!” sorrisi e ricambiai il suo bacio, per poi abbracciarlo.
Guardai gli altri, erano in circolo a farfugliare frasi sottovoce, alcune le riuscii a capire: parlavano di me, c'era chi mi veniva contro e chi invece mi difendeva, chi mi vedeva come un ostacolo, chi invece come un mezzo miracolo, un mezzo di salvezza per la band.
Sentii Slash dire “ quella ragazza rovinerà presto la band più di quanto non sia già rovinata di suo” ed Izzy replicare “ Gli ci mancava giusto la ragazza a quel coglione”; Duff e Steven invece mi difendevano. Duff sostenendo che fossi "una ragazza a posto, con la testa sulle spalle”, Steven arrivò addirittura ad affermare che sarei stata "la salvezza della band" e che avrei finalmente fatto "rigare dritto Axl”.
Smisi di ascoltarli, mi sentii grata verso Duff e Steven, ma non potei dire lo stesso di Slash e Izzy.

“tesoro, ti va di andare a bere qualcosa io e te?” Axl catturò dinuovo la mia attenzione, discostando il mio pensiero dai castelli che si erano creati in seguito a quei battibecchi generati rispetto alla mia persona.

Annuii solo, sorridendo ma con poca tranquillità, in una fase di passaggio dalle mie paranoie alla realtà, che non mi permise di esprimermi a parole. Poi salutammo gli altri e ce ne andammo.
 
***

“Axl, devo parlarti”

“Dimmi tutto” mi sorrise e mi prese una mano

“Slash e Izzy mi odiano”

“No tesoro, Slash odia me e Izzy è invidioso”

“Invidioso perché io ho te o perché tu, al contrario suo, hai una ragazza?”

 “No, perché tu hai me” rise “ devi sapere che …” Tuttavia non concluse mai quella frase, poiché venne interrotto da una fan che gli chiese un autografo, ma non di quelli normali che vengono scritti sopra un pezzo di carta. No, la ragazza arrivò davanti a lui, si tolse la camicia e lo pregò di autografargli il seno.
Guardai la scena allibita, stavo per mettermi a ridere ma mi trattenni. Lei, invece, sembrava guardarmi con odio, quasi come se quello sguardo avesse voglia di gridarmi in faccia “puttana”. Ammetto che avrei tenuto lo stesso atteggiamento se mi fossi trovata nei suoi panni, ma questa volta io ero dall'altra parte, ero io quella che agli occhi di tutti era la sua ragazza – sebbene non fosse realmente così – interessata solo ai suoi soldi ed alla fama. L'intera situazione stava per darmi ai nervi.

“Vado in bagno” Così mi alzai e me ne andai, Axl invece non mosse ciglio.

Al mio ritorno le fans erano aumentate, la prima arrivata doveva aver fatto passaparola.
Quelle ragazze erano una più svestita dell'altra, con magliette attillatissime, cortissime e scollatissime, mini-gonne quasi inesistenti e tacchi vertiginosi.Gli prendevano le mani e se le mettevano sui seni, e lui sembrava così divertito dalla situazione, ma anche appagato.
Vidi quella scena e sentii l'adrenalina salire, il cuore accelerare e battere irregolarmente, lui non fiatava e io ero arrabbiata, arrabbiata e delusa dal suo comportamento.

“Axl cosa stai facendo?” Lo guardai disgustata. Mi sentivo anche stupida per essere rimasta sorpresa da quella scena, in fondo lui mi aveva avvertita, mi aveva parlato dell'immagine che doveva conservare, per cui stava a me decidere se prendere o lasciare.

 “Tesoro, chi sei sua madre? Non ti illudere, non ti considera, ma se ci tieni fai la fila come tutte le altre” Fu una delle fans a rispondermi.

“No, io... lasciamo perdere.” Scossi la testa, facendo per andarmene.

“Ecco appunto” Tutte le altre scoppiarono a ridere e lui con loro.

 “Dai Les, ci stiamo solo divertendo un po'” Axl parlava come se fosse tutto molto normale, ma per me non lo era.

“Al diavolo, io me ne vado”

“Ecco brava, vattene” Quella ragazza iniziava a darmi sui nervi, avrei volentieri scagliato un pugno contro quel suo bel viso da Barbie, ma mi contenni.
Uscii a passo svelto dal locale, mi sentivo umiliata e, un po' per quella sensazione, un po' per la rabbia, delle lacrime iniziarono involontariamente a rigarmi il viso.
La gente mi guardava, ma io non ci facevo caso, camminavo spedita fissando solo davanti a me, senza sapere nemmeno dove stessi andando.

“Ehi Les” Sentii qualcuno urlare il mio nome, ma non mi girai.

“Axl vattene” Urlai di risposta. La voce non era quella di Axl, ma pensai che poteva aver bevuto e che l'alcool l'avesse potuta distorcere.

“Hai problemi di vista?” Ora quella persona era dietro di me, ma non mi girai per rispondergli, continuai ad andare dritto, parlando senza guardarlo.

 “No, non ho nessun problema di vista.”

 “E allora sei daltonica! Sai com'è Axl è molto più basso di me e poi lui ha i capelli rossi!” Adesso quel ragazzo era fermo davanti a me, così da potersi far riconoscere: era Duff.

“ Scusami Duff, pensavo fossi Axl” Risi ma con dell'amaro ancora in bocca.

 “Ma per tua sfortuna non lo sono” rise anche lui, sebbene il suo entusiasmo si spense poco dopo, quando notò il mio sguardo “o forse dovrei dire “fortuna” .. cosa è successo? Hai una pessima cera”

“Eravamo al bar, una fan è arrivata, mi guardava malissimo, così sono andata in bagno perché iniziava a darmi fastidio quella tipa e al mio ritorno erano una decina!" Parlavo veloce, la fronte mi si corrugava e le sopracciglia si aggrottavano, facendomi velocemente assumere un'espressione più severa, mentre il mio sguardo era in basso a sinistra, come avviene quando si sperimenta ancora una sensazione del passato "Gli prendevano le mani e se le mettevano ovunque! Chi sul culo, chi sui seni, chi persino … Hai capito no?! E lui ci stava! Cazzo se ci stava!” E così ripresi a guardarlo, strabuzzando gli occhi.

“Si, ho capito..." Mostrò apprensione nei miei confronti, si morse appena il labbro inferiore e poi sospirò "Devi farci l'abitudine, Axl è strano parecchio, non si accontenta di una ragazza, lui le vuole tutte e... beh non si limita neanche alle ragazze! Se vuoi stare con lui, ti conviene farci l'abitudine”

“Diceva che fossi diversa e che si sarebbe potuto affezionare a me...”

“Oh non lo metto in dubbio, e non penso neanche che stesse mentendo!" Esclamò lui, come a volermi subito fermare da quel mio pensiero che mi stava portando a considerare le parole di Axl una falsità "Lui non è incapace di provare sentimenti, intendiamoci, anzi forse ne prova pure più di noi! Sarebbe persino in grado di amare più persone contemporaneamente, per quanto ne so."

“ Beh io non starò tra loro”

“Cosa intendi fare?”

“Non lo so, però non voglio frequentarlo più.”

“E perché?"

“Perché questo manderebbe a puttane la band. Aspetta che sia lui a lasciarti."

"Stai scherzando" Scossi la testa allibita, portandomi una mano sul viso. Ma in che razza di gruppo ero finita? Ce ne stava almeno uno mentalmente sano?

"Fallo per me, ti prego! O per Steven o per chi ti pare, però aiutaci”
 “Mi stai chiedendo di farmi usare da lui! Ti rendi conto?" No, non ero solo sbigottita, ero profondamente turbata. Come poteva passargli per la testa una cosa simile?!

“Ti sto chiedendo di non rovinare la band, che è tutto ciò che tiene in vita me e gli altri. Senza saremmo persi, torneremmo a buttarci nei peggiori sobborghi della città, gli stessi da cui siamo stati salvati, tra alcol e siringhe. Per molti di noi, questa è stata la terapia per salvarci da morte certa. Quindi, in poche parole, ti sto chiedendo di non uccidere quattro persone relativamente innocenti per colpa di un solo idiota”

"Va bene, lo farò" un sorriso amaro si aprì sul mio viso. Non era bello quello che mi stava chiedendo, né quello che avrei dovuto fare, ma come potevo abbandonarli? Se era vero tutto ciò che mi aveva appena raccontato, avrei anche potuto avere cinque persone sulla coscienza, per quanto ne sapevo.

“Grazie” Sorrise sorrise anche lui, doveva sentirsi in colpa per quella richiesta, ma stava anche apprezzando la mia voglia di aiutarli. 

“Senti, io non so dove mi trovo quindi … mi potresti accompagnare in hotel?” Sbuffai una piccola risata, nel tentativo di scacciare presto via quel clima per niente allegro che si era venuto a creare tra di noi.

 “Va bene” così rise anche lui, poi, con un cenno del capo, indicò verso un lato della strada “ho la macchina qui vicino, andiamo.”
Dopo pochi minuti eravamo all'hotel.
 
***
 
“Senti... ti va di salire?” Per quella sera non avrei dormito sola, ero sottotono e volevo stare in compagnia. Ma non era il caso di chiamare Axl ed in città conoscevo solo loro, così azzardai quella proposta.

“ Non vorrei disturbare”Rispose lui titubante almeno quanto me.

 “Disturbare chi? Ci sono solo io in camera e se disturbassi non ti chiederei di salire in camera” Risi.

 “Va bene, mi hai convinto. Parcheggio ed arrivo”

“Ti aspetto su” gli sorrisi e scesi dalla macchina, ma mi fermai un istante, prima di andare “Non darmi buca!” risi e mi avviai.

Entrai in albergo, presi le chiavi e salii in camera.
Sul comodino, ad attendermi trovai il pass del backstage, forse Axl lo aveva lasciato nella hall ed una delle governanti lo aveva portato lì, dopo essere entrata a sistemare la stanza.
Sarei dovuta andare a quell'inferno? Perché alla fine di quello si trattava, la scena del al bar sarebbe stato solo l'antipasto, perché probabilmente lì quelle ragazze le avrebbero potute cacciare, se non si fossero contenute abbastanza, mentre al concerto, una volta passate nel backstage, non le avrebbero mai mandate via, se non sotto richiesta di uno dei membri della band, ma chi avrebbe realmente cacciato una fonte di sesso gratis?
Bussarono alla porta, così andai ad aprire. Chiaramente era Duff.

“Hai visto? Non ti ho dato buca”

“Già” risi “ Pensavo sul serio che non saresti venuto, ci conosciamo appena, chissà che avrai pensato!"

“Che volevi darmela!” rise, poi scosse la testa “Scherzo”

“Perché siete così prevedibili?” Strinsi appena lo sguardo, poi come lui risi anche io e scossi appena la testa.

“Tu sei prevedibile! Sapevo che ti saresti arrabbiata e così l'ho detto apposta. Mi piace provocare la gente”

"Wow! Che simpaticone!"

"Eddai, non te la sarai mica presa spero!" Poggiò un gomito contro il telaio della porta, incrociò un piede contro l'altro, inclinandosi appena, e poi portò la mano tra i capelli.

“No, non preoccuparti” Poi inclinai appena la testa su un lato, sorridendo.

“E non mi fai entrare?” Lui invece mise il broncio, come per implorarmi. Così risi, mi spostai dalla porta e lo lasciai entrare.

“La camera non è molto grande ma ci si vive bene lo stesso”

“non è male” si guardò intorno, poi entrambi ci sedemmo sul letto e rimanemmo in silenzio, solo a guardarci. Fu lui il primo a riprendere parola.

"Sai che penso?” Feci cenno di no con la testa, lui mi spostò una ciocca di capelli che mi ricadeva sulla guancia, incastrandola dietro l'orecchio e riprese a parlare “Axl è un gran coglione, aveva trovato l'oro, aveva tutto e ha perso ogni cosa, ma non se ne rende conto” mi accarezzò una guancia e me la baciò.

 “Grazie” lo guardai e gli sorrisi, sebbene si trattasse di un sorriso un po' triste.

Si, quelle parole erano state confortanti, almeno qualcuno sembrava apprezzarmi in quella benedetta band, ma la rabbia persisteva, insieme alla delusione, al rimorso, alla domanda “cosa ho fatto di sbagliato?”, tutti chiodi fissi nella mia mente. Cercavo di stare meglio, e per fortuna c'era anche Duff ad aiutarmi, ma non ci riuscivo.

“Dico sul serio. Sei l'unica che l'avrebbe rimesso in riga, l'unica vera, non interessata solo ai soldi, l'unica che non si meritava tutto questo, ma sai che ti dico?! Si chiude una porta e si apre un portone, Axl era un cazzone e ce ne sono a migliaia migliori di lui. E lo so che ora non ti fidi, lo so che hai paura, ma non fare della paura un impedimento.
Non ti chiudere in te stessa, hai tanto da vivere, tanto da fare. Les tu sei bellissima, dentro e fuori, e sono certo che inizierai una nuova vita migliore di quanto tu possa aspettarti”

Lo abbracciai, mi venne spontaneo stringermi forte a lui, con la mia guancia contro il suo petto, mentre lui prese ad accarezzarmi i capelli e darmi dei piccoli baci sulla testa. Avevo bisogno di sentire quello che avevo appena sentito.
Quel momento venne interrotto da una telefonata. Era la hall che mi avvertiva che Axl mi stava aspettando all'entrata. 
Guardai Duff come a chiedergli scusa, gli chiesi di aspettarmi e scesi.

“Ehi piccola” Axl venne incontro a me, fece per baciarmi e, per un attimo, pensai di scansarmi. Poi mi ricordai della promessa fatta a Duff, così ricambiai il bacio controvoglia, sorridnedo forzatamente.
Il mio problema, da sempre, era l'espressività. Mi veniva totalmente impossibile nascondere le mie vere emozioni o fingerne di diverse, e così lui capì. “ Sei arrabbiata.” rise “Prendi tutto troppo seriamente però!”

Sollevai le sopracciglia incredula, risi ironicamente scuotendo la testa, rimanendo poi anche a bocca aperta. “Scusa se mi sono fidata di te!” Sentivo gli occhi che iniziavano a riempirsi di lacrime, la vista diventava sfocata, ma continuavo a ributtare le lacrime indietro, l'ultima cosa che volevo era piangere davanti a lui.
Per quanto il pianto non è sinonimo di debolezza ma è debole colui che non sa piangere, io odiavo farmi vedere dagli altri mentre piangevo.
Ripresi parola quasi subito “Axl mi sono sentita umiliata, quella scena è stata una grandissima mancanza di rispetto” Con il braccio indicai indietro, come se il bar si trovasse lì, in un gesto impetuoso, il quale esprimeva bene la rabbia che stava iniziando a ribollire dentro di me, tanto da non rendere più il mio tono calmo e controllato.

“No, sei tu che non mi rispetti!” Anche lui iniziò ad alzare la voce, lasciandosi trasportare dalla rabbia “Ne avevamo già parlato, sai che devo vivere così e non smetterò di farlo! Questa è una mia scelta e, se non la rispetti, allora non rispetti me.” fece una pausa, abbassò lo sguardo, si passò una mano tra i capelli, tirò un sospiro profondo come a volersi calmare e poi riprese a guardarmi “Abbiamo corso troppo e forse è meglio finirla qua”

Annuii, ero d’accordo, non c’era altra soluzione e, in realtà, mi sentivo quasi sollevata dal fatto che era stato lui a prenderla. Non dissi niente, fu lui a riprendere poi parola:

“Verrai lo stesso domani?”

“Non lo so”

“Se non vuoi venire per causa mia, fallo per gli altri, credo che li farà stare più tranquilli vederti lì”

 “Loro mi odiano” Sbuffai una risata ironica, memore delle voci che avevo sentito da parte loro su di me

“No…” Scosse la testa socchiudendo gli occhi, in una pausa di qualche istante “…No, loro odiano me. Ti prego, è l'ultimo favore che ti chiedo”


Sospirai in modo evidente, poi annuii lasciandomi andare ad un semplice “d’accordo”.

“Grazie e … Les, io ci tengo davvero a te.”

“Ma ti prego” Esclamai ironica alzando gli occhi al cielo, ma quando tornai a guardarlo potei leggere la sincerità nel suo sguardo.

“Va bene." Annuì appena, consapevole del fatto che ormai era difficile credergli. "Allora a domani” accennò un sorriso, ora l’amarezza che aveva accompagnato me fino a quel momento era presente anche sul suo volto. Capii che, per quanto cercasse di dimostrarsi forte, in realtà non lo era poi così tanto.
Quel suo modo di fare era solo una maschera quasi per difendersi dalla vita, doveva aver vissuto qualcosa che lo aveva spinto a crearsi quella falsa identità, ma negli occhi si poteva ancora leggere chi davvero fosse: un ragazzo impaurito.

Lo guardai andare via, per qualche secondo rimasi anche a fissare la porta che aveva lasciato chiudersi alle sue spalle. Solo a quel punto tornai in camera.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Since i don't have you ***


Quando salii in camera, gli occhi mi si erano riempiti delle lacrime che, nel corso dell’intera discussione, mi ero impegnata a ricacciare indietro.
Duff lo notò, si alzò dal letto e venne ad abbracciarmi. Ero così piccola tra le sue braccia. Poi mi guardò dall’alto, costringendomi ad inclinare la testa indietro per poter ricambiare il suo sguardo, e mi sorrise con dolcezza. “Dai, avrai fame, ti porto in un posto.”
E così uscimmo dalla stanza e ci avviammo.
 
***

“Dove stiamo andando?”
“E’ una sorpresa” rise con lo sguardo fisso sulla strada davanti a noi, io invece tamburellavo con le dita sullo sportello, all’altezza del finestrino, mentre osservavo le luci scorrere veloci, chiudendo gli occhi di tanto in tanto per godere del vento che accarezzava il mio viso. Libertà, tutto questo sapeva di libertà.

Era bella quella città, davvero bellissima. La “città paradiso”, ecco come la chiamavano, “Paradise City”, come il titolo di una loro canzone.
Forse per loro non era quella la città paradiso, ma lo era per me. L’amavo, nonostante, fino ad ora, mi avesse causato solo problemi.
***

Arrivammo finalmente al ristorante.
Sebbene l’entrata non fosse nulla di ché, fu quando entrai che rimasi sbalordita.
Quel locale era davvero meraviglioso!

Ad accoglierci ci fu una fila di persone aspettanti un tavolo libero.
Il locale era pieno, sul pavimento di marmo scuro spiccavano tavoli e sedie bianchi, in qualche angolo si intravedeva qualche tavolo vuoto, riservato a qualcuno che aveva avuto l'astuta idea di prenotare, probabilmente prevedendo la fila.

Quando varcammo la soglia avvenne qualcosa di incredibile, fu come se tutti i presenti si fossero messi d'accordo per girarsi verso di noi, perché non c'era una singola persona che non ci stesse guardando al nostro arrivo, e tutti con la stessa espressione sorpresa.
Iniziarono a sussurrare parole, ma la frase che più di tutte riecheggiò fu “è Duff McKagan!”.
Il loro gruppo era davvero famoso lì a Los Angeles, ovunque andavano li conoscevano!

“Ehi ti hanno riconosciuto!” risi “ora passeremo la serata con la fila di fans che ti chiederanno autografi, ti prenderanno le mani e ti imploreranno di scoparle?”

Lui rise scuotendo la testa “reazioni del genere sono prevedibili…” poi ammiccò “…per questo ogni volta che vado in qualche ristorante prenoto sempre un tavolo appartato”.
 
“Signor McKagan, l'accompagno al suo tavolo”. Fu il caposala ad interromperci.
Seguimmo quell'uomo in smoking che ci fece strada verso un'altra sala, divisa da quella di attesa e da quella con i tavoli bianchi.

Quella stanza era davvero strana, non c'era nessun tavolo al centro, solo una serie di porte lungo le pareti. Il caposala ne aprì una e ci invitò ad entrare.

“Farò in modo che nessuno, oltre ai camerieri, entri” Con queste parole ci congedò.

Ci trovammo in un ambiente decisamente più piccolo ed intimo, con un tavolo al centro, al di sopra del quale poggiava un candelabro, mentre accanto era presente un carrellino con un secchio con del ghiaccio e una bottiglia di champagne. In un angolo, invece, un altro carrello fungeva da ripiano per svariate bottiglie di superalcolici ed amari.
L'atmosfera era soffusa, la stanza era illuminata solo dalle candele del candelabro e la stanza era resa ancora più buia dalle pareti scure.

Notai un campanello proprio al centro del tavolo “E questo a cosa serve?”

“A chiamare i camerieri madame”

“Forte” risi “questo posto è meraviglioso”

“E possiamo stare da soli, senza il problema delle fans”

“Già” Sorrisi. Stavo bene lì con lui, ma non volevo trovarmi in altri problemi, non dopo ciò che era appena successo con Axl. “Sai già che prenderai?”

“Non ancora, tu?”

“Non ancora” scossi la testa iniziando a sfogliare il menù “ Dio, c'è di tutto qui” risi “non riuscirò mai a decidere!”

“Faccio io per te?”

“Forse è meglio”

Mi sorrise, poi premette il pulsante del campanello ed aspettammo l'arrivo del cameriere. Quando quest’ultimo fece ingresso, Duff ordinò ostriche e crostacei.

“Signor McKagan, è meglio che lei non esca dalla stanza, ci sono davvero tante fans qui fuori e stiamo cercando di non farle entrare”

“Grazie mille” sorrise “Non uscirò”

Il cameriere annuì con la testa, poi uscì.

“Devo ammettere che tu ed Axl siete davvero diversi” Ero sorpresa da come i due gestissero la stessa situazione in un modo così diverso. Da un lato Axl, il leader del gruppo egocentrico, dall’altro lui, che alle attenzioni aveva preferito la tranquillità di una cena intima.
“Stare nello stesso gruppo non vuol dire adottare la stessa politica di vita. Axl, in qualche modo, è la faccia della band, lui deve attrarre il pubblico, in un certo senso lo fa anche per noi. Non che gli dispiaccia, sia chiaro, però questo ci consente di poter vivere più tranquilli.
Insomma, se vogliamo stare soli e lasciare tutto il seguito chiuso fuori da una stanza, possiamo permettercelo, mentre lui no, lui ha i riflettori puntati su di sé ventiquattro ore al giorno”.
Capii così che non avrei potuto neanche prendermela troppo con Axl, aveva delle responsabilità, dei doveri, quelli di cui mi aveva anche già parlato, era stata la sua scelta di vita ed io non potevo imporgli nulla.
Mi persi per un attimo nei miei pensieri, intenta a far roteare orizzontalmente la forchetta sul tavolo, spingendola con l’indice. Rividi quello sguardo che il cantante mi aveva riservato poco prima, chiusi gli occhi un istante, poi tornai a guardare il biondo davanti a me.
“Stasera, quando sono scesa lasciandoti in camera, lui mi stava aspettando nella hall.
Ha preso lui la decisione di chiudere questa frequentazione, il ché è stato bene, ma aveva uno sguardo Duff…” Sospirai, poi abbassai lo sguardo, ed infine tornai a guardarlo “…Non lo so, mi ha dato l’impressione che ci fosse qualcosa da cui sta cercando di nascondersi, ma che lo fa stare male”
“Axl è enigmatico Les, ha tanto dentro, ha vissuto il peggio, ma non ne parla mai, se non in rare situazioni e con poche persone elette.”

Quella risposta non fece che destare curiosità e preoccupazione in me, da una parte avrei voluto insistere, scoprire di più, ma da un'altra no, erano cose che riguardavano Axl, ed io non ero certo tra i pochi cui spettava il diritto di sapere.
In ogni caso, la mia parte che optava per insistere si dovette arrendere quando entrò il cameriere con le ostriche.


Iniziammo a mangiare e il silenziò calò. Iniziavo a sentirmi un po' in imbarazzo, così cercai un argomento da tirare fuori.

“Allora, non so praticamente niente di te, mentre tu sai già che questa non è la mia città, che lavoro al Rainbow e che sono sola”
“Non ti perdi niente” rise intento a spremere del limone su una delle ostriche “Sono nato a Seattle, ho una vita monotona che si divide esclusivamente tra prove e tour ed anche io vivo beatamente da solo”.

“Niente ragazze?” Sorrisi civettuolmente, mentre anche la mia attenzione ricadde verso il mio piatto.

“Te l’ho detto, io non sono come Axl” Ammise lui sollevando un sopracciglio, mentre ricambiava il mio sorriso.

“Si, ok, ma insomma …” feci una pausa e lo guardai “Il fatto è che sei un bel ragazzo; perciò, mi sembra strano”

“Grazie” sorrise guardandomi sornione.

“Perché mi guardi così?”

“Così come?”

“Così come mi stai guardando!” risi.

Lui non disse niente, rise solamente.

Quando finimmo di cenare, Duff pagò il conto e poi ce ne andammo.
Salimmo in macchina, mi riaccompagnò all'hotel e arrivammo dopo pochi minuti.

“Ci vediamo domani allora”.
 
Io annuii solo, sospirando piano, stavo già iniziando a percepire qualche sintomo di ansia al pensiero del concerto, un po’ per Axl, un po’ per i commenti negativi che avevo sentito su di me.

“Vieni anche alle prove? Stiamo lì dalla mattina, posso passarti a prendere”

“Va bene, grazie” gli sorrisi appena, poi mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio su una guancia “Allora a domani”

“A domani”
Sorrise anche lui, io scesi dalla macchina, e dopo avermi fatto un occhiolino partì.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Patience ***


La mattina seguente mi svegliai alle 8 del mattino, pochi minuti dopo squillò il telefono della stanza, Duff era già sotto ad aspettarmi. Così, mi preparai velocemente e lo raggiunsi.

“Ehi!” sorrisi entrando in macchina e gli diedi un bacio sulla guancia.

“Ciao piccola” sorrise girandosi verso di me. Non capii se mi stesse guardando o meno perché i suoi occhi erano coperti da un paio di Ray-Ban.
Iniziammo ad andare verso il posto del concerto. Fu meraviglioso il viaggio. Camminavamo per la città nella Mercedes decappottabile, mentre molte persone continuavano a girarsi per guardarci. Iniziavo ad abituarmi a quell'atmosfera, iniziava quasi a piacermi.
 
***
 
Arrivammo a destinazione, scendemmo ma un attacco di panico mi fece bloccare sul posto.

“Duff, non voglio rivederlo”

“Ignoralo” si girò, sollevo i Ray-ban mettendoseli sui capelli e mi guardò quasi implorandomi

 “Non ci riesco, non ci riesco proprio” lo guardai afflitta, stavo per mettermi a piangere, chi mi ci aveva portata li?!
“Ti prego, fallo per me! Ho bisogno di te, davvero tanto”

“Non ci riesco proprio! Ti prego, fammi tornare in hotel”

“No…” mi prese le mani e mi guardò negli occhi “…Puoi farcela”

“Va bene…” Annuii flebilmente, la voce mi si era strozzata in gola, bloccata dal nodo che si era formato. Il suo sguardo fu tutto ciò che mi spinse a rimanere.

Ci avviammo verso il backstage e, quando arrivammo, l'atmosfera diventò improvvisamente più tesa.
Axl guardò Duff quasi come se volesse ucciderlo con uno sguardo, Izzy e Slash non ci calcolarono proprio, mentre Steven fu l'unico a salutarci.
Duff non fece in tempo a rispondere a quel saluto che Axl l'aveva già trascinato via.

“Cazzo” Steven sussurrò appena, ma riuscii comunque a sentirlo.

“Steven, cosa sta succedendo?”

“Les arrivare insieme non è stata una buona mossa…”

“Ma seriamente? Cosa diavolo vuole ancora?!” Roteai gli occhi verso il cielo, infastidita da quella situazione “Devo andare a parlargli”

“No, ora no. Axl reagisce di impulso, potrebbe anche menarti”

“Menerà Duff?”

“Se mena Duff si ritrova in ospedale!” rise “Ma li hai visti?! Duff è alto due metri, Axl è più un nano da giardino!”

“E allora che cosa vuole?”

“Probabilmente lo ricatterà, come fa con tutti. Probabilmente, se vi vedrà dinuovo insieme lo caccerà dalla band”

“ma non può farlo!”

“Purtroppo, è fatto così. Non voglio che siate costretti a non vedervi più, perciò cercherò di prendere le vostre difese, ma il vero problema sono Slash e Izzy!
Izzy si schiererà sempre dalla parte di Axl, mentre Slash vi verrà contro solo perché secondo lui non ci dovrebbero essere donne “dentro” il gruppo.
Io capisco quelle troiette che dicono “scegli o loro o me”, ma tu non sembri una di loro; perciò, non vedo perché debba avercela con te! Con lui proverò a parlarci.”
 
Portai entrambe le mani a coprire il viso, sbuffai contro di queste e poi le spostai verso le tempie, scuotendo anche la testa ancora tra i palmi.
Più passavo del tempo con loro, più mi sembrava assurda ogni singola cosa.
Era stato Axl a decidere di chiudere, ed ora stava mettendo in piedi tutta quella scena.

Grazie Steven” accennai un sorriso a bocca chiusa “è solo che ho davvero tanta paura …”

“Non devi averne okay?!” sorrise accarezzandomi una guancia “Io vi starò accanto e cercherò di aiutarvi”.

A quel punto i due tornarono verso di noi, Duff era abbattuto mentre Axl incazzato.
Guardai Steven come per chiedergli aiuto, lui con un cenno del capo mi fece intendere che fosse arrivato il momento di andare da Duff e, quando gli chiesi cosa fosse successo, mi prese per mano e mi portò lontana da loro.

“Devo parlarti …” mi guardò negli occhi, fece un grande respiro e poi riprese parola “Senti, qualsiasi cosa succeda, voglio che tu non ti senta mai in colpa”
“Dimmi cosa ti ha detto!” Se prima ero solo preoccupata, ora avevo la certezza che qualcosa di grave ci fosse alla base.

“Non mi ha detto niente, non preoccuparti. Ora vado a provare, ci vediamo dopo” Mi diede un bacio su una guancia, forzò un sorriso e poi se ne andò.
 
***
 
Girai per ore nel backstage senza sapere nemmeno cosa fare, mentre le ultime parole di Duff continuavano a riecheggiare nella mia testa.
Cosa gli aveva detto Axl? Se ero io a non dovermi sentire in colpa, allora era me che riguardava, ero io il problema.
 
Sentii improvvisamente la folla urlare e Axl iniziare a parlare. Il concerto era cominciato.
Mi avvicinai al palco e guardai il concerto da sotto, nel posto in cui si trovavano gli addetti alla sicurezza, accanto alla scala per salire sul palco. Erano davvero pazzeschi!
Li avevo già sentiti suonare alle prove, è vero, ma il concerto era tutta un'altra cosa. Davano il meglio di loro in quello che facevano, sprigionavano un'energia incredibile!
Continuai a tenere gli occhi fissi su Duff, che di tanto in tanto si girava a sorridermi e ad ammiccarmi, quasi per dirmi “stai tranquilla”.

 Il concerto durò tre ore. Quando scesero dalla scala dove mi trovavo io vidi Steven e Duff arrivare insieme, li guardai e gli sorrisi

“Siete stati pazzeschi!”

“Grazie Les” Steven mi sorrise, si girò verso di Duff e lo guardò come per dirgli “parlale”.

“Grazie” Duff mi sorrise e mi abbracciò stringendomi forte “Forse è ora che io ti dica tutta la verità” Poi mi portò in un posto abbastanza isolato, accanto ad un muro.

“Questo era il mio ultimo concerto” sorrise con tanta amarezza, mentre i suoi occhi divenivano lucidi.

“Cosa?! Cosa cazzo stai dicendo?” Un po’ per empatia, un po’ perché l’ansia che mi aveva accompagnata fino a quel momento stava iniziando a spingere forte dentro di me, anche io lasciai che qualche lacrima salisse verso i miei occhi “È stato quel coglione di Axl, vero?!”

“No, Non è stato lui…” Scosse la testa, mentre prendeva le mie mani tra le sue “… Potevo scegliere, mi ha detto che sarei rimasto se avessi chiuso con te.” Poi sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso “Ma anche solo l’idea di perderti era troppo per me”.

Rimasi attonita, per qualche secondo il mio cervello sembrò fermarsi.
Aveva davvero rinunciato a tutto quello solo per me?
Scossi la testa, non poteva finire così, tutto era andato oltre il limiti del normale.
“Duff, lascia almeno che ci parli” Ripresi un po’ di lucidità, intenta ad asciugarmi le lacrime che, nel mentre, avevano rigato il mio viso senza che me ne accorgessi.

“No…” mi bloccò tenendomi stretta sulle braccia “…Se ora tu vai, potrebbe anche farti del male. Axl non si fa scrupoli”
 
“Ma devo fare qualcosa, è assurdo tutto questo!” Ero allibita, quella situazione aveva del folle “Ed è colpa mia Duff, è solo colpa mia! Per cui sono l’unica che può davvero cercare di aggiustare le cose” Il mio sguardo vagava, stavo perdendo il controllo, guardavo dietro di lui, in direzione dei ragazzi.

Duff mi prese il mento tra il pollice e l’indice, nell’intento di riportare la mia attenzione su di lui “Mi avevi promesso che non ti saresti sentita in colpa, per cui non devi farlo” scosse la testa “il problema è Axl, tra i vari difetti ha anche una mania di controllo ed ora lo sta esercitando su di te.
Andare lì non mi riporterà nella band, è troppo orgoglioso per tornare sui suoi passi, e tu farai semplicemente il suo gioco.
Non c’è più niente da fare Les.”
 
Capii che non c’era più niente da fare, così mi arresi.
Anche sul suo viso aveva iniziato a palesarsi qualche lacrima, così l’asciugai delicatamente.
Lo guardai qualche istante, sentivo il suo dolore e speravo che nei miei occhi lui vedesse il sostegno che stavo cercando di dargli in quel momento e la mia tacita promessa che non lo avrei lasciato solo in quella situazione.
Lui sembrò notarlo, mi accarezzò uno zigomo con un sorriso che esprimeva gratitudine, poi poggiò la fronte contro la mia e si sporse verso le mie labbra, fino a sfiorarle.
Rimanemmo qualche istante così, con la paura ma anche la voglia di fare il passo successivo.
Poi le nostre bocche si unirono in un bacio intenso, salato dalle nostre lacrime.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Don't Cry ***


Prima di andarcene andammo a salutare Steven, alla fine era rimasto l’unico ad appoggiarci nel gruppo.

“Ehi Steve, noi ce ne andiamo”

“Ciao Duff, mi dispiace davvero, cercherò di parlare con Axl e con gli altri. Ora è impegnato a trombarsi chissà chi, domani gli parlerò” poi guardò anche me “Ragazzi, abbiate fiducia, tutto si risolverà.”
Ci scambiammo un sorriso amaro, poi presi per mano Duff e ci avviammo verso la macchina.

Entrati in macchina nessuno dei due ebbe il coraggio di attaccare un discorso, il silenzio quindi regnò.
Continuavo a chiedermi cosa non mi avrebbe dovuto far sentire in colpa. Si, era anche vero che era stata una sua decisione, ma se non fossi stata lì, se non li avessi mai conosciuti, probabilmente ora sarebbero stati ancora una band.
Capii che dovevo andarmene, sarei sparita dalla loro vita, da quella del gruppo e sarei tornata in Italia, a casa mia.
 
***

Arrivammo finalmente in hotel. Duff parcheggiò, scendemmo e ci avviammo prima nell'hotel e poi in camera.
Aprii la camera ed entrammo

“Ormai la conosci la stanza, quindi fai come se fossi a casa tua” lo guardai sorridendogli appena “Vado a cambiarmi intanto”

Entrai in camera e chiusi la porta, presi i vestiti ed andai a cambiarmi in bagno.

Quando finii, Duff era sdraiato sul letto. Appena mi vide, mi sorrise dolcemente e mi fece posto accanto a lui.
Andai quindi a sdraiarmi, poggiai la testa sul suo petto e lo guardai sfiorando il profilo con un dito.

“A me va bene anche così, io ho te e non posso chiedere di meglio” Doveva percepire lo stato d’animo in cui riversavo, cercava di rassicurarmi, mentre cercava di guardarmi da quella posizione. Dovetti inclinare la testa indietro per poter ricambiare il suo sguardo, il ché mi fece notare i suoi occhi rossi.
Avrei doluto renderlo partecipe dei miei piani, ma non ebbi il coraggio, non lo feci. Gli diedi solo un bacio “è meglio se ora dormiamo” sorrisi e mi rimisi sdraiata accanto a lui, poggiai la testa sul cuscino e, dopo un ultimo “buonanotte”, chiusi gli occhi sforzandomi di prendere sonno.

“Buonanotte tesoro” mi baciò e poi chiuse gli occhi anche lui.

Mi svegliai presto, Duff ancora dormiva. Mi cambiai velocemente, poi presi carta e penna ed iniziai a scrivere:

< Io so quanto tieni a quel gruppo e, anche se so quanto ci stai provando, né io né te possiamo negare le mie colpe, perché siamo consapevoli che facendolo mentiremmo.
Andrò a parlare ad Axl, è giusto che tu rientri nella band. Poi partirò, tornerò a Roma.
Devo partire Duff, è la cosa migliore per tutti e due.

Ricorda: “qualsiasi cosa succeda voglio che tu non ti senta mai in colpa”, me l'hai detto tu, e ora io lo ripeto a te. Non hai colpe, l'unica colpa qui sono io.

Mi dispiace, ho preso la mia decisione.
Ti voglio bene Duff, tengo davvero a te ed è per questo che me ne vado. Voglio solo il meglio per te ed il meglio è la band, quindi me ne andrò, la mia partenza sarà il pass per farti rientrare nel gruppo.

Ci rivedremo, vedrai.
Les.>>


Con le lacrime agli occhi piegai il foglio, lo poggiai sul comodino, accanto al suo cellulare per far sì che lui lo vedesse, scesi nella hall dell'hotel, dove pagai il mio alloggio e li avvertii della presenza di Duff nella stanza per evitare che qualcuno entrasse mentre lui ancora dormiva.
Poi uscii dall'albergo, presi un taxi e mi avviai al Rainbow, da lì chiamai Axl per chiedergli di raggiungermi.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** the power of love ***


Andai a sedermi ad un tavolino ed aspettai l'arrivo di Axl, poi Chris si avvicinò a me

"Che ci fai qui? Oggi è domenica, non devi lavorare"

"Devo vedermi con una persona ... comunque lascio il lavoro, torno in Italia"

“Come ti pare" non sembrò particolarmente interessato alla cosa, si limitò a quelle due parole in croce e se ne andò. 
Dopo qualche minuto, arrivò Axl e si sedette davanti a me sorridendomi con la sua solita beffardaggine

"Ciao Tesoro"

"Ciao Axl"

"Che c’è, è già finita male con il tuo principe azzurro? Non è in grado di soddisfarti come facevo io?”

"Ti ho fatto venire qui per dirti che torno a Roma" Non diedi neanche retta a quelle sue provocazioni, non so bene cosa volesse ottenere, se un booster al suo ego o semplicemente darmi ai nervi.

"E perché?" si finse sbalordito, ma era evidente che non gli importava.

"Voglio che Duff torni nella band"

"Lo farò solo se tu torni con me"

"Come puoi pensare che io possa tornare con te dopo quello che hai fatto?!"

"Non lo so" alzò le spalle "ma è l'unico modo per far tornare l'amore tuo nei Guns”

"Sei uno stronzo"

"Lo so, prendere o lasciare" rise malignamente "Allora, vuoi ancora partire?"

"Pur di non vederti più" Ero schifata, mi alzai dal tavolo piantando le mani su di esso, storsi il naso, poi scossi la testa e me ne andai.

"Buon viaggio allora" continuava a ridere salutandomi con una mano "Porterò i tuoi saluti a Duff"

"Vaffanculo Axl" mi girai solo per urlargli quelle due parole a denti stretti, poi salii sul primo taxi e ci avviammo all'aeroporto.
***

Quando arrivai riconobbi la Mercedes di Duff.
Scesi dal taxi, entrai nell'areoporto e lo trovai lì, davanti a me, con le lacrime che gli rigavano il viso. 

"Pensavo di averti già persa"

"Sto per partire" Cercai di rispondere con freddezza, così che lui potesse staccarmi da me, lasciarmi andare e farmi tentare quell’ultima operazione di “salvataggio”.

"Perché?"

"Voglio che Axl ti riprenda nella band! Non può andare così, non lo capisci?!”

"No, sei tu che non capisci! Ti ho già detto che a me sta bene così, lascia che sia io a scegliere cosa sia meglio o meno per me e, in questo momento, sei tu!”

"Ti ho solo rovinato la vita!" I nostri toni si stavano iniziando a scaldare, quello che stava dicendo era così irrazionale che ora il mio tentativo era quello di fargli aprire gli occhi, di fargli capire che non poteva mandare tutto all’aria così, non per me, non quando mi conosceva appena.

"Beh allora una vita rovinata non è così male visto che, ora che è rovinata, è meglio di prima!" si lasciò andare ad una piccola risata amara, tornando a contenere il suo tono e scuotendo appena la testa "Les, se prendi quel fottuto aereo io verrò con te perché non ti lascio andare. Voglio te, cazzo, te e basta.
Resta qui con me, costruiamo qualcosa insieme, voglio iniziare questa nuova vita con te.”

"Io..." Adesso ero totalmente disorientata, non sapevo cosa fosse giusto e cosa no, cosa avrei dovuto fare. Era successo tutto così in fretta da non darmi neanche il tempo di capire chi effettivamente avessi davanti, quali fossero davvero le sue intenzioni e se questa volta mi sarei potuta fidare o no.
Ma una voce dentro di me, qualcosa come un sesto senso, mi fece capire che ora, finalmente, ero a casa.
 "Va bene” Affermai in un sorriso, commossa da quel suo discorso, poi lui mi prese in braccio e mi baciò

“Torniamo a casa ora"

Annuii, lui mi rimise a terra, prese i mei bagagli e ci avviammo verso la sua macchina.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** live and let die ***


Tornammo così alla macchina, entrammo e ci avviammo verso casa, arrivando a destinazione dopo poco.

La casa appariva paradisiaca già da fuori, ma dentro era decisamente meglio.

Si trattava di una villa a due piani, la porta si apriva su un enorme salotto con i divani e le poltrone di pelle bianca, oltre il quale si trovava la cucina e sul lato destro una scala che portava al piano di sopra. Qui erano presenti la camera da letto, un bagno enorme ed un'altra stanza della quale il vero scopo mi era ignoto.

Salimmo al piano di sopra lasciando i bagagli in camera.

"se vuoi rinfrescarti il bagno è la stanza qui davanti"

"va bene" annuii sorridendo

"io vado giù ad ordinare due pizze" così lui si avviò verso il piano inferiore, mentre io presi un asciugamano, entrai in bagno e mi infilai sotto la doccia.
L’acqua che scorreva su di me sembrò risvegliare la presenza di un flusso di pensieri nella mia testa, principalmente riguardanti il rapporto tra me e Duff: quanto effettivamente sarebbe durato? Quanto potevo fidarmi? insomma, prima o poi gli sarebbero mancati i Guns, sapevo bene quanto contasse quel gruppo per lui, e a quel punto che avrei fatto io? e che avrei dovuto fare adesso?
Chiusi gli occhi, respirai profondamente inspirando per quattro secondi ed espirando per altrettanti, una tecnica che spesso mi aiutava a rilassarmi. Scelsi di scacciare quei dubbi, di non pensare al futuro, di lasciare tutto in mano al destino, tanto era inutile ora fare progetti.
Uscii dalla doccia, mi andai a cambiare infilandomi una canottiera ed un pantaloncino di jeans e scesi raggiungendo Duff.
 
"Le pizze arrivano tra dieci minuti"

"Si, nessun problema"

"Sei bellissima"

"grazie.." sorrisi facendo un giro su me stessa, poi mi avvicinai a lui fino a poggiare le braccia sulle sue spalle, incrociando le mani dietro il suo collo "senti... tu sei sicuro?"

"di cosa?"

"di questo, insomma hai addirittura lasciato la band per una ragazza che conosci sì e no da un paio di settimane!"

"tanta gente si può conoscere in meno di un giorno, e poi posso sempre dedicarmi anche ad un progetto solista o mettere insieme qualche amico per suonare!” rise, ma questa volta in modo sincero, il ché mi tranquillizzò.
 
Venimmo interrotti, poi, dal suono del campanello che avvertiva dell’arrivo delle pizze.

"Era ora" rise, ritirò i due cartoni, poi pagò e si sedette sul divano, facendomi posto accanto a lui. Nell’ordine erano incluse anche due birre, così ne aprimmo una a testa e brindammo.

Passammo la serata a scherzare e a ridere, poi, a notte inoltrata, andammo in camera da letto e ci sdraiammo stanchissimi, chi per un motivo e chi per un altro.
Mi appoggiai sul suo petto usandolo come cuscino, mentre lui accarezzava i miei capelli. Era bello sentire il suo battito ed il suo respiro, ma bastò poco ed entrambi ci addormentammo, ritrovando un po’ di tranquillità.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** All that glitters ain't gold. ***


Mi risvegliai in quel letto quasi immenso, ormai vuoto, anche se ancora non lo sapevo.
Le coperte bianche ricadevano perfettamente sul mio corpo, ma mi sentivo quasi nuda, nonostante avessi addosso ancora i vestiti. Avevo dormito con Duff abbracciato a me, il suo calore mi aveva inondata completamente, così ora sentivo freddo.
Mi girai verso il lato dove speravo che fosse, ma non lo trovai, se ne era andato ed io avrei dovuto prevederlo, in fin dei conti era un rocker anche lui ed i rocker non sono soliti legarsi per sempre a qualcuno.
Mi alzai da quel materasso diventato, ormai, troppo scomodo. La delusione “trasfigurava” il mio viso. Non sapevo più cosa fare, non sapevo dove andare, ero dispersa in un punto sconosciuto di Los Angeles e non potevo più contare su nessuno … o forse qualcuno c’era.
Alzai la cornetta del telefono fisso, quindi digitai il numero di Steven ed aspettai che lui rispondesse.

“Steven … ho bisogno di te”

Pronunciai quelle parole con poca voce, avevo un nodo in gola che mi bloccava terribilmente.
Appena sentì quella mia frase mi chiese di raggiungerlo a casa sua, dandomi il suo indirizzo.
Non rifeci i bagagli e non ripresi i miei vestiti, probabilmente solamente perché ci speravo ancora, o forse per la fretta che avevo di andarmene da quella casa. Aprii la porta di ingresso, varcai la soglia e richiusi la richiusi alle mie spalle.

Ci misi un po’ prima di arrivare davanti casa di Steven, non era esattamente vicina a quella di Duff, inoltre io ero una pessima turista ed il mio orientamento era pari a zero. Quando raggiunsi l’indirizzo, suonai il campanello e subito Steven venne ad aprirmi. Mi sorrise senza dire nulla, un sorriso … strano. Inoltre aveva le pupille dilatate e traballava un po’.
Subito entrai nell’appartamento e non ci misi molto a capire il perché di quel suo assurdo modo di comportarsi.
Sparse qua e là, vidi bottiglie di ogni genere di alcolico, alcune finite, alcune solo a metà, altre rotte ancora prima di essere cominciate e certe aperte ma completamente versate sul pavimento ormai appiccicoso. 
Più avanti, su un tavolo, spiccava qualche striscia bianca che anche un idiota avrebbe riconosciuto, specialmente vedendo il ragazzo piegato su di esse, intento a tirarne su una.
Grande fu l’amarezza che mi pervase quando riconobbi quel “qualcuno”.

Dalla mia bocca uscì solo un flebile “Duff…” e, quando lui si voltò per capire chi fosse stato a chiamarlo. Lo vidi confuso, ci mise un po' a comprendere la situazione, mentre continuavo a guardarlo come a chiedergli: “perché?”.  

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Don't damn me ***


Duff si alzò, o quantomeno ci provò, dal pavimento sul quale si trovava seduto a gambe incrociate. Nel vano tentativo di venire verso di me, sbatté lo stinco contro il tavolino, mugugnando un "cazzo" e qualche altra imprecazione poco chiara.
Per un po' rimasi pietrificata, giusto il tempo di assistere a quella scena, poi mi voltai e corsi via, senza una meta se non quella più lontana possibile da lì, ovunque essa fosse, ma più correvo più mi sentivo il fiato sul collo, come in quei sogni in cui devi scappare e semplicemente non puoi.

Qualche chilometro più avanti i polmoni iniziarono a bruciarmi, le spalle si contrassero e la gabbia toracica prese a farmi male, costringendomi a fermarmi.
Mi trovavo in un parco, poco distante una panchina, una fonte di salvezza in quel momento.
Ero io, io e basta, perché in quello stato sicuramente Duff non avrebbe potuto raggiungermi.

La realtà era che avevo perso il controllo davanti ad una situazione inaspettata e difficile. Però, a conti fatti, da cosa stavo fuggendo?
È vero, poco prima Duff mi aveva chiesto di diventare la sua ragazza, addirittura di convivere, sicuramente tutte mosse troppo affrettate, ma lui in quel circolo doveva starci da un bel po', da molto prima di conoscere me.
Non che potessi ricoprire il ruolo della sua salvatrice, intendiamoci, avrei potuto aiutarlo, certo, ma di certo non me la sarei potuta prendere con lui, non potevo fargli una predica o condannarlo, dopo essere spuntata dal nulla.
Così mi calmai, mi alzai dalla panchina e, intenta a guardare la situazione con più lucidità, tornai verso la casa di Duff.

***

"Ti ho cercata ovunque"

Quando mi aprì la porta, lo vidi che stava male, sottotono sicuramente per via della fine dell'effetto della droga, ma anche preoccupato da quella mia reazione, dalla mia fuga, probabilmente anche dalla paura di avermi persa.

"Ero in un parco, non chiedermi quale" risposi abbassando lo sguardo, stringendomi tra le mie braccia

"Non ha importanza. Vieni, entra"

E così feci, per poi seguirlo quando si andò a sedere sul divano, prendendo quindi posto accanto a lui.

"Duff, io..."

"Les aspetta, ascoltami." Mi prese le mani, per poi guardarmi negli occhi "vedi la vita non è sempre facile, lo stress è una brutta bestia e, se sbagli giro, finisci per ucciderti da solo.
Insomma, quello che sto cercando di dirti è che si, mi faccio di cocaina, è una cosa con cui non riesco a convivere in serenità ma di cui non posso fare a meno. Specie quando succedono delle cose troppo forti per essere sostenute senza un... Aiuto.
Me ne vergogno? Certo che si, e se potessi smetterei oggi stesso, ma saprai anche tu quanto non sia semplice.
Insieme, però, possiamo farcela, perché non voglio mandare tutto a puttane.
Solo che sarà difficile, molto più di quanto non si possa immaginare. Dovrai lottare contro di me, contro i miei demoni, avrai voglia di buttare tutto all'aria e lasciarmi in un angolo a disperarmi, ed avrai tutte le ragioni del mondo per farlo.
Per cui te lo chiedo ora, vuoi aiutarmi o vuoi andare? Non te ne farò una colpa, sia chiaro, però se scegli di restare, allora ti devo chiedere di avere pazienza e di non abbandonarmi o mi condannerai."

Un nodo mi si formò in gola, tanto da rendermi difficile anche deglutire, ebbi la percezione di tremare, sicuramente stavo stringendo di più le sue mani, come se a lasciare la presa avrei lasciato andare la sua ultima possibilità di salvezza. Ero davvero pronta a tutto ciò che ne sarebbe conseguito?
Si. La risposta era si.
Non potevo lasciarlo ora, non potevo lasciarlo e basta, perché aveva fatto così tanto per me, perché avevo visto la bella persona che era ed un'anima così andava salvata.

Annuii flebilmente, lui portò una mano dietro la mia nuca e la tirò verso di sé, in modo da poggiarsi con la fronte contro la mia.
Rimanemmo in silenzio, non c'erano parole per quel momento, ma sapevo che dal profondo del suo cuore lui mi stava ringraziando per quello che, evidentemente, nessuno prima aveva avuto il coraggio di fare per lui.
Capii anche che fosse sorpreso dall'espressione che fece in seguito alla mia tacita risposta, forse perché chiunque, prima di me, non si era sentito di assumersi una responsabilità così grande ed era semplicemente scappato, dopo quel discorso.
Non potevo neanche biasimarli, io stessa ero fuggita via, però avevo fatto un passo ulteriore, ero tornata indietro da lui, mi ero fermata e lo avevo visto, avevo guardato in lui, avevo accolto quella sua richiesta di aiuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Walk all over you ***


Rimanemmo così per un po', fronte contro fronte, poi lui si avvicinò alle mie labbra e le baciò, prima con dei piccoli baci ripetuti, poi con uno più intenso.
Ci lasciammo trasportare dalla foga del momento, iniziai ad accarezzare il suo corpo fino ai fianchi. Lì mi feci spazio sotto la sua maglietta, andando poi a graffiare la sua schiena.
Lui, nel mentre, portò una mano tra i miei capelli, accarezzandomi la testa, prima di stringere la presa su di questi.
Lo stesso feci io, quando, inclinandosi con il busto verso di me, mi spinse a sdraiarmi.
A quel punto iniziò a spogliarmi, per poi togliere la sua maglietta, rimanendo però con i pantaloni.
Prese ad accarezzare ogni singolo centimetro del mio corpo, prima con le dita, poi con le labbra e la lingua, e più scendeva, più il mio respiro diveniva pesante, finché il suo viso non arrivò tra le mie gambe.
Quel piacere era così intenso, quel momento così intimo, romantico ed estremamente erotico allo stesso tempo.
Chiusi gli occhi, limitandomi a godere di quelle sue attenzioni, mentre con la mano ero ancora intenta ad accarezzare i suoi capelli biondi. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre, specie quando riuscì a portarmi al culmine del piacere, forse il più intenso che avessi mai provato fino a quel momento.
Fu a quel punto che si spogliò, salì di più con il corpo ed infine entrò in me.
Dal basso, lo guardavo muoversi, leggevo il piacere che stava provando sul suo volto, ed era così bello, dannatamente bello.
Entrai in un vortice di emozioni così forti da farmi venire le lacrime agli occhi, fu lì che capii che, forse, i miei sentimenti per lui erano davvero forti, forse avevo trovato il mio uomo, forse me ne sarei davvero innamorata e, forse, stava già succedendo.
Sollevandomi di peso mi girò, facendomi mettere in ginocchio, mentre con una mano premeva la mia testa contro il bracciolo del divano. Un po' quella forza quasi violenta, un po' il sentirlo godere con me avevano reso la situazione ancora più eccitante.
Quando raggiunse anche lui l'apice, mi fece rialzare con il busto, tenendomi sempre con le ginocchia sul divano, e poi mi strinse forte a lui, abbracciandomi da dietro, la fine perfetta per quel rapporto, così intima ed espressiva.
Tenemmo quella posizione per un po', come a non volerci lasciare andare via, quindi solo diversi secondi dopo ci rivestimmo.

***

"Che dici, pizza?" Quella domanda mi fece notare che, effettivamente, era ormai ora di cena.

Io sbuffai una risata scuotendo la testa, poi mi alzai dal divano "eddai, almeno oggi proviamo a cucinare qualcosa!"

"Va bene, va bene" rise anche lui alzandosi, poi insieme ci spostammo in cucina "però te lo dico, non sono capace e non mi assumo nessuna responsabilità" ed alzò le mani come ad arrendersi, prima di aprire il frigorifero "e comunque non abbiamo neanche molto"

Io diedi un'occhiata ed in effetti notai che a disposizione c'erano solo tre uova, una bottiglia di ketchup, del latte e delle birre.

"Ma come fai a vivere così?"

"Ordino la pizza" ammise lui facendo spallucce.

In effetti, avrei dovuto immaginare quella risposta.
Cercai in giro le padelle, quando finalmente ne trovai una versai dentro un filo d'olio e la misi sul fornello.

"Dai, facciamo delle omelette" onestamente, visto quello che avevamo, era l'unica ricetta plausibile.

"Aspetta, con "facciamo" intendi che anche io devo effettivamente cucinare?" Domandò virgolettando con le mani "sei davvero sicura di volerti assumere questo rischio?"

Risi passandomi una mano sul viso "Dai Duff! Si, sono sicura"

Così prendemmo un piatto, rompemmo le uova ed unimmo il latte insieme ad un pizzico di sale, ma quando lasciai il compito di sbatterle in mano a lui, la scena fu alquanto comica: non solo non aveva totalmente inteso il movimento, ma iniziava già a lanciare il composto da tutte le parti.

"Va bene, va bene, faccio io che qui rischiamo di rimanere senza cena. Tu torna a sederti piuttosto e porta le birre".

Scossi la testa divertita, poi gli lasciai un bacio sulla guancia e proseguii da sola. Nel giro di dieci minuti era pronto.
Portai entrambi i piatti al divano, uno lo porsi a lui, l'altro lo tenni per me.
Per evitare di ricadere nella pesantezza di poco prima, poi, accompagnammo la nostra cena con dei cartoni animati.
Eravamo ancora scossi, sicuramente stanchi, così, appena finimmo di mangiare, salimmo subito in camera e, raggiunto il letto, ci addormentammo in un attimo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1268178