Moth Goth

di Flofly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Nobile Indolenza ***
Capitolo 2: *** Capitolo II- Crepe ***
Capitolo 3: *** Capitolo III- Equilibri in bilico ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV- Di presagi e di inviti ***
Capitolo 5: *** Capitolo V- Valzer di Coppie ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI- Visitatori Inaspettati ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII- Mai fidarsi dei sabati tranquilli ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII- Temper Tantrum ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. Preparativi ***
Capitolo 10: *** Capitolo X- Imbolc finalmente ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI - Conseguenze ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII- Risonanze ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII- Mai dar retta ad un grifondoro ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV- Sospetti ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV- Auror o Traditrice ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI- Famiglie ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII- Mai una buona notizia, per Merlino! ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII- Dietro la maschera ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX- Prigionieri ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX- Castelli di Carta ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI- Resistenza e Resilienza ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII- Reazioni calme e ponderate, as always. ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII- Crepe nel velo ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV- Para Vis Para Bellum ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV-Intrecci ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI- Tic following Toc ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII- Acque torbide ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII- Quello che non vorremmo vedere ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX- Giochi di strategia ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX- Promesse infrante ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI- Un solo passo per cadere. Un solo passo per capire. ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII- Giù la maschera ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII- Tradimenti e nuove Alleanze ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV- Ritorni ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV- Battuta vecchia, mia cara! ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI- Piani di Battaglia ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII- Quello che siamo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Nobile Indolenza ***


Terza parte della serie " Potenza Para Vis" dopo "Il Calice della Vita" e "Quel che è stato, quel che sarà"

Il sole pallido di gennaio si rifletteva sulla neve soffice che tenacemente continuava a cadere giorno dopo giorno avvolgendo l’atmosfera di una sonnolenta apatia, rendendo particolarmente difficile concentrarsi nel pigro silenzio di una sala studio per lo più semiaddormentata. 

Ben al caldo, immersi nella rassicurante atmosfera della scuola e cullati appena dal rassicurante crepitio del fuoco, Draco Malfoy aveva capito da già da un po’ quanto fosse inutile anche solo tentare di aprire i libri: la sua mente continuava a tornare alla sera in cui aveva preso il marchio nero e agli occhi improvvisamente vitrei di quei ragazzi babbani.

C’era solo un pensiero in grado di salvaguardare la sua sanità mentale anche se metteva seriamente a repentaglio la preparazione ai GUFO e rendeva sempre più probabile che il suo capocasa lo rinchiudesse nei sotterranei fino a quando non avesse rimesso giudizio. E per giudizio Severus Piton intendeva solo una cosa: tornare a odiare i Grifondoro e a tenersi il più distante possibile da qualsiasi esponente di quella casa e ancora meglio se divisi da una bacchetta pronta a colpire. 

Con buona pace del suo professore preferito, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di assecondarlo. Non questa volta.

L’ancora di salvezza in questione si ravvivò una ciocca di capelli ondulati che erano sfuggiti a quell’assurdo groviglio che si era fatta sulla sommità della testa senza neanche avere la pretesa che potesse assomigliare ad un’acconciatura, troppo concentrata sul testo che aveva davanti per potersi preoccupare di qualsiasi cosa che non fosse la ricerca di Babbanologia. 

Si, perché nonostante fosse evidentemente e senza appello nata babbana la perfetta Prefetto Granger aveva deciso di prendere anche quella classe, senza un apparente motivo logico. Quando aveva fatto presente l’assurdità del concetto, oltre che la manifesta inutilità della materia stessa, gli era stato risposto che voleva capire come i maghi vedessero i Babbani.

Male, Granger, malissimo- aveva risposto orripilato - Io almeno l’ho sempre ammesso. Ma è pieno di persone che non vogliono che ci mischiamo. Non vedi come ci guardano tutti?

Sebbene fosse stato liquidato con uno sbuffò annoiato era evidente che le sue non fossero parole basate sul nulla: nonostante fossero passate settimane dall’inizio della scuola tutti gli occhi erano ancora fissati su di loro, tra lo sdegnato e l’incredulo. 

Draco Malfoy era abituato a sentirsi osservato: che fosse per invidia o per odio raramente aveva passato un giorno senza qualcuno che lo additasse, che approfittasse per malignare dietro le sue spalle o semplicemente che cercasse di ingraziarsi i suoi genitori tramite lui. Nessuno lo aveva mai considerato per quello che era realmente: un bambino spesso solo e spaventato. Figlio di Mangiamorte. Oh, mi saluti tanto i suoi genitori. I suoi dovrebbero essere ad Azkaban. Ma che onore averla qui. Quelli come lui dovrebbero sopprimerli alla nascita. Oh, è proprio la copia di suo padre.

Sin da piccolissimo sapeva di essere diverso. Per alcuni il frutto dell’unione di due delle più ricche e pure famiglie del mondo magico. Per altri un’aberrazione simbolo di tutto quello che volevano nascondere dietro le porte chiuse delle loro case. E ora riuscivano ad essere la summa delle due cose per il solo fatto di stare insieme. Esempio di perfetto connubio o incubo sociale? 

Aveva sul serio importanza?

Posò un bacio sul collo della Granger, poco dietro l’orecchio.

«Oh andiamo, hai scritto due pergamene, perché non ti dedichi un po’ a me? Posso descrivere io le conseguenze della presenza di natibabbani nel mondo magico» le mormorò con le labbra ancora su di lei «e inizierò proprio da questo punto».

Tutto ciò che ottenne fu però solo un mugugno che non sapeva bene se prendere come un segno di apprezzamento o di fastidio. Propese per mantenere la posizione raggiunta, mordicchiandole la pelle sottile.

«Cos’è siamo già entrati in crisi? Cazzo Granger stiamo insieme da un anno e già ti sei stufata di me?» borbottò con voce lamentosa, spostandosi di appena un centimetro.

Niente, ancora quello stesso suono indecifrabile. Conoscendola probabilmente non aveva sentito una parola.

«Se la metti cosi… Se tu non mi vuoi vado a buttarmi tra le braccia della prima Corvonero che trovo. Sono ancora popolare sai? C’è quella Edgecombe che continua a guardarmi in modo piuttosto equivoco da quando siamo tornati. Sono ancora un bel partito, Granger. Oltre alla nomea che mi sono fatto in questi anni» la stuzzicò bisbigliandole nell’orecchio le parole, poco prima di alzarsi con estrema lentezza.

Continuando a tenere lo sguardo fisso sulla nuca scarmigliata della grifondoro, che sembrava ben intenzionata a rovinargli tutti i minuziosi e senz’altro più interessanti piani per quel pomeriggio, quando si girò si trovò di fronte un estremamente disgustato Severus Piton, che senza dire neanche una parola indicò solo la porta, con gli occhi che dardeggiavano. Per una volta in vita sua Draco Malfoy decise che non era il caso di replicare o accampare scuse, se voleva avere qualche speranza di vedere la luce del sole al di fuori degli orari scolastici prima che iniziasse il disgelo.

Pansy si era goduta la scena seduta di fronte ad Hermione, tra le mani uno dei numeri della rivista pronta alla distribuzione. Schioccò le labbra sperando di attirare l’attenzione della socia, che però sembrava ancora troppo intenta a scrivere per permettersi alcuna distrazione.

In quei mesi a Serpeverde però aveva imparato a conoscerla e sapeva bene come stuzzicarla.

«Guarda che ha ragione: quella l’altro giorno a lezione di Volo praticamente gli si è buttata addosso con la scusa di aver bisogno di aiuto. E se vuoi posso darti qualche su cosa voleva mettere saldamente le sue mani: è di Draco, è divertente ma non è la Nimbus 2001.» cantilenò elencando con le lunghe dita smaltate di rosso.

La Granger continuò ad ignorarla.

«Ah e la simpatica Corvonero profuma di lavanda, non so se l’hai notato. Draco adora la lavanda. Sai c’è una sorta di campo vicino alla villa che hanno in Provenza…  un’estate sono andata a trovarlo e sai da cosa nasce cosa…» continuò notando con soddisfazione la penna che si fermava un attimo di troppo. Fregata.

Approfittò della sua distrazione per chiuderle di scatto i libri.

«Alla buon’ora Granger, mancava poco e dovevo mettermi a fare la rappresentazione con le piume d’oca e calamai perché mi degnassi della tua attenzione. E ora che hai smesso di occuparti di quell’insulsa materia, concorderai con me che c’è qualcosa di strano da quando siamo tornati? E ancora non ho sentito un grazie per averti fatto ricrescere i capelli ad una lunghezza decente dopo quel taglio da psicopatica che ti sei fatta. Non sai cosa ho dovuto fare per avere quella maledetta pozione» sibilò prendendole i rotoli di pergamena «E guarda che se non mi dai retta li faccio in coriandoli»

«Ti piacerebbe Parkinson, ma dopo anni con Ron ed Harry ho imparato a renderli indistruttibili» sibilò richiamandoli e sistemandoli in borsa «Ma se è finita la ricreazione a Serpeverde, ti ascolto. È piantala con questa storia della pozione, sappiamo entrambi che te l’ha data Narcissa Malfoy.»

«Aspetta, io prima voglio la descrizione del campo di lavanda. E soprattutto delle ustioni e delle punture di api» prima che potesse replicare Ginny si era seduta accanto a loro, la divisa da Quidditch addosso, pronta per gli allenamenti «E una cosa veloce che se arrivo in ritardo Angelina è capace di farmela pagare cara. A volte riesce a farmi mancare persino Baston, il che è tutto dire»

Pansy ghignò un attimo: «Parli per esperienza piccola Weasley? Merlino, povero Potty»

«O forse ho solo una fervida immaginazione. E per la cronaca quella che sta facendo impazzire qualcuno sei tu. Nello specifico: mio fratello» rispose con noncuranza ignorando l’insinuazione e sistemandosi i lucidi capelli rossi in una lunga coda riservando a Pansy uno dei suoi sorrisi migliori «Lo adoro. Senza contare che la vostra storia è fonte di infinite prese in giro. Fred e George stanno pensando di farti una statua a grandezza naturale con le figurine doppie delle cioccorane»

Se passare dei mesi con Pansy aveva messo a dura prova la pazienza di Hermione Granger, niente l’aveva preparata alla combo Pansy Parkinson- Ginevra Weasley. Si chiese per un attimo se per una volta il cappello e la genetica non avessero sbagliato. E se soprattutto non dovesse sentirsi in colpa per aver contribuito alla nascita di questa gorgone metà Serpeverde e metà Grifondoro.

«Tornando alla domanda principale e di materie realmente inutili, parli di nuovo della professoressa di Divinazione? Sai che io mi rifiuto di prendere sul serio quelle stupidaggini» sospirò cercando di disfare il nido che ormai sembravano essere diventati i suoi capelli.

Pansy si chinò sopra il tavolo per strapparle senza troppa grazia una penna d’oca che era rimasta impigliata in un ricciolo particolarmente ostinato «Non ti ricorda qualcuno? Ho la sensazione di averla già vista. E quei capelli…»

«Assomigliano a quelli del furetto in effetti» si lasciò sfuggire Ginny, meritandosi uno sguardo di fuoco «Ehi, dico solo la verità.»

«Potresti per favore smettere di chiamarlo così?  E i Malfoy non hanno l’esclusiva dei capelli molto chiari, pensa a Luna» borbottò Hermione senza troppa convinzione ripensando che finora quel colore esatto oltre che su Draco l’aveva visto solo sui Lucius e i suoi fratelli. Il fatto che poi quei quattro si somigliassero come gocce d’acqua non aiutava.

«E se fosse una figlia illegittima?» la interruppe Ginny girandosi verso Pansy e prendendole di mano la copia di Ambwitchious sfogliandola pigramente «Un sordido segreto di famiglia».

«L’ha detto anche Dafne, ma non credo. Non mi sembra probabile Draco possa avere una sorellastra» rispose la Serpeverde tamburellando pensierosa le dita sul viso

«E come fai a dirlo? In fondo suo padre potrebbe aver messo incinta qualcuna senza saperlo» continuo soffermandosi appena sulla copertina.

«Poco probabile, secondo me la professoressa ha una ventina d’anni, massimo venticinque. Lucius doveva essere ad Hogwarts e già stava con Narcissa»

Ginny scrollò le spalle: «E quindi? Non potrebbe averla tradita? Magari una serata in cui aveva bevuto troppo. O si erano presi una pausa, insomma non puoi escluderlo. Sappiamo tutti che i Serpeverde non sono proprio noti per i costumi morigerati, e il padre di Draco non faceva eccezione a quel che so io. Come suo figlio d’altronde… prima di incontrare te» aggiunse con un sorriso malizioso

Pansy ed Hermione si lanciarono un’occhiata prima di scoppiare a ridere ripensando alle scenate di Narcissa adolescente.

«Weasley, pensi seriamente che qualcuna rimanga incinta di un appartenente di una delle famiglie più ricche del mondo magico britannico e non lo dica? Quanto sei carina, povera piccola sprovveduta di una Grifondoro» la prese in giro Pansy riprendendosi la rivista e spiandola bene sotto le dita per eliminare tutte le pieghe che quella indelicata di una rossa aveva fatto sulla sua preziosa foto.

«Ma dai, che squallore. Magari non era una di voi ma qualcuna con un minimo di dignità» rispose quella arricciando le labbra. Poi improvvisamente fu presa da un’ispirazione «O l’hanno pagata per tacere. Oppure minacciata»

«Scherzi? Avrebbe dovuto ingannare sia Narcissa che Andromeda e Bellatrix, nessuno può essere così folle da pensare di sopravvivere. A quest’ora Malfoy sarebbe il fantasma di Serpeverde al posto del Barone Sanguinario e ti posso assicurare che Draco non sarebbe nato» commentò Hermione sovrappensiero «E se fosse di Nicholas?»

«Stesso discorso. E poi a quel tempo era fidanzato con Narcissa, non avrebbe fatto uno sgarbo del genere alla famiglia Black.  Oh andiamo Granger, non guardarmi così, te l’ho provato a dire anche quel giorno mentre provavamo i vestiti. Ma tu ovviamente non stai mai a sentire» si esasperò la Serpeverde.

Ginny Weasley raramente rimaneva senza parole ma se quella storia le stava facendo venire il mal di testa d’altro canto sembrava una di quei sordidi racconti di uno dei libri rosa che prendeva di nascosto a sua madre.

«Cosa? Quindi quella che ha tradito è stata la Regina di Ghiaccio?» chiese la giovane Weasley guardando improvvisamente l’orologio «Scusa Herm, mia madre la chiama così di solito. O meglio la chiama così quando vuole essere gentile. Posso fornirti un’altra lista di nomignoli meno formali se vuoi»

Le due ragazze però si erano improvvisamente ammutolite.

«Mi piaceva Nicholas. Era... gentile» mormorò Hermione improvvisamente rabbuiata «E faceva stare bene Draco. Credo gli manchino molto i suoi zii, anche se non ne parla mai».

«C’era anche una zia Malfoy, vero? Che fine ha fatto? La versione breve, per favore, ho cinque minuti e passerò tutta la partita a pensare a questi intrecci degni della peggiore Rita Skeeter» incalzò la rossa.

«Comunque mia piccola volpe direi proprio che non può essere sua: Arael Malfoy morì in circostanze sospette poco prima di partorire. Nessuno ne ha più saputo niente da allora ma sulle rive del Lago nero sono stati ritrovati i suoi vestiti e i suoi gioielli. Draco mi ha detto che una volta ha sentito i suoi parlare di una lettera di addio che ha scritto al fratello, ovviamente mai resa nota. Si è suicidata con il bambino pur di non farlo nascere, direi che possiamo eliminarla dalla lista» disse la Serpeverde fissando improvvisamente la finestra con rinnovato interesse, il respiro che accelerava improvvisamente.

Hermione si chinò appena per stringerle un polso sentendola irrigidirsi, persa nel ricordo di quella che avrebbe potuto essere la sua vita se solo l’anno precedente non fosse mai accaduto. Probabilmente capiva Arael e il suo gesto molto più di quanto le sarebbe piaciuto ammettere.

«E se si fosse nascosta da qualche parte? E ora fosse tornata per vendicarsi? Dannazione, devo volare o la Johnson mi userà come cavia per i bolidi. Voi intanto pensateci eh, poi ne riparliamo stasera» borbottò Ginny a malincuore prima di buttarsi di corsa per le scale, sperando che ci fosse qualcuno, probabilmente Ron, che fosse più in ritardo di lei.

Hermione si fermò a riflettere un attimo, c’era una cosa che la tormentava da quando erano tornate.

«Pansy»

«Mhmm. Vuoi chiedermi se è vera la storia della lavanda?» chiese la mora con una smorfia, cercando di recuperare il suo contegno.

Hermione scosse la testa «No. È’ da un po’ che ci penso …Cosa ricordi di quando siamo andate dalla Dama del Lago? Più passano i giorni più i ricordi diventano confusi. Ricordo la nebbia, l’assurda storia dei genitori della Dama del Lago, l’accordo per l’Horcrux. Ma sono certa che ci fosse altro, eppure ogni volta che cerco di fare mente locale tutto diventa confuso»

Pansy sospirò passandosi una mano nel caschetto lucido: «E se non ci riesce la strega più brillante della sua generazione… A dire la verità io non ricordo neanche come ci siamo arrivati al Bosco di Hogsmeade. Tu?»

Hermione scosse nuovamente la testa. No, non lo ricordava, tutto era confuso dopo che Draco aveva riportato il libro proibito. Sapeva che c’entrava la sua famiglia ma il come era avvolto nella nebbia.

 

***

 

«La diseredata è arrivata signore» annunciò Kreatcher senza neanche preoccuparsi di nascondere il proprio disgusto di fronte a quella che considerava una profanazione della sua casa. Come se il fatto che il figlio ingrato della sua compianta padrona avesse preso il possesso di Grimmauld Place non fosse già un’onta sufficiente

«Kreatcher caro, vengo adesso da un altrettanto piacevole incontro con un elfo della tua stessa amabilità e visioni progressiste. E ho a stento trattenuto l’istinto di farlo diventare una statua per il giardino dei pavoni, non sfidare la mia pazienza» rispose con un sorriso glaciale Andromeda gettandogli addosso il proprio cappotto, cosa che tuttavia non impedì di sentire il sospiro sognante di Kreatcher 

«Elfo fortunato Krippy. Elfo fortunato, invero. Anche qui c’erano i pavoni. Bei tempi. Prima che il signore gettasse alle ortiche la nobile e antichissima famiglia dei Black. Ah se la padrona sapesse. Che disonore! Che tragedia!» - borbottò ciondolando via non senza dimenticare di lanciare uno sguardo di pura riprovazione ad i cugini seduti sul divano di morbido velluto verde che il padroncino Regulus amava tanto.

«Come puoi vedere anche se Harry è ad Hogwarts io e il mio adorabile e ben stipendiato anche contro la sua volontà elfo domestico sappiamo come far passare il tempo» Sirius alzò la voce in modo da farsi ben sentire da Kreatcher che per tutta risposta emise un gemito di disapprovazione «A proposito, ti fermi a cena? Sta arrivando Remus, non so quali documenti stava studiando ma non dovrebbe fare troppo tardi»

Andromeda chiuse gli occhi appoggiandosi contro lo schienale, cercando di far riposare la mente per un secondo: negli anni aveva capito che il modo migliore per staccare era stare al centro del ciclone. E chi meglio di Sirius? «No, sono passata solo per lasciarti una cosa per lui. Vorrei godermi una serata in santa pace con mio marito, una volta tanto. Già ho avuto abbastanza drammi per oggi»

Sirius iniziò a rollarsi una sigaretta, allungando i piedi sul prezioso tavolino di ebano.

«Fammi indovinare: bionda, occhi azzurri e aria perennemente annoiata?» chiosò chiudendo soddisfatto la cartina prima di accenderla con un tocco di bacchetta. Lui e la cugina minore non erano mai andati d’accordo. A quel punto se proprio doveva scegliere, escludendo Andromeda, almeno poteva rispettare l’assoluta e pura follia di Bellatrix. In un certo senso, almeno.

Prima che la strega potesse rispondere Kreatcher fece il suo rumoroso ingresso nella stanza, torcendosi le mani per l’agitazione chiocciando e scrutando la stanza speranzoso: «Lady Narcissa sta arrivando?»

Questa volta ad emettere un lamento pericoloso fu il padrone di casa, cui l’elfo rispose torcendosi le orecchie tornando nell’altra stanza maledicendo la sua sfortuna.

«Piantala, non hai più dodici anni» commentò la cugina ancora con il capo reclinato sulla spalliera «E visto che non ne hai neanche venti stai lontano dalla mia assistente»

Sirius sgranò gli occhi nella più pura espressione di innocenza che riuscì ad esibire: «Guarda che io l’ho solo accompagnata a casa. Dopo che tu l’avevi fatta piangere per l’ennesima volta»

«E quante volte l’hai consolata, per sapere?» gli occhi indagatori di Andromeda si fissarono sul cugino scrutandolo.

«Se mi è permesso vantarmi, oserei dire molteplici volte e tutte in maniera piuttosto soddisfacente» ghignò di fronte all’occhiata furiosa della strega, lanciando pigramente un incantesimo difensivo per precauzione: «Oh andiamo Drom, non ti ricordavo così puritana. E vorrei far presente che il tuo futuro genero ha la mia età»

«Stammi bene a sentire: ci ho messo anni a trovare un’assistente decente. E tu non me la manderai in depressione perché hai deciso di vivere una seconda tarda adolescenza» si avvicinò andandosi a sedere accanto al mago e iniziò a pungolarlo con la bacchetta sul petto: «E peggio ancora, non me la distrarrai. Giuro su Salazar Serpeverde che se mi molla pregherai di tornare ad Azkaban.»

Sirius la guardò offeso «Per Salazar Serpeverde? Te l’ho detto stai passando troppo tempo con tua sorella»

«Sta. Lontano. Dalla. Fowley» ribadì colpendolo ripetutamente con il faldone che si era portata dietro «E dai questo a Remus. Io ora vado a casa a farmi un lungo bagno caldo, possibilmente in compagnia di una bottiglia di vino. E non ti azzardare a dirmi che sto per diventare nonna o te lo faccio mangiare»

«Si ma stai calma o dovrò spiegare a tuo nipote che ha la possibilità di ereditare la pazzia dei Black, oltre ai geni mutaforma. E a quelli di lupo mannaro. Un po’ troppo per un neonato, non credi?» tubò ridacchiando prima di trasformarsi nel grosso cane nero e fuggire via dall’ira della cugina.

Andromeda era ancora con il braccio alzato quando Krippy fece nuovamente la sua comparsa, apparendo con un sonoro plop accanto al divano

«Fowley? Quei Fowley?» chiese sfregandosi le lunghe dita noccute «Ma che fausto giorno per Krippy. Finalmente qualcuno di decente, padroncino. Finalmente a Krippy smetteranno di sanguinare gli occhi a furia di vedere sanguesporco e creature strane nella casa della padrona. Sono Tassorosso ma almeno purosangue, Salazar sia lodato. Lieto, lieto che finalmente il cervello del padroncino abbia ripreso a funzionare. Forse Mrs. Andromeda dovrebbe colpire più forte»

Sirius, ripresa la forma umana emise un ringhio basso che non aveva niente di umano.

«Appena appena?» ritentò con la sua migliore imitazione di voce paziente, prima di scartare di lato evitando per un pelo il grosso posacenere d’argento che volò a pochi centimetri della sua grossa testa, continuando con disgusto «Peccato. Ah è arrivato il lupo mannaro, come se fosse necessario»

«Ehi Remus, guarda, tua suocera fa finta ancora di essere giovane…AHIA!» chiamò il padrone di casa chinandosi per il dolore della gomitata che la cugina gli aveva rifilato approfittando della sua distrazione.

Remus alzò le mani in segno di resa, aveva capito da tempo che era meglio non immischiarsi negli affari di quella famiglia. E soprattutto di non dare mai ad una Black, sebbene rinnegata, l’occasione per perdere le staffe. Poi si concentrò sul dossier che aveva portato Andromeda, sedendosi in poltrona per sfogliarlo con calma, mentre i cugini risolvevano i loro dissapori.

Era decisamente corposo per essere stato redatto in così poco tempo. Troppo.

 

***

 

Probabilmente sarebbe morto li, macinando bacche di ginepro, alicorni, iperico, radice di mandragora e probabilmente ogni altro ingrediente mai venuto in mente ad ogni pozionista vivente. 

Se proprio doveva essere onesto, non era così male, sebbene sicuramente avrebbe preferito passare quel tempo in compagnia dei suoi amici. O della Granger, ancora meglio.

Ma le stanze private di Piton avevano quel profumo che lui da sempre associava alla figura famigliare di quello che era diventato facilmente il suo professore preferito: l’odore penetrante delle erbe e dei veleni lo seguiva ovunque andasse. Era un odore ancestrale, rassicurante. 

«Pansy dice che c’è qualcosa che non va nella professoressa nuova» buttò li casualmente studiando Severus profondamente assorto nella correzione del test a sorpresa che aveva imposto agli studenti di tutte le sue classi appena messo piede nell’aula di pozioni.

«Se intendi tua cugina direi che la lista potrebbe essere lunga» rispose quello con voce atona senza neanche staccare lo sguardo disgustato gli occhi dai rotoli di pergamena.

«Intendevo l’altra professoressa nuova. Quella con cui tu sembri andare stranamente d’accordo» rimbeccò mettendo sulla bilancia di precisione la polvere di rosa canina appena preparata prima di farla volare nella boccetta dedicata, soddisfatto del lavoro.

«Vuoi davvero parlare di persone improbabili con cui andare d’accordo?» chiese mentre una grossa T scarlatta appariva sul compito davanti a lui. «Fossi in te mi muoverei, dopo devi preparare la pozione la pozione peperina per Madame Pomfrey, sembra che voi studenti non facciate altro che prendere raffreddori d’inverno e io mi sono stufato. Di che colore è l’Essenza dell’Instabilità?»

Draco sorrise tra sé e sé, soddisfatto che Severus si fidasse di lui per quel compito, anche se di certo la pozione non era poi così complicata.

«Verde. Longbottom?» rispose tranquillo guardando soddisfatto l’elisir di dittamo che ribolliva nell’alambicco e indicando con il mento il compito che Piton stava facendo lievitare verso la pila di quelli già corretti «Mi stai dicendo che hai una tresca con la Montmorency? Beh, buon per te, è molto bella»

«L’inadatto oggetto dell’attenzione della Signorina Parkinson piuttosto» concesse tirando appena le labbra in un sorriso vedendo il ghigno che era apparso sul volto del suo studente prediletto, segno che la pazzia non si era impossessata definitivamente di lui. Anche se di certo non poteva dirsi di un’intelligenza acuta, visto che non solo non aveva notato la somiglianza con sua zia, ma neanche che Niamh avesse scelto di portare parte del cognome di sua nonna. Quello doveva essere l’effetto dei geni di Lucius «E quali sono gli effetti la pozione?»

Il ragazzo stava sistemando con una precisione maniacale che gli ricordava fin troppo Narcissa l’etichetta sul vasetto di occhi di scarabeo e rispose tra un incantesimo incollante e l’altro «Decisioni irrazionali e instabilità mentale. Ma non hai risposto alla mia domanda»

Severus annui avvicinandosi al banco di lavoro, il mantello nero che ondeggiava ad ogni passo «Perché non sono fatti tuoi con chi parlo o meno. Piuttosto, sei sicuro che la Granger non ti abbia versato qualcosa nel succo di zucca? Spiegherebbe tante cose»

Draco fece una smorfia passandogli la boccetta di menta peperita.

Per un po’ lavorarono immersi nel silenzio, così come erano abituati in passato. A Draco però non sfuggì che in realtà Severus non aveva smesso un attimo di scrutarlo.

Poi improvvisamente il professore ruppe il silenzio: «Sicuro di stare bene?»

Draco continuò a tenere gli occhi bassi sugli ingredienti per nascondere l’imbarazzo, annuendo in silenzio.

Di nuovo l’unico rumore che risuonò per un po’ fu solo quello della pozione che ribolliva placida, lasciando due serpeverde tanto diversi per nascita ed aspetto a guardarla ciascuno assorto nei propri demoni.


 

***

 

Camminava avvolta in una nebbia densa e fitta che le si appiccava addosso come un mantello umido e profumato di erbe, mentre il fiotto di luce della bacchetta non riusciva a penetrare quell’oscurità talmente profonda da inghiottire persino il suo stesso respiro.

L’unico rumore che sentiva era il richiamo di una civetta, lontanò come se giungesse da chilometri di distanza: non capiva se davvero in quel posto non ci fosse nessuno oltre lei o se era il suo stesso sangue che le pompava furioso nei timpani ad assordarla.

Camminava a rilento, cercando di guardarsi intorno, ma tutto ciò che riusciva ad intravedere erano le sagome degli Alberi. Era già stata in quel posto, ne era certa. Ricordava quell’odore, quella sensazione straniante… il respiro del bosco che li avvolgeva.

Era di nuovo nel bosco di Hogsmeade, ma questa volta era sola. Camminando all’indietro per cercare di capire dove diavolo fossero finiti tutti inciampò in qualcosa, cadendo malamente in terra. Carponi cercò di recuperare la sua bacchetta imprecando, mentre le sue mani toccavano un tessuto ruvido e coperto di qualcosa di viscido ed appiccaticcio.

Sperò con tutto il cuore che non fosse quello che pensava, anche se l’odore era inconfondibile. Come aveva fatto a non accorgersene prima?

Alla luce tremolante i suoi sospetti divennero una tragica ed inaspettata realtà.

Davanti a lei giaceva immobile Harry Potter, la cicatrice ben visibile sotto i ciuffi di capelli scomposti e sporchi di fango, gli occhiali rotti. Piantato nel suo petto, nel centro di quella disgustosa macchia rossa che aveva toccato poco prima, un pugnale che conosceva bene.

Pansy urlò con tutto il fiato che aveva in gola.


 

Si svegliò di soprassalto, il grido ancora in gola e il cuore che batteva a mille.

Era stato solo un sogno, un maledetto incubo, cercò di ripetere a sé stessa ributtandosi sul cuscino, mentre il sudore gelato le si freddava addosso facendola tremare.

«Brutti sogni, Pansy?» si girò appena verso la voce che proveniva dal letto accanto al suo, il faccione arcigno di Millicent Bulstrode ben visibile anche da li.

Evitò di rispondere, i rapporti tra le due erano già abbastanza tesi dopo il ballo dai Malfoy.

Senza degnarla di uno sguardo Millicent si diede un’ultima occhiata allo specchietto che aveva in mano, prima di riporlo sul comodino accanto a letto. 

Poi si tirò le coperte fin sopra la testa e si addormentò all’istante.

O almeno o era addormentato o aveva ingoiato l’intera segheria magica di Hogsmeade.

Pansy fisso la copertura del letto a baldacchino a lungo, consapevole che per quella sera il sonno sarebbe stato un amico molto distante.

 


 

 

Un respiro profondo e si ricomincia, con una promessa però: i capitoli saranno decisamente più brevi di "Quel che è stato, quel che sarà".

 

Anche in questo caso ho fatto un'unica bacheca Pinterest dalla quale prendere ispirazione che ti lascio qui, nel caso ti venga voglia di capire un po' il mood di questa storia.

Sarà anche questa decisamente Serpeverde e con un Draco infantile e capriccioso continuamente alla ricerca di conferme?

Decisamente sì.

Ci saranno morti e torture? Certo.

Troverai mischiati elementi dei libri, dei film e riferimenti a head e fan canon in ordine sparso e assolutamente non coerenti con l'originale? Ovvio.

Infine come sempre ci saranno rifermenti alla cultura celtica, alle saghe, al voodoo e tanto altro ma nessuno di questi va preso alla lettera e soprattutto non è inteso a sminuire alcuna filosofia, religione o tradizione. Semplicemente è un gran calderone in cui butto tutto quello che mi ispira.

Detto questo... a lunedì prossimo!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II- Crepe ***


Cura delle creature magiche già di per sé non poteva di certo definirsi la lezione preferita dai Serpeverde.

A seconda della persona a cui lo si chiedeva le ragioni potevano essere molteplici: per Pansy e Blaise, ad esempio, era un insieme senza senso di fango, creature sporche e luce fastidiosa che rischiava di rovinare il loro impeccabile incarnato; per Theodore Nott era l’impossibilità di distinguere alcuni dei suoi compagni di corso dalle bestie che dovevano accudire; per altri la non troppo vaga possibilità di finire in infermeria con un arto offeso.

Per Draco Malfoy, invece, le ragioni erano sempre e soltanto due: il gigante barbuto, fiero padre amorevole di quel dannato pollo troppo cresciuto che aveva tentato di mutilarlo, e il fatto che sin dalla prima lezioni fossero costretti a seguirla con i Grifondoro. Ovviamente era ben contento di avere la possibilità di vedere la Granger, ma Merlino quei tre seguivano lo sproporzionato e nerboruto insegnante come cuccioli di Crup sotto amortentia e la cosa non mancava di provocargli dei conati di vomito.

E dire, anche se non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, che in realtà la materia gli piaceva: stare all’aria aperta, non dover stare a seguire delle noiose lezioni puramente nozionistiche, avere la possibilità di spingere Potter tra le fauci di qualche creatura mortale…Si, in effetti cura delle creature magiche sarebbe potuta facilmente divenire la sua materia preferita, anche se probabilmente se sua madre l'avesse saputo lo avrebbe internato al Maniero. Ancora non sapeva perché ma sembrava aver accettato la nata babbana ma preferire giocare al piccolo guardaboschi all’arte complessa e delicata delle pozioni era qualcosa che Narcissa Black Malfoy non poteva neanche concepire. 

A proposito di sua madre, prese un appunto mentale di rispondere ai genitori che in poco più di tre settimane gli avevano mandato cinque lettere e due pacchi e la cosa iniziava a diventare sospetta. Anche sulla Gazzetta del Profeta le loro foto nella pagina mondana erano pressoché scomparse, ma sua madre aveva liquidato la cosa dicendo che era in lutto per la sorella.

Si, come no. Voleva proprio vedere se avrebbe avuto il coraggio di non andare alla raccolta fondi per il San Mungo in memoria di Cedric Diggory, essendo la campagna portata avanti dalla Chang, visto che Andromeda era la direttrice del reparto e di sicuro non avrebbe accettato di non avere la madrina dell’evento presente.

E a proposito della sua zia superstite, psicolabile a suo modesto parere tanto quanto quella morta, e della sua discutibile progenie… per quale dannato motivo sua cugina era accanto al gigante puzzolente tutta tronfia?

Quel sorriso dolce ma indubbiamente sadico lo aveva visto mille volte sin da bambino. Era lo stesso che aveva sua madre quando aveva fatto il falò dei tesori di Quidditch di suo padre, raccontandogli con estrema dovizia di particolari lo scricchiolio del fuoco che divorava la casacca dell’ultimo anno in cui la sua squadra si Serpeverde aveva vinto la Coppa della Case.

Per un attimo pensò di fingere un malore, ma era altamente improbabile che quella dannata strega ci cascasse. Si avvicinò alla Granger, sbalordita quanto lui, sfiorandole appena la mano, prima di tornare a concentrarsi sulla strana coppia che li attendeva. Si sarebbe fatto bastare il fatto di poterle stare vicino, anche perché Piton era stato abbastanza chiaro sulle effusioni durante le lezioni. E lui alla sua preziosa testolina bionda ci teneva parecchio.

I buoni propositi però vennero cancellati quando dietro di loro sentì un grugnito disgustato.

«Vuoi un fazzoletto, Greg?» chiese girandosi a guardare quella che per quasi quattro anni era stata la sua ombra che ora lo fissava con evidente disapprovazione anche nella sua espressione solitamente ebete

«Forse sei tu che ne hai bisogno. Di quello e di un bell'incantesimo disinfettante» grugni qualcuno di rimando. Una frase troppo lunga per essere di uno che ancora aveva seri problemi a non sbagliare le aule delle lezioni. Si guardò intorno per cercare di capire chi fosse stato.

«Come prego?» ribadì gelido lanciando in terra la borsa e prendendo Goyle per il colletto. Non gli era sfuggito che nonostante facesse finta di niente, la Granger aveva serrato le mani strette attorno alla bacchetta. Meglio dare un pugno prima che qualcuno dei loro compagni finisse al San Mungo. Chi fosse non era importante.

Quello che urgeva fare era chiarire bene che a nessuno venisse in mente anche solo di provare a fare una cosa del genere.

«Eppure dopo aver visto lei» aggiunse Millicent Bulstrode indicando con la faccia da bulldog Tonks e arricciando il naso come se avesse sentito un odore davvero sgradevole, che ad essere sinceri poteva anche essere quello di Crabbe accanto a lei «Dovresti aver capito che se i purosangue non si mischiano con quelli come loro c’è un motivo».

«Ma sta zitta, mezzosangue. Lo sanno tutti che nella famiglia di tua madre chissà quanti nati babbani ci sono. E se lo chiedi a me, alcuni potrebbero essere dei Troll» ribatté acido lasciando sfiorando appena in tempo la manona di Vincent che aveva cercato di colpirlo.

Dannato omuncolo. Schiumando di rabbia stava per contrattaccare quando il bestione cadde in terra, come se le gambe fossero incapaci di sostenerlo. Ghignò guardando la Granger che si era appena girata a guardarli, la bacchetta ancora in mano. A malapena si era mossa.

«Fattura Gambemolli, piuttosto elementare. Ma se non vuoi che ti provi cosa può fare una sanguesporco ti consiglierei di non azzardarti mai più a parlare così di Tonks» replicò con gli occhi color miele che brillavano, mentre con l’altra tratteneva Potter che si stava per lanciare con fin troppo entusiasmo nella mischia.

«Io non la farei arrabbiare troppo. Anche se credo che un paio di fatture orcovolanti avrebbero solo il pregio di migliorarti esteticamente» tubò Pansy avvicinandosi con aria svagata e prendendo Draco per le spalle. «E ora muovetevi che non ho intenzione di prolungare quest’agonia. Io al contrario vostro avrei qualcosa di più interessante da fare»

«Tipo farti Weasley? Merlino, Pansy come sei caduta in basso» rimbeccò la Bulstrode con aria di sfida.

Pansy la squadrò con occhi diventati freddi e duri come fatti di pietra battendo sullo stemma di prefetto. «Tipo studiare come stringere il tuo grosso collo da maiale senza rovinarmi lo smalto. E se ti azzardi a riaprire bocca tolgo dieci punti a Serpeverde per avere un dannato erumpent con la parrucca tra i suoi studenti»

«Cosa credi che dirà Piton, cretina?»

Pansy scrollò le spalle, noncurante e con uno strano sorriso.

«Oh credo che già lo sappia che sei nella nostra casa, Millie. E direi che potrebbe essere molto più irritato se scoprisse che l’intera classe ha fatto incazzare la professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure» si intromise Blaise in tono leggero, sbattendo gli occhioni e indicando con il capo Tonks i cui capelli avevano assunto una preoccupante sfumatura magenta.

Avvicinandosi alla professoressa Pansy prese per un braccio Draco e lo spinse insieme a Blaise dal lato opposto rispetto ai grifondoro.

«Dobbiamo ristabilire la gerarchia Malfoy. E dobbiamo farlo ora» gli bisbigliò in un orecchio. 

Draco annuì lanciando un’ultima occhiata animosa al nuovo trio della corte dei miracoli che attentava al suo predominio su Serpeverde si costrinse a girarsi verso la cugina e il gigante che guardavano soddisfatti una serie di segni strani incisi nel fango.

In particolare il bastone davanti a loro disegnò nell’aria due grandi tratti perpendicolari tra di loro con all’estremità delle specie asterischi, lasciando una scia colorata a mezz’aria.

«Alberi. Quanti di voi hanno mai pensato che possano essere pericolosi? A parte il platano picchiatore, ovviamente. E non sto parlando di foglie o frutti velenosi, per quelli sono certa che la professoressa Sproute possa darvi tutte le informazioni necessarie. Io intendo gli spiriti degli alberi e quelli che utilizzano gli alberi come mezzo di comunicazione» continuò con un gran sorriso mentre la terra davanti a lei si riempiva di simboli.

«Gli alberi sono la rappresentazione perfetta dell’incrocio. Vedete la linea verticale del tronco scende giù in profondità attraversa la terra alla ricerca dell’acqua…» continuò Tonks indicando il primo tratto nel terreno

«Oh, e tutta l’acqua qui la bevono dal Lago Nero, sapete. Per questo gli alberi di Hogsmeade e Hogwarts sono speciali, sissignore. Alberi fantastici, queste creaturine. Non c’è luogo al mondo dove troverete alberi migliori, garantito» borbottò Hagrid sfregandosi le grandi mani soddisfatto.

«Esatto. Secondo alcuni studi questa è la dimensione degli spiriti, dei fantasmi e di tutte le anime che vogliono comunicare con noi. La linea orizzontale invece rappresenta la terra e tutti noi»

Una mano si alzò.

«E questo esattamente cosa c’entra con Difesa contro le arti oscure?»  chiese Patil con tono annoiato che però non scalfì minimamente l’entusiasmo della professoressa.

«Oh lo vedrai mia cara, non tutti gli spiriti possono essere amichevoli sai? Alcuni covano un gran risentimento per quello che abbiamo fatto al loro habitat naturale» continuò con quella voce fin troppo calma che non lasciava presagire nulla di buono. «Oggi vi farò vedere i vari incantesimi per disfarsi di quelli più comuni».

Il che sarebbe stato perfetto un mese fa, stupida Hogwarts non poté fare a meno di pensare Draco. Uno sguardo veloce a Potty e Lenticchia gli confermò che anche dal lato Grifonscemo avevano avuto lo stesso pensiero: ricordavano bene la prima e l’ultima volta in cui avevano scoperto che i suddetti spiriti potessero non essere proprio amichevoli. E il serpeverde ricordava anche qual era stata la geniale soluzione del rosso, che gli era costata un costosissimo e morbidissimo paio di scarpe fatte a mano. Certo poi Pansy aveva utilizzato Weasley come esca a rischio che venisse fatto a brandelli, quindi in fondo in fondo forse erano pari.

Forse.

«E c’era bisogno di venire qui fuori? E perché c’è Hagrid?» continuò lamentosa la studentessa mentre era evidente che la Granger si trattenesse a stento dal maledirla in pubblico. Era probabile che a furia di frequentare serpeverde ne avesse adottato anche i metodi di risoluzione delle controversie.

Il sorriso della strega si illuminò maligno, i capelli che tornavano al rosa bubblegum di quando era contente. Draco per un attimo tremò.

«Oh ma cosa c’è meglio del bosco per mettervi subito alla prova da soli?».

Draco sbuffò.

Lui l’aveva detto.

Quella era mezza Black.

Tutte matte.

 

***

 

Da quando era rientrata ad Hogwarts non c’era stata una sola notte tranquilla per lei: appena chiudeva gli occhi si trovava di nuovo nell’oscurità del bosco di Hogsmeade, incapace di trovare la strada per uscirne. E sempre, inevitabilmente, sola.

Non aveva più visto il cadavere del bambino sopravvissuto ma ogni fibra del suo essere sapeva che era lì, nascosto da qualche parte. Poteva sentire l’odore del sangue inseguirla tra gli alti alberi severi.

E poi aveva iniziato a sentire la voce. Un suono musicale, un tintinnio di campanelle nel vento, eppure capace di graffiarle il cervello.

 

Ogni notte risuonavano nell’oscurità umida della foresta incantata.

E ogni giorno rimbombavano nella sua mente ogni volta che i capelli continuamente in disordine e gli occhiali tondi dalla montatura dorata entravano nel suo campo visivo. Non aveva neanche bisogno di vedere la cicatrice ormai diventata leggenda.

E le parole erano sempre le stesse.

Harry Potter deve morire.

Si chiese quanto avrebbe potuto resistere a quell’ordine. Dentro di sé, da qualche parte in profondità, sentiva che davvero quella era l’unica soluzione

Cercò di concentrarsi sulla lezione di divinazione, chiedendosi ancora una volta cosa fosse che non andava nella Professoressa.

Ecco, se si fosse impegnata abbastanza forse sarebbe riuscita ad arrivare il giorno dopo senza spaccare il cranio del bambino sopravvissuto.

Un giorno alla volta.

Un’ora alla volta.

E poi c’era sempre la possibilità di sfogarsi su Weasley, visto che da quella posizione poteva vedere distintamente la mano di Lavanda Brown posata sulla sua coscia, mentre ridacchiavano di qualcosa.

Evidentemente l’esperienza della sala grande non gli era bastata.

Questa volta avrebbe dovuto essere certa di prendere in pieno la sua zucca vuota. Si chiese distrattamente se una delle sfere da divinazione che brillavano nello scaffale in fondo alla sala potesse servire alla causa.

«Io te l’avevo detto che era una pessima idea» le sussurrò Draco lanciando un’occhiata malevola nei confronti della coppia e nel frattempo prendendole la bacchetta «Facciamo che questa la prendo io fino alle fine della lezione, va bene? Poi possiamo buttarlo giù per le scale insieme a Camomilla»

«Lavanda» ringhiò muovendo appena le labbra e senza staccare lo sguardo dai due. 

In quel momento Harry, che era perso nell’osservare la figura elegante della nuova professoressa china sul suo tavolo, si girò di scatto, a disagio, come se qualcuno lo stesse fissando con insistenza.

In quello stesso momento Lavanda lanciò un urlo che poco aveva di umano, lanciando la tazzina di caffè che teneva in mano.

«Ecco ci risiamo» non poté fare a meno di borbottare il bambino sopravvissuto a Dean Thomas accanto a lui, massaggiandosi la fronte, dove la cicatrice aveva iniziato a pizzicargli spiacevolmente. Probabilmente ora avrebbe fatto come la Trelawney e pronosticato la stupida morte di un coniglio. O avrebbe visto un grosso cane minaccioso che aleggiava nella stanza. Beh, più o meno minaccioso a dire il vero.

Fu la faccia di Ron però a preoccuparlo maggiormente. Il suo migliore amico era diventato pallido come la morte, gli occhi azzurri sgranati in un’espressione di orrore che somigliavano moltissimo alla prima volta che avevano avuto il dubbio piacere di conoscere Aragog.

La professoressa si avvicinò al tavolino, dove dalla porcellana rotta fuoriusciva un liquido denso e viscoso, dall’odore inconfondibile. Sfiorò appena la macchia che si stava formando e si guardò le dita tinte di rosso.

«Interessante fare lezioni con voi» disse calma come se qualcuno le avesse appena chiesto maggiori informazioni sulla divinazione degli auguri «E ora direi che la lezione è finita. Forza, sparite»

«Non sei stata tu vero?» chiese a mezza voce Blaise seguendo lo sguardo preoccupato di Draco. Entrambi si presero un’occhiata che avrebbe fatto invidia al miglior basilisco.

«Era solo per chiedere.» borbottò l’amico a mezza voce alzando le mani in segno di resa «Capirai che la coincidenza è particolare»

La Brown ancora tremante fece per alzarsi ma Niamh la costrinse dolcemente a stare seduta «Signorina Brown, meglio che resti qui, scriverò io al Professor Piton per scusarti» disse mentre un elegante cartoncino verde scuro volava tra le sue mani. Scrisse due righe prima di sigillarlo e consegnarlo a Draco.

«Perché io? Non è neanche nella mia casa» si lamentò senza però ottenere risposta.

«Ma la Signorina Parkinson si» chiosò la strega lanciando alla ragazza un lungo sguardo «E gradirei che restasse anche lei, sono certa che Severus non avrà obiezioni. E ora sparite, se non volete che tolga cinquanta punti a Serpeverde. E cinquanta a Grifondoro, se il Signor Weasley e il Signor Potter provano ad obiettare.»

Mordendosi la lingua il bambino sopravvissuto prese per un braccio il suo migliore amico e dall’altro la piaga sociale della sua vita e li trascinò entrambi per le scale, ignorando i loro commenti astiosi.

«Ti aspettiamo giù, Pansy» disse invece Blaise con voce tagliente senza staccare gli occhi dalle tre streghe, prima di girarsi e molto lentamente raggiungere i compagni di casa.

 

***

«L'hai tenuto in vita perché possa morire al momento giusto?»

«Non esserne stupito Severus. Quanti uomini e donne hai visto morire?»

«Di recente, solo quelli che non sono riuscito a salvare» rispose Piton. Si alzò. «Tu mi hai usato [...] Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che l'hai allevato come una bestia da macello…» ***

 

«Farai quello che ti ho chiesto, vero? Non ho più molto tempo»

 

Una madre normale probabilmente avrebbe insegnato alla figlia a non origliare e ad avere rispetto degli spazi altrui. Peccato che la sua di madre di normale avesse ben poco e quindi si fosse persa questa piccola parte della sua educazione. Anzi, secondo la sua illustre genitrice, che in questo rivelava tutto il suo animo serpeverde, avere più informazioni possibili era sempre qualcosa da coltivare con cura. Per fare cosa, per fortuna aveva evitato di specificarlo.

E quindi in fondo era anche colpa sua se aveva del tutto casualmente ed innocentemente fatto scivolare un paio di orecchie origlianti opportunamente ridotte nella tasca di quell’inquietante mantello che Piton si ostinava a portare. Certo, il suo intento originario era solo di provare che lo scorbutico professore di Pozioni non era l’intelletto superiore che pensava di essere. O al massimo di approfittare di qualche sua debolezza per fare qualche scherzo più o meno innocente. 

Di certo non si aspettava di vedere crollare tutte le sue certezze.

Sentì il respiro che le si mozzava, incapace di elaborare quello che aveva appena sentito.

Harry era l’ultimo Horcrux, quello che non riuscivano ad identificare in nessun modo.

E Silente l’aveva sempre saputo.

Peggio.

Silente stava allevando una vittima sacrificale.

Non era possibile, doveva aver capito male. Sicuramente c’era un malinteso.

Eppure le parole di Piton scavavano la sua anima come se fossero lame di un coltello incandescente. Istintivamente si portò la mano sul ventre appena arrotondato, cercando conforto in quel segno così tangibile d’amore. 

Remus.

Come avrebbe fatto a dirgli una cosa del genere? Se non l’avesse sentito con le sue stesse orecchie anche lei avrebbe pensato fosse una storia assurda.

Albus Silente non solo era il più grande Preside che Hogwarts avesse mai avuto. Non solo era uno dei più grandi maghi viventi.

Silente era Casa.

Nessuno poteva dimenticare quanto avesse fatto per tutti loro, i disadattati, quelli diversi.

I mostri in un mondo dove le creature fantastiche erano la normalità, le streghe e i maghi che deviavano dal modello non avevano un posto.

Un lupo mannaro. Una mutaforma.

Diversi da tutti. Incapaci di conformarsi.

Silente li aveva accolti, lasciando loro il tempo di scoprirsi, di accettare che il mondo fosse un posto anche per loro, certi che ad Hogwarts chiunque chiedesse aiuto sarebbe stato certo di trovarlo.

Il preside lo ripeteva sempre.

Era per questo che le aveva chiesto il favore di passare quei mesi a scuola: l’aveva pregata di accettare l’incarico per proteggere gli studenti, visto che il Ministero non accettava l’idea che Voldemort fosse ancora in vita.

Avevano parlato degli Horcrux rimasti, delle strane aggressioni che si erano verificate nel corso delle ultime settimane, delle preoccupazioni della McGranitt.

Mai, mai una volta le era venuto in mente che potesse usare tutti loro come pedine.

Per quale scopo poi? Davvero sarebbe arrivato ad uccidere Harry Potter?

Non era possibile. Doveva esserci una spiegazione

Un singhiozzo spezzato richiamò la sua attenzione. Alzò appena gli occhi per trovarsi di fronte una ragazzina del quinto anno, gli occhi rossi di lacrime e le trecce bionde ridotte ad un groviglio informe.

 

«Hannah, cosa c’è? Stai male?» chiese allarmata, la bacchetta che aveva tirato fuori istintivamente che fremeva nelle sue mani. Si costrinse a rimetterla dentro e a respirare. La ragazza non avrebbe dovuto essere in giro a quell’ora ma non aveva nessuna intenzione di riportarla di corsa ai dormitori. 

«Ho un po’ di cioccolata, la vuoi? Aiuta sempre» Tonks parlò con dolcezza avvicinandosi alla ragazza e stringendola in un abbraccio protettivo. Scacciò con un gesto stizzito una falena grigiastra che le orbitava attorno «Dannate bestiacce»

Poi con orrore si accorse che sul vestito della Abbott c’era una grossa macchia nerastra e appiccicosa, un odore pungente inconfondibile

Solo dei malefici lasciavano dei segni cosi

«Hannah, cosa è successo?» ripeté sempre più allarmata, ricavandone solo un pianto ancora più disperato.

La strinse forte cercando di pensare. Doveva avvertire Silente, subito.

Ma prima doveva cercare di far parlare la ragazza, che ormai fissava il vuoto catatonica.

.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III- Equilibri in bilico ***


Appena varcata la soglia del suo dormitorio l’accolse l’ormai solito gelido muro di diffidenza. Sin da quando la sua relazione con il Serpeverde più odiato dopo Piton era diventata pubblica alcuni dei suoi compagni non avevano mancato di dimostrare la propria contrarietà. Anche se piuttosto che ammettere che anche nelle altezze della Torre di Grifondoro ci fossero degli emeriti snob imbecilli si sarebbe tagliata un braccio, era una cosa che non poteva far finta non esistesse...

Harry e Ron sembravano piuttosto agitati quando la videro ma pensava stessero come al solito facendo i drammatici ricordando il loro primo incontro con gli spiriti zannuti degli alberi, o Asticelli indemoniati come li chiamava amabilmente Harry. In realtà forse questa volta era andata peggio della precedente, visto che i brillanti e affatto vendicativi prefetti di Serpeverde avevano deciso che la suddetta vendetta dovesse ancora essere consumata immediatamente e per poco non avevano dato fuoco all’intera foresta di Hogwarts. La situazione era poi ulteriormente degenerata perché, altrettanto ovviamente, neanche da parte Grifondoro l’atteggiamento di Bulstrode e compagni era stato preso troppo sul leggero, ed era certa che due persone di sua conoscenza avessero contribuito in maniera determinante al tentativo di decimazione dei serpeverde. Così come altrettanto probabile era che la fattura uggiolante che aveva colpito Pucey e la Bulstrode era di certo partita da qualcuno che lei conosceva fin troppo bene.

Qualcuno dagli affilati occhi grigi e i capelli incredibilmente chiari. Qualcuno doveva ancora imparare che Mezzosangue non era da considerare un insulto.

La stessa persona, che dannazione a lui, l’aveva fregata sul tempo per poco, approfittando anche della confusione della foresta per poi darle un bacio veloce e ghignando, neanche fosse sul serio all’asilo infantile, tronfio di aver colpito prima di lei.

Dopo aver passato mesi a Serpeverde, infatti, doveva ammettere che il loro modo di risolvere le questioni in sospeso poteva essere, come dire, piuttosto efficace. 

Un’ora dopo la lezione si era conclusa con quattro serpi e tre grifoni in infermeria e un numero imprecisato di feriti minori.

Tonks da parte sua non sembrava particolarmente sconvolta, ma del resto non lo era mai parsa neanche durante le battaglie. Semplicemente si era limitata a sorridere dicendo che la lezione era stata davvero un successo. D’altronde non era morto nessuno, giusto?

E i ragazzi avevano imparato a difendersi. Anzi a dirla tutta, era rimasta piuttosto colpita dalla bravura di alcuni di loro: Neville, ad esempio, era stato davvero brillante.

Incredibilmente la McGranitt non aveva battuto ciglio, limitandosi a borbottare un per ora a mezza bocca ma non potendo fare a meno di guardare orgogliosa i membri della sua casa. 

Probabilmente di sotto non erano stati altrettanto fortunati, visto che il frusciare del mantello di Piton era quello dei giorni bui.

Si spogliò della divisa, rovistando nel suo armadio alla ricerca di qualcosa di comodo. Con Draco ancora in punizione, Ron di ronda con il prefetto di Corvonero ed Harry e Ginny che si rintanavano sul divano a sbaciucchiarsi, aveva finalmente un’intera serata tutta per sé. Il suo piano era di approfittarne per fare le sue ricerche per il prossimo editoriale, cercando di evitare che Pansy la mandasse al manicomio. Per una che aveva passato cinque anni a limarsi le unghie nella maggior parte delle lezioni era diventata estremamente stacanovista.

Aprì il baule, sentendo uno strano pizzicore sulla nuca: sebbene sembrasse tutto in ordine c’era qualcosa che non andava...

«Chi ha toccato le mie cose?» chiese con la voce stranamente piatta, chiudendo con finta calma il coperchio.

Silenzio.

Si girò a guardare le sue compagne, tutte strette attorno a Lavanda, ancora singhiozzante dopo l’incidente di Divinazione. Ovviamente l’ennesima riprova dell’inutilità di quella materia.

Come sentendo l’irritazione della padrona Grattastinchi si mise a soffiare minaccioso.

«Come se importasse a qualcuno della tua stupida roba» sbuffò Patil continuando ad accarezzare i bei boccoli biondo scuro dell’amica, intrecciandoli con le dita «Forse non ti sei resa conto che Lavanda è sconvolta»

Hermione sostenne lo sguardo impassibile. Era dal pomeriggio in cui non aveva preso le loro difese nel bagno del quarto piano, quando ancora era una grifondoro l’accompagnatrice di Harry Potter, che subiva il sottile ostracismo di Parvati e delle sue amiche e ormai sembrava non si preoccupassero neanche troppo di mostrarlo.

«Importa a me. E a qualcun altro, a quanto sembra. Dimmi chi ce l’avrebbe messa questa cosa qui?» chiese cercando di trattenere la rabbia e mostrando in aria la croce dagli angoli piegati che aveva trovato poco sotto il libro di incantesimi avanzati «E piantatela di seguire quell’idiozia e concentratevi su cose serie. Hai visto del sangue, Lavanda… che novità. Qui sembra tutto girare attorno a quello»

«Stupidaggini? Ma se la Trelawney ha predetto esattamente la data di morte del mio coniglio due anni fa» replicò esasperata Lavanda con gli occhi pieni di lacrime            

«No, lei ti disse che quello che temevi si sarebbe avverato. E qualcosa è successo e tu hai deciso che la profezia si era avverata. Avresti potuto strapparti troppo le sopracciglia e sarebbe stato lo stesso» continuò stringendo furiosamente la pila di libri che teneva in mano, resistendo alla tentazione di tirarglieli dietro. Ma aveva troppo rispetto per quei volumi.

«Solo perché c’è qualcosa che tu non capisci non significa che non è vero. Ti rode eh, Granger, non essere la prima in qualcosa» ghignò la Frobisher che si era goduta la scena dal suo letto. 

La testa color rame di Ginny fece capolino sulla porta, seguita a ruota da Angelina Johnson e Katie Bell.

«Problemi?» chiese la Weasley appoggiandosi con finta noncuranza allo stipite delle porte, con gli occhi color cioccolato che passavano dall’una all’altra.

«La qui presente prefetto Granger è la solita sbruffona egoista ipocrita» rispose stirando appena le labbra Patil, i sinuosi occhi leggermente allungati che non si staccavano dalla treccia che si stava formando tra le sue dita.

«Ipocrita non direi» commentò Angelina con noncuranza, senza preoccuparsi come al solito di misurare le parole.

«Quindi sarei sbruffona ed egoista?» chiese Hermione ormai su tutte le furie «Solo perché dico che questa storia delle profezie è una stupidaggine? E ditemi, perché nessuno ha previsto la rinascita di Voldemort? Cos’è l’unica cosa importante è fuori dai radar dei veggenti?»

Sul dormitorio cadde un gelo irreale.

«Non dire il suo nome…» balbettò con voce ancora rotta dai singhiozzi la Brown- «E poi lui non è più con noi. È morto. È solo una menzogna per riabilitare Sirius Black… lo sanno tutti. C’è gente che non si fa fregare dalle vostre storie»

Fu la volta degli occhi di Ginny di lampeggiare con furia «Stai forse dicendo che Harry è un bugiardo?»

Nessuno poté però mai udire la risposta, perché in quel momento il Capocasa era rientrato frettolosamente nella sala comune insieme alla Mc Granitt chiudendo l’ingresso dietro di sé, stranamente agitato.

Lezioni sospese. Confinati nelle case fino a nuovo ordine.

Decisamente c’era qualcosa che non andava. E non erano legato alle visioni di Lavanda Brown.


***

 

Piton era stato chiaro: nessuno aveva il permesso di uscire dalla Casa di Serpeverde per alcuna ragione al mondo. Aveva poi aggiunto, senza che nessuno osasse pensare che fosse una minaccia a vuoto, che se avesse anche solo avuto il sospetto che qualcuno avesse anche solo pensato di violare quell’ordine si sarebbe personalmente assicurato di farlo diventare un gargoyle per almeno una settimana. Anzi quella era la versione edulcorata per non spaventare troppo i ragazzini del primo anno al loro secondo semestre. I più grandi sapevano bene che avrebbe potuto fare di peggio, molto peggio.

E mentre aveva fatto il suo discorso Draco aveva sentito i suoi occhi profondi ed indagatori cercare di sondare la sua mente. Ma era preparato, aveva avuto molti anni per esercitarsi, e tutto quello che aveva permesso al suo professore preferito di vedere era la reale confusione che avevano generato in lui quelle parole.

Quando entrò nel dormitorio, deciso a lasciarsi dietro le spalle il cicaleccio della sala comune, non fu neanche troppo stupito nel trovare Pansy seduta sul suo letto, intenta a dividersi i dolci che gli avevano mandato da casa. Magnanimamente gliene offrirono uno.

«Cosa sarà successo per rinchiuderci qui? Hanno anche eliminato le ronde dei Prefetti, sono stati convocati solo i capocasa. E non è per quello che è successo a Difesa o a Trasfigurazione. Dubito che Piton si interessi di segni nefasti e di divergenze di opinioni» commentò Blaise facendo schioccare la lingua con soddisfazione mentre la caramella nella sua bocca assumeva il sapore di fragoline di bosco appena colte con una dose generosa di panna fresca.

«E a proposito di questo, che voleva la Montmorency? Non dirmi che ti ha accusata per le ipocondrie di quella stupida oca» chiese Draco sedendosi accanto all’amica su quello che, sebbene a nessuno importasse, era il suo letto.

Pansy alzò le spalle, giocherellando con l’involucro del dolce «Mah, in realtà è stato strano. Non mi ha chiesto della Brown quanto di Potter»

«Potter?» il sopracciglio elegante di Theo si alzò appena, appoggiandosi sulla spalla di Blaise.

«E ti pareva che qualcuno non si preoccupava del povero piccolo Potty. Merlino, c’è qualcuno in questa patetica scusa di scuola che non sbavi dietro al bambino sopravvissuto?» sbottò Draco stendendosi trasversalmente sul letto, la testa che cadeva dalla sponda e lo sguardo rivolto fissamente al soffitto.

«Mah non so… Piton?» chiese con fare annoiato il compagno di stanza. Poi senza aspettarsi una reale risposta continuò: «Sì ma perché domandarti di Potter? Posso capire se ti avesse chiesto di Weasley, si vedeva lontano un miglio che volevi sfracellargli la testa contro il tavolino»

Pansy serrò le labbra «Beh se lo sarebbe meritato. Fare lo stupido cascamorto con quella. A lezione, poi. Per Salazar Serpeverde, possibile che nessuno abbia decenza in quella casa di disagiati.»

Un silenzio neanche troppo sottile accompagnò le sue parole.

«Cazzo» fu l’unico commento di Blaise Zabini, fissandola così a lungo che per un attimo la Serpeverde fu indecisa se sentirsi imbarazzata ed abbassare lo sguardo o dargli uno schiaffo.

«L’eloquio non è mai stato il tuo forte» commentò fingendo nonchalance incrociando le dita sulle gambe accavallate.

«A te piace Weasley. Sul serio, dico. Ed è quasi peggio del qui presente Draco Lucius Malfoy che se la fa con una natababbana grifondoro».

«Non ti permettere» sibilò la ragazza assottigliando i profondi occhi scuri orlati da lunghe ciglia nere come il pizzo.

«Cazzo» ripeté Blaise

Draco si era tirato su, appoggiandosi sui gomiti piegati, lo sguardo metallico che viaggiava veloce tra i suoi due amici. Li conosceva da una vita e sapeva che sarebbe bastato davvero poco perché si saltassero alla gola. 

«Piantala, Zabini. Nessuno ti rompe perché stai con Theodore. E poi a me non piace Weasley, per Ecate». la voce era la solita ma non ingannava nessuno.

Per la prima volta in vita sua Pansy Parkinson sembrava imbarazzata «E poi, di grazia, come farebbe ad essere peggio della sangue sporco? Weasley  è un purosangue, perlomeno»

«Grazie, Pansy. Erano quasi quaranta minuti che nessuno tirava fuori la questione, mi stavo quasi preoccupando» borbottò Draco imbronciato.

«Punto primo: è un Grifondoro» iniziò ad elencare Blaise

«Come la Granger» gli ricordò Theo

Blaise lo ignorò sollevando il secondo dito «Due: nella sua famiglia sono Grifondoro da generazioni, cosa può esserci di peggio?»

«Essere nati da babbani ad esempio?» cinguettò il ragazzo ancora con il mento sulla sua spalla, sostenendo senza colpo ferire lo sguardo del biondo davanti a lui.

«Theo, mi ricordi perché sei qui?» chiese con voce tagliente il purosangue più puro della sua generazione

«Forse perché è anche il suo dormitorio?» rispose tagliente il moro, alzando il terzo dito senza colpo ferire «Terzo e più importante: è’ povero. La sua famiglia è povera. I suoi stracazzo di antenati sono poveri. Da quando ce la facciamo con i poveri?»

Theo ridacchiò alzando una mano «Credo da prima che ve la facesse con i sanguesporco. Oh andiamo, Draco non te la prendere così» fece una pausa, abbassando la voce, il tono allegro di prima che scompariva dietro all’ombra che gli era calata sul volto «Sai bene che so quanto possa essere sgradevole avere a che fare con dei purosangue esaltati. Non serve che ti ricordi chi era la mia matrigna»

Draco si gelò, incapace di provare ancora rabbia per le prese in giro. Theo aveva vissuto con quella psicopatica per anni, senza alcun posto per scappare, nessuno a cui rivolgersi.

Lui almeno aveva sempre avuto Blaise e Pansy. E se c’era una cosa di cui non aveva mai dubitato era l’amore di sua madre.

Improvvisamente, quasi come se l’avesse evocata, Draco ebbe la fugace visione del profilo di Cassandra Nott, nata Carrow, nel grande specchio accanto alla porta. Ma fu solo un attimo, il tempo di battere le ciglia e non c’era più nulla.

Doveva essere la stanchezza. Cassandra era morta. Abraxas era morto. Nessuno poteva più fargli del male. Era semplice, per una volta

Cercò di concentrarsi di nuovo sul presente «E ora che abbiamo assodato che Weasley sia assolutamente inadatto… cos’è che tu e la nuova affascinante Professoressa ci nascondente sullo Sfregiato Sopravvissuto?»

Pansy improvvisamente sembrò provare un grande interesse per le sue unghie, come se non avesse sentito la domanda.

Di certo non aveva intenzione di raccontare a quei tre che pensava di stare impazzendo. E che ogni notte sognava il corpo della speranza dei maghi riverso senza vita in un bosco nascosto nelle pieghe del tempo.

 

“Ah, quindi la trovi affascinante, eh? Aspetta che lo dica alla Granger»

 

***

 

Era come avere un pungolo infuocato che batteva implacabile poco sotto la nuca, irradiando un dolore bruciante che risaliva sino all’occhio sinistro. Si era svegliata nel cuore della notte per il dolore e da allora non aveva accennato a scemare, nonostante le pozioni. Il risultato era che dopo tre ore passate a cercare di sopportare le chiacchiere vuote di non ricordava neanche quale comitato di beneficenza, l’unica cosa che riusciva a pensare era che doveva trovare Andromeda il prima possibile.

«Tutto bene con Lucius, Narcissa? Non vi siete fatti vedere molto in giro ultimamente. Non sarà certo perché vi vergognate dei gusti particolari di vostro figlio, voglio sperare. Lo sappiamo come sono fatti i ragazzi» poteva ancora sentire la voce melliflua di Eliza Parkinson insinuarsi strisciando nella sua mente.

«E’ solo molto impegnato con il Ministro, Eliza. Immagino che per te possa essere una rivelazione, ma non tutti i genitori sono interessati a vendere i propri figli al migliore offerente» aveva risposto con voce tagliente senza perdere il sorriso ma con un gran voglia di ficcarle il cucchiaino d’argento cesellato in un occhio.

La Parkinson però aveva incassato, stirando le labbra troppo truccate in una smorfia «Alcuni di noi vogliono il meglio per i loro figli, e il meglio non include sporchi natibabbani» aveva tubato, mentre la mano di Narcissa volava alla bacchetta. Se solo avesse provato ancora a dire una parola su suo figlio o suo marito non ci avrebbe davvero pensato una seconda volta a maledirla.

Quella però aveva continuato imperturbabile «Ma ora sta per compiere sedici anni. Davvero non volete rispettare la tradizione? Sai bene quanto sia importante che l’erede di casa Malfoy trovi una moglie. Chi meglio di te? Sei stata fidanzata con ben due di loro. Merlino quanto tempo è passato? Venticinque anni se non sbaglio? Sembra ieri che Abraxas e Cygnus annunciavano il fidanzamento dell’anno. E ora pensa a come cambiano le cose… Nicholas, Arael e Bellatrix... tutti morti. E tu pare che te la faccia con quella reietta di Andromeda».

Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. 

Di certo Eliza Parkinson e chiunque altro in quella sala ci avrebbe pensato due volte prima di provocare. In un certo senso aveva ragione Bellatrix, un po’ di violenza era necessaria per ristabilire l’ordine.

Mai irritare una donna che aveva quasi perso il figlio ed era attualmente in seria crisi con il marito. E soprattutto mai irritare una Black, sempre che non ci si volesse trovare con una copiosa quantità di capelli in meno e una scritta abbastanza esplicativa sul viso.

Sorrise soddisfatta spingendo di lato la zelante quanto inopportuna assistente di sua sorella.

Non ebbe però il tempo di aprire la porta perché questa si spalancò e quasi andò a sbattere contro l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare lì in quel momento.

 

«Lucius?» chiese sgranando gli occhi e buttando con nonchalance dietro di sé una lunga ciocca di capelli corvini che ancora stringeva, mentre il marito si fermava solo un attimo prima di borbottare una scusa e scomparire.

Da dentro arrivò la voce di sua sorella, esasperata «Per Salazar Serpeverde, ve lo giuro era mille volte meglio quando avevate dimenticato la mia esistenza.»


***

 

«Sbaglio o prima hai lanciato parte dello scalpo di qualcuno nel mio ospedale?» chiese senza la minima traccia di confusione la maggiore delle sorelle Black, allungando alla visitatrice una copiosa dose di liquido violetto.

«Quella vacca ha tirato troppo la corda questa volta. È da quando suo marito è morto che ce l’ha con noi. E ora non le pare vero affondare il coltello. Sono settimane che continua a fare battutine sul fatto che io e Lucius non siamo più la coppia d’oro di un tempo, che Draco sta rovinando la famiglia. Oggi addirittura ha ritirato fuori Nicholas» disse a mezza bocca Narcissa dopo aver vuotato il calice in un sorso.

«E’ un’invidiosa imbecille, si può sapere perché le dai la soddisfazione di vederti arrabbiata? Non è da te» sospirò sedendosi accanto a lei sul divanetto bianco e accarezzandole un braccio «Che fine ha fatto la regina di ghiaccio di cui parlano tutti?»

«Si è stufata e si sta godendo una vacanza ai Caraibi. Merlino, solo sa quanto avrei bisogno di andare a Réunion. Ma no, non posso. Perché mio marito è uno stupido testardo e arrogante. Gli ho detto che fino a quando non si fa aiutare per i suoi scatti di rabbia non voglio neanche vederlo»

Andromeda non poté impedirsi di sogghignare: «Stupido testardo arrogante…e lo scopri solo ora? Dì la verità… ti ha dato qualche pozione in tutti questi anni, altrimenti non si spiega come tu possa averlo sposato. Quindi è’ per questo quindi che sei nervosa? Perché non fai sesso? Ma dai Narcissa, ci sono altri modi, spero che tu ormai l’abbia capito. E se proprio vuoi un uomo fatti un amante, chi te lo vieta?»

Due paia di occhi azzurri la guardarono indignati. La principessina di serpeverde era tornata. «Ma cosa hai quindici anni? Io ti dico che il mio matrimonio è in crisi e tu mi dai della repressa? È il commento più maschilista e misogino che ti abbia mai sentito fare, sorella.»

«Sarebbe misogino se non l’avessi dato anche a lui». Andromeda rise buttando la testa all’indietro di fronte all’espressione inorridita di Narcissa «Oh, andiamo, ti prendevo in giro. Diciamo che tuo marito ha delle idee non proprio normali quando si tratta di trovare soluzioni ai problemi e purtroppo ci tiene molto ad informarmi, non chiedere il perché»

«E quindi di cosa avete parlato? Dei vecchi tempi? Non so se mi piace questa vostra rinnovata amicizia, sai? Tu sei mia sorella. Se io e Lucius litighiamo tu devi stare dalla mia parte, non vedervi di nascosto» rimbeccò testarda la più giovane, cercando di divincolarsi inutilmente dalla stretta della sorella.

«Di Draco a dire vero» commentò Andromeda improvvisamente seria, mentre Narcissa finalmente si arrendeva e si rannicchiò, poggiando la testa sulle sue gambe chiudendo gli occhi «E di un conoscente in comune»

«Come sta Nymphadora? Un uccellino mi ha scritto che è un’ottima insegnante. Un po’ folle, forse. Chissà mai da chi avrà preso…» chiese la bionda imbronciata cambiando argomento mentre si permetteva di rilassarsi, sentendo il sonno che tanto aveva ricercato avvolgerla nell’abbraccio rassicurante della sorella. In quel momento il fatto che suo marito preferisse rischiare il divorzio piuttosto che farsi aiutare da qualcuno la stava rendendo pericolosamente vicina a diventare uxoricida e non c’era altro posto al mondo in cui si sentisse al sicuro. Senza contare che quell’imbecille sapeva benissimo che se si fossero lasciati lui non avrebbe mai potuto trovare un’altra donna. E che di certo suo figlio lo avrebbe visto solo in foto.

«Anche Ted lo dice sempre. Magicamente quando è testarda o fa qualcosa un po’ fuori dagli schemi è figlia mia. Quando è entrata a Tassorosso o ha preso ottimi voti ai MAGO o è diventata Auror era figlia sua» borbottò Andromeda di rimando togliendo distrattamente le forcine dalla complessa acconciatura della sorella e continuando ad accarezzarla come quand’era bambina.

«E quando ha deciso di sposare il lupo mannaro?» chiese la strega con la voce che iniziava ad essere impastata.

«Non è tanto che è un lupo mannaro, quanto un caro amico di Sirius direi. Ah, proposito Kreatcher sente la tua mancanza» ridacchiò «Sicura che uscita da qui non vuoi che passiamo in un certo negozio? Forse alleviare un po’ lo stress ti aiuterebbe anche con l’emicrania».

Narcissa imprecò a mezza voce, poi prima di scivolare nel sonno riuscì a dire a voce alta quello che finora si era rifiutata di ammettere anche con sé stessa.

«C’è qualcosa che non va, me lo sento»

Andromeda non rispose continuando ad accarezzarle i capelli «C’è sempre qualcosa che non va, purtroppo. Senti vogliamo festeggiare insieme Imbolc?»

Nonostante la pozione stesse facendo effetto, la donna sorrise nel dormiveglia.

«Ah, allora ti è rimasto qualcosa di Serpeverde. Pensavo che ormai la Weasley ti avesse fatto il lavaggio del cervello. Come mai non hai uno dei suoi graziosissimi maglioncini infeltriti?» commentò testarda tenendo gli occhi ben chiusi.

«Piantala, Cissy. Molly è una donna eccezionale. Non capisco perché la odi tanto» si trovò a sospirare, mentre la sorella metteva su un broncio che non vedeva da quando aveva cinque anni all’incirca.

Narcissa non rispose, continuando a stringere fissamente gli occhi, fino a quando davvero il respiro non si fece calmo e regolare. Una volta accertato che la sorella si fosse addormentata, Andromeda richiamò il faldone che stava studiando prima di venire doppiamente interrotta.

Le paure di Narcissa potevano non essere così infondate, in fondo. E soprattutto che il presentimento di Narcissa non riguardasse anche Nymphadora. Purtroppo però il suo istinto le diceva che non era così. E raramente aveva sbagliato.



 

 

***

 

«Siamo confinati da due giorni. Io direi che sarebbe il caso di insorgere» si lamentò Ron buttandosi accanto ad Hermione sul divano «E Fred e George stanno aumentando i costi della burrobirra di contrabbando a livelli da strozzini. E neanche mi fanno uno sconto, nonostante sia loro fratello»

«Non sarebbe etico. Da quando non si può uscire è diventato un bene alquanto raro sai. Ho ragione Fred?» - chiosò George spuntando dietro la spalliera alle sue spalle.

«Ragione da vendere, George. Noi offriamo un servizio, ma abbiamo una reputazione da mantenere» gli fece subito eco il gemello apparendo accanto a lui ed allungando una bottiglia alla Grifondoro, ignorando le lamentele del fratello minore «Ecco perché questa la offriamo noi, decisamente ne hai bisogno»

«Lei ha bisogno che qualcuno colpisca ripetutamente quelle quattro scimunite con il libro di Storia della Magia sino a quando non ritornano a ragionare come persone dotate di buon senso» Ginny come al solito raramente faceva lunghi giri di parole quando doveva esprimere un concetto. E stranamente la maggior parte dei suoi commenti ultimamente riguardavano il picchiare qualcuno

«Diciamo che se la sono legata al dito quando ho scaricato Patil lo scorso anno ed ha scelto la Parkinson come accompagnatrice. Scusa Herm, è colpa mia» commentò Harry massaggiandosi gli occhi stancamente. In realtà il problema era più complesso di così. Anche se erano passati mesi dalla morte di Cedric Diggory, molti ancora credevano che fosse colpa sua. Il fatto poi che il Ministero avesse rilasciato dichiarazioni solo sull’ammissione di Peter Minus e la sua aggressione, tralasciando il piccolo particolare della conferma della rinascita e soprattutto della scomparsa del corpo di Voldemort, non aveva aiutato. I giornali per un po’ si erano accaniti contro di lui, specialmente quando, stanco di quella farsa, aveva dichiarato che Voldemort era rinato. Aveva detto che non avevano prove, che tutte le loro testimonianze erano false. Che avrebbero fatto di tutto per non perdere la popolarità e soprattutto il patrimonio di Sirius Black,

Da allora era stato simpaticamente rinominato Il ragazzo che mente. E molti del suo anno ancora lo guardavano storto. Con alcuni aveva risolto. In particolare dopo una bella scazzottata in sala comune con Dean Thomas, ora nel suo dormitorio regnava la pace.

Doveva ammettere che ogni tanto i Serpeverde avevano ragione.

«Nessuno di voi sembra essere molto popolare al momento» Neville era arrivato con la sua solita calma, accomodandosi in terra sul tappeto morbido e poggiando il libro di erbologia che teneva tra le mani sul comodino. Sorrise intercettando lo sguardo interrogativo di Hermione «Me l’ha prestato Tonks dopo la lezione sugli spiriti degli alberi. È molto interessante sai.»

«Si come no» borbottò Ron alzando gli occhi al cielo «Vedi quanto è interessante quando una fottuta psicopatica usa l’imperio su di te per farti diventare un’appetibile esca»

«Però ha funzionato, devi ammetterlo. Ed è stata brava, è una maledizione piuttosto difficile» si trovò a commentare Harry trovandosi addosso più di uno sguardo incredulo e curioso.

Si morse la lingua dando contemporaneamente un calcio a Ron. Anche se nessuno avrebbe creduto che mentre per gli altri erano passate poche ore di vacanze, loro avevano vissuto tre mesi nel passato. A Serpeverde, tra l’altro.

«Non avrei mai pensato di dirlo, ma quella ragazza mi piace ogni giorno di più. In ogni caso, grazie ai nostri potenti mezzi e ad un piccolo, piccolo aiutino dall’alto sappiamo cosa è successo» la voce di George era bassa, chinandosi in avanti per non farsi sentire dagli altri «Pare che due di Tassorosso siano state ritrovate prive di sensi nel corridoio dell’ala Ovest. Sono ancora in infermeria, ma al momento nessuno sa cosa sia successo».

Un brivido corse lungo la spina dorsale del Bambino sopravvissuto. Ancora una volta quel bruciore della cicatrice non si era rivelato una sua fissa mentale.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV- Di presagi e di inviti ***


L’infermeria era silenziosa per la prima volta dopo quasi due giorni. Niamh si sedette tra i due letti chiudendo gli occhi e cercando di concentrarsi e di schiacciare quella sensazione di pericolo che non l’abbandonava da quando aveva messo piede in quella scuola.
All’inizio dell’anno aveva mentito a Severus, dicendo che era stata mandata per istruire Pansy. O meglio, non aveva detto tutta la verità, ma d’altronde c’era qualcuno che lo faceva davvero in quella scuola?
Non Piton stesso che aveva fatto il doppio gioco per anni, ingannando tutti, compresa la famiglia di sua madre.
Non la piccola, dolce ed entusiasta Auror mutaforma che continuava a celare il vero motivo per cui era lì, troppo altruista per rinunciare ma ancora così ingenua da non capire che nessuno avrebbe protetto lei.
Non Pansy che continuava a mentire: era certa che anche lei sentisse quella risonanza sorda, quel tarlo che le scavava continuamente nel cervello. Non le aveva detto dei suoi incubi, il suo essere che sentiva quanto il bambino sopravvissuto fosse ormai uno dei legami indissolubile con quello che era stato conosciuto come l’Oscuro Signore.
E di sicuro non la diceva Silente. Sua madre aveva ragione a non fidarsi. Silente era indubbiamente uno dei maghi più potenti mai conosciuti, ma forse era proprio quella la sua più grande debolezza: guardando il grande quadro della storia tendeva a calpestare le piccole e comuni vite che incrociava.
Il silenzio della notte fu interrotto dal suono di una civetta. Lo conosceva quel suono, antico come il mondo, incomparabile a qualsiasi animale realmente esistente: era il richiamo della Dea che le ricordava che aveva un compito. Sibilla Trelawney aveva avuto poche visioni in vita sua, o almeno ne aveva avute poche di reali. La più recente era stata quella che aveva predetto il ritorno del Signore Oscuro.  Poi c’era quella nascosta nel dipartimento dei misteri. Ma la prima era quella di cui neanche resa conto, raccolta un giorno per caso da sua madre e suo zio.
E tutte e tre avevano una cosa, o meglio qualcuno, in comune.
Harry Potter. Il bambino sopravvissuto. Colui che doveva morire per poter salvare il mondo. Quello in cui viveva adesso e quello che aveva lasciato.
Quando Susan Boyle accanto a lei si dimenò nel letto, incapace di uscire dall’incubo in cui era caduta, Niamh si chinò per cercare di catturare quei sogni, per scrutare nella sua mente alla ricerca di un indizio, ma nulla, era impenetrabile. Sbuffando scacciò l’insetto dalle carnose ali violacee che continuava ad agitarsi intorno a loro.
Mentre in lontananza il richiamo si ripeteva lungo e penetrante, la ragazza nel letto accanto iniziò a lamentarsi con sempre maggior foga, dimenandosi tra le lenzuola che sembravano intrappolarla come un bozzolo. Poi con urlo si alzò di scatto a sedere sul letto, mentre il respiro si faceva sempre più affannoso.
Niamh si avvicinò con circospezione, ma i piccoli occhi della ragazzina saettavano da un lato all’altro della stanza, cercando disperatamente di riallacciare i pensieri. Doveva fare presto, da un momento all’altro l’infermeria si sarebbe riempita di professori, pensò tirando fuori dal mantello una provetta di cristallo bianco e facendovi scivolare dentro una delle lacrime che ancora orlavano le ciglia della studentessa, un attimo prima che l’infermeria e la professoressa Sproute irrompessero in infermeria, seguite a breve da Silente e la McGranitt.
Niamh sorrise, sostenendo lo sguardo indagatore della Capocasa di Tassorosso, facendole spazio accanto al letto. Poi approfittando della confusione scivolò leggera nel corridoio, incrociando a mala pena Nymphadora Tonks che camminava nervosa nel corridoio, incapace di calmare quella crescente inquietudine che le stringeva lo stomaco da giorni.
Era un gran peccato che il bambino sarebbe stato un maschio. E a quanto aveva visto nei suoi sogni, Tassorosso. Sua madre l’avrebbe trovato davvero esilarante.



***
 
Ritornare alla normalità era stato quasi altrettanto difficile che essere rinchiusi improvvisamente nelle loro case. La stessa sala comune sembrava ora quasi un luogo estraneo: troppo rumore, troppi odori, troppe voci che rimbombavano tutte insieme nello stesso momento, persino la visione di centinaia di studenti vestiti tutti allo stesso modo sembrava darle il capogiro. Provò a ricordare com’era stare in un altro tavolo, si trattava solo di prospettiva: un trucco della mente in fondo, quello che ormai erano abituati a raccontarsi, giorno dopo giorno.
E al momento tutti i tavoli parlavano solo e soltanto di una cosa: le due studentesse aggredite, di cui nessuno sembrava avere notizie certe. Ora erano al loro posto, sedute a Tassorosso come se fosse un giorno normale, ma lo sguardo era ancora perso da qualche parte, come se non fossero pienamente presenti.
Per cinque lunghi anni il tavolo di Grifondoro l’aveva attesa ogni mattina: c’erano stati giorni buoni, fatti di risate e confidenze; giorni in cui aveva avuto a malapena il tempo di bere un caffè, troppo presa dagli impegni della giornata, la mente al test di pozioni, al compito per la McGranitt, all’ennesimo tentativo di evitare che la speranza dei maghi morisse di una morte violenta per mano di Voldemort o di uno dei suoi seguaci, padre di Draco incluso. Ma c’erano stati anche dei giorni brutti, quando nella sua stessa casa si era sentita fuori posto, sbagliata, eccessiva: era successo quando aveva sentito Ron parlare male di lei il primo anno, ripetendo quello che nella sua testa lei stessa si ripeteva ogni giorno.
Chi la sopporta quella
Sin da bambina era sempre stata speciale, ma nel mondo babbano era stata presa per folle: addirittura al secondo o terzo anno le avevano consigliato di vedere uno psicologo infantile, perché aveva la tendenza ad isolarsi, a non legare con gli altri bambini.  Se la ricordava quella dottoressa gentile che l’aveva portata in una stanza ricolma di giochi per ogni età e grandi fogli bianchi e pastelli di tutti i colori. Lei però si era diretta immediatamente verso la libreria di legno chiaro ricolma di libri, fermandosi appena a sfiorarli con le dita, uno per uno, mormorando i titoli a mezza voce, come se stesse chiamando dei vecchi amici. Poi però aveva sbuffato, mostrando tutto il suo disappunto per non averne trovato neanche uno che non avesse già letto, in una dei suoi lunghi pomeriggi solitari quando si rintanava in un angolo del giardino, con il sole che faceva capolino timido dietro le nuvole.
E la dottoressa non aveva detto niente, limitandosi a fissarla mentre si accoccolava in poltrona con un’edizione illustrata del Giardino Segreto, sfogliando le pagine con estrema delicatezza e sgranando gli occhi di fronte alla sorpresa: il libro nascondeva tra le sue pagine degli inserti che non si era immaginata, coperti appena di carta velina, in modo che non si rovinassero. Esitò un attimo prima di tirare la linguetta di una pagina, osservando con attenzione la piccola porta di metallo verde che scivolava di lato, lasciando intravedere i diversi fiori, sovrapposti uno sull’altro.
Per un attimo, solo per un attimo, le era sembrato di attraversare quella porta, sentire il profumo delicato delle violette, e poi quello più intenso e dolce delle rose, coperto appena dall’aroma dei fiori di acacia. Un caos di profumi e consistenze senza alcun senso che però ancora ricordava vivamente. Adesso a distanza di anni, si chiese se davvero non ci fosse stata della magia, nel momento in cui si era trovata allo stesso tempo fuori e dentro il giardino segreto. Fuori nel mondo reale e dentro il libro.
In quei tre mesi a Serpeverde si era ricordata spesso di quel momento, osservando il tavolo dei Grifondoro da lontano, guardando Harry e Ron, scrutandoli come un’estranea, bramando ancora una volta di poter essere parte di quel calore. Eppure, sebbene sapesse fosse una finzione, giorno dopo giorno aveva sentito che in fondo anche appartenere a Serpeverde non era il male assoluto che aveva immaginato.
Tutti loro erano stati incasellati ed erano cresciuti in quella convinzione come strangolati da un vaso troppo stretto. Grifondoro con Grifondoro. Serpeverde con Serpeverde. E gli altri in mezzo, una sorta di tappabuchi. Di certo non era una cosa lusinghiera e poco ma sicuro non c’era niente di vero, ma doveva ammettere che era così. Lo era sempre stato, era evidente anche nel loro viaggio del passato.
Potentia para vis. La voce di Nicholas le risuonò all'orecchio così vivida che inconsciamente si girò per cercarlo, sperando ancora una volta di vedere quell’accenno di sorriso lontano che gli si disegnava sul volto solitamente impassibile.
Il potere è la nostra forza. Semplice, quasi brutale. Il motto di Serpeverde era affilato come le zanne del loro animale guida.
Eppure c’era molto di più dietro quella ricerca di potere: c’era la paura, il desiderio di primeggiare, la volontà di proteggere la propria famiglia con le unghie e con i denti.
Non erano usciti solo Tom Riddle, Bellatrix Black e i Lestrange da quella casa.
Si ricordò di Lumacorno, il professore di Pozioni prima di Piton che, nonostante la sua ingenuità e autocompiacimento di circondarsi di persone famose, aveva sul serio a cuore i suoi studenti.
C’era stata Andromeda Black, che per amore aveva rinunciato a tutto e si era ribellata alla sua stessa famiglia.
C’erano stati Nicholas e Arael, che per salvare il nipote avevano ucciso, ingannato, torturato. E che ora erano morti, vittime dei loro stessi inganni.
C’era stata Narcissa Malfoy che aveva lottato con le unghie e con i denti per la sua famiglia.
E c’era stata lei. Hermione Jane Granger.
Anche se solo per tre mesi.
Anche se sotto copertura.
Anche se per salvare il mondo.
Era stata una Serpeverde e lo aveva adorato. Anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura.
Sorrise incrociando lo sguardo di Draco, che, seduto a distanza di due tavoli la fissava dal bordo della tazza di porcellana decorata, mentre un uccellino di carta volava tra i due tavoli.
O almeno ci provava, visto che finì incenerito esattamente a metà strada, provocando una non proprio elegante espressione di disappunto proveniente dal tavolo dei serpeverde, di cui la parte più delicata e udibile probabilmente ad Hogsmeade fu un
«Vaffanculo, Sfregiato»
«Sempre un piacere, furetto» rispose con lo stesso volume e un gran sorriso quello che avrebbe dovuto essere uno dei suoi migliori amici, «Scusa Herm, mi va anche bene che tu abbia perso completamente il senso del bello e del gusto, ma queste cose melense non le sopporto.»
«E poi se non l’avessi notato cinque minuti fa stava quasi ficcando la lingua nell’orecchio di Pansy» gli fece eco Ron, servendosi di una generosa porzione di uova e pomodori mentre una nuvola nera di disappunto gli si addossava sulla testa.
Un secondo dopo, non senza averne approfittato per dare una gomitata alla nuca del bambino sopravvissuto. apparve la figura elegante ed odiata dalla maggior parte dei commensali di quel tavolo di un compassato Draco Malfoy, che si comportava come se non avesse fatto altro in tutta la vita che apparire alle spalle della speranza dei maghi 
«Granger, visto che hai degli amici trogloditi te lo dico a voce: ci vediamo alle dieci alle carrozze per Hogsmeade. E, Lenticchia, tu sei l’ultimo che dovrebbe parlare, credimi. Mi stupisce che tu abbia ancora la testa sulle spalle. O meglio, qualcos’altro, tanto per te è la stessa cosa»
«Mi stai chiedendo un appuntamento, Malfoy?» lo provocò finendo di imburrare meticolosamente il toast e lanciando un’occhiata di avvertimento a Ron che sembrava pronto a saltargli alla gola. In effetti da quanto le aveva raccontato Harry sul comportamento dell’amico alla lezione di divinazione, Pansy aveva tutte le ragioni per rendergli la vita un inferno. Basta che non decidesse di usare Draco per vendicarsi e avrebbe anche potuto pensare di darle una mano, a dire la verità.
Lui ghignò «Fosse stato per me, l’avrei fatto in una maniera molto più elegante…ma come ho detto hai degli amici imbecilli…»
«Stai andando a fuoco, Draco» si limitò a commentare in tono piatto Ginevra Weasley aggiungendo un cucchiaio di miele al suo tè con una mano, mentre con l’altra aveva costretto Dean Thomas, seduto accanto a lei che già si era alzato per tirare un pugno a Malfoy.
Per un momento Hermione pensò che stesse scherzando, poi si rese conto che in effetti dall’orlo dei suoi costosi pantaloni sartoriali si stava levando un rivolo di fumo. E dalla faccia soddisfatta di una certa persona davanti a lei, sapeva benissimo di chi fosse il merito.
«Molto adulto, Potter, complimenti. E ora, prima di finire in punizione fino alla fine dell’anno io direi che è ora di andare» Blaise Zabini era apparso dietro a Draco e aveva iniziato a trascinare via il biondo di malo modo, seguito a poca distanza da Pansy Parkinson e Theo Nott, e girandosi verso di lei con un sorriso «Scusa Granger, vi vedete dopo ma vorrei evitare che Piton ci faccia fuori il prefetto. Ah comunque…ti sta bene quella maglietta, belle tette, di solito neanche si vedono»
«Di niente, Granger» commentò eloquente Pansy in tono magnanimo sapendo benissimo da dove venisse quella maglia. Poi molto casualmente la tazza che aveva in mano si rovesciò, ricoprendo la testa di Ronald Weasley di succo di zucca speziato, appiccicaticcio e soprattutto al limite dell’ebollizione. «Oh, pardon, sono inciampata…maledetti tacchi.»
Poi ghignando trotterellò dietro Blaise e Draco, la cui lite si riusciva ad udire perfettamente anche a quella distanza.
 
***
Ogni studente di Hogwarts ricordava il primo pomeriggio passato ad Hogsmeade, quando finalmente al terzo anno era permesso loro di uscire dai confini di Hogwarts. Il primo pomeriggio passato a gironzolare all’emporio degli scherzi di Zonko, girovagare per i vicoli della cittadina con le dita appiccicose per i dolci di Mielanda, l’odore della burrobirra speziata nelle narici. E le chiacchiere, le risate, le corse senza senso solo per il gusto di sentirsi liberi.
Certo poi le cose per lui erano peggiorate ed aspettava quel sabato del mese con angoscia e rassegnazione, sperando allo stesso tempo che passasse presto e che non arrivasse mai, trascorrendo intere nottate insonni con la voce di suo nonno e di Cassandra che gli rimbombava nelle orecchie.
 
Sorrise portandosi alle labbra la mano che teneva intrecciata alla sua, ignorando gli sguardi dei loro compagni. Ovviamente aveva tentato di scendere per primo per aiutarla, ma quella testarda di una grifondoro aveva capito le sue intenzioni ed era scesa di fretta e furia dalla carrozza, aspettandolo con aria soddisfatta.
«Sai che potresti provare ad essere un filo più romantica?» gli chiese dandole un bacio sulla guancia e spostandole un ricciolo ribelle. «Stavi bene con i capelli corti»
«Tu un filo meno sdolcinato e maschilista, ma non è colpa tua, visto di chi sei figlio. E smettetela di ossessionarmi per questi capelli. Prima erano troppo corti, ora troppo lunghi. Merlino come siete noiosi.» rispose ridendo sulle sue labbra e passandogli un braccio attorno alla vita. «Allora, dove hai pensato di andare per il nostro primo appuntamento Malfoy?»
«Com’è che siamo tornati a Malfoy da quando siamo tornati? Mi piace quando dici il mio nome, e soprattutto mi piace vedere Potter che strabuzza gli occhi e rischia di strozzarsi» rispose sistemandole la sciarpa bianca attorno al collo, e approfittando per darle un bacio veloce sul naso gelato. 
«Visto che tu continui a fare lo scemo con le altre, direi che te lo meriti» rispose lei fingendo un broncio e alzandosi appena sulla punta dei piedi per baciarlo «E lascia stare, il povero Harry, Ginny già lo sta torturando abbastanza. Quindi dove andiamo? Da Madame Pie di Burro?»
«Granger, Granger.» rispose scuotendo la testa e continuando ad esercitare una leggera pressione sulla sua vita, spingendola con fermezza e delicatezza verso la via principale «Non vorrai mica dirmi che pensi sul serio che sia cosi dozzinale e banale da portarti in quella ridicola sala da thè insieme a quegli sfigati, vero?»
«Devo dire che hai sempre una buona parola per tutti. Allora? I Tre manici di scopa?»
Uno sbuffò fu tutto ciò che ebbe in risposta insieme ad un bacio veloce, prima che lui si allontanasse a lunghe falcate.
«Ma per Merlino! Guarda che scrivo a tua madre e le racconto che il suo perfetto figlio purosangue è in realtà un cafone maleducato» gli urlò dietro rincorrendolo e valutando se fosse il caso di lanciargli un paio di incantesimi impastoianti. Ma c’era troppa gente, tra cui un paio di prefetti delle altre case che non vedevano loro di mettere entrambi nei guai.
Si limitò quindi a rincorrerlo fino a quasi sbattergli contro quando lui si fermò di colpo, prendendola al volo prima che cadesse in terra, maledicendolo. 
Hermione lo squadrò sospettosa: quello sguardo divertito negli occhi più blu che grigi non prometteva nulla di buono. Poi si girò a guardare la porta dove si era fermato, prima di aprirla con un gran festo plateale, cedendole il passo.
La prima cosa che sentì fu il famigliare odore della carta patinata, seguito da quello penetrante e polveroso dell’inchiostro. Il pavimento di legno scricchiolò appena sotto i suoi piedi. Davanti a lei pile e pile di volumi elegantemente ordinati l’uno sull’altro, i dorsi incisi che ammiccavano.
La piccola libreria alla fine della strada della strada principale era uno dei suoi posti preferiti, forse ancora più di Mielandia: il proprietario ormai la conosceva e le metteva da parte le nuove uscite, salutandola sempre con grande cortesia ed affetto ad ogni visita. 
Di solito poi era molto meno frequentato rispetto a quella della via principale, un piccolo gioiellino che era sconosciuto alla mandria che si riversava nelle strade vociando, alla ricerca per lo più dell’ultimo romanzo di grido, spesso di quella grandissima delusione che si era mostrata Gilderoy Allock. 
«Ero certa di averti intravisto un paio di volte, anche se avevi fatto finta di nasconderti dietro qualche scaffale» commentò ricordando tutte le volte che gli era parso di scorgere quegli assurdi capelli chiari come fili di luna ma si era detta che di certo Draco Malfoy, il borioso purosangue che conosceva lei non avrebbe perso il suo tempo in una libreria. Ovviamente si era sbagliata.
«Si, diciamo che mi rifugiavo spesso qui… prima di tornare al castello, mi aiutava a ricompormi. Mi piace questo posto, mi fa sentire bene» a quel commento Hermione si morse le labbra, mentre lui liquidava quei ricordi dolorosi con un gesto noncurante della mano. Poi la attirò di più a sé, chinandosi a sfiorarle il naso con un bacio leggero «Mia madre me ne parlava spesso quando ero piccolo e i proprietari ancora se la ricordano. Per questo sono stati più che contenti di farmi un piccolo favore.»
Hermione si ritirò appena, ancora imbarazzata che qualcuno potesse vederli in atteggiamenti intimi, ma poi si rese conto che attorno a lei non c’era nessuno. L’intero locale era vuoto, solo i libri a guardarli.
Lui rise soddisfatto, mentre con un gesto pigro della bacchetta il cartello alla porta avvertiva che la libreria sarebbe stata chiusa per tutto il pomeriggio «Ecco il nostro appuntamento, mia cara strega più brillante della sua generazione: prendi pure tutto quello che vuoi, basta che lasciamo una lista sul bancone. E visto che so bene quanto odi essere disturbata quando scegli i libri, io mi limiterò a guardarti dal piano superiore, dove ti aspetterò con tanta pazienza e la voglia di toglierti i vestiti»
Hermione girò su sé stessa, sbattendo un paio di volte gli occhi. Non sapeva se fosse l’idea di farsi Draco Malfoy al piano superiore di una libreria in pieno centro a Hogsmeade o quella di passare le prossime ore a scegliere libri, ma le sembrava di essere tornata una bambina alla notte di Natale.
Prima di iniziare a girovagare si voltò per baciare con foga il suo perfetto accompagnatore, ignorando quel ghignetto soddisfatto che aveva sulle labbra.
«Se hai preparato anche il tè e i biscotti potrei anche pensare sul serio che questo sia l’appuntamento perfetto» gli bisbigliò passandogli una mano tra i capelli sino a fermarsi con le dita sulla sua nuca.
Lui rise «Scherzi, Granger?  So bene che sei più tipo da caffè che da tè. E comunque si, ho pensato anche agli spuntini: dei piccoli e adorabili macaron. Quindi ora smetti di fare finta di essere interessata a me e al mio bel corpo e vai dai tuoi adorati libri.»
«Pretenzioso. Ma da uno che mangia i sandwich tagliandoli prima a striscioline non mi sarei aspettata altro» e con un ultimo bacio frettoloso lo lasciò per iniziare la sua caccia al tesoro.
«Visto che non sono un occamy, mi pare il minimo» rispose il biondo sgranando gli occhi come se gli avesse appena detto che si potesse tranquillamente vivere senza magia. Poi si sedette sulla poltrona più vicina, prendendo distrattamente uno dei libri in esposizione e sfogliandolo senza troppa attenzione.
«Ah, Granger... Pansy mi ha chiesto di dirti di tenerti libera il primo febbraio» disse con voce noncurante. Ma non ingannava nessuno, era evidente che aveva provato quella domanda molte volte nella sua mente
Hermione rispose appena con un verso non meglio identificato, richiamando almeno mezza dozzina di titoli su cui era curiosa e sedendosi in terra per esaminarli meglio «Credo di sì, perché?»
«Imbolc» rispose lui semplicemente, fissandola senza aggiungere altro.
«Imbolc?» chiese senza staccare gli occhi dalle prime righe del saggio che stava sfogliando.
«Imbolc» annuì lui «E’ importante per noi, molto.  Gli uomini fanno un regalo alle donne della lora vita e loro…beh... principalmente è la loro festa. Solo loro posso prendere parte al rituale»
C’era qualcosa di strano nelle sue parole, una sorta di tensione che raramente gli aveva sentito.
«Per voi chi? I purosangue? Ron e Ginny non mi hanno mai parlato di questa festa. Voglio dire, so di cosa si tratta: il fuoco, la purificazione, la luna, la rinascita… il…oh cazzo» perché in quel momento aveva capito
Uno dei sintomi della conoscenza e della rinascita eterna.
«Benvenuta a Serpeverde, Granger» annui lui con un sorriso spostando lo sguardo «E che Merlino abbia pietà di noi»

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Capitolo 5
*** Capitolo V- Valzer di Coppie ***


La strada principale di Hogsmeade era semivuota in quel tranquillo giovedì di fine gennaio, tanto che per un attimo ebbe la straniante impressione di non essere mai stata li. Da studentessa i rari sabati in cui non era in punizione li aveva passati all’emporio di scherzi e ai Tre manici di Scopa, ma sempre insieme ai suoi compagni. 
A quanto vedeva però, non era stata ancora dimenticata, nonostante ormai i gemelli Weasley avessero egregiamente preso il testimone, visto che Zonko in persona si affrettò ad uscire dal negozio per salutarla e per raccontarle con soddisfazione di tutti gli ultimi arrivi, lisciandosi i grossi baffi bianchi a manubrio.
Con un pizzico di nostalgia pensò ai tempi in cui spendeva il suo non proprio risicato Argent de poche, secondo l’assurda definizione di sua madre, o paghetta, secondo quella sempre più pragmatica di suo padre, in tazze mozzicanti, frisbee zannuti e altre simpatiche cosucce che lanciava nei corridoi di ignari studenti, specialmente serpeverde. Essere una mutaforma aveva il suo indubbio vantaggio, visto che poteva facilmente assumere le sembianze di uno studente di quella casa, per quanto con quei colori addosso le venisse l’orticaria, e lanciare casualmente una caccabomba proprio in mezzo a loro. Zonko poi l’aveva eletta a sua personale musa quando aveva saputo che si divertiva ad assumere le sembianze del Preside andando a dare i più strampalati ordini agli studenti.
Il pensiero di Silente le procurò una fitta amara. AI tempi, il preside si era divertito un mondo, al punto che non era raro vedere due Albus Silente che gongolavano per i corridoi chiedendo agli studenti di cantare l’Inno di Hogwarts o di improvvisare una partita di gobbiglie su una gamba sola.
Silente l’aveva capita, supportata, confortata anche quando gli altri studenti le rinfacciavano quello che aveva fatto la famiglia di sua madre, come se non fosse sufficiente che lei ne fosse scappata. Era sempre stato pronto con una tazza di cioccolata calda e qualche assurda storiella senza senso. Forse per questo faceva ancora più male pensare che stesse tradendo Harry, stesse tradendo tutti loro in nome di un ideale più grande.
Quando entrò nella sala di Madame Rosmerta, mezza vuota visto l’orario e il giorno infrasettimanale, le si fermò il respiro come una scolaretta del terzo anno al suo primo appuntamento ai Tre Manici di Scopa intravedendo la famigliare figura di Remus ad uno dei tavoli nell’ombra, la fronte corrucciata, il cappotto ancora indosso e la sciarpa mezza tolta nella foga di prendere appunti. Come al solito teneva la testa china, semi nascosta nell’ombra, quasi a volersi confondere sullo sfondo. 
Come se davvero qualcuno non potesse notarlo. E non di certo per le cicatrici ma per via l’aura che si portava dietro era qualcosa di così avvolgente, così disarmante che non poteva lasciare indifferenti. Non era un caso che quando la voce del fatto che fossero prossimi al matrimonio più di uno studente si fosse fermato per parlare dell’amato e rimpianto professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
Merlino, a furia di sentirne tesserne le lodi quasi aveva smesso di amarlo.
Quasi.
Perché quando alzò lo sguardo e la vide il suo volto si illuminò a tal punto che per un attimo pensò di lasciare tutto e tornare a casa con lui. Remus si alzò e le andò incontro stringendola in un abbraccio, cercando di mantenere un minimo di contegno che lei ovviamente, non aveva, visto che gli si buttò addosso, intrecciando le braccia sul suo collo e le gambe sulla sua vita, mentre sentiva Madame Rosmerta ridacchiare dietro al bancone.
«Ricordo di aver firmato qualcosa circa un codice di comportamento dei professori e non credo che sia stato abolito nel frattempo» ridacchiò imbarazzato Remus cercando di farla scendere mentre lei invece continuava a baciarlo come se avesse quindici anni e fosse imboscata nel primo anfratto disponibile di Hogwarts.
«E chi se ne frega. Mi cacciassero, se vogliono» si lagnò lei in tono esasperato mettendosi finalmente in piedi e lasciando andare il suo futuro marito che ne approfittò per aiutarla a togliersi il cappotto, piegandolo ordinatamente sulla sedia accanto a lui. Aspettò poi che si accomodasse nella sedia che aveva appena spostato prima di sedersi davanti a lei, prendendole le mani e stringendole nelle sue, senza smettere di fissarla.
«Ti ho ordinato un tè caldo, si gela qui fuori. E della torta di zucca e cannella, so quanto ti piace quella di Madame Rosmerta» le disse con un sorriso dolce «Come ti senti?»
Nymphadora prese un attimo prima di rispondere, posandogli una mano sul viso per una carezza veloce, accarezzando la grana irregolare della pelle proprio lì dove una cicatrice più profonda si stagliava nitida, poco prima della tempia destra.
Ringraziò con un sorriso Madame Rosmerta che le posò una fragrante fetta di dolce caldo e profumato. Il fagiolino dietro di lei sembrò approvare, anche se era veramente troppo presto per poterlo sentire. Eppure era certa che apprezzasse anche lui il dessert speciale della casa.
«Cosa leggi?» chiese invece indicando il corposo fascicolo che aveva davanti a sé.
Remus sospirò mettendosi comodo sulla sedia e girando assorto il suo caffè «Niente di bello a dire il vero. Ma a quanto pare anche voi avete avuto il vostro bel da fare.»
Il tono era quello che non prometteva niente di buono, Nymphadora prese in silenzio la cartellina dal tavolo e iniziò a sfogliarla.
Segni di maledizioni. Improvvisa perdita di sensi. Incapacità di svegliarsi. Completa perdita della memoria di quello che era successo. E quei segni sulla schiena.
Gli stessi delle studentesse di Tassorosso.
Scorse l’elenco dei nomi. Erano decine e tutte a partire dal 21 dicembre, il giorno della riuscita della missione dei ragazzi. Non poteva essere un caso. Senza dire una parola accettò la pila di documenti che Remus le aveva passato, tirando fuori un quaderno per prendere appunti.
«Ah, comunque a quanto mi ha detto Sirius tua madre sta meditando l’omicidio di Lucius Malfoy»
Nymphadora si limitò a scrollare le spalle «Comprensibile. Mi passi i il verbale del 23, per cortesia?»
Senza dire altro, si rintanarono ciascuno nelle proprie riflessioni, godendosi la rilassante presenza reciproca. Passarono così il resto del loro appuntamento, parlando di maledizioni e presagi funesti.
«Dora?» Remus si interruppe mentre riordinava le fotografie delle cicatrici di alcune delle vittime, fermandosi a guardare la sua futura moglie che succhiava pensierosa la penna d’oca mentre sfogliava una serie di referti.
La ragazza alzò appena lo sguardo, scrutandolo dietro la frangia color fragola che le ricadeva scomposta coprendole appena i grandi occhi scuri.
«Sei bellissima» le disse allungandosi per sfiorarle la mano ed accarezzarla lentamente, ancora intenta a scrivere.
«Ruffiano» finse di offendersi atteggiando un broncio, senza che però riuscisse a nascondere il lieve rossore che le era salito alle guance. Da piccola spesso aveva visto sua madre e suo padre in atteggiamenti romantici, al filo dello sdolcinato e lo aveva sempre trovato al limite del rivoltante.
Ora invece con Remus sembrava tutto così semplice, così naturale, che si chiese come avesse potuto vivere senza vedersi attraverso i suoi occhi.
«E se ti dicessi che vorrei andare a vedere un posto. Qui ad Hogsmeade intendo... sai che non posso farmi vedere in giro perché i genitori darebbero di matto ma almeno avremmo un posto dove vederci in questi mesi. Non posso stare lontano da te così a lungo» disse Remus tutto d’un fiato. Non erano questi i patti lo sapeva bene, lui sarebbe dovuto restare a casa loro e fare da collegamento con l’Ordine e soprattutto che più di un genitore, inclusa la sorella di sua madre, aveva dato di matto quando avevano scoperto fosse un lupo mannaro avevano preteso che fosse allontanato dai loro preziosi pargoli. Ma spostarsi per lei era sempre difficoltoso e sebbene non avesse voglia di farsi vedere troppo in giro non riusciva a pensare che qualsiasi cosa fosse successa lui sarebbe stato lontano. Di certo la McGranitt però non sarebbe stata contenta, non erano quelli i patti. Ma d’altronde bastava non dirglielo.
I capelli di Nymphadora assunsero un’intensa sfumatura confetto mentre addentava con soddisfazione un pezzo di torta: «Mi sembra perfetto. Anche perché come ti ho detto non avevo considerato un effetto collaterale del mio stato di cui nessuno sembra parlare... Devo tornare a dormire al castello ma niente ci vieta di passare del tempo libero insieme. Scommetto che è in un posto molto molto distante dal centro e noto per certe urla che provengono circa una volta al mese, vero?» ghignò soddisfatta raccogliendo i fogli e mettendoli in borsa. Potevano aspettare un altro po’. «Forza, che stai aspettando? Un invito scritto?»
Poi quasi lo trascinò fuori dal locale, giusto il tempo di lasciare una manciata di galeoni sul tavolo e salutare frettolosamente.
 
Madame Rosmerta li guardava allontanarsi, sbuffando. Di coppie strane ne aveva viste in quegli anni, ma nessuno poteva eguagliare la giovane Nymphadora Tonks e il riservato Remus Lupin.
E se il suo sesto senso non l’ingannava tra qualche mese ci sarebbe stato qualcun altro che avrebbe dovuto far il conto con le stramberie di quei due. 
Chissà se sarebbe stato Tassorosso o Grifondoro.
Di certo non Serpeverde.
Con due genitori così, poco ma sicuro.




 
***



I giardini del Maniero erano ancora ricoperti di neve che il pallido sole di quel mattino di gennaio non aveva ammorbidito in alcun modo. Sentiva la cadenza regolare della corsa rimbombarle nelle orecchie, l’aria gelida che entrava nei polmoni e il suo stesso respiro affannato che formava delle nuvole di condensa.
Volare le piaceva ma correre non era solo un modo per mantenersi in forma quanto piuttosto un momento che prendeva tutto per sé, distante dall’immagine che si era così ferocemente costruita negli anni, un ritaglio in cui poteva permettersi di ammettere le sue debolezze. E le sembrava che correndo sempre più forte, sempre più veloce sino a sentirsi esausta e senza forze, potesse lasciare dietro di sé anche i suoi demoni.
Aveva paura, Narcissa.
Come mai l’aveva avuta.
Ora che aveva visto le sue più grandi paure realizzarsi si sentiva come un vaso rotto che nessun incantesimo di riparazione avrebbe mai potuto far tornare come prima. O forse, ad essere sinceri, era come se non avesse più voglia di tornare ad essere quella di prima.
La perfetta purosangue troppo impegnata in eventi mondani per preoccuparsi di qualcosa di serio. La donna dell’alta società che non aveva altro pensiero se non quello di scegliere l’abito più adatto all’occasione e a venire bene in foto.
Nessuno sapeva quanto lavoro ci fosse dietro, quanto sforzo ed impegno richiedesse gestire economicamente ed istituzionalmente non solo le diverse fondazioni che patrocinava ma anche e soprattutto la sua famiglia.
Aveva capito di amare Lucius quando si era vista riflessa nei suoi occhi per quella che era realmente e da allora non era passato un giorno in cui non avesse ritrovato la ragazza che era e soprattutto la donna che aveva sempre voluto diventare nel suo sguardo.
Anche adesso. Lucius non aveva smesso di amarla, ne era certa, anche perché continuava a ripeterlo
E anche lei lo amava, scioccamente come una ragazzina alla prima cotta. Aveva sempre trovato piuttosto imbarazzante che ancora dopo tanti anni si trovava a cercare il suo sguardo in una stanza piena di gente e il modo in cui la faceva sentire anche solo sfiorandola.
Nonostante gli incantesimi aggrappanti quasi perse l’equilibrio al ricordo dell’ultima volta che le sue dita era state su di lei, o meglio di dove erano state.
Dannazione a lui, forse davvero aveva ragione Andromeda. Avrebbe dovuto darle retta e passare in quel negozio, anche perché l’idea di farsi toccare da un altro uomo la ripugnava.
E quindi doppiamente dannato Lucius Malfoy. Per la prima volta in vita sua si chiese se prima di sposarsi non avesse fatto un terribile sbaglio ad accettare la sua proposta.
Meglio per lui che mettesse giudizio al più presto o di questo passo rischiava sul serio che lo mettesse sotto imperio.
E tutto perché si rifiutava di farsi aiutare da qualcuno.
In questo, per Salazar, era peggio del loro testardo e permaloso figlio che, ovviamente, sembrava aver ripreso non solo l’aspetto ma anche il carattere paterno.
E quello era un altro motivo che l’aveva spinta ad uscire a correre a quell’ora assurda della mattina: sapeva bene che entro quella sera avrebbe ricevuto una lettera di lamentele da parte del suddetto figlio che avrebbe potuto far invidia al tomo di storia della magia.
Si, perché se non poteva costringere un quarantunenne con cui era sposata da quasi vent’anni a vedere uno specialista, poco ma sicuro poteva farlo con qualcuno che aveva portato in grembo per quasi nove mesi, inclusi quattro di riposo assoluto a letto e un parto non proprio agevole prima del tempo.
Di certo però non invidiava Severus che quelle lamentele se le sarebbe subite di persona.
Cosa che avrebbe portato una seconda lettera quel giorno, da parte di un certo professore di pozioni che le avrebbe sicuramente elencato tutti i favori che le aveva fatto in venticinque anni e passa di amicizia e che si trovava ingiustamente da fare da balia ad un adolescente viziato e, peggio ancora, innamorato. Di una grifondoro.
Che fosse natababbana ovviamente a Severus non interessava. Non di certo dopo che non aveva mai amato nessuno come aveva amato quella sciocca Lilly Evans che gli aveva spezzato il cuore preferendo quel borioso combinaguai di James Potter.
Ma Grifondoro.
Per Merlino, commentava sempre alzando gli occhi al cielo. E nulla valeva ricordargli che anche la sua preziosa Lily lo fosse.
Non che quando lei si fosse messa con Lucius avesse fatto i salti di gioia a dire il vero. Di base c’era una grande verità: a Severus Piton le persone non piacevano granché.
Ed era un gran peccato.
Perché non c’era un mago al mondo più dotato, brillante e perspicace di lui. Se solo non avesse avuto quel caratteraccio…
Per questo lo aveva implorato, e lei non implorava mai, di fare da padrino a Draco quando era nato. O meglio l’aveva prima implorato, poi minacciato e infine sfiancato così tanto che alla fine aveva detto di sì, ma ad un’unica condizione: che la cerimonia fosse privata e che il suo nome non comparisse mai in pubblico, per nessun motivo.
Quella richiesta l’aveva ferita, era come se Severus si vergognasse di loro, di quel bambino che all’epoca non aveva alcuna colpa se non del nome che portava. Ma poi aveva capito: l’aveva fatto per proteggerla dai commenti acidi e dalle malelingue, sicuramente orripilate dalla scelta di un mezzosangue qualunque per quel bambino tanto atteso.
Ma lui non era mai stato uno qualunque.  Solitario, sicuramente. Vendicativo, senza dubbio. Un filo al limite della sociopatia, poteva essere.
Ma l’aveva sempre protetta e sostenuta, al punto da creare per lei quell’incantesimo proibito di protezione. Quello che ora, era certa, le faceva scoppiare la testa per avvisarla che, di nuovo, qualcuno che amava era in pericolo.
Corse più forte che poteva, perdendosi negli spazi immensi che avrebbe dovuto conoscere ormai a memoria ma che ancora a volte le rimanevano estranei.
Forse se avesse corso davvero, davvero ma davvero veloce questa volta sarebbe arrivata in tempo.
Forse.
SI fermò di colpo riconoscendo il grande albero di salice, sorpresa di essersi spinta sino a quel punto.
Ma era ancora più sorpresa di trovare suo marito, seduto sul terreno gelido ancora imbiancato di neve, i capelli chiarissimi e morbidi come quelli di suo figlio che gli ricadevano scomposti sul viso chinato.
Si avvicinò senza fare rumore, non sapendo bene se rimanere o sgattaiolare via silenziosamente, sentendosi quasi un’intrusa.
In tutti quegli anni Lucius si era sempre recato da solo in quel luogo e lei non gli aveva mai chiesto di portarla con lui, anche se sapeva perfettamente cosa avrebbe trovato scritto sulle placche ai piedi dell’albero.
Nicholas Abraxas Malfoy
Arael Morgaine Malfoy
Di nuovo insieme
 
***


 
Anche quella notte si era svegliato di colpo, incapace di respirare per l’angoscia, sentendosi insicuro alla sua stessa casa, quella casa di cui era diventato da due decenni il padrone. Era come un salto nel passato, alle sue notti insonne da ragazzo, quando il suo stesso corpo era incapace di rilassarsi totalmente se da solo in una stanza, sempre attento al minimo segno che Abraxas si stesse avvicinando alle sue stanze o a quelli dei suoi fratelli.
Nel corso degli anni gli incubi si erano diradati, la sola presenza del corpo addormentato di Narcissa accanto a lui sembrava calmarlo naturalmente, ricordargli che non c’era più nulla da temere. Dallo scorso gennaio, però, l’angoscia era tornata a strisciare nella sua mente, costringendolo ad intere notti insonni in cui solo il respiro regolare della sua meravigliosa moglie su cui concentrarsi per non impazzire all’idea di suo figlio costretto sott’acqua e incapace di respirare, il tutto per garantire il successo di Harry Potter. Le cose poi erano peggiorate dopo la notte del rituale, quando entrambi si erano trovati incapaci di togliersi dalla mente il suono che aveva fatto il coltello mentre tagliava la pelle sulla gola di Draco. 
No, non era corretto, quello non era il suono peggiore per lui. Quello che ancora lo tormentava era il ricordo del respiro che diventava sempre più debole, un rantolo vischioso che faticava ad uscire per via del sangue che gli aveva invaso la gola e i polmoni.
Così come era morto suo fratello a soli diciotto anni, una notte di luglio di quella che veniva chiamata la prima estate di sangue. Nicholas e Draco, così simili da fargli quasi male, le facce e le voci che si confondevano nei suoi pensieri e nelle sue notti.
Accarezzò l’incisione sul tronco dell’albero. Il corpo di Nicholas non era lì, ma in uno stupido mausoleo di pietra scura, una tomba elegante e uguale a quella di tutti gli altri membri della loro famiglia, solo un glifo sulla linea di successione di una delle più ricche famiglie purosangue, la sua breve vita racchiusa tra una data di nascita e una di morte, troppo ravvicinate. La tomba di Arael, seppur vuota, non era neanche accanto alla sua, ma dal lato opposto, a voler dividere anche in quel caso il loro legame che Abraxas non aveva mai capito, incapace di comprendere come amare qualcuno che non fosse sé stesso.
Arael era morta a Belthane del suo settimo anno, ricordava come se fosse ieri il gufo di sua sorella che arrivava la mattina della sua scomparsa. Andava di fretta quel giorno e aveva messo la lettera via, ripromettendosi di leggerla con calma. Forse se l’avesse letta subito avrebbe potuto cercarla, arrivare in tempo, salvarla.
Forse adesso sua sorella l’avrebbe guardato con quegli occhi indagatori e con un sorrisetto e gli avrebbe detto che in effetti era un padre e un marito pessimo, ma che l’avrebbe aiutato.
O forse non sarebbe successo niente, perché lui non avrebbe continuato in quella spirale di violenza ed inganni che anni dopo gli aveva presentato il conto nel modo più crudele possibile.
Forse lei si sarebbe accorta che qualcosa non andava, che assecondare la richiesta di Cassandra era pura follia. Avrebbe trovato un modo per distruggere la maledizione.
Cassandra. 
Draco aveva avuto ragione, era colpa sua. Era stato per anni con Cassandra, aveva visto crescere la sua follia, anzi, l’aveva alimentata neanche troppo inconsapevolmente... Avevano partecipato insieme alle prime riunioni di Lord Voldemort, passato giorni interi a ripetere quelle promesse di un mondo di purosangue come fossero una formula magica, senza alcun dubbio della vita che li aspettava al servizio del signore oscuro, insieme. E ad essere onesti si erano anche dati parecchio da fare per realizzare quella visione.
Cassandra abbracciava la parte più oscura del suo essere totalmente e senza alcuna riserva, cosa che Narcissa non avrebbe mai fatto. Forse era proprio per questo che aveva capito sin da subito che con lei avrebbe potuto essere un uomo diverso, migliore.
Con lei avrebbe potuto non diventare suo padre. Ci era quasi riuscito a dire il vero.
E poi aveva rovinato tutto, come al solito.
«Questa volta ho fatto davvero un casino, sapete? E la colpa è anche vostra, non dovevate lasciarmi solo» si trovò a mormorare con più astio di quello che avrebbe dovuto.
Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di non essere solo sino a quando non sentì le braccia familiari di sua moglie stringersi dolcemente su di lui, la bella testa dorata accanto alla sua. Era così tanto che non la sentiva così vicina che per un attimo pensò sul serio di essere finalmente riuscito ad addormentarsi.
«Se solo non avessi una splendida ed intelligentissima moglie» la voce di Narcissa era ironica e pungente eppure continuava a tenerlo stretto, il corpo accaldato dalla corsa che premeva sulla sua schiena sembrava l’unico punto di contatto con la realtà.
«Sono quasi certo che la suddetta splendida e brillante moglie abbia più volte pronunciato la parola divorzio, in queste settimane. Quindi torniamo al problema principale. Senza contare il piccolo particolare di una certa cerimonia privata» rispose con stanco mentre Narcissa sospirando gli si sedeva accanto appoggiandogli la testa reclinata sulla spalla rimanendo in silenzio, mentre con una mano lo accarezzava delicata.
«Ho trovato un’alternativa, sai? Una più… accettabile» faticò un attimo a trovare la parola più giusta, quella che non avrebbe spezzato quel momento di equilibrio che mancava da troppo tempo.
«E sarebbe?» chiese senza spostarsi o lasciarlo andare. Il fatto che non si fosse alzata urlando era già un buon segno.
Lucius si girò a guardarla, giocherellando per un attimo con una ciocca di capelli che erano sfuggiti dai capelli stretti nella coda alta che faceva abitualmente quando usciva a correre.
«Un incantesimo, ne ho già trovato uno in uno dei libri del Maniero. Ci serve solo un testimone. E non dovrai mai più preoccuparti che io possa fare del male a Draco» rispose finalmente contento di aver un momento per parlarne. La questione di andare dal terapista era fuori discussione: come avrebbe potuto fidarsi di raccontare a qualcuno di tutto quello che aveva fatto e che lo avrebbe fatto finire ad Azkaban? O nel migliore dei casi finire in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta. Andromeda poteva anche fidarsi ma piuttosto che raccontare a quello lì i fatti suoi si sarebbe murato vivo al Maniero. Aveva accettato che parlasse con Draco, non aveva neanche fatto troppe storie.  Se c’era anche una minima possibilità che riuscisse ad aiutarlo a superare l’orrore di quegli anni era disposto a dargli credito, non importava quanto sarebbe costato, anche a costo di comprare ogni singolo giornaletto scandalistico cui la storia avrebbe fatto gola.
Ma quello che aveva fatto lui… beh non aveva alcuna intenzione di ammetterlo con un pressoché sconosciuto solo perché la sua ritrovata cognata aveva detto di potersi fidare.
Si fidava anche dei Weasley se era per quello, segno che il suo giudizio non fosse proprio impeccabile come credeva.
Merlino piuttosto si sarebbe fatto rinchiudere al San Mungo sul serio.
«E quando potrò smettere di preoccuparmi che tu non faccia male a te stesso?» chiese Narcissa staccandosi dal suo tocco e facendo per alzarsi, quando il marito la prese delicatamente il polso, stringendo appena.
«E’ una buona soluzione, Cissy lo sai anche tu. Siamo d’accordo allora.» tentò con un sorriso. E dentro di sé lo credeva sul serio
La donna sospirò voltandosi a guardare l’albero di fronte a loro «Vorrei che Arael fosse qui per dirti quanto sia assurdamente complicata la tua idea rispetto alla mia semplice richiesta»
Lucius si alzò sorridendo e avvicinandosi alla moglie per abbracciarla, sfiorandole appena la tempia: «Quello è un sì?»
Narcissa annuì seppur riluttante «Per il momento» poi indicò il ciondolo a forma di chiave che era posato poco sopra la placca: «E’ per Imbolc?»
Il mago sorrise scostando la coda di capelli per posarle un bacio appena accennato sulla nuca, sorridendo contro la sua pelle «Allora posso darti il tuo di regalo?»
«Direi che possiamo iniziare da li. Anche se non sarai così stupido da credere che un gioiello basti a farti perdonare» rise passandogli le dita tra i capelli e avvicinandolo a sé.
Anche senza vederlo sapeva che stava ghignando.
«Oh, amore mio, credimi non è un gioiello. Diciamo che è un ritorno al passato» rise prendendola per mano e incamminandosi verso casa «E oggi sembra una bellissima mattina per volare. Sono sicuro che apprezzerai»
«Sono ancora più brava di te, ricordatelo» gridò la donna affrettandosi per tenere il passo del marito che sembrava un tredicenne a cui avevano appena detto di poter passare l’intero pomeriggio a Mielandia. Quando Lucius si fermò di colpo sarebbe caduta in terra se il marito non l’avesse presa al volo.
«Scommettiamo, piccola Black?» chiese con un luccichio negli occhi chinandosi a sfiorarle il naso con un bacio per poi fermarsi a pochi centimetri dalle sue labbra
«Quello che vuoi, Malfoy» rispose catturandogli le labbra. «Tanto sa già che perderai»
Beh in fin dei conti forse il suo regalo poteva aspettare ancora un po’.



 
***
 
Dal giorno dell’incidente in sala di Divinazione la dannata serpeverde sembrava decisa più che mai a farlo impazzire. Eppure era ben stata ben chiara quando erano tornati ad Hogwarts: loro non erano stati, non erano e non sarebbero mai stata una coppia. Niente, nessuna possibilità. Piuttosto che mettersi con lui in pubblico si sarebbe rasata i capelli a zero, e per una come Pansy era un’assunzione piuttosto chiara.
Era quindi ragionevole pensare che il loro non fosse un rapporto esclusivo.
Per questo quando l’aveva vista in giro con un paio di serpeverde del sesto e settimo anno in atteggiamenti piuttosto intimi aveva ingoiato la rabbia che sentiva e aveva fatto finta di niente.
Addirittura quando l’aveva trovata a limonarsi con il portiere di Tassorosso proprio prima della partita con Grifondoro e praticamente di fronte ai loro spogliatoi aveva represso l’istinto di schiantarli entrambi, era entrato con finta calma negli spogliatoi e si era fatto prestare una mazza da battitore per sfogarsi contro un pupazzo da allenamento, sotto lo sguardo compassionevole di Harry che si era limitato a sedersi in attesa che la sfuriata passasse.
 
Ginny e i gemelli però non erano stati altrettanto comprensivi, specialmente perché aveva mancato un paio di parate importanti, non riuscendo a pensare chiaramente. E il fatto di cercare il caschetto lucidissimo di una certa serpeverde sadica tra gli spalti non aveva di certo aiutato.
 
Insomma, per farla breve, gli avevano dato un ultimatum: o risolveva la cosa oppure ci avrebbero pensato loro. Il come non voleva neanche pensarlo. E anche Harry alla fine si era dimostrato dalla loro parte, nonostante fosse l’unico ad ammettere che scendere a compromessi con dei Serpeverde fosse semplice quanto ragionare con un’Acramantula.
E in entrambi i casi parlavano con cognizione di causa.
 
Aveva quindi deciso di approfittare della gita ad Hogsmeade. Con Malfoy fuori dai piedi, e sul serio non aveva alcuna voglia di sapere cosa stesse facendo alla prima uscita pubblica con Hermione, Zabini e Nott rientrati al Castello perché infastiditi dalla folla, quella era un’occasione più unica che rara di beccarla da sola.
Aveva infatti notato che a metà pomeriggio aveva lasciato il tavolo dove era con gli altri Serpeverde per andare a fumare. Dopo dieci minuti però ancora non aveva fatto ritorno, Daphne Greengrass sembrava preoccupata al punto da venire a chiedere a lui, a lui, un grifondoro, se l’avesse vista.
Quindi forse il “nessun altro deve saperlo” era riferito solo a quelli della sua cerchia, lei poteva parlarne con chi voleva. O forse non tutti i serpeverde erano ciechi e stupidi.
 
Un sesto senso lo aveva portato a camminare attraverso le stradine piene di studenti fino a quando si era accorto di essere da solo, anche le case si erano diradate sino a scomparire.
Si era lasciato alle spalle le ultime case con giardino, quando vide la figura di Pansy immobile in mezzo alla via, lì dove finiva la strada, di fronte ad una villetta con un cancello di metallo bianco riccamente decorato. All’interno, dei bucaneve spuntavano da sotto la coltre bianca. Sembrava non vi fosse nessuno all’interno, ma la casa sembrava impeccabilmente curata.
«Ehi Parkinson» la chiamò avvicinandosi, senza però ottenere alcuna reazione. Quando le fu così vicino da vederle il volto si rese conto che la ragazza aveva lo sguardo fisso nel vuoto, come se vedesse qualcosa nell’ombra delle finestre
Era uscita senza cappotto e sfiorandole il braccio la sentì gelata. Sospirando si sfilò il cappotto e glielo mise addosso, stringendoglielo bene.
Quando la toccò lei rabbrividì sotto il suo tocco, come se avesse preso la scossa e per un attimo i profondi occhi neri sembravano illuminarsi prima di stoccargli la solita occhiata sarcastica. 
«Merlino Weasley, ma a che elfo l’hai rubato questo copricuscino di quart’ordine?» disse tagliente, stringendosi però nel cappotto caldo come un abbraccio e che profumava ancora di lui.
«Dovevo lasciarti congelare. Sai saresti capace di dire che il freddo non fa invecchiare» borbottò di rimando battendo i piedi per scaldarsi. Per Godric Grifondoro, a volte era davvero un imbecille. Mai aiutare una serpeverde. Specialmente Pansy Parkinson. «Se non ti piace puoi sempre ridarmelo, eh. Oppure potresti muovere le tue belle gambe e smettere di stare qui nel mezzo del nulla a congelarti»
Pansy rimase in silenzio, mordendosi l’angolo interno della bocca e scrutandolo da sotto le lunghe ciglia.
Sotto quello sguardo Ron si mosse a disagio
«Andiamo, dai. O mi dovrò subire le lagne dei tuoi amichetti e giuro che piuttosto preferire fare due ore di pozioni» le disse dolcemente posandole delicatamente le mani sulle spalle.
D’improvviso Pansy gli si buttò addosso stringendolo in un abbraccio.
Rimasero così, in silenzio, mentre la neve ricominciava a cadere leggera attorno a loro.
E in fondo in fondo, pensò Ron, non faceva neanche così freddo.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI- Visitatori Inaspettati ***


 

Forse Storia della Magia alla fine non era così noiosa come aveva sempre pensato, anzi il fatto che, al contrario della McGranitt e di Piton che gli avevano proibito persino di mettersi nello stesso lato dell’aula con la Granger, a Ruf non sembrava interessare granché delle attività dei suoi studenti, purché stessero zitti era decisamente un punto a favore del decrepito insegnante. E lui da bravo studente qual era, o almeno quale voleva sembrare, in quel momento era assolutamente e perfettamente in silenzio, la testa reclinata sul banco, limitandosi a fissare la fronte corrucciata della Grifondoro mentre prendeva appunti come se fosse davvero una materia interessante.

Cosa che, ovviamente, non era.

«Mi stai distraendo» lo disse senza neanche guardarlo, ma da quell’angolo poteva vedere come le labbra si fossero piegate in un piccolo sorriso che era sfuggito al suo perfetto autocontrollo. Cinque punti a Serpeverde.

«Sei bella, sai» non era una domanda quanto una constatazione. Merlino, ancora non riusciva a credere che lei non riuscisse a vederlo, le guance che si arrossavano ogni volta che qualcuno faceva un apprezzamento sul suo aspetto e non sulla sua intelligenza. Quelli li accettava sempre, invece, quasi dandoli per scontati.

«Lo dici solo perché speri che dopo ti inviti nella stanza delle necessità» Ed eccola lì, puntuale come sempre la risposta sarcastica.

«Non dico che non ci abbia pensato, ma se fosse per quello avrei fatto qualcosa di più plateale. Merlino, sono sempre un Malfoy ricordatelo» rimbeccò fingendo un broncio «Per Salazar, Granger per chi mi hai preso, per quel mentecatto di Potty?»

«Malfoy, il fatto che pensi a me di continuo comincia a diventare sospetto, sai?» fu la subitanea risposta della speranza dei maghi che ne approfittò per tirare un calcio alla sedia del serpeverde, benedicendo la noncuranza di Ruf e chiedendosi se fosse davvero inappropriato dargli fuoco. Forse un filo. «E poi vorrei proprio vedere il tuo gesto eclatante di romanticismo. Qualcosa che i soldi non possono comprare, per una volta»

Draco non rispose limitandosi ad allungare pigramente la bacchetta verso il centro dall’aula, continuando a fissare la Granger e soprattutto il crescente orrore che si dipingeva sulla sua faccia mentre nell’aria iniziava a disegnarsi in un rosso brillante le prime lettere di Her…

«Giuro che se vedo il mio nome pieno di brillantini in mezzo alla classe la trasformazione in furetto non sarà l’episodio più umiliante dei tuoi anni a Hogwarts» minacciò con quello che sembrava più un ringhio, gli occhi fiammeggianti.

«Per Ecate, ora vomito» commentò invece laconicamente Pansy, dissolvendo la scritta in una nuvoletta di polvere «Ma quand’è che sei diventato così stucchevole?»

«Voi due non sapete neanche dove sta di casa il romanticismo, aride streghe senza sentimenti che non siete altro» commentò il biondo ridendo di fronte allo sguardo speculare e schifato delle donne della sua vita ad Hogwarts. Improvvisamente però gli passò il buonumore, quando gli si materializzò davanti il barone sanguinario, il solito sguardo folle puntato su di lui.

«Finita la lezione, il professor Piton ti aspetta nel suo studio» disse prima di scomparire nel pavimento.

Cazzo, pensò. Quell’uomo aveva occhi e orecchie ovunque. E probabilmente, anche se tecnicamente non aveva fatto niente, lo avrebbe messo in punizione fino alle vacanze di primavera. Del suo settimo anno.

Rivolse uno sguardo stizzato a quelle stupide oche grifondoro di che li guardavano con un sorrisetto fin troppo soddisfatto.  Stava quasi per lanciare una maledizione verso i loro banchi tanto per dare un senso alla sfuriata che lo aspettava di sotto, ma la Granger ancora una volta lo sorprese, stringendogli la mano e fissandolo dritto negli occhi, con un sorriso che non preannunciava nulla di buono. Poi sporse verso di lui un pezzo di pergamena.

A loro ci penso io. E anche alla stanza delle necessità.

Sempre che tu sopravviva a Piton.

 

***

Draco si avviò verso l’ufficio privato di Severus Piton con la stessa vitalità e la stessa espressione di un condannato al bacio di Azkaban. A dire la verità aveva già pronte una serie di obiezioni e giustificazioni da snocciolare ad ogni possibile accusa portata avanti dal suo capocasa da fare invidia all’avvocato di famiglia.

Si era seduto accanto alla Granger? Corretto. Non era proibito l’ultima volta che aveva controllato.

Si era messo a guardare lei invece di Ruf, che tra l’altro aveva la stessa espressione e lo stesso modo di spiegare da decine se non centinaia di anni? Corretto, ma avrebbero dovuto punire i tre quarti degli alunni in questo caso. Di certo un paio di Grifondoro di sua conoscenza in quel momento stavano di certo parlando della formazione della squadra per la partita contro Tassorosso.

Aveva quasi scritto nell’aria un complimento per la Granger? Speculazione. Al massimo quello che si era visto era un insieme di tre lettere. HER. Poteva significare qualsiasi cosa. Nessuna prova, nessun crimine, nessuna punizione.

Avrebbe voluto lanciare una fattura orcovalente su quelle quattro scimunite di Grifondoro? Speculazione. E poi era certo che Piton provasse le stesse cose almeno una volta al giorno, se non di più.

Quindi tirando le somme lui era innocente come Potter di fronte a Silente. Caso Chiuso.

Attese giusto un secondo di sentire il permesso di entrare prima di iniziare la tiritera che si era preparato. Appena messo piede nello studio, tuttavia sembrò essere colpito da una fattura stordente. Che diavolo ci facevano la diseredata e il di lei consorte Tassorosso natobabbano nello studio del suo professore preferito?

Poteva capire Andromeda in fondo. Ma Ted…per Merlino… era un miracolo che Piton non lo avesse avvelenato.

«Ah, finalmente. Iniziavo a credere che ti fossi perso» commentò con la solita cordialità Severus facendogli segno di entrare e gesticolando di sedersi di fronte a Ted, accomodato nella poltrona di fronte alla scrivania, mentre sua zia lo guardava con un sorrisetto con non aveva niente di buono. Appena appoggiata sul bracciolo accanto al marito, le gambe incrociate e la schiena ben dritta. Merlino se non assomigliava a sua madre, nonostante i capelli e gli occhi scuri.

Prese un appunto mentale di rinfacciare alla sua testarda e affascinante zia di come, nonostante sembrasse provarci con tutte le sue forze, era rimasta indiscutibilmente un’altezzosa e estremamente esigente donna della famiglia Black, anche tralasciando la follia che sembrava accumunarle tutte. O tutti, considerando quel cane del padrino di Potter che di certo aveva dei problemi mentali di tutto rispetto.

«Come stai?» chiese la suddetta Black ricevendo appena un cenno della testa, mentre gli occhi di Draco volavano verso il suo capocasa, confusi. «Ti ricordi di Ted, vero?»

A dire la verità l’ultima volta che l’aveva visto aveva venticinque anni e venticinque chili di meno, ma non gli sembrò il caso di puntualizzarlo in quel momento. Non quando era così a portata di bacchetta. Si limitò ad un nuovo, educato segno della testa 

«Perché sei qui? Mia madre sta bene? Non verrai mica a dirmi che è vera quella stupida storia del divorzio, vero? No perché la cifra che ho letto sui giornali è ridicola… e spero sul serio che non sia compreso il mio mantenimento. Per Salazar Serpeverde, non saremmo diventati poveri tutto insieme?» borbottò incrociando le braccia. Veramente. A parte il fatto che non gli sembrava proprio il momento che quei due scoprissero di avere una crisi di coppia. Ma l’accordo di divorzio che aveva visto sulla Gazzetta… era quasi oltraggioso. 

Con quella cifra sua madre a malapena ci copriva il costo del giardino d’inverno. Senza contare che conoscendola avrebbe per lo meno preteso la metà del patrimonio del Malfoy. Per sé. E almeno un quarto per Draco.

Quindi a meno che suo padre non avesse speso tutto in puttane per il Ministro ungherese non era neanche vicino alla cifra che girava sulla stampa.

«Purtroppo no. Anche se non nego che sarebbe divertente, e comunque non sono fatti tuoi. Ma in un certo senso hai ragione, siamo qui per via dei tuoi» battibeccò sua zia concedendogli un sorriso e girandosi verso Severus «Vuoi spiegarglielo tu?»

Severus sospirò unendo le dita delle mani l’una con l’altra come quando era preoccupato. O seccato per la maggior parte del tempo.

«Tua madre e tuo padre ritengono, e io sono stranamente d’accordo, che tu abbia bisogno di parlare con qualcuno di quello che è successo» disse scegliendo accuratamente le parole più appropriate per evitare che il suo figlioccio segreto potesse avere una crisi isterica. Evidentemente fu una scelta saggia, visto che il cervello di Draco ci mise più di qualche secondo ad elaborare.

«Della Granger? Senza offesa, diseredata, ma tu non sei proprio la persona migliore con cui parlare di questo. Ti sei sposata un Tassorosso, per la miseria. E a dire la verità un po’ mi spaventi» sbuffò allargando le braccia in un gesto plateale.

«A volte sei stupido come tuo padre. No, non devi parlare con me, mio adorabilmente viziato nipote. Ted è venuto qui per te» rispose sua zia tirando fuori la bacchetta «E ora o ti siedi e stai a sentire quello che dobbiamo dirti o giuro che ti pietrifico»

«Amore…» sospirò Ted alzando gli occhi al cielo «Perché non vai da Dora? Non sei d’aiuto»

Draco rimase in silenzio, guardando interrogativo Severus che sembrava a metà tra il disgustato e il divertito. Finalmente si decise a spiegare «Ted lavora per il Ministero, nel Dipartimento di Assistenza ai Minori vittime di eventi magici traumatici. È qui per parlare con te di quello che è successo.  Tua madre e io pensiamo che una volta a settimana possa essere un buon inizio»

«Inizio?» scandì Draco alzando un sopracciglio chiarissimo. No quella era la fine.

«Io avevo proposto di più, ma pare che ci siano ancora troppi preconcetti legati alla psichiatria infantile tra le famiglie purosangue» disse con calma, appoggiandosi sullo schienale e guardandolo a lungo, con calma, fermandosi appena un attimo di troppo sulle ultime parole. 

«Forse perché non siamo soliti parlare dei fatti nostri in pubblico, come babbani qualsiasi. E poi non sono un bambino, infantile un cazzo» scattò Draco sulla difensiva, sperando di provocare una reazione nel mago, inutilmente

Il richiamo di Severus fu cosi tagliente che lo fece tacere di colpo ma continuo a fissarli tutti e tre imbronciato.

«Severus ha detto che possiamo usare il suo salottino privato. E Draco voglio che sia chiaro: tutto ciò che ci diremo sarà coperto dal segreto professionale. Sai cosa vuol dire?» chiese Ted indicando la porta dietro di lui, che dava sulle stanze private di Piton, quelle in cui era ammesso solo in occasioni speciali, quando sentiva che davvero il mondo diventava troppo pesante per lui.

«Io sarò qui se avessi bisogno. Ho una pila di compiti da correggere e nessuno di quelli che mi sono rimasti sono propriamente versati per Pozioni. Weasley, Longbottom, Finnegan…» elencò Piton con quello che solo a chi lo conosceva bene poteva essere identificato come un sorriso d’incoraggiamento.

«E se io non volessi parlare? Non potete costringermi» sibilò infuriato guardando Severus, il panico che iniziava a strisciare nuovamente nella sua mente. Non voleva ricordare. Non voleva raccontare a nessuno di quello che aveva passato, di quello che aveva fatto. Dirlo a voce alta l’avrebbe reso reale. E lui voleva illudersi che fosse tutto un incubo.

«Allora rimarremo in silenzio. A volte serve anche quello, sai? Anche se c’è una certa strega qui che sembra non capirlo molto» disse Ted con un sorriso, rimediando un pizzicotto dalla moglie che si finse mortalmente offesa dall’illazione «Ma Draco, davvero. Non c’è niente che mi dirai che utilizzerò in alcun modo contro di te o contro la tua famiglia o le persone che ami. Severus, i tuoi genitori, persino tua zia anche se fa finta di niente… tutto quello che vogliono è che tu abbia la possibilità di sfogarti»

Draco rimase in silenzio, giocherellando con gli anelli che portava al dito: il serpente che aveva ricevuto come sorpresa al ritorno a casa dopo il primo anno a serpeverde e il blasone di famiglia, il regalo per il suo quattordicesimo compleanno. Una M e una B, intrecciate, così diverso da quello di suo padre e dei suoi zii: solido, concreto tanto quanto i loro erano stilizzati e affilati. Quello che era. Quello che era sempre stato prima di incontrare lei,

Un Malfoy. Un Black. Un Serpeverde. Un Purosangue. Il più puro della sua generazione, ad essere precisi.

Ma stare con la Granger gli aveva aperto un mondo: a volte, poteva essere semplicemente lui: Draco. Ma poi c’erano i ricordi che tornavano. E quel marchio che sebbene ormai invisibile, sentiva bruciargli sotto pelle.

«Tu davvero rimarrai qui? E potrò chiamarti se …lui… esagera?» sconsolato si rivolse a Severus sentendo che c’era davvero poco che poteva fare per uscire da quella situazione, specialmente se quell’essere inutile era stato chiamato da sua madre. Far cambiare idea a Narcissa Malfoy nata Black era meno plausibile di lui smistato a Tassorosso. Piton annui lentamente «Hai la mia parola»

Con Severus nella stanza accanto non poteva succedergli niente di cosi terribile. Esasperato annui «Va bene, però niente tè o bevande strane.»

Ted lo guardò divertito ma non disse niente, limitandosi a seguirlo nella stanza accanto, chiudendo delicatamente la porta dietro di loro, non senza lanciare un ultimo sguardo alla moglie.

La sua prima seduta di terapia

Con un fottuto terapista natobabbano.

Quello con cui sua zia era fuggita rovinando la vita a sua madre.

Il padre della psicotica incinta del lupo mannaro.

Tassorosso.

Merlino, com’era caduto in basso.

 

***

 

Sin da piccolissima il colore dei capelli di Nymphadora era stato un buon indicatore del suo umore. Le sfumature di rosa dal fucsia al bubble gum erano indice di felicità, violetto o indaco che aveva combinato qualcosa di cui era molto fiera anche se in realtà non avrebbe affatto dovuto, azzurro che era triste, arancio che era arrabbiata. Il verde era per i giorni in cui non si sentiva bene. Dopo un po’ quindi era abbastanza facile e, doveva dire, in quello era più fortunata della maggior parte delle madri.

Ora però sua figlia aveva dei banalissimi e normalissimi capelli color cioccolato, molto simili ai suoi. Questa normalità non sapeva davvero come interpretarla.

Così come il fatto che fosse talmente impegnata a sfogliare una serie di libri sparsi disordinatamente sul pavimento da non rendersi conto che aveva bussato almeno una volta e mezza e poi era entrata nel suo studio senza trovare troppa resistenza.

Solo quando la porta si era chiusa dentro di lei la ragazza era scattata in piedi, con la bacchetta spianata. Per fortuna però aveva sempre avuto degli ottimi riflessi e si era fermata dal lanciare una maledizione appena l’aveva riconosciuta, gettandole invece le braccia al collo.

Benedetti tacchi, era ancora più alta della sua bambina e poteva stringerla addosso come quando era piccola.

«Amore o chiudi la porta un po’ meglio o rivedi le tue reazioni. Mi sembra che ci siano già abbastanza studenti feriti senza che ti metta tu a schiantarli» la riprese sorridendo e osservando sollevata la ciocca tra le sue dita che assumeva un bellissimo color orchidea.

«Posso sempre farla passare per una lezione pratica di Difesa, no? Mi ricorda tanto la scusa che aveva usato qualcuno quando aveva trovato un paio di innocui compagni di corso della sua adorabile figlia a giocare innocentemente nel suo studio» borbottò in tono melodrammatico continuando a tenerla stretta.

«Io direi dei fastidiosi impiccioni che stavano curiosando in posti dove non dovevano mettere il naso e non avevano neanche il buongusto di mentire decentemente» corresse la madre chinandosi a raccogliere una delle pergamene che costellavano il tappeto «Facciamo finta che ti abbia già detto che dovresti provare a riposare un po’ e non metterti a guardare libri di magia proibita…Hai scoperto qualcosa?»

«Non proprio, ma sono certa che si tratti di una maledizione molto antica cui sono stati fatte delle modifiche davvero interessanti» Capelli blu notte con una punta di viola e un grosso sorriso sulla faccia. Le passò soddisfatta un libro sugli incantesimi proibiti. Leggendone uno le sembrò per un attimo che l’intera aria nella stanza venisse risucchiata.

Dannazione se conosceva quella maledizione. Cercò di mantenere un’espressione impassibile «Tesoro, quest’incantesimo però non fa addormentare la gente, anzi, li priva del sonno e delle energie fino alla morte».

Sua figlia annuì con fin troppo entusiasmo «Infatti, l’originale funziona così, e ha bisogno di un feticcio per funzionare. Qui è lo stesso ma in realtà in questo caso diventa impossibile distinguere la realtà dal sogno. In poche parole tutte le persone colpite in realtà hanno vissuto nei loro sogni. Il che è terrificante. Ti immagini pensare che tutto quello che ti circonda non sia reale? Alla lunga credo che ti possa far impazzire. Voglio dire è terribile ma dannazione se è una maledizione con i fiocchi. Chi l’ha creata deve essere molto potente»

E decisamente fuori di testa, aggiunse tra sé. Peccato che l’ultima persona conosciuta ad aver utilizzato l’incantesimo del Requiescat sine Pace fosse morta da quasi un anno.

«Si ma perché fare una cosa del genere?» continuò Nymphadora pensierosa facendo volare i libri ordinatamente nel baule sotto la sua pianta carnivora. «E poi non credo alle coincidenze… i primi attacchi sono del 21 dicembre, anche se nessuno li aveva registrati come tali. Non può essere un caso.»

«Bellatrix nei suoi vaneggiamenti aveva detto di aver avuto la sensazione che qualcosa fosse cambiato e credo avesse ragione. Non è un caso che Locke si sia introdotto ad Azkaban proprio quel giorno per farli fuggire. Abbiamo sottovalutato l’impatto che avrebbe avuto la distruzione dell’Horcrux. Ne hai parlato con Silente?» chiese fermandosi appena un attimo, distratta da un movimento in uno degli specchi rotondi appoggiati alla parete, solitamente usati per insegnare a difendersi dagli incantesimi di ritorno.

Nymphadora non rispose limitandosi a prenderle fin troppo gentilmente il libro dalle mani e posizionarlo al suo posto, non senza grattare la pianta che sembrò fare le fusa, nonostante i denti aguzzi.

«Vuoi andare a trovare i ragazzi in infermeria? Li abbiamo lasciati in osservazione ancora qualche giorno, se vuoi puoi approfittarne» commentò leggera mentre una serie di catene si materializzavano attorno al baule. «Sono certa che a Madame Pomfrey farà molto piacere vederti».

Si certo, come no. A volte la sua stupenda bambina era proprio un’adorabile ingenua come suo padre. A proposito di Ted, era certa che il figlio di Narcissa gli stesse facendo rimpiangere di aver mai deciso di prendere la specializzazione in assistenza ai minori. Di certo era stato molto più piacevole trattare con il povero Neville da bambino, nonostante Augusta spingesse invece per continuare ad obliviarlo piuttosto che farlo curare. Ricordava piuttosto bene una lite piuttosto accesa tra il suo solitamente pacato marito e la patriarca dei Longbottom. A dire la verità le urla di Ted si erano sentite anche a piani di distanza, al punto che persino Molly si era preoccupata che gli venisse un infarto.

Nel tragitto verso l’infermeria fece appena un segnò ad Hermione e alla piccola Weasley, impegnate in una conversazione con una strega dai capelli chiarissimi raccolti in una treccia sul capo e intrecciati con quella che sembrava un tralcio di vite che ipotizzò con buona approssimazione essere la nuova professoressa di Divinazione. O meglio Ginevra Weasley e la donna sembravano assorte in una conversazione fitta e piacevole, mentre l’altra grifondoro si teneva stretta i libri al petto come fossero un’armatura e a quanto pareva cercava di vedere se l’ardimonio potesse essere un caso di magia non verbale.

Per esperienza…no. 

E sempre per esperienza, non aveva nessuna voglia di essere inclusa in qualsiasi discussione quelle tre stessero avendo o non avendo pertanto si affrettò a spingere Nymphadora verso l’infermeria senza dare l’occasione alle ragazze di fermarle.

«Madame Pomfrey … guardi chi è venuto a farmi visita e con un cestino pieno di muffin deliziosi fatti in casa» salutò gioiosa Nymphadora, entrando in infermeria con degli strani capelli a ciocche rosa ed azzurre che le davano un’aria un po’ folle agitando il pacchetto che Andromeda aveva portato da casa. Ovviamente muffin deliziosi fatti in casa non da lei.

«Non dirmi che il mio studente preferito è venuto a fare visita alla sua adorabile combinaguai» rispose tutta querula Madame Pomfrey ancora piegata su uno studente. Il sorriso le si spense in faccia però appena scorse la strega dai riccioli scuri e impeccabile completo pantalone nero a sigaretta e giacca verde smeraldo accanto alla molto più accomodante figlia in felpone, leggings e stivali rivestiti di pelo.

«Ah, è tua madre» disse brusca tirando la tendina attorno al letto,

Per Salazar Serpeverde, che pazienza doveva aver Severus con quella manica di sciroccati.

Si morse la lingua... …Per Salazar? 

Forse era il caso di smettere di vedere sua sorella tanto spesso. 

Ma c’era un’ultima cosa che doveva fare: andare a prendere a schiaffi Lucius Malfoy.

Perché c’erano pochi dubbi che quell’assolutamente inadatto e inappropriato regalo che era arrivato a casa venisse da quella viscida serpe dai capelli platinati, che una volta era stato il suo più caro amico.

 

***

Visto la frequenza con la quale sia sua sorella che il suo psicotico cognato passavano a disturbarla a lavoro aveva concluso che quei due avessero lasciato aperto il collegamento sicuro che avevano creato nel periodo in cui Draco era stato ricoverato. 

E ovviamente aveva ragione.

Si spazzolò la polvere dai vestiti, lanciando un incantesimo rinfrescante appena uscita dal grande camino dell’ingresso principale, facendo bene attenzione a fare in modo che ogni singolo granello di metro polvere finisse sul grande tappeto arabescato color panna che copriva la maggior parte della stanza. Peccato che neanche avesse fatto in tempo a posarsi su una delle singole fibre annodate a mano che Krippy le apparse accanto, guardandola con riprovazione.

«Non sapevo che i padroni aspettassero visite» commentò con acrimonia spazzolando vigorosamente quella che solo lui, e probabilmente Narcissa, potevano considerare un alone. «Non è appropriato presentarsi così dai padroni. I padroni sono impegnati»

«Si immagino. Ora però vai ad infastidire qualcun altro, da bravo. Sono sicura che troverai un paio di quadri di antenati che saranno deliziati da poter conversare con un elfo domestico» replicò sarcastica ignorando il borbottio che proveniva dall’elfo custode e dirigendosi diretta verso lo studio della sorella, il posto più probabile dove iniziare a cercarla a quell’ora del tardo pomeriggio. 

Arrivata alla poltrona di legno bianco laccata però la maniglia cesellata non sembrò collaborare. Andromeda la scrollò un altro paio di volte, sempre più irritata ma quella dannata porta non si mosse di un centimetro, e non era dovuto alla qualità del legno. C’era un incantesimo a proteggerla.

Spazientita iniziò a battere con la mano aperta, chiamando la sorella con sempre maggior urgenza, mentre il dannato elfo continuava a tirarla per la veste, chiedendole di non comportarsi come una selvaggia senza educazione.

Ma il piccolo e dolce Dobby come dannazione era sopravvissuto con non solo due padroni come quelli che si ritrovava ma anche con quel concentrato di rancore della stessa razza? Stava ancora cercando di scrollandosi la creatura di dosso senza ricorrere alla magia quando la porta improvvisamente di apri.

«Si può sapere cosa ti urli?» Narcissa era evidentemente scocciata. Ma c’era qualcosa di più. Andromeda rimase un attimo in silenzio a guardarla: i capelli biondi non erano stretti nel raccolto morbido che portava di solito ma ricadevano liberi sulle spalle, gli occhi erano fin troppo lucidi, le labbra arrossate e un leggero rossore le illuminava il viso solitamente candido come la neve.

Per Salazar Serpeverde.

«Oh, ma andiamo… non intendevo     QUESTO quando ti ho detto che ti avrebbe rilassata» disse con disgusto indicando suo cognato che era apparso nel vano della porta completamente e perfettamente vestito ma ben lontano dal solito stile impettito.

«Ciao, Drom. Piaciuto il libro?» chiese con un ghigno aprendo il battente e spostandosi per farla passare.

«Ero venuta a dirti quanto inappropriato e fuori luogo fosse e che mi dovete un elfo domestico per una sera. Ma ora ho bisogno di bere perché voi due vi credete due dannati adolescenti in calore» ringhiò richiamando un bicchiere di vetro veneziano colorato e una bottiglia di acquaviola dal mobiletto verde e oro in fondo alla stanza.

«No, ti prego fai come fossi a casa tua, sia mai che ti dessimo l’idea che presentandoti urlando e senza essere inviata ci abbia creato qualche disagio» rimbeccò Narcissa sistemandosi i capelli sbuffando, con la mano ancora sulla porta

Andromeda prese un sorso senza guardandola sdraiandosi sul divano di tessuto damascato «Saresti più credibile se la tua biancheria intima non fosse in quell’angolo»

«E’ un piacere come al solito vederti, ma io devo scappare, un peccato. Divertitevi. Ah, Drom, visto che non l’hai riportato posso ritenere plausibile che il regalo ti sia piaciuto? - rispose il cognato chinandosi a bisbigliare nell’orecchio della moglie, dopo un casto bacio sulla guancia «Riprendiamo stasera dopo la cena?»

Narcissa stava per rispondere ma la voce atona di Andromeda la prevenne «No, stasera io e Cissy abbiamo un impegno e tu non sei invitato. E sarebbe il caso che ti faccia una doccia prima di presentarti a qualche incontro ufficiale.

Gli occhi azzurri di Narcissa si allargarono per la sorpresa «Te lo ricordi allora...» chiese incredula

La sorella sospirò chiudendo gli occhi e portandosi le mani sulla fronte. Certo che se lo ricordava, lo aveva sempre ricordato anche se non si parlavano da vent’anni. Anche se lei aveva ucciso i genitori di Ted e cercato di uccidere tutti loro, inclusa Dora solo pochi prima.

Come ci si può dimenticare del compleanno di tua sorella maggiore?

Senza dire nulla Narcissa si sedette accanto a lei, rannicchiata, limitandosi a guardarla in silenzio.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII- Mai fidarsi dei sabati tranquilli ***


Quel sabato Harry Potter si era svegliato con calma, crogiolandosi nel calore del letto e ripassando i suoi piani per la giornata. Era piuttosto soddisfatto di sé e delle cose che aveva organizzato per Ginny. Niente di così stupido come sedersi a guardare qualcuno che vagava per una libreria, come aveva fatto quell’inutile furetto platinato la cui idea di romanticismo era la versione pomposa di un buono regalo. Cosa che, ovviamente, indicava che non si conoscesse affatto la persona che si voleva impressionare. Il perché Hermione ne fosse rimasta tanto felice era davvero un mistero, ma doveva ammettere che quando si trattava del legame tra la sua brillante migliore amica e il razzista purosangue che l’aveva tormentato per anni la maggior parte delle cose erano al di là della sua comprensione.

 

Al contrario della serpe ossigenata che avvelenava la sua vita dal primo giorno ad Hogwarts lui sì che aveva speso del tempo per cercare di capire cosa piacesse a Ginevra Weasley, invece di limitarsi a sganciare qualche galeone.

E c’era una cosa che era assolutamente e indiscutibilmente certo Ginny amasse, sempre dopo di lui: il Quidditch.

E non un allenamento con la squadra ma un pomeriggio a volare liberi, solo loro due, con lei che gli spiegava delle mosse che comunque già sapeva ma che faceva finta di non conoscere. Aveva già riservato il campo da settimane, facendosi firmare il permesso dalla McGranitt in persona che l’aveva fatto non senza lanciargli un sorrisetto come di chi la sa lunga.

Finalmente, Potter. Aveva aggiunto.  

Aveva anche pensato al dopo allenamento: Hermione gli aveva fatto vedere un posticino perfetto, nascosti dagli occhi degli studenti ma non in pericolo nella foresta, in cui rilassarsi e fare qualcosa di estremamente romantico che si vedeva solo nei film babbani. Ovviamente aveva ben evitato di chiedere anche solo incidentalmente come e perché fosse a conoscenza di quel posto, preferendo far finta ancora una volta che l’infatuazione di Hermione per Malfoy fosse tutto un incubo partorito da qualche pozione che Piton gli aveva rifilato di nascosto.

Quando aveva chiesto a Ron cosa pensasse del suo progetto e se potesse piacere a Ginny, il suo migliore amico si era limitato ad annuire e a commentare allo stesso modo che avrebbe fatto lui

Cosa c’è di meglio del Quidditch?

A dire la verità lui aveva un paio di cose in mente, ma nessuna delle quali era il caso di discutere con il suo migliore amico, che, tra l’altro, sembrava piuttosto svagato da quando erano ricominciate le lezioni. Era distratto, irascibile, sempre con la testa altrove.

Harry riconosceva i sintomi: Ron era innamorato. E nonostante continuasse a ripetere che lui e Pansy erano stati solo nemici con benefici e che la loro storia era stata una follia dovuta alla situazione in cui si erano trovati, era evidente che quei due condividessero molto più del sesso occasionale.

E la riprova che anche la serpeverde lo pensasse era il fatto che avesse quasi tentato di buttarlo giù dalle scale un paio di volte quando Ron si era dimostrato troppo amichevole con qualcuna delle grifondoro.

Ma non era quello il momento di preoccuparsi di altri serpeverde psicopatici purosangue. Oggi il suo unico pensiero era far passare una giornata indimenticabile a Ginny.

E non avrebbe permesso a nessuno, neanche a Seamus Finnegan che dall’inizio dell’anno continuava a fare battutine sul fatto che fosse proprio conveniente che ci fosse una confessione di un uomo ormai morto che scagionasse Sirius Black dall’accusa di essere un pluriomicida traditore. Bello essere ricchi, vero Harry? Non ti manda niente questa settimana?

Bello avere qualcuno che consideri famiglia, piuttosto.

Quasi l’avesse evocata anche quella mattina durante la colazione Edwige arrivò con una lettera, seguita a poca distanza dal gufo di Lupin. Harry ghignò, servendosi di una generosa dose di funghi, bacon e uova: era sempre esilarante confrontare le versioni del suo padrino e di Remus, che raramente conciliavano. Aprì prima quella di Lupin

«A quanto pare Andromeda ha pietrificato Sirius perché è uscito di nuovo con la sua assistente. Sembra che gli sia entrata di soppiatto in casa. E Kreatcher ha dato di matto perché invece per lui questa Fowley sembra perfetta» ridacchiò passando la lettera ad Hermione. La grifondoro però non sembrò ascoltarlo, troppo intenta a guardare un grosso corvo nero che depositava un pesante plico al tavolo dei serpeverde, proprio di fronte a Draco. Non le era sfuggito il fremito nella mascella del ragazzo quando aveva visto il volatile, né lo sguardo soddisfatto di alcuni membri del suo tavolo.  Con estrema lentezza Draco slegò il contenuto dalle zampe del corvo grattandolo appena sulla testa nera lucida, prima che questo si librassi nuovamente nell’aria, indifferente al cibo e a qualsiasi altro stimolo nella stanza.

Poi con la sua solita faccia da schiaffi continuò a bere il suo tè, tagliando a piccoli pezzi i pancake ai mirtilli che aveva nel piatto e fissando ciascuno dei suoi compagni prima di mettere ogni forchettata in bocca.

Decisamente un comportamento insolito anche per il furetto, ma come detto, quello non era un giorno per preoccuparsi di altro che non fosse la splendida strega dagli occhi color cioccolato e i capelli rossi seduta a poca distanza da lui.


 

***

 

Come promesso Narcissa non aveva impiegato troppo a cambiarsi e lei aveva utilizzato quel tempo per scivolare in biblioteca alla ricerca di un certo libro che non vedeva da vent’anni. Se ricordava bene Lucius aveva ammesso che la maledizione lanciata su Narcissa provenisse da un libro di suo padre ed era altamente improbabile che se ne fossero liberati: in fondo né Cassandra né Abraxas erano mai stati formalmente accusati di quell’aggressione e disfarsi di un libro proibito di quel tipo poteva essere più problematico del previsto, specialmente nel caso in cui qualcuno riuscisse a risalire al possessore originale. Nymphadora aveva un libro che parlava di quell’incantesimo, non l’originale. Ed era certa che quest’ultimo potesse contenere molto di più.

Iniziò a vagare per la grande stanza ricolma di libri, sfiorando appena le coste con la bacchetta, cercando di percepire la magia oscura. Non sapendo il titolo del libro, o se mai ne avesse uno, non poteva usare l’Accio. E lì dentro la maggior parte dei volumi non erano di certo in vendita al Ghirigoro.

Quando Narcissa tornò, impeccabile con un vestito blu notte come i guanti che teneva morbidamente in mano, trovò la sorella che faceva volare libri giù dagli scaffali, con Krippy che la guardava sconsolato tirandosi le orecchie, seguendola passo passo e risistemando i volumi ordinatamente dopo il passaggio di quello tsunami

«Posso aiutarti?» chiese iniziando a chiedersi se anche Andromeda iniziasse a mostrare i segni di malattie mentali che tanto venivano attribuite ai membri della famiglia Black,

«Potresti dire al tuo irascibile elfo domestico di non starmi tra i piedi, ad esempio. E per la cronaca non voglio lui domani sera» rispose la sorella sistemandosi la giacca lunga ai fianchi che l’elfo continuava a tirare.


Ad un cenno della padrona di casa l’elfo sparì, non senza lasciare uno sguardo torvo all’intrusa. Oh, come compativa il povero Kreatcher che doveva avere a che fare con quei traditori del sangue fuori di testa tutti i giorni. Fino a qualche mese fa quella era stata una casa rispettabile, in cui venivano ammessi solo purosangue di una certa estrazione e posizione sociale, eccezion fatta durante gli eventi ufficiali per qualche esecrabile parvenu. Ma ora, per Merlino, dopo che la sanguesporco di cui si era innamorato il padroncino era stata ammessa sembrava che tutto fosse andato a rotoli. 

Almeno la folle era pur sempre la sorella della padrona, seppur diseredata. E il puro e nobile sangue della famiglia Black scorreva nelle sue vene da traditrice. Continuando a borbottare maledizioni si avviò per dare l’unica buona notizia della giornata agli altri elfi: il padrone e la padrona sembravano aver superato la crisi quindi non dovevano prepararsi al piano d’emergenza, non ancora almeno. Prima di entrare fece apparire un fiore davanti alla foto della compianta padrona e dei padroncini che tenevano in una nicchia del settore riservato loro, sopra la testa decapitata e miniaturizzata di Locke.  Un buon monito di quello che succedeva a chi tradiva la famiglia.

Di umore nero poi entrò in cucina, sbraitando per il disordine.

 

Nel frattempo Narcissa Black Malfoy era ancora in attesa di una risposta da parte di sua sorella maggiore, che non sembrava affatto preoccupata di essere stata beccata a rovistare nella sua libreria.

«Cercavo un libro di magia proibita, sono certa che avete dei begli esemplari» disse scrollando le spalle ma nonostante il tono leggero Narcissa era certa di aver sentito un’ombra nel tono della voce della sorella «Ma non preoccuparti, chiederò al tuo insopportabile marito, visto che pare che ora sia di nuovo di buon umore grazie a te. E per inciso, non mi è parsa una scelta saggia»

Lo sguardo penetrante della bionda la scrutò a lungo, soppesando le sue parole. Andromeda sentiva che Narcissa aveva capito che c’era qualcosa che le stava nascondendo. Ma davvero dopo quello che era successo nell’ultimo anno non se la sentiva di ritirare fuori quell’esperienza, specialmente legandola a delle aggressioni ad Hogwarts di cui sua sorella ancora non sapeva nulla. Si era sempre chiesta se il fatto di essere stata quasi maledetta a morte non avesse creato dei danni psicologici in Narcissa, nonostante avesse sempre continuato a comportarsi come nulla fosse. Ai tempi aveva liquidato la cosa, evitando di preoccuparsene, troppo impegnata a non svelare il suo stesso castello di bugie. Ora però iniziava a non esserne così sicura.

Improvvisamente Narcissa ruppe il silenzio

«Se vuoi contare sul buonumore di Lucius, fossi in te ci parlerei prima che esca il prossimo numero della Gazzetta del Profeta. Non credo che sarà propriamente di umore accondiscendente dopo» disse mentre un ghigno si dipingeva sulle belle labbra mentre richiamava quello che sembrava una pergamena di bozza «Questa è una piccola anteprima»

Andromeda la aprì titubante, per poi scoppiare a ridere. L’articolo a firma di Rita Skeeter era intervallato da foto della sorella in un davvero striminzito bikini e cappello di paglia appoggiata sulla veranda di quella che sembrava una casa con vista su un mare tropicale, vista la vegetazione circostante. L’intero pezzo era dedicato ad illazioni su una delle donne più ricche e attraenti del mondo magico e dell’infinita lista di uomini ricchi e potenti che non avrebbero visto l’ora di vederla tornare una donna libera. Anzi no, il titolo non usava la parola attraente ma sexy... un aggettivo che nessuno avrebbe pensato potesse essere usato con il beneplacito della reginetta delle buone maniere. L’intero articolo sembrava qualcosa che avrebbe dovuta farla infuriare, le stesse foto erano evidentemente qualcosa di privato dato in pasta alla stampa senza permesso …e invece se ne stava sulla porta gongolando.

«Un piccolo appunto di quello che si perde se prova a venir meno alla sua promessa. E la dimostrazione che i miei contatti sono molto migliori dei suoi. Se davvero dovessimo divorziare mi basterebbe schioccare le dita e avrei tutta la stampa e l’opinione pubblica dalla mia parte» disse soddisfatta infilandosi il cappellino e facendo alla sorella segno che fosse ora di andare «E prima che tu ti faccia strane idee: quello che è successo oggi non era preventivato. L’avevo messo in conto ma non l’avevo progettato. Ma credo che così l’articolo sarà ancora più efficace»

«A volte mi fai paura, sorella» rise Andromeda ridandole la pergamena che prese immediatamente fuoco, nascondendo ogni traccia della sua esistenza, prendendo un appunto mentale di tornare un’altra volta sullo stupido rituale in cui quei due imbecilli si erano andati ad impelagare prima del matrimonio «E ora direi che è ora di andare a festeggiare. Ho in mente un posticino che a Bellatrix sarebbe davvero piaciuto.»

«Il solito pub di Nocturn Alley?» chiese Narcissa con un sorriso prima di scomparire insieme alla sorella con un plop quasi inaudibile.


 

***

 

C’era un momento il sabato in cui l’intero castello sembrava fermarsi per prendere respiro. Con la maggior parte degli studenti ad Hogsmeade e quelli dei primi anni che si rilassavano in sala comune dopo un più che lauto pranzo, se non ci si faceva distrarre si poteva quasi pensare che davvero che le uniche cose di cui ci si dovesse preoccupare fossero gli esami di fine anno.

E se qualcuno avesse chiesto a lei di fare un elenco, quello davvero sarebbe stato in fondo alla lista. 

Se qualcuno avesse scritto la suddetta lista spacciandosi per lei avrebbe forse detto che la maggior parte dei suoi pensieri derivavano dal nuovo editoriale. O, se fosse stato maligno e stupido come qualcuno di sua conoscenza, di fare shopping per la nuova stagione.

In entrambi casi avrebbe sbagliato. E di grosso.

Perché al momento la cosa che la preoccupava di più era il fatto che i suoi incubi sembravano essere usciti dai legacci della notte e avevano iniziato a seguirla anche alla luce del giorno: ogni volta che sentiva anche solo la presenza del bambino sopravvissuto dentro di lei scattava qualcosa, come un clic in fondo alla testa che le diceva che era lui il pericolo, che Harry Potter doveva morire affinché lei fosse al sicuro.

All’inizio era stato appena un sussurro nella sua mente, ma più passavano i giorni e più la voce si faceva insistente, mentre il mondo attorno a lei sfocava e veniva sostituito da immagini di Hogwarts in fiamme. Una manciata di secondi e poi si ritrovava padrona del suo corpo, circondata da inutili chiacchiere. E se c’erano momenti in cui quasi non ci faceva caso alcune volte, specie a lezione di divinazione, la voce si faceva assordante.

Forse era per l’odore profumato e dolce dell’incenso, per i morbidi tappeti sui quali sedevano al posto di quelle stupide sedie che le smagliavano sempre le calze, per le luci soffuse che filtravano dalle finestre colorate rendendo l’atmosfera calda e avvolgente, o forse per la voce della professoressa a volte così ipnotica che le faceva dimenticare i suoi problemi. Era proprio lì, quando diventava più vulnerabile e faceva cadere la sua maschera che la voce tornava prepotente, implacabile come un’onda del mare in tempesta.

Era certa che la professoressa c’entrasse qualcosa ma non riusciva né a capire cosa né a coglierla sul fatto. Era interessata a quello che accadeva attorno ad Harry Potter ma raramente si rivolgeva a lui direttamente, ma sembrava spesso girare attorno la Granger e la piccola Weasley. 

Piccola Weasley, che per inciso, era stata protagonista di un altro dei suoi sogni più vividi. E per una volta che non riguardavano Harry Potter. Quello per cui si era rifugiata lassù dove i suoi sensi venivano acuiti, per cercare di capire se fosse solo dovuto alla mancanza di sonno e alla troppa burrobirra.

E la voce tornò. prepotente ma dolce, cullandola.

Ginevra Weasley doveva partecipare a Imbolc quest’anno. 

Ora bisognava solo capire come portare due grifondoro neanche troppo silenziose ad uno degli eventi più esclusivi delle famiglie purosangue di un certo tipo. Ma contava sul fatto che riuscisse a far credere alla Granger che fosse una sua idea quella di non venire da sola in quello che lei definiva un covo di serpi.

O almeno che non facesse troppe storie, dubitava che potesse chiedere a Draco di intercedere.

Chiuse gli occhi allungando le gambe su uno dei pouf di pelle damascata e respirando a fondo. 

E poi c’era un ulteriore problema, forse ancora più urgente.

Ronald Billius Weasley.

Come diavolo aveva fatto ad innamorarsi di uno che aveva più nomi stupidi che galeoni?

 

***

 

Hermione si girò per posare la testa accanto alla sua, tamburellando leggera sul dorso del naso e poi sulla curva della bocca.

«Allora sono o non sono brava ad organizzare i nostri week end?» lo stuzzicò tamburellando sulle labbra.

Lo sentì ridacchiare sotto il suo tocco, spostandosi appena per guardarla mentre con un dito iniziava a giocherellare con i suoi riccioli ormai fuori controllo.

«La migliore, ovviamente. Anche se inizio a pensare che ti voglia approfittare di me per il sesso e basta. Dov’è il romanticismo, Granger?» la prese in giro facendo scivolare le dita lungo la nuca e poi lungo la spina dorsale accarezzandola e sfiorando la pelle ancora appena coperta di sudore.

«Ovvio» sorrise alzandosi e infilandosi la sua camicia che aveva lanciato in un angolo e avvicinandosi al grande pianoforte a coda nero che si trovava nel centro della stanza «Ma hai anche altri talenti... Cosa credi che ci sia a fare questo?»

Draco rimase sdraiato a guardarla. Merlino se era bella con i capelli che ancora avevano addosso il suo tocco, gli occhi brillanti e le labbra naturalmente rosse. La ricordava fin troppo bene con la divisa di Serpeverde e nonostante potesse dire che avesse potuto realizzare uno dei suoi primi sogni erotici, doveva ammettere che tutto in lei urlava Grifondoro. E gli piaceva da morire.

«Sei una schiavista, Granger. Gli elfi domestici hanno dei diritti e il tuo fidanzato no?» si lamentò mettendosi a sedere sul letto senza accennare a scendere ma non gli era sfuggito come il corpo della ragazza si fosse irrigidito neanche l’avessero colpita con un pietrificus «Ho detto fidanzato, non promesso sposo, prima che inizi a dare di matto»

Hermione si sedette sul panchetto rivestito di pelle piegando una gamba e fissandolo con uno strano sguardo negli occhi: «Questa mania di etichettare le relazioni non è che mi faccia impazzire. E poi scusami ma dopo tutte quelle farneticazioni nel passato non ho potuto fare a meno di notare che ci sia un certo fermento tra quelli…» tacque lasciando che il resto della frase cadesse nel vuoto.

Draco sospirò passandosi una mano tra i capelli «Non capisco se hai paura che ti chieda di sposarmi o che mi fidanzi con qualcuna come me»

«Entrambe a dire la verità» rispose mentre davanti a lei appariva una tazza di caffè bollente «Sei schifosamente ricco, diciamo di aspetto piacevole e per quanto ho capito dalle centinaia di volte che l’hai detto decisamente purosangue. Mi sembra perlomeno strano che i tuoi non ti obblighino a fidanzarti con qualche purosangue i cui avi andavano a caccia di babbani. E davvero non ti hanno mai fatto storie dopo che abbiamo reso la nostra storia pubblica? Scusa ma è poco credibile» 

«Punto primo: io non sono di aspetto piacevole, Granger. Io sono più che attraente, sia chiaro. Guarda questi zigomi» rispose sbuffando «Secondo: quale parte del fatto che i miei non credono ai matrimoni combinati non è chiara? Ti ricordo che mio padre era fidanzato con…lei … Merlino non farmi ripensare a quei due che limonano ad ogni occasione, per favore». 

«Quella in cui frequenti una sanguesporco, citandoti. Diciamo che non mi sono sembrati proprio accoglienti con quelli come me. Nessuna minaccia di diseredarti o di mandarti in qualche scuola sperduta senza natibabbani a interferire col loro prezioso figlio?» chiese acida prendendo un altro sorso di caffè. Merlino, non aveva pensato di iniziare una lite, ma questo ritorno morboso di Draco verso la sua famiglia la faceva diventare matta. E c’era una cosa in particolare che l’infastidiva oltre ogni dire «Ho visto spesso il gufo di tuo padre ultimamente. Non mi dirai davvero che parli con quell’uomo.»

«Si, Granger, sono colpevole di aver ricominciato ad avere un rapporto con mio padre. Che per te è una persona orribile e lo capisco, ma dai andiamo… ha ucciso anche Rabastan per salvarci. C’eri anche tu». rispose esasperato allargando le braccia. Ci aveva messo mesi a concedere a suo padre il beneficio del dubbio e ora che lo aveva fatto si trovava di nuovo sotto accusa «E ti ricordo che sei stata tu a dirmi che dovevo smettere di avercela con lui per quello che era successo con mio nonno.»

«Si ma c’ero anche quando ti ha fatto un occhio nero. Merlino, quando mi ha mandato quel libro ho quasi pensato che stesse provando a maledire anche me» sbottò ancora piena di rabbia. Il fatto che quell’uomo pensasse di potersi comportare sempre e come voleva la faceva andare in bestia «Se tua madre divorzia sul serio forse farebbe la prima cosa sensata in vita sua. Per Godric Grifondoro, io ancora non capisco perché ci tenga così tanto a mostrarsi sempre come una stupida moglie trofeo.»

Per un attimo gli occhi grigi di Draco si erano ridotti ad una fessura, la mascella serrata. Poi la tensione era improvvisamente scomparsa «Scusa quale libro? Mio padre ti ha mandato un libro? Sicura?»

«Dici che potrei essermi sbagliata nel vedere Cockey apparire nel cuore della notte con un pacchetto e un bigliettino con il vostro stemma di famiglia e firmato LM? Per chi mi hai preso, per una delle svampite che ti vanno dietro? Credi che non ti abbia visto con quelle Corvonero? Senza parlare del fatto che stai sempre attaccato ad Astoria Greengrass» rispose testarda. Ecco questa era un’altra cosa che aveva fatto finta di ignorare ma che aveva iniziato a notare dopo le insinuazioni di Pansy. 

«Io non sto sempre attaccato a Tori per la miseria, è la sorella di Daphne. Sono solo gentile perché loro sono sempre carine con me. E anche con te, devi ammetterlo. Sicuramente più di quelle arpie delle tue care amichette di grifondoro» ribatté testardo scendendo dal letto e infilandosi nervoso i boxer.

«Cui ho già pensato io. Non so se l’hai notato ma portano tutte una strana fascia ultimamente... è per coprire le aree in cui hanno perso temporaneamente i capelli. Visto che sono stupide oche le tratto come tali e colpisco la loro vanità» ghignò ripensando soddisfatta alle urla nel dormitorio quando avevano visto le loro preziose ciocche di capelli sul cuscino, sapendo bene di non poter mai provare che fosse opera sua. Poi tornò alla carica, ben intenta ad avere l’ultima parola «Quindi mi stai dicendo che non la trovi attraente? Andiamo, sai mentire meglio di così»

Draco scosse la testa esasperato «Da quando essere attraenti è un crimine? Cosa faccio devo andare in giro bendato per caso? Merlino neanche mia madre è così paranoica»

«L’hai ammesso Malfoy, tu la trovi attraente! E dimmi è più bella lei o la stupida Corvonero con cui ti ho visto due giorni fa in sala studio?»

«Granger, ma sei impazzita per caso? Dieci minuti mugolavi il mio nome e ora sembri sotto pozione allucinogena. Dammi un po’ quel caffè… non è che ti stai bevendo qualche intruglio che preparate nella vostra bella sala comune da incapaci quali siete in pozioni?» Draco si avvicinò strappandole la tazza di mano e annusandola con fare circospetto. No tutto normale «E possiamo tornare al libro che mio padre ti ha mandato più di un mese fa e di cui ti sei ben degnata di parlarmi? E soprattutto... l’hai fatto controllare?»

«Ah! Vedi, neanche tu ti fidi di quello psicotico di tuo padre. Comunque sì, l’ho fatto anche vedere ad Andromeda. Non ha maledizioni. È solo un libro proibito dannatamente interessante che neanche voglio sapere come tuo padre avesse. E col cavolo che glielo rimando indietro. Consideralo un indennizzo perché mi fa venire la gastrite pensare che tu ancora dia fiducia a quell’uomo orribile. E io non mugolo, Malfoy. E sono eccellente in pozioni, giusto per ricordartelo.»

«Hermione. Basta» la voce di Draco era bassa e più simile ad un ringhio pericoloso «Non so perché tu abbia deciso di litigare ma non ti permetto di parlare così della mia famiglia. I miei non hanno mai detto una parola su di noi, né hanno tentato di farci lasciare, anche adesso. Hai idea di quanto questo gli sia costato in società? Questo e il fatto che abbiano sempre rifiutato ogni proposta di fidanzamento, non importa quanto purosangue o ricca fosse la famiglia da cui proveniva. E mia nonna starà facendo impazzire mia madre, ne sono certo. Lo so perché non fa altro che mandarmi foto e liste di ragazze con cui dovrei fidanzarmi quando questa stupidaggine sarà finita. Eppure, non mi hanno mai scritto, neanche una volta, che sarebbe stato meglio lasciarci. Cosa che di certo non posso dire dei tuoi cari Weasley, o sbaglio? O del padrino cane di San Potter»

Hermione si morse la lingua, non volendo dargli la soddisfazione di aver ragione, anche perché come al solito non avrebbe capito. Era vero che Molly le aveva scritto dicendo di aver sentito delle voci e di essere più attenta in pubblico, ma era certa l’avesse fatta solo per proteggerla. In fondo davvero ormai era come una seconda figlia. E Sirius… beh era più che normale che Sirius ce l’avesse con il figlio di quella cugina che non si era attardata troppo a voltargli le spalle.

Si passò nervosa una mano tra i capelli «Ho paura, Draco. Per te, per noi. Sento che c’è qualcosa che sta accadendo e non posso rischiare di perderti per la seconda volta. Sono anni che cerco di salvare Harry e poi sei arrivato tu… e quando ci sei tu non mi sembra di riuscire a pensare chiaramente. E mi sembra sempre più normale avvicinarmi alle arti oscure, cose che prima non avrei mai pensato. Da quella sera del rituale per salvare tua madre. Merlino non sono più stata la stessa. Tutto mi sembra così noioso, così banale, niente riesce più a darmi quella scarica di energia. Credo che se affrontassi un Molliccio adesso vedrei me stessa» disse tutto d’un fiato, le parole che si accavallavano l’una sull’altra.

Draco si spostò dietro di lei stringendola contro il suo petto, la rabbia di prima svanita «Io ti amo per quel che sei, Hermione Granger. Chiunque tu voglia essere» Un bacio sulla tempia «E non c’è nessun’altra che possa anche solo guardare, mia piccola psicotica gelosa»

Prima che potesse rispondere l’elegante gufo di Draco iniziò a picchiare alla finestra. Avendola richiamata lei, la stanza non solo era calda, accogliente e con un’eccellente macchina del caffè magica, ma aveva anche una vetrata che comunicava con l’esterno.

Con il senno di poi sarebbe stato meglio non farlo. Se ne rese conto quando prese in mano la gazzetta del Profeta, l’edizione speciale del sabato che arrivava nel pomeriggio e l’aprì noncurante, sperando di far dimenticare il suo attacco di gelosia di poco prima.

Forse avrebbe potuto darle fuoco appena vista la foto di Narcissa Malfoy in prima pagina, in modo da ritardare l’inevitabile momento in cui Draco l’avrebbe vista. E che l’intera Hogwarts ne avrebbe parlato.

Ma era meglio che desse di matto lì e non nella sala grande. O almeno non troppo.

Senza dire una parola gliela allungò guardando lo sguardo di crescente terrore dipingerglisi nel viso.

E doveva rimangiarsi quello che aveva detto poco prima. Quella donna quando ci si metteva poteva davvero essere diabolica. Forse avrebbe potuto cominciare a prendere spunto. E a comprare un bikini per l’estate, in fondo dopo i GUFO un po’ di relax se lo meritavano.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII- Temper Tantrum ***


Forse baciarsi mentre volavano entrambi sulla scopa non era proprio facile come pensava o forse doveva solo fare più pratica. Cosa che avrebbe fatto più che volentieri se non fosse stato che quando aveva staccato le mani dal manico della scopa per posarle, anche piuttosto delicatamente a dire il vero, su Ginny era stato quasi colpito da un bolide volante. Bolide volante inequivocabilmente lanciato da un infuriato Ron, che, in tenuta completa da portiere, si era improvvisamente messo a volare minacciosamente attorno a loro.

«Ma si può sapere cosa ti è preso? Lo sai da Natale che stiamo insieme. Ci hai visto baciare più volte. Hai addirittura detto che eri contento. Si può sapere che cazzo ti è venuto in mente?» aveva chiesto il bambino sopravvissuto strizzando gli occhi, visto che i suoi occhiali era volati via dal suo naso e ora probabilmente si trovavano laggiù da qualche parte nel verde.

Anche senza però dieci decimi di diottrie poteva distintamente vedere lo sguardo di fuoco che la sua bellissima strega dai capelli rossi stava lanciando al fratello. Strano che quello non avesse ancora preso fuoco, a dire il vero.

Fratello che imperterrito continuava ad osservarli torvo, senza smettere di girare intorno come uno squalo che sente il sangue.

«A me? Cosa è venuto in mente a me?» continuò ad urlare Ron gesticolando «E a te… dimmi non sei tu quello che ha chiesto consigli per la stanza delle necessità per il dopo partita?»

«No…io… Merlino Ron… No!» rantolò Harry dandosi mentalmente del cretino. Forse quella sarebbe stata un’idea migliore rispetto al pic nic con burrobirra e panini imbottiti che aveva preparato. O forse era stato il suo inconscio a fargli preferire un’uscita decisamente più romantica, visto che ancora non aveva ancora affrontato la questione con Ginny. Non voleva darle l’impressione di spingerla se non si sentiva pronta e dall’altro aveva paura che lei pensasse che lui non voleva... o poteva a sentire le maldicenze del furetto … Merlino se era difficile essere un adolescente!

«Come “No”?» era sbottata Ginny girandosi esasperata verso di lui mentre volava tra loro.

«Io volevo ma non sapevo… insomma io e te… tu e io…» si incespicò cercando di trovare le parole più giuste che non lo facessero sembrare un emerito deficiente. Per fortuna che erano soli lassù in aria e nessuno poteva sentirli.

«Io e te… tu e io… lo sappiamo benissimo cosa vorresti fare … tu e lei…» quello che voleva dire Ron però non riuscì mai a saperlo con esattezza nessuno, anche se tutti e due si erano fatti un’idea piuttosto vivida al punto che Harry era diventato rosso fino alla punta della cicatrice a forma di saetta, perché il più giovane di casa Weasley venne colpito in pieno da una fattura orcovolante che quasi lo fece crollare dalla scopa per togliersi dalla faccia quei mostruosi essere svolazzanti. 

«Accio bacchetta» sibilò Ginny appoggiandosi indietro sulla scopa, mentre la bacchetta di Ron le volava in mano «Stammi bene a sentire, perché non te lo ripeterò una seconda volta: se ti azzardi solo un’altra volta a mettere bocca sulla mia vita e su cosa posso o non posso fare ti assicuro che lo scherzo del ragno di George sarà solo un piacevole ricordo.» 

«Ah sì? E io scrivo a Percy!» borbottò Ron continuando a dare grandi manate in aria.

«Sto tremando di paura, guarda. Andiamo Harry, lasciamolo a riflettere su quanto sia stupido. Noi abbiamo meglio da fare, no?» rispose sbadigliando platealmente la rossa iniziando a planare dolcemente verso il campo, la bacchetta di Ron ancora in mano. «Vado a farmi una doccia veloce e a cambiarmi. Ci vediamo all’ingresso degli spogliatoi»

Harry annuì continuando ancora a volare accanto a Ron, chiedendosi se fosse ancora in tempo per un cambio di programma. 

 

Pansy si era goduta la scena, seduta tra gli spalti. Quando aveva sentito la Brown e la sua cricca di disagiate parlare dell’appuntamento speciale di Potter e la piccola Weasley aveva capito che sarebbe stato un gran momento. certa che quell’imbecille di Lenticchia si sarebbe fatto fregare da quella combriccola di finte puritane. Non si era affatto scordata della scena prima del ballo del Ceppo, né delle assurde proposte dell’allora accompagnatrice della Speranza dei Maghi. Anche se, con il senno di poi, sarebbe stato divertente vedere come avrebbe reagito Narcissa Malfoy a quella proposta.

Ma per fortuna lei aveva giocato bene le sue carte e aveva preso il posto di quella sciocca bigotta, lanciato il progetto del giornale e unito le forze con la Granger… e ora che la prima uscita era andata bene poteva dire che era stata una buona strategia. Un articolo, una foto, un’intervista per volta e tutte avrebbero avuto la loro voce. Anche chi, come lei, non pensava di poterla avere.

E ora aveva preso tre folletti con un incantesimo: Weasley si era beccato una fattura ed era certo che avrebbe avuto anche la sua bella dose di pedate nel sedere dalla sorella, Lavanda aveva fatto la figura della pettegola bugiarda e la piccola Weasley… beh ... si era dimostrata più che all’altezza delle aspettative.

Era giunta davanti a lei, un’espressione indecifrabile sul volto candido coperto di lentiggini, allungandole la bacchetta del fratello: «Tienila tu, dagliela quando si è calmato»

Pansy si allungò per prenderla, rigirandola tra le mani prima di ghignare «Faremo grandi cose insieme, Ginevra Weasley. Ma prima dimmi… hai impegni per il primo febbraio?»

Ginny la guardò come se fosse impazzita, ma non le era sfuggito quel lampo di curiosità negli occhi scuri. 

«Come ho già detto ad Hermione, direi di no» sorrise enigmatica prima di girarsi, la scopa ancora ben saldamente in mano, incamminandosi verso gli spogliatoi, seguita a ruota da Potter che era finalmente sceso dopo aver lanciato un incantesimo per liberare lo stupido lenticchia da quegli essere svolazzanti.

Peccato si sarebbe goduta la scena ancora un po’.

E quindi la strega più brillante della sua generazione era arrivata prima di lei. Nessun danno, in fondo aveva agito esattamente come voleva Pansy. L’ennesima riprova che, come l’anno precedente, non bisogna solo essere intelligenti.

L’importante è saper giocare.

E bluffare, soprattutto. Era certa che quella finta svampita non si sarebbe fatta correre l’occasione per correre dal suo Ron Ron con quelle idee imbecilli sua e di quell’altra bigotta della sua amichetta. Anche se sarebbe stato divertente vedere come Narcissa Malfoy avrebbe reagito a quella stupida e maschilista proposta del voto infrangibile di verginità prima del matrimonio che Patil avrebbe presentato nella campagna per il Ballo se solo fosse rimasta l’accompagnatrice dello Sfregiato Sopravvissuto. 

Ricordava ancora la rabbia di quando aveva saputo che una ragazza della sua stessa età aveva intenzione di portare avanti una campagna che avrebbe tolto la voce e il diritto di scelta a tutte loro. Dopo averla quasi affogata nel bagno del quarto piano aveva deciso che non aveva più tempo, con l’orologio del suo matrimonio con Carrow che ticchettava sempre più forte. Aveva pochi dubbi che in caso il Signore Oscuro fosse veramente rinato i suoi l’avrebbero ritirata da Hogwarts e fatta sposare con quel folle assassino senza concederle neanche quegli altri pochi anni di serenità. 

Ora che era passato quasi un anno poteva dire di aver giocato bene le sue carte: Carrow e suo padre erano morti, lei era entrata in possesso della maggior parte del suo patrimonio ma invece di ritirarsi a bere champagne alle dieci e a trovarsi un amante dopo l’altro come sua madre, aveva deciso di mettersi alla prova. Aveva lanciato la campagna del magazine per giovani streghe e il primo numero, nonostante la follia del party di Natale, era andato benissimo. E anche le sue compagne si erano mostrate entusiaste.

Doveva ammettere che c’era un grosso zampino della Granger ma erano riuscite perfettamente a bilanciare gli argomenti, lasciando che il messaggio più grande della rivista fosse quello che ognuno potesse scegliere chi essere.

Inclusa Pansy Parkinson, serpeverde e purosangue.

Certo, il rovescio della medaglia era stato che Draco ormai era perso dietro la Granger e anche Narcissa sembrava averla accettata più che volentieri. Di certo c’era sotto qualcosa ma non sapeva bene cosa. E forse neanche le interessava saperlo.

La Weasley era ora davanti a lei, un ghigno sul volto candido coperto di lentiggini.

«Tienila tu questa. Mi raccomando fallo soffrire un po’ prima di ridargliela, se lo merita» disse allungandole la bacchetta.

Pansy la rigirò un attimo tra le dita, guardando Potter che tentava senza troppo successo di aiutare il suo migliore amico. E aveva visto quello che lo sfregiato e lenticchia sapevano fare, non erano certo due sprovveduti.

Quello significava che la Weasley era davvero una strega eccezionale.

«Hai da fare il primo febbraio?» chiese approfittando di quel momento così strano quasi di fratellanza.

Ginny rise sciogliendosi i capelli «Come ho già detto ad Hermione, sono libera. Mi chiedo però cosa dobbiate fare insieme voi due. Forse siete più simili di quanto credete…»

Edera e vite. Si, in effetti lo erano, come le loro bacchette.

E sebbene la Prefetto Granger fosse arrivata all’idea di intrufolare la piccola Weasley senza che neanche lei lo suggerisse c’era una cosa che la strega più brillante della sua generazione ancora non sapeva fare.

Mentire e bluffare.

Ma avrebbe imparato. E avrebbe avuto non una ma ben due insegnanti d’eccezione.



 

***

 

La maggior parte degli studenti non era ancora tornata da Hogsmeade ma quei pochi che incontrava erano decisamente più strani del solito. Non capì subito cos’è cosa la disturbava. Non era tanto il fatto che fossero tutti in gruppetti intenti a parlare fitto fitto, in fondo aveva già deciso da tempo che la maggior parte dei suoi compagni di Hogwarts fossero se non stupidi, per lo meno non degni di troppa attenzione.

Non erano le occhiate che le lanciavano, come se avesse iniziato ad andare in giro a dire che amava i babbani. Come detto, visto che la maggior parte delle volte i commenti su di lei non erano affatto gentili, aveva smesso di ascoltarli. Male o bene purché si parli di me, era ormai diventato il suo motto.

Ma era evidente che non fosse lei il centro dell’attenzione. Eppure in qualche modo era comunque legato a lei.

Che avessero trovato Blaise e Theo a farlo sopra la scrivania di Piton? Improbabile, visto che non vedeva i corpi pietrificati dei due fare la guardia alla Sala Comune.

Sua madre si era resa di nuovo ridicola facendosi vedere con qualche ragazzino decisamente troppo giovane e troppo interessato ai suoi soldi? Poteva essere, ma non spiegava tutto quel mormorio che attraversava come un’enorme e implacabile onda l’intero castello.

C’erano poche persone che potevano provocare quella sorta di frenesia condivisa.

Una era il bambino sopravvissuto.

Ma la suddetta speranza dei maghi, beh almeno di una parte dei maghi al momento, era stato impegnato fino a poco fa cercando di evitare che il suo migliore amico lo decapitasse e ora si sperava fosse impegnato in faccende più interessanti con la piccola Weasley. 

E a meno che non avessero scoperto che il suo padrino molestava gli ippogrifi era difficile che l’oggetto ti tanta agitazione fosse Sirius Black.

Forse la madre di Blaise aveva fatto fuori il marito numero sei, o sette ormai aveva perso il conto, ma ormai anche quella non era una notizia più di tanto sconvolgente.

C’era solo un’altra persona che poteva generare quel vortice di mormorii… Che Draco fosse stato infine diseredato come si aspettava la maggior parte dei loro compagni? Almeno dalla parte dei Black…Certo rimaneva comunque schifosamente ricco ma sarebbe stato di umore intrattabile per giorni senza contare le lamentale legate al fatto di dover rivedere un minimo il suo concetto di bisogni primari e soprattutto il livello degli stessi.

 

Forse avrebbe dovuto capire che la cosa era ancora più grave dal silenzio teso appena mise piedi nella sala comune. L’unico rumore che si sentiva era lo scricchiolio del fuoco nel grande camino di pietra nera, talmente forte da sembrare irreale. Ma non era un silenzio imbarazzato... no, tutti sembravano cercare di carpire quello che stava accadendo all’interno dei dormitori dei ragazzi. E in particolare di quelli del quinto anno. Nello specifico, nella camera di Malfoy, Zabini e Nott.

Dannazione.

Spostò di malagrazia un paio di studenti attaccati alla porta, approfittandone per strappare la gazzetta del profeta dalle mani di una di loro. La risposta a tutto quel casino doveva essere lì, non c’era dubbio, visto che ogni singola persona che aveva incontrato l’aveva in mano,

Quando l’aprì con un gesto secco, però ebbe l’improvvisa tentazione di girare i tacchi e tornarsene nella stanza di divinazione. Cento volte meglio stare lì con la visione della testa decapitata del bambino sopravvissuto che sorbirsi Draco Malfoy in piena crisi isterica.

Ma evidentemente non era la sola stronza calcolatrice a Serpeverde.

D’improvviso, proprio quando stava per eclissarsi, la porta si aprì di colpo

«Sciò non c’è niente da vedere qui» Blaise fece un gesto stizzito alla folla prima di prenderla per un braccio e trascinarla dentro «E tu bella mia, col cavolo che mi lasci da solo in questo casino.»

Pansy gli lanciò un’occhiata malevola liberandosi dalla sua stretta, spostando lo sguardo su Theo, perfettamente calmo e seduto in poltrona con un pezzo di pergamena e una clessidra.

«Cos’è quello?» chiese a Blaise cercando di non farsi sentire da Draco che continuava a camminare furioso per la stanza «E dove sta la Granger?»

 «Ah abbiamo scommesso su quanto gli ci vorrà per prendere fuoco da quanto va veloce. Puoi dare un numero se vuoi…» disse scrollando le spalle «E per quanto riguarda la tua amichetta Grifondoro... ce l’ha lasciato qui davanti alla porta della Sala Comune e l’ha spinto dentro prima di scomparire. Ci abbiamo messo un po’ anche solo a capire cosa stesse mugugnando… Merlino digrignava talmente i denti che per un attimo ho pensato avesse provato a trasformarlo in una Chimera e le fosse andata male.»

Ah, ecco la signorina della Torre che si comportava come una di loro. Bene, molto bene. 

Si sedette accanto a Theo, richiamando una bottiglia di burrobirra per sé e un paio per gli amici. Draco non accennava a rallentare, né sembrava aver ricominciato a parlare la loro lingua, agitando in aria una lettera.

«Ha scritto a suo padre. E Lucius ha risposto dopo neanche dieci minuti. Ma evidentemente non era la risposta che si aspettava» offrì Theo senza staccare gli occhi dal pavimento. Era certo che iniziasse a vedere un po’ di fumo.

«E quale è stata invece?» chiese prendendo un sorso

«Non sono fatti tuoi.» rispose serafico Blaise sdraiandosi sul suo letto e incrociando le mani dietro le spalle.

Pansy alzò il sopracciglio curato in un’espressione di sdegno «Non stavo parlando con te Zabini. E comunque sei un cafone visto che sei stato tu a trascinarmi qui»

Blaise rise. «Non hai capito: quella è stata la risposta di Lucius. Una riga. E da allora ha iniziato a camminare come un ossesso, maledicendo tutti i suoi antenati»

E a pensarci bene c’era un’altra cosa che non tornava…Nessun gufo poteva portare una risposta nel Wiltshire e tornare in dieci minuti. Quindi o Lucius Malfoy era più vicino di quanto credesse. Oppure conoscendo l’indole affatto melodrammatica di suo figlio si era portato avanti con la risposta.

 

Forse era il caso di farsi portare anche qualcosa da mangiare. E sicuramente altro da bere.

Sarebbe stata un’attesa lunga. Molto lunga.

«Di un po’ quali sono le puntate finora» chiese a Theo «Chi vince decide il premio come al solito giusto?». 

In fondo aveva visto delle scarpe deliziose e costose quanto un rene che si sarebbe fatta regalare volentieri dai suoi due piccioncini preferiti. 

O, meglio ancora, avrebbe avuto un bel favore da riscuotere.




 

***

 

Chi dice che gli adolescenti hanno memoria breve evidentemente non ha mai avuto a che fare con loro. Se non fosse bastato il fatto che ancora giravano copie della Gazzetta del Profeta della settimana prima, anche a quella distanza era ben visibile la nube nera sopra la testa di Draco Malfoy. E non c’era stato verso di fargli cambiare umore, neanche promettendo di saltare un paio di lezioni di babbanologia per stare con lui. Anzi, si era anche offeso per essere stato valutato solo come un paio di ore di una materia inutile.

Quindi era finita che lei lo aveva lasciato da solo a borbottare di pazzia ereditaria e di problemi legati allo sposarsi tra consanguinei.

Doveva ammettere che quell’uscita sul giornale non deponeva a favore della sanità mentale di Narcissa Malfoy, sebbene fosse chiaro anche a lei chi fosse il vero destinatario di quell’articolo e soprattutto il messaggio che c’era dietro. Era passata per una fuga di notizie, seguita dalle scuse del Direttore in persona, ma in quelle foto così inappropriate che nessuno avrebbe potuto accusare pubblicamente di essere state date da una miliardaria purosangue dell’alta società appartenente forse all’ultima vera famiglia nobile del Mondo Magico, c’era una minaccia neanche troppo velata.

I Black battevano i Malfoy a mani basse, se solo avessero voluto. E Narcissa Black Malfoy se voleva poteva essere l’incubo di chiunque. E pensare che fino a qualche mese fa l’aveva sempre considerata solo una stupida oca che non mangiava carboidrati per paura di ingrassare.

Ora, dopo averla conosciuta da adolescente e dopo che Draco stesso aveva confermato che sua madre aveva una mania di controllo su tutti loro che andava dal cibo nel piatto sino ai vestiti che indossavano, rifiutandosi anche solo per un secondo di avere una famiglia di sciatti obesi, aveva capito due cose.

Primo: Narcissa Malfoy era una donna vanesia come poche altre donne, attenta alla forma e che passava ogni attimo del suo tempo a cercare di apparire assolutamente perfetta.

E, due, che non avrebbe voluto averla come nemica.

Quello che le restava oscuro però, era perché rimanesse sposata con quell’uomo orribile, visto che a detta di Andromeda non era per i soldi. A quanto pareva, c’era una clausola nel contratto prematrimoniale per cui Narcissa in caso di divorzio, per qualsiasi ragione, avrebbe avuto diritto non solo a mantenere il patrimonio che aveva avuto al momento del matrimonio, ma anche la metà di quello dei Malfoy al giorno del divorzio. Ed era certa che nel momento stesso in cui avrebbe messo la firma su quelle carte sarebbe stato anche l’ultimo giorno in cui Draco avrebbe visto suo padre, il che era solo che un bene.

Aveva provato a perdonare Lucius Malfoy, ci aveva provato sul serio.

Era riuscita a passare sopra i commenti razzisti e alle assurde convinzioni con cui avevano cresciuto il loro figlio per quattordici anni.

Sebbene con un enorme sforzo aveva soprasseduto al fatto che avesse deliberatamente consegnato un oggetto pericoloso come il diario di Tom Riddle nelle mani di una ragazzina del primo anno, traumatizzandola a vita e rischiando che il basilisco facesse una strage.

Dopo averlo conosciuto da ragazzo e soprattutto dopo aver capito che razza di mostro fosse il padre poteva anche credere che avesse avuto qualche attenuante per unirsi ai mangiamorte.

Attenuante che però non spiegava il decennio successivo al servizio più che attivo del Signore Oscuro.

Né tantomeno il fatto che avesse lasciato che suo figlio venisse gettato sulla stessa strada di follia, non muovendo un muscolo sino a che non l’aveva visto in punto di morte. E anche lì, nel corso del tempo le era venuto il terribile sospetto che l’avesse fatto più per Narcissa che per Draco. Sospetto che però aveva tenuto per sé.

Ma la cosa peggiore era che quell’uomo le aveva fatto infrangere una promessa.

Ed Hermione Granger, Grifondoro e nota come la strega più intelligente della sua generazione, non era tipo da infrangere le promesse. 

Almeno da tutto quel casino, oltre al tentativo di Draco di spargere il cervello di Harry Flint per tutta Serpeverde per aver fatto una serie di apprezzamenti troppo coloriti su sua madre, una cosa buona era uscita: Draco aveva ripreso ad avercela con suo padre.
Ottimo, almeno aveva guadagnato un po’ di tempo Con un po’ di impegno forse sarebbe riuscito finalmente a farlo crescere e a smettere di tirare i suoi genitori in mezzo a qualsiasi discorso.

Era addirittura disposta ad ascoltarlo nelle sue infinite lamentele su Lucius, se questo fosse servito finalmente a tagliare il cordone ombelicale. Merlino a volte sembrava avere cinque anni e non quindici.

E poi c’era il secondo grande erumpet rosa nella stanza di cui nessuno sembrava voler parlare.

Il marchio nero, quello che aveva fatto infuriare Lucius l’ultima volta.

Da quella sera Draco era cambiato, gli incubi che tornavano a tormentare le sue notti. E anche se non era con lei poteva vedere i cerchi scuri sotto gli occhi ogni mattina, che nessuna pozione riusciva del tutto a nascondere. E c’erano dei momenti, anche quando erano insieme, in cui lui si estraniava, chiuso nei suoi pensieri.

Odiava quando faceva cosi, quando tornava ad essere quel ragazzo troppo distante perché potesse raggiungerlo, nascosto dietro un segreto che non voleva rivelarle.

Poteva solo sperare che Ted riuscisse ad aiutarlo, che riuscisse ad infrangere quel muro di indifferenze e superbia che si era costruito così bene attorno. Era un miracolo che i suoi genitori avessero acconsentito, ma forse si erano resi conto anche loro che pretendere di fare finta di nulla non era una soluzione.

Sempre che Ted fosse riuscito a farlo parlare. Da quello che aveva raccontato quel cretino del serpeverde del suo cuore, con aria molto soddisfatta, le prime sedute le aveva passate chiuse in un ostinato mutismo.

Merlino, fortuna sua che era bello perché alle volte era davvero un deficiente.

Sospirando diede un’occhiata alla lista che Pansy le aveva dato per prepararsi alla cerimonia di quella sera,

Bagni rituali, bevande alla lavanda, meditazione.

Com’era possibile che in cinque anni non si fossero mai rese conto di niente? Eppure ora era chiaro come il Lumos che Serpeverde fosse in agitazione.

Era così persa nei suoi pensieri che andò a sbattere contro una studentessa di Corvonero, facendo volare i libri e gli appunti che teneva in mano.

Quando alzò la testa per fare un commento acido sulla gente che andava in giro senza guardare, cercando di raccattare tutta la sua roba più velocemente possibile, la riconobbe.

Marietta Edgecombe, anche nota come colei che voleva farsi il suo ragazzo.

«Hai perso qualcosa, Prefetto Granger?» le disse con un ghigno passandole una serie di libri, tra cui il famoso libro di incantesimi proibiti, fortunatamente con la copertina trasfigurata. Non le piacque affatto però lo sguardo che le lanciò, soffermandosi un attimo di troppo sulla copertina.

E poi lo sentì. L’odore intenso di lavanda di cui aveva parlato Pansy.

Dannazione

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Capitolo 9
*** Capitolo IX. Preparativi ***


Draco sembrava aver finalmente sbollito la rabbia, o almeno deciso per una signorile indifferenza alternata a maledizioni lanciate di nascosto per zittire le malelingue.

E a dire il vero aveva funzionato.

Certo poteva essere anche il fatto che il marito di Andromeda lo avesse lasciato sfogarsi per più di un’ora senza interromperlo, cosa piuttosto rara quando cercava di parlare con la Granger. O Pansy. O Blaise. O Theodore. O Piton che neanche lo aveva fatto iniziare, a dire il vero. Quindi per una volta forse il natobabbano Tassorosso marito della diseredata aveva fatto qualcosa di buono, anche se non gliel’avrebbe mai detto.

La torre Nord era stranamente quieta, tutti gli studenti già a cena.

Si staccò appena dalle labbra della Grifondoro.

«Pronta per stasera?» chiese spostandosi per baciarle la punta del naso e fissandola preoccupato. Non sapeva se essere contento o terrorizzato della richiesta di Pansy di far partecipare Hermione ad Imbolc.

E quando aveva chiesto a sua madre e alla diseredata cosa ne pensassero entrambe avevano risposto di non impicciarsi, che era una cosa da donne. Questa storia iniziava ad irritarlo. Ormai sembrava lo sport nazionale dirgli di farsi i fatti suoi. Come se quelli non lo fossero.

Hermione non rispose subito, troppo intenta a mordicchiargli la pelle sensibile del collo, lasciata libera dallo scollo del maglione nero.

«Mm. insomma… sai che devo fare un bagno rituale prima?» brontolò, sorridendo mentre sentiva Draco fremere sotto il tocco leggero della sua lingua sulla pelle.

«E’ un invito, Granger?»

«C’è anche Ginny, quindi direi di no»

«Perché non vuoi dividermi o non vuoi dare spettacolo?» la stuzzicò con un sorrisetto prendendole il mento tra le dita e costringendola a guardarlo. 

Grattastinchi decise di fare in quel momento una piuttosto rumorosa apparizione, strusciandosi soddisfatto contro le gambe del Serpeverde.

«Traditore» commentò Hermione lanciandogli un’occhiata obliqua, visto che solitamente reagiva a chiunque le si avvicinasse troppo con un agguato fulmineo. Era inoltre particolarmente abile a nascondersi in modo che la vittima designata non si rendesse conto che i suoi denti affilati stavano per colpire sino a quando non era troppo tardi. Neanche tra i migliori Grifondoro era molto amato, ad esclusione di Ginny, Neville e dei gemelli. Persino Harry e Ron ogni tanto si erano ritrovati con più di un segno tangibile della sua insofferenza. 

«Dobbiamo trovare un nome più decente a questo ammasso di peli, Granger» disse Draco grattandogli la testa, mentre il suddetto felino faceva soddisfatto le fusa, accomodandosi tra le gambe incrociate.

«Ha già un nome, ricordi? Grattastinchi.» commentò sorridendo all’espressione beata di quella nota come una furia che ora se ne stava a pancia all’aria con l’aria più soddisfatta del mondo.

«Ma fammi il favore, Granger. Che diavolo di nome è?» sbuffò il Serpeverde, fermandosi per un attimo dalla sua attività di grattini. Grattastinchi aprì appena le palpebre sospettoso, le zampe paffute ancora all’aria.

«Un nome carino, simpatico e buffo» rispose piccata

Draco sbuffò di nuovo e questa volta le sembrò che ci fossero due paia di occhi a fissarla, entrambi piuttosto annoiati sebbene provenienti da specie diverse.

«Grattastinchi Granger Malfoy? Per Salazar … è talmente lungo che nel frattempo è già arrivato nel Wiltshire»

Hermione rimase per un attimo senza parole, sbattendo a vuoto le palpebre mentre Draco la guardava come se fosse la cosa più normale del mondo, non capendo il motivo di tanto stupore.

«Stai scherzando spero».

No, a guardarlo non sembrava fosse una delle sue trovate per farla impazzire. Era assolutamente sincero.

Dannazione.

«Che ne dici di Scorpio? È un bel nome sai? E manterrebbe la tradizione della mia famiglia» continuò chinandosi sul gatto, che non sembrava però particolarmente colpito.

«Tu non sei normale»

«Hyperion? È un satellite di Saturno se non lo sapessi. E prende il nome da uno dei Titani. E poi dici che non tengo in conto la tua opinione…» tubò mentre Grattastinchi aveva deciso che forse era il caso di iniziare a richiamare l’attenzione del suo nuovo umano preferito girandosi e iniziando a fare la pasta sulle sue gambe, con gli artigli un filo più in fuori del necessario.

«A parte che ti pare che non so da dove derivi il nome Hyperion… ma No, non cambierò il nome del mio gatto» rimbrottò Hermione prendendo Grattastinchi in braccio e iniziando ad accarezzarlo. Il suddetto gatto imbronciato le posò il muso sulla spalla, lasciando andare un lungo sospiro.

«Leo?»

«No.»

«Antares?»

«Cretino»

«Vega?»

«La pianti? Non siamo a lezione di Astronomia»

«Oberon?»

«Non pensavo conoscessi Sogno di Una Notte di Mezza Estate. Sono colpita, Malfoy» 

Fu il turno di Draco di sbattere le palpebre, mentre Grattastinchi si era liberato dalla stretta della sua padrona e ora li osservava seduto in mezzo a loro, a debita distanza, passando lo sguardo dall’uno all’altro, chiedendosi perché avessero deciso di rovinare la sua serata di coccole con quello stupido battibecco.

«Lascia perdere, colpa mia che penso che tu possa fare un rifermento babbano. Comunque è il mio gatto. Non so in quale parte del tuo cervello da Serpeverde il mio gatto prenda anche il tuo cognome ma toglitelo dalla testa. Cos’è vuoi anche mettergli un collare verde e argento?»

Draco sembrò studiarla come se le fosse appena cresciuta una seconda testa

«Ovviamente no» iniziò e per un attimo Hermione pensò che finalmente avesse capito «Starebbe male con i suoi colori.»

La Grifondoro sospirò di frustrazione. Che diavolo di problema aveva?

Draco tornò a concentrarsi su Grattastinchi «Senti… Gatto... perché non decidi tu? E per la cronaca… io ti avrei fatto mangiare il maledetto topo…e anzi ti avrei comprato dei croccantini extralusso. Altro che La Tana… quest’estate vuoi venire da me? Un bel maniero tutto per te…cibo fresco cucinato in maniera eccellente… tanti ettari di bosco attorno… gli elfi da rincorrere…» disse con voce suadente.

«Draco!» 

Grattastinchi però non sembrava affatto indignato. Con la coda dritta e un’espressione piuttosto sorniona anche per i suoi standard si avvicinò al biondo, lasciandosi prendere in braccio e accoccolandosi soddisfatto, con il muso nell’incavo del gomito e lo sguardo rivolto alla sua padrona. 

Draco si chinò a dargli un bacio sulla testa, e di nuovo una coppia di occhi gialli e grigi la squadravano.

«E ora che abbiamo capito che hai degli ottimi gusti, Gatto, dobbiamo parlare della civetta di San Potter… sicuro che non vuoi giocare con quel borioso volatile?» bisbigliò all’orecchio appuntito del gatto, neanche troppo sottovoce.

«Draco!»

Grattastinchi sembrò considerare il suggerimento. Poi decise che le coccole erano state rimandate anche troppo e affondò le zanne nel braccio davanti a lui.

Hermione non era mai stata fiera di lui.

Grattastinchi Granger.

Un vero Grifondoro.

 

***

 

Oimelc.

Hermione e Ginny si scambiarono uno sguardo quando la parete davanti a loro si spalancò, rivelando una stanza di cui non sapevano neanche l’esistenza.

L’aria era satura di un calore umido e profumata di un odore dolce ed ancestrale, appena mitigato dal sentore pungente delle erbe, mentre la luce che del giorno non riusciva a penetrare attraverso le spesse vetrate colorate che rompevano i raggi del sole in un'atmosfera soffusa di un tenue verde bosco, assorbita dai marmi scuri della stanza. L’intera superficie era cosparsa di candele di ogni dimensione, che riflettevano la luce calda e rilassante. Per un attimo l’aria profumata le ricordò la nebbia densa del bosco di Hogsmeade, l’ultimo ricordo prima che tutto diventasse confuso.

«Ad occhio direi che non è acqua questa» disse Ginny chinandosi a sfiorare la superficie delle grandi vasche che occupavano la maggior parte della stanza, nella quale galleggiavano delle spighe di lavanda. Si portò le dita alle labbra «Latte, direi. Con del sale e della salvia. Beh, male che vada avremo la pelle morbida»

Nascosta dietro ad un grande paravento arabescato che celava un terzo della stanza Hermione non rispose mentre si infilava il costume che aveva portato con sé. Capiva che era qualcosa che a Serpeverde facevano da chissà quante decine di anni, eppure non riusciva a togliersi di dosso quella strana sensazione che stesse per accadere qualcosa di terribile. C’era una vocina nella sua testa che le suonava come un allarme, eppure non riusciva ad inquadrare quale fosse il problema. E quell’aria così intensamente profumata le dava alla testa, le impediva di pensare con chiarezza.

«Oh, Merlino è meraviglioso» A quanto sembrava Ginny non aveva perso tempo e, liberatesi velocemente dei vestiti, si era immersa in quel liquido profumato «Non è affatto disgustoso come potresti pensare. È caldo e avvolgente. Sai che credo che questa sia la sensazione che abbiano i ragazzi quando fanno sesso? Certo nel caso in cui riescano a pensare»

«Ginevra!» Hermione la fissava sbigottita mentre immergeva cautamente un piede nella piscina, sedendosi sul bordo di marmo. Però su una cosa aveva ragione, la sensazione sulla pelle era di seta. Scivolò piano nell’acqua, lasciando che il liquido l’avvolgesse come un abbraccio. Se avesse dovuto fare un paragone avrebbe detto che è così che ci si deve sentire nel liquido amniotico, protetti e al caldo, cullati dal rumore rassicurante del cuore della propria madre che batte. Chiuse gli occhi, lasciando che il suo corpo si rilassasse finalmente.

«A volte dimentico che non hai fratelli. Credimi se crescessi con sei di loro di età varie sentiresti molto di peggio, soprattutto quando pensano che io non possa sentirli. Se vuoi posso raccontarti le prime volte di Charlie e Bill, sono piuttosto spassose a dire il vero. In quella di Bill c’è anche un attacco di una chimera. Anche se credo che in realtà fosse mia madre» rise Ginny nuotando piano sino a raggiungerla.

Ecco, lei quella di Ron non voleva saperla. Nonostante ormai la cotta le fosse passata da un pezzo ricordava perfettamente quando aveva sentito le voci di Ron e una ragazza di Corvonero di due anni più grandi di loro l’estate del quarto anno. Senza parlare della nuova amica, o nemica con benefici come la chiamava lui.  Ora era ridicolo che si erigesse a fustigatore di costumi, dopo quello che lui aveva fatto nel corso dell’ultimo anno.

«So che ha dato di matto qualche giorno fa. Vuoi che gli parli?» chiese fissando la pelle di porcellana di Ginny, imperlata dal liquido lattiginoso e profumato.

«Non con lui. Non mi interessa quello che dice. E se ci riprova lo prendo a calci da qui a La Tana» disse con noncuranza girandosi a fissarla «Se proprio vuoi aiutarmi, parla con Harry, invece»

Hermione alzò un sopracciglio, sorpresa «Harry? Pensi che possano litigare di nuovo?»

Ginny rise scuotendo la testa «Oh, no non è quello il problema. Devi fargli capire che non sono di vetro. E che non c’è niente di male se vogliamo spingerci un po’ di là. Io sono pronta… e ti giuro che se non se la smette di comportarsi come se stessimo in uno stracazzo di medioevo lo strangolo con le mie mani. Cosa pretende che ci sposiamo prima? Per Godric Grifondoro, a volte devo congelarmi un cuscino e sedermisi sopra dopo essere usciti insieme. Perché bacia così bene…altro che Dean»

«Per Merlino, Ginny… Harry è come un fratello per me… io… no sul serio non voglio sentirlo» commentò Hermione mentre sentiva che i lobi delle orecchie le stavano diventando dello stesso colore dei capelli della Weasley «E non posso fare questi discorsi ad Harry… passerei alla storia per aver ucciso il bambino sopravvissuto per la vergogna. E Ron lo seguirebbe a breve. Sei solo una ragazzina Ginny… datti tempo»

«Non sono una ragazzina, Hermione. Ho quattordici anni e mezzo. E ho tutto il diritto di fare le mie scelte» ribatté fissandola con gli occhi socchiusi mentre si rilassava nel liquido tiepido che le avvolgeva «Così come le hai fatte tu lo scorso anno.»

«Io ne avevo quindici, ti ricordo. Ed era diverso...» borbottò Hermione ma venne ben presto interrotta

«Era diverso perché non vi siete frequentati prima ma avete subito passato la prima notte insieme? O perché vi siete nascosti per un anno? Draco è di giugno, se non sbaglio, quindi aveva più o meno la mia età. E, credimi, a quanto si dice non sei stata la sua prima. Ma questo dovresti già saperlo. Così come che non mi sto riferendo solo a Pansy»

Hermione sospirò «Ero arrabbiata Gin. Offesa. Mi sembrava che nessuno mi avrebbe guardato in quel modo mai nella mia vita. Ed è arrivato lui, all’improvviso, finalmente senza quella maschera che porta sempre» Dannazione, non stava uscendo bene. Detta così sembrava quasi che Draco avesse approfittato di un suo stato mentale «No aspetta. Intendo dire che io ero disperata, lui era terrorizzato e abbiamo abbassato le difese. Ed è stato un bene, perché altrimenti avrei continuato a pensare a lui come un dannato serpeverde viziato e petulante incapace di stringere alcun tipo di rapporto sincero...»

La rossa la stuzzicò tirando appena fuori la lingua, l’acrimonia di poco prima scomparsa «Lo sai che è davvero viziato e petulante, vero? Fortuna sua che è bello…»

«Ehi, Weasley, già le mani. Tu hai già Harry, razza di ingorda» rise Hermione. Poi alzò le mani in segno di resa «E va bene, cercherò di far capire ad Harry che voi due dovete parlare. Ma niente più di questo. Io non c’entro niente, è una decisione solo vostra. Poi se tu vuoi usare i tuoi mezzi di persuasione, chi sono io per impedirtelo. Solo state attenti, ok?»

«Merlino sia lodato.» sorrise immergendosi completamente, senza però farsi sfuggire l’occasione «Tu piuttosto. hai mai pensato che se continuate con questa storia un giorno potresti avere tanti piccoli mezzosangue biondo platino che ti corrono intorno? E posso solo immaginare quanto potrebbero essere testardi…»

Hermione per un attimo dimenticò come si deglutiva, rischiando di strozzarsi con la sua stessa saliva. Bambini? Chi diavolo aveva parlato di bambini? Erano degli adolescenti, santo cielo. chi diavolo pensava ai figli a quindici anni? 

«Davvero non ci hai mai pensato? State insieme da un anno ormai… lui ha conosciuto i tuoi, giusto? E tu sei stata presentata ufficialmente ai suoi… e credimi è una cosa grossa» Hermione guardò l’amica. Era genuinamente sorpresa, come se trovasse impossibile che non le fosse venuto in mente che avrebbe potuto… voluto... oh insomma…. passare il resto della sua vita con Draco.

«No… Gin. non è così» cerco di articolare, mentre con orrore le diventava sempre più chiaro che nel mondo magico le cose andavano diversamente rispetto a quello babbano. «E poi pensavo che questa assurdità riguardasse solo… i purosangue…»

«Beh, tecnicamente i miei genitori sono maghi e anche i miei nonni lo sono, quindi secondo gli standard di quel razzista del tuo fidanzato anche io sono una purosangue. Ma forse intendevi dire quelli ricchi? Quindi i babbani come fanno? Si frequentano così, per perdere tempo?» chiese, un lampo di incredulità negli occhi.

No, non era perdere tempo. Era prendersi il lusso di crescere e cambiare.

O più semplicemente di non essere ossessionati da un anello al dito. Dannazione, pensava che quelle emerite stronzate fossero appannaggio di quei decerebrati della cricca del padre di Draco.

E invece...

Ripensò velocemente a tutte le coppie che conosceva. Non erano molte a dire la verità quindi il conto era piuttosto semplice

Arthur e Molly. Conosciuti ad Hogwarts, sposati poco dopo il diploma.

Lily e James Potter. Conosciuti ad Hogwarts, sposati dopo il settimo anno.

Andromeda e Ted Tonks. Conosciuti ad Hogwarts, fuga dopo il diploma e matrimonio.

Dei Malfoy neanche voleva parlare. Matrimonio combinato o no, quei due erano talmente tanto spostati che non andavano neanche presi in considerazione.

Ecco …c’erano Tonks e Remus. Visto la differenza di età loro di certo non si erano conosciuti da ragazzini. Anche se… 

Dannazione. Erano neanche due anni che stavano insieme e ora già stavano per sposarsi ed avere un bambino.

Ma che razza di problema avevano nel mondo magico? Non potevano crescere e al massimo convivere come le persone normali? O semplicemente non farsi prendere dall’angoscia?

«Sirius non si è mai sposato, no? Né mi pare si sia fidanzato da adolescente» tentò, ben sapendo di starsi infilando in un vicolo cieco

Ginny la guardò quasi con compassione: «Beh, diciamo che ha avuto il suo bel da fare, incluso l’evitare di essere ucciso dalla sua famiglia e a godersi la sua libertà dopo essere stato diseredato. E quando è finita Hogwarts… beh lo sai, non credo che abbia avuto modo di fare molta vita sociale.»

Ovvio.

La rossa posò i gomiti sul bordo della piscina, allungando le gambe e girandosi a guardarla «E’ una bella cosa amare qualcuno, no? Tu non ami Draco?»

Si. No. Forse. Non aveva una risposta corretta alla domanda che in realtà Ginny stava facendo. Amava Draco profondamente e stupidamente come solo gli adolescenti fanno.

Ma amava quel Draco. Il Draco di Hogwarts che perdeva tempo per non fare i compiti di erbologia, Il Draco che passava le notti a studiare le pozioni per fare bella figura con il suo professore preferito, il Draco che aspettava con ansia gli allenamenti di Quidditch per volare.

Il Draco del presente. Non quello del passato, bullo e razzista. E soprattutto non sapeva niente di quello del futuro. Né voleva saperlo al momento.

Soprattutto perché ancora non sapeva lei cosa volesse fare del futuro.

«Beh, la prossima volta che vedi Narcissa Malfoy diglielo che non sai se vuoi essere la prossima Lady Malfoy, potresti evitarle di morire di crepacuore prima dei quarant’anni. Anche se daresti un grosso dispiacere a mia madre, adora che si sia ficcata in questa situazione e ora non sappia come uscirne» rise Ginny per dissipare la tensione, per poi aggiungere in tono più allegro «Oh ma insomma, come siamo passate dal parlare di sesso a …questo?»

Questo. Narcissa Malfoy che si era cacciata in quella situazione non diseredando il figlio o spedendolo ad Ilvemory o chissà dove. Facendola entrare in casa sua. Tenendo un party per il lancio del progetto suo e di Pansy. Venendo a salvare i suoi genitori.

Beh, ad essere onesti era venuta per il figlio, se non ci fosse stato avrebbe probabilmente lasciato che Bellatrix e i Lestrange li torturassero tutti a morte. Ma nella mente di quella bionda psicolabile e snob probabilmente erano solo dettagli.

Lei era la situazione che metteva in imbarazzo l’aristocratica Narcissa Malfoy nata Black e che rendeva la principessa di Serpeverde oggetto di pettegolezzi e derisione.

Persino da parte di una donna eccezionale come Molly.

Per un attimo le girò la testa, la concezione di buono e cattivo che sfocava sempre più nella sua testa, rendendo sempre più labile quella netta divisione che si era sempre creata.

Ordine della Fenice, Grifondoro, babbanofile: buoni

Purosangue, Serpeverde, elitisti: cattivi.

Era così semplice. Così chiaro, prima di conoscere Draco.

Era talmente persa in quel ragionamento che non si rese neanche conto che Ginny aveva continuato a parlarle, cambiando argomento.

Respirò a fondo, cercando di concentrarsi sulle parole dell’amica, lasciando che tutto il resto scivolasse via, dissolto nel vapore dolcemente profumato

«Sai che la Montmorency prenderà parte ad Imbolc?» 

Hermione sbatté le palpebre, come se fosse il calore a non farle sentire bene «Ma non era una cosa dei Serpeverde. Cosa c’entra lei? Non credo abbia studiato in questa scuola…Tonks dovrebbe conoscerla, no? Più o meno hanno la stessa età o»

Ginny scosse le spalle «Non so che dirti... ma me l’ha detto lei stessa ieri, quando sono rimasta dopo la lezione»

Per la seconda volta in pochi minuti la strega più intelligente della sua generazione rischiò di affogare «Tu... cosa? Come? Quando? Perché? Oh Gin…ma perché perdi tempo con quella materia insulsa?»

Per la prima volta vide le labbra della rossa serrarsi, irritate «Non è insulsa, Hermione. Capisco che non ti piaccia ma … credimi, non lo è. La Montmorency mi ha invitato a prendere il tè e abbiamo parlato. Di me, della mia famiglia, di come mi sento. Addirittura mi ha chiesto dei miei zii, Gideon e Fabian, come mi sentissi per la loro morte. E mi ha detto che sono portata, molto portata per quella materia. E dopo avermi fatto le carte mi ha detto che sto per capire finalmente il mio ruolo nel mondo»

Hermione abbassò gli occhi, mordendosi la lingua per non dare di nuovo della ciarlatana ad un insegnante di divinazione. almeno non una che sembrava avere il rispetto di Ginny Weasley, cosa non da poco: «Ed è questo che vuoi, Gin? Capire il tuo ruolo nel mondo?»

Le labbra della Weasley si rilassarono nuovamente in un sorriso «E non è quello che vogliamo tutti, Hermione?»

Si. no. Forse. Chissà.

Per una volta Hermione Granger, la migliore studentessa di Hogwarts, non sapeva quale fosse la risposta giusta.

Si limitò a chiudere gli occhi e rilassarsi, in silenzio, mentre la sabbia della grande clessidra accanto a loro iniziava finalmente a scorrere per la prima volta da quando erano entrate.

 

***

 

Imbolc era sempre stata una festa importante da dove veniva lei. Il giorno della rinascita, la fine dell’inverno e la celebrazione della Madre di tutti. Ogni albero del Reame del Lago veniva adornato con dei lunghi nastri colorati, magicamente stregati per rilasciare una dolce melodia ogni volta che il vento li faceva ondeggiare mentre si recavano al grande albero, ciascuna con una candela in mano, avvolte dal profumo fragrante dell’incenso e delle erbe.

E ora, per la prima volta dopo averne tanto sentito parlare da sua madre, si trovava a festeggiarlo nel mondo magico. Ad Hogwarts, quella scuola di cui tanto spesso aveva sentito parlare da ragazzina. Alla quale aveva chiesto così tante volte di poter andare. In fondo se a sua nonna era stato concesso, perché a lei no?

Ma la Dama del Lago aveva detto che non era la cosa giusta per lei. Che ognuno ha il proprio destino e per lei non era quello di imparare la magia del Mondo di Sopra.

Era rimasta pertanto piuttosto sorpresa quando era stata chiamata dalla Signore che le aveva chiesto se la sentiva di intraprendere quella missione. 

Niamh sfiorò appena il tatuaggio del tralcio di vite che le avvolgeva il braccio sinistro partendo dalla base del dito medio e risalendo sino alla spalla, che rispose al suo toccò avviluppandosi ancora di più, le linee delle foglie che ondeggiavano come se toccate dalla brezza leggera del mattino.

Si era sentita esplodere il cuore di gioia, girandosi appena a guardare suo madre, il cui sguardo tuttavia si era fatto cupo come il cielo in quei giorni: un tetto plumbeo e pesante, squarciato da lampi improvvisi, ben diverso da quello terso a cui era stata abituata.

La magia del Lago non era riuscita a neutralizzare del tutto la profonda e oscura magia della collana, la cui pietra aveva assorbito nel corso dei secoli la potenza maligna di chi lo aveva custodito, a partire da Salazar Serpeverde sino a quello che aveva imparato a conoscere come Lord Voldemort. E che giorno dopo giorno, anno dopo anno, aveva scalfito in due decenni la bolla protettiva del Lago Nero, incrinando quel passaggio dei due mondi e rovinando il perfetto equilibrio del loro reame.

Sapeva che sua madre aveva partecipato a foraggiarla, non aveva mai nascosto quello che lei e Nicholas avevano fatto per entrarne in possesso, né di essere stati loro a consegnarla a Lord Voldemort. Forse era per questo che non si era opposta al suo viaggio, sebbene fosse evidente quanto fosse contraria, visto come continuava a mordersi l’interno della guancia ogni volta che sembrava stesse per parlare.

Mise su il mantello nero, fermandolo con la spilla a forma di oroboro che era appartenuta alla famiglia della madre di sua madre da generazioni, il simbolo delle officianti del Reame del Lago.

Sarebbe stata lei a condurre la cerimonia quella sera, a condurre quelle giovani donne al cospetto della Madre e a farle riconnettere con la loro vera energia interiore.

Ed ancora più importante sarebbe stata l’iniziazione di tre delle più potenti giovani streghe di quella generazione, i cui nomi più volte le erano apparsi in sogno sin da piccolissima.

Pansy Eloise Parkinson.

Hermione Jane Granger.

Ginevra Molly Weasley.

Due purosangue ed una nata babbana.

Una serpeverde e due grifondoro.

L’astuzia, l’intelligenza e il coraggio.

Forse era un peccato che loro non lo sapessero ancora.

O forse no, pensò con un ghigno simile a quello di sua madre, mentre calava bene il cappuccio sulla testa e prendendo in mano il suo Grimorio.

 

Da lontano una civetta le ricordò che non c’era più tempo da perdere.

 

Era ora di dare inizio alla cerimonia.

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X- Imbolc finalmente ***


Con la pelle ancora calda e profumata dal bagno Ginny ed Hermione avevano indossato la lunga tunica verde con il cappuccio che Pansy aveva dato loro. Avevano entrambe provato a far notare che era assolutamente inutile, visto che nessuno le avrebbe viste ma Pansy era stata irremovibile e aveva minacciato di inseguirle per tutto il castello al termine del rituale per assicurarsi che non si fossero messe i loro ridicoli abiti da natababbana e babbanofile par loro.

«Davvero non abbiamo mai fatto caso che metà popolazione femminile di Serpeverde spariva durante la notte? Cos’è quando hanno il primo ciclo gli danno il biglietto di ingresso?» bisbigliò Ginny mentre scendevano affacciandosi nel corridoio e notando la lunga fila di cappucci color smeraldo che uscivano silenziosamente dalla Sala comune di Serpeverde «E comunque è discriminatorio. Capisco la storia del Serpente e tutto…ma non dovrebbero esserci queste festicciole private in un posto come Hogwarts»

Il grande portone di pietra si aprì senza fare rumore, permettendo alle ragazze di sciamare verso l’esterno, accolte da una notte stellata particolarmente tiepida per essere i primi di febbraio.

Hermione si fermò a respirare, incredula. Era certa di aver già sentito quell’odore di fiori appena sbocciati e rugiada del mattino, di acqua dolce del lago e balsamica di aghi di abete.

L’odore stesso della foresta, aveva pensato al tempo, in un luogo sospeso nello spazio e rintanato nelle pieghe del passato. L’odore del Bosco di Hogsmeade.

Lanciò guardinga un’occhiata a Pansy, il viso inespressivo come le statue a guardia del Castello. Il respiro appena più affannoso del solito tuttavia la tradiva, nonostante l’estremo sforzo di autocontrollo che stava esercitando su sé stessa. Anche lei aveva riconosciuto il profumo ne era certa. E anche lei vedeva apparire nella mente le immagini di quella sera, sempre meno avvolte dalla nebbia.

Vi porterò lì dove la terra è sempre fertile. Dove l’acqua è il cielo e la terrà è morbida. Dove non c’è inizio e non c’è fine

Un tuono rimbombò mentre un lampo illuminava la notte. Ginny alzò gli occhi al cielo, pensierosa: la notte era limpida, tersa, nemmeno un accenno di nuvola che potesse giustificarlo. Poi notando che il gruppo stava iniziando a spostarsi verso la Foresta Proibita prese per il braccio Hermione, che sembrava persa dietro uno di quei suoi ragionamenti impossibili e la costrinse ad accelerare. Se avessero perso quel branco di disagiate purosangue avrebbero rischiato di rimanere fuori dalla cerimonia. E non era solo l’idea di dover spiegare a quella folle della Parkinson di aver mancato a quella che sembrava essere un’ossessione.

No, se doveva essere sincera Ginevra Molly Weasley sentiva come se dei fili invisibili la trainassero, unendo tutti gli attimi non solo del suo passato, ma anche di chi era venuto prima di lei. Una forza invisibile la spingeva insieme al gruppo, quasi una goccia di uno stesso fiume in piena che non poteva essere arginato. Non si era mai sentita inadeguata o fuori posto in vita sua, ma quello che sentiva quella sera era che se c’era mai stato un posto e un luogo in cui doveva essere era lì, ad Hogwarts, a seguire gente con cui non avrebbe neanche diviso uno scones, in una notte troppo calda e profumata per essere ancora inverno.

Man mano che si inoltravano nella foresta le chiome degli alberi si chiudevano sopra di loro, impedendogli di scorgere il cielo stellato. Eppure era facile seguire il sentiero, bastava seguire la luce calde delle decine di candele che le ragazze incappucciate tenevano in mano, il rumore dei passi sulla terra umida l’unico rumore attorno a loro. Persino gli animali sembravano accompagnarli in silenzio.

Forse fu per quell’irreale mancanza di suono che quando udirono lo scricchiolio del fuoco quasi sussultarono, ancora prima di sentirne il calore. Una dopo l’altra la fila di ragazze si dispose ordinatamente in cerchio attorno al falò, ancora con i cappucci in testa e la candela accesa davanti a loro. Davanti al fuoco c’era una donna che volgeva loro la schiena, ben visibile il segno di un serpente che si mordeva la coda ricamato in argento brillante che spiccava contro la stoffa verde smeraldo. 

«Millicent, Eloise, per favore allontanatevi, siete troppo vicine» sebbene ancora non riuscissero a vederla in viso quella voce vellutata e profonda era inconfondibile anche prima che tirasse giù il cappuccio rivelando una cascata di capelli chiarissimi.

Per un attimo Hermione si trovò a ricordare una chioma simile appena scossa dal vento e la stessa fissità della figura, quasi ieratica, di Arael Malfoy di fronte ad un albero di melo eternamente in fiore. Fu però costretta ben presto a concentrarsi su questioni più pragmatiche, quando Ginny la strattonò per impedirle di muoversi. Quel piccolo spazio che la Montemorcy aveva appena creato era perfetto per loro due. E dallo sguardo assassino di Pansy appena coperto dal bordo del cappuccio era evidente che la Weasley non fosse la sola a pensarlo.

Che la Parkinson le avesse tradite? Che avesse raccontato del Mantello dell’Invisibilità ad un professore? Harry le avrebbe uccise… anche perché, senza alcun motivo apparente, la professoressa di divinazione sembrava avere una predilezione per Piton, che di certo non avrebbe impiegato troppo tempo ad associare uno degli oggetti più preziosi e rari del mondo magico ai Malandrini.

Una dopo l’altra le candele volarono via dalle mani delle studentesse, galleggiando morbide verso l’alto, due stanghe sottili non allineate unite in alto, la fiamma che iniziò a tremolare appena la strega più grande iniziò a tracciare segni infuocati nell’aria con la bacchetta.

La prima era una croce incrociata, come quella che aveva trovato mentre la voce di Niamh risuonava alta e limpida nel silenzio della notte.

 

Che il caro Inverno possa riposare,

mentre la Terra inizia a fremere

che ogni creatura possa rinascere al cospetto della Dea

Anche gli alberi attorno a loro sembrarono reagire, le fronde che iniziavano a stormire riempiendo l’aria di quel rumore ritmico e ancestrale.

La bacchetta si alzò di nuovo, questa volta tracciando un cerchio.  Ginny le si strinse addosso, mentre iniziava d’improvviso ad alzarsi un forte vento. Ci mancava solo che il mantello dell’invisibilità si alzasse, rivelando la loro presenza sgradita a quel congresso.

 

Nel fuoco la Triplice ritorna,

accarezzando benevola le nostre menti.

È il momento della nascita, mentre la Terra freme di vita,

 

La strega indirizzò la bacchetta verso le fiamme, mentre una lunga striscia infuocata si alzava seguendo docile il movimento del polso della donna e nell’aria si diffondeva sempre più forte un odore dolce e rassicurante, come una sera d’estate alla Tana, sdraiati nel prato a guardare le stelle e a parlare di tutto e niente, l’odore dell’erba e del calore del giorno appena trascorso ancora sulla pelle.

Di nuovo, da lontano il fragore dei tuoni riempì di nuovo la notte, talmente forte da far tremare l’aria attorno a loro mentre sotto gli occhi esterrefatti di Hermione e Ginny l’elegante lingua di fuoco assumeva l’inequivocabile forma di un serpente che strisciò accanto a tutte loro, lento e ipnotico.

Nessuna delle Serpeverde si mosse, le bocche che si muovevano in una litania senza fine, incapaci di staccare lo sguardo affascinato dal rettile fatto di fiamme che accattivante e morbido strisciava tra i loro corpi, la lingua di lava che saettava nell’aria.

Un primo cerchio e poi un altro, l’essere girava sempre più veloce creando dei cerchi perfetti, talmente rapido che ad un certo punto era impossibile distinguerne l’inizio e la fine.

L’eterno fluire del tempo. Il passato e il presente che si incrociavano.

L’oroboro, lo stesso che adornava la schiena di Draco.

Ginny per un attimo sentì lo sguardo della Montemorcy fisso su di loro, gli occhi neri che brillavano anche nell’oscurità e le fiamme che danzavano creando dei giochi di luce incandescenti sui capelli argentei.

Sei una di noi Ginevra Weasley.

Poi tutto divenne buio. Mentre cadeva dolcemente in terra non aveva paura, neanche quando anche la mano di Hermione accanto a lei divenne più debole, segno che anche lei stava per perdere conoscenza.

 

***

 

Quando sentì un bussare ritmico e pesante alla porta, come se qualcuno stesse colpendo il legno con qualcosa di metallo, pensò che fosse un’allucinazione o qualche pubblicità. Andromeda era al San Mungo quella sera, Remus da Sirius e Nymphadora ad Hogwarts. Fosse stato Arthur avrebbe usato il campanello babbano, quell’uomo era dannatamente affascinato da tutto ciò che riguardava i babbani. Una volta l’aveva tenuto un pomeriggio intero per farsi spiegare esattamente il funzionamento della macchina per il caffè. Senza scordarsi quando, durante una cena di Natale, gli avesse chiesto cosa fosse un preservativo. E Molly… beh Molly aveva sempre le mani piene quando andava a trovarlo, rimproverando bonariamente Andromeda di non cucinare pasti sostanziosi e sani. Anche se sarebbe stato più esatto dire che sua moglie non cucinava affatto. Al massimo, quando pensava di fregarlo facendo qualcosa di carino, ordinava al ristorante e se lo faceva consegnare a casa, sporcando anche appositamente qualche padella.

Il fatto era però che non sapeva neanche come cucinare un uovo al tegamino senza bruciarlo, quindi era davvero poco credibile che se ne uscisse con piatti troppo elaborati.

Ma amava che lei si desse tutto quel daffare per lui, dopo tanti anni.

E poi in fondo se c’era una cosa che quella donna sapeva fare era scegliere sempre le cose migliori.

Era andato in cucina a prendersi una birra quando sentì di nuovo quel rumore ritmico, sempre più pressante. E visto che al momento in TV stavano trasmettendo la Premier League, decisamente non veniva dal suo amato elettrodomestico appositamente modificato per funzionare anche con la magia.

Stupito e con ancora la bottiglia in mano andò ad aprire.

«Ma cos’è oltre che natobabbano sei anche sordo?» la voce annoiata e fastidiosa gli arrivò con qualche secondo di ritardo, come se anche il suo cervello si rifiutasse di realizzare che lì, davanti a lui, sull’uscio della sua bellissima casa, c’era Lucius Malfoy.

«Hai intenzione di invitarmi ad entrare? O dobbiamo restare qui come gargoyles?» chiese con un sorriso talmente falso che per un attimo si chiese se non fosse sua figlia che gli stesse facendo uno scherzo di pessimo gusto.

Senza aspettare risposta quella patetica scusa di essere umano entrò, senza nemmeno far finta di non soppesare lo sguardo su ogni singola mattonella.

«Puoi far smettere questo frastuono, per cortesia? Si può sapere cosa stavi facendo?» chiese guardando con disgusto la televisione, da cui proveniva la voce di un telecronista piuttosto agitato. Perfetto, grazie a quello stronzo aveva anche perso il gol del Manchester.

«Guardavo un porno» rispose, ben sapendo che l’uomo non aveva minimamente idea di cosa stesse parlando e sperando ardentemente che prima o poi si sarebbe trovato a ripeterlo in un’occasione formale, magari davanti al Ministro della Magia o qualche ambasciatore con ascendenze babbane.

«Perché hai degli omini che corrono in questa scatola?» domandò con voce chiaramente disturbata

«E’ una maledizione che ho lanciato sui babbani. Chi mi sta antipatico è costretto a rimanere lì per sempre» sbuffò passandosi una mano tra i capelli chiari

«Veramente?» Lucius aveva alzato un sopracciglio e lo guardava sorpreso, quasi ammirato, a dire il vero.

«No, idiota. È una partita di calcio. È come il Quidditch ma senza volare più o meno» tentò conciliante, sperando che quel borioso si degnasse di dire perché stava disturbando il suo perfetto mercoledì sera da scapolo.

Lucius in risposta sospirò pensieroso squadrando «Per Salazar Serpeverde, cosa ci troverà mai Andromeda in te resta un mistero»

Ted prese un lungo sorso di birra ghiacciata, reprimendo l’istinto di maledirlo «Beh, sappiamo tutti quello che invece Narcissa vede in te. E che a quanto dice la Gazzetta potrebbe facilmente decidere non essere più abbastanza.»

Il mago di fronte a lui scosse la testa condiscendente «Ted, Ted, Ted… mio piccolo ingenuo di un Tassorosso… eppure Andromeda mi aveva detto che eri intelligente. Anzi, credo che abbia usato il termine brillante. Decisamente a sproposito direi»

«Su di te usa molti altri aggettivi… e direi che sono tutti piuttosto accurati» rimbeccò Tonks appoggiandosi allo stipite della porta e guardando l’ultima persona al mondo che avrebbe mai voluto avere come ospite ficcanasare nel suo soggiorno.

Per tutta risposta Lucius ridacchiò, non gli era sfuggito quel lieve accenno di gelosia che aveva sentito nella voce di suo cognato e aveva tutta l’intenzione di sfruttarlo il più possibile «Oh, credimi non ho bisogno di usare troppa immaginazione. E sono tutti meritati… sia nel male… che nel bene direi» 

«Malfoy, perché sei qui? Se cerchi mia moglie oggi è impegnata a lavoro. Quindi gradirei se te ne andassi…e ancora di più se non facessi mai più ritorno. E soprattutto smetti di mandare regali inappropriati»

«Si, certo lavoro. Diciamo che tua moglie…» rispose calcando più del dovuto sulla parola, come a voler ribadire ancora una volta l’assurdità della cosa «…sarà impegnata tutta la sera e ho pensato di passare a trovarti. E non fare finta che il regalo che ho fatto a Drom non ti sia piaciuto»

Ted rimase in silenzio, deciso ad ignorare quel neanche sottile sottotesto secondo il quale non solo Andromeda gli aveva mentito, ma era qualcosa di cui Lucius Malfoy era a conoscenza.

«Non ti sembra un regalo proprio appropriato da fare alla sorella di tua moglie, per lo più felicemente sposata?» chiese, mordendosi la lingua, perché in fondo davvero non si poteva lamentare visto quello che aveva portato.

Il sorriso dell’uomo si fece più accentuato, squadrandolo «Mi sembra più che generoso a dire il vero e anzi dovresti ringraziarmi. Entrambi a dire la verità. Non so se l’hai notato ma c’era la parte per lui e per lei. Spero che tu sia stato un gentiluomo e abbia iniziato dalla sua» aggiunse malizioso.

Lucius stava rigirando tra le mani una fotografia di Ted e Nymphadora da piccola insieme ai suoi genitori, continuando a scuoterla.

«Imbecille è babbana, non si muove. E non sei vecchio per queste cose?» lo riprese Tonks esasperato togliendogliela di mano e posandola al suo posto con attenzione.

«Povera Andromeda...» celiò prendendo ora in mano quella del matrimonio, questa volta magica. Alla vista di Arthur e Molly Weasley, i loro testimoni che lo salutavano allegri, fece una smorfia di disgusto «Sanguesporco, Tassorosso, sovrappeso e frigido. Ma come si dice. L’amore è cieco»

Ted ringhiò: «Te lo chiederò solo un’altra volta… Perché sei qui? Non dirmi che finalmente ti sei deciso ad accettare la terapia…» 

Il ghigno di Malfoy si fece ancora più evidente, ma non c’era alcuna traccia di ilarità negli occhi grigi «Oh andiamo, Ted. È così che tratti il tuo cognato preferito? Sono queste le maniere che vi insegnano i babbani?»

«Io non ho cognati Malfoy. Non ho fratelli o sorelle e li tuoi amati Black hanno ripudiato Andromeda tanto tempo fa, solo perché aveva scelto me, invece di qualcuno dei vostri»

Uno sbuffo «Si vede che non hai mai avuto il piacere di conoscere Lady Black. E a tal proposito vorrei farti notare che negli ultimi dodici anni sono io che mi sono dovuto sorbire tutti gli eventi comandati, mentre tu te ne stavi a guardare dei cretini in calzoncini che corrono avanti e indietro come imbecilli. Per Merlino, Ted... ma che senso ha? Preferirei guardare i miei elfi domestici che puliscono l’argenteria con le orecchie»

Ted gemette mentre il suo molto poco gradito ospite se ne andava verso la cucina.

«A proposito di elfi, non ce ne sono da voi vero? Cosa deve fare un pover’uomo per avere un tè?»

«Forse ti sfugge il fatto che non sei propriamente gradito» con un cenno con la bacchetta e la televisione si spense, lasciandoli nel silenzio «Ma visto che sembra che a che a quelli come voi pare non interessare di disturbare, se proprio hai intenzione di rovinare la mia serata siediti e dimmi cosa diavolo sei venuto a fare»

Lucius riapparve dalla cucina e si sedette con estrema riluttanza su quella che era la sua poltrona preferita, maledetto lui e tutti i suoi ascendenti, accavallando una gamba sull’altra e guardandolo con un sorrisetto.

«Vuoi che me ne vada, Ted?»

«Pensavo di avertelo detto chiaramente. Cosa c’è oltre l’imperius il tuo Oscuro Padrone ti ha dato in regalo anche dei problemi di udito?»

«Si vede che sei figlio unico. Hai problemi di egocentrismo» celiò giocherellando con il lungo bastone da passeggio, improvvisamente centro della sua attenzione.

«Non voglio neanche pensare ai problemi che avresti tu, se già sei così pur avendo due fratelli» commentò Tonks accomodandosi sul divano e richiamando un paio di birre, babbane ben inteso, ed offrendone una all’insopportabile essere che aveva deciso di rovinare la sua serata e che ora sembrava aver finalmente deciso di chiudere la boccaccia, cosa di cui non sapeva se essere contento, visto che forse avrebbe solo prolungato la sua agonia. Dopo aver passato diverse settimane ad osservare Draco chiuso nel suo ostinato mutismo per tutto il tempo, non poté fare a meno di notare la somiglianza con l’uomo davanti a lui. 

E non era solo per via dell’insopportabile senso di superiorità che Lucius aveva evidentemente trasmesso al figlio. No, c’era di più.

C’era la paura, la vergogna, il dolore.

Forse anche per quell’uomo impossibile c’era una flebile speranza.

Sempre che si fosse deciso ad affrontare quello che aveva fatto.

«Sto ancora aspettando, Malfoy.»

«Mio figlio» iniziò per poi fermarsi.

Ted rimase in silenzio, aspettando la domanda.

«So che avete iniziato» si arrestò un attimo, come cercando le parole più giuste «... a vedervi»

Vedersi era la parola giusta, visto che per le prime sedute Draco era rimasto in silenzio a fissarlo con aria strafottente, ma l’aveva messo in conto. Era stato invece piuttosto sorpreso di quando si era presentato furente alla loro seduta sventolando la gazzetta del profeta con la foto della madre. E poi era stato piuttosto difficile farlo stare zitto per almeno cinque minuti, o perlomeno fargli riprendere fiato.

«Voglio sapere cosa ti ha detto» disse infine Malfoy appoggiandosi allo schienale in attesa.

Ted prese un sorso dalla bottiglia, mentre la birra offerta al suo sgradito compagno di serata era ancora sul tavolino, intatta.

«Non sono uno dei tuoi elfi, Malfoy. Né uno dei tuoi sottoposti al Ministero, vedi di ricordartelo» chiarì, per poi aggiungere «Ma anche se me lo chiedessi gentilmente la risposta sarebbe sempre la stessa: No»

Lucius sbuffò. Un suono estremamente simile a quello del figlio ogni volta che si provava a nominare la foto incriminata.

«Oh andiamo Tonks. e dire che mi sei anche debitore» sibilò

«Io non ti devo niente, Malfoy. E comunque esiste una cosa chiamate segreto professionale»

Di nuovo quel suono «Stronzate babbane»

Oh bene era la prima volta che lo sentiva imprecare da quando lo conosceva, a differenza del suo prezioso pargolo che aveva dimostrato di avere un vocabolario piuttosto ricco in tale settore.

«Dopo tutto quello che ho fatto per te… Va bene, dimmi il tuo prezzo.»

Ted alzò gli occhi al cielo

«Ti stupirà ma la mia dignità e professionalità non sono in vendita. E per la centesima volta, tu non hai mai fatto niente per te»

Lucius alzò di nuovo un sopracciglio squadrandolo: «Ah no? Ti ricordo tutte le volte che ho beccato te e quella sciroccata di Andromeda nello spogliatoio di Quidditch e non ho detto niente. E tu non giocavi nemmeno, per Merlino! Avete rischiato di traumatizzarmi!»

Fu la volta di Ted di guardarlo con sufficienza «Tenendo conto che tu e la Carrow a momenti scopavate sulla cattedra di Lumacorno, eviterei certe affermazioni. Senza menzionare anche di tutte le altre che ti sei fatto mentre stavate insieme e senza alcun rispetto per la privacy e la decenza»

Per un attimo la maschera di indifferenza dell’uomo davanti a lui parve cadere, ma ben presto il mago riprese il suo atteggiamento strafottente ma Ted non ne rimase granché impressionato. Ancora una volta non poté fare a meno di notare un certo riflesso nelle azioni di Draco, quelle piccole crepe che sembravano aprirsi ogni volta che nominava Cassandra Nott: la mascella che si irrigidiva, le mani che si contraevano, il lieve incassarsi delle spalle.

Lucius però continuò, con tono più leggero elencando «Due: il generoso dono di nascita che ho fatto a tua figlia, nonostante non ti dovessi assolutamente niente, visto che, come hai ben chiarito tu non siamo propriamente parenti. O amici. O conoscenti. Anzi, a dire il vero più parlo con te e più me lo chiedo… come hai fatto a convincere Andromeda Black a sposarti?»

Ted diede l’ultimo sorso alla birra ormai più calda «Sarà il mio fascino. O la mio onestà. Che c’è Malfoy sei geloso? Narcissa non ti basta?»

Il ghigno si fece più pronunciato «Forse sei tu quello geloso, Ted» disse strascinando il suo nome «Cos’è vuoi sapere se la tua cara mogliettina e io abbiamo avuto dei trascorsi? Interessante. Te lo dico se mi dici cosa ti ha detto mio figlio, è uno scambio equo»

Fu il turno di Tonks sbuffare «Non disturbarti, Andromeda è stata piuttosto chiara su questo. Piuttosto che venire con te si sarebbe chiusa gli organi riproduttivi, e sto citando praticamente a memoria. E visto che nel frattempo abbiamo avuto una figlia… direi che la risposta già la so»

«Le Black sono melodrammatiche, è un peccato che tu ancora non l’abbia capito. Però è bello sapere che tu ti sia sentito in dovere di chiedere» Un lampo negli occhi grigi «Comunque tornando al mio di figlio...»

«No. E non ti azzardare ad usare il libro come terzo punto»

«Oh, non l’avrei fatto. Ma lieto di constatare che lo consideri un favore, forse non sei pessimo come pensavo. Quindi, sul serio non vuoi dirmi cosa ti ha detto Draco?»

«Di te, di tuo padre, della tua ex fidanzata? Di chi vuoi sapere Malfoy?» lo stuzzicò Ted, saggiandone la reazione.

Ancora una volta era stato solo un attimo, ma aveva notato come la bocca si era contratta a quell’accostamento. Il mago si chinò verso il suo ospite, con fare cospiratorio, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia.

«Vuoi davvero sapere come sta tuo figlio dopo quello che ha passato?» chiese a voce bassa, poco più di un mormorio.

Il biondo annuì appena chinandosi a sua volta. Finalmente quello stupido natobabbano sembrava ragionevole.

«Beh allora chiediglielo» rispose Tonks afferrando la birra ancora tra di loro e rifreddandola con un tocco della bacchetta.

Lucius si alzò di scatto, imprecando contro i Tassorosso, i nati babbani e quell’idiota di Andromeda Black che si era andata a sposare un demente del genere prima di uscire furioso, sbattendo la porta.

Fece un tale rumore che neanche sentì il rumore della smaterializzazione, eh sì che doveva essere piuttosto evidente da quanto era furente.

Ripreso il suo posto sulla poltrona Ted riaccese il televisore. Il Manchester si era fatto rimontare, maledetto Malfoy e i suoi sotterfugi idioti. Si, perché ormai la serata era rovinata, al di là del risultato della partita.

Sua moglie gli aveva mentito. Non era al San Mungo ma da qualche parte a fare qualcosa di cui non aveva voluto parlargli e di cui Malfoy sapeva qualcosa. 

Qualcosa in cui c’entrava la sorella, sicuramente.

Qualcosa da purosangue.

Qualcosa che lui non avrebbe mai potuto capire, per quanto si sforzasse.

 

***

Draco era salito sulla torre di astronomia, cercando di scorgere un segno del rituale a quella distanza. Eppure sapeva bene che qualunque cosa accadesse sarebbe stata ben tenuta celata agli occhi di chiunque non fosse stato ammesso al rituale.

Sperava solo che la Granger stesse bene. Avrebbe dovuto rifiutare di invitarla, dire a Pansy che la sua era solo una stupida ripicca, che non c’era alcuna ragione al mondo per cui una natababbana dovesse finire a partecipare a quel rituale cos’ esclusivo.

È pericoloso, visto che c’erano mille cose che potevano andare storte.

Rigirò tra le mani il biglietto che aveva trovato sul suo letto quella mattina, costringendosi a respirare a fondo.

Doveva essere uno scherzo di pessimo gusto, Non c’erano altre spiegazioni.

Sto arrivando a prenderti, piccolo mio

 

Stracciò il cartoncino in mille pezzi, con rabbia lanciandoli nel vento che sferzava le pietre e guardandoli roteare vorticosamente.

Quella grafia l’avrebbe riconosciuta anche sepolta tra migliaia di altre. L’aveva vista mille volte, in tutti quei bigliettini che lo convocavano a Villa Nott o al Secret Place.

Ma lei era morta da quasi un anno.

Doveva esserci una spiegazione logica.

Doveva esserci.

 
Ciao! Una piccola nota.. visto che dalla prossima settimana non so quanta connessione avrò sicuramente ci sarà un altro aggiornamento venerdi e un altro il 15 agosto di due capitoli. L'aggiornamento poi riprenderà regolarmente a partire dal 28 agosto, sperando di riuscire da quella data a pubblicare due capitoli a settimana. Sto cercando di dedicarmi di più all'editing e alla correzione , per questo potresti trovare delle piccole differenze nei capitoli precedenti ma non ci sono cambiamenti rilevanti. Tutti i riferimenti a libri, siti etc li metterò nell'ultimo capitolo per non appesantire.
Credo siamo tutti d'accordo nell'affermare che Lucius è un cretino, ma mi fa troppo ridere. Io adoro Lucius e Narcissa come coppia ( se non si fosse ancora capito) ma per quanto mi piacciano credo che siano due persone estremamente superficiali su tanti aspetti, in primis quello estetico. Quando rileggendo ho scoperto che nel canon Ted ha un po' di pancetta non ho potuto fare a meno di farlo diventare uno stigma per quei due vanesi ( eh no, non mi toccate Ted che è uno dei pochi sani di mente). Tutto questo per dire che è quell'antipatico di Lucius che ce l'ha con i Tassorosso... io no! Fammi sapere anche in privato se il ritmo ti sembra troppo lento, se la lunghezza dei capitoli è più fruibile rispetto a Quel che è stato , Quel che sarà, o se invece preferisci capitoli più lunghi. Essendo in fase di revisione posso ancora adattarli.
In ogni caso grazie di aver letto fino a qui! E se hai curiosità di sapere cosa sia il regalo di Lucius ..dai un'occhiata alla bacheca di Pinterest https://www.pinterest.it/Flo_flo_fy/moth-goth/ .. ti do' un indizio: il titolo inizia con CLUB
 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI - Conseguenze ***


 TW:: se ( come me ) hai paura degli insetti volanti,  ti avviso che nella parte ambientata a Serpeverde si fa riferimento alle farfalle gotiche da cui prende il titolo questa storia. Niente di grafico perché io stessa ho problemi con gli insetti, ma questa storia mi è nata così sin dall'inizio.


Le fiamme che danzavano ipnotiche nell’oscurità della foresta sembravano chiamarla, raccontandole una storia che conosceva da sempre eppure di cui non riusciva a distinguerne le parole.

Qualunque lingua fosse era dentro la sua testa, una voce fatta di immagini senza tempo che finalmente trovavano una collocazione.

Quando il serpente si levò dai tizzoni l’intera congrega trattenne il respiro, sebbene per poche di loro fosse il primo Imbolc. C’erano state altre celebrazioni, officianti venute appositamente per guidare il rito, ma era la prima volta che quella notte si rivelava in tutta la sua potenza. Potevano quasi sentire il respiro della terra, pronta a risvegliarsi, a far scivolare via l’inverno verso una nuova rinascita.

Si chiese chi fosse sul serio quella strega venuta a gennaio, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima d’ora. Nessuna famiglia, nessun amico, nessun passato. Era come l’oroboro, impossibile distinguere l’inizio della sua storia.

Per un attimo aveva visto il suo sguardo saettare verso il punto lasciato libero tra la Bulstrode e la Snide, era evidente che entrambe sapessero che quello non era solo un posto vuoto. Le aveva fatte distanziare in modo che il cerchio non fosse interrotto, ed era chiaro che lì ci fossero le due persone meno gradite in quel momento. Di cui una natabbabana.

Se le altre avessero scoperto che era stata lei a portarle in quella che poteva essere definita la sera più sacra per l’anno per le serpeverde, probabilmente avrebbero preteso la sua testa. Ed era troppo carina e finalmente troppo intelligente per finire a fare il soprammobile dentro qualche orrenda casa senza gusto, circondata da intrugli puzzolenti.

Per questo quelle due impiastre dovevano davvero sperare che fosse stata solo lei a sentire quel gemito e quel tonfo, seppur attutito dall’erba morbida e dal richiamo lungo e penetrante che era risuonato nella notte.

Rimise il cappuccio ben calato sulla testa mentre passava loro accanto. Avrebbe voluto fermarsi, assicurarsi che la strega più noiosa della sua generazione e la sua amichetta fuori di testa non avessero tirato le cuoia. Meglio per loro che stessero bene: non si affezionava facilmente alle persone e anche se non lo avrebbe mai ammesso iniziava quasi a considerare quelle due come qualcosa di più che uno spreco di spazio malvestito.

A dirla tutta, forse a bassa voce e in una stanza chiusa al mondo, le avrebbe persino definite amiche.

Ma non c’era tempo, mentre il cerchio di giovani streghe si scioglieva e si trasformava in un’ordinata fila che sciamava verso il castello fermarsi avrebbe significato tradirsi.

«Vai pure Pansy, ci penso io qui» le disse la professoressa, mentre dalla sua bacchetta un liquido perlaceo e profumato fluiva sulle braci crepitanti.

«Si, Pansy, vieni con noi. Dobbiamo festeggiare. Come una volta» la Pucey era accanto a lei, prendendola sotto braccio con fare amichevole per vincere la sua inspiegabile resistenza ad allontanarsi. Sebbene si conoscessero da anni e potessero dirsi più che conoscenti, per un attimo la ragazza ebbe un brivido quando lo sguardo le si posò sul pesante medaglione che brillava sul petto di Irma nonostante il buio. Pansy spostò lo sguardo disgustato: odiava quei cadaveri pietrificati per sempre nella resina e di certo non li avrebbe mai portati su di sé. Quando glieli avevano proposti per l’editoriale di moda sui gioielli aveva fatto in mille pezzi le immagini e poi stregatele in modo che inseguissero l’incauto messaggero.

Cercò lo sguardo di Daphne poco avanti a lei accanto alla sorella ma entrambe sembravano altrettanto a disagio. L’aria era cambiata attorno a loro, un qualcosa di disgustoso e strisciante sembrava aver preso il posto dell’aria dolce ed aromatica di poco prima. Con suo sommo suo stupore appena rientrate nella sala comune fu praticamente portata di peso nella stanza del Capocasa, ma di Hatton non c’era alcuna traccia. L’ultima volta che era stata in quelle stanze c’erano Nicholas e Arael Malfoy con lei, la sera in cui avevano capito che la maledizione su Narcissa Black era qualcosa di estremamente grave. Mise su la sua migliore faccia di pietra, ricacciando un grumo di commozione al pensiero che quelli che solo poco fa erano due diciassettenni con il mondo davanti erano ormai polvere.

Si strinse nel mantello, cercando di scacciare il freddo pungente che sembrava averle invaso le ossa.

«Che ne dite di creare un po’ di aria? Mi sa che non hai arieggiato bene e c’è un odore strano a dire poco» disse con voce lamentosa storcendo il naso. Un odore metallico, untuoso, con un sentore di animalesco.

Sangue, non c’era dubbio.

Così come lasciava pochi dubbi il colore del liquido nel vaso che la Bulstrode teneva in mano.

«Tutto ciò ha un senso o avete solo deciso di essere disgustose?» chiese Astoria Greengrass incrociando le braccia scocciata «Non vi è il bastato lo scorso anno?»

Il viso da carlino di Millicent Bulstrode si aprì in uno strano sorriso sghembo che aveva quasi un aspetto surreale «Beh, se c’è una cosa che abbiamo imparato dallo scorso anno è il potere del sangue, no? O stai ancora pensando al fatto che il tuo caro Draco Malfoy stava per tirare le cuoia? Mi dispiace, Tori, non hai speranze. Sei troppo purosangue per lui, a quanto pare»

Fin troppo intelligente per la Bulstrode, pensò Pansy. In cinque anni di scuola a malapena le aveva sentito dire qualcosa di più di qualche grugnito e frasi ripetute a pappagallo imparate da quell’idiota di sua madre. Tutta quell’eloquenza era per lo meno sospetta.

«Beh ammetterai che non è stato carino da parte di amici di famiglia, Millie, cercare di dissanguarlo come se fosse stato attaccato dal capo dei vampiri in persona» tubò la Parkinson mettendosi davanti alle Greengrass, che sembravano pronte a tirare fuori la bacchetta «E ora volete dirci perché siamo qui? Vorrei farmi le mie otto ore di sonno di bellezza se non vi dispiace»

La Pucey si accovacciò accanto a Millicent.

«Sedetevi in cerchio per favore. Sempre che siate ancora delle purosangue serpeverde. O volete forse dichiarare una volta per tutte di essere delle sporche traditrici delle vostre radici?» la voce di Irma era suadente, quasi ipnotica.

«Di chi è quel sangue?» chiese Pansy prendendo tempo. Se in quel momento avesse preso la porta e se ne fosse andata sarebbe stata ostracizzata per sempre, molto più di quanto avessero fatto dopo la morte di suo padre. E lei non poteva permetterselo. Essere isolati significava essere deboli, e c’erano troppe persone, inclusa sua madre, pronte a saltarle alla gola per approfittarne.

«Che importanza ha? Ora da brava siediti. Non te lo ripeterò una seconda volta» ghignò la Bulstrode, levandosi un anello dalle dita tozze e lasciandolo cadere nella caraffa d’argento davanti a lei.

Pansy scambiò una breve occhiata con Daphne, poi lentamente sia lei che le sorelle presero il loro posto una accanto all’altra, stringendo le mani con le vicine. La presa di Heather Thatcham, settimo anno, accanto a lei era fredda e gelida come una morsa di ghiaccio.

Quando anche le ultime due mani si furono strette davanti a loro il tappeto di morbido filato scuro messo di traverso a formare un rombo si trasformò in una superficie perfettamente liscia, tanto da riflettere le loro stesse immagini.

Sempre con quel ghigno quasi diabolico Millicent prese la brocca e iniziò a far scorrere il liquido vischioso sulla superficie argentea, lasciando che si spargesse lentamente, in tutte le direzioni con una lentezza esasperante mentre l’odore nella stanza diventava sempre più forte, unito a quello troppo dolce di fiori marcescenti.

E poi ce n’era un altro, nascosto in fondo che però colpi Pansy come un pugno, un sentore stantio di sangue secco e whiskey di bassa lega che riusciva a farle voltare lo stomaco ogni volta che lo sentiva. Lo stesso che portava Carrow quel pomeriggio in cui le avevano fatto firmare l’impegno al fidanzamento.

La Bulstrode intanto mentre con una mano continuava a reggere la brocca incrinata, con l’altra aveva iniziato a tracciare segni con le dita, l’argento dello specchio che si intravedeva appena dietro il color rubino. Spirali e segni, volute e linee dritte dal basso verso l’alto.

Il tonfo sordo e appiccicaticcio dell’anello la riportò alla realtà, costringendola a focalizzare la sua attenzione sulla pietra. Il senso di nausea aumentò esponenzialmente, quando vide che così come per la Pucey anche in questo caso la resina tratteneva un animale morto.

O almeno che avrebbe dovuto essere morto, visto che, con suo crescente terrore, la creatura iniziò a sbattere le ali, prima impercettibilmente e poi con sempre maggior foga, fino a crepare il suo prezioso involucro.

Con un rumore secco il guscio si spezzò e quella che era indubbiamente una falena iniziò a volare per la stanza, le ali e le zampe ancora sporche di sangue e lei si ritrovò nuovamente in quella stanza, prigioniera di un futuro che volevano imporle.

Come se l’anno passato non ci fosse mai stato.

Quell’insetto orribile sembrava beffarsi di lei, con quelle disgustose ali troppo carnose con disegni che anche a quella distanza sembravano dei teschi.

Mentre sentiva il terrore salirle dalla bocca dello stomaco in un fiotto acido Pansy staccò di scatto le mani e corse fuori, insensibile a qualsiasi critica o preoccupazione che non fosse mettere più distanza possibile tra lei e il suo passato, seguita a breve dalle Greengrass.

Millicent Bulstrode sorrise mentre la falena le si posava sul dorso di quella mano così forte da poter schiacciare le noci facilmente e che finora le aveva provocato solo prese in giro.

Ma le cose stavano per cambiare.

Finalmente stavano per prendersi Hogwarts.

E poi il mondo magico sarebbe stato loro.

 

***

 

Acqua. Sete. Acqua.

Acqua. Tutto quello a cui riusciva a pensare oltre il dolore martellante alla testa che non le dava tregua era un’arsura terribile che pervadeva ogni fibra del suo essere, dai pensieri sino alla gola riarsa.

A fatica si tirò su, schermandosi gli occhi contro la seppur flebile luce che filtrava dalle finestre opportunamente schermate da pesanti tende di broccato color ocra.

Quello non era il suo dormitorio.

Né tantomeno quello di serpeverde, vista la quantità di luce e soprattutto di piante che la circondavano. 

Quando riconobbe la pianta carnivora che sembrava guardarla schioccando le sue presunte mascelle vegetali capì dov’era ancora prima di sentire la voce.

«Oh guarda Gin, la tua amica si è finalmente svegliata. Come stai Hermione?» chiosò Tonks passandole un grande bicchiere con un liquido violetto così invitante che in quel momento l’avrebbe barattato anche con la pietra filosofale se necessario.

«Non hai una bella cera, sai?».

Dalla voce Ginny sembrava essere in gran forma, ma davvero non sapeva come fosse possibile. Eppure se la ricordava bene solo poche ore prima quando era diventata più pallida di ogni fantasma avesse mai visto e si era accasciata al suolo, trascinandola.

Poi a dire il vero non ricordava più nulla. Ma pareva che l’unica a portarne le conseguenze fosse lei, pensò massaggiandosi la testa dolorante.

Il tempo di vuotarlo e il bicchiere si era di nuovo magicamente riempito. Anche i suoi pensieri sembravano finalmente più lineari, e si concesse di studiarne il contenuto.

«Non preoccuparti è acqua di lavanda, limone e rosmarino. Un toccasana a sentire mia madre. Anche se lei la consiglia soprattutto per l’hangover…e per Tosca Tassorosso Hermione se non sembra che tu abbia appena preso la peggiore sbronza della tua vita» - rise l’Auror sedendosi accanto e accarezzandole i ricci delicatamente.

«Hai un po’ di rametti tra i capelli sai?» ridacchiò lanciandole un incantesimo rinfrescante.

La sua attenzione si rivolse a Ginny «Tu invece sembri appena uscita dal salone di bellezza… sei più luminosa, non so come dire»

La rossa sorrise «Geni Weasley e fratelli maggiori come i gemelli e Bill mi hanno insegnato a resistere a ben di peggio. E poi sono sempre quella che è stata posseduta da Tom Riddle, no? Un po’ di credito»

Ad Hermione si gelò il sangue nelle vene, aveva sentito spesso Ginny parlare con nonchalance di quell’avventura terribile, ma lei ancora rabbrividiva al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se non fosse arrivata Fanny a salvare Harry. E se lui e Ron non avessero salvati tutti loro. Eppure lei ci era arrivata prima…sarebbe bastato così poco perché riuscisse ad avvertirli e forse avrebbero potuto evitare di rischiare di morire anche quell’anno. Anche se, sorrise al pensiero, il merito non era solo suo ma anche di un certo testardo borioso ed irresistibile di sua conoscenza.

«Che ore sono? Come siamo finite qui? L’ultima cosa che ricordo è che tu sei svenuta e io poco dopo ho perso i sensi» chiese cercando di raccapezzarsi e iniziando a frugare nella sua borsa, come sempre magicamente stregata per far entrare il triplo delle cose che sarebbe stato normale portare con sé. Il sole seppur attutito sembrava troppo alto nel cielo perché fosse prima mattina e conoscendo Draco non vedendola a colazione aveva cominciato a dare di matto con Harry e Ron. E quei due non si sarebbero fatti troppo pregare prima di rendergli pan per focaccia. Insomma era probabile che in sala comune si fosse già consumata una tragedia a sua insaputa.

Ampolle, libri, quaderni, piume d’oca, antidoti vari, cerotti magici, cerotti babbani, api frizzole per i cali di zucchero, le lettere dei suoi, le ricerche per il prossimo articolo, centinaia di foglietti colorati ( un colore per ogni materia e uno ancora diverso per ogni attività extrascolastica), rune celtiche, rune nordiche, elastici,  un cerchietto, un cambio per ogni evenienza, e altre mille cianfrusaglie dopo in terra si era creata una catasta di roba che arrivava poco sotto il bordo del divano sul quale era sdraiata. Ma del regalo che le aveva fatto Draco nessuna traccia.

Possibile che l’avesse lasciato nel dormitorio? No, dopo che aveva scoperto che qualcuno aveva rovistato nel suo baule non lasciava nulla di prezioso a portata di mano.

«Cercavi questo per caso?» la prese in giro Ginny sventolando il quadernino di pelle bordeaux profilato in oro, un chiaro quanto inaspettato omaggio alla sua casa di appartenenza. Anche se in prima pagina il suo premuroso e dolce fidanzato aveva scritto Ti amo ma Grifondoro fa schifo.

Tonks diede un’occhiata alla grande pendola a forma di olmo che ornava una delle pareti «Certo che ne sa di parole volgari eh… Anche se devo ammettere che ha un’ottima calligrafia e una capacità di sillabazione invidiabile» rise confermando le sue peggiori paure.

Hermione borbottò il riporto con l’accio e inizio a sfogliarlo velocemente.

Avevano ragione quelle due che la guardavano ridacchiando. C’erano pagine e pagine prima di richieste di contatto e poi di offese a tutti i Grifondoro e Tassorosso che avessero mai calpestato il pavimento di pietra di Hogwarts una volta capito che lei stava bene e Ginny e sua cugina lo stavano prendendo in giro.

«Volgare ma ingegnoso. Lui ne ha uno uguale a quanto ho capito no? Cosi potete comunicare anche a distanza in tempo reale» concesse Tonks con un sorriso «E per rispondere alla tua domanda, se ancora ti interessa, qualcuno ha bussato alla mia porta ma quando ho aperto c’era solo un bigliettino fluttuante nell’aria con disegnata una freccia che puntava in basso, dove sembrava non esserci nessuno. … tanto che senza volerlo… beh credo di aver calpestato la mano di Ginny… Merlino era una vita che non sentivo un tale sfoggio di imprecazioni» 

«Geni Weasley e sei fratelli. Credimi potrei andare avanti per ore» Ginny si alzò facendo volare nuovamente la montagna di oggetti davanti ad Hermione all’interno della borsa. Si chinò appena a recuperare la carta della Forza che era scivolata fuori dal libro «Ma per te i tarocchi non sono stupidaggini?»

«Già. Ma questa era in un regalo e mi sembrava brutto buttarla» borbottò Hermione, rimettendola velocemente dentro e chiudendo la cerniera «Sto morendo di fame, andiamo a mangiare qualcosa?»

«Forse prima dovresti evitare che a Malfoy venga un infarto» 

Hermione sbuffò ponderando le opzioni. Era vero che Draco sembrava piuttosto agitato ma un’altra ora scarsa di attesa non gli avrebbe creato grossi problemi. Anche perché se ricordava bene il suo orario lui aveva lezione di divinazione quella mattina.

Mentre lei…

Dannazione, come era stato possibile? Era la prima lezione in vita sua che perdeva.

«Oh, no… avevo Babbanologia stamattina alle prime due ore… devo andare a parlare con la professoressa… Oh Merlino, perché non mi avete svegliato?» si lamentò afferrando la barretta di frutta secca e mirtilli che Tonks le aveva allungato.

Lei e Ginny si scambiarono uno sguardo strano prima che finalmente l’Auror si decidesse a parlare.

«Hermione, siediti. Faccio arrivare qualcosa da mangiare»

«Ti prego, devo andare, devo andarmi a scusare e poi nel pomeriggio ho Pozioni e solo Circe sa se darò a Piton l’occasione di riprendermi»

«Hermione…»

«Tonks, ti ringrazio ma davvero devo scappare»

«Cazzo Hermione, chiudi la bocca e siediti» scattò Ginny «Merlino sei peggio di Percy a volte. Oggi non avevi lezione di babbanologia…e tra l’altro… fattelo dire ma Malfoy ha ragione… sei una babbana per la miseria… cosa segui quella materia a fare lo sai solo tu e probabilmente mio padre...»

Hermione si gelò «In che senso non avevo lezione oggi? Non dirmi che la prof ha accettato quella stupida petizione per cui i natibabbani non dovrebbero frequentare babbanologia … sono certa che è stata quella stupida della Edgecombe a proporlo.... la vedo la faccia che fa quando io so la risposta e lei no. Tonks tu hai frequentato babbanologia vero?»

Capelli indaco. Qualcosa non andava.

«Si, ma ad onor del vero solo perché potevo prendere voti alti senza sbattermi troppo, visto che mio padre è natobabbano e a casa abbiamo sempre avuto tecnologia babbana. E ci facevano giocare a palla prigioniera, a dire il vero. È divertente… specialmente se puoi cambiare aspetto e quindi non sanno più se sei nella loro squadra oppure no» vagheggio la Tassorosso, prima di fare un gesto con la mano, come a dire che non era rilevante «Ma non è questo il punto. Il punto è che non hai lezione perché oggi è sabato»

Sabato.

Ma come…

«Mia madre è venuta a darti un’occhiata ma non sapevamo come spiegare il tuo malessere. Ha detto che può succedere a chi partecipa a Imbolc ... una questione di geni e stupidaggini del genere» rispose evasiva affrettandosi a liberare il tavolino per fare posto al vassoio di sandwiches appetitosi appena portati da un elfo domestico.

Gliene allungò uno mentre lei era ancora pietrificata. Geni… o meglio il suo sangue, ad essere precisi. 

«Ah e non preoccuparti per le lezioni... sei stata giustificata. Anche con Piton» disse per tranquillizzarla.

Hermione lo prese riluttante. Era offesa, ferita e preoccupata. Ma aveva anche una fame della miseria.

«Grazie» borbottò affondando i denti in quel pane bianco e soffice.

«MMM…. deliziosi… comunque non devi ringraziare lei» rispose Ginny afferrandone uno e divorandolo in poco tempo. Dove mettesse quello che mangiava era un mistero anche per una sportiva come lei «La giustificazione te l’ha firmata la Montemorcy. E neanche Piton ha avuto niente da dire, a quanto mi ha detto Pansy. Quei due hanno uno strano rapporto»

 

Fortuna che gli Auror erano allenati anche nel prestare cure di emergenza perché altrimenti quel pezzo di sandwich al tacchino e pomodoro le sarebbe rimasto bloccato nella trachea fino alla sua morte.


***

 

La sera del rituale era successo qualcosa. Non sapeva bene cosa e soprattutto chi l’avesse provocato ma era certa che ci fosse stata una crepa dal quale era strisciato qualcosa di putrido e maligno.

Niamh chiuse con violenza il grimorio dalla copertina viola sul quale aveva annotato con dovizia di particolari tutti i dettagli della cerimonia, inclusa la presenza di due estranee.

Era stato interessante, a dire la verità, nutrirsi dell’energia di tutte quelle giovani donne e catalizzarla su di sé prima di restituirla alla Signora del Lago attraverso il fuoco purificatore.

Lo stesso che, lo sapeva bene, in quelle stesse ore aveva bruciato anche davanti all’albero sacro. 

Tutta quella magia però aveva rischiato di sopraffarla, un’esplosione di potenza che in molti casi doveva ancora giungere a maturazione ma che presentava in nuce tutte le caratteristiche per essere grande. Ma anche lì c’era qualcosa, un’ombra oscura che si era insinuata in quel mare di energia purissima che solo a Imbolc riusciva a brillare in tutto il suo splendore. Forse le ragazze non l’avevano notato ma il Serpente Sacro aveva fatto fatica ad uscire dalle fiamme, le fauci che schioccavano rabbiose cercando di afferrare e divorare qualcosa. Quel qualcosa, ne era certa.

Quello che lei non aveva capito in tempo e che ormai probabilmente pervadeva il castello, come un fungo pericoloso che si annidava nell’oscurità.

Eppure l’unica conseguenza visibile sembrava essere stata il sonno profondo della Granger. Per un attimo aveva temuto che fosse stata anche lei vittima della maledizione ma si era chinata su di lei nella foresta si era rasserenata.

Non era stata maledetta, semplicemente il rituale aveva prosciugato tutta la sua energia, una magia troppo forte e troppo pura per qualcuno con sangue non magico nelle vene. Ma non era pericoloso e soprattutto non era un male. Era certa che dopo che il suo corpo avesse avuto modo di recuperare le energie sarebbe stata per lei una seconda nascita, capace finalmente di accettare anche quel lato oscuro che continuava continuamente a ricacciare nelle profondità della sua fin troppo razionale mente

Sarebbe stata libera.

Doveva solo accettarsi.

E poi c’erano Ginevra e Pansy, gli altri due poli di quel Triskele non previsto, il segno stesso di quella triplicità che aveva imparato a rispettare sin da bambina.

Rivolse nuovamente lo sguardo alla foresta, sentendo di nuovo quel brivido di disagio che la tormentava da giorni, un pericolo incombente che non riusciva ad indentificare.

«Non sono tutti rotti, quindi?» chiese al piccolo essere squittente che le era apparso accanto, rigirando tra le lunga dita ossute e appuntite una scheggia lucente.

«No miss. Solo sette specchi in tutto il castello. Solo sette e tutti sostituiti la notte stessa. Ecco qui l’elenco» squittì l’esserino salendo veloce sulla balaustra e iniziando a dondolarsi.

Sette specchi erano andati in frantumi la notte di Imbolc.

Sette superfici riflettenti come le acque del lago nelle giornate di primavera nel Reame.

Sette.

Il numero magico per eccellenza.

Uno a Grifondoro

Uno a Serpeverde

Uno a Corvonero

Uno a Tassorosso

Uno nei Bagni del Quarto Piano.

Uno in Infermeria.

E uno dietro una porta chiusa, di cui nessuno avrebbe dovuto sapere l’esistenza.

Perché solo quelli? 

«E i quadri sono inquieti, Miss» mormorò l’esserino a bassa voce con tono cospiratorio, come se stesse rivelando un gran segreto, da non far sentire neanche per sbaglio.

All’espressione interrogativa di Niamh continuò, abbassando ancora il tono tanto che era difficile comprendere le parole «Dicono che c’è un’ombra nascosta»

Niamh fece rotolare una runa da un dito all’altro, avanti e indietro pensierosa, le fasi lunari tatuate sulle falangi che apparivano e sparivano dietro la pietra nera lucidissima.

«Devo avvisare il preside, Miss?» chiese l’elfa sgranando grandi occhi globulosi vedendo la strega scuotere la folta capigliatura color platino.

Silente aveva i suoi piani, quello era ormai evidente.

E non coincidevano con quelli della Dama del Lago, l’unica autorità che aveva imparato a rispettare.

Forse poteva parlarne con Severus. Ma anche lì doveva fare attenzione. Aveva visto come l’unica ossessione di quell’uomo fosse quello di mantenere la promessa fatta tanti anni prima ad un amore mai corrisposto. Una sorta di voto che non sarebbe mai riuscito a mantenere.

E la sua cieca fedeltà lo aveva portato a farsi rigirare dal suo amato preside, diventando anche lui una pedina di un gioco certamente più grande.

No, ancora non poteva confidarsi, c’era troppo da fare e troppo poco tempo. 

Poteva solo attendere con gli occhi aperti




 

***

I capelli di Ginny erano una cascata corposa di fili color rubino su cui non si sarebbe mai stancato di affondare il viso. Avrebbe potuto passare li tutta la vita, a respirare il suo odore, baciare la pelle candida ricoperta di minuscole e deliziose lentiggini.

Odore del vento, dell’erba del campo da Quidditch e uno pungente e aspro, quasi polvere da sparo, se mai fosse esistita nel mondo magico. Gli ricordava una sera d’estate, quando era stato lasciato solo in casa perché i Dursley erano andati a una festa e lui era salito sul tetto e aveva guardato i fuochi d’artificio che illuminavano il cielo. 

Lo stesso della prima volta che i mattoni di Diagon Alley si erano mossi sotto il tocco dell’ombrello rosa di Hagrid.

Del motore della Ford Anglia che schioppettava nel cielo di Londra quando i gemelli e Ron erano venuti a salvarlo.

E anche quello dei quadri di Grimmauld Place che si disintegravano quando lui e Sirius avevano finalmente trovato l’incantesimo giusto.

In poche parole Ginny Weasley aveva l’odore della felicità, poteva dirlo anche senza amortentia.

Sebbene Ron avesse ammesso di aver esagerato ed essersi scusato milioni di volte, lamentando di essere stato come posseduto e che di certo lui non aveva alcuna intenzione di uccidere il suo migliore amico, Harry aveva deciso che per certe effusioni era meglio trovare un posto più appartato.

E se c’era una cosa che generazioni di adolescenti in preda agli ormoni gli avevano insegnato, inclusa Hermione Granger, era che la stanza delle Necessità poteva essere il luogo perfetto.

In effetti forse Tosca Tassorosso non aveva in mente quello quando aveva pensato ad una stanza in cui gli studenti potessero rifugiarsi in caso di bisogno, trovando tutto ciò che necessitavano. E sicuramente lui non aveva pensato a quello quando ci era capitato per caso anni prima.

Ma per Godric Grifondoro, se non era una cosa geniale.

I loro maglioni, entrambi fatti a mano dalla Signora Weasley per l’ultimo Natale, erano già in terra, un miscuglio perfetto di verde come gli occhi di Harry e rosso fuoco Weasley che cingevano uno sull’altro, in un ammasso di lana calda - in quel momento Harry si chiedeva perché non avesse scelto un letto, invece del grande divano dall’aspetto panciuto sul quale in quel momento era sdraiata Ginny solo con la maglietta e le gambe nude che finalmente poteva toccare, stringendola a sé. L’immagine speculare di lui, a torso nudo, con i capelli più indomabili che mai per la frenesia.

Harry si arrischiò a sollevare un poco il bordo della maglia color rubino, arrotolandola appena con le dita, sentendo la pelle fremere sotto il suo tocco.

Non sapeva fin dove si sarebbero spinti ma non voleva saperlo. Non voleva chiederselo: voleva solo godere di come gli occhi di Ginny lo guardavano come solo lei sapeva fare, facendogli bollire il sangue e facendolo sentire tra l’imbarazzato a morte e l’eccitato come mai era stato.

Aprì lentamente gli occhi, quando sentì la grana irregolare della pelle sotto le labbra, incuriosito.

E quello che vide lo lasciò interdetto.

«Perché non mi hai detto che ti sei fatta un tatuaggio?» chiese continuando a passare le dita attorno all’ombelico.

Ginny ridacchio sistemandosi meglio sul divano, togliendogli gli occhiali e attirandolo verso le sue labbra.

«Sei impazzito? Mia madre darebbe di matto. Ed è difficile nasconderlo a casa mia»

Harry si gelò, Ginny non stava scherzando.

Eppure sulla pelle candida e luminosa, li tra un delizioso puntino color rame e uno color cannella c’era indiscutibilmente un tatuaggio.

Un fiore nero per essere esatti.

 

 

 


 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII- Risonanze ***



L’aria era densa di un fumo acre e penetrante che l’avvolgeva come una coperta. Sentiva le erbe che sprigionavano tutto il loro profumo, in una cacofonia di aromi che aggrediva i suoi sensi e le bruciava i polmoni. Chissà quante di quelle belle ampolle di vetro colorate solitamente ordinate con maniacale perfezione contenevano veleni.

Forse alla fine tutte.

E poi l’inchiostro scaldato che esalava in volute scure, le parole che si accartocciavano nelle fiamme, disperdendosi per sempre nel vento, immortali.

Se fosse stata ancora la vecchia lei si sarebbe disperata, sentendo il rumore di migliaia di libri che diventavano velocemente cenere, i lunghi tendaggi della biblioteca leccati dalle fiamme che si trasformano in delle grandiose torce pronte a scatenare quella furia.

Sì, era stato davvero perfetto il posto scelto per scatenare l'ardimonio proprio lì, dietro il cancello del reparto proibito, dove la magia fluiva più forte.

Si diceva che la torre di Grifondoro fosse più alta di quella di Corvonero per una manciata di centimetri grazie ad un pennone dal quale svettava il vessillo rosso e oro, innalzato dopo la costruzione, quando uno dei primi studenti di notte si era arrampicato fin là sopra per sancire la prima e sempiterna vittoria della sua casa. Nessun Corvonero sano di mente avrebbe mai osato tanto e ormai il danno era fatto… la bandiera blu e argento sarebbe sempre sventolata un palmo più sotto di quella dei Grifoni.

Eppure quel pugno di centimetri era ben visibile a quella distanza, la notte tinta di viola e verde mentre le pietre i sbriciolavano per il calore. Un colore così innaturale per un incendio che non dava adito a confusione.

Quella era magia oscura.

Potente magia oscura.

E lei era ferma, in lontananza a guardarla. Senza paura. Senza dolore. Senza rimorso.

Si perché lei, Hermione Jane Granger, la strega più brillante della sua generazione, natabbabana, prefetto di Grifondoro aveva appena distrutto un sogno durato secoli chiamato Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

 

Hermione si alzò di scatto, boccheggiando come se sentisse ancora l’aria sfuggirle dai polmoni risucchiata nel vortice dell’incendio e corse alla finestra aprendola di scatto, incurante dell’aria gelida della notte che le sferzava il viso.

E soprattutto ignorando i lamenti delle sue compagne di dormitorio, che ancora tra le braccia del sonno non volevano arrendersi a quel brusco cambio di temperatura.

Cercò di contare fino a dieci, lentamente, sincronizzando il suo respiro in modo da far rallentare il battito cardiaco impazzito. 

Era stato tutto così reale... se solo chiudeva gli occhi poteva sentire il calore delle fiamme, l’odore denso e penetrate nel fumo. E soprattutto poteva sentire quella magia oscura che scavava in lei per trovare la forza, la fonte stessa che alimentava le fiamme distruttrici.

La stessa di quella sera quando avevano salvato Narcissa, solo amplificata di mille volte.

Se solo ti lasciassi andare

Si girò di scatto, cercando da dove provenisse quella voce ma nel dormitorio non c’era nessuno, a parte le sue compagne addormentate.

Eppure le era sembrato di scorgere qualcosa in fondo alla stanza.

Chiuse lentamente la finestra, scacciando quel pensiero.

No, doveva essere razionale. Non era niente, solo il riflesso del battente dorato su una delle specchiere della stanza. L’aveva sempre detto che tutti quei grandi specchi a figura intera erano solo un assurdo spreco di spazio. Sarebbe stato molto più utile farci delle librerie o delle mensole per gli oggetti personali, invece di stupidi oggetti davanti ai quali quelle idiote delle sue compagne di corso sembravano passare l’intero pomeriggio.

Per un attimo le sembrò di sentire Pansy dentro la sua testa che le dava dell’elfo domestico, tanto per essere gentile. Aveva anche provato a regalarle un set completo di pozioni e creme per i capelli e non dimenticava certo di quando si era svegliata con quella psicotica che la riempiva di creme.

Un po’ però le mancava, almeno era manifestamente e dichiaratamente pazza. Non come alcune delle sue compagne che facevano sempre la parte degli zuccherini e invece erano delle arpie.

Ok, doveva calmarsi, stava diventando fin troppo acida per i suoi gusti. Sbuffando mise la vestaglia cremisi di morbidissimo cachemire che sua madre le aveva regalo per Natale in pendant con il pigiama di seta, affermando per qualche assurdo motivo che il normale pigiama con gli orsetti del cuore non andasse più bene. Pansy, tanto per tornare in tema della sua mania di controllo, aveva aggiunto di sua sponte un intero set di culottes dello stesso tessuto, approfittando dello strano appoggio di Jane Granger per entrare di soppiatto a casa sua e farle sparire i tre quarti dei suoi vestiti.

Si, forse alla fine erano meglio Lavanda e amiche di una fissata con l’abbigliamento intimo altrui purosangue e Serpeverde.

Prese al volo la sua sacca e si buttò sul divano della sala comune, accoccolandosi accanto al fuoco, rannicchiata sotto una delle coperte lasciate a disposizione. Sebbene fosse già passata la prima settimana di febbraio e nonostante le stupidaggini della Montemorcy su Imbolc e la rinascita, fuori il clima era ancora estremamente rigido. E dentro l’incubo le attanagliava ancora il cervello con le sue lunghe dita gelide.

A proposito di Imbolc... doveva dire che più passava il tempo, più apprezzava il suo regalo, sebbene finora avesse visto per la maggior parte insulti a tutti i Grifondoro in generale e ai Weasley in particolare da parte del suo amato serpeverde borioso.

Adorabile serpeverde irascibile che non vedeva da quando si era risvegliata dopo il rituale, visto che come lei si era rimessa in piedi lui aveva contratto una non si sapeva bene che forma grave di influenza ed era stato confinato a Serpeverde sino a data da destinarsi.

O meglio, prima era andato in infermeria ma visto che stava dando di matto perché lei non rispondeva, aveva pensato bene di rubare le pozioni di Madame Pomfrey e buttarle già a casaccio. Non era successo niente di che, tranne il fatto che avesse deciso di prendere la sua scopa per raggiungerla sulla torre di Grifondoro, dove era certo fosse rinchiusa per qualche motivo. Beh per farla breve, e con grandissimo divertimento di Harry, la cosa non era andata come aveva preventivato e si era trovato spiaccicato in terra. Cosa ancora più stupida, si era fatto curare da Theo e Blaise, che però avevano trovato la cosa talmente divertente da non riuscire a fare un incantesimo decente in due, e quindi la cosa era andata di male in peggio.

Quindi al momento Draco Lucius Malfoy, dopo essere scampato ad un tentativo di decapitazione da parte di Piton e probabilmente della Pomfrey, era confinato a data di destinarsi nel dormitorio di Serpeverde con un termometro magico e due compiti: misurarsi la febbre ogni due ore e non mettere piede fuori da quel dannato dormitorio.

Ma per fortuna aveva ancora il suo diario. E aveva ancora molto da imparare sui costumi babbani.

D’altronde alla sua età i ragazzi babbani si mandavano messaggini stuzzicanti sul cellulare che iniziava a spopolare. Loro avevano di meglio.

Aveva appena aperto la copertina rigida quando vide apparire poco al di là della sala comune metà rossa di Ginny Weasley. E sembrava parecchio infuriata a dire il vero.

Con chi non era difficile scoprirlo visto che a ruota si vide una testa scarmigliata dai capelli neri e l’aria completamente stralunata mentre appariva a pezzi togliendosi il mantello dell’invisibilità.

«Oh, andiamo Gin, non fare così non ti stavo offendendo»

Per tutta risposta la ragazza, in pieno stile Molly Weasley, si girò con uno sguardo che avrebbe potuto tranquillamente incenerire anche il basilisco nella camera dei segreti.

«Se ti dico che non mi sono fatta un dannato tatuaggio, Harry, vuol dire che non mi sono fatta il dannato tatuaggio. Cosa pensi che sia una dannata demente che non si ricorda se e quando si è fatta fare un disegnino sulla pelle» ringhiò. Tre dannati di seguito: livello di guardia.

Anche a quella distanza lo straniamento sulla faccia del bambino sopravvissuto era ben visibile. Sbatté un paio di volte gli occhioni verdi, cercando evidentemente di unire le parole in una frase di senso compiuto che non gli costasse la defenestrazione da quella che era la seconda torre più alta del castello dopo quella di astronomia. O almeno lo sarebbe rimasta sino a quando i gemelli non avessero attuato il loro piano per celebrare i MAGO di innalzare magicamente il pennone come ultimo saluto di addio, dimostrando una volta e per tutte la supremazia dei Grifondoro, provocando probabilmente un infarto a Piton e una possibile condanna della McGranitt per studenticidio, se mai fosse possibile usare quella parola...

Hermione rimase come paralizzata, non sapendo se fosse il caso di palesare la sua esistenza in quella che sembrava essere la prima lite tra la sua coppia preferita e cercare di calmare gli animi, o piuttosto fingersi morta.

A dissipare ogni dubbio ci pensò Grattastinchi, che aveva approfittato dell’apertura della porta per fare, finalmente, il suo ingresso maestoso nella sala comune, ululando neanche fosse un lupo mannaro.

Ondeggiando la coda fulva e paffuta con aria supponente si lanciò sul divano in braccio alla sua padrona, iniziando a fare la pasta sulle gambe della sua adorata umana, purtroppo molto poco protette dal tessuto sottile del pigiama.

Offeso dalle rimostranze di Hermione si buttò quindi in un angolo del divano in velluto mélange di tutti i toni del rosso, raggomitolandosi in modo da darle completamente la schiena. Poi dopo un ultimo, grande sbuffo decise che era ora del pisolino.

Ed Hermione poteva dire esattamente dove era stato finora, visto che al collo aveva un collare nuovo che sembrava fatto di una pelle così morbida che non osò neanche chiedersi di cosa fosse fatta. E Merlino inondasse i sotterranei se scopriva che glielo avesse fatto fare su misura e soprattutto che ci fossero davvero incise le lettere GGM che era sicura di aver intravisto prima di alzarsi per il dolore.

I grandi occhi color cioccolato di Ginny la guardarono per un attimo, indagatori. Poi avanzò a passo di marcia, prima di buttarsi con la stessa grazia di Grattastinchi poco prima accanto a lei. Si girò sollevano il maglione sul fianco, rivelando una porzione di pelle bianchissima sulla quale spiccava inequivocabile il disegno di fiore nero.

Per un attimo ad Hermione si mozzò il respiro. 

Quel disegno lo aveva già visto, ne era sicura.

Ma non ornava il fianco di Ginevra Weasley.

Il braccio teso, la bacchetta ancora carica di energia per la potenza dell’incantesimo proibito appena lanciato, la maglia nera che ricadeva morbida lasciando scoperto quel pezzo di pelle che conosceva bene eppure le sembrava così estraneo.

Con dita tremanti tirò su la mancia destra della vestaglia, mentre i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelle linee nere sinuose ed intriganti.

E lì, sul suo avambraccio da sveglia, nella sala comune di grifondoro con il suo migliore amico e quella che poteva considerare sua sorella, lo vide.

Un fiore nero.

Esattamente come quello di Ginny.

Come quello del suo sogno

«Ma che cazzo…» Fu l’unica cosa che riuscì a dire Harry strofinandosi la cicatrice come se gli bruciasse.

E quello, ormai lo sapevano, di certo non era un buon segno.

 

***

 

«Hai intenzione di restare ancora per molto tumulato in questa stanza a piangerti addosso?» Pansy si buttò sul suo letto senza alcun tatto o rispetto al fatto che fossero le tre di notte e forse poteva stare dormendo.

Ma no, lo conosceva troppo bene, sapeva perfettamente che già di suo passava più notti sveglio che addormentato.  E inoltre quell’intera situazione lo stava facendo impazzire.

«Parla piano e se Blaise si sveglia senza fare le sue otto ore di riposo di bellezza diventerà una furia. E no, non basterà nemmeno Theo a calmarlo» borbottò facendole spazio nel letto. Pansy gli posò una mano sulla fronte, facendo una smorfia «Ma hai ancora la febbre? Non è che ti sei preso qualche malattia strana da babbani?»

Draco sbuffò «Spiritosa ma simpatica come sempre. Piuttosto vuoi smetterla di dimenarti come una dannata sirena senz’acqua?  È piantala di urlare o giuro che ti do in pasto allo Zabini risvegliato»

Il suddetto serpeverde, sentendosi nominato un po’ troppe volte, emise uno sbuffo nel sonno, segno fin troppo pericoloso che era prossimo a trasformarsi nel mostro che tutta Serpeverde aveva imparato a temere sin dal suo primo anno.

Un tocco di bacchetta e le pesanti tende di broccato verde smeraldo si chiusero attorno al letto. 

Silencio.

«Parkinson, non è che vuoi approfittare di me? No perché secondo me la Granger ti fa il culo a strisce, sappilo» chiese Malfoy con un ghigno appoggiandosi contro i cuscini e squadrandola da sotto un ciuffo di capelli che gli ricadeva scomposto sulla fronte.

C’era qualcosa che non andava in Pansy. La conosceva da anni e la loro amicizia si era cementata con e senza vestiti. Sapeva quanto le piacesse provocare, cercare sempre di essere quella superiore, che non veniva toccata da nulla, quella che conduceva il gioco.

Eppure ora sembrava solo spaventata.

«Tutto bene Pans?» chiese, questa volta con più urgenza.

Pansy rimase in silenzio, ancora a gambe incrociate alla fine del suo letto, giocherellando con il bordo della casacca del pigiama da uomo, di un color argento intenso, le lunghe gambe lasciate libere.

«Voglio uccidere Potter» disse con un filo di voce, gli occhi ancora bassi.

Draco sbuffò «Non dirlo a me. Sono cinque anni che lo desidero»

«No, sul serio. Non passa notte in cui non lo vedo morto» continuò testarda

«Anche io sono serio. Credimi alcuni dei sogni migliori della mia vita. Una volta ho sognato che moriva soffocato da un boccino d’oro. Devo ammetterlo: è stata una delusione quando ho visto i suoi stupidi capelli dritti a colazione» continuò senza batter ciglio «Ahia, ma perché mi hai dato un calcio?»

«Perché non mi stai a sentire? Cos’è a forza di frequentare amanti degli elfi domestici sei diventato stupido e sordo?»

«Ti hanno mai detto che se fossi un filo più gentile potresti ottenere di più?» chiese imbronciato guardando le sue iniziali sul quaderno color argento illuminarsi. Era segno che la Granger aveva aperto il suo. E quando iniziava a scrivere…Merlino cosa riusciva a tirare fuori.

Però ora c’era Pansy davanti a lui e decisamente non stava bene.

«Tua madre non mi sembra che abbia mai utilizzato la gentilezza quando vuole qualcosa.» divagò la mora continuando a non fissarlo, ora l'oggetto del suo particolare interesse erano le lunghe unghie a forma allungata.

«No, ma di solito non gira neanche troppo intorno alle cose. E neanche tu, a quanto ricordo. Vogliamo ricordare come hai risolto il problema di tuo padre?» tentò pungolandola con un dito «Andiamo, Pans. Mi dici cosa hai? Mi stai facendo paura»

Pansy si buttò sul suo cuscino, rannicchiandosi sotto le coperte. Le sue coperte.

«È iniziato quando siamo tornati. Ogni sera, ogni maledetta sera. Come chiudo gli occhi lo vedo… sanguinante, morto. E non è la cosa peggiore» mormorò ancora ad occhi chiusi

Draco si sdraio accanto a lei, cercando di mantenere il massimo della distanza che gli consentiva il letto. Perché per quanto rispetto avesse per la Granger, di certo non avrebbe passato la notte sul pavimento. 

«Ti ripeto, Potter morto raramente può essere considerato la cosa peggiore al mondo»

Un occhio si aprì appena, scrutandolo sospettosa «Neanche se l’ho ammazzato io?»

«Piton credo che ti farebbe direttamente Capocasa. E molti di noi sarebbero più che felici di non sentirlo nominare continuamente. Io di certo perlomeno» concesse, ignorando la voce che gli diceva che la grifondoro del suo cuore, nonché migliore amica dello Sfregiato, avrebbe dato di matto se l’avesse sentito.

Pansy rimase in silenzio per un po’ soppesando la risposta.

«Non voglio diventare un’assassina» mormorò

Draco si morse le labbra per non commentare che in fondo, a quanto ne sapeva, quel passo era già stato fatto.  Propese per il silenzio. In fondo se aveva imparato una sola cosa in vita sua era che con le donne della sua vita era meglio stare in silenzio quando erano depresse. O arrabbiate. O in generale, era quasi sempre una buona tattica, peccato che gli riuscisse raramente di metterla in pratica.

«E se ti dicessi che c’è di più?» continuò Pansy continuando a scrutarlo dagli occhi semiaperti

«Più di ammazzare Potty ogni notte invece di fare dei sani sogni erotici?»

Per tutta risposta Pansy iniziò a sbottonarsi la casacca del pigiama, indugiando una volta arrivata all’altezza del costato.

Prima che potesse chiederle che diavolo stesse facendo però i suoi occhi furono attratti dall’anomalia di quelle linee nere che si intrecciavano dando vita ad un disegno inequivocabile per lui che già lo aveva visto mille volte, ma mai sulla sua amica.

«Cosa cazzo è» sibilò sentendo una furia gelida montargli dentro. Senza attendere una risposta scese dal e se ne uscì dalla camera, alla ricerca d’aria.

Che Severus desse pure di matto, che lo mettesse in punizione, che gli impedisse di andare ad Hogsmeade fino alla fine dell’anno.

Non aveva importanza perché se avesse continuato così non ci sarebbe arrivato alla fine dell’anno, sarebbe di certo impazzito prima. D’altro canto non sarebbe stato né il primo né l’ultimo tra i Black a perdere il senno. E anche dal lato Malfoy non è che fossero proprio sanissimi.

Perché se con molta difficoltà riusciva a non pensare continuamente alle urla dei babbani torturarti in quella lontana sera di dicembre, ai loro occhi che si chiudevano per sempre, ora, dove tutti dicevano che fosse al sicuro, si sentiva nuovamente in trappola.

Prima gli era sembrato di vederla dietro di lui.

Poi aveva iniziato a sentire la sua voce che lo chiamava nel sonno.

Poi aveva trovato quel biglietto.

E ora il tatuaggio: un fiore nero formato solo da sottilissime linee intrecciate.

Un bucaneve, a quanto aveva detto lei, senza mai spiegare la ragione.

Il tatuaggio di cui Cassandra Nott, nata Carrow, andava così fiera.

 

***

 

C’erano pochi dubbi, la lezione di Difesa contro le Arti Oscure era diventata ben presto la classe preferita dalla maggior parte degli studenti, fatte salve poche, evidentissime eccezioni.

Persino Tiger e Goyle sembravano aver lasciato alle spalle l’animosità per quello che consideravano il tradimento di colui cui erano stati l’ombra per quattro anni, affascinati da quella professoressa così giovane e bella che un secondo prima ti sorrideva dolce e quello dopo ti mandava con il culo per terra. A volte riuscivano addirittura a fare fatica a ricordare che fosse una sporca mutaforma.

Persino durante quella lezione sui Succubi, sfortunatamente solamente teorica, era riuscita a spiegare in un modo che persino loro erano riusciti a capire. Di certo era amatissima tra gli studenti, quanto e forse anche un filo di più di quanto era stato Lupin. Certo il fatto che trattasse di demoni sessualmente promiscui e di sesso fino allo sfinimento poteva essere parte del suo fascino.

Per la prima volta in vita loro, invece, Harry Potter e Ron Weasley avrebbero voluto infilarsi api frizzole nelle orecchie.

Per Merlino... ma quella benedetta ragazza doveva proprio aver preso i peggiori difetti di sua madre, incluso il suo essere sempre e completamente a suo agio anche quando parlava di cose… come quelle?

E in quel momento, con Ginny infuriata e Pansy che pretendeva che lei e il grifondoro non avessero mai avuto una storia, non era assolutamente di nessun aiuto.

Ron si girò a lanciare un’occhiata furtiva all’ultimo banco, cercando uno scorcio di pelle diafana a contrasto con un caschetto nero come le ali dei corvi.

E dire che a lui quei dannati pennuti non erano mai piaciuti. Molto meglio i gufi, senza alcun dubbio.

Era distratta da qualcosa, preoccupata a quanto poteva dire anche a quella distanza... Lo capiva da come continuava a scarabocchiare sulla pergamena davanti a lei, senza prestare alcuna attenzione alle parole di Tonks, da come si mordeva il labbro inferiore per una volta senza rossetto. 

Posò gli occhi sulla linea del collo, notando quanto le sue spalle fossero contratte. Se solo quella dannata testarda gliene avesse dato l’occasione avrebbe saputo lui come farla rilassare.

E a dirla tutta gli sarebbe anche bastato andare a prendere un frullato al cioccolotto ad Hogsmeade, che nonostante le temperature rigide sapeva che quella sciocca altezzosa serpeverde adorava. E lo sapeva perché l’ultima volta che erano stati lì, qualche mese e venticinque anni prima, lo aveva convinto a provarlo, nonostante lui avesse detto più volte che fosse un’assoluta follia. Ma lei era così bella e per una volta non lo trattava come se fosse il rospo di Neville perso nel fango e lui si era lasciato convincere.

Ed aveva dovuto ammettere che era delizioso, quasi quanto toglierle i residui dalle labbra con un bacio e sentirla ridere, finalmente libera, insieme a lui.

E poi semplicemente le aveva presa la mano e avevano fatto una passeggiata, in grado di dimenticare chi fossero nella loro vita futura. 

Con fastidio notò che Nott, seduto tra la Parkinson e Zabini si era chinato a sussurrare qualcosa alla ragazza. Ed avrebbe giurato che quello che finora aveva considerato uno dei pochi elementi perlomeno passabili di Serpeverde avesse pronunciato il suo nome.

E non solo perché da bambino i suoi fratelli gli avevano fatto un corso accelerato di lettura delle labbra in modo da capire sempre cosa si stessero dicendo i genitori (e Percy in via incidentale, in modo da sapere quando aveva spifferato cose che non doveva). L’indizio principale era il fatto che tre paia di occhi lo stavano fissando, in tutte le gradazioni e sfumature di odio dall’onice di Pansy all’azzurro scuro di Theo.

Fortuna che il furetto era ancora rinchiuso in quarantena, altrimenti avrebbe di certo colto l’occasione per fare uno dei suoi stupidi commenti senza alcun senso. Soprattutto quando urlò girandosi e trovandosi di fronte non Tonks in anfibi, cargo e maglione oversize ma la professoressa McGranitt in piena tenuta classica da strega che lo guardava scuotendo la testa.

«E questo per ricordarvi che la vostra prossima lezione è quella di Trasfigurazione. E su hop hop miei piccoli studenti svagati, è ora di andare» ghignò la figura autoritaria, mentre la severa crocchia grigia si trasformava in una cascata di capelli color indaco e i tratti riacquistavano la solita morbidezza mentre gli studenti sghignazzavano.

Dopo un’iniziale difficoltà ormai l’imprevedibilità e la spontaneità di quella strana professoressa avevano conquistato anche le studentesse più restie che ormai pendevano dalle sue labbra. «Pansy, Hermione potreste fermarvi per cortesia, devo parlarvi»

Ron e Harry si scambiarono un’occhiata preoccupata. Non c’era ragione, alcuna ragione plausibile perché la richiesta di quelle due fosse richiesta congiuntamente. C’erano solo tre cose che univano quelle due streghe: l’essere prefetto, l’aver preso parte al viaggio nel passato e, secondo i rispettivi amici, avere dei gusti orridi in fatto di uomini.

E in tutte e tre le ipotesi non c’era motivo per cui Tonks richiedesse loro di saltare la lezione della McGranitt.

«Non preoccupatevi, la professoressa McGranitt non se la prenderà a male. Harry puoi consegnarle questo per cortesia?» ordinò con un sorriso che non lasciava dubbi al fatto che non avrebbe accettato un no come risposta. Da nessuna delle parti coinvolte «E chiudi la porta quando esci, grazie.»

Mugugnando dentro di sé che lui non era un dannato gufo e che era certo che qualsiasi cosa fosse successo tanto prima o poi Hermione glielo avrebbe detto, quindi non c’era alcun motivo per spedirlo a lezione, optò per un più ragionevole cenno della testa afferrando al volo il bigliettino color senape.

Poi insieme a Ron uscì mestamente per ultimo, cercando di muoversi con la maggior lentezza possibile.

«Harry, Ron se non vi muovete vi faccio volare direttamente io nell’ala Est. E credetemi potreste dover schivare troppi muri per uscirne illesi» cinguettò Tonks sedendosi sulla cattedra.

Ma perché tutte le donne importanti della loro vita dovevano avere quel caratteraccio?

Quello era un mistero che né Harry James Potter, né Ronald Billius Weasley avrebbero mai saputo risolvere.

Forse dovevano chiedere a Sirius.

O forse, conoscendolo, era meglio di no.


***

 

«Allora possiamo saltare la parte in cui fate finta che va tutto bene e mi dite cosa diavolo sta succedendo?» chiese Tonks dondolando le gambe sulla cattedra e osservandole ai lati opposti dell’aula, ciascuna ancora seduta al banco che aveva occupato durante la lezione.

«Questo è un sopruso. Non puoi utilizzare il tuo ruolo di insegnante per trattenerci qui. Granger andiamo tira fuori uno dei tuoi stupidi discorsi sul rispetto dei diritti…» commentò Pansy tirando spostando il peso sulla sedia e allungando le gambe sul banco, guardando Tonks con aria di sfida.

«Nonostante trovi che sia estremamente maleducata e assai poco gradevole direi che Pansy ha ragione» commentò Hermione condiscendente, lanciandole però uno sguardo torvo «Ma oserei anche dire che se non toglie i piedi da una proprietà della scuola si beccherà una fattura gambemolli tra meno di cinque minuti»

Tonks alzò le spalle «Fai pure, non è un mio problema. Anzi potrei anche dare cinque punti a Grifondoro se sei particolarmente brava»

«Provaci e vedrai cosa succede al tuo bel visino Granger» soffiò la serpeverde mentre Hermione protestava

«Come SE sono particolarmente brava? Sai benissimo che sono fantastica con le maledizioni» sbottò

«E modesta soprattutto» chiosò l’Auror continuando a fissarle impassibile «E prima che continuiate con questo teatrino vorrei dirvi che sebbene sia giovane ho già i miei di servizio e soprattutto dopo che siete state nel passato dovreste aver capito che in confronto a mia madre siete delle dilettanti.»

Le due rimasero in silenzio, guardinghe. Era tutta la mattina che Hermione aveva cercato di parlare con Pansy ma quella continuava a sfuggire all’ultimo, sgusciando via in una maniera che faceva di certo onore alla sua casa.

Il fatto è che non capisse davvero che problemi avesse. Se c’era qualcuno che doveva essere arrabbiato erano lei e Ginny che erano state lasciate da sole nella foresta proibita svenute, visto che di certo non era stata la serpeverde a portarle da Tonks. Eppure dalla sera di Imbolc era evidente che la mora avesse fatto di tutto per evitarle. E Blaise e Theo non sembravano disposti a fare da mediatori.

Era il caso di dire a Tonks del tatuaggio? E se si fosse rivelato solo uno scherzo di pessimo gusto delle Serpeverde? O addirittura della Montemorcy, visto che era lei che aveva guidato il rito. E doveva tirare dentro anche Ginny? 

Il flusso dei suoi pensieri tuttavia fu interrotto da un rumoroso plop umidiccio, mentre Peeves faceva la sua apparizione, stranamente non accompagnata da qualche scherzo di cattivo gusto. Si avvicinò a Tonks con fare circospetto bisbigliando qualcosa all’orecchio, ma le uniche cose di intellegibile che riuscirono a sentire furono Hogsmeade e studentessa.

Né a Pansy né ad Hermione sfuggì come gli occhi grigio scuro di Nymphadora si fossero incupiti, estremamente attenta ad ogni parola che un altrettanto fin troppo compito Peeves stava bisbigliando con fare cospiratorio.

Quando ebbe finito di parlare la ragazza rimase in silenzio ancora per un attimo, come se stesse valutando quanto le era stato appena detto. 

«La nostra chiacchierata è soltanto rimandata, ragazze.»

Appena varcata la soglia Hermione si alzò e puntò la bacchetta su Pansy mentre la porta si chiudeva dietro di lei.

«La nostra invece direi che è appena cominciata»

Pansy la guardò con un ghigno «Sempre detto che quel cappello ammuffito è ora che vada in pensione»

 

***

Nelle sue stanze Niamh guardava pensierosa le carte che aveva davanti a lei. Non erano mai state il suo metodo di divinazione preferito, o almeno non quanto sua madre, ma era tutta la mattina che sentiva che la chiamavano. Era per quello che aveva utilizzato tutte le lezioni per far esercitare i ragazzi con i tarocchi. Aveva sperato che le fantasiose interpretazioni degli studenti la distrassero. Ma ogni volta le tornava in mente la sua stesa, la stessa che aveva davanti.

La papessa, il Bagatto, il Mondo, gli Amanti, Il Carro.

Singolarmente non erano carte negative, ma insieme le trasmettevano un senso di urgenza e pericolo. Quello che era certo era che le cose stavano per cambiare velocemente e di certo non in bene. Stava per arrivare qualcuno, qualcuno così egocentrico e pieno di sé da non perseguire i propri motivi, qualunque fosse stato il prezzo. E poi c’era una minaccia più nascosta, qualcosa di strisciante che dall’ombra stava tirando i fili.

Passò le mani sulle carte, ancora una volta.

La sensazione divenne più forte e lo vide chiaramente.

La morte stava per abbattersi su Hogwarts.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII- Mai dar retta ad un grifondoro ***


 
Ti ricordo che il 15 agosto l’aggiornamento è stato doppio con il capitolo 12 e 13
 

«Ronald, è mai possibile che tu riesca sempre a fare tardi?» Hermione sbuffò sbandando sotto il peso dei libri che continuava a portare dietro, ormai arrivati ad un livello tale che neanche gli incantesimi sulla borsa potevano aiutare, avviandosi a passo svelto verso la sala nell’ala ovest dove ormai la riunione dei prefetti stava per iniziare.
«Non è colpa mia se ho fame… dillo a Tonks che ci ha mandato la sostituta e non ci ha fatto fare la solita pausa merenda, ormai mi sono abituato a fare lo spuntino quando abbiamo lei il pomeriggio» bofonchiò Ron spazzando via le briciole dello zuccotto dal mantello rischiando di far volare via la spilla da prefetto. Per fortuna che l’aveva magicamente ancorata al tessuto proprio pensando ad una tale evenienza «Per Godric Grifondoro, ma non poteva semplicemente rimandare la lezione? E poi si può sapere che fine ha fatto? Non è che ha problemi con il…si insomma lo sai»
«Non credo, sembrava stare bene l’altra sera. E voglio sperare che qualcuno ce lo avrebbe detto da casa. Dici che è il caso di preoccuparci?» la ragazza si mordicchiò il labbro pensierosa. Da quando il giorno prima era andata via di corsa insieme a Peeves non l’avevano più vista... E non era da lei farsi sostituire… da chi poi. Anche se doveva ammettere che la lezione sui loi della Montemorcy era stata interessante, fin troppo...
Le sue riflessioni su Tonks, tuttavia, da una serie emozioni contrapposte che l’assalirono appena la porta si aprì davanti a lei.
Stizza per essere ultimi, grazie a Ron, visto che lei era pronta da almeno dieci minuti e aveva anche già finito il compito per il giorno dopo.
Gioia nel notare l’elegante figura di Draco seduto ordinatamente al suo posto tra i prefetti del quinto anno, come sempre senza un capello fuori posto.
Rabbia nel notare quanto sembrasse stare bene per uno che era stato rinchiuso da due settimane e che qualche sera prima non aveva risposto quando gli aveva mandato un messaggio più che sexy. Per fortuna che poi c’era stato tutto il casino con Harry e Ginny a distrarla, ma LUI non poteva di certo saperlo. Ed era sicura, conoscendolo, che fosse sveglio e annoiato.
Furore omicida quando notò l’atteggiamento più che amichevole con cui quello che era il suo fidanzato, noto per essere lo studente più snob e insofferente verso chiunque non fosse della sua casa che avesse mai messo piede ad Hogwarts negli ultimi vent’anni, chiacchierare amichevolmente con Marietta Edgecombe.
E sorrideva persino, rivelando quelle fossette impossibili che riuscivano a farla capitolare ogni volta. Lo sapeva perfettamente anche se era di tre quarti, riconosceva il modo rilassato in cui il suo viso si muoveva le rare volte in cui lo faceva.
Sorrideva mostrando le fossette e i denti perfetti a Marietta Edgecombe. Marietta Edgecombe che a detta di Pansy profumava di lavanda e da come lo guardava in quel momento avrebbe tanto voluto essere sbattuta contro il muro davanti all’intera rappresentanza dei prefetti di ogni casa.
Marietta Edgecombe che se continuava a fare la svenevola con il suo ragazzo si sarebbe trovata trasformata in una lumaca cornuta. Una sorta migliore comunque di quella che sarebbe toccata a lui, poco ma sicuro.
«Quando te lo dico io che è un deficiente tu sei tutta un ma cosa dici, non lo conosci… è cambiato» bofonchiò Ron che stava evidentemente valutando le possibilità di lanciare una fattura orco volante su Malfoy e farla liscia in una stanza piena di professori. Dallo sguardo che si scambiò con la McGranitt era evidente che la professoressa di trasfigurazione sarebbe stata più che felice di lasciar correre.
Hermione marciò a passo di carica in direzione del serpeverde lasciando cadere con molta poca grazia la borsa ad un centimetro dal braccio pigramente piegato di Draco che sobbalzò girandosi di scatto con un’imprecazione neanche troppo trattenuta visto lo sbuffo di Piton.
Quando però la riconobbe fece quella che secondo lui era la sua irresistibile faccia da cucciolo felice, sgranando gli occhi grigi come se gli avessero appena dato il miglior regalo di Natale di sempre. Che, nella contorta mente di Draco Malfoy, era probabilmente la notizia che Harry Potter si fosse trasferito in Nuova Zelanda con tutta, o quasi, Grifondoro.
«Granger, finalmente! Iniziavo a pensare che ti fossi persa dietro qualche elfo domestico» le disse alzandosi per darle un bacio sulla guancia.
Piton sbuffò più forte, insensibile allo sguardo di pura innocenza del suo studente preferito, mentre alla Montmorency sfuggì una risatina neanche troppo contenuta. Non servivano parole, ma era evidente a tutti che era il caso che Malfoy non tirasse troppo la corda se non voleva essere chiuso nella sala Comune sino al giorno in cui avesse preso il M.A.G.O, sempre che fosse sopravvissuto abbastanza a lungo.
«E ora se ci siamo tutti vi pregherei di fare silenzio e prestare attenzione. Molta attenzione» quando Silente fino a quel momento rimasto in silenzio, parlò sull’intera stanza calò il silenzio. Con un tocco leggero del polso il preside disegnò in aria una serie di segni, un misto indecifrabile tra le rune che erano abituati a studiare e le forme distorte che la Montemorcy aveva mostrato poche ore prima e che li osservava in silenzio, squadrandoli.
«Nei vostri turni di ronda dovete fare molta attenzione se vedete segni come questi, o anche vagamente simili. Non toccateli, non provate a lanciare incantesimi, non vi avvicinate troppo. Se ne avvistate uno dovete immediatamente avvisare un professore, sono stato chiaro?» Piton si prese il suo tempo, assicurandosi che le sue parole e il loro sotteso minaccioso si sedimentasse nelle loro menti.
Hermione sentì uno strano pizzicore al braccio, lì dove il fiore nero ancora faceva bella mostra di sé nonostante gli incantesimi che avevano provato. Aveva pensato di parlarne con Tonks ma aveva paura di darle un ulteriore e inutile motivo di preoccupazione, e di certo non ne aveva bisogno, tanto più che era ancora nel primo trimestre della gravidanza. E poi l’Auror era sparita. Lei, Ginny e Pansy avevano tutte e tre quello strano segno e l’unica cosa che avevano in comune era aver partecipato al rituale di Imbolc.
Per questo se c’era una persona che doveva sapere cosa fosse successo quella era la Montemorcy, visto che aveva guidato il rituale. Eppure quella donna la faceva sentire a disagio, anche adesso sentiva il suo sguardo caustico e penetrante addosso, uno specchio che non permetteva mai di capire cosa stesse pensando.
No, di certo doveva esserci una spiegazione logica. E c’era un unico posto in cui avrebbe potuto trovarla.
Silenziosa prese la mano di Draco trascinandolo fuori appena Silente disse che potevano andare. Quella sera erano entrambi di turno ma avevano qualcosa di più importante da fare. Per fortuna che c’erano un grifondoro e una serpeverde pronti e volenterosi di prendere il loro posto.
Beh, più o meno.
Ma almeno avrebbero avuto modo di smetterla con quell’assurdo tiramolla o schiantarsi definitivamente a vicenda, ormai erano rimaste solo due opzioni. E al momento ad Hermione G ranger andavano bene entrambe.
 
***
 
A migliaia di chilometri di distanza, ignari degli oscuri presentimenti che gravavano sulla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts Lucius e Narcissa si stavano godendo una tranquilla cena in una delle sale da pranzo più piccole, quella con le pareti color ghiaccio e le tende cerulee che risaltavano il legno lucido e scuro del tavolo sopra il quale al momento un grande lampadario in vetro soffiato diffondeva magicamente una piacevole luce morbida.
«Sai amore, oggi ho incontrato Proust» il tono di Narcissa era casuale, un’informazione come un’altra durante una serata finalmente serena tra coniugi dopo un periodo di tensione «Ero al Magisters per un sopralluogo per la raccolta fondi per il San Mungo e lui era lì per una colazione di lavoro»
Ma venti anni di relazione avevano allenato anche il ben poco empatico Lucius Malfoy a sapere che raramente sua moglie lasciava cadere parole a caso, anche in una tranquilla situazione domestica.
Una parte del suo cervello gli diceva che sarebbe stato meglio confessare subito, l'altra di seguire l’esempio di suo figlio e iniziare a dire cose a caso e a divagare talmente tanto da far perdere il filo a chiunque. Anche se dubitava che con Narcissa avrebbe funzionato.
«Ah sì? Ancora con quella storia della raccolta fondi per quello stupido Ballo del Ceppo?» chiese fingendo indifferenza mentre con un tocco di bacchetta il bicchiere in cristallo sbalzato di sua moglie si riempiva di vino bianco profumato e l'altro di acqua frizzante.
«Veramente è in ricordo del ragazzo morto, grazie per non dimostrare ancora una volta interesse per quello che ti dico»
Lucius sgranò gli occhi con fare innocente «Ma amore mio, non dire stupidaggini. Io sto sempre a sentire quello che mi dici. Solo che hai tutti questi impegni, mi è difficile starti dietro... tra balli, aste, incontri, raccolte fondi, campagne varie ...e poi scusami, ma sai bene che durante la terza prova avevamo altro a cui pensare che quel povero ragazzo morto. Ma poi davvero ancora vogliamo rinvangare quella storia? Lasciamo in pace quei poveri genitori»
Gli occhi blu di Narcissa lampeggiarono un bugiardo probabilmente visibile anche a Hogwarts: «Quel povero genitore, Lucius. La moglie di Amos Diggory non è più con noi da anni»
«Morta? Pover’uomo forse dovremmo mandargli dei fiori... o forse meglio una bottiglia di whiskey, che dici?» divagò ancora versando la salsa sul filetto di salmone scottato, ignorando l’occhiataccia di Narcissa quando abbondò più del necessario. Prima del matrimonio aveva acconsentito a rimanere in forma, non a vivere di stenti.
«Scappata con il suo primo amore. Pare che si fossero rincontrati ad una partita estiva di Quidditch del figlio e hanno scoperto che non potevano più vivere distanti. Ora pare che siano da qualche parte in Francia.»
«Beh amore mio, a vedere il povero Diggory la capisco. Per la miseria, sembra mio nonno. E a proposito... a quando l’epifania di tua sorella? Giuro che se molla il natobabbano le regalo una Villa sulla costa della Loira, se ricordo bene adorava la vostra in estate»
«Beh tenendo tanto che è lì che lei e il marito hanno iniziato la loro storia direi che sarebbe di cattivo gusto» tubò la donna sorbendo un sorso di vino «Però sono certa che lei e Ted gradirebbero un biglietto per una partita di Quidditch per passare una serata diversa. Magari in un palco privato»
«Nah, a tua sorella non è mai piaciuto. E a suo marito… troppo babbano per apprezzare uno sport del genere. Non credo che fosse neanche in squadra, o sbaglio?» continuò noncurante, tenendo d’occhio il vaso pieno di rigogliose peonie che per il momento era ancora saldamente al suo posto «Cioè non è che ricordi ogni giocatore di Tassorosso però forse ci avrei fatto caso»
«Dici? Andromeda potrebbe apprezzare i procuratori. Sono dei gran begli uomini, sai. L’uomo con cui stava parlando  Proust era piuttosto affascinante» rispose Narcissa sbattendo le ciglia «Chissà se avrò modo di incontrarlo di nuovo, tu che dici?»
«Affascinante come uno snaso, direi… sempre lì a correre dietro i soldi» si trovò a commentare acido di rimando, alla sola idea che un altro uomo potesse ricevere attenzioni da Narcissa. Che gli uomini sbavassero per lei gli andava bene, era sempre stato molto fiero di essere lui il suo compagno. Ma il contrario...
Nell’esatto istante in cui però le parole gli uscirono dalle labbra si trovò a pensare che si era fatto fregare come un Tassorosso del primo anno.
«Ah sì, e dimmi sono interessati anche ai nostri di soldi? Perché sono quasi certa che abbia detto che tu l’abbia contattato perché vuoi compare una dannata squadra di Quidditch professionista» cinguettò con sguardo assassino «E prima di giugno, a quanto pare. Come mai tutta questa fretta, amore mio?»
Dannata strega. E stupido idiota quello che si era lasciato fregare dal tono dolce e dal bel viso di Narcissa. E no, non stava parlando di sé stesso.
«Mah sai potrebbe essere un buon investimento»
Narcissa alzò un sopracciglio dorato «Una squadra di Quidditch? Cos’è siamo diventati dei parvenu arricchiti di terz’ordine?»
«Ora …che parole grosse. Non è che abbia preso informazioni sui Cannoni di Chudley o come diavolo si chiama quella squadra di sfigati. E poi scusami ma da una donna che si prodiga nel sociale mi aspetterei più supporto. Lo sport è importante per le giovani generazioni. Sono quasi certo che tu sia la presidentessa di un’associazione a tal proposito»
Di nuovo quel lampo di vittoria. Dannazione, forse non era così bravo a divagare.
«Le giovani generazioni in generale o una certa persona che compie gli anni a giugno? Mi sembra di ricordare di aver partorito qualcuno in quel periodo quasi sedici anni fa»
«Mah... una coincidenza... giugno è un bel mese: hai tutto il tempo di fare la campagna acquisti e pensa che bel party di inaugurazione che potresti organizzare. I fiori, il caldo dell’estate… un’orchestra che suona in lontananza. Potremmo farlo di sera che dici? Sono certo che saresti incantevole. Come sempre» vagheggiò «Dovremmo far piantare qualche altro ciliegio. O qualche altro assurdo albero che fiorisca in quel periodo. Occupatene tu, sai bene che Erbologia non era esattamente la mia materia preferita»
«Lucius»
Poteva sentire lo sguardo di sua moglie perforargli il cranio come un coltello incandescente sul burro.
«Non starai mica pensando di regalare a nostro figlio una squadra di Quidditch con l’idea di comprarti il suo amore e il suo perdono, vero?» chiese mentre il vaso iniziava a tremare. «Di nuovo»
Beh forse se glielo avesse fatto fare anni prima le cose sarebbero andate diversamente. No, non era vero ma questa poteva essere una seconda buona occasione
«Il marito di tua sorella è d’accordo» mentì spudoratamente. D’altronde era lei che voleva che parlasse con quell’idiota panciuto.
«Ah e quindi, pur ammettendo che sia vero, cosa di cui dubito fortemente, tu parli prima con un natobabbano con cui malapena hai scambiato dieci parole mentre eravate nella stessa classe e che ti rifiuti di chiamare per nome che con tua moglie?» commentò Narcissa con fare fintamente pensieroso. Dannazione sembrava starsi divertendo un mondo «Interessante»
Il mago propese per un dignitoso silenzio coperto dalla necessità di concentrarsi su quel dannato salmone.
Narcissa posò delicatamente le posate cesellate sul bordo del piatto, fissandolo con un sorriso divertito «Non ne hai bisogno. Avete avuto dei problemi in passato ma sai che Draco ti adora. Fin troppo ad essere onesti..a volte mi chiedo se sia normale»
Il marito la guardò inorridito «Scusami?»
La strega ridacchiò «Quando aveva ripreso a scriverti praticamente tutti i giorni ero quasi preoccupata a dire il vero. Non credo che un ragazzo della sua età, con una ragazza fissa per di più, dovrebbe perdere tutto quel tempo dietro a suo padre. È un po’ strano non trovi?»
«Sono commesso dalla tua toccante descrizione» sbuffò, senza poter fare a meno però di provare un sottile brivido di piacere mentre Narcissa gli si sedeva leggera in grembo guardandolo con lo stesso sguardo irriverente color lapislazzulo che non gli aveva fatto capire nulla dalla prima volta che l’aveva vista.
Le strinse la vita sottile coperta dalla seta color pervinca del vestito, avvicinandola a sé.
«Niente squadra di Quidditch suppongo» commentò con voce roca inebriandosi del suo profumo.
«Molto arguto. Dieci punti a Serpeverde, Malfoy» rispose sfiorandogli le labbra con un bacio «Ma potresti fare molto di meglio sai?»
«Oh puoi giurarci, piccola Black» rispose con un ghigno prendendo un ultimo appunto mentale di licenziare il suo avvocato di famiglia.
O forse no, visto a quello che aveva portato quella mattina.
***

Era strano come due persone che sapessero perfettamente il sapore l’una dell’altro ora si trovassero a camminare per i corridoi di Hogwarts in un silenzio pieno di disagio.
Ed era tutta colpa della dannata sapientona natabbabbana, era lei che aveva orchestrato tutto per farsi i cavoli suoi mentre lei era costretta a quella tortura sotto forma di ronda dei prefetti del quinto anno. Per questo era giusto quello che avrebbe passato quando Draco avrebbe fatto la sua sceneggiata madre appena visto il tatuaggio che ornava la pelle della sua preziosa fidanzata.
Che poi, ad essere sinceri, non aveva ancora capito perché avesse dato di matto visto che era uscito come una furia e da quel giorno aveva evitato accuratamente l’argomento, iniziando a divagare in un modo che avrebbe fatto perdere la pazienza anche al Frate Grasso.
Accelerò il passo. Sarebbe stato meglio per quei poveri sfigati che non li avesse trovati in giro, o davvero sarebbe stata l’occasione perfetta per sfogarsi coperta dal rassicurante e brillante stemma di prefetto che brillava ben vista sul suo mantello.
A dirla tutta sperava proprio di beccare quel brutto muso di Millicent e di quella stronza della Pucey, visto il loro scherzetto la sera di Imbolc. Peccato che ogni volta che anche solo pensava di lanciare un incantesimo proibito nella sua mente il bersaglio diventava immancabilmente il bambino sopravvissuto, facendole temere che le sue fantasie inconsce si realizzassero se le avesse lasciate libere di prendere vita.
Il suono dei tacchi risuonava nel corridoio vuoto, ritmico e quasi ipnotico. Calcò il passo, sperando che cancellasse ogni tentativo di dialogo che Weasley avesse mai anche pensato di iniziare.
Perché non voleva sapere quello che stava pensando. Non voleva sapere se nella sua mente c’era una scialba e insulsa ragazza… quella bigotta di Passiflora, ad esempio.
Non voleva pensare che quella stupida faccia piena di lentiggini fosse seppellita nel collo di un’altra, le sue volgari mani da povero figlio di proletari del Devon che facevano rabbrividire qualche sempliciotta, la sua sempre inopportuna lingua che…
Cazzo, stava quasi sbatterlo al primo muro disponibile.
Doveva darsi una calmata. Non c’era nessuno che non potesse avere e di certo non sarebbe stato Weasley Ronald Billius a costringerla ad una stupida relazione monogama.
Con un Grifondoro.
Weasley.
Il migliore amico dello Sfregiato.
Per Salazar Serpeverde, peggio ci sarebbe stato solo quell’incendiario da quattro soldi di Finnegan.
«Pansy...» 
I suoi buoni propositi vacillarono al suono del suo nome, un’eco lontana di tutte le volte che glielo aveva bisbigliato all’orecchio. E a dire la verità il ricordo che le faceva più male era quando si era spogliata non dei vestiti ma della sua corazza davanti a lui, crollando di fronte ad una casa ai margini di Hogsmeade in cui venticinque anni prima era iniziata quella strada che l’aveva portata ora ad avere un marchio invisibile ma impresso a fuoco nella sua mente sul braccio e il sangue di innocenti sulle mani.
Uccidere suo padre era stato facile, catartico, un’esplosione di un dolore che covava da anni. Ma tutte quelle persone, sentire le loro grida di dolore sovrastata dalle risate crudeli dei mangiamorte, guardarli in faccia mentre capivano che quella sarebbe stata la loro ultima sera sulla terra, quello era qualcosa con cui non sarebbe mai riuscita a fare i conti.
E la cosa peggiore era che sapeva che Weasley non avrebbe mai potuto perdonarla. Troppo buono, troppo idealista, troppo coraggioso
Troppo Grifondoro in una parola.
«Pansy…» ripeté prendendola per un polso «Ti prego fermati, ti devo dire una cosa»
No, doveva farla finita adesso, prima che vedesse dentro di lei. Prima che intravedesse il mostro che rischiava di diventare.
«Se non mi lasci subito ti stacco il braccio e lo do da mangiare al cane del mezzo gigante» sibilò cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
Ron fece un sorriso, avanzando di un passo per chiudere lo spazio tra di loro «Zanna è un tenerone... mi ricorda tanto qualcuno…spaventoso fuori e un cucciolotto all’interno»
Il suo profumo si faceva sempre più forte, rendendole difficile pensare chiaramente ad un insulto, eppure si che di solito erano la sua specialità.
«Se osi paragonarmi a quel cane rognoso, razza di sfigato, giuro che ti faccio a brandelli e la tua cara mammina ti riconoscerà solo per le stupidì iniziali su quel maglione infeltrito ...» ringhio, le parole che si affastellavano l’una sull’altra. 
Non riuscì però a continuare perché il Grifondoro le chiuse le labbra irritate con un bacio, calmo, come se non stesse rischiando di essere schiantato.
E di nuovo il suo profumo lo avvolse, risenti il suo sapore in bocca, così confortante nonostante tutto. Zenzero, pungente e speziato, irriverente come solo lui sapeva essere. Un tocco di cioccolato fondente, caldo e sensuale ma con una punta di amaro. E in fondo giusto in fondo una nota sensuale, morbida e robusta.
«Mi manchi» le disse infine staccandosi per lasciarla respirare ma con le mani ancora ben strette sulla vita «e per la cronaca tra me e Lavanda non c’è niente»
Pansy sbuffò senza allontanarsi «Come se mi interessasse… se poi ti piace una insulsa, sdolcinata, decerebrata …»
Ron si lasciò sfuggire una risata decisamente poco contenuta «Per Merlino… e io che pensavo di essere io quello che ultimamente si comporta in modo strano senza sapere il perché … Aveva ragione Harry… sei gelosa di Lavanda Brown»
Per tutta risposta Pansy gli artigliò una ciocca di capelli rossi su la nuca e strinse forte costringerlo a chinare la testa all’indietro, la risata che rischiava di tramutarsi in tragedia.
«Io non sono gelosa di quella lagnosa, Weasley Ricordatelo bene» scandì lentamente continuando a tenerlo stretto mentre lo costringeva a chinarsi alla sua altezza, cercando di divincolarsi come la piovra del lago nero sotto pozioni allucinogene
«Parkinson... cazzo dai… mi fai male» mugugnò «ok ritiro tutto. sei una maledetta stronza arrogante e un cuore di pietra. Va bene così?»
«Ecco bravo, e vedi di tenerlo a mente» commentò con un ultimo strattone prima di lasciarlo andare.
Pansy lo guardò un attimo massaggiarsi la testa lanciandole un’occhiataccia. Poi prese un sospiro «Anche tu mi manchi» disse infine poco più che un mugugno tra i denti.
Evidentemente però abbastanza da renderlo udibile visto lo sguardo stralunato ma di pura felicità che Weasley le scocco.
«Cazzo» fu però l’unico commento del rosso
«Fottiti» rispose rifilandogli un calcio sugli stinchi con tale foga che il grifondoro si lasciò sfuggire un’imprecazione colorita segno del miglior Draco Malfoy, saltellando su una gamba sola.
«Il... dannato… muro» riuscì a sibilare indicando un punto dietro di loro.
Pansy si giro per seguire con lo sguardo la direzione del dito puntato di Weasley.
E lì, doveva ammetterlo, sebbene seminascosta nell’oscurità c’erano incisi gli stessi segni che Silente aveva mostrato poche ore prima.
Pansy si avvicinò, chinandosi ad osservare i fregi sul muro.
Non toccatelo.
Non avvicinatevi 
Andate subito a chiamare qualcuno 
Evidentemente Weasley doveva essere sordo oltre che povero, altrimenti non si spiegava il
Perché appena riuscito a camminare decentemente si era avvicinato e ora stava tastando ogni dannato centimetro di ogni fottuto segno.
Improvvisamente con un clang il muro si aprì sotto il suo tocco, rivelando un corridoio buio e angusto, mentre Ron le offriva la mano con una strana espressione sul viso, tra il divertito e il terrorizzato. Forse l’aveva scambiata per lo Sfregiato.
Povero. Sordo e anche cieco.
Di bene in meglio.
Lumos, 
Quasi in simultanea le punte delle loro bacchette si illuminarono, mentre con un sospiro si lasciava convincere a fare i primi passi oltre la soglia, nonostante sapesse benissimo che quella era una pessima idea. Anche alla morbida azzurrina delle bacchette, infatti, era chiaro che l’intera lunghezza delle pareti che si ripetevano ipnotiche lungo le pareti.
Il terreno sembrò avviarsi dolcemente verso una discesa, l’umidità dell’aria che aumentava sempre più man mano che si allontanavano, la finestra di luce alle loro spalle che diventava velocemente un puntino lontano.
«Ma come diavolo hanno fatto ad entrare queste bestiacce schifose… maledette devo farmi spiegare da Hermione qualche incantesimo per librarsene» si lamento Weasley scacciando nervosamente con la mano le due falene dalle ali scure che volteggiavano attorno a loro.
Pansy non disse niente, cercando di ricacciare in gola la nausea che quella vista le provocava, il terrore gelido e disgustoso della notte di Imbolc che sembrava abbracciarla nuovamente
Sapeva che non era un buon segno. Lo sapeva.
Eppure aveva lasciato che Weasley la portasse in quel corridoio.
Aveva permesso che un passo dopo l’altro la portassero lontano dalle rassicuranti e solide pietre di Hogwarts.
E soprattutto non l’aveva fermato ora che erano arrivati alla fine del tunnel e con altrettanta fermezza aveva aperto la porta dagli intricati disegni incisi, dopo aver camminato così tanto da perdere il senso del tempo.
Strizzò le palpebre, sperando che bastasse per non vedere, per non sentire quell’odore disgustoso e appiccicoso che aveva sentito già da tempo e che si era rifiutata di identificare.
Ma quando senti Ron pietrificassi accanto a lei capi che non era abbastanza.
Si costrinse ad aprire gli occhi, poco più di una fessura
E lo vide, quello che già dentro di lei sapeva da tempo.
In quella stanza dalle pareti chiare, ricolma di piante e di libri, sul tappeto color ruggine si vedeva la punta di due stupide scarpette nere di vernice, quegli orrendi mocassini da sfigati che secondo la scuola le studentesse avrebbero dovuto portare e che ovviamente lei è tutte le persone sane di mente e dotate di senso della vista rifiutavano di portare.
Dei calzettoni di lana al ginocchio ricoprivano delle gambe bianche inerti sui quali i lividi violacei si stagliavano con ancora più violenza. Una gonna grigia come il maglione lungo ai fianchi, bordati di blu e argento. Risalì più su, sino allo stemma del corvo sul taschino, e ancora più su sulla linea spezzata del collo.
Lisa Turpin, studentessa di Corvonero del quinto anno era distesa inerte come un fantoccio, un tralcio spesso di vite rossa attorno al collo.
Dei colpi ritmici li fecero sobbalzare, seguito da un lamento.
Mentre lei era ancora pietrificata Ron corse verso l’armadio dal quale sembrava provenire quella voce straziata.
Appena fatto saltare il lucchetto Hannah Abbot, ricoperta di sangue, gli cadde addosso tremante.
«Vi prego portatemi via di qui» disse con un filo di  voce
Pansy sentì un brivido salirle lungo la schiena. Per un attimo sperò che la Abbot perdesse i sensi, in modo da lasciarla lì e girare i tacchi il più velocemente possibile.
Nel caso sarebbe stata pronta anche a lasciare Weasley, se proprio doveva. Perché non c’era motivo alcuno per cui stessero lì con un cadavere e una moribonda a chiacchierare amabilmente.
Cazzo, lo sapeva.
Cinque anni a vedere il golden trio buttarsi nella fossa della chimera, un viaggio nel passato in cui era diventata una mangiamorte pur di salvargli il culo e si era fatta fregare come un' imbecille.
Mai dare retta ad un Grifondoro.
Soprattutto un Weasley.
 

Buon Ferragosto con il primo morto ufficiale !

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV- Sospetti ***


Eccoci tornati ad una connessione stabile con il consueto aggiornamento del lunedì. 
Purtroppo rimarrà un aggiornamento settimanale perchè l'hard disk dove avevo salvato gli ultimi capitoli ha deciso di rompersi, quindi li sto riscrivendo di nuovo... diciamo che sarà un'occasione per migliorarli , o almeno lo spero.
Dopo questa breve premessa aggiungo solo visti i numeri delle visualizzazioni è molto probabile che tu non abbia letto il capitolo XII ( il XIII è stato letto circa un quintuplo del precedente. Sono certa che niente che possa aver scritto io possa essere letto cinque volte quindi posso mettere la mano sul fuoco che è sfuggito visto l'aggiornamento quasi contemporaneo dei due capitoli).

 



Non aveva senso. Tutta quella storia non aveva senso. Perché se Ron non aveva capito dove fossero, lei non aveva dubbi. Si girò intorno cercando di imprimersi nella mente ogni dettaglio, ogni stonatura, ogni dannato particolare che l’aiutasse a capire cosa diavolo stesse succedendo.

Non avevano troppo tempo, prima o poi qualcuno si sarebbe accorto della loro assenza, sempre che non avessero già notato una stupida apertura in una delle pareti della scuola.

E la colpa era solo di quel demente di un grifondoro dai capelli rossi: se non si fosse incaponito a trascinarla giù per quel dannato corridoio ora lei non si sarebbe trovata in quella situazione

Eppure c’erano così tanti indizi… davvero era così stupido?

Per prima cosa quella coperta che Weasley aveva preso dal divano di velluto al centro della sala e stretto sulle spalle della Tassorosso sotto shock.Una dannata coperta patchwork che sembrava venire dritta dritta da quel buco dimenticato da Dio de la Tana. O peggio.

Si avvicinò alla libreria sfiorando con le dita i dorsi dei libri rilegati in pelle, accarezzando appena le lettere in rilievo: demoni, folletti, incubi, volumi babbani di narrativa... e poi una cornice dove cinque giovani ragazzi in divisa da grifondoro la salutavano ghignando. Li aveva conosciuti quei ragazzi, insopportabili e spacconi. Uno morto da eroe, una da traditore, uno che si nascondeva dal mondo per celare la sua vera natura e un evaso da Azkaban più o meno riabilitato. In una parola: i malandrini. E poco accanto un’altra foto, più grande di una bambinetta dai capelli rosa e il becco da papera in braccio ai suoi genitori.

No, niente aveva senso.

E poi quella stanza… la Corvonero inerte sul pavimento aveva dei grossi lividi e dei profondi tagli sulle parti di pelle visibile e l’ormai piuttosto nota espressione sofferente di chi aveva provato sulla sua pelle diverse maledizioni senza perdono. Ma se davvero erano dove pensava lei.. com’era possibile che nessuno lo avesse sentito? Chi era così malato da aver fatto una cosa del genere in una stanza con i disegni ad acquerello alle pareti e gli scaffali che traboccavano di piante aromatiche?

Nymphadora Tonks per quanto potesse avere dei difetti incomprensibili, che nella sua mente erano nell’ordine essere una mutaforma, un Auror e una Tassorosso, di certo non era una che si metteva a rapire e torturare studentesse.

O almeno se non poteva escludere in toto la propensione alla tortura, sapendo da chi provenissero metà dei suoi geni, non lo avrebbe mai fatto senza una fottuta buona ragione.

Ma da lì a dire che fosse impazzita e avesse iniziato a maledire gli studenti ci correva tutta la strada fino a King’s Cross.

All’interno di Hogwarts per di più. Perché ne era assolutamente certa, quella era la stanza privata della professoressa di difesa delle arti oscure. La pianta carnivora con il fiocco in testa non lasciava adito a dubbi,

No, decisamente non c’ era una spiegazione logica al momento.

E quindi ancora una volta toccava a lei risolvere la questione, visto che il suddetto grifondoro sembrava incline solo a stare lì a fare le coccole all’altra idiota piagnucolante. Puntò la bacchetta sulla fronte della Abbot «Ti consiglio di non mentire, Hannah. Cosa diavolo è successo qui?»

«Pansy che cazzo stai facendo?» ringhiò Ron stringendo ancora di più a sé la Tassorosso e guardandola come se fosse appena uscita di senno «E’ sotto shock. Dobbiamo portarla dalla Pomfrey»

«Levati Weasley, o giuro che maledico anche te. Non ti pare strano che due volte su due la nostra piccola e dolce Hannah sia stata vittima di un attacco? Anni e anni di vita con un maniaco psicopatico mi hanno insegnato a non credere alle coincidenze»

«Voglio andare a casa» piagnucolò la Abbot stringendosi al bordo del mantello del ragazzo e seppellendo la testa nella sua spalla 

«Te lo chiederò solo un’altra volta» sibilò la serpeverde continuando a tenerla sotto mira.

«Metti. Via. La. Bacchetta» sillabò Ron digrignando i denti e guardandola come era da tanto tempo che non faceva, un lampo di puro odio negli occhi azzurri.

«Signorina Parkinson, credimi sono tentato anch'io di usarla su Weasley ma sono quasi certo sia contrario alle politiche della scuola».

Pansy si girò di colpo, rimettendo la bacchetta all’interno del mantello il più velocemente possibile mentre Piton li superava velocemente chinandosi sulla Abbot e scostando Ron di malagrazia. Poco dietro di lui, senza alcuna fretta, fece il suo ingresso la figura elegante della Montmorency, che si fermò invece vicino al corpo della Corvonero, guardandola pensierosa.

Piton passò lentamente la bacchetta sul corpo della ragazza ancora tremante mentre una profonda ruga gli si disegnava sulla fronte. Ripeté lo stesso procedimento altre due volte, sempre più lentamente, con gli occhi che diventavano simili a due fessure.

«Signorina Abbot, fortunatamente non sembri aver riportato delle lesioni troppo gravi. Sono certo che potrai andare in infermeria con l’aiuto di Parkinson e Weasley» disse infine aiutando la studentessa ad alzarsi. Poi con uno sguardo di ghiaccio sul grifondoro aggiunse «E quando dico infermeria, intendo dire che dovete andare diretti da Madame Pomfrey, senza fermate intermedie. E poi mi spiegherete cosa diavolo stavate facendo qui voi due»

Ron stava per ribattere quando Pansy gli diede una gomitata che lo fece piegare in due. Non era il momento di mettersi a fare i polemici. Non con Piton. Non dopo che erano stati beccati ad infrangere platealmente le regole che gli erano state date poco prima. Non con una ragazza maledetta e una morta accanto a loro.

«Li accompagno io» disse improvvisamente Niamh con gli occhi ancora fissi sui tralicci di vite che si stringevano sui polsi della ragazza, girandole leggermente la mano e rendendo ben visibile un segno rosso inciso sulla pelle della Turpin: brevi segni verticali che si intersecavano tra di loro «Tanto qui c’è poco che possa fare, tra poco sarà pieno di professori»

Poi si chinò verso Hanna, fissandola quasi senza sbattere le palpebre «Ricordi chi ti ha portato qui?»

La Abbot rabbrividì ma sostenne lo sguardo «E’.... è stata la Tonks. Peeves è venuto a dirmi di raggiungere la professoressa e l’ultima cosa che ricordo è di essere entrata in questa stanza. Poi mi sono svegliata e lei era già così.  Mentre ero priva di sensi ho sentito la voce della Tonks... lei… lei ha detto… lei ha detto… lei … ha detto che dovevo prepararmi per questa sera, che sarebbe venuta a prendermi. E che era inutile che urlassi, è pieno di incantesimi silenzianti»

«Per questa sera?» chiese Niamh alzando un sopracciglio chiarissimo mentre Hannah senza parlare indicava un punto alle spalle della Professoressa dove brillavano dei segni argentei sulle pareti scure. Se alla sinistra e alla destra i disegni erano opachi, quello in centro riluceva in rilievo: un cerchio perfetto, di un intenso bianco lattiginoso. Non c’era dubbio che cosa rappresentasse

«Oh andiamo... che stronzata. Remus non farebbe mai una cosa del genere. E tantomeno Tonks… è un Auror e che cazzo!» sbottò Ron, rendendo dosi finalmente conto di cosa significasse quello che finora aveva addebitato ad uno stato confusionale «Sono certo che c’è una spiegazione»

«Silenzio» tuonò Piton senza riuscire a coprire il lamento della Abbot che aveva iniziato a dondolare sul posto urlando come se la stessero colpendo di nuovo.

Senza dire un’ulteriore parola la Montmorency prese Ron e Pansy per il braccio e iniziò a trascinarli fuori, chiudendo con un cenno del capo la porta dietro di sé.

Camminarono in silenzio fino a metà corridoio, poi, improvvisamente, le loro gambe si mossero verso un corridoio secondario e poi nella prima stanza libera.

Niamh passò davanti a loro, chiudendo la porta alle loro spalle, con un mezzo sorriso e la bacchetta ancora in mano: «Scusate, ma non mi sembrate dei tipi molto collaborativi. E io non ho troppo tempo da perdere» disse tamburellando con le dita sulla bacchetta «Quindi ora mi farete vedere esattamente i vostri ricordi»

«E se non volessimo? Davvero pensa di farla franca? Non può maledire degli studenti senza conseguenze» sputò Ron mentre Pansy alzava gli occhi al cielo. 

«Tipo quando Malocchio Moody ha trasfigurato uno studente in un furetto? O dopo che Voldemort è stato sulla testa di Raptor per chissà quanto? Oh andiamo. dirò che sembravate impazziti e io vi ho dovuto fermare per evitare che poteste farvi male. D’altronde il professor Piton vi aveva avvertito» tubò «Quindi, signor Weasley possiamo fare le cose semplici e mi dite tutto e dimenticate questo piccolo intermezzo o posso usare la forza. Certo non è detto che dopo il Confundus voi abbiate ancora la mente intatta… ma secondo alcuni non sarebbe una gran tragedia, no?»

«Oh andiamo, piantiamola con questa sceneggiata. Cosa vuole sapere?» sbottò infastidita Pansy, che ormai sapeva riconoscere una sconfitta, mentre la professoressa le rispondeva con un sorriso

«Molto bene, Pansy. Dieci punti a Serpeverde. E direi che puoi cominciare dall’inizio, vale a dire cosa diavolo vi è venuto in mente nell’aprire una porta con un sigillo maledetto» rispose Niamh liberandoli dall’incantesimo e appoggiandosi al muro «E se fossi in voi non eviterei i dettagli. E soprattutto non cercherei di scappare: non riuscireste mai a correre più veloce dei miei incantesimi. E non credo che Severus vi verrà ad aiutare»


***

 

«Granger, scusa eh…non è che io mi lamenti di non stare a fare il giro dei corridoi alla ricerca di segni strani. E ovviamente amo passare il tempo con te» iniziò Draco con voce petulante guardandola con aria annoiata «Ma per Salazar Serpeverde quando mi hai trascinato fuori dalla riunione pensavo ad una situazione ben diversa. Più intima. Io e te…qualche angolino nascosto... un po’ di idromele d’annata che Blaise riesce sempre a rimediare.... per la miseria Granger, non ci vediamo da giorni e tutto quello a cui pensi è trascinarmi in biblioteca. Sono offeso»

«Ah davvero? Sicuro che non preferiresti stare a fare il tuo giro di ronda con la Edgecombe? No perché è più di una volta che ti becco a flirtare con lei» rispose acida passandogli un volume dalla pila che aveva davanti «E poi sei più bravo con le ricerche di Ron ed Harry»

«Gelosa, Granger?» ridacchiò soddisfatto anche per il complimento che era riuscito a scucirle tirandosi su e beccandosi un’occhiataccia da Madame Prince, evidentemente ben poco contenta di qualcuno che continuava a parlare nella sua biblioteca «E per la cronaca io non stavo affatto flirtando ma piuttosto ti stavo assecondando. Hai detto che devo essere gentile e tutte quelle stronzate lì sul fatto che devo parlare alle persone. E quando lo faccio dai di matto. Mi confondi»

«E per parlare con le persone quella ti deve mettere le mani addosso?»

«Sei assurda. Non mi pare che io abbia mai fatto storie quando ti vedo attaccata a Sfregiato o Lenticchia o ad uno dei suoi fratelli fotocopia. Nemmeno io faccio i salti di gioia sai? E poi si può sapere cosa stai cercando con tanta foga?»

Hermione si fermò un attimo a guardarlo sgranando gli occhi dorati «Ma Harry e Ron sono come fratelli per me. E così i gemelli. E Charlie. E Bill. E persino Percy. Non puoi metterli a paragone con una …»

Per fortuna la definizione che aveva in mente quando vide Draco salutare qualcuno dietro di lei con uno dei suoi ghigni caratteristici che non indicavano mai nulla di buono.

«Marietta…» disse senza neanche voltarsi chiedendosi per la centesima volta se non avesse ragione Harry quando le aveva chiesto con cosa si fosse drogata per innamorarsi di Malfoy.

«Scusate, non volevo interrompervi» disse la Corvonero con un sorriso, sedendosi senza alcun invito accanto ad Hermione. Per sua fortuna aveva scelto quel lato del tavolo. E ancora più per sua fortuna stava tenendo le sue lunghe manacce lontane dai suoi preziosi libri e non solo dal suo strafottente fidanzato che mancava poco si mettesse a riderle in faccia.

«Ma no, figurati. Siamo tutti amici, vero Granger? Basta con questo elitarismo» la stuzzicò «Non stavi dicendo proprio questo? Che dobbiamo essere tutti una grande e felice famiglia come nei tuoi cosi animati nella scatola con gli omini dentro»

«Film. Si chiamano film, e se ti degnassi di venire a babbanologia lo sapresti.» chiese lei di rimando rimettendosi a sfogliare il grosso tomo sui simbolismi delle piante, ricavandone solo uno sbuffò. Si girò verso la Edgecombe indicando il libro che quella teneva stretto «Ti serviva qualcosa?Hai bisogno di aiuto per la lezione sui loi e il voodo?»

La Corvonero la guardò un attimo interdetta «Oh questo… no, lo stavo riportando.Veramente volevo chiederti di Weasley»

«Ron?» chiese dubbiosa Hermione prima di sorridere platealmente mentre Malfoy diventava ancora più pallido del solito

«Lenticchia?» fece eco il serpeverde.

Marietta iniziò a giocherellare una penna sul tavolo, rigirandola nervosamente.

«Beh si… volevo sapere… ecco se si vede con qualcuna. Ci sono delle voci che abbia una storia con la Parkinson...» continuò mentre Hermione con il miglior ghigno della sua carriera le toglieva dalle mani la penna, prima che la rovinasse.

«Ma che cazzo di problema avete?» fu l’ultimo commento di Draco, incredulo ed offeso dal fatto che la Edgecombe non ci stesse provando con lui ma con quello sfigato dai capelli rossi dell’amico di Potter. Già a malapena sopportava che Pansy si fosse presa una sbandata, ma quello poteva capirlo… erano ancora gli effetti nefasti delle maledizioni dello scorso anno. Le sarebbe passata «Comunque bella mia, ti do due consigli: primo fatti controllare la vista. E, secondo, stai lontano da Lenticchia… Pansy potrebbe non prenderla bene. È un po’ nervosetta ultimamente»

Un po’ nervosetta forse era l’eufemismo del secolo. E a dirla tutta non gli sarebbe dispiaciuto troppo vederla cadere rovinosamente per le scale. Non dopo che gli aveva preferito quel pezzente della donnola

«Ma se avete tutti un carattere così adorabile nella vostra casa» lo stuzzicò Hermione, addolcendo la vincita con una carezza sul braccio, incurante per una volta del tono sospettoso e scocciato dei tacchi di madame prince che si avvicinavano. «Scherzi a parte, non sono io la persona con cui dovresti parlare, mi dispiace. Non credo che Ron sarebbe contento se parlassi dei fatti suoi in giro.»

«Silenzio» sbottò esasperata la Prince arrivata vicino al loro tavolo «Signorina Granger, mi meraviglio di lei.»

«Ma stia zitta, che non c’è nessuno a parte noi. Chi dovremmo star disturbando, i fantasmi?» rimbeccò Draco protettivo, prima che Hermione riuscisse a zittirlo

«Cinque punti in meno a Serpeverde, Signor Malfoy. E prima che continui è il caso che ve ne andiate. Per oggi avete finito» rimbeccò la bibliotecaria stizzita prima di chiudere i libri con un colpo di bacchetta e farli volare a posto sugli scaffali.

Questa volta sarebbe stato il turno di Hermione di arrabbiarsi per un simile trattamento oltraggioso ma la Edgecombe la prese per il braccio e la costrinse ad alzarsi, spingendola verso la porta.

Hermione però non era affatto nello stato d’animo di lasciar correre. Erano giorni che era preoccupata, ancora con gli effetti di un rituale oscuro e uno stramaledetto tatuaggio che non si spiegava sul braccio, stava per tornare indietro per dirne quattro a quella dannata bibliotecaria quando Draco la bloccò e la prese di peso portandola fuori, neanche fosse un uomo delle caverne.

«Cazzo Granger, piantala di prendermi a calci. Merlino sembri tanto piccolina ma pesi quanto Potter» disse molto poco carinamente appena messa giù, le sacche dei libri che volteggiavano accanto a loro.

Evidentemente aveva voglia di morire quella sera, non c’era altra spiegazione. Probabilmente quella giornata sarebbe stata ricordata come la fine della dinastia dei Malfoy-Black, il che non poteva di certo considerarsi una gran perdita.

E inoltre se ne stava lì, con la sua aria da cucciolo bastonato, mortalmente offeso per la sua reazione «Guarda che io stavo evitando che facessi qualcosa di cui poi ti saresti pentita amaramente per il resto dei tuoi giorni. E soprattutto dei miei. Io già mi ti immagino alla cerimonia del diploma che tiri fuori questa storia»

«Tu non ci arrivi ai MAGO se provi un’altra volta a comportarti come un dannato neandertaliano.» ringhiò prendendo la sacca e rimettendola a spalla

«Non chiamarmi babbano» rispose lui scioccato «Sono certa che stai facendo rigirare nella tomba più di un mio antenato»

«Sordo oltre che scemo.Come mi dispiace, sono affranta per i tuoi antenati snob e con la puzza sotto al naso, credimi» rispose cercando di colpirlo con il tomo di pozioni avanzate, cosa che tra l’altro aveva anche un effetto catartico. Draco però rise, cercando di pararsi da quell’assalto.

«Sei buffa quando ti arrabbi così sai? È come in quella foto in cui pensavi di essere spaventosa ed eri un batuffolo» le disse con un ghigno, fermandole il braccio che continuava ad agitare contro di lui. Quando però lei trasalì lasciò immediatamente la mano, sconcertato.

«Ti ho fatto male?» chiese con la voce che non riusciva a trattenere l’orrore, mentre iniziava a blaterare parole su parole «Merlino, scusami scusami. Cazzo Granger non penserai sul serio che volessi farti male, vero? Dai fammi vedere»

«No, non sei stato tu... è che mi fa male da qualche giorno» rispose prendendogli il viso e cercando di tranquillizzarlo, visto che sembrava prossimo all’iperventilazione. Sospirando e tenendolo d’occhio tirò su la manica della felpa, rivelando il fiore nero sull’avambraccio, giusto il tempo di farglielo vedere.

Lo sguardo di Draco sembrò cambiare d’improvviso, quali si fosse messo una maschera invisibile che si adattava perfettamente alle sue fattezze ma cambiandole completamente: gli occhi si erano fatti di acciaio fuso, perdendo ogni morbidezza e sfumatura di azzurro, le labbra erano strette così come la mascella serrata.

«Vi credete divertenti?» sibilò allontanandosi di un passo. Hermione lo guardò stralunata, non riuscendo a capire quel cambiamento tanto repentino ed esagerato al punto che sembrava tornato ad essere il Draco Malfoy di poco più di un anno prima, quando sembrava che la sola idea di condividere la sua stessa aria sembrava disgustarlo «Almeno Pansy si è degnata di infilarmisi nel letto e farmelo vedere. Tu cosa diavolo stavi aspettando? Di un po’... è per questo che non volevi venire a letto con me eh? Pensavi di nascondermelo?»

«Draco... ma cosa ti succede? Te ne avrei parlato ma prima volevo capire cosa diavolo fosse. E poi cosa cavolo vuol dire che Pansy ti si è infilata nel letto, scusa?» chiese sbuffando e chiudendo lo spazio tra di loro, mentre lui istintivamente si tirava di nuovo indietro, fino ad incontrare il muro.

«Come. Diavolo. Te. Lo. Sei. Fatto» sputò ogni parola come se fosse pervaso da una furia gelida, mentre le mani si chiudevano a pugno.

«Punto primo non urlare, non sono uno dei tuoi elfi domestici, con i quali, comunque non dovresti urlare» rispose lei altrettanto furente, incapace di credere a quella scena di rabbia senza motivo «Punto secondo, come ti ho detto NON LO SO, è per questo che ti avevo chiesto di venire a fare delle ricerche con me»

«No, tu mi hai solo trascinato in biblioteca e non ti sei degnata di dirmi un cazzo. Scommetto che Potter lo sa, vero?»

«Se vuoi proprio saperlo, si. Ma solo perché lo ha anche Ginny. Anzi se ne sono accorti per primi. E ora, di grazia vuoi piantarla di fare queste sceneggiate e degnarti di dirmi cosa cazzo ti prende?» rispose ponendoglisi davanti per evitare che come al suo solito fuggisse via appena la situazione diventava per lui ingestibile.

Il ragazzo aprì la bocca un paio di volte, senza che però ne uscì alcun suono, mentre Hermione osservava con orrore lo sguardo divenire sempre più plumbeo e ottuso, segno inequivocabile che stava ricadendo nella vecchia abitudine di occludere.

«Draco Malfoy, non ti azzardare a lasciarmi sola, capito?» gli disse prendendogli nuovamente il viso e costringendolo a guardarla «E poi parleremo del perché il mio gatto ha un collare che costa probabilmente quanto una borsa di Hermès. e non ti azzardare a rispondere che non sai chi cazzo sia Hermès»

Inaspettatamente il riferimento a Grattastinchi riuscì a rompere la barriera che si stava formando tra di loro ed Hermione lasciò la presa sorridendo quando sentì finalmente quella risata dolce che riservava a quando erano soli «Beh in effetti no, non ho idea di chi sia,ma immagino sia qualcuno dai gusti raffinati. E come vedi il nostro gatto ha buon gusto, deve aver preso da me»

«Credevo avessimo già chiarito che è il mio gatto, non il nostro» lo prese in giro stringendosi a lui, la mano sul petto che finalmente sentiva il cuore smettere di battere all’impazzata

«Non credo proprio, Granger. Puoi fare di meglio» le disse continuando ad abbracciarla. E al diavolo se in quel momento fosse passato Piton, tutto ciò che desiderava era sentirla calda e rassicurante contro di sé, l’unica in grado di allontanarlo dagli incubi della sua mente «E scusami davvero, non volevo parlarti in quel modo»

Hermione sospirò sollevandosi sulle punte dei piedi per baciarlo «Non importa. Mi dispiace,non volevo tenermelo nascosto, volevo solo trovare prima una spiegazione logica. So che tendi a preoccuparti in maniera eccessiva per me»

«Beh, visti i tuoi trascorsi con lo Sfregiato e Lenticchia… quante volte avete rischiato di morire dall’inizio di Hogwarts?» borbottò posando la fronte sulla sua e spostandole un ricciolo dal viso. Quando si arrabbiava i suoi ricci diventavano ancora più ingestibili e lui ogni volta si trovava a chiedersi come facesse ad essere allo stesso tempo la cosa più bella e più terrificante che avesse mai visto.

«Vuoi dirmi perché questo tatuaggio ti ha sconvolto così tanto? Parla con me» chiese invece la grifondoro come urgenza, con la paura che quello spiraglio si chiudesse di nuovo 

Draco sospirò, chiudendo gli occhi ed appoggiandosi al muro, le mani ancora intrecciate alle sue. Rimase in silenzio per quello che ad Hermione sembrò un tempo infinito. Poi finalmente, con voce quasi atona ammise «Cassandra era ossessionata dai bucaneve neri, tutte le sue stanze erano pieni di questi fiori. Eli disegnava ossessivamente... E di certo il fatto che tu, Pansy e la Weasley ora lo abbiate non mi sembra una cosa di cui essere felici. Non dopo tutto il resto...» dissolse la fine della frase in un gesto stizzito, lasciando che si perdesse nel corridoio.

Hermione rimase in silenzio mordendosi le labbra. No, decisamente non era un indizio rassicurante. Però … perché Ginny? 

«L’hai mai sentita parlare di Imbolc? Sono certa che sia legato qualcosa successa quella sera. E la ricerca in biblioteca... il bucaneve è simbolo di rinascita, di purezza. Decisamente non è un caso»

«Cazzo. Cazzo. Cazzo.» iniziò a sbraitare allontanandosi da lei «Non dovevo coinvolgerti. Anzi non dovevo venirti dietro quella sera... dovevo fare quello che avevo preventivato e sarebbe stato meglio per tutti. Niente, NIENTE di questo sarebbe successo se per una volta avessi fatto la cosa giusta»

«Draco Malfoy, la prima volta che hai fatto la cosa giusta in vita tua è stato quando mi sei venuto dietro la sera del Ballo del Ceppo, quindi non voglio sentire stupidaggini. Beh, forse la seconda se consideriamo vera la storia della pagina sul basilisco» rispose la grifondoro tirando fuori per precauzione la bacchetta. Draco sembrava troppo vicino ad una vera e propria crisi e pronto a scomparire come al solito. E se fisicamente c’era poco che potesse fare per bloccarlo, Merlino fosse dannato se glielo avrebbe permesso, a costo di pietrificarlo «Sembri Harry quando inizia a dire che non dovremmo aiutarlo perché è lui che attira la sfortuna»

Non riuscì ad udire la risposta di Draco, probabilmente condita da una serie di insulti sul suo migliore amico nonché speranza dei maghi perché la Prince uscì di corsa dalla biblioteca, quasi travolgendoli.

«Immediatamente nei vostri dormitori» ordinò, in preda ad un’agitazione che mai aveva visto nell’algida e compassata bibliotecaria «Anche lei signorina, Edgecombe, non pensi che non l’abbia vista»

Mentre Madame Prince li prendeva entrambi per il braccio, suscitando la veemente reazione di Draco, Hermione guardò sospettosa Marietta Edgecombe che le passava accanto come se nulla fosse. Da quanto era lì, nascosta nell’ombra? 

E soprattutto perché aveva fatto finta di andarsene quando erano stati cacciati dalla biblioteca?



 

***

 

C’era qualcosa che non andava, poteva dirlo con certezza anche se non sapeva esattamente cosa fosse. Era più una sensazione, qualcosa che lo colpiva alla bocca dello stomaco, stringendolo con forza. Voldemort era lì, da qualche parte, ferito ma non vinto, poteva sentirlo nella cicatrice che spesso riprendeva a bruciargli. E ancora di più quando si insinuava nei suoi incubi, mostrandogli dei lampi del suo passato.

Occhi colmi di paura improvvisamente vitrei.

Le grida di dolore.

L’eccitazione attorno a lui, quel senso di potere senza confini che sembrava inebriarlo.

Il frusciare del corpo pesante ma aggraziato di Nagini che si muoveva attorno a lui, facendo schioccare la lingua disgustosa nell’aria.

E il salone di Villa Black, pieno di musica e di luce, il collo bianco ed elegante di Bellatrix mentre chiudeva la collana con l’Horcrux, soddisfatto. Certo che nessuno avrebbe mai potuto risalire alla pietra.

Immortalità.

Potere.

E poi era di nuovo fuori, la notte umida e fredda, silenziosa, solo il terrore a riempire la strada. Camminava sicuro, le luci che si spegnevano mentre avanzava ghignando, fino ad arrivare all’incrocio.

Sono lì, mio signore

La voce oscena di Peter Minus accanto a lui, il disgusto che provocava persino in Lord Voldemort un uomo che per paura tradiva la famiglia che si era scelto.

Godric Hollow e la casa dove avevano trovato la morte i suoi genitori che finalmente si rendeva visibile.

Dieci passi. Tutto quello che lo separava dalla vera immortalità. Dieci passi e due morti in più prima di far scomparire l’unico ostacolo alla sua eterna grandezza.

Dieci passi e Lord Voldemort sarebbe stato leggenda.

 

Avada Kedavra.

Quelle parole continuavano a risuonare, il lampo verde era l’ultima cosa che vedeva prima di svegliarsi madido di sudore, gli occhi di un giovane Tom Riddle, lo stesso che aveva incontrato nella camera dei segreti.

 

Entrò nel dormitorio, approfittando del fatto che fossero tutti nella sala comune, ancora troppo presto per andare a dormire. Avrebbe voluto aspettare Ron per farlo, ma non sapeva quando sarebbe tornato dal giro di ronda con Pansy. Con quei due non si sapeva mai cosa aspettarsi: avrebbero potuto decidere di smetterla finalmente di farsi la guerra e, sebbene lui fosse estremamente contrario e disgustato alla sola idea, accettare di mettersi insieme per la sanità mentale di tutti. O, in alternativa, avrebbero potuto decidere di sfidarsi a duello e provocarsi seri danni a vicenda.

Senza contare che Ron era spesso distratto e per sua stessa ammissione a volte non sapeva perché reagisse in quel modo. Anche in merito all’incidente dell’appuntamento con Ginny in cui si era presentato invasato come se fosse stato colpito da cento caccabombe, si era scusato in mille modi. E, cosa ancora più preoccupante, aveva ammesso di non aver avuto idea del perché si fosse comportato così, anzi, diceva addirittura di non ricordare pressoché nulla sino al momento in cui si era trovato nel campo, vestito di tutto punto, con Pansy che lo rincorreva brandendo la bacchetta.

Si sedette in terra, il pezzo di vetro che gli aveva dato Sirius per comunicare tra le mani, rigirandolo nervosamente, incerto se contattare il suo padrino. Era sicuro che lui li avrebbe capiti, non avrebbe detto niente a nessuno, evitando di far preoccupare inutilmente Molly e gli altri. Ma c’era una cosa che non voleva che sapesse. Lui aveva capito come rintracciare Voldemort, attraverso i suoi sogni. Se glielo avesse detto però Sirius Black si sarebbe precipitato lì.

Ma Harry Potter per una volta non voleva fare la cosa giusta.

Dopo aver visto i suoi genitori, Frank, Alice, Cornac e tutti gli altri che avevano perso la vita per mano suo, dopo averli sentiti morire mille volte nei suoi incubi, lui, Harry Potter, il bambino della profezia, la speranza dei maghi, il bambino sopravvissuto voleva solo una cosa: Vendetta.

Era ancora immerso nei suoi pensieri quando sentì un urlo provenire dal dormitorio femminile.

Uscì di corsa, infilando velocemente lo specchio sotto il letto, in modo da nasconderlo parzialmente, travolgendo Fred e George poco fuori dal dormitorio, i primi a scattare appena sentito l’urlo.

«Si può sapere cosa diavolo succede?» chiese ad Angelina mentre la ragazza usciva dal lato femminile, sorreggendo una pallidissima Patil, talmente sconvolta da sembrare incapace di camminare con le sue gambe.

Dietro di lei apparve Ginny, scura in volto.

«Dov’è Hermione?» chiese senza rispondere alla domanda di Harry.

«Ginny, che succede?» chiese nuovamente prendendole il braccio, subito affiancato dai gemelli,

«Qualcuno è entrato nel loro dormitorio, Harry. E ha pensato bene di disegnare una grossa runa sulla parete del letto di Hermione.

«Ok, è c’è bisogno di fare tutto questo casino? Per la miseria, abbiamo scritto ben di peggio su quello di Percy» sbottò George passandosi una mano tra i capelli seccato. Tutto quel trambusto per uno stupido scherzo.

«Non è un gioco, fratello. Non credo che qualcuno copra di sangue un’intera porta solo per inciderci una runa»

La nausea lo colpì ancora prima che Ginny parlasse. Non c’era neanche bisogno che lo dicesse. Tutto intorno a lui girava sempre intorno a quella parola.

Morte.


 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV- Auror o Traditrice ***


Era ormai notte inoltrata quando Ronald Weasley riuscì finalmente a rientrare nella sala comune, scortato personalmente dalla McGranitt e da Nick -Quasi-Senza-Testa.

Dopo aver ripetuto decide di volte la sua versione della storia gli sembrava che ogni singola parola che uscisse dalla sua bocca fosse una serie vuota di consonanti e vocali cui non corrispondeva un reale significato. Prima c’era stata quella dannata psicolabile della professoressa di Divinazione, e Merlino solo sapeva cosa gli avrebbe fatto passare Hermione quando avrebbe scoperto che quella sensazione che aveva su di lei si era dimostrata più che fondata. Poi Silente, che prima li aveva ascoltati senza proferire parola e poi li aveva fatti ricominciare, e ancora, e ancora.

Poi la McGranitt, Piton, Madame Pomfrey che voleva sapere se avessero sentito qualche odore strano o visto qualche sostanza particolare per scongiurare che Hannah fosse stata avvelenata o peggio. E Flitwick, la Sproute, persino Hagrid e Thor erano venuti di gran carriera, rischiando di travolgere elfi, professori e statue.

E quella era stata la parte facile. 

Lo era stato meno quando erano arrivati gli Auror. In un primo momento era stato quasi sollevato, certo che Kingsley e gli altri si sarebbero fatti una gran risata nel sentire che l’assassina fosse Tonks. Beh forse una risata no, visto che era morta una ragazza... ma insomma avrebbero spazzato via quell’insulso cumulo di stupidaggini.

Ma a quanto pareva la faccenda non era stata affidata alla sua squadra, essendo la stessa di Tonks, con l’assurda scusa che avrebbero potuto inquinare le indagini.

Il che non solo era assurdo ma addirittura oltraggioso.

Per fortuna che almeno avevano permesso Kinglsey e a Malocchio Moody, ovviamente quello vero, di assistere sia a quello che era stato un vero e proprio interrogatorio nei suoi confronti che a quello della Abbot appena si fosse ripresa.

E a peggiorare il tutto ci si era messa Pansy, decisa a dare il peggio di sé, visto che ad ogni domanda, ad eccezione di quelle risposte estorte in quell’aula lontana da tutti, aveva risposto con non so, sono confusa, non ricordo, se lo dice lei.

In tutto aveva contato settantasette risposte evasiva.

E nonostante fosse tentato di rispondere allo stesso modo era convinto che così facendo avrebbero solo confermato i sospetti su Tonks, cosa che quella dannata testarda sembrava non riuscire a comprendere. Neanche quando Silente glielo aveva espressamente detto. Niente, inutile… forse a parlare con la statua di Serpeverde avrebbe avuto più successo.

Probabilmente avrebbe avuto più successo a far ragionare il basilisco che un dannato esponente di Serpeverde, garantito.

Avrebbe voluto chiarire ancora il punto, o perlomeno riuscire a chiederle se stesse bene, ma appena quell’assurdo omino che diceva essere un rappresentante del Ministro se n’era andato Piton aveva preso quasi di peso la sua studentessa e l’aveva portata giù nei sotterranei. Sparita, andata, bum.

Non che la McGranitt fosse stata più tenera. Per tutto il tragitto verso la torre di Grifondoro aveva continuato a borbottare qualcosa circa il fatto di trasformarlo in un cornetto acustico, almeno era certa che per una volta sarebbe stata ascoltata. Ron stava per controbattere che in quel caso non ci sarebbe stato nessuno dall’altro lato del cornetto e quindi rischiava di essere un oggetto inutile, ma il passo di marcia della sua capocasa e il fatto che non fosse così certo fossero delle minacce a vuoto lo dirottarono verso un più accomodante silenzio.

«E Signor Weasley, anche se sono certa che i suoi amici ti staranno aspettando dietro quella porta ti prego di non dare di matto anche tu. Già abbiamo avuto abbastanza drammi oggi, senza contare quel dannato sangue sulla porta che non sembra andarsene via in alcun modo. E trovarmi a sperare che sia solo uno scherzo di pessimo gusto la dice lunga su quanto sia stata pesante questa serata. Quindi dentro e zitto» disse prima di spingerlo di malagrazia attraverso la porta della sala comune, prima di sigillarla prima che lui riuscisse ad emettere un suono.

Quando si girò, tuttavia, non ebbe dubbi sulle parole della professoressa. Nonostante fossero quasi le quattro del mattino nessuno sembrava aver intenzione di dormire a Grifondoro.

E tutti sembravano ansiosi di sentire la sua storia.

Di nuovo.

 

***

«Ok, adesso ricomincia da capo. Ed evita di dire stronzate» Draco continuava a camminare avanti e indietro nella stanza, incapace di stare fermo.

Pansy alzò gli occhi al cielo, esausta, per poi concentrarsi sulle gambe appoggiate alla testiera del letto del serpeverde.

«Turpin morta. Tonks andata. Abbot dice che è stata lei. Cosa non ti è chiaro?» chiese esasperata «E col cavolo che io vado nel mio dormitorio stasera, Malfoy. Quindi se vuoi dormire vedi di trovarti un altro posto, il tuo bel letto me lo prendo io come risarcimento per lo stress che mi ha causato questa serata»

«Hanno ammazzato una studentessa dentro Hogwarts e tu pensi sul serio a dormire?» chiese buttandosi infine in terra a gambe incrociate accanto a Theodore. «E comunque non è possibile. Mia cugina sarà anche una bastarda mutaforma mezzosangue e pure Auror ma non è un’assassina.»

No, non ci pensava in realtà. Solo che non voleva restare sola. E nel suo di dormitorio dalla notte di Imbolc tirava un’aria più che pesante. Ma era meglio mettere le cose in chiaro

«Sei sempre così carino nelle descrizioni» non poté fare a meno di commentare Blaise, che era rimasto stranamente in silenzio durante tutto il racconto di Pansy «E sono certo che tua cugina apprezzerà lo sforzo, sempre che riesca ad uscirne viva»

Nero, grigio, blu. Tre paia d’occhi si girarono a fissarlo orripilati

«Oh andiamo... è una dei più giovani Auror dai tempi della prima guerra magica. O è impazzita sul serio oppure qualcuno sta cercando di incastrarla. Ed in questo caso se davvero hanno spiccato un mandato di cattura come hai sentito significa che è finita in un gioco molto, molto, pericoloso. E deve averlo capito anche lei, altrimenti perché sparire?»

«E se l’avessero rapita? Forse chi ha aggredito la Abbot ha aggredito anche lei» tentò Draco pensieroso.

No di certo non poteva credere che quella sciocca Tassorosso avesse sul serio ammazzato qualcuno. Una studentessa per di più. E all’interno di Hogwarts.

«Forse sono i geni dei Black, avete l’omicidio facile in famiglia» offrì Blaise, meritandosi uno schiaffo da Theo «Ehi, è solo un’ipotesi!»

«Può darsi» concesse Draco «Ma di solito danno dei segni di squilibrio. Voglio dire, non è che sia del tutto normale, ma dal passare da organizzare lezioni folli in mezzo alla foresta a torturare una Corvonero ce ne passa. Senza dimenticare che a quanto dice lei, la Abbot si è salvata per un soffio» 

«Ma lei non sembrava essere stata torturata, vero Pansy?» chiese Nott riportando l’attenzione sulla ragazza, ricevendone solo un cenno di diniego con la testa «E non è strano? Voglio dire devi essere davvero davvero idiota per uccidere qualcuno e lasciare in vita il testimone. Sarebbe bastato un’Avada Kedavra e avrebbe risolto, nessuno sarebbe mai risalito a lei»

«Quale parte di impazzire non ti è chiara? Siamo tutti d’accordo che non è un comportamento razionale ma non vedo il motivo per cui la nostra piccola, dolce e paffuta come uno zuccotto ripieno di cioccolato Tassorosso dovrebbe lanciare un’accusa simile» sbottò Blaise. Dannazione perché nessuno sembrava accettarlo? Se c’era una cosa che aveva imparato da sua madre nel corso degli anni era di non fidarsi mai di nessuno.

«Polisucco? In fondo Crouch ci è andato avanti quasi un anno…» 

A Pansy, seppur ancora sdraiata sul letto di Draco ed intenta ufficialmente ad ammirare il baldacchino di velluto verde, non sfuggì che Draco aveva serrato la mascella a solo sentire quel nome.

«Voglio sperare che quella patetica scusa di preside abbia migliorato la sicurezza in questa razza di scuola dopo quello che è successo lo scorso anno. E quello prima. E quello prima ancora. Ah e non dimentichiamoci di Raptor…»

Le rimostranze sulla gestione di Silente, mai abbastanza nella mente di un Malfoy, furono però interrotti da un bussare frenetico alla loro porta, seguito da una serie di colpi.

Mentre gli altri rimanevano ancora fermi, Theodore si alzò sbuffando sulla pigrizia dei suoi compagni di stanza, per ritrovarsi travolto da Astoria Greengrass, quasi rotolata nella stanza.

«Tori, che succede?» Draco si era immediatamente alzato per sorreggerla, notò per prima cosa l’estremo pallore della ragazza, che sembrava incapace di tenersi in piedi. Poi lo sguardo gli si posò sulle mani strette sul suo avambraccio, in una mossa disperata.

Ormai aveva imparato a riconoscere quelle macchie.

«Stai bene? Sei ferita?» chiese ansioso, tastandola delicatamente ma rapidamente per vedere se ci fosse qualche ferita aperta. Ad un primo controllo non sembrava.

Quindi? Da dove veniva quel sangue?

La ragazza sembrò seguire il suo sguardo, inorridita, il respiro che si faceva sempre più affannoso.

«Io… io non so cosa sia successo. L’ultima cosa che ricordo era che stavo andando dalla Montemorcy…».

«Alle tre di notte avevi appuntamento con la Prof? Va bene che è strana…ma mi pare un filo troppo» Blaise la guardava con sospetto, tamburellando contro la mascella definita.

«No.… era poco dopo cena...ricordo di aver bussato ma non mi ha risposto...E poi… poi...» strinse più forte il braccio di Draco, gli occhi semichiusi, come se stesse cercando di recuperare l’immagine di poche ore prima che le sfuggivano «E’ l’ultima cosa che ricordo… poi mi sono svegliata nel mio letto, in questo stato…Sono andata a cercare Daphne… ma non c’è… non c’è nessuno in camera vostra. Io… io speravo fosse qui»

«E invece no. Abbiamo solo Parkinson come vedi» rimbeccò di nuovo Zabini «Sei sicura? Quindi un attimo prima eri nella Torre e quella dopo nei sotterranei, diverse ore dopo, con le mani sporche di sangue. Serata interessante…»

La ragazza sostenne il suo sguardo, le lacrime ancora che le riempivano gli occhi ma cercò di mantenere la calma mentre parlava, staccandosi da Draco che però non diede segno di voler retrocedere di un passo.

«Voglio solo trovare mia sorella. Vi prego solo questo.»

«E di un po’ cosa dovrebbe dirti di tanto importante tua sorella?»

«Blaise!» ringhiò Theodore lanciandogli uno sguardo di fuoco 

«Io… pensavo fosse un sogno …era tutto così confuso… c’era tanto sangue.» Astoria iniziò a tremare, le parole che uscivano mute dalla sua bocca. Poi, con voce rotta dal terrore, riuscì’ finalmente a dire quello che aveva avuto timore anche solo di pensare «E Daphne era in terra… credo che questo sangue sia suo»

Draco e Pansy si scambiarono un’occhiata, mentre Blaise ghignava, incerto se sentirsi soddisfatto per aver capito che c’era qualcosa che non andava, oppure darsi dell’idiota per non essersi fatto i fatti suoi.

Un morto a Corvonero era già una cosa brutta.

Una Tassorosso che diceva di essere stata torturata peggio

Un’insegnante accusata del suo omicidio era follia.

Ma Astoria Greengrass che uccideva sua sorella?

Quello era davvero troppo.

Mentre stringeva Astoria cercando di calmarla Draco sembrò notare uno strano riflesso nello specchio. Un’ombra scura che passava veloce.

E c’era di peggio.

Ancora una volta aveva avuto l’impressione di vederci un volto.

Il suo volto.

Una breve occhiata a Theo gli diede però almeno una buona notizia: non era pazzo. 


***

 

«Oh Miss, che gioia. Non è morta» oltre il fischio fastidioso che le rimbombava nel cervello, le parole gracchiate dalla voce stridula riuscivano a penetrarle il cervello. Le seguì al ritroso, sino a quando non si fecero talmente vicine che riuscì ad aggrapparsi ad esse riprendendo conoscenza.

Il bambino… 

Si alzò di scatto, la mano sul ventre come se potesse sentire qualcosa.

«Non si preoccupi Miss, il piccolo è al sicuro Miss, cresce bene… si cresce proprio bene. E si è anche divertito» chiocciò ancora l’esserino. Nymphadora cerchi di mettere a fuoco da chi proveniva quella voce. Grandi occhi azzurri globulosi sopra un lungo naso appuntino ma leggermente all’insù, due lunghe orecchie che dondolavano al ritmo della testa oscillante, sormontate da un vistoso fiocco rosa confetto.

«Sei un elfo di Hogwarts? Piacere io sono…» iniziò tendendole la mano, che l’elfa iniziò a scuotere vigorosamente, saltellando.

«Nymphadora Tonks, figlia di Andromeda Black e di Ted Tonks. So bene chi è lei Miss, ho conosciuto la sua mamma tanto tempo fa.»

«Tonks. Solo Tonks» scattò l’Auror automaticamente, mentre l’elfa non sembrava affatto turbata «O Dora, se preferisci. Conosci mia madre?»

L’elfa annuì di nuovo prima di chiederle «Posso toccarle la pancia, Miss? Voglio farle sentire il piccolo. Cockey è molto brava sa? E poi la signora si è tanto raccomandata che Cockey stesse attenta alla signorina Nymphadora, oltre che al signorino. Ma lui sta bene, Miss. Proprio bene… anche se Miss Granger non approva gli elfi domestici. No, no. Ma lei non sa…» poi si zitti di colpo, iniziando a premerle le dita puntute sul ventre.

«La signora? E come conosci Hermione? E il padroncino… non starai parlando di Draco Malfoy, vero?» chiese sempre più confusa. E c’era un’unica persona che si potesse preoccupare della progenie del diavolo «Sei un elfo di casa Malfoy?»

«Anche la piccola padroncina si è tanto raccomandata. Le sta molto simpatica, sa Miss Ed è strano…se è come la padroncina la piccola padroncina non ama molto la gente. E soprattutto i mezzosangue, sa? Ma lei è strana forte sa? Una mezza Black mutaforma…».

«Ah io sono strana?» riuscì a ringhiare prima di ammutolirsi quando un suono simile ad un torrente d’acqua in piena riempi l’aria.

«Vede Miss, il piccolo mutaforma sta bene. Tutto la sua mamma, se posso dire» ripeté l’elfa soddisfatta schioccando la lingua «Che vuol dire piccolo mutaforma? E poi è troppo presto per sentirlo»

Improvvisamente l’elfa le scoccò uno sguardo offeso «Per i maghi forse, Miss. Non per Cockey. Cockey sa. Quando il padroncino era nella pancia Cockey lo faceva sempre per la padrona. Che dolore per gli altri bimbi. Ma Cockey non può fermare la natura. No, No. Ma la padrona piangeva e piangeva…»

Vedendo gli occhi riempirsi di lacrime e la voce risalire di due ottave Nymphadora iniziò ad agitarsi. Non era quello il momento di una crisi isterica «Ok, scusami non volevo offenderti. Ti ringrazio tanto, Cockey. Mi hai reso molto felice. Ma ora grazie ma devo andare, devo tornare ad Hogwarts. L’ultimo ricordo che ho ero nel mio ufficio e stavo prendendo una cioccolata calda con tre studentesse. Erano venute a parlarmi…» disse rendendosi conto con orrore che i ricordi le sfuggivano di mano.  Ricordava il rumore di una bussata alla porta, una testa bionda che faceva capolino con uno dei libri che le aveva prestato per il corso. Aveva detto qualcosa circa una lezione, se non ricordava male… e poco dopo era entrata anche un’altra ragazza, Lisa Turpin di Corvonero. Le era sembrato strano, ma non ci aveva fatto più di tanto caso, anzi forse era finalmente giunto il giorno in cui quell’odio tra le case sarebbe destinato a finire. Aveva detto loro di accomodarsi e una delle aveva tirato fuori una borraccia, dicendo che avevano portato qualcosa di caldo per farsi perdonare l’intrusione.

Un sapore dolce, caldo, dall’aroma di cioccolata.

Ma al secondo sorso aveva capito che non lo era.

E poi il rumore di una tazza in terra, un sapore acre in gola. E la porta che si apriva.

Era riuscita a vedere solo le scarpe mentre cadeva in terra, dandosi dell’idiota per essersi fatta fregare come una principiante.

Ma chi avrebbe mai pensato di doversi proteggere da due studentesse di sedici anni?

Il tonfo di un corpo accanto a lei. 

«Sono brava con l’imperius eh? Prendi la bacchetta della mutaforma mentre io sigillo questo posto, non devono esserci dubbi che sia stata lei in preda ad un raptus. La pozione farà effetto a breve, e tanti saluti alla mezzosangue. Io intanto mi preoccupo di questa qui» la voce era talmente gelida e trasfigurata per un attimo sperò che fosse solo un incubo terribile, uno di quelli di cui aveva letto in quel libro di incantesimi maledetti. 

Poi qualcuno si era chinato su di lei e le aveva strappato un capello. un attimo dopo davanti ai suoi occhi la sua stessa faccia la guardava ghignando. Peccato che con la mutaforma la polisucco non funzionasse perfettamente… se il viso era il suo, gli occhi erano rimasti del colore originario.

«Ma come sono arrivata qui?» chiese rendendosi conto con orrore che quelle che ricordava non erano voci di un incubo, ma le urla di dolore di una ragazzina che moriva torturata accanto a lei, senza che riuscisse a muovere un muscolo.

«Cockey è stata avvertita che stava succedendo qualcosa. Ma Cockey poteva prendere solo lei e il bambino. E poi per la ragazza non c’era più niente da fare. Cockey doveva fare il suo dovere e l’ha portata in salvo. E poi è arrivata tanta gente, Miss. Cockey non poteva portarla indietro. Vogliono arrestarla, sa? E Cockey non può permettere che vada ad Azkaban, no no. Che direbbe la padrona? E la padroncina? E la piccola padroncina? No, no. non è possibile» continuò scuotendo con foga la grande testa, il fiocco che oscillava pericolosamente tra le orecchie.

La gola le si seccò all’improvviso, mentre la mano cercava inutilmente la sua bacchetta.

Una ragazzina era morta.

E pensavano fosse stata lei.

«Hai detto che sei stata avvisata… chi? Chi ti ha detto che dovevi venire a salvarmi?»

Un plop accanto a lei.

l’ultima persona che si sarebbe aspettata, con un’espressione seria che non gli aveva mai visto sul volto solitamente sempre piegato in una risata.

«Peeves?»

Il poltergeist annuì, torcendo il cappello da giullare tra le mani. Centinaia di anni e finalmente aveva nella stessa scuola Nymphadora Tonks e i gemelli Wesley e poi tutto andava in malora.

«Nessuno fa caso ad un elfo miss… Peeves le ha distratte e Cockey ha portato via Miss» disse l’elfa soddisfatta allungando inutilmente un biscotto fragrante al poltergeist e guardandolo offesa quando questo gli attraversò l’esofago trasparente indenne.

Quello sarebbe stato l’anno migliore della sua vita da fantasma.

E invece si era trasformato in un incubo

«Io… io ho provato a fermarle…ma è stato tutto inutile. Sono malvagie, Tonks… hanno detto che utilizzeranno il maleficio senza anima se ne avessi parlato a qualcuno» disse con una strana sfumatura d’ansia nella voce «Non posso tornare a Hogwarts... mi faranno a brandelli»

Il maleficio per bruciare gli spiriti, disperdendoli nel nulla. Incapaci di andare avanti, distrutti in mille pezzi ciascuno con un frammento di coscienza.

Una fine orribile, un incantesimo bandito da secoli.

Tonks batté nuovamente le palpebre. Ne aveva letto di recente. In quello stesso libro in cui c’era il maleficio che aveva colpito le studentesse ad Hogwarts.

«Hanno parlato di un cavallo» chiese confusa, ricordando quella strana cantilena mentre era priva di sensi

Di nuovo accanto a lei l’elfa cominciò a gemere, torcendosi le mani.

«No no no, Miss. Non può essere … non è possibile Miss. Non esiste più quel libro, Miss. La padrona l’ha nascosto quest’estate quando è caduto sulla testa di Miss Granger. I padroni hanno discusso tanto, Miss. Quel libro doveva essere sparito da decenni, Miss» blaterò affastellando le parole e tirandosi le orecchie in preda all’ansia «La padrona ha detto che se lo avesse rivisto in giro avrebbe fatto crollare il Maniero. E a Cockey piace il Maniero. Miss. Cockey ha la sua stanza, sa? E ci sono tutti i ricordi dei padroncini quando erano piccoli… erano così carini, Miss…»

Poi d’improvviso smise di divagare e abbassò la voce, quasi in un bisbiglio «Stia qui Miss, non esca per nessun motivo. Stanno per accadere cose terribili ad Hogwarts, Miss. Cockey deve andare. Cockey deve parlare con la padroncina Niamh»

e con un sonoro plop sparì.

Tonks si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi e cercando di riordinare le idee.

Poi d’improvviso li sbarrò.

Se Cockey era un elfo dei Malfoy… cosa diavolo c’entrava Niamh Montemorcy?

Aveva sempre saputo che c’era qualcosa che non le quadrava in quella ragazza, ma non era mai riuscita a capire cosa. E c’era un’altra cosa che le era appena venuta in mente, il motivo per cui era rimasta nel suo studio quel pomeriggio: era stata lei a chiederle di vedersi, aveva detto che doveva parlarle di qualcosa di molto importante.

E poteva davvero essere un caso che stesse accadendo tutto questo proprio ora che c’era lei ad Hogwarts? E non poteva di certo dimenticare tutte quelle domande.

«Sei ricercata. E non nel senso buono del termine» continuò Peeves ronzandole intorno «Ero nello studio di Silente poco fa… credono alla versione della Tassorosso. Anche se il fratello dei gemelli e quella stramba Serpeverde hanno cercato di dirgli che non può essere. Sarebbe bastato così poco… pochi minuti prima e anche loro sarebbero morti. Mi spiacerebbe sai? Ron ha senso dell’umorismo. Non come Fred e George ma…» 

Ma Tonks non sentiva più quello che stava dicendo Peeves. Doveva concentrarsi per capire come tornare ad Hogwarts. Non c’era dubbio… qualcuno aveva fatto di tutto perché lei fosse fuori gioco. E se sospettavano di lei significava che Moody non era stato messo a capo delle indagini.

Quindi Harry Potter in quel momento era solo e senza protezione.

E ancora gli Horcrux non erano stati tutti distrutti.




 

***

 

Sirius Black ormai aveva scordato da tempo cosa significasse dormire. Esattamente da quella notte in cui James e Lily erano morti, quando il suo intero mondo era crollato.

Ad Azkaban dormire significava abbassare le difese, non avere il controllo. E lui si era ripromesso una cosa, appena il giudice aveva pronunciato la sua sentenza: che non avrebbe mai permesso loro di strappargli la verità. Doveva rimanere in sé, ogni minuto era necessario, in ogni momento poteva succedere qualcosa che gli avrebbe permesso di scappare, di andare ad assicurarsi che il piccolo Harry stesse bene.

E trovare quello sporco viscido schifoso traditore di Peter.

E allora si era aggrappato ai ricordi, fingendo di essere tornato nel dormitorio di Grifondoro, il respiro regolare di Remus da un lato e James che anche nel sonno era incapace di stare calmo, ingaggiando lotte immaginarie con coperte e cuscini.

Più di una volta nel corso della notte si era allungato per silenziarlo. E anche per tirargli un calcio, giusto per ricordargli che in quella stanza non dormiva solo lui, scatenando una serie di epiteti non proprio gentili nei suoi confronti. Ma dall’erede della famiglia Black smistato a Grifondoro qual era di certo aveva sentito ben di peggio.

Chiuse gli occhi, appoggiandosi di nuovo allo schienale della poltrona di pelle morbidissima, cercando di concentrarsi sull’ultima volta che erano stati tutti insieme… il giorno prima del matrimonio di James e Lily, in una delle case che Alphard gli aveva lasciato in dono, opportunamente nascosta nei pressi di Diagon Alley. Poche settimane dopo e tutti loro avevano dovuto prendere la via della clandestinità.

Eppure quell’ultima sera erano stati felici.

E molto, molto, molto ubriachi a dire il vero.

Kreatcher apparì davanti a lui, lo sguardo ancora più arcigno del solito.

«Il lupo mannaro è qui, signore. E sembra ancora più cencioso del solito» disse disgustato «E si è portato anche il guercio zoppo e senza naso. E quell’altro dalla faccia arcigna. A quest’ora della notte. Zotici senza ritegno» 

Era evidente che l’elfo avesse pochissimo rispetto per Malocchio Moody, soprattutto da quella volta in cui lo aveva sentito parlare male di Regulus e aveva cercato di infilarlo con l’alabarda del prozio Vega, casualmente caduta dall’alto

Ma Sirius neanche ci fece caso. Remus a quell’ora della notte non era un evento così raro… Ma Malocchio e Kingsley sì. Doveva essere successo qualcosa di grosso.

Harry…

Quando si materializzò al piano di sotto, la sua ansia non si placò affatto.

Remus era pallido come raramente lo aveva visto in vita sua, gli occhi spiritati. Per sicurezza diede uno sguardo all’orologio con le fasi lunari che portava sempre.

Bene, almeno il problema della trasformazione lo poteva evitare. Non che non si fidasse delle pozioni di Moccius ma…

Dora

Tonks

omicidio

Hogwarts

fuggita

cadavere

sparita

Harry sta bene era l’unica cosa che era riuscito a comprendere.

Per il resto una valanga di parole, nessuna di senso compiuto se messe in fila una con l’altra. E la cosa lo faceva preoccupare ancora di più. Di tutti loro Remus era sempre quello più pacato, riflessivo, capace di mantenere la calma anche nelle situazioni più concitate, anche quando lui e James avevano rischiato di uccidersi stupidamente. Il che non era accaduto poche volte a dire il vero.

E anche al processo, il suo processo, era rimasto impassibile. a guardarlo con quegli occhi tristi, come se fosse svuotato. Quello era la cosa che gli aveva fatto più male, l’idea che lui davvero potesse crederlo un traditore.

E poi quando era rinato Voldemort era stato lui a chiedere a tutti di mantenere la calma, che la partita non era ancora chiusa, che dovevano restare concentrati.

E ora rantolava parole senza senso, incapace di respirare normalmente, gli occhi verdi cupi come il bosco di notte.

Lo prese per le spalle e lo scrollò forte, fino a quando finalmente non lo vide reagire, un bagliore negli occhi che gli confermava che si, il suo amico era ancora li.

«Dicono che ha ucciso una studentessa, Sirius. Una ragazzina di sedici anni. Che l’ha torturata e pugnalata più e più volte…» disse con le mani nei capelli, incapace di mantenere il controllo “Hanno trovato un incantesimo accanto al corpo. Dicono che l’ha fatto per il bambino… per evitare che diventasse come me» 

Ancora una volta quelle parole gli sembravano senza senso. 

«Se è uno scherzo non è divertente» riuscì solo a dire

Stava ancora cercando di trovare qualcosa di sensato da rispondere quando dal camino uscì come una furia sua cugina, seguita da Ted.

Neanche il tempo di salutare ed era arrivata con la bacchetta al collo di Moody.

«Cosa diavolo facevi tu mentre accusavano mia figlia, eh?»  ringhiò.

Malocchio si limitò ad incrociare le braccia davanti a sé, fissandola con l’occhio buono «Stavo cercando di capire come aiutarla. E abbassa la bacchetta, sai bene che sono il capo Auror. Ho ucciso decine di mangiamorte, non mi fa paura una che non è mai scesa in campo negli ultimi vent’anni» 

Pessima mossa. Per un attimo Sirius pensò che avrebbe dovuto spiegare perché in casa sua, quella di un ex condannato ad Azkaban, da molti ritenuto ingiustamente scagionato, ci fosse il cadavere della leggenda degli Auror. 

Poi per fortuna Ted e Kingsley si misero di fronte ai due, dividendoli e trascinandoli dai capi opposti della stanza.

«Drom, non è il momento. Dobbiamo trovare Dora, non litigare tra di noi» 

«E come pensi che la possiamo trovare Ted? Visto che loro, i suoi stessi colleghi ed amici, pensano che sia un’assassina? La verità è una… avete sempre avuto paura di lei» 

Ted le bloccò il viso e la fissò a lungo, poggiando la fronte contro la sua «Calmati. Sai bene che non è così. Se fosse così non ci avrebbero avvertito, no?»  chiese poi rivolgendo un cenno di intesa a Kingsley che annuì.

«E ora che abbiamo assolto ai convenevoli in puro stile Black, qualcuno mi può spiegare che cosa cazzo sta succedendo?» chiese Sirius facendo segno a Kreatcher, nascosto non troppo bene dietro la porta, di portare da mangiare. E da bere soprattutto.

«Quale parte di questi dementi pensano che mia figlia abbia ucciso una studentessa non ti è chiara? Sei diventato stupido o solo sordo?»  commentò sua cugina rifiutando con un gesto secco il bicchiere di whiskey incendiario che le aveva offerto.

Ted alzò gli occhi al cielo, prendendolo e scolandolo di un fiato.

«Si l’ho sentito ma converrai con me che è una grande stronzata» rispose senza colpo ferire, ben abituato al caratteraccio dei suoi parenti.

«E’ quello che ha raccontato Hannah Abbot, però. Testimone oculare» commentò Moody sedendosi sulla poltrona accanto al fuoco «L’ho sentita con le mie orecchie. È stata molto precisa... » 

«Troppo» concluse Kingsley per lui

«Ma non c’erano segni di imperio su di lei» rimbeccò l’Auror meditabondo. fissando le fiamme «Certo se me l’avessero fatta interrogare forse avrei potuto trovare qualcosa… ma ci hanno tolto il caso»

«Cosa?»  Sirius si fermò a mezz’aria, la tazza che si riempiva di liquido bollente sino a trasbordare, ma neanche sentì il dolore.

«Il Ministero ci ha tolto il caso… dice che siamo troppo coinvolti» spiegò Kingsley lanciando un blando epismendo sulla mano ormai ustionata di Sirius, che rimaneva impassibile a fissare un punto imprecisato nel vuoto.

«Anzi l’hanno già chiuso. Hanno spiccato un mandato di arresto per mia figlia. Dopo poche ore dall’arrivo» concluse Ted, una calma innaturale che però non riusciva a nascondere l’incrinatura di rabbia e paura della voce.

«L’hanno contrassegnata come fuggitiva pericolosa. L’ordine è di catturarla…»  improvvisamente la voce di Remus fendé l’aria, bassa in modo innaturale eppure capace di tacitare tutti gli altri rumori «Viva o morta» 

«Col cazzo» fu l’unica cosa che riuscì a commentare, quasi all’unisono con sua cugina «aver fatto questo giochetto con me, ma che io sia dannato a Serpeverde se permetterò che succeda di nuovo qualcosa del genere. Sta tranquillo Remus, a Dora non succederà niente. E neanche al bambino» 

Si era lasciato fregare quindici anni prima, quando aveva pensato di non avere più niente per cui lottare e la sua vita era finita tra le macerie di Godric’s Hollow.

Ma questa volta no, questa volta nessuno l’avrebbe passata liscia.

Parola di Sirius Black, Grifondoro, animagus.

E soprattutto uno dei due Malandrini viventi.

Avrebbe dato fuoco all’intero Ministero se si fosse reso necessario.

E guardando Andromeda e Ted era sicuro che non l’avrebbe fatto da solo.

 



 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI- Famiglie ***


«Tu e le tue stramaledette premonizioni» Severus era entrato come un tornado sbattendo la porta dietro di sé prima di riversale addosso la sua stizza, l’umore nero come il mantello che svolazzava irritato ad ogni passo «Sei come quella pazza di tua madre»

«Vuoi che aggiungiamo anche l’infarto di un professore alla lista dei problemi di questa scuola? Visto che sei qui suppongo che tu abbia trovato la Greengrass» rispose annoiata, continuando a dondolarsi sulla sedia di edera e vite a mezz’aria «Siediti e prendi un po’ di tisana alla lavanda e tiglio, ti calmerà»

Piton le rivolse uno sguardo disgustato «Io non mi siedo su quei … cosi. La gente normale si siede su cose come sedie, divani, poltrone, per Merlino. Non su quattro cuscini buttati sul pavimento. E comunque si l’ho trovata, anche se di certo non grazie a te»

Davanti al suo lungo naso adunco levitò una tazza in porcellana ricolma fino all’orlo di un liquido dolce e profumato mentre la strega continuava ad ignorarlo, tamburellando invece pensierosa sui tatuaggi.

«Veramente ti ho detto io di cercarla da Hagrid. E mi hai dato della pazza. Bevi» ripeté solo con voce atona.

«Sei pessima come tutti quelli della tua famiglia. Credete di poter comandare tutti a bacchetta. Vuoi rispondermi? Avevi detto che avresti parlato con la giovane Tonks… Beh non mi pare che sia stata una conversazione molto proficua, se posso permettermi» ringhiò Severus chinandosi su di lei «Una ragazzina è morta e un’altra ci è andata vicina, lo capisci? E quello che pare un sigillo è apparso in ogni dormitorio. E cosa diavolo ci facesse una mia studentessa in giro per la foresta proibita di notte ancora qualcuno me lo deve spiegare. Buon per lei che Madame Pomfrey l’ha messa in osservazione in infermeria. Indovina un po’... dice di non ricordare niente»

«Anche Grifondoro?» chiese improvvisamente interessata «Quarto o Quinto anno?»

«Granger o Weasley? Di la verità, è questo che vuoi chiedermi. Merlino si può sapere perché sei ossessionata da quelle due? Su una porta del quinto anno di ogni casa» rispose allontanandosi nuovamente e facendo volteggiare con un gesto della mano la tazza che continuava a seguirlo «E non bevo quella porcheria, si sente lontano un miglio che è drogata»

«Sei davvero bravo come dicono allora. Il che è un bene, perché devi aiutarmi a capire cosa diavolo sta succedendo» chiosò girandosi a guardarlo, posando un piede scalzo sul tappeto soffice per fermare il dondolio «Cosa hai trovato sul corpo della Abbot? Quello che non hai consegnato a Madame Pomfrey, intendo. O al ministero. O al tuo vecchio amico Auror»

«Quel macellaio non è mio amico, Niamh» rispose con voce appena udibile ma tagliente come una lama affilata, tirando fuori una fialetta dall’interno della larga manica nera del mantello. Al suo interno, un grumo di quella che sembrava ambra nera «Era ancora fresca quando l’ho raccolta dalla nuca della Abbot»

Niamh si alzò e prese delicatamente l’ampolla tra le mani, rigirandola pensierosa.

E d’improvviso le ritornò in mente la sua visione, quella cui aveva cercato di porre rimedio. Nymphadora Tonks, il bel volto trasfigurato dalla rabbia, che infieriva su un corpo, il rumore del sangue che usciva dalle ferite che copriva ogni rumore, persino la sua stessa voce mentre la chiamava, ben conscia che non l’avrebbe mai potuta sentire mentre sopra di lei, incuranti e aggraziate, tre falene dalle ali scure volteggiavano leggere.

Aveva sentito una voce, distante come se fosse attutita da qualcosa, come se dovesse attraversare una superficie

Prepara il mio ritorno, mio piccolo cavallino. Lavora per me e per la gloria del Signore Oscuro

E una risata che le aveva fatto ghiacciare il sangue nelle vene.

Quando rovesciò il contenuto della fiala sulla mano, il senso di nausea divenne così forte che fu costretta a sedersi in terra.

«E’ la stessa magia che sta avvelenando il Regno del Lago, Severus. Chiunque sia vuole distruggere questo posto»

Severus sbuffò sedendosi di malagrazia accanto a lei mentre faceva ruotare con estrema delicatezza il grumo scuro nella fiala. Poi con un gesto del tutto alieno al suo modo di essere le mise una mano sulla schiena, in quello che doveva essere un tentativo di calmare il suo respiro affannoso.

«Benvenuta ad Hogwarts, Niamh. E che Merlino ci assista per una volta» sbuffò «E ora gradirei davvero una tazza di tè»

«E un pochino di droga?» chiese alzando le mani di fronte all’occhiata truce del professore di Pozioni «Per Ecate, se ti farebbe bene. E anche una spruzzata di senso dell’umorismo»

«Detto da una Malfoy…»

 

***


Una cascata dorata morbida sotto le sue dita. La linea delicata del collo, che aveva dovuto frenarsi dal baciare. Il suo petto che si alzava e abbassava piano, al ritmo finalmente lento del suo respiro. Avrebbe potuto guardarla dormire per ore, solo per godersi il momento in cui avrebbe aperto di nuovo gli occhi, ancora tra il sonno e la veglia. Un momento così intimo che mai aveva vissuto con nessun’altra. Anche con Cassandra, sebbene fosse rimasto più volte a dormire dai Carrow, era sempre tornato in camera sua. Non era mai stato particolarmente incline a condividere nulla, tantomeno il suo letto e il poco sonno che riusciva a concedersi ogni sera. 

Eppure con lei era certo che avrebbe potuto passare i suoi giorni e le sue notti in quel modo. Ma al momento non era possibile, e non solo perché che lei si infilasse nel suo letto al dormitorio era probabile quanto lui smistato a Grifondoro. Il problema principale, era liberarsi dal fidanzamento senza farsi uccidere da Abraxas. Certo aveva sperato che Bellatrix risolvesse il problema alla radice, ma chissà perché una volta tanto aveva avuto un comportamento moderato limitandosi a farla quasi impazzire.

Peccato, sarebbe stato davvero un colpo di fortuna. E invece ora si trovava con una fidanzata psicolabile per la quale provava solo odio ma che rischiava di dover sposare comunque e l’amore della sua vita che non avrebbe mai accettato di fare l’amante. E con tutto il cuore neanche di aspettarlo troppo. Nessuna Black era nota per la sua pazienza. Nessuna. E Narcissa non faceva di certo eccezione, anzi.

Ma al momento l’unica cosa che voleva fare era andare da sua sorella ed ammettere che si, nonostante riuscisse ad essere una grandissima spina nel fianco e avesse l’odioso vizio di fare la saputella, anche quella volta aveva ragione: era pazzamente innamorato di Narcissa Black, la principessa di ghiaccio di serpeverde.

 

Non si era accorto che aveva aperto gli occhi, troppo perso nei suoi pensieri.D’improvviso si trovò due laghi blu a fissarlo, rilassati. E felici, si disse. Come se non avesse voluto vedere nessun altro.

“Ciao”

Quasi dimenticò la voce di Cassandra nella sua testa che continuava a ripetere L’ho fatto per te. L’ho fatto per noi. Era novembre e lui forse per la prima volta era felice.

 

Lucius si agitò nel sonno, allungando una mano come per indicare qualcosa, un disegno ormai sparito di cui era rimasta traccia solo nella magia che aveva portato avanti.



 

Il rumore della porta che si chiudeva dietro di lui, tagliando fuori la voce gioviale di Lumacorno e le risposte secche e concise dell’avvocato. Respirò a fondo, sentendosi leggero per la prima volta dopo tanto tempo.

Era libero. Lord Voldemort aveva mantenuto la sua promessa. perché era chiaro che c’era lui dietro tutto questo, l’unico in grado di imporre i propri desideri su Abraxas.

Si guardò il palmo della mano, cercando di vedere un segno, qualcosa di tangibile che gli dicesse che davvero era successo, che il fidanzamento con Cassandra era stato sciolto.

Che per la prima volta in vita sua aveva la possibilità di scegliere.

E c’era solo una persona che avrebbe scelto tutti i giorni della sua vita.

Te ne pentirai, Lucius. Un giorno ripenserai a tutto questo e capirai che hai fatto la scelta peggiore della tua vita. La voce di Cassandra, bassa e minacciosa gli arrivava attutita come se stesse parlando attraverso un muro. La guardò un attimo, forse vedendola per la prima volta, proprio ora che era diventata una completa estranea. Non provava niente per lei, come se non avesse passato ore ad assaporare la sua pelle, a scoprire insieme nuovi piaceri, nuovi limiti. Come se non avessero condiviso quella strada che li aveva portati davanti al Signore Oscuro e che ora li trovava di fronte ad una porta chiusa, serrata come il loro passato.

Niente. Come le sue parole che lasciò scivolare in fondo alla mente, un brusio irritante mentre si allontanava veloce. Quella sera avevano una missione da compiere: uccidere almeno uno dei Prewett, l’ultima prova per Lord Voldemort. Ma dopo… dopo ci sarebbero stati solo capelli dorati e occhi color zaffiro.

 

Il freddo improvvisamente gli mozzò il respiro, facendolo rabbrividire anche sotto le pesanti coperte finemente ricamate e appositamente stregate. Narcissa si svegliò sentendo il marito accanto a lei agitarsi. Gli posò delicatamente una mano sulla spalla, chiamandolo piano, come faceva sempre quando aveva uno dei suoi incubi. Ma questa volta non funzionò, l’uomo sembrava troppo perso dietro qualcosa, gli occhi che si muovevano rapidi sotto le palpebre e le labbra serrate.

 

Bellatrix, Rodolphus e Rabastan erano stati processati quasi subito dopo la cattura. Quando gli era arrivata voce che neanche avevano provato a difendersi, anzi, avevano approfittato del tribunale per proclamare ancora una volta la loro fedeltà al Signore Oscuro, non ne era stato affatto sorpreso. Lo aveva detto a Bellatrix tanto tempo prima che quel suo caratteraccio l’avrebbe fatta finire nei guai. Avrebbe dovuto dargli retta. E soprattutto avrebbe dovuto seguire il piano di Narcissa, come aveva fatto lui, anche se gli era costato quasi un mese di interrogatori in cui aveva dato nomi, fatti, circostanze che avevano portato alla cattura di decine dei suoi ex compagni. E in cui aveva dovuto fingere fino alla nausea di non essere mai stato realmente cosciente delle sue azioni.

Non che gli importasse granché a dire il vero. Gli unici che non avrebbe mai sacrificato sarebbero stati i suoi fratelli, ma erano morti da tempo ormai e nessuno si era preoccupato di loro, ovviamente. Non c’era stata nessuna indagine sulla morte di Nicholas. Se l’era cercata avevano detto.

E Arael… perché nessuno era andato a casa di Theodore Nott a capire perché una giovane donna incinta avesse deciso di porre fine alla sua vita nelle gelide acque del Lago Nero a centinaia di miglia di distanza da casa sua?

Ma quello era il passato. Ora doveva concentrarsi perché avesse un futuro, perché quelle settimane non fossero state inutili. Doveva tornare dalla sua famiglia, l’unica cosa che contasse realmente.

Ed aveva alzato gli occhi, cercando tra i volti ostili quello di sua moglie, la sua roccia, la sua ancora di salvezza. Si era concesso un sorriso quando l’aveva vista entrare, elegante e sicura come la prima volta che l’aveva vista ad Hogwarts: il profilo elegante, i capelli dorati raccolti in uno chignon basso, il vestito impeccabile blu oltremare che le illuminava l’incarnato. Ma subito gli si era spento sulle labbra quando si era girata e aveva notato i grandi occhi grigi che lo guardavano confusi, la testolina bionda appoggiata alla sua spalla, le labbra che sembravano muoversi per dire qualcosa, piegandosi troppo in giù tremolanti. Narcissa stava parlando con qualcuno alla sua destra, non riusciva a capire chi fosse. Ma vedeva benissimo che suo padre era vicino, troppo vicino al suo bambino. E accanto a lui Cassandra, che lo fissava con un sorrisetto soddisfatto. Si era chinata su Draco mormorando qualcosa e accarezzandogli la nuca. Narcissa si era girata di scatto, spostando il bambino che ora sembrava improvvisamente pietrificato. Ma ci aveva messo troppo, un secondo di troppo, lo capiva solo ora. 

 

«Lucius. Lucius. Non è reale. stai sognando» tentò Narcissa piano senza ottenere risultati, il ritmo del respiro dell’uomo che si faceva sempre più veloce.

 

La pelle del bambino che bruciava contro la sua, i lamenti sempre più deboli di Draco, stremato al punto da riuscire a mala pena a gemere dal dolore, lo sguardo disperato di Narcissa che glielo aveva tolto di braccio per cercare di calmarlo, la ruga sulla fronte di Severus mentre tentava pozione su pozione, inutilmente, lo sguardo folle di Abraxas dietro le sbarre delle segrete del Maniero.

«Dimmi cosa gli hai fatto» aveva cercato di mantenere la calma, le dita che fremevano sulla bacchetta. Sarebbe bastato poco, un Avada Kedavra e non avrebbe più visto quell’uomo disgustoso. Mai più.

«Ti sto facendo un favore, ragazzo. Dovresti ringraziarmi. finalmente potrai liberarti di quella patetica scusa di erede che hai generato e poi sicuro anche quella stupida puttana sentimentale che ti sei sposato se ne andrà. E potrai ricominciare e per una volta non essere quell’essere inutile che sei. Cos’è era troppo difficile generare più di un erede? Da quanto sei sposato… otto anni? E un’unica gravidanza portata a termine… con quell’inetto…» sputò l’uomo, ringhiando oltre il dolore della cruciatus che Lucius aveva lanciato e modificando la sua voce in un’orrida imitazione di quella di Draco «Voglio il mio papà. Ecco cosa continuava a piagnucolare quell’idiota di tuo figlio. Oh ma non ti preoccupare, gliel’ho tolto io il vizio… alla fine finalmente diceva l’unica cosa che avrebbe dovuto dire dall’inizio: Perdonatemi»

«Dimmi cosa gli hai fatto ed eviterò di farti a pezzi mentre sei ancora vivo. sibilò puntandogli la bacchetta alla fronte «Non tentarmi… ho anni di cortesie da ripagarti»

Nonostante il dolore Abraxas gli rise in faccia «Io ti ho reso un uomo, semmai. Ingrato, ma pur sempre un uomo… anche se non hai il coraggio di fare quello che va fatto per via di quella dannata Black, sapevo che il Maniero si sbagliava, lo sapevo… sei solo uno stupido. Lo sei sempre stato. Ma almeno pensavo che potessi fare l’unica cosa che ti abbia mai chiesto»

«Sta zitto» urlò Lucius, mentre l’aria attorno a lui tremava al ritmo della sua stessa rabbia «Sciogli la maledizione. Ora. E lascerò che ti ritiri nelle Ebridi, mentre chiunque altro, Draco incluso, ti crederà morto per qualche malattia. Vaiolo di Drago che dici?» All’inizio era stato il pensiero di finire ad Azkaban e lasciare la sua famiglia a fermarlo dall’uccidere quell’uomo nell’istante in cui l’aveva visto infierire su Draco. Ma poi il bambino aveva iniziato a tremare, la febbre sempre più alta, il respiro sempre più affannoso e dolorante. Avevano chiamato tutti i medimaghi che conoscevano, obliviandoli uno dopo l’altro, mentre Severus in un angolo assumeva uno sguardo sempre più corrucciato e l’emicrania di Narcissa aumentava sino a farla restare immobile accanto a Draco, entrambi incapaci di trattenere anche solo un sorso d’acqua tra le labbra riarse. Era stato in quel momento che aveva capito che Abraxas si era spinto ben oltre quel baratro che pensava fosse già abbastanza ripugnante. Non voleva solo punire Draco. Voleva ucciderlo.

«Non oseresti» ringhiò Abraxas di rimando, guardando  sbigottito il suo ultimogenito, che per la prima volta in vita sua sosteneva il suo sguardo. No. questa volta non avrebbe ceduto. Non sapeva se esserne vagamente fiero o disgustato

Aveva perso. Lucius lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva abbassato lo sguardo. Ma c’era qualcosa, un guizzo malevolo che sul momento non aveva colto, troppo preoccupato per Draco.

«Voglio Cassandra. Chiamala, è l’unica che scioglierà la maledizione. E mi assicurerai che lei avrà accesso in qualunque momento al mio... come direbbe quella snob di tua moglie... posto speciale»

Lucius annuì, sollevato. Col senno era stato un gran peccato che Narcissa non fosse con lui, lei di certo avrebbe capito che era lei la mente. Qualcosa che aveva covato da tempo, certa che prima o poi sarebbe riuscita a vendicarsi. Lui invece ovviamente non ci aveva pensato, neanche quando poco dopo era arrivata lei, il profumo di rosa e oud che la precedeva avvolgente e penetrante, i grandi occhi allungati che lo scrutavano con un sorrisetto divertito. 

«Firmalo e il tuo prezioso bambino vivrà» aveva detto in tono dolce come il miele, scrutandolo. Aveva provato rabbia in quel momento, un odio feroce anche per sé stesso e per il tempo steso con lei. Ma aveva firmato. La pergamena che si era sigillata nel momento stesso in cui aveva staccato la piuma dal foglio. Un patto che nessuno avrebbe potuto più sciogliere.

Poco dopo un elfo era venuto a chiamarlo. Il padroncino e la padrona finalmente sembravano stare bene.

Si era girato senza pensare alle conseguenze, come un’idiota. Neanche aveva sentito il confundus arrivare. Debole, vista la protezione del Maniero eppure sufficiente a nascondere fino a quel momento cosa fosse successo. Di chi fosse realmente la colpa. Solo un pezzo di carta che sanciva quella che pensava una cesura netta tra la sua famiglia e quel folle di suo padre, con l’unico obbligo di lasciare che Cassandra Carrow ormai Nott andasse a visitarlo.

Senza quel pezzetto di memoria sembrava un accordo ragionevole, le Ebridi esterne abbastanza lontane e  non averlo ucciso per non rischiare di essere portato ad Azkaban assolutamente coerente. Ed era tutto vero, solo che non era tutta la verità.

 

Ti porterò via tutto quello che ami, l’ultima cosa che lei gli aveva sussurrato prima di sparire.

 

E con quella minaccia che aveva nascosto in fondo ai ricordi per troppo tempo, finalmente Lucius Malfoy si svegliò.

La prima cosa che vide, con suo grande disgusto fu l’elfo mastro di casa che si torceva le orecchie, l’eco di quella voce già dispersa con gli ultimi brandelli della notte.

 

«La diseredata urla in giardino, Padrone» squittì infine prima di scomparire, giusto in tempo per non essere schiantato.


***

 

Quei due avrebbero fatto meglio ad avere una buona scusa per aver chiuso l’ingresso principale. E di certo non poteva essere perché si era presentata un paio di volte senza essere invitata.

«Alla buon’ora» ringhiò vedendoli entrare nel salotto in stile orientale, dove le sembrava di stare aspettando da un’eternità «Ted aveva ragione, non dovevo venire.»

Narcissa la guardò perplessa, massaggiandosi le tempie «Ti rendi conto che sono le quattro di mattina, vero? E ti prego non urlare, ho già la testa che mi scoppia» si lamentò accoccolandosi sul divano rivestito in seta grezza, una macchia glicine in mezzo al blu.

«Ecco, ci mancava anche questa. Come se non fosse già abbastanza grave» sbuffò crollando accanto a lei, la testa tra le mani. Erano da quando Shackebolt era venuto a bussare alla loro porta che le sembrava di essere in un incubo del quale non riusciva a svegliarsi. Chissà forse anche lei era stata vittima di quell’incantesimo che aveva trovato Nymphadora… forse era solo un terribile incubo e in realtà la sua bambina stava bene ed era al sicuro, a ridere e scherzare da qualche parte.

Sentì il tocco leggero di sua sorella accarezzarle i capelli, lentamente «Drom, che succede?» chiese appoggiando il mento sull’incavo della spalla.

Avrebbe voluto rispondere in maniera dettagliata, raccontare di come erano stati svegliati poche ore prime dal bussare frenetico di Kingsley, di quell’insieme di frasi incoerenti che l’Auror aveva rovesciato su di loro, della corsa a casa di Remus e poi da a Grimmauld Place.

E infine di quella sentenza che era arrivata dal Ministero, Ma non ce la faceva, le parole erano solo schegge impazzite che rimbombavano nella sua testa.

Non sapeva neanche perché fosse finita li. Aveva ragione Ted, dovevano pensare ad un piano, dovevano cercare Dora, il posto migliore dove andare era dai Weasley non di certo lì. Anche Charlie era stato avvertito e di sicuro avrebbe trovato il modo di mettersi in contatto con loro, e Bill aveva detto che per l’ora di colazione sarebbe arrivato… e che si sarebbe portato dietro rinforzi. Ad occhio e croce quella biondina francese di cui Molly si lamentava sempre.

Si, forse quello sarebbe stato un piano razionale. Solido. Come Ted.

Ma lei in quel momento aveva bisogno di qualcuno che avrebbe capito se avesse deciso di far saltare in aria il Ministero.

«Nymphadora è sparita» riuscì infine a dire, poi aggiunse con stizza «O meglio, secondo il Ministero si è data alla fuga dopo aver ucciso una studentessa e averne torturata un’altra»

«Cosa?» la mano di Narcissa si era fermata incredula «Chi? Quando? Dove?»

Andromeda fece un gesto stizzito «Una ragazza di Corvonero, se ti dicessi il nome ti direbbe qualcosa? Ma sta tranquilla il tuo prezioso figlio sta bene, è la mia che è in fuga braccata da quelli che fino a qualche ora prima erano i suoi stessi compagni. E ora pare che abbiano avuto il mandato di catturarla…»

«Viva o morta, presumo» 

«Lucius!» 

«E’ la verità. Lo so io e lo sa benissimo anche lei» rispose l’uomo in tono piatto. Dava loro le spalle, chino sul camino borbottando qualcosa.

«Severus cosa dice?» tentò di nuovo Narcissa, accarezzandole la schiena e lanciando un’occhiata di avvertimento al marito «Sono certa che non abbia creduto ad una stupidaggine del genere»

Andromeda sbuffò stizzita «Il tuo caro Severus. uguale a tutti gli altri. Anzi, se proprio vuoi saperlo sono stati lui e quella professoressa nuova a raccogliere per primi l’accusa delle Abbot... là Montemorcy se non sbaglio»

Narcissa e Lucius si scambiarono uno sguardo perplesso. Draco aveva parlato di una nuova professoressa di Divinazione e Severus aveva commentato laconico che in fondo peggio per pochi mesi non avrebbe potuto fare chissà quali danni, soprattutto visto chi andava a sostituire. Quello che non aveva mai detto, tuttavia, era come si chiamasse.

Con uno sforzo non indifferente la strega tentò di concentrarsi nuovamente su quella storia assurda «E perché l’avrebbe fatto?»

Incapace di restare ancora seduta Andromeda si alzò e iniziò a camminare per la stanza, i passi nervosi attutiti dal soffice e alto tappeto, i petali dipinti di rosa che cedevano appena sotto la sua angoscia in un mare blu.

«Moody dice che hanno trovato un incantesimo nel suo studio. Pare che sacrificare un paio di vergini garantirebbe di evitare quella stupida storia della maledizione della mutaforma» disse con rabbia, mentre un paio di vasi scoppiavano, i pezzi di porcellana bianca e azzurra che si sparpagliavano per la stanza. Era da quando era piccola che sentiva quella voce, prima bisbigliata e poi, dopo che la sua relazione con Ted era diventata di dominio pubblico, sempre più urlata. Una volta addirittura una strega aveva fermato lei e Nymphadora a Diagon Alley, per sputargliela in faccia. Come se essere una mutaforma potesse essere una malattia, qualcosa da nascondere, un’anomalia genetica degradante di cui lei, purosangue Black che aveva infranto le regole ancestrali procreando con un natobabbano, era la responsabile.

Non c’era bisogno di aggiungere che quella donna non era tornata a casa incolume Anzi doveva ringraziare che aveva la bambina con lei, altrimenti sul serio l’avrebbe lasciata a gemere e farsela sotto dal dolore davanti alla gelateria di Florian Fortebraccio.

«Stupidaggini» commentò Lucius, schioccando le dita per richiamare un elfo per pulire quel disastro. Anche lanciando un reparto niente avrebbe potuto riportare i suoi preziosi vasi centenari all’originale valore. A volte, semplicemente, le cose rotte non tornavano più a posto, non importava quanta magia si potesse usare. Quello che era successo a lui, in fondo.

«E’ la prima cosa intelligente che ti sento dire da un po’, e senza commenti stupidi sul fatto che non ci siano più vergini ad Hogwarts... sono stupita» commentò Andromeda lasciandosi nuovamente cadere esausta in poltrona. Ora che anche la rabbia sembrava averla abbandonata si sentiva come svuotata. Impotente.

«Beh, se fosse stato vero tua madre avrebbe ucciso ogni singola ragazza che le fosse capitata tra le mani vent’anni fa. Sai bene che razza di personcina deliziosa sia… Voleva che facessi non so che test per scongiurare che potessi in qualsiasi modo trasmettere dei geni babbani... senza contare i tentativi dei miei amabili suoceri di convincere Draco a prendere il cognome Black» 

«Lucius» sibilò Narcissa esasperata «E smettila di giocare con il camino… si può sapere chi diavolo stai chiamando a quest’ora della mattina?»

«Il nostro avvocato. E con quello che lo paghiamo meglio per lui che abbia risposto subito» commentò continuando a scrutare le fiamme «Verrà a parlare con te e tuo marito tra un paio di ore, gli ho mandato l’indirizzo di casa tua»

«Beh potevi anche dirmelo, non credi?» sì stizzi Andromeda. Conosceva l’avvocato di cui parlava Lucius, lo stesso che l’aveva difeso al processo. E già aveva abbastanza problemi senza dover evitare che Ted lo schiantasse alla prima illazione o commento poco gentile «E poi io e Ted non staremo a casa oggi. dobbiamo andare da Molly ed Arthur per parlare.»

A quel nome sentì Narcissa irrigidirsi seccata accanto a lei.

«Certo. fatti aiutare dalla tua preziosa Molly Weasley. Vai … corri.» commentò velenosa, mentre il marito sospirando le si sedeva accanto, prendendole la mano.

«Cissy…» riuscì solo a dire Andromeda stancamente. Non aveva tempo per quelle stupide gelosie. Non aveva le forze «Io voglio solo trovare mia figlia ed assicurarmi che lei e il bambino stiano bene… chiedo troppo?» 

«E allora per una volta smetterai di comportarti come una dannata testarda maniaca del controllo e farai come ti dico. Ora vai a raccattare quel… si insomma tuo marito e andrete a casa ad aspettare Trevorny. Lo ascolterete in silenzio, risponderete a tutte le sue domande… sì a tutte» disse Lucius fissandola e alzando un dito della mano libera per bloccare le sue proteste «E farete tutto quello che lui vi dirà. E lo farete in silenzio. Non parlerete con la stampa. Non parlerete con il Ministero se non in sua presenza. Neanche con i colleghi di tua figlia. Ogni cosa che uscirà dalla vostra bocca dovrà avere la sua approvazione. Sono stato chiaro?»

Andromeda si morse la lingua per evitare un commento velenoso «E’ cosi che hai scampato Azkaban? Facendo la marionetta di un avvocato? Di..  è stato lui a suggerirti quella stupida scusa dell’imperius?»

Lucius non rispose, limitandosi a stringere più forte la mano di Narcissa. 

«Vuoi che tua figlia abbia una possibilità?» chiese eludendo la sua domanda. Ma era ovvio che la mente dietro quella sceneggiata non fosse l’avvocato. Lui si era limitato a renderla legalmente inattaccabile. Sapeva bene che il piano proveniva da una certa strega bionda con cui condivideva una parte del patrimonio genetico.

La stessa che la fissava in quel momento «Ci penseremo noi a te, Drom. Tu devi solo fidarti. Come io ho fatto con te quando Draco era in pericolo»

Solo per un attimo Andromeda si sentì a disagio, quel tarlo che la tormentava dall’estate scorsa sulla salute di Draco che non era mai riuscita a dipanare e di cui aveva potuto parlare solo con Piton. Ufficialmente non c’era niente, gli esami erano buoni, ma c’era qualcosa che non le tornava. Non ne aveva parlato con Narcissa, troppo labile il sospetto per caricare sua sorella di un ulteriore peso. Ma ora non aveva tempo. C’era solo una cosa che importava. trovare Nymphadora prima che lo facesse chi l’aveva incastrata.

 

Prese il biglietto rigirandolo tra le mani. «Andrà tutto bene. E poi abbiamo chiesto a Cockey di dare un’occhiata anche a Nymphadora» le disse con un’ultima carezza Narcissa, prima che Andromeda sparisse nel camino, diretta alla Tana. Forse Lucius aveva ragione, doveva accettare quell’aiuto, male non avrebbe fatto. Ora doveva solo convincere Ted.

 

Appena sua sorella fu sparita, Narcissa si girò verso il marito «Hai chiamato Severus vero?»

Lucius annuì, lo sguardo cupo come il temporale

«Ci ho provato …» rispose appoggiandosi al bracciolo accanto a sua moglie e fissandola «Ma non è stato possibile. L’intera Hogwarts è isolata. Ordine degli Auror»

Narcissa sospirò, massaggiandosi le tempie.

Per qualcuno forse era rassicurante sapere che l’ordine di sicurezza del mondo magico si occupasse della questione.

Ma per lei non lo era affatto.

Anzi, era un vero e proprio incubo, E la giornata non sarebbe migliorata, visto che erano attesi entrambi a Villa Black, Merlino solo sapeva il perché.

 

 

 


 

 Una parte dei ricordi di Lucius fanno riferimento ai capitoli precedenti di questa "saga"
- Capitolo 11 di "Quel che è stato, Quel che sarà" quando attende in infermeria che Narcissa si svegli dopo il rituale della sera prima per salvarla;
- Capitolo 25 di "Quel che è stato, Quel che sarà" la scena della rottura ufficiale del fidanzamento tra Lucius e Cassandra ( spoiler: Cassandra riceve qualcosa in quest'occasione.. più avanti tornerà)
- La sera in cui Abraxas tortura Draco... ci sono ripetuti accenni a quando succede sia nel capitolo finale di "Il Calice della VIta" che ogni volta che Draco fa il figlio abbandonato con Lucius ( dove abbonda il fluff fino alla nausea ma io li amo). Non ho mai pubblicato la storia su quello che è accaduto perchè la trovo inutile.. Abraxas è folle e sadico e vuole eliminare l'erede che non ritiene all'altezza. Di nuovo. 


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Capitolo 17
*** Capitolo XVII- Mai una buona notizia, per Merlino! ***


Era stata proprio una gran fortuna che la sua copia del Cavillo fosse stata consegnata il giorno prima, pensò distrattamente sfogliando l’articolo sulle strane farfalle dalle ali dipinte con i teschi che si erano viste troppo spesso ad Hogwarts dal loro rientro mentre con una parte del cervello ascoltava distrattamente le voci concitate dei suoi compagni di casa intenti in una fitta conversazione con Flitwick. Cercò di riconoscerle: una di sicuro era Cho Chang, ormai aveva imparato a conoscere il suono dei suoi singhiozzi anche ad un dormitorio di distanza ma questa volta non sembrava particolarmente triste, anzi. A dire il vero era da qualche giorno che non l’aveva sentita piangere. Guardò il ciondolo con le fasi lunari che portava al collo, pensierosa. Certo a dirla tutta era un po’ presto per la visita del loro Direttore, ma in fondo erano settimane che lei diceva che sarebbe successo qualcosa. Aveva provato ad avvisare i suoi compagni che la biglia della disperazione era diventata rossa ma tutti l’avevano liquidata come paranoica dicendo che non doveva dare retta ai vaneggiamenti di suo padre.

«Ehi stramba, esci da lì sotto... ci vogliono tutti in sala comune»Ava Quirdick, una delle sue compagnie di dormitorio, si era chinata sotto il suo letto sollevando la coperta e la stava fissando con un sopracciglio alzato.

Luna Lovegood la guardò per un momento, cercando di capire cosa ci fosse che non andava. Forse era quello strano odore dolciastro misto ad incenso, oppure il fatto che continuasse a rigirarsi nervosamente il braccialetto di ambra e quelli che sembravano semi di zucca. O ancora poteva essere l’ombra che le era passata negli occhi. Forse se avesse avuto i suoi occhiali speciali lo avrebbe saputo dire meglio. Ma nel suo nascondiglio era buio ed era già difficile decifrare i caratteri anche senza le sue lenti speciali.

«Arrivo» si limitò invece a dire strisciando fuori dal letto e infilandosi in tasca un batuffolo di polvere che assomigliava incredibilmente ad una leprotta.

«Perché tutti urlano?» chiese in tono svagato ad Ava che si fermò alzando gli occhi al cielo.

«Nessuno vede Lisa Turpin da due giorni. E poi c’è quello…» disse spazientita indicando la porta di una delle camere del quinto anno «Per Merlino, come diamine è possibile che tu non ti sia accorta di niente? Si è svegliata l’intera torre di Corvonero quando Terry Booth l’ha visto ».

Luna si avvicinò ai segni di bruciatura ma prima che riuscisse a toccarli la Quirdick la fermò stizzita «Per Priscilla Corvonero... ma sei stupida?»

La ragazza si limitò a sorridere, stringendo la copia del cavillo e iniziando ad inspirare rumorosamente. «Iperico. Non lo senti? È la stanza di Lisa, Marietta e Cho, vero?»

«Non ti sfugge niente eh... e ora se vuoi sbrigarti, manchi solo tu» rispose Ava alzando gli occhi al cielo e spingendola verso la sala comune.

Mentre scendevano gli ultimi gradini della scala a chiocciola sembrarono quasi scontrarsi con un muro di disperazione. Vicious era in piedi sopra una scrivania, accanto la professoressa McGranitt, i prefetti e il capocasa A quanto ne sapeva era la prima volta che un altro professore era stato visto nella sala comune.

«Dov’è il preside?» chiese ad Ava che però non rispose, limitandosi a fare un gesto sbrigativo con la mano, i grani del braccialetto catturarono per un attimo la luce che iniziava a filtrare dalle graziose finestre ad arco. Si sedettero in terra sul soffice tappeto blu notte con le stelle ricamate, lo specchio del soffitto che contribuiva a rendere tanto speciale la loro sala comune.

«Signorina Lovegood, è rimasto qualcun altro che tu sappia su nei dormitori?» chiese Vicious in torno urgente. Luna scosse appena la testa in segno di diniego, la mente che continuava a sentire uno strano ronzio di sottofondo, come uno sbattere d’ali impazzito contro il vetro. Ma pur sforzandosi non riusciva a vedere niente.

«Dov’è Lisa?» chiese Marcus Belby, seduto a gambe incrociate poco distante da lei, il braccio attorno alle spalle del suo migliore amico, Eddie Carmichael, che sembrava disperato. A quanto ricordava quei due stavano insieme dal Ballo del Ceppo. In effetti quella sera erano nate strane coppie, si trovò a riflettere. Anche se, se l’avessero chiesto a lei avrebbe detto che Draco Malfoy era innamorato di Hermione Granger dalla prima volta che l’aveva visto mentre la guardava di sottecchi durante la colazione quattro anni prima, ovvero alla sua prima colazione ad Hogwarts.

Vicious e la McGranitt si scambiarono un’occhiata tesa, poi il loro professore finalmente sembrò ritrovare la voce.

E mentre una fredda coltre di incredulità, paura e dolore calavano sui suoi compagni lei continuava a cercare l’origine di quello strano rumore. Perché in fondo lo sapeva già da tempo che sarebbe successo qualcosa.

La biglia di sua madre l’aveva detto. E quella raramente sbagliava. 

L’ultima volta si era illuminata il giorno della terza prova del torneo tre Maghi.

E la prima che ricordava era il giorno in cui sua madre Pandora era morta.

 

***

 

Villa Black e i suoi lucidi pavimenti di marmo italiano talmente brillanti da potercisi specchiare diedero loro il benvenuto, insieme ad una rappresentanza di elfi domestici che li attendevano all’ingresso.

«Miss, che piacere vederla a casa» squittì l’elfo prendendo con deferenza il mantello e i guanti che la strega aveva porto distrattamente, lo sguardo che vagava per la stanza, cercando un appiglio con l’ultima volta che c’era stata dopo il funerale di Bellatrix. Niente era rimasto identico, seppur cambiando solo di tono: le pareti con una punta più di tortora, i mobili disposti in maniera diversa, i quadri spostasti. D’altronde riarredare la casa e sputare veleno facendo in modo che potesse sembrare un complimento erano i due principali modi di passare il tempo a Villa Black.

«Vuole darmi le sue cose, Signore?» un secondo elfo di cui ovviamente non ricordava il nome si fece avanti mentre Lucius quasi gli tirava addosso il suo mantello ringhiando «Un’ora a partire da adesso... se non ti trovo qui davanti tra sessanta minuti in punto con le nostre cose ti triturerò le orecchie, capito?» 

L’elfo sparì con un plop non sembrando tuttavia particolarmente turbato e non senza aggiungere «Solo i padroni possono triturare le orecchie di Esfy. »

Lucius sospirò esasperato, era in quella casa da pochi minuti e già gli sembravano ore. Neanche gli elfi avevano il buongusto di fare finta che fosse un ospite gradito e non gli era sfuggito affatto l’appellativo che aveva rivolto a Narcissa. Merlino, possibile che tutti in quella casa non avessero che occhi per Bellatrix e Rodolphus? Quello era esattamente il motivo per cui aveva sempre evitato il più possibile ogni visita che non fosse più che obbligatoria, meglio se con tanta gente da non essere costretto a parlare con i suoi suoceri per più tempo di qualche convenevole.

«Andiamo, prima sentiamo cosa hanno da dirci e prima ce ne andremo » Narcissa si alzò appena sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia  prendendolo sottobraccio, un po’ per rassicurarlo e un po’ per evitare che tentasse come al suo solito di inventarsi una scusa e scomparire « E grazie»

«Cinquantotto minuti»fu l’unico commento che riuscì a cavargli, anche se non era sfuggito a Narcissa il lieve sorriso all’angolo della bocca mentre salutava con un cenno del capo uno dei quadri dell’ingresso, dove era apparsa una figura familiare «Sai che prima o poi dovremmo riprovare quella splendida riproduzione dei bagni dei prefetti che avete qui? Ho ricordi piuttosto frustranti a proposito… anzi non ne ho affatto... il che è piuttosto seccante»

«Direi che è per questo che ne abbiamo fatto realizzare una altrettanto bella a casa nostra» rispose Narcissa stringendosi più forte al suo braccio mentre contava i passi che la separavano dal salone dove li stavano aspettando «E credimi in questo momento vorrei davvero essere»

«Amore mio, ti ringrazio della fiducia ma non credo di essere in grado ora. Inizio ad avere un’età sai... e lo stress non aiuta» commentò con un ghigno a bassa voce accarezzandole una mano «Forse dovrei accettare i suggerimenti di Severus sulle pozioni... anche se a dire il vero mi sono sempre sembrati più commenti maligni che di aiuto»

«Non fare lo sciocco, pensa se mia madre ti sentisse»Narcissa sorrise mentre la sua presa si faceva più rilassata. Pensare alle piccole cose quotidiane, alla normalità di una vita di coppia, a quando finalmente sarebbe stata fuori di lì era quello che le serviva, e lui lo sapeva, come sempre, doveva concentrarsi, mettere su una maschera e cercare di tenere botta. Suo padre non l’aveva mai considerata più di tanto, troppo affascinato da Bellatrix, troppo seccato da Andromeda. E sua madre... quand’era piccola le permetteva di stare in sua presenza solo quando doveva mostrarla alle sue amiche, come fosse l’ultimo gioiello che si era comprata.

Nei due anni in cui era rimasta sola a Villa Black in attesa di entrare ad Hogwarts aveva incontrato i suoi genitori si e no un paio di volte al di fuori delle feste ufficiali. Ed entrambe le volte aveva dovuto prendere un appuntamento.

Ma quello era il modo in cui generazioni di purosangue erano stati educati, l’unico modo per crescere dei perfetti esponenti della nobile e antichissima casa dei Black. E chiunque usciva dal seminato veniva letteralmente bruciato via. Quando Andromeda era scappata tutte le sue foto, i suoi effetti personali e persino ogni cosa che potesse riguardarla alla lontana era sparita dal giorno alla notte. Nel corso dell’ultimo anno si era chiesta più volte cosa avesse provato sua madre a cancellare una figlia, far finta che una parte di lei non fosse mai venuta al mondo.  Lei non ci sarebbe mai riuscita. Non avrebbe mai potuto neanche solo pensare di far finta che Draco non fosse mai esistito, non parlare di lui, rifiutarsi di sentire la sua voce. Era certa che sarebbe impazzita. E sapeva altrettanto bene che Lucius non glielo avrebbe mai chiesto, che nonostante per loro la sola idea che il loro figlio si fosse innamorato di una natababbana fosse inconcepibile non avrebbe mai osato neanche pensare di diseredarlo. 

In quell’ultimo anno, nonostante tutto, aveva capito che aveva sposato l’uomo giusto.

«Finalmente siete arrivati» commentò in tono secco Drusilla Black senza degnarli di un secondo sguardo «E invece di stare sempre attaccati avresti potuto impiegare un po’ più di tempo a scegliere il vestito. Quella gonna è troppo stretta, ti evidenzia tutti i difetti»

«Sua figlia non ha difetti, Lady Black, forse dovrebbe parlare con il suo medimago personale... sa, non bisogna sottovalutare i problemi di vista. Possono essere un segno di qualcosa di più serio» Lucius era scattato tagliente ancora prima che lei potesse tirare fuori una scusa, uno stupido meccanismo che ormai era entrato a far parte di lei. Era una donna di quasi quarant’anni eppure ancora permetteva a sua madre di ferirla con quegli stupidi commenti. Perché ne era assolutamente certa, non c’era niente che non andasse nel suo abbigliamento.

«Non è un bene illudere la propria moglie, Lucius. Né parlare in quel tono a tua suocera. Se non avessi conosciuto i tuoi genitori mi chiederei davvero chi sia stato a darti un’educazione»rispose a tono la donna accettando seccata il leggero baciamano del genero, un gesto ripetuto talmente volte sin da bambino che era privo di ogni significato.

Cygnus Black, seduto in poltrona rigido ed impettito e con aria estremamente annoiata con in mano quello che sembrava whiskey incendiario, nonostante fosse tarda mattinata. Un pieno cliché dei ricchi purosangue, non c’era che dire. Accanto a lui un uomo distinto e una creatura che raramente lasciava quello che era il suo regno se non per delle faccende estremamente importanti. E che ovviamente riguardavano il denaro, essendo il Goblin a capo della Gringott.

«Avvocato, devo dire che la sua presenza mi lascia perplesso. E io che immaginavo una tranquilla riunione di famiglia» commentò Lucius, accomodandosi sul divano, la mano stretta ancora a quella di Narcissa. Era certo che i suoi suoceri stessero tramando qualcosa. Meglio per loro che non tirassero di nuovo fuori la questione del cambio di cognome per Draco... davvero non era il momento.

«Quello è il sigillo dei Lestrange o sbaglio?» l’occhio di Narcissa era andato sulla pergamena che l’uomo teneva in mano con una sottile deferenza che non le era sfuggita.

«Acuta osservatrice» le labbra dell’uomo si tesero in quello che non si capiva fosse un sorriso di apprezzamento o di noia «Come di certo ricorderà il mio studio si occupa di trasmissioni ereditarie»

«Come ben sa però Rabastan, Bellatrix e Rodolphus Lestrange sono morti, purtroppo. Non dovrebbe andare da Clarisse Lestrange invece che qui?» commentò acido Lucius al suo fianco passandole una tazza di tè profumato che era apparso davanti a loro. Era un vecchio trucco che aveva imparato da sua madre: tenere sempre qualcosa in mano per evitare di schiantare qualcuno.

«Lady Lestrange è già al corrente e non ha sollevato obiezioni. D’altronde con un contratto del genere non avrebbe avuto senso» concluse l’uomo rifiutando secco la tazza che gli veniva offerta. Cafone senza educazione, pensò Narcissa socchiudendo gli occhi e cercando di capire dove diavolo volesse andare a parare. «Allora iniziamo dalle domande preliminari, se non vi spiace non ho troppo tempo. Lady e Lord Black mi hanno già rassicurato della vostra identità»

Narcissa alzò appena un sopracciglio dorato, limitandosi a squadrarlo dall’alto in basso.

«Ha davvero bisogno dei miei genitori per sapere chi siamo? Non legge la Gazzetta del Profeta?»

«A dire la verità no, Lady Malfoy. Non ho molto tempo. E per questo gradire continuare con la prossima domanda... avete un solo figlio, giusto?» continuò, la voce piatta, mentre tamburellava sul suo quaderno in pelle rilegata.

«Questo non gliel’hanno assicurato i padroni di casa? Strano...» commentò Lucius, la voce che iniziava a tendersi ma la postura ancora rilassata.

«Mi possono dire solo quello che sanno…. allora leggo qui che il ragazzo si chiama Draco Lucius Malfoy e il 5 giugno compirà 16 anni, è corretto?»

«Corretto» replicò secca Narcissa, lo sguardo furente che si spostava ora sui suoi genitori. Se solo avessero ritirato fuori la storia del matrimonio era la volta buona che avrebbe mandato al diavolo le remore da brava figlia ben educata.

«E siamo assolutamente certi che sia figlio di entrambi? Avete fatto un test?» continuò continuando a scribacchiare, con lo stesso tono con cui avrebbe chiesto in quale casa era stato smistato.

«Mi sta chiedendo se ho tradito mio marito, avvocato?»

L’uomo scrollò le spalle «Non è detto. Ho visto suo figlio in foto e assomiglia molto a suo marito. Ma potrebbe essere un incantesimo di dissimulazione. Oppure potrebbe essere stato lui a concepire un bambino con un’altra donna e poi aver fatto finta che fosse vostro. Da quel che leggo qui ha partorito a casa e senza che una medimaga fosse presente al parto per testimoniare »

«Come diavolo osa anche solo pensare una cosa del genere?» questa volta non c’era traccia di amabilità neanche camuffata nella voce di Lucius, Narcissa ebbe appena il tempo di mettere la mano sulla sua, per evitare che tirasse fuori la bacchetta o peggio. Ci mancava solo che sua madre iniziasse una lagna perché c’era sangue di avvocato sul tappeto edoardiano.

«Tre anni per avere un erede è tanto» si limitò a commentare suo padre, riempiendosi di nuovo il bicchiere «Anche se maschio».

Ancora una volta quella parte della sua vita che sembrava finalmente chiusa era tornata con forza: il biasimo degli altri, la gioia della gravidanza e poi il baratro di disperazione in cui si trovava ogni volta. E pensare che per gli altri invece sembrava tutto così semplice...

«Amore, andiamo. So che l’ora che ho accettato di soffrire non è ancora passata ma non starò qui a farci offendere» riacquistata una parvenza di calma, Lucius si era alzato in piedi, offrendole la mano. «Dove diavolo è quello stupido elfo?»

«Ha un motivo per fare queste domande o ha solo deciso che deve vedere quanto velocemente sono in grado lanciare una maledizione?» si era invece limitata a commentare Narcissa, sfidandolo con lo sguardo. Era stanca di fare la perfetta dama di società, la bella bambolina che sapeva solo organizzare feste. Per un attimo le tornò in mente il discorso della Granger di un anno prima.

L’uomo mantenne la sua espressione impassibile, mentre una dopo l’altra sembrava spuntare una serie di caselle dalla sua lista « Fa parte della clausola, Lady Malfoy. Bellatrix Lestrange, nata Black, in data 21 dicembre 1970 ha fatto un patto vincolante alla presenza di Rodolphus e Rabastan Lestrange, testimoni e cofirmatari. Ed era presente anche suo marito... questa è la sua firma, no?» disse Goldstein aprendo il sigillo e porgendole la pergamena.

20 dicembre 1970… Il giorno in cui avevano preso il marchio nero. No, non poteva essere un caso, Lucius lentamente si sedette di nuovo accanto a sua moglie, un ricordo che iniziava ad emergere attraverso il velo in cui sembrava avvolta gran parte di quella notte.

Lucius iniziò a leggere, le parole che faticavano a formare un senso comune nella sua mente, facendo da contraltare alla sua voce interiore

Io Bellatrix Black e Io Rodolphus Lestrange, nel pieno possesso delle nostre facoltà mentali, - come se mai lo fossero stati.

Nel giorno  del nostro impegno di fronte alla società magica e davanti agli avi e al sacrificio di questa notte- vale a dire la strage di Babbani che avevano fatto a Londra, molto prosaica come descrizione.

nel caso della nostra morta prematura e senza eredi- un evento con una probabilità di accadimento pari al cento per cento.

disponiamo che tutto il nostro patrimonio vada al figlio o ai figli di Narcissa Mira Black e Lucius Septimus Malfoy, se mai dovessero nascere, che Merlino ci aiuti se davvero accadrà

Seguivano poi esaltazioni e lodi a Lord Voldemort ma quella parte potevano tralasciarla.

Lucius e Narcissa si scambiarono uno sguardo, esterrefatti. Era certo che sua moglie stesse meditando di decapitarlo ma ad essere onesti Lucius di quella notte ricordava poco. Troppe cose erano successe: dalla paura per non poter consegnare il canto Di Amergin a suo padre, all’eccitazione per quello che sarebbe successo, all’adrenalina della strage...

Si a pensarci adesso era tutto terribile.

Ma allora… allora, era parso sublime.

«No» disse Narcissa 

«Assolutamente no» ribadì Lucius «Ci manca solo che diventi ancora più ricco»

E che abbia libero accesso a tutti gli artefatti oscuri dei Lestrange, avendo però il tatto di non dirlo ad alta voce.

L’avvocato però sembrava assolutamente sordo, firmò la pergamena senza dare un cenno e porgendo loro la chiave che il goblin teneva in mano « Vi stavo solo informando per cortesia. Dal compimento dei sedici anni avrete un anno di tempo per informare vostro figlio, altrimenti dovremmo pensarci noi. Era una clausola di sua sorella, Lady Malfoy, se devo citare le testuali parole per evitare che Cissy dia di matto, odia non avere il controllo della situazione. E ora se volete scusarci… conosciamo la strada» disse prima di allontanarsi a lunghi passi sino alla porta d’ingresso della VIlla dove fu lasciato libero di smaterializzarsi.

«Tu lo sapevi?» sibilò Narcissa verso sua madre «È per questo che ci hai fatto venire, vero?»

Druella si limitò a sorseggiare il suo tè «Mi ha scritto Clarisse quando è stata avvisata. E non fare quella faccia che ti vengono le rughe.  Dovresti ringraziarmi, invece: ho pensato che un terreno neutro fosse migliore. Sciocchi come siete avreste cacciato via il povero avvocato in malo modo. »

«Finalmente quel ragazzo fa qualcosa di buono» riemerse la voce di suo padre «Quando hai tirato fuori quell’assurda scusa che stesse frequentando la natabbabana per avvicinarsi ad Harry Potter ho pensato che fosse la tua ennesima stronzata, Lucius.  E invece… tutti sappiamo qual è la conditio sine qua non per accedere ad un’eredità dei Lestrange»

Già lo sapevano tutti. O almeno i bene informati. Niente che si potesse provare ovviamente. Nulla di scritto.

Ma c’era una tradizione tra la famiglia Lestrange: l’erede del primogenito doveva uccidere un babbano per accedere all’eredità,

Come se non bastasse il marchio nero, che continuava a sapere essere sul braccio di loro figlio.

Ormai non c’erano dubbi: Draco aveva ucciso qualcuno.

Draco, il loro bambino biondo e che aveva paura dei temporali, era un assassino.

La testa di Narcissa sembrò esplodere, la rabbia che fomentava il suo stesso mal di testa.

«Andiamo a casa. E non azzardatevi a dire mezza parola a Draco» disse seccata guardando i suoi genitori con una tale fermezza che per un attimo ricordò Bellatrix «Ah, madre e se proprio vuoi saperlo non ero sola quella notte: c’era Andromeda con me, è stata lei ad aiutarmi a partorire.»

Poi senza più voltarsi indietro si avviò a lunghi passi fuori dalla stanza, facendo ben attenzione a sbattere la porta dietro di loro con tale forza da far tremare le preziose statue in cristallo sui tavolini.

E tornati a casa aveva intenzione di fare lo stesso con ciascuna delle cinquantadue stanze del Maniero, a costo di passarci un’ora, Poi forse si sarebbe calmata abbastanza da farsi spiegare da suo marito come diavolo avesse fatto a dimenticare una cosa del genere.

 

***

 

In un’altra casa, non troppo distante geograficamente, un’altra coppia di coniugi si guardava altrettanto in cagnesco.

«Non capisco come sia stato possibile che tu abbia acconsentito a perdere il nostro tempo per sentire quell’idiota di un legale invece di andare a cercare nostra figlia» aveva commentato Ted appena aveva sentito la porta di casa chiudersi «Molly ed Arthur hanno organizzato una riunione dell’ordine per noi e invece abbiamo passato due ore a sentire i vagheggiamenti di uno che per lavoro salva il culo ai mangiamorte»

Andromeda lo fissò incrociando le braccia e appoggiandosi allo stipite della porta, la testa dritta come sempre, i vestiti perfetti come se non avesse altro pensiero al mondo. Ma lui la conosceva bene, ogni centimetro della sua pelle, ogni ricciolo lucido, ogni modo in cui le sue labbra si piegavano prima di dire qualcosa, il secondo in cui le parole si formavano nella sua mente prima di lasciarle uscire. E ora notava le occhiaie più accentuate, il modo in cui si appoggiava stancamente spostando il peso all’indietro sui tacchi che si era ostinata comunque a portare, come se il peso del mondo fosse sulle sue eleganti spalle. Ma era proprio per quel motivo che si sentiva così furioso. Non dovevano essere lì da soli a prendere ordine da un azzimato e pomposo legale della famiglia Malfoy. Dovevano stare con quelle persone che c’erano sempre state negli ultimi vent’anni, che li avevano protetti e sostenuti, accolti quando quelli da cui ora sua moglie si era rifugiata avevano girato loro le spalle.

«Ted so che non ti piace quell’uomo. O meglio che non ti piace chi ci ha messo in contatto con lui» iniziò stancamente

«Dici? Ma dai, perché non dovrebbe piacermi uno che ha fatto comunella con quelli che hanno torturato e ucciso i miei genitori?» rispose gelido, per poi aggiungere dopo una pausa «Siamo onesti Drom. Da quando hai ripreso i rapporti con tua sorella minore non sei più la stessa»

Per un attimo la donna che aveva davanti che lo squadrava con un sopracciglio curatissimo alzato non era più la sua splendida e amatissima moglie da due decenni, ma l’ Andromeda Black altezzosa e saccente che era prima di mettersi insieme. Che poi fosse quella di cui si era innamorato era un altro discorso.

«Se non fossi sconvolto perché nostra figlia è stata accusata di omicidio direi che sei geloso, Ted. E un cretino»

Questo era davvero troppo «Questa è esattamente una cosa che direbbe quella smorfiosa di tua sorella. O quell’egocentrico di tuo cognato. Eravate amici un tempo, no? Cos’è ti stanno facendo rimpiangere i bei vecchi tempi da ricca stronza purosangue?»

«Una ricca stronza purosangue che si è innamorata di uno stupido natobabbano. Per Merlino Ted ma cos’è che ti dà così fastidio nel fatto che riveda mia sorella? Hai deciso persino di occuparti del figlio. Perché tutto questo astio proprio adesso? Non credi che abbiamo problemi più urgenti?»

Ted si avvicinò di un passo chiudendo lo spazio tra di loro e prendendole le mani «Aiutare il ragazzo è una cosa Drom. Dimenticare quello che hanno fatto quelli come Lucius Malfoy è un altro. E tua sorella lo ha coperto, credi sul serio che non abbia capito che c’è lei dietro ogni cosa che gli è andata bene? Davvero non lo capisci? Come faccio a fidarmi del fatto che vogliamo aiutarci se fino a poco fa consideravano Nymphadora un abominio?»

Andromeda sospiro chiudendo gli occhi. Non aveva una risposta certa. Avrebbe potuto raccontare a Ted di tutte le volte che Narcissa le era corsa dietro da bambina implorando per la sua attenzione, o di come ancora potesse leggere il dolore dell’abbandono nei suoi occhi. O, ancora, di come sapesse istintivamente che se Lucius aveva offerto il suo avvocato era perché genuinamente credeva fosse la soluzione migliore. O di come la sua parte razionale ed ancestrale sapesse che era una strategia intelligente. Ma non avrebbe capito. Neanche lei capiva fino in fondo. C’era un’unica cosa che potesse dire «Fidati di me. Sai bene che per me non c’è nessuno più importante di te e Nymphadora. Nessuno»

Ted si avvicino sino a posare la fronte sulla sua, portando le sue mani sul suo petto «Nessun rimpianto?»

Andromeda si sollevò appena per baciarlo sulle labbra «Mai. E ora andiamo a Grimmauld Place, sono certa che ci staranno aspettando suo pieno di guerra»

«Con te e per la nostra famiglia sono pronto a tutto » disse Ted tendendole la mano prima di gettare della polvere nel camino.

«Tutto » ripeté lei «Beh stai molto attento a ripeterlo davanti a Sirius… se c’è una cosa che gli ha sempre difettato è il senso della misura»

 

***

Quando furono chiamati tutti in sala grande non era di certo per il pranzo, nonostante in pochi avessero anche solo sbocconcellato la colazione servita nelle sale comuni.

Al loro ingresso solo il tavolo di Corvonero era già arrivato, un’aura scura che gravava su tutti loro, molti con gli occhi rossi di pianto. Era evidente che già fossero stati informati. Perché erano lì allora?

Draco entrò tra i primi a Serpeverde insieme a Pansy ed Astoria, ciascuno impaziente di trovare qualcuno, ma solo uno di loro ebbe fortuna. 

Daphne Greengrass era seduta al suo solito posto, composta e con le mani sul grande tavolo di legno. Solo lo sguardo assente e un pallore più accentuato del solito tradivano il suo disagio. Astoria le fu subito addosso, abbracciandola stretta.

«Stai bene? Per Merlino, Piton continuava a dire che non dovevo preoccuparmi ma non riuscivo a togliermi dalle mente che fosse successo qualcosa di terribile» le disse continuando a tastarla come  volesse sincerarsi che non ci fossero davvero quelle ferite che era certa di aver visto in quello che non sapeva più neanche come chiamare.

Daphne annuì in silenzio, la tempia poggiata su quella della sorella «Sono solo un po’ frastornata. Dicono di avermi trovato nella foresta proibita ma io davvero non so come ci sono finita. E credimi, Piton me l’ha chiesto molte, molte, molte volte»

«Ti sei persa un bel disegnino col sangue sulla nostra porta, Daph. E prima ancora il ritrovamento di un cadavere e un interrogatorio con gli Auror e tutto il cazzo di ministero»

I grandi occhi azzurri delle sorelle Greengrass, così simili da confondersi quasi, la guardavano sgranati mentre lei si spostava verso il secondo anno, per assicurarsi che nessuno della loro casa finisse nei guai, con un Piton già sull’orlo di una crisi per la temporanea scomparsa della Greengrass.

«Ah non te l’eri persa questa parte Tori? Beh credo proprio che tanto ce lo staranno per dire. Non vedo altro motivo per cui ci abbiano radunati tutti qui a quest’ora» commentò Blaise pensieroso sedendosi di fronte a loro, cercando di tenere a freno Draco che continuava a muoversi nervoso sulla panca, girandosi in continuazione verso l’entrata.

Poco dopo però entrarono i Tassorosso, in silenzio neanche gli fosse stato detto di nuovo che era morto Cedric Diggory. Mancava la Abbot, ovviamente. Pansy li guardò sfilare ordinatamente, dietro la Sproute. Davvero credevano che fosse stata la mutaforma? Merlino neanche loro potevano essere cosi stupidi. Si girò per osservarli meglio e non potendo fare a meno di notare che Rose Zeller e Heidi McCoy stavano guardando con insistenza nella loro direzione. O meglio nella direzione dell’iperattivo biondo seienne accanto a lei. Se non ci fosse stato Piton a spingerlo a forza verso quelli del primo anno un paio di volte ricordandogli che gli avrebbe fatto crescere la spilla da prefetto in fronte se non si fosse deciso a comportarsi come tale sarebbe di certo già corso verso la torre Ovest da quanto si dimenava

«Ma quello non è il fratello sfigato dei Weasley» Theo accanto a loro indicò col mento verso il palco, dove di solito sedevano i professori. Capelli rossi ingellati, espressione vacua, un completo gessato che solo secondo la definizione di un Grifondoro poteva essere considerato smart business, sempre che sapesse almeno cosa significasse, un colletto rigido e alto che pareva strozzarlo ma di cui sembrava molto fiero, e una pila di carte sotto braccio. Si, quello decisamente era quello dei Weasley che si era diplomato l’anno precedente: il noioso e arrogante caposcuola che un paio di volte avevano provato a far inseguire da qualche bolide. Accanto a lui c’erano un altro paio di quelli che sembravano altrettanto stupidi impiegati del Ministero. Poi c’erano gli Auror che li avevano interrogati. E proprio al centro, lì dove di solito si trovava Silente si trovava quella stupida vacca dalla faccia di rospo che le aveva fatto ripetere la stessa storia centinaia di volte.

In quel momento però la tozza figura in quell’orrido completo rosa color gomma di Drobble andata a male avanzò tacchettando con la grazia di un erumpet sino al podio. Di nuovo c’era qualcosa che non andava… Silente era sparito nuovamente ma quel punto non avrebbe dovuto prendere la parola la McGranitt?

Involontariamente incrociò lo sguardo con Ron al tavolo di fronte, chino a borbottare qualcosa con Harry. Era evidente che anche a loro non avessero detto niente. E il fatto che lo spilungone avesse ignorato i richiami della sua moltitudine di fratelli … per Salazar Serpeverde ma cosa diavolo stava accadendo?.

Una vocina fastidiosa e falsa come il suo permesso per entrare nel club per maggiorenni le arrivò alle orecchie, costringendola di nuovo ad uno sforzo di concentrazione. L’ultima volta che aveva visto un tale cattivo gusto nel vestire era quando le avevano mostrato i lavori di quella stilista che avevano trovato morta dopo aver assassinato Burke. Beh più o meno, decisamente non era un mistero che fosse stata Arael Malfoy a stregarla per riuscire a prendere la pietra di Salazar. E con quel gusto poi… chi era lei per giudicare la zia di Draco? Lei l’avrebbe soffocata in quegli stupidi lustrini, anche solo per aver attentato alla sua capacità di vedere.

«Inizia una nuova era per Hogwarts. Da questo stesso momento Albus Silente non è più il preside di questa scuola e per decisione del Ministro in persona sarò io ad occuparmi di voi. Basta stupidaggini: niente Quidditch, niente uscite ad Hogsmeade, niente passeggiate dopo il coprifuoco. Una vostra compagna è stata uccisa e il Ministero ha già individuato la responsabile» gracchiò. Ovviamente la notizia della morte della Turpin non era più un mistero per nessuno. Ma Merlino un minimo di tatto.  Agitò la bacchetta e accanto a lei apparve una foto di Tonks e Lupin, scattata non dà molto ad Hogsmeade a giudicare dai vestiti «Nymphadora Tonks, ex Auror ed ex professoressa di questa scuola, è ricercata in tutto il paese. Chiunque sarà trovato ad aiutarla sarà espulso immediatamente e poi processato dal Wizegamot, minorenne o no. Sono stata chiara?»

una mano si alzò dai grifondoro « E lei sarebbe?»

Il sorriso finto si tese in quello che era una maschera «Dolores Umbridge, signor Potter, la nuova Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts»

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII- Dietro la maschera ***


Dopo pochi giorni era chiaro a tutti che Dolores Umbridge non fosse solo una zelante funzionaria del Ministero con una capacità di apertura e flessibilità mentale inferiore a quella di un vermicolo ma anche un’acida, passivo- aggressivamaniaca del controllo con una vomitevole fissazione con il rosa e secondo Ginevra Weasley una frigida stronza.

Per Hermione Granger tuttavia due erano le qualità peggiori.

Primo, era una razzista.

Secondo, una grandissima incompetente.

E tra le due non sapeva cosa fosse peggio.

Entrambe le cose erano state chiare sin da quando se l’erano ritrovate seduta sulla cattedra che era stata di Remus e di Tonks. Persino Lockhart e addirittura il finto Moody erano stati meglio.Almeno loro avevano provato ad insegnare. Certo Crouch Junior con una disgustosa predilezione per le maledizioni senza perdono e Gilderoy Lockhart… beh almeno era bello da guardare.

Davanti a lei invece, in un completo color rosa caramella avariata e con i piccoli piedi tozzi che battevano impazienti, la nuova Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, era stata da subito l’emblema della grettitudine mentale, nonostante il sorriso fintamente dolce con cui li aveva accolti.

Fino a quel momento in ogni lezione erano stati liberi di sedersi dove preferivano, le uniche eccezioni costituite da Piton e dalla Mc Granitt che esasperati dai loro litigi quando Draco invece di prendere appunti si metteva a tamburellare sulle sue gambe avevano imposto loro di mettersi ai lati opposti della stanza. Ma almeno durante gli intervalli delle lezioni potevano stare insieme senza problemi se non qualche occhiata esasperata.

L’Umbridge invece aveva imposto una rigidissima separazione tra le Case: secondo il memorandum che avevano ricevuto quella mattina era chiaramente indicato che ogni interazione con qualcuno che non fosse della stessa casa doveva essere approvato da un professore. Persino le aule studio erano state dedicate in base all’appartenenza e così i tavoli della biblioteca. Un livello che neanche Salazar Serpeverde in persona avrebbe raggiunto.

Ma se il primo punto aveva causato pochi malcontenti e principalmente tra le coppie miste, il secondo aveva causato un vero e proprio tentativo di rivolta che quell’odiosa donnetta aveva sedato senza battere ciglio mentre lei e i suoi assistenti lanciavano un immobilicorpus sugli studenti. Ora, a parte il fatto che nella sua prima ora da Preside aveva già usato degli incantesimi punitivi sugli studenti, cosa inimmaginabile, quello che aveva fatto aveva dell’incredibile: tutte le attività extra scolastiche dal Quidditch ai gruppi di lettura erano state bandite.

Infine il terzo punto, quello che aveva lasciato senza parole l’intero corpo studenti peggio delle caramelle attaccadenti dei fratelli Weasley: testuali parole ogni forma di fisicità interpersonale era proibita.

Addirittura, da brava bigotta qual era, ragazzi e ragazze dovevano stare ad almeno un metro di distanza, pena la perdita di punti per la propria casa oltre ad una punizione personale. Anche agli studenti dello stesso sesso non andava meglio, la Umbridge aveva detto con un tono di zucchero che avrebbe fatto vomitare anche un diabetico che chiunque fosse stato sorpreso in atteggiamenti sospetti sarebbe stato costretto a portare dei braccialetti respingenti, ogni volta che due portatori si fossero avvicinati troppo.

«Io non ci posso credere che quel imbecille di Percy sia davvero così imbecille. Ah quando lo diremo a mia madre lo rincorrerà con la scopa sino a Diagon Alley, garantito. Imbecille» aveva bofonchiato Ron, starnutendo rumorosamente. Dopo averli inzuppati, infatti, l’Umbridge aveva permesso loro di asciugarsi solo dopo aver finito il suo interminabile discorso.

Se fossero stati in una situazione normale si sarebbe girata e avrebbe riso con lui ed Harry, rincuorata dall’idea di una Molly Weasley che inseguiva inferocita il suo figlio finora impeccabile. E anche a quello che avrebbero escogitato Fred e George per fargliela pagare.

Ma ora, forzata a stare lontana dai suoi due migliori amici, incasellata in un posto assegnato tra le fila delle studentesse, tra Patil e la Reid, entrambe piuttosto determinate ad ignorarla, per la prima volta in vita sua si era trovata ad odiare Hogwarts.

Provò a girarsi per cercare lo sguardo di Draco, nella prima fila dei Serpeverde a sinistra della sala e quattro file dietro di lei. Era dalla mattina che non lo vedeva e anche lì non è che fosse stato proprio amichevole nei confronti della preside, ringhiando del fatto che a lui non gliene poteva fregare di meno della Corvonero morta. Io una ragazza. E il Quidditch… chi cazzo è così demente da cancellare il Quidditch? Erano state le sue quasi esatte parole che gli avevano provocato oltre che una doccia fredda, un silencioe un invito a raggiungere la preside quella sera stessa.

«Dieci punti in meno a Grifondoro, Signorina Granger. Guardi il foglio davanti a lei, dietro non c’è niente che deve interessarla la voce dell’Umbridge era ancora fintamente dolce, ma la forza con cui sbatté la mano ricoperta di pacchiani anelli sul tavolo non lasciava dubbi sulla sua reale natura.

Mordendosi la lingua Hermione si costrinse a guardare il foglio che aveva sul banco, con sopra il suo nome.

«È per conoscerci meglio» tubò l’Umbridge con un sorriso che non riusciva ad illuminarle gli occhi porcini.

Batté di nuovo le palpebre, incredula mentre la mano si alzava per un automatismo.

Ma evidentemente c’era stato qualcuno più veloce di lei.

«Status di sangue dei genitori? È seria?» il ringhio del bambino sopravvissuto dall’ultima fila non aveva nulla da invidiare alla sua forma di animagus.

«Come ho detto, Signor Potter, è per conoscervi meglio. E non sono tenuta a darvi spiegazioni sui miei metodi. Se proprio doveva fare un appunto inopportuno sarebbe stato meglio chiedere cosa scrivere alla domanda sulla professione dei genitori, non crede?» chiese premendo per un attimo le labbra tra di loro in segno di stizza.

«Eroi di guerra dice che va bene? » rimbatté Harry con stizza, gli occhi verdi che fiammeggiavano « O vuole che metta quella di Sirius Black, il mio padrino?»

La mascella della Umbridge si tese di nuovo, la faccia che sembrava sempre più quella di un rospo.

«Galeotto sfuggito alla giustizia non è una professione, signor Potter. E altri dieci punti in meno a Grifondoro»

Prima che Harry azzannasse sul serio la nuova preside emerse dal lato opposto la voce dal tono sempre vagamente annoiato di Draco quando si rivolgeva a qualunque adulto che non fosse persino sopra i borbottii e le imprecazioni non proprio trattenute di Ron ed Harry,

«E il suo?» 

L’Umbridge si limitò a guardarlo, gli occhi che per un momento fiammeggiarono prima di inclinare con finta dolcezza la testa « Il mio cosa signor Malfoy? Il mio lavoro? Sono una funzionaria del Ministero addetto al controllo della Magia. Il mio compito è ripristinare l’ordine in questa situazione di caos»

«E non quello di proteggerci? Strano» non poté fare a meno di commentare Hermione « E sono certa che Draco intendesse il suo status di sangue visto che è così importante…»

La Umbridge batte di nuovo la mano tozza e ingioiellata sulla tavola «Basta con queste insolenze. Dieci punti in meno a Grifondoro per i commenti inopportuni della signorina Granger. E ora silenzio. avete mezz’ora per compilare il questionario. E non voglio sentire una parola…» sibilò, la sua vera natura sempre meno celata dietro la maschera di finta preoccupazione per gli studenti.

«Non si preoccupi, ho avuto la mia risposta» commentò acido, deciso ad avere l’ultima parola.

Ultima in tutti i sensi, visto che poi l’intera classe si trovò silenziata nuovamente.
 

***

 

Le lezioni non erano mai parse così lunghe e noiose. Aveva cercato in ogni modo di raggiungere la Granger ma ogni volta che provava ad avvicinarsi appariva una sorta di cherubino ciccione con elmo e uno strano pungolo che dava la scossa a dividerli. E decisamente quel giorno quel maledetto volatile obeso dalla forma umana aveva avuto un gran da fare.

Dopo la cena, silenziosa più per lo stress della giornata che per lo sgomento per la morte della Turpin, avevano dovuto riportare tutti direttamente nella sala comune. Già entrando con il gruppo del primo anno Draco aveva avuto l’impressione che c’era qualcosa, l’ennesima, che non andava.

No, quello stupido vecchio rospo non poteva averlo fatto sul serio: la loro bellissima sala comune con gli enormi divani di pelle scura davanti al fuoco e le nicchie dove si trovava sempre qualcuno appartato, ora era divisa in due da un orrido muro a sinistra del quale spiccava il disegno di una farfalla e a destra quello di un corvo. Persino il Barone Sanguinario che li attendeva all’ingresso sembrava sconsolato. Piton al contrario, nonostante si mantenesse impassibile, sembrava in grado di poter pietrificare qualcuno con il solo sguardo.

Draco si scambiò un’occhiata preoccupata con Blaise, appena entrato anche il gruppo del quinto anno. Si, non era sicuramente una questione solo di estetica: quel muro non stava solo spaccando quella che era sempre stata la loro casa, l’unico posto sicuro per molti di loro. Divideva la famiglia che si erano scelti: perché se lui, Theo e Blaise almeno potevano ancora contare gli uni sugli altri, ora Pansy era da sola dietro quella porta che rendeva la loro casa per la prima volta un luogo estraneo. Per fortuna che almeno c’erano Astoria e Daphne con lei… sempre che anche quelle due non decidessero di impazzire.

Vide Theo socchiudere gli occhi pensoso, l’ultimo del loro anno ad attraversare la soglia, dopo l’ennesimo sbuffo di Piton, raggiungendoli nel nuovo spazio comune, decisamente più angusto e persino più tetro del precedente.

Inoltre la compagnia non era di certo migliorata. Però se c’era una cosa che aveva imparato dai suoi era l’importanza di tenere stretti i nemici. E se c’era una viscida serpe su cui contare in un lavoro di pubbliche relazioni fittizie quella decisamente era Blaise Zabini, per questo mentre il suo suddetto migliore amico stava per rintanarsi nella loro stanza lo bloccò su un braccio e lo spinse senza troppe pretese sul divano, dove già un nutrito gruppo di Serpeverde del quinto e sesto anno stava bivaccando, con aria fin troppo soddisfatta.

«Era ora che finalmente questa schifosa scuola avesse una preside decente» commentò compiaciuto Atticus Flint lanciandosi sul divano«Anche a voi hanno fatto indicare se siete dei sanguemarcio?»

Fortuna che quei quattro zotici esplosero in una risata degna dei troll delle caverne che coprì l’imprecazione che gli era sfuggita dopo che Blaise, per farlo tacere, gli aveva rifilato una gomitata non troppo gentile al fianco. Forse però non fu abbastanza visto che poco dopo si trovò l’intera comitiva che lo fissava.

Si fermò per un attimo, chiedendosi come fosse possibile che solo poco un po’ di un anno prima sarebbe stato li su quel divano, a fare la stessa battuta di quel mago da strapazzo con i denti storti. O meglio, lui sicuramente l’avrebbe detta con più classe mentre dentro di sé la sola idea di non poter più rivedere la Granger lo faceva impazzire e al contempo avrebbe pensato che quello era davvero un segno del destino.

Spero che la prossima sia la Granger.

Le sue stesse parole gli risuonavano in testa, ancora più crudeli di quando le aveva pronunciate, la stessa sensazione di panico che lo attanagliava. Aveva ragione Potter quando gli diceva che era un dannato bullo senza cervello, ma era così che era stato cresciuto, con la sola idea di poter entrare in confidenza con un natobabbano più inverosimile di comprare abiti di seconda mano.

Respira, Draco, Respira.  

La voce di Ted si faceva strada lentamente tra i suoi pensieri, come un’onda lontana che si infrange sulla sabbia. Istintivamente si trovo a giocherellare nella tasca del mantello con una delle rune che gli aveva dato il natobabbano marito della diseredata da usare come forma di meditazione quando si sentiva agitato o sentiva di perdere nuovamente il controllo. Accarezzo con un dito la forma ormai divenuta famigliare della runa

          Protezione.

«Beh Malfoy, forse è la volta buona che ti dimentichi della tua nuova ossessione. Per Salazar Serpeverde, quando mi hanno detto che era al Galà di Natale dei tuoi ho faticato a crederci.Abbiamo sempre saputo che tua madre ti farebbe fare qualsiasi cosa…ma una sanguemarcio…. Beh diciamo che forse era impegnata a pensare ad altro, visto l’articolo sulla Gazzetta».

Forse era stato Flint. O Pucey. O Crabbe… beh no, forse lui no il concetto era troppo articolato per quel troglodita.

Non importava. E non importava quanto meditasse o quanto in passato fosse stato bravo a metter su una facciata di indifferenza. Prima la scoperta del tatuaggio su Hermione, poi la stupida Corvonero morta e quell’idiota dalle trecce di Tassorosso che accusava sua cugina, poi Dafne sparita ed Astoria in una crisi di nervi. E infine era dalla sera precedente che non poteva neanche avvicinarsi alla Granger.

Era stanco, nervoso e voleva solo rinchiudersi nella stanza delle Necessità con la ragazza. Non stare in quella stanza minuscola con quattro imbecilli che abusavano della sua pazienza.

E lui di pazienza non ne aveva mai avuta.

Forse il panciuto natobabbano Tassorosso marito della diseredata avrebbe dovuto dargli una runa che gli impedisse di tirare un pugno a Flint, senza che Blaise riuscisse a fermarlo. O convincerlo che iniziare a sbattere ripetutamente e violentemente la testa dell’imbecille contro il tavolinetto di ebano nero, prima che Vincent e Greg si buttassero su di lui per fermarlo.

Forse avrebbe davvero dovuto. Almeno avrebbe evitato che Blaise e Theo dovessero intervenire schiantando i due energumeni e portandolo via di peso, ancora recalcitrante.

«Cazzo Malfoy, ma sei impazzito? E dire che la Umbridge sta mettendo solo in pratica una proposta di tuo padre» sputò Flint cercando di rialzarsi in piedi, sorretto da Pucey.

In quel momento la porta sbatté di colpo e fece il suo ingresso Piton, ancora più cupo in volto. Li squadrò ad uno ad uno: Flint con un vistoso occhio nero e un rivolo di sangue che gli scorreva lungo il volto sino a insozzare il colletto una volta candido, i due scimmioni repliche degli scimmioni padri con cui aveva avuto il dispiacere di condividere qualche anno di scuola che guardavano inebetiti prima lui, poi Flint e poi il terzetto davanti a loro composto da un impeccabile Blaise Zabini che mostrava un sorriso smagliante a trentadue denti, falso come il tentativo di nascondere la bacchetta spianata nella manica del mantello, un Theodore Nott che lo guardava con quei suoi occhioni da orfano innocente come se davvero lui potesse cascarci e infine uno scarmigliato, digrignate e imbufalito Draco Malfoy. E se le ultime due cose ultimamente erano accadute spesso, la prima era davvero una rarità.

Non ci voleva di certo un genio a capire cosa fosse successo. Ventiquattrore lontano dalla Granger e già dava di matto: geloso come i Black e incauto come i Malfoy. Una pessima combinazione, e di certo lui l’aveva sempre detto.

«Problemi?» chiese alzando un sopracciglio, con un tono che non lasciava adito a dubbi.

Flint lanciò una breve occhiata a Draco, che nel frattempo stava ringhiando contro Blaise e il suo tentativo di sistemargli i capelli all’indietro.  Per un momento era evidente che avrebbe voluto denunciarlo ma per una volta fu abbastanza intelligente da tacere, mugugnando invece qualcosa circa l’essere inciampato nel nuovo tappeto.

«Molto bene. Allora tu vieni in infermeria con me, mentre voi adesso andrete tutti nelle vostre stanze e il primo che fiata passerà la notte nella foresta proibita. E non tentatemi, questa sera davvero non sono in vena» commentò con tono glaciale. Poi di scatto prese il polso di Draco, tirandolo a sé «Tu no. La… Preside» e qui il tono di disgusto era evidente anche ai più sprovveduti «Vuole vederti.»

Finse di ignorare l’imprecazione del ragazzo. In fondo non poteva di certo dargli torto.

Quella psicopatica in rosa con l’ossessione per i gatti riusciva a spaventare anche lui che per anni aveva fatto il doppio gioco con Voldemort.

Già. Voldemort. Chissà in quale angolo si nascondeva. Perché se era certo di una cosa era che il Signore Oscuro aveva subito un terribile colpo con la distruzione dell’Horcrux della gemma, ma di certo non era stato sconfitto. Non ancora.

Deglutì. Non con il figlio di Lily ancora in vita.

E lui ancora una volta doveva rimanere nell’ombra, un testimone silenzioso, in attesa che il Signore Oscuro facesse la sua mossa. Silente era stato chiaro.

«Restate qui e fate tutto quello che vuole la Signora Umbridge», erano state le ultime parole prima di scomparire.

«Preside Umbridge»aveva rimbeccato subito uno dei suoi lacchè.

«Un titolo è solo un titolo Signor Weasley. È chi l’intenzione che lo rende tale», si era limitato a rispondere Silente con il suo sorriso fintamente svagato, mentre lui aveva dovuto trattenersi dallo schiantare quello stupido spilungone dai capelli rossi che a malapena aveva tollerato l’anno precedente come studente « Così come chiamare assassino qualcuno non lo rende tale

Ma qualcuno era morto e lui sentiva la magia oscura nell’aria.

Di nuovo.

E questa volta era rimasto solo. Busso tre volte velocemente alla porta della Umbridge, prima di spalancare la porta di scatto, giusto in tempo per vedere Potter alzarsi praticamente ringhiando. Per un attimo gli sembrò di rivedere quello stupido di James. Stesso atteggiamento strafottente, stesso mento alzato in segno di sfida, stesso sguardo di puro disgusto per l’autorità. Ma ad essere onesti questa volta non poteva dare torto al giovane Potter.

«Ah Signor Malfoy, eccola qui. Signor Potter può andare, sono certa che ci saranno altre occasioni per parlare» cinguettò con quella vocetta acuta. Severus Piton respirò profondamente, guardando la teiera di finissima porcellana che faceva bella mostra sul tavolo della Preside.  La conosceva quella dannata teiera, anzi benissimo visto che un giorno una psicopatica bionda in tacchi alti e impeccabile vestito blu oltremare abbinato ai guanti e al cappellino si era presentata a casa sua , in uno dei pochi giorni che non passava ad Hogwarts, accompagnata da uno stupido elfo con un fiocco in testa con quella stessa teiera e un intero set di tazze abbinate, blaterando qualcosa sul fatto che non avrebbe più permesso che uno come lui bevesse il tè in una banale teiera da dieci falci. Dopo mezz’ora di rimbrotti reciproci e solo con l’idea che accettando quello stupido pezzo di ceramica la facesse finalmente smettere di parlare di banalità simili, aveva accettato il regalo. E a dire il vero da allora l’aveva usata ogni singolo giorno. Era il 31 ottobre del 1982, un anno esatto dalla morte di Lily Evans, il suo fiore reciso troppo presto, bellissima come quegli stessi gigli bianchi che ornavano delicati e meravigliosi la porcellana blu. Blu, il colore preferito di Lily.

Forse Narcissa non aveva mai approvata il suo amore per quella strega, nata babbana e grifondoro. E di sicuro aveva uno strano modo di comunicare che rasentava la follia, ma quello era il suo modo di chiedergli scusa e di stargli vicino in un momento così difficile per lui. Solo anni dopo, insospettito, aveva capito che quello stupido oggetto da corredo aveva una qualità davvero unica: riusciva a neutralizzare ogni tipo di veleno o pozione. Quando le aveva chiesto spiegazioni, Narcissa si era limitata a sbattere gli occhioni azzurri, versandogli il liquido caldo e aromatico nelle tazze abbinate, ciascuna con un fiore diverso che si apriva sotto i loro occhi, chiosando un «Con il caratteraccio che ti ritrovi, mi sembra poco probabile che nessuno tenti di ucciderti»

Certo, come se lui non sapesse riconoscere praticamente ogni tipo di veleni solo dall’odore. Ma non era questo il punto. C’erano due cose che lo infastidivano enormemente, in quella situazione. La prima erano le manacce tozze e grossolane su una cosa che gli apparteneva. La seconda che qualcuno fosse entrato nelle sue stanze e avesse preso qualcosa senza il suo permesso.

E c’erano solo due persone che potevano fare una cosa del genere. Entrambe legate con il suo figlioccio sbuffante e recalcitrante che non aveva fatto altro che lamentarsi nel lungo tragitto tra i sotterranei e il nuovo ufficio. Lo spinse dentro senza troppe cerimonie, mentre Harry Potter usciva sbuffando.

«Severus, forse vuoi provare a parlare tu con il giovane Signor Potter? Sembra che sia piuttosto … ostile alle mie richieste»

Severus represse l’istinto di lanciarle una fattura orcovolante, ammettendo che in fondo avrebbe avuto solo la conseguenza di migliorarla esteriormente e di fatto si sarebbe ritrovato solo con un mucchio di scartoffie da compilare, anche nel caso in cui fosse riuscito a far passare Draco o Potter come colpevoli. E tra l’altro doveva essergli sfuggito il momento in cui aveva detto a quel rospo vanesio vestito di rosa che poteva dargli del tu.

«Le posso assicurare che Potter non ha mai ascoltato niente di quello che io abbia detto in cinque anni… solo un cane può aiutare un altro cane» commentò trascinando dentro Malfoy. Un breve lampo in quegli occhi verdi come quelli di Lily gli diede un briciolo di speranza: forse aveva ragione Silente… qualcosa dell’intelligenza della madre doveva aver ereditato.

«Sfregiato» lo senti dire a mo’ di saluto, in un tono però che presupponeva molto di più del solito disgusto che vomitava addosso a chiunque. D’altronde tale madre tale figlio…Era un miracolo che Narcissa non gli avesse messo addosso degli incantesimi protettivi per evitare che chiunque lei non ritenesse all’altezza, ovvero il 98% della popolazione, gli si avvicinasse. E a pensarci ora forse sarebbe stato meglio. «Cos’hai fatto al polso?»

«Mi sono slogato il polso per le nuove regole, contento furetto? » sibilò quello di rimando, non mancando di spintonarlo passando. Severus fece finta di nulla, sperando solo che Potter salisse di corsa a contattare quell’altro degenerato di Sirius Black, prima che chiudessero anche le altre vie di comunicazione. Già posta e camini erano stati sigillati e lui non poteva rischiare di farsi scoprire, eppure non poté fare a meno di notare anche lui come il giovane Potter tenesse il polso rigido, né come si fosse affrettato a tirare giù il maglione della divisa appena aveva visto il suo sguardo posarsi un attimo più a lungo di quello che si sarebbe aspettato.

Se avessero cacciato anche lui non sarebbe rimasto nessuno ad Hogwarts a proteggere gli studenti dalla magia oscura che iniziava ormai a trasudare dalle pareti a parte Minerva. E anche per lei sarebbe stata solo questione di tempo.

«Ora puoi andare Severus, sono certa che io e Draco possiamo parlare da soli» - la voce fastidiosa gli penetrò anche dietro quel blando velo di occlusione che metteva su sempre in questi casi. E a giudicare dalla postura più rigida del solito e dallo sguardo più metallico che azzurro che gli rivolse prima che chiudesse la porta, non era il solo in quella stanza ad occludere.

«Ha dei gusti raffinati » si limitò a commentare il ragazzo, alzando appena un sopracciglio.

Severus chiuse la porta dietro di sé.

Doveva avere fiducia. Gli aveva insegnato bene. Fin troppo a dire il vero.

E ora doveva andare a parlare con Niamh. Non sapeva a che gioco stesse giocando quella squinternata ma era evidente che ben presto sarebbe finita anche lei sulla lista nera di Dolores Umbridge.

E sulla sua, visto che di certo c’era lei e quel dannato elfo che le squittiva sempre addosso dietro il furto della sua maledetta teiera.

Per Salazar…doveva smettere di pensare a quella dannata teiera... già c’erano abbastanza storie sul molliccio di Longbottom di qualche anno prima, non c’era certo bisogno di alimentarle con racconti di lui che borbottava come Augusta Longbottom.

 

 ***

 

Ognuno aveva il proprio stile e metodo preferito per occludere: c’era chi cercava di calmare la propria mente immaginando le acque limpide e calme di un lago, chi cantava la stessa canzone nella propria mente decine e decine di volte perdendosi nella melodia, chi ripeteva a memoria un testo sino a quando le parole perdevano di significato e restavano solo le singole lettere, chi immaginava il cielo d’estate sino a quando le stelle si spegnevano una ad una. Lui invece aveva sempre preferito l’idea delle pozioni per calmare la propria mente, soffermandosi sul bollore di un calderone immaginario sino a quando non sentiva più niente se non l’odore rassicurante così simile a quello del laboratorio di pozioni, mentre tutto ciò di cui nessuno doveva sapere veniva imbottigliato con cura in piccole ampolle colorate.

Per questo ora era lì con la sua migliore postura: la schiena ben eretta ma non rigida, le gambe rilassate e non perfettamente parallele e le mani morbidamente sul bracciolo della sedia, mentre con l’espressione più neutra che riuscisse a trovare osservava l’infinita serie di piattini in ceramica con gatti miagolanti che ornavano l’intera parete. Sua madre diceva sempre che bisognava trovare un argomento di conversazione cui aggrapparsi ogni volta che si incontrava qualcuno di nuovo. Beh di certo quello non sarebbe stato l’arredamento di interni. O la moda in generale, a quanto pareva.

E decisamente non sarebbe stato Harry Potter, era già chiaro che non fosse tra le fan dello Sfregiato Sopravvissuto.

Il che non era strano visto che quell’idiota era dall’estate precedente che continuava a sbandierare ai quattro venti che il Signore Oscuro era rinato, solo per garantire a quel cane del suo padrino la piena immunità. Ovviamente anche lui sapeva bene che lo psicopatico era risorto, tanto più che lui ci aveva quasi rimesso le penne nel processo. Ma quello che i dannati Grifondoro non sembravano capire era l’importanza della discrezione. L’aveva sempre detto lui che erano tutte fanfare e trombe squillanti e poca intelligenza.

Sentì l’incubo in rosa ripetere il suo nome e si costrinse a concentrarsi su di lei. Si chiese distrattamente quando fossero entrati così in confidenza da essere chiamato con il nome di battesimo.

«Scusi, stavo osservando tutte le migliorie apportate a questo posto» mentì, stupendosi quando il rospo con il rossetto sembro credere a quella che sembrava una cazzata troppo grossa anche per lui.

«Bello, vero? Si vede che hai gusto» tubò in risposta « Stavo leggendo il tuo questionario e ho alcune domande, se non ti dispiace»

Draco annuì, inarcando appena un sopracciglio.

«Qui c’è scritto che il tuo nome completo è Draco Lucius Malfoy, vero? E sei l’erede di Lucius Malfoy, quindi»chiese con la voce che scivolava appena su quella parola che l’aveva tormentato per tanti anni. Erede.

«Così dice mia madre. Narcissa Black, ha presente? Sono quasi certo che il mio secondo nome venga da li. Pensi che qualcuno dice anche che gli somiglio » disse con tono casuale, come se non le avesse appena dato dell’imbecille incapace anche solo di aprire la gazzetta del profeta.

L’Umbridge non perse un colpo, mentre uno dei gatti miagolava così forte da incrinare la porcellana.

«Si, l’ho vista di recente. Come tutti del resto. E pensare che sembrava una donna così …glaciale, direi» commentò con un tono che non riusciva a nascondere l’astio dietro quelle parole. Allora si era sbagliato... la Gazzetta del profeta l’apriva e come. «Quindi al momento è anche l’unico erede della famiglia Black, corretto? I Lestrange non hanno avuto figli a quanto mi risulta»

«Di una parte della famiglia Black, visto che Sirius è vivo e scagionato...» corresse meccanicamente. Evidentemente la parte mondana era di suo grande interesse.

«Per il momento» ribadì la Umbridge, in tono seccato. Quindi non era solo Potter il problema. Interessante.

«Quindi posso presumere che non abbia mentito sullo status di purosangue di entrambe i suoi genitori, vero?» continuò quella incrociando le dita tozze. Troppi anelli, troppo pacchiani. E decisamente non avrebbe mai potuto suonare il piano.  Istintivamente si tocco i suoi, così in contrasto con l’oro e l’ambra di quelli della donna...Sanctimonia Vincet Semper.La purezza prima di tutto. La famiglia prima di tutto. La voce di Nicholas era talmente vicina che per un attimo ebbe la certezza che sarebbe entrato da quella porta per tirarlo fuori da quella situazione, per sempre sospeso nei suoi diciassette anni.

Rimase in silenzio, aspettando. Era evidente che c’era altro dietro quell’inutile sfilza di domande. Era evidente che già sapeva le risposte. Le sapevano tutti.

«Eppure non mi risulta ancora alcun fidanzamento ufficiale»

La domanda seguente lo spiazzò a tal punto che per un attimo quasi perse la concentrazione. Si focalizzò sulla scatolina di zucca con sonagli che ornava la scrivania, l’unico oggetto non pacchiano, rosa o ricoperto di merletti di quella bolgia di cattivo gusto.

«Come scusi? Credo che mi sia sfuggito il momento in cui la vita privata degli studenti è diventata affare della scuola» rimbeccò con uno sbuffo, incrociando le braccia davanti al petto.

«Il mantenimento dello status quo è sempre stato uno dei principali obiettivi del Ministero, mio Caro. E dove iniziare se non dalle fondamenta dell’istruzione?» continuò mentre le labbra dipinte di fucsia si stendevano in un sorriso inquietante.

«E il mantenimento dello status quo sarebbe quello di impedirci di socializzare? O di giocare a Quidditch? O..» cercò di scegliere accuratamente le parole «di frequentare chi vogliamo? Crede che sia una mossa saggia per l’elettorato?»

L’Umbridge scoppiò in una risatina simile a quella di un cavallo «Oh, per una certa parte dell’elettorato di sicuro. L’unica che conta. Guarda qui… in fondo ho solo deciso di dare finalmente spazio alle proposte di una persona che conosci molto bene. Sanctimonia Vincet Semper e Toujours Pur.  Sono i motti della tua famiglia, o sbaglio?»

Incredibile, pensò Draco con un ghigno... era riuscita a storpiare tanto il latino quanto il francese in una stessa frase. Quella decisamente non proveniva dall’ambiente dove era cresciuto lui, nonostante tentasse disperatamente di dimostrare il contrario. Si sporse appena per prendere il foglio che gli stava porgendo.

Ed eccolo lì, nero su bianco, la madre di tutte le assurdità, quella che aveva sentito sin da quando era solo un bambino. Divisione tra figli di maghi e natibabbani. Supporto e sviluppo della storia e della tradizione del mondo magico. Eliminazioni di materie superflue e dannose. Rivalutazione del personale docente.

Si, in fondo era da lì che nasceva tutta quella serie di stupidaggini della Umbridge, solo che quel vecchio rospo in rosa aveva aggiunto il suo tocco di imperante bigottismo.

E poi capì perché gli era sembrato tutto così famigliare, come se l’avesse già sentito cento volte. Era perché in effetti l’aveva sul serio sentito cento volte. Perché la firma in fondo a quel foglio la conosceva bene, aveva addirittura cercato di falsificarla un paio di volte per autorizzare degli acquisti non proprio ortodossi, procurandosi un sacco di guai.

Lucius Septimus Malfoy 

Quella era la dannata firma di suo padre.

Che davvero ci fosse lui dietro tutto questo? In fondo la purezza del sangue era sempre stata l’ossessione di tutta la sua famiglia. E ora che la figlia della diseredata era nei guai era molto probabile che i suoi stessero facendo quello che avevano sempre fatto: saltare sulla barca del vincitore. Sempre che prima non fosse tutta una recita.

« Ora che ci siamo capiti vorrei chiederti qualche informazione su quello che è successo lo scorso anno, durante la finale del Torneo Tre Maghi. So che sei stato vittima di un incidente»

Finalmente aveva smesso di girarci attorno, pensò Draco socchiudendo gli occhi.

«Quello in cui sono quasi morto, intende? Se ha letto i registri sa bene che non ricordo nulla, a parte essere stato rapito mentre andavo a vedere il Torneo. Da Barty Crouch Jr, ricorda? Il Mangiamorte che aveva preso il posto di Malocchio Moody per un anno… »

« E che ha ricevuto il Bacio del dissennatore per essere sfuggito.» tagliò corto, evidentemente in imbarazzo per quella cantonata gigantesca del Ministero che aveva messo tutti loro in tremendo pericolo « Quindi tu mi confermi che quello che dice il Signor Potter sono solo bugie»

Di nuovo Draco si trovò spiazzato dal cambio di attenzione. Ecco il perché di tanto astio nei confronti di Potter «Del fatto che l’hanno quasi ucciso per garantire la rinascita di V…»

«Non. Dire. Il. Suo. Nome» per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione la preside sembrò lasciar cadere quella maschera da strega di mezz’età il cui unico obiettivo era garantire il benessere degli studenti. Si sistemò i capelli respirando affannosamente per calmarsi « Te lo richiedo di nuovo. Lo scorso anno qualcuno dice che c’è stata una cerimonia proibita con il vano tentativo di far rinascere Colui che non deve essere Nominato ovviamente fallito. E che ci fossero i tuoi genitori li. Capisci vero che nel caso tu decidessi di seguire questa linea le cose potrebbero diventare sgradevoli per tutti? Significherebbe che le voci su tuo padre e il suo coinvolgimento nei Mangiamorte erano vere… il che è assurdo, no? Sappiamo tutti che è stato scagionato perché sotto imperius… sarebbe un peccato finire ora ad Azkaban»

 Nonostante all’esterno potesse sembrare impassibile, dentro di sé Draco si ritrovò ad essere il bambino di cinque anni terrorizzato dall’idea che potessero portare via suo padre. Era davvero troppo piccolo per ricordarsi davvero come si fosse sentito quel mese in cui Lucius era stato via per il processo, eppure era rimasto qualcosa dentro di lui, un grumo di terrore che un giorno gli Auror sarebbero venuti e avrebbero distrutto tutto. Come sempre.

Merlino ma perché la mezzosangue mutaforma aveva scelto di diventare un Auror? Non poteva fare un lavoro normale se proprio doveva? A dire il vero non era male come insegnante…ma Auror…

La donna sembrò scartabellare per un attimo in un altro faldone, quasi sovrappensiero «Sei molto amico della signorina Parkinson, vero?»

Perso nel filo dei suoi pensieri Draco per un attimo rimase senza parole, limitandosi ad annuire mentre il batrace colorato gli allungava soddisfatto una pergamena. La prese con riluttanza, mentre le lettere gli ballavano davanti gli occhi fino a perdere il senso. Quello non era un compito di uno studente ma una dichiarazione del Wizegamot.

La rilesse da capo, sperando che avesse smesso di aver capito male la sua lingua madre.

«Cosa vorrebbe dire, Preside? Il tribunale si è già espresso sull’emancipazione di Pansy» riuscì finalmente a dire.

La strega inclinò la testa con fare accondiscendente, socchiudendo le labbra sbordate di rossetto pacchiano mentre un gatto dietro di lei miagolava così forte da aver fatto venire gli incubi a tutti i topi nel raggio di cento miglia « Una decisione affrettata, a mio avviso. Come si fa a togliere una figlia alla madre? La povera lady Parkinson è cosi disperata…»

«Signora Parkinson» corresse in automatico Draco, rendendosi conto troppo tardi che era stato un modo della Umbridge per metterlo alla prova. Tutti sapevano che i titoli onorifici erano solo di poche famiglie e che di certo i Parkinson, per quanto ricchi non erano tra l’élite dell’aristocrazia purosangue del mondo magico. 

«Già, perdonami, ho fatto confusione con tua madre…sai per me davanti alla legge siamo tutti uguali» ridacchiò soddisfatta «Ma come dicevo ho chiesto un riesame del caso e sembra che il nuovo consiglio sia d’accordo con me»

Draco digrignò i denti «E quindi vuole togliere l’eredità a Pansy e gettarla tra le grinfie di quell’arrivista alcolizzata della madre»

Aveva parlato in un modo che avrebbe dovuto farla infuriare, invece quella si limitò a sorridere ancora di più, uno strano lampo negli occhi freddi come quelli di un serpente « Oh ma quello dipende solo da te, mio caro. Come puoi notare non è stata ancora protocollata. Se farai il bravo e collaborerai farò in modo che quella lettera si perda e ci vorrà tempo perché qualcuno se ne accorga... oserei dire il tempo per la signorina Parkinson di compiere diciassette anni» tubò

Draco deglutì a vuoto, sentendo la gola riarsa come se non bevesse da mesi: era sempre stato un egoista viziato, ma ora stava a lui cercare di mettere insieme i pezzi. Riconosceva lo sguardo di quella donna. Non era ricca, non era affascinante, non era purosangue e a dirla tutta neanche particolarmente intelligente. Ma era affamata di potere, poteva quasi sentire il suo desiderio che la logorava ad ogni respiro.

E se c’era una seconda cosa che aveva imparato dai suoi genitori era quella di non attaccare mai direttamente chi era mosso da un odio e una motivazione così feroce. Diplomazia e politica in fondo gli scorrevano nelle vene, era solo il caso di mettere in pratica anni di insegnamenti. Aveva visto centinaia di volte i suoi in occasioni mondane, aveva visto come preparavano le loro strategie che fosse in politica, negli affari o in società. Tutti i balli, tutti gli incontri formali, tutte le colazioni di lavoro e le volte in cui aveva dovuto ascoltarenoiosissimi discorsi cercando di sembrare interessato… ecco forse finalmente avevano una ragione d’essere.

Non poteva tradire Pansy, non dopo tutto quello che aveva passato. Sanctimonia vincet semper. Pansy era la sua famiglia in fondo. E in passato aveva dimostrato che per proteggere la sua famiglia, da buon serpeverde e da buon Malfoy era disposto a calpestare chiunque. Potter incluso.

«Non ricordo niente, Preside. Ma dubito fortemente che ci sia mai stato nulla del genere. I miei erano ad una cena quella sera» mentì spudoratamente sfoderando il suo miglior sorriso, sicuro che ancora una volta le fossette e l’aria innocente che riusciva a mettere su lo avrebbero salvato.

L’Umbridge batté le mani, il metallo degli anelli che sbatteva insieme alle mani grassocce.

«Ne ero certa. E ora, mio caro Draco, vorrei parlarti di un’altra cosa. Che ne diresti di far parte della mia Squadra d’Inquisizione?»

Draco represse la nausea che gli era salita solo a sentire quel nome, costringendosi a mostrare invece il suo sorriso più accattivante «Mi sembra un’ottima idea, Preside»

E mentre quel rospo elencava tutto quello che avrebbe dovuto fare Draco Malfoy sperò solo di riuscire a spiegare tutto alla Granger, prima che qualcuno riuscisse a convincerla che l’aveva tradita.

Potentia Para Vis.

La potenza prima di tutto.

E lui a quel gioco di certo non avrebbe perso.

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX- Prigionieri ***


Piccolo cambio di programma: per le prossime settimane la pubblicazione sarà la domenica ( e appena finirò di rivedere gli ultimi capitoli passeremo finalmente a due). Siamo rimasti per molto tempo fermi.. ancora un po' di pazienza ma poi le cose peggioreranno molto velocemente.
Ti ricordo la bacheca Pinterest per capire dove andrà a parare questa storia




Dieci, Undici, Dodici,Tredici. Ormai aveva perso il conto di quante volte aveva misurato e scandagliato palmo a palmo ogni centimetro di quella stanza, sperando di trovare una fessura, una crepa, qualsiasi cosa che le permettesse di evadere ma anche quella volta le pareti liscissime non fornirono nessun appiglio. Si sedette sbuffando a gambe incrociate sul pavimento di pietra, accarezzandosi il ventre.

«Non preoccuparti, la mamma troverà il modo di tirarci fuori da questo casino... anche perché sono certa che il tuo papà starà dando di matto non avendo notizie di noi. E Merlino non voglia che inizi a seguire le proposte di Sirius» borbottò chinando la testa di lato per osservare Il fremito delle foglie del bosco nel grande dipinto davanti a lei, l’unico abbellimento stilistico di quella stanza circolare. Ogni volta che lo osservava non c’era nessuno, solo decine e decine di alberi di ogni forma e dimensione. Eppure era certa di aver intravisto almeno una volta una figura dai lunghi capelli neri che si aggirava nell’oscurità della foresta.

Un pop secco accanto e lei e il profumo delizioso le segnalarono che aveva nuovamente degli ospiti: quella strana elfa che l’aveva portata in salvo, o almeno che a suo dire l’aveva fatto, era venuta ad intervalli regolari a portarle da mangiare ogni sorta di cibo delizioso, dagli zuccotti appena sfornati al suo pasticcio preferito, passando per ogni tipo di bevanda.

«Severus me l’aveva detto che eri testarda come tua madre... ma per la Signora almeno lei a quest’ora avrebbe capito che è inutile passare le ore con l’orecchio attaccato ai muri di pietra. Forse aveva ragione la mia di madre voi: voi Tassorosso siete strani»

Decisamente quella non era lo strano elfo con il grande fiocco.

«Niamh..» disse a mezza bocca mentre davanti a lei appariva una piccola tavola coperta da una candida tovaglia di lino ricamata «Direi che le posate d’argento sono un filo pretenziose visto che mi tieni prigioniera. E tua madre quindi ha frequentato Hogwarts?»

La strega stirò le labbra in un ghigno divertito accomodandosi ed invitando a fare altrettanto «Non c’è motivo per mangiare come dei trogloditi, Nymphadora. E per la centesima volta non sei prigioniera»

«Quindi posso andarmene?» rimbeccò l’Auror  sedendosi a sua volta ma rifiutandosi di toccare il cibo, nonostante quello fosse uno dei suoi piatti preferiti, e di certo l’unico che sua madre avesse mai imparato a cucinare. Ma dall’odore decisamente non era opera di sua madre «E piantala di chiamarmi Nymphadora»

Niamh piluccò una delle verdure di accompagnamento «Ma è il tuo nome no? Comunque non capisco questa voglia di farti portare ad Azkaban... mi dicono che non sia un gran bel posto» la strega si fermò a guardarla «No direi di no, visto il colore che hanno assunto i tuoi capelli»

«Mi rifiuto di credere anche per un momento che Moody e Kinglsey possano essersi bevuti la storia che sia stata io. Forza, convincimi del contrario» la sfidò incrociando le braccia davanti al petto mentre l’altra la fissava con gli occhi neri che non tradivano nessuna particolare emozione, se non una certa aria di sufficienza che non riusciva mai totalmente a levarsi di dosso.

«Oh su questo hai ragione, peccato che a nessuno interessi quello che hanno da dire. Pare che  l’idea di una mutaforma mezzosangue Auror che uccida una studentessa per evitare che il suo bambino possa prendere i geni da lupo mannaro del padre sia una storia che deve essere raccontata a tutti i costi. Sei già stata dichiarata colpevole Nymphadora, e prima lo accetterai meglio sarà per tutti, almeno possiamo provare a salvarti la vita» commentò tranquillamente continuando a tagliare minuziosamente il filetto in piccoli pezzi prima di portarseli alla bocca  «Dovresti mangiare, non fa bene al bambino questo tuo sciopero della fame. Credi che Cockey non mi abbia detto che non hai toccato cibo? Se non ti piace possiamo farti portare altro, non  è un problema. Cockey è sempre felice di cucinare e ha un debole per le donne incinta… mia madre dice che quando aspettava me cercava di rimpinzarla come un ippogrifo»

Nympadora sbatté di nuovo gli occhi, allontanando il piatto con una mano, il solo odore della carne le stava dando il voltastomaco. Come poteva anche solo pensare a mangiare in quel momento? Se quello che la strega aveva detto era vero la situazione era più grave del previsto.

«Perché io? In fondo non sono neanche in servizio attivo al momento e tra pochi mesi sarò in congedo di maternità ufficiale» chiese, rivolgendosi più a sé stessa che alla sua compagna di cena «Devo contattare Remus, fargli sapere che sto bene. E mio padre… Merlino non oso pensare come stiano lui e la mamma. Sono certa che lei stia escogitando qualche piano folle al limite del legale»

Niamh la guardò un attimo mentre davanti a lei il piatto spariva per fare posto ad una zuppa di zucca e cardamomo «Meglio? Se mangi almeno quella poi puoi avere il dolce. E comunque no, non puoi avvertire nessuno, mi dispiace»

«Piantala di trattarmi come una ragazzina, per Merlino» sbottò l’Auror resistendo all’impulso di tirare contro il muro la cocotte di porcellana smaltata color lapislazzulo con tutto il liquido bollente e profumato di spezie «Pensi che non sappia come mandare un messaggio ai miei senza farmi scoprire?»

«E va bene, prima il dolce. Certo che mai avrei detto che tua madre ti avesse viziata così tanto,sai? »Un secondo pop e la zuppa si trasformò in un tortino al cioccolato dall’aspetto morbidissimo «La scuola è chiusa, sigillata oserei dire, nessuno al momento può entrare o uscire e anche tutte le comunicazioni sono bloccate. Ordini della nuova preside. Un essere alquanto sgradevole se vuoi sapere la mia. E di certo sprovvista di buon gusto… dovresti vedere i suoi cerchietti.»

Poi di fronte all’espressione attonita della ragazza di fronte a lei continuò «Silente è stato cacciato e la scuola commissariata da un’acida babbiona con un gusto orrido per i vestiti. Anche agli elfi è stato messo un bracciale per evitare che possano smaterializzarsi. Quella stupida faccia di rospo… ero certa che non avrebbe pensato agli elfi… e invece quell’idiota lentigginoso ha avuto la geniale idea di suggerire di bloccare anche loro»

Ancora una volta, così come quando aveva origliato la conversazione tra Silente e Piton, la terra sembrò aprirsi sotto di lei, inghiottendo tutte le sue certezze. Silente era Hogwarts. Silente era casa, si ripeté ancora una volta. Com’era possibile che si fosse lasciato cacciare?

Istintivamente riprese in mano la forchetta, staccando un boccone piccolissimo della torta e portandolo alla bocca e mentre la glassa le si scioglieva dolce e avvolgente come il palato le sembrò di sentire la voce calda e rassicurante di Remus.

La cioccolata aiuta sempre, le bisbigliò immaginario ma così reale che poteva sentire il tocco delicato delle lunghe dita che le accarezzavano tenere la guancia. Risalì quel tocco all’indietro, inanellando tutti i  ricordi degli ultimi mesi, lasciando che fossero le sue mani e il suo respiro a calmarla.

«Silente cacciato e io accusata.. è evidente che qualcuno aveva bisogno di averci fuori dai piedi, e anche piuttosto in fretta. Come si chiama la nuova preside?» disse infine riallacciandosi a quella domanda che era rimasta nell’aria.

«Dolores Umbridge. Mai sentita?» rispose Niamh appoggiandosi allo schienale e accavallando le gambe, fissandola con curiosità questa volta

Tonks scosse la testa, pensierosa. Quel nome non le diceva niente…ma c’era un altro dettaglio che prima non aveva notato «Hai parlato di un deficiente lattiginoso.. sai chi è?»

«Capelli rossi, sguardo vacuo, un abito di pessimo gusto…qualcuno che conosco direbbe che è un Weasley» la stuzzicò con un ghigno «Oh non guardarmi così, dovresti vedere cosa gli hanno detto i fratelli»

Percy? Persino Percy era dalla loro parte? Certo non era mai stato il suo Weasley preferito ma non c’era verso che potesse essere malvagio. Restò in silenzio continuando meccanicamente a mangiare la torta, lasciando che fossero i suoi ricordi e sensazioni a trovare il bandolo della matassa. Quando ebbe finito si versò una tazza di tè caldo dalla teiera che ora faceva bella mostra di sé accanto al suo piatto.

«Ultimamente stavo facendo delle ricerche sul Sine Requiescat.. o meglio su una sua versione modificata. Sai di cosa parlo?» chiese ricordando del discorso avuto con sua madre qualche settimana prima. C’era un’unica cosa di cui lei e Silente si stavano occupando insieme ed erano gli attacchi subiti a partire dal ventuno dicembre. E il preside era stato concorde con lei sui resti trovati sulla Abbott dopo l’attacco.

«Conosco l’incantesimo ma so per certo che la persona che l’ha usato l’ultima volta è morta, uccisa molti anni dopo dalla sua stessa vittima . Inoltre il libro con l’incantesimo è contenuto a diverse miglia di distanza da qui a quel che ne so» rispose la bionda, mentre i tatuaggi sulle falangi sembravano danzare mentre tamburellava distrattamente sulla tovaglia.

«E se non fosse morta sul serio? Se avesse solo finto? Oppure chi l’ha uccisa ha deciso di utilizzare la maledizione come uno strumento perverso di vendetta. Hai detto che il libro è a diverse miglia da qui. Dové? Sai chi lo ha? Non sono riuscita a trovare l’incantesimo originale ma sono certa che una sua versione modificata sia stata usata negli attacchi» chiese impaziente Tonks, iniziando a camminare a larghi passi per la stanza, incapace di restare seduta.

Niamh continuò ad osservarla, spostando lo sguardo tra lei e il dipinto alle sue spalle, sembrava quasi cercare una risposta tra quegli alberi. Sembrò soppesare a lungo qualcosa, giocherellando con la lunga treccia quasi bianca che le ricadeva sulla spalla destra. 

«Se sia morta o meno dovresti dirmelo tu, visto che eri li. E non credo proprio che nostra zia  ti farebbe una cosa del genere, nonostante tu sia una mezzosangue con geni mutaforma per via della maledizione dei Black» disse infine, mentre nel dipinto il vento sembrava aumentare di intensità, i rami degli alberi che ormai fremevano come colpiti da un tornado.

Fu il turno di Nymphadora di fissarla senza parlare, i capelli che assumevano una strana sfumatura violacea più vicina all’indaco, prima di diventare improvvisamente di un caldo colore dorato. Tra se e sé i vari pezzi delle settimane precedente iniziarono finalmente ad unirsi «Quindi avevo ragione. Cockey è l’elfo dei Malfoy»

«Cockey non è l’elfo dei Malfoy» si limitò a commentare Niamh agitando la mano come se avesse appena detto una sciocchezza «O meglio, ha deciso di continuare a rimanere lì dopo che la nonna è morta ma non lo definirei l’elfo dei Malfoy»

«Non interrompermi. Sto seguendo un filo logico» la zittì di rimando, quasi in automatico, ogni parola che usciva dalla bocca di quella che non sapeva ancora se fosse la sua carceriera o la sua salvatrice che rendeva sempre più vivido il quadro « E tu a quanto ho capito dovresti essere la giovane padroncina. Però se fossi la sorellastra del figlio del demonio non avremmo una zia in comune. Sempre che tu non sia figlia di Bellatrix e in quel caso…no non voglio neanche pensarci a che razza di essere potrebbero aver generato quei due. Draco in confronto sembrerebbe un cucciolo di Mooncalf»

Una risata cristallina ruppe l’aria tesa che si era formata mentre l’incredulità si dipingeva mista ad orrore sul viso dell’Auror.

«Oh ma allora sei davvero figlia di Andromeda Black. Si nostra zia, di sangue per te e acquisita per me. E a proposito.. ti sta bene il biondo sai?» Niamh si alzò continuando a ridere e porgendole la mano « Piacere di fare di nuovo la tua conoscenza, Nymphadora Tonks. Montmorency è il cognome di  mia nonna materna. Da dove vengo io i cognomi hanno poco senso ma nel vostro mondo il mio sarebbe Nott. Per la Signora, non credevo davvero che qualcuno non collegasse le due cose ma ormai è fatta.. e tanto ormai non puoi dirlo a nessuno. E’ un piacere sapere di non essermi sbagliata su di te»

L’Auror sembrò ancora più spaesata, riluttante a stringere la mano di quella ormai perfetta sconosciuta che si limitò a fissarla con un sorrisetto inclinando la testa.

No, non era un sorrisetto quanto un ghigno… un ghigno che aveva visto solo in un’altra persona. E poi c’era Cockey, il riferimento alla zia di sangue, quegli assurdi capelli biondi.

«Niamh Vivianne Nott Malfoy, figlia di Arael Morgaine Malfoy e di quel gran bastardo di Theodore Nott Senior»continuò facendo schioccare la lingua in una risata trattenuta «E quindi si, abbiamo degli zii in comune. E ora siediti, già che ci sei ti racconterò tutta la storia. Tu però questa sera farai un pasto decente, siamo d’accordo?»

Tonks annuì, sedendosi diligentemente sul divano di velluto accanto al camino. Poteva resistere a torture e ai morsi della fame ma se c’era un suo punto debole quello era di certo la curiosità. D’altronde era sempre figlia di quell’impicciona di sua madre.

 

***

 

Quando erano tornati nel loro dormitorio persino la Signora Grassa sembrava volerli evitare ad ogni costo: quando chiese loro la parola chiave non si fermò a chiacchierare, non fece alcuna battuta sui comportamenti licenziosi dei giovani studenti, non tentò di cantare alcuna aria d’opera storpiando le parole. Lì per lì le era sembrato strano ma poi aveva avuto la conferma che ci fosse qualcosa che decisamente non andava quando aveva visto la MGgranitt, scura in volto come poche altre volte in quei cinque anni, attenderli di fronte a due porte. Li aveva accolti con un discorso breve ed asciutto in cui sarebbe stato chiaro anche al più sbadato del primo anno che per lei l’intera situazione aveva del surreale.

I Grifondoro sono leali e coraggiosi e seguiremo le regole della Preside pro tempore Umbridge. Aveva detto, non senza aggiungere con un tono non troppo contenuto In attesa del ritorno del Preside Silente, calcando bene la voce sulle parole pro tempore e ritorno.

Reprimendo un grumo di rabbia Hermione alzò il mento e si avviò decisa verso la porta con il disegno delle ali della farfalla, fermandosi appena un attimo a guardare Ron, rigido accanto al suo gruppo. Da quando l’avevano salvata dal Troll nel bagno quella sera lontana del loro primo anno erano stati inseparabili. E sebbene avessero rischiato la vita ogni anno, ogni singolo maledetto anno, Hermione non si era mai pentita di averli seguiti, di essersi lasciata condurre in quel viaggio che mai avrebbe fatto da sola.

Non erano solo amici, non erano solo il Golden trio, erano la sua famiglia, quella che si era scelta e che avrebbe scelto ogni giorno. Si soffermò a guardare i capelli rossi di Ron, di una sfumatura più vicina al rame che al rosso quasi rubino di Ginny o a quello color zenzero di Fred e George, gli occhi azzurri brillanti che aveva ripreso da Molly, le labbra sottili che teneva serrate e quasi non riconobbe il bambinetto che aveva conosciuto sul treno mentre cercava il rospo per Neville. 

«Sta attento ad Harry» mormorò appena, senza che uscisse un fiato di voce, ben sapendo quanto Ron fosse diventato abile a leggere il labiale. Lui annuì, continuando a fissarla, poi sorrise mentre i loro compagni sfilavano tra di loro.

Infine fu il suo turno di varcare la soglia. Si ripeté tra sé che era solo una situazione temporanea, che doveva solo dormirci e studiare in quelle stanze, che ben presto sarebbe tornato tutto alla normalità delle chiacchiere a tarda sera, degli abbracci e delle risate.

Chiuse un attimo gli occhi, sperando che bastasse a cancellare quella visione, ma quando li riaprì la nuova sala comune era sempre li: gli stessi colori caldi, gli stessi tessuti ricchi ed opulenti, una replica perfetta dei camini della precedente, ma era come se tutto il calore fosse stato risucchiato via.

Il grande specchio sopra il caminetto centrale le rimandò una visione quasi spettrale, un’estranea con il suo volto ma un’espressione imperturbabile, la stessa che aveva indossato nei mesi a serpeverde.

Ginny fu in un attimo accanto a lei, uno sguardo di puro fuoco negli occhi castani, mentre ancora masticava maledizioni contro il fratello maggiore resosi colpevole di quell’abominio ai suoi occhi 

«Andiamo Herm, sono certa che avrai un bel po’ da scrivere sul tuo diario stasera.» le bisbigliò all’orecchio «Se vuoi ti aiuto»

Si, il diario… aveva ancora un modo per parlare con Draco, per dirgli che lei non si sarebbe arresa. Come aveva detto la McGranitt i grifondoro erano dei guerrieri, leali e coraggiosi. Aveva affrontato altri mostri prima e non si sarebbe fatta impaurire da una stupida e miope burocrate dalla bacchetta troppo corta.

Sarebbe tornata da Draco, a qualunque costo. Lo aveva trovato una volta e di certo non l’avrebbe perso ora.

«Un diario? Ma che carina» cinguettò Lavanda improvvisamente accanto a loro «Non ti facevo tipo da diario segreto, Hermione. Certo che ora avrai molto più tempo a disposizione senza un fidanzato prima da tenere segreto neanche avesse la peste e poi da sbaciucchiare in faccia a tutti. E senza i tuoi noiosi articoli per la vostra rivista...certo un peccato che non potrai farti fare un’altra bella foto da mettere nella pagina mondana»

«Dimmi, Lavanda, cos’è che ti dà fastidio esattamente? Che Hermione abbia un ragazzo, che sia Draco Malfoy, che sia una strega brillante e intelligente e che abbia una voce e delle cose da dire o semplicemente un insieme di tutto questo?» ringhiò Ginny mettendosi tra di loro

«O forse, ci siamo un po’ tutte scocciate del fatto che ve ne andiate in giro come se foste migliori di noi, Weasley. O forse dovrei già chiamarti Potter?» commentò gelida Vicky Frobisher a pochi centimetri dalla sua faccia, spingendo Lavanda indietro

Per un attimo Hermione ebbe il serio timore che Ginny decidesse di replicare la performance di Pansy dello scorso anno del bagno con Patil e di certo una rissa avrebbe solo provocato danni a tutti loro, guai di cui non avevano bisogno al momento. Sfoderando la sua migliore imitazione del sorriso di circostanza su cui Narcissa Malfoy l’aveva costretta ad esercitarsi per quasi un’ora, posò una mano sulla spalla dell’amica, rivolgendosi al gruppetto di fronte a loro:

«Beh tecnicamente io sono più brava a scuola e Ginny è la migliore sul campo da Quidditch. E se fossi in voi eviterei di tirare troppo la corda, sia mai che una fascia per capelli non basti questa volta» 

«Sapevo che eri stata tu» ringhiò 

Hermione sbatté di nuovo gli occhi con fare innocente «Nessuna prova, nessun crimine. Ma non mettere alla prova la mia pazienza: come hai detto ho molto tempo ora a disposizione e mi annoio facilmente. Se invece vorrai imparare qualcosa sai bene che ci sono sempre»

«Dai su andiamo a dormire, siamo tutte molto stanche e nervose, rimandiamo i litigi a domani che dite?» Angelina Johnson aveva parlato in tono leggero ma in un modo che non ammetteva repliche poggiando un braccio sulle spalle di Hermione mentre Katie Bell lo faceva con Ginny in quello che sembrava piuttosto un placcaggio «E no, non inizieremo a farci le trecce a vicenda per passare il tempo, piuttosto mi butto dalla finestra. Quindi ora a letto e domani cercheremo di sopravvivere a quello che speriamo sia il più breve tempo possibile senza sesso e senza Quidditch. Fortuna che Baston non c’è o si sarebbe soffocato con il boccino»

«E senza sesso da Quidditch» bofonchiò Katie continuando a trattenere Ginny che sembrava intenzionata a spiegare a Lavanda e Patil un paio di cosette allo stile Weasley. A dirla tutta non sapeva se assomigliava più a Molly infuriata o ad una versione di Pansy senza trucco e con i capelli rossi.

Hermione inspirò a fondo cercando di calmarsi e ragionare. Quella guerra era durata abbastanza e al momento non aveva né il tempo né energie da sprecare. Se c’era una serpeverde da cui imparare quella non era di certo Pansy quanto piuttosto una fin troppo simile a lei, quella che era nota come la strega più brillante della sua generazione e che al momento doveva sentirsi disperata all’idea di sua figlia ingiustamente accusata di omicidio e costretta alla fuga, braccata da coloro che fino a poco tempo fa considerava degli amici.

E a dirla tutta con Lavanda aveva un dente particolarmente avvelenato dai tempi in cui pensava di essere innamorata di Ron. A ripensarci adesso le veniva quasi da ridere: si era convinta di amare Ron perché lui era casa, era un abbraccio familiare, qualcuno che sapeva ci fosse sempre per lei, nonostante tutto. I libri erano sempre stati il suo modo di comprendere le cose, la magia innanzitutto ma Ron... Ron era stato il suo modo di viverle: lui era nato nel mondo magico e le aveva fatto scoprire quella realtà nuova che sebbene le appartenesse a volte faticava a comprendere. Come quando si era sorpreso che lei ed Harry non conoscessero le fiabe di Beda e il Bardo. O quando le aveva spiegato cosa quell’insulto che Draco le aveva rivolto davanti a tutti, sputandolo fuori come veleno.

SangueSporco.

Draco, cresciuto con la convinzione che chiunque non fosse un purosangue fosse inferiore.

Draco che sin da bambino aveva sentito storie su Voldemort.

Draco che per anni aveva fatto finta di ignorarla, di non voler neanche posare gli occhi su di lei per paura di contaminarsi.

Draco che la rincorreva su per le scale  dopo il ballo del ceppo.

E Draco che le diceva che era bella, arrotolandosi i suoi ricci sul dito ridendo perché lei alzava gli occhi al cielo, fingendo distacco quando era solo imbarazzo. 

Draco che veniva a casa sua e mangiava la pizza sul divano con i suoi genitori babbani guardando un film di Natale.

Draco di cui non sentiva il sapore da giorni al punto di chiedersi se fosse stato tutto solo un sogno

Ma lei era Hermione Jane Granger e sarebbe sparita la magia dal mondo prima che lei accettasse tutto questo.

Tese la mano a Lavanda, sorridendo esausta «Facciamo una tregua che dici?In fondo siamo nella stessa Casa. Mi dispiace per i tuoi capelli, ma sono ricresciuti a quanto vedo e sono persino più belli di vita»

Lavanda guardò sospettosa per un attimo prima di prenderle la mano « Angelina ha ragione, siamo solo stanche. E forse sono davvero un po’ invidiosa di te… beh non dei tuoi capelli però»

Hermione digrignò i denti, ingoiando l’insulto che le era salito alle labbra. In fondo era un piccolo prezzo da pagare per quello che aveva in mente.

Doveva trovare Tonks e poi Silente sarebbe tornato. E se c’era qualcuno che potesse trovarla quella era lei ma se non poteva contare su Harry e Ron per via di quelle assurde regole di certo doveva cercare di avere più alleati possibili.

«Esatto... stessa squadra. Baston ce lo diceva sempre: non litigate tra di voi ma conservate le energie per gli avversari. In particolare per quelle serpi viscide dei sotterranei… ehm scusa Hermione ma davvero Malfoy ogni volta che lo vedo giocare spero si schianti contro gli spalti, senza offesa.» commentò Katie lasciando finalmente andare Ginny.

«Nessuna offesa, capisco lo spirito agonistico» si rilassò la grifondoro  aprendo la porta del loro dormitorio e tenendola aperta «E in confronto a quello che dice Harry sono quasi complimenti. Che dite andiamo a dormire?»

«E’ un peccato però se si dovesse rovinare il viso, ha degli zigomi così carini. Odioso ma bello, capisco perché sia così popolare. E ha anche le fossette, sai che non ci avevo mai fatto caso? Eravate così carini in quella foto! E il tuo vestito quanto ti è costato? Sei andata da Madame Malkin? E gli orecchini? E i capelli… Merlino deve avere avuto un collasso quando ti ha visto.. anche se non stavi poi così male» Lavanda la prese sottobraccio, un torrente di parole in piena.

Ginny ridacchio dietro di lei, superando Parvati rimasta in silenzio per tutto il tempo appoggiata al muro. Di certo era una cosa buona aver ristabilito la pace.

Ma rispondere a tutte quelle domande inutili..

Per Godric Grifondoro ma in che guaio si era cacciata?

 

****

 

Sirius Black era seduto al grande tavolo di legno nero fissando assorto un punto indefinito davanti a lui, rigirando tra le mani uno spicchio di vetro lucente, quasi immune al caos di carte e libri che regnava attorno a lui.

Remus era dall’altra parte del tavolo tormentandosi i capelli, la testa china sul grande tomo rilegato in pelle davanti a lui. Kinglsey e Moody, infatti, erano riusciti a far scomparire tutte le ricerche di Tonks prima che arrivasse la seconda squadra. Nessuno aveva avuto il coraggio di perquisirli e anche quei pochi e zelanti nuovi membri che potevano averci pensato era ben presto stato distolto da quello stolto progetto da qualche occhiata dell’occhio finto di Malocchio Moody. Anche se non era più Crouch quell’uomo era una leggenda e di certo non bastavano quattro burocrati in giacca e cravatta ad impaurirlo.

Kreatcher apparve accanto al tavolo, portando due whiskey incendiari e una caraffa d’argento piena di acqua fresca. Nessuno gliel’aveva chiesta ma a Grimmauld place quando c’erano momenti difficili la padrona ordinava sempre il whiskey. E sebbene odiasse che il suo regno fosse stato profanato da un’orda di mezzosangue, sanguesporco, babbanofili e persino lupi mannari aveva promesso al padroncino Regulus che si sarebbe preso cura del traditore del sangue, se mai fosse tornato.

E lui sarebbe diventato un elfo libero e ridotto a servire ai tavoli di un pub di quart’ordine prima di venire meno alla promessa fatta al padroncino.

Però quei due erano davvero degli zucconi. Riprese la Gazzetta del Profeta sbattendola per aprirla. In prima pagina c’era una foto della mutaforma mezzosangue con i capelli dritti mentre insegnava in piedi sulla cattedra, mentre i ragazzi sotto di lei sembravano in preda ad un prurito insostenibile.

Lezione sull’Excito Prurignis, evidentemente, lo sapeva benissimo persino lui. Il traditore e il padroncino si divertivano un mondo ad esercitarsi sugli ospiti di Grimmauld Place, in particolare con le amiche di bridge magico della padrona.  Ma quella stupida pennivendola aveva insinuato fosse un modo per torturare gli studenti. come se qualcuno scegliesse un incantesimo così banale per torturare qualcuno.

Se l’avessero chiesto a lui avrebbe tirato fuori ben più di quello. Anzi, più di una volta era stato tentato di utilizzarlo quando la casa era stata invasa da Harry Potter e l’orda di strani personaggi che l’accompagnavano, la natababbana dai capelli ingestibili  inclusa. A dire il vero nessuno sembrava preoccuparsi troppo dei propri capelli in quel gruppo. Cose da pazzi. Cose da mezzosangue.

«Stupidaggini» borbottò mentre il giornale veniva strappato in mille pezzi che iniziarono a volare per la stanza « Fosse stato possibile, Lady Druella l’avrebbe fatto tanti anni fa»

«Per la prima volta siamo d’accordo su una cosa, vecchio mio. E questo è quasi più strano di tutto il resto» commentò Sirius bagnandosi appena le labbra.

«Oh e ha fatto tante ricerche, eh Signore. Era venuta anche qui a cercare.. aveva chiesto alla padrona se pensava che uccidere il natobabbano avrebbe fatto rinsavire Miss Andromeda. Ma la padrona ha detto che non c’era niente da fare. Se la mela è marcia è marcia. E come darle torto»  continuò a bofonchiare mentre spingeva con il lungo dito uno dei fogli, nella speranza che quei due idioti capissero cosa cercare.

Aveva sentito parlare di quell’incantesimo tanto tempo prima, quando aveva accompagnato il padroncino Regulus da quell’odioso essere allora conosciuto come il signore Oscuro. Quando erano entrati una donna dai lunghi capelli scuri era accanto a quell’uomo e ne stavano parlando. All’inizio pensava fosse Miss Bellatrix, ma quando si era girata aveva capito che non era lei. E che non gli piaceva come guardava il padroncino, lo  stesso modo in cui lui guardava i nuovi elfi che perdevano servizio.

«Regulus grazie di essere venuto» aveva detto l’uomo con una voce sibilante «Stavamo giusto parlando di un incantesimo che Cassandra ha provato tempo fa… stavamo giusto pensando che tu potresti  darci una mano con la ricerca che dici? Sei così portato»

Il padroncino aveva preso il foglio mimando una deferenza che Kreatcher sapeva non avere più e gli aveva dato una lettura veloce « Vi porterò quello che chiedete mio Signore, ma non credo di essere in grado di realizzare l’incantesimo»

Bugie, Kreatcher lo sapeva benissimo. Il padroncino avrebbe potuto creare quell’incantesimo, lui lo sapeva bene. Ma era stato ben zitto. Se il padroncino non voleva farlo c’era un motivo e lui lo avrebbe rispettato sempre. Lo guardò occludere in maniera talmente sottile che neanche quella donna che lo guardava fisso se ne accorse. Schioccò le labbra in una risata di scherno «Oh non preoccuparti mio piccolo Black. A quello ci penserò io»

Voldemort si era unito alla risata «Mia giovane Cassandra, ambiziosa come sempre»

«Sempre» aveva risposto lei, la voce metallica che si perdeva dietro di loro.

E ora quell’incantesimo era diventato realtà. Lo riconosceva. Peccato che non potesse parlarne senza infrangere la promessa al padroncino.

E lui non avrebbe mai disubbidito al padroncino.

Mai.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XX- Castelli di Carta ***


Dall’incontro con l’avvocato a Villa Black nel Wiltshire per giorni se non settimane sia a Lucius che a Narcissa era sembrato di dover camminare su schegge di vetro acuminate e non solo perché appena rientrati a casa la rabbia di Narcissa era esplosa al punto da distruggere la maggior parte delle vetrate dell’ala ovest del piano terra dove si era materializzata da sola, Lucius sparito chissà dove.

Dopo la sera del gala di Natale, infatti, il rapporto tra i coniugi Malfoy era stato appeso ad un filo sottile, appena ricucito dall’idea di un voto di protezione talmente potente che se Lucius l’avesse infranto ferendo nuovamente Draco avrebbe dovuto rinunciare alla sua magia per sempre. E se c’era un’unica cosa che Lucius Septimus Malfoy amava più di sé stesso e del suo orgoglio era la magia. L’idea di vivere senza gli era inconcepibile, un orrore peggiore di qualsiasi cruciatus. Per inciso era chiaro persino a lui che in un simile tormento sarebbe stato solo, perché sua moglie non avrebbe mai vissuto un altro giorno insieme a lui indipendentemente dal prezzo da pagare.

Aveva provato a superare la cosa, a cercare una spiegazione logica,eppure quella rabbia era cresciuta giorno dopo giorno sino a quando anche la corazza che Narcissa si era costruita nel corso degli anni era esplosa, un pomeriggio di aprile in cui nuovamente Lucius appena rientrato era sparito.

«Come diavolo ha fatto a passarti di mente di dirmi che tu e mia sorella avevate stretto un patto del genere? Cos’è pensavi che non l’avrei mai scoperto?»  aveva urlato quando finalmente lo aveva trovato nell’ala nord mentre apriva freneticamente i cassetti della scrivania di una delle sue stanze da ragazzo. Non era solo il fatto che Draco avrebbe ereditato una mostruosa quantità di denaro e proprietà ad un’età ridicolmente giovane e senza che loro potessero gestirlo a preoccuparla. Draco sarebbe diventato finanziariamente indipendente ben prima del previsto e anni prima di aver accesso al suo fondo fiduciario quando ancora di certo non aveva né la maturità né la stabilità mentale per gestire la situazione. Renderlo probabilmente il mago più ricco di Inghilterra non avrebbe fatto altro che peggiorare entrambe le problematiche, senza contare che sarebbe stato capace di spenderle per comprarsi davvero una squadra di Quidditch. O peggio... non era un mistero per nessuno che sin da piccolo aveva sempre voluto un drago da compagnia una volta scoperto il significato del suo nome… non si sarebbe poi stupita più di tanto se avesse trovato il modo di comprarsene uno di contrabbando.

 

 

E poi si sentiva ferita come non capitava da anni, tagliata fuori dalle persone che amava: Lucius e Bellatrix avevano fatto un accordo che riguardava lei e neanche si erano degnati di chiedere il suo parere. Ma non era quella la cosa peggiore. No, quello che la faceva realmente andare in bestia era scoprire che il suo perfetto bambino che correva a rifugiarsi tra le sue braccia quando fuori c’era un temporale aveva ucciso delle persone.

A rigor di logica non avrebbe dovuto essere un gran problema, anzi un onore per la famiglia Black, ma in quel momento il suo cuore era solo colmo di dolore, il respiro che le si mozzava all’idea di aver fallito come madre, lo stesso pensiero che la tormentava da un anno e che ora urlava nella sua testa.

Lucius si era fermato un attimo a guardarla, quasi sorpreso della sua furia  a scoppio ritardato« Io te l’avevo detto che quello era il marchio nero e che dovevamo insistere con Draco. Ma tu no. Continuavi a ripetere che dovevamo lasciargli il suo spazio… che dovevamo essere comprensivi..» 

«Ah e ora la colpa sarebbe mia? Ti è venuto in mente del perché non volessi pressarlo? Forse perché come si tocca l’argomento Draco inizia ad occludere e sai bene che Andromeda ha detto che ne ha fatto un uso troppo intensivo in passato e ora deve limitarsi. Senza contare quello che gli hai fatto tu quando lo hai scoperto. È questo che vuoi? Che nostro figlio abbia paura di noi? No ti prego, illuminami perché evidentemente io da sola sono troppo stupida per arrivarci » 

Il cassetto di legno si era chiuso con rabbia al punto che i ragazzi nelle fotografie sul pianale caddero in terra, rivolgendo ai due uno sguardo offeso.

«Mi sembra che quella sia un’abilità che viene dalla tua famiglia, sbaglio? Tutti sanno che i Black sono famosi per le loro doti di occlumazia e legimanzia. Peccato che tu abbia deciso di non mettere in pratica quest’ultima di recente. Come se sul serio facessi quello che ti dico, poi. Piantala»  sibilò spostandosi verso la stanza attigua, dove si trovava una parte della libreria e la maggior parte dei suoi oggetti personali.

«Non ti azzardare ad andartene mentre ti parlo! Quindi è tutta colpa della mia famiglia, Lucius? Vogliamo dire cosa ha ereditato dalla tua? Torture, odio e quel dannato Marchio Nero. Ti ha portato via da me una volta, non lascerò che rovini anche mio figlio»  gridò Narcissa esasperata raggiungendolo e prendendolo per il braccio sinistro, le unghie perfettamente curate che spingevano sul tessuto pregiato della giacca, attraverso la camicia, sino a dove, sebbene invisibile, il marchio nero avrebbe marchiato per sempre la pelle dell’uomo che amava. E ora anche di suo figlio.

Lucius si fermò, l’energia che fino a quel momento sembrava averlo divorato esaurita, mentre rimaneva appoggiato al mogano scuro, senza guardarla.

«Sono un padre orribile, è questo che vuoi che ti dica? Hai sul serio bisogno di sentirlo ad alta voce? Lo so Narcissa, ti posso assicurare che lo so da solo, senza che mia moglie me lo ricordi continuamente. Vuoi dirmi di nuovo che sono come mio padre? Avanti, fallo… come se io non me lo ripetessi di continuo»  disse con voce atona continuando a guardare davanti a sé «La sera in cui io ho preso il marchio nero…» 

Il dolore di Lucius era talmente tangibile che la avvolse come un mantello, soffocando la sua rabbia. Narcissa sospirò, abbandonando ogni idea di scontro diretto. Gli passò le braccia attorno alla vita, stringendosi al suo corpo così famigliare e al contempo così estraneo in quel momento, quando lui era perso dietro a ricordi di cui lei non avrebbe mai fatto parte.

Attese in silenzio, il viso premuto contro la sua schiena.

«Quella sera... Merlino Cissy io non so neanche come spiegarlo; ero così… euforico. Ed ubriaco. Ricordo che avevo passato i giorni precedenti in preda all’angoscia: mio padre mi aveva ordinato di portargli il canto di Amergin in cornico e io non riuscivo a trovarlo in alcun modo, sebbene avessi chiesto a chiunque conoscessi o potessi comprare. E prima che me lo chiedi sì, è lo stesso che è stato usato nella cerimonia di Lord Voldemort» 

Narcissa accentuò appena la stretta, desiderando quasi fondersi in lui, convincersi che quella sera di giugno, quella in cui avevano visto Cassandra tagliare la gola a Draco fosse ormai un ricordo lontano. Rabbrividì all’idea che fosse stato Lucius a consegnare quell’incantesimo. Davvero non ne sapeva nulla? Sul serio non era a conoscenza di cosa significasse chiedere al figlio di essere il responsabile per la preparazione del calice? Affondò i pensieri nel tessuto spesso della giacca, cercando di cancellarli tra le pieghe. Non poteva permettersi dubbi, non avrebbe mai più potuto vivere un solo giorno con quell’uomo. Si ripeté che non era possibile che lui sapesse: aveva visto quanto fosse distrutto dopo che Draco aveva rischiato di morire, sentiva la sua paura, notte dopo notte.

Lucius sembrò quasi accarezzare la sua paura con dita tremanti, le mani che stringevano appena le sue in un tocco delicato ma disperato.

«Lord Voldemort ci aveva convocati tutti nella Londra babbana quella sera, aveva detto che sarebbe stato il primo giorno della nostra vita»  anche senza vederlo sentì che stava tirando le labbra in un sorriso amaro «Ed in fondo lo è stato davvero» 

«Ricordo che Bellatrix era elettrizzata in qui giorni: ingenuamente avevo pensato che fosse per la festa di fidanzamento ma poi divenne chiaro che era per questo incontro speciale»  mormorò intrecciando le dita con le sue.

Lucius annuì appena «Si, persino i miei fratelli sembravano agitati… il che era strano. Il fatto è che non ricordo chi me lo abbia dato ma posso ancora ricordare il senso di sollievo che provai poco prima di entrare. Avevo il canto in mano e lo consegnai subito a mio padre appena arrivò. Ti giuro Cissy non l’ho mai letto... e a dire il vero non ne sarei neanche stato in grado. Io… io non sapevo che facesse parte del rituale… sapevo solo che per quella sera ero salvo» 

C’era una porta tra di loro, una che non era mai stata aperta. Di certo Narcissa aveva un’idea piuttosto precisa di cosa significasse essere al servizio di Lord Voldemort ma, semplicemente, aveva deciso da tempo di scegliere di ignorare i dettagli. La guerra con i babbani era sempre stato qualcosa che poteva chiudere fuori dal ricco portone decorato di casa sua, una barbaria necessaria che non aveva mai insozzato i pavimenti tirati a lucido del Maniero, neanche quando suo marito tornava nel cuore della notte ancora sporco del loro sangue e della loro paura.

«C’era un party all’albergo quella sera, una sorta di festa di Natale di un gruppo di ricchi babbani annoiati che pensavano che la magia fosse qualcosa su cui potessero mettere le loro mani, qualcosa che potevano comprare. Era un oltraggio troppo grande da sopportare... ... per quello Lord Voldemort aveva deciso che avremmo iniziato da loro»  Lucius sembrò perso dietro il ricordo mentre con il dito continuava a scandagliare il dorso dei libri. Finalmente sembrò trovare quello che cercava. Ne prese uno in mano, aprendolo nel punto in cui era stato infilata tra le pagine una vecchia foto come segnalibro.

Si girò verso sua moglie lasciando cadere il libro in terra passandogliela «È di quella notte poco dopo che avevamo preso il marchio nero. L’ha scattata Rabastan, era l’ultima del suo rullino magico… le altre beh… puoi immaginare cosa ci fosse sopra» 

Narcissa si costrinse a guardare la foto, vincendo l’angoscia che le stringeva lo stomaco. Se solo Lucius non le avesse detto quello che avevano fatto sarebbe sembrata una serata normale, quasi da copertina di magazine per giovani adulti: tre ragazzi in abiti da sera che esultavano e gridavano in mezzo ad una strada anonima, nel pieno di tutta la loro bellezza e gioventù. Bellatrix la guardava, eternamente diciasettenne, i capelli corvini che contrastavano con la pelle candida, quell’aura incontenibile di energia che l’aveva sempre accompagnata era ben visibile anche in foto. Danzava e ridere e girava su sé stessa coinvolgendo prima Lucius e poi Rodolphus in quella folle danza.

«perché questa foto? perché ora?»  chiese allontanandosi da lui sino ad aprire la grande finestra. Uscì fuori sul balconcino, respirando a fondo l’aria ancora fresca dell’inizio della primavera. L’ala nord dove si trovavano era sempre stata quella più esposta al vento che veniva dalle montagne, respirò a fondo, cercando di togliersi dalla mente l’immagine del palazzo in fiamme alle spalle di due delle persone che amava.

Lucius si appoggiò sulla ringhiera accanto a lei, dando le spalle ai giardini « Per ricordare. Per capire. È stato il primo marchio nero, è diverso da tutti quelli degli altri che Lord Voldemort ha concesso ma quello di Draco è uguale ai nostri. Ci sentivamo potenti Cissy, invincibili. Il mondo era nostro e aspettava solo noi. Siamo tornati dai Lestrange e il padre di Rodolphus aveva preparato questo banchetto con champagne a fiumi... sai che non bevevo mai ma quella sera mi sentivo cosi… diverso. Abraxas non poteva farmi niente perché Voldemort pubblicamente mi aveva lodato e non sarei di certo tornato a casa…anche Arael e Nicholas erano spariti chissà dove. Abbiamo bevuto e poi Rabastan ha tirato fuori le sue pozioni e… beh le cose sono andate fuori controllo. Ricordo molto poco di quella sera ma sono certo che fossi così felice perché sapevo che niente si sarebbe più interposto tra di noi. Avevo fatto la mia parte, Lord Voldemort mi aveva assicurato che mi avrebbe aiutato... ricordo di aver detto qualcosa a tua sorella sul fatto che stessi contando le ore perché il giorno dopo sarebbe iniziata la mia nuova vita, che ti avrei convinta a perdonarmi e ti avrei chiesto di sposarmi e che avremmo formato una famiglia»  

«E lei ti ha proposto di fare un patto per un nostro futuro figlio erede dei Lestrange?»  chiese alzando un sopracciglio dorato. No, decisamente quello non era da Bellatrix.

Lucius non poté fare a meno di sorridere al ricordo «A dire il vero prima ha riso fino alle lacrime, mi chiamato sciocco sentimentale, poi ha vomitato perché aveva bevuto troppo anche se ha dato la colpa a me e infine ha preteso un bicchiere di whiskey incendiario per ripulirsi la bocca »  

Ecco si, quello decisamente era più da Bellatrix.

«Credo…Io credo che sia stata un’idea di Rodolphus, ricordo che aveva fatto un commento sul fatto che sarebbe stata la cosa più vicina ad un erede che avrebbe mai avuto»  l’uomo scosse la testa cercando di riacciuffare dei brandelli di memoria intossicati da alcol e droghe di cui aveva scordato persino l’esistenza per più di due decenni «I giorni seguenti sono confusi, lo sai. So di essere al fidanzamento ma le cose non devono essere andate come previsto visto che mi sono risvegliato il giorno dopo al Maniero con un gran mal di testa e nessuna notizia da parte tua» 

Il flusso dei ricordi fu però interrotto dall’arrivo di un grande gufo grigio che volò radente verso di loro lasciando cadere una lettera, la prima da quando c’era stata l’uccisione della ragazza.

Finalmente Draco dava notizie di sé, pensò Lucius aprendo la lettera mentre la fotografia che fino a quel momento teneva in mano cadeva in terra.

Poi però rimase interdetto, passando la lettera a Narcissa senza parlare.

Era la grafia di Draco, era il gufo di Draco, persino la firma era indubbiamente la sua. Eppure non c’era niente di Draco in quelle parole.

Era una lettera concisa, in cui brevemente loro figlio raccontava ad entrambi delle nuove regole, delle lezioni e di sentirsi finalmente al sicuro.

Diceva di essere entrato nella squadra di inquisizione, qualunque cosa fosse.

Ma non c’era una lamentela, una tiritera sul fatto che gli avessero tolto Quidditch e ragazza, nessun commento sul modo di vestire della nuova preside che anche nelle foto della Gazzetta del Profeta riusciva a ferire gli occhi, nessuna richiesta di intervenire.

E poi quella notizia.

Io ed Hermione Granger non siamo più una coppia, sono certo che ne siate contenti.

No, decisamente c’era qualcosa che non tornava.

 

 

***

 

Quando l’Umbridge gli aveva dato la penna per ricopiare la frase Non devo dire bugie in quella stanza troppo piena di cianfrusaglie e odore dolciastro di fiori quasi morti e miagolii di gatti aveva pensato che sarebbe stata una serata estremamente noiosa ma che tutto sommato poteva farcela, si trattava solo di stringere i denti, un po’ di pomata una volta tornato in dormitorio e qualche incantesimo imparato da Hermione avrebbero risolto il problema della mano indolenzita.

Persino quando aveva iniziato a sentire il dolore di mille aghi acuminati che gli ferivano la pelle morbida del palmo non aveva collegato le due cose, talmente improbabile che una professoressa si divertisse a torturare i suoi studenti che neanche gli era balenato nella testa. Neanche Piton nei suoi sonni più selvaggi era arrivato a tanto.

E poi le lettere si erano formate brucianti e sanguinolente sotto i suoi stessi occhi e aveva capito che quella donna era indubbiamente e irrimediabilmente folle. Come era stato possibile che qualcuno al Ministero avesse anche solo pensato di affidarle una Scuola?

Seduto sul letto chiuse ed aprì il pugno, cercando di ignorare il dolore che ritornava come uno stiletto affilato ogni volta che muoveva la mano. Era la terza volta che subiva quella punizione da quando quell’idiota dalla faccia di rospo aveva preso il posto di Silente.

Ed ogni volta il motivo era sempre lo stesso.

Lei si rifiutava di ammettere che Voldemort fosse tornato e continuava ad accusare la gestione di Silente, e in modo molto poco implicito lui, della morte di Cedric, oltre ad iniziare ogni lezione con un elenco di tutte le nefandezze secondo lei commesse da Tonks e da Remus sul quale pendevano non uno ma ben tre peccati capitali: essere un lupo mannaro, il futuro marito di Tonks e il migliore amico rimasto in vita di Sirius Black, quella che sembrava la sua maggiore spina nel fianco. Il Gargoyle vestito di rosa non perdeva infatti occasione di dileggiare il suo padrino, facendo da cassa di risonanza alle tesi della Gazzetta del Profeta secondo la quale la registrazione di Peter Minus fosse solo un’abile manipolazione da parte di un mago oscuro che si era comprato il biglietto di uscita da Azkaban sfruttando la morte di un ragazzo e quella che era sembrata una follia di massa che aveva coinvolto alcuni nostalgici di colui che non deve essere nominato.

Una rimpatriata finita male, insomma. Ma lui aveva visto Voldemort rinascere, sentito il suo potere maligno che si irradiava nuovamente e nonostante fosse stato di certo indebolito da quando erano tornati continuava ad avere quegli incubi orribili. No, non erano incubi, erano ricordi. Solo che non erano i suoi.

«Devi dirlo a Sirius, Harry. Quella donna è pazza»  Ron si era seduto accanto a lui sul letto, i grandi occhi azzurri sgranati per l’orrore mentre Harry tirava velocemente giù la manica del pigiama.

«E cosa pensi che farà? Arriverà qui urlando e minacciando di morte di Umbridge e bene che vada lo arresteranno. Se hanno incastrato Tonks perché non farlo con Sirius Black... a quanto pare è il mago più odiato di ogni tempo e senza distinzione di classe sociale o di sangue»  sbuffò amaramente cercando di concentrarsi sui compiti. Dovevano scrivere una ricerca di due pagine sui significati delle rune nella divinazione e lui non era riuscito neanche a scriverne mezza. Ron sospirò allungandogli una pergamena scritta fitta fitta « Hermione l’ha nascosta nella statua all’ingresso … per fortuna che Grattastinchi si è messo a fare un baccano infernale quando sono entrato…e per baccano infernale intendo che mi si è attaccato al polpaccio con le unghie e con i denti sino a quando non sono andato a controllare»  disse mostrando i segni rossi che spiccavano ancora sulla pelle.

Harry tirò un sospiro di sollievo, leggendo veloce tra le righe con un ghigno: era evidente che quella fosse opera di Hermione, non solo perché aveva anche usato un incantesimo di copiatura della sua calligrafia ma addirittura aveva inserito qualche imprecisione qua e là per renderla assolutamente credibile.

«Merlino, se si alleasse con Fred e George non oso immaginare cosa tirerebbero fuori»  borbottò acchiappando al volo la sua rana di cioccolata ed offrendone metà ad Harry che rifiuto scuotendo la testa. L’occhio gli cadde poi su un piccolo appunto fatto a matita:

Mr. Saint e Mr. King c’è chi va e chi viene domani all’ora del Tè

«Come rendere complicato un messaggio semplice »  bofonchiò in maniera Ron mentre le lettere mutavano sotto il suo sguardo incredulo

Perché non possiamo fidarci di nessuno, Ronald

Poi così come la scritta era apparsa scomparve e sulla pergamena fu come non ci fosse mai stato alcun segno della penna magica di Hermione Granger

«A volte mi fa paura»  si limitò a commentare Ron grattando la testa di Edwige che gorgogliò soddisfatta 

Harry si pizzicò il dorso del naso cercando di rilasciare la tensione sulla fronte, poi aggiunge a voce bassissima «Non dirlo a me. Credo che quei mesi a Serpeverde siano stati un errore imperdonabile» 

«L’errore imperdonabile ha dei capelli osceni e un’insana passione per i pavoni»  bofonchiò Ron «Che Godric Grifondoro voglia che almeno da questa situazione assurda ne è uscito qualcosa di buono: il furetto si è tolto dai piedi per grazia di Merlino. E neanche Hermione potrà più scusarlo dopo quello che ha fatto» 

Harry rimase in silenzio, massaggiandosi il polso e ripensando all’assurda scena della cena di qualche giorno prima quando il borioso gufo di Draco Malfoy aveva mosso il suo regale deretano piumato per percorrere quei pochi metri che separavano il tavolo dei Grifondoro da quello dei Serpeverde e lasciare una lettera sul piatto di Hermione.

Il che era già strano, visto che in teoria anche quel tipo di scambi non erano ben visti. La bigotta color gomma da masticare avariata sembrava infatti convinta che si potesse rimanere incinta anche attraverso dei messaggini, il che rendeva evidente tanto la sua stupidità quanto il fatto che nessuno l’avesse mai degnata di una seconda occhiata con qualche recondito interesse sessuale. O interesse. Insomma, quella non capiva proprio niente.

E poi la lettera si era aperta e quelle parole disgustose erano rotolate per tutta la sala grande, in un silenzio irreale interrotto solo dal boato di gioia di una parte non trascurabile dei presenti e non solo di quelli vestiti in verde e argento. L’odio per quella coppia diversa sembrava una delle poche cose che accumunavano gli studenti indipendentemente dalla loro casa, sangue o ceto. Disgustoso.

C’era stato poco tempo però per preoccuparsene perché ben presto aveva dovuto bloccare Ron, pronto a saltare alla gola di Malfoy. E poi Piton li aveva presi entrambi per il mantello e sbattuti fuori dalla sala, tra le risate di molti mentre Hermione era uscita pallida e sconvolta rincorsa da Ginny.

Evidentemente l’ondata di umiliazione era bastata alla Umbridge che stranamente aveva deciso di non punirli, anzi si era dimostrata quasi gentile con Hermione nei giorni successivi. Ma la sua sceneggiata non aveva fregato nessuno, si vedeva lontano un miglio che gongolava come il grosso batrace che era.

Nonostante l’odio per Malfoy persino Harry non poté fare a meno di notare una certa incongruenza con le parole del suo migliore amico e soprattutto con quanto lo avesse visto felice in passato« Sei serio Ron? Dimmi, cosa stavate facendo tu e Pansy prima di trovare la Turpin?» 

«Mi stava prendendo a calci, se proprio vuoi saperlo e mi tirava i capelli. E non in un momento di passione. Anche se prima devo dire che c’è stato qualche momento interessante…per un attimo mi è sembrata quasi una ragazza normale» 

Silenzio. Harry di certo non era mai stato un mostro nel corteggiamento e se Ginny non avesse preso l’iniziativa sarebbe stato ancora lì a unire le sue lentiggini con un dito immaginario nei suoi sogni. Anche se …dannazione… ora non poterla vedere faceva ancora più male. E condividere una stanza con Ron non aiutava. Per fortuna che c’era Neville e le sue erbette.

«Ron. Ti prego, se mai dovessi riuscire a riparlare con Pansy non dirle mai e poi mai una cosa del genere: non saprei proprio come spiegare a tua madre che non potrebbe avere più nipotini da te in futuro»  lo pregò ad occhi sgranati, non osando immaginare la carneficina che ne sarebbe seguita. Lui ai tempi quando aveva fatto irritare Pansy se l’era cavata con una strage di vestiti. Ma Ron…. beh di certo non si sarebbe salvato.

 

«A proposito di mia madre. Posso usare Edwige? Vorrei mandare una lettera a casa piena di insulti per Percy. Pare che quella di Fred e George non abbia avuto risultato… non ho visto neanche una strillettera. Forse Leotordo si è perso»  commentò sbadigliando prima di emettere un grido di dolore«Ahia! Ehi Edwige, che ti prende? Non dirmi che te la sei presa per il mio commento su Leo» 

«Sono giorni che è strana. Davvero non ve ne siete accorti? Sparisce per la maggior parte del giorno. E ieri quasi si portava via uno degli anelli della Umbridge che aveva lasciato sul tavolo… per un soffio non se ne sono accorti»  Edwige era saltata ora sulla spalla di Neville, entrato in quel momento nella stanza inciampando per via del peso della pila di libri e vasi che cercava di far lievitare davanti a sé, frullando le ali in segno di approvazione « Forse sente che il rospo non sembra aver una gran simpatia per lei » 

La civetta in tutta risposta emise un verso basso e lugubre, come a rimarcare che neanche lei aveva una grande considerazione della nuova preside

Harry lasciò cadere il compito per concentrarsi su Edwige che continuava ad agitarsi. Era stato cosi impegnato con le punizioni della Umbridge e i compiti con cui tutti i professori li avevano sommersi probabilmente per evitare la nascita di qualche rissa da non aver avuto neanche il tempo di pensare a sgattaiolare nella stanza delle necessità con Ginny né a concentrarsi su qualcosa che non fosse il suo odio viscerale per quella stupida e patetica scusa di professoressa.

«In effetti è strano... neanche da Charlie e Bill ho avuto notizie ora che ci penso… e la lettera di papà era piuttosto strana…neanche un commento su qualche aggeggio babbano di cui devo chiedere a te od Hermione»  commentò Ron alzandosi per cercare il biglietto che aveva ricevuto qualche giorno prima e ora sepolto sotto la pila di maglioni, pergamene e carte di cioccorane. Poi ancora immerso nella ricerca, la testa nascosta sotto il letto urlò «Neville! Tu notizie da tua nonna?» 

Neville guardò Harry come se a Ron fossero appena cresciute tre teste «Mah... a dire il vero poche… le avevo chiesto anche di mamma ma mi ha detto che non è andata a trovarla per via di un raffreddore»  borbottò, poi un lampo negli occhi «Il che è inusuale, in tutti questi anni sono pochissime le volte in cui non è andata. E ancora meno quelle in cui è stata malata…ha una salute di ferro» 

Ron emerse ricoperto da batuffoli di lanuggine, di certo non per colpa degli elfi quanto piuttosto per la quantità di cose che il più giovane dei Weasley tendeva ad infilare sotto il letto al punto che anche Molly Weasley aveva deciso di non voler combattere quella battaglia, ringhio «Dean! Seamus! Voi?» 

I due, impegnati in una ferrata quanto clandestina partita di gobbiglie alcoliche appena lanciate sul mercato da Fred e George furono costretti ad interrompersi guardandolo allo stesso modo in cui si guardano i matti.

Ron però non desistette «Notizie dal mondo babbano? Qualsiasi notizia? Dean tua madre che dice? I tuoi fratellastri?» 

Seamus aprì e chiuse la bocca senza emettere alcun suono. Ripensando alle ultime lettere. A dire il vero non ci aveva fatto caso ma ora a mente fredda le notizie erano molto… scarse. Nessun accenno alla partita del Chelsea o ai concerti ad Hyde Park o alle liti per la televisione.

«Forse è il momento di usare anche quell’altra cosa, che dici?»  chiese infine il rosso ad Harry, che annuì titubante.

Voleva prendersi la sua vendetta e lasciare Sirius fuori dai guai, ma una sbirciatina allo specchio in fondo non poteva fare male, tanto per assicurarsi che a Grimmauld Place tutto procedesse bene e che Sirius non fosse sul piede di guerra più del necessario.

Ora dovevano solo aspettare che tutti andassero a dormire, d’altronde come aveva detto la strega più intelligente della sua generazione davvero non potevano fidarsi di nessuno: era risaputo che ad Hogwarts anche i muri avessero le orecchie e non solo in senso metaforico.

 

***

 

Dall’altro lato del muro che divideva la casa comune di Grifondoro neanche Hermione Granger riusciva a dormire, nonostante l’incantesimo di protezione sulle tende rosso vermiglio del suo letto a baldacchino. Erano giorni e giorni che rimuginava su quanto stava accadendo: tutto era iniziato la sera di Imbolc, ne era certa ma allora cosa c’entrava Tonks?

Sollevò la manica del pigiama passando le dita sulla grana irregolare della pelle e seguendo le linee sottili del tatuaggio, riflettendo. Aveva provato a chiedere informazioni alla Sproute e alla McGranitt cercando di dissimulare il perché fosse improvvisamente interessata ai bucaneve ma entrambe non le avevano rivelato nulla che non sapesse già: il simbolo della rinascita, della purezza, del passaggio dal dolore ad un nuovo inizio. Il fiore perfetto per Imbolc insomma. Aveva anche tentato di fare ricerche in biblioteca ma quella stupida incompetente aveva censurato la maggior parte dei libri: così come il loro manuale pratico di difesa contro le arti oscure era diventato una sorta di album illustrato per bambini con problemi cognitivi anche la maggior parte dei libri più interessanti era stata messa sottochiave lasciando solo poche e pressoché inutili pubblicazioni. Per fortuna che Piton e la McGranitt si erano rifiutati di abbassare i loro standard qualitativi, con gran dispiacere di gran parte degli studenti che già gongolavano all’idea di fare e rifare le stesse quattro cose che avevano imparato dall’inizio dell’anno: quando anche i loro libri erano stati riformulati si erano limitati a lasciarli prendere polvere sugli scaffali, limitandosi a lezioni orali. In pratica i loro quaderni erano diventati loro stessi dei libri di testo, sicuramente più interessanti e completi di quegli obbrobri che la scuola aveva iniziato a propinare.

E quindi a malincuore doveva ammettere che al momento aveva tre opzioni, di cui solo la prima la soddisfaceva parzialmente: farsi dare il mantello dell’invisibilità e sgattaiolare in biblioteca, rompere ogni possibile incantesimo di protezione che fosse stato messo ( e questa era la parte che in realtà la intrigava maggiormente) e passare notti insonni nella  ricerca di qualche informazione utile anche se al momento gli unici indizi che aveva erano tatuaggio, bucaneve, nero, Imbolc e folle professoressa di Divinazione alla guida di un rituale ancestrale superata nella sua personale classifica di odio solo dall’inetta fagiana vestita di rosa che rispondeva al nome di Dolores Umbridge. E parlando dell’insegnante di quella materia inutile che Merlino solo sapeva perché Ginny continuasse a seguire quella era la sua seconda opzione: se era stata scelta lei per guidare la cerimonia doveva esserci un motivo e forse poteva aiutarla almeno a restringere il campo di ricerca. La terza e ultima era chiedere a Piton, il cui odio per la Umbridge era pari almeno a quello della McGranitt ma che di certo aveva un non trascurabile bagaglio di esperienza con le arti occulte.

Un angolo della sua mente le ricordò il sogno di quella sera in cui aveva scoperto il suo marchio…tatuaggio, si corresse automaticamente, in modo talmente vivido che sentì di nuovo il calore avvolgente e inebriante che le era sembrato la pervadesse di energia e per un attimo si ritrovò di nuovo lì, a guardare la scuola che bruciava con un potere immenso tra le mani.

I limiti sono solo nella tua mente le sussurrò estranea all’orecchio. Hermione si girò di scatto, la bacchetta in mano ma non trovò nessuno. Con il cuore ancora in gola scostò leggermente i tendaggi cercando di capire chi fosse riuscito a superare la sua barriera di cui andava così fiera. Ma nel dormitorio non c’era nessuno a parte le sue compagne addormentate, il loro respiro regolare che rompeva appena il silenzio, nessun baldacchino tirato. Lavanda, Padma e persino la Frobisher sembravano profondamente addormentate, rilassate in un modo che lei non riusciva più a concedersi dalla sera in cui Tonk era stata accusata di omicidio.

Ormai erano settimane che era alla macchia…chissà se aveva trovato un posto sicuro per sé e per il bambino. Chissà se era riuscita a comunicare almeno con sua madre o con Remus, solo per dire loro che stava bene. Che fosse innocente non era nemmeno da mettere in dubbio.

Loro erano sorvegliati, l’aveva capito benissimo: la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, quella che doveva essere la loro casa sicura lontana da casa era diventata una sorta di bellissima prigione. Persino il collegamento che avevano usato lo scorso anno con Grimmauld Place era stato bloccato, lo aveva verificato lei stessa pochi giorni dopo il golpe della Umbridge.

Sentì un brivido sulla nuca, come se qualcuno la osservasse ma anche in quel caso non c’era nessuno. O meglio, nessuno di visibile, si ripeté: nel tempio della magia non poteva certo far affidamento sugli occhi.

Ritornò a letto velocemente rinnovando l’incantesimo e per ogni ulteriore protezione infilandosi sotto il piumone come fosse una tenda fino a quando il respirò non si normalizzò. Solo in quel momento tirò fuori da sotto il materasso il quaderno che le aveva regalato Draco.

Erano giorni che si illuminava ma non aveva mai avuto il coraggio di aprirlo. Non dopo quello che era successo… la paura di scoprire che fosse tutto vero era troppo anche per lei.

Invece quando l’aprì c’erano solo due parole

Ti amo

 

Hermione non poté fare a meno di sorridere. Se c’era una cosa che non si potesse accusare Draco Malfoy era di non andare dritto al punto

                                                         Sei sveglio?

 

Hermione tamburellò sulle pagine, mentre una linea d’inchiostro che si formava e poi spariva indicava che Draco stesse scrivendo e cancellando, scrivendo e cancellando.

 

Stai bene? Qui è il delirio. Ci sono brutti piani qui sotto. Molto brutti. Di un po’ non avrai creduto alla mia lettera vero?

 

Quella in cui mi lasciavi platealmente dandomi della mezzosangue approfittatrice? O quella in cui mi accusavi di averti maledetto?

 

Sono stato bravo vero? Ci sono cascati tutti, Greg mi ha organizzato un festino a base di burrobirra di contrabbando e quando sono rientrato nel dormitorio mi hanno addirittura dedicato un coro. Sono circondato da imbecilli.  Ovviamente stavo fingendo. Blaise e Theo dicono che era troppo esagerato ma io non credo...

 

Vediamo se saprai farti perdonare. Hai scoperto qualcosa?

 

Sai che sono bravo a farmi perdonare. Merlino Granger… non sai davvero quanto mi costi fare finta di niente quando sei seduta al tuo posto e pianifichi l’omicidio della megera. Sei sexy quando trami nell’oscurità lo sai?

 

Sei prevenuto, come fai a dire che sto tramando qualcosa? E poi sempre meglio di stare a sentire quelle stupidaggini che ha il coraggio di chiamare lezioni. Concentrati. --che hai scoperto?

 

Non sono prevenuto... ti conosco! Ti mordicchi il labbro in un certo modo…Salazar quanto mi manca vederti con la divisa da serpeverde mentre organizzi la resistenza e cerchi di uccidere i miei zii. A proposito come sta Sfregiato? Mi sa che dopo questi mesi avrà più di una cicatrice. Digli che mi dispiace, è un imbecille ma non si merita questo.

 

Hermione rabbrividì. Aveva notato da tempo le linee rosse sul polso di Harry ma non era mai riuscita a chiedergli spiegazioni. Ora però con Draco che faceva da spia nell’ufficio della Umbridge non aveva più dubbi di cosa stessa accadendo.

E quindi ora toccava a loro rimettersi in gioco. Non avrebbe permesso che quella stronza vincesse. Non di nuovo. Avevano sofferto troppo per lasciare la scuola in mano ad una folle burocrate.

 

La resistenza… l’esercito che avevano organizzato nel passato. Certo come aveva fatto a non pensarci prima? La stanza delle necessità non sarebbe servita solo a lei e Ginny riabbracciare finalmente Harry e Ron. No, potevano fare molto, molto di più.

 

Draco Malfoy, sei pronto a diventare un Grifondoro?

 

Piuttosto mi butto dalla Torre di Astronomia. Ma per te farei qualunque cosa. Qualunque. Piccola strega intrigante.

 

Forse gli aveva chiesto troppo, pensò sorridendo ma in fondo aveva bisogno più di un Serpeverde in quel momento. A riprova che ancora una volta avesse ragione, Grattastinchi sbucò sotto le coperte facendo le fusa rumorosamente e prendendo a testate il quaderno.

 

Dì al nostro gatto che lo saluto E di farsi vedere ogni tanto

 

Il MIO gatto ti risaluta e dice che verrà presto. Molto presto e con Grandi Notizie. A proposito… Hai da fare sabato pomeriggio?

 

Te l’ho già detto che sei una piccola strega intrigante?

 

Hermione sogghignò nell’oscurità, godendosi i pensieri di Draco, ricordando il suo odore e il suo tocco leggero sulla sua pelle. Sono un po’ di pazienza. o forse molta visto che non credeva certo che la vista di Harry Potter e Ron Weasley potesse essere considerata romantica o afrodisiaco dal Serpeverde del suo cuore.

Non voleva pensarci ora però, né a quello che sarebbe successo se avesse fallito. Per quella sera erano solo loro due, un diario e una notte intera davanti.


 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI- Resistenza e Resilienza ***


Pensare che solo qualche settimana prima avrebbe fatto i salti di gioia all’idea che Silente fosse finalmente stato estromesso dalla scuola le fece avere un tale moto di rabbia che dovette stringere il pugno fino a sentire le unghie affilate penetrarle nel palmo per evitare di scoppiare in una risata folle che avrebbe fornito la prova definitiva alle sue compagne di casa per testimoniare della sua mancanza di giudizio. Pansy si morse le labbra, cercando di trattenere gli insulti ma, anche se ben nascosta all’interno del suo baule nel dormitorio, sapeva benissimo che quella dannata lettera la stava fissando con lo stesso odio e ferocia con cui lei pensava a quelle odiose lettere che ballavano sulla carta.

Sua madre aveva avanzato una nuova richiesta affinché la sua emancipazione legale e il conseguente trasferimento della maggior parte dell’eredità venisse cancellata e il Wizegamot la informava che il suo caso era al momento oggetto di verifica da parte dei funzionari preposti

Avrebbe voluto parlarne con Draco, sentire i commenti sarcastici di Blaise sull’evidenza che sua madre fosse fuori di testa per aver preso chissà quale strana malattia dai suoi amichetti disagiati in cerca di una sciocca con le tasche piene di soldi, farsi rassicurare da Theo che avrebbero trovato il miglior legale per assisterla e che quelle erano solo sciocche ripicche ma che non doveva darci troppo peso o Blaise le avrebbe detto che le sarebbero venute le rughe.

Dal giorno in cui aveva ricevuto la dannata lettera il tempo si era congelato, condensato in un grumo di ansia e noia che non riusciva a ingoiare e che le bloccava il respiro ogni volta che la sua mente tornava li, a quelle parole. 

Oggetto di valutazione.

C’era forse migliore per definire la sua stessa esistenza sinora? Le sembrava di essere tornata di nuovo indietro a quelle sere di inizio primavera in cui si sentiva come se il suo futuro non esistesse, come se l’unica cosa che potesse fare fosse solo quella di esistere, stancamente e uguale a sé stessa un giorno dopo l’altro.

Ma ora che aveva respirato davvero, che si era sentita libera di prendere il proprio destino tra le dita quell’idea le sembrava intollerabile, un fardello troppo pesante persino per lei che aveva imparato a chiudere fuori il mondo con un battito di ciglia perfettamente incurvate e nere come il pizzo che sua madre continuava a far finta di indossare a segno della sua vedovanza.

La nuova sala comune era silenziosa come mai era stata e non solo per via dell’ora tarda: sembrava che quella segregazione forzata avesse tolto ogni energia persino alle sue compagne più fanatiche del nuovo ordine sociale di Hogwarts, come loro stesse l’avevano definito. Lei si era adeguata, plasmata ancora una volta all’idea che il mondo aveva di lei, prostrata a quell’immagine di ricca, stronza, Serpeverde che ormai le calzava come una seconda pelle. E che indubbiamente era perfetta per lei, come le aveva più volte ricordato Draco.

Solo che ora sapeva di essere di più di un involucro purosangue dallo stile impeccabile e i capelli perfetti che valeva solo quanto il suo conto alla Gringott: nel corso dell’ultimo anno aveva scoperto di poter lottare per sé stessa e non lasciare che la vita le scivolasse accanto, di avere dei veri amici che non l’avrebbero abbandonata, non l’avrebbero lasciata scomparire un giorno dopo l’altro al punto da non riconoscerla se non nell’ombra di un ghigno. Si era messa in pericolo in un modo che mai avrebbe pensato e aveva sacrificato parte di sé per riemergere più forte. 

Chiuse gli occhi strizzandoli forte sperando che insieme alla luce anche quei pensieri fastidiosi sparissero.

Non era solo il ricordo di quello che era successo la notte di dicembre di un passato troppo vicino a tormentarla: sin dalla sera del primo incontro con Lord Voldemort aveva capito che sarebbe arrivato un momento in cui se il loro piano avesse funzionato avrebbe dovuto scegliere se seguire quella strada fino in fondo, spingersi così in là da non poter tornare indietro, oppure scappare ed abbandonare tutto. Solo Draco era così’ ingenuo da pensare che se la sarebbero cavata con un paio di sorrisi e discorsi infuocati. Lui non c’era quando torturavano i babbani nel cuore della notte a casa sua, non aveva mai visto il loro sguardo che implorava di aiutarli, non aveva mai capito fino in fondo la vera parola di sanguesporco. Era solo un termine che gli era stato inculcato, un modo per ribadire la superiorità della sua famiglia ma non ne aveva mai compreso il reale significato. Non sapeva del suono che faceva nelle risate che superavano perfino le urla delle cruciatus.

Non fino a quella sera.

Per lei era stato quasi liberatorio: per un attimo era stato come se tutte le sue paure si fossero realizzate, era diventata esattamente quello che ci si aspettava da lei, l’unica cosa che suo padre avesse mai apprezzato. Poi era successo qualcosa di inaspettato..un giorno dopo l’altro aveva scoperto la gioia di un’avventura nuova, l’eccitazione di essere a capo di Ambwitchious, seppur con la Granger tra i piedi, l’idea che ci fosse qualcuno ad Hogwarts ad aspettarla cui non importasse nulla del suo passato, che l’aveva vista cadere in terra e l’aveva aspettata, attendendo che si rimettesse in piedi e continuasse ad essere lei, semplicemente. Non più buona, non più accomodante, non migliore.

Semplicemente lei, Pansy Parkinson: stronza ricca e serpeverde.

Anche se, a dire la verità, a lui non aveva mai raccontato il suo segreto più grande, quello che la tormentava ogni notte: l’eterna e continua morte del bambino sopravvissuto. C’era una vocina dentro di lei, una che non riusciva più a scacciare perché nulla ormai poteva fare da contraltare: era Harry Potter il motivo di tutti i suoi problemi, se lui fosse scomparso sarebbe potuta tornare alla vita di prima. Avrebbe potuto essere di nuovo felice.

Si rannicchiò sulla poltrona di pelle davanti al fuoco. Nonostante ormai aprile avesse decisamente bussato alle porte del Castello, l’aria della notte era ancora fredda, acuita dal ricordo delle labbra di Ron sulle sue poco prima che tutto cambiasse.

«Non riesci a dormire neanche tu?» la voce di Daphne Greengrass la distolse dai suoi pensieri, facendole per un attimo dimenticare il viso esangue del bambino sopravvissuto che l’ossessionava da settimane.

«Direi di no... Dì la verità Daph… strascichi della tua piccola avventura notturna o sei emozionata per la grande notizia dell’anno?» commentò grata ghignando e raggomitolandosi meglio sulla grande poltrona mentre l’altra si sedeva stancamente sul divano accanto a lei.

La bionda fece una smorfia « Non mi vedi? Non so se sia peggio questo nuovo regime ad Hogwarts o sentire Millicent che parla del fidanzamento con Tiger. Strano no? Quei due in cinque anni si saranno scambiati dieci parole e ora parlano addirittura di non terminare i MAGO. O almeno è quello che dice Millie. è triste no? L’idea che rinunci a tutto per sposarsi»

Pansy sbuffò. A volte aveva l’impressione di essere circondata da stupidi grifondoro sotto polisucco «Direi che già il fatto di superare i GUFO quest’anno sarà la loro massima ispirazione accademica. E onestamente per me se entrambi si levassero dai piedi non sarebbe una gran perdita.»

Daphne giocherellò con il bordo della vestaglia verde bosco « Ti capisco. Ormai non si parla d’altro della purezza del sangue…sembrano di nuovo tutti invasati come lo scorso anno… il padre di Elettra è membro del Wizegamot e pare le abbia detto che ben presto la scuola sarà vietata ai natibabbani. Pare che la Umbridge li odi…è per questo che ci ha fatto compilare il questionario alla prima lezione»

La Pansy Parkinson di qualche mese prima le avrebbe riso in faccia, limitandosi a commentare che non sarebbe stata di certa la cosa peggiore mai capitata… e anche la Pansy che era ora stava per farlo quando però si rese conto di una piccola fitta di dolore, lì dove metaforicamente secondo la gente avrebbe dovuto trovarsi il suo cuore se mai ne avesse avuto uno. Che se ne andasse metà degli inutili studenti della scuola le importava poco. Ma niente natibabbani significava niente Granger. E fosse dannata se mai lo avesse ammesso ad alta voce ma si era affezionata a quella dannata sotuttoio. E poi doveva aiutarla a riprendersi il magazine, dopo che il suo piano per sbarazzarsi del rospo color caramelle avariata era andato in fumo.

«A proposito di natibabbani…quello non è il gatto della Granger» chiese stupefatta Daphne indicando il grosso felino rossiccio che avanzava soddisfatto e con aria di sfida, ondeggiando la lunga coda paffuta fino ad arrivare davanti a loro e sedendosi sulle zampe posteriori, in attesa.

Daphne allungò una mano per accarezzarlo ma il ringhio basso e profondo e l’occhiata che le rivolse Grattastinchi la fecero desistere. 

«Quel gatto non fa niente per niente…onestamente credo che stia prendendo tutti i vizi di Draco» ridacchiò la mora frugando nella borsa e porgendo un paio di palline al formaggio al gatto «Vedi che ti penso sempre? Sei tu che ti sei fatto vedere poco quaggiù…E non guardarmi come se mi fosse cresciuta una seconda tesa, Greengrass. Quest’ammasso di peli qui è migliore della maggior parte dei nostri compagni di scuola…voleva persino mangiarsi quel traditore di Minus. Magari l’avesse fatto… e invece no, quell’idiota del suo padrone gliel’ha impedito. Stupido Lenticchia»

Daphne la guardò sorridendo e alzando le mani in segno di resa, limitandosi a fissarla ridacchiando «Hai un debole per i rossi, Parkinson. Anzi sai che ti dico. Mi sa che Grattastinchi somiglia a Weasley sai?»

«Stai forse dicendo che questo splendido gatto è un grifondoro, pieno di lentiggini e spelacchiato?»ringhiò mentre il gatto in questione si stiracchiava iniziando a farsi le unghie sul laterale della poltrona, guardandole entrambe di sottecchi.

«Parole tue, non mie. Io avrei detto che entrambi riescono a farti sorridere…ma in effetti ora che mi ci fai pensare…» ridacchiò alzandosi e incamminandosi verso il loro dormitorio « Provo ad andare a dormire qualche ora, sperando finalmente di riuscirci. Buonanotte Pansy. Buonanotte Weasley-gatto»

Grattastinchi ne approfittò per saltare sul divano, li fino a dove poco prima era seduta la Greengrass fissando Pansy immobile come una statua.

«Non prendertela, tu sei molto più intelligente di Weasley. E hai molto più stile» lo consolò prendendolo finalmente in braccio e stringendolo addosso «Anche se detto tra me e te un po’ mi manca... Anche se lui non porterebbe mai una cosa bella come questo collare» aggiunse accarezzandolo mentre lui faceva le fusa soddisfatto.

«E questo cos’è…Merlino ma davvero ti hanno messo anche una targhetta?» prese tra le dita il piccolo ciondolo argenteo dove spiccavano le lettere G.G.M. sbuffando incredula. Di certo un’idea di Draco, dubitava fortemente che la Granger fosse anche solo d’accordo. Sotto i suoi occhi però le lettere si piegarono e dispiegarono fino a formare una serie di parole. 

Sorrise. Allora era vero che anche lui la pensava. Stupido Weasley.

 

***

Quando un Weasley, non contando ovviamente per quell’idiota di Percy, veniva chiamato da un professore non era mai per una buona ragione e Ginny Weasley non pensava davvero di essere un’eccezione alla regola anche se davvero non poteva rimproverarsi granché durante la lezione di divinazione, se non aver tirato un paio di calci alla sua compagna di tavolino quando aveva iniziato a piagnucolare di metodi per vedere nei sogni il volto dell’anima gemella ma era stato del tutto accidentale, un riflesso del fatto che quella dannata stupida della nuova preside le avesse vietato non solo di frequentare i suoi amici ma anche solo di dare un bacio innocente sulla guancia ad Harry. E pensare che ci aveva messo quasi due anni a fargli ammettere che fosse innamorato di lei. Aveva atteso paziente che finalmente il velo sui suoi occhiali eternamente storti si dipanasse e iniziasse a capire che lei non era solo la sorellina di Ron, o peggio ancora la povera Ginny che era stata posseduta dai Tom Riddle. Tante volte aveva pensato di marciare nel loro dormitorio e dirgli chiaro e tondo quello che provava ma quando l’aveva visto fare lo scemo dietro Cho Chang era stata presa da un tale moto di stizza da andare dritta da Dean Thomas e baciarlo, proprio lì davanti a tutta Grifondoro. Peccato che Harry non sembrava averlo notato. O almeno era quello che pensava lei: secondo i commenti acidi di quella serpe di Malfoy Harry l’aveva notato eccome. A quanto pareva aveva passato gran parte del loro forzato passare del tempo insieme a prenderlo in giro e sebbene a volte provasse il desiderio di colpirlo con la mazza da battitore di Fred su quella testa dura platinata sino a fargli uscire le sue stupide teorie classiste dalle orbite, doveva ammettere che la cosa le aveva provocato una non troppo sottile soddisfazione. E quella scenata in sala grande poi… davvero quelli della sua casa ci erano cascati? Merlino che insieme di deficienti vestiti di verde e argento con robe troppo costose che erano.

E il Quidditch. Maledizione quanto le mancava. Quell’irritante rospo vestito peggio del divano di zia Romilda non solo le aveva tolto la possibilità di cavalcare la sua scopa, ma anche  Harry, ora che finalmente sembrava aver accettato il fatto che non sarebbe apparso Ron con la testa in fiamme alle loro spalle se l’avesse vista nuda. E delle due cose non sapeva bene quale la rendesse più frustrata.

Sali lentamente le scale che portavano allo studio accanto alla sala di divinazione, lanciando un’occhiata nostalgica all’ormai deserto campo da Quidditch che si vedeva in lontananza ed immaginando che nel cerchio centrale apparisse per magia l’immagine di quell’idiota della Umbridge legata mani e piedi… oh come si sarebbe divertita a provare le sue migliori mosse da cacciatrice… ed era certa che Tonks avrebbe approvato. Anzi, era molto probabile che non avrebbe esitato a provarne un paio lei stessa. Chissà dov’era ora. Era certa che fosse riuscita a mettersi al sicuro, in fondo dopo sua madre probabilmente era la strega più cocciuta e piena di risorse che conoscesse. E da brava Tassorosso capace che avrebbe anche pensato di perdonare il grasso batrace. Ma non c’era problema, quando tutto sarebbe finito ci avrebbe pensato lei a ricordarle tutto quello che le aveva fatto passare. Aveva già pronta una lista.

Il pensiero di lei che caricava con tutta la sua forza uno dei suoi tiri micidiali da far arrivare sul naso porcino dell’Umbridge era talmente soddisfacente che si accorse solo all’ultimo che la porta dello studio della Montemorcy non era chiusa. Si avvicinò allo spiraglio, ben attenta a non lasciarsi vedere visto l’ospite davvero poco gradito della sua professoressa.

Giacca in angora pelosa color rosa ciclamino e un odore di patchouli e naftalina che le fece venire ancora una volta in mente la prozia di sua madre e una tozza bacchetta di legno appoggiata sul tavolo, unita ad una vocetta stridula e fintamente accondiscendente.

La Montemorcy era seduta davanti a lei e le tornò in mente il discorso fatto una vita fa con Hermione e Pansy in biblioteca all’inizio dell’anno: da quell’angolazione era impossibile non notare i capelli assurdamente chiari lasciati sciolti e lo sguardo gelido negli occhi ridotti a fessura …Merlino, era la peggior versione femminile di Draco Malfoy con gli occhi neri che le riuscisse a venire in mente. E anche quel modo di porsi, la tesa alta e il ghigno con cui guardava la Umbridge…davvero se avesse dovuto scommettere avrebbe messo cento galeoni sul fatto che quella fosse almeno in parte una Malfoy.

E lei non scommetteva mai se non era sicura di vincere.

Senza far rumore tirò fuori una delle orecchie origlianti dei gemelli che teneva dissimulata in borsa... Da come si stava scaldando il rospo quella conversazione sembrava parecchio interessante.

 

 

 

 

«Vedo che ha parecchi tatuaggi, mia cara. Può spiegarne il motivo?»la Umbridge la guardava chinando la testa tonda da un lato e picchiettando sulla cartellina che si portava sempre dietro quando decideva di annoiare i professori con le sue stupide ed inutili domande «Non crede che siano diseducativi?»

Niamh si limitò a guardarla con espressione impassibile, mentre dentro la sua mente quello stupido essere che aveva deciso di complicarle ulteriormente la vita veniva sbalzata all’indietro fino al muro dove il suo ridicolmente corto collo da erumpet si sarebbe incastrato in uno dei rami di tasso appuntiti che spuntavano dalle pareti. Sarebbe bastato così poco...

Peccato che se avesse messo fine velocemente alla sua patetica vita avrebbe dovuto lasciare di corsa quel mondo e tornare nel Reame del Lago senza aver portato a termine la sua missione.

«Mai sentito parlare di tatuaggi magici, signora Umbridge» chiese con aria annoiata senza smettere di fissarla e sperando in un fenomeno spontaneo quanto implausibile di autocombustione.

La Umbridge arricciò il naso con fare disgustato ma senza smettere di portare su quel finto sorriso accondiscendente «Preside, se non la dispiace.Piuttosto desueti non crede? Ed anche con una nomea piuttosto…peculiare direi. Molti criminali li portano, Sirius Black ad esempio, lo conosce? »

A dire la verità no. Ed anche sua madre era stata piuttosto avara di notizie a riguardo, evidentemente non considerando degno di nota chiunque non fosse passato per Serpeverde, soprattutto se con quel cognome.

«Il padrino di Harry Potter, vero? » chiese imitando quel suo tono zuccheroso che le faceva venire voglia di affogarla nel tè alla lavanda e ricevendone in cambio uno sbuffo irritato.

«Un criminale reazionario sfuggito alla giustizia e che vuole sovvertire l’ordine sociale, Merlino sa perché. Spero che non abbia dato peso alle assurde teorie che circolano sui giornali ad opera di quei facinorosi. Pensi che il suo migliore amico, quello rimasto vivo intendo, è un lupo mannaro. Si figuri che addirittura ha insegnato qui, uno scandalo. E ovviamente anche quell’assassina a piede libero fa parte del gruppo, Silente è stato troppo ingenuo e queste sono le conseguenze, mia cara.»

La strega bionda si appoggiò meglio sullo schienale tamburellando con le dita sul bordo del mazzo di carte reprimendo la voglia di infilzarle la bacchetta in un occhio «E anche il giovane Potter rientra nel gruppo dei …come li ha definiti? ...facinorosi?»

La donna davanti lei squittì eccitata «Il peggiore, mi creda. Ha visto con quale sfacciataggine continua a sfidarmi… e le baggianate del suo padrino… è il primo a riportarle ad Hogwarts! Il primo. È proprio di lui che volevo parlarle...»

Finalmente qualcosa di utile visto che da quando quell’idiota in rosa vomito aveva messo quelle assurde regole era pressoché impossibile che il suo piano originario riuscisse. Aveva sperato che la giovane Parkinson riuscisse ad entrare in contatto con la sua vera essenza e invece ora si trovava ad almeno un metro e mezzo da Potter. Purtroppo ricominciare da capo con Ronald Weasley era fuori discussione e con un uomo la magia del lago era molto meno potente.

«Mi sembra che Potter si fidi stranamente di lei, sarà perché è giovane o forse per il suo aspetto»anche questa volta il naso della Umbridge si arricciò come se avesse sentito un odore sgradevole, poi si avvicinò chinandosi verso di lei, bisbigliando in tono cospiratorio « Deve aiutarmi a dimostrare che Potter è un pazzo pericoloso per la società al pari del suo padrino. Anzi, peggio. Quel povero ragazzo morto lo scorso anno…è tutta colpa sua sa? E non mi stupirei se fosse stato complice della Tonks»

Niamh alzò un sopracciglio sorpresa senza dire nulla lasciando che la Umbridge continuasse, ora nuovamente ad un tono normale «Quel povero Amos Diggory, un uomo distrutto, non sa quante lettere ha scritto per denunciare l’accaduto ma nessuno lo ha mai ascoltato»

«Tranne lei» si limitò a commentare seccamente. 

La donna annuì soddisfatta e giuliva «Esatto, mia cara. E quando finalmente l’ho ricevuto mi ha raccontato tutto. Tutto! Potter è sempre stato geloso del vero campione di Hogwarts…un po’ strano come sia finita poi no? E per togliersi dagli impicci ha tirato fuori quell’orrenda storia della rinascita di Lei sa chi. Un padre esemplare mia cara, devastato dalla perdita di quel figlio così brillante, quando gli ho detto che me ne sarei occupata ha pianto di gioia, sa? Un momento così toccante» sospirò rivivendo quel momento di assoluto potere in cui un uomo adulto distrutto dal dolore si era prostrato ai suoi piedi affinché portasse avanti quell’assurda crociata evidentemente derivata da una mente deviata dalla sofferenza. «Mi ha regalato anche questo, in segno di apprezzamento. Oh anche Caramell è rimasto così colpito»

Niamh guardò le dita grassocce che si agitavano davanti a lei, non capendo quali dei pacchiani anelli fosse il prezioso cadeau.

«Ed era in una confezione così carina mia cara, una scatolina deliziosa con dei pendagli di zucca dipinta a mano da lui. È un artista sa, un vero artista»

Improvvisamente l’aria nella stanza sembrò perdere ogni calore. Durò solo un attimo, come l’ombra che passò sulle luci tremolanti.

«Oh ma è tardi, mia cara, che sbadata. Ora che siamo d’accordo devo proprio andare. E poi prima ha detto che aspettava qualcuno, no?» disse di nuovo con quella vocina stucchevole alzandosi di fretta e sistemandosi la giacca pelosa.

«Un attimo. Prima ha detto che era venuta a chiedermi due cose ma mi ha parlato solo di Potter. L’altra?» chiese mentre notava uno strano movimento dietro la porta. Che la Weasley fosse già arrivata? Eppure quando la Umbridge spalancò la porta non c’era nessuno.

«Oh le volevo chiedere una profezia, una piccina piccina, tanto per dimostrarmi la sua utilità. Ma credo proprio che per il momento abbia già trovato il perché della sua permanenza nella scuola, no?»

Niamh rimase a fissare la figura tozza che si allontanava con passi piccoli e pesanti lungo il corridoio di marmo, mentre quella strana sensazione tornava a tormentarla alzando gli occhi al soffitto dove spiccava un circolo dipinto di rune. La Umbridge non aveva reagito in alcun modo alla protezione, segno che non era sotto alcun maleficio. Eppure c’era qualcosa in quella donna che la spaventava a morte. E soprattutto sentiva che le stava decisamente nascondendo qualcosa, anche se le sue carte rimandavano indietro solo l’immagine di una marea nera che si infrangeva per poi ritirarsi indietro.

 

***

 

 

Ormai era passato più di un mese da quando aveva avuto notizie le ultime di Dora e ancora non riusciva a capacitarsene, gli sembrava di vivere costantemente dentro un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi. Molly, Arthur, Sirius e gli altri si erano avvicendati per non lasciarlo mai solo, convincerlo a dormire almeno alcune ore per notte e non passare giorni interi senza chiudere occhio mentre guardava e riguardava i fascicoli che stava studiando lei prima di scomparire.

Dopo diversi tentativi andati a male un giorno Sirius si era presentato con Kreatcher e invece di mettersi con lui nella sala da pranzo come al solito lo aveva preso di peso e trasportato a Grimmauld Place insieme ad ogni incartamento, dicendo che se fosse stato un vero amico non lo avrebbe mai lasciato solo in quella casa con i quadri dei suoi orridi antenati snob e quell’odioso elfo domestico che lo detestava ma non si decideva a smollare. Erano apparsi direttamente nel salone di Sirius, accompagnati dai borbottii di Kreatcher sul declino inesorabile della antichissima e nobile famiglia dei Black e di come, ancora una volta, il padroncino Regulus non sarebbe mai stato così idiota.

A ruota erano poi arrivati anche Andromeda e Ted, alternandosi in modo che almeno uno di loro restasse sempre a casa sebbene entrambi sapessero che Nymphadora non li avrebbe mai contattati direttamente rischiando di metterli in pericolo. Eppure c’era sempre quella flebile speranza di un gufo, un messaggio tra i quadri, persino una cartolina babbana. Erano certi che lei avrebbe trovato il modo di mettersi in contatto e ogni giorno che passava si dicevano che quello successivo sarebbe stato quello giusto, che sarebbe accaduto qualcosa

E quindi ora erano insieme in una delle sale da pranzo più grandi di Wilburga Black a guardare giorno e notte libri proibiti e malefici vari ma almeno Kreatcher si premurava di fornire pasti sani ad orari regolari, sempre quando non era impegnato a discutere con Molly quando portava uno dei suoi meravigliosi manicaretti fatti con amore e capaci di farli sentire meglio ad ogni boccone anche se solo pochi minuti.

Quando sentì bussare alla porta quel pomeriggio di metà aprile quindi né Sirius né Remus si preoccuparono più di tanto, immaginando che fosse uno dei membri dell’ordine della fenice, sperando per un attimo persino in Mocciosus, fosse mai che si rendesse veramente utile.

Neppure il rumore dei tacchi sul parquet che Kreatcher tirava a lucido ogni giorno li preoccupò più di tanto visto che Andromeda nonostante la preoccupazione e gli anni lontani dalla sua famiglia sembrava non aver abbandonato ancora dopo due decenni lo stile tipico di ogni serpeverde purosangue che conoscesse, vale a dire inutilmente elegante e stupidamente scomodo, tacchi alti inclusi. Remus sorrise pensando a quante volte aveva visto Dora e la madre battibeccare su quell’argomento, così simili nel carattere eppure così distanti nello stile e nel gusto. Lo sguardo negli occhi però era sempre stato lo stesso e lui si ritrovava in mezzo a guardare come se si trovasse davanti ad uno specchio deformante.

Lo squittio di gioia di Kreatcher, solitamente di umore nero ogni volta che qualcuno si presentava a portare lo sporco del mondo esterno all’interno della sua perfetta dimora della famiglia che serviva, fu però il primo segnale che qualcosa che non andava.

Il secondo era stata l’imprecazione affatto contenuta di Sirius quando aveva alzato gli occhi dal libro che stava studiando.

«È così che tratti gli ospiti Sirius? Non ti è rimasto proprio niente dell’educazione che ti è stata data?» commentò sarcastica la donna con voce tagliente togliendosi il mantello grigio perla e affidandolo a Kreatcher che lo prese con uno strano sorriso soddisfatto.

Sirius non si mosse di un millimetro squadrando la cugina con astio «Io di solito non ho ospiti ma amici che considero la mia famiglia e che non hanno bisogno di essere salutati con mille salamelecchi. E poi ci sei tu, una visitatrice inaspettata e affatto gradita. Cos’è dovrei offrirti il tè come se mi facesse piacere vederti?»

«Grazie, accetto volentieri. Darjeeling se lo hai, una zolletta e una lacrima di latte» rispose come se non avesse sentito una parola di quello che il cugino aveva detto e avvicinandosi al tavolo sino a prendere uno dei tomi rilegati in mano, sfogliandolo distrattamente «Buon pomeriggio anche a te, Remus. Non preoccuparti non me la prendo per la tua mancanza di buone maniere»

«Perdonami, Narcissa, ma mia moglie incinta è accusata di omicidio e non ne ho notizie da più di un mese. Adempiere ai delicati e sottili tecnicismi dell’alta società non è in cima ai miei pensieri, come potrai ben immaginare» rispose Remus senza scomporsi chiedendosi con sospetto cosa ci facesse quella donna li. Non era mai stato un uomo vendicativo ma ricordava perfettamente la campagna sua e del marito contro la sua posizione ad Hogwarts una volta venuti a conoscenza della sua condizione di lupo mannaro. Sebbene Andromeda sembrasse nuovamente in buoni rapporti con la sorella minore e lui avesse deciso da tempo di non immischiarsi in quel rapporto, senza dubbio appoggiava più il cauto distacco di Ted. Anche Dora non si era mai fidata di quei due e di sicuro non avrebbe iniziato lui adesso.

Kreatcher si materializzò di nuovo facendo fluttuare il servizio di porcellana dipinta a mano che aveva proibito vigorosamente a tutti loro di usare al punto da farsi venire una crisi isterica quando Arthur un giorno aveva preso in mano la lattiera, seguito da Andromeda.

«È arrivata anche la diseredata»si limitò a commentare l’elfo, il suo solito saluto appena addolcito da una punta di acido e disgusto in meno rispetto al solito.

«Del tè, Drom?» chiese Sirius con un ghigno appena la vide, riempiendo una tazza e porgendogliela da perfetto gentiluomo «E se facessi sparire tua sorella potrei aggiungere una fetta di torta»

«Le ho chiesto io di venire, Sirius, sta buonino su» la cugina ignorò l’offerta mentre accarezzava affettuosamente il braccio della sorella.

«E non ti sei neanche degnata di arrivare in tempo» bofonchiò la bionda a denti stretti, sfilando la tazza da sotto il naso di Sirius e accomodandosi sulla sedia, proprio accanto a Remus.

«Ufficialmente Dolores Umbridge è sottosegretario anziano del Ministro e membro di spicco del Wizegamot...» iniziò Narcissa 

«E la principale firmataria della legge di restrizione sui Lupi Mannari» commentò Remus senza smettere di rileggere per la milionesima volta il rapporto sugli incidenti del ventuno dicembre.

«Anche delle numerose richieste di riesame dell’assoluzione di Sirius, a dire il vero. E di un paio di denunce mai accettate per sedizione sia per Harry che per Sirius.  Negli anni passati invece ha redatto diverse proposte per la riforma della società magica e il censimento dei natibabbani. Proposte che ufficialmente non hanno mai visto la luce o l’appoggio pubblico di Caramell e tantomeno la sua firma diretta: le ha fatte presentare da vari attaché e personaggi secondari del Ministero ma in un modo o nell’altro sono tutti legati a lei » continuò rivolta verso la sorella, come se lui e Sirius fossero solo le ennesime suppellettili costosi di quella stanza.

«Scommettiamo che so in che casa era stata smistata ad Hogwarts?» commentò sarcastico Sirius «Quindi sappiamo che è una stronza passivo aggressiva e codarda. Una perfetta serpeverde direi. Sai dirci anche qualcosa di utile su come entrare ad Hogwarts o salvare Dora per caso? Ahia, Drom non prendermi a calci, sei scortese»

«Quale parte di piantala non hai capito Sirius? Non hai undici anni e abbiamo qualcosa di più importante da fare che le tue stupide scaramucce da studente. Hanno annullato le vacanze di Pasqua a quanto mi ha detto Cissy, davvero vuoi aspettare altri due mesi prima di vedere Harry?  A proposito hai provato nuovamente con lo specchio?»

Black sbuffò irritato alzando le mani «Niente, non funziona, è come se fosse immerso nel dannato Lago Nero. Arthur e Molly hanno ricevuto delle lettere in cui dicono che va tutto bene ma non me la bevo. Non c’è niente che vada bene in questa situazione schifosa»

Narcissa tirò fuori la lettera di Draco passandola alla sorella « Per una volta sono d’accordo con Sirius. Questa non l’ha scritta mio figlio, ne sono certa. Ma Caramell continua a dire che la situazione è sotto controllo, che la Umbridge è il suo braccio destro e si fida di lei ciecamente, che fa solo il bene della scuola. Ma io non mi fido di una sporca mezzosangue con un fratello magonò … e non guardatemi così tecnicamente è una mezzosangue: sua madre era una babbana e suo padre un personaggio di terz’ordine. Quando i suoi hanno divorziato madre e fratello sono stati cacciati fuori dal mondo magico e lei  ha troncato tutti i rapporti, trovare notizia di loro non è stato semplice, devo ammettere che è stata brava. Ma non abbastanza. Potevate chiedere ai vostri preziosi Weasley,comunque, pare che uno dei loro innumerevoli pargoli sia uno degli assistenti di quella donna orribile»

«Ma chi Percy?» chiese Remus stupefatto. Aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo così calmo e ossessionato dall’ordine. Quando era stato suo studente aveva trovato una mente brillante, forse un filo oscurata dalla precisione e dalla pedanteria ma nondimeno un giovane mago estremamente dotato. Forse sentiva anche una certa vicinanza: sapeva benissimo cosa significasse essere quello calmo e riflessivo in un gruppo di scalmanati «Non mi ha scritto nulla, eppure ci sentiamo regolarmente»

«Sempre detto di non fidarsi di chi non prova a dare fuoco alle tende del salotto» non poté fare a meno di borbottare Sirius sottovoce, meritandosi un doppio calcio sotto il pesante tavolo settecentesco che occupava la maggior parte della sala.

«Oh... a quanto pare la vostra famigliola di straccioni preferita non è così adamantina come pensate, sono davvero affranta » cinguettò Narcissa portandosi la tazza alle labbra soddisfatta, ignorando il ringhio di Sirius di fronte a lei.

«Tu hai un problema con i Weasley cugina, lasciatelo dire. E ora che sappiamo che una rancorosa e subdola strega che odia i babbani e farebbe di tutto per mandarmi ad Azkaban è responsabile dei nostri figli come pensi che questo ci aiuti? E come ci aiuta a ritrovare Tonks?»sibilò Sirius, interrotto però da uno sbuffo di Remus

«Quindi è tutto legato a quello che è successo lo scorso anno, giusto? Caramell non ha fatto altro che minimizzare, rifiutandosi di accettare che Voldemort sia rinato. Anche la deposizione di Dora non è mai stata resa pubblica. Però tutto questo mi sembra eccessivo. Perché incastrarla? Solo per far entrare lei ad Hogwarts?» chiese l’ex professore chiudendo infine il fascicolo di fronte a sé, cercando di capire come mettere insieme quei pezzi di informazione che sembravano non riuscire ad incastrarsi neanche con il migliore degli incantesimi.

«Hai provato a corrompere quella sottospecie di graphorn in gonnella? Ho visto delle foto... Merlino ma non potresti portarla a fare compere? O a una qualsiasi delle tue futili e superficiali attività da ricca viziata quale sei» frecciò il padrone di casa in tono leggero ma letale, versando finalmente una tazza di tè al suo migliore amico e passandogliela.

«O forse potresti portartela a letto che dici? Per una volta potresti essere utile, razza di ingrato»

«Come al solito dimostri di non capire niente, sciocca vanesia che non sei altro. L’hai detto tu che mi odia... Merlino sei davvero la stupida oca che sembri.»

Le luci dietro a Sirius tremolarono pericolosamente lanciando sui due cugini una serie di ombre inquietanti e pericolose ma Sirius sembrò ignorare l’evidente rabbia crescente della cugina.

«Sono certa che la maggior parte delle persone con cui fai sesso ti odino, Sirius. Odio, amore, passione... alla fine sono tutte facce della stessa medaglia, no?»

Sirius ghignò afferrando al volo quell’uscita infelice «Non stiamo parlando del tuo matrimonio, Narcissa»

Andromeda intercettò appena in tempo il pesante fermacarte del prozio Orion colpisse con estrema violenza l’elegante nuca del padrone di casa.

Tentando di riacquistare la calma la poco benvoluta ospite si lisciò la gonna del completo color perla, incrociando infine le mani sul tavolo e fissando Sirius con un sorrisetto divertito «Perdonami, per una volta ho pensato che fossi disposto a fare qualcosa di più che pensare a te stesso ma evidentemente mi sono sbagliata. Hai parlato di nostri figli, parli sempre di Potter come un fratello…e infatti come hai fatto con il tuo vero fratello appena devi scendere dal tuo prezioso piedistallo sbatti la porta e te ne vai»

La donna non aveva finito di parlare che il ringhio di Sirius era cresciuto di un’intensità tale che se non lo avesse avuto di fronte avrebbe pensato che si fosse definitivamente trasformato nel Gramo. Solo gli anni di esperienza nei quali aveva evitato che il caratteraccio di Sirius lo portasse ad essere espulso da Hogwarts per aggressione permisero a Remus di bloccarlo prima che scagliasse una maledizione senza perdono proprio lì’, nel salotto di Grimmauld Place, facendo sì che orde di Auror si riversassero nella casa e dando l’ennesima prova alla Umbridge del fatto che fosse stato un errore averlo assolto.

«Sai quanto ti ha aspettato Regulus mentre tu passavi il tuo tempo a giocare alla tua nuova famigliola? E quando è morto non ti sei neanche degnato di farti vedere al funerale» sibilò di nuovo Narcissa, soddisfatta di aver avuto l’ultima parola, visto che quello che usciva dalla bocca del cugino aveva più forma animale che umana.

«Ora basta» era stata Andromeda a parlare, la voce tremante di rabbia così densa che persino Kreatcher che stava entrando in quel momento, probabilmente per dare manforte alle accuse di negligenza di Sirius nei confronti del fratello, si fece silenziosamente indietro, senza proferire parola «Mia figlia e mio nipote sono in pericolo e io non ho intenzione di sprecare un solo attimo del mio tempo a sentire voi due che replicate il Pranzo di Natale del 1965».

I due cugini si guardarono un’ultima volta con odio, poi entrambi riacquisirono la loro postura naturalmente elegante come se nulla fosse successo. Per un attimo Remus fu grato a sua suocera, anche se una parte della sua mente continuava a chiedersi cosa diavolo potesse accadere ad una festa di famiglia dei Black, se quelle erano le premesse.

Tentò di riportare la conversazione verso un terreno più neutrale, e soprattutto più utile «Altre idee che non coinvolgano la prostituzione?»

Narcissa gli sorrise appena come se lo vedesse per la prima volta, annuendo «La Umbridge è ossessionata da Caramell, farebbe qualsiasi cosa per lui. Quindi solo lui può darci le risposte che cerchiamo»

«E come pensi di fare? Invitarlo a casa tua per un party e firmargli un assegno? Credo che tu ci abbia già provato, no?»Remus alzò gli occhi al cielo, esasperato. Quasi gli dispiaceva che Sirius non l’avesse azzannata.

Lo sguardo che i cugini Black si scambiarono non gli piacque per niente. E tantomeno lo rassicurò la risposta di Andromeda, mentre sedeva nuovamente tranquilla sorseggiava il suo tè.

«Non dovresti mai sottovalutare il potere di persuasione di un Black, Remus. Ormai dovresti saperlo»

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII- Reazioni calme e ponderate, as always. ***



Draco sbuffò impaziente guardando di nascosto l’orologio nel taschino del mantello: ormai mancava pochissimo all’appuntamento che gli aveva dato la Granger ma né Crabbe né Goyle sembravano volersi staccare di un centimetro da lui, neanche gli avessero lanciato un carpe retractum, sempre che avessero finalmente capito come fare dopo cinque anni ad Hogwarts.

A dire la verità era ancora sorpreso a distanza di anni che li avessero ammessi, aveva sempre dubitato fortemente delle capacità espressive dei suoi ex bestioni da guardia e per lungo tempo era stato convinto che fosse stato Lucius a corrompere il Consiglio dei Governatori per tenerloi sotto controllo, una sorta di baby sitter a costo zero e dalle lunghe braccia sgraziate. O forse, come diceva sempre Cassandra, a lui piaceva pensare di avere un clone ancora giovane che se ne andava in giro per Hogwarts e i figli fotocopia di Crabbe e Goyle servivano perfettamente allo scopo.. se non fossero stati più grandi di lui avrebbe persino pensato che li avesse costretti a procreare al solo scopo di completare il quadretto. Sapendo quanto suo padre fosse egocentrico in effetti era un pensiero più che verosimile.

Ok, doveva smettere o a furia di pensare a quei due insieme, specialmente appiccicati e con le rispettive lingue in golagli sarebbe venuto un ictus. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per potersi strappare quei ricordi, metterli in un calderone e dargli fuoco ma la Granger aveva tirato su una tiritera di mezz’ora sul fatto che doveva crescere e superarla e non poteva usare la magia per  una cosa così stupida. Per Salazar non la finiva più… per fortuna che aveva trovato un modo più che piacevole per farla stare zitta. Metodo che avrebbe volentieri utilizzato di nuovo se solo quei due avessero finalmente deciso di levarsi di torno.

Erano una decina di minuti che provava a lanciare un blando confundus contro le due zucche vuote davanti a lui che durasse giusto il tempo di permettergli di sgattaiolare via  ma ogni volta quei due testoni continuavano a girarsi, blaterando di quella stupidissima e grottesca farsa chiamata fidanzamento. Merlino, che bambini brutti che avrebbero avuto. E neanche particolarmente intelligenti, sempre che Millie non trovasse un donatore di sperma con una migliore capacità di comprensione di testi complessi, cosa di cui, onestamente, dubitava. A pensarci bene..nell’ultima lettera di sua madre non c’era alcun commento a quello che indubbiamente sembrava il fatto di maggior rilevanza dell’anno … certo sempre dopo la notizia della sua rottura con la Granger. Possibile che nessuno avesse scritto a casa dopo la sua sceneggiata? Eppure lo avevano portato in trionfo neanche avesse preso il boccino sotto il naso di Potter mentre il bambino sopravvissuto finiva infilzato come un pollo arrosto dal pennone del campo da Quidditch…

La vista di Theodore che veniva loro incontro con la spilla della squadra di inquisizione ben in vista sul mantello e la sua solita aria innocente, falsa come un galeone d’oro in mano ai Weasley, fu l’unica cosa che gli evitò di spedirli con un everte statim direttamente nei sotterranei. Quello e la ben visibile figura di Piton poco dietro che gli lanciò uno sguardo di avvertimento ben visibile anche a quei metri di distanza.

«Vincent, Gregory… finalmente! Vi ho cercato ovunque» tubò Theo guardando con la coda dell’occhio dietro di sé mentre Piton imboccava il corridoio verso la torre Nord con uno svolazzare di mantello «Volevo avvisarvi che vi sta cercando la McGranitt per dei compiti non consegnati..fossi in voi mi nasconderei nei dormitori prima di  incontrarla. O prima che Piton torni dal suo rendez-vous con la Montemorcy»

«Andate pure tranquilli, ci pensiamo io e Theo a fare la ronda… sia mai che troviamo Potter e Weasley che si sbaciucchiano in un angolo.. sarebbe Natale per la Umbridge» ghignò Draco ringraziando mentalmente Theodore Nott e la sua capacità di mentire degna della casa di cui portava i colori.

Neanche il tempo di lanciare un incantesimo rallegrante e quei due erano spariti, quasi inciampando nelle loro stesse scarpe.

«Mi sa tanto che dovrò farlo da solo la ronda eh? Non preoccuparti, l’aggiungerò alla lunghissima lista di favori che mi devi» commentò Theo facendogli l’occhiolino prima di scomparire «Ah e ha ragione la Granger, devi iniziare ad essere più cauto con quel quaderno. Va bene che quei due sono idioti ma ora che ce li ritroviamo di nuovo in stanza è difficile anche per loro credere alla storia che stai scrivendo le tue memorie»

Non ebbe neanche il tempo di aggiungere che le sue memorie sarebbero state molto interessanti, invece, altro che Gilderoy Lockhart. Le streghe avrebbero fatto la fila per sapere tutti i segreti dell’ultimo erede di casa Malfoy. Ma non c’era tempo e in fondo non era neanche così importante: la Granger lo stava aspettando e qualunque battuta arguta volesse fare la sola idea di sentire il tocco delle sue labbra, il suo respiro nel suo gli fece lo stesso effetto del miglior incantesimo Languelingua mai lanciato.

 

***

 

La stanza che aveva richiamato era un insieme dei suoi ricordi più belli, una sorta di nicchia felice e confortevole che potesse darle quell’ultima spinta di cui aveva bisogno e ovviamente l’aspetto migliore era che fosse stracolma di libri. Aveva bisogno di loro, di sentire che le sussurravano suadenti dagli scaffali di una libreria di noce che ricordava fin troppo quella di Malfoy Manor dove aveva passato l’estate, parole che danzavano sotto i suoi occhi insegnandole ogni volta a guardare il mondo da una nuova prospettiva. Il mondo stava andando a rotoli e quella stupida della Umbridge continuava a  trattarli come bambocci con dei libri da colorare blaterando sul fatto che non ci fosse alcun bisogno per loro di imparare come difendersi ora che il Ministero aveva messo in sicurezza la scuola. Addirittura aveva osato dire che l’unico pericolo lì fuori era rappresentato da Nymphadora Tonks ma ormai era certa che fosse già morta, vittima della sua stessa follia. Riuscire a bloccare Harry e Ron prima che le saltassero alla gola era stato particolarmente difficile, soprattutto dovendo lanciare gli incantesimi senza farsi vedere, ma alla fine ci era  riuscita  dando fondo ad ogni briciolo di forza di volontà, incanalando quella rabbia bruciante nel suo nuovo progetto. Voleva vedere la Umbridge cadere e Tonks rientrare ballando sul suo cadavere al costo di smontare l’intera Hogwarts pietra per pietra.

Ma c’era una cosa che forse le mancava più delle lezioni, più dei libri, più dei pomeriggi passati con Harry e Ron ai tre manici di scopa o con Hagrid, più delle sere passate nella sala comune di Grifondoro a ridere e scherzare.

Quando la parete bordeaux, così simile a quella stanza che l’aveva accolta come una seconda casa quando ancora tutti la consideravano una saccente imbranata dai capelli crespi e la risposta sempre troppo pronta, si aprì le sembrò che il tempo si fosse fermato.  Draco era fermo sulla porta senza dire nulla con un sorriso enigmatico sulle labbra, fissandola come se fosse la prima volta che la vedeva in vita sua. Hermione si morse le labbra, nervosa. Per un attimo  le passò per la mente l’idea che davvero fosse passato al nemico, che nulla di quello che le aveva scritto sul loro quaderno fosse vero. Non ebbe neanche il tempo di un secondo pensiero del genere perché un attimo dopo lui aveva chiuso lo spazio tra di loro, le mani sulle guance, tra i capelli, sulle spalle e le labbra che premevano con forza sulle sue.

Erano passate poche settimane ma ad entrambi erano parsi anni interi.

«Granger» le sussurrò con le labbra ancora appoggiate alle sue, appena il tempo di un respiro prima che fosse lei a cercarlo di nuovo,ad attirarlo a sé, le mani che correvano tra i capelli, la nuca piegata, la linea dritta delle spalle e poi per il bavero del mantello. In quel momento l’unica cosa cui riusciva a pensare era il suo respiro contro il suo, baciandolo a sua volta con la stessa impazienza, mentre le mani si aggrappavano alle sue spalle, per poi vagare sulla schiena, dalla vita sino a quei capelli assurdamente chiari anche alla luce delle candele fluttuanti.

«Granger» ripeté come se stesse lanciando un incantesimo che in un folle tentativo di recuperare tutti i baci e i respiri persi, i risvegli mancati e le risate che non avevano potuto nascondere nelle pieghe di quella stanza o negli angoli di un corridoio, l’odore dei primi fiori che iniziavano a sbocciare ad Hogwarts in delle passeggiate senza meta che non avevano mai avuto luogo.

Draco la spinse verso la scrivania,dandole appena il tempo di prendere il respiro, le mani che la stringevano che sembravano volersi fondere in lei.

«Mi devi un san Valentino, Malfoy»rise fingendosi offesa staccandosi leggermente ma con le braccia ancora attorno al collo di Draco che sbuffò infastidito, slacciandosi la cravatta verde e argento.

«Dovevi davvero metterti questi..cosi? Non ci vediamo da settimane e ci metto un sacco a toglierteli, rischiamo di finire ancora prima di cominciare»  lagnò con un ghignò rubandole un bacio a fior di labbra « Però sai che mi farò perdonare.. prima o poi. Giuro che se i miei non ci lasciano la villa in Costa Azzurra per le vacanze è la volta buona che mi faccio venire un esaurimento. Dopo quello che abbiamo passato me lo merito di vederti in bikini tutto il giorno»

In quel momento, con le labbra di Draco sul suo collo e le lunghe dite che scivolavano sotto il maglioncino leggero per la prima volta in vita sua Hermione Granger  si chiese se la sua nomea di strega più intelligente della sua generazione non fosse immeritata. Quando aveva pensato a quel pomeriggio le era sembrato l’unico ritaglio di tempo in cui far coincidere tutto senza essere scoperti, la fiamma della vendetta aveva bruciato ogni altro pensiero. Ma ora, ora che il profumo della pelle di Draco si fondeva con il suo, la stoffa della camicia leggermente aperta che mostrava un lembo di pelle solitamente candida ora arrossata per il suo tocco, faticava a credere di aver avuto un’idea cosi idiota.

«Draco.. Draco ….no..non c’è tempo» riuscì a mormorare mentre la lingua di lui scivolava pericolosamente lungo la linea del collo, succhiandole appena la pelle sensibile poco sotto l'orecchio. ignorando le sue proteste e continuando a mordicchiarle la pelle sottile.

«Granger io ti ringrazio della fiducia ma sul serio, fossi in te non avrei aspettative così alte» ridacchiò lanciando il maglione dai bordi verde e argento sopra una grande poltrona di broccato color smeraldo e iniziando a sbottonarsi la camicia guardandola perplesso «Comunque in questo tuo arredamento folle un letto potevi anche metterlo eh, non capisco perché dobbiamo stare scomodi. Di la verità è un feticcio babbano… Merlino, se siete strani, La prossima volta facciamo che scelgo io..sembra di essere nella mente di un arredatore folle. C’è gente che è stata cacciata in malo modo per un cuscino di una tonalità sbagliata..»

Hermione scese dalla scrivania, il fiato ancora corto, cercando di mettere più distanza possibile tra di loro e ripetendosi mentalmente il nome di Tonks come un mantra. Per Godric Grifondoro, come diavolo aveva fatto a non pensare che dopo non essere stati insieme per così tanto tempo ritrovarsi in una stanza isolata, da soli, non le avrebbe fatto venire voglia di mandare all’aria i suoi progetti di vendetta almeno per un pomeriggio?

«Draco, senti … non c’è molto tempo» iniziò.

Lui la guardò sgranando gli occhi «Già l’hai detto»

«E’ stato difficile trovare un momento in cui entrambi potessimo assentarci senza destare sospetti»

Draco, seduto in poltrona a slacciarsi le scarpe si fermò a squadrarla di sottecchi «In effetti potevamo pensarci prima, ma ho la Umbridge attaccata al collo neanche fosse un vampiro. Non ho capito se vuole scoparsi me o la mia famiglia a dire il vero, continua a farmi domande sui miei al punto che Blaise sospetta voglia organizzare una cosa a tre. E ovviamente ha pensato bene di descrivermi nel dettaglio i suoi sospetti. E si, se te lo stai chiedendo, Blaise ha una memoria piuttosto vivida»

Hermione emise un gemito di disgusto: «Si l’ho notato. Odia Harry quasi quanto sembra affascinata da te»

«Il che mi farebbe dire che ha buon gusto, se non fosse una vecchia beota che odia le persone e che mi impedisce di vedere la mia ragazza e di giocare a Quidditch. Posso capire che ce l’abbia con il sesso..ma per Salazar Serpeverde…il Quidditch? Chi è che non ama il Quidditch?».

Chiunque abbia un briciolo di senso di conservazione, pensò Hermione, maledicendo ulteriormente quello sport che aveva regalato  degli splendidi addominali al suo fidanzato cercatore che non l’aiutavano affatto a smettere di pensare di sbarrare l’entrata della stanza delle necessità e a chiudersi lì dentro con lui fino a che non fosse venuto Gazza a stanarli.

«Dobbiamo salvare Tonks. E far ritornare Silente» ripeté ad alta voce, cercando di convincersi ancora una volta che essere una grifondoro leale e coraggiosa significava anche sacrificare i propri desideri. Dannazione, forse era la prima volta in vita sua che rimpiangeva di non essere stata smistata a Serpeverde.

Un paio di occhi grigi la guardarono perplessi come se fosse impazzita «Giuro che vorrei seguirti ma sono certo che te ne stai per uscire con un’immane stronzata»

«Non possiamo fare sesso. Non adesso almeno» disse infine con un lungo sospiro, chinando la testa quasi neanche lei volesse credere a quello che stava dicendo.

«Mi stai lasciando Granger? Se è per quella scenata che ho fatto.. te l’ho detto, era una farsa!Merlino avevi detto che avevi capito» sbottò lui mettendo il muso e  alzandosi per raggiungerla«Vedi.. per una volta che faccio una cosa che fareste voi stupidi Grifondoro…»

 

«A chi cazzo hai detto stupidi, furetto? E per la miseria copriti! Non sei un cazzo di California Dream Man».

Draco si girò orripilato sentendo quella voce. Per carità l’odiava meno di qualche mese prima, ma di certo la sua idea di appuntamento non prevedeva un terzo incomodo. E se anche avesse avuto una fantasia del genere,di sicuro non sarebbe stato con il bambino sopravvissuto. Prima che potesse chiedere cosa diavolo ci facesse lì, o persino chi diavolo fosse un California Dream Man e perché per Merlino lui dovesse credersi un rozzo americano, si trovò sbalzato via sino a sbattere contro la grande libreria d’angolo, finendo per finire sommerso rovinosamente da decine e decine di tomi.

«Cosa diavolo pensi di fare, Malfoy» Ron era arrivato poco dopo Harry e tutto quello che aveva visto era Hermione seduta con la testa tra le mani e il figlio di mangiamorte mezzo nudo che cercava di avvicinarsi a lei.Il che era decisamente abbastanza per farlo andare su tutte le furie.

«Ronald Ma che ti prende?» Hermione era scattata in piedi incredula non solo della reazione di Ron ma soprattutto di non essere riuscita a bloccarla in tempo.

«Già Ron, perché? Stava così bene zitto e senza camicia» Ginny aveva fatto il suo ingresso, ridacchiando e stringendosi ad Harry  per dargli un bacio veloce bisbigliando «Scherzo, tu sei molto meglio»

«Ti piacerebbe» riuscì a borbottare il Serpeverde , massaggiandosi la testa dove era caduto un volume di almeno mille pagine,scacciando via la mano di Hermione che cercava di tastarlo.

«Dovresti metterti gli occhiali, piccola Weasley» un’altra voce femminile, annoiata. Ron si girò di scatto, ancora con la bacchetta in mano «Perlomeno però tu sei più intelligente del tuo stupido fratello…Per Salazar Serpeverde credo che tu sia l’unico di tutta la scuola che ha creduto a quella patetica sceneggiata»

In quel momento per Ron nella stanza calò il silenzio. Non sentiva più le maledizioni di Malfoy, ne i tentativi di Hermione di convincerlo a lasciarsi curare, né i baci di Harry e Ginny. Sparirono tutti, sullo sfondo.

In quel momento c’era solo lei, capelli neri dalla piega perfetta e labbra rosse imbronciate e il suo profumo di vaniglia e olibano che quasi lo intossicava nel calore del sonno.

«Pansy» riuscì solo a dire cercando di scacciare dalla sua mente l’idea del suo corpo nudo accanto al suo in quell’attico di Diagon Alley, gli occhi che si aprivano nel tepore di una mattina d’inverno di una vita precedente.

«Lenticchia» accennò lei, ancora immobile, senza staccare gli occhi neri da lui.

In quel momento entrò l’ultimo componente del gruppo: il passo felpato, lo sguardo sornione e la ricca coda fulva che ondeggiava ad ogni passo. Si guardò un po’ in torno, facendo le fusa. Poi senza alcun preavviso si avvicinò a Ron e gli affondò i denti affilati nel polpaccio.

Mentre il fratello urlava di dolore , Ginny scoppiò in una risata.

«Per la miseria Ron, davvero il gatto è più intelligente di te. E baciatevi , per Merlino!Non abbiamo tutta la sera..qui c’è una guerra da organizzare»

 

***

 

Nel Devon la primavera sembrava essere già arrivata: l’aria era dolce e profumata dei primi fiori che si schiudevano, in una perfetta armonia con l’odore di quel poco che rimaneva della crostata di crema e rabarbaro. La Tana era sempre lì, profumata ed accogliente, sempre pronta ad un abbraccio.

Anche quando la padrona di casa non era di buon umore.

«Non capisco perché Fleur non ti piaccia, è una brava ragazza. E’ coraggiosa, determinata e sembra amare davvero Bill. E poi è molto carina, non vuoi dei bei nipotini Molly?» chiese Sirius seguendo Molly nel giardino di erbe aromatiche del retro della Tana. Quella mattina Bill gli aveva mandato un gufo chiedendogli  di incontrarsi dalla madre per aggiornarlo sulle ultime novità, ma a quanto pareva non aveva informato la madre che si sarebbe presentato in compagnia.

Molly gli lanciò un’occhiataccia da dietro il rosmarino.

«Hai sentito quello che ha detto di mio figlio? Percy non vuole rasgionare, è uno scomplisce di quella orruenda donna» ripeté facendo il verso alla francese, infilzando la zappa da giardinaggio nel terreno quasi volesse pugnalarlo «E Bill la guardava come se stesse dicendo la cosa più intelligente del mondo»

Sirius rise arrotolando la cartina di una sigaretta babbana «E’ innamorato Molly.Ma questo non toglie che lei abbia ragione. Anche Narcissa ha detto…»

«Narcissa Malfoy? Oh andiamo Sirius non mi dirai che dopo Andromeda anche tu hai deciso di rincretinirti dietro quell’inutile snob? Di certo non devo ricordarti che è grazie a quelli come lei e suo marito che abbiamo perso le persone che amavamo..» uno gnomo da giardino scelse quel momento per fare la sua sfortunata apparizione, che ebbe però il pregio di lasciare la possibilità a Molly di esibirsi in una delle sue migliori prove da battitrice anche con un attrezzo da giardino senza dover finire la frase.

Il mago sospirò, lasciando che il fumo formasse una piccola nuvola odorosa di tabacco. No, di certo non aveva dimenticato le colpe di sua cugina, come quelle di nessuno dei suoi parenti. I suoi genitori erano stati tra i primi seguaci di Voldemort  e lo stesso Regulus era rimasto intrappolato in quella tela asfissiante.

Scosse la testa allontanando il ricordo di suo fratello bambino che lo inseguiva per le stanza di Grimmauld Place, pregandolo di giocare con lui e con quello stupido di Kreatcher, odioso già vent’anni prima.

Si trovò Molly che lo fissava, i capelli scarmigliati per lo sforzo e lo stesso sguardo brillante con la quale l’aveva conosciuta appena fuori da Hogwarts.«Lo farai vero? Seguirai quell’assurdo piano?» 

Sirius annuì in silenzio.

«Sirius Black, come è possibile che tu non dia mai retta  alla voce della ragione?» chiese esasperata, Adorava quell’uomo ma a volte le faceva venire voglia di rincorrerlo con una scopa stregata

«Tipo quando rifletti e senti una voce che ti spinge a farlo, che è assolutamente un’idea perfetta e che sarà grandioso?» chiese Sirius sbattendo i grandi occhi grigi con fare innocente e tirando un’altra boccata «E poi c’è quell’altra, fastidiosa e petulante che ti dice di piantarla?»

«Esattamente! E la seconda si chiama voce della ragione». 

«Ah ma quella non è la voce della ragione E’ solo Remus. O Ted, se chiedi a mia cugina» rispose il mago ghignando e avvicinandosi «E visto che non sono qui, posso dare retta all’altra vocina, quella simpatica»

Molly gli lanciò uno sguardo di fuoco, incrociando le braccia. «E quella di chi sarebbe sentiamo?»

«Ma la mia, è ovvio. Ho una voce davvero melodiosa, sai?»I lunghi anni di Azkaban non avevano affatto intaccato il fascino innato dell’ultimo erede della nobile e antica famiglia dei Black, nonostante fosse quanto di più distante possibile dai purosangue elitaristi e snob dei suoi parenti. Di certo capiva perché sin da ragazzino facesse strage di cuori, pensò Molly colpendolo scherzosamente quando si chinò a darle un bacio sulla guancia per salutarla prima di scomparire con un piccolo plop.





 

Sirius ispirò a fondo tirandosi su il bavero della giacca di velluto grigio, infastidito da quel cambio di clima repentino rispetto al calore dolce della Tana. Chissà se Molly aveva capito che stava mentendo prima.. quella che sentiva non era la sua di voce, ma quella di James.

Aveva promesso di prendersi cura di Harry ed era certo che il suo migliore amico se fosse stato lì non avrebbe avuto dubbi su cosa fare. Qualsiasi cosa per Harry. Qualsiasi. Persino fidarsi di un piano escogitato dalle sue cugine.

 

E per una volta la supposta voce della ragione non aveva dubbi. Sebbene sapesse che era una cosa forse folle e senza senso ma che per Merlino se avrebbe funzionato.

 

Si guardò intorno storcendo la bocca in una smorfia. Era una vita che non tornava in quel posto… dalla vigilia del primo giorno di Regulus ad Hogwarts quando in un impeto di spirito di fratellanza, vale a dire perché Remus gli aveva dato il tormento, aveva deciso di accompagnare il fratello minore a fare spese. O almeno ci aveva provato, prima di incrociare Bellatrix ed Evan e lasciarli tutti e tre lì mentre lui correva dai suoi amici. Troppi Serpeverde tutti insieme, anche per Knocturn Alley.

 

Esattamente come in quel momento, pensò accendendosi una sigaretta con la punta della bacchetta ed espirando lentamente, quasi con ostentazione.

«Ce ne hai messo di tempo» commentò rivolto all’aria scura della notte.

Rumore di tacchi sulle pietre levigate, uno sbuffo di sufficienza, un profumo floreale e appena cipriato che increspava le note pungenti di quel vicolo. 

«Non pensavo saresti venuto. Sicuro di essere pronto?»

Due occhi blu che lo fissavano dietro il cappuccio ancora ben calato, il solito sguardo di riprovazione  e superiorità. Ma c’era qualcosa dietro, qualcosa che poteva riconoscere nel suo stesso volto.

Preoccupazione.

«Qualsiasi cosa per Harry» rispose con sincerità esalando un’ultima boccata prima di far sparire il mozzicone con un tocco di bacchetta.

Senza rispondere la cugina gli diede le spalle e iniziò a camminare lungo il vicolo buio, una delle traverse meno conosciute e frequentate di Knocturn Alley, schivando leggera i pochissimi passanti intabarrati in pesanti mantelli che facevano finta di non vederli.

Quel posto puzzava di magia oscura, di cattiveria e di disperazione. Sperava di non dover mai più sentire quell’odore nauseabondo dopo Azkaban e invece ora gli penetrava di nuovo nella pelle e nella mente, allungando le sue sudice dita in tutto quello che aveva costruito.

Ma come aveva detto avrebbe fatto qualsiasi cosa per Harry. Narcissa aveva ragione, c’era qualcosa che non andava ad Hogwarts. E lui doveva scoprirlo.

La strega si fermò di fronte ad un muro di mattoni che si confondeva nel sudiciume di altri decine di muri tutti uguali, disegnando con la bacchetta tre ovali perfetti prima di picchiettare tre volte nel punto in cui le sottili linee di luce verde che si intravedevano sui mattoni si intrecciavano. Il muro tremò un attimo prima che le pietre scivolassero una sull’altra, rivelando una porta di legno lucidissimo che si aprì sotto il tocco guantato della cugina.

«Prima le signore» disse con un ghigno tenendo la porta aperta mentre Narcissa entrava senza degnarlo di uno sguardo. Ghigno che gli si trasformò in un sorriso quando vide due delle sue persone preferite in quella stanza: l’altra sua cugina, quella non pazza. E Remus.

Ah si e poi c’era il Ministro della Magia legato e tenuto sotto scacco da sua cugina, quella non pazza.

Beh secondo gli standard dei Black almeno.

 

***

 

«Dovresti essere molto fiera dei tuoi studenti, stanno diventando dei piccoli rivoltosi» sorrise Niamh versandole una tazza di tè mentre lei stava studiando le fotografie che le aveva portato «Cockey avanti racconta»

Tonks alzò appena la testa «Cosa?»

«Oh Miss si, proprio quello che hanno fatto quando Cockey li ha conosciuti. Anche se allora Miss Granger era a Serpeverde insieme alla  mamma di Miss, e alla padroncina, e al padroncino, e all’altro padroncino e al giovane padroncino… stava così bene con quei colori Miss. Si, si.. e il giovane padroncino era così felice…» iniziò a squittire mentre Niamh alzava gli occhi al cielo.

«Arriva al punto Cockey, te ne prego»

L’elfa saltellò mentre la tavola ingombra di pergamene si riempiva di dolcetti e piccoli sandwiches bianchi riempiti con ogni cosa fosse riuscita a trovare in cucina «Oh sì Miss. Si incontrano nella Stanza delle Necessità. Il giovane Harry Potter insegna gli incantesimi, deve sentire Dobby come ne parla. E’ così fiero del giovane Harry Potter. E poi c’è Miss Granger, il signorino Ron e i suoi fratelli.. no quello stupido che ha messo il bracciale a Cockey ..no..no»

«Si, si, abbiamo capito: una gran sfilza di Grifondoro con una spruzzata di Corvonero e di Tassorosso… e di un po’ come si chiamano? Forza Cockey ho sentito te e Dobby parlarne entusiasti» la stuzzicò Niamh prendendo un sorso di tè.

L’elfa batté le mani eccitata «Esercito di Silente,Miss! Non è bellissimo, Miss! E l’ha pensato Miss Granger»

Tonks sbatté un paio di volte le palpebre  incredula prima di scoppiare in una risata all’idea di un elfo dei Malfoy ( perché qualunque cosa dicesse Niamh a lei Cockey continuava a sembrare un elfo dei Malfoy) fosse così eccitata per qualcosa che riguardasse Silente.

«E tuo cugino e la sua cricca? Non dirmi che hanno già abbandonato la barca? A quanto ho capito sono entrati in quella che viene definita Squadra di inquisizione è corretto?Che nome vomitevole» commentò l’Auror cercando di scacciare l’elfa che continuava a cercare di metterle le mani sulla pancia. Per Tosca Tassorosso, Niamh non stava scherzando, era davvero ossessionata dalle donne incinta!  E per quanto ogni volta sentire il battito del suo piccolo Teddy le scaldasse il cuore, avere le dita dell’elfo conficcate nel ventre mentre  cercava di addentare un tramezzino con l’insalata di pollo con una mano e l’altra sfogliava foto di rune insanguinate apparse sulle porte dei dormitori era troppo anche per lei.

Fu la volta di Niamh di sorridere «Si sono messi in testa di fare il doppiogioco quindi ufficialmente non prendono parte a nessuna riunione, ma ogni volta fanno in modo di essere di ronda…sempre quando Draco non trova il modo di sgattaiolare dentro la stanza della Umbridge alla ricerca di chissà che cosa»

«E ha trovato niente?» chiese Tonks sistemando una accanto all’altra le quattro foto e mettendo al centro  la foto del cadavere di Lisa Turpin.

Niamh scosse la testa tirando fuori una foto miniaturizzata e ponendola sopra quella della studentessa morta: «Niente che non abbia già trovato io, vale a dire veritaserum che usa con gli studenti e una data segnata nella sua agenda. Ti dice niente?»

Tonks la guardò a lungo, cercando un filo comune tra tutti quegli elementi «Maggio? C’è qualche data speciale che cade di maggio? Andiamo sei tu quella fissata con i solstizi e tutta quella roba li»

Niamh sbuffò rivolgendole uno sguardo offeso che per un attimo la fece ridere, fin troppo simile a quella del suo viziato cugino «Quella roba li? Nymphadora Tonks come puoi da strega definire le festività quella roba li?»

«Forse perché tutto questo casino è iniziato con il rituale di Imbolc che tu hai guidato? E non fare la serpeverde con me, so benissimo che anche tu ti sei accorta che c’era qualcosa che non andava. E’ per questo che mi hai lasciato Hermione e Ginny come due sacchi di patate fuori dal mio studio? Certo potevi anche avvisarmi che avrebbero avuto quei tatuaggi… per Merlino sai che pensano sul serio che io non lo sappia? Me l’ha detto Cali chiedendomi se fosse un motivo per togliere ad Hermione la spilla di Prefetto e a Ginny il posto in squadra. E poi capisco che a te piacciono ma avresti anche potuto chiederglielo no?»

La strega bionda la guardò sbigottita «Tatuaggi? Sulla Granger e la giovane Weasley? Cosa? Come?Quando?»

«E su Pansy Parkinson. Andiamo non dirmi che non c’entri niente..hanno uno stile molto simile a quelli che hai tu..» rispose l’Auror  indicando il tralcio di vite che ornava il polso destro della ragazza, come se si trattasse di una cosa ovvia «Anzi quando tutto questo sarà finito direi che è il caso di farli sparire..Molly non la prenderà bene se Ginny torna a casa tatuata. Di un po’ anche tu hai un bucaneve nero nascosto da qualche parte?»

Per un attimo a Nymphadora sembrò che la mano della strega di fronte a lei tremasse leggermente, una frattura di appena pochi secondi sull’espressione solitamente impassibile della donna. Poi in un attimo riassunse la sua compostezza, quell’ombra di preoccupazione che era certa di aver intravisto sparita come se non ci fosse mai stata mentre prendeva un altro sorso di tè.

«Dimmi tutto quello che hai scoperto sul sine requiescat, per favore. E non tralasciare nulla, non abbiamo molto tempo» chiese posando la tazza e fissandola con uno sguardo senza alcuna emozione.

Occlumanzia, ne era certa. perché ora? Cosa le stava nascondendo quella donna? Era trasalita quando aveva parlato del bucaneve e subito dopo si era ritirata in sé sino a creare quella corazza. Cosa c’era che non le diceva?

Tonks si morse il labbro, incerta se continuare. Poi guardò nuovamente le foto davanti a lei con la data e sentì qualcosa agganciarsi finalmente nella sua mente, un minuscolo pezzettino di realtà che trovava la sua collocazione.

Quella data… davvero poteva essere una coincidenza.

«Niamh.. il conto alla rovescia.. ricordi quando mi hai detto che ero presente quando la persona che ha usato l’incantesimo l’ultima volta fosse morta uccisa da Narcissa Malfoy?»

La strega annuì impercettibilmente, in silenzio.

«Quella data.. è un anno e un giorno esatto da quando è successo.. e non serve certo che ti dica io che in certe culture è un periodo di tempo importante… ci sono storie nelle arti oscure.. storie sul ritorno dei morti.. e queste rune…» disse indicandone una dopo l’altra.

Cavallo.

Morte.

Fuoco.

Attrazione.

«Una sorta di cerimonia per il ritorno dei morti? Ma allora.. Harry è in pericolo. Se ha usato lui la prima volta cercherà di nuovo di ucciderlo. E’ per questo che la Umbridge lo odia tanto?»

Niamh scrollò le spalle interdetta, continuando a tamburellare sul tavolo senza proferire parola, mentre dietro di lei gli alberi del dipinto sembravano colpiti da una tempesta.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII- Crepe nel velo ***


Quando aveva proposto di spostarsi da lei non aveva di certo pensato che Sirius e il suo amichetto lupo mannaro avrebbero accettato ed era stata davvero una leggerezza da parte sua: avrebbe dovuto ben sapere che il suo fastidioso cugino non avrebbe mai perso l’occasione per denigrare ogni singola pietra di cui era fatto il Maniero, con  un riguardo speciale a tutti i proprietari  sino al primo Malfoy che avesse mai messo piede sul suolo inglese. Quello, unito all’idea di saccheggiare la collezione di vini pregiati era stato un richiamo troppo allettante per quello che sembrava un diciassettenne nel corpo di un uomo adulto.

«So che ti piace farti passare per straccione ma Alphard ti ha lasciato abbastanza galeoni da non rubare in casa d’altri» sbuffò Narcissa vedendo Sirius rientrare nel suo studio privato con un paio di bottiglie della riserva speciale tampinato da Krippy che cercava al contempo di attaccarsi alle lunghe gambe per bloccare il mago ed evitare che il prezioso bottino d’annata finisse in terra.

« E visto che non sei mai stato povero in vita tua sono certa che tu sappia che quello che hai in mano è Château Lafite del 1787 che per definizione non si beve ma si colleziona» continuò la padrona di casa richiamando con un accio la bottiglia di due secoli prima che finisse per essere bevuta a sfregio dall’ultimo erede maschio della nobilissima e sempre pura famiglia dei Black e passandola a Krippy.

«Sai che ha fatto parte della collezione privata di un presidente americano? Uno dei babbani che odi tanto» la canzonò il cugino affatto impressionato, tirando fuori da sotto la giacca lo Sherry di Massandara più o meno coetaneo della bottiglia che la cugina gli aveva sottratto.

«Un ladro schifoso che si appropria di cose al di fuori della propria comprensione e disponibilità, si lo so. Ti ricorda qualcuno?» ringhiò la strega arrendendosi e decidendo che un liquore da oltre cinquemila galeoni fosse una spesa accettabile se fosse servita a farlo stare zitto.

«Possiamo per favore concentrarci? Abbiamo appena obliviato il Ministro della Magia dopo averlo trattenuto contro la sua volontà e voi state qui a battibeccare come vecchie pettegole. Avete sentito quello che ha detto Caramell? Pensano che Nymphadora sia scappata… o peggio» Andromeda era rimasta in silenzio sino ad allora, cercando di tirare le fila di quello che erano riusciti a sapere da Caramell e l’insolita gravità della maggiore dei Black sembrò calare sulla stanza come una cappa in grado di spegnere persino gli animi più infiammati.

Si, perché nonostante non l’avrebbero mai ammesso, l’adrenalina correva ancora in circolo tanto per Sirius che per Narcissa, consapevoli di essere su un filo sottile tra l’atteggiamento tipico dei Black di prendere qualsiasi cosa volessero senza pensare alle conseguenze e la paura di poter perdere tutto quello che avevano entrambi cosi faticosamente raggiunto, seppur con percorsi diametralmente opposti.

Narcissa si sedette accanto alla sorella  stringendole la mano in un tentativo composto di conforto «Non preoccuparti Drom, sono certa che sia al sicuro da qualche parte. E’ sempre figlia tua no? Sei riuscita a nascondere Ted a Bellatrix per anni, se ha preso un decimo del tuo carattere ce la ritroveremo a brindare alla caduta del Ministero. O peggio. E poi almeno adesso abbiamo qualche indizio in più.»

«Non pensavo fossi così brava con la Legimanzia, Narcissa» fu Remus a rompere il silenzio che era calato sulla stanza, quando persino Sirius sembrava aver perso la voglia di irritare la cugina con qualche battuta sul puff ceruleo probabilmente di pelle di elfo.

«Neanche io pensavo fossi capace di un confundus così perfetto, a dire il vero» concesse la donna con un cenno del capo «Anche se sono stupita del fatto che Andromeda abbia permesso a te di farlo»

Ignorando il commento della sorella Andromeda aveva ripreso il discorso interrotto dal futuro genero:

 «Quindi ora sappiamo che la soffiata sull’uccisione della Turpin in realtà è arrivata qualche ora prima che avvenisse l’omicidio, che Dora era preoccupata per qualcosa che era accaduto ad Hermione e Ginny qualche giorno prima e che c’è stata un’insolita ondata di energia maligna nei dintorni di Hogwarts la notte del primo febbraio» concluse lanciando un’occhiata obliqua a Narcissa «Credi sul serio che sia una coincidenza?»

«Imbolc? Andiamo non credo proprio che i Weasley lo festeggino come lo intendete voi. Sbaglio Remus? Nelle famiglie purosangue normali è una festa come un’altra. E poi sappiamo tutto che, nonostante Narcissa speri vivamente in qualche colpo di scena davvero implausibile, Hermione è una natababbana. E che io sappia nessun natobabbano è mai stato ammesso alla cerimonia di Imbolc, o sbaglio?» chiese Sirius chinandosi in avanti sulla poltrona, improvvisamente attento.

La donna sospirò alzando gli occhi al cielo «Solo perché nessun natobabbano è mai stato smistato a Serpeverde. E cosa ne vuoi sapere tu, lo sai bene che è una sera riservata alle donne. E anche se fosse come avrebbero fatto a partecipare senza essere notate? Posso forse accettare che Pansy non abbia detto niente ma …Merlino, davvero credi che nessun’altra studentessa le avrebbe notate? Sono certa che un paio di loro le odino particolarmente»

Remus e Sirius si scambiarono un’occhiata complice. Certo era Harry ad avere il Mantello dell’Invisibilità ma davvero potevano escludere che non lo avesse prestato alla sua migliore amica e alla sua ragazza? La domanda non era tanto il come o il se, quanto piuttosto il…

«Perché mai due ragazze intelligenti come Hermione e Ginny dovrebbero prestarsi alle vostre festicciole segrete?» aggiunse Sirius schivando appena in tempo un busto di ottone che volava nella sua direzione. Invece di schiantarsi contro la parete dipinta a mano con peonie bianche, tuttavia, quella che doveva essere un’opera d’arte contemporanea acquistata ad un’asta esclusiva qualche anno prima venne intercettata e fini per rotolare pigramente sul pavimento

«Oh andiamo, non i miei regali per cortesia!» una voce strascinata e annoiata dietro di loro ebbe l’effetto di una doccia gelida « Cos’è una riunione di famiglia cui non sono stato invitato? O è solo una scusa per saccheggiare le mie riserve?»

«Può forse esistere un Black in una stanza senza alcol? Andiamo Malfoy, sai bene che è praticamente impossibile. Stiamo festeggiando l’addio al celibato di Remus, cos’è non hai abbastanza stanze in cui rintanarti a giocare con i tuoi oggettini di magia nera?» sbuffò Sirius vuotando il bicchiere con aria di sfida, guardando in realtà di sottecchi la cugina stranamente rigida.

«Che sciocco che sono. Pensavo che stesse brindando alla vostra idiozia. Sbaglio o avete detto di aver obliviato Caramel? Narcissa cos’è sei impazzita? E Lupin per la miseria… almeno tu.. non eri quello sano di quel gruppo di disagiati? Nessuno ha pensato che rischiate Azkaban?» ringhiò ancora sulla porta ma venne interrotto da Andromeda

«Cosa c’è per il tuo Signore Oscuro va bene ma per mia figlia no? La stanno usando, lo capisci? Sanno benissimo che lei non c’entra niente ma vogliono il suo cadavere per dimostrare che stanno facendo qualcosa. Si rifiutano di ammettere che Voldemort è rinato, si rifiutano di ammettere che c’è qualcosa di oscuro che sta travolgendo Hogwarts, l’unica dannata cosa a cui pensano è far credere al mondo magico che tutto vada bene. Di un po’ sei stato tu a suggerirla? E’ una cosa molto da te.. fin troppo direi. Sai mi sta venendo il dubbio che sia tutto una tua maledetta macchinazione»

«Andromeda!» Narcissa sbottò esasperata, cercando di capire come uscire da quella situazione. Lucius non doveva essere lì ma in Bulgaria da Karkarov e quello era uno dei motivi per cui aveva deciso di attuare il piano quel giorno. Era certa che lui le avrebbe detto che dovevano avere pazienza, fidarsi dei loro contatti, continuare a fare ricerca. Ma lei era stufa di aspettare, di attendere che una pedina lanciata nel vuoto portasse a qualche risultato, sedersi a guardare i fili che venivano tirati in maniera impercettibile.

«Ti ricordo che c’è anche mio figlio dentro quella scuola. Pensi sul serio che abbia messo io quell’idiota?»

«E tu sul serio credi che possiamo dimenticare quanto tu abbia cercato di cacciare Silente in passato? O che ci sia decisamente la tua mano dietro le nuove disposizioni che vietano ai lupi mannari di insegnare?» Sirius si era alzato di scatto, arrivando sino ad un palmo da Lucius, gli occhi grigio scuro dei Black che lanciavano lampi di rabbia «Non sarebbe neanche la prima volta che sei invischiato in un’aggressione ad Hogwarts»

«Ti sbagli, razza di patetica scusa di purosangue che non sei altro. Io non ho mai aggredito nessuno ad Hogwarts.. al contrario di qualcuno di mia conoscenza che ha cercato di far uccidere Severus... uh guarda ed entrambe le persone coinvolte sono in questa stanza» rispose cantilenando con un sorrisetto aggirando il grifondoro e appoggiandosi sul bracciolo del divano dove era seduta nuovamente Andromeda massaggiandosi la fronte pensierosa «E poi piantatela a con questa storia! Vi fa solo comodo che qualsiasi cosa accada sia colpa di qualcun altro? Dove sono i vostri preziosi Auror?Ah già .. stanno dando la caccia a tua figlia! E di un po’, Andromeda tuo marito sa di come hai passato il pomeriggio? O farai come ad Imbolc quando non gli hai detto che avresti passato la serata con tua sorella? Al piccolo Tassorosso non interessa trovare vostra figlia?»

«Sta zitto Lucius» la voce di Narcissa si era fatta tagliente come una lama, gli occhi azzurri che si accendevano di uno sguardo pericoloso «Non ti permettere di parlare cosi a mia sorella»

«Non devo permettermi? Voi organizzate il rapimento del Ministro alle mie spalle e io non devo permettermi di parlare a tua sorella in questo modo? A casa mia?» 

«Casa nostra, punto primo. E poi non abbiamo rapito il Ministro, l’abbiamo solo temporaneamente distratto da un disdicevole e poco fruttuoso incontro con la sua amante e per Merlino lascia che te lo dica…ci vuole coraggio visto il soggetto» rispose la donna agitando la mano libera in aria come a voler dissipare quella marea di sciocchezza, mentre l’altra stringeva ancora il braccio della sorella stranamente pensierosa, ritrovandosi per un attimo quattordicenne a litigare nei giardini di Hogwarts con quello che allora considerava la piaga più grande della sua vita e che incidentalmente pochi mesi dopo era diventato il suo grande amore.

«Disse l’uomo che ha fatto in modo che il diario di Tom Riddle finisse nel calderone di Ginny Weasley. Trovi delle similitudini con la situazione attuale? La Turpin era una mezzosangue no? Tanto per usare le tue parole.. E anche Dora lo è..anzi peggio.. ed è addirittura incinta di un lupo mannaro.. e ormai tutti sanno che sua madre è una Black.. chissà che non ti sia venuta voglia di tornare ai vecchi metodi».

Sirius si girò di colpo, la rabbia che provava verso quell’uomo inutile travolta dal dolore e dalla furia repressa fino a quel momento di Remus. Se per lui c’era stata una vena di eccitazione, seppur nella preoccupazione per Harry, per il suo più caro amico si trattava continuamente e solamente di un incubo.

In quel momento però tutte le luci magiche nella stanza esplosero, lasciando solo il tempo di lanciare un protego sull’area di conversazione per evitare di essere colpiti da schegge impazzite di finissimo vetro veneziano soffiato a mano, una volta eleganti lampadari e applique sottili come il filo di acramantula e cesellate come il più delicato dei merletti e ora solo mille splendidi coriandoli acuminati.

«Ora basta. Tutti quanti. Ormai quel che è fatto è fatto. Caramell non ricorderà nulla e noi possiamo tentare di capire cosa diavolo stia accadendo. Sappiamo che la Umbridge si è interessata alla scuola dopo la morte di Diggory, che è una fanatica delle regole e che è un’arrampicatrice sociale»

Lucius ghignò «Disposta a qualsiasi cosa a quanto sembra. Ho dovuto scavare un bel po’ ma ho scoperto che ha fatto di tutto per eliminare le sue origini. Sua madre è una natabbabana e suo fratello un magonò ma da quando è entrata ad Hogwarts nessuno ne ha mai sentito parlare. Sono andato a trovare suo padre mentre voi vi trastullavate a fare i piccoli rapitori. Mi ha detto che suo fratello si è suicidato qualche mese fa e lei si è presentata al funerale con un uomo sconosciuto. Era la seconda volta che la vedeva in poco tempo dopo anni di silenzio»

«E non serve che tu dica la data vero?» sospirò Andromeda alzandosi e iniziando a camminare per la stanza, cercando di capire cosa le stesse sfuggendo. Era come vedere dietro un vetro appannato... c’era cosi vicina..

«Ad Imbolc, anche se non credo che sappia neanche cosa significhi. Ma la cosa strana è un’altra... pare che fosse in coma quando si è improvvisamente risvegliato, ha bofonchiato qualcosa di incomprensibile e ha appiccato il fuoco nel suo reparto chiudendosi dentro e finendo arrostito come un’oca» continuò Lucius in tono piatto, come stesse parlando del tempo, tirando fuori una fotografia «E qui ecco la volta precedente in cui Dolores Umbridge ha fatto visita a suo fratello… notate niente ?»

Remus prese la fotografia babbana, avvicinandola. Poi lo vide, nascosto sotto il polsino del maglione. Un tatuaggio.

«Cos’è un fiore?» chiese lanciando un engorgio e passando la fotografia a Sirius, che la guardò perplesso.

«Sono perplesso anche io di sapere di cosa si tratti ma direi che è uno strano bucaneve…nero? Merlino chi si fa tatuare una cosa del genere?»

Gli occhi delle Black si erano fatti improvvisamente attenti, mentre inconsapevolmente Narcissa sfiorava con le dita il lembo di pelle coperto dal vestito dove sapeva esserci un tatuaggio fin troppo simile.

«Già chissà chi» mormoro Andromeda lanciando un’occhiata tagliente all’uomo accanto a lei, improvvisamente ancora più pallido «E tra una visita e l’altra sai che fine ha fatto la Trelawney?»

«L’insegnate di divinazione?» chiese l’uomo perplesso, lo sguardo ancora fisso su Narcissa.

Andromeda fece un segno di assenso con il capo «Caramell ci ha detto che ha avuto una visione i primi giorni dell’anno:Hogwarts travolta dalle acque del Lago Nero , decine e decine di corpi di studenti sparsi sino ad Hogsmeade. Nella versione breve sai bene che la profezia vera e propria può essere ascoltata solo dal destinatario della profezia»

«Il che potrebbe essere un problema» chiosò Sirius sedendosi di nuovo in poltrona, godendosi il senso di puro straniamento nel volto del padrone di casa «Visto che è morta»

«Morta? E sarebbe..» il sopracciglio di Lucius si alzò appena, incerto prima che la soluzione di quel mistero gli si rivelasse grazie al ghigno del più giovane dei Black «Oh cazzo»

Cassandra.

Quando si sarebbe liberato di lei?


***

Ormai Nymphadora Tonks poteva dire di conoscere ogni singola fessura di quelle stanze circolari in cui era rinchiusa: ne aveva studiato ogni mattone, ogni piccola crepa, controllato ogni alito di vento, studiato ogni arrivo dell’elfo e di Niamh.

Ogni singolo attimo in cui non era impegnata a fare ricerche e a studiare i documenti che le avevano portato aveva esplorato, saggiato, valutato.

Ed infine era arrivata alla sua conclusione: la finta insegnante di divinazione non si materializzava. Era vero che appariva all'improvviso ma ogni volta era come se aspettasse il momento giusto in cui lei era di spalle per scivolare guardinga e far finta di essersi smaterializzata. Si avvicinò al quadro del bosco, quello che sembrava sempre attirare la sua attenzione, studiandolo per l’ennesima volta. E come sempre ebbe l’impressione di vedere qualcuno nascosto tra gli alberi...certo era solo una suggestione, un’idea nella sua testa ma gli anni dell’addestramento le avevano insegnato a non ignorare mai il suo istinto, lo stesso che l’aveva portato ad accettare il posto di professoressa pro tempore quell’anno, quando tutti le dicevano che avrebbe solo dovuto rimanere a casa a riposare.

Il bambino nel suo ventre sembrò condividere la sua angoscia al pensiero del suo amato Remus in pensiero per lei. Poteva immaginarselo come se fosse lì davanti a lei con il volto pallido e tirato, gli occhi stanchi per il mancato sonno e il tentativo di sorridere nonostante tutto. Ancora una volta sperò che non si facesse trascinare in qualche idea assurda: nonostante fosse sempre stato quello più serio, pacato e riflessivo del gruppo sapeva bene che non c’era niente che potesse spaventarlo .se non l’idea di perdere di nuovo coloro che amava. E con altrettanta certezza era sicura che non ci fosse nulla che non avrebbe fatto per ritrovare lei e il bambino. Remus Lupin poteva apparire un dimesso e pacato ex professore di arti oscure, ma lei sapeva bene cosa fosse: un leale e coraggioso eroe di guerra. E lei lo amava tanto per la sua dolcezza quanto per il suo coraggio.

Immersa nei suoi pensieri registrò appena l’ingresso di un’ombra furtiva con la coda dell’occhio, sperando ancora una volta che fosse Peeves. Da quando era venuto a trovarla al suo risveglio non si era visto e Niamh le aveva detto che, con grande soddisfazione della Umbridge, sembrava se ne fossero perse le tracce.

Eppure era certa che non potesse abbandonare quello che era stato il suo parco giochi per centinaia di anni, specialmente in una situazione del genere. Quella coltre di tristezza e serietà che era caduta sulla secolare scuola di magia e stregoneria di Hogwarts doveva essere insopportabile per uno come lui...ma se lo conosceva, ed era certa di farlo dopo sette anni in cui era stato la sua migliore spalla, era sicura che non potesse semplicemente darsi alla macchia abbandonando gli studenti alla tristezza e alla disperazione.

Quando qualcosa di caldo e peloso le si strusciò sulle gambe trasalì, lanciando in aria le pergamene che stava studiando, la bacchetta sguainata.

Poi guardò in basso, dove un grasso felino dal manto fulvo appena interrotto da uno splendido collare in pelle grigia e l’’espressione scocciata la guardava con aria di sufficienza, seduto sulle zampe posteriori.

L’Auror si accovaccio in terra ,grattando con fare circospetto la grossa testa del gatto.

«Grattastinchi?E tu cosa ci fai qui»chiese stupita mentre il felino in tutta risposta le cercava di artigliare una mano, fortunatamente senza riuscirci «Ehi ma si può sapere che ti prende?»

Il gatto sbuffò iniziando a scrollare la testa con sempre maggior vigore, il ciondolo d’argento attaccato al collare che tintinnava do ogni sua mossa, prima di lanciare una serie di miagoli acuti lasciandola perplessa: con lei Grattastinchi si era sempre dimostrato più che gentile, quasi affettuoso. Di certo non sembrava un incrocio con una banshee.

E poi capì: non si stava lamentando o cercando di attaccarla. Semplicemente cercava di attirare la sua attenzione sulla lucida medaglietta che continuava a far oscillare. Quando la prese tra le dita non poté fare a meno di sorridere, vedendo le lettere GGM fondersi metallo prima di riapparire , serpenti lucenti sul metallo.

Non sei sola

Finalmente placato, Grattastinchi le avvicinò la grossa testa al viso, dandole una leccatina di incoraggiamento mentre il piccolo Teddy sembrava fare una capriola al ritmo della sua commozione

Per l’ennesima volta si ripeté che era solo la sua immaginazione, che il bambino era troppo piccolo per poterlo sentire. Eppure era li, un’ increspatura nell’acqua, un battito all’interno del suo cuore che le dava la forza per andare avanti.

Non poteva arrendersi.

Non adesso.

Nonostante il pericolo. Toccò il pelo ruvido del gatto: era caldo, asciutto, pulito. Quindi in qualche modo era ancora all’interno di Hogwarts.. ecco perché non era in grado di materializzarsi. E i suoi sospetti sull’ingresso di Niamh nella stanza erano fondati.

Doveva riuscire ad arrivare all’ufficio di Silente.. sapeva che avrebbe trovato un modo da li per mettersi in contatto con Remus. Doveva esserci.. Silente non sarebbe mai stato così sciocco e sprovveduto da permettere ad uno zelante funzionario del  Ministero di isolare Hogwarts.

«Portami da loro» sussurrò al gatto che la guardava inclinando la testa pensieroso. Come se l’avesse capita Grattastinchi restò ancora un attimo seduto immobile come una statua. Poi con un ultimo miagolio simile ad un grido di guerra si mosse .

Si fermò un attimo a guardarla, perplesso.

Poi prese la rincorsa e saltò contro il muro di pietra.

Tonks prese un grosso sospirò e  lo segui, chiudendo gli occhi, ricordandosi la prima  volta che aveva attraversato il binario nove e tre quarti, fiera e senza paura, sotto gli sguardi sornioni e benevoli dei suoi genitori.

Prese una breve rincorsa, senza pensare, senza credere neanche per un secondo che avrebbe solo trovato della pietra gelida e centenaria contro il suo corpo.

La stanza era piccola ma lei cercò di guadagnare tutta la velocità possibile, saltando solo all’ultimo, il corpo proteso in avanti in un disperato tuffo verso la libertà.

 

Doveva crederci. Era quella l’essenza della magia, quello che nessuno babbano avrebbe mai potuto afferrare. Non doveva neanche per un attimo pensare che non avrebbe avuto successo, che le pietre non si sarebbero sfaldate e fuse di nuovo insieme per accogliere il suo corpo come avevano fatto con quello di Grattastinchi.

La realtà era energia e l’energia poteva sempre essere plasmata, erano state le prime parole della McGranitt in un settembre così lontano che le sembrava appartenere ad un’altra vita, ad un’altra persone, ad una Nymphadora Tonks dalla cravatta gialla e nero e i capelli rosa fragola, una tazza zannuta nello zaino e una foto della sua famiglia ben nascosta in fondo al baule.

Tassorosso:dedizione, duro lavoro , gioco di squadra.

Ci aveva creduto con tutta sé stessa.

E ci credeva ancora,nonostante tutto

E ancora una volta quella che era stata la sua casa lontana da casa non la tradì.

 

Atterrò rotolando ed imprecando su un soffice tappeto violaceo mentre l’aria satura di incenso le toglieva il respiro. Si rimise in piedi imprecando ed osservando la stanza: morbidi cuscini colorati in terra, una sorta di poltrona a forma di mezzaluna che pendeva dal soffitto attaccata ad un tralcio di vite, specchi a forma di fasi lunari che ornavano ogni parte della stanza, un grande letto con le tende grigio perle tirate.

Quella era decisamente la stanza privata di Niamh, pensò trattenendo un ghigno… ecco perché riusciva ad entrare ed uscire senza essere vista. 

C’era qualcosa in quella donna che non la convinceva, sentiva che le stava nascondendo qualcosa anche dopo quella che era parsa un’assurda confessione sui suoi genitori, sulla sua infanzia, sulla Dama del Lago e il motivo per cui era stata mandata nel loro mondo. Sapeva che stava dicendo la verità eppure c’era un’ombra che non riusciva a dissipare, qualcosa che sentiva stesse evitando di raccontare.

SI avvicinò circospetta alla scrivania ordinatissima. Fin troppo: le penne d’oca erano disposte per grandezza e colore, le pergamene accuratamente raccolte , i cristalli riposti in un cestino ricoperto si salvia e sale grosso.

Provò ad aprire i cassetti senza trovare alcuna resistenza. Anche lì nulla di sospetto, solo banali effetti personali e mazzi di erbe aromatiche, tarocchi avvolti nella stoffa bianca, rune di vario tipo custodite in sacchetti di velluto, ciotole d’argento e tavolette di legno. Alcuni libri impilati sul comodino, una brocca con acqua limone e lavanda.

Tutto molto, troppo ordinario.

Ancora una volta la sua mente tornò al primo settembre di tanti anni prima, quando sua madre prima di salire sul treno le aveva sussurrato un’ultima raccomandazione.

Se vuoi nascondere qualcosa mettila sotto il naso di tutti.

Prese in mano un quaderno anonimo, dalla copertina logora di pelle scura, posto in bella vista sulla scrivania. Lo sfogliò piano: appunti senza interesse, qualche idea per una lezione, le indicazioni per trovare le varie classi, descrizione varie di piante e fiori.

Revelio

Al tocco della bacchetta disegni e caratteri sembrano affondare tra le pagine, diventate intonse per un momento.

Poi riemersero, non più caratteri conosciuti ma un insieme di segni e cifre.

Tonks sbarrò gli occhi.

Anche se non avrebbe dovuto conosceva quell’alfabeto, quell’insieme segreto di rune che veniva rivelato alla cerimonia per diventare prefetti di Tassorosso. Una conoscenza segretissima che si perdeva esattamente nel momento in cui si lasciava la scuola per l’ultima volta, consegnando la spilla. Una cerimonia privata tramandata da secoli.

Qualcosa che nessuno al di fuori dei prefetti avrebbe dovuto sapere. Peccato che una volta per una scommessa persa con Charlie Weasley si fosse trasfigurata in Penny Atwood, prefetto del suo stesso anno, proprio il giorno in cui aveva ricevuto il dono della conoscenza dell’alfabeto segreto. Ufficialmente era stato un modo per permettere a Penny e Charlie di passare un giorno clandestino nella sala delle necessità. Quando li aveva finalmente trovati con gli occhi ancora brillanti per le ore passate insieme aveva provato a spiegare cosa fosse successo, a raccontare quell’assurda situazione. Tutti e tre avevano concordato di mantenere il segreto: Penny avrebbe chiesto a Tonks di tradurre per lei se mai fosse servito e nessuno avrebbe mai scoperto quel loro piccolo inganno. D’altronde l’alternativa sarebbe stata all’espulsione per tutti e tre.

In quel momento Nymphadora Tonks sperò ardentemente di aver rifiutato quel giorno, di non aver mai avuto la possibilità di conoscere quell’alfabeto.

E soprattutto si maledisse per essersi mai fidata di Niamh Montmercy. D’altronde come poteva aver riposto fiducia in una figlia di due mangiamorte?

Quelle lettere non lasciavano adito al dubbio.

Niamh non stava cercando di salvarli.

Il suo unico obiettivo era salvare il Lago Nero.

E a quanto pare il modo migliore per riuscirci era uccidere Harry Potter.

Sentì delle voci dietro la porta, Niamh era entrata nel suo studio insieme ad una studentessa. Si avvicinò alla porta,spiando dalla fessura della chiave ma la ragazza le dava le spalle, l’unica cosa che riusciva ad intravedere era la sciarpa verde e argento che portava al collo . Nymphadora si appiattì contro il muro, il quadernino ancora stretto addosso, chiedendosi in che guaio si fosse cacciata.

 

***

 

Narcissa passò le dita delicate nell’acqua calda sollevando leggera una bolla profumata di eliotropo e violetta guardandola senza vederla sul serio. Si sentiva allo stesso modo, la sua vita che aveva creduto perfetta era sottile e fragile al punto che sarebbe bastato un soffio per farla sparire, come se non fosse mai accaduto niente.

Chiuse gli occhi appoggiandosi al bordo della vasca di marmo nella vana speranza che il mondo ricominciasse ad avere un senso.

Riprese in mano la fotografia della sera in cui Lucius aveva ricevuto il marchio nero, cercando un indizio ,un qualunque indizio che le spiegasse come diavolo fosse possibile che a vent’anni e più di distanza lo stesso marchio fosse comparso su braccio di loro figlio in una sera d’inverno, passando un dito leggero su quei volti che aveva così tanto amato. Com’era possibile che quel ritratto della gioia fosse dovuto ad un massacro? E lei dov’era quella sera? Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare esattamente. Probabilmente stava provando il vestito per il giorno dopo, come nel migliore stereotipo della sciocca vanesia che tutti avevano sempre pensato fosse.

Il Lucius nella foto sembrò girarsi per rispondere a qualcuno… probabilmente i suoi fratelli, ora visibili in foto, intenti a parlare con una coppia di ragazzi dall’aria stranamente famigliare. Troppo.

Capelli neri a caschetto, quel modo di spostare il peso da una gamba all’altra quando era nervosa che le aveva rimproverato mille volte. Quella ragazza somigliava in modo impressionante a Pansy..e di certo non si trattava di Eliza, se non ricordava male neanche era ad Hogwarts quell’anno.

E il ragazzo con lei, quello che Arael stava abbracciando poco distante. Narcissa sbatté gli occhi. Non aveva mai visto Arael abbracciare nessuno che non fossero Nicholas o Lucius. A dire la verità raramente interagiva con qualcun altro. E quel ragazzo era certa di non averlo mai visto.

Il Lucius sedicenne si girò nuovamente a parlare con Rodolphus, accennando con il capo a quella strana coppia , il viso così in primo piano da poter leggergli le labbra, un vizio che aveva preso da bambina quando spiava le grandi cene a Villa Black. O almeno pensava di poterle leggere. perché non era possibile che avesse capito bene.

Draco non viene.

Rodolphus aveva annuito e Bellatrix scosso la testa  annoiata.

Poi la fotografia tornò all’inizio, i denti bianchi e gli occhi brillanti che sorridevano alla camera mentre dietro di loro le fiamme iniziavano ad alzarsi nella notte di Londra. 

 

***
 

Era ormai la sera della domenica, ed Harry camminava a passi decisi lungo il corridoio del quarto piano, pieno di energia e con ancora addosso  la scarica delle lezioni nella sala delle necessità. L’incontro era stato un successo pari se non superiore a quello che avevano organizzato nel passato. SI erano presentati tutti: Non solo i Weasley ,Angelina e Neville, ma anche Dean, Seamus ma anche studenti di Tassorosso e Corvonero, inclusa Luna che aveva cianciato tutto il tempo di farfalle e malefici e Cho Chang e Marietta.

E lui, finalmente era riuscito a fare il famoso discorso che si era preparato nel passato e che grazie a Malfoy e Parkinson e tutti quei dannati serpeverde non era riuscita a portare a termine, e Ginny era accanto a lui,la mano nella sua e il profumo di vaniglia e caramello salato che gli ricordava i giorni felici a Grimmauld Place.

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse dei cigoli della pietra sopra di lui, incurante della scintilla che sembrava essere uscita dall’oscurità.

Prima che se ne rendesse conto qualcuno lo aveva spinto con forza contro la parete. Aprì gli occhi a fatica, massaggiandosi la testa che gli scoppiava, mentre con la coda dell’occhio gli sembrò notare una figura femminile svanire nell’ombra.

Davanti a lui c’era Dobby, i grandi occhi globulosi che lo fissavano «Harry Potter deve stare attento. Harry Potter è in pericolo ad Hogwarts» lagnò con voce stridula indicando un punto alle sue spalle.

Harry si girò sgranando gli occhi: li dove era lui pochi minuti c’era lui, adesso un enorme masso di pietra nera era caduto dal soffitto, aprendo una voragine nel pavimento di pietra.

Harry deglutì a vuoto.

Forse Dobby aveva di nuovo ragione.

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV- Para Vis Para Bellum ***


Quando qualcuno aveva riportato alla Umbridge della semi decapitazione del BambinoSopravvissutoAVoldemortMaForseNonAdHogwarts,ovviamente da intendersi come un’unica parola, la Preside sembrava molto più scocciata dal tempo perso per le riparazioni piuttosto che del fatto che il corridoio del quarto piano ora avrebbe potuto essere un’opera di arte contemporanea recanti resti di colui che una volta era conosciuto come la speranza dei maghi.

Il grasso batrace l’aveva osservato con quei suoi occhietti vacui e perfidi con sospetto, come se fosse stato lui a far si che uno stramaledetto parallelepido di travertino per poco non gli sfondasse il cranio.

Ed ovviamente era partito il terzo grado del perché e del percome lui si trovasse li proprio in quel momento, da solo per giunta, mentre Gazza lo guardava dondolandosi eccitato da una gamba all’altra, evidentemente nel non troppo nascosto pensiero di poter sul serio tirare fuori le sue catene.

«Forse Potter aveva deciso per una volta di non perdere tempo in chiacchiere inutili con Weasley» si era intromesso Piton con voce strascinata e petulante «O più probabilmente stava cercando un’aula studio vuota in cui schiacciare un sonnellino, non è vero Potter?»

Prima che potesse rispondere era entrata la McGranitt come una furia, il disappunto per non essere stata chiamata che sprizzava da ogni poro del suo essere, che senza dire una parola lo afferrò per il braccio e iniziò a trascinarlo verso la sala comune di Grifondoro, incurante delle proteste della stronza vestita di rosa secondo cui non aveva ancora finito di interrogare il giovane Potter sui suoi inusuali giri di metà pomeriggio.

Dopo averlo fatto entrare di forza nella torre di Grifondoro l’aveva vista girare i tacchi e ripercorrere a passo di carica le grandi scalinate, persino i dipinti che cambiavano quadro per paura della sua ira. Quando Baston gli aveva raccontato che era stata una giocatrice di Quidditch di prim’ordine non era riuscita a figurarsela su una scopa mentre volava aggressiva schivando bolidi ed avversari. Ma ora a dirla tutta avrebbe preferito essere colpito dal bolide stregato del primo anno piuttosto che rischiare di affrontare la sua ira.

Da quel momento e per tutta la settimana successiva si era sentito un sorvegliato speciale tanto dalla Umbridge quanto dalla sua adorata capo casa che sembrava aver dato al gatto di Hermione il compito di non stargli mai a più di cinque passi di distanza, fatta eccezione per le lezioni, quando si sedeva immobile fuori alla porta ad aspettarlo mostrando soddisfatto gli artigli a chiunque provasse a scacciarlo. E sebbene di certo Grattastinchi non potesse essere considerato un amorevole micino dal pelo morbido e le fusa facili, nemmeno la Umbridge né Mrs Norris erano riuscite a farlo desistere dalla sua guardia silenziosa.

I giorni che lo separavano dal nuovo incontro nella sala della necessità erano parsi eterni, poteva quasi vedere come nel giro di poco persino il tempo fosse cambiato: non c’era più alcuna traccia del rigido inverno appena passato e sebbene la primavera ancora faticasse ad entrare nel vivo gli alberi avevano iniziato a riempirsi di nuovo di foglie mentre i primi fiori iniziavano a fare capolino negli ordinati giardini attorno ad Hogwarts ed era certo che anche l’orto di Hagrid iniziasse a dare i suoi frutti, nonostante l’assenza del suo proprietario. Con un senso di magone per quella capanna vuota e silenziosa senza Hagrid o Thor a riscaldarla, Harry si sentì stringere lo stomaco molto più di quando era quasi morto. Dopo la cacciata di Silente e la taglia su Tonks Hagrid era sparito dal giorno alla notte, senza una parola o un biglietto, lasciandolo nell’angoscia di non sapere se gli fosse successo qualcosa. Una parte di lui sperava che avesse trovato Tonks e ora la stesse proteggendo, nascondendola in chissà quale anfratto di una qualche foresta dimenticata dai maghi che solo il buon Hagrid poteva conoscere.

Ma finalmente quel giorno era arrivato di nuovo.. aveva chiesto a Ginny di arrivare un po’ prima giusto il tempo di stare insieme un’oretta prima che arrivassero tutti. Sapeva di chiederle molto, in fondo già era un miracolo riuscire a non farsi scoprire una dozzina di studenti di ogni età e casa che sgattaiolavano guardinghi per i corridoi vagando senza particolare scopo ma aveva un urgenza più che fisica di vederla.

Voleva affondare nella sua pelle che sapeva di erba fresca e di volo in alta quota, ora più che mai che era costretto a rimanere con i piedi per terra.

Per questo quando entrò nella sala gli sembrò quasi di rivivere quanto accaduto nel passato, quando quel viscido serpente dalla testa platinata lo aveva spinto dentro a tradimento, facendo quasi rotolare dentro al camino.

Questa volta si trattò più di incespicare nei suoi stessi passi ma l’effetto e sopratutto la causa era fin troppo simili.

«Ti alleni per il balletto, Potter?» 

Ed eccoli li davanti a lui, seduti sul divano di pelle crema che di certo fino a quel momento non c’era mai stato quando avevano richiamato la stanza, tutti intenti a piluccare da pompose alzatine piene di frutta fresca, crostatine alla marmellata di albicocche e piccoli tramezzini poco più grandi di un boccone, neanche fossero una dannata cartolina dei peggiori stereotipi della nobiltà inglese, non uno ma ben quattro serpeverde.

E accanto a loro, pacifici come se fosse assolutamente normale e non stessero rivelando il loro più grande segreto a quattro serpi di cui nonostante tutto non si sarebbe mai fidato c’erano Hermione, Ron e persino la sua amata Ginny, che, fortunatamente per il suo amor proprio, appena lo vide si alzò di scatto travolgendo il fratello che stava cercando di convincere Pansy ad ingoiare intera una tartelletta del peso specifico di un Gargoyle e gli corse incontro abbracciandolo stretto.

«Ti sei fatto attendere» Blaise Zabine lo guardò con aria annoiata mentre con le gambe accavallate tamburellava  con le dita sul bracciolo della poltrona «Non mi piace attendere»

«A me non piaci  tu, direi che siamo apposto. Posso sapere perché questi qui sono a rovinare il mio tempo di qualità con la mia ragazza?» sbuffò con le mani ancora sulla vita di Ginny e il fortissimo desiderio di schiantarli tutti quanti. Era diventato bravo, dopotutto, anche se con Hermione di mezzo…

«Ma come cazzo parli Sfregiato? Tempo di qualità? Neanche i quadri dei miei trisavoli parlano cosi» lagnò Draco alzando gli occhi al cielo «E comunque vorrei ricordarti che poco più di un paio di settimane fa sei stato tu a rovinare il mio  sabato pomeriggio»

Hermione e Ginny si lanciarono un’occhiata esasperata. Decisamente i loro di sabati erano stati rovinati in maniera ben peggiore e non erano certo li a lagnarsi

«Abbiamo saputo del tuo…incidente, Harry» 

Sentendosi chiamare per nome da qualcuno con cui aveva a malapena condiviso qualche pasto in sala comune e sempre a debita distanza, Harry si mise sulla difensiva sedendosi accanto a Ron«Io non lo chiamerei incidente, Nott. Direi che qualcuno ha provato a farmi fuori» 

Hermione prese mentalmente l’appunto di contare fino a quindicimila prima di colpire il suo quasi decapitato miglior amico «Quello che vuole dire Theo, Harry, è che nei sotterranei si è sparsa la voce…» iniziò per venire subito interrotta da Pansy

«Che ben presto brinderemo alla tua dipartita» concluse velocemente per lei alzando il bicchiere di cristallo ricolmo di quello che di certo non era un innocuo infuso di foglie e acqua bollente guardandolo torvo come se gli avesse fatto un torto. Poi aggiunse a mezza bocca più a sé stessa che agli altri «E non per colpa mia»

«Cosa?» chiese Harry cui non era sfuggito quella piccola parte di frase masticata tra i denti, mentre  i serpeverde sembrarono scambiarsi uno sguardo strano,come se quei dannati maledetti sapessero bene a cosa si stesse riferendo ma ovviamente ben guardandosi da spiegarlo «E dove sono Fred e George?»

«Distraggono Gazza e testano i nuovi scherzi che stanno progettando» rispose Ron chiedendosi ancora una volta perché fosse in una dannata sala piena di Serpeverde. Pansy gli andava bene…ma gli altri tre…per Merlino.

«Ok concentrati, Potter. Parlavamo della tua dipartita. Di nuovo..» Draco si era alzato spezzando quel silenzio denso che sembrava calato tra di loro «Però Hermione dice che Ginevra ha una teoria..»

«Non chiamarmi Ginevra, furetto» replicò svelta Ginny lanciandogli uno schiantesimo che lo mancò di pochissimo andando a colpire la statua di bronzo di Serpeverde che solo ora notava accanto alla porta.

Draco sbuffò sistemandosi i capelli «Che maniere.. Come dicevo però …Ginny, va bene così? Posso chiamarti Ginny?» aspettò l’assenso della giovane Weasley prima di proseguire più tranquillo «Ecco Ginny dice che c’entra la Montemorcy»

Harry sgranò gli occhi.

«Senti io posso capire Piton, la Umbridge sicuramente, mi arrischio a dire di non essere particolarmente simpatico a Rufus perché probabilmente sa benissimo che non ho seguito mai una sua lezione per intero senza distrarmi... Ma la Montmercy per Merlino… è l’unica..»

«Se dici che è l’unica che ti difende giuro che ti faccio ingoiare la teiera. Sei il cocco della McGranitt, di Silente, della Pomfrey, di Madame Broom.. e per Salazar Serpeverde persino la Sproute ha un debole per te e sei davvero pessimo ad erbologia» Pansy lo aveva interrotto, brandendo pericolosamente l’oggetto in questione, lasciando ben pochi dubbi sul fatto che fosse una minaccia a vuoto.

«L’ho sentita parlare di te con la Umbridge, è gentile con te solo per farti fidare di lei. E credimi mi dispiace molto» aggiunse Ginny stringendogli la mano «Se ti può consolare c’ero cascata anche io…è sempre stata così carina con me. Non faceva che dirmi quanto fossi speciale, quanto sia raro che ci sia una settima figlia femmina e quanto potenziale io abbia»

«Comunque a me questa storia dei sette figli ancora non mi torna» sussurrò Draco sedendosi di nuovo accanto ad Hermione.

«Malfoy giuro che si ricominci con la storia dei pavoni o degli elfi domestici…»minacciò Ron in tono così convincente che per una volta Draco Malfoy tenne per sé le sue poco lungimiranti e sicuramente affatto cordiali similitudine tra la famiglia Weasley e gli animali di casa sua. Anche perché ovviamente, lui propendeva per la superiorità dei pavoni, eccezion fatta per la piccola Weasley che per qualche strano motivo sembrava stargli simpatica.

Harry rimase in silenzio, mettendo il broncio, mentre aspettava inutilmente che qualcuno dei suoi amici intervenisse in suo favore.

Cosa che non avvenne, perché quando Hermione si decise finalmente a parlare lo fece solo per avvalorare quell’assurda teoria «Ve l’ho sempre detto che ha qualcosa di strano…»

«Io per strano avrei detto “sorella bastarda del furetto” ma fa niente» la interruppe Ron con nonchalance, litigandosi con Ginny le ultime porzioni rimaste di dolce.

Fu la volta di Draco rimanere interdetto in attesa di una difesa dei suoi compagni di casa che non venne..anzi sembravano tutti piuttosto presi a guardarlo come se lo vedessero per l prima volta.

«Sai che in effetti quei capelli» mormorò Blaise inclinando la testa e mettendo una mano davanti agli occhi in modo da coprirsi il volto «Oh ecco guarda arriccia il naso come se stesse sentendo un odore sgradevole… è uguale»

«E anche il viso..per la miseria sembra una versione più grande e femminile di Draco . Peccato per gli occhi. E per le fossette..ma quelle le ha riprese dai Black..Cassandra non faceva che sottolineare come ti dessero un’aria da idiota» chiese Theo continuando a fissarlo silenzioso ignorando il suo sbuffo a quel commento. Poi aggiunse dopo una lunga riflessione «Ho visto una foto di tua zia una volta a Villa Nott. Era con tua nonna. Assomigli a loro vero?»

E fu in quel momento che qualcosa  nelle mente di Draco fece click. Non aveva mai dato importanza a quel lato della sua famiglia, suo padre era stato estremamente parco di informazioni. C’era la storia dei Malfoy, quella dei Black.. persino qualche accenno ai Rosier probabilmente una delle poche cose di cui avesse parlato con sua nonna materna.

Ma l’altra nonna, quella che aveva incontrato un giorno lontano in cui si era intrufolato da ladro nella sua stessa casa, quella di cui non aveva mai pronunciato il nome e di cui nessuno parlava mai.

«Montemorcy de Aval» mormorò come se avesse visto un fantasma, lo sguardo fisso su Hermione.

«Vivienne Montemorcy de Aval»

Lui e Pansy si guardarono, consapevoli di quello che stava per dire «Vivianne Montemorcy de Aval in Malfoy. Quella non solo assomiglia a mia nonna. Ha anche il suo cognome»

«Quindi mi stai dicendo che hai anche dei parenti psicolabili di cui non sei a conoscenza? Che dire furetto, non finisci mai di stupirmi» bofonchiò Harry schivando la tazza di porcellana blu che era volata nella sua direzione.

Hermione era rimasta in silenzio, mentre finalmente la nebbia che aveva avvolto i suoi ricordi si diradava. Aveva già sentito quel nome ne era certa.. 

Un profumo di fiori , l’odore metallico delle acque dolci del lago, il vento tiepido che le accarezzava il volto, voci dimenticate nel passato che si accavallavano.

Pansy, Arael, Andromeda, una cacofonia che risuonava nella sua testa.

E poi c’era la sua voce, antica come il mondo.

La dama del Lago.

Morgaine.

E’ il nome che le ha dato sua madre.

Lady Malfoy era una di voi.

Ogni cinquanta anni una delle mie figlie sale nel vostro mondo nella famiglia de Aval.

«Arael è morta» la voce di Pansy era secca, pesante come un macigno «Suicida nel Lago Nero. E se questo spiega il luogo che ha scelto di certo non come avrebbe fatto a sopravvivere la bambina che aspettava»

«Forse è di Lucius…sei sicuro che tuo padre non abbia avuto un’altra figlia?» Blaise aveva osservato Theo per tutto il tempo in silenzio. Ormai aveva imparato a conoscere ogni sua espressione, ogni piega del viso, ogni minimo segno di tensione. Era certo che gli stesse nascondendo qualcosa. E se lo stava facendo di certo non era un buon segno.

«E’ vivo e io sono nato dopo quindi direi di escluderlo. Possiamo concentrarci per favore? Ipotizziamo che mia nonna si sia fatta un amante e Merlino solo sa come sia sopravvissuto e questo o questa abbia avuto figlia che è la professoressa che è arrivata qui per caso. Chi se ne frega, tanto mica può reclamare l’eredità. Nella mia famiglia si cercano dif are fuori gli eredi che nonn vanno a genio ma niente figli bastardi riconosciuti. E non guardarmi coì, Granger... cosa avrò detto mai... In ogni caso vi ringrazio del vostro interesse verso i miei futuri galeoni ma risolviamo prima la questione in cui pare che voglia aiutare a fare secco la pestilenza dei Maghi qui presente, oltre che a renderlo ancora più sfregiato» sbuffò risedendosi con un tonfo «E che Salazar mi aiuti Theo se ti sento un’altra volta nominare quella puttana psicopatica giuro che mi faccio internare a Tassorosso»

«Ti stupiresti di quanto i Serpeverde possano essere amichevoli con i Tassorosso» ghignò Hermione… oh di certo non era il momento adatto ma quando finalmente tutto quello sarebbe finito per Merlino quanto si sarebbe divertita a spiattellare la verità sui genitori della Dama del Lago al suo adorabile e orgoglioso Serpeverde. Forse anche più della prima

«Però Draco ha ragione, dobbiamo concentrarci. Lei ha guidato il rituale di Imbolc, lei sembra ossessionata da Harry…» iniziò ad elencare Hermione  contando con le dita mentre non riusciva a togliersi quella fastidiosa sensazione dal fondo del cervello che ci fosse qualcosa che ancora le sfuggiva.

 

«E io sono certo di aver visto una sagoma femminile che sgattaiolava via, poco dopo la mia tentata decapitazione» aggiunse Harry interrompendola «E poi lei è l’unica persona che conosciamo con quei tatuaggi strani»

«A parte Draco» commentò con fin troppa soddisfazione Pansy schioccando le labbra mentre Ron emetteva un ghigno disgustato. 

Il giovane Malfoy sentì ben sette paia di occhi di ogni forma , colore e grado di fissità della pupilla fissarlo neanche fosse stato un dannato ippogrifo e loro alla prima lezione di cura della creature magiche con il bestione. Bestione, che per inciso, sembrava essersela data a gambe.

«E qualcun altro che Draco non vuole che nomini» aggiunse Theo sfoderando il suo miglior sorriso e sbattendo gli occhioni azzurri che aveva ereditato dalla madre.

«La madre?»

L’uscita di Ron ebbe il potere  di scatenare il caos nella stanza. Fu una questione di un attimo prima che Draco tirasse fuori la bacchetta lanciando uno schiantesimo che fortunatamente quanto inspiegabilmente venne deviato di pochi centimetri dalla testa del rosso.

«Ehi cazzo stavi per colpire me! Si può sapere che ti prende?» si lagnò Pansy, mentre con le lunghe unghie dipinte che riuscivano a penetrare anche attraverso la grana della maglia fino ad intaccargli la pelle «E tu… Merlino ma sul serio hai polpa di zucca in testa?»

«In effetti da piccolo Mamma diceva che non mangiava altro» mormorò distratta Ginny mentre osservava fissa un punto imprecisato alle spalle del fratello. Quella deviazione era stata davvero strana..né lei, né Harry, Ron ed Hermione avevano fatto in tempo a rispondere eppure la preziosa testa a volte poco pensante di suo fratello era ancora saldamente ancora al suo posto intatta.

Talmente intatta che Pansy riuscì ad infilarci  due scones grondanti di marmellata dorata prima che riuscisse a replicare. Scones che sembravano estremamente bollenti visto i mugoli di piacere misto a dolore che provenivano dalla bocca impastata di burro e farina di Ron che si limitò a tirare fuori dal mantello una copia della famigerata copia della Gazzetta del Profeta gettandola verso Hermione che dovette strapparla letteralmente dalle fredde mani di Draco, pietrificato giusto un secondo prima che facesse la Gazzetta in coriandoli talmente piccoli che gli elfi l’avrebbero scambiati per briciole di crumble di mele.

In un attimo le furono tutti intorno, sbirciando da dietro le sue spalle. Persino Pansy e Blaise avevano perso il loro solito aplomb di finta indifferenza e si stavano litigando la visuale migliore. Era bastato un engorgio e la foto era ora della stessa grandezza di uno schermo del cinema, se mai qualcuno in quella sala a parte Harry ed Hermione avesse saputo cosa fosse.

Il mare in lontananza, la brezza lenta e pigra che muoveva le palme, le ombre delicate del grande cappello di paglia sul viso. E poi li, proprio dove finiva una ciocca di capelli biondi, nascosto solo parzialmente tra la fascia del bikini e il copricostume traforato portato aperto, se si guardava bene c’erano delle linee sottili ed intrecciate.

«Certo che l’hai guardata bene, eh Weasley» commentò Pansy a denti stretti pizzicandogli con forza il braccio.

«Sei un depravato, Lenticchia» aggiunse Blaise con uno sbuffo disgustato volgendo poi la sua attenzione a Draco ancora pietrificato ma da qui sembrava provenire un ringhio che cresceva d’intensità di ora in ora «E poi ti lamenti di me … potrei sentirmi offeso sai?»

Hermione strinse distrattamente la mano a Draco, nel ben conscio inutile tentativo di confortarlo, poi un tocco di bacchetta e quel quadratino di pelle divenne tutto il loro campo visivo.

E li, caddero tutti i suoi dubbi.

Ron aveva ragione: Narcissa Malfoy aveva un tatuaggio praticamente identico al suo se non per il colore.

Il suo era bianco, le pennellate che si distinguevano appena sulla pelle, linee sottili e delicate. Il loro invece era scuro, denso…

Potente.

Si era quella la parola che le rotolava sulle labbra ma non aveva il coraggio di dire ad altra voce. E non era solo per non ricordare quella sensazione del sogno di quella notte che sembra ormai troppo lontana per essere stata vera.

Ricordava un’altra sera, quella prima che la loro vita cambiasse, quando Draco era rimasto sconvolto che portasse sulla pelle un tatuaggio così simile a quello di Cassandra, un segreto che fino a quel momento non aveva rivelato a nessuno, neppure a Ginny.

Cassandra, Narcissa, Pansy, Ginny, lei. C’era una sola cosa che tutte loro avevano in comune. Ed era Draco.

La grande pendola dal quadrante d’ottone scandì che l’ora a loro disposizione era terminata… pochi minuti e i membri dell’esercito di Silente avrebbero attraversato quella porta.

Guardò Draco accanto a lei, ancora perfettamente immobile anche se sciolto da ogni maleficio, gli occhi plumbei senza alcuna traccia del ragazzo che amava, il segno che ormai aveva conosciuto bene che aveva nuovamente chiuso tutti fuori dalla sua mente.

«Risolverò tutto» gli sussurrò in un soffio nell’orecchio appoggiando la fronte contro la sua.

«Insieme» mormorò lui chinandosi a baciarla.

Lei annuì guardandolo alzarsi scrollandosi invisibili quanto inesistenti pelucchi dalla divisa impeccabile, lo stemma del prefetto ben in vista «E ora andiamo. Abbiamo un dovere da compiere»

«Spaventare a morte ragazzini del primo anno e fare la lista dei cattivi alla Umbridge?» chiese Harry seduto in poltrona massaggiandosi la cicatrice pensieroso.

«Quella è un piacere non un dovere, Potty» ghignò Draco ancora sulla soglia.

«E quella sarebbe il dovere, furetto?»

«Salvarti il culo» concluse prosaicamente Blaise studiando la propria espressione allo specchio «E ora andiamocene: troppi Grifondoro tutti insieme mi fanno venire le rughe Come sorridere,  Merlino Weasley inizia a smettere di fare quelle espressioni o sul serio assomiglierai ad una scopa di saggina secca»

Hermione scosse le spalle, mentre una sottile frusta strisciava dalla sua bacchetta sino alle caviglie di Blaise. Un leggero tocco del polso e l’arrogante Serpeverde si trovò a sbattere il suo prezioso faccino contro la dura pietra.

«Molto bene Hermione, dieci punti a Serpeverde,, oh scusa ..Grifondoro, che sbadata..errore mio»tubò Pansy passandole accanto e dandole una pacca sulla testa in segno di apprezzamento e al contempo sbrigandosi a sparire oltre la porta prima di subire lo stesso trattamento di Blaise.

 

***

Nel momento stesso in cui aveva messo piede fuori dalla stanza delle necessità continuava a risentire quel nome rimbombargli in testa. Quello che nessuno ti spiegava dell’Occlumanzia era che il velo che calava con il resto del mondo non impediva di fermare il torrente di pensieri, ricordi e rimorsi che gli vorticavano continuamente in mente.

Così come non gli impediva di essere profondamente e dolorosamente consapevole che la Granger passasse ogni minuto possibile con qualcun altro . Qualcuno che non avrebbe mai potuto essere lui. L’ipotesi che lui o Pansy, o Blaise o Theo partecipassero a quelle riunioni del supposto Esercito di Silente non era mai neanche stata presa in considerazione. C’erano Grifondoro che fino al giorno prima avevano sputato su Potter, accusandolo di inventarsi storie per manie di protagonismo, stupidi Tassorosso bravi al massimo ad annaffiare alberi da cui sarebbero cresciute le bacchette, e Corvonero piagnucolanti bravi al massimo a risolvere i rebus. Serpeverde? Neanche a parlarne, ovviamente.

Certo, se avesse dovuto essere del tutto oggettivo o onesto, cosa che mal si confaceva al suo essere abituale, la maggior parte dei membri della sua casa si erano mostrati meno che entusiasti delle nuove regole della Umbridge ed era altrettanto probabile che se avessero ottenuto un vantaggio avrebbero venduti tutti loro.

Però, c’era un immenso però, anzi più di uno.

Prima di tutto quando avevano fatto la stessa cosa nel passato la Granger se n’era uscita con quella storia della pergamena stregata e chiunque in qualsiasi tempo e spazio sarebbe stato in grado di capire che non stava scherzando e che davvero qualcosa di terribile sarebbe accaduto.

Poi era anche vero che persone come Theo o le sorelle Greengrass si erano sempre dimostrate più che accomodanti in passato e il Trio dei miracoli al piano di sopra lo sapeva benissimo. Lenticchia ad esempio, tanto per dirne uno, poteva anche pensarci un po’ prima a mettersi in contatto con Pansy.

E, terzo, perché quei tre erano così idioti da fidarsi di chiunque? Davvero credevano che bastasse non avere una divisa verde e argento per essere brave persone? Quando la Granger se n’era uscita con quell’idea l’aveva pregata di mantenere il gruppo di disagiati contenuto, pochi e fidati se proprio dovevano. E invece no, come al solito aveva dovuto fare di testa sua.

E poi c’era un’altra cosa che gli ronzava in testa. Si sentiva di certo in colpa per non aver ricollegato il suo cognome di sua nonna ma in fondo l’aveva letto di sfuggita da qualche parte. Per tutti era sempre stata semplicemente Lady Vivianne Malfoy. Per lui un quadro silenzioso che si limitava a fissarlo, un nome che non veniva mai pronunciato da suo padre, una figura poco più che sbiadita, un cartiglio tra tanti.

Lei, Nicholas, Arael. Suo padre non parlava mai di loro, neanche per sfuggita ed erano sempre rimasti figure indistinte.

Ma lui li aveva conosciuti ora, sentiva ancora le loro voci nella testa, il tocco delicato di Nicholas sulle spalle, il profumo di Arael accanto a lui che disegnava sul tavolo di una sala comune. 

Il tatuaggio… Arael aveva parlato di tradizioni di famiglia, un’arte che si tramandava di madre in figlia. E di cui quindi era morto con lei. Eppure sembrava che anche sua madre ne avesse uno, assurdamente simile a quello di Cassandra

Che fosse una coincidenza?

Oppure... oppure c’entrasse suo padre? In fondo era lui l’unico elemento che univa sua madre e la psicopatica con cui era stato fidanzato. Ed era sempre stato lui a consegnare il canto di Aemergin a Voldemort, lui a lasciare che Cassandra stesse con Abraxas, lui che aveva firmato la richiesta per la separazione delle case ad Hogwarts.

Lasciò che l’acqua bollente gli scivolasse sulle spalle e lungo la schiena fino al tatuaggio fatto quel giorno lontano, cercando di sciogliere quella tensione impossibile che sentiva sulla nuca, come ci fosse una mano invisibile che premeva forte per tenerlo giù e non permettergli di respirare.

Beh non era esatto... non era solo Lucius il punto di unione di tutti loro. 

Che fosse lui la causa di quello che stava accadendo?

Scese i tre gradoni di marmo fino ad immergersi nella vasca ricolma di bolle, godendosi il calore quasi opprimente del bagno dei prefetti e lasciandosi accogliere da quel calore rassicurante.

Era così stanco.. a volte gli sembrava di dover lottare persino per tenere gli occhi aperti ed ogni briciolo della sua energia era profuso nel mantenere quella maschera di indifferenza che doveva portare.

Sentì il sonno calare lentamente su di lui, i muscoli che finalmente si rilassavano. Cercò di lottare contro le palpebre che diventavano sempre più pesanti, il corpo che si abbandonava finalmente cullato dal rumore rassicurante dell’acqua che ribolliva profumata di latte e caramello, lo stesso di quelle notti nell’attico di Diagon Alley quando la Granger si alzava in punta di piedi  e tornava con una tazza dolce e profumata a stendersi accanto a lui. Il tepore rassicurante del letto mentre fuori la neve cadeva lenta, il suo respiro regolare che lo cullava.

Scivolò lentamente nel sonno, sconfitto in quella lotta che non aveva più le forze di combattere.

 

Non c’era luce attorno a lui ma non aveva paura di perdersi. Conosceva quel posto, ci aveva passato ore ed ore a giocare da bambino , ogni volta che riusciva a sfuggire dall’occhio vigile di sua madre, con gran disperazione degli elfi domestici. Sapeva che non doveva farlo e che sarebbe stato un problema quando l’avessero trovato.

Eppure sentiva un richiamo inarrestabile, una sorta di voce suadente che lo chiamava come il canto delle sirene. Una voce che finora non aveva mai riconosciuto, ma che ora risuonava chiara nella sua mente e nella sua memoria.

Nicholas. 

Iniziò a correre a perdifiato,i piedi che si muovevano da soli senza neanche pensare, era come se il suo corpo sapesse perfettamente dove andare.

Scappa Draco, Scappa.

 la voce di suo zio rimbombò ancora tra gli alberi, un frusciò nella notte. Se solo avesse avuto con sé la sua bacchetta… dove diavolo era finita?

Senza fiato si trovò in uno spiazzo che non aveva mai visto, troppo lontano perché ci arrivasse senza essere scoperto e riportato di forza dentro casa.

L’intero spazio era occupato da un grande albero di tasso, le cui fronde maestose sembravano fremere anche nell’aria immobile che li circondava mentre ai suoi piedi un coniglio bianco dalle grandi orecchie sembrava fissarlo come a volergli dire qualcosa. Draco si accovacciò il più lentamente possibile, cercando di non spaventarlo, allungando la mano verso la bestiola in modo che sentisse l’odore.

Il coniglio mosse le orecchie trepidante, poi con un balzò spari nell’oscurità della notte. Imprecando tra sé e sé Draco si avvicinò al tronco dell’albero, li dove un attimo prima c’era la creatura immacolata. E li inciso sul legno come se fosse stata passata una lama incandescente c’erano delle linee. Ci passò il dito, titubante, cercando di seguire con la mente le cicatrici del legno, gli occhi bassi per non vedere subito.

Eppure era chiaro anche così, la sua pelle che non riusciva a tradirlo.

Due ali, un corpo sottile, graffi sulla corteccia.

E sotto una data.

Vicina, troppo vicina.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV-Intrecci ***


«Malfoy.. ehi Malfoy…È vero che sei quasi affogato? Cioè veramente?»bisbigliò Ron con un grosso ghigno appena Draco Malfoy prese posto nel banco di fronte a loro, seduto tra Blaise Zabini e Theodore Nott. Quei due ormai avevano preso il posto dei sorpassati Tiger e Goyle e sebbene decisamente esteticamente ed olfattivamente più gradevoli per lui non faceva una gran differenza. Il succo era sempre lo stesso: il dannato furetto platinato non riusciva a stare da solo senza rischiare di restarci secco neanche avesse tre anni.

Era da giorni che voleva chiederglielo, da quando entrando nel bagno dei prefetti Mirtilla Malcontenta era apparsa facendogli quasi venire un colpo e raccontandogli con voce lamentosa che il povero Draco era stato ripescato dal suo caposcuola e solo grazie al suo tempestivo intervento.

Povero Draco? Chi diavolo era così idiota da addormentarsi in una vasca d’acqua calda grande più di cinquanta iarde? Ovviamente la risposta era un Serpeverde troppo abituato ad essere riverito da elfi domestici e guardie del corpo grosse quanto un gorilla.

Ron aveva rischiato di scivolare sul pavimento bagnato mentre tentava di rivestirsi in tempi record per schizzare da Harry a raccontargli tutto, ma proprio tutto. Dettagli sordidi inclusi vizio che Mirtilla sembrava aver osservato molto bene la scena. Doveva ricordarsi di non togliersi mai e per nessuno motivo il costume.

«E cos’è questa storia che blateravi di un coniglio? Se vuoi puoi far travestire Zabini da coniglio pasquale» sghignazzò Harry appiattendosi contro il banco, cercando di trattenersi dal rotolarsi in terra all’idea della piaga di Hogwarts con la pelle incartapecorita dall’acqua bollente che blaterale di un coniglietto. E diceva pelle solo per rispetto ad Hermione.

 

«Fottetevi tutte e due… Voi e questa... roba» sibilò tra i denti senza girarsi lanciando all’indietro l’adorabile regalo che Harry e Ron avevano trasfigurato con così tanta cura, posizionandolo proprio al suo solito posto, con un bel fiocco rimediato dall’ultima confezione di zuccotti alcolici che aveva mandato Sirius prima che li rinchiudessero peggio che ad Azkaban.

«Paperella di gomma, Signor Malfoy. Un oggetto alquanto grazioso se mi consenti. Sono certa che qualche suo compagno di Casa saprà spiegartelo meglio...» uno sguardo alla sezione verde e argento che la fissava come se stesse parlando una lingua sconosciuta «Mhmm… magari no, ma sono certa che il Professor Piton sarà più che lieto di insegnarti a cosa serva»

La McGranitt era entrata in quel momento, il mantello che svolazzava e un sorriso a trentadue denti che non vedevano dai tempi in cui aveva trascinato Harry Potter da Oliver Baston. Forse anche lei iniziava a sentire la mancanza del Quidditch. O forse aveva fatto un passaggio di troppo nella serra privata della Sproute.

L’occhiata che si scambiarono i Grifondoro era esattamente speculare a quella dei Serpeverde, o almeno di un certo trio dell’ultima fila. Hermione smise persino di sfogliare rumorosamente i propri appunti, troppo furiosa dopo quella che aveva sentito. Davvero Draco era fortunato che la Umbridge impedisse i contatti tra di loro o si sarebbe trovato col suo elegante collo da purosangue imbecille più lungo di almeno dieci centimetri e senza alcun uso della magia. E doppia fortuna sua che dovesse fare finta di non volerlo neanche vedere, altrimenti neanche tutte gli incantesimi impastoianti sarebbero bastati a tenerla lontana da sbattergli il tomo di trasfigurazione sulla zucca.

Come se non avessero già abbastanza problemi nell’organizzare la resistenza e cercare di evitare che qualcuno facesse fuori Harry ancora una volta senza che il suo ragazzo rischiasse di finire affogato all’interno della scuola con la morte più stupida che mente umana avesse mai potuto immaginare all’interno della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. 

E non pensasse neanche di saltare il loro incontro previsto per quel giovedì sera. Ci avevano messo giorni e ogni fibra del suo essere calcolatore e ossessionato dalla pianificazione per trovare quell’incastro perfetto. E convincere Harry e Ron a lasciarle la stanza per farsi i fatti suoi era stato estenuante. Avrebbe dovuto davvero darsi molto da fare per farsi perdonare.

«Allora, mie cari ragazzi» la voce stranamente garrula della McGranitt la riportò alla realtà «Ho una novità per voi. No signorina Granger abbassa la mano, non riavremo i vecchi libri di testo. E no, signor Finnegan non potete andare a Hogsmeade. No, signor Thomas, non riprenderanno le partite di Quidditch. E Signor Potter…no. Purtroppo.» continuò lanciando una lunga occhiata a ciascuno di loro e rispondendo alle loro domande senza che aprissero bocca. Forse non era così difficile visto che gli occhi del bambino sopravvissuto lampeggiavano da dietro le lenti degli occhiali tondi il suo desiderio che la notizia fosse che la Umbridge si fosse strozzata con il pasticcio e finita calpestata dagli elfi nelle cucine. A quanto pareva però la vita era ancora una volta crudele con lui e non voleva dargli soddisfazione.

La McGranitt camminò lenta tra i banchi con un ghigno di soddisfazione «Come ben sapete con le nuove regole della Preside Umbridge non possono esserci interazioni tra studenti di sesso opposto» iniziò storcendo appena la bocca nel pronunciare quel titolo seguito da quel cognome, rendendo evidente almeno ai suoi studenti che non erano i soli a desiderare ardentemente che sparisse in una nuvola rosa dolciastra e nauseante così come era arrivata

«Anche tra quelli dello stesso sesso, glielo posso assicurare» masticò Blaise massaggiandosi il polso con una punta di astio talmente evidente che non pochi della sua casa si girarono a guardarlo stupiti di fronte a quella palese mancanza di rispetto per quella che sembrava la loro eroina. Eppure al giovane Serpeverde di certo non era andata giù la scarica che gli era arrivata quando aveva provato a dare un bacio, per di più, assolutamente casto a Theo nella sala comune. Per vendicarsi aveva poi aspettato il prefetto del sesto anno nel corridoio ben nascosto nell’ombra del secondo piano lanciandogli addosso una delle fialette urticanti dei fratelli Weasley che dopo un paio di passaggi erano arrivate tra le sue mani. Il fatto che poi fosse stato accusato un povero e tenero Tassorosso del terzo anno era stata solo la ciliegina sulla torta.

La McGranitt rimase in silenzio lasciando che l’assurdità di quelle regole della Umbridge si depositasse ancora una volta nell’aria «Come stavo dicendo nessuno vieta agli studenti dello stesso sesso di stare vicini…e non credo che potrà cambiare qualcosa, visto che altrimenti non avremmo abbastanza aule e i sonorus degli insegnanti dovrebbero essere così potenti che finireste per seguire mezza lezione di erbologia e mezza di trasfigurazione... immagino già i disastri. Concorda, signor Zabini?»

Blaise annuì appena, senza staccare gli occhi dalla professoressa che continuava a camminare avanti e indietro per la sala, come se stesse aspettando il momento giusto di lanciare la bomba. Non si prospettava nulla di buono. Mai, mai fidarsi di un Grifondoro. Quante volte l’aveva detto a Draco? Ma quello niente, se ne stava lì a guardare la Granger di sottecchi come un dannato cucciolo di crup. 

«Quindi ho deciso che per le prossime settimane lavorerete in coppia»

Grifondoro e Serpeverde si lanciarono un’occhiata tra di loro... beh in fondo non era andata male, chissà perché la McGranitt sfoggiava quel sorriso da gatto che sta per attaccare.

E infatti poco dopo attaccò.

Si avvicinò aggraziata alla scrivania dove faceva bella mostra di sé una scatola quadrata rosso lacca.

Un tocco di bacchetta e due pezzetti di carta saltarono fuori, spiegandosi da soli nell’aria

Harry Potter & Draco Malfoy

 

«Oh ma guarda, che assoluta casualità» ghignò apertamente la professoressa godendosi gli sguardi esterrefatti degli studenti mentre altre coppie di bigliettini si dispiegavano nell’aria a ritmo continuo «Vediamo quali altre coppie ci riserva il destino»

 

Hermione Granger & Pansy Parkinson

 

Blaise Zabini & Ronald Weasley

 

Lavanda Brown & Millicent Bulstrode

 

Theodore Nott & Neville Longbottom

 

Cali Patil & Daphne Greengrass

 

Seamus Finnegan &Tiger Goyle

 

E ancora e ancora mentre la McGranitt sembrava fare le fusa da quanto era soddisfatta, solo Godric Grifondoro in persona sapeva il perché.

 

****

 

Una delle prime cose che aveva imparato su sua sorella sin da bambina era quanto fosse testarda, permalosa e irascibile, specialmente quando era irritata o preoccupata. E altrettanto presto aveva imparato che c’erano due cose che funzionavano: la prima era blandirla e cercare sottilmente di ingannarla, la seconda era prenderla di sorpresa quando aveva le difese abbassate.

E di certo non aveva tempo per la prima, visto che ormai Nymphadora era sparita da troppo tempo. Era per quello che si era presentata a casa sua un pomeriggio tranquillo di metà aprile, poco prima di quelle che avrebbero dovuto essere le vacanze pasquali con un gran sorriso e una torta alle carote glassata alla vaniglia che proveniva da quella piccola pasticceria deliziosa dove sgattaiolava sempre quando era poco più di una bambina dalla coda di cavallo dorata e i leziosi vestitini da bambolina.

Krippy l’aveva squadrata con sospetto, bofonchiando ancora una volta quanto fosse inappropriato presentarsi senza essere stata invitata.

«Prima che finisse ad Azkaban Bellatrix si faceva annunciare per caso? Lo sai che la tua padrona è mia sorella? O ti è sfuggito questo piccolo particolare, impegnato come sei a covare rancore?» chiese con tono zuccheroso sbattendo le lunghe ciglia, ricavandone solo un lungo sguardo astioso da parte dell’elfo domestico «Chissà perché ma lo sospettavo. Ora da bravo accompagnami da Narcissa. E quando vado via ricordami che devo comprare un regalo a Dobby per compensare gli orridi anni passati in vostra compagnia»

«La padrona è nella biblioteca» disse con una smorfia mentre masticava imprecazioni contro quello sciagurato elfo ingrato che aveva abbandonato la famiglia per fare lo sguattero ad Hogwarts, come quell’altra chiacchierona che era sparita da mesi «E a Krippy piaceva Mrs. Bellatrix. Lei capiva come ci si deve comportare»

«No, amico mio, quella era pazzia, è ora che te ne renda conto. E ora se vuoi scusarmi… conosco la strada. Non certo grazie a te devo dire» continuò «Piuttosto renditi utile e porta i piatti e qualcosa da bere prima che arrivi»

«Non si mangia in biblioteca!» urlò Krippy tirandosi le orecchie come in preda all’isteria «Ci sono i libri!»

Andromeda alzò un sopracciglio fingendosi incredula «Davvero? Mi stai dando una notizia sconvolgente. Muoviti che non ho tutto il pomeriggio» 

Percorse tutta l'intermendabile serie di gallerie e salottini, i passi attutiti dalla ricca guida color cremisi che docile si piegava sotto i suoi piedi, superando un’infinità di quadri dai volti impassibili e annoiati che non facevano che bisbigliare al suo passaggio, una carrellata di snob risalenti ai tempi di Elizabetta Prima. Tutti tranne uno, il penultimo Lord di Malfoy Manor.

Li dove avrebbe dovuto esserci Abraxas Malfoy, proprio nel punto più lontano rispetto alle sale di rappresentanza, la cornice dorata riccamente decorata con foglie di vite in rilievo era vuota, come se l’ospite del dipinto fosse troppo preso da altro per essere presente.  O forse, non c’era mai stato nessuno sin dal principio in un assurdo gioco di riflessi sul nulla.

La grande porta in noce della biblioteca si aprì docile senza alcun rumore rivelando non la solita sala in cui scaffali meticolosamente curata in cui scaffali ripieni di tomi di ogni forma e misura facevano bella mostra di sé rilasciando nell’aria l’odore confortante ed antico delle parole che custodivano. Se c’era una cosa che aveva mai invidiato a sua sorella era quella stanza. Si poteva tenere le decine di stanze, l’argenteria ricercate e il giardino d’inverno. Persino l’isola ai caraibi non l’attirava.

Ma quella biblioteca privata... Merlino forse avrebbe anche sopportato di vivere con Lucius per quella dannata biblioteca.

Beh, forse anche no…quello era davvero troppo.

Ora però quello che considerava il suo Sancta Sanctorum per derivazione, quel tempio della magia scritta, il suo angolo preferito di quella abnormità di stanze dagli orpelli troppo costosi, l’unico posto per cui potesse provare anche solo un briciolo di desiderio che non fosse casa sua, bene proprio quello era sprofondato nel caos: i libri una volta ordinatamente suddivisi per genere, autore e anno di pubblicazione giacevano ora alla rinfusa, le coste aperte poggiate sulle scrivanie, sul divano, sul pavimento. E in mezzo a tutto quel caos c’era sua sorella minore seduta in terra che sfogliava una pagina ingiallita dopo l’altra così concentrata da non notare quasi la sua presenza.

«Krippy lo aveva detto che la signora era impegnata» gongolò l’elfo apparendo di nuovo accanto a lei con un pop inutilmente rumoroso con il solo scopo evidente di infastidirla. 

Narcissa alzò appena lo sguardo indicando un punto della stanza imprecisato dove aguzzando la vista Andromeda riuscì a scorgere un tavolino rotondo miracolosamente sopravvissuto al tornado che sembrava aver colpito l’intera stanza, dove Krippy si affrettò a sistemare tazze e piattini e da ultimo, con un’ultima occhiata rancorosa all’ospite, anche il dolce che questa aveva portato. Per un attimo sembrò ponderare l’idea di aggiungere qualcosa ma l’occhiata tagliente di Narcissa lo fece desistere, preferendo ritirarsi in dignitoso silenzio piuttosto che contrariare la padrona, che già ultimamente sembrava piuttosto nervosa.

«Fai ricerche su un fiore sorella? Che so un bucaneve…bianco magari.» cinguettò accomodandosi in terra di fronte a lei « Tipo quello che ti sei tatuata come un’idiota prima di sposarti? E che ora stranamente ritorna... a che gioco state giocando tu e quell’altro demente?»

I grandi occhi azzurri di Narcissa si spalancarono per un attimo di sorpresa, prima di fremere di rabbia « Quell’intrusa... quella che aveva portato Severus quella sera... eri tu! Come hai potuto farmi una cosa del genere?»

«Evitare che ti facessi legare l’anima a quell’idiota dalla prima incompetente che avevate trovato al mercato nero? Già, idiota io che come al solito mi preoccupo per te mentre tu pensi sempre e solo a te stessa» 

«Disse quella che se ne è andata via lasciando solo un misero biglietto»

«Cresci, Narcissa. Pensi sul serio che per me sia stato facile abbandonarti? E cosa avresti fatto se ti avessi parlato di Ted? Saresti corsa a raccontare tutto a Bellatrix, sperando come sempre che ci fosse qualcun altro a risolvere i problemi al posto tuo. Tutto perché la tua bolla non venisse incrinata! E non azzardarti ad andartene mentre ti sto parlando, ti posso assicurare che non hai abbastanza stanze in questa casa per nasconderti da me» rispose Andromeda alzandosi a sua volta e inseguendola in un complicato percorso attraverso le librerie. Improvvisamente Narcissa si fermò nello stesso punto in cui l’aveva trovata mesi prima

«Vuoi che parliamo di quello che hai fatto tu per proteggere la tua di bolla, sorella? Vediamo un po’» disse fingendosi pensierosa «Non so… rifiutare di vedermi quando sono venuta a cercarti in lacrime dopo che ho avuto il secondo aborto ti basta? O vogliamo parlare di come tu mi abbia tenuto nascosto per mesi che tua figlia stava indagando sullo stesso maleficio che Cassandra usò su di me? Oppure del fatto che sono certa che tu sappia perché diavolo mio figlio appaia in una foto venticinque anni prima che nascesse? E non ti azzardare a minacciarmi in casa mia, soprattutto non dopo che ti intrufoli qui cercando chissà che cosa con la scusa della sorella amorevole»

Per la prima volta da molti, moltissimi anni Andromeda Tonks, nata Black, rimaneva senza parole, le frasi di Narcissa che le vorticavano in testa, accuse e rancori rimaste congelate nel corso dei decenni. 

«Narcissa, ascoltami. Io non sto fingendo nulla, tengo a te, l’ho sempre fatto e se non ti ho detto nulla è stato solo perché non potevo farlo. Anche in merito all’incantesimo, cosa avrei mai dovuto dirti? Che Dora aveva trovato un collegamento con una maledizione di cui sei l’ultima vittima conosciuta? Forse tu hai dimenticato ma io ricordo bene lo strazio di vederti su quel letto, incapace persino di muoverti. E poi non era lo stesso incantesimo, se proprio vuoi saperlo, funziona sullo stesso principio ma al contrario: tu non potevi dormire, secondo Dora le vittime non riuscivano a svegliarsi» la voce di Andromeda era bassa, incapace di nascondere quella vena di dolore, tornando per un attimo ad essere la sedicenne spaventata di fronte al letto dell’infermeria mentre il suo mondo cadeva in pezzi. 

«Lupin dice che è per quello che hanno deciso di incastrarla. E voi vi fidate del vostro caro futuro genero, no? Come fai a dirmi che non c’entro niente? Credi che sia idiota, Andromeda? Credi che non abbia visto che tutte le carte che erano a Grimmauld Place riportavano la data del ventuno dicembre? Giorno guarda caso in cui Bellatrix è scappata da Azkaban. Lo stesso in cui mio figlio è tornato a casa completamente diverso da come è uscito la mattina. E ti aspetti ancora una volta che io ti creda quando dici che non ne sai niente?» gli occhi di Narcissa si erano assottigliati sospettosi e la guardava come se la stesse valutando.

Andromeda sospirò alzando gli occhi al cielo, si era scordata di quanto Narcissa potesse essere testarda ma dannatamente perspicace dietro quell’aspetto da ricca purosangue annoiata «Siediti. Beviamo qualcosa di caldo e mangiamo quel dolce assurdamente decorato che ti piace tanto come quando eravamo ragazzine. Io ti racconterò quello che posso e tu mi dirai tutto quello che sai del tuo tatuaggio»

Le due sorelle si guardarono un attimo, ciascuna soppesando quello che l’altra poteva offrire e soprattutto quanta parte di verità sarebbe stata disposta a rivelare, poi lentamente, sempre senza levarsi gli occhi di dosso come se temessero che l’altra potesse lanciare un incantesimo alle spalle e fuggire, si sedettero una davanti all’altra, mentre le tazze si riempivano di un liquido caldo e dolcemente profumato.

Narcissa sorrise riconoscendo l’odore ed osservando il fondo della sua tazza dove in trasparenza era ben visibile il sigillo di protezione. Non c’era dubbio... gli elfi di Malfoy Manor erano stati addestrati bene. Guardò la sorella sorseggiare il tè mentre lei piluccava la torta alle carote, lasciando che l’impasto burroso e speziato le riempisse il palato. E attese.

Se c’era la sua famiglia di mezzo non c’era niente che Narcissa Malfoy non avrebbe fatto. Non era nei suoi piani drogare sua sorella per estorcerle la verità ma dopotutto era lei che si era presentata a casa sua quel pomeriggio, così come sua era stata l’assurda idea che una bevanda calda cancellasse l’averle mentito per mesi.

Andromeda arricciò appena il naso «Piccola intrigante. Cosa c’è qui dentro? Non è veritaserum vero?»

«Sai bene che è illegale detenerlo, sorella Ma no, non è veritaserum. Ti senti più tranquilla ora?» rispose poggiando la tazza e chinando la testa da un lato studiandola « Iniziamo dal principio… il marchio nero che ha Draco sul braccio è vero?»

«Tanto quello di Bellatrix. O di Lucius. Non te l’ha detto? Eppure dovrebbe essere in grado di riconoscerlo, tutti i suoi amici ce l’hanno»

Narcissa rimase in silenzio, tamburellando sul tavolino.

«Prima di continuare però voglio dirti una cosa. Io non ti ho mai cacciata, non avrei mai potuto farlo. Non sei mai venuta da me Cissy, nonostante tutto non ti avrei mai mandato via, anche se per te sarebbe stato più sicuro»

Narcissa deglutì a vuoto, il dolore di quella giornata che tornava a colpirla. Ma non era il momento, non poteva distrarsi «Forse sopravvaluti la sincerità delle persone accanto a te. In ogni caso non è questo il punto, voglio che mi dici cosa diavolo è successo il ventuno dicembre e cosa cercavi in casa mia qualche tempo fa.»

«Il libro del maleficio proveniva da questa casa, me lo disse Lucius stesso. Ed Hermione mi ha confermato che quest’estate era qui…ma è sparito. Sai che fine ha fatto?»

«Hermione Granger? Cos’è quella dannata natababbana si è messa a fare l’inventario dei libri in casa mia? E io che le ho permesso di girare liberamente qui dentro... Lucius l’aveva detto che era una pessima idea…ma io le ho voluto dare fiducia…mai, mai fidarsi di un grifondoro...»

Andromeda rimase in silenzio frenando appena per un attimo le parole che le erano salite subito alla bocca «Cissy … lui è l’unico punto in comune. L’unico che sapesse del canto di Amergin, l’unico che avesse contatti con Cassandra. Senza contare che tu e lui siete gli unici a poter entrare indisturbati in questa biblioteca e lui era l’unico a parte me e i fratelli che sapesse che il libro del maleficio venisse da questo posto. Ma Arael e Nicholas sono morti e il libro è sparito. E’ quello che stavi cercando vero? E non riesci a trovarlo neanche tu. Forse non l’ha fatto apposta e le cose gli sono solo sfuggite di mano…»

La padrona di casa non rispose limitandosi a fissare un punto imprecisato nelle finestre di vetro colorato «E’ ora che tu vada a casa, Andromeda. Ted ha bisogno di te»

 

***

 

«Chissà se Gazza ha trovato il nostro regalo» Fred e George sembravano di ottimo umore, girovagando per la stanza delle necessità distribuendo ovetti di cioccolata ricoperti di zucchero che uscivano da una gallina multicolore a dimensione naturale che era fin troppo somigliante a Ron.

«I cioccolatini ripieni di quella pozione che crea bolle che durano una settimana?» chiese Ginny senza troppo interesse, dando un colpo alla pignatta movente che le rilasciò immediatamente un’imprecazione colorita e una generosa porzione di dolci.

«Una grande risorsa se mi permetti, Gin. Vero, Fred?» chiocciò George mettendo un braccio attorno alle spalle di Angelina che non smetteva di pungolare la giovane pignatta rossiccia.

«Utile per saltare compiti in classe, feste in famiglia ed incombenze varie. Nessuno vuole mangiare con una faccia pustolosa davanti. Senza contare del bonus schizzo nei cioccolatini speciali» rispose Fred buttandosi sul divano accanto a Katie ancora accaldata per il duello e rubandole un bacio al sapore di burrobirra.

«Siete disgustosi. E ritrasformate quel povero Ron, per la miseria» commentò Katie Bell ridacchiando mentre Ginny ed Harry si sedevano accanto a loro.

«Ma no, lascialo così è cosi carino… sono sicura che anche la Parkinson approverebbe. Secondo me è più tipa da cioccolato al latte, anche se finge di preferire il fondente» ridacchiò Ginny stiracchiandosi nell’abbraccio di Harry e allungandosi sull’intero divano sino a mettere i piedi in faccia al fratello che tuttavia continuò imperterrito a baciare il collo di Katie, scacciandola con una mano.

«Non parlarmi di Pansy, per favore. Sono accoppiata con lei da due giorni e già mi sta mandando ai matti» Hermione li raggiunse dopo aver corretto Cho e Neville che ancora continuavano ad esercitarsi sui manichini, nonostante tutti gli altri si stessero già rilassando di fronte al camino.

La pignatta davanti a loro continuò ad agitarsi ad un ritmo forsennato, rilasciando deliziosi ciccolatini dai colori pastello ad ogni passo «Oh, per la miseria siete seri?»

Un tocco di bacchetta e sul soffice tappeto persiano intrecciato a mano dagli intricati disegni color cremisi ed oro, era apparso un imbronciato Ron Weasley, mezzo nudo e coperto solo da uno dei cuscini ricamati a mano con impunture in oro.

«Stai diventando pretenziosa, Granger. Arredi in tessuto, peonie nei vasi, persino un pianoforte a coda nell’angolo che Merlino solo sa a cosa possa servire. Di’ la verità, prima di lasciarti libera Narcissa Malfoy ti ha fatto qualche maleficio» la prese in giro Angelina allungando le gambe chilometriche coperte dal tessuto sottile dei jeans tagliati ad arte sul tavolino di ebano che chissà perché ricordava ad Hermione incredibilmente quello di un certo giardino dell’ala ovest «Ma onestamente preferisco quando la stanza la richiami tu e non Harry o Ron… nel primo caso dire spartano è poco nel secondo…»

«Ehi! Ti ricordo che prima o poi verrai ad una cena di famiglia. E io ho mille trucchetti per farti odiare da mia madre. Vuoi che persino Fleur le risulti simpatica? Io non credo proprio» borbottò Ron drappeggiandosi sulle spalle una delle coperture dei divani, mentre tentava di trasfigurare le tende in una maglietta e pantaloni di dubbio gusto, scartandoli immediatamente.

«In confronto ad una Serpeverde snob noi brilleremo sempre, Ron caro. Senza contare che è uno dei membri più attivi della squadra di inquisizione» rispose la Johnson con un ghigno passandogli una burrobirra e modificando il tessuto della maglia che Ron teneva in mano sconsolato in modo che sembrasse meno da Peeves e più da normale quindicenne «Ma in ogni caso complimenti per il tuo Patronus…vorrei riuscire ad evocarne uno come il tuo un giorno»

«Pensa di lasciare mio fratello e vedrai come verrò potente» rimbeccò Ron schivando la prevedibile maledizione lanciata nei suoi confronti, commentando pigramente servendosi di una generosa dosa di torta alle mele «Siete diventati lenti, sarà l’età?»

In quel momento un grosso rospo argentato si fece largo tra di loro, coprendo l’intera distanza tra i manichini e il divano, prima di dissolversi in una scia lattea.

«Un rospo? Io non riesco a crederci» Neville si gettò sul tappeto sconsolato, prendendosi la testa tra le mani « Tutta questa fatica per uno stupido rospo»

Harry, Hermione e Ron si guardarono, uno stesso groppo alla gola. Avevano già visto quel grasso grosso batrace lattiginoso dalle macchie argentee più scure, leggero e docile. Qualcosa che avevano già visto, in quella stessa stanza, in delle sere lontane di dicembre. Il patrono di una ragazza dalla faccia tonda e l’aria da folletto, dalle grandi ambizioni e un coraggio senza pari

Sentivano ancora la sua risata cristallina riempire la stanza, i grandi occhi verdi riempirsi di allegria di fronte a quella forma insolita. E la voce baritonale di Frank risuonare allegra Sei proprio strana, Alice. E tu sei banale, Frank.

Ron ingoiò quel grumo di commozione che gli era risalito a tradimento, cercando di trovare le parole per descrivere quella che ricordava come una bomba di energia, così diversa dalla crisalide che avevano incontrato al San Mungo.

«Mia madre mi ha detto che era il patrono della tua. Forse è per quello che tua nonna ti ha regalato Oscar» mentì «Fossi in te ne sarei fiero. E’ un patronus perfetto, Neville. E sei uno tra i primi a riuscirci.»

«In effetti il rospo è un animale nobile, non capisco perché sia così bistrattato. In America è considerato una rappresentazione della Grande Madre. E in Oriente è simbolo di saggezza e rigenerazione» la voce calma e pacata di Luna Lovegood era riuscita tagliare quell’aria densa di imbarazzo e dolore che sembrava essersi formata appena evocato il fantasma di Alice troppo menomata per essere considerata tra i vivi e dal cuore troppo resiliente per trovare la pace tra i morti «E poi è così carino»

«E’ anche portatrice di salute. Forse ne avremmo bisogno un po’ tutti in questo periodo. Soprattutto viste le falene che girano» proseguì svagata mentre continuava a giocare in controluce con i fiochi raggi che passavano attraverso le vetrate colorate, una fedele replica di quelle che Hermione aveva visto a Villa Black, in quegli ultimi minuti in cui aveva danzato con Draco, lasciando che le preoccupazioni e le paure scivolassero via al ritmo della musica.

«Non avete letto l’ultimo numero del Cavillo? Sono settimane che girano falene dalle ali con i disegni di teschio ad Hogwarts. Mio padre dice che sono il segno di anime perdute che cercano di rientrare nel mondo… e lo sapete bene…l’energia non si crea e non si distrugge. Quindi perché una vita torni nel mondo…» disse con tono svagato osservando chissà quale riverbero nascosto-

«C’è bisogno di una vita che se ne vada» concluse Hermione sforzandosi con tutta sé stessa di non guardare Harry.

«Non solo una, a volte se l’anima è disperata ne possono servire più di una. Forse è a questo che serviva la morte della Turpin...ad aprire la via» continuò Luna come se stesse parlando del tempo «Posso avere del miele per favore?»

Ron le versò una tazza dalla teiera apparsa davanti a loro senza proferire parola.

Luna di certo era la persona più stramba che avesse mai conosciuto. Persino più della zia Romilda. Eppure non riusciva togliersi dalla mente che avesse ragione.

E chissà perché il suo primo istinto era quello di correre nei sotterranei.

 

***

 

Krippy era rimasto di pessimo umore tutto la sera, quasi un riverbero di quello di Lady Narcissa. Sperava solo che non si trattasse ancora di problemi con il padrone, anche se li aveva sentiti nuovamente litigare furiosamente. Era inaccettabile, non avrebbe mai permesso che il Lord e la Lady del Maniero divorziassero, ne andava del suo onore di elfo. Cosa sarebbe successo se uno dei due avesse lasciato il Maniero? Si sarebbe forse ritrovato a fare la fine di Krippy con quell’orrido cugino della Padrona, traditore del sangue e babbanofilo?

Giammai! Piuttosto si sarebbe tumulato in una delle intercapedini delle stanze fino a quando il Maniero stesso non avesse deciso di crollare su sé stesso per l’onta. Non bastava che il giovane padroncino fosse andato fuori di testa per quella natababbana…ora anche la diseredata. Che parola terribile alle sue orecchie... ci si metteva a rovinare la sua casa perfetta.

Senza farsi sentire da nessun altro, quadri inclusi, strisciò nell’ultima stanza del corridoio, quello che era stato lo studio della compianta Lady Vivienne in cui nessuno entrava mai. Nessuno lo sapeva, neanche il padrone, ma il grande quadro di un notturno sulle acque scure di un lago nascondeva un segreto: le placide acque dipinte assorbivano i suoi e le voci di quello che accadeva dietro di esso, proprio lì, dove si trovava ora la padrona con la sorella dagli orridi gusti. Con un dito puntuto toccò il dipinto, proprio come la padrona gli aveva insegnato, un tratto orizzontale e uno verticale, e poi un cerchio tracciato a fior di tela.

E le voci improvvisamente lo travolsero.

 


Un po' di pazienza manca poco... sto riscrivendo gli ultimi capitoli e non siamo troppo lontani dalla fine!

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI- Tic following Toc ***


Due mesi.

Due mesi che non aveva notizie di Nymphadora. Due mesi da quando aveva ricevuto l’ultima lettera frettolosa in cui le prometteva un racconto divertente su due regali speciali che le erano stati consegnati fuori dalla porta e in cui le chiedeva di mandarle via gufo il suo libro preferito da bambina perché voleva dimostrare a Remus che non leggeva al bambino solo di mutilazioni, creature oscure e maledizioni. Come se quel racconto non fosse perlomeno… inusuale. Sembrava passata una vita da quando Ted le guardava mentre le leggeva quelle pagine e i capelli di Nymphadora diventavano di un blu brillante cosparso di piccoli puntini bianchi simili a stelle e gli occhi perdevano la loro forma umana e si trasformavano in bottoni e ridacchiava dicendo che decisamente aveva preso tutto dalla mamma in quanto a gusti discutibili. 

“Solo perché tu sei banale e le leggeresti solo le Fiabe di Beda il Bardo. O chissà quale scempiaggine babbana in cui le streghe sono cattive» borbottava lei di rimando, accarezzando i capelli morbidi e profumati della figlia mentre tornava lentamente normali man mano che il suo respiro diventava regolare.  Ted si accoccolava accanto a loro, stringendole entrambe in un abbraccio e bisbigliandole nell’orecchio «A me piacciano le streghe cattive, sai? Specialmente quelle che fanno solo finta di esserlo»

Poi alzava la voce quel tanto da farsi sentire dalla bambina «Dove vanno tutte le streghe migliori del mondo?»

«Tassorosso» mugugnava Dora mentre scivolava nel sonno «Come la mamma»

E ogni volta entrambi ridevano all’idea dell’adolescente che era stata smistata a Tassorosso.

Ancora adesso, ripensandoci, seppur lo stomaco le si stringesse alla sola idea di non poter più riabbracciare la sua bambina, le veniva da sorridere al pensiero.

Hanno addirittura le copertine patchwork, Drom! Ti rendi conto?
Non l’aveva mai detto a Ted, ma ogni volta nella mente le ritornava in mente la voce di Lucius orripilato che tentava di convincerla che la cosa peggiore che avesse mai fatto in vita sua fosse entrare a Tassorosso a recuperare Ted quando la maledizione su Narcissa sembrava ormai impossibile da sciogliere.

Due settimane.

Due settimane da quando aveva parlato l’ultima volta con Narcissa, due settimane da quando aveva accusato Lucius di sapere molto più di quanto dicesse. No, non era esatto, l’accusa che aveva mosso era duplice: non solo sapeva cosa stesse accadendo ad Hogwarts ma in qualche modo ne era responsabile. Si era resa conto di essere andata troppo in là quando aveva visto un’ombra scura negli occhi azzurri di sua sorella, prima che la chiudesse fuori, una porta di ghiaccio spesso che la respingeva. Era sempre stata brava con l’Occlumanzia, l’aveva coltivata negli anni come uno dei fiori rari dei suoi giardini d’inverno. E ora la usava come un'arma contro di lei.

Cos’erano due settimane di fronte a vent’anni di silenzio? Forse doveva solo accettare che l’ultimo anno era stata solo una parentesi dovuta alla necessità, troppo distanti i percorsi che avevano intrapreso troppi anni prima per poter fare finta di nulla. E la morte di Bellatrix continuava a pesare tra di loro: se per Andromeda la sorella maggiore era morta tanti anni prima, quando aveva deciso di seguire Voldemort in quella spirale di follia, Narcissa non si era mai riuscita a staccare dalla sua ombra. Probabilmente se non avessero tentato di uccidere Draco sia lei che Lucius li avrebbero lasciato che Bellatrix e Rodolphus continuassero con la loro missione, forse li avrebbero persino nascosti, spedendoli in chissà quale posto sperduto del mondo. Come se si potesse nascondere Bellatrix… nessuno era mai riuscito a piegarla ed era certa che si sarebbe gettata dalle scogliere di Azkaban piuttosto che stesa  al sole in qualche isola dimenticata da Merlino mentre beveva cocktail alla frutta con buffi ombrellini colorati sopra.

Per un attimo le ritornò in mente un pomeriggio in spiaggia di tanti anni prima, Bellatrix che rideva e cantava sulla spiaggia, i ricci neri scomposti dal vento e la risata ancora non distorta dall’odio che si infrangeva contro il rumore delle onde.

Ci era stata di nuovo anni dopo, su quella stessa spiaggia, con Ted e Nymphadora l’estate prima che entrasse ad Hogwarts. E saltare con lei da quella stessa roccia, i suoi capelli che diventavano rosa fucsia per l’eccitazione e gli occhi splendenti, le aveva confermato ancora una volta che aveva fatto la scelta giusta.

In questo Ted aveva sempre avuto ragione, c’era una parte di lei che non poteva eliminare. Così come Bellatrix aveva rinunciato a tutto, persino alla sua stessa libertà per Lord Voldemort e Narcissa aveva sacrificato quelli che credeva principi incrollabili per Draco, lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per Nymphadora e Ted… e se questo implicava rinunciare a sua sorella ancora una volta, seppur con estremo dolore, non avrebbe esitato. E neanche ad uccidere Lucius se fosse servito.

Aveva vagato per più di un’ora uscita dal lavoro immersa nei suoi pensieri, il corpo che bramava tornare dal calore rassicurante di Ted ma la mente che cercava di distaccarsi, di recuperare quel briciolo di obiettività che le serviva per capire cosa fare. Era come essere davanti ad un puzzle babbano di quelli che piacevano tanto a Ted ma con le tessere tutte girate… sapeva di avere tutti gli elementi, ma non riusciva a metterli insieme.

Quando aprì la porta pensò di aver avuto un’allucinazione: sentiva la voce calda e baritonale di Ted rimbombare come sempre per la casa. Farfalle? Ah no falene. di male in peggio. Aveva orrore di quei cosi e ricordava benissimo quando Bellatrix il giorno dopo la sua festa di fidanzamento aveva dato di matto quando aveva trovato una falena dalle grandi ali grige morta in camera. Maledizione, se solo avesse ricordato quanto era accaduto nei giorni precedenti... doveva esserci un collegamento con la missione dei ragazzi e quanto stava accadendo a Dora… se solo quella dannata nebbia si fosse alzata…

E intrecciata a quella amata di Ted la voce calma e vellutata di Remus, sempre pacata, incapace di commenti banali. Non era mai stato noioso né comune, neanche quando da ragazzino sembrava scomparire tra l’esuberanza di James e l’alterigia di Sirius. Gli aveva fatto simpatia sin da subito, sin da quando Sirius l’aveva incontrata sulla torre di Astronomia per farsi raccontare nei dettagli delle reazioni che aveva avuto nei sotterranei l’ammissione di un Black tra i Grifondoro. Merlino, come gli brillavano gli occhi nel raccontare degli amici che aveva incontrato, la stessa che ancora in fondo poteva scorgere nei profondi occhi grigi. Ma se Sirius scontava di aver vissuto i primi anni dell’età adulta prigioniero non solo di Azkaban ma anche della sua sete di vendetta, Remus era cresciuto in quel dolore, era diventato un uomo. E quando Nymphadora le aveva confessato di essersi innamorata (aveva usato subito quell’aggettivo, senza esitazioni come al solito, dritta al punto) nonostante la differenza d’età, di carattere e il bagaglio di sofferenza che l’uomo si portava dietro, si era sentita felice, quasi sollevata. Si sarebbero sostenuti, consolati, protetti a vicenda, senza paura. Proprio lei con Ted, anche quando lo accusava di un essere un noioso Tassorosso natobabbano con la fissa per le verdure biologiche. Lui la chiamava arrogante sapientona incapace persino di tosare il pane e poi ridevano in cucina con le labbra ancora. sporche della marmellata di fragoline di Bosco della Tana che Molly non mancava mai di mandare loro e che si litigavano come ragazzini mentre Nymphadora li guardava disgustata mettendo su un becco da papera starnazzante.

C’era una terza voce, però.Una voce che mai si sarebbe immaginata di sentire nella sua sala da pranzo, soprattutto non mentre chiacchierava amabilmente con suo marito. Certo, sempre di esseri disgustosi e ora continuavano a vagheggiare di presagi di morte ma, nonostante tutto di una maniera molto cordiale. Troppo a dire il vero.

Forse era definitivamente impazzita e non si trovava nell’atrio rassicurante di casa sua con i mobili di vetro e metallo che avevano scelto con tanta cura perché non sopportava nulla che le ricordasse la sua casa natale, ma piuttosto nelle stanze imbottite del San Mungo insieme a Frank e Alice.

Entrò nella stanza, superando un cumulo di disegni lanciati come in una scia disordinata in colori prima più sgargianti e poi sempre più tenui che partiva dall’ingresso sino alla porta del suo studio, fermandosi sulla porta infastidita. Era la seconda volta in vita sua che non sapeva esattamente cosa dire, ed era passato troppo poco dalla prima perché l’accettasse serenamente. Ora però era chiaro il perché Ted non stesse parlando con Remus nel suo di studio, o nel salone. Non voleva contaminare i suoi spazi con la presenza dell’ospite.

«Ciao amore, hai fatto una passeggiata?» Ted. il suo adorato e adorabile Ted aveva tirato fuori quella sua espressione da cucciolo Tassorosso innocente che l’accenno di barba di qualche giorno non contribuiva affatto a dissimulare. 

«Lo sta dicendo perché hai le scarpe sporche di fango. Cos’è ti sei persa in un campo dal San Mungus a qui?» Lucius Malfoy era seduto in poltrona, la sua poltrona, quella in pelle che aveva fatto arrivare direttamente da Firenze ed era stata un regalo di Ted per i suoi quarant’anni e la guardava ghignando, evidentemente estremamente divertito dal modo in cui il suo sguardo passava senza soluzione di continuità da suo marito, al suo futuro genero al suo una volta migliore amico. Poi senza cambiare di un  muscolo la sua posizione o il sorrisetto divertito continuò in francese « Où sont passées tes bonnes manières, Drom?  C’est une question de politesse qui nous fait dire bonjour, merci, au revoir… C’est le minimum.Ou as- tu oublié?»*

« Ça dépend de mon humeur et de la personne avec qui je me trouve, espéce d'idiot!»** la risposta le era salita alle labbra nella stessa lingua, un rigurgito automatico del suo passato. Tutti i purosangue, o almeno tutti i purosangue provenienti da famiglie come la loro, venivano educati in casa prima di andare ad Hogwarts e se c’era una cosa dalla quale nessuno era mai riuscito a sfuggire erano le lezioni di francese. Black, Rosier, Malfoy.. avevano tutti radici in Francia ed erano tutti ben orgogliosi di mostrarle. Un altro, inutile sfoggio di arroganza «E comunque non ho ancora capito perché sei qui»

Il ghigno di Lucius se possibile si fece ancora più smaccato e decisamente non era un buon segno. Decise quindi di rivolgersi ai due adulti nella stanza, che però sembravano fin troppo interessati ai disegni che avevano davanti. Alla fine Ted ammise quasi con nonchalance

«Tuo cognato ha il brutto vizio di presentarsi non invitato…e non è neanche la prima volta»

«Già l’ultima volta tuo marito è stato piuttosto scortese… mi ha cacciato via in malo modo. E solo perché non voleva essere disturbato mentre guardava quel…come l’hai chiamato? Ah sì porno» continuò tamburellando distratto sulla scrivania mentre Remus ed Andromeda lo guardavano stranito prima di scoppiare in una fragorosa risata.

«Guarda che è a lui che piace guardare quegli omini piccolissimi in quella scatola strana. E sono così rumorosi, per Merlino…» continuò l’uomo infastidendosi di fronte a quei due idioti ed Andromeda Black, no Andromeda Tonks, che erano quasi caduti in terra per le risate.

«Ti prego dimmi che hai dato mostra di questo tuo nuovo lessico da babbanofilo in qualche riunione importante» lo implorò la strega asciugandosi una lacrima uscita per il troppo ridere e avvicinandosi al marito, dandogli un bacio sulla guancia«Merlino, se ne avevo bisogno. Grazie Ted, vedi che ho avuto ragione a sposarti?»

Lucius rimase in silenzioso lanciando uno sguardo velenoso verso Ted «Piantatela, siete disgustosi. Vi ricordo che il lupo mannaro dall’orrenda camicia color fango è vostro genero, più o meno. E io non sono pronto a vedervi sbaciucchiare come due adolescenti»

«Oh andiamo, è solo un bacio innocente, e tu sei l’ultimo a poter fare la predica visto quanto si lamenta tuo figlio. E credo che a Remus non dispiaccia pensare che anche dopo vent’anni si può essere ancora innamorati e sessualmente…»rimbeccò Andromeda passandogli accanto e dandogli un pugno sulla spalla, esattamente come faceva ad Hogwarts quando se ne usciva con qualcosa di estremamente stupido.

«Drom!» la bloccò Ted alzando gli occhi al cielo esasperata mente a Remus veniva da ridere nonostante tutto, ricordando tutte le volte in cui Nymphadora era andata da lui lamentandosi del fatto che sua madre fosse assolutamente senza filtri su certi argomenti. In particolare ricordava benissimo la prima conversazione che lui aveva avuto con Andromeda Tonks, dopo che la loro relazione era stata resa pubblica. Così come capiva perfettamente Ted, più riservato. Sebbene Dora pensasse di essere l’esatto opposto di sua madre, ancora una volta si sorprese a pensare quanto fossero in realtà uguali.

«Merlino che schifo» commentò invece Lucius, lo stesso broncio e la stessa aria offesa che aveva Draco ogni volta che tirava fuori l’argomento di manifestazioni pubbliche di affetto da parte di chiunque di età superiore ai vent’anni, specialmente qualcuno con cui fosse imparentato «Comunque devi ringraziare il piccolo lupacchiotto qui per la mia presenza»

«Potresti per un momento smetterla di trovarmi dei ridicoli soprannomi? Sei infantile. E sei qui solo perché non avrebbe venduto i quadri a Sirius, quindi grazie ma la tua parte l’hai fatta e puoi anche andartene» Remus rifiutò con un cenno cortese del capo il bicchiere colmo di liquido ambrato e speziato che gli offrì Andromeda.

«Se sei così nervoso ora che il bambino ancora non è nato aspetta che non ti faccia dormire per due anni. O che decida di presentarsi agli orari più impensabili in camera tua. O, peggio, che inizi l’adolescenza… Merlino, è un miracolo che non mi sia venuto un infarto. E tu già non sembri molto in salute…» commentò l’ospite molto poco gradito mettendosi più comodo sulla sedia e ritrovando il consueto ghigno «Per la miseria Black, ma non hai qualcosa di analcolico in questa casa?»

«Bevi e sta zitto. E voi due spiegatemi di cosa sta blaterando... sono entrata da dieci minuti e ho sentito solo lamentele» Andromeda si era appoggiata sulla scrivania prendendo in mano uno dei disegni e osservandolo con attenzione.

«Avete detto che la Umbridge si è iniziata ad interessare di Hogwarts dopo l’assassinio del povero Cedric Diggory e che ha cercato di accusare Harry della sua morte. E chi è la persona che non ha smesso di dare la colpa di tutto questo ad Harry?» Remus aveva disposto una serie di disegni davanti a lei. Erano indubbiamente tutti della stessa persona ma c’era qualcosa di diverso nel tratto che diventava sempre più nervoso, i colori sempre più scuri ed opprimenti «E no, non ha quindici anni e non è la versione più carina di questo qui»

«Amos Diggory? Ma per Salazar Serpeverde, Ted… era un tuo compagno di casa, no? Lo abbiamo incontrato ad un paio di cene... mi è parso cosi…» Andromeda si morse la lingua prima che la parola noioso le uscisse di bocca «...tranquillo. Un padre di famiglia esemplare»

Ted storse il naso, tanto al fatto che la sua adorata moglie avesse ripreso ad intercalare le frasi con il suo piuttosto discutibile fondatore della Casa come quando aveva sedici anni, quanto dell’aggettivo che secondo lei descriveva meglio quello che era stato il suo caposcuola.

«Panciuto, noioso e stucchevole? Si, il Tassorosso perfetto direi. Anche se a quanto pare gode di un discreto successo… da quando si è ritirato in quella sua specie di casa dispersa nel nulla tra i babbanofili e soprattutto dopo la clamorosa morte del figlio i suoi quadri sono schizzati alle stelle… mi è costata una piccola fortuna convincere il suo gallerista a venderli. Ma ecco qui la produzione dell’ultimo anno di Amos Diggory. E non pensate neanche per un attimo che possa portarli a casa mia, non ho abbastanza stanze per nasconderli a Narcissa» Lucius aveva esitato un attimo mentre prendeva in mano uno degli ultimi disegni prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta «Aspettavo te, comunque, mi accompagni?»

«Sono certo che tu possa seguire un corridoio dritto da solo, Malfoy. Credimi non c’è il rischio che ti perda. Come hai fatto notare più volte è una casa piuttosto modesta» commentò Ted a mezzabocca, continuando a studiare i disegni.

«Dovremmo chiamare Sirius, Arthur e Molly. Guarda qui… » Remus aveva richiamato di nuovo l’attenzione del suocero mentre impilava le chine una sopra l’altra «Sono certo che ci sia un incantesimo come quello della mappa del Malandrino, vedi queste piccole incisioni. Dobbiamo solo trovare la parola per rivelare il contenuto»

«Muori, Potter, muori.. Che dite? Io la userei se…»la frase iniziata per infastidire quei due gli era morta in gola. Se Draco fosse morto. Il solo pensiero orribile era tornato guardando quel disegno, dove nell’intreccio dei rami aveva visto un simbolo che credeva appartenesse solo ai suoi incubi. Mi prenderò tutto quello che ami. La voce di Cassandra rimbombava nella sua testa al punto che per un attimo non sentì neanche la voce di Andromeda accanto a lui.

E se non fosse solo un sogno? Se davvero avesse cercato di ucciderlo già tanti anni prima? Perché quella svitata della professoressa di divinazione aveva avuto una profezia che riguardava una persona morta un anno prima?

Quasi senza accorgersene si ritrovò in strada, una tranquilla e comune strada in un sobborgo residenziale vicino a Diagon Alley, Una libreria, un negozio di genere alimentari, un paio di ristoranti, un caffè. Eppure vedeva da lontano il grande palazzo in stile liberties dove si trovava l’attico dove si rifugiava spesso con i fratelli durante le vacanze. Quando erano da quelle parti con Draco e Narcissa non era mai salito con loro, adducendo una serie di scuse ed impegni. La verità era che aveva paura di cancellare i ricordi con i suoi fratelli. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che c’era stato… ricordava di essere passato insieme a Nicholas ed Arael pochi giorni prima della festa di fidanzamento…prima della sera in cui avevano ricevuto il marchio nero. Ma a fare cosa? Chi era andato a trovare? E perché ricordava di essersi preso un pugno in un occhio?

«Ehi cos’è hai finito le scorte di energia negativa? O ti sta venendo un ictus? Ti prego dimmi che non ti serve assistenza medica, già ho troppe cose a cui pensare»quasi trasalì quando sentì il tocco delicato sul braccio. Osservò per la prima volta davvero la donna che aveva di fronte, qualcuno che in teoria gli sarebbe dovuto apparire totalmente estraneo dopo che per due decenni le loro strade avevano preso direzioni opposte. «Non farlo di nuovo. Non adesso» si limitò a dire fissandole il volto stanco «Farò di tutto per trovare tua figlia, te lo prometto. Ma tu non abbandonarci di nuovo»

Non era stata solo Narcissa a perdere una sorella quando se n’era andata nella notte lasciando solo un biglietto. Prima Nicholas, poi Arael e infine lei. Era così furioso con tutti loro. 

«E’ stata lei a dirmi di andarmene questa volta, Lucius. E sono sicura che dicesse sul serio, conosco mia sorella» si limitò a commentare la donna abbassando gli occhi e tirando fuori una scatolina argentata dalla tasca del pantalone di seta grezza. Tamburellò un paio di volte sul coperchio intarsiato prima di tirare fuori due sigarette ed allungargliene una «Dillo a Ted e ti uccido con le mie mani»

«Hai ancora questo pessimo vizio Black? Però vedo che conservi i miei regali» Lucius si permise di sorridere, accendendole la sigaretta con un tocco di bacchetta. Quante volte erano sgattaiolati nei giardini di Hogwarts per fare lo stesso. Beh prima che iniziasse ad uscire con Narcissa, visto che la riteneva un’abitudine disgustosa «E tu non dirlo a tua sorella. Non è il caso di farla arrabbiare in questo momento»

«So che le hai detto che pensi che sia colpa mia. Lo credi davvero?» chiese Lucius, quella domanda che gli tarlava il cervello da quando Narcissa gli aveva riversato contro i sospetti di sua sorella.

La strega scosse i riccioli bruni, incerta «In tutta sincerità? Non lo so. Però sei l’unico punto di collegamento in tutto questo casino»

Rimasero così, in silenzio, sul bordo di una strada anonima in un anonimo sera di inizio primavera.

«Vieni a trovare tua sorella. Sta male, il suo mal di testa non fa che peggiorare. E il dannato elfo che strilla in giro per casa blaterando assurdità non aiuta di certo. Merlino giuro che se non se la smette di dire che mia sorella non è morta lo trasformo in mangime per i pavoni»

Andromeda rimase con la mano a mezzaria «Cosa?»

«Cosa, cosa? Di Narcissa e il mal di testa o Krippy che dice che mia madre ha dato il libro che, e cito testualmente, la diseredata cerca con tanta foga nella casa del padrone a mio figlio o che mia sorella sarebbe finita in qualche assurdo luogo non luogo nel profondo del lago nero? Ah e anche mia madre veniva da lì, pensa te. E anche tutte quelle donne che ci hanno fatto i tatuaggi magici. Dopo la terza volta che l’ho minacciato di tagliargli le corde vocali e mettergliele come fiocco in testa finalmente l’ha smessa»

Andromeda si sentì pervadere da una vertigine così forte che quasi non cadde in terra. La sera di Samhain, il bosco di Hogsmeade, la signora del Lago… i ricordi affioravano uno dopo l’altro, come una valanga. 

«Forse so come entrare ad Hogwarts Malfoy. Ma ci serve l’aiuto di Cockey» disse facendo scomparire la sigaretta. Al diavolo l’antistress ...ora aveva una speranza.

L’uomo la guardò perplesso «Mi dispiace deluderti ma Cockey è ad Hogwarts. Narcissa aveva un brutto presentimento e ha convinto Severus a farla prendere dal vecchio barbagianni nelle cucine della scuola. In teoria doveva guardare anche tua figlia., ha un’ossessione per le donne incinta. Per Merlino come è possibile che tu la conosca?»

Andromeda batté un piede in terra per la frustrazione. Dannati Malfoy, mai che ne facessero una giusta. Però se Cockey era ad Hogwarts forse sul serio si stava prendendo cura di Nymphadora ovunque fosse.

Sentì Ted e Remus che la chiamavano eccitati da dentro la casa. Evidentemente avevano trovato qualcosa, da come urlavano.

«Di a Narcissa che passerò a trovarla» disse prima di correre di nuovo dentro, lanciando velocemente un incantesimo rinfrescante per cancellare ogni odore di fumo.

Lucius la guardò mentre si affrettava a rientrare, la minuscola finestra sul passato che si era chiusa nuovamente. Non erano più i ragazzini di un tempo né lo sarebbero mai stati.

Quando le aveva detto che l’avrebbe aiutata a trovare la figlia non stava mentendo, ma di certo non le stava dicendo tutta la verità. Neanche quella volta era riuscito a chiederglielo, il momento giusto che svaniva sempre. Come si fa a domandare a qualcuno in pena per il proprio figlio se quello di qualcun altro ha qualcosa che non va? Aveva notato il suo sguardo quando Severus aveva detto che Draco aveva una strana febbre, così come lo osservava facendo finta di nulla.

Ma se dopo il ricovero gli era parso quasi normale, ora alla luce dei suoi incubi e al malessere di Narcissa tutto appariva diverso. Doveva riuscire a scoprire cosa avesse fatto Cassandra e cosa c’entrasse Nymphadora.

Rimasse ancora lì un altro po’, a guardare un anonimo portone di un’anonima casa in un’anonima via. Poi con un plop si smaterializzò.

 

****

 

«Per Godric Grifondoro ma la smette mai di piovere?» 

«Queste sono sì e no due gocce d’acqua passeggere, non credo proprio che qualcuno possa chiamarla pioggia.»Charlie gli lanciò un’occhiata obliqua mentre bussavano al portone di una delle palazzine a tre piani a poche stazioni di metroflu dal Ministero della Magia.

Charlie si strinse nella giacca troppo leggera che si era portato dietro, mormorando un leggero incantesimo riscaldante.

«Non hai idea di quanti mi manchi l’Egitto.  Merlino me lo sogno quell’inverno mite. Se non fosse per Fleur altro che Gringott…Ma cosa diavolo sta facendo lì dentro? Sto congelando»

«Da quanto sei diventato così piagnucolone, fratello? Merlino sembri…»

«Percy! Sorpresa! Non sei contento di vedere i tuoi fratelloni?» Bill aveva spintonato via Charlie prima che finisse la frase, affrettandosi ad abbracciare con foga il fratello minore che se ne rimase impietrito senza muovere un muscolo.

«Non ho ricevuto il vostro gufo» borbottò sguisciando via dalla stretta e rimanendo ancora sulla soglia.

«Ma quale gufo e gufo. Andiamo… guarda siamo anche passati a prendere della burrobirra e del fish and chips? Non mi dirai che hai già cenato, vero? E poi Charlie ha bisogno di un po’ di sano cibo unto e saporito. Hai sentito che ha iniziato una dieta macrobiotica? Per Godric Grifondoro. Voglio proprio vedere come lo dirai alla mamma. E non venire mai a trovarmi a casa, Fleur è minuta ma mangia come Fred e George messi insieme» Bill si era fatto strada senza attendere l’invito di Percy, ancora sulla soglia verso la piccola cucina, dove aveva iniziato ad apire uno sportello dopo l’altro alla ricerca di piatti.

«No, non lo sapevo. Così come non mi sembra che tu sia degnato di parlami di Fleur» commentò Percy con una smorfia mentre Charlie gli passava un braccio attorno alle spalle spingendolo verso il piccolo tavolo dove Bill aveva iniziato a disporre il cibo ancora fumante «Delacour, immagino. Per Merlino, Bill da quanto la conosci? Un anno? E già parli come se viveste insieme? E’ inappropriato»

Bill si fermò un attimo, la burrobirra stappata in mano ignorando i gesti del fratello che gli faceva segno di lasciar perdere«Inappropriato, Perce? Per chi?»

Gli occhi di Percy fiammeggiarono «Per me. Io ho lavorato sodo per ottenere il mio posto al Ministero…»

«Oh sì l’abbiamo sentito. Bel risultato» la risposta era uscita più tagliente di quello che avrebbe voluto mentre Charlie alzava gli occhi al cielo.

«Quello che voleva dire Bill» tentò di mediare il maggiore cercando di lampeggiare con gli occhi al fratello di chiudere il becco e trattando Percy come faceva con i draghi nervosi «E’ che siamo rimasti sorpresi dal fatto che non ci hai detto nulla...»

Percy si divincolò dalla presa «Come se a voi interessaste il mio lavoro... io sono quello noioso no? Non sono il dragonologo, né quello che lavora come spezzincantesimi alla Gringott…»

«Lavorava, ora gli tocca stare in ufficio» Charlie tentò di mediare rimediando una smorfia da entrambi i fratelli.

«Ed è una cosa terribile, vero? E invece a me piace stare in ufficio, mi piace rendermi utile con il mio cervello. Ho una fidanzata, lo sapete? No perché a voi non è mai interessato nulla di me. Solo perché sono il fratello di mezzo» i capelli di Percy avevano assunto una strana sfumatura 

«Per Merlino Percy non ricominciare con questa storia. Tu NON sei il fratello di mezzo, tecnicamente è George. O Fred… ancora ho dei dubbi su chi sia nato prima, sono quasi certo che anche da neonati sarebbero stati in grado di fregare la medimaga» Bill guardava esasperato il fratello «E stai facendo freddare il cibo come sempre, con le tue menate. Forza, siediti e smettila di comportarti come se avessi cinque anni»

«Io l’ho sempre detto che bisognava fargli un segno sul tallone come si fa con i draghi appena nati... in fondo il carattere è quello» Charlie si era soffermato sulla fila di fotografie ordinatamente disposte sul mobiletto accanto al divano «E’ questa la tua ragazza? Carina... come si chiama?»

«Penelope. E lo sapreste se mi aveste mai chiesto come sto. Ma tanto io sono il solito e noioso Percy, vero?» sbottò riprendendo la fotografia e risistemandola esattamente al suo posto.

«Oh andiamo... forza siediamoci a mangiare insieme. E’ da tanto che non lo facciamo. Se non ti piace il fish and chips possiamo andare al ristorante qui sotto... ho visto che c’è un indiano che non sembra niente male. A te piace no? Ricordi quando siete venuti a trovarmi a Bombay e hai mangiato così tanto chicken pulao da stare male?»

«Come mai tutto questo interesse, Charlie? Sarà che vi ha mandato la mamma per convincermi a farvi entrare ad Hogwarts? Come mai tutto questo improvviso interesse per me?» la porta alle spalle di Percy si era aperta fragorosamente mentre il mago indicava furiosamente l’ingresso «E io odio le spezie. Quello era Ron. Io sono rimasto a casa con Bill e i gemelli perché non potevamo permetterci di venire tutti a trovarti. Anzi Bill nel frattempo era chissà dove con la fidanzatina di turno»

Charlie si avvicinò ancora cercando di sembrare conciliante «Percy, stammi a sentire. Capisco che tu possa sentirti tagliato fuori da tante cose e mi dispiace, ma è la vita. Stanno dando la caccia a Dora, davvero credi che possa aver ucciso una studentessa? Andiamo è di famiglia!»

«Di famiglia? Come no» Percy sembrava aver perso la sua rabbia e gli era rimasto uno strano ghigno sulla faccia «Un’altra che non faceva che tormentarmi quand’ero piccolo. Ed ora fuori, e portatevi via quel coso puzzolente prima che mi infesti casa»

«Quando sarai rinsavito vedi di mandarmi una lettera. E nel frattempo prega che nessun altro tiri le cuoia» aveva ringhiato Bill prendendo Charlie per un braccio e trascinandolo via «E ricordati sempre che meglio tradire un superiore che la propria famiglia».

La porta dietro di loro si chiuse con una tale forza che per un attimo l’intero palazzo sembrò tremare. Fecero appena in tempo a schivare pezzi di pesce fritto e patatine fragranti che come proiettili impazziti erano volati nelle loro direzioni.

Bill ne afferrò uno al volo mettendoselo in bocca mentre si sedeva sugli scalini dell’ingresso del palazzo, osservando in silenzio il fratello. 

«Perché hai preso quella foto? Cosa credi che non se ne accorga?» chiese infine indicando con il mento la tasca superiore della giacca. Charlie sorrise e tirò fuori una foto ufficiale del ministero in cui Percy stringeva soddisfatto la mano alla Umbridge, in tenuta da membro del Wizegamot.

«Oh ma io spero proprio che se ne accorga invece. Anche perché gli ho lasciato qualcosa che dovrebbe aiutarlo a riflettere. Non come una certa persona di mia conoscenza che gli ha fatto scivolare chissà quale oggetto proibito nella borsa da lavoro» sorrise mentre tendeva una mano al fratello aiutandolo a rialzarsi.

Bill scosse le spalle con noncuranza, l’orecchino a forma di zanna che riluceva alla luce del lampione «Al massimo non ancora approvato. E speriamo che quell’imbecille non se ne accorga»

«Forse ha ragione lui, Bill. l’abbiamo dato sempre per scontato. E’ solo geloso…» sospirò il minore dei Weasley alzando lo sguardo verso l’appartamento del terzo piano «Ma a dire la verità sono stato distante da tutti. Mi vuoi raccontare un po’ di questa Fleur…al momento ho solo la versione della mamma…e … beh direi che vorrei sentire un’altra campana»

Inaspettatamente Bill rise, ben conscio della lingua tagliente di Molly Weasley «Oh, vedrai. Quelle due finiranno per andare d’amore e d’accordo, garantito. Pensa che stava valutando di fare il provino per entrare alla scuola per Auror…è stata proprio Tonks a suggerirle…»la frase gli mori in bocca ripensando all’ultima volta che erano andati a cena tutti insieme a casa di Tonks e Remus, in quella che era stata la loro prima uscita ufficiale. Avrebbe voluta presentarla a Charlie ma lui era chissà dove nel mondo e Percy aveva ragione, non gli era venuto in mente lui ma quella che considerava un’altra sorella minore.

Charlie sorrise dandogli una pacca sulla spalla, mentre si incamminavano in silenzio verso Grimmauld Place. Si guardò un’ultima volta indietro, sperando che Percy stesse guardando la fotografia che gli aveva lasciato, quella che teneva sempre nel portafoglio e da cui non si separava mai. Il natale del 1980, il primo in cui erano stati tutti insieme, contando anche Ginny che all’insaputa di tutti stava crescendo nella pancia appena arrotondata della loro madre, Ron in braccio a lui e Bill che cercava di fermare Fred dal tirare un grosso libro sulla testa di Percy, accoccolato sulle ginocchia di Arthur mentre George rideva folle alla faccia da papera di Nymphadora. L’ultimo Natale in cui Voldemort era ancora in vita, l’ultimo di terrore. Un terrore che sperava con tutto il cuore che Percy decidesse di non far tornare più.



 


* Che fine hanno fatto le tue buone maniere, Drom? Andiamo è buona educazione dire buongiorno, grazie, arrivederci. E' il minimo sindacale. Cos'è te ne sei scordata?
*** Beh dipende dal mio umore e da chi mi trovo davanti, razza di idiota.

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII- Acque torbide ***


Rimanere vagamente attento durante le ore di lezione diventava sempre più difficile, nonostante sentisse lo sguardo di riprovazione di Hermione persino durante Divinazione dove non aveva mai messo piede dopo la prima lezione del terzo anno. Come se davvero gli potessero interessare quei dannati GUFO tra la Umbridge che si divertiva a torturarlo, Silente sparito, tentativi di decapitarlo per fortuna finiti male e dulcis in fundo quelle terribili immagini che gli continuavano a vorticare nelle mente.

Ormai erano più le ore che passava sveglio a rigirarsi nel letto nel dolore bruciante della cicatrice che non gli dava tregua e ricordi incessanti degli omicidi perpetrati nel corso degli anni da Voldemort che quelle in cui riusciva a riposare. E ogni volta, immancabilmente, la sera di Halloween in cui i suoi genitori erano morti tornava a tormentarlo.

Aveva pensato di poter chiudere gli occhi per un attimo, giusto il tempo di riposarli un secondo, mentre la professoressa blaterava del valore simbolico dell’acqua e bla bla bla e una serie di altre scempiaggini che aveva smesso di ascoltare da almeno dieci minuti. Acqua … acqua del fiume vicino alla Tana, la pelle di Ginny profumata di sole e dell’erba, il calore dolce dell’estate …

E poi gli arrivò una vigorosa gomitata nello sterno, tale da farlo accasciare dal dolore sul tavolino basso davanti a loro.

Stava per imprecare contro il suo migliore amico in un modo tale che persino Draco Malfoy si sarebbe sentito imbarazzato quando invece della conosciuta e rassicurante faccia coperta di lentiggini di Ronald Weasley si era trovato di fronte due occhi neri allungati che spiccavano su un volto pallido ed affilato.

«Non hai lezione dopo la mia vero?» chiese continuando a scrutarlo con il viso privo di espressione. Harry annuì impercettibilmente «Molto bene, allora credo proprio che sia il caso che resti a farmi compagnia. Voi invece potete andare. Theo, Draco muovetevi invece di restare li a guardarmi come se mi fosse cresciuta una seconda testa»

Malfoy aveva aperto e chiuso la bocca senza dire un suono limitandosi a lanciargli un’occhiataccia.Certo, come se per lui fosse piacevole …

Era ormai mentalmente preparato allo stile delle conversazioni  della Umbridge, magari con bastoncini d’incenso acuminati invece di penne a scarificargli la pelle, ma almeno aveva qualcosa di più decente da guardare che quell’orrido rospo vestito di rosa vomito. E quindi era rimasto li, seduto con le braccia incrociate e un tono di sfida. Ci provasse a fare del suo peggio, non le avrebbe dato la soddisfazione di pregare di smetterla. Così come piuttosto che darla vinta alla Umbridge si sarebbe fatto murare a Privet Drive con Piton.

La professoressa però gli aveva fatto cenno di seguirlo nello studio privato attiguo all’aula di divinazione, dove lo aveva fatto sedere in terra accomodandosi accanto a lui sul tappeto alto e soffice.C’era un buon odore li dentro, fresco e rassicurante. Verbena, forse?

Era ancora intento a cercare di capire cosa diavolo stesse accadendo e dove volesse andare a parare quando si trovò tra le mani un bicchiere di burrobirra schiumante che avrebbe fatto invidia a quella dei tre manici di scopa.

«Oh andiamo, non fare finta che sia la prima volta che vieni trattato in  modo speciale.. Credi che non sappia che la McGranitt ti ha addirittura offerto un biscotto? Per Ecate, da come me l’hanno descritta credo che sia un evento talmente eccezionale che ogni singolo quadro della Scuola che non sia stato rimosso per affiggere quegli orribili annunci pacchiani ne parlerà per i prossimi due secoli» commentò  mentre buttava giù un sorso di burrobirra.

Harry rimase in silenzio guardingo mentre in testa gli rimbombavano gli ammonimenti di Ginny. Era tutta una farsa. Quella donna voleva solo consegnarlo con un bel fiocco alla Umbridge in modo che potesse cacciarlo dalla scuola con il primo pretesto possibile e con destinazione Azkban magari.

«Vedi niente di dove è lui in questo momento?» chiese improvvisamente la strega alzandosi per andare a cercare qualcosa nella libreria lasciandolo spiazzato.

«Cosa?» riuscì a dire sbattendo le palpebre cercando di togliersi dalla testa quella confusione che la privazione di sonno e  le visioni non facevano che accentuare, al punto che a volte credeva di essere ancora immerso nel Lago Nero «Chi?»

Niamh alzò gli occhi al cielo esasperata allungandogli un libro dalla copertina grigia di tessuto senza alcuna scritta «Per la Signora, mi avevano detto che eri sveglio.. su andiamo:il Signore Oscuro, Colui-che non deve essere nominato e altre baggianate del genere. Insomma Lord Voldemort. Lo vedi? »

Harry deglutì a vuoto, spiazzato.Non aveva mai sentito nominare il suo nome prima da nessuno che non fosse Silente, Ron od Hermione. E di certo mai da una sconosciuta professoressa che giocava con le rune per distrarsi e che sembrava divertirsi con la sua mente come Ron da Mielandia.

«Ehi, stai bene? Guarda che nella burrobirra non c’era niente eh» continuò andandosi a sedere sull’amaca di vimini che pendeva dal soffitto, dondolandosi con un piede e continuando a fissarlo con un pizzico di insofferenza che gli ricordava davvero troppo il dannato Malfoy.

Prima che potesse rispondere la porta dello studio si aprì senza troppe cerimonie  « La signorina Greengrass mi ha detto che il Signor Potter è tuo improvviso ospite. Che succede?» il tono di Piton era piatto come al solito, vagamente annoiato, ma l’occhiata di disgusto che rivolse al giovane Potter seduto in terra con un boccale di burrobirra davanti evidentemente bevuta a metà era talmente evidente che quasi poteva sentirla parlare.

Niamh tirò le labbra in un ghigno, ancora una volta fin troppo simile a quello del furetto «Ma che brava la signorina Greengrass. Visto che sei qui credo che sia ora di cominciare le lezioni private»

Piton rimase in silenzio, mentre il boccale di Harry volava lontano dalle mani del ragazzo, alzatosi in piedi a disagio «Professore non so di quale lezioni stia parlando ma le assicuro che il mio orario è già pieno»

«Anche senza Quidditch e gitarelle ad Hogsmeade,Potter? Sarà per tutto questo studio che il tuo rendimento in Pozioni è passato da deprorevole a vomitevole? » strascicò Piton affatto impressionato.

«Beh magari se non mi avesse messo in coppia con Malfoy anche lei…» borbottò Harry a mezzavoce mentre il sopracciglio scuro di Piton si arcuava sempre di più. Già l’idea di fare coppia con l’odiato serpeverde con la McGranitt era stata pessima ma le ore di Piton seduti al calderone con il furetto erano una vera e propria tortura

«In divinazione invece è molto bravo » tubò Niamh vuotando il suo bicchiere senza smettere di sogghignare «Chissà che non scoprirai un vero talento anche tu»

«Ne dubito» era stata la risposta laconica di Piton continuando a guardarlo come se fosse ricoperto di escrementi di ippogrifo con la diarrea.

«Ma talento in cosa?Insomma di cosa state parlando» era esploso , il mix di privazione di sonno, dolore e rabbia più forte di qualsiasi idea di punizione che potesse venire in mente a quei due psicopatici dei suoi professori.

«Occlumanzia, Harry. E meglio per te se ti impegnerai sul serio. O davvero non ci sarà speranza per nessuno di noi» Niamh era ora accanto a Piton, il mento sulle mani incrociate sulla spalla dell’uomo. Harry non seppe mai se era stato per lo shock di vedere l’essere più asociale del mondo interagire in modo così intimo con un altro essere umano o il riferimento alla catastrofe imminente o ancora le mille paranoie che Hermione sembrava aver sviluppato per l’occlumanzia dopo che il deficiente platinato si era quasi mandato in coma a fargli abbassare la guardia.

Qualunque cosa fosse quando il Legimens gli penetrò nel cervello come una lama arroventata seppe per certo di essere un idiota. 

Ginny l’aveva detto che non avrebbe dovuto fidarsi.


***

 

Kreatcher non aveva mai avuto un buon rapporto con i maghi e le streghe, fatta eccezione per il padroncino Regulus. E questo era risaputo.

Quello che invece in pochi sapevano  era che non aveva un buon rapporto neppure con quelli della sua specie, mai avuto. Quando c’era la padrona a Villa Black aveva dei sottoposti sotto di sé sui quali riversare il suo malumore. Ma dopo la sua morte quei viscidi pusillanimi se n’erano andati, non essendoci più un erede dei Black a Grimauld Place.

Beh alcuni erano morti e forse lui c’entrava giusto un pochino, ma quella era un’altra storia.

Il punto della situazione era che ora toccava a lui onorare la memoria del padroncino. Avrebbe voluto strapparsi il cervello dalle orecchie come minacciava di fare la defunta padrona quando si arrabbiava pur di non ricordare quel sorriso stanco prima di partire per la grotta, la voce del padroncino calma e rassegnata. Non aveva urlato nemmeno quando erano nella grotta, ghermito da artigli infernali che lo trascinavano in basso, nell’acqua così scura da non riuscire a vederne il fondo. Gli aveva solo ordinato di andarsene e non parlarne mai con nessuno.

Ma prima, a casa erano stati altri gli ordini del padroncino.

Prenditi cura di Sirius.

Sul momento aveva pensato che anche il padroncino fosse impazzito,in fondo non sarebbe stato il primo dei Black. Ma vedendo che lui non rispondeva si era abbassato alla sua altezza e l’aveva guardato fisso, con quegli occhi grandi che Kreatcher vedeva ancora nei suoi sogni.

Promettimelo Kreatcher.

Non un ordine da padrone a servo. Ma una promessa, come ad un amico.

E sebbene sentisse il cuore pompargli così tanto da rischiare di uscirgli dal naso adunco e sapesse benissimo che se la padrona avesse scoperto una cosa del genere avrebbe usato la sua pelle per rivestire i cuscini del salotto, Kreatcher aveva promesso.

Ed era per quello che ora, a più di dieci anni di distanza, quando quasi nessuno parlava più del padroncino, era li, in una cucina estranea, con un elfo capo che lo guardava nello stesso modo sprezzante che lui riservava a chiunque altro, abbaiando ordini a destra e a manca, mentre una piccola testa essiccata dalle lunghe orecchie penzolanti lo guardava da uno scaffale.

Elfo fortunato Krippy, elfo fortunato davvero.

«La sciagura è entrata in questa famiglia e solo Krippy fa qualcosa. Solo Krippy sa. Da quando la sanguesporco … » si morse la lingua facendo un verso di disgusto «Non si può neanche chiamare così, la padrona non vuole. Dice che mi stacca la lingua se me lo risente dire. Dice che il padroncino è felice… ma felice cosa, dice Krippy? »

Kreatcher ciondolò la testa in approvazione «Sanguesporco, mezzosangue, lupi mannari… cosa avrebbe mai detto la povera padrona..»

«E gli elfi…non esistono più gli elfi domestici di una volta. Prima quella Cockey, poi lo stupido Dobby che preferisce fare l’elfo libero… e poi…quel viscido, schifoso traditore li» continuò indicando con il lungo dito puntuto la testa essiccata poggiata sulla mensola in alto mentre faceva volare contro il muro un pentolone ricolmo di vellutata di zucca e patate ringhiando verso due elfi accanto ai fornelli «Troppo sale, stupido che non sei altro. Vuoi che Krippy serva ai padroni un concentrato di sale e grassi?Piuttosto Krippy serve te a spezzatino »

Ah che bei tempi quando anche lui poteva spadroneggiare nelle cucine di Grimmauld Place. Ma non poteva farsi vincere dalla nostalgia, era li con una missione.

«E lady Narcissa parla mai del padroncino Regulus?»chiese fingendo un tono casuale, lisciandosi la fodera lisa che quell’idiota del suo padrone continuava a fargli trovare pulita e stirata ogni mattina, addirittura con una spruzzata di profumo dai toni balsamici.

Krippy gli lanciò una lunga occhiata sospettosa, poi con uno schiocco delle lunghe dita gli fece cenno di seguirlo attraverso i lunghi corridoi scuri, attraverso le scale di marmo e poi di nuovo dalla parte opposta rispetto alle cucine , fino ad una stanza dalle porte chiare e le pareti azzurre dipinte a piccoli tocchi. 

«E’ lo studio privato della padrona. Non azzardarti a toccare niente o Krippy avrà un nuovo oggetto d’arredo» ringhiò mostrando i denti gialli ed avanzando ciondolando verso uno dei mobili in stile chinoiserie dove si trovavano una serie di cornice argentee talmente lucide che Kreatcher era in grado di vedere ogni singola macchia sulla pelle raggrinzita di Krippy.

L’elfo di casa Black storse il naso, la sua padrona non era mai stata una sentimentale e di certo non aveva mai tenuto alcuna foto in nessuna camera della casa. L’unica rappresentazione della famiglia erano i ritratti ufficiali ordinatamente esposti nel luogo preposto della casa. Non stupide cose animate da quattro soldi. La padrona non l’avrebbe mai permesso. Non era una stupida sentimentale, no no. La padrona sapeva come doveva essere mandata avanti una famiglia di purosangue.

No..no..

 

Oh andiamo Kreatch, che ti costa? E’ solo una piccola foto. Non ti fa niente, vedi?

Il padroncino è impazzito? Il padroncino deve aver battuto la testa? Si chini, faccia vedere a Kreatcher.

Ma quale battuto la testa. Sono serio. Perché non vuoi fare  una foto con me? Pensi che non sia abbastanza fotogenico? E su,cosa ti costa? 

Il padroncino allora ha le febbre. O una maledizione.. forse quegli stupidi Grifondoro amici del traditore del sangue. Oh ma Kreatcher ora andrà da quei mentecatti e gli farà sputare la verità. Il padroncino aspetta qui con una tazza di té caldo e Kreatcher torna in un batter d’occhio con le loro lingue da appendere al camino.

 

No, Kreatcher. Nessuna maledizione. E sarei lieto se evitassi di andare in giro a minacciare di tagliare lingue. Voglio solo fare una foto insieme e non voglio ordinartelo. Vuoi fare  una foto con me, Kreatcher, per favore? Consideralo il regalo di Natale per me, ora che Sirius è andato via.

 

Kreatcher era rimasto impietrito, le dita ferme in uno schiocco che lo avrebbe portato dritto dritto nella casa di quegli stupidi Potter dove il cane si era rintanato dopo aver abbandonato la famiglia. Il padroncino voleva una foto con lui? Davvero? Era rimasto immobile mentre le labbra si tiravano verso una forma innaturale, qualcosa che non aveva mai sperimentato, gli angoli della bocca che si tendevano stranamente verso l’alto.

Click

Visto Kreatcher non era poi così difficile. Guarda siamo venuti benissimo!

 

«Ecco lo sapevo.. un altro elfo impazzito da eliminare. Aspetta qui che faccio venire Woppy…  è bravissima con la mannaia, grande elfo quella li…altro che la …» Krippy lo aveva pungolato con un dito dalle lunghe unghie giallastre .

Ma Kreatcher in quel momento non poteva parlare, uno strano grumo che gli chiudeva le corde vocali del collo raggrinzito mentre guardava il giovane padroncino che rideva su una panchina di Hogwarts il giorno dei suoi GUFO. Il migliore del suo anno. Il migliore dai tempi di quell’altra traditrice del sangue di Andromeda Black.

Ma Krippy non poteva saperlo. Per fortuna che riuscì a ritornare in sé proprio quando una grassa elfa con le braccia possenti che fuoriuscivano dalla fodera per cuscini color cipria stava per alzare una grosso coltello affilato contro il suo testone, riuscendo a schiantarle  e farla volare via nel corridoio.

«Krippy sa mantenere un segreto? Krippy vuole aiutare i suoi padroni?» chiese sospettoso mentre la fotografia volava via lontano, tornando all’esatto posto che aveva occupato qualche minuti prima.

Krippy annuì con il testone ciondolante guardandolo di soppiatto.

«E allora Krippy deve far trovare questo a Lady Narcissa. Ma non una parola sul fatto che Kreatcher è stato qui. Non una. O sul serio la tua lingua diventerà la calza di natale di quel cane del mio padrone» disse solennemente tirando fuori dalle tasche un quadernino minuscolo con sopra la costellazione del Leone.

Il vecchio elfo annuì con fare grave prendendo con una strana deferenza l’oggetto chiudendolo tra le mani «Servirà a salvare il giovane padroncino? La padrona non può sopportare di perdere anche il giovane padroncino e Krippy ha promesso alla  padroncina di prendersi cura del padrone e del padroncino quando sarebbe arrivato. Anche se Krippy è arrabbiato con la padroncina. Se ne è andata lasciando tanta rabbia nel padrone che era il padroncino, no no non si fa così. A Krippy avrebbe potuto dirlo. Krippy avrebbe mantenuto il segreto.»

Kreatcher scosse la testa,annoiato: A dire la verità non gli interessavano granché i problemi famigliari dei Malfoy. Lui aveva promesso al padroncino Regulus di prendersi cura del traditore del sangue che si ostinava a chiamare fratello. E se un elfo domestico non avrebbe mai disubbidito ad un ordine, di certo Kreatcher non sarebbe mai venuto meno ad una promessa. Pensò al suo unico tesoro, la fotografia che custodiva con cura nella sua stanzetta a Grimmauld Place e che guardava ogni notte prima di chiudere gli occhi.

Il padroncino sarebbe stato fiero di lui, ne era sicuro.

Se solo fosse stato li…

Poi con uno schiocco di dita sparì lasciando un elfo con un grosso coltello e uno intento a spazzare via ogni traccia del loro passaggio dietro di sé.

 

***

 

La casa era stranamente silenziosa quando Sirius rientrò con Ted e Remus a Grimmauld Place.

«Kreatchuruccio sono a casa! E ho fatto anche la spesa! Indovina un po’... viene tutto da Harrod’s, il negozio babbano che odi tanto» chiamò Sirius lasciando che le decine di sacchetti di carta decorati fluttuassero allegri verso la cucina.

«Chissà cosa ti affascinerà mai così tanto di quel posto. Davvero avevi bisogni di comprare quattro tipi diversi di uova?Merlino, io sono cresciuto a Knightsbridge  e giuro che non sono mai andato a comprare uova di quaglia» sorrise Ted tirando fuori una confezione in cartone dipinto «Però hanno sempre i migliori cioccolatini del mondo. Credo che sia stato proprio grazie a questi che Andromeda ha accettato di sposare un natobabbano»

«Nah… è stato solo per scappare da quella pazza di mia zia e delle sue sorelle, mi dispiace deluderti Ted. E ora visto che non vedo arrivare il mio adorabile elfo domestico urlante per aver portato cibo babbano nella sua cucina direi che è ora che mi metta ai fornelli, Charlie e Bill stanno arrivando e non sarò certo io a lasciare i figli di Molly Weasely senza cena»

Sirius e Ted si lanciarono un’occhiata preoccupata.

«Sirius…» 

«Si, Felpato»

«Tu ricordi cosa è successo l’ultima volta che hai detto che sapevi cucinare, vero?Quando hai dato fuoco alla cucina di Euphemia…» iniziò non riuscendo a fare a meno di sorridere al ricordo di un compassato Sirius Black poco più che diciasettenne che lanciava incantesimi spezzafiamme nella cucina dei Potter come se non fosse successo nulla. E il tutto perché aveva deciso che quel Natale avrebbe cucinato lui i biscotti.

«Ti ricordo che non hai nessuna prova che sia stato io ad alzare accidentalmente troppo la fiamma e a distrarmi mentre scrivevo una lettera piccante a Marlene non notando che il forno avesse preso fuoco…»

«Andromeda l’unica volta che ha provato a cucinare è riuscita a bruciare persino delle pentole che non stava utilizzando. Come abbia fato rimane un mistero ma ho preferito non indagare,onestamente. E Remus, mi dispiace dirtelo ma credo che Dora abbia ereditato le abilità culinarie della madre»

«L’ho vista versare il latte direttamente nella scatola dei cereali…è la sua idea di preparare la colazione » Lupin non poté fare a meno di sorridere al ricordo di Nymphadora con addosso solo la sua camicia e i capelli rosa sciolti sulle spalle mangiava con gusto seduta al tavolo della loro cucina quegli orrendi cereali dal gusto fruttato che comprava in un supermercato babbano e che adorava. Avrebbe dato qualunque cosa per poter tornare al quel momento, avvicinarsi a lei e sfiorarle la pelle morbida e profumata di toffee e vaniglia, sentire il calore del suo corpo appoggiato al suo.

«Se devo essere sincero gliel’ho insegnato io,era il nostro rituale del sabato mattina.. comperavo appositamente delle piccole confezioni … si divertiva così’ tanto a vedere sua madre dare di matto e accusarci di essere dei porlock dalle sembianze umane» Ted gli posò una mano sulla spalla nel vano tentativo di consolarlo, ritornando con la mente a quei week end spensierati fatti di dolci profumati e risate.

«E a proposito di fuoco…siete sicuri di quello che avete visto nei quadri del padre del povero ragazzo morto?» chiese Sirius infilandosi un grembiule nero inamidato e squadrando le patate come se stesse valutando delle gemme preziose.

«Quei dipinti sono inquetanti, Felpato» Remus gli aveva tolto i tuberi di mano, poggiandoli delicatamente sulla tavola «E comunque credo che sia il caso di mandare un gufo al ristorante qui dietro… non vorrai mica spiegare ad Arhur e Molly perché i loro figli sono stati vittima di un avvelenamento da cibo vero?»

«Cosi mi offendi, Ramoso! Davvero pensi che possa essere così terribile?»

«Onestamente,Sirius? Preferirei bere la prima pozione che trovo in salotto piuttosto che mettere in bocca qualsiasi cosa cucinata da te. E poi credo sia già tardi… » 

«Inoltre mi concentrei su altro… sono certo che Malfoy abbia notato qualcosa su quei dipinti. Qualcosa che ovviamente si è ben guardato dal condividere» Ted lo aveva iniziato a spingere verso la sala da pranzo con il camino d’ingresso da dove li a poco sarebbero arrivati Bill e Charlie.

Il tempo di arrivare in sala e stappare un paio di burrobirre e le fiamme del camino si illuminarono di verde mentre i maggiori degli Weasley facevano il loro ingresso spazzandosi via la cenere di dosso, seguiti da un’esile ragazza dai lunghi capelli biondi legati in una coda di cavallo.

«Coucou, mes chers amis» Sirius sembrava estremamente divertito dalla presenza imprevista della francese, gli occhi grigi che brillavano divertiti, probabilmente divisi tra la consapevolezza del fatto che doveva esserci qualcosa di estremamente urgente e il pensiero di come avrebbe tessuto le lodi della ragazza a Molly per il solo gusto di vederla fumare. Perché c’era una cosa che lui aveva capito da un pezzo e che la Molly si rifiutava di ammettere da mamma chioccia qual era che quelle due avevano molto più in comune di quanto pensassero. E no sit trattava solo dell’amore per Bill.

«Non parliamo franscese, per favoire. Sto scercando di imparae la vostra lingua ed è irritante non poterlo fare, n’est pas» la voce di Fleur era come un burro di rose ma lo sguardo negli occhi era tagliente e determinato.

Come detto, una giovane Molly Weasley d’oltre manica.

Sirius alzò le mani in segno di scusa invitando i suoi ospiti ad accomodarsi.

«Purtroppo ho solo dei cioccolatini da offrire,il mio elfo ha deciso di sparire proprio oggi. Ted…» sorrise sedendosi in poltrona e facendo un gesto eloquente verso la raffinata confezione poggiata in un angolo.

«Sono certo che i ragazzi non hanno fame. E poi il cioccolato prima di cena fa male» rispose il Tassorosso senza scomporsi, accomodandosi sul divano ed accavallando le gambe, seguito da Lupin.

«Veramente io un scioccolatino lo mansgerei vuolentieri. Cosa sc’è dentro? Noisette?» cantilenò Fleur ondeggiando i lunghi capelli color del grano con un sorriso mentre la scatola viaggiava verso di lei.

Metà veela, non c’era dubbio. E decisamente ostinata, pensò Ted guardando con rammarico il prezioso cioccolato lavorato a mano con fiori di tè e frammenti di nocciola del Piemonte pralinata che scrocchiava goloso sotto i denti perfetti della francese invece che sotto quelli di sua moglie.

«E’ un piacere fare la tua conoscenza, Fleur. Ma se non sono indiscreto… posso chiederti come mai sei qui?» indagò studiandola. Anche ad uno meno esperto di lui era evidente che quei tre stessero fremendo per qualcosa.

Scambiandosi un’occhiata con il fratello maggiore Charlie tirò fuori una fotografia e la passò a Ted.

«Vedi l’anello della Umbridge?» chiese il ragazzo sedendosi accanto a lui ed indicando la grossa pietra chiara che ornava le dita tozza dell’orrida strega mentre stringeva la mano di Percy.

Remus e Sirius si avvicinarono curiosi , cercando di capire cosa ci fosse di così strano. 

«Sbaglio o c’è un puntino all’interno? Cos’è uno di quegli orridi gioielli di ambra con un insetto morto imprigionato dentro?» chiese con un sincero moto di disgusto.

«Una… come hai detto che si chiama nella vuostra lingua Bill.. balena?» Fleur si era voltata verso il ragazzo seduto sul bracciolo della poltrona accarezzandogli il braccio con una mano, mentre con l’altra prendeva un dischetto allo zenzero e scorze di limone candite.

«Falena, tesoro. F-a-l-e-n-a» 

«Uorribile in ogni caso. Non abbiamo quei …cosi à Paris, per fortuna» rispose la strega arricciando il naso.

«Neanche qui, di solito. E infatti mi sono ricordato di un articolo uscito sul Cavillo tempo fa»commentò Bill allungando una copia sgualcita del giornale, risalente a qualche mese prima «Xenophilus Lovegood ha spesso teorie strampalate ma forse questa volta ha ragione. E parla di una strana presenza di questi insetti a partire dal solstizio d’inverno guarda caso»

Remus sorrise «Devo dire che qualche volta l’ho trovato davvero interessante. E Dora l’adora, ogni volta che arriva si affretta a nasconderlo per paura che lo legga prima io di lei  e glielo sgualcisca»

«Ecco, questa è una cosa che ha ripreso dalla madre. Considera che abbiamo dovuto fare due abbonamenti diversi alla Gazzetta del profeta per non litigare ogni mattina.» sorrise Ted mentre sfogliava pensieroso l’articolo in questione, comparandolo con la fotografia.

«Questo però non spiega perché vi siate presentati qui tutti e tre, eccitati come se aveste appena scoperto la stanza delle necessità»

Bill sbuffò «A proposito di quello,...non sarebbe stato carino dirci come richiamarla? Io ho passato anni ad Hogwarts cercando di nascondermi nei posti più impensabili e poi arrivano anni dopo i miei fratelli minori che ne parlano come se fosse la stanza attigua a quella di Grifondoro»

Charlie rimase in silenzio, fingendosi estremamente interessato al cioccolatino che aveva in mano, rimediando un’occhiataccia da parte del fratello «Vuoi forse dirmi che tu lo sapevi? L’hai sempre saputo e non mi hai mai detto niente?La McGranitt mi ha quasi beccato nei bagni con la Karasu di Corvonero!»

Gli occhi azzurro ghiaccio di Fleur lampeggiarono minacciosi «Quella scialba donnetta che abbiamo incontrato  à la patisserie qualche giurno fa? Mon Dieu, Bill.. c’est così ordinaire» borbottò la francese in uno strano miscuglio di lingue, per poi finire con una serie di definizioni non proprio galanti che fecero sorridere Sirius da dietro la spalla di Remus.

«Non vorrei rovinare questo bel momento tra fratelli ma ritornando alla domanda di Remus… perché siete qui? A parte darci una fotografia che avete evidentemente rubato a casa di Percy.» incalzò il padrone di casa con un ghigno mentre i Weasley lo guardavano con lo sguardo da cuccioli indifesi che lui stesso avete usato più di una volta «E non provate a dirmi che non è vero,l’ho inventato io questo gioco.»

Bill e Charlie si scambiarono un’occhiata furtiva«Diciamo che l’abbiamo scambiata con qualcosa che sicuramente ha più valore. O almeno speriamo che lo abbia» 

«Oh mon dieu, ma che drammatisci che sciete. Comunque, quando Bill mi ha fatto vedere la  fotò mi sciono ricordata di una cuosa » il bel viso di Fleur si era illuminato di eccitazione mentre tirava fuori dalla borsa una sacchetto nero, rovesciandone il contenuto sul tavolino basso davanti a loro, accanto alla confezione dorata ormai vuota.

Davanti a loro una grossa goccia d’ambra tagliata sembrava assorbire la luce della stanza. Remus si chinò a guardarlo senza toccarlo, solo la punta della bacchetta che ne sfiorava la superficie mentre la resina sembrava iniziare a tremare sotto lo sguardo sempre più cupo dell’ex professore di difesa contro le arti oscure.

«Speculum Evanesco» si affrettò a lanciare l’incantesimo a più riprese, mentre uno dopo l’altro tutti gli specchidi Grimmauld Place sparivano. Poi ancora con le narice dilatate per l’adrenalina aggiunse «Forse sono stato un po’ precipitoso, ma meglio evitare che la falena si liberi. E’ un’anima intrappolata. O meglio una parte di essa. E soprattutto non è niente di buono.»

«Non dirmi che il buon vecchio Voldie ha creato una versione 2.0 degli Horcrux, ti prego» sospirò Sirius mentre richiamava una scatolina di ebano nero « Cimelio di famiglia, serve a conservare gli artefatti oscuri. Anche se credo che quel coso pacchiano abbia bisogno di qualcosa per attivarsi, no Remus? E lo spiegherai tu a Kreatcher perché sono spariti gli specchi»

Poi rivolse la sua attenzione ai ragazzi ancora seduti davanti a loro, gli occhi che brillavano per l’eccitazione invece che per la paura e gli venne da sorridere nonostante tutto. Forse lui e Remus non erano gli unici Malandrini in quella stanza.

«Fleur, tu stai bene? Vuoi che ti facciamo visitare da Andromeda? » chiese Ted  mentre la faceva volteggiare davanti a sé, osservandola .

Fleur scosse la lunga coda bionda, divertita «Io sto benissimo, merci. Non ho mai tuoccato quella cosa uoscena. L’ho solo tenuta come memoir di Hogwuarts, e poi quel ragazzo era stato così scegntile… ne ha consegnata una a ciascuno di noi. Anche Viktor mi ha detto di averne una ma lui l’ha sgettata via mentre tornava a Durmstrang…»

«Se mai vi sposaste ricordami di raccontare al matrimonio di quel bel ricordo che conservi di quando vi siete conosciuti ed incidentalmente sei entrata in possesso di un pezzo di anima malvagia. Sarà esilarate.Merlino e io che pensavo che venire in Inghilterra sarebbe stato un mortorio» rise Charlie per poi farsi improvvisamente serio «Dora mi aveva scritto per sapere se ero a conoscenza di qualche infestazione magica di insetti volanti, ora che mi ricordo, ma le ho risposto che a meno che non si fosse trattato di draghi io ne sapevo ben poco»

Tutti gli occhi si concentrarono ora sulla francese, poi finalmente Ted spezzò il silenzio «Chi è che ti ha dato quel ciondolo, Fleur?»

La ragazza scosse le spalle «Non scio il suo nome… è venuto da noi poco prima della terza pruova…era così… charmant direi… et parlava un très bon francese»

Nella mente di Sirius iniziò a delinearsi un sospetto «Era un portafortuna?»

Fleur annuì «Disceva che sarebbe stato un ricordo del Torneo Tre Maghi, comunque fosse andatai»

«Fammi indovinare… oltre ai modi raffinati aveva anche una sciarpa verde e argento vero?Ed una gran spocchia» continuò mentre richiudeva la scatola, sigillandola con un incantesimo ulteriore. Era vero che aveva bisogno di essere attivata, ma perché rischiare.

Di nuovo la testa bionda annuì «Ma non conoscuo il suo nome… era troppo piccolo per me e non presto troppa attenzione. Sono abituata che la sgente mi faccia dei regali…»

«Ti prego dimmi che non aveva i capelli biondi, gli occhi grigi e la faccia a punta» commentò Ted pensieroso. Se era stato Draco avrebbe significato che tutto quello che era successo lo scorso anno non era mai accaduto davvero,sono una complessa pantomima. E lui aveva passato ore a parlare con il ragazzo. Possibile che si fosse sbagliato a quel punto? Sentì Remus dietro di lui scartabellare tra le pile di ricerche che si erano accumulate nei mesi, fino a tirare fuori una vecchia gazzetta del profeta del Gala dei Malfoy, quello in cui il marchio nero era apparso nel cielo.

La aprì alle pagine della cronaca mondana porgendolo alla ragazza, indicando una foto scattata prima del caos, in cui erano ben visibili la maggior parte dei ragazzi presenti «Lo vedi tra questi?

La bionda si avvicinò mentre la fronte si curvava nello sforzo di concentrazione, poi dopo un paio di secondi indicò un volto sulla carta «Eccolo qui.. è lui… accanto a Ronald e a quell’altra strana ragazza che gli piasce tanto»

Il tutto era iniziato da un ragazzino, uno studente come tanti, qualcuno che non aveva degnato di un secondo sguardo, di cui nessuno si era mai preoccupato.

Mai fidarsi di un serpeverde.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII- Quello che non vorremmo vedere ***


 

Quando aveva visto Potter entrare rassegnato nello studio di Piton per un attimo, ma solo per un attimo, aveva temuto che quel grandissimo imbecille dello Sfregiato si fosse fatto scoprire e Piton stesse preparando un veleno per risolvere definitivamente il problema. Poi aveva riflettutto che sicuramente il padrino di Harry avrebbe fatto un casino infinito se il suo figlioccio fosse stato ritrovato cadavere e altrettanto sicuramente avrebbe accusato Piton, con cui sembrava avere il dente particolarmente avvelenato.

Ora, anche considerando che Severus avrebbe facilmente creato qualcosa che persino SIlente in persona avrebbe avuto difficoltà a rintracciare, conoscendolo era probabile che non si volesse trovare a passare il resto della sua vita a schivare i tentativi di vendetta di Sirius Black. E per esperienza personale, sapevano entrambi quanto qualcuno di quella famiglia potesse essere tenacemente rancoroso.

Quindi non era quello il motivo. Che la Umbridge avesse deciso di far divertire anche Piton nella tortura di San Potter? Altrettanto improbabile, quella era matta da legare e anche decisamente sadica,di certo non si sarebbe  persa lo spettacolo.

Ma non era stato un caso isolato. Ogni sera l’ex golden boy si avviava con la faccia da cane bastonato verso il laboratorio di Pozioni, fermandosi e sospirando ogni volta prima di bussare. Ad essere onesti il sopiro era condito da una serie colorita di improperi  a mezza bocca, però doveva concedergli che quando lo aveva visto fissarlo nel corridoio non aveva cercato di lanciargli una fattura stordente neanche una volta, limitandosa lanciargli uno sguardo disgustato a sua volta.

E ogni sera, alle dieci puntuale come il discorso di incoraggiamento della mattina del batrace color vomito, la voce altrettanto poco entusiasta di Piton annunciava: Entra,Potter

Maledetto Potter. Il giorno seguente aveva cercato di estorcergli che cosa diavolo stesse accadendo, ma non era stato abbastanza bravo per una votla a nascondere i suoi reali sentimenti.

«Sei geloso, Malfoy? Ti rode che il tuo professore preferito non ti tratti più come il suo cucciolotto adorato? Che peccato… vedi, guarda la McGranitt… di certo non spenderebbe dieci minuti da sola in una stanza con te neanche se dovesse insegnarti come non cadere dalla scopa»,aveva ghignato Potter soddisfatto, fremendo dalla voglia di andare a raccontare a tutta Grifondoro quello che aveva appena scoperto.

«Beh non è che i tuoi voti in Pozioni siano migliorati eh… schifo facevi e schifo continui a fare senza poter copiare dalla Granger»,ringhiò tra i denti, profondamente infastidito dall’espressione gongolante di Potter.

Impiegò i due giorni seguenti a fare congetture, pedinando Potter ogni sera e stressando Blaise e Theo fino allo sfinimento ad ogni ora del giorno e della notte. Ma ogni volta, invariabilmente, tutto terminava davanti quella porta ostinatamente chiusa. Aveva anche provato a scrivere alla Granger ma anche quella sembrava fare orecchie da elfo. Certo non si poteva lamentare di quello che aveva scritto, ma per Salazar Serpeverde era certo che Potter avesse parlato con la piccola Weasley e senza alcun dubbio lei ne aveva parlato con Hermione visto che per il resto era circondata da una massa di decerebrate. Ergo, ancora una volta si era trovato a chiedersi come diavolo avesse fatto ad innamorarsi di una grifondoro guerrafondaia, permalosa e dispettosa. 

Come se quelli fossero difetti poi…

«Io comunque non capisco cosa hai da scrivere su quel coso.»

Il grugnito di Greg lo fece trasalire. Quando diavolo era entrato nella stanza? E soprattutto perché non lo aveva fatto con il suo solito passo da erumpet ubriaco?

«Insulti per Potter: non voglio scordarmene qualcuno visto che ora ho poco tempo» rispose Draco, chiudendo velocemente il quaderno e facendo finta di non vedere l’occhiataccia che gli aveva rivolto Blaise, i cui occhi scuri lampeggiavano Quante stracazzo di volte ti ho detto di fare attenzione con quel dannato quaderno? in maniera talmente lampante che sarebbero state visibili anche dalla torre di Corvonero.

«Posso vederli? Sono certo che potrei utilizzarne qualcuno per gli altri Grifondoro…Per Salazar Serpeverde perché la Umbridge ha accettato questa stupida cosa del lavoro in coppie. Persino Piton ora ci si è messo.»

Greg si era seduto pesantemente sul suo letto cercando di prendergli il diario dalle mani. Fortuna che grazie alla pratica fatta nel passato, nonostante piuttosto che ammetterlo avrebbe pereferito cantare in rima l’amore per i Tassorosso davanti a tutti gli ospiti del Galà di Natale di sua madre, riuscì a lanciare una fattura gambemolli che fece caracollare il povero Gregory a meno di dieci centimentri dalle sue preziose lenzuola immacolate mentre il diario si sigillava e tornava in fondo al suo baule.

E tutti sapevano che sua madre aveva messo tanti di quegli incantesimi protettivi su quello che era meglio per tutti se neanche provavano ad avvicinarsi.

«Lo sai che ha una fobia per il suo letto… credo che a malapena sopporti che si sieda lui» Theo era rannicchiato in una delle poltrone immerso in un libro. O meglio era quello che sembrava voler far credere, visto che a Draco non era sfuggito che non girava una pagina da almeno dieci minuti. «E comunque non mi sembra che tu te la passi cosi male con Finnegan, no?»

Il tono era stato casualmente elegante, come sempre. Eppure c’era una strana sfumatura nella voce, appena una crepa subito camuffata.

«E poi diciamolo, non credo che saresti in grado di ripeterli. Nè quello stupido mezzosangue dalle orecchie a punta in grado di apprezzarli. Draco tende ad essere verboso sai? Glielo dico sempre che è uno spreco con Potter ma lui niente…» Blaise si era seduto accanto a Theo, le braccia incrociate e una smorfia di disgusto sulla faccia. «Tutti quei pomeriggi passati a leggere libri vecchi ed inutili… per cosa poi? Se lo chiedi a me uno spreco di tempo»

«Ma nessuno te l’ha chiesto»lo interruppe Draco lanciandogli un’occhiataccia.

«Vedi? Siamo migliori amici e tu non tieni mai in conto quello  delle mie opinioni nella maggior parte dei casi. Ed è un peccato, io ho delle meravigliosi opinione, lo sai», commentò serafico versandosi un liquido scuro da una fiaschetta d’argento con il suo monogramma sopra.

«Meravigliose come quelle che mi hai convinto a ripetere alla moglie dell’Ambasciatore Bulgaro alla Cena di Mezza Estate? No, perchè io ricordo che non è che siano state particolarmente apprezzate né da lei né tantomeno dai miei…» sibilò, grato del diversivo ma Merlino se se l’era legata al dito visto quello che era successo dopo.

«Sai bene che io non parlo bulgaro. Ringrazia la famiglia di tuo padre e i legami con Durmstrang… credo che sia l’unico che è stato costretto ad imparlarlo da piccolo. E poi se sei facilmente influenzabile non è mica colpa mia. Ed avevo ragione… quel vestito la faceva assomigliare ad un grosso ocamy che aveva ingurgitato un divano di dubbio gusto» sghignazzò al ricordo non solo della faccia della donna quanto del fatto che lui era riuscito a rimanerne fuori, sgattaiolando via da sua madre e facendo gli occhioni dolci quando Draco era stato così stupido da ripetere ad alta voce la sua similitudine.

Theo era rimasto in silenzio, sebbene ricordasse perfettamente il casino che era successo. Anche senza capire una parola di quello che aveva detto era evidente dalla faccia che aveva fatto Lucius a sentirlo che Draco si era messo in un mare di guai. E anche se erano solo bambini  non gli era piaciuto il modo in cui Blaise se l’era svignata, né il sorrisetto soddisfatto che aveva fatto lei .

«Beh sono certo che farai un bel discorso, allora»bofonchiò Goyle rimettendosi in piedi 

Draco alzò un sopracciglio chiarissimo « Quale discorso, scusami?»

«IL discorso» ripeté testardo il serpeverde altrettanto confuso

«Ripetere la stessa parola dando enfasi all’articolo non credo che aiuterà. Non è molto sveglio sai… forse è colpa di tutto il veleno che si è bevuto lo scorso anno come un idiota.. troppo presto per scherzarci su? Per Merlino sei permaloso come tutti i Black, sul serio… dovreste farlo aggiungere al motto di famiglia» ,Blaise continuava ad osservarli con un sorrisetto senza scomporsi, divertito da quello scambio tra due che sembravano non parlare neanche la stessa lingua. Guardando la faccia impassibile di Theo che continuava a scrutarli però, decisamente gli passò il buonomore che l’idea di stuzzicare Draco come ai vecchi tempi aveva suscitato.

«Ancora no… in fondo alla fine ti sei liberato della sanguesporco. E se va tutto va come deve andare ben presto ci libereremo di tutti loro.» Goyle sembrò per un attimo aver perso tutta la goffa confusione di poco prima, uno sguardo stranamente vivido che Draco non ricordava di avergli mai visto. Incassò il colpo, reprimendo l’istinto di lanciargli una maledizione ben più forte di quella che l’aveva fatto finire col grosso deretano in terra.

«Possiamo tornare al punto principale, per cortesia? Quale discorso?» ripeté, cercando vanamente di non farlo sembrare un ringhio quanto piuttosto un tono vagamente interessato. Come faceva prima? Non sapeva bene perché ma ora occludere gli era diventato estremamente faticoso. Forse perché doveva farlo quasi costantemente davanti alla Umbridge ma si sentiva talmente sfinito che l’idea di doversi preoccupare anche di fronte a quell’idiota gli faceva sanguinare il cervello.

Greg si avvicinò con fare circospetto facendo arricciare il naso a Draco. Non solo non gradiva l’intrusione del proprio spazio personale da qualcuno che non fossero pochissime, selezionate persone, ma in più c’era un odore strano nell’aria. Non era spiacevole,anzi, eppure sembrava totalmente alieno rispetto a quello che era stato fino ad un anno prima la sua ombra. Era qualcosa di umido, stantio, eppure con una nota dolce di miele che lo rendeva affatto sgradevole.

«La Preside sta organizzando una grande festa… una serata speciale, ha detto. Pensa che finalmente potrò stare un po' con Millicent… e dopo… dopo, sarà tutto diverso…» disse in tono cospiratorio, come se per gli altri fosse chiaro di cosa diavolo stesse parlando. Poi con un ghigno aggiunse: «Sono certo che ti toglierai delle belle soddisfazioni. Ah si, finalemente saranno fieri di te»

«Greg, quando Blaise ti offre da bere, ti prego, rifiuta. Lo sai che solo lui è in grado di reggere quell’intruglio. Si può sapere di cosa cazzo stai parlando?»

«Oh vedrai sarà divertente», gongolò Goyle mentre Draco sentiva un brivido freddo corrergli lungo la schiena. «Finalmente Hogwarts diventerà il posto che avrebbe sempre dovuto essere»
Lanciò un’occhiata ad un altrettanto sbigottito Blaise rimasto a mezz’aria con la fiaschetta in mano.
Theo al contrario non aveva mai alzato lo sguardo, continuando a fissare senza realmente vederla la stessa identica paggia su cui era fermo dall’inizio. Poi con un gesto stizzito scaccio una falena che si era posata sul bracciolo.

 

***

 

«Sbaglio o sul divano ci sono peli rossicci?» Elettra Furbisher guardava con disgusto il palmo della mano, seduta nella sala comune femminile, mentre Millicent sfogliava rumorosamente una rivista di moda. Pansy la degnò appena di un’occhiata, sperando che la Greengrass chiudesse la bocca sul fatto di aver visto più di una volta Grattastinchi entrare ed uscire indisturbato dalla sala comune e guardando invece con invidia le belle pagine patinate. Avrebbe potuto essere il secondo numero di Ambwitichious, o almeno la sua bozza, se quella dannata bigotta a forma di barilotto di burrobirra troppo truccato non avesse deciso di proibire qualsiasi attività extrascolastica, inclusa la direzione sua e della Granger del primo magazine per e di giovani streghe che aveva fatto tanto scalpore nel mondo magico.

Non è appropriato. E poi siete troppo giovani per avere opinioni aveva detto con un sorriso coperto da troppo rossetto rosa orchidea che la rendeva giallo ittero.

Oh io un’opinione piuttosto chiara ce l’avrei. Soprattutto in merito alla sua inutile presenza qui.O sul suo bisogno di trovarsi un hobby.

«Oh per la miseria, chi se ne importa. Sarannodi qualche stupido mezzosanguee» aveva commentato Millicent annoiata.

«Cerchi qualcosa per la promessa, Millie?» Daphne era in terra,, impegnata a rileggere i suoi appunti di Pozioni, la sua grande preoccupazione per i Gufo. 

«Non è un po’ presto? Comunque bella collana Millie. Non te l’ho mai vista…. un regalo di Goyle?» chiese la sorella strizzando gli occhi, smettendo per un attimo di giocare con le carte che aveva in mano e che continuava ad incastrare una sull’altra, in un equilibrio precario.

Pansy, che fino a quel momento era rimasta in un angolo, ostentando la solita aria annoiata troppo interessata a laccarsi le unghie di un tenue rosa, l’unico colore permesso dal batrace, per occuparsi di quelle discussioni, tanto più che probabilmente il suo unico commento sarebbe stato che neanche il vestito più costoso di Diagon Alley sarebbe riuscito a rendere un minimo elegante una festa di quei due. Con il padre di Goyle morto e la scarsissima propensione allo studio di quell’idiota del figlio e della di lui futura moglie già quell’estate ci sarebbero state le promesse e poi appena diciasettenni il fidanzamento vero e proprio. A quanto pareva tra le priorità del Ministero non c’era che gli studenti portassero a compimento tutti e setti gli anni di studio ad Hogwarts. 

Era tutto così squallido.

Certo quei due non erano due cime ma quale sarebbe stato il loro futuro? Erano entrambi più che benestanti ma avevano ben poco altro da offrire. Eppure entrambi sembravano così entusiasti.

Per un attimo sentì una nota sensazione di panico risalirle dalla bocca dello stomaco, che si affrettà a dissimulare annunciando di dover scappare perché in ritardo per il suo turno di ronda. 

«Sicura di stare bene? Sei molto pallida.» chiese Astoria cercando di seguirla ma Pansy minimizzò con un gesto della mano.

«Probabilmente mi sono rimasti sullo stomaco quei dolcetti alle mele.Se continuano a farci mangiare così probabilmente dovremmo ordinare le uniformi di due taglie in più» disse velocemente affrentandosi ad uscire.

La Greengrass aprì la bocca come per dire qualcosa ma evidententemente ci ripensò, riprendendo invece il suo posto accanto alla sorella maggiore.

Pansy chiuse la porta del dormitorio dietro di sé, immergendosi nel silenzio rassicurante del corridoio semideserto.

«E’ quasi l’ora del coprifuoco, cosa diavolo ci fate ancora in giro? Evaporate prima che vi tolga un punto per ogni stupido pois sulla tua stupida gonna»ringhiò nei confronti di due Tassorosso che le lanciarono un’occhiataccia prima di fare dietrofront e defilarsi nel loro territorio.

Stupidi Tassorosso. Era tutta colpo loro se si trovavano in quella situazione. Se quella imbecille della Abbott avesse tenuto la boccaccia chiusa a quest’ora lei sarebbe stata a fare il giro di ronda con Draco e non da sola come una sfigata, o meglio ancora a farsi esplorare dalle lunghe dita da elfo domestico di Weasley, Ecco questa era buona, doveva segnarsela per quando l’avrebbe rivisto. Era certa che l’avrebbe fatto infuriare. E quando si infuriava diventava appassionato. Doppio bonus per lei.

Il silenzio era l’unica cosa che ricavava dai suoi giri da Prefetto, minuti vuoti che si trasformavano in ore in cui cercaa di svuotare la mente al suono dei suoi passi lungo il corridoio di pietra.

Non avrebbe mai pensato di dirlo ma era felice di essere fuori dai sotterranei e soprattutto felice di non sentire più il chiacchiericcio noioso e sempre uguale delle sue compagne.

Ormai quei discorsi sui sanguesporco le facevano venire il voltastomaco.

SIcuro la Granger doveva averle passato qualche strano germe babbano che l’aveva fatta ammalare di una strana malattia per la quale non riusciva più a sorridere all’idea di una classe fatta di soli serpeverde. O al pensiero di Potter che per una volta non era il cocco dei professori.

A proposito di Potter… perché c’era un idiota stranamente somigliante a lui, quei capelli osceni visibili al buio, in piedi sulla balustra del corridoio del terzo  piano?

si avvicinò piano cercando di capire con chi diavolo stesse parlando visto che davanti a lui c’era solo il vuoto.

Non erano parole, però. Una serie di sibili e risucchi che risuonavano inquietanti nel buio della sera.

E poi lo vide avanzare: un piede nel vuoto,l’altro ancora sul marmo ma già proteso in avanti.

Fu il suo corpo a decidere per lei ancora prima della sua mente, il Levicorpus che usciva  dalla sua bacchetta senza che realizzasse che forse quella era la volta buona di provare a vedere se sul serio elimando lo Sfregiato le cose sarebbero tornate a com’erano in quel breve periodo di grazia in qui non aveva grifondoro tra i piedri ma una nuova vita davanti.

Potter si rialzò scomposto in aria, urlando di lasciarlo andare, nuovamente presente a sé stesso. Stizzita terminò l’incantesimo lasciando che il regale deretano del Bambino Spravvissuto sbattesse contro il freddo pavimento di pietra, lanciando un’imprecazione molto poco adatta a quello che veniva considerato il ragazzo d’oro.

Poi senza dire una parola si girò e tornò da dove era venuta.


 

***

 

Era rimasto davanti a quel cancello per un tempo che gli era parso eterno, un’ombra tra le ombre, cercando di intravedere nell’oscurità della notte i fantasmi del passato.

Quanti pomeriggi  aveva trascorso in quella casa? Molti, tanti, sicuramente troppi. 

Poteva sentirla ancora, imprigionata tra le mura esterne anonime, quella paura che lo divorava. Paura di non essere abbastanza, paura di perdere tutto, paura di non sapere mai chi fosse sul serio. Ed era per quello che aveva amato ritrovarsi li, le mattinate passate nel letto e i pomeriggi seduto ad ascoltare Lord Voldemort. Tutto era violentemente ammantato di dolcezza in quella casa: dalle labbra di Cassandra sulla sua pelle a quelle di Lord Voldemort che prometteva  a tutti loro un nuovo mondo fatto su misura per i suoi desideri.

Si sedeva sul divano accanto a Bellatrix e ai Lestrange, godendo di quella posizione di particolare rilevanza e inebriandosi di quell’energia selvaggia che riusciva ad instaurare in tutti loro con poche parole vellutate. Lord Voldemort non aveva mai urlato in quella casa, non aveva mai neanche alzato la voce, non ce n’era bisogno. Non c’era stata una singola volta in cui avesse usato la magia contro di loro: li vezzeggiava, li blandiva, li rassicurava, si proponeva allo stesso tempo come loro protettore e loro istigatore. Aveva sorriso conciliante quando avevano iniziato a parlare di uccidere i babbani. Aveva ridacchiato benevolo quando aveva saputo della babbana morta che Rodolphus e Bellatrix avevano prima torturato e poi portato fin dentro Hogwarts. Si era congratulato con lui e Bellatrix dopo la strage di quel buco dimenticato da Merlino di Babbanofili. Quando si era rivolto a lui per chiedergli aiuto si era dimostrato premuroso e disponibile, l’aveva salvato dall’ira di Abraxas, liberato dal fidanzamento con Cassandra e dato il suo benestare per poter frequentare Narcissa senza che ci fossero conseguenze.

Ricordava ancora come si sentiva quella sera, così leggero e felice come non era mai stato, convinto che se avesse seguito l’Oscuro Signore niente avrebbe mai potuto farlo sentire ancora inutile e spaventato come accadeva quando si risvegliava nelle segrete del Maniero dopo uno degli accessi d’ira di suo padre.

Ma mentre loro credevano di essere i nuovi padroni del mondo, in realtà l’Oscuro Signore li stava legando a sé con dei lacci invisibili e crudeli, pronto a smembrarli se avessero deciso di tradirlo. Aveva iniziato a tirare lentamente, così lentamente che neanche se n’era accorto.

Ma ora si sentiva soffocare.

Vedeva distintamente sé stesso seduto all’interno di quella casa a ridere e a scherzare, senza notare che i suoi fratelli si allontanavano pian piano da quel piano folle.

Non si era reso conto di come Nicholas fosse diventato sempre più cupo e schivo dopo la sera di dicembre in cui avevano preso il MarchioNero. Anzi, se voleva essere brutalmente onesto almeno con sé stesso sebbene gli provocasse un dolore tale da sentirsi esplodere in mille pezzi, non gli importava. Ricordava la litigata furiosa che avevano avuto proprio li. O meglio, ricordava di aver urlato come un folle,accusandolo di averlo tradito, dopo che Lord Voldemort aveva detto che ci avrebbe pensato ma non era il momento per rompere il fidanzamento tra Nichole e Narcissa. Ricordava Arael che cercava di farlo smettere, di farlo ragionare. E ricordava il silenzio di Nicholas, velato di una profonda tristezza.

Ci penserò io, aveva detto. Ma lui non ci aveva creduto, non aveva più fede in nessuno se non in Lord Voldemort.

L’ultimo sabato pomeriggio in quella casa prima degli ultimi esami, il silenzio rancoroso che aveva rivolto ai suoi fratelli quando aveva comunicato seccamente che sarebbe andato prima dai Lestrange, come desiderava lord Voldemort, una volta arrivati a King’s Cross.

E tu cosa desideri, Lucius? gli aveva chiesto Nicholas, scrutandolo. Ma lui non aveva mai risposto, si era limitato a girarsi a raggiungere Bellatrix e gli altri nel salone principale.

Non l’avrebbe rivisto mai più se non in una bara. Avevano detto che erano stati gli Auror ma dopo quello che gli aveva portato Andromeda aveva finalmente capito la verità.

Era stato Abraxas ad ucciderlo. Non era morto in quella casa, torturato da Malocchio Moody. Crouch e gli altri lo avevano portato li già cadavere, il monito che nessuno era intoccabile o un sacrificio per dare una scusa all’estate di sangue che avrebbero scatenato, chi poteva dirlo . E Lord Voldemort di certo aveva avallato il piano.

E poi c’era un altro fantasma, non un ricordo ma un’immagine che lo tormentava ogni volta che chiudeva gli occhi e provava a dimenticare.

L’idea di Draco che percorreva quella stessa strada, provando la stessa paura che provava lui da ragazzo ogni volta che tornava a casa gli era insostenibile. Aveva pensato di scappare qualche volta? Girarsi e correre a perdifiato sino alle carrozze per rifugiarsi al sicuro del castello? Sicuramente si. Eppure c’era stato qualcosa di più forte: paura, una paura ancora più grande di quello che sarebbe accaduto dietro quella porta: Draco aveva detto che Abraxas aveva minacciato di uccidere Narcissa, un incubo instillato sin da bambino e dal quale non si era mai distaccato, l’idea di essere il responsabile della morte di sua madre talmente inconcepibile da preferirgli la sicurezza del dolore di quelle ore. Poteva sentirlo ancora quel terrore ancestrale così chiaro quando l’aveva confessato sul divano del suo studio, i grandi occhi grigi striati dell’azzurro di Narcissa lucidi di febbre.

Ma c’era un’altra verità, quella che continuava a tormentarlo, qualcosa che aveva solo accennato. Draco era convinto di non aver un luogo sicuro a cui tornare, che se anche fosse sfuggito a suo nonno sarebbe stato del tutto inutile perché lui, suo padre,non gli avrebbe mai permesso di uscire da quell’incubo.

A ripensarci adesso c’erano stati tanti di quegli indizi, davvero come poteva essere stato così cieco? La verità era che non aveva voluto vedere, aveva ragione Draco quando l’aveva accusato di essersi sempre voltato dall’altra parte. Conosceva Cassandra, conosceva suo padre, come aveva potuto pensare che sarebbe bastato accontentarli e lasciare che si frequentassero in quell’isolamente imposto ad Abraxas?

Aveva chiuso gli occhi di fronte a quello che era successo a Nicholas, abbracciando tutto l’odio che provava e riversandolo contro tutti coloro che osteggiavano l’Oscuro Signore. Perchè in fondo era colpa loro se suo fratello era morto, di quella feccia della società che se l’era presa con un ragazzino appena uscito da Hogwarts.

Li aveva chiusi ai mezzi sorrisi sardonici e ai commenti accennati di Cassandra cui non aveva mai dato peso nel corso degli anni. Chissà quanto si era divertita negli anni a lanciare qui e là dettagli, parole, gesti che avrebbe potuto collegare così facilmente se solo avesse voluto. In quel momento l’unica cosa che desiderava con tutto se stesso resa che quello che aveva raccontato Abraxas prima che l’uccideseero fosse falso. Che non gli avessero davvero fatto quelle cose orribili.

E avrebbe davvero voluto chiuderli un’altra volta, rifugiarsi nel suo studio, nel vortice di strette di mano ed accordi da centinaia di migliaia di galeoni, chiacchiere vuote e di circostanza. L’ennesima cena di gala,l’ennesimo incontro al Ministero, una campagna di beneficenza di cui non avrebbe ricordato il motivo una volta tornati a casa. Avrebbe dato qualsiasi cosa per girarsi ed andarsene, dimenticare dove aveva già visto quel segno inciso in tutte le tavole di Diggory. Dannato Tassorosso, inutile come sempre.

Ma non poteva. Non quella volta.

Alzò la bacchetta, disegnando nell’aria lo stesso incantesimo di apertura che usava da ragazzo, in quella che adesso gli sembrava una vita talmente lontana da sembrargli finta. La porta si aprì docilmente sotto il suo tocco, come se lo stesse aspettando, come se non fosse passato un giorno da quegli ultimi giorni dei suo quindici anni.

La stessa età di suo figlio. L’età in cui aveva preso tutte le decisioni sbagliate.

A parte una, ovviamente. 

Salì lentamente le scale cercando di svuotare la mente, lasciando che le voci del passato gli scivolassero accanto senza distrarlo. Per un attimo si girò indietro, quasi dovesse chiamare qualcuno fermo all’inizio della scalinata ma ovviamente dietro di sé non c’era che il vuoto di una casa ormai disabitata.

La camera di Cassandra era al secondo piano, sulla destra,ma non era li che doveva andare. Ricordava bene di una stanza chiusa perennemente a chiave,in fondo al corridoio. C’era entrato solo una volta, quando, approfittando del fatto che lei dovesse essere in infermeria, era andato a cancellare qualsiasi traccia potesse aver lasciato quando erano andati a cercare il libro. Si era premurato di farsi vedere ai Tre mManici di Scopa e poi in silenzio, approfittando del tasso alcolemico di Tiger e Goyle, era scivolato verso la casa. Quando era entrato tutto era silenzioso, nessun segno di presenza. Tranquillo era quindi salito al piano superiore, deciso a passare meno tempo possibile in quella casa. Ma proprio quando stava per andarsene aveva notato quella porta stranamente aperta, e dentro quello che non aveva mai pensato di sentire. Si era avvicinato cercando di fare meno rumore possibile, seguendo quel suono sottile e così estraneo, fino a poter sbirciare nella fessura lasciata aperta.

Li, all’interno di una stanza senza luce, con le finestre coperte da spesse tendaggi rossi, Cassandra Carrow, la ragazza che sembrava non avere reazioni umane, stava piangendo di fronte ad un grande ritratto di una giovane donna che le somigliava terribilmente.

Era rimasto in ascolto, impacciato. Decisamente non era mai stato bravo a consolare qualcuno. Come avrebbe poi reagito Cassandra?L’aveva minacciata di una maledizione orribile e di certo entrambi sapevano che non stava scherzando. 

Eppure li in ginocchio, persa la solita algida compostezza, sembrava così indifesa e fragile.

Non ne sono capace.  La voce singhiozzante di Cassandra gli rimbombava in testa come se fosse ancora li, sulla soglia, indeciso ancora una volta se entrare o scappare e fare finta di nulla.

Forse si era mosso, forse aveva fatto rumore. O semplicemente lei aveva percepito qualcosa che non andava. Si era girata di scatto, alzandosi in piedi.

Ed era li che lo aveva visto.

Inciso sul pavimento di legno, quasi bruciato.

Un disegno intricato di linee e curve, che si intrecciavano tra loro. Una maledizione.

Anzi, un maleficio. Ne aveva visti altri, nei libri che Cassandra custodiva in camera sua, ricordi della madre morta in circostanze misteriose e dedita a quel tipo di magia.Evidentemente però qualcosa non aveva funzionato come doveva. Ecco perché stava piangendo.

La stanza ora era vuota, le tende tirate che lasciavano intravedere la notte cupa e densa dietro il vetro.

Entrò guardingo, i passi che scricchiolavano sulle centinaia di schegge argentee che costellavano il pavimento sino alla parete con il dipinto che ora lo fissava beffardo ed immobile. Poco sotto, su una credenza di legno scuro, una scatola squadrata con sopra lo stesso disegno La aprì titubante con la magia facendo attenzione a non sfiorarla a mani, rompendo il sigillo di ceralacca.

Le parole gli danzavano sotto gli occhi, confondendosi l’una sull’altra, i ricordi di quella sera che tornavano come un veleno acido, facendosi largo nella nebbia del confundo.

Ricordava il suo sorriso, il modo in cui aveva piegato le labbra soddisfatta quando aveva firmato. Troppo soddisfatta, come aveva fatto a non rendersene conto?

Come aveva potuto? Come poteva essere stato così stupido da non pensare che c’era di più da quello che aveva letto di sfuggita, troppo preoccupato per Draco?O solo troppo arrogante?

Era l’accordo con cui aveva concesso ad Abraxas di vivere nelle Ebridi e a Cassandra di occuparsi di lui. O almeno era quello che aveva creduto.

Perché di certo non ricordava quelle scritte che ora lo guardavano maligne. Se solo lo avesse saputo… 

Se solo avesse ricordato…

Avrebbe potuto e evitarlo.

Farò a pezzi quello che ami

Non era stata solo una vuota minaccia, una voce  fastidiosa che rimbombava nella sua testa.

Tornò ad essere quel ragazzino impietrito dalla paura che sperava di aver sepolto per sempre quando aveva preso il marchio nero. Ma questa volta neanche l’amore di narcissa l’avrebbe salvato. Perchè quella che era sembrata fino ad allora l’unica scelta giusta della sua adolescenza, ora sembrava condannare l’unica cosa che avesse mai amato. Proprio quella che pensava di non potersi mai creare sul serio.

La sua famiglia.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX- Giochi di strategia ***


«Non dirmi che sei preoccupata per i GUFO» Lavanda sembrava aver ritrovato il suo buon umore e decisamente un tono molto più conciliante dopo che Pansy era stata eliminata dalla visuale sua e soprattutto da quella di Ron. Eppure anche un’idiota si sarebbe accorta di come lui guardava di soppiatto la Serpeverde durante le lezioni, o di come sembrava sentirne la presenza appena entrava in una stanza. 

E,anche se ovviamente non poteva dirlo a Lavanda, anche Pansy sembrava ossessionata da quella che considereva una svenevola arrivista e bigotta che metteva troppo burrocacao aromatizzato alla ciliegia ( che, per inciso,secondo lei era talmente antiquato che neanche la signora grassa se lo sarebbe messo, come aveva commentato più volte a voce neanche troppo bassa). Senza contare tutti i piacevoli nomignoli con cui chiamava la Brown ogni volta che si riferiva a lei, direttamente o indirettamente, tamburellando sulla spilla da membro della Squadra di inquisizione appena  che la povera grifondoro provava a replicare.

«Tu decisamente dovresti essere più che preoccupata, Citronella. Sei una tale frana che se non sei ancora saltata in aria con tutto il calderone è solo per merito di Millicent… il che è tutto dire.»borbottò la suddetta Serpeverde al suo fianco tamburellando sul tavolo per attiarre l’attenzione della Granger. Se per i primi quattro anni di scuola aveva sperato che sparisse da un giorno all’altro e soprattutto che le rivolgesse meno parole possibili, ora si era trovata  con suo grande disappunto a rimpiangere non solo quello stupido di Lenticchia ma persino qualla sapientina della Granger. Le mancavano i pomeriggi passati a discutere su ogni virgola di un articolo, cercando di alzare la voce sempre più dell’altra in modo da avere l’ultima parola, avere una finta crisi isterica accusandola di rendere la sua perfetta visione di Ambwitchious una serie di filipicche adatte per ottuagenari filobabbani costipati. A dire la verità aveva scoperto che la suddetta prefetto perfetto Granger aveva un vocabolario piuttosto vasto di insulti, tanto che in una frase una sera d’autunno mentre discutevano se inserire o meno un inserto sulle figure femminili di maggiore ispirazioni per le giovani streghe, palesemente un tentativo della Natababbana di intervistare la sua professoressa preferita, nonché quella di cui tessava incessantemente le lodi, ne aveva usati ben diciotto in un’unica frase. Senza neanche riprendere fiato.

«Lavanda, razza di idiota. L-a-v-a-n-d-a. Cos’è è troppo difficile?» rimbeccò la Brown scuotendo i morbidi riccioli color miele.

«E’ solo noioso. Come chi lo porta» rispose Pansy con una scrollata di spalle, approfittando per pizzicare il braccio della Granger, aggiungendo a voce bassa: « E tu, piantala di guardare la Greengrass sbagliata e concentrati sulla pozione, non ho nessuna intenzione di prendere un brutto voto per causa tua»

«Io non prendo brutti voti Parkison» sibilò esasperata Hermione riprendendo a triturare la pelle dri grilacco, continuando ad osservare di sottecchi la nuca elegante di Daphne.«E potresti fare qualcosa anche tu, no?»

«Potrei ma probabilmente sarebbe meglio di no, anche perché significherebbe sorbirmi decine e decine di minuti di un tuo snervante blaterare su come stia sbagliando a girare la pozione» continuò Pansy avvicinando lentamente la bacchetta verso il calderone e guardando Hermione con un sorrisetto  mentre muoveva il polso agitandola in aria.«E tre…due..uno..»

«Credi che sia cosi stupida? Non fai sul serio…anche perché non ti puoi permettere un brutto voto in Pozioni, e perfino Piton dovrebbe ammettere che non è colpa mia. E cosa stavi blaterando della Greengrass sbagliata?»

Il sorrisetto di Pansy si fece più intenso: «Ahah. Sapevo che mi avevi sentito. Per farla breve: secondo Millicent ci sarà una nuova coppia alla firma delle promesse»

Sentendo il suo nome la Bulstrode, che a malapena grugniva nei confronti di Parvati, chiusa in un altrettato risentito silenzio, si girò a guardarla con un sorrisetto di sufficienza..

«Non preoccuparti Granger, non sei invitata. Non voglio quelli come te intorno. Già  condividere le stesse aule è un supplizio sufficiente. Almeno l’hai smessa di cercare di infilarti nel letto di Draco. Di’ la verità…lo avevi maledetto vero? O gli  hai rifilato qualche stupida pozione? Caso vuole che ora che non gli stai più appicciata sia rinsavito.Lo sappiamo tutti che gli è sempre piaciuta Astoria, anche se ai suoi i Greengrass non vanno a genio.» gongolò ridacchiando.

«Non ti azzardare a parlare così ad Hermione, Bulstrode» gli occhi di Lavanda, solitamente dolci, brillavano di rabbia. «Non ti conviene.»

«Sennò cosa fai, Brown? Chiami la McGranitt.. sai che paura… » la canzono la Frobisher seduta alla fine del grande tavolo delle ragazze, accanto ad Hannah Abbot. « Che ne dici se parliamo con la Preside invece?»

«Chiudete il becco. Sto cercando di concentrarmi» ringhiò Daphne girandosi di scatto verso la compagna di banco meritandosi un’occhiata lunsingata da Hermione « Capisco che a te non interessi nulla degli esami ma ci sono persone tra noi che vorrebbero prendere dei buoni voti ai GUFO»

Il battibecco che stava per nascere tra le due Serpeverdi fu interrotto da una serie di startnuti piuttosto poderosi provenienti dal bancone dei ragazzi poco dietro di loro.

«Longbottom sei per caso diventato un dannato Erumpet ?» sbottò Piton alzando a malapena gli occhi dal grosso tomo che stava sfogliando, prestando poca o nulla attenzione alal classe, o almeno fingendo di farlo. «Cinque punti in meno a Grifondoro»

«Ma ha solo starnutito!» sbuffò Ron accigliato mentre la pozione sua e di Zabini assumeva un malsano color grigio topo .«Neanche quello possiamo fare?»

«Nella mia aula? NO. E ringraziate i commenti poco interessanti del Signor Weasley per altri cinque punti in meno alla sua casa» continuò secco.«E,Signor Malfoy, ti ho visto»

Draco sbatté gli occhioni grigi con fare innocente,facendo scivolare  con nonchalance le dieci bacche di ellodoro che avrebbero salvato la pozione dell’amico sul tavolo di marmo «Weasley ha perso le sue, Professore, e Blaise me le ha chieste in prestito. Potevo forse rifiutargliele?»

«Sarebbe molto poco carino professore. Non è colpa mia se sono stato appaiato con un decerebrato goffo come Velenottero» chiosò Blaise prendendole ed aggiungendole velocemente alla pozione che iniziò a sobbollire di un bel color porpora.

«Vedo che il professor Hagrid vi ha dato una cultura eccellente non’è che dire. Addirittura ho scoperto che i velenotteri hanno degli arti prensili.» borbottò Piton, senza però azzardarsi a togliere neanche mezzo punto alla sua casa.

Di nuovo un potente startuto.

«Scusi Professore, è che c’è un odore un po’ forte oggi» si scusò Neville lanciando un’occhiata ad Harry che però ricambiò perplesso.

«In una aula di Pozioni con una dozzina di calderoni accesi e studenti dalle  capacità discutibili? Non c’è che dire, oggi è un giorno pieno di sorprese» commentò laconico il Professore indugiando con il suo sguardo enigmatico sui grandi tavoli. «Vorrei poter togliere altri cinque punti a Grifondoro per questo commento idiota ma ho paura che se continuate così vi ritrovereste con un punteggio sotto lo zero…e onestamente mi sembrerebbe fin troppo imbarazzante persino per voi»

Hermione aveva seguito in silenzio lo scambio di battute. Nonostante Piton  lo avesse liquidato come un idiota Neville aveva ragione: c’era un odore strano nell’aria. E anche quella pozione.. perché Piton aveva fornito loro solo una lista di ingredienti senza spiegare nulla? Aveva detto che si trattava solo di un compito di preparazione per gli esami ma non aveva detto a cosa serviva, neppure il nome della pozione. Ingredienti e procedimento, quello era  tutto. 

«Certo che è davvero un idiota»ghignò la Frosbisher girandosi verso la Abbott alla sua destra:«Ehi di un po’ tu senti niente? E voi gemelline inquietanti?»

Hannah scosse la testa titubante mentre Padma e Cali si limitarono a guardarla con sufficienza.

«E ora silenzio, voglio che scriviate una pergamena sulle vostre impressioni sulla pozione. Provate ad indovinare a cosa serva e descrivetela nei particolari. Nei particolari ho detto, non fatemi leggere cose ancora più idiote di quelle che ho già sentito oggi. Avete mezz’ora a partire da adesso. E non voglio più sentire una parola.» 

Hermione si girò verso Neville che la stava ancora guardando e sorrise dentro di sè.

E bravo Neville. Era evidentemente figlio dei suoi genitori.

Scribacchiò di nascosto un orario sul quaderno fino a quel momento pressocché intonso di Pansy. Avevano bisogno di parlare.



 

***



 

«E’ arrivata questa,Padrona. Da Hogwarts» Krippy era entrato porgendole una busta dal forte odore di rose appassite e rossetto lasciato al sole, guardandosi intorno di sottecchi «Krippy può portarle altro, padrona? Non vuole mettersi seduta per rispondere padrona? Starà più comoda…»

Narcissa lo liquidò con un gesto stizzito della mano, bevendo l’ultimo sorso disponibile della pozione che le aveva lasciato Andromeda,mentre l’emicrania che l’affliggeva si allentava solo di pochissimo. L’incontrodi quel pomeriggio da Imma Bulstrode era stato un incubo esattamente come si aspettava ma quello era il momento di stringere a sé tutti i lacci che aveva tessuto nel corso degli anni. Dopo quello che era successo lo scorso anno c’erano state molte voci sul fatto che la strage e la mancata rinascita di Lord Voldemort fossero state colpa sua e di Lucius, ma non essendoci nessun testimone non avevano mai potuto formulare le loro accuse apertamente. Quando la Granger era stata ammessa ufficialmente al galà di Natale i commenti acidi e stizziti non erano mancati ma anche in quel caso erano stati messi a tacere senza troppi problemi, lasciando intendere non troppo velatamente che era stata costretta dalla Scuola a supportare il progetto di Pansy. E poi sempre meglio di sentirla blaterare sugli stupidi elfi domestici , commentava sempre con un sorrisetto? E poi se il magazine fosse andato male potevano sempre dare la colpa a lei e salvare la reputazione di Pansy.

Ovviamente quando poi Draco aveva deciso di presentarsi mano nella mano con la Natabbabbana davanti a tutta Hogwarts il caso era esploso. Era stata invasa di lettere, chiamate tramite camino, visite inaspettate e sicuramente poco gradite per chiedere come stessero lei e Lucius, se fosse quello il motivo della loro crisi coniugale e se avessero intenzione di prendere provvedimenti. C’era voluto tutto il suo autocontrollo per non finire sulla Gazzetta del Profeta come la perfetta erede di Bellatrix Black.

Lei li aveva ascoltati fingendosi annoiata e liquidando il tutto come un’infatuazione giovanile, limitandosi a sorridere composta ogni volta che questa dannata storia usciva, vale a dire praticamente ogni volta che Eliza Parkinson apriva bocca ed assicurando tutti che il suo matrimonio stava benissimo, al contrario dei loro in cui a malapena sopporavano di stare sotto lo stesso tetto. Sempre considerando quelle i cui mariti non erano deceduti, ovviamente.

Qualche giorno dopo la lettera di Draco in cui aveva annunciato di aver messo fine alla sua storia con la Granger (alla quale per inciso non aveva creduto neanche per un attimo: troppo corta, troppo laconica e decisamente un cambio di rotta troppo repentino per il suo volubile ma testardo figlio che aveva passato un mese a recriminare per lettera dopo aver scoperto che la Granger era ancora in contatto con Viktor Krum, proponendo al padre di corrompere il ministro dello Sport Bulgaro per farlo cacciare dalla squadra. E l’aveva scritto sul serio, nero su bianco) era ricominciato  il via via pigolante alla sua porta.

Poi però aveva cominciato ad osservarle, ad ascoltarle veramente. E si era resa conto di una cosa: nessuna di loro sembrava preoccupata di quello che stava accandendo, anzi, sembravano tutte in preda ad una strana isteria collettiva.  Ad essere onesti, all’incontro di oggi sembravano in preda ad un’inspiegabile euforia collettiva.

Irma non aveva fatto altro di parlare di quell’assurdo fidanzamento, vantandosi di come Millicent e Vincent fossero i primi della loro classe ad annunciare un evento del genere che di sicuro sarebbe stato l’evento sociale dell’anno. Narcissa si era costretta ad ingoiare un sorso di té troppo caldo e infuso direttamente nella teiera per non fare una serie di commenti sul fatto che già il fatto che i nomi dei due insieme fossero quantomeno ridicoli, senza contare l’altissima probabilità che nascessero bambini molto brutti oltre che non particolarmente intelligenti. E per i suoi standard, neanche abbastanza ricchi da compensare. Quando avevano ricevuto l’invito alle promesse l’unico commento di Lucius era stato che almeno ora Imma avrebbe smesso di cercare di convincerli di far fidanzare Draco con la figlia, nonostante le avessero detto a chiare lettere che c’erano più probabilità che Draco decidesse di sposarsi con Blaise. Almeno era di bell’aspetto. Quando lo aveva raccontato ad Andromeda le aveva detto che erano due superficiali, viziati ed arroganti ma non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire una risatina. Era certa che anche lei al suo posto avrebbe fatto esattamente lo stesso commento solo che Ted, da noioso Natobabbano Tassorosso qual era, di certo non avrebbe condiviso la sua ironia.

Come erano sopravvissuti quei due per più di due decenni di matrimonio? All’inizio pensava che fosse Andromeda, conoscendola, a decidere per entrambi, testarda come al solito e incapace di ascoltare l’opinione di qualcun altro.

Nelle ultime settimane invece l’aveva osservata quando era con Ted e si era resa conto che in realtà il loro era davvero un equilibrio perfetto. Andromeda, tagliente come sempre nei suoi giudizi, con quel suo sarcasmo cinico che non era cambiato da quando passavano le notti alzate a parlare di tutto e di niente, sembrava sempre cercare con lo sguardo Ted, permettendosi di valutare ogni sua opinione per quanto idiota fosse. E si era dovuta arrendere all’idea che lui l’amasse quanto lei amava Lucius. Aveva sempre considerato Ted un iprocrito buono  a nullo che le aveva rubato una sorella e le aveva costretta a vivere una vita da reietta. Invece aveva constato di persona come la sua solitamente indipendete ed autonoma sorella sembrasse invece cercasse in Ted il suo completamento. Qualche giorno fa era andata a casa sua, decisa a chiederle infuriata perchè diavolo si fosse vista con Lucius senza dirle niente, usando la chiave che la sua sciocca sorella le aveva dato. Ma quando era entrata senza far rumore aveva visto Andromeda e Ted seduti sul divano e anche dallo spiraglio della porta poteva vedere come Ted la stringsse a sé, il suo maglione, troppo bello per non essere un regalo di Andromeda, che si impregnava della lacrime di sua sorella mentre piangeva sul suo petto, il modo in cui lui le accarezzava i capelli e le sussurrava qualcosa, siorandole la fronte con le labbra. Avrebbe voluto corrrere dentro ed abbracciarla forte, piangendo con lei, facendosi parte del suo dolore. Ma poi aveva notato la crostata di rabarbo e fragole lasciata sul tavolo, segno evidente che Molly Weasley era stata li. Come sempre. Lei si che sarebbe stata ben accolta,con i suoi capelli crespi e i maglioni sformati. Non come lei. Troppo purosangue, troppo ricca, troppo snob. Troppo Narcissa Malfoy nata Black.Se ne era andata in un punta di piedi, sentendosi un’estranea. Prima di andarsene, però, si era tolta la peonia che portava tra i capelli e l’aveva lasciata all’ingresso, infilandola nelle tasche del cappotto profumato di gelsomino ed ambra.

Riprese in mano la busta rigirarandola pensierosa, guardando la grafia con troppi svolazzi per essere elegante.Era indirizzata solo a lei, quindi non poteva trattarsi di una comunicazione ufficiale, o almeno non poteva riguardare Draco. Finalmente la risposta al suo invito era arrivata.

La lesse velocemente, incerta se sentirsi rassicurata o ancora più preoccupata. La Umbridge la informava con una cordialità eccessiva e piene di leziosità non necessarie che rifiutava la sua deliziosa proposta di organizzare un evento in memoria del povero Cedric  ma che doveva rassicurarsi perché aveva già preso accordi con l’incomiabile Amos affinché finalmente potessse trovare la pace. Aggiungeva poi una serie di commenti infiocchettati su Draco e sul fatto che  con la sua guida fosse tornato ad essere un ragazzo assennato e fiero del suo sangue.

Narcissa accartocciò disgustata il biglietto lanciandolo lontano. Cosa diavolo ne poteva sapere quella stupida Mezzosangue dagli occhi porcini di cosa fosse o non fosse suo figlio? E se proprio era tanto disponibile perché non glielo faceva incontrare? O meglio ancora perché aveva annullato le vacanze di Pasqua?

Si alzò di scatto, furiosa con sé stessa. Non poteva cadere in quella trappola, non poteva lasciare che le emozioni la rendessero incapace di concentrarsi: quello era il primo contatto diretto che eaveva avuto con quella stupida arrampicatrice sociae. Doveva esserci qualcosa in quel biglietto, un appiglio, un indizio, qualsiasi cosa.

Era la prima volta in vita sua che qualcuno rifiutava un suo invito, Severus a parte ovviamente. Si massaggiò le tempie dolente rileggendo nuovamente il biglietto e cercando di concentrarsi su ogni singola parola.

Era sicura di sè, fin troppo. Una volta Severus le aveva detto che la grafia di una persona può dire molto: l’eventuale incantesimo abbellente era solo superficiale e bastava poco per scoprire cosa si celava sotto. E in questo caso era evidente che se aveva messo molta cura e tempo nella redazione delle prime righe nelle quali raccontava di tutti i traguardi che a suo dire aveva raggiunto come preside, descrivendo con gran dovizia di particolari una serie di antiquate ed assurde regole che aveva inserito, inclusa quella patetica scusa di programma ridotto di Difesa Contro le Arti Oscure. Man mano che progrediva però semrava perdere sempre più il controllo, in particolare nel passaggio in cui descriveva tutti i modi in cui si era assicurata che quella Mezzosangue Mutaforma amante dei mostri non  potesse più sfogare i suoi istinti perversi su nessun altro studente.

Narcissa fece una smorfia, stupida vacca che non era altro. Come osava parlarle in quel tono..come se lei fosse d’accordo…come se potesse condividere quel disusto così profondo che traspariva dalle lettere. Si morse nervosamente le labbra: il rospo aveva ragione… se solo fosse accaduto un anno prima forse quelle sarebbero potuto essere le sue parole, se solo si fosse lasciata andare. Ma sarebbe stata una farsa, una recita perfetta come quelle che aveva messo in atto per tanti anni.

Nessun altro studente…

Non aveva messo il nome della ragazza uccisa,mentre continuava a riferirsi ai Diggory come amici di famiglia. Come se non le importasse, come se non fosse importante. 

Eppure era stata proprio la morte della Turpin ( si, persino lei ne consoceva il cognome) a permetterle di cacciare Silente e diventare la preside della scuola.

Strinse forte gli occhi, c’era qualcosa che la tormentava da quel pomeriggio e che ora sembrava stonare con la lettera. Ma cosa?

Ripassò mentalmente tutte le chiacchere inutili di quel pomeriggio. A rigor di logica non c’era niente, solo chiacchiericci su vestiti, cose da fare, acconciature, gioielli, matrimonio e tradimenti, commenti sui figli.

Irma aveva fatto girare la foto che le aveva mandato Millicent mentre si provava il vestito che le aveva mandato per la cerimonia, ovviamente orrendo, Narcissa l’aveva liquiditata con un sorriso di circostanza ma ora finalmente qualcosa nel suo cervello le diede una scossa.

Irma non si stava riferendo alle promesse, ci sarebbe stato tutto il tempo di portare Millicent direttamente in boutique a farle provare qualcosa che non la facesse sembrare esattamente l’Erumpet travestito da strega con cui la paragonava sempre Draco.

Stava parlando di qualcos’altro. 

Qualcosa che stava per accadere a breve. Ma Eliza non aveva detto niente, neanche un commento sarcastico sul fatto che Pansy non si fosse degnata di informarla e avesse invece deciso di dilapidare i suoi soldi in qualche osceno vestito troppo scollato.

Ripensò alla foto: c’era Millicent che si guardava soddisfatta allo specchio, rigirandosi e facendo svolazzare il taffetà viola ricamato d’argento.

I ricami…. erano strano a pensarci.

Strizzò gli occhi nel tentativo di ricordare meglio quei dettagli che aveva guardato solo di sfuggita. Linee e segni… possibile che fossero rune?

Velocemente andò verso la sua scrivania per scrivere un biglietto ad Irma, una scusa qualsiasi per farsi  mandare quella dannata foto. Ma rimase interdetta quando proprio sopra il suo set da scrittura con le iniziale imbossate, accanto agli inchiostri impastati a mano di un colore che veniva miscelato solo per lei, trovò un quadernino di pelle consunta.

Passò le dita sopra le stelle in rilievo, tremando.

Sapeva di chi fosse quel quaderno.

Regulus Black, il suo amato cugino ormai morto da decenni. 

Ed era certa che non fosse mai stato in casa sua.


***

«Niente giochini con i manichini oggi?» Draco era entrato stranamente silenzioso pochi minuti dopo di lei guardandola con un sorriso stanco prima di abbracciarla stretta,

«Mi pare che tu abbia detto che oggi la Umbridge è particolarmente su di giri,no?» rispose alzandosi leggermente sulla punta dei piedi per baciarlo, senza lasciarlo andare .«Ti piace la stanza?»

Draco rise leggero sulle sue labbra, scostandole una ciocca di capelli dagli occhi e sistemandogliela dietro l’orecchio. Le era mancato quel gesto cosi banale che fino a pochi mesi prima la mandava ai matti perché pensava che fosse una sua strana mania di controllo.Così come le mancava la sua mano che si appoggiava alla schiena ogni volta che erano vicini, sfiorandola come se stesse suonando una melodia che solo lui poteva sentire. Le mancava la sua voce che la chiamava da un lato all’altro della sala Grande e il modo in cui la guardava ogni volta che erano nella stessa stanza, i baci furtivi che si scambiavano nei corridoi cercando di sfuggire all’occhio di falco di Piton e della McGranitt.

«E’ meravigliosa Granger. Sarà perché è vagamente ispirata all’attico di Diagon Alley? C’è persino lo stesso odore di zenzero e cannella dei biscotti che Cockey ci lasciava sul tavolo ogni sera…ed è anche meglio visto che non ci sono Sfregiato e Lenticchia» rise portandosi la mano alla bocca e baciandola «Mi concedi questo ballo?»

Per un attimo Hermione pensò di fargli notare che non c’era musica nella stanza, né tantomeno che aveva pensato ad un grammofono magico quando nella sua mente aveva pensato a quello di cui aveva davvero bisogno in quel momento. Potevano stare insieme poco, con i Gufo ormai a pochi giorni sembrava che Gazza e la Umbridge fossero in preda ad una frenesia inquisitoria.Harry e Ron erano stato messi sotto sorveglianza speciale, così come Ginny ed i gemelli Weasley. Lei se l’era cavata nascondandesi dietro una pila di libri e fingendo un panico da esami che in realtà per la prima volta in vita sua non aveva. Addirittura quella mattina si era trovata a pensare che non le importava nulla di come sarebbero andati i GUFO. Quello che solo pochi mesi prima sembrava l’obiettivo di tutto il suo anno ora aveva improvvisamente perso interesse, derubricato ad un evento come tanti.

L’unica cosa buona era che dopo gli esami finali rimanevano solo un paio di settimane di scuola e finalmente sarebbero potuti tornare a casa.

Ma il ghigno soddisfatto che vedeva sulla faccia della Umbridge non prometteva nulla di buono. E tornare a casa significava anche abbandonare la speranza che Tonks fosse ancora viva, nascosta da qualche parte.

«Cosa pensi che fosse la pozione che ci ha fatto preparare Piton?» si trovò a chiedere stretta a Draco mentre la faceva volteggiare attravero la stanza come se stessero ancora ballando sotto le candele sospese di Villa Black. «E Neville aveva ragione, c’era uno strano odore.»

Non c’era niente da fare, sebbene il suo corpo desiderasse lasciarsi andare, trasportare in un ballo senza musica, la sua mente continuava a rimurginare. 

Draco sbuffò fermandosi e stringendole la testa tra le mani fissandola.

«Cazzo Granger, te l’ho mai detto che sei davvero la morte del romanticismo?» 

«Almeno una volta a settimana. Ma dici anche di amarmi» rispose fingendosi offesa ma non riuscendo a trattenere un sorriso. Quello stuzzicarsi, quella continua tensione in cui passavano dall’insultarsi a non potersi levare le mani di dosso era quello che davvero le era mancato. Lei e Draco non sarebbero mai stati una coppia sdolcinata che si imboccava a vicenda, anche se non c’era dubbio che una parta insana del cervello del Serpeverde aveva pensato un paio di volte di fare qualche gesto inutilmente sdolcinato e romantico tipo regalarle una rosa bianca ogni giorno. Dopo una settimana infatti aveva fatto un bel bouquet e glielo aveva rimandato indietro con un biglietto in cui diceva che lo amava tanto ma che se non la smetteva avrebbe trasfigurato la sua preziosa Nimbus 2001 in un vaso da fiori talmente brutto che lo avrebbe perseguitato nei suoi pretenziosi sogni di interior design altolocato fino alla fine dei suoi giorni.

«Ovvio che ti amo.  E’ che a volte credo che Blaise apprezzerebbe di più le mie attenzioni. Il che non è difficile, Blaise ama essere al centro dell’attenzione sempre. Mi stupisce che non vada in giro a togliere punti solo perchè gli studenti non si prostano ai suoi piedi.» borbottò con le labbra tra i capelli.

«E’ un po’ strano ultimamente no?» chiese Hermione staccandosi da lui e accovacciandosi sul divano candido facendogli segno di fare altrettanto. Draco annuì rovesciando la testa all’indietro sul divano mentre Hermione gli si accoccolava addosso poggiando la testa nell’incavo del suo collo e passandogli le gambe sopra le sue. 

«E chi non lo è? Theodore sembra in preda alle visioni, ormai parla talmente di rado che qualche giorno fa ho pensato che fosse stato vittima di uno scherzo dei tuoi cari amici Grifondoro…ahia, non pizzicarmi! Sai anche tu che ci lancerebbero volentieri dalla Torre di Astronomia se potessero. E Theo ha ragione, non ti sembra che il tuo caro Mezzosangue irlandese dalle manie esplosive si trovi troppo bene con uno come Goyle» si lamentò bloccandole  le braccia tra le sue e stringendosela a sé.

«Riuscirai mai a capire che Mezzosangue non è una descrizione? E poi sai bene che loro non sanno che siete dalla nostra parte…tu che faresti al posto loro a parti invertite?» mormorò senza riuscire ad arrabbiarsi sul serio. Era estenuante sentir costantamente quello che i suoi compagni subivano dalla Umbridge ed ancora peggio sapere che il tutto avveniva sotto lo sguardo del ragazzo che amava e di quella che ormai aveva imparato a considerare un’amica. Non poteva dire a Dean o a Angelina che il sorrisetto di Draco non fosse di soddisfazione mentre venivano puniti con le più assurde scuse dalla preside quanto una maschera che lo distruggeva giorno dopo giorno.

«Quindi?» lo incalzò giocherallando con il bordo della camicia candida.

«Quindi cosa, Granger? Non dirmi che pensi sul serio che io possa pensare che ne sappia più di te in Pozioni. Mi piacerebbe ma non ci casco.» rispose lui fissandola seria in un modo talmente buffo che Hermione non potè fare a meno di ridere.

«Però ogni tanto potresti anche fare finta che sia così, no? Pensi di riuscire a vedere le risposte? Una parte di noi sentiva uno strano odore. Anche tu vero?»

Draco annuì «Non riesco a capire cosa fosse però… e ti posso assicurare che ho passato diverse ore ad odorare pozioni a casa»

Gli passò le dita delicate sotto i cerchi scuri sotto gli occhi, sfiorandogli il dorso del naso «Stai bene?Harry ha ragione, sei più cadaverico del solito»

Draco sbuffò mentre le dita tamburellavano sulle labbra concedendosi un sorriso «Ho sempre pensato che avesse un debole per me, in effetti.»

Rimasero in silenzio abbracciati, riuscendo solo a godere di quei momenti fuori dal tempo, il respiro dell’uno sulla pelle dell’altro, il tocco rassicurante di un abbraccio.

Fu Draco a rompere per primo il silenzio.

«Quando hai rovinato tutta la magia di un perfetto ballo senza musica di un romanticismo che Potter neanche sotto Imperius riuscirebbe ad arrivare,hai detto che hai trovato qualcosa nel tuo baule. Sembrava importante … sicuro più del volteggiare leggera tra le mie braccia…» la punzecchiò mentre con la mano disegnava tracce circolari sulla schiena fino ai fianchi.

«Oh Merlio, piantala. Hai intenzione di rinfacciarmelo ancora per molto?»

«Solo fino a quando anche i nostri nipoti sapranno esattamente che razza di donna senzacuore sei» rise chinandosi a baciarla per soffocare ogni recriminazione. Ben presto però il bacio diventò pressante, un’urgenza che entrambi sentivano come se potesse essere l’ultima volta che sentivano il respiro dell’altro, le mani di Draco che la stringevano come se potesse spezzarsi se solo l’avesse lasciata andare. 

«Bel tentativo, Malfoy. Ma non credere che finisca qui. E comunque ho trovato questo» disse ancora ansimante scendendo dalle sue gambe per prendere la sua borsa e allungandogli un fogliettino scritto in una grafia minuta e delicata.

«Natale non è sempre Natale?» lesse Draco guardandola come se fosse impazzita «Cosa diavolo vorrebbe dire? Tu davvero hai rovinato l’unica ora che possiamo passare insieme per chissà quanto per questo stupido biglietto?»

«E’ il titolo del film che abbiamo visto quando sei venuto a casa mia, ricordi. E a parte i miei c’è solo un’altra persona con cui ne ho parlato. Una che si è sentita male all’idea di te che mangiavi la pizza sul diario dei miei genitori. Una che è cresciuta con un padre Natobabbano che adora questo film» disse Hermione sedendosi di nuovo accanto a lui

«Nymphadora? Mi stai dicendo che mia cugina è viva?» lo stupore di Draco era sincero mentre guardava quel foglietto tra le mani come se potesse da un momento all’altro farsi spuntare le zanne e staccargli un dito.

Hermione annuì titubante.«Non ne ho parlato con nessun altro… io… non vorrei dare false speranze… o potrebbe trattarsi di una trappola»

La grande pendola suonò la mezz’ora. Il tempo a loro disposizione era ancora una volta finito.

«Sai una cosa Granger?» le bisbigliò Draco in un’orecchio «Credo anchiò che sia viva. D’altronde credo che più testarda di lei ci sia solo la madre, non mi stupirebbe scoprire che è nascosta nel castello sotto il naso della Umbridge.»

Poi si alzò chinandosi a darle un ultimo bacio , la mano che le stringeva la nuca «E guarda che l’ho visto che giri sempre con il libro che ti ha dato mio padre, bel tentativo Granger»

Poi più veloce delle sue imprecazioni contro tutti i Malfoy fino alla prima generazione, sparì al di la di quel muro che divideva le loro vite. Prese in mano il libro, seccata che avesse ragione. E le venne in mente una sera di mesi prima, quella in cui tutto era cambiato.

Marietta aveva un libro in mano quando era andata da loro in bilblioteca. Ma la copertina non era di uno dei libri di Madame Prince, l’aveva notato di sfuggita troppo impegnata ad indignarsi per essere stata cacciata per la prima volta in vita sua da un luogo scolastico. Se solo avesse prestato più attenzione... era certa che parte del mistero fosse lì.



 

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX- Promesse infrante ***


Non le era mai piaciuto il Ministero della Magia e ancor meno la gente che lo frequentava: per lo più streghe e maghi scontenti delle loro vite, ingolfati in una routine fatta di carte noiose e ambizioni frustrate. Non li aveva mai compresi, a stento degnati di un secondo sguardo: piccoli ingranaggi necessari a far funzionare il sistema.Niente di troppo diverso dai suoi elfi domestici.

Ma la politica, il grande gioco che c’era dietro quello si, lo aveva capito benissimo. L’idea di far entrare Lucius come Consigliere Politico al Ministero era stato di Voldemort e per una volta lei era stata d’accordo. Ovviamente non era una questione di soldi ma di  conoscenza, di stringere legami ed osservare e poter osservare al momento giusto. E questo sottile gioco di strategia era sempre stato qualcosa che aveva trovato estramamente affascinante. E soprattutto aveva sempre capito l’importanza di stare un passo indietro ad osservare. Era come un ballo, un giro di coppie in cui il vero potere era chi dato nel fare gli inviti. 

Fino a quel momento aveva sempre funzionato, o quasi… 

Per questo il fatto che non fosse riuscita a far ritirare le accuse contro Nymphadora e addirittura non essere riuscita ad essere ricevuta ad Hogwarts la faceva impazzire. Anzi no, peggio che impazzire: la faceva dubitare nuovamente di Lucius.

Che Caramell fosse un idiota lo aveva capito da tempo e quello era stato uno dei motivi per cui avevano scelto di finanziare la sua campagna: doveva essere facilmente influenzabile. Da loro. Non da un’arrivista dai gusti discutibili.

Era qualcosa su cui si arrovellava da tempo, soprattutto dopo che era entrata nella mente del Ministro senza farsi notare, poco dopo che Lupin aveva praticato il primo incantesimo di Legimens. Ovviamente non era come una lettura completa ma era andata alla ricerca di qualcosa di cui non potéva parlare con quel lupom mannaro mezzosangue. E aveva visto gli incontri che aveva avuto con Lucius: sulla scuola, sulla necessità di proteggere il mondo magico, su quello che era successo un anno prima. Coprire il loro coinvolgimento era costato una piccola fortuna ed ancora di più a livello emotivo. L’unico modo per assicurarsi che nessuno potésse collegarli al tentativo di rinascita di Voldemort e ai morti di quella sera era stato finanziare la campagna discriminatoria della Skeeter contro Sirius e il giovane Potter.Niente di nuovo, quindi. Ma aveva visto anche altro, degli incontri di cui Lucius non le aveva mai parlato, in cui non era da solo. Perché aveva presentato Cassandra al Ministro? E,soprattutto, perché non glielo aveva mai detto?

Era per questo che aveva cacciato via Andromeda quel pomeriggio: non le stava dicendo nulla di nuovo, niente che non avesse già sospettato da sola. La faceva infuriare l’idea che persino sua sorella la ritenesse talmente sciocca da non riuscire a vedere tutte le incongruenze, una stupida ingenua troppo innamorata delle apparenze.

E invece aveva notato ogni cosa, incluso il modo in cui Lucius sembrava aver indirizzato sin dall’inizio tutti i contatti con il Ministero, così come le scoperte più importanti su Dolores Umbridge. E sapeva quello che sembrava all’esterno, lo comprendeva benissimo.

Ma conosceva quell’uomo da più di vent’anni, aveva passato più anni insieme a lui che da sola. Aveva imparato a conoscere ogni sfumatura nella voce, ogni muscolo del suo sorriso, ogni increspatura nei suoi gesti e nelle sue parole.

Ed era quello che la preoccupava maggiormente. Era certa che le stesse nascondendo qualcosa e se prima era stata solo una sensazione ora era diventato un macigno opprimente. Nelle ultime settimane inoltre sembrava trovare scuse sempre più implausibili per passare meno tempo possibile a casa. Per un attimo le era sembrato di essere tornata indietro nel tempo, a quando passava notti intere insonni ad attendere il suo ritorno, facendo finta di non sapere cosa stesse facendo al servizio di Lord Voldemort.

Aveva smontato ogni minuscolo angolo del suo studio per cercare un indizio di cosa diavolo stesse accadendo, ma non aveva trovato niente, nel senso stretto della parola. Gli elfi avevano detto di non sapere nulla ed era improbabile che avesse nascosto qualcosa in una delle altre proprietà: era evidente che fosse qualcosa che voleva essere certo che lei non lo trovasse. C’era quindi un unico posto dove potéva averlo nascosto, quello dove passava la maggior parte del suo tempo.

«Suo marito è in una riunione, Signora Malfoy» l’assistente di Lucius aveva provato a fermarla,senza neanche troppa convinzione

«Evidentemente la mia assistente ha scordato di avvisarlo che sarei passata per pranzare insieme. Ma aspetti… rimediamo subito» Narcissa le rivolse un sorriso di sufficienza, mentre l’agenda di lavoro di Lucius le volava in mano prima che la ragazza potésse fermarla. La sfogliò con fare distratto fino  a trovare il giorno giusto. Poi prese con uno svolazzo sulla data odierna mise un appunto e la riconsegnò alla segretaria «Ecco, problema risolto»

«Ma Signora Malfoy, la riunione non finirà prima di un’ora….» tentò di nuovo senza troppo impegno, evidentemente indecisa su cosa fosse peggio tra dire alla moglie del suo superiore che non potéva entrare nell’ufficio del marito quando non c’era o farla entrare quando sapeva benissimo che non avrebbe dovuto permetterglielo.

Narcissa chiuse la porta dietro di sé, chiudendo fuori quella voce fastidiosa frenandosi dallo sbatterla con forza dalla frustrazione.  Era vero quindi, Lucius aveva mentito quando aveva detto di essere impegnato con il lavoro. La sua agenda non aveva alcun appunto dei viaggi di lavoro di cui aveva parlato, né delle cene fino a tardi.

Si massaggiò  le tempie doloranti. Odiava quando aveva ragione su certe cose.



 

***


«Hai fatto caso che Neville è piuttosto strano da quando abbiamo fatto lezione con Piton?» bisbigliò Ron in tono cospiratorio indicando con il mento il banco di Neville e Theo, sistemandosi accanto a Zabini con una smorfia

Harry annuì distratto massaggiandosi il polso. Aveva bisogno di parlare con Hermione, ed ancora di più di vedersi con Ginny, ma erano giorni che non riuscivano ad incontrarsi neanche di sfuggita. Dovevano assolutamente parlare, non era solo Neville ad essere strano: sembrava che una sorta di frenesia avesse contagiato la maggior parte dei suoi compagni di casa, in un’epidemia di bipolarismo che sembrava estesasi persino ai gemelli. Erano giorni, infatti, che quei due sembravano isolarsi da tutti, intenti a confabulare tra loro, sfuggendo a qualsiasi domanda. Persino la rivendita di puffole pigmee aveva subito un rallentamento. Continuavano il commercio di burrobirra presa chissà dove,delle penne autocopianti e dei cioccolatini canarini che cinguettavano un messaggio in codice una volta morsi. Ad un orecchio ignaro potévano sembrare solo degli innocui suoni senza senso…ma bastava acquistare da Fred e George o da Ginny per le ragazze il codice univoco e il gioco era fatto.

Hermione però si era rifiutata di usare quel metodo per comunicare, troppo alto il rischio che qualcuno riuscisse ad intercettare qualcosa di più che non fosse Umbridge faccia da suino o Mi manchi.

A dire la verità, negli ultimi tempi sembrava ossessionata dall’idea che qualcuno li potésse spiare o che ci potésse essere una spia tra di loro. E nulla era valso il tentativo suo e di Ron di dirle che le uniche persone da cui doveva guardarsi era la viscide serpe platinata che ora sedeva al suo fianco e la sua cricca di amici disagiati.

Per una volta, tuttavia, Malfoy non sembrava intenzionato a torturarlo con le sue domande idiote e con gli ancora più inutili commenti sulla Trasfigurazione. Harry era sempre stato piuttosto bravo con la McGranitt, ma da quando la piaga di Hogwarts gli si era incollata addosso come un vampiro ai leccalecca al sapore di sangue, un quarto del suo cervello era impegnata ad elencare insulti e commenti sarcastici per farlo stare zitto, un quarto a vagheggiare tutti i modi in cui la Umbridge avrebbe potuto finire strozzata da un pasticcino avvelenato, e la metà restante un misto confuso di voci sibilanti, visioni di morte, preoccupazione ed ansia che Sirius non si mettesse nei guai e finisse di nuovo ad Azkaban, angoscia per Tonks e un pizzico di speranza che per una volta la sua vita non fosse sempre un emerito casino e che quell’anno da incubo finisse. 

«Potter, ti sei imbambolato per caso?» la voce della McGranitt lo riportò alla realtà, imbarazzato, proprio mentre sognava di brindare con Ginny sopra la tomba della Umbridge, con Sirius di sottofondo che intonava il canto della vittoria con la sua voce baritonale.

«Cos’è non ti piacerebbe la carriera di Auror?» chiese con un sorriso divertito di fronte allo sguardo sconvolto di Harry. Come diavolo erano finiti a parlare di carriere? E soprattutto come potévano pensare al futuro ora? A malapena sapeva se sarebbe arrivato alla fine dell’anno scolastico.

Di nuovo.

«Non ci vogliono ottimi voti ai GUFO, Professoressa? Voglio dire…Harry è sempre stato il migliore della classe a Difesa ma ora…» la voce di Patil sembrava quasi imbarazzata, nel dare voce, da brava Corvonero, a quella che ormai era più che un’evidenza.

Anche se avesse recitato l’intero libro cantando erano infatti più che sicuri che la Umbridge avrebbe messo un Troll ad ogni parola uscita dalla penna di Harry Potter.

La McGranitt sbuffò «Sono certa che eroi di guerra come Malocchio Moody non guardano affatto solo ai voti. E lo dico a tutti voi. Stasera pensate ai vostri punti di forza e non permettete mai a nessuno di dirvi che non valete abbastanza, è chiaro? Neanche ai vostri professori. Non è per questo che è nata Hogwarts...» si infervorò coprendo a grandi passi la stanza sino alla cattedra.

«E a cosa serve allora Minerva, cara?» 

La McGranitt non diede alcun segno di sorpresa o di irritazione per la comparsa improvvisa della Umbrige sulla porta dell’aula di Trasfigurazione, al contrario di Grattastinchi che sembrava piuttosto contrariato.

La Professoressa esibì in un ampio sorriso che non arrivava agli occhi«Talento, ad esempio? Riflessi pronti? Sprezzo del pericolo? Capacità di reazione… e aggiungerei … un certo passo Felpato in caso di pericolo, che dici Signor Potter?Senza contare che il fatto di essere l’unico sopravvissuto ad una maledizione senza perdono potrebbe di certo considerare un requisito molto interessate per un Auror»

Harry rimase in silenzio, il petto che da un lato gli si gonfiava d’orgoglio all’idea di che una delle insegnanti più integerrime di Hogwarts avesse una tale fiducia in lui.  Dall’altro doveva cercare di non sbottare a ridere in faccia alla Umbridge, la cui faccia assumeva sempre più le sfumature fuscsia acceso della giacca che si ostinava a portare. Probabilmente aveva paura che qualcuno dalla luna non potésse vederla, altrimenti non si spiegava il  motivo per cui si ostinava a portare quei colori in confornto ai quali persino i peggiori programmi trash della televisione babbana che zia Petunia continua a guardare di nascosto nel primo pomeriggio mentre faceva finta di leggere libri di letteratura francese rinchiusa nello stanzino in fondo al corridoio sembravano capi minimalisti e d’alta sartoria.

«Non abbiamo prove che il Signor Potter sia stato effettivamente vittima della maledizione senza perdono la notte in cui Lei- sai- chi è morto»

«Oltre la cicatrice di cui tutto il mondo magico parla da più di un decennio O il fatto che Voldemort… e non faccia quella faccia per la misera… Potter fai vedere alla Preside  quello per cui sono stati scritti fiumi di inchiostro, per cortesia e per cui il Signor Malfoy molto poco carinamente ti ha soprannominato Sfregiato Sopravvissuto» rimbeccò la McGranitt  con aria di sfida facendo segno ad Harry di alzarsi.

«Beh tecnicamente lo è. Sfregiato e Sopravvissuto intendo» mormorò Draco accanto a lui prima di alzare le mani in segno di resa di fronte allo sguardo furente della Umbridge.

«Vede Preside? S-O-P-R-A-V-V-I-S-S-U-T-O. Se perfino Malfoy  ci arriva direi che non ci sono dubbi. In ogni caso..» continuò fingendo un’aria fintamente meditabonda che non avrebbe ingannato nemmeno il più stupido dei serpeverde dopo una fumata intensiva delle erbe di contrabbando che giravano nei sotterranei «Posso chiederle il motivo della sua sempre gradita visita  nella mia classe?»

Le labbra truccate di rosa caramella avariata della Umbrige si stesero in un sorriso falso come i galeoni truccati dei gemelli Weasley «Ma cara Minerva non è il caso di illudere gli studenti, non credi? Come stava dicendo il giovane Corvonero i voti di Potter in Difesa contro le Arti Oscuri non sono affatto all’altezza di anche solo pensare di intraprendere la carriera da Auror.»

«Eddie Carmichael» ringhiò la McGranitt spingendo in basso la mano di Malfoy che ancora si lamentava per il non troppo vago riferimento al fatto che lui fosse considerato l’idiota della classe a quanto sembrava visto che persino lui sapeva quello che era successo ad Harry Potter.

«Ma certo, Eddie Carmichael. Come potrei mai non sapere il nome di uno studente?Ho grandi aspettative per te Signor Carmichael. Sempre che tu smetta di accompagnarti a certa gente. O almeno è quello che mi ha riferito il signor Zabini» rimbeccò la Umbridge riferendosi evidentemente alla frequentazione del Corvonero con i gemelli Weasley. Altrettanto evidente fu la gomitata che Ron cercò di rifilare al suo compagno di studio forzato, che però rimase impassibile come se fosse capitato per caso in mezzo a quella storia.

«E io che pensavo che la cosa peggiore che gli fosse capitata quest’anno fosse stata la morte della sua ragazza» non poté fare a meno di commentare la McGranitt con un tono simile ad un gatto pronto a lanciarsi in una rissa. Dietro la porta chiusa Grattastinchi lanciò un ululato di guerra a supporto del pessimo umore della professoressa 

La faccia della Umbridge crollò per un attimo, quasi le avessero dato uno schiaffo, mentre gli occhi le diventavano freddi e acuti come una punta di spillo.

«Nei dormitori. Ora. Le lezioni sono sospese. Approfittate di questo pomeriggio per studiare per i Gufo. E non vi aspettate favoritismi. Neanche tu, Signor Potter. E’ finito quel tempo» sibilò avviandosi a passo di marcia verso la porta, alla massima velocità che i piedi tozzi e corti le permettevano senza rischiare di sembrare un esperimento di Trasfigurazione tra un rospo e una puzzola pigmea color lilla dei Weasley finito male.

«Forse è finito il tempo degli insegnanti di Difesa competenti» non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire Hermione tra i denti talmente stretti che era possibile sentirli scricchiolare ogni volta che la Umbridge apriva bocca.

«Che io sia dannata se succederà. E Signor Potter, posso assicurarti che se lo vorrai ti porterò io stessa di peso a fare domanda per entrare in Accademia, fosse l’ultima cosa che faccio» sbuffò la McGranitt riordinando rumorosamenteamente i libri sulla cattedra. Poi si fermò un attimo «Dieci punti a Grifondoro per l’autocontrollo. E cinque punti a Corvonero per il Signor Carmichael per avermi dato l’opportunità  di chiarire che Potter ha sempre avuto ottimi voti con chiunque sapesse cosa fosse insegnare. E lo dica pure alla preside Umbridge, signor Zabini, sono certa che starà già prendendo appunti»

Blaise fece un sorriso smagliante riordinando pigramente la sua pergamena «Non si preoccupi Professoressa, ho un’ottima memoria. E ora se vuole scusarmi… devo correre nei sotterranei… sia mai che debba spiegare a Draco come arrivarci»

Durante la discussione Neville era rimasto in silenzio, osservando Theodore Nott al suo fianco. In cinque anni di scuola gli aveva prestato raramente attenzione, uno dei pochi Serpeverde che non cercava di rendere un incubo la sua vita.

Era sempre stato riservato, persino tranquillo avrebbe osato dire. Ma non gli era sfuggito come continuasse ad osservare con lo sguardo i suoi compagni, mordicchiandosi nervoso il labbro inferiore. O meglio alcuni dei suoi compagni. Ci aveva messo un po’ ma aveva capito che era interessato solo ad alcune coppie, la lezione di Piton gliene aveva dato la riprova: Bulstrode, Greengrass, Goyle, Fowley, Seamus, Lavanda, Padma, Cali e Hannah Abbot. Non si perdeva una mossa .La stessa cosa che aveva fatto quando era entrata la Umbridge.

Quando aveva parlato di cambiamento lo aveva sentito rabbrividire al suo fianco, impercettibilmente vero, eppure senza alcun dubbio.

Quello che però non aveva notato era che non era stato l’unico ad osservarlo.

Dietro di lui, impegnato a lamentarsi e ad insultare Harry, Draco Malfoy dietro la coltre di acciaio fuso dell’Occlumanzia era arrivato alle stesse conclusioni di Neville Longbottom, il che era certamente strano considerato che probabilmente lo reputava l’essere più lontano dal suo modo di essere dell’intera Hogwarts.

Ma lui a differenza di Neville non era noto per la sua pazienza.

E con Theodore Nott ne aveva avuta fin troppa per qualcuno con sangue Black nelle vene.


***

 

La riunione con il Consiglio Economico era stata un disastro, continuava a cercare di seguire il discorso ma l’unica cosa cui riusciva a pensare  era quella dannata pergamena.

Dopo la prima visita alla casa di Hogsmeade di Cassandra aveva fatto esaminare la pergamena con la maledizione ad ogni esperto di arti oscure che conoscesse o che gli venisse in mente. Non c’era stato neanche bisogno di obliviarli, era bastato camuffare i nomi e pagarli profumatamente. D’altronde gente come loro era abituata a tenere la bocca chiusa, di certo non era la cosa più terribile che avessero mai visto. Anzi, un paio erano rimasti così colpiti da quel maleficio da essere quasi emozionati. Un maleficio perfetto, avevano detto. 

In quel momento era come se gli fosse calato un velo nero sugli occhi. Una parte di lui, quella razionale sapeva perfettamente che avrebbe dovuto mantenere la sua facciata imperscrutabile, fingere che quello fosse un manufatto oscuro come un altro. D’altronde nel corso degli anni aveva portato e acquistato da loro veleni ed artefatti di ogni tipo.

Se Burgin non si era lasciato sfuggire del Diario di Riddle di certo non lo avrebbe fatto con un foglio di carta che decretava la morte di suo figlio.

Lo sapeva, sapeva tutto. Razionalmente non c’erano dubbi.

Ma l’idea che qualcuno potésse sorridere mentre la sua famiglia, l’unica cosa cui avesse mai davvero tenuto, veniva fatta a pezzi, l’aveva fatto andare fuori di testa.

Quando aveva di nuovo ripreso il controllo di sé l’unica cosa che riusciva a sentire era la mano indolenzita e appiccicosa. Guardò distrattamente l’uomo disteso in terra , rannicchiato e tremante. Lanciò una pila di galeoni d’oro sul bancone, lanciando un incantesimo per ripulirsi dalle macchie di sangue prima di uscire dal negozio come se nulla fosse, il cartello di chiusura che appariva sulla porta alle sue spalle.

Non si era sentito meglio. Anzi.

Era solo così dannatamente stanco, gli sembrava di non riuscire a dormire da una vita. Ogni volta che chiudeva gli occhi le immagini di tutto quello che aveva ignorato nel corso degli anni tornavano a tormentarlo, a mostrargli quanto fosse inadeguato ancora una volta.

Ma gli incubi peggiori erano quelli in cui si trovava di fronte ad un tomba di pietra scura,austera e semplice, le lettere dorate che brillavano in tutta la loro crudeltà.

 

Draco Lucius Malfoy, 05/06/1980-21/12/1996

 

Chiuse gli occhi massaggiandosi la base del naso, cercando di ricacciarle in un angolo della mente dove potésse fingere di dimenticarle. La giornata si preannunciava ancora lunga e sperava di riuscire a passare di nuovo ad Hogsmeade. Stava smontando quella casa pezzo dopo pezzo, alla ricerca di qualcosa che potésse dargli speranza, combattendo ogni minuto contro le immagini di quello che era successo tra quelle stanze.

La sua segretaria però sembrava davvero troppo nervosa. Era vero che il Ministro scalpitava per avere il discorso in occasione dell’incontro con gli ambasciatori di Bulgaria e Ungheria, ma il fatto che stesse attaccata alla porta del suo studio torcendosi le mani era un po’ troppo.

Quando lo vide arrivare si allontanò di scatto, tornando alla sua scrivania,iniziando a scrivere nervosamente su una pergamena. Per la miseria, a volte si chiedeva per quale dannato motivo gliel’avessero imposta.

«C’è una persona nel suo ufficio» si limitò a dirgli senza alzare gli occhi dalla pergamena  e passandogli la sua agenda, quella dove era assolutamente certo che fino a quella mattina non ci fosse scritto niente «Vede, è segnato»

Dannazione, ci si metteva solo Narcissa. Doveva immaginarselo che avrebbe notato qualcosa, ma sperava di ritardare il più tardi possibile quel momento. Voleva solo avere qualcosa cui aggrapparsi, una speranza da darle.

Aprì la porta sperando di sbagliarsi, che sua moglie per una volta si comportasse come la bella bambolina senza cervello che tutti pensavano fosse, troppo intenta a spendere soldi in vestiti e arredamento.

Ovviamente sapeva perfettamente che era assolutamente impossibile, forse solo nel caso in cui fosse stata confusa talmente tanto da non ricordare più chi fosse.

Non aveva però valutato il grado di caos che una donna così minuta potésse creare. Ogni singolo libro, ogni incartamento, ogni piuma d’oca o pezzo di pergamena che fino a poche ora prime era ordinatamente riposto sugli scaffali e nei suoi cassetti, ora era in terra in una confusione che forse solo una Bombarda Maxima avrebbe potuto spiegare.

E seduta sul divano di pelle, perfetta come sempre, con la schiena dritta e il vestito color oltremare impeccabile, sua moglie lo guardava con uno sguardo furente.

«Basta con le stronzate Lucius. Ora mi dirai esattamente cosa sta succedendo o ti giuro che mi sentiranno urlare sino ad Hogsmeade. Perché è li che passi le giornate quando invece dici di essere troppo impegnato con il tuo lavoro,vero?»

Lucius rimase in silenzio, lanciando un colloportus dietro di lui, prima di sedersi di fronte a sua moglie. «Se ti dicessi che ho un’amante ci crederesti?In fondo è da un bel po’ che non stiamo insieme…da poco prima che iniziasse tutta questa storia»

Narcissa sbuffò: «Non provare a trattarmi da idiota Lucius. Sirius ti ha visto andare e venire dalla casa di quella dannata psicopatica. Cos’è sei in vena di nostalgia? O forse è da li che dirigi quello che accade ad Hogwarts?»

«Io… cosa? Oh andiamo pensi sul serio che sia stato io a mettere quella stupida donna al posto di Silente.»

«Tu odi Silente.»

«Anche tu.»

«E odi i Babbani.»

«Ti devo ricordare che è nella tua famiglia che c’era l’usanza di dare la caccia ai Babbani nei giardini della Villa?»

«E di certo non ti faceva piacere che nostro figlio si fosse innamorato della Granger. Ti ricordi quando volevi che lo convincessi a lasciarla?» gli occhi di Narcissa erano ridotti ad una fessura color lapislazzulo

Lucius si alzò di scatto, incapace di continuare a stare fermo. «Quello è stato prima»

Sua moglie lo guardò sospettosa «Prima che scoprissimo che Cassandra e tuo padre volevano sacrificarlo? O prima che finalmente scegliessi la tua famiglia invece dell’Oscuro Signore?»

«Davvero? Sei venuta fin qui per rinfacciarmi tutti i miei sbagli?Oh credimi, tu non hai davvero idea di quali siano stati realmente» ringhiò, cercando di concentrarsi nel sistemare almeno una parte del caos della stanza.

«Visto che non ti degni di parlarmi e inventi scuse idiote per non stare a casa nostra. Com’è che abbiamo dovuto fare quello che sai con Caramell? Tutti questi anni di lavoro e davvero non riusciamo a far uscire nostro figlio da quella dannata scuola?»

«Sai meglio di me che la cosa più importante per il Ministero è che nessuno possa pensare che Lui possa essere tornato.Quale dannato Ministro secondo te vorrebbe scatenare il panico tra gli elettori? E poi se Potter e tuo cugino stessero zitti per dieci minuti forse non ci sarebbe tutto questo casino»

«La figlia di Andromeda forse è morta, te ne rendi conto? Hai idea di come possa sentirsi mia sorella all’idea che nel migliore dei casi si stia nascondendo da qualche parte, incinta, e che l’intero dipartimento degli Auror la stia cercando per ucciderla? Sempre che non sia già cadavere da qualche parte» sbottò, raggiungendolo accanto alla libreria dove sembrava essere passato un tornado. 

Lucius si appoggiò al legno,chiudendo gli occhi «Ti prego, Cissy. Ti prego, stanne fuori. Dammi il tempo… il tempo di cercare una soluzione.»

Narcissa si fermò un attimo ad osservarlo. Non se ne era resa conto fino a quel momento, troppo impegnata a cercare una prova della sua consapevolezza, ma ora nella luce crudele di un luogo estraneo riusciva a vedere quello che finora aveva evitato di notare. 

Si avvicinò sino a posargli una mano sulla guancia, sfiorandogli la tempia con il pollice. C’erano nuove rughe attorno i suoi occhi che non aveva mai visto prima, le occhiaie più profonde nonostante i tentativi di nasconderle con gli incantesimi.

«Te l’ho detto un anno fa e te lo ripeto di nuovo, Lucius. Io e te, insieme. Qualsiasi cosa sia, dimmela.Non tenermi fuori. Non posso sopportarlo» disse appoggiandosi a lui e portandogli la mano sul costato poco sotto il seno, dove entrambi sapevano esserci il bucaneve « Me l’hai promesso»

Le dita dell’uomo indugiarono sulla stoffa liscia, la memoria che tracciava i contorni sulla pelle, prima di stringerla a sé affondando il viso tra i suoi capelli, inebriandosi del suo profumo dolce e delicato. In quel momento voleva solo andarsene da li, tornare a casa con lei. Aveva pensato tante volte di parlargliene, aveva cercato le parole, un modo per poter liberarsi di quel macigno sulla coscienza e di certo non pensava che sarebbe accaduto nello squallido Ministero della Magia, con la sua segretaria dietro la porta che probabilmente si chiedeva che cosa diavolo stesse accadendo, visto l’incantesimo sigillante e silenziante che c’era nella sua stanza.

Eppure sapeva che se non l’avesse fatto in quel momento non ci sarebbe più riuscito, che il muro si sarebbe nuovamente rialzato tra di loro.

«Al...al mio processo ho visto Cassandra toccare Draco. Sapevo che c’era qualcosa che non andava ma in quel momento ho pensato che fosse solo stanchezza. O forse paranoia. In fondo il bambino stava bene, era contento. Ti ricordi la sera che sono tornato a casa? Non la smetteva più di parlottare… era così felice» iniziò, cercando di recuperare il filo di quella ragnatela di intrighi che si era dipanata nel corso degli anni.

Narcissa sorrise al ricordo: nonostante la tensione di quel giorno, il ricordo di Draco abbracciato al padre che si rifiutava di lasciarlo andare anche solo per un momento era ancora uno dei suoi ricordi più teneri. Non aveva notato niente,Lucius aveva ragione, Draco era stato assolutamente normale quel giorno e per molti anni a seguire.

Sino a quella sera in cui l’avevano trovato agonizzante nello studio di Lucius

«Gli ho messo un sigillo, sono quasi certo che sia stato mio padre a suggerirglielo. Probabilmente pensava che se fossi finito ad Azkaban la scelta migliore sarebbe stato eliminare Draco e tentare di avere un altro figlio con lei. Deve averci ripensato quella sera, quando l’abbiamo immobilizzato. Mi ha ingannato Narcissa, e io come un idiota ci sono cascato»

Per un attimo Narcissa desiderò ardentemente non aver mai deciso quel giorno di alzarsi dal letto e di marciare sino allo studio di Lucius. Voleva correre via di li il più velocemente possibile, non sentire quello che finalmente suo marito stava finalmente per dirle. Ma non potéva. Non era da lei. Era stata codarda tante volte in vita sua, spesso aveva deciso di far finta di niente. Ma non quella volta, quella volta non potéva permetterselo.

«Ricordi quanto stava male? Nemmeno Severus era riuscito a trovare una soluzione. E allora ho pensato che forse mio padre lo avesse maledetto… per quello gli ho proposto l’accordo per le Ebridi. Ma lui ha voluto che chiamassi Cassandra, ha detto che solo lei potéva sciogliere la maledizione. Pensavo di averlo in pugno Cissy… e invece no… erano più furbi. L’accordo che io pensavo di aver firmato non era quello reale. C’era molto di più…»l’uomo scivolò sulla schiena lungo la parete stringendosi la testa tra le mani «E’ tutta colpa mia Cissy, tutta colpa mia»

Narcissa si sedette accanto a lui sul parquet lucido della stanza, sopra una pila di pergamene scritte in carattere minuti.

«Cosa c’era in quell’accordo, Lucius?» mormorò accarezzandogli una spalla «E cosa c’entra quello che sta accadendo ora con tutta questa storia?»

L’uomo si raddrizzò gli occhi ancora chiusi, tirando fuori dalla tasca un minisculo quadratino di legno che con un tocco di bacchetta si ingrandì sino alle dimensioni di una piccola scatola.

Lucius la aprì e le porse il contenuto all’interno, guardandola finalmente, gli occhi plumbei come l’acciaio fuso.

«Tonks e Lupin erano convinti che Diggory sia coinvolto in qualche modo. E avevano ragione, anche se non per il motivo che credono loro. I disegni che ho acquistato avevano un cartiglio in controluce… lo stesso che avevo visto una volta a casa di Cassandra ad Hogsmeade. Per questo sono andato li… e ho trovato questa», disse senza guardarla porgendole la pergamena.

Le parole ballavano sotto gli occhi di Narcissa, disgustose e sbeffeggianti che irridevano il suo dolore.

Draco sarebbe rimasto in vita solo fino a quando lei avesse continuato a vivere. Se le fosse successo qualcosa mese dopo mese avrebbe perso parte della sua anima, fino a diventare un guscio vuoto. E poi anche il suo corpo avrebbe ceduto.

Non ti resterà più niente. Ti toglierò tutto, come tu hai fatto con me.

Le ultime parole dell’accordo. Era evidente, Cassandra non voleva assicurarsi la sua incolumità, forse alla fine non le interessava neanche

L’unica cosa che voleva davvero era la vendetta.

Pura e semplice.

Ma cosa c’entrava Diggory?


«Andiamo a casa, Lucius. Dobbiamo andare da Andromeda. E poi cascasse il mondo dobbiamo andare ad Hogwarts»


Ho sempre adorato il modo in cui la McGranitt tiene testa alla Umbridge e come puoi aver notato una parte di questo capitolo trae ispirazione da uno dei litigi tra le due donne.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI- Un solo passo per cadere. Un solo passo per capire. ***


«Oh andiamo, muoviti! Alla Preside non piace che stiamo qui a perdere tempo e guardare quattro quadri inutili.Non vorrai mica farci finire tutti in punizione, vero?Ehi Weasley, fai attenzione… … i miei libri» imprecò Marietta Edgecombe mentre saliva insieme ad Ava e Cho verso la torre Ovest.

«Ops… sai com’è… senza allenamenti sto perdendo il mio senso dell’equilibrio» disse Ginny scusandosi con talmente tanta poca convinzione mentre scendeva verso Luna, rimasta imbambolata davanti ai quadri, che neanche si premurò di fingere di essere dispiaciuta. 

In realtà  la sua intenzione era quella di sgattaiolare verso  la Stanza delle Necessità. C’era infatti qualcosa che non le tornava in quella stanza e non era il fatto che l’avesse trovata Neville per caso un paio di anni prima e che da allora fosse stata usata per lo più per incontri clandestini. C’erano stati un paio di episodi che non le tornavano: maledizioni che venivano deviate all’ultimo, cibo mai visto ad Hogwarts prima che continuava ad apparire dal nulla, la sensazione che qualcuno li osservasse. E c’era un’altra cosa che aveva notato: accadeva sempre e solo quando erano presenti i Serpeverde. Ed era assolutamente certa di aver trovato un fiocco rosa dietro la poltrona dove era seduta Hermione, una volta. Ovviamente la sua razionale e attualmente impegnata nel tentativo di rovesciare il regime della Umbridge amica sembrava non averlo notato. Così come non aveva notato che era evidente che tra Draco e Theo ci fosse della tensione. E che Fred e George fossero fin  troppo tranquilli per non stare tramando qualcosa, ma quello di certo era l’ultimo dei problemi.

Era li, a pensare a come superare il fiume di studenti che sembravano aver preso d’assalto le scale per tornare ai dormitori, quando aveva sentito una serie di commenti sprezzanti da parte di alcune ragazze di Corvonero rivolti verso Luna. Le piaceva Luna, e non solo da quando aveva preso parte all’Esercito di Silente. Le era piaciuta dal primo anno, quando erano salite sulla stessa barca e aveva passato l’intera traversata del Lago con il naso all’insù e con addosso quegli assurdi occhiali rosa. Le era piaciuta ancora di più quando era stata l’unica a non trattarla come una povera derelitta dopo la questione del diario di Tom Riddle. Si era solo seduta accanto a lei in infermeria e le aveva fatto domande sul diario, sinceramente incuriosita.Senza quella traccia di rimprovero per essere stata così stupida da non bruciarlo appena era apparsa la prima parola. Anzi se n’era uscita con un “figo” quando le aveva detto che quel ragazzino sembrava capirla «Forse a quel tempo era ancora normale. Beh non proprio normale… diciamo non così… Voldemort»

Era stata la prima volta che aveva riso di cuore da tanti mesi, la morsa gelida che le stringeva il petto ogni volta che pensava a quello che sarebbe potuto accader che si scioglieva., mentre Luna cercava di togliersi le perline colorate che le si erano incastrate tra i capelli, una maglia rosa con un vermicolo africano color verde acido disegnato sopra, e una scarpa sola…l’altra dispersa chissà dove.

Per questo aveva trovato sempre piuttosto irritante il modo in cui la trattavano le sue compagne di casa. Aveva cercato anche di intervenire qualche volta, ma Luna l’aveva sempre fermata, incapace di portare rancore. O forse era troppo superiore persino per accorgersi di quelle frecciatine.

Lei no però e non aveva alcuna intenzione di diventarlo a breve. Anzi, si complimentava con sé stessa per non aver buttato quelle due direttamente giù per le scale, esattamente come Fred e George le avevano insegnato a fare da bambina. E al diavolo i libri, tanto ormai era evidente che la loro preparazione in Difesa contro le Arti Oscure quell’anno fosse  andata a farsi benedire.

C’era qualcosa però di strano nel modo in cui la Edgecombe si era quasi buttata a rincorrere il libro che era scivolato lungo i gradini di marmo. Perché non aveva usato un accio?

Tante ore di esercitazione e poi aveva i riflessi di una lumaca carnivora. N, non era esatto… sembrava quasi assente, uno strano sguardo negli occhi.

Le ricordava qualcosa..no qualcuno…

Ma certo! Il pomeriggio in cui Ron era apparso sul campo da Quidditch sbraitando come un matto contro lei ed Harry. Gli stessi movimenti rallentati, di pochissimo eppure il suo occhio abituato a prevedere le mosse degli avversari non la ingannava. La scala decise di muoversi in quel momento ruotando sino ad incastrarsi bruscamente con il pianerottolo del corridoio dal lato occidentale, poco prima del corridoio dell’aula di Trasfigurazione da dove stavano sciamando gli studenti del quinto anno preceduti da un corrucciato gatto fulvo dalle ragguardevoli dimensioni ed un carattere affatto conciliante.

A riprova che la sua nomea non fosse affatto immeritata Grattastinchi superò agilmente una serie di studenti, facendone inciampare più di qualcuno, prima di saltare soffiando e ringhiando neanche fosse un cane da guardia sino a giungere ai piedi della scalinata. Annusò con fare sospettoso la pila di libri che era ora distesa in terra, cercando di mordere la Corvonero che tentava di riprendersi le sue cose.

«Ma di chi diavolo è questo gatto indemoniato?» si lamentò Marietta, evitando per un soffio che gli artigli del felino  mettessero in atto quello l’accusa che gli si era rivolota, guardandosi attorno alla ricerca di aiuto.

Ginny si accovacciò dietro la balustra, fingendo di doversi allacciare le scarpe e sbirciando attraverso le fessure di legno, sperando che nessuno l’avesse vista. Di certo Grattastinchi era noto per non essere proprio un gatto amichevole ma quella reazione era esagerata persino per lui. E già in passato aveva dimostrato di avere un ottimo intuito… forse se davvero gli avessero permesso di mangiare Crosta a quest’ora sarebbero stati a programmare le vacanze estive e a pensare alla finale della Coppa di Quidditch della scuola.

«Credo che sia solo nervoso. Come i quadri… vedi? Sono sempre più scuri, Astoria aveva ragione» Luna aveva sceso le scale saltellando continuando ad osservare i pochi dipinti rimasti alle pareti di Hogwarts e che erano sopravvissuti alle manie della Umbridge. Poi si era rannicchiata sulle ginocchia all’altezza di Grattatastinchi, i lunghi capelli biondi che le ricadevano davanti gli occhi. Rimase immobile per qualche secondo, quasi stesse ingaggiando una conversazione privata. Qualunque cosa fosse, parve funzionare perchè, seppur di malavoglia e con un ultimo miagolio di disappunto, il felino si spostò dal libro, prima di girarsi sdegnato e iniziare a correre verso i piani inferiori, mentre Luna si rialzava porgendo il libro a Marietta che quasi sembrò strapparglielo dalle mani.

«Smetti di parlare con i Serpeverde. Non ne esce mai nulla di buono. Chiedilo alla Granger se hai dubbi» sibilò con acrimonia Ava Quirditch, apparsa dietro Marietta «E se Merlino vuole, da domani non dovremmo neanche più lavorarci insieme, finalmente questa stupida farsa del lavoro in coppia finirà»

«A me piace Astoria. E’ divertente» si limitò a rispondere Luna con una scrollata di spalle «Interessante il tuo libro comunque, me lo presti? Mi piace il disegno del cavallo»

Marietta non rispose limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, prima di affrettarsi verso la sala comune eppure anche da dietro il suo nascondiglio a Ginny non era sfuggita la sua espressione turbata. Né il modo il cui la Qurditch le stringeva il braccio,cupa in volto.

E Luna aveva ragione, c’era qualcosa di strano nei quadri: la maggior parte era vuota e liì dove fino a poco tempo fa i colori erano vividi e brillanti ora tutto sembrava ammantato da una patina di fumo denso.

La Stanza delle Necessità doveva aspettare. Ora doveva assolutamente parlare con Hermione.

 

***

 

Dall’altra parte della scuola, anche Pansy cercava un modo di sgattaiolare via dai sotterranei. Prima le piaceva la Sala Comune di Serpeverde: era ricca, elegante, senza quegli stupidi orpelli di dubbio gusto che sicuramente c’erano nelle altre Case. Niente stupide stelle decorate sul cielo, niente motti inneggianti al coraggio e soprattutto niente copertine patchwork. Legno scuro, divani in pelle, quadri eleganti. E il rumore rassicurante delle acque del Lago Nero che li proteggeva e che riluceva rassicurante dalle vetrate incastonate nella pietra.

Ora invece le sembrava di essere in una tomba, rinchiusa tra persone che non la capivano e che sembravano parlare una lingua diversa dalla sua. Anche l’acqua del Lago Nero sembrava essere inquieta, Pansy poteva quasi sentirla. Non le parlava più come se le stesse cantando una ninnanna, lasciando che il suono ritmico la calmasse. Ora era come se stesse urlando, sempre più impetuosa.I gorghi che prima erano solo nel punto più profondo del Lago, ben lontani dal Castello, ora invece lambivano sempre più le mura di pietra dei sotterranei, ben visibili attraverso i vetri.

Aveva passato innumerevoli ore a guardare il ritratto della Dama del Lago, sperando che le parlasse. Finalmente ricordava la sua voce, quel tono caldo e ipnotico che l’aveva fatta sentire  a casa, il profumo dolce di quella eterna primavera che per un attimo le aveva fatto desiderare non tornare più indietro. E a,dire la verità, se avesse saputo che le cose sarebbero andate così, che si sarebbe di nuovo trovata prigioniera delle aspettative degli altri avrebbe lottato con le unghie e con i denti pur di non farsi riportare indietro.

Forse c’era un altro modo per raggiungere il bosco di Hogsmeade, oltre il quadro di Serpeverde che ora sembrava essere svanito. Aveva cercato più volte in quel corridoio, ma tutti i quadri sembravano spariti, sostituiti dai messaggi motivazionali della Umbridge. E poi non era neanche certa che potesse funzionare al di fuori della notte di Samhain.

Ma doveva esserci un modo. Forse la Granger avrebbe potuto usare quel suo tanto decantato cervello per trovarlo invece di concentrarsi solo sul detronizzare la Umbridge. Aveva detto che scappare non era una soluzione. I problemi si affrontano, Pansy.

Stupida Grifondoro che non era altro. Possibile che tre mesi a Serpeverde e un anno con il Serpeverde più Serpeverde che le venisse in mente non le avessero insegnato niente.

Aveva addirittura provato a coinvolgere Lenticchia.

Non possiamo lasciare gli altri in questa situazione,Pansy. Sono nostri amici. E Harry è precoccupato che Sirius faccia qualcosa di sciocco se venisse a sapere cosa sta succedendo.

Quindi loro dovevano essere ostaggio della stupidità di un ultratrentenne mai cresciuto? Ma cosa davano da mangiare a Grifondoro? Pane e stupidità?

Allora aveva provato con Potter. Di sicuro convinto lui quegli altri due imbecilli si sarebbero accodati, piuttosto che lasciarlo solo.

No, io ho un conto in sospeso con quella li. E poi devo…

E si era interrotto. Come aveva fatto anche solo a credere che avrebbe potuto farlo ragionare?

Ma dagli stupidi Grifondoro poteva aspettarselo. Anzi era stata una stupida anche solo a pensare di trovare persone ragionevoli.

Quello che invece non si aspettava era che la stupidità fosse così contagiosa.

Quando lo aveva proposto a Draco, praticamente costringendolo sotto minaccia di raccontare alla Granger ogni singolo momento imbarazzante della sua infanzia che cercava di nascondere ma di cui lei aveva conservato delle prove proprio per poterglielo rinfacciare in caso di necessità.

L’aveva guardata con quegli occhioni grigi da cucciolo indifeso, quello sguardo che le faceva venire voglia di colpirlo ripetutatemente con il libro di Pozioni fino a fargli tornare sulla faccia un’espressione normale, chiedendole se non fosse impazzita per caso.

E per andare dove scusa? E poi io non lascio la Granger con quella pazza.

Non aveva neanche fatto finta di dispiacersi quando gli aveva dato un gran pugno sul braccio che sapeva fargli ancora male, assicurandosi di pestargli un piede con il tacco quadrato delle scarpe prima di scomparire. Stupide regole della Umbridge. Se avesse avuto ancore i suoi tacchi, quelli si che avrebbero fatto il loro dovere nel punire quello che una volta era una persona, se non intelligente, perlomeno furba.

A proposito di tacchi… dove diavolo aveva tirato fuori quel paio di stivali degni del gigante barbuto Astoria Greengrass arrivata a passo di marcia di fronte a lei? Di certo non era stata mai tipa da scarpe vertiginose…ma per Salazar Serpeverde, un minimo di decenza.

«Ti sta cercando la Montemorcy, Pansy» le disse senza troppe cerimonie.

«Merlino, ma nessuno intende lasciarmi in pace una volta tanto che vorrei ripassare per i Gufo?»borbottò, chiudendo senza troppa convinzione il libro che teneva in grembo e che, ovviamente, non aveva minimamente a che fare con gli esami.

«Ancora con questa storia dello studio, Pansy? Andiamo, sai bene che la Umbridge non permetterà ai professori di metterci voti bassi quest’anno visto che il suo voto di condotta vale il quaranta percento del voto totale» Millicent  ed Elettra erano entrate in quel momento, seguite da una Daphne piuttosto immusonita.

«Non abbiamo già fatto questo discorso Millie? E poi per Merlino ma cosa ti sei messa in faccia?» aveva replicato Pansy rimasta per un attimo a bocca aperta nel vedere quello che secondo la sua compagna di casa evidentemente doveva essere un trucco per una serata importante e che piuttosto sembrava reduce da una lezione con la Sproute.

«Devi avere ancora qualche residuo di Weasley addosso che non ti fa ragionare. Domani sarà una serata importante e Millie vuole essere perfetta» rispose la Forbisher accarezzando la stoffa del divano prima di piantare lo sguardo su Astoria «A te invece non sembra interessare molto. Daphne non ti ha detto che è arrivato il tuo vestito? La Preside si è raccomandata così tanto.. E smettila di fare comunella con quell’idiota di Corvonero,credi che non ti abbiano visto?»

«Sai com’è.. a casa nostra ci hanno sempre insegnato ad essere cordiali con tutti. Dovresti provare, non ti ucciderà mica» Daphne aveva risposto stizzita, prendendo la sorella per il polso e trascinandola via. Stranamente, però, Astoria sembrava oppore una resistenza notevole, quasi preferisse restare a sentire il resto della conversazione. E per una che di solito non aveva un gran feeling con la maggior parte delle sue compagne di casa non era di certo un comportamento usuale.

«Ma cosa c’è domani? E soprattutto perchè IO non ho un vestito?» aveva rimbeccato Pansy imbronciata,nella perfetta imitazione della sé stessa frivola e irritante che aveva sempre mostrato agli altri. 

«Oh non preoccuparti, lo vedrai. Sarà una giornata speciale. Davvero, davvero, speciale. Ma non preoccuparti sono certa che anche tu avrai il tuo momento di gloria. Non è questo che cerchi sempre? DI stare al centro dell’attenzione?» gli occhi di Millicent erano diventati due fissure che la fissavano facendola sentire a disagio. O forse non era lo sguardo della sua ottusa compagna di casa a farla sentire così. C’era qualcosa nell’aria, una cappa pesante che non riusciva ad ignorare. E in più le era sembrato di vedere un’ombra nello specchio sopra al camino.

«C’è chi è nato per farsi notare, Millicent. E ora scusami, devo proprio scappare, non vorrei far arrabbiare l’unica professoressa con cui ho degli ottimi voti. Io.» commentò tagliente salendo velocemente i gradini di pietra ricoperti dal tappeto verde.

Dietro di sè la voce di Astoria

«Nervosette oggi eh? Io vado… sia mai che vi calmiate un po’. Suggerirei un uso delle bacchette più creativo… o delle piume di zucchero se proprio volete» 

Rimase un attimo sulla porta, perplessa. Dove l’aveva già sentita quella storia delle piume di zucchero? E soprattutto da quando Astoria Greengrass, la brava bambina del quarto anno, parlava in quel modo?

Ma non c’era tempo, doveva sbrigarsi ad andare alla Montmemorcy. E poi aveva decisamente altro a cui pensare.

 

***
 

Quando Severus le aveva detto della storia del bucaneve nero sulla pelle di Ginny Weasley per un attimo aveva pensato che fosse definitivamente impazzito dopo aver passato troppo tempo nella mente del giovane Potter. Come se lei già non lo sapesse. Aveva riflettuto molto su quel tatuaggio eppure non era riuscita a trovare una spiegazione logica. Non aveva neanche provato a spiegargli che in realtà Nymphadora Tonks l’aveva già avvertita. Beh perché dicendoglielo avrebbe dovuto ammettere parte di un piano che era stata ben attenta a nascondergli.

D’altronde a volte sembrava davvero incapace di mantenere la calma e pensare lucidamente.

Come quando,dopo averle raccontato dei tatuaggi di Weasley, Parkinson e Granger aveva camminato avanti indietro infuriato blaterando di stupide streghe che prendevano pessime decisioni e che non lo stavano mai a sentire. Dopo una buona mezz’ora di imprecazioni e commenti di cui non aveva capito niente, alla fine era venuta a capo della faccenda: a quanto pareva sua zia Narcissa aveva un tatuaggio speculare a quello che era apparso sulle ragazze.

Conosceva bene quel tipo di magia e sapeva per certo che c’era lo zampino di sua nonna. Che poi fosse una cosa assolutamente idiota e che sua madre si sarebbe infuriata quando le avrebbe raccontato cosa aveva fatto il suo prezioso fratello minore e quella nuora che sembrava adorare, era tutto un altro paio di maniche.

Se non fosse stata per quella situazione di catastrofe imminente, sarebbe stato quasi divertente.

Cockey si materializzò accanto a lei con una tazza fumante di infuso di lavanda e miele e un paniere pieno di dolcetti alla cannella, i suoi preferiti. Di certo non era un buon segno.

«Miss… la nostra ospite… non credo che stia bene. Continua ad urlare che vuole andare a casa» borbottò guardandola con occhi lacrimosi.

Come se fosse così facile farle cambiare idea.

«E tu le hai detto che lo facciamo solo per proteggerla? E che fintanto resterà dentro quella stanza nessuno le potrà fare del male? E che se decidesse di collaborare sarebbe più facile per tutti noi?»chiese pigramente mordendo un biscotto, il sapore del burro e delle spezie che le riempiva il palato.

«Si, Miss. Ma non vuole sentire ragioni. Dice che si staranno preoccupando per lei…mi ha chiesto di mandare un messaggio, uno piccolino piccolino per far sapere che sta bene. Che dice Miss, possiamo mandare un messaggino?» chiese speranzosa, sventolandole sotto il naso i biscotti fragranti e deliziosi anche in quel periodo dell’anno.

«No.» rispose secca, facendo sparire un altro paio di dolcetti, prima che l’elfa delusa li portasse via da quello che sembrava essere il suo umano non serpeverde preferito. «Piuttosto,è vero che la Umbridge ha chiesto agli elfi di preparare una cena speciale per domani?»

Il grande fiocco color melanzana oscillò pericolasamente mentre Cockey annuiva «Si, Miss. Ma soprattutto ci ha chiesto di svuotare la Sala Grande. E di prepare le giare d’acqua, Miss. Decine di giare ripiene d’acqua. Anche con la magia è un gran lavoro, lo sa Miss? E Dobby continua a dire che non è un buon segno, che il professor Silente non avrebbe mai fatto prendere l’acqua dal Lago Nero. Non si fa, Miss. No, no»

Per un attimo Niamh rischiò di strozzarsi. Come diavolo osava quello stupido rospo vestito di rosa pensare anche solo per un attimo di rubare l’acqua del Lago Nero?

Poi l’attraversò un secondo pensiero. Il veleno, lo stesso che sembrava aver colpito il suo mondo e per cui era risalita in superficie alla ricerca del catalizzatore di quell’energia negativa… e se fosse proprio quello che cercava la Umbridge? 

Sentì un brivido alla base del collo. Quando Nymphadora le aveva parlato della data di un giorno e un anno dalla morte di Lord Voldemort aveva avuto un pessimo presentimento. E le ultime notizie non avevano fatto altro che confermare i suoi sospetti: Severus le aveva fatto leggere i compiti dei ragazzi.

Le loro pozioni ovviamenti erano solo degli specchietti per le allodole. Non come i cerchi di rune incisi sotto le loro sedie e che avevano controllato dopo che se ne erano andati.

Granger, Potter, Weasley, Longbottom, così come suo cugino e i suoi amici avevano sentito distintamente l’odore di catrame di Betulla, l’odore caratteristico di chi era posseduto da un’anima malvagia.

Molti altri, troppi, invece non avevano notato niente. Inclusa la dolcissime Hannah Abbot, la stessa cucciola Tassorosso che aveva accusato Nymphadora.Compresi fin troppi membri di quello che avevano chiamato sEercito di Silente.

Nymphadora aveva detto che c’era una terza persona con lei quella sera, una che dava gli ordini. Troppi però gli indiziati e senza l’appoggio della Preside non era rimasta che una sola cosa da fare, visto che ormai il tempo a loro disposizione era finito: organizzare il suo, di esercito.

Ma prima c’era una persona con cui voleva parlare, qualcuno con cui nonostante tutto aveva un legame di sangue.

Theodore Nott Junior. Il suo fratellastro.


***

Essere un Prefetto aveva sempre i suoi indubbi vantaggi, quali quello di potersene andare in giro pressocché indisturbato. Essere membro della Squadra di Inquisizione ancora di più, visto che la Umbridge non sembrava granché preoccuparsi di dove andasse o cosa facesse, al contrario della maggior parte degli studenti. Ma il privilegio maggiore sembrava provenire ancora una volta dal suo nome e da quello della sua famiglia. 

All contempo era la cosa che gli procurava i maggiori fastidi: la Umbridge l’aveva costretto ad ascoltare per ore uno sproloquio su come, secondo le astruse percezioni di quella psicolabile, dopo il grande evento finalmente tutto sarebbe tornato al suo posto. Addirittura gli aveva comunicato gongolando che quando tutto sarebbe stato apposto, era certa che Narcissa avrebbe fatto di tutto per starle affianco nella sua nuova e fulgida carriera.

Era evidente che non conosceva sua madre. Pur volendo soprassedere sugli standard piuttosto stringenti dell’ultima Black non diseredata, era certo che sua madre mai e poi mai si sarebbe fatta anche solo fotografare accanto a quell’orrido rospo vestito di rosa. Neanche se suo padre l’avesse pregata in ginocchio, pur di salvare le apparenze con il Ministro.

In mezzo a quel discorso delirante , tutto ciò su cui Draco riusciva a focalizzarsi era la data che lampeggiava in lettere rosa metalizzate nel grande calendario da muro dietro di lei. Era già passato un anno? Com’era successo?

Se solo chiudeva gli occhi gli sembrava di essere di nuovo li, nella stanza senza finestre in cui era tenuto prigioniero, a cercare di elimare un ricordo dopo l’altro. Piccole fiale colorate in cui imprigionare tutto ciò che lo aveva reso felice. Ricordava bene la sensazione che lo colpiva alla bocca dello stomaco, quella consapevolezza che non se la sarebbe cavata con qualche Cruciatus.

La Umbridge parlava e lui sentiva solo la voce melodiosa e crudele allo stesso tempo di Cassandra che rideva, il suono che sovrastava persino il comando della Cruciatus di suo nonno.

Finalmente sarai utile a qualcosa- gli aveva mormorato reinnervandolo dopo che aveva perso i sensi, mentre sentiva la ferita sul collo bruciare come se ci avesse passato il sale.

Si portò istintivamente la mano sulla nuca, trasalendo sentendo una lieve irregolarità della pelle. Com’era possibile? Era certo che suo nonno non lo avesse mai colpito in quel punto. E anche la cicatrice di quella sera… era sul collo, poco sotto la mascella. I suoi l’avevano portato dai migliori medimaghi che fossero riusciti a trovare ma per quanto avessero provato era rimasto un segno bianco appena percettibile, come sul costato e sull’addome. Ma sulla nuca… li non aveva mai avuto niente a quanto ricordava.

La voce di Cassandra nella sua mente semprò aumentare di volume, quel tono fintamente materno con cui lo scherniva ogni volta dopo uno dei loro incontri « Chissà cosa direbbe la tua mammina, sapendo che razza di figlio ha»

 

No. Doveva smetterla. Stava diventando un’ossessione. Ormai gli sembrava di vedere la sua ombra negli specchi, sentire il suo profumo nelle stanze, la voce che lo rincorreva nel sonno. Eppure era certo che non fosse il solo a sentirsi così.

Aveva provato nelle settimane passate a parlare con Theodore ma non c’era stato niente da fare, ogni volta sembrava volatilizzarsi. Parlargli in camera poi, era diventato impossibile, tra Blaise che lo seguiva come una dannata occamy con le uova e quell’erumpent di Goyle che sembrava imporvvisamente aver imparato a comprendere la loro lingua.

 

Finalmente la Umbridge sembrò finire il suo sproloquio lasciandolo libero, congendandolo con un : «Puoi andare a prepararti mio caro ragazzo, saranno dei giorni estramemente ricchi di emozioni»

 

Chiuse la porta dietro di sé, limitandosi ad un cenno della testa, segno che aveva compreso, anche se in realtà gli sembrava di aver tenuto la testa sott’acqua tutto il tempo .

Grattastinchi lo aspettava fuori dalla porta, gli occhi gialli che brillavano nell’oscurità. Fece per accarezzarlo ma il gatto gli sfuggì miagolando e correndo forsennato per le scale. Arrivato a metà si fermò, fissanadolo.

«Sei testardo come la tua padrona», borbottò  decidendosi a seguirlo. «Chi mai me l’avrebbe detto che avrei preso ordini da un gatto. O da una Grifondoro. O da una natabbabbana. Per Salazar Serpeverde… sto diventando un cazzo di Weasley. Fortuna che almeno sono ricco»

Grattastinchi sembrò non scomporsi dei suoi commenti, limitandosi a rallentare e a fargli strada ondeggiando la grossa coda fulva, ancheggiando soddisfatto.

Arrivato in cima però si fermò, appiattendosi nell’ombra. Ancora una volta il gatto aveva avuto ragione, quasi riuscisse a leggergli nella mente: nel corridoio c’era Theo, finalmente solo. O meglio, senza Blaise e senza altri Serpeverdi.

Peccato che ci fosse qualcun altro con lui. O almeno così sembrava. Con chi diavolo stava parlando?.

Velocemente si acquattò dietro una colonna , cercando di non fare rumore. Raramente aveva provato invidia per qualcuno, visto che c’erano ben poche cose che non potesse comrparsi. Ma per avere il mantello dell’invisibilità di Potter in quel momento avrebbe volentieri svuotato la sua camera alla Gringott. Tanto, male che andava, c’era quella dei suoi ad aspettarlo.


«Dovete smetterla, le cose stanno andando troppo oltre» la voce di Theo era bassa e minacciosa, come mai l’aveva sentita. Di solito era calmo, educato, il perfetto bravo bambino che nessuno pensava potesse stare a Serpeverde.

Una voce femminile, che l’irrideva : «Non provarci, Nott. Ci sei dentro quanto noi. Anzi, se proprio dobbiamo essere onesti sei stato tu a dare il via a tutto»

«Io non lo sapevo… io… lei mi ha costretto… non pensavo che saremmo arrivati a questo punto» aveva ringhiato Theo. Anche da quella distanza poteva vedere che aveva tirato fuori la bacchetta.

Di nuovo una risata, quasi innaturale « Sempre pronto con una scusa, eh. Ti sei nascosto dietro la tua facciata da piccolo orfano maltrattato. Di un po’ …lo sanno i tuoi amichetti di quello che hai combinato?O darai la colpa a qualcun altro anche di questo?Abbassa questa bacchetta, tesoro. Sai bene che non servirebbe a niente»

Silenzio.

Di nuovo la voce di una ragazza, quasi distorta: «Tu pensa a Malfoy, Nott. Io penso alla Granger»

Un bagliore e le sue peggiori paure si avverarono: con chiunque stesse parlando Theo aveva i colori di Grifondoro.Ma quella voce… si maledisse per non aver mai prestato attenzione a quegli stupidi dai colori oro e giallo che non fossero Potter e la sua cricca.

Poi per un attimo sentì il cuore fermarsi.

Hermione era in pericolo.

Doveva avvertirla.

A qualunque costo

 

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII- Giù la maschera ***


«Sorbetto al limone? Ti ringrazio, Signor Weasley»

Percy rimase sulla porta, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio sotto lo sguardo cristallino del vecchio preside.

«E’ anche il mio preferito» borbottò senza avvicinarsi. «Anche se di solito non piace a nessuno. Preferiscono tutti la cioccolata, la crema o persino il caffè. A nessuno piace il limone. I miei fratelli dicevano sempre che il limone è un gusto noioso come…» 

«Tu non sei noioso, Signor Weasley. E neanche il sorbetto al limone, te lo posso assicurare. Sempre meglio di uno al gusto cerume, non credi?» rispose il mago, sedendosi finalmente al tavolino. «Se avessi la mia bacchetta potrei richiamare un’altra ciotola così da poterlo dividere con te. Ma la mia bacchetta è…»

«Requisita dal Ministero. Sa... in attesa dell’indagine… hanno paura che lei scappi, o peggio. E’ per questo che è rinchiuso qui. Ma meglio di Azkaban, no?» Percy si sistemò la cravatta nera, un regalo di Penelope per la sua promozione, che solitamente ostentava con grande piacere e che ora sembrava soffocarlo.

Forse era per quello che Silente aveva smesso i completi tre pezzi in cui l’aveva visto ritratto nelle vecchie foto per delle molto più comode tuniche.

«E’ questo che ti preoccupa, Signor Weasley? Che io possa scappare?» chiese con un sorrisetto divertito.

«E’ molto grave quello che è successo, Preside. Una ragazza è morta»

«Non sono più il tuo Preside, Percival. Né di nessun altro a quanto pare. Hai ragione, è molto grave quello che successo ed è colpa mia: ho abbassato la guardia e non mi sono accorto che il male si aggirava per Hogwarts»

A quelle parole Percy sentì stringere lo stomaco, mentre i ricordi di Tonks ragazzina alla Tana continuavano a tornargli in mente. I suoi capelli rosa agitati dal vento mentre correva a perdifiato buttandosi giù dalle colline vicino a La Tana, il profumo delle sue gomme da masticare babbane che portava sempre in gran quantità ad ogni visita, nonostante l’odiosa abitudine di fare quei disgustosi palloncini colorati che faceva scoppiare con estrema soddisfazione proprio vicino al suo orecchio. Charlie, Billy e Dora che si arrampicavano sull’albero dietro la casa e passavano le ore a parlottare tra di loro, escludendo ancora una volta. Troppo piccolo per loro, troppo grande e troppo dotato di senso di autoconservazione per voler passare il tempo con i gemelli. E quindi, ancora una volta, si trovava in un angolo a giocare da solo.

L’aveva odiata, era vero, ma allora era solo un ragazzino troppo silenzioso e troppo quieto rispetto ai suoi fratelli. Quando era entrata alla scuola per Auror ed era andata di corsa a raccontarlo a Molly e Arthur era stato felice per lei. Aveva i suoi dubbi che fosse capace di seguire le regole, eppure era stato genuinamente contento che avesse realizzato il suo sogno.

Ma era colpa l’aria della Tana, il suo superiore lo diceva sempre.

Devi pensare come uno di noi …

E lui ci aveva provato, con tutta la ferrea determinazione che aveva. Cercava di essere uno di loro quando si versava il caffè, che odiava, al posto del tè che beveva di solito. Cercava di essere uno di loro quando salutava Penelope con un bacio sulla fronte quando si incontravano ogni mattina alle nove meno cinque in punto davanti all’incrocio con Diagon Alley. Cercava di essere uno di loro quando passava l’intera mattina ad eseguire minuziosamente e diligentemente ogni ordine gli venisse impartito, ridendo alle battute dei suoi superiori  e annuendo alle riunioni. Ma la sera, quando chiudeva gli occhi, era esausto.

«Remus mi ha sempre parlato molto bene di te. Diceva che eri uno dei suoi studenti più dotati» continuò Silente,accarezzandosi la folta barba bianca.

A sentire quel nome Percy fece una smorfia. Si era fidato di Remus come mai di nessun’altro prima. Aveva pensato che lui l’avrebbe capito, che finalmente l’avesse visto.

Invece era tutta una farsa.

«Il Ministro dice…» iniziò la litania che si ripeteva ogni mattina davanti allo specchio ma subito le parole gli morirono in gola quando Silente alzò un dito davanti a lui.

«Non mi interessa cosa dice il Ministro, voglio sapere tu cosa pensi? Credi davvero che Nymphadora Tonks abbia attirato ed ucciso Lisa solo per spezzare la maledizione? Tra l’altro quella è una gran fandonia, se vuoi saperla tutta.» 

Percy rimase in silenzio, la voce di Caramell e della Umbridge che gli rimbombavano in testa cercando inutilmente di cancellare quelle parole. Mise la mano nella tasca della giacca, per prendere una caramella al miele, la sua unica concessione alla dolcezza. Sotto le dita però al posto della scricchiolante carta color oro si trovò a toccare i bordi lisci e lucidi di un biglietto piegato. 

Lo aprì con circospezione, mentre davanti a lui i volti sorridenti della famiglia che aveva abbandonato ridevano felici.

«Non c’è bisogno di diventare qualcun altro, Signor Weasley. Se già speciale di tuo» gli sorrise Silente mentre divideva il sorbetto, ancora perfettamente integro, in un’altra coppetta di vetro smerigliato rosso e oro apparsa nel nulla «Tieni, vieni a mangiare. A nessuno piace il gelato squagliato. Neanche se è al limone»


***





 

Sin dal primo giorno di scuola aveva sempre pensato che il giorno prima dei Gufo sarebbe stata estremamente nervosa, che avrebbe inseguito chiunque nella vana speranza di sentirla ripetere per l’ennesima volta un incantesimo piuttosto difficile, anche se sapeva bene che nessuno seriamente avrebbe potuto correggerla. Eppure riguardare per la centesima volta appunti che sapeva  a memoria, scorrere le righe di libri che conosceva parola per parole, ripetere all’infinito qualcosa che ormai faceva parte di lei era sempre stato il suo modo di affrontare le prove accademiche. Sorrise tra sé, ripensando a quando Lupin aveva fatto affrontare loro i Mollicci e il suo si era rivelato essere la McGranitt che la informava di aver fallito tutti gli esami?

A pensarci adesso le veniva quasi da ridere. E non perché ormai sapeva bene che il suo livello fosse ben al di là di quello standard dei Gufo (e della pagliacciata tirata su dalla Umbridge,poi, neanche a parlarle) ma forse perché sapeva quello che avrebbe visto ora una volta affrontato il Molliccio. Qualche settimana fa Ron l’aveva presa in giro mentre si trovavano nella stanza delle necessità, chiedendosi dove fosse andata la vera Hermione, quella che considerava il farsi espellere la cosa peggiore che le potesse mai capitare, quella per cui le regole erano qualcosa da cui non poter deviare neanche per sbaglio.

Ora invece lo trovava divertente.

Sì, era vero. Era stato divertente organizzare l’esercito di SIlente, guardare Harry insegnare agli altri, una naturelezza che cresceva giorno dopo giorno, vedere gli sguardi sorpresi e soddisfatti dei suoi compagni quando finalmente un incantesimo che aveva pensato impossibile per le loro capacità finalmente riusciva.

Non puoi fidarti di loro.

La voce di Draco le risuonava in testa, chiara come l’ultima volta che l’aveva messa in guardia. Ne era nata una furiosa litigata, con lei che l’aveva accusato solo di essere geloso e di essere il solito Serpeverde incapace di fidarsi degli altri.

Ah come con Codaliscia, intendi?

Aveva accusato il colpo ma la cosa non l’aveva fatta demordere. Anzi, le era tornata una gran rabbia.

No, come tuo padre che infila un libro maledetto nel calderone di una ragazzina di undici anni,Malfoy. Ma non preoccuparti tra poco tornerai a farti coccolare da tua madre, lontano da tutti noi Sangue Sporco.

Puoi insultare i miei quanto ti pare, Granger. Puoi sputare persino su tutti i Serpeverde mai smistati, ma sei troppo intelligente per non renderti che è da idioti fidarsi di chiunque sia disposto a baciare il culo a Potter. 

Meglio di farlo con una che tortura i ragazzini, Malfoy. 

E se n’era andata sbattendo la porta della Stanza delle Necessità, incurante in quel momento che qualcuno potesse sentirla e fuggendo via da quello che lui le stava urlando dietro.

E poi c’era una cosa di cui non poteva parlare neanche con lui. Era cambiata, decisamente. Da quando era stata nel passato, ancora prima del sogno in cui aveva goduto nel dare fuoco ad Hogwarts, c’era una parte di lei che reclama sempre maggiore attenzione. Era quella che si era risvegliata la sera del rituale in cui avevano salvato Narcissa.La stessa che l’aveva spinta a provare uno degli incantesimi che aveva trovato nel libro che le aveva regalato il padre di Draco, legandolo alle firme sulla pergamena di coloro che si erano impegnati a mantenere il segreto dell’Esercito di Silente.

Ovviamente però a quel testone dagli occhi grigi che la facevano impazzire non aveva potuto dirlo. E non solo perché sicuramente gliel’avrebbe rinfacciato sino alla fine dei suoi giorni. La verità era che avrebbe dovuto ammettere che aveva ragione, che la sua parte più profonda la stava mettendo in guardia contro un pericolo nascosto.

Da allora non si erano più incontrati, né scritti. Aveva aperto il quaderno più volte con la penna in mano per cercare un contatto, ma l’aveva sempre richiuso senza scrivere una parola. E poi aveva sempre troppa gente intorno ultimamente: Lavanda e Parvati, poi, sembravano non lasciarle un attimo di spazio, convinte che avesse bisogno di amiche dopo la sceneggiata di Draco in Sala Grande. E se da un lato era loro grata,dall’altro non sopportava più il loro chiacchiericcio incessante sui vestiti, trucco e capelli. Da qualche giorno erano poi ulteriormente peggiorate, lanciando incessantemente gridolini estasiati di fronte allo specchio. Chissà per chi si stavano agghindando così poi.

Fortunatamente quel pomeriggio il dormitorio era stranamente silenzioso, le sue compagne di stanza sparite chissà dove. Perlomeno era stato silenzioso fino a quando Ginny non era entrata come un tornado, saltando sul suo letto e fermando le tende chiuse con una sorta di bottoncino dorato che dopo poco si dipanò in mille fili, avvolgendo l’intera struttura.

«Prototipo di Fred e George… serve per chi ha partner troppo rumorosi e non vuole disturbare i compagni di stanza. Una speranza per il futuro, l’hanno chiamata. E per speranza intendo che sperano di venderla a tutti gli studenti di Hogwarts dopo che la Umbridge e le sue regole bigotte se ne siano finalmente sparite in un buco del Ministero» spiegò velocemente al suo sguardo interrogativo, poi aggiunse perentoria «Sta accadendo qualcosa. Luna ha ragione i quadri stanno diventando sempre più scuri…anzi no è come se stessero perdendo i colori. E poi c’è la storia della Stanza delle Necessità»

«Quale storia della Stanza delle Necessità?» chiese. Dei quadri si era già accorta da tempo, da quando Luna ne aveva accennato la prima volta durante una riunione dell’Esercito di Silente.  Ma c’era un’altra cosa che la tormentava… affacciandosi dalla Torre di Grifondoro qualche giorno prima le era sembrato di vedere molto più verde rispetto al solito. Non una cosa sconvolgente ma le era tornato in mente la prima volta in cui aveva aperto il Giardino Segreto da piccola, restando quasi sommersa dalla valanga di rampicanti attorno alla porta d’accesso disegnata con tanta accuratezza nel libro illustrato. Aveva sempre avuto una memoria fotografica, sin da bambina. Di certo Erbologia non era mai stata la sua materia preferita ma era assolutamente certa che l’ultima volta che si era affacciata era certa che non ci fosse alcun cespuglio di rovi nei pressi del campo da Quidditch, per quanto deserto fosse al momento.

Ginny per tutta risposta rovistò un attimo sotto il maglione, per poi porgerle un fiocco color rosa confetto.

«L’ho trovato dietro al divano della Stanza delle Necessità. E quando ci sono i Serpeverde gli incantesimi sembrano stranamente rallentare senza colpire il bersaglio. E’ successo quando Draco ha cercato di maledire Ron, ma anche quando lui ha cercato di lanciare uno stupeficium piuttosto forte contro Malfoy. E poi il cibo… hai notato che quando non ci sono gli altri continua ad apparire in continuazione. E, Merlino mi aiuti, non so cosa ci sia in quella marmellata di albicocche ma ti giuro non ho mai assaggiato niente del genere. E sai bene di chi sono figlia.»

Hermione soppesò il fiocco tra le mani, mentre tanti piccoli indizi prendevano forma nella sua mente. In quei giorni non aveva avuto modo di farci caso ma Ginny aveva ragione.

«Ci sta osservando» mormorò «Ma perchè non si fa vedere?»

«Sante parole, Granger. Finalmente qualcuno che non mi prende per folle» annuì Ginny soddisfatta, per poi fermarsi un attimo a riflettere «Ma la Montmorency dici? Credi sia lei a spiarci? Onestamente non mi sembra il tipo che sappia fare molto di più che sbucciare una mela»

Hermione scosse la testa «No. Cockey»

«Cockey? Chi è Cockey adesso? »

«Un elfo.Ti ricordi che ti avevamo raccontato  che ci aveva aiutato quando siamo andati nel passato?»

Ginny rimase in silenzio osservandola come fosse uscita di senno «Mi stai dicendo che l’elfo dei Malfoy si nasconde nella Stanza delle Necessità per spiarci? Quindi hanno ragione Harry e Ron quando dicono che è tutta colpa di Lucius Malfoy? Peccato , mi sembrava davvero una gran stupidaggine. E chi se li sente ora? Andranno avanti per anni a dirci che ce l’avevano detto»

«Non l’elfo dei Malfoy. Un elfo dei Malfoy»

«Va bene, ma non c’era bisogno di correggermi, il punto è lo stesso. Ti fa male frequentare Draco,sai? E poi tu non eri quella che si batteva per la libertà degli elfi domestici? Cos’è …un’estate nella pretenziosa biblioteca dei Malfoy e cambi idea?»

«Non dire assurdità. E se vuoi saperlo ho provato anche a ragionare con i loro elfi domestici. Ma sono talmente indottrinati che non vogliono sentire ragioni. Krippy poi è insopportabile, in confronto Kreacher è un elfo amichevole ed ospitale, guarda. Ma Cockey è diversa . Si è presa cura di noi nel passato…e ama profondamente gli zii di Draco. E’ come Dobby con Harry. E ho visto come le parlavano Arael e Nicholas in privato… quasi fosse…di famiglia ecco.Le volevano bene, anche se sembra impossibile da credere»

«Come il fratello di Sirius con Kreacher? » chiese sorridendo Ginny, affatto scioccata come avrebbe pensato «Ma quindi perchè Cockey è qui? E perché ci spia»

«Non ci sta spiando, Ginny» rispose piano Hermione aprendo il baule e tirando fuori la croce di santa brigida in paglia ed erbe che aveva trovato ad inizio gennaio. Ora era tutto chiaro «Ci sta proteggendo»

Un crack e sopra il suo letto apparve un elfa dalle lunghe orecchie adorne di un fiocco rosso brillante che le buttò le braccia al collo

«Miss Granger! Allora non è così zuccona come dice la padroncina. Cockey è tanto felice che finalmente le è entrata in quella testa dura » piagnucolò strusciando il naso contro la sua camicia. Poi si rivolse a Ginny porgendole la mano «E la piccola Weasley.La padroncina dice che è davvero una strega speciale. E’ per questo che mi ha mandato qui la padroncina, per avvertirvi. Dovete prendere queste stasera…sta per accadere qualcosa di brutto. Ma queste vi proteggeranno»

Le Grifondoro accettarono titubanti le due fialette ripiene di liquido vermiglio che l’elfa sorridendo porgeva loro.

«Tutte d’un sorso Misses.Ma ora devo andare da Miss Pansy e Miss Astoria, devono berlo anche loro. E’ molto importante» continuò assumendo un'aria grave «Mi raccomando, Miss Granger. Tutto d’un fiato.Come la mela. Si ricorda la mela,miss?»

Hermione aprì e chiuse la bocca senza emettere alcun suono. Poi d’istinto si rovesciò il contenuto della fialetta in bocca,mentre Cockey applaudiva contenta.

Mentre il sapore aspro le rivestiva il palato, tuttavia, riuscì a fare un’ultima domanda «Hai detto che ti manda la padroncina? Non stai parlando di Narcissa Malfoy,vero?»

Cockey scosse la testa, mettendosi un dito sulla bocca «La padroncina è la figlia della padroncina. E’ chiaro no? E ora devo andare, Cockey non può fare tardi, no no.Mi raccomando questa sera… Miss Granger si ricordi sempre che chi cerca aiuto lo troverà ad Hogwarts»

E con un ultimo plop sparì.




 

***

 

Quando qualcuno bussò nel suo studio la sera prima dei GUFO, Severus Piton aveva appena finito di inviare il suo messaggio, l’animale che spariva veloce dalla sua vista.  Aveva finalmente capito cosa stesse progettando la Umbridge ma non poteva andare alla ricerca di Niamh o di Minerva… la pozione che aveva preparato non bastava assolutamente. Era riuscito a mandarne un paio di fiale tramite l’elfo ma ne doveva preparare altre, non c’era tempo da perdere.

La porta si aprì e senza attendere il permesso fecero il loro ingresso la peggiore coppia mal assortita che avesse mai visto in quegli anni.

«Se siete venute per ripassare in vista di domani vi posso assicurare che ormai è del tutto inutile. Di certo non posso inculcarvi quello che avete rifiutato di apprendere in cinque anni» rispose senza alzare gli occhi dal calderone.

«Oh, non si preoccupi abbiamo imparato tutto quello che ci serve sapere. Ma non da lei, Professore» il sorriso di Millicent sembrava un ghigno nella penombra silenziosa della stanza. L’aveva mai vista sorridere sul serio? Era una sua studentessa cinque anni e ad essere onesti le aveva dedicato un decimo delle attenzioni che aveva riservato allo stesso Longbottom, di cui conosceva ogni irritante vizio.

«La Professoressa Umbridge quindi fa lezioni private? Interessante» si limitò a commentare in tono piatto, mentre richiamava dietro di sé una piccola fiala argentata dalla sua scrivania.«Forse se ci fosse stata lei non sarebbe successo niente lo scorso anno.Diggory sarebbe ancora vivo e Potter finalmente morto»

Severus squadrò a lungo la ragazza accanto a Millicent, sorprendendosi di trovarla lì: era sempre stata sopra la media, una ragazza intelligente, diligente e preparata, tranquilla.. Di certo Pozioni non era la materia in cui eccelleva ma se l’era sempre cavata piuttosto egregiamente. «Forse,Millicent. O forse sarete tutti morti. Chi può dirlo?E dimmi, davvero ti interessa di quel povero ragazzo? Non mi sembravi così affranta lo scorso anno. »

La Serpeverde scrollò le spalle senza perdere quel sorrisetto malevolo che aveva da quando era entrata:«Forse. O forse vorrei finalmente che in questa patetica scusa di scuola venga fatta giustizia. Mi dica, Professore, cosa è successo davvero lo scorso anno? Cosa è andato storto? Un attimo prima eravamo pronti alla rinascita del Signore Oscuro…e quello dopo le nostre famiglie erano distrutte. Quasi tutte le nostre famiglie a dire il vero, non trova strano che nessuno abbia mai neanche menzionato i Malfoy? Eppure era stato Draco il prescelto per preparare il calice e sappiamo bene quanto Lucius sia devoto al Signore Oscuro. O dovrei dire quanto pensavamo fosse  devoto»

«Io ero qui, Millicent. Lo hai scordato? E, in tutta onestà,non ho mai avuto interesse a fare la balia a Lucius Malfoy, né vent’anni fa , né lo scorso anno» rispose fingendosi annoiato, per poi piantare lo sguardo sulla figura silenziosa accanto alla Bulstrode « E tu, Daphne? Da quando ti interessa l’Oscuro Signore?La tua famiglia non è mai entrata nel suo circolo, a quanto mi risulta»

«La perdita accomuna molto più di quello che si crede, Professore, tanto quella subita che quella temuta. E sappiamo tutti di chi è la colpa?»

«Illuminami, Millicent. Sono pronto a bearmi della tua rinnovata intelligenza. A proposito, sai che non è farina del tuo sacco, vero? Non ti senti come se qualcuno muovesse i fili per te?»

«Alcuni di noi hanno preso parte al piano volontariamente. Altri…beh ci è voluto un po’ di incoraggiamento, vero Daph? In fondo basta spingere sui tasti giusti… un amore perduto, dei genitori uccisi, un’umiliazione feroce… o una sorella maledetta, tanto per citarne qualcuno» continuò.«E poi è stato facile, devo dire che con il giusto incantesimo si può far fare davvero a chiunque quello che si vuole,anche partecipare a quello stupido Esercito di SIlente. Non vedo l’ora di vedere che faccia faranno quegli idioti quando scopriranno di essersi cresciuti delle serpi in seno. Oppure … oppure tanto per dirne una andare dalla proprio capocasa e pietrificarla come stanno facendo in questo momento due insospettabili Grifondoro»

Anche Minerva era in pericolo. Davvero due studenti potevano mettere in difficoltà quella che considerava la più grande strega che avesse mai conosciuto? Si, si rispose in un lampo. In fondo anche lui non aveva davanti nulla che non fosse l’involucro delle due studentesse che conosceva.

«Andrà tutto bene, Professore . Ci serve solo questa sera. Domani tutto tornerà alla normalità… Saremo tutti al sicuro domani..» balbettò Daphne.

«E Lisa Turpin? Cosa ti fa pensare che non uccideranno te o Astoria come hanno fatto con lei?» continuò osservando con la coda dell’occhio la pozione che raggiungeva finalmente la giusta consistenza

«L’ha ucciso la figlia della diseredata, Professore, ricorda? Due studenti uccisi in meno di un anno… non mi pare molto sicura questa scuola, vero?» Millicent avanzava verso di lui, ghignando.

«Non è stata Tonks, lo sai benissimo. Sei stata tu? O forse la Abbott? Chi è il cavaliere Millicent?» la incalzò Severus senza distogliere lo sguardo dalla Greengrass.

Si era reso conto , infatti, che sbatteva gli occhi in fretta, troppo in fretta. Era l’effetto del maleficio o stava cercando di dirgli qualcosa?

«Siete delle sciocche, Millicent. Chiunque ci sia dietro non ha alcun interesse a riportare in vita i vostri cari. I morti, sono morti Millicent, lasciateli in pace» tentò di nuovo Severus, tentando di lanciare un incantesimo. Daphne però fu più veloce e fu colpito da una forte esplosione che lo sbalzò contro la parete di pietra della classe. Mentre perdeva conoscenza sentì Millicent ridere «Bel tentativo, Mezzosangue. Ora però è il momento che tutto si compia. E ora vediamo se anche questo di incantesimo funziona bene come gli altri. Forza, Daphne, toglili la bacchetta.»

Severus sentì il suo corpo irrigidirsi progressivamente, sino a diventare un blocco di pietra.Prima di perdere definitivamente il controllo sul suo corpo riuscì a bisbigliare qualcosa alla Greengrass, china su di lui. Prima che però capisse se davvero aveva riposto la giusta fiducia in lei, il mondo divenne scuro attorno a lui.


***


«A che gioco credi di giocare, Theo?» 

Non voleva essere così aggressivo, dentro di sé si era detto che per riuscire a cavare qualcosa da quel testardo avrebbe dovuto giocare d’astuzia, convincerlo di essere dalla sua parte. Ma quando se l’era trovato davanti con gli occhioni azzurri spalancati e quel suo faccino pulito, gli era salita una rabbia tale che avrebbe volentieri spaccato quell’elegante testolina contro il muro di pietra alle sue spalle. E al diavolo il fatto che si conoscessero da una vita o che Pansy e Blaise avrebbero messo la sua di elegante testa su di una picca se l’avessero saputo.

Theo però era rimasto immobile, come se non gli importasse di avere il suo avambraccio premuto contro la trachea e la bacchetta puntata al fianco.

«Non ho mai imparato a giocare, Draco.Non me l’hanno mai permesso» constatò calmo, quasi stesse mettendo in chiaro qualcosa di talmente ovvio da essere banale. «Io… non sapevo che sarebbe andata a finire così. Ho fatto solo quello che lei mi ha chiesto… ma non credevo…»

«Quello che ti ha chiesto lei? Stai parlando di Cassandra, vero? Perché diavolo hai dato retta a quella puttana psicolabile?»

«Perché non avevo scelta!» il grido di Theodore era colmo di angoscia e rabbia repressa «Cosa pensi che avrebbero fatto lei e mio padre se non fossero morti quella sera e io non avessi ubbidito ad un suo ordine? Io non avevo nessuno, capisci? Nessuno!»

La presa sul suo collo perde di intensità, mentre Draco lo guardava altrettanto confuso «E quindi cosa hai fatto Theo? Cosa ti hanno fatto fare?»

Theodore Nott chiuse gli occhi, abbandonandosi contro il muro di pietra, svuotato: «Mi ha dato tre pezzi di ambra, da consegnare a ciascuno dei tre campioni del Torneo Tremaghi, Potter escluso ovviamente. Tutto qui, non pensavo fosse un gran problema, per una volta me la sarei cavata con poco. E poi aveva scoperto di me e Blaise, ha detto che se non avessi fatto quello che voleva avrebbe detto tutto a mio padre e …beh sai…lui non l’avrebbe affatto presa bene» mormorò.

«Quindi oltre che stronzo, violento, assassino ed alcolizzato era anche omofobo? Certo che dovrei essere davvero grata a mia madre per non averlo mai fatto conoscere» 

Draco si girò di scatto, la bacchetta ancora puntata in mano, deglutendo a vuoto. 

«Se ne vada, non sono fatti suoi» ringhiò di nuovo, cercando di ritrovare una parvenza di compostezza,mentre il suo cervello lavorava alacremente alla ricerca di una qualsiasi scusa che giustificasse con un’insegnante il fatto di essere stato beccato a minacciare un suo compagno di Casa.

«Ma questi sono fatti miei, Draco, fin troppo visto che metà dei miei geni viene da quell’orrido individuo che ho avuto la fortuna di non dover mai chiamare padre» replicò incrociato le braccia davanti al petto e guardandolo inclinando la testa. «E devo dire che mia madre non scherzava quando diceva che avevi lo stesso caratteraccio del fratello minore.»

Per Salazar Serpeverde se non era la fotocopia di sua zia, ancora se la vedeva che guardava lui e suo padre quindicenne battibeccare, scrutando come se avesse davanti due emeriti idioti. Lui e Theo si scambiarono un’occhiata in tralice, spostandosi di nuovo a guardare la strega davanti a loro.

«Se è uno scherzo non è divertente…» borbottò senza riuscire a sbattere gli occhi. Aveva paura che facendolo l’illusione di vedere sua zia sovrapposta all’immagine della professoressa svanisse.

Niamh alzò gli occhi al cielo esasperata «Per Ecate. Almeno la figlia di Andromeda ci è arrivata quasi subito… non siete molto svegli, voi due. Sono tua cugina, idiota. E la sua sorellastra»

Draco si morse le labbra. E quindi la Granger aveva ragione come sempre, dannazione a lei. Aveva mille domande che gli frullavano per la testa. Come era possibile? Sua zia era viva quindi? E Nicholas? Forse anche lui era nascosto da qualche parte, pronto a saltare fuori con un figlio segreto.E perché diavolo Theo sembrava tranquillo, anzi quasi rassicurato dall’idea di aver avuto come professoressa una sorellastra di cui nessuno sapeva nulla?

Poi un’idea raccapricciante gli balenò in testa… se Tonks aveva scoperto tutto…

«Ti prego, dimmi che non l’hai uccisa tu perché ha scoperto il tuo segreto» mormorò inorridito Draco. Una psicopatica omicida in famiglia bastava ed avanzava. E di certo non voleva essere lui a dire ad Andromeda che una che diceva essere imparentata con lui le aveva ammazzato la figlia.

Saltare fuori… come un coniglio.. il sogno …guardò Niamh in cerca di una risposta e lei annuì, come se avesse capito.

«Credo che stiano preparando il rituale del revenant en bas… il ritorno dei morti, sapete di cosa si tratta? Lo sospetto da un po’ ma non ho mai sentito di rituali andati a buon fine» iniziò guardando i ragazzi annuire, poi si rivolse a Theo «Hai parlato di ambra… Cassandra Carrow ti ha fatto consegnare un’ambra a ciascuno dei tre campioni, sai perchè?»

Theo scosse la testa «No, anche se nell’ultimo periodo era ossessionata dai libri di sua madre e da una storia che le raccontava sempre di falene maledette. Quando ho iniziato a notarne sempre più a scuola ho iniziato a fare ricerche. Tutti pensano che sia iniziato a gennaio ma l’invasione era da prima delle vacanze che sono apparse. La prima volta è stato il ventuno dicembre, lo ricordo bene perché eravamo venuti a cercarti con Blaise e tua madre mi ha detto che eri ancora fuori ed era piuttosto seccata che ancora non fossi tornato per celebrare Yule con lei, beh quella sera la Cooman è venuta a casa di mia zia dicendo che doveva parlarmi e ha avuto un attacco…»

«Una visione, intendi?» il sopracciglio chiarissimo di Niamh si era alzato sorpreso. Com’era possibile che Severus non ne sapesse niente? Le aveva detto che la precedente professoressa era stata messa in congedo per qualche mese da parte di SIlente ma nessuno si era chiesto il motivo. Aveva creduto che fosse per permettere a lei di prendere il suo posto, e invece c’era qualche altro motivo dietro. 

«Si, pochi minuti dopo erano già venuti quelli del Ministero e l’hanno sigillata. Onestamente ho pensato che avesse avuto un attacco di nervi… è sempre stata un po’...strana…» ammise Theo. Poi si fermò un attimo «Davvero io e te siamo fratelli?»

«Fratellastri. Stesso orrido padre, madri diverse. E per la cronaca, mi dispiace per la tua…immagino che la sua morte non sia stata accidentale»

«Ehi, che modi! Ma ti pare un commento da fare? E poi chi ce lo dice che non sei anche tu un’impostora? O una psicopatica? Ne girano parecchi ultimamente» sbuffò Draco, incrociando le braccia davanti al petto, stizzito. Gli ci volle qualche secondo di troppo per comprendere che aveva assunto la stessa posa della donna davanti a lui.

«Oh non so…forse dal fatto che so che hai un oroboro sulla schiena e che i tatuaggi magici che hai fatto con mia madre e i miei zii ti hanno salvato la pelle lo scorso anno? O vuoi che ti dica di quando avevi degli orrendi capelli color topo?» 

Dannazione. Peccato non poterle fare una scenata ora… era certo che ci fosse qualcosa di fin troppo sadico nel fingere la propria morte per vent’anni lasciando il tuo unico fratello superstite a piangerti e a fare una cazzata dopo l’altra. Ad eccezione dello sposare sua madre, in quel caso la cazzata l’aveva fatta lei.  .

Niamh si avvicinò ancora di più, sino a mettersi di fronte a suo fratello.

«Theo , ricordi cosa diceva la profezia?» 

Il ragazzo sembrò tentennare un attimo, poi chiuse gli occhi 

 Quando ogni legame di anime sarà stracciato

quando il serpente mangerà ogni stella,

allora la Notte scenderà su di voi

E io tornerò per riprendermi quello che è mio.

 

«Ha detto che era per Cassandra, ma non aveva senso. Lei è morta, giusto?» chiese con gli occhi pieni di terrore.

Istintivamente le mani di Draco andarono alla tasca dove teneva le rune che gli aveva dato Ted per rilassarsi, ne saggiò la superficie appena intagliata. Ma certo… i simboli sulle porte delle ragazze, quello strano segno che aveva visto nel cielo la notte di Imbolc. E sapeva perfettamente dove aveva visto il simbolo del cavallo ultimamente.

«Theo, con chi stavi parlando poco fa?Chi è che ti ha detto di occuparti di me?»

«Dicono che sei un pericolo per Hermione…loro…loro hanno fatto un patto ad inizio anno. Hanno detto che avrebbero detto a tutti che era colpa mia se Cedric era morto, perché ero stato io a dargli una pietra maledetta»

Di nuovo quel campanello di allarme.

«E perché dovrebbero preoccuparsi di Hermione? E come facevano a sapere dell’ambra?» chiese sospettoso, digrignando i denti all’idea che per una volta in vita sua avesse avuto ragione nel momento più sbagliato.

«Il padre di Diggory l’ha detto a Chang, e lei l’ha detto a Marietta. E poi la cosa è sfuggita di mano. Dopo Imbolc sono state insopportabili…era come… era come..»

«Come se non fossero più loro Come se stessero sognando…» concluse Niamh, stranamente più pallida del solito «Perché non lo erano sul serio, Theo. Quelle stramaledette falene… è attraverso quelle che è iniziato l’incantesimo. Aveva ragione Nymphadora quando aveva detto che era il contrario del sine requiescat…che idiota che sono stata»

La falena. Il simbolo del casato della madre di Cassandra. Lo stesso che aveva quella scatolina di legno che Cassandra custodiva con così tanta cura nella sua casa di Hogsmeade, le stesse che avevano visto quel giorno a Villa Black prima di essere colpiti a tradimento.
D’istinto si portò una mano alla nuca, quasi la sentisse bruciare. Non fecero in tempo però a dire nulla perché Grattastinchi arrivò come una saetta, inseguito da una Pansy trafelata.

«Non so cosa diavolo abbia quel gatto, ma era più strano del solito. E poi so che mi cercava Professoressa…che c’è?» chiese guardando perplessa quell’insolito trio.

«Io non…» iniziò Niamh prima di chinarsi a toccare la medaglia di Grattastinchi«Dannazione… è già tardi.Hanno già iniziato. Dovete andare nella stanza delle necessità, subito!»

Tre paia di occhi la guardavano con diffidenza.

«Io non me ne vado senza la Granger» disse risoluto Draco con un tono di voce tra il lamentoso e l’assertivo

«Ah e Lenticchia? Cosa vuole farne, lo lasciamo così? Stupido com’é sarà il primo morto» borbottò Pansy controvolgia

«Blaise è ancora nei sotterranei,non posso abbandonarlo lì» chiude il discorso  Theo.

Niamh e Grattastinchi si scambiarono uno sguardo.

Dannati adolescenti… Sarebbero riusciti a salvarsi tutti?

Probabilmente no. Se aveva capito cosa stava per succedere sapeva bene che Lisa Turpin era stata solo la prima, il sacrificio che aveva permesso la prima crepa nel velo tra i due mondi.

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXIII- Tradimenti e nuove Alleanze ***


Se tutto va secondo i piani e non ci sono cambiamenti dell'ultimo minuto la storia si concluderà al capitolo 36°. E questo vuol dire solo una cosa: è tempo per il secondo morto.
Se è uno dei tuoi personaggi preferiti, scusa.



«Quindi secondo il tuo simpatico elfo domestico cosa dovremmo fare? Far finta di niente? Scendere urlando a tutti che sta per accadere qualcosa di brutto e che solo noi siamo, forse, protette? O barricarci nel tuo letto sino a quando qualcuno si farà qualche domanda e verrà a cercarci?» la voce fintamente calma di Ginny ricordava fin troppo quella di Molly, si trovò a pensare Hermione mentre un milione di pensieri le affollavano la testa.

«Ad Hogwarts i letti non possono essere stregati,prima o poi ci toccherà uscire» commentò automaticamente Hermione, alzando le mani di fronte all’espressione furiosa dell’amica «Ok, va bene, scusami. Dobbiamo avvertire Harry, qualunque cosa stia per accadere di certo riguarda anche lui, la Umbridge lo odia»

«Credi che ci sia lei dietro gli attentati alla sua vita?Onestamente mi sembrava fin troppo seccata l’ultima volta… o torniamo all’idea della Montemorcy?» incalzò la rossa, fremendo sul letto, era evidente che con ogni fibra del suo essere voleva uscire da quel dormitorio e correre alla ricerca dei suoi fratelli e di Harry.

«Devo avvertire Draco…e Pansy. Oddio, sicuramente qualsiasi cosa stia accadendo qualcuno a Serpeverde deve sapere qualcosa. Hai notato che la Bulstrode sembrava particolarmente intelligente ultimamente? Odore di catrame di betulla…ho fatto delle ricerche…non è niente di buono, Ginny»

«E quando pensavi di dirmelo, Hermione? O forse volevi prima parlarle prima con la tua nuova amichetta?» scattò la giovane Weasley. Poi,quasi immediatamente, sbuffò passandosi una mano tra i capelli. «Scusami, non volevo fare la figura dell’amica gelosa, ma per Godric Grifondoro… ce ne stiamo qui a fare nulla ed Harry, i miei fratelli, Neville e tutti i nostri amici sono lì fuori ignari … e giuro che se ribecco quell’elfo le spremo ogni goccia di pozione…»

«Aspetta… la pozione… ha detto esplicitamente che deve darla a me, te e Pansy. Perché? Cosa abbiamo in comune noi tre?»

«E Astoria… non l’ho mai sentita nominare tanto come oggi sebbene sia nel mio stesso corso da quattro anni. Certo, non è che di solito con gli inquilini dei sotterranei corra buon sangue, ma a quanto pare è diventata un po’ l’amica di tutti…anche se a Corvonero non fa piacere che si socializzi troppo con i Serpeverde.» Nello stesso momento in cui le parole le uscivano di bocca, una strana luce si era illuminata negli occhi di Hermione, la stessa che si era accesa anche nel suo cervello. «Fin troppo vero? E lei e la Bulstrode non sono le uniche strane ultimamente.»

Un’ombra di preoccupazione e  tristezza passò sul volto di Hermione: se solo non fosse stata presa dalla sua stupida ed inutile gelosia, forse si sarebbe accorta prima del cambiamento dell’atteggiamento della Edgecombe. Avrebbe di certo notato quel dannato libro che la tormentava da settimane e che sembrava essere sparito dalla Biblioteca, neanche le sue suppliche a Madame Prince o le incursioni notturne con il Mantello dell’Invisibilità erano riusciti a farlo saltare fuori.  Se non ci fosse stato il libro di Lucius Malfoy forse non ci avrebbe mai neanche pensato.

Con la speranza che lasci perdere quella stupidaggine di Beda il Bardo. Era stato l’appunto scritto con una calligrafia lineare e priva di svolazzi nella prima pagina che in un primo momento le aveva fatto venire voglia di andare sino a Malfoy Manor e tirarglielo in testa. Certo, poi aveva pensato che probabilmente avevano già inserito le protezioni anti mezzosangue e quindi a quel punto tanto valeva dargli una letta. D’altronde quando le sarebbe capitato di riprendere in mano una raccolta di favole magiche antiche che si diceva esistesse solo in pochissimi esemplari?

Una delle storie raccontava di una strana malattia che colpiva i maghi che sembravano perdere il lume della ragione. Ogni volta che qualcuno veniva attaccato perdeva un pezzetto della sua anima, fino a quando qualcuno non riusciva  a liberarle, uccidendo l’ombra che si celava in una sorta di limbo.

«Hermione! Ginny!Dove diavolo vi siete cacciate? La Umbridge ha detto che tra mezz’ora ci vuole tutti in Sala Comune! Sbrigatevi» 

Per Godric Grifondoro, doveva pensare e doveva farlo in fretta. Come diavolo avevano fatto a sprecare tutto quel tempo?

 

***

 

Da quando Lucius le aveva confidato della maledizione che incombeva su Draco le sembrava che niente fosse più come prima: il cibo era insapore e mangiava più per dovere che per reale fame, i fiori del giardino avevano perso ogni profumo, le ore si raggrumavano in un incessante tentativo di scoprire qualcosa, qualsiasi cosa, potesse spezzare quell’incubo..

Non era valso a nulla che Lucius le elencasse ogni singolo esperto di Arti Oscure che avesse contattato. E quel quaderno… come diavolo era finito in casa sua?

Dopo giorni e giorni di ripensamenti aveva trovato il coraggio di andare alla casa di Hogsmeade in cui Lucius aveva trovato il sigillo,la stessa di cui tante volte aveva sentito parlare Bellatrix da ragazza. Esattamente quando si era persa anche lei? Faceva fatica a ricordare l’esatto momento in cui Bellatrix non era stata più lei ma solo un involucro divorato dalla smania di compiacere l’Oscuro Signore. Chissà forse era stato proprio in quella casa. Quando Andromeda l’aveva accusata di aver sempre fatto finta di niente le aveva risposto che era lei a non capire, che non poteva sapere come avesse cercato di mantenere almeno un filo sottile con Bellatrix, incapace di perdere anche lei, troppo doloroso essere lei a distruggere anche l’ultimo brandello di promessa che si erano fatte.

Ora, però, seduta immobile con la testa reclinata sulle ginocchia, sentiva di dover ammettere almeno con sé stessa la verità. Andromeda aveva ragione: si era sempre girata dall’altra parte, accettando di ignorare la follia di Bellatrix e le azioni di Lucius, pur di non perdere l’unica cosa cui avesse realmente tenuto, l’unica che aveva sempre detto di volere nonostante la prendessero per pazza: la sua famiglia.

Aveva setacciato ogni angolo di quella stanza, cercando di allontanare i fantasmi del passato che le continuavano a farle visita, sussurrandole che era tutta colpa sua, che era solo una stupida troppo intenta a guardarsi allo specchio per rendersi conto di quello che stava accadendo, che tutto quello che era successo era perché si era messa in mezzo tra Cassandra e Lucius. Lo aveva messo subito in chiaro con lui: lei voleva una famiglia, proprio quella che lui sembrava così terrorizzato dal creare. Quante volte Andromeda e Bellatrix l’avevano presa in giro, dicendole che si comportava da irrazionale, che non doveva sprecare i suoi talenti solo per rinchiudersi a fare la moglie e la madre?

Non erano mai riuscite a capire davvero…lei non era come loro, non lo era mai stata. E adesso l’unica cosa che avesse davvero voluto nella vita, qualcosa che i suoi soldi e il suo nome non potevano comprare, ore le  stava per essere strappato via: sarebbe stato meno doloroso se l’avessero lasciata morire quel giorno ad Hogwarts.

«Ci siamo già passate da questo punto, non credi?Tu con i capelli dritti sepolta tra fogli e pergamene. Ora, però, seduta nel mezzo di una camera da letto sventrata e setacciata in ogni angolo, sentiva di dover ammettere almeno con sé stessa la verità. Andromeda aveva ragione: si era sempre girata dall’altra parte, accettando di ignorare la follia di Bellatrix e le azioni di Lucius, pur di non perdere l’unica cosa cui avesse realmente tenuto, l’unica che aveva sempre detto di volere nonostante la prendessero per pazza: la sua famiglia? Peccato che visto che tuo marito ci ha trascinati fuori di casa neanche avesse un esercito di Auror alle calcagna, non sono neanche riuscita a prenderti qualcosa di dolce. Per Salazar Serpeverde, sembri non mangiare da giorni» 

Narcissa alzò di scatto la testa, trovandosi di fronte i grandi occhi scuri di sua sorella che la scrutavano preoccupati. Era stanca, lo poteva dire dai solchi scuri che intravedeva dietro il trucco, così come dalla piega della bocca che non era riuscita a sorridere veramente. Ma il suo tono era dolce come quando da bambina le accarezzava i capelli sino a farla addormentare di nuovo dopo un incubo. D’istinto l’abbracciò stretta,lasciandosi stringere a sua volta nella rassicurante illusione che fosse anche quello solo uno scherzo della sua mente.

«I miei capelli non sono dritti. E neanche tu hai un gran bell’aspetto, sai?» mugugnò staccandosi dal suo abbraccio e dandosi una veloce sistemata allo specchio. «Hai detto che Lucius vi ha trascinati fuori… ti sei portata dietro Ted?»

«Mio marito e il padre di mia figlia scomparsa, dici? Nah… sono passata a prendere il primo babbano che mi capitava» la prese in giro la sorella alzandosi a sua volta, cingendole le spalle. «E ora andiamo, non ti fa bene stare in questa camera. Dobbiamo parlare di una cosa…Lucius non mai stato granché bravo a spiegare e l’unica cosa che ho capito è che avrei dovuto uccidere Cassandra nel bosco due decenni fa. Anche se non mi è ben chiaro cosa c’entri con mia figlia»

Narcissa tirò su col naso in modo molto poco signorile, cosa che non faceva da quando aveva all’incirca cinque anni «Credo che faccia parte del suo progetto di vendetta. Si vuole prendere Draco, ti vuole togliere Nymphadora…vuole distruggerci»

Un brivido corse lungo la schiena della maggiore delle Black… avrebbe davvero potuto evitare tutto quello? Sua figlia incinta sparita nel nulla era solo la conseguenza di una scelta razionale che aveva fatto nel passato? Forse avrebbe dovuto dare retta a Bellatrix quella notte, quando aveva proposto di farla sparire nella foresta per sempre o di farle fare la stessa fine di quella sanguesporco. Quello era stato il momento in cui Andromeda aveva definitivamente capito di averla persa per sempre: la fiamma ardente di Bellatrix era ormai fuori controllo, incapace di rimanere nei limiti del vivere civile. A dire il vero anche lei aveva provato ardentemente il desiderio di far fare a quella dannata strega psicopatica la fine che lei aveva pensato per Narcissa, se non peggio. Ma poi aveva pensato agli occhi di Ted quando gliel’avrebbe raccontato: l’aveva capita e persino aiutata quando aveva portato avanti un rituale di magia oscura ma uccidere una persona, una loro stessa compagna… non era certa che Ted non meritava di amare una persona simile.

Lo avrebbe pensato ancora, sapendo che la loro Dora era stata vittima di un gioco iniziato vent’anni prima?

«Quindi è lei l’anima malvagia di cui parlava Remus? Quella nascosta nell’ambra?» Ted era apparso sulla porta e le squadrava con uno sguardo indecifrabile. Per la prima volta da quando aveva incrociato la sua strada, Narcissa si soffermò a guardarlo senza chiedersi cosa avesse trovato Andromeda in lui: l’aveva sempre considerato di aspetto piacevole, nonostante il passare del tempo, ma non si era mai fermata a considerarlo, troppo inferiore nella sua mente rispetto alla sua meravigliosa sorella. Dopo averli visti insieme a casa loro, tuttavia, era cresciuta la consapevolezza di quanto si completassero e sostenessero a vicenda. Anche ora che era li fermo a guardarle con il viso segnato dalla preoccupazione di quei mesi, sentiva che irradiava una sorta di pacata fermezza che l’attirava inspiegabilmente. 

«Quale ambra? Quale anima malvagia? Ma di cosa stai parlando?» chiese Narcissa stupita ma prima che potesse continuare con le domande venne interrotta da un grido.

«Tonks!» la voce di Lucius che urlava dal piano di sotto ebbe l’effetto di scuoterla dalle sue riflessioni. «Vieni immediatamente qui!Subito!»

Neanche quello sembrò scalfire la corazza di Ted che si limitò a sogghignare «Non preoccuparti,credo che siano appena arrivati i rinforzi..»

«Per Merlino, Ted… quando hai chiamato Sirius e Remus?» il tono di Andromeda era tra lo stupito e l’ammirato.

«Oh, credimi non è solo per infastidire tuo cognato, quello è solo un bonus»rispose calmo, spostandosi per far passare le due donne. «E’ giunto il momento di mettere tutte le carte in tavola: sappiamo che a voi non interessa nulla di Hogwarts e di Dora...»

«Ted!»

«Fammi finire, ti prego. Come dicevo non credo neanche per un secondo che se non foste stati in pensiero per Draco vi sareste degnati anche solo di muovere un dito. Ma visto che a quanto pare la scomparsa di mia figlia è collegata alla dannata ex fidanzata di tuo marito morta da un anno e, mi ci gioco quello che vuoi, alla vostra insana passione per la magia oscura e a quel verme che chiamavate Oscuro Signore, direi che posso persino passare sopra al fatto che tua sorella abbia ucciso i miei genitori.E posso persino tollerare di stare in una stanza in cui tuo marito evidentemente si è divertito parecchio da ragazzo e grazie alle sue pessime scelte ora ne paghiamo tutti le conseguenze» frecciò, facendo segno di seguirlo. «E quindi anche se dovessero venire tutti i Weasley voi ve ne starete buoni e direte tutto quello che serve per ritrovare mia figlia. Oppure il vostro prezioso figlio morirà… è questo che succederà, vero?»

«La sua anima verrà divorata pezzo a pezzo fino a quando non ne resterà nulla, grazie per avermelo ricordato» sibilò Narcissa furiosa ingoiando il rospo. Ma l’avrebbe fatto, si sarebbe persino umiliata a chiedere aiuto pur di salvare Draco. Sospirando richiamò il quadernino che aveva trovato in casa sua, passandolo ad Andromeda senza staccare gli occhi da Ted, quasi fosse pronta ad attaccare. «Direi che è il caso di considerare anche questo, allora… visto che sono praticamente certa che sia questo che ha dato il via alle aggressioni. Ma non lo toccare Ted…sai… alcuni oggetti non sono fatti per quelli come te»

«Quelli non attratti dalle Arti Oscure?» commentò sarcastico, mentre il sorriso di Narcissa si allargava in un sorriso di compassione.

«Natibabbani, per essere esatti. Non mi stupirei se Regulus avesse messo qualche incantesimo di protezione. In fondo non sarebbe il primo oggetto appartenente alla famiglia Black che provoca la morte di qualche Sanguesporco » celiò prima di superarlo e scendere le scale. Dietro di lei il grande letto a baldacchino dalle tende vermiglie iniziò a tremare, fino a ripiegarsi su se stesso come se fosse fatto di sabbia.

«Non dire niente… te la sei cercata.» lo ammonì Andromeda. Poi si avvicinò per dargli un bacio sulla guancia, prendendogli la mano. «Ed è stato magnifico.Da quant’è che ti tenevi pronto per una cosa del genere eh?E ora andiamo… Qualsiasi cosa accada non abbiamo più tempo».


***


Quando entrarono nella sala Grande la sensazione che provarono fu l’esatto opposto della prima volta in cui avevano varcato quella soglia la prima volta: se cinque anni prima ciascuno di loro, seppur provenendo da contesti sociali ed addirittura mondi differenti, si era sentito a casa, questa volta non c’era niente di familiare ad accoglierli.

I tavoli delle case erano ora disposti a ferro di cavallo  attorno a quella che sembrava un’enorme vasca d’acqua proprio al centro della sala, mentre dal soffitto le solite candele fluttuanti erano state in parte sostituite da decine e decine di sonagli composti da semi di zucca che frusciavano spinti da un vento invisibile.

Pansy arricciò il naso al sentore acre e catramoso che sembrava pervadere la stanza. Ne era certa, era esattamente lo stesso che avevano sentito quel giorno a lezione di Pozioni. Non poteva essere una coincidenza, Piton non era certo tipo da fare cose a caso. E poi c’era qualcos’ altro…un odore di umidità, come se si trovasse in una caverna o in una delle prigioni della Residenza. E in fondo, giusto in fondo un odore di legno e di fumo. Eppure non vedeva niente bruciare

Lo sguardo spaziò verso il tavolo dei professori, leggermente rialzato rispetto a loro. La Umbridge era al centro, dietro al leggio con la fenice dorata ma non c’era traccia del loro Capocasa. O della McGranitt, tra l’altro. Il che era già abbastanza strano, senza contare il fatto che il ghigno del rospo rosa non lasciava presagire nulla di buono.

«Prego sedetevi» chiocciò la Umbridge benevola, quasi li stesse invitando alla cena di Natale. Cosa diavolo stava succedendo? Quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco peggiorò notevolmente quando, dopo qualche secondo, il ghigno della Umbidge si fece ancora più inquietante. Forse aveva ragione la Montmemorcy, avrebbero semplicemente dovuto rinchiudersi nella stanza delle necessità e tanti saluti a chi era rimasto fuori.

Istintivamente il suo sguardo si spostò verso il tavolo dei Grifondoro, alla ricerca di Ron e dovette impedirsi di sorridere quando notò che anche lui la stava cercando nella sala.

Doveva avvertirlo, stava per accadere qualcosa di terribile e lei non sapeva cosa fare. Per tutta la vita era scappata da situazioni come quelle e ora… ora ci si era ficcata volontariamente.

Per la seconda volta, per giunta. Non le era bastato il viaggio nel passato quando avevano rischiato di farsi staccare la testa da Bellatrix nei corridoi delle segrete di Malfoy Manor?

Già il passato.. era vero c’era un modo con cui poteva cercare di comunicare con Weasley…lo stesso che aveva già usato con successo. Certo, non gli sarebbe affatto piaciuto ma d’altronde neanche lei era esattamente entusiasta della piega che stava prendendo la serata. Anche se doveva ammettere di aver provato una certa soddisfazione quando aveva visto il suo straccione preferito toccarsi l’avambraccio come se bruciasse. 

La Umbridge era una dilettante con le sue frasi incise sulla pelle. Non era niente di nuovo. O almeno niente di nuovo per qualcuno cresciuto come era stata cresciuta lei.

Certo, poteva essere un filo più discreto ma la Preside sembrava presa da tutt’altro, incapace di staccare lo sguardo dall’anello con la grossa goccia d’ambra che continuava a toccarsi nervosamente.

Ora doveva solo sperare che la Granger fosse davvero la strega più intelligente della sua generazione. E in quel momento la Natababbana, come se fosse la cosa più naturale del mondo, tirò fuori dalla sua borsa una peonia e se l’appuntò tra i capelli, usandola come con quella pessima abitudine di usare le matite al posto degli spilloni per capelli, esattamente identica a quella che Draco aveva regalato alla madre nel passato, scatenando la gelosia di Lucius.

.E brava Granger… forse davvero era intelligente come dicevano tutti. Ed iniziava persino ad avere buon gusto.

L’intera sala era avvolta in un’aria tesa tanto quanto quello che aveva seguito la mattina della notizia della morte di Lisa Turpin, tutti gli sguardi rivolti al grande dipinto alle spalle della Umbridge: era  una riproduzione fedele del Castello di Hogwarts e allo stesso tempo sembrava un luogo del tutto diverso, con i muri di pietra squarciati e avvolte da fiamme nere che si innalzavano nel cielo. A quella visione Hermione sentì torcersi lo stomaco… scambiò un’occhiata con Pansy, di fronte a lei altrettanto tesa.

«L’arredatore precedente era più bravo, dobbiamo ammetterlo» dal tavolo dei Grifondoro la voce di Fred Weasley si era distinta nel silenzio.

«Decisamente. E poi mi sembra un po’ vuoto il tavolo lì in fondo, non è vero Preside? Dove è la McGranitt? E Piton? Non mi dica che gli ha dato il giorno libero» aveva commentato sarcastico George strappando una risata ai suoi compagni.

«Silenzio!Non è il momento per fare commenti fuori luogo. Cosa ne volete capire voi di arte…voi sporchi…» ma non finì la frase, all’ultimo sembrò riacquistare un minimo di contegno, sforzandosi di sorridere mentre l’insulto le rimaneva in gola.« La professoressa McGranitt e il Professor Piton sono…impossibilitati a venire, al momento. Ma sono certa che alla fine saranno decisamente soddisfatti. E ora, vi prego di fare silenzio… oppure posso incollarvi la lingua al palato, che ne dice Signor Gazza? »

La luce maligna di soddisfazione negli occhi del custode non aveva bisogno di spiegazioni.

«Stupido magonò» borbottò Draco accanto a Blaise,rigirandosi nervoso l’anello che aveva ripreso a portare alla mano sinistra. Il cambiamento non era sfuggito.

«Non ti sarai rimesso con la Sanguesporco, vero?» chiese Goyle lanciandogli un’occhiata sdegnata.

«Sta zitto Greg, mi basta un maiale parlante per oggi.Che vuol dire che Piton è impossibilitato?Lui non è mai impossibilitato. Mai. E la McGranitt? Avrà cent'anni e non ha mai saltato una cena qui a scuola».

«C’è sempre una prima volta…o forse sono scappati insieme? Non vedi quanto sembra incazzata la Montmorency? Cazzo, non credevo possibile che una come lei stesse con uno come…»

«Sta zitto» 

Blaise aveva osservato la scena con il solito distacco…eppure era così strano che sia Draco che Theo avessero reagito in quel modo nello stesso momento. Certo, Draco non aveva mai avuto un bel carattere neanche da bambino e, soprattutto, aveva sempre odiato quando qualcuno lo interrompeva mentre parlava. Ma Theo…che diavolo stava succedendo? E perchè Pansy continuava a guardare nervosamente verso i dannati Grifondoro.

Spaziò con lo sguardo lungo i tavoli, rendendosi conto che non erano solo i due Capocasa a mancare. Da loro non c’era traccia di Millicent ed Astoria, un connubio piuttosto improbabile per pensare che stessero insieme ad intrecciarsi i capelli.

Se solo si fosse mai preso la briga di imparare i nomi degli altri studenti…forse si sarebbe reso conto che in ogni tavolo che mancava più di due studentesse.

Il rumore sordo ed inquietante dei sonagli di zucca divenne sempre più assordante,unito a quell’odore umido e canforato della Sala, provocandogli un moto di nausea che cercò di respingere concentrandosi su tutto quello che di sbagliato c’era in quella stanza.

«Prego, ragazze, venite pure, prendete posto. E’ quasi l’ora» squittì la Umbridge passando soddisfatta in rassegna tutti i tavoli mentre sei ragazze, tra cui le sue due compagne di Casa disperse facevano la loro entrata, vestite con lunghi abiti da sera fittamente decorate, con al collo di ciascuna un medaglione d’argento con delle grandi ali incise.

Istintivamente lo sguardo tornò a Theo,ancora più pallido del solito eppure impassibile, anche quando gli aveva sussurrato in tono appena udibile Quando te lo dico, scappa,senza staccare lo sguardo dalle otto ragazze. 

Le ragazze si erano disposte a gruppi di due lungo il perimetro della vasca: Millicent ed Astoria erano di fronte a loro , unite da una linea invisibile ad altre due studentesse di cui non sapeva neanche di che Casa fossero dall’altro lato della vasca, accanto alla Umbridge. Ad est del centro c’erano invece le due lamentose Grifondoro di cui Pansy si lamentava sempre.


Blaise deglutì a vuoto, lanciando uno sguardo a Draco seduto poco distante che si limitò ad annuire. La cosa che lo preoccupava però di più era Pansy. Le aveva già visto quello sguardo…la sera che era tornata da lui dopo aver ucciso il padre.

Ma che cazzo avevano fatto quei tre?


***

Era uscito alla ricerca di aria, tenendo tra le mani  il quaderno che era appartenuto ad un fratello con cui non aveva scambiato una parola da quando era andato via di casa senza guardarsi indietro, chiedendosi se forse non lo avesse sottovalutato. Senza studenti Hogsmeade sembrava vuota. Aveva girato a lungo ma alla fine era ritornato nel giardino della Villa della Carrow, fermandosi su una panchina nel giardino.

 

«E’ un incantesimo davvero potente. E pensare che non aveva neanche vent’anni quando l’ha scritto» Remus si era affiancato a lui senza dire una parola sino a quando non aveva sentito la sua corazza creparsi impercettibilmente.

«E’ un maleficio, Ramoso, copiato da una stupida favola che ci raccontavano da bambini. Qualcosa per cui una ragazzina è morta. Ed ancora una volta è tutta colpa della mia famiglia» commentò senza voltarsi a guardarlo.

«Ma Regulus non l’ha mai usato, anzi… non ti pare strano che questo quaderno sbuchi improvvisamente dal nulla dopo tanti anni? Credo che abbia fatto di tutto per proteggerlo» tentò di nuovo l’amico senza però riuscire a superare la sua delusione.

«Si, certo… tu non lo conoscevi Remus.Lui non era…»

«James Potter?Oh sta zitto Sirius… sei sempre il solito egoista e pallone gonfiato»

Non l’aveva sentita arrivare, troppo immerso nella sua cupa disperazione.E ora sua cugina minore era davanti a lui, con gli occhi azzurri fiammeggianti di rabbia. Se non fosse stato per l’altezza, i capelli e la mancanza di sangue sui vestiti avrebbe potuto scambiarla per Bellatrix.

«Detto da te, Narcissa, è quasi un complimento. Mi vuoi forse dire che tu invece lo conoscevi? Che ti sei presa il tempo di stare con lui, tra un ricevimento e una tortura?» di fronte alla sfida gli occhi di Sirius erano tornati a brillare gelidi.

«Insultami quanto ti pare, razza di sfigato. Ma non osare mai più parlare male di Regulus. Se ti fossi preso la briga di leggere quello che ti ho dato avresti visto che ha messo un meccanismo di protezione, possiamo salvarli.»

«Narcissa ha ragione, non tutto è perduto, dobbiamo trovare l’anfora dove confluiscono le energie di chi viene maledetto e tutto sarà finito. Liberiamo chi è prigioniero e tutto tornerà come prima»

«Il problema è solo arrivare ad Hogwarts, a quanto pare non sarà così facile»

«Malfoy, puoi anche camminare sai? Non ti farà male, non mi sembri in gran forma.»

Lucius scosse la testa guardandolo con sufficienza, poi senza dire una parola guardò Andromeda con fare eloquente.

La donna alzò gli occhi al cielo, esasperata ma Ted fu più rapido: «Per una volta ha ragione… siamo andati a dare un’occhiata al punto più vicino in cui ci si può smaterializzare… »

«E’? C’è per caso un cartello con su scritto  vietato ai genitori preoccupati?Andiamo Ted, avrai pur fatto di peggio in vita tua. In ogni caso non preoccuparti… andiamo io e Remus, tu resta qui con queste serpi»

Ted non mosse un muscolo,limitandosi a ghignare «Prego, vai. Ti aspetto qui. Scommettiamo che tra dieci minuti sarai di ritorno?»

Dannazione, non era affatto un buon segno. Senza aspettare altro Sirius si smaterializzò.

E come previsto non erano buone notizie.

Cazzò, pensò. Cazzo ci avevano messo troppo. 

Remus apparve di nuovo accanto a lui, come sempre, limitandosi a fissare con aria preoccupata quella che fino a quel  momento era stata la visione di un posto conosciuto e amato.

«Hanno licenziato il giardiniere? Tagli al budget?» si limitò a commentare gettando via la sigaretta prima di farla sparire stizzito.«Cazzo, quando sono entrato da evaso giuro che era stato più facile…»

A quel ricordo Remus non poté fare a meno di sorridere. Ma durò solo un minuto, poco dopo entrambi i maghi si trovarono a guardare preoccupati la fitta rete di rovi scuri che si erigevano contro una muraglia sinuosa e sibilante davanti a loro.

«Non basterà qualche Incendio, vero?» chiese Sirius poco convinto.

Remus scosse la testa «No, decisamente no. E ora che facciamo?»

Sirius diede un’occhiata al suo orologio da polso, l’ultimo regalo di Fleamont Potter per il suo diciassettesimo compleanno «Aspettiamo sette minuti e poi torniamo e cerchiamo di fare gli adulti responsabili»

«Dici sette minuti perché ne sono già passati quattro e quindi hai superato il limite di dieci che ti ha dato Ted?»

Sirius scrollò le spalle, accendendosi una nuova sigaretta  con noncuranza «Ovvio, Ramoso. Non mi piace la piega che sta prendendo mia cugina… sta passando troppo tempo con quei due stronzi. E Ted la segue a ruota…da quando parla con Malfoy? Che spreco di tempo»

Un plop leggero «Disse quello che si nasconde come un bambino di cinque anni. Muovi il cu lo, Sirius, c’è un posto dove dobbiamo andare»

«Ma che linguaggio…E dove di grazia?»

Andromeda sorrise, dandogli un pizzicò sul braccio «In un posto dove chi chiede aiuto lo trova sempre… a casa della Professoressa McGranitt e del suo defunto marito,se proprio lo vuoi sapere.»

«Direi che ne abbiamo decisamente bisogno…cosa diavolo è quello?». Non c’era traccia di ironia o di scherno nella voce di Sirius, non davanti alla visione di un grosso serpente nero ti che si avvicinava con sempre maggiore velocità ad Hogwarts. Il grosso cane nero argentato scaturitò immediatamente dalla bacchettà si infranse contro lo spesso strato di rovi, dissolvendosi in una nebbia lattea.

«Ma quelle sono…» chiese Andromeda sbattendo le palpebre e sperando che la stanchezza e la preoccupazione le stessero giocando un brutto scherzo. Quelle squame, erano troppo vive, troppo brulicanti per essere solo un’illusione o qualche riverbero. Le decine di migliaia di falene dalle grossi ali carnose e scure si muovevano all’unisono, fremendo di energia repressa.

Poi con un un ultimo sibilò che fendette l’aria, il mostro si lanciò su Hogwarts, sparendo all’interno delle mura antichissime, mentre la barriera davanti a loro diventava sempre più fitta  quasi a non voler permettere che neanche un soffio d’aria potesse raggiungerli.

«Spero che tu abbia ragione, Andromeda…lo spero davvero» commentò di nuovo Sirius senza riuscire a staccare gli occhi dal castello.

La strega si morse  il labbro, scambiando appena uno sguardo preoccupato con Remus.

«Lo spero anche io, Sirius. Lo spero davvero»

 

***

La Umbridge sorrise, il volto distorto dall’eccitazione, mentre tra le mani rigirava il grande anello dorato con l’ambra. Si avvicinò a piccoli passettini, i tacchetti che riecheggiavano nel silenzio innaturale della sala grande.

Si girò verso la platea, allargando le braccia con fare materno:

«Miei cari ragazzi… tra poco il nostro caro Cedric tornerà tra di noi e la scuola tornerà alla normalità. Niente più minacce di distruzione, nessuna oscura profezia falsa a turbare le vostre giovani menti» pigolò soddisfatta attendendo un’ovazione che tuttavia non avvenne. Strinse le labbra dipinte di rosa mostrando il suo disappunto, poi si rivolse  a Cho alla sua destra che si torceva le mani, guardando i suoi compagni avvolti dai rampicanti con crescente terrore «Oh andiamo mia cara, non fare così... ci vuole un po’ di impegno per realizzare i nostri desideri , lo sai vero? E smettila di piangere, non mi pare di averti chiesto nulla di così sconvolgente… hai fatto solo un servizio alla scuola. In fondo il professor Flitwick aveva davvero bisogno di riposare» sorrise rivolgendo un cenno a Vicious, pietrificato in terra accanto al tavolo dei Corvonero, ai piedi della ragazza con la bacchetta ancora in mano.

«Traditrici schifose» ruggi Angelina dimenandosi mentre i tralci di edera si stringeva sempre di più attorno al collo sottile.

«SIlenzio , signorina Johnson…questo è un momento di gioia. E il tuo caratteraccio non ti porterà a nulla di buono.» la riprese la Umbridge scuotendo la testa, poi si rivolse verso il tavolo di Tassorosso «E se spera nell’improvviso arrivo della sua cara professoressa McGranitt mi dispiace dirle che al momento è un filo impegnata. Vero signor Finnegan?»

Seamus aprì e chiuse la bocca senza emettere un suono, solo i grandi occhi castani che si allargavano in preda al terrore, come se si risvegliasse da un incubo.

«E ora.. vi prego di concentravi. Ho bisogno della vostra piena concentrazione. Vi ricordo che in caso di collaborazione in questo momento della scuola non ci sarà possibilità di giustificazione. Chiunque cercherà di ostacolare il ritorno del vero campione della scuola sarà Eliminato. Fisicamente intendo»

Si avvicinò ancora di un passo, mentre la selva di rampicanti attorno a lei sembrava avvilupparsi tra i tavoli come serpenti. 

«Eh mai che diavolo…»Ron cercò di prendere la sua bacchetta ma un ramo marrone scuro gli avvolse il braccio, legandolo stretto alla panca.

«Molto sciocco, signor Weasley» chiocciò la Umbridge con un sorriso sempre più grande. Poi si  avvicinò alla grande vasca di acqua scura che ora ricopriva la parte centrale della sala comune,facendo segno ai ragazzi agli angoli di fare lo stesso. Lavanda, Daphne, e Hannah rabbrividirono nelle sottovesti di seta bianca, troppo leggere in quella sera di maggio troppo fredda per essere normale, le sottili corde di luce provenienti dalle bacchette di quelle che erano le loro compagne di casa che rilucevano come metallo.

«Muoiono le mandrie, muoiono i parenti, tutti sono mortali Ma il buon nome di colui che ha fatto del bene non muore mai.Muoiono le mandrie, muoiono i parenti, sono tutti mortali. Una cosa conosco che non muore mani: la gloria di chi è morto grande*» disse gettando l’anello nell’acqua, che iniziò a vorticare, violacea e densa.

«E ora mie care fanciulle è tempo di passare al passo successivo. Forza gettate in acqua i recipienti »disse sorridendo battendo  le mani eccitata come una bambina la mattina di natale.

Lavanda si girò verso Cali, immobile a pochi passi da lei  «Ma di cosa diavola parla? Quali recipienti?» pigolò.

Padma le sorrise, i grandi occhi scuri che si addolcivano per un attimo. Le si avvicinò fino a stringerla, accarezzandole i lunghi capelli biondi.

«Andrà tutto bene, Lavanda. Sei speciale, lo sai, vero? Lo sei sempre stata» le sussurrò in un orecchio. La ragazzina si rilassò nell’abbraccio dell’amica, smettendo di lottare contro quella forza che la spingeva verso il bordo della vasca. Per questo neanche se ne accorse quando lo sguardo di Padma si fece duro come l’acciaio. Pochi secondi dopo e sentì il suo corpo farsi così leggero da staccarsi dal suolo, il rumore viscido del gorgo che si faceva sempre più vicino.

Poi l’impatto con l’acqua, una mano vischiosa che la trascinava a fondo, i polmoni che si riempivano di quel liquido bollente come lava. Cercò di lottare per tornare in superficie, l’eco delle urla di terrore della Abbott che le arrivavano come attraverso un muro di gomma.

Infine il buio si impadronì di lei, mentre le sembrava di sprofondare in un abisso senza fondo.




* dall' HÁVAMÁL , così come ripreso nel libro "Misteri e Magie del Nord. Le rune e i poteri femminili" di Freya Aswynn

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXIV- Ritorni ***


 

I rampicanti che stringevano i polsi e le gambe degli studenti ben poco avevano potuto contro l’urlò che si era levato, quando Lavanda Brown era caduta nella vasca con un tonfo viscido, quasi che quella che l’accoglieva non fosse più acqua ma qualcosa dalla densità differente. 

La sala, inclusi molti Serpeverde, sembrò trattenere il fiato, nell’attesa spasmodica che la testa bionda di Lavanda tornasse in superficie, boccheggiando e piangendo, ma viva. Eppure i secondi passavano e l’unico movimento era il sobbolire lento e disgustoso del liquido violaceo.

Ancora più terrificante era la visione di Padma con il viso inespressivo come una maschera di cera, ancora ferma sul punto nord del quadrato, come se non avesse appena tradito la sua migliore amica.

Ancora sorridendo, la Umbridge trotterellò di nuovo sul banco dei professori, mettendosi accanto alla professoressa Sproute, carezzandole la testa come avrebbe fatto con un cagnolino.

«Mia cara, carissima, Pomona…vedi che il tuo tentativo di ribellarti è stato del tutto inutile? Te l’avevo detto che avresti fatto meglio a collaborare… e, invece, ora guarda come ti sei ridotta» aveva tubato.

Harry aveva cercato di alzarsi di scatto ma si era dovuto risedere con un grido soffocato di dolore quando un grosso traliccio dallo spessore di un braccio umano lo aveva afferrato per il collo e ributtato indietro.

«Non agitatevi, si nutre della vostra rabbia…vedete quei fiori rossi? Più vi agitate e più cresceranno… e potrebbero persino spuntare dei denti» Neville accanto a lei era rimasto assolutamente immobile, continuando ad accarezzare il suo rospo con la punta delle dita lasciate libere. «E su questa pianta la magia non può nullla»

«Si può sapere che male abbiamo fatto per meritarci sempre delle dannate piante incazzose? Il primo anno il Tranello del Diavolo, poi il Salice Schiaffeggiante, senza contare gli asticelli indemoniati, ora pure le edere con le paturnie e il morso facile.» Si lamentò Ron, cercando di mordere a sua volta un traliccio che gli stava salendo lungo la spalla, lanciando un ringhio tanto ad Hermione, quanto a Neville che di certo stavo per puntualizzare che non fossero piante di edera.

«Quale parte di non muoverti non hai capito, fratello? Puoi, per una volta, far finta di seguire quello che ti si dice?» sibilò Fred poco lontano, tamburellando leggero contro il tavolo.

«Questa mi mancava…tu, proprio tu che dici di seguire le regole…sicuro di non essere sotto Imperius come gli altri?» ringhià di rimando.

«A dire la verità qui nessuno è sotto Imperius, Ronald: è’qualcosa di diverso» mormorò Hermione mentre il cervello cercava di lavorare più velocemente e al di sopra delle gride che stavano riempiendo la sala.

«Molto bene, signorina Patil, molto bene davvero. Visto?Non è stato poi così difficile… E ora Signorina Edgecombe, signorina Buldstrode, direi che il vostro turno, che dite?» continuò la Umbridge,in tono accondiscendente.

«Vedo che ha rivisto la sua politica di divisione tra le case, Preside» l’appunto di Luna sembrava assolutamente fuoriluogo in quel momento, mentre gli studenti urlavano e piangevano cercando di superare il dolore delle spine dei biancospini che li avviluppavano ogni volta che provavano a ribellarsi, eppure permise ad Hermione di riportare l’attenzione sulle coppie rimaste; Luna aveva ragione, era fuori ogni logica di Hogwarts…anche se… in fondo una Corvonero già era stata sacrificata. Ed ora era stato il turno di una Grifondoro. Era il turno della Tassorosso, quindi? 

«Millecent togli le tue zampe da troll da Astoria o giuro che …» aveva urlato Pansy inferocita quando aveva visto i rampicanti risalire a bloccare anche lei. Evidentemente non era previsto alcun trattamento di favore per i membri della squadra di Inquisizione, o almeno non di tutti.

Per tutta risposta Millicent,si era limitata a guardarla con un sorrisetto divertito «Ma come… sei stata tu a dar vita a tutto questo e ti lamenti? Se solo non ti fossi impicciata di fatti che non ti riguardano, Parkinson…Oh e…Draco,non ci ha creduto nessuno alla tua patetica sceneggiata, fossi in te mi metterei l’anima in pace… in tutti i sensi. Ma non preoccuparti, ti daremo tutto il tempo di vedere annegare la Sanguesporco.»

«Torcile un capello e giuro che ti faccio a pezzi» aveva ringhiato quello di rimando, poco prima di venire colpito con forza da Greg accanto a lui.

«Piano Greg, piano. Ci sarà tempo. Tu? Fare a pezzi me? Sei solo un bamboccio viziato che non si è mai dovuto preoccupare di nulla in vita sua e che è stato talmente egoista da rovinare tutto. Sarebbe stato tutto diverso se non avessi fatto il testardo un anno fa » aveva continuato Millicent, pungolando con soddisfazione  Astoria con la bacchetta.

«Millicent, ti prego...avevi detto che non lo avresti fatto se avessi fatto quello che volevi» aveva pregato Daphne accanto a Pansy, la voce quasi isterica resa roca dal grosso ramo che le stringeva la gola.

«Non preoccuparti, Daphne. Va tutto bene» aveva risposto Astoria invece perfettamente calma,quasi non fosse toccata dalla situazione. «Andrà tutto bene, te lo prometto»

«Si, Daphne, andrà tutto bene» le fece il verso Millicent, tirandole la lunga coda di capelli scuri e premendole la punta della bacchetta con forza sulla schiena.

Hermione si morse le labbra per non urlare, cercando di mantenere la mente il più calma possibile. Era evidente che non erano stati così intelligenti e scaltri come avevano pensato,c’era sempre stata una talpa al loro interno…e pensare che avevano creduto che fosse la Montmercy.

«La prego la smetta….Lavanda…deve salvare Lavanda» la voce della Sproute era poco più di un grido  soffocato di dolore attraverso un fitto intreccio di foglie e rami, i capelli grigi scarmigliati appena visibili. Anche dal suo tavolo, il più lontano rispetto al podio, Draco rabbrividì, notando la grossa macchia di sangue che si stava raggrumando ai piedi della professoressa.

«C’è poco da fare. E’ morta… i genitori saranno fortunati se potranno avere un corpo per fare un funerale…perché quella non è una semplice vasca, vero Dolores? Che cosa diamine le fa pensare che lei riuscirà dove i più grandi maghi hanno fallito?E’ solo una povera illusa, megalomene e con evidenti carenze di affetto» aveva commentato Niamh gelida, gli occhi neri che lampeggiavano furiosi. «Se ce l’ha con Potter non poteva semplicemente ammazzarlo e lasciare tutti noi in pace?»

«Ehi, grazie! Quasi quasi rivaluto Piton» ringhiò Harry di rimando, spostando lo sguardo verso i Serpeverde, sperando che quella dannata porta d’ingressso si aprisse e finalmente entrasse la McGranitt

La Umbridge, che aveva guardato la scena senza con espressione soddisfatta, si era girata senza smettere di sorridere, avvicinandosi a piccoli passi affrettati verso la donnae fermandosi a pochi centrimetri da lei. Poi, senza alcun avviso, alzò la mano colpendo con forza il viso della giovane strega con la mano coperta di anelli«Io riperterò la , il volto distorto dalla rabbia Scuola al suo antico splendore, dannata impertinente. E ora, muovetevi! Edgecombe, Bulstrode!»

«Un attimo, Preside! Vorrei dire una cosa» era stato nuovamente Astoria a parlare parlare, calmissima come se non avesse appena assistito al tradimento di una delle sue compagne di casa.

«Astoria, mia cara bambina, ne abbiamo già parlato: ti sei offerta tu volontaria, ricordi? Hai detto che avresti fatto qualunque cosa pur di salvare tua sorella. Oh, andiamo, un piccolo sacrificio per il bene più grande della sicurezza e della prosperità della Scuola e del Mondo Magico, non sei felice di farne parte?»pigoló con voce zuccherina.
«Felice un corno! Ma si può sapere cosa diavolo le dice il cervello? Per colpa di Cedric vuole fare una strage? E mi dica un po’,come lo spiegherà?» aveva ringhiato Draco, continuando a dimenarsi. «E’ solo una fottuta psicopatica anche lei, come tutti gli altri»

«Oh, suvvia Draco, più garbato! Possibile che te lo debbano ripetere in continuazione?Vuoi spiegheraglielo tu, Theo? Ora tocca a te, come vedi Padma la sua parte l’ha fatta, non è vero Padma?» era stata ancora una volta Millicent, a rispondere, ridendogli apertamente in faccia.

«Sai Millicent, devo proprio dirtelo… sei un’emerita idiota» aveva commentato di nuovo Astoria, pacifica «E tu, razza di furetto platinato, sei davvero stupido come tuo padre.»

Cosa? Da quando Astoria parlava in quel modo, e poi…furetto platinato…

Possibile…

«E quindi ora se mi permettete un’ultima parola prima di buttarmi in quella pozza schifosa vorrei dire una cosa…» aveva continuato alzando le mani in segno di resa ed avvicinandosi di un passo e allungando il piede quasi a saggiarne la densità.

«Se ci devi dire che ami Draco, risparmiaci, ti prego. Tanto anche lui tra poco ci abbandonerà» aveva chiosato la Bulstrode guardandola con aria di sufficienza.

«Cosa?» aveva subito fatto eco la Umbridge agitata,evidentemente non era nei suoi piani uccidere l’unico erede non di una ma di ben due delle famiglie più ricche ed influenti del mondo Magico. Cosa avrebbe detto Caramell? Certo avrebbe potuto sempre dire che si era trattato di un incidente…in fondo sarebbe stato tutto perdonato una volta che il giovane Diggory sarebbe tornato in vita e Potter messo definitivamente a tacere. Amos non aveva mai parlato di questo,aveva detto che c’era la possibilità di dover fare qualche piccolo sacrificio ma…

«Ora!» aveva gridato Astoria, con un grosso ghigno, si era sporta un po’  in avanti, per poi girarsi rapidissima e colpire con un pugno Millicent direttamente sul corto naso da carlino. «E questo è per avermi costretto a stare a Serpeverde, razza di stronza»

Come diavolo non avevano fatto a notarlo prima? Era sempre stato così evidente, non è che Astoria si stesse comportano in maniera strana…semplicemente quella non era Astoria. O, almeno, non lo era da  un po’ di tempo.

«Tonks!Cazzo, lo sapevo che non eri morta!» urlò Harry, mentre la figura delicata della più giovane delle Greengrassi lasciava il posto a quella slanciata e famiglaire di Nymphadora Tonks, i capelli fiammeggianti come gli occhi.

«Ci vuole più di un paio di ragazzine e una stronza per ammazzarmi, Harry. E poi ho avuto un’alleata speciale, anzi due...»

La  Umbridge aveva tirato fuori la bacchetta mentre la Bulstrode ululava di dolore, ma prima che riuscisse a colpirla ci fu un forte schianto e un elfo domestico con un vistoso fiocco color porpora le si piombò in testa,armata di una pesante pentola di rame.

«Questo è per aver pensato di ammazzare il padroncino» aveva urlato, mentre continuava a percuoterla, evitando i tentativi della donna di strapparsela di dosso.« E questo è per la figlia di Miss Andromeda. E questo per il piccolo mutaforma… e questo per aver tentato di toglierci la magia…come si fa a togliere la magia ad un elfo, stupida, stupida, donna»

«E per Harry Potter! Nessuno può attentare alla vita di Harry Potter, se non Dobby» un secondo schiocco e anche Dobby, vestito con maglione e due calzini diversi, era apparso alle spalle del tavolo dei Grifondoro, armeggiando dietro ad Hermione ed Harry. 

«Cockey, Dobby! Dovete portare via la Sproute! Se non arrestate l’emorragia, morirà» li pregò Tonks, correndo verso Harry. 

«Chang! Finnegan! Goyle! Bulstronde! Edgecombe! Patil! Che diavolo state facendo? Toglietemi quest’essere orrendo di dosso!» aveva continuato ad urlare la Umbridge come un Auregey con la coda a fuoco, continuando ad agitarsi per la sala.

Gli interessati si alzarono in piedi come automi,  ma prima che riuscissero ad arrivare l’elfa era già sparita, al suo posto era invece apparsa Niamh, liberatesi dei lacci e con la bacchettta puntata alla nuca della Umbridge.Anche a quella distanza era possibile vedere i segni rossastri lanciati dalle rune incise sullla pelle.

La grande porta della sala comune balzò via, mentre facevano irruzione un nutrito gruppo di elfi domestici, armati dei più disparati oggetti contundenti. La Umbridge aveva limitato i loro spostamenti e cercato di bloccare i loro poteri magici, ma non le era passato neanche per un attimo in mente che potessero formare uno sgangherato e rudimentale, seppur piuttosto agguerrito, esercito dotato di ogni tipologia di arma improvvisata che Hogwarths potesse offrire. E, onestamente, non erano affato poche. 

«Vedete? Avevo ragione quando dicevo che bastava chiedere aiuto per ottenerlo» sorrise Luna facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi mentre un elfo grassoccio e dalla faccia truce cercava di liberarla,colpendo i rami con una grossa accetta. L’impresa però sembrava più difficoltosa del previsto, dal momento che ogni volta che stava per colpirne uno dei fiori sembrava cercare di azzannarlo. Uno addirittura riuscì a strappargli il coltello di mano e lo sputò dall’altra parte della sala, sfiorando di poco la testa di Anthony Goldstein.

«Fermi razza di stupidi esseri! Volete farci diventare dei tiri al bersaglio? Ma quanto cazzo siete imbecilli» urlò Blaise inferocito, continuando a divincolarsi. Con la coda dell’occhio non gli sfuggì che tanto Pansy, quanto Hermione sembravano armeggiare sottobanco con qualcosa.

Lanciò un’occhiata alla Serpeverde che gli rispose, sbuffando «Non hai mai avuto senso di osservazione, Zabini. E cosa mi dice che non fai anche parte del gruppetto di sostegno della Umbridge eh?»

«Forse che non sono libero e non sto cercando di saltare alla gola alla fottuta mezzosangue mutaforma? Per dire, eh» aveva ringhiato di rimando. «Theo, per favore falla ragionare. Troviamo un modo e andiamocene di qui prima di finire a fare carne da macello. Di nuovo. Draco tra l’altro non ha una bella cera… e se gli venisse un infarto? Non conviene lasciarlo direttamente qui?»

«Sta zitto, Blaise.» aveva mormorato Theo «Non lo senti questo fruscio…loro…loro stanno arrivando. Dobbiamo fermarli prima che sia troppo tardi.»

«Ah si e come facciamo? Non so se ve ne siete resi conto ma siamo un pochino bloccati»

«Io butto te dentro la vasca, stronzo. E ti fa male non  bere sai? Merlino la prossima volta  mi devo ricordare di farti ubriacare prima di qualsiasi evento, sei molto più simpatico.» aveva sibiliato Draco di rimando,girandosi di spalle quel poco che bastava per toccare con le mani la pelle lasciata scoperta dell’amico. Aveva qualcosa di pungente in mano, piccolo ed affilato, quasi fosse una scheggia di metallo«E ora vedi di chiudere il becco».


«E’ ora di finirla, razza di piscopatica. Chiudi il portale. Ora» Niamh aveva preso l  Umbridge per i capelli, spingendole la bacchetta contro il collo facendola barcollare. Quasi di fronte a lei, Tonks teneva sotto controllo gli studenti che erano venuti in soccorso di  Millicent, ancora piegata in due dal dolore. «Non costringetemi ad ammazzare una ragazzina, Vi prego, se c’è mai stato qualcosa di decente dentro di te…svegliatevi. Potete farcela. Tornate qui con noi»

«Lasciatela andare. Voi non capite… se non agiamo subito Cedric non tornerà. Abbiamo fatto tutto questo per lui…Il padre di Cedric ha detto che non c’è niente di cui preoccuparsi…anche Lavanda…sono certa che starà bene, dobbiamo solo sbrigarci» Marietta si era buttata di fronte a Tonks,quasi in lacrime ,attaccata a Cho, immobile e spaesata. In mezzo a tutti loro una decina di elfi domestici, che continuavano a lottare per liberare gli studenti, menando fendenti e cercando di sfuggire ai tentacoli.

«Si, certo come no. E poi magari andremo tutti a farci un gelato da Mielandia. Per la miseria, Edgecombe… ma come diavolo hai fatto ad entrare a Corvonero?» era stata Hermione questa volta a parlare, meritandosi un fischio ammirato di Draco.

«Eccola qui, la Serpeverde che conosco» le disse con un sorriso del tutto fuori luogo rispetto all situazione.

«Fanculo, Malfoy. A te e tutta la tua casa di disadattati»aveva mugolato Harry di rimando , imprecando contro i geniali piani sussurrati da Hermione poco prima di entrare nella sala. perché diavolo doveva sempre esserci qualcosa di doloroso on mezzo ?

«Sta zitto, Malfoy ! Cosa diavolo ne puoi sapere tu? Tu che non hai mai tenuto a niente e nessuno..» la voce di Marietta era mai isteric , gli occhi spiritati che vagavano per la sala .

«Non è vero, tiene ad Hermione, ad esempio. Altrimenti sarebbe già sparito quando ne aveva l’opportunità. Grazie, Signore. Lo apprezzo molto» aggiunse Luna inchinando leggermente il capo verso uno degli elfi, di nuovo dietro di lei, il quale per un attimo rimase come pietrificato nel sentirsi chiamare “signore” per la prima volta in vita sua.

«Ora basta» l’Umbridge sembrò aver ritrovato il fervore di poco prima, urlando battendo il piede stizzita contro il pavimento di marmo «Signorina Montmorency, non so a che gioco stia giocando ma sapevo di non potermi fidare di lei…le avevo chiesto un’unica cosa…ed ha fallito anche in questa. Cosa ci voleva ad entrare nella mente di Potter e dirmi il segreto che nasconde da un anno? Era una cosa piccina piccina»

«Segreto, quale segreto? Ma di cosa sta parlando questa sciroccata?Prima pensa di sacrificarci per far rinascere un morto da un anno… e perdonatemi se ve lo dico…ma è davvero una cosa idiota…E ora se ne esce con questo fantomatico segreto che mi starei tenendo. Sa qual è il segreto, brutta imbecille? Che vedo Voldemort, ecco qual è il segreto! Lo sento nella mia testa… e lo sa perché? Perché lui è fottutatmente vivo e probabilmente è lui dietro tutto questo»

«Idiota?»squittì la Umbridge, alzando il tono di voce di almeno due ottave al punto da riuscire a superare ogni altro rumore nella sala.

«Si, idiota. Vuole che le trovi qualche sinonimo? Sono certo che Hermione sarà in grado di snocciolargliene almeno una decina… vero Herm… » le parole gli erano morte in bocca quando girandosi aveva trovato Hermione che fissava il trio con gli occhi sgranati. «Ehi ma che ti prende…»

«Ci siamo sbagliati…ci siamo sempre sbagliati… per Merlino…perché non funziona…»aveva balbettato continuando a spingere la spina appuntita contro il palmo, cercando di tracciare un segno quanto più possibile preciso sulla pelle: non le era infatti sfuggito che l’unica che si fosse liberata da sola era stata Niamh, e anche da quella distanza aveva potuto vedere il lungo segno rossastro di una runa tracciata a sangue sulla pelle.

Thurisaz, Thorn in inglese, la spina. La stessa che li stava schiacciando e tentando di sottomere la loro volontà con quelle piante soffocanti era anche quella che garantiva loro la protezione. Il tutto era riuscire a tracciarne una decente. E, a quanto pareva, non era stata la sola ad seguire il consiglio della Montmorency, visto quello che stava accadendo al tavolo dei Serpeverde, dove un luccichio metallico che conosceva fin troppo bene aveva catturato un paio di volte la luce della candele.

Ma, allo stesso tempo, quando si era sporta per cingere le spalle di Marietta nel tentativo di calmarla, Hermione si era resa conto di una cosa. Nonostante l’espressione dolce e rassicurante c’era stato un lampo strano negli occhi  lo stesso che non vedeva da tempo.

E poi quel ciondolo con le ali: lei era l’unica che lo avesse smaltato, mentre le altre lo aveva in argento.Le stesse ali della falena che si era posata sulla sua spalla.

E poi fu un attimo, tutto degenerò in pochi minuti.

Un secondo prima tutta l’attenzione era sulla Umbridge e su Millicent, che fino a quel momento era sembrata la perfetta capobanda, mentre come al solito avevano dato per scontato che non potesse esserci del male al di fuori di Serpeverde.

Anche quando Padma, che ora era seduta in terra come una bambola con i fili rotti, aveva tradito Lavanda, avevano continuato a concentrarsi su di loro; lei, Greg, la Frobisher che tentava di colpire quanti più elfi possibile… era tutto così lineare…

Ma c’era qualcosa di disturbante in quell’immagine, e finalmente se ne era accorta anche lei. Bastava così poco…un’ultima linea. Che gran peccato che non potesse tracciarla nessun’altro la runa sulla pelle affinché l’attivasse. Avrebbe reso il tutto più semplice.

«Forse non sei davvero così intelligente come dicono» aveva riso la Abbot, scoprendo la fila di denti bianchissimi in quel sorriso che non aveva più nulla della giovane e premurosa studentessa di Tassorosso che aveva sempre conosciuto.«Finalmente riavremo indietro il nostro campione. Non c’è niente che non faremmo per un’amico. Scusa, Bulstrode…ma ora sei davvero superflua. E ti posso dire che sei stata proprio un bravo cavallino»

In pochi secondi  Millicent venne sbattuta all’indietro, colpita da quello che a tutti gli effetti era il miglior Stupeficium che avessero mai potuto insegnarle. Non ebbe neanche il tempo di  urlare, solo l’espressione attonita nell’attimo stesso in cui era stata colpita rivelava che avesse compreso cosa stava per succedere.

Tonks cercò di afferrarla, di fermarne la caduta, ma il tempo di lanciare l’incantesimo e già l’acqua della vasca si era alzata ad accoglierla, come se fosse ansiosa di accogliere una nuova, gradita, offerta.

.Hermione, finalmente, tracciò l’ultimo punto del triangolo esterno, e nel momento in cui il disegno si ricongiunse con l’asta, sentì un flusso caldo e rassicurante fluirle dalla mano, dove era ora ben visibile ora una sorta di lettera p molto allungata, lungo il braccio, e la schiena, avvolgendola come una coperta.

Non doveva essere stato altrettanto piacevole per i rami che la stringevano, tuttavia, visto che poco dopo di loro non rimase che cenere. Hermione fece un salto indietro, chinandosi a recuperare la bacchetta che aveva nascosto sotto la maglia, trasfigurandone una finta prima di entrare. Era certa, infatti, che qualunque cosa avesse in  mente quell’orrida donna, avrebbe fatto in modo di ostacolarli in ogni modo

Appena il corpo di Millicent toccò l’acqua, questa inizio a fremere e schiumare in grandi bolle violacee, un sobbolire incessante e denso che ricordava fin troppo l’ultima lezione in aula di Piton, mentre l’aria si saturava di catrame e acqua dolce stagnate.

Non era stata l’unica a non prevedere quello che stava per accadere: la Montemorcy sembrava aver perso ogni colore sul viso bianco ed era  immobile come una delle statue del corridoio di Hogwarts. Si portò una mano al petto, accasciandosi in terra boccheggiando, quasi non riuscisse a respirare.

«Scappate.» riuscì a dire tra un colpo di tosse e l’altro. «Nymphadora, scappa. E’ troppo pericoloso qui per te…non è …non è…»

E poi lo sentì anche lei, un odore di fumo acre e pungente, mentre delle onde impossibili si alzavano a raccontare una storia, ruggendo in un irreale blu che si innalzava impetuoso sempre più in alto, quasi volesse raggiungere la cupola della sala comune. Cosa sarebbe successo se avessero superato il limite del perystyle? Era quella la fine di Hogwarts, travolta dalle stesse acque che la circondavano? Perchè dietro il putridume e l’odore di canfora aveva riconosciuto un vago sentore di profumi di frutta e fiori avvolti da una brezza calda e morbida:l’odore dell’acqua del Lago Nero.

Marietta fece qualche passo in avanti,nel silenzio irreale della sala. Quando era sucesso che avessero smesso di urlare? Quando era calata quella cappa di incredulità ? Era stato prima o dopo che la vita di Millicent Bulstrode, quella stessa che aveva chiamato carlino troppe volte per poterla raccontare, si era spenta per sempre? O era stato vedere la dolce, piccola e tenera Tassorosso guardarla sprofondare senza battere ciglio.

No, non era stato quello, c’era qualcos’altro.

«Io l’avevo detto di non fidarsi di gente con le copertine patchwork».La voce di Draco era arrivata come ovattata, talmente irreale quel commento da strapparle un sorriso.

«Oh, tesoro, non sai neanche di cosa stai parlando» la Umbridge aveva iniziato a tremare, scossa da tamburi invisibili, in una danza grottesca. Tonks provò a raggiungerla ma di nuovo fu rimbalzata all’indietro, le bacchette del nuovo e mal assortito esercito che si erano mosse all’unisono per colpirla con una nuova e inusitata forza.

«Cosa diavolo è quello?» indicò Ginny osservando la sottile linea color porpora che sembrava alzarsi dall’acqua ed avanzava strisciando tra le gambe degli studenti con la stessa velcità del boccino d’oro. 

«Un’anima che sta cercando il suo catalizzatore finale. Era nel numero del Cavillo di luglio dello scorso anno,sai? Probabilmenteprima l’involucro era Millicent ma era troppo debole» aveva commentato Luna, come se fosse un’ovvietà. Poi, pensierosa aveva aggiunto «Anche se non è decisamente una cosa così negativa.»

«Tu dici, Lovegood? Per Merlino, ringrazia che siamo distanti e che questa stupida felce mi abbia buttato la bacchetta chissà dove.» ringhiò Pansy, riuscendo finalmente a liberarsi. Incidersi la runa sulla coscia era stato più difficile del previsto. E poi un giorno qualcuno avrebbe dovuto spiegarle cosa ci faceva lei con un coltello che pensava fosse stato lasciato a venticinque anni di distanza, in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Si guardò intorno, spaesata, per poi tornare a guardare il coltello tra le sue mani, lo stesso che Cockey le aveva messo in mano prima di scomparire.

Forse c’era solo una cosa da fare.

Prese la mira e lo lanciò in direzione della Umbridge, con tutta la forza che aveva, pregando qualche misteriosa entità che non l’aveva mai ascoltata che il colpo andasse a segno e non si frapponesse nessuna stupida Grifondoro di sua conoscenza.

Quasi contemporaneamente, infatti,  anche Ginny era finalmente riuscita nella sua impresa di liberarsi, urlando di dolore quando uno dei fiori le aveva azzannato una gamba per farle perdere l’equilibrio, cercando di trascinarla verso la piscina, mentre Dobby, di nuovo materializzatosi, la teneva con tutta la sua forza puntando i piedi, aiutato qualche secondo da Harry e Ron, con le braccia insanguinate per tutti i tentativi che avevano fatto.

«Cazzo, Potter, un po’ di forza» Theo era accorso poco dopo in aiuto, buttandosi sopra Ginny per aumentarne il peso, mentre tutti gli elfi domestici non impegnati a duellare erano accorsi in difesa di Pansy ed Hermione, insieme a Draco e Blaise.

«Nott, stai attento a quello che tocchi» non aveva potuto fare a meno di ringhiare di rimando, seguito da una ben poco gentile risposta di Ginny, persa per fortuna nell’ ultimo, poderoso sforzo di liberarla.. 

«Visto? Puoi sempre contare su tuo fratello maggiore» aveva sbuffato Ron abbracciandola stretta, con il cuore che batteva ancora a mille.

«Ehi e noi che siamo, i vicini di casa?» avevano borbottato Fred e George, stranamente silenziosi ed immobili, ancora seduti al loro posto. «E poi non è stato merito tuo, ma di Neville»

Harry alzò lo sguardo dalla ferita di Ginny per spostarlo verso il centro della Sala, dove in effetti c’erano Neville e Luna che solleticavano il sottogola dei fiori blandendoli, mentre i rami che fino a poco tempo prima cercavano di stritolarli e di soffocarli, battevano felici in terra neanche stessero scodinzolando.

«A volte tutto quello che si vuole è un po’ di gentilezza. Mio padre lo dice sempre...» aveva risposto Luna con noncuranza scuotendo le spalle, mentre si chinava per evitare un incantesimo lanciato dalla Frobisher, deviato appena in tempo da Neville accanto a lei.

«Cazzo, giuro che se ritira fuori il Cavillo, mi butto io nella vasca» aveva bofonchiato Blaise, incassando un’occhiata di approvazione da Draco.

«Idioti! Andatevene!» l’urlo sofferente  di Niamh li aveva  distratti di nuovo dal loro compiacimento. «E’ troppo tardi»

«Troppo tardi, cosa? Non vedi che si stanno calmando» aveva rimbeccato Harry, prima di accorgersi con sgomento che in quello che era stato poco più di un battito di ciglia si erano dimenticati della Umbridge, ormai ricoperta da sottili filamenti color porpora sottili che la rivestivano come un bozzolo.

E si ricordò dell’ultima volta in cui aveva pensato che le farfalle, falene, libellule o il cazzo di animale fossero, portassero sfortuna: poco prima di essere colpiti alla nuca a Villa Black, e  trasportati nelle segrete di Malfoy Manor.

Con un tonfo secco la sottile membrana che rivolgeva la donna si ruppe, mentre il corpo della Umbridge cadeva con un gemito in terra. 

Si era sbagliato, allora. Per fortuna.

Ma poi la vide, la sagoma perlescente che si stava formando sopra la Umbridge che respirava appena. Prima solo un accenno: lunghi capelli, la forma di un corpo femminile, dita allungate nell’aria.

Sentì Draco Draco lanciare uno stupeficium dietro di lui, seguito a ruota  dalla lepree argentea del patronus di Hermione, ma entrambi attraversano la figura come se fosse fatta d’aria, disperdendosi al contatto con quella perlescenza che diventava sempre più sostanza.

E poi eccoli li: la pelle diafana, le labbra turgide e i grandi occhi scuri che ricordava. Era invecchiata dall’ultima volta che l’aveva vista, stesa in terra nelle segrete del Maniero. Eppure, era indubbiamente lei.

La donna rise stiracchiandosi voluttuosa come un gatto. Poi si rivolse direttamente a loro, un sorriso fintamente dolce sul viso, appena reclinato che li guardava sogghignando.

«Ve  l’avevo detto che sarei tornata, bambini» rise, schioccando la lingua come gustando un cioccolotto allo zenzero particolarmente ricoperto di crema al caramello. Poi scattò come un serpente velonoso verso Tonks « E’ in quanto a te, credimi: avresti fatto meglio a farti catturare. Non sarà affatto piacevole quello che ti succederà. Ma posso assicurarti che è tutta colpa di tua madre».

Draco deglutì a vuoto, ritrovando nello sguardo esterrefatto e pietrificato di Theo il suo stesso terrore.

Cassandra era tornata sul serio.

 

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXV- Battuta vecchia, mia cara! ***


Stupeficium

La prima cosa che aveva fatto Harry, il cervello che rimaneva un attimo indietro rispetto alla mano che si era alzata automaticamente, era stato lanciare un incantesimo offensivo contro quella donna.

Perchè lei? Non aveva senso.

Eppure era certo che dietro tutto questo dovesse esserci Voldemort. Doveva essere così: la cicatrice che bruciava, le voci nella sua testa, quell’odio profondo che gli sconquassava la mente e che sapeva essergli alieno.

Cassandra Carrow, o Nott o come diavolo si chiamava, non aveva niente da che spartire con lui. Ci mancavano solo nemici che non sapeva neanche di avere.

In ogni caso era ben intenzionato a liberarsene il prima possibile. 

Il potente fiotto di energia viaggiava veloce contro la figura della donna che lo guardava sogghignando, ben presto raggiunto da quelli di Hermione e Ron. Eppure, quando la colpi, Cassandra rimase perfettamente immobile, continuando a ridacchiare. 

Ma c’era stato qualcuno che aveva urlato, e poi c’era stato il rumore di un corpo che sbatteva contro il marmo. Una voce che aveva sentito decine, se non centinaia, di volte nel corso di cinque anni di scuola, solitamente che lo incitava durante una partita di Quidditch, o la sentiva ridere nel dormitorio.

Seamus.

«Vi prego, continuate. Sarà davvero delizioso vedervi colpire i vostri amici. O forse avete delle preferenze? Volete vendicarvi di queste tre? Ditemi, sono tutta orecchie» rise, indicando con un gesto plateale Padma, Marietta e Annah, accasciata in terra. 

«Sei solo una schifosa vigliacca… servirsi di ragazzini per il tuo scopo. Sei disgustosa» Tonks si era avvicinata retrocedendo all’indietro verso Harry, Ron ed Hermione, tenendo sotto tiro tanto Cassandra quanto gli altri studenti  schierati dietro la donna.

«Oh, ho urtato la tua delicata sensibilità da Mezzosangue? E dimmi, mia cara, chi si è fatto degli scrupoli quando si è trattato di me? Siamo tutti degli strumenti, Mutaforma. Tutti. Anche tu… non hai notato come tutti sono stati pronti ad accusarti?  Oh, guardare quello che stava accadendo è stato davvero divertente, peccato non poter osservare la reazione della tua cara mammina.» ridacchiò strappando la bacchetta dalle mani rattrappite dal dolore della Umbridge e soppensandola con fare disgustato. «Piccola e tozza come la sua proprietaria.Ma per il momento ce la faremo andare bene. D’altronde la mia non si sa che fine abbia fatto, vero Theo?Non erano però questi i patti, tesoro… perché devi sempre farmi arrabbiare?»

«E perché tu non puoi morire e liberarci della tua aberrante presenza, per una volta? Nessuno ha sentito la tua mancanza,anzi.» istintivamente Draco gli si era parato davanti,, sentendo Theo rabbrividire, subito affiancato da Blaise e Pansy, la rabbia che ancora provava pronta ad esplodere.

«Oh,angelo  mio, mi ferisci. Vuoi dire che non ti è mancato il nostro tempo speciale? Sei molto maleducato, sai? Ma non preoccuparti, avremmo tempo di parlarle... E, tu, ferma» il tono di voce dolce e mellifluo era scomparso in un attimo, quando si era girata per lanciare una Cruciatus contro Niamh che aveva tentato di avvicinarsi, colpendola in pieno.

«Vorrei tanto sapere tu chi diamine sei e da dove esci fuori. Dove diavolo è quella spostata della Trelawney?Avevo sempre pensato che fosse solo una sfigata….ed invece, stranamente, si è rivelata utile. Così come tutti questi piccoli, teneri idioti…è stato così semplice utilizzare i loro desideri e le loro paure. La fidanzatina che piangente va dal padre pazzo di dolore a portare l’ultimo regalo che le è stato fatto, la migliore amica che non riesce a sopportare quel pianto continuo, la compagna di scuola che ha perso un mentore…. Devo dire che sono stata fortunata, però, per una volta, è morto il campione giusto. Chissà se qualcuno si sarebbe presa tutta questa briga per il bulgaro. Forse tu? Già sarebbe stato davvero perfetto vederti cadere dal tuo piedistallo» ridacchiò, soddisfatta in faccia ad Hermione. «E invece, giorno dopo giorno, notte dopo notte, l’ambra si è nutrita del suo dolore, come una spugna. E io diventavo sempre più potente,iniziavo a riprendere coscienza anche se tutto intorno era avvolto dalla nebbia. Ma era così’ vuoto qui. Ma ora torniamo a questa patetica sceneggiata da finti amici. Allora, Theo, c’è niente che vuoi dire ai tuoi compagni? Sono certa che ti staranno ascoltando con interesse. Vuoi raccontare loro come sia tua la colpa di tutto questo?»

«Ci ha già detto che l’hai costretto a dare una stupida pietra a Diggory e agli altri campioni, sei noiosa» l’aveva irrisa Pansy, ben attenta a tenere la bacchetta di fronte a sé. «E se credi che me ne freghi niente se qualcuno si becca una Cruciatus al posto tuo, sei davvero un’ingenua. Oltre che patetica»

Gli occhi di Cassandra per un attimo fiammeggiarono di rabbia «Patetica?Patetica io? Credi che non abbia visto i tuoi piagnucoloi quando ti è stato tolto quel ridicolo giornaletto da quattro soldi che pensi sia la tua grande occasione?Ci hai creduto davvero a quella storiella? Andiamo sei più intelligente di così’. Non hai futuro, Pansy. Tu non sei niente di più di quello che pensa di te la gente.» 

«Ehi, stupido giornaletto un corno! E ti vorrei ricordare che in teoria eri già morta e sepolta quando è uscito… ed è stato un successo..., certo se la zia psicolabile di Malfoy non avesse deciso proprio quel giorno per lanciare in aria un enorme e disgustoso Marchio Nero,rapire i genitori di Hermione, liberare un esercito di Krampus e finire ammazzata, ti posso assicurare che sarebbe stato la prima notizia sulla Gazzetta del Profeta. Certo, sarebbe stato disgustoso vedere la foto di Hermione vicino alla viziata ed arrogante madre del furetto ma…»aveva ringhiato Ron, schivando uno stupeficium.

«Ehi, che cazzo di bisogno c’è di insultare mia madre? Possiamo concentrarci su questa qui che ha appena fatto fuori Millicent e la vostra cara amichetta?Grazie, lo apprezzerei molto.»si era lagnato Draco, spingendo nuovamente Theo dietro di sé, visto che sembrava avere la strana tendenza a gravitare verso quella stronza. 

«Zitti, idioti. Quindi Bellatrix è morta? Non è ad Azkaban?» li aveva interrotti la Carrow con uno strano ghigno soddisfatto. «Questo è davvero un piacevole imprevisto. Molto bene, significherà che questa volta lui  non avrà dubbi su chi è la sua stella più splendente.»

«Per Salazar Serpeverde, ancora dietro a quel mentecatto di Lord Voldemort? Certo che ho sempre pensato che ti mancasse qualche rotella ma, sul serio, inizio a preoccuparmi della tua intelligenza. Bellatrix è il nome di una stella,razza di ignorante parvenue. Ecco perché Lord Voldemort la chiamava così. Letteralmente significa…» aveva pontificato Draco guardandola con una tale di sufficienza che per un attimo ad Hermione venne da ridere, ricordando come Narcissa adolescente fosse solita rivolgersi a praticamente chiuqnue con la stessa altezzosità. Fu un bene che lo stesse guardando attentamente e che avesse già la bacchetta pronta per lanciare il suo Protego, altrimenti la maledizione lanciata da Cassandra lo avrebbe colpito di certo in pieno, infrangendo invece contro il muro alle sue spalle, dove lasciò dei segni profondi simili a quelli di una lama o di artigli molto affilati.

«Tipico dei Black,credersi sempre i migliori.»sputò con astio, rivolgendosi poi verso Tonks. «Come tua madre, così brillante, così superiore a tutti noi…finita con un pezzente sanguemarcio che viene pagato per fare la dama di compagnia. O come Regulus,che pensava di essere l’unico a gestire un incantesimo del genere, che non sarei stata in grado di raccogliere tutte le anime. E invece…ho capito cos’è che mancava. Anche, se a dire il vero, dobbiamo ringraziare ancora una volta la stupidità e l’arroganza della nostra Narcissa Black… o scusami, caro, preferisci Lady Malfoy, immagino.»

«Per Merlino, ecco che ricomincia con mia madre. Cos’è ancora ti rode che mio padre ti abbia lasciato per lei?  E’ già stato detto che sei patetica?Si?» lagnò Draco, cercando di avvicinarsi a Daphne, tenuta sotto scacco da Crabbe e Goyle, quest’ultimo con lo sguardo spiritato che continuava a guardare la piscina, chiamando Millicent.

«Patetica e noiosa. Per Salazar sono passati due secoli da allora…cresci un po’» gli aveva dato manforte Pansy.

«E poi, diciamolo, a parte i soldi non credo che sia un gran affare sposarsi quell’idiota. Fossi in te festeggerei»si era intromesso Harry, scivolando lentamente a fianco di Tonks,continuando a muovere la bacchetta tra la Carrow , Marietta e Cho, indeciso su come colpire la strega senza procurare ulteriori vittime innocenti.«Pensa che razza di mostro avreste potuto avere come figlio. Già abbiamo Draco e basta avanza…ma con te come madre sarebbe stato cento volte peggio»

«Ehi, di nuovo…mi sembre un momento abbastanza drammatico senza doverlo utilizzare per insultare i miei genitori. Vi potete concentrare sulla maniaca omicida? Cazzo, Potter questa è la seconda volta che mi metti in un casino del genere, e solo nel nostro tempo».

«Oh, ma il giovane Potter ha ragione…i tuoi genitori sono quelli che mi hanno dato l’idea finale, quella che ha fatto funzionare il tutto. E a proposito Dolores, credo che sia proprio giunto il momento di utilizzare quello splendido tatuaggio che hai, così lui potrà tornare. E poi… le ultime tre, i tre punti del triangolo perfetto. Le ultime, piccole,deliziose anime. Non dirmi che sei gelosa, Dolores, in fondo anche il tuo non è male…solo che non è abbastanza» chiosò sferrando un calcio al corpo della ex Preside e Membro Anziano del ministero, puntandole poi la bacchetta addosso per trascinarla. «Di te, invece, sono certa che vorrà occuparsi Lui, Giovane Potter. Un pochino di pazienza»

«Herm, non vorrei di certo schierarmi dalla parte del rospo rosa, e Merlino solo sa lo zero che me ne freghi se schiatta ma… non dovremmo fare qualcosa? Non credo che le cose miglioreranno per noi se quella prosegue ad ammazzare gente come se nulla fosse.» aveva mormorato Ginny, la schiena contro la sua, mentre tentatavano di fronteggiare un nuovo attacco della Frobisher e di Padma,cercando al contempo di non ferirle troppo. Poi si rivolse esasperata ai fratelli ancora seduti al loro tavolo come se nulla fosse:«E voi due che ne dite di sbrigarvi con quelle rune e venire a darci una mano? »

Hermione però la stava a sentire solo parzialmente, troppo distratta da una voce nella sua testa che le rimbombava metallica. Quando aveva sentito il Legimens premerle nel cervello come uno stiletto di ghiaccio aveva deciso, contro ogni fibra del suo essere, di lasciarlo entrare. Ma l’ospite inatteso non aveva iniziato a scandagliare i suoi ricordi, se non uno, un ricordo di una sera in cui aveva avuto la certezza che avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di salvare coloro che amava. Anche eseguire rituali di magia oscura, anche…

«Te la senti? »

Hermione annuì, senza osare guardare la fonte della voce, certa che anche lei potesse vederla. 

«Ti dirò esattamente come fare. Tu aspetta solo il segnale»

«Quale segnale?» le parole si formarono mentalmente senza che neanche una lettera si formasse sulle sue labbra.

«Oh lo capirai»

«Non ti agirare, Ginny cara. Rischi di farti venire le rughe prima del tempo. C’è un tempo per ogni cosa,vero Fred?» aveva risposto George, tranquillo come se non fosse nel pieno di una battaglia fratricida. 

«E una cosa per ogni tempo, esatto George. L’importante è fare passi felpati, vero Harry?» chiosò il gemello lanciando al bambino sopravvissuto un lungo sguardo d’intesa.

Quelle parole. Le stesse della professoressa McGranitt. Cosa diavolo avevano in mente quei due?

«Ovviamente, Fred» annuì con un sorriso, consegnando la bacchetta a Ron accanto a lui, che lo guardava stralunato.

«Immagina che sia una pallina» aveva aggiunto Hermione, con un sorriso strano, osservando Cassandra che avanzava ancora, mentre la Umbridge cercava inutilmente di porre resistenza, alternando piagnucolii senza senso e minacce di ritorsioni.

«Mia cara Dolores, possibile che tu sia davvero così ottusa? Con te non mi sono neanche dovuta sforzare più di tanto… sei davvero  una piccola arrivista, sai? Posso capire il ciccione Tassorosso ma tu… sacrificare il tuo stesso fratello e il tutto per diventare più importanti agli occhi di Caramell… non so se essere ammirata o disgustata. Comunque ti capisco, anche i miei fratellastri erano degli esseri orribili»

«Deve essere di famiglia» non aveva potuto fare a meno di commentare Draco, seguendo con lo sguardo quella strana linea che sembrava unire Niamh ed Hermione, quasi tangibile. Era evidente che stessero complottando qualcosa. Il che lo attraeva e terrorizzava allo stesso tempo.

Distraetela. La voce era risuonata cristallina nelle loro menti.

«Aspetta che l’Oscuro Signore riacquisti le forze, gli chiederò il piacere di occuparmi personalmente di te. Sono certo che, dopo la tua bravata dello scorso anno,sarà più che felice di accontentarmi. E sono altrettanto sicura che vorrà che sia molto, molto lenta e doloroso. .E’ per colpa dei Black che mi è stato portato via tutto. E quindi chiunque abbia alcun legame con loro sarà destinato a soffrire. Molto. Questo vale anche per te, piccolo Potter, Sirius è il tuo padrino, vero? »

«Si, ma veramente è stato rinnegato. Quindi, onestamente il tuo ragionamento non ha alcun senso. Vuoi prendertela con qualcuno? Hai il furetto li davanti a te. Non preoccuparti, ti capiamo. A dire il vero, fosse stato per il piccolo particolare del ritorno del folle senza naso, per noi sarebbe stato decisamente meglio se lo scorso anno aveste fatto un lavoro migliore. Dai, sul serio? Vi siete fatti fregare così?» era intervenuto Ron, scambiando appena un cenno con Harry, mentre con la coda dell’occhio osservava preoccupato Ginny duellare con Cho, mentre le urlava «Cazzo, Chang. Svegliati! Giuro che quando ti riprenderai ti prenderò a calci  per tutto il campo da Quidditch, garantito. Te lo faccio ingoiare quel dannato boccino se non ritorni subito in te.»

«Tu e mio padre avete ucciso mia madre e hai anche il coraggio di fare la vittima» Theo si era fatto strada fin quasi di fronte alle due donne, sfuggendo al tentativo di Blaise di fermarlo.

«Io l’avevo detto che dovevamo andarcene subito» sibilò il moro al compagno di casa accanto a lui, impegnato a schivare un traliccio particolarmente interessato ad azzannargli la spalla. « Ma voi no…siete diventati degli idioti Grifondoro. Giuro che, se ne usciamo, vi porto in clinica per disintossicarvi.»

«Per fortuna i Nott hanno una politica molto meno rigida dei Malfoy sullo sposarsi.Non è stato affatto complicato. E poi mi ha dato modo di provare una maledizione molto speciale, dovresti esserne orgoglioso. E’ stato così divertente vedere al funerale tutte quelle persone che si interrogavano su quella strana malattia che aveva consumato Isabella giorno dopo giorno, senza che nessuno avesse potuto fare niente. Merlino, per poco non scoppiavo a riderenel mezzo della cerimonia. Per fortuna che c’era Abraxas a trattenermi. Mi ha regalato anche una collana, sai? Una splendida collana d’ambra fatta arrivare direttamente da Haiti, in onore delle radici della famiglia di mia madre. E’ stata davvero una seccatura doverla sacrificare ma anche questa volta devo dire che Abraxas ha avuto un ottimo gusto»

«Certo come no. Soprattutto in fatto di donne, poi. E poi è volgare regalare gioielli a una donna che non sia tua moglie. Cavolo, Carrow, pensavo che almeno questo lo sapessi. Quindi non solo mio padre, puntavi anche a mio nonno? Discutibile, se mi permetti. E poi? Pensavi di ripassarti anche mio zio, prima che morisse? O era troppo sano di mente per i tuoi gusti?»

Bravi. Continuate così. Ancora un pochino, ci siamo quasi.

Cassandra era esplosa in una risata «Oh ma sei davvero così stupido? Davvero non sai nulla dell’arazzo? Perché altrimenti tuo nonno avrebbe sposato quella stupida donna, incapace persino di torturare un elfo domestico…»

«E pensare che c’è chi lo troverebbe una qualità, vero Fred?» 

«Decisamente, George. Ma a quanto pare certe raffinatezze non sono per tutti» chiosò Fred,mentre le scintille rosse della maledizione di Cassandra si rompevano sullo scudo lanciato giusto in tempo da Ginny, Luna e Neville.

Niamh aveva approfittato della confusione degli incantesimi incrociati e della disattenzione di Cassandra per avvicinarsi a Vitious, passandogli la bacchetta, senza farsi notare.

Lui annuì serio, mentre le spire si allentavano di poco.

«Voi due. Smettetela con questo teatrino. Siete insopportabili» aveva ringhiato, afferrando bruscamente la Umbridge per il braccio, e strattonandola «Aveva ragione a torturarvi. Merlino…ma guardatevi: capelli rossi, sguardo vacuo, abiti di seconda mano… non c’è dubbio di chi siete figli. Chissà se strillerete come il vostro caro zietto Fabian, quando vi torturerò a morte.»

Fred alzò le spalle noncurante. «Battuta vecchia. Carina, ma antiquata. Se proprio vogliamo andare sul vintage ne abbiamo una migliore, vero George»

«Certo Fred. La vuoi sentire?»

«Basta!» urlò Cassandra «Vi avevo avvertito. Se ci tenete proprio tanto a morire……»

«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!» urlarono in sincronia i gemelli, alzandosi finalmente alzando in aria le bacchette, mentre l’aria si riempiva di fuochi di artificio dai mille colori , abilmente aiutati da Peeves che sfrecciava per la sala colpendo gli studenti che cercavano riparo dalle bombe stupeficium che il poltergeist faceva cadere a grappolo.

«Maledetti ragazzini» ringhiò la Carrow, girandosi per cercare di colpirli nuovamente, ma quelli erano già spariti, corsi verso la porta di ingresso insieme ad Angelina e Katie, finalmente liberatesi dopo aver resistito a diversi tentativi di strangolamento e che avevano preso di peso Luna trascinandola fuori,nonostante le sue proteste.

Fu per quello che non se ne accorse, accecata dalla rabbia. Non si rese conto che Niamh ed Hermione avevano iniziato a muovere le bacchette, prima impercettibilmente e poi sempre più velocemente. Così come non si rese subito conto dell’aura scura che sembrava provenire da quella ragazzina dai capelli troppo gonfi e lo sguardo troppo duro.

Quando finalmente lo capi tentò con unultimo sforzo di gettare quello stupido sacco vestito di rosa che le si era attaccato alle gambe nella vasca, in modo da completare il rituale. Doveva acquisire forza e dovev creare un varco per Lord Voldemort. E poi lo sentiva, il rumore delle ali che si avvicianavano. Le anime rubate stavano arrivando, non aveva più molto tempo.

E poi ci fu un urlo disumano sotto di lei, mentre veniva sbalzata indietro, appena il tempo di vedere un grosso cane nero farsi strada zigzagando per evitare i colpi. Aveva già visto quel cane, ne era certa. Sempre ad Hogwarts, in una sera d’inverno. La sera in cui avevano pensato di aver ucciso quel dannato Auror. 

Ma non era lei che puntava. Con un balzo la sorpasso, tenendo tra le mani un qualcosa rivestito di un orrendo color pervinca avariato misto a sangue. E in quell’osceno miscuglio di ossa, tendini esposti e stoffa bouclé era ben visibile il tatuaggio del fiore nero che lei stessa aveva impresso su quella flaccida pelle.

Di fronte a lei, la bacchetta ancora tesa e un sorriso troppo soddisfatto per una Grifondoro, c’era la maledetta sanguesporco che aveva rovinato tutto.

«Spero che quello non fosse proprio il pezzo essenziale» la scherni mentre Draco la trascinava fuori, la loro fuga coperta dalla ritirata dell’Auror e di quella strana professoressa dal ghigno troppo simile a quello di Arael Malfoy che lanciavano bombarbe maxime e stupeficum arretrando, il rumore che tuttavia non riusciva a coprire le urla di dolore della Umbridge.

«Lo spettacolo è offerto dai Tiri Vispi Weasley, se sopravvivete venite a trovarci» si inchinò George facendo capolino dalla sala, schivando la Cruciatus di Gregory Goyle. «E spero che abbiate vestiti adatti al fango».

«Fermateli!» urlò mentre cercava di strisciare per rimettersi in piedi, le gambe ancora bloccate dall’incantesimo che le era stato lanciato alle spalle.

Strisciò sino alla bacchetta, mentre quegli idioti di ragazzini non riuscivano ad ammazzare più di un paio di elfi domestici. Poco male, ci avrebbe dovuto pensare da sola,come sempre.

«Non così in fretta, signorina Carrow»

Cassandra alzò gli occhi, con un sorriso malevolo. Davvero quello sciocco ometto pensava di poterla fermare.

«Professor Flitwick, ha davvero tutta questa voglia di morire oggi? » ghignò mentre l’uomo le restituiva uno sguardo impassibile.

«Isabella era una studentessa della mia casa, una ragazza dolce ed intelligente. Non ho potuto fare nulla quando l’hanno costretta a sposare quel mostro, così come non ho potuto salvare Lisa Turpin. O Lavanda Brown. O Millicent Bulstrode. O, il povero Cedric Diggory. Ma, per Helena Corvonero, non starò qui a guardarti trucidare uno studente dopo l’altro. Ho sempre pensato che ci fosse un fondo di bontà in ognuno degli studenti di Hogwarts, e che sia stato un nostro fallimento se siete diventati degli assassini. Ma, evidentemente, sono stato troppo duro con questa Scuola.» le disse serio mettendosi in guardia.

«Voi! Portatemi qui quelli che sono scappati. Potete ucciderli tutti tranne le ragazze con il tatuaggio.Ed Harry Potter. Che nessuno lo tocchi» abbaiò a quel che restava del suo piccolo esercito personale. Poi si inchinò con irriverenza. «Che il gioco abbia inizio, allora.Sono certa che l’Oscuro Signore apprezzarà di trovare il cadavere di uno dei professori della Scuola al suo arrivo»


***

 

«Si può sapere dove sono andati tutti?L’intera Hogsmeade sembra deserta» Narcissa camminava accanto a sua sorella, l’unico elemento famigliare in quel gruppo con cui l’unica cosa che condivideva era la volontàà di entrare ad Hogwarts. Lucius era rimasto alla casa di Cassandra, dicendo che avrebbe tentato di contattare Caramell e li avrebbe raggiunti appena possibile. Ma, se gli altri se l’erano bevuta, lei, ancora una volta si era trovata di fronte all’ennesima bugia di suo marito. Cosa lo tratteneva in quella casa? Perché non la voleva li?

Ma non c’era tempo per quello, l’aria si era fatta satura di acqua stagnante e catrame bruciato, un odore viscido che sembrava strisciare nei polmoni risucchiando tutte le energie.

E poi quel serpente. Era fin troppo simile ad un altro, uno che aveva sempre atteso con gioia.

Il serpente di Imbolc. Il segno della rinascita, dell’arrivo della primavera, dell’eterno avvicendarsi delle stagioni. Ora, invece, sembrava essere messaggero di morte e di dolore.Era possibile? Che qualcosa di così amato e famigliare si trasformasse nel suo peggior incubo?

Beh, peggiore fino al momento in cui era entrata nella casetta modesta proprio dietro Madame Più di Burro. Si fermò un attimo di fronte alla vetrina, i dolci ancora in esposizione ma dentro sembrava che non entrasse nessuno da secoli, lo stesso arredamento pacchiano e antiquato che ricordava lei. Erano anni che non metteva piedi in quel posto… da quando…

l’immagine di Selwyn dalla mente stravolta le balenò in mente, per essere subito ricacciata in fondo al buco nero che erano stati quei mesi.Eppure tutto doveva essere iniziato li… anche grazie alla sua infida sorella che aveva deciso di rimandare suo figlio nel passato.

Era stato quello a portare a quella situazione? Andromeda era stata fin troppo vaga ma era chiaro che quella sera, quando era stata salvata, c’entrasse anche quello strano viaggio nel tempo che non le avrebbe mai perdonato.

E il marchio nero? Cos’era davvero successo? Andromeda non aveva spiegazioni,  e Lucius non ricordava nulla. Eppure l’aveva visto sfiorarsi l’avambraccio, prima di uscire. Un gesto che per gli altri non sifgnificava niente ma che lei aveva visto tante, troppe volte per non darci peso: Lord Voldemort stava chiamando.

E Severus? Stava bene? Aveva sentito anche lui la chiamata? Perchè non aveva fatto nulla per mettersi in contatto con lei? E ora? Lord Voldemort era davvero vivo dopo lo scorso anno, sebbene privato di tutti i suoi seguaci? E se Lucius non lo avesse tradito realmente e avesse fatto solo finta? Era questo il motivo per cui non era venuto con loro? Doveva parlare con il suo padrone? Che ancora una volta avesse deciso di mettere le sue false promesse di fronte alla sua famiglia? Di certo questa volta non avrebbe potuto perdonarlo. Era passata sopra tante, troppe cose. Ma un nuovo tradimento di quel genere….no, davvero, non avrebbe mai potuto superarlo né come donna, né come madre. E in quel momento era tutto ciò che le importava essere.

Qualunque fosse il motivo, l’aveva lasciata da sola, in una casa estranea, circondata da stupidi che la guardavano come se le fossero appena spuntate tre teste. Non bastava il panciuto Tassorosso che le aveva portato via sua sorella, il Lupo Mannaro o quell’idiota egoreferito di Sirius. No, quando erano entrati avevano trovato quell’emerito imbecille di Silente, anche noto come colui che avrebbe dovuto vigilare sui loro figli ed invece ora era intento a bere il té in una stupida cucina troppo angusta e troppo piena di cianfrusaglie.

Accanto a lui, non uno ma ben tre ragazzi dai capelli rosso fuoco dei Weasley, sebbene diversissimi tra loro. E, sorpresa ulteriore, l’elegante figura di Fleur Delacour, la campionessa di BeauxBarton. In pratici pantaloni e top bianco aveva fatto fatica a riconoscerla, ma poi i loro sguardi si erano incrociati, e ancora una volta si era rispecchiata in quella ragazza che tutti sembravano considerare solo un bel soprammobile. Beh, non tutti a quanto pareva.

«Signora Malfoy, sgiusto? E’ un piacere riveduerla?» disse, senza che il sorriso le arrivasse agli occhi. Era evidente che la stesse squadrando, chiendosi se poteva fidarsi.

«Esatto, signorina Delacour. La trovo bene, anche se mi chiedo cosa ci faccia qui. E’ con il Signor Weasley, presumo. Interessante», aggiunse per poi rivolgersi al mago seduto al tavolo, come se nulla fosse «Vorrei dire che sono stupita di trovarla a fare merenda mentre i nostri figli sono in pericolo, ma, onestamente, non lo sono più di tanto. Pensavo fosse rinchiuso ad Azkaban per quello che è successo alla ragazzina…e, invece, come al solito è superiore a tutto, persino alla legge»

Il mago la squadrò da dietro le lenti a mezzaluna, quasi con curiosità «Narcissa, che piacevole sorpresa.. Tu ed Andromeda siete le uniche che mi possiate confermare o meno una teoria. Dov’è Lucius?»

«Le hanno detto quello che sta succedendo? Hogwarts è isolata, mio figlio è li dentro e c’è un enorme serpente fatto di maledette anime rapite che ha appena deciso di tuffarsi dentro la scuola. Il che direi che non è un buon segno. Possibile che non le importi assolutamente nulla? Anche i suoi preziosi studenti Grifondoro sono li dentro… eppure se ne sta qui in panciolle» ringhiò facendo volare via la tazza in porcellana bianca e blu con smaltati dei piccoli cardi. Non finì in terra in mille pezzi solo per i riflessi allenati di Charlie, poco accanto a Silente, che istintivamente la recupererò come se si trattasse del boccino d’oro.

«Ehi,stia calma. Io non lo dico alla McGranitt che le ha distrutto il servizio da tè. Pensa che urlare e fare la folle serva a qualcosa?  Anche i nostri fratelli sono li dentro, e a quanto ci ha raccontato Percy le posso assicurare che il suo spocchioso figlio è molto più al sicuro di Harry, o dei nostri fratelli. A quanto pare la Umbridge ha deciso di dimostare al mondo che Sirius è solo un bugiardo e che la colpa della morte di Cedric Diggory è di Harry.» rispose Bill di rimando, fulminando la strega con lo sguardo.

Narcissa si avvicinò ancora, quasi ad arrivare di fronte al ragazzo, che, tuttavia, continuò a guardarla con sfida, senza arretrare minimamente o abbassare lo sguardo.

«Basta. Tuttti e due. Non fatemelo ripetere di nuovo.» ordinò Andromeda sbarrando il passo alla sorella, per poi girarsi ad ammonire Bill. «Vi ricordo che io non ho notizie di mia figlia da mesi, quindi vi consiglio fortenemente di non abusare della mia già esaurita pazienza. Percy, sono fiera di te. Stai facendo la cosa giusta.» aggiunse poi con un sorriso, rivolta verso il ragazzo più giovane, che continuava a guardare in terra.

« Nymphadora sta bene. Cockey non avrebbe mai permesso che le accadesse nulla. Sono certo che lei e Niamh l’abbiano nascosta dentro la scuola da qualche parte, è per questo che non stata mai trovata. Possiamo tornare al serpente, per favore? » rispose unendo le mani a triangolo di fronte a lui, poggiandole sul grande tavolo di legno grezzo che dominava la cucina.

«Perché il mio elfo dovrebbe unirsi ad una strega sconosciuta?» sbuffò Narcissa, ma le sue rimostranze vennero assorbite dal tono addolorato di Remus.

«E quando pensava di dircelo? E’ sempre stata li? Ha lasciato che la credessi morta? Non osare guardarmi con quella faccia Sirius, voglio vedere cosa faresti se fosse successo ad Harry». 

Silente lo guardò a lungo, chinando lievemente la testa «Comprendo il tuo dolore, ma era l’unico modo di tenerla davvero al sicuro. E poi io ero ospite del Ministro, mettermi in contatto con voi avrebbe significato farla arrestare e condannare Niamh e Severus per favoreggiamento. Minerva sarebbe rimasta sola a guardia della scuola. E non potevo permetterlo. E ora, sperando che possiate comprendere le mie azioni, vorrei saperne di più del Serpente che avete visto.»

Andromeda scambiò uno sguardo con la sorella, prima di avvicinarsi nuovamente a Ted che stringeva i pugni al punto che le nocche erano diventate bianche: era evidente che neanche lui, al pari di Remus, aveva gradito il comportamento di Silente. Eppure lui, come lei, ben sapeva quanto il Preside fosse sempre stato il primo ad offrire loro supporto e sostegno. Era stato il primo a credere in lei, mostrandole che non doveva essere solo quello che si aspettavano da una Black. E aveva fatto lo stesso con Nymphadora, spronandola ad accettare ogni parte di sé, persino quelle che considerava sbagliate. E se invece avesse avuto ragione Narcissa?Che Silente avesse sempre avuto ben altro in mente? Un piano più ampio, una visione più generale. Prima di sparire Nymphadora si era fatta sfuggire un accenno ad una conversazione che aveva sentito, senza però scendere nel dettaglio, ma era evidente che riguardasse il Preside.

No, non poteva iniziare a dubitare proprio ora.

«Cosa vuole sapere? C’erano anche loro comunque» chiese, indicando con la testa tanto Remus quanto Sirius, appoggiato allo stipite laccato della porta, scuro in volto. Era evidente che per una volta anche lui condivideva le sue stesse paure.

«Era un serpente?»

Andromeda annuì.

«Composto di falene»

«Cosi sembrava. Anche nell’ambra c’erano delle falene, vero Remus?» continuò.

Silente si grattò la barba, pensieroso. «Avevate già visto un serpente simile, vero?»

«Oh, la pianti. Sa benissimo la risposta: era il serpente di Imbolc. Quello che ogni anno si getta nel fuoco. E sappiamo benissimo anche noi che il fratello della Umbridge si è ucciso proprio ad Imbolc, quest’anno» sbuffò Narcissa, rivolgendosi poi con acrimonia verso la sorella «Ti do altri dieci minuti, dopo di che io tento di entrare da sola. Sono stanca di stare qui a guardare.»

«Per una volta do ragione alla stronza » borbottò Sirius.

«Oh, non credo che sarà necessario. C’è un modo per entrare comunque ad Hogwarts, peccato che dovremmo chiedere il permesso a qualcuno. Oh, quanto è difficile la famiglia a volte, ma voi lo sapete meglio di me» aggiunse serafico, alzandosi. Poi , fermandosi un attimo, rivolse un’ultima domanda a Narcissa «Hai sentito una sensazione di oppressione? Un’aura malvagia?»

Di nuovo le sorelle si scambiarono un’occhiata.

«Ma certo che era un’aura malvagia. E disgustosa, aggiungerei» si esasperò nuovamente Sirius. «Andiamo?»

«Narcissa?» continuò Silente, ignorando lo sguardo offeso del giovane Black,

La strega scosse la testa bionda, impercettibilmente, lottando contro la parte di lei che non voleva rispondere a nessuna domanda di quell’uomo inutile. «No. A dire il vero, no. Anzi…»

«E’ stato molto simile alla cerimonia di Imbolc.»

SIlente si concesse un sorriso. «La perfetta chiusura del cerchio, direi. E, infine, prima di andare.. ancora non mi hai risposto: dov’è Lucius?»

Narcissa si morse il labbro, incapace di trovare una spiegazione plausibile che non sembrasse sciocca persino alle sue orecchie.

 

«Eccomi, Silente. Sono stranamente lusingato di essere nei suoi pensieri.» Lucius aveva sempre avuto un ottimo tempistmo e una particolare predilezione per le entrate ad effetto, pensò Narcissa sorridendo dentro di sé. «A proposito, carino qui. Rustico ma… accogliente»aggiunse l’uomo con un ghigno di scherno mentre lo sguardo si posava sul piccolo ambiente, ricolmo dei cimeli di famiglia del marito degli Urqhuart.

Fingendo distrazione, Narcissa gli si strinse addosso, passandogli una mano sull’avambraccio.. Non si era sbagliata: il marchio nero aveva iniziato a bruciare, poteva sentirlo distintamente sotto la stoffa sottile e morbida della giacca.

Non c’era nessun segno nell’aria, però. Quindi o si trattava di una coincidenza, cosa poco probabile, o chi di dovere aveva già risposto alla sua chiamata.

E credeva di sapere esattamente di sapere chi fosse.

«Dobbiamo parlare» Lucius si era chinato appena per bisbigliarle le parole nell’orecchio, talmente impercettibili da avere il dubbio che le avesse mai dette.

O forse non così tanto, visto lo sguardo che le aveva rivolto Andromeda prima di uscire nella strada deserta.


 

Eccoci qui, quasi alla fine. So che ho detto che questo sarebbe stato il penultimo capitolo, ma è la terza volta che riscrivo l'ultimo e non sono ancora soddisfatta. Quindi metto le mani avanti e dico che potrebbe essere o un capitolo finale molto lungo, oppure dividersi in un capitolo di lungezza media ed un epilogo più corto.

Spero di riuscire a concludere il tutto entro lunedi prossimo, ma potrebbe esserci qualche giorno di ritardo. In ogni caso, prima di fine gennaio il capitolo XXXVI arriverà, in un modo o nell'altro.
Intanto, grazie di essere arrivat3 fin qui!

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXVI- Piani di Battaglia ***


Leviamoci subito il dente: non sono riuscita a concludere la storia in questo capitolo. Ci ho provato ma avrei dovuto tagliare davvero tanto e, onestamente, proprio alla fine mi dispiaceva concludere la storia in fretta e furia. Semplicemente, per come l'avevo scritta per me non funzionava, troppo caotica e sbrigativa. Quindi spero mi capirai se ti chiedo di avere ancora un pochino di pazienza. Questo è un capitolo lungo ma tiriamo un bel po' di fili, pronti ad arrivare davvero alla fine di Moth Goth.
Intanto, buona lettura.

C’erano state delle imprecazioni dietro di loro, urla soffocate e tonfi in qualcosa di viscido.

«Palude istantanea: ottima se vuoi evitare un’uscita con la famiglia. Sono certo che andrà alla grande» aveva riso George dall’alto della scalinata, prendendosi anche il tempo per un profondo inchino, mentre Peeves svolazzava attorno a lui, continuando a lanciare piccole palline dai colori più disparati, che riempivano di piume chiunque colpissero, rendendo la maggior parte dei loro assalitori dei goffi pennuti incapaci di stare in piedi.

«Maggiori dettagli a breve nel punto vendita… » concluse Fred mentre il muro di pietra mutava cedevole sotto i loro occhi. «E non vorrei mettervi fretta ma dovete entrare tutti.Subito!» gridò, sentendo i rumori sempre più vicini. 

Niamh e Tonks gli passarono davanti, mentre il grosso cane nero e bianco sembrava andare alla ricerca degli ultimi ritardatari. O forse stava solo cercando di mordere Malfoy, approfittando della confusione. Hermione e Draco furono gli  ultimi ad entrare, lanciando un ultimo sguardo dietro di loro, dove si intravedevano scintille rosse e verdi. Poi, ancora mano nella mano, attraversarono quella soglia, sperando che fosse davvero il luogo più sicuro di Hogwarts, così tanto amato da Tosca Tassorosso.

Harry saltò dentro, lanciando lontano il pezzo di avambraccio della Umbridge. Grugnì con disgusto mentre si trasformava nuovamente in umano, nascosto dietro una grande poltrana, accettando riluttante i vestiti che Tonks gli stava passando.

«Perché le cose disgustose capitano sempre a me?» lagnò, infilandosi la maglietta e sistemandosi gli occhiali, ovviamente rotti come sempre. Doveva chiedere a Sirius come diavolo facesse a trasformarsi con tutti i vestiti addosso senza distruggerli.

«Non possiamo lasciarli li! Dobbiamo tornare indietro» Neville batteva furiosamente contro quella che poco prima era stata una porta ed ora era solo un solidissimo muro di mattoni. «Seamus, Dean, e tutti gli altri! Se voi non volete andare a salvarvi fatemi uscire, dannazione!».

«Nevile… ora non possiamo, cerca di capire. Hai visto cosa è successo con la Abbot: non sappiamo di chi possiamo fidarci. Ricordi la lezione di Piton? Quasi nessuno riusciva  a sentire quell’odore strano, e sono convinta che fosse un indizio. Nonostante tutto ha provato ad avvertirci. Troviamo il modo di uccidere Cassandra e tutto tornerà normale» cercò di farlo ragionare Hermione, la mano ancora stretta in quella di Draco da quando erano scappati dalla sala grande.

«Cassandra? Sai il nome di quella…. quella cosa che è apparsa dal nulla per ucciderci? » gridò fuori di sé, il volto stravolto dalla rabbia. «Lo so cosa ha fatto Padma, ma sono certo che lei non voleva…»

«Certo che non voleva, Neville. Nessuno di noi crede che fosse davvero cosciente...» tentò di blandirlo Ron, cingendogli le spalle co un braccio e cercando di riportarlo verso il centro della sala.

«Quando ha ammazzato quella lagna? Oh, certo, Nessuno di noi crede che una povera, piccola, indifesa, Corvonero possa aver ammazzato una sua compagna di Casa. Lo sappiamo bene che quello  è prerogativa solo di noi Serpeverde» sibilò Blaise, infuriato con i quelli che credeva i suoi migliori amici, senza contare Theo,per non aver seguito il suo suggerimento di fuggire da quella dannata scuola.

«Lavanda. Si chiamava Lavanda Brown. Ed era una nostra amica» ringhiò Angelina, fissandolo con uno sguardo di fuoco, cui il moro rispose senza batter ciglio.

«E chi se ne frega.» rispose il Serpeverde, scrollando le spalle con noncuranza e buttandosi sul divano in pelle consunta al centro della sala.« Non ricordo la metà dei nomi dei mariti di mia madre,  pensi sul serio che perda tempo ad imparare i nomi di qualcuno che non  è  nella mia Casa? E, soprattutto, ho sempre avuto un ottimo istinto:lo scorso anno avevo detto che dovevamo squagliarcela. All’inzio di quest’anno avevo detto a Draco e Pansy di smetterla con questa loro assurda fissa per dei poveracci disadattati...»

«Ehi!» urlarno in contemporanea Ron ed Hermione, ignorando lo sguardo di supplica di Draco.

«E, terzo» concluso sventolando tre lunghe dita di fronte a tutti : «Dimmi, Theo, non ti ho forse detto che dovevamo mollare tutto ed andarcene a Durmastrang quando tu e il bambino  viziato qui presente avete iniziato a vedere delle ombre strane negli specchi. E ve l’ho ripetutto poco proprio prima di entrare dentro quella stracazzo di Sala Comune. Provate a negarlo se potete. E posso capire questi due» disse indicando con disgusto Pansy e Draco «..Che si sono bevuti il cervello…ma tu Theo…Quoque tu»

«Piantala con il latino, Blaise, sei sempre stato pessimo.  Ti ricordi quando mia madre ci ha costretto a riscrivere cento volte il motto Omnia Munda Mundis perché tu avevi deciso di dipingerlo, sbagliato, su una delle pareti del salotto verde? Inoltre,sai benissimo che non parli il bulgaro, pensavi sul serio di andare avanti con quegli sciocchi incantesimi traducenti? Già fai fatica qui ad Hogwarts» sbuffò Draco.

«Dettagli, come sempre ti perdi sui dettagli. E poi tu e tua madre non capite il genio. Era perfetto… e poi sul verde… da andiamo, molto meglio di Sanctimonia Vince Semper»

«Vincet! Merlino, Blaise Vincet! Vedi a convincere tua madre a farti saltare le lezioni di  latino per andare in crociera?»

«Vi sembra il momento di bisticciare come due dannati pixies della Cornovaglia? Non gliele frega niente a nessuno, né dei motti in latino sbagliato né dei vostri piagnistei. Dobbiamo trovare il modo di uccidere quella dannata stronza» aveva  urlato Ginny, esasperata, meritandosi uno sguardo di approvazione dai fratelli, non solo per il tono che aveva zittito i due Serpeverdi, ma anche per il contemporaneo lancio di una fattura che sfiorò entrambi solo per pochissimo.

«E poi non possiamo andare da nessuna parte, la scuola è circondata da rovi altissimi» commentò Hermione, calma, mentre le lamentele di Blaise cercavano di trovare un ordine nella sua testa. Era certa che ci fosse qualcosa di interessante.

«La padrona aveva ragione. Il suo latino è orribile, signorino Blaise. E’ davvero uno scempio». Con un plop Cockey era apparsa accanto a Niamh, il grande fiocco violetto sopra la testa che oscillava pericolasamente e Grattastinchi, grosso quasi quanto lei, in braccio. Si rivolse nuovamente alla strega, ignorando il suono sdegnato di Blaise Zabini al suo commento, così come quello fece con l’occhiataccia che Pansy, Draco e Niamh gli avevano rivolto appena aveva provato a replicare. «La professoressa che sa di terra sta meglio, giovane padroncina. Ma non abbiamo molto tempo, Cockey non sa fino a quando riusciremo a tenerla in vita. Ha perso molto sangue, padroncina. Molto, molto sangue. E ha troppe cose strane addosso. Polline, terriccio, quelle cose lì…» concluse, con evidente disgusto, lasciando intendere che lei, anche se elfo domestico da quelle cose stava ben lontana. «Come l’amichetto del signorino Ron lì, pieno di terra. Posso dargli una spazzolata? Forse si calmerebbe. Una strigliatina piccola, piccola?»

«Forse dopo» rispose sbrigativamente Niamh, meritandosi uno sguardo truce da parte di Ron, ancora intento a cercare di calmare Neville.

«Oppure posso accoltellarlo. O ancora meglio gettiamolo nel corridoio. Se ci tiene tanto a fare compagnia al vostro amichetto incendiario dalla mente malata, chi siamo noi per impedirglielo?» si limitò a constatare Pansy con una scrollata di spalle. 

«State tutti zitti, devo pensare. Non possiamo restare qui per sempre. La Sproute sta male e dobbiamo anche pensare ad Astoria: starà impazzendo» Tonks, incapace di stare ferma, camminava per la stanza a lunghe falcate, mentre i capelli assumevano sfumature plumbee.

«Vi prego, portatemi da lei. Non dirò nulla, lo giuro. Ma portatemi da mia sorella» lo sguardo di Daphne era piatto come lo sguardo fisso sul muro di mattoni, tesa a sentire ogni minimo rumore. «L’ho detto anche al professor Piton, prima di maledirlo. Ma se neanche lui può raggiungerla…»

«In effetti urla un sacco. Fin troppo, per Cockey. Forse potremmo mettere insieme lei e quello li? Si? Vado?» Cockey era già pronta ad agguantare Neville,fregandosi le mani, quando Dobby si schierò davanti al Grifondoro agitando le lunghe braccia ossute.

«L’amico di Harry Potter, è un amico di Dobby. E Dobby non lascerà che si faccia del male ad un amico di Harry Potter. E’ come lasciare fare del male  ad Harry Potter. Tanto male, intendo. No un male così- così.Un  male - male»

Harry sentì un pensiero fastidioso solleticargli il cervello in maniera spiacevole: «Dobby tu sai niente dei tentativi di ammazzarmi quest’anno?» chiese mentre persino gli occhiali si appannavano per la rabbia, soprattutto vista la faccia da cane bastonato subito assunta dall’elfo in questione.

«Bravo, Dobby. Lo sapevo che qualcosa di buono era rimasto in te» gli sorrise invece Draco, provocando al povero Dobby quasi una crisi isterica.

«Non ti azzardare a prendere a testate il muro. Non ho intenzione di avere altre distrazioni» sibilò Niamh, minacciandolo con la bacchetta. «Dobbiamo capire come diavolo uscire da qui. E, grazie Hermione, quando ti ho mandato Grattastinchi non intendevo che ti dovessi portare dietro mezza Sala Comune.» 

«E poi potrebbero trovarci da un momento all’altro, non mi pare che sia tanto difficile pensare a Ho bisogno di una stanza in cui nasconderci. Senza contare che, come io avevo abbondantemente predetto…e no Granger, non guardarmi così, sai benissimo che ho ragione… i vostri adorabili amichetti sfigati sono passati dalla parte opposta» filosofeggiò con fin troppo compiacimento il giovane erede dei Malfoy.

«Ok, avevi ragione, cosa vuoi? Un applauso» concesse a denti stretti la Grifondoro, mordendosi la lingua perché in effetti era vero, anzi, gli aveva anche dato dell’insensibile egoista bugiardo quando aveva tentato di dirglielo.

«No. Ma credo proprio che potrei tatuarmi questa data. La prima e sola in cui Hermione Granger mi ha dato ragione. Cazzo, se non fossimo insieme a questi sfigati saprei come ringraziarti…» sorrise il Serpeverde chiandosi a darle un bacio sulla guancia, strizzandole l’occhio, beccandosi un pungo dalla cugina, esasperata. «Ehi, ma che modi! Non ve la insegnano l’educazione dalle tue parti?»

«Quando c’è un cretino? No» rimbeccò Tonks, non potendo frenarsi dallo scambiare uno sguardo complice con Niamh. «E poi non credo che la richiesta per la stanza sia stata questa, no?»

La bionda rispose con un ghigno, indicando lo spazio attorno a sé cui nessuno aveva fatto più di tanto caso, con il cuore che ancora batteva per la corsa. Pile e pile di libri erano accatastati in ogni dove, le pareti erano ricoperte di strane rune e fiori stilizzati tracciati come graffi sulla roccia nuda visibili appena nei pochissimi spazi lasciati vuoti dai grandi scaffali in legno di betulla, dove facevano bella mostra di sé decine e decine di fiale e giare di ogni dimensione, ricolme di erbe, fiori, e liquidi profumati, mentre la parete est era interamente ricoperta da un affresco raffigurante un grande bosco immerso nella luce della luna.

Hermione e Pansy si mossero istintivamente verso il dipinto, sfiorandone la superfice irregolare come la corteccia di quegli alberi con le dita, aspettandosi di sentire il profumo balsamico e ricco che avevano sentito la notte di Samhain. Perché ne erano assolutamente certe, quello era senza alcun dubbio il bosco perduto di Hogsmeade.

«Se c’è un modo per rompere la maledizione, qui abbiamo tutto quello che può servire. E poi ci sono loro…» concluse indicando le decine, se non centinaia di quadri accatastati in un lato della grande sala, il cui vociare confuso iniziava a farsi sentire.

«Oh, che bello,ero così preoccupata per voi» sorrise Luna avvicinandosi e accarezzando le grandi cornice sbalzate. «E’ bello sapere che siete tornati a casa»

«Tornare?» Theo si era fermato un attimo dalla sua esplorazione della spezieria, guardando la bionda con aria interrogativa mentre Blaise lo  guardava esasperato, facendogli segno di tacere e di non dar retta alla sciroccata «Cosa intendi dire? »

«Vedi? Guarda il mantello di quel mago.. è bagnato. E sembra anche avere un gran freddo poverino  E’ uno dei personaggi scomparsi.» rispose con un gran sorriso, mentre dalla punta della bacchetta fuoriusciva un delicato vento caldo, che mosse leggermente le code del mantello del dipinto, con gran soddisfazione del ritratto.

«Fino ai confini del mare siamo stati reclusi» si lamentò stringendosi nel tessuto del mantello. «Rocce, e conchiglie e un tappeto di fiori d’erba nella sabbia. E il gelo, per Merlino…il gelo. E quegli orribili mezzi uomini dalla pelle blu che ogni tanto si vedevano dalle finestre. L’unica cosa che c’era li intorno, solo il mare. Mare e solo mare.»

«E cosa diamine dovremmo farci? Pensi che Sir Cadogan possa sfidare a duello una che si è fatta attraversare da due stupeficium?» sbuffò Ron esasperato. «Dannazione, Tonks, perché le dai retta anche tu? E’ folle come tutti quelli della sua razza… e non pizzicarmi! Che ho detto?»

«Sta zitto, vile di un cane!» ringhiò la voce attutita del diretto interessato, sovrastata dai lamenti della Signora Grassa e dai rimbrotti dei vecchi presidi di Hogwarts

Senza dare cenno di partecipare alla conversazione, Hermione si era messa in un angolo, rovistando nella borsa che si era portata dietro, rovesciandone il contenuto direttamente sul pavimento.

«Certo che viaggi leggera» si limitò a commentare Pansy, continuando ad osservare la parete dipinta. «Sai Potter, l’ultima volta che ho visto questo posto ero sopra di te…»

«Pansy! Cavolo è il mio migliore amico.. ma che diavolo di problema avete?»

«In effetti non avrei mai pensato di trovarmi rinchiusa in una stanza, rischiando la vita a sentirvi parlare di scritte sui muri, sogni erotici e stupidi commenti. Complimenti, ancora una volta riuscite a dimostrarvi la Casa più inutile di Hogwarts.» sbuffò Angelina, poi si rivolse a Tonks : «Cosa facciamo ora?»

«Beh, sempre meglio della vostra amichetta omicida, bella mia. Comunque, come stavo cercando di dire prima che voi Grifindioti mi interrompesse… ogni volta che ero in questo posto, ero sopra di te, Potter. Ma tu eri morto. Stecchito. E spesso avevi questo piantato nel petto? Sai che vuol dire?»

«Che sei una fottuta psicopatica? E neanche originale…devi metterti in fila…hai sentito la matrigna cattiva di Malfoy? Mi vuole vivo… per farmi ammazzare da Voldemort…e  il primo che si azzarda a dirmi che non devo dire il suo nome lo butto fuori da questa stanza» borbottò Harry, massaggiandosi la cicatrice, che aveva iniziato a bruciare nuovamente.

«No, che sei tu la fonte di tutto questo casino. Forse se ti avessi ucciso, ora saremmo libero. E poi non è la matrigna cattiva di Draco, ma di Theo. Draco…»

«Chiudi il becco, Pansy.» al ringhio di Draco persino Pansy sembrò tacere, limitandosi a fissarlo a lungo, in silenzio. Poi si rivolse nuovamente ad Harry, squadrandolo. «Ed ammettilo che lo senti che sta arrivando. Lo sappiamo»

«No Pansy non servirebbe a niente ucciderlo.  Lo pensavo anche io, ero certa che la maledizione del Lago Nero fosse colpa di Potter, ma ormai sono sicuri che non sia così’. Lui è solo lo specchietto per far arrivare Voldemort, Cassandra sa bene che è lui che vuole. Torniamo un attimo alla questione degli specchi.. hai detto che vedevate delle strane ombre? Nella vostra stanza?» Niamh interruppe lo sproloquio, iniziando a cercare freneticamente tra gli scaffali, scambiandosi una lunga occhiata con Tonks, ora di guardia accanto a quella che era stata la porta. «Da quando? E voi? Qualcun altro l’ha visto?»

«Scusi che vuol dire che pensava che uccidermi avrebbe risolto qualcosa? Anche lei? Ma che diavolo» esclamò Harry, allargando le braccia con fare esasperato.

Ma fu prontamente ignorato.

«Io mi sono sentita osservata ultimamente… e Lavanda e Calì passava davvero moltissimo tempo davanti ad uno specchio ma… davvero, pensavo fosse solo vanità… sono solo una stupida…Avrei dovuto accorgermene» 

«Non dire cosi,dai. Ora, è vero che io ho provato a dirtelo cento volte, ma tutto si può dire tranne che tu sia stupida. Un’ingenua e inguaribile ottimista, forse. Ma stupida no di certo.» la consolò Draco accovacciandosi dietro di lei e cingendole le spalle, attirandola a sé, nonostante la sua ritrosia.

Poco dopo però si ritrovò in terra, sorpreso dallo scatto repentino della Granger che si era alzata sventolando davanti a  a sé un foglietto ricoperto di scritte « Eccolo qui, sono gli appunti della sera in cui abbiamo trovato Lisa..ho meglio quando Ron e Pansy l’hanno trovata. Ho segnato tutto…vedi? Dovevamo cercare questi segni… e non ti sembrano famigliari, Tonks? I loa.. questi segni erano gli stessi che ci hai mostrato a lezione. Beh non proprio gli stessi, diciamo molto simili. Come le rune»

«Una contaminazione. Si può essere. Non sarebbe il primo caso in effetti… la schematizzazione della magia è una cosa dei Babbani, nella magia reale non esiste. Ma se questo è vero, significa che ha cercato un legame tra due mondi… quello reale… »

«E quello dei morti» concluse Niamh con una scintilla di comprensione negli occhi. «Ma certo,torna tutto.»

Pansy e Daphne si scambiarono un’occhiata. 

«Tipo una cerimonia con una goccia d’ambra da cui è uscita una disgustosa falena dalle ali scure e un vaso ricolmo di sangue? Beh, forse, e lo dico solo in via ipotetica, noi potremmo avere qualche idea di cosa sia successo quella sera» disse laconica Pansy, scrollando le spalle di fronte allo sguardo accusatorio dei Grifondoro presenti, per poi aggiungere in fretta.« E guardate che pure le qui presenti santarelline Granger e piccola Weasley hanno preso parte ad Imbolc Quindi non è stata solo colpa nostra»

«Non credo che avremmo potuto fermare il processo, quel rituale è servito a rompere la prima barriera e a cominciare a creare il suo esercito quii ad Hogwarts, ma non è stato il primo caso. Nymphadora aveva già trovato attacchi simili, evidentemente a dicembre di quest’anno è successo qualcosa che ha assottigliato i veli tra i mondi e lei ne ha approfittato per iniziare a raccogliere anime per la sua ripresa. E poi  Hannah era già stata colpita, vedi questa?» disse Niamh tirando fuori quella che sembrava una pietruzza scura.« Sono lacrime della ragazza la prima volta che è stata maledetta. Forse possiamo usarle per creare un incantesimo ora che abbiamo anche quel… beh diciamo pezzo. »

«Ma questo non riporterà indietro Lavanda, o Millicent, vero?» concluse Theo a bassa voce, lo sguardo fisso verso un punto indefinito del dipinto davanti a lui. «E’ tutta colpa mia, avrei dovuto rifiutarmi di consegnare quelle pietre… avrei dovuto fare finta e gettarle invece da qualche parte…»

«Ti avrebbero ucciso. O forse no, ma sicuramente ti avrebbero fatto molto, molto male. Non puoi biasimarti per aver pensato alla tua sicurezza. E’ normale. E’ molto logico» Luna si era avvicinata a passo leggera, abbracciandolo stretto come mai nessuno aveva fatto prima. 

Theodore rimase congelato,incapace di rispondere ad un gesto di affetto da parte di quella che considerava una perfetta sconosciuta, guardando prima Blaise e poi Pansy in cerca di aiuto. Ma i due si limitarono a scrollare le spalle ed indicare che quella era matta come un cavallo, era inutile averci a che fare.

«G--g---gra---zie» balbettò, tenendo gli occhi bassi, mentre sentiva il volto farsi di fuoco. Non gli era mai piaciuto mostrarsi vulnerabile, non era quello che gli era stato insegnato. Tantomendo di fronte ad una platea di Grifondoro.

Draco ridacchiò, ancora seduto in terra, sfogliando pigramente una serie di vecchi libri. Poi rivolse la sua attenzione a Niamh. « Quindi lei è di nuovo in carne e ossa qui? E l’Oscuro Signore? Che c’entra lui? Ha detto che lui sta venendo… e non stento a crederci»

Harry lo fissò socchiudendo gli occhi, mentre la cicatrice gli bruciava in maniera insopportabile. « Sicuro?»

Draco ricambiò lo sguardo, a lungo, per poi chinarsi velocemente a guardare l’avambraccio. Una frazione di secondo, giusto il tempo per fare capire a chi di dovere. «Te lo assicuro, Sfregiato. Lui sta arrivando»

«Non se uccidiamo lei prima. Ha detto che manca un ultimo sacrificio, no? Era per questo che voleva uccidere la Umbridge. E a proposito… sul serio c’era bisogno di farmi prendere quel cosa in bocca? Per Merlino avrò quel saporaccio di violetta ammuffita per sempre sul palato… E,Malfoy, se ti azzardi a fare una battutaccia ,giuro che ti ci porto direttamente a calci in culo»

«Io? Fare una battuttaccia in un momento del genere? Hai la mente malata, Potter. Ti consiglio di farti due chiacchiere con il marito della diseredata, non sembra ma è bravo» chiocciò Draco, guadandolo con gli occhi sgranati, come se il fatto che se ne uscisse con un commento fuori luogo fosse davvero impensabile per uno come lui. Ovviamente, nessuno dei presenti ci cascò.

«Puoi chiamarlo Ted, sai? A dirla tutta è tuo zio, anche se piuttosto che farsi chiamare così credo che penserebbe a divorziare da mamma. E non c’è bisogno che ti riferisci a lei sempre come Ia disederata,idiota. E non manca solo un sacrificio: è uno schema basato su tre triadi: il primo sacrificio apre al maleficio, il centrale lo rinsalda, al terzo c’è un effetto diretto sull’anima: Isabella, la mamma di Theodore, deve essere stata la prima, la sua stessa morte il perno centrale e Lisa Turpin la chiusura della prima triade, che le ha permesso in qualche modo di tornare… Ora abbiamo trovato il modo di prendere tempo, ma se ci fosse un altro tatuaggio oltre al vostro?»

Theodore si girò di colpo verso Draco: «Come faceva a sapere che hai parlato con Tonks? E perché non sapeva di Bellatrix?»

«Perché era morta?» Blaise alzò gli occhi al cielo, esasperato, chiedendosi per l’ennesima volta perché non avesse almeno convinto Theo ad andarsene. E invece lui se ne stava li, a parlottare con Ginny Weasley, mentre sfogliavano un grosso volume ricolmo di scritte, come fossero vecchi amici. Ma che fosse diventato Tassorosso se avesse permesso ad un altro Grifondoro di rubare un’altra delle persone della sua vita. Prima Draco, poi Pansy e ora anche Theodore. Mancava poco che lo lasciassero a dover giocare a poker magico con Tiger e Goyle. Beh, sempre se fossero sopravvissuti.

«Ti sembra morta, Zabini? No perché io l’ho vista piuttosto in forma per una che dovrebbe essere in procinto di essere divorata dai vermi?» Ginny non aveva neanche alzato lo sguardo, indicando invece al Serpeverde un punto sulla pagina accanto a lei.

«Guarda che l’ha detto anche tuo fratello che l’ha attraversata lo Stupeficium, te lo sei perso per caso? Cos’è hai una sordità selettiva? O sono solo gli stupidi geni W…»

«Blaise» la voce di Pansy era stata poco più di un sibilo, ma più del gelo poté la pericolosa luce metallica negli occhi scuri, qualcosa che l’amico aveva imparato da tempo a non provocare, avendo il potere di far zittire immediatamente Blaise Zabini, qualcosa che accadeva davvero di rado.

Scuotendo la testa, Katie si appoggiò a George, abbassandogli a forza la mano con la bacchetta puntata, rivolgendosi con tono forzatamente leggero a Draco. «Davvero hai iniziato a fare terapia? Sei meno stupido di quello che pensassi»

«E voi molto meno gentili di quello che si racconta» sibilò di rimando il biondo, massaggiandosi il collo dove sentiva nuovamente uno strano buciore, come se fosse stato punto da decine di aghi. Eppure ancora una volta, non c’era niente, nessuna puntura, nessun pungiglione. Evidentemente il suo cervello iniziava a fargli dei brutti scherzi a forza di stare con dei Grifondoro.

«Forse era bloccata da qualche parte. Un po’ di qua… un po’ di la… un po’ la capisco a dire il vero...» intervene Luna, che era passata a riscaldare gli altri quadri, convincendo Neville, seppur riluttante, ad aiutarla.

«Gli specchi, certo. Il giorno di Imbolc sono esplosi sette specchi, evidentemente sono quelli in cui è passata dopo essere tornata. Ecco perché era a conoscenza solo di quello che accadeva nella Scuola e nulla di quello che è successo tra la sua morte e quella sera. E si spiega anche il motivo simile a quello di un albero stilizzato o una croce, serviva ad unire i due piani, quello dei morti e quello dei vivi. Ed ecco il perché dell’acqua del Lago Nero, ne ha sfruttato il potere. Che grandissima stronza. E’ colpa sua se il Reame sta morendo, era la sua energia maligna che avvelenava il tutto» ringhiò Niamh, richiamando a sé una pergamena dall’ aspetto decrepito e fragilissimo e passandola ad Tonks.

«Si, ha senso. E anche le rune che mi avete detto sono apparse sulle porte delle case. Erano per attivare i cavalieri»

«Non guarderò mai più un film di zombie, lo giuro» sbuffò Harry, tornato accanto alla porta con la bacchetta in mano, incapace di stare fermo. « E quindi che si fa ora? Neville ha ragione, non possiamo rimanere qui chiusi mentre quella stronza dai gusti discutibili in fatto di uomini è da sola con i nostri compagni. Il professor Flitwick per quanto potrà tenerla impegnata?»

Di nuovo quello sguardo strano tra Niamh e Tonks, indecifrabile.

«Però… E se non fosse stata qui tutto questo tempo? Se avesse lasciato una sorta di assicurazione?» Hermione aveva iniziato a pensare a voce alta, camminando avanti e indietro. «In fondo sappiamo che era qui dopo Imbolc, ma prima? Theo a casa tua hai notato niente di strano in questi mesi?»

«Villa Nott è stata sotto sequestro fino a Natale, ne sono sicura perché sono stata una degli Auror impegnati nella classificazione e bonifica della proprietà. » si intromise Tonks prima che il diretto interessato potesse rispondre. «Non ricordo sia stato trovato nulla a riguardo anime congelate, me lo sarei ricordato quando indagavo sulle aggressioni.»

«Mancava una foto. Una foto che Cassandra teneva nel suo salottino privato. Ci era molto affezionata anche se, ovviamente, mio padre non l’amava particolarmente. Ma lui non le avrebbe mai imposto di fare nulla. Non chiedetemi se fosse follemente innamorato, uno stupido complice  o semplicemente folle quanto lei, però» ammise Theo, giocherellando con l’anello con lo stemma di famiglia, chiedendosi perché fino a quel momento, ancora non se lo fosse tolto. Quando ci aveva provato si era sentito in colpa, un figlio ingrato. Già non si sentiva affatto triste per la scomparsa di suo padre, davvero c’era bisogno di infangare così il nome di famiglia?

«Una foto?» gli occhi di Niamh divennero una lama sottile di onice scuro, squadrando il fratellastro come se stesse soppesando ogni parola.« Si, è plausibile. Però dovrebbe essercene una uguale qui ad Hogwarts, solo così avrebbe potuto trasferirsi qui.»

Theo guardò Draco in silenzio per qualche secondo prima di rispondere. «Si, è così. E’ una foto che si trova qui,anche se è stata tolta. Il primo anno che sono stato smistato a Serpeverde mi ha ordinato di controllare…ho dovuto chiedere a Gazza e ho scoperto che è stata spostata negli archivi della Scuola. Credo che fosse una foto del suo quinto Anno…»Theo deglutì a disagio. «O meglio, è una foto di lei e il padre di Draco. Quando lui è diventato Prefetto,credo. Loro… loro sembravano molto felici.»

«Ahah! Vedi che in un modo o nell’altro è sempre colpa di tuo padre?» non riuscì a fare a meno di commentare Ron sentendo appena un piccolo rimorso in fondo allo stomaco, guardando lo sguardo triste di Pansy mentre osservava Malfoy . Il loro quinto anno, la cerimonia di nomina dei Prefetti… loro c’erano. Ed era anche colpa loro se le cose non erano andate come Cassandra aveva sperato. Certo, se solo avesse evitato di cercare di maledire a morte una ragazzina… chissà forse a quel punto lei e l’altro psicopatico se ne sarebbero stati da qualche parte a spendere soldi , o forse sarebbero stati direttamente ad Azkaban e tanti saluti  a tutti. E, soprattutto, nessun furetto avrebbe ammorbato la sua vita, decidendo di fare il lavaggio del cervello a quella che una volta era una ragazza assolutamente razionale ed intelligente.

«Deve averla nascosta da qualche parte, prima di quella sera. Theo, hai idea di dove fosse stata in quei giorni? Ricordi niente?» Anche questa volta la lingua era stata stranamente più veloce del cervello. Appena le era riuscito il riferimento alla notte della terza prova del Torneo Tre Maghi, si era resa immediatamente conto che c’era una persona che sicuramente sapeva dove fosse stata Cassandra. Purtroppo. Ma Draco non parlava mai di quei giorni in cui era stato torturato, a quanto ne sapeva neanche con Ted. Solo una volta si era lasciato sfuggire di aver occluso per tutto il tempo, nascondendo tutti i suoi ricordi, in modo che suo nonno non scoprisse della loro relazione. Con Voldemort rinato, infatti, era fuori di dubbio chi sarebbe stato l’oggetto della sua vendetta per aver quell’ennesima delusione da parte dell'erede così indegno del nome che portava.

Uno strano silenzio denso calò nella stanza, contagiando persino coloro che tra i presenti non avevano mai sentito parlare di quello che era successo realmente la notte in cui Voldemort era rinato.

«Scusa» aggiunse a mezza bocca, sforzandosi di guardarlo mentre i suoi occhi assumevano  quella sfumatura di piombo fuso che aveva imparato ad odiare. Ma c’era di più.. una piccola, minuscola smorfia di dolore, come se occludere fosse diventato una sofferenza. «Draco lo so che non vuoi ricordare ma è molto probabile che quello dove ti hanno portato lo considerasse un posto sicuro…anche se non sai esattamente dove fossi forse ricordi qualcosa che può aiutarci a trovarla…»

«Granger, piantala. Stai esagerando. Metti in moto quel tuo bel cervellio e cerca di capirlo da sola» scattò Pansy, immediatamente sulla difensiva.« Cerchiamo di riflettere. Deve essere in un posto nascosto, che gli Auror non hanno mai collegato a lei, giusto Tonks? Non era solo Villa Nott sotto indagine, corretto?»

Nympadora annuì’, cercando di ricordare quali fossero le altre proprietà inserite nel provvedimento: «Ma non ricordo nulla a suo nome. Anche il domicilio dei Carrow è stato controllato, visto che tra i mangiamorte uccisi quella sera c’erano anche Amycus ed Alecto Carrow»

«Beh, notoriamente non è che i Carrow avessere tutte queste proprietà, no? Mi sembra che il  mettere le mani sul patrimonio dei Malfoy fosse uno dei motivi per cui se l’è presa tanto quando è stata mollata» intevenne Ron, scivolando vicino a Pansy e sfiorandole la schiena con una carezza leggera, quel tanto che bastava per cercare di consolarla.

«Quindi prima di sposarsi con il padre di Nott, quella lì è stata fidanzata con tuo padre? Ma fidanzata nel senso che andavano a letto insieme o fidanzata-fidanzata, con tanto di anello e tutto? Ma quando? I tuoi non stanno insieme da Hogwarts,quindi?» Angelina tentò di smorzare la tristezza che era calata tra di loro, buttandosi sul gossip.

«Guarda, lascia perdere, non ti impelagare in questi discorsi che questi qui non fanno che parlare di matrimonio. Sono fissati. Fissati, ti dico» Ron fece un gesto con la testa, indicando i Serpeverde « A quanto pare il furetto padre e la maniaca omicida avrebbero formalizzato il fidanzamento l’estate in cui si sono lasciati, ma era un matrimonio combinato come solo questi ignoranti retrogradi possono organizzare..»

«Beh, certo…chi ha più lentiggini che galeoni non è che possa proprio capire» rimbeccò Blaise, offeso come se lo avessero attaccato sul personale. Poi però a quello che sarebbe toccato a Pansy, ed immediatamente tutta la voglia di battibeccare con persone che di solito non avrebbe neanche degnato di una seconda occhiata, si spense.

Angelina,tuttavia lo ignorò: «Pensavo che quello dei tuoi fosse un matrimonio deciso dalle famiglie. Quindi tua madre sul serio ha scelto volontariamente di mettersi con tuo padre? Per Godric Grifondoro, a forza di sposarvi tra consanguinei con questa fissa del sangue puro davvero deve esserci qualche gene di pazzia latente»

«Oh, c’è di più. Narcissa doveva sposarsi con lo zio di Draco… poi… scusa Draco,  non c’è un modo carino di dirlo, insomma lui è morto e quindi niente, si è passati al secondo Malfoy disponibile. E non guardatemi cosi: me l’ha detto Pansy!» la interruppe Ginny, gongolando. Non sapeva da dove fosse venuta quella strana passione per il gossip, ma Merlino fosse dannato se si fosse fatta sfuggire quell’occasione. E poi in fondo era stata quella Cassandra a tirare in ballo la madre di Malfoy per prima.

«Io non ti ho detto questo, Weasley! Razza di piccola intrigante dalla lingua lunga. E, allora se proprio vogliamo dire tutto, la prima moglie del padre di Theodore era la zia di Draco.» a quel riferimento tanto Theodore che Niamh trasalirono.

«Mangiamorte. Come tutti nella loro famiglia.» Neville si era finalmente arreso all’ impossibilità di uscire, ma sembrava portare su di sé tutta la tristezza che gli altri stavano cercando di esorcizzare. « Abbiamo visto morire due compagne di classe e gli altri non saranno mai più gli stessi, sempre che sopravvivano. E voi.. voi invece ve ne state qui, a parlare come delle stupide pettegole»

«Scusa Paciock, la prossima volta che ci succede di essere 

Durante quella partita di tennis di parole senza senso Hermione aveva osservato Draco per tutto il tempo, cercando il suo sguardo , tentando disperatamente di superare quella barriera d’acciaio. Cassandra, Lucius, Narcissa, Andromeda, Bellatrix, ma anche Alice e Frank, James, Lily… tutti quei destini che aveva incrociato per un attimo e che li avevano portati sin li. Eppure in un certo modo quei discorsi erano stati utili, c’era stato un dettaglio che le era venuto in mente.

«Cockey, è vero che quando qualcuno entra a Malfoy Manor, Lucius viene sempre avvisato in qualche modo?» chiese, mentre un brandello di conversazione, anzi a dire vero un insulto, le stuzzicava la memoria.

Sia l’elfa che Dobby annuirono con vigore. «Certo, signorina Granger. Così come le altre proprietà. E’ un incantesimo anti intrusi. »

«In tutte le altre proprietà? E quindi perché…» cercò le parole per formularlo nel modo più delicato possibile. «Come è stato possibile che nessuno lo avvertisse quando Draco era nelle Ebridi?»

Cockey e Dobby la guardarono perplessi, come se non capissero la domanda.

«Ebridi hai detto? Che buffo» Luna si era accoccolata accanto a Draco, intento ad accarezzare assente Grattastinchi. «Anche i quadri sono stati rinchiusi li. Li hai sentiti no? Freddo, vento, conchiglie e gli uomini blu di Minch. Non sono una leggenda, sai? Papà ha scritto di loro su un numero del Cavillo qualche anno fa.»

 «Quindi l’ha sempre saputo? Avevi ragione Granger, come sempre» commentò a mezzabocca.

«O forse non è più vostro… Cassandra aveva in mano un foglio l’ultima sera ad Hogwarts… te lo ricordi, Granger?»

Sotto  lo sguardo interrogativo e dubbioso di molti dei presenti Hermione, seppur riluttante annuì. «E quel giorno l’aveva chiamato Lumacorno, vero? Ecco perché era arrivata in ritardo»

Gli occhi di Draco sembrarono riacquistare una sfumatura azzurra. «Erano dall’avvocato per  ufficializzare la rottura della promessa di fidanzamento. Mio padre me ne ha parlato fino allo sfinimento, sul treno di ritorno»

«Si, ma lei no, non ha fatto una parola con nessuno. E continuava a studiare quel foglio. Sono quasi certa che fosse una lista. Probabilmente tuo nonno  per consolarla le  ha regalato qualcosa…» continuò Pansy, tamburellando sul dorso dei libri in cerca di qualcosa, ance se non sapeva esattamente cosa.

«Questa storia di tuo nonno e l’ex di tuo padre comunque è disgustosa, persino per i vostri libro poi? Vuoi metterti a studiare, ora?»

«No, idiota. Ma guarda qui … non noti qualcosa di strano?» Pansy si limitò a passare a Draco ed Hermione, il libro con la rilegatura in pelle nera che aveva finalmente tirato fuori. Quando aveva visto il motto sulla costa non aveva più avuto dubbi.

«Persino l’elenco delle proprietà dei Malfoy. Certo che sei brava» si complimentò poi, rivolta verso Niamh.

Lei si concesse un sorriso stanco, dando un’occhiata fintamente distratta alla clessidra di sabbia nera posta sullo scaffale più in alto. Non c’era più molto tempo. «O forse lo era Tosca Tassorosso, chissà.»

Draco sfoglio velocemente le pagine, sino a trovare quella che cercava nella lunga lista di case e terreni sparsi per mezza Europa. Poi, mentre gli occhi finalmente si addolcivano la porse a Tonks. «Granger come sempre aveva ragione. Mai avrei pensato che potesse scegliere una cosa ai confini del mondo ma alla fine è stato così… guarda qui: il Maniero nelle Ebridi esterne è passato di proprietà l’anno in cui zio Nicholas è morto, Abraxas lo ha inserito nella modifica all’eredità senza che nessuno se ne accorgesse»

«Bene, ora sappiamo dov’è la dannata foto ma come ci arriviamo? Appena usciamo fuori di qui ci sarà l’esercito dei morti viventi ad aspettarci» Harry si era nuovamente alzato, stanco di quell’immobilismo. 

«Dobbiamo trovare il recipiente delle anime, prima che arrivino. Altrimenti potremmo comunque arrivare troppo tardi.» si inserì Tonks, camminando pensierosa avanti e indietro con i capelli di un colore insolitamente fin troppo banale.« Non c’è altra scelta, dobbiamo dividerci»

«Tonks, allontanati dalla bionda che mi stai diventando anche tu come lei. Ripeto:come facciamo? Avete detto che Hogwarts è circondata, no?» rimbeccò di nuovo Harry, imbronciato.

«E poi non possiamo lasciare gli altri così. Voi fate quello che volete, ma io non scapperò come un codardo. Andate, ma fatemi uscire da qui» la voce di Neville questa volta era calma,nessuna traccia di infantilismo nella voce.

«Cockey ha ancora i resti degli specchi di quella sera, vero Cockey? E un po’ di magia ci permetterà di ricreare un portale» A riprova della veridicità di quelle parole, l’elfa rovesciò in terra il contenuto di un sacchetto di velluto blu sul tappeto di lana intrecciata.« E poi c’è l’affresco…vi porterà sulle sponde del Lago Nero,il più vicino possibile ad Hogsmeade.»

«Non 'è altra soluzione: dobbiamo dividerci. Uniti siamo troppo facili da prendere.Daphne tu vai con Cockey e Dobby da tua sorella, so che saresti solo d’impiccio qui. Ma dovrai assicurarti di tenere in vita la Sproute. Niamh ed Hermione resteranno qui a cercare di dar vita al rituale, tanto avete tutto no? Theo e  Blaise andranno a liberare Piton, mentre Neville, Angelina, Katie e Luna penseranno alla MacGranitt. Voi tre » disse indicando i gemelli e Ron «Prendete tutto il vostro repertorio e con Peeves cercate di creare più confusione possibile. Più caos creerete e più saremo tutti al sicuro. Io e Draco andremo nel castello delle Ebridi. Mi dispiace, ho bisogno di qualcuno che conosca il posto»

«Cosa? Non se ne parla. Io vengo con voi» la interruppe Hermione, sconvolta. 

«No, tu servi qui. E poi io e mia cugina ce la caveremo alla grande,vero? Anche se tenterà probabilmente di buttarmi già da una scogliere» le sorrise, stringendole la mano.

«Solo se farai qualche commento sui mezzosangue, cugino»

«Ehi e io? Non vi siete dimenticati qualcuno?» lagnò Harry, «Insomma che palle. Quella vuole me e pensate che io me ne stia qui buono buono?»

«Manie di protagonismo, eh Bambino Sopravvissuto» lo canzonò Pansy

«No. Tu dovrai rimanere qui. Se le cose dovessero andare male dovrai guidare un attacco contro Cassandra, fino a quando Niamh non ti dirà che è tutto pronto. Va bene?» rispose Tonks con il luccichio della guerra negli occhi.

«Ginny, Pansy a voi tocca il compito più delicato… dovrete attraversare il bosco ed andare alla ricerca di aiuto. Sono quasi sicura che il bosco vi riconoscerà e vi farà passare» concluse Niamh, avvicinandosi nuovamente allo scaffale e girando la clessidra, la cui sabbia era ormai esaurita, ignorando il "Come sarebbe quasi sicura" all’unisono di Pansy e Ginny.
«Questo è il tempo che ci rimane, prima che le anime rapite ci attacchino. Quindi direi che è decisamente ora di muoversi.« E che Ecate ci assista»

C’era stato del brusio, dei mormorio di apprezzamento, altri di rimbrotto. Sicuramente qualcuno si era lamentato, mentre George e Fred facevano il riepilogo di tutte le loro invenzioni.

Peccato che Harry riuscisse a sentire solo un decimo di quello che accadeva attorno a lui.

C’era solo una voce nella sua testa, che sovrastava ogni cosa.

Ed era quella di sua madre che urlava.



 

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXVII- Quello che siamo ***


Eccoci finalmente alla fine. Non odiarmi se questo capitolo è davvero lungo. Credimi, ho sforbiciato tantissimo! Già da ora ti ringrazio per avermi accompagnato in questo viaggio!

In fondo attraversare il passaggio era stato più facile del previsto, sicuramente molto più di quando aveva dovuto ingoiare quel boccone che sapeva di veleno e sembrava corroderle la trachea mentre cercava di buttarlo giù. A dirla tutta, era stato molto simile ad attraversare il binario 9 ¾.., si erano lanciate contro il muro, immaginando che non ci fosse affatto un muro di pietre secolare contro cui schiantarsi, quanto un velo morbido ed accogliente, capace di avvolgersi sui loro corpi. E così era stato: era bastato un battito di ciglia ed erano finalmente fuori, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e balsamica della foresta.

Ginny si girò, guardando il castello in lontananza dietro di loro.

«Harry non stava bene, affatto. Forse non sarei dovuta venire con te…. sarei dovuta rimanere con lui…proteggerlo..:» mormorò passandosi una mano tra i lunghi capelli rossi, stizzita.

Per tutta risposta Pansy, sbuffò, iniziando ad incamminarsi attraverso la foresta di tronchi bianchi delle betulle « Si, certo… potevi restare li a tenergli la manina in attesa che quella stronza ci facesse tutti fuori. E poi Potter è sempre in pericolo… dannazione, credo davvero che sia la sua caratteristica principale. Ogni anno ne ha una… per Salazar Serpeverde, credo davvero che si diverta a cercare di farsi ammazzare»

«Si, certo. Sai quanto si diverte… L’unica cosa che Harry vorrebbe è passare un anno in santa pace. Una volta che lui ti tocca è come se ti lasciasse un’impronta lurida che non se ne va mai via… credimi io so come ci si sente. E non oso pensare  a cosa debba provare Harry a sentirselo nella testa» la rimbeccò amara Ginny, correndole dietro, ben attenta ad ogni minimo rumore.

Pansy si fermò di scatto, in maniera talmente repentina che la Grifondoro quasi le crollò adosso. Osservò a lungo la pelle candida tempestata di lentiggini, gli occhi marroni nei quali brillava un fuoco che aveva già visto fin troppe volte in quelli azzurri del fratello maggiore, le labbra che si piegavano in un cipiglio imbronciato e determinato. Senza dire una parola sollevò la manica di merletto nero che la copriva sino a tre quarti dell’avambraccio, rivelando il disegno vivido e lucido che ora troneggiava inquietante, con il serpente che si muoveva liquido e osceno sulla sua pelle. Non era una novità per Ginny, l’aveva immaginato la sera di dicembre di qualche mese prima, quando la Serpeverde si era accasciata nel giardino di Malfoy Manor, urlando per il dolore e tenendosi il braccio come se bruciasse. Poi aveva relegato quel pensiero disturbante in fondo alla sua mente, abituandosi giorno dopo giorno a quell’inusuale presenza nella sua vita. In fondo Ron era felice quando era con lei, ed anche Hermione sembrava aver trovato in quella che a rigor di logica era la studentessa più distante da lei che avesse mai varcato la soglia di Hogwarts, sembrava aver trovato una complice e al tempo stesso una nemesi che sembrava darle un nuovo equilibrio. Per un breve, brevissimo periodo, ne era stata quasi gelosa. Poi però avevano parlato e aveva scoperto che in fondo quello che una volta le aveva detto Charlie era vero: le divisione erano solo nella loro testa. Certo, quella rimaneva sempre una che con ottima probabilità era stata accusata a completa ragione di aver ucciso il padre, ma , in fondo, visto quello che le aveva raccontato Ron sulla sua famiglia non se la sentiva sul serio di darle completamente torto.E poi, ad esere onesti, la divertiva enormemente passare intere pomeriggi a trovare il modo migliore per insultarsi a vicenda. Raramente a Grifondoro aveva trovato qualcuno che riuscisse a tenerle testa. Grifondoro… lo stomaco le si strinse all’improvviso come se le avessero dato un pungno, ricordando l’ultimo sguardo di Lavanda quando Padma l’aveva gettata nella vasca. E Patil? Era rimasta immobile, la bocca spalancata muta nell’orrore mentre guardava la sua gemella compiere quel gesto dettato solo dalla maledizione,e  allo stesso tempo incapace di mostrare sul volto neppure la più piccola emozione. Aveva visto i grandi occhi scuri riempirsi di lacrime e di paura, poco prima che un ramo le coprisse il volto, soffocandone ogni possibile lamentela. Era ancora viva? Oppure anche lei aveva deciso di abbandonarsi a quello che sembrava un destino comune a tutti loro?

«Credimi, piccola Weasley, io lo so bene cosa significa fare i conti con le scelte obbligate. E posso assicurarti che, sebbene né la Brown né le gemelle inquietanti e bigotte mi fossero simpatiche, auguro loro di non doversi mai svegliare ogni giorno nel ricordo di quello che si è fatto. So che per te è orribile da sentirsi dire, ma ti posso assicurare che sarebbe meglio per loro non aprire più gli occhi. Quelle come loro non sono fatte per gli omicidi» mormorò la mora, a voce talmente bassa che forse il suo discorso era pià rivolto a sé stessa. Era questa la ragazza di cui si era innamorato Ron? Quella che si mordeva il labbro in preda all’ansia? O quella di cui si riusciva a vedere il dolore in fondo agli occhi scuri velati da qualcosa che non sapeva immaginare interpretare.Fissando un punto imprecisato dietro la sua testa, rifiutandosi di metterla fuoco. Stava per chiederle invece se quelle come lei fossero fatte per gli omicidi, ma la mora la prevenne, mettendole in mano un pezzetto di carta con disegnate una serie di linee intrecciate, tagliando corto: «Tieni la Montmemorcy ha detto che dobbiamo cercare un albero con questi simboli.Mai che se ne inventassero una semplice: e prima devi vedere con la mente, e poi mangiare una dannata mela amara come la milza di salamandra avvelenata, e il pegno da dare, e le tre goccie di sangue… Per Salazar Serpeverde, a volte mi chiedo se non lo facciano apposta.» borbottò la Serpeverde sbuffando ed incamminandosi a lunghe falcate nel folto della foresta. 

«Ehi! Dove vai? Guarda che io non lo dico a Ron che ti sei persa dentro una dannata foresta alla ricerca di un maledetto albero!» le gridò dietro. «E tantomeno ad Hermione! Per Godric Grifondoro, l’hai vista nella Sala Grande? Ha letteralmente staccato il braccio alla Umbridge. Cioè… le sta bene…ma che cavolo avevo mangiato due zuccotti con ripieno di amarene… hai mai fatto caso che ha lo stesso colore del sangue? E quella consistenza…»

«Sei disgustosa Weasley.» rimbeccò Pansy. «Per Salazar Serpeverde…ma come ha fatto una come te a nascere in una famiglia di Grifondoro? Sai… quasi quasi ti sto rivalutando»

«Vieni alla Tana per la festa di metà estate e vedrai cosa riusciamo a tirare fuori»rispose vaga, superando Pansy  e avventurandosii nel folto dell’intreccio di alberi, la cui corteccia sembrava brillare nel buio innaturale.

«E’ un invito, piccola Weasley? Davvero vuoi una come me nella tua piccola, leziosa e adatta per una famiglia di tre persone, casa?» chiese la moro, socchiudendo gli occhi sospettosa.

Di nuovo Ginny si erml, prima di rispondere «Credimi, potresti scoprire di avere più cose in comune con noi di quello che credi. O di quello che ti piace far credere, ad essere onesta» commentò la rossa, appoggiandosi contro uno dei fusti slanciati. 

«Me l’ha detto anche Niamh….dice che siamo vittime dei nostri stessi pregiudizi. E senza che fai quell’aria da saputella… guarda che questo include anche te. Credi che non abbia mai notato come tu e le tue amichette ci abbiate guardate in questi anni? Vi credete migliori di noi, incapaci di scendere a compromessi….e invece… beh sappiamo tutti come è andata, no? Cazzo, se non avessi voglia di cavarle quegli occhi da folle per averci costretto a vivere con  il rospo bigotto per mesi, senza contare quello che ha fatto a Draco, tenderei quasi ad ammirare quella psicolabile maniaca omicidia.» Pansy abbassò la voce, sino a farla diventare un sussurro nel vento: «Forse io e lei siamo fin troppo simili. Se c’è una persona che possa capire cosa signigiche avere un maniaco omcida che gestisce la tua vita e ti fa sentire solo un involucro inutile dotata di un utero, quella sono decisamente io.»

«No, Pansy, mi dispiace, ma non me la bevo. Qualsiasi cosa sia successa nel passato, lei ha scelto di diventare quello che è… Come tutti gli altri Mangiamorte: potevano scegliere di ribellarsi, di seguire la strada giusta ma non lo hanno mai fatto. E, da codardi quali sono, si sono nascosti dietro l’ennesima scusa. Diciamoci la verità: volevano il potere, volevano che qualcuno dicesse loro di essere speciali, di valere più degli altri. Sai che hanno ucciso i miei zii? Erano solo dei ragazzi, Pansy… eppure li hanno trucidati senza pietà» rispose la Wrasley con voce dura, gli occhi che brillavano fieri anche nel buio della foresta. «Nessuno l’ha obbligata ad unirsi a quel pazzo assassino… o almeno, nessuno l’ha costretta a cospirare per la sua rinascita. E quello che ha fatto a Draco? Davvero vuoi dirmi che è stato solo una reazione ad una situazione famigliare difficile?»

Pansy rimase in silenzio, mordendosi l’interno delle labbra. L’aveva sempre odiata, l’esempio perfetto di quella famiglia che tanto la rivoltava. E quando erano stati nel passato… oh aveva avuto davvero la tentazione di convincere Bellatrix ed Andromeda a spingersi un po’ più in la nella loro vendetta… Ma c’era una parte di lei che non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo con cui aveva guardato Lucius dopo quella sera. Di certo c’era rabbia, desiderio di vendetta, orgoglio ferito… ma c’era anche qualcosa di più…

«Nel giro di qualche mese ha perso tutto, Weasley. E ha covato rancore per anni. Devi ammettere che come minimo dobbiamo darle credito per la pazienza» borbottò, chiedendosi che cosa avrebbe fatto lei, se improvvisamente fosse stata messa da parte, seconda in tutto. Non aveva ancora capito se però il suo rimpianto fosse essere stata rimpiazzata da Narcissa o da Bellatrix.

«Le metterò un adesivo sulla tomba, va bene? Ovviamente dopo essermi assicurata che non possa tornare nuovamente. Quella è una fottua psicopatica, tanto quanto i Lestrange. E spero proprio che faccia definitivamente la fine che hanno fatto loro.» ringhiò la rossa con voce bassa e minacciosa, che ricordava fin troppo il fratello nei suoi momenti di rabbia.

Rabbia… cazzo come aveva fatto a non pensarci? 

«Weasley… tuo fratello… quel giorno al campo da Quidditch…quando ha visto te e lo sfregiato sbaciucchiarvi..:»

«Quando ho minacciato di picchiarlo con la mazza da battitore?Si me lo ricordo… bei tempi quelli..» 

«Non era in lui. Era evidente che non lo fosse… e se… se anche lui…» Pansy non riusciva a formulare la frase, le parole che le si bloccavano gelide in gola.

Gli occhi di Ginny si allargarono improvvisamente, lo stesso orrore che si faceva strada anche nella sua mente…«No, non può essere. Forse qualcuno lo aveva maledetto per scherzo… E poi l’hai visto in Sala Grande…ha lottato»

Pansy annuì, cercando di convincersi che non doveva preoccuparsi. C’era la Granger a pensare a quelle cose, no? E non poteva non averci pensato anche lei. Dovevano concentrarsi, ormai davvero non c’era più molto tempo: nel momento in cui la moneta che Niamh aveva dato loro avesse iniziato a brillare, loro avrebbero dovuto aprire il cerchio di protezione ed attraversarlo,a  qualunque costo.

Rimasero in silenzio, ciascuna immersa nei propri pensieri, lo sguardo attento ad ogni minima traccia. Poi videro  una macchia bianca muoversi nell’ombra, piccola ed agile.

«Ma ci sono i conigli in questa parte della Foresta?Fossi in loro avrei paura di diventare la cena di qualcuno. O di qualcosa» tentò di smorzare la tensione che si era creata. Poi però bastò uno sguardo, ed entrambe si precipitarono all’inseguimento, spinte più dall’istinto che dalla razionalità.

Ed ancora una volta, si rivelò la scelta esatta.

 

***

Quando sua cugina se n’era uscita con l’assurda teoria secondo la quale il portale per il Castello nelle Ebridi era nel bagno del quarto piano, quello dove avevano passato settimane a girare e rigirare quella dannata pozione per il maledetto calice, aveva pensato che fosse definitivamente impazzita. O, forse, erano gli ormoni della gravidanza: suo padre ancora raccontava degli scatti d’ira di sua madre quando era incinta. Il che, di solito, provocava lanci di cose e risposte gelide, quindi forse no, non era esattamente quello il motivo. A sentire sua madre era piuttosto il fatto di essere lasciata sola per la maggior parte del giorno, soprattutto il periodo in cui era dovuta restare a letto. E tutti sapevano in realtà dove fosse Lucius durante quei mesi: a torturare babbani, insieme a quella grandissima stronza al piano di sotto.

Insomma, per farla breve aveva pensato che non fosse assolutamente possibile. E, soprattutto, non aveva più messo piede in quel bagno da quando era tornato ad Hogwarts a settembre. O, almeno, non in quel tempo.

E poi dubitava fortemente che riuscissero a raggiungerlo senza rischiare di essere decapitati dai piccoli assassini prezzolati, una volta conosciuti come i loro compagni di casa. E, invece, almeno in quello si era dovuto ricredere. Erano sgattaiolati fuori, scivolando sul fango come se pattinassero sul ghiaccio: anche quello era stata un’invenzione dei gemelli Weasley, delle pratiche solette adattabili che permettevano di superare la palude, sia mai che qualcuno di loro rimanesse bloccato da qualche parte. Anche se a malincuore doveva ammetterlo, quei due erano decisamente geniali.

Dietro di loro, il gruppo dei Grifondoro stava facendo un lavoro eccezionale nel creare il caos, coadiuvati da un Peeves ancora non pago per essere stato esiliato per mesi da quello che era sempre stato il suo parco giochi, mentre Grattastinchi correva indemoniato saltando in faccia ad uno degli inseguitori dopo l’altro: mentre correvano veloci giù per le scale e poi di nuovo sino al bagno del quarto piano, tutto quello che vedevano dietro di loro era un insieme indefinito di scintille verdi, rosse, arancioni e gialle… e nessuna sembrava quella di incantesimi conosciuti.

«Ah. Sei tornato. E con un’amica, vedo.» Come previsto Elizabeth non era affatto contenta di vederlo. Quel breve saluto, più simile ad un un miagolio di gatto affamato, era stato seguito da un vomitare ininterrotto di lamenti e gemiti di altezze variabili sino al punto che Draco temette seriamente che non ne sarebbe sopravvissuto uno di specchio, altro che portale. Maledetto il momento in cui aveva deciso di nascondersi li, per sfuggire agli sguardi dei suoi compagni, quando l’angoscia diventava troppog rande da sopportare. A pensarci adesso, sarebbe stato molto meglio mettersi ad urlare in Sala Comune.

Tonks non sembrava però particolarmente impressionata. Con una scrollata di spalle e un’ultima alzata degli occhi al cielo si soffermò un attimo davanti ad uno di quegli d’angolo, tracciandone toccandone la superficie che reagì come se fosse fatta di metallo liquido. Poi, mentre ancora stava cercando di spiegare al fantasma, il cui soprannome di Mirtilla Malcontenta non era mai stato così azzeccato, si sentì afferrare e spingere all’indietro senza troppe cerimonie.

Un attimo dopo le grida erano sparite, così come i marmi chiari e luccicanti che li avevano circondati fino a quel momento. Attorno a loro tutto era silenzio, scuro, austero. Si guardò intorno riluttante, mentre tutte le paure e le ansie di ogni volta che si era trovato in quel salone dai mobili massicci e la magia oscura che permeava ogni singolo respiro tornavano a galla, paralizzandolo. Sentì la mano di sua cugina sulla spalla, un tocco gentile e leggero che lo riportò alla realtà.

«Vieni, sicuro è nello studio di mio nonno» disse, riuscendo finalmente a respirare. Tonks lo guardò con uno sguardo serio, mentre i capelli diventano di un colore blu scuro. «E, ti prego, ignora la maggior parte di quello che vedrai».

Lei sorrise, in un modo che gli ricordò fin troppo sua madre. «Tranquillo, decisamente non prenderò spunti per l’arredamento. Un po’ troppo tetro per i miei gusti. Per Merlino, davvero non potete permettervi un arredatore migliore?»

Draco si costrinse a stirare le labbra in una specie di ghigno, salendo veloce la grande scalinata di pietra di marmo scuro, cercando di ignorare le voci nella sua mente. Era stato tutto facile, fin troppo. Senza quel traditore di Locke a guardia del castello e con Cassandra in quello stato, era evidente che in qualche modo le pietre antiche lo avevano riconosciuto. Chissà se suo nonno lo aveva messo in conto, quando aveva deciso di donarlo a lei. Probabilmente no. O forse, semplicemente, pensava che non fosse sopravvissuto abbastanza da creare problemi.

La porta, solitamente aperta, ora era sbarrata,un solido muro di legno scuro che non cedeva di un centimetro, per quanto tentasse di scrollare la maniglia.

Tonks si avvicinò allo stipite, arricciando il naso sentendo un odore acre e catramoso «Beh, decisamente avevi ragione, qui dietro sta accadendo qualcosa. Ora…vedi quel riquadro che si è aperto in alto? Dobbiamo inserire la parola chiave… ingegnoso direi.»

«Scusa ma non sei un Auror? Non puoi buttarla giù e basta?Come diavolo la troviamo una parola chiave adesso?» sbuffò, lottando contro l’istinto di scendere di corsa le scale e tornare ad Hogwarts. Aveva sbagliato a seguire quel piano, lasciando sola la Granger. E per cosa poi? Per giocare agli indovinelli?»

La ragazza lo ignorò, sfiorando la placca metallica con la bacchetta, osservando attentamente i sottili segni. «Sono sei numeri.Una data, probabilmente. Ti ha mai parlato di qualche evento particolarmente rilevante per lei?»

«Potremmo provare con il suo compleanno?» tentò, sforzandosi di recuparare dalla memoria sigillata degli sprazzi di conversazione che potessero aiutarli. Peccati che la maggior parte delle volte stesse occludendo, oppure fosse svenuto. Tonks scosse la testa «No, tropppo banale. E non so quanti tentativi abbiamo, non sparerei a caso. Deve essere qualcosa estremamente importante per lei. Qualcosa che le ha cambiato la vita…»

«Come la notte in cui ha perso tutto? Quella per cui ha deciso di prendersela con te?» chiese con un ghigno soddisfatto, puntando la bacchetta a sua volta. Si girò solo un attimo, guardando la cugina interrogativo. E se si stesse sbagliando? Se per lei fosse importante, ad esempio, la data della morte della mamma di Theo?

Tonks, gli strinse appena una spalla, rassicurante, facendogli segno di procedere.

Non aveva finito di tracciare l’ultima stanghetta dell’anno, che la porta iniziò a tremare, aprendosi di scatto su una stanza che ben poco aveva di quello che ricordava: il pavimento era ricoperto di vetri e schegge di specchio, i libri in terra divelti, ogni singolo oggetto che una volta ornava gli scaffali distrutto in terra.

E, in mezzo al caos, solo una cosa era intatta sul mobile lucido della scrivania: una fotografia aumentata sino alle dimensioni di un quadro di medie dimensioni: al suo interno, suo padre quindicenne lo guardava ridacchiando, rivolgendosi a qualcuno dietro di lui. 

E poi apparve lei, ridendogli in faccia, mentre si stringeva a Lucius.

«Al riparo!» sentì Tonks urlare, poco prima di spingerlo dietro una poltrona, senza troppe cerimonie. Non fece neanche in tempo a lamentarsi e a chiederle che diavolo le fosse passato in mente quando la stanza si riempì di una nebbia densa e scura, adorosa di petali di rosa lasciati troppo al sole. Il suo profumo. Si arrischiò a guardare, sperando di essersi davvero sbagliato. E invece, proprio al centro della grande stanza quadrata, stava una Cassandra con lo stesso aspetto di quella della fotografia. Ma lo sguardo, quello folle e privo di qualsiasi empatia, era proprio lo stesso che avevano nella Sala Grande.

«Siete stati davvero carini a rompere il sigillo.. E ora, direi che possiamo passare al sacrificio vero e proprio. Sei stata carina, mezzosangue a portarmi qui il tuo bambino… Vedrai sarà perfetto» sorrise facendo una finta reverenza. «Lord Voldemort sarà davvero contento»

Scambiò uno sguardo con Tonks, che masticava improperi a mezzavoce, tenendosi inconsapevolmente la mano sullo stomaco, mostrandole l’avambraccio dove era perfettamente visibile il marchio nero pulsante. Lei, stranamente, ghignò con una strana luce negli occhi.

«Un piccolo imprevisto. Ma, niente che non si possa risolvere» ghignò, prima di trascinarlo fuori correndo mentre dietro di loro scintille verdi si infrangevano lungo i corridoi coperti di arazzi scuri. 

 

***
Quel dannato piccoletto era stato più ostinato e resistente del previsto, facendole tempo prezioso. Non aveva valutato che la stupida mutaforma potesse arrivare alla fotografia… sicuramente era stato Theodore a spifferare tutto. Oh,ma avrebbe avuto modo di ringraziarlo, quel piccolo ingrato. In fondo, poi, non era un gran danno: le bastava davvero poco, un solo, ultimo sacrificio e quel simulacro non avrebbe più avuto senso di esistere, tornando ad essere solo la riprova di un tempo in cui era stata così sciocca da potersi fidare  degli altri.

Di certo però aveva imparato dai suoi errori, usando quegli degli altri per costruirsi una propria rete di salvataggio, senza dover dipendere più da nessuno. Si strinse l’avambraccio, sentendo il richiamo del Signore Oscuro. 

Superò i cadaveri degli elfi che avevano tentanto inutilmente di bloccare la Sala Grande, creature disgustose ed inutili, come tutti quelle della loro razza, guardando con disgusto il pantano che ricopriva i corridoi della Scuola con un’acqua puzzolente e limacciosa. Con la coda dell’occhio notò lo stupeficium che uno di quegli idioti ragazzino le avevano lanciato contro, saltando di lato giusto in tempo affinché l’incantesimo si infrangesse contro una delle nicchie di pietra, lasciando al suo posto solo un cratere.

Prima che sparisse aveva fatto però in tempo a vedere un ciuffo di capelli rossi: bene, molto bene. Un Weasley come esempio di quello che accadeva a mettersi contro l’Oscuro Signore era proprio quello che serviva: lo avrebbe appeso all’ingresso, il perfetto regalo per lui quando sarebeb arrivato. E poi sarebbe passato agli altri, uno dopo l’altro, lentamente. Il suo figlioccio sarebbe stato l’ultimo…beh sempre dopo Harry Potter.

Risalì la scala, la stessa che aveva salito decine, se non centinaia di volte da studentessa, provando anche adesso la stessa indifferenza di quei giorni: Hogwarts era stato un momento inutile della sua vita, un passaggio obbligato che la separava dalla vita che si meritava davvero, libera e al servizio di Lord Voldemort. E, ovviamente, decisamente ricca.

Ignorò i gemiti del ragazzo accasciato in un angolo, la lunga frusta che fuorisciva dalla sua bacchetta che scivola ritmica ed ipnotica dietro di lei. Le era mancato quel rumore sensuale e letale che le ricordava i pomeriggi passati ad ascoltare la voce di Lord Voldemort che li cullava nell’idea di un futuro degno di loro.

Aprì una delle grandi vetrate, respirando a fondo l’aria satura di elettricità e godendosi lo spettacolo del cielo fattosi di un intenso colore violaceo. E in lontananza, lo sentiva, percepiva il suo potere che si faceva sempre più forte. Premette la bacchetta sul  Marchio Nero, lasciandosi andare ad una risata di pura gioia, mentre sentiva la sua energia permearla nuovamente, riempire ogni fibra del suo essere, impossessarsi della sua voce, della sua mente, di quello che era rimasto della sua anima.

Quando aprì la bocca, sapeva bene che lei era diventata solo un mezzo, l’aria  che vibrava attraverso le corde vocali un’eco della sua sua.

Harry Potter! So che puoi sentirmi… Se tieni alla vita dei tuoi compagni di scuola consegnati. Ti aspetterò nella Foreste Proibita…sono certo che saprai dove andare. Se non lo farai, l’intera scuola brucerà, con tutti i tuoi compagni dentro. E’ questo che vuoi, Potter? Che qualcun altro muoia per te? Tic, Toc, il tempo scorre…chi sarà il prossimo a perdere la vita per colpa tua? Forse il giovane Longbottom? O la deliziosa fidanzatina che è stata complice di tutto? 

Cassandra  ghignò, il polso che scaettava veloce, lanciando contro il muro quello stupido sempliciotto che aveva provato ad attaccarla alle spalle. Stupido come i suoi genitori. E, come i suoi genitori, avrebbe sperato di morire al più presto. 

 

La voce di Lord Voldemort era risuonata in ogni antro della Scuola, dai sotterraneai alla torre di Astronomia, sibilante e rauca, eppure distinta. Harry, nell’ufficio della Umbridge scambiò un’occhiata rabbiosa con Ron che, incurante delle istruzioni ricevute, l’aveva seguito in quella ricerca.

«Non puoi andare, Harry. Non siamo ancora pronti. Hai sentito cosa ha detto Hermione, ci avvertirà lei. E’ un suicidio»

Harry si massaggiò la cicatrice, esasperato. Certo che era un suicidio…ma quali altre possibilità aveva? E poi, a dire la verità, era un anno che aspettava quel momento.

Finalmente sarebbe stato faccia a faccia con Voldemort. E questa volta, si sarebbe premurato di fargliela pagare.

«Io vado, tu continua a cercare il recipiente delle anime…il furetto ha detto che qui c’era un contenitore ricoperto di semi di zucca ma chissà cos’ha visto. Non c’è niente»  disse a Ron che però lo guardava scuotendo la testa.

Ron avrebbe voluto ribattere, lamentarsi ed impuntarsi: già avevano dovuto separarsi da Hermione, non c’era verso che lo lasciasse solo con Voldemort. Ma quello sguardo tagliente negli occhi verdi del suo amico non lasciava adito a dubbi: aveva preso la sua decisione, e niente gliel’avrebbe fatta cambiare. L’unica cosa che poteva fare era trovare quel dannato contenitore il prima possibile e liberare i suoi compagni. Poi, in un modo o nell’altro sarebbero scappati.

 

***

Silente li aveva guidati attraverso le strade deserte di Hogsmeade, senza più dire una parola, limitandosi a fare qualche domanda a Percy, annuendo soddisfatto ascoltando la risposta.

L’aria attorno a loro era di nuovo irrespirabile, talmente immobile da far chiedere loro se davvero stessero avanzando o se, invece, continuassero a camminare sempre sullo stesso posto, fermi in un’eterna bolla.

Narcissa aveva provato a rallentare per parlare con Lucius, ma Andromeda sembrava aver capito che c’era qualcosa che non andava e sembrava non perderli di vista un attimo, fermandosi deliberatamente ad aspettarli ogni volta che sembravano attardarsi.

«Non pensarai mica che mi beva la storia che hai problemi con i tacchi, vero?» le sibilò prendendola sotto braccio e trascinandola via dal marito. «E tu, di un po’... cosa stavi facendo sul serio in quel posto dimenticato da Merlino?»

«L’unico posto dimenticato da Merlino è quello schifoso locale dove il tuo caro Silente ci vuole portare.» commentò Lucius acido, indicando con disgusto Ted e Sirius che, di fronte ad una porta scura e poco illuminata, si sbracciavano per richiamare la loro attenzione. passaggio. 

«Testa di Porco. Che nome…particolare. E gli affari non vanno granché bene, a quanto pare. Mi chiedo perché...» commentò secca Narcissa arricciando il naso entrando e lanciando un’ eloquante occhiata a Silente. Assolutamente quello che tutti si sarebbero aspettati da lei, fin troppo

«Mio fratello è sempre stato un tipo particolare. Ma in fondo i rapporti con la famiglia sono i più complessi, dico bene?» Silente li aveva guidati sino ad una piccola stanzetta, spoglia ed austera, in cui l’unica cosa che spiccava era un grande quadro. Improvvisamente ci fu un movimento nella piuttura e apparve un trafelato preside Dippet, che sgranò gli occhi guardando quella ben poco assortita comitativa. Silente si avvicinò, annuendo mentre il Preside gli bisbigliava qualcosa all’orecchio. Poi, pensieroso, si fece da parte, indicando il quadro. Ma non stava guardando li,  né i ragazzi che si erano affrettati ad attraversare la tela. No, la sua attenzione era tutta su sua sorella, fissandola con un sguardo indecifrabile, lo stesso che fin troppo spesso gli aveva rivolgere a Bellatrix durante gli anni di Hogwarts.

Ma Narcissa non era Bellatrix. Lei non… no, non aveva mai preso il Marchio Nero, non aveva mai torturato nessuno, era stata la prima a cospirare contro l’Oscuro Signore lo scorso anno. Ma c’era un grande ma… la motivazione principale di Narcissa lo scorso anno era stato salvare Draco. Aveva detto che non c’era niente che non fosse disposta a fare, pur di sapere suo figlio al sicuro. E, ad essere onesti, le faceva paura pensare a quanto questo potesse essere vero.

Ted si girò a guardarla, interrogativo, facendole segno di sbrigarsi. Andromeda scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri. C’era qualcosaltro, però, una sensazione strisciante, come se qualcuno li stesse seguendo nell’ombra.

Ma non c’era più tempo, grossi nubi si stavano addensando su Hogwarts e forse era l’ultima occasione per salvare Nymphadora. E, come sua sorella, non c’era davvero niente che non avrebbe fatto per la sua famiglia.

Niente.

 

***

«Prima l’acqua, ora il fuoco… certo che non sei proprio il massimo dell’originalità eh» 

Man mano che si avvicinava alle fiamme verdastre, la cicatrice sembrava assorbire il calore, tizzoni bollenti che gli penetravano nel cervello, annebbiandogli la vista. Tutto attorno a lui sembrava essersi fermato, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il suono sibilane delle fiamme,perfettamene in sintonia con la voce nella sua testa.

La donna si girò, godendosi il calore delle fiamme, schioccando le labbra in un sorriso, mentre un’ombra più densa delle altre si muoveva dal fitto degli alberi, le decine di bacche scure e dure che scricciolavano sotto il suo passo.

«Mio Signore…» disse Cassandra con devozione, spostandosi per farlo passare. «Ti ho portato il ragazzo, come vedi.»

Voldemort fece ancora un passo verso la strega, carezzandole il viso come avrebbe fatto con un cucciolo impaziene di compiacere il suo padrone,mentre lei continuava a guardarlo con adorazione.

«E che tutti vedano la fine del grande Harry Potter» urlò facendo un ampio gesto con la mano, indicando qualcosa dietro di lui.

Harry deglutì a vuoto, non ci aveva fatto caso arrivando nello spiazzo, ma ora riusciva a vederlo chiaramente: legato ad ogni albero da fili sottili come ragnatela di Acramantula, c’erano diversi dei suoi compagni: Neville era quello messo peggio, con un occhio nero e un profondo taglio sul sopracciglio che ancora gocciolava sangue non rappreso,  e poi Luna, Cho, Seamus, Lee… gli altri neanche riusciva ad intravederli, ma poteva sentirne le voci: una foresta di corpi dagli occhi sgranati che lo guardavano.

«Avevi detto che li avresti lasciati in pace se fossi venuto» ringhiò, mettendo mano alla bacchetta e iniziando a muoversi lentamene, soppesando le sue mosse.

La donna gli rise in faccia, indicando un punto alle sue spalle.:«Dovresi imparare ad ascolare, giovane Potter. Io ho detto che era il modo per non farli bruciare vivi…non ho mai parlato di lasciarli andare.Puoi chiedere al tuo amichetto se non ci credi..hai qualcosa per me, mio giovane amico?»

Non l’aveva sentito arrivare, ma ora la punta della bacchetta era premuta contro la sua schiena. E dannazione se conosceva quella bacchetta. La conosceva anche senza far caso alle urla soffocate di Neville.

Si girò lentamente, sperando davvero di sbagliarsi. E, invece , ancora una volta aveva ragione.

«Dannazione Ron, ti ho lasciato solo dieci minui fa!» ringhiò,mettendosi in guardia.

«Dieci minuti…una vita… ha davvero valore il tempo? L’amicizia non esiste, Harry Potter. E tu lo scoprirai…proprio come hanno fatto i tuoi genitori prima di te» disse laconico Voldemort, battendo le mani. «Portami il suo cuore, mio giovane amico.»

Ci fu un lampo negli occhi azzurri di Ron, appena un accenno dietro lo schermo ottuso del maleficio, e gli tirò addosso un pezzo rotondo di metallo, sputando.

«Questo è per la Cioccorana sul treno, megalomane» sputò con disprezzo.

Ed Harry, dentro di sè, sorrise. 

 

***

«Cerca di concentrarti Hermione, non avremo una seconda possibilità.» la voce di Niamh la riportò severa alla realtà. «E’ arrivato, lo vedo. Dobbiamo agire in fretta»

La Grifondoro annuì, mordendosi il labbro. SI Niamh aveva ragione ma c’era qualcosa che non poteva ignorare. Lei sentiva, sapeva, che c’era qualcosa che non andava e che Draco era in pericolo imminente:lo sesso sigillo che gli aveva messo nell’anello ora le sembrava scavare dentro, avvisandola di dover fare qualcosa.

«E se avessero bisogno di aiuto?» non poté fare a meno di chiedere, provocando l’irritazione della bionda.

«Tutti noi abbiamo bisogno di aiuto. E, se non ti concentri, potrai felicemente scoprire quanto ti servirà da morta.» sibilò, finendo la treccia di vimini, e posizionandola a croce con quella intrecciata da Hermione. «E ora fa silenzio, la sabbia è quasi finita e dobbiamo sfruttare il potere della Luna prima che sorga. Ormai manca veramene poco. Concentrati, ognuno sta facendo la sua parte»

Hermione si alzò,  infiammando con la bacchetta un ramscello di salvia e lavanda, pe poi usarla per accendere le tre fiaccole agli estremi di un cerchio di rune fittissime che Niamh aveva per prima cosa disegnato con un impasto profumato e scuro.

Sedette di nuovo di fronte alla strega, disponendo tre monete d’argento al bordo inferiore del grosso libro in pelle scura che le divideva.

«Respira. Lascia che il potere ti fluisca dentro, non fermarlo… non porti limii» disse spezzando il silenzio, prima di porgerle le man

Le fiamme attorno a lei iniziarono a tremare come se se toccate da un vento leggero, lo stesso che sentiva accarezzarle il viso. Si costrinse a tenere gli occhi chiusi, a concentrarsi su quel grumo che sentiva bruciarle dentro, allargandosi sempre di più. Un potere caldo ed avvolgente, rassicurante, che le fluiva dentro portando via ogni pensiero.

Piano piano scomparve la vista di Lavanda e il suo terrore,  la preoccupazione per Harry, lo sguardo di Ron quando all’ultimo Niamh gli aveva dato quella fiala che Tonks non aveva fatto in tempo a bere. Tutto divenne sfocato, avvolto da una luce morbida ed argentate che l’abbracciava rassicurante. Sparì tutto tranne due occhi grigi che la fissavano, quelli a cui doveva tornare.

Sempre con te. Si ripeté, facendo rotolande le parole dell’iscrizione del sigillo nella sua mente.

 

***

«Tu sei assolutamente certa di sapere come ucciderla? No, perché non te lo vorrei dire ma non mi pare che stia funzionando, a parte distruggere metà dei mobili» sbuffò Draco, rannicchiandosi dietro una grande armatura che andò in frantumi poco dopo, lanciando schegge di metallo ovunque.

«Che c’è pensi di venirci ad abitare? Non mi preoccuperei dell’assicurazione, ci sono talmente tanti manufatti oscuri che fossi in voi non darei occasione al Ministero per fare una perquisizione… troverebbe fin troppe cose interessanti.» rispose, mentre il suo viso si modificava sotto i suoi occhi: i capelli color vinaccio si allungarono ed inanellarono, la bocca divenne più piena, il volto più affilato, mentre gli occhi diventavano neri e duri. «E ora stai attento, io la distraggo fino a quando non ci danno il segnale. Tu risali su e vai a prendere la fotografia.

Bellatrix.

«Andiamo, è tutto qui quello che sai fare? Sei patetica. Sarai sempre la seconda. Lui» e, con la stessa voce che ricordava della zia dopo Azkban, indugiò su quel lui come se stesse mangiando una piuma di zucchero. «Lui sa che non può fidarsi di te…»

Come previsto Cassandra iniziò a colpire alla cieca, mentre la risata da bambina folle di Bellatrix la irrideva correndo lungo i corridoi. Draco ne approfittò per risalire di nascosto la scala, cercando di fondersi il più possibile contro la tapezzeria damascata, cercando di non fare rumore mentre calpestava fogli strappati, cocci di ceramica smaltata, schegge di pietra saltate dal muro. Se prima avevano pensato che la stanza fosse un caos, ora non c’era un singolo angolo di quella stanza che non fosse squarciato da una maledizione. Si mise a quattro zampe, alla ricerca della fotografia, lanciata chissà dove, e ora persa tra le decine se non centinaia di pezzi di carta e pergamena che ricoprivano il tappeto alto e morbido, quello in cui fin troppe ore era rimasto sdraiato privo di sensi. Chiuse gli occhi cercando di ricacciare i ricordi in fondo alla mente, non c’era tempo per quello. Non voleva avere tempo per quello, mai più. Cercò di ripetersi nella mente quello che Ted gli aveva fatto dire a voce alta, più e più volte, fino a quando non l’aveva sentito vero, quello che lui stesso aveva ripetuto a suo padre nel passato.Non è colpa tua.

Cercò di lanciare un accio, ma in mano, invece della fotografia, gli volò un pergamena ripiegata con un simbolo fin troppo famigliare sopra. La srotolò lentamente, lottando contro la voce nella sua testa che gli urlava di lanciarla lontano. Quella grafia… la conosceva bene, così come le firme in fondo. Suo nonno. Cassandra. Suo padre. Guardò la data, già sapendo cosa ci avrebbe trovato: era stata la sera in cui suo nonno era stato esiliato nelle Ebridi. O almeno era quello che gli aveva raccontato suo padre. Perché a quanto pareva la storia era stata ben diversa.

E poi gli occhi tornarono di nuovo al centro. Al suo nome, vergato in lettere argentee ed arzigogolate, con due date separate da un trattino. Quello non era un incantesimo esiliante, come glielo avevano raccontato. Era piuttosto la cronaca di una morte annunciata. La sua.

La moneta che aveva in tasca iniziò a tremare, costringendolo a tornare alla realtà. Con mano tremante piego e mese via quella pergamena, rimettendosi alla ricerca della fotografia. Mentre la voce in lontananza si trasformava da quella stridula ed irriverente di Bellatrix, a quella fin troppo conosciuta e sprezzante di sua madre, finalmente trovò la fotografia che stava cercando. Della ragazza non c’era più traccia, era rimasto solo Lucius con la spilla di prefetto che lo guardava interrogativo.

Ghignò, avvicinando la bacchetta alla fotografia, ripetendo il movimento che aveva visto fare a sua zia, in quella notte di autunno iniziato. Una M appena accenata e poi una S che andava verso l’alto. Ardemonio.

Uscì di corsa dalla stanza, mentre ogni cosa veniva avvolta da un fuoco gelido ed inarrestabile, mentre in lontananza sentiva Cassandra urlare. Tonks lo raggiunse poco dopo, di nuovo nella sua forma normale, poco sotto le scale, mentre lui la chiamava a gran voce. Le mostrò la moneta, che ora brillava chiaramente. Poi, insieme, attraversarono di nuovo il grande quadro del loro passaggio. Draco andò per ultimo, lanciando un ultimo sguardo a quel posto, godendosi l’immagine del piano superiore mangiato dalle fiamme. Ben presto di quel posto non sarebbe rimasto nulla se non un mucchio di pietre annerite. Così come non sarebbe rimasto nulla di quella tela che lo salutò un’ultima volta, poco prima che le iniziali A.D. iniziavano a sbiadire e a liquefarsi, colando lungo la parete.

 

***

Prima c’era stato il verso di una civetta, inconfondibile in quell’aria in cui non si sentiva null’altro se non i rumori degli incantesimi di due cari amici che si scontravano. Minerva MacGranitt uscì di corsa mentre il cielo sopra ad Hogwarts si trasformava in un cielo notturno irreale. Accelerò il passo, cercando di non notare i segni di quello che era successo, superando le macchie di sangue che insozzavano il lungo corridoio, ignorando i lamenti degli studenti. Ci sarebbe stato tempo per quello, ora , nonostante il suo cuore le dicesse di fiondarsi in Sala Grande e cercare di liberare gli studenti. Ma quello che poteva fare Severus in quel momento era sicuramente più utile. Se c’era qualcuno che poteva cercare di salvare almeno uno studente era lui con le sue pozioni.

Mentre correva verso la Foresta si trasformò in gatto, ben presto affiancata da Grattastinchi che le corse accanto, la coda dritta e pronto ad attaccare. Corsero veloci verso il punto da dove provenivano delle urla strazianti. Ma quella voce… quella non era di certo quella degli studenti che conosceva. Si girò appena verso il castello, sopra il quale un globo argenteo e luminoso si innalzava lento. E poi, con sollievo lo vide, quel serpente di anime che lei stessa aveva evocato, appena era riuscita a riprendere i sensi.

Un incantesimo disperso nei secoli, uno di quelli messi a protezione della scuola dai fondatori. E, visto la forma che prendeva quella sorta di Patronus della Scuola, era indubbio di chi fosse stata l’idea. Lo vide scivolare leggero, le squame che si muovevano come battiti di ali, nere come la notte.  Avvolgeva la scuola, stringendola nelle sue spire, un frammento di anima di ognuno dei professori e presidi mai passati per Hogwarts che avevano deciso di consacrarsi per sempre alla protezione di quello che consideravano il luogo più sicuro. Una casa lontana da casa. Un posto dove chiunque lo chieda, troverà sempre aiuto. 

Arrivò finalmente alla radura, dove una donna che non conosceva era piegata su se stessa, urlante per il dolore come se fosse in preda ad un fuoco infernale. E accanto a lei, impassibile, stava Colui che non deve essere nominato.

«Aiutami, mio Signore, ti prego» la sentì implorare, cercando di toccargli il bordo del mantello. Lui, però si limitò a guardarla con sufficienza, scostandosi di appena un passo.

«Aiutarti, Cassandra? Perché dovrei farlo? Sei stata una delusione, come tutti. Pensavo di potermi fidare di te ….e invece…» disse con disgusto, dando uno strattone al mantello, strappondoglielo dalle mani. «E ora basta, giocare,ragazzini. E’ ora per Harry Potter di morire. »

Minerva ripresa la sua forma umana, pronta a colpire. Ma prima che potesse lanciare un incantesimo il cielo era stato illuminato da quella luna artificiale, che ora splendeva ricca e piena sopra di loro.

La terra attorno a loro iniziò a tremare, mentre dal profondo della Foresta iniziava a spirare un vento gelido e dall’odore metallico, così forte da costringere Voldemort a coprirsi il viso, continuando ad avanzare, mentre la tempesta disperdeva le ceneri di quella che era stata una volta una delle sue seguaci più fidati. E più inutili, sembrò pensare.

«Potete chiamare tutte le protezioni che volete… non c’è niente che ti permetterà di superare questo giorno, Harry Potter. La tua sciocca e patetica vita finisce questa notte. Ma prima, vediamo di liberarci di questo inutile traditore del sangue» disse il mago con voce grave, sguainando la bacchetta.

«Ron, svegliati. Come hai fatto prima! So che puoi sentirmi! Combatti» sentì Harry urlare, mentre con sgomento vedeva la mano tremante di Ron Weasley alzarsi e puntarsi la bacchetta alla gola.

Poi ci fu un crack, e apparvero tre degli unici esseri che potevano trasfigurarsi all’interno di Hogwarts. Ma se Dobby  e Cockey erano volti conosciuti, anzi ad essere onesti Dobby si era rivelato più che bendisposto nell’ aiutarla a far uscire Harry dalla scuola con un ricovero forzato al San Mungo, cosa diavolo ci faceva l’elfo di Sirius Black all’interno della Foresta Proibita? E con un otre di terracotta, per di più.

Lo alzò in alto, sopra la testa ossuta, guardando con odio Colui che non deve essere nominato. Cockey e Dobby invece erano andati ad occuparsi dei ragazzi prigionieri, cercando di liberarli da quei legacci.

«Questo è per il padroncino Regulus, traditore» sputò, lanciando con tutta la forza che aveva la giara in terra. Nel momento stesso in cui toccò il terreno duro, la fragile terracotta si ruppe in mille pezzi, lasciando uscire le anime che erano state imprigionate e che volarono via, nella notte irreale, cercando ciascuna di ricongiurgersi ai proprietari. Un folto gruppo volò dentro la scuola, altre si dispersero nella foreste, altre ancora volarono in alto, dirette chissà dove. Una si posò sulla spalla di Ron Weasley, che sorrise soddisfatto.

«Non ti avrei mai ucciso davvero, Harry lo sai. E poi mamma mi avrebbe fatto a pezzi» sorrise, mettendosi fianco a fianco con l’amico.

Voldemort imprecò, guardando quei pezzi di potere che avrebbero dovuto accrescere la sua potenza, sparire nella notte.

«Ti ucciderò, stupida creatura. Così come è successo a quell’idiota del tuo padrone» ringhiò. «Ma prima, mettiamo fine a questo scempio»

«Non così in fretta, Tom» 

Minerva si girò, senza smettere di tenere la bacchetta puntata, sospirando di sollievo vedendo Silente che avanzava verso di loro. Così come non poté notare con soddisfazione il leggero fremito di irritazione che Lord Voldemort non era riuscito a nascondere.

«Lascia stare Harry, razza di bastardo» gli aveva fatto eco Sirius, correndo verso di loro, seguito dai fratelli Weasley e da una strega bionda, che Minerva riconobbe essere Fleur Delacour.

«Signor Weasley, davvero un piacere vederla. Credo che la sua ex datrice di lavoro necessiterà di qualche cura. E di un soggiorno ad Azkaban» sorrise compiaciuta al più giovane dei Weasley, che si disposero accanto ad Harry e Ron. 

Ma c’erano altre persone, di cui era ancora più sorpresa. Ted ed Andromeda Tonks, ad esempio, il cui sguardo correva tra i ragazzi , ora liberi che puntavano a loro volta la bacchetta su Voldemort. 

E poi si rese conto di quello che stava per accadere, nel momento stesso in cui vide la figura alta e dai vestiti stazzonati dai troppi giorni senza sonno di Remus Lupin. Anche da quella distanza poteva vedere il volto che si distorceva nella sorpresa e nel dolore, nel momento stesso in cui aveva realizzato che quella che brillava in cielo era una irreale ma perfetta luna piena.

Sentì il ringhio, prima basso e poi sempre più forte farsi strada oltre le urla dei ragazzi impauriti, il rumore delle zampe ungulate e forti che spingeva nel terreno, pronto a lanciarsi  alla gola di colui che aveva provocato tanto dolore nella sua famiglia, incurante di chiunqe si trovasse li intorno.

Voldemort rise, lanciandosi contro uno stupeficium talmente potente, che lo fece rimbalzare all’indietro con un guaito di dolore. Ma poco dopo era di nuovo in piedi, con gli occhi rossi e la bava alla bocca.

«Non hai modo di uscirne, Tom. Arrenditi» disse di nuovo Silente, calmo come se gli stesse spiegando come arrivare alla Torre di Astronomia.

Lord Voldemort si girò intorno, lentamente, bacchette che gli puntavano contro da ogni lato. Poi guardò lontano, con un ultimo ghigno.

«Oh, c’è sempre un modo, non era quello che ti piaceva dire sempre? Poveri stupidi, pensate che questa sia la fine… invece è solo l’inizio» sibilò con un ghigno, lanciandosi nelle fiamme verdi, che, dopo un’ultima, enorme fiammata, si spensero improvvisamente. Imprecando Sirius gli corse dietro, cercando di seguirlo prima che la passaporta si chiudesse.

Poi si girò, correndo ad abbracciare Harry, quasi stritolandolo.

«Ehm, Sirius non dovremmo preoccuparci di Remus?» riuscì a dire a fatica Harry, permettendosi finalmente di rilassarsi. Sirius rise facendo il segno di annusare l’aria «Oh, non ce n’è bisogno? Non lo senti? Tonk è qui… ci penserà lei a fargli mettere la testa a posto. E ora andiamo, dove è Hermione? E Ginny?»

«Nella Stanza delle Necessità con la Montemorcy… sono loro che hanno creato quello» rispose Ron, sfuggendo ai tentativi dei fratelli di abbracciarlo. « Ginny invece è con Pansy… dovevano incidere delle rune da qualche parte. Avremmo potuto ucciderlo Sirius, sarebbe bastato così poco»

«Ci saranno altre occasioni Harry. E ora che, grazie alla signorina Weasley e alla signorina Parkinson, la Scuola non è più isolata potremmo portare i feriti al San Mungo. Prego, signor Longbottom, mi segua. Credo che potremmo cominciare da lei» rispose calmo Silente, accucciandosi per toccare l’erba bruciata da dove era passato Voldemort. In terra, unica cosa superstite, il badge da Capocasa di Serpeverde, lo stesso che aveva visto Lumacorno appuntargli addosso.


 

*** 

Quando si era svegliata nella stanza delle Necessità, Niamh era sparita, lasciando dietro di sé solo il profumo di lavanda ed incenso che aveva usato. Al suo posto, invece, trovò Draco disperato che continuava a scrollarla.

«Cazzo, Hermione, non farmi mai più una cosa del genere» era stato tutto ciò che era riuscito a dire prima di stringerla come se volesse farla diventare parte di sé. Accanto a lui, Andromeda e la MacGranitt la scrutavano come se lo sapessero, come se avessero capito che lei, dopo quella sera, non sarebbe più stata la stessa. Perché quello che non potevano sapere era che se non ci fosse stata Niamh lei sarebbe andata ben oltre, lasciando che il vento che avevano generato spazzasse via ogni cosa, inclusa la stessa Scuola. Era stato un filo così sottile, l’euforia del potere che le fluiva addosso che l’aveva spinta oltre la sua coscienza.

Ma lei l’aveva fatta tornare indietro, ricordandole chi fosse. E, soprattutto, che aveva fatto una promessa.

«Come sta la Sproute? E Tonks?» chiese, appoggiandosi alla spalla di Draco, troppo stanca persino per alzarsi.

«Oh, e chi l’ammazza quella… gramigna come la madre» rise Draco, lanciando un’occhiata alla zia, che gli concesse un sorriso stanco. «Hanno provato a dirle che deve riposare ma lei ha preferito marciare fino al Ministero e sbattere in faccia al Capo Auror le testimonianze di decine di studenti. Senza contare che la Umbridge ha dovuto ammettere tutto quello che era successo, incluso l’aver permesso ad un incantesimo proibito di essere utilizzato dentro la scuola. Ora pare che la stiano portando ad Azkaban»

«La professoressa Sproute è stabile, Cockey e le Greengrass hanno fatto un ottimo lavoro. Si sta occupando di lei un mio collega, ma so che l’intervento è stato un successo. Ora deve solo cercare di riprendersi» disse Andromeda dolcemente, tastandole il polso. Delicatamente le tirò su la maglia, rivelando l’avambraccio, ora di nuovo intonso.

«Niamh ti saluta… lei… lei è dovuta andare via. Ma mi ha lasciato questo per te»le mormorò Draco tirando fuori un ciondolo, rimanendo un attimo perplesso, come se si aspettassi di trovare anche altro. Hermione rigirò tra le dita il ciondolo, tre piccoli cerchi attaccati l’uno all’altro,conuna piccola runa incisa nei cerchi laterali, molto simile a quelle che erano sulla collana di Bellatrix, mentre al centro spiccavano le lettere A.M.M. Un regalo dal Reame del Lago? O forse solo un ammonimento di non parlare con nessuno di quello che aveva visto?

«E …gli altri?» chiese infine, incapace di formulare la frase completa.

La MacGranitt sospirò, mentre Draco la stringeva ancora di più, sfiorandole la tempia con un bacio. Sentì una lacrima di rabbia gelida colarle sul viso, prima ancora di rendersi conto che stava singhiozzando, come se il suo corpo fosse incapace di accettare quello che la sua mente aveva sempre saputo, sin da quando aveva visto Lavanda sparire nella acque.

E rimase così, aggrappata a Draco, lasciandosi cullare nella consolazione che almeno era riuscita a salvare qualcuno. Ma quelli che erano morti, loro l’avrebbero tormentata per sempre.


 

Al sicuro dietro la porta di casa sua, protetta da quelle mura antiche e dai volti famigliari, Narcissa si concesse di crollare, stringendo con forza il foglio di carta che aveva trovato nella tasca di Draco. Quando l’aveva visto, con i vestiti mezzi bruciati e pallido, ma indubbiamente vivo, nel corridoio di Hogwarts, le era corsa incontro, seguita a breve da Lucius. Ma l’aveva sentito strano, rigido. E poi, aveva tirato fuori quel foglio, quello stesso che ora teneva in mano, chiedendo cosa fosse, se sapessero di cosa si trattava.

Era bastata solo un’occhiata con Lucius. Entrambi sapevano perfettamente cosa andava fatto, senza neanche bisogno di parlare. Così, quando lui era corso via, urlando il nome della Granger, era stato facile colpirlo. E mentre scivolava lentamente in terra, Narcissa si era avvicinata con dita leggere, sfiorandogli i capelli con una carezza, mentre cancellava ogni traccia di quella maledizione dalla mente di suo figlio. Non se ne sarebbe mai accorto, avrebbe accusato lo stress per quel mal di testa feroce che sicuramente lo avrebbe tormentato per qualche giorno.

E quando loro sarebbero tornati il giorno dopo per partecipare ai grandi funerali previsti per le vittime dell’attacco, sarebbe stato il solito Draco, felice di vederla.

C’era solo una persona che aveva assistito a quella scena, nascosto appena nell’ombra. Ma era certo che Severus non l’avrebbe mai tradita. Non quando c’era così tanto da perdere anche per lui.

Lucius apparve accanto a lei, abbracciandola stretta,e poggiando il mento sulla sua tesa, mentre lei si stringeva spasmodicamente a lui.

«Sei sicuro di quello che ti ha detto?» chiese, senza staccare la testa dal suo petto. «Credi che lo farà sul serio?»

Lucius non rispose subito, limitandosi ad accarezzarle piano la schiena. Poi infine parlò.

«Non lo so, ma al momento è l’unica opzione che abbiamo».

Non si era mai fidata di quell’uomo viscido, che le aveva strappato una sorella e aveva offuscato i pensieri di suo marito per anni. Eppure, in quel momento, con la prospettiva di vedere Draco morire soffrendo giorno dopo giorno, era pronta a provarci.

Portami Harry Potter e io salverò tuo figlio.

Si, potevano provarci.

In fondo c’era un’unica cosa che contava davvero per loro. 

Sanctimonia Vincet Semper.

Il Sangue vince sempre.

O, come amava dire Nicholas, La Famiglia prima di tutto.


 

Ed eccoci qui, giunti finalmente alla fine. Forse avrei dovuto ascoltare i segnali, quando nella stesura di questa storia è successo di tutto: una rottura improvvisa che mi ha portato a non avere accesso al mio hard disk esterno, poi trovato completamente cancellato, la riscrittura che procedeva a rilento, i capitoli che non mi soddisfacevano mai ed, infine, l’Australiana. Ho scritto gran parte di questo lunghissimo capitolo con la febbre a 39, e credo che un po’ si veda.

Il cerchio si è chiuso: Ormai il mondo magico sa che Voldemort è rinato;  il Regno del Lago è salvo; Hermione, Ginny e Pansy hanno scoperto il loro vero potenziale. E poi i Malfoy, che ci dimostrano come l’unica cosa che a loro interessi è la loro famiglia: un anno prima avevano tradito Voldemort per Draco, ora si troveranno a cospirare con lui per salvarlo. Forse.

Dico forse perché non ci sarà subito un seguito. Devo prima capire se e come strutturarlo: non so se l’hai notato ma qui rispetto a “Il Calice” e “Quel che è stato, quel che sarà” la struttura cambia di nuovo, con una serie di elementi disseminati lungo le pagine. Devo dire che, sul lungo periodo, e a distanza di tempo non mi ha convinto molto. Fammi sapere se pensi che un seguito possa avere senso o se è meglio finirla qui, visto che in tutto siamo arrivati a quasi cento capitoli tra le parti, senza contare le varie storie collegate

In ogni caso, se vuoi andare un po’ avanti nel tempo, idealmente una one shot successiva a questa storia è già stata pubblicata da tempo. In Fathers and Sons vediamo un Lucius estramemente indulgente con Draco,quasi fosse ancora un ragazzino. Ora sai perché. Diciamo che mi “divertiva” l’idea di una storia che potesse avere diverse chiavi di lettura, a seconda che se la si leggesse da sola o dopo questa conclusione.

 Ti lascio qualche titolo che ho usato per riferimento per le mie rielaborazioni personali che hai trovato in questa storia. Oltre a quanto già citato nei capitoli precedenti, aggiungo:

  • “I cavalieri divini del Vudu” di Maya Deren

  • “ Misteri e Magie del Nord, le rune e i poteri femminili” di Freya Aswynn;

  • “Racconti di Hogwarts” della Rowling, da cui ho scoperto che il marito della McGranitt aveva una casa ad Hogwarts


E, ancora una volta, grazie di cuore del tuo tempo.

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