Palsgrave's Queen

di Diana924
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Second Chapter ***
Capitolo 3: *** First Chapter ***
Capitolo 4: *** Third Chapter ***
Capitolo 5: *** Fourth Chapter ***
Capitolo 6: *** fifth chapter ***
Capitolo 7: *** sixth chapter ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


                                                                                                   
 


Famiglia reale, nobili, ambasciatori& gente che passava per caso:
 
Elizabeth Stuart: unica figlia femmina di re Giacomo e di sua moglie Anna di Danimarca, eroina della vicenda, ingenua fantolina o così vuol far credere

Giacomo Stuart: padre di Elizabeth, Henry e Charles, marito di Anna. Sesto re di Scozia con quel nome e primo re d’Inghilterra col medesimo. Re assolutista, pessimo marito e il padre gay che nessuno vorrebbe, secchione

Anna di Danimarca: regina di Scozia e Inghilterra, madre di Elizabeth, Henry e Charles, regina di Scozia e Inghilterra, non tanto segretamente cattolica

Henry Frederick Stuart: duca di Rothesay, poi principe di Galles, primogenito del re, golden boy per sua sorella e scassapalle di prima categoria per suo padre

Charles Stuart: terzogenito del re, detto baby Charles, in pochi si ricordano di lui, balbetta, duca di Albany e poi duca di York

Arbella Stuart: cugina del re, la seconda dama della corte anche se vorrebbe essere la prima

Ludovic Stuart: secondo duca di Lennox e primo duca di Richmond, cugino del re, figlio del suo grande amore

Elizabeth Tudor: la defunta sovrana, è morta ma non per questo meno presente

Robert Cecil: duca di Salisbury, “il beagle” di Elizabeth Tudor, primo consigliere del re, gobbo

Francis Bacon: cugino di Cecil, suo nemico politico

Alexander Livingston: primo conte di Linlithgow, tutore di Elizabeth, un padre putativo migliore del padre biologico

Helen Hay Livingston: contessa di Linlithgow, moglie di Alexander, tutrice di Elizabeth

John, Alexander e James: i loro figli, compagni di giochi di Elizabeth

Anne Livingston: loro figlia, damigella di Elizabeth, abbastanza brava in matematica da tenere un inventario

Frances Howard, lady Kildare: governante di Elizabeth, è imparentata con la famiglia reale ma non bisogna dirlo

John Harington: primo barone Harington, tutore di Elizabeth in Inghilterra, brav’uomo di saldi principi

Anne Keilway Harington: baronessa Harington, moglie di John, tutrice di Elizabeth in Inghilterra

John, Lucy e Frances: i loro figli, compagni di giochi di Elizabeth

John Bull: insegnante di danza di Elizabeth ed Henry

Diego Sarmiento de Acu
ña: conte Gondomar, ambasciatore spagnolo, continua a chiedersi cosa ci faccia in una corte di eretici

Henry Percy: conte di Northumberland, nobile cattolico

Philip Herbert: conte di Pembroke, attuale fidanzato del re, adora scommettere

Robert Carr, o Kerr: un giovane avvenente deciso a sfruttare il poco che ha

John Ramsay: ex fidanzato del re, creato visconte

Guy Fawkes: implicato in un complotto, cattolico

William Shakespeare: un autore teatrale popolare e abbastanza furbo da sapere dove tira il vento

Ben Johnson: il drammaturgo preferito del re

Inigo Jones: architetto, la star del giorno, per ora


 
Famiglia reale, nobili, ambasciatori& gente che passava per caso, parte II:


Elizabeth Stuart: Elettrice palatina, regina di Boemia, Goodwife pleasance per sua madre, l’intrepida eroina di questa vicenda, troppo intrepida

Federico von del Platz Simmerman: Elettore Palatino, re di Boemia, marito di Elizabeth, un bravo ragazzo con pessimi consiglieri

Henry, Charles ed Elizabeth: i loro figli, rimasti con la nonna

Rupert: ultimogenito, nato a Praga, avventuroso fin da neonato

Giacomo Stuart: padre di Elizabeth e Charles, marito di Anna. Sesto re di Scozia con quel nome e primo re d’Inghilterra col medesimo, il più furbo del circondario

Anna di Danimarca: regina di Scozia e Inghilterra, madre di Elizabeth, Henry e Charles, adesso ufficialmente cattolica

Charles Stuart: principe di Galles, figlio di Giacomo ed Anna, fratello di Elizabeth, ha un complesso di inferiorità

Robert Carr, o Kerr: duca di Somerset, ex fidanzato del re

George Villiers: marchese di Buckingham, attuale fidanzato del re

Luisa Giuliana di Nassau: madre di Federico, suocera di Elizabeth e buona nonna

Amalia di Solms: dama di compagnia di Elizabeth, ingrata di prima categoria

Ferdinando II d’Asburgo: imperatore e re di Boemia: un tizio che odia perdere le sue cose

Alberto d’Austria: Arciduca d’Austria, fratello di Ferdinando, ottimo comandante militare

Johannes Cyrill von Trebic: Ministro protestante, colui che incoronerà il re

Bethlen Gabor: re d’Ungheria, alleato instabile ma di buona volontà

Abraham Scultetus: predicatore calvinista, capace di fare più danni di un colpo di cannone

Christian von Ahnalt: cancelliere di Federico, un buon comandante

Ambrogio Spinola: un genovese che si sa battere

Henrik von Thurn- Valvassina: uno che ci ha comunque provato

Karel Buquoy: uomo di Ferdinando

Johann de Tilly: il miglior mercenario di Ferdinando

 
Famiglia reale, nobili, ambasciatori& gente che passava per caso, parte III:

Elizabeth Stuart: Elettrice palatina, regina di Boemia, l’intrepida eroina di questa vicenda, ora scesa a più miti consigli

Karl Ludwig von del Platz Simmerman: Elettore Palatino, erede di suo padre, bigamo

Elizabeth Charlotte von del Platz Simmerman: figlia di Karl Ludwig e Carlotta d’Assia, nipote di Elizabeth, maschiaccio destinata a future glorie

Karl von del Platz Simmerman: figlio di Karl Ludwig e Carlotta d’Assia, nipote di Elizabeth, erede del titolo paterno

Federico von del Platz Simmerman: Elettore Palatino, re di Boemia, marito di Elizabeth, defunto da un pezzo ma sempre presente nel cuore di sua moglie

Elizabeth von del Platz Simmerman: figlia di Elizabeth, suora protestante, intellettuale di famiglia

Rupert von del Platz Simmerman: eroe secondario della vicenda, un tizio che odia stare fermo

Luisa Hollandine von del Platz Simmerman: figlia di Elizabeth, suora cattolica e pittrice

Edward von del Platz Simmerman: figlio di Elizabeth, cattolico e pecora nera della famiglia

Sophia von del Platz Simmerman: ultimogenita di Elizabeth, principessa di Hannover, la cenerentola di casa

Anna Gonzaga: moglie di Edward, non si deve nominarla di fronte a Elizabeth

Henriette Marie de Bourbon: regina vedova d’Inghilterra, vedova di Charles I, invecchiata male

Charles II: re in esilio, un ragazzo pieno di prospettive e di poco denaro

James Stuart: duca di York, secondogenito: manca di spirito ma la buona volontà compensa

Mary Henriette Stuart: figlia di Charles ed Henriette Marie, vedova troppo tardi per i suoi gusti, madre single

Henry Stuart: duca di Gloucester, un bravo principe protestante

Henriette Anne Stuart: ultimogenita, detta Minette, parente povera

Amalia di Solms: l’erba cattiva non muore mai

Wilhelm van Oranje: figlio di Mary Henriette, nato postumo, bravo guaglione

Henry Jermyn: compagno di Mary Henriette, qualcuno mormora che si siano sposati

Parry: valletto di Charles II, un’ombra per lui

James Scott: figlio di Charles, cresciuto dalla nonna

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Capitolo 2
*** Second Chapter ***



Edimburgo, 1603:
 
Elizabeth non ricordava con esattezza l’ultima volta che si era trovata ad Edimburgo. Forse era stato in occasione del compleanno del re, o della nascita di baby Charles, era troppo tempo che non si trovava nella capitale, di quello era sicura.

La città l’aveva immediatamente conquistata e le avevano detto che Londra era ancora più grande e ricolma di tesori si sentiva mancare, già Edimburgo le sembrava il paradiso in terra.

Sua madre la regina l’aveva subito sistemata al palazzo reale da dove tempestava di lettere Stirling Castle. Lo scopo era sempre lo stesso: ottenere la custodia del duca di Rothesay e portare entrambi i figli con sé in Inghilterra. Lord Erskine era di diverso parere e i due continuavano a scriversi lettere sempre più piene d’odio invocando alternativamente il re e Dio a testimoni.

A lei non importava, non quando si stava godendo le novità che le erano piombate addosso. Sua madre le aveva fatto confezionare nuovi abiti, aveva ordinato gioielli e cosa più importante aveva disposto che la sua casa avesse il prestigio dovuto alla casa della figlia del re d’Inghilterra.

Aveva accettato la sua proposta riguardante Anne Livingston ma le aveva ricordato che i lord inglesi avrebbero fatto a gara perché le loro figlie avessero l’onore di essere sue damigelle d’onore e avrebbe dovuto accontentarli, anche a detrimento di coloro che si erano occupati di lei fin da quando era una lattante. Quella prospettiva non le piaceva per niente, non era un’ingrata e odiava dover creare quel genere di fraintendimenti ma dovevano pur mostrare riconoscenza agli inglesi.

Non capiva di cosa dovessero essere riconoscenti in quanto la corona spettava legittimamente a suo padre ma se le ose stavano così era disposta ad obbedire. Le mancavano le cavalcate a cui solitamente si dedicava ma c’era così tanto di cui occuparsi in quei giorni. Supervisionare i masque di corte, visitare il castello reale e Holyrood che si trovava all’altro capo della città, organizzare la partenza per Londra, le prudevano le mani dalla felicità.

<< La regina è tornata >> le annunciò papà Alexander che a breve sarebbe dovuto tornare a casa. Ignorava che sua madre fosse partita ma credeva di sapere dove fosse andata.

<< Cosa ha detto lord Erskine? >> domandò, era inutile girare intorno alla questione, desiderava sapere se anche quel giorno sua madre fosse riuscita a gestire il rifiuto di lord Erskine di consegnarle il suo primogenito.

<< Lord Erskine era contrario ma la regina ha ricevuto una lettera dal re e ha quindi preso con sé il duca di Rotheasy >> l’avvisò papà Alexander quando avvertì dei rumori: la carrozza della regina.
Veloce corse alla prima finestra e vide la carrozza di sua madre entrare nel cortile, sua madre era tornata e portava con sé suo fratello, Henry stava per arrivare.

Si guardò velocemente allo specchio e il vetro veneziano le mostrò la sua stessa immagine, non era impeccabile come avrebbe dovuto essere per un ambasciatore ma si trattava di suo fratello, Henry era famiglia.

Congedò papà Alexander e poi corse fuori, tenendosi le gonne per essere meno impacciata nei movimenti, seguita da Annie e maman Elizabeth.

Anna di Danimarca era trionfale quel giorno.

Era palese agli occhi di tutti come non si fosse nemmeno cambiata d’abito ma tutto il suo essere emanava un sentore di vittoria, aveva vinto non solo su i suoi nemici pubblici ma persino sul marito, quell’uomo che era stata costretta a sposare e che detestava con tutto il cuore. Una cosa era sorridere e camminare al suo fianco ma il resto… odiava sopportarne le villanie e la maniera pubblica in cui la umiliava, solo un uomo incapace di amare le donne sarebbe stato capace di farle così tanto male ogni volta che si incontravano nell’alcova per tentare di dare alla Scozia un altro principe.

Finalmente aveva la sua rivincita, era riuscita a spuntarla e conduceva con sé il suo trofeo, il suo adorato bambino, il futuro re d’Inghilterra nonché la luce dei suoi occhi, quel giorno Anna di Danimarca era più madre che regina.

Elizabeth lo notò, sul volto della regina sua madre c’era una gioia selvaggia che non aveva mai visto prima. Si sporse leggermente sulle punte per poterlo vedere, aveva il diritto di vedere suo fratello, aveva il dovere di salutare il futuro principe di Galles.

Fu allora che lo vide e con la capacità di giungere a conclusioni tipica dei bambini decise che suo fratello sarebbe stato l’unico uomo a cui avrebbe concesso il proprio amore spassionato e senza alcun secondo fine[1] .

Henry Frederick Stuart, primogenito del re e duca di Rotheasy, aveva nove anni e le sembrò un angelo.

Biondo dai riflessi rossastri, capelli corti e lo sguardo fiero tipico della sua figlia, il corpo assolutamente proporzionato e un’andatura umilmente fiera, non v’era alcun dubbio che in capo a cinque anni il principe sarebbe diventato lo scapolo più ambito d’Europa.

<< Figlia mia, oggi è un grande giorno per noi! >> dichiarò la regina prima di porgerle mano che lei devotamente baciò.

<< Vi presentò vostro fratello, Henry. Figlio mio, ecco a voi vostra sorella Elizabeth, la nostra perla >> proclamò la regina in maniera tale che tutti potessero sentirla.

<< Sorella mia, onorato di rivedervi >> la salutò Henry, formale e rigido come gli ambasciatori stranieri quando venivano ammessi alla sua presenza.

<< L’onore è mio, Altezza Reale >> rispose lei prima di inchinarsi esattamente come le avevano insegnato. Avrebbe voluto abbracciarlo, fargli mille domande su argomenti inutili, chiedergli cosa pensasse dei suoi abiti, se amava andare a cavallo, cosa amasse leggere, cosa pensava dell’Inghilterra ma sapeva bene di non potere, non ancora almeno.

Ci sarebbe stato tempo ma sul momento quell’attesa le sembrò un’inutile e crudele tortura.

La regina applaudì e poi entrò nel castello, seguita da loro due, prima suo fratello e poi lei, come volevano le regole di precedenza e infine le damigelle della regina. Non le fu difficile intuire perché quelle ragazze fossero tremendamente in ansia e facessero di tutto per compiacere la regina sua madre. L’Inghilterra era il sogno di ognuna di loro ma lì ci sarebbero ste dame inglesi, ansiose di dimostrare il proprio valore e che avrebbero lottato con le unghie e con i denti pur di conservare la posizione acquisita durante il regno della vecchia regina. Per quel motivo sua madre non poteva portare tutta la sua casa a Londra, alcune di loro sarebbero dovute rimanere, forse con una dote, forse con un semplice regalo ma era chiaro che molte di loro non sarebbero andare oltre Edimburgo.

Terrorizzate dalla prospettiva di rimanere in Scozia quelle ragazze moltiplicavano le gentilezze nei confronti della regina, poco importava che fino a pochi giorni prima l’avessero giudicata una donna sciocca e frivola, ora quella donna sciocca e frivola non solo aveva imposto al re il proprio volere ma aveva gli strumenti per decidere chi sarebbe andata con lei e chi sarebbe rimasta.

Per quel motivo le damigelle coccolavano lei e suo fratello, nessuna di loro era realmente sua amica o aveva a cuore il suo benessere, volevano solamente che mettesse una buona parola con sua madre si rese conto Elizabeth.

Davvero pensavano che sua madre l’avrebbe ascoltata? Sua madre aveva appena messo a repentaglio la vita di un figlio pur di poter tornare in possesso di un altro, significava non conoscerla.

<< Miei signori, dove si trova adesso il re? >> domandò la regina a tutti e a nessuno, per quanto frivola e sciocca Elizabeth dovette ammettere che sua madre aveva una certa intelligenza, o si circondava di persone intelligenti.

<< È sulla strada per Londra, tutta l’Inghilterra corre a vederlo durante il suo percorso trionfale, entro domani dovrebbe soggiornare presso il barone Cecil nella sua residenza di Theobalds >> la informarono ed Elizabeth vide sua madre sorridere.

<< Dobbiamo molto al barone, e mio marito saprà ricompensarlo, in quanto ai desideri degli inglesi… date loro del tempo e vedranno il vero volto di mio marito >> dichiarò la regina Anna, un sorriso enigmatico sul bel volto.

Nessuno osò interpretare quello che aveva appena detto, limitandosi a dei sorrisi di circostanza e qualche risolino.

Elizabeth tornò a guardare a terra, entro pochi giorni sarebbero finalmente partiti per l’Inghilterra e questo solo dove contare.

<< Sorella mia, gradireste venire a cavalcare con me? >> le domandò suo fratello quando l’attenzione della regina fu da tutt’altra parte.

<< Io e voi? Insieme? >> domandò lei di rimando emozionata.

<< Certamente, i dintorni sono deliziosi e non vorrete passare tutto il giorno con nostra madre e le sue dame papiste >> le propose suo fratello e lei sorrise. Papista. Sapeva bene cosa fosse il papismo, la fede in cui la sua sventurata nonna era morta sul patibolo, se solo la regina si fosse convertita sarebbe potuta tornare aveva spesso udito dalle sue cameriere eppure sua nonna era stata ostinata. Il papismo era un cancro di cui la Scozia e l’Inghilterra si erano liberate ma non troppo in quanto continuava a corrodere le menti. Mai avrebbe pensato una simile cosa di sua madre.

Sua madre era una principessa protestante, nata e cresciuta nella Vera Fede, era impossibile che fosse una papista.[2] Forse aveva delle dame al suo servizio che non avevano rinnegato quelle sciocche superstizioni ma non lei, sua madre era una principessa di Danimarca, moglie del sovrano più istruito d’Europa, mai e poi mai si sarebbe fatta papista.

Forse suo fratello si sbagliava, forse volevano mettere il figlio contro la madre ma non sarebbe stato così facile con lei.

<< Non dovreste ripetere queste cose >> si limitò a dire prima che suo fratello le desse un bacio veloce sulla guancia.

Ci sarebbe stato tempo per chiedermi maggiori informazioni ma prima della partenza per Londra voleva godersi quella libertà.
 
 
***
 
 
Ordinò alle sue donne di lasciarla sola e rilesse attentamente la lettera.

Aveva vinto, suo marito si era schierato dalla sua parte e finalmente il suo adorato tesoro era con lei. Quanto era bello suo figlio, la sua speranza, il suo amore e quante soddisfazioni le avrebbe dato.

La femmina invece non riusciva a capirla.  Non che non le piacesse ma aveva la sensazione che la mocciosa la giudicasse, che i Livingston l’avessero messa contro di lei. Non ne sarebbe stata sorpresa, sapeva bene cosa metà della nobiltà pensava di lei e non le importava ma che anche sua figlia la guardasse come se fosse una sciocca… quello no, assolutamente no.

Non sapevano nulla, come potevano conoscere la profondità delle sue ferite? Come potevano anche solo sospettare la profondità dei suoi tormenti?

Sapevano tutto quegli ingrati, sapevano tutti e nessuno aveva mai avuto una parola gentile per lei o aveva tentato di confortarla, di farla sentire amata o desiderata. Preferivano adorare il re, le famiglie presentavano a suo marito i propri figli con la speranza che venissero notati, quanto odiava quei ragazzi dal corpo atletico e dalle maniere effettati che si pavoneggiavano ovunque vestiti di seta e con ricchi gioielli guardandola con un sorriso sardonico come se la compatissero.

Suo marito… suo marito li baciava di fronte alla corte, metteva le mani nelle loro brache di fronte a lei e permetteva ogni tipo di villania a quei ragazzi. Avrebbe potuto accettarlo se non fosse stato il comportamento di suo marito che pretendeva che tutti sapessero e i lairds potevano pure condannarlo in privato ma in pubblico gli spingevano figli e nipoti nel letto.

Ricordava ancora cosa si fossero inventati i Ruthven[3] e come suo marito avesse abboccato come qualsiasi idiota, questo perché se un bel ragazzo sfarfallava le ciglia nella sua direzione suo marito veniva preso dal desiderio di possederlo il prima possibile.

E lei rimaneva lì, seduta sul suo trono mentre fingeva di non vedere, a sopportare le accuse di frivolezza e di scostumatezza, se solo lo avesse davvero tradito. Non aveva osato, lei era una moglie devota e solamente quella sua superiorità spesso le permetteva di affrontarlo quando esagerava.

Almeno adesso aveva suo figlio, lo avrebbe cresciuto come desiderava lei e quando sarebbe succeduto al padre avrebbe liberato la corte da quei giovanotti disgustosi.

Era stata necessario umiliarsi ma aveva vinto, e sapeva perfettamente il motivo. Suo marito voleva godersi la sua passeggiata trionfale e non desiderava problemi, motivo per cui l’aveva accontentata.

Così tante nuove ricchezze, un potere così grande e tanti nuovi ragazzi perché i nobili inglesi una volta capito da che parte tirava il vento si sarebbero adeguati.

Anzi, era sicura che ogni notte ci fosse un ragazzo diverso nel letto di suo marito, il piccolo Johnny Ramsay si stava sicuramente mangiando le mani dall’invidia e dal timore di essere messo da parte. Per quale altro motivo suo marito aveva insistito per partire da solo, davvero credevano che fosse per motivi di sicurezza? Che volesse correre a prendere possesso del suo nuovo paese per il bene dell’Inghilterra? Davvero gli inglesi erano così stupidi da crederci?

Se ne sarebbero accorti, e lei si sarebbe goduta ogni singolo secondo di quello sconcerto, la compatissero pure, era sicura che la moralità di tanti lord si sarebbe dissolta come neve al sole quando avrebbero capito come ottenere titoli e prerogative.

Robert Cecil in persona se ne sarebbe accorto, e avrebbe capito che loro non erano degli stupidi come la vecchia regina. Quell’eretica vanitosa aveva governato per anni sfoggiando i suoi amanti facendo credere che prima o poi si sarebbe sposata e permettendo ai suoi ministri di fare tutto, con loro la situazione sarebbe cambiata. Suo marito avrebbe avuto bisogno di tempo ma… forse poteva servirsi delle sue inclinazioni contronatura per aiutare la causa della Versa Fede.

Il calvinismo della sua giovinezza non le dava alcuna sicurezza ma quella fede, quella fede così ardente e confortante le aveva dato tutte le risposte di cui aveva avuto bisogno da sempre.

Cecil aveva commesso un errore a preferire loro e se ne sarebbe accorto troppo tardi, molto meglio sarebbe stato appoggiare lady Arbella, almeno quella stupida pupattola era facilmente controllabile a differenza di suo marito. Poteva appoggiare persino l’Infanta spagnola o un qualche duca, suo marito avrebbe rovinato l’Inghilterra e loro non se ne sarebbero nemmeno accorti.

Si mise alla finestra e osservò distrattamente Edimburgo, quella città le sarebbe mancata, l’aveva considerata per anni la propria casa, quando ancora credeva che suo marito l’avrebbe amata. Quanto era stata sciocca!

Suo marito era incapace di amare le donne, nel suo cuore c’era spazio solamente per i giovanotti e per lord Lennox, il grande amore della mia vita le aveva confidato una sera.

Sapeva cosa fare, oh se lo sapeva, era il momento di ricordare agli inglesi che una regina consorte poteva avere una sua corte ed era una potenza di cui tenere conto.

<< Mandate a chiamare Mary Atholl >> ordinò alla cameriera, era il momento che i Ruthven si ricordassero che dovevano tutto a lei. Come previsto Mary si precipitò, era l’unica della sua famiglia a conservare ancora il favore reale e tutto grazie a lei.

<< Mi avete fatto chiamare? >> domandò la donna.

<< Lady Atholl, dovete scrivere alle vostre sorelle e informarle che il re sta arrivando, forse avete altri fratelli da lanciargli nel letto o per ucciderlo >> ironizzò e vide l’altra sbiancare.

<< Io non sapevo nulla, mia regina, ve lo giurò >> si difese l’altra, falsa come una puttana che giura amore eterno.

<< Davvero mi credete così stupida? Non sono riuscita a salvare le vostre sorelle, realmente innocenti, e devo fare i conti con voi ogni singolo giorno, non ditemi cosa devo credere. Avvisatele che comincino a spiegare agli inglesi la vera natura del re, vediamo se lo accoglieranno ancora con canti e ghirlande >> ordinò. Mary cercò di inchinarsi ma la fermò e la congedò, aveva bisogno di pensare, che suo marito perseguisse la sua politica, lei avrebbe pensato alla propria.


 
Praga, 1619
 
 
La cerimonia dell’incoronazione era stata un successo.

Ricordava ancora quella di suo padre avvenuta sedici anni prima e questa era immensamente superiore. Certo, all’epoca c’era la peste e la corte si era trattenuta il meno possibile a Londra ma la sua incoronazione resta senza dubbio la migliore.

Tutta Praga era giunta ad acclamarli, gli ambasciatori erano presenti e la cattedrale di san Vito li aveva accolti nella maniera migliore. Aveva seguito l’incoronazione di Frederick con viva emozione e quando tre giorni dopo si era trattato della propria… quella era stata la sua apoteosi. Quando Johannes Cyrill von Trebic aveva posato la corona sulla testa di Frederick aveva avuto la certezza che fossero loro gli Eletti del Signore, che sarebbero riusciti sul serio a portare a compimento la Sua missione

Goodwife Pleasance l’aveva definita sua madre quando aveva saputo del fidanzamento, a sentir lei si degradava sposando un semplice elettore quando il Delfino e il principe delle Asturie avevano aspirato alla sua mano per non dire del duca di Savoia. Come poteva sua madre sapere cosa fosse l’amore?

Li aveva visti anche lei i giovanotti, era cresciuta sopportando le bizze di Robbie Carr e constatando come quell’arrogante scozzese fosse più importante di sua madre o di Henry agli occhi di suo padre.
Come poteva sua madre aver conosciuto le delizie dell’amore coniugale se suo padre era un inveterato sodomita che a malapena la cercava?

Lei e Frederick invece erano felici, di questo Elizabeth era assolutamente convinta, si erano scelti e ora erano re e regina.

La sua corona era d’oro, aveva stretto tra le mani il globo e lo scettro e avevano cantato il Te Deum in suo onore quando quella meravigliosa corona si era posata sul suo capo. Era stato come se fosse stata a Westminster, ma meglio aveva pensato per un istante. Ce l’abbiamo fatta Henry, ci siamo riusciti aveva mormorato, quella vittoria era anche di suo fratello, Henry aveva indovinato quando aveva scelto Frederick per lei.

Suo fratello, il suo eccezionale fratello, quanto le mancava Henry, il principe di Galles era stato il suo amico più caro, la sua metà, l’unico che potesse realmente comprenderla.
Henry sarebbe stato presente, avrebbe cavalcato giorno e notte pur di assistere all’incoronazione, avrebbe violato il blocco pur di vederla, non come baby Charles che se ne stava dietro il trono di suo padre ad attendere.

Il corteo trionfale fino al castello di Praga era stato un trionfo superiore alle aspettative di chiunque e il banchetto, nemmeno nei primi giorni successivi all’arrivo di suo padre in Inghilterra aveva mai partecipato ad un banchetto così sontuoso. Quando ancora i nobili inglesi pensavano che suo padre fosse una persona per bene e non un brigante pervertito, quando erano sicuri che una nuova era di pace e prosperità stesse per cominciare.

Erano quasi giunti all’ultima portata quando vide un messaggero entrare e subito mormorare qualcosa all’orecchio di Frederick. Suo marito si scusò per poi correre via seguito da Christian von Ahnalt, cancelliere di suo marito nonché uno dei suoi uomini più fedeli.

Finse di non essersi accorta della loro partenza, forse erano notizie da Heidelberg o forse suo padre si era finalmente reso conto del suo errore e aveva deciso di aiutarli, non spettava a lei dire la sua. Suo marito aveva bisogno solamente di un piccolo aiuto per raggiungere la grandezza e lei aveva appena dimostrato a sua madre che poteva diventare regina senza dover per forza abiurare la sua fede.
Rimase quindi immobile al suo posto, comportandosi come la perfetta padrona di casa finché suo marito e von Ahnalt non furono di ritorno. Lanciò uno sguardo preoccupato a Frederick temendo il peggio ma suo marito sorrideva, ad una seconda occhiata Elizabeth si rese conto che il sorriso non arrivava agli occhi ma non poteva essere un male, forse era una situazione da cui potevano uscire.

<< Miei sudditi, ho una meravigliosa notizia per voi, una notizia che conferma la veridicità della nostra causa e quanto questa sia votata al successo >> dichiarò Frederick alzandosi, mai come in quel momento le era sembrato regale.

<< Il principe di Transilvania Gabor Bethlen si è appena dichiarato re d’Ungheria e ha giurato che si unirà a noi, la nostra è una santa crociata in difesa della Vera Fede e questa ne è la prova >> proclamò suo marito scatenando urla di gioia.

Si unì all’applauso e sentì le lacrime cominciava a rigarle il volto, quella era la loro vittoria, con ben due corone perse l’imperatore avrebbe dovuto trattare con loro e loro avrebbero potuto imporre le loro condizioni.

L’Ungheria era persino più importante della Boemia, già la famiglia Bathory aveva provato a staccare l’Ungheria in quanto seguaci della Vera Fede ma Mattia li aveva schiacciati e umiliati, Bethlen avrebbe vendicato il suo amico Gabor Bathory e unendosi a loro avrebbero finalmente portato la Vera Fede in quelle terre.
Era tutto perfetto, assolutamente perfetto pensò lei.

E poi Frederick sbagliò.

<< In vista di questa futura alleanza ho deciso quale sarà il mio primo ordine. Bisogna spogliare le chiese di tutti i segni di idolatria, il popolo ci ha chiamato per combattere l’eresia papista e sarà questo che faremo. Tutte le chiese torneranno alla loro semplicità originale e i segni dell’idolatria saranno fusi per ricavarne denaro con cui finanzieremo il nostro regno >> dichiarò suo marito ed Elizabeth vide chiaramente come i nobili trasecolarono alla notizia e come l’applauso questa volta fosse decisamente meno sonoro, i nobili boemi li stavano già abbandonando anche se non capiva il perché.
Il popolo li aveva chiamati, la Dieta li aveva nominati re e regina, cosa poteva esserci di sbagliato se ora si occupavano di eseguire il dovere del Signore?[4]

La regina sua omonima aveva fatto lo stesso in Inghilterra, e così il grande Guglielmo, perché li stavano guardando come se fossero dei mostri o peggio ancora degli stupidi?

Fece cenno a Cyrill von Trebic di avvicinarsi, sicuramente il religioso avrebbe avuto una spiegazione per quel comportamento.

<< Padre, per quale motivo la nobiltà qui convenuta non approva il re? Non sono tutti fedeli calvinisti e luterani? >> domandò a bassa voce.

La risposta del presule la lasciò di stucco: la nobiltà poteva anche essersi convertita alla Vera Fede ma nelle campagne l’eresia papista prosperava e i contadini non avrebbero mai permesso lo spoglio delle chiese, agendo così Frederick si era appena creato dei nemici tra i propri sudditi, Ferdinando avrebbe gongolato dalla felicità pensò amaramente.
 
***
 
Era andato tutto bene, fino a quella notizia.

Era consapevole di aver commesso uno sbaglio accettando quella corona ma Frederick von der Platz era sempre stato una persona onorevole e non poteva lasciare i boemi al loro destino.

Elizabeth ci aveva messo del suo ma aveva davvero bisogno di poco per farsi convincere, quella era la sua occasione. Amava teneramente sua moglie, quella moglie eccezionale che lo aveva scelto andando contro la propria famiglia e avrebbe fatto di tutto per lei, renderla regina le sembrava il minimo. Insieme avrebbero costruito un mondo nuovo, un mondo migliore finalmente libero dal papismo e dagli imperiali.

Eppure era andato tutto storto.

Aveva temuto che l’Unione Evangelica non lo avrebbe appoggiato ma non si sarebbe mai aspettato che avrebbe ricevuto da loro solo belle parole, né denaro né uomini gli avevano concesso coloro che lo avevano eletto loro capo. Lui ed Elizabeth erano comunque partiti e tutto era andato per il meglio, finché suo suocero non gli aveva scritto.

Disprezzava profondamente il re d’Inghilterra il quale ai suoi occhi aveva come unico merito quello di essere il padre di Elizabeth. Falso, scostante, arrogante, rozzo, saccente e sodomita, re James era forse il peggior re protestante d’Europa eppure era l’unico con abbastanza potere per aiutarlo.

La sua risposta li aveva gettati nello sconforto ma gli avrebbe dimostrato che si sbagliava, che potevano farcela. Secondo suo suocero avrebbe dovuto immediatamente restituire la corona di Boemi all’imperatore e tornare ad Heidelberg, non era un bene che un re accettasse la sua corona dai sudditi, a sentire lui aveva creato un precedente pericoloso perché se i boemi gli avevano dato la corona cosa impediva ai boemi di riprendersela per darla a un altro se mai li avesse delusi?

Comprendeva quella motivazione ma lui sarebbe stato degno di quella corona e se il re d’Inghilterra non credeva in lui… gliel’avrebbe fatta vedere lui.

Tutta la Germania lo amava, persino dalla Francia erano arrivate attestazione di stima, per non direi della Danimarca e della Norvegia. Calvinisti e luterani potevano anche combattersi ma avevano un nemico comune: l’imperatore papista e lui sarebbe stato colui che li avrebbe condotti alla vittoria contro il nemico di sempre, l’Asburgo entro al fine dell’anno avrebbe perso le sue corone.

L’incoronazione era stata un successo e quella di Elizabeth lo aveva riempito d’orgoglio, sua moglie era finalmente una regina e a breve avrebbe dato un figlio alla Boemia. Stava andando tutto bene finché un paggio non lo aveva avvisato che c’era un messaggero per il re. Si era quindi alzato e si era diretto nelle sue stanze seguito da Christian von Ahnalt, uno dei pochi di cui si fidasse; per quanto valorosi i boemi erano infidi e potevano sempre tradire.

La notizia era stata la migliore che potesse immaginare: il principe di Transilvania aveva tradito e aveva dichiarato l’indipendenza dell’Ungheria.

La fama di Bethlen Gabor era nota anche ad Heidelberg ma mai avrebbe pensato che l’uomo lo avrebbe imitato. Doveva subito scrivergli per proporgli un’alleanza, insieme avrebbero potuto fare grandi cose.

<< Mio re, ritengo che siamo in una brutta situazione >> disse invece von Ahnalt, sorprendendolo.
<< Spiegatevi meglio signor cancelliere >> ordinò lui curioso.

<< Bethlen è un guerriero coraggioso e un buon principe ma i suoi magiari da soli possono poco e soprattutto ha fatto infuriare l’imperatore >> rispose von Ahnalt serio.

<< Che Ferdinando sia furioso, cosa importa a noi se l’imperatore è furioso nel suo castello di Vienna quando la Boemia e l’Ungheria sono tornate indipendenti? >> replicò lui.

<< Perché se prima poteva essere indotto a trattare ora sarà irremovibile. Ferdinando poteva rinunciare alla Boemia, o all’Ungheria, ma non rinuncerà ad entrambe. Vorrà non solo distruggervi ma umiliarvi, Bethlen gli ha appena offerto i mezzi ed è solo questione di tempo prima che il tercios di re Filippo sbarchi in Italia per poi proseguire verso Vienna, o peggio ancora dai Paesi Bassi spagnoli l’Infanta autorizzi il passaggio dell’esercito di suo fratello il re >> gli spiegò von Anhalt.

Sapeva che aveva ragione ma potevano resistere, i boemi erano guerrieri formidabili e loro avevano Iddio dalla loro parte, sarebbero usciti vincitori da quella sfida e la Boemia sarebbe stata un regno forte, potente e calvinista.

<< Ma noi abbiamo Iddio dalla nostra, e il popolo >> si difese lui mentre cominciava ad avere dei dubbi, il popolo lo avrebbe davvero appoggiato una volta che le milizie imperiali e spagnole sarebbero dilagate in Boemia?

<< Iddio non può impugnare una spada, i nostri alleati non si muoveranno e le casse sono vuote >> lo contraddisse il cancelliere.

<< I miei antenati hanno combattuto contro l’Asburgo e ne sono usciti vincitori >> replicò, non sarebbe stato inferiore a suo padre e a suo nonno.

<< I vostri antenati avevano il supporto delle Province Unite e della Francia, le Province Unite non ci aiuteranno e la reggente è figlia di un’arciduchessa austriaca e ha una figlia che diventerà regina di Spagna, siamo rimasti soli contro il gigante asburgico >> dichiarò von Ahnlalt.

<< Possiamo resistere, non tradirò la parola data abbandonando i boemi >> disse lui, consapevole che quelle erano solamente parole.

Ferdinando lo avrebbe schiacciato e poi sarebbe passato a Gabor ma non se ne sarebbe andato senza lottare, la strada per il martirio era aspra ma non aveva paura di percorrerla.

Gli dispiaceva per Elizabeth, le aveva promesso la gloria di una corona e ora scopriva che poteva offrirle solamente l’amarezza dell’esilio o la tristezza della prigionia.

 
Amserdam, 1660:

 
C’erano tutti.

Se ne accorse quando scese dalla carrozza e si guardò intorno, si erano radunati tutti per vedere il nuovo re. Il governo delle Province Unite, il figlio di Mary Henriette con sua nonna, i suoi stessi figli e i fratelli del re, tutta l’Olanda era lì a salutarlo come se volesse farsi perdonare.

Maurizio di Nassau con lei era stato generoso ma quell’ingrata di Amalia aveva osato trattarli come dei volgari pezzenti e ora suo nipote si ritrovava ad avere in testa la corona che meritava in quanto figlio del re.

Forse aveva sbagliato a non permettere a Sofia di sposare Charles ma già avevano le loro sventure e non poteva farsi carico di altre, era sicura che prima o poi suo nipote avrebbe recuperato la sua corona ma loro avevano bisogno di denaro e di una certa posizione per la loro causa, anche dopo che Karl Ludwig aveva mandato tutto all’aria.

Amalia di Solms doveva essere piena di rancore e di invidia, ne era assolutamente sicura. Aveva rifiutato Charles come genero giudicandolo inadatto e di troppo basso rango per le sue figlie, lei che un tempo era stata una delle sue damigelle e che aveva sposato un cadetto…. E ora nessuna delle sue figlie sarebbe divenuta regina e Charles avrebbe sposato un’altra.

Avanzò verso il re, orgogliosa di suo nipote e felice di come la situazione si fosse sistemata, la loro famiglia era destinata ad ottenere quel che voleva, ad ogni costo.

Avevano riottenuto il Palatinato e Karl era potuto tornare ad Heidelberg ma aveva dovuto tradirla e nessuno dei suoi figli era stato dalla sua parte, quei maledetti ingrati l’avevano abbandonata al suo destino.

Charles quel giorno era splendido, alto come solamente quelli della loro famiglia erano e con i capelli neri e la pelle scura che dovevano essere un’eredità della nonna italiana, sarebbe stato un grande re pensò.

Henriette non c’era si rese conto, pensava di trovarla accanto al figlio ma la regina madre d’Inghilterra non era con loro. Probabilmente era ancora a Parigi a implorare il cardinale Mazzarino di pagare i suoi debiti, o era già arrivata a Dover, Henriette sapeva essere imprevedibile. Il duca di York e il conte di Gloucester invece erano presente, e Rupert con loro, suo figlio era appena diventato il primo principe del sangue e in Inghilterra avrebbe saputo cosa fare. Quel titolo sarebbe dovuto spettare a Karl ma suo figlio aveva Heidelberg e non avrebbe lasciato la sua capitale per nulla al mondo, non se significava stare lontano da quella donnaccia.

Durante il tragitto si era chiesta cosa poteva fare.

Aveva vissuto in esilio per gran parte della sua vita e l’idea di morie a L’Aia le appariva insopportabile, per quanto bello quello era pur sempre un esilio. Heidelberg non era opportuna, Praga era off limits come avrebbe detto nella lingua della sua infanzia e Londra… chissà se suo nipote le avrebbe concesso di poter tornare.

<< Madre mia, vi presento al re >> le comunicò Rupert, aveva già incontrato Charles ma all’epoca suo nipote era re solamente sulla carta e in un’isola che poco poteva fare per aiutarlo, ora era finalmente tornato ad essere re d’Inghilterra.

<< Come desiderate, Karl ha portato i bambini? >> domandò, non aveva mai sopportato i bambini, nemmeno i suoi ma la figlia di Karl le sembrava intelligente.

<< Solamente quelli avuti da sua moglie, lui e Mary Henriette hanno un progetto >> le rispose Rupert. Un ottimo progetto pensò lei. Avrebbe reso sua nipote moglie dello Stadtholder e suo figlio avrebbe così punito Amalia di Solms per aver bistrattato la loro famiglia, se solo Mary Henriette avesse combattuto di più per la custodia di suo figlio.

<< Considerate le nostre sventure sarebbe un partito meraviglioso >> disse. Edward e Luise persi per sempre, lui per amore e lei per devozione, si era sentita così umiliata quando lo aveva appreso e si era chiesta cosa ne avrebbe pensato il suo Frederick. Suo marito, capo dell’Unione Evangelica, il paladino della Riforma, il re di Boemia… e due figli che si erano fatti cattolici e una addirittura suora, sarebbe morto una seconda volta di dolore, ne era assolutamente sicura, che vergogna.

Era tutta colpa di Edward e di quella sgualdrina italiana, possibile che i suoi figli non sapessero scegliersi delle mogli adeguate?

Avevano rovinato tutti i suoi piani e l’avevano coperta di ridicolo di fronte al mondo intero ma almeno adesso aveva una nuova opportunità. Intravide la figlia di Karl, Elizabeth Charlotte, ma aveva altre priorità: farsi presentare al nuovo re d’Inghilterra era la principale.

Come previsto tutti la fecero passare e per un istante tornò ad essere la giovane e bella regina di Boemia, la regina d’inverno l’avevano soprannominata i cattolici.

<< Vostra maestà, vi presento mia madre, l’Elettrice Palatina vedova Elizabeth Stuart, nata principessa di Scozia >> la presentò Rupert in un inglese perfetto e lei si inchinò devotamente.

Come previsto Charles la fece rialzare per poi abbracciarla, era giusto che il mondo ricordasse che erano zia e nipote, che il suo povero fratello era stato re ed era stato martirizzato lasciando una pesante eredità a quell’uomo.

<< Mia signora zia, è un onore avervi qui, tornerete a L’Aia in futuro? >> le domandò Charles, egocentrico come tutta la loro famiglia.

<< Se Vostra Maestà ha piacere preferirei tornare in Inghilterra per trascorrervi gli ultimi anni della mia vita >> ammise. Era una follia ma forse in Inghilterra sarebbe stata bene.
 
***
 
Conosceva il motivo per cui sua madre fosse arrivata ad Amsterdam e non era quello di salutare suo cugino Charles.

Non solo almeno perché sua madre aveva forse trovato la maniera per porre fine al proprio esilio. Rupert von der Platz non era stupido e aveva imparato a non sottovalutare le persone con cui entrava in contatto, compresa sua madre.

La fu regina di Boemia si sarebbe potuta accontentare di Heidelberg ma si era convinta che una delle condizioni del trattato di pace fosse proprio il divieto di varcare i territori del suo dominio. Sua madre aveva sempre odiato non essere al centro dell’attenzione e ad Heidelberg con i problemi di Karl non lo sarebbe mai stata, per non parlare di come avrebbe dovuto cedere il passo a sua nuora.

Molto meglio che si crogiolasse nelle sue bugie, era per colpa del suo modo di vedere il mondo se era accaduto quello che era accaduto alla loro famiglia.

Edward e Louise avevano preferito farsi cattolici pur di non vivere un giorno in più con sua madre, e li capiva perfettamente, inoltre facendosi suora Louise aveva messo a tacere quelle brutte voci. Elizabeth aveva preferito unirsi alle beghine o qualcosa di simile e Sophia, la piccola della famiglia, si era sposata. Aveva dei dubbi sugli Hannover ma era un matrimonio sicuro e dopo le disgrazie e i lutti la loro famiglia aveva bisogno di certezze solide.

E quando era sicuro che avrebbe trascorso la sua vita facendo il mercenario il generale Monck aveva avuto un’offerta per suo cugino Charles.

Aveva avuto dei dubbi ma quella era la migliore opportunità che potessero avere e suo cugino l’aveva colta, aveva riavuto la corona alle stesse condizioni del padre, anzi a sentire gli emissari venuti da Londra gli inglesi non avevano fatto altro che attendere. Non era nato per governare, adorava troppo i campi di battaglia, ma quella era una patetica bugia, come se non sapesse che fino a pochi mesi prima gli inglesi si erano inchinati di fronte al signor Cromwell. Avevano persino pensato di incoronarlo re, gli ingrati!

Suo cugino il re però sembrava aver dimenticato tutto e smanioso di godersi il suo regno, un regno da cui era assente da dieci anni.

Tanto per cominciare aveva fatto rinominare la Naseby, la nave che avrebbe dovuto riportarli in Inghilterra a suo nome, o meglio gli inviati, Montagu in testa, avevano tanto insistito che alla fine aveva dovuto cedere. [5]

Aveva nominato lui comandante del proprio esercito e riservato al fratello James il titolo di Alto Ammiraglio, per il piccolo Henry avrebbe pensato a qualcosa.

<< La regina vostra madre non è qui? >> domandò al re, attorno a loro gli esuli inglesi sembravano dei cattolici durante la processione, tutti ansiosi di vedere il re, di toccarlo, di testimoniargli la propria fedeltà e quanti danni avessero subito per essergli stati leali.

<< La regina mia madre si imbarcherà da Calais, porta con sé Minette e mio figlio >> gli rispose suo cugino il re facendo riferimento all’ultima figlia della fu coppia reale e al bastardo che lui stesso aveva generato dieci anni prima, quando era un re senza trono e un giovane senza futuro. E aveva amato quella ragazza, con incoscienza e desiderio, forse si erano amati per quella sola estate ma era stata sufficiente per generare un figlio che il re d’Inghilterra amava teneramente pur avendolo visto scarse volte.

<< Mia sorella la stadholder non partirà con noi, ci raggiungerà in seguito, vostra madre verrà con noi o resterà a L’Aia? >> domandò suo cugino mentre il duca di York e il duca di Gloucester li raggiungevano, la famiglia reale al completo pensò lui.

<< Dipendesse da lei tornerebbe a Praga accolta come regina ma presumo che ottenendo i benefici necessari possa essere persuasa a stabilirsi in Inghilterra >> rispose lui con un sorriso che fece ridere apertamente gli altri.

L’ambizione di sua madre aveva rovinato tutti. Aveva rovinato suo padre, incapace di opporsi come avrebbe dovuto. Aveva rovinato il Palatinato, devastato dagli imperiali, aveva rovinato tutti loro se Elizabeth e Louise avevano preferito un chiostro al rimanere in una città come L’Aia.

In Inghilterra non avrebbe potuto causare troppi danni e lui sarebbe potuto stare tranquillo, era dalla propria nascita che sua madre tentava in ogni modo di rovinare la vita al prossimo.
<< Vedrò cosa posso fare, dovresti presentarmela >> gli consigliò Charles. Conosceva sua zia ma quando l’aveva conosciuta era solamente un principe di Galles e poi un re in esilio, ora invece era il re d’Inghilterra e per quanto bizzarro doveva pur seguire un cerimoniale, e sua madre era nata principessa di Scozia.

Annuì con la testa per poi ritirarsi, la folla lo fece passare riconoscendogli il titolo di cugino del re e si diresse verso sua madre. Fece appena in tempo a vedere i Richmond avvicinarsi, era sicuro che avrebbero fatto di tutto per ricordare a Charles i sacrifici della loro famiglia durante la guerra.

La guerra, erano anni che non ci pensava, era andato tutto a rotoli ma non aveva mai potuto dire la sua, non realmente, e questo perché gli inglesi odiavano gli stranieri, qualsiasi tipo di stranieri.
Sua madre sembrò più ragionevole del previsto ma forse perché sperava in qualcosa dal re, per sua fortuna Charles aveva altre preoccupazioni in quel momento pensò lui.

La regina di Boemia lo trattenne per alcune parole, di certo non per augurargli buon viaggio ma almeno finse di essere una buona madre. Finzione deprecabile ma le credettero tutti, tranne lui e Karl.
Intravide i figli di Karl e l’idea di suo fratello e di Mary Henriette non era così pessima, in quanto cadetto lui per fortuna non aveva simili problemi o doveva preoccuparsi di certe questioni.
La sua vita era stata perfetta, non era iniziata nella maniera migliore ma quello era sicuramente un segno: era destinato a grandi cose e si era sforzato di adempiere il suo destino.

La vita guerresca gli piaceva, aveva partecipato a innumerevoli guerre com’era opportuno che un cadetto come lui facesse e mai aveva rimpianto un solo momento.

Gli dispiaceva che i suoi fratelli fossero morti, due annegati[6] e uno sul campo di battaglia perché meritavano anche loro di partecipare a quella festa ma mentre saliva a bordo si chiese se forse non fosse stato meglio per loro.

Morire sul campo di battaglia, morire come un eroe, entrare nella leggenda, questo si che gli sarebbe piaciuto. Ci si ricordava dei neri e dei generali morti sul campo, non di quelli che si ritiravano per vivere in campagna con una moglie e uno stuolo di marmocchi.

Avrebbe dovuto lavorare su quello una volta in Inghilterra, era il momento di occuparsi del lascito che avrebbe lasciato, se non ora quando?



 
Avvertenze&Note:

Ebbene si, sono tornata, scusate se è passato tanto tempo ma la vita incombe. Come vedete qui c'è stata un'alternanza di punti di vista, prima quello di Anna di Danimarca, poi di Frederick e infine quello di Riupert del Palatinato, tutti i personaggi avranno almeno un punto di vista quando non un intero capitolo.
[1] in realtà la regina Anna andò a prendere Henry e solo in un secondo tempo si ricordò di Elizabeth
[2] Anna di danimarca si avvicinò al cattolicesimo già nella seconda metà degli anni novanta del cinquecento, si sarebeb ufficialmente convertita solamente una volta divenuta regina d'Inghilterra
[3] il 22 agosto 1602 i Ruthven tentarono di rapire il re dopo averlo attirato con la promessa che il giovane Alexander Ruthven fosse disposto a concedersi al re, per ritorsione la famiglia fu massacrata e le sorelel del duca pur essendo damigelle della regina venenro esiliate
[4] il primo atto di frederick del Palatinato come re di Boemia fu proprio ordinare lo spoglio delle chiese cattoliche e la conversione forzata, non avvenen durante il banchetto in onore della moglie ma nei tre giorni che lo precedettero, poco dopo la propria incoronazione
[5] la Nasebit venne effettivamente rinominata Royal Charles, e tale nome mantenen finché non fu catturata dagli olandesi
[6] il fato di Maurizio del Palatinato è sconosciuto, essendo però la sua nave colpita da un urugano mentre si avvicinava alla Virginia si presume sia annegato con essa o sia comunque morto una volta giunto a terra

 

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Capitolo 3
*** First Chapter ***


                                                                                                   
 


Linlithgow Palace, 1603:
 
La signora contessa quel giorno era più emozionata del solito. Non faceva altro che sistemarsi la gonna e impartire ordini alla servitù sollecitando i più lenti a sbrigarsi perché non avevano tutto il giorno. Il conte suo marito era del medesimo stato d’animo, aveva ordinato alle cameriere di far indossare a tutti i bambini i vestiti migliori e di preparare i bauli, la notizia poteva arrivare da un momento all’altro.

Elizabeth si pizzicò il collo per l’ennesima volta, la gorgiera che mamma Helen le aveva imposto quel giorno le procurava un tremendo prurito alla pelle ma non osò lamentarsi. Era consapevole del proprio posto nel mondo e dei suoi obblighi.

Elizabeth Stuart si ripeté, figlia di re James e della regina Anne, unica figlia femmina della coppia reale, il cui nome era un omaggio nei confronti della vecchia regina Elizabeth Tudor.

Aveva sette anni e come voleva la tradizione scozzese aveva una sua piccola corte e viveva lontana di genitori che la visitavano quando possibile.

I suoi veri genitori erano mamma Helen e papà Alexander, non il re e la regina.

Quando aveva bisogno di essere confortata, quando si faceva male correndo troppo velocemente, quando voleva qualcuno accanto loro c’erano sempre, la trattavano in maniera diversa dai loro figli ma c’erano, erano presenti per lei.

Chi più le mancava però era Henry Frederick, il suo amatissimo fratello.

Tutti dicevano che era “promettente” e che sarebbe stato un grande re quando sarebbe venuto il suo giorno e lei ne era sicura: Henry Frederick era il miglior fratello del mondo. Si erano visti solamente una volta, e da lontano, ma era stato sufficiente per Elizabeth nel comprendere quanto adorasse il futuro re di Scozia.

Non aveva ancora un’opinione sul suo ultimo fratello, Charlie, ma questo perché le avevano consigliato di non affezionarsi. Erano trascorsi tre anni dalla morte di Maggie [1] e pensarci la rendeva triste, la sua sorellina le mancava ogni giorno ma non doveva rattristarsi se il Signore aveva voluto Margaret al suo fianco le era stato detto, e lei obbediva.

Da quando era giunto quel messaggero il castello era sprofondato nel caos e odiava che nessuno le avesse chiesto il suo parere: pur avendo sette anni era pur sempre la figlia del re.
<< Quanto a lungo dobbiamo rimanere così? >> domandò dopo che mamma Helen l’ebbe fatta sistemare tra sé e John, il suo primogenito.

<< Tutto il tempo che sarà necessario, Altezza Reale >> rispose mamma Helen mentre all’esterno si udiva il rumore di una carrozza che entrava nel castello, forse i suoi genitori venivano a visitarla? O un ambasciatore?

<< Sta arrivando! >> urlò papà Alexander prima di sistemarsi accanto a sua moglie ed Elizabeth per la prima volta quel giorno sorrise, i suoi genitori la stavano visitando prima del tempo, forse le volevano davvero bene pur essendo nata femmina.

Lanciò uno sguardo d’intesa ad Annie che le sorrise di rimando. Annie era la sua migliore amica, era bravissima nel far di conto[2] pur essendo così giovane ed era l’unica di cui poteva fidarsi senza alcun timore.

Ebbe a malapena il tempo di rimettersi in posizione che il portone principale si spalancò per permettere ad Anna di Danimarca d’entrare.

Alta come tutti gli scandinavi, dalla pelle chiara e dai capelli biondi con alcune sfumature rossicce Anna di Danimarca era considerata una delle migliori regine di Scozia. Forse troppo frivola o attenta ai propri abiti secondo i suoi sudditi più puritani ma era una buona regina.

Madre nel senso più profondo e viscerale del termine la regina aveva odiato doversi separare dai propri figli come prescriveva la legge scozzese e aveva combattuto con tutte le sue forze per poter tenere con sé il duca di Rothsey[3] , suo primo figlio. Sconfitta la donna si era rivolta alla religione finendo però per orientarsi verso il papismo che le offriva molto di più rispetto al luteranesimo della sua infanzia.
La regina quel giorno indossava abiti neri da lutto ma il suo volto non era triste, tutt’altro.

Sorrise con garbo di fronte alla riverenza della famiglia per poi abbracciarla di slancio, si era sentita così appagata solamente pochi giorni prima quando era riuscita ad ottenere la custodia del primogenito.
<< Sai chi sono io? >> domandò la regina alla propria figlia, un sorriso indulgente sul volto.

<< Siete mia madre, Sua Maestà Anna principessa di Danimarca, regina di Scozia >> rispose Elizabeth con sussiego. Vedeva sua madre due volte l’anno e sapeva perfettamente chi fossero i suoi genitori anche se le era difficile volerle bene. La rispettava e la stimava ma l’amore era riservato a mamma Helen, non alla donna che in quel momento le sorrideva divertita.

<< Non solo figlia mia, non solo. La regina d’Inghilterra è morta e vostro padre è divenuto re di Scozia e d’Inghilterra, e dobbiamo andare a prendere possesso del nostro regno >> la informò sua madre.
Morta. La regina Elizabeth era morta. La regina d’Inghilterra, la sua madrina, era morta. Questo significava così tanto per lei, anche se non aveva idea di cosa fosse effettivamente.

Aveva studiato che la corona d’Inghilterra spettava a suo padre in quanto unico erede della regina Elizabeth e questo voleva dire che ora sarebbero andati in Inghilterra e poi… poi cosa?
<< Cosa ne sarà di noi? >> domandò, la prospettiva di quello che sarebbe potuto accadere la confondeva.

<< Andremo a Londra, sono venuta per portarti con me, prima andremo ad Edimburgo dove vedrai tuo fratello e poi in Inghilterra >> le spiegò sua madre prima di accarezzarle i capelli.

<< Henry verrà con noi? >> domandò entusiasta, avrebbe rivisto Henry, lei ed Henry sarebbero stati di nuovo insieme, era un pensiero troppo bello per essere vero. C’era baby Charles ma lui era troppo piccolo e non lo aveva mai visto.

<< Certamente, andremo tutti a Londra tranne tuo fratello minore, è troppo piccolo per viaggiare >> le spiegò sua madre con un sorriso.

Le buttò le braccia al collo d’impulso prima di ricordarsi del protocollo di corte, la donna di fronte a lei poteva essere sua madre ma prima di tutto era la regina d’Inghilterra e di Scozia.

<< Scusate Vostra maestà, mio padre il re si trova a Edimburgo? >> domandò curiosa, c’erano così tante questioni di cui voleva parlare con sua madre. Non se ne accorse subito ma per un istante il sorriso della regina si incrinò mentre a pochi passi da loro papà Alexander trattenne il fiato.

<< Sua Maestà è già sulla strada per l’Inghilterra, noi lo seguiremo >> rispose la regina, il volto tornato sereno sebbene la voce tradisse una segreta inquietudine.

Elizabeth però non se ne curò, sebbene le dispiacesse lasciare Linlithgow il pensiero dell’Inghilterra contribuiva a rendere meno amaro quel distacco. L’Inghilterra, la terra della vecchia regina, il reame da cui proveniva suo nonno[4], quel regno che avrebbe già dovuto essere loro e ora vi erano riusciti.

Sarebbe stata principessa d’Inghilterra, avrebbe avuto vestiti, gioielli, tutti gli animali che desiderava e il solo pensiero di cavalcare per giorni nel nuovo regno di suo padre la esaltò
Elizabeth Stuart principessa d’Inghilterra e un giorno regina. Di Francia, di Spagna, di Svezia… quale roseo futuro le si apriva dinanzi agli occhi.


 
Praga, 1619
 
Si rimirò nello specchio un’ultima volta.

Era bella, realmente bella. Come una regina delle fate si disse per un istante ripensando al poema del signor Spenser[5], come Titania regina delle fate.

Sapeva che i loro sforzi sarebbero stati premiati, che avrebbero ottenuto quel che meritavano, lo aveva sempre saputo.

Amava Federico e per questo lo riteneva degno di grandi cose, essere eletto re era solo il principio. Suo padre avrebbe dissentito, aveva letto le sue lettere e si era infuriata come non mai, il re d’Inghilterra pur reputandosi un buon padre negava loro ogni possibile aiuto, maledetto furfante.

Quell’opportunità era unica nel suo genere e non si rammaricava di averlo convinto ad accettare, la corona era stata loro offerta e loro erano degni di indossarla.

Se solo sua madre fosse vissuta appena un mese in più, quanto avrebbe voluto mostrarle la sua corona per dimostrarle che si era sbagliata, che non si era svalutata[6] sposando Federico. Sua madre l’avrebbe voluta regina, regina e sposata a un papista ma quando aveva posato gli occhi su Federico aveva compreso due cose: avrebbe sposato solamente lui e insieme avrebbero fatto grandi cose.

E aveva avuto ragione: i boemi avevano offerto la loro corona a Federico e lui aveva accettato, un re protestante per la Boemia e un vantaggio incredibile per l’Unione Evangelica. L’imperatore si lagnasse pure, loro avevano il supporto del popolo e quel giorno sarebbero stati solennemente incoronati.

Se solo Henry fosse stato ancora vivo. Sette anni, erano trascorsi sette anni dalla sua morte e suo fratello le mancava con la stessa intensità del primo giorno, se non fosse stato per Federico si sarebbe lasciata morire.

Aveva chiamato il suo primogenito con lo stesso nome di suo fratello, come sarebbe stato orgoglioso Henry dei risultati che lei e Federico avevano raggiunto, lui che si considerava il futuro re soldato, salvezza del protestantesimo.

Si voltò verso le sue dame e sorrise, quel giorno non era solo bella ma era regale, bella come una regina pensò per un istante, bella come devono essere le regine.

<< È tutto pronto? >> domandò. Farsi incoronare seguendo l’antica tradizione dei re di Boemia sarebbe stato l’ideale ma lei e Federico erano devoti calvinisti, si era convertita per amor suo, e non potevano certo affidarsi ad una cerimonia di stampo papista, non loro.

“Herr von Trebic è appena arrivato, aspettano tutti Vostra maestà” le rispose una delle sue dame, Amalia von Solms. Amalia non le piaceva ma era fedele alla loro causa e questo doveva bastarle, inoltre era una delle poche dame tedesche che avesse, le nobili boeme la mettevano tremendamente a disagio.

Non conosceva la loro lingua e in quanto al tedesco era abbastanza onesta da riconoscere di non saperlo padroneggiare al meglio. Suo padre l’avrebbe voluta regina di Francia o di Spagna, e quelle lingue lei aveva studiato da bambina.

<< Ancora un istante, ci sono novità da Londra? >> domandò.

Suo padre non era noto per cambiare idea, a meno di non conoscere le giuste leve, e dubitava che avesse cambiato idea ma sperare non costava nulla. The Peacemaker, che titolo ridicolo e quanto ne era orgoglioso suo padre, possibile che non capiva quanto la pace fosse inutile?

Non avevano bisogno della pace ma di sconfiggere l’imperatore e cis sarebbero riusciti perché loro erano dalla parte del giusto, erano o non erano gli araldi della Vera fede?

<< Nessuna, solo la conferma che i volontari sono bloccati a Dover[7], non arriveranno in tempo se mai arriveranno >> la informò Amalia.

Si morse le labbra per non imprecare, quella notizia era tremenda, come avrebbero fatto? Avevano bisogno di quei soldati, l’imperatore stava ammassando truppe e l’Unione Evangelica era più prodiga di parole che di uomini, da soli non avrebbero resistito.

Se solo Henry fosse stato ancora in vita pensò con rammarico. Henry era sempre stato un sostenitore della causa protestante, niente mediazioni o accordi con i papisti, se fosse stato ancora in vita sarebbe già stato in vista di Praga, blocco navale o non blocco navale.

Baby Charles non avrebbe osato, le voleva bene ma non al punto di sfidare il re come avrebbe fatto Henry. E tutto perché suo padre era stato contro di loro fin dal principio.

Cosa importava da dove veniva la corona? Il popolo l’aveva offerta a Federico e il popolo quel giorno li avrebbe acclamati come re e regina di Boemia. Suo padre aveva ricevuto la corona di Scozia dai congiurati che avevano deposto sua madre e quella d’Inghilterra dalle mani insanguinate di Elizabeth Tudor, non era così diverso da loro.

Loro erano gli alfieri della Vera Religione e avrebbero dimostrato all’Europa che il dominio degli Asburgo era alla fine, non avrebbero ceduto la Boemia per nessun motivo.

<< So chi ha colpa di ciò, oh se lo so >> mormorò, non era così stupida da pensare che fosse tutta un’idea di suo padre, nossignore.

Conosceva suo padre, i suoi difetti e le sue debolezze e sapeva benissimo chi poteva servirsene per i propri scopi.

<< Amalia, dai l’ordine, è il momento >> dichiarò prima di voltarsi, era ora di farsi incoronare.

Figlia di re, sorella di re, moglie di re e madre di re, quali vette aveva raggiunto assieme a Federico e quanto ancora avrebbero potuto fare insieme.
 


L’Aia, 1660:
 
Fu Rupert a portarle la notizia.

Negli anni aveva diradato i contatti eccettuati quelli con la propria famiglia, e solamente per dovere perché continuava a trovare i suoi figli fastidiosi, inopportuni e indegni.

Quella mattina non era cominciata diversamente dalle altre, aveva di nuovo aperto gli occhi su quella che i suoi estimatori definivano “una dignitosa povertà” ma a che lei risultava intollerabile pur non avendo i mezzi per poter cambiare la situazione.

Rupert arrivò verso metà mattinata, subito dopo la messa, gli abiti in disordine e il fiato corto. Era forse l’unico figlio a non averle mai dato troppi problemi, l’unico che le fosse ancora devoto a differenza dei suoi fratelli e sorelle. Karl l’aveva delusa due volte, prima decidendo di non farla tornare ad Heidelberg e poi con il suo scandaloso stile di vita. Elizabeth l’aveva abbandonata per fare la beghina, Sofia si era accontentata di pochissimo e in quanto agli ultimi due… in casa sua non permetteva che si parlasse di quei due traditori infingardi.

Per questo rimase sorpresa quando gli fu annunciato, credeva che fosse ad Heidelberg con Karl, o chissà dove in quanto Rupert era sempre stato vittima di una smania di avventure che ormai non erano più un suo problema.

Sicuramente era colpa di quello che era accaduto a Praga, erano accadute tante cose, troppe, quell’inverno fatale.

<< Madre mia, ho notizie della più grande importanza >> esclamò Rupert quando fu al suo cospetto, solamente dopo quelle parole la salutò com’era doveroso fare.

<< Quali notizie? E da dove vieni, figlio mio? >> domandò curiosa mentre nella sua mente le ipotesi si accavallavano tra loro. Karl aveva forse cacciato finalmente quella sgualdrina che trattava come una moglie? L’imperatore era morto divorato dal rimorso per quello che aveva fatto loro? Forse i due sciagurati avevano deciso di riconciliarsi con lei? Che genere di notizia era così importante da non poter aspettare un orario congruo?

<< Vengo da Amsterdam madre mia, e vi porto la notizia più bella che la nostra famiglia potesse mai ricevere >> rispose Rupert, un luccichio emozionato negli occhi.

<< Vostro cugino Carlo… >> mormorò lei.  Se fosse stato vero sarebbe stata la notizia migliore della sua vita. Sentì il cuore riempirsi di felicità ma non si permise di sperare oltre, una vita fatta di lutti e delusioni avevano spento l’entusiasmo della gioventù.

<< I signori del parlamento non sono riusciti ad accordarsi così il generale Monck ha deciso di marciare su Londra e imporre la sua volontà. E il generale ha richiamato nostro cugino Carlo sul trono, il quale è ufficialmente Sua Maestà re Carlo II, re d’Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia >> le annunciò Rupert e per poi lei stessa non urlò dalla felicità.

Non lo avrebbe creduto possibile, dopo tanti dolori il destino benevolo le accordava una piccola gioia per rischiarare la sua vecchiaia. Aveva perso i suoi fratelli, l’amore della sua vita era morto lontano da lei, avevano perso la patria e la corona ma almeno era libera di tornare in Inghilterra.

L’Inghilterra della sua infanzia tornava ad essere quel paradiso terreste che tanto aveva agognato da bambina, finalmente poteva tornare a casa.

<< Sia lode al Signore, figlio mio >> mormorò lei prima di fare cenno alla poca servitù rimasta di organizzare i dettagli. Doveva andare subito ad Amsterdam per sdebitarsi con gli Stati Generali e poi sarebbe potuta partire. Lo Stadolder era stato fin troppo generoso con lei inizialmente ma era stanca dui quella vita. Non credeva che in Inghilterra le cose sarebbero migliorate ma almeno non avrebbe più dovuto dipendere dalla carità altrui.

<< Sua Maestà si imbarcherà non appena arriverà ufficialmente la delegazione inglese, la regina madre vostra cognata partirà invece da Calais >> le comunicò Robert.

Erano anni che non vedeva sua cognata, ricordava Henriette come una donna sconfitta, il cui aspetto era lo specchio delle vicissitudini patite, un tempo doveva essere stata bella ma ora la regina madre era solamente una donna da compatire.

<< Mary quindi ci accompagnerà o intende rimanere con suo figlio? >> domandò riferendosi alla sua nipote più grande.

<< Non sono a conoscenza dei progetti della madre dello Stadolder ma cosa è rimasto nelle Province Unite per lei? Niente, nemmeno suo figlio su cui non ha alcun potere >> le fece notare Rupert.

<< Lo scopriremo ad Amsterdam, finalmente la fortuna sta iniziando a girare >> mormorò lei. Doveva scrivere alle Province Unite, a suo nipote e … a Karl, doveva scrivere anche ai suoi figli.

Diede ordine che portassero carta e penna e poi congedò Rupert non prima di avergli ricordato di organizzarsi, non poteva mica pensare a tutto lei.

L’Inghilterra, dopo tanti anni finalmente sarebbe potuta tornare a casa, figlia di un re e nipote del prossimo, oh Charles.

Se solo suo fratello fosse vissuto… quanto ne sarebbe stato orgoglioso, il suo sacrificio non era stato vano se ora la corona d’Inghilterra era tornato al suo legittimo possessore.

Tutto sarebbe tornato come doveva essere, dopo tutti i dolori e i sacrifici affrontati finalmente poteva godersi una vecchiaia tranquilla in Inghilterra. Le dispiaceva separarsi da Federico ma era in buone mani, di quello era assolutamente sicura. E ora... casa, stava finalmente tornando a casa.




Avvertenze&Note

Avevo questa idea da moltissimo tempo, e finalmente l'ho buttata giù. Personalmente ritengo che le vicende degli Stuart siano mille volte più interessanti, avvincenti e degne di essere rappresentate rispetto ai Tudor, mia unpopolar opinion da anni.
La storia sarà sempre divisa in tre parti, una dedicata a Elizabeth bambina, una a Elizabeth adulta e l'altra a Elizabeth anziana, quindi ci saranno ovviamente degli spoiler tra una parte e l'altra, se qualcuno decidesse di attendere che le tre macrostorie si chiudano per poi leggerla così consiglio di attendere la fine. Le parti in corsivo identificheranno il cambio di lingua, compreso quello tra inglese britannico e inglese scozzese, all'epoca una vera e propria lingua. Come sempre nel mio caso anche questa sarà una storia corale, la protagonista induscussa sarà sempre Elizabeth Stuart ma ci sarà spazio anche per altri personaggi e i loro punti di vista

[1] Margaret Stuart, sorellina di Elizabeth, nata nel 1598 e morta appena 2 anni dopo
[2] Anne Livingston tenne un inventario dei beni di Elizabeth, pur avendo quasi la stessa età della principessa nessuno pensò mai di contestarle quel ruolo

[3] pur essendo passato alla storia col titolo di principe di Galles, Henry frederick Stuart aveva inizialmente il titolo scozzese di duca di Rothesey, che identificava il primogenito del re
[4] Henry Stuart, lord Darnley, secondo marito di Mary Stuart e padre di Giacomo VI/I
[5] The Faire Queen di Edmund Spenser, considerato una delel fonti di ispirazione per la creazione della Titanai shakesperiana
[6] Anna di Danimarca, saputo che sua figlia voleva effettivamente sposare l'Elettore Palatino l'avrebbe definita "Goodwife Plasgrave", oggi traducibile con "donnetta da niente"
[7] più furbo di quanto sembri Giacomno I autorizzò l'invio di volontari per la Boemia, ma chiuse i porti inglesi bloccando i pochi volontari a Dover

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Capitolo 4
*** Third Chapter ***



Theobalds Palace, 1603:
 
Degno di un re pensò quando scese dalla carrozza.

Non avevano mentito quando gli avevano descritto la magnificenza della residenza estiva di Cecil, quel nano possedeva realmente un palazzo degno di un re. Un servitore possedeva quel palazzo e non aveva mai pensato di donarlo alla corona, uno scandalo.

Gli inglesi erano stupidi, stupidi e orgogliosi ma ci avrebbe pensato lui a raddrizzarli si disse, gli occhi scintillanti per l’invidia. Non avevano fatto che accoglierlo con fiori e ghirlande come se fosse stato un inviato del cielo e in un certo senso lo era. I re non erano come i comuni mortali, erano speciali, i figli prediletti di Nostro Signore ed erano infallibili, esattamente come il re di Francia che tanto ammirava. Lui glielo aveva sempre detto. Era per merito suo che aveva capito quanto eccezionale fosse il ruolo che rivestiva e come per questo motivo fosse libero di fare tutto quel che voleva. Avrebbe amato averlo accanto a sé per condividere quel trionfo ma glielo avevano portato via… quegli ingrati glielo avevano portato via ignorando quanto lo amasse, ma avevano pagato, avevano pagato tutti per quell’affronto.
I suoi nobili non gli avevano reso la vita facile ma sarebbe stato facile domare gli inglesi, dieci inglesi non facevano uno scozzese e se ne sarebbero resi conto a suo tempo.

Tutti quegli omaggi, quei discorsi, quel calore… tutta quella accoglienza era disgustosa, e pensare che il suo unico scopo era quello di riempirsi le tasche, e così avrebbe concesso ai suoi nobili. Quel trono era suo di diritto e lo avrebbe sfruttato meglio che poteva, ora che la vecchia era finalmente crepata nessun ostacolo si frapponeva tra lui e la corona d’Inghilterra.

In quanto al resto… beh, gli inglesi cominciavano a capire. Le prime notti si era dovuto accontentare del piccolo Johnny, così devoto e abile, ma già alcuni lord avevano cominciato a presentargli figli e nipoti, infingardi e ipocriti, almeno i suoi puritani avevano resistito per anni prima di adeguarsi ai suoi… piaceri particolari.

Si chiese se Cecil avesse provveduto, il nano non era stupido e doveva pur conoscere le sue preferenze, chissà se gli avrebbe fatto trovare un regalo quella notte. Esattamente come i suoi nobili quando si recava da uno di loro, protestavano tanto ma poi la sera gli inviavano sempre un paggio, un nipote, un cugino povero o addirittura un figlio perché passasse la notte con lui. E lui la mattina seguente decideva come premiarli, in base a come si era comportato il ragazzo, se era di quelli che avevano bisogno di qualche regalo, di quelli timidi, dei fintamente timidi o degli spudorati che gli si facevano trovare a letto con le gambe più spalancate di quelle di una puttana del porto di Edimburgo.

<< Mio re, benvenuto a Theobalds Palace >> lo salutò Cecil che assieme alla servitù lo attendeva al portone principale poco prima che lui facesse segno al suo seguito di seguirlo il prima possibile.

<< Avevano ragione: un luogo degno di un re >> disse a voce abbastanza alta perché tutti capissero le sue intenzioni. Arrivarci era stato più complicato del previsto ma prima che Cecil glielo regalasse sarebbe stato opportuno che vi facesse dei lavori [1].

<< Mi onorate, mio re >> replicò il nano prima di farlo passare, gli sarebbe piaciuto abitare lì, oh se gli sarebbe piaciuto. Fu allora che lo notò.

Giovane, non doveva avere ancora vent’anni, capelli rossi come i suoi e quelli della sua famiglia boccoluti come quelli di un angelo. Il fisico appariva scattante, gli occhi vivaci e quella bocca prometteva meraviglie si disse rimirando il bel giovane che aveva catturato la sua attenzione [2].

<< L’onore è mio Cecil, ora mostratemi questo banchetto >> ordinò, prima il mangiare e poi si sarebbe occupato di altro. Fece cenno a John di avvicinarsi, era il momento di cambiare qualcosa tra gli uomini del suo entourage.

<< È il momento che tu prenda moglie >> si limitò a dirgli e vide l’altro sbiancare, almeno era un ragazzo intelligente.

<< Mio signore… voi sapete che io vivo solamente per servirvi >> replicò John. Oh se lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene e aveva approfittato a piene mani di quella devozione ma ora era il momento di guardarsi intorno, un re non poteva avere un unico favorito. Un tempo sarebbe stato diverso ma non aveva mai amato nessun’altro come amava lui. La notte spesso lo sognava, bello come quando lo aveva visto per la prima volta, carismatico come quando gli consigliava come comportarsi e impetuoso come quando gli aveva mostrato che i suoi desideri potevano e dovevano essere soddisfatti, quel meraviglioso piacere gli aveva donato per quelle poche notti.

<< Puoi farlo anche prendendo moglie >> si limitò a rispondere, lui era sposato ma il matrimonio non gli aveva mai impedito di seguire le proprie inclinazioni. Anna sopportava in silenzio come una brava moglie e lui fingeva di non vedere come si stesse lentamente facendo sedurre dal papismo, che coppia meravigliosa erano.

<< Mio signore, non vorrei insistere ma ricordate che io so cosa è successo a Gowrie >> lo provocò John, quello era troppo. Maledetto ragazzino ingrato, come si permetteva di minacciarlo così? Gli doveva moltissimo, gli doveva la vita ma non per questo doveva permettersi di credersi suo creditore in eterno. Sapeva però per quel motivo John aveva agito, non era stupido, l’altro durante tutto il tragitto di andata si era mostrato inquieto perché aveva sospettato cosa fosse accaduto ed era sicuro che quando aveva chiamato aiuto si fosse precipitato per dimostrargli la sua fedeltà e quanto fosse insostituibile. Si sbagliava, tutti erano rimpiazzabili, tranne lui che era il re e quindi l’inviato di Dio scelto per governare su i suoi sudditi.

<< So bene cos’è accaduto, e ti ho già ringraziato, ora vai a discutere con mio cugino Lennox dei dettagli riguardanti l’arrivo a Londra >> gli ordinò per levarselo di torno.

John per fortuna sapeva ammettere la sconfitta, Ludovic Lennox avrebbe capito che doveva toglierglielo di torno e avrebbe obbedito, maledetti nobili e le loro pretese

Cecil per fortuna aveva seguito il discorso senza farsi troppe domande, e se anche le avesse avute lui non avrebbe risposto ad alcuna di esse, l’altro doveva già sapere tutto, ne era sicuro.

Il luogo era indubbiamente meraviglioso e il solo pensare che l’altro glielo avrebbe regalato lo inebriava, aveva visto le imponenti foreste che circondavano la residenza, quanti pomeriggi di caccia incantevoli vi avrebbe trascorso si disse.

Fece cenno al suo seguito di imitarlo e ne approfittò per osservare meglio quel nuovo ragazzo.

Bello era bello, aveva l’aspetto di angelo, chissà come si sarebbe comportato una volta che fossero rimasti soli nelle sue stanze. Fece un segno a Ludovic e suo cugino il duca di Lennox lo raggiunse, i nobili inglesi li guardavano disgustati mentre il vino scorreva a fiumi e i suoi nobili mangiavano a sazietà. Che si credessero pure superiori, entro pochi mesi li avrebbero imitati, avrebbe mostrato loro chi era il padrone.

<< Informati su chi sia quel ragazzo, e poi portalo nelle mie stanze, con discrezione >> ordinò a bassa voce e Ludovic ghignò, non aveva mai avuto motivo di mentire con lui. Ludovic era il figlio dell’amore della sua vita [3], aveva sempre saputo a cosa dovesse la sua fortuna e non se n’era mai lamentato, devoto come pochi.

<< Il piccolo John se ne avrà a male, cosa devo fare con lui, Vostra Grazia? >> domandò il duca di Lennox.

<< Trovagli una puttana o uno stalliere, e offrigli un posto a corte da parte mia, soprattutto ricordargli come è arrivato dove si trova ora e soprattutto grazie a chi >> rispose lui poco prima che i suoi nobili si abbandonassero all’ubriachezza più sfrenata, questo era ciò che lui amava. La spontaneità, l’ebrezza, la gioia di vivere data dalla precarietà, tutte cose che gli inglesi avevano sfortunatamente dimenticato.
Correvano a vederlo perché avevano bisogno di lui gli avevano riferito, e ancora aveva impresso nella mente l’espressione scandalizzata di quei nobili altezzosi quando aveva risposto che allora si sarebbe abbassato le brache così avrebbero visto anche il suo culo, come si permettevano gli inglesi di disturbarlo durante la sua discesa trionfale verso Londra?

Almeno si stava divertendo e quella sera si sarebbe divertito ancora di più, assolutamente.
 
***
 
Philip era meraviglioso.

Il ragazzo era apparso sorpreso e meravigliato quando era entrato nella stanza, sembrava un topolino da come si guardava intorno con occhi spaventati. Aveva nondimeno accettato di bere con lui e poi il modo in cui lo aveva guardato… quello sguardo avrebbe sedotto un angelo.

Quando lo aveva baciato per la prima volta l’altro si era istintivamente ritratto, come se per lui fosse la prima volta. Aveva sorriso e poi aveva ripetuto il gesto e questa volta Philip aveva compreso cosa ci si aspettava da lui.

Si era rivelato esigente e desideroso di dispensare piacere, dopo appena dieci minuti aveva capito cosa fare, se non fosse stato per la sua esperienza con i giovanotti avrebbe potuto pensare che l’altro fosse realmente esperto. L’inesperienza però faceva da contralto ad un corpo che reagiva ad ogni tocco e a un desiderio che l’altro doveva ancora imparare a sfruttare al meglio. Si era rivelato un giovane smanioso di compiacerlo e che come tutti i giovani era disposto a tutto pur di fare carriera in quella corte.

E a lui giovanotti simili erano sempre piaciuti pensò prima di muoversi in direzione della finestra più vicina.

<< Mio signore, qualcosa vi turba? >> gli domandò Philip con voce impastata dal sonno e lui sorrise. Philip aveva una voce meravigliosa, specialmente mentre lo fotteva, quali dolci versi era stato capace di tirare fuori in quei momenti, e tutti per lui, solo per lui.

E per il Gentleman of Chambers anche se… bisognava pur favorire gli inglesi in qualche modo pensò [4]. Era sicuro che anche John avesse sentito tutto, col timore di poter essere sostituito. E lo avrebbe sicuramente fatto, per quanto John credesse di essergli indispensabile era il momento di ricordargli che lui era il re e aveva bisogno solamente di Iddio, non certo di un suddito anche se aveva reso enormi servizi alla corona.

<< Nulla che ti riguardi o che possa tenere impegnata la tua bella testolina >> rispose prima di avvicinarsi a lui. Quei capelli così in disordine, quegli occhi vivaci e quelle labbra gonfie, quante sciocchezze avrebbe fatto per quel giovane, e lui ne avrebbe fatte altrettante per lui.

<< Mio signore… io… cosa volete che faccia? >> domandò Philip, così timoroso e così ansioso di compiacerlo.

<< Tu cosa vorresti? >> gli rispose di rimando prima di togliersi dal dito un anello e allungare la mano nella sua direzione. Nessuno di quei giovanotti lo aveva amato per sé ma solamente perché era il re e poteva portare loro dei vantaggi, solamente una persona lo aveva amato per quello che era.

Gli sembrò di vederlo, bello, aitante e comprensivo, quel bellissimo uomo di quarant’anni che aveva avuto fiducia in lui e lo aveva aiutato a diventare un uomo. Esmé gli aveva insegnato tante cose, Esmé gli aveva insegnato come comportarsi da re, Esmé gli aveva insegnato come baciare e come prendersi il proprio piacere, Esmé lo aveva amato perché amava la sua persona, non perché era il re di Scozia. Aveva trovato un fanciullo di tredici anni terrorizzato anche dalla propria ombra e lo aveva trasformato in un re.

<< Solamente servire Vostra Maestà e… >> il ragazzo abbassò lo sguardo, che furbastro pensò lui divertito.

<< Parla pure, voi inglesi siete sempre così timidi >> lo incalzò curioso prima di sedersi sul letto accanto a Philip che arrossì.

<< Mio signore… vorrei che mi faceste ancora quelle cose. Non avevo mai e… era così bello e voi… oh mio re >> mormorò Philip prima di baciarlo per primo. Sorrise mentre lo faceva distendere, gli occhi liquidi di desiderio e le mani curiose che lo toccavano ovunque.

Si sarebbe indubbiamente divertito a Londra pensò, doveva solo assicurarsi che quel ragazzo restasse con lui e sapeva esattamente come.

<< Mio signore… oh mio signore… è bello… è tutto così bello… baciatemi mio re… vi scongiuro >> lo supplicò Philip e lui obbedì prima di fargli scivolare l’anello sul dito, ogni puttana meritava un pagamento e Philip era indubbiamente una puttana di talento. Avrebbe trovato un sistema per tenerselo vicino, sicuramente c’erano una o due cariche a corte che poteva fingere di conferirgli, poi ovviamente sarebbe stato a sua disposizione ma bisognava salvare le forme.

La sua povera madre questo non lo aveva mai capito ed era finita sul patibolo per quello dopo aver perso la corona e la reputazione. Aveva raccolto voci su che razza di uomo fosse suo padre ma ucciderlo per poi fingere di essere rapita dall’amante era stato eccessivo. Buchann gli aveva riempito la testa di odio verso sua madre e non riusciva a pensare lei senza una punta di puritanesimo ma le era grato per essersi eliminata da sola e aver contribuito a renderlo re.

La corona della vecchia era il risultato di anni di lavoro, di sua madre incarcerata, del nonno morto di dolore e del padre di suo nonno morto sul campo di battaglia, finalmente uno di loro avrebbe cinto la corona d’Inghilterra e gli inglesi si sarebbero dovuti inchinare a lui, che lo volessero o meno. E se non lo volevano ci avrebbe pensato lui, quei damerini erano nulla rispetto ai suoi riottosi laird.

 
Hampton Court, 1619:
 
Gli portarono la notizia poco prima del consiglio.

Sapeva che non ne sarebbe venuto fuori niente di nuovo, lui li aveva avvisati ma loro avevano deciso di fare di testa propria ed ecco le conseguenze, come se non avesse già abbastanza problemi. Era riuscito da poco a liberarsi definitivamente di Robbie e per cosa? Per ritrovarsi con una figlia degenere e un genero stupido?

Per fortuna c’era George, quella notte lo avrebbe sicuramente convocato nelle sue stanze.

Aveva provato ad avvisarli ma quei due erano giovani, testardi e credevano che la vita fosse come una ballata. Che non pensassero di tornare da lui una volta che i loro stupidi sogni si fossero infranti sulle baionette di Ferdinando, avrebbe dato ordine di chiudere i porti pur di non vederli.

Si era liberato dei papisti, di quell’intrigante di Arbella e di Robbie, si sarebbe liberato anche di sua figlia se necessario. Annie avrebbe capito, sua moglie non aveva amato le decisioni di sua figlia e odiava doverle dare ragione, per fortuna essendo morta non l’avrebbe mai saputo.

Per quanto si trovasse a suo agio con baby Charles, principalmente perché il nuovo principe di Galles essendo balbuziente odiava perdersi in conversazioni, detestava dover avere a che fare con il consiglio reale. Esattamente come il parlamento quei signori lo annoiavano e lo indisponevano oltremodo, villani e arroganti. Come si era ridotto, a dover chiedere denaro a quei signori, che vergogna.

 Prima se n’era occupato Salisbury e il nuovo lord cancelliere era come tutti i filosofi: bravo solamente a parlare.

Erano già tutti al proprio posto pensò osservandoli, all’apparenza rispettosi ma in realtà pronti a pugnarlo alle spalle, razza di ingrati.

<< A che punto sono i preparativi per il corpo di volontari? >> domandò prima di fare cenno agli altri di sedersi.

<< A buon punto, Vostra maestà, tuttavia il popolo si chiede se non sia possibile inviare altri uomini, è pur sempre una causa santa quella di vostra figlia la regina di Boemia >> gli fu fatto notare, ingenui e anche stupidi.

<< Con che denaro? Il Parlamento parla tanto ma poi quando si tratta di donare per la causa si comporta peggio di un mercante. Il popolo parla tanto ma non ho visto file di giovani pronti ad arruolarsi >> fece notare lui.

Avrebbe potuto imporre nuove tasse ma solo il parlamento aveva il potere di approvarle e lui non le avrebbe certo sollecitato. Quei folli non capivano il pericolo ma per fortuna lui era abbastanza lungimirante per tutti. Una corona era tale solo se data da Dio, se consegnata dal popolo era solo un misero copricapo e così com’era stata data poteva essere tolta. Aveva scritto a suo genero di non accettare, di attendere il parere dell’imperatore, si era proposto come mediatore e aveva consigliato prudenza, tutto pur di non creare un precedente che un giorno avrebbe potuto perderli tutti. Re Enrico Tudor aveva raccolto la corona d’Inghilterra da un campo di battaglia, re Enrico di Francia l’aveva ricevuta quando un monaco pazzo aveva ucciso suo cugino, re Filippo si era preso con la forza quella del Portogallo ed era così che si faceva, non con il popolo che decideva, che oltraggio, di conferire corone a destra e a manca.

Federico ed Elisabetta però erano giovani, avevano pessimi consiglieri e avevano scoperto che la popolarità non diventava denaro per puro miracolo. Esattamente come lui aveva temuto l’Unione Evangelica non aveva mandato un soldo, ancor meno uomini e si era limitata a vuote parole di assenso e solidarietà, i tedeschi erano sempre pronti ad approvare ma poi quando intuivano che uno di loro rischiava di diventare troppo potente si coalizzarono contro di lui, esattamente come gli italiani. E tra Ferdinando d’Asburgo e Federico del Palatinato il più pericoloso era il secondo, specie da quando gli ungheresi avevano pensato di imitare i boemi. Ma quello non era un suo problema, nient’affatto e che non lo coinvolgessero, lui li aveva avvisati e ora che se la cavassero da soli.

<< Potremmo imporre nuove tasse >> fece notare Bacon. Come se non conoscesse le sue due grandi passioni: i ragazzi e il denaro. Il lord cancelliere rubava a man bassa e se credeva di farlo fesso allora non lo conosceva, aspettava solo che fosse qualcun altro a denunciarlo, non si sarebbe privato di un collaboratore così capace senza almeno due delazioni. Inoltre Bacon doveva ancora scontare la sua fedeltà al piccolo Henry e lasciarlo vivere col timore che potesse gettarlo nella Torre era oltremodo divertente, doveva trovare qualche parola di minaccia adeguata.

<< Vi ricordo, lord cancelliere che il parlamento ha votato per non concederci nuovi fondi, se davvero tengono a questa guerra versino loro la somma necessaria >> replicò divertito, branco d’idioti rottinculo.
<< Basta che diate l’ordine mio signore e l’Inghilterra si riverserà in Boemia per difendere la Vera Religione >> intervenne George, impetuoso come tutti i giovani pensò divertito, quella notte si sarebbe divertito a vederlo cavalcare.

<< E io invece non ho intenzione di dare un ordine simile. Che i giovani partano pure, ma il lord dei Cinque Porti ha ricevuto l’ordine di non far partire nessuna nave >> dichiarò lui divertito.

<< Vostra Maestà, l’onore dell’Inghilterra ci impone di correre in aiuto della regina di Boemia prima che l’Asburgo contrattacchi >> intervenne una nuova voce, ora si che si sarebbe divertito lui pensò.

<< Gabor Bethlen si è appena proclamato re d’Ungheria e Ferdinando sta ammassando un esercito, per non dire di suo cugino il re di Spagna che gli manderà un esercito passando per i Paesi Bassi spagnoli. O è suo cognato? O suo nipote? Con gli Asburgo non ci si capisce mai nulla, hanno la brutta abitudine di sposarsi tra di loro >> dichiarò lui e si godette il silenzio misto a terrore che piombò su quella sala, adorava stupire i suoi ministri e mostrare quanto disprezzava gli Asburgo, spagnoli o tedeschi, non faceva mai male. Aveva proposto loro Henry, il suo brillante ragazzo, ma quei pervertiti avevano rifiutato, se avessero accettato almeno Elizabeth adesso non avrebbero avuto quel problema. Conosceva sua figlia, era ambiziosa esattamente come lui e come sua nonna, quel fesso che aveva come marito dipendeva in tutto e per tutto da lei.

Le aveva proposto magnifici partiti per anni, cattolici ma realmente importava? Sarebbe divenuta regina e dei troni più prestigiosi ma quella piccola ingrata li aveva rifiutati tutti perché odiava il pensiero di convertirsi al papismo, stupida ingrata. E per sposare chi? Un patetico tedesco che non era nemmeno così importante!

Certo, era un elettore e a capo dell’Unione Evangelica ma si era visto quanto potere avesse quella stupida lega. Il ragazzo si accontentava di poco ma non sua figlia, nella loro famiglia nessuno si era mai accontentato e lei aveva voluto tutto: l’amore e una corona. E ora forse avrebbe mantenuto il primo ma stava per perdere il secondo, ne era oltremodo sicuro.

<< Padre mio, è il momento migliore per colpire, fate partire i volontari e il kaiser contro di noi e contro gli ungheresi non potrà nulla >> dichiarò il principe di Galles infervorandosi, almeno la sua balbuzie spariva quando si prendeva un argomento a cuore.

<< Non siate stupido, Altezza Reale. Il kaiser ha armi, denaro e il Tilly, ho offerto la mia mediazione [5] ma non oserò altro, se il popolo pensa di poterci consegnare corone a piacimento allora ci pensi il popolo a difendere i suoi re >> rispose lui guardando suo figlio con aria di sfida.

<< L’Elettore Palatino ha accettato una corona dai boemi, e se vedendo l’armata imperiale i boemi decidessero di toglierla? E se gli inglesi facessero lo stesso? Vi piacerebbe perdere i vostri diritti perché il popolo ha deciso che Maurizio di Nassau è un re migliore di voi? Non possiamo permettere che simili precedenti vengano accolti pertanto mia figlia e suo marito imparino a cavarsela da soli >> aggiunse guardando negli occhi suo figlio, conosceva fin troppo le sue debolezze. Insicuro, balbuziente, timido, suo figlio non era una delusione solamente perché non avrebbe permesso che diventasse tale. E ora era il momento di occuparsi di faccende serie, non di quella maledetta guerra in cui non voleva affatto venire coinvolto.

 
***
 
Si divertì ad osservarli dalla finestra.

Il principe di Galles aveva molti difetti ma era anche un uomo di fedeltà a tutta prova e che sapeva tenere fede alla parola data, a modo suo. Inizialmente aveva mal sopportato George, sicuramente incoraggiato dalle dame di quella bisbetica di Anna, ma poi era bastato che George fosse affascinante con lui e subito era caduto vittima del suo fascino. Fortunatamente erano solo amici, George conosceva benissimo il suo posto e adorava vedere come suo figlio e l’uomo che amava fossero amici [6].

Amore. Aveva inseguito quel sentimento per anni, perdendosi in mille abbracci e centinaia di volti mentre cercava di riportare a galla l’intensità che aveva provato per pochi mesi grazie ad Esmé e infine era lì. Quel giovane, bello come un dipinto, intelligente e devoto come nessuno era riuscito finalmente a farlo innamorare, non una passione o una semplice attrazione carnale, tra loro c’era di più. Era l’amore che aveva sempre aspettato, George era stato l’unico in grado di colmare l’assenza di Esmé e avrebbe fatto di tutto per lui. Di tutto tranne assecondare quella stupida idea dei volontari, innamorato si ma cretino mai.

Fece cenno ai due di raggiungerlo ed entrambi obbedirono, i suoi amati bambini [7].

Carlo era basso, come fosse possibile che il principe di Galles fosse basso quando sia lui che la sua defunta madre erano alti per non parlare della regina Maria era un mistero.
George lo aveva aiutato ad avere fiducia in sé stesso ma c’era comunque qualcosa in suo figlio che non gli piaceva. Quando era bambino aveva riconosciuto i suoi stessi tormenti e aveva cercato in maniera discreta di aiutarlo ma avevano due caratteri diversi e non era servito a nulla.

La morte di Henry era stata un duro colpo ma si era scoperto nel non provare nulla, tanto il suo primogenito gli aveva complicato al vita che sapendolo morto aveva gioito come quando ci si libera di un nemico e non sofferto come quando si perde un figlio.

<< I miei amati bambini, non provate a farmela sotto il naso, nessuno di voi >> li accolse, blandire e offendere era sempre un sistema vincente, in diplomazia e in famiglia.

<< Non so a cosa vi riferiate, maestà, io e il principe di Galles vi siamo devoti >> replicò George inchinandosi mentre suo figlio lo guardava sornione, Charles era più intelligente di quel che sembrava ma meno di quanto credesse.

<< Lo sarete pure, ma siete giovani e i giovani spesso fanno delle sciocchezze >> dichiarò prima di fare cenno a Charles di congedarsi. Suo figlio lo salutò con un inchinò, sussurrò qualcosa a George e li lascio soli, da bravo figlio obbediente. George non era come gli altri, non era debole come Philip o ingrato come Robbie e se anche lo fosse stato era abbastanza bravo da coprire quelle mancanze.
Così giovane, così bello, era colui che stava aspettando sa sempre: un giovane capace di farsi plasmare da lui e di poter un giorno aiutare Charles a governare secondo le direttive da lui stabilite.

<< Stenie, ho bisogno di te >> mormorò prima di sfiorargli il viso. Sorrise nel vedere l’altro istintivamente ritrarsi per poi rilassare il viso. Sapeva fin troppo bene di non essere più giovane, di non essere mai stato bello e che doveva apparire patetico ma allo stesso tempo George aveva bisogno di lui e non lo importunava come aveva fatto Robbie. Anche per quello lo amava, perché sapeva mentirgli sfacciatamente ma simulare quel tipo di amore era difficile, motivo per cui era sicuro che George lo amasse sul serio.

<< Servo vostro, ditemi cosa desiderate e io ve lo darò >> rispose George con un sussurro prima che lo baciasse. Lo fece cadere sul letto e gli montò sopra, quel corpo giovane e atletico accendeva il suo desiderio con una facilità disarmante.

<< Voglio la tua giovinezza, la tua bellezza, il tuo corpo e il tuo cuore, dammi tutto >> ordinò mentre sentiva le mani dell’altro trafficare con le sue brache. George rise prima di baciarlo a sua volta, che bello era l’essere innamorati di un simile angelo.

 
Canale della Manica, 1660:
 
Ce l’aveva fatta.

Finalmente stava per tornare in Inghilterra, a casa. Ancora poche ore e sarebbero sbarcati a Dover e questa volta era intenzionato a restare. Osservò James ed Henry ognuno perso nei propri pensieri, li aveva riportati a casa e li avrebbe coperti di onori, dopo tutto quello che avevano passato se lo meritavano entrambi.

Erano dovuti fuggire in periodi diversi, braccati come animali e ora tornavano ad occupare quei posti che spettavano loro per nascita, per cui suo padre aveva perso la vita.

Suo padre. Suo padre era morto pur di non trasmettergli una corona mutilata e avrebbe fatto tesoro dei suoi insegnamenti. Henry gli aveva raccontato tutto e ogni volta che ci pensava si sentiva afferrare dalla melanconia, quanta nobiltà e quanta ambizione c’era nella loro famiglia.

Il signor Cromwell era morto e il caos che ne era seguito era la prova che gli inglesi avevano bisogno di un re, solo un re poteva aiutarli.

Aveva mercanteggiato tutto ma aveva ottenuto esattamente quel che voleva: la corona di suo padre integra, niente concessioni, niente poteri al parlamento più di quelli che già aveva, e da parte sua niente interferenze.

Aveva accettato tutto e ora finalmente stava per mettere le mani sulla corona che era sua già da dodici anni.

Sua madre si sarebbe imbarcata a breve da Calais, e gli avrebbe portato Jemmie. Non lo vedeva da almeno tre anni, chissà quanto si era fatto grande suo figlio. Jemmie, l’unica prova tangibile del suo legame con Lucy Walters e doveva ringraziare sua madre per averlo cresciuto anche se sospettava il vero motivo, conosceva troppo bene la regina madre.
E Minette la sua bella sorella.

Erano così simili, un peccato che non avessero trascorso abbastanza tempo assieme e lei fosse papista ma aveva tutto il tempo possibile per trovarle un bravo marito, tutti ma non un Orange, sua sorella meritava di meglio. Anche Mary stava arrivando, purtroppo da sola ma la strega di Solms non aveva mollato la presa sul piccolo Wilhelm e si erano dovuti accontentare di lei sola, e zia Elizabeth, stavano tornando tutti a casa.

Rupert avrebbe avuto un comando, lo meritava assolutamente, James avrebbe riottenuto la Marina ed Henry… a lui ci avrebbe pensato ma era sicuro che avrebbe fatto grandi cose. Se solo sua sorella Elizabeth fosse stata lì per vederli. Doveva andare a trovarla, ora che finalmente poteva doveva andare a trovarla e non solo.

Sua sorella meritava di riposare a Westminster, come tutti loro e si sarebbe adoperato per quello, assolutamente. Di suo padre si era già occupato il parlamento ma Elizabeth… quella era una questione di famiglia.

A tal proposito doveva far sposare Mary una seconda volta, assolutamente. Amalia di Solms si sarebbe tenuta Wilhelm e su quello non potevano, ancora, fare nulla ma la presenza di Jermyn non gli piaceva. Capiva benissimo che sua sorella avesse avuto bisogno di qualcuno accanto ma era il momento che si risposasse e servisse nuovamente la dinastia. Non erano più degli esuli umiliati da tutti e che dovevano elemosinare un luogo dove dormire, tutti dovevano fare la loro parte, Mary compresa.

E se voleva davvero Jermyn si sarebbe inventata un sistema, nella loro famiglia l’inventiva non era mai mancata. La sua bisnonna aveva perso la sua corona per inseguire l’amore, suo nonno si era creato una sorta di harem come il Turco e lui… lui aveva già un figlio, o forse due, e nessuno ancora sapeva di loro al di fuori della famiglia.
<< Secondo te saranno lì ad accoglierci? >> gli domandò James dopo averlo raggiunto.


<< L’ultima volta siamo dovuti fuggire, hanno messo delle taglie sulla nostra testa e ci avrebbero uccisi senza pensarci due volte >> fece notare lui, non si fidava dell’animo umano e gli anni dell’esilio gli avevano dimostrato la fondatezza di quel suo pensiero.

<< Ma ora sono a rivolerci, Monck poteva prendersi tutto il potere invece ha scelto te Charlie… Vostra Maestà >> si corresse Henry facendolo sorridere.

<< Non dobbiamo fidarci, ricordatelo sempre. Gli stessi che ora ci aspettano sono gli stessi che hanno votato perché un boia giustiziasse nostro padre, ottenere un trono è facile ma mantenerlo è molto più difficile di quanto sembri, nostra zia di Boemia lo sa bene >> replicò lui. Sua zia Elizabeth aveva giocato una partita pericolosa e aveva perso, lei e suo marito erano morti in esilio ma a lui non sarebbe capitato. No, lui sarebbe morto a Whitehall come un re, esattamente come suo nonno.

<< Sono sicuro che ora nostra zia di Boemia rimpiangerà di non aver permesso che la piccola Sophie ti sposasse >> fece notare James facendo ridere tutti loro.

Sophie era intelligente, di aspetto grazioso e sapeva come tenere corte, sarebbe stata un’ottima regina d’Inghilterra se zia Elizabeth non avesse finito per ascoltare Amalia di Solms da sempre convinta che le loro possibilità fossero pari a zero. Vedere il volto fintamente entusiasta della vecchia quando aveva realizzato che per un errore di valutazione sua figlia sarebbe stata l’ennesima principessa tedesca invece che essere regina d’Inghilterra era stato impagabile.

<< Sophie è una brava ragazza, e ha bisogno di molti talenti per riuscire a sopravvivere >> si limitò a dire. Gli Hannover, la prova vivente che l’uomo e il porco erano imparentati, povera Sophie.

<< E tu invece, chi sposerai? >> domandò Henry curioso.

<< Chiunque il parlamento deciderà, e questo vale per tutti noi >> rispose lui guardando James.

Suo fratello abbassò lo sguardo e fece bene, aveva di che sentirsi colpevole quel maledetto infingardo. Sapeva bene che in tempo di esilio si facevano promesse, le aveva fatte anche lui, ma poi non era necessario doverle mantenere, non nella loro nuova condizione.

 James aveva rovinato tutto ma poteva ancora disfare quel pasticcio, non sapeva come ma si sarebbe inventato qualcosa e soprattutto doveva impedire che gli inglesi lo venissero a sapere. Erano appena usciti dalla cappa di puritanesimo in cui li aveva immersi il signor Cromwell, non avrebbero mai tollerato un simile scandalo.

Non era il momento di parlare, non ora che erano così vicini all’Inghilterra, a casa. Finalmente dopo oltre dieci anni stavano tornando a casa, e in pompa magna come meritavano.

Non si fidava degli inglesi ma doveva far credere loro che fosse tutto passato, che tutti fossero stati perdonati e si potesse ricominciare. Gli stessi che avevano fatto giustiziare suo padre ora giuravano di essere sempre stati fedeli, opportunisti e ipocriti, tutti loro.

Gli piaceva il modo in cui suo cugino Luigi regnava, o voleva regnare, ma in Inghilterra non era possibile ed era sicuro che avrebbe dovuto accettare dei compromessi; il suo compito sarebbe stato quello di essere il vincitore di quelle contrattazioni umilianti, esattamente come suo nonno.

<< Nostra madre è sola oppure… ? >> domandò Henry, e sapevano a chi si riferiva.

<< C’è Minette con lei, è giusto che anche lei torni a casa >> rispose lui.

A breve sarebbero arrivare proposte di matrimonio per le sue sorelle e doveva occuparsene da solo, senza che sua madre vi mettesse becco. Per quanto le fosse affezionato era al corrente del principale difetto della regina madre: il papismo. Tutto il resto poteva gestirlo ma quello, quello sarebbe stato un grande scoglio. James ed Henry avevano già litigato con la regina madre perché la donna aveva cercato di convertirli entrambi al cattolicesimo e Minette era cresciuta cattolica, non poteva permettersi altri danni.

<< Sai che Henry non si riferiva a Minette >> replicò James, ancora poco e non si sarebbero più potuti permettere tutta quella confidenza, uno dei pochi lussi dell’esilio.

<< Lo porta con sé, o ha dato istruzioni perché mi raggiunga, mi occuperò di lui >> rispose riferendosi a Jemmie. Suo nonno il re di Francia aveva avuto almeno dieci bastardi [8], tutti gli uomini della sua famiglia avevano avuto dei bastardi e se n’erano devotamente occupati, lui avrebbe fatto così.

Aveva voluto bene a Lucy ma per fortuna non era più un suo problema. In quanto a suo fratello se ne sarebbe occupato di persona, non poteva perdere l’appoggio di Hyde e avrebbe fatto di tutto per conservarlo, uno scandalo non serviva a nessuno dei due.

<< Non pensiamoci e godiamoci il paesaggio, com’è bella la nostra Inghilterra >> fece notare loro Henry per sviare il discorso. James si limitò ad annuire con la testa mentre le scogliere di Dover apparivano lentamente dinanzi a loro. Quanto era bella la sua Inghilterra, ed era determinato a non lasciarla mai più, finalmente ne avrebbe realmente cinto la corona.
 
***
 
Le bianche scogliere di Dover erano sempre una meraviglia per chiunque veniva dal mare, anche se le aveva ammirate innumerevoli volte.

I suoi fratelli erano emozionati quanto lui, al punto che la piccola barca su cui si erano sistemati per lo sbarco oscillava da quanto Henry non riusciva a reprimere le sue emozioni. Il signor Pepys inoltre doveva essersi stancato di sentire il suo resoconto dei fatti di Worcester ma sentiva il bisogno di dover parlare con qualcuno, di raccontare e di rendere partecipe il prossimo delle proprie disavventure che ora si stavano rivelando dei semplici espedienti.

Ed erano lì, tutti loro.

Non li riconobbe, era appena un ragazzino quando era stato costretto a lasciare l’Inghilterra e i suoi rapporti con il governo erano sempre stati pessimi. Il generale Monck doveva essere sicuramente tra di loro, quell’uomo meritava di godersi il suo trionfo.

Fu il primo a mettere piede a terra, quanto gli era mancata la sua patria. I suoi fratelli lo imitarono subito e vide gli altri inginocchiarsi, falsi come il peccato. Non credeva a nessuno di loro, non coloro che avevano permesso che suo padre perisse sotto il giogo del boia, erano solo degli opportunisti la cui devozione non valeva un penny.

Tuttavia doveva fingere, di quel momento avrebbero parlato poeti e pittori ed era giusto che desse il suo contributo. Rivolse una veloce preghiera di ringraziamento e poi decise che era il momento di iniziare quella recita. Si avvicinò quindi al generale Monck che era ancora inginocchiato, quell’uomo meritava realmente un premio per averlo riportato sul trono.

<< Da oggi è come se foste mio padre. Il re mio padre mi diede la vita e voi mi ridate il mio diritto >> disse in maniera tale che tutti potessero sentirlo prima di baciarlo su entrambe le guance.
James lo imitò abbracciando Monck, per una volta non era necessario che il duca di York dovesse dire qualcosa.

Fu Henry a sorprenderlo, come sempre il suo fratellino era pieno di sorprese. Accadde tutto in un istante, Henry lo guardò con un sorriso poi prese il suo cappello e lo lanciò in aria urlando << Dio benedica il generale Monck! >> suscitando applausi entusiasti [9].

Fu spontaneo per lui sorridere, tutto stava andando meglio del previsto, bisognava solo sperare che Dover non chiudesse loro le porte in faccia.

Odiava tutto quello, non sapere come sarebbe potuto andare, quell’incertezza, quella precarietà. Credeva sarebbe finito tutto nel momento in cui gli avessero annunciato che gli inglesi erano pronti a riaverlo come re ma forse quello era solo l’inizio. Era cosciente che non si sarebbe mai potuto fidare fino in fondo ma almeno voleva cullarsi in quell’illusione per qualche giorno. Sulla Naseby si era sentito a suo agio ma ora era il momento di essere realmente un re per tutti i suoi sudditi.

Doveva essere scaltro, come suo nonno che aveva ottenuto tutto quello che voleva minacciando e corrompendo il parlamento e sfruttando i vizi dei lord per averli dalla sua parte. Suo padre era stato un grande re ma inadeguato per l’Inghilterra, esattamente come zia Elizabeth di Boemia era stata inadatta ad essere regina.

Povera regina dipinta, vano orpello della mia fortuna[10] gli venne spontaneo pensare, non era mai stato molto attento durante le lezioni ma ricordava le rappresentazioni di Shakespeare che ogni tanto si tenevano a corte e a cui gli veniva permesso di assistere.

Lui sarebbe stato migliore di loro. Migliore di suo nonno morto odiato da tutti. Migliore di suo padre morto martire per la causa della corona. Migliore di suo zio che era morto in esilio. Lui sarebbe stato il miglior sovrano della loro dinastia e avrebbe reso grande l’Inghilterra come meritava.



[1] Theobalds House, all'epoca nota come Theobald Palace, fu effettivamente donata a James i da Robert Cecil, che in cambiò ebbe Hatfield Palace

[2] Si ignora quando e dove James I abbia conosciuto Philip Herbert, si sa solo che all'arrivo della regina Anna a Londra il giovane Philip, 19 anni, e il re, 37 anni, erano già amanti
[3] Ludovic Stuart, secondo duca di Lennox, era il figlio di Esmé Stuart, primo amore del re, quando si incontrarono per la prima volta esmé aveva 39 anni e James 13, gli storici ancora discutono su chi abbia sedotto chi
[4] Nel 1605 Philip fu fatto gentleman of the bedchamber, l'incarico più prestigioso a corte. Tenne l'incarico prima che Robbie Carr ne prendesse il posto, nel letto e nel cuore del re, nel 1607
[5] James nel 1618 offrì realmente la sua mediazione, teneva moltissimo al titolo di "Salomone del Nord "
[6] Tuttora non è stato possibile capire che genere di rapporto unisse Carlo I al duca di Buckingham, se ammirazione, amicizia fraterna o un amore platonico
[7] James si riferiva realmente al figlio e all'amante chiamandoli "i miei cari bambini", le sue letetre al figlio ne sono una prova
[8] 12 per la precisione, di cui 9 legittimati, suo cugino Luigi XIV ne avrebbe avuti 10, Carlo stesso ne avrebbe avuti 18 mentre suof ratello James II 7
[9] La scena fu riportata da samuel pepys, compreso il giovane duca di Gloucester, ossia Henry o Harry come veniva detto in famiglia, che lanciò in aria il proprio cappello urlando "Dio benedica il generale Monck"
[10] Shakespeare, Riccardo III, Carlo II adorava il teatro e sebbene preferisse i lavori contemporanei tuttavia aveva un debole per Shakespeare

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Capitolo 5
*** Fourth Chapter ***





 
York, 1603:
 
Inghilterra. Erano infine giunti in Inghilterra e il cambiamento era palese. Pur essendo una bambina capiva perfettamente come quella terra fosse diversa dalla sua natia Scozia, pur appartenendo alla stessa isola le differenze erano sotto gli occhi di tutti.
Il paesaggio era più placido, l’aria sembrava migliore e la popolazione, oh che esseri curiosi erano gli inglesi. Fin dal loro arrivo Elizabeth aveva notato come si accalcassero intorno alla carrozza reale, volevano davvero vederli e si accontentavano di uno sguardo distratto, avevano sul serio a cuore il loro benessere.

Ad ogni sosta in qualche villaggio c’era sempre una delegazione ad attenderli con un sindaco ansioso di declamare il suo discorso di benvenuto e un curato in attesa di benedirli. I contadini interrompevano il loro lavoro per osservarli, si toglievano il cappello al loro passaggio ed erano realmente entusiasti di vederli, non era una recita. In Scozia non si poteva mai sapere se il laird che un istante prima si era inchinato poi avrebbe tirato fuori un coltello per ucciderti, la loro vita contava a malapena più di quella dei laird e non avevano mezzi, Annie che spesso si divertiva a fare sfoggio della propria abilità con i numeri l’aveva informata che i forzieri erano spesso vuoti e che suo padre non sapeva mai come pagare le tasse, i fittavoli non avevano niente e non aveva senso requisire il poco che aveva niente.

L’Inghilterra era un sogno, quella gente era ricca e stava buttando del denaro solamente per accoglierli una notte in casa propria. Vestivano tutti con abiti sfarzosi dai ricchi ricami, le loro dimore erano riccamente decorate e gli interni eleganti, il cibo era squisito e parlavano in maniera buffa, invero gli inglesi erano creature peculiari si era detta più volte.

Chi però aveva avuto più successo durante quella lenta discesa verso Londra era suo fratello, e ne capiva benissimo il motivo.

Henry era il prossimo principe di Galles, era il primogenito e un giorno sarebbe diventato re, gli inglesi volevano farsi notare da lui per poter poi essere ricordati. In quanto a lei conosceva benissimo il proprio destino. Venire venduta al miglior offerente ed era sicura che quell’offerente non sarebbe stato scozzese o inglese, non poteva essere così fortunata.

Sua madre aveva subito lo stesso destino ma sembrava felice e in quanto a Charlie… lui era troppo piccolo e le avevano ripetuto che non doveva affezionarsi troppo a lui perché poteva morire come gli altri bambini.

Rimase senza parole quando scesero dalla carrozza e videro York. Aveva visto città ben grandi tra cui Edimburgo ma York era diversa, aveva l’aria di una capitale, chissà come sarebbe stata Londra si disse.

Stranamente questa volta non c’era la solita delegazione e lei ed Henry si guardarono sorpresi prima di sentire le trombe squillare la marcia reale [1].

Erano trascorsi almeno due anni dall’ultima volta che aveva visto suo padre ma il re era sempre lo stesso. Alto, i capelli rossi che aveva trasmesso ad Henry, gli occhi indagatori e un aspetto che lo identificava subito come il re.

Si inchinò devotamente assieme a sua madre e a suo fratello come indicava il protocollo e attese. Non sapeva nemmeno lei cosa dovesse attendere, forse un sorriso, una carezza, una parola gentile, qualsiasi cosa, solitamente papà Alexander si comportava così con i suoi figli e aveva pensato che fosse normale.

Re James Stuart invece non la degnò di uno sguardo, sorrise appena ad Henry e baciò distrattamente sua moglie sulla guancia, come se quel piccolo gesto per lui richiedesse uno sforzo immenso.

Il re e la regina parlottarono per qualche istante e poi il re si allontanò seguito dai suoi cortigiani, prima che sparisse Elizabeth lo vide fare cenno ad un giovane di avvicinarsi e gli parve di vedere suo padre che baciava quel giovane sulla bocca.
Rimase senza parole mentre Henry abbassò lo sguardo come se le pietre di York fossero portatrici di chissà quale verità mentre sua madre cercò di guardare da un’altra parte, loro due sapevano qualcosa [2].

<< Chi è quel giovane inglese? >> domandò, aveva studiato assieme ad Annie e a sua madre i volti più importanti della corte per poterli poi riconoscere e le dame inglesi in questo erano state d’aiuto ma quel volto non lo riconosceva.
Giovane, capelli castani e un volto giovane ma dai tratti sconosciuti.

<< La nuova sgualdrina di nostro padre >> rispose suo fratello a voce bassa lasciandola con ancor più domande.

<< Come può essere una sgualdrina se è un uomo? >> domandò, solitamente le sgualdrine erano donne e allora perché suo fratello aveva definito quel giovane lord con quella parola in particolare?

<< Lo scoprirai Lizzie, gli inglesi non hanno idea di quello che dovranno sopportare >> si limitò a risponderle suo fratello prima che la regina facesse segno ad entrambi di seguirla.

Ne parlò quella sera con Annie nella speranza che lei ne sapesse di più. Probabilmente i suoi genitori sarebbero tornati in Scozia e lei avrebbe avuto nuovi tutori, tutori inglesi, ma non voleva rinunciare ad Annie. Annie era sua amica e aveva bisogno di averla al proprio fianco, su quello avrebbe insistito con particolare tenacia si ripromise.

<< Secondo te un uomo può essere una sgualdrina? >> le domandò mentre riposavano nello stesso letto, sebbene il clima fosse più mite non era indicato che dormisse da sola, solitamente erano le damigelle di sua madre a dormire con lei ma preferiva la compagnia di Annie.

<< No, le sgualdrine sono donne perdute, come può esserlo un uomo? >> replicò Annie, aveva ragione eppure la soluzione doveva essere a portata di mano, se lo sentiva.
<< Una sgualdrina è una donna che si vende per denaro, forse anche gli uomini lo fanno >> ponderò, era una soluzione.

<< E perché mai dovrebbero? Sono uomini, non sono esposti alle tentazioni come noi donne e sanno resistere meglio >> razionalizzò Annie. Aveva ragione ma non spiegava quello che aveva visto.
<< Ho visto mio padre baciare un giovane inglese. Lo ha baciato sulla bocca >> rivelò sperando che Annie sapesse spiegarglielo.

<< Le sgualdrine sono anche le amanti del re ma gli uomini non diventano amanti delle regine, nessuna regina sarebbe così scandalosa. Forse qui in Inghilterra è normale baciarsi sulla bocca >> propose Annie.

<< Mia nonna aveva un amante [3] >> mormorò lei. Ricordava bene i sussurri che avevano per oggetto la defunta regina di Scozia e tutto il male che ancora si diceva contro di lei pur essendo stata regina e madre di re.

<< La regina Maria era una papista ed era cresciuta in Francia, noi siamo persone per bene >> replicò Annie, e anche quello era vero. Sua nonna era una papista, una donna lussuriosa e che aveva perso il trono quando aveva deciso di governare da tiranna, così le avevano sempre detto.

<< Se lo dite voi Annie, se lo dite voi >> chiosò prima di spegnere il lume, c’era qualcosa di strano in tutto quello ma non sapeva esattamente cosa però percepiva che era sbagliato, era una sensazione fastidiosa che non voleva andarsene.
 
***
 
Non si era mai sentita così umiliata.

Lo sapevano, lo sapevano tutti, anche gli inglesi lo sapevano. Aveva sperato che si controllasse, che non fosse così sfacciato per quel che riguardava le sue preferenze ma era stata sciocca.

Lui era così e ora che aveva ottenuto al corona d’Inghilterra sarebbe stato ancora peggio. Lo aveva visto quel ragazzo, così giovane e già così vizioso. Il modo in cui sbatteva le ciglia, in cui gli permetteva di toccarlo e i sorrisi…e ra rivoltante, semplicemente rivoltante.

E i suoi figli avevano visto tutto.

Non la preoccupava Lizzie, era solamente una bambina e non poteva capire ma Henry… cosa avrebbe pensato suo figlio? Cosa avrebbe pensato di lei e di suo padre? Che impressione gli avevano dato?

La sua unica salvezza stava nello sperare che quando Henry fosse divenuto re lei fosse ancora viva, vedere suo figlio che si liberava di tutte quelle maledette sgualdrine sarebbe stato impagabile, quei maledetti giovanotti la offendevano semplicemente con la loro presenza.

Quasi non aveva ascoltato il discorso di lord Cecil [4] il quale si era sorprendentemente adeguato alla situazione, come tutti gli altri. Eccoli gli inglesi, sempre a lamentarsi ma poi al momento giusto chinavano il capo e permettevano di tutto, disgustosi ipocriti.

Quell’uomo non le piaceva, era un intrigante e il suo corpo era di rara bruttezza: non solo nano ma persino gobbo, se era vero che le azioni dell’anima si riverberavano nel corpo allora l’anima del signor Cecil doveva essere ben nera, esattamente come quella del padre che per anni aveva guidato la politica della vecchia.

Aveva domandato a Ludovic Lennox chi fosse quel ragazzo e la risposta non le era piaciuta per niente. Il fratello minore del conte di Pembroke, con legami con la precedente famiglia reale e anche una lontana parentela con suo marito, tutti elementi pericolosi. Se anche il ragazzo non era ambizioso nulla vietava che non lo fosse suo fratello e lei sapeva fin troppo bene come andavano a finire certe situazioni.

Quella però la sua occasione, poteva essere indipendente, tenere la propria corte e stare il meno possibile attorno a quell’uomo che le aveva rovinato la vita.

Era così bello le venne spontaneo pensare mentre si rigirava nel proprio letto. Ricordava ancora come fosse bello l’uomo che era giunto a Copenaghen per sposarla di persona, quell’uomo dello sguardo triste e dai capelli rossi come il fuoco, aveva creduto di amarlo in quei giorni. Era così gentile, così affabile e così intelligente che aveva pensato che sarebbero stati felici insieme. E invece la prima notte di nozze lui le aveva confessato la verità.

Non avrebbe mai potuto amarla non perché amava un’altra ma perché non riusciva ad amare le donne, lui era un uomo che amava gli uomini e l’avrebbe cercata solamente per avere figli e che non si azzardasse a comportarsi da puttana, sua madre era una puttana e lui voleva una donna per bene.

Mio caro signore, siete voi la puttana avrebbe voluto dirgli ma era sicura che lui non l’avrebbe capita, o meglio non avrebbe voluto capirla.

E ora anche in Inghilterra ma gliel’avrebbe mostrato lei, sarebbe stata la migliore delle regine e che il biasimo cadesse su di lui. In Inghilterra c’erano dei seguaci della Vera Fede e spettava a lei aiutarli, almeno qualcuno poteva esserle di conforto, il cattolicesimo l’aveva aiutata a sopportare tutto quello molto meglio del luteranesimo.

Pensò al bambino e sospirò. Avrebbe dovuto farlo seppellire, portarlo con sé era sciocco e futile ma odiava doversene separare [5], sarebbe stato come ammettere di aver fallito, una regina non aveva che uno scopo e lei quella volta aveva fallito, volontariamente.

Suo marito almeno la vedeva così e per quanto si sforzasse di non pensarci forse aveva ragione, si era arrabbiata così tanto quando si erano rifiutati di consegnarle Henry che si era colpita più volte e come conseguenza il bambino era nato morto. Il suo confessore l’aveva rassicurata che non era colpa sua ma la volontà di Dio atta a punire un re scostumato ed eretico ma se davvero Nostro Signore voleva punire suo marito perché servirsi di lei? C’erano altri sistemi, perché proprio lei?

Sapeva di aver sbagliato ma non era giusto che fosse punita così. In quanto ai figli rimasti i dottori erano stati chiari: baby Charles non sarebbe vissuto a lungo quindi era inutile affezionarsi inoltre il bambino non era solo fragile e malaticcio ma anche lento. Aveva imparato tardi a parlare, balbettava e camminava appena [6], se anche fosse sopravvissuto sarebbe stato un mediocre duca di York, di nessun’aiuto al fratello.

Lizzie era graziosa, educata e forse anche intelligente ma come futura regina la sua intelligenza poteva essere un ostacolo. Era il momento di riprendere il progetto di un matrimonio con la Spagna, sua figlia meritava il trono più prestigioso e se davvero si stava per firmare la pace cosa c’erano di meglio di un fidanzamento per suggellarla?

Ed Henry… oh lui. Henry era il suo orgoglio e la sua gioia, il figlio che l’avrebbe aiutata a risollevarsi ed era così bello, così atletico, che bel re aveva dato all’Inghilterra e alla Scozia pensò con un sorriso.
Un peccato che Ludovic fosse già sposato pensò un’ultima volta: potevano fargli sposare Arbella.

L’aveva finalmente vista, l’imprevedibile cugina di suo marito, era tra le tante dame venute ad omaggiarla in quei giorni.

Aveva i capelli rossi come tutti loro, la pelle delicata e l’aspetto di una regina ma era anche pigra e indolente per non dire viziata e arrogante, Arbella doveva essere sposata in fretta e soprattutto spedita il più lontano possibile dall’Inghilterra per evitare che causasse altri danni, era troppo vicina al trono e allo stesso tempo troppo lontano. Possibile che non ci fosse un principe tedesco disposto a prendersela come moglie? Se solo Hans non fosse morto e Ulrik non fosse stato un religioso… com’era possibile che la figlia di un usurpatore russo [7] fosse un partito migliore di una principessa inglese lei non lo capiva proprio. Sarebbe stato necessario abbassare l’arroganza di lady Arbella ma quello non le avrebbe tolto troppo tempo, no, la sua vera priorità era un’altra, lo sapeva fin troppo bene si disse prima di prendere sonno.

 
Praga 1619:
 
Aveva la sensazione che la situazione stesse cominciando a sfuggirle di mano, sebbene non capisse come.

Elizabeth Stuart non capiva come fosse possibile che nel giro di poche settimane la situazione avesse cominciato a farsi pericolosa per loro. Erano giunti a Praga su invito della Dieta boema perché il popolo voleva un re protestante e avevano chiamato suo marito, quindi perché ora li respingevano?

Erano stati incoronati e aveva udito lei stessa gli hurrà e le benedizioni della povera gente di Praga, allora perché non riuscivano a farsi obbedire? La loro era una crociata eppure i loro stessi sudditi avevano iniziato a detestarli. Avevano fatto rimuovere gli arredi dalle chiese e sequestrato i beni dei religiosi papisti ma avevano bisogno di denaro in vista della guerra, possibile che non capissero? Eppoi non avevano bisogno di simili orpelli papisti, stavano facendo loro un favore e loro non lo capivano, ingrati.

La loro causa era giusta altrimenti l’Ungheria non li avrebbe imitati eppure Federico aveva dei dubbi su Gabor, dubbi che lei non riusciva a spiegarsi. Il sostegno degli ungheresi era prezioso, l’imperatore non avrebbe potuto attaccarli tutti insieme ed era la prova che potevano realmente trionfare sull’imperatore e sul papismo.

Non seguiva le riunioni del consiglio, suo marito non glielo permetteva e lei si adeguava ma riusciva comunque a sapere di cosa si discutesse sebbene fosse cosciente che c’era qualcosa che le sfuggiva.

Suo marito appariva sempre più sfiduciato ma loro erano lì per disegno divino, era stato deciso che lei non sarebbe stata la moglie di un semplice Elettore ma una regina, una regina protestante e così sarebbe stato. I loro alleati dell’Unione Evangelica ancora non avevano risposto ma secondo lei era solo questione di tempo, Federico che nel sentirla parlare in quella maniera scuoteva la testa la indisponeva fin troppo, non era il momento di essere disfattisti.
La nascita del piccolo Rupert era stata una benedizione, aveva offerto ai boemi un principe e suo figlio un giorno avrebbe fatto grandi cose per il suo paese natale. In realtà non sapeva esattamente cosa farsene ma non era un suo problema, non quando a pensare a lui c’erano balie e nutrici boeme che lo cullavano e gli cantavano ninne nanne.

Avrebbe tanto voluto chiamarlo come suo padre ma il re d’Inghilterra si era dimostrato un ingrato e un padre irriconoscente. Lei era regina e lui aveva suggerito che restituissero la corona e trattassero con il kaiser proponendosi come mediatore, quella follia era?

Amalia di Solms aveva sempre notizie interessanti anche se non voleva sapere come le avesse ottenute, la sua dama di compagnia per quanto devota le appariva infida e fin troppo ambiziosa.

<< Il consiglio ha terminato di riunirsi? >> le domandò dopo aver vergato l’ultima lettera destinata a suo padre, se solo Charles fosse stato la metà di Henry sarebbe stato tutto più facile, se solo Henry fosse stato ancora in vita non avrebbero avuto tutti quei problemi.

<< Dovrebbero aver terminato, la delegazione ungherese partirà a breve >> le rispose Amalia, non sarebbero mai state amiche ma finché i loro interessi convergevano era meglio tenersela stretta. Sua madre le aveva insegnato che il miglior modo di gestire una corte era essere amica di tutti ma non avere mai un confidente e suo padre che bisognava temere tutti allo stesso modo e lasciare che le fazioni di corte si scontrassero tra di loro per poi approfittarne al momento giusto. Ad Heidelberg non c’era una corte numerosa o potente come a Londra o ad Edimburgo e nessuno aveva le giuste pretese ma lì era diverso. I nobili venuti con loro volevano essere ricompensati, i boemi non volevano perdere ei loro privilegi e lei non sapeva più chi doveva ascoltare per primo. Federico era un brav’uomo, un ottimo re e lo amava ma aveva la tendenza ad immalinconirsi e non se lo potevano permettere, non ora che erano vicini alla propria apoteosi.

<< Allora andiamo dal re, ho urgenza di conferire con mio marito >> annunciò. Amalia le fece subito ala e per fortuna la fecero passare, fece segno alla donna di attenderla fuori ed entrò, aveva la sensazione che a quella conversazione non dovessero esserci testimoni.

Federico la stava aspettando sebbene tutto indicasse che la situazione non fosse la migliore per entrambi. Suo marito era ancora un bell’uomo, il principe protestante di cui si era innamorata a prima vista eppure le sembrava invecchiato, da quando aveva cinto la corona sembrava invecchiare sempre di più sotto il peso delle preoccupazioni.

<< Di cosa ha discusso il consiglio, se posso domandare? >> chiese prima di sedersi accanto a lui, da soli era inutile servirsi di certi formalismi.

<< Siamo nei guai Lise, e più di quanto potessi immaginare >> le comunicò suo marito e lei iniziò a tremare. Non dovevano farsi abbattere dalle prime difficoltà ma Federico le appariva così scoraggiato da contagiarla.

<< Cosa è successo? Mio padre ci ha negato i volontari? >> domandò, non aveva ancora inviato la lettera, nel caso di una risposta affermativa l’avrebbe strappata e ne avrebbe scritta un’altra.

<< Non verranno, il re d’Inghilterra ha chiuso i porti ma non è questo che mi preoccupa >> le rispose suo marito.

<< E cosa può esserci di peggio marito mio? >> domandò lei, ora si che era preoccupata sul serio.

<< L’imperatore ci ha ufficialmente dichiarato guerra, la nomina di Rupert a principe di Lusazia è stata troppo per lui, siamo ufficialmente in guerra >> le rivelò suo marito. Era la fine, da soli non potevano farcela ma l’Unione Evangelica li avrebbe aiutati, doveva aiutarli si disse. Non immaginava che per una bagattella simile l’imperatore se la sarebbe presa così tanto, e ora cosa potevano fare nell’immediato?

<< Scrivi all’Unione Evangelica, mio padre si pentirà di non averci aiutato, abbiamo bisogno dei loro uomini >> replicò lei.

<< Non ci aiuteranno, manderanno solo parole e qualche moneta, niente che ci possa realmente aiutare e devo assoldare un comandante capace >> le comunicò Federico.

<< A chi possiamo rivolgerci, e chi ha assoldato l’imperatore? >> domandò lei. Sapeva che il genovese Spinola aveva un contratto con l’imperatore ma da solo non poteva fare molto. Il genovese non poteva affrontare l’esercito boemo e quello ungherese nello stesso momento e dovevano sfruttare la situazione a loro vantaggio anche se non sapeva come, ai piani strategici pensassero i generali.

<< Tilly, quel maledetto fiammingo. Comanda la lega dei cattolici guidata dal duca di Baviera il quale non esiterà a cederlo a suo cognato l’imperatore, altrimenti per quale motivo gli avrebbe fatto sposare sua sorella? >> le rivelò Federico facendola sbiancare. Come tutti conosceva la fama di Tilly e il suo zelo cattolico, se anche il duca di baviera non avesse voluto prestarlo al cognato Tilly avrebbe chiesto di poter agire da volontario.

<< Non hanno i soldi, l’imperatore non ha abbastanza denaro per armare due eserciti >> tentò di far ragionare il marito, potevano ancora farcela, dovevano agire prima degli altri e forse avrebbero potuto realmente vincere.
<< Lui no ma suo cugino il re di Spagna si. E il papa. Offriranno spontaneamente denaro e uomini contro di noi, è una crociata per loro come per noi >> ammise Federico.

<< Ma ci sarà pure qualcuno disposto a combattere per noi, qualcuno che possiamo pagare >> lo pregò lei. Aveva investito troppo in quel progetto per lasciarsi abbattere alla prima difficoltà, non se lo meritava, non ora che era divenuta una regina protestante. Non aveva sopportato tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi per tornare ad Heidelberg sconfitta e con l’Europa intera che rideva di lei, non lo avrebbe permesso, affatto

<< Von Thurn, lui potrebbe aiutarci ma pochi altri, dovremmo scrivere di nuovo a vostro padre e a tutti i nostri alleati, il tempo delle parole è finito >> dichiarò Federico prima che lei gli buttasse le braccia al collo d’istinto. Si baciarono con passione, lo amava fin da quando aveva incrociato i suoi occhi la prima volta e non era stato solamente un nome di cui sentiva discutere ma il cavaliere che l’avrebbe portata via dall’Inghilterra e l’avrebbe amata per sempre. La tentazione di non perdere tempo era forte, di consegnarsi a lui in quell’istante tremenda ma sarebbe stato indegno di entrambi, lei era figlia di re, sorella di re e moglie di re e suo marito non era più un misero Elettore ma un re, meritavano di meglio.

<< Mio signore… qui no… non sarebbe appropriato >> mormorò, il respiro pesante e gli occhi gonfi di desiderio.

<< Come desiderate, ma ricordate che voi siete una regina, e tutto è appropriato quando si parla di voi >> replicò Federico prima di sollevarla da terra. Lo amava, lo amava alla follia e lo avrebbe sostenuto sempre si disse, lui aveva bisogno di lei e lei lo avrebbe aiutato.
 
***
Erano rovinati.

Le riunioni del consiglio si succedevano sempre più velocemente e ogni volta la situazione peggiorava. Il popolo delle campagne li detestava, aver tolto le immagini sacre alle chiese aveva esasperato i contadini e a differenza di quanto accadeva nel suo Palatinato natale non tutti si erano ancora convertiti alla Vera Fede. Avrebbero dovuto avvisarlo e invece lui si era fidato di quel predicatore, Abraham Scultetus, e ora avevano perso degli alleati preziosi, quando sarebbe stato il momento i contadini avrebbero benedetto l’arrivo degli imperiali.

Aveva pensato che potevano in qualche modo sopravvivere, con l’Ungheria indipendente il kaiser avrebbe sicuramente voluto punirli ma non ne aveva i mezzi aveva ragionato. Poi Christian gli aveva ricordato che l’imperatore era cugino del re di Spagna, il cui unico scopo era quello di annientarli. E il re di Spagna avrebbe offerto uomini e denaro al cugino, così come il papa e gli stati italiani mentre loro cosa avevano?

Nulla se non le vaghe parole degli altri stati dell’Unione Evangelica che erano tanto bravi a parlare e ad omaggiarlo ma al momento giusto, quando sarebbe stato decisivo il loro supporto non mandavano un uomo o scucivano i cordoni della borsa.

Gabor era pronto ad affrontarli, gran parte delle famiglie ungheresi era dalla sua parte ma cosa importavano un titolo antico di secoli e orgoglio smisurato come quello dei magiari quando la borsa era vuota e i soldati reclamavano la paga? Allearsi con lui sarebbe stato saggio ma era consapevole che né lui né Gabor volevano realmente un’alleanza, erano troppi diversi e avevano obbiettivi differenti.

Per questo non avevano mai siglato nulla limitandosi a brevi scambi epistolari ma Ferdinando era furbo, machiavellico come tutti quelli cresciuti dai gesuiti. La nascita di Rupert lo aveva riempito d’orgoglio, suo figlio era nato figlio di un re e non di un misero elettore come i suoi fratelli, e meritava un principato di cui gloriarsi. Non aveva pensato troppo quando gli aveva assegnato il principato di Lusazia, non sapeva nemmeno dove si trovasse quella regione ma gli piaceva come suonava. Eppure Ferdinando se l’era presa così male da aver individuato in quell’atto la causa ufficiale dell’entrata in guerra. Era consapevole che non fosse per il rango in sé o per la scelta del principato ma che al kaiser serviva solamente una scusa, e lui stupidamente gliel’aveva data.

Non avevano abbastanza denaro per un esercito ma potevano assoldare dei comandanti capaci, la Germania d’altronde era piena di mercenari di entrambe le fedi, i protestanti sarebbero stati fieri di combattere per lui.

Christian gli aveva ricordato che nessuno combatteva semplicemente per l’onore ma lui doveva pur trovare dei fondi da qualche parte, era per quel motivo che aveva dato ordine di fondere gli arredi sacri, pagare dei mercenari luterani con oro ricavato dalle chiese papiste boeme era quasi paradossale.

E poi gli avevano comunicato la notizia.

Era a conoscenza del contratto di esclusività tra Ambrogio Spinola e il kaiser, i genovesi da anni davano all’imperatore i loro uomini migliori pur di mantenere la propria indipendenza ma aveva sperato che Spinola prima si dedicasse agli ungheresi che erano molo più bellicosi dei suoi nuovi sudditi. Poi aveva saputo che dai Paesi Bassi stava arrivando Tilly con l’esercito spagnolo messo a disposizione dalla governatrice Isabella Eugenia nata Infanta di Spagna che era la sorella del re di Spagna e la cognata dell’imperatore e aveva capito che i due eserciti si sarebbero chiusi su di lui e su Gabor fino a triturarli.

Aveva scritto a sua madre di fortificare Heidelberg e di tenere al sicuro i bambini, se Tilly era spietato anche solo la metà di altri condottieri papisti poteva tentare di rapire i suoi figli.

Heinrich, Karl e la piccola Lisi erano appena dei bambini ma erano già dei principi e per di più figli di un uomo che era stato dichiarato ufficialmente un ribelle, il loro rapimento sarebbe stato un grande affare per Tilly, specialmente il suo primogenito ed erede. Aveva chiesto a Christian se fosse opportuno farli venire a Praga ma l’uomo glielo aveva sconsigliato, troppe incognite durante il tragitto aveva obbiettato.

Sua moglie sembrava non curarsi dei bambini ma Lizzie era fatta così: sua moglie adorava il mestiere del letto ma molto meno i suoi prodotti: trovava i bambini incredibilmente noiosi e niente avrebbe cambiato quell’idea, ai suoi occhi una scimmietta ammaestrata avrebbe sempre avuto più valore dei propri figli.

Con quello che avevano non potevano sperare in chissà chi lo aveva avvisato Christian, pochi avrebbero accettato di combattere per paghe così basse.

<< Posso scrivere di nuovo al re di Danimarca parente della regina e al re di Svezia ma dubito che arriveranno in tempo, se arriveranno >> si era limitato a riferirgli il suo cancelliere.

<< Possibile che non si trovi nessuno bravo ma che costa poco? >> aveva domandato lui sconsolato.

<< Ci sarebbe qualcuno ma non ci aiuterà senza prima riceverne dei benefici >> rispose Christian.

<< Il conte Valssina >> disse lui. Il conte Heinrich von Thurn – Valvassina era un noto protestante, colui che aveva dato origine a tutto quello grazie a quella sciocca defenestrazione e soprattutto quello che più aveva da perderci in caso di loro sconfitto. Apparteneva ad una famiglia numerosa, molti suoi parenti erano cattolici e sparsi per l’Europa, se fosse riuscito a radunarli avrebbero potuto infliggere un colpo mortale all’imperatore.

<< Esatto, tuttavia le due incursioni del conte contro l’imperatore non hanno avuto esito favorevole. È giunto a Vienna, e lì si è fermato esattamente come il turco prima di lui >> lo informò Christian, era vero ma il conte era l’unico alleato su cui potevano seriamente confidare e grazie a lui potevano attirare uomini, armi e denaro.

<< Dobbiamo solo trovare il denaro per armare i nostri uomini, e farlo nel più breve tempo possibile >> dichiarò lui, ogni seduta del consiglio lo lasciava sfinito.

Sarebbe stato facile ammettere di aver sbagliato, che non era tagliato dello stesso legno da cui venivano i re, che si accontentava di Heidelberg ma non poteva. I boemi avevano chiamato lui, lo avevano eletto e lui aveva delle responsabilità nei loro confronti e non sarebbe venuto meno alla parola data quando aveva accettato di diventare re di Boemia.

Sua moglie credeva in lui e voleva che fosse orgogliosa del suo operato. Lizzie era nata figlia di re e sorella di re, meritava di essere regina e non poteva deluderla, non ora che le aveva offerto una corona. E suo suocero, che non aveva mai creduto in lui si sarebbe dovuto ricredere, gliel’avrebbe fatta vedere lui al Salomone del Nord che si circondava di efebi a passava le giornate a caccia e la notte impegnato a bere e in atti di orrenda sodomia.

Aveva fede in dio, avrebbe avuto denaro e sarebbe riuscito a vincere, i suoi figli non avrebbero ricevuto un nome disonorevole da lui e un giorno Heinrich sarebbe stato re di Boemia.

Christian nutriva dei dubbi, lo conosceva troppo bene per non intuirlo, ma l’altro si limitò ad un inchino di rito prima di allontanarsi lasciandolo solo. Doveva riflettere ma come poteva riflettere in pace se la situazione si faceva più drammatica di ora in ora?

Gli fu annunciata la regina e sorrise, aveva bisogno di Lizzie, della sua forza e del suo orgoglio, sua moglie non avrebbe mai accettato di dover rinunciare alla corona senza lottare.
E come previsto suo suocero stava agendo contro di loro, lui di una mediazione non se ne faceva nulla, non quando aveva un disperato bisogno di uomini e di denaro, davvero suo suocero credeva di fare la cosa giusta offrendosi come paciere?

Poteva capire che con l’età non si volessero più grandi avventure ma perché chiudere i porti? Per quale motivo impedire ai volontari di partire? La loro era una causa santa, lui stesso oltre ad essere re di Boemia era anche il capo della Lega Evangelica e ora suo suocero il re d’Inghilterra lo tradiva in quella maniera.

Doveva solo rivedere i propri piani, scrivere altre lettere e poi… poi non lo sapeva più.

<< Von Thurn, lui potrebbe aiutarci ma pochi altri, dovremmo scrivere di nuovo a vostro padre e a tutti i nostri alleati, il tempo delle parole è finito >> propose prima che sua moglie gli buttasse le braccia al collo.

Sentì il desiderio montare dentro di lei, sarebbe stato facile prenderla lì, sul tavolo dove fino a pochi minuti prima aveva discusso di faccende di governo e di guerra, rovesciarcela come una comune serva e perdersi in quell’abbraccio per ore ma sua moglie era una regina. Meritava un letto e non il tavolo come una qualsiasi cameriera.

<< Mio signore… qui no… non sarebbe appropriato >> lo bloccò sua moglie, come tutti gli Stuart prima ancora di essere donna era una regina e gli stava ricordando il loro rango. Aveva gli occhi liquidi di desiderio, il respiro pesante e il petto si alzava e si abbassava ma allo stesso tempo non dimenticava di essere figlia di un re e regina lei stessa. Sua moglie gli aveva dato quattro figli e non riusciva ad immaginare la sua vita senza lei al proprio fianco, inoltre aveva promesso al principe Henry che avrebbe avuto cura di lei e le promesse fatte ad un principe morente avevano doppio valore, così gli avevano sempre detto.

<< Come desiderate, ma ricordate che voi siete una regina, e tutto è appropriato quando si parla di voi >> replicò lui prima di prenderle la mano e condurla fino alla loro stanza nuziale. Dopo quel pomeriggio così rovinoso per le sue speranze si meritava un premio e che quel premio fosse tra le cosce di sua moglie non lo turbava affatto, adorava perdersi in quegli abbracci, a che pro avere un’amante quando aveva a disposizione la migliore delle donne, una che amava prima ancora di averla effettivamente conosciuta?

 
Rotterdam, 1661:

 
Dopo tanti anni finalmente sarebbe tornata a casa.

Il ritorno di Charles l’aveva persuasa che era il momento di smettere di vivere della carità altrui in un paese che non fosse il suo. Aveva un unico desiderio: tornare in Inghilterra per trascorrervi i suoi ultimi anni e morire lì, in terra inglese. L’Inghilterra, era nata in Scozia ma se doveva pensare ad una patria il suo pensiero correva all’Inghilterra ed era lì che voleva tornare.

Aveva quindi salutato mr De Witte e i membri più importanti del governo delle Sette province Unite per poi dare ordine che ci si preparasse a salpare per Dover, era stata assente troppo a lungo.

Karl aveva fatto un tentativo per farla restare a L’Aia o peggio ancora farla tornare ad Heidelberg ma era stata categorica, finché quella situazione non si fosse sistemata lei non avrebbe messo piede nella terra natale di suo marito.
Sapeva benissimo per quale motivo suo figlio la rivoleva con sé, e non aveva nulla a che vedere con affetto filiare o il desiderio di farle occupare il posto che le spettava in quanto madre dell’Elettore. No, suo figlio voleva che lo aiutasse a far andare via Carlotta.

Sua nuora aveva acconsentito al divorzio ma sperando che un giorno Karl si potesse pentire aveva scelto di rimanere ad Heidelberg nell’attesa di quel giorno. Suo figlio era un bigamo con una moglie testarda e un’amante che trattava come una moglie e che gli aveva già dato due figli, quale immensa vergogna per la loro famiglia.

Non aveva mai approvato Carlotta ma mai si sarebbe aspettata un simile scandalo, sapeva che gli uomini avevano delle amanti ma aveva sperato che Karl fosse discreto, non che li rovinasse in quella maniera. Il figlio del re di Boemia era diventato lo zimbello d’Europa.

Gli dispiaceva per i suoi bambini, i suoi nipoti[8] , ma non aveva alcuna intenzione di recarsi in quel luogo finché quella situazione non si fosse sistemata. Se solo Carlotta fosse tornata a Kassel o quella fosse morta, invece come sempre nulla andava mai secondo i suoi desideri.

Aveva scritto che salutassero i bambini da parte sua non aveva intenzione di vederli, aveva sempre trovato tediosi i bambini, frutto inutile di un’attività che le era sempre piaciuta.

Sophia ed Elizabeth erano entrambe ben sistemate e quindi non sarebbero state un peso. Sophia aveva avuto un figlio e la vita ad Hannover doveva essere facile per lei, in quanto ad Elizabeth… era una donna di origine reale entrata come novizia ad Hertford, entro breve sarebbe sicuramente diventata badessa. Non capiva il significato di un convento di chiara ispirazione papista ma di regola protestante ma quello non era un suo problema, non ora che stava per ritornare a casa, finalmente.

In quanto a Louise non voleva saperne niente. Aveva rotto i legami con sua figlia e non l’avrebbe più cercata, nessuno dei suoi figli era mai stato perfetto ma Louise ed Edward l’avevano profondamente delusa. I figli del re di Boemia, del capo dell’Unione Evangelica ed Elettore Palatino… convertitosi entrambi al cattolicesimo, lui per sposarsi e lei per farsi suora, che vergogna. Non aveva mai voluto sapere dove si trovasse Louise per evitare di doverla incontrare un giorno e il solo pensarci la faceva vergognare.

Che i Gonzaga fossero una brutta famiglia lei lo aveva sempre saputo, da quando Maria Gonzaga pur di restare regina di Polonia aveva sposato due fratelli e non aveva saputo dare a nessuno dei due un figlio, per non parlare delle loro simpatie imperiali, ma che la sorella della regina di Polonia avesse osato sedurre suo figlio per poi traviarlo con il suo papismo era inaccettabile. Sapeva bene quale fosse l’obbiettivo di quella famiglia ma non gliel’avrebbe permesso, non avrebbero mai accampato diritto sul Palatinato o peggio ancora sull’Inghilterra, avrebbe fatto di tutto per impedirlo.

Era colpa loro se Louise si era convertita, loro l’avevano traviata e lei non aveva potuto fermarli, dagli italiani venivano solamente danni. Intriganti, avvelenatori e papisti, la genia peggiore, bastava pensare a sua cognata che era non solo per metà italiana ma anche fiorentina.

Sua cognata, erano anni che non vedeva Henriette ma era improbabile che restasse, aveva troppi brutti ricordi in Inghilterra per voler restare. Inoltre gli inglesi l’avevano sempre odiata perché francese e papista, sarebbe rimasta il tempo dell’incoronazione per poi tornare a seppellirsi da qualche parte in Francia ad ascoltare la messa in latino.

Aveva poco tempo e doveva sfruttarlo al meglio. Era consapevole che Charles non avrebbe apprezzato di averla a corte ma se fosse arrivata prima della comunicazione della sua partenza avrebbe dovuto accettarla. In tutto quello c’era una costante, la stessa costante presente fin dai tempi del regno di suo padre: le casse del regno erano vuote. Non capiva come fosse possibile eppure era sempre così, e dire che i puritani erano famosi per i loro costumi castigati, gli inglesi adoravano buttare denaro per cose sciocche salvo poi indignarsi con le persone sbagliate.

Rupert era già arrivato ed era giusto che almeno lui si divertisse e preparasse Charles al proprio arrivo, non era mai stato il migliore dei suoi figli ma era l’unico che ancora pensava a lei in maniera disinteressata.
Stava andando tutto bene pensò prima di conferire con il capitano per ordinargli di salpare, prima avessero lasciato Rotterdam e prima sarebbero sbarcati a Dover.

<< Aspettiamo ordini dal re, Maestà? >> le domandò l’uomo. Avrebbero potuto, avrebbero dovuto ma era meglio di no, Charles poteva negarle l’ingresso e lei doveva batterlo sul tempo, ad ogni costo.
<< Non sarà necessario, mio nipote il re d’Inghilterra sarà ansioso di vedermi >> rispose lei sperando di avere ragione.

<< Come desiderate, se volete raggiungere la vostra cabina uno dei miei uomini vi scorterà >> le propose il capitano.

<< Non ancora, voglio vedere le Sette Province Unite per l’ultima volta >> ammise lei. Aveva trascorso gran parte della sua vita a L’Aia, tornare in Inghilterra sarebbe stato strano ma era stanca di vivere da esiliata, specialmente dalla morte di suo marito e del nonno del piccolo Willem che li aveva accolti a braccia aperte e li aveva sempre trattati come amici e non come ospiti poveri.

Anche sua nonna la regina Maria si era trovata in una situazione simile le venne spontaneo pensare, anche lei aveva dovuto lasciare il luogo dove aveva vissuto gran parte della propria vita per tornare in patria, una corona l’attendeva. Solo che la regina Maria aveva amato ogni singolo secondo trascorso in Francia a differenza di lei, entrambe erano giunte alle loro destinazioni come regine ma sua nonna come una regina regnante e futura regina di Francia mentre lei era solamente una fuggiasca, la moglie di un re a cui non era rimasto più niente, solo l’onore.

Tutto sarebbe andato bene però. L’età delle grandi avventure era finita, non c’era più niente che il destino potesse toglierle e voleva trascorrere gli ultimi anni della propria vita nella stessa terra che un tempo l’aveva accolta con fiori e ghirlande. Non chiedeva altro, solamente la pace della campagna inglese, una residenza consona al suo rango e poter trascorrere una giornata senza doversi preoccupare di creditori in arrivo o scandali familiari. Sentiva di meritarlo, dopo tutto quello che le era accaduto e che aveva dovuto subire.
 
***

Conosceva fin troppo bene sua madre per non temere un colpo di testa da parte sua.

Rupert von del Platz era perfettamente consapevole del fatto che la propria madre avesse una volontà di ferro e i desideri di una bambina, quindi quando si metteva in testa qualcosa solitamente la spuntava.

Charles poteva anche pensare che restasse a l’Aia ma lui la conosceva bene, per quanto fosse riconoscente alle Province Unite sua madre odiava l’idea di dover vivere della loro carità. Ad Heidelberg non sarebbe tornata, non con quella situazione che la imbarazzava e la faceva infuriare. Lui la trovava divertente ma era anche sicuro che prima o poi Karl avrebbe dovuto agire, come non lo riguardava.

Aveva avvisato il re che da un momento all’altro potevano annunciargli che la regina di Boemia era sbarcata ma sia Charles che i suoi fratelli non gli avevano creduto, troppo presi dai festeggiamenti. Non poteva dar loro torto, avevano avuto la stessa fortuna di Karl ma decuplicata e volevano godersi tutto, erano giovani, avevano vissuto esperienze troppo grandi per la loro giovane età e che ora desiderassero solamente divertirsi era nei loro diritti. L’Inghilterra stessa sembrava aver dimenticato tutto e adorava il suo nuovo re e i suoi fratelli, al punto da aver votato per i due dei generosi appannaggi. E pensare che si trattava dello stesso Paese che aveva tagliato la testa al loro padre, gli stessi uomini che ora si inchinavano al loro passaggio avevano votato per giustiziare il re arrogandosi poteri che non avevano.

Henry, da poco ufficialmente reinvestito del titolo di duca di Gloucester, sapeva perfettamente chi fossero ma sia lui che i suoi fratelli avevano deciso di lasciar correre a meno che non ci fossero dei casi fin troppo compromettenti. Il piccolo Cromwell era sul continente e non era mai stato un vero avversario a differenza del padre, tutto sarebbe andato per il meglio, poteva quasi sentirlo.

L’incoronazione sarebbe stata un successo e tutti loro ne avrebbero beneficiato, che paese bizzarro era l’Inghilterra. Tutto però sarebbe andato per il meglio, ne era sicuro.

Incredibilmente ora il re d’Inghilterra era divenuto il miglior partito d’Europa. Amalia di Solms rimpiangeva di avergli negato la mano delle sue figlie, la sua stessa madre si era chiesta se non era stata troppo avventata a concedere Sophie all’Hannover per non parlare dei tanti piccoli principati tedeschi che sognavano di poter dare all’Inghilterra una regina.

Non doveva preoccuparsi di quello, erano tutti presenti e potevano divertirsi come una famiglia, come quella famiglia che il re non aveva più avuto dall’inizio della guerra. Mary era andata con loro per poter riavere i suoi soldi e a breve sarebbe arrivata la regina madre assieme alla piccola Henriette Anne e al bambino di Charles, non era da tutti inaugurare un regno a trent’anni con un bastardo di dodici anni.

Quando raggiunse il proprio scrittoio vide una lettera e si lasciò sfuggire un sospiro quando riconobbe il sigillo: sua madre.

Veloce cominciò a leggere e si lasciò sfuggire un secondo respiro: la regina di Boemia stava arrivando in Inghilterra.

Prese la lettera e si diresse verso gli appartamenti di suo cugino il re. Non fu un percorso lungo per sua fortuna, attese che lo annunciassero e poi entrò, e la situazione era invero bizzarra.

Suo cugino il duca di York e sua cugina la principessa Mary sembravano aver interrotto una litigata proprio in quel momento, suo cugino il re d’Inghilterra li stava osservando divertito mentre il vecchio John Parry, valletto personale nonché il più fedele alleato del re, osservava la situazione come se avesse a che fare con dei bambini un po’ troppo discoli e non con dei principi.

<< Sono arrivato al momento sbagliato? >> domandò curioso.

<< Nient’affatto cugino Rupert, non è colpa mia se ho un fratello idiota e una sorella impicciona >> replicò il re con un sorriso divertito prima che i fratelli gli lanciassero sguardi infuocati.

<< E avete anche una zia prepotente, Vostra maestà >> si limitò a dire lui prima di porgergli la lettera di sua madre. Charles la lesse per poi alzare gli occhi al cielo.

<< Parry, quanto ci costerebbe affondare la nave della regina di Boemia? >> domandò al valletto.

<< Più di quanto possiamo permetterci, Vostra Grazia, a meno di non attendere che la nave sbarchi per poi metterla in disarmo ma non risolveremo il vostro problema >> spiegò Parry, che conosceva il suo signore meglio di chiunque.

<< Mia zia quindi mi costerebbe comunque denaro, che arrivi o che giaccia nella Manica. E allora aspettiamola a terra >> replicò il re d’Inghilterra.

<< Saggia decisione Vostra Grazia >> disse Parry impassibile.

<< E una questione l’abbiamo risolta, in quanto alle altre due… sei pur sempre famiglia quindi dovresti sapere anche tu cosa è successo >> disse Charles prima di prenderlo sotto braccio, solo allora si accorse di Harry che aveva seguito la litigata come se fosse una partita di pallacorda.

<< Cosa è successo? >> domandò lui.

<< Non indovinerai mai quale dei nostri cugini ha chiesto la mano di nostra sorella Minette >> cominciò Charles divertito mentre i suoi fratelli si produssero in una serie di smorfie disgustate.

<< Il Savoia? È un buon partito, piccolo regno uguale pochi problemi >> domandò lui.

<< Fosse Carlo Emanuele [9] non sarei così preoccupato. No, il duca d’Orleans tramite il signor Mazzarini ha ufficialmente chiesto la mano della nostra Minette >> gli rivelò il re e lui alzò gli occhi al cielo. Aveva sentito delle chiacchere sul fratello del re di Francia e quel poco che aveva sentito non gli piaceva per nulla, non tanto per la questione dei suoi compagni di letto per cui non si era mai scandalizzato ma proprio per l’indole del giovane.
<< Il pervertito? Seriamente? >> domandò.


<< È quello che dicevo anch’io: per quanto ricco quell’uomo la renderà infelice e la piccola Minette merita un matrimonio con un uomo per bene, il cugino Savoia o il cugino de’Medici. È un po’ troppo bigotto ma non è mai stato un problema, o il giovane re del Portogallo, dicono sia un po’ matto ma è un re, almeno lei avrebbe un matrimonio felice >> intervenne James prima che Mary gli lanciasse qualcosa.

<< Dobbiamo pur ringraziare la Francia per quello che non ha fatto per nostra madre e siccome qualcuno si deve sacrificare quel qualcuno non sarò io >> replicò Charles.

<< Ma deve esserci una soluzione, migliore di quella che hai proposto per l’altra situazione >> suggerì Mary, vero, l’altra situazione.

<< Quella soluzione è perfetta, non fare la guastafeste >> la rimproverò bonariamente Charles.

<< E ora? Cosa è successo? >> domandò lui curioso.

<< Jemmie ha ingravidato la figlia di lord Hyde [10], il povero lord Edward ancora non lo sa. E vuole anche sposarla, l’idiota >> si intromise Harry ridacchiando divertito.

<< Sei un idiota, ne sei cosciente cugino York, vero? Hai ingravidato la ragazza, è grave ma non è necessario sposarla, concedile una rendita, di legittimare il bastardo e ognuno per la sua strada >> propose, possibile che ora ci si facesse dei castelli in aria?

<< Io voglio bene ad Anne, e glielo avevo promesso >> ribatté James, maledetto leale babbeo.

<< E allora? Tu eri un esule e lei una mia damigella, davvero sei convinto che una promessa simile abbia valore >> lo aggredì Mary.

<< Almeno lei non è una puttana >> replicò James, e tutti loro sapevano che stava facendo riferimento alle voci secondo cui Mary avesse un amante [11].

<< Non osare. Non osare dire una cosa simile! Io sono la figlia di un re e la sorella di un’altra, sono una vedova e una madre devota, come osi darmi della puttana? >> urlò Mary paonazza.

<< Come se non sapessi quel che si dice di te, ti sei persino risposata con quell’ometto da niente >> replicò subito James.

<< Non osare credere ai pettegolezzi, resta pure con la tua troia se ti va ma non sperare che qualcuno accetti come duchessa di York la figlia di un avvocato >> ribatté Mary, quella discussione sembrava non avere fine.

<< Ne abbiamo già parlato: si sposeranno, con una cerimonia privata ma si sposeranno >> dichiarò Charles, e la volontà del re era legge, almeno fuori da quella stanza.

<< Ti rendi conto che è una follia? E la successione? >> intervenne Mary.

<< Ci sono sempre io, ti prometto che non sarò così sciocco >> rispose Harry con la saggezza dei suoi diciannove anni prima di scoppiare a ridacchiare. Voleva bene a James, era un buon soldato e un fratello devoto ma spesso aveva avuto la sensazione che il duca di York non fosse così intelligente o perspicace come credevano tutti.

<< Tu stai zitto, attendo con ansia l’arrivo di nostra madre, quello si che sarà divertente… peccato che lei e la regina di Boemia non arrivino lo stesso giorno >> dichiarò Charles, aveva ogni diritto di divertirsi ma tutto quello stava diventando una farsa e lui non voleva averci niente a che fare. E doveva trovarsi anche lui una moglie, specialmente ora che il suo titolo di duca di Cumberland aveva un effettivo valore e soprattutto una rendita vera. Odiava dover cambiare le proprie abitudini ma era il momento di mettere la testa a partito, o almeno provarci aggiunse mentalmente quando un rassegnato Parry incrociò il suo sguardo.




[1] James rivide la sua famiglia a York ma l'incontro non andò afaftto bene
[2] James I non fu mai discreto nell'ostentare i suoi amanti, sebbene tenesse corte lontana dai genitori è molto probabile che Elizabeth sapesse che il padre era omosessuale, o almeno lo avesse scoperto col tempo
[3] James Hepbun conte di Botwell, terzo marito di Mary Stuart ma in precedenza accusato dai nemici della regina di esserne l'amante.
[4] a York Anne e i suoi figli furono effettivamente ricevuti da lord Cecil ossia Thomas cecil lord Burghley primo conte di Exter, primogenito del celebre William Cecil e fratello dell'ancor più famoso Robert Cecil lord Salisbury, il quale aveva preprato un discorso. Come il fratello anche Thomas non brillava per la belezza
[5] a seguito dell'aborto del 1603 Anne diede ordine che il feto, messo sotto spirito, viaggiasse con lei in quanto voleva farlo seppellire a Londra
[6] il futuro Carlo I imparò a camminare solamente a 3 anni, a 5 disse le sue prime parole ed era considerato un bambino debole... sorprendentemente quel bambino visse 49 anni e se non fosse stato per il boia ne avrebbe vissuti di più
[7] Irina Gudonova, figlia di Boris Gudonov, fu seriamente considerata come possibile moglie per uno dei fratelli di Anne, poi non se en fece niente ma le trattative furono comunque intavolate.
[8] Karl ed Elisabeth Charlotte, poi duchessa d'Orleans nota come Madame Palatine 
[9] Carlo Emanuele di savoia, figlio di Cristina di Borbone e quindi cugino di primo grado di Carlo II, fu realmente considerato come rpetendente di Enrichetta Anna, lui e Cosimo de'Medici erano in lizza fin dai primi giorni della Restaurazione
[10] Anne Hyde, poi duchessa di York, madre di Mary II e Anna I
[11] Henry Jermyn, primo barone Dover, curiosa coincidenza suo padre Thomas, morto nel 1659, fu accusato di essere l'amante della regina Enrichetta Maria

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Capitolo 6
*** fifth chapter ***





 
Londra, 1603
 
E così quella era Londra pensò osservandola dalla carrozza.

Era la prima volta che vedeva una città così grande, Edimburgo le appariva ben poca cosa per non dire York Londra era una città fatta per un re, un capitale eccellente su cui regnare, degna culla della monarchia inglese e un ottimo luogo dove vivere. C’era però qualcosa di strano quel giorno, riusciva perfettamente a comprenderlo anche se non intuiva bene cosa.

La città era quasi deserta e pochi londinesi sembravano realmente interessati al corteo reale, come se avesse altre preoccupazioni. A York era stato diverso, da quando si erano ricongiunti con il corteo reale era stato tutto diverso e non capiva perché proprio Londra li disdegnasse in quella maniera, aveva davvero così amato la vecchia da odiare loro?

Avrebbe dovuto fare delle domande ma temeva di passare per sciocca, specialmente perché a breve suo padre sarebbe stato formalmente incoronato. Certo, suo padre era già re, era da gran parte della sua vita ma quella era la corona di Scozia, questa qui invece era la corona d’Inghilterra, molto più prestigiosa ai loro occhi.

Questo significava che anche lei era una principessa inglese e che Henry, il suo amato fratello, era principe di Galles, uno dei titoli più prestigiosi del continente, loro erano finalmente importanti.

Aveva avuto occasione di conoscere la cugina di suo padre, lady Arbella Stuart e non le era piaciuta. Lady Arbella era frivola, stupidina e si credeva più importante di quanto realmente fosse. Prima di lei c’era suo padre, poi Henry, baby Charles e infine lei, solo allora avrebbe potuto prendersi la corona. Certamente baby Charles non sarebbe vissuto a lungo, per questo non era ancora con loro [1] , ma era pur sempre il figlio del re.

Doveva pensare per il meglio si disse, a breve avrebbero alloggiato in uno dei palazzi reali e poi avrebbe raggiunto la sua residenza personale. Avrebbe avuto i migliori insegnanti, le migliori lenzuola e abiti nuovi e lei ed Henry si sarebbero potuti scrivere ogni giorno. Rimpiangeva di non averlo frequentato più spesso, che grande re sarebbe stato suo fratello si disse mentre la carrozza si fermava.

Windosr Castle però la deluse, si era aspettata un palazzo immenso, degno di ospitare un re come quelli in cui avevano soggiornato durante il viaggio, non… quello. Non che non fosse maestoso ma era niente se paragonato ai castelli scozzesi dov’era vissuta pensò mentre lady Kildare le si affiancava in quanto sua governante.

<< Si svolgerà qui? >> domandò perplessa riferendosi alla cerimonia durante la quale Henry avrebbe ricevuto il cavalierato[2].

<< Nella cappella, il vostro guardaroba vi attende >> le rispose lady Kildare facendole aprire la bocca per la sorpresa.

<< Il mio guardaroba? Avrò dei vestiti nuovi? >> domandò entusiasta mentre varcava la soglia del castello.

<< Siete la figlia del re e la seconda dama del regno, ovviamente dovrete essere vestita come l’occasione merita >> le fece notare lady Kildare.

Aveva solamente sei anni ma dopo sua madre la regina era la prima signora del regno, la posizione più importante di tutte. I grandi lor si erano inchinati di fronte a lei, le grandi dame facevano a gara per lodarla e ora questo, che giorno meraviglioso per la propria persona.

<< E l’incoronazione? Avrò altri abiti? >> domandò entusiasta.

<< Non credo, sarà un evento oltremodo veloce, la peste imperversa e non possiamo mettere a rischio la vostra sicurezza >> le spiegò la governante. Ecco spiegato perché Londra era quasi deserta: la peste.

A Linlithgow Palace la peste non aveva mai fatto la sua comparsa ma era ben consapevole delle devastazioni che si lasciava dietro. Era una malattia tremenda contro cui i medici nulla potevano e sapere che stava imperversando a Londra la terrorizzò. Sapeva cosa accadeva agli sventurati che ne erano afflitti e soprattutto che erano in pochi a guarire.

E suo padre sarebbe stato incoronato a Londra, con tutta la famiglia reale presente quel giorno[3].

<< La peste? E mio padre verrà incoronato comunque? >> domandò terrorizzata mentre Annie dava ordine che aprissero subito le finestre per far uscire eventuali miasmi che le avessero seguite.

<< Assolutamente si, ma abbiate fede in Dio, poi vostro fratello e voi verrete mandati in un luogo sicuro >> le spiegò lady Kildare. Un luogo sicuro? E ora cos’era quella baggianata?

<< Un luogo sicuro? E se fossimo già ammalati? È un’idiozia, devo parlare con il re >> protestò lei prima di fare cenno ad Annie di seguirla.

<< Altezza Reale, sono gli ordini del re, assisterete alla nomina del principe di Galles e poi partirete entrambi, è stato vostro padre a deciderlo >> la rimproverò lady Kildare prima di raggiungere la porta.

<< Devo essere io a deciderlo, io sono la principessa! Sono Elizabeth Stuart, non Lizzie la figlia della sguattera! >> urlò cercando di spostare lady Kildare, prima la onoravano e poi pretendevano di darle ordini come se fosse la figlia della serva.

<< E gli ordini vengono dal re, e la regina vostra madre è della medesima idea >> proseguì lady Kildare mettendosi contro la porta, sicuramente tutti le stavano ascoltando ma non le importava.

Si lasciò sfuggire un’imprecazione che aveva udito dai mozzi di stalla per poi mettersi a letto mentre Annie l’aiutava a liberarsi dell’abito da viaggio.

<< Dò ordine che portino la tinozza per un bagno? >> domandò Annie prima di aprire la porta per far entrare valletti e camerieri perché sistemassero le loro cose, inventario alla mano.

<< Ho fatto il bagno la settimana scorsa, vuoi uccidermi? >> le domandò in tono scherzoso. Lavarsi troppo spesso era dannoso per la propria saluta e sebbene l’idea di un bagno caldo le piacesse doveva apparire al meglio in vista della cerimonia. Aveva sei anni ma non era certo stupida.

<< Assolutamente no, chi mi pagherebbe poi? >> domandò Annie di rimando facendola ridere. << Non volete apparire al meglio per la cerimonia? Siete pur sempre la seconda dama di corte >> le fece notare dopo una breve pausa.

<< Allora portami delle essenze e prendi il mio abito migliore, dovremo ordinarne altri >> annunciò divertita e vide gli occhi di Annie brillare, era infatti usanza in Scozia che fossero le dame di corte ad indossare gli abiti smessi della sovrana e delle principesse, motivo per cui Annie nel corso degli anni col beneplacito suo e di sua madre lady Linlithgow aveva accumulato un discreto guardaroba. Ogni abito suo che non indossava finiva in mano di Annie o di sua madre, addirittura aveva udito che alcuni abiti della vecchia regina erano stati tagliati e poi venduti dalle cameriere.

<< Come desiderate >> replicò Annie prima che cominciassero a saltellare per la stanza, tutto quello sebbene non le piacesse rivelava senza dubbio alcuno una grande ricchezza e un certo buon gusto, e finalmente era loro, tutto loro pensò entusiasta.

Forse ci si poteva ricavare qualcosa di bello da Londra, peste permettendo.
 
***
 
La cerimonia fu effettivamente magnifica.

La nobiltà inglese continuava a guardarli come se fossero animali da serraglio ma era inebriante che si inginocchiassero nel vederli avanzare, per quanto potessero aver complottato contro di loro ora dovevano accettarli.

Suo padre e sua madre quel giorno erano vestiti in maniera a dir poco magnifica, sembravano entrambi usciti da un poema cavalleresco, persino suo padre che solitamente veniva riconosciuto come re solamente a causa della corona che indossava.

Quel giorno sembrava realmente un re ed Henry era radioso, quale meraviglioso futuro si apriva dinanzi a loro, peste permettendo ovviamente.

La cerimonia che avrebbe reso suo fratello cavaliere dell’ordine della Giarrettiera, il più importante ordine cavalleresco inglese, non necessitava della sua presenza ma era stato comunque ritenuto opportuno che lei e sua madre fossero presenti quel giorno.

La vecchia regina aveva brillato da sola, un sole potente e solitario ma loro erano diversi. Erano una famiglia e in quello stava la loro forza: un padre, che era anche il Padre della Nazione, una moglie e madre, e tre figli tra cui l’erede al trono; perché la monarchia non finiva mai e come si diceva in Francia il re non muore mai.

Suo fratello non sarebbe stato l’unico a ricevere le insegne di cavaliere quel giorno ma la sua nomina era certamente la più importante e forse per questo motivo sua madre aveva ottenuto una piccola vittoria. Philip Herbert infatti non sarebbe stato accanto a suo padre quel giorno, quel posto spettava unicamente alla regina.

Non aveva ancora compreso esattamente per quale motivo il giovane inglese stesse sempre accanto a suo padre e perché sua madre nel vederlo si infuriasse mentre Henry si limitava a scuotere la testa cercando di celare un sorriso di scherno.

Aveva udito borbottii e pettegolezzi ma non li aveva capiti, aveva mandato Annie ad informarsi ma l’unica cosa che la sua migliore amica aveva scoperto era che Philip Herbert godeva di un grande favore e che dormiva col re, fatto che faceva indignare in tanti.

Eppure non era quello il compito del Gentleman of Bedchamber? Non aveva costui il compito di dormire ai piedi del letto reale? Cosa poteva esserci di male se dormiva nel letto del re? Lei ed Annie dormivano nello stesso letto ma che alternative avevano se l’inverno scozzese era per definizione freddo?

C’era però nel giovane qualcosa che non le piaceva, per quanto bello non riusciva a trovarlo di suo gusto e odiava non capirne il motivo.

Ammirò lo scintillio dei gioielli e la ricercatezza degli ermellini mentre suo fratello e gli altri si inginocchiavano, tra di loro c’erano un parente di sua madre [4] e Henry Wriothesley, duca di Southmapton [5] di cui tutti parlavano, appena uscito di prigione.

<< Mi sono informata >> sussurrò Annie che faceva parte del suo seguito.

<< E allora? Che si dice sul duca? >> domandò lei, c’era qualcosa di sfuggente nel volto del duca ma non capiva cosa, come se quell’uomo avesse un segreto noto solo a lui, e forse nemmeno a sé stesso.

<< Tante cose, mia signora, tante cose. Dicono che in realtà sia un bastardo reale, frutto della fornicazione della vecchia regina, che abbia partecipato alla ribellione del conte di Essex contro la vecchia regina e che sia il patrono di un commediografo >> bisbigliò Annie.

Un uomo temibile ma che poteva aiutarli, che aveva già tentato di farlo ricordò, negli ultimi anni del regno della vecchia regina c’erano stati così tanti complotti che suo padre ne aveva perso il conto.

<< Un commediografo? >> domandò curiosa, non aveva mai potuto assistere a un dramma o a una commedia nella sua interezza ma le sarebbe piaciuto, o potersi esibire in un masque.

<< Un tale William Shakespeare, sembra comprendere bene l’animo umano come nessun’altro. È anche poeta ma viene da un luogo che non saprei indicare, una certa Stapford Upon Avon di cui ignoro la collocazione su una mappa >> rispose Annie.

<< Beh, sarà una Stapford sopra il fiume Avon, no? >> replicò lei prima di portarsi una mano alla bocca per trattenere le risate, quel giorno era di Henry e lei non doveva rovinarglielo.

<< Probabile, dicono che abbia un teatro, forse potrebbe esibirsi a corte >> propose Annie, doveva parlarne con sua madre perché non era una cattiva idea, affatto.

<< Si può fare, ora godiamoci la cerimonia >> concluse lei prima di indicare col ventaglio William Herbert [6], conte di Pembroke e fratello di Philip che si inginocchiava, era il primo degli inglesi a ricevere il cavalierato in quanto subito dopo Henry era stato il turno del cugino Ludovic Lennox.

Non conosceva bene la storia di quell’ordine ma le sembrava bizzarro che di tutti i nomi possibili si fosse pensato proprio a quello, cavaliere dell’ordine della Giarrettiera era quantomeno ridicolo, eppure nel momento in cui il cugino Ludovic si inginocchiò non lo trovò per nulla ridicolo.

Suo padre era già stato insignito dell’ordine lo stesso anno del suo matrimonio ma non era più un semplice cavaliere, in quanto re d’Inghilterra ne era divenuto il gran maestro. Peccato che non avessero ordini simili in Scozia o che non fossero anche per le donne si ritrovò a pensare.

La fratellanza, essere uniti da un nobile scopo, quanto doveva essere bello tutto ciò e con che sfarzo e pompa si era svolta la cerimonia, tutte quelle ricchezze erano a loro disposizione, dovevano solo allungare appena la mano.

Tutto quello le faceva girare la testa, chissà in quale residenza avrebbe vissuto, dove avrebbe alloggiato.

Non era abituata a stare troppo con i suoi genitori e la loro vicinanza le riusciva incredibilmente penosa ma per quelle settimane si era adeguata al protocollo, dovevano mostrarsi come una famiglia unita e così avrebbero fatto per il bene della Nazione.

Aveva avuto occasione di vedere la campagna inglese e le piaceva, era tutto così diverso dalle montagne scozzesi e soprattutto tutti sembravano amarli. Niente complotti, niente soldati che irrompevano nelle sue stanze e arrestavano le cameriere, lì era tutto tranquillo.

Tutto quello era meraviglioso, e anche monotono si rese conto mentre osservava il conte di Mar, la cerimonia era sempre la stessa e dopo i primi nomi aveva bisogno di distrarsi. Doveva assolutamente pensare a qualcosa, qualcosa che le fosse d’aiuto.

Chi avrebbe scelto come nuove damigelle, se avesse potuto dire la sua per quel che riguardava i suoi insegnanti, quante volte avrebbe incontrato i suoi genitori e soprattutto Henry. Avrebbero abitato vicini, quante volte si sarebbero scritti, avrebbero potuto incontrarsi, avrebbero avuto degli insegnanti in comune, quante domande doveva porre si disse prima di cominciare a camminare, finalmente la cerimonia era terminata.

<< Informati su dove abiteremo >> sussurrò ad Annie che si inchinò brevemente per poi precipitarsi.

Raggiunse il resto della sua famiglia e rimase senza parole: henry quel giorno era bello come il sole e potente come un dio greco.

<< Ora sei un cavaliere >> mormorò emozionata prima che lui l’abbracciasse d’istinto facendola sorridere.

<< Al tuo servizio Lizzie >> replicò lui prima che il re e la regina li raggiungessero, belli come mai li aveva visti.

Suo padre sorrise loro prima di dare la mano a sua madre che accettò grata per poi voltarsi un’ultima volta nella loro direzione. Vide il volto di sua madre oscurarsi per un istante e poi la regina Anna si voltò velocemente e li ignorò entrambi.

Curiosa si voltò appena e notò Philip Herbert che si trovava appena dietro lady Arbella, in un posto dove non doveva trovarsi. Dietro lady Arbella doveva esserci il cugino Ludovic e il cugino Esmé, non Philip Herbert che non aveva avuto alcun ruolo nella cerimonia.

Tutto quello era ingiusto e senza alcun vero motivo si disse mentre avanzava dietro i genitori, perché quell’uomo da niente si permetteva una simile impertinenza?

Non osò porre direttamente la domanda a nessuno, e quando Annie la raggiunse in carrozza aveva un’altra domanda ben più importante da porle.

<< Allora? Cosa è stato deciso per l’incoronazione? >> domandò curiosa.

<< Parteciperanno solamente le loro Maestà, voi e vostro fratello rimarrete al sicuro per poi partire subito per la vostra nuova residenza >> la informò Annie.

<< E dove sarebbe? >> domandò curiosa.

<< Combe Abbey, nei pressi di Coventry, nel Warwickshire >> le rispose Annie. Combe Abbey, non aveva mai sentito quel nome e non aveva idea di dove l’avrebbero mandata, pensiero che la terrorizzò oltremodo.

<< Mi mandano a morire! Mi mandano via a morire! Non mi ha uccisa la peste e vogliono uccidermi loro! >> urlò terrorizzata, era la fine di tutto, riusciva a percepirlo.

Sicuramente Henry sarebbe stato lontano, vicino alla capitale e non si sarebbero più visti, in quanto a baby Charles… lui non li avrebbe mai raggiunti e lei sarebbe morta di noia nella campagna inglese circondata da estranei, che brutta morta le venne spontaneo pensare con orrore.


 
Praga 1619:
 
La predicazione di padre Scultetus non era andata come previsto.

L’uomo era un grande predicatore ed era nel giusto, era colpa dei boemi che non capivano che lo stavano facendo per il loro bene, maledetti ingrati. Possibile che fossero così tanto devoti alle loro immagini?
Non capivano che erano solo degli idoli? Che era sbagliato nonché peccaminosi pregare di fronte ad essi? Come potevano definirsi buoni cristiani se ancora erano rimasti impantanati nella palude del papismo?

Sapeva bene a cosa si riferiva, oh se lo sapeva bene lei. Sua madre era stata papista, si era fatta papista e sebbene ne comprendesse le motivazioni non l’aveva mai accettato, per quale motivo delle preghiere in latino avrebbero dovuto aiutarla meglio di quelle in inglese?

Per questo aveva preso in simpatia Scultetus, perché lui sembrava capirla ed era animato da un raro zelo.

La sua opera di predicazione era ottima e trasformare la cattedrale di San Vito in una vera cattedrale, dove si sarebbe pregato secondo la Vera Fede, era un atto fortemente simbolico. Sapeva quale fosse l’importanza di quella chiesa per i boemi, i loro sudditi dovevano capire che lo stavano facendo per il loro bene.

Un giorno li avrebbero ringraziati ma quella gente aveva la testa dura e temeva un ritorno degli Asburgo, un’assoluta fandonia a sentire suo marito. Federico era demoralizzato ma era anche sicuro che assieme agli ungheresi sarebbero riusciti a sconfiggere Tilly e i suoi, Iddio non avrebbe permesso che ne uscissero sconfitti.

L’ultima decisione era stata un po’ troppo drastica ma solo se non si vedeva il quadro generale.

Cresciuta nella fredda e rigida Scozia non aveva mai realmente apprezzato l’arte sacra, per quanto alcuni pittori fossero bravi era pur sempre idolatria papista e bisognava combatterla con ogni mezzo necessario.

Aveva ammirato l’opera del mastro Cranach e l’aveva trovata davvero mirabile, una pala d’altare degna di ammirazione. Tuttavia avevano una missione e aveva approvato l’iniziativa di suo marito di toglierla, non era opportuno istigare idolatria, non nella chiesa più importante di Praga.

Era consapevole che ci sarebbero stati dei tumulti ma bisognava pur portare avanti la loro santa crociata, li avevano voluti sul trono per questo, no?

Inoltre c’era un’altra notizia, la migliore che una regina potesse mai dare ai suoi sudditi.

La levatrice e il dottore gliel’avevano confermato: aspettava un figlio.

Aveva già due maschi e una femmina ma questo bambino era diverso, riusciva chiaramente a percepirlo. Questo bambino sarebbe stato un suo dono speciale per i boemi, un principe boemo nato a Praga e cresciuto come tale, e un giorno sarebbe stato destinato a opere straordinarie.

Avrebbe dovuto scrivere a sua suocera a Heidelberg per informarla ma ogni volta che pensava a quel cupo castello si sentiva mancare. Per quanto amasse Federico il Palatinato per lei era stato una prigione, una cupola di mediocrità e banalità da cui era riuscita fuggire grazie a quella corona. Meritava di essere regina e avrebbe fatto di tutto per restarlo.

Le notizie dal fronte non erano incoraggianti ma aveva saputo che Federico aveva indetto una dieta di principi tedeschi, sicuramente avrebbero trovato degli alleati. Per questo quando le annunciarono il re suo marito alzò subito gli occhi dallo scrittoio, per le lettere c’era sempre tempo.

<< Moglie mia, i papisti ci sfuggono e gli altri ci accusano >> le comunicò Federico dopo essersi seduto.

<< E di cosa ora siamo accusati? Domandò lei, avrebbero dovuto imparare il boemo ma non ne trovava l’utilità, non quando potevano agevolmente servirsi di interpreti.

<< Ci accusano di aver fatto violare la tomba di San Venceslao, il patrono di Praga. È idolatria papista ma sono consapevole di quanto il santo sia importante per i boemi e mai darei l’ordine, solo che non vogliono comprenderlo >> le spiegò suo marito.

Sarebbe stato un ordine degno di un re le venne spontaneo pensare, un re che però si sarebbe ritrovato a dover combattere i suoi stessi sudditi.

<< E voi spiegatelo ancora e ancora, questi boemi sono come bambini ribelli, qualche botta e capiranno che agiamo per il loro interesse. E la guerra invece? >> domandò curiosa.

<< Von Thurn Valvassina marcia in direzione di Vienna, non abbiamo abbastanza artiglierie ma se potesse porre d’assedio la città e resistere quanto basta… che vittoria sarebbe per noi mia amata >> le rispose Federico entusiasta facendola sorridere.

Vienna. Potevano prendere Vienna, la capitale degli Asburgo, quella si che sarebbe stata una grande vittoria per la loro causa.

<< E Ferdinando? >> domandò, che traguardo sarebbe stato per loro poter far sfilare il kaiser sconfitto assieme alla sua famiglia papista, degno dei fasti dell’antichità.

<< Fuggito in Tirolo ma non importa, non quando possiamo avere Vienna >> le rispose Federico sempre più entusiasta, la sua felicità era contagiosa.

<< Nostro figlio potrebbe essere il futuro arciduca d’Austria, o principe del Tirolo >> dichiarò lei prima di indicarsi pudicamente il ventre con le mani, lo sapeva che quel bambino sarebbe stato destinato a grandi cose, riusciva quasi a percepirlo.

<< Sarà tutto quello che noi vogliamo, daremo ai nostri figli un futuro meraviglioso, potrebbero persino ambire alla corona imperiale >> le annunciò Federico sempre più entusiasta.

<< E Christian? Cosa dice il tuo cancelliere? >> domandò. Se doveva fidarsi di qualcuno allora Christian era la persona migliore per curare i loro interessi. Da sempre devotissimo alla loro causa si era occupato di tutto e avrebbe sicuramente trovato una soluzione.

<< Ho convocato un incontro della Dieta Evangelica, dovranno darci uomini e fondi per difenderci e per difendere il palatinato. Possibile che non capiscano che se cado io cadranno anche loro? >> le rivelò suo marito.

<< Non perdere tempo a parlamentare. Sei un re e devi comportarti da re: ordina e fatti obbedire da costoro. Mio padre da anni sopporta il parlamento ma se potesse manderebbe tutti quei signori a casa, per quanto odi il papismo almeno loro obbediscono ciecamente ai loro sovrani, siano essi il kaiser, il re di Spagna o il vescovo di Roma >> dichiarò lei.

Il Parlamento era una buona istituzione ma era stata traviata dall’ambizione e dagli egoismi personali dei lord, il oloro compito era quello di registrare gli atti reali e approvarli, non litigare su meschinerie come quanto denaro concedere alla famiglia reale o mettere in dubbio le leggi.

<< Questo è pensiero filo papista, la Bibbia ci insegna che siamo tutti uguali, re compresi e quindi mi incontrerò con i miei alleati e chiederò loro aiuto ricordando loro che la nostra è una santa crociata >> la rimproverò Federico, ora ragionava come i puritani.

<< Dio ha creato principi e popolani per un motivo, se siamo diversi deve esserci una spiegazione, e tu sei il primo tra i principi, dove vi incontrerete? >> domandò. Suo padre era un re consacrato ed era un re protestante, così come i vari elettori ma suo marito in quanto calvinista aveva dei problemi ad accettare di essere nato superiore ai suoi sudditi, esattamente come i maledetti puritani che per anni avevano creato problemi all’Inghilterra e prima ancora alla Scozia.

Ma per fortuna c’era lei, grazie a lei Federico avrebbe trionfato e una nuova si sarebbe aperta per l’Europa.

<< A Norimberga [7] >> le rivelò lui.

<< Così vicino alla Baviera, l’Elettore capirà il messaggio e speriamo che anche Ferdinando comprenda >> aggiunse lei emozionata.

<< Comprenderà, e anche gli altri. Dovrò partire per la fine di novembre e mi dispiace lasciarti sola in questo nido di vipere ma dobbiamo pur salvare la nostra corona >> e quello la fece trasecolare.

Nonostante i suoi difetti amava Federico, odiava dover stare lontana da lui e l’idea di saperlo a Norimberga per chissà quanto tempo le causò un peso sul cuore come se sopra vi fosse appena caduto un macigno. Cosa avrebbe fatto da sola? Come poteva stare da sola?

Lo amava dal loro primo incontro e odiava saperlo lontano. Non le importava dal bambino, aveva partorito altre tre volte ed era sempre allo stesso modo ma aveva bisogno di suo marito, voleva che prendesse tra le mani il loro bambino e lo presentasse ai boemi, se lo meritava.

<< Che nome devo dargli? >> domandò invece, era la moglie di un re e doveva mostrarsi degna del titolo di regina.

<< Rupert, o Wilhelm, come mio nonno >> le rispose Federico riferendosi al grande Guglielmo di Nassau, colui che aveva liberato le Province Unite dal gioco spagnolo e che in Inghilterra era tanto ammirato, Henry a suo tempo lo aveva considerato uno dei suoi due modelli e aveva sognato di emularne le gesta. Henry… suo fratello avrebbe saputo cosa fare, come comportarsi e avrebbe fatto di tutto per raggiungerla portandole un esercito, baby Charles sapeva solamente inchinarsi di fronte al volere del re loro padre e l’aveva abbandonata, quel maledetto storpio balbuziente.

Ovviamente nessuno dei due pensò ad una femmina, che brutta eventualità sarebbe stata, suo marito aveva voluto chiamare la bimba Elizabeth in suo onore ma che brutta vita le si prospettava dinanzi, la vita di una principessa era un supplizio dalla culla alla tomba.

<< Ti scriverò, darà speranza alla nostra causa e mostrerà ai tuoi alleati per cosa combattono, non solo per la nostra santa religione ma anche per i tuoi eredi, per un principe in fasce e per la nostra bella corona di Boemia >> lo incoraggiò lei. Sarebbe andato tutto bene e quel bambino sarebbe stato il più fortunato dei suoi figli, se lo sentiva.
 
 
***
 
Aveva chiesto ad Amalia di informarsi discretamente e aveva scritto nuovamente a suo padre.

Odiava come il re d’Inghilterra li avesse abbandonati e come si fosse proposto come mediatore. Suo padre era un vecchio incapace di prendere iniziativa e così convinto di non sbagliare da non ascoltare nessuno, scoprire che sia il duca di Buckingham, che baby Charles avevano sollecitato l’invio di volontari l’aveva lasciata senza parole. Aveva sottovalutato baby Charles ma lo ricordava come il bambino che zoppicava nella loro scia e che Henry adorava tormentare, era così facile tormentare baby Charles le aveva confidato il suo meraviglioso fratello, almeno finché il re non se en accorgeva e lo picchiava. E ora baby Charles voleva aiutarla, lui e… il favorito di suo padre. Erano giovani, coraggiosi e forse potevano realmente aiutarli, se l’Inghilterra fosse scesa in guerra per aiutarli Ferdinando avrebbe per forza dovuto trattare. E pensare che suo padre la voleva regina di Spagna, di Francia o imperatrice… corone papiste di cui non sapeva che fare.

Doveva occuparsi di Praga, di farsi amare dai boemi e far comprendere loro come li stessero aiutando, erano i loro sudditi e dovevano obbedire.

<< Allora? >> domandò quando vide Amalia rientrare.

<< Parlano, mia signora, e sono tutti convinti che abbiate dato ordine di dissacrare la cattedrale e la tomba di San Venceslao, e quando non hanno prove parlano comunque >> le rispose la sua dama.

<< Possibile che preferiscano credere alle fiabe che non ai loro occhi? Cosa possiamo fare perché si convincano che non abbiamo toccato quella bara? Avremmo potuto, ma non lo abbiamo fatto >> sbottò lei, quello era troppo da sopportare, per chiunque, specialmente per una donna nelle sue condizioni.

<< Sono solo contadini ignoranti incapaci di capire il bene che state facendo loro, dategli ancora qualche mese e capiranno >> la consolò Amalia, tuttavia continuava a trovarla una compagnia detestabile. In quei mesi aveva avuto occasione di osservare le sue dame e per quanto solerte e vivace c’era qualcosa in Amalia che non le piaceva.

Amalia voleva sposarsi, e sposarsi bene, era palese che fosse una di quelle giovani ansiose di migliorare la propria condizione, così ansiose da dimenticare la decenza, una versione meno sfrontata di Frances Howard, come dimenticarsi di lei.

Era accaduto dopo la sua partenza ma si era tenuta informata tramite Annie, avrebbe tanto voluto che venisse con lei in Germania ma non era stato possibile, nemmeno per i primi giorni. Quale grande scandalo c’era stato e tutto perché quella sgualdrina si era incapricciata di Robbie Carr e voleva a tutti i costi sposarlo pur essendo già moglie e duchessa.

Si ricordava bene anche di Robbie, arrogante come un duca e sensuale come una cortigiana, cosa ci trovasse in lui suo padre non lo aveva mai capito, e Frances poi… che donnetta da poco e che vergogna per gli Howard saperla incapricciata di un uomo da poco, un giovanotto che doveva le sue ricchezze e il suo titolo semplicemente alla propria abilità nell’alcova e nell’assecondare le voglie di suo padre.

Per fortuna una giustizia divina e i loro piani erano miseramente falliti, e pensare che qualcuno aveva osato insinuare che tra Frances ed Henry ci fosse un affaire… il suo brillante fratello mai e poi mai avrebbe guardato una svergognata come Frances, di quello era sicura.

<< Voglio sperarlo, sto per offrire un principe alla Boemia, cosa possono volere di più? >> domandò lei. Amalia si limitò ad assentire con la testa, quella donna proprio non riusciva ad essere simpatica ma non sapeva spiegare bene le motivazioni, andavano al di là del suo bisogno di salire la scala sociale, di questo era sicura.

<< E il re? È già partito per Norimberga? >> domandò cambiando argomento.

<< Questa mattina, arriverà entro tre giorni, Elettore di Baviera permettendo >> le rispose Amalia.

<< Il bavarese ha venduto al sua corona di Elettore in cambio delle promesse di suo cugino l’imperatore, spero solo che al momento giusto implori clemenza >> replicò lei furiosa.

<< Forse l’Unione Evangelica sarà dalla nostra parte >> propose Amalia.

<< Che il Signore ti ascolti perché davvero non so che altro possiamo fare >> dichiarò lei, poteva andare bene, potevano ancora salvare la Boemia, la loro corona e il loro sogno.

<< Avete scritto a chiunque, qualcuno risponderà >> replicò Amalia, se solo fosse stato così facile.

<< Speriamo, ora lasciami >> dichiarò, doveva sfogare il suo rancore e non era degno di una regina che ciò accadesse in pubblico. Amalia assentì prima di allontanarsi, non avrebbe fatto bene al bambino ma sentiva comunque il bisogno di sfogarsi. E al diavolo quel maledetto bambino, odiava essere gravida, era una delle conseguenze più sgradite del mestiere del letto.

Controllò che non ci fosse nessuno e poi si lasciò cadere sul letto, odiava tutto quello. Gabor non li avrebbe aiutati a meno che loro non aiutassero lui e gli ungheresi a sentire i consiglieri di Federico erano pronti a tradire. Aveva sentito parlare di quella contessa ungherese che divenuta troppo potente e troppo ricca era stata imprigionata con pretesti speciosi da parte dell’imperatore Mattia [8], realmente l’imperatore aveva creduto che la contessa vedova Nadasdy torturasse le sue serve e bevesse il loro sangue per mantenersi giovane?

La verità era un’altra: la donna era pericolosa, un suo zio era stato re di Polonia e gli ungheresi al rispettavano, con i suoi soldi avrebbe potuto armare una rivolta e gli ungheresi sarebbero scesi in campo per il suo defunto marito come ora erano scesi in battaglia per Gabor. Inoltre la contessa seguiva la Vera Fede e Mattia non aveva potuto sopportare una donna così potente e credente nel suo regno a differenza del pazzo Rodolfo, il fratello che aveva destituito e fatto uccidere.

Aveva visto il figlio della contessa, morta da pochi anni murata viva in uno dei suoi castelli, Pal Nadasdy [9] era ansioso di vendicare le offese fatte alla sua famiglia e niente di meglio che unirsi ad un esercito ribelle. Era come tutti i magiari: orgoglioso, spavaldo e ottimo cavallerizzo oltre a parlare diverse lingue, non le era difficile immaginare come quel ragazzo ardesse dal desiderio di vendicare la madre e volesse farla pagare a Ferdinando imperatore, se quel fuoco che ardeva nei suoi occhi era lo stesso che aveva arso il petto dei suoi genitori allora si preparavano giorni grandiosi.

Gabor aveva persino chiesto aiuto ai turchi, i valacchi erano pronti a sollevarsi, se fossero stati veloci avrebbero potuto sconfiggere gli imperiali prima che Tilly riuscisse a raggiungere il Tirolo o che gli spagnoli sbarcassero in Italia.

Tutto dipendeva da quanti uomini avrebbero ricevuto dalla Dieta, al resto avrebbero pensato Valvassina e suo marito.

Con un gesto di stizza si diresse nuovamente verso lo scrittoio e prese l’ennesimo pezzo di corta. Soffocando il rancore e l’umiliazione cominciò a vergare alcune parole, quanto erano caduti in basso pensò se era costretta a scrivere al giovane ganimede di suo padre.

O meglio il nuovo ganimede di suo padre il quale adorava essere circondato da quei ragazzotti arroganti. Li ricordava bene, giovani, sensuali come cortigiane e smorfiosi come puttane, che si atteggiavano a gran signore e poi chissà che sconcerie commettevano con suo padre che li colmava di denaro, terre, titoli e gioielli mentre sua madre era obbligata a sopportare e ad ingoiare le lacrime.

L’ultimo che aveva visto era Robbie Kerr, o Carr come dicevano gli inglesi, il peggiore di tutti, il ricordo del modo in cui in pubblico si faceva toccare era rivoltante, il modo in cui permetteva a suo padre di mettergli le mani nelle brache era disgustoso, quello era peccato, ne era sicuro. E ora doveva scrivere a George Villers da poco nominato duca di Buckingham per i servigi resi a suo padre affinché costui potesse convincere il re ad aiutarli.

Che vergogna, quanto erano caduti in basso e quanto si era svalutata la corona d’Inghilterra se era costretta a scrivere simili lettere.

Almeno i suoi figli erano ad Heidelberg e in quanto al bambino che stava per nascere meglio che fosse davvero un futuro generale si disse prima di cercare il proprio sigillo.

<< Consegnatela all’ambasciatore inglese, è urgente >> ordinò dopo aver convocato le sue due dame, le cameriere erano tutte boeme e non poteva fidarsi di loro, non era detto che conoscessero il tedesco, lingua che lei stessa stentava a padroneggiare.

La donna assentì con un cenno del capo e si precipitò, e che vada tutto bene si ritrovò a sperare.

<< Cenerò in pubblico questa sera, aiutatemi a decidere quale abito dovrò indossare >> ordinò facendo entrare le dame e le cameriere.

<< Ma il re è partito >> obbiettò una di loro.

<< E allora? Io sono presente e io sono la regina. Dobbiamo mantenere le apparenze, Rodolfo imperatore si comportava da re o da contadino? >> domandò lei piccata. Sarebbe stato uno spreco di denaro ma dovevano continuare a fingere che andasse tutto bene anche se sentiva che il terreno lentamente le stava franando da sotto i piedi.

Doveva lottare, per sé stessa, per i suoi figli e per l’eredità che avrebbe lasciato loro e per Federico, soprattutto per suo marito.

Federico le mancava tremendamente e forse per questo cominciava a sragionare ma di una cosa era sicura: dovevano mantenere le apparenze.

Esattamente come la sua povera madre che fingeva di sorridere pur assistendo impotente alle infedeltà del coniuge, che doveva sopportare gli abbracci violenti di suo marito nella speranza di restare incinta e che doveva sorridere, sempre sorridere. Il mondo esterno non deve sapere che anche noi soffriamo, noi dobbiamo essere d’esempio, la brava famiglia inglese le aveva ripetuto più volte sua madre nel corso degli anni e finalmente capiva cosa volesse significare: pur essendo imperfetti dovevano mostrarsi come un esempio di perfezione al mondo e soprattutto ai loro sudditi, nulla che li inducesse a ripensarci. Avevano tentato di rapirla e incoronarla forzatamente perché non volevano suo padre, la cugina Arbella aveva complottato contro di loro e chissà quanti altri e per questo non dovevano offrire un fianco scoperto ai loro nemici. E così avrebbe fatto anche lei a Praga.

Federico avrebbe disapprovato, ogni singolo penny serviva per i soldati e per costruire alleanze ma una corte sfarzosa poteva fare il miracolo, se i boemi avessero saputo del rinnovato splendore di Praga avrebbero capito che lei e suo marito volevano solo il loro bene e li avrebbero appoggiati.

Banchetti, balli e altre attività per ingraziarsi i nobili boemi, ricordare che loro erano nel giusto e che stavano facendo tutto quello per il loro bene, d’altronde erano stati proprio i boemi a chiamarli, loro li avevano scelti come loro sovrani e il minimo che potevano fare era mostrarsi degni della corona che avevano ricevuto. E all’inferno le loro superstizioni papiste, la loro idolatria e le varie menzogne che raccontavano sul loro conto, li avrebbe stupiti tutti, ne era convinta.


 
Londra, 1660:
 
Aveva dovuto agire d’astuzia ma aveva funzionato.

Era la figlia di un re, la moglie di un re e la sorella di un altro re e non si sarebbe fatta fermare da sciocchezze come mancanza di denaro o debiti.

Aveva ricevuto la lettera da parte di suo nipote il re d’Inghilterra ma il gentile lord Craven aveva già pagato tutto e non aveva più alcun motivo per restare nelle Province unite. Karl Ludwig nell’estremo tentativo di impedirle di fare quel che voleva aveva persino proposto di invitarla, come se ignorasse il vero motivo dietro l’invito.

I suoi problemi se li risolvesse da solo e lei non era intenzionata a seppellirsi ad Heidelberg per la seconda volta. Le dispiaceva per i suoi nipoti, specie la bambina che aveva il suo stesso nome, che adorabile bestiolina era la piccola Elisabeth Charlotte, veramente adorabile.

Avrebbe dovuto chiedere a Karl Ludwig se poteva portarla con sé al posto della propria scimmietta ma a conti fatti la scimmia dava meno problemi di una bambina e soprattutto costava molto meno [10]. Non che lei si curasse delle proprie finanze ma era stata regina e doveva mantenere gli usi e lo sforzo di una regina.

La piccola Mary le mancava e aveva deciso di imbarcarsi anche per poterla rivedere, in quanto al figlio di lei… che se lo godesse Amalia di Solms e che quell’ingrata riflettesse su come avesse sprecato al sua occasione. Sua figlia poteva essere regina d’Inghilterra e invece era una duchessa qualsiasi, almeno Sofia era Elettrice di Hannover anche se avevano rischiato che l’affare sfumasse.

L’aveva rivista poco prima di salpare, sua figlia aveva una situazione bizzarra in casa ma doveva sopportare, specialmente ora che stava per avere un figlio, possibilmente maschio.

L’Inghilterra, finalmente era tornata. Vedere le bianche scogliere di Dover da lontano era stata un’emozione troppo intensa da poterla descrivere a parole, era come se dopo tanto tempo fosse tornata bambina. Quella bambina così piena di speranze e di ingenuità che era arrivata in Inghilterra credendo di essere finita nel apese delle fiabe. E appena due anni dopo avevano complottato per rapirla e incoronarla regina sul cadavere dei suoi genitori e del suo amato fratello. Henry, quanto sarebbe stato orgoglio di lei, e persino di baby Charles che pur di non rinunciare alle sue prerogative come re aveva messo la testa sul ceppo.

Suo fratello era stato un bambino mediocre, un giovane scarso e un uomo ridicolo ma come re si era guadagnato il paradiso, non aveva mai creduto che le sarebbe sul serio mancato fino al momento in cui non era morto, giustiziato per difendere il diritto divino dei monarchi. E non si trattava solamente dei soldi che le inviava tramite pensione, era qualcosa che andava oltre simili sciocche venalità.

Lord William Craven, da sempre buon amico e sostenitore, l’aveva ospitata a casa sua in maniera tale che non pesasse troppo sul bilancio reale ma sapeva da fonte sicura che Charles aveva abbastanza denaro per poterla ospitare, semplicemente suo nipote per qualche motivo non la voleva intorno, per cui aveva cominciato a scrivere a Rupert per avere spiegazioni. A breve sarebbe arrivata anche sua cognata e non era esattamente ansiosa di rivederla, la regina madre era una donna piccolina, dalle spalle asimmetriche, invecchiata precocemente a causa delle privazioni e del papismo e con un naso enorme che rendeva il suo volto incredibilmente brutto. Il naso tipico dei Borbone dicevano, ereditato da Enrico re di Francia e che tutti i suoi discendenti sfoggiavano con stupido orgoglio, non erano belli come loro. Loro erano Stuart, discendenti dalla regina più bella di tutti i tempi, papista ma comunque bellissima.

Aveva scoperto ben presto la causa per cui la regina madre si stava preparando a tornare e non poteva negare di averne riso. Suo nipote era un uomo onorevole ma avrebbe dovuto capire che la situazione non si sarebbe davvero risolta, non quando la figlia di un avvocato sarebbe divenuta duchessa di York semplicemente perché si era lasciata ingravidare. Per quel tipo di problema c’erano tante soluzioni, dal matrimonio con un servo a sperare nella provvidenza divina, i papisti avevano anche i conventi dove richiudevano le loro ragazze perdute. E quanto avrebbe preferito sperare che Luise Hollandine sarebbe divenuta madre invece di saperla madre badessa [11], quanto si era sentita tradita quel giorno, più di quando aveva scoperto di Edward, che vergogna, che umiliazione.

Rupert le aveva scritto anche in relazione al futuro matrimonio della piccola Minette, come la chiamava suo nipote Charles e aveva approvato. Il fratello di un re era sempre un buon partito sebbene anche lei avesse sentito le voci sul duca d’Orleans ma queste non volevano dire nulla.

Suo padre aveva praticato il vizio contro natura con innumerevoli giovanotti, uno più sensuale e sfacciato del precedente, li aveva elevati ad altezze immeritevoli e aveva costretto le più importanti famiglie inglesi ad inchinarsi di fronte a quei ragazzi il cui unico merito era saper fare le sgualdrine. E nonostante tutto era stato un ottimo padre, specialmente per baby Charles, e un buon marito sebbene negli ultimi anni lui e sua madre quasi non si parlassero, ma entrambi evitavano di far notare all’altro i suoi difetti.

A suo dire non era un problema, la piccolina avrebbe dovuto imparare a chiudere gli occhi, a guardare dall’altra parte, a sorridere sempre e occasionalmente impedire al favorito del momento di ottenere troppo potere.

Non le piaceva che Henriette l’avesse cresciuta papista ma la francese aveva la testa dura, sicuramente ereditata dalla sua infida madre italiana.

<< Novità mio caro lord William? >> domandò nel vedere Craven entrare, per fortuna la sua casa non era troppo numerosa, appena avrebbe avuto il permesso si sarebbe trasferita in una dimora degna di lei.

<< Il parlamento voterà a breve, la legge è in discussione e questo è un inizio vostra Maestà >> le rispose lord Craven facendola sussultare. Non aveva mai capito come funzionassero le cose in Inghilterra ma se il Parlamento poteva forzare la mano a Charles nell’assegnarle un appannaggio ne era fin troppo felice. Certo, quei signori dovevano badare a non diventare troppo superbi ma era comunque un inizio, chissà quanto le avrebbero assegnato e dove avrebbe potuto trasferirsi.

<< Me ne compiaccio lord William, e che sia a mio favore. Bisognerà scrivere alle Province Unite perché la mia servitù e i miei effetti vengano tosto trasferiti in Inghilterra. E le mie scimmie, non dimenticate le mie scimmie e i miei pappagalli >> dichiarò, non aveva mai capito perché tutti trovassero adorabili i bambini quando una scimmietta ammaestrata era cento volte più adorabile e portava meno disagi.

<< Come desiderate, sicura che i debiti siano tutti saldati? >> le domandò l’uomo, e ora come faceva lei a saperlo?

<< Credo di si, sapete bene che io di certe cose non capisco nulla ma se mi hanno lasciata partire vuol dire che sono una donna libera, come ogni regina dovrebbe essere >> ragionò lei.

<< Giustamente mia signora, parteciperete all’incoronazione? >> domandò lord William.

<< Non ho ricevuto alcun invito formale e non sarebbe dignitoso elemosinare un invito, nessuna donna dabbene dovrebbe mai elemosinare qualcosa, specialmente l’invito ad un’incoronazione se si tratta di una regina >> dichiarò lei orgogliosa.

<< Posso interessarmi se ne avete desiderio >> propose lord William.

<< Ve ne sono grata ma no, non sarà necessario per il momento >> rispose lei. Sapeva cosa avrebbero detto tutti se si fosse fatta vedere a Westminster, cosa già dicevano di lei a corte e non l’avrebbe tollerato, non ora che non era più una ragazzina. Avevano riso di loro per tutta Europa, preferendo saperli in fuga e senza la certezza di sapere dove andare invece di tendere loro la mano. Ricordava ancora i libelli, le lettere e le risate che aveva dovuto sopportare, nessuno di quei maledetti aveva mai capito quello che lei e Federico avevano fatto per loro, meglio trasformarli nello zimbello generale che non colpevolizzarsi per non aver fatto nulla. Solamente Maurizio e Federico avevano saputo aiutarli, solo loro avevano teso loro una mano e si erano comportati realmente da amici e da alleati, forse perché erano cugini di Federico.  Non avevano potuto fare molto ma almeno c’erano stati e lei era sempre stata immensamente riconoscente, e sapeva che anche Federico lo fosse stato.

Federico. Non aveva nemmeno una tomba su cui piangerlo, ignorava dove fosse e non aveva mai potuto indagare come avrebbe voluto, suo marito meritava una tomba da re, non di essere sepolto chissà dove in Germania[12].

<< Come desiderate, vostro figlio Rupert sarà fatto duca di Cumberland, ritenevo doveroso comunicarvelo >> le comunicò lord Craven prima di andarsene lasciandola sola.

In quanto cugino del re era giusto che Rupert avesse un titolo, un ducato reale per di più, ma questo significava che non sarebbe più tornato ad Heidelberg. Avrebbe dovuto attivarsi per trovarsi una moglie, almeno ora avrebbe smesso con le sue follie, quando Federico a suo tempo aveva deciso che quel bambino nato a Praga sarebbe stato destinato a grandi cose non avrebbe mai pensato che suo figlio si sarebbe distinto in quella maniera sul campo di battaglia. Temerario, avventuroso e folle, così avevano definito Rupert e non sapeva se esserne o meno orgogliosa, con i suoi figli non lo sapeva mai.
 
***
 
La notizia le arrivò assolutamente inaspettata.

Si era finalmente sistemata a Drury House, non quello che avrebbe voluto ma era comunque una sistemazione dignitosa, e aveva finalmente la sua rendita grazie al Parlamento, per quanto litigiosi quei signori almeno avevano avuto pietà di lei.

La regina madre era sbarcata a Dover per poi correre a Londra più velocemente assieme alla piccola Minette, preoccupata della situazione e intenzionata a disfare il matrimonio del duca di York. Era arrivata troppo tardi, Anne Hyde aveva già la pancia ed era stato organizzato un matrimonio segreto da una cerimonia pubblica per salvare le apparenze.

Il padre di Anne che da sempre era stato un loro partigiano si era sentito crollare il mondo addosso quando aveva scoperto cosa fosse successo, almeno qualcuno che conosceva le regole della decenza ancora esisteva. Era stato nominato duca di Clarendon in quanto suocero del duca di York ma per quanto la sua influenza politica fosse cresciuto era evidente che la situazione non gli piaceva, al punto che evitava di farsi vedere in giro.

Lo avevano accusato di aver complottato, di aver volutamente infilato la figlia nel letto del educa di York per poter influenzare poi il re ma erano solo pettegolezzi malevoli di cortigiani incattiviti. Aveva conosciuto Hyde e non le era parso quel tipo d’uomo, anzi era l’esatto opposto e se suo nipote Charles lo stimava e lo voleva al suo fianco come consigliere non era perché era il suocero di suo fratello ma perché aveva fiducia nelle sue capacità, lei lo sapeva bene. La ragazza si era comunque sposata con un bel pancione che gli abiti non riuscivano a nascondere e solamente pochi intimi avevano partecipato al matrimonio, che vergogna e che indecenza aveva pensato lei.

La regina madre si era dovuta rassegnare e lei era andata a farle visita come da protocollo. Henriette pur essendo di tredici anni più giovane di lei appariva ancor più invecchiata e quel naso… solo i cortigiani francesi potevano trovarlo bello. Le aveva detto qualche parola di conforto in quanto le loro situazioni erano simili. Certo, lei con Edward aveva sofferto molto di più ma era importante mostrarsi umili e comprensive, specialmente con una disgraziata come Henriette.

Aveva avuto occasione di poter vedere la piccola Henriette Anne, la futura duchessa d’Orleans era veramente carina, peccato per il naso borbonico e quella spalla più alta dell’altra ma tutto si poteva sistemare. La ragazzina era spiritosa, affamata di vivere e non dimenticava di essere stata povera, per questi era sempre pronta a ridere e a vestirsi come la sua ritrovata dignità esigeva.

Per fortuna c’era sempre il duca di Gloucester, lui avrebbe sicuramente sposato una donna degna del suo rango e tutto si sarebbe sistemato una volta che Charles avrebbe avuto dei figli, almeno due per essere sicuri che il trono d’Inghilterra non finisse sulla testa di uno dei bambini York.

Aveva saputo del progetto di sposare un’Infanta portoghese ma le sembrava una follia, l’Europa era piena di buone principesse appartenenti alla loro religione, perché andare a cercare tra i papisti? E soprattutto tra papisti così di poco conto? Come se non conoscesse le voci che volevano il re del Portogallo pazzo e cieco, quel sangue era malato e avrebbe portato solamente guai. C’era l’ultima figlia di Maurizio, le cognate di sua figlia Sofia o le ragazzine danesi, tutte ragazze che sarebbero state ottime regine d’Inghilterra molto meglio della piccola Infanta col sangue marcio.

Quando vide l’espressione terrea di lord Craven si spaventò, sebbene non vivesse più a casa sua l’uomo le era comunque amico e si recava spesso a visitarla ma avvisava sempre.

<< Cosa succede my lord? Avete un’espressione degna di una tragedia greca >> disse cercando di sdrammatizzare. Conosceva bene quell’espressione, era la stessa che Federico aveva avuto sul volto quella notte infernale in cui Henry era annegato e lui non era riuscito a salvarlo. Suo marito non era mai riuscito a perdonarsi quel gesto, lui riportato a bordo sano e salvo e suo figlio che a causa del buio che annegava nei canali olandesi, sento ancora le sue urla le aveva confidato poco dopo che lo avevano sepolto. Sento le sue urla, le sue implorazioni e non riesco a fare nulla perché non so dove cercarlo, è buio, io sono al sicuro ma mio figlio sta morendo, il mio erede sta annegando in un canale olandese e non posso nemmeno confortarlo le aveva rivelato.

<< Una disgrazia terribile mia signora, la nostra primavera è appena terminata e si preparano tempi duri >> le annunciò l’uomo lasciandola sorpresa.

<< Chi è morto? >> domandò, non era così stupida da ignorare cosa potesse essere accaduto. La principessa Mary? La piccola Henriette? Il re in persona? Rupert? Il suo Rupert? Chi era morto?

<< Il duca di Gloucester, era la speranza della Nazione, la speranza e il fiore di questo regno ma la malattia se lo è preso lo stesso >> le rivelò lord William.

Oh mio dio fu il suo primo pensiero.

Lo aveva conosciuto bambino, un bambino spaventato che aveva appena perso il padre e sepolto la sorella eppure ancora determinata. Aveva resistito ai tentativi della madre di convertirlo, aveva servito nell’esercito, spagnolo ma meglio di niente, e ora che era avviato sulla strada per essere uno dei migliori principi d’Europa… era morto.

Come il suo omonimo, il suo amato fratello che non avrebbe mai pianto abbastanza, lo stesso nome e lo stesso infausto destino, erano persino morti alla stessa età. Era il nome a portare sfortuna? Anche il figlio di re Enrico con lo stesso nome del padre era morto infante e ora questo? C’era per caso una maledizione sul nome Enrico per i principi reali?

Le sembrò di essere tornata fanciulla, pronta a sposarsi e in lutto per la morte del suo adorato fratello, la vita le aveva dato Federico per poi toglierle Henry come se non meritasse di essere troppo felice e ora questo, che immensa disgrazia. E non solo per loro ma per il paese tutto.

Il matrimonio di James era una mostruosità e tutti puntavano su Henry, quello era un disastro, chi altri restavano se non Rupert, inaffidabile sotto quel punto di vista, e il piccolo bastardo di suo nipote? E per quanto il piccolo Jemmie fosse adorabile non aveva alcun diritto al trono come tutti i bastardi.

<< Il duca di Gloucester? Morto? “il nostro dolce Gloucester” >> domandò, ancora non ci credeva, non voleva crederci, forse per questo aveva utilizzato le parole di Charles che adorava il fratellino e si rivolgeva a lui in quella maniera, poco da re e molto da fratello.

<< Il vaiolo mia signora, il vaiolo non risparmia nessuno, né i fratelli del re né i fratelli dei contadini, e si è portato via il duca di Gloucester >> le spiegò lord William. Vaiolo. Parola peggiore non poteva esistere pensò subito, che immensa disgrazia per tutti loro.

<< Vaiolo? C’è un’epidemia di vaiolo in corso? >> domandò terrorizzata.

<< Il re ha appena lasciato la capitale senza poter dire addio al fratello e così la regina madre e il duca di York, che disgrazia mia signora, che disgrazia >> le comunicò lord Craven.

<< Ed è prudente? Possiamo rimanere qui senza timore per la nostra persona? >> domandò terrorizzata. Henry era morto di febbre tifoide e ora il vaiolo, Londra non era mai stata una città sicura, ricordava bene come dopo appena un giorno dal loro arrivo fossero tutti fuggiti prima a Windsor e poi nella campagna, che disgrazia.

<< Il re sostiene di sé, ma meglio che vi chiudiate in casa e prestiate attenzione, l’incoronazione non è rinviata ma la Principessa Reale sostiene di voler ripartire il prima possibile in maniera tale da poter litigare con più agio con la suocera, probabilmente accompagnerà la sorella in Francia per poi passare nelle Province Unite >> le spiegò Craven, aveva senso si disse.

<< Molto bene, e speriamo per il meglio >> mormorò prima di congedarlo con un cenno della mano. Non aveva chiesto notizie di Rupert ma non era preoccupata, suo figlio era perfettamente in grado di cavarsela, lo conosceva bene lei. Rupert era sopravvissuto a una defenestrazione, alla prigionia, alla guerra e all’esilio, poteva sopravvivere anche ad un’epidemia.

Avrebbe comunque dovuto scrivergli, o fuggire anche lei in campagna, ricordava bene i danni causati dalle epidemie di vaiolo che periodicamente colpivano l’Inghilterra, quel paese all’apparenza così bello e così ricco su cui suo padre era stato chiamato a regnare.

<< Fate preparare i miei effetti, dobbiamo andarcene >> ordinò dopo aver convocato le cameriere.

<< E dove Vostra Maestà? >> domandò la più giovane.

<< Ovunque si trovi la corte, non permetterò che mio nipote mi lasci qui a marcire, non dopo la morte dell’altro mio nipote >> rispose lei cercando di controllarsi, perdere il controllo di fronte alla servitù era indegno di una regina come lei.

Le ragazze assentirono con il capo prima di cominciare ad impacchettare tutto, aveva persino la scusa perfetta per quando si sarebbe presentata a corte: porgere le condoglianze per la morte del duca di Gloucester al re. O forse era il titolo e non il nome? Anche il titolo non portava molta fortuna, prima del piccolo henry era appartenuto a ben due traditori, uno dei quei aveva fatto uccidere il legittimo re, esattamente come quel dramma del signor Shakespeare che da bambina l’aveva terrorizzata, quale uomo crudele e deforme era stato re Riccardo della dinastia York.

Doveva fare qualcosa, assolutamente, e per prima cosa doveva fuggire, poi avrebbe pensato al resto.



[1] il futuro Carlo I non andò in Inghilterra con i genitori. A causa della sua salute malferma fu infatti deciso che sarebbe rimasto in Scozia, raggiunse la famiglia solo l'anno successivo.
[2] Henry principe di Galles fu nominato cavaleire della Giarrettiera a Windsor Castle

[3] l'incoronazione in effetti ci fu, con la peste che imeprversava a Londra, finita la cerimonia il re e la corte scapparono il più velocemente che potevano in campagna
[4] Cristiano di Danimarca, poi re Cristiano IV, fu nominato cavaliere dell'ordine della Giarrettiera il 14 giugno 1603, assieme al nipote Henry 
[5] Henry Wriothesley è tuttora un mistero. Amico del defunto duca di Essex, cospiratore, probabile fair youth dei sonetti di Shakespeare secondo alcuni addirittura figlio segreto di Elisabetta I
[6] William herbert approfittò a piene mani del favore reale tramite il fratello, fu una fortuna epr la letteratura eprché era uno dei patroni di Shakespeare
[7] Norimberga godette dello status di città libera imperiale dal 1219 fino al 1806, di fatto non era soggetta all'autorità dell'Elettore di baviera ma solo a quella imperiale
[8] Erzabet Bathory, contessa Nadasdy, morta nel 1614 dopo essere stata murata viva nel suo castello a seguito dell'accusa di omicidio plurimo e maltrattamenti alla servitù e considerata all'epoca da una parte della nobiltà ungherese come una vittima delle macchinazioni imperiali
[9] Pal Nadasdy, unico figlio maschio della Bathory, bambino di 8 anni all'epoca della condanna della madre a 19 era uno dei magiari più ricchi d'Ungheria, fieramente anti imperiale fu tra i finanziatori di Gabor Bethlen nonché suo sodale in battaglia
[10] Elizabeth non riuscì mai a farsi piacere i bambini, specialmente i suoi stessi figli considerando il suo dovere di madre esaurito col parto, la figlia Sofia Elettrice di Hannover scrisse infatti nelel sue meorie che " la vista dei suoi cani e delle sue scimmie le era più gradita della nostra"
[11] nel 1657 Luise Hollandine del Palatinato scappò di casa per rifugiarsi in un convento dove si convertì al cattolicesimo, inizialmente si pensò che fosse incinta ma in realtà apparte una relazione platonica non ebbe mai rapporti
[12] a causa della guerra il corpo di federico del palatinato fu spostato più volte, col risultato che nel 1648 nessuno sapeva più dove fosse e tuttora è considerato disperso

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Capitolo 7
*** sixth chapter ***




 
Londra, 1603
 
Fottuti ingrati.

Dopo tutto quello che aveva fatto per loro era così che lo ripagavano? Fottuti inglesi ingrati, figli di buona donna e infingardi.

James Stuart, già re di Scozia, era sicuro che quegli idioti dei suoi nuovi sudditi non lo avrebbero compreso ma un conto era fingere imbecillità e un altro darne prova.

Aveva sognato a lungo quel momento, in cui la corona per cui sua madre aveva complottato e intrigato si sarebbe naturalmente posata sulla sua testa e lui sarebbe stato consacrato re, un’incoronazione che tutti avrebbero ricordato. Aveva progettato un’incoronazione che avrebbe fatto impallidire quella della vecchia e aveva accettato di incoronare Anne con lui per mostrare che ora al trono non c’era più una vecchia ninfomane ma una brava famiglia protestante e invece gli avevano rovinato anche quello.

Peste dicevano tutti, a Londra c’era la peste e non era prudente restare troppo a lungo sostenevano i suoi aristocratici inglesi ma lui conosceva la verità.

Volevano umiliarlo, rimandare la cerimonia o forse annullarla e siccome erano tirchi si erano inventati quella patetica scusa. La peste… ogni anno in Inghilterra imperversava la peste e questo non aveva mai fermato nessuno, eppure ora volevano fermare lui, maledetti ingrati.

A forza di litigate, ordini mal eseguiti e minacce era riuscito ad ottenere che si, l’incoronazione ci sarebbe stata, si sarebbe tenuta a Westminster come le precedenti ma avrebbe avuto una durata ridotta per evitare una prolungata esposizione della corte ai miasmi pestilenziali e il corteo sarebbe stato in numero ridotto.

Non era quel che voleva ma almeno aveva ottenuto qualcosa si era detto, gli inglesi non lo amavano ma gliel’avrebbe fatta vedere lui, oh si.

Avevano creato una nuova corona per lui, e un nuovo baldacchino ma non era abbastanza, sua moglie aveva dovuto prelevare alcuni dei gioielli appartenuti alla vecchia per poi dare ordine di adattarli, e così gli abiti… tirchi, pezzenti e ingrati.

Stavano ancora discutendo di come tenere il rito, se seguire quello dell’incoronazione della vecchia o eliminare del tutto i pezzi di origine papista e in che lingua, inglese, francese e latino o eliminare il latino, discussioni stupide di persone stupide che volevano solamente ritardare il suo grande giorno

Gliel’avrebbe fatta vedere lui, assolutamente.

Erano finiti i tempi in cui doveva tremare, in cui dietro ogni porta poteva essersi un cospiratore armato di pugnale, finalmente tutto sarebbe andato come voleva lui. Lui era un re, un re per diritto divino e finalmente aveva i mezzi per poter punire chi avrebbe osato opporsi a lui, un re consacrato era un inviato di Dio e opporsi a lui era come andare contro Dio, semplice.

I suoi figli erano sistemati in campagna, pronti a tornare a corte su suo ordine e lui al momento voleva godersi la città, gli inglesi e soprattutto Philip.

Il ragazzo era giovane, bello e intelligente, esattamente come piacevano a lui. più che un atleta era un topo di biblioteca ma almeno così aveva qualcuno con cui conversare ed era rimasto piacevolmente sorpreso di scoprire che nella sua famiglia erano tutti interessati alle arti, alla letteratura e al teatro.

In particolare il fratello di Philip, William, era amico personale di quel Will Shakespeare che ascriveva ottimi lavori teatrali anche se per compiacere la vecchia aveva definito sua madre una sgualdrina[1].

Lo pensava anche lui ma una cosa era che a pensarlo fosse il re e un’altra che a scriverlo fosse un attore di teatro, quello era vietato.

Philip per quanto fantastico aveva delle bizzarre inclinazioni, aveva notato che c’erano dei momenti in cui il suo amato sembrava preda di una rabbia fuori dal normale che lo portava a maltrattare chiunque[2], tranne lui per il momento ma non sapeva per quanto ancora sarebbe potuto continuare. Aveva fatto fare delle ricerche con discrezione e non n’era venuto fuori niente, fatto che lo aveva convinto che fosse opera di streghe, era sempre opera delle streghe. Quello e una brutta abitudine nelle scommesse. Non c’era nulla di male nel gioco, a patto di scommettere i propri soldi e Philip sembrava incapace di smettere, aveva promesso che avrebbe saldato i suoi debiti ma non intendeva andare fallito per quel colpa di quel ragazzo, solo perché era bello mica poteva credere chissà cosa.

<< Ordina a tuo fratello di convocare quel drammaturgo >> ordinò quella sera, aveva un’idea e non vedeva alcun ostacolo di sorta perché non funzionasse come voleva.

<< Avviserò mio fratello, Vostra Maestà, ma mastro Shakespeare non è un servitore e a causa della peste credo che non si trovi a Londra >> replicò Philip prima di sistemarsi accanto a lui in camicia, solo in camicia.

<< E fatelo venire allora, voglio commissionarmi un lavoro, una commedia o una tragedia, i suoi lavori mi piacciono e ho bisogno che ne scriva uno per me >> dichiarò entusiasta. Mastro Shakespeare ne aveva scritte di meravigliose per la vecchia, persino un ciclo in onore del gran re Henry, sicuramente avrebbe scritto qualcosa di sublime per lui.

<< Mastro Shakespeare non scrive su commissione dei suoi patroni ma solo dei suoi impresari teatrali. Possiamo però rappresentare a corte la sua ultima tragedia >> lo deluse Philip. Avrebbe voluto un titolo nuovo, qualcosa con cui legare la fama dello scrittore alla sua corona ma ci sarebbe stato tempo per quello, almeno così sperò.

<< Una tragedia? Non ne sapevo niente >> disse emozionato prima di versarsi da bere.

<< Una bellissima tragedia, mio signore. Narra di un moro che influenzato da un suo consigliere commette un atto spregevole nei confronti della propria sposa, salvo poi pentirsi quando l’intrigo viene svelato >> narrò Philip, e ora cos’era quella novità?

<< Un moro? Un moro protagonista? Cos’è questa follia? >> domandò, era curioso ma allo stesso tempo quello spettacolo poteva essere il germe di grandi timori.

<< Un moro, un moro al servizio di Venezia, l’uomo migliore del suo tempo, e che bella famiglia poteva avere con la sua amata moglie Desdemona >> rispose Philip.

<< Desdemona in greco vuol dire “la sventurata”, povera donna condannata fin dalla nascita >> disse lui, ricordava bene come gli avessero insegnato greco e latino prima ancora dell’inglese, e quel nome portava in sé la sua futura disgrazia[3].

<< L’erudizione di Sua Maestà mi sorprende sempre, siete forse l’uomo più saggio del regno >> lo blandì Philip prima di bere un sorso di vino.

<< E tu sei uno spudorato >> replicò lui prima di togliergli il bicchiere e fissarlo negli occhi, lo desiderava, lo voleva e lo avrebbe avuto.

<< Vostra Maestà è il padrone, deve solo comandarmi >> rispose Philip, se metà delle voci sul fratello erano vere e certe tendenze erano ereditarie allora si era scelto l’amante perfetto.

<< Si, ti comando, ora stenditi e lascia fare tutto a me, al re d’Inghilterra >> dichiarò prima di baciarlo con furia, e Philip rispose con uguale ardore.

<< Ah Vostra maestà… oh Vostra maestà >> si limitò a gemere Philip tra un bacio e l’altro. Esattamente come John, come Richard e tutti gli altri, così ansiosi di compiacerlo da diventare delle sgualdrine.

Non sarebbero mai stati come lui, come lui non ci sarebbe mai stato nessuno, non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato lui.

Aveva la sua stessa età pensò poco prima di posizionarsi sopra Philip, trentasette anni, lo aveva conosciuto quando l’altro aveva trentasette anni ed era l’uomo più bello che avesse mai visto.
Lui aveva appena tredici anni, un bambino terrorizzato che cercava con forza qualcuno da amare ed era stato naturale innamorarsi di Esmé. Esmé che era bello, Esmé che era colto, Esmé che era indomabile, Esmé che era suo.

Lo aveva amato con la forza e l’ingenuità del primo amore, ed Esmé aveva fatto così tanto per lui.

Se ora aveva quella corona era anche merito suo, per quello aveva favorito Ludovic, perché era il figlio di Esmé e doveva in qualche modo onorare la memoria del suo grande amore.

Il gemito di Philip lo riscosse dai suoi ricordi e tornò a dedicarsi a lui, era davvero un bel giovane in quel momento pensò prima di tornare a baciarlo e cominciare a muoversi.

Philip si morse le labbra e lui lo osservò soddisfatto. Faceva male, lo sapeva per esperienza ma quel dolore portava poi ad un piacere così sublime che bisognava pur sopportarlo, c’era sempre una ricompensa alla fine del dolore aveva imparato e Philip avrebbe imparato.

Gli accarezzò il volto col dorso della mano prima di cominciare a toccarlo, che corpo meraviglioso aveva il suo giovanissimo amante.
Philip gemeva e ansimava mentre lo lasciava fare e si chiese se davvero lo desiderasse o se obbedisse solo a degli ordini, odiava non conoscere mai le intenzioni dei suoi sudditi, e anche per questo non si fidava, come poteva fidarsi dopo quello che aveva subito? Dopo un’infanzia come la sua?

No, meglio essere sospettosi, aizzare le fazioni di corte una contro l’altra e godersi i bei ragazzi che prima o poi gli avrebbero gettato ai piedi quando si sarebbe stancato di Philip, tutto a suo tempo pensò prima di muovere con più forza il bacino, tutto a suo tempo.
 
***
 
Tutto sommato non era stata una pessima incoronazione.

Certo, quella della vecchia, di sua sorella la papista e persino quella del giovane re erano state grandiose, celebrate e attentamente trascritte ma questa volta era diverso. Era diverso persino dalla sua prima incoronazione, avvenuta quando aveva appena tredici mesi e che non ricordava affatto.

Questa volta non si trattava di un re bambino, di un neonato o di due zitelle ma di un’intera famiglia.

Un uomo, una donna e i loro bambini. Padre, madre e figli, la perfetta famiglia inglese. Questo erano e questo avevano mostrato anche se ormai i sudditi avevano compreso che era tutta una farsa, quantomeno i londinesi.

Lui ed Anne erano buoni amici, alleati talvolta e spesso avversari e lui non l’aveva mai amata o aveva desiderato il suo corpo, se ancora si incontravano una volta al mese era perché dovevano avere altri figli, il regno non era al sicuro con solamente due principi di cui estremamente malaticcio come il nuovo duca di York.

Gli piaceva quel ragazzino, gli ricordava un po’ sé stesso a differenza del proprio turbolento erede, quello non gli era mai piaciuto invece. Per quel che riguardava la femmina non aveva opinioni, era donna e quella era già di per una gran disgrazia.

Ad Edimburgo tutti sapevano che l’accordo tra lui e la regina implicava la reciproca cecità. Lui fingeva di non vederla pregare in latino e circondarsi di nobili cattolici e lei fingeva di non vederlo baciare ogni ragazzo che gli passava davanti, un ottimo accordo per entrambi. E lo sapevano. Lo sapevano tutti al punto che era quello il segreto di cui quella donna aveva voluto parlargli… un segreto che poi non era un segreto ma lui doveva pur difendersi e difendere la corona di Scozia.

Come se non bastasse era piovuto. L’ennesima sfortuna che si andava ad aggiungere ad un elenco che diveniva via via più lungo ed estenuante.

Ciò che lo aveva divertito era stato ascoltare i tanti litigi dell’aristocrazia su chi doveva fare cosa, su chi poteva fare cosa e su chi voleva fare cosa, gli inglesi non cessavano di stupirlo.

Il duca di Oxford, che si piccava di conoscere teatro e ogni tanto di comporre qualcosa, era quasi venuto alle mani con quel tale molto simpatico, Daniel Cage, per decidere chi dovesse avere l’onore di reggere lo strascico della regina assieme a lady Walsingham, e non erano stati i soli.

Sua cugina lady Arbella Stuart aveva insistito non solo per partecipare ma anche per poter avere la precedenza sulle duchesse e aveva dovuto accordargliela a malincuore.

Trovava divertente quella cugina che non aveva mai incontrato prima, un po’ troppo vanitosa e querula ma era comunque una pedina preziosa sul mercato matrimoniale. Sua sorella era la prossima nella linea di successione dopo i suoi figli e doveva scegliere con cura, se solo Ludovic non fosse già stato sposato… ma forse si poteva far annullare il matrimonio dato che gli sposi non avevano ancora avuto figli e tornare al vecchio piano di unire le due pretese neutralizzandole. Un principe straniero era sempre un rischio da non sottovalutare e un suddito inglese… bisognava essere accorti ed evitare i più importanti, specialmente i Seymour di cui non si fidava affatto[4].

Almeno aveva riavuto la pietra[5], quella fottuta pietra che gli inglesi avevano rubato secoli prima e che era stata fondamentale nel corso delle varie incoronazioni dei re di Scozia, era il primo re di Scozia ad essere incoronato sopra quella pietra da almeno quattrocento anni.

Era andato tutto bene, persino l’abito aveva avuto la sua parte, aveva infatti scelto un modello che ricordasse quello dei duchi ma ovviamente più costoso e sua moglie era stata perfetta quel giorno.  Avevano alloggiato tutti presso la Torre di Londra e da lì si erano recati all’abbazia su una carrozza, ovviamente la cugina Arbella aveva preso posto su un’altra mentre lui ed Anne si erano fatti accompagnare da Henry ma non dalla femmina che sarebbe stata un peso inutile. Avrebbe dovuto far venire il duca di York, fosse solo per dare qualcosa agli inglesi e per farli parlare.

<< Abbiamo atteso più che potevamo, James, non possiamo rimanere oltre >> lo implorò Anne, non era giusto che la sua incoronazione si rivelasse quella più misera, tutto quello era una profonda ingiustizia.

<< Assolutamente no, dobbiamo restare per l’apertura del parlamento >> rispose, già aveva dovuto far differire l’entrata solenne a Londra, non avrebbe perso l’apertura del parlamento.

<< Se posso permettermi, cugino, potremmo andare a Greenwich o a Whitehall, lontani dai miasmi di questa città infernale ma abbastanza vicini da poter tronare per l’apertura del parlamento >> suggerì lady Arbella sua cugina senza nemmeno inchinarsi, sfrontata e puttana come tutte le inglesi.

<< Andremo dove io ordinerò. E l’amnistia? È stata eseguita? >> domandò, era consapevole dei rischi ma era la tradizione. Avrebbe voluto includere anche i papisti ma lo avevano convinto a desistere sostenendo che fossero pericolosi. Ennesima prova che i suoi sudditi erano sciocchi, finché gli erano fedeli a lui poco importava come pregassero, anzi i cattolici potevano essergli utili in qualche modo. La loro obbedienza al papa poteva renderli sudditi incredibilmente fedeli specialmente se avesse cominciato a regnare come i suoi cugini papisti, monarchi per diritto divino.

Re Filippo non era mai dovuto fuggire dai suoi sudditi, mai i fiorentini avevano tentato di uccidere il granduca di Toscana e persino l’imperatore pur essendo un folle era rispettato, amato e temuto. E lui voleva quello, voleva che lo amassero, lo rispettassero e lo temessero.

<< Come desideravate ma le prigioni sono piene di cadaveri, la peste sta uccidendo i vostri sudditi e io non voglio morire >> replicò sua cugina, pupattola ingrata.

<< Non morirete cugina mia, non ora almeno. Avvisate il vostro padrone che voglio vederlo >> dichiarò, come se ignorasse che sua cugina riceveva pagamenti da Robert Cecil, quel nano ripugnante pagava chiunque, aveva pagato lui per anni.

<< Non ho idea di cosa vogliate dire >> replicò sua cugina, testarda come tutta la loro famiglia.

<< Avvisate lord Salisbury, quel nano disgustoso ha le mani ovunque ma certe cose devono cambiare, la vecchia gli permetteva di dirigere il regno ma io non sarò così, nient’affatto >> rispose lui prima che sua cugina si limitasse ad un inchino per poi andarsene.

<< Vostra cugina non ci ama, l’hanno convinta così a lungo che sarebbe stata regina che ci detesta tutti >> dichiarò sua moglie quando furono da soli.

<< E cosa consigliate signora? >> domandò lui, le liti tra donne lo divertivano, solo degli esseri così incompleti erano capaci di tante meschinerie. Tra uomini era diverso, tutto sempre molto diretto senza bisogno di sotterfugi.

<< Maritatela, ci sarà qualche principe tedesco disposto a prendersela. Come uno dei miei fratelli >> propose sua moglie, sempre a pensare alla sua Danimarca si disse lui. << O un principe cattolico, l’imperatore è ancora senza moglie e i suoi cugini anche. O uno dei vostri cugini Guisa, un partito si trova >> aggiunse Anne.

<< Mia cugina non vorrà sposare un papista, e l’imperatore è pazzo, lo sanno tutti >> la contraddisse lui.

<< Obbligatela, siete o non siete il re d’Inghilterra? >> lo rimproverò sua moglie, doveva odiare davvero la cugina Arbella.

<< Appena consacrato come potete testimoniare, e mia cugina come tutti noi è testarda e ostinata >> si difese lui. L’incoronazione, il momento in cui la corona della vecchia si era posata sulla sua testa, l’unzione sacra che lo aveva reso una diretta emanazione di Dio, i nobili che si inginocchiavano al suo cospetto. E Philip che gli dava il bacio di fedeltà, quanto era stato bello poter sentire le sue labbra su di sé senza che nessuno potesse dire niente, assolutamente meraviglioso.

Doveva occuparsi di tutto quello, e per farlo doveva fuggire da Londra, e far fuggire anche il principe di Galles.

<< Date l’ordine, noi partiamo, e il principe di Galles torna ad Oatlands >> ordinò e sua moglie anni distrattamente.

Il ragazzo era grande, era il momento che imparasse a gestire una sua corte, una corte inglese, in maniera tale che quando sarebbe stato il suo momento, il più tardi possibile, non si sarebbe fatto trovare impreparato.

<< Non può venire con noi? Pensate a cosa diranno >> ribatté sua moglie, sentimentale come tutte le donne.

<< Deve crescere e imparare il mestiere di re, come si è sempre fatto da noi >> le rispose irritato. Sapeva bene come quei posti richiamassero al nobiltà, disposta a pagare alte tangenti pur di non essere esclusa e inoltre era la tradizione, re Edoardo VI era cresciuto separato da suo padre, e così era stato per lui, che aveva trascorso i suoi pochi mesi come duca di Albany a Stirling. Sua moglie come tutte le donne aveva il cuore tenero e come tutte le tedesche era stupida, possibile che dopo tanti anni non capisse?

<< Mi sembra una barbarie ma voi siete mio marito e il mio re ed è mio dovere obbedirvi >> si limitò a dire la regina, finalmente aveva capito chi era a comandare pensò lui. Doveva solo ricordarglielo più spesso e tutto sarebbe andato come lui si meritava.

 
Londra, 1619:
 
Lo osservò per poi unirsi all’applauso come tutti gli altri.

Charles Stuart, principe di Galles, dopo essere stato duca di York, non poteva essere più orgoglioso di colui che era diventato il suo migliore amico.

Come aveva potuto essere così cieco? Come aveva potuto respingere così a lungo l’affetto e l’amicizia di qualcuno che teneva sinceramente a lui?

A George importava di lui, George gli era amico, George teneva sinceramente a lui. Non era come quella sgualdrina di Somerset che a malapena si ricordava di lui o come Henry, sempre preso da tante cose da ricordarsi appena di lui.

Henry, il suo meraviglioso e inarrivabile fratello, quanto lo aveva amato e quanto avrebbe voluto dimostrarglielo ma Henry era sempre stato troppo perfetto per capire realmente i suoi problemi a differenza di George. George era sinceramente suo amico e suo alleato, a George interessava realmente aiutarlo e sarebbe stato al suo fianco una volta divenuto re.

Sapeva perfettamente cosa ci fosse tra lui e suo padre e… aveva imparato ad accettarlo. Quella santa donna di sua madre non aveva mai avuto obiezioni e alla fine non ne aveva nemmeno lui, non era per quello che lo aveva odiato.

Avrebbero dovuto guardare lui.

Avrebbero dovuto cercare la sua compagnia.

Avrebbero dovuto amare lui.

Lui, non George, lui che era il principe di Galles e l’erede al torno, non un piccolo nobile che si era fatto strada nel mondo prostituendosi.

Eppure tutti lo avevano ignorato, odiandolo e umiliando almeno finché George non aveva deciso di essergli amico e lui non aveva potuto fare altro se non accettare la sua amicizia. Erano migliori amici e lo sarebbero sempre stati, fino alla fine.

Per questo avevano ideato insieme un piano d’azione da presentare al consiglio. Avrebbero trovato dei volontari se suo padre si fosse ostinato a non entrare in guerra, avrebbero varcato la Manica e poi sarebbero andati fino a Praga per aiutare Elizabeth, sua sorella. Una crociata protestante per difendere un regno che si era nobilmente sollevato contro l’imperatore papista e per aiutare una si nobile regina, che impresa avrebbero compiuto insieme, come gli antichi cavalieri.

Suo padre non capiva, come poteva capire un uomo così anziano certe passioni giovanili?

Avevano ancora qualche minuto prima della seduta del consigliò pensò prima che George lo raggiungesse, la solita grazia e la compostezza di sempre, persino mentre pattinava.

<< Altezza Reale, vi trovo bene oggi >> lo salutò George sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi, per lui, solo per lui, non per l’ennesima smorfiosa o per suo padre ma per lui, lui solo.

<< Come sempre quando ti vedo George, e chiamami Charles[6] >> rispose. Solitamente era molto attento a soppesare il rango di chiunque gli era accanto ma con George era diverso, erano o non erano migliori amici?

George era tutto quello che lui non sarebbe mai stato: brillante, bello, muscoloso, atletico, disinvolto, affascinante e fortunato, per questo lo amava come un fratello maggiore. E anche perché George non sghignazzava quando balbettava e non gli aveva mai fatto notare i propri problemi di vista, sapeva da solo che non riusciva a vedere bene da lontano, non c’era bisogno che glielo ricordassero.

<< Ti trovo bene, Charles >> rispose quindi George e lui sorrise prima di fargli cenno di raggiungerlo. George abbassò il capo per poi sedersi sull’argine e cominciare a togliersi i pattini, i muscoli che si intravedevano attraverso i pesanti abiti invernali. Intuiva perché le tante dame di corte stravedessero per lui, e suo padre con loro, George era meraviglioso, un corpo scultoreo su un viso angelico, tutto ciò che lui non sarebbe mai stato.

<< Dovresti sposarti, se vuoi posso trovarti una moglie >> propose, una, due, cento mogli non si sarebbero mai messe tra lui e George, non l’avrebbe mai permesso, assolutamente.

<< Mi è stato consigliato di attendere, come saprete il matrimonio di mio fratello non sta andando come sperato >> rispose George, blando eufemismo per dire che John Villiers era pazzo da legare e che Frances Cooke probabilmente lo odiava. In quanto principe di Galles Charles Stuart era perfettamente a conoscenza della situazione, ma non era un suo problema.

La madre di Frances, lady Hatton, era stata molto amica della sua defunta madre e proprio per questo non era un suo problema, lady Hatton doveva farsene una ragione, punto.

<< Come desideri, e per me? Sposerò davvero l’Infanta? >> domandò curioso. Era strano pensare di aver ereditato la fidanzata di Henry ma per la pace questo e altro. L’Infanta Marianna in cambio della pace per Elizabeth, non esattamente cavalleresco come avrebbe voluto ma bisognava accontentarsi.

Le avrebbe concesso di praticare il papismo ma i loro figli sarebbero cresciuti nella Vera Fede, almeno il suo erede, perché agli spagnoli non andava bene? Persino ora che George si stava occupando dei negoziati ponevano ostacoli.

<< Se Vostra Altezza reale vuole sposare l’Infanta farò tutto quello che è in mio potere affinché ciò accada >> rispose George con un sorriso e lui gli credette, George poteva mentire a tutti, persino a suo padre, ma non a lui, a lui non avrebbe mai mentito. Davvero credeva che gli piacesse ricevere sulla guancia i baci bavosi di un vecchio sciocco innamorato come una fanciulla?

No, forse un tempo gli era stato affezionato ma ora… ora era solo dovere, ne era sicuro.

<< Certo che lo voglio, e con la conversione? L’Infanta accetterà di convertirsi? >> domandò, gli spagnoli erano tutti papisti ma lui desiderava ardente l’Infanta come moglie. Era stata la promessa sposa di Henry ma ora sarebbe stato lui a sposarla. La mano dell’Infanta per il Palatinato, che grande affare stavano per concludere.

<< Quando vi vedrà si innamorerà subito di voi e accetterà qualsiasi iniziativa vogliate proporle >> lo rassicurò George, come se fosse vero, quella però era adulazione pensò lui.

<< Dovremmo fare come Alessandro ed Efestione fecero dopo la battaglia di Isso. Non farci annunciare, presentarci di fronte a lei e vedere come reagirà la spagnola[7] >> dichiarò cercando di mascherare l’amarezza col sorriso. Se lo avessero fatto realmente Marianna d’Asburgo si sarebbe inchinata di fronte a George, avrebbe scambiato lui per il principe di Galles e come darle torno? George era più bello di lui, più alto, più muscoloso, sembrava un autentico cavaliere errante mentre lui… lui era principe solo perché figlio di re.

<< Se questo è il vostro desiderio, Charles >> rispose George con un sorriso, aveva un sorriso meraviglioso pensò lui, tutto in George era meraviglioso.

<< Io voglio l’Infanta, e l’avrò. E libereremo il Palatinato e salveremo mia sorella >> proclamò lui, non sapeva come ma dovevano sbrigarsi, essere veloci. Sbarcare con i volontari, correre a Praga e salvare Elizabeth, la Boemia e la causa protestante, e allora re Filippo e suo cugino Ferdinando avrebbero capito la santità delle loro azioni.

<< Ci occuperemo di tutto, ma prima devo accompagnarvi al consiglio privato >> propose George prima di cominciare a farlo incamminare.

<< Non parteciperai oggi? >> domandò curioso, George era una presenza fissa al consiglio del re nonché l’unico che lo ascoltasse quando prendeva la parola fingendo di non notare la sua balbuzie, solo quando era con lui e con suo padre il re questa spariva.

<< Se il re chiederà la mia presenza si, io vivo per far felice vostro padre >> rispose George. E sapeva lui come. Li aveva visti spesso insieme, suo padre che baciava George come e quando voleva, George che non protestava quando suo padre gli infilava le mani nelle brache e a sentire gli altri gentlemen of the Bedchamber ogni notte si udivano gemiti, risatine e rumori oltremodo molesti.

E li odiava, mettevano in ridicolo la corona e generavano ogni tipo di pettegolezzo, senza contare come quello fosse peccato mortale, eppure anche lui non riusciva a fare a meno di George… ma non in quella maniera, mai in quella maniera. Non aveva mai capito come ci riuscissero e non voleva saperlo, era peccato e nessuno doveva essere al di sopra della legge, nemmeno i re, i quali però dovevano obbedire alla propria legge ossia la legge divina, che non errava mai.

<< Mio padre il re ti vuole molto bene >> rispose lui cercando di rimanere impassibile mentre pronunciava quelle parole. George scoppiò a ridere nel sentirlo, una risata cristallina che mise in evidenza i suoi denti perfetti.

<< Il re mi ama, e a me piace essere amato >> replicò prima di cominciare a incamminarsi senza aspettarlo.

Gli corse dietro divertito da quella sincerità e come sempre George si fermò ad aspettarlo, era così bello… Henry sarebbe stato come lui, era come se suo fratello fosse tornato a nuova vita per guidarlo.

<< George, noi siamo amici? >> domandò curioso.

<< Migliori amici >> rispose George prima di dargli un bacio sulla bocca. si toccò le labbra meravigliato, tutto quello lo sorprendeva e lui odiava le sorprese, temeva sempre che fossero a suo danno.
Aveva passato l’infanzia a sopportare critiche, delusioni e i crudeli scherzi di Henry e ora… non sarebbe più accaduto, se lo era giurato.
 
***
 
Era andato tutto bene.

Sir Francis[8] lo aveva fermato in un angolo per parlare di una situazione che per una volta non aveva a che fare con la Boemia. Il miglio avvocato del regno, e anche uno dei più corrotti da quando era stato nominato giudice del re, gli aveva comunicato che gli era arrivata l’ennesima petizione da parte del duca di Suffolk in merito alla prigionia della figlia, lady Frances Carr.

Come tutti era a conoscenza dello scandalo creato da lady Frances e da suo marito, il precedente amante di suo padre prima di George, e di come non fossero stati condannati a morte semplicemente perché Robbie Carr una volta succhiava con discreta abilità il cazzo del re, almeno così dicevano le guardie.

Se lo ricordava lui Robbie Carr.

Un accento scozzese marcato, il volto di un angelo e il cuore di un demonio, chi poteva essere così crudele da uccidere il proprio migliore amico per potersi sposare?

Bacon aveva ignorato ogni precedente richiesta di grazia, ma questa qui veniva da un duca imparentato con la famiglia reale ed era doveroso che Sua Maestà ne venisse a conoscenza, fosse solo per rifiutarla ma doveva sapere gli aveva spiegato Bacon.

<< E io cosa c’entro? >> aveva domandato, c’erano persone migliori di lui a cui affidare un simile incarico, e che sicuramente sarebbero state ascoltate da suo padre. Persone come George.

<< Siete il figlio del re e il suo erede, chi se non voi? >> aveva replicato Bacon prima di allontanarsi, seguito come sempre dalla sterminata processione dei suoi segretari, ogni anno se ne sceglieva di più belli aveva notato lui.

E ora era lì, impegnato a cercare le parole per poter conferire con suo padre. Capiva perché Bacon non si fosse rivolto a George, George non aveva alcun interesse nel liberare Robbie Carr e quindi probabilmente avrebbe gettato la petizione nel camino o non ne avrebbe mai parlato a suo padre.

Fece un sospiro profondo e si fece annunciare nelle stanze di suo padre dai soldati di guardia.

Nell’anticamera c’erano Henry Gibb e Robert Carey intenti a giocare alle carte e a fumare, a quanto sembrava i proclami di suo padre contro il tabacco valevano meno della carta su cui venivano stampati pensò lui.

I due nel vederlo si alzarono e si inchinarono prima di guardarsi imbarazzati.

<< Signori, avvisate il re mio padre che devo vederlo >> dichiarò cercando di sembrare autorevole.

<< Sua Maestà al momento è indisposto ma lo avviseremo >> rispose Henry Gibb prima che si udisse un rumore, come se qualcosa avesse sbattuto contro la parete.

<< Sono il principe di Galles e pretendo di parlare con mio padre, ora >> replicò lui cercando di non balbettare e poi il rumore si ripeté accompagnato da risatine, grugniti e gemiti che fecero arrossire i due.

<< Sua Maestà è indisposto, con lui c’è il conte di Buckingham >> disse Robert Carey le cui guance stavano assumendo un colore vicino al rosso scarlatto.

<< Potrebbe esserci anche… Dio in p-p-persona, io voglio p-p-parlare con il r-r-re >> si inalberò lui, e puntualmente ecco la balbuzie che rispuntava, i suoi insegnanti ci avevano lavorato tanto e lui si era impegnato a fondo ma quando era arrabbiato ecco che ricominciava a balbettare, poi si arrabbiava per quello e balbettava ancora di più, un uroboro soleva dire suo padre divertendosi a sfoggiare le sue conoscenze di fronte ai cortigiani che applaudivano ammirati pur non capendo nulla.

<< Come volete, ne rispondete voi >> si arrese Robert Carey, e quella confidenza gli derivava dal fatto di essere il figlio di un bastardo del vecchio re Enrico, altrimenti lo avrebbe fatto punire.
Carey trafficò con la chiave e poi aprì la porta senza però annunciarlo e lui si precipitò dentro salvo bloccarsi di scatto.

Disteso sul letto, le gambe oscenamente aperte, i capelli in disordine e la camicia che aderiva al torace c’era George. E sopra di lui, intento a fotterlo con forza, c’era suo padre.

Re James Stuart teneva aperte le gambe di George mentre si spingeva con forza dentro di lui e gli divorava il volto di baci e i due gemevano, ansimavano e ridevano. Poi suo padre lo vide, e anche George lo vide.

<< Che cazzo ci fai qui maledetto ragazzino? >> urlò il re d’Inghilterra prima di uscire da George con un movimento brutale che fece mordere le labbra a George che velocemente chiuse le gambe e cercò di ricomporsi, e lui si sentì di troppo.

Quello era un momento privato, intimo, illegale e adesso capiva perché Gibb e Carey avessero tentato, male, di farlo desistere, pur sapendo cosa avvenisse in quel letto ogni notte tutti cercavano di non pensarci. Un conto era fare battute scurrili, riderci su e un altro vederlo.

<< Una p-p-petizione… non mia >> mormorò lui abbassando gli occhi pudico, a differenza di George suo padre era completamente nudo. Dunque così due uomini facevano… quelle cose, si trattava di infilare il cazzo… lì, in quella parte del corpo.

<< E dammi qui, fottuto ragazzino, insolente e petulante come la madre >> lo rimproverò suo padre prima di fare cenno a George di passargli una camicia. Lui allungò la mano e solo quando la petizione gli fu strappata dalle mani osò alzare gli occhi.

Suo padre si era seduto sul letto, l’erezione che svettava oscenamente gonfia mentre George gli si era sistemato dietro e lo aveva abbracciato, erano un’immagine stranamente tenera nella sua depravazione gli venne spontaneo pensare.

<< Ancora? La risposta è no, quella testa di cazzo di Suffolk deve ricordarsi che è solo per rispetto che ho nei confronti della sua casata che sua figlia non è stata impiccata come la sua amichetta Mrs Turner >> disse suo padre prima di lasciarsi sfuggire due bestemmie e varie imprecazioni.

<< Daddy[9], forse dovresti pensarci, far uscire almeno la duchessa perché possa vedere la sua bambina >> si intromise George, e lui sentì un brivido lungo la schiena, quella confidenza, quel candore, era troppo per lui.

<< La duchessa è una puttana, una strega e un’avvelenatrice, nessun figlio suo dovrebbe esserle affidato >> fu la risposta di suo padre, e sia lui che George sapevano che al re non importava nulla di Frances Howard duchessa di Somerset. No, suo padre pensava alla propria madre, la regina che aveva mandato a morte e la madre che aveva preferito spaccare il paese pur di seguire il proprio cuore e lo aveva abbandonato. Non ne avevano mai parlato ma conosceva suo padre, o credeva di conoscerlo.

<< Come dici tu, daddy, ma è pur sempre una Howard >> fece notare George e lui cercò di non ridere, George si stava riferendo alla duchessa ma non a suo marito, per lui la soluzione migliore doveva essere sapere Robbie Carr sul patibolo ma non potendolo ottenere si accontentava di saperlo sepolto vivo nella Torre, sua moglie era un danno collaterale.

<< E il duca? Cosa ne pensi di lui? forse ora ha finalmente imparato la lezione >> disse suo padre e vide un lampo di terrore negli occhi di George che subito si ricompose.

<< Fate come desiderate, siete o non siete il re? Io vi amo ma voi non amate, daddy, se volete richiamare quell’uomo a corte >> mormorò George prima di cominciare a far scendere le mani sul corpo di suo padre, meglio di una sgualdrina pensò lui ammirato.

<< Come puoi dire questo, io ti amo >> replicò suo padre prima di baciare George, e lui si voltò pudicamente. I suoi occhi incontrarono quelli di Robert Carey che si limitò a sospirare.

<< Dimostramelo, daddy, dimostramelo >> sussurrò George prima che suo padre lo facesse distendere nuovamente sul letto e lui comprese che i due si erano completamente dimenticati di lui, come accadeva da tutta una vita, c’era sempre qualcosa di più interessante, divertente, migliore di cui occuparsi che non ricordarsi della sua esistenza.

<< Io… io prendo c-c-congedo >> disse prima di arretrare il più velocemente possibile verso la porta, Robert Carey la chiuse appena in tempo, ma non troppo perché il fantasma del gemito estasiato di George sembrò seguirlo.

<< Quante volte--- quante v-v-volte accade? >> domandò prima che Henry Gibb sospirasse.

<< Due, tre volte a notte, tutte le notti. E se Sua Maestà ne ha desiderio anche nel pomeriggio, basta che chiami e il signor conte corre, veloce come una lepre e sensuale come una cagna in calore >> rispose Gibb, lo sguardo sempre fisso contro il muro.

<< Specialmente negli ultimi tempi, Sua Maestà detesta doversi occupare delle faccende boeme, specialmente da quando l’Unione Evangelica ha abbandonato la causa del re >> aggiunse Carey.

<< Ma c’è il conte, lui s-s-saprà cosa f-f-fare, e il -r-r-r-re lo a-a-ascolta >> ribatté lui, aveva sempre saputo che suo padre ascoltava i suggerimenti di George, sicuramente dopo quello che aveva visto avrebbe accettato di tutto, e forse George stava già lavorando in quella maniera ed entro una settimana sarebbero salpati da Dover.

<< Il re ascolta solo sé stesso, e se credete il contrario è perché ha bisogno di un capro espiatorio, qualcuno che si prenda la scusa delle sue pessime iniziative >> spiegò Carey.

George non aveva alcun potere, alcuna possibilità di influenzare suo padre, semplicemente il re glielo faceva credere per poi fare come desiderava. Così il popolo e la nobiltà si sarebbero arrabbiati con George e non con lui, e quando ne avrebbero avuto abbastanza… suo padre era il più grande briccone d’Europa o il più colossale idiota del mondo, non sapeva decidersi.

<< Quando… quando ci s-s-sarò io molte c-c-cose c-c-c-cambieranno >> si limitò a dire.

<< Il più tardi possibile, Altezza Reale >> rispose Gibb e lui annuì, pensare altro sarebbe stato alto tradimento e lui non voleva perdere l’occasione, suo padre era più che capace di estrometterlo a favore di uno dei marmocchi di Elizabeth. Non Elizabeth perché aveva una pessima opinione delle donne ma per i bambini… ne era capace eccome pensò Charles Stuart principe di Galles mentre si allontanava dagli appartamenti privati del sovrano, e cos’era quella sensazione che avvertiva nel bassoventre?

 
Dover, 1660:
 
Era tornato.

La nonna lo aiutò a scendere per poi guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno su cui riversare la sua frustrazione mentre Minette guardava da tutte le parti curiosa, per lei era un ritorno in una terra che ricordava a stento.

Lui invece si ricordava bene dell’Inghilterra, di Londra, e di come lo avessero imprigionato con sua madre solo perché era figlio di re.

Sua madre, erano trascorsi due anni dalla sua morte ma quella ferita faceva ancora male, e vivere con la nonna non aiutava. La regina madre dalla notizia della loro restaurazione era rifiorita ma restava una donna di mezz’età, bassa e brutta nel corpo e nel volto, petulante, vanitosa e bigotta: cosa ci aveva trovato su nonno re Carlo per innamorarsi perdutamente di lei?

La nonna però lo aveva accolto, aveva cercato di convertirlo ma non gli aveva mai negato un tetto e gli aveva procurato degli insegnati, anche se bastardo era pur sempre figlio di re soleva dire. Lei e i suoi fratelli e sorelle erano cresciuti insieme ai bastardi de fu re Enrico e si erano sempre trovati bene, ricordava con affetto i suoi fratellastri Vendome.

E ora era finalmente figlio di un re, sapeva che suo padre si sarebbe dovuto sposare e che si sarebbe dovuto inchinare di fronte a un fratellino ma era disposto a farlo, a lui bastava poco.

La notizia della morte di zio Henry, il duca di Gloucester, li aveva sorpresi prima di salpare da Calais[10] e la nonna era stata inconsolabile, sia per la perdita ma soprattutto per non aver potuto salvare l’anima di zio Henry. Minette, quella zia di appena quattro anni più grande di lui, non aveva detto nulla, aveva versato qualche lacrima e poi essendo di temperamento allegro era tornata a dedicarsi ai preparativi per il viaggio.

<< Sono tornata, e mio figlio non mi manda nemmeno una carrozza >> si lamentò la nonna in un pessimo inglese, pur essendone stata regina per vent’anni l’inglese di sua nonna era orrendo, parole inglesi con pronuncia francese che rendevano tremendo ascoltarla, almeno Minette sapeva come fingere un accento passabile.

<< Madre mia, è inverno, forse ci aspettavano per l’anno che verrà >> intervenne Minette.

<< Potrebbe anche essere ma questa è sgarberia bella e buona, e io conosco il motivo >> dichiarò Henriette Marie de Bourbon, regina madre d’Inghilterra.

Nessuno dei due disse nulla, la notizia delle imminenti nozze del duca di York si era diffusa, e anche il motivo per cui sposava la figlia di lord Edward. Non capiva bene il motivo ma doveva essere grave se la nonna nello scoprirlo si era affrettata a tornare in Inghilterra e a portarli con sé a costo di interrompere le trattative per il matrimonio di Minette.

Wat Montagu[11] che li aveva accompagnati ed era andato ad informarsi li raggiunse. Onestamente James non sapeva cosa pensare di quell’uomo che pure aveva la fiducia incondizionata di sua nonna. Aveva sentito delle voci secondo cui da giovane Wat avesse enormemente peccato e che per questo si fosse fatto frate ma nessuno sembrava disposto a parlare del peccato di cui si era macchiato.

<< Mia signora, la regina di Boemia è al capezzale della principessa reale ma il re vi ha mandato comunque qualcuno per scortarvi fino a Londra >> annunciò l’umo e sua nonna sbiancò.


<< Perché Wat? Perché il Signore mi porta via i miei figli? Prima la mia Elizabeth, così bella e intelligente? Poi il piccolo Henry e ora Mary? In che maniera ho peccato contro di Lui? >> domandò la nonna sebbene fosse evidente che non si aspettasse una risposta.

<< Non interrogate Nostro Signore su queste cose ma ricordate che siete una regina e che finalmente siete dove dovreste essere >> rispose Wat prima che una carrozza si fermasse di fronte a loro. Ne scese un uomo che doveva avere qualche anno più di suo padre e che era bello, non riuscì a pensare ad altro, quell’uomo era bello e lo sapeva. Ciò che lo sorprese fu però la reazione di sua madre e di Wat che lo osservavano come se avessero di fronte uno spettro.

<< È bello come lui ma gli manca quella luce maligna negli occhi, i suoi sono buoni >> disse sua nonna mentre Minette arrossiva.

<< Ogni volta che lo vedo resto senza parole, è come se lui fosse ancora tra noi >> replicò Wat.

<< Secondo voi, Wat, se fosse vivo come sarebbe? >> domandò sua nonna, e ora a chi si riferiva.

<< Sarebbe ancora l’uomo più bello del regno, un maturo signore a cui basterebbe un sorriso per scatenare una tempesta nel cuore di chiunque >> rispose Wat incantato.

<< Gli hai voluto molto bene, nevvero? >>

<< Gli volevo bene perché lui mi voleva bene, esattamente come vostro marito gli voleva bene, e in maniera del tutto diversa >> rispose Wat mentre l’uomo si avvicinava.

<< Charles ha sempre avuto un’alta opinione di lui e sapete quanto mio marito fosse ostinato nei suoi affetti, oggi come sarebbe l’Inghilterra se lui fosse vivo? >>

<< Sarebbe un nugolo di macerie peggiore di quanto già è. Gli volevo bene, lo amavo persino ma non era cieco e lui… non era un mostro ma era incapace di capire come funzionasse e vostro suocero e vostro marito lo amavano troppo per agire contro di lui >> spiegò Wat poco prima che l’uomo si fermasse di fronte a loro e si inchinasse.

<< My lord Buckingham[12], accompagnateci a Londra, esattamente come fece vostro padre oltre trent’anni fa >> dichiarò sua nonna con un sorriso indulgente.

<< Ai vostri ordini, Maestà, ignoravo che conosceste così bene mio padre >> disse l’uomo.

<< È stato la rovina di questa Nazione e la rovina del mio cuore ma mio marito lo teneva in alta stima, ho avuto notizia della morte di vostro fratello e me ne rammarico >> disse sua nonna, ma chi era il padre di costui se sua nonna ne parlava con un misto di amarezza e rammarico?

<< Vi ringrazio, Francis è venuto a mancare durante la guerra ma comprendo perché la notizia non vi sia arrivata prima >> fu la risposta.

<< Non volevo sapere, non volevo sapere niente della vostra famiglia eppure siete capaci di sopravvivere a tutto… tranne ad un colpo di pugnale[13] >> disse sua nonna prima di incamminarsi e far capire che quella conversazione per lei era terminata.

Sorpresi lui e Minette la seguirono fino alla carrozza dove l’uomo li stava già aspettando, Wat Montagu devotamente dietro di loro.

<< E… il bastardo del re? >> domandò l’uomo.

<< Cosa? >> domandò sua nonna.

<< Il ragazzo verrà con noi? >> domandò l’uomo a disagio.

<< Certamente, è mio nipote e mi è stato affidato, e ora Villiers smettete di fare domande stupide, esattamente come il padre che non faceva altro che scempiaggini >> rispose sua nonna prima di fargli
cenno di salire, Minette era già salita e fu Wat Montagu a chiudere il portello della vettura.

Non fece altre domande e sua nonna sembrava non incline a rispondere, poco dopo vide lei, Minette e Wat recitare il rosario e sapeva che lo stavano recitando per Mary, della regina di Boemia a sua nonna non importava affatto, non le era mai importato.

Aveva conosciuto Edward, il figlio papista della regina e gli era sembrato un uomo di qualità, non come suo padre ma comunque eccezionale.

C’erano tante cose di cui avrebbe dovuto parlare con suo padre.

Del nonno che era morto martire, del povero Henry che era tanto buono con lui, di Mary che stava morendo, di sua madre e di cosa ricordasse di lei e se poteva restare in Inghilterra invece di tornare in Francia con la nonna.

La nonna era papista e questo significava che pur dandogli un tetto e da mangiare aveva cercato di convertirlo, come aveva fatto con i suoi figli ma come Henry si era rifiutato.

Non era come Minette che era cresciuta papista, lui non si sarebbe fatto ingannare dalla nonna. Non aveva mai visto la regina di Boemia ma sapeva che era bella, era ancora bella alla sua età a differenza della nonna che era stata sommersa dalle sventure e ne portava le tracce nel viso e nel corpo, la regina di Boemia pur avendo sofferto sembrava esserne uscita più forte o almeno così dicevano coloro che avevano avuto la fortuna di incontrarla.

Quando la carrozza si fermò a Westminster lasciò che fosse la nonna a scendere per prima, e così quella era una residenza reale pensò ammirato. E lui avrebbe vissuto lì, voleva vivere lì, assolutamente.
Non c’era nessuno ad attenderli, nemmeno Parry e sua nonna imprecò in francese mentre Wat Montague e quel tale, Villiers qualcosa, andavano ad informarsi sul da farsi.

<< È freddo qui >> mormorò Minette stringendosi nel mantello.

<< L’Inghilterra è sempre fredda tesoro mio, ma almeno non dovremmo più preoccuparci di nulla >> dichiarò sua nonna prima che Wat tornasse da loro, il saio svolazzante e l’espressione terrorizzata.

<< Ebbene? Perché nessuno ci accoglie? E dov’è mia figlia? >> domandò la nonna, e Wat sospirò prima di portarsi un fazzoletto alla bocca e aspirare.

<< Mia regina la situazione è drastica e la malattia della principessa reale grave >> rispose, gli occhi terrorizzati.

<< Poche ciance wat, cosa affligge mia figlia? >>

<< Vaiolo, lo stesso che ci ha portato via il duca di Gloucester ora vuol prendersi la principessa reale >> rivelò Wat e lui e Minette sbiancarono terrorizzati mentre sua nonna si lasciò cadere a terra.

E poi Henriette Marie de Bourbon, regina madre d’Inghilterra, cominciò ad urlare.
 
***
 
Erano stati preparati degli appartamenti per loro e gli sembrava di vivere in un sogno.

Non aveva mai avuto delle stanze solo per sé, non lui che non aveva nemmeno un cognome pur essendo figlio del re. La nonna si era dimenticata di lui e di Minette per correre al capezzale di Mary seguita a debita distanza da Wat e da Villiers, così loro due erano stati sistemati alla meno peggio. Poi Parry si era fatto vedere e aveva pensato a tutto lui.

Andò alla finestra e rimase abbagliato, quel palazzo era della famiglia reale e in qualche modo anche lui ne faceva parte, lui che fino a due anni fa era nella Torre di Londra ora era il figlio del re.

Sentì qualcuno bussare e corse alla porta, nel vedere Parry gli venne spontaneo abbassare il capo per salutarlo.

<< Non siete obbligato a farlo, Sua maestà vuole vedervi >> si limitò a dire il domestico prima di fargli strada.

Lo seguì devotamente non cessando di ammirare il palazzo, dopo tanto tempo quello poteva essere suo, era ancora un ragazzo ma meritava tutto quello, assolutamente.

<< Mio padre… sa che sono qui? Il re è stato informato? >> domandò curioso.

<< Sua maestà è stato informato, al momento lui e la regina madre stanno litigando >> lo informò Parry.

<< E mia zia, la principessa Mary come sta? >> domandò preoccupato.

<< La vedova dello Stadtholder è in buona salute, il peggio sembra essere passato ed è più forte di suo fratello, che Iddio abbia in gloria il duca di Gloucester >> rispose Parry prima che udissero delle voci.
Stava per aggiungere qualcosa ma l’uomo aprì la porta non prima di essersi portato un fazzoletto alla bocca.

Il duca di York, suo zio James Stuart, era seduto a ragionevole distanza dal letto, zia Minette non sapeva cosa fare, la regina di Boemia continuava a piangere mentre suo padre e sua nonna continuavano ad urlarsi addosso uno più infuriato dell’altro. E lì, sul letto, addormentata, giaceva sua zia Mary, i segni del vaiolo pienamente visibili ma per fortuna in remissione, forse sua zia sarebbe davvero vissuta.

<< Assolutamente no, credevo di essere stato chiaro signora madre! Non tentate questo imbroglio o vi dovrò far allontanare >> urlò suo padre, era davvero alto pensò James ammirato, degno di un re.

<< Lo faccio solo per il suo bene! Per il benessere della sua anima immortale >> replicò la nonna prima di fissare sua figlia.

<< L’anima di mia sorella sta bene, e di certo se tenterete di convertirla non ve lo perdonerebbe mai, e io con lei >> disse suo padre con voce gelida.

<< Sei un figlio snaturato e un peccatore! Come osi parlarmi così? Come pensi di poter salvare tua sorella senza affidarti alla Vera Fede? >> urlò sua nonna.

<< Signora, madre mia, in questo Paese vi ucciderebbero per frasi come queste, ci hanno realmente provato e voi lo sapete >> rispose suo padre… qualcuno aveva tentato di uccidere la nonna?

<< Io avevo, e ho una missione, in questa Nazione. Ne sono stata investita dall’Altissimo e ho fallito solamente perché non ho avuto abbastanza tempo >> replicò subito la nonna, punta nel vivo.

<< No, avete fallito perché eravate l’unica a volerlo, il papismo in questa nazione non avrà mai fortuna >> si intromise zio York.


<< Volere qualcosa e ottenerlo sono due concetti diversi, e io lo so bene, chi non lo sa meglio di me? >> intervenne la regina di Boemia e tutti tacquero. Conosceva gli eventi che avevano portato la regina di Boemia a dover fuggire nelle Province Unite così come quelli riguardanti la morte di suo nonno, nessuno si era mai preso la briga di includerlo in quella conversazione ma sapeva comunque ascoltare.

<< Se posso dire quel che penso stiamo perdendo tempo, dovremmo occuparci di Marie, non di queste assurdità >> dichiarò Minette prima che uno dei dottori fosse abbastanza coraggioso da decidere di conferire con suo padre e la nonna.

Da quel che riuscì a capire zia Mary si stava riprendendo, aveva avuto il vaiolo in forma leggera ma non dovevano disperare, inoltre non c’era nemmeno da preoccuparsi per le cicatrici essendo zia Mary vedova.

<< Se mia sorella volesse sposarsi di nuovo darei più che volentieri il mio consenso, principe o suddito deve essere libera di fare come preferisce >> dichiarò suo padre e lui batté le mani entusiasta, e fu l’unico a farlo.

<< Tua sorella è figlia e sorella di re e non permetterò che sposi un suddito, nessuno di voi sposerà mai un suddito >> dichiarò la nonna.

<< Siete i figli di un martire della Fede e sebbene mio padre avesse dei difetti era pur sempre un re consacrato, il cielo le deve un re, non un suddito >> intervenne sorprendentemente in suo favore la regina di Boemia.

<< Mia sorella è vedova e madre, può sposare chi vuole o non sposarsi affatto e quando si sarà ripresa mi prenderò cura di lei >> chiosò suo padre.

<< A tal proposito, ho dato ordine di avvisare il mio medico, saprà occuparsi di lei[14] >> disse la nonna.

<< Non era necessario ma ormai è tutto finito e una mano in più non farà certo male >> concluse suo padre prima di fargli cenno di seguirlo, dietro di loro la famiglia continuava a battibeccare incurante di zia Mary.

<< Tutto bene? >> disse suo padre dopo averlo abbracciato.

<< Tutto bene, padre… Vostra Maestà >> si corresse lui prima di inchinarsi come gli era stato insegnato quando era in presenza del proprio padre.

<< Sei mio figlio Jemmie, non un lord qualsiasi, non è necessario >> lo riprese suo padre prima di accarezzargli i capelli.

<< Ho avuto notizia che a breve vi sposerete >> disse lui, abbassando gli occhi.

<< Hai saputo bene, stiamo valutando le candidate con il consiglio nella speranza di trovare la migliore >> spiegò suo padre.

<< E poi avrete dei principi da lei >> mormorò lui, avrebbe avuto dei fratelli, fratelli che un giorno avrebbero ereditato la corona al posto suo. Sapeva di avere un fratellino da qualche parte e che sua sorella Mary era figlia di un altro uomo, pur essendo così giovane ne aveva viste tante, esattamente come i suoi zii e suo padre.

<< È mio dovere ma sappi che ti vorrò sempre bene, sei il mio primogenito e ti voglio un mondo di bene, è stata dura vivere con la nonna? >> domandò suo padre prima di dargli un bacio sulla guancia.

<< La regina madre è una donna molto testarda >> rispose lui sperando di non recare offesa alla corona.

<< Testarda, ostinata e vanitosa, figlia di mercanti fino all’osso >> dichiarò suo padre con un ghigno facendo riferimento alla propria nonna, la regina Maria de’Medici che era figlia del granduca di Toscana.

<< È vero che Minette, Henriette Anne, si sposerà a breve? >> domandò lui cambiando discorso.

<< Entro la prossima primavera, e James è già sposato. Quando nascerà mio figlio tu avrai l’incarico di prenderti cura di lui, ricorda che la famiglia è importante e che abbiamo bisogno l’uno dell’altro, la nostra forza è nella famiglia e la mia nel Parlamento e nella memoria corta degli inglesi >> dichiarò suo padre prima di far cenno a Parry di accompagnarlo fuori.

Seguì il domestico in silenzio fino alla stanza che gli era stata assegnata per poi sedersi sulla prima sedia disponibile.

<< Vi verrà assegnato un precettore, una casa rispettabile e vostro padre ha già iniziato le trattative per farvi sposare >> gli comunicò il domestico.

<< Ho dodici anni, e chi vorrà mai sposare il bastardo del re? >> domandò lui curioso, sua madre non si era mai sposata e lui probabilmente sarebbe morto solo, e bastardo.

<< Vostra zia la principessa reale si è sposata ad undici anni. Fidatevi di em quando vi dico che saranno in tanti a volervi come genero quando verrete ufficialmente riconosciuto come figlio bastardo del re. E non dimenticate che Henry Fiotzroy sposò una Howard, vi troveremo una moglie adeguata, cera e inchiostrò rendono presentabile anche un figlio di puttana >> rispose Parry prima di inchinarsi e chiudere la porta.

Era tutto cambiato, non sapeva se in bene o in male ma ora poteva diventare realmente qualcuno. Eppure… sentiva di essere stato derubato, che avrebbe potuto avere di più, che meritava di più.

Avrebbe avuto terre, gioielli e titoli ma si sarebbe dovuto inchinare di fronte a un marmocchio non ancora nato che un giorno avrebbe cinto la corona di suo padre e quella prospettiva per un istante gli apparve intollerabile. Lui era il primogenito del re, lui avrebbe… avrebbe dovuto avere qualcosa. Non il suo fratellino che si trovava chissà dove o quello che ancora doveva nascere ma lui, lui, James.

Era stupido e non poteva cambiare il passato ma era ingiusto che qualcuno dovesse avere quello che spettava a lui, era sicuro di quello.
Si buttò sul letto frustrato, non era giusto, nient’affatto e non se lo meritava ma gliel’avrebbe fatta vedere lui, un giorno avrebbero visto tutti di cosa era capace, oh si.




[1] " Una sirena, sul dorso d'un delfino/ Udii cantar sì dolci melodie/ [...] alcune stelle folli prorompetvano/ Dalle loro sfere, per udir la musica/ della fanciulla del mare", da Sogno di una notte di mezza estate e considerato un riferimento a mary Stuart identificata come una sirena, simbolo a cui erano associate le prostitute
[2] sembra che Philip Herbet avesse degli improvvisi e incontrollabili attacchi di rabbia che però riuscì sempre a nascondere al re, o quantomeno durante il suo "servizio" evitò di colpire il re
[3] la prima opera di Shakespeare rappresentata alla corte di Giacomo I fu effettivamente otello, nella primavera del 1604, opera che piacque moltissimo al re
[4] SPOILER: stanca di aspettare il cugino Arbella Stuart nel 1610 sposò in segreto William Seymour, non finì bene per nessuno dei due
[5] la pietra di Scone, uno dei simboli più importanti della monarchia scozzese, trafugata dagli inglesi nel 1296 e sistemata sotto il trono per le cerimonie dell'incoronazione, dal 1996 è tornata in Scozia salvò fare un piccolo ritorno in Inghilterra per l'incoronazione di Carlo III
[6] Carlo I concesse ad un'unica persona di chiamarlo con il suo nome di battesimo, e quella persona era George Villiers, duca di Buckingham e compagno del padre
[7] Carlo fa riferimento agli eventi successivi la vittoria di Alessandro Magno ad Isso, ossia quando il re si presentò nella tenda reale persiana assieme al compagno Efestione. Subito la regina madre Sisigiambi si genuflesse dinanzi a Efestione scambiandolo per Alessandro il quale chiarì l'errore dichiarando "anche lui è un Alessandro"
[8] Francis Bacon, scrittore, letterato, filosofo, avvocato e dal 1618 lord cancelliere, notò però all'epoca per la rapidità con cui accettava bustarelle e  uno stuolo sterminato di paggi, segretari e stallieri
[9] George Villiers chiamava realmente re Giacomo "daddy" in pubblico, e quindi probabilmente anche in privato. Giacomo si riferiva a lui come "my babe and wife" e George ricambiava con "my deddy and husband", venen fatto duca solo nel 1623, fino ad allora era conte du Buckingham, avendo ricevuto l'upgrade da marchese proprio nel 1618
[10] in realtà henriette era presente al capezzale di Henry, o quantomeno era arrivata in tempo per il funerale dato che fu una malattia molto veloce, di sicuro era presente al funerale
[11] Wat Montagu cominciò la sua carriera nel 1624 quando ad appena 22 anni finì nel letto di George Villiers che ne fece il suo amante. Alla mrote dell'amante passò al servizio di Enrichetta Maria come mercante d'arte e nel 1632 andò a Roma per trattare alcuni acquisti per la regina. Rimase così colpito da Roma e dal cattolicesimo che non solo si convertì ma prese i voti come frate, dal 1645 in poi fu uno degli uomini di fiducia della regina
[12] George Villiers II, duca di Buckingham, figlio ed erede del padre, bello come lui ma meno fortunato in politica
[13] George Villiers fu assassinato il 28 agosto 1628 a Portsmouth da John Felton, fanatico puritano e reduce di guerra, il motivo non riguardava affatto al vita privata del duca ma la sua incapacità come generale
[14] Mary Henriette aveva superato discretamente bene la malattia, poi sua madre mandò a chiamare il proprio medico, fanatico dei salassi... e andò malissimo

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