I progetti del Destino

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte - L'Incidente ***
Capitolo 2: *** (seconda parte) - Il Destino ***



Capitolo 1
*** Prima parte - L'Incidente ***


Questo racconto partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Ho intrapreso la sfida di Bellaluna con l’intenzione di dedicare ogni mese a un capitolo di Final Fantasy, ma la verità è che l’ispirazione veniva sempre meno, inoltre la tematica di luglio (Friends to Lovers: una storia in cui i due protagonisti da amici sviluppano un interesse amoroso reciproco) mi era così congeniale che l’idea per questa OS mi ha coinvolta subito.

Vi auguro buona lettura,
Nina^^

 


 

I progetti del Destino
(prima parte)

"L’incidente"
 


*
 
Johanna Mayers contò i suoi studenti uno per uno, mentre questi salivano sull’autobus che li avrebbe condotti al prossimo rifugio.
Teneva stretto l’elenco con le dita arrossate a causa del freddo, ma non mollava la presa. Ripassava i loro nomi lanciando ora un’occhiata sul foglio, ora a chi le passava davanti, sussurrandone i nomi, simile a un’anziana che recita il Rosario.
Quando anche l’ultimo dei suoi ragazzi si era ormai accomodato al proprio posto sul veicolo, Johanna lanciò un’ultima occhiata all’ambiente che la circondava. Vide solo grossi alberi dal fogliame appesantito dalla neve e un’immensa distesa di terreno bianco. A est cominciava a lampeggiare.
«Johanna, dai andiamo!» La voce di Cooper affrettò la sua risalita sul bus, dove la temperatura era decisamente più accettabile.
«Non partire ancora!» Disse la donna rivolta all’autista Bob, puntandogli un indice contro. L’uomo la guardò dal suo posto di guida, già pronto a riprendere il cammino verso l’Ulisse Range, dove ad attenderlo ci sarebbe stata una zuppa calda e tanta, tanta vodka.
«Oh, Johanna andiamo! Fai sul serio?!» Cooper si lasciò scivolare lungo il sedile, stanco di quella situazione, intanto che la collega prendeva il microfono e un fischio metallico si diffuse in tutto l’abitacolo. Anche gli studenti sbuffarono.
«Bene, facciamo l’appello» annunciò la Mayers, cominciando a leggere i nomi in ordine alfabetico riportati sul foglio che sembrava essersi incollato ai polpastrelli gelati. «Claire Anderson…»
«Oh, dai prof! Ci siamo tutti! Andiamo via!» Urlò qualcuno dal fondo dell’autobus.
«Claire Anderson!» Ripeté la donna.
«Dannazione, prof! Abbiamo fame!»
«E freddo!»
«Siamo stanchi!»
«CLAIRE ANDERSON! C’è o devo tornare nei boschi a cercarla!?»
«Ci sono! Ci sono!» La ragazza in terza fila sollevò una mano.
«Bene. William Antares…»
«Presente!»
James Cooper sospirò rumorosamente, scuotendo il capo, mentre l’insegnante di sostegno, accomodata dietro di lui, tratteneva a stento un risolino. Si voltò:
«Ogni volta è sempre la stessa storia!» Esclamò. «Di questo passo torneremo a Millinocket con un giorno di ritardo.»
«Che vuoi farci, Jim?! Johanna è fatta così.» Monica non smise di sorridergli.
«Già, maniaca del controllo, giusto?!»
Monica abbassò lo sguardo, ricordando i tempi in cui tutti e tre andavano a scuola insieme. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbero ritrovati sullo stesso pullman, ancora insieme, ma in qualità di insegnanti?
Sara Drew, seduta al suo fianco, si mosse nervosa, osservando fuori dal finestrino l’immensa distesa innevata scossa dai fulmini che si stavano avvicinando. Li indicò con un dito grassoccio, rivolgendo poi un’occhiata preoccupata verso la sua accompagnatrice.
«Sono solo lampi, tranquilla, non ti fanno niente» le sussurrò Monica, accarezzandole la testa. Sara teneva i capelli scuri molto corti, tanto che di spalle poteva essere scambiata per un maschio.
«Tutto bene?» Chiese James Cooper assistendo alla scena.
Monica gli lanciò uno sguardo veloce, rispondendo:
«Non ama molto i fulmini.»
Proprio in quel momento il bus si mise in movimento e Johanna prese posto accanto a Jim, con un lungo sospiro. Lui la fissò con la fronte aggrottata.
«Che c’è?» chiese l’insegnante di letteratura.
«Ti rendi conto che sei pesante
«Pe-pesante? Davvero? Abbiamo a che fare con venti adolescenti, oltre i 1200 metri di altitudine e io sarei pesante?» Johanna si voltò indietro, guardando Monica. «Ti sembro pesante
Monica accennò un sorriso, mentre avvicinava indice e pollice, nel più comunissimo cenno che indica “un po’”.
Johanna Mayers scosse il capo e tornò a guardare il sentiero che si dipanava davanti a lei: erano solo ragazzi, una bravata, una superficialità e avrebbero potuto perderne qualcuno per strada.
 


 
*
 
L’Ulisse Range li avvolse nel suo tepore accogliente e un buon profumo di minestra calda stuzzicò i loro stomaci. Dopo cena, molti si ritararono nelle proprie stanze, stanchi e rifocillati.
«Buonanotte signorina Mayers.»
«Buonanotte ragazze!» Johanna le osservò muoversi in gruppo mentre salivano le scale, sembravano eccitate, su di giri. Parlottavano fitto fitto, ridacchiavano emettendo versi simili a criceti. Nonostante le temperature rigide, quelle giovani indossavano gonne corte e calzettoni che coprivano fino ai polpacci, con le gambe in bella mostra. Avere quell’età era una cosa unica al mondo, ma lei non era mai stata così. Non aveva mai avuto a che fare con le cheerleader, né si era mai innamorata del gran figo della scuola. Alla loro età, Johanna aveva trascorso interi pomeriggi alla sala giochi, con una coca-cola bevuta a metà e accanto la sua amica Monica, immersa nella lettura di qualche libro fantasy.
«Buonanotte, coach Cooper. Professoressa…»
«Ciao ragazzi!»
Tutte quelle voci maschili, da uomini appena divenuti, distolsero Johanna Mayers dai suoi ricordi di ragazza. Non rispose al saluto dei tre studenti, fissandoli con intensità intanto che seguivano le orme delle alunne.
«Oh, santo cielo, Cooper! E se…» Johanna scattò in piedi, il libro di John Grisham che teneva sulle gambe cadde sul pavimento con un tonfo.
«Ok, Jo, calmati!» Jim raccolse il romanzo e afferrando la collega per un polso la riportò ad accomodarsi sulla sedia a dondolo accanto alla sua.
Monica e l’autista, seduti a loro volta dall’altra parte del tavolino di legno massiccio, sorrisero a quella scena; lui bevve un lungo sorso di vodka.
«Jim, e se… e se quelli… e quelle… oddio!»
«Va bene così, Jo!»
«Va bene così, Jo?! Stai scherzando? E se una di loro rimanesse incinta? I loro genitori ce li hanno affidati.»
«Nessuno rimarrà incinta, Jo! Sono ragazzi, non stupidi!»
Johanna gli lanciò un’occhiata di biasimo.
«Ok, forse un pochino lo sono, ma su queste cose sono preparati. Te lo assicuro.» James Cooper sghignazzò, mentre allungava la sua tazza verso l’autista, il quale gli versò un goccio di alcool aggiungendo:
«Se fossi stato preparato quanto i giovani di oggi, non mi sarei dovuto occupare di un figlio a vent’anni.»  
«Dovreste andarci piano con quella» affermò poi Johanna, indicando il fiasco.
«Sì, mamma!» Jim lasciò la tazza vuota sul tavolino, emettendo un verso esagerato per dimostrare quanto gli fosse piaciuto il sapore forte della vodka.
Il fuoco nel camino scoppiettava, era rilassante, sarebbe rimasto volentieri tutta la notte a scambiare opinioni sui giovani di oggi e quelli di ieri, ma la giornata era stata lunga e faticosa e quella successiva non sarebbe stata da meno. Erano partiti dall’High School di Millinocket tre giorni prima, quando avevano percorso circa trenta chilometri a piedi, fra neve e sentieri rocciosi, fino a raggiungere il primo rifugio. La mattina seguente si erano alzati di buon’ora e Bob li aveva accompagnati al passo successivo, di nuovo si erano incamminati per diverse miglia e di nuovo erano riusciti nell’intento di giungere al punto d’incontro con il bus, poi di corsa fino al secondo range. Quella mattina avevano lasciato il porto sicuro per proseguire la loro gita, attraversando i boschi fitti e innevati del Maine e domani li avrebbe attesi l’ultima sfacchinata, prima di riposare al Penelope’s Range.
Johanna e Monica non lo sapevano, ma Cooper e i ragazzi avevano organizzato una splendida festicciola per chiudere in bellezza quella gita, con l’aiuto del buon Bob che si era dimostrato immediatamente favorevole a festini vari.
James Cooper aveva accettato di accompagnare la III C in gita solo perché gli avevano detto che l’altra accompagnatrice sarebbe stata la signorina Mayers. Lui non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla, si sarebbe potuto godere quei giorni sulle Montagne Bianche, attraversare i 130 km di sentieri e natura incontaminata che lo avrebbero condotto da un rifugio all’altro, dove avrebbe trovato ad accoglierlo buon cibo e temperature miti. Perché, cielo, e se in quelle zone il mangiare aveva un altro sapore!
Johanna però si era dimostrata ancor più intransigente di quello che ricordava. Quando avevano concluso la prima escursione e aveva fatto l’appello per ben due volte, accertandosi che non avessero perso nessuno, le aveva detto che era decisamente peggiorata con gli anni. Johanna gli aveva tenuto il muso per tutta la durata del viaggio, durante la cena e anche il mattino seguente a colazione. L’unico momento in cui aveva dato segno di essere consapevole della sua presenza, era stata quando lo aveva visto mangiare bacon e toast a colazione come se fossero le otto di sera. Aveva fatto una smorfia disgustata e quando lui le aveva chiesto cosa ci fosse di male, lei si era alzata ed era andata via.
«Non ci far caso» gli aveva consigliato Monica, pulendo il muso di Sara con un tovagliolo di carta. «È Johanna. È fatta così.»
«Già. Ed è fatta male!»
Monica aveva sorriso.
Si alzò, gli girava appena la testa, quella era vodka di prima qualità, non ne beveva così da decenni, forse qualcuno gliene aveva regalato un fiasco per il matrimonio, adesso faceva fatica a ricordare.
«Dove vai? Ci sono ancora degli studenti nella sala» Gli fece notare Johanna, la quale aveva tassativamente ordinato agli adulti di non lasciare mai da soli i ragazzi, neanche per un momento. Ogni distrazione sarebbe potuta costare cara…
Jim le lasciò cadere in grembo il volume di Grisham che aveva raccolto pocanzi, la voce impastata dal sonno e dall’alcool.
«A letto» le passò davanti, chinandosi appena per sussurrarle all’orecchio. «Vuoi venire?»
La Mayers si tirò indietro, scuotendo il capo:
«Sei ubriaco, Cooper?»
Quest’ultimo buttò la testa all’indietro e rise, allontanandosi a grandi falcate, le mani nelle tasche dei Levi’s. Johanna lo osservò fin quando poté, continuando a scuotere la testa, contrariata, poi anche l’autista si congedò con un lungo sbadiglio e una buonanotte farfugliata.
«Ehi, cerca di riposare!» Gli urlò dietro l’insegnante di letteratura, guardando poi Monica. Le due si scambiarono un’occhiata complice. Si conoscevano da quando erano bambine, le loro case erano vicine e in pratica avevano fatto lo stesso percorso di studi. In fondo, Millinocket era una piccola cittadina del Maine, si conoscevano tutti, presto o tardi le strade degli abitanti si sarebbero incrociate.
«Jim non si è ancora arreso, eh?»
«Cooper è un cretino, lo sappiamo bene!» Johanna chinò lo sguardo sulla copertina del libro, senza vederla davvero, improvvisamente il sorriso era scomparso, lasciando spazio a un’espressione malinconica. Si sentiva come se per lei quel treno fosse passato, o meglio, non avesse trovato posto a sedere e adesso era troppo tardi. Cielo, erano entrambi prossimi ai quaranta, lui aveva una figlia di una decina d’anni. Certo, non vivevano nella stessa casa perché la madre se l’era portata via chissà dove, in giro per l’America, ma era pur sempre padre.
E lei?
Lei aveva i suoi ragazzi a cui badare. Cominciare una storia d’amore – l’ennesima – con James Cooper? No, non aveva la forza interiore per effettuare quel salto nel vuoto.
«Maestra Monica,» entrambe le donne alzarono lo sguardo su Sara Drew, «ho sonno.»
«Sì, sì certo.» Monica adagiò un palmo sul ginocchio dell’amica. «Ti dispiace se vado anche io?!»
«No, no ovvio. Buonanotte. Ciao Sara.»
«Buonanotte Jo. Come si dice, Sara?!»
«Ciao.»
Monica le lanciò un sorriso dolcissimo, poi le osservò salire la rampa di scale che le avrebbe condotte al piano superiore, mano nella mano. Un ceppo nel camino scoppiettò e Johanna quasi urlò per lo spavento. C’era qualcosa che la turbava, una sensazione, ma non avrebbe saputo affermare cosa. Forse era solo stanca, si disse.
 
*
 
 
L’autista Bob arrivò in ritardo e gli studenti lo accolsero con fischi e applausi.
«Ehi, ehi, ragazzi!» Li richiamò la Mayers, rivolgendosi poi all’uomo che stava tentando di aprire la portiera del bus, la mano tremolante. «È in ritardo!»
Il viso dell’uomo era sudaticcio.
«Tutto bene?» La voce della professoressa si era abbassata appena. «Le avevo detto di non esagerare con l’alcool ieri sera!»
«Sto bene. Tutto bene. Adesso partiamo che siamo già in ritardo, non voglio rischiare di guidare senza la luce del sole.»
Johanna Mayers lo studiò assottigliando gli occhi, poi con un cenno ampio del braccio invitò gli studenti della III C a salire a bordo. Come di consueto fu l’ultima a sedersi al suo posto, accanto all’insegnate di educazione fisica, nonché coach della squadra di basket del liceo di Millinocket.
«Problemi?» Le chiese Jim. Lei scosse il capo, notando che due grosse lenti da sole gli coprivano gli occhi.
«Perché porti gli occhiali da sole?»
«Perché, mi stanno male?»
«Non c’è sole, oggi. Le previsioni meteo annunciano nevicate.»
«E allora?» Lui fece spallucce. «C’è una legge che mi vieta di tenere le lenti da sole anche con la neve?»
«Hai continuato a bere, eh Jim?!» Johanna fece per toglierli gli occhiali dal viso. «Ieri sera, quando sei tornato nella stanza…»
Lui la fermò afferrandole prima un polso, poi l’altro, quindi le riportò entrambe le mani sulle cosce.
«Fai la brava, Mayers.»
«Ehi!» Monica scosse Johanna per una spalla. «Ehi, Jo!»
«Hai visto Monica, abbiamo un professore che è peggio dei suoi studenti! Cielo, Jim non sei cambiato di una virgola da…»
«Da…?»
«Ehi, ragazzi!» Monica continuava a scuotere la collega per una spalla, ma quest’ultima era troppo presa a sostenere lo sguardo intimidatorio di Cooper seduto alla sua destra, poi letteralmente gli finì addosso prima di essere sballottata su e giù.
 
Le ruote dell’autobus slittarono sull’asfalto ghiacciato, una, due volte, poi virarono a destra. Il parafango squarciò il guardrail che costeggiava la strada di montagna, il pullman piombò nel precipizio, sradicando alberi e rami ricolmi di neve. Rotolò lungo la parete della montagna, simile a una trottola impazzita, gli specchietti retrovisori volarono via al primo impatto con il terreno, una gomma anteriore scoppiò, i finestrini esplosero e quando finalmente si fermò, atterrando sul terreno innevato del bosco, lo fece con le ruote all’insù e la cappotta ammaccata, dannatamente somigliante a una tartaruga capovolta, con le zampe all’aria.
Johanna Mayers si trascinò fuori dall’abitacolo, attraversando un finestrino infranto. Tossì, camminando carponi sulla neve morbida e fresca, i palmi feriti dal vetro lasciavano impronte insanguinate, si distese con il volto verso il cielo plumbeo: le previsioni annunciavano neve. Respirò a pieni polmoni, avvertendo una fitta quando inspirava, dannazione. Tenendosi premuto il fianco destro si sforzò di mettersi seduta e lo spettacolo che le si parò davanti non le piacque neanche un po’!
Il bus era sottosopra, le tre ruote che non erano scoppiate giravano su se stesse, nel vuoto. La candida neve delle Montagne Bianche era ora macchiata da chiazze rosse sparse tutte intorno al bus, mentre i corpi degli studenti della III C – i suoi ragazzi – traboccavano dai finestrini senza vetri, come bambole abbandonate alla rinfusa in un cesto.
Riconobbe la Anderson, i suoi capelli biondi, trattenuti in una coda sbarazzina, erano sporchi, le pupille spalancate la fissavano senza espressione; poco lontano da lei riconobbe gli stivali fluo di Erika Mongomery, la più eccentrica della classe. Quante volte l’aveva sgridata per il suo abbigliamento poco consono alla scuola? E adesso? Adesso a chi importava se avesse indossato una minigonna durante le ore scolastiche o un paio di shorts attillati?
Ancora completamente rapita da quell’orrore, così assurdo da non sembrare vero, notò con la coda dell’occhio qualcosa sbucare dal muso anteriore del veicolo. Mosse il capo in quella direzione, muovendosi simile a un robot, e quando riconobbe James Cooper, finalmente senza occhiali da sole, si mise in piedi, arrancando.
«Jim!» le labbra si mossero senza emettere alcun suono. «Jim!» Questa volta la voce uscì rauca. «Jim!» Infine, fu più limpida e lui la sentì.
«Jo! Oh, Cristosanto! Jo!» Cooper si mosse verso di lei e la strinse forte. Erano vivi entrambi ed era già un miracolo. «Ascolta Jo, dobbiamo accertarci che ci siano altri superstiti» le disse, tenendola per le spalle. Era più bassa di lui di venti centimetri e pesava almeno la metà.
«Altri superstiti, Jim? Non li vedi…» Johanna Mayers indicò i cadaveri degli adolescenti che sbucavano dai finestrini, continuando a piangere.
«Lo so, ma noi siamo vivi, Jo. E possono essercene altri.»
«Monica!» Johanna si liberò dalla stretta e si mosse verso il posto in cui era seduta la sua amica.
«Monica è…» ma Jim non fece in tempo a finire la frase, semplicemente la sentì gridare dall’altra parte dell’autobus. Si strofinò il volto con un palmo e si diede un leggero buffetto: era tempo di mettersi al lavoro.
 
Johanna rimase ginocchioni accanto al corpo dell’amica, piangendo e urlando insieme il suo nome. Erano cresciute insieme, come sorelle. Sapevano tutto l’una dell’altra e talvolta non c’era neanche bisogno delle parole per comprendersi. Ma adesso Monica non c’era più, morta di una morte violenta. Al collo notò la sciarpa rossa che le aveva regalato qualche Natale fa. La lana si era consumata in diversi punti per quante volte l’aveva indossata. Lei ne aveva una uguale, ma non l’aveva mai messa per paura di ritrovarsi nello stesso luogo – la scuola – con la medesima sciarpa.
Sarebbero sembrate due svitate, no?
Si costrinse a chiuderle gli occhi, non poteva lasciarla così, quando sentì un lamento provenire dall’interno dell’autobus. Si piegò sui gomiti e sbirciò oltre le lamiere e i vetri, sembrava un mondo al contrario.
«Ehi, sono la Mayers! Qualcuno mi sente?»
Ancora quella specie di guaito, poi la vide: era Sara. Sara Drew. Si era raggomitolata in un angolo, tenendo le ginocchia al petto e dondolandosi avanti e indietro, gli occhi persi nel vuoto. Ma non si stava lamentando, stava canticchiando un motivetto.
«Ehi, ehi Sara! Grazie al cielo! Vieni, vieni qui!»
Tuttavia, la ragazza non si mosse né parve vederla o sentirla, completamente assorta nel suo mondo.
«Jim! Jim!»
Cooper arrivò di corsa, seguito a ruota da altri due studenti. Si trattava di Mike Fusco e Thomas Bell. Johanna provò una felicità immensa nel constatare che c’erano altri sopravvissuti a quell’incidente.
«Che c’è?» James si chinò al fianco della collega e guardò dove lei gli stava indicando.
«Sara! Ehi, tesoro! Vieni, è tutto ok! Ci siamo noi!»
«Sara? Sara Drew? Quella handicappata?» Thomas Bell avanzò di qualche passo, aveva la manica del giubbino sporca di sangue e una brutta ferita sulla fronte. «Ma non possiamo lasciarla…» non fece in tempo a finire la frase, poiché l’insegnante di letteratura lo colpì con uno schiaffo in pieno volto. Il ragazzo ruzzolò sul terreno che ormai cominciava a diventare un miscuglio di fango e nevischio, quindi fissò a bocca aperta la professoressa dal basso verso l’alto, tamponandosi la guancia arrossata con un palmo.
«Permettiti solo un’altra volta di definire così la tua compagna di classe e giuro che se non ti ha ammazzato l’impatto lo farò io! Ci siamo intesi?»
«S-si.»
«Non ho capito. Ci siamo intesi?»
«Sissignora!»
«Bene!» Johanna lanciò un’occhiataccia anche a Mike Fusco, per essere certa che anche lui comprendesse la situazione, poi raggiunse nuovamente Cooper che la fissava a sua volta, allargando le braccia come a chiedere spiegazioni.
«Non credi siano già abbastanza provati?»
«Certo che lo sono, ma ciò non significa regredire allo stadio brado.»
Sara era ancora lì, il trambusto di pocanzi aveva attirato la sua attenzione e adesso li fissava con i suoi grandi occhi castani e inespressivi. Johanna Mayers provò ancora una volta a convincerla ad afferrare la sua mano, invano.
«Resta qui» disse rivolta a Cooper, quindi si mise in piedi e con il cuore che batteva all’impazzata raggiunse il cadavere di Monica. La guardò prima di chinarsi e con delicatezza estrema le liberò il collo dalla sciarpa, scusandosi con lei, non era bello riprendersi i regali fatti. Non lo aveva mai fatto neanche con gli ex, figuriamoci con un’amica. Ma la situazione era quel che era e bisognava tentarle tutte. La salutò mentalmente e con uno sforzo enorme capovolse il corpo, in modo da ometterne la vista alla sua alunna Sara.
Tornò da Cooper, sollevata di notare che a Thomas e Mike si erano unite altre due studentesse: Katrine Sullivan e Lorena Munoz. Lanciò loro un’occhiata veloce, adesso la priorità era far uscire Sara allo scoperto. Tornò a sdraiarsi sulla neve e mostrò alla ragazza la sciarpa rossa.
«Ma quella non è di…?» Fece James, restando poi in silenzio.
«Vedi Sara! Questa è di Monica! Lei è andata a cercare aiuto…» la voce le si incrinò e Jim distolse lo sguardo. «Mi ha detto di darla a te, ti proteggerà.»
Sara Drew la fissò e sbatté le palpebre un paio di volte:
«Maestra Monica?»
«Sì, sì! Maestra Monica. Vieni, così andiamo da lei.»
Sara sciolse l’intreccio delle braccia che teneva raccolte intorno alle ginocchia, poi lentamente si mosse carponi e raggiunse Johanna e James, i quali l’aiutarono a uscire dal sarcofago di lamiere, sussurrandole di non guardarsi intorno. Una volta fuori, Johanna le passò la sciarpa rossa intorno al collo e la strinse a sé.
«Sciarpa magica.»
«Sì, sciarpa magica.»
«Sciarpa magica di Monica.»
Johanna lanciò un’occhiata a Cooper e lui ricambiò, sembrava fosse sul punto di piangere. In maniera del tutto incoerente si chiese se l’avesse mai visto piangere?
Sì, una volta.
La volta in cui sua figlia gli era stata portata via…
 
«Coach! Coach Cooper!» La voce di Mike li riportò con la mente al presente. «Kat sanguina dalla gamba!»
I due professori raggiunsero il gruppetto di ragazzi, tenendo Sara per mano. Poi, la Mayers si inginocchiò davanti alla ragazza che continuava a urlare, il viso era una maschera di piccoli tagli di sangue raggrinzito e lacrime.
«Ok, ok! Katrine, mi senti?! Smettila di urlare, va tutto bene! Katrine!»
Ma era inutile, lei non accennava a smettere, così come il sangue a inzuppare il tessuto del pantalone e a sporcare la neve sotto di esso.
Johanna si alzò in piedi e afferrò Jim per il polso del giubbotto, scortandolo qualche metro più in là.
«Penso che la ferita sia profonda.»
«Lo so.»
«Dobbiamo fermare l’emorragia.»
«Lo so. Ce la fai?»
«Ehi, non ho partecipato al corso base di primo soccorso per niente!»
James Cooper sorrise, per quanto quella situazione lo permettesse, quindi le accarezzò la testa.
«Porto via i ragazzi.»
«Sì, meglio.» Johanna fece per tornare indietro, quando lui disse:
«Ricordami di portarti a cena quando tutto questo sarà finito.»
Lei scosse il capo, sorrise amaramente, senza rispondere.
 
«Ok! Ehi, ehi ragazzi! Venite qui!» James Cooper chiamò a raccolta Thomas, Mike e Lorena, chiudendoli a cerchio, come faceva durante un time out di gioco per caricare la squadra. Anche Sara era con loro, tenendo ben stretto un lembo della sciarpa rossa di maestra Monica.
«Ok, ragazzi! Questa è un’emergenza e come tutte le emergenze va gestita bene o diventerà una catastrofe…» come se non lo fosse già, pensò Jim, tenendolo per sé. «I vostri amici non ce l’hanno fatta, ma noi sì e dobbiamo continuare a restare in vita per raggiungere il prossimo rifugio: il Penelope’s Range
Lorena Munoz aveva il volto rigato dalle lacrime, le urla della sua amica Katrine la distraevano in continuazione e tendeva a guardarsi indietro.
«Lory! Ehi, Lory!» Jim la richiamò. «Lo so, è spaventoso! Ma cosa vi dico sempre?»
«Le testa…»
«La testa, esatto! Dovete usare la testa!» Si batté l’indice sulla tempia.
«La testa» ripeté Sara e Cooper le sorrise, annuendo.
 
Katrine Sullivan urlò ancora più forte e il gruppetto non poté fare a meno di osservare la scena: Johanna Mayers le aveva strappato i pantaloni nel punto in cui c’era il sangue, anche da lontano si poteva notare la profonda ferita sulla coscia della compagna.
L’insegnante di letteratura lanciò uno sguardo al collega, poi la videro mettersi in piedi e strappare la parte inferiore del maglioncino bianco che indossava, mostrando per un attimo la pelle candida del ventre.
«Wow! Forte!» Esclamò Mike Fusco, mentre Thomas si lasciava sfuggire un fischio di apprezzamento.
«Niente male!» Aggiunse poi.
«Già, la signorina Mayers è proprio niente male!» ripeté Jim, continuando a osservarla mentre urlava a una spanna dal visto di Katrine di smetterla di gridare, la stava facendo diventare sorda. La ragazza smise davvero.
Cooper richiamò quindi l’attenzione dei suoi studenti battendo le mani.
«Ok, ragazzi! Quello che sto per chiedervi è uno schifo, ma dobbiamo sopravvivere. Prendete dagli zaini dei vostri compagni tutto quello che può servirci: acqua, cibo, torce, medicinali. Forbici. Forza, forza!»
«Ehi, coach! Ma perché non possiamo rimanere qui e aspettare i soccorsi?» La domanda di Thomas era lecita, ma questo dimostrava anche la sua totale immaturità.
«Sono appena le dieci del mattino, nessuno immagina quello che ci è capitato e perciò nessuno verrà in mente di venire a cercarci. Il rifugio ci aspetta per questa sera, ma non possiamo restare qui, fermi. Il freddo di ammazzerebbe e non c’è linea per telefonare. Perciò dobbiamo raggiungere il Penelope’s Range prima possibile.»
Thomas Bell annuì, allontanandosi senza aggiungere altro. Anche Sara fece per muoversi, ma il coach la prese per mano e insieme raggiunsero Johanna. Katrine sembrava stare meglio.
«Non è rotta, ma una scheggia di vetro le era entrata nella carne» spiegò Johanna rimettendosi in piedi dopo averle fasciato la ferita. Barcollò e si sostenne al braccio che Jim le stava offrendo.
«Dobbiamo incamminarci verso il Penelope’s Range prima che faccia notte o saremo finiti.» Disse lui, guardando il bosco dipanarsi a perdita d’occhio.
«Lo so. Il freddo e la neve non ci darebbero tregua.»
«Neanche alci e orsi. L’odore del sangue e della benzina li attirerà come api.»
Insieme si mossero verso l’abitacolo del bus, il corpo senza vita dell’austista era praticamente incastrato nel parabrezza, metà fuori e l’altra dentro. Jim gli posò due dita sul collo e scosse il capo, poi frugò all’interno del cruscotto e trovò una pistola.
«Cooper, che cosa fai?»
«Secondo te?!» Rispose lui, infilandosi l’arma nella tasca del giubbotto imbottito, quindi si mossero uniti in direzione del bosco.


 
*
 
 

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Capitolo 2
*** (seconda parte) - Il Destino ***


(seconda parte)
Il Destino

 
 

*
 
Katrine avanzava a saltelli, sorreggendosi ai suoi compagni Mike e Thomas. Lory li seguiva qualche passo più indietro, con lo zaino carico di ogni cosa potesse tornare utile. I due professori si tenevano a qualche metro di distanza, Sara al centro fra i due teneva le mani di entrambi e gli occhi fissi sulla sciarpa che era stata della sua maestra.
Thomas lanciò un’occhiata indietro, osservando la giovane che camminava al passo con gli insegnanti.
«Non capisco perché dobbiamo portarci dietro un peso morto come quello!» Ringhiò.
«Io invece non capisco che problemi hai!» Rispose Mike.
«Ci rallenterà o ci metterà in qualche guaio, vedrete!»
«Sara è autistica, se si sente al sicuro è ok» spiegò Lorena.
«Allora anche io sono un peso, eh Bell?» Il dolore che Katrine stava provando alla gamba le fece uscire il tono affannoso.
«No, bellezza! Tu non sarai mai un peso per me!» Così dicendo Thomas la sollevò da terra e la portò fra le braccia per diversi metri.
«Che coglione!» Esclamò Mike, mentre Lory lo invitava a proseguire.
 
«Che buffone!» La Mayers aveva assistito alla scena. «Quelli come lui non li ho mai potuti digerire!»
«Sì, ho un vago ricordo di te che a 16 anni prendi a pugni Matt Maurry alla festa di fine anno» disse Cooper, strappando un sorriso alla collega.
«Matt era un vero idiota! Credeva di piacere a tutte e il fatto che io non me lo filassi neanche di striscio lo faceva impazzire. Cercò di baciarmi a tradimento e allora… sbam! Un per pugno in faccia!» Johanna mimò il gesto e risero insieme, poi tornarono seri. «Quanto dista il Penelope
«Cinquanta chilometri.»
«Non riusciremo a raggiungerlo entro una giornata, i ragazzi avranno bisogno di riposare e anche noi. Dobbiamo prepararci ad affrontare la notte nel bosco.»
«Lo so. Hai provato a vedere se hai linea sul cellulare?»
«Penso di averlo perso nell’impatto» rispose Johanna, frugandosi nelle tasche del giubbotto.
La prima sosta la fecero per pranzare, un pasto veloce e poco calorico per non appesantire il corpo e tenere la mente lucida. Tra i lamenti di Thomas per la stanchezza e quelli di Katrine per il dolore, ripresero il cammino, sfruttando le poche ore di giorno che ancora restavano.
Verso le 17:30, infatti, il sole cominciò a calare a ovest e le ombre di accorciarono, mentre qualche fiocco di neve prese a venire giù, lento e silenzioso. Decisero di proseguire qualche ora ancora, ma quando il buio li avvolse del tutto e furono necessarie le torce, James Cooper affermò che bastava così.
«Abbiamo le torce, Jim, possiamo camminare ancora.»
«No, è troppo pericoloso.» Jim abbassò il tono di voce. «Ci sono gli orsi.»
Dopo cena, le quattro donne si allontanarono insieme per andare in bagno, poi Lorena e Johanna aiutarono Katrine a sedersi contro un tronco, mentre Sara la copriva con una coperta che avevano trovato nel vano dell’autobus.
Da lontano, il coach Cooper e i due studenti osservavano la scena.
«Quello che ha fatto la signorina Mayers prima è stato fenomenale! Da film d’azione!» Esclamò Mike, mimando il gesto di strapparsi il maglioncino.
«Hai visto, Mike?! Si vedeva il reggiseno!» Sghignazzò Thomas.
Jim inspirò un lungo tiro dalla Camel, giocherellando con il pacchetto di sigarette e senza smettere di osservare la collega mentre aiutava anche Lorena e Sara a distendersi al fianco dell’amica. La vide accarezzare la testa di tutte e tre, dicendo loro chissà quali parole di conforto.
«Chissà com’era da giovane…» sospirò Mike.
«Com’è adesso» rispose l’insegnante mettendosi in piedi e buttando la cicca a metà nella neve. «Forte!» Fece l’occhiolino ai due ragazzi e consigliò loro di risposare e stare vicini. Le temperature non avrebbero dato tregua.
 
James Cooper raggiunse Johanna Mayers seduta su un tronco vicino al falò che avevano acceso, lo stava ringalluzzendo con piccoli rametti secchi.
«Ehi!» La salutò accomodandosi al suo fianco.
«Ehi!»
Senza aggiungere altro le allungò il pacchetto di Camel.
«Fumi ancora quando sei nervosa?»
Johanna guardò prima lui, poi le sigarette, portandosene una alle labbra. Il coach gliela accese e la osservò chiudere gli occhi mentre inspirava e riaprirli espirando. Fumo bianco e denso danzò davanti al suo volto magro e pallido, quindi cominciò a ridere. Jim la fissò stranito.
«Oddio, scusami…» Johanna fece un altro tiro dalla cicca, sforzandosi di tornare seria, ma non le riuscì. «Lo so che non è il momento ideale per…» un altro attacco d’ilarità le fermò le parole in gola. Inspirò profondamente, costringendosi a smettere.
«Lo so che non è il momento di ridere» ripeté, tornando in sé.
«Sei sotto shock. È una reazione normale.» Cooper fissava il piccolo fuoco ai suoi piedi.
«Ti ricordi quando fumammo la nostra prima sigaretta?»
«Accidenti, sì! Per poco mio padre non ci scopriva!» Jim sorrise a sua volta. «Il capo della polizia di Millinocket ci avrebbe sbattuto in prigione seduta stante. “E adesso meditate su ciò che avete fatto” avrebbe detto.»
«Sì. Sì, è molto da lui» rise Johanna, aveva sempre adorato le imitazioni di Jim, secondo lei aveva un talento naturale, ma il collega non era mai stato d’accordo.
«Eravamo in cucina a studiare, tua padre ci disse che era stato chiamato per un’urgenza e quasi mi minacciò di dover tornare di corsa a casa mia» raccontò la Mayers, lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse rivivendo fisicamente quel ricordo.
«Lui andò via e noi sgattaiolammo sul retro della casa, dove accendemmo lo spinello che avevo comprato da Jack Joker quella mattina» aggiunse Jim.
«Dio, ho tossito per un quarto d’ora almeno!» Rise di nuovo Johanna, ma questa volta non c’era isteria nella sua risata, solo un pizzico di malinconia per i bei giorni andati. Anche Cooper rise, annuendo. L’aveva presa in giro per giorni per quella storia della tosse dopo il primo tiro.
«Mio padre però tornò indietro, aveva dimenticato la pistola d’ordinanza nella sia camera. Uscì in giardino con una tale foga: “Mayers, sei ancora qui! Ti ho detto che devi tornare a casa!”.» Jim si fermò, soppesando attentamente le prossime parole. «Temeva potessimo fare qualcosa di… sgradito» scherzò.
«Che tu potessi farmi qualcosa di – come l’hai definito? – sgradito
I due insegnanti si guardarono per qualche secondo negli occhi, prima che quelli di lei si riempissero di lacrime e aggiungesse:
«Monica non c’è più, Jim. Monica è morta.»
James Cooper le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, posandole il mento sul capo.
«Lo so, Jo. Lo so.»
D’improvviso, alle loro spalle, sentirono dei passi ed entrambi si voltarono indietro, trovandosi di fronte una Lorena Munoz con i capelli scompigliati e il volto assonnato, mentre tremava dal freddo.
«Sara non c’è più» annunciò.
Jim scattò in piedi, mentre Johanna si sporse in avanti, affermando:
«Che-che significa Sara non c’è più?»
Lorena Munoz si fece da parte per permettere alla sua professoressa di letteratura di guardare il punto in cui le aveva lasciate circa trenta minuti fa. In effetti, adesso c’era solo una Katrine Sullivan addormentata. Johanna spostò poi l’attenzione su Mike e Thomas, anche loro in allerta, dando quindi una rapida occhiata tutt’intorno, infine si mise in piedi. Il cuore le batteva nel petto, le mani cominciavano a sudare freddo, le sembrava di guardare senza vedere davvero.
«Devo andare a cercarla» biascicò, provando a camminare, ma Jim la fermò subito.
«Non ci pensare neanche. Vado io. Tu resta qui con i ragazzi.»
«No.»
«No?» Ripeté lui, la fronte aggrottata.
«Sara è autistica e non so come, non so perché, sono riuscita a instaurare un rapporto di fiducia con lei. Penso sia grazie alla sciarpa di Monica. Le ho fatto credere che sia magica e che la proteggerà.»
«Jo, io non ti mando nel bosco da sola perché hai convinto una ragazzina che indossa una sciarpa magica. Piuttosto me la carico sulle spalle e la riporto indietro!»
«No, Jim!» Johanna lo afferrò per una manica e gli parlò a una spanna dal viso, alzandosi sulla punta dei piedi per essergli il più vicino possibile. «Vado io! Se non dovessi tornare, tu sei in grado di scortare questi ragazzi fino al rifugio. Io no. Non so orientarmi, ma tu sì. Non possiamo rischiare di perdere anche loro.»
«E tu e Sara allora? Dici che non sai orientarti, come pensi di ritrovarla?»
«Seguirò le orme» Johanna illuminò con la torcia le impronte che le scarpe di Sara avevano lasciato sul terreno fatto di fango e neve. «Ma se non dovessimo tornare non venire a cercarci. Me lo prometti, Jim?»
«Jo, dannazione, io…»
«Me lo prometti, Jim?»
James Cooper la fissò dall’alto del suo metro e novanta circa. Conosceva Johanna Mayers da sempre, in pratica, da che aveva memoria. Da bambini vivevano a pochi isolati di distanza e fin dall’asilo c’era stato come una specie di filo a legarli. Si erano scelti fra tanti altri, probabilmente perché erano anime affini. Simili.
Ne era innamorato? Certo che lo era, dal primo istante in cui l’aveva vista, con la sua gonnellina gialla a pieghe e i capelli intrecciati con un nastro dello stesso colore. Johanna non era cambiata poi così tanto, si era solo allungata, mantenendo un fisico asciutto, quasi privo di forme, e tra i capelli castani, ondulati appena oltre le spalle, cominciava a notarsi qualche filo argentato. Jim le accarezzò il capo.
«Non posso prometterti una cosa del genere, Jo. Lo capisci? Devi capirlo…»
Con Monica avevano costituito proprio un bel trio, trascorrendo l’età della ribellione in simbiosi. Monica era stata la prima a comprendere i sentimenti che lui provava per Johanna, sebbene Jim avesse sempre sostenuto di essere solo suo grande amico e intanto si era dato da fare con storie più o meno importanti, fino al giorno del matrimonio.
Anche Johanna Mayers aveva avuto qualche fidanzato, due davvero importanti, entrambi però finiti male nell’arco di tre o quattro anni.
Una volta, mentre erano al college e stavano condividendo una Camel prima di un esame importante – lei fumava sempre quando era nervosa –, Jim le aveva chiesto come sarebbe stato, secondo lei, se si fossero messi insieme. Johanna aveva riso a crepapelle:
«Io e te, James Cooper, non dureremmo neanche un giorno come coppia. La metà delle cose che fai o che dici mi fanno impazzire…» aveva spento la sigaretta sul prato, schiacciandola con le dita, quindi si era alzata. «E poi siamo entrambi innamorati di un’altra persona, no?»
Era stato allora che Jim le aveva confessato dell’imminente matrimonio perché la sua ragazza era incinta. L’ilarità dal volto di Johanna era letteralmente scemata, Cooper l’aveva vista sparire come acqua che gocciola dalle membra del corpo.
«State insieme da tre mesi e…?»
«Sì, lo abbiamo già fatto. Perché, tu non fai sesso con i tuoi fidanzati?»
Johanna si era chinata sulle ginocchia per guardarlo dritto in faccia:
«Non sto dicendo questo, idiota! Mi riferisco al fatto di sposarsi, non credi sia troppo affrettata come cosa?»
Jim aveva distolto lo sguardo. Era ovvio che pensasse che fosse troppo presto, ma come lo avrebbe spiegato alla sua famiglia cattolica? Suo padre poi, capo della polizia di Millinocket, che figura c’avrebbe fatto?
«È incinta» aveva ripetuto lui, come se fosse la giustificazione a tutto.
«Va bene, Jim. Ma promettimi una cosa: se non sarai felice in questo matrimonio, la lascerai. Non puoi sprecare la tua vita. Me lo prometti, Jim?»
Era andato ben oltre dal rendere miserabile la propria esistenza, aveva fatto altrettanto con quella delle persone che gli erano vicine: i suoi genitori, sua moglie, la quale aveva poi avuto un aborto spontaneo durante il quarto mese di gravidanza. Erano rimasti insieme nonostante i continui litigi e trascorsi anni prima di riuscire a concepire nuovamente, quando poi era nata la sua piccola Stella.
«No, Jim, me lo devi promettere. Me lo prometti, Jim?»
La voce di Johanna lo riportò al presente. La guardò ancora qualche secondo, annuendo con il capo. Lei lo allontanò con garbo, poi, torcia in mano, si inoltrò nel fitto del bosco. La sentirono urlare il nome di Sara per un po’, poi il silenzio era calato nel campo che avevano allestito per trascorrervi la notte. Si erano stretti intorno al fuocherello, in attesa.
 
Johanna Mayers teneva la luce fioca della torcia puntata sul sentiero davanti a sé, cercando di scovare le impronte della ragazza, ma non era facile, poiché queste iniziavano già a sparire. La scovò diversi metri più in là, nei pressi del lago Moosehead, seduta a gambe incrociate mentre fissava con il suo solito sguardo piatto l’orso bruno dinnanzi a lei.
A Johanna quasi venne un infarto. Con la massima cautela la raggiunse, chinandosi sulle ginocchia senza distogliere l’attenzione dall’animale grosso quanto un furgone. Lo vide spalancare le fauci verso di loro e per un attimo credette davvero di farsela sotto. Parlò piano, sussurrando nell’orecchio di Sara di andare via, con calma, senza movimenti bruschi, ma la ragazza non parve sentirla. L’orso rugliò, mostrando denti aguzzi e bava.
«Tesoro, dobbiamo andare via.»
Sara si tolse la sciarpa che teneva al collo, l’appallottolò e la lanciò in direzione della bestia. Questo l’afferrò e la stracciò con gli artigli, emettendo un verso terrificante.
«Sciarpa magica di Monica» recitò la ragazzina.
L’orso urlò al cielo la sua rabbia, alzandosi sulle zampe posteriori. D’istinto Johanna abbracciò Sara proteggendola con il suo corpo: mai si sarebbe aspettata di morire trafitta da un artiglio di orso.
Poi udì uno sparo, l’orso tornò con tutte e quattro le zampe a terra, facendo vibrare il terreno. Un nuovo sparo, questa volta più vicino convinse l’animale a fare dietro front e a sparire nel fitto degli alberi.
«Johanna! Johanna, state bene?»
James Cooper si chinò al loro fianco, la pistola ancora stretta nella mano tremolante. La Mayers lo fissò qualche secondo, facendo mente locale su quello che era appena accaduto. Aveva il viso rigato di lacrime e non se ne era neanche accorta. Quando si trovò il volto dell’amico a mezzo metro dal suo, gli si buttò al collo senza pensarci due volte. Per fortuna non le aveva dato ascolto.
 

 
*
 
Quando tornarono alla radura, dove avevano lasciato il resto della scolaresca, non vi trovarono solo i loro studenti, ma due agenti forestali dello Stato del Maine. Non vedendoli arrivare, quelli del Penelope’s Range avevano lanciato l’allarme.
«Un autobus caduto in un precipizio è facile da individuare» aveva spiegato uno di loro, mentre accompagnava i due insegnanti dall’ospedale al rifugio, i cui titolari si erano offerti di ospitarli per quella notte, gratis. Gli studenti invece avrebbero trascorso la nottata in osservazione, in attesa che i genitori andassero a riprenderli.
Johanna Mayers sedeva nei sedili posteriori dell’auto di pattuglia, con addosso una coperta di lana a quadri blu e rossi. Teneva lo sguardo fisso e perso oltre il finestrino, pensando a tutto e a niente. Aveva detto che stava bene, non aveva bisogno di visite mediche, ma gli agenti avevano insistito e alla fine era stata dimessa. James Cooper sedeva accanto all’autista, lei li sentiva parlare dell’incidente, delle cause che avrebbero potuto scatenare un impatto del genere. Supposizioni su supposizioni, solo l’autopsia sul corpo di Bob avrebbe dato le risposte esatte e lei, Johanna Mayers, insegnante di Letteratura Inglese all’High School di Millinocket, le conosceva già. Non riusciva a immaginare come avrebbe fatto a dormire da quella notte in poi, a portarsi sulla coscienza tutti i suoi amati alunni per il resto della sua vita. Lei, che era sempre stata così attenta a tutto, anche a ogni minimo cambio di umore, adesso…
«Jo. Ehi, Johanna!»
La donna sbatté le palpebre un paio di volte, fissando con uno sguardo ebete il volto anonimo dell’agente Logan che le teneva la portiera dell’auto della Guardia Forestale e quello preoccupato di Jim, qualche metro più indietro.
«Grazie di tutto» disse lei, scendendo dall’auto e avviandosi nel rifugio.
 

 
Εpilogo
 
All’interno della stanza trovò un cambio pulito (una tipica tuta da sci) e biancheria nuova. C’era anche un pasto sigillato sulla scrivania, ma non considerò minimamente di mangiare. Si lavò via il fango incrostato e il sangue asciugato sulle ferite, strofinandosi i capelli fino a farsi dolere il cuoio capelluto. Quindi indossò l’accappatoio e tornò nella camera, le cui assi di legno erano accoglienti e tiepide. Cercò nel minibar qualcosa che potesse aiutarla a dimenticare, a dormire, almeno per quella notte. C’erano lattine di Coca-cola; Fanta, Sprite e… Rum. Di quest’ultimo c’erano ben tre bottigliette mignon. Non era una grande appassionata di alcolici, ma doveva riconoscere che in ogni momento importante della sua vita erano lì, a sostenerla. Coraggio liquido lo aveva definito la Rowling, o qualcosa del genere. Ne prese una e la bevve d’un fiato, sentendo il liquido bruciare oltre la gola, fin nello stomaco vuoto, poi afferrò le altre due e uscì dalla stanza. Il corridoio era deserto, l’unica cosa che si udiva erano gli scricchiolii del tetto causati dal vento. Si mosse a piedi nudi sul tappeto spesso, i passi attutiti, l’accappatoio chiuso dalla cinta alla bell’è meglio, i capelli bagnati e spazzolati gocciolavano ancora acqua dalle punte.
Si fermò davanti alla porta della camera di James, fissandola.
Certo che la vita era strana, pensò. Una volta era stato lui a sostare sullo zerbino di casa sua, mentre una delle tempeste più tremende della storia di Millinocket si abbatteva sulla cittadina.
Johanna ricordò di quanto si fosse spaventata vedendo un’ombra di quasi due metri immobile davanti casa propria, mentre scostava le tendine dalla finestrella della cucina per osservare la pioggia battente. Quando si rese conto che si trattava di James Cooper, era corsa alla porta e trascinato letteralmente dentro l’amico. Era bagnato fradicio, con una bottiglia di vino scadente stretta per il collo, ormai quasi finita.
«Santo cielo, Jim! Cosa è successo?» Gli aveva chiesto. «Ti prendo un asciugamano, non muoverti.»
Ma lui l’aveva fermata per un braccio, con foga, solo quando aveva parlato si era resa conto che stava piangendo.
«Stella se n’è andata. Me l’ha portata via.»
Senza aggiungere altro, Johanna l’aveva abbracciato e pianto con lui. Gli aveva permesso di dormire a casa sua, ma quella non era una novità. Era già successo altre volte, decine forse, soprattutto quando lui e sua moglie litigavano e andava via di casa. Non sapeva dove andare, diceva, dai suoi non ci pensava neanche, non avrebbe dato a suo padre la soddisfazione di vederlo cadere in rovina. Johanna gli aveva detto che la porta di casa era sempre aperta per lui, ma questo era stato uno dei punti di rottura della sua ultima storia d’amore, dopo ben quattro anni di fidanzamento.
James Cooper, a quei tempi rangers forestale – proprio dove lo voleva suo padre – era rimasto per una settimana intera sdraiato sul suo divano, in uno stato catatonico. Si era licenziato, o meglio, l’avevano licenziato per le continue assenze, fin quando un giorno, tornando da scuola, Johanna non lo aveva costretto ad alzarsi, rasarsi e lavarsi: gli aveva trovato un lavoro come docente.
«Io? Docente? Ma mi hai visto?»
«Tranquillo, non dovrai fare granché. Solo insegnare il basket.»
«Io non so giocare a basket!»
«Non c’è bisogno che tu lo sappia giocare.» Johanna Mayers gli aveva lanciato un manuale grosso quanto la Divina Commedia, la cui copertina citava “Manuale di Basket per principianti” «Ti basta conoscere le regole. Sai leggere, no?!»
 
E ora, quella mezza brilla, con i capelli bagnati e i piedi umidi era lei. Fece per bussare, ma prima ingollò anche un’altra bottiglietta di Rum, poi alzò il pugno, pronta a batterlo sulla porta, la quale si aprì ancor prima che potesse sfiorarla.
James Cooper rimase interdetto, il nome di lei a fior di labbra, indossava un paio di pantaloni da tuta puliti, il torace nudo, mostrando un po’ di pancetta da uomo sedentario.
«Johanna?» Possibile che anche lei avesse avuto la sua stessa idea?
«È colpa mia, Jim. È tutta colpa mia!» Gli si buttò contrò, cominciando a piangere disperatamente. Lui richiuse la porta e insieme si sedettero sul bordo del letto.
«Ehi, ehi! Non è colpa tua, ma che dici?» Cooper le tolse di mano le piccole bottiglie, una piena e l’altra vuota, mettendole sul ripiano della scrivania, accanto a quelle che aveva già bevuto lui.
«Io l’ho visto, Jim! Ho notato i suoi tremori, la fronte sudaticcia… come ho fatto a non capire che stesse avendo… non so… un infarto, un ictus?!» Johanna si prese la testa fra le mani, mentre Jim la osservava.
Era lei quella brava a dire la cosa giusta al momento giusto, non lui. Dannazione!
Lui era quello problematico, quello con un divorzio alle spalle e una figlia in giro chissà dove che probabilmente non ricordava neanche più il volto di suo padre. Lei era quella equilibrata, la tosta, la coraggiosa, l’intelligente del gruppo. Certo, poi c’era Monica… la saggia, la mediatrice.
«Ehi, ehi!» Jim le scostò le mani dal volto prendendole con delicatezza i polsi, quindi le asciugò le lacrime con i polpastrelli. «Stavo venendo da te per accertarmi che stessi bene e soprattutto per dirti che mi ha telefonato l’agente Logan – quello che ci ha accompagnato qui.»
Johanna lo guardava con gli occhi lucidi e il cuore pulsante nel petto.
«Non hanno ancora fatto l’autopsia del corpo, ci vorrà qualche giorno per quella, ma dalle prime analisi è molto probabile che fosse ubriaco.»
«Ubriaco…» ripeté lei.
«Sì, ubriaco. Non è stata colpa tua, Jo. La colpa è solamente sua. Ammesso che qualcuno abbia colpe in incidenti come questi. A volte le cose devono succedere e basta.»
Johanna si alzò dal letto, chiudendosi meglio la scollatura dell’accappatoio sul seno, come se si fosse accorta solo allora di indossare quello e nient’altro.
«Sei fatalista.» Disse poi.
«No, penso solo che al destino non si può porre un freno.»
«Anche gli dei greci lo dicevano, sai? Nonostante il loro grande potere, nulla potevano contro il Fato.»
«E penso che sia uno spreco di tempo quello che stiamo facendo io e te.» Jim si alzò e la raggiunse, abbracciandola da dietro. Lei s’irrigidì, ma non lo allontanò. «Le cose succedono, la vita finisce, ma io e te siamo ancora qui, vivi e in salute. È un miracolo? Sì. Perché proprio a noi? Non lo so…» La voltò verso di lui, gli sembrava una bambolina fatta di carne e ossa. «Ma è così e, davvero, non dovremmo più perdere tem-».
Johanna si alzò sulle punte dei piedi, afferrandogli il volto con entrambe le mani e baciandolo a stampo sulle labbra. James le passò le braccia intorno alla vita e le schiuse le labbra con le proprie, assaporando il suo retrogusto di Rum e lacrime.
«Ho avuto così tanta paura che fossi… oddio, Jim! Mi vergogno anche solo a pensarla una cosa del genere.»
Lui le posò la fronte contro la sua.
«Anche io ho avuto paura che tu fossi rimasta sotto le lamiere, Jo. Quando ti ho visto lì a terra, che stavi bene…» la strinse ancor più forte.
 
Johanna Mayers non ebbe la forza e il coraggio di confessare ad alta voce il sollievo che aveva provato a saperlo – a vederlo – vivo e vegeto e, nonostante il dolore di aver perso la sua grande amica, non avrebbe barattato la vita di James Cooper con quella di nessun’altro. Né di Monica, né degli studenti.
Alla fine, entrambi avevano compreso che era inutile tentare di separare ciò che il Destino aveva in serbo di unire.

 

Ƒine

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