Resurrection - Amare e morire

di Moira2020
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La fine e il principio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Lo sconosciuto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo



10 Novembre 1993

Quella notte la temperatura era scesa bruscamente a causa di un forte temporale. Il vento, costante e minaccioso, continuava a soffiare portando con se acqua e foglie.
A Vincent non dispiacevano i temporali a patto che fosse al riparo, magari nel suo salotto con il camino acceso. Quella sera invece lo aveva colto proprio mentre stava per tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Sulla spalla teneva la sua chitarra comprata da poco più di due mesi e cosi, invece di correre sotto alla pioggia come avrebbe fatto di solito, si sistemò al di sotto di un piccolo balcone. Si strinse nella giacca di pelle e si maledì per non aver scelto una giacca più pesante.
Rovistò per qualche secondo nella tasca dei jeans neri e strappati per poi trovare il pacchetto di sigarette. Ne tirò fuori una con le labbra e cercò di accenderla nonostante il vento impetuoso. 
- Che tempo di merda!- esclamò buttando fuori il fumo.
Avrebbe aspettato ancora qualche minuto, sperando che la pioggia diminuisse. Se fosse rimasto lì sarebbe comunque morto congelato. Il tempo di finire la sigaretta e il temporale sembrò diminuire abbastanza per poter fare gli ultimi metri verso la porta di casa. Dopo aver buttato il mozzicone di sigaretta a terra si incamminò, cercando di proteggere la chitarra. Non poteva permettersi di rovinarla; era nuova e non aveva abbastanza soldi per poterne ricomprare un'altra. E poi la sera seguente avrebbe suonato insieme alla sua band nel locale più famoso della città. A quel pensiero sorrise, era un periodo felice e tutto sembrava andare bene. 
- Ehi, che hai lì bello? - 
Quella voce improvvisa lo fece quasi sobbalzare. Quando si voltò vide due ragazzi che lo stavano fissando. 
- Beh, ti potrei dire che è una braca, ma credo che si capisca molto bene che in realtà è una chitarra. - rispose lui indicando lo strumendo ben riposto nella sua custodia. I due si guardarono. Il più grosso tra i due si avvicinò a Vincent con aria minacciosa. 
- Credi di essere simpatico, amico? Dammi quella chitarra e tutti i soldi che hai e nessuno si farà male. - 
Vincent alzò gli occhi al cielo. Il momento di felictà era appena finito e quello era un grosso guaio. No, non avrebbe dato la sua chitarra a quel ragazzino. 
- Posso darti i soldi, non la mia chitarra.- rispose infine. L'altro si voltò verso l'amico ed entrambi iniziarono a ridere. 
- Dammi tutto quello che hai! - lo incalzò lo sconosciuto. 
- Senti io stavo solo andando verso casa, non voglio rogne. Ho dieci dollari nella tasca e un pacchetto di sigarette. - Vincent iniziava ad innervosirsi. Anche lui era cresciuto per strada e sapeva bene che finire a rubare era semplice. Fin troppo semplice per degli adolescenti. 
Il ragazzo, con un gesto deciso e senza parlare, tirò fuori una pistola.
- Non sto scherzando, amico. - disse puntando l'arma verso Vincent. 
La sua vita o la chitarra. La situazione era degenerata in una manciata di minuti. Eppure la giornata era iniziata nel migliore dei modi, il lavoro era andato bene e aveva addirittura avuto un ingaggio. Vincent sbuffò e poi lentamente posò la chitarra a terra. 
- Avanti, vieni a prenderla - disse poi alzando le mani in alto. 
- Vedo che non sei poi così stupido - rispose l'altro avvicinandosi continuando a tenere in alto la pistola. Proprio mentre il ragazzo si abbassò per prendere la chitarra, Vincent lo afferrò per il braccio, facendo cadere l'arma. Dopo di che lo spinse via, facendolo cadere a terra. 
Quando sentì il rumore dello sparo pensò che fosse un tuono. Come aveva potuto sparare se il ragazzino era a terra? Si voltò lentamente e vide l'altro sconosciuto con in mano una pistola ancora fumante. Abbassò lo sguardo e vide del sangue sgorgare dalla suo stomaco. Gli avevano sparato e tutto divenne nero. 
Non avrebbe potuto dire quanto tempo fosse passato, ma il buio divenne luce. Una luce talmente forte che gli impediva di tenere gli occhi aperti. 
- Come ti senti, Vincent? - 
Quella voce risuonò da ogni lato. 
- Uno schifo... - rispose lui quasi in un sussurrò. La luce si affievolì e lui si ritrovò in una stanza d'ospedale. Non era lui il paziente. Una donna accanto a lui stava partorendo. Era confuso e stanco. Non capiva come potesse trovarsi lì in quel momento. Gli avevano appena sparato e forse era morto. 
- Una bambina! Una bella femminuccia!- 
Il pianto della creatura appena nata attirò l'attenzione di Vincent. 
- Evelyn, mia piccola Evelyn... - 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La fine e il principio ***


Capitolo 1
La fine e il principio


Il soffitto aveva ben tre minuscolo crepe.
Una a forma di triangolo, una a forma di uncino e l'ultima sembrava quasi comporre una composizione di piccolo fiori. Evelyn osservava spesso il soffitto della sua camera. Lo fissava così intensamente che quasi le bruciavano gli occhi. Contare le crepe e  i piccoli solchi la rilassava. Quella notte scorpì addirittura un nuovo solco. Se ne stava sdraiata sul letto dritta come un fuso, i piedi e le mani abbaondonati totalmente. Erano passati tre giorni dall'inizio delle sue ferie eppure li aveva passati tutti a letto. Come ogni anno, avrebbe trascorso i suoi giorni liberi in casa. Alazarsi la mattina per andare a lavoro per lei era come una specie di tortura. Uscire significava incontrare persone, persone con cui parlare. L'unico motivo per cui era costretta a lavorare erano i soldi. Sapeva bene che per vivere in modo decente servivano i soldi e così, tutti i giorni, indossava la sua maschera fatta di sorrisi finti, e usciva di casa. Per gli altri lei era una ragazza gentile ed educata, molto brava nel suo lavoro. Forse qualcuno l'avrebbe definita anche simpatica.
In realtà soffriva di depressione da qualche anno. Era iniziato tutto da quando aveva finito la scuola.  Dentro di se aveva sempre odiato avere rapporti con gli altri, era difficile che trovasse qualcuno simpatico. Dopo il diploma non aveva più avuto contatti con i suoi compagni, aveva trovato un lavoro come segretaria in uno studio legale e lì erano finite le sue avventure. Non aveva mai viaggiato, non aveva mai visto un concerto, raramente era andata a cena fuori. Aveva sempre preferito leggere un buon libro in solitudine piuttosto che una vita mondana. Questo l'aveva portata sempre più ad estraniarsi dal mondo esterno. Le persone della sua età, quelle vicine ai trenta anni, avevano ormai una famiglia, lei invece, aveva i suoi libri e un criceto. 
Pensava spesso che saebbe voluta cambiare, magari uscire con qualcuno, scoprire cosa si provava ad andare in una discoteca. L'idea le passava subito. Probabilmente si sarebbe sentita a disagio, incapace di tenere viva una conversazione, completamente estranea agli interessi delle persone della sua età. Lei teneva ancora i poster delle sue band preferite dell'adolescenza. Gruppi rock e metal che lei amava, ma che non aveva mai avuto il coraggio di ascoltare dal vivo. 
Sbuffò, distogliendo lo sguardo dal soffitto e iniziò a piangere. Lo faceva spesso, diciamo ogni sera. Un'idea le ronzava nella testa da qualche mese. 
Suicidio. 
Durante l'adolescenza aveva fatto spesso questi pensieri, ma erano andati via sempre dopo pochi giorni. Con il passare degli anni, invece, si erano fatti sempre più presenti. Desiderava il buio e il silenzio. Si alzò a fatica dal letto, cercando al buio le pillole che aveva sul comodino. Non prendeva gli antidepressivi da diversi giorni, ma quella era la sera giusta. Sarebbe stato facile morire? Avrebbe alleviato le sue sofferenze e la sua maliconia sua amica da sempre? Afferrò decisa il piccolo barattolino e senza acqua mandò giù qualche pillola. Ancora al buio si spostò nel bagno, riempendo velocemente la vasca fino all'orlo, dopo di che vi si sdraiò all'interno. Sarebe svenuta a causa dei farmaci e poi l'acqua avrebbe messo fine alle sue sofferenze. Prese altre pillole e poi ne prese ancora e ancora finchè il barattolo non fu vuoto. La testa iniziò a girare, tutto sembrava confuso. Dopo poco chiuse gli occhi e il buio la inghiottì. 

***


A Vincent non piaceva affatto ciò che stava vedendo. Non poteva perderla, non poteva perderla proprio in quel modo orrendo. Doveva assolutamente intervenire. 
-Gabriel!- urlò.
Ma non ricevette nessuna risposta e così continuò ad urlare. - Gabriel! Vieni subito qui! - 
Stava perdendo le speranze fino a quando un uomo dai capelli biondi e il viso etereo gli si materializzò di fronte.
- Devo salvarla, devo intervenire! - disse Vincent indicando un punto non ben definito. 
- Sai bene che non puoi. Non possiamo intervenire così nettamente. Ha fatto la sua scelta, ha un libero arbitrio.- Gabriel parlò con calma ma in modo deciso. 
- Questa è una cazzata! La mia protetta sta morendo e io devo salvarla... io... non posso perderla. Così andrà a finire dritta ai piani bassi e lei non merita questo. Se solo sapesse che quella non sarà la fine delle sue sofferenze...- 
-  Hai fatto il possibile, Vincent. Non possiamo scegliere per lei. - Gabriel si voltò, osservando il viso candido di Evelyn sempre più sommerso dall'acqua. 
- No. Io interverrò con o senza il tuo permesso.- Vincent strinse i pugni, il viso ormai disperato. 
- Se lo farai non sarai più un angelo. Diventarai umano ma non durerà per molto. Morirai nuovamente e questa volta finirai all'inferno. - 
Vincent conosceva bene le regole, ma non poteva lasciare andare Evelyn. 
- Non mi interessa. Voglio farlo. Toglimi pure i poteri, io non ho scelto di diventare un angelo. - 
-Era il tuo destino... - ribattè Gabriel alzando un sopracciglio in segno di disappunto. 
- Già, bella merda.- rispose Vincent muovendosi nervosamente. 
- Vedo che non sei cambiato affatto in questi trenta anni, Vince. Ti accontenterò, ma non avrai seconde possibilità.- 
- Presto! Presto! Sento che sta morendo! - le urla di Vincent divennero quasi isteriche. Gabriel sospirò alzando le spalle. Poi, avvicinandosi, spinse Vincent con un tocco leggero, ma con una tale forza da farla cadere a terra. Quando toccò il pavimento si ritrovò nel bagno di Evelyn. Rimase paralizzato per un secondo, sentendo di nuovo il bisogno di mangiare e di bere. Erano sensazioni quasi dimenticate.
-Evelyn...- sussurrò. Si affrettò a raggiungere la vasca. Tirò su la ragazza ormai senza respiro. Senza pensarci due volte cercò di rianimarla. Una, due volte alla terza sentì di nuovo un respiro più simile ad un rantolo. Con fermezza le infilò due dita in gola, facendole vomitare tutte le pillole che aveva ingurgitato. - Evelyn, avanti, respira.- disse battendole piano una mano sul viso. 
Evelyn aprì per un attimo gli occhi. I suoi occhi grandi e all'insù quasi come quelli dei gatti.
- Chi sei?- chiese con un filo di voce. 
Vincent sorrise. Era la prima volta che i loro occhi si incontravano. - Sono il tuo angelo custode.- rispose lui nella maniera più semplice e vera.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Lo sconosciuto ***


Capitolo 2 
Lo sconosciuto



Evelyn stava volando. Era così leggera da poter fluttuare nell'aria. Sotto di lei il suo corpo inerme era immerso nell'acqua, ma a lei non importava. Finalmente sentiva di essere tranquilla come se si fosse tolta di dosso un grosso macigno. Poi qualcosa la tirò verso il basso. La sua caviglia iniziò a bruciare e quando abbassò lo sguardo vide un'enorme voragine. Il senso di terrore che provò fu il più forte della sua vita, chiuse gli occhi stringendoli più che poteva. Era sicuramente un sogno, stava sognando. 
- Evelyn, apri gli occhi. - 
Quella voce improvvisa la riportò alla realtà. Sapere che stava sognando la tranquillizzò. La sua mente andò alle pillole che aveva ingerito e la felcità lasciò spazio alla delusione. 
Era viva.
Aprì lentamente gli occhi, sicura di trovarsi in ospedale. Qualcuno aveva chiamato un'ambulanza e lei avrebbe dovuto sicuramente spiegare il motivo del suo tentato suicidio. Improvvisamente si sentì nuovamente stanca e pesante almeno una tonnellata. 
- Evelyn!- la incalzò di nuovo quella voce. Finalmente quando ebbe aperto del tutto le palpebre potè mettere a fuoco ciò che la circondava. Era ancora a casa sua, distesa sul suo letto. Davanti a lei un uomo la stava fissando. Capelli neri lunghi sino alle spalle, naso piccolo e bocca carnosa. Ma quello che colpì di più Evelyn furono i due occhi color del ghiaccio che la stavano guardando con attenzione. Per un attimo le sembrò di riconoscere quel viso così tenebroso, ma poi il raziocinio prese il sopravvento. Urlò. Urlò così forte da far cadere l'uomo. 
- Che cosa vuoi da me? Chi sei? - chiese urlando isterica. 
- Zitta! Vuoi far svegliare l'intero vicinato?- rispose lui alzandosi da terra. Evelyn urlò di nuovo e così l'altro fu costretto a tappargli la bocca con una mano. 
- Eve, per piacere non urlare. Allora ti sembrarà strano. Penso che anch'io avrei urlato al posto tuo. Non sono un pazzo maniaco, non voglio farti del male. Mi chiamo Vincent e sono il tuo angelo custode. - 
Evelyn sentendo quella spiegazione cercò di urlare ancora più forte ma il suono fu ovattato dalla mano che aveva sulla bocca. Un angelo custode? Quello era un pazzo furioso. 
Io volevo solo morire.
Sarebbe scappata se i suoi arti glielo avrebbero permesso. Era troppo debole per muoversi e così morse con forza la mano di Vincent. 
- Vattene da casa mia, brutto maniaco! - 
Vincent, con una smorfia di dolore, si allontanò da lei. - Sei impazzita? Cristo, come faccio a fartelo capire? Non ho neanche i miei poteri. - 
Evelyn cercò l'ultimo bruciolo di forza e si alzò dal letto. Le gambe le cedettero però riuscì a rimanere in piedi. Solo in quel momento si accorse di avere soltanto le sue culotte addosso. E se il maniaco avesse abusato di lei mentre era svenuta? Non era capace neanche di morire in santa pace. 
Con la coda dell'occhi vide la sua camicetta appoggiata alla sedia della scrivania. La prese velocemente e se la mise addosso, dopo di che uscì di corsa dalla camera. Vincent la seguì e quando lei arrivò alla porta la chiamò nuovamente. 
- Evelyn! Senti posso dimostrarti che sono il tuo angelo. Non ti bloccherò se vorrai andare. Guardami, mi sto sedendo sul divano. -
Evelyn si immobilizzò. C'era una parte di lei che le diceva di ascoltarlo, mentre il suo corpo le urlava di scappare.
- Sei nata il dieci di Novembre. Hai iniziato a camminare ad un anno e hai parlato presto. Il suo primo peluche si chiamava Gabe; era un ippopotamo. Lo tieni ancora nell'armadio. Sei sempre stata una brava studentessa. Ti piace la musica rock e anche il metal. Se devo essere sincero condivido i tuoi gusti musicali. - 
Come faceva a sapere tutte quelle cose? Era una specie di stalker che la seguiva da quando era appena nata? A giudicare dall'aspetto il tizio doveva avere la sua stessa età. 
- A quindici anni, mentre attraversavi la strada per andare a scuola, una macchina ti ha investito, ma tu miracolosamente ne sei uscita incolume. Te lo ricordi? Hai pensato ad un angelo custode. Beh, avevi ragione. - 
Evelyn continuava a stare in silenzio. Era tutto vero, era tutto fottutamente vero. 
- Come diavolo fai a sapere queste cose? Chi te le ha dette? - chiese lei voltandosi. Vincent rimase seduto sul divano. A giudicare dal suo viso non sembrava affatto pericoloso. C'era però qualcosa di strano in lui. Aveva il colorito di chi era morto da un pezzo e i suoi vestiti sembravano usciti direttamente da una rivista metal degli anni novanta. 
- Le ho vissute insieme a te. Non potevi vedermi, ma delle volte mi hai sentito, non è così? - 
  Evelyn si appoggiò alla porto d'ingresso, sentiva le gambe molli come budini. La voce profonda di Vincent in effetti le sembrava quasi familiare. Era sicura di non averlo mai visto, però aveva dei ricordi vaghi. Forse in qualche sogno. 
- So che ricordi... Ricordi le ore che passavi a scrivere il tuo diario? Quante volte ti sei voltata per vedere se ci fosse qualcuno seduto sul tuo letto. Ero io. - 
Lei sgranò gli occhi. Era vero e nessuno avrebbe potuto sapere quelle cose. 
- Ma non vedevo mai nessuno, perchè adesso posso vederti?- chiese stupefatta. 
- Perchè... - Vincent non potè finire di parlare. Una luce accecante si espanse dal soffito e una donna dai lunghi capelli biondi apparve improvvisamente nel salotto di Evelyn.
- Sei un'idiota!- proruppe la sconosciuta rivolgendosi a Vincent. - Sei un grandissimo idiota! Perchè l'hai fatto?- 
Evelyn sbattè le palpebre velocemente. Come aveva fatto quella donna a materializzarsi in casa sua? L'idea degli angeli adesso le appariva quasi sensata. Per un attimo pensò che avrebbe vomitato. 
- Ti prego, Amelia, non immischiarti anche tu. - rispose Vincent alzandosi dal divano. - La mia protetta aveva bisogno di me e questo è quanto. So bene cosa mi aspetta...- 
- Avresti potuto aiutarla in altri modi. Per te adesso è finita, finita per sempre... - la voce della ragazza venne spezzata da un singhiozzo. Stava piangendo. 
- Scusate, io non mi sento molto bene - Evelyn corse in bagno a vomitare. 
Aveva appena appreso che due angeli o, almeno, due esseri a lei sconosciuti, stavano tranquillamente parlando nel suo salotto. Forse era tutto un sogno dovuto alle pillole che aveva ingurgitato qualche ora prima. 
Passò diversi minuti appoggiata al WC, vomitando una sostanza amara e gialla. Quando uscì dal bagno Vincent era ancora seduto sul suo divano e l'altra donna era magicamente scomparsa. Lui le sorrise. - Ti senti bene? - chiese. 
-No, affatto. Ma sono sicura che tu sia un' allucinazione dovuta alle pillole. Adesso dormirò un pochino e domani mattina o sarò morta, oppure mi sveglierò da sola nel mio letto. - 
- Hai ragione. Riposati, io sarò qui al tuo risveglio.- 
Evelyn si trascinò nella sua camera e appena toccò il letto chiuse gli occhi. Non era stata capace neanche di suicidarsi a dovere. 


 

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