Cronache del Bianco e del Nero

di MrChestnut
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rifugio ***
Capitolo 2: *** Falò ***
Capitolo 3: *** Bianco ***
Capitolo 4: *** Borgo ***
Capitolo 5: *** Duello ***
Capitolo 6: *** Galahad ***
Capitolo 7: *** Sobborgo ***
Capitolo 8: *** Mangiauomini ***
Capitolo 9: *** Umanità ***
Capitolo 10: *** Famelico ***
Capitolo 11: *** Blighttown ***
Capitolo 12: *** Caos ***



Capitolo 1
*** Rifugio ***


DARK SOULS
-Cronache del Bianco e del Nero-
 
Capitolo 1: Rifugio

 
La notte era passata, non si sentiva più il crepitio della pioggia che, acquietandosi, aveva lasciato il posto ai lamenti degli altri detenuti e al rumore dei passi del guardiano. Tuttavia, l’acqua era riuscita a filtrare fino alla cella sotterrane. Questa era situata pochi metri sotto la superficie, costruita interamente in pietra e con le sbarre per metà arrugginite. L’acqua iniziò a gocciolare dal soffitto in pietra.
«Uno…due…tre…» cominciò a contare il detenuto di quel luogo angusto, seguendo il ritmo scandito dall’acqua. Poche cose gli permettevano di non perdere il senno, e tenere il conto delle gocce si rivelava un’opzione migliore che ascoltare i lamenti dei sui vicini. Loro lo avevano perso, il senno, erano vuoti. Alcuni detenuti erano addirittura lasciati liberi di camminare fuori dalle celle, tanto non avrebbero mai tentato la fuga, non riconoscevano se stessi figurarsi l’uscita.
«Quarantasette…quarantotto…quarantano…» ad interrompere il suo conteggio fu un tintinnio, qualcosa di metallico aveva colpito la pietra della cella. Alzò la testa e vide una chiave sul pavimento. Si alzò e la raccolse, poi avvicinò il viso alla porta della cella in cerca di chiunque l’avesse lanciata.
«Hey, chi c’è?» urlò, la sua voce rimbombo nel corridoio illuminato solo dalla luce di alcune torce, ma nessuno rispose. Per alcuni secondi guardò la chiave nella sua mano, per poi decidersi ad inserirla nella serratura.
«Non è possibile…» disse a bassa voce mentre girava la mandata della porta. La serratura scattò e lentamente aprì la porta della cella. Mise un piede fuori, si guardò a sinistra e a destra, ma non vide nessuno. Si avviò a sinistra, ricordando che era da lì che lo avevano portato in cella. Non ci volle molto prima di incontrare uno dei detenuti vuoti, intento a colpire il muro con la propria testa emettendo, nel mentre, un continuo e basso lamento.
«Immagino che non sia tu il mio benefattore» disse ironico, ma l’essere vuoto non lo degnò di attenzione, così proseguì. Andando avanti notò delle finestre sbarrate sul lato destro del corridoio. Queste si affacciavano su quello che sembrava un atrio. Dall’alto del corridoio scorgeva tutta la desolazione di quel luogo, e i quattro detenuti privi di senno lì in mezzo non miglioravano la vista. Alcune sbarre della finestra erano divelte, ed un corpo privo di vita era impalato su di esse.
«Hai cercato di fuggire, eh?» disse con tono amaro, quasi aspettandosi una risposta «Non ci sono andati leggeri con te, anche se ormai eri un miserabile vicino alla follia». Poi vide che nella mano stringeva ancora qualcosa «E questa? Una spada spezzata! Hai lottato per la tua vita, ma adesso credo che servirà più a me che a te».
Così dicendo gli tolse la spada dalle mani, poi rimosse il corpo dalle sbarre, con non poca fatica, e lo distese al suolo. Congiungendo le mani iniziò a pregare.
«Padre Lloyd, i nostri cuori sono vincolati a te, le nostre anime al sole e il nostro corpo al fuoco. Possa la bianca via mostrare a quest’anima perduta la strada per la pace eterna, tra le braccia della luce e lontano dall’oscurità dell’umanità».
Detto ciò si alzo e proseguì fino alla fine del corridoio, dove vide una scala a pioli; sicuramene portava in superficie. La salì e, una volta arrivato in cima, spostò la botola metallica che serrava la via. La luce lo accecò, sentì gli occhi quasi bruciare ma non poteva fare a meno di pensare che finalmente fosse libero.
 
Uscì dalla buca e rimase in piedi vicino ad essa, poter di nuovo calpestare la stessa terra baciata dal sole era stupendo. Si guardo intorno, cercando di orientarsi, poiché si trovava nella parte alta della pigione. Le scale che conducevano alle prigioni sotterranee, da cui veniva, si trovavano sotto una navata laterale. Tra le due navate c’era un enorme spazio a cielo aperto, non pavimentato in pietra, dal cui terreno affioravano alcuni ciuffi d’erba. Sul fondo si trovava una breve scalinata, che culminava con un massiccio portone in legno. Avanzò con timore verso la porta, notando che anche quella zona era caratterizzata dei lamenti dei vuoti, detenuti nelle celle sopra le nevate. Arrivato davanti al portone lo aprì e si trovò in un altro atrio, simile a quello sotterraneo, ma il tetto era sfondato e sul fondo c’era un altro portone: doveva essere l’uscita!
«Non-morto!» urlò qualcuno, e la sua voce greve risuonò per tutto l’atrio «Torna nella tua cella, non-morto, se non vuoi conoscere una sorte peggiore della prigionia».
Da un lato dell’atrio si fece avanti una figura alta, che si rivelò essere un cavaliere. L’armatura era di un nero carbone, l’elmo gli copriva per intero il volto, nella mano sinistra reggeva uno spesso scudo di metallo e in quella destra uno spadone, dall’aria così pesante da far dubitare potesse esistere uomo capace di brandirlo se non con due mani.
«Non rispondi, hai già perso il senno? Come sei arrivato fin qui?» ma non ricevette risposta. «Dunque, ti rispedirò in cella con la forza».
Il non-morto era pronto a combattere pur di non tornare in quel luogo squallido; brandì la spada spezzata, ma la differenza con lo spadone del cavaliere era quasi ridicola. Un particolare catturò l’attenzione del non-morto, ovvero un mazzetto di chiavi legato sul fianco destro del cavaliere. Perché tenerlo così in bella vista? Sembrava quasi ostentarle, come se fossero un trofeo.
Il cavaliere fece in tempo a fare un solo passo, che si sentì urlare: «Luce!»
In quel preciso istante un globo di luce comparve davanti il viso del cavaliere, accecandolo. Il non-morto si sentì afferrare per il polso e strattonare in avanti.
«Veloce, l’incantesimo lo distrarrà per un solo istante!» così dicendo, la figura afferrò con la mano libera il mazzetto di chiavi ed entrambi corsero verso la porta.
«Chi…?» provò a chiedere il non-morto
«Non è il momento!» rispose in tutta fretta l’uomo, mentre inseriva la chiave giusta nella serratura per aprirla.
«Ho cambiato idea…» disse il cavaliere nero mentre guardava i nostri, dando le spalle al globo di luce «…vi incatenerò nelle vostre celle, vi ucciderò ancora e ancora finché non sarete sul punto di perderete il senno. Ma non vi renderò vuoti».
«Parli troppo, cavaliere» disse l’uomo, sguainando una spada lucente, che il non-morto capì essere benedetta. «Non avevo intenzione di combattere, ma la tua arroganza è per me intollerabile. Io, Oscar di Astora, prenderò la tua testa» disse con spavalderia al cavaliere nero. Poi, rivolgendosi al non-morto, disse a bassa voce: «Tu vai avanti mentre io lo intrattengo, la porta è aperta. Fossimo fuggiti insieme ci avrebbe colpito entrambi alle spalle».
Il non-morto accolse a malincuore il consiglio di Oscar, ma prima che potesse avviarsi il cavaliere lo interruppe:
«Aspetta quasi dimenticavo, prendi! Credo questo sia tuo» e gli lanciò un talismano «Era nell’armeria insieme alle chiavi delle celle, dai tuoi abiti capisco che sei un chierico» a quel punto il non-morto non scappò via, ma corse in contro al cavaliere nero.
«Fermo, che fai?!»
«Padre Lloyd il mio cuore si vincola a te, mantieni saldi i mei piedi e libera il mio cammino di fede dai miei nemici…FORCE!!»
La spada del cavaliere nero si fermò ad un centimetro dal viso del chierico; poi venne respinta da un’onda d’urto che iniziò ad espandersi da tutto il copro del non-morto. Il cavaliere si ritrovò spinto indietro di diversi metri da questa forza invisibile, cadendo rovinosamente al suolo.
«Non si è fatto niente, ma abbiamo una finestra per fuggire entrambi» disse.
«…Si, certo…» rispose sorpreso Oscar.
 
Il terreno oltre la prigione si sviluppava in salita verso una rupe che affacciava a strapiombo su un burrone, di cui il fondo non era visibile.
«La strada finisce!» disse allarmato Oscar.
«Forse dobbiamo buttarci, forse è una prova di fede» rispose il chierico.
«Non dire amenità, non può essere una soluzione!» ribatté il cavaliere.
A quel punto, da sotto la rupe, un corvo si alzò in volo e afferrò con le sue zampe i due.
«Un mostro, attento!!» urlò Oscar.
«Fermo, forse è questa la via d’uscita» replicò il non-morto.
«Come fai a…».
«Abbi fede…» concluse.
Il corvo non mostrava segni di ostilità e, tenendoli saldamente nelle sue zampe, si alzò in volo portandoli via da quel luogo.
 
Il cavaliere nero si era rialzato e adesso si trovava fermo davanti al dirupo.
«Sono riusciti a scappare…» disse «...la vera prova per loro comincia adesso. Mio sole, spero tu possa tenere viva la fiamma fino all’arrivo del non-morto prescelto».

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Capitolo 2
*** Falò ***



Capitolo 2: Falò
 
Il corvo volava alto nel cielo, il suo viaggio lo portò a superare diverse catene montuose.
«Dove credi che ci porterà?» chiese il chierico
«Forse ho un’idea. All’inizio mi sono fatto prendere dal panico, ma pensandoci bene potrebbe star portandoci a Lordran».
«La terra degli Dei? Dove ebbe inizio l’era del fuoco? Quella Lordran?»
«Esattamente. Nella mia famiglia si racconta di una leggenda: Tu, che sei non-morto e prescelto, nel tuo esodo dal rifugio dei non-morti, pellegrina fino alla terra degli Antichi Lord. Quando suonerai la campana del risveglio, verrai a conoscenza del fato dei non-morti». Poi continuò
«Mi ero introdotto nella prigione, chiamata anche rifugio dei non-morti, perché sapevo che da lì doveva iniziare il mio cammino. Una volta dentro ho pensato che ci potesse essere un altro non-morto che non aveva ancora perso il senno, così ho rubato le chiavi vicino l’armeria, dove ho trovato anche il talismano».
«Quindi sei anche tu un non-morto?» chiese il chierico
«Si, maledetto durante il cammino per il rifugio. Camminando per i corridoi delle celle ho trovato solo vuotezza, poi ho visto te: troppo distratto a contare le gocce d’acqua per notarmi. Ho lanciato le chiavi nella cella e mi sono allontanato».
«Perché?».
«Volevo assicurarmi che avessi ancora la volontà di evadere e combattere. Quando ti ho visto sfoderare quella spada spezzata davanti al guardiano, ho capito che il tuo spirito era ancora forte e saldamente ancorato alla ragione».
«Ho capito, ti devo la vita. Però mi sembra giusto dirti che il cavaliere di prima non era il guardiano della prigione, ma solo uno dei carcerieri» replicò il chierico.
«Cosa?!» rispose stupefatto Oscar.
«Si, il guardiano lo vidi quando mi rinchiusero mesi fa; era enorme, molto più del cavaliere. Prima del tuo arrivo sentivo ancora il rumore dei suoi pesanti passi» concluse.
«Ho capito…per quanto riguarda te, invece? Come ti chiami?» chiese Oscar «Il miracolo di prima è tipico dei chierici combattenti, sei membro della via del bianco
«Mi chiamo Thoma, vengo da Thorolund…» disse, rispondendo alla prima domanda
«Un membro della via del bianco? Lo ero…» rispose con un velo di malinconia alla seconda domanda, senza specificarne il motivo. Oscar capì che era un argomento di cui il chierico non avrebbe voluto parlare e non chiese il perché.
 
Il viaggio proseguì in silenzio, quando ad un certo punto il corvo iniziò a scendere di quota molto rapidamente.
«Vedi niente?» chiese Oscar
«No, ho tutto il vento negli occhi» rispose il compagno.
Thoma non poteva fare a meno di coprirsi gli occhi o tenerli socchiusi; tuttavia, riusciva a scorgere una macchia rossa al suolo. «Fuoco?!» pensò.
Quando il corvo si trovò ad un metro da terra si fermò e lascio andare i due, i quali erano parecchio frastornati per colpa quest’ultimo tratto di viaggio.
«Grazie, però potevi scendere con più calma!» sbraitò Oscar al corvo, mentre questi si appollaiò su un trespolo situato sulla cima di alcune rovine, che si ergevano poco più a destra di dove si trovavano.
«Dove siamo?» si guardò circospetto Thoma
Sembravano trovarsi in un piccolo spiazzale, con diverse pietre e rovine sparse ed un enorme albero spoglio che cresceva al limite dello spiazzale. Al centro vi era una spada, conficcata nel terreno e avviluppata dalle fiamme, la quale restituiva un calore che Thoma e Oscar trovarono rassicurante.
«Non avete mai visto un falò come questo?» disse una figura seduta su una pietra, vicino l’albero «Beh, benvenuti al Santuario del Legame del Fuoco…» poi continuò «…fatemi indovinare:  il fato dei non-morti, giusto? Beh, non siete i primi, ma avreste fatto meglio a rimanere nel rifugio dei non-morti…adesso è troppo tardi».
«Che intendi dire?» chiese Oscar infastidito.
«Che non c’è salvezza qui, nemmeno per voi heh heh heh» rispose.
«Come osi, insolente!» ribatté furibondo il cavaliere di Astora.
«Aspetta, Oscar!» lo fermò Thoma «sembra sapere molte più cose di noi».
«Io sono Thoma di Thorolund e il mio compagno di viaggio e Oscar di Astora, qual è il tuo nome?» chiese all’uomo.
«aah non è importante, sono solo un non-morto come voi» rispose.
«È solo un codardo!» lo provocò Oscar
«Non sono un codardo!» rispose infastidito «sono solo…solo avvilito. È impossibile suonare le campane del risveglio».
«Le campane?» ripeté Thoma.
«C’è ne è più di una?» domando Oscar.
«Si, una sulla cima della chiesa dei non-morti, purtroppo l’ascensore che porta alla chiesa è bloccato e l’unico modo è passare per il borgo. La seconda…» esitò l’uomo.
«La seconda? Dov’è?» lo esortò Oscar.
«Giù, molto più giù del borgo. La troverete alla base di Blighttown, una putrida città infestata dalla pestilenza. Sono morto diverse volte senza riuscire nemmeno a metterci piede».
«Cosa accadrà se vengono suonate?» chiese Thoma.
«Non lo so…qualcosa, credo» rispose l’afflitto guerriero.
«Che ha di speciale il falò?» cambiò argomento Thoma
«Aah il falò, la sua fiamma vi dà sollievo, vero? Vedete, davanti questi falò potete riposarvi e rifocillarvi. Non solo i sensi, ma anche l’anima sembra attratta da questo falò; infatti se verrete uccisi essa vi farà ritorno e rinascerete da qui, ovviamente se prima vi siete riposati vicino al suo fuoco. Non so spiegarlo bene, ma è legato alla guardiana qui sotto».
«Guardiana?» chiese titubante Thoma.
«La guardiana del fuoco, si vincola al fuoco del falò. Alla mia destra vedrete delle scale che scendono e fanno il giro dello spiazzale».
Oscar e Thoma trovarono le scale e le scesero. Scavata nella roccia c’era una piccola grotta sbarrata. Al suo interno una donna bionda, molto bella, ma dall’aria triste e sconsolata, sedeva a terra con lo  sguardo perso nel vuoto.
«È orribile, perché è tenuta in queste condizioni?» chiese indignato Oscar.
«Ha l’aria di essere debole e fragile, se muore lei muore il falò. Immagino che chi l’ha piazzata lì volesse tenerla al sicuro. No, non tentare di liberarla, non ti seguirebbe. Non provare nemmeno a comunicare con lei, da quello che so le è stata tagliata la lingua».
«COSA?!» rispose furibondo Oscar «Anche questo sarebbe per la sua sicurezza?!».
«No, credo solo che non volessero farle dire blasfemie» ipotizzò il guerriero afflitto.
«Oscar, calmati. Non puoi fare niente per lei e sembra che nemmeno vuole essere aiutata» disse Thoma, ed entrambi risalirono le scale.
«Allora, ci avviamo al borgo?» chiese Oscar, cercando di dimenticare quanto visto con la guardiana.
«Siete costretti a passare per l’acquedotto, proprio davanti a noi» disse il guerriero afflitto.
«Si, ma prima vorrei riposarmi. Sediamoci al falò» propose il chierico.
Così entrambi si sedettero vicino al falò. Thoma sentiva tutta la stanchezza fisica accumulata svanire, il suo corpo era più leggero e una sensazione di forte calore gli riempì il petto. Ma la spossatezza mentale, quella non si era alleggerita; provava ancora paura all’idea del cavaliere nero, angoscia nel ripensare alla sua cella e poi c’era…la via del bianco. Il ricordo della confraternita gli creava un sentimento di forte disagio e sconforto. Cercò di non pensarci, di far si che il fuoco bruciasse quei ricordi, che li avvolgesse e li consumasse. Più guardava il fuoco e più sentiva il bisogno di lasciarsi andare al suo tepore.

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Capitolo 3
*** Bianco ***


Capitolo 3: Bianco
 
Thoma aveva due ombre davanti a se che discutevano, una a destra ed una a sinistra. Non riusciva a comunicare con loro, né a fare un solo passo.
«Non è così!!» urlava l’ombra alla destra di Thoma.
«COSA NE SAI TU?! Che ne sai…» disse l’ombra alla sua sinistra, in tono autoritario. Questa si trovava in una posizione sopraelevata rispetto alla prima.
«Magia e Piromanzia non richiedono fede, ma solo tanta arroganza…» le voci iniziarono a farsi sempre più lontane.
«La decisione è…»
 «…Logan…»
«…quasi tutti…vuoti…»
Thoma non capiva. Poi ad un certo punto una delle ombre levò un braccio verso l’altra: «…em…for…»
Un lampo accecante gli impedì di vedere ancora. Non riusciva a capire se stavano ancora discutendo, poiché nessun suono o rumore gli arrivava. Solo una cosa rimaneva nitida…
 
«…bianco» disse Oscar mentre scrollava una spalla di Thoma.
«Eh?!» sobbalzò il chierico. Si era appisolato guardando la fiamma del falò, ma non ricordava quasi nessun dettaglio del sogno che aveva fatto.
«La via del bianco» ripeté Oscar «è appena arrivato un chierico della via del bianco, si è piazzato sotto le rovine dove sta il corvo. Sembra stia aspettando qualcuno» concluse.
«Davvero?» rispose incredulo Thoma, mentre si alzava e si dirigeva verso le rovine.
Il chierico era corpulento, aveva capelli castani e corti, nella mano destra impugnava una mazza da battaglia comune tra i chierici e nella sinistra uno scudo allungato con un simbolo sopra.
«Vince…» disse Thoma.
«Andiamo a parlargli» propose Oscar.
«Perché?» chiese il chierico
«Eravate entrambi compagni nella stessa confraternita, magari ci offrirà il suo aiuto o avrà informazioni interessanti» rispose.
«Hmm…» Thoma ci pensò qualche secondo «…hai ragione, andiamo» concluse.
Vince sembrava nervoso, divagava con lo sguardo sulle rovine, soffermandosi spesso a guardare il corvo. Quando i due furono abbastanza vicini da farsi notare, lo sguardo dei due chierici si incrociò e Vince per un attimo si irrigidì, come se avesse visto un fantasma.
«Thoma…» disse quasi incredulo.
«Vince, amico mio» disse con tono allegro «il grande padre deve aver benedetto la mia giornata per aver incrociato la mia strada con la tua» concluse sorridendo.
«Si…sia lodato padre Loyd» rispose Vince, cercando di ricambiare il sorriso.
«Cosa ti porta in prossimità del borgo dei non-morti?» chiese Oscar.
«Sto aspettando dei miei compagni, dobbiamo compiere una missione nelle catacombe qui vicino» disse Vince.
«Che c’è nelle catacombe?» proseguì Oscar incuriosito.
«Questa informazione è segreta, mi dispiace» disse Vince, con tono fermo.
«Chi stai aspettando?» chiese Thoma
«Petrus e Nico verranno con me e scorteremo Lady Reah» la voce di Vince sembrava un po’ tremante quando si rivolgeva al suo vecchio compagno.
«Ah, il buon vecchio Petrus, da quanto non lo vedo. Invece Nico, l’ultima volta che parlammo, fu capace di elencarmi tutti i tomi della grande biblioteca a Thorolund, in ordine di stesura. Pensa tu che mente» rispose sempre sorridente Thoma.
«Si è vero, non fosse per le missioni sul campo che lo spingono ad allenarsi, Nico passerebbe metà del suo tempo a leggere e l’altra metà a mangiare e bere» disse Vince, questa volta accennando ad una smorfia.
«Ahah…Invece, Lady Reah? Lei come sta?» il tono di Thoma sembrava quasi malinconico.
«M’Lady passa ogni giorno della sua vita a pregare per noi non-morti. Anche voi che eravate rinchiusi nel rifugio siete nei suoi misericordiosi pensieri…ah scusa, sono stato indelicato» Vince abbassò lo sguardo.
«Non scusarti…» disse Thoma «…ho accettato la mia condizione di non-morto mentre ero in cella. Il mio amico Oscar invece…credo che la questione non lo abbia depresso nemmeno per un istante».
«Ovvio!» rispose Oscar, quasi offeso «se sono stato maledetto è per adempiere ad uno scopo più grande di quello che spetterebbe ad un normale umano» concluse.
«Heh heh spero tu possa realizzarti, cavaliere» disse Vince, ammirando la risolutezza del cavaliere di Astora, poi continuò «Siete diretti al borgo dei non-morti?»
«Si» rispose deciso Oscar
«Allora lasciate che vi metta in guardia. Nel borgo si sono insediate delle creature orripilanti, dei demoni. Gli informatori della via del bianco ci hanno avvisati prima che venissimo qui» li redarguì Vince.
«Staremo in guardia» lo rassicurò Thoma «avrei comunque una richiesta: unirmi alla vostra spedizione nelle catacombe».
Vince sbarrò gli occhi, di certo non si aspettava una simile richiesta, e si prese il suo tempo per rispondere.
«Normalmente direi di no, però visto che sei tu a chiederlo…non dovrebbe essere un problema nemmeno per Nico e Petrus» disse perplesso.
«Perfetto, potete aspettare il nostro ritorno dal borgo?» concluse Thoma.
«No, non ti assicuro che staremo ancora qui quando tornerai. Appena arriveranno gli altri, partiremo» disse Vince.
«Capisco, quindi per sicurezza dovrei rimanere qui…» disse il Thoma
«Aspetta!» intervenne Oscar «dobbiamo suonare la campana al borgo».
«Hai fretta di morire, cavaliere» disse il guerriero afflitto che, interessatosi alla conversazione, si era avvicinato «Rischi di fare la mia stessa fine, o di quello stupido stregone!» concluse.
«C’è uno stregone nel borgo?» chiese Thoma.
«Si, uno sprovveduto che cercava il suo maestro. Pensa, millantava di essere allievo di Logan “gran cappello”! hah hah hah».
A quelle parole Thoma sembrava meravigliato, i suoi occhi guardavano con interesse il guerriero, quasi desideroso di avere altre informazioni su Logan. Quando capì che non c’era altro da sentire, si rivolse a Vince.
«Vince, puoi mostrarmi la strada per le catacombe? Così anche se sarete partiti, vi raggiungerò» propose Thoma.
«Si, vieni ti mostro» così dicendo, Vince e Thoma si avviarono al cimitero lì vicino.
«Ok, intanto io inizio a liberare la strada per il borgo…dunque…» si guardò intorno Oscar, pensieroso.
«L’acquedotto…» suggerì il guerriero afflitto.
«Esatto, l’acquedotto! Ho intravisto diversi non-morti vuoti. Vado a liberare la strada per quando tornerà Thoma» concluse Oscar.
«Invidio il vostro entusiasmo, ma non le vostre scelte. Ci vediamo al falò per quando morirete heh heh heh» così dicendo, il guerriero afflitto se ne tornò a sedere al falò.
 
I due chierici camminavano tra le tombe, guardandosi dagli scheletri non-mori che le infestavano. Vince li abbatteva con la sua mazza, benedetta per agevolare il viaggio nelle catacombe; questo impediva ad eventuali negromanti di riportarli in vita.
«Veloce, non voglio rimanere troppo tempo qui senza supporto» disse Vince mentre avanzava.
Si fermarono una volta arrivati davanti l’ingresso delle catacombe. Entrambi guardavano l’oscurità che si estendeva dal fondo di una lunga scalinata in discesa, il gelo della morte lo si percepiva dall’ingresso.
«Sai…» Vince si rivolse al compagno «…ci sono rimasto veramente male quando ho saputo che la maledizione aveva colpito anche te. Comunque, è veramente ammirevole da parte tua aver chiesto di intraprendere la via per vincolare il fuoco. Io non ce la farei, per questo mi limito ad eseguire le missioni che ci commissiona la via del bianco qui a Lordran» concluse.
«A tal riguardo…diciamo che l’essere stato colpito dalla maledizione non è stata una tragedia» rispose Vince.
«Ho capito, hai abbracciato il tuo dest…» prima che potesse concludere la fase, Thoma lo colpì alla testa con il pomolo della spada spezzata, facendolo svenire.
Si chinò e prese la sua mazza e il suo scudo. Vide che ad un fianco aveva arrotolata una fune, sicuramente portata per aiutarsi nella discesa nelle catacombe. Thoma la prese e legò il compagno chierico quanto meglio poteva, poi tagliò una parte di quella fune con la spada e la usò come bavaglio.
«Mi dispiace, non posso rischiare di non essere con voi quando partirete. Quindi Petrus è diventato un non-morto…gli dei hanno mostrato lui un po’ di giustizia» disse Thoma mentre si caricava Vince in spalla.
«Ovviamente ciò non mi basta…poiché tutta la via del bianco è compromessa».

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Capitolo 4
*** Borgo ***


Capitolo 4: Borgo
 
Thoma risalì il cimitero con Vince in spalla. Una volta tornato al falò, il suo sguardo si incrociò con quello del guerriero afflitto.
«Dov’è Oscar?» chiese il chierico.
«Sta ripulendo la strada per il borgo in tua attesa, almeno così ha detto…che è successo al chierico?» chiese.
«Non ti riguarda e non farne parola ad Oscar, intesi?» intimò Thoma
«Aah figurati, sono fatti vostri» lo rassicurò il guerriero, alzando le mani.
«Ora…» continuò Thoma «…sai un posto dove posso tenerlo al sicuro senza che però nessuno lo senta?»
«Hmmm…in luogo tranquillo, dove passano pochi curiosi ed anche isolato…Petit Londo!» ragionò il guerriero.
«La città sommersa?» chiese il chierico.
«Sei ben informato. Si, proprio lei. Puoi arrivarci andando ancora più giù rispetto la guardiana»
«Grazie…» Concluse Thoma.
 
Vicino la prigione della guardiana c’erano altre scale, che scendevano anche queste intorno allo spiazzale del falò. Scese queste ci si trovava davanti un ascensore, scavato nella roccia. Thoma poggiò Vince sulla piattaforma e tirò la leva. L’ascensore cominciò a scendere, sembrava una discesa interminabile. Quando si fermò, Thoma riprese Vince sulle spalle e uscì dall’ascensore. La vista che gli si parò davanti era più desolante di quanto un libro di storia potesse far intendere su quel luogo, il rifugio al confronto era un luogo di ristoro. Petit Londo si presentava come una città fantasma, con l’acqua che lasciava trasparire solo le punte delle case (almeno per quello che le fiaccole permettevano di intravvedere). Dei pontili in legno collegavano la terra ferma, dove si trovava, alle rovine della città. Poggiò Vince vicino l’ingresso dell’ascensore, facendolo stare seduto con la schiena poggiata al muro.
«Qui è pieno di non-morti vuoti, ma non sembrano ostili. Sono tutti rassegnati. I libri e le informazioni che ci davano sulla città sommersa non rendevano l’idea, non potevano. Per di più c’è qualcosa nell’acqua che mi inquieta, che mi fa stare a disagio…sono ancora lì. Per adesso meglio non mettervi piede» poi guardò Vince, ancora privo di sensi: «si…qui effettivamente non c’è nessuno di pericoloso, per adesso. Dovresti stare al sicuro e nessuno dovrebbe riuscire a sentirti così in basso» poi rientrò nell’ascensore.
«A dopo Vince, che padre Lloyd vegli su di te finché non sarò tornato a liberarti».
 
Tornato al falò vide Oscar seduto vicino ad esso.
«Hey, Thoma dove sei stato?» chiese il cavaliere di Astora.
«Non eri ancora tornato, quindi ho fatto compagnia alla nostra guardiana, però non credo nemmeno si sia accorta di me» disse Thoma, cercando di essere il più convincente possibile.
«Ah allora nemmeno tu hai rinunciato ad aiutarla» rispose Oscar.
«Aiutarla non posso, alleviare il suo peso si» replicò il chierico.
«…ma quella è la mazza di Vince»  notò il cavaliere.
«Non la sua, ma è lo stesso tipo di arma. Ha detto di aver portato qualche arma di riserva, insieme alle provviste per il viaggio» disse Thoma.
«Capisco…ah, quasi dimenticavo. Guarda cosa ho trovato» Oscar porse una fiaschetta smeraldina vuota a Thoma.
«Questa è una fiaschetta Estus?» chiese il chierico
«Sai cos’è» notò Oscar.
«Solo di nome, non ne ho mai vista una, però» rispose.
«Uno dei non-morti che stanziava all’acquedotto la portava con se. Servirà più a te visto che non sei ancora vuoto. Io ho già la mia…sai come si riempie, vero?» domandò il cavaliere.
«Lo so, adesso provo».
Thoma avvicinò la fiaschetta al fuoco del falò; la fiamma iniziò, quasi di sua volontà, a fluire dentro l’Estus, riempiendola. Una volta piena se la legò su un financo, usando una cordicella che già si trovava sul collo della fiaschetta.
«Aaah la fiaschetta Estus, letteralmente riempita di fuoco liquido. I pericoli in questo viaggio lasciano ferite più profonde di quelle curabili bevendo dalla Estus, per questo ho gettato la mia: per non illudermi di potercela fare» disse sconsolato il guerriero afflitto.
«Grazie per la massima di vita, eroe senza nome» lo schernì Oscar «la prossima volta che vorrò deprimermi chiederò a te personalmente» concluse infastidito. A quel punto si alzò e si avviò.
«Non farti pesare la cosa…» cercò di consolarlo Thoma, mentre si avviava.
«No no, lo capisco…» lo interruppe il guerriero «…io e lui siamo ai poli opposti, ed io rappresento tutto ciò che lui non vuole diventare. Per questo mi disprezza…» concluse.
«Non ti disprezza…a meno che uno non sia un vero mostro, non credo che Oscar sia capace di disprezzare veramente qualcuno» ma vide che non sortiva l’effetto sperato, quindi aggiunse «Hey, non provare a diventare vuoto fino al nostro ritorno, chiaro?» detto questo il guerriero afflitto alzò il pollice in segno di conferma, Thoma si sentì un po’ più rincuorato e si avviò.
«Conrad…» disse ad alta voce il guerriero afflitto, senza però urlare.
«Cosa?» chiese il chierico voltandosi.
«…il mio nome» concluse il guerriero.
«Aspetta il nostro ritorno, Conrad» rispose Thoma, rivolgendogli un sorriso per cercare di rassicurarlo. Detto questo, proseguì senza voltarsi indietro.
 
I due avanzarono verso l’acquedotto prima che i non-morti uccisi si rialzassero. Salirono delle scale in pietra che permettevano di entrare direttamente dentro la struttura: l’acqua al suo interno, torbida e pesante, emanava una terribile puzza di fogna. Continuarono a camminare nell’acquedotto fino a trovare un passaggio laterale, con scale in pietra che salivano. In cima a queste si trovarono nel borgo. Sparsi per le strade c’erano non-morti vuoti che, brandendo  spade e randelli, li attaccarono appena li videro. Oscar si difese egregiamente, parando il primo colpo di uno di questi e contrattaccando con la sua spada; il non-morto non si rialzo. Le loro difese erano basse, anche Thoma riusciva ad atterrarli con la mazza rubata a Vince, brandita nella mano sinistra.
<> notò Oscar.
Continuarono ad avanzare fino ad arrivare ad un piccolo ponte, superato questo trovarono diversi non-morti barricati dietro trincee di fortuna, fatte con assi di legno. Ad un certo punto Thoma sentì qualcosa sibilare nell’aria e per poi impattare sullo scudo di Oscar, prontamente alzato dal cavaliere.
«Una freccia? Ci sono balestrieri li dietro!» disse il chierico.
«Allora ci sono dei soldati non-morti, ma non capisco di qual paese…» rispose Oscar «…attento ai lancieri» disse a Thoma.
Due lancieri non-morti avanzarono in prima linea contro i nostri, a quel punto Oscar urlò:
«Vai avanti, Thoma, e occupati dei balestrieri! Ti copro io!» detto questo, avanzò precedendo il chierico. Schivò un colpo di lancia del primo non-morto, ponendosi di lato, per poi colpirlo con la spada , al secondo tirò un calcio facendogli perdere l’equilibrio. Thoma a quel punto corse verso i due balestrieri, tenendo alto lo scudo, che reggeva con la destra. Le frecce impattavano su di esso senza attraversarlo. Arrivato alle trincee, le scavalcò e tirò un calcio al primo balestriere; prontamente colpì il secondo con la mazza, uccidendolo. Finì il primo balestriere, che stava riprendendo l’equilibrio, con un ultimo colpo di mazza. Assicuratosi di averli uccisi, Thoma guardò in direzione di Oscar e vide, con sollievo, che era riuscito ad abbattere i due lancieri.
«Proseguiamo» disse risoluto Oscar.
I due continuarono a camminare per i vicoli del borgo, sconfiggendo i vari non-morti che trovarono per la strada, senza aver ancora bisogno della Estus. Ad un certo punto si trovarono davanti ad una torre, al cui interno delle scale salivano a chiocciola lungo tutto perimetro. Salirono le scale e, arrivati quasi in cima alla torre, vi era una porta che conduceva all’esterno. Invece, le scale che conducevano alla cima erano bloccate. La torre dove si trovavano si collegava ad un’altra tramite una strada in pietra.
«È una cinta di mura» notò Oscar «una cinta di mura che unisce le torri» concluse.
Appena misero piede fuori dalla torre, in procinto di raggiungere l’altra torre attraversando le mura, sentirono un urlo. Ma più che un urlo sembrava un muggito, così potente che la pietra ai loro piedi sembrava tramare. Si guardarono alle spalle e, sulla cima della torre da cui venivano, videro una creatura enorme: bipede, con il busto da uomo, le gambe richiamavano le zampe di un toro, così come la testa. Tra le braccia stingeva un’ascia gigantesca.
«È un demone-toro, corriamo!» urlò Thoma.
I due iniziarono a correre, mentre il demone saltò dalla torre e atterrò sulle mura, per poi incominciare ad inseguirli.
«Come lo abbattiamo?» chiese Oscar.
«Non lo abbattiamo, scappiamo!» rispose Thoma.
«Che ci fa qui un demone-toro?» chiese ancora il cavaliere.
«Vince ce lo ha detto: delle creature si erano insediate nel borgo» rispose quasi scocciato il chierico.
«No, dico che ci fa un demone così grosso sulla cima di una torre così stretta? Si vede che non è il suo ambiente ideale» concluse.
«Che hai in mente?» chiese Thoma.
«Capiscimi al volo!» detto questo Oscar sfoderò un catalizzatore da stregone e puntò il corrimano in pietra alla sinistra del demone.
«FRECCIA DELL’ANIMA!!» urlò il cavaliere.
Una saetta di luce blu partì dal catalizzatore e dardeggiò verso l’obiettivo, spaccando il corrimano. Il demone-toro rallentò la sua corsa, colto di sorpresa. Thoma, compresa la strategia del compagno, corse verso la bestia senza esitazione. Il demone, notato il non-morto che gli veniva incontro, calò la sua possente ascia su lui. Il chierico fece una capriola, schivando il colpo diretto dell’arma, ma lo spostamento d’aria lo spinse in avanti, verso la bestia; finì per urtare la coscia della creatura. Guardò in su e vide il demone-toro osservarlo rabbioso, mentre la fetida bava colava ai lati della sua bocca. Alzò una zampa con l’intento di calpestarlo, fu a quel punto che Thoma colse l’occasione:
«FORCE!!!» urlò e l’onda d’urto scaturita dal suo corpo travolse la bestia. Questa riappoggiò la zampa destra a terra e, per non perdere l’equilibrio, sposto indietro quella sinistra. Ciò gli fu fatale, un passo falso nell’apertura creata da Oscar la fece cadere dalle mura. Per diversi secondi si sentirono le sue urla, seguite da un potente tonfo e infine dal silenzio. Thoma aveva il cuore che gli batteva forte, aveva visto la morte in faccia ed era sopravvissuto, gli dei lo avevano sostenuto; poi capì che non era solo merito degli dei, così guardò Oscar: Cavaliere e chierico si guardarono e i loro sguardi rispecchiavano fiducia reciproca.
«Ottimo lavoro di squadra» disse Oscar «continuiamo così e la prima campana sarà suonata entro oggi» concluse.
Mentre camminavano, Thoma si rivolse a Oscar:
«Come conosci la stregoneria?» chiese.
«Nella mi famiglia, a corte, abbiamo sia un maestro di spada che un maestro stregone. Si cerca di formare cavalieri il quanto più possibile completi, anche in vista di chi decide di compiere il cammino del non-morto per realizzare la profezia. Io però non sono molto forte nella magia, infatti “freccia dell’anima” e “luce” sono gli unici due incantesimi che riesco a lanciare. Preferisco un duello con la spada e ricorro al catalizzatore solo se necessario, possibilmente non per abbattere direttamente un nemico» concluse Oscar.
«Sei molto fortunato, hai conosciuto veri stregoni» aggiunse Thoma, facendo trasparire una lieve nota di invidia.
«Lo so, molti non hanno, e mai avranno, l’occasione di avere un’istruzione come la mia. Per questo non voglio sprecare i miei talenti, voglio dimostrare a me stesso che il mio impegno è stato dedicato per uno scopo. Vedrai, rivelerò il segreto dietro la profezia dei non-morti» concluse.
«Sei degno di lodi, cavaliere» disse Thoma «sono stato fortunato a venir salvato da uno come te» aggiunse il chierico.
 
I due arrivarono alla seconda torre e vi entrarono; seguendo il percorso, tra brevi corridoi e scale da scendere, arrivarono fuori. Sulla destra si trovava una terrazza, ma non vi era nessuno; sulla sinistra si rientrava nella cinta di mura ed un ponte conduceva ad un’alta struttura in pietra.
«Spero sia la strada giusta per la chiesa» disse Thoma.
«Beh, non ci resta che continuare per scoprirlo» rispose Oscar.
Iniziarono ad attraversare il ponte indisturbati, quando ad un certo punto qualcosa ruppe il silenzio:
«Hey, lo senti anche tu?» chiese Oscar.
«Sembra…un battito d’ali» disse Thoma concentrandosi sul rumore.
Il chierico si voltò e vide un’enorme creatura rossa volare in loro direzione, vedeva chiaramente che era dotata due zampe artigliate e sbatteva, possenti, due ali da pipistrello.
«Una viverna!!» urlò Thoma «Oscar, la tua magia non servirebbe, dobbiamo correre!» concluse.
«Ovvio!» concordò il cavaliere «Questa non la posso buttare di sotto come il demone».
 Iniziarono a correre il più velocemente possibile. Ad un certo punto la viverna spalanco le sue fauci e soffiò: una vampa di fuoco ricoprì per intero il ponte lasciando bruciature dove passava. Il chierico ed il cavaliere avvertivano il calore alle loro spalle. Quando ormai mancavano pochi metri all’ingresso dell’edificio, erano stati quasi raggiunti dalle fiamme, così decisero di saltare. Atterrarono dentro l’edificio, riuscendo a scampare al fuoco.
«Ce l’abbiamo fatta!» esultò Oscar.
«Si, ma non possiamo più tornare indietro, la viverna si è appollaiata proprio sopra l’ingresso» disse Thoma.
Davanti avevano il ponte dal quale erano venuti, a destra si usciva fuori l’edificio.
«Non credo ci seguirà se continuiamo per la nostra strada. Non ha cercato nemmeno di bruciarci soffiando dentro l’ingresso…sembra quasi che faccia da guardiana al ponte» fece notare il chierico.
«E tu chi sei?» domandò Oscar.
Alla loro sinistra vi era un altare, la cui statua era stata distrutta. L’uomo che pregava davanti l’altare si era alzato e voltato verso i nostri.
«Ah, salve! Non mi sembrate vuoti…al contrario» disse l’uomo «avete superato la viverna che fa da guarda al ponte, complimenti!» disse in tono gioioso.
«Io? Mi chiamo Solaire e vengo da Astora».

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Capitolo 5
*** Duello ***


Capitolo 5: Duello
 
«Io? Mi chiamo Solaire e vengo da Astora» disse il cavaliere «Sono un fedele del Lord del Sole. Ora che sono un non-morto, sono giunto in questa grande terra per…cercare il mio sole».
Solaire non era all’apparenza un cavaliere dal fisico grosso, ma comunque robusto. Indossava un’armatura in cotta di maglia con gambali e polsiere in metallo. Sul petto aveva uno stendardo bianco, tenuto stretto in vita tramite una cintura, con sopra il simbolo del sole, il quale dava l’idea di essere stato disegnato a mano.
«Quello è un altare dedicato al Lord del sole, Gwyn?» chiese Thoma.
«Si, anche se l’effigie è stata danneggiata…chissà cosa ha portato ad un simile atto di blasfemia» disse Solaire.
«Tu veneri il sole, Solaire? Hai fede in lui?» chiese il chierico, mentre si avvicinava all’altare.
«Con ogni fibra del mio essere, rappresenta per me un magnifico padre. Se solo potessi, chiederei di essere altrettanto incandescente hah hah hah» poi guardò Thoma «ma tu sei un chierico, sai bene cosa vuol dire aver fede» concluse.
«Al dire il vero, la mia fede sta un po’ vacillando ultimamente…» notò con sommo rammarico «…quelli che credevo fratelli mi hanno deluso e gli Dei che prego non mostrano segno di ascoltare le mie suppliche. Immagino che la mia fede regga grazie al mio ottimismo» disse con una voce spezzata e triste.
«Non è forse questo il significato di “avere fede”?» fece notare Solaire «essere ottimisti, cioè sperare che le proprie preghiere vengano ascoltate ed accolte…avere fede che gli Dei ascoltino la tua voce e ti aiutino nel tuo percorso…tu hai ancora fede, l’hai solo messa in dubbio a causa delle ferite che ti hanno lasciato. Se non sei in nessuna confraternita, che ne di ci di unirti al patto del sole?» propose Solaire.
«Il patto del sole?» ripeté Thoma, colto alla sprovvista.
«Si, tieni! Ti regalo anche una medaglia del sole; porgila come offerta all’altare del sole ed entrerai nel patto. Se avrai fede nel sole potrai anche utilizzare i miracoli legati al nostro splendente padre» concluse Solaire.
Per Thoma non era un problema, le sue preghiere coinvolgevano spesso il Lord del Sole. Nonostante avesse abbandonato la via del bianco, continuava a pregare gli dei di Lordran, continuava ad avere fede in loro anche con il dubbio atroce di non venire ascoltato. Così prese la moneta e, inginocchiandosi, la offrì all’altare del sole e pregò. Una luce entrò dalla finestra a fianco dell’altare e illuminò il chierico.
«Ora sei un confratello del sole, ti puoi alzare» disse Solaire.
«La preghiera che dedichi al Lord del sole…qual è?» chiese Thoma.
«Le preghiere non hanno forma fissa. Sono odi agli Dei che nascono dal cuore. Come il cuore muta nelle emozioni, così le preghiere mutano nella forma. Saprai cosa dire quando avrai bisogno di dirlo» concluse Solaire. Dopo quelle parole, Thoma si perse nell’osservare la statua distrutta all’altare. Oscar, che era rimasto d ascoltare fino a quel momento, intervenne per rompere il silenzio:
«Scusa…Solaire, ma la chiesa dei non-morti è vicina rispetto dove siamo adesso?» chiese.
«Se è vicina? È proprio lì» disse, indicando la strada che i due stavano per intraprendere prima di incrociare il cavaliere del sole «andando sempre dritti, troverete l’ingresso della chiesa. Io non mi ci sono avventurato perché da solo non ero sicuro di farcela. Ma adeso che siamo in tre…chissà» concluse.
«Beh, allora avviamoci» disse Oscar. Uscito fuori, salì una breve scalinata ma, non appena ebbe superato l’ultimo gradino, da una porta a destra della strada uscì uno scudo nero che colpì il cavaliere. Oscar fece per rialzarsi quando, nel vedere chi lo avesse colpito, si paralizzò. Un cavaliere nero come il carbone, identico a quello nel rifugio, si era parato d’innanzi a loro. Nella mano destra impugnava uno spadone identico a quello dell’altro cavaliere. Fece oscillare l’arma ed Oscar, per evitare di venir colpito, fece una capriola giù dalle scale, ruzzolando fino a raggiungere agli altri due. Il cavaliere nero avanzava lentamente, scendendo un gradino alla volta. Ogni passo, faceva gelare il sangue dei nostri che, avendo la viverna fuori alla loro sinistra, non potevano fuggire come al rifugio: bisognava combattere! Thoma ed Oscar caricarono insieme, ma il cavaliere di Astora era più veloce ed arrivò prima al bersaglio. Le due spade si incrociarono, il cavaliere nero guardava Oscar senza lasciar trasparire nessuna emozione. Un istante dopo arrivò Thoma e il cavaliere, senza distogliere lo sguardo da Oscar, parò il colpo di mazza con lo scudo. Insieme non riuscivano a farlo indietreggiare, nemmeno sbilanciarlo sembrava possibile. Quando il cavaliere nero si stancò dei loro sforzi, spinse la mano destra in avanti facendo cadere Oscar. Thoma, trovata l’occasione urlò: «FORCE». Ma i piedi del cavaliere si mossero solo di qualche centimetro indietro. Con una spinta dell’enorme scudo nero anche il chierico fu a terra. Il cavaliere camminò incontro ad Oscar con l’intento di sferrargli il colpo finale.
«Freccia dell’anima!» il cavaliere di Astora aveva sfoderato il suo catalizzatore ed aveva puntato direttamente al viso del nemico. Questi accusò il colpo, ma solo per qualche secondo, poiché subito dopo levò la sua enorme spada sopra la testa. Thoma approfittò di quegli attimi preziosi per gettare via la mazza, afferrare lo scudo a due mani e fiondarsi tra i due cavalieri, per intercettare il colpo. La spada trapasso parzialmente lo scudo, generando un pesante rumore metallico. Thoma era riuscito ad assorbire l’impatto, ma lo scudo era lacerato e dal suo braccio destro scorreva caldo sangue. Il cavaliere nero fece pressione sulla spada, con l’utilizzo di un solo braccio, cercando di far cedere il chierico, che si ostinava a tenere lo scudo levato sopra la testa. Le gambe gli stavano per cedere quando sentì: «Buttati in ginocchio!»
Thoma cadde sulle sua ginocchia e il braccio del cavaliere nero fu totalmente abbassato, lasciando la parte superiore scoperta. In quel momento un fulmine colpì frontalmente il petto del cavaliere nero che, stordito, lasciò andare la spada e cadde sulla schiena. Thoma gettò il suo scudo a terra, insieme alla spada rimasta incastrata. Aveva perso molto sangue e la vista gli si stava annebbiando, così prese velocemente la fiaschetta di Estus e ne bevve un sorso. Il fuoco fluì nel suo corpo e si sentì rinasce: le gambe doloranti ora non tremavano più e la profonda ferita sul braccio destro si rimarginò. Guardò per un istante il cavaliere nero steso al suolo, poi si voltò in direzione di Solaire.
«Hai lanciato tu quel fulmine?» chiese il chierico.
«Tale è il miracolo che il Lord del sole concede ai suoi fedeli» rispose risoluto il cavaliere.
Thoma guardò Oscar, il quale si stava rialzando.
«Come stai?» chiese all’amico.
«Bene, grazie a te» rispose il cavaliere «se prima ti sentivi in debito perché ti ho liberato, adesso non ci pensare più» concluse accennando ad una smorfia.
«Per gli dei…ci siamo andati vicini» disse il chierico.
«Si…già mi immagino i commenti cinici di quel codardo al falò, se fossimo morti e rinati lì» rispose Oscar.
«Non chiamarlo codardo…il suo nome e Conrad» lo riprese Thoma.
«Hai insistito finché non te lo ha detto?» disse ironico Oscar.
«No, me lo ha detto di sua sponte…è molto più affabile di quello che sembri» rispose il chierico.
«come fai a…no no, non dirlo…”abbi fede”» disse il cavaliere, imitando il tono dell’amico.
«Attenti! Si sta rialzando!» urlò Solaire.
Il cavaliera, sostenendosi con lo scudo, si stava riprendendo e rialzando. Oscar si mise in piedi in tutta fretta e caricò il cavaliere. Questi cercò di afferrarlo con la mano destra, ma Oscar gli passo sotto il braccio con una capriola. A quel punto Solaire lanciò un altro filmine, che si infranse sullo spesso scudo del cavaliere nero, prontamente sollevato per difendersi. Fu a quel punto che Oscar, arrivatogli alle spalle, lo trapasso da parte a parte con la spada di Astora, la punta insanguinata usciva dal petto del cavaliere.
«Finitelo!!» urlò Oscar.
«Thoma, questa sarà la tua prova di fede al Dio sole, vai» disse Solaire al chierico.
Thoma ripensò alle parole del cavaliere del sole, chiuse gli occhi e, stringendo il talismano nella man sinistra, iniziò a pregare.
«Padre sole la mia anima si vincola a te, padre incandescente trasforma le mie dita in folgori ed incenerisci il male che si para davanti il mio cammino di fede».
Riaperti gli occhi vide nella sua mano una folgore, le cui estremità danzavano freneticamente nell’aria.
«Sbrigatevi! Non posso tenerlo ancora» urlò Oscar che con una mano impugnava la spada e con l’altra cercava di tener fermo il cavaliere nero.
«LANCIA DEL FULMINE!!» urlò Thoma e scaglio il dardo elettrico verso il nemico. Oscar, capendo che stava arrivando il colpo, lasciò andare la spada ed il cavaliere, e si buttò a terra. Il cavaliere nero venne colpito e fu percorso a una potente scarica, che lo paralizzò lì in piedi dove si trovava. Quando le scariche furono terminate ci fu silenzio, nessuno osava parlare prima di capire se abbassare la guardia oppure no. Ad un certo punto, al cavaliere cadde il pesante scudo, per poi cadere a sua volta sulle ginocchia ed infine accasciarsi al suolo. Tutti fecero un profondo sospiro di sollievo. Oscar, comunque, si avvicinò guardingo al corpo per riprendersi la spada. Estratta l’arma, capì che il nemico era stato abbattuto. Guardò Thoam e Solaire, alzando il pollice in segno di vittoria.
 
I tre avventurieri continuarono per la scalinata ed arrivarono ad una piccola piazza. In fondo vedevano la chiesa, in cima ad un’altra scalinata, prima di questa vi era un’arcata con un cancello metallico lasciato aperto. La piazza era popolata da diversi non-morti lancieri e balestrieri. Spiccava, al centro della piazza, un cinghiale corazzato che, non appena visti i tre, iniziò a caricarli. Schivare la prima carica dell’animale non fu difficile, decisero tuttavia di avanzare senza ingaggiare battaglia. A quel punto, uno dei non-morti corse oltre l’arcata, e fu in procinto di tirare una leva.
«Vuole chiudere il cancello!» notò Solaire.
«Lancia del fulmine!» urlò Thoma, scagliando una saetta che dardeggiò in direzione di quel non-morto. Questo fu colto da spasmi a causa delle scariche, morendo e tenendo ancora la leva tra le mani. I tre schivarono i colpi di lance, e tennero gli scudi sopra la testa per parare le frecce dall’alto. Arrivati oltre l’arcata, Oscar afferrò la leva e la abbassò. Il cinghiale, che aveva ripreso a caricare, fini trafitto dalle sbarre dello spesso cancello in metallo. Si dimenò per qualche secondo prima di morire. I non-morti rimasti oltre il cancello colpivano freneticamente le sbarre con le loro armi, uno arrivò a spezzare la propria spada per la foga. Superato quest’altro ostacolo, salirono la scalinata della chiesa. Arrivati sulla cima si fermarono: un rumore di pesanti passi si fece sempre più forte. Le porte della chiesa si spalancarono e ne uscì un cavaliere in armatura pesante di un nero lucente, l’elmo era dotato di un pennacchio di ferro, nella sinistra reggeva uno scudo a torre e nella destra trascinava una grossa mazza da battaglia. Fermatosi davanti l’ingresso, sollevò la mazza e se la poggiò sulla spalla destra, mentre piantava con forza al suolo lo scudo a torre.
«Un cavaliere di Berenike…» fece notare Oscar «…sono famosi per la loro potenza e resistenza, come ha fatto a diventare non-morto? Cosa può aver ucciso un guerriero simile?» concluse.
«Opto per il cavaliere nero di prima» intervenne Thoma.
Dalle spalle del cavaliere di Berenike comparvero altri due cavalieri, ben meno possenti del primo. Avevano un’armatura in acciaio dal colore argenteo e più leggera  di quella del proprio compagno. L’elmo era integrale ma, con la visiera alzata, lasciava intravedere il viso da non-morto. Nella mano sinistra impugnavano un scudo metallico piccolo e rotondo e nella destra uno stocco. Un mantello rosso e lacero cadeva sulle loro spalle. I due si posero uno a destra e l’altro a sinistra del cavaliere di Berenike.
«Questi sono cavalieri provenienti da Balder, seguivano e lottavano per il re cavaliere Rendal» aggiunse ancora Oscar, mentre si metteva in guardia.
«Era un regno prosperoso il loro, se non sbaglio» disse Solaire.
«Sei poco informato» gli rispose Oscar «il loro regno è caduto in disgrazia a causa della diffusione della non-morte…una tragedia» concluse.
«A patto che sia stata veramente una tragedia» disse Thoma.
«Come?» chiese perplesso Oscar.
«Speculazioni per quando saremo al sicuro, adesso concentriamoci su di loro».
I tre cavalieri non si muovevano, sembrava quasi che aspettassero il proprio avversario venirgli in contro.
«Perché non attaccano?» chiese Solaire.
«Forse vogliono un duello e non una rissa da strada. Vogliono che ci scegliamo un avversario» ipotizzo Oscar.
Il cavaliere di Berenike fece un cenno con la testa, in segno di assenso.
«La non-morte non vi ha privati dell’onore. Avete tutto il mio rispetto cavalieri» disse Oscar facendo un inchino «Solaire, Thoma a voi i cavalieri di Balder, io mi occuperò del gigante» concluse.
«Sicuro?» chiese Thoma.
«Certo! Sono stato addestrato a combattere avversari di qualsiasi stazza…» si interruppe «…il cavaliere di prima non vale, era fuori categoria. Comunque, lasciate che vi dia un consiglio: gli scudi tondi sono molto leggeri e permettono di compiere movimenti ampi e veloci, l’ideale per deviare le lame nemiche. Quindi, occhio ai contrattacchi» concluse Oscar.
«Ok» risposero quasi in simultanea Thoma e Solaire.
Iniziarono a spostarsi di lato, uno a destra e l’altro a sinistra, per avere più spazio nel duello; i cavalieri di Balder li seguirono. Oscar rimase al centro, fermo davanti il possente cavaliere di Berenike.[1]
 
 
Il cavaliere di Balder toccato a Thoma teneva il suo stocco avanti a puntare l’avversario, lo scudo era tenuto più basso, all’altezza dell’addome.
«Sei un tipo aggressivo, di la verità» notò Thoma «Più che pronto a deviare un mio colpo, sembri ansioso di colpirmi a morte» concluse.
Il cavaliere si fece avanti, tirando qualche affondo per misurare la distanza. Thoma si guardò lo scudo, lacerato dal colpo del cavaliere nero di prima. Capì che parare con quello era impossibile, avrebbe dovuto puntare a fare il gioco dell’avversario: deviare e contrattaccare. Quando l’avversario gli fu a portata, il cavaliere tirò un affondo. Thoma cerco di deviarlo, sbagliando totalmente il tempismo e venne ferito ad una spalla. Altri due affondi furono tirati dal non-morto, che ferirono Thoma, ma mai mortalmente.
«Non mi sta ferendo a morte, anche se potrebbe…mi sta mettendo alla prova. Vuole capire se sono capace di regalargli un combattimento interessante…» pensò il chierico, poi si rivolse all’avversario
«Dì la verità, una volta che avrai visto tutto quello che so fare…mi ucciderai senza esitare».
Il cavaliere non rispose, si limitò a tirare un altro affondo con lo stocco, che andò a vuoto. Thoma respirava lentamente per stare calmo, non doveva reagire ai colpi dell’avversario: doveva prevederli. Ormai aveva visto usare abbastanza volte quello stocco da capirne la gittata, i tempi di affondo e di recupero. Il cavaliere e il chierico si fermarono, come congelati, gli occhi vuoti di uno si incrociavano in quelli ancora umani dell’altro. Il cavaliere di Balder fece la sua mossa, un affondo così veloce da fendere l’aria, ormai era convinto di avere la vittoria in pugno. Thoma riuscì ad intercettare il colpo e a deviarlo, aprendo la difesa del suo avversario. Toccava al contrattacco, così affondò la mazza da battaglia nell’addome del cavaliere, facendolo piegare in vanti. Poi, con un secondo colpo che partiva dal basso, colpì in viso l’avversario. Questi per l’impatto cadde all’indietro, urtando la parete della chiesa.
«Force!» urlò Thoma schiacciando ancora l’avversario alla parete, in modo da non farlo riprendere.
«Lancia del fulmine!» caricò la saetta nella mano sinistra e la scagliò contro il cavaliere.
Il soldato, che un tempo aveva servito fedelmente il prode Rendal, riversò al suolo privo di vita.
 
 
Solaire osservava la posizione del suo avversario: lo scudo rotondo davanti a se e lo stocco vicino al fianco destro. Con una posizione prettamente difensiva, il cavaliere di Balder puntava al contrattacco. Solaire lo capì e fece la prima mossa tirando un calcio. Se fosse riuscito a sbilanciarlo avrebbe potuto evitare di farsi deviare l’arma. Il cavaliere di Balder perse l’equilibrio, pur non cadendo, quanto bastava per dare a Solaire la sicurezza di affondare un fendente latrale. Ma mancò il bersaglio completamente.
«Come?» disse Solaire stupito.
L’avversario aveva deviato la traiettoria del colpo sfruttando lo stocco, mostrando un grande maestria nell’arte della scherma.
«Heh heh heh» rise il non-morto, che ormai aveva ripreso l’equilibrio.
«Ti prendi gioco di me?!» rispose Solaire indignato «Scommetto che se il colpo è troppo potente, la tua tecnica di deviazione non serve a niente» così dicendo lasciò andare lo scudo e strinse la spada con due mani.
Caricò l’avversario e iniziò a tirargli una serie di potenti colpi ripetuti con la spada, tutti prontamente parati. Ad un certo punto il non-morto perse l’equilibrio. Sfruttando l’apertura, Solaire riuscì ad affondare un primo colpo. Quando cercò di sferrare il fendente decisivo, il cavaliere di Balder lo deviò con lo scudo. Solaire aveva messo troppa forza in quell’ultimo colpo e si trovò sbilanciato in avanti. L’avversario a quel punto lo trafisse con lo stocco. Solaire sentì un dolore acuto che si espandeva dall’addome; cercò di soffocare il grido di dolore. Il cavaliere di Balder estrasse l’arma e spinse indietro l’avversario.
«…bevi…bevi…» disse con sforzo, indicando la fiaschetta che Solaire aveva legato al fianco.
«Un non-morto, che ha quasi perso l’uso della parola, così capace nella spada. Sono stato uno stupido. Le mie abilità non possono competere con le tue» notò Solaire «l’unica cosa che posso fare è affidarmi al mio sole» detto questo caricò l’avversario impugnando la spada con una mano.
Il colpo fu di nuovo deviato e il cavaliere incassò un altro affondo all’addome con lo stocco. Solaire strinse il non-morto a se con il braccio sinistro, mentre il destro lasciava andare la spada, per prendere un talismano legato alla vita.
«Ti ho preso…Lancia del fulmine» una folgore gli comparve nella mano destra e la puntò in pieno viso all’avversario.
Le scintille zampillavano ovunque intorno a loro, il cavaliere di Balder si dimenava e tentava inutilmente di divincolarsi. Quando il colpo fu esaurito, l’avversario non si muoveva più e Solaire lasciò cadere il suo corpo.
 
 
«Che gli Dei assistano al nostro duello e giudichino il più meritevole di vincere» disse Oscar, e cominciò ad avanzare. Il cavaliere agitò la sua mazza, facendola calare in avanti. Oscar si fermò un attimo prima e vide l’arma nemica passargli davanti al viso e conficcarsi nel terreno. Un colpo cossi pesante avrebbe richiesto alcuni secondi di recupero, Oscar lo sapeva e così tentò un veloce affondo al collo del nemico. Il cavaliere di Berenike inclinò leggermente testa e busto, evitando di venir colpito e, con una forza sovrumana, sollevò la mazza da terra colpendo Oscar dal basso in pieno ventre. Prontamente il cavaliere di Astora aveva anteposto il suo scudo tra lui e la mazza, riuscendo ad assorbire il colpo. A quel punto il cavaliere di Berenike ritrasse la mazza e lo spinse sfruttando un calcio. Oscar barcollo, ma non cadde. Vide che il suo scudo presentava una vistosa ammaccatura.
«Sei capace di generare una tale forza anche con un colpo che parte da una posizione scomoda come quella…» detto ciò lasciò cadere lo scudo e sfoderò il catalizzatore «..non mi sono mai allenato abbastanza nello stile misto, ma credo che questo sia il momento migliore per utilizzarlo». Con il catalizzatore nella sinistra e la spada nella destra Oscar si preparava per il secondo round.
«Luce» urlò e un globo di luminoso comparve sopra di lui.
Il cavaliere di Berenike distolse lo sguardo per l’accecante intensità della luce, così Oscar corse in avanti. Quando l’avversario se ne rese conto cercò di colpirlo, ma il cavaliere di Astora fece una capriola per ritrovarsi alla destra del bestione. Il cavaliere di Berenike agitò la mazza in orizzontale ma Oscar, rimanendo basso, schivò anche quel secondo colpo. La guardia dell’avversario era aperta, ma la sua spessa armatura avrebbe assorbito ogni colpo; per abbatterlo avrebbe dovuto mirare agli arti.
«Freccia dell’anima!» e un dardo di energia azzurra colpì il braccio destro del cavaliere.
L’impatto fu tale da fargli perdere la presa sull’arma. A quel punto, il cavaliere di Berenike colpì Oscar con lo scudo. Questi barcollò ma senza cadere, così tirò un’altra freccia dell’anima, la quale si infranse contro lo scudo a torre. Oscar ne approfittò per fare una capriola arrivando sul lato sinistro del nemico e affondare così la spada nella caviglia di questi. Il cavaliere di Berenike cadde in ginocchio, mentre Oscar si alzava puntando il catalizzatore alla tempia del nemico. Un terza freccia dell’anima fu sparata e l’elmo del possente cavaliere volò via. Il suo viso, cadaverico, era ormai deturpato dalla non-morte e del sangue scorreva dalla tempia colpita. Quest’ultimo colpo sembrava averlo stordito e non dava segni di riuscire a continuare il combattimento. Oscar si mise alle spalle del cavaliere e fece pendere la spada verso il basso, a puntare la collottola. Con un movimento secco e deciso trafisse il collo dell’avversario, senza far uscire la lama dalle carni, senza spargere sangue inutilmente.
«Una morte pulita, una morte da guerriero» disse, per poi estrarre la spada.
 
I tre avversari giacevano riversi al suolo mentre i nostri trionfanti, recuperavano fiato da quel duello.
«Solaire, sei ferito gravemente» disse allarmato Oscar.
«Tranquillo, ho bevuto dalla mia Estus poco fa e adesso sto bene…anche se era l’ultimo sorso rimasto, dovrò stare attento» rispose il cavaliere del sole «piuttosto Oscar, ho visto il tuo combattimento, stupendo come hai usato scherma e stregoneria in contemporanea».
«Si, ma non è uno stile che ho perfezionato…non lo sento ancora mio» disse Oscar.
«Che ne dite di andare avanti? Se quello che ci ha detto Conrad è corretto, dentro la chiesa ci dovrebbe essere un ascensore che la collega con il santuario del legame del fuoco» fece notare Thoma, mentre gettava via il suo scudo per recuperare quello rotondo dei cavalieri di Balder.
«Hai assolutamente ragione, forza! Andiamo» disse risoluto Oscar.
I tre si diressero dentro la chiesa, decisi a suonare la campana.
 
[1] I tre duelli che seguono avvengono in contemporanea
 

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Capitolo 6
*** Galahad ***


Capitolo 6: Galahad
 
La chiesa era deserta, niente rompeva il silenzio se non i passi dei nostri avventurieri e il tintinnio metallico dell’armatura di Oscar. Passarono tra i colonnati e gli inginocchiatoi riservati ai fedeli. Sul fondo vi era un altare e due transetti laterali. In quello di destra c’era una porta secondaria che conduceva all’esterno, mentre a sinistra videro l‘ascensore e delle scale che salivano. Thoma si avvicinò all’ascensore, cercando inutilmente di spostare le grate di fero che lo bloccavano.
«Magari c’è una chiave…anche se non vedo la serratura» ipotizzò il chierico.
Oscar si avvicinò all’altare poiché fu attirato da qualcosa di interessante: un corpo giaceva sull’altare e, cosa più sorprendente, una fioca sfera di luce bianca fluttuava a pochi centimetri da esso. Fece per avvicinarsi ancora di più, quando:
«Giù le mani dall’anima della guardiana!» tuonò greve una voce sulle loro teste.
Oscar si voltò e, senza che avesse il tempo di reagire, un raggio di energia azzurra lo colpì in pieno petto. Cadde sulle ginocchia, riverso in avanti e reggendosi sugli avambracci. Thoma superò Solaire e raggiunse il compagno, guardò in alto e vide, al primo piano della chiesa, un tipo armato di tridente. Dalla punta centrale dell’arma partì un altro dardo di energia.
«Force» il colpo impattò sul campo di forza del chierico, venendo deviato contro una parete. Thoma scrutò meglio il nemico e notò che indossava un elmo con sei occhi incisi sopra, una veste blu e oro con quattordici medaglioni sopra. Afferrò Oscar e lo trascinò verso l’ascensore. Quando furono al riparo dai colpi, prese la fiaschetta che il compagno teneva legata in vita.
«Bevi veloce…» disse, mentre con la mano libera gli toglieva l’elmo per permettergli di bere.
Si sporse dall’angolo per vedere bene la posizione del nemico. Arrivò un altro dardo, ma colpì il muro.
«Cazzo, Seth ha inviato i suoi cani da caccia anche qui».
«Chi?» domandò Oscar, che si stava riprendendo.
«Uomini al servizio del duca Seth, vengono chiamati evocatori. Non ho mai visto il duca di persona ma so due cose su di lui: è uno stregone formidabile al servizio di Lord Gwyn ed invia quei cani a “raccogliere” non-morti in ogni dove» rispose Thoma.
«Come fai a saperlo?» chiese Oscar.
«A Thorolund , coloro che subiscono la maledizione vengono spediti al rifugio mediante una scorta, per assicurarsi che nessuno scappi durante il viaggio. Tuttavia, ogni tanto venivano questi evocatori e selezionavano i non-morti da portarsi dietro. Come se si trovassero al mercato di Zena…» poi vide sia Oscar che Solaire guardarlo perplessi e rispose loro «..non ho idea di cosa se ne facesse dei non-morti ed è l’ultima cosa che voglio sapere, adesso».
«Salgo le scale ed uccido quel bastardo» disse Oscar mentre si rialzava.
«Aspetta…lo senti?» l’evocatore aveva iniziato ad intonare una strana cantilena, una lingua che Thoma non conosceva. Si affacciò per vedere l’evocatore eseguire una danza con il tridente. Ad un certo punto sentirono il rumore di numerosi passi scendere per le scale della chiesa, con grande foga. Decine di non-morti vuoti, vestiti di stracci e armati di sole spade scheggiate, comparvero dalla scalinata ed attaccarono.
«Force» urlò il chierico e diversi non-morti vennero colpiti dall’onda d’urto, ma altri calpestarono i compagni caduti a terra pur di avanzare.
«Non basta» disse Solaire, mentre assestava i suoi fendenti ai non-morti «Li ha rinvigoriti con la magia. Vuole prenderci per sfinimento».
«Fossimo stati da soli» intervenne Oscar che si era rialzato, mettendosi al fianco dei compagni «…ma con tre di noi… c’è abbastanza ferro per tutti loro» concluse.
Fu un bagno di sangue: tra fendenti che tagliavano gli arti dei nemici, i colpi di mazza che frantumavano le loro ossa e qualche incantesimo lanciato per riprendere fiato. Quando i tre furono gli unici a rimanere in piedi, calmarono il loro furore…tranne Oscar.
«Vado a prendere la carogna» e corse sulle scale con tutta fretta.
«Oscar, aspetta…» Thoma non fece in tempo a fermarlo «…va bene, allora lo distrarrò» detto questo corse allo scoperto mentre caricava la lancia del fulmine.
«Hey, cane del duca! Sono qui!» urlò per attirare l’attenzione del nemico.
L’evocatore lo guardò e fece per puntare il suo tridente, ma il fulmine era già partito. Purtroppo mancò di poco il bersaglio, il quale rispose con un dardo magico. Thoma si nascose dietro una colonna per coprirsi. Un secondo dardo fu sparato e si infranse sulla colonna.
«Dimmi, ti ricordi quanti chierici della via del bianco hai portato via da Thorolund? Alcuni di loro erano miei amici…cosa ne avete facatto?» disse mentre usciva allo scoperto con la saetta nella mano. L’evocatore che gli puntava l’arma contro.
Oscar aveva salito le scale ed aveva il nemico ormai a portata. Quando l’evocatore se ne rese conto, reindirizzo il tridente, ma il cavaliere di Astora si calò passando sotto l’arma. Con un fendente, che partiva dal basso, fece una squarcio al nemico che partiva dal fianco destro fino alla spalla sinistra. Come colpo di grazia, si avvicinò e lo trafisse al ventre. L’evocatore, ormai privo di vita, lasciò andare il tridente, che cadde al piano di sotto. Oscar poi spinse anche il corpo del nemico al piano terra.
«Questo piano è pulito, ragazzi. Avanziamo fino al campanile» disse ai compagni.
Thoma si avvicinò al tridente e lo raccolse «Con questo ci ha potenziato quei non-morti vuoti, rendendoli temibili. Può tornare utile» disse mentre se lo legava alla schiena.
«Chissà cosa proteggeva con tanta insistenza» si chiese Solaire mentre si avvicinava all’altare «come l’ha chiamata? Anima della guardiana del fuoco?» toccò quel globo di luce soffusa con una mano, e questo fluì all’interno del corpo del cavaliere. All’inizio ne fu spaventato; poi, notando che in lui non fosse cambiato niente, si calmò. Era come se quell’anima avesse trovato un “contenitore” provvisorio. Tutte le anime potevano essere divorate dai non-morti che riposavano al falò, ma quella era speciale. Che ci fosse un modo migliore per utilizzarla?
 
 
La strada per il campanile fu tranquilla, riuscirono a raggiungere la sommità della chiesa senza nessun intoppo. Il tetto era spiovente con diverse statue di gargoyle sui bordi, in fondo c’era la torre campanaria; anche questa decorata con quattro enormi statue di gargoyle, posizionati ai quattro angoli della cima.
«Saliamo la torre e suoniamo la campana, andiamo» disse Oscar, dirigendosi dall’altra parte del tetto.
Thoma si guardava intorno mentre avanzava, quando alzò lo sguardo notò che una delle statue si stava…muovendo?!
«Oscar, Solaire i gargoyle sulla torre!» avvertì, e tutti alzarono o sguardo.
Una delle statue aveva iniziato a muovere le ali e, volgendo il muso al cielo, lanciò un ruggito poderoso. Con un battito d’ali si staccò dalla torre ed atterrò in mezzo ai tre avventurieri. La creatura aveva un elmo in bronzo che gli copriva la metà superiore del viso, brandiva un’ascia gigantesca nella mano destra e un’enorme scudo rotondo nella sinistra, mentre la punta della coda aveva la forma di un’ascia. Lo sguardo della bestia indugiava quando su Thoma, quando su Solaire, mentre dava le spalle ad Oscar. Quest’ultimo tentò di assestare un colpo con la spada, ma il gargoyle lo anticipò e, con un movimento della coda, gli impedì di avvicinarsi. Oscar parò l’attacco con lo scudo. Solaire caricò il nemico, ma questi rispose con un colpo dell’ascia. Il cavaliere schivò l’attacco abbassandosi e tentò di affondare la spada nel petto della creatura, ma la sua pelle in pietra si rivelò ostica da penetrare. Il gargoyle fece un salto e rimase sospeso ad un paio di metri da terra, aprì le fauci e soffiò. La fiammata che ne scaturì quasi travolse Thoma e Solaire, che indietreggiarono tenendo alti gli scudi. Quando il fuoco si esaurì, il gargoyle si avventò su Solaire, il quale parò il colpo d’ascia con lo scudo, per poi essere raggiunto da un colpo di coda, che lo ferì ad una gamba.
«Force» urlò il chierico, e la creatura fu respinta ma riprese subito l’equilibrio a mezz’aria. Thoma corse verso Solaire, ponendosi davanti per proteggerlo. Il chierico fece un cenno ad Oscar facendogli capire di andare avanti a suonare la campana. Il cavaliere di Astora colse il segnale ed affidò la battaglia ai due compagni. Thoma caricò la lancia del fulmine nella mano sinistra, mentre parava un colpo d’ascia con lo scudo. Lo scudo di Balder era leggero, più adatto a deviare che a parare, e l’impatto dell’arma gli aveva causato qualche frattura al braccio. Lanciò la folgore e la creatura accusò pesantemente il colpo, mostrando anche vistose crepe nella sua pelle di roccia.
«Soffre l’elettricità, possiamo farcela!» notò Thoma, mentre si preparava a tirare un’altra lancia.
 
 
I non-morti rimasti oltra il cancello, davanti la chiesa, avevano smesso di affannarsi ed erano rimasti lì a guardia. Ad un certo punto un’alta figura si presentò davanti i loro occhi vuoti. Questa persona camminò verso il cancello e lo afferrò dal basso. Con una forza sovrumana sollevò il cancello e passò oltre, per poi lasciarselo richiudere alle spalle. Era diretto all’interno della chiesa anche lui.
 
 
Oscar era quasi arrivato alla sommità, adesso stava salendo una scala a pioli posta dietro la torre. Ad un certo punto una seconda statua di Gargoyle si animò.
«Oscar, atten…!!» cercò di avvertirlo Thoma, ma un colpo orizzontale dell’ascia del primo gargoyle lo costrinse a dare priorità al suo scontro. Riuscì a schivarlo abbassandosi. Scagliò la lancia del fulmine, ma il gargoyle la schivò saltando per poi tirare un’altra fiammata. Se Thoma si fosse scansato, Solaire ci sarebbe andato di mezzo. Ma il guerriero del sole si fece avanti e protesse entrambi con il suo ampio scudo.
«Non preoccuparti per me, devi abbatterlo!» disse il cavaliere.
Appena le fiamme si furono calmate, Solaire spostò lo scudo e ne uscì Thoma pronto a lanciare la sua folgore. Il gargoyle fu di nuovo colto di sorpresa e colpito. Cadde al suolo esanime. Oscar ormai era arrivato sulla sommità ma, appena terminata la scalinata, vide un secondo gargoyle davanti la torre, armato di alabarda. Schivò l’affondo abbassando la testa, ma non poteva comunque salire. Si trovava in una posizione di stallo, scendere sarebbe stato inutile e salire sarebbe stato pericoloso…non poteva ne scendere ne salire.
Ad un certo punto sentì la creatura urlare: Solaire aveva scagliato contro il secondo gargoyle una sua lancia del fulmine, facendola precipitare rovinosamente sul tetto. Oscar salì le scale e vide una leva. Si fiondò su di essa e la tirò.
La campana sulla cima della chiesa dei non-morti iniziò muoversi e i suoi rintocchi risuonarono per tutto il borgo. Il cavaliere di Astora dovette tapparsi le orecchie per il rumore assordante.
«Tieni, spargilo sulla tua arma e dai il colpo di grazie a quei due…» disse Solaire a Thoma «Non pensavo che mi sarebbe tornata utile, ma quando hai notato che erano deboli all’elettricità mi è subito venuto in mente…lo farei io, ma con questa ferita non riesco a muovermi» concluse, dando a Thoma un fazzoletto con dentro della resina d’orata.
Furono interrotti dal ruggito del primo gargoyle, il quale si era rialzato. Thoma cosparse l’arma con la resina e notò che la mazza iniziò ad emettere piccole scariche elettriche. Il gargoyle fece un salto, rimanendo a due metri da terra e aprendo le fauci: stava per tirare un’altra fiammata. I due erano concentrati sulla bocca della creatura e non fecero caso alla coda che, passando da sotto, colpì Solaire, ferendolo a mote.
«No!» urlò Thoma che assestò un colpo deciso alla coda del gargoyle con la sua mazza elettrificata, staccandogliela. La creatura urlò dal dolore ed il chierico ne approfittò per avvicinarsi al corpo del compagno: era morto. Thoma rimase pietrificato, ma non poteva permetterselo poiché il gargoyle puntava a lui, adesso. Il chierico iniziò ad agitare la mazza e riuscì a colpire la bestia in viso, staccandogli la mascella. Il gargoyle rispose con un colpo verticale dell’ascia, che Thoma schivò spostandosi di lato. Con un attacco vigoroso colpì il braccio della creatura, rompendoglielo. A quel punto il gargoyle, con un colpo di scudo del braccio rimanente, attaccò il chierico e gli fece volare via l’arma. Thoma si trovava disarmato, mentre la bestia si preparava ad incenerirlo con il suo soffio di fuoco.
Una figura alta superò con uno scatto il chierico, avventandosi sul gargoyle. La creatura tirò un urlo lancinante. La figura appena comparsa si rivelò essere un cavaliere nero e aveva trafitto la bestia con la sua spada. Thoma notò una ferita da spada all’altezza del petto: non era un terzo cavaliere, ma quello combattuto all’altare del sole. Perché lo stava aiutando?
Il gargoyle si agitava freneticamente, graffiando il cavaliere con gli artigli del braccio rimanente e soffiandogli in faccia la fiammata che era diretta a Thoma. Il cavaliere non sembrò accusare il calore.
«Queste fiamme sono tiepide…» disse il cavaliere, anche se Thoma si stupì di più per averlo sentito parlare che per la frase in se.
Il cavaliere nero sollevò lo spadone, impugnato a due mani, con il gargoyle impalato; con una potenza sovrumana schiantò la bestia al suolo. L’impatto fu tale da sfondare la porzione di tetto coinvolta; entrambi caddero dentro la chiesa dal buco appena formato. Thoma era pietrificato e le gambe gli vennero meno, ma non poté rilassarsi poiché il secondo gargoyle si era rialzato ed era infuriato. Caricò Thoma, ignorando Oscar che stava in quel momento uscendo dalla torre, non fece nemmeno caso alle frecce dell’anima che il cavaliere di Astora gli scagliava contro. La creatura saltò il buco sul tetto e stava per affondare l’alabarda sul chierico, quando una mano nera emerse dal buco ed afferrò la bestia per la caviglia. Il gargoyle, sbilanciato, mancò il bersaglio. Dal tetto sfondato risalì il cavaliere nero che, tenendo stretta la caviglia della creatura per non farla volare via, iniziò a farla impattare molteplici volte sulla superfice del tetto. La lasciò andare solo quando questa non ebbe più la forza di reagire. Thoma sentiva il tetto scricchiolare ad ogni movimento, sapeva che non poteva rimanere ancora per molto li sopra. Il cavaliere nero poggiò un piede sulla schiena della creatura e le afferrò le ali. Iniziò a tirare con quanta forza aveva in corpo. Dalla bestia uscirono solo deboli lamenti, non avendo più forza di urlare. Con un rumore secco, simile ad un ramo spezzato, la ali gli furono strappate. Il gargoyle emise il suo ultimo e debole latrato. Il cavaliere nero tolse il piede dalla creatura, si chinò e sollevò la carcassa tenendola per la collottola. Poi si rivolse al chierico.
«Vincolate il fuoco…» così dicendo gettò il cadavere del gargoyle dal tetto della chiesa e spirò sulle sue gambe.
Oscar camminò a passo svelto per il tetto, facendo attenzione a dove mettere i piedi per non compromettere la già fragile struttura. Passando per il buco vide il primo gargoyle morto sul pavimento della chiesa, con ancora la spada nel petto.
«Ce la fai ad alzarti? Dobbiamo allontanarci dal tetto, non è sicuro» disse Oscar, scrollando Thoma.
«…è morto…in piedi…» disse il chierico, mentre guardava il cadavere del cavaliere.
«Thoma!» insistette Oscar.
«Si…si, adesso mi alzo…» rispose il chierico «Il corpo di Solaire è sparito, deve essere tornato al falò» ed effettivamente non era rimasta traccia del guerriero del sole, a parte una macchia di sangue e le anime che aveva raccolto dai nemici sconfitti.
«Queste le prendo io, gliele ridarò al falò» disse Oscar.
Entrambi rientrarono nella chiesa, abbandonando il tetto. Thoma scese lentamente le scale, avendo le gambe che ancora gli tremavano. Quando arrivarono al piano terra videro che le sbarre che bloccavano l’ascensore erano state scardinate.
«è stato lui…prima di salire sul tetto, ci ha aperto la strada per il ritorno» disse il chierico.
«Perché ci avrebbe aiutati? Dopo aver cercato di ucciderci?» i domandò Oscar.
«Forse…ha voluto avere fede in noi…» così dicendo, entrarono entrambi nell’ascensore e lo attivarono. Il collegamento tra la chiesa dei non-morti e il santuario del legame del fuoco era di nuovo funzionante.
 
 
Il sole stava calando sul rifugio dei non-morti; il cavaliere nero stava terminando la sua ronda delle celle, affacciandosi in tutte quelle occupate dai non-morti. Si soffermò su una cella in particolare, al cui interno vi era un uomo i cui vestiti facevano intendere che fosse un bandito.
«Dunque vediamo…questo è arrivato oggi, venduto da un gruppo di banditi suoi compagni…tsk, gentaglia senza onore» disse il cavaliere affacciandosi nella cella «…se non sbaglio dicevano ti chiamassi Phalanx…cerca di non perdere il senno troppo presto» disse, per poi continuare la sua ronda.
Ad un certo punto una persona comparve alle spalle del cavaliere, uscendo dall’ombra si rivelò essere una donna, vestita con un abito nero tipico di quei guerrieri provenienti da est, definiti le ombre.
«Niwl, sei tu?» chiese il cavaliere.
«Si mio signore» rispose la donna, inginocchiandosi al cospetto del cavaliere.
«Che notizie mi porti?»
«I non-morti fuggiti l’altro giorno, sono riusciti a suonare la campana nella chiesa dei non-morti» disse Niwl.
«Ottimo, erano secoli che nessuno riusciva a suonare la prima campana» rispose il cavaliere.
«Emm… signore…» Niwl cercò di dire qualcosa.
«Cosa c’è?»
«Si tratta di Sir Galahad…è intervenuto uccidendo i gargoyle a guardia del campanile, dopo che la campana era stata suonata. In seguito alle ferite subite in un precedente scontro, e per lo sforzo fatto sul tetto della chiesa, è deceduto» disse la donna.
«…ho capito. Dunque? Cosa ti turba?» chiese il cavaliere.
«Agire in favore di quei non-morti…non è come forzare la profezia su di loro?» rispose.
«Hai detto che la campana era stata già suonate, tanto basta per renderli meritevoli di continuare il viaggio…e poi cerca di capire i miei uomini: dopo più di un millennio ad aspettare il non-morto prescelto, sono diventati impazienti. In loro si sta instillando il timore che la fiamma possa non venir vincolata in tempo, e che il sacrificio del nostro Lord risulti vano. Non biasimo Galahad per la sua scelta di intervenire, deve aver visto in quei non-morti qualcosa che lo ha spinto ad agire. Piuttosto, rendo onore al suo sacrificio e alla sua lealtà. Ora va nelle catacombe, Lancelot ha il diritto si sapere della morte di suo figlio» disse il cavaliere.
«Si, ai suoi ordini…Sir Gawain» e la donna scomparve nell’ombra dalla quale era venuta.
«Frampt e Kaathe non dovrebbero svegliarsi prima che la seconda campana venga suonata, ma erano comunque secoli che nessuno arrivava così lontano…chissà cosa succederà da adesso in poi» così dicendo Gawain proseguì la sua ronda, tra i corridoi umidi e bui del rifugio dei non-morti.
 
 
Dopo la battaglia sul tetto, la chiesa era tornata ad essere desolata, troppo desolata per Lautrec da Karim. La sua armatura era tutta d’orata, sul torso erano raffigurate due braccia che davano l’idea di avvolgere chi la indossava. Abituato alla battaglia ed al sangue, si annoiava nella sua cella, dentro una della stanze del primo piano della chiesa.
«Maledizione, quegli idioti hanno fatto un casino infernale, potevano degnarsi di esplorare meglio la chiesa, magari mi avrebbero trovato e sarei potuto uscire di qui» disse il cavaliere mentre si girava tra le dita una moneta d’oro.
«Hai ragione, una simile mancanza di riguardo per l’esplorazione è inaccettabile» disse un uomo comparso in quel momento davanti la cella.
Lautrec fu colto di sorpresa, non lo aveva nemmeno sentito arrivare.
«Tu chi sei, un non-morto?» chiese Lautrec, senza smettere di girarsi la moneta tra le dita.
L’uomo era altro almeno due metri, vestiva degli stracci ed il viso era coperto per intero da bende. La manica sinistra era totalmente strappata, lasciando scoperto un braccio estremamente esile e magro, dava l’idea di una persona deperita.
«No, non sono un non-morto come te, ma credimi: il mio volto è altrettanto orrendo; per questo indosso delle bende heh heh heh» disse l’uomo «Comunque, sono qui perché ho un lavoretto da proporti».
«Non mi interessa» disse secco il cavaliere, senza degnarlo di uno sguardo.
«Oh ma io so cosa interessa ad uno come te…tu vuoi l’umanità» rispose, accennando ad un sorriso.
Lautrec smise di girarsi la moneta tra le dita e alzò lo sguardo per vederlo in faccia, o almeno quello che si poteva scorgere.
«Cosa ne sai tu di quello che io voglio?» disse provocatorio il cavaliere.
«Fidati, io so tutto ciò che ha a che fare con gli abitanti di questo fetido borgo».
«Io non appartengo a questo posto, sono stato catturato da quel tipo con il tridente».
«Oh e perché sei stato catturato? Cosa hai cercato di rubare? Se ti lasciassi qui, gli uomini del duca Seth verrebbero a prenderti…prima o poi» disse l’uomo.
«In cosa consiste questa proposta?» chiese Lautrec.
«Nulla di speciale. Ma prima di spiegarti i dettagli, mi sembra cortese farti uscire di qui» disse, mentre mostrava nella mano destra quella che doveva essere la chiave della cella.
«Heh sentiamo che hai da dire» rispose Lautrec.
Dopo quella conversazione la chiesa dei non-morti tornò ad essere desolata e silenziosa.
 
 
In seguito alla battaglia nella chiesa, Thoma e Oscar tornarono al falò tramite l’ascensore. Quando Conrad li vide non poté credere ai propri occhi.
«Ho perso il senno e non me ne sono reso conto? Mi aspettavo di vedervi tornare dal falò, non certo dell’ascensore heh heh heh» disse Conrad.
«Che ti dicevo? Commenti cinici» rispose Oscar, rivolgendosi a Thoma.
«Hey, sono solo felicemente sorpreso» rispose scocciato Conrad «comunque, vedo che il chierico ha una nuova arma»
«Infatti, perché ti sei portato dietro quel tridente?» chiese Solaire, che era seduto al falò.
«Ho pensato che sarebbe potuto tornare utile in futuro. Però non conosco la cantilena che intonava l’evocatore. So dell’esistenza di un archivio personale del duca Seth, situato nella capitale. Magari trovo qualcosa» disse Thoma.
«Ah la strada per Anor Londo è ancora lunga. Comunque, il vostro nuovo amico qui ha qualcosa di interessante» disse Conrad, indicando Solaire.
«Si, precisamente è un’anima che si trovava sull’altare della chiesa. L’evocatore l’ha chiamata anima della guardiana…» disse Solaire.
«Provate a mostrarla alla guardiana qui sotto, magari saprà cosa farsene» suggerì Conrad.
I tre scesero le scale del santuario e raggiunsero la guardiana. Solaire si inginocchio e le tese una mano, da questa emerse la bianca anima che emanava una luce soffusa. Alla sua vista, la guardiana allungo la mani e le avvicinò al cavaliere. Solaire, lasciò cadere l’anima tra le candide mani della guardiana. Questa le avvicinò al petto e l’anima venne assorbita, poi tornò a fissare il vuoto.
«Woow…hey, venite qui!» urlò improvvisamente Conrad.
Oscar salì di corsa, seguito da Thoma e Solaire. Appena arrivati, però, non videro niente di strano.
«Che hai da urlare?» chiese Oscar.
«Il falò…per un attimo il fuoco del falò ha divampato, per poi tornare normale!» rispose Conrad.
Thoma prese la sua fiaschetta di Estus, la avvicinò al falò e la riempì. Notava che la fiamma nella fiaschetta avesse una luminosità più intensa. Ne bevve un sorso e notò subito la differenza: l’effetto rinvigorente e di guarigione era chiaramente migliorato, tanto che gli sembrò di essere tornato alla condizione fisica che aveva prima di iniziare il viaggio.
«L’effetto della Estus è migliorato…» disse agli altri.
Tutti si sedettero al falò e riposarono. Oscar restituì le anime che Solaire aveva perso sul tetto della chiesa.
«Il prossimo obiettivo?» chiese Oscar al gruppo.
«La campana in fondo a Blighttown» rispose Thoma.
«Come ci arriviamo?» intervenne Solaire.
«Dovete andare nella parte bassa del borgo dei non-morti. Lì troverete l’ingresso per le fogne, queste sono collegate a Blighttown» intervenne Conrad.
«La parte bassa del borgo…prima del ponte della viverna c’era una porta, provai ad aprirla ma era chiusa, potremmo provare a forzarla. Altrimenti, non mi vengono in mente altre vie» disse Solaire»
«Va bene, direi di continuare domani il nostro viaggio, ormai il sole è tramontato» propose Thoma.
«Come vogliamo passare la nottata?             Immagino che nessuno di voi abbia cinque boccali di birra fredda in serbo» disse ironico Conrad.
«Vi ho mai raccontato di quella volta che lodai il sole nella città di Karim?» chiese Solaire.
«Che differenza fa rispetto a quando lo stavi lodando all’altare del sole?» intervenne Oscar.
«Hah hah la gente di Karim è molto particolare. Vedrete, sarà un bel racconto» rispose.
 «Perché no. La notte deve passare in qualche modo» disse Thoma.
«Dunque…» e Solaire iniziò il suo racconto.
Così quella notte, tra storie autocelebrative di un bizzarro cavaliere e racconti di vita mondana, i nostri si godevano uno degli ultimi momenti di spensieratezza, nel loro lungo viaggio verso la scoperta di un fato ancora ignoto, anche agli Dei stessi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-FINE PRIMA PARTE-

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Capitolo 7
*** Sobborgo ***


-INIZIO SECONDA PARTE-
Capitolo 7: Sobborgo
 
«Che cosa desideri?» chiese la voce nell’oscurità.
«L’intelligenza, per svelare i misteri del mondo» rispose Thoma.
«Che cosa desideri?» chiese per la seconda volta.
«La forza, per punire i miei nemici» rispose Thoma.
«Che cosa desideri?» chiese per la terza volta.
«La vitalità e l’energia, per vivere oltre ogni limite umano» rispose Thoma.
«E sia…» disse la voce nell’oscurità.
In quel momento una fiamma divampò davanti gli occhi del chierico. Nell’oscurità in cui era immerso, quel fuoco rappresentava l’unica fonte di luce, l’unico riferimento. Ad un certo punto vide diversi globi, emananti una bianca luce, fluire dal suo corpo verso la fiamma: erano anime. Poteva chiaramente distinguere delle figure in ognuna di esse: in una riconobbe il cavaliere di Balder, in molte altre scorgeva i visi deturpati dei non-morti vuoti uccisi lungo la strada per la chiesa. Le anime raggiungevano il fuoco e bruciavano entrandovi dentro. La fiamma sembrava alimentarsi per ogni anima bruciata, per ogni anima consumata, per ogni anima divorata.
 
Thoma aprì gli occhi: si trovava seduto davanti il falò. Il fuoco lo riscaldava e lo proteggeva dall’aria gelida della mattina. Non c’era niente di diverso dalla notte prima, eppure si sentiva cambiato. Sentiva una maggior forza nelle braccia e nelle gambe, sentiva maggior energia fluire per il suo corpo, sentiva che era pronto ad apprendere ogni sapere espresso in ogni tomo della grande biblioteca. Si girò e vide Conrad seduto al suo solito posto, Solaire e Oscar non c’erano.
«Dove sono gli altri?» chiese.
«Quell’eccentrico di Solaire se ne è andato in cerca del suo sole, almeno così ha detto. Oscar è nel cimitero…ha detto di volersi esercitare con la spada prima di partire» rispose Conrad.
 
 
I non-morti scheletrici avanzavano, con sciabole nella destra e scudi in legno nella sinistra, tra le tombe del cimitero contro colui che percepivano come un intruso. Oscar riusciva a deviare i loro colpi e ad assestare il contrattacco. Gli scheletri si rialzavano ogni volta che venivano abbattuti, la cosa non dispiaceva al cavaliere di Astora.
«Quattordici…quindici…uff sedici» teneva il conto dei nemici abbattuti.
Ad un certo punto, da una lapide enorme, si levò uno scheletro altrettanto enorme, armato di murakumo.
«Tu vali almeno dieci» disse ironico Oscar.
Lo scheletro tirò un fendente verticale con la possente lama. Oscar fece una capriola verso di lui, schivando il colpo e accorciando la distanza nello stesso tempo. Quando gli fu sotto iniziò a colpire con la sua spada. Le ossa dello scheletro volarono via una dopo l’altra. Quando la creatura non né poté più tirò una pedata, prontamente schivata da Oscar, che punì l’attacco facendogli volare via una gamba. Lo scheletro cadde rovinosamente al suolo.
«Ah…ventisei» disse.
Ad un certo punto, il cavaliere di Astora sentì applaudire. Si voltò e vide un uomo, seduto su una lapide, battere le mani.
«Ti stavi divertendo?» chiese sospettoso Oscar.
«Mi è piaciuto vederti combattere, cavaliere» disse l’uomo mentre si alzava in piedi.
Era estremamente alto e magro, quasi deperito. Vestiva stracci, i piedi scalzi, il viso e gli arti coperti da bende.
«Sei un predone di tombe? Qui non ci sono corpi di re da dissacrare, ma solo povere anime che vogliono riposare» mise in chiaro Oscar.
«Le stesse povere anime che stavi falciando con la tua arma?» rispose l’estraneo.
«…non tutte vogliono riposare» ribatté Oscar.
«Giusto, quelle che non vogliono stare al loro posto, in una buca, li passi a fil di spada» ribatté l’uomo, chiaramente divertito.
«Cosa vuoi?» chiese diretto Oscar.
«Sono qui per un obiettivo, si. Ma non si trova nelle tombe di questi miserabili. Ce l’ho qui davanti a me» disse l’uomo.
Oscar iniziava a sentirsi a disagio, ma l’estraneo continuò:
«Tu sei colui che ha suonato la campana, dico bene?».
«Si, sono io» rispose Oscar, senza citare Thoma e Solaire. Aveva la sensazione che fosse meglio non indirizzare l’attenzione di quello strano tipo sui suoi amici.
«Ottimo…senti, questi scheletri non possono certo rappresentare un buon allenamento. Non per uno del tuo calibro. Che ne dici di uno scontro amichevole contro di me?» propose l’uomo.
«Sai combattere?» chiese Oscar.
«Me la cavo» disse l’estraneo mentre estraeva una spada, spezzata quasi fino all’elsa.
«Vorresti combattere con quella?» chiese sorpreso Oscar, pensando fosse uno scherzo.
«Scusa, ma non ho trovato niente di più innocuo e meno letale» rispose dispiaciuto.
Oscar passò dal disagio alla rabbia in un attimo. Quell’uomo era lì per prenderlo in giro, un mentecatto che adorava provocare la gente. Gli avrebbe fatto capire di aver provocato la persona sbagliata. Oscar pensò che battendolo a duello, gli avrebbe inculcato un po’ di buon senso. Comunque,  il cavaliere di Astora non poté evitare di notare un particolare inquietante: da quando l’estraneo si era palesato, gli scheletri avevano smesso di ricomporsi; come se avessero paura. Lasciò andare lo scudo ed avanzò con la sola spada, impugnata a due mani. Il primo fendente laterale lo avrebbe diretto al fianco dell’uomo, ferendolo superficialmente. Tuttavia, il colpo venne bloccato prima di arrivare all’obiettivo. L’estraneo aveva fermato il fendente di Oscar con la spada spezzata. “Sicuramente un colpo di fortuna!” Pensò il cavaliere. Tentò con un altro fendente, anche questo parato. Non riuscendo a credere ai propri occhi, Oscar iniziò ad eseguire una serie di fendenti, uno più preciso e potente dell’altro, ma nessuno di questi andò a segno. Il cavaliere, spazientito, tirò un affondo, prontamente schivato dall’estraneo che rispose con un colpo della sua spada spezzata. La lama colpì l’elmo di Oscar, lasciandogli un piccolo segno. Il cavaliere indietreggiò, tastando l’incisione lasciata sull’elmo.
«Hai un’ottima tecnica di spada…certo, si può migliorare» disse l’estraneo.
«Tu chi sei?» chiese perplesso Oscar.
«Aah solo un abitante della parte bassa del borgo dei non-morti» rispose.
«Sei un non-morto?».
«Si, vivo da anni nel borgo in attesa di qualcuno capace di suonare le campane del risveglio. Quando ho sentito i rintocchi provenire dalla chiesa, in me si è riaccesa la speranza. Tieni!» disse, lanciando un mazzetto con due chiavi.
«Per cosa sono?»
«Una è per aprire la porta sul ponte della viverna che conduce al borgo basso. L’altra invece è la chiave di casa mia, che si trova sempre nella parte bassa del borgo. Ovviamente, puoi tenerti tutto ciò che vi troverai dentro, anche se non possiedo molto. Sai, ho l’impressione che le cose cambieranno a breve qui a Lordran, quindi ho pensato che fosse un buon momento per trasferirmi».
«Tutto questo era per vedere se mi meritassi le chiavi?» chiese Oscar.
«Esattamente! Ho potuto constatare di persona le tue capacità e sono convinto che potrai andare lontano» rispose gioviale l’uomo, mentre si preparava ad  andarsene, dando le spalle ad Oscar.
 «Ah una cosa…» disse voltandosi «…ho trovato un po’ offensivo non dirmi dei tuoi due amici che ti hanno aiutato alla chiesa. Dovrò tenere d’occhio anche loro heh heh heh» disse con una nota di fastidio, ma continuando a sorridere.
A quelle parole ad Oscar si gelò il sangue nelle vene. Non aveva mai nominato una sola volta Thoma o Solaire. Quell’uomo sapeva più di quanto cercasse maldestramente di dare a vedere. Tuttavia, Oscar non se la sentiva di continuare l’interrogatorio, ed aspettò che si dileguasse prima di abbandonare il cimitero.
 
Al falò c’era Thoma, che osservava la fiamma ardere. Conrad fu il primo a notare il ritorno di Oscar.
«Eccolo di ritorno. Hai temprato a sufficienza le tue capacità?» chiese sarcastico il guerriero, ma Oscar lo ignorò, dirigendosi verso il chierico.
«Ci avviamo?» chiese a Thoma.
«Si, va bene. Dobbiamo anche cercare di aprire la porta sul ponte» rispose.
Oscar si volse verso Conrad lanciandogli una fiaschetta Estus. Conrad la prese al volo, titubante.
«L’ho presa da uno dei non morti vuoti nel borgo. Non ti permettere di buttare anche questa» disse il cavaliere di Astora.
«G-grazie…» ricambiò Conrad, non sapendo cosa pensare.
 
L’ascensore condusse i nostri alla chiesa dei non-morti. Davanti avevano l’uscita secondaria della chiesa, a destra quella principale, che conduceva al ponte. Attraversarono la chiesa e ne uscirono senza difficoltà. Arrivati al cancello, Oscar tirò la leva e la strada si aprì. I non-morti che erano rimasti li assalirono. Con facilità sconfissero lancieri e balestrieri. Thoma proseguì, mentre Oscar si chinò verso uno dei non-morti.
«Hey, Thoma! Guarda cosa ho trovato» disse rialzandosi, mentre esibiva un mazzetto con due chiavi.
«Chiavi? Le hai trovate adesso?» chiese Thoma.
«Si, le ho notate sul non-morto che ho appena abbattuto. Non li avessimo evitati all’andata forse le avremmo trovate prima» rispose Oscar.
«Certo, possono essere le chiavi di qualsiasi cosa…resta solo da vedere se una di queste può aprire la porta» disse Thoma.
I due avventurieri avanzarono fino all’altare del sole, dove si erano imbattuti per la prima volta nel cavaliere nero che li aveva aiutati contro i gargoyle della campana. A terra c’era ancora il suo pesante scudo. Lo sguardo di Oscar indugiava tra questo e il suo scudo, che mostrava una vistosa ammaccatura, dovuta ad un colpo di mazza di un cavaliere di Berenike.
«Potrebbe essere una buona occasione per cambiare scudo» disse mentre poggiava il suo scudo vicino l’altare del sole.
«Sicuro? Dall’aspetto sembrerebbe molto pesante» rispose Thoma.
«Non so te, ma quando mi sono svegliato stamattina mi sentivo pieno di forze» disse mentre raccoglieva lo scudo nero. Non era pesante, almeno non quanto pensasse; riusciva a maneggiarlo senza troppi problemi, doveva solo abituarsi.
«Bene, non sento la viverna. Se corriamo ce la faremo» disse Thoma.
Il ponte era effettivamente libero, così iniziarono ad attraversarlo, senza però abbassare la guardia. Attraversato il ponte, si trovarono davanti la terrazza desolata, a destra la torre che conduceva al borgo alto, a sinistra la porta chiusa. Prima di poter inserire le chiavi nella serratura, il ruggito e il battito d’ali della viverna anticiparono il suo arrivo. Atterrò in mezzo al ponte e puntò i due non-morti, pronta a usare il suo soffio di fuoco.
«Prendile e apri la porta» disse Oscar mentre passava le chiavi a Thoma.
La viverna soffiò e le fiamme avvilupparono il ponte, raggiungendo i nostri in un istante. Oscar alzò il suo scudo in difesa di entrambi. Il fuoco della creatura era sicuramente  più potente di quello dei gargoyle, ma al cavaliere non sembrava tale. Capì che lo scudo nero aveva una particolare e innaturale resistenza al calore. Ovviamente, non avrebbe potuto resistere a lungo.
«Hai fatto?» chiese Oscar, mentre iniziava a reggere a fatica la fiammata.
«Si! si è aperta con una delle due chiavi! Entriamo!» rispose il chierico.
Entrambi si buttarono nella porta, lasciandosi il ponte alle spalle. Ripresero fiato, prima di riprendere a camminare.
«Per fortuna era quella giusta» notò Thoma «Fosse stata un’altra chiave, non avremmo avuto il tempo di forzare la porta».
«Già, ma non è il momento di pensare alla fortuna. Andiamo avanti» rispose Oscar.
Trovarono una scala a pioli che conduceva in basso, così iniziarono a calarsi. La discesa sembrava interminabile. La prima cosa se si sentiva, una volta scesi nella parte bassa del borgo, era una terribile puzza di bruciato.
«Questo fetore è pestilenziale…cosa stanno bruciando?» disse Thoma.
«Avanziamo con cautela» rispose Oscar.
Camminando si trovarono in una piccola piazza, con al centro un pozzo d’acqua e sui bordi delle strade pile di corpi accatastati e arsi tra le fiamme. Oscar rimase pietrificato davanti un simile spettacolo.
«Cosa può portare ad un simile scempio?» disse indignato il cavaliere di Astora.
«Non ne ho idea, potrebbero essere tutti non-morti ma…non lo so…» rispose titubante Thoma.
Videro un non-morto vuoto dare alle fiamme, con una torcia, dei corpi accatastati.
«Hey tu, perché fai questo?» gli urlò contro Oscar.
Il non-morto appena lo sentì, si voltò e gli corse incontro brandendo la torcia. Oscar parò la fiamma con lo scudo nero e colpì fatalmente il non-morto con la spada.
«Cosa può portare questi non-morti a dare fuoco ad altri non-morti?» chiese titubante il cavaliere.
«Sono vuoti…adesso che ci penso tutto questo  potrebbe essere il risultato di uno scontro tra non-morti vuoti e privi di senno… non è la ragione a governare le loro azioni, non cercare un significato in tutto ciò…» disse Thoma, riflettendo su ciò che vedeva.
Vicino al pozzo vi era una picca conficcata in terra, con in cima una testa di capra.
«Per gli dei di Lordran…» disse il chierico «…prima troviamo la strada per le fogne…meglio sarà» concluse preoccupato.
Andando avanti trovarono qualcosa di altrettanto terrificante: un enorme corpo privo di testa, riverso per terra con le spalle al muro. Poco sopra il corpo vi era un’enorme mannaia conficcata nel muro, una seconda mannaia identica era impugnata nella mano destra del cadavere.
«Un demone-capra…» disse Thoma.
«Un demone? Ne sei certo?» chiese Oscar.
«Si, le gambe sono quelle di una capra, non vedi? Invece la testa deve essere quella che abbiamo trovato nella piazza…qualcuno l’ha decapitato con la sua stessa arma…».
«è possibile fare una cosa simile?» chiese Oscar.
«Non è da tutti, ovviamente. Sono certo che tra i non-morti, quelli capaci di decapitare un demone-capra di netto si contino sulle dita di una mano…sempre che ad ucciderlo sia stato un non-morto…» gli rispose.
A quel punto, le porte delle case si spalancarono contemporaneamente. Ad uscirne furono diversi non-morti, armati di coltelli e con divise che coprivano i loro volti.
«Un agguato di banditi! Per di più sono tutti non-morti…» urlò Oscar.
«Di certo non possono averlo ucciso loro…» notò il chierico.
Ingaggiarono battaglia con i banditi. Questi si dimostrarono estremamente abili e veloci, schivando tutti i colpi di mazza di Thoma e mettendo in difficoltà Oscar. Uno dei banditi saltò sulla schiena del cavaliere di Astora, cercando di pugnalarlo al petto. Oscar afferrò il bandito per il cappuccio, gettandolo in terra davanti a se con la forza, e finendolo con un colpo di spada. Gli altri due lo caricarono, vedendolo distratto. Oscar riuscì ad ucciderli senza problemi, sfruttando i suoi ottimi riflessi, dopo averli fatti avvicinare. Thoma, d’altro canto, avendo capito che i due banditi fossero più veloci dei suoi attacchi, utilizzò il miracolo force per respingerli e farli cadere. Uccise il primo con un colpo di mazza in viso, mentre il secondo si era rialzato e si preparava a colpire il chierico. Oscar intervenne in tempo, parando il coltello e colpendo il non-morto all’addome con la spada. I due avventurieri stavano riprendendo fiato quando si sentirono chiamare.
«Aiuto! Vi prego, aiutatemi!» la voce proveniva da una casa li vicino, la cui porta era rimasta chiusa.
«Non è ancora uscito nessun bandito dal lì. Potrebbe essere una trappola» fece notare Oscar.
«Allora avviciniamoci con cautela» rispose Thoma.
Il chierico si avvicinò lentamente alla porta e, girando la maniglia, notò che fosse chiusa a chiave.
«Potrebbe non essere una trappola» disse Oscar.
«Allora che si fa?»
«Prova questa…» rispose Oscar passando al compagno la seconda chiave del mazzetto.
«Mi sembra quantomeno ottimistico pensare che una chiave raccolta da un non-morto vuoto a caso possa aprire una porta altrettanto a caso nella parte bassa del borgo. Però, se vogliamo provare ad aprire tutte le porte di Lordran con quella chiave, a me va bene» disse Thoma mentre inseriva la chiave nella serratura. La mandata scattò e la porta si aprì.
«Che…fortuna» disse titubante Thoma.
Aprirono la porta ed entrarono. La casa era molto piccola, polverosa e squallida. Al piano terra c’era una tavola in legno con una sola sedia vicino. In un angolo a sinistra c’erano un paio di barili in legno, mentre dall’altra parte della stanza c’erano delle scale che conducevano di sopra.
«Aiuto…vi prego aiutatemi» si alzò una voce da uno dei barili.
Thoma ed Oscar si avvicinarono con cautela al barile e si sporsero per vederne l’interno. Dentro vi era un uomo accovacciato e legato con delle funi.
«Hey, siete dei non-morti? Avete ancora il senno?» chiese l’uomo.
«Si, siamo non-morti non ancora vuoti. Resisti» rispose Oscar, mentre cercava di poggiare il barile di lato, facendosi aiutare da Thoma. Disteso il barile, tirarono fuori l’uomo e lo slegarono.
«Grazie, vi devo la vita. Io sono Griggs, uno stregone della scuola di magia di Vinheim. Sono un non-moto come voi» disse una volta rialzatosi.
«Come sei finito qui dentro legato?» chiese Thoma.
«Ero alla ricerca del mio maestro, Logan gran cappello, quando sono stato catturato…»
«Sei uno stregone allievo di Logan?! Allora lo conoscerai di persona» intervenne Thoma, con entusiasmo.
«…ehm si, avevo sentito che si fosse diretto a Blighttown, così sono venuto qui. Purtroppo sono stato catturato poco dopo».
«Sei stato catturato da quei banditi non-morti?» chiese Oscar.
«Si…proprio loro…»
«Perché ti hanno chiuso in un barile?» continuò il cavaliere di Oscar.
«Oh no, loro mi hanno catturato e consegnato al proprietario di questa casa. Un uomo alto e bendato da capo a piedi. Mi ha tolto il catalizzatore, mi ha legato e buttato in quel barile» rispose Griggs.
«Il proprietario di questa casa? Il non-morto a cui hai preso le chiavi non sembra coincidere con la descrizione» disse Thoma, rivolgendosi ad Oscar.
«Forse quel non-morto, prima di perdere il senno, ha ucciso il proprietario e depredato il cadavere…»
«Ucciso e depredato?! Quale non-morto sarebbe così forte o fortunato da uccidere una bestia simile?» rispose Griggs.
«Che intendi?» chiese Thoma.
«Quell’uomo era temuto da tutti i non-morti qui nel basso borgo. Anche quelli privi di senno seguivano l’istinto e non gli si avvicinavano. Anzi, lo sentivo dare ordini ai vari banditi della zona. Quando il corpo di un non-morto vuoto decadeva o marciva troppo, lui dava ordine di bruciarne il corpo…diceva di non sopportarne il fetore»
«Assurdo, ecco il perché dei roghi qui fuori…a te ha mai detto niente?» chiese Thoma.
«Vuoi scherzare? Il motivo per il quale mi ha fatto rinchiudere è per avere qualcuno con cui parlare. Diceva che non capitava tutti i giorni di vedere un non-morto che non avesse perso il senno…parlava di come odiasse questo posto, che non appena se ne fosse presentata l’occasione se ne sarebbe andato. Ogni volta che finiva di parlare mi ringraziava per averlo ascoltato. Certe volte usciva di casa e tornava dopo diverse ore, poi mi costringeva a chiedergli come fosse andata la giornata, a interessarmi. Dopo alcuni giorni iniziò a prendere regolarmente a calci il barile chiedendomi se fossi diventato vuoto. Dicendo che, nel momento in cui avessi perso il senno, avrebbe dato fuoco al barile con me dentro…che sarebbe stato un atto di gentilezza il suo e che dovevo ringraziarlo…» Griggs iniziò a tremare e a singhiozzare.
«Hey, siediti…va tutto bene…» disse Oscar, mentre gli porgeva la sedia. Ormai convinto di aver fatto bene a non coinvolgere Thoma con la questione avvenuta nel cimitero. Ma quella bestia conosceva comunque i loro nomi…
«Ho bisogno del mio catalizzatore…devo andarmene di qui…» disse Griggs, asciugandosi le lacrime e alzandosi dalla sedia.
«Hai idea di dove possa averlo nascosto?» chiese Thoma.
«Si, una volta ha parlato di come conservasse tutte le cose di valore o che trovava interessanti nella sua stanza del tesoro in soffitta…sicuramente si trova lì, poiché il mio catalizzatore magico è di pregiata fattura» disse mentre saliva le scale.
Thoma ed Oscar lo seguirono. Arrivati in soffitta trovarono molti bauli chiusi e impolverati, c’erano anche scaffali ricoperti di ragnatele ma pieni di roba. Griggs iniziò a cercare il suo catalizzatore tra gli scaffali.
«Quanta roba, quindi era questo il suo piccolo tesoro» disse Oscar, mentre apriva uno dei bauli.
Thoma frugando tra gli scaffali vi trovò diversi oggetti interessanti: diverse ossa simili a quelle che bruciavano nel falò, del muschio viola, altro muschio viola ma fiorito, alcune faretre appese con frecce al loro interno e diverse resine meticolosamente raccolte in diversi contenitori. Alcune erano d’orate, altre del colore del carbone. Una cosa che attirò la sua attenzione era un porta-anelli a forma di mano. Vi era un anello per dito, tranne che sull’anulare e sull’indice, dove mancava. Partendo dal mignolo, Thoma trovò: un nello arrugginito,  un anello d’argento con diverse incisioni e simboli sopra ed uno identico a quello di prima, ma di un colore oro-rosa.
«Hey Thoma, questo cos’è?» chiese Oscar, mentre mostrava un mano mozzata e rinsecchita.
«Quella? Si chiama maledizione transitoria, una parte del corpo di un maledetto, ti permette di entrare in contatto con gli spiriti e di interagire con loro».
«Pff…il proprietario credeva ai fantasmi…» disse Oscar, cercando di nascondere l’inquietudine che gli metteva la cosa.
«Comunque, tra il ciarpame, c’è roba molto interessante…guarda: un arco composito» continuò Oscar.
«Qui ci sono anche delle faretre con delle frecce…magari il nostro amico andava a caccia» notò Thoma.
«Adesso possono servirci armi a distanza, oltre magie e miracoli…» disse Oscar.
«Trovato!!» disse Griggs balzando in piedi e reggendo quello che doveva essere il suo catalizzatore. «Adesso posso anche andarmene…sapete, maestro Logan è ancora disperso» concluse.
«Voi avviatevi all’uscita, se volete. Io devo prendere alcune cose che potrebbero tornare utili» disse Thoma.
«Va bene, ti aspettiamo giù. Però sbrigati, potrebbero esserci altri non-morti» gli rispose Oscar.
Thoma prese i tre anelli dal porta-anelli, le resine, il muschio e le tre maledizioni transitorie nel baule. Girando per la soffitta vide uno spazio rettangolare senza polvere, come se lì ci fosse stato poggiato un oggetto fino a poco tempo fa…forse un baule. Thoma si chiese cosa avrebbe potuto contenere e perché il proprietario abbia tenuto a portarselo via. Adesso che ci pensava anche il porta anelli, ricoperto di ragnatele, non aveva polvere nella zona dell’anulare e dell’indice, come se gli anelli da quelle dita fossero stati presi da poco.
«Cosa lo avrà spinto ad andarsene…lasciando tutta questa roba e portandosi un solo baule e due anelli?» pensò Thoma, mentre osservava quella soffitta, che diventava ogni secondo più inquietante. Ad un certo punto sentì urlare, così lasciò andare quei pensieri e corse di tutta fretta verso il basso. Quando fu al piano terra vide Oscar fuori casa vicino al cadavere del demone-capra.
«Chi ha urlato?»
«Griggs…appena ha visto il corpo del demone-capra si è messo ad urlare “è stato lui” e “è qui”»
«Dove è finito?»
«Ha preso un osso dalla sua borsa e, dopo averlo stretto e frantumato, e scomparso»
«Un osso come questo?» chiese Thoma, mentre prendeva un osso trovato in soffitta.
«Si, come questo»
«Allora si tratta di ossa del ritorno. Sono identiche a quelle che bruciano nel falò, ti permettono di tornare ad esso»
«Non ho mai fatto caso a cosa bruciasse nel falò…è inquietante»
«Quel Griggs…pensavo dovesse cercare il suo maestro…» disse titubante Thoma.
«Forse tiene più alla sua vita che a quella di Logan. Normalmente disprezzerei un comportamento simile, ma dopo aver sentito quello che ha passato…mi fa pena» rispose Oscar.
Thoma guardò il cadavere del demone.
«Pensi che il proprietario della casa abbia ucciso il demone-capra?» chiese ad Oscar.
«Se quello che ha detto Griggs è vero, forse l’uomo bendato sarebbe capace di decapitare un demone-capra con la sua stessa arma. Comunque, non può essere qui adesso, il corpo del demone è già in decomposizione, la battagli sarà avvenuta diversi giorni fa» rispose Oscar.
«E la testa di capra sulla picca?» chiese Thoma.
«Sembra sia stata messa lì come monito verso gli altri demoni. Come se li intimasse di non mettere piede nel suo territorio. Non è una cosa così insolita, molti regni lo fanno con le teste dei soldati di regni nemici» rispose Oscar.
«Protegge un territorio che odia…questo non aiuta a delinearne il profilo»
«È pazzo. Ecco il suo profilo» rispose Oscar. «Comunque, nella soffitta ho trovato quest’altra chiave. Ho guardato in tutti i bauli e questa era l’unica chiave. Se la conservava, dovrebbe essere importante» concluse.
«Ho capito…visto che oggi sei particolarmente fortunato con le chiavi, vediamo se questa potrà tornarci utile» rispose Thoma.
«Magari troviamo la campana dietro una porta chiusa a chiave hah hah» disse Oscar, facendo sorridere anche Thoma.
 I nostri avventurieri continuarono a cercare l’ingresso delle fogne, le quali avrebbero condotto fino alle profondità di Blighttown.
 
 
I piedi gli facevano male ed erano feriti dai sassi sulla strada, ma non gli importava, poiché quella strada conduceva alla vita che fu. Gli anelli stringevano e segnavano le dita, ma non gli importava, poiché lo avrebbero protetto nella vita che sarà. Il baule era pesante, ma non gli importava, poiché conteneva la vita che aveva scelto e che mai avrebbe abbandonato.
L’uomo avvolto da innumerevoli bende si fermò, lasciando cadere a terra il pesante baule. Si fermò per  guardare il desolante panorama che gli si stagliava davanti. La case erano appena riconoscibili, le strade inagibili e la popolazione muta. Popolo le cui preghiere erano state fatte annegare in un mare di ignavia. I lamenti, i pianti, le urla, le preghiere e le maledizioni che rivolgevano al cielo erano tutte udibili dal pellegrino avvolto nel mistero. Lui sentiva ancora tutti coloro che, rancorosi, avevano vincolato la propria anima a quel mondo che non li riconosceva più come figli. Quando le voci si furono calmate, l’uomo tirò un sospiro e si rivolse alla città fantasma.
«Finalmente…casa».

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Capitolo 8
*** Mangiauomini ***


Capitolo 8: Mangiauomini
 
La parte bassa del borgo, tolto l’agguato dei banditi, si dimostrò particolarmente desolato. I due non-morti non trovarono ostacoli nel loro cammino. Le case si rivelarono quasi tutte disabitate e quelle abitate presentavano solo non-morti vuoti, privi della volontà di vivere. Sul fondo di una strada trovarono delle scale, che scendevano e conducevano ad un sottopassaggio. In fondo al sottopassaggio vi era una porta, che si rivelò essere chiusa. Oscar inserì la chiave e, girandola, la sbloccò. Il cavaliere guardò il compagno con aria soddisfatta.
«Per fortuna lo straniero bendato ha collezionato roba utile…» disse Thoma.
«Si scende ancora…siamo sulla buona strada per le fogne» disse Oscar.
Scesa una breve scalinata, si ritrovarono in un sala sotterranea, illuminata solo da poche torce. La sala era piena di tavoli e panche in legno. Nell’aria c’era un’inconfondibile puzza di carne in putrescenza mentre, un rumore secco di colpi, rimbombava di continuo.
«Sembra…quasi una sala banchetti» notò Oscar.
«Perché in un posto simile?» si domandò Thoma, mentre camminavano per i tavoli.
Ai lati della sala vi erano muri in pietra, mentre in fondo ad essa un parapetto in legno, si estendeva da un lato all’altro, sulla destra c’era una scala che scendeva. Si affacciarono dal parapetto e, al piano inferiore, videro due cani dall’aspetto orribile: erano glabri, la pelle nera e strappata in certi punti. I due animali si trovavano vicino ad un bancone e, guardando cosa vi era dietro, capirono anche l’origine di quel rumore: un’enorme mannaia che colpiva un tagliere in legno. La lama stava venendo utilizzata da un uomo enorme, con un sacco bucato al livello degli occhi a coprirgli il volto e un grembiule da cuoco.
«Poco sale, poco pepe…odio l’olio, amo l’aglio…piatto ricco, mi ci ficco» l’uomo stava intonando una strana filastrocca, con la quale scandiva il ritmo dei colpi sul tagliere.
I due cercarono di capire cosa stesse tagliando, rimanendo sbigottiti quando videro che sul bancone c’erano parti del corpo umane. L’uomo strappo una coscia e la diede ai cani, i quali la mangiarono avidamente, poi tolse le viscere e le gettò in un buco nel muro dietro di lui. Thoma fece un passo indietro per lo sgomento, facendo scricchiolare il legno del pavimento. Il macellaio smise di battere la sua mannaia sul tagliere e rimase per un secondo immobile. Ad un certo punto fischiò e i due cani si misero sull’attenti per poi dirigersi sulle scale che conducevano al piano superiore. Le fiere puntarono Thoma ed Oscar. Il cavaliere levò alto il suo scudo nero, ma il primo cane vi saltò sopra. In quel momento sentiva tutto il peso della bestia sul suo braccio sinistro, mentre cercava di infilzarla con la spada nella destra. Il secondo cane aggredì Thoma, il quale iniziò ad agitare la mazza nel tentativo di colpirla, fallendo. A quel punto utilizzò il miracolo force, così entrambe le bestie furono respinte. Oscar ne approfittò e le uccise entrambe con due fendenti decisi al collo. I nostri non poterono riprendere fiato, poiché il macellaio stava salendo le scale furibondo.
«T-Tamburello…C-Cembalo…» disse l’uomo guardando i due cani, cadendo sulle ginocchia e iniziando a piangere mentre li accarezzava.
I due compagni non-morti trovarono quella scena grottesca e triste allo stesso tempo. Ci volle poco perché la pena si tramutasse in rabbia, poiché il macellaio si era rimesso in piedi, per poi caricare i nostri. Oscar corse alle destra dell’uomo, per arrivargli alle spalle, mentre Thoma lasciava andare la mazza per prendere il tridente che teneva legato dietro la schiena. Il macellaio seguì Oscar con lo sguardo, cercando di colpirlo con la pesante mannaia. Il cavaliere di Astora lo ferì all’altezza del petto con un fendente, squarciandogli il grembiule. L’uomo furioso afferrò il suo coltello con entrambe le mani e lo calò sul cavaliere, il quale schivò il colpo buttandosi indietro. Il colpo impattò sul pavimento, arrivando a sfondarlo quasi fino al piano inferiore. Prima di poter estrarre la lama dal legno, il macellaio fu colpito alle spalle dal tridente di Thoma. Dal petto spuntavano le tre punte dell’arma, sporche di sangue. L’enorme uomo si girò di scatto, tirando un urlo straziante. L’impeto fu tale che l’arma sfuggì dalle mani del chierico, il quale si ritrovò disarmato.
«Vi d-divorerò…v-vivi…» ringhiò il macellaio, fulminando il chierico con uno sguardo iniettato di sangue, che si intraveda dai buchi del sacco.
L’uomo fu colpito alle spalle da una freccia dell’anima, lanciata da Oscar. Thoma ne approfittò per prendere la sua mazza e colpire il macellaio in testa, facendogli volare via il sacco. Il suo volto adesso era visibile; le deformità che lo attraversavano, la pelle bluastra, i denti storti e acuminati non lasciavano spazio all’idea di stare di fronte ad un essere umano. Thoma raggelò alla vista di quel viso. Prima che il macellaio potesse reagire, fu raggiunto da un fendente della spada di Oscar, che gli staccò la testa dal collo di netto. L’enorme corpo cadde di peso sul pavimento, facendolo tremare, mentre la testa rotolò fino a cadere al piano di sotto.
 
 
I due non-morti scesero al piano di sotto tramite le scale. Si misero a girare per la stanza in cerca di una via per proseguire. Oscar si soffermò a guardare il buco nella parete alle spalle del bancone del macellaio. Si affacciò dentro, vedendo che il fondo era visibile, capì che potesse condurre alle fogne. A rompere il silenzio fu un lamento, proveniente dalle sue spalle. Il cavaliere di Astora si girò e notò una porta poco più avanti. Lui e Thoma vi entrarono e si trovarono in una stanza piena di barili e di provviste. Il lamento proveniva dal fondo. In uno dei barili si trovava un uomo legato e imbavagliato che, non appena vide i nostri, iniziò a dimenarsi. Thoma ed Oscar lo fecero uscire e gli tolsero il bavaglio.
«G-grazie, sarei diventato il loro spuntino senza di voi…» disse l’uomo.
«Loro?» chiese Thoma.
«Le mangiauomini…mi avrebbero divorato vivo…»
Ad un certo punto rimbombò nella stanza un urlo terrificante, si voltarono e vicino la porta videro un altro di quei macellai. Sembrava straziata dal dolore, al petto stringeva la testa mozzata dell’altro macellaio, nella destra impugnava un enorme spunzone con del sangue rappreso sopra.
«È una di loro!» disse l’uomo, puntandola con il dito.
Oscar sfoderò il catalizzatore e lanciò una freccia dell’anima, colpendo il nemico, il quale sembrò non risentire del colpo. Il macellaio iniziò a caricare i tre avventurieri, traboccante di ira furente.
«Spostatevi!» disse l’uomo appena salvato, facendosi avanti.
Dalla sua mano destra iniziarono a zampillare calde fiamme che, in pochi secondi, si raccolsero in una sfera di fuoco. L’uomo a quel punto lanciò la sfera di fuoco contro il nemico, colpendolo in pieno e facendolo andare  in fiamme. La bruta donna fu colta dal panico, a causa del fuoco che divampava su di lei.
«Piromanzia…» osservò Thoma.
«Non è il momento! Se la potete colpire a distanza, fatelo senza indugio!» esortò il piromante.
«Lancia del fulmine!»
«Freccia dell’anima!»
I due colpi impattarono quasi in contemporanea sul macellaio, che cadde esanime al suolo, senza dare segno di potersi rialzare. Le fiamme avevano bruciato il sacco bucato che anche quella donna portava sul capo, ma le bruciature non permettevano di capire se anche il suo volto fosse sfigurato come quello della sua compagna.
«Dunque…sei un piromante» disse Thoma.
«Invero. Mi chiamo Laurentius e vengo dalla grande palude. La quale si trova molto al di fuori di Lordran» rispose.
«Aspetta, la Grande Palude? Il luogo dove risiedono la maggior parte dei piromanti?» chiese Oscar.
«…si» disse il piromante.
«Come sei arrivato fin qui?» propose Thoma.
«Lordran è la culla della piromanzia. Per questo, io e due miei amici, abbiamo lasciato il nostro villaggio; così da apprendere ancora meglio le arti della piromanzia, nella terra della leggendaria Strega di Izalith. Una volta arrivati, ci siamo avventurati nel borgo, dove siamo stati attaccati a sorpresa da una delle mangiauomini e dai banditi non-morti. Io sono stato ucciso e la maledizione della non-morte mi ha colpito. Mi sono risvegliato in questo barile, imbavagliato e senza sapere dove mi trovassi…spero che almeno Olaus e Sven almeno stiano bene» spiegò Laurentius.
Thoma e Oscar si guardarono sbigottiti; e se i corpi sul bancone fossero quelli degli amici del piromante?
«Quante mangiauomini come loro ci sono ancora?» chiese Thoma.
«Non ne ho idea. Quella che mi ha ucciso e catturato aveva una stazza più minuta, ma una forza erculea tale da permetterle di brandire una mannaia enorme…»
«Noi non l’abbiamo ancora incontrata, per fortuna. Potrebbe essere nelle vicinanze, quindi andiamocene» disse Thoma.
«Che farai adesso?» chiese il cavaliere.
«Devo trovare i miei amici per poi proseguire il nostro viaggio. Adesso dove siamo?»
«Appena sotto la zona bassa del borgo dei non-morti» disse Oscar.
«Ah, forse avete trovato i miei amici! Portano un vestito simile al mio…certo, più che vestiti sembrano stracci, ma è il meglio che riusciamo a ricavare da quel poco che abbiamo hah hah»
«Purtroppo no…nel borgo c’erano solo non-mori vuoti e nessuno con un vestito simile al tuo» rispose Oscar.
«Ho capito…beh, allora devono essere riusciti a sfuggire all’agguato e si saranno diretti al santuario del legame del fuoco per riorganizzarsi» disse speranzoso Laurentius.
«Immagino sia così…» disse perplesso Oscar.
«Voglio ripagarvi per avermi salvato la vita! Vi accompagnerò oltre Blighttown. Abbiamo una meta comune e la mia piromanzia vi sarà di aiuto» propose Laurentius.
«Mi sembra un’idea ottima. Insieme ce la caveremo egregiamente, ne sono convinto…» disse Oscar, poggiando una mano sulla spalla del piromante «…ma non hai armi?» chiese il cavaliere.
«Avevo un’accetta, però mi è stata tolta quando mi hanno catturato. Adesso ho solo la mia fiamma della piromanzia» rispose.
«Tieni, ho preso questo da uno dei banditi non-morti nel borgo. Pensavo di usarlo poiché molto maneggevole, però servirà più a te…» disse Oscar, porgendogli un coltello.
Tornati nell’altra stanza, continuarono a cercare una strada per raggiungere le fogne.
Oscar indugiò di novo sul buco nella parte, dietro il bancone del macellaio. Thoma, colto l’interesse del compagno, gli si avvicinò.
«Cosa stai pensando?» gli chiese il chierico.
«Sembra condurre molto in basso…forse nelle fogne…» rispose Oscar.
«Te lo chiedo di nuovo…Cosa. Stai. Pensando?» chiese ancora Thoma, scandendo ogni parola.
«Tu eri pronto a buttarti dal dirupo del rifugio dei non-morti…»
«Era una situazione disperata quella…e poi hai visto cosa il macellaio gettava nel buco» disse il chierico, sporgendosi verso il buco.
«Abbi fede, mi hai detto quella volta. Tanto se ci rompiamo qualcosa abbiamo le Estus» rispose Oscar.
«Sempre che la caduta non ci uccida…»
«Sembra la via più veloce. Se dovessero presentarsi altre mangiauomini in più a quella che ha catturato Laurentius?»
«Ma non è un motivo per…» Thoma fu afferrato per il colletto della veste e lanciato diversi metri dietro, prima che potesse terminare la frase.
Il macellaio di prima si rivelò essere ancora viva e si era rialzata. La parte superiore del corpo era piena di bruciature ed ustioni, il volto deturpato rivelava solo i due occhi rossi iniettati di sangue. Laurentius, che stava ispezionando un’altra stanza, tornò indietro avendo sentito il tonfo causato dalla caduta di Thoma. Oscar stava per sfoderare la sua spada, quando subì un calcio in pieno petto che lo fece cadere nel buco alle sue spalle.
«NO! Oscar!» urlò Thoma rialzandosi.
La mangiauomini gli si piazzò davanti, impedendogli di arrivare al buco.
«Spostati…mostro» intimò il chierico impugnando il tridente.
Una palla di fuoco di Laurentius raggiunse il macellaio, colpendola al volto. Thoma ne approfittò e caricò il nemico, riuscendo a colpirla alla gola con la sua arma. La mangiauomini afferrò il tridente con entrambe le mani. Prima che potesse sfilarselo, Thoma spinse con tutto il corpo per mandarlo quanto più in profondità. Il macellaio fece alcuni passi indietro prima di inciampare e cadere sulla schiena. Thoma, avendo caricato con tutto il peso del corpo, cadde in vanti.
«Stai bene?» chiese Laurentius, correndo verso il chierico e aiutandolo a rialzarsi.
«Io si. Però sono preoccupato per Oscar. Non sappiamo se la caduta sia stata mortale» disse, mentre si avvicinava al buco «Oscar! Mi senti? Stai bene?» urlò attraverso il buco, sperando di essere sentito.
«Si…però qui la situazione è un po’ complicata. Buttatevi e bevete dalla Estus appena atterrate. Le viscere vi ammortizzeranno l’impatto» rispose il cavaliere di Astora.
«Vado prima io» disse Thoma, rivolgendosi a Laurentius, e si tuffò nel buco senza esitare, ma chiudendo gli occhi. Tenendoli serrati per tutta la caduta.
L’atterraggio fu veramente ammortizzato dalle viscere, come detto da Oscar. Quando Thoma riaprì gli occhi vide Oscar porgergli una mano per farsi rialzare.
«Cosa c’è di complicato?» chiese Thoma mentre si rialzava e prendeva la fiaschetta per berne un sorso.
«Guardati intorno» rispose Oscar, puntando alla sua sinistra.
Thoma si voltò alla sua destra e sussultò per lo spavento: un enorme ratto giaceva morto con un’ascia conficcata nel cranio.
«Per gli dei…è morto?» chiese il chierico.
«Così pare…» rispose il cavaliere. Nel mentre parlavano, Laurentius era sceso anche lui.
«È mostruoso! Potrebbe essere grande quanto un carro» disse Thoma osservando la carcassa del ratto.
«Un carro, compresi i cavalli» aggiunse Oscar.
Thoma si guardò intorno, notando di trovarsi in quelle che effettivamente erano le fogne. Le acque reflue li inondavano fino alle caviglie, c’erano condotti per i quali queste scorrevano. Alla sua destra si trovava una discesa, verso la quale confluiva l’acqua, che arrivava in quella zona.
«Se tentassimo di attraversare gli altri condotti fognari?» propose Thoma.
«Mi sono affacciato ed ho controllato…sono un vero e proprio labirinto» rispose Oscar.
«Però quella discesa non mi sembra sicura…»
«Però se guardi bene vedi la sponda opposta. C’è un salto da fare alla fine. Come vedi la discesa si interrompe senza arrivare dall’altra parte, lasciando uno spazio vuoto»
«Cosa pensate che ci sarà in quel vuoto?» chiese Laurentius.
«Altre fogne, di certo» rispose Thoma «labirintiche e nauseanti fogne».
Ad interrompere la conversazione furono degli squittii, che iniziarono a rimbombare per tutte le fogne. I tre avventurieri ebbero un’idea di ciò che stava per accadere, capendo chi generasse quel suono. Da tutti i condotti delle fogne sbucarono decine di topi, grandi quanto cinghiali.
Lo spazio in cui si trovavano pullulò di quelle bestie e ne fu presto sommerso. Avendo la discesa alle spalle e i ratti difronte, la situazione si stava facendo pericolosa.
«Sono arrabbiati per la morte del loro grosso amico?» ipotizzò Thoma.
Tale affermazione fu smentita quando diversi ratti iniziarono a divorare la carcassa di quello enorme, dando inizio ad uno spettacolo raccapricciante. Invece, il resto dei ratti caricarono i nostri.
«Attenti!» urlò Thoma, colpendo con la mazza uno dei ratti. In quel momento percepì qualcosa fluire dal ratto nel suo corpo. Rimase paralizzato per qualche secondo, poi si rivolse agli altri due.
«Uccidetene quanti più potete» urlò, continuando a colpire le creature.
«Dobbiamo prendere la discesa subito» rispose Oscar, colpendo alcuni ratti con la punta della sua spada, per poi volgersi verso di essa.
«Va bene…FORCE!» Urlò il chierico.
I ratti vennero respinti indietro, aprendo una finestra per fuggire. Tutti e tre scivolarono per la discesa.
«Pronti al salto…» disse Oscar.
Saltarono al momento giusto, una volta arrivati al bordo, riuscendo a raggiungere la sponda opposta. Laurentius rialzandosi guardò la cima della discesa e notò che i ratti non li seguivano.
«Dovremmo essere al sicuro» disse il piromante.
«Hey guardate lì» disse Thoma, mentre si rialzava.
Vicino una parete poggiava, riverso al suolo, un cavaliere mortalmente ferito all’addome. Il chierico si precipitò verso di lui con l’intento di soccorrerlo, però si ferì alla mano nel tentativo di afferrarlo.
«AH! La sua armatura è…ricoperta di spine» notò il chierico.
Ad un certo punto, il cavaliere afferrò Thoma per la tunica e lo avvicinò a se.
«…lui li odia…i t-traditori...li ha m-mandati…ad uccidermi…» disse con un flebile filo di voce.
«Chi ti vuole morto? Chi ti ha fatto questo?» chiese Oscar.
«…la mia signora…devo proteggere la…» le ultime parole del cavaliere, dette prima di spirare, si dispersero nella plumbea aria di quel fetido luogo. Poco dopo il suo cadavere si dissolse, divenendo grigia cenere.
«Gli serviva aiuto…questo è chiaro. Però non ci ha detto nemmeno il suo nome…così non sappiamo come trovarlo» notò rammaricato il chierico.
«Parlava di una signora da proteggere, deve essere tornato all’ultimo falò al quale ha riposato. Non mi sembrava vuoto, sono certo che lo rivedremo ancora…e se vorrà, gli daremo il nostro aiuto» disse Oscar poggiando una mano sulla spalla dell’amico.
«Mmmh Oscar, Thoma…quello non è un falò?» chiese titubante Laurentius guardando davanti a se.
I due si voltarono e videro effettivamente un falò, il cui fuoco illuminava una massiccia porta in legno, con rinforzi in ferro. Si avvicinarono lentamente, guardinghi per non farsi sorprendere da agguati di sorta. Il falò non veniva raggiunto dall’acqua salmastra e scura delle fogne, trovandosi ad un livello leggermente rialzato. Oltre alla presenza di un falò in un luogo così insolito, la loro attenzione fu attirata da un’altra cosa: non erano soli. Alla loro destra, vicino al falò, vi era seduto un uomo in armatura e con le gambe conserte. L’armatura indossata dall’uomo era a dir poco bizzarra: l’elmo era d’orato ed aveva due corna; la veste alternava colori come il verde ed il viola, con diverse decorazioni ad abbellirlo; sopra ad essa erano appesi numerosi medaglioni; i guanti e gli stivali erano in cuoio.
«Io sono Sir Oscar e vengo da Astora…di grazia, chi siete?» chiese cautamente il cavaliere.
«Io? Sono Domhnall, un mercante originario di Zena» rispose, ma la voce era chiaramente femminile.
«Dalla voce mi sembra difficile tu possa chiamarti Domhnall…» rispose Thoma.
«Hah hah hah, immagino sia difficile fingersi qualcuno che non sei. Invero, io non sono Domhnall di Zena, ne indosso solo l’armatura» rispose la donna.
«Allora, chi sei?» chiese Laurentius, incuriosito.
«Sono Rozalia di Astora. Sono una guardiana del fuoco, vincolata al falò che è stato posto alle porte di Blighttown».
 
 
Il Giardino Radiceoscura risultò una prova più ardua del previsto per Lautrec di Carim. Tra banditi,  stregoni, ed enormi gatti selvatici, la foresta teneva fede alla sua terribile fama. Forse sarebbe stato saggio permettere a Laurent e Bogdan di accompagnarlo. Sentì il sopraggiungere della stanchezza, ma sapeva che l’amore di Fina non avrebbe permesso alle sue gambe di crollare, il suo abbraccio lo aveva sempre sostenuto. Anche adesso, in quella selva oscura, poteva percepire il favore della sua Dea. Maledetto sarebbe stato il giorno in cui non fosse riuscito a proseguire nel suo cammino; maledetto sarebbe stato lui per aver deluso le aspettative della sua amata; maledetto sarebbe stato il mondo per non avergli concesso di tenersi la sua umanità.
Lautrec camminò fino a quando l’ennesimo guerriero non gli bloccò la via. Questi era però diverso, l’armatura che indossava era strana ed emanava una strana aura di minacciosità.
«Hai ucciso diversi miei compagni, viandante» disse il guerriero, con uno spiccato accento orientale.
«Sono qui per parlare con Alvina. Ti prego, cedi il passo» disse il cavaliere di Carim.
«Temo di non poterlo fare» rispose l’uomo, brandendo la sua enorme Murakumo con entrambe le mani. Lautrec strinse forte i suoi due Shotel, prospettando una battaglia più ardua delle precedenti.
«Shiva…lascialo passare. Voglio sentire cosa ha da dire. Se si dimostrerà essere un semplice predone di tombe, avrai il permesso di ucciderlo» disse una voce alle spalle del guerriero.
«…come vuoi…» rispose Shiva, cedendo il passo.
Dietro il guerriero vi era una costruzione in pietra, diroccata e con alcune pareti mancanti. Sulla finestra poggiava un gatto che, con disinvoltura, sfoggiava una bocca estremamente ampia.
«Per quale motivo sei qui, viandante?» chiese il gatto.
«Saggia Alvina, guardiana del Giardino Radiceoscura. Io sono Lautrec di Carim e sono qui per una richiesta: entrare nel patto dei cacciatori della foresta».
 

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Capitolo 9
*** Umanità ***


Capitolo 9: Umanità
 
Le fetide fogne, che prendevano anche il nome di profondità, accoglievano al loro interno un falò. Scoprirlo, lasciò perplessi i nostri, il cui dubbio era palpabile…specialmente in Oscar.
«…una guardiana del fuoco ed un falò…in questo luogo. Perché?» chiese il cavaliere.
«Beh, inizialmente il falò si trovava più in basso, al livello della palude. Purtroppo, dopo la diffusione di una grande piaga, gli appestati costruirono Blighttown per stare lontani da chi era ancora sano. La malattia li decimò, i più forti sopravvissero ma al prezzo del senno. Regrediti a barbari, hanno iniziato ad essere ostili contro tutto ciò si trovasse in quel luogo, esclusi altri appestati. Una guaritrice dalla veste cremisi cercò di purificarli, o quantomeno di limitare il diffondersi della piaga, fallendo e venendo uccisa. La guardiana del fuoco fece la stessa fine da li a poco» concluse Rozalia.
«Ma sapendo tutto questo, perché ostinarsi a piazzare un falò in questo luogo?» continuò Oscar.
«…dove può essere d’aiuto un faro se non nel buio?» rispose la guardiana «…vi siete mai chiesti cosa sia la non-morte?».
«Una maledizione. Una maledizione che affligge il genere umano intero» rispose Thoma.
«Come la vivete?» Chiese la guardiana.
«Come un’opportunità» rispose Oscar.
«Una costrizione» rispose Thoma.
«Non saprei…da quando sono diventato non-morto la mia vita non è cambiata molto» rispose Laurentius.
«Ognuno di voi darà una risposta diversa, anche se la meta è la medesima. Per me la non-morte è come un enorme oceano in una notte senza stelle e con la luna coperta dalle nubi. Voi siete piccole barche nel mezzo di questo oceano, lottate contro le onde per non ribaltarvi e finire inghiottiti. Poiché, più vai a fondo, più l’abisso ti rende vuoto. La vostra volontà sono i remi che portano avanti le barche. Il compito di noi guardiane è quello di essere i fari che vi guidano in un porto sicuro, prima che vi imbarchiate di nuovo per proseguire il cammino. Io vivo la mia non-morte come un dovere».
A quelle parole Oscar abbassò lo sguardo, come per rendersi conto di aver posto una domanda che, per la guardiana, doveva essere scontata.
«Ma comunque, al di là dei nobili propositi, questa resta una zona pericolosa. Non sei mai stata aggredita?» chiese Oscar.
«Guarda che so difendermi io. Prima di diventare non-morta ero un’apprendista strega alla scuola del drago di Vinheim. All’insaputa del dirigente e degli insegnanti, ho appreso diversi incantesimi di trasfigurazione. Questi erano contenuti nei pochi tomi salvati da uno stregone della perduta città di Oolacile, scampato alla morte perché in viaggio quando la città venne inghiottita dall’oscurità. Purtroppo erano conservati in una sezione il cui accesso era proibito se non eri uno stregone di alto grado. Mi sono intrufolata diverse volte, ma alla fine mi hanno presa ed espulsa» disse con un misto di orgoglio ed imbarazzo, mentre indicava un catalizzatore alla sua destra.
«Quindi non sono così efficaci questi incantesimi di trasfigurazione, se ti hanno beccata» notò Oscar.
«Ho avuto modo di perfezionarli come autodidatta. Da guardiana si ha molto tempo libero» rispose al cavaliere ricambiandogli un sorriso.
«E se la tua magia non bastasse?» insistette il cavaliere di Astora.
«Hai la stessa preoccupazione di Domhnall. Sapete, lui è passato di qui prima di voi. Si è seduto al falò e si è messo a parlare dei suoi viaggi per vendere rarissimi cristalli che era riuscito a reperire chissà dove. Comunque, dopo un po’ si è alzato, mi ha regalato una replica della sua armatura e se ne è andato sbuffando perché in un luogo simile non si potevano fare affari. Sicuramente un tipo eccentrico, ma di buon cuore» concluse Rozalia.
«Certo, sei molto più loquace e simpatica della guardiana al Santuario del legame del Fuoco» disse Laurentius.
Infastidito, Oscar gli diede una gomitata nel fianco. Il piromante sbuffò e si portò le mani sulla parte colpita.
«Che mi dici dell’uomo ferito accasciato a quel muro? Avrebbe avuto bisogno di riposare al falò» intervenne Thoma.
«Si, l’ho visto. Non ha voluto farsi aiutare in nessun modo, come se il suo scopo fosse quello di raggiungere uno specifico falò il più velocemente possibile» rispose Rozalia, senza distogliere lo sguardo dal chierico.
«Purtroppo, se uno non vuole essere aiutato in nessun modo, si può fare ben poco» disse Oscar.
«Si può sempre fare qualcosa» rispose secco Thoma.
«Sono d’accordo con il chierico, anche se non era questo il caso. Adesso, siete voi che avete bisogno di un falò. Sedetevi» concluse la donna.
 
 
Il fuoco del falò permise ai nostri di rifocillarsi, dissipando la stanchezza accumulata nel tragitto dal basso borgo alle profondità. Lo sguardo di Laurentius era completamente perso tra le fiamme zampillanti; Thoma rovistava nella sua sacca per sistemare le scorte di vari materiali recuperati; Oscar riaffilava il filo della lama con il kit di riparazione estratto da una piccola cassa, che portava sempre con se.
«Quella è una cassa senza fondo?» chiese Rozalia.
«Si, me l’ha regalata lo stesso fabbro che ha forgiato questa lama divina»
«Non solo, percepisco anche un’infusione magica. Il fabbro che l’ha forgiata deve essere un vero maestro. A Vinheim ce ne erano di molto capaci, ma tutti pieni di se».
«Sono molto gelosi dei propri segreti. Lo stesso stregone che mi ha fatto da maestro era restio ad insegnarmi luce. Come hai detto tu, ci sono rimasti pochi scritti sulle stregonerie della perduta Oolacile, quindi quelli che rimangono sono per loro un patrimonio culturale. So che in uno di questi è spiegata una stregoneria per riparare gli equipaggiamenti. Mi farebbe comodo».
«Purtroppo, non ho avuto modo di apprenderle tutte. Però, so come rendere invisibile un corpo solido. Potrebbe tornarti utile anche questo».
«Puoi davvero insegnarmelo?»
«Sicuro, gli stregoni di Oolacile erano estremamente abili nel controllo della luce e di come questa si riflette sui corpi. Conoscere l’incantesimo luce ti aiuta molto, poiché hai già le basi. Vieni qui, ti mostrerò come fare».
Oscar ripose il kit nella cassa, si alzò e si spostò verso Rozalia, standole difronte.
«Possiamo iniziare con un oggetto piccolo, come un sassolino» disse la guardiana, raccogliendolo da terra.
Mentre Oscar e Rozalia discutevano, Laurentius sembrava essere tornato dal suo viaggio mentale tra le fiamme del falò.
«Bentornato» disse ironico Thoma.
«Già, a volte mi incanto a guardare il fuoco. Mi rapisce il suo fascino. Capisco che a molti possa sembrare strano…da pazzi…» rispose il piromante.
«Tu adori il fuoco, lo utilizzi ma non gli manchi di rispetto. Non trovo che sia da pazzi, altrimenti dovrei pensare che sia da pazzi anche pregare gli Dei per eseguire un miracolo, mentre si stringe un pezzo di stoffa tra le dita. Trovo solo interessante la maniera con cui vi approcciate al fuoco…sembra che lo trattiate come un amico, un fratello. Con gli Dei si ha un rapporto più reverenziale» rispose il chierico.
Laurentius fissò per alcuni secondi Thoma, non sapendo cosa dire. Poi il suo sguardo si rivolse di nuovo al fuoco del falò.
«Sai, inizialmente non capivo cosa ci fosse di interessante nella piromanzia. Vedevo il fuoco come una forza indomabile e mi metteva un certo timore reverenziale. Poi rimasi affascinato dalla facilità con cui il mio maestro riusciva a plasmare e maneggiare la fiamma. “La piromanzia è la fantasia definitiva. Nasciamo nell’oscurità e ci riscaldiamo con il fuoco, ma è lo stesso fuoco che non possiamo toccare. Coloro il cui fascino per la fiamma persiste, impareranno  a contenerla nel palmo della mano”…almeno così diceva, quella vecchia faccia da rospo hah hah hah» disse, mentre si massaggiava la mano sinistra. Poi alzò lo sguardo verso il chierico.
«Mi prese come suo allievo e, sotto i suoi insegnamenti, scorsi la bellezza nel fuoco. Noi possiamo usare la piromanzia, generare fuoco, perché a nostra volta abbiamo un fuoco dentro. Il fuoco è parte del nostro corpo, lo senti nella carne, cresce insieme a te. Si alimenta quando ti rafforzi e si affievolisce quando ti indebolisci…»
«L’anima…» aggiunse Thoma. Laurentius fece un cenno di assenso con il capo.
«Chiunque ha il potenziale per generare la fiamma della piromanzia, perché chiunque ha un’anima. Chiunque ha dentro di se un fuoco che arde. Purtroppo, la piromanzia è un’arte che richiede di essere in sintonia con la natura. Da molti viene vista come ‘primitiva’ e i piromanti vengono spesso bistrattati. Per questo ci troviamo meglio a vivere nella Grande Palude, vicino alla natura ma lontano da tutti» concluse.
«La chiesa della Via del Bianco non vede di buon occhio i piromanti. Gli stregoni li tollera, ma i piromanti sono mal sopportati, come se fossero dei criminali. Un atteggiamento che non ho mai condiviso o compreso. Ho visto chierici compiere azioni orribili con i propri talismani, invocando miracoli, pregando gli Dei. Invece, tu hai salvato me ed Oscar dalle mangiauomini, con quella stessa fiamma che molti disprezzano» concluse Thoma.
«Ha ragione…» intervenne Rozalia, che evidentemente si era interessata alla conversazione ed aveva smesso di spiegare ad Oscar «…molti stregoni trattano male i piromanti perché voi riuscite in qualcosa dove loro falliscono clamorosamente; in maniera non dissimile dalle stregonerie di Oolacile, mai replicate dalla scuola di Vinheim. Quindi, per quanto possa valere la mia opinione, non li ascoltare» concluse la guardiana, per poi riprendere la spiegazione al cavaliere.
« … Grazie, davvero…» disse Laurentius, abbozzando un leggero sorriso. Ad un certo punto, il piromante alzò lo sguardo verso il chierico, come se si fosse ricordato qualcosa.
«Thoma, dimmi una cosa…come mai prima, con i ratti, hai detto di ucciderne quanti più potevamo?» a questa domanda anche Oscar si voltò, evidentemente la cosa incuriosiva anche lui.
«Beh, per questo…» disse, tendendo la mano con il palmo rivolto verso l’alto. Dalla mano scaturì una piccola fiammella nera, con lineamenti che sfumavano dal bianco al grigio. Laurentius ed Oscar guardavano confusi, ma la guardiana sembrava non avere dubbi.
«È un’umanità…» disse Rozalia.
«Questo strano spiritello nero è posseduto da ogni essere umano, per un non-morto perdere l’umanità significa fare un passo in più verso la vuotezza…e quest’umanità, che ho tra le mani, era su uno dei ratti che ho ucciso…» disse Thoma.
«I ratti delle fogne divorano ogni genere carcassa. Non è difficile immaginare che una di quelle bestie, divorando il cadavere di un non-morto, l’abbia casualmente depredata» aggiunse Rozalia.
«Ma perché chiamare questo spirito ‘umanità’?» si domandò Laurentius.
«Non è ovvio? Essa risiede solo nel genere umano…il perché non sia presente in altre razze, mi sfugge…» rispose Thoma.
«Volevi uccidere più ratti possibile per recuperare tutta l’umanità che potevano avere su di se. Ma perché?» chiese Oscar.
«L’umanità ha diversi utilizzi per un non-morto. Puoi chiedere anche a Rozalia, lei sicuramente lo saprà» rispose il chierico.
«Quando la non-morte deteriora il corpo, con quel piccolo spiritello, è possibile riacquisire l’aspetto e la vitalità che si possedevano prima che la maledizione avanzasse. Ovviamente, se verrai ucciso, l’umanità che hai assimilato si deteriorerà, fino a ridurti allo stato in cui ti trovavi prima di utilizzarla…» disse Rozalia.
«Esattamente. Inoltre, si può offrire un’umanità al falò per ravvivarne la fiamma. Le fiaschette che verranno riempite a quel falò richiederanno più tempo per svuotarsi. Come se il fuoco al suo interno non si estinguesse…come se offrire umanità al falò aiuti la fiamma a diventare perpetua…» aggiunse i chierico.
«Sei estremamente informato, chierico…» disse la guardiana.
«Molto più di quanto lo sembrassi al Santuario del legame del fuoco…» disse Oscar.
«Durante i miei studi a Thorolund come chierico, mi sono interessato anche allo studio dell’umanità e della sua natura. Curioso che gli uomini non sappiano cosa farsene della propria umanità prima di diventare non-morti. I vescovi della Via del Bianco definivano l’umanità come un qualcosa di oscuro e malvagio, e che andasse purificata nel fuoco. Cosa sapevano che io ignoravo? Oppure anche loro erano degli ignoranti che seguivano cecamente un indottrinamento impostogli da altri? Voglio accumulare più umanità possibile per studiarla, così da capirne l’origine e il significato»
«Chi ti dice che ci sia altro da scoprire su quello spiritello, più di quanto non ti sia stato detto?» chiese Oscar.
«Deve esserci qualcosa…in fondo, la curiosità per l’umanità e la passione per le stregonerie sono ciò che mi ha reso non-morto» rispose Thoma, chiudendo il pugno e facendo scomparire quella piccola fiamma nera che, fino a quel momento, ancora ardeva flebile nel suo palmo.
Nessuno rispose all’affermazione del chierico ed un silenzio di tomba cadde in quel luogo. Poi Rozalia intervenne.
«Bene, dopo questo discorso direi che possiamo continuare con le spiegazioni…Oscar?»
«Si si, andiamo avanti…» rispose il cavaliere, rimuginando sulle ultime parole dell’amico.
 
 
Passarono i minuti nei quali il silenzio era rotto solo dal crepitare del falò e dalla voce di Rozalia che parlava ad Oscar.
«Sembra parecchio complicato…» esordì il cavaliere.
«Ovvio che non ti riuscirà subito. Parti avvantaggiato perché conosci le basi, ma ti servirà molta pratica. Ciò che dovevo mostrarti te l’ho mostrato» rispose la guardiana.
«Va bene. A questo punto direi che possiamo proseguire per Blighttown» disse Oscar, mentre si alzava e si dirigeva a recuperare la sua roba.
Thoma e Laurentius si alzarono e si diressero verso la porta ma, quando il chierico provò ad aprirla, questa si rivelò essere chiusa a chiave.
«La porta è chiusa. Potete provare a forzarla, ma la vedo dura» disse la guardiana.
«Dove troviamo la chiave?» chiese Thoma.
«Allora, questo passaggio fu costruito poco dopo che fu stabilito il falò al quale vi siete riposati. Un cavaliere dall’armatura nera come la pece venne e lo sigillo. Poi andò a conservare la chiave lì» disse, indicando un passaggio dietro di lei, alla sua sinistra.
«Uno vuole ucciderci, un altro ci aiuta, un terzo che sigilla l’ingresso per Blighttown…» disse Oscar.
«Sembra quasi una prova…» aggiunse Laurentius.
«Non so cosa ci sia oltre il passaggio alle mie spalle, ma tornate con la chiave e le porte per Blighttown vi si apriranno» concluse Rozalia.
«Dimostrerò che, qualsiasi cosa si aspettino quei cavalieri neri, io saprò fare di meglio. Andiamo!» disse risoluto Oscar, dirigendosi al passaggio.
Thoma e Laurentius lo seguirono, senza indugio.
 
 
Fame…era tutto ciò a cui riusciva a pensare. I ratti di cui si cibava solitamente erano corsi via, attirati da chissà cosa. A prescindere da ciò che stesse accadendo, non poteva essere privato del suo pasto, doveva mangiare. Dal giorno in cui fu condannato alla caducità, iniziò a soffrire i morsi della fame. Una sofferenza peggiore di centinaia di fulmini, più atroce di qualsiasi miasma di morte, più intenso del fuoco più caldo. Tale era il destino degli effimeri, anche per lui che un tempo era imperituro, immobile ed eterno. Da secoli non provava più quel senso di sazietà e di pienezza, lo stomaco non si riempiva e il suo ventre era gonfio. Forse, non avrebbe dovuto attendere poi molto per mangiare, il pasto si stava dirigendo dritto verso di lui. Stirò le ali ed iniziò a risalire dalla sua tana, con un solo pensiero per la
mente…fame.

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Capitolo 10
*** Famelico ***


Capitolo 10: Famelico
 
Oscar fu il primo a varcare la porta, iniziando a scendere la scalinata una scalinata in pietra. Thoma e Laurentius lo seguirono. I tre avventurieri scesero nello stretto e umido cunicolo in totale silenzio; rotto solo dal gocciolare dell’acqua delle fogne che permeava le pareti in pietra. Giunsero ai piedi della scalinata e si ritrovarono su una balconata. Oscar si avvicinò alla balaustra in pietra e ciò che vide lo lasciò stupefatto: la balconata si affacciava su un’immensa camera rettangolare, lunga una cinquantina di metri e larga circa la metà; vi erano disseminate una mezza dozzina di massicce colonne e sul fondo vi era una voragine nella quale andavano a confluire le acque reflue delle fogne. La cosa che più lo impressionò fu un enorme squarcio nella parete sul fondo, grazie al quale la luce del sole poteva entrare e rendere l’area ben visibile.
«Qui ci sono altre scale» disse Laurentius, che intanto aveva ispezionato la balconata.
Quegli ultimi gradini, una volta scesi, avrebbero condotto i nostri a fare ingresso nella vasta area sottostante.
«Dove dovremmo cercare questa chiave, di preciso?» domandò Oscar.
«Magari è nascosta dietro una di queste colonne, oppure legata ad uno dei canali di scolo» ipotizzò Laurentius.
«Se dobbiamo cercare allora meglio dividerci l’area in tre parti» propose Thoma «Laurentius, tu a sinistra, io al centro ed Oscar a destra» concluse.
 
 
I tre iniziarono a cercare, avanzando lentamente e scandagliando con molta cura ogni centimetro della vasta area. Oscar tastava le pareti con la spada in cerca di eventuali muri illusori o passaggi segreti, Laurentius usava la sua fiamma della piromanzia per farsi luce negli angoli più in ombra e Thoma sondava le pozze d’acqua di fogna con il tridente dell’evocatore, vedendo se incagliasse in qualcosa. Avevano perlustrato circa due terzi della stanza senza trovare nulla quando, ad un certo punto, tutto intorno a loro iniziò a tramare.
«Un terremoto?!» disse agitato Laurentius.
«No…questi sono…passi?» disse perplesso Oscar.
«Vengono dalla voragine!» fece notare Thoma, mentre la indicava con il dito della mano sinistra, mentre con la destra alzava lo scudo.
Il rumore di pesanti passi si fece sempre più incalzante e vicino, quando ad un certo punto dalla voragine emerse una creatura colossale. La prima impressione che fece ai tre avventurieri fu quella di star di fronte ad un enorme coccodrillo, ma con caratteristiche fisiche mostruose: era lungo una decina di metri, aveva sei zampe, due paia di ali, una testa sproporzionalmente piccola rispetto al corpo, un ventre gonfio, una coda mozzata e quelli che sembravano denti fuoriuscirgli dal torace. La creatura si fermò ad osservare i tre non-morti, posando i suoi piccoli occhi da rettile prima sul piromante, poi sul chierico ed infine sul cavaliere. Solo quest’ultimo però sembrò notare evidenti segni di lotta sul corpo della bestia, lacerata da ferite ancora aperte e sanguinanti.
“Cosa si trovava nelle fogne che avrebbe potuto ferire a quel modo la creatura? Non certo i ratti…” pensò il cavaliere. Un pensiero inusuale per una persona che si trovava braccato da un animale di simili dimensioni; ma non per Oscar, che per anni si era allenato abbattendo bestie feroci che terrorizzavano i villaggi interni al regno di Astora.
«È un drago…» disse Thoma, spiazzando gli altri due che per un attimo distolsero lo sguardo dalla creatura per rivolgerlo in direzione del chierico, per capire se fosse serio nella sua affermazione.
«Che intendi con…drago? Proprio quei draghi? Quei draghi che millenni fa furono cacciati e portati all’estinzione dai grandi Lord?» intervenne Laurentius.
«Le caratteristiche fisiche ricordano quelle di un drago, anche se in maniera più distorta. Nei tomi di Thorolund vi è riportato come i draghi antichi avessero due paia d’ali e le scaglie in pietra. Anche dopo la loro estinzione, questi hanno avuto dei discendenti, meno potenti e più piccoli. La disparità dovuta all’era del fuoco deve avergli...» Thoma non fece in tempo a concludere che il drago iniziò a caricarlo a testa bassa, mostrando una velocità notevole malgrado la mole.
Il chierico si trovava ad una distanza tale da consentirgli di spostarsi verso la destra del drago. Con un salto atterrò vicino Laurentius, che lo aiutò a rialzarsi. Il drago arrestò la sua corsa e si rivolse verso il chierico ed il piromante.
«Maledizione!» urlò Thoma cercando di trafiggere la zampa anteriore destra della creatura con il tridente, sperando di inficiarne la corsa. Le tre punte dell’arma riuscirono a perforane la carne solo superficialmente. Il drago sollevò la zampa colpita con l’intenzione di schiacciare il chierico, ma questa venne raggiunta da una palla di fuoco di Laurentius. La zampa si contorse la dolore ed  il drago fu costretto ad arretrarla.
«È debole al fuoco!» urlò il piromante, mentre preparava un’altra sfera incandescente.
A qual punto il drago emeise un ruggito che rimbombò per tutta la stanza e fece tremare le colonne. La creatura si diede una spinta con le due zampe anteriori e si mise con il torace in posizione eretta. Quello che videro lasciò i tre non-morti orripilati: il petto presentava uno squarcio, dal collo fin quasi all’addome, che ancora era rivolto al suolo, ai lati di questa enorme “bocca” vi erano numerosi denti.
«Credo si sia arrabbiato…» disse Thoma.
Il drago rivolse le sue fauci verso il suolo e rigurgitò tutto ciò che aveva nello stomaco. La bile inondò il pavimento, Thoma e Laurentius si trovarono per pochi secondo impantanati in quella melma. Il drago allungò la zampa anteriore sinistra verso il chierico, nel tentativo di afferrarlo. Thoma iniziò a sudare freddo e per un istante si vide afferrato e stritolato dal Drago.
«Suppongo che tornerò al falò… » disse il chierico rassegnato.
«Tu corri troppo, amico mio» disse una voce alla destra di Thoma.
Subito dopo aver udito queste parole, il chierico si sentì violentemente spinto via. Mentre cadeva vide chi lo avesse aiutato a spostarsi. Oscar, vedendo i suoi compagni in pericolo, aveva gettato via lo scudo e gli era corso il più velocemente possibile incontro. Il drago chiuse la sua morsa, tenendo Oscar ben stretto tra le sue grinfie. Sollevò la zampa e se la portò in prossimità dell’enorme bocca.
«Mi vuole divorare…» notò il cavaliere e a quel punto si affrettò per liberare almeno il braccio sinistro dalla presa «Thoma!! Passami…» prima che potesse concludere la frase si vide arrivare un sacchetto marrone tenuto chiuso da uno spago. Lo afferrò con la mano libera e guardando verso il basso vide Thoma in piedi, che aveva da poco aperto la borsa da viaggio per passargli quel sacchetto. Oscar sorrise sotto l’elmo, che ne celava il volto.
«A dopo…» disse poco prima di venire inghiottito per intero dal drago.
«No! Oscar!» urlò Laurentius che, preso dal panico, iniziò a lanciare i suoi globi infuocati, colpendo il bersaglio.
Quando il drago ebbe finito di deglutire il cavaliere, rispose ai fastidiosi attacchi del piromante lanciando un ruggito che fece di novo tremare la stanza, questa volta spalancando le maestose ma logore ali.
«Laurentius, corriamo!» disse Thoma, legandosi il tridente dietro la schiena. Nel mentre la bile che era stata rigurgitata si era dispersa e questo aveva consentito ai due avventurieri di riprendere a muoversi agilmente.
«Cosa facciamo? Torniamo al falò e ci riorganizziamo? Oscar dovrebbe essere già lì» disse il piromante, mentre correvano in direzione delle scalinate.
«Non se ne parla di ritirarsi! Lo attaccheremo dalla distanza» rispose Thoma.
Mentre i due correvano il drago iniziò a sbattere le ali, riuscendo a sollevarsi da terra di diversi metri.
«Può anche volare?!» disse Laurentius preoccupato.
«Non credo. Vista la sua mole e i danni alle ali dovrebbe essere capace di sollevarsi di poco da terra» rispose il chierico.
La creatura diede fondo a tutte le sue forze per cercare di spostarsi a mezz’aria. Purtroppo per lei, come predetto dal chierico, le quattro ali non furono capaci di sorreggerla per molto e cadde rovinosamente al suolo. L’impatto fu tale da far crollare le due colonne più vicine e generò uno spostamento d’aria che raggiunse i due avventurieri facendoli perdere l’equilibrio.
«Spero stia bene…» disse Thoma mentre si rialzava.
«Ah, io spero si sia fatto molto male cadendo» rispose Laurentius che intanto stava creando un globo di fuoco mettendoci tutta la potenza che poteva.
«Questo è per Oscar…» disse il piromante mentre la sfera nella sua mano destra cresceva di dimensione. Se quelle usate fino ad ora avevano le dimensioni di un pugno, questa era grande quanto la testa di un uomo adulto.
«Sembra molto più potente delle sfere che hai generato fino ad ora» disse Thoma, posando la mazza al suolo e prendendo il talismano dal suo cinturino.
«Si, una piromanzia di livello superiore che però richiede più energie» rispose Laurentius.
«Benissimo, allora lanciamo i nostri attacchi all’unisono. Al mio segnale» concluse il chierico, mentre la folgore prendeva forma nella sua mano sinistra.
Thoma capì bene che la tecnica del piromante fosse più lenta e con gittata minore rispetto la sua saetta, malgrado la sua potenza. Proprio per questo volle aspettare che la creatura si avvicinasse prima di dare il segnale.
Il famelico drago, ripresosi dalla caduta, iniziò a caricare i due non-morti. Il cavaliere non lo aveva saziato per niente ed era intenzionato a consumare il suo pasto.
«Adesso!» urlò il chierico, quando la bestia fu a poco meno di dieci metri da loro.
I due attacchi vennero scagliati nello stesso istante, ma la saetta impattò per prima, rallentando leggermente l’avanzata del drago; due secondi dopo arrivò anche la piromanzia di Laurentius. Per un attimo i due non-morti pensarono di poter riprendere fiato ma, quando videro la creatura riprendere a caricare, capirono di non poter abbassare la guardia.
«Non hanno avuto effetto…» disse sconfortato Laurentius.
«Impossibile…» rispose Thoma «ha incassato in pieno i nostri colpi, ignorando il dolore che gli procurano. Questa furia rasenta l’ossessione…» continuò.
«Spostiamoci o verremo travolti» disse Laurentius.
«Come può una creatura simile ridursi in uno stato così…pietoso» disse Thoma, ignorando il piromante.
«Thoma!» insistette Laurentius, strattonando il braccio sinistro del compagno.
Il chierico poggiò una mano sul petto del piromante e lo spinse via, lontano dalla portata del drago, che avanzava in linea retta. Riprese la mazza da terra e la strinse forte nella mano sinistra e lo scudo nella mano destra.
Come prima, il drago usò le zampe anteriori per darsi la spinta di rimettersi in posizione eretta ma, preso dalla sua voracità, si lanciò direttamente contro Thoma, senza cercare di afferrarlo. Il chierico si limitò a indietreggiare il più che poteva senza distogliere lo sguardo dalla creatura. Vide le fauci della bestia calare, senza riuscire a raggiungerlo, e impattare al suolo; alcuni denti si frantumarono, ma molti altri si conficcarono nel terreno. Adesso aveva, a circa un metro di distanza, quella piccola testa da rettile davanti a se. Sollevò la mazza e incominciò a colpirla ripetutamente; mettendo tutta la sua forza in ogni attacco. La bestia accusò i vari colpi inerme, non riuscendo a liberare i suoi denti  dal pavimento. Dimenava freneticamente la coda mozzata, con le quattro zampe posteriori graffiava il terreno, mentre con le due anteriori cercava di spingere fuori le sue fauci. Ad un certo punto il drago rinunciò all’idea di liberarsi, non avendo più forza nelle esili zampe. Quando Thoma vide la creatura non opporre più resistenza placò la sua foga e abbasso la mazza.
«Come ho fatto ad aver paura di te all’inizio?» disse il chierico «Certamente, il timore reverenziale che provo per la tua specie ha contribuito ad instillare in me quel sentimento, ma adesso che ti guardo bene vedo la forma miserabile a cui il fato ti ha costretto…» continuò, quando ad un certo punto sentì dei rumori provenire dallo stomaco della bestia.
Dal gonfio ventre del drago fuoriuscì una lama avvolta dalle fiamme che, muovendosi in orizzontale, ne squarciò le carni.
«Malgrado la tua forza, non sei capace di ucciderci. Una creatura che ha perso la ragione e si fa guidare da un’insaziabile fame non può vincere contro chi, come me, Oscar o Laurentius, si aggrappa alla propria umanità ogni giorno per non perdere il senno…» continuò il chierico mentre il suo sguardo indugiava sulla spada fiammeggiante.
«…la nostra determinazione non ha pari sotto il cielo di Lordran…» disse, mentre dal ventre del drago emergeva la mano insanguinata che impugnava la spada, che si dimenava per uscire.
«…per rammentarmi questa verità è stato necessario che un cavaliere di Astora si facesse divorare da te…» mentre parlava, dalla ferita emerse Oscar, ricoperto di sangue e viscere.
«…e adesso quel cavaliere si erge trionfante» concluse Thoma, mentre tirava un sospiro di sollievo, vedendo l’amico incolume.
 
 
Oscar si tolse l’elmo per ricominciare a respirare a pieni polmoni. Anche l’aria insalubre delle fogne era un toccasana rispetto al soffocante stomaco nel quale era rinchiuso. Le fiamme ancora zampillavano sul filo della sua spada. Thoma e Laurentius si avvicinarono per assicurarsi che stesse bene.
«È bello vedere che ce l’hai fatta» disse il chierico.
«Grazie alla resina carbonizzata che mi hai passato» rispose Oscar, affannato.
«Aspettate…quindi sapevi quello che stava per succedere?» chiese Laurentius a Thoma.
«Ho capito al volo quello che avrebbe fatto Oscar, non appena ho visto che lo stesse per mangiare. La sua ingordigia era tale da fargli ingoiare per intero ogni preda le capitasse a tiro» rispose il chierico.
«Hahaha per fortuna la nostra scommessa è andata bene» disse il cavaliere.
«Oscar, finisci il drago, finché la resina mantiene il suo effetto» disse Thoma con tono serio.
«Si, hai ragione. Non ha senso prolungare le pene di una creatura ferita» rispose Oscar.
I tre si avvicinarono alla testa della creatura, ormai riversa al suolo e priva della forza per fare alcunché. Il cavaliere sollevò la spada e, con un fendente deciso, mozzò di netto la testa del drago. Quest’ultimo colpo fece estinguere la fiamma che avvolgeva la lama, facendola tornare al suo aspetto ordinario.
«Quindi adesso che si fa?» esordì Laurentius «Abbiamo abbattuto un antico drago corrotto, ma non abbiamo trovato la chiave per accedere a Blighttown.
«Veramente, mentre mi trovavo nel ventre della bestia ho trovato questa» disse Oscar mostrando una massiccia chiave, arrugginita e coperta di sangue.
«Il drago aveva mangiato la chiave?» disse Thoma incredulo «per fortuna non è stata digerita» concluse.
«Hai ragione, forse è stata avvolta con un incantesimo per evitare che si corrodesse a causa dei succhi gastrici» ipotizzò Oscar.
«Questo vorrebbe dire che è stata fatta mangiare al bestione, per custodirla forse» disse Laurentius.
«Penso tu abbia raigone, Laurentius. Adesso, posiamo anche tornare al falò» disse il chierico.
 
 
Lo sguardo di Rozalia, nonostante fosse rivolto al falò, era perso nel vuoto. Il fuoco crepitava illuminando il buio delle fogne con la sua luce. Ad un certo punto si iniziarono ad udire rumori di passi dalla scalinata alla sua sinistra. Dopo pochi secondi i tre avventurieri non-morti emersero dall’oscurità, nello stesso ordine con cui vi erano entrati.
«Avete recuperato la chiave e siete tornati indietro, tra l’altro senza che nessuno di voi venisse ucciso e tornasse al falò. Congratulazioni» disse la guardia in tono formale.
«Sapevi che a far la guardia alla chiave c’era un drago antico?» chiese Thoma.
«In quanto guardina del falò non sono tenuta a sapere ciò che attende gli avventurieri non-morti. Quindi no: non avevo idea di cosa ci fosse oltre il varco» rispose Rozalia.
«Cosa importa?» intervenne Oscar «Siamo tornati vittoriosi con la chiave. Riposiamoci, così da essere in piene forze quando entreremo a Blighttown» concluse.
Così i tre si misero a sedere attorno a falò e qui vi rimasero per diversi minuti, in modo da rifocillarsi e riorganizzare le scorte di oggetti utili alla discesa. Quando ebbero riposato a sufficienza, si alzarono e si avvicinarono al massiccio portone in legno. Oscar inserì la pesante chiave nella serratura, la girò e sentì le mandate della porta scattare. Il cavaliere afferrò i due anelli in metallo agganciati al legno della porta e iniziò a tirare; il passaggio si aprì.
«Molto bene» disse Oscar, riposizionandosi l’elmo sul capo «possiamo proseguire» concluse.
«Avventurieri, vi auguro di raggiungere la campana. Possa il sole illuminarvi il cammino» disse la guardiana. I tre fecero un cenno di assenso e proseguirono.
 
 
La giornata volgeva al termine e per Mildred la caccia non era andata molto bene, non essendo riuscita a trovare molte prede da portare alle sorelle, in più quel giorno faceva più caldo del solito e la mangiauomini pensò di togliersi per un po’ il sacco che le copriva il viso. Quando la cacciatrice arrivò a casa notò subito la porta aperta. Mildred entrò e scese cautamente nella sua tana. Quando vide il corpo decapitato di una delle sue sorelle, si lasciò cadere il sacco dalle spalle per lo sgomento. Si avvicinò al corpo, notando anche i cadaveri dei loro cani. A quel punto senti del lamenti venire dal piano disotto, così scese le scale e trovò l’altra sua sorella agonizzante riversa al suolo. Le andò incontro e la prese tra le sue braccia, la mangiauomini aveva il viso ustionato e perdeva sangue da delle profonde ferite sul collo. Mildred capì di non poter fare niente ed iniziò a singhiozzare per la disperazione. La sorella, alzando il braccio, indicò il canale nel quale erano solite gettare le carcasse e i resti che non gli servano.
«Non…morti…lì» disse con il suo ultimo filo di voce, prima di spirare e lasciar cadere di peso il braccio.
Mildred rimase minuti interi ad abbracciata al corpo della sorella, piangendone la morte. Quando ebbe sfogato il suo dolore si alzò e si avvicinò al banco da cucina, prese la mannaia più grande che riuscì a trovare e si diresse verso le fogne, decisa a sfogare anche la sua collera.

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Capitolo 11
*** Blighttown ***


Capitolo 11: Blighttown

La discesa di Blighttown si dimostrò impervia come immaginato. L’ingresso alla città era permesso attraverso la discesa di un enorme pozzo, con l’uso di una scala a pioli. Appena entrati furono accolti da un grosso infetto armato di clava che, non appena li vide, lanciò un poderoso urlo per poi caricarli. Oscar si fece avanti, schivò il primo colpo di clava passandogli sotto il braccio, gli arrivò alle spalle e, tramite un rapido fendente, gli procurò uno squarcio sulla schiena. Laurentius completò l’opera scagliando uno dei suoi globi di fuoco. L’infetto, preso dal panico, iniziò a dimenarsi agitando la clava in ogni direzione. Dopo alcuni secondi di panico, il bruto scomparve inghiottito dal buio, mentre la sua voce si faceva sempre più lontana. Laurentius si avvicinò nel punto dove si trovava il nemico e, attivando la mano della piromanzia per farsi luce, notò che vi era il vuoto. In quel momento capirono di trovarsi su una struttura in legno che si sviluppava in verticale. Si affacciarono oltre e videro che vi erano altre strutture simili collegate tramite ponti di legno, però non riuscirono a vedere il fondo.
«Laurentius, tieni la fiamma attiva; Thoma, passami un altro sacchetto di resina carbonizzata.» disse Oscar «la struttura dove ci troviamo non sembra avere sbocchi verso il basso, dobbiamo attraversare il ponticello per andare avanti.» concluse.
Thoma passò la resina ad Oscar, il quale l’applico sulla spada.
«Consumata questa, ci rimangono ancora tre sacchetti di resina carbonizzata.» disse Thoma.
Iniziarono ad avanzare; Oscar apriva la fila, Thoma in mezzo e Laurentius dietro. Erano quasi arrivati dall’altra parte, quando Oscar sentì qualcosa sibilare in aria ma, prima che potesse fare niente, venne colpito alla coscia sinistra.
«Aah! Un dardo!» urlò il cavaliere.
Thoma fece appena in tempo a voltarsi nella direzione da cui era venuto l’attacco, quando un secondo dardo gli passo vicino, graffiandogli la guancia.
«L’ho visto» disse il chierico, caricando una saetta e scagliandola nel buio.
Il miracolo impattò sul bersaglio, la luce della saetta illuminò l’artefice di quegli attacchi: un uomo esile e vestito di pochi stracci, con una cerbottana nella mano destra. Il nemico fu preso da convulsioni prima di cadere senza vita nel vuoto.
I tre si affrettarono a raggiungere l’altra parte del ponticello; poco prima di arrivare però si imbatterono in altri due infetti, allarmati dall’urlo di prima. Oscar posò la spada a terra e prese due coltelli da lancio dal cinturino, li scagliò colpendo i due nemici alla gola e uccidendoli sul colpo. Arrivati alla struttura, Oscar si accasciò ad una parete in legno e si tolse l’elmo.
«Mi gira la testa…» disse il cavaliere, con il respiro pesante.
«Stai sudando freddo.» notò Thoma mentre estraeva il dardo dalla coscia del compagno per analizzarlo.
Dopo qualche secondo rimasto ad osservare l’arma il chierico iniziò a scavare nella sua borsa, estraendo del muschio viola con dei piccoli fiori bianchi sopra.
«Mastica questo…» disse, porgendo il muschio ad Oscar.
Il cavaliere mangiò e dopo qualche minuto iniziò a sentire le forze ritornare, i brividi di freddo erano scomparsi, così come il giramento di testa.
«Come hai fatto?» chiese Laurentius.
«Quei maledetti usano dardi avvelenati. Il muschio purpureo è un ottimo antidoto per i veleni; però vista la rapidità con cui ha avuto effetto la tossina ho dedotto che fosse molto potente, quindi ho usato un muschio che fosse anche fiorito, così da avere un effetto curativo maggiore.» spiegò il chierico.
«Uno dei dardi ti ha colpito al volto, come ti senti?» chiese Laurentius.
«Non ti preoccupare, la ferita è superficiale, il dardo mi ha appena sfiorato. Per sicurezza prenderò del muschio non fiorito.» disse Thoma, prendendone una piccola manciata e mangiandosela.
«Adesso ci rimane un solo ciuffo di muschio fiorito e quattro non fioriti…» concluse.
«Sei ben rifornito, vedo.» notò Laurntius.
«Diciamo che abbiamo fatto scorta prima di scendere nelle profondità.» rispose Thoma.
«A resina come stiamo messi?» chiese Oscar, ancora seduto, mentre beveva un sorso di Estus per riprendersi.
«Una carbonizzata, tre dorate e una marcia.» rispose il chierico.
«Bene, l’effetto della resina sulla mia spada è ancora attivo. Proseguiamo.» disse Oscar, alzandosi e rindossando l’elmo.
«Possiamo iniziare la discesa dalla struttura su cui ci troviamo, ci sono delle scale a pioli.» notò Laurentius.
Scale e ponticelli in legno collegavano le varie case di fortuna costruite dagli infetti. Le diverse interconnessioni creavano numerosi passaggi da intraprendere, ma dai quali poteva anche arrivare un agguato. Una baraccopoli in legno, labirintica e con insidie dietro ogni angolo. La discesa, per quanto cauta, si dimostrò relativamente più veloce di quanto ipotizzato dai tre non-morti; gli infetti erano fisicamente più deboli e mal equipaggiati, l’unica cosa su cui potevano contare era la conoscenza del territorio, potendo così puntare sull’effetto sorpresa. I tre stavano avanzando in un’altra stanza quando ad certo punto sentirono degli infetti scendere da delle scale sulla destra.
«Questo sarebbe il loro effetto sorpresa? Tolti i cerbottanieri, tutti gli altri fanno un casino infernale quando si muovono. Sembra di vedere bestie che marciano.» disse Oscar.
Thoma guardava le scale quando sentì un leggero ringhiare provenire dalle sue spalle, un rumore quasi coperto delle urla dei bruti. Si girò verso l’entrata da cui erano venuti e vide un cane saltargli addosso. Fece appena in tempo ad alzare il piccolo scudo rotondo che si ritrovò riverso per terra, con il cane che cercava di mordergli la faccia. Oscar allungò la sua spada e trafisse la bestia.
«Anche gli animali sono stati infettati dalla pestilenza.» notò il cavaliere.
«Sono qui!» disse Laurentius, scagliando un globo di fuoco in direzione delle scale e colpendo un infetto che iniziò a dimenarsi.
Alcuni assi in legno iniziarono a prendere fuoco.
«Attento con la piromanzia, Laurentius.» lo ammonì Oscar «se esageriamo con il fuoco, l’intera struttura ci cadrà addosso.» concluse il cavaliere, allontanandosi da Thoma per concentrarsi sui bruti appena comparsi.
Thoma si tolse la carcassa di dosso e si rialzò. Nel rimettersi in piedi vide che un infetto, enorme ed armato di un grande randello, si sporgeva da un’impalcatura sopraelevata rispetto la loro posizione. Capì che fosse in procinto di saltare.
«Sopra di noi!» urlò il chierico, stringendo il talismano nella mano sinistra e caricando la lancia del fulmine.
Prima di poter scagliare l’attacco, il chierico fu colto da una fitta di dolore che lo lasciò paralizzato per qualche secondo. Oscar e Laurentius alzarono lo sguardo e videro l’infetto saltare dall’impalcatura. I due non-morti smisero di combattere e si spostarono, facendo andare a vuoto l’attacco dell’energumeno. L’impatto di quel salto fece cedere il pavimento della struttura, già messo a dura prova dal peso dei combattenti e dal fuoco della piromanzia. I tre avventurieri precipitarono nel vuoto, senza riuscire a trovare alcun appiglio. Il buio li inghiottì.
 
 
Le fogne erano particolarmente rumorose quel giorno, l’unica cosa che Rozalia riusciva a capire era che qualcuno stesse facendo strage di ratti correndo ed urlando per tutti i cunicoli delle fogne. Quando Mildred girò l’angolo la sua attenzione venne direzionata verso il falò. Si avvicinò lentamente verso la guardiana, fino a trovarsi a qualche metro da lei.
«C’è puzza…» disse la mangiauomini.
«Ci troviamo nelle fogne, fai un po’ tu.» rispose ironica Rozalia.
«…di non-morti. Sono loro…» continuò Mildred.
La guardiana del falò capì che stesse cercando Oscar, Thoma e Laurentius.
«Ma qui ci sono solo io, come vedi.» replicò.
«No vedo, sento…» disse la bruta donna, annusando l’aria e volgendo lo sguardo verso l’ingresso di Blighttown.
«Potresti non tornare. Per molti Blighttown rappresenta un viaggio senza ritorno.» l’avvertì Rozalia.
Mildred non le diede ascolto e varcò la soglia della città infetta, colma d’ira.
 
 
Il risveglio per Laurentius non fu piacevole: non si sentiva più le gambe, sentiva un bruciante dolore all’addome e capì di essere immerso in almeno dieci centimetri di acque paludose.
«Laurentius, resisti amico.» disse una voce a lui vicina, ma era così stordito da non capire chi fosse.
Il piromante si sentì sollevare di peso dall’acqua paludosa, Oscar era inginocchiato alla sua destra e lo reggeva con il braccio sinistro mentre con il destro prendeva la fiaschetta Estus legata al cinturino.
«Reggi questa e bevi quando te lo dico. Adesso sentirai un po’ di dolore.» disse il cavaliere, mentre Laurentius afferrava la fiaschetta con la mano sinistra.
Il piromante abbassò lo sguardo e vide Oscar afferrare, con la mano destra, un pezzo di legno che gli si era conficcato nell’addome, ed estrarglielo con un movimento deciso. Lurentius fu colto da un dolore lancinante e quasi perse la presa sulla fiaschetta.
«Bevi, prima di perdere troppo sangue.» disse Oscar, dando una mano al piromante ad avvicinare la fiaschetta alla bocca per bere.
Laurenitus era sul punto di perdere i sensi, quando bevve il primo sorso. Da quel momento cominciò a sentirsi sempre più rinvigorito. Fece un secondo sorso e gli tornò la sensibilità alle gambe. Dopo un terzo sorso il dolore all’addome si affievolì fino a scomparire. Il piromante ritrovò le forze per rimettersi in piedi.
«Per gli dei!» esclamò Oscar «Eri in una condizione veramente critica, mi hai anche svuotato la fiaschetta hahahah.» disse Oscar.
«Grazie…e scusa se ti ho svuotato la Estus.» disse il piromante con tono sommesso.
«Non pensarci nemmeno a scusarti, anch’io ho dovuto berne un sorso appena ripresomi. Piuttosto, cerchiamo Thoma.» disse Oscar.
«Qui…qui…» disse una flebile voce alle loro spalle.
Entrambi si girarono e videro un mucchio assi di legno spezzate. Seppellito da quelle assi, c’era il corpo di Thoma. Oscar e Laurentius si affrettarono a spostare le assi e notaro che il chierico non riuscisse a muovere nemmeno un muscolo.
«Muschio…» disse Thoma, con lo sguardo perso nel vuoto.
Laurentius scavò nella borsa dell’amico e prese l’ultimo ciuffo di muschio fiorito, glielo avvicinò alla bocca e lo aiutò a masticare e deglutire. Oscar gli prese la fiaschetta dal cinturino e lo aiutò a bere, il chierico fece due sorsi prima di riprendere la forze. Quando si fu ripreso si mise a sedere.
«Eri avvelenato…» notò Oscar.
«Si, a quanto pare. Anche se solo con un graffio e in quantità minore, la tossina mi era entrata in circolo facendo effetto più lentamente.» spiegò il chierico.
Laurentius si guardò intorno.
«Siamo in una palude?» chiese.
«La caduta ci ha fatto raggiungere il fondo di Blighttown. Non è stata mortale, ma ci siamo andati vicini. Nel mio caso i corpi di alcuni infetti hanno attutito la caduta.» disse Oscar.
«Quello è un falò…» disse Thoma rialzandosi e indicando un enorme canale di scolo fognario, vicino una parete rocciosa.
«Vero, anche se sembra spento. Deve essere il falò precedente al dilagare della piaga.» aggiunse Laurentius.
Mentre i tre avventurieri rivolgevano il proprio sguardo al falò, un enorme bruto emerse dalle macerie della struttura in legno. Caricò rabbioso i nostri ma, prima di poter mettere le mani su di loro, qualcosa cadde dall’alto e gli spezzo la schiena. I tre non-morti si voltarono e videro una donna, con un sacco in testa e armata di mannaia, sopra un infetto agonizzante al suolo. Mildred conficcò la mannaia nella testa dell’enorme infetto, uccidendolo, poi volse lo sguardo davanti a se.
«Voi ucciso sorelle.» disse.
«Ma chi…» stava per chiedere Thoma.
«Una delle mangiauomini, quella che ha tenuto un agguato a me e ai miei amici.» disse Laurentius.
Oscar e Thoma sembravano increduli.
«Non fatevi ingannare dal fatto che sia più minuta delle sorelle; in quanto a forza fisica non è da meno.» continuò il piromante.
«Vorrà vendicare le sorelle. Ma contro noi tre non potrà fare molto.» disse Thoma.
Mildred scattò in avanti, puntando Oscar. Il cavaliere alzò il suo nero scudo e parò il primo colpo di mannaia, anche se questo fu sufficiente a fargli perdere l’equilibrio. Thoma intervenne, cercando di colpirla con la mazza. Mildred si volto, alzò la mannaia e parò il colpo con la parte piatta della lama, poi con un calcio ben assestato scaraventò il chierico per terra. Riprese a colpire freneticamente Oscar, il quale sfruttava lo scudo per parare e la spada per deviare i pesanti colpi della mangiauomini. Il cavaliere non riusciva a trovare il momento adatto per contrattaccare, preferendo così aspettare che l’avversario si sfiancasse. Mildred percepì del calore alla sua sinistra, si girò e disperse il globo di fuoco che le era stato scagliando contro, semplicemente agitando la mannaia.
«Sono qui. Ti ricordi di me?» disse con tono provocatorio Laurentius.
«Tu…?» Mildred smise di attaccare Oscar e cercò di ricordare.
«Tu vuoi vendicare le tue sorelle, io i miei amici Olaus e Sven. Oscar, non interferire.» continuò il piromante.
«Laurentius, non sappiamo se i tuoi amici stiano bene o meno, quindi non fare avventatezze…» lo avvertì Oscar.
«L’avevo capito dal momento in cui mi ero risvegliato, solo e legato in quel barile, che i miei amici fossero stati cannibalizzati da queste bestie. Anche se lo negavo a me stesso.» rispose il piromante.
«Non è saggio…» disse il cavaliere.
«No…ma è personale.» concluse Laurentius, caricando e scagliando un secondo globo infuocato alla mangiauomini.
Mildred disperse anche questa piromanzia, per poi assalire colui che l’aveva lanciata. Laurentius si poggiò la mano destra sul petto. Mildred puntò al collo, sicura che non avrebbe sbagliato visto che la sua preda sembrava non voler opporre resistenza. La lama calò precisa e con una potenza tale che avrebbe tagliato di netto qualsiasi testa. Oscar era sul punto di intervenire, ma si fermò quando vide un pezzo della lama della mannaia volare via. La lama non era riuscita a lacerare nemmeno di un millimetro la pelle di Laurentius, che adesso sfoggiava una colorazione bluastra.
«Questa è Pelle ferrea!» disse il piromante «Mentre questa…» bloccò il braccio armato di Mildred con la mano sinistra e afferrò la faccia della stessa con la mano destra.
«…combustione!» con queste parole, dalla mano divamparono delle fiamme che avvolsero la mangiauomini in un battito di ciglia.
Mildred si dimenava nel tentativo di liberarsi; la presa al suo braccio destro era salda, come se le avessero messo una manetta d’acciaio. Se la mannaia non era riuscita a ferirlo, colpirlo con calci e pugni sarebbe stato inutile. Provò a sollevarlo per lanciarlo via di peso, ma il piromante era pesane come il piombo e non si spostava di un millimetro.
«Combustione!» disse Laurentius e una seconda fiammata divampò, avvolgendo Mildred.
La donna non poteva liberarsi da quella presa, le fiamme le stavano bruciando la carne, iniziavano a mancarle anche le forze per opporre resistenza. Stava morendo.
«Combustione!» una terza vampa fu generata dalla piromanzia di Laurentius.
Mildred lasciò la presa della mannaia e spirò. Le fiamme si estinsero e quello che rimaneva era un corpo carbonizzato, dal quale non si poteva riconoscere la donna che li aveva aggrediti pochi minuti prima.
«Comb…»
«Laurentius!» lo chiamò Oscar «Basta così, non infierire sul cadavere» concluse.
«Ma io…devo vendicare i miei amici.» rispose il piromante.
«Li hai vendicati. Questo mostro non potrà far del male più a nessuno.» intervenne Thoma, che si era rialzato.
«Tutto il male che gli ha fatto, il male che ha fatto a chissà quanti. Voglio sfogare la mia rabbia, questo non basta.» rispose Laurentius.
«La tua rabbia non è solo verso la mangiauomini, vero?» disse Thoma.
Oscar e Laurentius lo guardarono perplessi.
«Lo è anche verso di te…» conlcuse.
Il piromante guardò il vuoto per qualche secondo, poi alzò lo sguardo verso il chierico.
«Fossi stato più attento, avrei potuto difenderci dal suo agguato. Ci hanno catturati per colpa mia, e nonostante questo io sono l’unico ad essere sopravvissuto. Mentre loro venivano divorati io ero privo di sensi. Mentre queste bestie li trucidavano io stavo dormendo!» disse mentre calde lacrime iniziarono a rigargli il viso.
«So cosa provi…» intervenne Thoma «…perché è quello che provavo io ogni volta che gli uomini del duca venivano a prendere i miei fratelli della Via Bianca, a Thorolund. Ogni volta che uno di loro veniva colpito dalla maledizione e deportato, mi chiedevo perché non fosse successo a me o se ci fosse qualcosa che avrei potuto fare per loro. Persone straordinarie, a cui volevo bene, se ne sono andate davanti i miei occhi senza che potessi fare o dire niente. Odiavo il duca Seth e i suoi uomini, ma soprattutto odiavo me stesso…» continuò Thoma.
«Come sei riuscito ad andare avanti?» chiese Laurentius.
«Ho iniziato a vivere anche per loro…» disse «Ho cercato di vivere con più impegno e dedizione e ad apprezzare ogni momento che passavo ad apprendere, divertirmi, allenarmi, pregare…perché c’erano persone migliori di me che non potevano farlo…non più» concluse.
Laurentius guardò il chierico, poi il cavaliere. Infine, si guardò la mano destra, con il fuoco della piromanzia che ancora era attivo. Lasciò andare il corpo di Mildred.
«Hai incanalato la rabbia che provavi per te stesso e resa energia per migliorarti e fare del bene. Non è diverso da ciò che facciamo noi piromanti con la fiamma…» si prese qualche secondo di pausa «…vivrò anche per Olaus e Sven.» concluse.
 
 
I tre avventurieri si presero alcuni minuti di riposo sedendosi al falò dal quale, essendo spento, non potevano trarre l’effetto rinvigorente.
«Rozalia ha detto che la guardiana di questo falò è stata uccisa quando è scoppiata questa pestilenza. Il falò si deve essere spento alla sua morte.» disse Oscar.
«In effetti, le guardiane legano se stesse al falò. Il falò al Santuario del Legame del Fuoco ha aumentato il suo effetto curativo quando abbiamo dato l’anima alla guardiana.» intervenne Thoma.
«Vero. Chissà se l’anima di guardiana trovata alla chiesa dei non-morti era l’anima della guardiana di questo falò.» continuò Oscar.
«L’anima di una guardiana è qualcosa di speciale, proprio perché mantiene viva la fiamma. In alcuni testi viene spiegato come le guardine siano portatrici di una grande quantità di umanità.» disse il chierico.
«Quindi…è come se i falò si alimentassero ad umanità.» concluse il cavaliere.
I due rimasero qualche secondo in silenzio a guardare il vuoto, riflettendo su queste loro considerazioni. Ad un certo punto, il piromante interruppe questo flusso di pensieri.
«Ragazzi, qui ci sono due bauli…» fece notare il piromante, che stava illuminando gli angoli più bui del canale di scolo con la mano della piromanzia.
Oscar e Thoma si alzarono per andare a vedere. Laurentius aprì il primo baule, dentro vi trovò una veste color cremisi, una pergamena ed una chiave.
«Quest’abito è di un guaritore.» notò Thoma.
«Rozalia ci ha parlato di una donna dalla veste cremisi che aveva tentato di curare gli infetti dalla pestilenza.» intervenne Oscar.
«Suppongo che avesse intenzione di farlo con questa stregoneria.» disse Laurentius, mentre leggeva la pergamena «La stregoneria riportata qui prende il nome di Rimedio, e sarebbe dovuta essere la panacea per le tossine di questo luogo. Forse è stata uccisa prima che potesse perfezionarla.» concluse, mentre porgeva la pergamena ad Oscar affinché la riponesse nella cassa senza fondo.
«La chiave la tengo io, capiremo cosa apre.» disse Thoma «Vediamo il secondo baule» concluse.
Dentro vi trovò solo una pergamena, l’aprì e la lesse.
«Questo può interessare a te.» disse il chierico, porgendo la pergamena a Laurentius.
«Forza Interiore…» lesse con stupore il piromante.
«Una piromanzia importante?» chiese Oscar.
«Appartiene alla grande maestra piromante Carmina, vissuta più di cento anni fa. La sua arte della piromanzia era veramente pionieristica, catalizzando la fiamma per scopi diversi da quelli offensivi. Lei ha creato Pelle Ferrea e adesso, con Forza Interiore, conosco tutte e tre le piromanzie di supporto che ha ideato.» rispose Laurentius.
«Tre piromanzie?» chiese Thoma.
«Si, la terza non la conoscete. Magari, se ne avremo occasione, ve la mostrerò.» rispose Laurentius «Ma Forza Interiore…la pergamena che ne spiegava l’utilizzo era ritenuta scomparsa insieme a Carmina. Perché si trovava in questo luogo? Devo essere il primo piromante che posa gli occhi su questo tesoro dopo anni.» disse entusiasta.
«Tu più di tutti puoi capirne il valore, se vuoi la posso tenere al sicuro nella mia cassa.» disse Oscar.
Laurentius gliela diede senza esitare, non poteva permettere che si danneggiasse. Il cavaliere la sistemò e poi si avvio verso il falò. Thoma lo stava seguendo quando Laurentius lo fermò.
«Thoma, aspetta! Voglio darti una cosa.» disse il piromante.
Il chierico iniziò ad ascoltare incuriosito. Il piromante pose la mano destra in avanti, con il palmo rivolto verso l’alto, attivò la mano della piromanzia e da essa emerse una piccola fiammella che iniziò a galleggiare a mezz’aria.
«Che cos’è?» chiese Thoma.
«La fiamma della piromanzia può essere donata parzialmente o totalmente ad altri. La piccola fiamma che vedi è una parte della mia. Voglio donarla a te.» spiegò.
«Sei sicuro? Questo non indebolirà la tu fiamma?» chiese Thoma.
«No. Come ti ho spiegato, la fiamma cresce con noi e le nostre abilità. Questo vuol dire che la mia non perderà il suo vigore e quella che ti sto donando può ottenerne tanto se ti applichi.» spiegò Laurentius.
Thoma era solito usare i miracoli tenendo il talismano nella sinistra, quindi pensò che avrebbe potuto utilizzare le piromanzie con la destra. Allungò la mano ed afferrò la piccola fiammella, questa le si avvolse intorno e generò una modesta fiamma della piromanzia.
«Adesso è debole, ma quando saremo tornati al Santuario del Legame del Fuoco potrei addestrarti alle arti della piromanzia.» disse Laurentius, un po’ nervoso.
«Ne sarei onorato…» disse Thoma, porgendogli la mano.
Laurentius gliela strinse con vigore e sorrise.
«Sembra che dovrò iniziare a chiamarti maestro hahahah.» concluse il chierico. Laurentius rise di gusto sentendo questa frase.
«Ragazzi, venite un po’ a vedere.» disse Oscar.
«Che succede?» chiese Thoma.
«Problemi...succedono problemi.» rispose il cavaliere.
Thoma e Laurentius si avvicinarono all’uscita del canale di scolo e guardarono dove Oscar gli indicava. Dall’altra parte della palude c’erano degli infetti enormi, alcuni armati di clava, altri con massi giganti.
«Mi hanno visto mentre uscivo ed hanno iniziato ad armarsi.» spiegò Oscar.
«Affrontarli non è il caso, dovremmo trovare un’uscita.» replicò Thoma.
«Lì a destra c’è un passaggio.» intervenne Laurentius.
Tutti si voltarono a destra e notarono veramente una caverna sul fondo della palude, su una piccola altura.
«Ma come faremo? Ci impantaneremo nelle acque paludose, saremo lenti e quelli possono lanciarci i massi contro.» disse Oscar.
«Ho un’idea.» disse Thoma mentre scavava nella sua borsa, prendendo un anello arrugginito.
«Questo è uno dei tre anelli che ho trovato nelle casa nel borgo dei non-morti. Gli anelli di questo tipo vengono incantati per conferire diverse abilità al suo portatore. La ruggine che si è formata intorno non è naturale, è l’effetto di un incantesimo che conferisce grande agilità al portatore anche su terreni fangosi o paludosi» spiegò il chierico.
«Impedisce di impantanarsi. Ho capito il tuo piano: uno farà da esca, indossando questo anello e riuscendo a schivare i massi degli infetti; mentre gli altri due, più lenti, potranno dirigersi al passaggio.» disse Oscar mentre allungava la mano per prendere l’anello, ma Thoma la ritrasse.
«Hai indovinato. Ma andrò io, visto che indossi un’armatura in metallo saresti comunque più lento di me.» disse il chierico.
Oscar era visibilmente titubante, ma dopo qualche secondo acconsentì al piano.
«Ti darò un segnale con la freccia dell’anima, quando saremo arrivati.» disse.
Thoma indossò l’anello al mignolo sinistro ed iniziò a correre in contro agli infetti per poi virare a sinistra. Quando il gruppo di brutti rivolse la sua attenzione verso il chierico, Oscar e Laurentius iniziarono a correre a destra. Le acque paludose li rendevano molto lenti, avrebbero raggiunto il passaggio nel giro di qualche minuto. Mentre camminavano Laurentius notò alla sua destra un mulino ad acqua, che sembrava fungere da ascensore per salire su una piattaforma in legno sopraelevata.
«Forse conduce ad un’uscita fuori dalle fogne. Dopo aver suonato la campana andremo a vedere.» disse Oscar.
I due non-morti raggiunsero il passaggio e, prima di entrare, Oscar lanciò una freccia dell’anima in cielo come segnale. Si assicurò che Thoma lo vedesse e fu rincuorato quando vide il chierico cambiare direzione e correre verso di loro. Thoma sentiva l’acqua di palude scorrergli sui piedi come se fosse aria, riuscendo a correre come se stesse sulla terra ferma. Fare zig-zag per evitare i massi non fu difficile, aveva il fiato per farlo. In poco meno di un minuto arrivò al passaggio con gli altri. Tutti e tre vi entrarono di corsa, prima che gli infetti li raggiungessero.
«Aspettate…non ci seguono.» notò Thoma.
Effettivamente, i bruti si erano fermati a pochi metri dalla caverna e non lanciavano nemmeno i loro massi, come se avessero rispetto e timore per quel luogo.
«Guardate le parti..» disse Laurentius toccando una parete e mostrando come fossero interamente ricoperte di ragnatele.
La caverna era profonda, ma non si riusciva a vedere la fine. Oscar capì che qualsiasi cosa li attendesse dall’altra parte di quel passaggio, aveva creato le ragnatele e che gli infetti ne avevano paura.
«Inizia a fare caldo.» disse il cavaliere.
I tre non-morti proseguirono.
 
 
Per Mildred non fu difficile fingersi morta, ormai l’unica cosa che la distingueva da un cadavere era la sete di vendette. Non sentiva nemmeno più dolore, le fiamme le avevano bruciato tutti i nervi.   Cominciò a strisciare nella palude in cerca di un modo per salvarsi. Ad un certo punto sentì dei passi dietro di lei. Girò la testa per quel che poteva e vide un gruppo di infetti che la fissavano. Non aveva più forze, era inerme, e quegli infetti l’avrebbero divorata. Ad un certo punto sentì dei passi anche difronte; si rivolse in avanti e vide delle esili gambe ricoperte di fasciature. I diversi infetti guardarono con curiosità la misteriosa figura appena comparsa.
«Cosa avete da guardare? Sparite feccia!» intimò l’uomo.
Uno degli infetti si irritò e cercò di colpirlo con il suo enorme randello. L’uomo alzò il braccio destro e contemporaneamente si spostò di lato. Il bruto non solo mancò il bersaglio, ma dopo qualche secondo la testa gli si stacco dal collo e poi tutto il corpo cadde rovinosamente al suolo.
«Qualcun altro?» disse l’uomo, rivelando di impugnare una mannaia scheggiata nella mano destra.
Ebbero tutti paura, così il gruppo di infetti si disperse.
«Carina la tua arma, Mildred, anche se rozza. L’ho raccolta poco fa, credo ti sia caduta.» disse l’uomo.
Mildred gli afferrò una caviglia, alzò lo sguardo e cerco di rivolergli un sorriso. Era felice di vederlo.
«Oh, no no no no…» disse l’uomo, mentre si ritraeva con disgusto «non posso aiutarti, anche se volessi. E comunque, non voglio. La tua furia vendicativa ha quasi ucciso le mie speranze. Quei due sono interessanti.» concluse.
Mildred iniziò ad emettere alcuni gemiti, cercando di raggiungere l’uomo con le sue braccia.
«Lo so, tu e le tue sorelle avete fatto tanto per me, dandomi una mano a ripulire la parte basa del borgo. Come compenso, ti riunirò a loro.» disse l’uomo sollevando la mannaia con entrambe le mani.
Mildred capì che non avrebbe ricevuto aiuto da quella persona e smise di cercarlo, chiuse gli occhi e immaginò di avere le sue sorelle davanti e di abbracciarle.
«Addio, amica mia.» l’uomo bendato calò la mannaia, decapitando Mildred.
«Ti lascio la mannaia.» disse, pulendosi le mani sugli stracci che indossava.
«Mi ha disobbedito per vendicare le sue sorelle…» disse, per poi volgere uno sguardo al passaggio di ragnatele intrapreso dei tre non-morti.
«Tu la puoi capire, vero? Vecchia strega?» concluse, per poi riprendere il suo cammino.

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Capitolo 12
*** Caos ***


Capitolo 12: Caos
 
Il cavaliere, dall’armatura ricoperta di spine metalliche, sedeva al falò impugnando la sua spada con la destra, anch’essa ricoperta di spine. Aveva l’aria di qualcuno che si stava preparando alla battaglia. Un secondo uomo, con dei bozzoli sulla schiena, così pesanti da essere costretto a stricare, si avvicino al cavaliere di spine.
«Cosa vuoi, Eingyi?» chiese il cavaliere.
«Sembri pensieroso…tutto bene, Kirk?»
«Ho avuto giorni decisamente migliori.»
«Immagino che sia stato come rivedere un fantasma.»
«Preferivo se quel fantasma fosse rimasto nei miei incubi.» disse Kirk, stringendo forte il manico della sua spada.
«Hai fatto benissimo a tornare al falò. Lady Quelaag ha sigillato il passaggio per Izalith e adesso sorveglia la zona. Niente arriverà a noi.» disse Eingyi, cercando di rassicurare il cavaliere.
«Mi interessa poco di Izalith, tutto quello che voglio è servire e proteggere la mia Nobile Signora. I fantasmi del passato non mi fermeranno.» disse Kirk con tono risoluto «E poi…» continuò.
«…non credo che saremo soli in questa battaglia.»
 
 
I tre non-morti avanzarono nella caverna a passo lento, osservandone ogni centimetro. Non si sarebbero fatto sorprendere dall’agguato di nessuna creatura. Ad un certo punto, si imbatterono in un gruppo di strani individui: erano riversi per terra, sulla schiena avevano diversi bozzoli che li costringevano in quella posizione. Tutti si trovavano nell’atto di pregare. Superato questo gruppo di persone e raggiunta la fine della caverna, si ritrovarono in una grande stanza, con il pavimento in pietra e le pareti ricoperte di ragnatele anch’esse. Sul fondo della sala vi era una scalinata. I tre avventurieri avanzarono in direzione della scalinata, quando furono colti di sorpresa da una voce femminile, che riecheggiò per tutta la stanza.
«Fermi dove siete, stranieri!» disse.
Dalle scalinate emerse la creatura che aveva urlato: un ragno gigante con fiamme che bruciavano sul dorso. Sulla testa del ragno vi era attaccato il busto di una donna, armata di spada ricurva.
«Tu chi sei?» si fece avanti Oscar.
«Venite in casa mia e vi abrogato il diritto di fare domande?» parlò la donna sulla testa del ragno.
«Siamo tre non-morti. Il nostro scopo è suonare la campana del risveglio.» continuò il cavaliere.
«La campana che cercate si trova esattamente oltre questa scalinata.»
«Ci dispiace di essere entrati nel suo dominio, ma avremmo assoluta necessità di suonare la campana. Ci permette di passare di passare?» chiese Thoma, cercando di essere il più affabile possibile.
«In questo momento non permetto a nessun forestiero di passare. Tornatevene da dove siete venuti.» replicò la creatura.
«Temo che di non poterlo fare. Abbiamo fatto troppa strada per tornare indietro adesso.» rispose Oscar.
«Allora morirete per mano di Quelaag, strega del Caos.» disse la donna, indicandosi con la mano sinistra.
La spada ricurva nella sua destra fu avvolta dalle fiamme. Il corpo di ragno fece un balzo ed atterrò al centro della sala. Quelaag puntò la spada verso Oscar e lo caricò. Il cavaliere lasciò andare lo scudo ed afferro il suo catalizzatore.
«Luce!» disse.
Un globo di luce comparve davanti Quelaag che accecò sia lei sia il corpo di ragno. Oscar ripose il catalizzatore, conficcò la spada al suolo ed afferrò l’arco composito che aveva legato alla schiena. Incoccò una freccia e la scaglio contro il nemico. Il ragno fece un balzo laterale, schivando il dardo.
«Non sottovalutare il sesto senso della mia metà inferiore. Riesce a percepire l’avvicinarsi del pericolo, specialmente se non può vederlo.» spiegò la strega, che intanto aveva recuperato la vista.
«Quindi lo scontro frontale è inevitabile.» disse il cavaliere, posando l’arco, recuperando la spada e lo scudo.
Il ragno spalancò le fauci ed  iniziò a soffiare fuoco. Oscar fece appena in tempo ad alzare lo scudo nero, che già in precedenza aveva sfoggiato una notevole resistenza alle fiamme. Thoma e Laurentius, non avendo niente per parare il colpo, si spostarono di lato, quanto più lontano possibile dalla vampata. Il chierico ed il piromante corsero fino ai lati della strega, Laurentius alla sua sinistra e Thoma alla sua destra, e caricarono i loro attacchi. La lancia del fulmine fu la prima ad arrivare a Quelaag, la quale parò il colpo con la spada. L’elettricità si propagò dalla lama a tutto il suo corpo, senza procurargli particolari danni. La sfera di fuoco impattò per seconda, ma non ebbe alcun effetto.
«Usare un piromanzia su di me è come gettare acqua nell’oceano. Se il fuoco è la tua unica arma, ti consiglio di non tentare ulteriori assalti.» disse la strega rivolgendosi a Laurentius.
Quelaag guardò avanti a se ed accarezzò la testa di ragno.
«Può bastare.» disse dolcemente.
La creatura smise di emettere fuoco. Oscar abbassò lo scudo, mostrando di essere rimasto indenne dall’attacco.
«Hai un ottimo scudo, lì con te. Ma voglio avvisarti cavaliere: bada a dove metti piede adesso.» lo ammonì la strega.
Oscar inizialmente non capì, poi si guardò intorno: si trovava circondato da roccia fusa, a causa dell’intenso calore del fuoco. Gli unici punti liberi erano dietro di lui, verso l’uscita della caverna, e davanti a lui, in direzione di Quelaag.
«Avete due strade: tornarvene da dove siete venuti o morie contro di me e perdere il senno. Questo è il mio ultimo avviso.» disse la strega.
«Mi costringi a ripetermi: abbiamo fatto troppa strada per poter tornare indietro adesso.» rispose il cavaliere, caricando la strega frontalmente.
Seguendo l’esempio dell’amico, Thoma caricò con la sua mazza, ma tenendo il talismano sempre a portata. Laurentius estrasse il coltello da bandito che aveva nel cinturino e lo impugno con la sinistra.
«Traspirazione Difensiva.» disse il piromante, poggiandosi la mano sul petto e utilizzando la terza piromanzia di supporto ideata da Carmina, che intensificò la sua sudorazione.
Tutti e tre caricarono all’unisono, verso la strega.
«Perché persistere?» disse Quelaag, sospirando.
Oscar vide il corpo della strega accasciarsi di peso sulla testa del ragno, pensando avesse abbassato la guardia corse con più foga. Quando furono ad un metro dalla strega, il corpo del ragno emise una potente vampata di calore, un’esplosione infernale che scaravento tutti e tre i non-morti a diversi metri di distanza. Oscar fece in tempo a sollevare lo scudo, Laurentius fu protetto dalla piromanzia che lo aveva ricoperto di uno scudo di sudore, Thoma non aveva niente per proteggersi. Oscar, da terra, vide il chierico, ricoperto di ustioni e piaghe, contorcersi dal dolore. Risollevarsi non fu facile, aveva tutto il corpo dolorante. Prima di potersi rimette in piedi, si vide puntare una spada infuocata alla gola.
«Comprendi il divario tra di noi?» disse Quelaag «Se tieni al tuo amico smetti di combatte, lascia spada e scudo, fagli bere un sorso di Estus e andatevene. Se morisse si ritroverebbe ad un passo più vicino alla vacuità.» concluse.
«Oscar! Vai a curare Thoma, ma non lasciare le armi.» la strega ed il cavaliere si voltarono e videro Laurentius già in piedi, con lo scudo di sudore ancora attivo.
«La battaglia non è ancora finita, strega.» disse, rivolgendosi a Quelaag.
«Non puoi ferirmi con la tua piromanzia e i tuoi compagni sono a terra. Cosa puoi fare per loro?» chiese la strega.
«Guadagnare tempo…» disse il piromante, slegandosi la fasciatura dalla mano sinistra, che mostrava chiari cicatrici da bruciatura.
Tese la mano sinistra in avanti, reggendola con la destra, e questa iniziò ad emettere fiamme ardenti. Aveva attivato la fiamma della piromanzia nella mano sinistra, ma questa risultava molto più viva e forte di quella nella sua mano destra. La faccia di Laurentius era chiaramente dolorante.
«Bufera di fuoco!» urlò, poggiando la mano sinistra al suolo.
In quel momento delle colonne di fuoco emersero sotto le zampe di Quelaag, avvolgendola nelle fiamme.
«Che nostalgia, questa è la piromanzia di Quelana.» disse Quelaag con sguardo sognante.
«Non so chi sia. Questa che risiede nella mia mano sinistra è un dono del mio maestro, la sua fiamma della piromanzia con tutta la sua forza.» spiegò Laurentius.
«Capisco, ti è stato fatto dono di un potere che non sei ancora capace di controllare. Quella è una fiamma della piromanzia superiore, ti ha procurato delle ustioni quando ti è stata passata.» disse la strega.
Quelaag fece un movimento diagonale con la sua spada, tagliando di netto le colonne di fuoco e disperdendo le fiamme. Si stupì nel vedere che il piromante fosse scomparso; ma prima che potesse iniziare a pensare dove fosse finito, sentì qualcosa atterrarle dietro, sulla testa del ragno. Laurentius l’afferrò con entrambe le braccia e la strinse più forte che poteva. Quelaag notò come avesse la parte inferiore del corpo carbonizzata.
«Hai usato una delle colonne di fuoco per darti la spinta ed avvicinarti dall’alto, notevole. Comunque, non mi piace che mi si mettano le mani addosso senza permesso.» disse la strega.
«Il tuo ragno non percepiva il pericolo?» chiese spavaldo il piromante.
«Tu non rappresenti una minaccia, nemmeno la potente piromanzia di mia sorella può ferirmi.»
«Lo vedremo…mano destra: combustione; mano sinistra: grande combustione!» urlo Laurentius.
La stessa piromanzia che aveva carbonizzato Mildred divampò ed avvolse sia il piromante che la strega.
«Lasciami andare. Non hai il minimo controllo delle fiamme generate con la mano sinistra, ti ridurrai in cenere con le tue mani. Ti sono grata per avermi riportato alla mente nostalgici ricordi di mia sorella, mi dispiacerebbe se morissi in maniere così orrenda.» disse Quelaag.
Laurentius non proferì parola, concentrato com’era nel mantenere il controllo della fiamma. I vestiti e la pelle iniziarono a bruciarsi.
«Perché lo fai? Non potete vincere, dovresti averlo capito. Quindi perché persistere?» chiese Quelaag.
«Perché così ho scelto.» disse con un filo di voce Laurentius.
Il piromante prese con la destra il pugnale da bandito che aveva dietro il cinturino e, con un gesto deciso, pugnalò la strega al cuore. Quelaag fu colta di sorpresa e non poté difendersi, il ragno si contrasse ed urlò dal dolore.
«Sparisci carogna!» urlò furiose la strega, emettendo un’altra esplosione di calore, della stessa intensità della prima.
La pelle di Laurentius si consumò e la sua carne bruciò, ma non mollava la presa, cercando di affondare il pugnale il più possibile.
«Oscar! Quando avrete suonato la campana, non venitemi a cercare! Proseguite sulla vostra strada!» disse il piromante «…sarò io a venire da voi…ci rivedremo…» concluse.
«Levami le mani di dosso!» urlò la strega ed una seconda esplosione divampò.
Questa volta le braccia di Laurentius, incenerite per il calore, si staccarono, facendogli perdere la presa. Il piromante cadde al suolo, lasciando il pugnale conficcato nel petto della strega. Il ragno fece un grande salto, atterrando e schiacciando il corpo del piromante.
«Maledetti non-morti! Perché vi ostinate? Perché arrivate a brucia pur di raggiungere i vostri scopi? Questa non è virtù…questa è pazzia!» urlò a strega.
Mentre cercava di estrarsi il pugnale dal petto con la sinistra, reggendo ancora la spada infuocata con la destra, volse lo sguardo alle sue spalle.
«Izalith! Questa è tutta colpa vostra! Il seme della follia che avete piantato ha dato i suoi frutti! Guardateci adesso! Per la vostra scempiaggine siamo bruciate tutte! Madre!» continuò.
«Quelaag!» la chiamò Oscar «Adesso sono io a chiedertelo: cedi il passo e rinuncia alla battaglia.»
«Cedere il passo? Questa è l’origine della follia, la culla del caos! Come tu hai un motivo per andare avanti, io ne ho uno per non farmi da parte!» disse la strega.
«Spiegati, cosa intendi con origine della follia?» chiese incuriosito Oscar.
«Non verrò a raccontare certe cose ad un non-morto, la feccia di Lordran! Ormai avete superato il limite, vi ucciderò incenerendovi. Se tornerete vi brucerò ancora. La vacuità sarà la vostra pace!» concluse.
Quelaag avanzò, brandendo la spada ricurva fiammeggiante nella destra e tenendosi il pugnale nel petto nella sinistra, per cercare di estrarselo. La strega ed Oscar iniziarono a duellare, facendo scontrare le proprie  spade. Oscar volgeva la sua attenzione anche al ragno che allungava le fauci, nel tentativo di mordere il cavaliere. Quelaag guardò alla sua destra e vide, dove prima giaceva il chierico, solo una macchia di sangue.
«Quindi lo hai lasciato morire. Hai bevuto dalla sua Estus per riprenderti e hai lasciato che morisse e tornasse al falò. Sei un miserabile, cavaliere!» lo schernì la strega.
Oscar non rispose, concentrato com’era nella battaglia. Ad un ceto punto il ragno fece un piccolo balzo in dietro, volgendo la testa a destra. Quelaag fu colta di sorpresa dal brusco movimento della sua parte inferiore e perse l’equilibrio. Oscar ne approfittò e si allungò verso il ragno, affondando la spada nella sua testa, estraendola subito dopo. Il ragno preso dal panico iniziò ad emettere fuoco. Il cavaliere alzò lo scudo e lo spinse verso la bocca dell’aracnide, bloccando le fiamme. Quelaag abbassò lo sguardo e si preparò ad affondare la spada sul cavaliere.
«Freccia dell’anima!» disse il cavaliere.
Oscar, approfittando del momento di confusione in seguito al suo attacco, aveva conficcato la spada per terra ed aveva estratto il catalizzatore con la destra. Il dardo magico impattò sulla mano armata della strega, facendole perdere la presa sulla sua spada. Guardò furibonda il cavaliere, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa il ragno venne meno e cadde sul fianco destro. Quelaag si voltò e vide due delle zampe destre ferite e sanguinanti. Non riuscì a capire cosa stesse succedendo, ma la frustrazione era tale da non vederci più dalla collera. Afferrò il pugnale che aveva nel petto, con entrambe le mai ed iniziò a tirare con quanta forza aveva.
«Lasciateci in pace!» urlò la strega.
Riuscì ad estrarre il pugnale dal petto, seguito da un fottio di sangue zampillante. Si accasciò sulla testa del ragno ed emise l’esplosione di calore più potente di cui potesse far vanto. Oscar, avendo lo scudo già alto, fu spinto lontano di diversi metri. Quelaag sperò di riprendere fiato, ma il ragno emise un nuovo urlo di dolore. Sulla parte frontale del muso si formarono tre fori sanguinanti. La strega guadava il vuoto davanti a se, per capire cosa l’avesse colpita. Si stupì quando di colpo iniziò a rendersi visibile una figura, dai tre fori comparve un tridente, ora visibile. Dove prima non c’era niente ora compariva la figura di un uomo.
«Tu…sei il chierico!» disse sconvolta Quelaag «…quella era una stregoneria di Oolacile…»
Thoma, creduto morto dalla strega, gli era ricomparso difronte, anche se ricoperto di piaghe e ustioni, a causa dell’ultima esplosione.
«Esatto!» intervenne Oscar rialzandosi «Ho fatto bere a Toma l’Estus e poi ho reso lui e la sua arma invisibili.» spiegò il cavaliere.
«Heh non è stato facile gattonare fino a te. Il ragno mi aveva anche percepito, per fortuna Oscar lo ha colpito e distratto, così ho avuto modo di colpirti alle zampe.» spiegò Thoma.
Il chierico lasciò andare il tridente e cadde sulle ginocchia.
«Concludi la battaglia.» disse, rivolgendosi al cavaliere.
Thoma, ormai sfinito, si accasciò al suolo, privo di sensi. Il ragno spalancò le fauci con l’intento di finirlo. Oscar si alzò subito in piedi, prese l’arco composito, incoccò due frecce contemporaneamente e scoccò. Il danno alle zampe impedì al ragno di schivare, venendo colpito al volto e arrestando l’attacco rivolto al chierico. Oscar lasciò l’arco, raccolse spada e scudo e corse in direzione di Quelaag. Un’esplosione di calore rallentò la sua carica, ma gli diede modo di capire come l’attacco non fosse potente come gli altri ed il calore era appena percepibile, se reggeva alto il suo scudo. Così lasciò andare lo scudo e corse il più velocemente possibile. Giunto davanti la strega, poggiò un piede sull’asta del tridente ancora conficcato e si diede la spinta per salire sulla testa della creatura. Indirizzò l’acuta punta alla gola di Quelaag, deciso ad affondare il colpo decisivo, ma la pelle della strega era di colpo diventata bluastra. Oscar riconobbe la piromanzia utilizzata da Laurentius nello scontro con Mildred, donna feroce. L’arte di Carmina, piromante rinomata, ora rivestiva la pallida pelle di Quelaag, rendendo ogni punto vitale irraggiungibile per qualsiasi lama. In quella frazione di secondo meditò su quale punto potesse meglio cedere alla furia del suo attacco. Lo sguardo indugiò sul petto della strega, dove Laurentius aveva affondato il suo ultimo colpo. Lì, dove il cuore ancora batteva, vi era un punto scoperto, una ferita che la piromanzia non aveva chiuso, una crepa nell’armatura inviolabile. Il cavaliere colpì, e la lama affondò dritta nel petto di Quelaag. Oscar volse lo sguardo in basso, colto da una fitta all’addome. Il pugnale di Laurentius, prima conficcato nel petto della strega e poi brandito dalla stessa, era penetrato nella sua armatura, ferendolo.
«Non credo che questa possa rappresentare una ferita mortale per uno come te…» disse la strega con un filo di voce, mentre tossiva sangue.
«Cavaliere, hai vinto. Prenditi la mia testa, se vuoi. Suona la campana, se devi. Ma sul tuo onore, se ne hai, promettimi…» Quelaag afferrò la lama di Oscar e la strinse fino a sanguinare dalle mani.
«…che non le farai del male.»
«Di chi parli? A chi non dovrei fare del male?» chiese il cavaliere di Astora.
Quelaag si avvicinò al viso di Oscar e gli sussurrò parole, troppo flebili per essere udite da chiunque altro si fosse trovato nella stanza. Il cavaliere, dopo aver udito quelle parole, guardò negli occhi la strega.
«Io, Oscar, cavaliere di Astora, giuro sul mio onore che non le torcerò un solo capello. In alcun modo le recherò offesa, hai la mia parola.» disse in tono solenne.
Quelaag sorrise e lasciò andare la spada di Astora. La pelle della strega si ricolorò del suo tipico pallore.
«Poni fine alle mie sofferenze, te ne prego.» disse con tono calmo.
Oscar estrasse la spada dal petto e con un movimento orizzontale decapito la strega del caos. La testa di Quelaag rotolò lontano di alcuni metro, il corpo di ragno morì con lei, cadendo di peso al suolo. Il cavaliere scese dalla creatura, recuperando il suo scudo. Ad un tratto, vide dalla testa decapitata, fuoriuscire una luce giallastra. Questa, facendosi strada dalla bocca, naso, orecchie e occhi, si accumulò sopra di essa; formando un piccolo globo di fuoco, risplendente di una soffusa luce dorata. Oscar le si avvicinò incuriosito, allungando la mano in sua direzione.
«Quella è la sua anima. L’anima di una creature molto potente.» si alzò una foce.
Oscar si voltò e vide Thoma, che si reggeva da terra con i gomiti.
«Che gli dei siano benedetti! Sei vivo.» disse il cavaliere con un tono felice.
Si avvicinò al chierico, prese la fiaschetta Estus dal suo cinturino e gli fece bere un sorso, permettendogli di guarire dalle ustioni.
«Bevi anche tu, sei ferito.» disse Thoma.
Oscar bevve l’ultimo sorso, la ferita all’addome guarì e le energie gli tornarono.
«Abbiamo finito entrambe le nostre Estus, spero non ci siano altri nemici come quella strega.» disse Thoma.
«Lo spero anch’io.» replicò il cavaliere, mentre afferrava l’anima di Quelaag, e la vedeva confluire dentro di lui.
«La sua deve essere un’anima molto speciale. Molto diversa dagli altri nemici che abbiamo incontrato.» notò Thoma.
I due non morti avanzarono verso la scalinata, la salirono e in poco tempo furono in cima. Si trovarono dentro una stanza circolare con delle enormi finestre. Nonostante si trovassero sotto terra, dalle finestre proveniva una forte luce. Si affacciarono e videro un mare di lava che ricopriva la maggior parte dell’area, le terre non sommerse presentavano degli edifici che davano l’idea di essere molto antichi.
«Lì c’è qualcosa, ma non capisco cosa.» disse Thoma, indicando l’interno di alcuni edifici.
Oscar prese un binocolo dalla cassa senza fondo e lo puntò in direzione degli edifici.
«Sono demoni. Sia demoni-capra che demoni-toro. Questa città sommersa sembra esserne piena. Forse è questo il caos di cui parlava Quelaag.» ipotizzò il cavaliere.
«Ho l’impressione che un giorno le nostre strade si incroceranno con quelle di quei demoni. Alcuni di loro sono anche riusciti ad arrivare fino al borgo dei non-morti.» disse Thoma.
«Per adesso pensiamo alla campana.» disse Oscar voltandosi.
Vicino le enormi finestre c’era una leva. Guardando in alto videro la seconda campana del risveglio. Thoma afferrò la leva e la tirò. I rintocchi della campana risuonarono per tutte le profondità.
«Ce l’abbiamo fatta, adesso come torniamo in superficie?» chiese Thoma.
«Prima di entrare nel dominio di Quelaag, io e Laurentius abbiamo visto un mulino ad acqua che conduceva ad una piattaforma sopraelevata. Forse possiamo raggiungere la superficie così.» ipotizzò Oscar.
 
 
I due non-morti raggiunsero il mulino, salirono su una delle pale, che li condusse fino alla piattaforma in legno. Da li, tramite diverse scale a pioli, arrivarono ad una grotta. Dopo esservi entrati, percorsero diversi metri, fino a che non iniziarono a vedere la luce. In un primo momento furono accecati dalla luce del sole. Quando iniziarono a riabituarsi alla luce, videro che la grotta usciva su una valle con pareti di roccia molto alte. Nel mezzo della valle vi era una profonda spaccatura, un crepaccio del quale non si vedeva il fondo e che si estendeva per tutta la lunghezza della valle. Ad unire le due sponde c’erano solo quattro assi di legno, e di fianco c’erano i segni di un ponte in legno distrutto.
«Sembra un ponte di fortuna, per sopperire a quello rotto.» disse Oscar.
Sull’altra sponda vi era una torre in pietra, il cui accesso era consentito tramite un cancello in ferro. I due non-morti attraversarono con cautela le assi di legno e tentarono di aprire il cancello con la chiave trovata nella palude di Blighttown. La porta si aprì.
«Forse la curatrice deve aver raggiunto Blighttown tramite questo passaggio, deve essersi chiusa il cancello alle spalle.» ipotizzò Thoma.
Nella torre vi erano delle scale che conducevano in basso. Scese queste scale si trovarono in un ambiente dall’aspetto spettrale, pieno di non-morti vuoti afflitti.
«Petite Londo…» disse sorpreso Thoma.
Il chierico si voltò e vide che Nico non fosse più nel posto dove lo aveva lasciato, privo di sensi. Gli salì il panico, non capiva dove potesse essere finito.
“Era risalito al falò?”, “Era stato aggredito?”, ”Come avrebbe potuto spiegare ad Oscar l’aver stordito e derubato un altro chierico?” queste erano le domande che vennero in mente a Thoma.
«Tutto bene?» gli chiese Oscar.
«Si…si, tutto bene. Questo luogo mi mette i brividi.» si giustificò il chierico.
«Beh, da qui possiamo raggiungere il falò del Santuario del Legame del Fuoco, giusto?» disse il cavaliere.
Thoma fece un cenno all’amico. Entrambi presero l’ascensore di fianco alla scalinata che li aveva condotti lì. Salirono fino al falò e con grande sorpresa, notarono che Conrad non fosse da solo. Seduti al falò vi erano tre persone: un cavaliere in armatura dorata, che raffigurava due braccia in rilievo che stringevano il torso del cavaliere che l’indossava; un guerriero dai capelli corti e corvini, dotato di armatura leggera e lancia; un mago, dai capelli lunghi e castano chiaro, indossava la veste cremisi dei curatori, brandiva un catalizzatore in latta nella destra e un piccolo scudo rotondo nella sinistra. Il cavaliere dall’armatura dorata sedeva al falò, il guerriero ed il mago si trovavano in piedi alle sue spalle, a sinistra e a destra rispettivamente.
«Oh, Salve avventurieri. Presumo siate voi che bisogna ringraziare se le campane del risveglio sono state suonate.» disse il cavaliere, con tono affabile.
«Si, abbiamo suonato la seconda campana poco tempo fa…sir?» disse Oscar.
«Hahaha, nessun “sir”. Non sono un signore, né un nobile. Perdonate la scortesia. Il mio nome è Lautrec, cavaliere di Carim. Il guerriero alla mia sinistra è Bogdan, anche lui di Carim. Il mago alla mia destra è Laurent.»
«Piacere di fare la vostra conoscenza. Io sono Sir Oscar, cavaliere di Astora. Il mio amico è Thoma, chierico della via Bianca, da Thorolund. Siete appena arrivati a Lordran?» rispose Oscar.
«Da poco, si. Anche se io sono stato ospite nella chiesa dei non-morti, per gentile concessione degli Evocatori del duca Seth hahahah.» disse Lautrec.
«Ti trovavi prigioniero nella chiesa?» chiese Thoma.
«Invero, ed ero lì quando avete suonato la prima campana. Non preoccupatevi, se non mi avete trovato non ve ne faccio una colpa. Anch’io me ne sarei andato il prima possibile da quel luogo. I miei amici mi hanno tirato fuori da li.» spiegò il cavaliere di Carim.
Oscar si voltò in direzione di Conrad.
«Tutto bene? Non hai proferito parola. Non sei sorpreso che siamo tornati vittoriosi?» chiese il cavaliere.
«Starei meglio, se quella cosa non fosse comparsa. Portando con se quel fetore e quel rumore di masticamento.» disse Conrad, indicando le rovine alle spalle del falò.
 
 
Il curatore sedeva sul tetto della chiesa, osservando il triste e desolante paesaggio davanti a se. Le rovine sommerse di Petite Londo lanciavano le loro grida spettrali al cielo, alle quali ci si abituava dopo un po’ di tempo. Il curatore non capì mai se questa fosse una cosa positiva o negativa.
«Oh, questa è una sorpresa. Non ricevo spesso visite, fatta eccezione per gli spettri. Hai qualcosa da fare in questo luogo?» disse il curatore, rivolgendosi ad un uomo bendato, vestito di stracci, appena salito sul tetto.
«Ingward. Il curatore. Il guardiano del sigillo. La veste cremisi ti sta ancora bene.» rispose l’uomo.
«Ci conosciamo?» chiese Ingward, voltandosi.
«In un certo senso. Conosco la storia; so che avete sacrificato migliaia di cittadini di Petite Londo per sigillare l’oscurità che stava dilagando. Avete chiuso le porte della città e l’avete sommersa.» spiegò l’uomo.
«Mi sorprende che tu conosca queste cose. Non è il capitolo migliore della storia di Lordran.» disse il curatore.
«Diciamo che è una delle pagine più nere di questo decadente regno. Le urla quel giorno erano assordanti, i quattro Re che governavano il regno erano caduti. Ma la cosa peggiore, eri tu. Tu che ti trovavi su questo stesso tetto, al sicuro da tutto, mentre comunicavi con i tuoi compagni per eseguire l’ordine. “Fermeremo l’abisso! Costi quel che costi!”, furono le tue esatte parole.» disse l’uomo. Il tono era irritato e si faceva più alto.
«Come fai a sapere simili cose?» chiese Ingward, titubante.
«Oh, io ero lì quel giorno. Ma non preoccuparti, non vi porto rancore. Dopo aver visto la fine che avete fatto, provo solo compassione per voi tre curatori. Tu, costretto a far la guardia ad una città morta fino all’arrivo del non-morto prescelto; Laurent è diventato un fuorilegge alleandosi con un furfante di nome Lautrec; Mentre Yulva…vuoi sapere com’è morta?» disse beffardo l’uomo.
«Cosa vuoi?» chiese il curatore in tono serio, stringendo il catalizzatore di latta nella mano destra ed un particolare coltello nella sinistra.
«La chiave del sigillo, cedimela.» disse diretto l’uomo.
Ingward, capendo il pericolo che avesse davanti, alzò il catalizzatore e scagliò una potente freccia dell’anima. L’uomo schivò il dardo e si avvicinò ad una velocità fulminea al curatore, afferrandogli la mano destra. Ingward cercò di accoltellarlo, ma fu facilmente disarmato. L’uomo diede un calcio al curatore, facendolo cadere al suolo.
«Questo coltello è bizzarro. Si possono colpire gli spettri, vero? Non date pace nemmeno alle anime giustamente rancorose.» disse l’uomo, mentre raccoglieva il coltello.
Ingward cercò di risollevarsi il più velocemente possibile, ma fu raggiunto in un batter d’occhio dall’uomo, che lo pugnalò all’addome, senza esitazione.
«Questa è per Petite Londo.» disse.
Estrasse il coltello, per poi dare un’altra pugnalata al curatore, questa volta all’altezza del petto.
«Questa è per i miei fratelli e sorelle.»
Estrasse il coltello, afferrò Ingward per la gola e gli tolse la maschera da curatore.
«Questa è per me. Adesso puoi riposare, la tua veglia è finita.»
Così dicendo invertì la presa del coltello, per poi piantarlo in mezzo agli occhi del curatore. Ingward cadde a terra di peso, senza vita. L’uomo si chinò sul cadavere in cerca della chiave.
«Abbiamo perso fin troppo tempo. Loro attendono.»
 
 
Oscar e Thoma si diressero alle rovine, incuriositi dalla descrizione di Conrad. Quando non furono più a vista, Luatrec si alzò.
«Beh, amico mio, arrivederci. Io ed i miei amici abbiamo degli affari da svolgere.» disse il cavaliere di Carim.
Conrad fece un saluto con mano, senza proferire parola. Lautrec e compagni si diressero a Petite Londo.
Qundo Oscar e Thoma arrivarono nelle rovine, entrarono in una sala dal tetto sfondato. Sul fondo vi era la statua di una donna, sulla sinistra una porta che conduceva al cimitero, mentre al centro vi era una profonda botola. Ciò che li lasciò inorriditi fu una creatura serpentiforme, che emergeva dalla botola. Aveva gli occhi gialli, la dentatura simile a quella umana, ma molto più sporgente, e due appendici che gli penzolavano ai lati della bocca, che ricordavano dei baffi, ma fatti di carne.
« Ah, salve. Sono il Serpente Primordiale, Cercatore di Re Frampt, amico intimo del Gran Lord Gwyn. Chi di voi ha suonato la Campana del Risveglio?» chiese il serpente.
«Entrambi. Abbiamo intrapreso insieme questo viaggio.» rispose Thoma.
«Interessante, entrambi avete intrapreso la via del non-morto prescelto, suonando la Campana del Risveglio. Lasciate che chiarisca il vostro destino…»
Il discorso di Frampt fu interrotto quando la terra iniziò a tremare.
«Un terremoto?» chiese Oscar.
«No…potrebbe essere che il sigillo sia stato spezzato?» disse il serpete.
«Cosa significa?» chiese Thoma.
«Non lo comprendo ancora. Comunque sia, ciò su cui dovrete concentrarvi ora è svelare il fato di uno di voi, di colui che diventerà il non-morto prescelto. Colui che succederà al Gran Lord Gwyn. Così da poter vincolare la fiamma, scacciare l'oscurità e annullare la maledizione dei non morti.»
 
 
Lautrec e compagni raggiunsero Petite Londo, seguendo la strada che gli fu detta dall’uomo misterioso. Usciti dall’ascensore, salirono la rampa di scale vicine. Arrivarono in una vale con un crepaccio. Camminarono sul bordo fino ad arrivare ad un ponte in pietra. Dall’altra parte del ponte vi erano delle mura mastodontiche ed un cancello in metallo. A fare da guardia al cancello, sul ponte, vi erano delle viverne.
«Perché ci troviamo qui?» chiese preoccupato Lauren.
«Questo è il luogo stabilito per l’incontro.» rispose Lautrec.
«Dovremmo affrontare quelle bestie?» chiese Bogdan.
«No. Secondo le istruzioni di quell’uomo dobbiamo aspettare.» rispose il cavaliere di Carim.
Dopo alcuni minuti il cancello si aprì e ne fuoriuscì una quantità smisurata di acqua, che investì le viverne facendole cadere tutte nel crepaccio. La strada era libera. Lautrec e compagni si avvicinarono alle mura e furono accolti dall’uomo misterioso.
«Benvenuti a Petite Londo, città costruita nella roccia e asservita alla più illustre Anor Londo. Sommersa per volere degli stessi dei.» disse facendo un inchino.
I tre mercenari furono inizialmente perplessi, poi entrarono e seguirono l’uomo.
«Quindi tu vivevi qui, prima che la sigillassero?» chiese Lautrec.
«Per un po’ è stata la mia casa, si. Quando la città era ancora rigogliosa ho conosciuto molte persone stupende, era impossibile non affezionarsi agli abitanti del luogo.» disse mentre camminavano.
Lautrec si accorse presto di uno strano rumore ad ogni passo, abbassò lo sguardo e si accorse di star camminando su dei resti umani, e che questi ricoprivano quasi interamente la pavimentazione della città. Rimasero scioccati da una simile visione.
«Si, sono loro. Quelle stesse persone a cui mi ero affezionato. Molti di loro erano deboli, non adatti a tenere una spada. Altri invece…erano speciali. I miei amici più stretti, uomini e donne a cui potevo confidare tutto. Li chiamavo Fy Nheulu. Anche loro caddero vittima del sigillo, oh se ne caddero vittima. Ma come vi ho detto: erano speciali.» concluse l’uomo, fermandosi.
Arrivarono in quella che doveva essere la piazza della città, parzialmente preservata.
«Fratelli! Sorelle! Venite fuori! Il sigillo è spezzato!» urlò.
Inizialmente Lautrec non vide succedere niente, e per un attimo pensò che l’uomo stesse parlando ai morti, che fosse pazzo. Ad un certo punto decine e decine di cavalieri uscirono allo scoperto e si radunarono nel centro della piazza. La loro armatura era inquietante: nera come la pece, sul torso avevano dei rilievi che ricordavano la casa toracica di uno scheletro, guanti e stivali erano artigliati, indossavano una maschera che raffigurava un teschio e un cappuccio nero a coprire il resto della testa. Sembravano appena risvegliatisi da un lungo sonno.
«Lautrec, loro sono i Fy Nheulu, la mia famiglia. Ma anche noti come…Darkwraith
 
 
-FINE SECONDA PARTE-
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autore
Qui finisce la seconda parte. Sono felice di essere riuscito ad arrivare fino a questo punto.
Ringrazio chi è arrivato fino alla fine del capitolo, se state leggendo queste note grazie per l’interesse e la pazienza che avete avuto nel seguirmi.
Se vi va lasciatemi un commento e fatemi sapere cosa ne pensate.
Ci vediamo per l’inizio della terza parte con il capitolo 13.
 
Un saluto, Mr.Chestnut.

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