Il successo è una conseguenza, non un obiettivo

di musa07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il successo è una conseguenza, non un obiettivo ***
Capitolo 2: *** Posizione corretta, centro assicurato ***
Capitolo 3: *** Non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele ***
Capitolo 4: *** Le vette non si raggiungono se non c’è una buona cordata ***



Capitolo 1
*** Il successo è una conseguenza, non un obiettivo ***


 

Ciaossu!
Facendo il rewatch di Tsurune
dopo anni dalla prima visione
sono caduta in un baratro senza fine ahahah
mi ha troppo preso
e quindi eccomi qua ad infestare
anche questo fandom.

I titoli sono la mia Nemesi,
veramente tra un po' inizierò
a mettere numeri e lettere a caso.

Ah, già! Come al solito
non escludo che il rating cambierà in corso d’opera.

Enjoy

 

 

 

Il successo è una conseguenza, non un obiettivo

 

 

Prologo

 

Shuu sentiva lo sguardo di Seiya su di sé. Sempre!
E sinceramente non capiva perché Seiya pensasse di dover proteggere Minato da lui.
Ma in quel momento quello che sentiva su di sé era lo sguardo di Minato.

 

A Minato erano sempre piaciute le mani di Shuu.
Le sue dita lunghe ed affusolate.
Era un piacere vedere con quale grazia quelle dita passassero dallo sfiorare la corda dell’arco all’accarezzare la cocca della freccia, il tutto in modo armonioso, che ti incantava. Ma, d’altra parte, era un piacere guardare Shuu tirare con l’arco punto. Aveva una forma, una apertura, che il termine “perfetto” non gli rendeva giustizia. Perché Shuu era grazia, armonia, equilibrio, eleganza, ti emozionava non solo nel momento in cui tirava ma anche in ogni singola forma di preparazione al tiro.
Benedetto dagli dei in ogni cosa, aveva sfruttato il più possibile tale dono, mettendo la regalità, la fluidità dei movimenti, quella armoniosità che gli veniva naturale da dentro al servizio del kyudo, non risparmiando tuttavia nessuno sforzo per migliorarsi sempre di più. Ancora e ancora. Affinando tiro dopo tiro la sua tecnica, la sua maestria. Con la pratica e l’esercitazione, la dedizione e la devozione che gli erano proprie di natura.

L’appellativo di Principe non gli era stato dato a caso e né con cattiveria o invidia alcuna e ben si rispecchiava in ogni suo aspetto, che fosse questo fisico o caratteriale. Perché c’era una regalità nei gesti, nei modi – di sorridere, di guardare, di parlare – che ben rispecchiavano questo appellativo. Anche quando doveva dire qualcosa di spiacevole – sì, perché Shuu non aveva peli sulla lingua, quello che doveva dire, lo diceva - lo faceva in un modo squisito ed aggraziato.
Quando era circondato dagli altri, questi rimanevano travolti, non solo ammaliati, dalla sua presenza.

Era a causa di tutte queste caratteristiche che Minato si era non poco meravigliato quando, rivedendolo dopo tutti quei mesi, Shuu gli aveva detto che aveva bisogno di lui. Serio? Fujiwara Shuu, che era nato per tirare con l’arco e onorare le divinità del kyudo, aveva bisogno di lui? In che senso?
Di certo non erano quelle le parole che Minato si sarebbe aspettato dopo mesi che non si vedevano e non si sentivano. Dopo mesi di silenzio...
Mesi di silenzio imputabili solo ed esclusivamente a se stesso. Sì, perché Minato si era sentito in colpa, in quella maledetta finale del Torneo della prefettura, nei confronti di tutti e due. Di Seiya e di Shuu. Solo che con Seiya aveva avuto modo di confrontarsi, con Shuu non ne aveva mai avuto il coraggio. Ma non perché temeva che questi lo avrebbe accusato di chissà cosa, conosceva Shuu, mai parola cattiva usciva dalle sua labbra anche quando doveva dire la verità, ma perché Minato temeva di averlo deluso. Affrontare quegli occhi di quel viola incredibile, specchiarsi in essi, lo metteva in qualche modo a disagio. Ma non perché temeva di vederci compassione e pietà – non era da Shuu un atteggiamento così meschino – ma perché sapeva di essere scappato. Non solo dalle sue paure ma anche dal kyudo. E da Shuu…
Shuu che, invece, era rimasto lì ad aspettarlo. E in quel benedetto e fatidico incontro Shuu – senza recriminazione alcuna in quel volto perfetto ma anzi: piegando appena le labbra in quel modo che, in chi aveva la fortuna di assistere a quel momento idilliaco (e di solito era rivolto proprio a Minato) era come sentire il fruscio del battito di ali degli angeli – gli aveva semplicemente detto che lo stava aspettando.

Aveva temuto quell’incontro, Minato? Sì! Perché temeva di aver irrimediabilmente rovinato il suo rapporto con Shuu, qualunque cosa volesse significare il loro rapporto. E solo ed esclusivamente per causa sua, per il muro di parole non dette che aveva tirato su. Se con Seiya quel muro non l’aveva elevato era stato sia per la caparbietà di Seiya a non mollarlo nemmeno per un istante, sia per il semplice fatto che Seiya gli abitava di fronte quindi anche volendo non poteva evitarlo, nemmeno murandosi vivo in casa. Sapeva che Seiya non provava compassione o pietà nei suoi confronti perché anche Seiya – pur nei suoi modi garbati – non era uno che ti nascondeva le cose o te le mandava a dire.
 

Si poteva forse dire che Shuu ce l’avesse con Minato? Shuu non era una persona meschina, che cadeva vittima di sentimenti meschini che magari colpivano i più, ma quando Minato aveva scelto un liceo diverso dallo Kirisaki e senza dire una parola, una parte di Shuu era morta dentro. Si era sentito perso. Si era sentito abbandonato. Una parte di lui, dentro di sé, era morta.
Finché ti guarderò le spalle, non perderò mai…
Si era sentito così meschino quando aveva realizzato questi suoi pensieri, questi suoi sentimenti. Ne avrebbe parlato con Minato quando sarebbe venuto il momento giusto. Ora, per lui, era importante averlo ritrovato. Poter gareggiare nuovamente con lui, anche se da avversari. Minato era la ragione per la quale voleva rendere il suo già perfetto modo di giocare ancora più perfetto.

 

Seiya si sentiva in dovere di proteggere Minato? Sì, indubbiamente sì.
Perché? Ecco, questo non lo sapeva, non sapeva dare una risposta, e l’avrebbe aiutato a trovarla la persona più impensata.
Era stato iperprotettivo con Minato anche quando Kaito all’inizio gli lanciava frecciatine. Ma Kaito era il classico can che abbaia non morde o, per dirla, con Nanao uno tsundere fatto e finito. Ma Shuu… ecco, Shuu, parliamone. Quando alle scuole medie gareggiavano tutti e tre insieme – ed erano una triade perfetta – a volte aveva avuto l’impressione che gli fosse impossibile penetrare nel legame che c’era tra Shuu e Minato. Un legame che si era formato proprio grazie al kyudo e al quale lui si era insinuato dentro a forza.
E se le ricordava ancora perfettamente le parole che gli aveva detto Shuu.
Semplicemente perché tu non ami il tiro con l’arco.”
Maledetto Principe! Lui e i suoi modi garbati di dirti anche le cose spiacevoli, quelle verità scomode che di certo uno non si voleva mai sentir dire. Soprattutto dal figlio degli dei. Soprattutto da uno che aveva avuto un rapporto così esclusivo con Minato.
Ok, ok: forse poteva essere che avesse iniziato a praticar il kyudo per avvicinarsi un altro po' a Minato – e per vedere chi fosse questo “ragazzo perfettissimo, bravissimo” che sembrava “un dio sceso in terra” del quale Minato gli parlava sempre e con sempre maggior, ahy-ahy, entusiasmo e foga – ma poi alla fine se ne era veramente appassionato. Vabbé, lui era così: se iniziava qualcosa, vedeva di farla nei migliore del modi. Ed ecco perché, anche al Liceo, era stato eletto rappresentate studentesco.
Era geloso di Shuu? Aveva forse motivo di dover essere geloso di Shuu? Forse sì...

 

Ci sarebbe stato il tempo delle risposte. Ora c’era il tempo del dover recuperare quello perduto.
Ecco perché in quel tardo pomeriggio di metà Giugno, quando Minato e Shuu avevano passato la giornata insieme a casa della loro sensei*, Minato stava correndo a perdifiato sulle scale della stazione deserta.
- Shuu? -
L’urgenza con la quale Minato l’aveva richiamato fece bloccare Shuu di colpo, con il cuore in gola. Sollevò gli occhi verso l’alto da dove vide spuntare il volto dell’altro, con il fiatone.
- Shuu vuoi mangiare takoyaki? -
- E-eh? -
Minato aveva voglia di passare ancora del tempo con Shuu. Ora sentiva come quei mesi di silenzio, distanti, gli fossero parsi come se si fosse trattata di una eternità. Aveva sempre impedito a se stesso di pensare alla terribile sensazione che gli procurava la lontananza da Shuu. O meglio, l’aveva sentita ma imputava quel crogiolo di sensazioni angoscianti, pesanti, che a volte gli mozzavano il respiro in gola, a tutta una serie di cose dovute al suo hayake, al suo abbandonare il kyudo. E pensare a Shuu era doppiamente doloroso. Ed ora… ora voleva in qualche modo recuperare il tempo perduto. Recuperare il suo rapporto con Shuu, che per fortuna non era andato perduto come aveva temuto.
Quel pomeriggio, quando avevano giocato con Souta alla gara di Sumo e lui e il piccolo nipote della sensei si erano coalizzati contro Shuu, Minato avrebbe voluto che quei momenti durassero e si ripetessero all’infinito. Sentire la risata di Shuu, vedere come si impegnasse anche in quel momento, sentire le sue mani su di sé…
Oppure come sulla via del ritorno – poco prima – quando avevano parlato del suo hayake, quando Shuu si era addormentato sulla sua spalla, il calore del suo corpo addoso al suo, il profilo perfetto di Shuu addormentato riflesso sul finestrino dell’autobus. Avrebbe voluto restare con Shuu all’infinito.
Ecco perché, sulla banchina della stazione, quando le loro strade si sarebbero dovute dividere Minato aveva esitato, cercando velocemente una scusa per trattenere Shuu ancora per un po'. E poi, eccola, l’illuminazione. Takoyaki. Shuu ne andava matto, se lo ricordava perfettamente.
Ok, si sentiva patetico per aver trovato una scusa del genere? Per aver cercato di irretirlo con del cibo? Abbastanza, sì… Infatti si guardava nervosamente la punta delle scarpe, torturandosi le mani dietro alla schiena. E il silenzio di Shuu, il suo non avergli ancora risposto, gli faceva sospettare sempre di più che la sua fosse stata una proposta ridicola. Patetica. Ma non voleva demordere.
- È un po'… no, è sicuramente una grande deviazione ma fermati a casa mia. -
Cazzooo! Cioè, ma dov’era il punto interrogativo in quella frase? Minato dentro di sé riprodusse l’urlo di Munch. Come gli doveva esser parso dispotico. E patetico! Gli ricordò una vocina dentro di sé.
Fece per aggiungere qualcos’altro, giusto per non apparire così sfacciato ma quando, finalmente, sollevò il volto e i suoi occhi impattarono con quelli di Shuu e vi lesse in essi dell’autentica felicità e sorpresa, tirò il fiato.
- Lo vuoi veramente? - gli chiese Shuu, sempre così nobile e cortese nei modi.
E Minato non poté che assentire.
- Chiamo anche Seiya. -
Minato lo aveva detto per cortesia, perché in qualche modo Shuu non si sentisse a disagio ad essere loro due da soli. (A proposito, perché Shuu si sarebbe dovuto sentir a disagio ad esser loro due da soli? Si chiese Minato perplesso. Non c’era motivo per sentirsi a disagio ad esser loro due da soli, dato che suo padre sarebbe stato fuori per lavoro quella notte. Non c’era proprio niente per cui sentirsi a disagio, no? Erano solo due amici che avrebbero passato del tempo da soli a casa sua. Da soli… Minato, cazzo ma che hai? Perché ti vengono questi pensieri? Un sacco di volte tu e Seiya avete passato la serata da te quando papà non c’era, non sarà molto diverso con Shuu. Credo…)
Ed era così perso in queste elucubrazioni mentali che non vide il lampo omicida passare negli occhi di Shuu.
- Non serve che chiami Seiya. - proferì questi, mantenendo il sorriso serafico nel volto ma, ad uno sguardo più minuzioso, si sarebbe potuto vedere che la venetta sulla tempia sinistra aveva pulsato minacciosa per un attimo. Shuu non voleva avere Seiya, e i suoi sicuri tentavi di eliminarlo fisicamente, tra i piedi. Voleva passare del tempo da solo con Minato e la proposta di quest’ultimo gli era parsa come un dono alle sue richieste agli dei. Già gli sembrava di esser stato graziato ad averci passato tutto il pomeriggio insieme a casa della sensei e anche durante il viaggio di ritorno ed ora quella richiesta inaspettata gli pareva un vero e proprio miracolo. E figurarsi se quel miracolo lo avrebbe condiviso con Seiya! Si sentiva meschino? Sì! E tanto anche. E inoltre non era da lui essere così egoista ma davvero voleva passare dell’ulteriore tempo con Minato, creare degli altri ricordi, che fossero solo di loro due. E si giustificò con se stesso dicendosi che Seiya aveva avuto Minato solo per sé per tutti quei mesi e anche ora, che loro tre erano in due licei diversi.
Aveva qualcosa da temere da parte di Seiya? Ancora non capiva quanto.

Minato aveva spalancato gli occhi, sorpreso, per poi piegare le labbra in un sorriso a suo volta, vedendolo scoppiar a ridere.
- Avrei meno takoyaki se tu chiamassi anche Seiya. - tentò di giustificarsi, sentendosi ancora di più una emerita merda. Aveva sempre avuto il grande pregio di dire le cose come stavano, anche i suoi sentimenti e le sue sensazioni, quindi figurarsi dover mentire in quel modo, arrampicandosi sugli specchi, per aver in qualche modo salva la faccia. Ma, d’altra parte, cosa poteva dirgli? “Non voglio nessuno tra i piedi perché voglio restare da solo con te”? Sarebbe suonato molto ambiguo. Come lo era in effetti.
Ma Minato non parve scomporsi, perché scoppiò a ridere a sua volta.
- Quanto hai intenzione di mangiarne? - gli chiese questi.
- E tu, quanto pensi di cucinare? - rispose, con una punta di malizia, muovendo un passo verso di lui.
- Fino a quando non mi dirai che ne avrai abbastanza. -
Ok, Shuu dovette istruirsi a non pensare che quelle parole suonassero come una sorta di dichiarazione, anche se ciò non gli aveva impedito di sgranare per un istante gli occhi, sentendo i propri battiti aumentare.
- Bene, allora non te lo dirò fino a quando la mia vita non sarà esaurita. -
E, sì: la sua non è che suonasse come una dichiarazione d’amore, lo era! Minato l’aveva colta? Non lo poteva sapere, ma per renderla ancora più chiara Shuu mosse quell’ulteriore passo verso di lui e l’altro non si mosse. Neppure quando le sue dita affusolate si intrufolarono lievi tra i suoi capelli, soffermandosi quell’attimo in più ad accarezzargli la fronte, non staccandogli gli occhi di dosso.

A Minato piacevano le mani di Shuu. E in quel particolare momento, in quella banchina deserta, gli avevano procurato dei brividi pazzeschi che si erano sprigionati da dentro le viscere più profonde per poi irradiarsi per tutto il corpo.
Stessi identici brividi che aveva provato qualche settimana prima quando, al loro fatidico incontro, Shuu gliele aveva poggiate delicatamente sulla ferita sul fianco sinistro. E lui non permetteva mai a nessuno di farlo. Troppi ricordi. Troppo dolore… Ma le dita di Shuu si erano posate lievi, quasi lenitive, come un balsamo. Per non parlare della sua voce da brivido che, anche questa, si era posata lieve su di lui, in un sussurro, ad assicurarsi sulle condizioni proprio di quella ferita.
Tutto in Shuu aveva sempre avuto su di lui un effetto destabilizzante. Perché Shuu quando ti guardava, ti parlava, quando tirava con l’arco, si posava su di te in modo leggiadro ma che al contempo ti sconvolgeva fin nelle viscere più profonde del tuo essere. Penetrava in te senza che tu potessi far nulla per opporti

Si sentiva, Minato, attratto da Shuu? Beh, chi non lo era? Era impossibile opporsi a Shuu, era come cercare di opporsi alla marea.
Gli bastava questa come risposta?
Forse era proprio arrivato il momento di capirsi meglio.

 

Continua…

 

 

 

*Nota tecnica seria (come ogni volta mi faccio ridere da sola):

nel primo capitolo della seconda novel viene narrato di Shuu e Minato che si ritrovano a casa della loro sensei, così come ci viene raccontato il fatto che Minato chieda a Shuu di fermarsi da lui per mangiare i takoyaki e quando Minato manifesta l’intenzione di chiamare anche Seiya, Shuu gli dice di non farlo. Ora, ditemi voi se qua gatta non ci cova…

Figurasi quindi se non coglievo al balzo questa situazione strasucculenta, immaginandomi i pensieri e le sensazioni l’uno dell’altro MUAHUAHHAUUAHUUUU
Nel prossimo capitolo, quindi, fantasticherò su come sarà andata questa benedetta serata *inserire fluffy e pervy face *

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Capitolo 2
*** Posizione corretta, centro assicurato ***


Grazie a chiunque si stia apprestando
a leggere questo secondo capitolo.
 
Enjoy
 
Ah! Stavo per dimenticare una cosa importantissima!
Incredibilmente questa volta ho trovato
il titolo alla stesura di metà capitolo
quindi non ci ho messo le vere ore come al solito.
(Alla faccia della cosa seria!ndKacchan
Ma ti ho sentito!ndClau)
 
 
 
Posizione corretta, centro assicurato
 
 
 
 
Capitolo 1
 
 
Le cose non programmate, quelle non pianificate, sono quelle che indubbiamente ci stupiscono di più. E che apprezziamo e godiamo di più. Fosse solo per il fatto che, proprio perché ci arrivano inaspettatamente, non abbiamo avuto modo di crearci aspettative ma le assaporiamo istante per istante.
 
Come il fermarsi a fare la spesa sulla via verso casa.
- Non so se ho polipo a sufficienza. - si era giustificato, quasi in imbarazzo, Minato, accarezzandosi la nuca – Spero che andar a far la spesa non ti sembri una cosa troppo da plebei. -
E Shuu era scoppiato a ridere, per nulla risentito. Sapeva che non c’era nessuna piccata in quelle parole.
- Guarda che vado anch’io al supermercato, eh. - aveva ridacchiato, nel momento in cui erano usciti dalla stazione e aveva avvisato i suoi che non sarebbe rientrato per cena. 
- Scusami. Ma tu sembri sempre così etereo, ho sempre l’impressione che tu non faccia le cose che facciamo noi comuni mortali. -
- Che pessima opinione che hai di me, Minato. - la risata cristallina proseguì, dandogli una piccola spintarella con la spalla, per niente offeso. Dopo che quel pomeriggio, durante l’incontro di sumo, si era permesso di allungare le mani su di lui e fargli il solletico – e Minato non si era negato, o peggio: irrigidito – ora Shuu sentiva di potersi permettere di sfiorarlo, senza essere troppo invadente. Ah, già! Quasi dimenticava che, qualche settimana prima, quando si erano rivisti per la prima volta dopo mesi, lui aveva ben pensato di posargli una mano all’altezza della cicatrice e mormorargli all’orecchio. E sopravvivere  da poterlo raccontar solo perché Seiya in quel momento stava dando loro le spalle.
A sua difesa poteva dire che davvero non c’era stato nessun intento malvagio, veramente era preoccupato per le condizioni fisiche, ed emotive, di Minato. Oltretutto lui non era uno avezzo facilmente al contatto fisico. Non che il contatto fisico gli desse fastidio ma semplicemente non era una sua caratteristica, non era uno da baci e abbracci quando incontrava qualcuno; erano poche le persone verso le quali sentiva il bisogno di aver un contatto fisico che avrebbe suggellato maggiormanete il rapporto con questa persona. 
Il desiderio, quindi, di sfiorare Minato era stato il primo campanello che gli era risuonato in testa, tempo addietro, e che gli aveva fatto capire che per quel ragazzo non è che provasse solo una forte simpatia – espressa comunque sempre nei suoi modi  discreti e mai invadenti. Puntando sul fatto che Minato sapeva perfettamente che lui non era uno portato alla fisicità, Shuu sperava di lanciargli dei segnali eloquenti. Non voleva traumatizzarlo dicendogli direttamente che provava un interesse nei suoi confronti ma voleva farglielo capire un po' alla volta. E capire a sua volta se avesse qualche speranza o meno con lui. Non era uno, per carattere, che si lanciava contro un treno in corsa, anzi: andava con i piedi di piombo. Non che fosse un codardo, sia chiaro, ma neanche voleva suicidarsi in quel modo. Oltretutto doveva capire se tra Minato e Seiya c’era qualcosa, giusto perché – se tra i due c’era già qualcosa – mai si sarebbe messo in mezzo. Non sarebbe mai stato così meschino e miserabile. La sua nobiltà d’animo si rifletteva anche nel suo modo di essere, non solo nel tiro con l’arco.
- E-eh? - tartagliò Minato – M-ma guarda che sarebbe un complimento, eh! Tu quasi non sembri appartenere a questo mondo. È un po' come la prima impressione che ho avuto di Masa-san. -
E Shuu non fece a tempo a crogiolarsi nel complimento ricevuto perché quel nome, il tono usato da Minato, come avesse sorriso appena, come gli si fossero inconsciamente colorate le guance, gli fecero assottigliare per un istante gli occhi.
- Ah! - e quell’unica sillaba e il modo e il tono in cui la pronunciò valse più di mille parole espresse – Il vostro giovane allenatore… -
Shuu non era abituato a provare sentimenti che lui reputava meschini – quali l’invidia, la gelosia, il fastidio – ma quando c’era di mezzo Minato era ovviamente tutto un altro discorso. Mentalmente Shuu annotò il nome di Takigawa Masaki nella sua personale, quanto vuota, lista nera.
- Shuu tutto ok? - chiese Minato perplesso quando arrivarono infine davanti al kombini vicino casa sua vedendo una strana luce attraversargli gli occhi.
- Hum? Sì sì. - e rieccolo il solito sorriso, alla Shuu, come lo definiva Minato. Minato ogni volta si chiedeva quante vittime mietesse quel sorriso anche se, al contempo, sapeva perfettamente come Shuu non provasse nessun tipo di superbia o vanità in questa cosa, nell’attirare sguardi per il suo aspetto esteriore. Sapeva che Shuu si chiedeva che merito ci fosse nell’ottenere ammirazione per qualcosa che non si era guadagnato con la disciplina e il sudore della fronte.
 
Iniziarono a girovagare tra le corsie del supermercato pressoché deserto, vista l’ora particolare. Ancora troppo presto per gli impiegati che rientravano a casa dal lavoro, ormai troppo tardi per accaparrarsi le offerte migliori della giornata. Ma Minato, dalla sua, aveva un fiuto particolare per scovare i pezzi e le offerte migliori e girava tra le corsie con sicurezza e arguzia, dato che occuparsi della spesa era una cosa che a livello di gestione famigliare spettava a lui. 
Shuu lo osservava destreggiarsi tra le corsie, soppesando la diversa qualità dei prodotti che prendeva e sentì per un istante stringersi il cuore in una morsa, a pensare che quell’abilità gli era derivata dal fatto che avesse perso la mamma quando ero piccolissimo. Si chiese a quale dolore lacerante avesse dovuto sopravvivere, e al quale dovesse sopravvivere ancora adesso. Ripensò a quando era venuta a mancare sua nonna, che l’aveva praticamente cresciuto, e riflettè di dover centuplicare quel dolore per arrivare a quello che aveva provato, e che di sicuro stava ancora provando, Minato.
Era così perso in questi tristi pensieri che non si sentì subito chiamare.
- Shuu? - l’ennesimo richiamo da parte di Minato andò infine a segno.
- Sì? - si era destato dai suoi pensieri, con due buste di verdure tra le mani, cercando di capire quale fosse la migliore, non si poteva dire che Fujiwara Shuu non fosse uno che non si applicava.
- Sono felice. - disse semplicemente Minato, con un sorriso genuino. Quel sorriso che gli faceva formare una fossetta sulla guancia sinistra.
- C-come…? - tartagliò Shuu, interdetto, con ancora le due buste in mano.
- Perché non è cambiato niente tra di noi. È come se non ci fossimo mai persi.- spiegò, prendendogli la busta che aveva sulla sinistra e mettendola nel cestino.
Shuu sbatté per un attimo gli occhi. Non se l’aspettava di certo una cosa del genere. Perché anche Minato era uno che, nonostante non avesse problemi a stare in mezzo agli altri, faceva sempre un po' di fatica ad esprimere ciò gli si agitava dentro, i suoi sentimenti, sopratutto dopo la morte di sua madre. Per non essere in qualche modo di peso agli altri ma, d’altra parte, solo qualche settimana prima aveva detto a Seiya che si sarebbe sforzato un po' di più, di esprimere ciò che gli si agitava dentro. E questo suo pensiero lo aveva formulato proprio in vista dell’incontro con Shuu. 
- Ma noi non ci siamo mai persi. Io ti avrei aspettato, lo sai. Te l’ho detto. - mormorò appena Shuu, ricambiando il sorriso.
 
 
Dalla sua non si poteva dire che Shuu non si applicasse – e imparasse in fretta – ma con l’abilità e la maestria di Minato in cucina non c’era storia.
Per Shuu era veramente affascinante star lì a guardarlo mentre si destreggiava tra i fornelli con una naturalezza pazzesca, impartendogli ordini e comandi che lui cercava di portare a termine nel migliore dei modi.
E più di qualche volta Minato si era trovato rapito a fissare il profilo perfetto dell’altro, di come – nell’atto della concentrazione e dell’attenzione richiesta – assottigliasse appena gli occhi color ametista. 
E fu proprio in uno di questi momenti che Minato si distrasse da quello che stava facendo. Forse l’aveva fissato con più insistenza, forse si era lasciato scappare anche qualche suono dalle labbra, fatto sta che Shuu – impegnato nella delicata operazione di affettamento carote. E lo stava facendo con  precisione chirurgica – sollevò e spostò gli occhi sui suoi e Minato schiuse le labbra per cercare di giustificarsi in qualche modo, cercando di salvare il salvabile, ma non uscì parola alcuna dalla sua bocca. 
Rimasero lì, in silenzio, a fissarsi, con il solo suono delle cicale a frinire fuori in giardino come colonna sonora di quell’istante. 
- Sì…? - si azzardò a chiedere Shuu, schiudendo le labbra per prendere fiato in qualche modo.
Forse era vero che non aveva mai conosciuto l’amore ma quello che sentiva di provar per Minato di sicuro ci andava molto vicino. E con tutte le sue conseguenze, tipo sentire il cuore iniziare ad accelerare e lo stomaco aggrovigliarsi, così come quel bisogno irrefrenabile di allungare una mano verso il volto dell’altro… Essendo devoto al kyudo fin da piccolo, aveva fatto proprio lo zen del tiro con l’arco ma in quel momento con Minato di fronte a lui (molto di fronte a lui!) la compostezza, la calma, il restare rilassatamente concentrato erano veramente difficili da mantenere. Per non parlare di quando vide le dita di Minato avvicinarsi al suo volto. Di nuovo schiuse le labbra, forse per riprendere quell’aria che gli stava iniziando a mancare.
Se successivamente glielo avessero chiesto Minato davvero non sarebbe riuscito a dare una risposta del perché in quell’istante allungò le dita verso il volto perfetto di Shuu, se non che avesse sentito il desiderio di volerlo sfiorare.
Sarà stata la situazione - loro due da soli, in casa sua, a far una attività che lo rilassava tantissimo come il cucinare – sarà stato il fatto che avessero passato tutto il giorno insieme o forse… 
Forse perché era strano vedere, vivere, Shuu senza un arco in mano. E non solo perché l’arco era come un prolungamento naturale del suo corpo, ma perché tutto in Shuu – sia nella sua fisicità, sia dal punto di vista caratteriale – gridava prepotentemente che il suo posto, nel mondo, era di essere immerso in un dojo, immerso in una così antica e nobile disciplina come lo era il kyudo.
Era lì che Minato l’aveva incontrato per la prima volta. Ed era lì che lo aveva ritrovato.
Vivere Shuu al di fuori del dojo, al di fuori del suo elemento naturale, come un qualsiasi altro liceale della loro età, era… particolare. Diverso. Bello... Sì, era bello – e piacevole – condividere con lui una situazione così intima e famigliare.
E Shuu poteva dire che amava il fatto che Minato, fin dalla prima volta in cui si erano incontrati quando erano ancora due bambini, lo avesse sempre trattato in modo normale. Gli altri - soprattuto i suoi coetanei, i suoi compagni di scuola - tra il fatto di essere in parte straniero (e che questa cosa trapelasse spudoratamente nei suoi tratti somatici), tra il suo modo naturalmente regale di muoversi, di parlare, di essere, lo trattavano con riverenza quasi, ammaliati dalla sua persona. Per non parlare di quando, con il tempo, era subentrata la sua bravura del kyudo.
Shuu ammirava la naturale spontaneità e la genuinità di Minato, era rimasto affascinato dalla sua dedizione e dalla sua caparbietà ma al contempo anche dalla sua freschezza nell’imparare la nobile arte del kyudo, era una cosa che, fin da bambino, lo aveva stimolato a ricercare ancora di più la perfezione.
Ed ora… Ora erano lì, ad un soffio l’uno dall’altro. 
Quante volte anche Minato era rimasto rapito, e tuttora succedeva, dall’osservare Shuu tirare? Ogni singolo frammento gli era impresso nella memoria ed ora aveva Shuu nella sua cucina mentre stava tagliando le carote per il riso al curry impegnandosi con una serietà comica ed era… semplicemente bellissimo. 
Come quel volto sul quale le sue dita si posarono infine lievi, sfiorandogli una guancia mentre Shuu lo osservava stranito ma senza cacciarlo, trattenendo il fiato.
La punta delle dita scivolò lungo la guancia fino ad intercettare un ciuffo di capelli che solleticava la punta del naso di Shuu. Sempre con delicatezza e seguendo con gli occhi verdi il movimento delle proprio dita, quasi che non fossero sue, fece scivolare quella ciocca dietro l’orecchio, attardandosi quell’attimo in più prima di abbandonare il volto dell’altro, deglutendo a vuoto.
- Scusami… - non trovò niente di meglio da dire, sussurrando.
- È ok, non ti devi scusare. - ribatté Shuu scuotendo leggermente la testa, come a dire che non doveva preoccuparsi, per poi richiamarlo quasi avesse avuto paura che quel momento in qualche modo magico, ed intimo, svanisse.
– Minato? -
- Sì? - riportò gli occhi sui suoi, con il cuore in gola. Che incredibili sensazioni e scombussolamenti gli procurava Fujiwara Shuu.
Fu ora il turno di quest’ultimo di deglutire a fatica, serrando le mani. Doveva dirglielo? Tipo ora? Quello che provava per lui? Temeva che qualcuno (Tipo Seiya. Così, a caso proprio) lo avrebbe anticipato e non voleva perdere quell’occasione. Ma per lui, che era uno posato e serafico, era così difficile farsi guidare dal mero impulso del momento. Per non parlare del fatto che era così destabilizzante per lui provare quel turbinio pazzesco di emozioni mai provate prima. E poi si era detto di non volerlo traumatizzare ma di farglielo capire un po' alla volta.
- Niente. - scosse nuovamente la testa, sorridendo lieve e ritornando a dedicarsi alle carote. Non accorgendosi dello sguardo basito con il quale Minato stava continuando a fissarlo mentre si occupava di sciogliere il dado al curry in una pentola di acqua bollente.
A Minato era parso che Shuu dovesse dirgli qualcosa di importante e conoscendo quanto l’amico fosse diretto e non avesse mai problemi a manifestare ciò che doveva dire, gli fecero guardare una occhiata circospetta e attenta. E questa distrazione fu fatale per Minato.
- Oh no, merda! -
Minato non era uno che imprecava quindi Shuu si girò di scatto verso di lui doppiamente allarmato.
- Minato, tutto ok? - si informò.
- Sì… sì… - rispose mogio e solo dopo essersi assicurato che stesse bene Shuu non poté non scoppiare a ridere. A vedere la disperazione comica nel volto dell’altro mentre continuava a fissare sconsolato, e con una punta di disappunto, il liquido far bella mostra di sé sul piano di cottura.
- Shuu non essere crudele, è parte della nostra cena! - ma stava ridendo a sua volta, la risata cristallina di Shuu era servita per smorzare la situazione.
- Minato stiamo cucinando per un esercito, se non te ne fossi accorto. - rise ancora l’altro, ma senza cattiveria alcuna, indicandogli con un gesto del capo tutte le portate che stavano preparando. 
- Ehy! - finse di minacciarlo puntandogli il mestolo contro – Ti ricordo che sei tu quello che ha detto di non chiamare Seiya perchè altrimenti avrebbe avuto meno da mangiare. -
- Touché. - Shuu alzò le mani in segno di resa, scostandosi – con un gesto del capo – un ciuffo di capelli da davanti agli occhi, quello stesso ciuffo che Minato gli aveva scostato poco prima - Diciamo che mi hai preso alla lettera quando ti ho detto che avrei mangiato fino a scoppiare -
- Sono una persona di parola. E poi ogni desiderio del principe è un ordine per me. - si finse tronfio, incrociando pomposo le braccia al petto, mentre lo fissava dritto in volto e tentava di non scoppiare a ridere e mantenere una parvenza di serietà. Stesso identico sforzo che stava cercando di fare anche Shuu ma quando si fissarono negli occhi quel secondo in più ecco che non ce la fecero più e scoppiarono a ridere sonoramente.
Dal punto di vista di Shuu, la vicinanza di Minato – oltre che di stimolo nel migliorarsi sempre di più nel kyudo – era come una ventata di aria fresca, limpida e rinfrescante. 
Per quanto riguardava Minato, invece, la vicinanza di Shuu gli conferiva da sempre una sensazione di calma e seraficità. E nuovamente perdersi in quelle ametiste creò una sorta di turbamento in Minato.
- Sarà meglio che pulisca subito questo disastro, prima che si appiccichi tutto al gas. -
Ma ancora turbato in qualche modo dal tuffarsi negli occhi dell’altro non gli fecero porre la dovuta attenzione e fu inevitabile la seconda parte del disastro. Solo che stavolta fu indubbiamente doloroso per lui.
Shuu non aveva fatto a tempo a dirgli di fare attenzione che vide Minato scottarsi con la pentola ancora bollente.
- Minato! - esclamò preoccupato, prendendogli subito la mano ferita tra le sue, con attenzione.
- Brucia, capperi! - Minato tentò di soffiarvi sopra, ma le dita di Shuu continuavano delicate ad avvolgere la sua, con sguardo preoccupatissimo che costrinsero Minato a rassicurarlo – Shuu è ok, tranquillo. -
- Per un arciere le dita sono importantissime. - cercò di ritrovare la sua solita compostezza – Oltre al fatto che un’ustione non è comunque il massimo della vita come sensazione. Dove hai la cassetta del kit di pronto soccorso? -
- E-eh?  - domandò interdetto il padrone di casa restando rapito dallo sguardo preoccupato dell’altro. E di come, ancora, le sue mani tenessero la sua con delicatezza.
- Ma no, non serve tranquillo. Basterà passarci sopra un po' di acqua fresca. -
- Minato… - il tono fermo di Shuu lo fecero alla fine desistere dal cercar di continuare a protestare e nel giro di un minuto si trovò seduto sul divano mentre Shuu inginocchiato davanti a lui si stava prendendo cura della sua bruciatura, spalmando con delicatezza un unguento lenitivo e sfiammante sulla parte coinvolta.
Shuu stava medicando con cura il palmo della mano di Minato, attento e coscienzioso come sempre, rapendo l’attenzione dello sguardo di quest’ultimo che proprio non gli riusciva di smagnetizzarsi dagli occhi viola del ragazzo che gli stava di fronte. Ne studiava il profilo con attenzione, fissandosi su quelle ciocche di capelli che gli andavano a solleticare la punta del naso, le dita affusolate – che lui tanto amava - che agivano veloci e sicure ma delicate.
- Che silenzioso. – proferì Shuu, senza sollevare gli occhi da quello che stava facendo.
Sì, era vero: era indubbiamente silenzioso, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Che stava letteralmente trattenendo il fiato perché quei tocchi gli stavano procurando i brividi? O forse avrebbe potuto rispondergli che era letteralmente rapito dal suo profilo. Indubbiamente meglio tacere se queste erano le risposte – confuse – che avrebbe dovuto dargli. Ma Shuu, sua magnanimità, non infierì ulteriormente, sempre troppo attento al suo operato, recuperando ora dalla cassetta del pronto soccorso la garza per fasciargli il palmo. Anche questa operazione venne eseguita con minuziosità e sempre nel più completo silenzio.
- Ecco fatto. - proferì alla fine, sollevando finalmente gli occhi verso quelli di Minato.
- Io… - proferì Minato, sentendosi la gola talmente secca che anche a cercar di deglutire era come sentirsi raschiare dentro e vedeva che Shuu era lì in attesa, che aspettava che dicesse qualcosa. Il problema era che Minato non sapeva dire che cosa gli si agitasse contro. Cioè, ero tutto così terribilmente… incasinato. Sì, indubbiamente il termine “incasinato” era ciò che rendeva meglio l’idea. Era strafelice di non aver perso Shuu, che tutto fosse rimasto come era prima – gliel’aveva anche detto – solo che forse il problema era che non è che fosse propriamente rimasto tutto-tutto com’era, da parte sua almeno. Solo non capiva cosa nello specifico. 
- Io credo che dovremmo mangiare, prima che si freddi tutto. - proferì alla fine, con un sorriso timido, e forse di imbarazzo, appena accennato. 
- Credo proprio che tu abbia ragione. - rispose, ricambiado il sorriso.
- Guarda che devi mangiare tutto, eh! -
- Parola d’onore. - Shuu si fece la croce sul petto, in segno di suggellar la promessa.
 
 
E Shuu avrebbe veramente mangiato tutto, assaporando con estremo gusto pur mantenendo la sua solita regalità e compostezza. Era a dir poco fantastica questa cosa, pensò Minato, era una così da Shuu.
- Shuu, posso chiederti una cosa? - chiese Minato apparentemente tutto d’un tratto. Apparentemente perché era da un po' che quella domanda gli ronzava per la testa. 
Shuu gli lanciò un’occhiata da sopra il bordo della tazza dalla quale stava bevendo il suo the.
- Dimmi. -
- Cos’è che ti ha fatto sbagliare l’ultimo tiro durante la finale del torneo? Non hai mai sbagliato un colpo per tutti e due i giorni della gara. -
Shuu posò ora delicatamente la tazza sul tavolo, fissandolo negli occhi.
- Scusa non voglio essere indiscreto o rigirare il coltello nella piaga – Minato proseguì a parlare - solo sto cercando di imparare ancora il più possibile e buona parte degli insegnamenti li ricavo da arcieri più bravi di me e con qualità superiori alle mie. -
E Shuu sgranò gli occhi, sentendosi avvampare dentro ad un complimento del genere, fatto in modo così diretto e fresco.
- Ho ancora molto di cui migliorarmi – rispose Shuu, senza falsa modestia alcuna – e ti ho anche detto che ho bisogno di te per poter arrivare ancora più in alto… E tranquillo: non stai girando nessun coltello nella piaga, prendo sempre in preventivo di poter sbagliare. - lo rassicurò, stirando le labbra in un lieve e gentile sorriso, mentre Minato lo ascoltava attentamente.
- Però se ho sbagliato l’ultimo tiro è perché ho commesso un errore imperdonabile per un arciere. - proseguì, sempre mantenendo il sorriso e Minato deglutì, attendendo la rivelazione. Shuu si prese una piccola pausa pensando che non avrebbe avuto alcun senso mentire.
- È stato perché non ero concentrato  sul bersaglio. Ma ero concentrato su di te. -
Le bacchette che Minato teneva ancora in mano, sollevate a mezz’aria, caddero mestamente dalle sue mani, producendo un tintinnio che riecheggiò nella stanza. Quella reazione, così spontanea, così sincera, fece sorridere ulteriormente Shuu.
- Non volevo turbarti. - si affrettò tuttavia a scusarsi, non permettendo all’altro di sganciarsi dai suoi occhi.
- N-nono tranquillo, non è che mi hai turbato. -
Perché avrebbe dovuto? Si chiese al contempo Minato. Cioè si sentiva lusingato da quelle parole, ok, ammirava tantissimo Shuu come arciere, era lui semmai quello che lo guardava tirare perché era una vera e propria gioia per gli occhi ogni volta, ma cosa dire di quel sentire il cuore iniziare a galoppargli in petto dall’emozione a quella rivelazione?
- Solo non me l’aspettavo. Voglio dire, sono io quello che quando tiri tu non riesce a staccarti gli occhi di doss… - e ok, qui si fermò, perché forse, forse!, aveva appena detto qualcosa di imbarazzante. Non che non fosse la verità ma magari poteva suonare alle orecchie dell’altro come un po' ambiguo. O era lui stesso che ci vedeva una sorta di ambiguità? Tuttavia Shuu parve aver gradito quelle parole, in qualche modo almeno, perché mai prima di allora, in tutti quegli anni che si conoscevano, Minato aveva visto imporporarsi le guance dell’amico, il quale si mosse impercettibilmente sulla sedia (forse nervosamente) ma con un sorriso felice, che in qualche modo oltre ad inorgoglirlo gli fece nuovamente sentire quel mestamento nelle budella che lo obbligarono a distogliere lo sguardo da Shuu per togliere in qualche modo entrambi da quella sorta di imbarazzo.
- Quindi è stata per colpa mioh merda! Shuu è stratardi! - Minato era balzato dalla sedia quasi avesse avuto le molle, fissando sgomento l’orologio a parete davanti a sé.
Shuu, invece, non perse il suo solito aplomb, come gli si confaceva e si limitò ad un serafico – Oh, è vero, è parecchio tardi. - riprendendo a sorseggiare il suo the e Dio, anche semplicemente tenendo la tazzina in mano traspirava tutta la sua innata regalità ed eleganza.
Calma e compostezza che, in questo caso, fecero agitare ancora di più Minato perché era un po' come se dovesse essere solo lui, in quanto preoccupato, a farsi carico di gestire e risolvere la situazione.
- Senti, con tutti gli incastri tra treni e metro non ce la farai mai a prendere l’ultima coincidenza per casa tua - alla fine prese il pieno controllo della situazione – fermati qui da me a dormire. - concluse il tutto con un sorriso  caloroso.
E un po' ci aveva sperato, Shuu, di poter restare a dormire da lui, tuttavia non voleva sembrare troppo invadente.
- Sei sicuro che vada bene per te? - chiese infatti, con serietà solenne.
- Ma certo! - fu la risposta entusiasta di Minato – E poi non sarebbe neanche la prima volta, no? - disse con candidezza.
- Già… -
- Dai, ti prendo dei miei vestiti per farti dormire anche se... – e qui si grattò la nuca imbarazzato, attirandosi la più completa attenzione da parte dell’altro che si era alzato a sua volta per poter andare a chiamare i suoi ed avvisarli che sarebbe stato fuori anche per la notte.
- Anche se...? - lo invitò a continuare a parlare, accorgendosi di star trattenendo il fiato. Che ci avesse ripensato? O peggio: che proponesse nuovamente di chiamar anche Seiya?
- I miei vestiti ti saranno un po' corti. - proferì alla fine, ancora grattandosi la nuca imbarazzato – Dio Shuu, sei diventato ancora più alto. - e scoppiò a ridere, per il proprio imbarazzo. Non che Minato fosse basso, era Shuu che con il suo metro e ottanta, a 16 anni, era indubbiamente alto.
E Shuu poté tirare il fiato. Dire che gli aveva fatto quasi venire un infarto era dire poco!
 
 
Mentre Minato era corso di sopra a prendergli un cambio di vestiti e a preparare l’acqua calda per il bagno e lui aveva appena chiuso la telefonata con i suoi per avvisarli che avrebbe passato la notte da Minato, Shuu lasciò vagare lo sguardo intorno a sé, chiedendosi che cosa aspettarsi – se aspettarsi qualcosa – da quella serata. Sospirò piano, passandosi una mano tra i capelli quando qualcosa attirò la sua attenzione.
- Minato ti stava suonando il telefon… - ma si bloccò. Strabuzzò gli occhi incredulo, non voleva assolutamente spiarlo o farsi gli affari suoi ma in qualche modo quel particolare lo riguardava personalmente. Sporse di poco il volto verso il cellulare dell’altro, per esser sicuro di aver visto giusto e non essersi immaginato chissà cosa. Nono: ci aveva proprio visto giusto! Quella era… una loro foto. Insieme. Se la ricordava perfettamente. E Minato, dopo tutti quegli anni, la conservava ancora e la teneva come sfondo della schermata delle chiamate. Si sentì indubbiamente felice e una speranza si accese in lui.
 
 
Ed eccoli lì, infine, distesi a terra, ognuno nel suo futon. Sì perché Minato  aveva insisito di volergli lasciare il letto ed essere lui quello a dormire sul futon ma Shuu, che si sentiva di star in qualche modo disturbando e non voleva abusare troppo dell’ospitalità dell’altro, era stato irremovibile e così alla fine il padrone di casa aveva recuperato un altro futon e l’aveva steso accanto a quello di Shuu, infilandosi sotto e augurandogli la buonanotte ma decidendo che c’era assolutamente un’altra cosa che gli voleva dire.
- Son contento che tu sia qua, Shuu. -
Come al solito Minato aveva parlato con la sua solita schiettezza, che era sempre in qualche modo in grado di spiazzare e sorprendere Shuu, fin dalla prima volta che lo aveva visto.
Sgranò gli occhi, Shuu, per un istante per poi ammorbidire le labbra in uno dei suoi sorrisi lievi appena accennati e posò gli occhi sul profilo dell’altro che se ne stava disteso supino ma quando sentì gli occhi dell’altro su di sé, si mise di fianco a sua volta.
- Mi piacerebbe tantissimo tirare di nuovo insieme a te, Shuu. -
E niente, quella sera Minato aveva proprio deciso di scioccarlo, con quegli occhi smeraldini che brillavano dalla sincera contentezza.
- Anche se anche averti come avversario è indubbiamente stimolante ed esaltante. - proseguì a parlare Minato, quasi stesse cospirando qualcosa, mettendo entrambe le mani sotto al cuscino.
- Beh, potremmo comunque allenarci insieme qualche volta. - propose Shuu, allettato a sua volta dalla cosa.
- Sì! - annuì con vigore Minato, realmente felice, per poi aggiungere – Mi sei mancato sai? -
Ok, ora del decesso: 22.37. E se non fosse morto per quelle parole, il colpo di grazia glielo avrebbero dato le guance di Minato che si erano imporporate. Nonostante la semioscurità della stanza, Shuu le aveva potute vedere chiaramente. E rimase lì, inebetito, sentendo anche le sue guance imporporarsi e si chiese se Minato se ne fosse accorto. Molto probabilmente no, perché aveva bofonchiato qualcosa e si era messo nuovamente prono, grattandosi la punta del naso come faceva sempre quando era imbarazzato e questa cosa fece sorridere teneramente Shuu. 
- Anche tu mi sei mancato, Minato. - sussurrò appena, attirandosi nuovamente l’attenzione degli occhi dell’altro che sorrise felice.
Ed era vero che gli era mancato, non aveva risposto per cortesia. Gli era mancato, e parecchio anche, ma Shuu aveva rispettato i suoi tempi, come quella volta in cui era morta sua madre. Aveva provato a cercarlo ma per carattere non era uno invadente o uno che imponeva la sua presenza ma era sempre in grado di far sentire che lui c’era, in caso di bisogno. 
E Minato aveva sempre apprezzato – tra le tante – questa cosa di Shuu, il fatto di non voler imporre la propria presenza, il proprio aiuto, con la forza perché Minato era uno che quando doveva affrontare le sue cose preferiva, inizialmente, elaborarle in qualche modo da solo, metabolizzarle richiudendosi in se stesso, grato comunque all’affetto degli altri.
Shuu pensò a come Minato fosse in grado di sconvolgergli la vita anche solo con delle parole.
Minato invece procrastinò nuovamente la questione di chiedergli il significato di quel avergli detto “mi hai cambiato la vita”.
 
 
Fu un lampo che gli impattò sul volto a risvegliare Shuu. 
E trovò Minato sveglio a sua volta. Lo sguardo perso ma in qualche modo sofferente a fissare il soffitto sopra di lui. Per non parlare di quando, a seguito di quella saetta, fece seguito immediatamente lo scrosciare della pioggia.
E Shuu, con la sagacia che gli era propria, capì immediatamente.
Si chiese con qualche dolore sordo e cieco dovesse convivere, magari legato anche ad un senso di colpa per esser sopravvissuto, perché la madre lo aveva protetto dall’impatto con il veicolo.
Inevitabile, pensò, che il rumore della pioggia lo portasse con la memoria a quell’evento.
- Minato… - lo chiamò dolcemente, non perdendo di vista nessuno degli eventuali cambiamenti del suo volto. Non voleva invadere un suo spazio privato di elaborazione della cosa ma, d’altra parte, non voleva lasciarlo da solo, voleva fargli capire che lui era lì. Per lui.
Il padrone di casa voltò la testa verso di lui, sforzandosi di sorridere.
- Il temporale ha svegliato anche te? -  cercò di sviare il discorso, pur sapendo che con Shuu non c’era storia.
- Io sono qui… - gli disse semplicemente quest’ultimo. Facendogli capire che aveva capito perfettamente come si sentisse. E quanto valore avevano quelle tre uniche parole. Shuu come al suo solito non entrava a gamba tesa ma con la sua solita attenzione nei suoi confronti. La scelta la stava lasciando a lui.
Da quella situazione a dir poco allucinante Minato aveva imparato che c’erano volte in cui non c’era nulla di male a chiedere aiuto, soprattutto se ci veniva offerto, non si era per questo più deboli o le persone non ti avrebbero voluto meno bene se si mostravano loro momenti di debolezza.
Si perse negli occhi di Shuu, a tentar ancora di non far spezzare la diga. Non che non ci pensasse mai a sua madre, ci pensava tutti i giorni, in ogni istante. Ora riusciva a pensarla non provando solamente quella lacerazione dentro di sé ma ricordando anche le cose belle. Riusciva a ricordare nuovamente il contorno del suo volto, il suono della sua voce, senza doverli scacciare perché gli procuravano troppo dolore. Riusciva a parlare di lei, a ricordare momenti passati insieme con il sorriso sulle labbra. Solo c’erano momenti in cui la sua mancanza si faceva insopportabile, era come se si sentisse mancar l’aria in gola. E quello era uno di quei momenti. Arrivavano e basta, non poteva farci niente e inevitabilmente in quei momenti si sfiorava la cicatrice sul fianco. Quella cicatrice era il segno della sua seconda vita, come la chiamava lui, ed era stato il dono di sua madre per lui. Gli aveva dato la vita per la seconda volta.
- Shuu… - sussurrò appena, stirando le labbra in un sorriso melanconico.
- Sono qui. - gli ripeté l’altro rassicurante, scivolando piano verso di lui, avvicinandosi ulteriormente e fu quando vide che Minato socchiuse le labbra per dire qualcosa ma senza successo e gli angoli degli occhi iniziarono a luccicare che Shuu lo afferrò per la maglia del pigiama e lo attirò a sé. Non era uno irruento ma era pur sempre portato all’azione, a capire quando era il momento opportuno per scoccare la freccia.
E quel gesto così imprevisto spezzò l’ultimo argine di Minato. Affondò il volto nel petto di Shuu, lasciandosi circondare la schiena dalle sue braccia e lui fece altrettanto artigliandosi alla sua maglia e fu come riprendere a respirare, uscire dall’apnea, tra le braccia di Shuu, sentendo il calore del suo corpo, la fragranza per lui inconfondibile della sua pelle, il suo respiro calmo e regolare, come avesse iniziato ad accarezzargli delicatamente la schiena con dei movimenti concentrici e delicati. 
Le lievi carezze di Shuu sulla schiena erano ipnotiche, il suo lento respiro calmo e regolare tra i capelli, calmante. Minato avrebbe tanto voluto affondare le dita tra i capelli di Shuu, giocherellare con quelle ciocche morbide, ma non osava… 
- A volte mi manca così tanto che mi sembra di non essere in grado di respirare. - ma lo disse con un tono calmo, non disperato, e le dita di Shuu passarono ad accarezzargli la nuca mentre lo sentiva rilassarsi a poco a poco sotto ai suoi tocchi. Si sentiva di non poter far altro, perché ogni parola che avrebbero detto – potendo solo intuire il dolore che l’altro dovesse sopportare – temeva potesse risultare vuota e sterile quindi preferiva usare il potere dei gesti e dell’affetto. 
- È un vuoto che non potrà mai essere colmato. - sollevando il volto verso di lui, abbandonando per un istante il conforto del suo corpo, dicendo queste parole con un sorriso, seppur velato di melanconia.
“Permettimi di provare a colmarlo almeno in parte” avrebbe voluto dirgli Shuu ma si chiese quanto egoista e presuntuoso sarebbe apparso con quelle parole, quindi si limitò a stringerlo ancora di più, delicatamente e Minato si abbandonò di nuovo a lui, sentendosi in qualche modo rasserenato. 
Gli sembrava quasi impossibile che l’abbraccio di una persona, il suo calore, i suoi tocchi lievi, potessero avere un simile potere lenitivo, rincuorante.
- Grazie Shuu. - sollevando nuovamente il volto verso di lui e, Dio: come gli brillavano gli occhi verdi e Shuu tirò internamente un sospiro di sollievo perché gli sembrava più tranquillo.
- Non mi devi ringraziare. - deglutendo a vuoto e perdendo un battito quando Minato si rituffò su di lui, intrufolando il volto sull’incavo del collo, stringendosi nuovamente a lui con un enorme sospirone. E per fortuna, si disse Shuu, almeno aveva evitato la figura barbina di farsi vedere arrossire fin sulla punta delle orecchie (quando si imbarazzava tantissimo succedeva sempre). Era certo che non sarebbe stato più in grado di prendere sonno, mentre sentiva Minato scivolare via-via nel sonno, con il respiro che si faceva sempre più lento e profondo e non dava segno di volersi staccare da lui, era la sua panacea emotiva in quel momento.  Il modo in cui Shuu gli stava accarezzando la nuca, il suo petto che si alzava e abbassava ritmicamente, facendolo concentrare sul suo respiro fino a sincronizzarsi a lui.
La mattina seguente Minato si sarebbe svegliato ancora tra le braccia di Shuu. E senza nessun tipo di imbarazzo.
 
I contorni della realtà andarono lentamente definendosi intorno a lui. 
Si era svegliato perché sentiva freddo, quella notte di pioggia – che stava proseguendo – aveva indubbiamente rinfrescato parecchio l’aria. Rabbrividendo, inconsciamente si strinse addosso a quella piacevole fonte di calore.
“Aspe’… fonte di calore…?” pensò spalancando gli occhi e trovandosi il bellissimo volto dell’altro dormiete ad un soffio – letteralmente! - dal suo. Ricordando ciò che era successo la notte precedente. Si rimise quieto tranquillo, con il timore di svegliarlo e si ritrovò a sorridere senza rendersene conto mentre osservava il volto dell’altro abbandonato dolcemente al sonno. E maledisse con tutto se stesso il cellulare che prese a trillare. 
Questo era di sicuro Ryohei che come ogni mattina -  con qualsiasi condizione atmosferica, anche l’imminente Apocalisse annunciata dalle trombe dei 4 Cavalieri - si apprestava a fare i suoi 10 km di corsa e dava loro il buongiorno nella chat di gruppo. Per inciso: alle cinque e mezza della mattina! Cosa, questa, che faceva inorridire ogni volta Seiya. Quando questi si svegliava alla mattina – lui se non altro aveva la cortezza di metter il telefono in modalità silenziosa – cercava di capire di appartenere a questo mondo e vedeva l’orario nel quale Ryohei dava loro il buongiorno, sollevava per un attimo il volto davanti a sé fissando il bianco della parete, riportava poi gli occhi sul cellulare a controllare nuovamente l’orario, poi di nuovo a fissar il vuoto, attonito. A questo pensiero a Minato scappò una piccola risatina e cercò di recuperare il cellulare prima che partissero i millemila messaggi di risposta da parte di Nanao – un altro dall’energia inesauribile - per non disturbare il sonno di Shuu, sapeva per certo che Shuu si fosse addormentato ben dopo di lui, rimanendo a vegliare il suo sonno. Certo che cercare di sgusciare dall’abbraccio dell’altro senza rischiare di svegliarlo era un’impresa davvero titanica. Ci provò allora ad allungarsi, strisciando un po' sopra ma si pietrificò all’istante like opossum quando lo sentì lamentarsi nel sonno e allentare un po' la presa. Trattenne anche il respiro mentre si accertava di non averlo svegliato.
Era bella questa cosa del loro buongiorno mattuttino, neppure si ricordava come e quando fosse cominciata fatto sta che si era scoperto ad aspettare il buongiorno da parte di Ryohei. Gliel’aveva detto loro: rispetto a quando lui e Seiya frequentavano il club di Kyudo della Kirisaki, lui alla Kazemai il clima era indubbiamente più informale e rilassato. Inevitabile, quindi, che si fosse instaurato un rapporto di amicizia tra di loro, in particolar modo dopo il ritiro e il torneo. Con le differenze sostanziali dei loro caratteri si compensavano ed incastravano alla perfezione.
A questo stava pensando Minato mentre era lì che continuava a contorcersi per raggiungere l’aggeggio infernale.
- Dai… un altro po'… un altro po'… sì! -
- Minato…? -
E quale urlettino poco virile gli uscì dalla gola mentre stringeva colpevole il cellulare tra le mani e fissava Shuu, che alla fine si era svegliato ed ora, con lo sguardo adorabilmente assonnato lo fissava stranito, sollevandosi con il busto e facendo scivolare il lenzuolo giù dalla spalla.
- Scusami, ti ho svegliato! -
- No, è ok… - biascicò, scostandosi dagli occhi una ciocca di capelli e a Minato scappò da ridere a vederlo così.
- Che c’è? - chiese Shuu.
- Niente niente, scusa. Ma allora sei umano anche tu, eh? -
E Shuu lo guardò senza capire, reprimendo a stento uno sbadiglio.
- Sembri sempre sceso dalla dimora degli dei o appena uscita da una copertina patina di una rivista di moda, ma direi che la dimora degli dei ti si addice indubbiamente di più. -
- Mah… - e allora Shuu, per nulla risentito però, gli lanciò giochevolmente addosso il cuscino che Minato prese al volo scoppiando a ridere e rilanciandoglielo indietro a sua volta. Beccandolo in pieno volto perché anche Shuu ci metteva un attimo a carburare alla mattina appena sveglio e i riflessi erano indubbiamente rallentati.
- Oddio scusa scusa, Shuu. -
- Ma se stai ridendo. - gli fece notare, ma per nulla offeso.
- Mi faccio perdonare con una super colazione. -
- Hum… -
 
E super colazione sarebbe stata. E se era comprensibile che Shuu avrebbero voluto ritardare il più possibile il momento dei saluti, anche Minato si scoprì a pensare alla stessa cosa quando alla fine lo accompagnò alla porta.
- Non facciamo passare di nuovo una vita ora. - lo pregò Shuu.
- Assolutamente. Anzi Shuu, questo giovedì con gli altri stiamo organizzando di andare al matsuri al tempio, potresti venire con gli altri del club se ti va. -
- Molto volentieri. - disse, ridendo dentro di sé ad immaginarsi in quali fantasiosi, e cruenti, modi Seiya avrebbe cercato di eliminarlo fisicamente. Già si aspettava da un momento per l’altro di sentirsi trapassare da parte a parte da una freccia partita casualmente dalla finestra della camera di Seiya se solo questi lo l’avesse visto lì. Contava sul fatto che si ricordava che Seiya non fosse uno molto mattiniero.
- E poi mi hai promesso che avremmo tirato insieme. - gli ricordò il padrone di casa
- Assolutamente! - e qui gli occhi di Shuu si illuminarono per poi notare che Minato aveva iniziato a spostare il peso del corpo da un piede all’altro, come faceva sempre quando era nervoso, come il lanciare sguardi intorno a sé fino a quando non piantò gli occhi sui suoi.
- Grazie ancora per questa notte. -
E Shuu sorrise, dopo aver spalancato gli occhi per la sorpresa.
- Te l’ho detto, non mi devi ringraziare. - lo pregò prima di voltarsi e incamminarsi dopo averlo salutato.
- Shuu! -
Non aveva fatto in tempo a fare neanche i primi tre passi che di nuovo, proprio come il giorno prima in stazione, l’urgenza con la quale Minato lo aveva chiamato lo aveva fatto fermare di colpo, voltandosi verso di lui.
E lo vide coprire la breve distanza che li separava con una piccola corsa.
Neppure realizzò come l’altro gli appoggiò una mano sulla spalla, né tanto meno il calore delle sue labbra sulla propria guancia mentre gli sussurrava di nuovo un grazie prima di voltarsi nuovamente e tornare di corsa verso casa per poi girarsi verso di lui e salutarlo sventolando il braccio, prima di rientrare in casa.
Se fosse passato qualcuno di là in quell’istante avrebbero visto un ragazzo tenersi una guancia con una mano e uno sguardo perso che però, al contempo, era un mix di emozioni belle. Era forse un modo di dire che sentiva la guancia conservare ancora il calore dove le labbra di Minato si erano posate per quel bacio fugace? Indubbiamente no, non era un modo di dire.
 
E qualcuno, sulla via del ritorno, dopo che si era in qualche modo ripreso, lo incontrò.
- Fujiwara-kun? -
Ancora inebetito non si accorse subito che qualcuno si stava effettivamente rivolgendo a lui.
- Takigawa-san. - Shuu si produsse subito in un inchino rispettoso che Masaki ricambiò.
- Sei stato a casa di Minato? - chiese.
- Ho passato la notte a casa di Minato sì. Dato che suo padre non c’era. -
E, sì: Shuu voleva che quella frase risuonasse ambigua agli occhi dell’altro.
E ovvio che Masaki colse. Ma non in sé l’ambiguità della frase ma che fosse stata resa tale apposta per lui. Dunque quel figlio degli dei sceso in terra lo vedeva come una minaccia e stava cercando di marchiar il territorio? Interessante.
- Ma non sono di certo io quello dal quale ti devi guardare… - mormorò appena Masaki quando Shuu aveva ormai voltato l’angolo della via.
 
 
Continua…
 
 
Mamma mia questo capitolo è stato un po' un parto-partino perché ci ho messo un botto a scriverlo, per non parlare di correggerlo e sistemarlo. E dire che avevo il canovaccio punto per punto. Ovviamente mai avrei pensato che sarebbe stato così lungo alla fine; i papiri, a volte ritornano.
PICCOLA NOTA TECNICA SERIA (io comincio a spaventarmi che ogni volta faccio la seria ad un certo punto, ceh: è davvero arrivata la fine del mondo): c’è questo piccolo libretto bellissimo che si intitola “Lo zen e il tiro con l’arco” di E. Herringel che davvero ve lo straconsiglio. Aiuta a capire un po' di più tutto l’immenso lavoro di preparazione – spirituale zen – che c’è dietro alla disciplona del kyudo.
 
 

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Capitolo 3
*** Non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele ***


Ho scoperto che oggi
è il compleanno di Masa-san,
purtroppo non sono riuscita a scrivere nulla
quindi ci tenevo almeno a postare il capitolo oggi.

Buon compleanno Masa-san!


 
Non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele



Capitolo 2


Seiya non si capiva proprio.
Perché ancora quel mestamento interiore? Si era sentito così bene, prima di tutto con se stesso, quando aveva capito che non doveva trascinare o farsi trascinare da Minato ma che dovevano camminare di pari passo, ognuno mantenendo la propria identità.
E tutto questo, per una bizzarra beffa del destino, gliel’aveva fatto capire proprio Shuu. 
Era come se le parole di Shuu lo avessero risvegliato, lo avessero liberato da un giogo che lui stesso si era messo addosso come un cappio che ogni giorno lui stesso stringeva sempre di più.
E allora cos’era che lo tormentava ancora?
Aveva paura di perdere Minato? Ovvio! Ne era letteralmente terrorizzato. E, forse presuntuosamente, sentiva di dover esser lui a tener in piedi quel loro rapporto. Ma questo non implicava forse che non si fidasse di Minato? Dell’amicizia e dell’affetto che Minato provava nei suoi confronti? Era terribile anche solo da pensare una cosa del genere. Un rapporto, sano, si basava sul proseguire parallelamente e Minato questo glielo aveva sempre dimostrato. Indipendentemente da Shuu o da qualsiasi altra persona che si parasse avanti nel loro cammino. 
E allora cos’era che lo tormentava? 
Aveva il terrore che gli altri si volessero bene senza di lui, ecco cosa. Ma dai! Era da psicopatici un discorso del genere. Cos’era quel disperato bisogno di accettazione? Minato non era una sua esclusiva e oltretutto sua madre glielo diceva sempre “non è che il bene si divida, si moltiplica” a dimostrazione del fatto che se una persona ti vuole bene non è che se iniziava a voler bene a qualcun altro, dovevi dividere questo bene con quest’altra persona.  Pensarla così voleva dire oltretutto non riconoscere l’onestà, il bene, che Minato provava per lui.
Si sentiva di doverlo proteggere? Ok, nobile sentimento e intento il suo. Forse… 
Non è che poteva proteggerlo, dai mali del mondo, standogli con il fiato sul collo e abbaiando tipo cane a tre teste contro chiunque tentasse di avvicinarsi a lui. Era malsano, dai!

Gli stava sulle palle Shuu?
Assolutamente, totalmente, incondizionatamente sì.
Shuu era quello che poteva fare del male a Minato. Minare quel fragile equilibrio e serenità che Minato aveva appena raggiunto. “Ma che ne sai tu di questo?” gli chiedeva una vocina dentro di sé.
Shuu era quello che poteva portargli via Minato. Privarlo dell’affetto, della presenza, di Minato.
Lo credeva veramente così gretto e meschino? No, per niente. Doveva essere onesto. 
E allora cosa?
- Mi verrà un esaurimento se continuo a machiavellare in questo modo… - bisbigliò appena, parlando tra sé e sé.
- Come? - gli chiese Kaito interdetto, che si trovava al suo fianco in quel momento, all’uscita dalle aule al suono della campanella.
- Niente niente. - tentò di tranquillizzarlo Seiya, sorridendo.
Sorriso che non convinse minimamente Kaito che, infatti, lo guardò con sospetto.
C’era qualcosa che accomunava Shuu e Kaito. Per quanto fossero diversi, erano accomunati dal loro enorme spirito di osservazione dell’animo delle persone.


Minato era confuso.
E non sapeva da chi andare per districare in qualche modo quella matassa aggrovigliata che aveva in testa. Stava girando come una trottola.
Impossibile parlarne con Seiya. Sapeva che Seiya rischiava un ictus ogni volta che anche solo si accennava a Shuu, quindi ci teneva a tener salva la vita dell’amico.
Impensabile rivolgersi a Kaito. Anche se avesse superato l’imbarazzo di parlare con lui di certe cose – e quello era comunque, almeno per un momento, un ostacolo insormontabile – era quasi certo che Kaito si sarebbe lanciato in qualche suggerimento su come gestire la cosa che in confronto un atto kamikaze sarebbe stata una passeggiata di salute.
Ryohei avrebbe cercato di tirarlo su di morale in qualche modo ma di sicuro prendendo fuoco like torcia umana a parlare di quelle cose e Minato non voleva in nessun modo metterlo in imbarazzo.
Con Nanao sarebbe andato abbastanza sul sicuro – più o meno, o almeno tra tutti e cinque era di sicuro quello un po' più avvezzo nei confronti di temi amorosi – ma temeva che, in un eccesso di zelo, gli avrebbe fatto ancora più confusione.
Quindi non restava che una sola persona…

Approfittando del fatto che Seiya, in qualità di rappresentate del comitato studentesco, dovesse partecipare ad una riunione, Minato alla fine degli allenamenti si era attardato, aveva salutato gli altri ed ora aveva iniziato a gironzolare casualmente fuori dallo spogliatoio, disegnando, nel suo camminato, delle spire sempre più strette intorno a Masa-san – like cobra constrictor con preda – sperando che il loro allenatore si accorgesse di lui.
- Minato? Hai dimenticato qualcosa? -
Ecco! L’obiettivo era stato agganciato, ma questa non era la parte più difficile del suo progetto. Sperava tanto che Masa-san avesse il potere di leggere la mente in modo tale da risparmiargli non solo l’imbarazzo ma anche di dover imbastire il discorso, perché il problema grande era da dover iniziare a spiegare.
- Beh… - fu la chiarissima risposta che diede, entrando nel dojo dopo essersi tolto le scarpe, fissando intensamente l’altro, sempre nell’assurda speranza che davvero avesse quel super-potere.
- Sì…? - Masaki lo invitò a proseguir di parlare, con un gesto del capo, muovendo un passo verso di lui. Evidentemente non aveva il potere di leggere nel pensiero. Ma ci stava provando. Stava provando a capire quale potesse essere il problema di Minato.
Di sicuro non era qualcosa che riguardava il kyudo e il suo hayake. Primo perché durante gli allenamenti lo aveva visto tranquillo e concentrato, secondo perché sapeva che Minato – di quelle cose – ne parlava tranquillamente davanti agli altri sia per condividere sia perché ascoltava quei consigli preziosi che gli arrivavano dai suoi compagni. Quindi poteva essere o qualcosa che riguardava la scuola ma non gli risultava che Minato avesse problemi, i test di fine trimestre li aveva superati tutti. Non restava che… ahhhh! Ok, ok! Che c’entrasse forse un arciere formidabile dagli altrettanto formidabili occhi viola?
Ok, ora anche il problema di Masaki era cercar di capire come intavolare il discorso evitando che il suo giovane allievo andasse in autocombustione.
- C’è qualcosa che mi devi dire ma non sai da che parte cominciare? - ci provò sorridendo dolcemente, muovendo un ulteriore passo verso di lui.
- Hum… - e Minato prese a spostare il peso del corpo da un piede all’altro, lanciandogli occhiate furtive.
“Ragazzo mio, ma io te le devo tirar fuori con le tenaglie le parole, eh?” 
- Più o meno, sì. - pensò bene di proseguire Minato “Dai, Masa-san! Aiutami, capperi!” di nuovo quel disperato tentativo di lanciargli un mayday con la sola forza del pensiero.
“Allora, se gli chiedo direttamente di Fujiwara questo mi va in autocombustione, poco ma sicuro.” stava scervellandosi Masaki dentro di sé “Ok, Masa: devi iniziare in modo soft.”
- Problemi di cuore? -
“Cazzo Masaki, ti avevo detto soft! Questo è entrare a gamba tesa! E con una mazza chiodata pure.” si maledì spiando immediatamente la reazione di Minato. Che aveva preso fuoco all’istante infatti, come volevasi dimostrare.
Masaki si massaggiò la nuca a disagio sia per l’uscita infelice sia perché non sapeva come aiutare l’altro a sbloccarsi.
- Non lo so… credo di sì… forse… - proferì Minato massaggiandosi a sua volta la nuca.
“Ok, poche idee ma confuse. Perfetto Minato, stai andando proprio alla grande.” pensò Masaki dentro di sé divertito ma anche intenerito da quella confusione.
- Masa-san, lei se ne intende? Di questioni amorose? - spiattellò alla fine, colto da un moto improvviso di coraggio.
“Ecchecazz!” Masaki sgranò gli occhi per quello slancio improvviso.
- Scusi, scusi! Non volevo essere indiscreto. Sarà meglio che vad… - ma venne recuperato dall’altro al volo per la collottola.
- Non posso dire di avere chissà che esperienze, sono sempre stato troppo preso dal kyudo, ma sono un ottimo ascoltatore. -
- Masa-san, non è credibile. - gli lanciò un’occhiata di biasimo, Minato, mentre l’altro continuava a tenerlo fermo per il colletto della divisa.
- Nel senso che dubiti delle mie qualità di ascoltatore? -
- Nel senso che lei non abbia avuto esperienze. -
- Ma… Minato! - ora fu suo il turno di arrossire per poi scoppiare a ridere e mollare la presa, andandosi a sedere per terra e facendogli capire di fare altrettanto, battendolo ritmicamente il palmo della mano a fianco a sé. Cosa che Minato eseguì.
- Masa-san come si fa a capire se quello che si prova per una persona è amicizia o altro? -
- Che cosa provi quando sei con questa persona? - chiese paziente.
- Confusione… - rispose con un piccolo sospiro.
- Con quegli occhi che si ritrova ad avere chi non andrebbe in confusione? - sussurrò l’allenatore sovrappensiero.
- Come? -
- Niente, niente! -
- Cioè… non ero mai in confusione prima. -
- Prima? - domandò inarcando un sopracciglio perplesso.
- Sì, prima. - cercò di spiegare – Era una persona che fino a poco tempo fa vedevo tutti i giorni ed ora… ora un po' meno. Cioè, voglio dire: sono rimasto molto senza vedere questa persona e quando l’ho rivista ho capito che mi fosse mancata tantissimo. -

Era così difficile non dire che si trattava di Shuu, ma non perché non si fidasse di Masa-san, era certo che non avrebbe mai manifestato dei pregiudizi per il fatto che fossero due ragazzi, solo era tutto così tremendamente imbarazzante. Anzi, a dirla tutta era un po' confuso anche da quella cosa. A parte la classica cotta per la propria maestra dell’asilo, Minato non aveva mai provato particolare interesse per le ragazze, ma pensava che presto o tardi questo interasse sarebbe arrivato e si sarebbe manifestato, non era mai stata una preoccupazione. 
Ora l’interesse era arrivato, ma non per una ragazza ma per Shuu. Che non c’era niente di male, ovviamente, solo voleva capire che genere di interesse fosse, se di amicizia profonda o altra. Ah, già! Quasi dimenticava. C’era il piccolissimo particolare che Shuu poteva non essere minimamente interessato a lui. Oh, andiamo! Poteva avere qualsiasi persona volesse. Ragazze, ragazzi (sì, perché Minato era certo che uno come Fujiwara Shuu fosse in grado di assassinare l’eterosessualità di qualsiasi appartenente al genere maschile) quindi perché si sarebbe dovuto interessare proprio a lui? Shuu era gentile con tutti, non solo con lui. Anche quella notte, aveva capito che stava male per il discorso di sua madre e quindi si era dato premura per alleviare quello stato.
- Beh, confusione è già un buon indizio, no? Sopratutto se prima questa confusione non c’era. - lo incoraggiò Masaki.
- Ho passato la notte con questa personahhh non mi fraintenda! Non pensi male. -
- Perché dovrei pensar male? Non ci troverei niente di male anche se avessi fatto… - ma si bloccò, voleva evitare di fargli venire un colpo apoplettico dato che stava già boccheggiando, dopo esser balzato in piedi. Gli fece segno con una mano di rimettersi quieto seduto – Non sono qui per giudicarti ma per aiutarti. -
Evitò di dirgli che aveva visto Fujiwara uscire da casa sua (e di come questi si fosse dato tanto premura di riferirgli che avevano passato la notte insieme. Ci teneva a non porre fine alla vita del suo ochi).
- Grazie. - proferì Minato, lanciandogli comunque delle occhiate di sottecchi mentre si rimetteva quietamente seduto in ginocchio sui talloni nella stessa identica posizione di Masaki.
- Masa-san perché dice che provare confusione sia già un buon inizio? -
- Perché vuol dire che ti stai facendo delle domande perché senti che in qualche modo le tue sensazioni, le tue emozioni, stanno cambiando. Come ti senti quando sei con questa persona? -
- Mi sento completamente a mio agio, senza timore di essere giudicato o altro, mi sento al sicuro, che sono tutte cose che provavo anche prima ma ora è come se fossero moltiplicate. Come… come se fossero con colori più vividi. Ma forse, tutto questo, è semplicemente perché gli voglio bene come ad un qualsiasi altro amico. - concluse disorientato, beccandosi un’occhiata da parte dell’altro che, nuovamente, stava pensando a come potergli essere d’aiuto.
E poi, eccola, l’illuminazione.
- Minato, ti faccio un test. Un po' traumatico, forse. - gli propose ridendo.
- Ho paura… - proferì insospettito.
- Ma nono, stai tranquillo. Hai presente quelle sorte di terapie d’urto, tipo gli aracnofobici che si fanno camminare addosso i ragni per superare la loro paura? -
- Non è che così mi stia tranquillizzando, eh…  - fu la replica perplessa ed inquietata di Minato, facendo scoppiare a ridere l’altro ancora di più, battendogli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
- Kaito puoi definirlo tuo amico, no? -
- Sì, ora sì. - annuì Minato, cercando ancora di capire dove l’altro volesse andare a parare.
- E gli vuoi bene, no? -
- Sì. - ammise con un ampio sorriso, immaginandosi se un tsunderello fatto e finito come Kaito avesse assistito a quello scambio di battute. Molto probabilmente sarebbe morto dall’imbarazzo. O forse sarebbero stati loro due a morire, per mano sua.
- Però se pensi a Kaito non provi un batticuore assurdo, un aggrovigliamento di budella o cose simili, no? -
- No. Indubbiamente no. - rise Minato, capendo finalmente cosa stesse cercando di fare il loro allenatore. E Masaki sorrise appena, assottigliando gli occhi, felice di vederlo un po' più rilassato.
-  Né tanto meno provi un desiderio, un bisogno di toccarlo e di sentirlo accanto a te. Né tanto meno smani dalla voglia di vedere, di passarci del tempo insieme -
- N-no. - rispose imbarazzatissimo. Anche perché, inevitabilmente, ripensò a quando si era addormentato tra le braccia di Shuu pensando, nell’incoscienza del dormiveglia, a quanto si stesse bene. A quanto si sentisse protetto e al sicuro, da qualsiasi pensiero triste.
- Minato quello che mi sentirei di dirti è di non porti più di tante domande, soprattutto quando siete insieme, ma di vivertela e di godertela. Non aver nessun tipo di paura. Se questa persona ti fa provare queste sensazioni è già una grande fortuna, credimi. -
- Credo che lei abbia ragione. - affermò Minato dopo aver riflettuto attentamente sulle parole del loro allenatore.
- Credi…? - gli fece il verso Masaki, ma per nulla risentito o offeso, anzi: scoppiando a ridere di cuore. Poteva capire perfettamente come si sentisse Minato, se la ricordava la sensazione, era come essere gettati dentro ad un centrifuga, con la tua parte razionale che era andata a farsi benedire e tu non potevi far altro che osservare quella altalena di emozioni, impotente.
- Ahhh mi perdoni, non volevo essere irrispettoso. - si affrettò a scusarsi mentre l’altro gli faceva segno con una mano di non preoccuparsi, che aveva capito perfettamente cosa intendesse.
Minato si alzò, rinfrancato da quella discussione. Ringraziò e fece per andarsene ma, una volta arrivato sulla soglia, si fermò. Una mano appoggiata allo stipite della porta, indeciso.
- Masa-san? - si voltò poi infine, pronto ad un atto di coraggio.
- Sì? - chiese questi voltandosi nuovamente verso di lui, sorpreso dal fatto che fosse ritornato indietro.
- Si… si tratta di Fujiwara. - spiattellò alla fine tutto d’un fiato, abbassando per un attimo gli occhi, imbarazzato, mentre si torturava le mani tra di loro.
- Lo so… L’avevo capito. - rispose con un sorriso tenero, avvicinandosi a lui e facendogli un buffetto tra i capelli – Ma grazie per avermelo detto. Vuol dir tanto per me, vuol dire che ti fidi di me anche come persona non solo come allenatore. -
E quale sorriso pieno di riconoscenza gli restituì Minato.
- Quando vi rivedrete? -
- Dopodomani, giovedì. - rispose tutto felice, già con la salivazione azzerata al solo pensiero.
- Ohhh, non manca tanto. -
- Sì. Veniamo qui, per il matsuri, gli ho proposto di venirci tutti insieme. Ho… ho sbagliato, forse? - chiese preoccupato, vedendo come l’espressione di Masaki si fosse un attimo accigliata.
- No. Perché me lo chiedi? -
- Di non averlo invitato da solo, intendo. -
E Masaki scoppiò a ridere.
- Ma nono, hai fatto benissimo ad invitarlo insieme ai suoi compagni, sono sicuro che Fujiwara ne sarà stato felice. - “Non hai idea di quanto!” pensò ma si guardò bene dal dirglielo, non voleva privarlo di quella parte meravigliosa che era la scoperta dei sentimenti – corrisposti – da parte dell’altra persona.
- Ha fatto una faccia, Masa-san. -
- Perché ho pensato a quanto impavido tu sia stato a non perdere tempo e a proporgli subito un appuntamento. - rispose, dandogli una sonora pacca di incoraggiamento sulla schiena che lo sbilanciò.
- M-Masa-san! - lo redarguì imbarazzatissimo.
- Dai, via di filata a casa adesso, che è tardi. - ma stava ancora usando un tono amorevole.
- Hm. Grazie di tutto. -
- Non mi devi ringraziare. - gli urlò contro di rimando e seguendolo con lo sguardo fino a quando non lo vide sparire. Solo allora il sorriso lentamente gli andò abbandonando il volto. Pur essendo felice di quella cosa per Minato, sperava che questo non minasse in qualche modo l’equilibrio che si era finalmente venuto a creare in squadra.
Scosse la testa, Masaki. Doveva fidarsi dei suoi ragazzi. Più volte gli avevano dato prova di essere incredibilmente maturi e che, tutti insieme, avevano affrontato scossoni ben maggiori.
- Ahhh, l’amore… - sospirò divertito.

E alla fine quel tanto sospirato giovedì arrivò…



Kaito davvero non riusciva a spiegarsi di come alla fine si lasciasse sempre convincere da Nanao.
Ok, a sua personale discolpa poteva dire che in quella particolare occasione l’idea di Nanao di andare al tempio di Yata in bici – dato che erano in ritardo – non era così malvagia ma avrebbe dovuto prevedere che sarebbe finita in modo grottesco.
Punto primo avrebbe dovuto insospettirsi in merito al fatto che Nanao avesse una bicicletta. Non lo aveva mai visto in sella ad una bicicletta da tipo quando usavano ancora le rotelle per imparare ad andarci. Ma poi vabbé, si era detto, non è che a sedici anni poteva continuare nella sua personale visione di avere zero fiducia nell’umanità (e in cima a questa lista c’era ovviamente suo cugino).
Secondo elemento che era stato indice di un probabile risvolto bizzarro della situa era quando si erano caricati su in bici Ryohei, trovato per strada mentre a sua volta si stava recando al loro luogo di incontro per poi andare al matsuri e ad assistere insieme allo spettacolo dei fuochi d’artificio.
Ryohei si era offerto di esser lui a pedalare, al posto di Kaito – mentre Nanao era comodamente, più o meno, seduto sul manubrio, rivolto verso Kaito, una mano ogni tanto appoggiata alla sua spalla per mantenere l’equilibrio – e si era prontamente beccato lo sguardo “fulmina et uccide” da parte di Kacchan.
- Hah? Stai forse dicendo che non sono in grado di portarvi tutti e due? -
- Ma nono. - si era affrettato a spiegare Ryohei, alzando le mani avanti in segno di pace – Sto dicendo che sono il più pesante tra i tre, quindi non vorrei farti fare dello sforzo inutile. -
Ma la cura era stata peggiore del male e aveva prodotto un ulteriore inarcamento di sopracciglio nel volto di Kaito, indice che quella non era stata indubbiamente la risposta giusta da dare.
- Quindi stai dicendo che non ho abbastanza forza e resistenza… - ma era stato interrotto da Nanao al quale, al solito, spettava il compito di paciere.
- Ryohei non starai mica mettendo in dubbio le capacità da maschio alpha di Kacchan, no? - Nanao aveva messo fine alla filippica di Kaito prendendolo bonariamente in giro, facendogli un sonoro buffetto tra i capelli e beccandosi inevitabilmente un grugnito di fastidio e facendo scoppiare a ridere un cuor contento come Ryohei.
- Hah?! -
- Sì sì: indubbiamente molto minaccioso Kacchan, bravo. - battendogli ritmicamente la testa con il palmo della mano, quasi avesse avuto un enorme cagnolone da ammansire -  Dai dai, che siamo già in ritardo. -

Ed era stato così che Ryohei era salito in piedi sul portapacchi della parte posteriore della bici ed ora Kaito, testardo e perseverante come solo lui sapeva essere, stava inspirando e sbuffando fuori l’aria dalle narici come un toro pronto alla carica mentre avanzava imperterrito su per una salita. E non avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura, che stava facendo fatica.
- Nanao, teme, quando è stata l’ultima volta che hai gonfiato le ruote di questa carriola? -
- Hum? - il diretto interessato volse gli occhi verso quelli di Kaito, togliendogli dal cellulare dove stava preparando la fotocamera per fare una foto – Perché, bisogna gonfiare le ruote? -
- Ohy… -
“Andiamo bene!” pensò invece Ryohei.
- Kacchan Kacchan, c’è una scorciatoia di là. - cercò di rifarsi della figura barbina appena rimediata.
E quello era comunque il suo modo silenzioso per aiutare Kaito. Lo sapeva anche senza dover porre l’attenzione sulla gocciolina di sudore che gli stava imperlando la fronte che Kaito stava facendo uno sforzo fisico intenso ma mai l’avrebbe ammesso o avrebbe chiesto aiuto, quindi quello era il modo silenzioso di Nanao di aiutarlo.
- Nei sei certo? - chiese Kaito sospettoso. Non è che non si fidasse di Nanao, ma della sua capacità di giudizio non propriamente oggettiva.
- Hum-hum. - asserì sicuro il diretto interessato, assentendo anche con la testa mentre, con delicatezza, gli scostava dalla fronte le ciocche sudate di capelli. Come ogni volta Nanao aveva compiuto una gentilezza, una carineria, nei confronti di Kaito in modo totalmente spontaneo, senza quasi rendersene conto.
E Kaito lo sapeva perfettamente. Che Nanao aveva queste piccole attenzioni nei suoi confronti del tutto spontanee e di come a Nanao spettasse il compito di placcarlo quando gli stava per partire l’embolo (come lo chiamavano).
Più di tutti, forse anche di Kaito stesso, Nanao sapeva quanto il cugino cercasse di non farselo partire questo embolo. E ci provava – davvero! - a controllarsi ma, a sua difesa, si poteva dire gli partisse solo ed esclusivamente quando teneva a qualcosa o a qualcuno. 
Senza contare, e questa era una cosa della quale Kaito non ne era ancora completamente consapevole mentre per Nanao era come leggere un libro aperto, che Kaito chiedeva sempre tanto a se stesso. Arrivando ad assumersi la responsabilità di dover portare sulle proprie spalle il peso di una situazione – tipo moderno Atlante – anche quando quel peso avrebbe potuto, e dovuto, condividerlo con altri. Per questo per lui era stata una impresa ardua comprendere di dover fare gioco di squadra nel kyudo; l’aveva scelta come disciplina proprio per poter contare solo ed esclusivamente su se stesso e sulle proprie capacità. Se sbagliava o meno dipendeva solo ed esclusivamente da lui. E tutto questo anche per il fatto, come si diceva, che sentiva di doversi addossare tutto il carico della responsabilità dell’aver perso. Quando aveva capito che non era così, che si vince o si perde tutti insieme, Kaito stesso e la squadra ne aveva guadagnato. Non era un caso se Tommy-sensei, con il bene placito consenso di Masa-san, lo avesse messo come omae. Kaito, tra il suo orgoglio – quando lo riusciva a far volgere a proprio vantaggio – tra il suo desiderio di fare il meglio per la squadra, per gli altri, era l’apripista congeniale.

Fatto sta che Kaito non è che non si fidasse dell’umanità per partito preso ma perché sapeva di aver ragione. 
Cos’era quella discesa impervia, con la strada tutta dissestata, che si parò davanti a loro quando erano a metà del cammino ormai?
- Oh-oh… - sussurrò Ryohei che, essendo in piedi oltre ad essere già alto di suo, la vedeva perfettamente quella discesa. Molto discesa.
- Non migliora, eh? - chiese Kaito a confermare dei propri dubbi.
- Già… - fu la risposta laconica, mentre stavano acquistando sempre maggior velocità.
- Ahehm Kacchan…? -
- Io ho semplicemente il terrore di sentire quello che mi devi dire. - fu il commento laconico di Kaito detto con un sospiro rassegnato, sempre impegnato a domare la bici e a cercare di tener salve le vite di tutti e tre. C’erano troppi segnali nel tono di voce di Nanao, nel suo sorrisetto, di come gli appoggiò ora entrambe le mani sulle spalle, che lo inquietavano. Lo conosceva troppo bene. Come il fatto che anche se gli stava per dire che stavano per fare un salto di cento metri nel vuoto glielo avrebbe detto come se fosse stata una cosa spassosissima. 
- I freni… -
- Cosa? - già intuendo la risposta.
- Non funzionano. - e scoppiò a ridere data la situazione grottesca che si era venuta a creare.
- Non c’è proprio un cazzo di niente da ridere! E come freni di solito, con i piedi come i Flinstones? -
- Tipo… -
Risposta che fece pulsare la tempia sinistra di Kaito ancora di più.
- Io non capisco perché non ti abbiano ancora arrestato, guarda. Sei un criminale ad andar in giro con una bici così scassata. -
- Kaito non ti agitare. - stavolta toccò a Ryohei a cercare di placare l’ira funesta dell’amico stringendogli appena una spalla.
E Kaito reagì. Sentiva, anche in questo caso, di aver la responsabilità di portarli sani e salvi al tempio. Se non si fossero schiantanti prima, ben si intende. In una frazione di secondo valutò quale fosse la maniera migliore di agire.
- Ryohei, tu salta giù appena riesco a rallentare un attimo. -
- Non ci penso proprio! Non esiste che vi abbandoni. - replicò solenne.
- Fedele ai propri compagni fino alla morte, eh. - gli fece eco Nanao, cercando di stemperare la tensione, gettando ogni tanto qualche occhiata furtiva alle proprie spalle, a vedere quanto disperata fosse la loro situazione.
- È proprio il caso di dirlo… - bisbigliò Kaito – Ok, allora dato che tu sei quello più in alto di tutti sarai i nostri occhi. Dicci quello che vedi davanti a noi, ostacoli o cose del genere. -
Sì perché il problema era che la stradina si stava anche pericolosamente restringendo.
- Tipo delle persone? -
- EH?! - gridarono gli altri due.
- Dì loro di spostarsi! - lo istruì Kaito.
- Sono quelli della Kirisaki. - li informò Ryohei, aguzzando la vista.
- Allora dimmi dove sono i due cloni. Che li birillo per bene. -
- Kacchan! - lo ammonì Nanao, stavolta seriamente.
- Beh, uniamo l’utile al dilettevole. - fu la replica per nulla scomposta.
- Esattamente, quale sarebbe il “dilettevole”  in questa situazione? – si permise di dissentire perfino un cuor contento come Ryohei, mentre artigliava con le dita le spalle di Kaito, per poi vedere in qualche modo la loro salvezza. - A cinquanta metri, sulla sinistra, vedo un covone di fieno, dovrebbe attutire la caduta. In qualche modo. Tra un po' dovresti riuscire a vederlo anche tu, Kaito.-
- Ok, perfetto. Ora dobbiamo solo evitare di uccidere delle persone. -
- Ah, beh… - fu il commento laconico di Ryohei.
- Stai andando benissimo Kacchan. - gli sussurrò Nanao con un sorriso sincero e una punta di felice orgoglio.
- Con te facciamo i conti dopo. - digrignò in risposta.

L’intera squadra del club di Kyudo della Kirisaki iniziò a sentire degli strani suoni alle loro spalle. Suoni non meglio precisati. Tipo… urla umane? Sì, indubbiamente quei latrati, quei suoni sinistri, erano voci umane. A rallentatore si voltarono e non servì cercar di interpretare cosa quell’agglomerato umano stesse urlando loro, perché venne spontaneo spostarsi sul lato della strada per evitar di esser mestamente – e dolorosamente – travolti. E forse uccisi.

- Ryohei tu hai le gambe lunghe, al mio tre salta. - lo istruì Kaito, senza possibilità di replica, avendo saldamente preso il controllo della situazione.
- Tu – rivolgendosi a Nanao, sussurrando e fissandolo dritto negli occhi. E anche nel tono burbero che aveva usato, quel tono che era il suo marchio di fabbrica, Nanao ci sentì tutta la cura e l’attenzione che Kaito aveva nei confronti degli altri – aggrappati a me. -
E Nanao, come sempre, non avrebbe potuto decidere di scendere in battaglia con nessun altro che non fosse Kaito. Con Kaito al suo fianco sapeva di poter affrontare qualsiasi cosa che la vita gli avrebbe posto sul cammino.
Kaito era una di quelle persone che dava il meglio di sé quando era sottoposto ad un fortissimo stress, se non si lasciava prendere la mano dall’ansia da prestazione, perché riusciva a moltiplicare la propria attenzione e a tirar fuori una calma che, a vederlo da fuori lui che si scaldava così facilmente, non si sarebbe mai sospettato che gli appartenesse. Ecco perché era stato scelto come omae.
Con una precisione millimetrica ordinò a Ryohei di saltare nel punto esatto, mentre lui, preso un piccolo ispiro – lo stesso che faceva quell’istante prima di sollevare l’arco e iniziare a tendere la corda – e assicurandosi di aver messo una mano sulla nuca di Nanao a protezione del capo e con l’altro braccio avvolse l’esile corpo del cugino, saltò a sua volta.

I ragazzi della Kirisaki arrivarono di corsa, in loro aiuto, giusto nel momento in cui tre teste sputarono dal covone, sputacchiando fieno.
- State bene? - si agitò Ryohei e con la sua forza recuperò entrambi per la collottola della maglia e li fece riemergere, sotto gli occhi a dir poco allibiti degli altri. Quando si fu assicurato che i due stessero bene, allora Ryohei poté tirare il fiato, scoppiando a ridere.
- Beh, a suo modo è stato divertente. - proferì balzando a terra ed iniziando a pulirsi i pantaloni. Era impossibile per un cuor contento come Ryohei non trovare sempre il lato divertente e positivo della situazione.
- Hah?! E tu non ridere, Nanao. - lo redarguì brutalmente Kaito mentre ce l’aveva addosso a cavalcioni, posto dal quale l’altro pareva non aver nessuna intenzione di spostarsi. - Avevi detto che eri sicuro che si trattasse di una scorciatoia. -
- Beh, ma lo era! Era una scorciatoia. Solo un po' impervia. - fu la risposta, mentre si stringeva nelle spalle.
- Io non capisco perché sto ancora ad ascoltarti guarda. E levati! Che pesi. - se lo levò brutalmente di dosso, balzando a terra.
- Disse quello che mi ha protetto con il suo corpo… - lo punzecchiò Nanao e capì di esser andato a segno, non per il fatto che le guance di Kaito si imporporarono (era difficilissimo da scorgere dato l’invidiabile carnagione che l’altro aveva) ma per come corrucciò le labbra, come faceva sempre quando era in imbarazzo.
Nel frattempo, Minato e Seiya, che erano già arrivati al luogo dell'appuntamento – che si trovava proprio alla fine della stradina – sentendo tutto quel baccano si erano indirizzati lì di corsa a verificare che nessuno avesse bisogno di un aiuto.
E vi trovarono un insolito quadretto.


- Non pensavo avresti addirittura assoldato dei sicari per farmi fuori. E in un modo alquanto bizzarro. - proferì sinceramente divertito Shuu all’indirizzo di Seiya che gli si trovava accanto nel momento in cui, assicuratisi che non ci fossero danni e feriti, avevano iniziato ad incamminarsi.
- Sia mai che mi sporchi le mani del nobile sangue di un principe. - fu la replica di Seiya, che stette al gioco, producendosi in un sorrisetto mordace.
Niente, non ce la potevano fare, non c’era storia. Punzecchiarsi a suon di frecciatine al vetriolo era il loro modo di rapportarsi. E se la lingua tagliente, con sottintesa presa per il culo, erano una caratteristica di Seiya (Kaito ne aveva ben subito la velenosità all’inizio, anche se in parte meritata visto il suo atteggiamento inizialmente ostile a Minato) lo stesso non si poteva dire di Shuu, che era nobile nell’animo e serafico di natura.
Indubbiamente Seiya era in grado di scatenare in Shuu reazioni che nemmeno lui sapeva di possedere. Di poter provare.
Minato li osserva sempre con un misto di terrore e di apprensione quando li vedeva vicini mentre si sorridevano affabili ma era palese che si stavano lanciando coltellate con lo sguardo, scambiandosi battute al vetriolo. 
Ehy! Fermi tutti! Ma non è che quell’atteggiamento derivasse forse dal fatto che l’uno provasse interesse per l’altro?! Andò nel panico Minato, ma non appena gli occhi di Shuu si posarono su di lui ecco che tutto si dissolse come per incanto.
E fu come se non ci fosse spazio per nessuno che non fossero solo loro due. 
E Shuu dovette trattenersi da quell’impulso di poterlo toccare, sfiorare, accarezzare… limitandosi a parlarsi con gli occhi.
Ad entrambi passò davanti agli occhi il momento in cui, qualche mattina prima,  si erano svegliati, vicini, ed era stato tutto così naturale. 
L’ultima cosa che entrambi ricordarono all’unisono fu quel fugace bacio di Minato. Shuu intuì che era lo stesso pensiero che stava facendo anche Minato perché lo vide distogliere per un istante lo sguardo da lui e lui non poté che stirare le labbra nel suo solito lieve sorriso.
Avrebbero avuto tutto il resto del pomeriggio e della serata per parlare. 
Forse… visti i vari elementi coloriti che orbitavano intorno a loro e che avrebbero di sicuro reso quella serata molto movimentata. 
Ma, si chiese Shuu, le parole erano davvero necessarie?


Continua…




E niente, sono partita a scrivere questo terzo capitolo cominciando dalla parte finale. Parte che mi è venuta in mente mentre mi trovavo veramente in bici  tutta trotterellante in direzione proprio del campo di tiro con l’arco. 
Questa triade è un terno micidiale, ci stanno tuttissimo insieme. Trovo siano esplosivi e divertentissimi insieme, Kacchan è il mio alter-ego e a posto così direi ahahah

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Capitolo 4
*** Le vette non si raggiungono se non c’è una buona cordata ***



 
Le vette non si raggiungono se non c’è una buona cordata





Capitolo 3



- Kacchan cosa ne pensi di Minato e Fujiwara-kun? - fu la domanda a bruciapelo di Nanao.
- Te ne sei reso conto anche tu, eh? - fu la replica seria e pensierosa di Kaito mentre osservava i due diretti interessati camminare davanti a lui.
- Più che altro mi sorprende che tu ne sia reso conto. - lo prese amorevolmente in giro.
- Hah? Comunque, è palese. Fin dalla prima volta che li ho visti insieme. O perlomeno, all’epoca, per quanto riguardava Fujiwara si vedeva che per lui era chiarissimo ciò che provava. Minato, al solito, ha idee molto confuse nella sua testa, perché anche a guardar lui si percepiva chiaramente che Fujiwara non gli è indifferente ma, al suo solito, nella sua testa ha idee molto confuse. - 
- Kacchan! - lo rimproverò l’altro, dandogli una leggera spallata.
- Ma dai, è vero. È palese che per lui Fujiwara non gli è indifferente, l’hai visto come ha reagito quella volta alle qualificazioni del torneo quando si sono visti dopo tempo? O durante la finale? Non sono reazioni che uno ha quando si trova di fronte a quello che considera solo un animo. Solo che figurati ora che lui si capisca, tsk, fa a tempo ad arrivare la fine del mondo. - 
Nanao sapeva che Kaito era sempre così attento alle reazioni delle persone, aveva questa qualità – che tentava di tenere ben nascosta – di saper leggere molto bene l’animo umano, ciò che gli si agitava dentro. Niente da stupirsi, allora, che avesse percepito tutta questa serie di cose immediatamente.

E Nanao, ovviamente, ci mise lo zampino. Cioè, gli dispiaceva per Seiya (e si sarebbe in qualche modo occupato anche di lui, ne faceva una questione di principio) ma, novello Cupido, capì che doveva dare una spintarella (una grande spintarella) a Minato. A dirla tutta aveva confidato in Fujiwara, non gli sembrava proprio uno che dormisse in piedi, ma molto probabilmente questi non voleva traumatizzare Minato con qualche mossa troppo avventata. 
“Sì, mossa avventata, voglio dire... non è che cercar di restar da soli sia chissà quale mossa avventata” stava pensando Nanao, mentre si mordicchiava la punta del pollice, come faceva sempre quando era meditabondo, dopo quel veloce scambio di battute con suo cugino.
- Quale diavoleria stai machiavellando? - gli chiese infatti Kaito preoccupato, dato che conosceva molto bene quel gesto.
- Hum? - l’altro si risvegliò dai suoi pensieri.
- Lo sai benissimo. - Kaito sbuffò, fermandosi e obbligandolo a fare altrettanto dopo averlo fermato per un braccio.
- Oh, Kacchan: hai sviluppato anche la telepatia. Wow, mi sorprendi ogni giorno sempre di più con i tuoi superpoteri. -
- Vuoi che ti sorprenda con il superpotere di trivellarti la testa di pugni? -
- Quanto sei violento, Kacchan. Guarda che se continui così, non troverai mai nessuno che ti sopporti. -
- Ho già te da sopportare, è più che sufficiente. - 
Frase che fece sgranare gli occhi a Nanao per la sorpresa per poi farlo produrre in un piccola piroetta con inchino teatrale annesso e un “grazie, ne sono profondamente onorato.”
- Non penso che dovremmo metterci in mezzo. - Kaito continuò a perorare la propria causa, cercando di renderla ancora più convincente producendo uno dei suoi soliti cipigli, mentre incrociava le braccia al petto.
- Vedi che hai davvero sviluppato la telepatia. - gli fece notare ridendo di cuore.
- No, è che ti conosco perfettamente. E so perfettamente le rotelline che si mettono in moto in questo tuo cervellino bacato. - battendogli ritmicamente il dito sulla sommità della testa.
- O sei con me o sei contro di me. - proferì malandrino Nanao tutto pomposo puntandogli l’indice sul petto, sapendo di dargli i nervi con una frase del genere. Ed era proprio quello che voleva.
- La pianti di esprimerti per luoghi comuni!? - gli arrivò infatti l’imbeccata di Kaito, con comprensiva schiccherata sulla fronte che lo fece fintamente lamentare.
- Ma insomma Kacchan! Guardarli. Guardali! Hanno bisogno di un aiutino. Di un groooooosso aiutino. - indicandoglieli con un plateale gesto della mano aperta.
- Abbassa la voce, cazzo! -
Ma l’altro non si diede per vinto e, pur non proferendo parola alcuna dopo aver fatto il gesto di zipparsi le labbra, li indicò nuovamente con la mano.
- Dormono in piedi... - dovette convenire anche Kaito alla fine, con immensa soddisfazione da parte di Nanao che fece il gesto di esultare in modo silenzioso – Da Minato non mi aspetto niente di diverso ma Fujiwara pensavo fosse uno più sgamato su questo genere di cose. -
E, incrociate le braccia al petto entrambi, iniziarono a spiarli in modo confabulatorio, proprio come due comari.
- Ma forse sarà come Masa-san, che ha dedicato la sua vita e il suo spirito al kyudo e quindi ha sempre sacrificato le gioie dell’amore. -
- Scusa, e tu che ne sai di Masa-san? - ora l’attenzione di Kaito era nuovamente tutta riposta verso Nanao, fissandolo accigliato.
- Hum? - Nanao si sentì osservato e portò a sua volta l’attenzione verso il volto del cugino. Che stava chiaramente aspettando una risposta, infastidito. E la stava aspettando tipo ora.
- Gliel’ho chiesto. - rispose candido, stringendosi nelle spalle come ad indicare che non capiva proprio perché Kaito se ne fosse uscito con quel suo cipiglio incazzoso – Gli ho chiesto se avesse qualcuno. E lui mi ha risposto che aveva dedicato, e stava tuttora dedicando, la sua vita alla via del kyudo -
- Ma come fai a far domande così imbarazzanti alla gente? - sibilò incredulo.
- Ehhh, ma quali domande imbarazzanti? - cercò di difendersi Nanao, trotterellandogli dietro dato che Kaito aveva ripreso a camminare – Mica gli ho chiesto se stantuffa o si fa stantuffare. -
- Piantala di usare questi termini da scaricatore di porto! - lo ammonì severamente Kaito, non avendo ancora capito quanto Nanao adorasse stuzzicarlo apposta per vedergli produrre quel suo cipiglio incazzoso che tanto adorava.
- Sei tu quello che usa termini da scaricatore di porto. -
- HAH?! Io non vado di certo in giro a chiedere alla gente se stantuffa o si fa stantuffare! -
E ovviamente, come ogni volta che gli partiva l’embolo, aveva alzato il tono della voce. Peccato che, come da copione, il resto della compagnia che camminava davanti a loro avessero deciso di zittirsi tutti nel medesimo istante e quindi le parole di Kaito riecheggiarono sovrane. Tutti si voltarono verso di lui, a fissare quel duo che si erano nuovamente fermato e che si sentì leggermente osservato.
- A-ahehm… - Kaito non era per niente bravo a venir fuori dalle situazioni imbarazzanti, che lui stesso creava nella stragrande maggioranza delle volte. A nulla valse il contegno che cercò di darsi e, al solito, fu Nanao a correre in suo aiuto. E mentre stava facendo uno sforzo assurdo per non scoppiare a ridere perché non voleva metterlo in imbarazzo ancora di più.
- Kacchan, Kacchan: dai andiamo in quella bancherella dove si tira con l’arco. -
Voleva spostarlo da lì velocemente, in modo tale da deviare l’attenzione degli altri, tuttavia gli prese la mano con un tocco delicato, accarezzandogli delicatamente le dita, sentendo il solito calore che il palmo della mano di Kaito sprigionava e che lo riscaldava dentro. 
E Kaito, docile come non mai, si lasciò trascinare via ma non facendosi cogliere impreparato, facendo intrecciare le proprie dita con quelle di Nanao per poi esser lui a prendere il comando della situazione ed indirizzarlo verso la bancherella indicatagli, galvanizzandosi all’idea. Gliela avrebbe fatta vedere a quelli della Kirisaki, quanto fosse ancora migliorato in quelle settimane dopo il torneo. Era più forte di lui. Non che fosse uno al quale piaceva mettersi in mostra, non era questo, ma più che altro una sorta di sano spirito agonistico.
E Nanao aveva perfettamente capito che cosa lo stesse muovendo e sentì un sorriso salirgli alle labbra, un moto di puro orgoglio nei confronti di Kaito. Gli piaceva quando quelli che erano i suoi sforzi, il suo impegno, riuscivano ad emergere e a farlo brillare. Cosa che, in qualche modo, si rifletteva anche su di lui; lui per natura non era uno competitivo ma Kaito - la sua vicinanza, la sua indomabile energia, la sua dedizione - erano in grado di stimolarlo.
Le loro mani si sciolsero con una muta carezza solo nel momento in cui si trovarono davanti alla famigerata bancherella e dopo essersi lanciati uno sguardo di intesa. 
Tutto genunianmente felice, Kaito si tirò su le maniche della maglia mentre, ovviamente impaziente, si faceva consegnare l’arco dal ragazzo che si trovava alla bancarella, che poteva aver massimo due o tre anni in più di loro. 
I suoi compagni di squadra gli furono tutti e quattro attorno in un attimo, controllando a loro volta con il loro comprensibile occhio clinico le condizioni della corda. Kaito ne saggiò la tensione, passando poi a controllare i flettenti. Ovviamente quell’arco non aveva il libraggio che lui era solito usare e, di conseguenza, nemmeno le frecce ma ad una distanza così ravvicinata del bersaglio – rispetto ai 28 metri verso i quali erano soliti tirare – ciò non avrebbe di sicuro rappresentato un problema.
Ovviamente il fatto di trovarsi in una bancherella del matsuri e non in un dojo non fece prendere la cosa sottogamba da Kaito. Non si sarebbe mai permesso di non onorare degnamente un arco. Si preparò con grande concentrazione, dopo aver chiesto a Nanao quale fosse il mega peluche che avrebbe voluto. 
- Tsk! Consideralo tuo. - ghignò tutto pomposo quando l’altro gli indicò uno Stitch formato gigante.
Nel momento in cui rilasciò la prima freccia, che ovviamente andò a colpo sicuro, di nuovo Kaito era riuscito a creare silenzio intorno a sé ma stavolta non ne fu per niente cosciente. Come tutti loro nell’esatto momento in cui prendeva in mano l’arco ed iniziava tutta la preparazione era come entrare all’interno di una bolla, dove ogni suono che riguardava l’arco, la freccia (che divenivano un prolungamento del proprio corpo) ti arrivava alle orecchie come se fosse in realtà dentro di te e dove tutto ciò che ti circondava era come sospeso. Non era solo la grande concentrazione a farti estraniare da tutto il resto (suoni, voci, odori) ma era proprio come esser risucchiati in una dimensione dove lo spazio e il tempo venivano sospesi. Tutto era enfatizzato, il ritmo e il suono del proprio respiro, ogni singolo muscolo che entrava in trazione, il suono della corda, il suono dei flettenti che si tendevano ti sibilavano nelle orecchie.
Così come quei piccoli gesti che diventavano una abitudine, ormai così interiorizzati che se non erano gli altri a farteli notare, neppure te ne rendevi minimamente conto. Come lui, per esempio, che quell’istante prima di sollevare l’arco sopra la testa emetteva sempre un piccolo espiro nel quale buttava fuori lentamente l’aria.

Lo tsurune prodotto da Kaito era stato ovviamente differente da quello che avevano prodotto coloro i quali lo avevano preceduto, così come il suono che aveva prodotto la freccia nel momento in cui era andata ad impattare nel bersaglio. Era squillante. E la precisione del ritmo con il quale incoccava la freccia, tendeva l’arco e scoccava era martellante. Per questo, in breve, intorno a lui si creò un campanello di curiosi che si godevano lo spettacolo in religioso silenzio.
- Tsk! Fatto! - scrocchiò tutto orgoglioso quando consegnò a Nanao il suo premio.

E Nanao, più che l’enorme peluche - grande praticamente quanto lui - accolse con gioia il sorriso tutto felice ed orgoglioso di Kaito. 
Sorriso di quest’ultimo che però gli si smorzò dalle labbra quando gli giunse alle orecchie uno tsurune melodioso e cristallino, indubbiamente, e per forza di cose, differente dal suo. Se nel suo emergeva il suono della sua forza, in quello appena prodotto vi era un tipo di melodia completamente differente. E non gli servì girarsi per capire chi lo avesse prodotto perché solo qualche settimana prima ce l’aveva avuto giusto dietro alle spalle e aveva percepito, attimo per attimo, tutta la sua aura maestosa e regale.

Eccolo lì, Fujiwara Shuu in tutta la sua regalità, con le maniche della camicia bianca piegate fino a metà dell’avambraccio, non solo stava mettendo a segno un tiro dietro l’altro, ma le frecce saettavano una sopra l’altra, le piume delle cocche che si sfioravano.
E la cosa che gli rendeva ancora più giustizia è che non lo stava assolutamente facendo per mettersi in mostra ma perché il padre (inetto) di una bambina che tanto desiderava il pupazzo di Mu-Shu non aveva mandato a segno una freccia neanche per sbaglio, generando lo sconforto più totale nella sua progenie. Progenie che ora stava fissando Shuu, apparsale come chissà quale meravigliosa visione, con gli occhi a cuore. Nell’ingenuità dei suoi cinque anni stava sperimentando per la prima volta in vita sua il batticuore di una cotta spaventosa. Fissava il profilo regolare di quel principe (sì, dai: davvero! Sembrava uno di quei principi delle fiabe che correvano sempre in aiuto dei più deboli e dei più bisognosi) sentendo il cuore batterle sempre di più. Per non parlare di quando quel principe, dopo aver mandato a segno TUTTE le frecce (ma a lei cazzo fregava in quel momento?) si era girato verso di lei abbassandosi quel tanto che gli permise di avere i volti alla stessa altezza e le aveva porto il Mu-Shu tanto desiderato.
Non era riuscita a spiaccicare parola alcuna se non quel “grazie” al quale i suoi l’aveva sollecitata. Poi mentre si stringeva addosso Mu-Shu ancora tutta sognante, quando quel principe si era girato dopo averle sorriso con quel sorriso che l’aveva fatta innamorare ancora di più, prima che lui se ne andasse con i suoi amici, quando ormai era già girato, aveva attirato la sua attenzione tirandolo per la camicia, costringendolo in qualche modo ad abbassarsi nuovamente, sorpreso. 
Ma la sorpresa di Shuu si moltiplicò ancora di più quando la bambina, alzatasi sulle punte, gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, prendendo fuoco, prima di scappare dai suoi genitori e prendere sua madre per mano, che salutò Shuu con un lieve inchino del capo. Immediatamente ricambiata dal diretto interessato, che tuttavia se ne restava lì ancora interdetto. Non era così avvezzo ad aver a che fare con i bambini, quindi quel gesto lo aveva veramente colto di sorpreso.
- E bravo il nostro rubacuori! - si divertì a dargli un bonario tormento Sase, dandogli una vigorosa manata sulla schiena.
- Tch! - la lingua di Kaito schioccò infastidita sul palato.
- Che c’è Kacchan, vuoi che ti dia anch’io un bacio sulla guancia per ringraziarti, mio principe? -
- Idiota! Guarda che mi riprendo Stitch. -
- Non ci pensare minimamente! -

Ma per Kaito la questione non era ancora finita lì. 
Mentre stavano ancora tutti gironzolando tra le bancherelle, in attesa dei fuochi, gli si presentò l’occasione. Shuu era seduto da solo, in attesa di Minato e Seiya, in una delle panchine che portavano verso la salita del tempio, da dove avrebbero assistito allo spettacolo dei fuochi d’artificio.
Nanao non capì subito dove Kaito si stesse pilotando e quasi gli venne un colpo quando il cugino si rivolse a Fujiwara con quel suo solito ohy? che appariva minaccioso anche quando Kaito non lo voleva essere.
Nell’ordine, gli scenari che si presentarono nella mente di Nanao (uno più apocalittico dell’altro essendoci di mezzo Kaito e la sua ben nota – spoiler: per niente! - delicatezza) furono: 
- che gli proponesse una sfida all’ultimo sangue a scoccar frecce fino a quando uno dei due non sarebbe stramazzato agonizzante a terra, 
- che lo sfottesse dicendogli che lo Stitch che aveva vinto lui era più bello del suo Mu-Shu,
- che avrebbe esortato Fujiwara a darsi una mossa con Minato, uscendosene con qualcosa del tipo “ti serve un disegnino per capire come infilargli la lingua in gola?”

Sì, indubbiamente tutte cose molto poco edificanti alle quali, al solito, lui avrebbe dovuto in qualche modo porvi rimedio, solo non sapeva davvero come in questo caso. 
Tutti questi pensieri gli si affacciarono alla mente nel giro di una frazione di secondo e stava di nuovo per recuperare la mano di Kaito per trascinarlo via da lì, mentre notava come Shuu avesse lentamente sollevato gli occhi verso quelli di Kaito, restando quietamente in attesa ed emanando una calma ed una seraficità pazzesche. Quel ragazzo era straordinario, pensò Nanao, ammirato, non stava arretrando di un passo di fronte a Kaito, perché aveva perfettamente capito che non ci fosse nulla da temere da lui.
- Tu sei già incredibilmente bravo, cosa ti spinge ad impegnarti per migliorarti ancora di più? -
No, ok aspetta… cosa?! Nanao, sbalordito, si girò a fissare Kaito con la mascella praticamente a terra. Che cosa aveva appena sentito? Kacchan fare un complimento a qualcuno e in modo così esplicito? Intendiamoci, Kaito non era uno che le mandava a dire ma di solito quando doveva fare un complimento a qualcuno o esprimere un apprezzamento era una cosa che lo imbarazzava così tanto che quando cercava di esprimerlo a parole si incartava paurosamente e quello che riusciva a proferire suonava tanto come una minaccia di morte e non un apprezzamento.
Anche Shuu sgranò gli occhi per la sorpresa. Aveva capito che quella forza della natura che gli stava di fronte fosse uno senza peli sulla lingua (e che fosse uno tsunderello fatto e finito, il classico cane che abbaia ma che poi, quando l’hai conquistato, per te si sarebbe strappato anche il cuore dal petto se ne necessario, difendendoti a spada tratta) ma mai si sarebbe aspettato un complimento del genere.
Che strana quella domanda, pensò. Non si era mai fermato a chiedersi il perché. Per lui sarebbe stato come chiedergli perché un essere umano respira o si ciba.
Prese quindi molto sul serio la domanda che gli Kaito gli aveva posto. Incrociò le mani sotto al mento, concentrandosi sulle parole giuste da usare perché davvero non era semplice descrivere quello che provava con delle parole. Gli sembrava che non sarebbero state in grado di esprimere a pieno quello che sentiva dentro.
Kaito attendeva, con le braccia incrociate al petto e il suo cipiglio incazzoso, che in realtà indicava grande attenzione.
- Credo dipenda dal fatto che non ho mai ragionato in termini di competizione, di vittorie e di sconfitte. Ma ho sempre inteso il kyudo proprio come quella via dell’arco che si propone di essere, di virtù e verità. Un’esperienza totalizzante con me stesso, per conoscere e migliorare me stesso. Avete presente? Non modificare lo strumento ma modificare colui che tira. - 
I due cugini ascoltavano entrambi con grande attenzione quella risposta.
- Hum. Da uno come te accetto una risposta del genere perché è palese che tu non mi stia prendendo per il culo ma sia una risposta seria e non da fighetto. - asserì Kaito annuendo anche con il capo, cacciandosi ora le mani in tasca.
Shuu tralasciò di chiedersi cosa intendesse l’altro con quel “da uno come te” e accolse le parole di Kaito con il suo solito lieve sorriso, facendo un lieve inchino con il capo come a volerlo ringraziare.
Dal canto suo, invece, Nanao avrebbe voluto dare uno scappellotto al cugino proprio per quel “uno come te” perché chissà il povero Fujiwara che cosa stesse pensando ma fosse troppo educato per chiedere. Ma lo scappellotto glielo diede metaforico.
- Ahh Fujiwara-kun ignoralo quando fa così, ha preso una botta in testa quando era piccolo dovrebbe essere ancora ricoverato in ospedale. -
- Ma non è vero! - ci tenne a precisare Kaito come se temesse che Nanao potesse essere creduto e parlando con, cosa incredibile per lui, estrema pacatezza.
E a quel siparietto Shuu si lasciò scappare una piccola risatina.
- Onogi-kun faccio io una domanda a te ora. - rifattosi improvvisamente serio e Kaito si fece serissimo a sua volta, assottigliando gli occhi, come sempre quando si faceva attento, proprio come i gatti.
- Se mentre ti stai esercitando hai scoccato quattro frecce, che son andate tutte dritte nel centro del bersaglio, cosa fai: ti arrischi a scoccare anche la quinta, con il rischio che ti rovini quel volé perfetto, o non ti interessa e vai: scocchi? -
- Tsk! Che domanda. - rispose ghignando - Ovvio che non mi interessa. Un vero arciere non guarda ai centri ottenuti, quelli sono solo una conseguenza. Un risultato ottenuto da tutta la preparazione e la compostezza del tiro non un obiettivo. - 
Shuu sorrise pacato a quella risposta.
- Vedi? Abbiamo detto la stessa cosa sostanzialmente. - 
E di nuovo si guadagnò il ghignetto soddisfatto di Kaito e il sorriso deliziato di Nanao, i quali fecero per proseguire nel loro cammino ma vennero richiamati indietro di Shuu.
- Onogi-kun? Kisaragi-kun? -
E i due si voltarono contemporaneamente, uno di fronte all’altro, fissandolo incuriosito, mentre si era alzato e aveva un mosso un passo verso di loro.
- Grazie per esservi presi cura di Minato e di Seiya. - e si proferì in un piccolo inchino.
Santi Numi, ma quel ragazzo era reale? Ma da quale era saltava fuori, da quella dei Samurai?
Kaito, per niente avvezzo ai complimenti, ovviamente non li sapeva gestire e avvampò, grattandosi la nuca imbarazzato, volgendo lo sguardo verso Nanao perché si desse una mossa per replicare qualcosa. Il quale Nanao doveva ancora riprendersi dalla sorpresa. Dio, quel ragazzo lo aveva appena conquistato nel modo più totale e assoluto. Non era facile lasciare anche Nanao senza parole.
- Beh… - lanciando occhiate nervose a Kaito sperando l’insperato, cioè un aiuto da parte sua. Cosa che ovviamente non avvenne.
- Beh, siamo amici, è normale. E ti assicuro che anche loro si sono presi cura di noi. Soprattutto di Kacchan. – rise – Anche se Kacchan all’inizio aveva il dente avvelenato nei confronti di Minato. E si prendeva delle belle tranvate sui denti dal parte del nostro presidente - non ce la faceva a non cercare di metterlo in imbarazzo. Perché semplicemente adorava come avvampava e, di conseguenza, corrucciava le labbra.
Shuu era rimasto molto colpito dal fatto che Nanao avesse usato il termine “amici” e non semplicemente “compagni”, era una cosa indubbiamente interessante. E bella anche. E che traspariva perfettamente anche quando gareggiavano, il fatto che ciò che li accomunava fosse un sentimento di amicizia, che aveva creato legami e ricordi insieme. 

- Nanao, teme! Beh, mi faceva incazzare all’inizio - si giustificò – vedevo come calpestasse il suo orgoglio di arciere. E in quanto a prendermi piccate da parte di Seiya che mi rispondeva a tono, beh… in parte credo fosse meritate. -
- Credi? - lo punzecchiò divertito Nanao, ricordando però quale fatica gli fosse costata spegnere quel fuoco in Kaito quando Seiya ci buttava benzina sopra.
E quelle parole colpirono molto Shuu.
- Il suo orgoglio di arciere… - ripeté questi mormorando, assottigliando appena gli occhi e lasciandogli andare.
Tuttavia quando Kaito ebbe iniziato a salire la scalinata, esortato da Ryohei che li aveva raggiunti, Nanao – già sul primo scalino – si fermò un attimo per poi voltarsi.
- Fujiwara-kun? -
- Sì? -
- Vedere Kacchan fare un complimento a qualcuno in modo così esplicito, superando la sua  naturale ritrosia, è un po' come assistere all’allineamento dei pianeti del sistema solare. – gli disse ridendo ma anche addolcendo lo sguardo – Ma non perché non riconosca il valore del suo avversario ma perché, nonostante il suo continuo sbraitare e guardare le persone come se volesse ucciderle, è una persona estremamente timida e riservata. Se è arrivato a farti un complimento vuol dire che ti ammira e ti stima molto. E che la sua missione di vita è quella di impegnarsi ancora di più e riuscire a dimostrarti di essere bravo almeno quanto te. -
Shuu, sorpreso, non riuscì lì lì a proferire nulla e comunque anche se avesse voluto non averebbe potuto replicare alcunché perché Nanao era parso sul punto di andarsene ma, nuovamente, si era bloccato quasi avesse avuto una rivelazione.
- Ah! - eccolo lì, infatti, di nuovo voltato verso di lui – Io se fossi in te mi butterei. Sai, sarei sicuro di avere il vento favorevole. - concluse strizzandogli l’occhio e, cielo: cosa vide? Fujiwara Shuu arrossire? Ok, voleva dire che la missiva era arrivata, forte e chiara.
Sì, come se fosse facile scrollarsi di dosso tutta quella gente!, pensò Shuu.

E tentare di scrollarsi di dosso tutta quella gente era quello che stava pensando anche Minato. 
Oltre al fatto di tentar di tenere a bada il suo cuore. Ok, nella letteruatura medica si narrava di casi in cui il cuore era esploso nel petto del legittimo proprietario ogni qualvolta gli occhi si posavano in quelli di un’altra persona? No, giusto per sapere a che razza di morte poteva andar incontro.
Sempre se si fosse ricordato di continuar a respirare, ben si intende.
Santo Cielo, ma cosa gli era successo? Dopo la notte passata con Shuu e dopo la chiacchierata con Masa-san indubbiamente era come aver subito una sorta di trasformazione. O meglio: aver iniziato a pensare Shuu in modo diverso, guardarlo in modo diverso. Cioè ok, era sempre stato consapevole del fatto che fosse oggettivamente bello, un arciere straordinario, una persona in grado di infondere una calma e una seraficità pazzesca, che aveva sempre quel modo squisito e cortese di rivolgersi a tutti e che non fosse il classico viziato figlio di papà come giravano in tanti lì alla Kirisaki, ma ora…
Ora era come se gli si fossero tolti da davanti agli occhi dei veli, lo aveva detto anche a Masa-san, era come se vedesse tutto con colori più vividi.
Ah, già! Piccolissimo particolare: il sogno di quella notte. Voleva spararsi un colpo in testa solo a pensarci! O sotterrarsi dalla vergogna. Non aveva neanche il coraggio di pensarci, il problema però era che il suo inconscio continuava a presentargli quelle immagini davanti agli occhi e con dovizia di particolari. Immagini per niente caste, ovviamente. Santi Numi, ma da dove gli era saltato fuori quel film p0rno?! Quando si era risvegliato, in un bagno di sudore e con quella a dir poco imbarazzante macchia umida e appiccicaticcia sui pantaloni e lentamente tutto si era fatto chiaro e non nebuloso nella sua mente, si sarebbe lanciato dal secondo piano. Ma con che coraggio avrebbe guardato Shuu in faccia tra poche ore? Gli sembrava di averlo in qualche modo insozzato. 
Ecchecazz! Non era la prima volta che gli succedeva, sapeva fosse una cosa normalissima ma solo… solo… Shuu! 
“Arghhhh!” ancora si lamentò dentro di sé, sentendosi avvampare. D’altra parte gli era praticamente impossibile non essere calamitato dalla figura di Shuu. Soprattutto ora che in lui si stava facendo strada una maggiore chiarezza e consapevolezza di quello che provava nei confronti dell’amico.
Beh, d’altra parte il suo inconscio glielo aveva sbattuto per bene in faccia quella notte, se non gli fosse stato chiaro che – tra le altre cose – provava una attrazione fisica – e sessuale! - per lui. Minato aveva sempre pensato che ammirasse e fosse attratto dal suo modo di praticare il kyudo, pensava si trattasse di una leggera infatuazione per lo stile di kyudo di Shuu, e non per lo stesso Shuu!
Ora doveva capire come agire e se potesse avere qualche chance con lui. (E poi non si dica che Kacchan fosse maligno quando diceva che Minato aveva idee confuse dentro di sé.)

Punto primo, piccolissimo scoglio: erano due ragazzi. 
Ok, sapeva che Shuu non aveva nessun tipo di preconcetto, se la ricordava perfettamente quella volta in cui – in terza media – aveva messo a zittire un gruppo di imbecilli di classe loro che stavano facendo dei commenti omofobi. 
Li aveva taciuti con il suo solito modo calmo e serafico di parlare ed era stato tipo meraviglioso.
Ok, ok! Ma il fatto che non fosse un omofobo non è che implicasse necessariamente che gli piacessero i ragazzi.
Mamma santa, ma poteva essere più sfigato di così? Prima infatuazione in vita sua, che già era complicata di per sé per antonomasia, e verso chi? Verso un altro ragazzo. Giusto per renderla ancora più complicata e magari ancora più sofferente. Sì perché se già di suo non è che fosse uno che esprimeva i suoi sentimenti in modo così esplicito, figurarsi doversi dichiarare e dichiarare ad una persona dello stesso sesso. E non uno qualsiasi, ma Shuu! Se il tutto non fosse stato così tragico, nonché grottesco, sarebbe stato anche da ridere.

Non che avesse intenzione di dichiararsi quella sera sia ben chiaro (e si chiedeva se mai avrebbe avuto il coraggio di farlo) anche perché stava ancora cercando di venire a patti con la confusione che aveva dentro di sé. Si chiedeva come fosse possibile che, dopo tutti quegli anni che si conoscevano, perché non si fosse preso una infatuazione per Shuu molto prima. Forse perché credeva all’amore a prima vista? Ma no no, non diciamo fesserie. Sapeva che anche i suoi genitori si conoscevano fin dai tempi del Liceo ma era stato solo all’Università che si erano resi conto di essere innamorati l’uno dell’altra. Un sentimento che era cresciuto piano dentro di sé, da amicizia si era poi trasformata in amore.
Quella mattina aveva cercato di parlare con suo padre proprio di questa cosa ma era stato un momento così imbarazzante che anche solo a ricordarlo si sentiva andare a fuoco le guance. Si erano fissati, uno seduto dal lato opposto del tavolo, fissandosi – imbarazzati – che era certo che se gli avesse raccontato per filo e per segno di come e cosa Shuu gli avesse fatto nel sogno che aveva fatto solo qualche ora prima, sarebbe stato di sicuro meno imbarazzante.
Era certo che quel silenzio assordante non fosse dovuto al fatto che aveva nominato suo madre, ormai era da tempo che riuscivano a parlare di lei, di ricordi che la riguardavano, senza che la voce di entrambi si incrinasse.
Ad un certo punto suo padre, che era uno di poche parole, se n’era uscito con l’infelice frase “Minato, devo spiegarti su come evitare malattie e gravidanze indesiderate?” e lui tipo avrebbe voluto morire in quel preciso istante o che, a scelta, arrivasse una astronave aliena a rapirlo. E non seppe dirsi perché in quel momento la risposta, intelligentissima, che gli sovvenne alla mente era stata qualcosa del tipo “beh, tranquillo: in questo caso nessuno dei due rischierebbe di restare incinto” ma voleva evitare, per il momento, che a suo padre venisse un colpo, al corso di pronto soccorso a scuola non gli avevano ancora insegnato come effettuare un massaggio cardiaco.

Dunque, ricapitolando: se mai si fosse dichiarato a Shuu, sapeva per certo che questi non avrebbe provato schifo nei suoi confronti per il fatto che lui fosse un ragazzo. 
Magra consolazione. Sospirò sconsolato e lo cercò con gli occhi tra la folla, vedendo la sua schiena ed inevitabile ripensò a quando si era addormentato tra le sue braccia. Lì c’era stato il primo campanello d’allarme. Era stata una sensazione a dir poco meravigliosa, che non riusciva a descrivere a parole, perché erano sensazioni non descrivibili a parole e si chiedeva se anche Shuu le avesse provate identiche alle sue ma ovviamente, almeno per il momento, non se ne parlava proprio di chiedergli una cosa simile. Ora ciò che desiderava era restare da solo con lui, gli bastava anche solo camminarci a fianco, in silenzio. Con Shuu il silenzio non pesava mai. 

Ma ora bisognava proseguire con il punto secondo.
Dunque, qual era il punto secondo? Tipo magari di evitare di farsi sgamare così brutalmente? E da chiunque? Perché si chiedeva se Shuu, ogni volta che gli si avvicinava (e Minato era così agitato e incasinato nella testa da non rendersi conto che Shuu gli si avvicinava, o meglio: non gli si scrostava di dosso se non proprio strettamente necessario, praticamente sempre, cosa questa che lo avrebbe in qualche modo aiutato a capire le intenzioni dell’altro) avrebbe finito per sentire come il suo cuore iniziasse a rimbombargli in petto e di come il respiro si facesse corto.
No dai, non era questo il punto secondo. Il punto secondo era… e gli vennero in mente le parola di Masa-san. Goditi queste sensazioni, la persona stessa...
Già, era vero! Doveva godersi quel momento. Era tutto così preso dai suoi pensieri, dalla sua agitazione, che non si stava né godendo Shuu, né i suoi amici. E vabbè, la faceva facile la sua parte razionale!, si ritrovò a pensare, quando venne interrotto dalle sue elucubrazioni mentali.

- Ohy? -
Lentamente si girò, sentendo un brivido ghiacciato percorrergli la schiena. 
Oh Signore, che cosa aveva fatto per far incazzare Kaito? Era da quella volta del torneo che non gli sbraitava contro. 
Dopo quella famosa volta che aveva recuperato il cappello di Nanao, sapendo che cosa significasse per lui, Minato si era conquistato la fiducia di Kaito. Kaito era così: diffidente e sospettoso all’inizio, proprio come i gatti, ma quando si conquistava la sua stima e la sua fiducia, allora ti avrebbe difeso a spada tratta, arrivando anche a strapparsi il cuore dal petto per te se fosse stato necessario.
Quindi, tolta la parentesi di quella volta al torneo, prima della finale, quando Minato gli aveva dato una scossa e Kaito si era fatto prendere per un attimo dall’ira ma poi aveva capito cosa stesse cercando di dirgli Minato, non era più successo che l’avesse fatto incazzare, quindi cosa diamine era accaduto per farlo fissare così minaccioso ed infastidito?
- S-sì? - chiese portando i suoi occhi su quelli dell’altro.
- Sei imbarazzante. E mi stai innervosendo con la tua staticità. -
- E-eh? - biascicò in confusione totale, mentre Kaito avvicinava ancora di più il proprio volto al suo.
- Ti serve un disegnino per capire come infilargli la lingua in gola?! -
Signore! Ecco, lo aveva detto! Nanao, anche se non presente alla scena, conosceva sufficientemente bene Kaito per sapere che se ne sarebbe potuto uscire con una frase del genere presto o tardi. 
A sua personale discolpa si poteva dire che lo avesse fatto per spronare Minato, solo che forse doveva lavorare ancora un po' sui modi.
- Ka- Kaito! - urlò questi, mentre lanciava occhiate in giro a vedere se qualcuno lo avesse sentito ma per fortuna Onogi aveva scelto un momento in cui gli altri o erano distanti o erano distratti da altre cose.
- Datti una mossa. - ribadì l’altro dandogli una piccola schiccherata in fronte.
- Ma tu… tu come hai fatto a capire? - chiese Minato, massaggiandosi la fronte nel punto colpito e cercando di non sbilanciarsi troppo.
- Tsk! - ghignò Kaito divertito. E come schioccava la lingua lui sul palato mai nessuno nella vita, perché a seconda dell’intensità, della velocità, del rumore stesso dello schiocco, Kaito esprimeva mille tipi di comunicazione non verbale.
– Bisognerebbe esser ciechi per non capirlo. E mi sa che l’unico cieco qui è proprio Fujiwara. - concluse bisbigliando.
- Non è propriamente così semplice, eh. - proferì Minato, contrariato dal fatto che l’altro la facesse così semplice, non prendendo in considerazione tutti i suoi turbamenti interiori tipo per esempio anche solo sentirlo fare il nome di Shuu.
- Hah? - fu la replica minacciosa di Kaito, mentre aveva cacciato le mani nelle tasche dei pantaloni, iniziando a camminare – Ti serve davvero un disegnino? -
- Ma non stavo parlando di quello! - replicò, avvampando – Mi riferivo al fatto che… che c’è troppa gente per esempio e non è semplice restare da soli. -
- Siamo ad un matsuri, ci sarà sempre troppo gente. - riferì l’ovvio.
- Cosa state confabulando voi due? -
Ryohei fece fare un salto a tutti e due, dallo spavento, essendo sbucato dal nulla all’improvviso e non permise a Kaito di replicare. 
Ma neanche dopo essersi ripreso dall’infarto procurato dalla comparsata di Ryohei, Kaito avrebbe potuto fare alcunché poiché il gigante buono, con la sua solita castroneria per evitare proprio Kaito, andò inavvertitamente ad urtare contro uno dei due cloni (quei due erano sempre in mezzo!) e il contenuto della sua bottiglietta d’acqua si riversò niente meno che addosso a Shuu. 
La bottiglia era pressoché vuota ma l’acqua che restava non impedì di fare una micro doccia a Shuu. L’urlo agghiacciato e mortificato di Ryohei si sarebbe potuto tranquillamente sentire a chilometri di distanza. Lui fu l’unico che articolò suoi dalla bocca, come Shuu che cercò in tutti i modi di tranquillizzarlo, perché il resto dell’allegra brigata si era ammutolita all’istante per il solo semplice fatto che un Fujiawara Shuu con camicia bianca bagnata addosso - che era inevitabilmente diventa trasparente e appiccicata al suo petto, lasciando intravedere il fisico tonico che si trovava al di sotto, in un gioco di “vedo non vedo” – era indubbiamente una visione intrigante.

Sehhh, aloha! Altro che sogni porno adesso! Non servivano proprio i sogni in quel momento, Shuu stava dando uno spettacolo (porno) di tutto rispetto. Minato si portò una mano alla bocca, avrebbe anche potuto portarla al naso per assicurarsi che non partisse uno schizzo di sangue sui 100 metri ad ostacoli o portarsi una mano sul petto ad assicurarsi che il cuore stesse ancora battendo o non battendo troppo. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso ma comunque vide perfettamente, con il centottantesimo grado della vista, come perfino Kaito stesse scanerizzando l’altro, facendo risalire gli occhi sulla figura di Shuu con lentezza estenuante.
- Cosa guardi?! - lo redarguì, quasi strillando.
- Cosa c’è, sei già geloso? - lo perculò per bene Kaito, abbassando il volto a sussurragliela all’orecchio questa provocazione.
Ovviamente, come si diceva, non erano gli unici due che erano rimasti quell’attimo in più a fissarlo.
- Sase lo vedi senza camicia, a petto nudo, ogni giorno in spogliatoio. - lo prese in giro Hiroki, cercando di spezzare – con i suoi soliti modi pacati – quella situazione di stallo.
- Sì, ma con la camicia bianca tutta bagnata e trasparente è indubbiamente tutto un altro vedere. - precisò Daigo, cercando di buttar la cosa in ridere e riprendersi dalla figura barbina fatta, ma facendo più danno che altro in questo caso.
- Sase-senpai devo forse considerarla come una molestia sessuale? - fu infatti la replica di Shuu. Come questi riuscisse a risultare serio e minaccioso anche se il suo tono era, al solito, placido, era uno dei tanti suoi misteri.
- Ehm… no… scusa. -
E quale piccola risatina deliziata scappò a Hiroki per come il suo compagno fosse stato messo al suo posto dal loro kohai. Come sempre.
Ma se non altro quella era l’occasione giusta per agire. O almeno fu quello che pensò Nanao.
- Fujiwara-kun: nei bagni che ci sono un po' più indietro ci sono degli asciugatori mani ad aria, così puoi asciugarti un po' la camicia. -
Il diabolico furetto si era mobilitato immediatamente. Sfruttando il fatto che la gente si stesse muovendo tutta nello stesso identico momento per raggiungere dei punti strategici per poter ammirare i fuochi, che sarebbero iniziati da lì a breve, era un attimo perdersi tra la folla e quindi Nanao pensò bene di spingere contro flusso Minato – come un salmone canadese che risale la corrente –  in modo tale che, separandosi dagli altri, sarebbe rimasto da solo con Shuu. Certo, c’erano all’incirca un milione di persone ma se non altro sarebbero stati separati dai propri compagni.


- Mi dispiace farti attardare, Minato. Rischiamo di perderci l’inizio dei fuochi. E abbiamo perso anche gli altri oltretutto. -
- Tranquillo: va tutto bene. -
“Va tutto malissimo invece! Non so da che parte guardare!” si impanicò invece dentro di sé Minato.
Erano in quel bagno pressoché deserto, con Shuu (splendidamente) quasi nudo dalla vita in su mentre asciugava la camicia aperta sul petto. Lui non sapeva dove guardare mentre Shuu non gli staccava gli occhi di dosso. Sarebbe stato più corretto dire che non è che non sapesse dove guardare perché la sua attenzione era tutta calamitata da quel fisico tonico che praticamente stava urlando di essere fissato. Ecco, anche questo era indubbiamente un leggero campanello d’allarme, si erano visti nudi negli spogliatoi e nelle docce un’infinità di volte e sì ok, lo aveva visto come il fisico di Shuu stesse crescendo e si stesse facendo più adulto ma era come quando si va in un museo e si ammirano certe sculture, adesso indubbiamente quel corpo gli appariva tutto fuorché come una scultura. Cioè, perfetto ma anche… anche così desiderabile, così vivo. Così pulsante. Santo Cielo ma era diventato un pervertito sessuale nel giro di un paio di giorni? Gli ormoni si erano improvvisamente risvegliati dopo un torpore durato tipo da sempre? E dire che era estate ormai, la primavera – la stagione degli amori e degli accoppiamen… Minato, smettila! - era già passata da un pezzo. Non sapeva cosa fare, se non quello di girare in tondo con le mani sulle guance in una rappresentazione animata del ben celebre quadro di Munch.
- Minato, ti sto mettendo a disagio? -
Eccallà! Sapeva lui che a Shuu non sfuggiva niente.
- N-no. Scusami… - riportando infine gli occhi sui suoi, che erano indubbiamente un territorio neutrale - sì, più o meno… - e gli sorrise. Sorriso che venne immediatamente ricambiato da Shuu, che si era indubbiamente preoccupato.
- Non ti devi scusare, sono io semmai quello che si deve scusare per il fatto di star facendo tardi. - disse mentre controllava lo stato di umidità della camicia. - Direi che ci siamo. -
- Non avere fretta, asciugala per bene, anche se è estate qua siamo in collina e con il buio l’aria è fresca alla sera. -
E Shuu lo fissò sgranando gli occhi, per la sorpresa. Si stava preoccupando per lui, era a dir poco adorabile.
- Grazie. - sussurrò all’indirizzo di Minato, il quale Minato scosse la testa sorridendo, come a dire che non serviva che si scusasse, avvicinandosi a lui per controllare a sua volta quanto bagnata o meno fosse ancora la camicia. E quale stilettata gli arrivò diretta al naso! Il profumo della pelle di Shuu lo invase dentro, penetrandolo fin nei meandri più profondi del suo essere.
- È… è asciutta sì. - disse, portando gli occhi su quelli dell’altro. Rimandendo ammalitato, e confuso, da quello che vi lesse. Avevano una luce così… dolce. Dolce sì, ma anche… non era solo di dolcezza era come se Shuu gli stesse parlando con quei suoi occhi spettacolari, gli stesse comunicando ciò che gli si agitava dentro. Forse che… avrebbe anche potuto sperare di non vedersi rifiutato?

Fu il primo fuoco di artificio sparato in aria a fermare quella loro conversazione fatta di sguardi.
Si precipitarono fuori dai bagni, per godersi meglio lo spettacolo. Che gli lasciò senza parole, anche se era il profilo dell’altro – con il naso all’aria e lo sguardo estasiato, la gioia che si manifestava nella piega delle labbra – lo spettacolo che attirava inevitabilmente gli occhi sia dell’uno che dell’altro e di come, quando l’uno scopriva lo sguardo dell’altro su di sé, inevitabilmente lo incroci insieme per poi staccarlo improvvisamente, teneramente imbarazzati.
- Va tutto bene? - gli chiese Shuu ad un certo punto, vedendolo in qualche modo nervoso, come se si trovasse sull’orlo di un precipizio indeciso se saltare o meno.
- Hm… sì… mi godo il momento… - quella frase di Masa-san era il suo personale mantra di quella sera. 
- È  indubbiamente un buon suggerimento. - rispose, portando nuovamente lo sguardo sopra di sé – è uno spettacolo meraviglioso, non trovi?-
- Non puoi neanche immaginare quanto… -
Essere lì, con lui, ad ammirare i fuochi era come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

Così come fu naturale il fatto che Minato, facendo una vera e propria prova di coraggio ma, al contempo, in un gesto che gli venne spontaneo, senza forzatura alcuna, fece scivolare la propria mano lungo il braccio di Shuu, attendendo la reazione dell’altro, per poter capire se poter proseguire o meno. 
E Shuu si irrigidì per un attimo, come se avesse ricevuto una scarica elettrica, ma non perché gli desse fastidio ma molto semplicemente perché tutta la sua attenzione si era catapultata lì. Alle dita di Minato che lo stavano sfiorando. Si trovò costretto a deglutire, ancora immobile, ma si mosse velocemente nel momento in cui Minato, preoccupato di aver osato troppo, fece per ritrarre quella mano e allora fu veloce, Shuu, a trattenerla, permettendo a Minato di sentirsi carezzare da quel palmo caldo e accogliente. Abbassò per un attimo lo sguardo a terra, socchiudendo gli occhi e poi anche le sue dita cercarono quelle dell’altro e solo allora si resero conto di quanto avessero sospirato quel momento e le loro dita si cercarono e si trovarono.
Nessuno dei due osava guardare l’altro, troppo impegnati a cercare di dar tregua ai loro poveri cuori impazziti. 
- Va bene? – chiese alla fine Shuu sorridendo, e tirando su il braccio ad indicare con lo sguardo le loro mani intrecciate.
- Sì, va bene. – sorrise di rimando Minato, con un sorriso che Shuu non gli aveva visto mai.
E il loro toccarsi mise a tacere il loro bisogno di parlare per stemperare la tensione e proseguono a guardare i fuochi, in silenzio. Non pensavano a quello che avrebbero detto dopo, quando i fuochi sarebbero finiti, a cosa avrebbero fatto – questa cosa metteva una certa strizza da entrambi. Ora erano lì, ed esisteva solo quel momento, con Shuu che aveva iniziato ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice, in piccoli cerchi concentrici.
Non volevano neppure chiedersi il perché di quel gesto, che cosa implicasse. Non vorrebbero fosse solo l’enfasi del momento, anche se si conosco sufficientemente bene da sapere che nessuno dei due fa mai mosse avventate.
Quello che sa Shuu, però, è che il sorriso di Minato di fronte alle loro dita intrecciate gli ha fatto venire una voglia pazzesca di baciarlo.
Questa ritrovata consapevolezza fece girare lo stomaco a Shuu. Nonostante molti – sia ragazze che ragazzi - gli si fossero dichiarati e gli avessero chiesto di uscire, lui aveva sempre declinato gentilmente (forse già perché il suo pensiero correva solo ed unicamente a Minato) e quindi non aveva esperienza con le cotte, non sapeva – prima di Minato – di come si sentissero le farfalle nello stomaco, non aveva idea di cosa significasse quel nodo in gola.
Immerso in queste considerazioni non si rese conto che Minato gli stava parlando, mentre si trovavano ancora mano nella mano.
- Come scusa? - 
- Ti stavo dicendo che, se ti va, per vedere meglio i fuochi possiamo raggiungere un posto migliore. Da qui conosco una scorciatoia per arrivare in uno piccolo spiazzo praticamente semi-sconosciuto. -
“Minato, Kami Sama: così sembri davvero uno stupratore!”
- Una scorciatoia tipo quella che aveva suggerito Kisaragi ad Onogi? - rise divertito Shuu.
- Mamma mia… - Minato, invece, rabbrividì ancora al ricordo. Quei tre potevano farsi veramente male, solo la prontezza di riflessi e la lucidità di Kaito – e qualche buona stella - li aveva in qualche modo salvati.
- Nono, niente di tutto questo. - precisò – Solo ecco, c’è da passare sotto ad una siepe. - 
- Passare sotto ad una… siepe? - chiese Shuu, perplesso – Cioè sconfiniamo in una proprietà privata? -
E, oddio: cos’era tutta quella serietà? Minato scoppiò a ridere di cuore.
- Nono tranquillo, non ti faccio fare nulla di illegale o che ci faccia rischiare la galera, anche perché la galera per te, bello come sei, sarebbe di sicuro ancora più un infernops. -
“CAZZOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!” urlò Minato dentro di sé, ma ormai il danno era fatto, non poteva ricacciarsi indietro le ultime parole.
- Scusa Shuu. - mortificatissimo.
- Perché ti stai scusando? - cercò di tranquillizzarlo, con le loro mani che si erano sciolte per il momento. E mentre cercava di tranquillizzare anche il proprio cuore. Ed evitare di arrossire fin nella punta delle orecchie, possibilmente. Cioè, che cosa gli aveva appena detto? Che lo considerava bello?
- Perché so quanto ti abbia sempre dato fastidio che la gente si soffermasse sul tuo aspetto fisico. - biascicò, valutando che lanciarsi giù per il fossato forse non era un’idea così malsana o bislacca. Se non altro sarebbe stato un’impresa meno ardua rispetto al sostenere gli occhi di Shuu che lo stavano scandagliando.
- Ma tu sei tu. - proferì, girandosi ora di fronte a lui e muovendo quel passo che costrinse in qualche modo Minato ad indietreggiare e che lo portò con le spalle al muro nel giro di un niente, mentre lo fissava confuso da quella frase sibillina.
- Tu mi hai sempre trattato in modo diverso da tutti, fin dalla prima volta che ci siamo visti, quando eravamo ancora due bambini. - muovendo quell’ulteriore, lento, passo verso di lui, che saggiò con le mani la parete ruvida alle sue spalle. Qualsiasi cosa stesse per succedere, non era pronto. Soprattutto con Shuu che ormai aveva azzerato la distanza tra i loro corpi e non era un modo di dire che poteva chiaramente sentire il calore del suo corpo. Calore del suo corpo che aveva già ben conosciuto oltretutto.
- Tu sei diverso, Minato. - gli sussurrò, mentre non gli permetteva di sganciarsi dai suoi occhi se non per il tempo di permettergli di gettare una rapida occhiata a quella mano che aveva appoggiato al muro all’altezza del suo volto.
- Sei sempre stato diverso, per me. -
Quanta serietà in quel lineamenti perfetti, Minato si trovò a deglutire a vuoto, annaspando alla ricerca d’aria, sopratutto nel momento in cui l’altro mano di Shuu si posò sulla sua cicatrice sul fianco. Aveva sentito le dita di Shuu sfiorarlo lieve da sopra la maglia, percependone comunque il calore del palmo della mano, e posarsi su quella cicatrice con una delicatezza estrema. Reverenziale quasi. Quasi lo volesse curare. 
E lui si sentì le ginocchia cedere sotto a quel tocco, davvero si chiese come riuscisse a restare ancora in piedi.
Che cos’è che aveva detto Kaito? Cacciargli la lingua in gola? Ma no, no! Ma a cosa andava a pensare dai. Ma anche volendo non ce l’avrebbe mai fatta. Anche perché in quel momento la sua testa era nel caos più totale, riusciva solo a sentire le dita di Shuu che gli accarezzavano la cicatrice e non c’era niente di morboso o di sessuale in questo, era una carezza che era qualcosa di incondizionatamente delicato. Ma, d’altra parte, avrebbe tanto voluto che lo baciasse in quel momento… 
Iniziò a mordicchiarsi il labbro inferiore, gesto che calamitò tutta l’attenzione degli occhi di Shuu, che si spostarono fulminei, assottigliandosi, come faceva sempre quell’attimo prima di scoccare la freccia, nel momento di massima concentrazione. E Minato, a quegli occhi assottigliati, si sentì pervadere da ulteriori brividi lungo tutto il corpo che gli resero le gambe sempre più molli. Tutto in Shuu lo stava avvolgendo. E sconvolgendo. Si inarcò leggermente sulla schiena ed emise un piccolo gemito, del quale si vergognò tantissimo subitaneamente, arrossendo ancora di più.
- Vuoi che che mi fermi? - gli sussurrò Shuu, ad un soffio dalle sue labbra, poggiando la fronte sulla sua, in un gesto che era comunque di una intimità pazzesca.
Se Minato glielo avesse chiesto, si sarebbe fermato, anche se questo gli sarebbe costato uno sforzo titanico, sopratutto vedendolo in quel modo: con le guance arrossate, gli occhi smeraldini liquidi. Ma voleva che fosse tutto più che perfetto, che Minato non provasse nessun tipo di disagio.
Attese quindi. E la risposta di Minato non si fece attendere.
- No… - gli mormorò quest’ultimo, accendendo ora anche a sua volta una luce diversa nei proprio occhi, di determinazione.
- Non ti fermare, Shuu. - bisbigliò, dando sfogo al suo desiderio di intrufolare le dita tra quelle ciocche morbidissime mentre l’altra mano gli si posava sul fianco. E quale ulteriore brivido di eccitazione gli diede vedere come Shuu avesse sgranato gli occhi sorpreso a quel gesto e avesse emesso un lieve sospiro che lo mandò ulteriormente in tilt. Era a dir poco sensazionale assistere a quella lenta trasformazione di Shuu.

Il quale Shuu fece scivolare la mano che fino ad un istante prima si trovava sul fianco lungo la schiena di Minato e quando arrivò alla base allargò il palmo per spingerlo ancora un po' di più verso di sé  e, sempre con delicatezza, gli fece allargar le gambe intrufolandogli un ginocchio in mezzo. Frizione che fece sussultare, e mugolare, nuovamente Minato che si spinse ancora di più verso Shuu facendo avvicinare ulteriormente le sue labbra a quelle dell’altro, lanciandogli un’ultima occhiata significativa prima di socchiudere gli occhi in un muto e chiaro segnale che Shuu non poté equivocare ed azzerò la distanza tra di loro appoggiando le proprie labbra sulle sue, leggere, quasi un soffio, con i respiri che si mescolavano.
Quelle labbra, l’uno dell’altro, che bramavano entrambi, si posarono lievi. Morbide.
E Minato capì che, nonostante fosse un pensiero che lo aveva in parte terrorizzato, non aveva desiderato altro per tutta la sera.

E fu allora che accadde...



Continua…


 

Io mi sto sentendo male per Seiya ma ok, dettagli. Ma non temete: io sono la Regina del Fluff.

E niente, Kacchan, Nanao e Ryohei sono tre ciccioli preziosi che devono essere protetti (io vorrei farmi proteggere da Shuu *ç*), soprattutto Kacchan che ha poche idee di se stesso e anche molto confuse ^////^ amo tantissimo. No, ceh: venero Shuu (segue esempio esplicativo della mia espressione intelligentissima di quando appare in scena) ma alla fine è Kaito quello che mi ha conquistato il cuore come personaggio in questo secondo rewatch.

Comunque da questo capitolo ho deciso di inaugurare TADANNNN la rubrica Avventure di una piccola arciera”(?):
ieri pomeriggio mentre mi stavo esercitando con l’arco, la mano sinistra proprio non ne voleva sapere di non tenere l’arco tipo boa constrictor e, di conseguenza, scalciavo l’arco in avanti al rilascio della freccia e il mio istruttore continuava a dirmi di ammorbidire la presa sul riser (l’impugnatura per capirci) perché altrimenti non avrei permesso all’arco un movimento in avanti naturale ed armonioso. E niente, mi è troppo venuto in mente Kacchan quando vuole imparare a fare lo yugaeri e Masa-san gli dice di non stringere troppo forte l’arco. Sì, lo so che l’arco occidentale è completamente diverso da quello del kyudo ma, alla fine, il concetto è lo stesso.

Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui.

 

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