I figli di Hyne

di Omiros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Il ragazzo aprì gli occhi e la sua vista si fece nitida. Per un quarto d'ora buono, lasciò vagare lo sguardo sul soffitto, per poi alzarsi a sedere. Si stiracchiò, infilandosi le ciabatte e scendendo dal letto. Uscito dalla stanza, entrò in bagno. Dopo essersi lavato faccia e denti, osservò il proprio riflesso allo specchio. Il vetro mostrava un adolescente magro e pallido, con scompigliati capelli corvini e occhi d'inchiostro, avvolti dalle occhiaie. L'altezza era nella media e, sopra le labbra e sulle guance, non c'era ancora traccia di lanuggine. Tornato in camera, si tolse il pigiama, aprendo poi l'armadio e prendendo dei vestiti. Indossò una divisa scolastica, composta da giacca e pantaloni blu marino. Ai piedi, calzò dei mocassini marroni. Scese quindi al piano di sotto. In cucina, un uomo era seduto a tavola, nascosto dietro al giornale, mentre una donna era affaccendata ai fornelli.
«Mamma, papà: buongiorno» mormorò il ragazzo, soffocando un sbadiglio e prendendo posto.
«Ciao Ben, hai dormito bene?» replicò la madre, voltandosi verso di lui. Ben diede un'alzata di spalle.
«Più o meno: quattro ore credo di essermele fatte».
Il padre scostò il quotidiano, osservando il figlio. Si assomigliavano molto, solo che l'adulto era più alto, vecchio e imponente.
«Ricordo che anch'io la notte prima dell'esame ho faticato a dormire. Comunque non preoccuparti: la tensione che senti ti aiuterà, quando verrà il momento».
Ben mugugnò un assenso, mentre la madre gli metteva davanti una frittata con formaggio e bacon.
«Adesso mangia: hai bisogno di energie!»
Il ragazzo trangugiò la colazione, mandandola giù assieme a una tazza di caffè bollente. Dopodiché, fece per uscire.
«Hai con te i documenti?»
«Sì, mamma».
«Ricordati di chiamarci, quando hai finito».
«Lo so».
«E Ben..» lo chiamò il padre sull'uscio. Il suo tono era più serio di prima.
«Sì?»
«Vedi di non deluderci».
Ben annuì, abbassando lo sguardo. Dopo un ultimo saluto, varcò la soglia di casa.

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Capitolo 2
*** II. ***



Viennebourg era una ridente cittadina del continente di Trabia. Sorgeva ai piedi delle montagne Vienne, nella parte meridionale della regione. Era stata fondata neanche un secolo fa, come centro di estrazione e raffinazione di energia magica. Nei decenni aveva attirato sempre più lavoratori e avventurieri, stringendo stretti rapporti con il Garden locale. I suoi abitanti comprevano infatti metà dei Seed di Trabia, cioè una novantina di individui, più una trentina di dipendenti ausiliari, come domestici e manutentori. Il Garden di Trabia non era abbastanza grande per ospitare tutti i soldati, così dava alloggio solo a studenti, insegnanti e al personale strettamente necessario. Anche i genitori di Ben erano Seed e lui stava per seguire le loro orme. Il ragazzo uscì dal cortile di casa, prendendo la strada secondaria che sbucava sulla via principale. Si incamminò fino al centro, fermandosi un attimo a osservare il canale che tagliava in due il borgo. Il sole stava per sorgere e le vetrine dei negozi lì affacciati erano ancora buie. Era presto e non c'era tanta gente per strada. Quelli che incrociavano Ben lo salutavano, augurandogli buona fortuna. Essendo nato lì, tutti lo conoscevano e sapevano che stava per affrontare l'esame. Il ragazzo seguì il canale fino alla stazione ferroviaria.

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Capitolo 3
*** III. ***


Accanto alla biglietteria c'era l'unica rotaia, che collegava Viennebourg al villaggio degli Shumi, nel profondo nord. Il treno si sarebbe fermato circa a metà strada, nei pressi del Garden. L'ultimo tratto di strada lo avrebbe compiuto in autobus. Il ragazzo si sedette su una panchina, ricontrollando di avere tutto ciò che gli serviva.
“Documento d'identità, biglietto del treno e dell'autobus, certificato d'esame...”
Rimise i fogli nella tasca interna della giacca, osservando i viaggiatori accomodarsi lì accanto o rimanere in piedi. Fra la folla, intravide alcuni ragazzi più grandi di lui, con la divisa nera del Garden.
“Saranno studenti venuti a passare le vacanze a casa”.
Si alzò in piedi, per lasciare il posto a una signora anziana.
«Ah grazie, Benjamin! Stai per andare a fare l'esame?»
«Buongiorno signora Foster. Sì, speriamo vada tutto bene».
«Oh, non preoccuparti, sono sicura che te la caverai. Mio nipote ci ha provato l'anno scorso, ma purtroppo non ha studiato abbastanza: quella testa dura!»
Quel giorno, Ben era l'unico di Viennebourg ad affrontare l'esame orale e pratico. Quello scritto si era svolto il mese scorso, nella sua scuola, durante l'ultimo anno delle medie. Fra quelli che ci avevano provato della sua classe, era il solo ad essere passato.
“Non c'è da sorprendersi: quello di Trabia è un Garden piccolo e non offre grandi percorsi universitari, come la facoltà di medicina di Balamb o quella di ingegneria di Galbadia. La maggioranza dei miei coetanei preferisce rimanere a Viennebourg per andare al liceo. Gli unici a tentare l'esame sono gli scansafatiche, i romantici o chi, come me, ha parenti Seed”.
Lui però non lo stava facendo perché costretto o perché privo di alternative: non era il primo della classe, ma di sicuro era fra i migliori. E dubitava che i suoi genitori si sarebbero opposti, se avesse scelto un altro percorso.
“Ho deciso da solo. È sempre stato il mio sogno e non intendo tornare sui miei passi”.
Continuò a ripetersi questo motto, mentre il fischio del treno si faceva sempre più vicino.

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Capitolo 4
*** IV. ***


Ben diede un ultimo sguardo alle montagne che incombevano sulla sua città natale, le cui vette si perdevano nelle nubi lontane. Salì quindi sul treno, entrando nel primo scompartimento vuoto che trovò e prendendo posto vicino al finestrino. La maggioranza dei passeggeri erano lavoratori, diretti allo stabilimento del canyon. Il ragazzo lasciò vagare lo sguardo fuori dal vetro, perdendosi nella vasta pianura innevata. Marzo stava per finire, ma la temperatura di Trabia rimaneva sotto lo zero. Essendoci nato, Ben non ci faceva più caso e sentiva il freddo come una seconda pelle. Come tanti altri però, sognava il tepore dei paesi meridionali.
“Quando sarò Seed, forse mi manderanno in giro per il mondo”.
Quella prospettiva gli provocava emozioni contrastanti: da un lato, temeva gli sarebbe mancata casa; dall'altra non vedeva l'ora di lasciarsela alle spalle.
«Biglietto prego!»
Ben sobbalzò, posando gli occhi neri sul controllore.
«Certo: ecco qua» rispose, tirando fuori il foglietto e porgendoglielo.
«Perfetto, buon viaggio».
«Grazie, buona giornata».
Il ragazzo lasciò cadere la fronte contro il finestrino, sospirando.
“Non mi ero neanche accorto della sua presenza”.
Maledicendo la propria disattenzione, riprese a osservare nel paesaggio, ubriacandosi del candore senza fine.

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Capitolo 5
*** V. ***


Alla fermata, scesero assieme a Ben una manciata di studenti del Garden, più un paio di adulti. Ad attenderli, c'era un autobus. Il ragazzo fu uno degli ultimi ad entrare e si sedette sul primo posto libero che trovò, in terza fila. Sentiva di avere tutti gli sguardi addosso e forse non era solo un'impressione. Lo studente al suo fianco, alto una spanna più di lui, gli rivolse infatti la parola.
«Ehi, tu sei Benjamin, il figlio dei Copperfield, giusto?»
Ben lo guardò, corrugando la fronte mentre provava a riconoscerlo.
«Sì, esatto. Ci siamo già visti?»
«Sono Christopher Raleigh: la mia famiglia abita accanto alla panetteria. Abbiamo fatto le stesse scuola medie, solo che ero un anno avanti».
«Quindi adesso sei al secondo anno del Garden?»
«Proprio così. Se non sbaglio, oggi sei l'unico di Viennebourg a fare l'esame quest'anno: vedi di non farci fare brutta figura» gli consigliò in tono scherzoso.
«Farò del mio meglio» replicò Ben con un sorriso.
Continuarono a chiacchierare, mentre l'autobus si avviava sul sentiero di terra battuta. Chris sembrava morire dalla voglia di conversare e Ben, dal canto suo, si sentiva sollevato nel venire accompagnato nel proprio viaggio.
«Del mio anno, siamo solo in due a essere originari di Trabia: gli altri quattro vengono da Esthar. L'altra di Viennebourg è Samantha, la figlia dei Kensington».
«I Kensington, quelli del negozio di fiori?»
«Sì, loro: dopo te la farò conoscere, è una tipa in gamba, anche se a volte bisogna saperla prendere. Comunque, non preoccuparti per l'esame: se hai passato quello teorico, quello pratico è una stupidaggine e quello orale una formalità. Ricordo male o i tuoi genitori sono dei pezzi grossi, nel Garden?»
«Sì, mio padre è capitano e mia madre tenente».
«Che fortuna: di sicuro il tuo cognome avrà il suo peso».
Ben si rabbuiò nel sentire nominare i genitori, ma seppellì subito la propria espressione, concentrandosi sulle parole dell'altro. Partecipava alla conversazione senza trasporto, ribattendo con monosillabi.
«Capisco».
«Quelli di Esthar sono gente a posto, ma alcuni di loro, specie se della capitale, ci vedono un po' come dei campagnoli».
«Davvero?»
«In tanti dopo il triennio se ne vanno a Balamb e Galbadia per diventare medici o piloti, ma anche a Trabia ci sono dei corsi validi, come studi internazionali e fisica alchemica. Io non ho ancora deciso cosa farò».
«Ah sì?»
Mentre parlavano, l'autobus cominciò a rallentare, fino a fermarsi del tutto.

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Capitolo 6
*** VI. ***


Il Garden di Trabia era una struttura enorme, che si riusciva a mettere in prospettiva solo grazie alle montagne circostanti. Assomigliava a un incrocio fra una balena e una fortezza. Le sue guglie argentee si pretendevano verso il cielo limpido, mentre un cerchio luminoso fluttuava pigramente sopra la cima.
“A quanto ho sentito, il dispositivo di levitazione ormai dovrebbe essere in funzione”.
Ben avanzò incantato verso la struttura, come non credendo ai propri occhi. Gli studenti lo superarono, ridacchiando.
«Sì, la prima volta fa questo effetto» gli mormorò Chris, divertito «a proposito, questa è Sam».
Indicò una ragazza snella e dai capelli corti, al proprio fianco. Ben le tese la mano, che lei strinse.
«Ben, piacere».
«Sì, so chi sei» replicò lei, allusiva «il figlio dei Copperfield».
«Così dicono».
La sua risposta parve non piacere alla ragazza, che corrugò la fronte.
«Dovresti essere fiero dei tuoi genitori. Di sicuro non hanno fatto storie, quando hai deciso di diventare Seed».
Ben abbassò lo sguardo.
“No, non l'hanno fatto. In effetti, l'ho sempre dato per scontato, ma immagino non sia così per tutti”.
«Lo sono e spero loro lo saranno di me» replicò serio, rialzando gli occhi.
Sam lo scrutò, pensierosa.
«Riposo, recluta: non sei sotto interrogatorio» lo ammonì, fredda.
«Ma sei stata tu a dire..»
«Se una domanda così semplice ti crea dei problemi, forse hai bisogno di fare il punto della situazione».
Ben fece per ribattere, ma gli mancarono le parole. Rimase in silenzio, paonazzo. Chris si affiancò a loro, sbuffando.
«Sam, possibile che tu non riesca mai ad andarci piano?»
La ragazza parve aquietarsi.
«Hai ragione, mi sono fatta prendere la mano. Comunque, ci aspettiamo grandi cose da te, Benjamin Copperfield».

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Capitolo 7
*** VII. ***


Dopo averlo accompagnato in reception, dove consegnò i documenti, e avergli augurato buona fortuna, Chris e Sam lo lasciarono nell'atrio centrale, accanto alla fontana. Ben li salutò con la mano, per poi sedersi sul bordo di pietra, lasciandosi cullare dal suono cristallino dell'acqua. Era in anticipo ma, con il passare dei minuti, arrivarono anche gli altri esaminandi. All'ora prestabilita, in tutto erano una dozzina.
“Chissà quanti passeranno: stando alla media annuale, direi la metà”.
Cercando di non dare nell'occhio, si mise a studiare la concorrenza, provando a capire - dalle conversazioni e dalle divise - da dove provenissero.
“Di Trabia ci sono solo io. Gli altri come previsto sono quasi tutti da Esthar. Sei credo vengono dalla capitale, mentre gli altri tre penso da Salt Lake Town e Kyactus Village. Quei due invece?”
Ce n'erano un paio che rimanevano in disparte, senza dare segno di conoscere nessuno. Una era un ragazza mingherlina, con lunghi capelli di un biondo molto chiaro, quasi perlaceo. L'altro un tipo atletico, con i capelli bruni raccolti a coda di cavallo. La prima notò lo sguardo di Ben e lo ricambiò. Aveva occhi di un azzurro spento. Non sembrava né infastidita né incuriosita da lui: lo fissava come si osserva un albero o una roccia. A disagio, il ragazzo distolse lo sguardo. Nel frattempo, il Garden si animò di un viavai di studenti. Ben gettò un'occhiata nervosa all'orologio sulla parete.
“Ormai ci siamo”.
Fece appena in tempo a concludere il pensiero, che vennero raggiunti da un trio di adulti. Si alzò in piedi, calmo: aveva temuto che sarebbe andato in fibrillazione, ma ora la sua mente era miracolosamente sgombra.

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Capitolo 8
*** VIII. ***


Dei tre, i due ai lati erano Seed giovani, che si limitarono a presenziare in silenzio. Quello al centro era invece un uomo massiccio, con i capelli rasati a spazzola e penetranti occhi di ghiaccio.
«Benvenuti al Garden di Trabia» li salutò, con tono solenne «sono il colonnello Roland Winchester e supervisionerò il vostro esame pratico».
Ben controllò con la cosa dell'occhio gli altri esaminandi: erano tutti sull'attenti. Intanto, il colonnello continuò a parlare.
«Se siete qui, significa che avete superato la prova scritta e che quindi, almeno dal punto di vista cognitivo, dovreste essere idonei. Il mio compito è assicurarmi che anche il vostro corpo sia all'altezza. Non vi verrà richiesto di combattere - quello lo imparete nei prossimi tre anni -, ma verranno misurate le vostre prestazioni. Adesso seguitemi».
Ben non era sorpreso: i genitori gli avevano spiegato ciò che lo aspettava e lui si era preparato di conseguenza. Winchester e i Seed li accompagnarono negli spogliatoi, dove maschi e femmine si cambiarono separatamente. Li scortarono poi nel campo sportivo, dove vennero fatti mettere in fila. A turno, venne loro applicata sul polso una siringa elettronica. Ben si sforzò di non fare smorfie, mentre gli veniva prelevato un minuscolo campione di sangue.
“Dovrebbe essere per evitare il dopping, anche se non capisco perché uno arriverebbe a tanto”.
Fatto ciò, si arrivò alla resa dei conti. Non fu diverso da una lezione di ginnastica, solo dieci volte più impegnativa. Per un'ora e mezza, i dodici esaminandi vennero fatti scattare e saltare ostacoli, sollevarsi sull'asta e arrampicarsi sulla fune, lanciare pesi e arrancare sui gomiti. Roland studiò gelido ogni di loro, mentre i suoi due assistenti li cronometravano e prendevano appunti su delle cartelline. Non venne mai loro concesso di riposarsi, neanche per bere un sorso d'acqua. Solo alla fine, furono loro permessi cinque minuti di pausa. Ben crollò a sedere per terra, ansimando.
“Lo so che dovrei rimanere in piedi, ma proprio non ce la faccio”.
Si guardò attorno a vide che pure gli altri erano nelle sue condizioni, tranne il ragazzo con la coda di cavallo che, sebbene fosse provato, sembrava pronto a continuare.
«Bene, andiamo avanti» annunciò il colonnello.
Dopo essersi di nuovo cambiati, vennero portati nella piscina, dove rimanero per i successivi trenta minuti. Anche lì, vennero analizzati mentre competevano in apnea o guadagnavano una vasca dopo l'altra.
«Ottimo, l'esame è terminato» li informò Roland «il vostro punteggio farà media con la prova orale. Avete un'ora per riposarvi e rendervi presentabili. Dopodiché, recatevi all'aula Effe del secondo piano. Buona fortuna».
Gli esaminanti non se lo ripetere: chi si lasciò cadere sulle panche per prendere fiato e chi corse alle docce per lavarsi di dosso tutta quella stanchezza. Ben rimase invece seduto sul bordo della vasca. Sentiva tutto il corpo dolorante, ma era anche sollevato.
“È fatta: ho dato il massimo. Non so se sarà sufficiente, ma non potevo fare di meglio. Adesso, non mi resta che aspettare”.
Sorridendo, si alzò in piedi, diretto verso lo spogliatoio.

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Capitolo 9
*** IX. ***



«Prima, che avevi da sorridere?»
«Come scusa?»

Ben smise di cambiarsi, voltandosi verso uno degli esaminandi. Era un ragazzo della tua età, con una zazzera rossiccia che gli ricadeva sulla fronte.
«Che poi, non capisco perché sforzarsi tanto: lo sanno già tutti che ti faranno passare».
Ben si irrigidì e, per una frazione di secondo, fu tentato di avventarsi contro l'altro.
«Che vuoi dire?»
«Intendo che sei l'unico di Trabia, mica ti possono bocciare».

Ben si fermò, sospirando.
“Ah, è questo che intendeva: temevo tirasse in ballo anche lui i miei genitori”.
Contò fino a cinque, prima di replicare.
«Ascolta, non so chi tu sia, ma ti assicuro che mi sono impegnato molto per questo esame: se passerò, sarà perché me lo sono meritato».
Non preparato a una risposta così razionale, l'altro strinse i denti.
«È solo grazie ai soldi di noi Esthariani se il Garden sta in piedi: voi di Trabia dovreste esserci grati!»
«Che cosa c'entra? E poi, tu quanto hai contribuito?»
«Di sicuro più di te, mezzo Shumi che non sei altro».

Ben rimase interdetto: più che arrabbiato, era sorpreso.
“Affermare che i Trabiani sono imparentati con gli Shumi è un'affermazione estremamente volgare. Me la aspetterei da un vecchio ubriacone, ma..”
Non trovava le parole per ribattere, ma per fortuna qualcuno gli venne in soccorso.
«Secondo il tuo ragionamento, anche tu dovresti passare in automatico».
A parlare, era stato un tipo con la coda di cavallo. Il peldicarota si voltò ad affrontarlo.
«In che senso?».
«Beh, sei l'unico del paese degli idioti, mica ti possono bocciare».
«Che diavolo hai detto?»

Ben era quasi sicuro che si sarebbero messi le mani addosso, ma intervenne un quarto ragazzo. Basso e occhialuto, non esitò a mettersi in mezzo.
«Adesso piantatela, rischiamo di farci squalificare tutti quanti. Se volete scannarvi, fatelo fuori dal Garden».
I due litiganti - visto che Ben se n'era tirato fuori - parvero calmarsi, tornando alle loro faccende.

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Capitolo 10
*** X. ***



«Comunque, grazie per prima».
«Di cosa?»
«Di avermi difeso, ecco».

Il ragazzo con la coda di cavallo si voltò verso Ben. Erano in corridoio, diretti verso le scale.
«Prego, ma non l'ho fatto per te: quel tizio mi dava sù i nervi, tutto qua».
«Sì, non so che gli fosse preso. Cioè, mica l'avevo provocato».

L'altro diede un'alzata di spalle.
«E che ne so, sarà andato fuori di testa per la tensione. A proposito: Quinn, piacere» si presentò, tendendogli la mano.
«Benjamin. Ben, per gli amici» rispose, stringendola «per curiosità, di dove sei? Non hai l'accento di Esthar».
«No, vengo da Galbadia City... comunque, com'è andata? L'esame intendo? Io pensavo peggio».

A Ben non sfuggì il brusco cambio d'argomento, ma preferì non approfondire.
“Forse non vuole che gli si domandi perché non è andato al Garden di Galbadia, essendo del posto... beh, non sono affari miei”.
«È stata una faticaccia, specie la piscina. Spero che l'esame orale vada meglio».
«Dicono che sia tipo andare dall'analista. Sai, per evitare che si iscrivano schizzati o gente problematica».
«Beh, immagino non siano il massimo, in un esercito».
«Già».
«I miei genitori mi hanno assicurato che non ha senso preoccuparsi: basta rispondere sinceramente. Anche i tuoi genitori sono Seed?»
«Sì. Tutti e due».

Scese il silenzio e Ben non seppe come riempirlo. Di solito, una volta rotto il ghiaccio, per lui non era difficile chiacchierare con uno sconosciuto: appunto perché non lo conosceva, c'erano tanti argomenti nuovi. Ma se il tizio in questione preferiva stare sulle sue, il discorso cambiava. Per loro fortuna, la solennità della situazione li esonerava dagli oneri sociali. Senza proferire verbo, si unirono agli altri dieci, raggiungendo l'aula Effe del secondo piano.

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Capitolo 11
*** XI. ***



Dato che si andava in ordine alfabetico, Ben fu uno dei primi ad entrare. Non sapeva neanche lui cosa aspettarsi e, di conseguenza, la sua immaginazione aveva fatto i salti mortali. Uno dei suoi sogni ricorrenti lo vedeva ammanettato a una sedia, con una luce puntata in faccia e gente che gli urlava domande nelle orecchie. In un altro, veniva collegato a una macchina della verità, che lo obbligava a rispondere ai quesiti più imbarazzanti. In un altro ancora, durante l'interrogatorio doveva rimanere in piedi, completamente nudo, davanti all'intero Garden. Naturalmente, non accadde niente di tutto ciò. Il Seed che lo accolse non poteva essere più diverso dal colonnello Winchester. Si trattava di un uomo muscoloso ma dal viso giovanile, a cui i capelli scompigliati donavano un non so ché di amichevole. Poteva avere quarant'anni come venticinque, difficile dirlo.
«Prego, accomodati» lo accolse, indicando la sedia davanti alla scrivania, mentre si sedeva sull'altro lato «Ben, giusto? Io sono il maggiore Stirling, ma puoi pure chiamarmi Michael».
Confuso da quell'accoglienza così informale, il ragazzo prese subito posto, ricambiando poi la calorosa stretta di mano.
«È un onore, maggiore.. cioè, Michael».
«Lascia pure perdere gli onori, mica siamo in tribunale. Piuttosto, come è andato l'esame?»
«Abbastanza bene, la ringrazio»
«Beh, conosco i tuoi genitori da una vita e, se la mela non cade mai lontano dall'albero...»
«Spero che lei abbia ragione».
«Tranquillo, mica possiamo bocciare il figlio dei Copperfield».

Quell'affermazione colse Ben così alla sprovvista che temette di aver sentito male.
«Mi scusi?»
«Dai che hai capito»
replicò il maggiore facendogli l'occhiolino «fra amici ci si aiuta».
Ben si rabbuiò. Dovette fare uno sforzo, per non alzare la voce.
«Michael.. anzi, maggiore Stirling: la prego di non fare favoritismi. Se verrò ammesso, voglio che sia solo perché vengo considerato all'altezza».
«Ma certo!»
rispose Michael, allarmato «mica vogliamo imbrogliare. Vuoi davvero diventare Seed, non è vero?»
«Certo, ma solo alle giuste condizioni».
«Perché? Per caso per te è un gioco?»

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Capitolo 12
*** XII. ***



Il repentino cambio di tono ed espressione del Seed gli parve quasi surreale. Sia la sua voce che il suo volto erano diventati di pietra.
«Signore?»
«Ti ho fatto una domanda, Copperfield».
«No, per me non è un gioco».
«Allora perché hai fatto quella scenata?»
«Perché accettare non sarebbe stato giusto».
«Giusto?»
ripeté Michael, con un sorriso amaro.
Non sapendo come ribattere, Ben rimase in silenzio, aspettando che l'altro continuasse.
«Ogni Seed ha il dovere di combattere tutte le forme di corruzione, soprattutto se riguardano i suoi diretti superiori».
«Ma cosa avrei dovuto fare? Fingere che andava tutto bene?»
«Farlo ti avrebbe permesso di conquistare la mia fiducia, rendendoti più facile la raccolta di prove contro di me, quindi sì».
«Mi perdoni, ma secondo il regolamento avrei dovuto rifiutarmi e andare subito a denunciarla».
«E chi ti dice che anche i miei superiori non siano coinvolti? O l'intero Garden? Persino i tuoi genitori».

Ben rifletté a lungo: si rendeva conto che stava solo testando le sue capacità logiche, ma trovava comunque difficile trovare una via d'uscita.
“Credo dovrei comunicare la situazione agli altri Garden, ma se il problema riguardasse anche loro? A chi potrei rivolgermi?”
Sospirando, scosse la testa.
«Mi dispiace, ma non so come risponderle. Spero solo che non accada».
«Tranquillo, era solo uno scenario ipotetico»
ammise Michael, rilassando la posa.
«Comunque, come facevo a sapere che non era una trappola? Magari, volevate verificare la mia onestà».
Michael annuì, ridacchiando.
«Già, è il problema degli esami: non sai mai dove finisce la recita. Comunque, perché vuoi diventare Seed?»
La domanda era improvvisa, ma Ben se l'aspettava e si era preparato una risposta che suonasse abbastanza spontanea.
«Credo che il Seed sia un mestiere onorevole, avventuroso e ben retribuito».
«E quale di questi tre fattori, per te, è il più importante?»
«L'onore: non vorrei mai fare un lavoro che reputo immorale. Non nego però che anche vedere il mondo e una buona retribuzione abbiano il loro peso».
«Ottima risposta. Immagino che pure l'esempio della tua famiglia abbia il suo peso».
«Sì, sono fiero di loro e mi piacerebbe renderli orgogliosi».
«Se un domani si scoprisse che tuo padre è un traditore e ti venisse ordinato di giustiziarlo, obbediresti?»

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Capitolo 13
*** XIII. ***


Aveva la curiosa sensazione che i pensieri fossero evasi dalla sua testa, lasciando al loro posto un vuoto assoluto.
«Io non... il ruolo dei Seed non prevede di ammazzare la gente. Al limite bisogna catturarla, impiegando la forza in caso di resistenza. La violenza contro le persone va evitata, se possibile».
«Se un domani scoppiasse una guerra, i tuoi ordini potrebbero prevedere l'uccisione di persone, magari che tu reputi innocenti o comunque meritevoli di vivere».
«A seguito del trattato di Timber, gli eserciti nazionali sono stati aboliti, quindi non vedo come potrebbe scoppiare una guerra».
«Ci sono molti modi: un paese potrebbe reclutare un intero Garden per ottenere il controllo di una nazione rivale e questa potrebbe fare altrettanto per difendersi».
«Anche questo viene proibito dal trattato di Timber. Se un preside accettasse un simile accordo, ogni Seed ha il diritto e il dovere di deporlo e arrestarlo».
«E se facesse ritorno la Strega?»

Per quanto si sforzasse, Ben non riuscì a prendere la domanda sul serio. La Strega era il grande nemico per sconfiggere la quale i Seed erano stati creati, ma erano trascorsi quasi cento anni dalla sua sconfitta. Ormai, era più uno spauracchio che una minaccia incombente.
“È come se mi avesse domandato: cosa succede se domani tutti i Chocobo diventano Cokatoris?”
Intuendo il suo stato d'animo, Michael scosse una mano.
«Già, le probabilità sono quasi zero. Comunque, non preoccuparti: sei passato».
«Come?»
domandò Ben incredulo, temendo che fosse una finta, anche quella parte dell'esame.
«Ho detto che sei passato. Secondo il colonnello Winchester, alla prova pratica te la sei cavata e neppure io vedo particolari lacune, quindi benvenuto!»
Ben si alzò in piedi, con un sorriso che andava da un'orecchio all'altro. Sentiva l'impulso di abbracciare il Seed, ma dubitava sarebbe stato appropriato.
«La ringrazio, signore».
«Dovere»
replicò Michael, contagiato dal sorriso del ragazzo «ci vediamo a lezione e..  lascia pure la porta aperta» lo congedò, indicandogli l'uscita.

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Capitolo 14
*** XIV. ***


Erano di nuovo nell'atrio centrale, accanto alla fontana che gorgogliava allegramente. Solo che ora erano esattamente la metà: appena sei di loro erano stati ritenuti idonei: quattro maschi e due femmine. Fra i primi, oltre a Ben e Quinn, c'era il tipetto occhialuto che era intervenuto negli spogliatoi e un quarto che sembrava il suo preciso opposto: un ragazzo alto e ricciuto, con spalle larghe come un armadio e braccia grosse come tronchi. Il tizio con la frangia rossa, evidentemente, non ce l'aveva fatta.
“Considerando i discorsi che faceva, non mi sorprende più di tanto”.
Anche la ragazza dai capelli perlacei era passata e, assieme a lei, una tipa sottile, con un caschetto di capelli corvini e grandi occhi blu elettrico.
“Questa è la mia classe: le persone con cui trascorrerò i prossimi tre anni, forse di più. Spero di andarci d'accordo”.
Mentre concludeva quella riflessione, vennero raggiunto da un Seed: era uno dei due che avevano accompagnato il colonnello Winchester.
«Per prima cosa, vi porto le scuse del preside Kinneas, che purtroppo non è riuscito a presenziare alla vostra ammisione. Da parte sua, vi faccio le più vive congratulazioni per il risultato ottenuto. Le lezioni avranno inizio fra due settimane e...»
Niente di nuovo. Il Seed si limitò a elencare una serie di informazioni che probabilmente ciascuno di loro conosceva già a memoria: il tipo e la quantità di oggetti da portare con sé, i negozi convenzionati dove procurarsi la divisa, quali documenti erano necessari, le clausole del contratto e così via.
«Bene, non mi resta che augurarvi buona fortuna».
Ben e altri mormorarono una risposta, altri ancora si limitarono a un cenno del capo. Uno alla volta, lasciarono poi il Garden, diretti verso casa.

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Capitolo 15
*** XV. ***


Le due settimane successive parvero interminabili. Era come se le ore durassero mesi e i giorni anni. Ora che aveva finalmente raggiunto il traguardo, Ben non sapeva che fare. Naturalmente, non trascurò l'esercizio fisico e continuò a ritagliarsi del tempo per ripassare, ma la frenesia prima degli esami era scomparsa. Trascorse interi pomeriggi e serate al cinema, nella sala giochi o a passeggiare per il centro di Viennebourg, osservando le vetrine dorate dei negozi riflettersi sul canale che divideva la cittadina. Essendo incuneato fra i monti e una vasta pianura, il paese era sferzato da un vento giocondo, che agitava il corso d'acqua e costringeva i passanti ad alzare la sciarpa sul volto. A Ben non dispiaceva e aveva a volte l'impressione che, spalancando le braccia e spiccando un balzo, avrebbe potuto prendere il volo e librarsi sopra i tetti appuntiti, scavalcando una strada dopo l'altra fino a sovrastare il campanile centrale, lasciandosi trascinare dalla brezza fino alle stelle che ardevano lontane nella notte.
“Non serve uno psicologo per capire che ho voglia di evadere. Sì, ma di evadere da cosa?”
Il breve intermezzo non fu sufficiente a trovare una risposta a questa domanda e giunse finalmente la mattina della sua partenza.

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Capitolo 16
*** XVI. ***


Prima della partenza di Ben, entrambi i genitori furono richiamati e spediti in un avamposto a Paradise Island, quindi non ci furono scene strappalacrime, con loro che lo salutavano dalla stazione e lui che agitava le braccia dal finestrino. Dato che gli altri studenti avevano già cominciato da un paio di settimane, in treno c'era meno gente e ancora meno nell'autobus, dove oltre a Ben c'erano solo tre passeggeri: due Seed e un dipendente ausiliario. Anche se non era più la prima volta che lo vedeva, il Garden continuò a sembrargli qualcosa di troppo grande per esistere, come una montagna che pare a un tiro di schioppo mentre dista centinaia di miglia. Una volta dentro, si recò alla reception, dove consegnò gli ultimi documenti.
«Benvenuto caro! È sempre bello vedere nuovi studenti» lo salutò la donna paffuta dietro al bancone «quella divisa ti calza proprio a pennello».
«Beh grazie, spero di trovarmi bene» replicò lui, un po' in imbarazzo.
«Oh, sono certa che ti ambienterai in un batter d'occhio. Comunque, ecco gli orari delle lezioni. Sai dov'è l'aula D o ti serve una mappa?»
«Si trova al primo piano, giusto?»
«Esatto: allora non mi resta che augurarti in bocca al lupo!»
«Crepi!»

Mentre saliva le scale, Ben consultò il programma delle lezioni.
“Allora, quattro ore al mattino e due al pomeriggio, dal lunedì al sabato: mi avevano detto che l'orario era fitto, ma non credevo così tanto”.
Assieme alle materie normali, come storia, geografia, matematica e scienze, ne spiccavano di nuove, come preparazione atletica e simulazione virtuale. Con l'attenzione immersa nell'opuscolo, raggiunse l'aula. Contraddicendo il dogma secondo il quale chi abita più vicino arriva per ultimo, fu il primo a varcare la soglia.

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Capitolo 17
*** XVII. ***


Nonostante le classi di Trabia fossero notoriamente ridotte, le aule mantenevano gli standard degli altri Garden. I banchi erano disposti a gradinata, con la prima fila più bassa delle successive. C'erano in tutto una trentina di posti, divisi in cinque file da sei, con un corridoio al centro. Ogni banco era provvisto di un terminale, che conteneva il materiale delle lezioni. La parete di sinistra era occupata da ampie vetrate, che davano sulle foreste che risalivano verso i monti, mentre in quella frontale c'erano la cattedra e la lavagna. Alla destra, c'era infine la porta. Una volta entrato, Ben rimase un attimo sulla soglia, indeciso. Poi, non volendo passare né per un secchione né per uno scansafatiche, prese posto in seconda fila, accanto alle finestre. Mentre aspettava, estrasse dalla borsa a tracolla un quaderno e una penna per gli appunti. Gettò quindi uno sguardo all'orologio, sul muro.
“Sette e quarantacinque: manca un quarto d'ora all'inizio delle lezioni. Chissà quando arriveranno gli altri”.
Neanche una manciata di minuti più tardi, la sua domanda trovò risposta. Il secondo a entrare in classe fu il ragazzo basso con gli occhiali. Appena vide Ben, raggiunse subito il suo posto.
«Ciao, posso sedermi?» gli chiese, indicando la sedia adiacente.
«Certo, accomodati».
«Grazie... ah, io sono Damien, piacere»
gli presentò, porgendogli la mano mentre si sedeva.
Mentre lo osservava, Ben ebbe l'impressione che Damien emanasse energia da tutti i pori. Il fatto che fosse fisicamente più esile di lui creava un contrasto curioso.
“Mi ricorda quei cagnolini che, quando abbaiano, sembrano non avere paura di nulla”.
A differenza però dei cani, Damien aveva autocontrollo da vendere.
«Ben, il piacere è mio» rispose, stringendogli la mano.
«Allora, sei pronto per la prima lezione? Io non vedo l'ora».
«Già, dovremmo avere storia e geografia, con il maggiore Stirling».
«Sì, è lo stesso che ci ha fatto l'esame orale. A te cosa ha chiesto?»
«Niente di ché... a te invece?»
«Beh, mi ha domandato perchè voglio diventare Seed, quali sono i miei hobby e i miei sogni, cose così. Tu sei qui da Trabia, giusto?»
«Sì, da Viennebourg. Come hai fatto a saperlo?»
«Non ricordi l'altro giorno, in spogliatoio?»
«Ah, è vero... comunque tu invece da dove vieni?»
«Da Esthar City. Anche la ragazza mora, Nadia. Non abbiamo fatto la stessa scuola, ma ci conosciamo da quando eravamo bambini. Gli altri invece non lo so».

Ben fece per dire che Quinn era di Galbadia, ma preferì rimanere in silenzio: non sapeva se fosse il caso di spifferare i fatti altrui. Nel mentre, cominciarono a entrare anche gli altri.

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