Morgana delle Fate

di PeterPanForEver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Morgana delle Fate

CAPITOLO 1

Quando si pensa al pianeta Terra e ai suoi abitanti, le prime cose che vengono in mente sono gli uomini e gli animali.
La comparsa dell’uomo sulla terra risale a ben 250.000 anni fa, mentre per gli animali, come sappiamo, la situazione è ben diversa. Sono qui da molto tempo prima di noi, ma non sono i soli.
Un tempo, prima che gli uomini facessero la loro comparsa e rovinassero il pianeta, c’erano le fate. Non esiste una data precisa per risalire alla loro effettiva prima apparizione, al punto da credere che siano sempre esistite.
È sempre stato un popolo molto riservato e che non si è mai distinto per il proprio atteggiamento amichevole nei confronti di coloro che erano diversi da loro; provavano un’innata sfiducia, dovuta all’istinto di sopravvivenza.
La loro unica eccezione era stata in passato la civiltà umana, da cui erano state terribilmente incuriosite, data la loro somiglianza.
Sebbene delle fate si sia sempre raccontato nelle fiabe, nelle leggende e nei racconti per bambini, sono un po' diverse da quello che si pensa: non sono univocamente belle e leggiadre e nemmeno tutte vanitose, egocentriche ed irascibili. Essendo un popolo così riservato, erano in poche a mostrarsi e questo aveva portato alla diffusione delle voci.
Come gli uomini, la loro indole è diversa a seconda da chi ci si riferisce, così come il loro aspetto.
Non vivono nemmeno vicini a corsi d’acqua o solo nei boschi, come si crede.
O meglio, in passato era così, certo, ma per mera questione di comodità! Era molto più facile trovare ciò che era essenziale per vivere lì vicino. Acqua, cibo, piante era ovviamente tutto lì.
Oggi anche loro si sono modernizzate. Questa frase potrebbe stonare con quello che si è detto all’inizio.
Un tempo, prima gli uomini facessero la loro comparsa e rovinassero il pianeta, c’erano le fate… e ci sono anche ora.
Sono diventate solo molto più brave a nascondersi.
L’uomo, inizialmente loro amico, cominciò ad ignorarle e ad averne paura. Non riuscivano proprio a capire questi esseri uguali a loro, ma dalle capacità straordinarie. Forse ne erano anche un po’ invidiosi, chissà cosa passasse nella loro testa, per spingerli ad autoconvincersi che non fossero mai esistite ed essere arrivati a crederci.
Le fate, si erano ben presto adeguate allo status quo vigente. Le più temerarie tra di loro si limitavano ad osservarli da lontano senza farsi notare, le altre avevano deciso di ignorarli, emulando gli uomini, consapevoli però, al contrario di loro, della loro esistenza.
Sono state loro ad istruire l’uomo e ad insegnargli tutto quello che sapevano. Essendo arrivate molto prima degli ominidi, avevano imparato presto come funzionasse il mondo. Avevano capito, sin da subito, che cosa fosse il fuoco e quale fosse la sua utilità, avevano imparato a conoscere le piante e le erbe medicinali e persino a cacciare, anche se avevano abbandonato ben presto questa attività.
Soffrivano troppo nel vedere la morte di creature innocenti come gli animali e con lo scorrere degli anni avevano deciso di abbandonare la pratica, fatta eccezione per la giornata più sacra dell’anno, ma di quello parleremo successivamente.
Benché, come già detto, fossero state loro ad insegnare qualsiasi cosa agli uomini, i ruoli si erano invertiti. Grazie alle conoscenze ottenute, la civiltà umana aveva fatto in brevissimo tempo passi da giganti. La ruota, la stampa, la lampadina, i motori a vapore, internet e potremmo continuare all’infinito con l’elenco delle cose incredibili create dall’uomo.
Stupite da queste meraviglie, si erano prese di coraggio e avevano deciso che, per quanto fosse bello vivere a contatto con la natura, la comodità era probabilmente meglio.
Avevano creato le loro città, i loro governi ed emulato le scoperte ed invenzioni dell’uomo.
I nomi della città erano gli stessi delle equivalenti umani, scelti un po’ per pigrizia, ma soprattutto per evitare confusioni durante gli spostamenti.
Hanno persino le loro reti ferroviarie, inaccessibili all’uomo e situate in luoghi nascosti. Grazie alla magia erano totalmente protette dall’esterno di cui avevano timore.
Le città delle fate, per quanto moderne, sono strutturate in maniera diverse perché intrise di magia e quindi, come pensa tutto il popolo fatato, decisamente migliori.
Enormi grattacieli si stagliano nel cielo, poggiati su alberi antichissimi e coloro che sono esterni al mondo delle fate rimarrebbero ad occhi aperti di fronte a queste costruzioni. Come è possibile che dei grattacieli così grandi si riescano a reggere su qualcosa come gli alberi? Segreto di fata!
Nei tempi passati, a capo di tutti, vi era una regina, ma così come gli uomini, per la maggior parte, erano andati avanti e avevano deciso di abbandonare questa forma di governo che generava solo un grande malcontento nel popolo.
In particolare dopo le due guerre mondiali, cui loro non avevano preso parte avendone visti i risultati negativi e le morti conseguenti, avevano deciso di passare al voto e scegliere come gestirsi. Fortunatamente aveva vinto la democrazia ed era nata la Repubblica parlamentare del Regno delle Fate, avente come capitale Londra.
Vi è la presidentessa, eletta ogni 70 lune in quanto il tempo scorre per loro molto più rapidamente. Da che si ha memoria, la presidentessa era sempre stata Viviane. Una fata di fuoco alta e possente dai lunghi capelli bianchi, spesso acconciati in uno chignon da come si vedeva nelle sue rare apparizioni televisive (era pur sempre una donna impegnata e non poteva perdere tempo ad assecondare delle frivolezze simili) e vestito blu notte che la faceva sembrare ancora più distante di quanto già non fosse.
È l’idolo di tutte le fate, salvo della piccola resistenza conosciuta come Haven, a cui pochi prestavano attenzione, essendo considerati l’equivalente dei terroristi presenti nel mondo degli uomini.
Non si capiva per cosa lottassero, quale fosse il loro obiettivo o perché volessero smantellare il governo, l’unica cosa certa era il disprezzo che provavano per la presidentessa.
Di tanto in tanto comparivano dei graffiti poco lusinghieri che la rappresentavano e c’erano pochi dubbi su chi fosse stato a disegnarli.
Le fate sono molteplici e tutte diverse tra di loro, così come le persone. Esistono le fate dei boschi, colorate come le farfalle, le driadi, estremamente intelligenti e solite in passato vestirsi con abiti del colore del bosco e della terra. Le fate del fuoco, dell’acqua, dell’aria e del fuoco.
Oggi non indossano più i vestiti di una volta e si distinguono tra di loro semplicemente per i loro poteri.
Grazie all’insieme di questi poteri sono riusciti a far crescere la loro civiltà.
Morgana le odiava, quasi, tutte.
È una fata dell’acqua dalle fattezze abbastanza comuni. Bassa, non particolarmente magra (gli uomini che avevano diffuso la diceria che tutte le fate fossero snelle e dalla bellezza angelica, erano dei grandi bugiardi. O probabilmente erano stati così fortunati da incontrare effettivamente le più belle tra di loro. In ogni caso, avevano torto.), gli occhi piccoli e di color rosa, mentre i capelli erano color acqua marina.
Il suo compagno di avventure, pressoché inesistenti, è Nolava, un cucciolo di tigre, se così si può definire tale.
Era all’apparenza un cucciolo, data la sua taglia minuta e il muso innocente, ma in realtà aveva 25 lune, tanti quanti Morgana.
Non c’è molto di speciale in lei e vedendola gli esseri umani avrebbero pensato di vedere una ragazza che faceva cosplay.
L’origine del suo nome, invece, è atipica.
Tutte le fate, una volta cresciute abbastanza, devono scegliere autonomamente un nome che le rappresenti e lei, da indecisa quale è, per i primi tredici anni di vita, non era stata in grado di capire quale fosse il più adatto per descriverla.
Un giorno, mentre guardava di nascosto tra i libri che erano stati incurantemente lasciati dagli uomini per terra, purtroppo non era la prima volta che qualcuno si dimenticava un libro e non tornasse più a riprenderlo, ma fortunatamente ogni volta che capitava lei era sempre pronta a recuperarlo e porlo all’interno della sua libreria.
“Le Nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley.
Che nome esageratamente lungo.
Incuriosita, e principalmente spinta dal fatto che non avesse meglio di fare, cominciò a leggerlo e se ne innamorò.
Si innamorò di questo mondo fantastico di Avalon e rimase affascinata dalla principale protagonista, Morgana delle Fate.
Era piccola, minuta e dall’aspetto abbastanza insignificante, ma forte e determinata. Spesso anche egoista e manipolatrice, ma non per questo cattiva.
Egoismo e manipolazione sono due termini particolarmente disprezzati dalle fate, dato che spesso nelle leggende vengono dipinte come tali, ma a lei piacciono come parole.
Non si può essere sempre allegri e gioiosi della vita e spesso per raggiungere i propri scopi è necessario manipolare gli altri. Un po’ di egoismo non fa male, è mera autoconservazione.
Decise allora che quello sarebbe stato il suo nome ed onorò anche la sua tigre con un nome tratto dalla saga. Inizialmente la rinominò Avalon, in onore dell’isola leggendaria, ma decise che era un nome banale.
Allora, scrisse su un foglio il nome Avalon e poi scrisse una ad una, ma al contrario, le singole lettere.
N…
O…
L…
A…
V…
A…
Un nome originale degno di un animale da compagnia così particolare. Non poteva desiderare di meglio per lei.
Come già detto prima, Morgana odiava quasi tutte le fate.
Erano decisamente tutte troppo noiose.
Non avevano spirito di iniziativa, di avventura, ribellione (nell’accezione positiva del termine) o qualsiasi altra forma di atteggiamento che significasse essere non conformi alla società.
Non erano neanche curiose di vedere, anche solo una volta, qualcuno di genere maschile. Per loro, erano tutti brutti e inutili. Perché essere un uomo, quando si poteva essere delle donne? Persino nel mondo degli uomini, le donne sembravano molto più utili dell’altro genere.
Loro generano la vita, mentre gli altri… beh sono parte di un progetto più grande, ma non sono loro a dovere soffrire.
Non è d’accordo con questo punto di vista. Aveva letto, di nascosto, comprandoli di contrabbando o trovandoli per strada, libri scritti da ambo i sessi. Ed erano tutti così affascinanti. Raccontavano di intrighi, misteri, amori, dolori, omicidi.
In particolare l’ultima, è una parola tabù nel loro mondo, perché le fate non dovrebbero provare sentimenti diversi dalla gioia e dalla felicità.
Dovrebbero essere felici per il semplice motivo di avere l’onore di essere fate e migliori degli altri. Solo gli animali si salvano dai loro aspri giudizi e semplicemente perché non sanno esprimersi vocalmente, generando in loro una specie di sentimento di pietà.
Quanto deve essere brutto non riuscire a comunicare i propri bisogni?
Per questo motivo avevano deciso di diventare guardiani di tutti gli animali, dai più piccoli ai più grandi, dai più deboli ai più feroci. Erano diventati compagni gli uni degli altri ed era quasi impossibile vedere una fata non affiancata dagli animali.
Alla nascita, ad ogni fata viene affidato un animale domestico, poco importa di che tipo, che corrisponda al carattere della fata e gli viene fatto un incantesimo che gli permetta di non invecchiare e di essere con loro per sempre. La morte è sempre possibile, certo, ma deve essere inflitta da qualcuno, ed essendo sempre in compagnia delle fate e in luoghi totalmente protetti, era praticamente impossibile che potessero essere toccati dalla mano della morte.

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Morgana e Nolava stavano osservando dalla finestra della loro piccola casa, che poggiava su uno dei rami più in basso della quercia, il mondo esterno.
La tigre stava poggiata su Morgana per consolarla, permettendole di tanto in tanto di accarezzare la morbida e calda pelliccia.
“So quanto tu sia annoiata Nolava, riesco a sentirlo. Magari potremmo andare a fare un’escursione, che ne dici? Non le facciamo da anni. Magari il bosco potrebbe riservarci delle sorprese, chissà” disse Morgana con un sospiro annoiato.
Nolava le lanciò un’occhiataccia, come per ricordarle che il bosco è sempre uguale e non c’è mai nulla di diverso. Ci sono le solite piante e i soliti animali, per non parlare del fatto che è molto distante dalla loro città.
“Come non detto, pessima idea. Non c’era bisogno di guardarmi così, sai. Anch’io non so cosa fare, tutti i giorni sembrano gli stessi… Tu hai qualche idea?”
Nolava restò immobile per qualche momento, con fare pensieroso. All’improvviso ebbe un’illuminazione e andò in direzione del suo letto, per poi inserire la grande zampa al di sotto di esso e tirare fuori, dopo una serie di tentativi, un gioco da tavolo.
“Exploding kittens? È un gioco così infantile, vuoi giocarci seriamente? Abbiamo la dama, gli scacchi, persino il Monopoly!”
Continuò a fissarmi e poggiò la zampa sul gioco che si trovava per terra.
“Okay, va bene. Vada per Exploding Kittens, stupida tigre”.
Le ore passarono così, alternando giochi da tavolo e ridendo quando le partite terminavano con l’inevitabile sconfitta di Nolava.
Non era granché divertente il gioco in sé, quanto il passare del tempo insieme. Si conoscevano da sempre e malgrado non potessero comunicare, riuscivano a capirsi con un solo sguardo.
Le fate non hanno genitori, fratelli o sorelle, quindi quello che hanno loro due è quanto più di simile ci sia ad una famiglia. Gli abitanti del popolo delle fate passano molto tempo insieme, fatta eccezione per Morgana, per natura un essere poco socievole, e non soffrono molto la solitudine. Leggendo libri, però, e sapendo come dovrebbe essere una famiglia e come potrebbe essere il calore familiare, sentiva la mancanza di quello che non avrebbe mai potuto avere.
Non era che non avesse qualcuno con cui parlare, fatta eccezione per Nolava. C’era Iris, la sua più cara amica di infanzia, ma era al momento fuori città per motivi di affare.
Era dovuta andare a Roma per fare motivi di lavoro. Sì, anche le fate lavorano come in tutte le società più evolute.
È una linguista e, da appassionate di lingue quale è, coglie sempre l’opportunità di studiare lingue nuove. In quel momento, nella città delle fate nascosta all’interno di Roma stessa, si stava svolgendo un raduno di fate, proveniente da tutte le parti del mondo, quindi è una grande opportunità per avere a che fare con lingue sconosciute.
Senza Iris la sua vita era decisamente più noiosa e non sapeva proprio che fare.
Ripensò a tutte le volte in cui da bambina, avevano vagato nelle zone circostanti fingendo di essere finite in un posto sconosciuto e straniero e di essere delle fate esploratrici.
Iris aveva effettivamente realizzato il suo sogno perché grazie al suo lavoro aveva l’opportunità di spostarsi dappertutto e vedere posti nuovi, lei invece era sempre bloccata qui in una minuscola cittadina fatata in Sicilia.
All’improvviso ebbe un’idea.
“Nolava, potremmo andare in spiaggia! So che non sei in grado di nuotare, però potremmo andare a correre sulla spiaggia o andare ad osservare il movimento delle onde. È tarda sera ed essendo una spiaggia molto piccola sicuramente non ci sarà nessuno.”
Mi guardò insicura.
“Non ti succederà niente, te lo assicuro. E poi sei una tigre! Anche se sei così piccola, se qualcuno ti vedesse qui in Sicilia, ne sarebbe terrorizzato e fuggirebbe. Una volta ritornato per catturarti, se quella ipotetica persona ne avesse il coraggio dopo averti visto, non ti troverebbe più perché saremmo già scappate in volo e crederebbe di avere avuto un’allucinazione.”
L’animale fece quello che poteva essere riconducibile ad un sospiro esasperato e poi fece un cenno con la testa che indicava il suo assenso.
“All’avventura!”.
Prese Nolava in braccio e rese entrambe invisibili agli occhi esterni, per poi librarsi in cielo in direzione del mare.


FINE PRIMO CAPITOLO


Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo! Non scrivo qualcosa di mio da molti anni, un po’ per impegni personali, ma principalmente perché avevo esaurito le idee.
Ancora non ho ben chiaro come si evolverà la storia (gli aspetti principali sì, ma non tutto), quindi nel corso della pubblicazione dei capitoli potrebbero verificarsi delle modifiche per dare coerenza :)
Ringrazio tutti quelli che spenderanno cinque minuti del loro tempo per leggere questa storia!


 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Si trovarono a volare nel cielo, ormai tinto dei colori del tramonto, in mezzo alle nuvole.
Essere con la testa tra le nuvole era sempre stato un modo di dire umano che la faceva ridere. Viene usato per indicare chiunque sia distratto e fuori dalla realtà, perché essere fra le nuvole è considerato per loro come qualcosa fuori dalla norma.
Per fortuna per le fate non è così. Volare è sempre stata una delle sue cose preferite sin da quando era nata perché è estremamente liberatorio.
Durante tutto il periodo in cui vola riesce a dimenticarsi della noia delle sue giornate e per un momento le sembra che tutto andrà per il meglio e che non si ritroverà a lamentarsi prima di andare a letto del tedio che la affligge.
È un po’ drammatico lamentarsi di quanto sia noiosa la vita quando si può usufruire della magia, però in realtà essendo per loro tutto questo la normalità, è facile cadere nel circolo vizioso in cui tutto ciò che si ha non è abbastanza.
“È proprio una bella giornata” pensò. Ultimamente aveva fatto molto caldo e non si era vista nemmeno una goccia di pioggia scendere dal cielo.
La mancanza dell’acqua nel cielo, essendo una fata d’acqua, le causava molta tristezza, ma da lì in alto riusciva a sentire cambiare l’aria e questo faceva presagire che da lì a pochi giorni si sarebbe verificata una piacevole pioggia estiva.
Stava ammirando, in mezzo alle nuvole, il mare che si vedeva in lontananza e stava già pregustando il momento in cui avremmo potuto mettere le dita dei piedi in mezzo alla sabbia e in cui avrebbe potuto ammirare da lì gli ultimi raggi del sole che svanivano, per poi lasciare il posto al coniglio della luna e alle stelle.
Aveva sentito parlare del coniglio della luna in una leggenda e trovava adorabile l’idea di un minuscolo coniglio che vive un posto immenso come la luna.
Probabilmente anche lui si sente solo lì, spero che abbia un po’ di compagnia. Fossi in lui sarei molto triste a non avere nemmeno un’amica a fargli compagnia.
È una leggenda molto carina che potrebbe benissimo essere la realtà.
Anch’io dovrei essere qualcosa di leggendario e favolistico, eppure sono qui tra le nuvole e mi sembra di essere tanto reale quanto queste nuvole.
Chissà se gli elfi, le streghe, i troll, di cui ho letto nei libri esistono o sono soltanto una leggenda umana.
Non ne mai visti e, a detta delle fate più anziane in età, si trattano di invenzioni umane che gli permettevano di spiegarsi fenomeni che vedevano e non sapevano come spiegarsi.
Morgana, però, non riesce proprio a capire come sia possibile che solo le fate siano state benedette, o maledette forse, data la responsabilità che comporta, con la magia. Prima o poi avrebbe indagato e sarebbe riuscita a darsi una spiegazione, le serve solo del materiale. Fortunatamente la biblioteca della sua città è molto fornita quando si tratta di materiale non bandito dalla loro civiltà, come quello umano.
Diede un’occhiata a Nolava che si trovava tra le sue braccia e notò che si era appisolata. A lei non piace molto volare, lo trova poco sicuro perché preferisce avere le zampe a contatto con la terra per potere avere il controllo della situazione.
Dovrei trovare un incantesimo che permetta di volare anche a lei, magari smetterebbe di essere così tanto seccata quando dobbiamo andare in cerca di avventure.
Accarezzò Nolava sulla testa per svegliarla delicatamente, “Dai Nolava, dovresti svegliarti. Tra circa dieci minuti dovremmo essere arrivate, ma se continui a dormire poi non riuscirai a correre sulla spiaggia”.
La tigre fece uno sbadiglio e strofinò gli occhi con una zampa, nel tentativo di svegliarsi e di prepararsi alla discesa che si sarebbe verificata tra poco.
Nei successivi dieci minuti Morgana si divertì a fare giravolte nell’aria, con grande dispiacere di Nolava, cui stava cominciando a girare la testa e che stava iniziando ad avere la tentazione di lasciare la presa della sua compagna ed abbandonarsi nell’aria in modo da porre fine a questa tortura.
“Sei troppo drammatica, sai? Siamo arrivate, guarda lì.”, disse la fata indicando il mare che era di fronte a loro.
Iniziò a scendere lentamente sulla spiaggia per tranquillizzare l’animale domestico e nel giro di un minuto si ritrovarono finalmente a toccare la terra.
“Che meraviglia Nolava, siamo arrivate! Quanto mi mancava vedere il mare e la spiaggia così da vicino. È tutta un’altra storia rispetto al vederlo dall’alto”.
Nolava annuì, principalmente contenta di non dovere più volare per le prossime ore. Prese la rincorsa e saltò in acqua per andare a nuotare tra le onde.
“Ti stai rinfrescando un po’ finalmente, eh? Te l’avevo detto che ne valeva la pena”, sorrise compiaciuta Morgana.
La tigre fece finta di non averla sentita e continuò allegra la sua nuotata.
Morgana, invece, decise di sedersi sulla riva, tra la spiaggia e il mare ed osservare il mare.
Nuotare le piaceva molto, ma per il momento voleva godersi l’attimo e rilassarsi un po’.
Non che avesse fatto granché oggi, ma il relax in spiaggia batte di gran lunga quello dentro casa nel suo letto.
Guardando il lento movimento delle onde si ritrovò improvvisamente a sbadigliare e i gli occhi cominciarono a chiudersi, fino a quando non si addormentò.
Sognò di non essere una fata e di essere invece una normale ragazza di 24 anni.
Era nel suo letto, in un appartamento estremamente accogliente e caloroso, in una camera piena di oggetti della sua infanzia. Da poster di gruppi musicali fino a foto in famiglia con genitori, fratelli e nonni.
Sorridevano e sembravano tanto felici, e riusciva a percepire l’affetto che vi era tra tutti.
Si alzò e sentì subito il profumo invitante di cornetti e biscotti, sfornati da poco evidentemente, che veniva dalla cucina.
Scese le scale e trovò i suoi genitori seduti a fare colazione e a guardare il telegiornale.
La madre le somigliava molto.
Anche lei era bassa ed aveva i capelli dello stesso colore. Gli occhi, però, erano grandi e castani ed esprimevano dolcezza.
Suo padre, invece, aveva gli occhi rosa, proprio come lei! Era alto e un po’ robusto, forse per tutti i dolci mangiati. Lo sguardo era severo, ma si capiva che non avrebbe mai potuto fare male ad una mosca.
Improvvisamente si voltarono nella sua direzione e fecero un sorriso smagliante.
“Morgana, tesoro, ti sei alzata finalmente. Hai fame? La colazione è pronta” disse sua madre porgendole un cornetto al cioccolato.
“Grazie… mamma. Sembra molto buono”, poi diede un morso al dolce e per la felicità di non essere sola, le pareva di stare mangiando il croissant più buono del mondo.
“Forza, siediti cara e non restare in piedi. È bello averti qui con noi. Da quando sei andata via di casa per andare a lavorare all’estero ci vediamo poco, è una magnifica opportunità stare insieme.”, proseguì suo padre, accennando un sorriso nostalgico.
Andò a sedersi e li osservò ridere e scherzare per alcune notizie strane, e un po’ divertenti, che avevano visto.
Si ritrovò anche lei a ridere con loro per le sciocchezze che dicevano.
Una volta terminata la colazione, i suoi genitori, così come lei, si alzarono e le diedero un abbraccio forte.
Morgana rimase interdetta per un attimo, non capendo perché la stessero abbracciando subito dopo avere terminato di mangiare.
Nonostante lo trovasse strano, ricambiò l’abbraccio e li strinse forti a sé, come se quella fosse l’ultima volta in cui avrebbe potuto abbracciarli.
“Ciao tesoro” sussurrarono all’unisono.
Lei spalancò gli occhi e la vista divenne annebbiata. I suoi genitori e la casa le sembravano allontanarsi da lei e iniziò a mancarle il respiro per la paura.
Poi si svegliò.
Oh, era un sogno. Dovevo aspettarmelo, pensò tra sé e sé.
Si rese conto che Nolava era uscita dall’acqua e che ora stava dormendo accoccolata accanto a lei.
Improvvisamente si rese conto che non erano più sole.
Sulla spiaggia, dall’altro lato, vide due persone che sembravano essere sue coetanee. Una ragazza e un ragazzo. La prima era alta e snella, con i capelli neri a caschetto, gli occhi piccoli e verdi, e il viso appuntito. Il secondo, al contrario, era un po’ più basso della ragazza, con i capelli neri, lunghi e raccolti in una coda; gli occhi erano ugualmente verdi, mentre il viso era tondo.
La fata sorrise divertita pensando a come il colore di questi ragazzi riflettesse il colore dei suoi capelli.
Era la prima volta che vedeva così da vicino degli umani.
Non vedeva grandi differenze tra di loro, ma quello già lo sapeva. L’unica cosa a diversificarli fisicamente era l’assenza delle ali.
Non so cosa fare. Dovrei allontanarmi ed andarmene? Restare invisibile seduta sulla spiaggia?
Oppure… dovrei presentarmi? Non faccio che lamentarmi di quanto la mia vita sia noiosa e senza scopo. Questa è un’opportunità da non perdere per arricchire le mie conoscenze e…beh, semplicemente divertirmi.
Mentre Nolava continuava a dormire, decise di togliere l’incantesimo che era su di sé. Sistemò velocemente i capelli con le mani, tolse l’incantesimo e si incamminò verso di loro.
Girò rapidamente il volto in direzione di Nolava per controllare che fosse tutto e dopo essersene accertata proseguì nel suo cammino.
Si avvicinò ai due e disse un semplice “Ehi!”.
I ragazzi sussultarono, poiché non avevano notato la sua presenza, ma dopo aver notato che era una ragazza normale e non uno strano maniaco, si tranquillizzarono.
“Ehi!” ricambiò allegra la ragazza e diede una gomitata al fratello per farlo salutare.
“Oh, ciao” rispose un po’ timido.
“Non ti abbiamo mai visto da queste parti, vieni da fuori e se qui per le vacanze?” chiese la ragazza incuriosita.
Comprendeva la sua curiosità, dato che i capelli e gli occhi di quel colore erano decisamente atipici e si sarebbero notati in giro per la città.
“Oh no, abito qui, ma mi sono trasferita da poco. Probabilmente per quello non mi avete mai notata”, sorrise incerta ed accennò una risata imbarazzata.
“Capisco, allora benvenuta! Spero che ti trovi bene in Sicilia. Io sono Ginevra e il tappo accanto a me- “, Ginevra fu interrotta da un verso di disappunto da parte del diretto interessato, “è mio fratello Luca. Siamo entrambi molto felici di conoscerti.”
Le porse la mano per stringergliela e lei ricambiò il saluto.
“Felice di conoscervi, io sono Morgana” disse l’appartenente al mondo delle fate, sperando di sembrare abbastanza disinvolta.
È una conversazione normale, non c’è niente di strano. È come se stessi parlando con delle fate, devo solo stare attenta a non dire qualcosa che mi faccia passare per una persona sospetta.
“Spero di non essere inopportuna ma… il tuo colore di capelli è vero? So che è una domanda stupida e che i capelli sono tinti, ovviamente, ma sembrano così realistici.”, Ginevra si passò la mano tra i capelli pensando di avere detto una stupidaggine e poi si rivolse al fratello dicendo “Dai, anche tu lo stavi pensando. Ti conosco bene. Sei mio fratello gemello, non ci assomigliamo molto, però pensiamo le stesse stupidaggini”.
Luca finalmente si decise a parlare e a rispondere alla sorella. “Allora, chiariamoci. Essere gemelli non vuol dire che, ringraziando il cielo, pensiamo le stesse. Non sono un idiota come te, sai? Uso la testa” ed alzò gli occhi al cielo.
“Va bene, come dici tu”, ribatté la sorella.
Morgana notò lo scambio tra i due con fare divertito, pensando che avere un fratello o una sorella sembrava interessante e provò un pizzico di invidia. Poi si rese conto che la stavano fissando e si ricordò che le avevano fatto una domanda.
Si trovo un po’ in difficoltà non sapendo cosa dire.
Ovviamente sono i miei capelli naturali, li ho sempre avuti così. Cosa dovrei rispondere? Pensa, pensa…
Ebbe un’illuminazione.
“Certamente, sono tinti” rispose ridendo. “Mia madre fa la parrucchiera di professione ed ha dei trucchi del mestiere che non vuole insegnare a nessuno, quindi non so nemmeno io come raggiunga questo risultato”.
“Ah, capisco! Lavora ancora da qualche parte? Magari se sono fortunata e vado nella città in cui ha la sua attività, posso farmi fare i capelli di qualche colore particolare!”. La ragazza inclinò la testa in attesa di una risposta.
“Purtroppo no, è ormai in pensione. Sono l’unica fortunata che può usufruire di questo servizio”, Morgana fece spallucce sperando di chiudere il discorso e cambiare argomento.
“Che peccato, credo sia il colore di capelli più bello che abbia mai visto”, continuò Ginevra.
Non mi era mai sembrato particolare come colore, è tipico delle fate d’acqua. Anzi, in realtà è proprio banale. Punti di vista…
“Sì, concordo. L’ho da così tanto tempo che lo considero il mio colore naturale, non ricordo nemmeno come fossero prima”, la fata le diede ragione, continuando a sperare che smettessero di parlarne.
Se avessero continuato a farle domande sul suo particolare aspetto, prima o poi, non avrebbe saputo che dire e avrebbe detto qualcosa di senza senso.
Luca improvvisamente si interessò anche lui a quanto stava succedendo e avvicinò il volto al suo con fare sospetto, per poi dire “Porti le lenti a contatto colorate, per caso? I tuoi occhi sembrano essere rosa.”
Non pensavo che gli essere umani potessero fare così tante domande sull’aspetto fisico di qualcuno. Potrebbero chiedermi dei miei interessi ad esempio. Sta diventando stancante dare spiegazioni su come sono.
“Basta Luca, stai diventando inopportuno! E poi, ti sembra educato avvicinare la faccia in quel modo a qualcuno che non conosci nemmeno?” e detto questa la sorella lo tirò per l’orecchio, come se fosse un bambino.
Resosi conto di essere stato maleducato borbottò velocemente un “scusa” e riprese a stare in silenzio.
“Mi spiace, è un adulto, ma certe volte si comporta come se non avesse nemmeno dodici anni. A proposito, quanti anni hai? Io e Luca ne abbiamo ventidue e sembri avere la nostra stessa età, più o meno”.
“Ho 24 lune, sono un po’ più grande di voi, però si siamo praticamente coetanei!” le rispose Morgana.
“24 lune?” chiese dubbiosa Ginevra.
Sapevo che prima o poi avrei detto qualcosa di sbagliato.
“Anni. 24 anni, volevo dire. Sono bilingue e devo aver fatto un po’ di confusione con le parole” chiarì la fata, sperando che credessero tutti e due a questa menzogna.
“Veramente, bilingue?” chiese stupita l’altra ragazza.
“Sì, parlo italiano e spagnolo fluentemente, padre spagnolo e madre italiana sapete. Ogni tanto capitano errori strani, soprattutto quando è sera e comincio ad avere sonno” e fece un’altra risata.
“Sei una persona interessante, sai. Fai l’università? Oppure già lavori?” le domandò ancora la sua nuova “amica”.
Dovrei dire che non esiste l’università e che sono disoccupata perché non effettivamente bisogno di lavorare?
La società delle fate, infatti, fa in modo che chiunque abbia tutto il necessario per vivere. Gli appartamenti vengono forniti gratuitamente e stessa cosa vale per cibo, acqua e tecnologie di vario tipo. C’è chi lavora, ma non perché ne abbia bisogno, più che altro per evitare di annoiarsi.
Lei, però, non aveva trovato un campo che la appassionasse al punto da volerlo rendere il suo mestiere. Anche perché, come già detto, non c’è un’università e se si vuole svolgere un lavoro particolarmente complicato o che necessita di conoscenze specifiche, bisogna studiare da autodidatta.
La loro istruzione si ferma fino alle scuole superiori.
Meglio inventare l’ennesima bugia. Scusa Iris per quello che sto per dire.
“Sì, sono una linguista. Ho studiato lingue all’università perché amo conoscere gente nuova e lingue nuove. Anche per questo mi sposto di frequente e non sto mai troppo a lungo in un posto; è necessario fare molte ricerche per un lavoro di questo tipo. Voi che cosa fate nella vita? Studiate o lavorate?”.
Scusa ancora, amica mia, per averti rubato la storia.
“Lavoriamo entrambi nel ristorante dei nostri genitori. Luca, però, studia anche all’università. Studia lingue, proprio come hai fatto tu! È una coincidenza incredibile, non è vero fratellino?”, lei gli scompigliò i capelli.
“Abbiamo la stessa identica età, non sono tuo fratello minore o cos’altro” sospirò Luca. “Però sì, è bello incontrare appassionate alle lingue come me”.
È arrivato il momento di andare. Non so niente sulla linguistica, la mia storia rischierebbe di non reggere più.
“Sì, concordo. Veramente meraviglioso ma…”, poi guardò il cielo e finse di notare solo ora che il cielo era ormai diventato scuro “…devo proprio andare, si è fatto tardi”.
“Che peccato. Aspetta, dammi il tuo numero! Così magari possiamo rivederci ed uscire qualche volta insieme. Hai detto che sei nuova, quindi potremmo essere le tue guide” e subito dopo averlo detto, Ginevra estrasse il suo cellulare in attesa di potere scrivere il numero di cellulare.
Non so se sia una buona idea dargli il mio numero di cellulare. Rischierei di mettere a rischio tutte le altre fate e non credo ne valga la pena per delle persone che ho appena conosciuto.
“Oh, ho dimenticato il cellulare a casa e purtroppo ho cambiato il numero da poco e non ricordo ancora quello nuovo” disse dispiaciuta Morgana.
“Non preoccuparti, dammi un secondo” e iniziò a frugare tra le tasche in cerca di qualcosa.
“Certo, aspetto”
Cosa cavolo sta cercando ora?
Poi estrasse vittoriosa dalla tasca uno scontrino e si fece prestare la penna dal fratello, che l’aveva all’interno dello zaino. Scrisse qualcosa e poi glielo porse dicendo “Questo è il mio numero, così se ti va puoi cercarmi tu. Ti sentirai sola non conoscendo nessuno qui in zona”
Non volendo sembrare maleducata, prese riluttante il foglio di carta e annuì. Gli sorrise in modo cordiale e li salutò con la mano “Devo proprio andare, buona serata a tutti e due.”
“Buona serata” risposero in coro.
Morgana andò in direzione della sua tigre che nel frattempo si era svegliata e la stava guardando imbronciata, per essere stata ignorata per tutto questo tempo.
Dopo essersi accertata che non la stessero guardando si rese invisibile, prese tra le braccia Nolava e volò in direzione di casa, facendo attenzione a non perdere il foglietto di carta che le era stato dato poco prima.
Il volo fu molto rapido, in quanto l’animale era molto stanco per la lunga giornata e stava rendendo il volo esasperante. Nel giro di venti minuti arrivarono a casa.
Nolava andò a dormire quasi subito dopo essere arrivate, mentre la fata si sedette sul letto ad osservare il numero.
Non dovrei per niente farlo. Dovrei buttarlo e fare finta che non sia successo. O dovrei, quantomeno, evitare che questa giornata possa ripetersi.
Fissò nuovamente lo scontrino.
Non devo farlo.
Come aveva pensato questa frase, andò verso il suo cellulare, poggiato sulla scrivania e lo sbloccò.
Andando contro la sua logica, segnò il numero e lo salvò in rubrica.
Sono certa che me ne pentirò.

Fine capitolo 2


Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Attendo un feedback per sapere se la storia vi piaccia o meno.
Buona serata :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Erano passati diversi giorni dall’incontro in spiaggia. Pur avendo salvato il numero, era ancora molto indecisa sul da farsi.
 Parlare con degli umani era stato estremamente stressante, per tutte le cose che era stata costretta ad omettere ed inventare, e non era sicura di volere ripetere l’esperienza.
I due fratelli erano simpatici e alla mano, ma non può provare ad essere amica di qualcuno che ha un bagaglio di vita così tanto differente dal suo.
Le piacerebbe dire la verità, ovviamente, ma i due possibili scenari nella sua testa erano terrificanti.
Se gliel’avesse detto, le avrebbero creduto e poi lo avrebbero detto a tutti. L’intero mondo sarebbe venuto a conoscenza del suo popolo e magari avrebbero fatto esperimenti su di loro per capire come fosse possibile la loro esistenza. Forse, infine, le fate sarebbero state tutte sterminate. Una vera e propria strage per un semplice capriccio.
L’altro scenario non era migliore. L’avrebbero presa per pazza e sarebbero scappati via. O ancora, l’avrebbero fatta internare da qualche parte.
Sì, sicuramente non ne posso parlare. Meglio che resti un segreto.
“Che cosa dovrei fare, Nolava?”, sospirò Morgana.
La tigre inclinò confusa la testa. La guardò intensamente, come per dirle qualcosa, e poi andò in un’altra stanza della casa.
Le voglio molto bene, ma è sempre molto poco collaborativa.
“Vado a fare un giro in città!” urlò all’animale, in modo che la sentisse, e uscì in volo dalla porta di casa.
Sebbene il suo appartamento sia situato in uno dei rami più bassi dell’enorme, non è così tanto in basso da permetterle di uscire senza usare le sue ali.
Non capisco perché non hanno mai pensato di mettere una scala attorno all’albero, per facilitare la vita di tutti.
Si fermò un attimo a pensare agli altri abitanti dell’albero e soprattutto a quelli che avevano l’appartamento nella parte più in alto.
Lì c’erano le Fate Anziane, che ormai non uscivano più dalle loro case. Le fate non invecchiano fisicamente e restano eternamente nel fiore degli anni, ma questo non vuol dire che siano tanto in forma quanto le fate più giovani.
Si tratta delle prime fate che sono comparse sulla terra e considerando che hanno dovuto vivere centinaia di migliaia di anni nella quasi totale scomodità, hanno ottenuto il privilegio di vivere negli appartamenti migliori.
Inoltre, erano state loro a dare gli apporti maggiori all’avanzamento della loro civiltà ed anche a quella umana.
Vengono rispettate da tutte per quello che hanno fatto.
Chissà, prima o poi potrei andare in visita. Potrei chiedere maggiori informazioni sugli umani, li conoscono da più tempo di me.
Resasi conto di esseri soffermata troppo sui suoi pensieri, scese rapidamente a terra.
Si fermò un attimo, indecisa su che cosa fare. Non aveva deciso di andare in città per un motivo in particolare, l’unico motivo che l’aveva spinto a farlo era il desiderio di liberare per un po’ la testa dai suoi pensieri.
Passeggiare è utile per schiarire la mente, così dicono.
Non vengo mai in città, non so quasi come sia fatta. La gestione dei negozi cambia repentinamente perché le fate si annoiano con facilità e si trovano sempre posti nuovi in giro.
Si diresse verso la via centrale della città. Era corredata di negozi di vario genere. Negozi di abiti, ristoranti, oggettistica si trovavano ad ogni angolo e ciascuno di essi era addobbato con fiori colorati di ogni tipo. Molti di questi fiori erano congelati nel tempo, grazie alle fate dei boschi che facevano in modo di tenere i lori fiori sempre in vita.
Era importante preservare al meglio la natura, laddove si poteva fare. Dopotutto negli ultimi secoli le fate dei boschi erano le uniche a starsi effettivamente impegnando nella salvaguardia del pianeta. Ogni giorno ritrovavano nella città, non si sa come dato che gli umani non potevano avervi accesso, spazzatura e cartacce di marche non appartenenti al mondo delle fate. Anche per questo le fate storcevano il naso ogni volta che sentivano parlare degli uomini; non riuscivano a comprendere come facessero a disprezzare il pianeta che gli aveva dato così tanto e che gli aveva permesso di vivere felici.
Morgana invece pensava che le persone maleducate, fate o uomini che fossero, si trovassero da ogni parte. Le poche volte in cui era uscita di casa aveva visto di sfuggita le fate più giovani lasciare per strada, senza farsi notare, dell’immondizia. Per gli esseri magici, però, era più felice criticare chi era diverso da loro, rispetto a giudicare sé stessi.
Le case, inoltre, erano di colore pastello e visivamente appaganti. Erano tutte accostate in modo tale che i colori delle case vicini andassero bene gli uni con gli altri perché volevano distinguersi dagli anonimi grattaceli che si trovavano sugli alberi centenari. In questa maniera, se fossero venuti in visita alcuni personaggi illustri, sarebbero rimasti contenti dalla visita e la buona nomea della città sarebbe rimasta intatta. Era già successo in passato che alcune città venissero disapprovate dai visitatori, per poi essere abbandonate dagli stessi abitanti e venire dimenticate.
Basti pensare a quello che era successo ad “Avalon”.
La leggenda non era nata per caso.
La storia di Re Artù, di Camelot e della terra scomparsa di Avalon è parzialmente vera, almeno per quanto riguarda l’ultima parte. Era esistito un luogo leggendario tra le isole britanniche in cui abbondavano alberi, piante e che era abitato da persone dall’aspetto quasi etereo che non invecchiavano e vivevano a contatto con la natura: le persone in questione erano le fate ed erano entusiaste di quando gli uomini riuscivano ad arrivare nel mistico luogo, credendo che gli avrebbe dato un punto di vista diverso sul mondo. La terra, però, era stata lentamente distrutta dalle frequenti visite di coloro che non erano consapevoli di essere in un paradiso terrestre.
Vedendo come era diventato il posto, anche le fate avevano cominciato a provare sdegno e disprezzo e fuggirono, non riuscendo a sopportare la vista del degrado circostante. L’isola era poi diventata un lontano ricordo ed era stata anche dimenticata dagli uomini, che gli avevano dato l’erroneo nome di Avalon. Quale fosse il nome originario, però, è andato dimenticato.
Nessuna città e nessun paese voleva fare questa fine e diventare leggendario. Essere leggendari non è positivo, perché implica l’essere cancellati dalla memoria di tutti.
Le fate sono tristemente diventate tanto leggendarie quanto la terra perduta e nonostante non fossero scomparse come essa e fossero anche contente dell’anonimato, perché conferiva una conseguente protezione, le feriva sapere che nessuno fosse consapevole del fatto che anche loro avevano messo piede sul pianeta.
Girò un po’ tra i negozi sperando di trovare qualcosa che catturasse la sua attenzione, ma senza riuscirvi. In lontananza, sentì dei canti avvicinarsi ed andò in direzione di esseri per ascoltare meglio. Avvicinandosi capì che cosa cantassero le voci.
Giusto, il solstizio d’estate.
È il giorno più lungo dell’anno, in cui il Sole raggiunge il suo apice e si ha la vittoria della Luce sulle tenebre: una rinascita.
Le fate non si concedono molte festività, ma il solstizio viene celebrato ogni anno con grande gioia perché se si festeggia qualcosa di “frivolo”, se si può definire così un giorno così carico di emozioni come il solstizio, significa che va tutto bene.
Il solstizio indica che non ci sono guerre tra i popoli, che le fate vivono in pace e che l’anno proseguirà nel migliore dei modi.
Gli unici anni in cui non si era festeggiato il solstizio era stato durante le due grande guerre mondiali che erano talmente terribili da avere turbato l’umore del mondo della magia.
Le donne che cantavano in piazza avevano una voce angelica e chiunque camminasse per strada si girava per ammirarle e sussurrava che la loro leggiadria, eleganza e dolcezza era un modello positivo ed era proprio quello a cui dovevano ambire le fate di ogni nazione.
Lei stessa, pur non essendo affezionata agli abitanti ed avesse ideologie diverse dalle loro, non poteva fare a meno di pensare che avrebbe voluto essere come loro. Cantavano in linguaggio faerico per sottolineare la sacralità del momento e le loro origini. Era insolito sentire usare un linguaggio così antico, era più semplice comunicare con la lingua del luogo in cui si vive.
La musica è uno dei cardini del loro mondo, in quanto è la manifestazione dell’ordine cosmico, dell’armonia e l’amore per la musica e la danza è qualcosa che accomuna tutte le fate. Morgana stessa, nonostante non fosse altrettanto brava, aveva la musica che le scorreva nelle vene.
Terminati i canti, i passanti applaudirono fragorosamente e loro sorrisero educatamente, per poi librarsi nel cielo, leggere come delle farfalle.
Spocchiose.
Scosse la testa e proseguì la passeggiata fino a ritrovarsi di fronte alla biblioteca comunale.
Biblioteca siciliana del Regno delle Fate.
La porta d’accesso principale era molto particolare e, naturalmente, magica. Era una misura di sicurezza per impedire agli uomini che fossero finiti involontariamente nella loro città e avessero scoperto il segreto della loro esistenza, di non acquisire ulteriori informazioni.
Non era mai successo, ma le biblioteche sono delle risorse fondamentali perché la conoscenza è potere ed è importante non dare potere ai nemici.
La particolarità della biblioteca era che non si presentava come un edificio qualsiasi, anzi in realtà non vi era nessun edificio. Vi era solo un’insegna che indicava dove fosse e la porta, pertanto, era semplicemente incollata al pavimento della strada principale.
Guardando dietro la porta non vi era assolutamente niente, permettendo così anche di non occupare troppo spazio all’interno della minuscola città. Se non si voleva entrare in biblioteca, bastava semplicemente passare dietro la porta e andare dove si voleva.
Si trattava di una porta grigio scuro con disegnate delle rune di cui ormai il significato era sconosciuto e dei fiori erano situati lungo il bordo e non vi era alcun pomello da girare.
Il metodo di accesso era poco ortodosso, ma ormai tutte si erano abituate. Una piccola scheggia di legno si intravedeva nella porta, quindi era sufficiente passare un dito sopra di essa e aspettare che una minuscola goccia di sangue fuoriuscisse. Fortunatamente le fate, quando non si tratta di lesioni gravi, guariscono rapidamente.
Morgana poggiò il dito sulla scheggia.
Ahi, è un metodo inutilmente doloroso.
La porta si colorò di argento e poi divenne trasparente, dandole la possibilità di passare attraverso di essa.
Entrò dentro e dopo poco si ritrovò nella piccola sala di ingresso. Appose la sua firma sul libro che serviva a segnalare chi avesse messo piede all’interno della biblioteca.
Una volta concluse tutte le formalità necessarie, come presentare il proprio documento ed indicare per quello motivo si fosse recata qui, andò verso gli immensi scaffali.
Volò per andare a raggiungere la sezione che le interessava maggiormente.
Narrativa contemporanea delle fate d’Inghilterra.
La maggior parte della narrativa più interessante era scritta da loro e se si voleva leggere qualcosa che non fosse considerato tabù dalla legge e che fosse, però, abbastanza soddisfacente, bisognava leggere questi.
La viaggiatrice dei mondi. Deve essere un fantasy.
Lesse qualche pagina per capire se il libro potesse interessarle o meno, ma era parecchio indecisa. Le piacciono i fantasy, ma il libro è molto lento e non è in grado di capire se la trama si svilupperà ad un certo punto o se continuerà ad essere noioso.
Non sarebbe la prima volta in cui delle fate scrivono un fantasy poco avvincente. È difficile parlare di magia e di creature e mondi immaginari, quando sei tu stessa quella viene considerata da tutti irreale. Inoltre, essere una creatura magica non vuol dire essere bravi a parlare di magia, perché è necessario creare qualcosa di nuovo e di cui non si è mai sentito parlare. Nessuna fata vorrebbe leggere un fantasy che parla di un mondo che conosce già. Gli umani, dando per scontato che la magia non esista, sono costretti a servirsi della propria immaginazione per rendere quei mondi veri.
Pur non avendo grandi aspettative per il romanzo, decise di portarlo con sé a casa e dargli una possibilità.
Mentre stava per alzarsi dalla sedia in cui si era seduta in biblioteca, senti delle urla provenire da qualche scaffale più avanti e nel giro di pochi secondi le urla non furono più di una singola voce, ma di molte.
Si spaventò sentendo quel caos, perché la pace era la caratteristica principale della cittadina, e non riuscì a muoversi. Non aveva il coraggio di andare a guardare cosa stesse succedendo.
Il rumore che c’è nell’edificio è troppo forte. E se fossero degli umani che sono riusciti a trarre in inganno la porta e i sorveglianti? Gli uomini hanno le armi e le fate, magia a parte, sono inutili nei momenti di guerra… Non possono essere delle fate, non litighiamo mai così vocalmente. È preferibile litigare in privato e non di fronte agli altri. Sta succedendo qualcosa di brutto, lo so.
Fingendo di essere coraggiosa, fece dei passi in avanti e andò verso il gran fracasso. Il rumore cessò tutto ad un tratto e sentì solo delle voci che parlavano indignate a gran voce.
“Cosa pensavano di fare quei mostri di Haven distruggendo la biblioteca? Sono un oltraggio alla nostra specie!” disse indignata una appartenente al popolo magico.
Distruggendo la biblioteca?
Andò a vedere che cosa intendessero dire e come tutte le altre rimase a bocca aperta.
Lo scaffale dei libri di storia era stato rovinato e i volumi stavano bruciando e le fate dell’acqua, compresa Morgana, stavano tentando di spegnere l’incendio. L’alone nero lasciato dal fuoco aveva creato una chiara scritta: BUGIARDI.
Non era la prima volta che si vedeva questa scritta e non solo in città, ma in gran parte del regno. Che cosa volessero dire i ribelli con scritte di questo genere, era un mistero.
I pochi membri della resistenza che erano stati arrestati si ostinavano a non volere dare spiegazioni e avevano scelto il silenzio. Dal momento dall’arresto, non avevano più proferito parola.
Era curioso che non volessero dire niente, ma che fossero allo stesso tempo così vocali negli attacchi “terroristici”. Pur non avendo mai ferito nessuno fisicamente, i loro atteggiamenti violenti che conducevano alla distruzione dei beni comuni, non potevano essere definiti in maniera diversa.
Si trattava dell’ennesima immotivata violenza ed era la prima volta in cui Morgana assisteva personalmente ad atti simili.
Notò, però, una cosa particolare. Avvicinandosi meglio ai volumi colpiti dal fuoco vide che solo le copertine erano state rovinate, mentre il contenuto era intatto. E soprattutto, le copertine erano state distrutte dal fuoco in modo estremamente preciso, come se non si volesse lasciare dubbi sul fatto che dovevano essere proprio quei libri a meritare la distruzione.
Bugiardi.
Era curioso utilizzare il maschile per rivolgersi a delle donne.
A meno che non si stessero rivolgendo a delle donne, ma ad altro.
I libri. Loro sono bugiardi.
Voleva capire di più su questa faccenda e sapeva che non avrebbero indagato ulteriormente.
Prese di nascosto i libri in questione, a cui nessuno avrebbe prestato attenzione, poiché erano stati rovinati definitivamente ed andavano ormai sostituiti.
Uscì rapidamente dalla biblioteca e volò a casa.
“Nolava, sono a casa!” disse la fata non appena entrata nell’abitazione.
Finalmente una giornata interessante.
FINE CAPITOLO 3

Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo. È un po’ lento, ma a poco a poco la trama comincerà ad avere senso e diventerà più avvincente :)
Grazie per esservi impegnat* nella lettura!

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