Tutta la vita davanti

di Zyadad_Kalonharysh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si muore un po' ogni giorno ***
Capitolo 2: *** Le buone maniere ***
Capitolo 3: *** Punto sul quindici ***
Capitolo 4: *** Conoscevamo quel ragazzo? ***
Capitolo 5: *** Fuga dal passato ***
Capitolo 6: *** Fingere per non morire? ***
Capitolo 7: *** La colpa sta bene su tutto (ma io stavo meglio senza!) ***
Capitolo 8: *** Recensioni ***
Capitolo 9: *** Un giorno meraviglioso ***
Capitolo 10: *** Bisogna essere in tre ***
Capitolo 11: *** Finalmente io ***
Capitolo 12: *** Cosa definisce una relazione ***
Capitolo 13: *** Veleno ***
Capitolo 14: *** Meno Idoli ***
Capitolo 15: *** Eternamente Bambini ***
Capitolo 16: *** La douleur exquise ***
Capitolo 17: *** Dove lo metto? ***



Capitolo 1
*** Si muore un po' ogni giorno ***


Premessa

IN QUESTA SERIE CI SONO DEI PERSONAGGI ORIGINALI (OC) provenienti da una vecchia FF scritta nel 2019. Siccome quella FF è incompiuta, qualitativamente scarsa e in via di riscrittura, questi personaggi sono stati reintrodotti per bene all'interno di questa storia, così da non rendere necessario leggere l'altra.
Quando ho scritto la prima storia nel 2019, un po’ per noia e un po’ perché mi frullava l’idea in testa e ho trovato tempo di scriverla, ero in una fase diversa della mia vita e la scrissi con le lenti di un* me di appena 18 anni. Oggi ho avuto modo di riguardare HxH e rileggere un po’ le vecchie pagine, così mi è tornata la voglia di scrivere su questa serie. 
Stavolta ho pensato di rileggere e parlarvi di Gon alle prese con sfide quotidiane diverse da quelle che ha vissuto. Affrontare quindi questioni psicologiche, la crescita, l’avanzamento all’età adulta.
Per questo motivo metto le mani avanti sulla questione OOC. Ho scelto di non mettere questo tag non perché Gon sia identico a come lo vedete nella serie (tutt’altro), ma perché questo cambiamento va contestualizzato con ciò che è successo, la sua crescita e a tanti fattori in gioco.
Per quanto riguarda gli altri personaggi, ho deciso di mettere tutti quelli canon sotto una luce diversa, non per stroncarli ma per arricchire la visione che abbiamo di loro.
 

Capitolo 1

È passato un anno da quando Gon ha combattuto contro le formichimere, incontrato suo padre e si è separato da Killua. Oggi, a ridosso del suo quindicesimo compleanno, inizia a voltare pagina e si prepara a nuovi interrogativi.
 

Si muore un po’ ogni giorno

Che dicano ciò che vogliono. Alla fine della fiera, è solo questione di perseveranza. Io contro il mondo, come era all’inizio. Fa parte del gioco, non dovrebbe sorprendermi né ferirmi.
«Gon, te l’ho già spiegato, la statuina lì sopra non ci sta.» insiste zia Mito, stanca, mentre mi appresto a decorare il locale per l’arrivo delle festività di maggio. «Mettilo dietro al bancone e facciamola finita.»
«Io ti dico che ci sta.» rispondo con fare determinato, continuando imperterrito a cercare di fissare con il nastro la statuina sulla parete dell’ingresso. «Dietro al bancone non lo vedrà nessuno.»
«Ci tieni così tanto a farlo vedere? Ancora non mi hai detto chi ti ha regalato questo pezzo di ceramica.» inizia a stuzzicarmi, mentre si riempie un bicchiere di vino. «Da quando è arrivato per posta te lo sei tenuto tutto per te.»
«Ma non è nulla di che…» mento. «È solo un pensiero, tutto qua.»
«Tutto qua? A me sembra che tu ci tenga tanto.» zia Mito ha deciso proprio di sfiancarmi con le sue domande. Non capita spesso, ma a questo punto sto iniziando a innervosirmi. Sarà che ho passato l’intera giornata a studiare. È ormai quasi un anno che la perdita del Nen mi ha cambiato la vita, adesso vivo in maniera più standard, possiamo dire. «Te l’ha regalato Killua?» se ne esce all’improvviso, ridacchiando come se fosse divertente.
È da un po’ che quel nome non si pronuncia in questa casa. Quando sono tornato, le ho fatto capire che non mi va di esprimermi sull’argomento e così ha smesso di insistere. Sa che tutta la situazione mi ha fatto male, il fatto che io non possa più vivere quelle avventure e che la perdita dei poteri mi ha reso completamente inutile. I miei amici continueranno a lottare, per forza di cose ci siamo allontanati. Non puoi essere compagno di viaggio di qualcuno se sei inutile. Dopo uno sguardo che l’ha subito fatta desistere al parlare dell’argomento, zia Mito si volta e fa per andare al piano di sopra.
«E comunque no, non me l’ha regalato Killua.» la interrompo, mentre alzo il ninnolo – un gattino di porcellana con un fiocco rosa sulla testa – per farglielo vedere. «Killua non mi scrive e non mi manda niente. Sai che è da un anno che non lo sento nemmeno via telefono.»
Mi guarda con fare compassionevole. Dopotutto, cosa altro può fare? C’è una reazione diversa a una storia così squallida?
«Allora non ti disturberà dirmi chi è il mittente.» si avvicina di nuovo a me, mentre entrambi ci sediamo al tavolo, ritornando a sorridere.
«Una persona che invece mi chiama e mi invia lettere. O meglio, utilizza le e-mail, ma il concetto è quello.» mi viene da sorridere a pensarci. «Te l’ho detto, sto voltando pagina e sto rivalutando le cose in cui credo.»
«È molto strano…» dice, mentre si porta la mano sul mento e fa uno sguardo indecifrabile. «Senza offesa, Gon, ma tu non sei una persona che riflette molto. Hai sempre fatto tutto in maniera… naturale, ecco. Non sei quel tipo di persona che si preoccupa di chiamate, lettere, regali e cose così. Capisco che tu stia crescendo, diventando adolescente, però...»
«Dove vuoi arrivare?» le chiedo, perché non sto capendo nulla.
«Che ultimamente hai iniziato a discutere di più, porti problemi diversi, vedere le cose sotto un’altra luce. E questo cambiamento è normale con la crescita, sicuramente, ma una sensazione mi dice che c’è dell’altro. C’entrano Killua, Ging o entrambi?» Alla fine non ci è andata tanto per il sottile.
«Sì, in qualche modo…» Onestamente, non so come impostare questo discorso che per mesi mi sono fatto in testa e solo per me stesso. «Ho capito che la realtà non rispecchiasse le mie aspettative. E che forse desideravo le cose sbagliate.» E ho buttato giù l’asso.
Zia Mito per qualche motivo non ha nulla da dire. Mi fissa, smaniando di proferire parola, ma non sa effettivamente né cosa dirmi né come dirmelo. Le faccio un gesto come per dire “buttala fuori come ti viene”. E io penso ancora all’ultima frase che ho detto. Forse desideravo le cose sbagliate. Ma lo so io, lo sa mia zia e tutti voi che state leggendo che quel ‘forse’ andrebbe tolto.
«Hai mai pensato che tutto questo viaggio, tutte le volte che hai rischiato la vita…» balbetta un po’, evidentemente sta per dirne una grossa. «Ecco, hai mai pensato che si potesse evitare? Rifaresti tutto?»
È una domanda che mi sono posto. Ci avevo pensato, troppo tardi e a viaggio finito, ma ci avevo pensato. «Forse.» rispondo. «Rifarei l’esame, rifarei quasi tutto. Se ti dicessi che non sia stato felice nel mentre, ti starei mentendo. Però… con modalità diverse e con motivazioni diverse… sarebbe stato meglio.»
E ho scelto la via dell’onestà. Perché siamo tutti bravi a dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato quando la storia è finita e la stiamo riguardando da spettatori. No?
«Gon, tra due settimane è il tuo compleanno.» decide di cambiare repentinamente il discorso. «Farai qualcosa?»
Cosa intende con “fare qualcosa”? «Cosa intendi con “fare qualcosa”?» per qualche motivo scatto sulla difensiva, con le pupille ridotte a due fessure.
«Non so, invitare qualche amico.»
«Kurapika e Leorio sono molto impegnati, questo capisco dalle loro lettere, in più sono in una missione nel Continente Oscuro… lunga e brutta storia.» la prendo lunga giusto per far cadere la cosa. «E l’idea di disturbare Killua non è degna di commento.»
«Disturbare?» zia Mito sobbalza. Non mi ha mai sentito parlare in quel modo.
«Sì… è impegnato a proteggere sua sorella. E penso voglia fare le sue cose… senza di me. Scusa, non so come altro dirlo. E pure se fosse non saprei cosa dirgli. Se gli telefonassi, probabilmente farei scena muta!» la butto sul ridere, tirando fuori una risata isterica mai vista che sciocca zia Mito.
«Gon… un’ultima domanda.» si curva un po’ per fissarmi ancora più intensamente. «Sei per caso stato sostituito con un’altra persona?»



Digito il suo numero sul cellulare, sono un po’ nervoso. Aspettavo di fare questa telefonata da un po’ di tempo, mi sudano le mani. Quando trovo il coraggio dii premere sul tasto di chiamata, ottengo risposta in pochissimi squilli.
«Ciao,» esordisco, con fare un po’ timido. «Non ci sentiamo da un po’! Hai qualche minuto? Non ci metto molto.»
Dall’altra parte sento urlare il mio nome, mi tranquillizza sapere che la mia telefonata sia gradita. «Ma scherzi? Ho tutto il tempo che vuoi. Lo sai che per te ci sono sempre, Gon.»
«Ti ringrazio davvero, Graziina.» mi scende una lacrimuccia. «E grazie per il ninnolo che hai mandato per posta, anche se non ho trovato posto dove metterlo in mostra.»
«Lo sapevo, avrei dovuto mandarti un piattino decorato o una piccola civetta. Non potevo mandarti nulla che non fosse in ceramica, ultimamente vanno di moda certe decorazioni in vimini che sono un attentato alla salute. So che ti piacerebbero, ma io le trovo provinciali. Scusa!» la sento già disperare, un po’ mi viene da ridere.
«Non volevo parlarti di questo. E, tranquilla, l’ho apprezzato tanto.» faccio per rassicurarla. «Il cinque maggio è il mio compleanno e, sai, mia zia vorrebbe vedermi più socievole e cose di questo tipo. Non mi aspetto che tu possa venire, sei lontanissima. Ma nel caso, puoi portare chi vuoi, anche Audrey Hepburn e i cuccioli sono ben accetti.»
«Beh, i cuccioli di Audrey ormai sono dei giganti! E non dirlo neanche per scherzo, io ci sono. Mi farà piacere qualche giorno in campagna e, perché no, conoscere tua zia! Hai già chiamato Espedito?»
«Lo faccio adesso, spero ci sia anche lui.» Per qualche motivo la mia voce suona come se stessi piangendo. Mi domando se si noti.
«Ti sento strano, però. Succede qualcosa?» Ed eccoci qua.
Non voglio mentirle. «Perché non ne parliamo quando arrivi qui? Magari davanti a una tazza di tè. Al telefono è brutto fare certi discorsi.»
Poco dopo aver chiuso la telefonata con Graziina, faccio come avevo detto e telefono anche ad Espedito. Mi confermano quindi anche Maxine, Danielle e alcuni suoi amici. Anche la madre verrà a trovarmi. È bastato un giro di telefonate e la solitudine che mi ha accompagnato fino a questo momento si dovrebbe, in teoria, appagare. Avevo una festa di compleanno vera. Sorrido a trentadue denti, devo esserne felice perché è già un enorme dono rispetto a ciò che sto vivendo. Ma una parte di me, in fondo, sa che il mio problema non è non avere delle persone nella mia vita, bensì quelle persone.
Ma non si può avere tutto.

 

 
Sono seduto sul letto a fissare il vuoto, altra cosa che prima non capitava spesso. Un solo pensiero mi martella la testa da mezz’ora. Dovrei chiamare anche Ging? Assolutamente no, è fuori discussione. Penserebbe che io voglia improvvisamente costringerlo a recuperare il tempo perso o cose del genere. Anche lui non si è fatto sentire e se c’è una cosa che ho imparato in questi tempi è che lui avrebbe potuto trovarmi tranquillamente, se solo avesse voluto. Mi sono reso più che facile da reperire, ciononostante lui ha deciso così. Va tutto bene. Dovrei essere fiero di non telefonargli, il me di anche solo un anno fa non avrebbe fatto un ragionamento così maturo. Sono cresciuto, stavolta sul serio.
«Stai pensando di chiamarlo?» zia Mito irrompe improvvisamente dalla porta, neanche avesse i poteri di Pakunoda. Ma penso che un pensiero simile, a ridosso del mio compleanno, fosse molto prevedibile.
«Non lo so. Cioè, no.» balbetto. Cosa che ho iniziato a fare troppo spesso.
«E così non inviti nessuno.» sospira, con fare deluso.
«In realtà verranno alcune persone. Non sono hunter, fortunatamente non dipendono da quel giro.» E parlo di quel giro ammettendone tutta l’ipocrisia. Perché di ‘quel giro’ ho fatto parte e ho beneficiato fino al momento in cui sono stato indirettamente sbattuto fuori per la mia inutilità.
Sono una persona comune, ora. Senza poteri e senza particolari unicità. Una di quelle persone che in una storia fanno da sfondo. Quelle persone che prima, forte del mio gruppo di amici e delle mie avventure esclusive, guardavo con uno sguardo tra la pena e l’altezzosità. Adesso sono uno di loro e capisco come si sentono dinanzi a noi. Ho conosciuto quel senso di impotenza, inferiorità, inutilità. Ho incontrato e abbracciato la realtà dei fatti. E la realtà dei fatti è… uno schifo.
 

 
Se c’è una delle cose più noiose da fare a casa, quella è ritirare la posta. Non sembrerebbe una mansione chissà quanto faticosa, del resto tu vai, apri la cassetta e prendi quello che c’è dentro. Nella realtà dei fatti è un po’ più complesso di così. Quando vado a ritirare la posta mi gonfio sempre di aspettative. Mi aspetto sempre di trovarci qualcosa di interessante, una notifica di chissà che evento, lettere da persone che non mi scriveranno mai e cose di questo genere. E ogni volta ne resto ovviamente deluso. Ogni volta, perché non basta farlo regolarmente per un anno, quell’aspettativa resta sempre e ogni volta è destinata ad essere delusa.
Questa volta, qualcosa attira la mia attenzione più del solito. Una lettera con il mio nome sopra, non se ne vedeva una da un anno, se togliamo le fatture da pagare. Quando vado a leggere chi sia il mittente, mi prende un colpo. Ho ricevuto sul serio una lettera da Kite? Dopo che l’ho fatto trasformare in una bambina?
La lettera è cortissima, si legge con uno sguardo. L’involucro contiene un biglietto di auguri con un disegno fatto da lui. E mi viene da fantasticare: ci avrà pensato da solo o l’ha fatto insieme ad altri? Non potrò mai saperlo, qui c’è solo il suo nome.

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Oggi mi sono svegliato con la luna storta.
Non mi sono nemmeno alzato, sono stremato e svilito. Ho sognato nuovamente mio padre. E come ogni volta, ho sognato di essere abbandonato per l’ennesima volta. Ieri ho fatto i salti di gioia per un biglietto da Kite. Un biglietto comprato in un drugstore e con meno di dieci parole sul retro, contando la data e la firma. Questa è la cosa più emozionante non solo della giornata di ieri ma di un intero anno. Realizzarlo è stato brutto. Perché sento ancora l’attaccamento a quella realtà di cui non faccio più parte.
Berrei volentieri un caffè.

«Ancora non sei in piedi? Che ti succede?» sento già la voce di zia Mito. Oggi no, non ci riesco. Ti prego, no. «Ti ricordi? Oggi dobbiamo iniziare le funzioni goniometriche. Questo c'è scritto sul libro, non che io abbia capito molto. Ma tu sicuramente ci riesci meglio di me! Dai, che non stai andando male!» Continua ad incalzarmi, ma non riesco a reagire. È vero, non sta andando male lo studio, sono sorpreso quanto lei di riuscirci. Ma non è questo il problema.
Si avvicina al letto e si siede vicino a me. Nota il cuscino bagnato e la mia faccia rossa. Ho pianto così tanto da essere irriconoscibile. Non è la prima volta che succede, lei sa già il perché. «Si muore un po’ ogni giorno.» penso ad alta voce, tra me e me.
«Come puoi dire una cosa simile?» lo dice con un tono che sta tra il rimprovero e la preoccupazione. «Io non ti ho educato così.»
La mia bocca trattiene un “E guarda come è finita.”. Non lo dico, so che una frase del genere la turberebbe troppo. E poi, non è colpa sua. È che finora ho idealizzato la vita. Per essere stato in viaggio così tanto tempo, non ho capito assolutamente nulla del mondo e della vita. Sarà stata l’età, saranno stati i poteri. Pensavo sarei rimasto lo stesso ragazzino esuberante e svampito di sempre. Io ero quella persona e oggi non mi riconosco più. Provo sensazioni diverse, ragiono in modo diverso, parlo in modo diverso, uso addirittura parole diverse.
«Mi dici qual è il problema?» zia Mito continua a cercare di farmi alzare.
«Ho paura di svegliarmi una mattina con la voglia di spararmi una pallottola in testa.» mi è venuto in mente troppo in fretta. Aiuto. E subito scoppio a piangere. E anche lei con me.


Anche oggi ho finito di studiare. Come faccio ogni giorno, chiudo il libro e ripeto a voce quello che mi ricordo. Questa volta è andata bene. È così strano che questa cosa dello studio non sia un disastro. Mia zia non mi controlla nemmeno più i quaderni, sa che sto andando bene e si fida. Ma, finita quest’ultima mansione, tutto il senso di disperazione ripiomba su di me con violenza. Annuncio dalle scale di aver finito, ma lei non è in casa.
L’idea di compiere quindici anni non mi fa stare bene. Festeggiare il mio compleanno non mi è mai dispiaciuto, anzi. Ma quest’anno no. Una volta Espedito mi ha parlato della crisi che insorge quando sei a metà tra un decennio e l'altro. Dovrebbe trattarsi di questo, non penso c’entri il fatto che le persone a cui ho dato tutto il mio affetto negli ultimi anni mi abbiano abbandonato. Ogni volta che ci penso, penso al fatto che ho programmato la mia vita considerando loro. Mi ero adagiato sulla consapevolezza che sarebbero rimasti per sempre. Queste sono le conseguenze.

Penso al fatto che, anche se è matematicamente certo che non verranno e potrei veramente quotare questa cosa in borsa, sarebbe educato lasciare una porta aperta. Senza troppe speranze, solo per far sapere che ci sono, esisto ancora e respiro. Un invito virtuale al quale chiederò semplicemente un sì o un no. Nulla di plateale. Che io gradirei una loro visita dovrebbe essere scontato, evidentemente non lo è. Inizierei da Leorio, mi sembra quello più semplice.

Caro Leorio,
spero che la tua spedizione nel continente oscuro stia andando bene. Vorrei tanto rivederti per il mio compleanno perché mi piacerebbe passare del tempo con tutti voi come ai vecchi tempi

No! Non deve essere così. È triste, è barbosa, mi fa fare la figura di un disperato.
No, no, no. Niente vecchi tempi, niente “mi manchi”, niente “caro” (che sembra una cosa da cariatidi). E, ad un tratto, l’illuminazione: la lettera di Kite/Reina. È perfetta: zero impegno, evidentemente mandata più per cortesia che per genuino interesse, asettica e che non lascia sicurezze. È così che sono stato trattato finora, conviene ricambiare.

Venerdì sera festeggio il mio compleanno. Sono 15! Organizzo una cosina a casa mia, isola Balena. Potete portare chi volete!

Manderò lo stesso invito a tutti. Aggiungo le indicazioni per arrivare sull’isola ed è tutto perfetto. Invia.
La cosa più affettuosa di questo bigliettino virtuale è il pellicano con gli occhi a cuore sullo sfondo. È proprio una fatica crescere, diventare adulti e rapportarsi agli altri come adulti.
Il tempo di inviare quell’invito “con poco impegno” e già sento l’ansia per tutto il corpo. Non sono nemmeno le nove di sera, ma già voglio dormire. Ricado nel mio buco di depressione dal quale nemmeno uno speleologo mi potrebbe tirare fuori.

\
 
Sono passati due giorni e la casella postale non mi segna nuovi messaggi. C’è ancora tutto il tempo per avere una risposta entro il giorno X, ma sento già che la speranza remota di una risposta sia in via di riciclaggio. Un senso di sollievo, nel profondo, mi sorprende: ho fatto ciò che andava fatto, senza esagerazioni. Va bene così.
In questi momenti, le parole di un testo di Seneca che ho studiato per la scuola mi rimbombano in testa. Si muore un po’ ogni giorno. Ogni giorno, una parte della vita viene meno e anche quando si cresce, la vita decresce. Si muore fino alla fine per tutto il tempo che si attraversa, questo stesso giorno che si vive lo si divide con la morte. Come l’ultima goccia non svuota la clessidra intera, ma qualsiasi goccia già sia defluita prima. Così l’ultimo momento in cui noi smettiamo di esistere non da solo costituisce la morte, ma la constata e basta.  

Mi butto sotto la doccia, l’acqua calda mi calma un attimo i nervi. Penso alla persona che sono diventato e mi chiedo cosa sia successo. La letterale risurrezione dopo la storia delle formichimere, oltre a togliermi i poteri, mi ha tolto la mia voglia di vivere? O tutto questo è solo un processo naturale per elaborare gli eventi della mia vita in concomitanza con l’avvicinarsi all’età adulta?
«Gon!» mi sento chiamare appena dietro la tendina della doccia, salto per aria e urlo dallo spavento. Prendo subito un telo e lo avvolgo intorno al corpo per coprirmi, poi apro la tendina da doccia. «Gon sono io, Graziina. Scusami se ti ho spaventato, in casa non c’è nessuno!». Ed eccola lì, capelli piastrati, ordinatissima e avvolta nel suo tailleur rosa preferito. Non posso fare a meno di sorridere nonostante la situazione pittoresca.


 

 

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Capitolo 2
*** Le buone maniere ***


Salve a tuttx!
Volevo innanzitutto ringraziarvi se avete deciso di proseguire la storia dopo il primo capitolo. Ho deciso di pubblicare i primi due insieme.
Vi chiarisco qualche dubbio: come introdotto nella vecchia FF, il mondo Hunter e il mondo nostro coesistono. Cioè, il nostro mondo di cinque continenti è un continente sullo stesso pianeta di quello di HxH. Per questo si parla di York Shin City che di New York come due città diverse lontane 200mila km l'una dall'altra. E così via.
Ho scritto tutto al presente e in prima persona per l'ovvia ispirazione dai romanzi di Sophie Kinsella. Per concludere, volevo darvi qualcosa da ascoltare durante il capitolo o semplicemente condividere con voi le canzoni e i temi musicali che hanno ispirato la scrittura di questa storia. Grazie a Sex & The City (che non vi negherò, da tre anni influenza tutte le storie che scrivo) ho scoperto il musicista Gunnar Madsen. Trovo che le sue composizioni siano mozzafiato e che si sposino perfettamente come temi per i personaggi.
 
Se volete qualcosa da ascoltare durante la lettura:
 

Capitolo 2

L’arrivo dei nuovi amici di Gon sconvolge casa Freecss. Gon si apre su suo padre.

Le buone maniere

Quando zia Mito rientra in casa, si sorprende nel vedermi a un tavolo del locale in compagnia di una ragazza palesemente non del posto e dai modi decisamente diversi dai nostri.
«Zia Mito! Lei è Graziina.» le annuncio, ancora preso dall’emozione per questa sorpresa.
«Buonasera a lei. Le chiedo scusa per il disturbo in tarda serata.» Graziina accenna un inchino e fa un sorriso sobrio ed elegante. «Stavo dicendo a Gon che avete una casa molto carina.»
«Tu devi essere la ragazza del gattino di ceramica che Gon cerca disperatamente di appendere alla porta dell’ingresso! È un pensiero molto carino. Comunque, io sono Mito, la zia di Gon.» Sembra essere in soggezione per il modo di fare di Graziina, al quale decisamente non è abituata.
«E cosa ci fa una ragazza bella e perbene come te qui nella sperduta campagna?» La nonna è rientrata in casa, attratta dalle voci, contenta di vedere qualche faccia nuova.
«Ci siamo conosciuti due anni fa, per una missione in cui Gon ci ha aiutato molto.» spiega Graziina, per poi voltarsi verso di me e sorridermi. Un po’ arrossisco.
«E allora benvenuta! Ti prego di darmi del tu e fare come se fossi a casa tua.» zia Mito sorride come poche volte ho visto negli ultimi mesi. «Gon, puoi venire un attimo dietro al bancone?»
Annuisco e la seguo, dandole una mano a preparare il caffè. «Se me lo avessi detto prima avrei preparato qualcosa di dolce. Hai un’ospite ed è una ragazza bellissima ed estremamente perbene.» le sembra esplodere la testa tra la felicità e l’emozione.
«Non preoccupatevi,» Graziina, che l’ha sentita, si avvicina sorridente. «Ho portato una Sachertorte accompagnata da meringhe al limone e dei piccoli dolcetti di pasta génoise al rum.». Zia Mito sta per avere un infarto mentre Graziina con nonchalance tira fuori dai cartoni dei dolci che sembrano provenire direttamente dal paradiso. «Li ho fatti io. Quindi sono un tantino nervosa!» le scappa una risatina isterica.
 
Mito mi guarda sbalordita mentre mangio i dolci di Graziina senza divorarli come un animale. Graziina, invece, fissa entrambi in attesa di un riscontro.
«Non ho mai mangiato nulla di simile!» sussurra la zia Mito, facendo sospirare di sollievo la ragazza.
«A questo punto, suggerirei un calice di un Château d’Yquem.» suggerisce, aprendo la bottiglia che aveva messo prima sul tavolo. «Si sposa bene con il dessert, ma va bene anche per l’happy hour!»
Dopo un piccolo brindisi, la curiosità di mia zia schizza alle stelle. «Graziina, da dove vieni?»
«Ha presente quel continente di cui si parla tanto da un paio d’anni?» chiede. «Io vengo da New York.»
«È una città stupenda, ma per arrivarci ci vuole un giorno di aereo.» intervengo, ricordando il mio viaggio in quel posto. «A proposito, sei venuta da sola?»
«Sì, io ero libera e quindi sono partita il giorno dopo aver ricevuto la tua lettera. Espedito e gli altri verranno tra qualche giorno. Abbiamo deciso tutti di venire in anticipo per aiutarti ad organizzare la festa!» mi fa lei, tutta concitata, scomponendosi ma solo per pochi istanti.
«Io in verità pensavo a una cosa tranquilla.» le rispondo, un po’ imbarazzato all’idea di dare una festa.   
«Andiamo! È il tuo primo compleanno che puoi festeggiare qui a casa. Non faremo nulla di esagerato, semplicemente un po’ di musica e un bel buffet.» mi rassicura, mentre fruga nella sua borsa.
«Graziina ha ragione.» mi canzona mia zia. «Basta vegetare, hai bisogno di svago. Mi spiace solo che non ci siano Killua e gli altri.»
Ebbene sì. Zia Mito sceglie sempre i momenti meno opportuni per parlare di Killua. Graziina nel sentire quel nome fa una faccia pensierosa, non sa esattamente quali siano i rapporti. Beh, è lo stesso per me.
«Io ho mandato l’invito, poi si vedrà.» Dico. Ora la vedo molto più serena. So che le piacerebbe tantissimo vederli.
«Meno male, vorrei tanto rivedere quel ragazzo.» a quella battuta, ritorna il disagio. Poi si volta verso Graziina. «Senza nulla togliere a te, sei fantastica.» Ancora peggio. «Ad ogni modo, ti ringrazio infinitamente di questo pensiero, anche se il luogo e la compagnia non sono all’altezza.» Ma ha deciso di sparare tutte le frasi peggiori?
«Non lo dica nemmeno per scherzo. Un contesto per essere all’altezza di una degustazione deve essere sereno e familiare. E questo lo è.» Graziina la tranquillizza, mettendo una mano su quella di mia zia. «Questo, per me, è il miglior galateo che ci sia. L’ultima volta che sono stata così serena con un calice di vino in mano, era quando ho fatto il mio primo tour dei vini a Saint-Èmilion.»
Io non so nemmeno cosa sia un tour dei vini. Avrete capito che Graziina è una ragazza che tiene molto alle buone maniere. La prima volta che le ho raccontato di mio padre, a differenza di molti altri, lei si è indignata. Ogni volta che mi sentivo stanco, debole e intorno a me c’era un contesto che ignorava questi sentimenti, lei c’era e mi confortava. Mi ha raccontato molto spesso del galateo. Lei è cresciuta con regole e regole su come si sta a tavola, come ci si presenta alle persone, quale vino scegliere in base al cibo e al tema della serata e come essere ospitale con le persone che invita a cena. Queste regole le ha assimilate in maniera così forte che non riuscirebbe a presentarsi a mani vuote nemmeno a casa di Hisoka. Ma dice anche che queste regole se non accompagnate al calore umano e alla volontà di stare insieme, sono inutili.
 
Finita quella strana pausa dolce con spumante, aiuto zia Mito a sistemare il materasso su cui devo dormire. Il mio letto, ovviamente, l’ho lasciato a Graziina.
«Sono sorpresa.» mi dice mentre metto il cuscino nella federa. «Hai portato a casa una persona così...»
«Sì, l’hai già detto.» sorrido.
«È così fine ed educata.» mormora. «Ma non mi stupisce, tu attiri tante belle persone.»
«Possiamo dire così.»
«Ma è la tua ragazza?» chiede a bruciapelo. «Se è così, allora capisco perché ci hai rimpiazzato Killua.»
«Ma che discorsi ti metti a fare?» mi viene quasi da urlare. «Comunque, no. Non è la mia ragazza e non ci ho rimpiazzato nessuno. Killua non si fa sentire da un anno, lei si è fatta sentire ed ha viaggiato un giorno intero con poco preavviso solo perché ha sentito che avessi bisogno di lei.»
Lei mormora delle scuse e la conversazione muore lì. Proprio non riesco a capire perché debba punzecchiarmi così tanto su quell’argomento, come se la cosa non fosse già pesante di per sé.
 
Finito di sistemare i letti, vado in camera per parlare con Graziina. Appena mi fa entrare, mi dà un abbraccio e mi ricorda più volte quanto io le sia mancato e che è felice di vedermi. Vedo che ha messo sulla scrivania un bollitore e un barattolo di latta di tè. Mi chiede se ne voglio una tazza, io accetto e subito inizia a parlare a macchinetta sull’assortimento di tè che ha portato, su quale vada preso quando e sulle varie tipologie. Io rido un po’ perché mi mancava passare del tempo insieme a una persona così movimentata.  
«Ti ricordo che mi devi delle spiegazioni che, cito testualmente, “è brutto parlarne al telefono”.» Mi rimprovera, sfregandomi la mano sulla testa.
«Non ho più i miei poteri, ho incontrato mio padre...» mormoro frasi sconnesse, faticando come sempre a parlare, venendo interrotto da un urletto a frequenza altissima.
«Sul serio? E come è stato?» saltella concitata. Mi ero dimenticato di darle questa notizia bomba nelle mie lettere.
«Abbiamo parlato per mezza giornata e dopo non si è fatto più rivedere. Diciamo che è stato un bidone.» dico mentre prendo un sorso.
«Non mi esprimo, sono una donna di classe.» il suo tono di voce si rinsecchisce, anche se dallo sguardo immagino che se lo aspettasse.
«Esprimiti invece, non ci sto capendo nulla.» In realtà sì, ma non ho proprio chiaro il concetto. Solo a ragionarci, sento la testa esplodermi e mi metto le mani nei capelli. Le cose cambiano, questo no.
«Gon, io non so se sarebbe appropriato se io ti dicessi in questo momento come la penso.» nasconde metà del viso prendendo un altro sorso di tè molto lungo.
«I giorni in cui mi si dovevano coprire le orecchie e gli occhi sono finiti.» le sorrido. «Dillo.»
«Il problema è che tu lo hai cercato rischiando la vita un numero vergognoso di volte. Ma il suo problema non era quello di non poter amare e crescere un figlio. Lui non vuole amare te. Cioè… dai, dopo tutto ciò che hai fatto è evidente che tu sappia badare a te stesso e cavartela da solo. Non sei un bambino da crescere e curare, quali responsabilità avrebbe dovuto prendersi? Nessuna, una cosa doveva fare ed era socializzare con te, parlare con te. Se non come padre, come amico almeno. Eppure, non ti ha dato nemmeno queste briciole. Lui ama delle persone. Ama degli amici, ama la sua ipotetica fidanzata, che molto probabilmente è più di una persona, ma non ama te. E mi indigno solo a pensarci, ma penso proprio che tu non gli vada a genio.» Le è venuto in mente troppo in fretta. Dopo l’ultima parola, Graziina si ammutolisce e pensa di aver fatto un danno enorme.
«Non è cambiato niente, sto bene.» la rassicuro mettendole la mano sulla spalla. «Ci ho pensato anche io in tutti questi mesi.»
«Non è una cosa bella. E non è colpa tua.»
«Lo so. O meglio, ora lo so.» scuoto la testa e mi stampo in faccia un sorriso amaro. «Una cosa che non riuscirò mai a spiegarmi è perché.» non riesco a impedire che scenda qualche lacrima.
«L’amore non è democratico, non fartene una croce.»
«Il fatto è che… uhm… fino al momento dell’incontro io non avevo mai visto Ging. Potevo raccontarmi qualunque stronzata. Pensavo mi avesse abbandonato per dei buoni motivi, sai. Ma ero convinto che l’unico problema fosse quello di avere un figlio e doversene prendere la responsabilità. Quando mi sono presentato da lui già bello che cresciuto e indipendente, non andavo bene comunque. Non ci sono responsabilità, non ci sono vincoli. Eppure, lui non ha voluto saperne niente.» le spiego, interrompendomi per i singhiozzi. «Non ha voluto nemmeno chiedermi se volessi viaggiare con lui. È come se avessi fermato uno sconosciuto per strada implorandolo di fare conversazione.»
«È così sconveniente e tremendamente malsano.» lo sguardo di Graziina è indecifrabile. Non ho mai visto tanto orrore negli occhi di una persona.
«Ecco dove ho riposto tutti i sogni di una vita.» tiro su col naso e ripensarci ancora una volta mi rende le cose sempre più chiare. «A cercare l’approvazione di una persona che mi detesta senza motivo. La cosa più buffa è che ho pensato per tantissimo tempo che fosse colpa mia, che io non fossi il figlio giusto. E una parte di me lo pensa ancora.»
«Non puoi essere un pessimo figlio se il genitore in questione non esiste.»
Scoppiamo entrambi a ridere come due bambini. Questa è stupenda, da riutilizzare.
«Ha senso, ora che non ho più i miei poteri, la possibilità che io lo riveda è nulla.» un brivido mi attraversa la schiena. «Possiamo chiuderla dicendo che non esiste. Che è irrilevante. Ging è irrilevante. E io voglio, un giorno, poterlo affermare sul serio.»
«Ci riuscirai. Te lo prometto.» Graziina sembra sicura di ciò che dice. «E con i tuoi amici come va?»
«È un anno che non sento nessuno.» e mi si rompe la voce, fantastico. «Inizialmente mandavo delle e-mail, ma non ricevevo risposta. Ho provato a telefonare, ma anche quello non funzionava. Ho inviato delle lettere, ma non mi è mai arrivata nessuna risposta e alcune delle mie lettere sono pure state mandate indietro.»
«Tutti e tre?» questo l’ha indignata più del discorso di prima.
«Sì. Ti posso confessare una cosa imbarazzante?» Già il pensiero mi sta facendo sciogliere dalla vergogna.
«Non c’è nulla che tu non mi possa dire.»
«Ogni tanto, quando sto particolarmente male, di notte chiamo Leorio al telefono. È l’unico momento della giornata in cui risponde. Se risponde, sento la sua voce e poi riattacco.» aver confessato questa cosa mi fa sentire nudo.
«Non è imbarazzante, è triste. Non è che tu sia triste, è semplicemente il tuo modo di chiedere aiuto.» mi spiega. Anche se, con questo giro di parole, non è che io abbia capito molto.
«Chiedere aiuto?»
«Vuoi ricevere attenzioni. È umano.» mormora, mentre si siede sul letto.
«Ma io non sono mai stato quel tipo di persona.»
«Le cose cambiano. Le persone cambiano.» mi accarezza la guancia e poi mi abbraccia di nuovo. «Adesso andiamo a letto, domani faremo qualcosa di divertente.»
 
\\
 
Un altro risveglio. Ore 7:30 del mattino, più tardi del solito. Nonostante la giornata di ieri si sia conclusa felicemente e ho dormito serenamente e senza incubi, mi sento ancora legato al letto. Gli occhi mi fanno male mentre li apro, sento ancora quel senso di vuoto. Quel senso di goffaggine, imbarazzo, panico e dolore che è l’abbandono. Un dolore così squisito da creare dipendenza.
«Buongiorno! Ti ho fatto il macchiato al caramello!» Graziina piomba in camera con un vassoio in mano. Mi volto a guardare il suo letto già rifatto e col piumone che è già stato sbattuto sul balcone. Lei, invece, sembra già pronta per una matinée: camicetta bianca con motivi floreali, una gonna anch’essa bianca che le arriva al ginocchio e i capelli neri e lunghi già puliti e liscissimi tenuti indietro da un cordino bianco usato come fascia. Mi domando come faccia a sembrare costantemente uscita da una pubblicità del detersivo, con quel modo suo grazioso – ma a tratti anche inquietante – di non scomporsi mai, qualunque cosa accada. Anche quello è un tipo di forza che vorrei avere.
«Non dovevi disturbarti!» biascico mangiandomi metà delle sillabe. Io, invece, sono nel solito pigiama – una canotta nera e pantaloncini grigi – impossibilitato a uscire dal letto, con il volto irriconoscibile. In generale, sembro uscito da un film dell’orrore. «Ti avrei aiutato io a trovare le cose…»
«L’ho fatto perché mi andava.» Riesce subito a mettere fine alla discussione. «Ho dato una mano a tua zia con il bucato.»
«Scusa, ma a che ora ti sei svegliata?» Penso sia la domanda più naturale da fare.
«Alle cinque, caro. Necessito di fare un’ora di pilates prima di colazione tutti i giorni. Altrimenti, va a finire che mi sento uno straccio per tutto il giorno. E poi, qui nella campagna sento un sacco di energie positive, è perfetto. Non potevo perdermelo!» spiega, tirandomi un po’ su grazie alla sua parlantina.
Procede a parlarmi di un libro che ha letto sulla routine mattutina e sul benessere personale, nonché della sua istruttrice, delle tisane, di come riesce a stare bene grazie al limone e del perché non fare il digiuno intermittente.
Mentre parla, non riesco a fare a meno di sorridere. Non perché mi interessi quello che dice (perché, parliamoci chiaro, assolutamente no) ma per la convinzione e il trasporto emotivo con cui racconta la sua vita. Riesce a far sembrare tutto divertente e gioioso, trasforma il mondo grigio su cui cammina in un enorme giardino floreale dove i colori sono chiari e tutti sono felici. Nel frattempo, ho finito il mio cappuccino e il dovermi disfare del bicchiere riesce a farmi alzare dal letto.
«Ora ti lascio preparare. Io ti aspetto giù.» mi dice, con quel perenne sorriso stampato in faccia. «E quando vuoi, andiamo a fare shopping. Dobbiamo ravvivare il tuo guardaroba!»
«Ehi!» la fermo prima che vada via. «Come fai ad essere così?»
«Così come?» Immaginavo. Per lei è naturale essere così spensierata. Io ne so qualcosa, mi ricorda qualcuno.
«Felice.» specifico, utilizzando quella parola delicatissima. «Sembra che tu non conosca difficoltà.»
«Non si tratta di essere felici.» chiarisce, facendomi pensare molto. «Io scelgo di affrontare le cose così, mettendo qualche fiore e qualche colore pastello qua e là. Così è più divertente!»
Termino qui le mie domande. Già in passato Espedito mi aveva chiesto di non indagare troppo sulla vita passata di Graziina, evidentemente non molto felice. Lei vuole essere conosciuta così, per quello che è ora e sceglie di essere: la principessa di Park Avenue che dà una tinta rosa in più al mondo.
 
Quando arrivo in cucina, la colazione è pronta in tavola e ci sono i dolcetti appena sfornati di zia Mito, più qualche dolcetto avanzato da ieri. Le due stanno chiacchierando piacevolmente davanti a un caffè.
«…e così siamo andati fino in Provenza per riunire tutta la famiglia, a casa di zia Frieda. In mezzo ai fiori di lavanda… che profumo!» sento già l’ospite concludere uno di quei discorsi lunghissimi.
«Anche qui abbiamo un bel bosco, Gon può portarti a fare un picnic!» le risponde mia zia, chiamandomi in causa. «L’ultima volta che ha portato un ospite, il bosco gli è piaciuto tanto!»
«Zia!» mi scappa mentre divento viola dall’imbarazzo.
«Se si pranza nel bosco, allora c’è da preparare da mangiare!» Graziina scatta subito sull’attenti.
«Ti prego, sta’ ferma!» ride mia zia. «Hai fatto tanto, sei gentilissima. Lascia che ci pensi io.»
 
Come immaginavo, non ha portato i vestiti adatti a una scampagnata. C’è voluta una buona mezz’ora per convincerla a non presentarsi con i tacchi e con un completo firmato in un bosco pieno di rovi e feroci predatori. Alla fine, zia Mito le ha prestato il suo vecchio grembiule rosa salmone. Porto con me anche la canna da pesca, che non tocco da una vita.
«Quindi è così che tutto è iniziato.» guarda dritta nell’acqua, sorridendo. «Il re del lago…»
Abbiamo pranzato sul lago, poi perlustrato i boschi per almeno tre ore. Nel frattempo, Graziina ha raccolto i fiori più profumati e li ha riposti nel cestino. Vedendo il sole tramontare, decido di attivarmi per accendere un falò.
«Vuoi passare la notte qui?» mi domanda, non molto convinta. Anche se siamo in primavera inoltrata, la temperatura tende a scendere quando passa l’una di notte.
«Il falò basterà a riscaldarci. E poi useremo le nostre giacche per poggiare la testa.» la rassicuro. Lei, dopo averci pensato un attimo, annuisce.
 
Non ci metto molto ad accendere e, a quel punto, ci stendiamo a fissare il cielo stellato. Ho un déjà-vu grosso quanto una casa.
«Ehi, Graziina.» le chiedo. Lei, con la testa sulla giacca del grembiule arrotolata al cestino, si volta verso di me. «Che programmi hai per il futuro?»
«Penso di continuare con la mia carriera. Non c’è molto da programmare, quando hai un lavoro fisso le cose tendono ad essere automatiche.» risponde amareggiata. «Ma vorrei viaggiare. Ci sono tanti posti che vorrei vedere. E tu, che programmi hai?»
«Io non lo so che cosa voglio fare.» le rispondo.
«Non dovevi studiare per farti accreditare l’istruzione? E il tema da centomila parole?»
«Non mi riferivo al futuro immediato.» metto una mano dietro la testa per stare più comodo. «Non so cosa fare dopo, ecco. Dopo aver trovato Ging, non ho altri veri obiettivi.»
Graziina resta in silenzio per qualche attimo. «Perché non vieni a New York con me?» dice poi.
«Sul serio?»
«Sì! Ho una casa grande ed è vuota. Mi saresti molto di compagnia. Immagina: usciremo tutte le sere con Espedito e Maxine alla conquista di Manhattan. Io continuerò con il mio lavoro e tu cercherai qualcosa da fare. Sarà più facile se si è in due.»
Pensavo che il mio cervello avrebbe opposto più resistenza. Ma non me la sento genuinamente di rifiutare.
«Non penso di volermi applicare per recuperare il Nen.» dico. «Quando ho sentito Ging l’ultima volta, mi ha detto che è già tanto se sono ancora vivo e che non dovrei chiedere più di questo. Mi ha detto di approfittarne per riflettere e capire cosa fare della mia vita.»
«Perché non trasformi quel tema in un libro?» se ne esce così, tutt’a un tratto. «Lo porteremo a una casa editrice, farai un tour… cose per tenerti impegnato!»
Con lei, sembra sempre esserci una scappatoia. Una via alternativa per sfuggire al doloroso presente.
«Grazie.» le dico, riuscendo a sorridere con il cuore. «Per me stare in tua compagnia è rigenerante.»
«Amore!» fa lei, con un tono stucchevole e gli occhi che brillano. Per qualche motivo, aspettavo una risposta del tipo “Smettila! Sei imbarazzante”, nonostante non sia minimamente da lei.
«Quest’isola ormai non ha bisogno di me.» le racconto. «Quando me ne sono andato per diventare hunter, non c’è voluto molto affinché ritrovasse il suo equilibrio. E, ora che sono senza i miei poteri, non posso andare a fare missioni. Di conseguenza, non posso vedere i miei amici e quindi mi annoio molto. Tu sei la prima persona che non mi fa sentire inutile.»
«La stessa cosa vale anche per me! Sai, molto spesso vengo giudicata a lavoro o altrove perché voglio essere esuberante ed entusiasta delle cose. Con Espedito sono amica da tanto tempo e ci vogliamo bene – e sai che non bastano le parole per dire quanto gliene voglio. Nonostante ciò, non ho mai conosciuto una persona che avesse il mio stesso modo di vedere le cose. Questo prima di incontrare te, Gon.»
«Oddio!» nel petto sento un gran baccano per quelle parole così lusinghiere. Sta succedendo di nuovo.
«Tu stai bene quando sei con me?» mi domanda.
«Direi proprio di sì.»
«E allora continuiamo a stare insieme! Perché perdere tempo?» mi sorprende. Tutta questa serata mi ha sorpreso. «Andremo alla scoperta dei nuovi locali di Manhattan, frequenteremo i circoli più esclusivi e gireremo per i negozi. Cammineremo in tante di quelle scarpe. Io alla ricerca di qualcosa di nuovo e tu… alla ricerca di qualcosa di nuovo!»
Mi viene da ridere. E penso che quella delle scarpe sia una grande metafora.
 
\\
 
La sveglia di questa mattina è il suono di un elicottero che sembra volersi abbattere proprio sopra la casa. Non è molto comune che un elicottero voli così basso in una zona come questa. Anzi, non succede proprio mai. Zia Mito è già fuori, preoccupata perché quel velivolo sembra star parcheggiando proprio davanti alla nostra casa. Mi metto a pensare a chi possa aver interesse nell’arrivare a noi in quel modo. La polizia? Mafiosi? La Brigata?
Respiriamo.
O forse no. Esco subito fuori, nel dubbio porto la canna da pesca, non si sa mai che io debba darla in testa a qualcuno. È una situazione scocciante da affrontare senza il Nen, non posso nemmeno capire se chi sta arrivando lo utilizzi o meno.
Arrivo da Zia Mito, che è spaventatissima, e la tengo per mano mentre il motore dell’elicottero si spegne. Impugno la canna da pesca e mi metto in posizione da combattimento, mentre la porta si apre.
«Tu questo coso non lo guidi più, quando torniamo a casa ti brucio il patentino. Ma chi te l’ha dato? Ridicola!» si sente urlare da dentro. Zia Mito fa una faccia tra il divertito e l’indignato nell’ascoltare le urla. Quella voce stridula, perennemente isterica e sguaiata la riconoscerei tra mille.  Dall’elicottero scende un ragazzo biondo, che indossa un’enorme pelliccia marrone scuro e delle scarpe alte in pelle lucida. Occhiali da sole all’ultima moda e, immancabile, una sigaretta in mano pronta per essere accesa. «Espedito!» lo chiamo.
«Gon!» lo vedo arrivare verso di me, felice di vedermi. «Scusate per le urla, sono molto stanco. E l’elicottero lo pilotava mia madre.» si scusa, per poi indicare il velivolo. «Va bene tutto, ma il pellicano con gli occhi a cuore no. Sembrava che tu mi stessi invitando a una festa premaman.» Me lo dice, con occhi affettuosi, facendomi ridere a crepapelle nonostante io non sappia cosa sia una festa premaman.
Dall’elicottero escono anche altre persone, barcollanti per un viaggio traumatico. Una ragazzina dai capelli castano chiaro, una fascia sulla testa e la fronte coperta da una frangetta, una donna sulla trentina dai capelli rossi e corti con dei vestiti che sembrano da ufficio e un’altra donna, la meno giovane di tutte, con dei tacchi enormi e dei capelli mossi abbastanza appariscenti.
«Hai detto di portare chi volevo e quindi c’è la banda bassotti che voleva vederti.» mi spiega Espedito, che poi con sguardo imbarazzato si avvicina per sussurrarmi: «Ti ricordi chi sono loro, vero?».
E chi se le scorda. La ragazzina più piccola, quella che ha più o meno la mia età, è Danielle, la sorellastra di Espedito. Lei è la figlia del secondo marito morto della madre Alexandria, la donna meno giovane. Quest’ultima è una doppia vedova. Si definisce così, non lo dico io. Poi c’è Maxine, la più seria, avvocato e presidente dell’ufficio legale della WCS. Per rispondergli annuisco e lui fa un sospiro di sollievo.
«Nessuna di queste persone era menzionata nelle tue lettere.» zia Mito è molto sorpresa che da quell’elicottero non sia uscito qualcuno di quelle persone. Ma è comunque felice di avere compagnia, quindi si presenta a tutti con piacere e si appresta a togliere qualche bibita dal frigo. Entrati in casa, c’è Graziina, si è appena lavata dopo essere tornata dalla sessione di pilates mattutina. Espedito, nel frattempo, corre a presentarsi.
«Buongiorno! Mi scuso per la sveglia, ma non mi piace muovermi con i mezzi pubblici.» esordisce così. Una frase che fa già capire tutto. «Piacere, Espedito Petracelli.»
 
Zia Mito ci fa accomodare tutti a tavola, si è fatta quasi ora di pranzo. È curiosissima di saperne di più su questi personaggi così singolari che ho portato a casa. Io sono un po’ nervoso, ricordo quanto sia stato difficile far adattare queste persone con Kurapika, Killua e Leorio (e, a dirla tutta, non ci sono nemmeno riuscito), non immagino come possa andare a finire qui a casa mia. Confido nella versatilità di Espedito e nell’educazione di Graziina.
«Io ho recitato in diversi film d’autore, ho vinto quattro premi Oscar, due Golden Globes e un Teen Choice Award. Il mio ultimo film so che è andato forte anche qui.» Espedito riesce, come sempre, a monopolizzare l’attenzione su di sé. Vedo che Zia Mito non sappia effettivamente come inquadrarlo, sicuramente le ci vorrà una mano.
«Mi sembrava di averti visto da qualche parte…» risponde. «Se non altro questo spiega perché sono arrivati sulle nostre televisioni dei film a dir poco immorali.» Come da copione, a una secchiata di veleno del genere, Espedito si irrigidisce e sorride diventando una statua di cera.
«Zia!» la sgrido mentre scoppia a ridere.
Arriva il turno di Maxine, posso riprendere a respirare. «Sono un avvocato penalista, ho passato la vita ad occuparmi di omicidi, poi mi sono occupata di diritto internazionale e adesso mi occupo di diritto intercontinentale con aggiunta di elementi magici e soprannaturali. Ma per la gioia di vedere cadaveri questo ed altro.» Lei e il suo sarcasmo da trentenne.
Come non detto. Zia Mito deglutisce e pensa che, forse, Espedito non sia il soggetto più problematico della serata.
Quando vede Danielle, un po’ si ammorbidisce perché è della mia stessa età.
«Frequentavo la scuola di moda a Chicago, poi ho sedotto il mio professore. Così, mi sono trasferita a New York.»
È un incubo. Rimane solo una persona.
«Sono Alexandria, la madre di Espedito. Ho seppellito ben due mariti. In realtà solo il secondo, la salma del primo è finita in un’aspirapolvere.»
Voglio sparire.
A questo punto, zia Mito mi prende in disparte con la scusa di prendere da bere.
«Okay! Vedo che hai invitato qui una grande varietà di personaggi.» mi fa, con un sorriso gelido. «Chi è questa gente, Gon?»
«Il primo amico che ti ho portato qui era un assassino professionista di una nota famiglia di mercenari e te ne sei innamorata. Puoi dare una possibilità a queste persone che almeno non hanno mai ucciso nessuno?» Ironico, perché è la verità.
Con fare arrendevole, mi mette una mano sulla spalla. «Mi fido di te. Torniamo a tavola.»
Zia Mito non viene meno alla promessa e ascolta gli ospiti. Dallo sguardo capisco che inizia a ricredersi. Capisce che quello di Danielle non è il caso di una studentessa moralmente discutibile, bensì di un adescamento, e trova ora ammirevole il suo coraggio nel parlare della cosa e dedicarsi anima e corpo alla moda. Di Maxine, invece, ora ha capito che non è affascinata dalla morte, tutt’altro: è una donna che aveva studiato per diventare avvocato e mossa da un reale interesse; che si è poi ritrovata in una ragnatela di orrori. Di Alexandria, invece, capisce subito il suo grande istinto materno e la profonda solitudine che la accompagna da una vita.
Infine, per quanto riguarda Espedito, il più enigmatico di tutti, capisce subito una cosa che io ho impiegato settimane a vedere quando l’ho conosciuto: la perenne ombra di terrore nel suo sguardo.
«…e così sono andato fino a Milano per una borsa di Valentino. Non ne potevo più di quelle stupide liste d’attesa!» termina un racconto divertente che fa ridere di gusto tutti i commensali, zia Mito inclusa, ma che io non ho ascoltato perché assorto dai pensieri. «Tutto bene?» si gira verso di me.
«S-Sì…» balbetto. Mi domando cosa abbia imparato io dall’amicizia con lui visto che recito ancora come un cane quando devo mentire.
«Il pranzo non è ancora pronto, vogliamo parlare fuori? Il tempo di una sigaretta?» mi chiede gentile, andando temporaneamente fuori dal personaggio. «Per l’esattezza, fumo solo io. Fumare uccide!» Dice, ricordandosi che mia zia fosse con noi. Lei ride di gusto, mentre Espedito si alza e con un cenno indica a Graziina di seguirci.
 
«Lo so cosa succede.» ridacchia lui, mentre accende la sigaretta. «Stai aspettando loro
Non rispondo.
«Ci hai preso!» osserva Graziina. «Ma non tampinarlo ora, ha bisogno di ambientarsi un attimo. Vero?»
«Ambientarsi? Ma se è a casa sua.» Espedito scoppia a ridere. «Piuttosto io non so come farò ad ambientarmi con sua zia in casa. È inquietante, mi mette in soggezione. E per riuscirci con me ce ne vuole. Non mi spaventava così nemmeno Hisoka!»
«Non ci vorrà molto, quando è venuto qui Kil-» E nel bel mezzo di una frase, mi blocco come un vecchio computer.
«Allerta malware, ha aperto il file sbagliato.» ironizza l’attore mentre mi scuote. Graziina guarda la scena con occhi confusi. «Senti, io non vorrei che si parlasse di questo ora…»
«E infatti ti dispiacerebbe non parlarne?» cerco di chiederglielo con tutta la gentilezza del mondo.
«Ma se ci pensi costantemente!» Mi fa notare. «Se solo il tuo cervello va per sbaglio sull’argomento ti blocchi. Non è da te! Gon, mi conosci, sai che ti dico in faccia le cose perché nessun altro lo fa.»
«Aspettiamo che tua madre e Danielle si sistemino in albergo e dopo lo facciamo sfogare davanti a un bel Margarita.» propone Graziina, facendoci cenno di entrare perché è pronto a tavola.
«Servirà anche a me, dovremo sopportarci le lamentele di mia madre sulla camera. Alloggiamo in una locanda qui vicino, ci sarà da divertirsi.» ridacchia Espedito.
«Come sai che farà così?» gli chiedo.
«Perché io farò la stessa cosa. Sono suo figlio, dopotutto.»
 
Mentre gli ospiti trovano tutti sistemazione nella locanda, trovo un po’ di tempo per anticipare dei compiti per la settimana prossima. Penso al mio imminente compleanno, alle solite cose e al fatto che devo fare i conti con la stanchezza che questo nuovo stile di vita mi sta causando. Ho valutato tante possibilità alternative per il mio futuro: perché fare una corsa per riprendere i miei poteri? Forse, tutto questo è una possibilità che mi è stata data per cambiare la rotta. Provare esperienze nuove ma diverse da ciò che avevo immaginato. Ho valutato di iscrivermi seriamente a scuola al termine di quest’anno da privatista. Non mi ci immagino nemmeno in una scuola ogni mattina, dove mi viene detto cosa fare e seguire delle regole. Conoscere altri ragazzi della mia età, socializzare e passare la vita a preoccuparmi di voti, università, cotte e fidanzamenti. Mi chiedo se sarei popolare o più ai margini, quelle dinamiche che fanno vedere in televisione.
Ma è inutile farmi congetture all’infinito senza alcuna testimonianza. Finora, sono stato circondato da persone che non sono andate a scuola e, di conseguenza, non mi sono posto mai nemmeno il dubbio. Non ho un prototipo di quale sia la vita di un “adolescente normale”, perché l’unico modello che ho avuto è me stesso. E, se vogliamo andare larghi, ci sarebbe Killua.
Perciò, decido di parlare con persone che vivono in prima persona questi argomenti.
«Come eravate voi a scuola?» chiedo a bruciapelo.
«Io ero una cheerleader. Bellissimi tempi, tutti i ragazzi mi volevano.» racconta Graziina, sorridendo per il bel ricordo.
«Io invece ero una sfigata bullizzata dalle cheerleaders.» Maxine le fa una smorfia. «Ma ero la prima della classe.»
«Io ero sempre a qualche festa, sia quando ero in Svizzera che a New York. Devo ammettere che mi divertivo da matti.» anche Espedito condivide un bel ricordo. «Perché lo stai chiedendo, Gon?»
«Ecco… stavo valutando nuove possibilità.» mi metto la mano dietro la testa e rido per nervosismo.
I tre si guardano tra loro e poi guardano me con una faccia esterrefatta.
«Oh. Mio. Dio! Ho sentito bene?» esordisce Espedito.
«È un’idea stupenda! Sono fiera di te.» Graziina sembra saltellare dalla gioia.
«Sono d’accordo, è una bella iniziativa.» conclude Maxine.
«Potresti andare a scuola con Danielle. Iniziare da zero non è semplice, è essenziale che tu faccia delle amicizie. Non che per te sia un problema, sai benissimo come farti amare dagli altri, ma sei anche poco sveglio e devi avere qualcuno che ti guidi.» mi spiega l’attore, mettendomi un po’ nel panico.
«Le persone lì non saranno come quelle che hai conosciuto. Ti risulteranno più noiose e troverai molti meno soggetti che meritino davvero la tua fiducia. E ti mentiranno, sempre e comunque.» aggiunge Graziina.
«E come avete fatto voi?» mi lamento, demotivato da quelle parole.
«Abbiamo faticato. Ma dalle nostre parti è diverso, noi non abbiamo scelto di andare a scuola. L’abbiamo fatto per obbligo. E per quanto riguarda la società, siamo stati educati anche per quello.»
Le parole di Espedito mi hanno acceso un’ulteriore riflessione. Chissà com’è svegliarsi ogni mattina fin da piccoli e dover affrontare degli obblighi. Avere una figura genitoriale che ti impedisca di arrenderti quando le cose si fanno difficili. Io non so niente di tutto questo.
«Hai tutto il tempo per decidere.» Graziina mi mette una mano sulla schiena. «Prenditi ogni minuto, non è una scelta facile.»
«La cosa positiva è che hai noi. Possiamo farti accedere a qualunque scuola tu voglia frequentare. New York, Chicago, Boston, Londra, Parigi… e fortunatamente puoi contare sul nostro totale aiuto.» Espedito mi sorride, mentre si accende una sigaretta. «Una scuola prestigiosa ti faciliterà le cose nel caso tu volessi accedere al college.»
Il college. Io non ho mai avuto la parola “college” o “università” nei miei pensieri in tutta la mia vita.
«Sarebbe meglio pensare più in piccolo ed essere realisti.» interviene Maxine, con il suo solito tono pragmatico. «Tu iscriviti, fai qualche anno e se pensi di riuscirci porta a termine gli studi. Indipendentemente da tutto, solo per avere più porte aperte nel tuo futuro. In questo momento non è molto utile pensare già al college.»
«Penso che abbia ragione. Hai tutto il tempo per decidere sul college, quello è tutto un altro mondo.» mi rassicura Graziina.
«Siete tutti e tre laureati, giusto?» dico mentre mi massaggio la testa, sforzandomi di immaginare un futuro del genere per me. «Come avete fatto?»
«Non prenderci ad esempio, siamo cresciuti in famiglie piene di soldi. Io sono andato a Yale, Maxine ad Harvard e Graziina ad Oxford.» spiega Espedito, con gli occhi che si illuminano alla parola ‘Yale’.
«In verità io ad Harvard ero una borsista. Voi avete le famiglie ricche, io no.» puntualizza Maxine.
«Ma dalla missione con la WCS anche tu sei ricca, cosa ti importa? Comunque, non siamo qui per parlare di questo.» le risponde Espedito, con la sua solita smorfia particolare. «Gon, quello che ti serve è una corazza.»
«Che?»
«Un filtro tra te e il mondo. Le tue emozioni sono un tutt’uno con ciò che succede all’esterno. Non va bene!» dice con franchezza.
«E perché?» gli domando, pensando che l’argomento sia ancora la scuola.
«Guarda come stai ora.»
«Diglielo in maniera più delicata!» lo rimprovera Graziina.
«E come?» interviene Maxine. «Gon, devi sviluppare delle difese, servono a proteggerti da sollecitazioni esterne ma anche ad arginare la tua emotività. Non puoi controllarti senza dei limiti noti.»
A questo punto, non riesco a non pensare a Killua e alla sua di corazza. È per questo che non si fida molto degli estranei? È perché ha una sorta di barriera tra lui e il mondo sulla quale ha massimo controllo?
Se è così, ho sbagliato tutto.
Mi passano per la testa tutti i momenti in cui questa capacità mi avrebbe salvato. Quale sia l’ultimo e il più eclatante di questi è una pura ovvietà. Ma è ora di mettere un freno a questo flusso. A volte dobbiamo smettere di analizzare il passato, smettere di pianificare il futuro, smettere di capire esattamente come ci sentiamo, smettere di decidere esattamente cosa vogliamo. Solo vedere cosa succede nel presente.

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Capitolo 3
*** Punto sul quindici ***


Capitolo 3

Gon riceve una visita inaspettata per il suo quindicesimo compleanno.

 

Punto sul quindici

L’arrivo di tutte queste persone ha certamente migliorato il corso delle mie giornate, è molto meglio di passare il compleanno in solitudine con la zia Mito rimuginando su cosa io abbia perso. Ma sento nel profondo che non è abbastanza ed Espedito e Graziina se ne sono accorti. Con gioia, noto che non si sono minimamente offesi.
«Non puoi controllare ciò che ti manca.» esordisce Graziina, in uno dei suoi soliti momenti zen.
«Penso sia normale che tu non possa fare a meno di loro. Per certi versi.» si spiega Espedito. «Certe persone si legano tra loro perché sono fatte in modo da essere più complementari ad alcuni rispetto che ad altri.»
«Che, tradotto in una lingua che Gon può comprendere, significa?» ironizza Maxine, non avendo ben presente cosa Espedito cerchi di dire.
«Tu, Killua, Kurapika e Leorio vi siete legati semplicemente incontrandovi. Perché intrinsecamente ognuno di voi aveva bisogno degli altri. Poi tu con Kil hai compatibilità massima, stessa storia per Leorio e Kurapika. Il vostro è un rapporto spontaneo e naturale.» conclude. È molto strano sentire Espedito parlare in questo modo.
«Alla fine, è come ci siamo legati noi.» interviene Graziina. «Io, Espedito e Maxine siamo andati d’accordo subito. Due cene ed eravamo già un trio.»
«E questo come spiega il rapporto che io ho con voi?» domando.
«Non è un rapporto spontaneo, va detto» risponde Espedito. «In condizioni normali, noi non ci saremmo mai incontrati. Questa è la differenza.»
«Ma non è detto che non sia un buon rapporto per questo. Un rapporto può nascere spontaneamente ma non sempre è positivo. Anzi, è più difficile disfarsene quando scopri che ti stai solo facendo del male.» aggiunge Maxine.
«La vita non è fatta di regole. Le cose possono succedere e i fattori ambientali influenzano un’amicizia. Che c’è di nuovo? L’importante è che ora siamo qui.» Espedito sembra piuttosto a suo agio all’idea più dinamica e meno disincantata di un’amicizia. «Se non fosse stato per te, noi tre non saremmo vivi. E poi sei una brava persona.»
Non faccio nemmeno caso all’ultimo commento che avvicino la testa al tavolo. Mi fa male tutto.
«Dove metto quell’affetto?» mormoro. «Quell’affetto che ho provato per loro. Ora che non ci sono, dove lo metto?»
«Va alle altre persone della tua vita!» dice Maxine con naturalezza.
«Ma no, cosa dici!» ribatte Graziina. «L’affetto che si prova per una persona non si può replicare. Resta lì, si cicatrizza e rientra in circolo. Ma quello che hai con altre persone non sarà mai la stessa cosa. Non si possono sostituire le persone!»
«Polly Anna ha parlato, Espedito cosa dici?» la rossa non sembra sicura.
«Avete ragione un po’ entrambe. Gon, non penserai di superare questa perdita semplicemente rimpiazzando i tuoi amici con tre persone a caso!» ridacchia, mentre si accende ancora un’altra sigaretta. «Anche se quelle tre persone saremmo noi e siamo il meglio del meglio.»
«E quindi cosa bisogna fare?» chiedo. Non sono infastidito, semplicemente è strano dover star loro dietro.
Non sono come Killua e gli altri, con cui si parlava il giusto necessario. Se c’è una cosa che di questo nuovo gruppo ho capito, invece, è che si chiacchiera. Si chiacchiera tanto.
«Non è difficile. O fai l’eroe e ti lanci all’ennesimo inseguimento oppure accumuli abbastanza coraggio da invertire questa rotta prestabilita.» Maxine è un’altra che non va molto per il sottile. «Potresti per una volta prendere in mano la tua vita senza rincorrere nessuno.»
«Maxine! Non così!» protesta Graziina.
«Ha quindici anni! Deve imparare certe cose. Io le ho imparate solo ora che ne ho trentadue. Mi ringrazierai per averti risparmiato la fatica.» risponde, avendo dalla sua parte Espedito che annuisce.
«Ma non è detto che tu ci arrivi subito.» ed ecco arrivare la sfilettata finale dell’attore. «Non c’è una ricetta per la felicità. Non bastano delle persone per essere felici. So che se ci fossero loro tre, non avresti bisogno di altro e vi divertireste anche stando in cameretta. Ma non sarà così, ci sarà imbarazzo e qualche momento morto. Per questo organizzeremo una festa con i fiocchi e penseremo ai vestiti, al rinfresco, alla musica… è così che si fa dalle mie parti, fidati che sono un esperto.»
«E dici che sarà divertente?» gli chiedo, confuso.
«Sarà rilassante.» mi corregge. «Ti sentirai bene, staccherai un po’ la spina dai pensieri angoscianti e per questo avrai voglia di rifarlo. Non ti scoppierà il cuore dalla gioia, tutto qui. C’è un tempo e un luogo per ogni cosa, dopotutto.»
 
 
 
I preparativi per la festa stanno andando a gonfie vele. Le ragazze si sono caricate di tutto il lavoro da fare giù, al bar di zia Mito, mentre io sono in camera mia. Mi sono preso una giornata di riposo e di ripasso di biologia, una delle materie che preparo con più facilità.
«Tutto pronto!» Espedito irrompe con le ragazze senza bussare. Faccio per correre verso la porta ma mi blocca immediatamente. «No, è una sorpresa. Vedrai la sala per ultimo quando farai il tuo ingresso davanti agli invitati.»
«Vuoi davvero che io faccia una cosa del genere?» solo l’idea mi fa morire dall’imbarazzo.
«Non ci saranno urla né sfilate, entrerai e la gente ti farà gli auguri. Per chi mi hai preso?» mi spiega. «Per questo motivo, dovrai farti notare!»
Graziina chiude la porta come per tenermi in ostaggio e Maxine tira fuori due bottiglie di champagne. Espedito prende una valigia dalla quale escono fuori un bel po’ di vestiti ordinatamente piegati e incellofanati.
«Sai cosa dobbiamo fare, no?» Graziina mi sorride. Ho una mezza idea.
Espedito fa partire dallo stereo la canzone Starships di Nicki Minaj e si siede sul letto con le ragazze, mentre versa dei calici di champagne.
Il primo vestito che provo è un completo rosso con una giacca a doppio petto e delle strane pinne nere sulle spalle che sembrano quelle di uno squalo. Subito il biondo alza un foglio con scritto No, precedendo le altre due che esprimono lo stesso voto all’unanimità.
Il secondo vestito è decisamente più sobrio, una camicia bianca con una collanina d’oro e dei pantaloni neri. I ragazzi sembrano dibattuti: Maxine vota immediatamente , mentre una perplessa Graziina commenta «Carino ma… è semplice!», con Espedito che annuisce. In sostanza, un e due No.
Seguono altri quattro cambi, ogni tanto Maxine e Graziina votano , ma Espedito, mai soddisfatto, vota costantemente No. È ormai diventata una sfida, pare che qualunque cosa io metta a lui non piacerà mai.
All’ultimo cambio, vedo che una delle due bottiglie di champagne è già finita e il biondo non riesce a contenere le risate. Esco fuori dalla cabina armadio con una camicetta smanicata bianca dalle forme strane e una fantasia nera, un paio di pantaloni neri strettissimi con la vita fino all’ombelico e delle scarpe bianche rialzate.
Espedito ferma la musica, capisce che siamo sulla strada giusta. Poi, fa un cenno complice a Graziina, la quale tira fuori una pelliccia (sintetica, fortunatamente) di un verde scurissimo tendente al nero. Non mi sono ancora visto allo specchio, ma le ragazze urlano a squarciagola. Il biondo, vedendo su di me la pelliccia che ha indossato per Jean Paul Gautier sulla copertina di Vogue del 2011, scoppia a piangere dalla commozione.
 
Il bar di zia Mito è irriconoscibile. Al posto della solita luce forte al centro del soffitto, Espedito ha appeso delle lanterne a batteria che danno al locale un’atmosfera più intrigante con le luci soffuse. Le normalissime sedie di legno sono state coperte con delle fodere nere, in contrasto con la tovaglia bianca. I tavoli sono stati uniti e spostati ai lati, lasciando la parte centrale del locale completamente libera. Al tavolo centrale del serpentone suppongo ci sia il mio posto, l’unico con una sedia verde e un centrotavola. In sottofondo, nemmeno la musica passa inosservata: hanno messo una playlist di jazz, pop americano e musica latina che sta confondendo gli invitati.
«Lei deve assolutamente venire a New York! Conoscerà la mia nuova arredatrice, mi ha cambiato la vita!» sento Graziina parlare concitata con zia Mito, anche lei indossa un bel vestito porpora. «Lei segue la dottrina del feng shui, ne ha mai sentito parlare? Il disordine è così deprimente…»
A quanto pare, sono arrivati proprio tutti. Con lo sguardo vedo persino Noko, l’unica bambina dell’Isola Balena che ormai non è più una bambina da un pezzo. E ci sono un po’ degli abitanti dell’isola, presumibilmente invitati da zia Mito o semplicemente attirati dal baccano proveniente dal bar.
Mi ricordo il giorno in cui ho lasciato questo posto, urlando che sarei diventato il miglior hunter del mondo. Non è il momento di pensarci ora. Come mi ha detto di fare Espedito, indosso la pelliccia solo in parte, lasciandola appesa sui gomiti e tenendo scoperte le braccia. Ora che ci penso, maggio è un mese troppo caldo per la pelliccia, era ovvio che dovessi tenerla solo per scena.
Appena entro nella stanza con passo timido, mi fermo subito nell’incrociare gli sguardi di tutti. Dal lato dei forestieri, mi fissano tutti con apprezzamento. Dall’altro lato, c’è sempre apprezzamento ma anche una bella dose di shock.
Queste cose non fanno per me, perché mi sono lasciato convincere? Quando sono sul punto di crollare e tornarmene in camera, i tre mi raggiungono.
«Direi che si può aprire il vino!» dice Espedito ad alta voce.
«Non devi farlo da solo.» Graziina, nel suo elegante vestito nero e con i capelli piastrati e ordinati, mi rassicura tenendomi la mano.
Entriamo così e ho modo di salutare tutti, incrocio lo sguardo di zia Mito e per la prima volta in oltre un anno la vedo serena. Deve essere stata dura avermi avuto in casa a vegetare per oltre un anno.
«Regola più importante.» mi sussurra Maxine all’orecchio, prima di lasciarmi andare. «Finché non ti senti tranquillo, la tua mano non deve mai essere vuota.» E mi pone un cocktail in mano.
«Questo me lo ricordo, cos’era?» gli chiedo.
«Tè freddo. Alla Staten Island, però! Fa’ attenzione.» ridacchia.
 
Poco prima di sederci tutti, ho il tempo di salutare e stringere la mano a quasi tutti gli abitanti dell’isola che sono venuti. La frase che mi sono sentito dire più volte è “stai diventando grande”, ma al secondo posto c’è “come mai questa trasformazione?”. Devo dire che l’idea un po’ mi diverte. Essere per un giorno un’altra persona, almeno in parte.
Al bancone del bar, dove servono le bevande, vedo già la madre di Espedito – che, ovviamente, è tutta in tiro con un tubino, dei guanti di velluto e i capelli perfettamente lisci – attaccare bottone con gli altri adulti del posto. Nello specifico, davanti a lei ci sono Noko con i suoi genitori. Io me la ricordavo completamente diversa, più bassa di me e con i suoi capelli biondi disordinati e crespi. Ricordo anche che piangeva continuamente. Vederla oggi, con i capelli biondi ricci di permanente e voluminosi, colline e montagne laddove prima si estendevano pianure, un vestito attillato e i tacchi, mi fa porre un quesito: per quale motivo l’ho sempre evitata? Non deve essere così male! Tutt’altro.
 «Gon si è fatto conoscere in tutto il mondo! È talentuoso, bello e affascinante! Ma è ovvio, è amico di mio figlio!» intanto, Alexandria continua a parlare di me. Arrossisco un po’ e decido di evitare almeno per ora quella parte della stanza.
Non posso fare a meno di tenere sott’occhio la porta d’ingresso.
«Aspettare che quella porta si apra ti farà stare peggio. Bevi.» Maxine, con una rapidità da professionista, scambia il mio bicchiere vuoto con uno pieno e freddissimo. Ha capito tutto.
Al diavolo! Mi giro e raggiungo Noko al bancone del bar. Voglio assolutamente sapere come se la stia passando ed eventualmente scusarmi per averla snobbata per quindici anni. Quando gli adulti si allontanano, prendiamo posto e lei mi offre un Cosmopolitan.
«Sai, ho sentito molto parlare di te in questi anni.» mi dice, con la stessa aria timida di sempre nonostante l’aspetto più curato ed elegante. «Hai sfondato!»
«Grazie…» mormoro, non sapendo come prendere un complimento del genere ora come ora. «Tu cosa stai facendo invece?»
«Vorrei trasferirmi a York Shin e trovare un ingaggio nella moda. Anche se il mio sogno sarebbe New York… ma figurati se i miei mi fanno andare in un altro mondo, a centonovantamila chilometri da qui.» Mi spiega, io annuisco. «Piuttosto! Devo dirtelo: ti ammiro ancora più di quando eravamo piccoli!»
Sì, ricordo di quando mi seguiva ovunque e che mi ha chiesto non so quante volte di fidanzarci. Avevamo sette anni, mi faceva paura. Nonostante ciò, rispondo con una risata per non darle l’idea di avermi messo a disagio.
«Possiamo dire, però, che sono al termine della mia carriera…» mormoro.
«Ma dai!» mi ride in faccia. «Non dirmi che hai intenzione di fermarti adesso?»
Eh, chi lo sa.
Se Noko mi interessava poco quando eravamo bambini, adesso il mio livello di interesse è proprio lo zero assoluto. Però, mi dispiace davvero. Qualcun altro avrebbe flirtato vedendo la sua trasformazione, ma io proprio non riesco a fare quella cosa dell’usa e getta.
«Guarda, a me va bene anche una storia di una notte.» sembra quasi avermi letto nel pensiero, il che la rende ancora più spaventosa. Questa sua ultima uscita mi ha totalmente reso incapace di proseguire una qualsiasi conversazione. «Se con la Petrovsky non è una cosa seria, si intende. È risaputo che ti piacciano quelle più grandi.»
«Che cosa?!»
Questa non l’avevo mai sentita.
«Davvero strano, però, è il fatto che tu non sia nello stereotipo.» Ormai Noko sembra essere partita per la tangente. «Chi cresce senza padre, passa il resto della sua vita a interrogarsi sugli uomini. Si chiamano daddy issues. Ma a te, invece, piacciono le donne mature.»
Anche questa è un’informazione infondata, se non sono una cima a capire le donne, gli uomini io li capisco ancora meno. Fortunatamente, un bicchiere di tè freddo pieno è spuntato sul bancone. Dio benedica Maxine e le sue incursioni da spionaggio. Scolo mezzo drink prima di dare una risposta.
«Chi ti ha detto che mi piacciono le… ragazze più grandi?» provo a mantenere la calma.
«Gira voce che ti prostituivi nei pescherecci…» E a questo punto mi soffoco con la cannuccia. Non lo sta dicendo con cattiveria, parla come se tutto questo fosse normale.
«Ho bevuto due drink e mezzo. Credimi, devo andare in bagno. Non ti lascio qui da sola.» faccio per alzarmi.
«Non lo penserei mai! Anche perché siamo al tuo compleanno, se mi scappi ti trovo in cinque minuti.»
Quest’ultima frase è forse la cosa meno inquietante che sia stata detta negli ultimi dieci minuti.
 
Con un intuito felino, Espedito mi ferma appena fuori le porte del bagno. In realtà, cercavo proprio lui.
«Chi è quella ragazza?» mi chiede, divertito.
«Una del posto, la conosco da quando siamo piccoli. Mi sta addosso.» gli spiego, con un po’ di senso di colpa.
«Ahia… vuoi scaricarla?»
«Assolutamente no, non voglio che ci rimanga male. Anche se sta facendo discorsi fuori di testa.» Mi guardo intorno, sperando che non mi abbia seguito. «Cosa si fa in questi casi?»
«Apprezzo il fatto che tu voglia usare il tatto, si vede che in queste cose non c’entra la genetica.» Ovviamente doveva buttarla anche lui sul piano genitoriale. Per qualche motivo, non mi staccavo dalla testa quella frase sul crescere senza padre e interrogarsi sugli uomini. «Ti ha palesato le sue intenzioni?»
«Ha detto che le va bene una storia di una notte!» sussurro.
«E allora che male c’è? È perfettamente sana.» ride. «Ti preoccupano le precauzioni?»
«Che succede qui?» Maxine mi ha intercettato. Aveva un altro drink in mano. Io, ovviamente, accetto.
«Una ha chiesto a Gon di scopare.» risponde Espedito con leggerezza.
«Non dire così!» lo rimprovero. «Vuole passare la notte insieme a me.»
«Il che significa scopare, Gon.» ribadisce la rossa.
«Non si dice scopare, si dice fare l’amore.» Graziina interviene subito, guardando gli altri due con aria severa.
«Quindi tu con Eric Henderson nei bagni del Billionaire, in Costa Smeralda, hai fatto l’amore?» stizza il biondo.
«Va bene, basta!» li fermo io, altrimenti continueranno all’infinito. «Il punto non è che io non voglia farlo, anzi. Potrebbe andarmi di…»
«Scopare!» fanno Espedito e Maxine all’unisono.
«Ma non voglio. Non mi piace l’idea di farlo casualmente. Non mi piace l’idea di farlo e basta.»
«Non ti senti ancora pronto, tutto qui. Questo significa no.» Graziina mi viene incontro, sorridente. «Se non ti senti sicuro, è no.»
Gli altri due, dopo aver smesso di ridere, annuiscono alle frasi della mora.
 
Tornato al bancone, vedo che Noko è rimasta lì ad aspettarmi.
«Sei molto carina, stasera.» esordisco.
«Però?» mi anticipa, mantenendo un sorriso amichevole.
«Non è un bel periodo per me e non penso che una storia di una notte mi farebbe stare meglio.» L’ultima volta che ho rifiutato qualcuna, questa era Palm. Un po’ sono nervoso, specialmente ora che sono senza i miei poteri.
«Ma io ti adoro!» Cambia improvvisamente umore, assumendo un’espressione gioiosa. «Se solo tutti i maschi fossero come te!»
«Cosa?»
«Vedi… ci fate perdere settimane, mesi di tempo di messaggi e appuntamenti infiniti perché non volete dircelo subito se non vi interessiamo. È un calvario! Basterebbe solo dire “non sono interessato a te”. Eppure, no. Dobbiamo fare le tredici fatiche di Ercole per farci scaricare.» piagnucola, dopo avermi dato un abbraccio. Le tredici fatiche di chi?
Non nego di essere confuso e di non capire se sia seria o meno.
Si è proposta e ha accettato subito un no come risposta. Il dubbio mi assale: sono stato io a spaventarmi inutilmente e a considerare la sua apertura come un’intimidazione? Forse ho un qualche pregiudizio verso le donne.
 
È passata all’incirca un’ora dall’inizio della festa. Dopo qualche portata, Espedito richiama l’attenzione alzandosi in piedi e suonando un coltello sul bicchiere di vetro.
«Oggi voglio congratularmi con il festeggiato. Una persona che tutti vorrebbero nella propria vita.» esordisce.
«Qualcun altro non la pensava così!» una voce maschile, dall’altro lato della tavolata, getta questa dose gratuita di veleno.
«E quello chi è?» mi chiede Graziina.
«Goro, il fruttivendolo. È un idiota.» le rispondo sottovoce, mentre Goro continua a parlare.
«A proposito, quando sei partito per l’esame avevi de-»
«Ehi, cazzone, sto parlando io.» Espedito lo fredda ad alta voce, ricevendo un grande applauso generale. «Dunque, come qualcuno ha fatto notare, ci sono persone che non sono riuscite ad apprezzare fino in fondo la persona che abbiamo qui davanti. Ci sono persone non disponibili a farlo in questo momento e persone che non lo faranno mai a prescindere. Il mio più grande augurio a Gon è che capisca che, ad ogni modo, va bene così. Che nonostante tutto si merita ogni cosa…»
Sto sognando o Espedito è appena scoppiato a piangere davanti a tutti?
«Perciò, noi fortunati che siamo qui, facciamo un brindisi a lui. Tutti gli altri, si fottano!» conclude, facendo piangere un po’ anche me. Dopo aver bevuto un solo bicchiere di vino, che è andato a mescolarsi con i tre di tè freddo alla Staten Island, capisco che forse è il momento di fermarmi.
«Credo che tu debba bere un altro bicchiere per ciò che sta per succedere!» mi sussurra Maxine, indicandomi il fatto che sono magicamente comparsi due microfoni al centro della sala.
Questa mi mancava. Mi guardo intorno e vedo Graziina farmi cenno di alzarmi e seguirla.
«Ma perché non canti con Espedito? Lo hai già fatto in passato!»
«Perché sei tu il festeggiato. E poi conosci la canzone.»
«Davvero?» provo a fare ricerca nella mia memoria, ma siamo già davanti al microfono e la base è partita.
Alle prime note, riconosco la canzone. L’aveva cantata lei una sera a York Shin City, è La Isla Bonita di Madonna. Per mettermi a mio agio, Graziina canta la prima strofa da sola. La sua voce è delicatissima come me la ricordavo e, proprio dopo qualche verso, inizia subito a muoversi e a girarmi intorno. All’arrivo del ritornello, seguo i suoi movimenti e duetto con lei. Dalle sue espressioni capisco di star cantando bene e un po’ mi rassereno, nonostante l’intera situazione mi stia pressando.
Quando io canto la seconda strofa, con la mia voce che si sente da sola, cerco disperatamente conferma negli sguardi degli invitati. Ad un cenno positivo di Espedito, mi lascio andare e ballo un po’ anche io. Scopro che le parti in spagnolo non mi escono poi così male! Decidiamo di osare di più con la coreografia, lei mi mette la mano sulla schiena e iniziamo a ballare in coppia, tenendo il microfono con l’altra mano, mentre gli altri invitati iniziano ad applaudire più forte.
Arriva una parte strumentale, durante la quale diamo il meglio di noi, ma con la coda nell’occhio scorgo l’ingresso di una persona. Dentro di me, tutto si mette repentinamente sottosopra.
«Se riesci a finire la canzone facendo finta di nulla, fidati che sarà impagabile.» Graziina mi sussurra durante l’ultima giravolta, io annuisco e faccio come mi dice.
I want to be where the sun warms the sky
When it's time for siesta you can watch them go by
Mentre chiudo questa parte, mi sforzo di non guardare la persona che c’è sull’ingresso, di non cercare alcuna reazione nel suo sguardo. Graziina prosegue la canzone appoggiandosi romanticamente sulla mia spalla destra. Che fortuna, si vede che è brava nelle performance.
Beautiful faces, no cares in this world
Where a girl loves a boy, and a boy
Loves a girl
Riusciamo a finire la canzone senza alcuna differenza rispetto a quando l’abbiamo iniziata, godendoci l’applauso di tutti.
«Questa serata non finisce di riservare sorprese!» si congratula zia Mito che mi abbraccia. Evidentemente non ha ancora visto la persona che ha appena varcato l’ingresso.
«Mi spiace interrompere questo momento familiare, ma c’è una certa situazione all’ingresso. No, non si volti a guardare!» Espedito ha capito subito quale potrebbe essere la reazione di Zia Mito, infatti la vedo molto agitata. «Vada di sopra, qui ci penso io.»
Zia Mito fa un segno di riconoscenza e, senza mai voltarsi, sale in camera sua.
 
«Ging…» mormoro, sentendomi crollare mentre ci appartiamo ad un tavolo ai lati. Lui è in imbarazzo, non si aspettava di trovare tutte queste persone. Subito dietro di me si apposta il trio di New York.
«Bella voce! E la pelliccia che spero sia finta… e la camicetta…» Ging si complimenta, imbarazzato. «Molto interessante, hai voluto fare una gara di travestimenti?»
«Uhm… no. Io ora mi vesto così.» Non so perché, ma mi è venuto d’istinto rispondergli in questo modo. Anche Espedito per un momento ha fatto uno sguardo interrogativo, per poi stare subito al gioco. «Loro sono i miei amici
«Vedo qualche volto mancante…» commenta Ging. «Dov’è il tizio che mi ha dato un pugno in faccia? Leorio, giusto?» Si sente un pesce fuor d’acqua e riempie il silenzio con domande di circostanza. «E Killua?»
«Loro non sono qui.» risponde Graziina al posto mio, sapendo quanto quella domanda faccia male.
 «Scusa, tu saresti?» le chiede, in maniera non molto garbata.
«Graziina. Graziina Petrovsky.» gli tende la mano e si presenta con la sua solita grazia.
«Sei la sua ragazza?» lui ridacchia un po’, guardandomi con un’espressione indecifrabile. Che momento imbarazzante.
«No, sono amici. Io mi chiamo Maxine.» si presenta invece lei, meno nervosa degli altri, suscitando più autorevolezza in quanto quasi coetanea di Ging.
«Buonasera.» irrompe il biondo con uno sguardo vispo e un sorriso tagliente. «Io sono Espedito.»
«Ma lui è il padre di Gon!» Alexandria, facendo irrigidire il figlio, corre improvvisamente verso di noi trascinandosi Danielle. «Suo figlio a New York lo conoscono tutti! Lui è il ragazzo più intelligente, più affascinante, un’icona per i ggiovani…»
«Mamma, no.» Espedito la frena. «Signore, lasciamo loro un po’ di tempo da soli. Gon, torna in tempo per la torta e i regali!» Mi fa l’occhiolino prima di congedarsi.
«C-certo!» rispondo, mentre usciamo dalla porta sul retro.
 
  Mentre Ging mi fissa, decido di fare il possibile per dimostrare di essere cambiato. Nella tasca della pelliccia c’è un pacchetto di sigarette, mi balza alla testa l’idea malsana di fumare. Ma cosa mi sta succedendo? Espedito dice sempre che quando si diventa adolescenti è normale fare cose strane per attirare l’attenzione.
«Scusa, non riesco a fare a meno di guardare come ti sei conciato.» E continua a ridere. «Ma perché?»
«Mi piace…» mi invento su due piedi una risposta. «L’ho visto su Vague, è di Jen Perl Gater.»
«E chi sono quelle persone? Non pensavo che fossero il tuo ambiente.»
«Non si può mai escludere nulla! Io, poi, ho solo quindici anni. Chissà quanti altri cambiamenti…» non credo di reggere ancora questa recita. Mi sono cacciato in un guaio.
«Gon, questo non è cambiare. Questo è travestirsi.» Mi fissa negli occhi non lasciandomi più via di scampo. «Qualunque sia il motivo per cui stai male, puoi parlarmene…»
«Io non sto male! Sono solo… alterato perché ho bevuto quattro drink e un bicchiere di vino!» Io stesso non mi riconosco più in questo momento. «Sto solo cercando di esplorare altre sfere della mia vita… Lo hai detto tu, devo ringraziare di essere sopravvissuto. Non ha senso chiedere addirittura i miei poteri indietro e tornare a fare l’hunter come se nulla fosse, pretendendo di essere riaccettato da tutti.»
«Quindi è questo il punto, ti senti escluso dai tuoi amici?» Touché.
«Non ho motivo per pensare che Espedito, Maxi-»
«Sai bene di quali amici parlo, Gon. Non trattarmi come se fossi un’idiota.» sta cominciando a perdere la pazienza. «Parlo di quegli amici che sicuramente non ti avrebbero mai fatto mettere addosso un animale morto e una camicia da donna.»
«E che non hanno mai trovato il tempo di rispondere ai miei messaggi, telefonarmi e che guarda caso non sono qui! Comunque, la pelliccia è finta.»
Adesso basta, posso comprendere che avrei potuto fare di più per Killua, Kurapika e Leorio. Ma non posso lasciare che Espedito, Graziina e Maxine passino come degli orribili tentativi di rimpiazzo. Loro si meritano molto più di questo.
«Io non ho preteso di sostituire nessuno, sto solamente esplorando me stesso. Sono quasi morto, Ging. Sono qui per miracolo e non ho alcun rancore verso nessuno, nemmeno verso di te. Allo stesso tempo, non posso certo stare a girarmi i pollici e aspettare gli altri per tutta la vita! E poi cambiare me stesso può farmi solo bene.»
«Cosa aveva il Gon di prima che non andava?»
E per un attimo, medito sull’eventualità di rispondere sinceramente a questa domanda.
Il fatto che quel Gon esistesse non andava. Il fatto che voleva a tutti i costi cercare una persona che non l’ha voluto non andava. Il fatto che tutte quelle volte in cui ha rischiato di morire non si è posto mai una domanda su cosa stesse facendo non andava. Tutto non andava in Gon Freecss.
«Non aveva spirito critico.» Mi limito a rispondere. Forse insieme al mio Nen si è resettata anche la mia personalità e anche di questa cosa dovrei essere grato. Forse, tutto quello che mi spingeva a ricercare le persone che ho perso, erano solo i ricordi. E quanto sto morendo dalla paura all’idea di lasciare andare quei ricordi per ricostruirmi una vita.
Al diavolo! Ho fatto tanto per gli altri, io non voglio allontanare nessuno!
Tutto quello che devono fare è semplicemente calcolarmi nelle loro vite, anche marginalmente. Non ho mai messo in dubbio la loro libertà di reperirmi in qualunque istante.
«E cosa penserebbero i tuoi amici vedendoti così?» mi chiede, con sguardo arrendevole. Se non altro ha capito qualcosa in più.
«Loro non sono qui.» una lacrima mi scende e Ging non sa cosa dire. Accenna a un saluto freddo con la mano.
Probabilmente sta per sparire di nuovo.
Potrebbe fare qualsiasi cosa, come dirmi almeno una parola di conforto. So che non lo farà. E io non lo fermo, non posso lasciare un’altra volta che la speranza mi divori facendomi perdere il contatto con la realtà.
È ora di crescere, Gon.
«E comunque…» dice improvvisamente. «Domani vorrei incontrarti, possibilmente non in questa casa. Devo dirti una cosa importante.»
Poi mi sorride come se stesse mettendo da parte quella sgradevole conversazione e mi dice: «Per quanto può valere, buon compleanno.»
«Vale.» gli rispondo, mentre se ne va via. Un po’ mi alleggerisco, mentre lo vedo sparire. Mi appoggio al muro di casa, ho bisogno di qualche secondo d’aria.
 
«Gon?» Graziina sbuca dalla porta, con il suo solito sorriso stampato in faccia. «Stanno per tagliare la torta. E poi devi scartare i regali, c’è una busta misteriosa di Van Cleef & Arpels!»
Al “Van Cleef & Arpels”, Ging gira definitivamente i tacchi e se ne va.
 
Quando rientro nel locale, zia Mito mi trascina al centro e mi fa sedere. Accanto a me ci sono diverse buste e pacchetti, l’idea che si siano sbattuti tanto per me mi fa diventare magenta in volto. Il primo regalo è proprio di mia zia. È una scatola a forma di parallelepipedo, abbastanza lunga.
Non senza imbarazzo nel farlo davanti a tutti, la apro e dal suo interno viene fuori una spada lucente dall’impugnatura in legno intarsiato.
«Non sei un tipo che desidera oggetti, perciò ho pensato di farti un regalo simbolico che ti ricordasse quanto sei forte.» mi spiega, mentre le lacrime iniziano già a rigarle il volto. A quel punto mi butto subito per abbracciarla, tra le reazioni intenerite dei presenti.
È un simbolo tipico dell’isola. Rappresenta il modo in cui un eroe ha sconfitto un drago che stava attaccando l’isola. L’ha trafitto con la spada salvando gli abitanti e l’attività di pesca, il nostro unico sostentamento. Zia Mito me la raccontava sempre quando ero bambino, una delle mie storie preferite.
 
«Quando ci siamo chiesti cosa regalarti, Espedito ha detto che potevamo uscircene con qualunque cosa, perché tanto avresti reagito allo stesso modo qualunque fosse il regalo.» Esordisce Maxine, facendomi scoppiare a ridere per quanto sia vera quella frase.
Il suo regalo è una borsa da uomo d’affari in pelle, il cui odore è fortissimo. Al suo interno, la targhetta che recita la scritta “Tommy Hilfinger”, un’agenda elegante anch’essa ricoperta in pelle, una calcolatrice e un elegante set da cancelleria. «Ho pensato, perciò, di regalarti qualcosa di pratico. Così che tu possa organizzarti meglio!». Tra le risate generali per quella piccola frecciatina, abbraccio anche lei.
 
«Trovare un regalo che non prevedesse gattini, civette o angeli di ceramica è stato difficile.» anche Graziina mi fa saltare dalla sedia per l’ennesima divertente verità. «Per questo, dopo cento anni, ho trovato il regalo giusto. Una macchina fotografica istantanea.». Dalla confezione esce fuori una piccola macchina fotografica con la fessura per stampare le foto sul momento. Sa che non avrei mai la possibilità di sviluppare le foto o editarle, non è facile quando si è sempre in giro. «Ho pensato a quanto sarebbe carino poter conservare piccole particelle di ricordi quando succedono cose belle.» E ha pensato bene.
 
«Okay, prendilo e basta.» Espedito mi lancia una misteriosa busta verde, dalla quale esce un bracciale in oro bianco con cinque fiorellini stilizzati di colore verde. Noto che è identico al bracciale che indossa lui con i fiori blu, a quello di Graziina che ha i fiori rosa e a quello di Maxine che li ha rossi. «Si tratta di un bracciale Alhambra. In poche parole, una cosa che ti ricorderà di questa comitiva quando non saremo insieme. Molto da film, chi se ne importa.»
E, prima ancora che io possa indossare il braccialetto e ringraziare a dovere per quel regalo, zia Mito arriva con il mio cellulare in mano. «Sta suonando da mezz’ora, ti vogliono.»
Faccio per allontanarmi nuovamente dalla musica e dal chiasso rifugiandomi in cucina e rispondo alla chiamata. «Pronto?»
«Ehi, bastardo! Quando pensavi di dirmelo che compi gli anni oggi?» L’urlo della persona dall’altra parte della cornetta mi trapana il timpano destro. Mi fa piacere “sentire” la voce di Knuckle dopo così tanto tempo!
«Eh… non c’è stata l’occasione giusta… poi in genere non lo festeggio!» mi rendo conto di non riuscire a scandire bene le parole, il tè freddo sta dando i suoi frutti.
«Ti hanno taggato in delle foto dove indossi un animale morto e hai costantemente un drink in mano.» lo sento ridere. Dare ad Espedito l’amicizia su VKontakte è stato un errore, adesso quelle foto saranno già sul New York Times. «Hai deciso di andarci pesante, eh?»
«In realtà la festa me l’hanno organizzata dei miei amici, non ho avuto proprio il controllo sulla situazione.» Mi muoiono le parole in bocca, un po’ per l’alcol e un po’ per il senso di colpa. «Ma appena sarai libero possiamo recuperare quell’aperitivo…»
«Aperitivo? Ma come parli! Ti faremo bere boccali di birra fino a sbronzarci!» Normalmente l’idea di una serata pub con i compagni di avventure di una vita mi riempierebbe il cuore di gioia. Lo fa tutt’ora, ma sentir parlare di sbronzarsi nella situazione in cui sono ora, mi causa solo un forte mal di stomaco. «E devo chiederti un’altra cosa.»
«Dimmi.»
«Cosa ci fa Gracie alla tua festa? Io mi taglierei una mano per starle vicino.» Qualcosa mi dice che questo suo interesse per lei non abbia nulla a che vedere con la musica. «Dal vivo è bella come in foto? Non saranno vere le voci sul fatto che esci con lei e le fai da toy boy?»
«Ma no!» Quell’articolo di Hello Magazine sulla mia presunta relazione con Graziina mi sta rovinando la vita. «E, se ti può consolare, dal vivo è anche più bella.»
Le urla di soddisfazione e ‘gioia’ di Knuckle stanno quasi per farmi vomitare dalle risate. È ufficiale: ho bevuto troppo.
 
Pensavo che la festa si fosse fermata, ma se ne sono andati solamente gli adulti. Fanno il loro ingresso, a mezzanotte passata, dei ragazzi miei coetanei portati da Danielle.
«Io vado a letto, sono troppo sbronza per fare la babysitter.» Maxine è già pronta a lasciare la scena quando Espedito la ferma.
«Dobbiamo ballare solo la prima canzone, Graziina vuole che lo facciamo tutti e quattro insieme.» dice. Come se indossare una pelliccia, cantare in pubblico una canzone pop e bere fino allo sfinimento non fossero già abbastanza follie fuori dai miei schemi per questa sera.
Però devo ammettere che questo Gon “alternativo” inizia a piacermi.
«Questo significa che poi mi lasciate qui da solo con degli sconosciuti?» chiedo, mentre realizzo cosa potrebbe succedere.
«Gli amici di Danielle sono degli idioti, ma sono abbastanza di classe da non distruggerti la casa. Al massimo tireranno fuori la marijuana…» minimizza Espedito.
«Così zia Mito mi murerà in camera per l’eternità!»
«Non ti preoccupare di lei, è già al corrente del fatto che la festa si sarebbe prolungata.» interviene Graziina. «Noi ci siamo divertiti, ma Espedito e Maxine vanno quasi per i trenta e si sentono a disagio nello stare tra mocciosi che non siano te.»
«Per i trenta ci andrai tu. Io non ho età.» fa l’altro, offeso. «A parte gli scherzi, la tua età l’ho già vissuta e non ci tengo a passarci di nuovo. Per questo mi piace tanto aiutare te ad essere un adolescente di quest’epoca!» mi sorride, malizioso. Mi dimentico sempre che Espedito abbia ventisei anni. Graziina, invece, ne fa ventuno quest’anno.
Quest’ultima fa partire Hot in Herre di Nelly e insieme me, Espedito e Maxine si dispone di fronte agli altri ragazzi, che seguono le nostre mosse. Sembra che loro tre sappiano la canzone a memoria.
Non avevo realizzato come la cosa più divertente da fare da ubriachi fosse ballare. In realtà, questa festa è diversa da tutti i momenti ricreativi che io abbia mai vissuto. Penso spesso a quando da piccolo vedevo gli avventori del bar si riunivano per tracannare vino e intonare qualche canto popolare dell’isola. Urla, barzellette sporche e rumori forti accompagnavano intere nottate. O quando capitava di riunirci con Leorio – il festaiolo del gruppo – e di vederlo urlare dopo appena due birre.
Con Espedito non succede. Si beve, e tanto anche, ma ci si rilassa e si chiacchiera per il resto del tempo. Quando si balla non ci si lancia l’uno addosso all’altro, ma ci si muove con criterio e anche se non si seguono le mosse ci si diverte lo stesso.
Sicuramente il fatto che la presenza femminile sia più marcata e che a dominare la festa siano principalmente figure non maschili influisce. Si tratta di un mondo che non ho mai avuto modo di esplorare a fondo. Quello che ho vissuto finora era prettamente maschile e pensavo fosse la norma.
 
 
 
 
Gli amici di Danielle sono spassosi. In realtà, ho bevuto due bicchieri pieni di Belvedere e non riesco nemmeno a sentire le conversazioni, mi limito a ridere e a stendermi sul divanetto prima da una parte e poi dall’altra a ripetizione. L’ultima ora e mezza l’ho passata a ballare a più non posso, finché Thomas e Jen non hanno iniziato a spingermi l’uno verso l’altra come se fossi una palla da basket. A quel punto, ho voluto proprio sedermi.
L’atmosfera è diversa, Danielle ha spento tutte le luci lasciando solo una lanterna blu sul tavolo e ha creato una sorta di privé sfruttando le poltroncine laterali e occupando una parte della parete, così da disporci a semicerchio intorno a un tavolo pieno di alcolici. Lei è una versione meno educata del fratellastro. Con Espedito condivide tutta la cosa della moda, del frequentare le persone giuste e i giri giusti, ma è molto più rozza per certi versi e decisamente meno matura.
«Abbiamo delle bottiglie vuote, siamo ubriachi ma non si va a letto. Cosa si fa?» Danielle fa una domanda retorica mentre fa spazio sul tavolo per appoggiare una bottiglia orizzontalmente al centro. Io non ho mai giocato al gioco della bottiglia, né ad “obbligo o verità” e cose del genere.
«Il gioco che si fa in seconda media?» ride Julie. «Va bene, finché è qualcosa che crea zizzania io ci sto.»
«E una cosa: siamo quattro maschi e sei femmine. Se gente dello stesso sesso si becca, non si rifà il giro. Vi ho avvertiti.» dice categorica Danielle. Per qualche motivo, la cosa non sembra dispiacere a nessuno. Io non so come sentirmi in merito.
Al primo giro, Danielle bacia Ben. Gli dà un bacio a stampo, non si prendono molto sul serio. Al secondo giro, Julie bacia Marcus. Le loro lingue sono state al centro dell’attenzione per un imbarazzante (ma solo per me) minuto e mezzo. A questo punto, prima del prossimo giro, decido di mandare giù un intero bicchiere – e non di quelli piccolini – della vodka che ha portato Tameka.
Ed eccoci al quarto giro, il primo malcapitato sono io e la persona che dovrò baciare è Zoe. Zoe Sinclair, per l’esattezza, so il suo intero nome perché Danielle la nomina spesso, loro due sono aminemiche. Faccio per avvicinarmi a Zoe e lei mi prende con forza il mento e mi bacia così, senza troppi convenevoli. E cosa assurda è che non mi dispiace. Anzi, mi viene da ricambiare il bacio e dimostrare di non essere da meno. Questa volta, il minuto e mezzo, l’ho regalato io tra gli sguardi stupiti e gli applausi.
Mi sento sollevato quando sta per iniziare il quinto giro, ma il collo della bottiglia colpisce nuovamente me.
«Alla sorte è piaciuto Gon!» commenta ironica Julie.
«E mica solo a lei…» aggiunge velenosa Tameka, indicando una Zoe rossa come un peperone. «Abbiamo già il primo abbinamento di stasera.»
Ignoro cosa voglia dire quella frase, mi limito a far fare un giro alla bottiglia, genuinamente curioso di cosa avesse in serbo la dea bendata per me. E la dea bendata ha in serbo Thomas. A questo punto, bevo ancora un bicchiere mentre sento appannate urla e risatine dovute al primo bacio omosessuale della serata. E, anche questa volta, io non mi tiro indietro.
Thomas mi bacia in maniera delicata, con educazione, aspettando che io mi senta a mio agio. Non è aggressivo quanto Zoe, perciò mi sento di essere io quello che alza il carico questa volta. Quando ci stacchiamo, lui mi fa uno sguardo sereno e spensierato. E io non so cosa pensare.
 
Buon salve!
Oggi siamo andati sul pesante. Volevo darvi la canzone di questo capitolo, qui. Si tratta di Material Girl di Madonna, riarrangiata dal gruppo The Bird and the Bee.
C'è poi la performance di La Isla Bonita che mi ha ispirata, è quella di Glee (qui).
** ANGOLO DELLA MODA **
Apriamo la parentesi vestiti: chi mi conosce sa che sono una fashion victim e che in tutto ciò che scrivo rifilo un botto di costume porn. In realtà, gli outfit che do ai personaggi esistono tutti! 
L'outfit di Gon - la pelliccia di Jean Paul Gaultier - è qui.
La borsa di Tommy Hilfinger - qui.
E, per chiudere in bellezza - uno dei miei pezzi preferiti in assoluto - è il bracciale Alhambra di Van Cleef & Arpels - qui.
Mi metterei a parlare di vestiti per giorni ma facciamo che per questa settimana può bastare. A chi legge, do un grandissimo bacio e ci si vede la prossima domenica.
xoxo.
 

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Capitolo 4
*** Conoscevamo quel ragazzo? ***


FF

Capitolo 4

Una certa notizia scatena un putiferio. Un'avventura diversa dalle altre ha inizio.

Conoscevamo quel ragazzo? 

Con tutto ciò che mi è stato detto sull’adolescenza dalla zia Mito, da Leorio, da Espedito e tante altre persone, ho messo in conto che l’entrare nel vivo di questo periodo mi avrebbe cambiato. Sapevo da tempo, perciò, che avrei fatto cose che prima non avrei nemmeno per sbaglio immaginato di fare.
Ma svegliarmi nudo nel mio letto insieme a un ragazzo e una ragazza è decisamente oltre le mie previsioni.
Non ricordo assolutamente nulla di ciò che è successo questa notte. Disteso accanto a me, con un braccio sul mio petto, c’è Thomas e poco più in là c’è Zoe Sinclair. Mi libero da loro due cercando di non svegliarli e la prima cosa che mi viene da fare è telefonare Espedito.
«Gon, perché mi chiami così presto?»
«Credo di aver fatto una cosa a tre. Sono in camera mia e loro sono ancora qui.»
«Non uscire da quella stanza, sono lì in un minuto.»
Mentre attendo l’arrivo di Espedito per fare non so che cosa, mi siedo per fare mente locale. Qualunque cosa sia successa, non provo imbarazzo e non penso di essere pentito. Sono in pace con me stesso, almeno per quanto riguarda il sesso. Cosa mi dà da pensare? Zia Mito, sopra tutti, perché non so se si sia accorta del fatto che nella mia stanza ci abbiamo dormito (termine ombrello che può includere la qualunque) in tre e non penso che questo colpo lo reggerebbe. La vista di due preservativi usati sul mio comodino mi dà un senso di disgusto misto a sollievo.
Ma la cosa che più mi fa arrovellare è me stesso. Chi sono io?
Conoscevamo quel ragazzo? Conoscevamo Gon Freecss? E chi è lui?
È il vecchio Gon, quel bambino cocciuto e impulsivo che non pensava mai male degli altri? Quello per cui era sempre tutto bianco o nero?
O è il nuovo Gon, questa sorta di star adolescenziale che beve, si veste con griffe e pensa a come lo vedono gli altri?
È il primo un qualcosa che non sono più, figlio di un pensiero infantile, mentre il secondo è la mia vera natura? O il secondo serve come maschera per nascondere i dolori del primo? O è il primo, tra i due, ad essere finzione?
Come ci sono finito in questo pasticcio?

«Ti avevo detto di divertirti, non di trasformare questo posto nella casa di Schwarzenegger.» Espedito non riesce a trattenere le risate, mentre Thomas e Zoe si vestono in bagno.
«Hai incontrato zia Mito fuori? Cosa sa? Ha visto qualcosa?» il mio cuore perde uno o più battiti mentre attendo la risposta.
«Tua zia ha passato la notte dalla vicina, non sopportava i rumori. Adesso sta stendendo il bucato, penso non sia ancora salita di sopra. Sei salvo.» mi rassicura, proprio mentre i due amanti escono dal bagno vestiti e profumati.
«Ragazzi…» li fermo, mentre si dirigono verso l’uscita. «Voi ricordate qualcosa?»
«Se è una domanda genuina, mi ricordo solo che ci sai fare e che quando vuoi dobbiamo rifarlo. Se è una frase in codice allora no, non è successo nulla.» La risposta di Zoe dovrebbe rappresentare una secchiata d’ansia, in realtà non sento niente.
«Confermo, dobbiamo assolutamente rifarlo.» Thomas si avvicina e mi saluta con un bacio sulla guancia. Questo invece mi fa arrossire.

Tanto per essere coerenti, per incontrare Ging mi decido a restare nel personaggio. Ho preso in prestito da Espedito altri vestiti riciclati: questa volta è il turno di pantaloni e giacca neri luccicanti, con sotto una maglietta con fantasie dorate, sull’etichetta c’è scritto Versace. Mi dà anche un paio di occhiali da sole, dice che creano il giusto distacco quando hai paura di rendere troppo evidenti i tui sentimenti, oltre al fatto che tornano utili quando hai dormito venti minuti a causa di una festa di compleanno piena di drammi e di alcol.
Mi siedo al bar dove ci siamo dati appuntamento, all’esterno e in un luogo poco affollato. Fortunatamente non c’è chiasso in sottofondo. Mi tolgo la giacca e la metto sulle spalle, come mi è stato suggerito prima di venire perché “dà idea di sicurezza”. Mi chiedo se sul serio Ging sia in ritardo, ma vedendo l’orologio capisco di essermi presentato con mezz’ora di anticipo per l’ansia. Decido di ammazzare lo stress con una sigaretta dal pacchetto rubato ieri ad Espedito.
«Questa volta mi hai preceduto!» Ging mi sorprende comparendo dall’angolo della strada, a pochi metri da dove sono seduto. «Abbi pazienza, detesto il fumo di sigaretta. Fa’ con comodo, rimango qui a distanza.» Noto una punta di amarezza nella sua voce e un cambio repentino nel suo sguardo appena scorge il tubicino di carta.
Faccio goffamente altri due tiri e infilo il mozzicone nella ceneriera, per poi allontanarla dal tavolo. Quando Ging prende posto davanti a me, ordiniamo due caffè. Il compleanno mi ha sfiancato e ho un’intera notte di sonno arretrata. In più, ho anche i postumi della sbornia. Non so come riuscirò a reggere un qualsiasi tipo di conversazione con mio padre.
«Andiamo al sodo, io me ne andrò da qui oggi pomeriggio. Sono strapieno di impegni e incarichi…» mi spiega. Fin qui, nessuna notizia shock. «Ma credo di avere un’informazione che ti interessa.»
«In merito a cosa?»
«In merito a Killua.» E lo dice così, senza enfasi nella voce. Una bomba sganciata su quel tavolino di ferro arrugginito con così tanta leggerezza. «In realtà non riguarda solo lui, ma una faccenda di cui ci stiamo occupando con altri hunter…»
«E sta bene? Lo hai incontrato?» da tutti i giri di parole che sta facendo, mi viene da pensare come minimo che si sia fatto male.
«No, non l’ho incontrato io.» Okay, ci sta decisamente mettendo troppo. «Si trova nell’arcipelago delle Congdong, più o meno nelle vicinanze di Zaban. È lì in missione, c’entra con la scoperta di nuove rovine sottomarine.»
Con i postumi di sbornia e venti minuti di sonno, appena ricevute notizie su colui che ha occupato prepotentemente i miei pensieri per un anno e mezzo, lo squillo del cellulare diventa improvvisamente un suono minaccioso. È un messaggio di Espedito.

“Ho ben DUE buone notizie! La prima è che la Harper & Collins ti ha proposto di scrivere una biografia, è sicura al 100% che sarà un bestseller e sarà subito sponsorizzato dal New York Times. La seconda è che sono riuscito a trovarti un posto per ottobre alla Onassis High School, se tutto va bene sarai in classe con Danielle.
N.B.: non hai un recapito né un agente, così per il momento ti seguirà la mia. Ti giro il contatto di Edna.
RICHIAMAMI.”

Okay, è ufficiale.
La mia vita ha ripreso ad essere movimentata.

«Gon? Tutto bene?» Ging è rimasto lì a fissarmi per cinque minuti buoni e io non so cosa dirgli. Da dove comincio? Dal fatto che il mio vuoto interiore ha ripreso a fare male da quando mi ha dato notizie su Killua? Dal fatto che vorrei mollare tutto per andare a scuola? No, non me la sento di raccontargli le cose ora, lo caricherei solo di un peso non richiesto che poi verrebbe riscaricato su di me con gli interessi. Decido, quindi, di mentire per l’ennesima volta. O meglio, operare una sostituzione di verità.
«Ho fatto sesso a tre ieri notte. Non è nulla di personale, continuo a pensarci perché…» mi blocco. Certo, anche quella è una cosa che mi dà da pensare, ma dopo la storia di Killua è diventata subito l’ultimo dei miei pensieri. «Non lo so perché.»
«Era la tua… prima… nel senso… sì, eh?» Bingo, sono riuscito a scioccarlo e lui sembra soffocarsi con il caffè.
«Sì.» E nel dirlo, un po’ mi trema la voce. Sul serio mi sta bene che la prima volta sia stata così? «Ho bevuto, io non volevo. O forse sì. Volevo solo stordire i pensieri.» Mi è uscita una frase di troppo.
«Per prima cosa calmiamoci, eh!» in preda al disagio, Ging alza la voce. Mi domando con chi ce l’abbia. «Non puoi farlo così, senza un minimo di criterio…»
«Eh? Come scusa?» dico, indicando me stesso per far notare da che pulpito viene la predica. Non so da quanto tempo avevo il desiderio nascosto di fargli questa battuta.
«Riformulo… puoi farlo con chi vuoi. Ma farlo e poi non ricordarselo, per giunta ubriacandosi… fai solo del male a te stesso.» Come da copione, non riesce a collegare le frasi. «La tua è un’età difficile, è normale sentirsi smarriti.»
Quest’ultima massima mi fa un po’ cadere le braccia. Non perché non sia vero, lo è. Ma perché da una persona come Ging mi aspetto pensieri più profondi.
«Sto cercando di capire. E lo sto facendo da solo» Non avrei voluto dirglielo. Questa frase è fraintendibile, potrebbe sembrare un tentativo di accalappiamento facendolo sentire in colpa. «Non che io voglia… cioè, ci siamo capiti. Ho solo constatato un semplice fatto.»
«No, no. Ci mancherebbe altro.» risponde, mettendosi la mano sulla nuca in segno di resa. «Ce l’hai qualcuno con cui parlare di queste cose? Non so, una telefonata a…»
«La prossima.»
«Zia Mito…»
«Le stai sparando a caso?» camuffo il mio senso di fastidio con una risata innocente, come se stessi solo cercando di scherzare con lui come avrei voluto fare da sempre. «Comunque, ho già parlato con Espedito questa mattina. Lui ha ventisei anni, Graziina ne ha venti e poi c’è Maxine che ne ha trentadue… diciamo che capiscono.»
«Maxine ha trentadue anni?» un sorriso malizioso compare sulla faccia di Ging e io faccio quanto mi è possibile per ignorare questa cosa. «Comunque… pensi che siano persone in grado di guidarti nella tua crescita?»
Detto così suona triste.
«Sono un po’ eccentrici ma hanno la testa sulle spalle.»
«Mi domando cosa ci trovi, onestamente» sbuffa.
«Mi ascoltano.»
Io giuro che non voglio assolutamente che le mie risposte suonino come frecciatine, ma evidentemente dire le cose come stanno è diventata una faccenda molto spinosa. A questo punto mi chiedo se riportargli le parole di Noko. Quelle sul fatto che chi cresce senza padre passi la vita a interrogarsi sugli uomini. E, per qualche motivo, lo faccio.
«Questa è psicanalisi» mi spiega. «Mi sembra abbastanza stupida quando si parla di donne senza padre, figuriamoci con gli uomini. Quelli a cui piacciono le donne, si intende.»
La presenza di Thomas nel mio letto stasera avrebbe da ridire. Ma ometto questo dettaglio. O forse no. «Una delle due persone di questa notte era un ragazzo.»
«Tu pensi di aver passato la vita interrogandoti sugli uomini?»
No, solo su di te. Ovviamente, mi fermo al «No.»
«Direi che ti sei risposto da solo.»
«Credi che dovrei raggiungere Killua e parlargli?» La compagnia di Espedito, Gracie e Maxine mi ha abituato ai cambi repentini di argomento e alle chiacchiere lunghe. Anche questa mia domanda lo spiazza.
«Riguardo al tizio nel tuo letto?» ridacchia. Quando lo guardo storto per quella battuta, lui capisce e si ricompone. «In merito a cosa, allora?»
«Non c’è un modo di dirlo che non sia imbarazzante.» Improvvisamente il pavimento è molto interessante da guardare. «Vorrei che le cose tornassero come prima. Mi manca.»
«Diventare grandi non è solo vestiti eccentrici e follie notturne. Vuol dire accettare l’ordine delle cose. Sei disposto a farlo?» Con questa storia più quella sulle scuse agli amici, ho subito compreso dove volesse andare a parare. Perciò annuisco. «Io ti direi di farti da parte. Ti sei reso più che reperibile, può trovarti in qualunque momento se vuole. Lasciagli il suo spazio. Se non risponde avrà i suoi buoni motivi, no?» Annuisco.
Vorrei chiedergli cosa fare nel caso Killua non si rifacesse mai più vivo. Ma è una domanda che non ho il coraggio di fare. Come poche volte capita a me, inghiottisco il rospo e ringrazio di quelle risposte che ho già avuto.

Poco dopo, mi ritrovo a pranzo con Maxine, Espedito e Graziina per discutere del groviglio di problemi insorto nel giro di una giornata. Se con il vecchio gruppo risolvevo missioni e situazioni pratiche, con il nuovo risolvo casini sentimentali e interiori.
«E quindi cosa vorresti fare? Rincorrerlo fino alle isole Nonsocosa e fare il grande gesto?» Espedito è già andato nella modalità pugno di ferro.
«Del tipo “Se qualcuno è contrario parli ora o taccia per sempre”?» Maxine, d’altro canto, non riesce a trattenere le risate. Non so quando si sia parlato di matrimonio, ma considerando che c’è una località tropicale di mezzo è una possibilità da non scartare.
«È così romantico…» la voce eterea e gli occhi da cerbiatto di Graziina catturano momentaneamente la mia attenzione.
«È folle! Che cosa hai intenzione di fare?» Maxine non cerca di offendermi, è solo genuinamente preoccupata.
«Parlargli, chiedergli scusa per non essere stato all’altezza…» mi viene da aprirmi per la prima volta.
«Ho capito…» Maxine per un attimo sembra cambiare idea. «No.»
«Vuoi pensarci almeno un attimo?» le chiedo, irritato.
«No.» Maxine è inamovibile, mentre Espedito in sottofondo si sta rotolando dalle risate.
«Non pensi che sia la cosa giusta da fare? Dopo tutto ciò che lui ha fatto per me?»
«No.» Sembra non saper dire altro. «E se ti manda a quel paese?»
«Perfetto! Incontro per chiusura locale, cosa ne pensate?» cerco di farle capire di aver messo in conto anche questo.
«Vedi, Gon, il problema è che questa scelta avventata avrà delle conseguenze sulla tua vita. La tua esperienza dovrebbe insegnarti a scegliere per te stesso una buona volta e a ponderare le decisioni. Se vuoi mollare la scuola, il libro e qualunque altra cosa perché capisci che non è la vita che tu vuoi, va benissimo. Ma se lo fai per correre dietro a persone che potrebbero tranquillamente ritagliarsi del tempo per una telefonata e risolvere la cosa in un giorno è squallido.» Espedito butta giù l’asso, prendendomi la mano e cercando di parlarmi con serenità. Non riesco a contraddirlo.
«Ha ragione.» interviene Graziina. «Sono una fan dei gesti eroici romantici, davvero. Ma devi considerare la spesa. E non parlo di soldi, parlo della tua salute, delle opportunità che perderesti se dovessi trattenerti lì per troppo tempo…»
«Gon, io lo so che ti manca. Ma devi farmelo dire, cazzo. Un rapporto così intenso non si riesce a recuperarlo in due? Devi per forza sacrificarti da solo?» rincara la dose Maxine, cercando di assumere un tono più calmo. «Non sei più quel bambino che è uscito da questa casa alla ricerca del padre e per sostenere un esame per diventare Hunter. Non puoi decidere di fare cose da un giorno all’altro come se alla fine “in qualche modo” si possano sempre parare tutti i colpi. Noi siamo qui per aiutarti ma anche tu hai la tua parte, bello mio.»
Ed è lei che oggi ringrazio dal profondo del cuore per non avermi mai nascosto la verità. Mi scende una lacrima, ma di commozione.
«Proviamo a fare così.» Graziina interviene per mediare. «Noi quattro andremo in vacanza alle Isole Congdong e ci resteremo due settimane. La condizione è che tu non ti prenda più tempo della nostra vacanza. Il giorno del check-out te ne andrai insieme a noi, che tu sia riuscito nel tuo intento o meno. Siamo adulti, noi tre dobbiamo lavorare e tu avrai i tuoi impegni una volta finita l’estate.»
«E quando ci andremo, tu starai con noi e il principale scopo di questa vacanza sarà staccare la spina e divertirsi. Non ti lasceremo penare giorno e notte, tu sei in vacanza e solo quando ti resta tempo farai qualunque cosa tu voglia fare per Killua.» aggiunge Espedito. Finora mi sembra niente male. «Maxine, tu cosa vuoi dire?»
«Vorrei dirvi che ho altri piani per l’estate.» esordisce, facendomi già perdere tutte le speranze. «Ma non li ho. Perciò, Gon, devo dirti che verrò e ti starò addosso affinché tu non ti autodistrugga. Sarò la tua piaga.»
Lacrime di gioia mi irrorano il volto e non riesco a non gioire ad alta voce. «Vi ringrazio per tutto. Ho solo paura di cosa succederà nel caso in cui… sapete.»
«In quel caso ci saremo. Non devi nemmeno chiederlo.» mi rassicura Maxine, gli altri due annuiscono.
«Perciò non perdiamo tempo e seguiamo la tabella di marcia per oggi.» Espedito prende il comando della situazione. «Oggi pomeriggio hai due ore di studio, dovresti liberarti per le cinque, a quell’ora avrai un appuntamento con l’editore. Fortunatamente, io sarò libero e sarò presente. Devi darmi per stasera la domanda per l’iscrizione alla Onassis, il preside mi rispetta e non gli manderò una cosa copiata o raffazzonata all’ultimo minuto. Trova il tempo di farlo, non concedo proroghe. La domanda dovrà essere grammaticalmente impeccabile e compilata adeguatamente, se farà schifo di’ addio alla scuola.» l’elenco di Espedito mi intimidisce, ma non voglio tirarmi indietro. «Inoltre, dobbiamo fare altre cose dopo cena, ti rivedrai con noi tre.»
«Che cosa?» Sbuffo, non è già sfiancante il pomeriggio che dovrò passare?
«Elaborare un piano per riprenderti quel mostriciattolo dai capelli argentati!» mi canzona Graziina, accarezzandomi la testa.

Finito di mangiare, mi precipito alla mia scrivania. Imposto il timer per un’ora di riposo prima dello studio e sistemo il libro di antropologia per il corso di scienze sociali accanto al mio quaderno per gli appunti. È la prima volta che studio scienze sociali, non era compreso nel programma che mi aveva affidato il governo, ma devo prepararlo per accedere alla Onassis High. Il capitolo di oggi è “coscienza, autocoscienza ed emozioni”. Nonostante il sonno arretrato, non riesco a pensare di riposarmi. Pensieri intrusivi invadono la mia testa e decido di scacciarli scrivendoli sul mio diario personale.
Cosa definisce la mia persona? Cosa sono io rispetto alle mie azioni presenti, passate e future? Sono Gon, hunter professionista il cui Nen è del rafforzamento o sono Gon, onnipresente sul New York Times e studente? Sono quello che non riesce a contenere le emozioni, prende decisioni avventate e che ragiona in maniera semplice. Così mi descrivono gli altri. Ma davvero io non posso essere altro rispetto a questo? Io non posso essere qualcuno che ha pensieri complessi, può scegliere di migliorare in matematica e imparare un approccio alla vita diverso dal fare qualunque cosa catturi il mio interesse nel periodo di trenta secondi?
Quando sarò grande, continuerò a girare il mondo e vivere avventure mozzafiato come mio padre o arriverà il giorno in cui mi sistemerò in una casa, trovato un lavoro fisso e sottoscritto un’assicurazione sanitaria? Ma soprattutto, la mia persona è definita da ciò che non delude gli altri? Funziona che sono io se vado bene e ciò che sbaglio “non è da me”?
In un mondo in costante cambiamento dove ogni vita è in costante cambiamento, ha senso definire una persona?
Mi rendo conto che forse, per gli altri, resterò sempre quel personaggio e non potrò mai essere altro. Chi l’ha detto che Gon Freecss è solo una testa calda che fa solo ragionamenti pratici e non ha un minimo di spessore? Se c’è un motivo per cui ho scelto questo nuovo gruppo, nonostante le critiche che mi hanno sommerso per questo, è perché non mi vedono in quel modo. Loro si comportano come se io potessi davvero essere qualunque cosa, come se le persone potessero cambiare.
La rabbia di tutto ciò mi energizza per affrontare quest’ardua sessione di studio. Volano le due ore e ripeto bene per assicurarmi di aver immagazzinato tutto. Non è facile, non mi riesce naturale, ma non per questo devo astenermi dal farlo.
Non faccio nemmeno in tempo a chiudere i libri che Espedito piomba in camera con il suo portatile, dicendomi di sistemarmi immediatamente per la telefonata. E, dopo essermi messo qualcosa di decente, accendo la videocamera. Dopo qualche minuto di chiacchiere, convenevoli, arriva il momento in cui Samantha – la mia nuova agente editoriale – inizia ad illustrare quello che sarà il progetto.
«Gon, prima di contattarti abbiamo analizzato un po’ il papabile pubblico. In realtà, sei molto amato da quasi tutti i gruppi di età. I bambini ti seguono per ispirazione, gli adulti per affrontare le crisi di mezza età e riflettere sull’eventualità di mollare il lavoro, gli adolescenti, invece, per vivere una realtà alternativa. Sai, per sognare una vita dove sono degli eroi che vivono emozioni ogni giorno e anestetizzare gli effetti della loro vita reale in cui sono delle nullità senza arte né parte.»
Quell’ultimo passaggio di Samantha, detto in maniera fredda, indelicata e crudele, mi ferisce nel profondo. Davvero la mia vita passata è un qualcosa di così elevato moralmente? E davvero la mia vita futura è un qualcosa di così deprimente e degradante? Per una frazione di secondo, mi concentro sull’eventualità di proseguire un’esistenza così miserabile da non essere nemmeno considerata nella sua individualità. In poche parole, io senza Nen ho chiuso e non merito altro.
«Metti insieme il materiale. Diari personali, appunti, lettere… ma vogliamo una cosa» mi dice. «Non vogliamo una ricostruzione, i fatti li conoscono tutti. Vogliamo che ci parli di te, che ci offra uno spaccato della tua vita e dei tuoi pensieri. Sei un personaggio unico ma misterioso, non hai mai fatto interviste e cose del genere. Il punto non sono le tue avventure di per sé. Chi è Gon Freecss? Ecco, questo è il punto.»
È l’occasione perfetta per ricordare tutti i momenti salienti della mia vita con aggiunta di “potevo, volevo, dovevo” e momenti di sano rimuginare. Alla fine, dopo aver concordato varie cose con la supervisione di Espedito, mi decido: firmo il contratto. Ho bisogno davvero di chiudere questo cerchio e questo libro è per me l’occasione di riflettere davvero sulle mie azioni.
«Penso sia superfluo dirti che il discorso sulle vite inutili e adolescenti-nullità non devi prenderlo sul serio», mi raccomanda Espedito mentre raccoglie le sue cose. «Devono vendere libri, le loro sono pure stime demografiche e discorsi basati sulla stampa e i social media. Per “interessante” e “irrilevante” intendono ciò che vende e ciò che non vende. E la tua storia vende, questa è l’unica cosa che devi considerare. Non lasciarti influenzare dal puro marketing.»
Sembra che mi abbia letto nel pensiero, con poche parole è riuscito a darmi tanto sollievo dopo questa giornata. Che bello, però, avere delle persone che sanno sempre qual è la cosa giusta da dire.

La prova più difficile della giornata è compilare la domanda per l’iscrizione. Espedito è riuscito a far sì che mi tenessero il posto, ma certamente non avrà semplificato la selezione. Un tema di almeno due facciate sul perché dovrebbero accettare proprio me, più una serie di moduli da compilare pieni di richieste che non comprendo.
Dopo circa quattro tentativi accartocciati e buttati nel cestino, mi rendo conto di avere poco tempo a disposizione. Scelgo, perciò, la via che mi sembra più semplice: l’onestà.
Perché voglio entrare in questa scuola? Per ricominciare. E scrivo su cosa mi sia successo in questi ultimi tre anni (concentrandomi poco sui fatti specifici e dando più spazio a cosa è significato per me) e sul mio desiderio di ricominciare una vita diversa. Di getto, finisco per scrivere quattro facciate. Tanto il massimo era cinque.

«Hai superato le mie aspettative.» Espedito fissa la mia domanda con uno sguardo confuso. Se non mi conoscesse, penserebbe che l’abbia scaricata da internet. «A cosa devo tutta questa onestà?»
«Non avevo tempo di inventarmi cose» rispondo, sempre molto onestamente.
«Mi sembra giusto.» Sorride, mentre la fa leggere alle altre. Graziina addirittura scoppia a piangere leggendola.
«Ma guardati…» Maxine nasconde qualche piccola lacrima. «Stai facendo passi da gigante.»
«Dovrebbero fare un campionato mondiale di crescita personale» dice Graziina, non capisco se sia sarcasmo. Visto che stiamo parlando di lei, sicuramente non lo è. «Bisogna dare valore anche a queste sfide. Dovremmo far leggere queste cose ai bambini, non solo storie di maschi forzuti con i valori morali che passano le giornate a scazzottarsi.»
È uno di quei momenti in cui tutti si voltano verso Graziina riconoscendo il modo in cui sganci dei veri e propri ordigni con naturalezza.
«Proprio per questo la cosa del libro deve andare in porto. Se farai come hai fatto con questa domanda, verrà fuori una cosa rivoluzionaria», dice Espedito. «E ovviamente hai questo fantastico team di supporto per ogni evenienza.»
«Passiamo al piano? Io l’ho chiamato Operazione Hubbell» Graziina è tutta caffeina, con il suo sorriso che rallegra le giornate e il suo perenne atteggiamento naif.
«Hubbell?» chiede Espedito, non avendo ben chiaro il riferimento. «Oh mio Dio, Hubbell!» Adesso ha capito e gli si è illuminato il viso, peccato che io invece non ho capito nulla.
«Robert Redford nel film “Come eravamo”!» spiega Maxine, non notando alcuna reazione da parte mia. «Lui è Hubbell ed è follemente innamorato di Barbra Streisand…»
«Katy!» puntualizza Graziina.
«Però non riesce a stare con lei perché è troppo complicata.» continua Espedito, con un’aria sognante che difficilmente associo a lui.
«Proprio come te!» aggiunge Graziina, mettendomi seriamente in imbarazzo. «Io piango sempre all’ultima scena del film quando Katy vede Hubbell di fronte all’albergo con la sua nuova moglie.»
«Poi gli toglie i capelli dalla fronte…» continua Maxine.
«E a quel punto gli dice “La tua ragazza è adorabile, Hubbell”» chiude Espedito, mimando la scena con Graziina di fianco. «E poi, la musica entra maestosa…»
«Memories, like the colors of my mind…» la mora intona la canzone, gli altri iniziano a seguirla in coro mentre io mi guardo intorno senza sapere cosa fare. «In ogni caso, torniamo al piano.»
«Direi che è meglio» dico, un po’ stranito da quella scena.
«Quando arriverai lì, tu dovrai essere stupendo e assolutamente diverso.» inizia Espedito.
«Non pensi sia meglio essere sé stessi per queste cose?» gli chiedo, immaginando già il tipo di risposta che riceverò.
Tutte e tre si guardano tra loro con aria schifata e rispondono in coro: «No!»
«Ormai sei pronto per un nuovo taglio di capelli», continua il biondo. «Nulla di radicale, ci vorrà solo un po’ di lavoro per trattarli, abbassarli e farci qualcosa di carino. Che ne dici di una permanente?»
«Cioè vuoi farlo diventare riccio?» ridacchia Maxine. «Ma, ora che ci penso, non è male. I ragazzi con i capelli ricci e neri erano il mio punto debole al liceo.»
«Ingresso in limousine…» fantastica Espedito.
«Karaoke nei bar più lussuosi…» aggiunge Graziina.
«Tutti ti conoscono e vogliono parlare con te…» chiude Maxine.
«Dite che queste cose faranno colpo su Killua?» io mi domando se abbiano capito bene di che persona stiamo parlando.
«No!» risponde Espedito, guardandomi scocciato. «Non devi fare colpo, non sei un dongiovanni e francamente i dongiovanni sono passati di moda dagli anni ’70. Stiamo parlando del fattore shock, tu devi spaventarlo
«Deve vedere quanto sei cambiato nel profondo e capirà in quel momento quanto gli manca il piccolo Gon che adorava ma che poi ha rifiutato», aggiunge stucchevole la mora. «E lì si dannerà pensando che è troppo tardi…»
«Gli faranno male le palle!» le dà manforte la rossa, facendomi sussultare per l’espressione usata.

Poco più tardi, tornato a casa, la stanchezza mi assale. Non posso che ripensare a tutto il lavoro di riqualificazione che sto facendo sulla mia persona. Quando un mobile è ormai usurato dal tempo, ecco che lo ridipingiamo dandogli una nuova identità, nascondendo il peso di una vita dietro colori e fantasie. Le cose vecchie vengono o riciclate o diventano vintage, in entrambi i casi i loro ruoli nelle nostre vite vengono trasformati.
A questo punto, non posso che mettermi a pensare come funzioni con le persone. Il Gon che i miei vecchi amici avevano conosciuto è oggi un Gon vintage, che all’epoca era un qualcosa di bello mentre oggi trova il suo fascino nell’anacronismo? E, se sì, il Gon ridipinto a decoupage quanto altro lavoro necessita per essere stabile e attuale?
C’è anche una terza parte di me che invece è in via di riciclaggio o, peggio, in un termovalorizzatore?

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Capitolo 5
*** Fuga dal passato ***


Capitolo 5

I preparativi per le vacanze sulle Isole Congdong continuano. Gon deve affrontare la temibile Nina.

Fuga dal passato

Graziina mi porta a fare shopping a Zaban City. Oggi non sto un granché, se non fosse stato per lei non sarei uscito nemmeno per comprare il pane.

 

«Ti piace questa?» le chiedo, mostrandole una camicia rossa con fantasia tropicale. Il prezzo è insensatamente alto.

 

«Oh no, tesoro, le camicie tropicali sono out!» non sa come indorare la pillola. «Perché non questa?» mi mostra una camicia nera con linee bianche che formano una quadrettatura. «Anche se è molto da sera… ti serve qualcosa per il giorno.»

 

«Eccolo!» tiro fuori un curioso top verde da abbinare a una camicia aperta a chiazze rosse. Lei approva, così abbiamo terminato la prima sfida della giornata.

 

Espedito è riuscito a trovarmi un appuntamento in uno dei saloni di parrucchieri più esclusivi e richiesti della città. Dopo aver ispezionato un quantitativo esorbitante di foto e modelli, scelgo il mio taglio. Decido di far scuoiare la mia capigliatura alzata per dividerla in due. Una parte viene abbassata e arricciata, ottenendo dei bellissimi boccoli, l’altra invece mi viene attaccata alla testa. Quando mi ha visto, Espedito mi ha fatto i complimenti dicendo che il mio taglio è francese.

 

Dopo pranzo, resto a Zaban per incontrare Samantha. L’idea di passare altre ore davanti a quella lingua velenosa mi fa venire la nausea. Ma, ancora una volta, non mi tiro indietro.

 

 

 

«La tua trasformazione è su HELLO! Magazine. I miei complimenti! Questo alzerà l’hype per il nostro libro.» Mi domando per quale motivo lei parli del mio libro come “nostro”, ma va bene così. «Cuore infranto?»

 

«Cosa?» a quelle due parole sto per cadere dalla sedia.

 

«Quando una persona si sottopone a un makeover come hai fatto tu, è sempre per un forte shock sentimentale.» Samantha si sta già leccando i baffi all’idea di estrarre ogni mia sofferenza per guadagnarci. «E, infatti, ho letto la sinossi e il capitolo di prova che mi hai inviato, è dolore quello che vedo! Quel dolore che ti fa sentire come se da un momento all’altro potesse esplodere lo stomaco, quella botta squisita che poi sale su, rientra in circolo e fa tanto, tanto, male.»

 

«Deduco che ti sia piaciuto.» le rispondo, con un sorriso di circostanza. Oh, beh, l’importante è che il libro si faccia.

 

«Eccome! Non vedo l’ora di sviscerarlo per bene. Perché non iniziamo dalla relazione principale.» mi propone, mentre entrambi prendiamo un sorso di tè. «Gon e Killua.»

 

Ho sputato il tè.

 

«Era tutto così perfetto, come mai quella separazione finale?» continua a dire, mentre tiene in mano le cose che io ho scritto. È assurdo come ciò che ha così tanto peso sulle mie emozioni venga maneggiato da lei con tanta leggerezza. Mi sto seriamente facendo fare da una sconosciuta la domanda che mi sono fatto per anni? «È un tipo figo, che sicuramente piacerà alle lettrici. Ed è anche un ragazzo misterioso, con il passato da assassino che – onestamente – lo rende solo più bello e dannato. E poi il trauma della famiglia… poesia. Concentriamoci su una questione: che cazzo di problema ha Gon?»

 

Sta parlando di me come se fossi un personaggio fittizio che non si trova davanti a lei in questo momento. «Ecco, io… non penso ci fosse un problema da nessuna delle due parti. A un certo punto le nostre priorità non erano più compatibili.» Cerco di spiegarmi trattenendo l’impulso di dare di matto davanti a Samantha.

 

«Cazzate.» Mi ferma subito. «Voi due eravate veleno l’uno per l’altro. Eri la sua luce ma eri anche la sua condanna a vivere in un fondale marino di disperazione. Tu d’altro canto sei sempre stato quello meno forte, meno carino, meno interessante e meno simpatico. Hai voluto fargli del male di proposito?»

 

Ogni singola parola di Samantha è come un colpo allo scalpello conficcato nel mio cuore. Le lacrime mi rigano il viso, ma lei non se ne accorge.

 

«Per sviluppare meglio la storia, recitiamo un po’. Tu fai Gon.» mi propone, tenendo lo sguardo fisso sul taccuino dove sta scrivendo ininterrottamente da un’ora.

 

«Io sono Gon.» le rispondo, non riuscendo a trattenere i singhiozzi.

 

«Intendo il personaggio. Quello che devo vendere non quello in carne ed ossa.» mi ricorda. «Ma tu stai piangendo!»

 

«Ci sono alcune cose che mi fa male ricordare e diciamo che i tuoi commenti non hanno aiutato.» decido di rispondere onestamente mentre lei mi passa una scatola di Kleenex.

 

«Mi dispiace, ma in quanto editrice devo farti queste domande. Però ti posso dare un suggerimento.» Samantha finalmente sembra mostrare compassione. «Separa i due Gon. Tu sei tu, Gon Freecss del romanzo è un altro conto.»

 

«Ma io quelle cose le ho fatte, come potrei non essere io?»

 

«Ed è qui che deve entrare in gioco lo storytelling, oltre alla professionalità.» dice, sorridente. «Noi non stiamo raccontando la tua storia, noi la stiamo vendendo. Vendiamo un sogno per tutti quei bambini che si sentono esclusi, per tutti quegli adolescenti terrorizzati dal futuro. E il nostro progetto è innovativo perché metterà al centro te, le tue emozioni, così che i tuoi fan potranno rispecchiarsi e comprendere cosa significhi davvero vivere certe cose, senza tutto quel romanticismo tipico dei manga.»

 

Questo, però, è carino. Forse l’ho giudicata male.

 

«Quindi, torniamo a parlare di come il tuo essere stato un bambino egocentrico con chiari segni di disturbo dell’attenzione abbia incasinato tutto.»

 

Scherzavo.

 

 

 

Finito l’appuntamento con la mia editrice, non posso evitare di pensare al fatto che non importa quanto lontano cerchi di sfuggire, non si può mai davvero seminare il proprio passato. Ma sento qualcosa di diverso. Forse, l’idea di vedere i miei pensieri esternati (e in questo caso sbattuti con violenza in faccia e sul tavolo) mi solleva dall’avere silenziosi conflitti interiori. Forse, affrontare seriamente per una volta il mio passato è l’unico modo di tornare a vivere senza pallini.

 

Non posso che pensare alle parole di Samantha. Davvero io e Killua eravamo veleno l’uno per l’altro? Sul serio gli ho fatto così male? Non potevo chiederlo al diretto interessato, mi peserebbe troppo. E non ho voglia di fare una domanda del genere a Leorio o a Kurapika. Decido, quindi, di rivolgermi a qualcun altro.

 

«E che male c’è? Le relazioni tossiche piacciono all’editoria, ovvio che vogliono raccontarla in questo modo.» Espedito, evidentemente abituato a questo tipo di sciacallaggi, mi risponde con estrema naturalezza.

 

«Io mi sono reso conto di essere stato un amico pessimo e adesso sento di aver rovinato tutto definitivamente e non essermene minimamente accorto.» confesso.

 

«Una persona esterna avrà sempre da dire sulla qualità di un tuo rapporto.» interviene Graziina. «Solo voi due sapete quanto siete stati bene. Non fidarti di un giudizio imparziale, perché in queste cose non c’è nulla di imparziale. L’amicizia non si valuta contando i favori che si fanno da entrambe le parti, non si può mercificare così.» Mi rassicura, addentando una ciambella.

 

«Gon, tu sei sicuro di voler continuare con questa cosa del libro?» mi chiede Espedito, un po’ preoccupato per come sto.

 

«Assolutamente sì. Voglio farlo, anche se questo significa dover sopportare Samantha.»

 

«Sei arrabbiato?» mi chiede. Non capisco il motivo di questa domanda. «Intendo, con te stesso o in generale?»

 

«Sono stressato, ma sto bene», lo rassicuro. «Devo solo processare bene certe cose e affrontarle di petto. Questa è l’occasione perfetta.» Vedendo il mio sguardo tranquillo, l’attore si calma e prende un sorso di caffè. «Voi credete che io sia una brutta persona? Pensate davvero che io abbia ferito Killua?»

 

Le tre si guardano tra loro e ci pensano bene prima di rispondermi.

 

«Non sei una brutta persona», constata Maxine.

 

«Concordo. Anche se, lo sai, quello che penso su ciò che hai fatto e sulla tua intera carriera di hunter è fedele a come ti ho sempre descritto. Ti ricordi?»

 

 

 

Me lo ricordo bene. Quando è iniziata la missione della WCS e per la prima volta ho conosciuto Espedito, ricordo che lui si accaniva parecchio su di me. Non ne capivo il motivo, ma ci andava davvero pesante. Ricordo ancora una delle sue sfuriate che arrivò a farmi piangere. Avevo combattuto contro dei cyborg nella periferia di Shaina City, in una missione di spionaggio sulla cellula terroristica Cobra Nero. Nonostante le ferite, non avevo permesso a nessuno di darmi il cambio e ho concluso il combattimento rompendomi un braccio, una gamba e ritrovandomi il viso completamente disfatto. Mi fece una sceneggiata indimenticabile quando fui appena dimesso dall’ospedale. Erano presenti anche Killua, Leorio e Kurapika.

 

«Questo non è normale!», cominciò a urlare lui, una volta tornati a casa, notando che nessuno battesse ciglio su quanto accaduto poc’anzi. «Tu non sei normale!» mi indicò, poi. «Perché Gon ha un permesso speciale per ogni cosa folle che fa e, per giunta, nell’approvazione generale?»

 

«Adesso calmati», intervenne Kurapika, prendendolo con forza per un braccio.

 

«Sei una persona così triste che può solo invidiare e fare commenti velenosi su un bambino. Piuttosto ringrazialo per l’aiuto, razza di ingrato», si aggiunse Leorio, inviperito dai suoi toni.

 

«Ma capiamoci bene, io cosa devo invidiare?» Espedito si alzò con uno scatto furioso dalla sedia. «Dimmi una sua caratteristica che può suscitare ammirazione. È una persona con un obbiettivo? No, quello del padre non è degno di essere definito tale e fuori da questo non ha uno straccio di ambizione nella vita. Perché io, che ho già tutto nella vita, cosa altro posso invidiare? La dignità che non ha, l’intelletto che non ha? Un ragazzino che in così tenera età arriva a ridursi in questo stato è pericoloso. E chi ha permesso questo si deve vergognare.»

 

«Gon è una persona perseverante che non si arrende mai per raggiungere i suoi obbiettivi», puntualizzò Leorio. «E piace a tutti, a differenza tua.»

 

Di tutta risposta, Espedito alzò le mani al cielo e fece una risata isterica.

 

«Leorio, io vorrei vedere il giorno in cui finirà quest’avventura al nostro piccolo grande eroe cosa resterà», sbottò, facendolo ammutolire completamente. «Quando si tornerà a casa, quando si crescerà, quanti amici saranno con lui a sostenerlo? Ma neanche la zia se lo ricorderà più. E qui c’è la dura realtà, perché in questo contesto qualsiasi elemento ci metti, anche il più sfigato di tutti, sarà apprezzato. Perché l’eroismo ha anche questo effetto di creare una bolla di felicità. Ma le bolle, prima o poi, scoppiano. Metti Gon a casa, mettilo in una scuola, mettilo in un cinema da solo, togligli i suoi poteri. Voglio vedere, poi, quanti compagni fedeli gli staranno intorno. Ma svegliati! A chi vuoi prendere in giro.»

 

Ricordo di essere corso in camera piangendo come poche volte ho fatto, pensando a quanto quel ragazzo piombato da poco nella mia vita fosse così crudele. Mi chiedevo perché mi odiasse così tanto. E invece, purtroppo devo dargliene atto: le sue capacità di veggente sono impressionanti.

 

 

 

«Oi! Ti ricordi, sì o no?» mi passa una mano davanti agli occhi. Ero rimasto a fissare il vuoto. «A che stavi pensando?»

 

«A quando mi hai detto che alla fine delle mie avventure sarei rimasto solo come un cane e sfigato», lo punzecchio.

 

«Quando avevi combattuto col cyborg e sembravi uscito da un incidente d’auto?» mi chiede. Io annuisco e lui scoppia a ridere con una punta di stupore. «E ti ho detto tutte quelle cose assolutamente vere e fornendoti una profezia accurata di ciò che sarebbe successo! Ma come si fa a vivere senza di me?»

 

«Devo dire che non approvo minimamente certi toni, ma avere una persona che ti sbatte in faccia la verità in quel modo è davvero utile», interviene Graziina. «Era quello che pensavamo tutti e tre, ma qualcuno oltrepassa sempre il limite.»

 

«Ma quindi sono una brava persona?» domando nuovamente, perché quel punto non mi è chiaro.

 

«Scusa, ma che t’importa?» borbotta l’attore. «Sei una brava persona per noi, perché ti vogliamo bene e hai fatto cose giuste. Per qualcun altro sarai una merda, così è la vita. Tutti siamo il cattivo della storia di qualcuno. L’unico modo per non esserlo è non vivere e disporsi inermi e passivamente a tutto ciò che accade.»

 

«Infatti,» Maxine si schiarisce la voce, «credo proprio che intenda se è il cattivo per Killua

 

La rossa ha capito esattamente dove io stia cercando di andare a parare. Non ho il coraggio di chiedere oltre e nessuno sembra voler rispondere. Non perché non vogliono dirmi qualcosa, ma perché sembrano genuinamente non saperlo neanche loro.

 

«Capita!» si limita a chiudere Espedito, lasciandomi non poco perplesso.

 

 

 

 

 

 

 

Una settimana dopo, ho già ultimato la bozza di una parte del libro. Sono andato avanti a scrivere ogni notte, senza interrompermi per correggere o altro. Samantha voleva che io mettessi giù i pensieri nella maniera più grezza possibile, al resto ci avrebbe pensato l’editor.

 

«”Sei molto fortunato, puoi mantenere la calma perché la cosa non ti riguarda”. Quando ho detto quelle parole non ero in me, ma anche da lucido non avrei previsto che quella frase avrebbe segnato un punto di non ritorno. Una parte del passato che non si può più cancellare, nemmeno facendo la cosa giusta: chiedere scusa.» Ho letto quella parte tutta d’un fiato, scollegando completamente la mia emotività. Sì, sono i miei pensieri e quella è la mia storia, ma il responso altrui non mi appartiene. Io so come sono andate le cose e io ho ragione.

 

«Direi che è perfetto…» commenta Espedito, stranamente poco convinto. «Ma che dico, editorialmente spacca. Solo che… Gon, sei sicuro di volerti esporre così tanto?»

 

«Questa è una bella scommessa.» aggiunge Graziina, altrettanto preoccupata.

 

«Se scommetti questo, sarà un bestseller.» si introduce Samantha, come sempre ossessionata dai guadagni e dalle classifiche. «La tua storia è una grande opportunità per la Harper & Collins.»

 

Lo so. Come sapevo che i miei poteri erano una grande scommessa. Ma so anche che queste scommesse sono usa e getta. Quando ho perso i poteri, nessuno era più interessato a me. Allo stesso modo, quando la mia storia sarà pubblica, a nessuno interesserà più nient’altro che mi riguardi. Per questo da giorni penso solo a dare un finale dignitoso a tutto questo e a cogliere tutto il bello che ne potrò ricavare.

 

«Ci sto. Voglio scommettere.»

 

 

 

Qualche settimana più tardi, dopo aver annunciato di aver preso i biglietti per le isole, mi sbrigo a fare le valige per andare a New York. Avendo svolto l’ultimo esame per accreditarmi l’anno scolastico da privatista, ho finalmente la possibilità di viaggiare con serenità. L’occasione è un’intervista per il contenitore televisivo di Nina Katz, Saturday Night Live, una giornalista e autrice televisiva molto stimata a New York. Ci vado con Graziina perché, per qualche ragione, Nina è ai ferri corti con Espedito, ho sentito di un brutto litigio in diretta culminato con un lancio di oggetti.

 

Mi ritrovo qualche ora libera nel pomeriggio, potrei tranquillamente esplorare il posto.

 

Rimango per un po’ sotto casa di Graziina, senza sapere cosa fare. Fisso l’ingresso del palazzo, un pannello con il nome PETROVSKY insieme ad altri loghi di uffici, studi legali e simili. Mi sento proprio un pesce fuor d’acqua.

 

Ma chi se ne frega. Al diavolo tutto. Non ci sto nemmeno provando ad ambientarmi.

 

Vi sono tanti posti segnati sulla piccola guida che ho in mano, Espedito mi ha anche lasciato qualche appunto. Ma, improvvisamente, mi viene in mente di fare una cosa in particolare, che piace tanto alle persone qui. Vorrei provarci, giusto per vedere come ci si sente.

 

Il mio inglese a questo punto dovrebbe essere a un livello abbastanza avanzato per reggere un’avventura da Dior a SoHo.

 

«Hellooo», urlo sprizzando di gioia al mio ingresso, per poi inciampare su un gradino cadendo rovinosamente a terra. L’urto con il pavimento fa quasi tremare il negozio, spaventando commessi e altri clienti. Si avvicina un mare di persone per aiutarmi, una signora vestita di tutto punto se ne sta in disparte a squadrarmi con fare imbarazzato e giudicante. Fingo di non accorgermene e mi concentro a prendere da terra tutte le cose che mi sono cadute dallo zaino.

 

Non importa, andrà meglio la prossima volta.

 

 

 

«Vedo che qualcuno ha fatto shopping!» mi accoglie Graziina appena entro in casa posando le buste. «Ti stai ambientando, non me lo sarei mai aspettato!»

 

«Sono caduto», mi muoiono le parole in bocca. «Sono caduto da Dior. Ho dovuto comprare un bel po’ di cose, perché non pensassero a me come il campagnolo che entra da Dior e si schianta sul pavimento.»

 

«Non credo lo pensino più», mi fa divertita, guardando il quantitativo di cose che ho preso.

 

«Speriamo! Questo è l’equivalente in shopping di uno jajanken», commento, stanco ma soddisfatto. «Mi è caduto lo zaino, una scena assurda. C’è di positivo che, al mio ritorno, Killua non potrà spendere tutto in choccorobot.»

 

Mi sono dimenticato del fatto che questo rischio non esista più. Ma Graziina comprende subito il lapsus e fa finta di nulla.

 

«Gon Freecss che entra da Dior. Vedo già il pezzo su TMZ», mi canzona, mentre distoglie lo sguardo da una lettera che sta leggendo, si toglie gli occhiali da lettura e si butta a capofitto sulle buste e lo zaino vicino alla poltrona. «Con tanto di zaino in spalla e canna da pesca. Questa entrerà negli annali.»

 

Decido di mostrare i miei acquisti, felice del fatto che il colore verde smeraldo (o foresta, o non so cosa) sia considerato l’ultima moda da queste parti.

 

Mostro una camicia a maniche corte con una fantasia verde e kaki, dall’aspetto molto esotico. Poi, una giacca di velluto color smeraldo e una lucidissima borsa color foresta in pelle. Per concludere, ho preso anche degli stivali neri alti ed eleganti, con una fantasia nero su bianco ai lati che mostra un’iconica D ripetersi su tutta la facciata.

 

«Hai davvero intuito per queste cose», commenta esterrefatta. «Sei riuscito a mettere insieme capi alla moda pur restando nella tua personalità.»

 

«Espedito mi aveva già dato qualche dritta. Mi ha detto che gli abbinamenti sono più semplici se scelgo un solo colore», sorrido, fiero di me.

 

 

 

Questa sera, invece, la principessa di Park Avenue mi porta ad un piccolo evento locale.

 

«Un invito dai Graham è come la licenza per diventare Hunter», mi spiega Graziina, direi opportuna come non mai. «Ci saranno modelle su modelle, l’altra volta c’era l’intera collezione autunno inverno di Dolce & Gabbana, c’era pure Heidi Klum! Di base non ammettono minorenni, tu sei un’eccezione come lo ero io la prima volta.»

 

«Quanti anni avevi la prima volta?» le chiedo.

 

«Quindici, come te. Avevo appena inciso "Step Right Up", il mio primo album. Disco di platino, all’epoca un traguardo enorme.» Quando parla della sua carriera, le brillano sempre gli occhi.

 

La festa di Serena Graham è una versione più lussuosa e antipaticamente sfarzosa della mia. Lei ha solamente diciotto anni, i capelli biondi e un vestito argentato. Al mio ingresso, tutti gli sguardi si posano su di me. Invidia? Ammirazione? Scherno? Simpatia? Non riesco a capirlo.

 

«Gon Freecss?» mi chiede la padrona di casa. «Oh, sono così lusingata che tu abbia accettato il mio invito! Benvenuto.»

 

Capisco che molti stanno fissando il mio completo nuovo di zecca targato Dior. Serena, insieme al suo gruppetto composto dalle donne più influenti di New York, mi fa involontariamente un riassunto su cosa si dice di me da queste parti.

 

«Da ragazzotto di campagna a idolo degli adolescenti americani! Il servizio di Marie Claire sul tuo prima e dopo ha fatto scoppiare questa città.»

 

«Grazie a te il verde smeraldo è tornato di moda.»

 

«Siamo tutti impazienti per la tua intervista da Nina Katz!»

 

Una donna in particolare, probabilmente sulla quarantina, mi sta squadrando dall’inizio della serata. Si trova sul fondo della sala, accanto alla finestra. Il fatto che io senta il suo sguardo addosso è un postumo del mio passato. Decido di andarle incontro, un po’ per capirci meglio.

 

«Tu devi essere Gon! Espedito mi ha parlato di te. Piacere, sono Enid Frick, caporedattrice di Vogue.» Mi si presenta con tono gentile ma severo, fermo e professionale. I suoi occhi non comunicano emozioni. «Ci girerò poco intorno, ho una cosa per te nel mio ufficio, domani mattina alle undici.»

 

Dopo essermi congedato da quella strana conversazione, raggiungo Graziina al bar.

 

«Perché Enid Frick ti ha parlato?» mi fa, stupita.

 

«Dice che ha una cosa per me domani nel suo ufficio.» Testuali parole, so che possono essere interpretate in molti modi. «Fanno il Cosmopolitan?» chiedo appena mi approccio al buffet. Il Cosmopolitan e il Tè Freddo sono gli unici drink che conosco, chiedo sempre di quelli per sembrare sul pezzo e non un campagnolo scollegato dalla realtà.

 

«No, qui non servono né cibo né bevande scure. Non si intonano con l’arredamento.», mi risponde, dandomi un gin lemon. «Io non ci posso credere che tu sia già arrivato a Vogue!»

 

«Non sto facendo nulla.» Le rispondo, senza nascondere l’emozione e lo stupore. «Per qualche motivo tutti mi adorano.»

 

«Sì, è normale adorarti.» Mi risponde, facendomi arrossire. «Ma, vedi, qui a New York le cose diverse e fuori dagli schemi sono come oggetti luccicanti in mezzo a uno stormo di gazze ladre. Qualunque cosa suoni alternativa la trasformano nella moda nel momento. Ecco, tu ora sei la moda del momento. Se ti affidi a noi, eviterai di essere scuoiato e spremuto fino all’ultima goccia.»

 

Devo dire che quest’espressione mi spaventi non poco.

 

 

 

Alle ore dodici della mattina dopo, sono già nella sede newyorkese di Vogue. Attraverso un ampio corridoio trovandomi di fronte il logo tipografico sulla parete per arrivare all’ufficio della caporedattrice. Enid mi fa cenno di entrare e questa volta abbiamo modo di presentarci dignitosamente. In questo momento, per qualche motivo che non sono riuscito a comprendere, mi viene in mente Leorio. Un flash di lui che mi fissa e basta. Dovrei proprio chiamarlo.

 

«Gon, quella che sto per proporti è una cosa grossa», Enid mi riporta alla realtà. «La tua storia e la tua trasformazione sono sulla bocca di tutti. Il prossimo numero prevederà una serie di servizi in collaborazione con Chiara Ferragni. Uno di questi sarà proprio “da eroe a socialite” e tu sei l’unico che rientra nella categoria. Non riavrai mai un’occasione simile, perciò risparmiami una settimana di falsi “oddio, non so” e dimmi di sì.»

 

«Ehm…» sono genuinamente confuso da tutto questo.

 

«Stilisti di Vogue, fotografi di Vogue, parrucchieri di Vogue…» mi incalza. Non posso dire che sia la mia passione di una vita, ma non posso nemmeno dire che l’idea mi repelli. «Basta dire “sì” e sarai felice per molto, molto, tempo.»

 

Felice. Che bella parola.

 

«Sì.»

 

 

 

E come per magia, il giorno dopo sono in una bellissima casa ottocentesca insieme a Graziina e tutto lo staff di Vogue. Mentre poso in panni azzurri di Vera Wang con un appariscente cappello morbido a tesa larga, Chiara Ferragni in persona mi spiega come posare accanto alla finestra. È molto gentile, non si arrabbia quando sbaglio qualcosa e fa tante battute divertenti.

 

Vicino a Graziina c’è il suo amico Dennis, stilista di abiti da sposa che moriva dalla voglia di vedere la mia trasformazione dal vivo. Per un attimo mi chiedo se lei collezioni amici gay oltre alle borse di Lady Dior.

 

«Operazione avviata. Vai con le foto.» Chiara mi dà il segnale, mentre mi preparo ad essere accecato dai flash.

 

Seguono il turno di Carolina Herrera, Oscar de la Renta, Vivienne Westwood e, infine, Dior. E con quest’ultimo[1], un vestito all’apparenza più semplice, di colore verde fluo e dal motivo a rombi che alterna il colore principale con un sottile rosso, mi sento proprio io. Chiara mi guarda dalla testa ai piedi, facendo un sorriso di piena soddisfazione mentre io mi sento finalmente a mio agio in quel look da duemila dollari. Si avvicina e mi dice chiaramente che posso portarmi a casa gratis quel pezzo.

 

Enid aveva ragione. Ora sono felice. Così pare.

 

 

 

Solo pochi attimi prima di entrare nello studio televisivo di Nina Katz, mi rendo conto di non avere idea di come si stia in televisione. Riesco solamente a fare un saluto veloce a Nina prima di essere tenuto in ostaggio da quelli del trucco. Mentre mi sistemano i capelli, noto che mi hanno invecchiato di almeno cinque anni. Preso dall’ansia, telefono ad Espedito cercando conforto.

 

«Nina Katz è una stronza», esordisce lui così. «Ti ho detto che lei mi ha tirato una borsa e io un libro? In diretta televisiva?»

 

«Sì, qui ne parlano ancora tutti», mi scappa una risatina. «Ma secondo te sarà buona? Non cercherà di mettermi in imbarazzo?»

 

«No, lei non è il tipo da sferrare colpi bassi in diretta. Anche se volesse, non ne sarebbe capace visto che come giornalista non ha talento», mi rassicura, gettando ancora secchiate di veleno. «Ma fai attenzione alle sue espressioni facciali. È fottutamente odiosa! E le piace spettegolare in giro. Ha detto a tutti che mi sono fatto il suo ex nel guardaroba del Metropolitan.»

 

«E?»

 

«Era solo un colloquio orale!» Mi aspettavo una cosa del genere.

 

«Ti saluto, mi hai ridato la calma», riattacco, prima che ricominci a parlare male di Nina. Onestamente, è la cosa di cui ho meno bisogno ora.

 

Dopo essermi fatto spalmare in faccia un’intera palette di Charlotte Tilbury, una donna dal pesante accento tedesco mi sequestra il telefono e mi trascina dietro le quinte. Mi chiedo se il mio abbigliamento non mi invecchi troppo. Indosso una camicia nera che si curva sui fianchi mettendoli in bella vista, pantaloni neri in seta, scarpe in cuoio. Sto anche cercando di abituarmi ai capelli nuovi, quei boccoli sulla fronte che mi danno un’aria androgina e tutto quel trucco che mi fa sembrare un’altra persona. Quando mi guardo allo specchio, penso alla frase di Ging sulla differenza tra cambiare e travestirsi.

 

«Tra un minuto in onda!» continua a urlare, mentre tecnici e altri collaboratori iniziano a correre come forsennati. Mi viene spiegato in breve come dovrò fare l’ingresso, quando parte la sigla e cose del genere. Nina è già comodamente seduta sulla sua poltroncina. Quando il countdown finisce, la tedesca mi spinge con violenza verso l’ingresso del set, dicendomi di fare la mia entrata al suo segnale.

 

«Sono molto eccitata nel presentarvi il nostro primo ospite. È quello che dalle sue parti definiscono un “pro hunter”, cacciatore professionista che da una parte nel mondo ha combattuto contro un’invasione di creature impossibili, ha salvato l’umanità ed è vivo per miracolo. Oggi è finalmente a New York, sta scrivendo il suo primo libro ed è l’idolo di una generazione di adolescenti. È proprio qui, sta entrando con il suo nuovo scioccante look. Diamo il benvenuto a Gon Freecss!»

 

La tedesca mi tira un calcio e faccio il possibile per non inciampare mentre telecamera e luci mi sono puntate addosso. Riesco ad arrivare indenne alla poltroncina e a scambiarmi i primi convenevoli con la conduttrice.

 

«Siamo tutti in attesa del tuo libro, c’è già stata una mezza indiscrezione da parte della Harper & Collins. Ma tutti si chiedono una cosa: come mai questo cambiamento così repentino e radicale?» Nina mi fa una prima domanda, con un sorriso tagliente stampato in volto.

 

«Allora… uhm…» Cerco disperatamente di mettere insieme una risposta sensata. «Ho deciso di cambiare perché trovarsi al confine tra la vita e la morte e sopravvivere in questo modo è un’esperienza che ti segna irreversibilmente. In questo momento, sto cercando di ridefinirmi e di capire quale sia la persona che io voglio essere.»

 

«E i tuoi amici eroi… volevo dire, hunter… come hanno preso ciò?» Alla faccia del non sferrare colpi bassi in diretta. Il mio cervello inizia a lavorare alla velocità della luce per capire cosa dovrei dire, cosa no e quando mentire. Se dico la verità, cioè che non li ho più sentiti e che i rapporti sono tesi, sfrutto l’onda introspettiva del libro e gioco anche un po’ la carta della vittima. Se mento, cioè dico che hanno reagito in qualche modo, dovrei poi motivare la cosa.

 

«Non abbiamo avuto ancora occasione di rincontrarci. Ma qualcuno l’ho incontrato e, beh, per lui è stato uno shock», imbarazzato, rido e mi metto una mano sulla testa.

 

«Ma come, dopo un anno?»

 

L’espressione drammatica di Nina mi dà una botta allo stomaco.

 

«Tutti hanno ovviamente ripreso a lavorare. Io mi sono fermato.» Mi muoiono le parole in bocca. Cos’è che vogliono sapere? «E al momento penso di continuare su questa strada.»

 

«Parliamo della tua nuova vita da socialite!» esclama Nina. Io non sono ancora tanto sicuro sul significato del termine “socialite”. Mi ha definito così il New York Times, ma non è che l’abbia spiegato. «È spassosa? Hai già avuto qualche faida? Conosciuto altre celebrità adolescenti?»

 

«Ho avuto modo di girare poco, ma conto di recuperare quando mi trasferirò a New York ufficialmente a settembre.» Quando sgancio la notizia, il pubblico va in delirio e Nina fa una faccia drammaticamente sorpresa. Espedito mi aveva detto delle facce impossibili che fa.

 

«Quindi, se ti trasferisci a New York, abbandonerai la tua vecchia vita, i tuoi vecchi amici…» Parla con un tono che va verso il malinconico. Capisco che vuole aprire la parentesi lacrimogena.

 

Per un attimo penso all’eventualità che Killua stia seguendo la trasmissione da qualche parte. Ma penso anche a Leorio, Kurapika, Knuckle, Morel e Biscuit nella stessa situazione. Cosa staranno pensando di me? Questa piccola riflessione, mi porta a dare una risposta sincera a Nina.

 

«Purtroppo, sì.» Cerco di assecondare la breve atmosfera triste. Poi sorrido. «Ma tanto ci sarà sempre modo di rivedersi! Basta solo ritagliarsi un po’ di tempo per una reunion

 

«Come i gruppi musicali!» la conduttrice segue il cambio di atmosfera come avevo previsto. «E ora, parliamo di gossip. Ti va di fare un gioco?» Si ferma, finché non annuisco. «Io leggerò alcuni rumors sul tuo conto, tu mi dirai se sono veri o falsi. Puoi avvalerti della facoltà di non rispondere!» ride.

 

Vaffanculo.

 

Senza nemmeno attendere un mio responso, Nina prende un foglio e inizia a leggerlo. A questo punto mi chiedo se rispondere sinceramente o seguire il personaggio del nuovo Gon.

 

“Ti rilassi pescando.”

 

«Ma no, non mi ci vedo nemmeno!» dico, facendo una risatina offensiva. Quel tono di scherno più che per la conduttrice è verso di me.

 

“Hai una relazione con la cantante Gracie.”

 

«Gracie… Petrovsky? Graziina?» La conduttrice annuisce. Vorrei giocare sulla cosa, poi mi ricordo del fatto che sebbene non ci sia molta differenza di età, io ho solamente quindici anni e Graziina è maggiorenne. Onde evitare scandali, questa volta rispondo sinceramente. «No, assolutamente. Siamo molto amici, però. Usciamo spesso io, lei e l’attore Espedito. Ha presente chi è, no?»

 

«Non so chi sia», Nina scatta e per un attimo i suoi occhi tradiscono rabbia cieca. «Prossima domanda.»

 

“Durante la crisi delle formichimere, trattavi malissimo i tuoi compagni.”

 

 Questa non l’avevo mai sentita. Pensavo che nominarle Espedito fosse un buon contrattacco, evidentemente l’ho solo resa più aggressiva. Per restare sul neutro rispondo: «Non direi che le cose siano andate così. Ma ho le mie colpe.»

 

«Ti senti in colpa?» Mi chiede, quasi godendo di quel momento. «In fondo, hai fatto un bel casino lì in mezzo. Ricordi? E dei rumors dicono che anche prima dell’invasione delle formichimere eri parecchio egocentrico e mettevi i tuoi compagni in pericolo…»

 

Improvvisamente, mi torna alla mente una frase di Espedito. Credo sia perfetta come risposta, specialmente davanti a tutto ciò che è successo.

 

«Siamo tutti i cattivi nella storia di qualcuno», le dico, con calma e fermezza. «Non possiamo essere eroi secondo ogni punto di vista. Ora che ci penso, tutta la cosa dell’essere eroi è una cazzata.»

 

E, immerso in un applauso improvviso da parte del pubblico in studio, decreto tra me e me la vittoria di quello scontro psicologico con Nina Katz. Una vera stronza.

 

 

 

Quando ti rimetti in gioco dopo un anno di depressione e rimorsi sul passato, è essenziale cominciare con l’atteggiamento giusto. La parola d’ordine è “nuovo”. Nuovo taglio di capelli, nuovo vestiario, nuovi obbiettivi, nuovi amici e nuovo stile di vita. Ormai li ho fatti tutti, ma manca ancora una cosa: sapersi preparare al peggio per poter ottenere piacevoli sorprese.

 

«Cos’è un rumor?» chiedo alle ragazze, mentre siamo a pranzo in un piccolo ristorante a Manhattan.

 

«Un pettegolezzo, voce di corridoio…» risponde Graziina. «Ma perché? Già ne stanno facendo su di te?»

 

«Ieri, l’adorabile Nina Katz ha chiesto in diretta televisiva se fosse vera la voce che Gon trattasse male i compagni durante la storia delle formichimere», spiega Espedito, cercando di non alterarsi sull’argomento “Nina”.

 

«Ma guarda che brutta stronza!» sbotta Maxine.

 

«Il punto è… da dove si originano queste voci?» mi arrovello per capire.

 

«Dalle persone, non c’è un modo per spiegarlo», risponde l’attore. «Ci sarà qualcuno a cui stai sul cazzo, magari per invidia o altro, che avrà detto in giro questa cosa finché non è arrivato lo scoop ai tabloid. Essendo Nina una giornalista, avrà avuto accesso alla cosa prima delle riviste online.»

 

Questo significa che a breve ci si metterà pure la stampa. Perfetto.

 

 

 

Più tardi, mentre mi appresto nel sistemarmi nella camera degli ospiti di Graziina, mi faccio un bel po’ di domande. Tirando le somme, ha senso cercare di sfuggire al passato? Gli eventi mi dicono di no. Non posso né reprimere né negare né tanto meno attaccarmi morbosamente a cose che non ci sono più.

 

Nella valigia porto sempre la pochette di Chanel, un regalo che non ho mai utilizzato perché non ne capirò mai l’utilità. A chi serve una borsetta grande quanto una tasca che non ha nemmeno la fibbia? Eppure, è sempre con me perché al suo interno ci sono delle fotografie. Una illustra quattro ragazzi diversi tra loro, appena riuniti a York Shin City, distesi sull’erba. I loro sorrisi sottolineano la purezza del loro legame, il modo in cui sono ormai l’uno nella vita dell’altro fino al collo. Un’altra, invece, mostra due teste: una mora con i capelli a punta e una argentata con i capelli morbidi e setosi. L’avevamo scattata quando sono andato a liberare Killua da casa sua, in quella foto lui è genuinamente felice e sorride come poche volte ha fatto in mia presenza. Guardando quella foto, mi ricordo che del soggetto con la giacca verde ormai non ho più nemmeno i capelli. Ci sono altre foto nella pochette, scattate tutte strada facendo durante i vari archi delle nostre avventure.

 

Capisco di non voler rinnegare nulla di quella vita, da un lato. Conserverò sempre i miei ricordi, nei quali troverò il calore durante le notti fredde e solitarie e ricorderò quanto bello sia stato tutto. Dall’altro lato, lascerò andare quella vita, quella persona che ero, per costruire nuovi ricordi e trovare una strada diversa. Sono troppo giovane per attaccarmi al passato così morbosamente. Perciò, a quella serie di foto ne aggiungo una nuova e recente. Una foto che ritrae altre quattro persone, due maschi e due femmine, tutti in costosissimi ed elegantissimi vestiti. L’abbiamo scattata al mio compleanno, seduti al bancone e girati verso l’ingresso. Ognuno tiene un cocktail in mano e i loro sguardi sono molto diversi tra loro, ma hanno in comune la voglia di sopravvivere.

 

Se non altro, ho trovato l’unico utilizzo plausibile di una pochette.


[1]Vestito Dior di Gon

 

Ciaoooo! E rieccoci dopo un bel po' di mesi! La verità è che ho già scritto tutta la storia, ma pubblico sporadicamente visto che qui non c'è anima viva :(
In ogni caso, oggi abbiamo visto ben due comparse in arrivo direttamente da Sex and The City! 

Enid Frick, caporedattrice di Vogue:

Nina Katz, la giornalista "smorfiosa":

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Capitolo 6
*** Fingere per non morire? ***


Capitolo 6

La “vacanza” alle Isole Congdong ha inizio. Gon riflette sui suoi sentimenti.

Fingere per non morire?

Per quest’estate, le tre stelle newyorkesi hanno dato finalmente un calcio in culo agli Hamptons. Dopo un volo interminabile sul jet privato di Espedito, ci mettiamo in moto verso l’albergo dove alloggeremo. Graziina indossa un bikini rosa coperto da un vestitino corallo particolarmente scollato, Espedito – che non ama spogliarsi – indossa dei pantaloncini azzurri orlati in oro e giacca aperta abbinata con sotto una maglietta a rete abbastanza fitta da non far vedere nulla, Maxine, infine, sfoggia un costume body rosso pieno di strass e un cappello di paglia dal nastro sempre rosso. Quanto a me, indosso un costume italiano modello Pantelleria comprato da Ripa Ripa qualche giorno fa, ovviamente verde con motivi dorati e rossi. Sopra ho messo un kimono di Versace, aperto, d’oro chiaro splendente con dei piccoli riquadri color menta. Cerco di abituarmi ad avere il fisico in mostra: Espedito dice che non è necessario, ma a me l’idea piace.

A prima vista, quest’arcipelago mi sembra semplicemente un paradiso tropicale pieno di lidi e alberghi di lusso e migliaia di turisti. È molto bello, ma non capisco cosa Killua sia venuto a fare fin qui, non lo ricordavo un tipo da vacanza ai tropici.

È un arcipelago costituito da tre isole e circa venti atolli. Incamminandoci sul lungomare noto la sabbia finissima delle spiagge, le palme da cocco e la limpidità dell’acqua. Ci sono ogni tanto delle bacheche apposte in delle piazzole lungo la strada, ognuna mostra un’infografica che spiega la porzione di barriera corallina che corrisponde a quell’accesso.

Nella hall dell’albergo c’è uno specchio enorme e nessuno resiste alla tentazione di controllare se sia tutto a posto. Espedito si pone, ovviamente, qualche passo avanti a noi altri e occupa una posizione centrale. Poi inizia a sorridere.

«Guardateci! Siamo una bomba.» commenta, sistemandosi i corti capelli biondi con la mano.

«Io con questo body mi sento una balena. E guardate che cosce!» Maxine si guarda, disgustata. Per me, invece, ha un corpo normalissimo e le sue gambe non hanno nulla che non vada.

«Forse ho esagerato con questa scollatura, sembro una escort?» Anche Graziina ha qualche dubbio. Si domanda se l’esigenza di sopperire al caldo e di sembrare sensuale vada in contrasto con la sua identità.

«Io dovevo fare un’altra iniezione di acido ialuronico prima di venire.» anche Espedito si guarda, tastandosi ossessivamente il viso. «Il mio viso è completamente deformato!»

«Se non la smetti di farcirti come un tacchino, alla mia età avrai l’aspetto di Madonna. Quello di oggi, si intende.» lo rimprovera Maxine. «Il tuo viso è perfetto, la tua fissazione è patologica.»

Mi rendo poi conto che mi stanno guardando, come ad attendere un mio commento su me stesso. A primo sguardo, nello specchio non vedo nulla di strano. Poi, fissando intensamente, qualcosa spunta fuori.

«Odio i miei occhi, sono di un colore orrendo.» dico. Tutti mi guardano in modo strano, perciò lascio cadere lì la conversazione.

 

Questa mattina, passando per York Shin, ho avuto modo di comprare Hunters Magazine in edicola. Nessuno dei miei vecchi amici lo legge, dicono che sia robaccia (e hanno ragione). L’unico motivo per cui l’ho preso è che sulla copertina compaio proprio io. Il titolo: “Gon Freecss: la violenta autodistruzione di un idolo”.

 

Da che giaceva morente su un letto d’ospedale, oggi Gon fa una vita da socialite sfilando per Manhattan con vestiti di grandi marchi all’ultima moda. Recentemente è stato ospite ad uno show americano condotto da Nina Katz, ha sconvolto tutti con il suo nuovo look post-quasi-mortem e con l’annuncio del suo libro in arrivo. Orde di giovani fan lo seguono per tutta New York e impazziscono per un suo autografo ma, qui a York Shin, ci sono molte più voci fuori dal coro.

Migliaia di polemiche hanno sommerso l’ex hunter oggi quindicenne, rendendolo uno dei personaggi più divisivi che siano mai comparsi sulla scena. Abbiamo intervistato diversi esperti dell’Associazione Hunter, questo è ciò che ha dichiarato Sancho, psicologo e hunter medico:

“Gon Freecss è un caso molto spiacevole della storia degli hunter. Sebbene sia solo un bambino, è evidente che la sua persona nasconda gravi squilibri e tendenze antisociali. Chiunque vi si sia avvicinato nel corso del suo operato è stato magneticamente attratto dalla sua personalità solare e gioiosa, ritrovandosi in una ragnatela di manipolazioni e sfruttamento. Lui non è un eroe da acclamare né tanto meno è una persona che in questo momento dovrebbe essere famosa. Gon è un pessimo modello per tutte le generazioni passate e future. Per quanto sia brutto da dire nei suoi confronti, dovremmo vergognarci di lui.”

 

Maxine ha letto questo tutto d’un fiato e, per quanto sia intenzionata a rassicurarmi, ho scorto seria preoccupazione nel suo sguardo. «Devo continuare?» dice poco convinta.

«Sì,» le rispondo «ora arriva il pezzo forte.»

 

Uno degli aspetti più controversi di Gon Freecss è la sua trasformazione. Lui è l’esempio lampante di cosa succede quando l’immagine prende il sopravvento sulla personalità. La oggi celebrità ha fatto di tutto per discostarsi dall’immagine di piccolo eroe che aveva prima, stravolgendo il vestiario e i suoi capelli. Oggi esibisce ciò che intende vendere come la “sua vera natura” e per questo New York è in delirio. Ma anche in questo caso, nessuno degli hunter sembra avere abboccato. Un altro membro dell’associazione Hunter che ha deciso di restare anonimo, dichiara quanto segue:

“Gon non ha mai prestato attenzione alla sua immagine. La sua spontaneità era la caratteristica che lo distingueva, finendo per farci schierare tutti dalla sua parte anche quando era nel torto. Oggi ha palesemente un team dietro che si occupa delle sue pubbliche relazioni, controllando al massimo la sua nuova immagine. L’incontrollabile impeto sentimentale che lo caratterizzava è stato eliminato e sostituito da una fredda strategia di manipolazione mediatica grazie a un uso consapevole e studiato dei mass media. Oggi è a tutti gli effetti un personaggio studiato a tavolino e veicolato dalla mano di quelli che chiamano ‘Illuminati’, un personaggio creato ad hoc per decostruire l’ideale morale al quale Gon era elevato e trasmettere l’idea di ciò che – secondo loro – sarebbe una persona reale. Ma di reale non c’è proprio nulla. Negli Stati Uniti d’America, l’altruismo si piega al marketing.”

Non è passato inosservato il fatto che Gon è figlio di un hunter prodigioso quale è Ging Freecss, un altro personaggio che da sempre è sommerso da polemiche proprio per l’abbandono del figlio. In molti si domandano cosa Ging pensi di quanto è accaduto e descrivono lui come principale responsabile del tracollo psicologico di Gon, ma nessuno ha deciso di rilasciare una vera e propria dichiarazione.

L’ultima intervista fatta a Seryiu, un altro dipendente dell’associazione, chiarisce ogni dubbio:

“Perché proprio Gon Freecss? Semplice: è un bambino, ha avuto un’esperienza più unica che rara ed è facilmente manipolabile. A causa della sua personalità forte e l’assenza di una figura paterna, alla fine è finito nelle mani sbagliate. Oggi Gon non è altro che una celebrità imprigionata nella maschera di sé stessa, nei panni di un’improbabile socialite che oggi celebra l’esaltazione del materialismo e della frivolezza.”

 

«Gli Illuminati… che nostalgia!» ridacchia Espedito. «Sai quante volte lo hanno detto di me o di Graziina? È normale quando si è famosi, c’è sempre un pazzo che tira fuori le massonerie.»

A quanto pare, come sempre, qui sono tutti abituati a questo genere di cose.

«Una volta un tizio ha fatto un video-analisi di due ore sul mio video musicale di Step Right Up. Era andato in paranoia perché durante la coreografia mi sono coperta un occhio!» anche Graziina sembra aver preso tutto sul ridere.

«Però, su questo magazine almeno sanno scrivere! Non ho potuto fare a meno di continuare a leggere», fa notare Maxine. «Come ti senti?» mi chiede poi.

«Non mi ha ferito nulla di quell’articolo. Penso solo ai miei amici, penso di averli sfruttati», dico esternando il mio totale senso di colpa. «Il punto è che ho sbagliato, ma perché non posso risolvere tutto parlandogliene?»

«Questa è la vita da adulti», risponde Espedito intenerito mettendo una mano sulla mia. «Passerà. Focalizzati sulla tua nuova vita senza di loro. È probabile che loro non ti vorranno mai più, devi riuscire ad andare avanti.»

«Forse… uhm», mugugno un po’ prima di riuscire a dirlo chiaramente. Questa è bella forte. «Forse questa cosa di dover essere per forza una brava persona e l’ambizione di sacrificarmi per gli altri è tutta una stronzata. In effetti mi ha stancato. Questi dell’articolo hanno torto, sto davvero prendendo la mia vera forma.»

 

 

Quando decidiamo di fare un giro per l’isola, sento l’inquietante presenza di Maxine dietro di me, pronta a darmi uno scappellotto qualora iniziassi ad andare in paranoia e a cercarlo ovunque. Decidiamo di andare al lido dell’albergo per gustarci un giro di cocktail in spiaggia.

«Secondo voi dovrei chiamarlo? Cioè, non vi aspetterete che lo incontri per caso?» è passata un’ora dal nostro arrivo e già inizio ad ossessionarmi.

«Tesoro, no», risponde Espedito, sorseggiando un Cuba Libre. «Ma possiamo fare qualcosa per accelerare le cose», sogghigna, tirando fuori il telefono e facendoci disporre per un selfie. Ho capito! Ha deciso di utilizzare la carta dei social media, postando la nostra foto su VKontakte, taggando la posizione e noi tre. Ovviamente, è solo questione di secondi prima che la foto faccia il pieno di interazioni e venga ripubblicata su pagine di gossip. «Ora tutti sanno che siamo qui.»

«Piuttosto che fare una manipolazione mediatica, mandagli un messaggio!» mi esorta Graziina, portandoci alla soluzione più ovvia.

«No!» rispondo. «Lui non sa che sono qui e non deve sapere che io so che lui è qui. Penserà che io abbia indagato e che sia venuto qui per lui. Quindi no, devo farlo sembrare un caso.»

Espedito inizia a fissarmi intensamente, arricciando leggermente le labbra. Poi prende il suo cellulare, compone un numero telefonico e aspetta qualche squillo.

«Chi stai chiamando?» gli chiedo, non ricevendo risposta.

«Ciao Leorio! Sono Petracelli, ti ricordi di me?» saluta Espedito, mettendo il viva voce. A sentire quel nome, io sbianco in viso.

«Hey! Ti ho visto poco fa sul telefono. Sei dalle nostre parti?»

«Sì, ti avevo telefonato per chiederti se qualcuno di voi fosse all’arcipelago Congdong. Sai, sto facendo un giro con le ragazze. Ti ricordi di loro?»

«Sì, c’è qualcuno! Ma nella foto ho visto anche una faccia nuova, chi è quel ragazzino?»

A quel punto, non riesco a trattenere le risate. «Leorio!» mi avvicino al telefono, aspettando che realizzi.

«Ah, Gon! E che ci fai anche tu con loro?»

«Sono il tipo della foto», rispondo. Dopo qualche attimo di silenzio, un urlo di stupore rischia di danneggiare le casse del telefono.

«Ne riparleremo da vicino, quando sarà. Comunque, da quelle parti dovrebbe esserci Killua. È in missione per dei tesori nelle rovine o qualcosa del genere. Ma, scusa, Gon non lo sa?»

«Sapevo fosse in missione ma non sapevo dove, con chi e perché!» cerco di pararmi. «Ti andrebbe di avvisarlo? Non ho il suo numero perché… ho perso il telefono.»

Non è vero e non so nemmeno il motivo di questa bugia.

«Certo… quando ci vediamo dovrai spiegarmi delle cose.»

Il tono di Leorio prima di riattaccare è molto severo, l’imbarazzo generale scaturito da quelle parole crea un momento di silenzio prima che l’argomento si sposti su cosa fare dopo pranzo.

«Che ne dite dell’acquagym?» propone Maxine, tirando fuori un dépliant ritirato poco prima in albergo.

«Ti prego!» Espedito mima due dita in gola. «Non siamo ancora da casa di riposo.»

«Che ne dite di un aperitivo in barca?» propone, invece, Graziina. «Musica, champagne e crostini nel bel mezzo dell’oceano!»

Questa proposta, invece, accontenta tutti.

Camminando sulla spiaggia, raggiungiamo un ristorante che dispone di un altro lido e tavoli vista mare. Sono felice di essermi vestito di tutto punto perché qui tutti sembrano essere usciti da una rivista di moda. Passando davanti a un tavolo con alcuni ragazzini, uno in particolare mi riconosce e mi si avvicina timidamente.

«Gon Freecss!» esulta, poi nota gli altri. «E c’è anche Espedito e… Gracie!»

«E io, come sempre, non sono nessuno.» ironizza Maxine.

«Dobbiamo assolutamente fare una foto!» il ragazzino dà il suo cellulare alla madre. Non mi era mai successa una cosa simile, il disagio mi assale. Si fa prima una foto con me da solo e poi una con Espedito e Graziina. Notiamo che nel ristorante tutti si sono accorti di noi, hanno tirato fuori i loro telefoni e hanno iniziato a fare foto e video di nascosto.

«Ignora le telecamere», mi sussurra Espedito, mentre ci porta con la mano al nostro tavolo. «E ricordati: non reagire mai male con i fan. Anche quelli più fastidiosi. In tempo zero finisci su Twitter e poi ti ritrovi TMZ che apre un’inchiesta sulla tua vita sessuale. Fidati, ne so qualcosa.»

Quando ci sediamo a tavola, le ragazze sembrano comportarsi come se nulla fosse accaduto. Sicuramente sono abituati ad essere sempre sotto i riflettori. Decido di fare altrettanto.

«Ma secondo voi ci sono pure i paparazzi?» chiede Graziina, infastidita.

«Beh, sicuramente quelli degli hunter ci sono, conta pure i nostri… direi che ne abbiamo il doppio alle calcagna.» Espedito non sembra dare peso alla cosa.

 

E proprio così, trascorriamo gran parte del pomeriggio con dei calici di champagne in mezzo al mare. La playlist scelta da Graziina è molto suggestiva: Shakira, balli caraibici e Bossa Nova.

Mi sorprendono le dimensioni della barca: è molto grande e spaziosa, specialmente perché l’abbiamo tutta per noi. Ha due piani ed è in quello di sopra, con la vista più bella, che ci siamo sistemati.

«L’isola dove siamo in albergo si chiama Naku Toto…» Maxine, come suo solito, ha tutte le informazioni geografiche con sé. «E tra poco passeremo per Nosy Ira

«Non imparerò mai questi nomi ma… grazie!» scoppia a ridere Espedito mentre le versa un calice.

«Io credo che siamo perfetti così!» dice improvvisamente Graziina, mentre tutti ci voltiamo verso di lei per capire cosa intenda. «Dico, è la prima volta che siamo tutti single e mi sto divertendo come una matta quest’anno.»

«Oh!» Espedito fa un verso di tenerezza e la abbraccia. «Poi, però, quando correrai appresso all’ennesimo medico o dentista di trent’anni, non essere la prima a smettere di farsi viva!»

E poi Maxine aggiunge: «Io non potrei stare meglio. Non posso permettermi una relazione ora come ora. Io ho…»

«Un lavoro!» facciamo all’unisono, scoppiando tutti a ridere dopo.

«E il tempo restante mi serve per me stessa, altrimenti i crimini invece di risolverli li commetto» conclude.

«Voi lo sapete,» Espedito abbassa la testa e sorride, «da quando ho chiuso la storia con Karl non ho avuto frequentazioni importanti. Mi sono reso conto che non è ciò che desidero ora! Tutto qui.»

«Siccità d’amore!» esclama Graziina, qualunque cosa significhi ciò che ha detto.

«Io non avevo mai pensato a queste cose, non so cosa dire», mi ci metto, riflettendo velocemente sulla mia vita sentimentale. Cioè, sul nulla.

Si guardano tra loro, avendo tutti la stessa risposta in testa. Ovviamente, preferiscono tenersela. Non faccio caso ad Espedito che armeggia col cellulare finché non mi chiama in disparte.

«Killua stasera è all’hotel La Luna, ho controllato ed è a due isolati dal nostro. Sarà in quel ristorante e Leorio ha detto che cenerà da solo, ti faccio sapere solo questo.» Non riesco a impedire alla felicità di cambiarmi i connotati del viso. Vedendomi, Espedito sorride insieme a me. «Ora zitto e mangia i crostini.»

«A dire il vero ho paura», ammetto. «Sento una botta allo stomaco e penso che scoppierò a piangere.»

«E non è fantastico piangere su una barca, indossando i migliori vestiti firmati, con un bicchiere di Dom Perignon e la consapevolezza di essere ricco e famoso?» ribatte lui, scatenando una risata generale.

 

Più tardi, ci rintaniamo in albergo dandoci appuntamento a dopo cena. La mia camera, la suite Alicia Mirabilis, è stupenda, ha un letto matrimoniale, un piccolo bar e la vasca idromassaggio in bagno. Il tutto si colora di vari toni dell’azzurro, accompagnate a stampe di meduse appese su varie pareti. Eppure, quando mi immergo nella vasca, mi rendo conto che qualcosa non va.

Penso alla telefonata di Leorio, ma anche a tutto ciò che sto facendo per Killua. Ritorno a chiedermi perché e a quale punto le cose si siano fatte così intricate. Io non ricordo un solo momento in cui ho avuto l’ansia nel parlare con quelli che in teoria sarebbero i miei migliori amici. Non ricordo un solo periodo della mia vita in cui ho dovuto mentire e orchestrare così tanto per far andare le cose. Dov’è finita la spontaneità? Dov’è finita quella telepatica simbiosi che avevamo? Dov’è finito quel luogo sicuro che noi quattro eravamo?

Dopo la pausa riflessione nell’idromassaggio, il mio primo pensiero è come vestirmi.

La mia valigia è piena di vestiti. Ci sono tutti, tranne quella giacca, le scarpe e pantaloncini verdi che tutti ricordiamo. Metà di questi nuovi vestiti l’ho comperata negli ultimi due mesi, l’altra metà sono prestiti o regali. È interessante ogni volta vedere la qualità altissima di questi capi e come palesemente non siano mai stati usati, non c’è nemmeno l’odore di Espedito o della sua colonia dentro. Eppure, li ha riciclati dandoli a me.

[1]Scelgo di indossare un suo completo di Dolce & Gabbana: una camicia rossa a maniche corte, pantaloni neri a vita alta, una cintura vistosa con il logo Chanel e scarpe nere lucidissime. Anche questa volta, uso il trucchetto degli occhiali da sole.

Atteso il crepuscolo, scendo per prendere un caffè. Ci siamo organizzati in modo che Killua, in arrivo per le sette di sera, mi trovasse solo. Gli altri si sarebbero uniti solo per le nove. È il piano perfetto.

 

All’ingresso del ristorante mi tremano le mani. Prendo un po’ di coraggio e chiedo per il tavolo Zoldyck. La caposala, dopo avermi detto che lui si trova già qui, con un sorriso dolce stampato in faccia, mi guida al tavolo. Ogni passo pesa un macigno e nascondere le palpitazioni è sempre più difficile.

Ed eccolo lì, seduto in fondo a sinistra ad un tavolo per due. Non sembra per nulla ansioso, gioca col cellulare in attesa del cameriere. Indossa una canotta gialla e ha gli scaldamuscoli, non si è impegnato più di tanto. Sembra cresciuto, i capelli sono leggermente più lunghi e il viso è più adulto, sembra avere un alone di barba sul mento. Oserei dire che è ancora più bello di come lo ricordassi. Cerco di non farmi imbambolare oltre e mi avvicino, salutandolo. Quando alza lo sguardo, gli si accendono gli occhi.

«Gon…?» mi chiama, sembra quasi spaventato.

«Ehilà!» fingo naturalezza, prendendo posto, appoggiando la borsa di Dior[2] vicino a me.

«Leorio mi aveva detto che hai fatto qualche modifica però… wow!» A differenza di tutti gli altri, non ha quello sguardo di delusione. Anzi, sembra più curioso che dispiaciuto. «Cosa ci fai qui?»

«Sono venuto qui in vacanza, poi ho telefonato a Leorio per delle cose… e nella conversazione è venuto fuori che anche tu fossi qui! Strano, vero?» Così strano che per qualche motivo non ci credo nemmeno io.

«Sei molto elegante! Cosa c’è, hai un appuntamento dopo?» sogghigna, mentre io non capisco se stare al gioco.

Fa così male.

In realtà l’appuntamento, per me, sarebbe questo. E comunque, l’ultima volta che abbiamo parlato di appuntamenti c’era di mezzo Palm, il che è tutto dire.

«No!» ridacchio. «Te l’ho detto, ho deciso di fare un cambiamento. Adesso mi vesto così.» Dico con tranquillità, prima di posare il menù e prepararmi alle ordinazioni. «Sei in missione, dunque…»

«Sì! Una cosa di passaggio, non potevo andare nel Continente Oscuro per via di Alluka, quindi Ging mi ha affidato una cosa da poco», inizia a spiegare. Quindi Ging affida cose a Killua ora? Andiamo bene. «Tu cosa stai facendo? Hai un’aria… trionfante!»

Trionfante? Ho imparato a recitare così bene che inganno persino lui? Le cose sono due: o siamo diventati così distanti che non riusciamo più nemmeno a capire cosa provi l’altro, o devo darmela a gambe prima che Espedito mi ammazzi per far fuori la concorrenza.

«Studio!» Una cosa vera. «Ho dovuto recuperare due anni di scuola, non avendo altro da fare sono riuscito a concentrarmi e ho dato tutti gli esami da privatista…»

«Oh…» mi fa, sorpreso. «Devo ammettere che non ti ci vedo!»

«E ho deciso che, piuttosto che studiare a casa con zia Mito, tanto vale che io mi iscriva ad una scuola vera», continuo. Killua ha gli occhi talmente spalancati da non far vedere nemmeno le pieghe delle palpebre. Mi sento realizzato ora che gli ho dato un chiaro segnale che sì, sono andato avanti.

«Alluka sta crescendo, è più testarda del solito», mi racconta. «Effettivamente, non ho altro da dire, non ti sei perso nulla. In ogni caso, mi dispiace che ci siamo sentiti così di rado.»

“Di rado” è un modo carino per dire che non c’è stato alcun contatto dopo la nostra separazione, ma va bene.

«A proposito, scusami», gli dico, tanto per introdurre l’argomento.

«Per cosa?» Killua mi guarda improvvisamente negli occhi, di nuovo, grattandosi la guancia. I suoi occhi sono sempre enormi e teneri, non sono minimamente cambiati.

«Perché nei primi tempi ho telefonato troppe volte e capisco di aver dato fastidio… non è una cosa molto educata. Stavo un po’ male, ma per fortuna adesso va tutto bene.» Dico, domandandomi poi se io abbia vuotato il sacco troppo presto.

«Ma dai! Che discorsi ti metti a fare!» minimizza, ridendomi quasi in faccia. «Non mi hai dato fastidio. Anzi, perdonami tu perché non mi sono mai fatto sentire…»

Già, e perché? Voglio sentirlo dalle tue labbra.

«Oh, non ti preoccupare, il tempo è volato e io non ci ho fatto nemmeno caso!» ricambio la risatina. Quando ho sentito quella bugia enorme uscire dalle mie di labbra, ho capito che mi sto spingendo troppo oltre. Un castello di finzione si è alzato intorno a me per proteggermi dal dolore ed è solo questione di tempo prima che io me lo faccia crollare maldestramente addosso. «L’importante è che ora siamo qui! No? A titolo informativo, perché non sei riuscito a rispondermi? Cioè non prenderla come una domanda minacciosa o altro…»

«Non l’ho presa come una domanda minacciosa, ma quanti problemi ti fai!» i suoi occhi divertiti mi danno un temporaneo senso di calma. «Oddio, sbaglio o sei diventato logorroico?» continua a ridere, mi chiedo se lo faccia per mettermi a mio agio o voglia prendermi in giro. «Non c’è un motivo, dovevo prendermi cura di Alluka e poi tra noi… ecco, insomma… era diventato difficile.»

«Già… non sono stato un buon amico, mi dispiace.» Dico con leggerezza.

«Non intendo… io non intendevo…» si blocca improvvisamente nel parlare. «E questa da dove è uscita?»

«Nell’ultimo anno e mezzo ho avuto modo di riflettere parecchio. Sai, prima non lo facevo molto. E poi mi sono messo a studiare e studiando, studiando… sai… puf! Mi si è aperta la mente. Come con il latino.» Sudo nervosismo da ogni poro, anche se ciò che sto dicendo ora è la verità. «Poi sono stato molto tempo a casa e lì ho riflettuto tanto. E sono arrivato alla conclusione di essere stato pessimo, specialmente nei tuoi confronti. E quelle che ti ho fatto un anno e mezzo fa non erano scuse accettabili, ero preso dal vedere mio padre e ti ho lanciato sotto un treno. Dio, quanto mi dispiace.» Ho iniziato a parlare con il sorriso in faccia e verso le ultime parole non sono riuscito a contenere un piantino improvviso.

«Oddio! Gon, di cosa stai parlando?» lui, visibilmente nel panico, non sa come gestire la situazione strana che gli si è presentata davanti. «Guarda che non è successo niente!»

«E invece è successo tutto», dico, con più calma, asciugandomi tempestivamente le lacrime. «Facciamo finta di nulla, volevo incontrarti, chiacchierare un po’ e cose così. Ma dovevo farti delle scuse prima di tutto il resto. Adesso possiamo rilassarci davanti a un calice di chardonnay.»

A quell’ultima frase, fa uno sguardo molto stranito come se avesse davanti un alieno.

«Non erano necessarie, ho accettato quelle di un anno e mezzo fa e la storia si è chiusa lì», mi rassicura. «Certo, c’è da lavorare e sai… è difficile, ci vorrà tempo. Ma non voglio che tu ti senta in colpa. E voglio sapere chi ti ha messo in testa questa idea.»

«Nina Katz», singhiozzo, bloccandomi nel continuare la frase.

«Chi?» A sentire quel nome buffo e che non gli dice nulla, scoppia a ridere controvoglia.

«Mi ha intervistato nel suo programma e ha detto che si dice in giro che io trattassi male i miei compagni… una cosa del genere.» Solo ora che lo dico in faccia a Killua, sentendo ciò che sto dicendo ad alta voce, mi rendo conto di quanto questo sia un problema stupido e di quanto la conversazione stia prendendo una piega imbarazzante.

«A te interessa quello che pensa una che si chiama Nina Katz? Ma cosa ne sa? E soprattutto, chi diamine è e dove l’hai incontrata?»

«A New York», rispondo, ricordandomi che bisogna affrontare anche quel tasto. Dinanzi al suo ennesimo sguardo interrogativo, mi spiego meglio. «Mi sto trasferendo lì.»

«Che cosa?!» Ora si è arrabbiato sul serio. «Ma è lontanissimo! Perché?»

«Voglio ricominciare da zero.» Gli parlo con onestà, sorridendo. «E sai, lì a scuola puoi scegliere i corsi e… sport.» Non so che altro inventarmi. «In generale è bello cambiare aria. Poi ne ho parlato con Espedito ed è riuscito a farmi entrare a scuola di Danielle…»

«Adesso vai dietro ad Espedito? Ma cosa ti prende?» mi chiede, con le pupille ridotte a due fessure e un’aria preoccupata che si vede da un chilometro. «E cosa ne sarà di tutto il resto?»

«Tutto il resto cosa?» gli rispondo onestamente, facendogli notare che in questo mondo nulla mi è rimasto davvero. «Killua, io ci ho provato a restare sull’isola Balena ma non ho davvero nulla da fare lì. E fare l’hunter senza poter usare il Nen non ha alcun senso. Voi avete le vostre vite, mi piacerebbe avere la mia. Sai, ho avuto modo di scoprire delle parti di me che non conoscevo.»

«Del tipo?»

Tiro fuori dalla mia borsa il numero di Vogue dove sono in copertina e per tutta la prima parte del numero. Lui sfoglia le mie foto che coprono pagine intere e legge qualche trafiletto intorno.

«E tu dove sei, in tutto questo?» mi domanda.

«Da pagina quattro a pagina dodici, non hai visto? Sono pure sulla copertina!»

«Sai cosa intendo, stupido.» Dice, restituendomi la rivista. «Cambio di vestiti, va bene. La scuola, facciamo che ci crediamo, okay. Ma se mi vuoi far credere che quel taglio di capelli, posare sulle riviste e la vita mondana siano parte di te, mi stai prendendo in giro.»

«Perché io non posso essere diverso?» alzo un po’ troppo la voce per l’esasperazione. «Sto crescendo, voglio trovare un mio posto nel mondo. Posso provare varie cose?»

«Nessuno ha detto questo. Solo che non puoi uscirtene dalla sera alla mattina dicendo di essere completamente un’altra persona e pretendere che sia credibile. Troverai il tuo posto nel mondo. Andrà meglio, fidati.»

Dimmi che quel posto è accanto a te o non ci credo.

«E allora continuerò a fare un po’ di tutto! E poi la distanza non è certo un problema, esistono gli aerei e comunque non riusciamo a incontrarci quasi mai», rispondo per confortarlo. Quel “quasi” è aggiunto solo per far sembrare la frase più ottimista, perché andrebbe tolto. «E sono sempre io, il succo è lo stesso. Cambia solo la forma.»

«E dove andrai a stare?» mi chiede, con aria rassegnata.

«Graziina mi ospiterà per qualche tempo, poi troverò una casa vicino alla scuola.»

«Graziina…» Killua si porta la mano al volto, scoppiando a ridere istericamente. «E chi, sennò.»

«Mi ha aiutato tanto!» protesto. «Cos’ha che non va?»

«È una rompicoglioni!» risponde agitato, tutto il corpo gli trema. «Scusami, non dovevo dirlo. È che proprio non mi è simpatica.»

Non capisco cosa lo abbia fatto calmare subito dopo.

«Se ci rivediamo in questi giorni, probabilmente la rivedrai. Sono qui con tutto il gruppo.» Ultima bomba sganciata, se non mi uccide ora sono salvo.

«Bene, ora so che devo evitarti.»

Come non detto.

Dal tono non si capisce se sia una risposta seria, una battuta di cattivo gusto o altro. In ogni caso, una frase del genere in questo preciso momento mi spacca il cuore a metà. Dopo aver consumato il primo piatto, so solo che la cosa migliore sia prendere quello che resta dell’orgoglio e tornarmene nella vasca idromassaggio.

«E adesso perché sei silenzioso?» Killua rompe il ghiaccio dopo una decina di minuti senza che nessuno dei due proferisse parola.

«Pensavo.»

«Non l’avrei mai detto ma… ti preferivo quando non pensavi affatto.» Sembra ancora arrabbiato. Già, vorrebbe dire che è assurdo che le mie decisioni pensate siano peggiori di quelle istintive. «Scusami se ho alzato la voce.»

«Scusami tu, ti sto solamente rovinando la serata.» Per qualche motivo non piango nel dirlo.

«Non dirlo nemmeno per scherzo, Gon», mi riprende, ma non mi suona convinto. «Mi dispiace che non stia funzionando.»

«Crescere ti fa cambiare prospettiva ed è normale che un rapporto che prima sembrava indissolubile ora si trovi ai poli opposti.» In attesa del dolce, decido di far parlare la parte razionale di me, tenendo in disparte quella emotiva. Vorrei dirgli che l’amicizia che agli occhi di noi bambini era la cosa più bella al mondo fosse, nella realtà, qualcos’altro. Io e Killua eravamo veleno l’uno per l’altro. Così sono andate le cose, per quanto io voglia raccontarmela diversamente. Io lo so come finirà. Finirà che tornerò in albergo piangendo e non vorrò più uscire dal letto, sarò punto e da capo.

E questo è il momento più difficile di tutti. Voglio dirgli che mi manca e vorrei dirgli tante altre cose. Ma non ne ho la presenza mentale e so che saranno parole al vento. Perché o non sente minimamente la mia mancanza e non prova nulla, o comunque non me lo dirà mai e sarà un eterno tira e molla. In ogni caso, questa sera è per me una sconfitta su tutta la linea. Ma non ne posso più. Bisogna prendere una direzione e mantenere quella fino alla fine.

«Io vorrei davvero sistemare le cose» gli dico. «Ho mentito e mentirei ancora se ti dicessi che potrei andare avanti così, senza pensarci. La verità è che non mi sta bene.»

«Lo so. Ti conosco.» risponde sbrigativo.

«C’è da trovare una soluzione», cerco di imboccarlo ancora. E dai, pure tu, faccela.

«Lo so.» Il suo tono diventa sempre più infastidito. «Ma non posso farlo adesso. Mi dispiace.»

Una parte di me trova sollievo, ho concluso una sfera fondamentale del mio percorso di rinascita. Non ci sono più dubbi.

Senza troppi convenevoli, riprendo la mia borsa e lascio sul tavolo dei contanti. «Questi sono per la cena, offro io. E questi se hai voglia di un drink con qualche amico, una ragazza, tua sorella… o qualcosa del genere. Accetta questo come rimborso simbolico.»

Un gesto di classe che ho copiato da qualcun altro. Ma fa il suo effetto, quindi non importa.

Una parte di me continua a martellarmi la testa dicendo “torna lì, non è finita, lotta ancora”, ma la parte dominante mi ringrazia di aver posto fine a questo stillicidio. Saluto con educazione, lascio il tavolo con educazione e mi dirigo verso l’uscita del locale con educazione. Voglio che capisca due cose: la prima è che non ho rancore e che la mia porta sarà sempre aperta e la seconda è che non sono disposto a lasciarmi ferire ad oltranza perché non ho perso del tutto la dignità.

Ho mandato un messaggio a Maxine, ho detto loro di uscire da soli stasera e che forse li raggiungerò più tardi. Ho bisogno di camminare sulla riva del mare per almeno un anno.

Sono stato terrificante. Dovevo capire che Killua non si faceva sentire perché necessitava dei suoi tempi. Ovviamente non ho resistito e, appena ho saputo dove fosse, mi sono fiondato qui. Ho trascinato tre persone innocenti in uno psicodramma senza senso perché, in fondo, sono ancora un egocentrico instabile. Ho pensato solo a me, non al fatto che anche solo vedermi gli facesse male. Dovrei godermi la mia nuova vita, ho delle persone che mi vogliono bene e che si spremono per comprendermi al meglio.

E invece sto cercando di riprendermi una persona che c’è stata per anni e che io ho trattato male per primo perché solo dopo sono riuscito a maturare abbastanza per comprendere le mie emozioni e quanto fosse importante per me.

È il karma.  

Perché rovino sempre tutto per ottenere qualcosa di irraggiungibile? Prima ho sacrificato i miei vecchi amici per mio padre e ora sto facendo la stessa cosa. Killua è felice senza di me, perché devo essere così egoista da voler rientrare a tutti i costi nella sua vita? Perché ferirlo ancora? Dopo che lui ha sacrificato la sua per me, rispettare la sua volontà è il minimo che io possa fare per lui.

Non c’è anima viva quando torno sulla strada. Cammino a testa bassa verso il mio albergo. Dopo alcuni passi, vengo abbagliato da una luce fortissima e mi allarmo nel vedere un’auto che sta accostando. Da dentro, sento un uomo chiamare il mio nome.

«Leorio?» gli chiedo, mentre uso la borsa per parare la luce.

«Entra!» mi fa, mentre mi accomodo sul sedile del passeggero.

«Cosa ci fai qui? Io non…»

«Sono venuto in tuo soccorso, non si vede?» Lo vedo sorridere. «Una persona che ti vuole bene mi ha chiamato.»

«Sì, c’ero anch’io questa mattina.» gli rispondo, comunque felice che lui sia qui.

«Non metto in dubbio che ti vogliano bene anche loro, ma parlo di qualcun altro.» Ammicca. Sicuramente non è stato Ging, allora chi altri può essere?

«Come faceva Kurapika a sapere che sono qui?» gli chiedo, sorpreso.

«Sei davvero, davvero, davvero idiota.» Leorio toglie una mano dal volante e con quella mi sfrega i capelli. «Ci sei appena andato a cena e, a giudicare da ciò che vedo, ti sei anche impegnato nel prepararti!» Ne parla come se fosse una cosa divertente, spingendo anche me a prendermi un attimo meno sul serio e a ridere con lui.

«Ho fatto un casino, vero? Scusami per averti costretto a venire qui», piagnucolo, mentre trovo una posizione più comoda sul sedile.

«Numero uno, non hai fatto casini. Potrai anche aver cambiato look ma piombare qui per riprendertelo è una cosa proprio da te.» Dice, mentre parcheggia l’auto davanti a una barriera sul lungomare, permettendoci di vedere la luna specchiarsi in acqua mentre parliamo. «E numero due, io mi devo scusare. Noi tutti non dovevamo lasciarti da solo. Tu per noi ti saresti triplicato per raggiungerci in diverse parti del mondo, mentre per te nessuno è riuscito neanche a fare una telefonata. Killua avrebbe dovuto dirti chiaramente ciò che provava invece di metterti in quella situazione di sconforto.»

«Avete le vostre vite, lo capisco. Io avevo tempo libero, voi no. E non è che fossi in pericolo di vita o altro.» Minimizzo con sincerità, perché detesto vederlo preoccupato. Dopo qualche minuto di silenzio, passato a contemplare la luna, Leorio rompe nuovamente il ghiaccio.

«Sei felice?»

«Mh?»

«Dico, ti trovi bene con loro?» mi domanda, con un sorriso sereno sul volto.

«Si preoccupano per me, mi ascoltano, mi aiutano quando possono…» cerco di rispondere prendendola larga.

«E tu ti ci sei affezionato. Sei fatto così e va bene.» Nonostante sia contento di sapere che sto bene, noto una punta di amarezza.

«Ma non è la stessa cosa, se te lo stai chiedendo. Quando ero con voi ed eravamo sempre incollati mentre vivevamo giornate intense, con la morte che incombeva in qualunque istante, avevamo un tipo di rapporto. Con loro ne ho un altro.» Gli spiego con sincerità.

«Nel senso?»

«Noi ci capivamo senza parlare, ti ricordi? E poi parlavamo dei nostri obbiettivi, organizzavamo le nostre missioni… parlavamo solo dello stretto necessario. Con loro è diverso, parliamo di tantissimi argomenti e si parla davvero tanto. Ci incontriamo davanti a un cocktail e chiacchieriamo di cose leggere, ma so che posso rivolgermi a loro per i casini sentimentali e cose di questo tipo.»

«Per le chiacchiere da femminuccia, intendi?» scoppia a ridere e mi accarezza la testa.

«Non le definirei così.» Rido un po’ anche io. «Solo per dirti che non è in atto alcuna sostituzione, perché non ha senso farlo. Però mi sento in colpa verso di loro.»

«E per cosa?»

«Perché voi mi mancate ogni giorno tutti i giorni. Poi c’è Killua che è un caso a parte. Questo loro lo sanno e non si offendono minimamente.»

«Perché sono adulti e la loro visione dell’amicizia non è quella cosa morbosa e infantile che si prova da piccoli.» Mi dice, aprendomi gli occhi con questo concetto. «A proposito, non sono loro quelli che si stanno avvicinando furiosamente alla macchina?»

Mi giro e vedo loro tre venire dal fondo della strada a passo spedito verso di noi. Diamine, non avevo detto a Maxine dove mi trovassi e si è allarmata. Leorio abbassa il finestrino e io mi tolgo la cintura.

«Costava così tanto mandare la posizione?» Maxine entra in auto con la testa, è preoccupata ma non sembra adirata.

«Scusateci!» ride Espedito dietro.

«Oh, ciao Leorio!» lo saluta Graziina.

«Mea culpa, sono arrivato senza avvisarlo e l’ho fatto salire in macchina», si scusa l’occhialuto. «Eravate a far serata?»

«In verità siamo usciti adesso» gli risponde l’attore.

«A mezzanotte?» gli risponde Leorio, mostrando l’orario.

«La serata al Samba comincia alla mezza. Guarda che siamo in largo anticipo!» ribatte Espedito, facendo ridere tutti. «Ti unisci a noi? O vuoi aspettare il prossimo traghetto qui da solo?»

«Preferisco aspettare qui, vorrei tornare a casa a dormire.» Dice, mentre si appresta a controllare sul cellulare.

«Il prossimo è domattina alle sei. Se vuoi dormire in macchina, fa’ pure», dice Maxine. A quel punto, Leorio sbianca in volto e, rassegnato, scende dall’auto.

 

Il Samba è un locale che si trova su una minuscola isola vicino a Naku Toto e ne occupa l’intera superficie. Ci credo che sia uno dei locali più ‘in’ del posto. Per raggiungerlo, attraversiamo un traballante ponte di legno sull’acqua.

«Come hai trovato i biglietti per il Samba? Mia cugina Christie ha dovuto prenotarli con otto mesi di anticipo. Per Capodanno!» chiede Maxine all’attore, sconvolta.

«Lydia Clarke fa da PR per questo locale. Te la ricordi?» le risponde.

«Quella che faceva la televendita per il rassoda-cosce?» a quella frase di Graziina, Leorio sta per cadere a terra dalle risate.

«Adesso “rassoda” le liste dei locali tropicali. Il bello è che lavora in smart, fa tutto a distanza dal suo studio a SoHo. Hai visto che pienone? Meno male che me la sono fatta amica quando viveva ancora a Brooklyn nel quartiere ucraino.»

Leorio arriva per primo all’ingresso, ma il buttafuori lo rimbalza subito.

«Come sarebbe a dire che non posso entrare?» sbotta lui.

«Il vestiario non è adeguato e poi non è sulla lista», l’uomo all’ingresso continua a fargli cenno di andarsene.

Mentre lo raggiungiamo tra le urla e i vari insulti, il buttafuori cambia subito atteggiamento.

«Lui è con noi», dice Espedito, davanti allo sguardo incantato dell’uomo che vorrebbe disperatamente un autografo da lui, Graziina o me.

«Sono desolato, non sapevo che accompagnasse persone di questo calibro!» si scusa immediatamente. «La informo dello sconto per le guardie del corpo e i manager che accompagnano i VIP.»

Ci mettiamo tutti a ridere fragorosamente mentre il povero Leorio vorrebbe sotterrarsi.

Di tutta risposta, quest’ultimo si infuria ancora di più. Noi altri la prendiamo scherzosamente ed entriamo senza pensarci oltre.

«Ah, Leorio, prima che tu entri devi sapere una cosa», l’attore ci ferma tutti. «Quest’arcipelago è pieno zeppo di paparazzi e gente che farà foto. Specialmente a Gon che è la stella del momento.»

«Nessun problema!» risponde l’occhialuto, dandomi un pizzicotto sulla guancia. «La stella del momento?»

«Lo ha detto Nina Katz, sarà vero», gli rispondo, mentre mi guarda con sguardo interrogativo.

«La finisci di ossessionarti con quella?» interviene Maxine, bonaria.

«Tipico novellino», mi canzona Espedito, mentre ritira i nostri braccialetti. «Nina Katz non troverà mai posto al Samba. Perché fuori da New York lei non è nessuno.»

«Ma insomma! Fatemi entrare nella conversazione!» sbraita Leorio, mentre ci apprestiamo a prendere posto.

Mentre passiamo per il guardaroba per mettere in sicurezza gli oggetti di valore, Graziina mi sistema velocemente il trucco e mi mette addosso la pelliccia di Gautier. Adesso sì che possiamo entrare.

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Capitolo 7
*** La colpa sta bene su tutto (ma io stavo meglio senza!) ***


Capitolo 7

Gon fa una nuova, sorprendente, conoscenza.

La colpa sta bene su tutto (ma io stavo meglio senza!)

Dopo una serata tutto fuoco, nemmeno un secondo di sonno e una mattinata che invece fa acqua da tutte le parti, l’impulso di segnare nuovi pensieri mi assale. Se c’è un pensiero ricorrente dell’ultimo anno e mezzo, di quelli che ti tengono bloccato a una croce anche per decenni, è quello della papabile esistenza di un karma o di una legge morale. I dolori di oggi sono il karma delle mie azioni di ieri? Nella realtà viviamo un inferno dantesco dove vige la dura legge del contrappasso? E, se sì, quando espierò la mia colpa? Quando smetterò di essere la persona che ha fatto tale cosa per diventare una persona normale che ha diritto di essere trattata come un essere umano?

Sono questi gli argomenti del capitolo che ho iniziato a scrivere oggi. E, tra una riflessione e l’altra sulla crisi delle formichimere, i miei amici di oggi sono un’inesauribile fonte di spunti.

«Io penso che tutti meritino il perdono. Se non della persona offesa, almeno in generale. Non è concepibile passare la vita a dannarsi per un’azione passata», esordisce Graziina a colazione, mentre spalma la marmellata di rosa canina su una fetta biscottata ovviamente light. «Immagina mangiare una volta nella vita del cibo spazzatura e poi non riuscire mai più a smaltirlo. È inumano!»

«Io la vedo così: se mi hai fatto del male, va’ e sii felice. Voglio solo che tu lo faccia fuori dalla mia vista», aggiunge Maxine, intenta a versarsi il succo.

«Secondo me diamo troppo peso agli errori in generale.» Ed ecco la massima di Espedito, che ha deciso di mangiare solo frutta per oggi. «Il concetto di sbaglio, come lo intendiamo noi, crea una nuova gerarchia di potere. Chi sbaglia diventa inferiore e la vittima è innalzata a padreterno solo perché soffre. C’è un motivo se non tutti gli sbagli vengono riconosciuti e alcuni vengono insabbiati.»

«Pensa ad Hollywood!» si aggiunge la rossa. «Lo sbaglio diventa così bollente che serve invertire la dinamica per farlo venire fuori. La vittima che denuncia diventa carnefice della carriera dell’uomo denunciato, che a sua volta diventa il poverino da difendere. Quella donna è segnata a vita peggio di Eva.»

Vedo che Maxine ha deciso di elevare la difficoltà della conversazione che, vi ricordo, stiamo tenendo di prima mattina dopo un’intera nottata ad elevato tasso alcolico.

«Quindi, insomma, non si riesce mai a dare pari dignità umana a entrambi!» ne trae Graziina.

«Legalmente è un conto, personalmente è un altro. Certo non avrei empatia per un predatore sessuale, quello spetta alla legge, non a me in quanto singola cittadina. Ma, tolti i casi limite, direi che è così» si spiega l’avvocatessa.

«Gon, io lo so che ti senti ancora uno schifo perché una volta sei stato rude nei suoi confronti, avrai cannato qualcosa durante la missione e per questo sei diventato “il mostro egocentrico”.» Espedito ha già afferrato il punto. «Ma non è un motivo per deumanizzarti. Non devi togliere te stesso dal primo posto per nessuna ragione al mondo. Anche se sei stato egoista, devi esserlo ancora di più per proteggerti. Rispetto per gli altri, sì. Peccato originale, no.»

«E quindi cosa dovrei fare? Archiviare il tutto e andarmene?» gli chiedo, sentendomi ancora la testa che scoppia.

«Una cosa del genere.» Espedito mi versa il caffè. «O soccombi cercando di accomodare tutti, o diventi abbastanza sfacciato da cavalcare la cattiva luce in cui ti mettono diventando sul serio il cattivo. Io ho scelto la seconda, è bello avere persone che ti vogliano bene, ma potermi prendere quello che voglio quando e come lo voglio è più importante.»

«Ieri mi ha detto che non ha voglia di risolvere le cose.» Riesco per la prima volta a raccontare qualcosa di quella tragica cena. «Io gli avevo parlato di risolvere, lui ha risposto ‘non posso farlo adesso, mi dispiace’.»

I ragazzi si guardano tra loro, con degli occhi che significano “codice rosso” comprensibile in tutte le lingue del mondo.

«Questa è brutta.» commenta Maxine.

«Ma guarda che brutto stronzo!» si aggiunge Espedito.

«Sicuramente ci deve essere una spiegazione logica, bisogna andare a fondo della faccenda.» Graziina è ottimista, di buon umore e con l’espressione tipica di quando è nella modalità “Polly Anna”: occhi a palla, sorriso tirato e uno strano tic che la porta ad annuire ripetutamente.

«Vediamo già i coralli, se andiamo ancora più a fondo ci aspettano solo le fiamme dell’inferno.» sbuffo, mentre cerco qualcos’altro da mangiare.

«Io penso che tu abbia fatto abbastanza», questo intervento di Maxine era già prevedibile. Il suo tono è fermo e non ammette repliche.

«Esatto. Possiamo anche indagare ma il prossimo passo deve farlo lui. Tu hai teso una mano e lui ci ha sputato sopra. Adesso dipende da lui, anche se è già tanto che tu non l’abbia spazzato via in quel momento stesso, senza offesa.» Anche l’attore non sembra molto magnanimo, oggi.

«E se non dovesse fare niente?» E poi ci sono io, con la domanda più stupida che potessi fare, tant’è vero che non ricevo nemmeno risposta.

«Ma tra tutti i ragazzini carini della tua età che ci sono, dovevi puntare proprio il più problematico che si potesse trovare?» sbotta sempre Espedito.

«Aspetta, però. Lui ha…»

«Fatto tante cose per me, mi ha salvato la vita, c’è sempre stato e bla bla bla», mi interrompe Maxine, imitandomi con tono di scherno. «Questo è un motivo valido per restare attaccato a qualcuno che non ti vuole? Ragiona.»

«Non è detto che Killua non lo voglia!» la contraddice Graziina, impuntandosi come non mai.

«Ti prego, se attacchi a fare Polly Anna anche oggi, io prendo e me ne vado», Espedito sembra più teso del solito.

«Dico solo che esiste un qualcosa che lega le persone. Un filo rosso, ecco! È una leggenda orientale.» spiega la mora. «Un uomo legato con il filo rosso alla sua futura moglie.»

«Sì, quell’uomo scopre che la sua futura moglie è una neonata e così la fa uccidere. La bambina non muore, ma a quattordici anni incontra nuovamente il tizio che l’ha accoltellata, si sposano e vissero felici e contenti. Grande Gracie, storia molto educativa per un ragazzino di quindici anni» la smorza subito l’avvocata.

«Okay, un bel break ragazze!» interviene l’attore a calmare gli animi. «Gon, in questo momento è come un gioco di strategia.»

«Che intendi?» Io non gli sto proprio dietro, ma cosa vuole dirmi?

«Che hai avuto il tuo turno e hai fatto le tue mosse. Ora tocca a lui e finché non farà le sue mosse non potrai fare altro.» E, proprio mentre Espedito si lancia nello spiegare le relazioni con metafore sugli scacchi, al nostro tavolo sopraggiunge Leorio, ancora un po’ assonnato e con l’aspetto trasandato di chi è uscito di casa appena sveglio. «Così faticoso lavarsi i capelli per colazione?» commenta acido.

«E per te è così faticoso smettere di essere sgradevole per almeno un’ora al giorno?» lo canzona Leorio. «Di che parlavate?»

«Quella conversazione che ieri avevamo rimandato» gli dico, sperando che ci arrivi.

«Hai detto loro che la prima cosa che Killua ha fatto dopo cena è stata chiamare me?» In effetti, l’avevo dimenticato, così iniziamo a spiegare.

«Secondo me ha voluto scaricare la cosa su qualcun altro. Lo ha fatto perché voleva sentirsi meno stronzo, non perché ci tenesse a Gon», opina Maxine senza filtri.

«Secondo me è un atteggiamento immaturo», commenta Espedito, che le parole le ha già dette tutte.

«Secondo me è un segnale palese del fatto che si preoccupa per lui! Ma come fate a non vederlo?» chiude Graziina, con occhi sognanti e tono stucchevole.

«Per ogni domanda che fai, ottieni sempre tre risposte completamente diverse?» mi chiede Leorio, in preda alla confusione. Annuisco e scoppio in una risata fragorosa che contagia tutto il tavolo.

 

Il sole splende troppo forte per non stare in acqua e il cielo è troppo pulito per non approfittarne. Nella limpidissima acqua dell’isola di Naku Toto, ci sono piccoli gruppetti di persone. Chi chiacchiera sulla riva, chi lo fa mentre galleggia dove non si tocca e chi fa acquagym con sottofondo Please Don’t Go di Double You sparato a tutto volume dagli amplificatori del lido. Mentre Espedito e Maxine si arrostiscono sui lettini, io e Graziina ci scateniamo in mare come non mai sulle note di quella canzone. Le differenze d’età, in questo, si vedono eccome.

«Che ne dici se stasera andiamo a un locale stile tropicale?» mi chiede, mentre si appoggia sul galleggiante per riprendere fiato. «Sull’isola di Nosy Ira c’è un promontorio di circa mille metri d’altezza, dove sorge una piccola oasi verticale direttamente sull’oceano!»

Il tempo di annuire appena, scorgo una faccia conosciuta con la coda dell’occhio. Effettivamente, avevo dimenticato la vicinanza dei nostri alberghi. Contavo sul fatto che i suoi impegni lo trattenessero via dalla spiaggia, ma evidentemente ha deciso di staccare la spina proprio questa mattina.

«Dov’è?» mi sussurra Graziina, che ha capito tutto dal mio sguardo, vedendomi a disagio mentre fisso un punto particolare nell’acqua.

«Dove sta lo scoglio, non voglio guardare altrimenti mi metto a piangere.» Dico, per poi voltarmi completamente verso di lei.

Alla fine, ovviamente, non resisto. E subito vorrei non averlo fatto, questo per quattro motivi:

1)     In costume lui è meglio di quanto ricordassi e questa vista mi mette estremamente a disagio.

2)     Ha un’aria strafottente e terribilmente carismatica, oltre ad essere sempre bellissimo, il che mi fa sentire doppiamente a disagio perché mi ricorda ciò che ho perso.

3)     Non è solo. Cazzo, non è solo! È in compagnia di una ragazza – che ho sperato fino all’ultimo fosse Alluka – di un ragazzo e di un polpo, che solo Ikalgo può essere.

4)     In costume è davvero stupendo. Questo andava ribadito.

«Balla, non ti fermare.» Graziina, con uno spirito di iniziativa impressionante, mi prende e gestisce la situazione mentre improvvisiamo un ballo di coppia sulle note di Open Your Heart di Madonna.

«Portami via di qui, ti prego», mormoro, con le lacrime che mi bagnano il viso. Lei annuisce e, poco dopo, mi guida verso la riva. «Mi viene da vomitare.»

«Tranquillo, ti tengo i capelli. Solo non vomitare in acqua!»

Arriviamo ai nostri ombrelloni ed Espedito e Maxine si sono tolti già gli occhiali da sole, notando dal mio aspetto che qualcosa non stia andando. Quando racconto tutto ad Espedito, non so lui da dove tiri fuori un binocolo per accertarsi della situazione e localizzare Killua. Ricordo che, quando aveva i poteri, l’En di Espedito si espandeva fino a centoventotto metri, battendo tutti sulla capacità di identificare a distanza. Oggi, che non ha più il Nen, non so come abbia fatto a capire dove guardare.

«Sei geloso di una piovra?» mi chiede, con sguardo divertito, passando il binocolo a Maxine.

«Piuttosto io mi preoccuperei dei due ragazzi. Sono carini e non sembrano fidanzati tra loro… devo preoccuparmi di lui, lei o entrambi?» chiede la rossa.

«Grazie, così peggiori la situazione. Dà qua.» Graziina strappa il binocolo dalle mani dell’altra. Appena inizia a vedere, le cade subito lo strumento dalle mani e sussulta rumorosamente. «Scusate, asma.»

«Tu non hai l’asma.» ribatte l’attore, infastidito. «Chissà che coppia di ninfomani hai acchiappato, vediamo cosa sta facendo Kil-… sacré bleu!» E la sua espressione facciale diventa la copia sputata di quella che la principessa di Park Avenue ha in questo momento. «Tieni.» la passa a Maxine.

«Madre di Dio! Questo è illegale in alcuni paesi, spero lo sappiano.» l’avvocata dai capelli rossi getta il binocolo a terra, sconcertata.

Stanco di essere tagliato fuori, prendo rapidamente il binocolo mentre gli altri cercano disperatamente di fermarmi.

Ora ho capito perché.

Killua è sopra l’altro ragazzo, su un lettino. Orizzontalmente stanno limonando da almeno cinque minuti mentre Ikalgo e la ragazza sono lontani, in acqua. Dopo aver capito cosa stia effettivamente succedendo, inizio a guardare i dettagli della scena: l’elastico del costume abbassato, il suo corpo, un nuovo tatuaggio, il suo corpo, il nuovo orecchino e il suo corpo. L’altro ragazzo, dalla pelle abbronzatissima, lo prende per i fianchi e lo stuzzica pur stando sotto.  

«Basta così, per il seguito devi pagare il via cavo.» Espedito mi strappa quell’aggeggio dalle mani. «Ma tu lo ami?» E proprio così, gente, mi viene fatta la domanda che più ho temuto in tutti questi anni. E l’unico modo in cui so rispondere è scoppiare a piangere facendo suoni incomprensibili.

«Serve un cocktail.» decreta Maxine allarmata, che ordina un giro di Bombay Smash dal suo telefono.

«Ma sono le dieci del mattino!» si lamenta Graziina.

«In questa situazione direi che non ci sono alternative! E anche una sigaretta, al più presto.» risponde l’attore, che mi tiene abbracciato. Non ho mai visto Espedito abbracciare qualcuno. «Va tutto bene, è normale quello che ti sta succedendo. Oh, madre. Tesoro dammi una mano!» passa il testimone alla mora col bikini rosa, decisamente più adeguata al ruolo.

«Comunque, a questo punto, bisogna farci due chiacchiere.» Maxine è infuriata.

«E due schiaffi, magari.» si aggiunge l’altra.

«Sì, così ci ammazza tutti e quattro. Pensiamo piuttosto alla nostra fontana di Trevi!» ironizza il biondo, prendendo i quattro Bombay Smash e dandomene uno. «Bevilo, è succo d’ananas.»

«Vorrei che avesse baciato lei.» dico, appena smesso di piangere.

«Perché? Almeno ora sai che è attratto dagli uomini! Hai ancora qualche possibilità!» la cantante cerca di rincuorarmi.

«No, è peggio.» insisto. «Se avesse baciato lei avrei potuto comunque pensare che si fosse preso la prima sciacquetta che capita solo per fidanzarsi o sperimentare con le ragazze. Ma se è un maschio, guai! I rapporti tra maschi sono diversi, vuol dire che lui lo rispetta sul serio e non lo vede come un trofeo da sfoggiare!»

«Hai riassunto il genere maschile in una battuta.» Sbuffa Maxine, ridacchiando per il mio discorso.

«E chi ti dice che quel ragazzo non sia un trofeo? O che non utilizzi Killua come trofeo?» Polly Anna colpisce ancora.

«Hai ragione e hai ragione.» sentenzia Espedito. «Gon, che sia una cosa seria o meno, puoi ancora sbarazzarti dello sciacquino. Anzi, tutte le possibilità sono dalla tua parte!»

«E perché?» gli chiedo, ormai sfiduciato.

«Hubbell.»

«Oddio, è il nome dell’operazione! Come ho fatto a dimenticarlo!» ride Maxine, come se una lampadina le si fosse accesa.

«Dopodomani è il sedici giugno, ecco perché ha invitato gli amici.» realizzo, sentendomi ancora peggio di prima. «Festeggia il suo compleanno e ovviamente sono stato ignorato in principio.»

A quel punto, come annunciato poc’anzi, corro nel bagno in preda a una nausea improvvisa e il mio corpo cerca di buttare fuori il dolore come può. Sento prendermi i capelli, è Graziina che, come aveva promesso, li sta tenendo.

 

Forse la mia colpa è quella di non avere pelle, un filtro tra me e ciò che vi è fuori. Non c’è barriera di demarcazione tra Gon e ciò che è altro rispetto a Gon. È tutto sempre interconnesso, senza possibilità di ammortizzare i colpi. È ironico, perché vivere senza Nen è fisicamente la stessa cosa. La mia colpa è quella di aver gettato tutto via con leggerezza, includendo le persone che mi volevano bene, e di pretendere ora che anche loro tornino indietro.

E non c’è esorcismo che mi liberi da questo nuovo peccato originale.

 

 

 

 

Il giorno del compleanno di Killua non posso resistere alla tentazione di passare per fargli almeno gli auguri. In realtà, Leorio ha insistito fin dal primo momento che io ci andassi insieme a lui, nonostante solo uno dei due fosse stato invitato. Dice che è impossibile che io sia sgradito e che Killua sia semplicemente imbarazzato. Decido di indossare il vestito di Vogue, quel capolavoro che mi sta da Dio. Metto un paio di Louboutin e prendo la mia borsa. Sopra la camicetta verde smanicata del completo indosso la giacca piena di strass. Per chiudere, una cintura di Chanel con il logo in bella vista. Insomma, il verde c’è, riteniamolo una versione potenziata, firmata e costosa dei miei vecchi vestiti.

Quando esco dal bagno, Leorio mi aspetta seduto sul letto.

«Dio, sei abbagliante!» ridacchia. «Non pensi di aver esagerato?»

«E quando mai non lo faccio.» mormoro, mentre sono allo specchio per mettere il mascara e qualche goccia di correttore. «Sicuramente stasera si litiga, tanto vale che io stia in tiro per i paparazzi.»

«Hai un viso grazioso, perché usi quella roba?» Leorio ignora la mia acidità di stomaco e protesta cercando di mettermi fretta.

«Ho realizzato di non essere così carino come credevo.» dico, riuscendo a finire di sistemarmi. «Dai, andiamo.»

 

Mentre Leorio mi porta in auto al pub dove Killua ha prenotato un tavolo, telefono tempestivamente ad Espedito. Per non far indispettire il guidatore, metto il vivavoce.

«Sto andando lì.» gli dico, mentre Leorio saluta amichevolmente in sottofondo.

«Cosa ti sei messo?» chiede l’attore, senza troppi preamboli.

«Dior, quello di Vogue.» lo rassicuro. «E la borsa è quella verde, sempre di Dior.»

«Benissimo. Almeno, se vomiti un’altra volta e ti sporchi, poi non si vede.»

«Vaffanculo.»

«Gon sono Graziina! Mi raccomando non trattenerti lì se ti senti a disagio, chiamami!», percepisco una colluttazione dall’altro capo della linea e interviene Graziina, preoccupata, che mi scalda un po’ il cuore.

«Non ce ne sarà bisogno, ci sono io qui!» Subentra, spavaldo, Leorio.

«E allora difendilo un minimo, sarà in un ambiente ostile!» Dopo un’altra colluttazione, sento prevalere la voce di Maxine. «Non stare lì a guardare mentre lo offendono.»

«Ragazze, secondo me stiamo esagerando. C’è un po’ di casino, ma è sempre Killua. Non può essere un ambiente ostile per Gon. Gli ha salvato la vita, santo cielo.» Leorio, bonario come sempre, cerca di calmare gli animi. Purtroppo, non ci riesce.

«Proprio per questo è incattivito, Leorio. Sa che Gon è in debito e se ne approfitta. Butta un occhio, gli adolescenti sanno fare schifo.» Espedito, ahimè, non crede ai legami indissolubili e insieme a Maxine sa innalzare una fortezza inespugnabile di cinismo.

 

Mentre arriviamo fuori al locale, a pochi metri dall’ingresso so di non poter proseguire oltre prima di essermi tolto un peso importante.

«Devo dirti una cosa e posso dirla solo a te.» freno Leorio, il quale si volta subito verso di me. «Penso che Killua mi piaccia. Ne sono matematicamente certo.»

«Oh,» Leorio non sembra stare avendo chissà che reazione spropositata, forse perché lo sapeva già o perché non gli cambia nulla. «E quindi? Potete essere amici lo stesso.»

«Non è questo il punto.» trattengo le lacrime solo per il mascara. «Mi evita, mi detesta. Non so cosa fare. Mi sento così solo.»

«Ti prometto che gli parleremo, va bene? Sicuramente è una fase passeggera, non ha smesso di volerti bene.»

Io potrei aver smesso di crederci. Al fatto che mi vuole bene, dico. Ma lascio cadere lì la conversazione, è già abbastanza stressante di per sé. Quando entriamo nel locale, dei ragazzi a un tavolo chiamano Leorio, felici di vederlo. Quando compaio io dietro di lui, gli animi si spengono immediatamente.

Wow, mi detestano davvero, non ho parole.

Killua, in particolare, sta fissando il pavimento da quando mi ha visto entrare.

«Sono passato solo a fare un saluto, non credo di trattenermi.» li rassicuro, sorridendo come un ebete.

«Tu sei Gon Freecss?» il ragazzo che l’altra volta stava mangiando Killua sulla spiaggia si alza e si gira verso di me. Ha i capelli castano chiaro, pelle abbronzata, una camicia tropicale e gli occhi verde chiaro. Il suo corpo è tonico e si vedono muscoli su muscoli sotto la sua canotta bianca. Praticamente una bellezza naturale, a differenza mia che ho dovuto fare trattamenti su trattamenti per “sentirmi a mio agio”. «Wow! Sei il mio mito! Io sono Frank Bonodancy, sono un hunter e sono in missione con loro… mi piacerebbe conoscerti! Killua non mi parla mai di te.»

Già, immagino il perché.

Cerco di camuffare la mia assenza di trasporto verso di lui con della finta timidezza e modestia. Mi dispiace, Frank, sarai una persona fantastica ma io non posso davvero farcela. Sento già la pesantezza di questa situazione e, di nascosto, stringo la mano di Leorio.

«Quindi, alla fine, ho deciso di prendermi una pausa e andare a scuola. A New York, sì. E poi sono molto indaffarato tra il mio libro, lo studio, il New York Times. Sì, sì.» Dopo aver rotto il ghiaccio a tavola, parlo e interagisco con tutti meno che con quel ragazzo imbronciato dai capelli argentati. «Sono davvero felice.»

«Sei uno schianto con questi nuovi capelli! E che bel look!» si complimenta la ragazza seduta vicino ad Ikalgo. Si chiama Shuk e segue i ragazzi nella missione.

«Sono felice che tu abbia trovato finalmente la tua strada!» commenta la piovra. «Immagino sia stato un brutto colpo tutto quello che è successo.»

«Pensavo peggio» rispondo con sufficienza.

Per qualche ragione, mi abbasso gli occhiali da sole e faccio schioccare le labbra. Non lo so, è una cosa che Espedito fa sempre.

«Allora, Gon.» Frank vuole ancora fare conversazione, mentre io reprimo l’idea di prenderlo a pugni. «Dimmi come hai conosciuto questa creatura stupenda.» indica Killua, il quale si volta dall’altra parte, rosso come un peperone.

Inala, exhala.

«Abbiamo fatto l’esame per diventare hunter insieme… poi abbiamo viaggiato per un po’.» Guardo Killua e gli faccio il sorriso più forzato che mi viene. «Tanti auguri!»

«La situazione è più pesante di quanto avrei mai immaginato.» mi sussurra Leorio all’orecchio. «Io direi di fare un bel brindisi!» urla poi all’intero tavolo, facendo finalmente sorridere un po’ Killua.

Perché lui sorride. Agli altri, ma non a me.

«Io devo andare a incipriarmi il naso.» annuncia Shuk. «Gon, tu mi sembri affidabile. Mi accompagni? Non voglio andarci da sola.»

Annuisco e la seguo in bagno.

Se non altro è una scusa perfetta per prendermi una pausa da questo orrore.

«Quel tavolo è un inferno. Percepisco tanto astio.» attacca bottone lei. «Sembri stressato.»

«Beh, sono una persona di successo, essere stressati è il minimo.» recito un po’, mentre mi sistemo la matita sugli occhi.

«Sarà!» sorride, non credendo a una sola parola. «Comunque, questo è il mio biglietto da visita. Semmai avessi bisogno di aiuto…»

«A che proposito?» Ho risposto troppo in fretta. Prendo il biglietto e faccio un cenno di ringraziamento. «In ogni caso, grazie.»

«Guarda che tutti ti conosciamo, qui. E a me, personalmente, Frank non sta simpatico. Il tuo makeover è una fi-ga-ta.» Sembra sinceramente felice della mia presenza.

«Scusa, è un test?» non posso fare a meno di chiederle, mentre mi scappa una risatina.

«Nessun test, anche perché io sono l’ultima arrivata. Li conosco da un mese scarso, è Frank quello che sta con lui da due mesi.» mi spiega. “Sta con lui”, ecco.

«In che senso sta con lui?» non riesco a nascondere il suono della crepa nel cuore che avanza. «Non che io voglia farmi i fatti degli altri…»

«Inizialmente scopavano e basta, poi hanno iniziato a fare sul serio… Killua è un bravo ragazzo, ma Frank ha qualcosa che proprio non mi convince. Sarà un bellissimo ragazzo, a dire il vero sembra uscito da un giochino porno – anzi, lo sono entrambi – ma lui proprio non mi convince.»

Per un attimo mi passa davanti la scena di Killua e quel fusto in atteggiamenti che lasciano poco spazio al dubbio.

Sono ancora vivo, questo è quello che conta.

«Ooookay.» respiro. È decisamente tanto da processare. «Perché mi dici queste cose?»

«Tieni molto a Killua, vero? L’ho intuito da varie cose. Ti ho visto ieri, in acqua, quando sei scappato dopo averlo visto.» Ottimo intuito. E non ha ancora letto il mio libro!

«Ti prego, non dire niente a nessuno.» A questo punto fine della recita, il sipario si chiude. «Fa male, ecco. Mi sa che me ne vado.»

«Ti arrendi così? Gon Freecss non lo farebbe mai!» mi chiama, mentre sono quasi all’uscio della porta.

È arrivato il momento di sfatare questo mito.

«Io sono Gon Freecss. E sono umano, ho dei sentimenti e un limite di sopportazione. Ho vissuto dissociandomi per troppo tempo, ora non riesco più a farlo.» E punto! Anche se Shuk è adorabile, io non ne posso più di sentirmi dire “cosa farebbe Gon”. «La verità è che detesto farlo! Dissociarmi e sopportare il dolore, non ne ho più voglia», nel dirlo mi spunta persino un sorriso.

Perché le persone pretendono di conoscere Gon meglio di me che lo sono?

«Ma se hai bisogno posso darti una mano.» insiste, sorridendomi dolcemente.

«Perché lo fai?»

«Ho i miei motivi. Un caffè?»

«Perché no!» a questo punto le sorrido anche io. Espedito direbbe che è cosa buona avere una spia in territorio nemico. Sì, perché a quanto pare il nemico sarebbe Killua.

 

Quando ritorno al tavolo, i ragazzi stanno giocando e scherzando tra loro. Faccio per riprendermi la borsa e lascio a Killua il suo regalo, senza che ci parlassimo minimamente. Per lui sono invisibile, ma ci tengo a mandare comunque tutti i segnali positivi.

«Io non posso trattenermi oltre, tolgo il disturbo!» annuncio.

«Ma quale disturbo! Dai, siediti!» protesta Ikalgo.

«Devo inviare delle cose importanti alla mia editrice entro stasera. Vorrei tanto restare…» mi invento l’ennesima scusa.

«Capisco!» risponde Frank, con un sorriso che tradisce un’ombra maligna. «Tutti meritiamo di stare solo con le persone che ci fanno stare bene. In ogni caso, mi ha fatto piacere conoscerti.» dice, mentre prende Killua per il fianco e mi saluta. Ho male ai capelli.

«Cosa significa?» fa Leorio per rispondergli, io gli metto una mano sulla spalla e lo guardo, chiedendogli implicitamente di non dire nulla. Controvoglia, annuisce.

Mentre mi dirigo verso l’uscita con l’aria più trionfante che riesco a simulare, mi sento chiamare da dietro. Killua sembra rivolgermi la parola per la prima volta dall’inizio della serata, probabilmente ho dimenticato qualcosa.

Ho una scelta: potrei fuggire o rimanere lì e fargli la domanda che, se non gli facessi, mi tormenterebbe per il resto dei miei giorni.

«Beh, per te la festa è finita.» mi dice lui, con tono malinconico.

«Me ne sono accorto, sì.» sorrido continuando a nascondere le ferite. «Ho una domanda per te. Perché non mi hai scelto?»

«Gon, ma cosa…» Il suo volto diventa viola, è palesemente imbarazzato da quella domanda.

«No, sul serio. Ho proprio bisogno di sentirtelo dire.» Questa volta sorrido con sincerità, sono davvero sicuro di star facendo la cosa giusta.

«Te l’ho detto… era difficile. E poi c’è Frank che è così…» balbetta, non gli vengono le parole.

«Già.» il mio sorriso si intensifica. Non perché sia felice per lui, tutt’altro, ma perché ha appena dimostrato ciò che pensavo. Il premio di consolazione è sapere che ho ragione.

Passa qualche attimo di silenzio, lui accenna un sorriso malinconico e fissa il pavimento.

Io mi avvicino di un passo, gli metto una mano nei capelli e gli accarezzo la guancia, facendolo tornare a guardarmi negli occhi. «Il tuo ragazzo è adorabile, Hubbell.»

«Cosa? Non… non l’ho capita.» balbetta con una risatina.

«E non la capirai mai.»

 

Tutto il resto è storia.

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Capitolo 8
*** Recensioni ***


Capitolo 8

Un orribile pranzo aspetta il nostro protagonista.

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Immaginate quanto sarà divertente tornare con questo macigno nel cuore a casa, fare i bagagli per trasferirmi, sorbirmi chissà quante altre ore di Samantha che mi spreme su tutti i tasti più dolorosi della mia vita e incontrare nel mio futuro chissà quante altre Nina Katz. I giorni di vacanza sono scorsi lisci come l’olio, cioè non ho più rivisto Killua. E oggi, ultimo giorno che trascorro qui, spero che la cosa non cambi.

Ho iniziato seriamente a pensare di aver sbagliato tutto. Era ovvio che le cose si sarebbero complicate a oltranza, ma ho fatto l’errore di pensare che fosse solo colpa mia. In realtà, la colpa in questo caso è più grande e continua ancora ora: ho pensato che ogni cosa che riguardi Killua riguardasse me. Per l’ennesima volta, mi sono messo al centro ed è forse questo il motivo per cui, alla fine, ho iniziato a stare sul cazzo a tutti.

L’unica cosa che mi salva in questo nuovo contesto è Espedito, che in termini di egomania è insuperabile; perciò, mi sento meno una merda a sapere di non essere il peggiore di tutti. Ma devo ammettere che lo invidio. Lui è egocentrico ma non egoista, se deve fare qualcosa per le persone a cui vuole bene la fa. Ma vuole essere sempre al centro dell’attenzione e vivere per sé stesso. Nessuno, però, sta lì ad accusarlo e additarlo di ogni male del mondo e a trattarlo come un mostro. Questo perché, beh, lui se ne frega. Sa che in ogni caso sarà il cattivo secondo qualcuno e decide di vivere come meglio crede. Le persone non hanno piacere nel mettere in cattiva luce qualcuno che non ne soffrirebbe.

Le possibilità che le cose tra me e Killua ritornino esattamente come prima, insomma, sono sullo zero assoluto. Il rapporto è cambiato, lui ha capito di meritare di meglio e io sono arrivato troppo tardi. Vedere come lui sia determinato a perseguire un obiettivo mentre io, beh, non so esattamente cosa fare, mi crea un complesso di inferiorità. Ho perso il treno dopo anni in cui ero abituato a stare in prima fila e per la prima volta non posso scalare per raggiungere nuovamente il punto da cui sono caduto.

 

«Frank Bono…dancy?» balbetta Espedito. «No, ti prego! Non dovevi dirmi il cognome.» Non riesce a trattenere una risata che si sente per tutta l’isola.

«Voi pensate che gli hunter siano migliori di me?» chiedo, davanti a un bel caffè.

«Definisci ‘migliore’. Se parli di valori morali, non ha senso fare a gara. Avere un approccio competitivo e mercificante alla moralità è una contraddizione enorme.» Maxine è sempre una garanzia di saggezza mattutina.

Sembra che stia per iniziare il solito salotto mattutino, ma Leorio che piomba all’ingresso della caffetteria interrompe tutto, chiedendomi di seguirlo fuori.

«C’è una persona che ti vuole vedere.» mi dice. Non so Killua cos’altro voglia da me, ma l’idea di vederlo – purtroppo – mi fa sempre effetto.

Quando raggiungiamo l’edicola, Leorio mi dice di aspettare. Così, inizio a guardare le riviste e ce ne è una con Espedito in copertina. Rimango a contemplarla, vedendo il suo viso plasticamente perfetto e il vestiario sempre impeccabile, un po’ provo invidia.

«Tu sei più carino!» un ragazzo arriva da dietro e mi mette la mano sulla spalla. Quando mi giro vedo Kurapika. Non posso credere che sia lui, prima di qualunque altra battuta gli salto addosso, felice come una pasqua, fregandomene della compostezza.

«Ma come…?» gli chiedo.

«Dovevo uscire qualche giorno e sono piombato qui. Siamo al completo!» esulta, pensando di rivederci tutti e tre dopo così tanto tempo. E l’idea, normalmente, mi riempirebbe il cuore di gioia. Ma, nelle condizioni attuali, tutto ciò che mi viene da dire è “Che Dio ci assista”.

«Ah, dimenticavo, tra Gon e Killua le cose sono un po’ strane. Non farci caso.» gli spiega Leorio.

«Oddio,» realizzo. «c’è anche Espedito. L’ultima volta vi eravate lasciati in maniera strana, sbaglio?» Che disastro, un dramma dopo l’altro.

«Avete invitato chi?!» al biondo sembra venire una sincope. «Per una volta che volevo un giorno di pausa!» sbuffa.

«E non è tutto!» ridacchia l’occhialuto.

«C’è di peggio?» si lamenta l’altro.

«Ci sono anche le altre due.»

A quanto pare, due anni fa Kurapika ed Espedito hanno avuto un piccolo fraintendimento al termine della missione con la WCS, nessuno mi ha mai detto di cosa si tratta. E, ovviamente, non hanno mai avuto un chiarimento.

«Espedito non dirà nulla.» Lo rassicuro. «Sì, è un po’ aggressivo, ma penso che abbia altro per la testa.»

«Evidentemente sei riuscito ad addolcire persino lui.» commenta Leorio. «Ho visto l’altra sera come si preoccupava per te.»

«Mi spiace Kurapika, sei capitato nel momento sbagliato. Ma puoi stare tranquillo, per te faranno tutti uno sforzo.» lo rassicuro, dandogli un altro abbraccio. Nonostante ciò, non sembra minimamente contento.

Dopo esserci dati appuntamento per pranzo, tutti inclusi, corro immediatamente ad avvertire le ragazze, onde evitare brutte sorprese.

«Non immaginerete chi altri è arrivato qui.» esordisco, tutto sommato felice della cosa. «Kurapika.»

«Oddio, ma…» Graziina sta per dire qualcosa, ma viene interrotta da Espedito.

«Non ho alcun problema.» dice, mantenendo il sorriso. «Sono capace di stare nello stesso posto con una persona con cui ho dei trascorsi. Quando si cresce, generalmente è una competenza che va acquisita.»

Ormai sono abituato al suo veleno.

 

Mentre esco dalla stanza chiedendo alle ragazze come sto, vengo tranquillizzato dai loro complimenti. Mi hanno detto che col nuovo taglio di capelli e il look completamente nero somiglio a Phoebe Waller-Bridge – anche se non so chi sia. Ci incontriamo ad un ristorante di Nosy Ira per una grande tavolata di dieci persone. Proprio mentre mi avvicino al tavolo, cercando di capire dove sedermi, c’è Frank che è già seduto che mi prende per il braccio.

«Sei qui anche oggi! Grande!» mi sorride. Io non mi fido.

«Eh… sì.» non so dire altro.

«Mi chiedevo cosa farai oggi per attirare tutte le attenzioni su di te.» E, come previsto, ecco la spruzzata di veleno intervallata a finti complimenti per confondermi.

«Come, scusa?» cerco di sembrare intimidatorio.

«Nel senso, le persone ti vengono tutte dietro ovunque tu vada. È un talento, no?»

Se, vabbè. Ciaone.

Aiutatemi a dirlo: Che Dio ci assista. Io mi siedo ad un posto centrale, alla mia sinistra c’è Graziina, poi Espedito a capotavola e Maxine vicino a lui. Alla mia destra c’è Leorio, vicino a lui c’è Kurapika. Di fronte a me c’è Shuk, alla sua destra c’è Ikalgo, poi Frank e infine Killua a capotavola. Questa è la disposizione che abbiamo silentemente scelto per evitare collisioni dirette.

«Vedo delle facce nuove!» esordisce Espedito, l’unico abbastanza coraggioso e con la giusta spigliatezza da prendere le redini di una situazione del genere. «E anche dei tentacoli.»

«Tu devi essere il simpaticissimo Espedito.» gli risponde Ikalgo, che riesce ad arrossire per la timidezza nonostante sia già rosso di suo.

«Sono lusingato di essere accolto in un posto così tanto accogliente! Si vede che c’è un ambiente familiare dove le persone si vogliono bene» continua, facendomi ridacchiare per il sarcasmo palese.

«Per l’amor di Dio!» una risata isterica di Maxine fa genuinamente sciogliere un po’ la tensione.

«Sono sicura che a breve saremo tutti a nostro agio!» Ed ecco il primo tentativo di Graziina, che sa in cuor suo che resterà delusa.

«Va bene, per il momento prendo io le redini. Come faccio sempre, uff!» Espedito inizia a interagire un po’ con tutti. «Shuk, giusto?»

«S-sì.» risponde la ragazza dai capelli viola.

«Sei fottutamente favolosa.» le dice, indicando la borsa in pelle, anche se nella realtà si riferisce alla conversazione che abbiamo avuto ieri nel bagno. «Comunque…»

«Dai, ordiniamo, no?» mormora un certo castano seduto vicino a Killua e decisamente troppo appiccicato a lui. «Possiamo iniziare a conoscerci con qualcosa da mangiare davanti.»

«Frank, giusto?» Espedito fa quel sorriso tagliente che, per chi lo conosce, è segnale di pericolo. «Possiamo iniziare dal fare silenzio quando parlo io. Grazie.» A quel punto, il biondo diabolico prende il menù e mormora: «Ho voglia di un’insalata di polipi.».

«Sei pessimo.» gli faccio io, non riuscendo a trattenere una risatina. Noto che anche Kurapika cerca di nascondere un sorriso. «Puoi stare tranquillo, ha puntato altre persone.» sussurro a quest’ultimo, che tira un sospiro di sollievo. Alla vista di quel mostro vestito Chanel, Ikalgo si stringe per la paura. Killua se ne sbatte il cazzo.

«Io vorrei fare un giro di champagne per questa splendida giornata!» provaci ancora, Graziina.

«Io vorrei farlo per questo gioiello che ho avuto la fortuna di trovare.» si aggiunge Frank, abbracciando Killua, visibilmente in imbarazzo ma felice. Sembra felice e io sto morendo.

«Mi allontano un attimo per una sigaretta.» intervengo io, dando il segnale ad Espedito di allontanarsi con me.

«Oh, finalmente qualcuno che lo dice! Mi vergognavo a fumare da solo. Ci vediamo dopo!» mi segue e ci allontaniamo finché non siamo abbastanza lontani. Pranzare all’esterno ha i suoi vantaggi, puoi allontanarti in qualsiasi momento e fumare.

 

«Anche tu accendi? È così grave?» dice, mentre mi vede iniziare a fumare una delle sue Marlboro.

«Quel tizio, Frank, non fa altro che dirmi cattiverie.» gli sussurro. «Mi riempie di finti complimenti e poi ne sgancia una.»

«Alla Nina Katz?» Mi chiede, ormai quel nome è entrato nel nostro vocabolario come antonomasia.

«Alla Nina Katz.» confermo. A quel punto dallo sguardo dell’attore noto che ha capito tutto.

«Torniamo a tavola, ci penso io.»

 

Appena mi siedo, Graziina attira l’attenzione battendo un coltello sul bicchiere di vetro. Con il suo solito modo di fare delicato, alza il suo calice. «Io dedico il mio brindisi a Gon, una persona stupenda con la quale non mi stanco mai di stare insieme. E non vedo l’ora che a settembre si trasferisca da me, a New York!»

«Che cosa?!» Kurapika per poco non si strozza. Dimentico sempre di raccontare questo dettaglio.

«E sono sicura che anche i miei colleghi, Espedito e Maxine, ai quali voglio un bene dell’anima, siano d’accordo su questo punto.» Continua la mora, tra gli sguardi inteneriti di tutti e il mio viso che è diventato rosso fuoco. «Gon è luce.» conclude, con una scelta di parole che – lo giuro – non è stata concordata, le è venuta spontanea. Killua si volta immediatamente verso di lei, sembra abbastanza indispettito.

«Io ed Espedito ci uniamo a ciò che ha detto Graziina. Da quando abbiamo accolto Gon nel nostro giro, sappiamo di non poterne più fare a meno.» aggiunge Maxine, facendomi diventare ancora più rosso.

«A questo punto, urge una tua risposta, visto che si sta parlando solo di te. Come al solito, direi.» interviene Frank, a Killua non sembra importare.

«Forse perché tu non sei spontaneo e gentile con gli altri come lo sono io.» decido di ripagarlo con la sua stessa moneta, stesso sorriso stronzo e tono finto gentile. «Ma anche la tua modestia è una qualità da non sottovalutare. Continua così, medaglia d’argento!».

È assurdo, pare che lo spirito di Espedito mi abbia impossessato completamente. Killua mi fissa, sconcertato, ma ancora non riesce a dire nulla. Subito dopo, si getta nuovamente tra le braccia di Frank.

«Mica male!» mi sussurra Espedito. Anche Shuk mi alza il pollice in segno di approvazione. «Com’è il cibo, ragazze?» chiede poi a noi tre.

«La salsa è disgustosa.» commenta Graziina, non sapendo cosa fare con il suo piatto.

«Sa di bruciato ed è cruda, io non so come sia possibile.» anche Maxine è disperata con la sua pasta. Si vede che il ristorante non l’abbiamo scelto noi.

«Va tutto bene?» chiede la cameriera, materializzatasi all’improvviso dietro Graziina.

«Delizioso, davvero. Sapore delicatissimo…» risponde lei.

«La pasta è così… eterea.» Maxine fa il possibile per non ridere.

«Come la venuta di Cristo.» aggiunge Espedito.

La situazione è talmente surreale, unita al contesto in cui siamo, che io scoppio a ridere davanti a tutti.

«Comunque, a questo punto dovrei dirvi di Frank, il mio ragazzo.» Killua finalmente inizia a parlare, rivolgendosi a Leorio e Kurapika principalmente. «Lui mi ha guidato tanto in questi mesi.»

«Possiamo dire che l’ho domato!» scherza il fidanzato, ridendo a crepapelle.

«Cambia la compagnia ma non la dialettica» si aggiunge Espedito fissando Killua, mentre l’intera tavolata si porta una mano al viso. Fortunatamente, come alleato ho un asso della gestione di conversazioni emotivamente drenanti.

«Non ho capito» risponde Frank.

«Voi due sarete felici per sempre.» sfilettata finale da parte dell’attore. Bisogna dirlo, è imbattibile.

Io non sto capendo, sto soffrendo come un cane; eppure, sono quarantacinque minuti che mi sforzo di trattenermi dal ridere. È tutto così fuori dalla realtà.

«Ti vedo in forma, Gon. Dove eri finito?» mi chiede Ikalgo, cercando improvvisamente di fare conversazione.

«Da Walgreens. Stupendo in questo periodo dell’anno, te lo consiglio.» Questa non so come mi sia venuta in mente.

«E questa come ti è uscita? È stupenda!» mi sussurra Maxine.

«Non lo so, il mio cervello sta lavorando alla velocità della luce per sopravvivere. Hai presente il fatto che il mio QI aumenta in battaglia? Ecco, sta succedendo ora.»

«Come va la missione, Killua?» chiede Kurapika.

«Bene, ma è un po’ stressante. Sto facendo una marea di esercizi, ora mi sto concentrando sugli avvitamenti. Mi stremano!» spiega Killua, che torna ad essere quello di sempre ogni volta che io non sono coinvolto. Frank continua ad abbracciarlo, il che mi fa una rabbia indescrivibile.

«E allora prendi un bel respiro.» gli dice Maxine, con tono amichevole. Tutti si guardano straniti, non capendo cosa la rossa voglia dire. «Tra un’avvitata e l’altra.»

«MAXINE!» Graziina vorrebbe rimproverarla per la battuta inopportuna, ma sta ridendo come una stronza. Tutta la nostra parte di tavolo, me incluso, non riesce a smettere di ridere.

«Killua, sono simpatici questi tuoi amici.» gli fa Frank, sempre con quel sorrisetto del cazzo.

«Non sono miei amici.» gli risponde, seccato. Probabilmente si riferirà ad Espedito, Graziina e Maxine. Ma a chi voglio prendere in giro, è chiaro che sono più che incluso. Anzi, non si limita a vedermi come non-amico, mi odia proprio.

«Questo pranzo è un inferno. Ma cosa ci è successo?» mormora Kurapika a Leorio, il quale non sa che rispondergli.

«Ormoni.» si intromette sempre Espedito, che ha deciso di diventare un libro delle risposte ciniche.

«Qualcuno di voi suona uno strumento?» chiede Ikalgo, giusto per varare su un argomento neutro.

«Io ho suonato la chitarra per un periodo.» gli risponde Leorio.

«E tu, Frank?» continua a chiedere la piovra.

«Killua.» ammicca, causandomi un mezzo conato di vomito.

«Io ne ho avuto abbastanza.» sbotta Maxine, facendosi guardare da tutti. «Della pasta, intendo. Fa schifo e mi aspettavo molto di più da lei. Sono delusa. Mi dispiace, ma va detto.»

«Anche l’insalata di polipi non era poi così buona.» si lamenta Espedito. Io mi domando con quale coraggio abbia preso un piatto simile con un pesce a tavola.

«La salsa è proprio di cattivo gusto.» ribadisce Graziina, chiaramente riferendosi a qualcuno seduto a tavola.

«Il pane è secco. Arido. Insipido. Freddo.» mi lamento io con le prime parole che mi vengono in mente. «Datemi da bere.» non resisto all’impulso di versare il vino bianco nel bicchiere grande dell’acqua e berlo tutto d’un sorso. «Avevo sete.»

«Ma che cosa sta succedendo con quei quattro?» chiede Ikalgo.

«E che ne so, polpo.» gli risponde Killua, ormai al limite della sopportazione.

«Io non sono un polpo!» il polpo si lamenta.

«Non è un polpo?» mi chiede Maxine.

«He’s got a case of the Madonna’s.» le risponde Espedito, facendo ridere di nuovo questa metà del tavolo.

«Non mi sono mai divertito così tanto come a questo pranzo.» commento, in parte sono sincero. È tutto così comico.

«Contento tu.» borbotta Killua, in uno di quei rarissimi momenti in cui mi parla. «Io non mi sono mai sentito così disgustato, invece.»

Quel commento, unito al suo sguardo di sdegno nei miei confronti, mi ferisce nel profondo. Con la coda dell’occhio vedo Frank che si sta palesemente gongolando e che si avvicina per dargli un bacio sulla guancia. Tutto questo è davvero troppo.

«Può succedere di sbagliare il tempo di lievitazione.» Cerco di evitare di sprofondare fingendo di continuare a parlare del cibo. Non so fare altro, ora come ora. «La nonna era molto specifica sulla preparazione del cibo. Ci spiegava per filo e per segno anche come trattare la carne…»

«E ti ha detto anche come mollare l’osso?» interviene Frank, con un sorriso malefico che dice tutto. La cosa che fa più male è Killua che ride di gusto a quella battuta.

«Mi ha insegnato tutto ciò che dovevo sapere.» Questa è la risposta più sagace che potesse venirmi in mente. Lo so, non è molto. Ho già sparato le ultime cartucce.

«Non mi pare che tu sappia quando è il momento di scollarsi da chi non ti vuole più.» L’attacco aperto da parte di Frank, ad alta voce e davanti a tutti, era una cosa che non mi aspettavo. Ma non ha fatto più male di tutto il resto. Kurapika e Leorio sono pietrificati, Ikalgo non dice nulla e le ragazze si stanno chiedendo se lasciar fare a me o dargli addosso.

«E a me non pare che…» Sto per rispondere quando perdo la voce e non riesco ad emettere suoni che non siano singhiozzi.

Questa l’ho persa io. Frank sembra compiaciuto e Killua se lo abbraccia insofferente al mio stato d’animo. Questo è il quadro della situazione.

«Nella vita si perdono tanti treni, li ho persi anche io.» Espedito rompe il silenzio generale causato da quel battibecco con Frank e parla ad alta voce diretto verso di me. Tutti lo stanno ascoltando. «Ma ricordati una cosa, noi aspettiamo l’aereo.»

A quella frase, Graziina esulta e insieme a Maxine applaude, anche Shuk si unisce subito dopo versando un giro di vino. Nuovamente, tutti guardano male questa parte del tavolo e sono d’accordo su quanto la mia presenza sia diventata divisiva.

Nel frattempo, continuo a bere anche l’altra bottiglia di vino bianco. Ho bevuto forse quattro o cinque bicchieri. Uno dietro l’altro. Inizio ad avere sonno, a vederci un po’ sfocato e la prima cosa che faccio è appoggiarmi sulle gambe di Leorio.

«Gon, non mi sembra il caso.» mi fa lui, imbarazzato.

«E allora vaffanculo.» mugugno, facendo indispettire tutti, per poi gettarmi su Graziina.

«Va bene, ho capito. Tesoro, vieni con me.» lei mi tira via per portarmi in bagno, mentre Espedito mi dà una sigaretta. Dice che aiuta a mantenere la lucidità.

 

Mentre Graziina mi aiuta a vomitare per la seconda volta in due giorni, a un certo punto ci zittiamo per i rumori provenienti da fuori. Espedito, venuto a fumare fuori la porta del bagno, è stato inseguito da Kurapika e i due stanno avendo una discussione accesa. Avvicinandoci entrambi alla porta, riusciamo a sentire gran parte della conversazione.

«Mi spieghi perché fate così?» chiede adirato Kurapika.

«Perché io posso farlo!» risponde l’attore, con il suo solito tono da diva. «Non vorrai entrare nel bagno!»

«Ho due parole anche per Gon.»

«Ah, e per quell’altro no? Facile prendersela sempre con Gon. Farlo passare per un mostro per danni che altri gli hanno fatto…»

«Tu te ne stai approfittando. Lo stai mandando su una brutta strada.»

«È qui che ti sbagli. Lui sta crescendo, qualcuno deve dargli una mano.»

«Certamente non tu, non ragioni da amico né da compagno. Dovresti aiutarlo ad essere ciò che è sempre stato, non a diventare un tuo clone.»

«Vuoi quindi che si ritrovi ancora a buttare la sua vita perché non sa come difendersi da situazioni emotivamente stressanti? Ha bisogno di una pelle, una corazza, un filtro tra lui e l’esterno. Non ha mai avuto nulla di tutto ciò e sappiamo com’è finita.»

C’è un attimo di silenzio, probabilmente Kurapika non sa come rispondere. «Va così male?»

«Non va male, va un inferno. Nessuno si è preso cura della sua salute mentale e il fatto che qualcuno se ne dovesse preoccupare era il minimo rispetto a ciò che ha fatto lui per gli altri. Invece è stato lodato finché faceva comodo, poi incolpato anche del crollo dell’Impero Romano una volta fuori dai giochi. Ha bisogno di amici migliori di così.»

«Noi andavamo benissimo. Non metterti in mezzo. Non sai niente.»

«Non lo ammetterà mai, ma lo avete abbandonato e quando era a pezzi non c’era nessuno. Se non fossimo arrivati noi a raccogliere i pezzi...»

«Che cosa, Espedito? Che cosa?» la voce di Kurapika è diventata più sussurrata e minacciosa.

«Non sai nemmeno che cosa ha passato in questo anno e mezzo. Se vuoi migliorare i tuoi rapporti con lui, fallo. È un tuo problema, io non c’entro. Non prendertela con me solo perché ho fatto la cosa giusta.» Espedito ha abbandonato il suo tono accusatorio ed è diventato più docile. «Fai la cosa giusta anche tu. Parla con Killua, cerca di capire cosa diamine sta succedendo. Nessuno di noi tre può farlo. E parla anche con Gon, fallo sentire benvoluto. Fai qualcosa per lui finché sei qui. Ti prometto che al resto pensiamo noi.» chiude. Il rumore dei passi soffocati mi fa capire che se ne è andato prima che Kurapika potesse rispondere.

 

Dopo due minuti di puro silenzio, ci accertiamo del fatto che fuori non ci sia più nessuno. Si può tornare a tavola. Ma dobbiamo farlo per forza? Sentire parlare di me alle spalle fa sempre strano, ma certamente non mi aspettavo la preoccupazione da un lato e una difesa a spada tratta dall’altro. Quando siamo insieme, Espedito mi critica sempre. Alle spalle, invece, si comporta così. Un po’ mi fa sentire sereno.

Dopo aver raccolto le somme, metà del tavolo tra chi paga in contanti e chi con carta va dentro a pagare. Rimaniamo io, Frank, Maxine, Ikalgo e Shuk. A quel punto, non so fare altro che essere schietto.

«Devo ringraziarti. È grazie a te se Killua si è potuto aprire con me e ora siamo così felici.» mi fa Frank, alzando un calice. «Sei un grande, Gon Freecss.»

Sono un idiota. Io ho reso Killua una persona fiduciosa e aperta e Frank se l’è preso. Mi sembra di vivere un film.

«Ascolta, Frank.» lo chiamo. Lui si gira verso di me e sorride come se nulla fosse. «Io non so cosa ti abbia detto Killua o chi per lui. Ma tu non mi conosci e, quando fai insinuazioni su di me, mi ferisci profondamente. Separarsi da qualcuno a cui devi tutto non è mai facile, non c’è un buono o cattivo in queste cose. Io non pretendo certo di essere eletto amico dell’anno, ma sono stato onesto e dal cuore ho nutrito e nutro ancora un affetto profondo per lui. Non gli ho mai, giuro, mai, fatto intenzionalmente del male.» mi sfogo, mantenendo però un tono autorevole e la testa alta. «Io ho diritto a una mia serenità, anche se ciò non include Killua. Non c’è nulla di male se lui ha scelto di chiudere con me, indipendentemente da come posso sentirmici io. Ma non sono un mostro e pretendo come minimo di essere trattato con rispetto.»

«D’accordo.» Frank sembra cambiare atteggiamento, mentre Killua arriva da dentro il locale chiedendosi cosa stia succedendo. Appena incrocio il suo sguardo, prendo la mia borsa e mi congedo educatamente.

Ed è qui. Proprio qui mi rendo conto di dove sia il nodo. Il giudice più crudele della mia moralità sono diventato io stesso. Sono io quello che ha un complesso, non Frank – che probabilmente voleva solamente divertirsi con scherzi di cattivo gusto.

Non lo so se sono scappato troppo presto, se mi sono arreso con troppa facilità. Dopo aver detto ad Espedito che sarei rientrato in albergo da solo, mi volto a guardare il tavolo. Ed eccoli lì, che si coccolano come due innamorati quali sono. E quando Frank inizia a dargli bacetti un po’ su tutto il viso e sul collo, Killua fa un sorriso. È davvero felice.

A rifletterci, realizzo un’altra cosa orribile. Non avrò più occasione di parlare con Killua da soli. C’è Frank che gli sta sempre appiccicato come una cozza e poi ci sarà anche Alluka – sulla quale ovviamente non ho nulla da ridire. Forse dovrei semplicemente lasciarlo andare. Ha fatto le sue scelte ed è stato chiaro sul tipo di vita che vuole e sul fatto che io non possa farne parte.

Lui mi è così superiore solo per la sua esperienza e per i suoi interessi? Mi è superiore perché ha imparato a stringere legami forti con i compagni e vivere esperienze intense con loro? Il fatto che io non potrò mai più essere parte di tutto questo mi costringe ad appartenere a una casta inferiore per tutta la vita?

Quella notte a Peijing, ricordo di aver gettato tutto. Ho giurato che non mi importasse della mia vita, di poter mandare all’aria tutto senza pensarci.

Forse dovrei solamente godermi la mia vita, quella di adesso. Ringraziare delle persone che ho incontrato dopo e smetterla di implorare quelle che ho perso prima di tornare. Dovrei solamente ringraziare Killua per gli anni in cui c’è stato e smetterla di voler far tornare quello che avevamo, perché so bene anche io che non si può più ricreare.

E così, davanti al sorriso felice di Killua accanto a quel ragazzo, mi decido una buona volta. Il più grande talento di un giocatore d’azzardo è sapere quando uscire dalla partita per non aumentare esponenzialmente la sua perdita. Io ho scommesso su quel ragazzo dai capelli argentati, ho scommesso con il cuore e una consolazione ce l’ho: sono riuscito a non perdere tutto facendo fold giusto in tempo. Ho già fatto all-in in passato, non farò lo stesso errore di nuovo.

(Ieri sera non riuscivo a dormire e non trovavo il telecomando del televisore, l’unico canale che potevo guardare era quello del poker. Ecco perché tutta quella metafora.)

 

Durante l’attesa del nostro autobus, Shuk, Ikalgo, Kurapika e Leorio vengono a salutarci.

«Avrei voluto passare più tempo con te, uffa!» la ragazza dai capelli viola mi saluta, un po’ piagnucolando. «E anche con Espedito, promettetemi che ci rivedremo per un caffè!»

«Dimmi solo dove!» risponde l’attore, genuinamente contento di quella nuova conoscenza.

«York Shin City, ho un appartamento lì.» spiega lei.

«Grazie di tutto.» le dico.

«Ah-ah, troppo presto tesoro. Non è ancora finita la nostra missione segreta.» mi esorta. Vorrei dirle che sì, purtroppo, è finita eccome. Ma rovinare quel sorriso così sincero a pochi minuti dalla mia partenza non è una cosa che mi riesce. L’operazione Hubbell si conclude.

«Beh, ci separiamo di nuovo, Gon.» Kurapika, tranquillo e sorridente come sempre, si avvicina a me in compagnia di Leorio.

«Ti prometto che farò meglio la prossima volta. Sarò una persona migliore. Ti prego, scusami.» esplodo davanti a tutti, con le lacrime che accorrono tempestive.

«Ma no.» ridacchia, abbracciandomi forte. «Non dirlo, scusami tu. Ho capito male le tue intenzioni.»

«Andare a New York non ti esime dal farti vivo ogni tanto.» borbotta, con tono bonario, Leorio.

Da che pulpito. Ma va bene così.

«Ehi.» interviene Espedito, alzando le mani. «Non sono qui per insultare.» Ridiamo un po’ tutti. «È stato bello rivederti.» sembra rivolgersi a Kurapika.

«Anche per me.» risponde, sinceramente, l’altro biondo. «Sei diverso dall’ultima volta.»

«Grazie, anche tu.»

Non capisco cosa stia succedendo tra i due biondi.

«E a me niente?» Leorio sembra indispettito nei confronti di Kurapika, più che altro. Mi viene da ridere, ma da un lato spero che non si crei mai alcun triangolo. Per fortuna, Espedito è sempre ben lontano da quei due. 

«Eddai.» ridacchia l’altro, arrossendo teneramente.

«Oddio, calma! Non sono portato per le cose a tre, è tutto tuo. Trovatevi una stanza.» si congeda l’attore.

«Ecco, mi sembrava troppo bello per essere vero.» Kurapika si gira verso di me, divertito.

«Ragazze, il pullman è arrivato.» ci avvisa Maxine.

«Ti prego di scusarmi per la scelta del ristorante. Pensavo fosse buono.» Leorio si inchina alla rossa, creando una scena abbastanza grottesca.

«Ma era tutto buonissimo.» dice lei, lasciando tutti straniti. «Ah, vero, la pasta…» si ricorda di tenere il gioco.

«Quella salsa…» anche Graziina si unisce.

«E il pane. Già.» mi ricordo anche io. «Avremo gli incubi, sul serio.» scoppio a ridere.

«Siete pessimi.» Kurapika sembra aver capito, infatti sta ridendo. «Fate buon viaggio!»

E, mentre ci incamminiamo, ripenso alla frase “sa di bruciato ed è cruda” e scoppio a ridere da solo.

 

Sul pullman, occupiamo quattro posti con tavolino. Che fortuna! Abbiamo quattro ore di viaggio verso York Shin City dal punto in cui scende dal traghetto. Poi, una breve separazione. Dovrò andare all’Isola Balena per preparare le mie cose, ormai il trasferimento è vicino.

Mi chiedo se troverò mai qualcuno o qualcosa capace di colmare questo vuoto che mi è rimasto. Mi chiedo se potrò di nuovo sperimentare il camminare insieme a una persona, con quella chimica e quella sorta di legame naturale che conosco bene.

 

«Hai fatto la cosa giusta.» Graziina interrompe i miei pensieri. «Tu meriti qualcuno che viva per te, che si preoccupi, ti includa nella sua vita e che ti stenda il tappeto rosso!»

«Come alla tua prima di Funny Girl?» ridacchia l’attore.

«Ancora meglio.» dice la principessa di Park Avenue, con uno sguardo e un tono che vorrebbe essere categorico.

«Indipendentemente da come è andata, hai vinto tu.» si aggiunge Maxine. Ha ragione, mi porto a casa tante nuove realizzazioni e scoperte. Ho imparato tanto, nonostante abbia fatto malissimo.

«Mi scusi,» Espedito chiede a una signora di fronte di tenergli il telefono. «Ci farebbe una foto?»

La signora accetta di buon grado e tutti ci mettiamo in posa. Struccati, stanchi e con i capelli da sistemare. Ma siamo insieme, solo per questo la foto è bellissima.

 

È ufficiale, è cominciata una nuova stagione.

Forse sono i nostri errori a determinare il nostro destino. Senza quelli che senso avrebbe la nostra vita? Probabilmente, se non cambiassimo mai strada non potremmo innamorarci, trovare un lavoro, essere ciò che siamo. Del resto, le stagioni cambiano e così pure le città; la gente entra nella tua vita e poi ne esce, ma è confortante sapere che coloro che ami rimangono per sempre, impressi nel tuo cuore.

 

E per sicurezza, meglio tenere un assassino che li asporta a mani nude lontano da esso.

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Capitolo 9
*** Un giorno meraviglioso ***


Capitolo 9

Gon torna a casa e fa uno spiacevole incontro.

un giorno meraviglioso

I computer si rompono, la gente muore, le amicizie finiscono. La cosa migliore da fare è prendere fiato e riavviare.

Sono sceso sull’isola Balena alle ventitré e sono arrivato a casa alle sei del mattino. Zia Mito è già fuori casa a preparare l’apertura del locale. La saluto da lontano, come faccio ogni volta che rientro.

«Ehi! Come è andata? Non ti sei fatto sentire durante questa vacanza. Suppongo che tu ti sia divertito!» vuole rimproverarmi, ma tutto sommato è felice di rivedermi.

«Si, è stato divertente.» le rispondo sinceramente.

«E…» non le lascio nemmeno pronunciare quel nome.

«No. Quello no. Ma non è tutto nella vita!»

Rientro a casa, ritrovando i miei libri e quaderni e tutte le mie cose vecchie. Sarà dura dover riporre tutti i miei affetti in degli scatoloni. Inizio col prepararne uno, senza perdere troppo tempo, dove metto tutti i miei manga. Il mio sguardo si posa su una action figure di Yusuke, conservata benissimo e ancora nella confezione, proprio accanto all’intera serie di Yu Yu Hakusho. Era un regalo di Voi-Sapete-Chi. Poi c’è la canna da pesca che non ho la minima idea di come trasportare e la collana del Paladino. Mi ero dimenticato di averla ancora, mi porta troppi bei ricordi che superano le mancanze, devo tenerla a New York. Svuoto la pochette delle fotografie per rimettere quelle che avevo portato con me nell’album delle foto. Quello, invece, fa molto male. Lo metto nello scatolone insieme ai libri di scienze sociali senza riguardarlo oltre.

«Sei sicuro della tua scelta?» zia Mito entra senza bussare, come suo solito.

«Direi di sì. Ho bisogno di fare qualcos’altro»

«Questa è la seconda volta che te ne vai di casa.» come da copione, inizia a piangere. La abbraccio per tranquillizzarla, ricordandole che sono cresciuto da allora e che non ho più intenzione di inseguire nessuno.

«Ho lasciato qui il vecchio computer.» E indico quella vecchia scatola di metallo ormai preistorica, quella che abbiamo installato, insieme alla connessione a internet, io e Voi-Sapete-Chi. «Possiamo fare delle videochiamate e potrò scriverti delle e-mail. A New York ho un nuovo laptop, funziona meglio.»

«Io non lo so usare», si lamenta. «Una lettera a mano no, eh?»

«Non è difficile! Non c’è la password, lo accendi e premi sull’icona a forma di busta da lettere.» un po’ mi diverte doverle spiegare una cosa così semplice, un po’ la capisco. «Vieni, ti faccio vedere.»

Dopo aver passato più di un’ora per mostrare a zia Mito le varie funzioni di comunicazione dell’era moderna, decido di continuare a prepararmi per l’inizio della scuola. Senza che me ne accorga, è già sera sull’isola Balena.

Mi viene una brusca voglia di sigaretta. Questo è un problema! Fortunatamente ne ho ancora una di quelle che mi ha lasciato Espedito, prima o poi finisce che me le compro da solo. Mentre zia Mito si stende sul divano, intenta a guardare un vecchio programma alla TV, esco fuori assicurandomi di non farmi beccare.

Mentre sono seduto a un tavolino di ferro, che tanto non utilizziamo, messo vicino alla porta sul retro, fumo una sigaretta e guardo qualche video sul cellulare. A un certo punto, sento suonare le campanelle a vento che si trovano nel portico principale. Spengo la mia sigaretta e corro a controllare.

«Ging!» gli vado incontro appena lo vedo sbucare sul portico, sono curioso di sapere cosa ci faccia qui. «È successo qualcosa? Lo sai che zia Mito non è ben disposta…»

«Non ti preoccupare, cercavo te», ha un tono abbastanza serio, il che mi preoccupa. «Sei stato alle isole Congdong?»

«Sì, me ne hai parlato e ho pensato di andarci in vacanza con le ragazze… molto belle, interessanti.» gli rispondo, già palpitando per la pericolosità della domanda. «Come lo sai?»

«Era in corso una mia missione su quell’isola. Cioè, mi hanno sostituito alcuni dei miei ragazzi. Avevo impegni.» In poche parole, i suoi allievi – tra cui rientra Killua, questo è ormai ufficiale – fanno il lavoro al posto suo. Mica scemo.

«Uh! Sì, ne avevo sentito parlare», gli dico, facendo finta di nulla.

«Qualcuno si è lamentato di te», mi dice con tono arrabbiato. Immagino proprio chi possa essere stato. «Ti risulta qualcosa?»

«C’è stato solo un pranzo di dieci persone, tra cui gente che non vedrò mai più. Chi se ne frega?» a questo punto, anche io perdo la calma.

«Mi hai messo in imbarazzo», si lamenta.

Io non so a che titolo si permetta di parlarmi così.

«Vorrà dire che cambierò cognome. Così siamo entrambi felici, no?» la sgancio. A Ging sembra venire un infarto, il che mi fa gongolare.

«Ma che cosa vuoi da me?»

«Io ti ho sempre messo in imbarazzo da quando esisto. Quando ti sei rifiutato di vedermi dopo Greed Island solo perché c’era Killua, con cui sei ora compagno di merende a quanto pare. Eh, ma dovevo trovarti… e poi… Kite. Ma vaffanculo.» non riesco nemmeno a mettere insieme una frase sensata per la rabbia. «Tu non hai alcun diritto su di me.»

«Calmiamoci un attimo. Io non voglio attaccarti, è per il tuo…»

«Non è per il mio bene, lo stai facendo solo per te. Hai sempre fatto questo. Per quindici anni mi hai fatto sentire un incidente e te ne sei fregato di tutte quelle volte che ho quasi rischiato la vita.»

«Ma non sei morto. Sei qui a parlarmi. Dovresti esserne grato.» borbotta, ripetendo le stesse parole di un anno fa. Mi chiedo come possa essere così sfacciato.

«Ed è ora che io mi riappropri della mia vita. Perché non è mai stata mia e la colpa è tua. Questa è la mia versione e non la cambio.» Vado dritto al punto, non mi importa più di stargli sotto. «Puoi stare sereno, Gon non ti metterà più in imbarazzo. Perché Gon avrà una vita da sogno a New York!»

«Vuoi cambiare continente?» scoppia a ridermi davanti. «E per fare cosa?»

«Vado a Manhattan, dove ho persone che mi vogliono bene, la possibilità di studiare e rifarmi una vita senza che siano necessari poteri soprannaturali», gli spiego, con tutta l’intenzione di chiudere qui questa tarantella imbarazzante.

«E quindi il tuo finale è con la suora dal velo rosa?» mi ride in faccia. A quel punto, faccio per tornarmene dentro. «E dai! Stavo scherzando.»

«Tu hai rotto tutto!» a questo punto inizio a urlare con tutta la mia voce, fregandomene di essere udito dalla zia Mito o dai vicini. «Tutto quello che potevo essere, tutto quello che avevo. Hai rotto tutto! E adesso, appena senti che potrei essere di nuovo felice, torni qui per assicurarti che anche questa mia ultima possibilità si frantumi.»

«Abbassa immediatamente la voce.» Urla anche lui, diventando improvvisamente un padre autoritario. Non ho mai visto Ging così adirato.

«No!» le lacrime mi bagnano tutto il viso. «Non ti sei fatto mai vivo quando ti cercavo, mentre adesso la tua nuova missione di vita è pedinarmi ovunque e cagare sopra ogni mio traguardo?»

«Ma di che cosa stai parlando?»

«Non ti è importato quando ero in ospedale e sono quasi morto. Posso farmi andare bene di essere in debito con Killua ma resto certo di non dovere nulla a te! Facciamo così, io d’ora in poi sono morto. Tuo figlio è morto in ospedale e Alluka non è mai arrivata, va bene? Ho sbagliato io, non dovevo incontrarti. Ho sbagliato tutto, ma fortunatamente io posso ancora rimediare.» Non mi importa se potrei pentirmi di ciò che gli sto dicendo, perché deve assolutamente sentirselo dire. «Non puoi pretendere di controllare la mia vita ancora una volta.»

«Ti stai di nuovo facendo prendere dalla rabbia. Tu hai capito male, io…»

«Tu niente! Io ho capito fin troppo bene, invece. Non sono più un idiota, non mi farò prendere per il culo come ho fatto per quattordici anni. Perché non sei sparito e basta? Perché devi tornare se tanto per te non sono nulla? Tu lo fai solo per gonfiare il tuo ego e sfogare la tua frustrazione su di me», a quel punto, prendo la mia borsa e sono pronto a lasciare la scena. «Non chiamarmi più, non scrivermi e-mail, dimenticati il mio nome e dimenticati anche solo di aver avuto un figlio.» Non posso credere di dirlo davvero. «E puoi tornare su quest’isola tutte le volte che vorrai, perché tanto io non abito più qui!»

Rientro in casa, lasciando Ging lì. Resto alla finestra aspettando che se ne vada, ma è lì fermo ormai da cinque minuti a fissarmi attraverso il vetro. Scorgo delle lacrime sul suo viso poco prima che si volti per andarsene, ma non mi importa.

Nessun figlio ha mai avuto così tanta pazienza con un padre inesistente.

Ha avuto quattordici anni per sistemare le cose e tornare da me. Non solo, io l’ho pure rincorso per due anni e quando ci siamo visti non ho provato rancore nemmeno per un secondo. Nonostante ciò, ha avuto ulteriori possibilità e ha continuato a bruciarle tutte. Adesso basta, su questo devo sul serio mettere una croce.

«Era Ging?» zia Mito mi becca alle spalle. «Non ti ho mai sentito urlare così.»

«Mi dispiace», dico, sentendomi in colpa per averla spaventata. «Ma io non ce la faccio più.»

«Non ti posso biasimare», sorride, accarezzandomi la testa. «Quando ti ha lasciato qui e abbiamo litigato, gli ho detto anche di peggio. Sei stato fin troppo educato.»

«Io non lo odio.» le dico. «È che mi fa male essere preso in giro per la mia disponibilità.»

A quel punto, dopo un po’ di coccole come ai vecchi tempi, me ne vado a dormire. Nonostante quel momento così forte, non ci metto nulla ad addormentarmi. 

Non mi sono mai sentito così libero.

 

Il giorno dopo affido a zia Mito la busta con il tema da diecimila parole sulla mia esperienza da hunter, che va consegnato al governo per farmi accreditare l’avanzamento accademico. Farlo non è stato difficile, visto che è solo un intermedio del mio libro. Nonostante io abbia passato la selezione alla Onassis High, entro la fine dell’anno devo essere uno studente regolare. Dovevano essere quattro semestri recuperati a casa, chi l’avrebbe immaginato che alla fine avrei fatto addirittura di più.

«Sono fiera di te. Vedrai che andrà tutto bene.» Alla fine, la zia ha deciso di supportarmi in tutto. Ha sopportato che io intraprendessi una vita col costante rischio di morte, una scuola dall’altra parte del mondo è una passeggiata in confronto. «Ma dove andrai a stare?»

«Graziina.» le dico, mentre finisco di pulire la cappa della cucina.

«Capisco.» sento l’ambivalenza del suo tono di voce. È felice, ma c’è sempre un però. «Quindi hai rinunciato con…»

«Sì.» Sorrido. Lei non smette mai di arrendersi in questo. «Ho fatto quello che potevo. Non è andata, ma un giorno, chissà…»

«Dovrei smetterla con questa storia.» ride. Allora ragiona anche lei, ogni tanto. «In fondo, Graziina è davvero il meglio per te.»

«Lo so.» Sono felice che almeno lei le piaccia.

«Certo, sono gelosa! Mi sostituirai con lei, ne sono certa. Ma ci credo, anche io partirei in capo al mondo con una ragazza carina, educata e piena di soldi.» inizia a delirare improvvisamente, mentre io sono con la testa dentro il filtro della cappa, rischiando di sbatterla.

«Ma che discorsi ti metti a fare?» non riesco nemmeno a prenderla sul serio. «Lei è un’amica, al massimo una sorella. Ma non è una madre.»

«Ma che sorella, voglio essere invitata al matrimonio.» A quel punto, la testa la sbatto sul serio.

«Okay, adesso sei imbarazzante.»                                              

E ridiamo come due pagliacci.

In televisione passa un film americano. Da quando i continenti hanno iniziato a comunicare, quella robaccia arriva anche qui. Si tratta di un film ambientato in una scuola piena di persone che si fanno dispetti e si insultano tra loro. A un certo punto, un inconfondibile ragazzo biondo spunta fuori durante una scena. Quanti anni avrà avuto? Quindici? Aveva un viso completamente diverso! Allora è vero che ha un problema con la chirurgia plastica.

«Forse questo è il momento di chiarire chi sono io. Io sono una persona che è in cerca dell’amore. Del vero amore. Ridicolo, sconveniente, che ti consuma. Del genere: non posso vivere senza di te, amore.» lo sento recitare in televisione.

«Gon, quello non è il tuo amico?» indica la zia Mito. «Era così carino prima che iniziasse a vivere sotto i ferri.»

«Già, è lui», mi rendo conto di non aver mai visto un suo film prima d’ora. «Dice che questa battuta gli ha fatto vincere l’Oscar.»

«Non so cosa sia l’Oscar, ma è una bella scena.»

In quel momento sento squillare il cellulare. Questi sono gli ultimi giorni in cui utilizzerò il Beatle-07, quel telefono a forma di scarafaggio che ormai è obsoleto e non funziona fuori da questo continente. Ho già ordinato quello nuovo su internet, me l’ha consigliato Espedito ed è quello che in generale si usa dalle loro parti, si chiama iPhone. Parli del diavolo e ti chiama al telefono.

«Allora? Hai fatto gli scatoloni?»

«Sì! Io e zia Mito ti stiamo vedendo in TV!» gli dico. «”Non posso vivere senza di te, amore”» lo scimmiotto.

«Avevo quindici anni e ho vinto l’Oscar per quella frase.» Ormai prevedo le sue risposte. «Quando arrivi?»

«Vengono a prendere gli scatoloni domattina. Io partirò domani pomeriggio.» gli dico, emozionato per questa nuova partenza. «Sperando che nessun altro venga a farmi visita per intossicarmi la partenza.»

«Chi è stato questa volta?»

«Ging.»

«Certo che tra lui e Killua è tutta una gara a chi è più stronzo. Non ti preoccupare, te li lascerai alle spalle per sempre, questa volta è definitivo.»

Me li lascerò alle spalle per sempre. È quello che voglio? Non importa, è la cosa migliore da un punto di vista oggettivo ed è tutto ciò che conta.

«E stasera alle nove hai una videochiamata con Samantha.»

Dio, me ne ero dimenticato. Altre ore di psicoanalisi a scopo di marketing. Ormai ci ho preso gusto.

 

Dopo altre ore di studio della chimica, il mio anello debole, decido di essere abbastanza soddisfatto degli esercizi. Quando mi collego alla videochiamata con Samantha, prendo subito gli appunti che ho scritto durante quell’inferno di vacanza.

«Hai incontrato il tuo veleno. Pensieri a margine?»

Questa donna è così inopportuna che ad ogni cazzotto verbale reagisco con una risata isterica.

«Che è finita. E che lui ha trovato la felicità senza di me.»

«Direi che è perfetto. Concentrati su quanto sei stato inadeguato durante tutto l’arco delle tue avventure con lui. Sei un mostro mascherato da bravo ragazzo che pensa solo a sé stesso e lui si è stancato di sistemare i tuoi macelli. Alla fine, l’hai fatta troppo grossa.»

«Ma sei sicura che sia il caso di parlare di me in questo modo?» ridacchio, mentre appunto quelle frasi.

«Ma sì, è una versione romanzata dopotutto. I lettori empatizzano di più con un protagonista problematico. Lo vedono come un escluso e automaticamente iniziano a supportarlo. E poi, ammettendo queste cose precedi la critica e neutralizzi le vipere.»

«Mi fido di te.»

Arriva, così, il turno di leggergli una parte del mio ultimo capitolo. Si intitola “Non mi importa se questa è la fine”, ottimo titolo per chiudere un libro. Se passa anche questo, a settembre sarò un autore pubblicato. Decido di leggere l’ultimo paragrafo, quello più doloroso per me.

«[…] “Non importa se questa è la fine”. Sette parole, un giuramento che mi avrebbe cambiato irreversibilmente. Un’esplosione di forza seguita dall’assenza di tutto. Adesso lo so dove mi trovo. Adesso lo so dove sono arrivato: davanti a una porta che non mi va più di aprire, nel panico e nel dolore degradante. Solo per riconoscere, identificare e solo ai posteri rifiutare quella sensazione che ho sempre provato ma che ho sempre ignorato. Il senso di abbandono. La goffaggine, lo stento e la fatica dell’abbandono. Per la prima volta, ho apertamente paura.»

Dall’altra parte del collegamento, nell’ufficio Harper & Collins di SoHo, si leva un applauso da parte dell’intero team editoriale di Samantha. Chi esulta, chi urla al bestseller, chi prepara già i comunicati stampa. Una lacrima mi scende sul viso. Ho vinto, ma non sto bene. Ma, ormai, a questo senso di realizzazione associato al vuoto sono più che abituato.

«Complimenti», mi fa Samantha. «Hai venduto l’anima. Benvenuto a Manhattan.»

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Capitolo 10
*** Bisogna essere in tre ***


Capitolo 10

Gon inizia la sua nuova vita a New York.

Bisogna essere in tre

È sempre lo stesso sogno: Ging, Killua, il Nen. In ultima analisi, sono sempre questi tre.

 

Ma poi mi sveglio e tutto è ancora più bello. Sono in un comodissimo letto, tra lenzuola di cotone egiziano e sul comodino suona una sveglia dal rumore talmente atroce che non posso non alzarmi per spegnerla.

 

Mentre indosso l’uniforme della Onassis High, sento la porta dell’ingresso aprirsi. È Danielle, la mia Cicerone in questo nuovo mondo. In occasione del primo giorno di scuola, per me primissimo in assoluto, Graziina decide di accompagnarci in auto. Da domani, però, ci toccherà l’autobus.

 

«Ho fatto mettere a posto i tuoi vestiti, vuoi vedere?» mi dice lei. La seguo con la mia tazza di caffè macchiato al caramello ancora in mano, premurandomi di non farlo finire sulla moquette. E, in quella che doveva essere una stanza degli ospiti e trasformata all’ultimo minuto nella mia stanza, Graziina apre la cabina armadio. È piena di specchi, ci sono almeno tre scarpiere e un appendiabiti rotante dove ci sono le mie giacche. È abbastanza spazioso per avere un altro attaccapanni classico, dove sono agganciate più uniformi. E poi, in una gruccia posta al centro della cabina, quasi come un’esposizione, ci sono quei vestiti che tutti conoscono e che non riesco più a mettere da tempo.

 

 «Oddio, non dovevi!» ringrazio, commosso.

 

«Non l’ho mica fatto io! Ringrazia Magda, piuttosto. Fallo quando torni a casa, siamo in ritardo.»

 

Quando Danielle viene a vedere la nuova attrazione della stanza, ho l’impressione che le sia scesa una lacrima di commozione. Appena guardo nella sua direzione, si pulisce il viso. «Il mio armadio è più grande.» dice. Mi viene da ridere a quella reazione così buffa.

 

 

 

Questa è la mia nuova vita. Scuola, New York e l’enorme appartamento di Graziina. In verità non ho ancora definito bene cosa ci leghi. A volte ho come l’impressione di vederla come la versione dei quartieri alti di Zia Mito, altre volte invece è come una qualsiasi amica della mia età. Mi piace il fatto che il nostro rapporto non rientri in degli schemi.

 

La Onassis High si trova un po’ fuori dal centro ma ancora nel territorio di New York City. Graziina dice che è meglio, che le scuole in centro sono pericolose perché facilmente bersaglio di terroristi. Mi fido, dopo quella missione con la WCS sicuramente se ne intenderà di terrorismo.

 

Ed eccoci qui, pronti ad entrare in un posto completamente nuovo.

 

I requisiti dell’Isola Balena, quando studiavo con zia Mito, non erano nemmeno la metà di ciò che ho dovuto recuperare per entrare in questa scuola. Ad esempio, il corso di scienze sociali, uno dei miei preferiti quando studiavo a casa, è una cosa completamente nuova.

 

«Vedrai, ti piacerà. Ho frequentato anche io questa scuola», dice la mora, poco dopo aver fermato il veicolo.

 

«Cerca di starmi vicino, almeno per oggi», mi raccomanda Danielle. «Questa scuola non è male, ma ci sono una marea di vipere. E con te potrebbero andarci pesante.»

 

«Gon.» mi chiama Graziina prima di farci scendere. «Ricordati di non fare a botte con nessuno. Avrai anche perso il Nen, ma se metti le mani addosso a qualcuno potresti comunque ucciderlo.»

 

 

 

Una cosa che mi è stata già detta sulla Onassis High è che le notizie e i pettegolezzi si diffondono a macchia d’olio. Infatti, al mio ingresso, tutti mi fissano intensamente. Non ci sono richieste di foto o autografi, solo sguardi contrastanti. Chi guarda con ammirazione, chi con sdegno, chi finge che io sia invisibile.

 

«Allora, facciamo una panoramica veloce.» mi dice Danielle nel corridoio. «Guarda lì.» Indica un gruppo di tre ragazze. «Quella è Zoe Sinclair, la conosci, ci hai scopato. Vicino a lei ci sono le sue compagne di merende, Donna LaDonna e Amalita Amalfi.»

 

Zoe da lontano mi fa uno sguardo ammiccante, mentre le amiche ridono e confabulano tra loro.

 

«Quello lì, invece, è Sebastian Carter e i suoi amici della squadra di football. C’è Thomas York, hai scopato anche lui.» E siamo già a due. Un po’ mi imbarazza. «Sebastian è del terzo anno, è stato sbattuto fuori da tre collegi prima di venire qui. Se non riesce a diplomarsi alla Onassis lo spediscono in Italia.»

 

Dopo questa descrizione, non posso che guardare lui e vedere un comune ragazzo dai capelli neri sistemati a ciuffo, dei piccoli dilatatori alle orecchie, occhiali da sole e un modo spocchioso di atteggiarsi. Come tutti noi, indossa l’austera uniforme dell’Onassis High, mi domando come si vesta normalmente.

 

A un certo punto, un’altra ragazza si avvicina a noi. Sono certo che anche lei fosse al mio compleanno.

 

«Ciao Tameka!» la accoglie Danielle. «Ti ricordi di Gon, vero?»

 

«E chi se lo dimentica! Grande festa. Resterà nella storia!» si complimenta. «Ci vediamo nell’aula di scienze, a dopo!»

 

Dopo un po’ di tempo passato a squadrare le persone che mi ha nominato prima più gli altri presenti, tento di farmi un’idea della situazione. «Chi devo evitare?» chiedo.

 

«In generale nessuno. Evitare è da sfigati.» sentenzia. «Ma ti consiglio di non dare troppa confidenza a Donna, dà sui nervi. Suo padre è un politico e la madre ha la più grande impresa di pompe funebri del paese. Solo con i soldi della madre è riuscita a prendersi una Birkin, con la paghetta settimanale. È una gran pettegola, sa tutto di tutti e ogni volta che c’è una tragedia diventa uno sciacallo. Quando il padre di Thomas è morto di cancro, ha scritto alla famiglia promettendo uno sconto sulla sepoltura e si è offerta di aprire una fondazione in suo onore per prendersi i contatti di Wall Street.» Una descrizione che mi fa onestamente accapponare la pelle.

 

Parlando del diavolo, vedo le tre ragazze arrivare verso di me. Sperando di non iniziare con un dramma (tanto per cambiare), vado loro incontro.

 

«Gon.» mi fa una delle tre ragazze, con un tono solenne da funerale. «Sono così felice che tu sia vivo. Non ci conosciamo, ma ti ho letto sul giornale e ti ho visto al programma di Nina. Immagino quanto sia stato brutto stare in quel letto di ospedale. Tutti ti davano per morto, e invece eccoti! In perfetta salute!» immagino che questa ragazza dai capelli neri, rossetto marcato e occhi esageratamente truccati, sia la famosa Donna. «Io ci sono per te, se hai bisogno di una spalla su cui piangere, consigli di moda o di una degna sepoltura per un compagno...»

 

MA CHE COSA?!

 

«Se vuoi fare qualcosa di utile, non parliamo più del passato. Gon vuole ricominciare una nuova vita, suppongo.» la rimprovera Zoe, facendomi l’occhiolino. Dio, finalmente qualcuno che ragiona.

 

«Al diavolo le sofferenze e andiamo tutti a fare shopping! Portate pure Thom York.» ridacchia Amalita, con un fortissimo accento del sud Italia. «Non avete idea di cosa ho visto da Hermes giusto ieri sera… scicchissimo

 

«Che ne dici se ci vediamo in mensa verso le dodici?» mi domanda Zoe. «Visto che ci conosciamo già, noi abbiamo un bel gruppetto e potremmo darti una mano. Anche Danielle ha iniziato così!»

 

«Già, sei proprio fortunato, Gon.» sorride lei, strizzando gli occhi.

 

Annuisco e, al suono della campanella, andiamo in classe. Io e Danielle abbiamo in comune i corsi obbligatori (matematica, inglese, storia, educazione fisica e scienze sociali) tranne educazione fisica, perché in quelle ore lei frequenta il club di teatro. Come corsi facoltativi, invece, ho scelto francese, fotografia digitale e arte.

 

«Cosa abbiamo ora?» chiedo a Danielle, mentre entro con lei in aula.

 

«Scienze sociali», risponde, mentre ci sediamo l’uno accanto all’altra nei banchi in fondo, fila destra accanto alle finestre. «La professoressa Dano è un po’ strana, ma tra tutti è la più buona.»

 

E, proprio mentre la nomina, qualcuno fa il suo ingresso nella stanza.

 

«Salve ragazzi, non disturbatevi ad alzarvi», la professoressa Dano si presenta, sorridente. Ha al collo un filo al quale sono appese due paia di occhiali, i capelli rossicci in un’acconciatura a cipolla, un maglione di lana nero con sotto una camicia bianca di cui si vede il colletto, una gonna bianca che arriva fino al ginocchio, calze nere e scarpe bianche. Armeggia con le due paia di occhiali che porta al collo, visibilmente in difficoltà. «Scusatemi, mi confondo sempre. L’oculista mi ha dato gli occhiali per vedere da lontano e quelli per vedere da vicino.»

 

«Quando è in difficoltà, se le dai una mano e una parola di conforto la fai ben disporre. Non farlo adesso, ovviamente», mi sussurra Danielle.

 

«Quest’anno ci introdurremo lo studio della sociologia. Qualcuno sa cosa significa?» domanda. Tra le varie mani alzate, riconosce la mia. «Oh! Ma tu non c’eri l’anno scorso. Come ti chiami, giovanotto?»

 

«Gon. Gon Freecss.» le rispondo, imbarazzato come non mai.

 

«Per fortuna stai bene. Che Dio ti benedica. Io sono la professoressa Francine Dano», e di nuovo quello sguardo verso di me, come se fossi morto e risorto. Qualcuno nelle file centrali ride in sottofondo, faccio finta di nulla.

 

«La sociologia è la disciplina che studia i fatti sociali considerati nelle loro caratteristiche costanti e nei loro processi», rispondo alla domanda.

 

«Molto bene!» Sono riuscito nel mio intento di fare una buona impressione. «E qualcuno sa dirmi chi sono i classici della sociologia?»

 

Anche a quella domanda sono preparato, alzo la mano ma Zoe Sinclair, seduta in fila centrale, alza anche lei la mano battendomi sul tempo. «Marx, Weber, Durkheim, Simmel.» per qualche motivo, il suo tono di voce sembra alquanto piccato.

 

«Zoe si arrabbia molto quando qualcuno le ruba la scena. Lei, ovviamente, è la prima della classe. Guai a toccarle il titolo.» mi sussurra Danielle.

 

Passano così due ore in cui non ci sono incidenti. Grazie alla supervisione di Danielle e alle utili lezioni di Espedito, riesco a farla franca finché la professoressa non lascia l’aula. Ora, la prova più difficile di tutte, raggiungere la mensa e superare il pranzo con Zoe Sinclair e le sue amiche.

 

«Per quanto io la detesti, ti conviene fartela amica. Lei è essenziale per sopravvivere qui.» mi raccomanda Danielle per la milionesima volta.

 

 

 

Così vado, compro un pranzo leggero perché ho poca fame e perlustro l’enorme sala piena di tavoli alla ricerca del famigerato trio. Ho superato quel pranzo estenuante con Killua e la sua nuova fiamma, posso superare tre ragazzine ricche e velenose.

 

«Gon, di qua!» mi chiama Zoe, indicandomi di venire. Ormai un tormentone: Che Dio ci assista. Lei è seduta al centro, con Donna alla sua destra e Amalita alla sua sinistra. «Approfittiamone per conoscerci meglio. Come sei arrivato qui?»

 

«Mi sono trasferito qui dall’isola Balena. Finora ho studiato a casa.» rispondo, timidamente.

 

«Che cosa?» Zoe sorride, avvicinando la sua faccia a me.

 

«Mi aiutava la zia Mito.» spiego.

 

«Lo so che significa studiare a casa, non sono ritardata. Vuoi dire che non sei mai stato in una scuola vera?»

 

Annuisco, vergognandomi un po’ di dirlo ad alta voce. «Prima ero un pro-hunter, quindi…»

 

«Ma dai!» esclama, guardando le altre. «Questo è super interessante! Hai passato gli ultimi anni in giro per il mondo. Tu sei super interessante.»

 

«Grazie!»

 

«Però, sei proprio carino», continua a parlare ininterrottamente, con degli occhi vispi che mi fanno gelare il sangue.

 

«Grazie», non so dire altro.

 

«Quindi sei d’accordo.»

 

«Come?»

 

«Pensi anche tu di essere veramente carino?» E questa che razza di domanda sarebbe?

 

«Non lo so, io…» mugugno, tentando una risposta.

 

«Adoro la tua collana», cambia repentinamente discorso. È la collana del Paladino, l’avevo portata perché nonostante tutto stringerla mi ridà fiducia in me stesso. In quel momento, sorrido ripensando a Greed Island.

 

«È un tesoro che ho trovato», questa volta voglio vantarmi un po’.  «Ho perso un braccio quella volta. Mi è stato rimesso con una magia.»

 

«Sono esterrefatta. Sei una pietra preziosa e devi assolutamente stare tra i nostri gioielli.» Interviene Amalita, dallo sguardo estasiato per ciò che ho raccontato.

 

 

 

Mi sono inventato una scusa per lasciare la mensa. Non avrei mai pensato fosse possibile, ma odio il fatto che la ricreazione duri così tanto. Decido di andare in cortile, c’è Danielle che fuma e mi offre una sigaretta. Tutto pur di sfuggire a Zoe e le sue amiche.

 

«Ti scoperai di nuovo Thomas?» questa è la prima cosa che Danielle dice appena mi vede.

 

«Non lo so.» Mi è piaciuto, però questo non lo dico.

 

«Già, anche secondo me non è il tuo tipo», borbotta.

 

La ignoro un attimo quando vedo uscire dalla scuola Sebastian Carter, ma senza i suoi occhiali da sole a schermare i suoi occhi azzurri. Mentre passa, tutti si allontanano dalla sua traiettoria. Lui ignora tutto ciò che gli sta intorno, pensa solo a mantenere il suo ciuffo in ordine. Mi diverto un po’ meno a squadrarlo quando capisco che è diretto proprio verso di me. Ma cosa vorrà?

 

«Hai da accendere, Freecss?» chiede con fare brusco.

 

«Mi chiamo Gon, piacere», rispondo sarcastico. Non dico il saluto, ma che almeno non mi parli come se fossi un suo compagno narcotrafficante.

 

«Gon Freecss, hai da accendere?» dopo la mia richiesta, sembra aver cambiato tono.

 

Gli passo l’accendino, che è in realtà di Danielle. Uno scatto anomalo di gentilezza lo spinge ad accendere anche la mia sigaretta mentre la tengo in bocca e ci guardiamo negli occhi. Subito dopo si volta per andarsene.

 

«Che classe, non mi ringrazi nemmeno?» non mi trattengo.

 

«Ringraziare per ogni stronzata è da sfigati», dice, voltandomi le spalle di nuovo e volatilizzandosi. Qualcosa mi scatta nella testa: quella frase mi suona familiare.

 

«Il tuo tipo è Sebastian.» decreta Danielle.

 

«Che cosa?» sbotto, rosso come un peperone.

 

«Ha senso, dopo Killua ho capito che ti piacciono i tipi poco raccomandabili.» continua lei, pronunciando con leggerezza quel nome che mi fa tanto male. E comunque non c’è storia, Sebastian non è minimamente paragonabile a lui. «Ci vieni al compleanno di Mackenzie Phillips?»

 

«E chi è?»

 

«Ha invitato tutti quelli del secondo. È tipo un ex non so cosa di Thomas, sempre quello della cosa a tre», mi spiega, ma ancora non capisco perché dovrei andarci. «E ho bisogno di consigli sul regalo, giusto per non andarci a mani vuote.»

 

«Restiamo nel tema, una cosa a tre», dico, e scoppiamo entrambi a ridere. «Partecipa Tameka?»

 

«No, lei non viene. Ma viene Thomas. Dividiamo con lui.» dice distrattamente.

 

Non so per quale motivo, non la sento una cosa da me, ma ho la fantasia inconscia di farmi Thomas di nuovo. E forse anche una passata a Sebastian. Ma cosa sto dicendo? Ero ubriaco quella volta, adesso che scusa ho?

 

Mentre la professoressa Williams di matematica introduce l’argomento delle funzioni, non riesco a non pensare al numero tre. Se in tre si può stare in un letto, è possibile starci anche in una relazione? Si può mantenere una porta aperta in un contesto di intimità tra due persone?

 

Cavoli! Qui servirebbero le ragazze!

 

«Freecss, mi dice lei come si imposta il campo di esistenza?» mi becca a bruciapelo la professoressa, adirata perché sa che ero distratto.

 

«Uhm… allora… si dovrebbe individuare il dominio della funzione considerando le altre funzioni che la compongono, scrivere per ognuno di essi la condizione di esistenza e mettere tutto a sistema.»

 

Fortunatamente, questo era un argomento che avevo già affrontato a casa. E, altrettanto fortunatamente, la domanda era prettamente teorica. Se mi avesse chiamato alla lavagna per svolgere un esercizio, sarebbe finita malissimo.

 

«Ottimo. Qualcuno si offre per la funzione che ho scritto alla lavagna?»

 

No grazie, sono sazio.

 

Mentre mi sposto per raggiungere Danielle all’aula di scienze, vengo fermato nei corridoi da Zoe, Donna e Amalita.

 

«Ciao Gon. Vedo che ti stai ambientando», sembrerebbe volersi complimentare. Sembrerebbe.

 

«Suvvia, è solo il primo giorno», minimizzo, cercando di chiuderla il prima possibile.

 

«Ecco, appunto. A molte persone potrebbe dare fastidio che i nuovi arrivati si mettano così in vista… non so se mi spiego.»

 

Non ho visto tanti film americani. Però, a naso, in genere le reginette della scuola non prendono di mira altre ragazze? Da quando in qua il bullismo femminile si è esteso ai maschi?

 

«Se ne conosci, dì loro che sono disposto a farci due chiacchiere. Non è un modo di dire, dico letteralmente. Parlare, solo parlare.»

 

«Ma, infatti, chi se ne frega!» interviene Amalita. «Goditi la tua permanenza qui! Sei una boccata di aria freshca

 

«Hai ragione! Cogli l’attimo, si vive una volta sola. Domani potresti svegliarti freddo.» aggiunge, macabra, Donna. Questa qui mi fa venire i brividi ogni volta che apre la bocca.

 

 

 

Tornati finalmente a casa, ci ritroviamo a cena con Espedito e Graziina. Come una famiglia, tavola apparecchiata e cibo cucinato dai due adulti insieme.

 

«Ma guardaci,» dice l’attore biondo, «siamo diventati genitori!».

 

La cantante fa una faccia divertita, pensando all’ilarità della scena. «Non tentarmi, penso che non ci sia nulla di meglio di avere un marito gay.» risponde lei.

 

«Quando sei una donna etero, sì.» la punzecchia l’altro. «Allora, ragazzi, come è andato il vostro primo giorno di scuola?»

 

«Ho gettato Gon tra le grinfie delle Faine Rosa.» sogghigna Danielle. Faine Rosa? Come nome non è nemmeno così male, il problema sono loro. «E credo sia finito in un triangolo. O un quadrato.»

 

«Che intendi?» interviene Espedito. «Al primo giorno di scuola e vuoi già scopartene due? Nemmeno io mi davo così da fare!»

 

«Ho solo ripensato a Thomas. È stato su di me, capita di pensarci! O forse è successo il contrario…» mi difendo, provando sincero imbarazzo per tutto il concetto.

 

«E c’è Sebastian!» Danielle proprio non ce la fa a stare zitta.

 

«E il quarto chi è?» chiede Graziina. Io rispondo con un’occhiata buia, sperando che la conversazione cada. «Oh, capito. Altro gossip?»

 

«Conosco la sorella di Donna LaDonna, Mercy.» Espedito mangia un boccone, per poi ricominciare a parlare solo dopo aver finito tutto il processo. Non parla mai con la bocca piena, dovrei imparare. «Ha detto che, quando Donna aveva sette anni, ha fatto i salti di gioia nel bel mezzo del funerale del padre. Aveva appena scoperto di aver ereditato i diamanti della sua famiglia.»

 

«C’è da dire che sa cogliere il lato positivo delle cose!» ironizzo.

 

«Infatti! Non è male, io la adoro», risponde l’attore. Va beh, ti pareva.

 

«Io lo trovo oltraggioso!» interviene Graziina indignata. «Questa ragazza ha quindici anni e già non dà alcun valore alla vita. Non ha empatia, il che è davvero pericoloso. Povera piccola.»

 

«Io penso che potrebbe insegnarci qualcosa.» risponde Danielle, pragmatica. «Cioè, nessuno dovrebbe essere come lei. Ma bisognerebbe imparare ad affrontare la vita con quel giusto pizzico di disincanto.»

 

Faccio per aiutare a sparecchiare, ma vengo subito bloccato da Graziina. «Altolà! Devi prepararti, conoscerai la tua assistente stasera. Sai, per le cose del libro.»

 

«E chi l’ha scelta?» interviene Espedito.

 

«Edna, la tua agente.» risponde l’altra con naturalezza.

 

«L’hai messa sul mio conto senza dirmelo? Allora siamo davvero marito e moglie. E io pago!» scherza lui.

 

«No, sciocco. Ci ho pensato io.» Cavoli, se Espedito non fosse gay penserei davvero che potrebbero mettersi insieme.

 

«Ma io non sono al verde!» protesto. «Ho il cachet dell’intervista, c’è Vogue e un po’ di soldi di quando facevo l’hunter.»

 

«Sì, ma hai solo risparmi. Non hai entrate fisse.» puntualizza Espedito. «Non puoi definirti indipendente se non hai un’entrata fissa. Io e Graziina non abbiamo alcun problema, lascia che ti aiutiamo.»

 

Ero abituato ai benefit della licenza da hunter, ma qui a New York non è riconosciuta. Oltre al fatto che non avrebbe proprio senso utilizzarla, ormai.

 

«Se no a cosa servono i soldi? Per aiutare!» Dice l’altra, sempre con il suo solito atteggiamento.

 

«Ora non ci allarghiamo.» risponde lui, nascondendo un sorriso sotto lo sguardo cupo.

 

 

 

Suonano il campanello e so già che è per me. Espedito e Danielle sono a casa di lui, Graziina è nel suo studio che si trova al piano di sopra e nei giorni feriali mi lascia casa libera fino a notte fonda. Quando apro al campanello, resto scioccato nel vedere che la mia nuova assistente in realtà la conosco già.

 

«Cosa ci fai qui?» le dico, scioccato e in parte contento di vedere una faccia amica.

 

«La missione è finita e sono tornata nel mio paese, ovvero gli Stati Uniti», mi spiega Shuk, scioccandomi totalmente. «Vengo dal New Jersey, per l’esattezza.»

 

Non glielo chiedo, ma immagino che lavorasse nella WCS un paio d’anni fa e che dopo esserne uscita abbia fatto dei lavori a contratto con l’associazione Hunter. È la spiegazione più logica.

 

«’Shuk’ era per caso un alias?» le chiedo.

 

«No! Mi chiamo Shuk Maharaj, i miei sono di Mumbai e mio padre mi ha chiamata così. Significa “pappagallo” in hindi ed è un nome maschile. Lasciamo perdere.» dice, mentre prende posto in salotto.

 

«Non puoi essere qui per caso.» rido, mentre prendo qualcosa da bere. «Vuota il sacco.»

 

«Io non sono un hunter, sono un’infermiera. Ero con il gruppo che ha messo insieme tuo padre per fare da supporto. Quando la missione è finita, me la sono data a gambe levate. Cioè, è così bello tornare a casa!» mi spiega. «E anche perché piuttosto che lavorare ancora con quelle persone  mi getterei nell’oceano.»

 

«Okay, ma perché non sei nel New Jersey ma a Park Avenue?» le chiedo, non mi sta ancora dicendo tutto.

 

«Perché sono così. Ti ho visto a Naku Toto quel giorno e ho capito che sei una brava persona e un’icona!» dice con sincerità. «E voglio aiutarti. Non preoccuparti, non riguarda Tu-Sai-Chi. A meno che tu non voglia…»

 

«Al momento no.» Ma muoio dalla voglia di sapere tutto ciò che ha visto durante quella missione. «E va bene, dimmi tutto. Solo cinque minuti, poi lavoriamo.»

 

«La missione è iniziata cinque mesi fa. Killua è arrivato a gennaio, lì ha conosciuto Frank.» Durante la spiegazione di Shuk, sento le budella contorcermi e perciò bevo un bicchiere di chardonnay. «Frank è un hunter delle rovine e, visto che c’erano di mezzo dei rituali nei sotterranei del palazzo reale, ha gestito lui il tutto.» Si ferma per bere anche lei. In che senso dei rituali? È un doppio senso? «Ce la fai?»

 

«Sì, sono una roccia», viva la sincerità. In realtà, ogni volta che l’argomento Killua rischia anche solo di saltare fuori, mi ronzano le orecchie. Mi sento come se mi stessero trapassando la testa con un trapano.

 

«Ero scesa nelle rovine per raggiungerli, uno della squadra di supporto si era sentito male a causa della maledizione che si attiva quando profani il luogo. E cosa vedo? Nella stanza accanto loro due stavano avvitando e svitando!»  L’espressione che ha usato per dire “scopare” riesce ad attutire il colpo facendomi ridere. «E non ti ho detto tutto!!»

 

«C’è di peggio?» mi stanno cadendo le braccia.

 

«Da quando Frank e Killua escono insieme, Killua è diventato un’altra persona. Si fa comandare da lui! Ad esempio, quando c’è stato il pranzo, Killua non se la sentiva di venire ma, quando Frank gli ha parlato, ha cambiato totalmente idea. Quando abbiamo finito la missione, io e gli altri volevamo prendere un caffè tutti insieme o una cosa del genere. Killua voleva venire, Frank no e dopo un bisticcio non è venuto nessuno dei due. Te lo assicuro, quello è vittima di un qualche incantesimo.»

 

Per quanto il pensiero di un sortilegio sia interessante (e anche vagamente sessuale), sono sicuro che non sia così. È poco probabile che cada in una cosa del genere. E poi ha smesso di parlarmi molto prima di conoscerlo.

 

«No, è solo una cosa che succede nelle coppie», rispondo scettico. «Grazie, ma vorrei archiviare Killua d’ora in poi.»

 

«Giusto. Posso farti solo una domanda?» annuisco. «Ti manca ancora?» domanda stupida.

 

«Tutti i giorni», guardo il pavimento. «Ma non posso farci nulla. Passerà.»

 

Shuk non dice più nulla, si limita a prendere la sua cartellina e iniziamo a programmare il lavoro da farsi: i contatti con la stampa, ordinare le bozze, le documentazioni e una marea di cose che mi viene solo il mal di testa a pensarci.

 

«Quella è una Chanel?» le chiedo, riconoscendo il logo della sua borsa color corallo.

 

«Sì, ma non l’ho pagata io. L’ho noleggiata per questo mese», mi spiega, mostrando la sua borsa costosa che normalmente non si potrebbe permettere. «Si può fare anche con elettrodomestici, videogiochi, attrezzature per lo sport e strumenti musicali. Tutto ciò che non si consuma una volta usato.»

 

«Come potevo non saperne niente!» sorrido, pensando già a cosa prenderei in prestito, per poi ricordarmi della cosa più importante del giorno. «Oh, ho bisogno che tu mi aiuti a sistemare il computer. Vengo dalla campagna e ancora non sono molto abile. Scrivo le bozze del libro con carta e penna.»

 

Shuk fa un’espressione del tipo “ugh” e prende subito il mio laptop. «La casella postale è un delirio! Ma da quanto non la apri?»

 

«Ci sono dei contatti che solo a vederli mi fanno stare male», è imbarazzante, ma è la verità.

 

«Lo sai che si possono nascondere? E posso fare in modo che tu non veda le e-mail che potrebbero inviarti in futuro?» mi spiega. Dopo aver premuto poche cose sulla tastiera, mi mostra la mia casella mail riordinata e priva di qualsiasi cosa riconduca a Ging o Killua. «E, prima che tu me lo chieda, nel caso un giorno tu voglia davvero leggerle, queste e-mail finiscono in automatico in una casella protetta da una password che tu non conosci mentre io sì.»

 

«Geniale!» Così, nel caso mi venisse la tentazione di leggerle, non potrei farlo. Ma potrei farlo in caso ci fosse un’emergenza, una morte o un’impossibile riconciliazione. Penso onestamente che le cose non potrebbero andare meglio.

 

«E per favore, non incasinare il desktop! Ti ho rimesso a posto anche quello.» Ma quando? Ha armeggiato sul computer per pochissimi secondi!

 

«Sei fenomenale!» le dico, guardando il mio computer come se l’avessi appena comprato.

 

«Tu affidati a me e andrà tutto per il meglio», mi rassicura facendomi l’occhiolino mentre prende le sue cose per andarsene.

 

 

 

 

 

Il secondo giorno di scuola scorre tranquillo fino alla ricreazione. Non essendoci incursioni da parte delle Faine Rosa, mi siedo a tavola con Danielle, Tameka e Thomas.

 

«Abbiamo raddoppiato la quota gay.» osserva Danielle, con la sua solita delicatezza. Onestamente, io non so come definirmi, ma a quanto pare Thomas è gay.

 

«Io comunque ho chiuso con l’alcol. Andare a letto con una donna per me è toccare il fondo.» commenta lui.

 

«Quindi lo hai fatto solo perché eri ubriaco?» per qualche ragione, decido di aprire l’argomento.

 

«In realtà, l’ho fatto solo con te mentre lei ci guardava. Almeno questo lo ricordo.» Non posso credere alle mie orecchie. Thomas riesce a parlare delle sue esperienze come se parlasse di una passeggiata in montagna.

 

«Almeno voi avete perso la verginità.» dice, malinconica, Tameka. «Con Bruce ancora non se ne parla.»

 

«Solo tu potevi prenderti uno che passa i weekend in chiesa.» sbotta l’altra.

 

«Mi dite come ci si sente?» chiede. «A farlo, intendo.»

 

«Si tratta di una serie di attimi dove perdi il controllo finché non ti manca il respiro.» dice Thom. «Per me è una favola.»

 

Confermo.

 

«Per me è strano. È come se andasse tutto in automatico. Ma è piacevole!» lo racconto con semplicità.

 

«Non so in che favola viviate.» interviene Danielle. «Per me la prima volta è stata come infilare un wurstel nel buco della serratura.»

 

«Che male!» facciamo noi altri all’unisono, pensando la stessa cosa da entrambi i punti di vista.

 

«Stavo per svenire dal dolore. Ma lui era troppo carino.» conclude con occhi sognanti.

 

«Era Jordan Dunoff, giusto?» le chiede Tameka. «E voi con chi l’avete fatto per la prima volta?»

 

«Con Mackenzie.» sbuffa Thomas, rabbuiando. Poco dopo, nell’attesa della mia risposta, mi fissa divertito.

 

«No, non lo posso dire.» mi scappa una risata isterica.

 

«Sappiamo tutti che lo hai fatto con Thom e Zoe!» ride Tameka.

 

«Non era la prima volta.» mi faccio microscopico mentre lo dico.

 

«Non ci posso credere!» urla Danielle, facendosi sentire per tutta la mensa. «E chi era?»

 

«Ti ho detto che non posso dirlo!» rido. «Ma non era una cosa completa. Erano solo lavoretti di mano. E di bocca. Quindi non conta, diciamo che l’ho persa con Thomas.»

 

«No, no. Io non ho mai neanche visto un pene. Quindi conta. Dicci chi è!» Tameka mi punta il dito.

 

«Stai scherzando?» Danielle, purtroppo, l’ha già capito. In effetti non è che ci fossero chissà quante altre possibilità. «Killua.»

 

Bingo.

 

«Non è stato nulla. Avevamo quattordici anni. Non sapevamo quello che facevamo, eravamo una sera insieme e volevamo sperimentare un po’. Non fatevi film.» alla fine ho vuotato il sacco.

 

«Beh, lo capisco. È un tale sorco…» sembra che Tameka stia iniziando a sbavare. «Quando sono usciti i filmati dell’Arena Celeste, Zoe Sinclair diceva che se lo sarebbe fatto per prima.» Motivo in più per odiare Zoe.

 

«In realtà tutti immaginavano che sarebbe successo.» conclude Danielle.

 

Non importa se fuggo a duecentomila chilometri da lui, alla fine Killua tornerà sempre nella mia vita in forma spirituale. «Parliamo d’altro, ragazze?»

 

Ritorna quel ronzio forte nell’orecchio, come se qualcuno avesse davvero infilato un trapano nella mia testa. Penso a vari modi per fermarlo.

 

È ufficiale: devo farmi Thomas o Sebastian.

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Capitolo 11
*** Finalmente io ***


Informazioni a tempo perso: gli indirizzi (fittizi) dei personaggi, per avere una prospettiva più realistica sulla storia.
 

  • Graziina e Gon: 700 Park Avenue - Upper East Side
  • Espedito: 331 West 78th St. - Upper West Side
  • Maxine: 300 Gansevoort Street - Meatpacking District
  • Danielle e Alexandria: 245 East 73rd Street
  • Sebastian: Madison Avenue 89 – Madison Square

Capitolo 11

Il libro di Gon è ora realtà.

Finalmente io

Sabato. C’è chi si gode il weekend e chi invece si trova nell’ufficio di una casa editrice a trovare una copertina per il proprio libro. C’è chi dice che non basta l’intera vita per riuscire a capire chi sei, ma chi lavora nell’editoria fa un po’ più in fretta.
«Questa copertina è perfetta, sei tu!» dice Samantha. Visto che la stesura del libro è bella che finita, è diventata un po’ meno stronza.
«Sei pronto ad ammirare la copertina di “Gonscious”?» dice Elaine, la collaboratrice di Samantha, elettrizzata. Ah già, la Harper & Collins alla fine ha optato per questo titolo. Non mi sembra male.
«Il bestseller “Gonscious”!» aggiunge Samantha. A questo punto, le aspettative sono altissime.
Quando Elaine tira fuori la copertina incorniciata, mi ritrovo faccia a faccia con qualcosa che non avevo messo in conto. Le grafiche della copertina tendono tutte al verde smeraldo: Quando è stato creato il personaggio di Gon Freecss, ovviamente il verde è stato messo ovunque. Però, la gradazione è stata modificata: i miei vestiti erano verde foresta in tinta acrilica, un colore che qui considerano brutto e antiestetico. Si è perciò optato per scurire il tutto e aumentare la quantità di blu per renderlo verde smeraldo.
C’è una figura stilizzata che rappresenta me con i capelli a punta e i classici panni verdi sullo sfondo, mentre in primo piano la foto di me scattata pochi mesi fa. Da un lato ci sono io con quella canna da pesca poggiata sulle spalle, dall’altro ci sono sempre io che tengo una borsetta, ho i capelli lisci e indosso un outfit completamente nero.
Silenzio.
C’è chiaramente qualcosa che mi sta mandando in tilt con questa copertina, ma non capisco cosa.
«Qualcosa non va?» domanda Samantha.
«Chi dei due sarei io?» chiedo, non so a chi e non so perché.
 
Poco più tardi, mi trovo nel guardaroba con Espedito e Graziina a provare i vestiti per degli scatti promozionali. Onestamente, non ci sto capendo nulla. Preferisco farmi vestire da altri allo scegliere da solo come vestirmi.
«Dobbiamo fare uno scatto classico.» dice Espedito, prendendo il mio vecchio completo.
«Ma non ho più quei capelli!» faccio notare.
«Ah, non fa nulla! È solo per i vestiti. Sai, Escada vuole fare una collezione ispirata a questo completo. Bella cosa la fama, puoi lanciare tendenze orrende e nessuno ti giudica!» risponde lui, molto incoraggiante. «Dai, vestiti.»
Dopo tantissimo tempo, infilo quei pantaloni verdi, poi la giacca e, infine, i due stivali. Prendo un bel respiro e torno nella cabina armadio.
«Da quanto tempo non ti vedevo così!» nota Graziina.
«Già. Hai fatto proprio un bel salto di qualità. Dio… ma cosa ha passato questo tessuto?» dice Espedito, toccando schifato la mia giacca. La risposta alla sua ultima domanda è abbastanza ovvia.
Sorrido a quelle reazioni finché non inizio a guardarmi allo specchio. Inizialmente sento un piacevole botto nella pancia nel vedermi, rivivendo parzialmente tutto ciò che quei vestiti hanno visto.
Poi, sopraggiunge un calore insopportabile al collo, diventa tutto rosso e un forte prurito mi colpisce dalle spalle fino a tutta la schiena. Quando provo a dire qualcosa, mi sento soffocare, come se si fosse gonfiata la gola.
«Sento qualcosa di strano… N-non riesco a respirare.» balbetto, estremamente a disagio, toccandomi ovunque compulsivamente. «Aiutatemi a toglierlo.»
«Stai scherzando? Sono i tuoi vestiti di sempre!» mi fa Espedito.
«No, non sto scherzando!» gli urlo in faccia senza volerlo, accasciandomi a terra. «Toglimelo.»
Espedito cerca di sfilarmi la giacca, faticando perché la chiusura è molto resistente e sbottonarla richiede tempo.
Quando Graziina viene da dietro e controlla il mio collo, fa un sussulto. «Mio dio! Hai la schiena piena di bolle!»
«Fate presto!» continuo a urlare, quasi posseduto, mentre mi tiro il colletto con tutte le forze sentendomi strangolare. «Ti prego, Espedito, strappala! Fai a pezzi questa giacca di merda!» mi vengono le lacrime agli occhi mentre anche la mia faccia è diventata tutta rossa.
Per strappare la giacca, Espedito e Graziina devono tirarla insieme. Dopo qualche minuto, al suono dello strappo, finalmente mi rilasso e – ormai strisciando a terra – ricomincio a respirare normalmente.
 «Oddio, Gon. E mo’ che t’è successo?» mi chiede il biondo, seriamente preoccupato.
«Non ce la faccio. Posso raccontare Gon Freecss, ma non posso più esserlo.» dico con la voce rotta dal pianto e ancora boccheggiante per lo shock di prima.
 
Dopo aver fatto una doccia nel tentativo di far rientrare quelle bolle, con Gon Freecss a brandelli sul pavimento e il mio collo ancora un po’ gonfio, capisco che devo continuare con le modifiche. Vado in camera mia e ripesco lo scatolone delle decorazioni che non avevo ancora sistemato. Con uno scatolone vuoto, decido cosa togliere dallo scaffale per fare spazio e cosa mettere al suo posto. Ed è così che il nuovo libro di Sophie Kinsella e alcuni classici della letteratura che ho preso per la scuola danno un calcio in culo ai manga che occupavano l’intero ripiano. E, al posto dell’action figure di Yusuke, ci metto il gattino di porcellana. Sì, ora so dove metterlo.
«Ehi…» Espedito entra in stanza per controllare. «Stai meglio?»
«Sì.» mormoro. «Non è che non mi manchino loro e la vita da hunter. È che mi fa troppo male.» Sto ancora piangendo. «Vorrei riuscire a ricordare il passato con felicità.»
«Non sempre è possibile.» mi dice.
«Ho cambiato i vestiti, ho cambiato la libreria, ho filtrato le e-mail, ho cambiato i miei obiettivi, ho cambiato i miei amici.» parlo a ruota libera, in preda all’esasperazione. «Perché non sto meglio?»
«Gon, l’identità non è una cosa che si stabilisce da cosa hai sullo scaffale, come ti vesti, con chi esci, come ti senti, cosa fai o cosa vuoi. L’identità, come la conosci tu, è un costrutto sociale. È il modo in cui scegli di allinearti sulla base di tendenze personali, fattori ambientali e educazione ricevuta.» mi spiega, mentre mi aiuta a togliere i resti della giacca da terra.
«Mh.»
«Tu sei tu indipendentemente da ciò che hai dentro e ciò che hai fuori. La tua identità preesiste al nome, al genere, al sesso, alle tue inclinazioni e capacità, interessi… preesiste a tutto.»
«Zia Mito dice sempre che per conoscere qualcuno devi sapere verso cosa prova rabbia.» Mi sembra la cosa più intelligente da dirgli ora come ora.
«Sì… ehm…» borbotta. «No. Mi spiace, ma ha toppato. Le cose verso cui provi rabbia possono cambiare. Posso conoscerti adesso, ma fra due anni non ti conoscerò più. Fidati, smettere di incasellare una persona a tutti i costi solo per poterla identificare comodamente è la cosa giusta.»
«Per questo Killua non mi vuole più bene?» è la domanda più logica che mi viene da fare. «Perché sono diverso e non mi conosce più?»
«Perché, lui no? Tu puoi dire di conoscerlo ancora?» Dice, mentre butta tutto nella pattumiera. «E cosa pensi di fare? Cambiare per piacergli di nuovo? Vuoi avere uno shock anafilattico?»
«Non lo so cosa voglio fare.»
 
 
 
Lunedì, nel cortile della scuola, decido di fare qualcosa per dare una spinta più energica alla mia vita. Non lascerò che il pensiero martellante di Killua mi rovini anche la nuova vita che sto cercando di costruirmi. Assolutamente no, devo fare qualcosa ed è ora di mettere in pratica una nuova versione di me: la versione peggiore.
È ora che il nuovo Gon Freecss entri in scena.
Camminando verso il cortiletto sul retro, identifico quella testa dai capelli neri e con i dilatatori alle orecchie e faccio per andare a parlargli.
«Ciao, Sebastian!» Mi presento nuovamente. Sfoggio il più accattivante dei miei sorrisi, sbatto le palpebre per mettere in risalto le iridi ambrate mentre le pupille si dilatano. Adesso conosco le mie armi e so quanto facciano effetto.
«Buongiorno, Freecss. Sto cercando di saltare la prima ora, se non ti dispiace.» Risponde roteando gli occhi. Non sembra aver fatto effetto.
«Anche io voglio saltarla.» cerco di farla uscire con il tono più sensuale che mi viene, mentre mi appoggio al muretto. In effetti, la prima ora è di matematica. Due piccioni con una fava.
«Da cosa ti vuoi nascondere?» mi chiede, voltandosi per la prima volta verso di me e accennando un sorriso.
«Matematica. Con la Williams.» rispondo. «Tu, invece?»
«Sociologia. Quella pazza della Dano non la sopporto.» mormora. «Perché matematica? È l’unica materia utile!»
«Non ci sono portato.» commento. «Piuttosto, come fai a odiare la sociologia? È stupenda!»
«Non ci sono portato.» afferma, non riuscendo a soffocare una risata che alla fine contagia anche me.
È fatta.
«Quindi sei portato per la matematica?» gli chiedo, sperando che non smascheri subito dove voglio arrivare.
«Abbastanza. Al secondo anno ero un portento.» si pavoneggia, mentre prende posto su una panchina vecchia messa lì, vicino a una gabbia che contiene le cisterne dell’acqua. Il braccio poggiato lungo la spalliera mi fa capire che posso sedermi vicino a lui. E così, sono a contatto ravvicinato con Sebastian Carter, sentendo il calore del suo braccio dietro di me.
«Senti mai il bisogno di fuggire?» gli chiedo.
«Tutti i giorni. Vorrei scappare di casa e mandare a quel paese i miei.» risponde. «E così, quando proprio non ne posso più nemmeno della scuola, vengo qui dietro.»
«Anche io, stessa cosa.» rispondo senza dare effettivamente peso a ciò che dico. «Ti capita mai di sentirti ingabbiato da te stesso e voler dissociare l’anima dal corpo per volare in cielo?»
«…no» dice, allontanando lo sguardo.
«E allora vorrei tanto non averlo detto!»
Ridiamo entrambi.
«Sembri un bravo ragazzo, che direbbero i tuoi se sapessero che salti le ore?» mi provoca, togliendosi gli occhiali da sole e facendo una smorfia di sfida.
«Nulla perché non esistono» ricambio lo sguardo di sfida, arricciando le labbra. «Sono un cane sciolto.»
Sebastian scoppia a ridere. Mi riesce così male la parte? «Deve essere una figata» commenta. Ah, okay, è uscita bene.
«Ho sempre vissuto con mia zia, ma si trova a duecentomila chilometri da qui» gli spiego. «E mio padre mi ha abbandonato.»
«Ah già, tu vieni da quel posto là. Ti ho visto di sfuggita su qualche rivista e ogni tanto finisci tra le tendenze su Twitter.» mi dice. Non è emozionante uscire con una celebrità? «In ogni caso, mi dispiace per tuo padre.»
«Oh, a me no.» scoppio a ridere. «L’ultima cosa che ho fatto prima di venire qui è stato dirgli che è uno stronzo e mandarlo a fanculo.»
«Che ribelle!» mi prende in giro. «Immagino che avessi le tue ragioni. Io a mio padre lo direi anche gratis.»
«Perché non lo fai?» gli chiedo genuinamente.
«Perché finirei in mezzo alla strada senza un soldo. Anche perché mio padre è Donald Carter.» spiega. Il nome del padre non mi dice niente. «Donald Carter… il CEO di Carter Farmaceutiche e socio accomandatario di Caravan Brothers»
«Non conosco nessuna di queste persone.» commento, facendo una smorfia stupida.
«Conosci almeno l’ex sindaco Michael Bloomberg?» mi domanda. «Rudolph Giuliani?»
«Come se stessi parlando in una lingua aliena!» rido per non piangere nel non sapere nulla né di politica né di economia.
«Mio padre è uno degli uomini più ricchi di Wall Street. La sua impresa è quotata in borsa e lui a sua volta fa soldi con il trading nel mercato finanziario. Quindi sta spesso alla Borsa di New York.» dice. Non faceva prima a dire “mio padre è ricco”?
«Tuo padre è in una borsa?»
Pensando fosse una battuta squallida, Sebastian mi tira un pugnetto sull’avambraccio e scoppia a ridere. Peccato che io non stia scherzando. Decido, così, di far finta di capire qualunque cosa dica d’ora in poi.
«Sai, ho intenzione di iniziare a giocare in borsa quest’anno.» dice. Io annuisco, mentre nella mia testa ho l’immagine di Sebastian minuscolo che salta e balla in una borsa da donna. «Appena trovo un buon broker sfonderò anche io nel mercato finanziario. Seguirò le orme di mio padre.»
«Molto interessante! Sai, anche dalle mie parti c’è la borsa… Ogni tanto andavo con mio… un amico grande che giocava.» Questa volta ho inventato troppo. Spero che il Leorio della mia vita parallela faccia bene il suo lavoro.
«Che ne dici di venire con me a Wall Street domani dopo la scuola?» mi propone. «E ovviamente prendiamo qualcosa insieme.»
«Ci sto!» rispondo senza pensarci.
«Così potremo parlare meglio di trading e magari mi darai un consiglio sui broker!» sembra contento. «Visto che vieni da un altro continente, è utile sapere come va laggiù. Da quando ci sono stati i patti intercontinentali, in meno di cinque anni l’economia americana si collegherà inevitabilmente a quella di York Shin City.»
Oh, merda.
«Il broker… certo.» Sorrido mentre mi suda la fronte.
A un certo punto, Sebastian si avvicina fin troppo. Le nostre facce sono ad un palmo di distanza e sento il suo respiro su tutto il mio viso. A quel punto è tutto evidente, perciò faccio la prima mossa e gli do un bacino di prova sulle labbra.
Di tutta risposta, assale la mia bocca e ci diamo il bacio più breve ma intenso che io abbia mai avuto. Non che io abbia tanti altri termini di paragone.
«Non qui.» sussurra, mentre le nostre fronti sono ancora attaccate. «Che ne dici di saltare proprio la scuola? Ho casa libera.»
Annuisco e seguo Sebastian verso la strada, mentre ci infiliamo di nascosto nella sua Porsche decappottabile. Questo è il momento più americano della mia vita.
Dopo esserci allontanati abbastanza dalla scuola, il tetto dell’auto si solleva automaticamente davanti ai miei occhi estasiati da quella tecnologia.
«Dove abiti?» gli chiedo, mentre fremo dall’emozione.
«Sulla Madison, a Manhattan.» risponde, sorridendo. È davvero sexy. «Sono uno di quei newyorkesi scollegati dalla realtà che vivono nelle ville e non in gabbie dorate da cento metri quadri.»
Ma chi se ne frega, voglio ancora un po’ di quel qualunque cosa stavamo facendo.
«Allora siamo vicini! Io sono di Park Avenue!»
In preda al delirio, mi levo la cintura e cerco di alzarmi in piedi per salire sul sedile e guardare la strada sentendo l’aria sul viso. Appena ci riesco, riesco a guardare il mare dal ponte di Brooklyn ed è un’esperienza mozzafiato.
«Gon, no!» appena finito il ponte, Sebastian cerca un posto per fermarsi. «Non siamo in un film! Siediti che ci ferma la polizia!»
Faccio come mi dice, tornando abilmente sul sedile e riallacciandomi prontamente la cintura. Appena l’auto si ferma e ci guardiamo di nuovo, scoppiamo a ridere come due bambini.
«Tu sei tutto matto!» dice lui, che quasi non respira più dalle risate.
«E non hai visto niente.» rispondo sensuale, restando io stesso sorpreso da quella parte di me.
«Vado a prendere da mangiare, mi aspetti in auto?» mi dice, prima di darmi un altro bacio “breve ma intenso”. E, questa volta, sento una scarica elettrica che mi impedisce di stare fermo sul sedile.
Mentre sono solo in auto, penso a cosa dire in caso qualcuno scopra che non sono andato a scuola. Sento squillare il telefono, mi auguro che non sia una brutta notizia. Non ora che sto finalmente per fare sesso.
«Pronto?»
«Ciao Gon, sono Kurapika. Come stai?»
Sparisce nel nulla e si fa sempre risentire nei momenti meno opportuni.
«Ciao Kurapika! Io sto bene, tu? Ora sono un tantino impegnato…»
Glielo dico o non glielo dico?
«Volevo solo dirti che ho trovato per sbaglio la tua maglietta arancione nel mio appartamento. Non ci vado da secoli, sarà di quando siamo stati a York Shin City…»
«Puoi tenerla! Per me non c’è problema. Ci sentiamo stasera?»
«Ma che cosa succede? Non mi starai parlando mentre sei a scuola?» mi domanda.
«No, no! In realtà… molto meglio.» mormoro. Ma dai, è mio amico, cosa potrà mai dire? Io muoio dalla voglia di dirlo a qualcuno! «Sono nell’auto di Sebastian Carter, è così sexy. Mi sta portando a casa sua e probabilmente lo faremo... Shh! Non dirlo a nessuno. Ora sta prendendo l’alcol.»
«Che cosa?!»
Okay, forse ho fatto male i conti.
«Ero stressato e volevo un giorno di pausa. Starò meglio dopo…»
«Gon. Scendi subito da quell’auto. All’istante.»
«Recupererò le materie di oggi! L’argomento di matematica lo avevo già studiato!»
«Non è quello il punto. Quel tizio non lo conosci neanche!»
«Non è vero. Lo conosco da una settimana e oggi abbiamo parlato per un’ora.» mi impunto. «Sta tornando, ti richiamo quando torno a casa!»
«Gon! Non permetterti di-»
 
La casa di Sebastian è stupenda. È una villa di due piani con un’enorme piscina illuminata da luci neon al suo interno. Ci sono tutte le tecnologie possibili, come un enorme impianto stereo in salotto, un televisore grande quanto una parete della mia casa sull’isola Balena e una cucina non automatica ma quasi.
«Hai voglia di un bagno?» mi domanda, mentre si toglie già i vestiti. Resto per almeno trenta secondi a fissare i suoi addominali. Senza rispondere a voce, mi unisco alla scena e ci gettiamo entrambi nella zona idromassaggio. Mi concede l’onore di appoggiarmi proprio dove c’è il getto d’acqua calda. «Non sei male nemmeno tu.» mi dice. Quel “nemmeno” è proprio da Narciso.
Quando ci avviciniamo, c’è subito un bacio. Intenso e per nulla breve. Tre minuti ininterrotti mentre lui, più alto di me di almeno venti centimetri, mi mantiene alla sua altezza prendendomi per le natiche.
Mentre ci stacchiamo un attimo, lo vedo mettere le mani in una cassetta che aveva poggiato prima a bordo piscina. Da lì tira fuori una scatoletta metallica contenente ben dieci spinelli. «Questa me la sono fatta portare dal Canada. Sballa tantissimo.» mi spiega.
«Facciamoci una canna!» lo incalzo io, che certo non sono un verginello svampito.
Sebastian fa il primo tiro, tiene il fumo nei polmoni per mezzo minuto prima di soffiarmelo tutto in bocca. Il secondo tiro tocca a me, baciandolo direttamente dopo aver trattenuto il fumo. Sento già salirmi tutto al cervello e, nel giro di mezz’ora, sono al settimo cielo.
«Che ne dici se ti aiuto un po’ lì sotto?» lo provoco, sapendo benissimo cosa gli stia succedendo. Lui annuisce e io sparisco sotto l’acqua per un bel po’, ricevendo ottime recensioni una volta riemerso.
«Completiamo il lavoro in camera mia?» mi propone. Io, che non aspetto altro, accetto e subito vado ad asciugarmi.
 
«Però… non sapevo fossi così spregiudicato, Freecss.» mi dice, mentre è disteso sul letto in attesa del servizio in camera.
Non lo sapevo nemmeno io, in realtà. «Beh, in due anni di avventure si fa esperienza!» Crediamoci.
«Verifichiamo subito.» mi sorride, mentre mi getto accanto a lui.
Proprio mentre mi trovo sopra di lui, con il mio corpo in preda a un calore mai provato prima, riprendo parzialmente lucidità e ripenso a come siano andate le cose. Dopo una settimana di scuola dove l’ho visto da lontano, una mattina ci provo spudoratamente con lui che non si fa sfuggire l’occasione di portarmi a letto.
Mentre le mani di Sebastian sono tutte intorno al mio corpo, inizio a pensare di aver sbagliato tutto. Improvvisamente mi si pone davanti l’immagine di Killua sopra Frank mesi fa su quella spiaggia. Penso al fatto che, per quanto io ci provi a voler competere con quel mostro dai capelli argentati, non sarò mai abbastanza degno di avere anche solo un altro sguardo da lui.
Dannato Killua, mi invade la mente pure mentre cerco di fare sesso con qualcun altro.
«Scopami.» gli dico, quasi come se fossi arrabbiato con lui.
A quel segnale, Sebastian mi prende all’improvviso e mi capovolge. Quel gesto mi smuove così tanto da costringermi a tornare alla realtà e mettere un attimo da parte i pensieri. Voglio davvero che la mia prima volta (in cui sono capace di intendere e di volere) – che ho sempre sognato sarebbe stata con Killua – sia con un altro ragazzo che non conosco nemmeno?
«Aspetta.» mormoro, ma lui sembra non sentirmi e ha già aperto una scatola di preservativi. «Per favore, fermati un attimo.» Non so per quale motivo, ma sento sul mio viso scorrere lacrime fredde.
«Ti senti bene?» mi domanda, destabilizzato da quell’improvviso cambio di umore.
«Sì, è che…»
 
Ho una scelta davanti. Queste le opzioni:

  1. Dirgli che sto pensando a un altro, facendolo sentire automaticamente un rimpiazzo.
  2. Dirgli che finora ho voluto fare lo spaccone e che non sono pronto a una cosa del genere, passando così come un coglione.
  3. Dare la colpa alla canna.

 
Io sarò anche una persona coraggiosa, ma non sono così stupido da non evitarmi un’umiliazione.
«Mi gira la testa e quando mi hai sbattuto – cosa che mi è piaciuta molto, eh – ho iniziato a sentirmi strano.» Direi che è venuta bene.
«Oh. Vuoi qualcosa per il mal di testa?» mi domanda. Io faccio cenno di no. Le lacrime, però, non si fermano.
«Andiamo avanti.» gli dico.
«Non lo faccio con uno che piange.» mi risponde categorico.
«Ma non sono triste!» dico, mentre la voce mi si rompe e piango ancora più forte.
«Non importa, sei comunque alterato. La canna era forte, avrei dovuto dirtelo che non è come le altre che fumi normalmente.» Non mi sembra arrabbiato, né scocciato. È gentile, non ha problemi con una piccola défaillance. «Resti invitato per domani a Wall Street. Non sono un coglione che scarica per queste cose. Anche perché sono stato bene oggi. Mi sembri un buon investimento, penso che di attendere il rialzo ne varrà la pena.»
Grazie a Dio ha abboccato a tutto.
È riuscito ad intrigarmi con una metafora sessuale sul mercato azionario, nonostante io non capisca nulla di entrambi gli argomenti.
 
Nonostante Sebastian si sia dimostrato migliore di quanto dà a vedere, tornare a casa sapendo di non aver ancora trovato un modo per superare Killua mi distrugge. Decido di tornare in taxi, sono stanco di stare nelle decappottabili. Apro l’ingresso di casa con le mie chiavi, sono sollevato che Graziina sia ancora nel suo studio, ho bisogno di un drink e di silenzio per elaborare tutto.
«Cosa cazzo ti è venuto in mente? Hai perso completamente la testa?» l’urlo di Espedito mi fa saltare in aria appena metto piede nell’appartamento.
«Mi dispiace di aver saltato scuola. Ho già recuperato gli appunti e ripasso ora la lezione di chimica…» piango a tutta forza. «Ho fatto una cazzata»
«Hai saltato scuola, non è quello il punto. Kurapika mi ha chiamato mentre ero a lavoro, era su tutte le furie e mi ha detto delle cose tremende.»  a quanto vedo, anche Espedito è parecchio scosso. «Adesso lo chiami, chiedi scusa e lo tranquillizzi.»
«È così grave?» faccio una domanda stupida.
«Ho passato un’ora a convincerlo a non chiamare tua zia. È ancora la tua tutrice legale e può ritirare la delega che ha fatto in qualsiasi momento. Tua zia si fida di noi, cioè di Graziina. Non rovinare tutto.» mi raccomanda.
Così, prendo il cellulare e telefono al numero di Kurapika pregando in una risposta.
«Pronto.»
«Sono un’idiota, scusami ti prego.» il cuore mi batte a mille.
«Stai bene?»
«Era una cosa fatta con leggerezza, io non ci ho pensato più di tanto.»
«Rispondi alla mia domanda: stai bene? Ti è successo qualcosa?» Si impunta. Succede quando ignori le sue domande.
«Sì, sto bene. Sono tornato a casa tranquillo.»
«Sento che qualcosa non va dalla tua voce.» E di questa cosa non riesco ancora a parlarne, non con lui.
«Sarà la qualità della linea…»
«Questa conversazione è chiusa.»
E mi ritrovo così, con la chiamata staccata in faccia. Ora so quanto deve essere stato fastidioso quando l’ho fatto io. Merda, avevo dimenticato quanto gli dessero noia le bugie. Provo a richiamarlo.
«Se menti un’altra volta, non risponderò più alle tue chiamate.» il suo tono è così serio da farmi genuinamente paura.
«Non sto bene, è andata male.»
«Ti ha fatto del male? Ti ha forzato a fare qualcosa contro il tuo consenso?»
In questo preciso momento, sento il cuore venirmi meno. Sono una persona orrenda. Erano tutti disperati, immaginando gli scenari peggiori, mentre io cercavo maldestramente di fare chiodo-scaccia-chiodo. Il solito egoista.
«No. Sono stato io a… non me la sono più sentita di farlo. Scusami se non te l’ho detto ma mi imbarazza…»
«E lui si è fermato? Ha rispettato la tua volontà?»
«Sì. È stato gentile e ha detto anche che l’invito ad uscire è ancora valido.»
«Bene, mi interessava sapere questo. Buonanotte.»
«Ehi, aspetta. Sei arrabbiato?»
«No. Mi sono spaventato e tu sei lì, da solo.»
«Non prendertela con Espedito, non ne sapeva nulla. Lui e le ragazze mi stanno aiutando tantissimo, non voglio buttare tutto.»
«Non ti preoccupare. Ci ho riflettuto in queste ore e mi sono ricordato che, dopo tutto, hai solo quindici anni. Stai attraversando problemi diversi e mi fa arrabbiare ammetterlo, ma le persone che hai lì sono le uniche ad essere abbastanza preparate in merito. Per quanto non approvi minimamente i loro stili di vita e le loro morali.»
«Ti voglio bene e mi manchi. Mi mancate tutti.» singhiozzo sullo schermo del telefono ormai bagnato di lacrime.
«Anche tu ci manchi. Cerca di non farti del male da solo. Mi sento così in colpa per non esserci.»
«È colpa mia. Sto facendo di tutto per mandarvi al manicomio. Non so nemmeno io perché lo faccio.»
«Gon, a tutti capita di passare una fase critica della propria vita. Nel tuo caso, è molto strano che non ti sia successo prima.»
Beh, i fatti di NGL – ora che ci penso – sono stati solo un’anticipazione.
 
Tornato nell’altra stanza, Espedito aspetta Graziina seduto sul divano con un calice di chardonnay in mano.
«Sei arrabbiato con me?» gli chiedo, abbassando la testa.
«No.» mormora, sorridendo. Il bastardo ha ascoltato tutta la conversazione. «Ma vorrei chiederti una cosa: hai saltato la scuola per via della scuola o solo per quel ragazzo? Rispondi con sincerità, non ci sono conseguenze.»
«No, la scuola è fantastica! Lo giuro, riesco persino a capire la matematica con la Williams. Non avrei motivo né di saltare le lezioni né di mollare. Io l’ho fatto solo per Sebastian. Sentivo il mio corpo tutto strano… accaldato e con un formicolio continuo.»
A quella descrizione, Espedito scoppia a ridere fragorosamente. «Gon, eri arrapato.»
«Che cosa!?» quel termine certo non si addice a me.
«Stavi seguendo i tuoi bisogni fisiologici.» mi spiega, evidentemente calmo all’idea che si trattasse “solo” di questo. «Perché è andata male?»
«Mi sono messo a piangere.» confesso, diventando rosso come un peperone. «Dici che mi scaricherà?»
«Io l’avrei fatto. I piagnoni non sono sexy.» risponde di pancia, facendo una smorfia contrariata. Poi, ricordandosi che si sta parlando di me e che sono proprio davanti a lui, cambia immediatamente atteggiamento. «Ma alla tua età è diverso, sei alle prime armi e hai bisogno di una mano.» Non che questa risposta mi consoli.
«Ha detto che vuole ancora uscire con me, domani, a Wall Street. Significa che non faremo mai più sesso?» glielo dico così, come viene.
«Senti, fa’ così. Chiamalo.» mi ordina. «Adesso.»
«Ormai ho rovinato il personaggio!» rispondo, disperato per la situazione.
«Ma chi se ne frega! Domani, va’ da lui e scopatelo fino a fargli fumare le orecchie. Dimenticherà tutto. Gli uomini non sono complicati, sono come le piante.»
A quella risposta colorita di Espedito, il mio volto è diventato permanentemente viola.
«Chiamalo. Io aspetto Graziina.» mi dice.
«Credi che lei ci resterà male?» gli domando, pensando al fatto che deludere persino lei mi distruggerebbe completamente.
«Ma ti pare!» mi ride in faccia. «Lei non è un’altra zia Mito. Ha ventun anni, queste cose le faceva fino a ieri. Gon, qui nessuno vuole giudicarti o controllarti. Sappiamo che sei una persona molto responsabile in base a un’esperienza di vita più unica che rara e ti supportiamo perché siamo amici.» dice, bevendo un sorso di vino. «L’unico motivo per cui ero così sconvolto è perché Kurapika al telefono mi ha detto che ti stavano stuprando.»
«Scusa?!» mi sento mancare l’aria.
«Avrà pensato che avessi fatto l’autostop. Quando ha fatto il nome di Sebastian Carter, fortunatamente ho collegato e così gli ho spiegato le cose. Ma lui, nel frattempo, aveva già iniziato ad urlarmi che saresti morto per colpa mia e che io dovrei stare in galera.» Solo a raccontare quella telefonata, Espedito si stressa parecchio. «Questo mi ha particolarmente turbato, se permetti!»  

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Capitolo 12
*** Cosa definisce una relazione ***


Capitolo 12

Gon e Sebastian iniziano a conoscersi meglio. Nel frattempo, Samantha organizza la festa di presentazione del libro.

Cosa definisce una relazione

La professoressa Williams gira per i banchi, guardandoci dai tappi di bottiglia che ha al posto delle lenti e consegnando lentamente le verifiche corrette di matematica sullo studio delle funzioni. Ora, è vero che sono migliorato in questa materia da quando frequento l’Onassis High, ma io resto pur sempre io.
«Figata! Ho preso B!» Danielle, che ricordiamo essere la mia compagna di banco, esulta sottovoce.
Ed ecco il foglio comparire sul mio banco. Insieme a me, metà fila – includendo Zoe Sinclair, ovviamente – cerca di buttare l’occhio sul mio compito. Sentendomi minacciato, me lo porto istintivamente al petto per poterlo leggere da solo. La vista di una “A meno” mi fa venire un mezzo infarto.
Io, Gon Freecss, ho preso “A meno” ad una verifica di matematica. In una scuola straniera. Quasi quasi vado dalla professoressa Williams a chiederle se si sia sbagliata, non accetterei mai un premio non meritato. La vista di interi gruppi di ragazzi in lacrime mi fa desistere dal fare una cosa così stupida e irrispettosa.
«Come è andata, Gon?» Zoe Sinclair mi si materializza dietro insieme al resto delle Faine Rosa, facendomi venire un colpo. Dovrebbero chiamarla Zetsu Sinclair.
«Tu non sei un voto, ricordati che andrà meglio!» aggiunge Donna. «E nel caso tu decidessi… ipoteticamente… di risolvere i tuoi problemi in modi…»
«Donna!» Zoe le urla contro. «Sei inquietante!»
«Ho preso A meno.» dico, giusto per vedere la sua reazione.
L’ape regina è improvvisamente pietrificata, sbattendo disarmonicamente le palpebre di un solo occhio e facendo un’indimenticabile espressione di stupore.
«Buona giornata, allora!» faccio per andarmene. Ho cose importanti da fare!
«Ricordati di fare il testamento biologico! LaDonna Funeral Services! Codice EIN 12-3…» la becchina rosa mi urla da lontano. Ma che problema ha? Dovrebbe aprire una collaborazione con la famiglia Zoldyck.
 
Quando arrivo in cortile per la ricreazione, mi incontro con il solito gruppetto: Danielle, Thomas e Tameka.
«Oggi non mi trattengo qui.» annuncio, con un sorriso ebete stampato in faccia.
«Vedo che ci stai dando dentro.» ridacchia Danielle.
«Vieni a studiare con noi dopo?» mi chiede Thom.
«Naturale, ci vengo sempre!» gli rispondo.
«Buono a sapersi!» mi sorride. «Divertiti!»
«Non mettere hot dog nel buco della serratura!» sussurra Tameka.
Mi allontano ridendo, pensando a quanto sia soddisfacente questa mia nuova vita. Certo, ci sono quei tre avvoltoi che hanno preso il posto di Hisoka, ma ci vuole sempre un po’ di sano dramma. Ed eccolo lì, ad aspettarmi appoggiato al muretto dietro l’angolo dell’edificio. Sta aspettando me, per questo si è ben nascosto. Come mi vede arrivare, si toglie gli occhiali ed è già pronto ad avermi tra le sue braccia.
«Come è andata la verifica?» mi domanda.
«Ho preso una A meno!» stavolta non contengo l’entusiasmo e non faccio a meno di saltare compulsivamente. «Tutto merito tuo e delle tue ripetizioni.»
Dovrei aggiornarvi un po’ sulla situazione Sebastian. Dopo quel piccolo incidente, ci siamo rivisti a Wall Street. Lì gli ho confessato di non sapere una mazza di finanza e lui l’ha presa scherzosamente. Da allora ci siamo visti e rivisti ogni giorno, passando sempre più tempo insieme durante la ricreazione e dopo cena. Generalmente non c’è mai nel pomeriggio, ha gli allenamenti di football. In queste ultime settimane è sembrato che esistessimo solo noi due. All’improvviso, sono spariti gli altri compagni di scuola, le persone per strada e le altre persone della mia vita.
E poi c’è un dettaglio importante: non abbiamo ancora fatto sesso.
«Giovedì gioco contro quelli della Roosevelt. Vieni a vedermi?» mi domanda, stringendomi già tra le sue braccia.
«Potrei mai non farlo?» faccio lo stucchevole, mentre mi avvicino per dargli un bacio.
Questa volta, mentre siamo appartati a scuola, decide di fare sul serio. Mi prende in braccio mettendo le mani lì mentre tiene la schiena incollata al muro.
«Se ci beccano dovremo restare qua per tutto il pomeriggio.» mormoro, trattenendo i gemiti mentre lui è passato già al collo.
«E cosa ci importa.» mi fa, con tono strafottente. «Se ci puniscono insieme lo facciamo pure mentre puliamo le aule.»
 
Quando torno a casa, il mio cervello è rimasto fisso a quella scena.
«Con lui è passione costante. Ogni volta che siamo insieme è passione, passione, passione.» racconto, sognante, mentre ceno a casa con i grandi.
«Si, l’avevamo capito.» ride Maxine, che finalmente ha trovato una serata libera per venire a cena.
«Quanto mi manca quell’età!» piagnucola Graziina, con lo sguardo intenerito. «È così puro il modo in cui gli adolescenti si amano!»
«Ma se tu hai finito il liceo solo tre anni fa!» le ride in faccia la rossa.
«Ti avevo detto che avrebbe dimenticato l’incidente.» mi fa Espedito, con sguardo compiaciuto.
«E non ci ho ancora fatto niente!» mi vanto, preparandomi già alle possibili battute.
«Tranne la seconda base.» mi rammenta Maxine.
«E il pompino post canna.» aggiunge Espedito.
«Te l’avevo detto in confidenza!» sprofondo nell’imbarazzo.
«Quindi vuoi fare sul serio?» mi domanda la rossa, che arriccia il labbro compiaciuta. «Non c’è ancora stato il primo appuntamento.»
«Non si fa sesso al primo appuntamento!» la sgrida Graziina.
«Eccola che ricomincia!» si lamenta l’altra.
«Gli uomini che hanno inventato queste regole non se li scopava nessuno, perciò vogliono far sentire in colpa chi scopa. Specialmente le donne e i gay.» Espedito ci regala una perla di saggezza.
«Se fai sul serio con un uomo devi tenerlo su per almeno cinque appuntamenti.» continua Polly Anna.
«Basta non scoparlo la prima volta e va tutto bene. Chi resiste tutto quel tempo?» sbotta l’avvocata, mentre sta riempiendosi il bicchiere.
«La terza volta?» chiedo. Io voglio bene a Graziina, ma ho anche certe esigenze!
«Troppo presto!» risponde.
«Guarda la realtà, un tizio può farti del male lo stesso che tu lo scopi al primo appuntamento o che al decimo.» differisce Espedito, con Maxine che gli dà manforte.
Subito dopo, diversi secondi di silenzio tombale.
«Stiamo davvero parlando della vita sessuale di un quindicenne?» dice Maxine, contrariata.
«Infatti, è disgustoso. Smettiamola.» conclude Espedito. «Parliamo di me, piuttosto.»
«Cosa che non facciamo mai!» rido, sarcastico.
«Sabato sono stato al Sushi Samba.» racconta lui, ignorando la mia battuta.
«Mmh, buono! E con chi?» chiede l’avvocata.
«Karl.» Espedito sembra vergognarsi della risposta. Non ricordo chi sia Karl, ma ne ha già parlato.
Cade un altro silenzio imbarazzante. Maxine e Graziina si guardano tra loro con sguardi abbastanza perplessi.
«Ora sareste amici?» chiede la mora.
«Sì, diciamo così.» risponde il biondo.
«Sareste, ma in realtà…» dice la rossa, visibilmente arrabbiata.
«Che razza di domanda è?» le chiede lui, con occhi inviperiti che per poco non saltano fuori dalle orbite.
«Ci vai a letto, no?» mugugna Maxine. Dagli sguardi degli altri due, deduco che ha passato un po’ il segno. Beh, in confronto ad Espedito che insulta tutti regolarmente non è paragonabile.
«Per quanto ti possa sembrare strano che io non mi faccia aprire come un cocomero da qualunque essere munito di scroto che incontro durante il giorno, no. Non scopo con Karl.» più che arrabbiato, sembra offeso.
«Stai giocando col fuoco. Karl è l’unico uomo che è stato in grado di farti stare male per settimane.» gli ricorda Maxine, che ribattezzerei “il grillo parlante ma in rosso”.
«Puoi farci amicizia, ma non per questo devi dimenticarti di quando ti ha tradito a Brooklyn.» gli dice Graziina.
«E nel Queens.» aggiunge Maxine.
«E sulla Staten Island.»
«E nel New Jersey.»
«E ad Atlantic City.»
«Forse anche a Poughkeepsie.»
«Va bene, ho capito!» chiude lui. Improvvisamente, tutto quell’egocentrismo è svanito.
 
Verso le dieci di sera, come avviene regolarmente diversi giorni alla settimana, apro silenziosamente la porta per far entrare Shuk. Proprio mentre esco in corridoio in canotta, pantaloncini e pantofole; la signora dell’appartamento di fronte, intenta a rientrare in casa da un galà, mi fissa indignata. Mi dimentico sempre che qui il pigiama non va tenuto fuori da un raggio di due metri dal letto.
«Per la festa, Elaine ha prenotato il locale e pensato al rinfresco. A noi – cioè a me – toccano la lista degli invitati e i dolci.» spiega, con lo sguardo fisso sulla sua agenda. «Direi di iniziare subito dall’argomento più spinoso tra tutti: i ‘più uno’. Sì o no?»
«Più uno?» quell’espressione non mi dice niente. «Cosa sono?» rido un po’ ogni volta che non so una cosa che sembra basilare.
«Se tu inviti una persona e questa persona vuole portare un’altra persona che non è invitata – che ne so, un fidanzato – a te sta bene?» mi spiega. Ora sì che ho capito.
«Perché no!» sorrido come un ebete. «A me fa piacere che arrivi più gente.»
«A me no. Questa è una festa di classe, deve venire la crème de la crème. Le persone che contano, insomma. Mi assicurerò che non si trasformi in un compleanno.»
A quel punto, iniziamo a lavorare su quali cento persone saranno inserite nella lista. Shuk mi segna uno spazio di dieci posti per gli amici, dove mi spremo per decidere chi mettere. Espedito, Graziina e Maxine sono già incluse tra gli invitati regolari, perciò aggiungo Danielle, Thomas e Tameka. Sebastian lo porto io come “più uno” e poi arriva una domanda che proprio non posso evitare. Questa è la seconda volta che mi ritrovo al dubbio amletico davanti a una lista degli invitati. La domanda non è “più uno sì, più uno no”, la domanda è “hunter sì, hunter no”.
Kurapika si merita il mio invito, glielo devo. Poi ci terrei tanto a rivederlo. Ovviamente questo vale pure per Leorio. Gli ultimi quattro posti non so proprio a chi darli.
Mi balena in mente per un attimo la mezza idea di scrivere a Killua: “Ehi, sei invitato alla festa per il mio libro ma non portare quello stronzo del tuo fidanzato, usa il tuo più uno per Alluka”.
O una cosa del genere.
Tre posti per Palm, Morel e Knuckle – perché abbiamo una rimpatriata in sospeso – aggiungo anche Biscuit e il decimo posto lo do proprio a Killua. Non mi interessa di come stiano i rapporti, questo non è mica il mio compleanno. Devo svolgere una funzione: vantarmi. Perché me lo merito.
 
 
 
Un dolce giovedì mattina alla Rainbow Room del centro Rockefeller, 259 metri d’altezza che dominano Manhattan, in compagnia del mio Dream Team: Shuk, Graziina e il suo ultimo regalo, Francesca, stilista e designer italiana. Qui a New York, “italiano” è sinonimo di “successo”.
«Sarà fantastico! E non hai ancora visto i fiori!» esclama quest’ultima, mentre i suoi dipendenti finiscono di sistemare le decorazioni.
«Questo è un evento glamour, non avere paura di usare le luci.» Shuk, con fare severo, piomba davanti a Francesca.
«Io non ho paura di nulla, bambola.» le risponde con tono di sfida. «Rosa pastello?»
«Rosa fucsia.» Insiste. Chissà quale delle due l’avrà vinta in questo scontro psicologico.
Mi prendo un attimo per girare per il locale. Si tratta di un enorme ristorante che occupa un intero piano dell’enorme grattacielo, delimitato da ventiquattro finestre dalle quali si può ammirare tutta Manhattan e oltre, proprio di fronte all’Empire State Building. Il ristorante è alto due piani e dispone di una balconata dove sono stati messi altri tavoli. I cerchi suggestivi sul soffitto sono costituiti da luci neon che possono assumere qualunque colore e illuminano in maniera fioca tutto il locale. Una combinazione capace di far crollare anche la più sempliciotta delle persone.
«Mi sento male. È perfetto!» osservo, mentre portano dentro una gigantografia della copertina del libro con una mia foto accanto. «Ma dov’è il verde?»
«Lo useremo con le luci e solo durante la presentazione.» mi spiega Francesca. «Durante la festa illuminare tutto di verde è poco estetico e anche pericoloso, qualcuno potrebbe cadere dalle scale.»
Oh, non ci avevo pensato.
 
Poco più tardi, nell’ufficio di Samantha…
«La tua festa sarà un successo!» mi dice. «All’ufficio PR stanno dando di matto! La gente fa la fila per avere un invito e tutti vogliono essere messi in lista!»
«Sul serio?» stento a credere che stia succedendo tutto questo per me.
«Abbiamo dovuto aggiungere una ventina di posti per la stampa. Ci saranno GQ, Esquire, Elle Magazine, The New Yorker e, ovviamente, il New York Times.» mi spiega, armeggiando con il computer, quando il suono di una notifica le illumina il volto. «Ah, Vogue si è appena aggiunto. All’ultimo minuto…»
«Vogue, hai detto?» Io so già chi sia stato a volerlo.
Mi allontano un attimo per fare una telefonata. Dopo un centralino, la segretaria e un’assistente zelante, riesco a parlare con la persona che volevo chiamare.
«Pronto?»
«Enid!» Ho telefonato alla caporedattrice di Vogue perché si è appena meritata un invito alla mia festa.
C’è solo un invito che manca. Anzi, un “più uno”!
 
Oggi ho saltato scuola per andare al Rockefeller, ma tanto avevo solo due materie ed erano educazione fisica e letteratura. Non è un problema entrare dopo pranzo, ho un permesso per l’assenza di oggi e posso arrivare al campo sportivo senza passare per la segreteria. Come in un film, vado a sedermi sulle panchine in attesa della fine della partita che c’è in corso. In realtà non so nulla di questo sport, solo che la squadra della nostra scuola si chiama Giants.
Succede qualcosa sul campo e sento delle urla. Istintivamente urlo anche io facendo il tifo per Sebastian. «Forza Giants!»
«Ma ci hanno appena fatto gol… stavano urlando per la Roosevelt.» mi fa notare una ragazza, che non riesce a trattenere le risate e sinceramente non posso biasimarla.
Sono un perfetto ignorante in finanza e in sport americani, perché a Sebastian piaccio proprio io? Va bene, ammetto che una mezza idea ce l’ho.
Quando mi giro a guardare il resto del pubblico, riconosco le Faine Rosa al completo. Zoe, girandosi per sbaglio, incrocia il mio sguardo e mi saluta. Io ricambio sentendomi in difficoltà. Perché quelle sono qui? Staranno facendo il tifo per qualcuno.
«Forza Sebastian!» urla Zoe a tutta forza.
Uhhh! Vogliono soffiarmelo. A quel punto, urlo anche io la stessa cosa, spostandomi ad un posto vicino al loro. Loro raccolgono la sfida e ci ritroviamo tutti e quattro ad urlare disarmonicamente il suo nome.
«Basta! Fate silenzio!» l’allenatore in persona viene a zittirci. Sto morendo dalle risate.
«Gon! Sei molto amico di Sebastian?» mi chiede Zoe, che si è proprio impiantata accanto a me. «Fa’ attenzione che vi hanno visti nel cortile…» Chissà se le è piaciuto lo spettacolo anche questa volta. «Sebastian è molto richiesto, devi rispettare la lista d’attesa.» Adesso sembra genuinamente psicopatica. «Ai suoi amici del football non piacciono i gay.»
«E nel caso tu dovessi subire un crimine d’odio…» sta per intervenire l’altra.
«Donna!» la ferma Zoe, per l’ennesima volta.
«La violenza non mi spaventa. Mi sono infilato in una tenuta di assassini per un ragazzo, figurati cosa può fregarmene di qualche persona invisibile e invidiosa a scuola. No?» le dico, ricordandomi quanto valgo anche fisicamente.
«Sono felice che tu sia tranquillo.» mormora. «Ma ci sono cose da cui non ti puoi difendere con i muscoli e l’agilità!»
Se ne va, ridacchiando. Fortunatamente, la partita finisce nello stesso momento e Sebastian esce dal campo mandandomi un bacio. Ma chi vogliono prendere in giro, sono io quello che vuole.
Mi metto fuori le porte degli spogliatoi ad aspettarlo uscire. Vedo uscire quasi tutta la squadra, incluso Thom che mi saluta – e, parentesi, nessuno ancora mi ha rotto i coglioni con l’omofobia – ma non lui.
Decido di entrare, sperando che vada tutto bene. Mi tappo il naso quando passo per lo spogliatoio, pieno di vapore e con un odore nauseabondo di sudore. Poi, notando che non c’è nessuno, vado verso le docce. Effettivamente, anche queste sono quasi tutte vuote, solo una ha la tenda chiusa ed è accesa. Deve essere lui.
«Ciao!» lo saluto appena esce. Ha solo un asciugamano alla vita a coprirlo, ma anche dall’ombelico in su il suo corpo è sempre una vista spettacolare.
«Che cosa ci fai qui?» mi chiede, felicemente sorpreso.
«Questo è lo spogliatoio dei maschi. E io lo sono ancora, mi pare!» scherzo, facendo di nuovo quella voce lì che a lui piace tanto. «Come fai a stare qui dentro? Fa caldo!» faccio per togliermi la maglietta.
«Vuoi farlo nella doccia?» mi domanda, pronto a gettare via anche quell’asciugamano.
«Vacci piano con me. Sono fragile.» lo provoco un po’, mentre in canotta mi appoggio vicino a lui. «Mi devi dare un appuntamento ufficiale per quello.»
«E va bene.» mormora, stanco di aspettare. «Nel dubbio vieni nella doccia.»
E questa volta ci spingiamo appena appena alla terza base. Capisco di star rischiando di infrangere la mia regola, per questo mi stacco subito e apro l’acqua fredda per spruzzargliela addosso.
«Gon! È gelida!» urla, mentre con forza mi toglie il doccino da mano.
«Lo so.» rido, vedendo il mio piano funzionare. «Vestiti dai, ci vediamo fuori.»
Mentre siamo in auto per tornare a Manhattan, racconto a Sebastian della festa e del fatto di volerlo come “più uno”.
«Ci sarò sicuramente.» mi promette. «Però arriverò qualche ora più tardi, mi dispiace. Ho una cena con mio padre e la sua compagna.»
«Non ti preoccupare, arriverai giusto in tempo per far vedere a tutti gli Hun… volevo dire Manhattan, che stiamo insieme.» ho un piccolo lapsus mentre parlo. Capita!
 
Entriamo a casa di Graziina e, trovandola libera come sempre, lo trascino dritto in camera mia.
«Però! Hai sistemato bene questa stanza!» dice, osservando gli scaffali (dove ho rimesso qualche manga e qualche gadget, alla fine) e i poster di The 1975 e degli M83.
«La inauguriamo?» lo stuzzico, stendendomi parzialmente sul letto.
«Tu devi smetterla, un giorno non sarò capace di fermarmi.» ride, mentre si avvicina per darmi un altro bacio.
«E perché dovresti?» Ormai stanco, lo tiro verso di me sul letto.
Ignoro lo scatto della porta, sarà sicuramente Graziina che rientra o al massimo Espedito che è passato per qualcos’altro. In ogni caso, nessuno dei due entrerebbe in camera senza bussare.
«Gon!» sento chiamare una voce maschile che non è né quella di Graziina né quella di Espedito. A quel punto, mi alzo e mi appoggio alla porta. «Lo so che sei in casa, la vicina che mi ha aperto ha detto di averti visto entrare mezz’ora fa.» Capisco a grandi linee cosa dice, ma la voce è talmente ovattata che proprio non ne distinguo il timbro.
«Chi è?» urlo.
«E chi altri? Sono Leorio. Mi ha chiamato Espedito parlandomi della festa…» continua a parlare. «Bella casa!»
A quel punto, mi arrendo e usciamo entrambi dalla stanza. Insieme.
«Ehi! Sono passati un bel po’ di mesi dall’ultima volta!» Leorio mi abbraccia, accorgendosi solo dopo di Sebastian. «Oh, stavate studiando?»
«Oh, sì.» risponde scherzosamente l’altro moro. «Eravamo ad un punto molto intenso.»
Divento lilla. «Lui è Sebastian. È il mio…» E ora come lo definisco? Ragazzo? Amico? Amante?
«Usciamo insieme.» mi aiuta lui. A quella frase, mi si illumina il volto. L’ha detto perché lo vuole o perché è disperato per fare sesso?
«Oh…» Leorio per un momento perde un battito. «Ma davvero?» sorride, non so se sinceramente. «Non me ne avevi parlato, Gon! A saperlo non piombavo qui senza preavviso.»
«Ma no, non preoccuparti!» Per qualche motivo, sento che è triste. Ignoro la cosa, non ne parlerò davanti al ragazzo con cui esco.
«Gon, devo andare a casa. Ti chiamo dopo cena!» Sebastian mi dà un bacio e mi saluta, chiudendo la porta lasciata aperta.
Restiamo io e Leorio nel salotto di Graziina a bere qualche bicchiere di vino.
«Però, posto carino!» commenta, visibilmente a disagio.
«Lo adoro. Non ho mai pensato di amare le comodità prima di venire qui!» gli rispondo, mentre prendo un sorso. «Sta iniziando a prendere forma.»
«Cosa?»
«La mia nuova vita.» specifico. In effetti ho proprio tutto.
Leorio ride. «È così strano dover fare venti ore di volo per vederti. In questa città, poi, il posto più grande che io abbia mai visto.»
«Tra poco il mio libro sarà sugli scaffali. E la scuola va bene, ho preso voti alti in matematica! Ti rendi conto?» gli racconto, ma lui sembra ancora un po’ spento. «E tu? Come ti vanno le cose?» gli chiedo.
«Le solite cose. La laurea è vicina.» sbuffa, finendo già il suo bicchiere. «Kurapika è sempre impegnato e Killua è sparito dai radar.»
«Andrà tutto bene con Kurapika.» cerco di tirarlo su. «Gli uomini non sono complicati, sono come le piante!»
A quell’aforisma buttato completamente a caso, Leorio non riesce più a respirare dalle risate. «E questa da dove ti è uscita?»
«L’ho sentito dire per strada.» Sorrido, contento di essere riuscito a tirarlo su. «Ora mi dici perché sei in pena? Hai litigato con…»
«No, no. È che l’ultima volta che abbiamo parlato a telefono era strano, come se volesse liquidarmi. Sai, lui ha questo carattere…»
«Lo so.»
«Se non gli stai dietro diventa imprevedibile.» conclude. Oh, ma che carini. «Quando arriverà qui non so cosa dirgli.»
«Guarda che è tutto nella tua testa!» lo rimprovero. «Non ti volterebbe mai le spalle, ne avete passate tante!»
«Non significa nulla. Dopo quello che è successo tra te e Killua ho capito che non esistono certezze.» piagnucola. Io non so come rispondere. «Scusami, davvero.»
«Non preoccuparti! Sto bene.» lo tranquillizzo. «Killua non è altro che un pezzo del passato. L’ho invitato perché il mio libro parla di quello e la cosa riguarda anche lui. Ma non l’ho fatto per me.»
Ho imparato a mentire bene.
«Non c’è modo di tornare indietro, vero?»
«Non c’è. È una cosa che va fatta in due e io stavo cercando di farla da solo. È stato un fiasco. A questo punto, voglio mettermi il cuore in pace e andare avanti.»
E mentre il mio cervello è nuovamente su Killua, una vibrazione nelle mie tasche mi rimanda alla realtà.
Muoio dalla voglia di vederti per un vero appuntamento.

Muoio dalla voglia di vederti per un vero appuntamento.
Domani sera da Balzac. Passo a prenderti io.
- Sebastian

Quando leggo quel messaggio, sento di nuovo uno strano calore dentro.
«È lui?» sogghigna Leorio.                                                            
«Già. Vuole portarmi a cena.» sorrido anche io, tenendomi la testa con le mani.
«Ti tratta bene, almeno?» mi chiede. Da quel “almeno” capisco che preferirebbe vedermi con qualcun altro.
«Mi fa sentire speciale.» mormoro, parlando onestamente e con lucidità. «E desiderato, non so se hai capito.»
«Ho capito» ride, quasi strozzandosi con il vino. «Era ora che anche tu iniziassi a crescere.»
«Che cosa vorresti dire?» faccio per offendermi, per poi ridere anche io insieme a lui.
 
Il sesso è un mediatore dei rapporti umani. C’è chi è popolare e intrattiene rapporti con un gran numero di persone e c’è chi, invece, preferisce rapportarsi con una sola persona o comunque restare in una cerchia ristretta. Attraverso il sesso due (o più) persone operano uno scambio vantaggioso, quando l’uno soddisfa l’altro e viceversa. Uno scambio vantaggioso porta a un rafforzamento del legame che unisce due persone e questo le spinge a restare insieme.
Ma dove si colloca l’amore in tutto questo gioco di potere, scambio, legge della domanda e dell’offerta e quotazioni di investimenti emotivi? Vivere l’uno per l’altro, sentire una connessione impossibile da rompere razionalmente, in che modo si manifesta nel sesso e nello stare insieme?
Sebastian ha sicuramente acceso una lampadina per il mio risveglio sessuale. Ma il vero problema è, ahimè, che non riesco a non avere il dubbio su come questa cosa si sarebbe potuta applicare al mio rapporto con Killua.  
 
 
 
Per questo appuntamento ho bisogno di tirar fuori tutti i cliché. A momenti arriverà Sebastian con la sua decappottabile, perciò ho radunato le ragazze più Leorio nel salotto di casa.
«Usciamo da un sacco, vale se ci faccio sesso stasera?» chiedo, con quel chiodo fisso in testa.
«Ah, parlate proprio così? Dritto al punto? Senza preamboli o chiacchiere preliminari?» fa Leorio, destabilizzato dal sentirmi parlare in quel modo. La parola preliminari mi rimbomba in testa.
«Io ti avevo detto di aspettare perché generalmente agli uomini devi farla sudare. Se ti concedi subito, ti vedrà come un giocattolino sessuale e nulla di più.» ribadisce Graziina.
«E il prossimo consiglio quale sarà? Confessa subito al prete se domenica vuoi prendere l’eucarestia?» borbotta Espedito, intento a preparare dei cocktail.
«Vi conoscete da quasi un mese, ormai saprai se è in ansia per scopare o vuole qualcosa di serio.» aggiunge Maxine. «Perché aspettare di legarsi emotivamente e beccarsi la mazzata quando fa più male? Se te lo scopi ora, sai se vale la pena continuare.»
«Però forse non è meglio… che ne so, aspettare?» Leorio alza la mano e si esprime timidamente.
«E perché tu in genere aspetti?» lo punzecchia Espedito. «Certo, se calcoliamo che con qualcuno aspetti da tre anni…» dice, stavolta sussurrando.
«Che cosa?!» Sbotta l’occhialuto. «Se voglio fare sul serio, aspetto.»
«E infatti si sente odore di muffa.»
Mentre i due iniziano a prendersi a insulti, Maxine e Graziina si avvicinano a me, creando una scena familiare.
«Gon, ascoltami bene. La vita è una sola e gli uomini sono tutti stronzi. Prendi il meglio che possono darti e cioè il sesso!» mi fa la rossa.
«Gon, non stare a sentire questa misandrica e materialista! Esistono uomini fantastici là fuori, pronti a passare con te il resto dei loro giorni. Il tempo scorre, la ricerca del grande amore non è una cosa da prendere alla leggera! Fa’ attenzione perché Sebastian, un giorno, potrebbe diventare tuo marito!»
«Ma sei impazzita? A un quindicenne parli di matrimonio? Gon, non stare a sentire lei, vive sulle nuvole e infatti non ha trovato né il grande amore né il grande amante! Il sesso è l’unica certezza nelle relazioni, sul resto non puoi fare affidamento! Le gioie della vita sono il lavoro e il successo, non l’amore! L’amore è un’illusione, è così bello il sesso senza amore!»
Perfetto, adesso tutti in questa stanza stanno litigando tra loro. Per fortuna, vengo salvato dal suono del citofono, al quale tutti fanno silenzio.
«Come sto?» chiedo un parere sui jeans stretti neri, la maglia crop top a maniche lunghe color magenta scuro e il berretto francese in testa.
«Stai che non puoi girare per strada da solo.» borbotta Leorio.
«Sei perfetto, va’ da lui.» Espedito mi caccia di casa.
 
Raggiungo camminando con classe la decappottabile di Sebastian. Mentre arrivo, mi lusinga vedere la sua mascella cadere a terra. Ci sto facendo l’abitudine ad essere guardato in quella maniera. Il sondaggio “sesso: sì o no” ha totalizzato un pareggio due contro due. Manca solo il mio voto che ribalterà la situazione.
«Stasera hai deciso di uccidermi?» mi punzecchia, mentre siamo a tavola.
«Non riesci a resistere nemmeno fino al caffè?» rido. «Poco fa stavi per mandarci a sbattere perché non riuscivi a tenere le mani sul volante.»
«Io salterei anche la cena.» borbotta, mentre arrivano i nostri piatti.
«L’attesa del piacere è essa stessa il piacere!» gli dico una frase che ho letto su una rivista qualche ora fa.
Mangiamo per meno di una mezz’ora e, subito dopo il conto, ci avviamo verso la Madison per far scoppiare la magia.
 
 
La mattina seguente, arriva anche Kurapika. Di Killua non c’è traccia. Leorio mi dà appuntamento via messaggio per fare colazione a un bar, solo noi tre. Chiedo a Sebastian di darmi un passaggio, ho passato la notte da lui.
«Non eri a casa di Graziina?» mi domanda il biondo. Mi dispiace per lui perché mi becca sempre nei momenti peggiori.
«Ha passato la notte fuori.» risponde Leorio per me.
«Sempre con…?» domanda Kurapika, imbarazzato. Io annuisco. «Sei stato cauto? In quel… senso.» domanda.
«Tutte e quattro le volte.» gli rispondo con leggerezza.
«Quattro volte?» urlano all’unisono.
«Ma come avete fatto a rifarlo altre tre volte?» nello shock, Kurapika riesce a formulare una domanda di senso compiuto sull’argomento.
«Non lo so!» dico. «Ogni volta che finivamo ho provato a dormire, ma mi veniva di nuovo voglia e lo rifacevamo. Mi sono fermato solo perché si è fatta l’alba!» Non lo sto dicendo pavoneggiandomi, lo racconto come se fosse un allenamento.
«I miei complimenti…» Kurapika non riesce a reggere il tono della conversazione. «Parlando d’altro, chi altri hai invitato alla festa del libro?»
«Alla fine, ho mandato un invito a tutti quelli della spedizione a NGL. E uno anche a Killua, solo perché è menzionato nel libro e mi sembra corretto coinvolgerlo.» Dico, cercando di non mostrare emozioni mentre pronuncio quel nome.
«Dite che porterà…?» chiede Leorio, preoccupato. Effettivamente Frank non sta simpatico a nessuno.
«No, porterà Alluka. Lo so perché mi ha scritto lei, non lui.» spiego, facendo tirare a entrambi un sospiro di sollievo.
«Non sarà strano o cose del genere?» domanda Kurapika.
«È una festa, ci sarà tanta gente! Probabilmente non mi accorgerò nemmeno della sua presenza.» e quando lo dico il mio cervello segna “diecimila” come punteggio alla cazzata più grossa mai sparata. «E pure se fosse, io sarò impegnato a girare per i tavoli, mi dovranno fare le foto, ci sarà la stampa…»
«Non vedo l’ora di leggere il libro!» questa volta il biondo sembra genuinamente contento. «Ci farai qualche anticipazione?»
«Leggerò degli estratti.» spiego, mentre non posso fare a meno di notare lo sguardo pensieroso di Kurapika, simile a quello che Leorio ha da ieri. «Va bene, perché siete così strani?»
«C’è una cosa che ci fa pensare, ne stavamo parlando ieri. Ma non vogliamo turbarti a ridosso della festa.» mi confessa il biondo. Ovviamente, se mi si dice una cosa del genere, non è proprio da me lasciar cadere la conversazione. Perciò lo fisso, facendogli capire che deve parlare. «Tra te e Killua…»
«Lo sapevo!» rido istericamente.
«Vogliamo solo sapere cosa succede!» insiste Leorio. «Noi quattro siamo amici, non possiamo stare con le mani in mano mentre voi due state male.»
«Ma noi non stiamo male. Mi è sembrato chiaro che Killua fosse felice senza di me. Ora lo sono anche io. Problema risolto. Ta-daa!» rispondo, ma senza prepotenza.
«Se state bene allora perché non vi parlate? Perché non riusciamo a stare noi quattro insieme senza imbarazzo?» questa volta il dito inquisitorio è di Kurapika, il che mi spaventa di più. «Vivevate l’uno per l’altro, avevate una cosa unica…»
«Una cosa tossica», gli completo la frase. «Il nostro era un rapporto di codipendenza e Killua si è allontanato perché ci stava male. Eravamo veleno l’uno per l’altro.»
«Sembra una cosa che direbbe una persona totalmente estranea che fa una recensione su un blog», borbotta Leorio. Effettivamente, l’opinione pubblica c’entra.
«Non prendete questa domanda come offensiva. È genuina», anticipo. «Ma cosa volete che io faccia?» E, come da copione, sgorgano lacrime a più non posso. «Sta male solo a vedermi. Lo repello. E io a mia volta sto male per i sensi di colpa.»
«Provate a parlare un’altra volta. Senza fidanzati o gente che si mette in mezzo.» propone Kurapika. «In privato, come a casa tua quando non c’è nessuno.»
Effettivamente, Kurapika mi ha acceso una lampadina. È possibile che la riconciliazione non abbia funzionato perché io e Killua non abbiamo mai avuto la possibilità di stare soli da quando ci siamo separati? Si sente forse in imbarazzo?
 
«E perché dovresti proporlo proprio tu questo colloquio straordinario a porte chiuse? Non ce l’ha un cellulare con cui darti appuntamento da qualche parte? Non può mandare neanche un fax?» protesta Maxine, mentre siamo a pranzo.
«E proprio ora che stai uscendo con Sebastian?» anche Graziina è molto perplessa.
«Sei sicuro di quello che fai?» chiude il giro Espedito.
«Io voglio solo delle risposte. Chiare e concise. Ho bisogno di questo per andare avanti. E se devo rinchiuderlo da qualche parte per averle, lo farò», sputo fuori, iniziando a ingozzarmi di frutta per lo stress. «Quello che abbiamo avuto è particolare. Non si può definire. Siamo stati più che amici, ma non fidanzati. Quanto meno, senza ufficialità e consapevolezza della cosa.» mi fermo a riflettere. «Cosa definisce una relazione?»
«Questo è un discorso intelligente», constata Maxine, con le altre due che annuiscono.
«Con Sebastian sto facendo le cose con ordine. Prima non eravamo nulla, oggi “usciamo insieme”, un domani saremo fidanzati e così via», descrivo così il mio pallino da giorni. «Con Killua ci siamo definiti amici all’inizio, ma solo all’inizio. Poi le cose sono andate da sole e non siamo stati lì a pensarci.»
«Infatti! Questo è stato il problema.» sentenzia Maxine. «Senza una direzione, senza un dialogo che faccia capire se si vogliano le stesse cose o meno, non si sa mai dove si finisce!»
«Con Killua è molto più complesso. Il mio rapporto con lui non si definisce sulla base di eventi particolari, e non si adatta a un piano puramente ideologico. Quello con Sebastian, invece, potrei basarlo su…»
«Scopare contro un lavandino?» mi interrompe Espedito mentre parlo, causando una forte risata collettiva.
«Io non so cosa significa stare insieme. Cioè, cos’è che ci trasforma da migliori amici a fidanzati?» concludo.
«Io penso che il fidanzamento dipenda da una promessa quantomeno implicita. Non quella del matrimonio o del tipo “per sempre e felicemente”. Parlo della promessa di esserci almeno per tutta la durata della relazione. Sai, di dividere la tua vita con lui e viceversa…» mi spiega Graziina.
«Ci siamo promessi tante volte di restare sempre insieme e di aiutarci a vicenda. Questo vale?» le dico.
«Eravate bambini!» interviene Espedito, con lo sguardo di una madre preoccupata davanti a un figlio schizofrenico. «Da bambini si vedono le cose in maniera diversa. Mettici pure che lui era appena scappato da quella casa degli orrori, tu eri l’unica alternativa. Chiunque sceglierebbe te, mi sembra un tantino troppo facile così.» Questa ha fatto male.
«Beh, ma c’è anche una componente di qualche altro tipo! Non puoi davvero dire che il loro fosse un rapporto di convenienza.» lo contraddice Polly Anna. «Ci deve essere stato qualcosa. Altrimenti Killua se ne sarebbe andato subito appena conosciuto qualcun altro.»
«Conosci altre persone che farebbero amicizia e starebbero intere giornate con un assassino professionista?» e anche a Maxine ne scappa una di quelle brutte.
Mi prendo qualche attimo per pensare. È un bel po’ da digerire.
«Scusami Gon, sono stata indelicata», la rossa abbassa la testa e vuole accertarsi che io stia bene. Espedito la segue a ruota scusandosi a sua volta.
«Non siete voi il problema… è che è tanto da processare. Ma io cosa facevo durante tutto questo, dormivo?»
«Senti, Gon.» Espedito cambia atteggiamento, sorridendo e guardandomi con compassione. «Ti posso assicurare che è molto meglio “accontentarsi” di una relazione che ti fa stare bene piuttosto che vivere nella costante ricerca di far funzionare qualcosa che non funziona solo perché la botta allo stomaco è più forte. Non è come nei film, non c’è nessun “segui il tuo cuore”. Nella vita reale bisogna essere pratici. Io lo so cosa provi per Killua.»
«Davvero?»
«È lo zsa zsa zsu.» dice Graziina. «Quella botta allo stomaco che ti viene appena pensi a lui. Se solo lo senti nominare in una conversazione, senti quel dolceamaro scoppio dentro di te che ti fa stare in ansia.»
L’ultima volta che una persona mi ha fatto sentire come se avesse aperto la mia testa, fu Hisoka con la sua psicologia delle categorie di Nen. Cavoli, è proprio ciò che sento.
«Ma non esiste solo lo zsa zsa zsu», aggiunge Maxine. «Ci sono tante cose da considerare. Killua ti renderebbe felice se voi due steste insieme, questo è matematicamente certo. Ma ci sono degli impedimenti tali per cui stare insieme anche solo da amici è impossibile. Si trasformerebbe in una ricerca infinita che finirebbe con un colossale suicidio politico.»
Già, ne so qualcosa.  
«E poi un fidanzato non deve capirti solo con lo sguardo o essere un compagno di avventure. Con i fidanzati si scopa e, se proprio, si litiga. Se il tuo rapporto con Sebastian ha la stessa spinta emotiva della Regina Elisabetta al funerale di Lady Diana, è la relazione giusta.» Conclude Espedito, con un concetto che onestamente fa rabbrividire.


 

Ma buongiorno (o buonasera)!
volevo dire solo una cosa: se avete partecipato a forum e discussioni online su HxH, noterete che le critiche fatte al personaggio di Gon in questa storia (in particolare le invettive di Frank, Killua o Nina Katz) sono familiari. Ecco, in questa storia ho voluto inserire proprio le analisi fatte da utenti Reddit e permettere a Gon di interagirci. Tutta la storia di "Gon è egocentrico e ha distrutto Killua" proviene proprio da lì. 
Detto questo, ci si rivede al prossimo capitolo! Li sto pubblicando uno dietro l'altro perché negli ultimi mesi nonostante avessi la storia già pronta mi sono un po' scoraggiato nel postarli. Ora, invece, penso al fatto che vorrei pubblicarla tutta così da poter passare a una nuova FF (il prequel di questa) e concentrarmi su altri progetti.
xoxo <3 

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Capitolo 13
*** Veleno ***


Capitolo 13

Killua arriva a New York e racconta la sua versione.

Veleno

Killua

Quando provo a telefonare a Shuk, non ottengo mai risposta. Ma che diamine le è preso? Abbiamo terminato la missione alle Isole Congdong e lei si è dissolta nell’aria. Non che io ci tenessi a salutarla per bene o cose simili. Solo che tutto il trambusto mi ha insospettito.
Ore 4:30 del mattino. Sono nel letto a fissare il telefono, ho almeno una decina di messaggi non letti da Kurapika e una trentina da parte di Leorio. Non si fa altro che parlare di Gon e di quel suo stupido libro, per questo evito il più possibile piattaforme social e chat. L’ultima volta sono capitato sul profilo di Gon, da oltre cinque milioni di seguaci, e ho provato un senso inspiegabile di rabbia nel notare che non ci sia nulla di lui in tutto ciò. Tra l’altro, per come sono scritte le didascalie alle foto, il profilo è palesemente gestito da qualche assistente o una cosa del genere.
Probabilmente, quando ha perso i poteri Nen e si è ritrovato a dover stare a casa da solo senza far nulla, come minimo gli è preso un crollo nervoso seguito da una lunga depressione. A quel punto gli si è presentato uno di quegli avvoltoi – e ci scommetto ciò che volete che ad aprire le danze sia stata quella ragazza confetto – ed ecco qua: ci hanno cucito sopra una star per spremerlo fino all’ultima goccia.
Parlatemi di evoluzione, parlatemi di cambiamento, ma io resto fedele alla mia idea. Quello non è Gon e mai lo sarà. 
 
«Non dormi?» borbotta Frank in dormiveglia, che subito mi abbraccia. «Dai, posa quel telefono.»
«I miei amici vanno a New York questo sabato.» gli dico, sapendo già come reagirà. «C’è una festa, posso portare una persona. Vieni tu o porto Alluka?»
«Che festa?» mi domanda. Ora, appena glielo dico, minimo fa una scenata.
«Gon presenta il suo libro.»
«Quell’egocentrico non conosce proprio vergogna», scoppia a ridere. A me non piace che Frank parli di Gon in questo modo. So bene che non è un mostro, forse è un po’ egoista, ma sono certo che Gon non sia una persona orribile. Però, devo a Frank l’avermi aperto gli occhi su molte cose riguardo al mio rapporto con lui. «Non gli basta essere riverito ovunque vada, ci scrive un libro e organizza anche una festa per celebrare una cosa. Come si chiama il libro, “Il mondo ha attraversato una crisi orrenda, ma parliamo di me”? Hai intenzione di cascarci ogni volta che si straccia le vesti per un po’ di attenzioni?»
«Ti ho detto che ci vanno i miei amici.» rispondo, piccato come sempre da quell’atteggiamento.
«E i tuoi amici sono degli idioti che ancora gli vanno dietro.» ringhia. «Sempre la stessa storia, Gon semplicemente esiste e tutti sono al suo servizio. Ogni volta che non si parla di lui, subito trova un modo per trasformare ogni cosa in una roba sua. Tutto riguarda lui, deve stare ovunque e persino nei nostri discorsi mentre stiamo a letto.»
Perfetto, l’ho fatto arrabbiare.
«Scrivo a Kurapika che non ci vado», cerco di evitare di farlo sembrare un contentino.
«Così che io passi per il fidanzato scassapalle. No grazie, va’ pure.» Dice, voltandosi dall’altra parte e tappandosi le orecchie col cuscino.
«Sai cosa amo di te quando ti arrabbi?» mi avvicino a lui, accarezzandolo. «Il modo in cui risolviamo dopo.»
«Pensi di cavartela ogni volta con il sesso incazzato?» Si gira verso di me e sorride.
«Penso male?»
«Pensi bene.»
 
Ho conosciuto Frank il giorno in cui Ging mi ha convocato per la missione sulle isole. Erano passati, che so, sei mesi da quando io e Gon ci siamo separati. In realtà, Ging voleva prendermi proprio “a tempo pieno”, per quella storia del Continente Oscuro, ma non potevo accettare. Non mi fido di lasciare Alluka in giro da sola, per quanto lei protesti sulla cosa. Avevo bisogno di soldi, ma anche di un lavoro che non mi prendesse troppo tempo, così che potessi cavarmela lasciando Alluka in appartamento sulla terraferma e andare lì in settimana.
Frank era lì sull’isola quando sono arrivato. Fin da subito è stato abbastanza gentile nei miei confronti e a me non dispiaceva, tutt’altro. Gli confessai, qualche settimana dopo, ciò che avevo fatto per Gon sei mesi prima. Lui si interessò all’argomento, conosceva Gon di nome visto che i fatti di NGL e le elezioni lo hanno reso famoso. Quando gli confessai del litigio che abbiamo avuto – l’ultimo, prima che Gon si trasformasse – si prese la libertà di dire ciò che pensava. All’inizio ricordo di esserci rimasto malissimo e di non averne più voluto sentire parlare, poi ho iniziato ad ascoltare. Nel frattempo, Frank si è offerto di accompagnarmi sulla terraferma la sera, mi portava spesso in giro a bere qualcosa o a vedere particolari attrazioni. Ero così in ansia per tutta una serie di cose che non riuscivo a rendermi conto del posto stupendo in cui mi trovavo, di cui Frank era un grande estimatore. Lui mi ha aiutato a rilassarmi, a sorridere e a stare bene. Una sera l’abbiamo fatto e abbiamo deciso di metterci insieme.
Per quanto riguarda Gon, non ce l’ho fatta a scrivergli. All’inizio era difficile vedere le decine di messaggi suoi che si accumulavano, non me la sentivo di bloccare il suo contatto. Poi, si è chiaramente arreso e pian piano ha smesso di scrivermi, facilitandomi le cose. Quando è piombato sull’isola da un momento all’altro mi ha spaventato, non avevo assolutamente in programma di vederlo e nello stress l’ho trattato male. Vederlo poi conciato in quel modo, con il suo nuovo gruppetto e qualsiasi cosa gli stia succedendo ora, mi ha irritato parecchio. Non ho voluto più saperne nulla, mi sentivo minacciato da lui.
Quando c’è stato quel pranzo, vederlo dare manforte ad Espedito con il suo solito bullismo e sostenuto a sua volta dalla Signorina Buonasera e dall’avvocatessa in rosso, mi ha fatto capire che non potremmo essere più distanti di così.
Non era destinata a durare oltre.
Ma sarebbe andata così in qualunque modo. Separarmi da Gon è stato doloroso, ma a lungo termine mi ha fatto rinascere. Devo tanto a lui e lo ringrazierò per sempre, però era diventato troppo difficile. Io davo e lui prendeva, sempre così. Non riesco a passarci sopra, anche se mi ha fatto le sue scuse più sincere. Devo farlo per me.
Lui si è sacrificato davanti a me, dopo aver finito Neferpitou senza pietà. Si è spinto troppo oltre, come sempre, precipitando in una pozza di sangue. Io l’ho preso, l’ho portato in ospedale camminando per una nottata intera, con il pensiero costante che potesse essere troppo tardi. E avevo capito proprio lì di averne abbastanza. Non gli importava abbastanza della sua vita, non potevo più tollerare che fossi io l’unico a preoccuparsene. Non potevo tollerare oltre le sue azioni egoistiche, la sua incontrollabile emotività e il modo in cui mi tagliasse fuori nei momenti più cruciali. Non potevo più tollerare il fatto che si aspettasse la mia presenza costante senza lamentele, che io ripulissi ogni casino che combinava e prepararmi a fare lo stesso per la prossima volta che si sarebbe spinto al limite per le sue decisioni impulsive.
Il fatto che ora si sia fatto pescare dal gruppetto di Espedito non può far altro che ricordarmi che ho fatto la scelta giusta. Non penso che Gon migliorerà stando a contatto con una persona del genere, quella persona che manca sempre di rispetto a chiunque e che parla con la stessa umanità di un dittatore che guida un genocidio. E certamente non gli farà bene Graziina, che invece se lo coccola, gli dà ragione in ogni caso e condivide con lui una visione del mondo distorta. Di Maxine, invece, ricordo solo il suo stacanovismo e la sua totale assenza di trasporto emotivo in tutto. Insomma, possiamo chiudere dicendo che Gon ha trovato le persone che merita.
La cosa divertente è che so esattamente come andrà a finire: non appena Gon inizierà a star meglio, il suo egocentrismo tornerà quello di prima ed Espedito lo farà fuori per non farsi usurpare il ruolo di protagonista.
Uno scontro tra titani, insomma.
«Alluka, vuoi andarci proprio?» le chiedo non appena si sveglia. Lei ha una stanza tutta per sé, mentre nell’altra ci sono io con Frank, questo perché Alluka proprio non riesce a sopportarlo. E so benissimo perché, ma dettagli.
«Dai, fratellone! Voglio il libro di Gon! E poi, ti farebbe bene rivederlo.»
Su questo dovremmo discutere.
Appena pensi di aver scampato Gon perché siete a due poli opposti del pianeta, eccolo che diventa una star internazionale e continuerai a ricevere sue notizie che tu lo voglia o no. Festa lussuosa, libro con una copertina che tutti i colori ha fuorché il suo preferito, rifacimento totale del look e collezioni di moda… faticherò a resistere all’impulso di far fuori chiunque abbia creato tutto questo.
Io avrò anche tagliato in modo brusco con lui, ma è sempre meglio che approfittarsi di una persona fragile per lanciare una nuova stella e mangiarci sopra.
«Non pensi che sia ingiusto far star male Frank?» le dico, abbracciandola.
«E perché? Tanto Gon adesso è fidanzato!»
Questa proprio non me l’aspettavo.
Mi mostra una delle riviste spazzatura che tanto ama ed ecco la foto paparazzata di Gon o qualunque cosa sia diventato ora con un ragazzo alto il doppio di lui e che indossa i dilatatori. Gon si è messo con uno che ha i dilatatori. Ha sempre avuto gusti orrendi, si vede che i vestiti glieli sceglie qualcun altro.
 
 
 
Quando vado in aeroporto, Frank non mi accompagna, ma ci tiene a rassicurarmi dicendomi che non è arrabbiato. Ci crediamo tutti. Un volo di venti lunghissime ore che costa un occhio della testa e, infine, eccomi qui. Con Alluka. Nella tanto chiacchierata New York.
Kurapika è riuscito a mandarci un taxi per una specie di sotto-città che si chiama Manhattan. Questa città è enorme, non ne ho mai vista una così. Eppure, io di metropoli ne ho viste.
Quando scendiamo dal taxi, carichi di valigie, inizia il delirio. Il marciapiedi è pieno di persone per le quali sembriamo invisibili e, attraversando la strada, un pazzo che corre con il semaforo rosso per poco non mette sotto mia sorella. Arriviamo al nostro albergo a piedi, camminando per almeno un chilometro e mezzo, sbagliando spesso strada a causa del sistema di orientamento che è diverso dal nostro. Se chiedo indicazioni per strada, o non ottengo risposta o mi vengono dette cose incomprensibili come “prendi la quarantaduesima”. La quarantaduesima cosa?!
La gente per strada mi fissa e mi guarda male, probabilmente per il colore dei capelli o non so che. Non voglio nemmeno stare lì a pensarci.
Odio questo posto. Non ci dovevo venire e ho una voglia matta di prendere il primo aereo di ritorno e tornarmene a casa.
Siccome ci viene fame (o meglio, ad Alluka viene fame), mi fermo ad un piccolo ristorante che – si spera – dovrebbe essere nelle vicinanze del posto dove Kurapika mi aspetta. Come avevo immaginato, costa tutto un rene e il menù porta pochissimi piatti e una sfilza di alcolici che non finisce mai. Come se ciò non bastasse, tutti qui sembrano usciti da una rivista di moda e mi stanno fissando male perché ho una felpa blu.
New York. Ti conosco da un’ora e già ti odio dal profondo del cuore.
Mentre riusciamo finalmente a mangiare qualcosa, la mia attenzione viene catturata da una persona molto chiassosa all’ingresso. Quando identifico la persona in questione, mi viene seriamente da pensare che il destino mi stia giocando uno scherzo di pessimo gusto.
È una ragazza dai capelli corvini che indossa un vestito bianco a pois neri con una stucchevole giacchetta rosa sopra. Ha almeno cinque buste di vestiti per mano e sta facendo un baccano enorme per riuscire a sedersi. Ha un sorriso ebete stampato in faccia, nonostante sia da sola e nessuno la stia guardando. Manca pochissimo affinché i nostri sguardi si incrocino e scoppi il pandemonio.
Infatti, dopo qualche secondo le cadono tutte le buste per terra e un bicchiere si rompe. Lei è agitatissima e quando una cameriera le chiede cosa c’è che non va, lei sussurra – pensando che il mio udito non arrivi fin lì – mentre è china a raccogliere le buste.
«Non posso restare, ci sono persone pericolose!»
A quel punto, decido di seguirla per capire meglio dove andare per questa benedetta festa. Non può correre con tutti quei vestiti in mano e nemmeno se rischiasse la vita si disferebbe dei suoi preziosissimi acquisti da “Inserisci nome di un marchio famoso sul quale baso la mia intera personalità perché sono una persona infelice”.
Quando la becco col semaforo rosso e lei decide che non può più scappare, decido di deporre le armi. «Graziina, aspettami! Devo solo dirti una cosa.»
Lei, guardandosi intorno e facendo un’espressione contrita e arrabbiata davanti alla cui goffaggine mi sforzo di non ridere, mi urla in faccia.
«Io non voglio parlare con te! Sono così arrabbiata con te! Io sono sempre stata dalla tua parte, ho sempre pensato che avresti fatto la cosa giusta. E invece tu l’hai trattato così!» Quando inizia addirittura a piangere, mi domando cosa diamine stia succedendo. «Cattivo! È vergognoso. Ti devi vergognare.» Subito dopo si ferma, si asciuga le lacrime e distoglie lo sguardo. «No! Non spreco lacrime per te. Io maledico il giorno in cui sei nato!» Dopo il suo show, Graziina inizia ad avere un mancamento. «Oh, mi gira la testa.»
È cascata per terra con tutte le buste. Questa gente è completamente fuori di testa.
 
 
Siamo io ed Alluka nella sala d’attesa dell’ospedale. Voglio proprio capire cosa le sia preso durante la sua delirante sfuriata. Ma in che senso mi ha sempre difeso? Valla a capire. Lei e Gon si sono trovati.
«Dottore!» dalle scale sento dei tonfi, un fiatone e delle urla. Ho una vaga idea di chi si tratti. «Oh, mio Dio!» è un ragazzo biondo e alto, vestito in modo ridicolmente appariscente, che si è fatto notare da tutto l’ospedale per i suoi modi vistosi.
«Signore, si calmi», gli dice il dottore appena uscito dalla stanza di Graziina.
«Non mi posso calmare! Mi dica che non è morta.»
Questa è la scena più imbarazzante a cui abbia mai assistito. Dopo di che, simula uno svenimento. Ecco un altro con la medaglia d’oro dell’egocentrismo. «Potrei avere un infarto!»
«La sua amica stava per avere un infarto.» sputa fuori il dottore.
E il premio “Narciso dell’anno” va a… stranamente non a Gon.
«Ah.» improvvisamente, il tizio diventa serio. Era anche ora. «Ma lei non aveva problemi di cuore.»
«Dovrà fare degli accertamenti. Potete entrare a vederla.»
Al suono di quel “potete”, il ragazzo si accorge finalmente della mia presenza. «Killua?»
«L’ho portata io qui, è svenuta per strada», gli dico cercando di essere amichevole, mentre lo accompagno nella stanza.
«Grazie.»
Questo non me l’aspettavo.
Poco dopo il nostro ingresso, Graziina si sveglia spontaneamente.
«Aah! Tesoro, come stai?» Espedito urla e io sono sordo.
«Oh, stavi lavorando! Non dovevi disturbarti. Fosse la prima volta che mi capita di svenire per strada!» risponde lei, con quel sorriso di merda che non perderebbe nemmeno da morta.
«E non ti è mai passata di mente l’idea di andare da un medico?» il biondo fa per la prima volta una domanda intelligente.
Questa gente è spazzatura.
Un altro trambusto – meno caotico di quello di prima, però – proviene dalla sala d’attesa. E così piomba lui, preoccupato come non mai per la sua migliore amica, insieme ad un’altra loro amica, quella rossa.
«Ma…? va bene», quest’ultima, appena mi vede, vorrebbe dirmi qualcosa, ma si concentra su Graziina.
«Ciao!» mi sussurra Gon, prima di concentrarsi anche lui sull’amica.
«Ma come diavolo è successo?» chiede Maxine.
«Mi stava urlando in faccia ed è svenuta», e capisco solo ora che una frase del genere detta da me suoni in maniera molto particolare.
Ma, cosa molto strana, nessuno pensa male di me. Nemmeno Maxine, che credo sia quella che mi detesta di più.
«Mi dispiace! Ho visto Killua e mi sono arrabbiata», dice, poi indica me. «E scusami anche tu, ho detto delle cose brutte. Mi era rimasto in gola quel pranzo.»
«Sì, quella disgustosa salsa.» la prendo in giro.
«Piuttosto… Gon, cosa ci fai conciato così? Dovresti essere già a prepararti. C’è il vestito da ritirare», si preoccupa lei, indicando il moro che indossa una “banale” camicia color bordeaux. «E devo ritirare anche il mio! Oh, madre.»
Nel frattempo, stanca di restare al piano di sotto, Alluka piomba nella stanza e viene subito vicino a me. «Mi annoio di là.»
«Ciao! Non sapevo ci fossi anche tu!» Gon la saluta subito, con quello sguardo e quel sorriso che, sì, rappresentano proprio lui come me lo ricordavo.
«Killua mi ha portata qui per il tuo libro» dice lei.
«Ma che fratello amorevole!» commenta Espedito. «La porti sempre in giro! Questo è carino.» Mi sembra sincero.
«A proposito, Danielle?» gli chiede Gon.
«Oh, mio Dio», Espedito per un attimo si blocca, chiedendosi dove abbia scaricato la sua sorellastra. «Ah, è da mia madre.» Si tranquillizza.
Una scena che dice tutto di me e di lui.
«Killua», mi chiama Graziina dal letto. «Puoi accompagnare Gon in lavanderia? Avrei dovuto farlo io, ma ora non posso guidare.»
«Ma nemmeno lui guida!» le fa notare Gon, che evidentemente non ha colto il sottotesto. Tipico.
«Lo farò!» dico, tanto per non dire di no a una ragazza in ospedale.
«Aspettatemi a casa. Gon ha le chiavi», aggiunge.
«Io resto qui!» annuncia mia sorella.
Perfetto, ora è ufficiale.
 
Una camminata per Manhattan con Gon.
Cose assurde continuano a succedere.
Dopo cinque minuti di noi che camminiamo in totale silenzio e senza mai guardarci, decido che sono in dovere almeno di rompere il ghiaccio.
«Ti piace vivere qui?» gli domando sinceramente, perché io in tutto questo non vedo nulla di lui.
«È un posto sereno. È diverso da tutti i contesti a cui sono abituato, ma mi piace stare qui. È una cosa nuova!» risponde. Per un momento, togliendo il vestiario e i capelli, sembra tornato lo stesso Gon di sempre. Ingenuo, dolce e pieno di vita.
«Capisco.»
E poi cerchiamo di montare su una conversazione finché non ritiriamo il vestito. Quando siamo riusciti a ristabilire un minimo di intesa, la prima cosa che mi chiede prima di entrare in casa è:
«Ho bisogno di un parere sincero su come sarò stasera. Il vestito non l’ho scelto io, dicono che somigli a come mi vestivo prima ma in una versione un po’ rimodernata.»
Non so cosa stia cercando di dire, perciò mi limito a sedermi sul divano e attendere. Do uno sguardo alla casa e non posso fare a meno di notare le pareti scure, lo stile elegante e femminile che permea tutta la casa. Ed è un appartamento enorme, c’è il bar in salotto, una televisione enorme e la cucina in una stanza a parte. Per non parlare della sua famosa collezione di porcellane.
Bel risarcimento per tutto ciò che ha perso dopo NGL.
«Ho quasi finito, se vuoi vieni in camera», urla da dentro.
Non so quanto sia giusto vederlo mentre si veste, decido di prendermela comoda prima di entrare nella stanza di Gon passando per il corridoio. Graziina ha una camera enorme, che a differenza del resto della casa ha le pareti bianche e i mobili di uno stile completamente diverso. Sul mobile con lo specchio ci sono appese foto di lei e dei suoi cani, ma il mio sguardo passa ad una foto molto vecchia, di una lei che poteva avere quindici anni, con un bambino che invece ne avrà avuti undici, in mezzo a un prato viola di lavande. Decido di non pensarci e andare a vedere questo benedetto vestito, ma la cosa mi rimane impressa.
Anche la stanza di Gon è spaziosa, un po’ più piccola (probabilmente era una stanza degli ospiti). Noto che ha portato un po’ delle cose che ricordavo fossero nella sua vecchia casa, come alcuni manga e la canna da pesca, ma ci sono nuovi libri e uno strano gattino di porcellana. In una scatola nascosta sotto al letto, ci sono un album delle foto, il chocorobot che avevamo trovato insieme e l’action figure di Yusuke che gli ho regalato per il suo tredicesimo compleanno. Un po’ sorrido nel vedere come abbia conservato tutto.
Poi, però, una vista mi spezza il cuore. È il cestino della pattumiera dove vedo la sua vecchia giacca verde, ridotta a brandelli e gettata così. Mi domando come sia stata ridotta in quel modo. Immagino che abbia avuto un crollo e lo abbia fatto da solo.
«Ho quasi finito, scusami per l’attesa!» urla di nuovo da dietro una porta. Mi chiedo che stanza sia quella in cui si è rinchiuso, visto che in camera ha anche il bagno ed è dietro di me, aperto.
La domanda passa in secondo piano quando lui esce timidamente da quella che ora ho capito essere una cabina armadio enorme. Indossa un top verde brillantato, aderente e senza maniche con un grande fiore bianco appoggiato alla spalla destra e dei guanti sempre verdi che occupano metà del suo braccio. Sotto il top, quella che sembra una gonna dalla forma strana di colore nero e degli stivaletti.
Capisco la sua apprensione, è un look davvero strano. Sembra più un qualcosa pensato per una sfilata di moda che per essere indossato nella vita reale. Ma la cosa assurda è che, per prima cosa, su di lui sta benissimo e, per seconda cosa, sembra che riesca davvero a catturare diverse sfumature della sua personalità. Chi ha studiato quel look deve essere una persona che lo conosce abbastanza.
«Ho paura», piagnucola, mentre si sistema i capelli. I suoi capelli hanno questa naturale tendenza a rizzarsi perpendicolarmente al cuoio capelluto e a formare quella stella nera che lo aveva caratterizzato sempre. Da qualche tempo, invece, è evidente che abbia corretto la cosa trattandoli con qualche prodotto abbastanza forte e farli cadere normalmente per formare un’acconciatura più chic.
«Stai bene», gli dico con sincerità. Il suo volto si illumina come quello di un bambino che scarta i regali di Natale.
«Lo pensi sul serio?» Da che era abbattuto ora è più vispo che mai. Sono bastate due parole. «Avevo paura di sembrare ridicolo! Sai, ci sarà la stampa e purtroppo ci sono certi giornalisti che non fanno altro che scrivere cose brutte.»
Continuo a nutrire seri dubbi su quanto possa essere stato saggio lanciare Gon in un ambiente del genere.
Ma non posso caricarmi di questo problema. Non posso farlo di nuovo.
A un certo punto, lo vedo cambiare espressione quando armeggia con il suo cellulare. Mi viene da domandargli cosa sia successo, ma non ci riesco. Tanto me lo dirà a breve comunque.
«Sebastian non viene», mormora. Sebastian sarebbe il tizio con i dilatatori. «Peccato, avrei voluto che tu lo conoscessi!»
«Chi è Sebastian?» fingo di non sapere che si veda con qualcuno e che le informazioni sulla sua vita amorosa siano reperibili pubblicamente su siti e riviste. Altra cosa alquanto discutibile, ma va bene.
«Usciamo insieme. Mi tratta tanto bene.» Risponde, facendo una voce infantile leggermente sforzata. Lui ha sempre avuto quel tipo di parlata molto bambinesca, ma questa cosa che ne sia consapevole e ci giochi sopra mi è nuova. Evidentemente ha imparato a fare il gattino morto con i ragazzi.
 «Sei felice?» non avrei dovuto chiederglielo. «Dici che è una cosa seria?»
«Mi fa stare bene, tutto qui. Non so se sia una cosa seria», mi risponde con naturalezza. «Mi coccola quando mi vede triste.»
Tradotto: Gon fa le moine e a Sebastian piace l’idea di essere quello forte della coppia. Era solo questione di tempo prima che un giorno avrebbe capito il motivo per cui è attraente e che avrebbe iniziato a marciarci sopra.
«Vi siete conosciuti a scuola?» gli domando. Già, la scuola. Questa, poi, è una delle cose più assurde che poteva fare.
«Già. Fin dal primo giorno volevo parlargli perché lo trovavo carino», sorride, è così infantile il modo in cui si rapporta alle persone. Mi fa una gran tenerezza. «Così, un giorno, sono andato a parlargli, ho flirtato con lui, ci siamo baciati e mi sono fatto portare a casa sua con la sua decappottabile. Stavamo per farlo in piscina.»
Mi prende un fortissimo colpo di tosse e divento più bianco di quanto non lo sia già. Dire che questo, invece, non sia da lui è un pallido eufemismo. Non ci posso credere che una mattina si svegli e si butti sul primo uomo che vede. E gli è pure andata bene! In effetti, ora che ci penso, un po’ di lui c’è in tutto ciò. C’è un po’ di lui in tutto, se ci penso. Cambia solo la forma.
«Tu sei felice con Frank?» chiede poi a bruciapelo. Dovevo aspettarmelo.
In realtà non lo so. Frank mi ha dato una mano in un periodo difficile e mi aiuta a pensare a me stesso.
In effetti, io e Gon abbiamo preso dei ragazzi che ci danno ciò di cui – sulla carta – abbiamo bisogno. Lui ha preso qualcuno che compiaccia il suo bisogno inconscio di essere guardato, nonché quello di essere messo al centro da qualcun altro. Io ho preso qualcuno che mi sproni a mettere me stesso al primo posto.
Se poi a letto questo Sebastian è bravo quanto Frank, siamo entrambi messi benissimo.
Io ho fatto una cosa ragionata e con attenzione. Lui ha seguito gli istinti e la sua attrazione per il nuovo.
Alla fine, è proprio come tutte le altre volte.
«Mi fa stare bene, tutto qui», rispondo alla sua domanda.
«Mi dispiace per come mi sono comportato sulle isole. È che sto prendendo un sacco di decisioni sbagliate e non so esattamente come uscirne», se ne esce all’improvviso, in preda a un forte senso di colpa. «Quando ho scoperto dove ti trovavi, col pretesto di andare in vacanza sono venuto da te. Questo non è normale.»
«Non fa nulla!» istintivamente, mi viene da rassicurarlo sulla cosa. Cazzo, Killua, smetti di caderci. «Io non ti ho trattato molto bene.»
«Hai le tue ragioni. Vedi è che… sono egocentrico. Mi metto sempre al centro. Anche nelle piccole cose, anche adesso che sto parlando solo di me… è proprio una cosa che non riesco a controllare» si confessa. Questo è un buon cambiamento, prima non avrebbe mai avuto così tanta consapevolezza della cosa. «E mi sono reso conto troppo tardi di averti fatto del male. Del fatto che tu eri lì, stavi parando tutti i colpi delle mie scelte e io avrei dovuto voltarmi almeno una volta per alleggerirti di quel carico.»
Non può starlo dicendo davvero.
«E per quanto io ci provi, non riesco a non pensare a un modo per risolvere le cose senza comportarmi da egoista», confessa, facendomi veramente chiedere se sia tutto vero. Forse sono ancora a York Shin City e sto dormendo nel mio letto. «Ging mi ha detto che la regola fondamentale di quando ci si scusa è promettere di fare meglio la prossima volta e impegnarsi a mantenere la promessa. Ma io non ho abbastanza fiducia in me stesso per farlo. Non perché non voglia migliorare, ma perché non lo so fare. Devo capire.»
Fissa il pavimento, non riesce a guardarmi negli occhi, sembra imbarazzato.
«Io avrei dovuto parlarti», mi viene da dirgli. «Non avrei dovuto nasconderti come mi sentivo. Non mi sarei dovuto comportare come se tu avessi fatto tutto di proposito.»
E così Gon, in quell’elegante vestito, si appoggia al muro per non accasciarsi a terra e piange. A questo punto, metto da parte il mio orgoglio e corro a dargli l’abbraccio che merita. Non mi interessa se questo mi fa passare come debole, se sembra che io ci sia cascato. Gon non manipola le persone, non mi ha messo in questa ragnatela di proposito. Lui non è così colpevole come dicono certe brutte lingue.
«Non posso», dice, all’improvviso, sottraendosi dall’abbraccio con delicatezza.
«Che ti succede?» gli chiedo.
«Vorrei avere fede ma ultimamente mi sento come se stessi perdendo la testa. Non credo di essere capace di valutare correttamente le cose» mormora, tirando fuori termini che nemmeno pensavo conoscesse, non riuscendo comunque a farsi capire.
«Ma che cosa stai dicendo?»
«Penserai che sia egoista. Ma ho capito che ogni volta che finisco per autodistruggermi tu sei quello alla fine della catena che prende tutti i colpi con gli interessi. Non voglio farti questo di nuovo e allo stesso tempo ho paura per me stesso.»
Il modo in cui parla denota una maturazione. Ammette implicitamente il suo egoismo, ma riesce a farlo coesistere con la preoccupazione nei miei confronti. Potrei apprezzare la buona comunicazione e i progressi che ha fatto se sapessi cosa rispondere a parole così pesanti e che mi fanno paura.
«Meriti una persona stabile e sana. Non qualcuno che potrebbe esploderti addosso mentre lo abbracci», continua a dire tra un singhiozzo e l’altro.
«Il fatto che tu riesca a parlarne così è già abbastanza», cerco di essere rassicurante, perché tutto sommato le sue parole mi fanno stare in pace come non mai.
«Quello che scrivono sui giornali è quello che pensano anche molte persone. Si dice di me che sono uno psicopatico, un mostro, una persona fuori controllo e che recita la parte del bambino innocente solo per farla franca. Questo si dice ovunque, da che ero ancora in ospedale», racconta, mentre appoggia la testa al muro e respira profondamente. «Ovunque si parli di me si dice sempre che non ho morale, qualcuno dice addirittura che io sia un pericolo pubblico. Ho deciso di pubblicare questo libro per dire la verità.»
«Da quando ti interessa l’opinione pubblica?» gli domando. «Anche l’altra volta… con quella Nina.»
«Da quando la dura realtà mi ha colpito come una doccia fredda. Le persone pensano che io sia destinato ad essere sempre uguale. A comportarmi come loro pensano che io farei. E se mi permetto di uscire dal seminato per migliorarmi, vengo criticato comunque!» Effettivamente, non è che la sua sia una situazione semplice, ma sta comunque sbagliando a porsi il problema. «Io voglio avere semplicemente la mia voce. Non l’interpretazione di qualcun altro. Ho messo per iscritto cosa provo, cosa mi motiva, come mi sento. E se anche davanti a quello qualcuno avrà da ridire, non mi interesserà. Perché almeno ci sarà una base fondata.» Poi prende un bel respiro e ride. «Non è facile. Donna LaDonna mi chiede ogni giorno a scuola se ho intenzione di suicidarmi per pubblicizzare l’impresa funebre del padre.»
«Donna… LaDonna?» non riesco a non ridergli in faccia. Ma perché questi nomi così? «Nina Katz e Donna LaDonna. Hisoka in confronto è una barzelletta.»
Ridiamo di gusto per un minuto intero. Poi, mentre siamo seduti a terra, lui poggia la testa sulle mie gambe.
«Voglio che tu stia bene.» gli dico. E lo penso davvero.
«Anche io lo voglio per te.»
 
Graziina entra in casa insieme ad Alluka e le due sembrano andare già molto d’accordo.
«Ehi, Killua» mi chiama Gon. «Perché non vai nel bagno? C’è l’idromassaggio. Io devo ancora aspettare Samantha ed Elaine per uscire. Poi devo ricevere dei documenti da Shuk che sarà qui a momenti.»
«Aspetta», lo fermo subito. «Shuk? Cosa ci fa a New York?»
«Lei è del New Jersey, un posto qui vicino. Quando ha finito la missione è voluta tornare qui. Non chiedermi perché, Edna l’ha assunta come assistente senza sapere nulla.»
Questo è molto strano. Comunque, non sono tipo da farsi dire due volte di usare una vasca idromassaggio. Non so da quanto tempo non mi prendo decentemente cura di me, forse solo con Frank ho ricominciato a curarmi del mio aspetto.
«Io ti aspetto qui, Graziina vuole farmi vedere il suo armadio!» esclama Alluka, seguendola in camera. È qui che quella fotografia che ho visto prima ritorna nei miei pensieri. Ma non importa, io merito davvero di stare in quella vasca idromassaggio.
 
 
Sono le 6:00 del pomeriggio. Kurapika mi scrive che è insieme a Leorio e tutti quelli arrivati da York Shin, partiranno verso il locale tra un’ora. Qui, nel frattempo, si è riunita una folla di papere. Come faccio sempre, mi richiudo a riccio istintivamente davanti a tanti sguardi sconosciuti. Mi limito a starmene in disparte resistendo agli impulsi omicidi causati da una donna che sta massacrando fisicamente Gon per migliorare il suo aspetto. Sono almeno cinque minuti che lui urla dal bruciore mentre gli mettono dei prodotti urticanti e gli levano peli inesistenti con la ceretta in faccia. Non per essere quella persona, ma penso sia uno sforzo non necessario.
«Io non sto più nella pelle! A nome di tutta la Harper & Collins ringrazio te, Gon, per aver venduto l’anima proprio a noi!» quell’espressione usata da una donna bionda, presumibilmente l’editrice che vorrebbe essere ironica, mi fa contorcere lo stomaco. Subito dopo, la donna si gira verso di me e non mi stacca gli occhi di dosso. Dopo un po’, fa uno sguardo spaventato e poi sorride malefica, aprendo la bocca e portandosi una mano al petto prima di voltarsi. Mi ha riconosciuto ed è una pettegola, come mi aspettavo.
«Sei stupendo! Davvero. È geniale il look, chi è il costumista?» chiede un’altra donna, penso l’assistente dell’editrice.
«Espedito ha guidato il team», le risponde Graziina. Beh, immaginavo fosse stato qualcuno che conosce.
«Fratellone!» mi chiama Alluka, venendo dal corridoio con un lunghissimo abito rosa in tulle pieno di fronzoli. Sembra una principessa. «Questo era di Graziina!»
«Oddio! È il Baby Dior!» fa Espedito, intenerito. Qualcosa mi dice che più che i bambini lui trovi carini i vestiti d’alta moda per bambini. «Era quello che avevi alla mostra del cinema di Venezia nel 2001. Me lo ricordo benissimo, io avevo quel completino di Fendi… piaceva a tutti ma non è il mio preferito.»
«Non è un po’ eccessivo?» domando io.
«In che senso?» domanda Graziina, preoccupata di aver sbagliato qualcosa. «Oh, mi spiace…»
«Perché hai deciso di darle quel vestito? Cosa provi quando aiuti qualcuno? Qualche trauma passato?»
Non so perché ma mi viene da chiederle questo. Alluka mi tira uno schiaffetto sul braccio per la domanda inopportuna.
Graziina ha uno sguardo spaventato e noto dagli occhi che ha capito di essere stata beccata. Silenziosamente, mi fa un cenno e mi guida in camera sua.
 
«Sei entrato qui dentro, vero?» dice con una voce bassa che non ho mai sentito da lei. Non è arrabbiata, ha un sorriso strano, molto diverso dal sorriso di plastica che porta normalmente. Un sorriso amaro di chi deve raccontare qualcosa che non vuole raccontare.
«Esatto», le rispondo, non facendomi intenerire dalla scenata.
Ci avviciniamo a quel famoso mobile e mi mostra quella famosa foto. Inizia a raccontarlo con freddezza, gli occhi si svuotano e non mostra emozioni.
«Si chiamava Andrej. Oggi avrebbe fatto diciassette anni.»
Prevedo che questa storia diventerà presto un macigno.
Mi stupisce, però, che abbia scelto di raccontarmelo di persona. Ma non l’ha fatto a caso, ha intuito che il suo modo di fare mi ha indispettito e non voleva che io la prendessi ulteriormente in antipatia. Sapeva che quello avrebbe potuto essere l’inizio di una brutta sfuriata e non voleva turbare i presenti. Alla fine, anche lei è un’anima molto semplice.
«Come…?» mi risparmio di aggiungere “è morto”.
«Quando aveva tredici anni si è tolto la vita. Ero tornata a casa e l’ho trovato penzolante dal soffitto. L’ho trovato per prima, ma era morto da giorni perché i miei erano in viaggio e lui era da solo in casa.» Nonostante sia fragile, riesce a non scoppiare a piangere. Si vede che su questa storia ha lavorato sopra. «I nostri genitori non erano molto affettuosi, ci lasciavano quasi sempre da soli. Io ero l’unica persona che aveva. Vivevo ancora in Svizzera, Espedito abitava a venti metri da me…» Poi si volta e ripone la foto dove l’aveva messa. «Era un piccolo borghetto, in una valle tra le alpi, ci conoscevamo tutti. Non ho mai saputo il perché l’ha fatto, non lo conoscevo. Non avevo fatto abbastanza. Andrej aveva bisogno di aiuto e io non c’ero. Ho affrontato il senso di colpa, ci ho lavorato tanto. Ma, sai, io voglio sapere che le persone intorno a me stiano bene.» Dopo quel racconto così buio, accenna un piccolo sorriso. «Dare una camera a Gon non mi è costato nulla. Questa casa è enorme, non ci sono quasi mai e non so nemmeno che farci. E dargli conforto, farlo sentire benvoluto e non abbandonato, mi fa sentire in pace con me stessa.»
«Gon sa di questa storia?» Mi viene da domandarle. Ancora non ho capito se sia genuinamente una brava persona o una psicopatica.
«Sì. Glielo avevo confessato già durante la missione. Una sera mi ha trovata in camera che ero disperata.» Adesso inizia a rattristarsi. «Quando sono andata a trovarlo sull’isola, dopo che voi due vi siete separati, lui era distrutto. Ho avuto tanta paura.»
«Gon è forte, ce l’avrebbe fatta. Non devi preoccuparti!» la rassicuro. «Chi lo conosce davvero, sa che è indistruttibile e capace di ogni cosa.»
«Non è vero!» mi zittisce contrariata. «Nessuno è indistruttibile. Queste cose succedono perché escludiamo sempre che si possa trattare di qualcuno a cui vogliamo bene. Anche ciò che è successo a NGL è una prova. Non dare mai per scontato che una persona ce la faccia da sola.»
Questa frase mi manda in tilt. Dovrei offendermi perché sta cercando di spiegarmi Gon, che conosco meglio di chiunque altro. Normalmente avrei dato di matto, ma qui devo riconoscere che ha ragione lei, per quanto ammetterlo mi costi molto.
C’era qualcosa che non avevo messo in conto quando Gon se ne è andato? Avevo dato forse per scontato che lui fosse quello fortunato tra i due e che per questo se la sarebbe cavata? O, molto semplicemente, la nostra amicizia non funzionava e basta?
«E la ragione per cui ti ho sempre difeso è perché tu sei tutto per lui», dice sorridente. «Io facendo qualsiasi cosa non potrei renderlo felice la metà di quanto ci riesci tu con un semplice sorriso.»
«Pensavo mi odiassi.»
«E perché? Ti sei comportato male e me la sono presa per quello. Ma no, io non ti odio» mi accarezza i capelli. «Voglio solo che lui sia felice e che non viva con il peso delle sue colpe. O quelle che per qualche ragione è convinto di avere.»
«Di che colpe stai parlando?»
«Dice continuamente di averti distrutto la vita e che non ha fatto altro che trascinarti nell’abisso» lo dice, ma non ne è convinta.
Certo, è sempre stato un po’ egoista e non è stato bello ciò che mi ha detto quella notte a NGL, ma ora ci stiamo allargando.
Decido però di non fare ulteriori domande.
 
 
Quando arriviamo al locale, devo ammettere che è un posto mozzafiato. L’unico problema è la fila enorme per prendere l’ascensore e il dover arrivare al settantesimo piano, ma sono dettagli. Sul soffitto, le luci neon sono disposte in un motivo a cerchi che illumina l’ambiente di colori caldi, ci sono finestre grandi per tutto il perimetro della sala e una balconata dalla quale si può ammirare la città di notte.
I posti a sedere sono stati assegnati, probabilmente una misura per prevenire guerre nucleari tra le portate. Io e mia sorella siamo stati assegnati al tavolo con Leorio, Kurapika, Knuckle, Morel, Palm e Biscuit. In pratica, ci hanno messi tutti insieme per separarci dalle classi alte.
«Odio questo genere di serate.» Borbotta Morel, che si è già beccato insulti all’ingresso da parte di Espedito perché “il velluto a coste non è adatto a una serata di gala”. «Non ho capito come Gon sia finito qui e soprattutto come ci siamo finiti noi.»
«La sua squadra ha fatto tutto. Secondo me è interessante, a Gon serviva un po’ di classe» aggiunge Biscuit, che sta già fissando metà degli ospiti con uno sguardo… affamato.
«Io sono emozionata. Ho avuto modo di vedere una foto del suo cambiamento, si è fatto più carino!» c’è Palm, proprio accanto a Biscuit. Lei è un’altra che si è sottoposta non so a che ristrutturazione, va detto che è molto bella questa sera.
«Psst! Killua!» mi sussurra Knuckle. «C’è anche la Petrovsky stasera?»
«Domanda stupida.» Gli rispondo. «Ovvio che c’è, gli starà attaccata come una cozza come fa sempre.»
«Le fortune capitano tutte agli altri», mi risponde.
Ai lati del bancone del bar, si sistema una piccola orchestra che apre la serata con una musica jazz e dei camerieri portano a tutti dei cocktail rossi sistemati in dei bicchieri dalla forma a cono rovesciato, decorati con una fetta di lime.
«Questo deve essere il Cosmopolitan», spiega Biscuit. «Diciamo che è il loro simbolo.»
«Come in Sex and The City? » chiede Palm. Biscuit annuisce. «Oddio! Io ho sempre voluto essere Samantha! Biscuit, tu invece sei proprio una Miranda.»
«Ma io non sono Miranda, sono Carrie!» Le due iniziano a litigare.
«È orribile quella serie!» borbotta Morel. «Quattro sciacquette borghesi di mezza età che rendono “glamour” le loro vite infelici e parlano di uomini come manzi ai mattatoi, prendete la peggiore discussione tra scaricatori di porto e trasponetela in bocca a quattro signore ben vestite. Una mia ex lo guardava, infatti era pazza. Quella serie è una disgrazia.»
«Sono donne emancipate!» protesta Biscuit.
«Una protagonista che si comporta come una bambina egocentrica che è una pessima amica, una tradizionalista che vive nel mondo delle favole dei piani alti, una donna robotica e cinica che fa l’avvocato e una squinternata la cui metà delle parole che dice sono parolacce e bestemmie mentre l’altra metà sono insulti», le risponde Knuckle. «Se questa è la rappresentazione che vuoi…»
«Che poi, a pensarci…» interviene Leorio, scoppiando poi a ridere per aver capito il perché di tutto. Non continua la frase, ma rimane a fissare Gon, Graziina, Maxine ed Espedito fermi a parlare con una giornalista in fondo alla sala.
Ora capisco perché abbiano scelto lui, ritorna tutto.
Mentre Gon è ancora dietro le quinte a farsi fotografare e a parlare con la stampa, Graziina, in un enorme vestito nero che luccica, un’acconciatura a coda complicata, trucco perfetto, prende la parola al microfono.
«Buonasera a tutti!» saluta, ricevendo un enorme applauso.
«È così perfetta…» Knuckle, seduto di fianco a me, sta già sbavando.
Dopo aver letto un brevissimo discorso di apertura, dove fondamentalmente elogia la casa editrice e presenta alcuni sponsor, le luci si abbassano e Graziina inizia a cantare La vie en rose con l’accompagnamento da parte dell’orchestra ai lati. Knuckle sta per avere un mancamento.
«Questa è quella che esce con Gon?» domanda Palm, tutt’a un tratto.
«In realtà non si capisce, non ci si sta dietro» mormora Knuckle. «Quando gli ho telefonato per il suo compleanno, mi ha detto di no.»
«Ma no! Gon è fidanzato con un ragazzo» borbotta Alluka.
«Eh?!» Palm, Biscuit, Morel e Knuckle sussultano all’unisono, per poi tempestare mia sorella di domande.
«Un tizio con i dilatatori.» Mi scappa il dente avvelenato. «Non sembra una storia tanto seria.»
«Perché io non ne so niente? Devo verificare che sia all’altezza!» interviene Palm. E se lo ammazzasse durante il processo, le sarei grato a vita.
«Io ho smesso di volerne sapere quando ci ha raccontato che lo hanno fatto quattro volte in una notte sola» borbotta Leorio.
«Forse non andrebbe detto qui» gli fa notare Kurapika, che non riesce a trattenere le risate ma anche l’imbarazzo.
Quattro volte? Ma siamo seri? E io che pensavo di aver raggiunto l’apice con Frank perché lo facciamo ogni giorno.
«Toglietemi quest’immagine dalla testa, ve ne prego», si lamenta Biscuit. «Comunque beato lui.»
«Cosa hanno fatto quattro volte?» chiede Alluka.
«I compiti» rispondo io, chiedendo implicitamente agli altri di cambiare argomento.

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Capitolo 14
*** Meno Idoli ***


Capitolo 14

Mio Dio. Ci sono delle star.

Meno idoli

Gon

La festa è uno di quei successi straordinari che finiscono immancabilmente nelle cronache mondane. Il fatto che sia la mia festa è solo la glassa di zucchero sulle ciliegie delle tortine servite dai camerieri.
Credo di star perdendo una retina a causa di tutti questi flash nell’occhio. In questa stanzetta per la stampa ci sono io che tengo in mano il mio libro e un espositore dietro. Accanto a me ci sono Samantha, Shuk ed Elaine, intente a coordinare un po’ il tutto (in altre parole, tenere buoni i giornalisti che si stanno comportando come squali in una vasca dove è caduta una goccia di sangue).
«Un bel sorriso, sei stupendo!»
«Da questa parte!»
«Okay, basta con le foto!» ordina Shuk, mettendosi fra me e loro. «Devi pur goderti la festa!» mi dice.
«Riesci a crederci? È tutto vero!» mi urla Elaine nell’orecchio.
Non ho nemmeno il tempo di rispondere che un uomo dai capelli bianchi mi ferma. «Ciao Gon, scusa l’incursione. Sono Harold Berger del New Yorker, seguo il tuo cammino da un po’. Volevo solo farti le mie congratulazioni.»
«G-grazie!» Tutta questa sequenza di complimenti e belle frasi è troppo caotica e non ne vengo a capo.
«Perché Carter non è venuto?» mi domanda Samantha. «Il tuo flirt con lui è su pagina sei. Avrebbe attirato più attenzione. Il chiodo-schiaccia-chiodo è uno dei cliché più amati dal pubblico!»
«Ha degli impegni con la famiglia. Perché lui è una persona reale, in carne ed ossa.» Le dico, un po’ divertito e un po’ infastidito. «Lo sai che tutto questo sta succedendo realmente e non siamo sul set di un film, vero?»
Mi risponde con una smorfia e se ne va. «Ricorda chi ti ha creato, Gon Freecss.»
«Ci ho messo quattordici anni per incontrarlo, buona fortuna!»
Ho imparato anche l’umorismo sottile.
 
«Ti hanno spennato lì dentro, vero?» mi chiede Espedito, notando la mia faccia stanca e stressata. «Forse dovevi farlo il botox. Sai, hai quelle rughette sulla fronte…»
«Per l’amor di Dio!» gli rispondo, ridendomela di gusto. «Mi serve una mano, c’è una marea di gente e io non so dove andare.»
«Rilassati che la festa è lunga. Va’ a prendere qualcosa da bere. Tu sei al tavolo dei VIP, cioè il nostro. Il tuo posto è vicino a Maxine.» mi spiega.
«Credevo che sarei stato al tavolo con gli altri hunter. Sai, il libro si basa su quello…» chiedo, nonostante io sappia bene che non starci a tavola sarebbe la cosa migliore per la mia salute mentale. Che ci posso fare, sono un masochista.
«Tesoro, non per essere stereotipo ma…» dice, prendendo un sorso del suo Cosmopolitan. «Tu sei una celebrità di primo livello, adesso. Qui ci sono celebrità di primo livello come te, Graziina e me, celebrità di secondo livello come Maxine, pseudo-celebrità di terzo livello, poi ci sono le persone comuni, e per comuni intendo ricchi che frequentano i giri giusti, infine ci sono loro. Sono carini, ma socialmente valgono meno delle mosche.»
Espedito ci sa proprio fare quando si tratta di offendere, ma so che è un personaggio costruito; perciò, ci faccio poco caso e rido.
Arrivo al tavolo degli hunter, quelli che valgono meno delle mosche, e saluto tutti. «Come va la festa, ragazzi?»
«Sto vivendo per questa tua nuova Era. È così interessante!» si complimenta Biscuit. «Espedito ha fatto un capolavoro.»
«Come hai potuto non dirmi che ti sei fidanzato?» Palm, come suo solito, è inquietante.
«Promettimi che non ti farai influenzare da questo brutto giro in cui ti sei cacciato.» aggiunge Morel.
«Sul libro voglio la dedica!» dice Alluka.
«Mi presenti Graziina?» Knuckle mi piange in faccia. Non ho il cuore di dirgli che Graziina preferisce uomini più grandi possibilmente con un reddito fisso sopra i cinque zeri.
«Come ti senti?» mi chiede Kurapika, sorridendo fieramente. Quel sorriso mi basta a tirare avanti per tutta la festa e anche domani.
«Mi brucia la faccia. Mi hanno torturato con un’esfoliazione chimica. E credo di avere dei danni permanenti alle retine a causa dei flash.» confesso.
«Questo non lo sopporterei nemmeno io.» ironizza Killua. 
«Questo è il tavolo dei talenti artistici di Manhattan…» Shuk, dietro di me, indica un tavolo a delle persone che sono appena arrivate. «E questo è il tavolo del velluto a coste.» dice indicando questo tavolo, più che altro Morel, con tono di sdegno.
«E tu come ci sei arrivata qui?» le chiede Killua, ridendo.
«Vengo sempre qui, questa città mi adora.» si vanta, sfoggiando il suo completo Yves Saint-Laurent – che ovviamente ha noleggiato, ma questi sono segreti del mestiere. «Gon, ti aspettano al tavolo dei VIP. Sono già arrivate Sarah Jessica Parker e Chiara Ferragni, a breve ci sarà anche Michelle Williams. Potrai parlare con i tuoi vecchi, vecchi, amici quando serviranno champagne e caviale sulla balconata. C’è una vista stupenda lì fuori.» mi dice, prima di andare nuovamente dietro le quinte.
«Il tavolo dei VIP…» ridacchia Leorio, tirandomi un buffetto sulla gamba.
«Non sono tanto male, ci credi?» rispondo, pensando a qualche aneddoto divertente.
«Ci credo, perché tu riesci ad andare d’accordo con chiunque. Su questo ti invidio.» si complimenta Kurapika.
 
Al tavolo dei VIP, che avrà una quindicina di posti, Espedito sta parlando in italiano con Chiara Ferragni. C’è una marea di gente che non conosco ma dall’aria famosa.
«Donatella me l’ha detto tante di quelle volte di non fidarmi di lei. Quanto devi essere messa male per copiare un look ad un’iniziativa di beneficenza?» Espedito sta concludendo uno dei suoi discorsi di grande spessore. «Quando inizieranno le riprese io sarò categorico con il costumista. Voglio solo haute couture, basta con la sartoria di pessima qualità che appesta le ultime generazioni.»
«Ecco il quindicenne più famoso del momento!» mi saluta una donna dai capelli lunghi con i riflessi biondi. «Tu sei qui per aver salvato il mondo. Dovrei davvero stenderti il tappeto rosso per averci evitato le formiche a Manhattan.»
«Piacere di conoscerti, io sono Gon Freecss. Come ti chiami?» le do la mano, genuinamente felice di quel complimento. Quel gesto, evidentemente, fa sussultare gran parte del tavolo e tutti si voltano dall’altra parte in vistoso imbarazzo.
«Gon, perché la stai offendendo così?» mi sussurra Espedito, imbarazzatissimo. «Sei al tavolo dei VIP, non puoi chiedere alla gente di presentarsi!»
«Scusatemi, davvero.» abbasso la testa. Non imparerò mai a capire come funzionano queste cose.
«Va tutto bene! Non essere così duro!» la donna dà un colpetto ad Espedito. «Piacere, io sono Sarah Jessica Parker.»
«Il Time l’ha inserita tra le cento persone più influenti di quest’anno, in quell’elenco ci sei pure tu. E io, ovviamente.» mi fa notare Espedito.
«A me piace!» interviene Chiara. «È fresco, è diverso, è gentile. È una ventata d’aria nuova! Ho adorato ogni momento di quel servizio di Vogue con te.»
«A proposito, dov’è Enid?» chiedo. «L’avevo invitata, ma non c’era al tavolo della stampa.»
«Lo so, infatti è al tavolo dei talenti artistici. Se l’hai invitata, mica viene per lavorare. C’è una marea di gente, è ovvio che tu non l’abbia vista entrare.» mi spiega Espedito.
«Che ne dite di un giro di presentazioni?» propone una donna bionda vestita di bianco. Gli altri, divertiti, annuiscono. «Piacere Gon, io sono Gwyneth Paltrow.»
E da lì, in ordine, faccio la conoscenza di Gigi Hadid, Hugh Dancy, Jeremy Strong e Michelle Williams.
 
 
 
 Dall’altra parte del locale, vicino a una finestra che mostra l’Empire State Building, Morel chiacchiera piacevolmente con una donna dai capelli rossi.
«Quindi ora hai uno studio legale tutto tuo?» le chiede.
«Sì! Parker & Associati.  Grazie all’esperienza della WCS sono partita già con un buon pool di clienti prestigiosi», a Maxine piace tanto parlare del suo lavoro. «Ma, quando non lavoro, mi piace la vita mondana.»
«Generalmente non sono un estimatore di chi lavora in ufficio con l’aria condizionata. Ma ho seguito la missione della WCS e un po’ mi ha affascinato il vostro lavoro.» Si complimenta, stavolta per genuino interesse e non per secondi fini.
«Ero l’avvocato di Espedito quando c’è stata la causa dovuta alla sparizione del padre. E poi sono stata coinvolta in diversi processi che avevano la stampa a flotte e addirittura le televisioni. Non so se ha sentito parlare di Bloom Cosmetics o il famosissimo processo “WCS contro Azur Corporation”.» Spiega lei.
«Certo che conosco quello contro la Azur, avete fatto interrogare metà dell’Associazione Hunter! Fu una cosa folle.» A Morel quel ricordo non sembra far particolarmente piacere.
«Già. Eravamo un po’ arrabbiati quel giorno.»
Nonostante le due posizioni chiaramente diverse, i due ridono allegramente davanti ai loro cocktail.
 
Enid Frick, invece, ha conosciuto Leorio. Due persone che non le si vedrebbe sullo stesso pianeta, figuriamoci nello stesso posto a distanza ravvicinata.
«I libri e le riviste stanno tornando di moda, possiamo metterci la mano sul fuoco.» Leorio non sa effettivamente cosa dire, così cerca di comporre frasi semplici con luoghi comuni e modi di dire nella speranza di riempire tutti i silenzi.
Lei si guarda intorno, non capendo dove il tizio che ha davanti voglia arrivare. Probabilmente non lo sa nemmeno lui. «E?»
Che disastro! Meglio che io intervenga.
«Enid! Finalmente.» la saluto. «Vedo che hai conosciuto Leorio!»
«Gon! Mamma mia.» Fa un sospiro di sollievo, accorgendosi solo dopo di averlo fatto. «Bellissima festa, complimenti!»
«A breve dovrò fare la lettura. Prega per me!» piagnucolo, mentre lei mi consola con una carezza sulla spalla.
«Bene.» mormora Leorio, imbarazzato.
Mi serve una scusa per farlo andare via da lì affinché non faccia scappare la caporedattrice di Vogue dalla mia festa.
«Espedito e Kurapika sono sul balcone, perché non ti unisci a loro?» è la prima cosa che mi è venuta in mente.
«Enid, è stato un piacere. Ma ora devo andare.» Leorio si allarma e scappa subito.
Lei, prima di andare a prendersi un altro cocktail, mi sussurra un «Grazie».
 
La scusa che ho usato con Leorio è, purtroppo per lui, vera.
Espedito è sul balcone e sta fumando, mentre Kurapika guarda il panorama. I due sembrano nel bel mezzo di una conversazione.
«Penso che la vita mi stia stancando.» confessa l’attore, poggiandosi sulla ringhiera. «Da quando ho fatto quella dannata missione sto invecchiando alla velocità della luce.»
«Tu? Invecchiare?» l’altro biondo, quello con un cuore, risponde tra il sarcastico e l’adulatorio.
«Ho ventisei anni e già sono in costante manutenzione per non dimostrarne quaranta, a breve scadrà anche il mio di tempo.» racconta, alzando la testa e guardando il cielo. «La verità è che non ho superato niente. Mi sento una persona inutile.»
«Tu non sei inutile. Sei frivolo, moralmente discutibile, insensibile, viziato e privo di valori ma non sei inutile.» dice Kurapika, sorridendogli maliziosamente. «A volte penso che tu sei la persona che Leorio credeva di voler diventare, ma che poi ha accantonato per dare priorità a ciò che conta davvero nella vita.»
«Molto divertente anche solo insinuare che lui potesse diventare me.» Espedito ricambia lo sguardo malizioso di Kurapika. «L’amore è cieco, ma non è che devi diventarlo pure tu.»
«Diventare come te non è un complimento. E spero vivamente che Gon non prenda nulla dalla tua personalità.»
Non capisco se stiano flirtando o scambiandosi insulti.
«E, oggi come allora, tu resti nella tua convinzione di essere migliore di me.» Parte una sfilettata, sempre con tono calmo, da parte dell’attore. «Ma tu sei l’eroe, hai la tua storiella e tutto ti è concesso. Beh, è per questo che mi piacevi.» Ammicca, prima di spegnere la sua sigaretta nella ceneriera. «Invece sei proprio come tutti gli altri. Guardi le persone dall’alto in basso, pensi di essere più intelligente, ti vanti costantemente della tua morale ferrea. L’unico motivo per cui io sembro sempre il cattivo è perché posso. E perché la mia storia non è stata raccontata.»
«Quindi pensi di essere una brava persona?» rilancia Kurapika.
«Penso di essere una persona reale. Che vive dentro e fuori da uno schermo, esce di casa e parla con altre persone, ha interessi e una complessità interiore. Non è un giudizio di qualcun altro a determinare ciò che io sono. Ma immagino che sia questo il motivo per cui tu ti sia spaventato.»
«Touché. È vero, non mi piacciono le persone imprevedibili.» il ragazzo dagli occhi scarlatti alza le mani. «E non mi piacciono le persone che si coltivano troppo.»
«Quindi Leorio è una scelta di comodo?» Anche se non stanno litigando, il modo in cui l’attore punzecchia l’altro è altamente inquietante. «Ti piace perché è semplice, sempre fedele a sé stesso e non esce mai dai binari su cui cammina? O ti piace perché – semplicemente – hai scelto lui, con lui senti una certa connessione e pensi a lui?» Vuole arrivare qui? Vuole che Kurapika si dichiari a Leorio? «L’amore non ha una spiegazione. Fidati, sono una persona razionale e lo so. Io il mio turno l’ho avuto. Se tu ami lui, dillo. Ma non inventarti modi per dire che lui sia migliore di me, perché questo è impossibile.»
«Penso che amore sia una parola grossa.» Kurapika, in difficoltà, si gratta la nuca.
«Tu la rendi grossa.» Espedito lo rimette all’angolo. «Stai veramente facendo un teatrino pur di non ammettere di amare una persona. Lascia che io ti dia un consiglio: questo atteggiamento da “bello e dannato”, uomo troppo complicato invischiato in faccende troppo complicate e che pensa a cose complicate, è noioso. È stantio. È un modo in cui si pongono gli adolescenti insicuri per proteggersi. È un atteggiamento che può avere Killua, ad esempio. Ma alla nostra età, invece, è solo ridicolo e fastidioso.»
«E cosa succederebbe se non funzionasse?» sbotta all’improvviso l’altro, tradendo un lieve timore.
«Leorio non se ne andrebbe dalla tua vita per una cotta non corrisposta. E, in ogni caso, andresti avanti senza questa pietra al collo costante.» Espedito inizia a sorridere. «Troverai una persona che ti aiuti ad alleggerire il peso della tua vita. Una persona con cui condividere gioie e dolori e sentirti meno solo nei momenti di bisogno. Non è come dicono nei romanzi, non diventi la metà di qualcosa, è più un patto che ti dà sicurezza.»
«E tu l’hai trovata?» Domanda il cui arrivo era prevedibile.
«No.» Risponde dopo molta esitazione, probabilmente gli è balenato in testa il nome di Karl per qualche momento. «Ma questo è un discorso su misura per te. Non deve essere universale. Tu hai vinto, avrai i tuoi sogni e una persona che ti ama.»
«E a te cosa resta?» l’ultima domanda di Kurapika sembra dettata da una genuina preoccupazione.
«Il mio ruolo di protagonista.»
Non so cosa intenda dire. Ma, vista l’espressione e il contesto con cui questa risposta è stata data, non è una frase ironica o per darsi un tono. Quando scorge Leorio arrivare da lontano, Espedito lascia la scena e torna alla festa. A vederlo, nessuno direbbe che ha appena avuto una conversazione del genere.
 
 
Quando mi tocca fare il discorso con estratti dal libro, so già esattamente cosa dire. Fortunatamente, Samantha ha lasciato fare tutto a me e nessuno ha voluto scrivermi nulla. Arrivo al centro della sala, Elaine dice qualche parola per introdurmi e mi passa subito il microfono. Ci sono proprio tutti. Killua, Kurapika e Leorio sono in prima fila, vicino a loro ci sono Espedito, Graziina e Maxine, dietro i ragazzi della scuola e il resto degli invitati.
«Grazie per essere venuti qui, in questo splendido ristorante di questa splendida città. Se quel giorno fossi morto, non sarei qui, cosa che devo solo a una persona. Vi ringrazio perché coronando questo piccolo traguardo so di essere, oggi più che mai, vivo.» Mentre preparo il mio foglio, un grande applauso mi travolge. «Tutti crediamo o abbiamo creduto negli eroi. Ci sono eroi che dicono di esserlo ed eroi di cui non ci accorgiamo mai. E non ci accorgiamo mai di tutte quelle eroiche gesta quotidiane.» Sento una lacrima rigarmi il viso, è segno che devo dire la verità. «Ma vaffanculo», getto il foglio per terra, vedendo già Samantha avere un mancamento. «Qui non c’è proprio niente di romantico e avvincente. Ogni giorno mi chiedo se sia giusto essere sopravvissuto, se posso alzarmi ancora dal letto lo devo solo al Prozac. Quando mi metto a letto la sera sento ancora dei battiti e dei… tonfi e rivivo quei miei ultimi momenti ogni volta. Che altro, poi? Il fatto che mi metto a piangere…» e un singhiozzo rompe il mio discorso, «anche quando sono con la mia assistente a sistemare il computer. Non riesco più a tenermi dentro un’emozione.» E poi sbuffo, ho bisogno di respirare. «Devo tutto ai miei compagni con cui, stando a ciò che dicono i giornali, “ho salvato il mondo”. Ma per me la vera lotta è stata dopo. Ci sono persone che sono venute a raccattarmi a casa per ridarmi una vita e farmi scoprire che sì, posso avere ancora un futuro e posso ancora avere una vita felice. Espedito ha detto che a me manca una corazza, mi manca una pelle. Un filtro che separi me da ciò che è altro rispetto a me. E io non ci avevo mai pensato prima d’ora. Così come non avevo mai pensato a tutta una serie di cose che è normale per le persone adulte fare, ma delle quali io non ho mai sentito parlare. Cosa c’è, un complotto? C’è un manuale che mi tengono nascosto? Sono tutti d’accordo sul non parlarmene mentre la notte, di nascosto e senza farsi scoprire, hanno un dialogo interiore con loro stessi e lavorano sulla propria salute mentale? E io non ho capito nulla finché non ho avuto modo di rileggere il mio stesso libro, i pensieri che ho accumulato in centinaia di notti di pianti e incubi, e trovare un filo conduttore per… farmene una ragione.» Quando mi fermo un attimo per guardarmi intorno, vedo tanti volti sorridenti e qualcuno sta applaudendo. «Ad esempio c’è Samantha, la mia editrice.» inizio a raccontare, mentre lei – sapendo già dove andrò a parare – scoppia a ridere. «Il primo giorno in cui abbiamo iniziato a lavorare, è andata direttamente sui punti più dolorosi. “Parliamo di come hai fallito con Kite, parliamo di come hai fallito con tuo padre, parliamo di come hai fallito con il tuo migliore amico.”» E, a quell’ultima battuta, il sorriso di Killua si spegne, mentre tanta tristezza cosparge il suo volto. «E io avevo bisogno di questo per rendermi conto delle cose. E poter far sapere alle persone che le battaglie di cui si deve parlare non sono solo quelle all’ultimo sangue, ma quelle che ognuno di noi fa ogni giorno. Per riprendere le parole di Graziina, “dovrebbero fare un campionato di crescita”. Ognuno di noi, solo per il fatto di riuscire ad alzarsi e trovare le forze di vivere merita una fottuta medaglia.»
Il rumore degli applausi si sarà sentito davvero fino all’Empire State Building. Con gli occhi lucidi, Killua viene ad abbracciarmi. Mi ha appena abbracciato in pubblico e io non so perché.
«Sei stato fantastico.» mormora. «Grazie per non aver fatto esplicitamente il mio nome, non avrei retto.»
«Lo sapevo. E io devo tutto a te.» gli rispondo, scoppiando di nuovo a piangere.
Mi tiene la mano, scendendo dal palchetto per non stare al centro dell’attenzione, ma mi tiene la mano. Come sempre, mi dà il suo supporto ma nessuno lo vede.
«Bellissimo discorso Gon, non sono più la stessa persona dopo averlo sentito. Chiamami se passi in Italia.» viene a salutarmi Chiara, con le lacrime per tutto quello che ha sentito.
«Sei stato davvero uno dei nostri migliori investimenti.» Si complimenta Samantha con un sorriso appena accennato, con Elaine di fianco che piange di commozione come una fontanella. «Oh, fanculo.» versa qualche lacrima anche lei e mi abbraccia.
«Benvenuto a New York, tesoro!» anche Sarah viene a salutarmi, ma decide di lasciarmi un regalo. «Hai bisogno di questa.» Mi mette al collo una collana a forma di scritta “Love” dorata. «Io il mio Love l’ho già trovato. Ora tocca a te.»
Già, ora che si è toccato quel tasto. Killua mi sta ancora tenendo la mano voltandosi dall’altra parte con un sorriso, ma rosso come un peperone.
«Tra poco dovrebbe essere finita.» gli sussurro, ridendo.
 
Non ho superato Killua.
 
 
 
 
 
È mezzanotte. Il libro è uscito nelle librerie, negli store online e qualche supermercato. Siamo ancora al settantesimo piano del Rockefeller. Alluka stringe già la sua copia mentre Killua la abbraccia.
Io ho ancora un pensiero fisso: Mi ha tenuto la mano davanti a Chiara Ferragni.
 
Verso la fine della festa, Alluka è finita nel mondo dei sogni e Killua la culla sulle sue gambe. Si è addormentata guardando la skyline di New York, le piace proprio tanto e la capisco.
Non mi piace il modo in cui mi sento dentro quando lo vedo così caloroso nei suoi confronti. È una cosa loro privata e io trovo piacevole lui. Non c’è modo che questa cosa possa andare avanti e, nonostante questo riavvicinamento, devo ricordarmi che noi siamo ancora veleno l’uno per l’altro. Non posso passarci ancora e ancora. Nella vita non si può sempre seguire il proprio cuore, a un certo punto bisogna essere pratici.
«Ma tu dove andrai a stare questa notte?» gli chiedo, mentre siamo al dessert e, per la prima volta, riesco a fumare e a bere. «Hai prenotato qualche stanza?»
«In verità no, Kurapika e Leorio non hanno posto nelle loro stanze ed Espedito mi ha detto che c’è un buon motel in un quartiere qui vicino. Mi pare si chiami Queens.» mi spiega. «Su internet porta che ha camere libere, quindi non c’è problema!»
«Vuoi seriamente andare nel Queens a quest’ora? Con Alluka?» interviene Graziina, che disapprova totalmente quell’idea. «Puoi stare da me questa notte.»
«Ho già usato la tua vasca e ti ho fatto venire un infarto… tranquilla.» Killua sembra aver cambiato atteggiamento nei confronti di Graziina. Non ne conosco il motivo, ma ne sono tanto felice.
«Non farti problemi. Avrai modo di ricambiarmi se ci rincontreremo a York Shin City.»
 
Quando scendiamo finalmente dall’alta quota, mi sento come tre anni fa all’idea di passare la notte insieme. Ma quando vedo Sebastian, appoggiato alla sua decappottabile di fronte all’ingresso del Rockefeller con un mazzo di rose bianche, mi rendo conto che anche questo mi piace tanto.
«Killua, ti presento Sebastian.» gli dico, sorridente. I due si stringono la mano, non so come interpretare i loro sguardi.
«Volevo farti le mie scuse per non essere venuto. Quella cena si è protratta fino ad ora.» Dice, mentre io stringo quelle rose. «È un inferno stare senza di te.»
 

Killua

 
Questo deve essere il karma per quando Gon mi ha visto con Frank. Ora ho capito come ci si sente, giuro su me stesso che non lo farò mai più.
Il tizio con i dilatatori si presenta in un completo gessato di chissà quale costosissimo marchio, con la chicca del fazzoletto rosso nel taschino destro della giacca. È alto quasi il doppio di Gon, questo significa che quando si baciano lo prenderà in braccio, un’immagine che mi torturerà la notte. E poi le rose bianche. Che gesto da film, da romanzo rosa, una roba che nemmeno mia sorella quando disegna le sue storie. Non pensavo che a Gon piacesse questo. Non credo che gli piacessero cose simili quando eravamo insieme.
Deve avere avuto un esaurimento nervoso. Non lo dico per dire, lo penso seriamente. Ha avuto un esaurimento nervoso e io non c’ero.
Ma sta bene, è in salute ed è sereno come non lo vedevo da tanto tempo. Lo capisco da come si illuminano quei suoi occhi color ambra quando prende quelle rose in mano.
Gon ama Sebastian e io amo Frank. Tutto questo è folle, ma è la realtà. Questi due ragazzi stupendi che ci danno ciò che io e Gon non possiamo darci a vicenda. Ciò che io non posso dare e non voglio dare perché so quanto sia autodistruttivo il nostro rapporto.
Era più facile quando eravamo bambini.
«Bellissimo film, davvero.» Espedito mi sorprende sussurrandomi da dietro. «Certo, in confronto al tuo momento softporn sulla spiaggia non è nulla.»
«Non ora. Non ce la faccio.» Vorrei picchiarlo, ma so che ha ragione. E non riesco ad arrabbiarmi ora.
«Non meriteresti la mia comprensione perché sei fidanzato anche tu. E poi, la mia opinione su di te è sempre la stessa, per me tu sei come ti ho sempre descritto. Ma voglio essere gentile stasera.» Mi prende e mi fa girare verso di lui. «Non penso che possa funzionare tra voi due. E poi guarda lui: elegante, romantico, scapestrato ma non stronzo. Ammettilo anche tu, va benissimo così. Siete entrambi con le persone di cui avete bisogno
Se c’è una cosa che so di Espedito è che sceglie le parole con estrema cura, quel “avete bisogno” ha un significato preciso e non è sinonimo di “persone con cui vogliamo stare”. Anzi, penso stia intendendo proprio questo. Lui e i suoi fottuti giochi di parole.
 

Gon

Mi sento a disagio nel parlare con Sebastian mentre Killua mi aspetta in fondo alla strada. Però, mi sento in dovere di dare attenzioni al mio ragazzo per aver passato un’intera serata senza di lui.
«Voglio presentarti i miei amici.» gli dico così, di botto, vedendo l’intera banda uscire dall’edificio. Ci sono Knuckle, Morel, Biscuit, Palm. Mancano all’appello Kurapika e Leorio che sono rimasti dentro.
Dopo aver fatto l’intero giro di presentazioni, Sebastian mi prende di fianco stringendomi a sé. Il suo calore mi fa stare bene.
«Quindi avete avuto la fortuna di viaggiare e combattere con questo dono del cielo.» dice, dandomi un bacino sulla fronte.
«Più che un dono è un pacco bomba, ma è una bella anima.» commenta Biscuit, ricevendo una linguaccia dal sottoscritto come risposta.
Knuckle piange a dirotto, voltandosi dall’altra parte credendo che non si sentano i suoi singhiozzi. Morel gli mette una mano sulla spalla con uno sguardo indecifrabile.
«Hai intenzione di fare sul serio con Gon?» Palm piomba a distanza ravvicinata facendo saltare Sebastian dallo spavento. «Informazione a puro fine statistico.»
«Certo che sì!» Sebastian non si tira indietro. «Non ho mai avuto un ragazzo dolce e amorevole come Gon, non posso proprio lasciarmelo sfuggire.»
Ci inonda un coro di complimenti e pianti di gioia da parte di tutti i presenti. Tutti tranne uno, ma c’era da aspettarselo.
Forse un futuro con Sebastian non è da scartare in principio. Rifletto sulle parole di Espedito dell’altro giorno: cosa definisce una relazione? L’attrazione, lo zsa zsa zsu, bastano? Sarei più felice ad inseguire una persona irraggiungibile con la quale le cose sarebbero inevitabilmente complesse oppure avendo al mio fianco qualcuno di sicuro, gentile e che mi dà ciò di cui ho bisogno? In fondo, non c’è rischio che io tradisca Sebastian. Quindi, perché non decidermi a fare sul serio?

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Capitolo 15
*** Eternamente Bambini ***


Capitolo 15

Gon ha un problema e ne parla a letto con Killua.

Eternamente bambini

Per spiegare il motivo per cui stiamo scendendo in maniera sparsa, bisognerebbe fare un approfondimento su cosa stia succedendo nel Rockefeller in questo momento. Io ho lasciato l’edificio alle 2:30 di notte, Sebastian è arrivato all’incirca dieci minuti prima. Quando Espedito è sceso, cogliendo Killua di sorpresa, sono le 2:45. Io ho fatto il mio discorso alle ore 0:30. Giusto per mettere dei punti di riferimento.
Cominciamo riavvolgendo il nastro, torniamo alle 11:30, orario in cui Espedito sta prendendo l’ascensore in salita dopo essere sceso per comprare le sigarette. Nell’ascensore incontra Shuk, intenta a portare a quasi duecentocinquanta metri di altezza il comunicato stampa ufficiale della casa editrice.
«Perché in formato cartaceo?» chiede l’attore.
«Elaine lo vuole, non ho capito bene perché. Credo sia per preparare Gon alla sala stampa.» spiega, abbracciando e custodendo quel plico come se fosse un figlio. «A proposito, te lo dico in confidenza perché al posto tuo vorrei saperlo…»
«Iniziamo bene. Drammi dal New Jersey, sono pronto.» ironizza lui.
«Mentre ero sul balcone, il biondino che credo sia Kurapika e un ragazzo alto con gli occhiali stavano parlando di te. A quanto pare tu ci avresti provato con Kurapika e il tizio con gli occhiali diceva che sei fuori di testa perché pensavi di avere speranze con lui. L’altro ha detto che ti vuole bene, ma moralmente vali meno di una mosca.»
E mentre l’ascensore sale di settanta piani, Espedito inizia ad infuriarsi. Ma, tra il cinquantacinquesimo e il sessantesimo piano, ritrova la sua calma e capisce che deve affrontare la situazione con i suoi tre punti fondamentali: sangue freddo, classe e protagonismo sfrenato.
Appena raggiunge la Rainbow Room, Espedito prende al bancone un calice di champagne, lo beve tutto d’un sorso senza farsi vedere e ne prende un altro, stavolta come oggetto scenico. Dopo di che, raggiunge il balcone dove Danielle e gli altri sono seduti a un tavolino mentre Kurapika è da solo a guardare il panorama dalla ringhiera.
«Stavo pensando che se siete così destinati a stare insieme, allora non c’è bisogno di usarmi come espediente.» L’attore si avvicina al Kurta con un tono calmo e sicuro, camminando lentamente e con eleganza, mentre l’altro si volta verso di lui.
«Non ho capito.» risponde sinceramente Kurapika.
«Non capisco perché devi prendermi in giro alle mie spalle. Io ho voltato pagina da un pezzo.» continua Espedito, accendendosi una sigaretta. «Ti senti talmente insicuro da dover parlare male di me al tuo ragazzo?»
«Sai, non volevo darti questa notizia scioccante così… ma non tutto ruota intorno a te, Espedito.» mormora l’altro, mantenendo la stessa calma e classe.
«È qui che ti sbagli.» dice, spiazzando l’altro. «Tutto ruota intorno a me, oggettivamente parlando. Quando entro in una stanza, tutti mi guardano e tutti mi giudicano. Quando entro nella vita di una persona, questa non può fare altro che parlare di me. Perché io sono nato così.»
«Questo è il momento dei tuoi discorsi istrionici?» Kurapika non trattiene una punta di fastidio nelle sue parole.
«No, constatavo un semplice fatto. Ed è grottesco che tu dica in giro che io sia egocentrico quando, numero uno, lo sono e lo ammetto fieramente e, numero due, sei tu che parli di me come un illuso che ci ha provato come se stesse puntando un bersaglio irraggiungibile.» Per quanto Espedito ami i giri di parole, in queste occasioni preferisce non andare per il sottile.
«Sono stato io ad averti rifiutato anni fa, sbaglio?»
«E con questo? Adesso non varrei nulla solo perché non sono riuscito a conquistare una mia cotta? Vola basso, Kurapika, che tu non sei meglio proprio di nessuno. Sei come tutti gli altri, vuoi sentirti adulare perché nel profondo del tuo cuore e inconsciamente sei un narcisista.» Da una conversazione di classe si è passati a un bombardamento nucleare. «Ma che ragazzo bello e dannato, l’uomo impenetrabile che tutti vogliono e nessuno può avere. E bla, bla, bla. Scemo tu e chi ti viene dietro.»
«E tu cosa sei? Un riccone viziato che è disperato per stare sotto i riflettori giorno e notte e non riesce a farsi amare da nessuno perché ha l’umanità e il rispetto di un panzer?» Kurapika è passato direttamente a un tono arrabbiato. «L’unico amore che troverai sarà un uomo del doppio dei tuoi anni a cui piace andare con chi potrebbe essere suo figlio. Il giorno in cui ti si chiuderà il sipario in faccia e queste luci si spegneranno, quando non sarai più così famoso e richiesto, voglio sapere cosa ti resterà.»
In quel momento, Espedito sente che Kurapika si meriterebbe un ceffone di quelli memorabili e non ha minimamente paura di darglielo. Ma sente anche che se gettasse all’aria la sua compostezza, dimostrerebbe di non avere il controllo della situazione e il suo personaggio ne uscirebbe rovinosamente danneggiato, ledendo di molto la sua credibilità. Così, il furbo attore decide di bluffare.
«Ti sbagli proprio qui. Io so che arriverà la mia ora e a quel punto ti garantisco che mi resterà tutto ciò di cui ho bisogno: me stesso. Ma quel giorno è ben lontano e fino ad allora sarò ancora io il centro di tutto. Invece, a me della tua agenda non interessa. A nessuno interessa. Mi dispiace dirtelo così, ma non tutti aspettiamo la tua approvazione.» fa un tiro alla sua sigaretta e dà le spalle al panorama poggiando i gomiti sulla ringhiera. «E comunque, commenti così volgari non me li aspettavo mica. Sei proprio caduto in basso, la rabbia ti ha bruciato i neuroni. Non prendertela con me se la tua vita fa schifo.»
«Non mi interessa fare bella figura con uno come te.»
«Mi spieghi perché ti ha così turbato il fatto che tu un tempo mi piacessi? Prima di quella sera, andavamo d’accordo. Non che la cosa mi manchi ma… uhm… è curioso, non ti pare?» la risatina di Espedito fa rabbrividire.
Kurapika non risponde.
«Io avrò anche preso un palo, ma almeno ho giocato le mie carte. Tu, invece, le tieni in mano da anni perché non vuoi aprire il tuo cuore per paura che qualcuno te lo rompa. O lo faccia scoppiare come un palloncino con una lama conficcata…» scherza Espedito.
«Questa era una battutaccia inutile.» Kurapika si fa serio, guardando l’altro negli occhi.
 
Quando allontano Leorio da Enid dicendogli di Espedito sul balcone, sono le 11:45. Nel tragitto verso il balcone, Leorio viene chiamato da Biscuit per dei consigli medici. Raggiungerà il balcone sette minuti dopo.
 
«Mi spieghi cosa stai aspettando?» l’attore continua a infierire senza sosta.
«E a te cosa importa?»
«Dovresti essere coerente con le critiche che fai agli altri e affrontare i tuoi problemi. Stiamo tutti aspettando che tu faccia una benedetta mossa con Leorio; invece, stai da anni con le mani in mano. Ma il tempo per parlare male di me lo trovi, per quello c’è sempre. Figuriamoci.» Espedito fa per andarsene, ma viene fermato dall’altro.
«Mi spieghi qual è il tuo problema?» Kurapika lo guarda fisso, sa che per comprendere a fondo Espedito deve cercare i suoi occhi. Quegli occhi di colore ametista, dovuti a una rara mutazione genetica, che sapevano dire tutto e nulla.
«Penso che la vita mi stia stancando.» Risponde, tornando sereno e sorridendo ancora un po’. Quella risposta è più che mai vera.
 
 
 
Ore dopo, sono finalmente a casa. Graziina mi aiuta a mettere i fiori di Sebastian in un vaso. Cavolo, è tardissimo. Vedo Killua tornare dal corridoio con uno sguardo sereno da cui deduco che Alluka stia dormendo tranquilla. Magda ha sistemato per lei il divano-letto dello studiolo che si trova vicino alla mia camera. Quella è una stanza curiosa, è la più diversa di tutte, un po’ come anche la camera da letto di Graziina lo è.
Questo perché ha deciso di lasciare tutta la casa nuova e ammodernata, con le sue pareti nere e in generale uno stile elegante ma ricercato. Nello studiolo, invece, le pareti sono coperte da una carta da parati rosa antico e ha messo insieme la mobilia del nonno, il suo unico ricordo della casa familiare in Svizzera, nella quale non riesce più a tornare per il ricordo della tragedia che l’ha segnata. Come dicevo, è ovvio che trattandosi di Graziina il rosa sia il colore predominante, alternandosi talvolta a qualcosa di bianco o beige (come il lampadario Juliette composto da perle di legno). È uno studio comunque elegante, ma decisamente vintage. C’è una scrivania di legno con dei motivi sui bordi intagliati a mano, una libreria piena di edizioni originali di classici della letteratura, un piccolo vecchio televisore che sarà stato degli anni Sessanta, l’uscita sul balcone dietro le spessissime tende bianche e, infine, il divano viola aperto dove c’è Alluka.
«Se Alluka è nello studio, Audrey dove dorme?» chiedo alla padrona di casa.
«Chi è Audrey?» chiede Killua.
«La mia cagnolina! L’ho chiamata Audrey Hepburn, come l’attrice.» Le si illuminano gli occhi quando ne parla. «Comunque, i cani dormono in stanza con me stasera. Ho semplicemente spostato le cuccette.»
«Quanti cani sono?» chiede lui.
«Sono tre, Audrey e le sue due figlie Chanel e Diana. Prima non le hai viste perché erano al parco con Magda.» spiega.
Parlando del diavolo, una delle tre reginette arriva dal corridoio. Sono fieramente una delle poche persone capaci di distinguerle perché per gli altri sono perfettamente identiche, i Cavalier King in genere sono molto simili tra loro. Graziina, invece, ha messo un fiocchetto di colore diverso su ognuna delle loro teste.
 
Killua dorme in stanza con me, nello stesso letto.
«Questa città è tua, ormai.» mormora, mentre è girato dall’altra parte. «Tu rendi tutto più bello.»
«Io non sarei qui se non fosse per te.» Gli ricordo. «Tu mi hai dato la possibilità di ricominciare. Te ne sarò grato per sempre.»
«No. Non dirlo. Sai che mi dà fastidio.» In un lampo, Killua si irrigidisce come fa sempre.
«Non mi meritavo una seconda possibilità. Eticamente parlando, io avevo chiuso. Tu sei riuscito a cambiare come gira il mondo solo per me.» Voglio che lui sappia cosa ha davvero fatto. «Il punto non è il fatto che io non senta di meritarmi di vivere. Il che è vero, io vado avanti per non rendere vani i tuoi sforzi ma non sento di meritare la vita. Il punto però non è questo, è che non sento quell’attaccamento, quel trasporto emotivo e quella gioia che provavo prima.»
Mi rendo conto solo troppo tardi che avrei potuto dirgli qualsiasi cosa tranne questo. Non posso dire a lui una cosa del genere.
«Nanika ti ha curato solo fisicamente, c’era da aspettarselo.» mormora lui. Stranamente non si è arrabbiato. «Però, a me tu sembri felice.»
«Una nuova felicità a cui mi devo abituare.» specifico. Davanti al suo sguardo interrogativo, mi spiego meglio. «Non sento più le emozioni con la stessa intensità di prima. Ti ricordi come era quando ci siamo conosciuti? Ecco, ora le cose sono un po’ cambiate in quel senso.»
«Capisco.» Un sorriso amaro compare sul suo viso.
«Ma sono felice.» Gli dico. «Mi piace tutto qui.»
«Anche la scuola?» mi stuzzica, non sapendo la novità.
«Certo. Ho una media alta.» Gli dico con fierezza. «Ho preso “A meno” in matematica.»
«Questa non me l’aspettavo. Hai ufficialmente vinto su tutta la linea.» ride, avvicinandosi un po’ di più.
«Ehi! Pensavi che non ne sarei stato capace?» mi offendo. Da lì, prendo un cuscino e glielo sbatto sulla testa facendo scoppiare una guerra.
Ci addormentiamo a furia di colpi in faccia, io con la testa sul suo petto e lui che occupa l’intero letto a due piazze. Nel mentre, lo sento caldamente abbracciarmi nel sonno. Rivivere un momento del genere mi ha investito di così tanta gioia che non bastano le parole per descriverla.
Ma l’amara consapevolezza che ci separeremo di nuovo, che gli sforzi di questi giorni per ristabilire un minimo la nostra chimica e intesa andranno perduti e che la prossima volta, se ci sarà, bisognerà rifare tutto da capo, mi pervade il corpo e non va via. Il modo in cui stare insieme sia diventato totalmente diverso, pieno di momenti morti, silenzi e imbarazzo da ambo le parti, mi distrugge dentro. Non ci meritavamo questa fine. Non noi. Tra tutti, proprio noi no. Sto assimilando con una difficoltà mostruosa la consapevolezza che questo rapporto sia destinato lentamente a sbriciolarsi e che non ci sia nulla che io possa fare contro la forza distruttiva del tempo che ha tutta l’intenzione di separarci, stavolta in maniera definitiva e insindacabile. È per questo che, stavolta, devo fare la scelta giusta e affrontare la cosa con maturità. Non posso essere egoista anche ora, non posso distruggere la mia vita e ferirlo per l’ennesima volta. Se da un lato non può tornare (e non potrà mai), dall’altro continua a prendere i colpi delle mie azioni e delle mie parole. Il fatto che non gli facciano effetto vuol dire che li riesce a sopportare, non che non gli facciano male. Se ragionassi con l’istinto anche questa volta, farei fuori tutto ciò che di buono ho costruito e allo stesso tempo torturerei lui senza motivo.
Non voglio.
 
Questa mattina ho preparato la colazione da solo. In sala da pranzo ci sono Espedito, Maxine e Danielle. Alluka è seduta a capotavola mentre disegna qualcosa e la padrona di casa sta rientrando dalla passeggiata mattutina con i cuccioli. Killua esce dal corridoio ancora assonnato e in pigiama, facendo una faccia indescrivibile appena trova tutti vestiti.
«Dio… mi ero dimenticato che voi vi vestite per colazione.» si mette le mani nei capelli e sbuffa. «Pure tu, Alluka? Hai deciso di tradirmi?» Dice, fissando la sorella già pronta come se dovesse uscire.
«Non farti di questi problemi, ieri è stata una serata molto lunga. Vieni a tavola, Gon ha preparato la colazione.» lo rassicura Graziina.
Da poco, per avere qualcosa da fare il pomeriggio mentre Sebastian ha gli allenamenti di football, mi sono iscritto al club di arte culinaria “Cordon Bleu” gestito da Gina Gambarro e Amalita Amalfi. Traffico in cucina intento a preparare due vassoi, uno di crêpes e uno di galettes, per accontentare sia Espedito e Graziina che amano il salato che Killua e Maxine che preferiscono il dolce. Sono determinato: devo farcela, sia per fare bella figura con chi di dovere che per il prossimo incontro di lunedì.
«Adesso anche dietro ai fornelli! Hai deciso di vincere tutto.» entra Killua, intento ad ammirare l’enorme cucina della casa di Graziina. Il suo complimento mi fa arrossire, ma non posso farglielo vedere perché creerebbe molti dubbi. «Cosa prepari?»
«Normali crêpes al cioccolato bianco e poi delle galettes di grano saraceno al prosciutto con raclette. Questa settimana, Gina Gambarro ci ha detto di concentrarci sui piatti per la colazione di tutto il mondo. Io ho scelto i piatti francesi, visto che seguo il corso di francese.» dico, mentre sistemo le galettes nel vassoio bianco. Hanno un ottimo aspetto.
«Gina chi?» mi domanda, ridendo all’ennesimo nome strano che mi sente dire.
«La tutor del club di cucina. Avevo bisogno di qualche hobby pomeridiano… ti prego non ridere, ho scelto il “Cordon Bleu”, il club di cucina della nostra scuola.»
Mentre lo spiego, Killua fa delle facce tenere e buffe davanti alle quali mi è impossibile restare serio. Poi si avvicina e assaggia un pezzo di prosciutto. Ora siamo davvero troppo vicini.
«Il cordon bleu!» continua a prendermi in giro, mentre le sue braccia poggiate all’isola della cucina mi bloccano a sette centimetri da lui. «Perché non hai scelto qualcosa che preveda attività fisica?»
«Perché dopo la storia di Razor, anche senza Nen potrei decapitare qualcuno con una pallonata. Figuriamoci se dovessi braccare o altro. Gli sport qui sono tutti così violenti…» gli spiego, tentando di ignorare la posizione pericolosamente romantica in cui siamo. «Sebastian gioca a football, per un gioco con la palla si picchiano come indemoniati, perciò ho capito che non era il caso. Poi c’è quella di rugby, ma è anche peggio. Vorrei provare con il baseball, ma non inizierà prima della primavera. Perciò, nel frattempo, cucino. E poi, mi andava di fare qualcosa di diverso.»
«Ne prepari un altro vassoio mentre io porto questo con me in camera?» propone, scherzosamente, allontanandosi di qualche centimetro per prendere in mano i dolci caldi.
«Posso preparartene quante ne vuoi quando ci rincontreremo.» So che può sembrare ambiguo, ma voglio usare questa storia per fargli capire che voglio assolutamente vederlo di nuovo.
«Sebastian è così fortunato.» mormora a voce bassissima.
«Non ho sentito, ripeti.» Sorrido, parla così basso che il rumore del forno lo copre.
«Ho detto che chi mangia così bene è fortunato!» Subito si ricompone, con uno sguardo spaventato e imbarazzato che sul momento non ho compreso.
 
Quando mi siedo a tavola, prendo posto vicino ad Alluka da un lato e Maxine dall’altro. L’iPhone mi continua a vibrare.
Oggi avrei voluto vederti, ma sono bloccato con gli allenamenti.
Sarà difficile giocare bene se non smetto di pensarti :P
A parte gli scherzi, buongiorno cucciolo❤️
  • Sebastian
Quando leggo il messaggio, divento tutto rosso e quasi mi commuovo. Cavoli, ci sa proprio fare.
«Conosco quello sguardo. Qualcuno ha ricevuto il buongiorno!» Espedito subito mi punzecchia.
«Com’è romantico!» aggiunge Graziina.
«Siete una delle coppie più sexy della scuola. Lo hanno scritto sul giornalino!» mi informa Danielle, mentre Killua fa una faccia confusa a quell’ultima informazione. «E Donna LaDonna mi ha detto del tuo viavai nello spogliatoio quando gioca la squadra di football. Beati voi gay.»
«Oh, mio Dio…» mormoro, tra il divertito e l’imbarazzato.
«Anche tu sei fidanzato, giusto?» Danielle chiede a Killua.
«Stai facendo una sorta di sondaggio o ti piace sentire parlare di queste cose?» le risponde con un modo di fare sicuro di sé che non gli ho mai visto fare prima. «Sì, da cinque mesi.»
Dopo un po’ di insistenza da parte della non-Petracelli, Killua le mostra una foto di Frank. Una foto in cui è alto, abbronzato, muscoloso (anche troppo), sorridente e con un sorriso irresistibile. Non sarò mai come lui.
«Che cosa…» mormora Danielle, con stupore. Ti prego, non dirlo. «…porno!» Oh, mio dio.
Di tutta risposta, lui scoppia genuinamente a ridere. Sì, la scena della spiaggia mi dà un’idea di come sia visivamente la sua porno-relazione con Frank. Non che la mia con Sebastian sia un romanzo settecentesco, però ci sono delle differenze abbastanza marcate.
Cavoli, sto morendo dalla smania di chiedergli i dettagli. Mi spezza il cuore immaginare loro due che lo fanno, ma è allo stesso tempo intrigante. Non vedo l’ora di vedere Sebastian oggi, almeno mi farà passare questo senso di calore dentro.
«Il fratellone e Frank fanno un sacco di allenamenti nella camera da letto!» sbotta improvvisamente Alluka, distraendosi dal suo disegno. Tutti scoppiamo a ridere, meno Killua che vorrebbe sotterrarsi. E io sto ridendo per finta.
«Parli di quello stupendo diavolo e…» anche a Killua squilla il telefono, stavolta per una telefonata. «È lui, lo prendo sul balcone.»
«A Killua piace prenderlo sul balcone.» ripete Espedito, senza particolare espressività, facendomi ridere sul serio. L’albino, mentre chiude la finestra dietro di sé, gli fa il dito medio.
«Vabbè, sono gusti.» rispondo io, chiudendo quell’imbarazzante argomento una volta per tutte.
«Sbaglio o ci avete messo una pietra sopra?» Maxine sembra parecchio soddisfatta dalla cosa.
«No, tesoro. Gon ha imparato a fare una cosa chiamata arrendersi.» Stavolta la frase sagace arriva, con enorme sorpresa, da Graziina.
 
Quando Alluka e Graziina escono per andare a fare compere, io sento che tutto questo non è abbastanza. Non bastano una battaglia di cuscini, una chiacchierata in cucina e un pasto insieme per cancellare il vuoto che mi ha lasciato. Ho bisogno di risolvere la cosa al più presto, perché non posso far crollare tutto. Non adesso che ci parliamo di nuovo, non adesso che lui è felice e io sto abbastanza bene da potermi alzare dal letto la mattina senza sforzarmi.
 
Verso le undici convinco Killua ad uscire. Kurapika e Leorio ci hanno dato appuntamento per le cinque, così abbiamo tutto il tempo per andare a pranzo, girare e vedere qualcosa di carino. Killua è uscito di casa indossando una felpa blu e dei pantaloni cargo, voleva stare comodo. Io, non avendo a New York quella ristrettissima selezione di vestiti che indossavo prima, indosso i miei occhiali da sole di Chanel, pantaloni larghi e una camicia di flanella.
«Taxi!» urlo, appena siamo sulla strada alla vista di uno di quei veicoli gialli.
«Ma cosa fai?» mi dice, imbarazzato, vedendo il taxi accostare.
«Qui si fa così!» rido, vedendo la sua faccia scioccata. «Ma come hai fatto quando sei arrivato?»
«Qualche tratto a piedi e poi ho mandato Graziina in ospedale» risponde, mentre saliamo ridendo sulla vettura.
Il taxi ci porta a Central Park mentre Killua non può fare altro che guardare fuori dal finestrino per tutto il tragitto.
Sto gongolando troppo all’idea di mostrargli il posto in cui vivo, voglio proprio dimostrargli a tutti i costi che io sia felice. Non solo per la soddisfazione di farglielo sapere, ma anche perché spero che la cosa lo faccia stare meglio.
Camminiamo venti minuti per il parco ammirando la vegetazione e il laghetto, fino a trovare il Ladies Pavilion libero e insediarci lì.
«Vieni spesso qui?» mi chiede. Non posso fare a meno di notare il sorriso tranquillo che ha sul volto, per poco non ci annego dentro.
«Una volta ci sono stato con Sebastian.
»
Killua non fa altre domande, si limita a guardare verso il basso e a proseguire la passeggiata. 
 
Qualche ora dopo, ci incontriamo tutti e quattro al Magnolia Bakery, fortemente consigliato dalle ragazze per gli squisiti cupcake che, per molti, sono addirittura i migliori degli Stati Uniti. Ammetto che non sapevo cosa fosse un cupcake prima che una sera Graziina ne portasse una scatola piena a casa.
«Questa città è stupenda. Avevano ragione, York Shin non è nemmeno paragonabile.» commenta Leorio.
«Io non so se potrò mai fare a meno di questi.» Killua è già al suo terzo cupcake alla vaniglia. «Che delizia! Dovresti provarli.» dice a Kurapika, il quale ha deciso di prendere un dolce diverso.
«Ma quelli sono i cupcake di Carrie!» realizzo, appena vedo il disegno sul dolce che Killua ha in mano. Si tratta dell’episodio di Sex and The City che ho visto proprio l’altro ieri. In effetti dovevo capirlo dalla foto di Carrie e Miranda appesa all’interno del locale.
«Non dirmi che guardi anche tu quella roba!» sbotta Leorio, con fare schifato.
«Ogni giovedì sera ci riuniamo noi quattro per guardarlo. Io penso sia interessante.» dico, assaggiando il banana pudding di Kurapika.
«Ne ho sentito parlare, anche Palm ci si è fissata. Non è una serie nuova, ma da noi è arrivata da poco per ovvi motivi.» spiega Killua, decidendo che può anche fermarsi al quarto cupcake. «Non so più cosa inventarmi per impedire a mia sorella di vederlo. È una cosa così frivola e di un piattume disarmante.»
«La promozione di un’affettività disfunzionale e una sterilità emotiva mediante quattro donne benestanti che sono ossessionate dall’estetica, dai beni materiali e dai rapporti carnali.» Interviene Kurapika, che evidentemente ha trovato il tempo di dare un’occhiata alla serie. «In effetti, fa proprio per il tuo gruppetto.»
«Tu ed Espedito siete ancora ai ferri corti?» Domando.
«Cosa mi sono perso?» Domanda Killua, ignaro dell’intera situazione.
«Riappacificazione finita male.» borbotta Leorio. «Espedito qualche anno fa ci ha provato con Kurapika.»
«Stai scherzando?» L’albino per poco non salta dalla sedia. «E quando…»
«Credo durante le spedizioni tripartite.» Spiego io.
«Il punto è che, in queste situazioni, lui non attacca direttamente. È lì, mentre parla normalmente inserisce sacche di veleno che ti tira addosso all’improvviso con nonchalance.» Ci risponde Leorio. «A me dispiace perché non è una cattiva persona. O meglio, non completamente. Ha tantissime qualità e quando vuole è anche gentile, ma ha questo carattere orrendo che lo rende insopportabile. Gon, tu come fai?»
«Se ci passi tanto tempo diventa buono.» dico io. «Espedito si comporta così per difendersi. Come un gatto randagio che soffia alle persone che si avvicinano. Se impari a tenerlo buono, diventa un’altra persona.»
«Come è con te?» domanda Killua.
«Si preoccupa, si interessa di me, non mi insulta gratuitamente e mi lascia parlare senza interrompermi e iniziare a parlare di sé.» gli racconto.
«Non ci credo!» a Leorio sembra cadere la mascella.
«Solo perché in termini di egocentrismo ve la giocate.» Killua mi mette una mano sulla testa, ridendo bonariamente.
«Ma quando deve dire le cose in faccia, non si controlla proprio.» ammetto. «Sono già fortunato così, sono l’unico maschio con cui Espedito non dà il peggio di sé. Con le donne invece è un’altra persona, le venera.»
«Sì, tipico dei gay.» questa risposta di Leorio è alquanto inappropriata.
«Possiamo cambiare argomento? Non ne posso più di lui e di tutto ciò che lo riguarda.» Il biondo sembra davvero infuriato. «Sì, le cose sono andate così. Io l’ho rifiutato, lui non ha reagito male ma ho preferito tenere le distanze, per quel motivo ha iniziato a sputare veleno come suo solito ed eccoci qui. Ora vorrei che si parlasse di altro.»
Per quanto il triangolo Leorio-Kurapika-Espedito sia così intricato da volerci far approfondire la cosa anche per giorni se necessario, ci adattiamo alla volontà del biondino cambiando argomento. Ovviamente tampinerò Espedito appena possibile.
 
 
 
Arriva la notte. L’ultima notte prima che Killua se ne vada nuovamente. E io lo so già qual è il problema. È lo zsa zsa zsu, non mi fa dormire e mi fa contorcere da un dolore non riconducibile a nessun danno fisico. Solo l’idea della separazione mi accende un attacco d’ansia, mi sembra di tornare a NGL e sentire continui scoppi nella mia testa che mi inquietano. E sento la separazione con una sorta di dolore dell’arto fantasma.  
E ora lo so cosa provo. Ora lo so qual è il problema. È lo squisito dolore di cercare di vincere le battaglie più difficili. Le conseguenze del non averne mai abbastanza, del continuare a volere più potere, più forza, più tutto. Della stronzata che “se voglio, posso” e che basti non arrendersi per raggiungere gli obbiettivi. Tutte queste cose sono state scariche elettriche ad alto voltaggio che hanno fatto saltare l’intero impianto. Non ho abbastanza tolleranza del dolore. Almeno, non reggo questo tipo di dolore, non reggo lo zsa zsa zsu, che avrà sicuramente un nome in una lingua comprensibile, ma io non lo conosco. Questa è la tortura più pesante a cui io sia mai stato sottoposto.
E mentre mi contorco per il mio dolore fantasma, c’è lui. Con i fantasmi del suo passato, con i flash e gli scoppi dovuti alle torture che ha subito, con tutto il male che ha ricevuto e con tutto il male che gli ho fatto io. Come può anche solo volermi ancora bene? In un mondo così, che è stato ingiusto fino a quel punto. Come si può sovrastare una differenza che quando eravamo bambini sembrava non esistere, ma che oggi è talmente reale da tenerci separati più che mai?
Lui, per me, fa tutta la differenza nel mondo.
 
Un amaro risveglio alle cinque del mattino. Magda ha preparato il caffè e Graziina sta per uscire dalla doccia. Killua partirà alle sette e io dovrò essere a scuola per le otto. Sono nel mio letto, lui è qui accanto a me, girato verso la mia direzione e dorme ancora.
Non resisto e lo abbraccio.
«Gon, cosa…» si lamenta in dormiveglia. Poi apre gli occhi, mi fissa e sembra sorridere. Mi stringe mentre ho la testa schiacciata sul suo petto. Faccio passare il braccio sul suo fianco e mi arpiono a lui senza intenzione di schiodarmi.
«Mi mancherai.» gli piango sulla spalla. Non so che altro dirgli.
«Dai, non fare così…» mi dice, poco convinto, mentre mi accarezza la testa. Poi mi prende delicatamente il mento per farsi guardare negli occhi. I nostri visi sono troppo vicini, i nostri occhi pure. Mi fanno male le orbite, non reggo. È un pugnale conficcato direttamente nel cuore.
Come faccio? Questo è uno dei giorni peggiori. Restiamo stretti per cinque minuti. Il mio corpo cerca di accaparrarsi tutto il calore possibile, la mia mente fa scorta della sua gentilezza preparandosi ad una lunga carestia. Vorrei poter andare in letargo finché non lo vedrò di nuovo.
Il punto non è l’amore. Il punto è che il vuoto che ho dentro non si limita alla questione delle relazioni. Di fidanzarmi con lui, della dimensione romantica o sessuale non mi importa.
È lui, lui, lui. Punto.
Per un momento mi sembra essere tornato a cinque mesi fa. La voglia di non alzarmi più e vegetare nel letto è tornata. Non dovevo riprovarci, non dovevo ricascarci, dovevo tenerlo lontano e lasciarlo in pace. E, se avessi avuto il coraggio, tagliare i ponti definitivamente e non lasciare ottomila porte aperte.
«Killua! Se sei già sveglio, la macchina sarà qui tra quaranta minuti! Magda ha preparato la colazione.» dopo qualche bussata, Graziina ci parla dal corridoio.
«Quando ti deciderai a liberarmi?» Una scelta di parole pessima abbinata a un sorriso che mi spacca dentro.
«Ti voglio bene.» è tutto ciò che riesco a dire.
«Anche io. E tu non sei così debole.»
Non è vero. Non penso di essere mai stato forte, secondo una moderna rilettura decostruzionista di ciò che ero prima, ma il punto è proprio che non lo sono e basta.
«Io sono qui, più vicino che posso e sono dalla tua parte.» sussurra alla fine.
Questa era una mazzata gratuita che poteva benissimo evitare.
 
Per colpa mia, Killua ha perso così tanto tempo da dover fare colazione in piedi. Alluka è già pronta da almeno un’ora, con la sua valigia all’ingresso e perfettamente vestita. Mi saluta calorosamente, con un lungo abbraccio e la promessa di rivederci al più presto. È tutto così drenante.
La macchina è sul vialetto, Alluka è già corsa dentro a sedersi mentre Killua porta le valigie. Scendo per dargli una mano e così, dalle scale del portico, decido di tirare le somme. Ci sono delle domande che, se non gli facessi ora, mi perseguiterebbero per chissà quanto altro tempo. Togliamolo il cerotto.
«Direi che dobbiamo salutarci qui.» Dice, dopo aver caricato anche il piccolo trolley rosa di Alluka, facendo un sorriso sincero. Non mi merito questo sorriso.
«Aspetta, ti prego.» faccio per fermarlo, decidendo di giocarmela ora. «Ho bisogno di un segno. Voglio sapere che questi giorni non sono stati vani.»
«Gon, devo partire… e poi, cosa posso fare?» non sembra scocciato, ma decisamente ho avuto un tempismo pessimo.
«Dimmi solo…» singhiozzo. «Dimmi solo che è tutto finito, che questo fantasma ci abbandonerà prima o poi e che possiamo tornare ad avvicinarci.»
«Gon…» In verità non dice nulla, non sa cosa dire.
«Non devi dirmelo ora e non è una promessa da mantenere. È solo un segno. È tutto ciò che mi serve per andare avanti. Non dobbiamo per forza tornare ad essere quelli di prima. Io voglio solo essere nella tua vita e vivere ancora un numero indefinito di momenti insieme a te.» Sono già vicino a lui, poggiando la mia testa sulla sua spalla.
«Non posso dirtelo adesso.» Lui mi abbraccia e cerca di tenermi calmo, percependo la mia inquietudine.
«Io ti prometto che-»
«Non dirlo. Non adesso.» Ha capito subito dove volessi andare a parare. «Questa è una cosa che dobbiamo fare insieme. Non ti lascerò solo e in balia di te stesso a cercare di rammendare le cose.» Il suo tono diventa serio, ma quelle parole mi confortano. «Ora è meglio che io me ne vada.»
 
Lascio che la macchina parta, mentre mi siedo sulle scale e mi accendo una sigaretta. Tutto ciò che avrei voluto dire e che non ho detto mi passa davanti.
Dimmi che sono io, non deve saperlo il mondo o nessun altro se non vuoi. Dimmi che vuoi ancora camminare al mio fianco, che ti fidi di me e che possiamo essere inseparabili. Eternamente legati, eternamente bambini.
 
Poi, d’un tratto, una nuova sensazione mi investe cogliendomi di sorpresa.
È la fede. Fede in me stesso. Fede nel fatto che, nonostante piangerò senza pause per una settimana, saprò rinascere da queste macerie. La fede nel sapermi costruire, un giorno, quello che oggi tanto mi manca e cerco in lui.
E che forse, un giorno, saprò concedermi totalmente a chi mi dirà che sono io, che vuole camminare al mio fianco e che si fida di me. 

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Capitolo 16
*** La douleur exquise ***


Capitolo 16

Gon disseziona il dolore della sua perdita.

La douleur exquise

Questo lunedì scolastico è un disastro. Ha iniziato a piovere, quindi si dovrà stare nella palestra interna per l’ora di educazione fisica e per la ricreazione. Una mattinata di palla prigioniera dove io fingerò di non saper giocare onde evitare omicidi alle otto del mattino.
L’unica ora in cui sento di stare un po’ meglio è quella di francese con la professoressa Lefebvre, madrelingua, che per oggi aveva chiesto di scegliere una poesia da leggere in classe, facendo qualche domanda sul suo significato e valutandone la pronuncia. Inizia così a muoversi il dito minaccioso verso i presenti, tutti si chiedono chi sarà l’eletto che dovrà affrontare una simile sfida. Nessuno alza la mano, tanto a lei non interessa e chiama le persone arbitrariamente.
«Gon Freecss.» dice, puntando il dito proprio verso di me. «Qu'allez-vous lire?» Mi chiede quale poesia ho deciso di portare. Non ho mai sentito una parola che non sia in francese da parte della professoressa Lefebvre, credo sia il suo modo di forzarci ad imparare.
Mi sforzo di formulare la risposta completa, onde evitare correzioni continue. «"Il pleure dans mon coeur" de Paul Verlaine.» Devo sforzarmi meglio su come pronuncio i dittonghi, la parte più difficile per me.
Ho scelto questa poesia ieri notte. Avevo intenzione di portare altro, ma questa rappresenta esattamente come mi sento dopo questa mattina, nonché gli incubi di ieri notte. La leggo, spegnendo le emozioni, non vorrei piangere in classe. Ma la leggo, impegnandomi al massimo nella pronuncia.
Piange nel mio cuore
come piove sulla città;
che cos’è questo languore
che penetra il mio cuore?
 
Oh, dolce rumore della pioggia
per terra e sui tetti.
Per un cuore che s’annoia,
oh, il canto della pioggia.
 
Piange senza ragione
in questo cuore che si scoraggia.
Cosa. Nessun tradimento?
Questo dolore è senza ragione.
 
È ben la peggior pena
di non sapere perché
senza amore e senza odio
il mio cuore ha tanta pena.
Quando finisco di leggere, mi sento completamente svuotato. Un po’ mi ricorda i colloqui con Samantha. Ancora una volta, il mio dolore è stata delizia altrui. Ma favorire lo sciacallaggio è sempre meglio che lasciare il dolore in circolo senza farlo mai uscire finché non mi dà alla testa.
«Pronuncia perfetta! E che espressività da lettura teatrale! Dobbiamo lavorare sui toni, ma per uno studente del secondo anno che studia francese per la prima volta è super!» si complimenta la professoressa. «Mi sai dire due parole sul significato?»
Questa è la domanda più semplice che potessero farmi per un compito scolastico. «La pioggia rappresenta la malinconia struggente che vive l’autore all’interno di un senso di vuoto. Il rumore della pioggia ha anche la capacità di anestetizzare il dolore.»
«Sai,» dice lei. «Questa poesia, secondo molti critici, parlerebbe della fine della sua relazione con Arthur Rimbaud.»
«I due giravano sempre per Londra, Bruxelles e Parigi. Hanno vissuto mille avventure per tre anni.» La interrompo perché questa è la mia parte preferita. «Potevano essere amici, amanti o qualunque altra cosa ma sicuramente erano compagni prima di tutto. Sempre uniti, come se non esistesse altro. Uniti nella spensieratezza di ciò che avevano e nel non vedere futuro che non prevedesse lo stare insieme. Verlaine è fragile e vive con un costante senso di colpa dovuto alla sua sessualità, Rimbaud è una testa calda sfacciata ed egoista. I due erano veleno l’uno per l’altro ma non avrebbero mai pensato che, un giorno, le loro strade si sarebbero divise. Eppure.»
Mi fermerei ad apprezzare l’intensità di questa storia se non fosse la mia, se non mi ricordasse i miei errori e se non avesse aperto una parte oscura della mia anima che, come un vaso di Pandora, non riesco più a chiudere.
«Bravissimo! Se metti la stessa energia nel progetto della prossima settimana, porterai sicuramente a casa una A.» La professoressa Lefebvre si congratula, ma negli occhi ha qualcosa che mi fa capire che vorrebbe dirmi di più. È probabile che ci sia stato uno scambio non verbale durante la mia lettura o durante la mia spiegazione. 
L’importante è prendere A.
 
Durante la ricreazione, telefono ad Espedito. «Tu te ne intendi di lingue?» Gli chiedo, mentre fumo una sigaretta di nascosto nel cortile.
«L’inglese non è la mia prima lingua e guarda come parlo. Secondo te?»
Bastava dire di sì, ma gli verrebbe un colpo se non cogliesse ogni opportunità per vantarsi. «Quali lingue parli?»
«Francese da parte di papà e tedesco da parte di mamma, ma parlo fluentemente anche l’italiano. Perché me lo chiedi?»
«Ho un certo lavoro da fare per il corso di francese. Si tratta di un tema libero.» gli spiego. «Ho fatto bene a chiedere a te?»
«Naturalmente! Senti, in questo periodo sarò un po’ intasato per via delle riprese ma, se ti va, possiamo unire l’utile al dilettevole concentrandoci sulla cinematografia. Facciamo sabato sera. Film d’autore, ho la collezione completa di Jean-Luc Godard. Stupendo.»
«Mi va bene.» dico mentre faccio un altro tiro di sigaretta, per poi salutare.
 
Con lo sguardo cerco Sebastian, oggi più che mai ho bisogno di lui. Mi metto ad aspettare al solito posto, starà uscendo anche lui dalla mensa. Resterò qui a fumare e a pensare. Pensare, ecco. Mi manca quando non avevo tempo per farlo tra allenamenti e missioni, ora mi ritrovo a farlo continuamente. Ed è straziante, soprattutto per la difficoltà del mantenere il dialogo interiore, appunto, interiore.
«Eccoti qui!» Thomas che sbuca da dietro l’angolo mi fa saltare per aria dallo spavento. «Scusa, ma ti avevo visto alquanto strano e Sebastian non c’è, perciò…»
«Grazie.» Questa è la prima cosa che mi viene da dirgli.
«Vuoi venire con me, Tameka e Danielle? Prendiamo un caffè prima della prossima ora.»
Annuisco e lo seguo. Fortunatamente, esistono ancora le amicizie.
 
«Ti sei iscritto al Cordon Bleu? Ma lo sai che c’è la faina italiana?» mi fa notare Thomas.
«Amalita è la più sopportabile delle tre. In realtà, sembra quella più sana di mente.» faccio notare.
«Ma poi, perché l’hanno messa come tutor? Lei non cucina mica!» dice Tameka.
«Perché è italiana e quindi la gente assume che se ne intenda. Un mio amico frequenta quel club e mi ha detto che si limita a girare facendo facce strane.» le risponde Danielle.
«Che mi dite di Gina Gambarro?» chiedo.
«Viene dal Queens, è una borsista. Frequenta il corso di scienze con me.» dice Tameka. «Stava con un amico di mio fratello.»
«Club di cucina più discorso strappalacrime durante l’ora di francese. Va tutto bene con Sebastian?» Thomas mi fa questa domanda totalmente a bruciapelo.
«Con Sebastian va benissimo.» rispondo sorridendo, per poi scoppiare in un pianto incontrollato subito dopo.
Ma che cosa mi sta succedendo?
Ho ancora la sensazione dell’abbraccio di Killua addosso, dei suoi capelli sul mio viso e il suo odore. Ho ancora gli occhi abbagliati dai suoi, ho ancora tutto di lui nella mia testa. Non sarò mai libero. Sto vivendo il mio peggior incubo.
Devo parlarne con qualcuno, ma per quanto Thomas e Tameka siano gentili e simpatici, non so ancora se fidarmi. Chiamo Danielle in disparte, ci allontaniamo andando nell’aiuola più vicina, dove c’è una panchina. Cammino fissando il pavimento e chiedendomi dove cazzo sia sparito Sebastian. Ho bisogno di vederlo.
«Sai tenere un segreto?» le domando, partendo già un po’ sfiduciato.
«Ma certo! Quando Tameka ha avuto la cacarella alla festa di Peter Danahue io l’ho coperta e non l’ho mai detto a nessuno.» Mi racconta fieramente. «Ah, cazzo…» realizza subito dopo. «Ti assicuro che non è successo con nessun altro.»
 «Promettimi almeno una cosa.» Faccio per cambiare le carte in tavola. «Non usare ciò che ti dico oggi contro di me quando sarò felice con Sebastian.»
«Su questo puoi contare, nessuno meglio di me capisce questi drammi.» Alza la mano in segno che posso fidarmi.
«Non riesco a togliermelo dalla testa.» confesso, tenendo una mano sul cuore perché fa male.
«Chi?» chiede, capendo subito dopo. «…llua.»
«Credo che Sebastian mi piaccia sul serio. Se fosse una relazione di copertura o cose simili non proverei nulla. Invece sto così bene con lui, sono davvero felice.» metto subito le mani avanti. Ma, in ogni caso, io sto dicendo la verità.
«Ma?»
«Non potrò mai cancellare per davvero Killua. Ho un buco a forma di lui nel cuore e non si colma con nient’altro. E la cosa peggiore è che posso amare Sebastian e non desiderare nessun altro come fidanzato, ma avrei bisogno comunque di Killua nella mia vita.»
«Non capisco.» Danielle si gratta il mento, confusa. «Se non è amore, che cos’è? Amicizia?»
«Qualcosa di indefinibile.» sbuffo, arrendendomi al non senso di questa realtà. «Sai, anni fa sono andato a casa sua per liberarlo dalla famiglia. Il fratello lo aveva costretto a tornare.» Sorrido nel ricordare quell’episodio. «Alla fine, ce l’ho fatta, ma è stata dura. Pensa che lo torturavano fin da quando era piccolo.»
«Non ci posso credere! Proprio non ci posso credere!» Danielle è senza parole.
«Ed è lì che ho capito che… uhm… non posso esistere senza di lui.» Ulteriori lacrime sgorgano dai miei occhi. Credo che dovrò vedere un oculista prima o poi.
«Credo che esperienze così forti ti leghino molto a qualcuno.» Dice. «Io non ne so nulla, sono cresciuta a casa di mia zia finché Aly non mi ha adottata. Da allora, ho sempre vissuto pensando alle feste, al mio blog di moda… non ho legami veri se non con Aly ed Espedito. E insomma, non è che siano persone chissà quanto profonde. Per questo non capivo quando parlavi di Killua. Pensavo che ti piacesse e basta.»
E forse è così, ma non è questo il punto adesso.
«Pensi che io faccia schifo?» Le domando. «Per Sebastian…»
«Ma no!» Mi tranquillizza lei, mettendomi una mano sulla spalla. «Numero uno, tu e Sebastian non siete ancora fidanzati e soprattutto non ti ha ancora detto “ti amo”. Numero due, Killua è indisponibile, non c’è modo in cui tu tradisca Sebastian con lui e, anche se ci fosse, sono certa che tu non lo faresti. In sintesi, non dire niente e resta con Sebastian. Fidanzatevi e cercate di avere qualcosa di bello insieme. Questa non è la vita vera, siamo al liceo, nessuno si aspetta che tu faccia scelte sensate e che le relazioni durino in eterno.»
 
 
Almeno mi porto a casa una B per il compito di scienze, riuscendo a mantenere una media decente.
Ho forzato Thomas a venire con me al Cordon Bleu. Avevo bisogno di una faccia amica e lui, tra tutti, è quello che non mi dice mai di no. Non ho ancora incontrato Sebastian e non ha ancora risposto ai miei messaggi dopo il suo buongiorno.
«Tu pensi che io debba preoccuparmi?» Gli domando, facendo riferimento alla sparizione del mio quasi-fidanzato.
«Ma no, è possibile che non si sia svegliato perché ha passato la notte a guardare Stranger Things.» Risponde lui, mentre monta la crema all’uovo al posto mio.
«Tu hai più esperienza di me. Stavi con Mackenzie, giusto?» gli chiedo. Thomas si allarma e mi fa cenno di abbassare la voce.
«Sei pazzo? Nessuno sa che è gay.» Sussurra. «No, io non stavo con Mackenzie, ci scopavo ed eravamo amici. Ma non eravamo scopamici, erano due cose separate.» Thomas sembra leggermente emotivo quando parla di lui.
Amici.
Chissà che intende.
Mentre a turno facciamo cuocere le quiche nel forno, nel vedere che tutti iniziano a lavare i piatti, corriamo a farlo anche noi per non fare brutta figura.
«Io queste cose non le faccio nemmeno a casa mia!» sbuffa lui, mentre scrosta la terrina. «Tu hai intenzione di stare a guardare? Mi hai portato tu qui, fa’ qualcosa!»
«Hai ragione. Ho la testa altrove.»
«Ho rinunciato al club di pittura per venire qui.» Si lamenta, facendomi gli occhioni dolci.
«Ma che carino…» faccio per abbracciarlo.
In quel momento, Gina Gambarro si materializza davanti a noi due. «Se avete finito di lavare i piatti, venite al banco per la valutazione.» Ci indica il posto all’ingresso dove lei, Amalita e la professoressa Pino di lingua italiana faranno da giudici.
«Ma a cosa serve la valutazione?» domanda Thom.
«Scelgono chi ci rappresenterà contro la Roosevelt per la gara di cucina.» Gli spiego. Gira e rigira, è sempre quella scuola la nostra avversaria. «Io ho fatto una cosa del genere all’esame per diventare hunter.»
«Una gara di cucina?» mi guarda, perplesso.
«Siamo andati nella palude a cacciare dei maiali selvatici pericolosissimi, per poi cucinarli. Poi siamo saltati in un canyon per prendere delle uova giganti e cuocerle. Quella prova fu parecchio strana.» Gli racconto. Ormai quando riporto certi aneddoti, non lo faccio più con l’amaro in bocca, penso solamente a quanto sia bello il ricordo ma senza quel desiderio drenante di tornare indietro.
«La tua vita è una figata.»
Prima di noi ci sono, in quest’ordine, il gâteau di Tina Chang in coppia con Marta Lee, la mousse di Julie Mayer, la Tarte Tatin di Teairra Johnson e, infine, la quiche Lorraine di Gon Freecss e Thomas York.
«Gon! Non ti avevo visto, come stai?» mi saluta Amalita appena ci avviciniamo al tavolo. Oggi ha cotonato i capelli più del solito. «E c’è pure Thom York!»
«Mi hanno costretto.» balbetta lui, stremato da tutto il lavoro che ha fatto al posto mio.
«Ti sei divertito, ammettilo.» lo stuzzico.
«Voi siete quelli della quiche, giusto?» ci interrompe Gina, mentre tira fuori dal forno il nostro piatto. Ci ho messo tutto l’intuito possibile e la manualità di Thomas, deve essere venuto bene.
Amalita e la professoressa Pino iniziano a parlare in italiano tra loro, cosa molto scorretta perché nessuno capisce cosa si stiano dicendo. Gli italiani sono davvero strani, Espedito mi dice spesso di non averci a che fare a patto che non siano stilisti di alta moda.
«Come si dice in frangese? Magn’ i fichi!» commenta Amalita, per qualche motivo aggiungendo una risata fragorosa, dopo averne assaggiato un pezzo. Dal tono e dallo sguardo capisco le sia piaciuto, peccato che non riesco mai a prendere sul serio il suo modo di parlare incomprensibile.
«Buono.» la professoressa Pino, invece, sembra un robot.
«Ottima la consistenza, cottura adeguata, ricco di sapore e qualità degli ingredienti accettabile. In sostanza, non vi si può dire nulla.» conclude Gina.
Le tre si guardano e parlano tra loro, emanando poi un verdetto unanime. Quattro stelle su cinque. Thomas reagisce con più entusiasmo del voluto.
 
Quando esco dal club di cucina, un certo ragazzo con una giacca di pelle, borsa da palestra, dilatatori alle orecchie e capelli neri come la pece è appoggiato al muretto con una sigaretta in mano. E guarda solo me.
Quando mi avvicino, Sebastian getta la sua sigaretta e mi dà un bacio al tabacco. A lui non interessa di farlo davanti a tutti. Questa scuola non è così male in termini di accettazione dell’omosessualità, ma molti non si bacerebbero in pubblico lo stesso. Lui lo fa, non ha paura. Perché lui è Sebastian Carter.
«Dove eri oggi? Ti ho aspettato al solito posto. Ci sono rimasto male.» gli dico, con quella vocina che faccio solo con lui.
«Dormivo.» Mi risponde. «Ti sono mancato?»
«Come l’aria.» sussurro prima di dargli un altro bacio.
Zoe Sinclair e Donna LaDonna sono dall’altra parte del cortile, probabilmente aspettando Amalita, e mi stanno fissando. Mi spiace per loro, Gon Freecss piace agli uomini più delle Faine Rosa.
«Non mi piace come ti guardano le ragazze.» Gli dico, buttandola un po’ sul ridere.
«E a me non piace come ti guardano i ragazzi.» Ribatte lui con tono di sfida. «Devono sapere che sei mio.»
Non so a chi si riferisca, se a Thomas o a Killua. La risposta è forse molto più scontata di quanto io creda.
«Ma io non guardo loro.» Faccio con tono di superiorità. «Sono uno dei ragazzi più sexy adesso, ho una certa lista d’attesa.»
Il giornalino della scuola ha fatto un altro articolo-gossip, la classifica sulle ragazze più belle e sui ragazzi più sexy. Danielle è al quarto posto dopo le Faine Rosa che hanno monopolizzato il podio, capitanate ovviamente da Zoe. Io invece sono al primo posto, superando persino l’ex primo posto Sebastian.
«Salvami dall’ennesima cena al country club con i miei genitori.» Dice, cambiando discorso all’improvviso. «Vuoi fare qualcosa stasera?»
In verità non mi dispiacerebbe fare sesso.
«Cosa proponi?»
«A casa mia, nella sala vino…» propone. «Ci beviamo un bel calice di Bolgheri e poi andiamo dritti nell’idromassaggio.» Mi mette una mano nei capelli, tentandomi in tutti i sensi. Ovvio che ci sto.
Ora che ci penso, so per certo che anche Zoe Sinclair e la sua famiglia siano nel country club, questo perché Espedito, Danielle e Alexandria lo frequentano e si ricordano della famiglia Sinclair. Questo significa che se lasciassi andare Sebastian a quella serata, Zoe cercherebbe di accopparselo.
«Ovviamente ci sono.» E certo, col cavolo che lo lascio andare.
 
 
Prima di tornare a casa, decido di incontrare Kurapika e Leorio nel loro albergo. Resteranno solo un paio di giorni e vorrei passare del tempo con loro. Mentre sono in ascensore, il telefono vibra nella tasca della mia giacca. È Shuk.
«Il tuo libro è primo in classifica.»
«Che cosa?!» Questa notizia mi fa saltare per aria. «Ma se è uscito solo ieri!»
«Il tuo discorso al Rockefeller ha aiutato molto. Sei disponibile in questi giorni? Samantha mi ha scritto perché c’è da organizzare il tour.»
Oddio, il tour. Certo che ultimamente non ho nemmeno il tempo di respirare.
«Lo sanno che frequento il liceo?» le faccio presente, non perché l’idea di girare per il paese mi dia fastidio, tutt’altro.
«Sì, tutti sanno tutto di te. Sono disposti di limitare la cosa ai weekend e a qualche sera.»
«Sai già dove mi faranno andare?»
«Le librerie sono impazzite e c’è una vera guerra civile per aggiudicarsi una tua presentazione. Samantha sta facendo già la scrematura. Per Barnes & Noble a New York non ci sarà problema, no?»
«Non è molto lontano, è fattibile.»
«Per il mese di novembre ti faranno fare l’East Coast. Le tappe di New York e dintorni le farai nei pomeriggi feriali, quelle fuori nei weekend. Ti vogliono a Baltimora domenica prossima, quella dopo andrai a Rhode Island. Poi ci sono Washington, Boston e Chicago.»
«E poi cosa succederà?» Ho già paura delle tappe fuori dalla costa est.
«Per dicembre dovrai farti le vacanze tra San Francisco, Los Angeles, Phoenix e Tucson.»
«Credo di sentirmi male.» Dico, prima di salutarla e chiudere. Come sempre, Samantha cerca di uccidermi.
 
La stanza di Leorio e Kurapika è molto rustica. È tutto in legno, bagno incluso, e sul pavimento c’è una comoda moquette. Il biondino ha indosso la sua solita maglietta bianca, la toga è appesa su una sedia. Leorio, invece, non ha la giacca.
Quando mi siedo, noto che Kurapika, estremamente turbato e infastidito, continua a grattarsi il collo.
«Ho fatto tre docce e ancora mi sento strano. Non farci caso.» dice, appena ci sediamo tutti e tre in cerchio.
«Dovresti smetterla di indossare tessuti scadenti, non fanno respirare la pelle!» Lo prendo in giro.
«Detesto questa nuova versione di te ogni giorno di più.» Mi fa la linguaccia. Scoppiamo tutti a ridere.
«Deve essere un sogno essere ricchi senza fare assolutamente niente.» Sbuffa Leorio, guardandomi con invidia.
«Il mio libro è primo nella classifica nazionale.» A proposito di ricchezza, sgancio la bomba. «Ha superato anche l’ultima uscita di J.K. Rowling, il che è solo un bene.»
«Non ci posso credere!» Fanno loro due all’unisono, restando a bocca aperta.
«Mi vogliono in tutta l’America per questo benedetto tour, non avrò un giorno libero fino a febbraio.» Mi verso un po’ di tè, piagnucolando. «La settimana prossima devo andare a Baltimora. Io non so nemmeno dove sia Baltimora!»
«Le mappe dei nostri telefoni non funzionano.» borbotta Kurapika. «Orientarsi qui è una sfida.»
«Controllo sul mio, dovrei trovarlo con Google Maps.» gli spiego, tirando fuori il cellulare. «Che è il GPS che usiamo qui.»
«E il Beatle dov’è?» commenta Leorio alla vista dell’iPhone.
«Dalla zia Mito! Qui non lo posso usare e così ne ho dovuto prendere uno nuovo. Detto tra noi, non so ancora esattamente come funziona, ogni tanto si apre la fotocamera e mi scatto delle foto brutte per sbaglio.»
«Fa’ attenzione, so che questi aggeggi non hanno privacy. Raccolgono dati costantemente e li vendono alle aziende! L’ho letto sul giornale.» mi avverte Kurapika.
«E quindi non ci verrai a trovare per Natale? Sarebbe carino riunirci sull’isola tutti e quattro.» Leorio sembra rattristarsi all’idea di non passare le feste insieme. Dopotutto, le feste si passano in famiglia e loro sono la mia famiglia.
«Vedrò cosa posso fare! Ma mi fa bene tenermi impegnato, così non mi abbatto pensando sempre alle stesse cose.» Voglio guardare il lato positivo. Ma poi cambio subito atteggiamento. «Killua è partito questa mattina.»
«Capisco.» Kurapika sembra aver già capito. «Siete riusciti a riappacificarvi?»
«Sì, credo.» Rispondo. «Ma penso comunque che sia davvero difficile recuperare il rapporto di prima. Siamo cambiati tanto. Io gli voglio troppo bene, il che peggiora le cose.»
«Devi lasciargli il suo spazio. È evidente che i fatti di NGL e Gorteau Orientale lo abbiano turbato parecchio.» interviene Leorio. «Mi dispiace dirtelo ma, riflettendoci attentamente, ho iniziato a capire il suo atteggiamento.»
«Almeno so che mi vuole ancora bene. Abbiamo passato delle belle giornate.» Mi tengo stretto quella piccola, ma anche tanto grande, consolazione. «Voi, piuttosto? Come state?»
«Ce ne andremo domani sera.» Sbuffa Kurapika. «Questo posto è carino, ma non fa per me. E poi tornerò in missione.»
«Non vieni a salutare Espedito?» gli domando. «So che ce l’hai con lui, ma è brutto andarsene senza salutare!»
«Ci azzanneremmo come al solito.» differisce con tono cupo. Sembra quasi che gli dispiaccia. «È davvero una persona sgradevole.»
«Ti svelo un trucco.» Mi avvicino a lui e lo invito a guardarmi. «Quando gli parli, guardalo negli occhi e digli qualcosa di carino.»
«Perché dovrebbe essere carino con lui?» Si intromette Leorio. «Ci stai dicendo di adularlo?»
«Tutt’altro.» mi spiego. «Non devi fargli complimenti, devi solo fargli sentire la tua empatia. Diventa molto più bendisposto se vede che dall’altra parte c’è una persona che non vuole ferirlo. E poi, vorrei davvero capire cosa sta succedendo tra voi tre.»
«Che cosa deve succedere?» Leorio risponde troppo velocemente.
«Mi ha detto di provarci con Leorio.» dice Kurapika.
Okay.
Questo non me lo aspettavo.
«Tutto è partito perché la tua assistente ha sentito mentre gli davo del povero illuso.» spiega il biondo.
«Questo non è affatto carino!» lo rimprovero.
«Poco dopo si è presentato sul balcone e ha iniziato a dire cose velenose su me e Leorio. La conversazione che abbiamo avuto è lunga e intricata, perciò arrivo al sodo. Pensa che tra noi due ci sia del tenero e mi ha detto che sono patetico perché evito la cosa.» continua a borbottare.
«Non è totalmente fuori di testa?» all’occhialuto viene da ridere istericamente.
 
CHE BRUTTA SITUAZIONE…
 
 «Okay… uhm… Dio.» Non so davvero cosa dire, è tutto così confuso. «In base a cosa…»
I drammi sentimentali con Espedito, Maxine e Graziina sono chiacchiere divertenti per la naturalezza con cui le affrontano. Con Kurapika, Killua e Leorio, invece, sono momenti di tragico imbarazzo.
«In realtà non so cosa gli abbia dato questa idea.» Commenta il biondino.
Servono Killua e la sua sagacia in questo momento.
«Perché no!» Mi viene da dire.
«Cosa?» Chiede Leorio.
«Può darsi che sia così!» specifico.
«Ma che discorsi ti metti a fare, Gon!» Kurapika salta dalla sedia.
«Penso solo che anche quella sia una cosa da scoprire. Sperimentate nuove sfere della vostra vita.» Dico.
I due mi guardano con colpevole silenzio. Forse ho toccato il tasto giusto. O, al contrario, quello più sbagliato di tutti. Fatto sta che un vero amico è sincero su ciò che pensa, perciò ho fatto un buon lavoro.
In quell’attimo di silenzio tombale, controllo con nonchalance le notifiche del cellulare.
 
Cambio di programma.
Verresti con me al country club?
- Sebastian
Credo che Sebastian non sia riuscito a convincere i genitori di lasciarlo a casa. L’idea di andare ad un posto del genere non mi fa impazzire, ma sempre meglio che lasciarlo da solo con Zoe. Merda, a volte la mia vita è davvero fastidiosa. Gli rispondo di sì, sperando di chiuderla lì il prima possibile.
«Chi ti tiene incollato al cellulare?» rompe il ghiaccio Leorio.
«Sebastian.»
«E chi, sennò!»
«Dovremmo parlare di ciò che ha detto Gon.» sbotta Kurapika. Sembra in un pesante stato di shock. Ha gli occhi a palla e fissa Leorio in maniera stranissima. «Ho proprio bisogno di togliermi questo pallino.»
«Lo sapevo di aver combinato un guaio.» dico tra me e me, un po’ dispiaciuto ma anche molto stufo di questo teatrino.
«Ne parleremo appena Gon se ne andrà.» gli risponde Leorio.
Ottimo modo per dirmi di levarmi dai piedi. «Non mi vorrete cacciare?»
«Non lo faremmo mai. Anche se ultimamente tu sai fare solo due cose.» dice il biondo piccato. «Ficcare il naso negli affari altrui e monopolizzare le conversazioni parlando ossessivamente di te stesso. Non conosci vie di mezzo.»
«E adesso cosa ti prende?» lo sgrida Leorio.
«Va bene, vi accontento e mi tolgo dalle palle.» Mi alzo salutando distrattamente e me ne vado. Mi girano come non mai.
«Ma che cosa è successo negli ultimi cinque minuti?» Il medico cerca nuovamente di calmarci.
«Hai imparato a fare la vittima e non la smetti più. Complimenti.» continua Kurapika. Ma che diamine gli è preso?
«Forse ha ragione Espedito. Sei uno stronzo narcisista e patetico.» Mi è uscito fuori. Io non volevo.
«Gon!» Non ho mai sentito Leorio urlare così forte.
«La prossima volta che deciderai deliberatamente di porre fine alla tua vita nessuno verrà a farti da balia.»
C’è da dire che con questa ha vinto lui.
Che schifo.
«Adesso basta. Chiedetevi subito scusa a vicenda.» Leorio ci prova ancora un’ultima volta.
«Devo proprio andare. Ho da fare.» Me ne vado da quella camera in lacrime. Non voglio commentare oltre l’accaduto.
 
 
Sono passate due ore e ancora nessuna chiamata o messaggio da Kurapika o Leorio. Nel frattempo, ho ripassato le materie del giorno, ho pianto nella vasca idromassaggio per mezz’ora e mi sono vestito e imbellettato per quella cena al country club che, se prima mi interessava come collezionare francobolli, adesso l’idea mi crea addirittura fastidio. Non so perché lui mi abbia aggredito in quel modo e non so perché io gli abbia risposto in quel modo. In sostanza, è stato uno spettacolo orrido.
Sono targato Chanel alla testa ai piedi, sul divano con uno sguardo annoiato mentre aspetto che Sebastian mi venga a prendere. Graziina farà tardi, probabilmente non la vedrò prima di domani. Mi sento svuotato e come se avessi preso fuoco. Sono tentato di chiamarlo e annullare tutto, io non ci riesco stasera.
Vado nel mio bagno a cercare una crema per il viso – da quell’esfoliazione chimica per la festa, mi brucia giorno e notte – ma nel mio non trovo nulla. Mi allargo al bagno di Graziina e, cercando nello sportello vicino allo specchio, trovo non solo delle creme ma anche delle scatole di medicinali. Tra queste spicca un grosso flacone di Adderall. Se non ricordo male, è quel farmaco che ti trasforma il cervello in quello di un ninja per alcune ore. C’è chi lo usa per studiare.
Mentre tengo in mano una di quelle pastiglie mi domando come io sia finito qui. Pensare che un tempo ero sempre euforico e il mio cervello era sempre all’opera. Oggi è già tanto se non mi addormento sull’autobus.
Inghiottita.  
Come ha potuto dirmi una cosa del genere? Ho fatto così pena come amico da meritarmi un insulto così grave? Okay che gli ho dato dello stronzo, ma alludere al suicidio in quel modo è davvero troppo. Io non so come superare una cosa del genere.
 
La serata al country club è insostenibile. Fortunatamente, quella compressa di Adderall sta iniziando a fare effetto. Siamo al tavolo con il padre di Sebastian, Donald Carter, la sua compagna Ivanka e due persone che non conosco, molto probabilmente una coppia sposata.
«Nostra figlia sarà qui a momenti, si sta sistemando il trucco.» Esordisce il marito della coppia misteriosa, il cui nome è Alan ed è socio di qualche strana azienda quotata in borsa. «Anche se è venuta da sola.»
«Nostro figlio ha deciso di portare qui qualcuno…» commenta Donald, emozionato. «In verità è stata una sorpresa, non pensavamo che gli piacessero i ragazzi.»
«Papà!» lo rimprovera Sebastian, imbarazzato. Non ho mai visto lui arrossire.
«È una cosa seria?» Chiede Louise, la moglie di Alan.
A quella domanda non sappiamo rispondere. Io e Sebastian non abbiamo mai definito il nostro rapporto. Non ci siamo mai detti che ci amiamo né abbiamo deciso se questa storia sia seria o meno. Fatto sta che per me è speciale.
«Direi proprio di sì.» Dice lui, guardandomi negli occhi con un sorriso adorabile.
Il tavolo è in delirio per quella risposta e Donald ci versa un giro di prosecco, quando al tavolo arriva la figlia della coppia seduta al tavolo con noi.
E chi altri poteva essere?
«Gon! Che sorpresa!» Zoe mi saluta, prendendo posto accanto al padre.
«Voi vi conoscete?» Chiede Alan.
«Naturale! Frequenta la Onassis con noi. Tutti conoscono Gon.» Fa la sorridente, ma dal modo in cui parla mi suona viscida. «Una grande scoperta, se permettete.»
«Quindi voi siete il signore e la signora Sinclair, giusto?» domando ad Alan e Louise. Loro annuiscono. «Donna e Amalita frequentano questo country club?» domando poi a Zoe.
«Mercy LaDonna frequenta questo country club, Donna e Amalita invece frequentano a Yonkers, quello della contea di Westchester.» Spiega lei, parlando con me come se nulla fosse. «A proposito della sorella di Donna, lei incontrava spesso la signora Petracelli, il figlio e la figliastra. Proprio qui. Erano sempre con la signorina Petrovsky e la dottoressa Parker.»
«Davvero! Non l’avrei mai detto.» Una mezza idea ce l’avevo, ma mi piace parlare con lei fingendo di non averla in antipatia. «Sono tutti molto impegnati, purtroppo. Sarebbero voluti venire, ma Petracelli lavora fino a tardi sul set di un nuovo film, Petrovsky sta registrando un album jazz e la dottoressa Parker si è da poco messa in proprio, non stacca mai.»
«Maxine Parker!» esclama Alan, guardandomi con entusiasmo. «La chiamano “lo squalo di Manhattan”. Ha rappresentato Johnson & Johnson, Bloom Cosmetics, Telecom Italia!»
«Io, lei, Espedito e Graziina siamo amici. Siamo spesso insieme!» Gli dico con naturalezza.
«Però!» commenta Donald. «Non pensavo che avessi di questi agganci.»
Con la coda nell’occhio guardo in direzione di Zoe. È pietrificata.

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Capitolo 17
*** Dove lo metto? ***


Capitolo 17

Gon, ancora ai ferri corti con Kurapika, va a Baltimora per la prima tappa del tour del libro. Tra i dubbi sulla sua relazione con Sebastian e l’onnipresente fantasma di Killua, Gon va in terapia e discute con la sua analista diversi aspetti della sua vita.

Dove lo metto?

Si avvicina l’eventualità che Kurapika se ne vada senza che possiamo chiarire. Non sono abbastanza orgoglioso per permettere una cosa del genere, mi prendo una pausa da quell’inferno di cena al country club e, nel giardino deserto, mi metto su un dondolo di legno per telefonare Leorio.
«Non sai quanto mi sento in imbarazzo.» Gli dico.
«Effettivamente, stavolta l’hai fatta grossa.» Anche Leorio sembra piccato. Ma ce l’hanno tutti con me? «Però, per quanto tu abbia sbagliato, eccome se l’hai fatto, non ti meritavi che lui ti dicesse una cosa simile.»
«Come sta adesso? Posso parlargli?» gli domando, preoccupato.
«Si è calmato, ma è meglio non parlarne al telefono. Dove sei? Ti raggiunge lui.» Leorio sembra essersi trasformato nel suo segretario o qualcosa di simile. In ogni caso, mi va più che bene incontrarlo qui. Il giardino è deserto.
«Sono al country club a cena con la famiglia di Sebastian.» Gli dico. «Rimanderei a domattina se non avessimo poco tempo. Tra un quarto d’ora i suoi genitori andranno a prendere l’amaro al bancone e noi giovani staremo in giardino.»
«Se non è un problema, si sta vestendo ora.»
«Digli di mettersi qualcosa di elegante!»
Rientro subito nel ristorante. Anche se sono stato via per pochi minuti, il caffè è già a tavola.
«Mio padre ti trova forte e Ivanka ti adora. È fatta!» mi sussurra Sebastian. Vorrei dargli un bacio seduta stante ma non so quanto sia appropriato.
«Stupendo!» Gli dico, dandogli almeno un abbraccio. Zoe si gira subito dall’altra parte. «Sta arrivando una persona.»
«Chi?»
«Quel mio amico, quello biondo. Parte domani e dovevamo parlare di una cosa, per questo gli ho detto di venire qui. Non ci metteremo molto, ti dà fastidio?» Lo guardo già con occhi imploranti. Effettivamente, nulla di ciò che sto facendo ha senso.
«Niente di te mi può dare fastidio.» Mi bacia la fronte. «Ho totale fiducia in te. Anche se sei un po’ matto.»
La cosa peggiore di Sebastian è che è fottutamente perfetto in tutto.
 
Kurapika entra da solo, io sono rimasto per tutto il tempo a fissare il cancello in attesa del suo ingresso. I genitori di Sebastian e di Zoe sono andati con gli altri soci del club a fare un giro di grappa. Non riesco a non pensare al mio quasi-ragazzo con la faina rosa rimasti da soli. Ma, va detto, a un certo punto le priorità cambiano. E poi voglio fidarmi di Sebastian.
«Gran bel posto…» mormora il biondo, con un sorriso di circostanza.
«Non scherzare, io detesto questo club. Ci sono venuto solo per Sebastian.» Faccio accomodare Kurapika vicino a me sul dondolo.
«Mi dispiace per averti detto quella frase.» esordisce lui. Tiro un sospiro di sollievo, iniziamo bene.
«Anche a me dispiace di averti chiamato con quegli aggettivi! Ero sotto stress, non ero in me!» Piango a fontanella.
«Un momento.» Kurapika ferma la sceneggiata. «Ho ammesso di aver esagerato, ma non ritiro la mia critica ai tuoi atteggiamenti. Tu sei egocentrico.»
«Questo lo so. Ma cosa ci posso fare?» Gli rispondo sinceramente, perché questa è una cosa su cui sto lavorando da quasi due anni. «Io faccio il possibile per pensare agli altri. Io oggi ho parlato di me, ma voi avete cercato di introdurre qualche argomento diverso?»
Kurapika è silenzioso.
«Ti posso assicurare che se tu mi avessi raccontato qualcosa, non mi sarei messo a parlare del mio libro e sicuramente avrei evitato di ficcare il naso. Ma tu non parli mai di te stesso, una persona cosa può fare?» continuo.
«Hai ragione. Ma non mi riferisco solo a quando ci ritroviamo a parlare. Mi riferisco anche a quando hai preteso che io incontrassi Espedito nonostante fossi già stato chiaro su quanto mi metta a disagio vederlo.»
«E quando avrei preteso una cosa del genere?»
Mi domando se uno di noi due abbia una percezione distorta della realtà negli ultimi giorni.
«Mi avevi detto che sarebbe stato brutto partire senza vederlo e cose così.» Non ho mai visto Kurapika così a corto di argomenti.
«E?» Faccio io, perplesso. «Il mio era un suggerimento, non un’imposizione. Consentimi l’ardire, se senti un conflitto in merito a questa cosa, affrontalo e non sfogarti su di me.» A quel punto, si gira sorpreso e mi guarda negli occhi. «Puoi sfogarti con me tutte le volte che vuoi. Ma non su di me, quello mi fa stare male.»
«Io non provo nulla per Espedito.» decreta lui, con tono fermo.
«Infatti, nessuno parla di lui.» Mi scappa una risata. «Kurapika, ho capito persino io il gioco che sta facendo. È strano che tu non mi abbia preceduto.»
«Cosa intendi?»
«Espedito ha rinunciato a te perché ha capito quasi subito di non avere speranze. Ma, evidentemente, gli piacevi tanto.» Inizio a spiegargli. Lui mi guarda con fare interrogativo, non capendo dove voglia andare a parare. «E perciò possiamo dire che ha tirato su questo casino perché vuole sentirsi in qualunque caso protagonista. Non importa che tu abbia scelto Leorio, l’importante è che lui abbia avuto il ruolo principale. Credo sia la sua consolazione.»
«Ma perché siete convinti tutti che io abbia scelto…» sbotta lui, in preda all’imbarazzo. E adesso basta, questo teatrino è andato fin troppo.
«Stavo pensando, diversi giorni fa, a cosa definisca una relazione.» Lo interrompo. «Non è sempre necessaria una promessa esplicita. Il modo in cui ci siete l’uno per l’altro, in cui vi guardate sapendo che non vorreste nessun altro… è in qualche modo una scelta che avete fatto, magari senza saperlo. Le cose sono andate così, in maniera spontanea e naturale.»
Kurapika si volta dall’altra parte, rosso come un peperone. Sono passati anni dall’ultima volta che l’ho visto così.
«Mi dispiace ma io sono qui e ti parlo anche!» Lo tiro per la spalla, facendolo tornare a guardarmi. «Voi due siete degli adulti, non siamo più ai tempi dell’Esame dove eravamo tutti troppo piccoli e ingenui per capire le cose. I tira e molla, il brutto tempismo e tutta quella sequenza di cose non dette e fraintendimenti… sono cose noiose! La vita reale è semplice, serve solo il coraggio di affrontare il tutto.»
Kurapika resta per un attimo lì, congelato e inerme. Non so esattamente cosa stia provando, lo capisco solo dopo quando inizia a sorridere involontariamente. Sì, conosco quello sguardo, quella spensieratezza negli occhi che molto raramente vedo in lui.
«È che io non mi sono mai preoccupato di queste cose.» mormora. «Sento una sensazione strana che per la prima volta non so spiegare bene.»
«Lo zsa zsa zsu.» Devo ammettere che ripeto spesso quest’espressione perché la trovo buffa oltre al fatto che identifica qualcosa che prima non riuscivo nemmeno a menzionare. «La botta allo stomaco.»
«Che strana espressione.» Ridacchia. «Forse è come dici tu.»
 
Quando Kurapika torna in albergo, io raggiungo Sebastian al bar. Noto con enorme sorpresa che Zoe se ne è andata e che lui se ne stia lì da solo. Mi aspettavo, come minimo, che gli stesse appiccicato come una cozza.
«Stai bene?» mi domanda. «Prima eri un po’ turbato. Riguarda il tuo passato?»
«Sì…» dico, sorridendo per la sua perspicacia. «Ma ora è tutto a posto. Avevo avuto un litigio con Kurapika e ci sono rimasto davvero male.»
Adoro il fatto che non sia pressante nel voler sapere ogni cosa riguardante il mio passato da hunter e che non si arrabbi quando scelgo di non dirgli qualcosa. Riesce a percepire il mio disagio e non prende sul personale i miei “no”.
«Come dicevo, ti adorano.» Cambia discorso, mentre mi mette davanti un Gin Lemon.
«Non sono male neanche loro!» Gli dico, e lo penso davvero.
«C’è qualcuno che non ti adora in questo mondo?» Ha deciso di farmi diventare viola.
Frank e Killua, ma certo non posso fare i loro nomi. «Zoe Sinclair?»
«Chi disprezza compra.»
Effettivamente io e lei abbiamo fatto sesso in passato. Ha perfettamente senso.
«Mi vuoi portare a casa?» Gli domando con quella voce, cercando di convincerlo a trasportarmi in un luogo qualsiasi fuorché questo.
 
 
Questa mattina mi sveglio nell’enorme letto di Sebastian, ma lui non c’è. Mi guardo intorno alla ricerca di una figura familiare ma c’è solo la sua camera da letto enorme con le enormi finestre che illuminano di luce naturale le mie occhiaie. Sul suo cuscino c’è un bigliettino.
Ti aspetto in cucina.
👨‍❤️‍💋‍👨
Indosso una delle sue vestaglie con il monogramma che mi ha lasciato sul comodino e corro in cucina nella speranza che non ci sia nessun altro in casa, visto che sono senza biancheria. Fortunatamente, c’è solo lui.
«Questo è un assalto?» mi domanda ridendo, notando il fatto che io sono coperto solo dalla vestaglia di raso con il suo cognome serigrafato sopra.
«Non sapevo che mettermi!» Sono serio, lo so che la situazione può sembrare fraintendibile.
«A me vai benissimo così!» ridacchia lui.
Decidiamo di portarci la colazione per consumarla insieme nel letto. E poi consumiamo qualcos’altro.
«Stavo pensando di farti un regalo che potrebbe esserti utile.» mormora, mentre io sono ancora accoccolato a lui. «In realtà mi ha aiutato Ivanka.»
«Che cos’è?» gli chiedo, incuriosito, mentre appoggio il mento alla sua scapola.
Senza dire nulla, Sebastian mi dà una busta che contiene un biglietto da visita e un buono da trecento dollari.
Mi ha regalato una seduta di terapia.
 
Una volta Kurapika mi disse: “Se vuoi cancellare la rabbia che provi, diventa un hunter”.
Anche Espedito ha detto una cosa simile: “Se vuoi cancellare la rabbia che provi, va’ da un analista.”
Avendo già seguito il primo consiglio, decido che il secondo è la mia prossima strada. Ivanka mi ha dato uno stimolo importante per proseguire nel mio cammino: il biglietto da visita della dottoressa Hobbes, anche conosciuta come l’analista dei VIP di Manhattan.
 
«Buongiorno, Gon.» La voce calma della dottoressa mi fa già sentire al sicuro. «Mi dica cosa la porta qui.»
La dottoressa si igienizza le mani con il dispenser sul tavolino che si frappone tra noi e mi guarda con aria pacifica, mentre io sto per addormentarmi sprofondando nella comodissima poltrona in pelle.
«I miei amici non mi sopportano più.» Parto con una dose di autoironia. «E un mio nuovo amico mi ha consigliato questa sorta di amicizia costosa e potenziata.»
«Ottimo consiglio.» Ride lei, mentre la vedo subito aprire un fascicolo. «E cos’è che infastidisce così tanto i suoi amici?»
«Dicono che sono egocentrico.» Confesso, guardando fisso il pavimento. «Vengo fuori da una situazione molto forte. Io… uhm… ho combattuto contro le formichimere. Sono così stressato che non mi accorgo di alcune cose.»
«Ho presente la situazione. Ricordo l’allerta governativa e il discorso del presidente Trump in merito.»
«Ecco… io credo che la mia rabbia abbia finito per cancellare tutto. Sono stato preso da non so cosa e…» Mi chiedo come raccontargli di Neferpitou e della perdita del Nen, ammesso che lei sappia cosa sia il Nen. «Ho vinto una battaglia guadagnando potere attraverso un giuramento.»
«Che tipo di giuramento?»
«Ho detto “non mi importa se questa è la fine”. Un’ondata di rabbia mi ha attraversato e… per un momento il mio corpo è cambiato. Non ricordo molto, ma quella sera io ho sacrificato la mia vita per vincere quell’ultimo scontro. Sono ancora vivo perché il mio migliore amico mi ha salvato la vita, ma non ho più i miei poteri e per questo ho lasciato l’attività di hunter.»
«Questa è… una cosa forte.» Sebbene sia sicuro che nessuno degli altri pazienti della dottoressa Hobbes abbia una storia anche solo lontanamente simile, lei sembra aver compreso ed è intenzionata a lavorare con me. «Mi parli di questo suo amico.»
Ovviamente.
«Prima che io “morissi”, non sono stato un buon amico con lui.» Su questo sono molto preparato. «Avevamo quel tipo di rapporto in cui uno dà e l’altro prende, cose così. Io non me ne sono mai accorto prima che lui mi salvasse la vita.»
«Ascolti, Gon.» La dottoressa distoglie lo sguardo e tira fuori dal ripiano sotto al tavolino il mio libro. «Io ho letto il suo libro. Intendo scollegare ciò che c’è scritto qui dalla realtà perché immagino ci sia un editing di mezzo. In ogni caso, i fatti li conosco e mi baso su quelli.» Spiega, sorridendomi. «Lei ha un problema, ma non è quello che credono lei e i suoi amici.»
«Può spiegarsi meglio?»
«Il suo non è egocentrismo. Non è la definizione esatta del suo comportamento, è un’analisi superficiale.» Dice, mandandomi in tilt per quell’informazione imprevista. «Una persona che entra in un covo di assassini per recuperare il suo migliore amico le sembra una persona egocentrica? O una persona che si fa prendere volontariamente come ostaggio da una banda di criminali per aiutare un altro amico? E se contassimo che tutto, ma proprio tutto, è nato dal suo desiderio di incontrare suo padre?»
«Quindi… non sono egocentrico?» Questa è forte. Finora ero convinto che il problema fosse quello, ma evidentemente c’è un motivo se il mio lavoro su me stesso continua a non funzionare.
«No.» Il sorriso della dottoressa non mi convince. «La situazione è più disperata.» Perdo un battito a quella parola. «Lei vive nella convinzione di dover svolgere una funzione nel mondo. Vive sempre in funzione di qualcuno, come ad esempio suo padre. La sua missione viene sempre messa davanti a tutto, persino davanti ai suoi affetti, per questo le hanno detto che è un egocentrico: non hanno considerato questo livello. Ma lei mette la sua missione davanti soprattutto a sé stesso, davanti alla sua salute fisica e mentale. Ha idea di quante volte – tra quelle riportate nel suo libro e dalla stampa – lei si è fatto del male da solo, per non dire mutilarsi fisicamente, con lo scopo di svolgere un compito?»
«No. Ma so che è capitato, questo basta.» Voglio buttarla sul ridere.
«Trentuno volte nel giro di soli due anni.» La dottoressa non ride con me e mi fissa con uno sguardo severo che mi incenerisce. Questa è una cosa a cui non ho mai pensato. «E se arriva a trattare il suo corpo in questo modo, immagina cosa abbia passato la sua mente. Si rende conto di quanto entrambi hanno dovuto sopportare?»
Per un momento mi passa davanti la battaglia contro Hanzo durante l’ultima fase dell’esame. E la battaglia all’Arena Celeste contro Gido. E la prova di Razor – dove anche Killua è stato ovviamente trascinato. E la battaglia contro Genthru. E poi tutto il periodo a NGL.
Io non avevo mica idea di quante volte avessi praticato autolesionismo e tentativi di suicidio. Aiuto!
 «Io non so esattamente cosa dire.» proferisco con zero convinzione.
«Non deve essere facile. Lei legge i manga?» Mi chiede. Annuisco per rispondere. «Ecco, lei è stato lanciato in tenera età in un mondo spietato dove ha dovuto dare prova ogni giorno delle sue qualità per dimostrare di essere all’altezza della sua personale missione di incontrare suo padre.»
«Eh?»
«Sembra un eroe manga in tutto e per tutto.» Dice, riponendo il mio libro nel ripiano da dove l’ha preso. «Indole buona, animo semplice, testardo, atteggiamento ottimista e positivo nei confronti della realtà, orgoglioso e che non si tira indietro davanti a nulla. Sembra proprio uno di quei protagonisti che mio figlio legge o guarda alla TV. Ma sa qual è la differenza?»
«Quale?» Sento che la conversazione sta varando verso un’angolazione pericolosa.
«Lei è un essere umano e si trova nel mondo reale. Quel tipo di rappresentazione mi ha sempre lasciata un po’ scettica, personalmente. Questo perché ci sono questi eroi giapponesi che affrontano la qualunque senza mai riportare alcun tipo di segno psicologico. E, soprattutto, questi fumetti non ci dicono mai cosa succede dopo aver raggiunto i propri traguardi. No, si passa al traguardo successivo.» La dottoressa Hobbes ci ha preso gusto nel farmi destabilizzare. «Se lei ha vissuto tutte queste cose è solo logico che ora stia affrontando una crisi a trecentosessanta gradi in ogni sfera della sua vita. Ci sono tante cose con cui non ha fatto i conti. In primis il trauma dell’abbandono da parte di suo padre.»
«Addirittura un trauma?» Salto dalla sedia nel sentire quella parola orrenda.
«Suvvia, ragioni.» Mi sorride cercando di mettermi di nuovo a mio agio. «Lei ha passato la sua infanzia in isolamento su un’isola senza altri bambini, nella consapevolezza che suo padre l’ha abbandonato perché preso da qualcosa di più importante. Così, un meccanismo di adattamento ha cercato di proteggerla dal dolore dell’abbandono trasformandola in una sfida. E da lì, tutto è iniziato.»
Non ce la faccio, questo è troppo. Sta mentendo. Non può essere iniziato tutto a causa di un mio delirio.
«Mi scusi, ma ha idea di quanto sia pesante tutto questo?» Non posso evitare di piangere aggressivamente.
«Io sono una professionista. Questo significa che, se ho davanti una persona convinta che tutto il male che si è fatta da sola sia stato dovuto a chissà quale disegno divino, non posso assecondare le sue convinzioni pericolose.»
 
Non sono sicuro di voler tornare dalla dottoressa Hobbes.
«Pronto?» Espedito risponde dopo pochi squilli.
«Ho fatto bene ad andare da una strizzacervelli?»
«Che cosa? Avrei voluto suggerirtelo io, pensavo che ti saresti offeso. Ma, scusa, da chi sei andato?»
«Theresa Hobbes. La conosci?»
«Certo che la conosco!» Domanda stupida, Espedito conosce chiunque. «Mi ha seguito per anni, è una vera professionista.»
«Non lo so, ne sono uscito molto turbato. Sei a casa?»
Nel frattempo, chiudo la chiamata mentre arrivo a casa di Espedito per continuare la conversazione. Sono ancora molto agitato dopo quella seduta così particolare. Io non me lo immaginavo mica che la terapia fosse una cosa così drenante.
«Ma sei andato in terapia senza sapere come funzioni?» Mi prende in giro lui, mentre apre la scatola con i cappuccini e le ciambelle che ha ordinato da Starbucks poco fa. «Ti consiglio di non mollare lei, è davvero brava. I casi che tratta sono abbastanza complessi.»
«Perché dici così?»
«La dottoressa Hobbes è nota perché a lei si rivolgono i soggetti più disperati dei piani alti di Manhattan. Hai visto il modo in cui è capace di leggerti dentro? Immagino che abbia subito identificato il problema.»
«Già.»
«Io ci sono andato perché quando sono tornato dalla missione ho cercato di suicidarmi.» Confessa, facendomi impallidire. «Ogni notte sentivo… sai… i tonfi e mi sembrava che la missione non fosse mai finita.»
«Capisco, sento anche io dei battiti nella notte.» gli dico, guardando il pavimento.
«Ma quindi? Cosa ti ha detto?»
«Ha detto che ho un trauma.» decido di vuotare il sacco, sperando che lui possa farmi capire meglio.
«Uno solo?» ride. Il problema sono io che continuo a dargli materiale per le sue uscite inopportune. «E come hai scoperto la dottoressa Hobbes?»
«Sebastian mi ha regalato una seduta.» Dico, godendomi l’espressione scioccata di Espedito. «Il regalo è in realtà della compagna del padre.»
«Oddio, Ivanka! Povera donna… avrei bisogno anche io della Hobbes se dovessi sposarmi quell’uomo.» commenta lui, tra l’acido e il dispiaciuto. «Però dai, hai una brava suocera.»
Dopo qualche minuto di silenzio dovuta alla mia assenza di risposta, Espedito mi mette una ciambella sotto al naso.
«Scusa, non ho fame.»
«A cosa stai pensando?»
Mi dà fastidio quando questa domanda compare sulla barra per scrivere uno stato sui social, figuriamoci quando mi viene chiesto di persona.
«Non è troppo?» gli chiedo. «Ho passato l’ultimo anno a pensare e a parlare solo di me. Avrei dovuto…»
«Se stai per dire ciò che penso io esco da questa casa.» Fa per alzarsi, guardandomi male. «Ognuno in questa situazione ha pensato a sé. Non sentirti in colpa perché lo stai facendo tu per una volta!»
«Ma non è come se volessi dare la colpa agli altri? In fondo, questa è solo la mia versione!»
«E quindi?» mi spiazza Espedito con la sua risposta. «Tu sei nostro amico, non devi dimostrarci che hai ragione perché ti aiutiamo. Hai visto Killua, no? Ha i suoi alleati, non sono tenuto ad aiutare lui anche perché non siamo mai stati amici. Io ti supporterei in qualsiasi caso. E poi mi sembra che tu le tue colpe le abbia più che ampiamente riconosciute.»
 «Ma…»
«Oh, santo cielo, hai rotto il cazzo.» Mi ride in faccia. «Perché non ti rilassi e la finisci una buona volta di dannarti per cose che non puoi controllare?»
 
Alla fine, ho deciso di prendere un altro appuntamento dalla dottoressa Hobbes.
 
//
 
Mercoledì mattina, sono riuscito a dare il test di diritto. La parte più difficile del corso di scienze sociali è quella dove si studia l’ordinamento giuridico americano. Spero di aver fatto un test decente. Mentre aspetto i miei amici in corridoio, sento in lontananza le Faine Rosa che confabulano tra loro.
«Se non miglioro in francese dovrò passare l’autunno qui per i corsi extra. Dovrò dire addio al Ringraziamento a Santa Barbara.» sbuffa Amalita, mentre Zoe Sinclair sta segnando su un taccuino i nuovi orari dei corsi per tutte e tre.
«Seguite un piano di studi, sono due anni che ve lo dico.» Zoe, acida come suo solito, rimprovera le altre.
«A me non piace il college.» Donna ha un improvviso momento di realizzazione.
«Madonna non ci è andata.» le dà manforte Amalita.
«Per l’amor di Dio», Zoe ha appena finito di trascrivere il tutto e si volta seccata verso di loro. «Trovatevi un tipo ricco. Io al Ringraziamento sarò ad Aspen a sciare, col cavolo che rimango qui.»
«Ciao Gon!» Mi saluta Amalita. «Ci sei al cordon bleu dopo, vero?»
«Non potrei mancare!» le rispondo. «Anche voi frequenterete i corsi extra?»
Zoe, per qualche ragione, finge che io non esista.
«Prepareremo insieme una mousse pralinata al caffè.» Continua Amalita, mentre io cerco con tutte le mie forze di ricordare che cosa sia una mousse.
«Domani iniziano i preparativi per lo spettacolo di beneficenza. Fa credito sul curriculum. Sai, avere buoni voti non basta, devi avere un buon curriculum se vuoi accedere a un prestigioso college. Io andrò ad Harvard, ovviamente.» Ci interrompe Zoe, fissandomi con un sorrisetto accennato.
Essere stato un hunter e aver rischiato la vita non fa abbastanza crediti sul curriculum?
«Sono ancora aperte le iscrizioni?» le domando, giusto per provocarla.
«Se ne occupa Mackenzie Phillips. L’anno scorso lo faceva Zoe ma, visto che quest’anno partecipa allo spettacolo, non ha potuto per conflitto di interessi.» Mi spiega Donna, beccandosi un’occhiataccia dalla capogruppo per aver parlato troppo.
«Ovviamente mi va più che bene. Non ho bisogno di favoritismi, io ho talento.» Fa per andarsene, mantenendo un intenso contatto visivo con me. «Le audizioni sono venerdì prossimo, tra quindici giorni. Muoviti se vuoi starmi dietro.» Sussurra poi.
 
In mensa incontro Danielle e Tameka, oggi Thomas non è venuto a scuola. Le ragazze stanno sfogliando qualche rivista, a quanto pare c’è una nuova faida tra Taylor Swift e Katy Perry. Mi sporgo per leggere il nome della rivista ed è, come sempre, HELLO! Magazine. Per la prima volta, non ci sono io in copertina. Ma quindi parlano anche di altre persone, assurdo!
«Sei a pagina trenta», specifica Danielle. Come non detto.
«Sono solo paparazzate alla mostra di Dior, Kylie ti ha rubato la scena», mi tranquillizza Tameka, mostrandomi le foto con la famiglia Kardashian al completo.
«Voi partecipate allo spettacolo?» domando, tanto per cambiare argomento.
«Io farò la costumista!» dice Danielle, fiera di essersi aggiudicata quel ruolo. E, sapendo quanto ci tiene, sono felice per lei.
«Io canterò nello spezzone jazz», dice, invece, Tameka. «Tu che cosa farai?»
«Alla fine canterò anche io», dico sorprendendo tutti, me incluso. «Ho saputo che Sebastian ha intenzione di cantare in coppia un pezzo di Grease e devo bloccare l’altro posto prima che Zoe Sinclair gli si getti addosso.»
«Butterai così la tua occasione?» borbotta Danielle, con Tameka che scuote la testa per darle manforte. «Non ti limiterai a fare una canzoncina in coppia! Portane altre, alla festa eri bravo.»
Mi è stata appena messa una pulce nell’orecchio che mi accompagnerà sicuramente per le ore successive.
Quando esco da scuola, non posso fare a meno di pensare a ciò che ha detto Danielle. Come da rituale, aspetto Sebastian ai cancelli. Lo vedo arrivare, oggi un po’ più cupo del solito, anche mentre mi saluta sembra sofferente.
«Tutto bene?» gli domando, mentre gli do un bacetto sulla guancia.
«Sono molto stanco, ieri non ho chiuso occhio. E ho l’umore a terra», mi spiega, accarezzandomi i capelli. «Ti porto a casa?»
«In verità, vado dalla dottoressa Hobbes.»
«Ma non ci sei andato due giorni fa?» mi domanda.
«Le ho telefonato prima perché vorrei davvero schiarirmi le idee su alcune cose», dico, mentre mi allaccio la cintura.
«La terapia ti fa bene. Sono fiero di te», mi accarezza la gamba e mi guarda con degli occhi che mi fanno sciogliere. Prima di partire, restiamo per almeno trenta secondi a baciarci.
 
Quando entro nello studio della dottoressa Hobbes, stranamente mi sembra di essere solo. Evidentemente, il primo pomeriggio, quando sono tutti a lavoro o a pranzo, è il suo orario migliore. E non penso abbia molti altri pazienti che vadano ancora a scuola.
«Buongiorno Gon! A cosa devo quest’anticipazione?» mi saluta, mentre prendo posto sulla canonica poltroncina.
«Sono molto spaventato dalla mia vita», oggi riesco a parlare senza filtri. Lo dico con il sorriso, con sarcasmo e ironia da vendere, ma sto dicendo la verità. È una notte intera che penso a quando la mia vita sia diventata una tragedia infernale dalla quale non riesco a uscire. «Ho ripensato a tutto ciò che ci siamo detti l’ultima volta e vorrei riprendere da dove ci siamo interrotti.»
«Mi sembra molto giusto. Da quale parte vuole ripartire?»
«Quella in cui abbiamo detto che l’inizio di tutto è dovuto a un mio delirio psicologico», cerco di non trasparire emozioni mentre lo dico. «Il fatto che se non fossi stato matto col botto non sarei diventato un hunter e nulla sarebbe successo.»
«In psicologia clinica non usiamo termini come “matto col botto”» ride lei, mentre apre il fascicolo per ripercorrere velocemente gli appunti. «E anche “delirio” in questo caso lo eviterei, è un termine un po’ stigmatizzante e decisamente poco neutro.»
«Ovviamente, mi perdoni.»
«Non si preoccupi. Vuole che mi spieghi meglio, quindi? Tutto inizia dal momento specifico in cui conosce Kite» dice, prima di richiudere il fascicolo. Iniziamo benissimo. «Questo incontro che ha fatto quando aveva non più di nove anni ha aperto una voragine dentro di lei. Quello è il primo momento chiave, quello in cui scopre che suo padre ha messo altre cose al di sopra di lei. Molte altre cose. Direi qualunque altra cosa», non riesce a risparmiarsi quell’ultima specificazione, ma non mi ferisce. Anzi, la trovo divertente. «Si ricorda come ciò l’ha fatta sentire?»
«Io non ricordo di aver pianto in merito a questo», le rispondo con sincerità.
«E lo sa perché?» Quando introduce una risposta così, so che devo prepararmi al peggio. «Inconsciamente lei si protegge attraverso delle strategie adattive. Per questo, spesso non è neanche consapevole di ciò che prova! Quando arriva una forte sollecitazione dall’esterno, si ingegna per mascherare il dolore con altro. Provi a sforzarsi e mi dica cosa pensava davvero.»
Questa è una bella domanda.
Ricordo una volta di aver sognato che il pavimento mi si aprisse sotto mentre cercavo di raggiungere Ging. Ho sempre pensato di dovermi meritare di incontrarlo e cose del genere. Ogni volta che la distanza tra noi si palesava, sentivo di dover fare qualcosa per meritarmelo. Provo maldestramente a mettere il tutto in parole.
«Esattamente», mi risponde lei con area di piena soddisfazione. «Ha vissuto nella convinzione che la compagnia e il rispetto di suo padre fossero un premio da conquistare con la fatica. Gli adulti che ha incontrato nella sua vita, a cominciare proprio da Kite, non hanno fatto altro che rinforzare questo standard e permetterle di andare avanti. Ovviamente, il povero Kite non poteva sapere di aver acceso un meccanismo malsano, ma possiamo partire da lì.» Ogni volta è un cazzotto nello stomaco, ma ho sopportato di peggio. «Si ricorda cosa ha detto in merito a Killua, quando è andato a riprenderlo a casa sua?»
«Eh?» Non capisco cosa c’entri proprio ora.
«”Killua non deve guadagnarsi la mia amicizia”. Lo disse a suo fratello, appena superato l’esame», mi ricorda, facendomi rivivere quel preciso momento. Un brivido mi percorre tutto il corpo. «Perché ha detto questo in merito a lui, quando invece applica sulla sua persona degli schemi completamente diversi?»
«Ecco…» non so cosa dire.
«Perché lei è un ipocrita!» il suo tono di voce si fa aspro e mi punta il dito contro, facendomi balzare dalla poltrona. Subito dopo, scoppia in una risatina. «Mi scusi, mi sono fatta prendere dalla parte. Lei non è un’ipocrita.»
«Oh…» tiro un mezzo sospiro di sollievo, ancora confuso da tutto il discorso. A quanto pare le modalità di Samantha sono molto popolari.
«La mia teoria è che con i suoi amici ha cercato di instaurare, per la prima volta, un meccanismo affettivo sano, nulla a che vedere con suo padre. E devo dire che ci è riuscito.»
«Ma allora perché non ha funzionato?» mi viene naturale domandarle. Se avesse funzionato, certo non sarei qui.
«Perché altri suoi complessi si sono messi in mezzo», mi spiega. Certo, era troppo bello per essere vero. «Non è facile voler bene a qualcuno che non dà valore alla propria vita. Il problema con Killua era proprio questo, non poteva più sopportare questo suo complesso.»
Direi che questa parte, invece, la so fin troppo bene. Sono arrivato preparato questa volta, ho studiato.
«Trovo che prendere tutto il tempo per rimuginare e pensare agli errori del passato sia un cattivo uso dello spazio terapeutico, non crede? Perciò, ora che abbiamo disposto dei blocchi di partenza, possiamo lavorare per costruire nuovi schemi che miglioreranno la qualità della sua vita», spiega la dottoressa Hobbes, con un sorriso che mi carica di speranze. «Mi parli della sua routine.»
«Beh, ultimamente con la scuola e il libro sono molto impegnato. I pensieri brutti mi prendono solo la sera, quando vado a letto.»
«Comprensibile, gli impegni la aiutano a non pensare e così viene rimandato tutto a quando ha del tempo libero. Le capita di crollare durante le pause?»
Questa donna mi fa davvero paura.
«S-sì…»
«Quali pensieri ricorrono maggiormente?»
«Ogni tanto rivivo ciò che è successo nel Gorteau dell’Est. La mia mente si blocca spesso su Killua, mi viene da immaginare scenari alternativi dove io non gli dico cose brutte e tutto finisce bene», parlarne mi fa sentire uno schifo. Se penso a quante cose ho buttato via quella sera, sento il cuore tremare e una botta allo stomaco fortissima. «Avrei voluto essere un amico migliore.»
«Potevo, volevo, dovevo!» mi canzona.
«Giorni fa ci siamo rivisti e… sto peggio di prima. Mi manca, ecco», non so perché ma ammetterlo è diventato più difficile. Forse perché, dopo tutto questo tempo, mi aspettavo che tutto il lavoro fatto su me stesso portasse più risultati di così.
«Si sente in colpa?»
«Costantemente», le vibrazioni che partono dall’addome e si concentrano nel cuore, adesso mi stanno facendo lacrimare gli occhi. Questo non è zsa zsa zsu, questo è un fendente dritto allo stomaco. «Non so cosa fare.»
«Non è come nei film, non c’è nessun “segui il tuo cuore”. Nella vita reale bisogna essere pratici», mi spiega mantenendo sempre il sorriso. Se non altro, ora so che anche Espedito copia qualche battuta ogni tanto. «Lavoreremo per farla andare avanti con la sua vita. Questo spazio mira alla rimozione progressiva di tutte le cariche emotive che fanno “schizzare” il suo umore in determinate circostanze. Costruiremo, giorno dopo giorno, passo dopo passo, una nuova strada sicura sulla quale lei potrà camminare e sostenere meglio le innumerevoli sfide della vita.»
«Crede che io possa farcela?»
«Certo! Ma le servirà un aiuto. Le consiglio di andare dal dottor Todd,» mi porge un biglietto da visita con scritto: “Howard Todd, Psichiatra”. «Si tratta di un collega che rispetto molto, nonché un mio caro amico. Ho già discusso con lui del suo caso e credo che una terapia farmacologica suppletiva alla psicoterapia possa esserle utile. Lei prende altri farmaci?»
«Saltuariamente ho assunto Prozac su consiglio di un’amica e qualche volta ho preso l’Adderall», confesso imbarazzato. So già che mi aspetta una lavata di capo per questo.
«Non lo faccia mai più», dice con sguardo severo. Immaginavo. «Proveremo per qualche settimana la terapia farmacologica. Quanto a noi, ci vedremo una volta a settimana. Con il dottor Todd ho già discusso vari scenari, valuteremo tra due o tre sedute l’ipotesi di un ricovero in clinica.»
Sentire “ricovero in clinica” mi fa saltare dalla sedia per lo spavento.
«Serve davvero?» le domando.
«Lo scopriremo vivendo», ridacchia lei, scrivendo cose sul suo fascicolo. «Il suo caso è frutto di un’intera vita di schemi sbagliati e pericolosi, la rieducazione sarà parecchio complessa. Lo dico con onestà. Cercherò di non compromettere il suo tour del libro, le prometto solo questo. A proposito, buona fortuna per quello!»
Saluto la dottoressa Hobbes e lascio lo studio sentendomi svuotato dentro. Sicuramente c’è del liberatorio, ma sento anche un profondo smarrimento interiore.

Quando torno a casa l’unica cosa che voglio fare è mettermi a letto, magari dopo un bicchiere di vino, ma al mio ingresso trovo Shuk sul divano. Cavolo, me ne ero completamente scordato.
«Tutto bene?» mi domanda, notando che ho una strana cera. «Ti eri dimenticato del nostro appuntamento?» mi squadra dalla testa ai piedi mentre regge il laptop sulle gambe.
«Quanto mi hai aspettato?» le chiedo, strizzando gli occhi per la vergogna.
«Solo mezz’ora, ho trovato traffico sulla Madison. Considerati fortunato», mi sorride, battendo la mano sul cuscino di fianco indicandomi di sedermi accanto a lei. «Sei sicuro di stare bene?»
«Ho appena visto la mia psicologa, ogni volta che torno dalla terapia mi sento così», le spiego, versandomi un calice di Chardonnay preso dal tavolino di fronte.
«Le prime volte è sempre così. Anche io vado dalla psicologa», chiacchiera mentre continua ad armeggiare con il computer.
«Da quanto tempo ci vai?»
«Otto anni!» dice con fierezza. A me non sembra una cosa di cui vantarsi, ma può essere che sono io. La cosa non mi fa estrema paura, di più. «Ti ho sistemato l’agenda. Parti sabato sera per Baltimora, ovviamente tutto prenotato dalla casa editrice. La presentazione la fai da Barnes & Noble in centro, hanno dovuto mettere la lista d’attesa perché sono arrivate più di cinquemila prenotazioni.»
«Wow… sono davvero tante», la mascella per poco non mi cade a terra dallo stupore.
«Ho dato una sbirciatina all’albergo, è divino! C’è anche la piscina aperta di notte, la spa, ristorante stellato… tutto incluso e pagato dalla Harper & Collins», inizia a fantasticare guardando il soffitto con occhi sognanti. Giusto, lei viene con me a farmi da manager. Poi, si ricorda una cosa e tira fuori dalla sua borsa il New York Times, aprendolo all’inserto della classifica dei bestseller.
Che il mio libro fosse arrivato primo in classifica il giorno dopo la sua pubblicazione – cosa che io ancora stento a credere – lo sapevo già. Ma il numero di copie vendute mi ha davvero mandato in tilt.
«Settantamila copie?!» urlo.
«Sono settecento mila, Gon…» mi corregge. E meno male che la mia media in matematica è alta.
«Ma com’è possibile?»
«Sai quanto le persone si sono interessate a te. Non è mai arrivato nulla di simile, qui. E poi hai avuto dietro un team coi controfiocchi, modestamente», dice, posando il giornale nella borsa. «A Baltimora dovrai sfondare tutto. Ma io sono qui per aiutarti. Ora mi dici che cosa ti prende?»
Esito ripetutamente prima di darle una risposta concisa.
«Ho ripensato alle solite cose. Killua, Kite, NGL, tutto questo mondo qua», differisco sbrigativo. «E ho pensato a quanto lui sia felice con Frank.»
«Ma per favore, non dirlo nemmeno per scherzo!» mi ride in faccia. «Frank lo comanda a bacchetta, te l’ho detto!»
«Lo so, ma ho deciso di non invischiarmi», le rispondo. Gli occhi di Shuk diventano due biglie, quasi come se avessi bestemmiato. «Questo», dico indicando il mio libro, «è il mio nuovo obbiettivo. E il dramma di Killua è un intralcio. Lui non è Mr. Big e io non sono Carrie.»
«Anche io adoro Sex and The City! Peccato, avrei giurato che tu fossi una Carrie», dice ridacchiando mentre ci rimettiamo a lavorare.

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