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di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Grazie di cuore a Tiger Eyes e Sonietta74 per la betalettura!



Pagina trecentosei


1899, Lakewood (Albert 11 anni, Candy 6, Anthony 8).

Il tramonto era ormai imminente, ma non aveva alcuna voglia di tornare a casa. E per fare cosa? Per sentire le urla della zia Elroy che gli ricordavano che aveva saltato la lezione di francese o il borbottio sommesso degli anziani nella sala del Consiglio che facevano progetti su di lui senza mai consultarlo? No, grazie, non ci teneva proprio.

Si sentiva un burattino nelle mani degli adulti: pareva che nessuno si rendesse conto che, nel giro di pochi anni, aveva perso un padre e una sorella. Per tacere della madre che neanche aveva potuto conoscere, visto che era morta appena lo aveva dato alla luce. Tutto ciò che aveva di lei era un quadro dove rimirarla cercando di sentirla familiare, ritrovandosi nei suoi occhi, nei suoi capelli, forse nell'espressione leggermente sognante del viso.

Ma no, a loro interessava solo tenerlo lontano da tutti: perché William Albert non esisteva. William Albert avrebbe dovuto crescere e imparare presto a gestire gli affari di famiglia e solo allora sarebbe stato mostrato al mondo.

Albert però non voleva soffermarsi su questioni così tristi, desiderava godersi quel pomeriggio solitario, o quasi. Ridacchiò quando Poupee si mise a giocare correndogli dietro il collo e tirandogli i capelli. La prese tra le mani e la sollevò in aria strappandole uno squittio che poteva essere di diniego o felicità. Mentre girava, qualcosa lo fece fermare bruscamente, interrompendo il movimento e quasi facendogli perdere la presa sulla piccola puzzola.

Un viso.

Il viso piccolo e paffuto di una ragazzina in mezzo a due alberi dal fusto sottile, che sembrava spaventata e indecisa se avvicinarsi o meno: poté vedere l'espressione triste e tracce di lacrime recenti sul suo volto. Con movimenti lenti, quasi temesse che si trattasse di un animaletto timoroso o di una semplice allucinazione, Albert mise giù Poupee, che fece un piccolo verso in apparenza interrogativo.

Le fece un piccolo sorriso e notò, guardandola meglio, che sulla pelle candida spiccava una selva di lentiggini, rese persino più evidenti dai codini biondi e ricci che aveva ai due lati del capo. Sbatté le palpebre, certo di essersi appena imbattuto in una piccola ninfa dei boschi, prima di ricordarsi che le ninfe non esistevano.

"Ciao", tentò riprendendo Poupee quasi a volersi mostrare più amichevole. Era certo che se avesse fatto qualcosa di sbagliato, la bambina sarebbe fuggita via a gambe levate.

Invece, lei fece alcuni passi esitanti nella sua direzione, stringendo i lembi del vestitino logoro che indossava. Non piangeva più e l'aria imbronciata divenne cauta e curiosa. Poteva avere cinque anni o forse poco più e Albert fu quasi certo che si fosse persa.

"Sei... una specie di folletto?", chiese squadrandolo dalla testa ai piedi. E lasciandolo basito. Lui aveva pensato a una ninfa, ma quella buffa ragazzina piena di lentiggini gli stava dando del folletto! Certo, aveva strappato i pantaloni e si era sbucciato le ginocchia quando era caduto dall'albero ed era certo che la camicia di fattura italiana non fosse in condizioni migliori, tuttavia era sicuro che i folletti dovessero avere un aspetto un po' diverso dal suo.

E tuttavia, voleva giocare un po' con lei, visto che raramente aveva contatti con qualcuno della sua età: "In verità... sono uno gnomo", disse spalancando un po' gli occhi e alzando Poupee verso di lei. "E ho il potere di incantare gli animali!".

Fu il turno della bambina di spalancare le palpebre, rivelandogli due iridi più verdi dell'erba e delle fronde degli alberi. Era proprio certo che non esistessero le ninfe, poi?

"Davvero?!", sillabò lei avanzando ancora e fermandosi a pochi passi.

Albert annuì. "Guarda". Prese la sua piccola puzzola e se la mise sulla spalla, quindi allargò le braccia e la indusse a passare da un lato all'altro correndo dietro il collo. Ripeté l'operazione più volte finché la bambina non rise e si mise ad applaudire, costringendolo a inchinarsi come dopo uno spettacolo. "Et voilà!", terminò.

"Parli anche in modo strano!".

"E tu sei più carina quando ridi che quando piangi", le disse d'impulso.

La ragazzina smise di ridere di colpo e si portò le mani alle labbra. Albert si domandò se avesse detto qualcosa di sbagliato e l'avesse offesa. D'altronde, a undici anni quanti bambini poteva dire di aver frequentato veramente? E quella era una bambina, di certo più sensibile di un maschietto come Archie o...

"Tu sei come Anthony!". Fu come se lo avesse colpito e Albert cominciò a cercare, nei recessi della sua memoria, un'occasione nella quale avesse già incontrato la bambina di fronte a sé. Conosceva... suo nipote? Quello che aveva solo due anni meno di lui ed era rimasto orfano da poco? Lo stesso ragazzino che piangeva la morte di sua madre e di quella sorella che lo era stata altrettanto per lui? Il ragazzino che sentiva spesso singhiozzare di nascosto e che non poteva più avvicinare perché lo avrebbe riconosciuto e non avrebbe dovuto?

"Chi è Anthony?", chiese fingendo di non sapere che a quell'ora, molto probabilmente, aveva già terminato la sua cena e la sua tata lo stava accompagnando a fare il bagno nell'ala della villa di Lakewood che a lui era preclusa.

"Anthony è... diciamo che è... oh, non lo so! Non so bene neanche cosa sono io!".  Sbatté le mani sulla gonna in un gesto frustrato e Albert inarcò un sopracciglio in modo interrogativo. "La famiglia Lagan mi ha presa come compagna di giochi per Eliza. Siccome Annie sta dai Brighton, ho pensato che avremmo potuto incontrarci visto che siamo in due famiglie importanti. Ma lei è stata adottata... io invece sono solo una specie... beh, di cameriera. Qui vicino abita quel loro cugino, Anthony, e anche gli altri, Archibald e Alistair...".

Mentre la ragazzina bionda si spiegava, Albert deglutì a secco, diviso tra il desiderio di gridarle a gran voce che faceva parte della stessa famiglia e quello di intimarle di fuggire dai Lagan. In realtà, a fuggire doveva essere lui, perché se quella ragazzina era in casa dei suoi parenti, non doveva sapere nulla della propria esistenza. E allora perché stava lì a bearsi della sua compagnia così deliziosa e spensierata, bevendola come fosse l'acqua fresca del fiume?
"... oh, a proposito, io mi chiamo Candice White, ma tutti mi chiamano Candy. Ho sei anni e... vengo dalla Casa di Pony".

Albert, che si stava arrovellando per capire come presentarsi, rimase con la mano a mezz'aria prima ancora di stringergliela: "La Casa di Pony?".

Candy guardò in basso e il suo viso parve arrossarsi, mentre sembrava di nuovo triste. Un leggero venticello le scompigliò i capelli, facendogli provare un moto di tenerezza e qualcosa che riconobbe solo successivamente come istinto di protezione. Soprattutto dopo aver ascoltato quello che ebbe da aggiungere. "Era la mia casa, l'orfanotrofio nel quale sono cresciuta. E mi manca tanto". Di colpo, come se si fosse riscossa, alzò gli occhi solo un po' umidi su di lui, trattenendo stoicamente le lacrime: "Ma non piangerò! Sarò forte e... carina", ridacchiò ripetendo le sue parole di poco prima.

Albert le si avvicinò, chiudendo la distanza e ponendole una mano sul capo in una carezza da fratello maggiore. Quello che avrebbe voluto continuare a essere per Anthony e che non sarebbe più stato. "Sei una bambina molto coraggiosa, sono sicuro che te la caverai! E io non sono uno gnomo, né un folletto. Mi chiamo Albert, ho undici anni e lei è la mia moffetta Poupee", disse indicandola mentre gli si arrampicava sulla spalla.

Candy gli strinse la mano, prima di farlo con la zampetta di Poupee, ridendo divertita: "In effetti sembri più un principe caduto da un albero. Oppure vieni dallo spazio?", domandò curiosa.

Un principe? Quel paragone lo fece rabbrividire per qualche motivo e si ritrovò a preferire gnomi e persino troll dei boschi.

"No, vedi... io abito...". Dove abitava? Cosa le avrebbe detto? Che stava nella capanna del bosco? Magari vivendo con il vecchio nonno povero come nel libro di Pinocchio? Di certo, nessuno avrebbe impersonato meglio di lui un burattino in mani altrui...

Una voce lontana lo fece sussultare: qualcuno lo stava chiamando. E non con il nome che aveva appena rivelato alla piccola Candy.

"Che succede?", domandò lei vedendolo voltarsi.

"Devo andare".

"Ma...".

"Sai come tornare dai Lagan?".

"Sì, certo, però...".

Accidenti, non le aveva neanche chiesto che razza di dispetto le avessero fatto per farla piangere e scappare! Però non c'era più tempo: "Allora vai, io devo correre a casa o rischio una punizione!". La punizione che lo aspettava era non poter uscire per il resto della primavera e persino per l'intera estate. E pensava di essersela appena guadagnata.

"Vuoi dire che anche tu sei scappato di casa?".

"Sì...", ammise imbarazzato, con un sorrisetto sbilenco, cominciando a girarsi. "Mi raccomando, stai attenta e abbi cura di te. Non perderti, mi raccomando!". Quella sera avrebbe parlato con Georges e gli avrebbe chiesto lumi su quella nuova componente della famiglia: la conosceva da pochi minuti e già gli dispiaceva per lei.

"Quando potremo rivederci?". Albert, che stava per correre via, si bloccò. Quando? Forse mai, avrebbe dovuto risponderle, ma non voleva discutere o rattristarla.

"Un giorno, magari quando saremo più grandi. Chissà". Il visino di lei era cristallizzato in un'espressione di stupore e incomprensione e Albert le fece l'occhiolino. "Addio, ragazzina".

E, finalmente, corse via. Corse perché non voleva che lei udisse che lo chiamavano William. Corse perché una parte di sé aveva riconosciuto in quella bambina di nome Candy la libertà che anelava e voleva che lo ricordasse solo come Albert. Albert il folletto, lo gnomo, persino il principe sporco caduto da un albero. Ma non il ragazzino erede di una responsabilità che lo imprigionava.

In cuor suo, sperò di rivederla davvero, un giorno. Magari, allora, sarebbe davvero stato libero come il vento.

Il destino, a volte, poteva essere imprevedibile.
                                                                         

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


1909, Londra (Albert 21 anni, Candy 16 anni, Terence 17 anni)

"Pensi di fissarlo ancora a lungo?". La voce stizzita di Terence e lo sbuffo di fumo che quasi le soffiò in faccia la precipitarono nella realtà con la forza di un pugno.
Si era imbambolata a guardare le sue spalle. Anzi, l'intera schiena. La sua schiena larga da uomo avvolta in una giacca nera. E i capelli biondi che sembravano brillare, in contrasto col colore scuro, quasi fossero raggi di sole in piena notte. Era certa che, se si fosse voltato e le avesse piantato addosso i cieli tersi dei suoi occhi, sarebbe stata persa.

Persa in via definitiva.

"Non dire sciocchezze. È che in questo posto c'è tanta confusione che non sono ancora riuscita a congratularmi con lui per la sua laurea", disse in imbarazzo, voltando il capo nella sala decorata con fiori, tende di seta e tavoli imbanditi. "E tu non dovresti fumare qui dentro", lo redarguì cercando di afferrare la sigaretta tra le sue dita.

"E chi lo dice? Non siamo a scuola, ma in una sala privata dove si stanno tenendo dei festeggiamenti e non vedo nessuna suora tra gli invitati". Terence portò indietro la mano perché non la raggiungesse, con quel suo sorriso sbilenco che poteva essere affascinante e irritante al contempo.

Candy si morse il labbro inferiore, cogliendo con la coda dell'occhio il momento in cui una ragazza, compagna di corso di Albert e appena laureata a sua volta, gli si aggrappava al braccio con una certa confidenza: il cuore si bloccò, sfarfallò e salì in gola. Come aveva potuto illudersi che il ragazzino che aveva incontrato nei boschi di Lakewood e da cui il destino l'aveva riportata di nuovo poco meno di due anni prima le fosse indifferente?

Terence e Albert erano come il giorno e la notte: il primo celava dentro di sé una sofferenza che si manifestava con sguardi persi, silenzi e arroganza; il secondo era un mistero nella stessa famiglia che l'aveva adottata, svelato da poco. Eppure, da quando era giunta alla Saint Paul School, aveva tracciato una sorta di linea di divisione fra i due.
Ora si rendeva conto del perché.

Albert non era solo Albert, il ragazzino che sembrava un folletto con una puzzola, fuggito per i boschi di Lakewood lo stesso giorno in cui lo aveva fatto lei. Era anche William Ardlay, il futuro patriarca della famiglia che aspettava di prendere le redini delle aziende.

Mentre Terry...

Terry la stava prendendo sottobraccio quasi a rivendicarne il possesso, emulando il gesto della ragazza che però il suo amico biondo non sembrava voler assecondare.  Anzi, si era appena scostato per ridere e parlare con un altro compagno di corso che aveva alzato il calice come in un brindisi.

E si stava voltando per cogliere il momento esatto in cui Terence la stringeva più forte. E, d'improvviso, loro tre erano soli in quella grande sala: il lago placido incontrò l'oceano in tempesta. Il giorno e la notte. Il mistero calmo e il passato impetuoso. Candy si sentiva al centro di due correnti uguali e opposte che la respingevano e l'attraevano al contempo.

Ma no, non era neanche corretto. Terence l'aveva attratta, oh, sì! Nel suo tormento straziante, nella sua rabbia quando aveva scoperto che era il figlio illegittimo di Eleanor Baker, Candy aveva scorto il ragazzo bisognoso di amore e di tenerezza e lo aveva accolto nonostante i suoi difetti e il suo continuo chiamarla 'Tarzan Tuttelentiggini'.
Non voleva pensare di essersi avvicinata a lui solo perché Albert le sembrava

irraggiungibile

troppo grande e se ne sarebbe andato prima di lei.

"Congratulazioni, amico. Quindi ora te ne andrai in Africa?", stava dicendo Terence senza lasciarla andare, allungando verso di lui l'altra mano.

Albert sorrise e gliela strinse: "Sì, mi prenderò un anno sabbatico, o forse due. Poi... deciderò cosa fare della mia vita".

E quegli occhi, che avevano il raro potere di riportarle la calma fin da quando lo aveva visto la prima volta da bambina, incontrarono brevemente i suoi. Lei sapeva cosa Albert avrebbe fatto della sua vita, glielo aveva confessato fidandosi di lei, condividendo con la ragazzina del suo passato un segreto che era certa non avesse mai condiviso con nessuno.

Terence non l'ha fatto, invece. Il suo segreto l'ho scoperto per caso e lui era così arrabbiato...

Albert aveva un percorso obbligato e sarebbe stato a capo della sua famiglia adottiva: cosa sarebbe diventato? Un cugino? Uno zio? No, che sciocca, lo era già, ma non ufficialmente. E lei era una stupida illusa ad aver pensato che quelle sere che avevano condiviso in cima a un albero del giardino della scuola, dopo essere fuggiti di nascosto, potessero significare qualcosa.

Lui era l'adulto e lei la ragazza che aveva appena cominciato gli studi, seppur riluttante, per diventare una signora.

"Bene, mandaci qualche cartolina dalla savana, mentre noi saremo qui chini sui libri in attesa di guadagnarci l'uscita di prigione", scherzò Terence intrecciando la mano con la propria.

Candy se ne liberò, facendo un passo verso di lui: "Cerca di essere prudente, ti prego. So che ami molto gli animali, ma quello è un luogo selvaggio e io...".

E io impazzirei se ti succedesse qualcosa. Perché ora l'ho capito, Albert: è te che ho sempre desiderato rivedere, fin da quando ho incontrato quel folletto gentile a Lakewood. Una forza misteriosa ci ha fatti rivedere qui... o forse era ovvio, visto che siamo parte della stessa famiglia. Eppure, ora che sono cresciuta, sento che c'è un legame indissolubile fra noi. Qualcosa che non si spezzerà anche se tu sposassi quella ragazza che ti guarda con occhi innamorati e io restassi con Terence. Perché nessuno mi fa sentire come te...

Per anni, Albert era rimasto una sorta di creatura di fantasia che aveva idealizzato nella sua memoria di bambina. Dopo l'ennesimo dispetto di Eliza e Neil, si era ripromessa di essere forte per Anthony, Archie e Stair. Ma al contempo sperava di trovare un altro amico nel ragazzino biondo con i pantaloni strappati che sembrava ammaestrare la sua puzzola da compagnia.

Sì, doveva ammettere che non avendolo più incontrato era stato naturale affezionarsi ad Anthony, che tra l'altro gli somigliava così tanto! Ma quando lui era morto, cadendo da cavallo durante una caccia alla volpe, Archie e Stair, con la loro tenera vicinanza, non erano stati sufficienti a farla uscire dal proprio dolore.

"Stai tranquilla, piccola Candy, non mi farò sbranare da un leone prima di averti vista realizzare i tuoi sogni". Lo aveva detto con tenerezza, Albert, dedicandole un'occhiata quasi fraterna. O almeno era così che voleva vederla. Era così che si era imposta di vederlo. Un fratello maggiore che la proteggeva e che la consolava.

Quegli anni, quegli interminabili dieci anni non erano mai passati. Albert poteva essere cresciuto e cambiato, ma si erano riconosciuti subito.

Il destino... questo strano destino...

"Ciao, piccola ninfa dei boschi", l'aveva salutata due anni prima, incrociandola nel corridoio, molto meno sorpreso di lei. Ninfa? Davvero aveva pensato a lei come a una ninfa quando aveva solo sei anni?

"Tu sei... lo gnomo, il folletto incantatore di...".

Ed era scoppiato a ridere, abbassando ogni sua difesa e costringendola a paragonare quella risata fresca e spontanea con quella di Terence, che le aveva già stretto il cuore in una morsa. Si era sentita strana, Candy, che mentre si stava innamorando di Terry aveva sentito il bisogno di conoscere meglio Albert.

E l'occasione non era mancata.

Era bastato sbagliare albero, nel buio, e invece di dirigersi verso la stanza di Archie e Stair si era ritrovata fra le sue braccia. In un primo momento le erano parse simili a quelle di Terry, che solo il pomeriggio prima l'avevano stretta sulla finta Collina di Pony, sconvolgendola. Invece no. Le braccia di Albert erano solide e le avevano impedito di cadere.

"Wow, ora capisco perché il tuo ragazzo ti ha dato quel soprannome! Dove te ne vai a quest'ora?".

Nel presente, con quel ricordo che le riportava la carezza del sussurro della sua voce e il profumo pungente delle fronde di quell'albero, Candy ricambiò il suo sorriso sull'orlo delle lacrime: "Grazie, Albert". No, non doveva piangere, non poteva. Non mentre Terry sembrava emanare gelosia a un pollice dal suo fianco e Albert la fissava con un'intensità tale che avrebbe solo voluto gridargli di portarla con sé in Africa: lì avrebbe realizzato due sogni. Diventare infermiera come desiderava, in barba alla sua famiglia che voleva fare di lei una signora, e rimanere accanto ad Albert.

Ma aveva solo sedici anni e Terence aveva bisogno di lei. Candy gli voleva bene, aveva davvero pensato di amarlo. E tuttavia, le era bastato passare qualche sera a chiacchierare in cima a un albero con Albert, confessandogli i propri sogni e ascoltando i suoi per capire che...

"Non posso dire a nessuno chi sono, Candy. La successione spetta a me e dopo l'università dovrei prendere io le redini della famiglia. Ma non sono pronto a farlo: prima ho bisogno di assaporare ancora una volta la libertà che non avrò più". Il suo profilo, alla luce della luna, le era parso un dipinto soprannaturale. Pareva brillare di luce propria, quell'Albert ligio eppure ribelle, sereno nel suo tormento che teneva sepolto nel cuore. E per il quale non poteva essere di conforto come cercava di esserlo per Terry.

"Io non so se voglio arrivare fino alla fine. Mi dispiace, so che la tua famiglia vuole che diventi una Ardlay degna del mio nome", gli aveva confessato a sua volta, abbracciandosi le ginocchia. "Io... vorrei fare l'infermiera. È una cosa a cui penso ogni volta che alla Casa di Pony vedo un bambino malato e il medico è troppo lontano per visitarlo subito".

In quella sala, dove tutto le sembrava scomparso, Albert le sorrise proprio come quella sera e poté giurare che persino le parole fossero identiche: "Realizza i tuoi sogni a ogni costo". Lo aveva detto davvero, mormorandolo solo per lei? O le sue labbra si erano mosse senza emettere suoni e lei lo aveva solo intuito?
Candy non ebbe modo di appurarlo, perché il tempo riprese a scorrere velocemente, strappandola da quel momento sospeso tra passato e presente. Tra sogno e realtà. Tra desiderio e stabilità.

Terence l'afferrò costringendola a guardarlo: i suoi, di occhi, erano davvero una tempesta nella quale le parve di annegare. Attraenti e pericolosi. L'avevano irretita e lei aveva lasciato che accadesse: "Certo che realizzerà i suoi sogni, Albert. Lei è una ragazza forte che sa quello che vuole. E io l'aiuterò". Due dita sotto al mento le alzarono il viso e Candy non ebbe tempo di protestare: Terence chiuse la distanza baciandola davanti a tutti, dichiarando ai presenti e soprattutto ad Albert che lei era sua.

Dapprima spalancò le palpebre, incredula, quindi le strinse cercando di scostarlo da sé. Terence dovette accorgersi che stava lottando, tuttavia titubò un istante di troppo prima di lasciarla andare.

"Ma sei impazzito?! Davanti a tutti?".

"Di chi ti preoccupi, di preciso, Candy?!".

Non rispose, ma con la coda dell'occhio si accorse che lui si era già voltato e allontanato. Era tutto sbagliato. Non avrebbe mai dovuto scambiare per amore un'attrazione violenta e il desiderio di redimere un'anima ferita: Terry si meritava la sua amicizia, il suo sostegno... e sì, forse si meritava anche il suo amore. Ma Candy poteva dargli tutto tranne quello. Aveva tentato con tutte le sue forze di farlo divenire tale, lo aveva sul serio scambiato per quel tenero sentimento che aveva provato una volta per il dolce Anthony.

Ma Terry non era Anthony tanto quanto non lo era Albert. E Albert era stato la sua illusione da bambina, la sua costante quando si ritrovava nei boschi e cercava di scorgerlo di nuovo, delusa perché non accadeva. Era stato il primo a cui aveva pensato quando aveva perso Anthony e temeva che il cuore sarebbe rimasto spezzato in due per sempre. Era stato colui a cui aveva pensato quando era fuggita alla Casa di Pony prima che la famiglia Ardlay...

"Io sono il capofamiglia, ho preso alcune decisioni, in questi anni, ma non potevo fare molto come minorenne e prima di terminare gli studi".

Alcune decisioni.

"Candy, non è fantastico? Da oggi vivrai qui! Sei ufficialmente una Ardlay!", le aveva detto un sorridente Anthony dopo il suo rientro precipitoso dal viaggio in Messico che non era mai avvenuto. Perché Georges Villers... il braccio destro e tutore di Albert...

Candy spinse con decisione Terence e si volse per cercare Albert. Ma sembrava essere sparito e la folla le parve di colpo fitta come se si trovasse in una strada del centro e non in una sala addobbata per una festa di laurea. Non si sentiva più sola fra Terry e Albert. Perché non lo era mai stata.

Albert... Albert!

I piedi si mossero contro la sua volontà, non sapeva nemmeno se il suo nome lo stesse gridando o solo pensando. Non sentiva la voce di Terry che la richiamava e i suoi passi frettolosi. Non udiva la musica e le chiacchiere, né i bicchieri che tintinnavano da soli in inutili brindisi visto che il festeggiato si era appena dileguato.

Ma lei sapeva dove trovarlo, così come sapeva che Terry si nascondeva alla finta Collina di Pony per fumare e parlare con lei ogni pomeriggio. Non era ancora sera, ma l'albero più alto del giardino era già la sua meta. Candy si volse per l'ultima volta, cercando Terry con lo sguardo: era fermo vicino alla soglia della grande sala, i pugni stretti, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Una muta conversazione, breve come un battito di ciglia, passò tra loro.

In lui li vide tutti, i sentimenti che provava, poteva scorgerli che si alternavano nei lineamenti del bel viso giovane contratto in un cipiglio: delusione, rabbia, tristezza, gelosia. Non lo avrai mai, te ne rendi conto? Forse, ma non posso farci nulla; non posso darti quello che non ho. E, come se avesse ascoltato una risposta che non aveva dato a una domanda mai formulata, Terence abbassò lo sguardo, sconfitto.

E Candy corse. Corse e si arrampicò, trovandolo lì, bello ed elegante su quel ramo come se fosse il posto giusto da occupare nonostante l'abito: non credeva che lo avrebbe mai immaginato dietro a una scrivania.

"I miei sogni... li realizzerò da sola", ansimò per la corsa e l'arrampicata, guadagnandosi un'occhiata perplessa. "Sei stato tu, vero? Hai chiesto tu che mi adottassero? Ho sentito nominare questo prozio William... ma non avevo collegato le cose. Pensavo fosse un tuo parente più anziano. Invece sei tu, in linea diretta dopo tuo padre". Quella consapevolezza era arrivata in ritardo, ma glielo rendeva ancora più caro.

Albert annuì, ridacchiando: "Ebbene sì, Candy, non c'è nessun prozio vecchio ed eccentrico. Ci sono solo io, l'unico William rimasto. Ho ricevuto delle lettere, quella volta in cui i Lagan volevano mandarti in Messico e sapevo che ti trattavano...".

Senza lasciarlo terminare e rischiando che precipitassero entrambi, Candy si gettò fra le sue braccia, stringendolo forte, aspirando il suo profumo maschile che sapeva di natura e non di fumo. Sentendosi a casa quasi quanto da Miss Pony e Suor Lane, sulla sua collina o su papà albero. Sentendosi nel posto giusto, quello per cui era destinata da quando era nata.

Lo conosceva da poco e lo conosceva da tanto. Lo aveva visto poche volte ma sapeva di lui da sempre. Era come un incantesimo, un sortilegio iniziato in un bosco incantato, tanti anni prima.

"Grazie, grazie... sono stata davvero felice di poter vivere con Anthony, Archie, Stair... e sono felice di aver conosciuto te". Alzò il viso per guardarlo e Albert alzò una mano per asciugarle gli occhi.

"Credo di avertelo già detto una volta, ragazzina", mormorò lui con una voce roca che non gli aveva mai sentito. "Sei molto più carina quando sorridi che quando piangi".
Stava per baciarla? Stava davvero per farlo? Oh, lo voleva tanto! Ma evidentemente Albert non voleva, né poteva farlo quando solo pochi istanti prima le sue labbra avevano incontrato quelle di Terence. Poteva capirlo: se solo avesse capito prima anche se stessa!

"Dimmi che ci rivedremo!", lo supplicò con nudo bisogno. No, non poteva sbilanciarsi ora, eppure era divisa tra l'esigenza di farsi capire e quella di non precipitare. Quasi fosse appesa a un ramo sottile di quell'albero e non le fosse concesso di dondolare più in fretta di così.

Albert prese un respiro tremulo e il suo tocco divenne una carezza: "Fino ad oggi un filo invisibile ci ha fatti ricongiungere per la seconda volta. Non è detto che non ce ne sia una terza...".

"Se non ci sarà farò in modo che sia così! Io... non voglio rimanere qui". Non voglio rimanere con Terence, so che prima o poi le nostre strade si divideranno. Questo cercò di gridargli con il cuore che non riusciva a esprimersi a parole.

E, forse, riuscì nell'intento di essere chiara solo con quella frase, perché lui spalancò gli occhi per un istante: "Sei sicura di quello che dici?". Era speranza quella che vedeva in lui? Poteva davvero illudersi che uno come lui potesse...

"Mi basterebbe... rimanerti amica. Lo so che siamo due mondi diversi: io sono un'orfana che è stata adottata e tu...".

"Sssst", la interruppe posandole un dito gentile sulle labbra. "Non dire stupidaggini. Non ha importanza. Se tu sei sicura... io ti aspetterò. Non c'è bisogno che tu fugga. Ti scriverò".

Candy sorrise sul suo dito, cogliendo la titubanza di Albert e anche la sua speranza. Sì, anche lui, in fondo, rivedendola cresciuta doveva essersi... doveva considerarla... Quasi smise di respirare quando ritirò l'indice per portarlo sulla propria bocca, in un bacio indiretto che le trasmise un brivido. Il brivido di un desiderio ardente di baciarlo sul serio.

No, prima doveva togliersi dal viso e dal cuore il sapore e il calore di Terry, che nelle loro pur rare dimostrazioni di affetto erano... cosa? Fidanzati? Ragazzini che giocavano agli innamorati? Amici?

"Devo andare". Il tono di Albert era riluttante, quasi sofferente.

"Promettilo! Prometti che mi aspetterai!", quasi gli gridò mentre scendeva dall'albero e lei rimaneva sul ramo più alto, incapace di seguirlo. Perché sapeva che se lo avesse fatto, non l'avrebbe più lasciato andare via. O l'avrebbe davvero seguito.

Albert alzò verso di lei il viso bello e serio, incatenandola nelle uniche acque in cui sarebbe annegata volentieri: "Stanotte... vai sul nostro albero. Io non ci sarò, sarò già partito. Ma ti lascerò qualcosa. Leggilo. Pagina trecentosei".

"Cos...?".

"A presto, Candy". Con un movimento fluido e agile, tornò su, avvicinandosi tanto che poté udire il suo respiro sul viso. E la baciò sulla fronte, indugiando solo pochi istanti prima di sussurrare così piano che temette di averlo immaginato: "Anche io ti amo".

Ore 23.25

Candy arrivò sul ramo che avevano condiviso tante volte con le lacrime agli occhi: Albert era già partito e lei non aveva potuto salutarlo un'ultima volta. Peggio ancora, le aveva confessato con parole chiare ciò che lei non aveva avuto il coraggio di dire in maniera esplicita. E, almeno per il momento, a quello non c'era rimedio, a meno di non scriverlo in una lettera di risposta.

Non voleva, né poteva concentrarsi sul modo in cui Terry l'aveva ignorata durante il resto della giornata, dopo che era fuggita dalla festa. Avrebbe parlato con lui, glielo doveva. Lo stimava troppo e provava un profondo affetto per quel ragazzo, non meritava nulla di meno di una sua spiegazione con il cuore in mano.

Domani, però.

Ora Candy era appesa a quel ramo frugando tra le fronde e nella piccola rientranza del tronco, in cerca di un libro.

Pagina trecentosei.

E lo trovò, vecchio e con la copertina in pelle consunta. Se lo strinse al petto quasi fosse lo stesso Albert e tornò più silenziosamente possibile nella propria stanza per leggerlo. Si trattava del diario di viaggio di un esploratore in cerca di mete esotiche, come appurò leggendo il titolo e la quarta di copertina, rannicchiata sul proprio letto. Chissà dove lo aveva scovato Albert, di certo l'argomento lo rappresentava appieno: non era forse lui quello che se ne stava per andare in Africa?

E tuttavia, a pagina trecentosei si parlava del Giappone. E di come James Smith, l'autore del libro, si fosse ritrovato a visitare Tokyo alla fine del secolo precedente. Verso metà della pagina citava una leggenda cinese molto conosciuta in Giappone e Candy spalancò gli occhi solo leggendone il nome.

Il filo rosso del destino.

Con un nodo che le stringeva la gola, scorse frenetica le righe nelle quali si citava la storia originale e, infine, il senso profondo della leggenda. Ci sono persone legate da un filo rosso invisibile e non conta quanti giri possa fare o la distanza che s'interpone fra loro: saranno sempre destinate a incontrarsi, ovunque e comunque.

D'istinto, Candy si guardò il mignolo della mano sinistra, dove di certo non avrebbe notato nulla: era da lì che il filo invisibile la legava alla sua anima gemella? Era veramente Albert, che aveva incontrato per caso a Lakewood e scoperto quasi per caso fare parte della stessa famiglia che l'aveva adottata? Anzi, essere stato parte determinante nella richiesta della sua adozione, anche se ancora minorenne. Ma evidentemente abbastanza maturo da sapere che quelle lettere indirizzate al 'vecchio prozio William' erano importanti e lei doveva diventare una Ardlay.

Albert le aveva promesso che l'avrebbe aspettata. Era certo che si sarebbero rivisti, non le aveva detto addio. E aveva confessato di amarla. Se gli orientali potevano credere a una leggenda così romantica e ricca di magia e mistero, non vedeva perché non poteva crederci anche lei! D'altronde, Albert era il ragazzo serio e pragmatico che studiava economia, ma non aveva esitato un attimo a lasciarle quella piccola testimonianza di quanto credesse lui stesso al destino.

Lasciando che le lacrime le scorressero calde e pigre sulle guance, Candy abbracciò di nuovo il libro, certa che un giorno il filo del destino li avrebbe uniti di nuovo.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


1915, Italia (Albert 27 anni, Candy 22 anni)

L'infermiera stava tornando, lo sentiva.

Alle narici gli arrivava già quel profumo di fiori che sembrava coprire del tutto il puzzo della polvere da sparo, del sangue e dei fluidi umani che permeavano la tenda. Albert, come lo chiamava lei, finse di dormire per potersi beare del tocco fresco della mano morbida sulla fronte, mentre controllava la temperatura, di sicuro incerta se provargli il termometro o meno; o mentre le sue mani gli scivolavano ai lati del capo per controllare le ferite coperte dalle bende; o, ancora, mentre sentiva il suo respiro così vicino che, se solo avesse potuto, l'avrebbe attirata a sé annullando la distanza. Baciandola finché fossero rimasti tutti e due senza fiato.

Come era stato possibile risvegliarsi in quel campo senza memoria e passare dalla disperazione alla perdizione nel giro di pochi giorni? Lei era bella, su questo non aveva alcun dubbio: tutti i soldati che potevano ancora permettersi di fare qualche battuta lanciavano di continuo apprezzamenti, alcuni al limite della decenza.
Lui stesso si sentiva sospeso in quel limite, quando la sognava, ma nel suo cuore stava anche sbocciando un sentimento così tenero che non poteva certo essere scambiato per mera attrazione fisica.

"Guarda che mi sono accorta che non stai dormendo!". La sua voce, così fresca e decisa, gli fece spalancare gli occhi con una fitta di senso di colpa. Sperava che non sapesse anche leggere nel pensiero o era certo che lo avrebbe picchiato.

"In realtà mi sono svegliato solo ora, ma ero molto stanco...".

Candy sospirò e sedette accanto al letto su una sedia sghemba che cigolò quando la mosse: "Albert, questa tua stanchezza poteva essere normale nei primi giorni, ma capisci bene che adesso dovresti cercare di alzarti, camminare e soprattutto mangiare di più. Non è deprimendoti e dormendo tutto il giorno che la memoria tornerà, sai?".

Albert pensò che non era solo la malinconia a tenerlo fermo in quel letto, ma anche la consapevolezza che lei sarebbe tornata. Per prendersi cura di lui. Per toccarlo. Per parlargli. E si sentì egoista davanti alla sofferenza del soldato cui era stata amputata la gamba, a quella dell'uomo con una profonda ferita all'addome, a quella del vicino di letto con un'infezione che lo faceva delirare di febbre da giorni.

Sì, sapeva che Candy teneva a lui ma era in grado di scindere la gravità delle situazioni dedicandosi prima ai feriti più urgenti. E tuttavia...

"Ti chiedo scusa, ti prometto che ora cercherò di alzarmi", disse cominciando a farlo di buona lena. E seguì quell'intenzione in maniera così repentina che la testa gli girò e un'ombra scura gli offuscò la vista. Era già con un piede fuori dal letto, il busto proteso. Candy lo afferrò con le mani sulle spalle nel momento in cui barcollò e un brivido elettrico gli attraversò la pelle quando alzò gli occhi per incontrare i suoi.

Verdi, come quelli di una strega gentile, di certo poco più giovane di lui, che lo avesse imbrigliato in un delizioso incantesimo. Era certo che nella loro vecchia vita fossero stati innamorati. O che almeno lui lo fosse non meno di quanto lo era adesso. Al momento, anche se non si ricordava di lei con la mente, il suo cuore correva, anzi, galoppava verso la direzione giusta. Il cuore già la ricordava.

"Resta seduto qualche istante...", suggerì lei distogliendo lo sguardo e arrossendo. Perché arrossiva? E perché si stava staccando da lui?

Con un gesto deciso ma più gentile che poté, la trattenne cercando di dominare l'impulso di baciarla, baciarla davvero dentro a quella tenda, sul suo letto, in mezzo al puzzo di morte e ai lamenti di dolore che li circondavano. Creando vita in mezzo al dolore. Creando amore.

"Ricordami come ci siamo conosciuti", le mormorò con voce roca e, diamine, era proprio a pochi pollici dalle sue labbra rosse e piene.

Quando lei se le leccò, evidentemente a disagio, fece violenza su se stesso per non seguire quell'impulso e le diede spazio, allentando la presa e lasciando che si sedesse di nuovo: "Ci siamo incontrati al college", esordì intrecciando le dita delle mani in grembo. "Eri più avanti di me, stavi terminando l'università. Lì ho scoperto che facevi parte della famiglia che mi aveva adottata...".

"...e che ero anche il fantomatico prozio che ha suggerito agli anziani di prenderti in seno alla famiglia", ribatté lui ricordando il suo primo racconto.

"Sì, anche se non me lo hai confessato subito", disse piano lei, continuando a evitare i suoi occhi. Negandogli gli specchi verdi nei quali voleva solo annegare. Confermandogli che gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa di molto importante.

"Cosa siamo, quindi? Cugini? Zio e nipote? Di certo non parenti di sangue! L'altro giorno volevo saperne di più, ma siamo stati interrotti".

E finalmente, Candy lo guardò: "Ti prometto che avviserò la tua famiglia non appena...".

"Non è la mia famiglia a preoccuparmi! Voglio sapere cosa eravamo noi. Studiavamo nello stesso college di Londra, giusto? Che rapporto avevamo? Perché io mi trovo qui, in un ospedale da campo in Italia, senza memoria, e tu sei una crocerossina?!". Sapeva che stava tirando troppo la corda, affrettando i tempi. Ma c'era un'urgenza che pervadeva il suo intero essere e che lo spingeva a definire subito quel legame profondo che sentiva di avere con quella ragazza. Nel suo sguardo, di colpo gli parve di leggere il panico e, ancora una volta, si sforzò di ricordare. Un viso triste. Due occhi rigati di lacrime. Una supplica.

Lei che lo pregava di aspettarla. Lui che rispondeva qualcosa...

"Poco dopo che sei andato via, io e il mio ragazzo di allora siamo stati attirati in una trappola ed espulsi da scuola", mormorò facendolo indietreggiare quasi avesse gridato.
Dunque era fidanzata? Non era mai stata sua e lui era solo un idiota in preda all'amnesia e agli ormoni? "Me ne sono tornata in America e sono diventata infermiera come ho sempre desiderato. Tu mi scrivevi dall'Africa e ti informavi su cosa facessi io, raccontandomi tutto ciò che tu stavi imparando lì, tanto da restare più di quanto avessi preventivato. Nella tua ultima lettera mi confessavi di avere avuto pressioni per tornare da parte della tua famiglia e io, che quasi desideravo raggiungerti, ho desistito. Poi hanno cominciato a parlare di una possibile guerra e ho perso le tue tracce. Ero terrorizzata, mi sono informata ovunque anche attraverso le ambasciate e so che gli Ardlay ti stavano cercando...".

"Dunque mi stavi cercando? O mi stava cercando la mia famiglia?". Il boato di un aereo che passava sulle loro teste fece trasalire Candy, che si alzò dalla sedia.
Lui la imitò e stavolta la testa non gli girò. Non per la debolezza, perlomeno. Lei gli aveva posato le mani sul torace come per sostenerlo: "Stai bene?".

"Sì. Candy, c'è qualcosa in te che mi ricorda... devo sapere, io devo capire...".

"Aspettami qui", disse in un bisbiglio accorato, fuggendo via e fermandosi solo un istante per chinarsi su un ferito e controllare una fasciatura.

Albert rimase impietrito in piedi, incapace di muoversi, appena conscio del rumore dei motori che li sorvolavano. Gli avevano detto che l'Italia non era ancora entrata ufficialmente in guerra: tuttavia, un campo profughi come quello ospitava soldati di ogni provenienza e lui stesso era stato vittima di un attentato su un treno.

Candy rientrò con un libro stretto al petto e lui avvertì una sorta di brivido lungo la spina dorsale. Si avvicinò, costringendolo a sedere sul letto e facendo lo stesso sulla sedia di poco prima. Aveva il volto arrossato, non seppe se per la corsa o l'imbarazzo: sembrava provarne molto mentre spiegava, con voce incerta: "Il giorno che sei partito per l'Africa... mi hai lasciato questo libro. E mi hai detto di guardare... a pagina trecentosei".

Lo sfogliò in silenzio, mentre lui non osava neanche respirare, e glielo mise in grembo. Albert le scoccò un'occhiata interrogativa, ma si rese conto che lei evitava il contatto visivo. Allora, si mise a leggere e più leggeva, più si rendeva conto che no, la sua sensazione non era sbagliata.

C'era davvero qualcosa di più di una famiglia adottiva a legarli. Qualcosa come un filo rosso del destino, bizzarro e misterioso, che faceva parte di una vecchia leggenda orientale, ma sembrava davvero reale e tangibile.

Però, quando Candy disse con voce bassa e chiara: "A Londra non era la prima volta che ti vedevo. Ci eravamo... già incontrati", il cuore gli mancò un battito prima di accelerare di nuovo.

"Cosa hai detto?".

Finalmente, gli occhi verdi lo fissarono, significativi e pieni di un passato che ancora non gli aveva raccontato ma che era lì, pronto da leggere come...beh, come un diario di viaggio dalla copertina polverosa e un po' consunta.

"Quando avevo sei anni ho incontrato un ragazzino più grande nei boschi di Lakewood che sembrava un folletto spettinato". Sorrise e Albert notò le lacrime che brillavano nei suoi occhi. L'emozione di lei lo travolse e divenne la propria. Sì, il suo cuore già sapeva. "Quel folletto era il mio compagno più grande di corso. E qualche tempo dopo mi ha confessato di essere anche il prozio William che aveva deciso la mia adozione con i membri più anziani".

Albert allungò una mano e il senso di dejà-vù divenne un dolore sordo ma meraviglioso al capo, quando le asciugò le lacrime. Mentre tratteneva le proprie. Sconvolto, travolto da un sentimento che non ricordava ma che provava potente come un'esplosione.

"Ci siamo incontrati in un piccolo paese in America. È successo di nuovo al college. Anche se lì mi pare di capire che non fosse poi così strano, visto che facevamo tutti parte della stessa famiglia, vero?". Candy sorrise e annuì. "E ora... questa leggenda che ti consegnai ha fatto sì che io, pur provenendo dall'Africa e trovandomi su un treno qui in Italia, sia finito in un campo profughi dove tu sei stata mandata dall'America per lavorare come crocerossina".

"Inizialmente volevano mandarmi in Francia", spiegò lei con voce rotta, "ma lì c'erano già delle mie colleghe e qui c'era comunque bisogno di una mano, anche se non si combatte attivamente".

Albert deglutì, senza interrompere la lieve carezza sulla guancia che lei non sembrava intenzionata a rifiutare. "Ti rendi conto che questo filo del destino esiste veramente tra noi? Tutto sembra essere stato concepito perché ci ritrovassimo. Grazie a te so chi sono. E grazie a te il mio cuore batte più forte se solo ti sono accanto e la speranza di recuperare la memoria diventa una certezza".

"Albert...".

"Perché me ne sono andato lasciandoti lì? Perché non sono tornato prima? Era per via del tuo ragazzo, vero? Eri innamorata di lui e io non volevo...".
"Era il contrario!", quasi gridò lei, attirandosi un mugugno di protesta dal letto accanto e il borbottio di un uomo che li invitava a uscire o trovarsi un albergo. Come se stessero facendo qualcosa di diverso dal parlare.

"Vieni, Candy, usciamo. Il medico di turno fa il giro fra pochi minuti se non sbaglio, giusto?". Lei parve valutare la situazione con un'occhiata veloce e si accertò che la collega francese fosse presente. Così lo seguì.

Albert la condusse accanto a un albero e sedettero alla base del tronco. Per un solo, assurdo istante, si immaginò con lei sul ramo più alto e si domandò se non fosse anche quella una reminiscenza del passato che non ricordava.

Non ebbe il coraggio di tallonarla, così si limitò a guardarla intensamente, in attesa che confessasse quella verità che anelava come acqua fresca nel deserto. Perché se davvero erano destinati a stare insieme, lei non era rimasta di certo legata all'altro ragazzo.

"Con Terry... beh, non ha funzionato. Non funzionava da tempo. Lui... era tanto caro e io credevo davvero di essermi innamorata di lui. Ma quando ti ho rivisto ero così confusa che... E poi sapevo che non avrei mai potuto competere con il nome degli Ardlay. Sarei sempre stata l'orfana senza passato, la ragazza adottata dalla famiglia senza padre, né madre...".

"Non dire stupidaggini! Non ha importanza", la interruppe e lei lo guardò spalancando gli occhi. "Che c'è, che ho detto?".

"Hai detto le stesse parole di allora!", esclamò portandosi le mani alle labbra. "E hai anche aggiunto che se io ero sicura... tu mi avresti aspettato. Hai anche detto...".

Cos'era quel boato? Un altro aereo? Amico o nemico? No, forse era solo il proprio cuore che rimbombava nelle sue orecchie e fin nelle tempie: "Cos'altro ti ho detto, Candy?". Se avesse potuto accarezzarla anche con la voce lo avrebbe fatto. Non ricordava un accidenti di nulla della sua famiglia, ma lei era come una pietra scolpita nell'animo che non era sparita neanche con l'amnesia. Lo sapeva da quando aveva aperto gli occhi e l'aveva vista.

Candy deglutì più volte e Albert avvicinò impercettibilmente il viso al suo, in attesa, cogliendo il suo respiro tiepido e agitato mentre rispondeva: "Che anche tu mi amavi".
Il sorriso gli rilassò gli angoli della bocca e gli occhi punsero di lacrime: lo sapeva! Sapeva di aver ritrovato qualcosa di prezioso in quel campo sperduto nel nulla! "Quindi perché me ne sono andato, Candy? Perché non sono rimasto con te e non ti ho atteso lì, a Londra?".

"Perché io ero ancora una ragazza minorenne e tu volevi fare questo viaggio! Inoltre io non ti ho mai detto... non ti ho detto... per prima...". Candy abbassò gli occhi e per lui non ebbe più importanza cosa fosse accaduto prima. Il passato era passato. Ora vivevano nel presente e la storia esotica del filo rosso che univa le anime gemelle si era appena avverata.

"Allora dimmelo adesso, Candy, se è vero. Dimmelo così che io possa ripetere la mia risposta", le mormorò costringendola a guardarlo con una mano sul suo viso. Il suo bel viso dalla pelle di porcellana dove piccole lentiggini spiccavano come i baci che non le aveva ancora dato.

Non credeva che lei avrebbe reagito in maniera tanto fervente, quasi attendesse di farlo fin da allora, dai suoi sedici anni: "Ti amo, Albert, ti amo fin da allora. Ti penso da quando ero bambina. E ho intenzione di amarti anche in futuro, qualunque cosa comporti, se tu mi vorrai".

"Ti voglio e ti amo anche io, Candy. Sì, mille volte sì. In ogni tempo, a ogni distanza. Siamo anime gemelle".

Senza più alcun motivo per rimandarlo, col cuore traboccante di gioia, finalmente la baciò. Il tocco fu gentile ma fermo e seppe, dal modo in cui lei lo ricambiò, che non era da quando si era svegliato che lo desiderava. No, di sicuro era dai giorni di Londra, quando aveva riconosciuto la bambina divenuta donna che non era sua cugina o la sua giovane nipote adottiva. Ma la donna destinata a lui. Che a lui era tornata seguendo le svolte di quel filo capriccioso ma puntuale che li aveva appena riuniti.

Albert non sapeva se avesse mai baciato prima, non se lo ricordava. Tuttavia l'emozione fu tale che fu costretto a stringerla a sé per comprendere che sì, Candy era reale, era fra le sue braccia e lui era nato per tenerla in quel modo. Lei era nata per tornare nella sua vita: da bambina, da ragazza, da donna. Nei luoghi più impensati e remoti del mondo.

La voce, forte e secca, fu come un colpo di pistola. Ebbe lo stesso effetto degli aerei, ma era ancora più spaventosa perché era vicina a loro e parlava tedesco, o almeno così gli sembrava dai toni duri e spigolosi delle parole che non comprendeva. Non solo l'uomo interruppe il loro bacio in modo improvviso, ma fece capire ad Albert che forse stavano per morire.

Il fucile puntò verso di loro, poi verso la tenda. L'uomo parlò in fretta, con le mani che tremavano, e Albert capì che non aveva molto tempo. Strinse forte a sé Candy, che sembrava rannicchiarsi e diventare sempre più piccola mentre ripeteva il suo nome quasi a rassicurarsi.

L'uomo sparò un colpo in aria e la frase che disse suonò nello stesso modo. Impetuosa, dura come una roccia, sembrava un ultimatum.

"Non sparare!". Cos'altro poteva dirgli, ammesso che comprendesse l'inglese? Che non erano nemici? Che lui era lì solo perché si trovava sul treno sbagliato al momento sbagliato e la ragazza era solo un'infermiera? Non voleva morire, non poteva morire adesso.

E tuttavia, se fosse accaduto, Albert seppe che era anche il momento giusto.

Perché aveva la donna della sua vita fra le braccia e l'avrebbe protetta a costo della propria. Il filo rosso, forse, avrebbe continuato a esistere. Non era certo quella canna puntata verso di loro che l'avrebbe scisso.

Mai.

"Albert... Albert...".

"Corri, Candy". La prese per mano, voltandosi per correre verso il bosco con lei.

Non rompere il filo rosso, mai.

Ma doveva proteggerla, anche se avesse significato non vederla più. Sentì il cane armarsi e si bloccò. L'avvolse fra le braccia, la schiena di Candy sul suo petto. Il suo calore e il suo profumo.

"Ti amo, ti amerò sempre...", le mormorò all'orecchio mentre un boato copriva il mondo.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


1921, Presente

"Albert, Albert svegliati!". Candy scosse il marito per farlo tornare alla realtà: doveva aver avuto l'incubo peggiore della sua vita per agitarsi tanto!

L'uomo che aveva sposato due anni prima e il cui frutto d'amore portava nel grembo, si sollevò di scatto con un verso gutturale che sembrava di spavento e orrore e l'afferrò per i polsi. Negli occhi, alla luce della lampada che aveva acceso, lesse un tormento remoto e senza fine.

Lo vide cercare di controllare la respirazione, mentre riprendeva il contatto con la realtà con evidente fatica, mettendola a fuoco quasi non la riconoscesse. Si passò una mano sul viso sudato e lei lo carezzò.

"Cosa hai sognato?".

Albert sbatté le palpebre e deglutì un paio di volte. Candy gli passò il bicchiere d'acqua che aveva sul proprio comodino e attese che lo sorbisse piano.
"Credo sia colpa del libro che ho letto prima di addormentarmi... o forse dovrei dire... merito". Si volse e lo prese dal comodino del suo lato.

"Il diario di viaggio dell'esploratore del secolo scorso?", domandò Candy curiosa.

Lui annuì e sfogliò il libro indicandole una pagina in particolare: "Quando sono arrivato qui stavo quasi per farti leggere di questa leggenda, ma mi sono accorto che dormivi profondamente e non ho voluto svegliarti".

Candy accettò il libro che suo marito le mise in grembo e lesse in silenzio per alcuni istanti. Il cuore accelerò e gli occhi si spalancarono di colpo: "Albert, ma... è quello che è successo a noi! Tu eri in viaggio dall'Africa e il filo rosso del destino ti ha portato fino a me! E non era neanche la prima volta...".

"Esatto, Candy. Quello che ho sognato, però... era diverso. È come se un'entità superiore avesse voluto mostrarmi che in ogni caso, in ogni realtà, il destino ci avrebbe uniti comunque. Non credo di aver mai fatto un sogno così strutturato in vita mia...".

Ora Candy era sveglia e vigile: "Raccontamelo, dunque!", chiese protendendosi verso di lui. "Che significa in ogni realtà?".

Albert le sorrise e intrecciò le mani dietro la nuca, poggiandosi sulla testiera del letto: "Dunque, innanzitutto ho sognato che il nostro primo incontro è avvenuto nei boschi di Lakewood. Tu avevi sempre sei anni, ma io ero più giovane...".

Man mano che Albert proseguiva nel racconto, Candy passò dall'interesse allo stupore. Fu sconvolta quando apprese che in quel mondo onirico si erano ritrovati a studiare nella stessa Saint Paul School e che lui non si trovasse al Blue River, ma sorrise nel sentire che Terry passava in secondo piano molto prima che nella realtà.

Albert s'interruppe proprio nel raccontarle che la Candy del suo sogno pareva aver vissuto nel dubbio e nell'indecisione fin da quando lo aveva rivisto al college.

"Non credo fosse molto lontano dalla realtà, sai? Voglio dire...". Ora era lui quello interessato, che inarcava le sopracciglia pieno di aspettativa. "Allora tu avevi... quanto, venticinque anni? Ai miei occhi eri un adulto e per me sarebbe stato impossibile vederti in modo diverso. Ma non dubito che se avessi davvero avuto solo cinque anni più di me e fossi stato studente, forse... beh... magari ti avrei notato eccome".

Il sorrisetto compiaciuto di Albert fu seguito da un breve abbraccio e da un piccolo bacio pieno di tenerezza: "Hai idea di quanto ciò mi renda felice?".

"Vagamente", scherzò lei. "Tesoro, non voglio dire che rimpiango il mio passato, né che rinnego il mio incontro con Terence... alla fine anche quello mi è servito come esperienza di vita. Però magari sarebbe stato tutto più semplice e avrei sofferto meno".

Albert si limitò a tacere e ad accarezzarle il viso. Candy sapeva che forse in lui si stavano avvicendando sentimenti contrastanti, ma ormai quello scoglio del passato era tanto lontano che fu certa non servissero altre precisazioni. Per maggior sicurezza, però, si dispose a baciarlo più e più volte, quasi a rassicurarlo, finché lui non le domandò con voce bassa: "Se vuoi posso raccontarti il resto della storia domani".

Candy ridacchiò: "No, lo farai adesso, William Albert Ardlay! Voglio sapere come finisce la nostra leggenda e perché ti ha sconvolto tanto".

Lui sospirò e rimise a posto il libro: "Beh, diciamo pure che mi sono svegliato perché il finale non mi pareva affatto lieto. Eravamo in un campo profughi in Italia e io avevo perso la memoria. Ma tu eri lì e lavoravi come crocerossina, quindi mi stavi raccontando di come ci eravamo conosciuti e... innamorati. Poi ti ho baciata, proprio come poco fa".

"E...?". Non era sicura di voler sapere il resto, perché la sua espressione sognante era appena mutata in un cipiglio profondo.

"Ed è arrivato uno scocciatore che parlava tedesco. E aveva un fucile. Ti ho protetta con il mio corpo, certo che il filo rosso non si sarebbe spezzato", concluse asciutto, strappandole un piccolo grido di dolore quasi stesse vivendo davvero l'attimo in cui il sogno era mutato in incubo.

"Ma è terribile! Albert, potevamo fuggire insieme! Hai idea di come sarei vissuta se tu fossi... se tu...". Senza potersi trattenere, Candy cominciò a singhiozzare. Sapeva di essere illogica, che stavano parlando di qualcosa di inesistente e solo immaginato, ma non poté impedire al suo cuore di spezzarsi all'idea che Albert, il suo Albert...

"Ehi, ehi, tesoro, calmati, non vi fa bene tanta agitazione!", mormorò accogliendola fra le braccia e sfiorandole il ventre. "Lo sapevo che non avrei dovuto raccontarti quella parte, che stupido sono stato! Però, Candy... è solo un sogno, una cosa che non si avvererà mai".

"Quindi se mi minacciassero non mi proteggeresti così?", domandò Candy non sapendo bene cosa sperare.

Albert la guardò confuso: "Ma certo che ti proteggerei, però... no, non ricominciare a piangere! Voglio dire, farei in modo che tutti fossimo sani e salvi! Candy, ti rendi conto che stiamo parlando del niente? Siamo qui, nella nostra casa di Chicago, aspettiamo il nostro primo bambino e la zia Elroy occupa l'altra ala della casa pronta anche domattina a chiederci come preferiamo che venga decorata la sua stanza e se siamo sicuri che non vogliamo più di una bambinaia. Viviamo in tempo di pace e non ho in programma lunghi viaggi perlomeno fino a primavera, quando diventeremo genitori. Va tutto bene, Candy".

"Hai dimenticato di menzionare Archie e Annie che ci verranno a trovare la settimana prossima assieme a Terence e Karen per festeggiare il Natale", disse asciugandosi gli occhi e cercando il contatto con la realtà meravigliosa che stavano vivendo. Si era immersa nell'incubo di Albert quasi fino a sentirlo, ma era davvero una sciocchezza.

"Brava, ora che ne dici di sciacquare il viso e poi mi do una rinfrescata anche io? Abbiamo anche qualche ora di sonno. A meno che...".

Albert le fece l'occhiolino e Candy si alzò, diretta in bagno: "Vedremo, signor Arlday, vedremo... intanto cerca di non addormentarti".

Mentre stava per chiudere la porta, lo udì richiamarla e si voltò: "Voglio pensare che in ogni tempo e in ogni realtà noi saremo sempre insieme. Mi piace immaginare che questo filo del destino trascenda anche il tempo".

Candy annuì: "Io ne sono convinta".

 
- § -
 
 
Albert attendeva sua moglie, ora più rilassato. Ma lo sguardo gli cadde ancora sul libro e d'istinto riaprì la pagina trecentosei. Sì, il messaggio era chiaro, a prescindere dall'epilogo che il suo incubo aveva avuto: in quelle ultime settimane aveva lavorato molto e avevano cenato tardi. Molto banalmente, una cattiva digestione e l'eccessiva stanchezza dovevano avergli giocato un brutto scherzo.

Ma, soprattutto, era certo che anche se si fossero conosciuti in un altro secolo, in un altro Paese o persino se avessero avuto una differenza di età maggiore, alla fine il filo rosso li avrebbe uniti comunque. L'autore del libro parlava con tanta enfasi di quella leggenda che era riuscito a trasmettere il senso profondo a chi leggeva, rendendo plausibile davvero ogni scenario.

Gli vennero in mente la morte di Anthony, l'esplosione del treno che gli era quasi costata la vita, la dolorosa separazione che Candy aveva vissuto con Terence e il triste epilogo con Susanna: possibile che per operare il destino dovesse portare anche tanta sofferenza?

No, Albert voleva credere che quelli fossero solo eventi su cui nessun mortale o entità superiore avesse controllo, che sarebbero avvenuti a prescindere. Perché due anime gemelle fossero unite non potevano che accadere piccoli miracoli, magari invisibili e sottovalutati.

Come ad esempio una bambina che corre su una collina mentre lui decide di scappare di casa; una piccola barca che precipita da una cascata proprio dove è accampato lui; una ragazza coraggiosa che scavalca i muri della scuola per andarsene da sola, in piena notte, per le strade di Londra; e una serie di eventi e azioni che portano uno smemorato a tornare nel suo Paese, ricoverato giusto dove lavora un'infermiera di nome Candice White.

Sì, pensò con un sorriso. In quello e in molti altri eventi deliziosamente misteriosi, v'era la presenza netta e discreta di quel meraviglioso filo rosso del destino.



1915, Italia (Albert 27 anni, Candy 22 anni)

Albert riprese a respirare, stupito dal fatto di poterlo ancora fare. Non aveva sentito dolore, non era morto. E Candy tremava ancora fra le sue braccia. Il filo rosso non poteva essere spezzato neanche dalla guerra.

Ma allora, chi aveva sparato?

Lentamente, si volse per guardare e vide un secondo soldato che si avvicinava al corpo inerme di quello che poco prima stava mirando a loro. Nei suoi occhi lesse una freddezza che lo sconvolse. Quando parlò, lo fece in una lingua a lui sconosciuta, ma che doveva essere italiano.

"Albert, stai bene?! Oh, mio Dio, pensavo...".

"Va tutto bene, quel soldato ci ha salvato la vita".

L'uomo, che non doveva essere molto più grande di Candy, indicò la tenda, quindi loro due, e continuò a dire qualcosa con un tono che sembrava di avvertimento. Possibile che il nemico fosse tanto vigliacco da attaccare i campi profughi? Albert non lo sapeva, né voleva approfondirlo, ma seppe che era ora di andarsene di lì.

E aveva intenzione di portare via anche Candy.

Quando il soldato si allontanò, e mentre un medico e alcune infermiere cominciavano a raggrupparsi vicino al corpo del soldato tedesco, le propose di fuggire insieme.

"Ma Albert, non posso lasciare il mio lavoro! Se c'è un pericolo ci faranno spostare e tu devi ancora riprenderti".

Si specchiò per lunghi istanti nei suoi occhi verdi e brillanti

una ninfa dei boschi

e le sorrise: "Resterò con te, allora. E quando mi dimetteranno ti aspetterò".

Candy gli sorrise, le lacrime che cominciavano a inumidirle le ciglia: "Mi aspetterai anche questa volta, dunque?".

"Ti aspetterò per tutto il tempo necessario. Anche per tutta la vita. E stavolta, starò al tuo fianco ".

"Ma dopo... la tua famiglia...".

"Non ho ricordi della mia famiglia. Mi ricordo solo di te".

"Però tu sei...".

"Io sono innamorato di te, Candy. E il nostro destino è unito come dice quel libro. Nessuno può opporsi, ricordi?".

Fu strano vedere il sorriso di lei nonostante vicino alla tenda stesse scoppiando il caos. Dopo, ci sarebbe stato tempo per le parole e le spiegazioni. Per la sicurezza, per gli spostamenti, per la fuga. Ora, il tempo sembrava essere sospeso per consentire a loro due di sancire quel legame che già c'era.

"Sì, me lo ricordo. Te l'ho raccontato io", rise. "E anche io ti amerò per sempre".

Albert la strinse a sé, guardando brevemente la piccola folla che si era raccolta poco distante. Ricordando la leggenda, alzò la mano sinistra e la intrecciò con quella di Candy: agli anulari, un giorno avrebbero avuto degli anelli a renderli marito e moglie. Ma legato al mignolo, gli parve quasi di scorgerlo, il filo vermiglio che li univa.

Per sempre. In ogni luogo. In ogni tempo.

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