Pozioni e Incantesimi

di Autumn Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pozione ricostituente alla Mandragola ***
Capitolo 2: *** Oblivion ***
Capitolo 3: *** Pozione Oculus ***
Capitolo 4: *** Riddikulus ***
Capitolo 5: *** Soluzione Scintillante ***
Capitolo 6: *** Wingardium Leviosa ***
Capitolo 7: *** Pozione Dolcesonno ***
Capitolo 8: *** Alohomora ***



Capitolo 1
*** Pozione ricostituente alla Mandragola ***



1.
Pozione ricostituente alla Mandragola

[La Pozione Ricostituente alla Mandragola (ing: Mandrake Restorative Draught) è una pozione che guarisce chi è stato pietrificato. Uno degli ingredienti è Mandragola matura.]
 
“Incapaci, inetti, teste di legno, sciocchi ragazzini totalmente rimbecilliti …” borbottò Severus, continuando a mescolare la pozione nel calderone in senso antiorario, come ricetta comandava. Quando ebbe assunto un vistoso color verde menta, con le dita pallide affusolate, simili a giunchi in inverno, prese dal tagliere le foglie di mandragola tritate in triangolini sottili e le versò lentamente nel calderone, che iniziò a sbuffare. Tutt’attorno, il laboratorio di pozioni creato nel seminterrato di Spinner’s End sembrava interessato al contenuto di quel crogiolo, dalle decine di ingredienti chiusi in barattoli etichettati alle ampolle sistemate tra i volumi dello scaffale che occupava ben due pareti, passando, ovviamente, per il dispettoso fuoco del camino e gli strumenti allineati con ordine maniacale sul tavolo da lavoro.
In quell’antro angusto e senza luce, Severus si sentiva pienamente a suo agio: era lì che aveva distillato le sue prime pozioni con sua madre ed era sempre lì che aveva affinato l’arte in cui già eccelleva negli anni, giorno dopo giorno. Il suo laboratorio era il suo minuscolo angolo di mondo, precluso agli altri, dove regnavano la calma ed il silenzio che tanto amava e ricercava come un assettato cercava l’acqua.
Un vagito divertito lo destò dalla sua concentrazione, facendolo sospirare, rassegnato. Posò il tagliere e, incantando il mestolo affinché continuasse a girare da solo, si volse verso la pesante poltrona verde dove una bambina di poco meno di un anno sedeva tranquilla, circondata da morbidi cuscini acquamarina in modo da attutire ogni suo movimento e vegliata dall’occhio esperto di Grattastinchi, appollaiato sulla testiera.
Si avvicinò rapidamente, controllando che fosse tutto apposto: con sua estrema sorpresa, Eileen non solo stava bene, ma sembrava addirittura divertita. Avvolta nella delicata tutina lilla, mostrava con orgoglio il volto pallido dai tratti dolci di Hermione su cui brillavano i suoi stessi occhi d’ossidiana, solo vivaci e pieni di meraviglia. I capelli, neri come la notte, erano fermati da una molletta a forma di gatto nero che Eileen adorava. Entusiasta, batteva le manine paffute vedendo il padre muoversi con sicurezza ed eleganza tra ingredienti ed ampolle, affascinata e divertita dalla preparazione della pozione. Non era la prima volta che vi assisteva, naturalmente, ma senz’altro quel giorno l’aveva fatto per un tempo particolarmente lungo.
Nella vecchia casa di Spinner’s End, infatti, il calderone ribolliva da quel mattino, precisamente da quando Minerva gli aveva scritto nel suo giorno libero settimanale per pregarlo di preparare quella pozione come antidoto per un incantesimo nato per scherzo e finito in guaio in una sfida tra Grifondoro e Tassorosso. Due case totalmente inette alla sublime arte del preparare pozioni e fare incantesimi, ovviamente, dunque non stupiva che mezzi studenti partecipanti si fossero ritrovati pietrificati in infermeria con Madama Chips che brontolava.
“Non posso mancare un giorno, un solo giorno e guarda che succede! Se dovessi prendermi tre settimane di ferie che faresti, eh, Minerva?” aveva sbottato al telefono, di cui persino la preside si era dotata, sacrificando l’austero tradizionalismo di Hogwarts per cedere alla comodità di qualche tecnologia babbana. “Suvvia, Severus … sono incidenti che capitano!”
“Sicuro, sempre ai Grifondoro, però!”
“I Serpeverde, se succede, lo nascondono.”
“Appunto: sono più furbi e non mi disturbano di lunedì!”
“Sì, certo, certo ... a che ora puoi passare a portare la pozione?”
“Passare? Qual è esattamente il concetto di fondo di ‘giorno libero’ che non ti è ben chiaro, Minerva? Al massimo te la posso inviare via gufo, altrimenti aspetteranno sino a domani: oggi devo stare con mia figlia.”
“Via gufo andrà bene, in tal caso. Come sta Eileen?”
“Oh, splendidamente: di sicuro è molto più intelligente e capace di quel branco di idioti che si pietrifica a vicenda, nonostante abbia appena compiuto dieci mesi! Buona giornata.”
Detto ciò, era tornato a lavorare alacremente alla pozione che oramai lo stava tormentando da quel mattino e, per fortuna, era quasi terminata. L’ennesimo vagito di Eileen lo fece sospirare di rassegnazione mentre la prendeva in braccio e la portava a vedere il calderone fumante. “Pozione ricostituente alla mandragola: serve a far svanire gli effetti di una pietrificazione, principalmente. Ma non diciamo alla mamma che te l’ho fatta vedere così da vicino, va bene?” mormorò, sorridendo appena all’espressione estasiata della piccola di fronte al liquido verdastro. Istintivamente, strinse a sé la bambina, portandosela al viso ed inspirando il suo delicato profumo di borotalco e shampoo alla fragola: sapeva che quell’aroma non sarebbe durato per sempre, sostituito da profumi più ricercati e voleva impregnarsene nella memoria ogni singola molecola per non doverlo mai scordare. Eileen emise un vagito, afferrandogli i capelli con una manina e strappandogli un altro sorriso ancor più largo del precedente: nonostante il momentaccio, a sua figlia perdonava davvero tutto.
Quella giornata, come se non bastassero i guai ad Hogwarts, era costellata anche da continue corse su e giù per casa, considerato che coincideva con il ritorno al lavoro di Hermione ed Eileen, per sua incommensurata sfortuna, era ancora piccola e bisognosa di continue attenzioni, dai pasti ad orari prestabilisti al cambiarsi regolarmente. Fortunatamente per i suoi nervi già messi a dura prova, Grattastinchi si era rivelato un ottimo aiutante e, quando c’era bisogno, veniva a chiamarlo e guardava a vista la bambina per lui.
“Qui deve mantecare ancora un po’, ora: andiamo di sopra, su!” esclamò, portando una protestante Eileen nel salotto ricoperto di libri al piano superiore, alla luce del giorno.
Con un gesto spazientito, mise a scaldare il latte, continuando a tenerla in braccio, naturalmente perché l’alquanto viziatina signorina Piton si offendeva sino a piangere in modo incontrollabile se veniva posata nella sua culla, escludendola da un’attività che sarebbe potuta interessarle. Mentre aspettava che bollisse, si avvicinò alla finestra, scostando le tende: fuori, era una calda giornata di fine ottobre. Il sole splendeva contro una lievissima foschia, tra foglie dorate ed aranciate ed il profumo di caldarroste nell’aria. “La classica giornata che tua madre adora: l’autunno è la sua stagione preferita, sai?” mormorò, facendo saltellare la bambina, estremamente divertita, tra le sue braccia e dandole un bacio sulla fronte. Eileen, in tutta risposta, rise, premendogli una manina paffuta sulla guancia pallida. Per l’ennesima volta da quando era nata, Severus si sentì invadere da un calore inaspettato, tanto forte da sciogliere qualunque gelo dentro di sé e si rese conto di essere stato un perfetto idiota per venticinque anni: alle pochissime persone che gli avevano chiesto se volesse figli ed a se stesso, aveva sempre risposto con un secco ‘no’. Senza dubbio si poteva pensare a lui come un egoista senza cuore, ma nessuno sapeva quello che aveva passato lui da bambino.
Suo padre lo detestava profondamente e lo sapeva: quando aveva compiuto la sua prima magia, a soli due anni, l’aveva allontanato. “Un mostro come te, Eileen!” aveva sbottato. Ed era sempre stato così che l’aveva visto, come un mostro. Forse era questo che aveva influenzato la pessima opinione che aveva di se stesso, dopotutto …
Tobias non faceva che picchiarlo: sberle, pugni, calci e risate sprezzati quando si infuriava o beveva troppo. Non ne aveva mai ricevute di eclatanti (quelle erano riservate a sua madre), ma dell’unica bottiglia che gli aveva tirato addosso conservava ancora la cicatrice sulla spalla ed Hermione, come ci si aspettava da una mente vivace come la sua, l’aveva notata subito. Lei era l’unica a cui non aveva mai nascosto la provenienza di quel segno biancastro. Il culmine era stato però l’unica occasione in cui Eileen era uscita da quell’apatia senza fine per cui Severus, a volte, l’aveva quasi odiata, al solo scopo di difenderlo e Tobias l’aveva uccisa senza neanche mostrare il benché minimo rimorso. Aveva fatto in modo che marcisse in galera per non doverlo nemmeno avere sulla coscienza, ma, quando chiudeva gli occhi, suo padre era sempre lì, sudato e sogghignante, che lo colpiva e rideva di lui, chiamandolo ‘mostro’. Quella casa, quel luogo che odiava, era costellato da quei ricordi nefasti, tanto incancrenita dall’odio che non credeva vi avrebbe potuto mai associare un sentimento differente … questo finché non era arrivata Hermione.
Quella giovane e spigliata Grifondoro aveva portato colori e risate in un luogo dove avevano regnato solo pianti e dolore per anni ed anni: aveva levato polvere e grigiore, rendendo tutto nuovo, fresco e luminoso. Hermione aveva portato la vita e, oramai, a Spinner’s End non associava quasi più l’odio di suo padre, ma tutto l’amore che vi si respirava: era lì che aveva capito di amare Hermione, quando, scarmigliata e distrutta, l’aveva salvata dalla negromante. Era il luogo dove si era arreso al loro sentimento, dove avevano dormito assieme per la prima volta, si erano sposati ed era nata Eileen. Oramai, quando ripensava alla sua infanzia, rivedeva solo i rari momenti in cui sua madre gli sorrideva e, di nascosto, nella cucina, gli insegnava a preparare pozioni. “Per quando sarai ad Hogwarts, così farai bella figura!” gli diceva, Tobias non compariva più nemmeno nei suoi ricordi. Quando l’aveva confessato ad Hermione, lei aveva riso. “Ti avevo detto che sarebbe successo, prima o poi: è l’amore. Silente, per quanto tu storca il naso, aveva ragione: è una forza più potente di tutto, persino della morte e del dolore e li vince.”
E, ovviamente, anche se non l’avrebbe mai ammesso, aveva ragione …
Iniziò a cullare delicatamente la bambina, sentendola agitarsi e la guardò, ammirato ed incantato da quel piccolo miracolo che ancora stentava a credere di aver creato: aveva avuto così paura di avere un figlio, di non essere in grado di fare il padre, diventare come Tobias e venire odiato che si era comportato in modo a dir poco ridicolo e, a ben pensarci, anche deplorevole. Per mesi non aveva voluto neanche sentir parlare del bambino ed aveva persino evitato di discuterne con Hermione. Al vederla stare sempre male per quell’esserino dalla straordinaria energia magica che già la stava letteralmente prosciugando, si era maledetto per essere stato così sprovveduto da non pensare alle conseguenze … lui, un uomo più che adulto e solitamente razionale e metodico, si era lasciato trascinare tanto dall’amore per quella straordinaria creatura che, per qualche oscura ragione, lo ricambiava da scordarsi di non voler assolutamente essere padre. Era stato un idiota ed aveva continuato ad essere tale finché Hermione stessa non l’aveva smosso, afferrandogli le mani e facendogli sentire i lievi calci di Eileen sulla sua pancia. Era stato allora che aveva, in qualche modo, compreso quanto quel fagiolino fosse reale, vivo e che sarebbe dipeso solo ed esclusivamente da lui come l’avrebbe visto e se l’avrebbe detestato o preso come riferimento. Aveva, così, iniziato ad accompagnare sua suocera Jean a fare compere per il nascituro e, nelle sue tante notti insonni, aveva preso l’abitudine di fissare Hermione ed il suo corpo che cambiava giorno dopo giorno per accogliere il loro bambino, chiedendosi come sarebbe stata la loro vita da quel momento in poi. Quando, infine, era nata Eileen, la prima cosa che aveva provato era stata terrore, puro ed assoluto, svanito come fumo al vento non appena la medimaga, nonostante la sua ritrosia, gliel’aveva messa in braccio senza voler sentire ragioni. Nell’esatto istante in cui aveva incontrato gli occhi di sua figlia e lei gli aveva sorriso, la sua vita era cambiata per sempre. Anni di sofferenza, dolore, solitudine, autocommiserazione, errori ed ombre sembravano aver improvvisamente acquistato un senso: tutto era accaduto solo per portarlo lì, con sua figlia tra le braccia. Inutile dire che Hermione lo prendeva in giro da quand’era nata, considerato che gli risultava difficile la sola idea di separarsene per insegnare. “Ma non eri tu quello che non voleva assolutamente figli?” ridacchiava al vederlo cullarla ogni sera e, in più di un’occasione, cantarle persino la ninnananna.
Per Hermione, ritornare al lavoro, sebbene fosse solo un part-time, era stato forse ancor più difficile, lo sapeva. Aveva trascorso dieci mesi stando con Eileen ogni secondo, senza mai separarsene: quando Severus tornava a casa per stare con loro, le trovava sempre insieme a guardare la televisione, leggere o cucinare. Vedeva come Hermione la guardasse (era lo stesso sguardo che aveva anche lui, del resto), come si commuovesse quando la bambina le prendeva la mano o la chiamava ‘mamma’, ma, al contempo, capiva anche, seppur con una lieve punta di gelosia, che il loro rapporto fosse un po’ più stretto di quello tra padre e figlia. Del resto, era stata lei a portarla in grembo per nove mesi tra sofferenze continue ed era stata sempre lei ad averla sempre voluta. “E se non stesse bene? Se avesse bisogno di me ed io non ci fossi?” aveva detto infatti per tutta la notte precedente, in preda all’ansia, mordendosi il labbro. Ci era voluta tutta la pazienza di Severus ed una buona dose di lucida calma per riuscire a rassicurarla che se la sarebbe cavata anche da solo. E, in effetti, fino a quel momento, nulla era andato storto …
Un vagito di Eileen gli ricordò che era ora di mangiare, per lei. “Andiamo a prendere il biberon …” sospirò, portandola in cucina, dove, fortunatamente, il latte era già pronto e tiepido. Mentre la bambina ciucciava tranquilla tra le sue braccia, si ritrovò a fissare l’orologio: mancavano tre ore al ritorno di Hermione e, se la conosceva abbastanza bene, era già intenta a guardare la lancetta dei secondi, contando il tempo che la separava dal riabbracciare Eileen. Guardando dubbiosamente il tempo stupendo per ottobre, però, gli venne in mente che, forse, avrebbe anche potuto farle una sorpresa … in fondo, aveva parecchio da farsi perdonare per gli ultimi due anni ...
“Tu che dici, Eileen? Sonnellino e poi andiamo? Anzi, no, rettifico: sonnellino, spedisco la pozione ricostituente agli idioti e poi andiamo!” sorrise alla piccola, che continuava a ciucciare, ignara dello sguardo adorante del padre su di sé.

“Hermione? Ehi, Hermione? Tutto bene?”
La voce di madame Florish la destò dai suoi pensieri. “Sì, certo, grazie!” sorrise, continuando a sistemare le novità nel tavolino centrale. Il Ghirigoro, quel giorno, era semideserto, così come tutta Diagon Alley, complice il rientro ad Hogwarts dei ragazzi. La Grifondoro si morse il labbro, lisciandosi il vestito blu dalla gonna ampia e le maniche a sbuffo e fissando di nascosto madame Florish: come previsto, era al telefono, tutta presa da chissà quali pettegolezzi. Non che ci fosse molto altro da fare, quel giorno, in negozio …
“Sempre così quando studenti hanno già preso libri che servono e sono via: vendite calano. Padrona sempre lamenta.” confermò l’elfo Brix, continuando a spazzare per terra, sconsolato. “Lo so bene, ma ho ingenuamente sperato che quest’anno fosse diverso!” sorrise Hermione, prendendo delle rese e portandole di sopra. “No sperare, diceva mamma di Brix, che chi vive sperando muore …”
“Abbiamo capito!” trillarono in coro Hermione e Florence, zittendolo all’istante.
La Grifondoro salì rapidamente le scale, dedicandosi a sistemare con solerzia i libri per casa editrice: era un lavoro noioso, ma ideale per non pensare. O per pensare troppo, a seconda delle situazioni …
Controllò l’orologio, come faceva oramai compulsivamente da ore: ancora quaranta minuti e sarebbe potuta tornare a casa, dalla sua bambina. Chissà cosa stava facendo e se aveva mangiato …
“Oh, no, no, no, Hermione: non devi pensarci!” si intimò, scuotendo il capo quasi con violenza e riprendendo a lavorare. “Eileen sta bene, è con suo padre e Grattastinchi! Certo, però, le mancherò … forse. Ah, ma che diamine dico …”
“Vedo che non hai perso l’abitudine di parlare da sola, Herm!”
La strega sobbalzò, schizzando in piedi e rilassandosi al constatare che, di fronte a lei, ci fosse solo Ron in camicia rossa a scacchi e pantaloni marroni. “Ron! Mi hai spaventata a morte!” sospirò, riprendendo il suo lavoro. “Scusa, è che parlavi talmente fitto tra te e te che non mi hai sentito …”
“E non ti è venuto in mente di annunciarti ad alta voce, vero?”
“No, era troppo divertente!” sorrise. “Ad ogni modo, sono passato per darti il bentornata: George mi ha detto che è il tuo primo giorno dopo la maternità!”
Hermione annuì. “Sì, con oggi ritorno alla solita vita: libraia part-time con tonnellate di romanzi in programma per la casa editrice ...”
“Come te la cavi?”
“Bene, credo …” annuì debolmente. “Non avevo scordato niente e mi ero comunque tenuta aggiornata sulle ultime novità per restare al …”
“Non mi riferivo a questo.” la interruppe il rosso con un sorriso, appoggiandosi allo scaffale. Hermione, sorpresa, lo fissò, sbattendo le palpebre. “Ed a cosa, allora?”
“A come ti senti tu: tua madre ha raccontato alla mia che gravidanza e parto sono stati difficili …”
“Oh, non puoi neanche immaginare quanto!” confermò lei, sospirando. “Eileen ha un’enorme forza magica e più poteri magici ha il feto, più la madre soffre. Ho passato nove mesi con febbre, nausea, emicranie e svenimenti ed il travaglio è stato dolorosissimo, avevo la febbre alta … per fortuna che Severus non mi ha lasciata nemmeno per un secondo …”
“Mi dispiace … Lavanda è sempre stata bene, invece.” constatò Ron ed ad Hermione non sfuggì la nota gelida nella voce alle ultime parole. “Nessuno disturbo, nemmeno nausee e voglie … niente di niente!”
“Beata lei!” rise la Grifondoro. “Ma comunque è passato e ne è valsa la pena, lo rifarei mille volte per avere la mia bambina …”
“Vedi, è a questo che mi riferivo!” annuì Ron, riacquistando una parvenza di sorriso. “Conoscendoti, immaginavo che l’avresti amata più di te stessa e che non sarebbe stato facile per te separartene! Fammi indovinare: pensi di essere una pessima madre ed una pessima lavoratrice, giusto?”
“Io non … oh, diamine!” sospirò Hermione, esasperata, lasciando perdere per un istante le rese. “Sì, è così.”
“Lo sapevo!”
“E sei venuto per avvalorare la tua tesi o per offrirmi conforto?”
“Entrambe.” rise Ron, incrociando le braccia. “Mi sento egoista.” ammise la Grifondoro, torcendosi le dita. “Vorrei essere sempre con mia figlia, ma, quando sono a casa con lei, sola, vorrei anche essere qui, in mezzo ai miei libri ed ai clienti. E quando sono qui, vorrei essere con Eileen … vorrei tutto insieme, Ron! Ed ho paura di non riuscire a fare bene nessuno dei due …”
Il rosso la squadrò attentamente prima di replicare: “Non hai mai pensato di pretendere troppo da te stessa?”
“Troppo? Non abbastanza, casomai!”
“No, no, proprio ‘troppo’: è come quando eravamo a scuola! Vorresti eccellere in tutto, riuscire ad essere perfetta in ogni campo … ma sei semplicemente umana, per quanto in gamba, Herm: non puoi fare sempre tutto. Però puoi farlo alla tua maniera … e sarà comunque perfetto in ogni caso!”
Hermione sorrise debolmente. “Nonostante i miei sensi di colpa?” azzardò. “Nonostante tutto. E, poi, non hai lasciato sola Eileen … sbaglio o è con suo padre?”
“Da quel lato, sono tranquilla: a volte è persino più apprensivo di me!” ammise, quasi divertita. “Non vuole neanche che mio padre la lanci in aria per riprenderla …”
“Stiamo davvero parlando di Piton? Non è che hai sposato un omonimo o un qualche surrogato?”
“Temo di no.” rise lei. “È proprio lui in carne ed ossa.”
“E bastardaggine. Io capisco che siate anime affini, davvero, ma … ancora non riesco a capacitarmene pienamente, nonostante abbiate una figlia, ecco. Forse perché sono abituato a vederlo in cattedra, ma per me sarà sempre strano …”
“Con me è diverso.” sorrise Hermione. “Ed anche con Eileen … se non fosse per la battute sarcastiche, a stento lo riconosceresti, probabilmente!”
“Ah, basta che siate felici voi due …” alzò le mani Ron. “E tu?” indagò Hermione, aggrottando le sopracciglia e fissandolo con sguardo incuriosito. “Io cosa?”
“Tu sei felice?”
“Oh, beh, non è un gran periodo, ma …” bofonchiò, passandosi una mano tra i capelli. “Penso di sì, abbastanza, sì.”
“Perché non è un gran periodo?”
Ron la fissò, allibito. “Vuoi dirmi che Ginny non te l’ha detto?”
“Detto cosa?”
“Cielo, ha mantenuto fede ad una sua promessa … incredibile!”
“Cos’ha promesso di non dirmi, Ron?”
Il rosso sospirò, fissandola con aria spesata. “Che io e Lavanda stiamo divorziando.”
La Grifondoro sbatté le palpebre, aprendo la bocca in una perfetta ‘o’ di stupore. “Ah.” commentò dopo un po’. “Tutto qui? Nient’altro da commentare?”
“Io … io credevo che andaste d’accordo, non mi avevi detto che ci fossero problemi tra di voi …”
“Ci sono da quando è nata Rose, ma con Hugo sono peggiorati.” sospirò Ron. “Non riuscivo più a sopportare Lavanda: voglio bene ai miei figli, non fraintendermi, vivo per loro, ma sentire sempre lei che si lamentava di essere sola e sempre a casa come fosse una prigioniera ed accusarmi di essere un rozzo ed un buzzurro perché non la … insomma, toccavo più da quando erano nati i bambini perché ha preso venti chili! E certo, dovrebbe dimagrire e gliel’ho detto, ma per lei, per la sua salute, perché non le fa bene appesantirsi, gliel’ha detto anche il suo medimago, ma lei credeva che fosse per altro … e poi sua sorella si è inventata che la fissavo, ma non è vero e si è convinta che io la tradisca!”
“Ed è vero che non la sopporti?”
“Cosa? Hermione, mi conosci!”
“So chi sei, Ron e so anche che non feriresti mai chi ami, per questo ti chiedo … è vero che non la sopporti più?”
Il rosso la fissò in assoluto silenzio per qualche istante prima di sospirare, abbassando le spalle. “Sì.” ammise in un soffio. “Sì, è vero. Non riesco neanche a tollerare la sua voce, figurarsi guardarla in quel modo … ma è normale dopo che nasce un bambino … com’era? Rompono gli equilibri della coppia … no?”
Hermione non replicò, limitandosi a guardarlo e tanto gli bastò per capire di essersi arrampicato sugli specchi: Molly ed Arthur si amavano come il primo giorno, riempiendosi di regali ed attenzioni, Harry e Ginny erano felici come non mai assieme e ridevano come ragazzini, Lily e James sembravano ancora i perfetti fidanzati di Hogwarts … e, per esperienza personale, il rapporto con Severus si era addirittura rafforzato dopo Eileen. Non riusciva a stare senza vederlo o sentirlo per ore ed ore, bastava uno sguardo perché si capissero all’istante e, nonostante Hermione si sentisse decisamente brutta ed appesantita dalla gravidanza, suo marito l’amava forse più di prima e non faceva che ripeterle quanto fosse bellissima e, cosa assurda, se correlata a Severus Piton, ricoprirla di regali e pensierini, che fossero cioccolatini o foulard, quando era confinata a casa con la bambina per il freddo. “L’ho visto ed ho pensato a te.” diceva, consegnandole l’ennesimo pacchetto tra le mani.
Quindi no, decisamente la colpa del divorzio di Ron non erano i bambini.
“Non è che forse non andavate d’accordo da ben prima?” azzardò, dunque. “E lo stress dei figli ha soltanto esacerbato qualcosa che già c’era?”
Ron la fissò, facendo spallucce. “Può essere. Non siamo mai stati anime gemelle, Herm, lo sai …”
“Mi hai sempre detto che Lavanda era più adatta a te …”
“Sì, ma perché io non ero adatto a te.”
Quella risposta raggelò Hermione, facendola sbattere le palpebre, sorpresa. “Sono stato uno stupido con te, te l’ho già detto …” sospirò Ron, passandosi una mano sul viso. “Ho capito che non eravamo compatibili. Questo però non mi ha impedito di invidiare Piton per anni …”
“Ron …”
“Non ho cattive intenzioni, Herm: siamo amici e sono d’accordo che non ci possa essere altro. Io per primo lo sostengo. Ma … guardati: sei stupenda, intelligente, perfetta … nessuno è come te. Solo uno stupido ti allontanerebbe … ed infatti Piton ti ha sposata e siete felici, mentre io no.”
“Non sei stupido, Ronald Weasley …” sospirò la Grifondoro, sorridendogli, comprensiva. “Sei solo umano. Eravamo giovani, gli errori capitano. Quello che ti rende davvero stupido è continuare a pentirtene pur sapendo che le cose sono andate come dovevano …”
“Però per via di quelle cose ora sono in una pessima situazione … sono tornato dai miei, Herm: mamma era così delusa …”
“Non delusa: triste.” lo corresse, paziente. “Sei un mago brillante, un ottimo padre, un bravo professionista ed un buon amico. Molly lo sa ed è solo triste per te, soffre con te, sei pur sempre suo figlio … ma non delusa, questo mai. Hai solo commesso uno sbaglio, forse … ma può capitare. Quel che conta è rialzarsi e recuperare … devi pensare a cosa vuoi: se non riesci ad immaginare un futuro con Lavanda, è tempo di andare avanti. Se, al contrario, la vuoi ancora nella tua vita, devi chiarire. Nient’altro. Non è facile, lo so, ma so anche ce la farai e che farai la scelta giusta per i bambini …”
Ron la fissò per un po’, mortalmente serio, prima di abbozzare un sorriso. “Da quando sei anche consulente matrimoniale, Herm?”
“Da quando la mia scandalosa e super criticata relazione con il pipistrello dei sotterranei va meglio della tua perfetta cotta di scuola!”
Entrambi risero come quand’erano solo due amici ad Hogwarts e le loro uniche preoccupazioni erano i compiti e le verifiche. Hermione, poi, lo abbracciò di slancio. “Grazie, Herm …” sospirò Ron, ricambiando. “Di nulla …”
“Hermione, chiedono di te qua!” trillò la voce di madame Florish dal piano di sotto. “Scusa un secondo …” si staccò la Grifondoro, scendendo rapidamente le scale scricchiolanti. A metà strada, tuttavia, al solo sentire un familiare vagito, il cuore quasi le si bloccò: possibile che confondesse il suo piagnucolio con quello di qualsiasi bambino? Di solito riusciva a distinguerlo tra mille … era così ottenebrata dalla mancanza da non vedere più la realtà?
Quando, però, raggiunse il pianoterra e si ritrovò dinanzi a Severus nel suo mantello scuro con una carrozzina lilla dentro cui svettava una ridente Eileen, non riuscì a trattenere un’esclamazione di gioia. “Eileen …” sussurrò, precipitandosi alla carrozzina e prendendola subito tra le braccia. Quasi l’avesse riconosciuta, la bambina sfoggiò uno sdentato e largo sorriso, agitando le braccia verso di lei. “Quanto mi sei mancata, tesoro mio!” esclamò, tempestandole il visino di baci e stringendola a sé. “E tuo marito? Non ti è mancato?” sogghignò Severus. Hermione gli rivolse uno sguardo quasi commosso prima di schioccargli un inaspettato bacio sulle labbra di fronte a tutti. “Grazie …” sorrise. “Semplice dovere: siamo venuti a prendere la mamma al lavoro. Eileen voleva tanto vedere la libreria … vero?”
“Quella neonata capisce tutto quello che le si dice!” commentò Ron alle spalle di Hermione, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Piton. “È pazzesco!” proseguì, imperterrito. “No, è semplicemente intelligente: è figlia mia e di Hermione, Weasley … non poteva certo essere rintontita!” considerò gelidamente, facendo immediatamente abbassare lo sguardo al rosso. “Speriamo sia più simpatica del padre, però!” sospirò la Grifondoro, rivolgendo un’occhiataccia al marito prima che madame Florish si avventasse sulla bambina. “Oh, ma che tesoro! Che amore, guarda che begli occhi che ha!” sorrise, stringendole la manina. “È un vero incanto …”
“Sì, ma ha un ghigno così … bastardo …” considerò Ron, aggrottando la fronte. Senza che nessuno se ne rendesse conto, Eileen rivolse proprio quel ghigno al rosso e subito un tomo volò da un ripiano, crollandogli in testa. “Ahia! Mi odi proprio, eh?” sbuffò il giovane Wesley, massaggiandosi la tempia dolorante. “Beh, a quanto pare non c’è nemmeno dubbio che sia una strega!” rise madame Florish, raccogliendo il libro mentre Hermione fissava l’espressione trionfante di sua figlia, sconvolta. “Ma …” protestò. “Ma è troppo presto per fare magie, è piccola! E di questa portata, poi … ti sei fatto male, Ron?”
“No, sto bene, ma credo che mi odi …”
“Odiarti? Non diciamo scemenze, dai!”
“Papà, guadda!” trillò Eileen, entusiasta, battendo le manine mentre un altro tomo rischiava di centrare in pieno Ron.
“Ti devo ricordare che è anche mia figlia, Hermione?” sogghignò Severus, baciando con soddisfazione i capelli della sua bambina: se non altro, da quella giornata a base di mandragola, aveva guadagnato un’alleata contro il clan Weasley.

 Angolo Autrice:
Rieccomi! Reduce da una settimana di ispirazione, forse complici malanni stagionali ed impegni vari, ho trovato modo e tempo di pubblicare la famosa raccolta di one-shot prima del previsto ... non so ogni quanto verranno aggiornate e quanto saranno lunghe, verranno aggiornate ad ispirazione e riguarderanno momenti correlati alla long Wish you were here legati a personaggi vari sia durante che dopo la fine della storia.
Come sempre, un enorme grazie a chiunque passi di qui!
Alla prossima!
E.




 

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Capitolo 2
*** Oblivion ***



2.
Oblivion

[Incantesimo di memoria (ing. obliviate), causa la perdita di tutta o di parte della memoria]
“Onestamente, Ferguson, questo lo definisci un distillato della morte vivente? Ed in che oscuro universo, se posso permettermi?” sibilò, mellifluo, Severus Piton.
Nella buia e maleodorante aula di pozioni nei sotterranei di Hogwarts, il sesto anno di Corvonero e Tassorosso sedeva composto agli scricchiolanti banchi lignei, le divise insolitamente ordinate ed impeccabili e le piume che volavano agili sulle pergamene. Solo i più audaci, di tanto in tanto, si azzardavano a sollevare lo sguardo dai fogli per osservare gli alti scaffali ricolmi di tomi polverosi, ampolle colorate e barattoli con ingredienti inquietanti. Alla cattedra, Severus Piton, temutissimo ed odiato docente di pozioni di Hogwarts da più di trent’anni, stava fissando con un ghigno soddisfatto la bionda Tassorosso che tremolava al suo sguardo. “I-io n-non …” biascicò, torcendosi le mani. “Non riesci a parlare senza balbettare? Non si capisce niente … e temo che questo problema si ripresenti anche nei temi, considerato quanto sia scadente quello che mi hai consegnato. Neanche una T varrebbe come voto!” sentenziò, lapidario, riconsegnandole lo scritto. “Sarò generoso, Ferguson: come compito, dovrai rifarlo. Allungandolo di sei facciate, naturalmente. E mi auguro vivamente per la tua già precaria media che sia scritto in un inglese che rasenti quantomeno il decente, a meno che tu non voglia ripetere l’anno. In tal caso, sei sulla buona strada per guadagnarti un mio parere favorevole alla tua bocciatura in consiglio scolastico, sappilo … ed ora torna al posto. E voi, che avete da guardare? Volete una T a testa tutti quanti?” sbottò, lanciando un’occhiata di fuoco agli studenti mentre la povera Ferguson strisciava al suo banco a testa china, trattenendo le lacrime.
Piton sbatté il libro sulla cattedra, facendo sobbalzare gli studenti prima di riprendere la correzione delle verifiche della quarta: a distanza di tanti anni, ancora non capiva perché diamine avesse tenuto un lavoro tanto fastidioso. Detestava avere a che fare con quella marea di teste di legno, incapaci, disinteressate e del tutto inappropriate per imparare la sottile arte del preparare pozioni ed anche loro lo odiavano profondamente per i rimproveri ed i compiti che distribuiva gratuitamente e quasi con piacere … ma allora perché diamine insegnava ancora? Trovandosi un altro lavoro, avrebbe fatto un piacere a tutti.
“Ami insegnare, per quanto tu sia acido e bastardo, ammettilo!” soleva dirgli Hermione quando si lamentava. “Ti piace spiegare, mostrare le tue conoscenze, divulgarle e sapere che, quando usciranno da scuola, le tue classi avranno perlomeno delle buone basi. Ti soddisfa l’idea di essere la fonte del sapere pozionistico medio delle ultime generazioni.”
Ma era davvero questo che lo spingeva a sottoporsi o quella tortura? O, semplicemente, visto che era l’unico lavoro onesto che avesse mai fatto, se si escludevano la spia ed il Mangiamorte, credeva di non sapere fare altro?
Tracciò una T talmente netta nel foglio da arrivare quasi a bucarlo e lo mise nella pila dei corretti, fissando la classe, tremante per il terrore: dopo sei anni di puro idillio, in cui Severus Piton si era addirittura rabbonito, secondo i più ottimisti, perché passava dalle T alle D come voto minimo, da due giorni a quella parte i sotterranei avevano tremato come ai tempi d’oro del temibile professore di pozioni. Aveva finito una bottiglia intera di whisky, assegnato pile di compiti e verifiche che avrebbero fatto ammattire chiunque, dispensato punizioni a volontà, tutte estremamente disgustose e complicate, come sviscerare rospi e raschiare calderoni colmi di melma e vermicoli e liquidato in malo modo tutti i colleghi che avevano osato avventurarsi sino al suo ufficio. Il voto più alto che aveva dato era stato una S di ‘scadente’, senza alcuna esagerazione e più zelo mostravano i suoi alunni nello sfoggiare conoscenze che non avevano, inventando e saltando a conclusioni, più le T erano marcate, perché quel modo di fare gli ricordava costantemente quello di lei.
Minerva ci era arrivata in un nanosecondo, naturalmente. “Hai litigato con Hermione, vero?” gli aveva detto quando, dopo che si era avventurata nei maleodoranti sotterranei, si era sentita rispondere in malo modo di andarsene perché era tormentato da un’emicrania che non sembrava volersene andare neanche con una massiccia dose di pozione. “Anche se fosse, non sono affari tuoi, Minerva!” aveva replicato, lapidario, massaggiandosi le tempie pulsanti. La vecchia preside, in tutta risposta, aveva sorriso, facendo spallucce. “Come vuoi … ma se avessi bisogno di un consiglio femminile, sai dove trovarmi!” aveva detto prima di svanire. “Femminile, non da vecchia cariatide!” si era ritrovato a pensare Severus. Naturalmente, nonostante fossero trascorsi due giorni, non si era minimamente sognato di andare da Minerva: continuava, semplicemente, a perpetuare il suo ostinato mutismo nei confronti di colleghi, studenti, del vecchio quadro di Silente e, soprattutto, della causa di quell’orrida settimana, sua moglie.
La campanella trillò e gli studenti scattarono in piedi, raccattando le proprie cose con una rapidità mai vista prima di lanciarsi fuori dall’aula sotto lo sguardo infastidito di Severus: neanche i suoi adorati Serpeverde erano riusciti a fargli trattenere un briciolo di pazienza, quella settimana. Aveva sgridato persino Eileen, che gli aveva fatto cadere tutte le boccette di pozione obliviosa perché stava giocando nel suo laboratorio. Fortunatamente per lui, quella strana creatura aveva ereditato lo stesso atteggiamento della madre nei suoi confronti e, alla sua sgridata, aveva risposto con un’alzata di spalle. “Possiamo rifarla insieme più tardi, sono capace!” aveva detto, alzandosi e facendo sparire cocci e residui con un solo gesto, lasciando il padre spiazzato mentre se ne tornava tranquilla di sopra: Eileen era decisamente molto più intelligente della media, tanto che, a volte, quasi lo spaventava. Sarebbe forse finita a Corvonero?
Ripensando ai suoi dolci preferiti che gli aveva preparato per farsi perdonare ed ingraziarselo per avere il permesso di comprare l’ultimo libro che le piaceva, però, sogghignò: era decisamente troppo approfittatrice per essere una protetta di Rowena. Forse Salazar avrebbe potuto trovarla adatta alla sua casa, però …
Sbuffò, sentendo l’ennesima punta di mal di testa premergli contro le tempie. Si massaggiò il capo, sospirando per il fastidio tanto intenso da non fargli neanche sentire dei passi avvicinarsi.
“Severus, è tutto apposto?” domandò una voce familiare. Piton quasi sobbalzò nel trovarsi dinanzi a Lily Evans (Potter, dannazione, Severus, Potter!), radiosa in un vestito verde muschio dalla foggia autunnale, come si confaceva ad un ottobre inoltrato e dei bellissimi pendenti di smeraldo che si abbinavano agli occhi verdi ed ai capelli di fuoco. “Lily, che ci fai qui?” domandò, alzandosi, seppur a fatica, vuoi per la stanchezza, vuoi per il mal di testa. “Sono venuta a riportare lo scialle a Minerva, l’aveva dimenticato alla Tana domenica e, dato che c’ero, ho pensato di passare a farti un saluto: non ci vediamo da un po’!” sorrise, avvicinandosi. “Come stai? Mi sembri … stanco! Va tutto bene?” chiese, aggrottando la fronte. “Splendidamente come al solito.” ghignò lui, sarcastico. Lily, però, non sembrò crederci molto. “Lavori troppo, immagino!”
“Devo, non tutti dispongono di un marito con una cospicua rendita familiare, sai? Ed ho anche una figlia da mantenere!”
“Non credo sia un gran problema per te, sia tu che Hermione lavorate!”
“I soldi non piovono dal cielo, Lily e ce n’è sempre bisogno!” sbottò, raccattando i libri ed i pacchi di verifiche corrette. La rossa sbirciò i voti, spalancando gli occhi. “Non c’è neanche l’ombra di una A, Severus!” esclamò. “E con questo?”
“Non possono essere tutti insufficienti!”
“Non sei tu l’insegnante, valutare cosa ritengo sufficiente o meno non è compito tuo.”
Lily sospirò, incrociando le braccia al petto. “Cos’è successo?”
“Niente, cosa dovrebbe essere successo?”
“Sei furioso, lo vedo: hai mal di testa e tieni tutti ben distanti da te. Facevi così anche da ragazzo, quando i tuoi litigavano … quindi: cos’è successo?”
Severus non rispose, continuando a riordinare i compiti bofonchiando imprecazioni. “Hai litigato con Hermione?” azzardò Lily. Dall’occhiata fulminante che il Serpeverde le rivolse, capì di avere fatto centro. “Beh, litigate sempre, non vedo dove sia la novità, francamente!”
Severus alzò gli occhi al cielo: effettivamente, era risaputo che lui ed Hermione discutessero di continuo. Era normale, del resto: avevano caratteri talmente orgogliosi e forti che era impossibile non raggiungere lo scontro. Solitamente, Eileen, in quelle occasioni, li fissava incuriosita, scommettendo su chi avrebbe ceduto prima. Ed indovinava.
“Stavolta è diverso.” si limitò a sentenziare, lapidario. “Diverso? E perché?” domandò Lily, chinando il capo di lato. Severus la squadrò, un sopracciglio pericolosamente alzato. “Non credo che a voi, nel vostro piccolo mondo perfetto, interessino i nostri ridicoli problemi … o vuoi forse rinfacciarmi che era ovvio che si arrivasse a questo punto, data la nostra differenza di età e di ruoli e che voi lo avevate capito prima di tutti?”
“Oh, ma smettila!” sbuffò la rossa. “Cosa credi, che io e James siamo perfetti? Litighiamo come tutti, è normale … non tutti i giorni sono uguali! E lo stesso vale per te ed Hermione. Sbaglio o io e te siamo amici?”
Severus la fissò negli occhi smeraldini, quegli stessi che, un tempo, aveva tanto agognato e temuto e che, incredibilmente, oramai per lui erano solo occhi, per quanto belli e luminosi. Il tempo era trascorso, inesorabile ed il suo cuore era riuscito a guarire ed andare avanti, una cosa che non credeva che sarebbe mai riuscito a fare. Gli sembrava strano pensare agli anni in cui aveva creduto di non poter vivere senza quello sguardo di smeraldo … sembrava un’altra vita, con un altro Severus come protagonista. Lei era stata il suo patronus nei momenti tristi, ma, oramai, la cerva era diventata un gufo reale e quegli occhi verdi, nella sua mente, erano diventati caldi e color nocciola, accompagnati da un altro paio, identico ai suoi.  
“Sì, lo siamo.” annuì, mesto. “Allora perché non vuoi dirmi cosa c’è che non va? Ho un po’ più di esperienza matrimoniale di te, con tutto il rispetto … e molta più pazienza, considerato che ho sposato James!”
Severus la fissò per qualche istante prima di sospirare e ripiombare a sedere, massaggiandosi le tempie. “Hermione voleva andare a cena da tuo figlio.” sibilò. “Naturalmente le ho detto che lei ed Eileen erano libere di andare, ma che io non intendevo accompagnarle … detesto le cene tra amici e sono molto stanco, in questo periodo. Ed Hermione si è infuriata: ha detto che sono un acido egoista bastardo e che lei deve sempre adeguarsi a me ed a quello che voglio. Neanche fossi un despota!” bofonchiò: al solo pensiero, sentì un familiare bruciore allo stomaco: era arrabbiato per tutto ciò che gli aveva rinfacciato, sebbene sapesse di non essere stato certamente gentile a sua volta, ma, al contempo, desiderava cancellare tutto quanto e ritornare a casa, quella sera. E non solo perché era casa sua: sua moglie e sua figlia gli mancavano come l’aria. Aver vissuto per tanti anni così strettamente a loro ogni momento libero doveva averlo reso dipendente, in qualche modo. O, forse, era rimasto semplicemente ebbro da quella felicità che tutti vantavano e che a lui era sempre stata preclusa, tanto che, ora che l’aveva finalmente trovata, non riusciva più a credere che potesse incrinarsi.
“E tu cosa le hai rinfacciato per farla parlare così, Severus?” domandò Lily, comprensiva e stranamente seria, in piedi di fronte a lui. Piton sospirò ancor più pesantemente. “Di essere petulante ed irritante e di voler sempre avere ragione pur essendo una ragazzina.” gli concesse. “Mi pare che siate pari merito, dunque.”
“Ma lei ha cominciato!”
“E sempre lei ha ragione!”
“Ma naturalmente!” sogghignò il Serpeverde, gelido. “Non mi aspettavo nulla di diverso, del resto … sia mai che sia l’acido professor Piton ad essere nel giusto, per una volta!”
“Perché, lo sei, secondo te?”
Piton la fissò, colmo d’ira. Stava per rispondere quando Lily riprese la parola. “E perché sei così stanco, ultimamente? Immagino non c’entri il lavoro, è solo ottobre …”
“No, non c’entra Hogwarts, per quanto queste dannate teste di legno possano essere molto stressanti … si tratta di Eileen.” le concesse Severus, ingoiando un gemito stanco. “A scuola non parla con nessuno ed oramai è al terzo anno: le maestre ci hanno chiamati, la scorsa settimana ed hanno obiettato che potrebbe avere dei problemi, ma lei è intelligentissima, ben al di sopra della media. Legge libri da medie, quasi superiori, ha una padronanza del linguaggio unica e sa padroneggiare la magia come uno studente di Hogwarts, nonostante l’età. Il suo unico problema è il non volere avere a che fare con gli altri: al solo accennarle la possibilità di fare attività collettive come sport o altre baggianate che si è messa in testa Jean Granger, è scoppiata a piangere e ci ha detto di voler essere lasciata in pace. Non sopporta i suoi coetanei e non ci parla … preferisce zia Mina e zio Remus o zia Lily.”
La rossa abbozzò un sorriso triste. “Hermione, ovviamente, è sempre preoccupatissima … ed anch’io: non voglio che diventi come me.” concluse il Serpeverde in un soffio, dando voce alla preoccupazione che aveva celato persino a se stesso per giorni interi. “Beh, se non parla mai con nessuno, è sulla buona strada!” rise Lily. Trovando Severus mortalmente serio, però, smise subito. “Sev, Eileen è una bambina particolare, te lo concedo, ma è anche speciale, unica ed intelligente come pochi: troverà il suo equilibrio, il suo modo di essere, non dubitarne! L’abbiamo trovato tutti … è ancora piccola …”
“Io ho solo paura che le succeda quello che è successo a me, che si isoli e tutti la prendano in giro, portandola a fare scelte sbagliate!”
Lily sospirò, grattandosi il capo. “Sono situazioni diverse, Eileen non è sola: ci siete voi, lei vi ama alla follia ed ha anche un discreto stuolo di zii e zie e persino delle amichette, come Andromeda Lupin! Sono più che sicura che se la caverà e riuscirà a farsi degli amici, forse ad Hogwarts, forse anche prima, chissà! Ma, per farlo, deve essere serena alla radice …”
Severus sollevò la testa di scatto. “E non lo sarebbe, secondo te?”
“Finché non vi chiarirete tu ed Hermione, no di certo. Senti, Severus … credo che dobbiate capirvi, entrambi: siete insieme da tanti anni, oramai e non vi concedete del tempo solo per voi due da quando siete diventati genitori, me l’ha detto lei. Capisco che amiate la vostra bambina più di qualunque altra cosa, davvero, ma, a lungo andare, chiunque cederebbe! Ci sono passata anch’io: avete bisogno di stare un po’ soli, senza Eileen ...”
“Ma stiamo soli!” scandì il Serpeverde. “Mica dorme con noi!”
“Sai cosa intendo … da quanto tempo non la porti a cena fuori o non andate insieme da qualche parte solo voi due?”
Il Serpeverde parve soppesare la risposta: effettivamente, l’ultima volta che erano usciti assieme risaliva a prima di Eileen. A prima del loro matrimonio, ad essere sinceri …
“Non mi pare comunque un buon motivo per darmi dell’acido bastardo. Per quanto possa essere vero …” sbuffò, massaggiandosi le tempie. “Il tuo mal di testa dovrebbe suggerirti di essere in torto!” sorrise Lily. “Perché lo avresti altrimenti?”
“Per l’umidità di questi sotterranei.”
“Certo, certo. Come sei rimasto con Hermione, comunque?”
“Come prima: abbiamo detto che ne riparleremo e siamo tornati ognuno alle proprie preoccupazioni. Tra Eileen ed i rispettivi lavori, non abbiamo molto tempo per tenerci il muso …” sbuffò. “Invece secondo me dovreste parlarne!”
“Per cosa, per ricominciare a litigare?” ghignò, sarcastico. “No, naturalmente … però potresti sempre portarla a cena fuori e discutere di quello che vi siete detti.”
“E chiederle scusa in ginocchio?”
“So che non lo farai mai, ma almeno pensaci!” sospirò Lily.
Severus stava per replicare quando il vecchio telefono che, con estrema riluttanza, aveva concesso a Minerva di sistemare sulla cattedra squillò. “Pronto?” sbottò, alzando bruscamente la cornetta. “Professor Piton?” gracchiò una voce esile dall’altro capo. “Se chiama consapevolmente questo numero, evidentemente, sì.” rispose malamente. “Grazie al cielo. Sono Elizabeth Barnes, la maestra di Eileen … la maestra ‘speciale’, sa. Ero sua alunna, svariati anni fa, ricorda?”
“Sì, mi ricordo bene di Lei.” sospirò Severus. “È successo qualcosa ad Eileen, signorina Barnes?”
“Non a lei.”
“Ed allora a chi? Si spieghi!”
“George, Madison e Blair, tre suoi compagni di classe. Non so cosa sia successo, ma Eileen li ha trasformati in rospi! Li ho rinchiusi in bagno, ora sono qui con lei … e con loro.”
“Come sta?”
“Io? Oh, beh, sono sconvolta!”
“Non Lei, mia figlia!”
“Oh! Bene, bene, è qui in silenzio …”
“E non ha ritrasformato i tre marmocchi?”
“Oh, beh, non sono pratica di trasfigurazione …”
“Senta, lasci stare: per oggi pomeriggio ho terminato le lezioni, mi dia il tempo di arrivare, poi ritrasformo i tre teppisti e riporto a casa Eileen.”
“Non osavo chiederglielo! Grazie, grazie davvero, professore!”
Severus non di disturbò a salutare prima di attaccare e brontolare come un temporale in arrivo, alzandosi di scatto. “Che è successo?” chiese Lily, perplessa. “Eileen, ha trasformato tre compagni in rospi … e posso solo immaginare perché! Scusami, devo andare …”
“Certo, va’! Fammi sapere poi …”
“Sì, grazie Lily.” sospirò Severus, levandosi il mantello per indossare un comune cappotto nero babbano, raccattare in fretta le verifiche ed i libri ed uscire dall’aula, furioso.

Quando arrivò alla scuola elementare di Cokeworth, pioveva già a dirotto. Sotto un largo ombrello nero, Severus Piton marciò a passo di valchiria nell’orrido edificio giallo chiaro che detestava sin da quando aveva sei anni, ignorando gli sguardi attoniti dei bambini paffuti alle finestre delle aule. “Maestra, c’è il conte Dracula!” trillò uno studente, zittendosi all’occhiataccia del Serpeverde mentre questi accedeva all’atrio grigio. Una figura bionda con enormi occhiali marroni ed un’improponibile gonna gialla gli corse incontro. “Professor Piton, per fortuna è arrivato! Venga, sono tutti qui …” esclamò, fin troppo teatrale, invitandolo caldamente a seguirla lungo i corridoi color crema coperti di disegni ed alberi di cartone che disgustarono vagamente Severus: fortunatamente, ad Hogwarts non c’era nulla del genere o sarebbe fuggito.
Non appena furono entrati in una piccola stanzetta con solo un tavolo ed una stampante accesa, tutta la sua attenzione smise di rivolgersi ai colori ed alle forme infantili della scuola per concentrarsi sulla bambina avvolta nella divisa azzurra dallo chignon scuro completamente sfatto e schiacciato che sedeva, mesta, dinanzi ad una tazza di tè fumante. “Eileen! Stai bene?” esclamò, precipitandosi da lei. La bambina, al vederlo, parve illuminarsi e gli gettò le braccia al collo. “Andiamo a casa, ti prego, papà!” gli sussurrò. Severus deglutì, sospirando: era accaduto ciò che più temeva, a quanto pareva. “Dammi il tempo di sistemare una faccenda ed andiamo, Eileen …” mormorò, staccandosi appena per rivolgere un’occhiata gelida alla maestra. “Dove sono?” sibilò. “Qui dentro!” squittì lei, spalancando la porta del piccolo bagno laterale e mostrando tre rospi verdi e gracidanti comodamente spaparanzati sulla tazza. Sarebbe stata una scena decisamente comica, se Severus non fosse stato tremendamente adirato. Con un gesto spazientito, estrasse la bacchetta e li ritrasformò in un bambino obeso e due ragazzine bionde con le trecce alquanto frastornati. Mentre si guardavano ancora attorno, puntò la bacchetta alle loro teste. “Oblivion!” esclamò. Per qualche istante, i tre parvero vacillare prima di riprendersi parzialmente e tossicchiare. “Maestra? Che ci facciamo qui?” domandò la bambina di mezzo, rivolgendo un’occhiata sdegnata ad Eileen. “Avete rischiato grosso, signorini!” sbottò Elizabeth, mettendo le mani sui fianchi. “Guai a voi se combinate ancora disastri simili! Ed ora forza, tornate in aula, su!”
“Ma … non abbiamo fatto niente!” protestò il ragazzino. “Taci ed ubbidisci George, su!”
I tre passarono in fila indiana sotto al naso di Severus, rivolgendo occhiate colme di odio ad Eileen prima di sparire in corridoio. “Grazie, professore.” sospirò la maestra. “Ma sappia che quanto ho detto vale anche per Eileen: non deve succedere mai più!”
“Non è certamente colpa di quattro bambini se Lei non è nemmeno in grado di fare il suo lavoro, né di strega né tantomeno di maestra, signorina Barnes. Non a caso, ciò che più mi ricordo di Lei è proprio la sua totale pigrizia, quasi blasfema nei confronti della magia, mi verrebbe da dire! Ora, se non Le spiace, io e mia figlia torniamo a casa. Buona serata.” concluse, secco, afferrando Eileen per la mano prima di infilarle cappotto e zainetto e trascinandola via con sé sotto lo sguardo atterrito dei bambini alle finestre che oramai urlavano senza controllo: “La Piton è la figlia di Dracula!”

“E fu così che il principe e la principessa vissero felici e contenti nel reame incantato.” concluse con un sospiro Severus, chiudendo il libro di fiabe e voltandosi accanto a sé: Eileen, rannicchiata nel lettone matrimoniale in camicia da notte e pupazzo a forma di unicorno, era stretta a lui praticamente da quando erano usciti da scuola. L’aveva riportata subito a casa, dove, dopo un lungo bagno alla fragola, le aveva preparato la cena e l’aveva subito fatta lavare e cambiare, portandola a letto senza che lei, per tutto il tempo, dicesse una sola parola. Su espressa insistenza della bambina, però, aveva ceduto, cambiandosi a sua volta e portandola nel lettone, dove le aveva letto le sue fiabe preferite alla luce dell’abat-jour mentre fuori pioveva a dirotto e Grattastinchi ronfava beato in fondo alle coperte.
“Non ho mai capito perché ti piaccia tanto questa storia.” sentenziò, chiudendo il libro e posandolo sul comodino prima di fissare la figlia: stretta all’unicorno di peluche, fissava un punto dinanzi a sé con sguardo vacuo. Severus temeva che non l’avesse sentito, ma, dopo parecchio, gli rispose: “Perché non è vera: nella realtà, non ci sono principi e principesse. Ma la fantasia è più bella della realtà perché può essere come vuoi.”
Piton sospirò: vedere sua figlia chiusa nel suo stesso, ostinato, mutismo e con lo sguardo vacuo gli faceva letteralmente sanguinare quel cuore che non pensava più di avere. Faceva male come se fosse lui stesso a soffrire e non lei … era come se la sua anima fosse costantemente fuori dal corpo e camminasse beata in giro, andando a scuola e trasformando bambini in rospi a soli otto anni.
“Non vuoi proprio dirmi cos’è successo oggi pomeriggio a scuola?” domandò con la sua voce roca e calma. Eileen si strinse ancor di più a lui, permettendogli di respirare a fondo il suo dolce profumo di fragola. “Mi stavano prendendo in giro.” sussurrò. “Dicevano che tu sei un pervertito e la mamma una stupida. Ed io un mostro, talmente brutta e stramba che nessuno vuole avere a che fare con me. Lo fanno sempre, quei tre: George, Madison e Blair. E gli altri vanno loro dietro. Io cerco di starmene per conto mio e non rispondere, ma … beh, oggi ero così arrabbiata che non ce l’ho fatta. Ho desiderato che sparissero e sono diventati rospi. Tutto qui.” raccontò. “È la prima volta che succede?” indagò Severus, desiderando aver pestato quei tre anfibi quando ancora poteva. Eileen annuì. “Sì, ma, per favore, non dirlo alla mamma: non voglio che sia triste! Non volevo neanche che la maestra chiamasse te!”
“Eileen, perché non l’hai detto subito? Avremmo potuto fare qualcosa, io e la mamma o la maestra Elizabeth …”
“Nessuno può fare niente, non la smetteranno mai!” sbottò lei, esasperata, scuotendo il capo. Severus si accorse che si stava sforzando per non piangere e gli si strinse il cuore. “Anche la maestra, parla tanto, ma poi quando le dico qualcosa non fa mai niente!”
“Ti ho mai detto che anch’io a scuola non ero affatto benvoluto?” mormorò, d’un tratto, Piton, ottenendo subito la completa attenzione della figlia. “No …” sussurrò lei. “Non lo sapevo!”
“Neanche la mamma, cosa credi?” ghignò Severus. “Ci disprezzavano tutti perché, come te, preferivamo i libri ai compagni. Solo che poi la mamma ha avuto la … fortuna di incontrare amici come lo zio Harry e lo zio Ron.”
“E tu?”
“Io no.” sospirò Severus, sentendo la rabbia crescere al ricordare quei giorni. “Io avevo un’amica, la zia Lily, ma abbiamo litigato e sono rimasto solo. C’era un gruppetto che mi aveva preso di mira ad Hogwarts, quattro Grifondoro … mi facevano continui scherzi, anche pesanti. Strappavano i miei compiti, gettavano nel fango le mie cose, una volta mi hanno persino fatto sparire i vestiti e facevano ridicoli coretti ogni volta che passavo … e tutti con loro, ovviamente. Era un inferno, perciò ti capisco.”
“E come hai fatto?”
Severus guardò gli occhi della figlia, enormi e colmi di speranza: avrebbe voluto essere sincero e raccontarle che aveva intrapreso solo strade sbagliate in risposta a quelle provocazioni, che aveva una famiglia orribile a casa e che aveva seguito il male per avidità ed invidia … ma non lo fece. Si limitò a sorriderle e baciarle i capelli. “Ho tenuto duro, perché sapevo che sarei comunque stato migliore di loro, che tutte le loro scemenze con il tempo si sarebbero rivelate tali, mentre io avrei avuto il mio impegno ed i miei anni di studio che mi avrebbero permesso di avere un futuro. E così è stato. Perciò non dare retta a quei bambini e va’ avanti per la tua strada, ma non lasciarti neanche mettere i piedi in testa: chiarisci che non li temi, ma non abbassarti al loro livello. E sii sempre fiera di chi sei, soprattutto, perché io e la mamma lo siamo di te …”
“Davvero?” sussurrò la bambina, gli occhi che scintillavano, ammirati. “Certo: chi altri riesce a trasformare in rospi dei bulli ad otto anni?”
Eileen scoppiò a ridere prima di stringersi ancor di più a lui. “Grazie, papà!” esclamò. Rimasero abbracciati per un po’, in silenzio, al rumore della pioggia. “Papà?” domandò la bambina dopo qualche minuto. “Sì?”
“Ma allora tu e la mamma farete la pace? Era colpa mia?”
“No, tesoro.” sospirò Severus. “Non era colpa tua … era colpa di entrambi. Ma faremo pace, promesso!”
“Parola di mago?”
“Parola di pozionista.”

Fu un tramestio a destare Severus dal sonno in cui era piombato, abbracciato ad Eileen e cullato dal fruscio della pioggia. Si alzò a sedere, frastornato, rilassandosi al vedere Hermione scarmigliata e con il cappotto sbottonato sulla soglia della camera: sembrava avesse corso per chilometri. “Hermione …” mormorò, la voce impastata dal sonno. “La maestra mi ha chiamata … sta bene?” sospirò la Grifondoro, precipitandosi ad accarezzare delicatamente i capelli della sua bambina. “Tutto bene: abbiamo parlato un po’. Credo che d’ora in avanti non trasformerà più nessuno in rospo.” confermò lui. “Parlare? Con lei, che non dice mai nulla dei suoi compagni? E come hai fatto?” sorrise Hermione. “Nell’unico modo che funziona: le ho parlato di me.”
La strega lo fissò, dubbiosa. “Tu?”
“Sì, io, perché, credi che non sappia parlare di me?”
“Non lo sai fare.”
“Questo è quello che pensi tu.” sbottò lui. “E, comunque, Eileen ha anche chiesto quando e se faremo pace … e credo che lo attenda con ansia anche mezza Hogwarts.”
Hermione sospirò, scuotendo il capo. “Senti, non voglio discutere di nuovo con te, è sfiancante, davvero, quindi non te lo chiederò più …”
“No, invece: è colpa mia. Sono sempre scontroso e detesto gli altri, è vero, a me bastate voi, ma non tutti siamo uguali … la verità è che, forse, abbiamo bisogno di tempo per noi.”
Hermione lo fissò, allibita. “Chi sei? E che ne è stato di Severus?” esclamò. “Ti prego, non rendere le cose ancor più difficili di quanto già non siano …” sbuffò lui. “Sto solo dicendo che non usciamo noi due soli da prima che Eileen nascesse … e non va bene, né per noi né per lei. Quindi, sabato niente cena dai Potter: lasceremo la bambina a dormire dai tuoi ed andremo in pizzeria o dovunque tu voglia … senza parlare di Eileen per tutto il tempo, naturalmente.” concluse. Al silenzio imbarazzato di Hermione, replicò con uno sdegnato: “Va bene, ho capito, lasciamo stare …”
“Ti ho mai detto che ti amo?” rispose invece lei, avvicinandosi piano per non svegliare Eileen prima di allacciargli le braccia al collo, sorridendogli, bella e radiosa come solo lei poteva essere. “A volte.” ghignò Severus, accarezzandole i morbidi fianchi che tanto gli erano mancati. “Bene. Vedi di ricordartelo, allora …” rise lei, catturandogli le labbra in un languido bacio di fuoco che fece protestare sia Eileen che Grattastinchi. Severus rispose, lieto di sentire il proprio mal di testa affievolirsi fino a svanire: poteva fare quel sacrificio di socialità, una volta ogni tanto, se significava continuare a stare con lei. E la cosa assurda era che, l’indomani, avrebbe dovuto ringraziare Lily per questo …


 

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Capitolo 3
*** Pozione Oculus ***



3.
Pozione Oculus

[La pozione Oculus è una pozione che ripristina la vista del bevitore, contrastando gli effetti della maledizione della congiuntivite.]

“La pizza che fanno qui è senz’ombra di dubbio la migliore dell’intera Londra, babbana e magica!” sorrise Hermione, congiungendo le mani con un sorriso radioso. Severus, perso a fissare il menù oramai da più di venti minuti, le rivolse un’occhiata perplessa.
La piccola pizzeria all’angolo tra Diagon Alley e Notturn Alley dove Hermione aveva voluto andare dopo il cinema babbano era discretamente affollata, quel sabato sera: i tavoli erano quasi tutti occupati e gli elfi camerieri correvano su e giù come trottole. Hermione aveva voluto il posto vicino alla vetrata per guardare Diagon Alley illuminata dalle luci della sera ed affollata di creature magiche, in contrasto con il tranquillo interno dalle travi di legno, le candele volteggianti nell’aria, le tovaglie a scacchi bianchi e rossi ed i centritavola fioriti.
“Il trattato sugli usi delle erbe aromatiche nella pozionistica che è uscito venerdì scorso come ti è sembrato? Un cliente, oggi, mi ha detto che è un’immensa scemenza, ma, francamente, l’ho trovato molto innovativo, semplice ed accessibile a tutti!” considerò Hermione, proseguendo l’ennesimo monologo che aveva tenuto quella sera. Severus la osservò: era bellissima, su questo non c’era dubbio alcuno. Con un vestito blu scuro tempestato di brillantini dall’ampia gonna plissettata e lo scollo a barchetta che racchiudeva anche le spalle, i pendenti di brillanti ed un fermaglio a trattenere solo la mossa ciocca di capelli alla sinistra del suo viso, sembrava una vera regina, ai suoi occhi. Lui si era limitato al solito completo babbano nero ed ad una camicia grigia. Era stata Eileen a consigliargli di mettere comunque l’ascot. “Così sembri un principe!” aveva detto, entusiasta all’idea che i genitori uscissero senza di lei e la lasciassero a dormire dai nonni dopo che avevano rimandato l’appuntamento per settimane, tra un suo raffreddore, un consiglio scolastico ed i richiami e le rese del Ghirigoro. Naturalmente, prima di fare qualsiasi programma, le avevano chiesto se le andasse bene e lei, che, al momento, stava leggendo, aveva risposto con un’alzata di spalle. “I nonni Granger sono ottimi nonni, voglio loro un gran bene. Certo, sono … monotoni, essendo babbani …” aveva detto, facendo schioccare la lingua come faceva sempre ad ogni parola nuova che pronunciava. “Ma posso resistere per una notte.” aveva, poi, concluso prima di riprendere la lettura sotto lo sguardo attonito dei genitori. Ogni tanto, Eileen poteva essere decisamente inquietante …
“A tratti è ripetitivo e non apporta niente di nuovo alle proprietà terapeutiche del rosmarino marittimo, ma ti concedo che lo stile sia senz’altro innovativo e semplice e che rappresenti senza dubbio una ventata di novità nel panorama dei trattati di pozioni.” annuì Severus. Hermione scosse il capo e sorrise. “Sembri un critico, qualunque cosa ti si chieda!”
“Non è essere critici, solo precisi. Se si chiede un’opinione, va motivata.”
“Appunto: ‘motivata’ non ‘confutata’.”
“Mi sta forse dando del pedante, signorina Granger?”
“Oh, non mi permetterei mai, professor Piton!” rise lei. “E, comunque, a me è piaciuto molto il finale del romanzo che sto leggendo, quello che guardi sempre, ‘Il Serpente dell’Essex’ … un finale, aperto, ma originale, non scontato, che non è cosa da poco!”
“Quel libro dove un pastore ed un’aspirante studiosa di fossili non fanno che battibeccare per cinquanta pagine? Il passaggio da nemici o comunque da persone in totale disaccordo ad amanti è un grande classico della letteratura!”
“Fornisci altri esempi, su: l’hai detto, le opinioni vanno motivate!”
“Elizabeth e Darcy, Jane Eyre e Rochester, Rossella O’Hara e Rhett Butler … io e te.” 
“Oh, Merlino, un complimento, che raro evento!” rise Hermione. “Non siamo forse una delle maggiori coppie della letteratura, Hermione?”
“Dei rotocalchi magici senz’altro, la Skeeter ha macinato sul nostro matrimonio per mesi! Comunque, cambiando discorso … come pensi se la stia cavando Eileen?”
“Non avevamo concordato di non parlare di lei?” ghignò Severus. Hermione alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Hai ragione, sì, ma non riesco a non pensarci …”
“Se la starà cavando benissimo, non temere.” la rassicurò lui. “Adora i suoi nonni e loro adorano lei … le faranno senz’altro guardare quello che vuole, mangiare ciò che preferisce ed andare a letto solo se le va!”
“La vizieranno, in una parola!”
“I nonni esistono per questo, dicono!”
“Eh già. Comunque, anche nel film di stasera i protagonisti all’inizio si odiano …”
“Era un film sdolcinato e decisamente poco realistico, a parer mio.” commentò Piton con una smorfia mentre un elfo serviva loro due margherite ed una bottiglia di acqua minerale. “Edward Mani di Forbice sdolcinato? Oh, Merlino!” sospirò Hermione, iniziando a mangiare. “È Tim Burton, i babbani lo adorano! Senza contare che viene considerato praticamente un film gotico …”
“Consideralo come ti pare, a me sembrava una pessima rivisitazione de ‘La Bella e la Bestia’!”
“E dire che l’avevo scelto pensando che ti piacesse!”
“Sbagliavi. Quale libro stavi leggendo, ieri sera?”
“Tracy Chavelier, ‘La Ricamatrice di Winchester’. Mi sta piacendo molto …”
“Un altro romanzo storico e romantico, presumo!”
“Storico sì, ma di romantico ha ben poco … lo definire più ‘di formazione’.”
“La formazione di una povera emarginata che conquista il mondo, giusto?”
“Non il mondo: la felicità.” lo corresse, addentando un altro pezzo di pizza con gusto. “E dovresti leggerlo anche tu, ti piacerebbe, oltre a renderti un po’ più ottimista! I tuoi allievi apprezzerebbero …”
“Io sono sempre di buon umore.”
“Certo, lo so: è solo che il tuo concetto di buon umore è decisamente sotto la media!”
Severus la fissò con aria di scherno. “Touché.” asserì. Per qualche istante, rimasero in silenzio a mangiare e godere della tranquillità e del chiacchiericcio della strada.
“Ti ho mai detto che Eileen temeva non facessimo più la pace?” sogghignò ad un tratto Severus, quasi divertito all’idea. Hermione aggrottò la fronte. “Immagino … vedendoci litigare, sembra facile crederlo!”
“Non siamo poi così temibili, Hermione …”
“No, ma tendiamo a discutere: abbiamo caratteri forti, che si scontrano. Il fatto che lei abbia paura che non ci riappacifichiamo, però, mi inquieta … dovremmo trattenerci.”
“Sono discussioni, ne avrà anche lei ed a centinaia, considerato che ha preso il carattere di entrambi … e comunque non sono litigi veri e propri, quelli non avrà neanche idea di cosa siano fintantoché sarò vivo …” bofonchiò, voltando di scatto lo sguardo. Come sempre, Hermione comprese al volo e gli afferrò la mano, stringendola nella propria. “Noi non siamo tua madre e tuo padre, Severus: ci rispettiamo, sempre e comunque. Le discussioni sono sporadiche, se ci pensi … Eileen è spesso sarcastica, come te, non prenderla troppo sul serio. E soprattutto, ci amiamo …” sorrise. “Questa è una cosa che non cambierà mai. È la base della vita che abbiamo costruito insieme … no?”
Piton la fissò, immobile, senza parlare, ma, dal luccichio nel suo sguardo e da come ricambiava la stretta alla mano della moglie, Hermione capì che la stava ringraziando, sebbene a modo suo.
“Dovevamo evitare di parlare di Eileen e siamo finiti inevitabilmente a discutere di lei …” rise la Grifondoro. “Non so come sia possibile …”
“È nostra figlia.” mormorò Severus. “E, comunque, non ti ho ancora detto perché ha trasformato quei tre idioti in rospi …”
Hermione aggrottò la fronte. “Mi hai detto che era un segreto!”
“Mentivo, ovviamente.” sogghignò lui. “Glielo avevo promesso, ma è giusto che tu lo sappia. La prendono in giro, dandole della stramba e dicendole che io sono un pervertito e tu una povera stupida che ho raggirato a mio piacimento. Cose che sentono da dei genitori altrettanto imbecilli, verosimilmente …”
“Merlino ...” sussurrò Hermione, separandosi immediatamente da lui. Per qualche secondo, rimasero a guardarsi in silenzio. “Io non pensavo che sarebbe successo … voglio dire, siamo sposati! Credevo fosse ovvio che non è così … persino James, Lily e Sirius l’hanno accettato!”
“Ma non tutti lo faranno e dovremo sempre convivere con questa cosa, Hermione!”
La strega sospirò, passandosi una mano sul volto e fissando il fondo del bicchiere con aria cupa. “Forse avrei dovuto fare come Molly, tenerla separata dagli altri bambini, lasciare il lavoro ed educarla a casa …” mormorò. “Non ci sarebbe potuto essere nulla di più sbagliato: avresti solo peggiorato la cosa. Il mondo non è gentile, Hermione, né, tantomeno, idilliaco … prima lo capisce e meglio sarà.”
“Sì, ma … deve proprio capirlo?” sorrise tristemente la Grifondoro, posando la forchetta. “Temo di sì. Anche se, fosse per me, la rinchiuderei in casa fino alla mia morte.” sospirò Severus, imitandola. Si guardarono negli occhi per qualche istante prima di sorridere debolmente. “Comunque, questa pizza e mediocre.” sentenziò il professore, lapidario, facendole alzare gli occhi al cielo. “Santo cielo, Severus, è impossibile accontentarti! Non c’è una sola cosa, dico una, che ti piaccia!” sbottò. “Il libro è troppo semplice, il film che abbiamo visto troppo melenso, la pizza mediocre … esiste qualcosa che soddisfi tutte le tue aspettative, per Merlino?”
“In effetti, sì: tu.” annuì lui, sogghignando mentre Hermione si zittiva, arrossendo.
Nella sala, il chiacchiericcio era diventato quasi assordante, assieme al tintinnio delle postate. Al tavolo dietro di loro, una famiglia stava cantando ‘tanti auguri’ al commosso padre. Improvvisamente, ad Hermione tutto quel caos, tutta quella vita che sprizzava da ogni poro, parve eccessiva e, al cogliere nello sguardo di Severus una smorfia di puro disgusto, sorrise, alzandosi di scatto. “Andiamo?” lo incitò. Il pozionista la seguì senza farselo ripetere di nuovo.
Uscirono nell’affollata Diagon Alley ridendo e tenendosi per mano nei loro cappotti, quello di Severus rigorosamente nero e quello di Hermione blu elettrico. Mentre passeggiavano tranquilli tra i negozi ed i locali illuminati a giorno e la folla che scalpitava sotto un cielo stellato, Hermione lo prese a braccetto, ridacchiando alla sua espressione sconcertata e vagamente imbarazzata. “Ci pensi mai?” gli chiese. “A come avrebbe potuto essere se la Umbridge non ci avesse affibbiato la ricerca dei libri del destino?”
“È una risposta piuttosto ovvia: io sarei un eremita solitario, tu saresti la signora Weasley ed avresti quattro figli.” sogghignò il Serpeverde. “Dimentichi che tu avresti problemi di alcolismo ed io sarei frustrata.”
“E chi può dirlo? Forse saresti più felice: nessuno ti avrebbe giudicata, se avessi scelto Weasley, anzi.”
“Ma non sarei stata felice.”
“Ah, no?” incalzò Severus, alzando un sopracciglio, stupito. “No.” rise Hermione. “Non voglio una vita monotona a parlare sempre delle stesse cose ed a badare ad uno stuolo di bambini. Credo che, a lungo andare, mi sentirei trascurata e vuota.”
“Pensavo che l’idea di una famiglia del genere ti piacesse ...” indagò, cauto: non gliel’aveva mai detto, ma, a volte, temeva di non essere abbastanza, che Hermione volesse di più e lui non riuscisse a darle ciò che meritava, una vita felice, normale. “No, affatto.” gli confessò, storcendo il naso. “A me piace discutere e fare pace, parlare sempre di cose nuove con qualcuno che può capirmi e dedicare tutto il tempo che posso a crescere la mia bambina, dandole tutte le attenzioni possibili.”
“Eileen ne sarà felice: preferisci lei a quattro pel di carota!”
“Preferirei lei e te qualunque cosa!” rise Hermione. “E, comunque, decisamente non voglio quattro figli: una basta ed avanza. Senza contare che non vorrei davvero sperimentare di nuovo quei nove mesi!”
“E perché mai? Quasi un anno di nausea, febbre, emicrania e svenimenti non ti è piaciuto?” sogghignò Severus. “Tu sta’ zitto, che è solo colpa tua!”
“Ma naturalmente, perché i figli si fanno da soli, Granger!”
“Non ti sei sorbito tu quindici ore di travaglio con la febbre a quaranta e gli spasmi!”
“No, ma ero lì con la costante paura che potesse succedervi qualcosa di brutto, se non te ne fossi accorta ...” sibilò, offeso. “Lo so.” sospirò Hermione, alzando gli occhi al cielo. “L’ho notato da quant’eri pallido … sembravi uno spettro!”
“Voi Grifondoro avete questa pessima tendenza ad esagerare ogni cosa ...”
“Nient’affatto!” rise lei. “Avresti proprio dovuto vederti!”
Severus sospirò, controllando l’orologio. “A quest’ora cosa starà facendo esplodere Eileen?” considerò. “Il dentifricio. O forse il cuscino. Mi spiace solo per i miei, che non sanno come contenere i suoi scoppi di magia … a stento ci riusciamo noi!”
“È una strega estremamente dotata, lo si era capito già da quand’era solo un feto, Hermione: non dobbiamo stupirci se nei prossimi anni darà sfogo a tutta la sua magia!”
“Mi preoccupano un po’ i risvolti di questo suo potere … quella banshee, anni fa, diceva che è destinata a grandi cose …”
“Grandi cose potrebbe voler dire anche una sfolgorante carriera, non fasciamoci la testa prima di averla rotta!”
“No, hai ragione, ma … beh, non vorrei che si ritrovasse a vivere la sua giovinezza come me ed Harry! Non voglio che perda tutto per una profezia …”
“Chi combatte contro le profezie non fa che legarsele ancor di più alla gola.” mormorò Piton. “Lo so per esperienza. Se così dev’essere, così sarà e non possiamo farci nulla se non evitare di preoccuparcene: quando sarà il momento, se ne riparlerà. Mi hai detto che la guerra ti aveva insegnato a goderti il presente, giusto?”
Hermione gli sorrise, maliziosa, prima di trascinarlo nel vicoletto dietro il Ghirigoro chiuso e baciarlo con trasporto. “Giusto.” rispose. Non poté aggiungere altro, però, perché Severus l’aveva già sollevata da terra, riprendendo a baciarla. Si conoscevano oramai perfettamente, dopo tanti anni: ogni angolo dell’altro era ben impresso nella loro memoria, eppure non riuscivano a separarsi, ad averne abbastanza. Erano come assetati che, invece di saziarsi dell’acqua bevuta, ne desideravano sempre di più. “Andiamo a casa?” le domandò Severus quando si separarono per riprendere fiato. Hermione sorrise, ansimando ed annuì. “Andiamo a casa …”
Stavano per smaterializzarsi, ancora saldamente avvinghiati, quando una nebbiolina argentea prese silenziosamente forma attorno a loro, tramutandosi in uno splendido e vivido pavone. “Severus!” mormorò la voce di Narcissa Malfoy. “Devi venire a Villa Malfoy appena puoi, ti prego: è una cosa urgente, riguarda Lucius! Ha bisogno di una pozione per l’occhio, è successa una cosa … fa’ presto!” esclamò, prima di scomparire.
Hermione e Severus, rimasti soli ed ancora stretti, si guardarono per un istante prima che il Serpeverde sbuffasse, separandosi. “Ma è mai possibile che ogni volta che io voglia stare con mia moglie ci sia qualcosa? Passi Eileen con il raffreddore, è nostra figlia, passino gli incidenti ad Hogwarts, è il mio lavoro, passi la cistite di Grattastinchi, è il nostro gatto e persino il dover raccogliere quell’erba rara e pericolosa nel letto del Tamigi per evitare che le pagine dei libri ingialliscano, visto che è il tuo lavoro, ma anche questa no! Lucius si dovrà arrangiare stavolta … per chi mi hanno preso, per un cane servile?” strepitò, furioso. “Severus, calmati …” sospirò Hermione, osservandolo muoversi avanti ed indietro per il vicolo. “Qualunque cosa abbia Lucius, quanto ti ci vorrà a risolverla, un’ora, due? Sono appena le otto, entro le dieci saremo a casa! Oltretutto, non c’è nessuno ad aspettarci …”
“Ma potremmo esserlo subito!”
“Lucius è tuo amico.” scandì la Grifondoro. “Ti ha aiutato tante volte …”
“Mi ha anche messo nei guai tante volte!”
“Hai accettato di fare da padrino a Draco prima e di aiutarlo al suo sesto anno poi perché i Malfoy erano e sono tuoi amici. Erano la tua famiglia quando non ne avevi alcuna e puoi strepitare e fingere quanto ti pare, ma so bene che sei loro affezionato. A tutti loro. Lucius ha attraversato un pessimo periodo negli ultimi anni ed è persino peggiorato da quando Draco si è sposato ed ha avuto un figlio, dovresti capirlo …”
“Sono stato un po’ impegnato con la mia vita, sai com’è …” sbottò Severus in tutta risposta. Hermione sospirò, esasperata. “Pensala come ti pare.” asserì. “Ma non è corretto lasciarli soli nel momento del bisogno: loro ti hanno aiutato quando nemmeno Silente c’era! E se non andrai tu da loro, ci andrò io!”
Severus si volse a fissarla, sorpreso e vagamente stizzito. “E come, sentiamo?” sibilò, sardonico. “Dimentichi che sono una strega, prima di essere una tua ex allieva!” esclamò la Grifondoro, incrociando le braccia al petto. “Ed anche abbastanza capace: posso aiutarli da sola. Perciò hai due possibilità: o mi accompagni, ce la sbrighiamo ed andiamo a casa o vai a casa e mi aspetti finché non avrò finito. E potrebbe volerci molto più tempo, in tal caso, essendo sola …”
Severus stava per replicare, ma Hermione gli rivolse un’occhiata di sfida prima di avanzare a testa alta e smaterializzarsi girando su se stessa. Sbuffando come una ciminiera, oramai furioso ed irritato, la imitò, imprecando continuamente tra sé e sé: quella saccente Grifondoro l’avrebbe fatto ammattire prima o poi, lo sapeva benissimo! Eppure, per qualche strano scherzo del destino, non desiderava altro che far sì che lei continuasse ad irritarlo e stuzzicarlo per il resto dei loro giorni.

Malfoy Manor appariva spettrale nell’aria fresca della sera, nonostante le luci accese e le stelle a trapuntare la volta celeste sopra la villa. Le alte guglie si stagliavano, alte ed aguzze, quasi a voler sfidare il cielo e le siepi formavano lunghe ombre scure contro il sentiero d’entrata, un nastro argenteo contro il nero della sera.
Hermione si strinse nel leggero cappotto blu, avanzando di qualche passo: il buio la inquietava. A Spinner’s End teneva sempre la persiana semiabbassata, così da lasciar entrare in camera la luce soffusa dei lampioni per strada. Era colpa della guerra, naturalmente: aveva vissuto per mesi nell’oscurità e le aveva lasciato il segno, anche se era meno spaventosa, ora.
Iniziò ad avanzare cautamente quando un sonoro pop la fece voltare, spaventata, i sensi all’erta ed il cuore a mille, già pronta ad estrarre la bacchetta. Si rilassò solo distinguendo la figura di Severus dietro di lei. “Avresti anche potuto avvisarmi.” sospirò, lasciando l’impugnatura della bacchetta. “Avresti anche potuto consultarmi prima di fare di testa tua come al tuo solito.” sogghignò Severus, superandola con le spalle dritte per accedere alla villa. Hermione lo seguì, sbuffando.
All’entrata di Villa Malfoy, l’elfa Trixy li stava aspettando. “Professor Piton, ben arrivato. I signori aspettano di sopra.” disse, voltandosi per trotterellare lungo le scale. Hermione e Severus si guardarono brevemente prima di seguirla lungo i gradini di pietra che lasciavano un cupo eco ad ogni loro passo, per quanto piccolo. La Grifondoro arrancava per via dei tacchi alti e Piton finse di non guardarla fino a metà scala, quando quasi rischiò di scivolare e si decise a prenderla per il braccio, aiutandola a terminare la salita. Lei non di disturbò a ringraziarlo.
Quando arrivarono al piano superiore, trovarono il salotto illuminato dal fuoco acceso: Draco, i biondi capelli lisciati all’indietro ed una barbetta sul mento, sedeva composto, ancora vestito con uno dei completi che metteva sempre per lavoro, ma si alzò subito vedendoli arrivare. Di fronte a lui, Narcissa, in una delle sue lunghe tuniche color lavanda, i capelli semiraccolti da un fermaglio, sorrise, imitandolo. “Hermione, professore … grazie per essere venuti, davvero, non ci aspettavamo che faceste così presto!” sospirò Draco, tendendo loro la mano per salutarli. Narcissa, alle sue spalle, annuì. “Sì. E scusate se vi abbiamo disturbati, davvero …”
“Nessun disturbo: per gli amici, questo ed altro.” scandì con lentezza disarmante Severus mentre Hermione distoglieva lo sguardo, moderatamente soddisfatta.
“Nessuno disturbo? Ma chi vuoi prendere in giro, Severus? Ti conosco da quando zampettavi dietro alla Evans, suvvia e so capire quando sei arrabbiato … ed al momento sei furioso! Mi pare ovvio che vi abbiamo interrotti in una serata romantica … spero non sul più bello!” intervenne la voce divertita di Lucius. “Lucius!” lo rimproverò Narcissa, indignata, volgendosi di scatto e rivelando, così, il marito ai due ospiti.
Lucius Malfoy sarebbe parso identico al solito, con le vesti scure e regali, gli anelli di famiglie alle dita ed i lunghi capelli biondi e lisci, se non fosse stato per l’occhio sinistro, gonfio e tumefatto, dalla palpebra violacea e lacrimante. “Il marito di qualche tua pretendente si è finalmente deciso a darti il benservito? Senza offesa, Narcissa …” ironizzò Severus, sogghignando. Hermione scambiò appena un’occhiata con Draco: era chiaro che si trattava di cose che riguardavano i due uomini e che solo loro potevano capire. “Com’è successo?” domandò il professore subito dopo, avvicinandosi cautamente. “Per lavoro, naturalmente, non ho molti altri svaghi: stiamo cercando di vendere un terreno in Scozia ed avevamo un’offerta. Peccato fosse esigua e, quando l’ho fatto notare all’acquirente, questi mi abbia lanciato addosso la prima che cosa avesse sottomano … una pozione occhiopallato scaduta. Ed eccoci qua.”
“Brutta storia.” annuì Severus. “Sono le reazioni alla pozione scaduta, sì, ma sono fortunatamente molto comuni. Niente che una pozione oculus non possa risolvere … ne avete?”
“No.” sospirò Narcissa. “Non importa, non ci vorrà molto per prepararne una boccetta, un’oretta appena. Anche meno, se Hermione mi dà una mano … è sempre stata piuttosto capace con le pozioni.”
“Certo.” annuì lei, sorpresa da quell'ammissione. “Bene. Narcissa, saresti così gentile da farci vedere dove possiamo lavorare?”
“Oh, anche qui, sul fuoco: faccio portare un calderone ed un tavolo con l’occorrente, dovremmo ancora avere il kit da pozionista di Draco, no tesoro?”
“Entusiasmante.” commentò Severus, atono, lanciando un’occhiata alla beffarda e sorridente moglie, vagamente soddisfatta.

“Agitare e aggiungere l'assenzio finché la pozione non diventa verde. Mescolare la pozione finché non diventa viola. Aggiungere il corno di unicorno macinato finché la pozione non diventa rossa. Scaldare la pozione finché non diventa gialla. Aggiungere polvere blu finché la pozione non diventa turchese. Agitare e aggiungere l'assenzio finché la pozione non diventa rosa. Mescolare finché la pozione non diventa arancione. Aggiungere la mandragola stufata finché la pozione non diventa verde. Aggiungere il corno di unicorno macinato finché la pozione non diventa turchese. Aggiungere la polvere blu finché la pozione non diventa indaco. Mescolare finché la pozione non diventa arancione. Riscaldare finché la pozione non diventa viola. Agitare e aggiungere la mandragola stufata finché la pozione non diventa arancione. Abbiamo svolto tutti i passaggi e l’aspetto è quello sperato, dovrebbe essere apposto …” considerò Hermione, riepilogando i passaggi. Severus, accanto a lei, annuì appena, scolando la pozione in una boccetta grazie ad un imbuto. “È perfetta, un risultato considerevole, soprattutto se si considera che è stata preparata in quaranta minuti.”
“In due si fa prima.” sentenziò la Grifondoro, annuendo. Fece per sistemare gli ingredienti, ma Narcissa la bloccò con un gesto. “No, se ne occuperà Trixy, non preoccuparti, ti sporcherai il vestito, altrimenti ed hai già fatto troppo!” le sorrise, benevola. “Che dobbiamo fare con questa cosa?” sospirò Lucius, vagamente annoiato. “Un impacco e berla. Contemporaneamente. Ci penso io, ci vorrà una ventina di minuti.” asserì, laconico, Severus. “Nel frattanto, se vuoi, Hermione, possiamo offrirti dell’altro tè, sarai stanca!” riprese Narcissa. “No, non è necessario, davvero, ma grazie comunque dell’offerta …”
“Ma sì, dai: ti faccio vedere le foto di Scorpius, non l’hai mai visto! Adora il libro di fiabe che gli avete regalato per il battesimo!” annuì Draco, sorridendo appena. Hermione sospirò. “Va bene, vengo volentieri, in tal caso …” assentì, seguendo i due Serpeverde fuori dal salottino.
Severus, rimasto solo, fissò Lucius per qualche secondo prima di iniziare ad applicare meccanicamente la pozione sull’occhio con un dischetto di cotone imbevuto. “Brucia.” sbuffò Lucius. “Sopporta.” sentenziò il pozionista. “Ti trovo bene, Severus, ad ogni modo … come te la passi? È tanto che non ci si vede!” proseguì Malfoy, sornione. “Sono molto impegnato, sai com’è, Lucius …”
“Ah, certo, Eileen … com’è essere padre, eh?”
Piton parve riflettervi per qualche secondo prima di rispondere: “Intenso.”
“Immagino. Anche perché esserlo alla tua età ha tutto un altro significato: avessi io un figlio ora non farei la marea di stupidaggini che ho fatto con Draco! E per cui ancora non mi ha perdonato, per inciso …” sospirò. “Draco è un ragazzo intelligente: ti ha perdonato. Anche se non vuole darlo a vedere.”
“E come fai a dirlo?”
“Abiterebbe qui, crescendo suo figlio con te, se così non fosse?”
“Forse non lo fa per me, ma per sua madre! Sai quanto sia legato a Cissy …”
“Se non ti sopportasse, se ne sarebbe andato ed accetterebbe di vedere solo lei. Invece, mi pare che ti abbia coinvolto nel ruolo di nonno …”
“Oh, sì.” sorrise Malfoy. “Scorpius è bellissimo ed è così calmo, amabile … ha il carattere di Astoria: è un piacere giocare con lui. Spero resti così per sempre …”
“I bambini crescono: me ne sono accorto, negli ultimi tempi.” sogghignò Severus, allungandogli la pozione da bere. Lucius lo fissò di sottecchi prima di ingurgitarla in un sol sorso. “Pensavo che non lo volessi, sai?” disse, dopo aver posato la boccetta. “Cosa?”
“Tua figlia: so cos’hai sempre detto sull’essere padre, quelle storie sul non voler essere come Tobias e non dare ad un altro essere umano la pena di sopportarti … stronzate, se vuoi il mio parere. Però, quando Cissy mi ha detto che Hermione aspettava un bambino, mi sono detto: ‘Ecco, ora la lascerà o farà di peggio e sarà la sua rovina’. Ma non l’hai fatto, anzi: l’hai sposata e sei un padre esemplare, che rifiuta ogni occasione conviviale per stare con la sua bambina. Ed immagino che l’ami più di te stesso … mi hai sorpreso, vecchio mio: ti sei rammollito. Lei ti ha rammollito.”
“Rifilo ancora T ai Grifondoro, se te lo stessi chiedendo …” sogghignò Severus. “Oh, non ne dubito. Ma non è questo il punto … il punto è che ora sei felice e si vede: sorridi, una cosa che non avevi mai fatto, mai. E come la guardi, come le guardi … come se fossero il tesoro più prezioso del mondo. Moriresti ed uccideresti per loro, vero?”
“Tu non lo faresti per Narcissa e Draco?”
“Non ti pare ovvio? Certo che, da temibili Mangiamorte, siamo diventati proprio due bei zuccherini, eh?”
“Parla per te, Malfoy: io non mi sono addolcito.” sogghignò Severus. “Sicuro. Di certo, da quando stai con lei, sei più … rilassato.”
“Ti stai addentrando in un terreno minato …”
“Sono in casa mia.”
“Una parola di troppo e ti crucio senza problemi. E tua moglie mi darebbe ragione.”
“Oh, senz’altro! Ciò non toglie che hai una moglie di vent’anni più giovane ed anche molto bella, se permetti così bella che mezzo mondo magico te la invidia: se volesse trovarsi qualcun altro, ci riuscirebbe in due secondi. Ma lei non vuole che te, la gente non fa che parlarne. Io me la terrei stretta, fossi in te: fortune così capitano una sola volta nella vita. Soprattutto fortune con due gambe del genere …”
“È anche estremamente irritante e fastidiosa, sai?”
“Tutti lo siamo, ma l’amore è questo: essere amati per quello che si è. O, meglio, a dispetto di quello che si è.”
“Non fare il moralista, la frase è di Hugo, non tua.”
“Touché, mio caro amico. Ma la vita è troppo breve per trascorrerla a litigare: molto meglio passarla tra le coperte ad oziare. Preferibilmente non da soli. Nel tuo specifico caso, preferibilmente con la tua bellissima moglie.”
“Non dirò una parola di più Lucius e mi aspetto che tu faccia lo stesso.”
“Come vuoi. Ma l’ultima frase, perlomeno, era mia.”

“È bellissimo!” sorrise Hermione, osservando la foto di Scorpius che faceva il bagnetto assieme ad Astoria. “Vero? Non ho mai visto un bambino così bello!” annuì Draco. “E sì che detestavi i bambini!”
“Le cose cambiano quando si diventa genitori.” confermò Narcissa. “Ma i maschi faticano a capirlo … Draco è stato molto bravo in questo, devo dire! Lo cambia, lo lava, gioca con lui … ogni tempo libero lo passa con Scorpius! Non mi consente neanche di spupazzarlo come vorrei …”
“Come se tu e papà non lo viziaste abbastanza, mamma! Gli avete regalato un enorme castello giocattolo, grande come tutta una stanza! E solo per l’onomastico!”
“Se non vizio mio nipote, chi dovrei viziare?” commentò Cissy, facendo spallucce. “Ed Eileen, Hermione? Com’è?”
“Oh è … bellissima. Ed intelligentissima.” sorrise lei, cercando nel cellulare per mostrare loro delle foto. “Non c’era da aspettarsi niente di diverso, da tua figlia!” confermò la donna, allungandosi per guardare. “Cielo … è identica a Severus!”
“Anche nel carattere!” confermò la giovane. “Povera Hermione, insomma ...” sogghignò Draco. “Oh, no, non saprei davvero come fare senza di loro due … farei davvero di tutto pur di averli con me!”
“Ti capisco.” sorrise Narcissa. “Soprattutto quando hai un figlio solo, è diverso …”
“Voi avreste potuto averne altri …” considerò Hermione. “Dopo Draco? No, per Salazar!”
“Grazie, mamma, davvero!” sospirò il biondino, facendo ridere la Grifondoro. “E tu, Hermione? Non vuoi allargare la famiglia?”
“Oh, no: Eileen è impegnativa, ha bisogno di tante attenzioni e preferisco dedicarle esclusivamente a lei, lavorando. E, poi, non ci tengo a ripassare per tutta la gravidanza …”
“Ti capisco benissimo.” confermò Narcissa. “Io no.” sorrise Draco. “Ma posso solo immaginare come sia stato affrontare Severus …”
“Oh, beh … complicato.” sospirò Hermione. “Non lo voleva. Ma ora non riesce più a farne a meno, quindi …”
“Io l’avrei voluto, ma dicevo di no per Astoria.” mormorò Draco, volgendo lo sguardo al focolare. “È stata lei ad insistere: sapeva che non sarebbe rimasta a lungo con me e voleva che non fossi solo, quando se ne sarebbe andata. Ha vinto lei, alla fine, ovviamente …”
“Non è detto che muoia presto.” deglutì Hermione, improvvisamente imbarazzata, non sapendo cosa dire di fronte a quella prospettiva. “Magari vivrà ancora a lungo …”
“Nessuno nella sua famiglia ha superato i quarant’anni.” sussurrò Narcissa, gli occhi bassi. “Ma non ci penso.” scacciò Draco, alzandosi e sforzandosi di sorridere, sebbene i suoi occhi fossero velati di lacrime. “Vivo ogni giorno come fosse l’ultimo, sto con lei, cerco di farle avere tutto quello che vuole … poi si vedrà. Ora scusatemi, ma devo proprio raggiungere Scorpius ed Astoria: mi staranno aspettando per la buonanotte. A presto, Hermione, salutami Severus.”
“A presto …” mormorò la Grifondoro, osservandolo schizzare via a passo felino lungo i bui corridoi della villa. “Come riesce ad affrontarlo?” chiese a Narcissa quando fu sparito. “Non lo fa.” ammise la donna, alzandosi. “Riesce a sopportarlo perché la ama, ma rifugge l’idea di perderla … lei ne è molto più consapevole. Quando avverrà e succederà in meno di dieci anni, temo, considerato quant’è fragile, lui crollerà. È per questo che Astoria ha insistito per avere un figlio e perché vivessero qui: sa che io, Lucius e Scorpius lo sproneremo ad andare avanti.”
Si volse verso Hermione, ancora sconvolta alle sue parole e le sorrise, amara. “Una madre deve sempre raccogliere i cocci e ricostruire la vetrata da ciò che resta … ma questo credo che oramai lo sappia anche tu. L’unica che posso dirti, Hermione, è di viverti tuo marito e tua figlia più che puoi ed appieno, senza sprecare neanche un secondo: la vita non è che un soffio e finisce prima che possiamo rendercene conto.”

Quando riapparvero a Spinner’s End, né Hermione né Severus osarono parlare. La Grifondoro si tolse il cappotto e le scarpe e, lavatasi le mani, diede da mangiare ad un assonnato Grattastinchi. Una volta che Severus ebbe terminato di lanciare gli incantesimi di protezione sulla casa, la seguì in camera in totale silenzio.
“Lucius starà bene?” gli domandò la giovane, iniziando a togliersi i gioielli ed a struccarsi in bagno. “Sì.” confermò lui, levandosi l’ascot in un gesto stanco. “Ti ha turbato parlare con lui?”
“No.” mentì, pur sapendo che Hermione l’avesse intuito. “A te, invece, ha turbato vedere Draco? Ti ha parlato di Astoria?”
La Grifondoro sospirò, lasciando perdere il viso. Si sciacquò, asciugò ed andò a sedersi accanto a Severus in silenzio. “Lei morirà.” asserì. “E lo sa. Eppure, Draco finge che non accadrà, cerca di evitare il pensiero … non vuole accettarlo. Mentre Astoria ne è perfettamente consapevole: ha voluto un figlio e che Draco abitasse con i suoi perché non fosse solo. Lo ama così tanto da volersi accorciare la vita pur di fare il suo bene, pur di diminuire il dolore di quando la perderà …” mormorò. “E la cosa ti ha turbata …” indovinò Severus. “Un po’.” ammise. “Ho pensato a cosa succederebbe se tu no ci fossi o se non ci fossi io …”
“Non succederà.”
“Severus ...”
“Non succederà, Hermione.” scandì Severus. “Dovranno passare sul mio cadavere per portare via da me te o Eileen … e sono già morto una volta. Non succederà.”
Hermione sorrise debolmente. “Tu invece da cosa sei stato turbato?”
“Da niente.”
“Severus, andiamo: ti conosco …”
“Lucius ritiene che tu abbia delle splendide gambe, sai?”
Hermione sorrise, distogliendo lo sguardo. “Ed a te piacciono?”
“A me piace tutto di te.”
“Ma ci sarà qualcosa che ti piace di più …”
“No.”
“Oh, andiamo …”
“Gli occhi.” cedette lui, esasperato. “I tuoi occhi. Contenta?”
“Abbastanza. Anche a me piacciono i tuoi occhi … e le tue mani.”
“Queste? Ruvide e rovinate come sono? Hai il gusto dell’orrido, Granger …” sogghignò Severus. “No: io le trovo eleganti. Sono mani esperte, abituate a lavorare con ingredienti rari e preziosi …”
“Ed a tracciare T.”
“Anche.” rise Hermione. “Ma è stato questo a turbarti?”
“No: Lucius sostiene anche che sono uno stupido e litigare con te. Mezzo mondo magico ti vorrebbe con sé, troveresti un amante in meno di un secondo …”
Hermione sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Per Merlino, ancora? Ma quante volte dovrò ripeterti che non voglio nessun amante? Mi interessa soltanto che ci siate tu ed Eileen … e Grattastinchi. Non m’interessa di quegli idioti guidati dagli ormoni …”
Severus sogghignò. “Ma sei d’accordo sul fatto che dovremmo litigare meno!”
“Sai che c’è? No: discutiamo quanto ci pare e piace.” sentenziò lei, facendo spallucce. “In fondo, è il nostro matrimonio … ed a noi va bene così.”
“A te va bene litigare?” considerò il Serpeverde, alzando un sopracciglio ed accarezzandole lentamente le dita della mano. “Lo facciamo oramai da tredici anni, ricordi? Otto da sposati.” rise Hermione, stendendosi con un sospiro e rivolgendogli un’occhiata che lo fece sogghignare ancora di più. “E, poi, fare la pace è la parte migliore …” concluse, senza dargli alcuna possibilità di replica prima di tirarlo a sé e baciarlo con trasporto, prendendosi le scuse tanto discusse.

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Capitolo 4
*** Riddikulus ***


4.
Riddikulus

[Incantesimo che rende innocuo un Molliccio. Perché sia efficace bisogna concentrarsi su come rendere il Molliccio ridicolo.]
“Scorpius? Ehi, Scorpius!”
Il giovane Malfoy sobbalzò, come colpito da un sasso in pieno viso. Si volse di scatto, passandosi una mano pallida sul volto esangue e sui chiarissimi capelli biondi prima di puntare i languidi occhi grigi sulle persone sedute di fronte a lui sull’Hogwarts Express.
Eileen Piton ed Albus Potter lo stavano fissando con apprensione dai loro posti, l’una con un romanzo francese aperto in mano e l’altro con una cioccorana sul palmo. “Sto bene, non preoccupatevi per me.” sentenziò, lapidario, stringendosi nella giacca nera. Eileen si scostò la frangia dei lungi capelli neri dal viso e prima di sporgersi leggermente verso di lui. “Te la senti? Sono sicura che, se non ti sentissi pronto, la preside potrebbe …” mormorò. “No, sto bene. Lei è … è successo due mesi fa. E non avrebbe voluto questo. Sto bene.” biascicò a fatica, sforzandosi di non guardarla: sapeva che incontrare i suoi occhi neri e liquidi non avrebbe potuto frenarlo dallo scoppiare di nuovo a piangere come il bambino indifeso che era.
“Vuoi una cioccorana, Scorp?” domandò innocentemente Albus. Malfoy sollevò lo sguardo, incontrando quello smeraldino e benevolo del giovane Potter. Deglutendo, annuì ed iniziò a masticare il dolce a piccoli morsi, lentamente. Quasi soffocò nelle sue stesse lacrime mentre ingoiava piano ogni boccone, rammentando di quanto sua madre le adorasse e di quante volte gliele avesse date, persino il giorno in cui era partito per Hogwarts la prima volta. “Le caramelle sono un ottimo modo per fare amicizia!” gli aveva detto, facendogli l’occhiolino. Al solo ricordare i grandi occhi grigioverdi di Astoria ed il suo sorriso gli mancò il fiato, ma non volle comunque guardare i suoi due migliori amici in apprensione per lui per l’ennesima volta. Solo così avrebbe potuto definire Eileen ed Albus, dopo due anni assieme ad Hogwarts.
La loro amicizia era nata per puro caso: erano gli unici tre emarginati del dormitorio di Serpeverde. Per gli altri, Scorpius era o un Mangiamorte o un traditore del sangue, Eileen una specie di mostro, frutto di un’unione degenere ed Albus la pecora nera di un’illustra famiglia, anch’essa traditrice del sangue. Allearsi era stata una necessità, inizialmente, ma, con il tempo, era diventata una scelta: avevano tre caratteri che si completavano a vicenda. Scorpius era il classico secchione riflessivo e timido, che cercava nei libri tutte le risposte, sapeva sempre tutto, ma non riusciva a spiccicare due parole in croce con altre persone, Eileen era altrettanto intelligente e forse più capace, ma non si faceva affatto problemi a dire sempre quello che pensava, anche quando non avrebbe dovuto, mentre Albus era pigro, temeva sempre di deludere qualcuno e, essendo bonario, non amava litigare ed arrancava per arrivare a stento ad una A.
Oramai da due anni erano inseparabili, nonostante tutto … erano venuti anche al funerale di Astoria, in quel torrido pomeriggio di luglio. Erano rimasti accanto a lui sulla tomba, vestiti di nero e con espressioni mortificate, quasi fosse colpa loro. Non avevano saputo cosa dire e, semplicemente, Eileen l’aveva abbracciato ed Albus gli aveva cinto le spalle.
Per i due mesi successivi, non aveva voluto vedere nessuno ed i suoi amici avevano capito … ma ora sarebbe tornato ad Hogwarts. Non sapeva se avrebbe retto alle occhiate di tutti anche lì … quel che era certo era che doveva quantomeno provarci: la mamma l’avrebbe voluto. Gliel’aveva detto, in punto di morte: “Vivi più che puoi, ama, soffri, ma vivi, per l’amor del cielo, Scorpius, vivi senza paura. Vivi anche per me … io sarò sempre con te, anche se non potrai più vedermi.”
Gliel’aveva promesso, le aveva giurato che sarebbe stato forte … ma non c’era riuscito. Aveva pianto ogni giorno per tutti quei due mesi, raggomitolato sotto le coperte, nascondendosi dai nonni che lo riempivano di attenzioni per cercare di farlo uscire dalla sua camera. Suo padre se ne stava rinchiuso nel suo studio e, le poche volte che ne usciva, era talmente serio e rigido da far pensare che fosse un automa. Non sembrava più in grado di provare niente e non riusciva neanche a guardare il figlio negli occhi.
Scorpius aveva accolto il 1° settembre come una salvezza, un liberarsi dai vecchi fantasmi di una casa impregnata di tristezza e di vuoto. Ma la cruda verità era che, anche sull’Hogwarts Express, non aveva fatto che fissare il finestrino e trattenere le lacrime vedendo il panorama tingersi di rosso, arancione e giallo al pensiero che l’autunno fosse la stagione preferita di sua madre.

Remus Lupin non avrebbe mai rivelato che la sua lezione preferita di tutto il programma dei sette anni di Difesa contro le Arti Oscure era quella su come difendersi da un Molliccio all’inizio del terzo anno.
Segretamente, infatti, gli piaceva vedere gli studenti crescere, imparare a confrontarsi con le loro paure e farsene beffe, superarle, in una parola ed era contento di aiutarli in questa difficile operazione. Per questo, ogni anno, aspettava con ansia il momento della fatidica lezione. Quell’anno in particolare, tuttavia, attendeva con una certa preoccupazione il momento, considerato che sarebbe toccato anche a sua figlia e ai suoi figliocci.
Probabilmente era questo il motivo principale che non lo faceva scherzare come al solito nell’aula polverosa avvolta nella penombra di Hogwarts dove il vecchio armadio sobbalzava e tamburellava, nervoso, di fronte al terzo anno di Grifondoro e Serpeverde riunito per assistere alla lezione.
Lupin aveva appena terminato di illustrare le caratteristiche di un Molliccio e, mentre si preparava a darne una dimostrazione pratica, osservava incuriosito la classe: i Grifondoro, per natura abbastanza sprezzati del pericolo, in gran parte, ridacchiavano tra loro o guardavano di sottecchi i Serpeverde. Soltanto Andromeda Lupin, i capelli castani come quelli del padre, lunghi e leggermente mossi che le ricadevano sulle spalle minute, prendeva compulsivamente appunti. Hugo Weasley, dietro di lei, non faceva che sbadigliare, invece: era un ragazzo intelligente, ma molto distratto. Piton diceva che non si applicava per pigrizia, ma Lupin sospettava che, dietro, c’entrasse qualcosa anche il divorzio dei genitori.
Tra i Serpeverde, annoiati e vagamente infastiditi dalla lezione, dato che non amavano notoriamente mostrarsi deboli, c’era Albus Severus Potter, che, con i brillanti occhi verdi ed i capelli scomposti, fissava l’armadio, vagamente esasperato e disordinato. Lupin stava per richiamarlo all’ordine ed a mettersi composto, ma ci aveva già pensato Scorpius Malfoy, contrariamente a lui precisissimo e sempre impeccabile, i capelli biondi ben tagliati e pettinati con un piccolo ciuffo ed i quaderni ricoperti di appunti ordinati. “Perché dovrei tenere la camicia nei pantaloni?” sbuffò Albus. “Perché sì, siamo a scuola, per Salazar!” sospirò Scorpius, la cui pazienza, per sopportare i suoi due amici, iniziava a sospettare Lupin, era infinita. “Ma non mi va!”
“Albus, cos’hai, cinque anni? Metti quella camicia nei pantaloni, non sei in spiaggia!”
“Altrimenti?”
“Devo davvero dirti cosa succede altrimenti?” ghignò Eileen Piton. A Lupin venne quasi da ridere: era identica al padre. Sempre impeccabile e perfetta, era la secchiona della classe, prima in tutte le materie … e, inevitabilmente, presa costantemente e continuamente in giro, assieme ai suoi due amici. Ma sapeva anche cavarsela particolarmente bene.
“Bene, signori!” annunciò Lupin, ponendosi dinanzi all’armadio. “Ora vedremo come affrontare e sconfiggere il Molliccio … devo avvertirvi, però: non sarà semplice. Di tutte le creature oscure, è senz’altro tra le più infide: si ciba della nostra paura e la usa contro di noi. L’unico modo per sconfiggerlo è affrontarlo, naturalmente … e, per farlo, bisogna guardare oltre la paura e farci beffe di essa. Mi spiego meglio …” sorrise, estraendo la sua bacchetta. “La forma da utilizzare è ‘riddikulus’. Ripetetelo tutti assieme … ancora … molto bene, eccellente. Nel pronunciarla, dovete pensare a come rendere il Molliccio ridicolo, per l’appunto, cosicché non possa più spaventarvi. Facciamo un esempio pratico … Weasley, visto che gongoli tanto!”
Hugo sospirò, rassegnato, avvicinandosi tra le risate generali. “Cosa ti fa più paura in assoluto?” domandò Lupin. “Uhm … non saprei! Mia sorella odia i ragni …”
“Sì, mi ricordo che abbiamo dovuto portarla fuori quando ha affrontato questa prova, ma lo sto chiedendo a te, ora … cosa ti spaventa di più?”
Il giovane parve pensarci prima di mordersi il labbro. “Beh … Piton, forse.”
“Quale?” domandò dal fondo dell’aula la biondissima ed affascinante purosangue Amanda Nott, figlia di Theodore Nott e Pansy Parkinson, scatenando l’ilarità del suo gruppetto di Serpeverde. “Il professor Piton … senza offesa, ‘Leen.”
“Ma figurati.” commentò questa, perfettamente impassibile. Lupin si ritrovò a pensare che invidiava davvero l’autocontrollo dei Piton, doveva scorrere loro nelle vene.
“Benissimo, Hugo. Ora, per facilitarti il compito … prova ad immaginare il professor Piton in abiti ridicoli, ad esempio, non so, quelli di tua nonna … a quel punto, devi dire: ‘riddikulus’, d’accordo? Proviamo?” sorrise incoraggiante Lupin, aprendo l’armadio con un gesto di bacchetta. Proprio come quando, anni prima, si era ritrovato dinanzi al molliccio di Neville, dall’armadio, lentamente, quasi in modo esasperante, strisciò fuori un Severus Piton perfettamente identico all’originale, con tanto di sguardo di sufficienza e mantello svolazzante. Hugo lo fissò a lungo prima di puntargli contro la bacchetta. “Riddikulus!” gridò. Subito, gli abiti di Piton svanirono, sostituiti da uno degli enormi abiti gialli di Molly. L’intera classe esplose in una risata divertita, Eileen compresa. “Bene, ottimo, dieci punti a Grifondoro! Avanti il prossimo!” annunciò Lupin, battendo le mani. Nel giro di una mezz’ora, quasi tutti gli studenti affrontarono le loro peggiori paure, riuscendo, nella maggioranza dei casi, a superarle senza grandi problemi. Tra ragni, cani, clown, acqua e doppie punte, l’aula sembrava diventata un vero e proprio circo. Quando toccò ad Andromeda Lupin, Remus si mantenne volutamente a distanza: cercava sempre di essere neutrale e distaccato nei suoi confronti, anche se ci riusciva molto meno di Severus. Quando il suo molliccio uscì dall’armadio, tramutandosi in un’enorme e perlacea luna piena, la classe ammutolì. Andromeda rimase a fissarla per qualche istante e Remus sarebbe senz’altro intervenuto se sua figlia non fosse stata più veloce di lui. “Riddikulus!” esclamò, puntando la bacchetta. Subito, la luna svanì, sgonfiandosi come un palloncino e Lupin tirò un sospiro di sollievo. “Ottimo, brava!” annuì, fingendo di ignorare il fatto che sua figlia si fosse precipitata a sedersi accanto ad Eileen, sua migliore amica da sempre, nonché una dei pochi a sapere del suo piccolo problema di licantropia parziale ad ogni luna nuova. Non aveva, invece, ereditato nulla di vampiresco. “Perché quello non è nel DNA, è una cosa a parte: Mina è prima morta, poi diventata vampira. Tu eri ancora vivo quando sei diventato lupo mannaro.” aveva spiegato a lui ed a Mina Madama Chips quando avevano mostrato le prime preoccupazioni riguardo alla bambina ed alla sua natura magica. Fortunatamente, a parte gli stessi disturbi di Teddy, comunque gestibilissimi, Andromeda era una strega perfettamente normale, anche se un po’ troppo timida e riflessiva, a tratti.
“Proseguiamo, allora … Potter!” chiamò Remus, ignorando deliberatamente Malfoy: sapeva che sua madre era morta quell’estate e non gli sembrava il caso di infierire ulteriormente. Albus avanzò con un sospiro, sistemandosi, paziente, dinanzi all’armadio. Quando, da esso, uscì un enorme serpente, mezza classe scoppiò a ridere, rendendogli decisamente più semplice trasformarlo in un pupazzo di pezza. “Un serpente? Curioso per un Serpeverde!” commentò Remus, divertito. Albus fece spallucce, abbassando il capo. “Perché la mia paura era essere un Serpeverde, probabilmente! Ma oramai ci siamo, no?” commentò, rifilando a sedere. Lupin sospirò, chiamando: “Piton!”
Eileen si alzò e si posizionò dinanzi all’armadio, stringendo a sé la bacchetta scura, in legno di cipresso e crine di Thestral, se ben ricordava … una curiosa combinazione. “Prego …”
Il molliccio, una volta uscito, si scoprì essere totalmente incorporeo: non si vedeva, né si percepiva. L’unica sua caratteristica era il poter essere sentito: era, infatti, costituito da decine e decine di voci che non facevano che ripetere: “Che sfigata!”, “Sapevo che non ce l’avresti fatta, idiota!”, “Stupida!”, “Illusa!”, “Mostro!”, “Mocciosa!”. Eileen sollevò la bacchetta, sopraffatta da quel turbinio che la stava letteralmente investendo. Vedendola boccheggiare, Lupin stava per intervenire, ma la giovane, ostinata com’era, riuscì, prendendo un gran respiro, ad esclamare: “Riddikulus!”, rendendo le voci un chiacchiericcio sconclusionato ed insensato. Con sollievo, si diresse al posto, visibilmente più pallida del solito e leggermente turbata. “Tutto ok, Eileen?” le chiese Scorpius. Eileen annuì, passandosi una mano sulla fronte. Dal fondo dell’aula, Amanda Nott esclamò a voce ben alta: “Strano temere il giudizio altrui, per la figlia del Mangiamorte e della puttana!”
Eileen parve pietrificarsi sul posto prima di volgersi verso di lei. “Cos’hai detto, Nott?” sibilò. “La verità, non dirmi che non lo sapevi … oh, Merlino, che razza di stupida: lo sanno tutti! Dove credi che si fossero conosciuti i tuoi? Qui, a scuola, quando tua madre era una studentessa! E possiamo solo immaginare cos’abbia fatto per intortare un frigido come tuo padre …”
“Non … ti … permettere …” sibilò Eileen, guardandola fisso con un tale odio che nessuno si stupì quando la bocca di Amanda, semplicemente, sparì. Le sue amiche schizzarono in piedi, urlando e Lupin, che aveva colto appena il litigio, impegnato con altri Mollicci, con un sospiro fermò la lezione. “È stata Piton, professore!” schiamazzò una Grifondoro. “Non mi pare il caso di accertarlo qui ed ora! Nott, in infermeria con me, adesso, mentre tu, Piton, aspettami nel mio ufficio! Tutti voi, invece, per la prossima volta voglio una relazione sull’esercizio svolto in classe con osservazioni e considerazioni personali. Ora andate, forza!” annunciò Lupin, rassegnato. “Vuoi che ti accompagniamo?” domandò Albus, ma Eileen, ancora muta ed a testa bassa, scosse il capo, alzandosi, le spalle basse e le braccia strette al petto. “No, faccio da sola, grazie …” mormorò, schizzando in corridoio sotto lo sguardo preoccupato degli amici.

Quando Lupin rientrò nel suo ufficio, vi trovò, come pensava, Eileen. Seduta nella piccola poltroncina riservata agli studenti, fissava il prato assolato e colorato di arancione e giallo dall’autunno fuori dalla finestra con sguardo perso, le spalle incassate ed i capelli che sembravano volerle nascondere il viso pallido dai tratti morbidi. “Nott sta bene, per quanto poco ti interessi, immagino.” annunciò tranquillamente, andando a sedersi al suo posto ed osservando lo sguardo totalmente impassibile di Eileen. “Mi dispiace, mi scusi, non avrei dovuto …”
“Eileen, siamo soli: dammi del tu e chiamami ‘zio Remus’ come al solito, su!”
La Serpeverde sbatté le palpebre, stupita. “Ma …”
“Sì, lo so, ma io non sono tuo padre: ho molto meno da perdere ad essere gentile con te.” sorrise, offrendole una scatola di cioccolatini che la giovane declinò gentilmente. “Si può sapere cos’è successo con Amanda? Non è da te disubbidire!”
Eileen lo fissò prima di sospirare. “Niente di che. Niente di nuovo, almeno …”
“Davvero? Io non credo … cosa ti ha detto? Che sei una fallita? Perché è questa la tua più grande paura … fallire!”
“Sono due anni e mezzo che sono qui.” sospirò Eileen. “E me ne hanno fatte e dette di tutti i colori, Amanda ed i suoi, ma anche dei Grifondoro … mi hanno fatto sparire il materiale, gettata nel Lago Nero, versato vernice sui capelli … senza contare tutto quello che dicono. Non ho mai detto nulla per non creare problemi, ma ora francamente sono stanca, zio Remus … sono davvero stanca di loro e di tutto questo!” confessò, sbuffando e poggiando la testa sul palmo della mano. “Poi, oggi, Amanda ha davvero raggiunto il limite sopportabile da ogni essere umano e magico …”
“Cos’ha detto?”
“Che sono la figlia di … non importa, però, davvero …”
“Importa a me: cosa ti ha detto, Eileen?”
La giovane lo fissò, sospirando. “Che sono figlia del Mangiamorte e della … della puttana e che i miei si sono conosciuti quando mia madre era ancora una studentessa di papà e … beh, che gli ha dato … qualcosa per avere bei voti.”
“E tu le credi?”
Eileen fece spallucce, ignorando il magone che l’attanagliava. “Non mi hanno mai detto come si sono conosciuti … è vero quello che dice Amanda?”
“Anche se fosse? Ti infastidirebbe?”
“Non lo so.” borbottò, giocherellando con il ciondolo a forma di cuore che portava sempre. “Devo metà delle prese in giro che ricevo al fatto di essere figlia di mio padre …” commentò con un sorriso triste. “Forse dovresti semplicemente chiederglielo.” azzardò Remus. “A lui? Non me lo direbbe mai, lo sai!” sospirò. “A casa è il papà di sempre, sta sempre con me, mi parla, mi ascolta, è affettuoso … ma qui … qui è il professor Piton ed io non sono che un’allieva che tratta ancor più severamente delle altre!”
Lupin non poté non cogliere la lieve stizza della figlioccia a quelle parole. “E … la cosa ti disturba?” considerò. “A volte.” ammise lei, senza, però, aggiungere altro. “Allora chiedilo a tua madre: credo sia giusto fugare il dubbio, o no?”
“Non è importante.” scacciò Eileen con una smorfia. “Sì che lo è, lo è per te, lo vedo da come hai reagito.”
“Non riesco sempre a controllarmi, mi dispiace.”
“Non ti sto accusando, né lo farò, Eileen. Tuttavia, credo che domani sera dovresti parlarne con tua madre, approfittando dei colloqui con i genitori, magari …” sentenziò Lupin, estraendo una carta e scribacchiandovi sopra. “Cosa? Ma … non posso, zio Remus: ho compito di Incantesimi, devo studiare e …”
“Ti conosco troppo bene, so che sai già tutto e prenderai un’altra ‘E’ … ora conta risolvere una volta per tutte questa storia. E, dato che non lo farai volontariamente, immagino, ti allego anche il richiamo per Hermione da firmare in cui spiego cos’è successo … un richiamo non ufficiale ed informale che, tuttavia, richiederò come punto finale di questa storia, ci siamo capiti?”
Eileen annuì, prendendo entrambi i fogli con poco entusiasmo. “Ti ringrazio.” bofonchiò, alzandosi. “Eileen!” la fermò Lupin sulla soglia. “Non fidarti dei segreti: non fanno bene. Sono come veleno che uccide lento, io, che ne ho avuti fin troppi per anni, lo so meglio di te. Uccidono. E non dubitare mai dei tuoi genitori: sono tra le persone migliori che conosca.”
La Serpeverde annuì prima di sgusciare fuori dall’ufficio e svanire lungo i corridoi deserti della scuola.
“Secondo me, non sei abbastanza preparato.” sentenziò Scorpius, suscitando l’occhiata colma di disapprovazione dell’amica. Come tutti i pomeriggi dopo pranzo, erano seduti sotto un albero dalla chioma smeraldina dinanzi alla superficie piatta del Lago Nero, che rifletteva il verde che si tingeva di rosso, arancione e giallo tutt’attorno ed il placido turchese del cielo, attraversato da nubi bianche. Eileen, Albus e Scorpius avevano preso l’abitudine di andarvi già al primo anno per studiare, tempo permettendo.
“Infatti, non sono pronto per Incantesimi!” sospirò Albus, esasperato, gettando il libro a terra. “Vitious mi boccerà …”
“Non lo farà.” mormorò Scorpius, impassibile. “E come puoi dirlo, se non sono preparato?”
“Perché tuo padre è Harry James Potter, salvatore del mondo magico: non gli farebbero mai un torto del genere, a meno che i docenti non fossero Tassorosso e, dunque, troppo giusti per imbrogliare nelle correzioni!” esclamò, esasperato. “Ho capito, ma io intanto devo fare la verifica!”
“Santo Merlino, Albus: studia e vedrai che passerai, sono incantesimi facilissimi da descrivere!” sbottò Eileen. “Li abbiamo ripetuti milioni di volte …”
“Ma io non ne sono capace! Non so studiare e non so giocare a Quidditch … mamma e papà mi guardano come se fossi degenere! Se non avessi gli occhi della nonna mi avrebbero già fatto fare il test del DNA …”
“Non esagerare!” sorrise appena Scorpius. “Hai altre qualità, Al!”
“Non penso proprio: è tutto un ‘guarda com’è bravo James’! O ‘quanto sarà intelligente Lily’! Di me non citano neanche la casa, oramai …” bofonchiò. Eileen e Scorpius si scambiarono un’occhiata perplessa: era risaputo che Albus si sentisse costantemente inferiore a tutti e temesse ogni tipo di giudizio. Aveva pochissimo orgoglio e l’essere considerato la pecora nera della famiglia non aiutava …
“Io sono sicuro che i tuoi ti amano esattamente come i tuoi fratelli: è solo che li hai sconvolti!” spiegò Scorpius. “Capita. Ma non significa nulla …”
“Facile per te, che hai seguito le aspettative familiari, Scorp!”
“Mica tanto: nonno Lucius si aspetterebbe un po’ più di popolarità, forse …”
“Tuo nonno e basta, mica tutti! Forse ‘Leen può capirmi … tua madre come ha preso il fatto che tu sia finita a Serpeverde?”
La giovane fece spallucce. “A lei non interessa: dice che questa scaramuccia tra case è ridicola ed è durata fin troppo. E sono d’accordo con lei.”
“Però poi gioisce quando Grifondoro batte Serpeverde!” rise Albus. “E tuo padre s’incavola …”
“Sono fatti così, non posso farci niente!” sorrise debolmente Eileen. I due amici si guardarono prima che Scorpius si schiarisse la voce. “Come mai così laconica, ‘Leen?”
“Laco che?” chiese Albus, facendo sbuffare l’amico. “Niente, davvero: sto bene.” sospirò lei, esasperata. “Non dovete preoccuparvi per me, ma per Incantesimi …”
“Invece ci preoccupiamo per te: sei più importante di uno stupido compito!” obiettò Albus, appoggiandosi alla corteccia scheggiata dell’albero. “È ancora per la storia della Nott? Lupin ti ha messa in punizione o qualcosa del genere?”
“No, non mi ha neanche sgridata.”
“Santo Merlino, farei i salti di gioia, al posto tuo!” rise Albus. “Ma … la Nott …” sospirò Scorpius. “Mi stai chiedendo se ha ragione, se quello che ha detto è vero? Non lo so.” sbuffò Eileen, torturandosi l’orlo della gonna con un’unghia. “Davvero non lo so. Lupin dice che dovrei chiederlo alla mamma …”
“Ed ha ragione. Te l’ho detto: dovresti parlarne con lei.”
“Scorpius, non mi pare il caso di andare a chiedere queste cose ... anche se fosse, non mi riguardano!” sospirò Eileen. “Sei figlia loro, ti riguardano senz’altro! E, poi, chiedere fugherebbe ogni dubbio e ti farebbe stare meglio, saresti molto più serena!” annuì Albus. “Affronti sempre tutto di petto, ‘Leen … fallo anche stavolta!”
“Non è una cosa semplice da capire.” sbottò lei. “Io voglio molto bene ai miei, lo sapete, ma … beh …”
“Parlaci.” sentenziò Scorpius, distogliendo lo sguardo su una margherita secca. “Devi parlarci. Io darei qualunque cosa pur di parlare con la mamma un’ultima volta e non posso … tu, invece, puoi. Fallo … per favore.”
Non osò aggiungere altro né questionare ulteriormente il comportamento dell’amica, concentrandosi sul libro di Incantesimi in silenzio, ma sentì chiaramente su di sé lo sguardo compassionevole e colmo di tristezza dei suoi amici.


“Ma come non sapevi nulla di Ron? Seriamente?” esclamò Ginny, indignata. Hermione sospirò, lisciandosi l’elegante completo blu notte e scuotendo la lunga chioma castana prima di volgersi verso l’amica, facendo tintinnare i lunghi orecchini. “E come avrei potuto? Non lo vedo da mesi, neanche al lavoro! Credevo fosse impegnato con il divorzio …” rispose, lanciando un’occhiata all’amica: Ginny, nonostante gli anni trascorsi, caratterialmente non era cambiata di una virgola. Era ancora la ragazzina sfrontata, forte e sbarazzina che saliva su una scopa e gridava alle partite di Quidditch, anche se aveva dovuto abbandonare il suo ruolo di giocatrice con la nascita dei tre figli. La rossa si sistemò i corti capelli dietro le orecchie, stringendosi nella giacchetta di pelle prima di scuotere il capo. “Io l’ho saputo da un collega in redazione, figurati! Uno che si occupa del mago-tennis, tra le altre cose …” mormorò con una smorfia disgustata. “Hai qualcosa contro il mago-tennis?”
“Ma è ovvio: chi gioca a mago-tennis è notoriamente uno sfigato, Herm!” sbuffò la rossa. “Chi è la fortunata, comunque?”
“E qui viene il bello: Calì.” trillò Ginny, abbassando la voce per dare enfasi alla notizia. “Calì Patil?” esclamò l’altra, sgranando gli occhi nocciola. “Quante altre Calì conosci, Herm?”
“Ma … è amica di Lavanda! Come …”
“Era, infatti: hanno litigato all’ultimo anno. Lei e Ron si sono poi incontrati per caso a Londra un anno fa e da cosa nasce cosa … ora stanno insieme e Ron, ora, vorrebbe chiederle di sposarlo …”
“Addirittura! Beh, sono felice per loro.” commentò Hermione, guardandosi attorno: i corridoi di Hogwarts, quella sera, erano gremiti di maghi e streghe di vario tipo. Madri, padri, fratelli, zii e nonni si erano infatti recati ad uno dei due colloqui annuali con gli insegnanti, come sempre da quando la McGranitt, anni prima, aveva introdotto l’iniziativa prendendo spunto dalle scuole babbane.
“Anch’io … speriamo sia la volta buona! Ron ha sofferto tanto per la storia di Lavanda … più che per lei, per i bambini, in realtà. Sai, Rose non vuole più vederlo da quando Lavanda ha detto che l’ha tradita …” proseguì Ginny, osservando la porta dell’aula dove riceveva Vitious aprirsi di scatto. “Rose è piccola, Ginny, anche se crede di essere grande: crescendo, capirà e si pentirà di non essere stata più comprensiva con suo padre.” sospirò Hermione. “Anche tua figlia è piccola, più piccola di Rose, persino, ma parla già come una psichiatra del San Mugo, quando le si chiede la sua opinione su qualcosa o qualcuno!” obiettò Ginny, facendo spallucce. “Eileen è diversa dalle altre, lo è sempre stata e non solo per i poteri magici che ha ...” annuì la strega, divertita dal paragone. “Infatti lo è, soprattutto per il carattere che, guarda caso, ha ereditato da te e dal suo amabilissimo marito …”
Hermione alzò gli occhi al cielo. “Mi preoccuperei più per te, che dovrai avere a che fare con Lily Luna … già promette di assomigliare molto sia a te che ad Harry, in termini di ostinazione!”
“Ah, la cosa non mi spaventa: sono una Weasley, so badare a tre ragazzetti in crisi! Mia madre c’è riuscita con sette, figurati! A preoccuparmi, semmai, è la media di Albus! Quel ragazzo è così … diverso da me!”
“Assomiglia ad un lato di Harry che pochi conoscono.” le concesse Hermione. “Hai già finito i colloqui?”
“No, mi mancano Neville, Binns ed il tuo amabilissimo marito, che mi liquiderà dicendo di aver generato due idioti, come l’anno scorso … toglimi una curiosità: devi fare il colloquio anche con lui?”
“No, ho appena finito in realtà: Neville era l’ultimo, per me. E l’unica ad avermi parlato male di Eileen è la nuova insegnante di volo … è negata con la scopa!”
“Beh, non potrà mica essere perfetta in tutto no?” rise Ginny. “Come te la passi, per il resto, Herm?”
“Abbastanza bene, nonostante sia parecchio indaffarata: Cormoran si è licenziato perché si sposa, va a vivere in Alsazia. E, finché Madame Florish non trova un valido sostituto, tocca a me sopperire, sicché praticamente vivo lì. Come se non bastasse, c’è da scrivere il prossimo libro della saga …”
“Ancora questo Harry Potter? Harry lo detesta.” rise Ginny. “È straordinario come sei riuscita a confondere i babbani facendo loro credere che fosse stata questa J.K. Rowling a scrivere la saga!”
“C’è un preciso accordo sulla divisione dei profitti tra me e lei: a lei le grane di popolarità e gli interventi nei talk show dei babbani, a me quelli del mondo magico. Quando un libro ha un successo tanto impattante, gestire la popolarità che ne segue può diventare … beh, complicato … e francamente ho già avuto abbastanza complicanze, ultimamente.” spiegò la Grifondoro, incrociando le braccia. “Hai fatto bene. Come mai aspetti qui anche se non devi più parlare con nessuno, scusa?”
“Aspetto Severus.”
“Ah, certo!” sorrise maliziosamente Ginny. “Non pensare sempre male!” sbuffò Hermione, trattenendo una risata. “Vedo mio marito e mia figlia solo dal venerdì sera alla domenica sera, è frustrante … certo, durante la settimana riesco a lavorare con calma, ma, a volte, vorrei solo che, a fine giornata, fossero con me, ecco tutto …”
“Trovati un amante, se ti senti sola!” rise Ginny. Hermione le rivolse un’occhiataccia. “Non mi serve un amante!”
“Santo Merlino, quanta incrollabile fedeltà … è questo che mi stupisce di voi, sai? Siete la relazione più criticata e grottesca (e no, non fare quella faccia, sai anche tu che è così!) del mondo magico degli ultimi vent’anni, eppure siete felici, non riuscite a stare senza l’altro, mentre altre coppie apparentemente perfette, come Ron e Lavanda o Cho Chang e Dean Thomas … beh, sono scoppiate …”
“Anche la tua storia viene spesso presa come esempio di grande amore, sai? Hai continuato ad amare Harry anche dopo che ti aveva lasciata, o sbaglio?”
“Sì, ma si parla di decenni fa, Herm, di quando eravamo due ragazzine orribili che sbavavano dietro a due ragazzini altrettanto orribili e quello che ora è tuo marito era il nostro bastardo ed arcigno professore …”
“È vero anche questo.” sorrise Hermione. “Pensi mai a quante cose sono cambiate da allora?”
“Ogni volta che vedo te ed il tuo amabile marito fare il vostro ingresso a braccetto alla Tana per gli auguri di Natale: è da quando me l’hai detto che non faccio che pensare a quanto siano cambiate le cose, Herm!”
“Mamma …”
Il suono di quell’unica, flebile, parola ebbe il potere di catturare tutta l’attenzione di Hermione. “Eileen!” esclamò, volgendosi e sorridendo alla figlia che, smessa la divisa da Serpeverde, sfoggiava jeans, ballerine nere ed una giacca scura. Teneva le braccia incrociate al petto e sorrideva appena. “Ciao, mamma … ciao, zia Gin.” sorrise. “Ciao … stavamo giusto parlando di te, sai? Come va?” sorrise la rossa. “Bene, grazie e tu?”
“Non c’è male, sì. Mio figlio si comporta bene o dovete minacciare l’Ardemonio per farlo studiare? A casa io lo faccio …”
“Sta … tentando di impegnarsi.” sospirò Eileen. “Senza grandi risultati, ma, perlomeno, ora si sforza.”
“Ha problemi in tutte le materie, ma soprattutto in Storia della Magia … basterebbe studiare! Ma non importa, avrete altro di cui parlare, vi lascio … ci vediamo, Herm, ti tengo aggiornata sul gossip! Ciao, Eileen!” sorrise Ginny prima di allontanarsi. “Quale gossip?” domandò Eileen, dubbiosa, mentre la madre la conduceva lontano dalla calca dei genitori. “Zio Ron vorrebbe risposarsi con Calì Patil.” spiegò Hermione. “Spero solo che per lui che sia la volta buona: ne ha passate tante, meriterebbe un po’ di serenità ...”
“Senza dubbio.” annuì Eileen. “Anche per Rose ed Hugo. A proposito di tormenti, ci sarebbe questa piccola cosuccia …” mormorò, allungandole la busta che Lupin aveva preparato per lei. Hermione la fissò, sconcertata, prima di afferrarla ed aprirla con dita tremolanti. Lesse il richiamo informale tutto d’un fiato per poi rileggerlo daccapo, considerato che non riusciva a credere fosse reale. “Ma … ma cos’è successo, Eileen? Non è da te contravvenire alle regole scolastiche! Perdipiù a Difesa contro le Arti Oscure … papà lo sa?” biascicò una volta terminato, sconvolta. Eileen si strinse nelle spalle. “Papà non sa niente: è un richiamo informale, zio Remus l’ha fatto più che altro per permettermi di parlare con te più facilmente …”
“E perché? Cos’è successo?”
Erano oramai giunte lontano dall’area colloqui, in un lungo corridoio deserto le cui finestre arcuate mostravano la Foresta Nera in tutto il lucente splendore di quella sera rosata ed aranciata. Eileen si allontanò dalla madre per appoggiare i gomiti al davanzale, sospirando. “Amanda Nott. Mi prende in giro praticamente da sempre, è vero, ma … beh, alla lezione sui mollicci ha esagerato. Credo. Non l’ho fatto apposta, è stata una di quelle magie involontarie … le è sparita la bocca.” raccontò, senza guardarla. “Ma lei cosa ti aveva detto?” indagò Hermione, raggiungendola. Eileen soppesò brevemente le parole da usare e, alla fine, decise che la sincerità era la cosa migliore. “Ha detto che sono figlia del Mangiamorte e della puttana.” sussurrò appena. “E che tu ti sei … beh, diciamo … diciamo che gli hai dato qualcosa per avere bei voti, quando eri una sua studentessa. Io non ci credo, è ovvio, ma … ecco, vorrei sapere se forse Amanda potrebbe aver frainteso o …”
“Vuoi sapere se è vero, ho capito.” sospirò Hermione. “Lo capisco … sapevo che si sarebbe arrivati a questo punto, prima o poi. È una cosa che parte già dalle elementari, vero?” considerò, osservando gli occhi bassi della figlia, identici a quelli di Severus, anche se più espressivi, quasi liquidi. Eileen annuì. “Sì, ma potevo anche capire … voglio dire, avete una grande differenza di età, lo so e sembrava strano ed indecente a molti, ma … ci stava, almeno per me, perché eravate mamma e papà. Però quella che ha detto Amanda …”
“Ti ha turbata.” indovinò Hermione, giocherellando con il bordo della giacca. “Lo capisco. Io te ne avrei parlato già da un pezzo, ma papà era contrario, sai? Come al solito … era prevedibile che sarebbe successo, però: i ragazzini sanno essere crudeli, soprattutto a quell’età!”
“Perché Mangiamorte e … hai capito? Cioè, voglio dire …”
“Ci sono tante cose che non sai, Eileen.” annuì la madre. “Ma credo che del Mangiamorte tu sappia quello che c’è da sapere.”
La giovane Serpeverde annuì: suo padre le aveva raccontato tutto l’anno prima, senza edulcorare nulla. Anche se aveva solamente dodici anni quando per la prima volta qualcuno le aveva dato della schifosa Mangiamorte … e Severus aveva sentito tutto. L’aveva presa in disparte e, nel silenzio dell’aula di pozioni, le aveva raccontato tutto. Dei suoi genitori, di come si fosse perso dopo aver perduto Lily, di come si fosse avvicinato a Voldemort e del suo ruolo di spia per salvare Harry Potter. Lei aveva ascoltato senza dire una parola e, alla fine, non l’aveva giudicato per neanche una delle azioni che aveva commesso, limitandosi ad abbracciarlo vedendo che lui evitava il suo sguardo: lo capiva, in un certo senso. Aveva avuto una vita così ingiusta che, forse, al suo posto, avrebbe reagito anche lei allo stesso modo …
A ripensarvi ora, era ironico come la nomea di Mangiamorte le sembrasse un nonnulla in confronto a quello che diceva Amanda.
“Papà ed io ci siamo conosciuti ad Hogwarts: lui era il professore di Pozioni ed io una studentessa, è vero. Ma posso garantirti che qui non è accaduto nulla di anche solo lontanamente sconveniente tra me e lui … papà, all’epoca, era perso nel rimpianto e nel rimorso, rischiava la vita ogni giorno e desiderava soltanto sparire e lasciarsi tutto alle spalle, mentre io ero una ragazzina un po’ saccente che si preoccupava di studiare più che poteva e di piacere a Ron Weasley.”
Hermione sorrise al ricordare quei tempi. “Le cose sono cambiate dopo la guerra, quando papà è sopravvissuto ed io ho deciso che dovevo essere io a decidere il mio destino … ci siamo avvicinati per una missione che il Ministero ci aveva affidato e ci siamo trovati: entrambi introversi, emarginati per il loro carattere, amanti dei libri e con due caratteri abbastanza testardi ed orgogliosi. Era prevedibile che accadesse qualcosa, nonostante i trascorsi non proprio idilliaci … ed infatti è successo. Ma io avevo vent’anni e lui quaranta …”
“E come ti sei innamorata di lui?”
“Vuoi la verità? Non ne ho idea: è successo e basta. L’ho visto per chi realmente è, semplicemente …”
“Non … mi hai mai parlato di trascorsi non proprio idilliaci.” constatò Eileen. “No, è vero, ma ci sono stati: tuo padre, quand’ero una sua studentessa, mi detestava. Sul serio. Mi dava dell’irritante, insopportabile e saccente so-tutto-io, l’unica cosa che gli importava era farmi fare brutta figura e mettermi pessimi voti.”
Eileen abbozzò un sorriso. “Diceva sempre che mi avrebbe tagliato quella mano, se avessi continuato a tenerla alzata …” rise Hermione. “Ed una volta mi ha persino fatto piangere, per i miei denti.”
“Davvero?”
“Chiediglielo, se non ci credi!”
“Non riesco proprio ad immaginarmelo … papà s’infuria se qualcuno ti insulta! Non gliel’ho detto anche per questo …”
“Sei sicura che fosse solo per questo?”
Eileen sospirò. “È che … è strano: a scuola mi tratta come tutti gli altri, forse ancor più severamente, pretende tantissimo da me. A casa è sempre papà, ma qui …”
Hermione le accarezzò i capelli, stringendola lievemente a sé. “Non devi mai dubitare di quanto ti amiamo, Eileen: sei la cosa più importante per noi. Nonostante tutto. Papà ti ama ed anch’io. Non eri prevista, te lo confesso, dato che siamo in vena, ma non so davvero cos’avrei fatto senza di te nella mia vita.”
Eileen si strinse alla madre, espirando, rincuorata. “Grazie, mamma.”
“Mi prometti che parlerai con Remus di queste prese in giro, almeno?”
“Non so se …”
“Devi.” la interruppe Hermione. “E siccome so che con papà non ne avresti il coraggio, promettimi almeno che lo farai con lui … d’accordo?”
Eileen annuì. “Va bene.”
“Bene. Ora va’, è tardi e domani hai una verifica importante, su: ci vediamo venerdì!”
“Sì … buonanotte!” sorrise la Serpeverde, abbracciandola di slancio prima di voltarsi e sparire nei corridoi, il cuore decisamente più leggero.

“Merlino, stai scherzando, spero!” esclamò la voce di Severus. Hermione, stesa sul divano delle stanze private del marito ad Hogwarts, sospirò. “Non direi.” ammise, girando pagina al romanzo che stava leggendo avidamente. “Eileen temeva davvero che … per Salazar! La Nott la pagherà …”
“Severus, era esattamente quello che Eileen voleva evitare!”
“Ma continuerà a prenderla in giro!”
“Non lo farà e, in ogni caso, nostra figlia sa cavarsela benissimo, non preoccuparti per lei: è forte ed è in gamba, l’hanno tutti i tuoi colleghi!”
“Ah beh, certo, ora diamo pure retta ai babbei …” bofonchiò Severus, tracciando l’ennesima D sui compiti che stava correggendo. “Tra quei babbei ci sei anche tu, devo ricordatelo?”
“No, ma … ha davvero creduto che fossi un depravato?”
“Non l’ha mai pensato, è solo rimasta turbata da una sciocchezza detta da una compagna di scuola, niente di che! Quante volte è successo a noi?”
“A lei non deve succedere.”
“La cosa che più la infastidisce, se vuoi saperlo, sei tu.”
“Io?” esclamò Severus, sbarrando gli occhi. “Sì, tu ed il fatto che a scuola la ignori ed a casa sei l’opposto!”
“Devo mantenere un certo riserbo, sono un professore, perdio!”
“E nessuno ti sta dicendo il contrario, solo … non devi per forza trattarla come tutti gli altri anche fuori dall’aula … capisci cosa intendo? Falle sentire che ci sei, fuori dall’orario di lezione … ne ha bisogno, sembra una roccia, ma è anche profondamente insicura, lo sai …” asserì Hermione, arricciando una ciocca di capelli mentre parlava e leggeva. Severus sollevò lo sguardo a fissarla: appena si erano visti dopo i colloqui, lei si era precipitata in doccia sostandovi per un tempo eccessivamente lungo, a suo parare ed uscendone in una nube di muschio bianco. Aveva indossato frettolosamente la camicia da notte e la vestaglia prima di mettersi a leggere poco prima che lui iniziasse a correggere le verifiche di Corvonero del secondo anno. Preso com’era da Eileen e da tutti i suoi mille problemi, nonché dallo stress della giornata e dello stuolo di madri frignanti e disperate per l’andamento dei figli in Pozioni, aveva a malapena guardato Hermione, rendendosi conto solo ora che, dopo mesi, fossero insieme, soli e tranquilli con la profondità del Lago Nero a far loro da sfondo ed il fuoco a scoppiettare nel camino. “E, così, ti ha chiesto perché ti sei innamorata di me …” sogghignò, iniziando a correggere l’ennesimo compito. Hermione fece spallucce. “A dire la verità, non lo so neanche io.”
“Ma davvero?”
“Perché, tu sai perché ti sei innamorato di me?”
“Perfettamente.” sogghignò, abbandonando il tema per alzarsi e raggiungerla. “Perché sei petulante, saccente ed irritante …” mormorò, sedendosi di fronte a lei ed attirando, finalmente, la sua attenzione. “Ma anche bellissima, comprensiva, forte, tenace ed intelligente. Perché sei tu, in una parola … l’hai detto ad Eileen?”
“No.” sorrise lei, chiudendo il libro per raggomitolarsi al marito, godendosi la familiare sensazione delle sue braccia che l’avvolgevano e del suo profumo sulla pelle. “Ma, in effetti, credo che possa esserci arrivata da sola … ha la nostra intelligenza!”
“È per quella che ti sei innamorata di me?”
“No, è stato … tutto l’insieme. Lo scoprire che eri diverso da come credevo, da come credevamo tutti …” gli sorrise, sfiorandogli delicatamente la cicatrice sul collo: erano passati anni, ma ancora gli doleva, a volte, lo vedeva, così come vedeva il ribrezzo di chiunque la guardasse. “L’importante è che Eileen abbia capito e sia serena, il resto per me non conta.” sentenziò Severus, sovrappensiero. “Non conta neanche per me … è per questo che non dovremmo pensarci, no? Ricordi la nostra promessa, il giorno prima del matrimonio e quando è nata? Basta parlare del passato: viviamo nel presente, non ci serve altro!” sorrise prima di baciarlo alla fulgida luce del caminetto scoppiettante.

Angolo Autrice:
Premetto che non sono affatto soddisfatta di questa one-shot, anzi, non mi piace nemmeno molto! Unica cosa, il rapporto tra Severus ed Eileen verrà sicuramente approfondito più avanti, c’è ancora molto da dire su di loro …
Ad ogni modo, ringrazio chiunque passi di qui, davvero!
Alla prossima!
E.

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Capitolo 5
*** Soluzione Scintillante ***



5.
Soluzione Scintillante

[Pozione di facile distillazione, viene usata per evocare scintille su oggetti, persone, animali e luoghi.]
“Sono orribile, assolutamente orribile!” esclamò Hermione, sbuffando sonoramente di fronte al vetro della finestra. Severus, intento a leggere il giornale in poltrona, le rivolse un’occhiata obliqua: quel pomeriggio, la giovane Grifondoro era particolarmente inquieta. La notte prima non aveva dormito a causa della febbre che le era risalita ed ancora non era decisamente in forma. Severus, dal canto suo, aveva sfogato il suo nervosismo nell’unico modo che conosceva: denigrando. Dopo aver trascorso la mattinata ad insultare innocenti Corvonero e Tassorosso del primo anno per un’elementare pozione a suo dire malriuscita, aver assegnato quantità imbarazzanti di compiti ai Grifondoro ed aver rovinato persino i programmi dei suoi adorati Serpeverde annullando ogni allenamento di Quidditch in programma per quel mese, non contento, aveva cacciato malamente Lupin, dato della vecchia bacucca a Minerva e rifiutato persino di vedere Hagrid … tutto pur di non subire i sorrisini sornioni e le domande non richieste sulle condizioni di Hermione.
Tornato a casa dopo una spesa in cui aveva saltato la fila e confuso un’irritante vecchia, come se non bastasse, Severus, accertate le pessime condizioni della moglie, aveva insistito per restare a casa con lei, ma Hermione non aveva voluto sentire ragioni, motivo per cui, ora, nel bel mezzo di una piovosa giornata, in completo babbano e nel dolcevita, entrambi neri, stava aspettando sua suocera Jean per andare a fare compere per il bambino nella Londra babbana. Una scena per lui aberrante che non avrebbe mai pensato di sperimentare. Men che meno con Hermione che sbraitava ed inveiva stizzita contro gli specchi.
“Non dire idiozie.” replicò all’ennesimo commento della moglie, sollevando lo sguardo a fissarla: tutto si poteva di Hermione Granger, tranne che non fosse bella. Anche in quel momento, nella camicia da notte azzurra e nella vestaglia bianca, con la pancia sempre più tonda e prominente ed il viso pallido, per lui era quanto di più meraviglioso esistesse. Peccato che lei non fosse dello stesso parere: da sette mesi si lamentava incessantemente di essere grassa, spenta e di decine e decine di difetti che Severus non riusciva a vedere pur sforzandosi.
“Non sono idiozie.” replicò lei, osservando le gocce di pioggia colare lungo i vetri prima di accasciarsi sulla poltrona con uno sbuffo. “È la verità. Ma, del resto, non mi aspettavo niente di diverso, mi avevano detto che più avanti sarebbe andata e più sarei stata male … solo, pensavo che mi desse un po’ di tregua!”
“Il feto è come una sorta di sanguisuga magica.” spiegò mollemente Severus. “È estremamente potente, ma, al momento, non possiede tutta la forza necessaria e dunque assorbe da te la magia e …”
“Lo so, non serve che me lo ripeti! Io vorrei solo che nascesse!” sospirò Hermione, vagamente esasperata. Piton non replicò, limitandosi a fissarla mentre, sconsolata, prendeva la tazza di tè che le aveva preparato e se la portava alle labbra, accarezzando Grattastinchi.
Severus la fissò: era visibilmente spossata. Del resto, era da cinque o sei mesi che se ne stava in casa, in preda a nausee continue, febbre alta, svenimenti ed emicranie. Usciva di rado, perlopiù su insistenza sua, che si era risolto persino a portarla a Grimmauld Place pur di farle prendere un po’ d’aria. Naturalmente, questo non giovava affatto al suo umore: scoppiava spesso a piangere per cose ridicole, come aver rotto un piatto o una boccetta d’inchiostro e non voleva assolutamente guardarsi allo specchio, ritenendosi brutta e grassa. Severus tentava di consolarla in ogni modo, ma non era facile, soprattutto per uno come lui, abituato più a denigrare che a lodare e perché sapeva perfettamente che buona parte di quella disperazione era colpa sua. L’aveva lasciata praticamente sola ad affrontare una cosa sconvolgente come la gravidanza, del resto: era stato lui ad essere sempre freddo e distaccato riguardo al nascituro, ad evitare il più possibile l’argomento ‘gravidanza’ ed a tenersi il più possibile lontano da ogni decisione riguardasse il bambino. Aveva cercato di aiutarla e di starle vicino, ma non era bastato ed Hermione, in uno sfogo di rabbia, gliel’aveva fatto notare con strepiti e pianti. Da allora, Severus aveva tentato di prendere parte a quel fenomeno che gli risultava terrorizzante, inspiegabile ed estraneo, ma senza grandi risultati. Aveva così paura di tutto quello che sarebbe potuto accadere tra soli due mesi che oramai si sentiva al sicuro solo quando insegnava ad Hogwarts e poteva dedicarsi esclusivamente al lavoro, senza pensare alla mastodontica prova di pazienza che lo attendeva a casa. Ed ora, a culminare il tutto, c’era lo shopping con Jean Granger. Non sapeva se sarebbe sopravvissuto per veder nascere suo figlio, francamente …
Il trillo del campanello lo fece sobbalzare. Quando aprì e si ritrovò dinanzi l’entusiasta e sorridente Jean, con i capelli castani dalle spalle arricciati dall’umidità e gli occhi ridenti, riuscì quasi a sentire la stessa nausea di Hermione. “Buon pomeriggio, Jean.” la salutò, lasciandola passare. “Ciao, Severus. Allora, dov’è la nostra futura mamma?” esclamò, entrando in salotto. “Qui.” grugni Hermione dal divano. “Tesoro, santo cielo, cos’hai? Sei pallidissima …”
“Ho dormito poco, avevo di nuovo la febbre, mamma … tutto nella norma.”
La donna annuì, guardando appena Severus, che già presagì l’arrivo di un interrogatorio in piena regola. “Sei sicura di voler restare sola?”
“Sto cercando di convincerla da stamattina, ma non vuole sentire ragioni.” sospirò Piton. “Andate, non sono mica malata e c’è Grattastinchi con me: me la caverò, su!” confermò Hermione con un gesto stizzito. Jean sospirò, annuendo. “Che colore prediligi per le tutine? Giallo, verde …”
“Qualcosa che non ricordi i colori di Hogwarts o tutti cominceranno con le loro previsioni …” sbottò la giovane. Severus, cogliendo la sua frustrazione, si avvicinò cautamente, sfiorandole un braccio. “Hermione, avanti, ti accompagno di sopra … sei stata fin troppo in piedi, oggi!”
“Ma sto benissimo, quante volte devo ripeterlo? Non sono malata …” protestò lei, salvo doversi aggrappare al braccio del marito appena alzatasi per non cadere. “Sicuro, lo vedo … non essere testarda per una volta e vieni, su!” proruppe lui. La Grifondoro lo guardò in modo quasi omicida mentre lo seguiva in camera. Piton l’aiuto meccanicamente a stendersi e le lasciò la vestaglia accanto al letto con la bacchetta. “Per qualunque cosa, anche la più stupida, non esitare a chiamare.” sospirò, posando il tè sul comodino prima di rimboccarle le coperte e darle un bacio sulla fronte. “Divertitevi.” bofonchiò lei in tutta risposta, rigirandosi nel letto sino a dargli le spalle. Severus non osò replicare, limitandosi a chiudere le tende ed a scendere le scale.
Jean lo stava aspettando con uno sguardo strano. “Possiamo andare.” borbottò il professore, infilandosi il cappotto scuro prima di avviarsi sotto il diluvio in un religioso silenzio carico di parole non dette.
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Severus Piton detestava profondamente la società e le persone in generale, che trovava, chiassose, esagerate, eccessivamente felici ed entusiaste di tutto, nonché particolarmente stupide ed era cosa ben nota a chiunque lo conoscesse. Il centro commerciale era, dunque, per lui l’apoteosi del male, forse persino più dell’Oscuro Signore in persona, con quei vecchietti che sostavano ore al bar, le famiglie dai figlioletti ululanti in gita e le coppiette che si scambiavano effusioni in ogni angolo. Temeva così tanto di andarci che aveva quasi tremato per tutto il tragitto in treno e poi in metro per arrivare a Londra dalla sperduta Cokeworth. Fortunatamente per lui, sua suocera non era fastidiosa quanto il marito, che parlava sempre ed adorava la compagnia ed era rimasta zitta per quasi tutto il viaggio prima di condurlo nelle botteghe e nei negozietti per neonati di Notting Hill sotto una lieve pioggerella che a Severus parve quasi catartica. Per ben due ore avevano scelto ciucci, calzine, scarpine, vestitini e tutine di ogni genere, sonagli, biberon e morbide copertine. Al vedere tutti quei gattini, pulcini, coniglietti e qualunque cosa fosse possibile volgere al vezzeggiativo, a Severus era seriamente venuta la nausea: si era limitato a pagare in silenzio, lasciando che fosse sua suocera a discutere, chiedere e, soprattutto, scegliere. Solo al terzo negozio si era permesso una parola per evitare un orrido body con degli anatroccoli gialli e Jean l’aveva guardato come se si fosse resa conto solo allora che esistesse. L’unica cosa che aveva scelto e comprato personalmente, paradossalmente, era anche la più costosa ed assurdamente sontuosa, proprio il genere di cose che, normalmente, avrebbe detestato: un cavalluccio a dondolo finemente intarsiato che aveva abilmente ridotto ed infilato nelle borse che si trascinavano dietro appena usciti dal vecchio negozio di giocattoli.
“Dove andiamo, adesso?” aveva chiesto, esausto, preparandosi ad un altro sfinente tour di chissà quali altre diavolerie neonatali. Sorprendendolo, però, Jean aveva fatto spallucce. “A bere un caffè, direi! Non sei stanco, dopo tutti questi giri? Io tantissimo, sono abituata a starmene tranquilla in studio a togliere carie e fare impianti, sai?” aveva sentenziato senza lasciargli alcuna possibilità di replica.
Ed era proprio al tavolino di vimini della terrazza esterna di un bar circondato da edere e gelsomini che Severus sedeva in quel momento in attesa che sua suocera ordinasse al bancone, accerchiato da borse colme di oggetti per bebè. I suoi profondi occhi neri guardavano la strada, i passanti e gli spruzzi delle auto che colpivano le pozzanghere, vacui, assenti e gelidi. Non aveva mai pensato di avere una vita normale, neanche da bambino e forse per questo detestava tutte le persone che conosceva e che, invece, l’avevano e ne erano addirittura contenti: aveva sperato di essere felice quando aveva conosciuto Lily, certo, ma dopo, dopo quel ‘schifosa sanguemarcio’ e la morte di sua madre, dopo che aveva prestato giuramento all’Oscuro Signore ed aveva iniziato ad agire come Mangiamorte, no. Pensava e sperava che sarebbe morto proteggendo il figlio di Lily, donando la vita all’unica donna che avesse mai amato, senza più ragazzini stupidi a cui insegnare, colleghi invadenti, missioni sul filo del rasoio, vecchi maghi squinternati a dargli ordini e notti di rimpianto, terrore e rimorso. Non immaginava certo di sopravvivere, tra l’altro non per sua scelta, di scegliere quasi volontariamente di continuare ad insegnare, né, tantomeno, di scoprire cosa significava amare davvero qualcuno a quarant’anni, men che meno la più saccente so-tutto-io Grifondoro che esistesse, Hermione Jean Granger. Erano fin troppi cambiamenti tutti insieme e forse per questo si era illuso che fosse tutto lì. Di certo non si aspettava un matrimonio ed un figlio … no, quella decisamente era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato. Credeva che la sua felicità sarebbe rimasta sempre e solo Hermione, a quel punto, dopo aver amato per vent’anni una donna morta che non l’aveva mai voluto neanche da viva: la sola idea di separarsi da lei lo faceva impazzire, era il suo ossigeno, la sua vita, il suo tutto … eppure, la stava perdendo. Lo sapeva, lo sentiva e lo vedeva. Ed era soltanto colpa sua … perché non era capace di essere felice.
“Eccoci qui.” sorrise Jean, ridestandolo dai suoi pensieri e posandogli di fronte un caffè nero senza zucchero, amaro come lui. Severus si lasciò sfuggire un mezzo sorriso al vedere l’enorme cappuccino dentro cui la suocera stava versando due bustine di zucchero. “Perché ridi, Severus?” domandò lei, notandolo. “Perché Hermione lo prende allo stesso modo.” mormorò il professore, incupendosi appena, tanto da risultare quasi quello di sempre. “Immagino che tutti questi acquisti ti abbiano nauseato …” proseguì Jean, stringendosi nel soprabito beige per ripararsi dal fresco venticello di ottobre. “Non più di quanto sia normale per i miei … standard.”
“Lo immaginavo. Come … come funziona tra voi … magici? Per curiosità!” domandò con una smorfia. “Come funziona cosa?”
“I figli.”
“Solitamente i maghi si sposano molto giovani con amici d’infanzia e tendono ad avere le famiglie numerose. Ma questo riguarda i purosangue: mezzosangue come me o nati babbani come Hermione si assimilano al modello umano.” spiegò Severus seccamente. “Hermione è un’eccezione. Come lo è in tutto.”
“C’era da aspettarselo, da lei!” sorrise Jean, orgogliosa come solo una madre poteva essere della figlia. Come Severus non sarebbe mai stato capace di essere nei confronti del suo bambino … perché, che lo negasse o meno, era anche suo.
“Posso … posso essere sincera con te, Severus? Per il bene di Hermione?” domandò la suocera, tossicchiando. Il Serpeverde la fissò, imperscrutabile, prima di annuire. “Sono preoccupata per lei.” sospirò Jean. “Molto preoccupata. Sta sempre male, questo lo so ed ho capito perché è normale, ma quello che davvero mi preoccupa e m’inquieta è che … beh, che sta come appassendo. Una donna incinta dovrebbe splendere di gioia, mentre lei sembra sfiorire ed io non so cosa fare onestamente … tu …”
“È colpa mia.” la anticipò Severus prima che potesse concludere, dando finalmente sfogo a quelle autoaccuse che gli premevano sulla lingua da mesi e mesi. “Soltanto colpa mia. Prenditela con me se è infelice ed appassisce …”
“Lo so bene.” replicò lei, guadagnandosi la totale attenzione del professore, che, quasi con aria di sfida, si appoggiò allo schienale della sedia, giocherellando con il cucchiaino. “Hermione deve avervi raccontato tutti i nostri problemi, immagino … non sa mai stare zitta.” sospirò. “Non a Robert, né alle sue amiche: solo a me.” spiegò Jean, stupendolo lievemente. “La mamma è sempre la mamma, lo capirà presto anche lei. Comunque, so tutto.”
“Tutto cosa?” sibilò Severus, quasi stizzito da quella lieve presunzione. “Tutto. Che il bambino non era programmato, anzi: è stato una leggerezza. O sbaglio? Era San Valentino, c’era stata una festa ad Hogwarts ed avevate bevuto entrambi …”
Inspiegabilmente, nel sostenere lo sguardo vagamente divertito della donna, Piton ebbe un lieve fremito di irritazione. “Ma che, ciononostante, Hermione lo voleva, da sempre. Ha un po’ la sindrome della …”
“Crocerossina.” completò Severus, strappando un sorriso alla suocera, che annuì. “Esattamente. Quindi figurati se non vuole un bambino da spupazzare ed amare alla follia … come vi amate voi due.”
Quelle ultime frasi fecero alzare un sopracciglio al professore. “Beh, dopo tanti anni, mi pare innegabile!” sospirò Jean. “Io e Robert non l’abbiamo digerito subito, certo, ma non possiamo che arrenderci all’evidenza. L’hai trattata bene in questi cinque anni, Severus, davvero, non l’ho mai vista più felice di così e, alla luce di quanto la mia bambina sia contenta … beh, siamo felici che abbia scelto te. Tu la capisci e la fai stare bene.”
“Ma? Perché immagino ci sia un ‘ma’ …” sussurrò con appena un filo di voce il pozionista. “Non ci sarebbe, teoricamente. Anche ora che è incinta, ti sei comportato come un vero gentiluomo … vi siete sposati, no? L’avreste fatto comunque, forse, anche se con i vostri tempi. Un figlio deve sugellare un legame che già c’è ed è forte tra due persone, dopotutto. L’unica differenza sostanziale tra di voi è che tu non volevi assolutamente questo bambino … o sbaglio?”
“No, infatti no.” ammise rigidamente, teso eppure curioso di dove volesse andare a parare. “Hermione mi ha raccontato tutto anche di questo.” sospirò Jean, spostandosi una ciocca di capelli dal viso. “E non l’ha fatto con cattive intenzioni, anzi … aveva solo bisogno di sfogarsi. Teme che la lascerai perché non vuoi diventare padre.”
“Cosa?” esclamò Severus tanto forte da far voltare altri clienti lì vicino, il cuore che gli galoppava nel petto, attanagliato dal terrore: ecco dove voleva arrivare Jean Granger da quando aveva aperto la porta. Non voleva che facesse soffrire la figlia … ed Hermione aveva la sua stessa paura. Possibile che il suo lato oscuro, quel lato che credeva di aver domato, riuscendo persino a rispondere gentilmente a Lupin e Minerva quando venivano a disturbarlo nel suo laboratorio, facesse ancora così paura? Possibile che non fosse lui l’unico a vedere ancora del sangue sulle sue mani?
“Come può anche solo aver pensato una tale scemenza?” proseguì a voce più bassa. “È arrivata a pensarlo perché, secondo lei, non t’importava del bambino. Di lei sì, non ha mai mancato di dirmi che l’aiuti e l’accudisci più che puoi, ma non spendevi una parola né un gesto per vostro figlio. Tuo figlio. Non sai quanto ha pianto per questo. Ultimamente la cosa è un po’ migliorata, dice, ma ancora ha paura …”
Severus sospirò, torturandosi la base del naso: era stanco, talmente stanco che l’unica cosa che avrebbe voluto era fuggire il più lontano possibile da tutto, dalle verifiche da preparare, dalla scorta di pozioni da rifornire, dalle ridicole lezioni trasversali di Minerva e da una moglie emotivamente sfinita a causa sua, l’ennesima vittima nonché la seconda che non intendeva causare. Non era abituato a sentire le congratulazioni non richieste degli studenti, a cui rifilava una T come risposta e dei colleghi, che scacciava malamente per rinchiudersi nel suo ufficio a fissare il vuoto e chiedersi perché, ora che aveva la felicità che tutti cercavano, si sentisse ancora in quel modo, incompleto, stanco, indegno. La sua unica fonte di gioia, in cinque anni, era stata Hermione, con il suo radioso sorriso … ma ora neanche lei sembrava riuscire ad amarlo. Aveva fatto ciò che più temeva: aveva spento la sua luce come un soffio di vento su una candela. Già lo odiava, figurarsi quanto lo avrebbe odiato il bambino! Avrebbe visto un uomo freddo, incapace di amare, con le mani insanguinate e le ombre a tormentare ogni sua notte e si sarebbe chiesto come avesse potuto amarlo sua madre. E lui? Avrebbe sopportato altri rimpianti, altro rancore? Perché questo era quello che aveva ricevuto in quarantacinque anni ogni volta che si era affezionato a qualcuno: odio. Era stanco, aveva avuto la sua colpa ed anche la sua redenzione: voleva solo vivere serenamente, in pace. Perché allora gli era capitato questo? Perché un figlio, a lui, che odiava i bambini ed era decisamente troppo vecchio? C’erano persone che volevano ardentemente diventare genitori e non ci riuscivano, mentre a lui, che non lo voleva affatto, era bastato aver bevuto un bicchiere di troppo. L’aveva sempre detto che la vita non era giusta … ma se ora gli avesse portato via Hermione, non era certamente colpa della vita: era colpa sua, che era un inetto incapace a viverla.
Jean lo scrutò con un’espressione indecifrabile a metà tra sorpresa e compassione. “Credo che il problema qui sia solo nella tua testa, francamente.” lo distrasse Jean, facendolo sobbalzare: si era quasi dimenticato di non essere solo. “Ti conosco un po’, oramai, sai? Ed anche Hermione, ovviamente, solo che lei è giovane, spaventata, sta male e gli ormoni non aiutano, te lo posso garantire. È normale che si faccia qualche paturnia …”
“Merlino, Godric, Tosca, Rowena e Salazar …” sospirò il Serpeverde, premendo la base del naso con pollice ed indice, sfibrato. “So che non mi sono comportato nel migliore dei modi con Hermione e che non ho gestito questa storia come avrei dovuto e come ci si aspettava da un uomo adulto, ma ...”
“Hai paura.” asserì Jean, annuendo. “Hermione mi ha raccontato tutto, te l’ho detto ...”
“Tutto di cosa?” sbottò il professore, irritato da quelle rivelazioni fatte senza permesso: nessuno si era mai permesso di sbattergli in faccia le sue emozioni in quel modo. Nessuno tranne Albus ed Hermione, ovviamente.
“Di te: so che non sei stato amato da bambino, che hai perso la tua unica amica ed hai percorso strade sbagliate. E so di tuo padre. Capisco perché non vuoi avere figli: temi di essere solo un’ombra oscura su un avvenire puro, non è vero? Hai paura di non essere in grado di amare tuo figlio perché non sei stato amato o, peggio, di diventare come tuo padre. Ma tu non sei lui.” asserì, sicura. “E sei anche cambiato da quand’eri il giovane che ha fatto scelte sbagliate, questo è poco ma sicuro. Vuoi sapere anche perché ne sono tanto sicura? Semplice: tuo padre o qualunque Mangiaqualcosa, o seguace di quel tizio senza naso che dir si voglia, non avrebbe mai sposato Hermione, né accettato il bambino anche se non lo voleva e sicuramente non l’avrebbe amato. Mentre tu lo ami.”
Severus non riuscì a replicare a quell’affermazione, perché, semplicemente, non conosceva la risposta: lo amava davvero? Non avrebbe saputo dirlo. In quei mesi, preso com’era tra Hogwarts ed i suoi mille impegni, Hermione e la sua paura, non si era mai fermato a pensare a cosa sentisse. Andava avanti per inerzia, mosso dal terrore che i nove mesi passassero troppo in fretta. Non ci pensava mai per evitare di farsi prendere dal terrore, perché avrebbe dovuto farlo proprio in quel momento, del resto?
“Se non lo amassi, non avresti comprato quell’esagerato cavallino a dondolo senza pensarci due volte.” sorrise Jean, quasi intuendo i suoi nefasti pensieri. “Costa un occhio della testa, ti ho anche detto di scegliere qualcosa di più economico, ma non hai voluto sentire ragioni … l’hai comprato per lui o per lei, perché desideravi che avesse il meglio e fosse felice, a prescindere dal sacrificio che questo avrebbe comportato per te. E se non è amore questo, beh, allora non so proprio cosa lo sia …”
“Mi ricordi molto il vecchio preside di Hogwarts, sai, Jean?” deglutì Severus, riacquistato il suo proverbiale contegno e congiungendo le mani. “La capacità di riuscire a comprendere le persone è innata: non tutti la possiedono … Hermione ce l’ha. Ed a quanto pare, l’ha presa da te …”
“Grazie.” annuì debolmente la donna. “Ma questo non risolve la questione …”
“Credo che poco o nulla la risolva.”
“Dipende da quale situazione vuoi risolvere …”
“Cosa devo fare con Hermione? Non so neanche cos’abbia di preciso!” si decise a dire finalmente Severus, protendendosi verso la suocera e deglutendo come se avesse ingerito veleno: detestava parlare così apertamente. “Non vuole ascoltarmi né parlarmi senza litigare e non fa che lamentarsi e denigrarsi ...”
Jean sorrise, umettandosi le labbra. “Vedi, è in un momento molto delicato e dovrebbe restare serena … l’essere reclusa in casa con mille malanni e dolori non aiuta ed ancor meno lo fa un marito indifferente.”
“Non … cosa dovrei fare, dunque?” sospirò Severus, mordendosi la lingua per far morire sul nascere ogni sua obiezione o commento sarcastico che gli sorgeva spontaneo. “Falle capire che l’ami: devi farle sentire che è bella, che tieni a lei ed al bambino, anche se ti costa molto. Vedrai che si tranquillizzerà … è fatta così ...”
“Forte, ma al contempo insicura, sì.” annuì il pozionista. “Teme sempre di non riuscire a fare tutto quello che si prefissa. Anche per i suoi libri ho dovuto spronarla io, altrimenti non l’avrebbe mai fatto.”
“Lo so, me l’ha raccontato.”
“Ma quando esattamente ti racconta tutte queste cose?”
Jean rise. “Non lo saprai certo da me … sono segreti madre-figlia.”
Severus sospirò, spazientito ed imbarazzato. “Almeno questa conversazione potrebbe restare un segreto suocera-genero?”
“Direi di sì, Severus. Direi di sì.”
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Quando sentì il suono della smaterializzazione, Hermione si girò dall’altra parte: non aveva voglia di vedere sua madre illustrarle con orgoglio ed un sorriso a trentadue denti gli acquisti per il bambino che lei avrebbe dovuto fare. Con la faccia sprofondata nel cuscino, si sfiorò pensosamente la pancia: amava follemente quel bambino non previsto, tanto da sopportare il malessere e la solitudine e l’avrebbe fatto finché fosse stato necessario, ma questo non rendeva certo la situazione più semplice. Era sempre sola, sempre malaticcia e, negli ultimi tempi, forse a causa degli ormoni, era arrivata a credere che sarebbe sempre stato così. Vedeva la faccia insofferente di Severus e sentire l’indifferenza con cui reagiva alle sue entusiaste idee sul bambino e l’insofferenza con cui poneva le poche domande di rito la trafiggeva ogni volta come un coltello. Cos’avrebbe detto al bambino quando gli avrebbe chiesto perché suo padre non lo abbracciava ed amava come gli altri? Perché era freddo e, magari, severo e pretenzioso, come quando sedeva in cattedra?
Hermione si rigirò nel letto, trattenendo a stento una lacrima: amava Severus, lo amava davvero e sapeva che per lui era lo stesso. Eppure, da quando quella vita nata dal loro amore si era frapposta tra di loro, erano come due estranei sotto lo stesso tetto. Erano tornati il professore e l’alunna … e faceva male, tremendamente male. Forse era una sua paranoia, forse erano gli ormoni o, forse, era vero, chissà … l’unica cosa che sperava era che quel limbo finisse, pur essendo al contempo spaventata dalla nascita del bambino e da ciò che, inevitabilmente, sarebbe accaduto dopo.
“C’è nessuno?” domandò una voce femminile, facendola schizzare a sedere, ansimando, una mano alla bacchetta ed una sulla pancia. La Grifondoro si rilassò distinguendo il profilo di Minerva McGranitt sulla soglia. “Hermione! Scusa, non intendevo disturbarti …” deglutì la preside, imbarazzata, scuotendo il capo. “Non mi hai disturbata, Minerva.” sospirò la giovane, passandosi una mano sul viso prima di accendere l’abat-jour e tirarsi faticosamente a sedere. “Non stavo dormendo. Avevi bisogno di qualcosa?”
“Pozione corroborante per Poppy. Severus doveva preparagliela e …”
“Ah, sì, me l’aveva detto … è in salotto, sul tavolino. Severus non c’è, è con mia madre a fare compere.”
“Oh!” esclamò Minerva, sorpresa, entrando cautamente in camera, il cappotto marrone che faceva risaltare i capelli d’argento ben acconciati. “Severus che fa shopping? Non riesco ad immaginare niente di più divertente!” sorrise. “Nemmeno io.” bofonchiò Hermione per nulla convinta, passandosi una mano sul viso, stanca e stizzita. “Eppure non mi sembri divertita … ti senti ancora poco bene?” considerò la preside, inclinando il capo. “Sono solo stanca, come da sette mesi, del resto ...”
“In gravidanza è normale, dicono, poi non saprei. Ma non è solo questo, vero?”
Hermione aggrottò la fronte e l’altra sorrise, raggiungendola e sedendosi accanto a Grattastinchi che le rivolse un’occhiata adorante mentre lo accarezzava con le lunghe dita affusolate e nodose, simili a salici piangenti. “Che cosa te lo fa pensare? Certo che è solo questo!” reagì la giovane, stringendosi nelle coperte. “È che sei … triste. Ed una nuova vita non dovrebbe rendere tristi, nonostante tutto.”
Hermione aprì la bocca per parlare, ma dovette inghiottire quanto stava per dire per non ritrovarsi a piangere. “Scusa.” mormorò, asciugandosi gli occhi lucidi. “Sono gli ormoni, Ginny e Mina lo dicevano sempre …”
“E cos’altro? Non sono soltanto ormoni, Hermione …”
La strega la fissò prima di sospirare ed accarezzarsi la pancia. “Severus non lo vuole.” sussurrò, sentendosi subito libera da un peso non appena ebbe dato voce a quelle parole. “Non l’ha mai voluto. E so che si prenderà tutte le responsabilità, per carità, ma … ecco, mi chiedo se lo amerà mai e cosa sentirà di conseguenza il bambino nei confronti di suo padre. Io … io lo amo, però a volte vorrei che fosse un po’ meno … beh, Severus Piton. Vorrei che mi parlasse, che mi spiegasse e che mi capisse, ma non ci riesce. E probabilmente mi sembra peggio di quello che è perché sono chiusa in casa da mesi …”
“Severus non è notoriamente espansivo.” annuì Minerva, seria. “Ed immaginavo non volesse figli. Credo tu sappia dei suoi …”
“Lo so e capisco che tema di diventare come suo padre e che abbia paura di essere una vergogna per il bambino, con il suo passato e tutto il resto, ma pensavo che avesse passato questa fase, sono anni che stiamo assieme! Possibile anche ancora creda di non essere degno di essere amato?”
“Certe cose non passano mai.” sospirò la donna. “E credo che sia anche e soprattutto colpa mia e di Albus ...”
“Non credo sia vostra responsabilità se suo padre ha ucciso sua madre …”
“No, ma è di certo colpa nostra che non l’abbiamo difeso abbastanza ad Hogwarts, quando veniva denigrato in ogni modo.” ammise, facendo spallucce, come rassegnata. “Nessuno ha mai fatto niente per lui. Non sapevamo nemmeno che sua madre fosse morta, non diceva mai niente. Tra suo padre che lo chiamava ‘mostro’ e Lily che non ho neanche voluto ascoltare le sue ragioni, è piuttosto facile capire perché non si senta degno di affetto. Il passato è un fantasma che lo perseguiterà per sempre, credo … ma non significa necessariamente che detesti il bambino.”
“Non lo detesta, ma neanche lo ama … è questo il problema: non riesco a capire cosa prova.” sospirò Hermione. “Non credo sia proprio così, sai? So per certo che ama follemente te, guai a chi ti tocca …” sorrise Minerva. “E di certo ama il vostro bambino, credimi, Severus è un uomo capace di grandi sentimenti ed ama in modo assoluto, per sempre …”
“Sì, questo lo so.” sorrise Hermione. “Lo immaginavo. Il problema è che non sa come esprimerlo ed il suo amore è soffocato dalla paura e dal senso di colpa, ritiene che sia solo colpa sua se tu stai male e si sente responsabile per il futuro di vostro figlio. Teme che lo detesterà …”
“Questo sicuramente: ha l’abitudine di colpevolizzarsi per tutto.” annuì Hermione. “Anche per cose che non dipendono da lui.”
“Esattamente.”
“Per non parlare di quando capitano giorni no, come l’anniversario della morte di Silente!” sospirò Minerva. “Si ritira in una stanza e non ne esce sino al giorno successivo, vero?” indovinò Hermione. “Sì. Con una bottiglia di whisky incendiario.”
“Ecco, quello non lo sapevo!”
“Era il nostro segreto, non dirgli che te l’ho detto, ti prego.”
Le due sorrisero lievemente prima che Minerva prendesse la mano di Hermione. “Dai tempo al tempo, Hermione: le cose si sistemeranno da sole e sarete felicissimi, vedrai. Ma non trinceratevi dietro supposizioni e silenzi: parlate. Affrontalo, piangi, picchialo, se ti fa stare meglio, ma parlagli, digli cosa temi o non risolverete mai. E posso dirti per esperienza personale che le cose peggiori nella vita sono i rimpianti …”
La preside deglutì, fissando il vuoto prima di voltarsi nuovamente e sorridere tristemente. “Ero innamorata di un babbano, da giovane. Un bellissimo ragazzo, buono e dolce. Mi ha chiesto di sposarlo, ma ho rifiutato, perché temevo che non saremmo riusciti ad andare d’accordo per via del fatto che io ero una strega e lui no. E, così, sono scappata, senza dirgli niente, come una vigliacca. Si è risposato ed è anche morto … ed io ancor oggi mi pento di non avergli detto che lo amavo, di non averci provato.” confessò quasi sottovoce. Hermione la fissava, sconvolta, pendendo dalle sue labbra. “Mi … mi dispiace. Io non lo sapevo, davvero, non immaginavo che …” biascicò, travolta da quell’ondata di sentimenti del tutto inaspettata. “Non sapevi ed è giusto che nessuno sappia. Quello che sto cercando di dirti, Hermione cara, è che tu e Severus ce l’avete fatta: avete realizzato quello che io avevo solo rimpianto per paura. Siete andati contro tutto e tutti ed ora il vostro amore si è concretizzato in una splendida creatura … poco importa se voluta o meno. Non lasciate che sia una stupidaggine a dividervi. Mai.”
Hermione annuì, stringendo le labbra per non lasciar cadere una lacrima. Aveva la nausea, ma sospettava che la gravidanza non c’entrasse. “Ed ora basta storie lacrimose: posso?” sorrise Minerva, protendendo le dita verso la pancia. La giovane annuì e la preside sfiorò delicatamente il ventre prominente. “Che meraviglia!” considerò. “Posso dirtelo? Ci speravo da cinque anni: ve lo meritate, entrambi, ma soprattutto quel testardo brontolone di tuo marito.”
“Credevo che il nostro fan numero uno fosse Silente!”
“Silente dorme sempre, non saprebbe neanche in che quadro stare se non ci fossi io a dirglielo ogni mattina, cara! Sono pur sempre uomini … bisogna render loro note le cose quando già sono fatte, dammi retta.”
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“Hermione!” esclamò Severus, trascinando le borse con i suoi acquisti in casa. Non udendo alcuna risposta, sospirò, richiudendosi la porta alle spalle e togliendosi il cappotto. Forse l’idea di Jean si lasciarli soli non era poi così brillante come lei sosteneva, dopotutto …
Si cambiò le scarpe e si lavò le mani prima di salire in camera.
L’abat-jour era spenta, le tende accostate ed il tè era stato bevuto. Il ronfare di Grattastinchi fu l’unica accoglienza che Severus ricevette. Accarezzò maldestramente il gatto mentre le borse si posavano accanto al letto ed Hermione apriva stancamente gli occhi. “Avete fatto?” bofonchiò, stropicciandosi le palpebre. “Sì ed abbiamo trovato tutto.” sospirò il pozionista, aiutandola a tirarsi a sedere. “Chissà cosa devono aver pensato i negozianti … spese con la suocera! Avrei dovuto esserci io …” sospirò Hermione. “T’importa qualcosa di quello che dicono i commercianti?” replicò Severus, inarcando un sopracciglio. “Hai delle ottime ragioni per essere rimasta qui a riposare. Hai ancora la febbre?”
La Grifondoro scosse il capo. “Sono solo un po’ stanca. Ah, è passata Minerva a prendere la pozione corroborante …” ammise. “Meglio, così non devo disturbarmi a subire un suo interrogatorio domattina. Ti stancherebbe troppo vedere cos’abbiamo comprato? Vorrei un tuo giudizio … io non ne capisco niente e tua madre è notoriamente esagerata in tutto. Voleva comprare una tutina gialla con le anatre … volgare ed eccessiva.” azzardò il Serpeverde, spiando di sottecchi le sopracciglia di Hermione inarcarsi. “Va bene.” acconsentì. Severus iniziò ad estrarre dalle borse ogni singolo acquisto, impilandolo silenziosamente sul letto dopo averlo passato ad Hermione. Finse che fosse una delle sue tante lezioni, ripetendo a pappagallo ciò che avevano detto Jean ed i negozianti. La Grifondoro osservava le tutine con ammirazione, sorridendo persino alle scelte dei colori (“Questa è senz’altro opera tua, Severus!”) e della foggia (“Ti sei ricordato che ero indecisa fra cotone e lana!”). Piton lasciò volutamente per ultime le parti migliori, da abile stratega qual era …
“Stai scherzando, vero?” esclamò infatti Hermione al vedere il cavallino a dondolo, bello, curato ed elegante. “Ti sembro uno che scherza?” replicò lui, incrociando le braccia. “Ma è … è bellissimo! Sarà costato un occhio della testa …”
“Non esageriamo. Tua madre era contraria a comprarlo …”
“Lo credo bene! Perché l’hai fatto?”
“Perché io non l’ho mai avuto.” ammise Severus, sospirando per prendere coraggio: non gli era mai facile parlare di sé, ancora, dopo anni. “Non ho avuto giocattoli, libri nuovi e vestiti caldi, Hermione, perciò sarà mia espressa premura che questo bambino abbia tutto quello che desidera. Potrebbe essere viziato, certo, ma francamente non me ne importa. Deve essere felice.”
La Grifondoro lo fissò, visibilmente confusa e quasi stranita. “Tornando indietro, ho lasciato tua madre a casa e mi sono fermato a Diagon Alley, dove ti ho preso qualcosa …” proseguì imperterrito il pozionista, frugando in una borsa. “Cosa? Ma … quanto hai speso, Severus? Non lavoro e non ho lo stipendio pieno, non possiamo …”
“Ho accettato e consumato parte dell’assegno versatomi dal Ministero come eroe di guerra.” la liquidò lui sbrigativamente. “Se non ora, quando? Questi sono per te con tanti saluti da Florence, Cormoran e Brix …” spiegò mollemente, allungandole un pacco di libri legati da un nastro acquamarina. Hermione prese i titoli tra le mani, sfogliandoli, entusiasta e quasi sorridente. “Sono bellissimi! Ma chi …”
“Io.” sbottò Severus, quasi offeso che lei non l’avesse capito subito. “Devi passare tanto tempo a casa, avere da leggere è il minimo. Ma c’è un’altra cosa che ho visto e mi ha fatto pensare a te …”
Ignorando l’espressione allibita ed inebetita di Hermione, si girò ed estrasse dall’ultimo sacchetto una morbida stoffa azzurra dall’effetto stropicciato. Con gesti lenti ed esperti, stappò la boccetta di soluzione scintillante che aveva distillato nel corso di una sperimentazione ad Hogwarts il giorno prima e la versò interamente sul vestito, che l’assorbì, scintillando di minuscoli brillantini nella penombra della stanza. Cercando di nascondere l’ansia, si volse e lo porse ad Hermione, che lo stava fissando come fosse impazzito. “Ma …” deglutì mentre prendeva l’abito, srotolandolo con dita tremanti ed ammirandolo, incantata e, a giudicare gli occhi lucidi, commossa. “Ma …”
“Non potevo non comprartelo: è bellissimo. Come te.”
“Ma … dove dovrei indossarlo? Non esco e con questa pancia non …”
“È un abito magico, ovviamente.” sottolineò Severus. “Si adatta a te … anche se staresti benissimo qualunque cosa indossassi, Hermione.”
“Io … io non …” deglutì lei, tremando leggermente. “Te la senti di uscire? Voglio portarti qui vicino, in pizzeria.” azzardò Severus, parlando senza pensarci. Hermione lo fissò, le gote arrossate e gli occhi vacui ed appannati. “Sì.” mormorò, sorridendo appena. “Piove ancora?”
“No … no, non più. Ti aspetto giù, copriti bene.” sospirò Piton, guardando fuori: il cielo si era tinto di rosa e giallino ed il sole faceva luccicare le gocce d’acqua che grondavano un po’ dovunque. Il riflesso di un arcobaleno baluginava all’orizzonte e Severus si chiese e non fosse un segno, dopotutto. Non aveva mai creduto nel destino ed in qualcosa che potesse dargli tutte le risposte, ma, al vedere certe cose, persino uno scettico come lui arrivava a diffidare dei suoi dubbi.
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“Io davvero non so come ti sia venuto in mente! Hai forse bevuto del succo di zucca andato a male?” rise Hermione, scostandosi i morbidi capelli mossi dalla spalla prima di prendere una fetta di torta e gustarla con un sorriso. Severus non replicò: da quando era usciti da casa e si erano recati in quella vecchia pizzeria di Cokeworth, non riusciva a smettere di guardarla. Avrebbe voluto dire che era di nuovo la sua Hermione, quella di sempre, ma sarebbe stata una bugia, perché era persino più bella di prima: con quell’abito scintillante, il pancione prominente ed il sorriso che si allargava sul suo volto, sembrava un angelo, disceso per redimerlo o per dargli la pace, forse.
“Ho solo riflettuto.” ammise rigidamente, osservando con disgusto la fetta di torta al cioccolato che la moglie stava gustando, soddisfatta. “E da cosa nasce questa riflessione?” incalzò lei. “Da te, a dire la verità: non potevo continuare a vederti appassire in quel modo senza fare nulla. E so che sono parte della causa di questo tuo malessere. Mi dispiace, Hermione: non intendevo ferirti in alcun modo. Spero tu possa capire e ...”
“Non hai nulla per cui farti perdonare.” sorrise debolmente lei, giocherellando con una fragola di cioccolato bianco. “Questo bambino è … capitato. Sapevo che tu non ne volevi, sapevo che ti avrebbe creato disagi e malumori e ...”
“All’inizio è stato così.” annuì il professore, distogliendo lo sguardo. “Avevo paura. Io non ho idea di come si fa il padre, non ho alcun riferimento o indole naturale. Senza contare il mio carattere che, te lo concedo, non è dei più amabili. E temevo di diventare come lui. Ma non sono una testa di legno: so che come sarò visto dal nano dipenderà esclusivamente da me e dunque dovrò … sforzarmi.”
“Dal nano?” rise Hermione, congiungendo le mani. “Beh, certamente non sarà un gigante per un po’ o devo sospettare sia figlio di Hagrid?”
“No, è decisamente figlio tuo: sta sempre tranquillo, scalcia pochissimo. Lo fa solo quando parli tu, a dire il vero …”
“Io?” ripeté Severus, alzando un sopracciglio. “Esatto, tu. Ti è già affezionato …”
“Non è possibile.”
“Forse non per te che credi solamente a ciò che vedi, ma questo bambino, essendo così … speciale, ha una sensibilità superiore alla norma: capisce cose che noi non possiamo neanche immaginare. Io … io lo sento.” sorrise Hermione, sfiorandosi la pancia. “E, credimi, anche se mi sta facendo passare delle pessime giornate, rifarei tutto pur di averlo.”
“Di questo non dubito … sarai un’ottima madre, Hermione.” deglutì Severus. “Ma forse in questi mesi hai dimenticato che resti sempre un’ottima scrittrice, un’eccellente strega ed una bellissima donna. Ed è stata colpa mia: scusami. Non intendevo farti soffrire, è l’ultima cosa al mondo che voglio, ma sono stato egoista ed incapace di esprimermi, come sempre. Spero tu possa perdonarmi.”
Si aspettava una risposta secca e gelida, ma, sorprendentemente, Hermione si limitò a sorridere. “Non hai nulla per cui scusarti: anch’io non ho compreso che avessi i tuoi tempi … avevo paura, è una cosa enorme e nuova anche per me. E tu non sei un uomo semplice, Severus. Ammetto di essermi spesso lasciata perdere dallo sconforto, ma ...”  
“Non deve più accadere.” sospirò il pozionista, stringendole istintivamente la mano. “Mai più. Non sei sola, non puoi affrontare tutto questo portandoti tutto il peso sulle spalle … condividilo con me. Ci siamo ripromessi di farlo, quando ci siamo sposati. Non chiuderti a riccio pensando che non m’importi, perché non è così, anche se faccio fatica a mostrarlo …”
“Davvero t’importa?” incalzò lei. “T’importa del vomito e degli ormoni impazziti? E magari anche degli esami del sangue e di questioni come il parto in acqua?”
“Sì.” deglutì Severus. Non si era mai sentito più esposto e ridicolo di allora … in confronto, quando Potter aveva svelato le sue memorie al mondo magico, era stata una passeggiata. “Sì, m’importa, perché m’importa di te … di voi. Non voglio che pensi di essere orribile come hai detto oggi … tu sei … la cosa migliore che mi sia mai capitata nella vita. E sei stupenda. Perciò, per favore, non dire più che sei orribile.”
Hermione lo guardò, impassibile, per qualche istante. Severus sbuffò, gettando il tovagliolo sul tavolo. “Lasciamo stare … hai finito? Vado a pagare e …”
Prima che potesse aggiungere altro, però, Hermione l’aveva afferrato per l’ascot e l’aveva tirato a sé, baciandolo con un radioso sorriso che fece scatenare gli applausi nella pizzeria. Normalmente, Severus Piton sarebbe morto dall’imbarazzo, ma, quella sera, per la prima volta nella vita, scoprì che, dopotutto, degli altri non gl’importava poi così tanto.
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Quando Severus aprì gli occhi, si accorse subito che doveva essere notte fonda. L’orologio segnava le due e la lieve luce del lampione filtrava appena attraverso le tende tirate.
C’era stata un’altra occasione in cui si era svegliato così: era stato il giorno dopo il Marchio Nero, quando era ufficialmente diventato Mangiamorte. Avevano festeggiato con bagordi per tutta la sera, eppure, arrivato a casa, non era più riuscito a dormire, finendo per fissare il lampione filtrare nella stanza. Era stato l’inizio della parte peggiore della sua vita: da quella notte, servendo l’Oscuro, non aveva fatto che scelte sbagliate. Una collezione di errori e nefandezze che gli facevano ribrezzo e spavento, circondato da quella banda di pazzi ossessionati da cui salvava solo Lucius e Regulus.
La sua vita era cambiata per sempre, in negativo … ed ora, quasi di riflesso, stava per succedere di nuovo, ma in positivo. Un figlio … un figlio suo e di Hermione, frutto del periodo più bello della sua vita, del suo amore per quella strega cocciuta ed orgogliosa. Si ritrovò a sorridere per la prima volta al pensiero del bambino e si diede dell’idiota per non aver capito prima.
Il mugolio di Hermione, stretta a lui, lo fece sospirare mentre le accarezzava lentamente la schiena nuda ed affondava il naso nei suoi morbidi ricci, baciandole la fronte. La osservò dormire, serena e senza febbre, emicranie o nausee per la prima volta da mesi, trovandola sempre più bella. Gli era mancato tutto questo, sentire la sua pelle a contatto con la sua, amarla, dormire abbracciato a lei, sentire il suo respiro regolare sul collo e le loro gambe intrecciate … gli era mancata lei. Sentì qualcosa muoversi contro il suo addome ed il suo cuore perse un battito quando capì cosa fosse. Lentamente, quasi con timore, appoggiò le dita sulla pancia di Hermione. Il colpo arrivò, preciso e sicuro, facendolo sobbalzare, seguito da altri: la prima volta che Severus le aveva sfiorato il ventre ed aveva sentito il bambino, aveva pianto, confessandole di avere paura e promettendo di cambiare, ma non era riuscito a farlo, anzi, si era allontanato ancora di più. Quella sera, però, non avrebbe pianto, non più: finalmente, dopo tanti anni, non aveva più alcuna ragione per essere infelice.

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Capitolo 6
*** Wingardium Leviosa ***


6.
Wingardium Leviosa

[Incantesimo di levitazione, fa levitare oggetti, persone e cose.]
Severus Piton detestava tutti i giorni senza alcuna distinzione, ma il giovedì aveva indubbiamente un posto speciale nella lista dei più odiati assieme al Natale ed al suo compleanno. Non avrebbe saputo dirne la ragione, ad essere sincero: forse il motivo erano le lezioni che si protraevano sino al tardo pomeriggio senza interruzioni, o forse che aveva le classi più fastidiose che mettevano a dura prova i suoi nervi o addirittura Minerva, che aveva scelto proprio quel giorno per le riunioni settimanali dei docenti. Fatto stava che, ogni giovedì, si svegliava di pessimo umore e, con ampie falcate, attraversava i corridoi terrorizzando ogni studente che incontrava sul suo cammino prima di sbraitare in classe per le successive ore.
Anche quel giovedì, chiuso nella scura e maleodorante aula di Pozioni nei suoi amati e freddi sotterranei, Severus stava fissando con sdegno il quarto anno di Grifondoro e Serpeverde lavorare alle loro pozioni curative distillate a partire da rami e radici di betulla ed abete senza neanche osare sollevare il capo mentre terminava la lista degli ingredienti che mancavano dalle scorte scolastiche da sottoporre all’approvazione di Minerva. Stranamente, nonostante si fosse svegliato di pessimo umore con Eileen che piangeva disperata e Grattastinchi che gli leccava una guancia, non era stato particolarmente scocciato dai suoi studenti quel mattino … certo, una Corvonero si era beccata compiti extra per un mese per la sua saccenza ed un Grifondoro aveva fatto esplodere un calderone, ma nessuno era stato portato in infermeria, nessuno aveva osato contraddirlo e, soprattutto, nessun collega si era avventurato sino ai sotterranei per distrarlo dal suo lavoro con scuse ridicole quali lezioni interdisciplinari, caffè e partite a gobbiglie. Scuse peraltro ridicole, a suo modesto parere …
Sembrava un giovedì tutto sommato tranquillo … troppo tranquillo. Se c’era una cosa che anni ed anni come spia per Silente gli avevano insegnato era che bisognava diffidare delle apparenze, in particolare di quelle calme. La quiete maggiore racchiudeva i pericoli più mortali, solitamente. Ed Hogwarts, in quanto a pericoli, non faceva certamente eccezione …
“Professore!” chiamò un Grifondoro, alzando la mano. Severus gli rivolse un’occhiata di fuoco: possibile che non riuscissero neanche a preparare un saggio senza dar inutilmente aria alla bocca?
“Che c’è, McFahrrad?” sibilò. “Ehm, è per il saggio che ci ha assegnato per domani.”
“Non vedo come potrei aiutarti …” sibilò. “Versi forse in condizioni di indigenza tali da non poterti più permettere piume per completarlo, forse?”
“No, no … è che non ricordo gli usi della pietra di luna e … beh, va bene lo stesso se non li scrivo tutti?”
Un gelido silenzio cadde sulla stanza. “Verrete valutati in base alle vostre conoscenze, da me come da qualunque altro docente, McFahrrad e, qualora ti fosse sfuggito, ‘non ricordare’, per me, equivale a non aver studiato.” illustrò con voce fredda ed annoiata il professore. “Ma …” azzardò il giovane. “Nessun ‘ma’: non è il mio saggio, McFahrrad, non sono io a doverti illustrare gli usi della pietra di luna. Se non li conosci pur avendoli già affrontati da programma di studio, evidentemente la tua testa di legno è ancor più vuota di quanto pensassi. Congratulazioni. Ed ora …” sogghignò, facendo sparire il calderone fumante del giovane con un gesto. “Rifallo. Daccapo. E per domani voglio un approfondimento di sei facciate sugli usi della pietra di luna senza l’ausilio del testo: vediamo se le tue meningi, spremendosi, riusciranno a recuperare qualcosa di utile.”  
I Grifondoro tacquero, spaventati e McFahrrad, rosso come un pomodoro, si limitò a chinare il capo mentre i Serpeverde sghignazzavano, divertiti. “E finitela, voialtri!” sbottò Piton, zittendoli con una sola occhiataccia prima di tornare alla sua lista con un sonoro sbuffo.
La gelida calma rimpiombata nei sotterranei venne interrotta da un lieve bussare alla porta. “Avanti!” bofonchiò il professore senza neanche guardare. Gazza entrò cautamente, accompagnato dalla sua inseparabile gatta spelacchiata. “Che c’è, Gazza?” bofonchiò Severus, scocciato: il giovedì si stava facendo sentire, a quanto pareva. “C’è sua moglie in atrio, professore: dice che è urgente.”
Il Serpeverde, intento a scrivere, raggelò completamente. Gli studenti attorno a lui si scambiarono occhiate divertite e sorrisetti sornioni: la voce che Piton fosse tra i pochi insegnanti ad essere sposato ed avere figli era diventata la prima fonte di pettegolezzi e sghignazzi degli studenti negli ultimi anni. “Ma è vecchio per avere figli!” aveva azzardato qualcuno. “Più che altro, l’hai vista sua moglie? Uno schianto, con quello lì … mah!” esclamavano altri. “Chissà se la figlia ha il suo naso!” osavano i più temerari.
Naturalmente nessuno aveva mai osato chiederglielo di persona e Severus ci teneva a tenere ben distinta la vita privata dal suo ruolo di irreprensibile e bastardo docente di pozioni di Hogwarts, tenendo come unica traccia della sua famiglia ad Hogwarts una fotografia magica che aveva fatto incorniciare a sistemare nel suo ufficio, nascosta sulla sua scrivania dietro a barattoli ed ampolle varie. Raffigurava lui ed Hermione che teneva in braccio Eileen il giorno del battesimo: tutti e tre sorridevano nei loro abiti eleganti e la Grifondoro agitava la manina della bambina in segno di saluto prima che Severus le baciasse la testa. Ad eccezione di quel dettaglio, era sempre riuscito, nell’anno e mezzo di vita di Eileen, a tenere i suoi affari lontani da Hogwarts … tranne quando le sue classi gli avevano fatto dei regali per la nascita della bambina, regali che aveva liquidato con un mugugno al fine di dissuaderli dal rifarlo.
“E lo è davvero?” domandò, pertanto, mantenendosi gelido pur conoscendo perfettamente la risposta. “Temo di sì.” sogghignò Gazza. “Entusiasmante.” sibilò, alzandosi con uno scatto felini. “Resti Lei con questi inetti … e se solo scopro che qualcuno ha copiato o ha anche solo alzato gli occhi dal foglio, pulirà calderoni per i restanti mesi di scuola: sono stato chiaro?” sbottò Piton, irritato. Lasciò l’aula sbattendo la porta e facendo svolazzare drammaticamente il mantello nero alle sue spalle senza attendere risposta. I corridoi dei sotterranei vennero attraversati con tanta furia da far traballare le lanterne sino a quando il buio iniziò a diradarsi, lasciato il posto alla splendente luce di marzo che entrava dalle altre vetrate dell’atrio centrale, mostrando il cielo turchese e brillante, gli alberi verdeggianti scossi da un vento leggero e fresco. In quella visione, due figure erano ferme al portone ed intente a guardarsi intorno: Hermione, nel cappotto viola sotto cui s’intravvedeva l’elegante completo melanzana che le lasciava scoperte le lunghe gambe, osservava con gli occhi nocciola carichi di nostalgia ogni pietra del castello, mentre, nel passeggino, un paio di iridi color pece ammirava estasiato quel luogo nuovo. Emergendo dal buio dei sotterranei alla luce dell’atrio, Severus sentì la familiare stretta di inadeguatezza attanagliargli le viscere: quella scena era la perfetta rappresentazione di quello che tutti dicevano. Hermione era una splendida creatura di luce, bellissima ed inarrivabile, mentre lui un’ombra scura emersa dal buio e dalla terra per rapirla, come Ade con Persefone. La differenza rispetto a quello che tutti pensavano era che lui si era fatto ben più di uno scrupolo prima di portarla con sé e che lei l’aveva seguito con convinzione e senza protestare.
A Severus venne quasi da sorridere al vedere le sue bellissime donne prima di ricordarsi del motivo per cui era lì e di quanto ci avrebbero riso sopra gli studenti nelle prossime settimane.
“Che diamine è successo? Ti ho spiegato centinaia di volte che non voglio che la mia vita privata si mescoli a quella lavorativa, Hermione!” sbottò, raggiungendola in poche, silenziose, falcate. La strega lo fissò con sguardo di sfida, incrociando le braccia. “E credi che non lo sappia, che non mi costi venire fin qui sapendo quanto tieni alla tua riservatezza? Credevo di aver chiesto a Gazza di dirti specificamente che si tratta di un’emergenza!”
“E quale sarebbe questa grande emergenza che ti ha portata sino in Scozia da Cokeworth quando a quest’ora tu dovresti già essere a Londra all’appuntamento con l’editore ed Eileen dai nonni?” incalzò lui, sbuffando, prima di sfiorare leggermente le guance della bambina, che sorrise, entusiasta, afferrandogli le dita tra le manine paffute. “Stavo per andarci, infatti: l’editore mi aspetta alle dieci e trenta per discutere del nuovo romanzo … e poi devo passare al San Mugo a trovare Luna: sono nati i gemelli.” spiegò Hermione. “Mamma e papà, sono ad un convegno dell'ultimo minuto a Berlino, sicché avevo chiesto a Ginny se poteva badare alla bambina per qualche ora ed aveva accettato, ma stamattina mi ha scritto.”
“Che ha, qualche svolazzo in giro nei campi da Quidditch all’ultimo minuto?”
“No, è malata.”
“Ma sicuro, c’era da aspettarselo: sarà di nuovo incinta, presumo.” sbottò Severus: la Weasley pareva aver preso l’abilità di famiglia di restare incinta anche se guardata più a lungo del necessario. “Non me l’ha detto ed in ogni caso non mi pare il caso di disturbarla con Eileen, ne ha già abbastanza con James ed Albus, senza contare che se avesse un virus potrebbe ammalarsi anche lei. E, prima che tu me lo chieda, ho già valutato ogni altra opzione possibile: Mina è via con le due Andromeda, Molly ha già sette nipoti a casa sua e di certo non disturberò Narcissa ora che Astoria è appena uscita dall’ospedale dopo l’ennesimo malore …” ribatté. “Ed allora tanto vale portare una bambina in uno dei luoghi con più pericoli al mondo dove nessuno può badare a lei, sicuro!” sbraitò il professore prima di scuotere il capo. “Hermione, è giovedì, ho lezione tutto il giorno e c’è anche uno stupido consiglio di classe indetto da Minerva alle tre …”
“Ma sarò già di ritorno per quell’ora!” sbuffò Hermione. “Basta che tu la tenga per qualche ora, Severus, non ti chiedo nient’altro!”
“Devo lavorare, Hermione: ti è chiaro questo concetto?”
“Per quanto pericoloso, questo posto è pieno di persone che considero amiche o comunque fidate: affiderei loro la mia stessa vita, vuoi farmi credere di non poter chiedere a qualcuno di loro di controllare una bambina per qualche ora?” esclamò lei, alzando la voce ed attirando l’attenzione di quadri e fantasmi. “Ti ho mai portato Eileen al Ghirigoro mentre dovevi lavorare? No e sai perché? Perché non è il posto adatto ad una bambina!” ribatté Severus, assottigliando le palpebre. “Ma anche se fosse, non ci sarebbe stato alcun problema, avrei saputo gestirla! Si tratta di un …”
“Caso urgente, sì, sì, lo stai dicendo da quando sei arrivata!”
“Davvero? Beh, dovrò ripeterlo ancora, a quanto pare, perché tu sembri non capire!”
“Ti aspetti che faccia da babysitter mentre spiego la bevanda della pace? O magari mentre preparo qualche pozione velenosa, non so … così può correre il rischio di ingerirla meglio!” sogghignò. “Devo ricordarti che è anche tua figlia?”
“Bado a lei ogni volta che tu hai qualche impegno, lo sai, non abbiamo mai chiesto niente a nessuno, ma oggi proprio non mi è possibile, Hermione!”
La Grifondoro sospirò, portandosi una mano al viso. “Ti dà fastidio dover badare a lei o che io lavori?”
“Cosa? Non dire sciocchezze!”
“Mi hai detto tu che non serve che lavori, che c’è la rendita del Ministero!”
Io ho detto che con la rendita che abbiamo potresti anche permetterti di non fare altro che scrivere se lo volessi, non ho detto cosa devi o non devi fare, quella è una tua decisione!”
“Sì, certo, come ora è una mia decisione lasciarti Eileen, giusto?”
“Sei saccente, irritante, insopportabile ed arrogante!”
“E tu sei davvero un …”
Il vagito di Eileen li zittì contemporaneamente. “Senti, non importa: chiederò a mio padre se può tenerla in studio! Forse ha un lavoro con più libertà …” sottolineò Hermione, acida, preparandosi a girare sui tacchi. Gli enormi occhi spalancati con meraviglia sul mondo della sua adorata bambina, capaci di farlo capitolare con un semplice sguardo, si puntarono sul padre, delusi e Severus, come sempre quando c’erano di mezzo sua moglie e sua figlia, non seppe resistere. “Aspetta, Hermione!” esclamò, raggiungendola in pochi passi. La strega si volse, ancora stizzita, mentre Severus le strappava letteralmente di mano il passeggino. “Bado io a lei: va’ a Londra.” sentenziò senza guardarla. La Grifondoro incrociò le braccia al petto. “Resisterai o dovrò smaterializzarmi per tornare immediatamente perché sarai impazzito?”
Il Serpeverde sogghignò, avvicinandosi sino a ritrovarsi alla distanza di un respiro dalla moglie. “Resisterò e ti dirò di più: alla fine di questa giornata, sarò sempre e comunque molto più calmo di te.” sibilò, fissandola nelle iridi nocciola con sfida. Hermione sostenne lo sguardo, facendo allargare il suo ghigno al notare che le guance le si imporporavano ed il respiro si affannava allo stargli così vicino. Ancora, dopo anni …
“Bene. In tal caso, io vado.” sentenziò la giovane, sorpassandolo per salutare Eileen stringendole le manine e tempestandole il visino di baci. “La mamma torna presto: comportati bene con il papà, d’accordo?” sorrise prima di rivolgere un’occhiata strana a Severus e scomparire oltre il portone della scuola.
Non appena fu uscita, il professore sospirò, rassegnato, voltandosi a guardare il passeggino blu a pois bianchi che avevano comprato assieme a Chelsea ed Eileen che lo fissava con aria divertita nella sua tutina indaco e nei capelli neri e lisci che le coprivano il volto pallido dai morbidi lineamenti. “Riusciremo mai ad arrivare alla fine di questa giornata, eh?” sospirò Severus, spingendola nei sotterranei. Il vagito divertito di Eileen, nonostante la frustrazione, gli diede un po’ di conforto.
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Severus Piton raramente ritornava sui propri passi o ammetteva i suoi errori: le volte che aveva chiesto scusa si contavano sulle dita di una mano e raramente erano servite. Per questo neanche quel pomeriggio, tra sé e sé, riusciva ad ammettere di aver considerevolmente sottovalutato la pazienza di Hermione. Nei primi dieci mesi di vita della bambina, infatti, si era districata tra Eileen ed i suoi romanzi con fin troppa abilità, mentre lui, che vi aveva badato solo per qualche ora e senza avere quasi nient’altro da fare, solo ora capiva il perché quella neonata, sebbene tranquilla, la sfinisse tanto da lasciarle profonde occhiaie sul viso ogni sera.
Eileen Jean Piton era sì estremamente tranquilla, ma anche terribilmente delicata: andava cambiata regolarmente, bisognava darle da mangiare e da bere, spalmarle la crema magica se la si portava fuori o la si esponeva al vento perché aveva la pelle delicata e controllare che le sue magie non causassero danni irreversibili. In poche parole, un’impresa più impossibile che altro, considerato che, contemporaneamente, doveva anche badare a classi di inette teste di legno in piena crisi adolescenziale.
Approfittando del cambio d’ora, appena Hermione gli aveva lasciato la bambina, l’aveva portata nelle sue stanze, oramai adibite esclusivamente a studio ed ufficio, aveva acceso il caminetto ed infagottato Eileen affinché non prendesse freddo prima di darle il biberon. Silente, dalla sua cornice, aveva osservato la scena, divertito. “Che c’è tanto da ridere?” aveva bofonchiato il Serpeverde con la figlia tra le braccia che ciucciava soddisfatta. “Non avrei mai pensato di vivere abbastanza per vedere una scena simile, ragazzo mio …”
“Ed infatti sei morto, Albus. Anzi, fammi un favore, dato che hai un’eternità di nullafacenza dinanzi a te: controllala mentre sono di là a fare lezione.”
“Anche se dovesse succedere qualcosa, non saprei come avvisarti … dimentichi che sono solo un quadro ...”
“Oh, lo sai, eccome se lo sai, non fingerti un innocuo agnellino, sappiamo entrambi che non lo sei!”
Aveva, così, lasciato Eileen addormentata sotto lo sguardo commosso del vecchio preside per dedicarsi al quinto anno di Grifondoro e Tassorosso, una lezione quantomeno sfiancante. Per tutto il tempo, mentre ripassavano il distillato della morte vivente, annotandone i passaggi alla lavagna, correggendo errori e denigrando pozioni dall’aspetto malaticcio come al suo solito, aveva guardato l’orologio con apprensione. In un paio di occasioni era persino stato sul punto di allontanarsi con una scusa per controllare Eileen, ma il suo solido autocontrollo, fortunatamente, glielo aveva impedito. Non appena era scattata la campanella, aveva liquidato malamente gli studenti e si era precipitato nelle sue stanze, credendo, ingenuamente, a ben pensarci, di trovare tutto com’era. Per questo, in quel momento, era immobile sulla soglia, le dita ancorate allo stipite e l’espressione totalmente impassibile per lo sdegno.
La stanza era stata ribaltata da cima a fondo: divano e sedie erano capovolti, i libri vorticavano in giro per la stanza o giacevano per terra ed i soprammobili erano ovunque tranne che al loro posto. In tutto questo, immobile sul tappeto della stanza, Eileen batteva le manine al quadro di Silente. “Nonno Albus!” esclamava, felice. “Albus!” tuonò Piton, avanzando ad ampie falcate sino al camino, sentendo l’ira formicolargli sino alle gambe. “Oh, eccoti, Severus! Tua figlia ha una straordinaria capacità magica per la sua età, sai?” sorrise, bonario, Silente. “Lo so ed il tuo compito era di arginarla! Stava dormendo, possibile che in un’ora sia riuscita a combinare questo disastro?” sbottò Piton, furente, facendo ritornare tutto al proprio posto con un rapido gesto prima di prendere Eileen e rimetterla nel passeggino, lasciandola alquanto contrariata. “Si stava divertendo!”
“Poteva farsi male, santo cielo, ha poco più di un anno! Avrei dovuto saperlo, comunque, l’errore è mio: cos’altro ci si può aspettare da uno che in vita mandava ragazzini di quindici anni a morire come bestie da macello?”
“Suvvia, Severus, non rivangare nei vecchi errori del …”
“Rivango quanto mi pare e piace, Albus, perché posso anche prendere atto dei tuoi assurdi metodi educativi da hippy drogato, ma non posso accettare che li si usi su mia figlia! Che va anche cambiata, come se non bastasse!” sbottò, sollevando Eileen prima di sistemarla sul tavolo ed iniziare l’oramai familiare operazione che svolgeva meccanicamente come la preparazione di un elisir. “Dovrò trovare un’altra soluzione … accidenti a quel …” bofonchiò. “E che altra soluzione, Severus? La bambina con me si stava divertendo …” protestò Albus. “Non ribattere, non sei nella posizione di obiettare, non stavolta! Ci sarà qualche fantasma disposto a farmi da babysitter in tutta Hogwarts …”
“I fantasmi non posso afferrare niente!”
“Allora qualche elfo.”
“Un elfo? Fanno più danni che altro con le loro piccole magie, Severus!”
“Hagrid.”
“Hagrid? La porterà in mezzo a creature pericolose! Chiedi a Minerva o a Lupin!”
“Così saprebbero che non riesco a badare a mia figlia e per questo l’ho portata qui, contravvenendo ad ogni regola di professionalità? Mai! E, comunque, anche i vermicoli di Hagrid sarebbero più affidabili di te!” sbuffò Severus, sollevando la bambina nuovamente pulita e profumata e sospirando mentre gli sorrideva, agitando le manine verso di lui. La strinse a sé, inspirando il suo profumo di borotalco e shampoo alla violetta e le accarezzò le manine paffute prima di portarla sul divano e frugare nel passeggino. “Ma dove diavolo l’ha messo?” borbottò prima di estrarre, trionfante, un cavallino a dondolo rimpicciolito dalla tasca esterna. Al vederlo, Eileen prese a battere le mani. “Ino, ino!” strillò. “Il mio cavallino!”
“Ma certo che è lui!” sorrise Severus, facendolo tornare alle dimensioni abituali prima di sistemarvi sopra la figlia e reggerla per le spalle mentre, divertita, cavalcava il giocattolo finemente intarsiato ed elegante, entusiasta. “Proprio un bel giocattolo!” commentò Silente. “Gliel’ho comprato io, per forza è bello! Almeno è un gioco serio, invece di tutte quelle melensaggini rosa di cui la riempie sua nonna …” sbottò Severus, guardandolo con astio prima di tornare a concentrarsi sulla bambina, nuovamente sorridente: la amava in modo tanto smisurato da fargli spavento, a volte. Da quando l’aveva stretta tra le braccia ed Eileen gli aveva sorriso, era rimasto stregato da sua figlia, tanto da mal sopportare persino che qualcuno la toccasse e da sentirsi morire ogni volta che prendeva freddo o aveva mal di pancia. La sola idea che potesse soffrire, peggio ancora se a causa sua, lo faceva sentire come trafitto da mille spilli di ghiaccio. Avrebbe voluto solo che stesse sempre con lui ed Hermione, al sicuro, felice e coccolata, ma sapeva che non era possibile e già gli veniva il magone al solo pensiero …
Quasi gli venne da sogghignare al ricordo del Severus di qualche anno prima, seduto alla scrivania con del whisky in mano e lo sguardo nel vuoto, desideroso solo di morire e di smettere di soffrire per amori non corrisposti, scelte sbagliate ed anni di spionaggio, di macchinazioni e di errori. Allora, vedeva tutto nero e se qualcuno gli avesse detto che l’avrebbe superata e sarebbe rinato, gli avrebbe riso in faccia. Eppure, Albus aveva insistito col dirglielo tutti i giorni, fino allo sfinimento, tanto da obbligarlo ad uscire da lì per non doverlo sentire … ed aveva ragione. Piton non avrebbe mai creduto di riuscire ad essere felice ed in pace, ma Hermione ed Eileen, che aveva ora con sé, seppur dopo altro dolore e sofferenza, erano esattamente questo: la sua pace.
“Severus, è tardi, la classe sta arrivando!” esclamò Silente, destandolo dalle proprie elucubrazioni. “Cosa? Dannazione!” sbottò, schizzando in piedi. Eileen rise e lo indicò. “Papà è arrabbiato!” balbettò con la sua parlata incerta di bambina straordinariamente precoce. “Adesso come diavolo faccio?” sbraitò. In quel momento, sentì la porta dei sotterranei spalancarsi. “Professore?” chiamò una voce, seguita da altri. “Merlino … Albus, la lascio a te: se solo succede qualcosa a lei o alla stanza, ti brucio nel camino, chiaro?” concluse, secco, incantando il cavallino affinché Eileen fosse ancorata ad esso e schizzando in aula.
Con sua estrema sorpresa, trovò il terzo anno di Corvonero e Tassorosso già pronto per la lezione, con tutti gli studenti seduti e le piume sulle pergamene. “Buongiorno.” sibilò Piton, sentendosi osservato e cercando di riprendere il contegno che, evidentemente, aveva perso. Con passi lenti e misurati e le dita congiunte, si diresse alla cattedra. “Oggi tratteremo le proprietà dei fiori nella pozionistica.” annunciò con il solito tono seccato, accomodandosi. Nel farlo, non poté evitare di lanciare un’occhiata alla porta chiusa che dava nelle sue stanze. Non notando niente, iniziò a spiegare mollemente. Gli studenti prendevano appunti, silenziosi e timorosi come sempre. Solo dopo parecchio, una piuma scivolò da un banco, facendo calare un silenzio di tomba. “Mi scusi, è colpa mia …” mormorò una Corvonero dagli occhiali tondi, alzandosi. “Non c’è bisogno di muoversi dal proprio posto, Winters o dobbiamo forse dubitare che tu sia una strega?” considerò Piton, alzando un sopracciglio. La ragazza annuì, estraendo la bacchetta. “Wingardium leviosa.” recitò mentre la piuma levitava sino al suo banco, posandovisi. “Bene, ha passato la prima lezione di Incantesimi del primo anno con successo, Winters. Ed ora, torniamo alle dalie, a meno che non vogliamo ripassare anche noi cose del primo anno …” sbottò, riaprendo il libro. Aveva appena iniziato a dettare le proprietà dei gigli, notando, con sollievo e sorpresa, che oramai non gli faceva più alcun effetto nominarli o vederli, quando la porta che dava sulle sue stanze si spalancò di scatto. Prima che chiunque potesse reagire, Eileen volò nell’aula a cavalcioni del suo cavallino a dondolo, ridendo come una pazza e strillando: “Wingardium leviosa, wingardium leviosa!” mentre solcava il soffitto. Subito, tra gli studenti, lo stupore lasciò spazio alle risate incontrollate, tanto che alcuni addirittura finirono a rotolarsi a terra dal troppo ridere. Piton, stringendo le labbra sottili, chiuse le dita in un pugno e si alzò. “Finite Incantem!” recitò mollemente, accompagnando poi dolcemente a terra il cavallino e la bambina. “Si può sapere che diamine avete da ridere tutti quanti? Volete avere tutte T alle prossime verifiche dell’anno, forse? Se non tornare immediatamente ai vostri posti giuro che vi faccio sparire quella bocca così propensa ad aprirsi per sparare scemenze per sempre!” sbraitò poi, sbattendo una mano sul tavolo e fissando con gli occhi colmi d’ira gli studenti, che tornarono subito seri e composti. “Papà …” mormorò Eileen, agitando le manine in direzione dell’uomo con aria triste. Piton sospirò, portandosi la mano tremante alla base del naso per calmarsi. “Non è successo niente, Eileen, niente … solo, non farlo mai più!” sussurrò, prendendola delicatamente in braccio e stringendola a sé con sollievo. Si era quasi dimenticato di dove fosse, quando una voce familiare lo ridestò bruscamente. “Ma … è sua figlia, professore?”
Severus sollevò la testa di scatto, fissando la Winters che li guardava con aria sorpresa. “E di chi, sennò? Di Lupin? Non ha certo la pelliccia …” sibilò. Alcuni studenti, incredibilmente, osarono abbozzare dei sorrisi, cosa mai accaduta in quell’aula in più di vent’anni. “Possiamo vederla?” domandò una Tassorosso in prima fila, sognante. “Quando avrai figli tuoi, Byron, potrai guardarli quanto ti pare!” bofonchiò Piton. “E, comunque, la cosa non si ripeterà, è stata un’imperdonabile mancanza che …”
Eileen, agitandosi tra le sue braccia, lo interruppe, muovendosi freneticamente come per volersi mostrare agli studenti che, al vederla, si lanciarono in espressioni ed esclamazioni sognanti. “È bellissima!” considerò la Byron. “Vero, non Le assomiglia per niente, professore!” rise un Tassorosso. “Vonnegut, cinquanta punti in meno a Tassorosso e pulirai i calderoni per un mese!” sbraitò Piton, cullando la bambina. “Ed ora terminate la lettura della pagina mentre risolvo la … questione.” sentenziò, voltandosi per tornare nel suo ufficio, seguito dal cavallino.
Tra gli studenti non volò una mosca e, al rientro di Piton, tutti finsero di non aver sentito il grido: “Albus!” che aveva lanciato quando era uscito dalla stanza.
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La pozione per il mal di testa non aveva più alcun effetto su Severus, da quanta ne aveva ingerita. Aveva passato la giornata facendo su e giù dall’aula al suo ufficio, dove Eileen aveva mangiato, dormito e giocato tranquilla, sorvegliata da un Albus che era stato strigliato ben oltre il dovuto e quasi gettato tra le fiamme. Gli studenti avevano ottenuto voti bassi, compiti extra e punizioni come se piovesse e nessuno aveva osato fiatare, considerato l’umore davvero pessimo di Piton quel giovedì.
Del resto, era stanco e non aveva neanche pranzato, occupato com’era a dar da mangiare alla bambina ed a farla addormentare. Dopo altre ore di lezione, aveva approfittato dell’ora di pausa prima della riunione con gli altri insegnanti per pulire e sistemare le sue stanze e l’ufficio, ridotti ad un disastro insopportabile per un maniaco dell’ordine come lui ed ora sedeva in silenzio, fissando Eileen dormire accanto a lui nel passeggino e massaggiandosi le tempie tese. Era stanco, tremendamente stanco, arrabbiato ed indignato ed Hermione, come se non bastasse, gli aveva scritto che non sarebbe riuscita a ripassare e che, dunque, avrebbe dovuto portare a casa lui Eileen appena avesse finito a scuola. Ovviamente, era tutto per fargliela pagare … era una Serpeverde mancata, altro che testurbante Corvonero!
Riprese a massaggiarsi le tempie quando qualcuno bussò all’uscio aperto dell’aula di Pozioni. “Severus, la riunione è già iniziata e …” considerò Lupin, sulla soglia nel maglione marrone. “Zitto! Lupin, ti prego, non dire un’altra parola!” sibilò il pozionista, guardando accigliato sua figlia dormire prima di alzarsi e raggiungere Remus sulla soglia. “Che …” considerò dubbioso il mannaro, subito frenato da un gesto stizzito del Serpeverde. “Ho già parlato con Minerva, sono dispensato dal collegio docenti per il mio mal di testa …”
“Un mal di testa di nome Eileen?” rise Lupin. “No, un mal di testa di nome Hermione.” sbuffò Piton. “Me l’ha mollata per andare a Londra a trovare quella squinternata della Lovegood ed ad un appuntamento di lavoro!”
“Beh, è giusto che i padri facciano la loro parte, no?”
“Non di giovedì e non rischiando di compromettere la propria credibilità: ha combinato l’ardemonio, mentre ero a fare lezione!”
“Niente di irrecuperabile …”
“Ma neanche di piacevole.”
“Capisco. Ad ogni modo, ci servivi proprio tu: è per una pozione del programma del sesto anno …”
“Puoi riferire a Minerva che, se ha bisogno di me, sa perfettamente dove trovarmi, sempre e comunque e non si è mai fatta problemi a fare uso di quest’informazione.” sibilò, contrariato. “Capisco, certo, ma …”
“Niente ‘ma’: ho da fare, sono stato dispensato ed ora vorrei tornare a casa non appena sbrigate alcune scartoffie, perciò, Lupin, buona serata!” sbottò, chiudendolo letteralmente fuori dall’aula con un tonfo prima di lasciarsi nuovamente cadere sulla scrivania, tentando, inutilmente di concentrarsi sull’inventario degli ingredienti della dispensa scolastica mentre Eileen russava, tranquilla e profondamente addormentata. Ogni tanto, Severus la guardava, stupendosi nello scoprire ogni volta un dettaglio che la rendeva sempre più simile sia a lui che ad Hermione: era un perfetto concentrato di entrambi, il loro piccolo miracolo. Anche se il russare non l’aveva certo preso da lui, così come il vizio di scalciare nel sonno. Ogni domenica mattina si ritrovava a dormire in un angolino perché il resto del letto era occupato da due streghe alquanto agitate nel sonno … non che gli dispiacesse, ma ogni tanto la sua schiena ne risentiva.
Era quasi riuscito a concentrarsi sulla lista ancora incompleta quando la porta dell’aula si socchiuse appena, scricchiolando. “Lupin, ti ho già detto che non parteciperò a nessuna riunione, sono impegnato …” bofonchiò. “Neanche se fosse la riunione a venire da te?” domandò una voce familiare, facendolo sobbalzare ed alzare gli occhi. Dinanzi a lui c’erano Minerva, Lupin, la Cooman, Vitious, Hagrid, la Sinistra e persino quel ridicolo Eton, di Trasfigurazione. Tutti erano concentrati sulla culla accanto alla sua scrivania, naturalmente. “Oh, per Cassandra, è stupenda! E farà grandi cose, lo sento, è scritto nel suo destino …” mormorò Sibilla, facendo tintinnare gli anelli ed i bracciali nello sfiorarle la fronte. “Inizia con il tenere le tue grandi mani lontano dal suo futuro, Sibilla!” soffiò Severus, alzandosi in piedi di scatto. “Chi vi ha detto di venire qui? Lupin?”
“Lo sapevano già.” confermò il mannaro. “Per Merlino, se non posso partecipare, significa che …”
“Sapevano tutti che c’era la bambina a scuola!” sorrise Hagrid, prendendola in braccio. Eileen, riconoscendolo, si sveglio e sorrise, entusiasta, agitando le manine verso il mezzogigante. “Harid!” mormorò, storpiandone il nome. “Come lo sapevate?” sussurrò Severus, sbiancando, se possibile, pur mantenendosi algido come al solito. “Ad Hogwarts si sa sempre tutto di tutti.” annuì Minerva, rivolgendogli un’occhiata divertita e soddisfatta. “Anche se non me lo sarei mai aspettata da te, Severus … portare la figlia a scuola?”
“Ed infatti è stato un episodio disdicevole che non si ripeterà più e capirei se volessi decurtarmi dallo stipendio …”
“Ma decurtarti cosa? L’unica cosa che vorrei fare è prenderti a schiaffi, Severus!” intimò la McGranitt, scuotendo il capo. “Pensi sempre di poter fare tutto da solo, ma non lo sei da anni: questa è anche casa tua. Un inconveniente può capitare a chiunque. Ma noi avremmo potuto aiutarti, sai? C’erano ore buche ed a nessuno sarebbe dispiaciuto passare del tempo con questa meraviglia che, credimi, è così buona che stento a credere abbia il tuo DNA.”
Detto ciò, sorrise, compiaciuta, all’espressione mortificata del collega e prese posto, appellando una sedia. “Ed ora, iniziamo questa riunione: possiamo tenere la bambina in braccio a turno. E vediamo di fare presto, per l’amor del cielo: ho un treno da prendere per andare a Londra stasera e Severus ha decisamente bisogno di dormire.”
֍֎֍
Quando Severus rientrò a casa con Eileen profondamente addormentata nel passeggino, era tardi ed Hermione li stava aspettando sul divano, infagottata nella camicia da notte e nella vestaglia viola. “Eccovi, finalmente!” esclamò, schizzando in piedi. “Ma dov’eravate finiti?”
“T’interessa, allora!” commentò, acido, Severus, sistemando il passeggino prima di lasciarsi cadere in poltrona e massaggiarsi le tempie. “Come può non interessarmi?”
“Non mi è parso che tu ti sia fatta problemi a lasciarmela per tutto il giorno!”
“L’editore era in ritardo. E, comunque, pubblicherà il prossimo romanzo ad agosto!”
“Ma che piacevole notizia …”
“Non sei divertente.”
“Non volevo esserlo. La pazza?”
“I gemelli di Luna sono bellissimi e non è pazza!”
“Pensatela come volete.”
“E … Eileen? Ti ha … dato problemi? Si è comportata male?”
Severus osservò gli occhi colmi di apprensione di Hermione e sogghignò appena. “Non più del previsto.” rispose, enigmatico. “Ma cosa … oh, cielo!” sbuffò la Grifondoro, alzandosi e raggiungendo la culla. “Ci ho messo ore per farla addormentare, ti prego, non svegliarla!” la frenò Piton, stizzito. “Volevo solo vedere se sta bene!”
“Non l’ho mangiata!”
“Non lo faresti mai, lo so perfettamente. E sei … sei riuscito a gestire tutto da solo?” riprese Hermione distrattamente. “Ho avuto degli ottimi ausili.” rispose lui dopo un po’, levandosi mantello e casacca ed iniziando a sbottonare la camicia ed ad arrotolarne le maniche. Si levò l’ascot, consapevole della cicatrice che gli squarciava la gola e che tutti non potevano fare a meno di fissare: era sempre lì, come monito del suo passato, ma anche, in un certo senso, come simbolo della sua rinascita. Non gli dispiaceva averla, tutto sommato.
“Bene. Sono contenta.” annuì Hermione. “Anch’io. Molto. Almeno ora non mi rinfaccerai di non essere contento del tuo lavoro …”
“E tu che non so stare senza Eileen per più di due ore.”
“Certo, ma mi aspetto comunque delle scuse.” borbottò Severus, tornando a sedersi, chiudendo gli occhi. Li riaprì solo quando sentì il familiare profumo di Hermione e lei gli si sedette sulle ginocchia, circondandogli il collo con le braccia. “Mi sdebiterò, promesso!” gli sorrise, baciandogli la punta del naso, radiosa e bellissima come sempre. Severus non riuscì a trattenere un sorriso (una cosa che ancora non si capacitava di non riuscire a fare) e la strinse a sé. “Potresti fare tante cose … ad esempio evitare di essere troppo avventata o testarda o informarmi prima dei tuoi piani …”
“Un po’ difficile!”
“Giusto, giusto … allora, potresti diventare un bel koala!”
“Un koala? Hai bevuto troppo, Severus?” rise Hermione. “Nient’affatto: è che i koala tendono ad essere appiccicosi, come te. Avete molto in comune, ma loro non parlano così tanto …”
“Non portano neanche la vestaglia se è per questo …”
“Veramente.” sogghignò il Serpeverde al suo orecchio, passandole le lunghe dita sulle morbide gambe nude. “I koala non portano nulla.”

Angolo Autrice:
Un capitolo un po' più scherzoso, stavolta: avevo bisogno di scrivere qualcosa di leggero, è un periodo davvero pesante, fin troppo. Ringrazio davvero di cuore la bravissima e gentilissima _Morgan per lo splendido disegno che ha creato apposta per il capitolo e vi consiglio le sue bellissime storie: come promesso, il cavallino a dondolo è tornato e l'ha fatta da padrone. Grazie!
Spero vi sia piaciuta e ringrazio chiunque passi di qui!
A presto!
E.

 

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Capitolo 7
*** Pozione Dolcesonno ***



7.
Pozione Dolcesonno

[Pozione viola che fa addormentare immediatamente il bevitore e lo aiuta a trovare un po' di pace e riposo.]
Un grido squarciò brutalmente la tranquillità di una notte di nebbia e pioggia nella buia Spinner’s End. Al contrario di quanto si sarebbe potuto pensare, però, nessuno dei suoi abitanti si allarmò o agitò, al sentirlo, anzi: Severus, appena destato dal suo sonno già di per sé leggero, sbuffò sonoramente, controllando l’ora con un gesto stizzito. Accoccolata tra le sue braccia, Hermione sbatté le palpebre, assonnata e scarmigliata, levando la testa di scatto. “Di nuovo?” bisbigliò appena, cercando a tastoni Grattastinchi per evitare di pestarlo mentre si alzava, ancora mezza addormentata. “Hermione, lascia stare, vado io!” bofonchiò Severus, irritato, ma la strega scacciò la sua idea con un gesto. “No, non preoccuparti: l’ultima volta sei andato tu …” sbadigliò, dirigendosi a passo di lumaca nella stanza accanto alla loro, la vestaglia viola che ondeggiava leggera dietro alla sua figura dai capelli folti e mossi.
Il mago, levatosi a sedere, sbuffò, passandosi una mano sul viso ed accese l’abat-jour, illuminando l’oramai familiare camera. A guardarla ora, con il letto matrimoniale nuovo, l’armadio enorme, la toeletta, il bagno privato e la cassapanca coperta di cuscini sotto la finestra dalle lunghe tende leggere, stentava a credere che fosse la stessa in cui era nato e dove i suoi si erano odiati per più di un decennio. Stentava a riconoscere casa propria, a volte, per com’era stata trasformata …
Aveva sinceramente creduto che oramai la sua vita fosse perfetta e tranquilla, che finalmente potesse starsene tranquillo ed invecchiare tra i suoi intrugli con la donna che amava, ma non aveva calcolato l’enorme onda d’urto generata da Eileen Jean Piton, sua figlia, che cinque anni prima, gli aveva stravolto la vita, completandola e dandole improvvisamente un senso senza neanche esserne conscia.
Eileen era notoriamente una bambina adorabile: con i lunghi capelli neri, gli occhi d’ossidiana ed il gusto per colori scuri ed animali notturni, non solo era decisamente più intelligente della media, ma sembrava anche avere un non troppo velato disprezzo per giocattoli e cose normalmente considerate ‘da bambini’. E se questo già non fosse bastato come stranezza, da tre mesi a quella parte si erano aggiunti gli incubi. Praticamente ogni notte Eileen si addormentava beata, salvo poi svegliarsi alle ore più disparate, urlando e calmandosi solo se i genitori le stavano accanto e la cullavano. In più di un’occasione, pur di dormire qualche ora, si erano risolti a portarla nel lettone con loro … cosa che, a giudicare da quanto ci stava mettendo Hermione a farla riaddormentare, si sarebbe ripetuta anche quella sera.
“Che cos’ho mai fatto di male per meritare anche questo, eh, Grattastinchi? Va bene l’Oscuro Signore, va bene i Potter, ma anche il mal di schiena? Non ho più trent’anni!” sospirò Severus, accarezzando il gatto che, docilmente, si postò accanto a lui, nel lato più tranquillo del letto: se, con la soluzione del dormire insieme, quantomeno Hermione ed Eileen riuscivano ad addormentarsi, per Piton il sogno diventava ufficialmente irraggiungibile, vista la straordinaria somigliava di madre e figlia nel muoversi e rigirarsi nel letto come navi in tempesta. E se ad Hermione era oramai abituato (gli bastava abbracciarla perché si calmasse), Eileen si era rivelata persino più indomita di lei.
Neanche a farlo apposta, dopo qualche istante, la porta si spalancò ed Hermione ne emerse con Eileen tra le braccia, i lunghi capelli e la frangia a coprirle il visino pallido nella camicia azzurra ed il peluche a forma di unicorno fermamente stretto a sé.
“Di nuovo un brutto sogno?” sospirò Severus mentre la bambina s’infilava sotto le coperte, l’unicorno tra le braccia, stringendosi al padre come in cerca di protezione. “Sì.” mormorò, mentre Hermione li raggiungeva e le rimboccava le coperte. “Cos’hai sognato?” riprese il professore, beccandosi l’occhiataccia della moglie. “Dobbiamo proprio parlarne? Perché non domani?” constatò lei. “Perché non ora?” replicò lui, guardandola dritto negli occhi. “Sogno sempre il mostro che mi porta via!” ammise Eileen, giocherellando con l’unicorno. “Ma è normale … zio Percy dice che gli incubi sono comuni nei bambini sotto i tredici anni.”
Hermione e Severus si guardarono con la solita espressione sconvolta che sembrava dire: “Cosa diamine abbiamo generato?” di quando Eileen faceva quelle uscite alquanto preoccupanti.
“E com’è questo mostro? Se ce lo dici, forse possiamo aiutarti e scacciarlo …” mormorò dolcemente Hermione, accarezzandole il volto. Eileen scosse il capo, affondando ancor di più il volto contro il peluche. “Voglio solo dormire … per favore …” sbuffò. Hermione e Severus si scambiarono un’occhiata fugace, una delle tante conversazioni fatte solo di sguardi che avevano da oramai più di dieci anni prima che Hermione annuisse vigorosamente, sopprimendo ogni possibile protesta del mago con un’occhiataccia. Severus, sbuffando sonoramente, si sistemò meglio, rimboccando le coperte alla figlia. “Qua non devi preoccuparti di nessun mostro: sei al sicuro. Cerca di dormire, ora, però …” sospirò, ben consapevole che, mentre Eileen già si stava addormentando, sia lui che Hermione avrebbero continuato a fissare il soffitto, insonni, la testa colma di vorticosi pensieri, ancora per un bel po’.
֍֎֍
“No, non credo proprio che siano ‘soltanto incubi’ come dice tua madre!” sbottò Severus, sbuffando mentre il mantello nero gli svolazzava drammaticamente alle spalle man mano che avanzava a passo deciso per le strade di Diagon Alley, attirando, inevitabilmente, le occhiate di numerosi passanti. A volte si chiedeva se la gente avrebbe mai smesso di farsi gli affari altrui e di giudicare: vi era abituato, naturalmente e sapeva che la nomea di professore-Mangiamorte acido e bastardo, nonché molestatore, gli era appiccicata inevitabilmente addosso. Non che gli importasse: aveva le spalle larghe e non avrebbe potuto curarsi meno di quel che pensava la gente. L’importante era che lasciassero stare Eileen ed Hermione.
A quel pensiero, si voltò verso la moglie, intenta a camminare in silenzio nel cappotto blu elettrico, l’espressione seria e vagamente crucciata. “Non lo credo neanch’io …” mormorò la strega, stringendosi nervosamente le dita delle mani. “Ma non voglio neanche portarla dai medimaghi o dagli psicologi babbani … è fuori discussioni che sottoponga Eileen a quelle domande, la farebbero sentire solo a disagio e non ama gli estranei!”
“Sono d’accordo, ma non possiamo neanche continuare a farle prendere la Dolcesonno tutte le notti, Hermione …” sospirò Piton, osservando le foglie aranciate trasportate dal vento nella strada gremita: era uno dei finesettimana prima di Halloween e, com’era normale che fosse, nel mondo magico gli acquisti fremevano. Severus ringraziava di poter usare la scusa di voler accompagnare Eileen a fare dolcetto o scherzetto per evitare la stupida festa ad Hogwarts e rintanarsi nel suo amato salotto a leggere per tutto il giorno, possibilmente con Hermione e la bambina … bambina, che, peraltro, a cinque anni già sapeva leggere meglio dei suoi allievi e sfoggiava con orgoglio un repertorio tutto suo di volumi per l’infanzia. Ma quello era un dettaglio del tutto trascurabile.
“Va bene, bando alle ciance: che cosa proponi?” sospirò Hermione, controllando l’ora: a breve sarebbe dovuta andare a lavoro e, quel giorno, aveva deciso di portare la bambina con sé. Non aveva nessuna voglia di lasciarla a sua madre, che continuava a sminuire quegli incubi, liquidandoli come ‘fenomeni normalissimi’ e, sfortunatamente per lei, Severus aveva il giorno pieno.
“La cosa migliore che possiamo fare al momento sarebbe riuscire a capire più di preciso cosa sogna.” asserì il Serpeverde. “Ma non servirebbe ad aiutarla!”  
“No, ma potremmo quantomeno capire se sono sogni premonitori come i tuoi, cosa che sì, potrebbe essere, non fare quella faccia, o semplici incubi dettati da chissà cosa. Ma per scoprirlo, bisogna che sia sincera e si confidi e non lo fa mai … odia mostrarsi debole o incapace e, dannazione, non chiede mai aiuto …”
“Chissà a chi assomiglia!” sorrise Hermione, scoccandogli un’occhiata sorniona che lo fece sbuffare ancor di più. “Nello scalciare, a me no di certo!” le sussurrò, spingendola delicatamente verso il Ghirigoro e scoccando un’occhiata piccata ad un’anziana che li stava fissando scandalizzata. “La smetti di importunare la gente per strada?” l’ammonì Hermione, dandogli un buffetto sulla spalla. “Non sono certo io ad importunare la gente, qui!” replicò Piton. “Se si facessero i santi affaracci loro, non m’immischierei!”
“No, ma figurarsi …” sogghignò la strega. “E va bene!” sbuffò Severus. “Mi dà fastidio che tutti ci guardino in quel modo, come se ci fosse qualcosa di male nel passeggiare insieme per Diagon Alley! Contenta, adesso?”
“Lo sapevo già.”
“Naturalmente. Sia mai che la so-tutto-io Granger non sappia qualcosa … scommetto che sai anche perché lo fanno, in tal caso …”
“Certo.” sbottò lei, fissandolo in tralice. “Perché alla gente piace il lieto fine delle favole, quello in cui la principessa sposa il principe … tutti mi vedevano così, come la principessa che avrebbe sposato il principe Weasley.”
“Non avevano calcolato che tu sei una strega …” ghignò Piton, aprendole la porta per lasciarla entrare in negozio. Hermione gli scoccò un’occhiata piccata. “E neanche il fascino del classico antagonista redento e piuttosto bastardo …” sorrise, soddisfatta, passandogli davanti e strappandogli un mezzo sorriso mentre la seguiva al Ghirigoro.
La libreria accolse Hermione con un fruscio di pagine nella penombra lignea degli scaffali, come sempre. “Eccoci! Ed abbiamo trovato proprio una brioche al tuo gusto preferito!” sorrise la Grifondoro, precipitandosi al bancone, dove, accanto a Florence, tutta presa dalla revisione dei conti, Eileen, in un abitino verde scuro, stava leggendo con interesse un librone di fiabe. Alzò appena lo sguardo, sgranando gli occhioni neri al sentire il profumo del dolce. “Frutti di bosco, davvero?” esclamò, sorridendo. “Davvero. E ce n’è anche per Florence, che è stata così gentile da tenerti mentre andavamo al panificio …”
“Oh, ma è un piacere, davvero, è una bambina così adorabile … quando c’è bisogno, mi offro volontaria io!” rise la Florish. “Bene, si è fatto tardi e tra poco ho lezione … torno a prendervi a mezzogiorno e mezzo.” asserì Piton, fissando l’orologio sopra il bancone con sguardi carichi di odio. “Va bene.” annuì Hermione, sorridendogli appena prima di dargli un bacio sulla guancia: sapeva che suo marito non amava grandi effusioni in pubblico e, in fondo, nemmeno lei. Eileen non era chiaramente dello stesso avviso, dal momento che schizzò in piedi e corse incontro al padre, lasciandosi sollevare e gettandogli le braccia al collo. “Torna presto!” disse, stringendo le manine a pugno mentre si staccava dal rassicurante incavo del suo collo. Il cuore di Severus, quel piccolo frammento nero che credeva non gli sarebbe più servito, si sciolse a quelle parole, ma, come occlumanzia comandava, riuscì a nasconderlo dandole un bacio e posandola a terra. “Comportati bene con la mamma e madame Florish, mi raccomando, signorina. Florence, Hermione …” si congedò, chinando appena il capo prima di smaterializzarsi ad Hogwarts.
֍֎֍
“Muovetevi o tolgo dieci punti a testa, teste di legno che non siete altro!” sbottò Piton, vagamente infastidito dalla disarmante lentezza dei suoi studenti. La buia aula di pozioni di Hogwarts, quel giorno, era particolarmente scura e maleodorante a causa dell’esorbitante quantità di erbe e sostanze allineate sui banchi per la preparazione del filtro lunare, i cui fumi, tutti del colore sbagliato, uscivano dai calderoni, inebriando gli studenti del secondo anno di Serpeverde e Grifondoro.  
“Professor Piton, va bene così?” domandò orgogliosa una Serpeverde, mostrando il calderone fucsia. “Se hai intenzione di produrre tinture per barbie certamente sì, Wynning.” replicò Severus, gelido, suscitando qualche risatina che venne zittita da una sua occhiataccia. “Vedete di fare un po’ meno rumore!” sibilò, tornando in cattedra e sedendosi: aveva un atroce mal di testa, aggiungere benzina sul fuoco con le pozioni dei suoi studenti non era il massimo, ma presumeva fosse un male necessario e sufficientemente tranquillo da permettergli di arrovellarsi sulla questione gli stava davvero a cuore in quei giorni ...
“Ahhh!” gridò una Grifondoro, abbassandosi di colpo mentre un’ombra nera faceva scivolare nel calderone tutti gli ingredienti. “Via di lì, tutti voi!” esclamò Piton, estraendo la bacchetta. “Arresto momentum!” recitò, giusto prima che il calderone esplodesse addosso agli studenti impauriti. Fece evanescere il liquido con un gesto sprezzate, fissando in malo modo la studentessa che aveva urlato. “Esattamente dove hai imparato a contenerti, Stevens? Ti hanno cresciuta le scimmie dell’Amazzonia?” sibilò. “Non sono stata io, professore … è stato il corvo!” deglutì la giovane, indicando l’armadio. Piton seguì la traiettoria del dito con sguardo truce, sino ad incontrare la figura di un piccolo corvo, evidentemente cucciolo, con due bizzarri occhi verdi, del tutto strani per la sua specie. “Toh: un uccellaccio magico! Strano, questa è l’aula del pipistrello, non dei corvi … sparisci!” sibilò, lanciandogli addosso un quaderno col solo risultato di farlo svolazzare da un’altra parte tra le risatine degli studenti, che si zittirono all’occhiataccia del professore. “Si può sapere che vuoi?” mormorò, mentre l’uccello gli svolazzava addosso, becchettandogli il mantello prima di volare fuori. “Bene, se n’è andato … meglio per lui, altrimenti sarebbe finito fritto in qualche calderone! Stevens, chiudi la porta e pulisci tutto … tornate al lavoro, che abbiamo perso abbastanza tempo!” sbottò, storcendo il naso adunco. “Professore!” considerò un giovane, alzando la mano. “Che c’è?”
“Com’è entrato qui un corvo, se siamo nei sotterranei?”
“Chiedilo a quei geni dei tuoi amici Corvonero, dopotutto è nel nome della loro casa.” replicò, gelido e sprezzante, per nascondere il fatto che, in effetti, non riusciva neanche lui a spiegarselo.
֍֎֍
“Ecco qui: vedrà che a sua nonna piacerà moltissimo!” sorrise Hermione, porgendo al mago il pacchetto. Questi sorrise, uscendo nel nebbioso pomeriggio. “Uff … ed anche questa è fatta!” sospirò la Grifondoro, volgendosi ad accarezzare i capelli di Eileen, ancora presa dalla sua lettura. “Davvero c’è così tanta gente perché è Halloween?” domandò lei, dubbiosa, aggrottando le sopracciglia nere. “Proprio così: si fanno regali, tra i magici.”
“Nonna Jean e nonno Robert pensano che sia una cosa stupida ed anch’io!”
“Però è tradizione!”
“Non possiamo fare cose stupide solo perché sono ‘tradizione’!” replicò Eileen, ripetendo la parola nuova con un tono più acuto ed incerto, come faceva sempre. “No, hai ragione, ma il mio compito è lavorare, non chiedermi se sia giusto che la gente compri libri ad Halloween.” sorrise Hermione, riprendendo ad etichettare gli ordini con un sospiro: Eileen, a volte, era davvero impegnativa, anche se l’amava alla follia ed era la sua bambina. Aveva appena notato con sollievo che, seppur poco convinta, era tornata al suo libro quando un gracchiare fece gridare la piccola Piton, facendola mollare il libro e schizzare in piedi. “Eileen, che succede?” domandò Hermione, allarmata, seguendo il suo sguardo: in cima agli scaffali, c’era un piccolo corvo dagli occhi di smeraldo, tutto intento a fissare Eileen. Guardò gli occhi spauriti della bambina e comprese al volo. “Sono i corvi che sogni, vero?” indovinò. “Non i corvi: lui. Il corvo. Mi segue ovunque, non mi lascia mai sola e mi fa paura!” mormorò lei, spaventata. “Ma se ti piacciono pipistrelli e serpenti vari, perché mai un corvo dovrebbe essere diverso, scusa?”
“Non lo so, ma non mi piace.”
L’uccello zampettò verso di lei, facendola gridare nuovamente. “Suvvia, non è niente di che … anzi: è anche ferito, poverino! Dobbiamo aiutarlo …” sospirò Hermione, avvicinandosi cautamente e tendendo la mano verso l’animale, che si avvicinò, cauto. “E perché?”
“Perché non si lascia nessuno in difficoltà, animale o persona che sia.”
“Papà dice che le persone dovrebbero arrangiarsi …”
“Non dare sempre retta a tuo padre.”
Il corvo, d’improvviso, schizzò in un volo bazzicante, andando a posarsi sulla spalla di Eileen, che s’irrigidì e chiuse gli occhi. “Sta’ ferma, non ti fa niente!” l’ammonì Hermione, avvicinandosi e constatando che si trattava di un cucciolo di corvo decisamente particolare e non solo per gli occhi verdi: sembrava quasi dotato della capacità di capire cosa si stessero dicendo, da come muoveva la testa. Un po’ come Grattastinchi. “Dovremmo avere dell’Ossofast … ed anche delle bende.” sentenziò, prendendo delicatamente l’uccellino tra le dita prima di frugare alla ricerca di bende e pozioni. Eileen la fissò, sconvolta. “Ma perché? Ho sognato che mi seguiva, mamma, io …”
“Non sempre i sogni vogliono dire proprio quello che sembra, sai?” replicò lei, sorridendole ed allungandole una stecca. “Questa dovrebbe andare bene per fasciargli quell’ala rotta e ferita … la terresti per me, come una vera bambina coraggiosa?”
Eileen fissò prima il corvo e poi la stecca, ma la prese comunque. “Io non sono una bambina.” affermò. “Oh, lo so bene.” sorrise Hermione, iniziando a medicare l’animale mentre Eileen, tenendolo fermo, gli accarezzava pensosamente il piumaggio corvino.
Quando, svariate ore dopo, Severus Piton ricomparve al Ghirigoro, Hermione era impegnata con l’ultimo cliente e quasi sobbalzò vedendo Eileen leggere con il corvo dagli occhi di smeraldo appollaiato sulla spalla. “Ma cosa …”
“Sognava quel corvo che la seguiva … ma non era per una maledizione, secondo me: credo che Eileen abbia appena trovato il suo famiglio.” rispose Hermione, affiancandolo con soddisfazione mentre chiudeva. “Ma quell’uccellaccio è lo stesso che ha causato un mezzo disastro in aula appena due ore fa! Non può essere arrivato qua …”
“Non potrebbe neanche avere gli occhi verdi …”
“Allora va eliminato: è un animagus, quasi sicuramente e va a sapere cosa …”
“Severus!” lo fermò Hermione, ridendo ed afferrandogli la mano, tenendole tra le sue. “Non vedi? Quello è un normalissimo corvo, se fosse un animagus non avrebbe gli occhi colorati … è solo magico! Come Grattastinchi …”
“Non penserai davvero di tenerlo?”
“Perché no? Ha scelto la nostra famiglia, prima te ed ora Eileen … e non credo la lascerà tanto presto!”
“Oh, lo farà eccome, te lo dico io, non voglio uccellacci in casa mia!”
“Vedremo …”
“È inutile che …”
“Papà, hai visto?” intervenne Eileen, notando la presenza del padre con un largo sorriso ed indicando il corvo. “Si chiama Salem, mamma dice che basta una gabbia … possiamo tenerlo, vero?”
“Eileen …” sospirò Piton, sentendo distintamente l’occhiata divertita della moglie su di sé. “Non possiamo, non è un animale da compagnia …”
“Non mangia se non glielo do io dalla mano … ti prego, ti prego, farà tanta compagnia a Grattastinchi! Lo tengo io in camera e pulisco tutto io, promesso, ma non lasciamolo solo … nessuno dovrebbe stare solo!”
Severus sospirò ancor più profondamente, prendendosi il naso tra le dita, il mal di testa oramai a livelli colossali. “E va bene … ma sia chiaro, è un problema tuo e di tua madre, non mio, ve la vedete voi!”
“Grazie!” sorrise Eileen, raggiante, ritornando a leggere, soddisfatta, mentre accarezzava il corvo. “Un problema mio? Perché cos’avrei fatto io, di grazia?” sibilò Hermione, sorpresa. “Mi pare ovvio, mia cara …” mormorò Piton, fissandola con aria infastidita. “Da chi credi che abbia preso questo cuore di burro Eileen?”


 


 

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Capitolo 8
*** Alohomora ***



8.
Alohomora

[Incantesimo che apre cose chiuse a chiave.]
“E, così, Cho Chang si è lasciata anche con Sean Finnigan?” domandò Hermione, sgranando gli occhi ambrati da sopra la sua tazza di cappuccino colma di zucchero. “Si dice che lei lo tradisse, ma non so dirti di più.” annuì Ginny, scostandosi dal viso i capelli rossi alla giugulare mentre mescolava il suo espresso. “Beh, spero che entrambi siano più sereni, ora! Ne hanno passate tante, tutti e due …” sorrise Luna, agitando la complicata acconciatura disseminata di fermagli che sembrava un nido. “E noi no, scusa? Ad un certo punto, devi andare avanti e basta! Voglio dire, uno non può restarsene lì, fermo ad aspettare chissà che, in eterno … se una cosa è finita, è finita, basta!”
Hermione aggrottò la fronte: quelle parole, inevitabilmente, l’avevano fatta pensare a Severus e Lily. Era una connessione automatica che non poteva evitare di fare … come, a distanza di anni, non poteva evitare di sentirsi gelosa pur sapendo quanto fosse stupido.
“Spero sinceramente che anche Cho riesca ad essere felice.” affermò, lisciandosi il completo viola in contrasto con la camicetta nera per scacciare il pensiero. “Ma anch’io, credimi, Herm! Solo che da lei, che sembrava la regina del vero amore … beh, è ironico.”
“Sicura che non ti dia tanto fastidio perché è la ex di Harry?” constatò Luna, sorridendo mentre gustava il suo ginseng. “Voglio dire, la gelosia è normale, non c’è nulla di cui vergognarsi …”
“Luna, non iniziare …” sbuffò la rossa, alzando gli occhi al cielo. “Ha ragione, invece.” la supportò Hermione. “Anche tu? Non sono gelosa … e neanche Harry lo è! Siamo persone intelligenti, mica ragazzini in crisi, perdio! Non ha mai fatto storie per Dean … e sa benissimo che stavamo insieme!”
“Non ha fatto storie perché non sa di tutti gli altri, pensa che ci sia stato solo Dean ...” annuì Luna, facendo sgranare gli occhi di Hermione. “Altri?” ripeté. “Me lo ricordo: c’erano Oliver e quel ragazzo con cui stata fuori nella foresta tutta la notte, com’era?”
“Nessuno, te lo stai inventando!” strepitò Ginny, arrossendo fino alla punta delle orecchie. “Sam!” esclamò Luna, ignorandola ed annuendo. “Sì, proprio Sam! Un bel ragazzo, niente che dire, solo, per me … beh, se dicevi di amare Harry, non avresti dovuto … insomma, non ti ha lasciata certo per divertimento.”
“Oh, Merlino, spero vivamente che questa storia non salti mai fuori con mia madre o con Harry! Insomma, ero giovane, volevo vivere e c’era una guerra …” sbuffò Ginny, oramai dello stesso colore dei suoi capelli, scuotendo il capo. “Non uscirà da qui, sta’ tranquilla. Ma potevi anche dircelo …” mormorò, esterrefatta, Hermione, posando la tazza. “Io per un breve periodo sono stata fidanzata con un Corvonero del sesto anno! Più giovane, sì … però era un po’ troppo strano … fortuna che poi ho conosciuto Rolf!” annuì Luna. Hermione e Ginny si scambiarono un’occhiata sorpresa. “Beh, se per te Rolf è normale, accomodati … è tutto tuo. Non c’è pericolo che qualcuno te lo rubi, quello è sicuro …” sospirò la rossa. “Ginny ...” la fermò Hermione, osservando le affollate strade di Londra in quella chiara mattina di settembre dai tavolini del bar. “Ah, beh, se poi parli tu di uomini, stiamo fresche … hai sconvolto mezzo mondo magico con il tuo matrimonio!” commentò Ginny, aggiustandosi la giacca di pelle. “Cioè, finché si sapeva che tu e Piton stavate insieme, era sì strano e grottesco, ma non più di tanto, perché non c’erano manifestazioni o prove concrete sotto il naso. Insomma, poteva anche essere tutta una finta per chissà cosa! Poi però è nata Eileen e, beh, insomma … è Piton con la tua faccia e quella sì che è una prova tangibile di quello che … ehm … fate …”
Hermione arrossì fino alla punta dei capelli, boccheggiando per riprendere fiato. “Santo cielo, non dovrò anche giustificarmi perché ho una figlia, ora!” sbottò. “No di certo, abbiamo tutte figli, qui …” sorrise Luna. “Stiamo discutendo di gusti in fatto di uomini.”
“E cosa c’entra questo con me?”
“Oh, Herm!” sbuffò Ginny. “Insomma … Krum, Ron e Piton! Hai il gusto dell’animalesco, non c’è che dire …”
“Con Viktor ho solo chiacchierato in biblioteca un pomeriggio e ballato due volte e Ron l’ho solo baciato per un momento durante la guerra, contrariamente a te che scappavi di notte con Sam nei boschi, se proprio volgiamo dirla tutta!” puntualizzò la Grifondoro. “Ancora peggio, perché che una ragazzina ingenua ed innocente si lasci trasportare dal bel bulgaro prorompente o da quel tontolone di mio fratello posso anche capirlo, ma da Piton … non avresti neanche dovuto considerarlo se fossi stata sana di mente, Herm!” rise, salvo poi tornare subito seria all’espressione dell’amica. “Aspetta, ma vuoi forse dirmi che Piton è l’unico con cui …”
“Smettila!” la fermò Hermione, oramai rossa come un pomodoro ed alquanto irritata. “Basta, non voglio sentire una sola parola di più o giuro che me ne vado!”
“Non vuole dircelo.” sospirò Ginny, facendo spallucce. “Si vergogna!”
“È perché è tradizionalista.” annuì Luna. “Non riesce a liberarsi dai tabù …”
“Tabù? Sono una nata babbana, come faccio ad essere tradizionalista?” strepitò Hermione, esasperata: sapeva che accettare l’invito di Ginny per un caffè sarebbe stata una pessima idea, visto e considerato l’umore nero che aleggiava ultimamente sull’amica. “Oh, andiamo, Hermione! Sarai anche ribelle nel senso di lottare per ciò che è giusto e per chi non può farlo, ma quando si tratta di cose come sentimenti, vestiti e relazioni amorose, sei peggio di Narcissa Malfoy in quanto ad essere pudici!”
“Beh, per me è eleganza: un conto è parlare in generale, un altro di altre … questioni …” deglutì, appoggiandosi allo schienale ed incrociando le braccia. “Altrimenti ti chiederei se va tutto bene a casa, considerato quanto sei nervosa in questo periodo, ma non lo faccio perché so che, se volessi, me ne parleresti tu, perché so che, magari, sono cose private tra te ed Harry …”
“Non fa una piega.” confermò Luna. “Sapete chi è un’altra suora mancata? Mia suocera: sa tutte le preghiere e va in chiesa ogni giorno. Una volta le ho detto che, se si dovesse stufare di fare la matriarca, potrebbe sempre considerare il convento … non l’ha presa bene, ora che ci penso!”
“Ci credo!” sospirò Ginny, rivolgendosi, poi, ad Hermione. “E, comunque, Hermione, è inutile negare l’evidenza con la scusa dell’essere decenti, dai!”
“Sì, certo: hai ragione, come sempre. Ora scusatemi, ma devo andare a prendere mia figlia. Quella che ha sconvolto il mondo magico.” sibilò, alzandosi. “Buona giornata e salutate a casa.” disse, senza neanche aspettare che le due rispondessero prima di allontanarsi di corsa nelle affollate strade della Londra babbana.
Mentre si dirigeva in un vicolo per smaterializzarsi, non poté fare a meno di notare quanto fosse sollevata dal lasciare gli sproloqui di Ginny Weasley: solitamente, erano divertenti e la facevano sorridere, ma quel giorno erano semplicemente imbarazzanti e fuori luogo. Era quello che succedeva quando Ginny era di pessimo umore, lo sapeva bene … quello che faticava a capire era come mai tutto quel malumore e quegli argomenti fossero saltati fuori di punto in bianco. Negli anni precedenti, era sempre stata contenta, quasi entusiasta … per Hermione, che la conosceva abbastanza bene, il vero problema era che aveva dovuto lasciare il suo ruolo di giocatrice. E, per quanto amasse i suoi figli, era un sacrificio non da poco che Harry non aveva dovuto fare e per cui lo invidiava e, forse, anche incolpava un po’ …
Mentre si dirigeva verso la villetta dei suoi genitori, si ritrovò a pensare con sollievo che lei non aveva mai avuto questi problemi: era tornata a lavorare dopo un anno, faceva solo mezza giornata e lei e Severus riuscivano a dividersi per badare ad Eileen.
“Oh, Hermione, eccola qui! Scusa se non ti tratteniamo tanto, ma dobbiamo proprio andare … ho un intervento oggi.” esclamò Robert, aprendo la porta giusto per far uscire Eileen, nel suo giacchino di stoffa blu e nella borsetta con i gatti neri, i capelli corvini svolazzanti nel vento. “Tranquillo, papà, lo so! Grazie per averla tenuta, ci vediamo domenica …”
“Ciao, nonno, grazie!” sorrise la bambina, schioccandogli un bacio sulla guancia prima di seguire la madre lungo il vialetto. “Dove andiamo?” domandò, prendendole la mano e seguendola dietro l’albero dove si smaterializzavano abitualmente. “Oggi andiamo a fare un po’ di spesa, sia al supermercato che a Diagon Alley … manca tutto a casa ed a papà serve qualche ingrediente, ma non riesce ad andare di persona!” le sorrise Hermione, stringendola a sé mentre svanivano per ricomparire in una Diagon Alley coperta da un cielo plumbeo e costellata dai soliti negozietti colorati, con una discreta folla di creature magiche che passeggiavano su e giù. Hermione ringraziò che il Ministero avesse cambiato le regole consentendo anche ai minori, se accompagnati da un adulto, di smaterializzarsi, altrimenti ci avrebbero messo secoli ad arrivare. “Non può andare papà a prendere le code di salamandra?” obiettò Eileen, trotterellandole dietro lungo le strade con uno sbuffo di protesta. “Da quando non ti piace andare a caccia di ingredienti per le pozioni?” sospirò Hermione, aggrottando la fronte mentre osservava la figlia, adombratasi. “Da quando voglio sapere come finisce il libro che sto leggendo.” ammise, abbassando lo sguardo. La Grifondoro sorrise, stringendole la manina tra le dita. “Ci sbrigheremo, vedrai, così poi potrai tornare a leggere … promesso … ma me lo fai un sorriso, adesso?”
Non appena Eileen sollevò gli occhi a fissarla ed abbozzò un sorriso, Hermione annuì, soddisfatta, dirigendosi a passo sicuro verso l’emporio di ingredienti per le pozioni.
Dopo anni, Hermione poteva dire di conoscere abbastanza bene quel negozietto minuscolo, stretto tra due alti edifici in pietra colorata che aveva per proprietario uno sgradevole goblin di nome Wilkins. E proprio Wilkins, appollaiato dietro al bancone, le accolse con un sorrisetto spiacevole non appena furono entrate. “Le signore Piton, quale onore! Qual buon vento vi porta qui?”
“Nessun buon vento: semplicemente questi.” replicò Hermione, consegnandogli la lista di ingredienti senza troppe cerimonie: non amava quel goblin e non era certo un mistero. Wilkins le rivolse un sorriso sghembo prima di mettersi all’opera. Eileen, stretta alla mano della madre, osservava ammirata gli scaffali e gli espositori tappezzati di ampolle e barattoli pieni delle cose più disparate, da piume a sostanze: nonostante fosse giovane, non c’erano grossi dubbi su quale sarebbe stata la sua materia preferita ad Hogwarts. Aiutava già Severus, di tanto in tanto e, come tutti i Prince, sembrava avere un talento naturale per la disciplina.
“Eileen …” sussurrò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare e voltare di scatto. Quasi gridò quando, alle sue spalle, trovò un tipo alquanto bizzarro: indossava un completo nero e smeraldo molto ottocentesco, con tanto di ascot, spille, guanti di pelle e bastone. La cosa che più colpì Hermione, però, furono il pallore cadaverico ed i capelli, lunghi ben oltre le spalle, corvini con appena qualche filo bianco e lisci. Abbassò appena gli occhiali da sole e si raddrizzò il cilindro, rivelando due occhi d’ossidiana che fecero deglutire Hermione, lasciandola basita e del tutto senza parole: poteva negarlo finché voleva, ma conosceva quegli occhi meglio di chiunque altro. Li vedeva e li amava da anni ed un paio identico era incastonato anche nel viso di sua figlia …
“Mi scusi, ci conosciamo?” mormorò, schiarendosi la voce e stringendo istintivamente a sé la bambina, sull’attenti e piuttosto dubbiosa. “Io e Lei no, signora ma conosco … o, meglio, conoscevo sicuramente qualcuno che vi riguarda. Soprattutto la bambina.” asserì l’uomo, sicuro, assottigliando lo sguardo. “Mi spiace, ma né io né mia figlia l’abbiamo mai vista in vita nostra, perciò …”
“Reginald Prince.” rispose lui, senza darle il tempo di concludere, levandosi il cilindro e lasciando Hermione a bocca aperta. “E tu ti chiami?” domandò, poi, assumendo un’espressione insolitamente dolce prima di chinarsi di fronte alla bambina. Questa aggrottò la fronte. “Non devo parlare con gli sconosciuti.” asserì, sicura. “Vero, ma io potrei non esserlo, Eileen.”
“Come sa come mi chiamo?”
“Ti sei girata quando l’ho detto, poco fa.”
Hermione deglutì, parandosi davanti alla figlia. “Si può sapere che vuole da noi? Mia figlia si chiama Eileen e, anche se potrebbe essere imparentata con Lei, c’è modo e modo di dirlo! Non vede che la sta turbando?” sbottò. Reginald la squadrò per un po’ prima di annuire. “Ha ragione, signora: mi perdoni. Ma … ecco, non sapevo che suo figlio fosse vivo … né che si fosse sposato ed avesse una bambina con il suo nome.” mormorò. A quei ‘suo’, Hermione notò che la voce gli era tremata e gli occhi si erano fatti più grandi. “Lei è … in che modo è parente di Eileen Prince?” azzardò. L’uomo si morse il labbro, nervoso. “Sono il fratello maggiore … come sta Eileen?”
La bambina, sentendosi chiamata in causa, sobbalzò, ma Hermione la tenne gentilmente per le spalle mentre sospirava. “Dovrebbe leggere anche i giornali babbani, sa, signor Prince?” mormorò. “Scoprirebbe tante cose …”
Reginald sgranò gli occhi, sospirando, profondamente amareggiato. “Lo sapevo … gliel’avevo detto, ma lei non aveva voluto sentire ragioni! Ma … suo figlio è vivo?”
“La Gazzetta del Profeta non si è mai risparmiata commenti sulla vita di Severus Piton.” replicò, guardinga, costringendosi ad ammettere l’evidenza. “Non leggo i giornali, né magici né babbani: non mi è mai interessato da giovane, figurarsi ora.” bofonchiò l’altro, rigirandosi il cappello tra le mani. “È per questo che non sapevo … sennò … sennò io …”
“Non mi risulta che ai magici manchino i modi per comunicare, cosa che comunque non ha mai voluto fare, dunque non vedo perché dovrebbe farlo ora. Se vuole scusarci, signor Prince, dobbiamo andare: è stato un piacere.” concluse Hermione, risoluta, voltandosi verso Wilkins, immobile ed intento ad ascoltare con interesse per prendere gli ingredienti e, una volta controllati, allungargli i soldi. “Andiamo, Eileen …” disse, afferrando la bambina. Prima che potesse imboccare l’uscita, però, l’uomo la fermò prendendole gentilmente per il braccio. “Mi lasci immediatamente!” sibilò Hermione, scostandosi. “Non volevo turbarLa … mi scusi. Lei dev’essere la moglie di Severus, giusto?” chiese Reginald, esitante e quasi imbarazzato, continuando a torturarsi il cappello. “Sì, sono io. E posso garantirLe che lui non mi ha mai parlato bene dei Prince …” replicò. “Ed ha fatto bene. Ma le cose cambiano ed anche le persone … io sono cambiato e le sarei grato se potesse … beh, darmi la possibilità di rimediare.”
“Non dipende da me: se davvero volesse farlo, saprà sicuramente dove abitiamo.”
“Non mi permetterei mai di presentarmi in un posto pur sapendo di non essere benaccetto, perciò … ecco, sarebbe così gentile da dare il mio biglietto da visita a suo marito? A puro titolo informativo, naturalmente: non pretendo che mi perdoni o che diventi improvvisamente il suo parente preferito, anzi, lo capirei, se non lo facesse, sono stato orribile come zio. Solo, gli dica che ci pensi … per favore …”
Hermione fissò il cartoncino che le porgeva l’uomo e, gettata una rapida occhiata al negozio ed a sua figlia, lo afferrò. “Lo farò, ma non si aspetti nulla. Le auguro una buona giornata.” deglutì, fiondandosi fuori con Eileen al seguito.
Una volta uscita, le parve di tornare a respirare, senza lo sguardo insistente di Wilkins e le domande dello zio di Severus, un uomo di cui non sapeva neanche l’esistenza, addosso. “Mamma, perché non andiamo mai dai parenti di papà?” domandò, d’un tratto, Eileen, mentre, lasciatesi alle spalle l’emporio, camminavano tranquille, osservando le vetrine. La strega deglutì, stringendole impercettibilmente la manina: quello era un discorso che non era preparata ad affrontare e sperava vivamente che avrebbe interessato Severus, non lei. “Nonna Eileen non c’è più.” disse, così, mantenendosi sul vago. “Lo so, ma … non ho anche un nonno? E zii e zie? Il signore diceva di essere lo zio del papà …”
“Non saprei …” asserì Hermione, mordendosi il labbro: era la verità. Non lo sapeva. Severus le aveva raccontato di Eileen e Tobias, ma per il resto sapeva solo che i Prince avevano rinnegato sua madre da quando era scappata di casa e non li aveva mai visti. Un giorno si era lasciato sfuggire che l’avevano chiamato Severus nella speranza che il nonno, vedendo un bambino con il suo stesso nome, si sarebbe intenerito ed avrebbe dato loro soldi. Speranza che si era poi rivelata vana.
“Ma papà allora è solo?” riattaccò Eileen, aggrottando la fronte. “No, ovviamente: ci siamo io e te. E zia Minnie …”
“Lei è una sua collega ed amica, non una zia vera, mamma. Come fa a non avere parenti?”
“Ne ha.” sospirò Hermione: a volte, avere una figlia già così intelligente per i suoi sette anni era una vera tragedia. E non poteva neanche cambiare argomento parlando dei compiti per le vacanze della bambina, perché li aveva già fatti tutti. “Solo che non sono … brave persone. Si sono comportati male con papà.”
“E non si sono pentiti!”
“Non credo, sono passati tanti anni … ma non pensiamo a queste cose, adesso, su! Sai che facciamo prima di andare a fare la spesa e finire quel libro? Andiamo a prendere una bella brioche stracolma di marmellata, eh, ti va? E non fare il broncio: oggi puoi prendere il gusto che vuoi.”
Eileen parve soppesare l’offerta. “Anche mirtillo?” azzardò dopo un po’. “Certo, anche tutti i frutti di bosco, se vuoi.”
“Allora va bene … basta che non ci mettiamo troppo.”
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“Severus, devo parlarti.”
Il professor Piton, terrore di generazioni e generazioni di studenti di Hogwarts da decenni, sollevò il capo dal saggio di pozioni che stava leggendo con scarso interesse e parecchio disappunto, puntandolo su quell’ambiente che, teoricamente, avrebbe dovuto dargli pace e tranquillità. Era sera, a Spinner’s End: fuori, il buio era tanto fitto che potersi tagliare con il coltello. La luna, le stelle ed i lampioni non erano sufficienti a rischiarare l’oscurità profonda che avvolgeva la cittadina. Eileen era a dormire da una buona mezz’ora, dopo aver guardato un film ed aver ascoltato Severus leggerle la storia della buonanotte, nonostante fosse abbastanza grande da non averne più bisogno. Ora, a letto, con l’abat-jour ad illuminare la camera da letto in legno e Grattastinchi che ronfava beato tra le coperte, l’ultima cosa che si aspettava era che sua moglie, ancora in vestaglia, sembrasse non volersi decidere a venire a dormire e, anzi, fosse agitata, come se ci fosse qualcosa che la turbasse. Quel ‘qualcosa’, alla fine, era saltato fuori, sottoforma del leggendario ‘devi parlarti’. Piton sospirò, poggiando il libro sul comodino. “Devi proprio? Ho avuto una giornataccia …” mormorò, rievocando i calderoni esplosi ed il collegio docenti che pianificava la festa di Halloween. “Ed io no, secondo te? No, non posso rimandare, è urgente …” sbuffò Hermione. “Va bene, ma almeno vieni a dormire, inizia a fare freddo e non è che lo sopporti benissimo! Allora, che c’è? Ti sei stancata del vecchio pipistrello dei sotterranei, finalmente?”
“Ancora? Seriamente?” esclamò Hermione, vagamente esasperata, gettando la vestaglia sulla poltrona prima di infilarsi a letto nella camicia da notte bianca. “Perché, chi te l’ha già detto?”
“Niente, niente, i malumori di Ginny …”
“L’unica donna, oltre a sua madre, che riesce a restare incinta solo fissandola più a lungo del dovuto, certo …”
“Non si tratta di lei, comunque, ma dell’emporio di Wilkins: c’era un cliente che conosceva Eileen, Severus. Ed il suo nome è Reginald Prince … fratello maggiore di tua madre.” si costrinse a dire, porgendogli il biglietto che aveva lasciato nel cassetto per tutto il giorno. “Vorrebbe … ecco, rimediare agli errori del passato.”
Sollevò lo sguardo, stupendosi nel vedere Severus muto e perfettamente immobile, come una statua di ghiaccio: fissava il biglietto, come incredulo, muto. “Severus … Severus, di’ qualcosa, ti prego …”
“E cosa dovrei dirti, Hermione?” sibilò, rialzando, allora gli occhi, gelidi e duri, privi della familiare luce che vi brillava quando si rivolgeva normalmente a lei. Hermione deglutì. “Io …” sussurrò. “Butta quel biglietto: non avresti neanche dovuto prenderlo. Fine della questione.”
“Ne sei davvero sicuro?”
“E me lo chiedi anche? Merlino, Hermione, credevo di averti detto tutto quello che c’è da dire sui Prince!” sbottò Piton, assottigliando gli occhi, improvvisamente adirato. “Non saprei: mi dici sempre così poco di te che a volte non so cosa pensare. E questa è una di quelle volte!” ribatté la Grifondoro, sospirando profondamente per la frustrazione. “Non importa cosa ti dico o cosa no: appena quell’uomo si è presentato come un Prince, avresti dovuto andartene! Non avrà apostrofato anche Eileen?”
“Sì, l’ha fatto, invece! Ed allora? In fondo, è il suo prozio …”
“Dannazione, Hermione, ma non capisci che quella non è brava gente? Hanno abbandonato mia madre!”
“Lo so e ti capisco, Severus, ma, prima di etichettare, io proverei quantomeno a sentire cos’ha da dire …”
“Non m’interessa.”
“Le persone posso cambiare.”
“Non credo proprio!”
“Buffo che sia proprio tu a dirlo …” sbottò, rendendosi conto di cos’aveva detto solo una volta che le parole avevano già lasciato la sua bocca, osservando l’espressione gelida di Severus. “Ecco qual è il vero problema … sapevo che si sarebbe arrivati a questo punto!” sibilò, senza neanche guardarla. “Ti sei stufata di sentirti etichettata dalla gente, alla fine, vero?”
“Stufata? Stufata? Ma ti ascolti?” strepitò Hermione, schizzando in piedi, sentendo le guance arrossarsi per la rabbia e la frustrazione. “Per tua informazione, ho passato la mattinata a farmi ridere dietro da Ginny Weasley … e sai perché? Perché ho avuto solo te! E non te l’ho neanche voluto dire perché so quanto ti senti in colpa per ogni cosa … a quanto pare mi sbagliavo! Non te ne frega niente, né di me né di nessuno! Volevo solo aiutarti con tuo zio, cercare di farti sentire meno solo … è l’unica cosa che ti resta di tua madre, santo cielo! Ma, come al solito, l’unica cosa di cui t’importa è il tuo orgoglio ferito … ti lascio solo con lui, visto che è il tuo miglior amico.” sbottò, afferrando la vestaglia ed uscendo senza neanche attendere risposta.
Corse giù per le scale e, infine, fuori nella tiepida notte. Si lasciò cadere sui gradini sul retro che davano sul piccolo giardino dove lei aveva creato un piccolo orticello, piantato una quercia e delle ortensie. Stringendosi le ginocchia con le braccia, sospirò, affondando il volto nella camicia: qualche lacrima che, come al solito, non riusciva a trattenere le scese dagli occhi, impregnandosi nel tessuto. Era stanca, tremendamente stanca di gente che non faceva che giudicarla e dire cosa dovesse fare, come, quando e perché. Era abituata ai giudizi altrui, soprattutto delle sue amiche, ma non a quelli di Severus, non più, almeno e non si aspettava che facessero così male. A ben pensarci, l’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era scappare il più lontano possibile da tutto e da tutti …
Si irrigidì di colpo al sentire uno scialle coprirle delicatamente le spalle. “Che cosa vuoi?” mormorò, cercando di sembrare gelida nonostante la voce rotta. “Vieni dentro: prenderai freddo qua fuori.” le rispose la voce di Severus, arrocchita come se avesse appena pianto, anche se, evidentemente, non l’aveva fatto. “Ed a te cosa importa?” sibilò Hermione. “Non essere ridicola.” sbuffò, sedendosi sui gradini accanto a lei. La Grifondoro non si volse a fissarlo, pur percependo la sua presenza dal familiare profumo di menta, muschio e libri. “Perché non mi hai detto della Weasley?” domandò, dopo un po’, Piton. Hermione fece spallucce. “Non avresti fatto che colpevolizzarti, ti conosco.”
“Mi colpevolizzo ogni giorno della mia vita, a prescindere da quel che dice la Weasley, anche e soprattutto per te … so bene di averti rovinata e che tutti ci sparlano dietro. Nella mia seppur limitata conoscenza della natura umana, posso dirti che, forse, la Weasley pensava che saresti stata infelice, ma ora è un po’ gelosa perché ti sei rivelata ben più serena di lei, nonostante le scelte discutibili che hai fatto. A parte questo, Hermione, anche se a volte sono un acido bastardo, ti garantisco che tu ed Eileen siete l’unico errore che rifarei, perché mi ha reso davvero felice per la prima volta in quarant’anni.”
Hermione si volse a fissarlo e si stupì nel vedere i suoi occhi liquidi alla luce della luna. “Non siamo un errore.” lo corresse, la voce rotta dal pianto, affondando il viso sul petto di Severus mentre questi la stringeva a sé e tutto il freddo che sentiva dentro spariva. “No. Non per me. Ma per il resto del mondo, sì, lo siamo. Io ci sono abituato … anche per i Prince sono sempre stato un errore: avrebbero potuto salvare mia madre in qualunque momento, ma non l’hanno mai fatto. Come credi possa rivalutarli?”
“Quanti erano? Ed i Piton?”
“I Piton, semplicemente, non c’erano: mio padre era orfano. I Prince, invece, includevano mio nonno Severus, mia nonna Alice, mia madre e suo fratello maggiore, Reginald. Credo fosse sposato ed avesse due figli, ma di più non so …”
Hermione annuì in silenzio. “Davvero non intendi dargli neanche una possibilità?”
“No. Te l’ho già detto e non voglio discutere per questa cosa.”
“Ma sono l’unico legame che ti resta con tua madre … anche Eileen sarebbe felice di conoscere la tua famiglia.”
“La mia famiglia siete voi, Hermione e non m’importa dei Prince o di chicchessia: niente e nessuno potrà mai cambiare questo.” espirò, passandosi una mano sul volto. “Mi dispiace se a volte non riesco ad esprimermi come meriteresti, è solo che … beh, non sono abituato a parlare di me.” deglutì il Serpeverde, distogliendo lo sguardo. La moglie sorrise appena, stringendosi ancor di più a lui. “Lo so. Lo so. Ma adesso non discutiamone più, per favore …”
“Potremmo parlare della tua assurda cocciutaggine e della mania di far fare pace a tutti, però.”
“Non sono manie.”
“No, no, certo …” sogghignò. “Anche se fosse, le hai accettate quando mi hai sposata.”
“E le riaccetterei anche subito per altri duecento anni, Hermione.”
“Accetteresti qualunque cosa?”
“Cosa stai tramando?”
“Niente, era solo per chiedere … adesso torniamo a dormire, però, sono stanca.”
“Come desidera la mia regina.” ghignò Severus, aiutandola ad alzarsi e scrutandola nel silenzio della notte. “Io ancora non riesco a credere che la Weasley ti abbia davvero presa in giro perché eri …”
“Sì, invece e non solo lei. Ora basta, per favore, altrimenti ti costringerò a passare una settimana intera con Reginald Prince.”
“Non vedo come potresti.”
“Davvero?” sorrise, maliziosa. “Mi sottovaluti, Severus.”
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“Io davvero non capisco perché devo farlo.”
“Eileen, te l’ho già spiegato: la nonna ci tiene tanto …”
“Ma io detesto lo shopping, soprattutto nei negozi babbani!”
Hermione sospirò, sollevando lo sguardo dal computer dove stava cercando oramai da ore di terminare il capitolo del terzo libro della saga di Harry Potter, opera che le aveva fatto guadagnare una certa fama tanto tra i magici quanto tra i babbani. Di fronte a lei, seduta con un enorme librone sulle gambe, Eileen la fissava con espressione crucciata e vagamente irritata, la stessa del padre quando qualcosa non lo aggradava. Certo, quando le avevano detto, dopo quindici ore di travaglio tra la febbre alta e le contrazioni, che il bambino era una bambina, mai avrebbe pensato di dover litigare per costringerla a fare compere con la nonna un pomeriggio. A ben ripensarci, tuttavia, nemmeno lei era mai stata una grande amante dello shopping sfrenato e sicuramente non lo era Severus …
“Non puoi sempre fare quello che vuoi tu: nella vita dovrai fare tante cose che non ti piaceranno e non potrai sempre protestare così.” sentenziò, tornando a concentrarsi sulla giratempo. “Ma …” sbuffò la bambina, sgranando gli occhi. “Niente ma, Eileen: domani pomeriggio andrai a far shopping con la nonna perché lei è sempre gentile con te e ci tiene. Inoltre, io domani devo andare a Londra dall’editore e papà ha un consiglio di classe.”
“Posso venire con voi, non farò rumore, promesso!”
“No. Starà alla nonna, se ti comporterai bene, valutare se meriti anche un premio …”
Un lieve silenzio precedette la domanda: “Un premio di che tipo?”
Hermione la fissò, maliziosa. “Questo non sta a me deciderlo.” sorrise: corrompere sua figlia, conoscendo Severus, era piuttosto facile. Aveva un animo da Serpeverde ed era piuttosto ovvio, almeno ai suoi occhi di madre, dove sarebbe stata smistata ad Hogwarts … non che le importasse poi molto.
Il trillo del campanello interruppe la loro discussione. “Ne riparliamo dopo.” sospirò, rassegnandosi a spegnere il computer per andare ad aprire.
Vista l’ora, si aspettava che fosse suo padre, venuto a trovare la bambina o la vicina che aveva finito il sale. Rimase perciò a dir poco allibita nel trovarsi di fronte Reginald Prince, in redingote viola e bizzarri mocassini luccicanti. “Disturbo?” domandò, levandosi il cilindro. “Buonasera. Non mi pare che mio marito L’avesse contattato …” mormorò, non sapendo bene come gestire la situazione. “No, è vero. Ma ho voluto comunque fare un tentativo.”
“Ha sbagliato: Severus è molto netto nelle sue decisioni e so che non gli farebbe piacere. E siccome è della sua famiglia che si parla, io …”
“So che non vuole saperne di me, lo capisco. Ma, se mi dà solo un minuto, vorrei spiegarmi … soltanto uno. Per favore … lui e la bambina sono tutto ciò che resta della mia famiglia.”
Hermione stava per ribadire il suo diniego, ma, vedendo gli occhi del mago colmarsi di lacrime ed ingigantirsi, si ritrovò a deglutire a vuoto ed a sospirare: in fondo, Severus non doveva necessariamente venire a saperlo. “Va bene, venga, ma L’avverto: non ho molto tempo.” si arrese, scostandosi. Reginald le sorrise, entrando cautamente in casa. Osservò le pareti e la mobilia con un’occhiata perplessa. “Era qui che viveva mia sorella?” domandò, dubbioso, mentre Hermione riponeva il cappotto ed i guanti sull’attaccapanni. “Sì, ma è stata ristrutturata: quando ci sono venuta io non era certo così.” rispose la Grifondoro, facendo per prendergli il cilindro. Il mago, tuttavia, la frenò. “Oh, aspetti un attimo: mi sono permesso di portare alcune cose, in quanto ospite non gradito …” sorrise. “Non doveva …”
“Ci mancherebbe.”
“No, intendo proprio che non avrebbe dovuto farlo: non serve e, ripeto, a mio marito non so quanto sarebbe gradito.”
Hermione tacque al vedere un mazzo di denti di leone ed iris ed un enorme enciclopedia del fantastico per bambini con illustrazioni colorate ed intarsi. “Io … non so cosa dire …” mormorò, imbarazzata. “Non dica niente: li accetti.” replicò l’uomo, mettendole i fiori in mano e dirigendosi rapidamente in salotto. Eileen lo fissò dubbiosa, salutando a monosillabi, ma, al vedere il libro, si illuminò come un albero di Natale. Parlarono assieme di letture mentre Hermione preparava il caffè e solo quando l’ebbe servito ed Eileen ebbe iniziato a leggere il volume, si rivolse a Reginald. “Allora? Cosa vuole?” sospirò. Il mago, per tutta risposta, frugò nella tasca sino ad estrarre il portafoglio e lo passò ad Hermione. Questa, cauta lo apri: dentro c’erano due foto che raffiguravano la famiglia Prince, indubbiamente. I colori di occhi e capelli dei componenti raffigurativi erano inconfondibili. In un’immagine un po’ datata, c’era un uomo austero, dai capelli lunghi, che teneva le mani sui figli, una ragazza ed un ragazzo identici a lui, dai volti pallidi, le chiome, gli occhi e le vesti nere: indubbiamente, Severus Prince con i figli, Eileen e Reginald. Hermione non aveva faticato a riconoscere la suocera: era sempre uguale, con quell’espressione perennemente oppressa ed affranta di chi si era oramai arreso ad un’esistenza infelice. Nell’immagine accanto, invece, c’era un Reginald più giovane di quello che aveva conosciuto, accanto ad una bellissima ragazza bionda ed a due bambini dai capelli neri e gli occhi azzurri. I loro sorrisi che si allargavano come i capelli alla brezza della foto davano un nonsoché di triste al salotto.
“Quella era la mia famiglia.” disse Reginald all’improvviso, facendola sobbalzare. “L’avevo intuito. Ma perché ‘era’?” domandò, cauta. “Perché sono morti, naturalmente.”
La Grifondoro sollevò le palpebre di colpo e spalancò la bocca in una muta ‘O’ di sorpresa. “Mi … mi dispiace, non lo sapevo, io …”
“Non si prodighi in chissà quali scuse: non poteva saperlo in alcun modo e non è stata certamente colpa sua, non c’è motivo. La colpa è solo e soltanto di Voldemort … fortunatamente, credo siano stati vendicati adeguatamente anni fa.”
“Voldemort?! sussurrò Hermione, con un brivido che le correva per la schiena: era da anni che non pronunciava quel nome, né vi pensava. Di certo non le portava alla mente ricordi piacevoli …
Istintivamente, guardò Eileen, ma per fortuna era ancora immersa nel libro, sebbene ogni tanto sollevasse lo sguardo, incuriosita da alcune parole che sentiva di sfuggita.
“Sì, Voldemort. Ci eravamo rifiutati di unirci alla sua causa, pur essendo un’antica famiglia purosangue … o, meglio, io mi ero rifiutato, perché era a me che l’aveva chiesto. E come ringraziamento lui li ha uccisi mentre ero via per affari … non ho ceduto per rispetto della loro memoria neanche dopo, anche se oramai non me ne sarebbe importato nulla.” raccontò brevemente. Nei suoi occhi, la Grifondoro lesse una tristezza profonda ed incurabile che le strinse il cuore in una morsa. “Mi dispiace.” mormorò. “Come Le dicevo, non serve che si dispiaccia: è inutile. Ad ogni modo, immaginavo che mio nipote non avesse accettato di vedermi!”
“Io credo che dovrebbe.” affermò Hermione, congiungendo le mani dinanzi a sé. “Siete l’unica cosa rimasta della famiglia Prince e frequentarvi vi farebbe bene. Anche perché, da quel che ho dedotto, mi pare che Lei si sia pentito del trattamento sinora riservato ad Eileen e Severus …”
Reginald abbozzò un sorriso tirato. “Ci sono poche cose di cui non mi sono pentito, soprattutto riguardo alla mia famiglia, signora.”
“Hermione.” lo corresse lei. “Mi chiami solo Hermione: sono sua nipote acquisita, dopotutto, no?”
“Temo di sì. E tu chiamami solo Reginald, o anche zio, come vuoi.” sorrise appena Reginald, sospirando. “Io posso chiamarti zio?” intervenne Eileen. “Certo, tesoro, certo …” sorrise lui, accarezzandole brevemente i capelli prima di rivolgersi nuovamente ad Hermione. “Credi … credi che potrà mai perdonarmi?”
“Se ti spiegherai, forse, sì. Severus crede nelle seconde possibilità, dopotutto sono servite anche a lui …”
“Lo so: ho recuperato il libro della Skeeter su di lui. Ed ho letto anche di te … due belle personalità, sai? Lui assomiglia ad Eileen e tu … beh, le saresti piaciuta davvero molto.”
Hermione abbozzò un sorriso di circostanza. “Mi piace pensarlo. Forse avrebbe avuto da ridire sulla differenza d’età …” annuì. “No, non credo proprio: l’importante è che ci sia un sentimento sincero. Se c’è, il resto non conta. Eileen si era illusa che il suo lo fosse per sfuggire a nostro padre, che la teneva come un uccellino in gabbia con tutte le sue regole e le sue imposizioni. Lei voleva essere libera, ma era finita in una prigione peggiore: si era invaghita di un’idea e … beh, poi era troppo tardi. Ho tentato di persuaderla a tornare a casa, ma non ha voluto, abbiamo litigato e non ci siamo più parlati. Solo ora credo fosse perché era incinta … non ci aveva detto nulla.” sospirò. “Eileen era testarda, sai? Tremendamente testarda …”
“Suo figlio e sua nipote hanno ereditato questa caratteristica, te lo garantisco.” sorrise appena Hermione. Reginald annuì, passandosi una mano sul viso. “Cosa proponi, allora, nipote acquisita?”
“Ti propongo di aspettare qui: Severus dovrebbe essere di ritorno a breve. Non è molto, ma possiamo fare un tentativo …”
Reginald annuì. “Proviamo. Tentar non nuoce ed un rimorso è sempre meglio che un rimpianto.”

Severus non vedeva l’ora di tornare a casa. Ad Hogwarts era stata una giornata a dir poco pesante: le classi erano agitate per il torneo dei maghi che si sarebbe tenuto ad Hogwarts in inverno e, come se non bastasse, i voti in pozioni ultimamente sembravano andare letteralmente sottoterra. Minerva l’aveva rimproverato di essere troppo severo, ma, naturalmente, non capiva quanto gli standard della scuola stessero sprofondando e quanto tutto ciò fosse estremamente pericoloso. “Non è che sei solo un po’ nervoso?” aveva azzardato la preside, beccandosi un’occhiataccia ed una serie di insulti eleganti ed alquanto sottili che l’avevano costretta a zittirsi sebbene fosse l’ultima cosa che volesse.
Naturalmente, la componente soggettiva c’era ed aveva un suo peso: era stata una settimana pesante e la storia di suo zio gli aveva dato di cui pensare. Non aveva fatto che pensare a ciò che gli aveva raccontato sua madre di Reginald Prince ogni notte, fissando il soffitto nel silenzio assoluto: Eileen parlava sempre bene di suo fratello. Da bambini giocavano assieme, si nascondevano dalle angherie e dalle punizioni dei rigidi ed algidi genitori, mangiavano marmellata, ridevano e si raccontavano tutto. Lei avrebbe fatto di tutto per lui e viceversa. Gli aveva anche detto che era stato l’unico ad andare a cercarla dopo che era scappata di casa, ma non gli aveva mai rivelato il perché non si frequentassero più e quel dubbio ancora lo consumava, dopo decenni. Forse, suo zio avrebbe potuto fugarlo …
Al contempo, però, restava il rancore e la rabbia per non aver vissuto con i Prince, per essersi ritrovato solo. Forse, se avesse avuto loro, le cose sarebbero andate diversamente. O forse no.
Scosse il capo mentre rientrava in casa, scrollandosi di dosso l’umidità dal cappotto: pensarci era del tutto inutile, soprattutto ora che era finalmente felice.
La risata di Eileen lo accolse con un toccasana, appena entrato. “Sono tornato!” annunciò, appendendo il soprabito ed entrando in soggiorno. Il sangue gli si gelò nelle vene al vedere l’uomo che, pur non avendolo mai visto, sapeva essere suo zio, dall’aspetto ai modi di fare.
“Che ci fai tu qui?” sibilò, stringendo i pugni e volgendo lo sguardo verso Hermione, furente. Questa ricambiò, alzandosi dalla poltrona. “Si è presentato e l’ho fatto entrare perché merita di essere ascoltato, a mio avviso. E, credimi, farlo ti potrebbe solo aiutare.” sentenziò. “Non è questo il punto, il punto è che io non …”
“Non vuoi avere a che fare con me, lo so!” sospirò Reginald. “Ma, ti prego, ho tante cose da chiarire … e ci tengo. Non mi resti che tu, la famiglia è morta … si tratta solo di qualche minuto, se non vorrai ascoltare oltre, non insisterò. Promesso.”
Severus stava per replicare, furente, che non gli interessavano le scuse dell’ennesima persona che l’aveva abbandonato, quando sentì qualcosa tirarlo per il bordo della giacca. Tutta la sua ira scomparve al vedere Eileen fissarlo con occhi colmi di tristezza. “Papà, perché sei arrabbiato e non vuoi parlare con lo zio Reginald?”
“Io …” mormorò, bloccandosi subito prima di prendere il naso tra le dita, sospirando. “Non sono arrabbiato … sono solo molto stanco, Eileen. E lo … zio Reginald …” sibilò. “Non era previsto oggi, tutto qui. Per questo vorrei chiederti se potessi uscire con la mamma per qualche oretta, giusto il tempo di lasciarmi parlare in pace con lo zio … se per te va bene.”
Eileen annuì. “Va bene. Ma poi posso tornare a salutarlo prima di andare via?”
“Certo che puoi. Certo. Adesso però andate … potreste andare dalla zia Ginny: credo abbia qualcosa da dire alla mamma …”
Hermione, già intenta ad infilarsi il cappotto ed a prendere quello di Eileen, gli rivolse uno sguardo dubbioso, ma non approfondì oltre, notando il modo in cui Severus guardava lo zio: forse, lasciarli soli non era un’idea brillante, ma oramai c’erano dentro e pazienza. Prese Eileen e la borsa ed uscì, diretta verso casa Potter con la speranza che i muri di Spinner’s End non avrebbero tremato.
֎֍֎
“James, smettila di importunare tua sorella!” tuonò Ginny dalla poltrona, sbuffando mentre posava malamente il tè. “Quel bambino è terribile.”
“Vivace, forse …” concordò Hermione, fissando Eileen che conversava con Arthur di apparecchi babbani nella stanza accanto: nonostante le insistenze, sua figlia aveva preferito restare lì invece di giocare con i suoi coetanei, indice della sua evidente peculiarità.
“Non volevo che ti arrabbiassi, comunque … scusa.” disse, ad un tratto, Ginny, facendola sobbalzare: l’amica era davvero dispiaciuta, a giudicare dall’espressione triste e mogia. “Non sono arrabbiata.” sorrise l’altra, facendo spallucce. “Però sono preoccupata per te, Gin ed anche parecchio … non mi sembri affatto serena, ultimamente!”
Ginny scosse il capo. “Non è niente … sono solo un po’ stanca! Non ho avuto neanche un attimo di tregua tra un figlio e l’altro ed ora sono tutti e tre piccoli … a volte sogno una vacanza, davvero!”
“Harry non mi sembra il tipo che si rifiuta di darti una mano con un pannolino …”
“No, no, però … beh, i padri possono fare ben poco, a volte!” sospirò Ginny. “E poi va a lavorare, sono io che resto a scrivere articoli a casa da sola con quelle tre pesti! Davvero, non hai idea di quanto sei fortunata …”
Hermione aggrottò la fronte. “Intendi perché Eileen è … molto calma?” indovinò. “No, perché Severus c’è sempre. Insomma, non avrei mai pensato di dirlo, ma come padre se la cava egregiamente, l’ho visto. Forse è perché Eileen è come voi, riflessiva e tranquilla, ma è davvero bravo. Potresti lasciarlo da solo con lei tranquillamente. Io, invece, non potrei, perché senza di me nessuno di quei quattro ce la farebbe anche solo a trovare la colazione! Adesso capisco mia madre …”
“È un periodo pesante, dei momenti di sconsolazione capitano … tutti li abbiamo o li abbiamo avuti. L’importante è parlarne con gli interessati senza chiudersi a riccio, perché altrimenti sì che diventa un problema …” le suggerì, prendendole una mano. Ginny abbozzò un sorriso. “Non saprei neanche di cosa lamentarmi, perché, apparentemente, ho tutto. Insomma, un po’ mi vergogno di dire certe cose ad Harry …”
“Ti capirebbe in ogni caso: ti ama. E questo è l’importante. Ma devi parlargliene … non è mai stato un gran legilimens …” sorrise Hermione. Ginny fece spallucce ed annuì. “Va bene, ci proverò … ma non garantisco di riuscirci!”
Prima di riprendere a bere il suo tè, si volse verso Hermione. “E, comunque, lasciatelo dire: se è vera anche quella cosa che non vuoi ammettere (e so che lo è), il vero gentiluomo l’hai sposato tu. Del tutto inaspettatamente.”
Hermione abbozzò un sorriso di circostanza. “Ha i suoi pregi ed i suoi difetti, come tutti. Ma se li abbiamo sposati, un motivo c’è, no? L’importante è non scordarselo negli anni, secondo me …”
“Per te sarebbe impossibile scordarlo: te lo dimostra continuamente.”
“Ultimamente, non troppo …”
“Sì, invece!”
“E come fai a dirlo?”
Ginny sorrise. “Chi credi che sia venuto a dirmi quanto eri rimasta male per quello che ti avevo detto, scusa, Herm?”
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Hermione si infilò a letto, sfinita: era stata una giornata a dir poco stressante. Prima la visita pomeridiana di Reginald Prince, poi i problemi di Ginny e, tornata a casa, aveva persino dovuto ospitare Reginald a cena. Non aveva ancora avuto modo di parlare con Severus, anche perché Eileen era sempre stata presente, ma i toni tra i due sembravano molto più distesi e quasi cordiali, a cena … probabilmente, avevano raggiunto un compromesso di qualche tipo. O forse avevano semplicemente parlato a cuore aperto …
Storse il naso al pensiero: no, decisamente non era da Severus.
Quando lo vide entrare in camera nelle sue solite vesti nere, quasi sobbalzò. “Allora?” domandò, mettendosi a sedere. “Se vuoi passare sopra il tuo pessimo tempismo e la tua insolenza, possiamo dire che abbiamo avuto un dialogo.” concluse, secco, iniziando a togliersi la redingote. “Un dialogo … entusiasmante.”
“Che ti aspettavi, non l’ho mai visto …”
“Ti ha raccontato della sua famiglia e della verità su tua madre ed il perché non si fossero più parlati?”
“Deduco che l’abbia detto anche a te.”
“E … quindi?”
“Quindi posso provare a vederlo ogni tanto, ma per mia madre ed Eileen che ne ha simpatia, non certo per lui, né per me. Nessuno dei due lo merita …”
“Sev …”
“Niente ‘Sev’ … mi pare che tu abbia fatto abbastanza con la tua mania di far riappacificare tutto e tutti …” sbuffò, sciacquandosi il viso prima di raggiungerla a letto. Hermione si rassegnò con un sospiro: non le avrebbe detto di più sui Prince, almeno per il momento. “Non sono io ad essere andata da Ginny a dirle che c’ero rimasta male …” replicò. “Questo perché non ne potevi più di sentirti piagnucolare.”
“Certo, certo.”
“Qual era il suo problema, ad ogni modo?”
Hermione sospirò. “Non si sente aiutata da Harry, né compresa. Le mancano le cose a cui ha dovuto rinunciare per essere madre.”
“Immagino vi sarete trovare, su questo punto …”
“No, affatto.”
Severus si volse a fissarla, sorpreso. “Vuoi dire che non ti manca niente della vita dell’Hermione di prima di … questo?” la incalzò, sogghignando. “No. Ed è vero: prima ero sola. Avevo amici, certo ed i miei mi volevano bene, ma c’era sempre una barriera, non c’era nessuno che mi capisse davvero appieno, che mi comprendesse, che sapesse cosa dirmi e come spronarmi … poi però l’ho trovato e da lì è nata la cosa migliore che abbia mai avuto. E poco importa se devo rinunciare a qualcosa e sentirmi a volte derisa per avere voi … ne è valsa la pena.”
Severus la fissò, sorpreso, facendola ridere. “Ma non l’hai capito, ancora, Severus? Il mio cuore era come chiuso a chiave, ma solo tu conoscevi l’alohomora per aprirlo. Tu sei … se il vento che mi soffia dentro e mi rende viva. Ed io …”
Prima che potesse terminare la frase, però, Severus l’aveva già baciata, abbattendo ogni sua difesa e zittendo ogni sua protesta sul nascere. “A cosa devo questa intraprendenza?” rise quando si separarono appena per riprendere fiato. “A te stessa: sei talmente fastidiosa e melensa che per farti tacere mi sono ridotto a baciarti. Sono caduto terribilmente in basso …”
“E le spiace così tanto questa decadenza, professor Piton?”
Severus abbozzò un ghigno, riprendendo a baciarla con una lentezza quasi esasperante. “Non direi, signorina Granger. Dal basso le cose hanno tutta un’altra prospettiva
…”

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