Tattoos and coffee

di AMYpond88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mattina dopo ***
Capitolo 2: *** La mattina dopo, parte seconda ***
Capitolo 3: *** Itadori ***
Capitolo 4: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 5: *** Pelle e occhi ***
Capitolo 6: *** Demondog ***
Capitolo 7: *** Ombre ***
Capitolo 8: *** Terra chiama Megumi ***



Capitolo 1
*** La mattina dopo ***


Lui non fa mai cose del genere. Mai.
È questo tutto quello a cui Megumi riesce a pensare, mentre tiene la fronte premuta contro il bancone del negozio, in quello che è il peggior post sbornia della sua vita. Il primo e, può giurarlo, l'ultimo post sbornia della sua vita.
Perché lui non beve mai fino a ubriacarsi.
Anzi la maggior parte delle volte non beve proprio.
Ad essere proprio sincero, spesso nemmeno esce.
Chi glielo ha fatto fare ieri sera di abbandonare la sicurezza del programma cinema, divano e te caldo?
A giusto, sua cugina Maki. Quella ragazza sa essere tremendamente insistente quando vuole.
'Hai vent'anni Megumi, non puoi fare il sepolto in casa'.
Ecco cosa aveva detto, trascinandolo fuori dall'appartamento ormai iper affollato che condivide con la sua sorellastra Tsumiki, il loro tutore Satoru e due cani lupo.
Senza contare che negli ultimi due anni si era aggiunto il compagno dell'uomo, con le due sorelle, al momento in vacanza studio.

Il piano era semplice: colonizzare un divanetto del locale e restare lì. Evidentemente qualcosa era andato storto.
Preme la fronte più forte, alla ricerca di un pensiero coerente sulla serata scorsa, ma riesce solo a ripetere nella sua testa come certe cose lui non le faccia e, di sicuro, non le rifà mai.
Ormai è una specie di mantra a cui aggrapparsi per sfuggire alla sua emicrania.
Emicrania che, si prepara, sta per peggiorare drammaticamente a causa dell'uragano di parole che è prossimo a travolgerlo, annunciato dallo scampanellio della porta.
"Oh chi abbiamo qui? Il nostro piccolo Megumi?"
Alza un sopracciglio, senza sollevare la testa dal bancone.
Basta il livello decisamente troppo alto di ottave per fargli sapere che Satoru Gojo, il suo tutore, ha appena fatto irruzione nel suo rifugio.
Non che lo studio di tatuaggi del fidanzato di quell'idiota rumoroso sia una gran scelta per nascondersi, ma Geto è stato chiaro con lui e Tsumiki: "Quando Satoru diventa troppo insopportabile, iperattivo o petulante... insomma, troppo Satoru, le porte dello studio sono aperte".
A conferma delle sue parole, l'uomo era arrivato il giorno dopo con la coppia delle chiavi dello studio e così quel piccolo negozio era diventato un porto sicuro dal rumoroso, caotico e spesso esagitato affetto del loro tutore.
Ciò valeva e continua a valere soprattutto per Megumi. La sorella, paziente e gentile, aveva fin da bambina imparato a vedere le reali buone intenzioni nascoste dietro alla stravaganza di Gojo.
Che per carità, per essersi trovato a poco più di vent'anni a fare da tutore a due ragazzini di dieci, se l'era cavata anche bene. Entrambi erano arrivati ai diciotto anni sani e salvi, senza nemmeno troppe visite al pronto soccorso e traumi, inspiegabilmente, se chiedevano a lui.

"Me-gu-mi~ dove sei stato? Io e Tsumiki Chan eravamo così preoccupati".
Ruota la nuca, ignorando come ogni sua cellula urli in protesta, appoggiando la guancia sul bancone.
Biascica qualcosa come "Ti ho scritto che avrei dormito da Maki", ma le parole gli escono talmente tanto sovrapposte e strascicate che dubita Satoru lo abbia sentito.
Si solleva quel tanto che basta per rivolgere all'uomo uno sguardo confuso e indispettito, ma senza riuscire ovviamente ad intimorirlo o almeno a spingerlo a fermare il suo monologo.
"Ma visto che sono il tutore, amico e mentore migliore del mondo, tieni! Ti ho portato la colazione", continua Gojo, evidentemente in piena autocelebrazione.
Ruota la testa verso il sacchetto rosa confetto contenente, ne è certo, qualcosa di iper calorico ed eccessivamente zuccherato che l'uomo ha lanciato sul bancone e trattiene un gemito.
Basta l'odore dolciastro che viene dall'incarto a mettergli la nausea.

"Satoru, lascialo stare, ha mal di testa... e poi è vero, ti ha scritto. Ho sentito arrivare il suo messaggio".
La voce calma e impostata sul giusto numero di ottave del suo (boh, 'patrigno? 'Altro adulto responsabile'? Non che Gojo sia da considerarsi tale) unico adulto responsabile è accompagnata dall'aroma ottimo della tazza di caffè nero e assolutamente amaro che Geto appoggia sul ripiano, insieme a quelli che devono essere degli antidolorifici.
L'uomo ne ha una scorta infinita, immagina che stando con Satoru ne abbia costantemente bisogno, ed è abituato a fare da farmacia ambulante sia per i problemi mensili delle sue sorelle, Mimiko e Nanako, per quelli di Tsumiki (non che Gojo sia da meno in questo. Ricorda quando al primo ciclo della ragazza avesse finito per tornare a casa con una borsa piena di barrette di cioccolato e ogni tipo di assorbente esistente sul mercato) sia per le sue emicranie da studio.
Nonostante il tono calmo che ha ora, a Megumi verrebbe da ridere, se solo il mal di testa gli desse tregua, a pensare all'espressione prima confusa e poi di stupefatta realizzazione, che Geto aveva mostrato aprendogli la porta del negozio, davanti al suo post sbronza.
Sorpreso, così tanto da non riuscire nemmeno a fargli un minimo di tirata d'orecchi.

Perchè lui non si ubriaca mai, beve di rado ed esce con il contagocce.
Ma quello che davvero Megumi proprio non ha mai fatto è l'unico punto a cui sta cercando di non pensare: non è mai finito a fare sesso con un perfetto sconosciuto.
O quasi fare sesso.
Dice 'quasi' perché con il ragazzo a cui si è trovato avvinghiato tipo polpo su una pista da ballo dove non ha nemmeno ben presente come sia finito, non ha concluso un bel niente, finendo scaricato senza troppe cerimonie.
I suoi ricordi sono confusi in merito, molto.
Ricorda solo di aver cominciato lui a baciarlo in pista ed aver continuato nel percorso verso il bagno, per finire con il sedere sopra un lavello, il tutto senza prendere fiato.
E si sentiva bene. Tanto bene per essere tra le braccia di un perfetto sconosciuto che con i capelli rosa e le braccia e il torace tatuato, almeno da quello che riusciva a vedere dalla camicia, sembrava proprio l'ultimo essere umano che avrebbe potuto interessargli sulla faccia del pianeta.
Da quello che ricordava, un giramento di testa lo aveva preso lì, facendolo scivolare e rischiare l'osso del collo. Il ragazzo l'aveva sorretto e rimesso in piedi, tutto come se pensasse come una piuma, con un tocco improvvisamente gentile.
Lo aveva guardato storto e sentenziato qualcosa che era suonato tipo 'Non mi scopo i mocciosi ubriachi'.
Poi era uscito dal bagno e meno male, visto che era finito piegato sulla tazza a vomitare pochi istanti dopo.
Qualche minuto dopo si era trovato davanti Maki e i suoi amici, Yuta, Toge e... non ricordava il nome dell'altro ragazzo, solo il soprannome, "Panda", per le sue felpe con il cappuccio bianche e nere.
La cugina era riuscita a farlo riprendere, un po' con dell'acqua rovesciata in faccia e un po' con le colorite imprecazioni rivolte sia verso di lui, sia verso un povero sfortunato a caso, abbastanza coraggioso da farle notare che si trovava nel bagno dei maschi.
Cosa aveva urlato la ragazza?
'Lo so che sono nel fottuto cesso degli uomini, ma non vedi che il mio amico sta male?'
Dopo di che la serata era finita e lo sconosciuto che non gli aveva nemmeno detto il nome era svanito.

Meglio così. Ora deve solo andare oltre, iniziando con il superare quell'assurdo mal di testa.
Sarebbe bastato allungare le dita verso le salvifiche pastiglie di antidolorifico, cercando di non pensare a quel ragazzo senza nome e con cui aveva fatto la peggior figuraccia della sua vita.
Anche se lo avesse trovato, cosa avrebbe potuto ben dirgli?
'Grazie per non aver abusato di me ubriaco?', 'Scusa se ti sono quasi svenuto addosso?'

Qualcuno deve averlo molto a cuore lassù, visto che Il discutere concitato di Satoru e Suguru, rumoroso e imbarazzante (Geto sta elencando tutte le intossicazioni alimentari da dolci del compagno, Gojo la volta che il fidanzato da ubriaco si è fatto tatuare un, citando letteralmente,  'piccolo cervello malvagio') viene interrotto dal campanello del negozio.
"Junpeiii dai non farti pregare", esplode una voce femminile sconosciuta, all'ingresso.
Rimangia subito il suo pensiero cautamente ottimista, visto che la voce della ragazza che entra sembra fastidiosa quasi quanto quella di Gojo, tanto da fargli alzare la testa dalla posizione che ormai tiene da quasi un'ora per lanciare un'occhiataccia.
Ha un caschetto castano e un viso gentile, che fa a pugni con il suo tono di voce. Entra nello studio come un uragano, seguita da due ragazzi.
Uno magrolino, con un ciuffo sulla fronte che gli fa chiedere da quando gli Emo siano tornati ad uscire, ed uno più robusto, dai capelli rosa e un sorriso gigante.
Non vede tatuaggi, ma il ragazzo indossa una felpa che copre entrambe le braccia.
È decisamente più fresco di lui, troppo per aver fatto serata, ma chi può dirlo?
E poi, quanti ragazzi con i capelli rosa possono esserci?
Megumi incrocia il suo sguardo e il sorriso del ragazzo si allarga ancora.

Sì, qualcuno deve proprio averlo a cuore lassù.

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Capitolo 2
*** La mattina dopo, parte seconda ***


Fattuto mal di testa, il cranio sembra sul punto di esplodergli.
Sukuna preme la fronte contro il tatami della palestra, mentre Mahito lo guarda incredulo, stupito dalla velocità con cui si è fatto mettere a tappeto.
"Ehi, sicuro di voler continuare? Non mi sembri in forma".
Alza la testa per rivolgergli un'occhiata talmente carica di odio, che l'amico fa un passo indietro.
Certo che vuole continuare. Deve dare un senso a questa dannata mattinata.
Ha dormito uno schifo e si è svegliato con l'emicrania.
Non contento ha tirato un calcio allo spigolo della porta del bagno mentre cercava di arrivare alla doccia, il tutto provando a sfuggire alle attenzioni moleste e rumorose di suo fratello, deciso a criticare la sua dieta mattutina post sbronza fatta di caffè e maledizioni contro il mondo.
Come se il costante, imperturbabile ottimo umore di quel ragazzino non fosse già tremendamente irritante.

Non contento, arrivato in palestra si è pure accorto di essersi dimenticato il tesserino. Quel dannato idiota pompato di steroidi della reception sembrava davvero deciso a non farlo passare, nonostante si presenti almeno tre volte a settimana, sempre alla mattina.
Di rompicoglioni la sua vita ne è piena già così, non ha proprio bisogno di fissati con il building e personal trainer invasati, quindi non ci pensa nemmeno a farsi vedere in palestra dopo le dieci di mattina, anche se significa risorgere dal regno dei morti.
Ma effettivamente è così poco riconoscibile, con i capelli rosa, le orecchie forate e le braccia tatuate che deve essere difficile ricordarsi la sua faccia, quando si è letteralmente pagati per tenere a mente i visi delle persone.
Fottuto idiota.
Quindi sì, vuole continuare. Perché tirare cazzotti è la cosa più sensata che gli viene in mente.

Si alza e attacca per primo, fallendo un colpo dietro l'altro, la pelle sudata che rende difficile anche solo afferrare Mahito.
Si lancia una seconda volta con rabbia, punta alla gola, ma è impreciso e quando l'avversario lo scarta con una mossa davvero troppo prevedibile, finisce a terra.
Di faccia.
La frustrazione che prova, aumenta sentendo la pelle spaccarsi e bruciare all'altezza del sopracciglio.
Dannazione, come fa ad essere ridotto così male?
Mahito si ferma, finge di doversi sistemare le fasciatura sulle mani, dandogli la possibilità di prendersi un momento di pausa, senza che il suo orgoglio ne esca ferito, almeno non troppo.
Inclina la testa e gli sorride gentile, il tono di voce carezzevole che lo irrita, se possibile, ancora di più.
"Mi dici che ti succede?"
Non risponde, anche perché non saprebbe nemmeno lui cosa dire, ma rimane a fissare le dita con cui un secondo prima si è tastato la fronte. Sono rosse di sangue.
Non ci voleva.
"Cazzo, non guarirà mai prima di lunedì".
L'amico alza un sopracciglio, stupito.
"Da quando ti preoccupi per un taglietto?"
"Inizio a lavoro e si dà il caso che sia l'occasione che aspetto da anni..."
Mahito gli lancia una rapida occhiata, indicandolo da capo a piedi con l'indice puntato e uno sguardo perplesso.
"E tatuaggi, capelli rosa, piercing e unghie smaltate di nero non sono un problema?"
"Nah, il proprietario è uno a posto... e poi di tatuaggi ne ha più di me".
L'amico fa spallucce, lanciandogli una bottiglietta d'acqua.
"Andata così male la serata?"
Chiede, mentre scioglie la coda in cui ha raccolto i capelli azzurri, probabilmente per dargli ancora un po' di tempo.
Sbuffa in risposta.

'Male' era un'esagerazione. Fino ad un certo punto era andata decisamente bene. Forse fin troppo.
Peccato come fosse finita con il ragazzo dai capelli neri.
Se avesse capito dall'inizio quanto fosse ubriaco, non gli avrebbe dato corda.
L'aveva notato subito, con i capelli nerissimi e l'aria imbronciata. A grandi linee doveva avere due o tre anni meno di lui, avrebbe potuto essere coetaneo di suo fratello.
Solo quando se lo era trovato stretto addosso aveva notato altri particolari.
Gli occhi blu come la notte, le mani dalle dita lunghe e affusolate, il fatto che sembrasse schifosamente elegante anche con una paio di jeans, la All Stars rosse alte e una fottuta t-shirt troppo larga.
Sembrava un damerino in mezzo ad un branco di uomini delle caverne.
E nonostante quei capelli dannatamente per aria... non importava quante volte ci avesse passato le mani in mezzo (ad un certo punto aveva temuto che il ragazzo gli chiedesse se aveva sviluppato un'ossessione), quei ciuffi ribelli continuavano a rispuntare, più spettinati di prima.
Lui li abbassava e quelli saltavano su.

Ora lui non era certo un verginello e con quel ragazzetto non era andato oltre ad una pomiciata, quindi non si spiegava il suo stato attuale.
Da quando era uscito da quel bagno, non se l'era tolto dalla testa. Lui, i suoi capelli arruffati contro lo specchio del lavello, le sue guance arrossate e le sue labbra socchiuse.
Gli aveva lasciato il cervello in tilt. Per non parlare delle altre parti del suo corpo.
E pensare che non rispecchiava per nulla il suo prototipo di ragazzo o ragazza.
Sì, non si era mai fatto troppi problemi da quel lato, né troppe domande.
Senza contare che, per quanto fosse consapevole della sua forma fisica, non avrebbe mai detto di essere il tipo di un ragazzo con il faccino tanto pulito.
E pensare che era stato il moccioso ad avvicinarsi, esordendo con un confusissimo discorso sull'offrirgli una birra per dimostrargli che era maggiorenne, per finire con il saltargli al collo, prima che lui potesse rispondergli chi caspita glielo avesse chiesto.
L'età, la birra o l'avvinghiarsi a lui.
Non che la cosa gli fosse dispiaciuta, sia chiaro.

Non sapeva nemmeno il suo nome, sarebbe stato solo uno dei tanti.
Per questo non si spiegava perché dovesse continuare a farsi problemi ora.
Sapeva di non aver problemi a trovare qualcuno che gli scaldi il letto.
Forse era per come era andata?
Si era comportato nel modo migliore.
Da bravo ragazzo. Ed è davvero, davvero difficile che lui si comporti da bravo ragazzo.
Chiusa la porta dei bagni dietro di sé, aveva tirato un sospiro, contando fino a dieci, o forse fino a cento, ed era andato a chiamare l'amica del moccioso, la ragazza con la coda e gli occhiali che gli aveva visto al fianco, perché andasse in bagno a controllare che non fosse caduto di faccia sul pavimento.
Questa gli aveva scaricato addosso una sequela di insulti, prima che riuscisse a farle capire con toni non molto gentili, che no, non aveva abusato del suo amico.
Difetti ne ha tanti, ma decisamente non è uno stupratore.

"Dai ho capito che non hai voglia di parlarne... anche se vorrei proprio sapere cosa ti ha ridotto così".
Mahito si mette il borsone a spalle, avviandosi verso l'uscita.
"Per oggi basta, andiamo a fare colazione?"
" Chi ... Chi mi ha ridotto così..." Borbotta tra sè e sè. L'amico non lo sente o fa finta di non sentirlo.
Si alza e comincia a disfarsi le fasciature con cui ha stretto le nocche, dirigendosi verso il bar.
Tanto vale smettere di pensarci, non è da lui perdersi per un paio di occhi blu...
Riflettendoci non sembrava molto tipo da locali... quante possibilità può avere di rivederlo?

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Capitolo 3
*** Itadori ***


Il ragazzo non smette di sorridergli, senza il minimo imbarazzo.
La sua espressione è così aperta e spontanea, che Megumi comincia a pensare che la sua disavventura della sera prima sia dovuta ad un'allucinazione da alcool.
Ora, lui beve poco e regge ancora meno, ma è quasi certo che un'allucinazione non possa essere così tanto dettagliata.
Intanto il nuovo arrivato, in piedi a pochi passi da lui, senza perdere il sorriso allegro, comincia a ricambiare il suo sguardo con aria incuriosita.
Sembra essere sul punto di rivolgergli la parola, quando la voce di Geto lo riporta alla realtà.
"Aspetta, ma tu non inizi lunedì?"
Come, prego?
Non può fare a meno di strozzarsi con la sua stessa saliva.
Con chi diamine sta parlando?
Iniziare dove?
Allo studio?
Sgrana gli occhi, non riuscendo a trattenersi dal guardare Suguru, con un'espressione che trasuda panico.
Non può ovviamente vedersi, ma lo sguardo confuso che gli rivolge in risposta l'uomo gli fa capire quando debba sembrare sconvolto.
Cerca di recuperare, dipingendo sul suo volto il solito cipiglio annoiato, ma ovviamente Satoru deve complicargli la vita, iniziando a ridacchiare appoggiato al bancone, prima di rivolgersi al ragazzo appena entrato.
"Tu sei il nuovo tatuatore, giusto 'Guru? Conosci già il nostro Megumi?"
Vorrebbe urlare a tutti di smetterla. A Gojo di ridere e di fare domande, a Geto di guardarlo come se fosse pazzo e allo sconosciuto di sorridergli.
È talmente sul punto di esplodere che vorrebbe prendersela anche con il ragazzetto emo (a quanto pare sono tutti li per causa sua) e con la ragazza che non ha smesso un attimo di guardare tutti con chiari istinti omicidi nello sguardo.
... Forse lei un po' sente di capirla.

"Ah no! C'è uno sbaglio! Io sono Yuji... ad iniziare a lavorare qui lunedì è Sukuna, mio fratello. Ha un paio di anni più di me, ma siamo molto simili!"
Aspetta, cosa?
È talmente preso dal turbine dei suoi pensieri, che ci mette qualche istante a cogliere il senso delle parole che escono dalla bocca del ragazzo.
Quello intanto continua, portandosi una mano alla nuca con fare imbarazzato.
"Non credo che ci siamo già visti... mi sono trasferito qui da mio fratello da un paio di mesi, dopo la morte del nonno".
Geto finalmente smette di guardarlo come se Megumi stesse per impazzire e volge la sua attenzione al ragazzo dai capelli rosa.
Gli porge le sue condoglianze, cambiando due o tre espressione in un istante, finendo per sfoggiare il suo sorriso più gentile.
"Certo, ora ricordo". Scuote una mano a modi scusa.
"Yuji Itadori, giusto? Tuo fratello mi ha accennato qualcosa quando abbiamo parlato... Ora che ti guardo bene effettivamente capisco di aver preso un granchio".
Il giovane, Itadori, ride, facendo un breve inchino.
"Piacere allora! Ma non preoccuparti... tipico che ci confondano".
Prende un'espressione pensosa, stringendosi il ponte del naso tra le dita, prima di continuare: "Sukuna è un pelo più alto e muscoloso di me... senza contare i tatuaggi e il modo di fare, direi particolare".

Particolare non è esattamente l'aggettivo che avrebbe usato Megumi.
Sempre ammesso che stiano parlando del suo Itadori, cioè non suo, ha anche appena capito come caspita si chiami.
"Beh, sarà interessante averlo qui a lavorare... è giovane, eppure i suoi pezzi mi hanno davvero colpito, ho proprio qui dei suoi bozzetti".
Megumi non può fare a meno di notare come Suguru sia concentrato su alcuni disegni che ha pescato da sotto il bancone.
"Sono veramente belli... Satoru, te li ho già fatti vedere?".
Si avvicina anche lui, fermandosi dietro al suo tutore.
Scelta stupida, visto che con il suo dignitosissimo metro e settantacinque, si trova comunque a mettersi in punta di piedi per guardare oltre la spalla dell'uomo.
Sbuffa irritato, Gojo è fatto per indisporlo, anche per cose per cui non ha effettivamente colpa, come la sua insensata altezza.
Quando il suo sguardo finalmente cade sui fogli, non riesce a non sgranare gli occhi.
I disegni sono davvero, davvero, belli.
Bianchi e nero, colorati, ritratti. Piuttosto cupi se deve proprio trovarci un difetto, ma capisce l'entusiasmo di Geto.
Anche se probabilmente Sukuna Itadori prenderà a calci il primo cliente che gli chiederà una farfalla o un fiore di sakura e lui, in quanto proprietario, si troverà con diverse grane legali.
L'altro Itadori, quello che quando distribuivano la gentilezza, probabilmente a differenza del fratello, si è messo in coda, interrompe il suo flusso di pensieri.
"Eviterò di riferirglielo, è già abbastanza convinto così! Comunque noi siamo qui per Junpei... "

Mentre l'attenzione si sposta sul ragazzo più timido, che a quanto pare si è portato dietro tutti per un banale buco all'orecchio, Megumi può finalmente tirare le somme.
Se ha capito qualcosa di tutto questo delirio in cui è sprofondato, la sua scelta da lunedì sarà tra l'incontrare quasi quotidianamente il ragazzo con cui ha fatto la più grande figuraccia della sua vita o rinunciare al suo rifugio anti - Gojo.
"Megumi Chan, non è ora della tua lezione?"
Come evocato dai suoi pensieri, Satoru lo riporta sulla terra.
La tempia gli pulsa d'irritazione. L'ha davvero chiamato 'Megumi Chan' davanti a tutti?
Comunque si stava dimenticando la lezione. Il violino.
Quell'uomo non ha pietà per la sua emicrania?
"Sei tu il maestro, se ritardiamo che problema c'è?"
"Megumi, per quanto mi abbia piacevolmente stupito che tu mi abbia chiesto ripetizioni extra, ho anche altri allievi".
Si appollaia sullo sgabello da cui si era alzato, piombando di nuovo con la fronte contro il legno del bancone, sperando che un trauma cranico sia una scusa abbastanza buona per sfuggire a Satoru.
Avere come tutore il miglior violinista della città (del Giappone, se si ascolta l'interessato), ha indubbiamente i suoi vantaggi, se si vuole superare vivi il conservatorio.
Vantaggi che tendono a sparire quando le orecchie fischiano ancora dalla sera prima.

"Dopo vorremmo andare a mangiare qualcosa, perché non vieni con noi?".
Ci mette un secondo a capire che Itadori sta parlando con lui.
Probabilmente in risposta lo sta guardando come se fosse un alieno, visto che il ragazzo comincia a ridere, le guance rosse di imbarazzo, grattandosi una tempia.
"Sai, ho ancora pochi amici, vorrei conoscere qualcuno oltre quello scorbutico di mio fratello".
La ragazza dai capelli castani si porta teatralmente una mano alla fronte, borbottando qualcosa che suona come 'sei imbarazzante, ti sei già innamorato', che le costa una gomitata da parte del ragazzino em-, Junpei, si chiama Junpei, a sua volta ripreso da Geto che gli ricorda di stare fermo mentre gli fora il lobo.

"Ecco, ho la lezion-...", risponde veloce o almeno ci prova, prima di essere bruscamente interrotto.
"Che durerà poco più di un'ora, anzi meno! Probabilmente mezz'ora, tanto ho da fare! Poi Megumi è tutto vostro".
Strilla Gojo, perchè quell'uomo si nutre dell'odio e del fastidio che suscita negli altri o del caos che riesce ad alimentare nell'universo.
Specialmente nel suo.
È consapevole di esser stato incastrato e, considerata la sua poco brillante vita sociale, di aver esaurito le scuse.
Prova ribattere, ma viene interrotto di nuovo da una voce decisamente meno irritante di quella di Gojo.
"Allora a dopo..."
Il ragazzo dai capelli rosa non riesce a trattenere l'entusiasmo genuino, ma sembra non sapere come continuare.
'Posso chiamarti per nome?' pare chiedergli, con lo sguardo del cucciolo di foca che sta per trasformarsi in un collo di pelliccia,  probabilmente rendendosi conto di averlo invitato a pranzo senza nemmeno essersi presentati.
"Fushiguro...", conclude per lui.
Itadori sembra deluso, ma non perde la sua espressione gentile. Così gentile da farlo sentire in colpa.
Quasi come se stesse indossando un collo di pelliccia di cucciolo di foca.
"...Megumi, chiamami pure Megumi", borbotta.
L'altro però deve averlo sentito, perché questa volta, il sorriso che si gli dipinge sul volto è caldo e luminoso.
"Allora a dopo, Megumi".

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Capitolo 4
*** Un nuovo inizio ***


Quasi non sente il tintinnio delle chiavi che cadono sul pavimento dello studio di Geto, mentre il suo sedere atterra sul lettino, le gambe e le braccia ancora allacciate al ragazzo dai capelli rosa.
Megumi sa di essere magrolino, ma è anche consapevole di essere discretamente alto, eppure si sente manovrare come se pesasse come una piuma. Di nuovo.
Cerca di non pensare a sè stesso come ad un koala decisamente fuori misura e si aggrappa al bavero della felpa gialla, intenzionato a zittire i suoi neuroni.
Perchè ogni parte del suo cervello, ogni sua cellula in generale è intenta ad urlargli che quella è proprio una pessima idea, quindi attira il ragazzo impossibilmente più vicino, sperando di riuscire a imporre il silenzio al coro nella sua testa.
L'unico risultato che ottiene è sentire le labbra che stanno letteralmente divorando le sue incresparsi in un sorriso soddisfatto.
Che stronzo.
Si stacca per dargli un'occhiata storta, ma capisce subito che il suo broncio non fa che avere esattamente l'effetto opposto di quello a cui punta.
Voleva essere intimidatorio?
Ecco, dall'espressione che vede davanti a sé, non ci è riuscito.
Il ragazzo piega di lato la nuca, prendendogli la testa tra le mani e poggiando la fronte contro la sua con fare tremendamente gentile.
Troppo gentile.
Cavoli, non è una ragazzina.
"Che sta succedendo... "
Si spinge verso di lui, allacciando più strette le gambe alla sua vita, riprendendo a baciarlo.
Perché nella settimana passata da quando ha conosciuto Sukuna e Yuji Itadori, ha capito una cosa: uno dice sempre la cosa sbagliata e l'altro parla decisamente troppo.

In particolare quello che tiene ingabbiato tra le gambe, lo preferisce zitto.

... una settimana prima

Sukuna si gira infreddolito nelle lenzuola, cercando a tentoni la coperta, scivolata a terra durante la notte.
Solleva la testa dal cuscino, solo per lasciarla ricadere nuovamente.
Alla cieca, allunga la mano verso il telefono, abbandonato sul suo comodino, lottando per non inveire contro la luce che inonda la stanza.
Solleva piano una palpebra, poi l'altra.
Non è abbastanza sveglio per ascoltare la voce nella sua testa che gli fa notare come sia un po' troppo chiaro per essere mattina presto, ma non appena legge l'ora la realtà lo colpisce come un pugno.
I suoi occhi si spalancano, mentre si lancia giù dal letto.
"Come sono già le otto e mezza?!"
Impreca tra sé e sé, raccogliendo al volo i jeans lanciati a terra la sera prima, mentre afferra una t-shirt e una felpa da mettersi.

A quanto pare, il destino si sta divertendo con lui, visto che con tutti i giorni in cui poteva fare cilecca, la sua sveglia ha deciso di abbandonarlo proprio oggi, il suo primo giorno di lavoro.
Si ferma, riflette, elabora un piano che non sia travolgere la pace dell'appartamento come un tifone.
Alle nove deve iniziare e da casa sua c'è almeno un quarto d'ora in metro.
Respira. Se non fa stronzate, può farcela.
Il problema è quello, idiota, tu fai sempre stronzate, canticchia una vocetta fastidiosa nella sua testa.
Decide di ignorarla e si lancia nel box doccia, lasciando che l'acqua gelata lo svegli del tutto.
Aspettare che si riscaldi è un lusso che non può permettersi e che gli costerebbe almeno altri cinque minuti. Minuti che evidentemente non ha.
Salta nei vestiti e deve ammettere che almeno la felpa è carina, nera con particolari rossi... l'ha presa da poco.
Non ha però tempo nemmeno di asciugarsi i capelli, quindi si dà un' occhiata veloce per constatare che sì, "pettinato" così sembra davvero quel moccioso di Yuji.
Non fosse per il taglio sul sopracciglio, potrebbe passare per un bravo ragazzo.
Arriva praticamente in scivolata in cucina, dove sul tavolo campeggia una caffettiera e un post it.
Il biglietto recita "Buon primo giorno fratellone!", con tanto di piccolo smile ad accompagnare la scritta.
Per un secondo, il sangue gli va al cervello al pensiero che forse, ma solo forse, Yuji avrebbe potuto pensare di svegliarlo.
Però l'odore del caffè è davvero ottimo, non c'è che dire, e lo aiuta a rilassarsi.
Guarda per un attimo il biglietto, prima di infilarselo in tasca, mentre pesca una tazza dal lavello, deciso a concedersi almeno qualche istante di tranquillità.
Il momento di pace dura tre secondi esatti.

"Maledizione!", impreca, mentre la caffettiera cade a terra.
Ovvio, doveva prendere il manico con la presina più vecchia e più usurata della cucina e bruciarsi.
Altrettanto ovvio, il caffè che Yuji gli ha preparato è finito per metà sul pavimento e per metà sulla sua felpa nuova.
Per un momento pensa di andare in t-shirt, ma non fa decisamente più così tanto caldo, almeno di mattina presto, quindi afferra la felpa gialla che suo fratello ha abbandonato sul tavolo della cucina, cazzo, come fa ad essere tanto disordinato? e se la infila con una smorfia.
Il gusto nel vestire è solamente una delle differenze con Yuji.
Diversamente dal moccioso, che di come mettersi addosso i colori che più fanno a pugni tra di loro potrebbe farne un'arte, lui può dire di averne uno.
Si annota mentalmente di scrivergli di passarsela a riprendere allo studio, magari portandogli qualcosa di più dignitoso con cui cambiarsi.
È un tatuatore, da oggi a tutti gli effetti, non un fottuto canarino.
Con quella che è probabilmente la decima imprecazioni della mattinata, esce di casa.

Riesce a prendere al volo il treno, non ci sperava davvero, quindi quando arriva alla stazione di destinazione non vuole perdere il tempo guadagnato.
Corre per gli scalini della metro, saltando i gradini a due a due.
Rischia di investire una decina di persone, a partire da un'anziana, va bene che il Giappone è uno dei paesi più longevi, ma andiamo, quale motivazione hai passati gli ottanta per girare nell'ora di punta in metro?, un paio di teppisti a cui basta tirare un'occhiata perché ingoino qualsiasi commento stiano per fargli, mocciosi, e un ragazzo infagottato in una giacca con cappuccio decisamente fuori misura, fermo a parlare al cellulare, con due cani lupo al fianco.
Ok quelli sono fottutamente adorabili e si ferma ad accarezzarli, ma è tanto rapido che il tizio manco se ne accorge.
Guarda l'ora.
Potrebbe arrivare in ritardo di soli cinque minuti.

"Ciao! Devi essere il nuovo tatuatore!"
Appena mette piede nel negozio, comincia a chiedersi quanto davvero la sua mattinata possa continuare a peggiorare.
Perché la voce che lo accoglie è decisamente tra le più irritanti che abbia sentito.
Chi. Cavolo. È. Questo?
Anche nel suo cervello le parole si scandiscono, mentre la pertica con i capelli bianchi e gli occhiali da sole al chiuso, a quanto pare fare serata passati i trenta non è facile, ignorando ogni concetto di spazio personale, lo prende per un polso e lo trascina dentro il negozio.
Nemmeno gli lascia il tempo di controllare di essere entrato nel locale giusto.
Perché deve esserci uno sbaglio. Il ragazzo al colloquio se lo ricorda con i capelli neri raccolti sulla nuca, le orecchie forate e le braccia tatuate.
Questo davanti a lui, con quel maglione azzurro oversize che può scommetterci, lo stronzo avrà messo perchè il colore è lo stesso dei suoi occhi, pare la versione gay della fata turchina.
Però realisticamente, quanti negozi di tatuaggi ci possono essere in una via?
"Vuoi un caffè? Con lo zucchero?"
Con lo zucchero?! Sacrilegio! Lo pensa, ma è talmente allibito da non riuscire a rispondere. Per il tizio la sua espressione sconvolta pare non essere un problema.
O forse è semplicemente troppo concentrato su se stesso per dare seriamente attenzione alla persona a cui sta proponendo una tale eresia.
"Puoi sistemare le tue cose nella cabina, aspettando... "
Punta in piedi, riuscendo a liberarsi dalla stretta dell'uomo.
"Sto cercando Geto, Suguru..."
Sukuna riesce a interrompere il flusso di parole, solo per trovarsi con un caffè dannatamente zuccherato in mano.
"Ma certo lo so! Arriverà a momenti... era impegnato con documenti e cose simili..." continua il nuovo problema della sua mattinata, senza smettere un secondo di gesticolare e sorridere.
Se fosse in uno di quegli anime che Yuji ama tanto, Sukuna è certo che avrebbe una goccia gigante sulla fronte.
"Io sono Satoru Gojo, il suo compagno, ma chiamami pure Satoru, odio le formalità ..."
Ok. Evidentemente il suo datore di lavoro doveva avere un difetto e questo a quanto pare è il suo gusto in fatto di uomini.
L'uomo guarda il telefono, prima di rivolgergli di nuovo attenzione.
"Sembra che il tuo capo tarderà un pochino... te la senti di iniziare con il primo cliente?", si ferma, lasciando scivolare gli occhiali sul ponte del naso, mentre afferra e sfoglia l'agenda degli appuntamenti.
"È solo una scritta...", conclude.
Sukuna storce il naso, leggendo la pagina che l'uomo gli piazza davanti.
Il primo appuntamento recita "Takada-Chan, pettorale sinistro".
Tira un sospiro, sarà una lunga giornata.

*

Sulla porta della caffetteria campeggiano un numero imprecisato di adesivi di cani di diverse razza e taglie.
Megumi fa un piccolo sorriso, Il posto è decisamente dog friendly.
Abbassa lo sguardo sui due cani lupo che tiene al guinzaglio, prendendo un paio di biscotti dalla tasca della giacca.
Lancia il primo, lasciando che Demondog lo prenda al volo e poi si abbassa per permettere a Shinigami di mangiare l'altro dalla sua mano.
"Fate i bravi, ok?", raccomanda ai due animali, con un tono che nemmeno vuole essere severo.
Poi si alza e abbassandosi il cappuccio della giacca, entra nel locale.

Come immaginava, Geto lo aspetta al tavolo. Ha un sorriso cortese, mentre ordina alla cameriera due caffè americani, ovviamente amari.
A volte lo lascia perplesso, quando quell'uomo sia diverso dal suo tutore.
Eppure deve ammettere che, contro ogni pronostico, sembrano funzionare.
"Ho ordinato anche per te, spero non ti dispiaccia", lo accoglie affabile Suguru, "come è andato il pranzo?"
A quanto pare non è intenzionato a chiarire subito il perché gli abbia chiesto di vedersi in privato. Almeno non nei prossimi minuti.
"Bene, Yuji e Nobara sono decisamente..."
Ora che ci pensa, non sa nemmeno lui come finire la frase.
Definirli due teste con un solo neurone lo farebbe sembrare antipatico?
Probabilmente sì.
"... simpatici, mi sono divertito".
Decide per una conclusione più diplomatica, ma comunque veritiera.
Era stato bene con loro, nonostante il caos che i due avevano scatenato già al momento della scelta del ristorante: Nobara premeva per il sushi, mentre Yuji aveva lo sguardo di chi sarebbe morto senza una bistecca.
Le occhiate di "scusa" e imbarazzo che gli lanciava Junpei, gli avevano fatto capire quanto, nonostante Itadori li frequentasse da poco, quella fosse una scena già vista.
Comunque alla fine aveva anche accettato senza protestare, quasi senza protestare, di finire nella loro chat di gruppo. Li avrebbe rivisti l'indomani.

"Cosa hai detto a Satoru?" gli viene spontaneo chiedere, per interrompere il silenzio che cala quasi immediato con l'altro uomo, finiti i primi convenevoli.
Nessuno dei due è logorroico ed avendo spesso a che fare con Gojo, tutti e due tendono a cogliere l'occasione quando hanno la possibilità di godersi un pochino di silenzio.
Ma è lunedì mattina, entrambi hanno più impegni di quanti abbiano voglia di elencare, quindi deve capire cosa ci fa a quel tavolo.
"Parole a caso, come posta, burocrazia, documenti per le ragazze... "
"Cose noiose, insomma".
"Cose noiose", sorride complice Geto, prima che vengano interrotti dalla cameriera che porta i caffè.
La ragazza gli fa un piccolo cenno di saluto, dedicando un'occhiata decisamente più espressiva a Suguru.
Vorrebbe sbattersi il palmo della mano sulla fronte. Perché andare in giro con quei due è sempre così?
Decide che è il momento di smettere di tergiversare.
"...di cosa volevi parlarmi?"

"...Megumi sai perché Satoru non beve?"
L'espressione dell'uomo cambia e il suo tono si fa estremamente serio, quindi decide di provare a sdrammatizzare.
"Perché nemmeno gli alcolici hanno abbastanza zuccheri per i suoi standard?"
Geto quasi sputa il caffè, dopo aver rischiato di strozzarsi.
"No, cioè probabilmente anche, ma no. Il motivo purtroppo è un altro...", risponde, prima di prendersi un secondo per sorseggiare dalla sua tazza.
Pare pesare le sue prossime parole.
"Cosa sai di me e Satoru?"
Megumi spera di riuscire a nascondere la sua espressione annoiata, o almeno che Suguru la scambi per la sua solita.
Davvero lo ha chiamato per questo?
Lancia uno sguardo ai cani accucciati sotto al tavolino. Nemmeno loro sembrano volergli fornire una scusa per sfuggire a questa conversazione.
Shinigami appoggia il muso sul suo ginocchio, pare sul punto di addormentarsi, mentre Demondog si lascia grattare tra le orecchie dall'uomo più adulto.
Mai stati così tranquilli in vita loro.
Non ha vie di fuga, quindi fa mente locale.
"... avete fatto il liceo insieme e vi siete ritrovati dopo anni?"
Suguru fa un sorriso storto.
"Diciamo che è una versione molto stringata della storia" inizia, passando una mano tra i capelli, lasciati sciolti sulle spalle.
Megumi può chiaramente sentire i pensieri della cameriera al bancone.
"Alle superiori io e Satoru eravamo inseparabili, no Megumi, non in quel senso... almeno non ancora".
Geto lo blocca prima che possa insinuare qualsiasi cosa.
"Era il mio migliore amico... che non vuol dire che non lo amassi già, ho cominciato ad amarlo ben prima di capirlo".
Ecco la parte sdolcinata che sapeva benissimo non potersi evitare nel momento stesso in cui ha capito che il discorso riguardasse Satoru.
Se davvero se l'è già giocata e sperando che l'uomo non induca su altri particolari del loro rapporto, probabilmente il peggio è alle spalle.
Sorseggia il caffè, forse ha qualche possibilità che tutto ciò non finisca in qualcosa di imbarazzante.
Almeno non troppo.

"L'ultimo anno, è cambiato tutto. La droga per un periodo mi è costata ogni cosa: la mia famiglia, i miei amici... Satoru".
Alza gli occhi di scatto sull'uomo, sentendosi un discreto schifo.
Sa di non essere la persona più empatica al mondo, ma non è un idiota, eppure si rende conto solo in quel momento di non aver capito nulla.
"Non volevo trascinarlo a fondo con me, allora me ne sono andato e non ne sono pentito, almeno non di questo".
Il tono di voce è talmente basso da sembrare un sussurro.
"Definire i miei anni dopo il liceo come burrascosi sarebbe un eufemismo... "
Geto non lo guarda, mentre parla. Continua a grattare tra le orecchie del lupo, con l'espressione più sconfitta e triste che gli abbia mai visto.
Per la prima volta sente di dover dire qualcosa, non per concludere il tutto, ma per tendere una mano.
"Poi che è successo? Sei pulito da..."
Suguru alza lo sguardo, evidentemente grato che lui dia per scontato che con la droga non abbia più nulla a che fare.
"Da poco dopo che i miei genitori sono morti. Non ho mai fatto pace con loro e nemmeno li ho più rivisti dopo essermene andato di casa..."

"Al funerale ho rivisto Nanako e Mimiko. Erano appena bambine, ma si stavano dimostrando così coraggiose", continua, quasi senza prendere fiato: "in quel momento ho capito. Mi sarei rimesso in carreggiata e avrei ottenuto l'affido delle ragazze... e dopo due anni di terapia ci sono riuscito".
Megumi non capisce cosa spinga l'uomo a rievocare tutto questo, nè perché si senta in dovere di raccontargli tutto ciò.
Può solo continuare ad ascoltare.
"Avevo venticinque anni, un lavoro da tatuatore e due ragazzine di dieci anni di cui occuparmi quando ho incontrato di nuovo Satoru ed è stato... impossibile stargli lontano".
Scuote la nuca, per la prima volta da quando ha iniziato quel discorso, un sorriso, un vero sorriso, fa capolino sulle sue labbra.
"Lui è stato decisamente insistente nel suo tentativo di rientrare nella mia vita, ma entrambi avevamo paura. Era il vostro tutore, io l'unica famiglia delle mie sorelle... cosa avreste pensato a trovarvi un uomo sulla porta di casa? Se vi foste affezionati? Se non avesse funzionato e uno di noi se ne fosse andato?"
Nella sua testa, il Satoru che emerge dal racconto di Suguru è così diverso dall'immagine che ha sempre avuto di lui.
Non un bambino troppo cresciuto, infantile ed egocentrico, ma un ragazzo con troppe responsabilità addosso.
"Solo dopo mesi di uscite clandestine, con tutte le litigate e i malumori che ne venivano, abbiamo capito che tu e tua sorella sareste sempre stati la priorità di Satoru, come Mimiko e Nanako la mia... le scelte erano due: dirsi addio, di nuovo, o provare... provare a mettere insieme questa strana famiglia".
"Perché mi dici tutto questo?"
"Perché voglio chiederti il permesso di fare una cosa... "
Si ferma, prende un respiro profondo. "Vorrei sposare Satoru o almeno, chiederglielo".
Sposare?
"Ho già parlato a Tsumiki, sapevo che lei sarebbe stata quella più facile da affrontare..."
La sua espressione passa da sconvolta ad offesa.
Questo farebbe di lui l'adolescente problematico di famiglia? Pensava che quello fosse Gojo.
Sta per parlare, ma Geto lo blocca puntandogli un dito contro.
"Non guardarmi così, sai essere molto protettivo nei confronti di Gojo, Megumi..."
Non ribatte, sa che è vero.
Però se c'è una persona che tiene a Satoru, è quella che ha davanti in questo momento e il fatto che abbia voluto coinvolgere lui e sua sorella, lo dimostra.
Sta per aprire bocca, ma oggi Geto non pare proprio volerlo lasciar parlare.
"Ma prima di rispondermi, dovrai fare una cosa per me e se la tua risposta rimarrà positiva, allora parlerò con Satoru".
Lo guarda incuriosito alzarsi e prendere dal tavolo il biglietto del conto.


"Cerca Yu Haibara".



Ok questo capitolo è uscito davvero, davvero lungo: Sukuna e la sua mattinata di ordinaria follia e Geto in versione "How I met your moth...Satoru"
I Satusugu sono arrivati anche qui, chiedo perdono.
Ps. Da quanto so, verificherò prima del prossimo capitolo, i matrimoni tra coppie omosessuali in Giappone non sono legali, ma ho in mente un modo di aggirare ciò. A presto.

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Capitolo 5
*** Pelle e occhi ***


Chiude la porta calciando all'indietro, mentre allunga la mano alla cieca alle sue spalle per girare la serratura dell'ingresso dello studio.
Con un occhio mezzo aperto, nota le luci accese in una delle cabine.
Liquida la questione in fretta: probabilmente lui o Sukuna l'avranno dimenticate.
Il pensiero, già di suo remoto, di attardarsi a spegnerle, muore su un morso che Satoru dà al suo labbro inferiore.
Suguru spezza il bacio e ride contro la pelle del collo del compagno, prima di rendere la beccata.
"Non prendermi in giro", borbotta l'uomo, irritato per il suo attimo di distrazione.
Viziato come sempre, pensa, ma deve riconoscere che sì, piazzarlo contro il primo ripiano disponibile è decisamente più urgente di spegnere le luci.
È uno di quei giorni in cui Satoru gli manca. Ha fame di lui.
Anche se vivono insieme, anche se dormono nello stesso letto.
Forse è perché a casa non capita così spesso di avere un po' di privacy. E con 'così spesso' intende praticamente mai.
O forse sente di dover recuperare il tempo perso.
Anzi, può dire di averne fatto una missione di vita.
Dal non perdersi un suo concerto o un'occasione di sentirlo suonare, che sia nella solitudine di un'aula vuota o davanti a decine di vecchi snob che si chiedono cosa ci faccia Satoru Gojo con un tipo come lui, al godersi l'uomo nella sua semplicità, con tutti i suoi difetti.
Ovviamente, la sua missione comprende anche farlo pregare per averne di più, di lui, della sua lingua, delle sue mani e del suo sesso, ogni volta che può.
Perché è un uomo fottutamente innamorato, ma non un monaco.
Quindi lo solleva per le cosce, lasciando che allacci le gambe alla sua vita, godendosi come il peso dell'altro gli si distribuisca perfettamente addosso, prima di farlo cadere sul bancone.
La sua maglietta sparisce in un secondo e mentre la tiene in pugno, Satoru lo guarda come se volesse mangiarlo.
"Quanto tempo abbiamo?" gli chiede, tirandoselo contro.
"Tutto quello che vuoi" è tutto ciò che può rispondere, che riesce a rispondere, prima di essere inghiottito da un paio di occhi azzurri.

"Quando pensi di farmi vedere il nuovo tatuaggio?"
Satoru allunga le braccia dietro alla testa, stirandosi come un gatto particolarmente soddisfatto, e Suguru deve resistere alla tentazione di darsi una pacca sulla spalla da solo.
Segue invece la direzione dello sguardo che si sente puntato addosso, arrivando fino al suo stesso polso fasciato.
"Quando te lo meriterai...", divaga.
"E non me lo sono meritato?", ridacchia l'altro, facendogli l'occhiolino.
Sbuffa, fingendosi esasperato, mentre raccoglie la camicia e i boxer di Gojo da terra, passandoli all'uomo placidamente coricato su uno dei divanetti della saletta d'attesa.
Uno di quelli destinati ai clienti, gli fa notare la sua parte razionale.
Lancia un'occhiataccia al compagno, che viene ovviamente ignorata. Satoru non pare per nulla intenzionato a mettersi qualcosa addosso, considerato come ha totalmente snobbato i vestiti che gli ha passato, lasciandoli cadere sul bracciolo del divano.
Per vendetta, Geto si accende una sigaretta, tenendola in sospeso tra le labbra socchiuse mentre si allaccia i jeans.
Ghigna all'espressione schifata che l'uomo riserva allo sbuffo di fumo che gli indirizza contro.
"Almeno mettiti le mutande... ", riprova, ma senza troppa convinzione. Non è che la vista gli dispiaccia.
"Perché? Se avevi paura che il novellino non volesse pulire l'impronta del mio culo, non avresti dovuto scoparmi sul bancone".
La risposta di Satoru gli strappa un ghigno, lasciandolo perplesso e divertito.
Volgare e arrogante, eppure disteso lì il suo ragazzo ha l'eleganza di un dipinto europeo.
Suguru viene riportato alla realtà da un leggero tonfo, come di qualcosa che cade... cerca lo sguardo dell'altro uomo, che però sembra non essersi accorto di nulla.
Verrà da fuori, conclude.

"Quando gli ho chiesto di spazzare il negozio ieri pensavo mi avrebbe staccato la testa..."
"Diciamo che non hai assunto un tipo tranquillo... "
"E anche un po' smemorato, considerate le luci accese quando siamo arrivati", aggiunge.
"Non ci ho nemmeno fatto caso..."
"O è stato lui, o uno dei ragazzini che da una settimana gravitano incessantemente nel mio studio".
"Chissà come mai..." continua Gojo, vago e allusivo, "anche Mimiko e Nanako non fanno che gironzolare qui da quando sono tornate..."
Aggiunge dopo un istante, con un sorriso furbo, sapendo di andare a colpire uno dei suoi punti deboli.
Ovviamente funziona.
"Sono bambine. Semplicemente hanno sentito la mancanza del loro fratello, non mi vedevano da un mese...", risponde, consapevole della trappola in cui si sta precipitando.
"Certo... sono sicuro che non dipenda nemmeno un po' dal tatuatore di un metro e ottanta che hai assunto...", ribatte vago Satoru.
"Beh si potrebbe comunque dire lo stesso di Megumi..."
Altro tonfo. Questo però sembrava arrivare da dentro.
"Hai sentito?", chiede, ma viene ignorato.
"Megumi? Con Sukuna?"
Questa volta Gojo pare sinceramente curioso e lui può godersi il vantaggio.
"Beh, mi pare capiti spesso qui... più del solito".
"Sei stato tu a dargli le chiavi..."
"Quel ragazzo a causa tua è ad una giornata storta dal rendermi vedovo..."
Suguru si blocca. Non è che avesse proprio pensato di chiederlo così.
Beh, non che abbia pensato a come chiederlo, in effetti.
Magari non ha notato, spera.
"Vedovo?"
E figurarsi. Tanto vale prendere coraggio.
"Ecco, a questo proposito...", esordisce, cominciando a slegare le bende dal polso.
Gojo però scatta seduto, ben prima che lui arrivi al punto.
"Ehi, aspetta. Ma quelle sono le chiavi di Megumi?"

*

Una settimana prima, pomeriggio

"Ahi!"
L'archetto del violino colpisce la sua fronte, facendogli strabuzzare gli occhi e smettere di suonare.
"Ma sei completamente pazzo?", sbotta.
Gojo ignora la sua protesta e riprende a suonare.
"Sembra che tu non riesca a starmi dietro, Megumi... "
Il ragazzo gli lancia un'occhiata rabbiosa, mentre porta le dita al viso.
Storce il naso, probabilmente gli verrà il livido.
Metodi di Gojo a parte, ha poco da ribattere, l'uomo ha ragione. Però che modi...
Si lascia cadere su un gradino dell'aula, il violino al fianco, ascoltando Satoru terminare il brano su cui stava cercando di duettare con poco successo.
"È raro che tu mi chieda di esercitarci insieme... ", riprende l'altro, una volta terminato.
Megumi lo guarda riporre lo strumento nella custodia e davvero non vuole pensare a quanto possa costare, ma la provenienza italiana del liutaio gli basta e avanza come indizio.
"Paura per l'esame di prossima settimana?", insiste il suo tutore.
Scuote la testa. Ecco, non è che abbia 'paura', è che... non è soddisfatto.
Sente che manca qualcosa.
È per questo che ha chiesto aiuto a lui, per quanto la cosa lo irriti nel profondo.
"Al tuo livello non dovresti avere grandi problemi a superarlo...", l'uomo più adulto pare volerlo rassicurare con le sue parole.
"Però senti di non star suonando al meglio delle tue possibilità, giusto Megumi? Perché penso tu abbia ragione, su questo...", continua invece, confermando ogni suo dubbio.
Ed ecco perché odia rivolgersi a Gojo.
Infantile, frivolo, capriccioso come pochi, ma così dannatamente consapevole delle sue capacità da essere chirurgico nell'analizzare punti di forza e debolezze altrui.
"... non riesci a fare sul serio", conclude, fissando gli occhi nei suoi.
Megumi affila lo sguardo, mentre sente calore raggiungergli il viso.
Lui? Lui non farebbe sul serio?
Abbassa lo sguardo sulle proprie dita, coperte di taglietti e calli. Non smettono mai di fargli male.
Senza contare che può quasi sentire, anche senza toccarlo, il leggero avvallamento nell'incavo del collo, più precisamente dove poggia il violino.
Un segno che non fa tempo a svanire, che subito si riforma, a causa dalle costanza con cui si esercita.
Stesso discorso vale per le mani. Non si ricorda una ferita che abbia fatto tempo a rimarginarsi, prima che se ne formasse un'altra.
E secondo quello stronzo, non sta facendo sul serio?
"Cosa?", scatta.
"Abbassa le piume, ragazzo", ghigna Gojo, sedendosi a terra.
L'uomo si alza gli occhiali da sole sulla testa, scoprendo la fronte dai ciuffi di capelli bianchi.
"Non sto dicendo che non stai facendo del tuo meglio, sto dicendo che lo fai nel modo sbagliato".
Ancora una volta Megumi non sa cosa dire. Sente che gli sta sfuggendo il punto.
Intanto Satoru si stiracchia come un gatto assonnato, lasciando cadere una mano a grattare distrattamente la propria nuca.
"Chi ti accompagna con il piano?", chiede con noncuranza.
"Cosa c'entra?"
"Dai rispondimi... "
"Noritoshi... è all'ultimo anno".
"Kamo?"
Megumi fa un veloce gesto di assenso. Tutto si aspetta tranne di vedersi rispondere con un'espressione che trasuda sufficienza.
"Beh, sì non è male... "
Non riesce a trattenersi dallo sgranare lo gli occhi. Non si aspettava certo quella reazione.
Kamo è considerato uno dei pianisti migliori tra gli studenti.
"Molta tecnica, poca fantasia... " continua Gojo, "e tu ti stai sacrificando per fare gioco di squadra con lui ".
Non è una domanda.
"E non va bene?"
"No, se vuoi arrivare al mio livello... perché è quello che vuoi, vero?"
Gojo abbassa gli occhiali da sole, lasciandoli scivolare sul ponte del naso per non perdere il contatto visivo con lui.
"Megumi... immagina una versione di te stesso che ha superato i propri limiti".

"Sii avido..."


La prima cosa che vede, uscito dall'ascensore, è il muso di Demondog schiacciato contro il vetro della portineria del conservatorio.
Appena mette piede nella stanzetta, il cane comincia a saltare come un forsennato, ignorando i richiami del povero Ijichi.
Il custode è evidentemente terrorizzato e, nonostante cerchi di non darlo a vedere, non riesce a trattenere un sospiro di sollievo vedendolo entrare.
Shinigami, più tranquillo, continua a sonnecchiare in un angolo, godendosi le coccole della segretaria.
Scuote la testa. Non sarà facile farlo muovere da lì.
"Ijichi, la ringrazio per aver badato a loro, spero non siano stati di troppo disturbo".
Sorride, allungando una mano verso Demondog, tentando l'impossibile: calmarlo e di mettergli il guinzaglio.
"Sono adorabili, resterei a coccolarli tutto il giorno", risponde veloce l'impiegata, Amanai, impedendo all'uomo di dare la sua versione.
Lo sguardo del custode vaga sconsolato dietro alle sue spalle, puntando all'orologio alla parete. Sono quasi le sette di sera.
"Fushiguro, sai se il professor Gojo si tratterrà ancora a lungo?"
"Non dovrebbe, credo", risponde, guardando la faccia sconsolata di Ijichi.
Saluta ed esce in strada, intenzionato a dare un colpo di telefono a Suguru perché richiami all'ordine il compagno, nel caso non si accorga di far fare il turno di notte al povero custode.

Con Demondog e Shinigami al guinzaglio, infila le cuffie nelle orecchie. Controlla il cellulare, lasciato abbandonato in fondo allo zaino per tutto il pomeriggio.
Più di un centinaio di notifiche lampeggiano aggressive dallo schermo del suo telefono.
Una decina sono di Tsumiki che, una volta saputo dalla chiacchierata avuta con Geto quella mattina, ha subito preso a tormentarlo per il regalo di nozze.
Alza gli occhi al cielo, all'ennesimo pacchetto di viaggio che la sorella condivide con lui.
Da Okinawa all'Hokkaidō, dalla Thailandia alla Cambogia, fino tipo a Mosca e New York, ad ogni messaggio la ragazza dimostra di sopravvalutare il loro budget.
Decide di ignorare il gruppo in cui si è fatto convincere ad entrare da Itadori, sotto minaccia di Nobara e un po' per pietà verso il povero Junpei.
È quello che capita se mandi più di novanta messaggi in un pomeriggio.
Apre l'ultima conversazione attiva, quella con Mimiko, la sorellina di Geto. Si chiede cosa abbia fatto di male quando ne vede il contenuto: un vocale di cinque minuti.
Lo apre e quasi salta, mentre allontana la cuffia dall'orecchio. La voce che attenta ai suoi timpani è quella di Nanako, l'altra gemella. Quella agitata.
Abbassa il volume, rimette la cuffia e imposta avanti veloce.
Sunto del messaggio: torneranno a casa una settimana prima, saranno a casa da lì a due giorni, niichan*non deve saperlo.
Scende i gradini della metro, scrivendo un messaggio a Junpei perché gli riassuma il contenuto della chat di gruppo.
Non ha assolutamente nessuna intenzione di leggere quello che probabilmente si rivelerebbe solo un flusso delirante di pensieri di Yuji e Nobara... diviso in un centinaio di messaggi.
Tempo di arrivare sul binario e gli arriva la risposta: l'indirizzo della caffetteria scelta per l'indomani, seguita da un messaggio di scuse ed uno smile imbarazzato.
Il fatto che ci fossero più di novanta messaggi per la scelta del locale gli confermava che sì, ha fatto un errore madornale a cedere all'insistenza di Itadori.

Il treno arriva e salendo chiede scusa preventivamente. Sa che i suoi cani faranno qualche danno.
Ed infatti trovano la loro vittima dopo un istante.
"Oh non preoccuparti, sono così belli".
A rispondergli è una ragazza con un neonato addormentato nel marsupio che tiene al petto e un bimbo per mano, ferma vicina alle porte.
La donna gli sorride, mentre il bambino più grande si attacca al collo del lupo nero. Megumi fa per fermarlo, ma a quanto pare Demondog non aspettava altro che un po' di coccole extra.
"Belli eh, però ragazzino non è che dobbiamo bloccare tutto il vagone...", sente commentare con acidità alle sue spalle.
Non fa tempo a voltarsi, chiedendosi dove diamine abbia già sentito quella voce, che un ragazzo sguscia al suo fianco, superandolo.
Ormai gli da le schiena, ma Megumi riesce a vedere i capelli rosa spettinati e il cappuccio di una felpa gialla.
Yuji?, pensa incredulo.
Non può dire di conoscerlo ancora bene, ma non gli è sembrato un tipo tanto maleducato, da usare un tono così scontroso.
Rumoroso, chiacchierone, ma una delle persone più gentili che abbia mai incontrato.
"Itadori?" Non riesce a trattenersi, il tono tra il sorpreso e lo scocciato.
Nel momento stesso in cui parla però, si trova a sperare che l'altro non l'abbia sentito, perché davvero qualcosa non torna.
Il ragazzo si ferma, voltandosi leggermente, e lui ha la sua conferma: ha sbagliato persona. Quello non è Yuji.
Sguardo torvo, sopracciglia e fronte agrottate.
Megumi cerca di ripetersi che non avrebbe potuto evitarlo per sempre, mentre anche l'altro ragazzo pare realizzare.
Sukuna infatti inclina la testa e gli rivolge un sorriso che è un ghigno.


"Ehi, moccioso... "

*

"Come è andato il primo giorno?"
Sono quasi le cinque del pomeriggio e Sukuna sta ripulendo il lettino e il tavolo degli strumenti, quando Geto si affaccia sulla porta della cabina.
"Bene direi..."
In parte è vero, in parte però avrebbe voluto strozzare almeno un paio dei clienti, a partire dall'armadio a due ante che ora sta girando con il nome di una idol sul pettorale sinistro.
Aoi Todo, così aveva detto di chiamarsi il tizio, aveva passato la seduta ad elencare tutte le occasioni in cui aveva incontrato La piccola Takada, chiedendo più volte con le lacrime agli occhi se il suo gesto sarebbe servito a convincerla ad uscire con lui.
Per il bene della ragazza, sperava proprio di no. Avrebbe passato tutto l'appuntamento a sentir parlare di sé.
Dopo era arrivata una tipetta con la frangia azzurra, timida. Così tanto timida che ci aveva messo mezz'ora buona a farsi dire cosa voleva tatuarsi.
Ma era arrivato a fine giornata senza insultare nessuno, quindi 'bene' poteva davvero essere una risposta appropriata.
"I clienti erano soddisfatti... molto", sorride Geto, "forse un pochino intimoriti, ma giusto un paio".
Si sente uno stronzo. Il suo nuovo capo è così affabile e gentile da far passare a qualsiasi anziano intento a sbraitare contro i giovani qualsivoglia pregiudizio su piercing e tatuaggi.
All'opposto di lui. Lui è uno di quelli che i pregiudizi li conferma tutti.
Forse ne fa nascere anche di nuovi.
Geto fa per prendere la porta, poi si blocca. Sembra indeciso.
"Hai voglia di fare ancora un pezzo? Nulla di troppo grande..."
"C'è un cliente dell'ultimo minuto?", chiede incuriosito. Nello studio sono solo loro due e non sente il telefono da un po'.
"Una specie", Suguru si siede sul lettino, e prende il cellulare in mano.
"I tuoi disegni in stile realistico sono i più belli che vedo da tempo, ma sono tutti su modelli abbastanza grandi..."
Comincia, scorrendo la galleria.
"Voglio vedere come te la cavi con il colore su disegni piccoli".
Muove le dita a zoomare su una foto, inclina la testa mentre sorride. Sembra soppesare quello che vede.
"Prepara un... no, almeno tre tipi di azzurro e un paio di blu".
Borbotta un 'sono un idiota' e gli passa il cellulare.
"Ti serviranno".
Sukuna guarda la foto e quasi si strozza con la saliva. Meno male che almeno il telefono ha un'ottima risoluzione.


Un'ora dopo, può dire di aver ritrattato tutto ciò che ha detto sul suo capo. Sente ogni pensiero positivo svanire, mentre intinge l'ago nella quarta? quinta? tonalità di azzurro.
Quello stronzo ha deciso di farsi disegnare in modo indelebile sul polso il fottuto occhio azzurro del suo fottutissimo fidanzato ed è decisamente la cosa più complessa che lui abbia mai tatuato.
Oltre che la più schifosamente sdolcinata.
Se voleva metterlo alla prova, Geto ci è riuscito.
Però c'è da dire che almeno l'uomo è fermo come se fosse una tela vera e nemmeno parla.
Non controlla, non gli mette pressione. Semplicemente lo lascia concentrare sul suo lavoro.
È però impossibile che i suoi occhi non cadano sugli altri tatuaggi dell'uomo.
Praticamente una collezione di Yokai*, da far impallidire i motivi geometrici che gli decorano braccia, gambe e torace.
Sono quasi tutti in bianco e nero, se si esclude un drago con qualche lieve sfumatura di colore che gli sia arrampica lungo il braccio, dal polso fino alla spalla.
E qui gli sorge una domanda.
"Ti stai chiedendo a che punto della mia vita mi sia bruciato i neuroni per un paio di occhi azzurri, vero?"
No, mi sto chiedendo quanto può essere un problema un capo che legge nel pensiero, pensa, ma si limita a alzare un sopracciglio, senza smettere di tatuare.
Geto sembra pensarci su, poi continua: "Direi verso i quindici, sedici anni..."
Questo un po' lo colpisce. Non è un romantico, ma la stessa persona dai tempi del liceo?
Non lo crede possibile. Lui ogni volta che ha pensato di fare sul serio, si è stufato dopo una settimana.
"State insieme da allora?"
Più che altro vorrebbe chiedere come fa a sopportare quel tizio da così tanto, ma si trattiene. È il tuo capo Sukuna, non far cavolate, si ripete.
"Ufficialmente solo da qualche anno..." risponde Geto, "... è una storia complicata".
Sì, gli occhi di Sukuna cadono sul perché è stato complicato.
La risposta infatti è lì, quasi coperta dal particolare del viso sfigurato della Kuchisake-onna* tatuata sul braccio, nell'interno del gomito: una serie di piccole cicatrici, quasi invisibili, all'altezza della vena.
"Tranquillo, sono pulito", lo rassicura l'uomo. Si deve essere accorto, a differenza sua, della sua mano improvvisamente ferma.
"Da un buon numero di anni..." aggiunge, con un sorriso mesto.
"Non giudico, non sono nella posizione di poterlo fare... ", ribatte, alzando appena lo sguardo dal lavoro.
"Che cosa?"
Gli basta uno sguardo a Geto per capire che la domanda è 'cosa ti ha fatto smettere' e non 'cosa ti facevi'.
"Yuji. Volevo essere un fratello appena decente per lui... anche se io ero fuori casa e lui dal nonno, non volevo mi odiasse".
Il silenzio in cui sono sprofondati dopo, cadenzato dal ronzio dell'ago, è quasi confortante.


Fanculo, ripete nella sua testa. Sta di nuovo rischiando di perdere il treno.
Ha promesso a Mahito e Choso di vedersi al pub, è già in ritardo e ci dovrà andare con la maledetta felpa gialla di Yuji, visto che il ragazzino non è riuscito a portargli il cambio.
L'izakaya* dove lo aspettano è a poche vie da dove abita, ma di passare da casa manco se ne parla, rischia di collassare sul letto se varca la porta dell'appartamento.
È stravolto, ha mal di testa e odia l'azzurro con tutto il cuore.
Vuole solo una birra fresca e un piatto di yakitori* con cui riempirsi lo stomaco.
Sale sul treno al volo, sperando di trovare un posto a sedere.
Lo addocchia e, miracolo, non vede né anziani né donne incinta a cui doverlo cedere.
L'unica contendente pare una ragazza con due marmocchi, ma sembra essere sul punto di spostarsi verso le porte, in attesa della prossima fermata.
Sbuffa, infastidito. Il sedile pare destinato a rimanere un miraggio.
Gli piacerebbe arrivarci, ma il figlio più grande della passeggera si è bloccato a giocare con due cani lupo.
"Belli eh, però ragazzino non è che dobbiamo bloccare tutto il vagone...", sputa fuori, infilandosi tra le porte e il padrone dei cani.
Aspetta, sono gli stessi di questa mattina?, si chiede e lancia un'occhiata al ragazzo.
Ora non indossa la giacca, che tiene sotto braccio.
Lo supera rapido, scivolando tra i passeggeri, ma quasi inconsciamente il suo sguardo cade sui capelli neri spettinati e sul profilo delicato.
Il suo cervello va decisamente spesso rallentatore, ma non da non riconoscere uno che si è quasi fatto su un lavandino qualche sera prima.
...Non ci posso credere, pensa e quasi contemporaneamente si sente chiamare da una voce che riconosce, anche se decisamente più sobria di quando l'ha sentita.
"Itadori?"
Si volta, anche se è certo di non avergli detto il proprio nome quella sera, figurarsi il cognome.
E comunque il ragazzo non era di sicuro nella condizione di ricordarlo.
Nemmeno il tono da maestrino gli torna, è come se lo avesse scambiato per qualcuno, e infatti, quando lo guarda, l'altro lo fissa come se non si aspettasse di vedere lui.
E Sukuna ricambia, per capire se può essersi sbagliato, ma no.
Nella sua mente torna l'immagine di un ragazzo con i capelli contro lo specchio, le labbra socchiuse, le mani aggrappate alla sua camicia. Le iridi blu.
Tutto corrisponde con quello che ha di fronte.
Inclina la testa e accenna un mezzo sorriso divertito.
Dalla situazione, e soprattutto dal fatto che il ragazzo abbia la faccia di chi ha visto un fantasma.
Però, pensa, forse ha trovato un paio di occhi che potrebbe farsi tatuare.


"Ciao moccioso..."




* Niichan, vezzeggiativo per "oniisan", fratello maggiore, in giapponese.
* Yokai, traducibili come "apparizioni", "spettri", o "demoni", sono un tipo di creatura soprannaturale della mitologia giapponese.
* Kuchisake-onna, donna protagonista di una leggenda metropolitana giapponese decisamente terrificante. SPOILER MANGA:
La Kuchisake-onna viene citata nel vol. 9 di JJk, nello scontro tra Geto e Toji. La trovate anche disegnata nella quarta di copertina.
* Izakaya, tipico locale giapponese in cui si servono bevande accompagnate da cibo. * Yakitori, spiedini.


Cervello di Amy: Quanto vuoi fare problematici Geto e Sukuna?
Sempre cervello di Amy: SI.
Ecco il nuovo capitolo. Scusate, è lunghissimo, ma mettere tre Pov è impegnativo.
Direte, perché il pov di Suguru? Semplice, perché chi scrive adora scrivere pov di Suguru. E poi perché, pur avendo come protagonista Megumi, questa os vuole essere abbastanza corale.
Finalmente Megumi e Sukuna si rincontrano, dopo cinque capitoli.
Comunque, stiamo arrivando timidamente a livello di rating arancione, con un Satoru che fa il Gojo Desnudo sul divano (Goya, perdonami) e tutte le varie problematiche passate dei nostri personaggi... che a quanto pare hanno un solo posto dove andare a fare sesso e un tempismo perfetto per andarci a tempo. E sì, nel prossimo capitolo vedremo il punto di vista di Megumi e... eheh. Mica voglio fare spoiler.
Tornando seria, non penso serva dirlo, il confronto Gojo/Megumi vuole ricalcare la scena dell'anime e del manga che precede il momento Fushiguru impazzisce e ci butta lì un dominio.
Spero il capitolo sia piaciuto, grazie a chi legge e commenta, scusate se i tempi sono biblici, ma guardate che brava, vi ho anche messo le note.
Amy

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Capitolo 6
*** Demondog ***


"Ma il tuo tutore non sta proprio mai zitto, eh?", borbotta sottovoce il ragazzo, mentre si china a raccogliere le loro felpe.
Megumi tende una mano per riprendersi la sua, infilandosela e trattenendosi appena dallo sbuffare, mentre ciuffi di capelli elettrici gli ricadono sulla fronte.
Non sa se essere indispettito per il modo in cui sono stati bloccati sul più bello o imbarazzato per chi li ha interrotti.
"Suguru lì, Suguru là... pareva stesse dando indicazioni stradali...", continua l'altro, cercando con poco successo di dare una sistemata alle ciocche di capelli rosa.
Fushiguro non risponde, si limita a lanciargli un'occhiata minacciosa, o almeno spera risulti tale. Forse sarebbe il caso di ritappargli la bocca con la mano come si è trovato a fare d'istinto sentendo la porta dello studio sbattere.
L'altro borbotta uno 'scusa' colpevole, prima di sorridergli e uscirsene con un 'sei così responsabile', che lo fa arrossire fino alla punta delle orecchie.
Vorrebbe essere calmo come sembra esteriormente, ma dover uscire da lì senza farsi beccare gli mette più ansia di quanto voglia ammettere.
Ora almeno la situazione sembra essersi calmata e con quella anche il bisogno di Megumi di strapparsi le orecchie.
Lancia uno sguardo al suo riflesso nello specchio della cabina, per poi spostarlo sull'altro ragazzo.
Perlomeno sono vestiti.
Non molto pettinati, ma vestiti.
Che diamine di problema ha quel ragazzo con i miei capelli?, pensa, mentre cerca di dare un senso ai ciuffi corvini, continuando a pensare alle loro opzioni.
Incrociare gli altri due non è un'alternativa. Punto primo, non è che abbia una spiegazione per essere lì. Con lui.
Almeno non una valida.
Secondo, sarebbe imbarazzante da morire, sotto almeno una decina di aspetti diversi.
Soprattutto crede di non poter reggere i commenti di Gojo.
Già se lo vede partire a raffica a parlare di sesso sicuro o a dare dritte imbarazzanti anche a loro, perché sì, gli brucia ammettere che le battute dell'altro ragazzo abbiano un fondo di verità, ma il suo tutore sembrava davvero dare indicazioni stradali, tanto che Megumi è stato sul serio sul punto di urlare a Geto un 'prova infondo a destra'.

"Sinceramente, non ho mai sperato tanto che un uomo che non fossi io si facesse succh... ", riprende Itadori, totalmente incapace di stare zitto per più di dieci secondi.
"Vuoi fare silenzio?", sbotta Megumi, cercando di tenere basso il tono della voce, ma facendo scivolare a terra una scatola di guanti usa e getta, appoggiata sul lettino.
Entrambi i ragazzi rimangono bloccati a fissarla, immobili e in silenzio, in attesa.
È la seconda volta che fanno cadere qualcosa e, nonostante la confezione non abbia fatto troppo rumore, giusto un tonfo sordo, Megumi sa che c'è un limite alla loro fortuna.
Quando sentono chiaramente Suguru chiedere al compagno se avesse sentito qualcosa, cominciano a pensare che questa volta non se la caveranno.
Fortunatamente nella stanza a fianco, Gojo non pare molto intenzionato a dare corda ai dubbi dell'altro.
Passato il momento critico, il ragazzo dai capelli rosa riprende il suo monologo.
"Beh, almeno avremmo avuto cinque minuti di silenzio", continua, con un'alzata di spalle.
"È stato peggio che leggere un porno scritto da una trentenne in fissa con shojo e boys love..."
"Sei davvero specifico...", sbuffa Megumi, nel tentativo maldestro di trattenere una risata.
"... ti sembro uno che legge shojo?", ribatte offeso l'altro.
"Beh, di sicuro non sembri nemmeno uno ossessionato dai film di Jennifer Lawrence", lo prende in giro.
"E non ti lamentare, tu almeno non vivi con loro".
"È così terribile?"
"Sono arrapati come quindicenni, non credo ci sia una superficie di quell'appartamento su cui non l'abbiano fatto..."
Guarda l'altro fare una smorfia, incrociando le braccia al petto.
"Quindi non avremo via libera tanto presto?"
Megumi sta per rispondere, quando la voce di Gojo, salendo di qualche ottava di troppo, li rimette sul chi va là.
Si avvicina alla porta, appoggiando l'orecchio contro il legno.
Rimane qualche minuto così, con gli occhi chiusi e la mascella contratta, ascoltando e cercando di capire cosa stia succedendo oltre la parete.
"... merda", impreca tra i denti, "siamo in un casino ".

*

Quest'uomo mi considera un idiota.
Ecco cosa pensa mentre indica le chiavi di Megumi, abbandonate in terra sul pavimento, ad un Geto evidentemente sollevato dell'interruzione.
Perché sì, Satoru ha notato come il compagno si sia definito "vedovo" e sì, sa che probabilmente il lapsus nasconde qualcosa di più di una semplice svista.
Ma soprattutto, ha visto anche che l'uomo era sul punto di mostrargli il tatuaggio che tiene nascosto da una settimana.
Finalmente, ecco ciò che ha pensato una parte di lui e precisamente quella che non ce la fa più a fingere disinteresse e che è decisamente curiosa di sapere cosa possa essersi tatuato il suo ragazzo questa volta.
Considerato quanto il suo livello di stupore per l'abbinamento 'tatuaggi' e 'Suguru' sia dannatamente alto, si aspetta qualcosa di davvero sconvolgente per giustificare tutta questa suspense.
Inoltre comincia ad essere seriamente scocciato, dato che da quando se l'è fatto non fanno una doccia insieme.
E i momenti di calma e privacy si contano sulla punta delle dita, in una casa dove convivono due adolescenti, tanto adoranti quanto gelose verso il loro fratello, due ventenni e due cani.
Quindi non fare la doccia con il compagno da una settimana sta diventando un problema.
Ma non vuole dare adito a chi lo critica definendolo 'capriccioso' e 'infantile', quindi nonostante un Suguru nudo e bagnato sia qualcosa per cui facilmente si venderebbe un rene, non insisterà.
Perchè le critiche saranno anche giustificate, a volte, ma a tutti quegli aggettivi che gli affibbiano aggiungerebbe anche 'perspicace'.
Ed essendo perspicace, si è anche accorto che di tutto ciò il compagno non vuole veramente parlare in quel preciso momento, quindi a costo di dover aspettare ancora, ben vengano le chiavi di Megumi.

Geto si china e lo anticipa nel raccoglierle, tenendole sollevate davanti al viso.
"Sì, direi che sono le sue", conferma, guardando il portachiavi con un ciondolo a forma di gufo o civetta o quel che è, regalo di Tsumiki.
"Le avrà dimenticate", prosegue, per poi posare nuovamente gli occhi su di lui, inclinando la testa, con un sorrisetto storto.
"Non hai proprio intenzione di vestirti, Satoru?".
Finge di pensarci per un istante, poi scuote la testa mordicchiandosi il labbro inferiore, consapevole di essere ben lontano dall'intaccare i confini della smodata e quasi infinita pazienza di Suguru.
L'uomo ne ha una scorta inesauribile, almeno per quanto riguarda le sue buffonate.
Ghigna alla risata mascherata da sbuffo che gli arriva in risposta, mentre si alza e fa un passo verso Geto.
Aggancia l'indice al passante dei jeans dell'altro, non tralasciando nemmeno per un istante di mantenere il contatto visivo, mentre lo attira verso il divano.
"Dovrei?", chiede, lasciandosi ricadere sui cuscini.
"Forse no", sussurra Suguru mentre si china su di lui, facile alla resa, le mani piantate contro lo schienale, ai lati della della sua testa.
Gojo lo guarda mentre si siede a cavalcioni su di lui, quasi intenerito dai movimenti lenti e attenti dell'uomo, sempre timoroso di pesargli troppo addosso.
Sbuffa una mezza risata, ma torna serio quando sente il respiro sulla pelle, le labbra sfiorare le sue...

Lost in paradise
Night and day are fading out
When time gets rough
Access to your love


In un angolo lontano del proprio cervello, riconosce la suoneria del suo cellulare.
È determinato ad ignorarla, ma invece del bacio che stava aspettando, che quasi poteva sentire, ad arrivare è una camicia, la sua, dritta in faccia.

Lost in paradise
Night and day are fading out
Keep on dance now
Hey hey


"Rispondi, odio questa canzone", ride Geto, ignorando il suo broncio e alzandosi.
Recupera il telefono dalla tasca dei pantaloni abbandonati a terra, dando un'occhiata alla schermo prima di passargli l'apparecchio.
"Dai è Shoko, non voglio che poi faccia l'offesa con te per il prossimo mese", incoraggia, conciliante.
Satoru prende il cellulare in mano, ignorando come l'altro uomo borbotti tra sè, chiedendosi come un musicista possa avere gusti musicali così pessimi.
Mette il vivavoce, prima di poggiarlo sul bancone.
"Parla Satoru~", canticchia, mentre indossa i boxer e indossa la camicia.
"Lo so chi sei, idiota. Ti ho chiamato io..."
Nella sua mente, Gojo può vedere l'espressione annoiata della donna come se ce l'avesse di fronte.
"Ti mancavo?", chiede con tono provocatorio.
Non sa se a far ridere Suguru sia lo sbuffo spazientito di Shoko o la facciata che lui rischia di prendere, perdendo l'equilibrio mentre si infila nei pantaloni.
"Vai a farti fottere", gli mima in labbiale, non riuscendo a non inarcare un sopracciglio, quando l'uomo ribatte con una frase sporca e un occhiolino.
Davvero sporca, riflette tra sè e sè. Sembra qualcosa che direbbe lui.
L'idea che Suguru si stia satorizzando lo spaventa e lo affascina allo stesso tempo. Un pensiero che mette a rischio la sua già inesistente soglia dell'attenzione.
"No, è che è volevo sapere se fosse successo qualcosa...", lo riporta alla realtà Shoko.
"Perché?", chiede, incuriosito anche dal cambio di tono della donna, ora estremamente serio.
"... qualche giorno fa ho visto Megumi", continua lei, quasi esita.
"Satoru, abbiamo parlato di Haibara", aggiunge.
Nel silenzio che cala nella stanza, può sentire chiaramente Suguru tenere il fiato, può vedere le sue spalle irrigidirsi.
"Non sapevo se dirtelo, ma..."
Senza aggiungere una parola al stringato 'grazie' che riesce a buttare fuori, stacca la linea.
Si sente bloccato. Immobile a guardar scorrere le immagini di un capitolo di vita che considerava chiuso, un capitolo della sua vita con cui aveva fatto i conti, trattenendo il fiato mentre si riversano nella sua testa.
Un capitolo della sua vita con cui aveva fatto i conti.
Conti che ora considerava saldati.
Ma a quanto pare, per qualcuno non era così.
Guarda Geto voltarsi leggermente e lanciargli uno sguardo dispiaciuto da sopra alla spalla.
Si prende un momento prima di parlare, sa che difficilmente riuscirà a contenere il risentimento che sente scorrere sotto la pelle. E davvero vorrebbe che rimanesse lì.
Perché ama Suguru, nonostante tutti gli sbagli commessi.
Anzi lo ama, punto. Fanculo tutti gli sbagli. Non contano.
Perché l'uomo ha lottato con ogni cellula del suo corpo per superarli.
E perché non era con lui e avrebbe voluto, avrebbe dovuto, esserci.
Perché Geto se ne era andato, ma lui non era stato abbastanza forte da fermarlo.
'Forse posso salvare solo chi vuole essere salvato', aveva pensato in quei giorni, giustificandosi.
Era stato un idiota, tanto quanto l'altro.
Tutto ciò non toglie il punto che decisamente non ama, quello che lo fa ribollire di rabbia, ovvero che Suguru non riesca a perdonarsi il suo, il loro, passato. Lo fa impazzire.
Quando apre bocca, si augura che la sua voce non suoni troppo fredda.
Capisce subito come la sua sia una speranza vana.

"Suguru, spiegati".

*

Una settimana prima...

"No, demondog fermo!".
Partendo di casa quella mattina, Sukuna pensava che la sua giornata sarebbe finita con una disastrosa caduta, con il sedere e la schiena schiacciati contro il pavimento del vagone e il viso ad un centimetro dal morso di un cane lupo?
No, decisamente no.
Eppure questo lunedì non vuole smettere di stupirlo.
Fino a quel momento, la giornata aveva mirato a minare la sua psiche, ora è passata direttamente ad attentare alla sua vita.
Il cane pare intenzionato ad ignorare il moccioso che gli fa da padrone, mentre lui sta tenendo il fiato così profondamente che teme seriamente che i suoi polmoni possano scoppiare, ma respirare, muoversi, fare qualsiasi cosa di diverso dal fingersi morto al momento gli pare il modo più veloce per non avere più una faccia. E a lui piace la sua faccia.
Quindi ha tutta l'intenzione di convincere l'animale sopra di lui di essere un poco gustoso cadavere, continuando con la tecnica di sopravvivenza tipica degli opossum.
Mentalmente, ringrazia Yuji che l'ha obbligato a passare la domenica pomeriggio sul divano a guardare L' era glaciale due per questa informazione.
Forse i decisamente infantili gusti cinematografici di suo fratello gli stanno per salvare la vita.
Proprio mentre sente il ragazzo dai capelli neri correre verso di la sua direzione, il cane avvicina il muso, emettendo un leggero ringhio prima di annusandogli la pelle... per poi cominciare a leccargli il viso.
Naso, mento, incavo del collo, orecchie. Il lupo non tralascia un centimetro scoperto.
Sukuna ride, cercando di rimettersi a sedere, senza voler seriamente interrompere le feste che l'animale gli sta facendo così spontaneamente.
"Ehi, mi hai riconosciuto anche tu da questa mattina?", chiede all'animale con un sorriso appena accennato che proprio non riesce a trattenere.
Allunga una mano a grattare dietro le orecchie del cane, godendosi le testate affettuose che questi rende in cambio.
"Ehi, scusami! Ti ha fatto male?"
Alza gli occhi, mentre il ragazzo che ormai è certo essere quello dell'altra sera, recupera la presa sul guinzaglio dell'animale, attirandolo con alcuni biscotti.
Sukuna rimane un attimo in silenzio, cercando di non ridere di fronte all'imbarazzante tentativo del ragazzetto di tirare fuori un tono autoritario con il lupo.
L'occhiata preoccupata che lancia a lui invece, gli provoca uno strano salto allo stomaco.
Ci mette qualche secondo in più di quanto gli piaccia ammettere, per realizzare che la mano dell'altro è tesa davanti a lui, in una tacita offerta ad aiutarlo ad alzarsi.
Sukuna l'afferra, senza perdersi come lo sguardo del corvino indugi sul tatuaggio a banda che gli fascia il polso e sullo smalto nero che gli copre le unghie.
Beccato, pensa, non provando nemmeno a nascondere un ghigno strafottente, mentre guarda l'altro distogliere gli occhi velocemente.
E anche questo fa qualcosa di decisamente strano al suo stomaco.

"Davvero, tutto ok?", si sente chiedere di nuovo. È sul punto di rispondere scocciato, ha già Yuji che lo assilla con le sue preoccupazioni, ma l'altro pare sinceramente dispiaciuto. Non deve, i cani sono tra le poche forme di vita che Sukuna sopporta.
Vorrebbe dirglielo, ma non è che sia un mago con le parole, quindi si limita a borbottare quasi sottovoce.
"Sì, direi di sì..."
"Beh, a questo punto tanto vale presentarsi... "
Lo stesso imbarazzo che aveva visto nello sguardo del moccioso, ora lo sente nella sua voce. E no, non ha nessuna intenzione di essergli d'aiuto nel superarlo.
"Perché? Non ti ricordi come mi chiamo, ragazzino?"
Guarda il bel viso prendere un cipiglio indispettito. Quasi come se fosse stato colto in fallo.
È divertente, perché è esattamente la reazione che voleva ottenere.
"Sukuna Itadori", sputa fuori il ragazzo, prendendolo alla sprovvista. Dipinta in faccia l'espressione di chi vorrebbe ingoiare le parole appena dette.
E questo Sukuna proprio non se lo aspetta. Perché lui non gli ha detto il suo nome l'altra sera. Non gli ha detto praticamente nulla finché non lo ha lasciato in bagno, troppo ubriaco per reggersi in piedi, figurarsi per farsi scopare e ricordarselo il giorno dopo.
"Sei fottuto uno stalker?", butta fuori, ad occhi sgranati, per rendersi conto dopo un istante della stupidità della sua uscita.
Lo sguardo indignato e offeso sul volto del ragazzo infatti è immediato, quasi fa imbarazzare Sukuna per averci pensato, spiega l'altro.
"Conosco tuo fratello e so che lavori per Suguru... ", specifica, guardandolo come se fosse un totale idiota.
"Geto?", conclude per lui. "Conosci mio fratello e il mio capo?"
L'altro alza gli occhi al cielo, evidentemente scocciato fin nel midollo di dover dare spiegazioni.
"Hai conosciuto il suo compagno?"
Il giovane quasi ride al gemito di fastidio che Sukuna non riesce a trattenere.
Deve ammettere che è davvero un bel suono.
"Ohi, sei parente dello strambo?"
"Più o meno. Gojo Satoru è il mio tutore..."
"Che? Tutore? Tipo L'era glaciale?"
Sì, quella con Yuji è stata una maratona e gli è piaciuta più di quanto voglia ammettere.
"L'era glaciale?", chiede l'altro con un sopracciglio alzato.
"Quella con il bradipo gay che adotta il marmocchio umano..." Specifica, sentendosi come se stesse uscendo allo scoperto. Si chiede che fine potrà mai fare la sua aria da cattivo ragazzo, se continua a parlare di cartoni animati con quella felpa color pulcino addosso.
"Sono quasi certo non fosse questa la trama. Poi battute omofobe? Vanno ancora di moda?"
Allora il moccioso non ha solo un bel faccino, Sukuna ghigna quasi soddisfatto tra sé e sé.
"Hai la memoria corta moccioso o eri davvero ubriaco marcio? Ti sembro nella posizione di fare battute?"
Il ragazzo arrossisce ancora, non capisce se per il fastidio o per il ricordo della serata.
Una parte di lui, tutto lui se proprio deve essere onesto, spera sia la seconda.
Il suo stomaco fa ancora quella cosa e lui ora ha deciso di pensare sia a causa della fame.
Cerca di pensare a come con i capelli nerissimi, la pelle bianca e le guance arrossate quel ragazzo sembri la fottuta biancaneve e non ai frame di quanto fosse vergognosamente bello, in uno stato simile a quello, appoggiato a quel lavandino, indispettito solo dal fatto che lui avesse smesso di baciarlo e non dalle sue battute.
"Non sono un moccioso... ", sbotta intanto l'altro, mentre si avvicina alle porte.
"Questa è la mia fermata".
Ora non è solo il suo stomaco a lamentarsi. Lo spazio vuoto che si libera di fronte a lui gli da fisicamente fastidio.
Non riesce a frenare la sua mano dal propendersi verso l'altro, correggendo all'ultimo il tiro, abbassandola verso il cane del ragazzo, che ancora tira verso di lui.
Non riesce a zittire quella voce che gli sussurra infida che è un peccato, che non riesca a star simpatico al padrone quanto al cane.
Fanculo, pensa, questa città è più piccola di quanto sembri, tanto vale...
"Ehi! Non mi hai detto come ti chiami!", manca poco che urli, prima di realizzare come il ragazzo non sia così distante da lui da far fatica a sentirlo.

"Megumi. Fushiguro Megumi".

*

Grande, a quanto pare evitare lo studio di Geto perché il ragazzo della peggior figuraccia della mia vita si è fatto assumere a tatuare stronzi nella mia fortezza della solitudine non basta.
Con questo pensiero Megumi salta giù dal treno, lanciando un'occhiataccia a Demondog.
Con un vagone pieno di gente, proprio Sukuna?
L'animale risponde con un guaito sommesso, sbattendo piano il muso contro il suo ginocchio e qualcosa nel ragazzo si scioglie.
Regala un piccolo sorriso al lupo, sentendosi uno stupido per la sua reazione.
Non può incolpare il cane di quell'incontro, come non può imputargli momenti di imbarazzo che sono seguiti.
Forse è negato per questo, e con 'questo' intende proprio l'avere a che fare con le persone.
Quando il suo sguardo è accidentalmente caduto sullo smalto nero e sul polso tatuato, Megumi si è trovato a deglutire a vuoto, sperando che non si notasse la 'leggera', si fa per dire, stretta allo stomaco che ha cercato di nascondere.
Odia decisamente il suo cervello e il fatto che a quanto pare non riesca a smettere di funzionare anche quando totalmente annebbiato dall'alcool, vista la velocità con cui gli ha presentato il conto, sotto forma dell'immagine di quelle stesse dita allacciate al suo fianco, strette alla sua maglietta bianca.
Immagine che lui non pensava nemmeno di ricordare.
Sukuna è bello. Non proverà a negarlo. Userebbe quasi la parola 'sexy' se non la trovasse più adatta ad un palinsesto datato di dubbio gusto.
Ma Sukuna a quanto pare è anche piuttosto umano, più di quanto lo sembrasse mentre usava la lingua per visitare le sue tonsille su quel lavandino.
Parla di cose stupide, come Yuji, mette felpe improponibili, probabilmente di Yuji, ed è in grado di far saltare i suoi nervi nonostante non lo conosca da più di qualche ora, esattamente come Yuji.
A differenza del fratello, Sukuna però lo fa sentire come se fosse in bilico, sul punto di cadere. E non sa dire come si senta a riguardo.

I suoi pensieri vengono interrotti dalla vibrazione del suo telefonino e ne è grato.
Una foto di Ieiri Shoko, più giovane e con i capelli più corti, a fianco di un se stesso di appena dieci anni, lampeggia sulla schermata.
Considerati gli impegni della donna, non si aspettava una risposta tanto veloce.
Megumi aveva provato a contattarla già quel pomeriggio, prima di andare a farsi prendere a colpi di archetto in fronte da Gojo.
Maledetto, borbotta tra sè e sè, portandosi le dita alla fronte.
Comunque se c'è qualcuno che possa dirgli qualcosa sugli anni del liceo di Geto e Gojo e sui loro compagni, è Shoko.
In quasi ogni foto dei tempi della scuola dei due uomini passata tra le mani di Megumi, che fosse tra quelle sparpagliate per la casa da Satoru o di quelle conservate gelosamente da Suguru, la ragazza è lì.
Logicamente è stata lei la prima persona che ha pensato di chiamare dopo la conversazione con Geto.
"Ciao Shoko...", risponde, trattenendo il telefono tra guancia e spalla, mentre cerca le cuffie nelle zaino.
"Ciao tesoro, come mai mi hai cercato? Che ha fatto Satoru?"
Megumi può chiaramente sentire le sue sopracciglia inarcarsi, mosse da volontà propria. Lascia scivolare il telefono nella mano e guarda lo schermo.
La telefonata è iniziata da dodici secondi. Dodici secondi.
Ecco il tempo che la donna ci ha messo per concludere che qualsiasi problema l'avesse spinto a contattarla, fosse legato a Gojo.
Scontato, ma sempre divertente.
"No, non è per..."
"Cielo, se è Geto il problema a questo giro chiamate un fottuto psicologo... "
Ok, questa reazione è preoccupante, ma non intende approfondire l'argomento.
"No ecco, volevo chiederti una cosa su quando eravate... "
"Hai trovato quelle foto di Nanami a quella festa del liceo?", lo interrompe bruscamente lei per la terza volta.
No, Mimiko l'aveva fatto. E avevano deciso tutti d'accordo di non farne mai più parola.
Megumi si massaggia la fronte con le mani. Quella telefonata si sta rivelando più complessa del previsto.
Qualcosa gli suggerisce di prenderla larga.
Forse la velocità con cui Shoko ha deviato il discorso su Nanami o il tono eccessivamente allegro, così tanto da sembrare posticcio, della sua voce.
"No, ecco... possiamo vederci di persona?", media. "Ho parlato con Suguru e..."
"È finalmente riuscito a dire a voi ragazzi dell'idea del matrimonio?", conclude Shoko per lui.
Il sollievo della donna è palpabile, quasi come se pensasse di aver evitato un pericolo. È evidente che c'è qualcosa riguardante il passato di cui non vuole parlare.
Avrà a che fare con la tossicodipendenza di Geto? O sarà proprio Haibara il problema?
Non può fare a meno di chiederselo a questo punto.
"Ve bene verso metà settimana?"
Annuisce e ringrazia la donna, prima di staccare la telefonata.
Guarda lo schermo. L'icona di whatapp questa volta ha solo una sessantina di messaggi.
Nanako non vede l'ora di provare un nuovo locale per il sushi, e lui pensa che forse dovrebbe presentarle Nobara, che ne sta proponendo una ventina nell'altra chat.
Tsumiki invece ha stabilito che l'Italia potrebbe essere una meta dannatamente romantica dove spedire Suguru e Satoru in viaggio di nozze.
Con la vena della tempia che pulsa di fastidio, Megumi decide di risponderle senza mezzi termini che sì, possono mandarli in Europa, ma unicamente se vogliono liberarsi definitivamente di loro con un biglietto di sola andata. Il ritorno non possono permetterselo.
Prima che il rimorso per aver risposto in modo scocciato alla sorella lo prenda, attacca avvia la riproduzione causale delle cartella 'Musica'.
Il suo lunedì è ufficialmente finito, ma sa che sarà una lunga settimana.





Eccomi! Dopo più di un mese! Scusate, parto con il dire che ho ricominciato a lavoro, anche se part time, quindi non è tutta colpa della mia indecisione cronica e dei vari prequel, altre long, ecc ecc.
Questo capitolo doveva essere dedicato a Yuji, Junpei e Nobara, con un veloce pov sull'incontro Megumi/Sukuna, ma... mmm, facciamo che sarà su Yuji il prossimo? Che davvero, cercherò di far arrivare prima.
Per rassicurare chi sa che l'angst nelle mie storie è ovunque, nessun Suguru, Satoru (e nemmeno Junpei, guardate che brava) si farà male in questa storia.
Però sì, qualcuno sta per fare una mega iper litigata.
E sì, presto sapremo che piffero c'entra Haibara in tutto questo e perché sentirlo nominare abbia fatto saltare i nervi a Gojo. Intanto, una Shoko compare tipo regalo di Natale.
A questo proposito, auguri a tutte/i Amy

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Capitolo 7
*** Ombre ***


Ok. È ufficialmente un uomo morto. Morirà per mano di Satoru, è evidente.
A Suguru basta guardare l'uomo di fronte a sé per esserne certo.
Lato positivo, hanno appena fatto sesso. Si porterà dietro un bel ricordo.
Altra buona notizia, il suo compagno potrebbe essere tanto pietoso da lasciargli il tempo per fare un colpo di telefono a Mimiko e Nanako.
Giusto per un saluto, 'ciao ragazze, vostro fratello vi ama, eccetera eccetera', seguito da qualunque cosa si dica in questi casi.
L'unica alternativa alla sua prematura fine, sarebbe provare a parlare ed a spiegarsi, riuscire a dare una motivazione per le sue azioni.
È quello che Satoru nella sua magnanimità sta aspettando che faccia, peccato che il suo cervello sembri totalmente fuori uso.
Vuoto, tabula rasa. Ogni connessione neurale partita per le ferie e il suo corpo lasciato indietro, a sbrogliare i danni fatti.
Si sente inchiodato dallo sguardo, dagli occhi, del compagno. Bloccato, sommerso da un'infinità di informazioni che non sa come elaborare.
Anche se riuscisse a farlo, Suguru è sicuro non sarebbe in grado di mettere insieme una spiegazione più o meno rilevante per le sue azioni, nulla sul perché abbia deciso di rendere Megumi consapevole del loro passato.
E ne avrebbe di motivi, davvero. Primo fra tutti, 'che Megumi è Megumi, quasi impossibile da decifrare.
È sempre stato diffice da gestire per Suguru, abituato alle sue sorelle, esplosive, viziate, ma facili da corrompere e comprare.
Per entrare nelle grazie di Nanako e Mimiko, a Satoru era bastata qualche ora appollaito sul divano con loro, a guardare le prime commedie romantiche, a dare consigli su vestiti e smalti o ancora a tramare acconciature da imporre a lui, colpevole di essere quello con i capelli più lunghi in famiglia.
A lui, per farsi voler bene da Tsumiki era bastato... amare Satoru.
Non era servito altro per venir inondato dal suo affetto, fatto di gesti semplici e timidi: una chiamata per ricordargli di trovare il tempo di pranzare o un pan cake messo da parte e conservato per lui a colazione, quando essere quello che cucina a un branco di adolescenti, alcuni particolarmente attratti dagli zuccheri (sì, si sta decisamente riferendo a Nanako e Satoru) lo condannarebbe altrimenti a doversi accontentare degli avanzi.
Con Megumi no. Abbattere il suo muro di diffidenza e indifferenza era stato un lavoro certosino, fatto di piccoli passi.
Suguru ricorda ancora la piacevole sorpresa provata entrando in studio una mattina, sentendo, ancora prima di vederlo, Megumi esercitarsi con il violino.
Per la prima volta da quando gliele aveva consegnate, il ragazzo aveva usato le chiavi che gli aveva dato.
Non poteva ora mettere a rischio la fiducia tanto faticosamente guadagnata.
Non poteva tenere il ragazzo all'oscuro e chiedergli di affidargli la persona più importante nella sua vita, senza mettere tutte le carte in tavola.
Ma evidentemente, per Satoru non era una scelta che lui poteva prendere. Almeno non senza consultarlo.

Ha sbagliato nel farlo? Probabilmente.
Può tornare indietro? No, non può. Il tempo e lo spazio non sono in suo potere.
Può rimediare? Forse. Forse sì.
Peccato che i minuti passino e lui non abbia ancora spiaccicato parola.
Nemmeno l'altro parla. E questo è male, lo potrebbe dire chiunque lo conosca anche da meno di un minuto.
Suguru è quasi certo che in qualche universo, Satoru potrebbe distruggerlo con un gesto della mano, spazzarlo via lasciando al suo posto solo molecole fluttuare nell'aria.
Molecole che continuerebbero comunque ad amarlo, ormai è rassegnato a riguardo.
"Satoru...", inizia, sperando di non lasciarsi distrarre da quanto l'uomo, anche in preda alla rabbia, sia comunque di una bellezza accecante.
Non si è ancora preso la briga di allacciarsi la camicia.
Torace e viso sono ancora arrossati dalle loro attività precedenti;
Le lenti scure che indossa abitualmente rimaste abbandonate da qualche parte, gli occhi scoperti e solo offuscati da qualche ciuffo di capelli ribelle.
Questo è barare, pensa.
"Hai bisogno che mi allacci la camicia, Suguru?", ghigna l'altro, quasi leggesse i suoi pensieri.
Il tono dolce nella sua voce è una presa in giro. Apre le braccia e le lascia ricadere suoi fianchi, accennando una risata.
Un gesto che Suguru imita a pappagallo.
È consapevole della sua espressione melodrammatica, ma come può Satoru biasimarlo? È già difficile formulare un discorso, ma così ha davvero troppe distrazioni.
L'idea che quello spettacolo di uomo probabilmente in questo istante stia pensando diversi modi per farlo a pezzi, quasi lo eccita.
Un'altra voce nella lista di motivazioni per cui dovrebbe probabilmente parlare con uno psicologo, un giorno. Ma non questo.
Ora punta a sopravvivere.
E per sopravvivere deve dire qualcosa di intelligente e deve dirlo ora.
Dovrebbe lanciargli una coperta addosso e inforcargli gli occhiali, così magari riuscirebbe a formulare un pensiero coerente.
"Satoru...", ripete, alzando lo sguardo. 
Il sopracciglio del suo compagno scatta con l'accuratezza della lama di una ghigliottina, lama che Suguru sente puntata sul collo.
È solo l'ennesimo segno dell'impazienza degna della divinità che solo per sbaglio Gojo non si è trovato ad essere, ma che a volte un po' si crede.
Geto fa il punto con se stesso, ripentendosi che sì, Satoru è incazzato e sì ha un probabile complesso di Dio, ma lo ama. Tanto quanto Suguru ama lui.
Lo ama e, se non lo uccide prima, sarà il suo fidanzato.
O almeno gli concederà di spingerlo contro quel bancone un'ultima volta prima di farla finita.
Puoi farcela, si ripete, quasi convinto.
Per questo non si aspetta il sollievo che precede lo stupore, quando vengono interrotti da Megumi e dal ragazzo dai capelli rosa che atterrano sul pavimento a pochi metri da loro, portandosi dietro la sottile porta di una delle cabine.
A stupirlo ancora di più, sono le parole che escono di bocca a Satoru.
"Megumi, non ti ho insegnato che è da maleducati origliare?"

Una settimana prima, mezzanotte...

I bassi, la voce del front man della band che pare uscire direttamente da sotto terra, le luci rosse che investono la gente che balla: qualcuno lo ha catapultato in inferno in miniatura nascosto nel cuore di Tokyo e Sukuna non può chiedere di meglio.
Si cala il cappuccio sulla fronte, infila le mani in tasca e tira fuori una sigaretta.
Può? Non lo sa. Non gli interessa nemmeno.
In pochi istanti, il fumo gli inonda i polmoni, brucia la sua gola, mentre il suo sguardo vaga tra persone attorno a lui.
Se la serata tiene questo andazzo, un cliente che si fuma una sigaretta sarà l'ultimo problema degli organizzatori.
Mahito al suo fianco sorride, sventolandogli una busta davanti.
Le pasticche all'interno sembrano saltellare con vita propria.
Fa segno di no con la testa, prendendo una boccata di fumo.
"Domani lavoro", prova, poco convinto.
L'altro fa spallucce, dipingendosi in volto l'espressione più innocente che riesce a mettere insieme.
"Ma sei giù di morale", mette il broncio, liquidando le sue proteste con un gesto della mano.
"Cerchiamo di levarci dalla testa qualsiasi stronzetto ti abbia messo fuori gioco?"
"Non so di cosa tu stia parlando", ghigna in risposta Sukuna.
Guarda le pasticche sul palmo dell'amico. Non dovrebbe e lo sa. Questa doveva essere una serata tranquilla.
Solo una birra fresca e un piatto di yakitori al pub vicino a casa. Ovvio che la nottata non è più destinata ad andare così.
Prova a chiamare a gran voce l'angioletto sulla sua spalla, il suo Grillo Parlante, andrebbe bene anche il Topolino dei dentini, avrebbe sicuramente più senno di quanto ne abbia lui, ma tutto tace. Qualsiasi alterego positivo, se mai ne ha avuto uno, probabilmente è in sciopero o ha dato definitivamente le dimissioni.
Apre la bocca e tira fuori la lingua, aspettando che Mahito ci lasci cadere una pasticca.
"Bravo ragazzo", lo sente ridacchiare soddisfatto. Per Sukuna, è la prova definitiva di aver fatto una stronzata.
Non ha tempo per pentirsi. Quasi subito sente le pupille dilatarsi, l'euforia montare lenta e incalzante.

Non sa quanto tempo sia passato, ma ora può sentire tutto.
Le parole della canzone che risuonano dalle casse, rimbombano nella sua testa, ormai destinata a diventare la coppia in miniatura di quel buco di club.
Le luci, la musica, il ritmo rendono tutto claustrofobico.
Chiunque si sentirebbe in trappola, in questo girone infernale travestito da locale.
Lui, respira. Attorno, le altre persone non sono che forme indistinte, poco più che insetti, miseri e degni neppure della minima attenzione.
C'è un'eccezione, però.
Bellissimo, pensa, lasciando correre lo sguardo sulla figura che ha di fronte, fino al viso pallido semi nascosto dal cappuccio della felpa scura.
Ha gli occhi truccati di nero, I capelli spettinati come sempre.
Non balla, sembra aspettarlo.
Sukuna si avvicina, con un sorriso sghembo sul viso.
Per un secondo, il moccioso scompare tra la folla e lui tiene il fiato. Il tempo pare fermarsi, finché non vede l'altro riapparire.
Probabilmente è solo lui che è fatto, ma il ragazzo pare muoversi tra le ombre, sembra quasi giocarci, possederle.
Sembrano essere in suo dominio.

Sapresti giocare anche con le mie, di ombre? O avresti paura, Megumi? Vorrebbe chiederglielo.

Lo sente alle spalle, vicino, troppo vicino. Quando si è avvicinato così tanto?
Dita sottili si arrampicano lungo l'attaccatura dei suoi capelli, tirandoli appena.
Il suo labile controllo svanisce. Si volta, impaziente, e lo afferra per la vita, stanco di quel gioco.
Non c'è nessuno attorno a loro.
La musica ora è dolce, dolce come il respiro dell'altro sulle sue labbra.
Chiude gli occhi, mentre si prende un secondo per godersi la pace del paradiso in cui è stato mandato, caduto sicuramente per errore di qualcuno, lontano da tutto, perso nel tocco della lingua di Megumi che disegna una scia che parte dalla scollatura della sua t-shirt, indugia sul suo pomo d'adamo, corre al suo mento, fino a stuzzicare la sua bocca.
Improvviso, si allontana.
Sukuna insegue, si butta in avanti, intenzionato a prendersi quel bacio che il ragazzo gli ha fatto pregustare solo per allontanarsi da lui e...

... sbatte la testa contro la parete della sua camera.
Idiota, impreca contro se stesso. Quasi subito sente il livido formarsi sotto la pelle e l'ematoma pulsare dove ha picchiato la fronte.
Affonda le mani nei capelli, cercando di ritrovare la calma.
Che modo del cazzo di cominciare la giornata.
Chiude gli occhi e respira a fondo.
Ricominciamo, pensa, sbattendo le palpebre.
La luce del giorno per il suo cervello è l'equivalente di un gatto che passa le unghie su una lavagna.
È a casa propria e questo è bene. Gli mancava solo svegliarsi sul divano di Mahito o su un futon da Choso.
È nel suo letto. Non ha idea di come ci sia arrivato, ma sono particolari.
Ad essere onesto con se stesso, non ricorda quasi nulla della nottata al locale. A parte un particolare, se così può definirlo.
"Fanculo, doveva essere una serata tranquilla", biascica, lanciando occhiate alla stanza, alla ricerca di qualcosa che somigli anche vagamente a dell'acqua.
Ora, potrebbe non essere stato totalmente sincero con il suo capo.
Se con 'pulito' si intende non avere nulla a che fare con eroina e altro schifo da buttarsi in vena, sì, ha decisamente chiuso con quella merda. Da anni.
Questo l'ha reso un santo che frequenta terapie di gruppo e va nelle scuole a dire a classi di piccoli stronzi viziati che la droga fa male? No, decisamente no.
Non ha grandi obiettivi. Il suo scopo è essere una persona decente. Per Yuji. E ci riesce quasi sempre.
Probabilmente ieri sera non è stata una di quelle occasioni.
E questo lo porta al primo grande interrogativo della mattina: chi si è scopato?
Le immagini confuse nella sua testa gli suggeriscono un nome, ma no, decisamente Megumi Fushiguro non poteva essere lì.
Certo che, se l'intento dei suoi amici era farlo pensare ad altro, hanno avuto esattamente l'effetto opposto.

Prende il telefono e apre la chat di gruppo che condivide con Choso e Mahito.
Ghigna tra sè e sè, quando trova esattamente quello che stava cercando.
Si aspettava almeno una decina di foto della serata e non rimane deluso.
Tra queste ce ne sono diverse di lui avvinghiato ad una ragazza.
Non ha idea di chi diamine sia lei, né di come abbia fatto a confonderla con la sua ossessione del momento.
Da quello che riesce a vedere nella foto, ha i capelli neri, ma la somiglianza finisce lì.
In almeno tre foto le tiene le mani sul seno ed è decisamente sicuro che Megumi le tette non le abbia.
"Cazzo", sbotta, non riuscendo ad ignorare le fitte di mal di testa che aumentano esponenzialmente minuto dopo minuto.
Dovrebbe davvero smetterla con serate del genere, passare più tempo con suo fratello.
Può quasi sentirlo nella sua testa, mentre lo rimbotta parlando di droghe e sesso sicuro.
Sesso sicuro...
Infila la mano nella tasca dei jeans e trova solo l'involucro del preservativo.
Ok, questo lo tranquillizza. È un coglione, ma non totale.
Il fatto che il suo cervello sia totalmente partito per un ragazzino che la settimana scorsa nemmeno conosceva, lo rassicura decisamente meno.
Ma può superarlo. Deve superarlo.
Si farà un caffè, prenderà un antidolorifico per il mal di testa, andrà a lavoro, prenderà un altro antidolorifico, eviterà di colpire i clienti con la macchinetta dei tatuaggi, esclusivamente perché questo potrebbe non essere gradito al suo capo, ed arriverà a sera.
Sarà gentile. Sarà una buona giornata.

Questa cosa deve finire, pensa quando ad aprire la porta dello studio non è, per il secondo giorno di fila, Geto.
Questa volta ad accoglierlo è una coppia di adolescenti agitate.
Dannatamente agitate, soprattutto per essere le nove di mattina.
E lo stanno evidentemente assaltando.
Fa avanti e indietro con lo sguardo tra le due mocciose che gli saltellando davanti e la foto incorniciata alla parete che ritrae il suo capo con sottobraccio due ragazzine.
I tasselli coincidono: le quindicenni che ha di fronte sono decisamente simili tra loro, quasi identiche di lineamenti, ma diverse nel colore dei capelli: una bionda e una mora, come le bambine nella foto.
Le sorelle di Geto, conclude, trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo.
"Tu devi essere Sukuna kun!", azzarda la ragazza con il caschetto scuro e gli occhi grandi da cucciolo.
Sembra un po' spaesata, sicuramente è la più timida delle due.
"Presto presto presto, entra dentro prima che arrivi Ni-chan...", la interrompe l'altra, aggrappandosi al suo bicipite e trascinandolo dentro al locale, il tutto senza smettere di controllare lo schermo del telefono.
"Vogliamo fargli una sorpresa! Satoru-chan l'ha portato a comprare la colazione, così possiamo farci trovare qui".
È dannatamente energica per essere uno scricciolo che non raggiunge il metro e sessanta, glielo concede.
Bionda, petulante, piccola minaccia, non eliminabile, annota mentalmente Sukuna.
Ma perché diamine si ostina ad arrivare in orario?
Qualcuno di decisamente più alto entra nel suo campo visivo, porgendogli quello che sembra il bicchiere della caffetteria all'angolo.
Accetta la tazza fumante che gli viene offerta, incredibilmente grato a chiunque gli abbia piazzato quel caffè in mano.
Prende un sorso, registra in un angolo della sua mente che è amaro, grazie al cielo, senza riuscire a staccare gli occhi dalle due, ancora impegnate a squittire come un topolino bicefalo e sempre più vicine, incuranti della sacralità del suo spazio vitale.
Teme seriamente che con un attimo di disattenzione, abbassando la guardia anche solo un istante, potrebbe finire coinvolto in un abbraccio o qualcosa di simile.
E lui odia il contatto umano. Cioè, non tutto il contatto umano, ma quello di due ragazzine petulanti ed iper attive è di sicuro del tipo che evita come la peste.
"Mimi, Nana, state mettendo in imbarazzo Itadori Kun..."
La voce calma di Geto richiama l'attenzione sua e delle due ragazze.
Nonostante il tono calmo e severo, potrebbe dire l'uomo si stia sforzando per trattenere una risata.
La velocità con cui le due si lanciano tra le braccia del fratello potrebbe quasi intenerire Sukuna. Quasi.
Le riunioni di famiglia purtroppo non sono il suo forte, non lo sono mai state.
Il suo istinto di conservazione gli suggerisce anche che, nonostante lo strambo dai capelli bianchi non sia ancora arrivato, non riuscirà ad evitarlo ancora per molto.
Deciso a non complicare ulteriormente la sua giornata, prende l'agenda e controlla gli appuntamenti. Per la prima volta da quando ha cominciato a tatuare, spera in dei fottuti, banali fiori di Sakura.
Sta ancora scrutando la pagina del quaderno, mentre si chiude alle spalle la porta della cabina, tenendo in equilibrio il bicchiere.
Quasi cade sui suoi stessi piedi, rischiando di rovesciarsi il caffè addosso, quando vede il ragazzo dai capelli neri seduto sul lettino con aria annoiata.

"Puoi nascondermi?"

"Dimmi che sei reale..."

*

"Yuji... "
Sta sognando. È sicuro di star sognando, perché Fushiguro è a pochi passi da lui e indossa la sua felpa.
La sua preferita, quella gialla.
Gli sta leggermente larga sulle spalle e sul torace, ma non importa.
Cosa può diventare una felpa che è già la preferita?
Super preferita? Un sacco preferita?
Non pensa che Megumi sia una persona da giallo. Perché Fushiguro dovrebbe volere la sua felpa?
Magari non gli piace nemmeno e l'ha accettata per proteggersi dal freddo o per non offenderlo.
Anzi, più probabilmente sta davvero sognando.
Non gli importa molto, davvero. Gli basta essere lì, in quel momento, con Megumi.
Yuji fatica a capacitarsene, ma se possibile l'amico è ancora più bello.
Il cappuccio giallo nasconde in parte i capelli corvini, ma questo non fa smettere Itadori di chiedersi se siano davvero morbidi come sembrano.
Vorrebbe toccarli, ma ferma le sue mani all'altezza del bavero, trovando una scusa a caso per sistemarlo meglio.
Spera che Fugushiro ci caschi. Spera che non si chieda perché sta arrossendo.
Guarda il suo sorriso dolce, timido, appena accennato. Non pensava che Megumi sorridesse così.
Itadori perde un battito mentre l'altro prende le sue mani e se le porta al viso, appoggiando la guancia al suo tocco, mentre si avvicina, schiude labbra e...

... qualcuno bussa così forte alla porta della sua camera, da farlo saltare nel letto.
Il viso di Megumi svanisce al volo, per lasciare posto al soffitto della sua camera, mentre i suoi occhi si spalancano.
Yuji scatta seduto, così brusco e goffo da farsi cadere in testa un paio di manga abbandonati sulla mensola sopra il letto.
C'è un motivo per cui si sveglia sempre prima di Sukuna ed è per non finire coinvolto in un terremoto vero e proprio.
Le poche volte in cui capita il contrario, quando è l'altro ad alzarsi per primo, rischia di perdere dieci anni di vita già al risveglio.
"Ehi, moccioso, guarda che entro", grida il fratello spuntando nel vano della porta, una mano a coprirsi gli occhi e l'altra intenta a stritolare la maniglia.
"Non me ne frega niente se ti stai facendo la sega del buongiorno", sbotta.
Yuji alza gli occhi al soffitto, indeciso se ridere o se far notare a Sukuna la contraddizione tra la frase appena pronunciata e il suo muoversi alla cieca.
Uno sbadiglio che non riesce a trattenere, risolve la questione.
"Stavo dormendo", borbotta, grattandosi la nuca, tramortito dal brusco passaggio dal sonno alla veglia.
"Ieri sono andato a letto tardi per finire un film", aggiunge, prima di pentirsene.
Sukuna abbassa la mano, per fissarlo con occhi sgranati.
"Film di Jennifer Lawrence?", chiede risucchiando l'aria.
"Hunger games...", confessa.
"Quale?"
L'espressione del fratello è offesa e indignata, sembra sul punto di volerlo fare a fette.
"Il secondo e il terzo, non guarderei mai il primo senza di te", prova, mettendo su la sua espressione più tenera.
Non lo farebbe davvero. Non è la stessa cosa senza Sukuna che strepita sul divano mentre Katnees si offre volontaria.
"Questi sono due film, non uno", puntualizza l'altro, puntandogli l'indice contro.
"Beh, se non hai impegni questa sera passano un paio di amici per fare serata cinema...", media.
Yuji si aspetta un 'no' secco, ma l'altro sembra esitare.
"Quindi il salotto sarà di voi mocciosi?"
"... Sukuna ho due anni in meno di te".
"Vedo cosa riesco a fare, però voglio scegliere il film".
Sukuna urla l'ultima parte della frase allontanandosi, quindi non è sicuro che il fratello senta il suo 'ok' sorpreso.
"Ho fatto il caffè", riprende l'altro, tornando indietro e sbucando ancora un istante, per puntare il dito indice nella sua direzione.
"Mi aspetto eterna gratitudine... A dopo moccioso".

La porta sbatte, mentre Yuji resta seduto sul letto ancora qualche istante, come un sopravvissuto a un tifone, circondato dalle macerie della sua casa e troppo stupito di essere ancora tutto intero per fare anche solo un passo.
L'imbarazzo per il sogno appena fatto, riempie velocemente il vuoto lasciato dal fratello.
Con che coraggio guarderà Fushiguro oggi?
Sono amici da nemmeno una settimana ed ha sognato di baciarlo. Cioè quasi baciarlo.
È abbastanza certo che se Sukuna non avesse buttato giù la porta lo avrebbe baciato.
Sente uno strano nodo, proprio lì, all'altezza dello stomaco.
Non è solo Fugushiro il problema.
Yuji non può dire sinceramente di aver fatto i conti con la sua sessualità, ad oggi. Non si è mai proprio posto il problema.
Adora Jennifer Lawrence.
È uscito con un paio di ragazze al liceo, un'amica del club di cinema e una compagna di classe, ma non tanto per il loro aspetto fisico. Della prima lo aveva colpito l'interesse per le storie legate al paranormale, della seconda il carattere dolce e timido.
Ma non era andato oltre ai primi, impacciati appuntamenti ed una volta terminato l'anno scolastico, è semplicemente stato troppo impegnato a star dietro all'università.
Il tempo rimanente, dedicato al nonno, consapevole di quanto i momenti con lui fossero ormai contati.
Trasferitosi dal fratello, si era presto abituato a trovare le sue conquiste vagare per la loro cucina, con Sukuna ancora addormentato o smaterializzatosi in palestra senza salutare.
Sia uomini che donne.
È così che il sesso è entrato nella sua vita per la prima volta. Non direttamente, ma sotto forma di sconosciuti spaesati a cui non riusciva a non offrire un sorriso e l'invito di fermarsi a colazione.
È così che ha conosciuto anche Junpei, trovato accampato sul suo divano una domenica mattina.
In quel caso però, era stato un amico del fratello a scappare come un ladro da casa loro.
A svegliare sia lui che l'altro ragazzo, erano stati i delicati e pacati toni che Sukuna stava usando per spiegare molto dettagliatamente a Mahito? È quello il nome? cosa avrebbe fatto alle sue parti basse se avesse trovato danni al suo divano. Solo a ripensarci Yuji può quasi sentirsi male per il ragazzo dai capelli azzurri.
Al ricordo delle colorite minacce del maggiore, quasi sibila tra i denti, stringendo le gambe per riflesso.
Ringrazia la vibrazione del telefono che lo distrae, ma per il momento ignora la notifica che lampeggia dal display.
Si lascia ricadere sul letto, deciso a lasciar andare qualsiasi pensiero più complesso di 'cosa farsi da colazione', per crogiolarsi ancora per qualche istante nel calore lasciatogli addosso dal sogno e nel profumo del caffè che arriva dalla cucina.
Tanto sarà sicuramente Sukuna, probabilmente avrà dimenticato  le chiavi di casa o il portafogli o il manuale 1000 modi per non uccidere nessuno.
Ridacchia alla sua stessa battuta, quando il cellulare vibra ancora un volta. Sbuffa e si rassegna, allungandosi verso il telefono.
Il cipiglio sul suo volto passa in una frazione di secondo da infastidito a curioso.
Non sei Sukuna, riflette...
Al contrario delle previsioni, infatti, non è la foto di una schiena tatuata a comparire, ma quella di un ragazzino dai capelli neri a riccio e l'espressione infastidita, avvolto in un cappotto bianco.
Al suo fianco, una bambina alta grosso modo quanto lui  sorride felice, mentre alle spalle del duo, accovacciato per essere alla loro altezza, un ragazzo dai capelli bianchi cinge loro le spalle.
Fa mente locale: l'ha già visto. Quella nella foto è la versione più giovane dell'uomo con gli occhiali intravisto nello studio di tatuaggi.
Non credeva che Fugushiro fosse tipo da mettere uno scatto della sua infanzia come foto profilo, riflette tra sè e sè.
Non riesce a trattenere il sorriso che gli spunta sulle labbra, prima che il panico arrivi ad attanagliargli lo stomaco e solleticargli il palato.
"... Fushiguro?"

*

Ti ricordi l'ultima volta che ci siamo visti? Quel giorno a Shinjuku?
Era passato appena un mese da quando avevi lasciato la scuola. Un anno o poco più dalla serata che ha cambiato tutto.
Avevi i capelli sciolti sulle spalle, qualche ciuffo raccolto in maniera disordinata, una maglia troppo larga perfino per te.
Eri così diverso dal ragazzo che avevo conosciuto in quei primi anni a scuola, sempre impeccabile nella sua uniforme, tutto ordinato, con i capelli sempre ben raccolti.
Beh, almeno quando non ti vedevo sgattaiolare fuori dalla stanza di Satoru.
Quel giorno a Shinjuku eri così diverso, era bastata un'occhiata per capirlo, ma eri comunque tu.
Mi hai visto e mi hai sorriso.
Eri davvero tu, più simile al mio amico dell'ombra che aveva preso il suo posto in quell'ultimo anno, dopo l'incidente di Yu.
Ho pensato che offrirti una sigaretta, passarti il pacchetto, bastasse in qualche modo a portare il mondo indietro. A rendere le cose normali, per quanto potessero esserlo al fianco tuo e di Satoru.
Ho pensato che bastasse far finta di non notare le braccia coperte fino al polso, nonostante fosse l'estate più afosa da tanto.
Che fosse sufficiente ignorare quanto la maglia ti stesse larga, quanto i jeans ti ballassero sui fianchi.
Non è servito, tutto è comunque cambiato.
Ti farà piacere sapere, che in questi anni sei rimasto con noi, in ogni caso. Sotto forma di un fantasma che nessuno si sognava di nominare. La nostra maledizione personale.
Però c'era un tacito accordo, religiosamente mantenuto tra tutti noi: fingere. Fingere che tu non esistessi.
Sapevamo eri vivo o abbastanza riservato da non creare troppo scalpore, facendoti trovare morto di overdose in qualche vicolo e finendo nella trafila di titoli di giornali che Satoru non smetteva mai di sfogliare.
Gli hai spezzato il cuore, lo sai vero?
Sai quanto è stato penosamente ridicolo guardarlo fingere di non amarti più?
Beh, ma qui non si parla di lui. Per una volta.
Per una volta vorrei parlare io... e ci sono ancora tante cose che vorrei scriverti, che vorrei dirti, ma è difficile.
Sono comunque uno scienziato, un medico, e non sono brava con le parole, nel caso non te ne fossi accorto.
Quindi farò quello che mi riesce meglio. Essere sintetica:

Vai a farti fottere, Geto.
Non te l'ho mai detto, se non per scherzo.
Ora però sono arrabbiata con te. Così tanto.
Non potevi restare? Con lui? Con noi?

Hai lasciato anche me, Suguru..
Shoko

Ps. Ho provato anche a venire qui, da Haibara, a cercare le parole. A cercare un modo migliore di finire questa lettera.
Fa schifo, vero? Come già detto, scrivere non è il mio forte.
Quindi sono venuta a cercare un aiuto dalla persona più comprensiva e dolce che mi è capitato di conoscere.
Ho saputo che di tanto in tanto è possibile avvistarti qui.
Sai, è stupido, ma questo ti fa sentire meno irreale. Meno distante.
Ora rischio di diventare smielata, quindi penso che smetterò di scrivere.
Ancora una cosa:

Buon compleanno
.

Shoko ripiega la lettera che tiene tra le mani. L'aveva scritta qualche giorno prima del ventesimo compleanno di Geto, ma il destinatario non l'aveva mai ricevuta.
Aveva impiegato giorni e giorni a mettere insieme quelle poche righe, senza trovar poi il coraggio di spedirle.
Non sa nemmeno perché l'abbia conservata. Almeno, non lo sapeva fino alla sera prima. Fino alla telefonata con Megumi.
Sbuffa una risata. Il ragazzino non è proprio in grado di mentire, è ovvio che non vuole vederla solo per la questione del matrimonio.
Sa cosa vuole davvero chiederle. Tanto vale che faccia il primo passo.
Prende il cellulare e si lascia sprofondare sulla poltrona più vicina.
Appoggia la nuca alla spalliera, sfregandosi gli occhi senza pensare che il gesto le è appena costato i dieci minuti passati davanti allo specchio nel tentativo di dare alla sua faccia un'aria meno sbattuta.
Ora avrà anche mascara ovunque.
Spera quasi di non trovare nessuno, a quel punto potrebbe prenderlo come segno del destino che lei dai questa questione deve rimanere fuori.
Non fa tempo a formulare il pensiero, che dall'altro capo il ragazzo prende la telefonata.
"Megumi, ieri volevi chiedermi di qualcuno?", inizia, levando il suo interlocutore dal fastidio di dover parlare per primo.
Le basta l'istante di esitazione dall'altro capo del telefono per avere la sua conferma.
Inspira, espira. Non può fare a meno di chiedersi perché diamine essere amica di Geto e Gojo anche dopo così tanti anni, resti così complicato.
"Se si tratta di Haibara, non credo di essere la persona più adatta per parlartene", riprende, facendo un lungo respiro prima di continuare.
"Ma posso portarti da lui".


Salve, scusate l'assenza, ma mi sono fatta perdonare postando un altro capitolo lunghissimo.
Cosa dire? Ecco il pov di Yuji che evitavo come la peste da tipo tre capitoli.
Curiosità: il pezzo musicale che ha ispirato la scena del locale, quando Sukuna immagina di inseguire dark Megumi 'fatto come una pigna' (direbbero in Scary Movie) è quello che fa da Ending al terzo episodio di Chainsaw man, Hawatari Niku Centi di Maximum the Hormone.
L'ho adorata e mi ha ispirato questa scena.
Sulla scena in cui Sukuna fa uso di droghe: è Sukuna, non può fare il bravo tutto il tempo.
Spero il capitolo vi piaccia.
Un abbraccio, Amy


Ps. Nessun offesa per chi ha tatuaggi come farfalle o fiori di sakura, li ha anche la sottoscritta 🤣 Pps. Se leggete sviste senza senso, ripassate domani, che dovrebbe essere corretto a mente più fresca.

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Capitolo 8
*** Terra chiama Megumi ***


Ijichi è un uomo morto. Peccato, si fidava di lui.
È abbastanza assurdo, con tutto quello che è successo, che sia questo il primo pensiero, nel momento in cui Gojo sente la porta dell'aula aprirsi alle sue spalle.
"Satoru..."
La voce di Suguru è poco più di un sussurro, appena udibile al di là del muro di musica che si è eretto attorno, alla barriera intaccata dal tradimento che ha appena scoperto di aver subito.
Gli viene quasi da ridere. Forse è davvero fottutamente melodrammatico come dicono.
Il sorriso, sfuggito al suo controllo per il tempo di un istante, si spegne prima che il nuovo arrivato abbia il tempo di coglierlo.
"Pensavo di aver detto in portineria di non far entrare nessuno..." , risponde, senza smettere di suonare, nemmeno troppo stupito da quanto suoni fredda la sua voce.
Non serve comunque a molto.
"... sai che se c'è qualcuno che fa più paura di te a quel pover uomo...", lo interrompe infatti Geto, con un sorriso da volpe stampato in viso.
Non che Satoru possa vederlo, dato che ancora dà le spalle all'altro, ma conosce abbastanza bene il compagno da sapere che quel sorriso è lì.
"È il mio tatuatissimo ragazzo...", conclude per lui.
"...e questo non fa che confermarmi quanto sia inetto".
"Non essere cattivo, Satoru..."

Non riesce a trattenere un ghigno.
Impeccabile, morale, integerrimo Suguru.
Alla fine passano gli anni, ma l'uomo resta sempre lo stesso ragazzo che gli faceva da bussola morale al liceo.
'Non si prendono in giro i più deboli, Satoru...'
'Aiuta gli altri, Satoru...'
'Non essere cattivo, Satoru...'
Di una cosa Gojo è certo: Suguru potrebbe iniziare un genocidio ed ergersi comunque ad eroe tragico intriso di onore e senso del dovere.
Eppure, per una volta non è lui ad avere il vantaggio morale nella litigata.
La sua terapista avrebbe qualcosa da dire a riguardo della sua gestione dei contrasti all'interno della coppia. Qualcosa che suonerebbe tipo che l'importante non è vincere. Che serve aprirsi alla comunicazione.
Stronzate.
Lui è Satoru Gojo, lui vince sempre.
C'è un problema però. In quello che le persone che lo circondano definirebbero il tipico sfoggio di arroganza di cui alcuni (tutti) lo accusano, non ha però tenuto conto di una cosa: l'effetto che ha su di lui la voce di Suguru.
Rassicurante come una carezza, placida come la pioggerellina che segue un acquazzone estivo.
Gli scalda il cuore, anche quando lui vorrebbe rimanersene nel freddo della sua ragione.
Anche quando cederebbe volentieri alla tentazione di restare barricato sul suo piedistallo, a crogiolarsi alla luce (fredda) dell'ammirazione che essere il migliore, sempre e comunque, gli assicura.
Anche se alla fine sa bene che se stesso è la peggior compagnia che possa avere.
Ma Suguru lo viene sempre a riprendere. Spera non smetta mai.

Termina il brano, prima di lasciar cadere il braccio che tiene l'archetto lungo il fianco e adagiare il violino nella custodia.
Sente Suguru muoversi verso di lui, le dita che scorrono gentili sul legno dei banchi.
Avanza piano, sembra tastare le acque. Solo quando è abbastanza vicino da essere certo che Gojo gli sarebbe già saltato alla gola se avesse voluto, si decide a parlare di nuovo.
"Mi hai lasciato in balia di due mocciosi...", cantilena con un tono tanto lamentoso da sfiorare il teatrale.
Sbuffa in risposta, incredulo. Il compagno vuole davvero prenderla così alla larga?
Non può negare di provare sentimenti contrastanti per la scena che si sono trovati davanti. Megumi, con... beh, deve ammettere che è abbastanza inaspettato.
Finge comunque disinteresse, prendendosi il suo tempo prima di rispondere.
"È il minimo... li hai buttati sotto una doccia fredda?"
"No, gli ho lasciato un paio di preservativi e sono uscito..."
Il silenzio in risposta a quello che si augura sia uno scherzo, deve essere abbastanza gelido da far riconsiderare a Suguru le sue parole, dato il passo indietro che arriva in pochi istanti.
Nonostante Gojo non stia ancora guardando, può quasi vedere le mani alzate in segno di resa.
"Colpo basso, scusa", riprende Geto, masticando un sorrisetto.
"Ho sequestrato le chiavi dello studio e li ho mandati a prendersi una birra..."
"Cosa sei venuto a fare, Suguru?"
Si volta appena, facendo un nuovo errore, cadendo ancora una volta nel tranello della sua eccessiva sicurezza.
Shoko direbbe che Satoru è davvero il peggior nemico di se stesso.
Se la voce di Suguru, il tono cadenzato con cui scandisce le sillabe del suo nome, sono miele, posare lo sguardo su di lui è sempre e comunque una gioia per gli occhi.
Rabbia a parte, si definisce un uomo onesto e oggettivamente deve ammettere che Suguru è bello. Non riesce a pensare ad un'epoca in cui la sua bellezza risulterebbe fuori luogo.
Anche così, scocciato, stanco, con odore di sesso addosso e scritta in faccia la voglia di farsi una doccia.
Anche così, tutto nell'uomo riesce a far sussultare Satoru, tanto da spingerlo a lottare con le unghie e con i denti per rimanere arrabbiato.
Un'occhiata basta per portarlo sul punto di mandare a quel paese il suo puntiglio, per riprendere con mani, bocca, lingua, quello che la sua mente e i suoi occhi hanno già ricominciato a fare.
Quando però Geto si lascia cadere su una delle sedie, con uno sbuffo che grida tutta la sua stanchezza e con le occhiaie scure che segnano il viso, Satoru sente che un brav'uomo potrebbe quasi impietosirsi.
Niente litigata, niente discussioni, soprattutto niente sesso.
Ma lui non si definirebbe né pietoso, né un brav'uomo.
Suguru non pare cogliere le sue intenzioni, almeno per il momento e alza lo sguardo su di lui, mentre ricomincia a parlare.
"Ho sbagliato a non affrontare il discorso con te..."
"Sì, lo hai fatto".
"Ma non sono pentito di aver..."
"Strano modo per essere dispiaciuto..."
"... parlato con Megumi, solo avrei dovuto..."
"Parlarne con me, prima?"
"Satoru pensi di riuscire a farmi finire una frase?"
"Farti finire la frase non era esattamente quello a cui stavo pensando..."
Geto lo guarda, inclinando il capo, improvvisamente più consapevole.
"Sei arrabbiato con me..."
Non è una domanda. È un'affermazione, ma si sente in dovere comunque di dare conferma.
"Lo sono..."
"Ma non stiamo per parlarne..."
Nemmeno questa è una domanda, ma la sua risposta si limita ad un ghigno.
"Satoru, sai che dovremmo trovare un modo di dialogare che non coinvolga il sesso?"
Fa spallucce. Apre con un ginocchio le gambe di Suguru e si piazza in mezzo.
Affonda una mano tra i capelli corvini e tira, forzando l'uomo ad inclinare la testa, fino ad incrociare il suo sguardo.
Sorride, mentre lascia scorrere sullo zigomo alto le dita che non sono impegnate a torturare il cuoio capelluto dell'altro.
"Possiamo fare a botte, se vuoi...", propone, il tono di chi forse sta scherzando o forse sta proponendo davvero un'alternativa plausibile.
"Come al liceo?"
"Come al liceo..."
Per un attimo gli occhi di Satoru perdono ogni traccia della malizia gelida, della finta gentilezza, del sottile spasimo al dominio e al possesso che sa di avere scritto in faccia, un appunto leggibile solo da Suguru, ma non per questo meno radicato.
Per un secondo, sorride con il cuore al ricordo di Suguru sedicenne, ancora incapace di non perdere i nervi davanti alle sue buffonate.
È solo un istante però, prima che si ricordi che questo Suguru sa gestirlo fin troppo bene. Che non solo questo Suguru gli ha mentito, anzi gli ha nascosto la verità (di nuovo), ma se lasciato libero di parlare cercherà di convincere lui e forse anche se stesso di averlo fatto per il suo bene.
Di tutti i modi in cui potrebbe sfogare la sua rabbia, il più sano, con buona pace di quello che la sua psicoterapeuta avrebbe da ridire a riguardo, o almeno, il potenzialmente meno pericoloso passa attraverso il sesso. Decide definitivamente di optare per quello.

"Quindi non vuoi proprio farti perdonare?"
Quando parla lo fa con il suo tono più gentile, indossando il suo sorriso più dolce.
Tutto però fa a pugni con la presa sempre più stretta sulle ciocche corvine del compagno.
La morsa delle dita sui capelli dell'altro non si allenta nemmeno di una briciola, obbligandolo a lottare per conquistare ogni centimetro per riportare il suo collo in una posizione appena più sopportabile.
Non ha rimpianti per il sibilo che sfugge a Suguru, sa cosa gli piace. E lasciare che lui giochi con i suoi capelli è una delle cose che preferisce, anche quando finisce per portarlo al limite del dolore.
Quando Satoru si ritiene soddisfatto, con una mano scende lungo il torace, facendosi spazio nello scollo della maglietta, mentre l'altra abbandona il ruolo di aguzzina e scivola a far leva sulla spalla, per dargli un po' di equilibrio mentre si sistema a cavalcioni sul grembo del compagno.
Si concede la soddisfazione di catturare l'istante in cui l'uomo trattiene il fiato.
Vuole sentire tutto di Suguru.
Il calore della pelle sotto i vestiti, il cuore che batte, i muscoli tesi.
Quindi scende, lento, sfilando la t-shirt nera, lasciando baci a bocca aperta su ogni centimetro di corpo che scopre.
Non morde, come vorrebbe, non graffia, come le sue mani tremano dalla voglia di fare.
Abbandona ogni segno della rabbia che gli scorre sotto pelle.
Da fuori potrebbe sembrare tenerezza.
Lui sa che quella che sta portando avanti è una tortura.
Conosce Suguru.
Conosce mille e uno modi per farlo impazzire.
Ne conosce anche di più per farlo pregare, anche se non pensa gli servirà ricorrere a molti di questi.

"Satoru..."
La voce di Geto esce come un sussurro, una richiesta. Vuole che si fermi?
Vuole che lo ascolti parlare? O vuole le sue unghie piantate sulla schiena?
Probabilmente non lo sa nemmeno lui o vuole fingere di non saperlo.
Satoru è abbastanza attento da notare come le dita dell'altro si contraggano, grattando il tessuto dei jeans che indossa, a soffocare l'istinto, il bisogno di afferrarlo, di affondare le mani nei suoi fianchi.
"Satoru noi dovremmo parlare...", riprova Geto, agitandosi sulla sedia e deglutendo a vuoto.
Peccato, pensa Gojo. A questo punto sa bene cosa vuole ed è abbastanza sicuro di non voler parlare.
Le sue dita abbandonano la presa sulla spalla, corrono lungo la clavicola, per avvolgersi al collo, stringendo abbastanza da lasciare per un attimo l'altro senza fiato.
"Ah ah, non so se voglio sentire altre bugie per sta sera...", ghigna, scuotendo la testa.
Il battito della giugulare dell'uomo sotto il suo palmo è così allettante, che vorrebbe sentirlo sotto la lingua.
Ma si trattiene.
Invece allenta la presa e prende il mento di Suguru tra le dita, approfittando del momento di calma per sfilarsi gli occhiali da sole che indossava fino ad un istante prima.
"Fammi vedere, quanto vuoi farti perdonare...", sussurra, così vicino che a dividerli sembra esserci solo una particella d'ossigeno, anche se pare infinita.
Mette qualche centimetro tra di loro. Non per concedere il sollievo, ma per incrociare lo sguardo dell'altro.
Per non perdersi l'istante in cui vedrà Suguru rassegnarsi, accettare come sconterà la sua pena, almeno per la prossima ora.
Guardarlo lasciarsi trascinare nel capriccio di un autoproclamato semi dio viziato.
Lo adora. È quasi catartico.
Quindi sfiora il guscio dell'orecchio, lasciando che il suo respiro accarezzi la pelle tenera del collo. È vicino, abbastanza perchè quello ha da dirgli possa bruciare ogni nervo.
"E non ti sognare nemmeno di essere gentile".
Ed è in quel momento che qualcosa nella stoica determinazione di Suguru si spezza.
Satoru fa appena in tempo a notare lo sguardo dell'altro scurirsi, prima di cantare vittoria sentendo il ringhio esasperato che segna la resa del compagno, mentre chiude la distanza tra loro e lo divora.

*

Sei giorni prima, mattina...


"Sei reale?"

"Puoi nascondermi?"

"Che cosa ci fai qui?"


Quando decide di arrendersi all'inevitabile, ovvero alzarsi, Megumi si mette seduto sul letto, una mano a grattare la tempia, l'altra a cercare di spegnere la fonte di rumore e fastidio che da almeno una mezz'ora cerca di ignorare, girando e rigirandosi nelle lenzuola come un ossesso: il suo telefono.
Deve essere nato nell'epoca sbagliata. Magari il periodo Heian sarebbe stato più adatto a lui? Ci si vede bene in abiti tradizionali. Un po' scomodi forse...
Peccato soprattutto per la mancanza di biancheria comoda e di medicinali.
In ogni caso gli smartphone non sarebbero stati inventati e l'assenza di antidolorifici non gli pare un contrappasso così folle, dato che forse non gli servirebbero.
Ora ad esempio non avrebbe bisogno di una pastiglia per il mal di testa, se praticamente tutta la sua famiglia non lo stesse assaltando via whatapp.
Escluso Geto, che comincia ad essere davvero il suo non parente, l'ennesimo, preferito.
Per il resto la casa è stranamente silenziosa e questo spiega perché il suo cellulare continui a vibrare dalla scrivania.
Cielo, perché non ha silenziato le chat prima di mettersi a dormire?
Cede definitivamente, lo schermo che si illumina sotto le sue dita, mentre lancia una veloce occhiata al numero inquietante di contatti che lo stanno stalkeran...cercando.
In cima alla lista, la sua versione bambina lo guarda con evidente fastidio, mentre cerca di liberarsi dall'abbraccio di una versione più giovane di Gojo.
Non aveva notato che l'uomo avesse di nuovo cambiato la foto del profilo.
Ma perché deve sempre usare foto tanto imbarazzanti? Almeno per lui...
Decide di levarsi il dente e aprire per prima la conversazione con il suo tutore.
Avvia il vocale e... sì pente al volo.
'Megu...'
Blocca la riproduzione, un brivido che lo attraversa, mentre le sue sopracciglia si aggrottano in un attimo di nervoso.
A quanto pare ha sopravvalutato la sua capacità di sopportazione del genere umano ad inizio giornata, perché non era davvero pronto per il tono squillante di Gojo.
Decide di concedersi ancora un attimo. Chiude gli occhi, respira profondamente, conta fino a dieci in via precauzionale e... via.
'Megumi~ chaaaan! Sono in aeroporto a prendere Mimi Chan e Nana Chan...'
Allontana il telefono dall'orecchio, chiedendosi se sia legale urlare tanto alle otto della mattina... e se lo sia usare così tanti vezzeggiativi.
'Comunque dopo che avremmo fatto una sorpresa così gigantesca a Suguru, che comincerà a piangere dalla gioia fino a vomitare dall'emozione...'
Megumi fissa incredulo lo schermo, chiedendosi cosa diamine non vada nella testa di Gojo e guardando quanto manca al termine del vocale.
Trenta secondi, può farcela.
'Potremmo vederci per quel pezzo?'
No. No. No  assolutamente no. La fronte gli fa ancora male dal giorno prima.
'Comunque prima andremo da...'
Interrompe, questa volta definitivamente, la riproduzione.
Decide di ignorare momentaneamente la chat di Mimiko ed a tempo indeterminato quella di Nanako. Tanto diranno le stesse cose del suo tutore e probabilmente lo faranno in coro.
Scorrendo le conversazioni, scopre che no, alla fine nemmeno Geto si è risparmiato dal contattarlo.
Il suo messaggio è breve, un vocale di pochi istanti per ricordargli di controllare che Gojo abbia impostato la lavatrice e dirgli di chiamarlo quando avrà risolto la questione di cui hanno parlato.
Liquida velocemente la questione: la lavatrice sarà sicuramente da programmare.
Decide che il resto sarà un problema del Megumi del futuro, almeno di quello del primo pomeriggio.

Si alza dal letto, avviandosi verso la cucina insolitamente silenziosa, mentre apre la chat con Tsumiki.
Sorride tra sé e sé, guardando la foto inviatagli dalla sorella: un selfie che la ritrae raggiante, con Demon Dog e Shinigami che trotterellano felici al suo fianco.
Ecco perché tanto spazio libero nel letto, ridacchia. Mentre cammina per la cucina deciso ad ignorare le restanti conversazioni, almeno non prima di aver bevuto il suo tè mattutino, una nuova notifica attira la sua attenzione sulla chat con Tsumiki.
Alza un sopracciglio, incuriosito, all'arrivo di una seconda foto.
Qualcosa nel suo stomaco si contorce, una sensazione che trova conferma quando Megumi apre l'immagine.
La ragazza ha il viso sporco di fango, l'espressione colpevole.
I cani sono totalmente coperti di terra.
La didascalia della foto recita: 'Tutti infangati. Siamo caduti'.
Impreca tra sè e sè, immaginando Demon Dog che trascina in giro sua sorella, cinquanta chili scarsi di ragazza, chiedendosi quanto questo scombussolerà la sua giornata.
A pensarci bene, è comunque una scusa per evitare Satoru e il suo dannato archetto.
Apre la rubrica, non fingendo nemmeno più di stupirsi a vedere il negozio toelettatura cani tra i contattati frequenti.
Se deve essere proprio sincero, non è che incidenti del genere capitino solo a Tsumiki.
Dopo un paio di squilli, la ragazza che gestisce il negozio risponde allegra. Sembra quasi che canti.
Come diamine si fa ad essere tanto allegri la mattina?
Il tono di voce all'altro capo del telefono diventa mortificato in poco più di un attimo: l'unico posto libero è per le due.
Cazzo. Punto primo: non ha più scuse per la mattina.
Punto secondo: è esattamente l'ora dell'appuntamento con Itadori e kugisaki.
Una parte di lui è sinceramente dispiaciuta di dover rivedere i suoi programmi.
Cerca di scacciare il pensiero che prende piede nella sua mente: la delusione che compare sul volto di Itadori.
Non vuole ammettere che forse è l'idea di disilludere le aspettative dell'altro a infastidirlo.
Vuole davvero incolpare la sua mania del controllo per il piccolo tarlo che si sente dentro e pensa che lo farà. È troppo presto per essere sinceri con se stessi.
Si ferma a riflettere a come aggirare il problema. Tsumiki probabilmente gli suggeribbe di invitarli, ma dove? A lavare due cani?
Sbuffa. Apre la chat con Yuji e inizia a parlare...

"Oh, terra chiama Megumi! Non hai risposto alla mia domanda..."
Le immagini nella sua testa si infrangono come una bolla di sapone, lasciando il posto al viso abbastanza scocciato di Sukuna, vicino, troppo vicino, perché diamine deve essere così vicino? che gli ricorda di non aver detto una parola in risposta.
Nessun altro, a parte lui, ha assistito al Nelle puntate precedenti andato in scena nella sua testa.
Ora, c'è un problema: Megumi ama il suo spazio personale.
È il suo posto felice, la sua zona di confort, il bastione della sua sicurezza, passato negli anni da una riproduzione fedele del Fosso di Helm a poco più di un fortino, a causa dei continui assedi a cui è stato sottoposto da Satoru, Tsumiki, le gemelle, Satoru, ora Yuji e Nobara e ha già detto Satoru?
Con il tempo però anche la sua famiglia ha imparato che c'è un confine inviolabile, una distanza, uno spazio fisico minimo che non vorrebbe vedere invaso.
Beh, tutti a parte Satoru, ovviamente.
Ora Sukuna, dopo l'iniziale momento di smarrimento, non sta violando la sua confort zone, la sta facendo praticamente a pezzi.
Palmi delle mani appoggiati sul lettino ad ingabbiarlo, viso spinto verso il suo.
"Che diamine ci fai qui?", quasi ringhia, evidentemente incapace di ripetere due volte la stessa domanda senza sembrare sul punto di scatenare una rissa.
È una domanda lecita, comunque, pensa Megumi. Peccato che anche lui ne abbia una.
"Perchè mi hai appena chiesto se io sia reale?"
Sukuna accusa il colpo, per il tempo di un istante.
"Un'allucinazione non sarebbe così saccente...", risponde, mettendo su un sorriso storto, che di sicuro non va a colpirgli dritto allo stomaco... O almeno Megumi non ha intenzione di ammetterlo.
Il ragazzo non gli lascia il tempo di pensarci, mentre si allontana per riprendere il bicchiere che aveva posato, sarebbe meglio dire schiantato, sul tavolino.
"Quindi rispondi alla seconda domanda", riprende, bevendo un sorso di caffè.
Megumi lascia ciondolare le gambe dal lettino, gomiti appoggiati sulle cosce e testa abbandonata sul palmo della mano.
"Risposta veloce?"
"Va bene anche quella..."
"Evito Gojo".
Sukuna ridacchia. Un suono sporco che assomiglia quasi più ad un ghigno, ma pare sinceramente divertito.
"Per quanto possa anche essere solidale in questo", puntualizza dopo un istante, "la sento solo io l'allegra riunione di famiglia nella stanza a fianco?"
La voce esageratamente alta di Gojo arriva puntale da oltre la parete, fastidiosa come sempre, ma capitando a proposito.
"Pensavo passassero da... beh, dovrei semplicemente ascoltare i messaggi per intero e..."
"Non mi sento di condannarti per non averlo fatto", fa spallucce il tatuatore, lanciando un'occhiata storta verso la porta. Nella stanza a fianco, Satoru sceglie quel momento per scoppiare in una risata.
"Puoi stare qui quanto vuoi, mi inventerò una scusa per usare un'altra cabina..."
Sukuna fa per uscire, ma appena arriva alla porta si ferma. Sembra riflettere per un istante, indeciso sulla direzione da prendere.
Guarda Megumi da sopra una spalla, scuote la testa, borbottando qualcosa tra sé e sé.
"Se ti facessi una terza domanda?"
"A questo punto... "
"Vuoi uscire con me?"

*

"Cazzo!"
Sdraiato sul materasso, Yuji impreca, le mani che corrono a coprire il setto nasale nel punto in cui il suo cellulare ha colpito, scivolandogli dalle mani mentre lo teneva sospeso a pochi centimetri dalla faccia e piombandogli sul naso.
Si sente in imbarazzo, sia per essersi fatto male in un modo tanto idiota, sia per come se si sente quasi fosse stato colto in flagranza di reato da Fushiguro.
È uno stupido, davvero. Alla fine era solo un sogno.
Un sogno in cui nemmeno riusciva a baciarlo davvero.
Si fa coraggio e ascolta il vocale.
Anche perché comincia davvero a scappargli tanto da andare a fare pipì e la sensazione della sua vescica che sta per esplodere gli impedisce di pensare razionalmente.
Senza contare che il naso comincia a fargli davvero male.
Nonostante tutto, non riesce ad impedire ad un sorriso di aprirsi sul suo volto mentre ascolta la voce di Fushiguro dare vita al suo telefono.
Bastano trenta secondi scarsi però, perché le sue labbra si stringano in un cipiglio deluso.
Il ragazzo probabilmente non riuscirà a raggiungerli oggi.
La motivazione gli sembra un po' una scusa, anche se l'altro non gli pare proprio il tipo da inventarsi frottole.
Lo conosce poco, ma qualcosa gli dice che se non avesse voluto vederli, si sarebbe semplicemente rifiutato senza troppe cerimonie.
Poi un' idea. Certo che... sarebbe troppo invadente?
Si rigira il cellulare tra le dira, frenetico. Sembra quasi che l'apparecchio scotti fra le mani.
Non riesce a decidersi, apre e chiude la chat con Fugushiro, passando una decina di minuti buoni a iniziare messaggi e vocali che non invia.
Lancia il cellulare sul cuscini e si lascia cadere sul letto, il viso affondato nel cuscino.
Il caffè preparato da Sukuna sta decisamente diventando freddo. Diamine, una volta che il fratello si è degnato di prepararlo.
Deve venirne a una. Scorre la rubrica, fino al contatto di Kugisaki.
Se qualcuno può incoraggiarlo, quella è lei.
Se qualcuno può dirgli che quella che sta per fare è una cavolata, è comunque lei la persona giusta.
In ogni caso, la ragazza non si tratterrà dal dargli un parere sincero e spontaneo. Forse troppo spontaneo.
Uno, due, tre squilli.
"Itador..."
"Sei una persona da cani?"
Per chiunque sarebbe una domanda stupida. Non per Nobara.
"E chi non lo è?", risponde la ragazza senza troppa esitazione.
"Junpei. Secondo me lui preferisce i gatti...", ribatte lui, chiedendosi perché gli sia spuntato in mente l'altro ragazzo. Per la seconda volta da quando è sveglio, ad essere sincero.
Deve coinvolgere anche lui?
Sì, non vede perché no. Chiamerà assolutamente anche lui.
"Probabile. Perché me lo chiedi?", incalza l'amica dall'altro del telefono.
Sorride, improvvisamente sicuro di sé.

"... ti va di andare a far il bagnetto a due cani lupo?"





Ok, questa volta ci ho messo davvero, davvero, davvero un sacco. Eviterò di tediarvi con i motivi del mio assurdo ritardo che finirei solo per annoiarvi, mi limito a scusarmi 😅
Metteteci anche di mezzo che se un capitolo non piace a me, do per scontato che non piacerà manco a voi, quindi preferisco ritardare che mettere giù qualcosa che non accontenti nemmeno la sottoscritta.
Detto questo, vi abbraccio e spero di riuscire a lanciare il prossimo capitolo in tempi umani.
Ps. Se volete un'idea dell'espressione che fa Satoru mentre seduce/malmena quell'altro pazzo di Suguru, andate a vedere quando sorride tutto caruccio a Jogo prima di staccargli la testa nella prima stagione.
La scrittura di questa scena mi è costata un mesetto a sentire e risentire "L'odore" e "Veleno" dei Subsonica, apprezzate lo sforzo.
Ancora un abbraccio Amy

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