Spira’s Life
– It’s not so easy
The Cold, Cold Gagazet
Ahahah! Ecco qua,
è una fic un po’ strana, scritta in pochissimo tempo! Mi E’
uscita proprio di getto!
Non so, se vi piace magari potrei fare altri capitoli, perché mi sono divertita
molto a scriverla!
Ah… io AMO Rin ^_^’’
Annik
si appoggiò al bancone, sbadigliando sonoramente. La sera prima non sarebbe dovuta uscire, lo sapeva. E
adesso, per punizione, avrebbe avuto sonno per tutto il giorno. E, se non era un problema per un qualunque altro ragazzo
avere sonno la domenica, per lei lo era, eccome se lo era.
<<
Non mi sembri attenta! >> commentò Rin, spuntando dal retro del
negozio, dove si era ritirato a contare i suoi guil parecchio
tempo prima. << Potrebbe arrivare un ladro e tu neppure lo vedresti! >>
La
ragazza scrutò le persone che chiacchieravano nel cortile recintato del
negozio. Molti erano viaggiatori, venuti nella piana per scommettere e
divertirsi, grazie ai giochi di Azzurro e Argento Co.
Altri erano clienti abituali. C’erano un paio di addestratori
di Chocobo che lavoravano al “Ranch di Clasko” dall’altra
parte della Piana. Tutti ammiravano le armi esposte con
desiderio, discutevano sui prezzi delle pozioni curative e, ogni tanto,
venivano a chiederle informazioni o a comprare qualcosa. Nessuno, però,
sembrava un ladro.
<<
Sono attenta, puoi fidarti >> soffocò uno
sbadiglio dietro ad una mano << E’ solo che ieri ho fatto un
po’ tardi, tutti qui >> A volte Rin gli sembrava un po’
troppo apprensivo. Oh, non certo verso di lei, ma verso i suoi guil. Neanche
non ne avesse, era il commerciante e forse
l’uomo più ricco di Spira, soprattutto grazie alla sua ultima
trovata, lo Sferatiro. Lei sinceramente preferiva il Blitzball, ma non lo aveva
mia detto al troppo permaloso capo. Era
però una brava persona, magari gli piacevano un po’ troppo
le cose pacchiane e aveva la strana tendenza a gioire delle disgrazie altrui
– soprattutto se con “altrui” si intendeva dei suoi
concorrenti – ma in fondo nessuno è perfetto. E,
da quando era finita su Spira, era proprio grazie a lui che poteva tirar su un
centinaio di guil la settimana. Non che le servissero
veramente, dopotutto tornava sempre a casa la sera, per non fare insospettire i
suoi. Ma è meglio raccontare tutto
dall’inizio no?
Annie
O’Shey, sedici anni, aveva sempre adorato giocare ai vari Final Fantasy. Piangeva quando i
personaggi erano tristi, rideva delle loro battute, si commuoveva quando si
innamoravano e faceva di tutto per non mandarli mai “KO”. In molti
le avevano detto di essersi fissata troppo. Era solo
un gioco, dopotutto.
Solo
un gioco?
Beh,
non proprio. Un giorno, giocando a Final Fantasy X- 2,
era comparsa una strana scritta sullo schermo. Una strana scritta molto in
piccolo. Istintivamente si era alzata dal divano su cui si spaparanzava ogni
volta che prendeva il controller in mano per
avvicinarvisi. Non aveva capito una parola. Pensando che fosse
uno scherzo, o che magari la TV
fosse rotta, aveva istintivamente premuto la “X”, che nel
linguaggio per Playstation equivale ad un Ok. Magari sarebbe scomparsa da sola.
Il messaggio era scomparso. Poi il controller aveva
preso a vibrare. Una luce l’aveva accecata. E
lei si era ritrovata seduta in mezzo all’erba della Piana della Bonaccia.
Sapeva che, in questi casi, la prima reazione del protagonista di un gioco, un
libro o un film era il terrore, la paura dell’ignoto…
ma lei non aveva provato nulla di simile. Insomma, conosceva Spira come
le sue tasche e, in fondo al cuore, aveva sempre desiderato farci un giro,
magari conoscere Yuna, Tidus e Rikku, visitare i templi, vedere il tramonto
dalla via Mihen… questo genere di cose, insomma.
E, in quel momento, il suo sogno si era avverato.
Nella tasca dei jeans che in quel momento portava
aveva trovato una strana pietra, bianca da un lato, nera dall’altro. Ora
era la parte bianca a brillare, come un piccolo sole, grazie ad una lancetta
che, incastonata proprio nel centro, la indicava. Spostandola verso la parte
nera, ne era certa, sarebbe tornata a casa. Sarebbe
tornata ad essere Annie O’Shey, una ragazzina fissata con Final Fantasy e considerata da tutti piatta e noiosa. Ma lì, su Spira, poteva essere chi voleva… ed
ecco cos’era diventata: Annik, commessa della Casa del Viante della Piana
della Bonaccia. Non si era mai mossa dalla grande
pianura, primo perché le mancavano i soldi, secondo poiché, in
fondo, le piaceva quel modo di passare le giornate, con il caldo sole che le
abbronzava la pelle, i clienti che le parlavano e chiedevano delle cose e degli
strumenti più strani e dei bonari rimbrotti di Rin che, nonostante facesse
tanto il difficile, la considerava ormai il suo braccio destro. Quando aveva
lanciato lo Sferatiro l’aveva anche portata a
Luka e lei era rimasta lì, come un’ebete, a guardare il pub dentro
al quale gli Albhed avevano rapito Yuna in FFX, oppure la statua dove
l’invocatrice e Tidus avevano parlato, i moli, i giocatori di Blitzball
che, non essendo ancora iniziata la stagione del Blitz, si riposavano al caldo
sole tra i fan…
Ed era
stato bellissimo.
Tornava
su Spira ogni volta che poteva, tanto che i suoi genitori avevano anche
cominciato a preoccuparsi. Dove andava la loro
bambina, in quei lunghi pomeriggi? E perché, ormai, tutti
i sabato notti non tornava mai a casa ma dormiva fuori da
“un’amica”? In effetti dormiva
sì fuori, ma da Clasko che le stava dando lezioni sui Chocobo, oppure da
Rishe, un’Albhed un po’ pazza, che le aveva anche prestato dei
vestito “adatti” a Spira. Ma c’erano anche Aysha e Miken, della Azzurro Co, la prima che le faceva fare gratis i
viaggi in Aeronave per spostarsi da una parte all’altra della piana, il
secondo che le aveva proposto più volte di giocare ad uno dei numerosi
intrattenimenti che gestiva. Lei aveva sempre rifiutato, anche perché se
Rin avesse scoperto che spendeva guil in quel modo l’avrebbe
minimo scannata.
<< Nik >> chiamò Rin.
Ahia. Quando la chiamava Nik era perché voleva
qualcosa. E, di solito, qualcosa di faticoso da fare.
Si spostò con un movimento rapido una ciocca di capelli castani dal
volto, preparandosi al peggio. Che cosa avrebbe
chiesto, quella volta, il suo fin troppo esigente capo? << Ci sarebbe una
cosa… che dovresti fare… >> se faceva
così il gentile era un extra. Anche
perché di solito si limitava ad ordinare.
<<
Ehila gente! >> esclamò qualcuno. Una voce famigliare. Il
“Boss” contrasse il volto in un’espressione di incredulità, mentre Annik sorrideva, felice di
essersi, per ora, salvata. << Come sta il mio commerciante preferito?
>> Cid passò un braccio intorno alle spalle di Rin, con fare
amichevole.
<<
Che c’è Cid? >> domandò al
capo degli Albhed che, accompagnato dal figlio maggiore, Fratello, e dal
migliore amico di questo, Compagno, era sbarcato con un’Aeronave rossa
fiammante poco distante dalla Casa del Viante. << Non dirmi
che hai di nuovo bisogno di pezzi di ricambio per
l’Aeronave…?>>
L’espressione
dell’Albhed cambiò. Ora era stranamente seria. << E’
una cosa molto importante. Te la dico in privato >> lanciò uno
sguardo ad Annik << Nik >> Lui invece la chiamava così
abitualmente << Dà un’occhiata a
quei due, non mi fido troppo a lasciarli soli! >> la ragazza sorrise.
Fratello e Compagno confabulavano tranquilli. I clienti, che avevano osservato
incuriositi la scena, distolsero lo sguardo, trovando
qualcos’altro su cui concentrare la loro attenzione. L’amico del
figlio di Cid le si avvicinò.
<<
Posso offrirti qualcosa? >> cinguettò la commessa, sistemando in
uno scaffale alcune pozioni dall’aspetto non troppo attraente. Erano un
esperimento di Rin. Una volta che ne avevi bevuta una
non avevi bisogno di mangiare per
giorni. Solo che avevano un sapore che andava dal fango di
palude all’acqua di fogna. Un vero schifo, insomma. Eppure molto, molto utili.
<<
Si… una di quelle pozioni… >> balbettò. Sentì
Fratello sbuffare da dietro le sue spalle. << E…
il tuo cuore! >> esclamò in tono melodrammatico. Annik sorrise.
<<
Mi dispiace, sono contraria la traffico
d’organi… >> stava per prendere la pozione chiesta dal
giovane, quando Rin e Cid uscirono dal retro. Entrambi avevano
un’espressione da funerale. Incuriosita si chiese che cosa fosse
successo. Che cosa si fossero detti. La
curiosità la divorava.
<<
Bene… allora faremo come deciso >> borbottò il Capo degli
Albhed. << Andiamo, voi due, non abbiamo tempo
da perdere! >> Compagno si allontanò tristemente, mentre Fratello
rideva, divertito. Cid li guardò e scosse le spalle. Il Boss si
voltò verso di lei, con aria interrogativa. La ragazza si limitò
a sorridere.
<<
Bene… comunque… dovresti portare questo
pacco >> e le mostrò un involto di carta azzurra << a
Kimahri, il Capo della tribù dei Ronso, sul Gagazet >> fece,
già certo della sua risposta. Perché
avrebbe dovuto abbandonare il caldo della Piana per recarsi nel luogo
più freddo di Spira?
<<
Non pensavo che facessimo anche le consegne a domicilio… >> commentò lei, divertita. Ricordava bene quando Tidus
e company, in Final Fantasy X si erano arrampicati su
per il monte. Però incontrare Kimahri, che gli era sempre piaciuto molto
come personaggio, era un motivo più che sufficiente per seguire gli
ordini… << Però ve bene, ci sto! Quando parto? >>
<<
Adesso. Se per te va bene… >>
Per
lei andava bene e, in meno di una mezz’ora in cui si era ben equipaggiata
per sfuggire al gelido freddo del Sacro Monte Gagazet, il suo viaggio era
cominciato.
Attraversare
la Piana della
Bonaccia non fu un grande problema per Annik, anche
perché Aysha le diede un passaggio fino al Ranch di Clasko. Si sarebbe
fermata volentieri a salutare l’amico, ma era di
fretta. Il capo le aveva detto che in tre giorni
avrebbe potuto facilmente raggiungere la cima e che il Capo dei Ronso la
aspettava proprio là. Si sistemò i graziosi occhialini da Albhed
che Rishe le aveva prestato, e che si combinavano con la T- shirt priva di maniche
arancione, sotto alla quale portava un’aderente maglia verde smeraldo. La
solita minigonna era stata rimpiazzata da un paio di pantaloni di un rosso
cupo, quasi scarlatto. Tre cinture erano legate attorno alla coscia destra,
nelle quali teneva le pozioni curative, mentre due erano assicurate attorno
alla vita. In una di esse aveva infilato la lunga asta
che usava per combattere. A lei, quell’insieme di colori, era parso
piuttosto ridicolo, ma Rin e Rishe erano concordi nel
dire che, se non fosse stato per gli occhi color nocciola e i capelli bruni,
sarebbe stata un’Albhed perfetta. Uscì dalla Piana e subito il clima
cambiò. Vide molto turisti dirigersi verso la Grotta
dell’Intercessore, dove avrebbero, con una gita guidata, ammirato il
vecchio intercessore di Yojimbo, la Lama Vendicatrice. Secondo
molti era una gita molto pericolosa poiché
tutti ricordavano i tempi in cui un’invocatrice era misteriosamente
morta, proprio in quel luogo, cercando di ottenere la grazia dell’eone. Però, dicevano tutti, lì un tempo si era anche
allenata la Grande Invocatrice
Yocun, miliziana prima, invocatrice poi. E, secondo
loro, il suo spirito dall’oltremondo li guardava e li proteggeva. I
mostri però continuavano ad esserci e non erano rare le volte in cui
qualcuno veniva gravemente ferito. Ma
a lei questo non importava. Superati i due ponticelli, arricchiti da bandierine
colorate, che portavano al Monte Gagazet, cominciò
a sentire il vero freddo, nonostante gli abiti pesanti. Beh, avrebbe
sopportato, del resto che altro poteva fare? Alle pendici del monte
trovò solo un vecchio Ronso, che guardava sorridendo il vuoto. Non
volendo disturbarlo si affrettò a sorpassare quella zona. Gli altri
Ronso dovevano essere con il loro Capo- Tribù in cima alla montagna.
Cominciò a salire, con il freddo che penetrava nelle ossa, la neve che
le aveva ormai infradiciato i piedi, nonostante gli
alti stivali neri che, a detta di Rin, erano impermeabili. Il sole aveva smesso
di splendere e solo le nubi occupavano il cielo grigio. Ti prego, fa che non
nevichi… continuava a ripetersi, inutilmente.
Quasi dal nulla comparve un mostro di un rosso porpora,
che volava a mezz’aria e che la fissava con occhi cattivi. Un Piros,
riconobbe. A questo punto avrebbe mandato Yuna, che avrebbe evocato Shiva, per
metterlo KO in pochi istanti. Solo che quello non era il
gioco. Ma la realtà. Strinse
l’asta fino a farsi sbiancare le nocche.
<<
Bene >> disse, per farsi coraggio << Ora
ti mostro come combatto io! >>
La
creatura le si avventò contro, facendola cadere
a terra, ma si rialzò in fretta, non era nulla di grave un volo nella
neve. Lanciò un Blizzara al nemico, che, inaspettatamente, si ingrandì. Piros? Piros? Piros? Perché
si è ingrandito? Cercava nella sua mente la soluzione… sapeva di
saperlo… eppure… ce l’aveva sulla
punta della lingua ma… oh, al diavolo! Lanciò un secondo Blizzaga
e quello si ingrandì ancora. E,
dopo un terzo incantesimo divenne ancora più grande. Fu allora che
capì. Capì di avere sbagliato a non fuggire. Quando il nemico che
le si avvicinò con rapidità e usò
la sua tecnica più famosa e distruttiva, Kamikaze. Come aveva fatto
tante volte, mentre giocava alla Playstation. Solo che quella volta non era un
gioco.
Il
ragazzo si stava arrampicando sul Monte Gagazet quando
sentì l’esplosione. Un urlo. E poi il
silenzio. Preoccupato, continuò a salire. Forse c’era qualcuno in
pericolo. Anzi, molto probabilmente. Un Piros doveva aver usato la sua tecnica
più distruttiva, il Kamikaze, e ben pochi riuscivano a sopportarla.
Ed, in
effetti, raggiunto lo spiazzo, vide che una vasta zona era priva di neve, a
causa dell’esplosione del mostro di fuoco. Doveva essere stata davvero
potente… e al suo centro c’era qualcuno, sdraiato e privo di vita, almeno in apparenza. Un Albhed? No, benché i suoi abiti dicessero il contrario. Non
possedeva i biondi capelli Albhed e, immaginò, neppure i suoi occhi
erano una spirale verde in cui perdersi.
<<
Ehi! Sveglia! >> esclamò, scuotendola. Non aveva
ferite gravi, probabilmente aveva solo perso i sensi a causa
dell’attacco di fuoco. << Avanti… coraggio! >> No.
Magari aveva battuto la testa. Morta non era, sentiva
chiaramente il cuore battere nel petto, vivo. Non aveva intenzione di
arrendersi alla morte. Sfortunatamente il tempo tramava contro di loro. Un
forte vento spirava, un forte vento che,
probabilmente, avrebbe portato tempesta e, affrontare una tempesta senza un
riparo, sul Gagazet era un puro suicidio.
<<
Maledetta la mia cavalleria… >> brontolò, chinandosi a terra
e prendendo in braccio la ragazza. Una mano sotto le
ginocchia ed una dietro alla schiena, proprio come se fosse una bambina.
Una bambina piuttosto graziosa, dovette ammettere. Aveva visto una grotta,
lì vicino, si sarebbero potuti riparare lì, in
attesa che la “bella addormentata” si svegliasse.
La
caverna era buia ed umida, per niente adatta ad un dolce riposo, ma era
l’unico riparo che avevano a disposizione. Si sarebbero accontentati. La
posò delicatamente a terra e, non osando frugare tra le cose della
ragazza, contenute nello zaino che portava sulle spalle e che adesso era
abbandonato in un angolo, prese la sua coperta per scaldarla un po’. Avrebbe
dovuto accendere un fuoco, ma con cosa?
La
giovane mugolò qualcosa che lui non capì. Poi si voltò
dall’altra parte, persa nel mondo dei sogni.
Grandioso,
sbuffò, sedendosi a terra, con le braccia abbracciate alle ginocchia.
Sono
morta? No, immagino di no, altrimenti non mi sentirei così male. In
effetti, quando Annik riaprì gli occhi, non c’era una sola parte
del corpo che non le dolesse. Stupida, come hai fatto
a non ricordarti che i Piros esplodono? Ti sei forse bevuta il cervello a
colazione? Mugugnando qualche parole, si alzò a
sedere, chiedendosi che cosa ci facesse in quella caverna. Lei aveva affrontato
il mostro in uno spiazzo aperto, ne era certa.
Sentì il vento ululare, al di fuori. Una tempesta? Oh, grandioso.
Girò il collo, con fatica, dolore ed una pressante voglia di mettersi ad
urlare. Vide un ragazzo addormentato. Beh, se quello era il suo salvatore,
Spira doveva essere corto di principi azzurri. Era un ragazzetto dai capelli
bruni e piuttosto lunghi, gli abiti semplici, non da Albhed come lei, gli occhi
chiusi. Insomma, nulla di speciale. Neppure troppo carino. Beh, un momento, non
che fosse proprio da buttare, ma, diciamo, aveva visto
di meglio. Si strinse nella coperta. No, un momento. Quella non era la sua
coperta! Ok, il ragazzo saliva nella graduatoria. Era stato gentile a
prestargli l’unica cosa capace di trasmettere calore, contando il freddo
che faceva. Aprendo il suo zaino estrasse una coperta gialla su cui erano
disegnati centinaia di Chocobo fatta a mano, un regalo di Clasko, e gliela mise sulle spalle. Uno a uno. Poi,
notando che non sembrava esserci un fuoco, raccolse dal suo zaino un paio di
riviste ch
e aveva
portato da leggere, nel caso si fosse annoiata, e sussurrò un
“Fire” di bassa potenza, che avviluppò con fiamme arancio i
giornali, spandendo un dolce caldo nell’aria. Due a
uno per me! Sorrise, soddisfatta. Non voleva fare la figura della ragazzina
incapace di badare a sé stessa. Non aveva mia
adorato le storie di belle principesse che, guarda caso, non appena fanno
qualcosa vengono rapite da un mostro e che l’eroe deve sempre
andare a salvare. Preferiva racconti di giovani coraggiose che sapevano
guardare al pericolo senza timore. Insomma, non che lei sapesse fare come
queste ultime, anzi, molte volte tremava e aveva
paura. Ovviamente, passati quei momenti, negava tutto. Dettagli.
Il
ragazzo, probabilmente anche grazie al caldo emanato dalle fiamme, aprì
due grandi occhi azzurro mare. Molto, molto belli, fu
costretta ad ammettere. Sentì di aver collocato, senza neppure
rendersene conto, il ragazzo su un gradino superiore, nella sua scala. Doveva
smetterla di fare una classifica per tutto e dare voti a destra e a manca. Però, in quel momento, si sarebbe meritato un bel
sette. E si sentiva generosa.
<<
Sei sveglia…? >>
<<
Si nota? >>
Si
stiracchiò, alzandosi in piedi. Annik si prese l’appunto mentale di essere più gentile. Dopotutto era grazie a lui che
non stava affrontando la tempesta ed era in quella grotta. Un po’ umida,
magari.
<<
E’ tua? >> le porse la coperta.
<<
Già. E’ un regalo. >> specificò, notando lo sguardo
critico con cui lui la stava osservando << E questa è
tua… vero? >>
<<
Si. Io sono Ganz. Ganz O’aka. >>
<<
O’aka? O’aka XXIII?>>
<<
Suo fratello…>>
<<
Oh >> Questo era un problema. Dire che Rin e
O’aka erano come il gatto ed il cane sarebbe stato un eufemismo. I due
più importanti – forse gli unici – commercianti di Spira, si
odiavano dal più profondo del cuore. Il suo
Boss lo odiava perché detestava tutti i suoi avversari, O’aka
perché l’Albhed lo aveva quasi mandato in rovina a causa del
bidone che gli aveva rifilato, vendendogli la Casa del Viante di Macalania, ormai abbandonata
da tutti e isolata dal mondo. Se Rin avesse saputo che si era
fatta salvare da Ganz come minimo l’avrebbe strozzata. E non
poteva neppure fargli notare che senza il suo aiuto sarebbe morta,
perché il suo comprensivo capo avrebbe detto
che era meglio la morte a quello. Grandioso davvero.
<<
E tu che ci fai qui? >> inclinò il capo,
guardandola con una certa curiosità.<< Sei vestita da Albhed, ma
non lo sei… cioè, non sei bionda e gli
occhi non sono a spirale e via dicendo…>>
<<
Oh… il mio nome è Annik … >> no, non poteva, non doveva dirglielo! Dirgli che lei
lavorava per il nemico numero uno di suo fratello. O
forse si? Tanto ormai l’aveva salvata… << E lavoro…
alla Casa del Viante… >> abbassò lo
sguardo, mordendosi la lingua. Cosa avrebbe detto?
<<
Anche tu qui per portare un pacco? >>
scherzò, divertito. Tutto qui? Non si era arrabbiato? Niente urla
isteriche? Niente ira Fuggi fuggi
generale? Aveva scherzato su un problema relativamente serio…
<<
Già… >>
<<
Evidentemente i mercanti sono tutti uguali! >> rise, divertito, mentre
Nik accennò un semplice sorriso, più simile ad una smorfia.
Mmm…
quante possibilità c’erano che a lui non importasse davvero niente
del lavoro di suo fratello?
A-S-S-U-R-D-O.
Avrebbe potuto domandarglielo… ma aveva imparato
che, a volte, è meglio stare zitti e tenersi per sé i propri
quesiti. Almeno, con Rin bisognava fare così, altrimenti si era fregati,
visto che bastava chiedergli “Che ora è?” per sentire una
risposta lunga due ore, durante la quale riusciva a parlare di tutto e a non
rispondere alla fatidica domanda.
<<
Quando finirà la tormenta? >>
domandò Annik, con un sospiro. << Odio stare ferma in questo posto…
mi mette in ansia e si congela… >>
Lui
ridacchiò sommessamente, poi le si avvicinò
a carponi e le mise un braccio intorno alle spalle. << E
adesso? >> domandò, con un candore tale da lasciarla spiazzata.
D’accordo, su Spira si vedeva gente che andava in giro in mutande senza
scomporsi troppo, ma abbracciare una ragazza poteva voler dire una sola
cosa…o no? Nik, stai fraintendendo tutto come al
solito, magari vuole solo fare amicizia… e poi dai, se avesse davvero
voluto provarci non avrebbe questa espressione da angelo… cavoli, e io
che ridevo quando questo genere di seghe mentali se le facevano i protagonisti
del giochi per la Play…
<<
Va benissimo, grazie… >> fece lei,
assumendo un lieve color peperone. Anzi, neppure tanto lieve, in verità.
<<
Eh? Perché sei tutta rossa? Ti senti male?
>>
<<
No, no… >> imbranazione totale. Però
le avevano sempre fatto tenerezza questo genere di ragazzi. Così
pucciolosi! Sorrise, all’improvviso. Se lui
faceva così perché preoccuparsi? Magari era già anche
sposato… erano abbastanza precoci su questo continente…
però era una situazione ambigua… soli, in una caverna,
abbracciati… se Rin l’avesse beccata l’avrebbe uccisa,
continuava a ripetersi, ma stranamente la cosa non la toccava più di
tanto. Non era più agitata, anzi, si sentiva
calma e tranquilla. Appoggiò il capo alla spalla del ragazzo e lo
sentì sussultare. Oh, grandioso, ora comincia a fare due più due e a capire che siamo in una posizione pericolosa…
Oh, e chi se ne importa!
Pensarono
i due nello stesso instante.
L’alba
era sorta, il sole illuminava il Sacro Monte Gagazet, i suoi raggi facevano
splendere la neve immacolata, come polvere d’argento.
<<
E’ così bello… è un peccato
dover rovinare tutto calpestandola, vero? >> domandò
all’improvviso Ganz, con lo zaino già sulle spalle, un po’
spettinato per la notte passata in quella posizione alquanto scomoda –
Annik era riuscita ad addormentarsi sulla sua spalla e
lui non aveva avuto cuore di svegliarla – sorridendo.
<<
Si, si… >> borbottò lei, ancora assonnata, camminando in
modo molto simile a quello di uno zombie.
<<
Allora, sei pronta a partire? >> domandò nuovamente il giovane
O’Aka, sprizzando energia da tutti i pori.
<<
No… ma visto che non ho poi molto tempo per raggiungere la vetta, quindi
mi devo sbrigare… >>
<<
Lo stesso vale per me e… >> si zittì
all’improvviso, fermandosi davanti ad un vecchio cumulo di rocce, coperto
dalla neve, ma da cui spuntavano un paio di vecchie picche. Chiuse gli occhi,
abbassando il capo.
<<
Tutto… tutto bene? >> chiese Annik, avvicinandosi a lui e posandole
una mano sulla spalla.
<<
Si… sai che questo è un monumento in ricordo degli Invocatori che
morirono, cercando di raggiungere la vetta del Monte e Zanarkand…
>> sospirò, tristemente. Strano come fosse
cambiato il suo umore, in così poco tempo. Prima allegro e ora
triste. << Sai, mia sorella era un’Invocatrice…
ma morì, proprio cercando di raggiungere la cima del
Gagazet… lei e i suoi due guardiani… né io né mio
fratello avevamo accettato di seguirla, perché sapevamo di non essere bravi
combattenti… >>
A
volte, nella vita, si rimane a bocca aperta, fissando chi ti sta davanti,
cercando disperatamente qualcosa di intelligente da
dire. Quella era una di quelle volte. Cosa avrebbe
potuto dire? Sapeva bene della morte e delle distruzioni che Sin portava e
davanti ai racconti di esse era sempre rimasta zitta,
abbassando gli occhi a terra. Era stupido, ma proprio grazie a questi racconti
capiva quanto fosse fortunata ad avere una famiglia
che l’amava – e viva – un mondo privo di terribili mostri e
nemici assassini pronti ad ucciderla.
Lui improvvisamente sorrise, tristemente, ma sorrise. << Ma perché
pensare a queste cose brutte? Andiamo, non abbiamo tempo da perdere, non
l’hai detto anche tu? >> E, dopo queste
parole, si avviò.
Ci
sono certe affermazioni o domande a cui non si sa come rispondere. Abbassò
il capo e lo seguì.
Parlarono
molto, durante l’ascesa. Era bello e piacevole per entrambi
chiacchierare. Annik non gli aveva – ovviamente – detto che quello
per lei in realtà era un gioco per Playstation. Però gli aveva
raccontato della sua vita, alla Casa del Viante, dei suoi amici, Clasko, Rin…
e lui le aveva promesso di insegnarle a pattinare sul
ghiaccio, benché, lo ammetteva, non ce ne era più tanto a
Macalania, il bosco ghiacciato che, come neve a primavera, si stava lentamente
sciogliendo, scomparendo da Spira, forse per sempre.
La
cima era sempre più vicina. La cima e la meta del loro viaggio. Le
dispiaceva, perché non si era mai sentita così
tanto a suo agio con qualcuno da parecchio tempo. Però sapeva che
quel viaggio non sarebbe potuto durare per sempre. Quel viaggio con quel ragazzo buffo, ma molto gentile e sempre
disponibile a rispondere alle sue curiose domande, molto spesso inopportune.
Poi, infine, il cielo terso e blu del cielo sopra il
Gagazet.
Erano
finalmente arrivati.
I
Ronso non amavano parlare, incontrare Kimahri era stato per Annik fantastico,
aveva continuato a saltellare sotto i suoi occhi attoniti, chiedendogli di
tutto, dal suo numero di scarpe alla sua lancia
preferita.
Quando
gli avevano portato i pacchi li aveva semplicemente
ringraziati con un lieve sorriso, per poi allontanarsi, con il resto della
tribù, verso la valle. Aveva commentato che avrebbero fatto meglio ad
aspettarlo alla base del monte, perché era pericoloso arrampicarsi,
soprattutto con quel tempo.
<<
Allora ce l’abbiamo fatta, no? >> sorrise
Ganz, quasi dispiaciuto.
<<
Già… adesso potremmo tornare alle nostre vite o… >>
lei sorrise maliziosa. << Andare a farci un giro in qualche posto
romantico! >> rise, battendo le mani, sorridente.
<<
Romantico? >>
<<
Ehm… Dai, che razza di domande fai,
sbrighiamoci, non mi avevi promesso di insegnarmi a pattinare?>>
Ganz
sorrise, poggiandole una mano sulla spalla. << E
poi Macalania è un posto molto romantico, no? >>
Nik
gli gettò le braccia al collo. << Allora corriamoci! >>