Diario di chi non sa parlare

di elenatmnt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Note dell'Autrice:

Ciao a tutti! Inizio col dire che è la prima volta che scrivo un'originale, ho provato a uscire dall mia comfort zone delle fanfiction... ed eccomi qui!! Spero vi piaccia :)
Questa storia partecipa alla challenge "A summer of secrets" del gruppo FB Hurt/Comfort Italia.


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DIARIO DI CHI NON SA PARLARE

Parte 1


 
Moonville, 19 Settembre 2045

Caro diario,
io sono Oliver Seymour e qui nella mia fattoria va tutto bene, una meraviglia.
Ti saluto.

*****
 
 
Moonville, 23 Settembre 2045
 
Caro diario,
oggi gli unicorni svolazzano sopra la mia fattoria, il mio campo di mais è più dorato che mai e gli uccellini cantano inni di gioia.
Alle volte non so nemmeno perché scrivo ‘ste cazzate.
Fottiti diario.
 
*****
 
 
Moonville, 29 Settembre 2045
 
Caro diario del cazzo,
è da un po’ che sono costretto a scriverti le solite righe di merda… ma sai, devo seguire questa terapia del cazzo che mi è stata imposta da quello stronzo dello sceriffo. E lo avrei già preso a cazzotti se non fosse mio amico. Dice che lo fa per il mio bene, che questa terapia forzata con quella vecchia rompicoglioni della Dottoressa strizzacervelli Callagan farà tornare a battere il mio cuore di pietra.
La verità, diario, è che io non credo in questa stronzata… ma la strizzacervelli è la conseguenza migliore al mio dare di matto di due settimane fa, dove ho quasi buttato giù un intero locale. Sarei al fresco se non fosse stato per mio fratello Gabriel e per Raphael lo sceriffo di questo posto dimenticato da Dio.
Ci vediamo stupido diario.
 
*****
 
Moonville, 2 Ottobre 2045
 
Caro diario,
non ci crederai ma oggi sarò meno ostile con te. Ho una voglia matta di parlare con qualcuno, dunque, ti concedo questo onore.
Credo che oggi, per la prima volta in vita mia, ho provato pena per mio fratello Gabriel.
Pecora non è stata tanto bene… se non ti fosse chiaro, Pecora è il nome della mia unica pecora; che ci vuoi fare se non ho fantasia coi nomi?
Ti dicevo che Pecora non è stata alla grande oggi e naturalmente ho chiesto a Gabriel di visitarla.
 
È andato nel panico.
 
Non ha fatto niente. Insomma… Pecora non c’è più.
Non lo biasimo, gli ho chiesto troppo. So che soffre per ciò che gli è successo anni fa; ha subito un trauma che non riesce a superare.
Forse non lo sai, Gabriel era un rinomato veterinario ed un paio di anni fa è stato coinvolto in un vero e proprio imbroglio.
Per non cadere in fallimento, un fattore della zona ha avvelenato di proposito il proprio bestiame per accaparrarsi i soldi dell’assicurazione e, per salvarsi il culo, ha accusato mio fratello di essere stato superficiale su una diagnosi riguardo una mucca malata, che ha finito per contagiare tutto il bestiame.
Per poco mio fratello non è finito in carcere, lo ha evitato rinunciando per sempre alla sua professione di veterinario e… non l’ha presa bene.
È come se, nonostante sapesse di essere innocente, si fosse autoconvinto del contrario.
 
Non so perché.
 
Tutti sapevano della sua innocenza, eppure nessuno si è osato dire la verità perché il bastardo che ha congeniato il piano era in stretti rapporti con la mafia.
Gabriel era il migliore nel suo lavoro, esercitava in tutte le fattorie limitrofe ed era stimato da tutti, a differenza di me che sono visto come il matto del villaggio.
 
Ma il destino e la vita sanno essere delle merde quando ci si mettono.
Vive con me da allora e portiamo avanti la fattoria di famiglia. Qui facciamo per lo più gli eremiti. Io sono il colosso scorbutico e stronzo, Gabriel invece è il tipo tranquillo e di bell’aspetto. Hai presente Clark Kent? Come lui, identico, super poteri a parte ovviamente.
Oggi sta veramente di merda, si incolpa per la morte di Pecora; se avesse almeno provato a salvarla, dice lui, forse ora sarebbe ancora viva...
 
*****
 
 
Moonville 13 Ottobre 2045
 
Diario…
Oggi è l’anniversario della morte di mia moglie Karen e di mio figlio Lucas. Fa male, tanto. E questo è quanto, di più non so che dire.
Stammi bene Diario.
 
*****
 
 
Moonville 20 Ottobre 2045
 
Ehi Diario!
Come va vecchio pezzo di carta?
Sono le 4:12 di mattina e oggi scriverò qualcosa di più interessante, qualcosa in cui io stesso stento a crederci. Ed è la ragione per cui ho deciso di mettere tutto nero su bianco, per accertarmi che questo non sia solo un sogno e io non stia diventando pazzo.
 
Ma cominciamo dall’inizio.
 
 
Come tutte le mattine, dopo aver fatto una dignitosa colazione, Gabriel è andato ad aprire la valvola per annaffiare i campi e io sono andato nel capannone a prendere la mia attrezzatura; un dettaglio molto strano ha catturato subito la mia attenzione: macchie di sangue sul suolo che tracciavano un sentiero verso il fienile.
Non ho perso tempo, ho afferrato il primo oggetto capitato a tiro per difendermi, un rastrello da tipico contadinotto e mi sono avviato verso le misteriose macchie. A ridosso dell’enorme entrata del fienile mi sono fatto coraggio e ho affrontato la strana situazione.
 
 
“Chi va là? Chi c’è nella mia proprietà? Fatti vedere!”
 
 
Nulla, nessuna risposta; me lo immaginavo.
 
Così sono entrato ed ho indagato di persona; ho messo a soqquadro l’intero fienile, quando un rumore simile ad un lamento ha attirato la mia attenzione. Mi sono diretto verso il suono e mi sono reso conto che nascosto nella paglia c’era qualcuno.
 
 
“Ti ho scoperto, vieni fuori, è l’ultimo avvertimento!”.
 
 
L’intruso non ha ubbidito; a quel punto, ho perso la pazienza e con furia crescente mi sono catapultato sul cumulo di paglia e ho iniziato a toglierla via.
 
È stato lì che l’ho visto.
 
Un ragazzino ridotto ai limiti della dignità umana, giacere ferito e sanguinante in quel mucchio di paglia.
Il cuore mi è arrivato in gola.
 
 
“Oh cazzo!”.
 
 
Era debole, ma estremamente vigile e, nonostante le sue pessime condizioni, si è mostrato ostile.
D’istinto ho lanciato via il rastrello e ho alzato le mani in segno di resa.
 
 
“Ragazzino… Non voglio farti del male, voglio solo aiutarti”.
 
 
Mentre ho cercato di avvicinarmi, lui ha ringhiato come un animale.
Certo avrei potuto prenderlo con la forza, ma credo che quella povera anima ne avesse già passate di tutti i colori; volevo guadagnarmi la sua fiducia anche se sapevo di non avere molto tempo, il ragazzino continuava a perdere sangue e non capivo nemmeno quante e quali tipo di ferite avesse, sapevo solo che dovevo sbrigarmi.
 
 
“Ti porto una prova che sono in buona fede… siamo d’accordo ragazzo?”
 
 
Figurati se mi ha risposto.
Ho corso immediatamente verso casa, ho afferrato una bottiglia d’acqua e sono tornato da lui che non ha perso tempo: durante la mia maratona, il ragazzo ha provato a tirarsi su, ma deve aver miseramente fallito perché l’ho trovato sdraiato prono che piagnucolava di dolore.
 
 
“Cosa stavi cercando di fare? Sei messo male figliolo. Lascia che ti aiuti”.
 
 
Senza pensarci mi sono inginocchiato accanto.
Lui si è tirato a fatica sui gomiti e mi ha rivolto nuovamente lo sguardo, sempre minaccioso; solo che a differenza di qualche istante prima, questa volta aveva il viso solcato da lacrime. Mi ha scrutato da capo a piedi finché la sua attenzione non è caduta sulla bottiglia. Non si è osato chiedermela, ma quando gliel’ho offerta in segno di tregua, l’ha afferrata con quelle che erano le ultime forze e l’ha bevuta.
L’ho guardato e avevo un milione di domande.
 
Chi è? Da dove è sbucato? Che cosa gli è accaduto?
 
Mentre la mia testa formulava mille quesiti, la bottiglia è scivolata via dalle sue mani perché non aveva più la forza di reggerla e improvvisamente è cascato in avanti. Non ho fatto in tempo ad evitarlo.
 
Era sveglio, seppur stremato.
Ciò che mi ha impressionato, è che nonostante la sua condizione è rimasto lucido, non ha permesso al dolore e alla debolezza di prendere il sopravvento. E per quanto i suoi occhi grigi gli ubbidissero, il suo corpo, diversamente aveva iniziato a tradirlo.
A quel punto ho ignorato la sua avversione nei miei confronti.
Non ha opposto resistenza quando l’ho rigirato su sé stesso mettendolo supino, il suo astio verso di me si era leggermente calmato. È stato in quel momento che ho visto bene come era conciato.
Un vero schifo.
 
 
“Per tutti i diavoli dell’inferno!”.
 
 
Non mi era chiara la gravità delle sue ferite perché erano avvolte da pezzi di stoffa strappati via dalla propria maglia, tuttavia ero certo che non erano ferite blande, vista la quantità abbondante di sangue che strabordava da esse.
Gli ho messo una mano sulla spalla desta che sembrava non avere lesioni e ho creato un contatto fisico per infondergli fiducia.
 
 
“Ragazzino, hai bisogno di cure urgenti. Giuro che voglio solo aiutarti. Permettimi di darti una mano”.
 
 
Mi ha fissato negli occhi per un po’ di secondi.
Silenzio.
 
 
“Chiamo l’ambulanza e saranno qui al più presto”.
 
 
Lui ha spalancato gli occhi spaventato, poi è ritornato nel suo atteggiamento aggressivo.
 
 
“No…”
 
 
La sua risposta è stata un rantolo, ma almeno aveva parlato.
In quell’unica parola ho compreso tre cose: parlava la mia lingua, mi capiva e sapeva parlare. Un bel progresso.
Rettifico diario, quattro cose… si stava nascondendo e dovevo capire il motivo.
 
 
“Perché non vuoi che chiami l’ambulanza?”
 
 
Non mi ha risposto, ma ha volto il suo sguardo verso il proprio braccio come ad indicare qualcosa. Il simbolo dei ribelli marchiato a fuoco non lasciava dubbi.
 
Il ragazzino era un fuggitivo.
 
Una mostruosità che uomini fanno ad altri uomini.
 
 
“D’accordo ragazzo, non chiamo nessuno. Ci penso io a te, ok? Ora posso portarti in casa? Hai bisogno di un posto pulito per delle cure”.
 
 
Nessuna reazione, se ne stava sulla difensiva.
 
 
“Ho capito che sei un duro, ti fa onore. Ed è giusto che non ti fidi del primo che ti capita a tiro. Ma ragiona, stai perdendo troppo sangue… lo capisci che rischi la vita?”.
 
 
Ci ha pensato a lungo finché con un lieve cenno della testa ha acconsentito di farsi aiutare.
 
 
“Forse ora sentirai male, ma devo portarti via da qui”.
 
 
L’ho sollevato, non pesava niente.
So di avergli fatto molto male, ma credimi sulla parola Diario, quasi non ha emesso un suono, si è limitato a stringere pugni, bocca e occhi.
Tra le mie braccia si è concesso il lusso di lasciarsi andare; tutta l’adrenalina che aveva in corpo lo stava abbandonando lentamente e diventava sempre più debole.
Ho temuto che non sarebbe arrivato vivo alla porta di casa.
 
 
“Karen, Lucas… vegliate su questo ragazzo”.

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Note dell'autrice: 
Ciao a tutti! Con questo capitolo si conclude la mia prima esperienza con le storie originali, spero vi sia piaciuta. Io mi sono divertita tanto a scriverla e sono sicura ci rivedremo presto, per ora vi auguro buona lettura<3
elenatmnt

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Correndo verso casa, ho visto Gabriel tornare; un colpo di fortuna ogni tanto capita anche a me!

 
“Gabriel!! Corri, muoviti, vieni qui!”.

 
Lui ha guardato me, poi il ragazzo tra le mie braccia e non ha avuto nemmeno il tempo di razionalizzare.

 
“Ma… come… cosa?”
“Gab, non c’è tempo! Libera il tavolo della cucina, lo cureremo li. Sbrigati!”.

 
 
 
Ha capito che non c’era tempo per le domande e subito mi ha obbedito.
 
Entrato in casa, il ragazzo ha mosso gli occhi avanti e indietro, ha osservato, studiato ciò che lo circondava, ma il suo corpo era sconnesso dalla propria volontà. L’ho posato sul tavolo e ho pregato che Gabriel rimanesse concentrato sul da farsi. È lui il dottore non io.

 
“Ehi ragazzo, ora ti rimettiamo in sesto, ok? Sentirai un po’ di dolore, ma prometto che saremo veloci”.

 
Non ho avuto una chiara idea di cosa dire, volevo rassicurarlo, cosa praticamente impossibile visto ciò che ha passato e ancora doveva subire.  Lui ha annuito, nonostante la mia affermazione sapesse tanto di cazzata.
Veloce. In cosa poi? Veloce nel non farlo penare? Come se ci fosse un limite di tempo alla sofferenza.

 
“Gab che devo fare?”.

 
Mio fratello era già nel panico, so che l’ho messo ancora una volta alle strette, ma c’era in ballo la vita di un ragazzo questa volta.
 

“Oliver… ti prego…”.
“Ehi Gab, guardami. Guardami!”.

 
D’istinto gli ho preso la testa tra le mani, avevo un bisogno disperato che lui rimanesse razionale; più delle mie parole, dovevano parlare i miei occhi. Lui ha sempre saputo vedere dentro le persone.

 
“So che è difficile, ma ce la puoi fare. Questo ragazzo ha bisogno del nostro aiuto e ne ha bisogno adesso. Non ti lascio fare tutto da solo, ma è necessario che gli curi le ferite”.
“Oliver, non possiamo chiamare un’ambulanza? Perché dobbiamo medicarlo in casa?”
“Perché è… è… un fuggitivo”.
“Un fuggitivo? Ma sai cosa rischiamo?”.
“Lo so fratello. Lo so bene. Ma consegnarlo significa che morirà. È questo che vuoi?”.
“Certo che no! Però…”.
“Gabriel. Non ho potuto salvare la mia famiglia. Ora ho l’opportunità di salvare almeno questo ragazzo. E lo farò. Con o senza di te”.

 
Si è staccato da me, sembrava confuso. Non so cosa ha pensato in quei pochi secondi che mi sono sembrate ore, so solo che ha reagito.
 

“Prendi una forbice e taglia i vestiti all’altezza delle ferite e togli via quelle blande fasciature. Io prendo il mio kit medico”.
 

Questo è mio fratello, dopo anni lo riconosco.
 
Ho tagliato come ho potuto il tessuto e più in fretta possibile, il ragazzino è rimasto a torso nudo e con pantaloni tagliati di lungo dalle caviglie all’inguine. Si è fatto fare qualsiasi cosa senza battere ciglio. O si stava fidando o proprio non ce la faceva più.
Diario, credimi sulla parola, non è stato un gran bello spettacolo.
 

“O Dio onnipotente! Che porca puttana gli hanno fatto?”.
 

Gabriel deve essere rimasto veramente sconvolto per aver dato in escandescenza in quel modo, quello sboccato sono io di solito.
 
Il ragazzino è stato colpito da diverse pallottole. Una gli ha lacerato il braccio sinistro, una seconda gli ha preso di striscio il fianco destro, ma almeno sembrava più lieve rispetto alle altre; e una terza gli ha colpito la gamba, questa purtroppo giaceva ancora nella sua coscia.
Per il resto, era livido, pieno di graffi e piccole ferite; alcune fresche altre in via di guarigione.
Forse c’è un motivo ben preciso per la sua resistenza fisica.
È abituato al dolore.
 

“Cosa devo fare Gab?”
 

Con meticolosità si è preparato quello che sembrava il tavolo di un chirurgo. Lo dicevo che sa il fatto suo.
Mi ha preso in disparte in modo che il ragazzo non potesse sentirci, non credo che ci avrebbe sentito ugualmente, ormai era più incosciente che lucido.
 

“Tienilo sveglio più possibile e inumidiscigli la fronte con dell’acqua fredda. Ha la febbre, dobbiamo abbassargli la temperatura”.
“Ok!”.
“Oliver…”.
“Si?”
“Dobbiamo prendere in considerazione l’idea che non sopravviva, è conciato davvero male, è un miracolo che abbia resistito fino a questo momento”.
“Ce la farà fratello! È forte. Io lo so, lo sento”.
 

Ho letto nei suoi occhi il dispiacere, ero consapevole che il ragazzo vagava tra la vita e la morte. Forse mi sono illuso, forse no. Però, per una volta, mi sono voluto aggrappare alla speranza.
Sai Diario, se solo ieri mi avessero detto che mi sarei affezionato in così poco tempo ad un altro essere umano, gli avrei risposto che sarebbe stato più facile che cascasse la luna.
 
Ho immerso il panno nell’acqua fredda e l’ho posato delicatamente sulla fronte del ragazzo.

 
“Ehi, figliolo, vedrai che andrà tutto bene, mio fratello Gabriel è il miglior veterinario… ehm dottore… di tutta la zona”.
 

Mi sono sentito quasi ridicolo, tuttavia ho dovuto trovare un pretesto per tenerlo sveglio. Mi sono appellato ad una conversazione banale.
 

“Come ti chiami ragazzo?”.
 

Mi ha guardato e ho letto nei suoi occhi grigi tutto il suo tormento e il suo dolore. Ha provato a rispondere in un sussurro. Non è riuscito a completare la parola.
 

“Is…s…m…”
“Ok, ok. Non sforzarti. Me lo dirai più tardi”.
 

L’ho osservato studiandone tutti i particolari. Non avrà più di quattordici anni. Occhi di ghiaccio, pelle chiara, lentiggini, capelli castani tendenti al rossiccio, abbastanza alto. E una quantità inestimabile di cicatrici.
Un urlo agghiacciante è uscito dalle sue labbra quando Gabriel ha iniziato a medicarlo, è stato colto impreparato a quel dolore.
 

“Soffrirà parecchio, Oliver. Mi dispiace”.
“Non hai anestetici o qualcosa che non lo faccia patire in questo modo?”.
“No fratello. Molti medicinali e attrezzature le avevo vendute tempo fa. Ho ancora qualcosa, ma gli anestetici non sono tra questi”.
“Sono certo che resisterà. Fai ciò che è necessario per salvargli la vita”.
“Inizierò a disinfettare e suturare le ferite aperte. La pallottola fa da tampone e per ora, la ferita nella coscia non sanguina come queste altre, la lascio per ultimo”.
 

Rivolgendo nuovamente lo sguardo al ragazzino, ho visto che non mi ha tolto gli occhi di dosso e con un quasi impercettibile segno della testa, ha acconsentito. È stato il suo modo di dire che questa volta era pronto.
Non ho potuto fare nulla se non stringergli la mano per infondergli un po’ di conforto; di coraggio ne ha avuto tanto, anche più di me.
Gabriel ha pulito la ferita con alcol puro, chiunque altro avrebbe strillato, io per primo lo avrei fatto e invece ho sentito la mia mano essere stritolata da quella del ragazzo che ha chiuso ermeticamente gli occhi e la bocca e respirava in modo irregolare. A parte qualche lieve gemito, non ha emesso fiato.
 

“Ragazzo così andrai in shock, qui intorno non c’è nessuno. Se vuoi urlare fallo, nessuno ti biasimerà per questo”.
“N…no… io… s..sop..por..to…”.
“Allora respira con me. Respiri regolari. Prova”.


Ha aperto gli occhi, ma non mi ha lasciato la mano. Si è impegnato, nonostante tutto, ad ubbidirmi. Una tenacia così non l’ho mai vista.
 

“Bravo, così. Stai andando alla grande…”
“Is…Is…mael…”.
“Ismael?”
“S…i…”
“Ti chiami Ismael?”
“S…si”.
“Bel nome. Sei molto bravo Ismael, hai una grande forza”.
 

A quel punto mi ha sorriso. Non ne ho idea del perché. Probabilmente perché l’ho chiamato per nome o forse era felice delle mie parole, come se fossero una gratificazione per lui.
Ci sono voluti ancora parecchi minuti e tanta forza d’animo prima che Gabriel finisse di medicare le prime due lesioni.
 

“Oliver. Le ferite al fianco e alla spalla sono a posto, per ora. La ferita alla spalla mi ha dato più problemi, lascerà un bel segno però non ha intaccato nessun punto vitale e non ha fatto infezione per fortuna”.
“Bene”.
 

Ho tirato un sospiro di sollievo che non era destinato a durare a lungo.
 

“Ora devo estrarre la pallottola dalla coscia, ho bisogno del tuo aiuto”.
“Cosa devo fare?”.
“Devi tenerlo il più fermo possibile, altrimenti rischio di causargli altri danni. Questa volta sarà più complicato”.
“Capisco”.
 

Lo ammetto, avevo una paura tremenda di fare qualcosa di sbagliato; c’era la vita di un ragazzo in ballo.
 

“Ora Ismael, devo lasciarti la mano. Devo aiutare Gabriel, tieni duro ancora un po’, è quasi finita, te la stai cavando alla grande”.
“Gr…a…zi…e…”.
 

Tu credi nei miracoli Diario? Certo che no, sei un pezzo di carta. Se può farti stare meglio, nemmeno io. Eppure, per la miseria, quel bambino stava compiendo un miracolo e l’ha compiuto con una sola parola balbettata e impercettibile.
Quel ragazzo sconosciuto trovato per caso nel mio fienile ha fatto tornare a battere il mio cuore di pietra. L’ho guardato e mi è tornato in mente mio figlio Lucas.
Ismael non è mio figlio e lo conosco da nemmeno un giorno… allora perché gli voglio già bene?
Questo lo sai solo tu. Che rimanga tra me e te.
 

“Non devi ringraziarmi figliolo. Ora ho solo bisogno che tu resista, ancora per poco”.
 

Mi sono sfilato la cintura dai pantaloni e gliel’ho messa tra i denti.
 

“Mordi questa, butta qui il dolore”
 

Ho premuto con tutta la mia forza sulla gamba per saldarla bene al tavolo, era l’ultimo guizzo di dolore per un povero ragazzo innocente.

 
“Io ci sono Gabriel. Quando vuoi!”.
 

Mio fratello ha affondato il bisturi nella ferita di Ismael e, diversamente da prima, le cose sono andate in modo diverso. Ismael ha morso con forza finché non ha iniziato ad urlare; non ne poteva proprio più, oppure ha capito che nessuno lo avrebbe giudicato per questo.
Mi ha straziato il cuore sentire la disperazione nelle sue grida; Gabriel nonostante questo, è rimasto impassibile, ha mostrato la prontezza di spirito in una situazione disperata.
 

“Ce l’ho fatta! Ho allargato la ferita, vedo bene la pallottola, posso estrarla”.
 

Insieme abbiamo guardato Ismael che era sveglio, maledettamente vigile anche se i suoi occhi avrebbero voluto chiudersi.
Le lacrime gli hanno solcato il viso, il respiro sembrava mancargli e tremava visibilmente.
 

“Gab… credi che…”
“Ce la farà Oliver. È forte! Tienilo fermo finché non tiro fuori la pallottola e poi occupati di lui come prima. Ha bisogno non solo di aiuto fisico, ha bisogno di supporto morale”.
 

Strano che tra i due è toccato a me il ruolo del sentimentale; anche questo non lo avrei mai detto.
Gabriel ha afferrato un paio di pinze e con determinazione le ha inserite nella ferita, voleva tagliare corto a quell’agonia infinita.
Ismael ha strepitato affondando nuovamente i suo i denti nella cintura di cuoio; il dolore era maggiore e non riusciva più a reggerlo; così ha iniziato a muoversi ed agitarsi a rischio di peggiorare la situazione.
 

“Accidenti Oliver, si sta muovendo troppo, così non riesco ad estrarre la pallottola e rischia di farsi saltare i punti alle altre ferite!”.

 
Ismael era esausto.
Il sudore gli solcava la fronte, le lacrime gli rigavano il viso e un rivolo di saliva cadeva dalla sua bocca.
Un ragazzo, solo un povero ragazzo.
Ho mollato la presa sulla gamba e mi sono accostato come poco prima, solo che Ismael ha preceduto qualsiasi cosa avevo intenzione di fare; ha allungato una mano verso di me, come per chiedermi aiuto, come fossi suo amico da tutta una vita, cercava protezione.
Ho stretto la sua mano nella mia e con l’altra gli ho accarezzato la testa.
 

“Ehi sono qui ragazzo”
“B..ba…sta… dolo…re”.
“Nessuno qui vuole che tu soffra e stai dando prova di un’immensa forza nonostante la tua età. Ti chiediamo ancora un piccolo sforzo. Hai una pallottola nella coscia e dobbiamo estrarla. Non ti mentirò, farà malissimo, però ti prometto che sarà l’ultima volta che soffrirai. Ok?”.
“Per…ché? P…per..ché? Perché? Perché? Perché?”.

 
Ha iniziato a gridare e a piangere, strillando quell’unica domanda.
Non lo chiedeva a me, non lo chiedeva a Gabriel; lo chiedeva al mondo, al destino, all’umanità.

Ha ceduto.
In fondo è poco più che un bambino, fino a che punto gli si poteva chiedere di resistere? E resistere a cosa? Alla miseria, alla disperazione, all’ingiustizia, alla disuguaglianza…  A cosa?
 
L’ho avvolto delicatamente in un abbraccio e l’ho lasciato sfogare qualche secondo. Mi ha stretto con poca forza, era tutta quella che aveva.
 

“Mi dispiace ragazzo, mi dispiace per tutto”.

 
Nelle mie braccia si è calmato, ha smesso di gridare, ma non ha trattenuto le lacrime. È stato giusto così. Sentivo il tremore del suo corpo, il suo sgradevole odore di chi non aveva nemmeno l’acqua per lavarsi, la pelle lercia di sangue e fango, la scanalatura delle ossa decisamente percettibile su un corpo denutrito, la paura di chi ha dovuto fuggire per tutta la vita.
E ancora mi ripetevo… è solo un ragazzo.
 
 
“Oliver, non possiamo aspettare oltre…”.
 

Mio fratello non desiderava essere insensibile, era solo preoccupato per il tempo che giocava a nostro sfavore.
Senza staccarmi dall’abbraccio ho sussurrato una promessa, un giuramento solenne.
 

“Ehi Ismael ascoltami. Qualsiasi cosa accadrà d’ora in poi, non sarai più solo. Io sarò qui con te”.

 
Un lungo silenzio.
Con fatica si è staccato dall’abbraccio e mi ha fissato negli occhi; quello era il sigillo di un giuramento.

 
“Gab, penso sia meglio che io gli resti accanto. Sono sicuro che non sarà necessario bloccargli la gamba”.
“Ne sei sicuro?”
“Assolutamente”
“Ho capito Oliver. Procediamo”.

 
Mi sono riseduto accanto a Ismael, gli ho rinfrescato nuovamente la fronte con il panno e gli ho stretto la mano.

 
“Sei pronto Ismael?”
“S…si…”.

 
A quella parola Gabriel ha reinserito le pinze nella ferita e come mi aspettavo, il ragazzo ha fatto di tutto per non muoversi. Ha trattenuto qualsiasi lamento, mi ha quasi frantumato la mano tanto me l’ha stretta, ma alla fine ce l’aveva fatta. La pallottola era fuori.

 
“Hai visto piccolo, sei stato molto bravo”.
“Br…a…vo”.

 
Ed in quel momento… solo in quel momento, all’ultimo guizzo di dolore, ha chiuso gli occhi.
 
 
Sono impallidito all’istante.

 
“Ismael? Ismael! Ismael!”.

 
 Gab si è avvicinato mettendogli le dita sulla giugulare, allarmato dal mio atteggiamento.

 
“Oddio Oliver, che spavento! Stai tranquillo è solo svenuto. È del tutto normale, anzi strano che non l’abbia fatto sino ad ora. Ad ogni modo non ti do la certezza che sia fuori pericolo, ha troppe ferite e anche la febbre. Ora possiamo solo aspettare e vedere come reagisce, nel frattempo gli somministrerò degli antibiotici”.

 
Non ho tolto gli occhi da Ismael nemmeno per un secondo.
 

“Senti Oliver… comunque vada, abbiamo fatto tutto il possibile. Ora possiamo solo pregare”.

 
Pregare? L’ho fatto Diario. Ero convinto di non credere più in Dio, eppure ho pregato di salvarlo. Ho supplicato e ancora prego.
Gab mi ha detto che se supera la notte, forse può farcela. Ora sono qui che aspetto l’alba e non lascio la mano di Ismael. Lui si sveglierà, lo farà e voglio esserci quando accadrà.
 
Sei un amico silenzioso Diario e ti ringrazio per questo. 
Ci vediamo vecchio pezzo di carta. 
 
*****
 
Moonville, 10 Novembre 2045

Come va Diario?

Sono stato un po’ assente, ma sai, con un figlio che dal nulla ti piomba in casa è difficile avere il tempo per tutto.
Volevo solo dirti che Ismael si è ripreso alla grande, non è stato semplice però è caparbio e ce l’ha fatta.
Nessuno è venuto a cercarlo, secondo me credono sia morto e questo è un bel vantaggio; ad ogni modo non voglio rischiare, così ho iniziato le pratiche per l’adozione. Sai, avere uno sceriffo per amico ha i suoi vantaggi; oltre ad aiutarmi con le scartoffie ha messo in giro la voce che Ismael è il figlio di un nostro cugino morto in un incidente insieme alla moglie, così Ismael è rimasto orfano ed è venuto a vivere con i suoi procugini molto più grandi.
I pettegolezzi sono sempre efficaci e nessuno indaga mai sulla veridicità.

Gabriel è un ottimo zio, fanno tante cose insieme, soprattutto occuparsi del bestiame. Pare che mio fratello stia recuperando più fiducia in sé stesso da quando Ismael è entrato nella nostra vita; ha capito che è più di quello che gli altri gli hanno portato a credere.

Ismael non mi ha raccontato nulla su ciò che gli è accaduto, da dove viene, se ha una famiglia e milioni di altre domande. Non voglio pressarlo, se vorrà mai parlarmene, io sono qui per lui.

Tante volte ho detto che la vita è una merda, che ti tradisce e ti toglie il meglio. Ora posso dire che mi sbagliavo. La vita è bella perché ha i suoi pregi e i suoi difetti. Non avrei mai pensato di tornare ad amare, non avrei mai pensato di tornare ad essere padre. Eppure eccomi qui.
Non so cosa la vita avrà in serbo per me.
Io semplicemente vivo e vivo oggi.
Oggi ho una famiglia, una strana famiglia. Un fratello che è tornato a volersi bene, un figlio meraviglioso e un cuore che ha ricominciato a battere.
Io amo.
 
Grazie Diario, per avermi ascoltato. Ma soprattutto grazie per aver dato voce a chi non sapeva più parlare.
Stammi bene Diario.
 
Con grande speranza,

Oliver Seymour.

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