Come il rumore della pioggia

di Lady PepperMint
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il lungo viaggio ***
Capitolo 2: *** Sophia e Justin ***
Capitolo 3: *** Scomparsa dal mondo ***
Capitolo 4: *** Lezioni di scherma ***
Capitolo 5: *** Ritorno nella Vecchia Capitale ***
Capitolo 6: *** Lei che improvvisamente ritorna ***
Capitolo 7: *** L'ossessione da evitare ***
Capitolo 8: *** L'incantesimo senza magia ***
Capitolo 9: *** La festa delle Anime ***
Capitolo 10: *** L'incontro ***
Capitolo 11: *** Il compromesso ***
Capitolo 12: *** Piccolo Demone ***
Capitolo 13: *** La ninna nanna di Altieres ***



Capitolo 1
*** Il lungo viaggio ***


Sophia
 
Il dondolio costante della carrozza doveva averla fatta addormentare. Anche se per lo stato di stordimento che provava si sentiva più come una persona che si risveglia dopo aver perso i sensi: gli occhi si erano aperti ma non vedevano veramente lo sfondo, i rumori giungevano molto ovattati alle sue orecchie e il suo corpo era molle, sfinito, appoggiato in maniera scomposta fra i cuscini della carrozza. Era stato un colpo brusco a risvegliarla, ma non aveva ancora capito cosa stesse succedendo. Erano già arrivati? Ma dove stavano andando? Il cielo era rosa per il tramonto, o era l’alba del giorno seguente? Quanto tempo era passato?
La sua mente si rifiutava di funzionare.
«Principessa, abbiamo raggiunto la prima tappa. Ci accampiamo per la notte, gli uomini stanno preparando la vostra tenda». Il capitano Dartmont le venne in soccorso dandole dei punti di riferimento. Era sera, avevano viaggiato tutto il giorno dopo essere partiti quella mattina stessa dalla caserma di Altieres.
La caserma.
Gabriel…
Improvvisamente riaffiorò il ricordo. Quella mattina aveva parlato con Gabriel, dopo aver sciolto il legamento, per scusarsi, per vederlo ancora una volta, per coltivare la speranza che i suoi sentimenti avevano piantato a fondo nel suo cuore. Ma non era rimasto più niente, nessuno spiraglio di luce, nessun legame fra loro; solo il suo sguardo gelido e le sue parole taglienti. Così crudeli, così definitive.
Lo aveva perso per sempre, e poteva biasimare solo sé stessa. Non avrebbe mai dimenticato il gelo nei suoi occhi, nella sua voce, la sua fretta di chiudere e allontanarla. Gabriel voleva solo lasciarsi tutto alle spalle e dimenticare, era stato molto chiaro. Anzi, capitano Stuart … avrebbe fatto meglio ad abituarsi fin da subito a chiamarlo con il suo titolo formale, come le aveva chiesto lui, per mettere più distanza possibile fra loro.
Non sarebbe più stata fra le sue braccia, non lo avrebbe più sentito pronunciare il suo nome con quella cadenza che lo rendeva unico, intimo. Non lo avrebbe più baciato … Tutte queste perdite erano semplicemente troppo per il suo cuore, non poteva affrontarle tutte in una volta. Adesso desiderava solo non sentire, non sentire più nulla.
Nei recessi della sua mente valutò l’idea di farsi trasformare in vampiro da suo fratello, per dimenticare tutta la sua vita precedente, come era successo a Cain. Iniziare da zero, come una tela bianca, cancellando per sempre il volto di lui, i loro ricordi insieme e il dolore che le stava stritolando il cuore, i polmoni, la mente. Sì, era l’unica soluzione per continuare a vivere senza dover rinunciare ai suoi principali organi vitali; l’alternativa era restare vuota e silenziosa a respirare per il mondo senza più vederne i colori …
 
Altre scosse la svegliarono di soprassalto. Era ancora nella carrozza, ma questa volta fuori dal finestrino la luce del sole era forte, e l’odore nell’aria era cambiato. Cos’era? Non riconosceva quella fragranza intensa.
I suoi occhi misero a fuoco l’orizzonte: un’immensa distesa blu si estendeva a riempire metà del panorama, lucida e palpitante. Dov’erano? Quello era il mare di cui le aveva parlato lui?
A quella domanda, che aveva toccato solo i suoi pensieri, altre lacrime le inondarono gli occhi, scivolando silenziose lungo il viso, fino a cadere sul corpetto del vestito. Credeva di averle finite tutte, ma a quanto pare la riserva di dolore era infinita.
Quella era la scena che lui le aveva descritto, che avrebbe dovuto vedere al suo fianco, attraverso i suoi occhi innamorati perdutamente di quella terra.
Dopo cinque giorni di viaggio, come le aveva riferito Dartmont, avevano raggiunto la destinazione scelta da Bryce e Ashton in seguito a lunghe disquisizioni. Fra tutti i piani che quei due avevano elaborato per garantire la sua sicurezza, allontanandola temporaneamente dalla Vecchia Capitale, alla fine avevano scelto questo, tenendo conto del desiderio che lei aveva espresso di non rifugiarsi in una terra straniera per non dare il messaggio sbagliato al suo popolo. Così adesso si trovava in Altieres, in qualche angolo disperso e ben nascosto dalle colline, in una tenuta antica ma bellissima, affacciata sul mare.
Forse partire era stata davvero la soluzione migliore dopotutto.
 
5 mesi dopo
A Sophia sembrava di aver viaggiato su una macchina del tempo e di aver raggiunto un’altra dimensione: in quel posto fuori dal mondo il tempo scorreva diversamente, lento e dilatato, estraneo a calendari e ricorrenze. L’isolamento e la solitudine le avevano fatto uno strano effetto, dandole un sollievo momentaneo che però spesso si alternava a incubi e lunghi momenti di apatia. Il suo cuore era costantemente dilaniato da desideri opposti e in conflitto fra loro: lasciar andare per sempre i ricordi che non sarebbero mai più tornati realtà o trattenere le emozioni indimenticabili di quei momenti d’amore? La lotta si consumava pressoché ogni giorno, e nel mezzo il suo corpo, unica vera vittima di quella battaglia senza tregua. Mangiava a malapena e dormiva a singhiozzi, come se si stesse preparando a diventare puro spirito. Si era creata una sorta di nuova routine da quando era lì, che la vedeva immersa in lunghe passeggiate sulla spiaggia per la maggior parte del tempo. Sempre lo stesso percorso, mai al di là delle colline per non rivelare la sua presenza a eventuali avventori di passaggio. Per lei non era un problema: a mala pena vedeva il paesaggio che la circondava, le interessava solo stare in movimento, fare qualcosa che non le richiedesse una partecipazione attiva. Dei cinque mesi trascorsi aveva ricordi vaghi e tutti uguali, ma non le importava molto.
A un certo punto aveva acconsentito a rendere ufficiale il suo fidanzamento con Justin Sinclair, secondo il disegno politico elaborato dai suoi tutori per attribuire maggiore legittimità alla sua ascesa al trono. Al termine dell’anno scolastico lui l’avrebbe raggiunta lì, così avevano deciso, per tenerle compagnia e per dare modo ai due ragazzi di prendere un po’ di familiarità e verificare la loro compatibilità. «Se il ragazzo Sinclair non sarà una compagnia a te gradita e se proprio ti sembrerà impossibile condividere la tua vita con lui, ricorda che possiamo tornare indietro in qualsiasi momento Sophia. Lungi da me costringerti ad una vita coniugale lunga e infelice! La tua felicità è sempre la mia priorità, non dimenticarlo mon cherì», le aveva scritto Bryce in una delle lunghe lettere che le mandava ogni settimana, un po’ per mantenere i contatti, un po’ per aggiornarla sul suo stato di salute e sui pettegolezzi della Capitale. Lui non aveva idea di cosa esattamente le fosse successo prima della partenza, del suo cuore spezzato e del dolore costante che la stava consumando; ma era abbastanza sensibile da intuire anche attraverso le sue misere e stiracchiate missive che qualcosa non andava. Forse aveva organizzato l’arrivo di Justin perché pensava che fossero la lontananza e la solitudine a renderla così malinconica e di poche parole. Nessuno, assolutamente nessuno poteva farle visita mentre era lì, per non mettere a rischio la sua vita. Così era stato deciso la notte prima della sua partenza: sarebbero rimasti tutti nella Vecchia Capitale per scovare chi aveva attentato ripetutamente alla sua vita. Mandarla in un luogo isolato e segreto era stata un’idea si Ashton: era stato irremovibile sulla segretezza, così come sul divieto per chiunque di farle visita. Persino Cain aveva dovuto obbedire a questa imposizione, ma non senza lottare: lui sapeva cosa era accaduto fra Sophia e Gabriel; non conosceva tutti i dettagli della storia, ma aveva intuito il grande dolore della sorella dopo la visita a Mastro Lavolier, per questo non voleva lasciarla sola. Ma Sophia lo aveva pregato di non raccontare niente a nessuno per nessun motivo. Voleva rispettare tutte le richieste di Gabriel. Preferiva accettare con dignità ciò che il destino le offriva, e andare a vivere il suo dolore lontano dagli occhi delle sue persone care, così da potergli dare sfogo senza doversi spiegare.
Questo le aveva consentito di ritrovare un po’ della sua compostezza: si sentiva debole e assente, ormai nulla le suscitava particolare interesse e curiosità, ma se non altro aveva smesso di scoppiare a piangere improvvisamente. Non perché non provasse più dolore. Semplicemente il vuoto straziante della sua perdita le era diventato familiare: aveva imparato a conviverci.
L’indomani sarebbe arrivato Justin, il primo contatto umano con cui mettere alla prova la sua nuova compostezza. In casa, la servitù e quelle poche guardie che l’avevano accompagnata nell’isolamento, si prendevano cura di lei con discrezione: a un certo punto avevano smesso di allarmarsi per le sue crisi di pianto improvvise e l’avevano lasciata fare, trattandola con prudenza ed estrema cura, come se fosse un delicato vaso di cristallo. Ma non voleva mostrare a Justin le macerie del suo cuore come prima cosa, sarebbe diventato suo marito! Forse il loro impegno ufficiale non partiva da un grande amore, ma Justin era un bravo ragazzo, si era sempre comportato in modo gentile e premuroso con lei, era una persona buona. Non meritava di raccogliere i resti di una storia che nemmeno conosceva. Sì, si sarebbe impegnata, avrebbe cercato di rivolgergli tutto il suo rispetto e la sua accoglienza, se qualcosa dentro di lei era ancora in grado di farlo.

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Capitolo 2
*** Sophia e Justin ***


Sophia
 
 
«Principessa»
Justin le stava facendo un inchino, con un sorriso aperto e caloroso, gli occhi ancora pieni dell’eccitazione del viaggio.
«È andato bene il vostro viaggio?» chiese Sophia, un po’ per educazione, un po’ perché voleva sentirlo parlare. Era arrivato da poco, ma la sua energia positiva sembrava già aver ravvivato un po’ la casa.
«Sì, molto bene. Ho viaggiato di notte per la maggior parte del tempo, per incontrare meno persone possibili».
«È non avete avuto timore di perdervi?» chiese Sophia, sinceramente incuriosita. Lei non conosceva quei luoghi, ma, dai pochissimi ricordi che aveva del viaggio fin lì, le strade le erano parse tutte uguali, senza punti di riferimento significativi.
«Conosco questi posti come le mie tasche, Altieres non ha segreti per me. O almeno pensavo … Ho impiegato pochi giorni a raggiungere il confine, ma poi ho perso parecchie ore per trovare questo posto. Le indicazioni di Ashton Blackmore erano molto precise, ma ho comunque avuto difficoltà a scovare il vostro nascondiglio. Devo dire che lui e Bryce hanno fatto davvero un ottimo lavoro. A proposito, vi mandano i loro saluti e le loro raccomandazioni alla prudenza» disse Justin con un sorriso un po’ tirato. Sophia intuì che con ogni probabilità anche a lui erano state fatte “insistenti raccomandazioni alla prudenza” dai suoi tutori, accompagnate da qualche minaccia nemmeno troppo velata.
«Nessun altro mi manda i suoi saluti?» si ritrovò a chiedergli quasi senza accorgersene, con un po’ troppa urgenza nella voce.
«Nessuno sapeva che sarei partito e dove sarei andato, neppure Drayden. I vostri amici non scherzano sulla segretezza» disse Justin dolcemente, avendo intuito che lei sperava in una risposta diversa e non volendo deluderla del tutto.
«Sì, certo» Sophia nascose l’imbarazzo con un mezzo sorriso e subito cambiò argomento. «Vi accompagno nella vostra stanza, sarete stanco».
«In realtà per niente! È stato molto eccitante filarsela di notte dalla Capitale e viaggiare come un malvivente in fuga» le disse scoppiando a ridere. «Se non vi crea disturbo, vi va di mostrarmi un po’ il posto?».
«Certo», e questa volta Sophia sorrise con più convinzione, anche se sentiva la faccia strana e i muscoli fuori allenamento. Non sapeva bene come, ma Justin, con il suo atteggiamento da eterno bambino spensierato, sembrava avere la capacità di alleggerirla. Lo aspettò in salotto, per dargli il tempo di posare le sue cose, e poi lo accompagnò a visitare la casa, le piccole scuderie e la spiaggia, praticamente gli unici luoghi che avrebbero potuto frequentare.
«Mi dispiace, mi rendo conto che siete abituato a muovervi con maggiore libertà e soprattutto in posti molto più movimentati, frequentati da gente più interessante, alle risse e alle bevute in compagnia. So che non lo ammetterete mai ad alta voce, ma temo vi abbiano costretto a sacrificare la vostra estate venendo qui a farmi da balia, senza lasciarvi molta scelta… forse per voi questo periodo si rivelerà noiosissimo» disse Sophia alla fine del giro, pensando per la prima volta alle circostanze che il cugino aveva dovuto subire per aver acconsentito a sposarla e sentendosi un po’ in colpa. Non le era capitato molto di pensare agli altri in quei mesi di esilio, si accorse.
«Non preoccupatevi, i miei genitori non mi avrebbero comunque lasciato libero di stare nella Capitale per tutta l’estate con Drayden a fare… beh, quello che facciamo di solito» le disse sorridendo; «normalmente ci fanno rientrare a casa durante la pausa estiva, per controllare lo stato della nostra maturazione. E restano sempre piuttosto delusi» aggiunse, passandosi la mano sulla testa un po’ imbarazzato. «Quindi non dovete preoccuparvi principessa: avete salvato me dalla solita lavata di capo e i miei dall’ennesima delusione» la rassicurò, ancora. Sophia scelse di credergli e rise con lui. Sembrava sinceramente contento di essere lì, le sorrideva spesso e continuava a rassicurarla. Justin era sempre stato cortese con lei, ma non così ansioso di rassicurarla e metterla a suo agio. Lo guardò mentre lanciava dei sassi sulla superficie del mare cercando di farli rimbalzare, e si chiese per la prima volta cosa sapesse esattamente quel ragazzo…

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Capitolo 3
*** Scomparsa dal mondo ***


Gabriel

«Ahh… Non posso crederci, anche oggi sei qui?! Davvero non hai intenzione di arrenderti?» disse il capitano Dartmont, in parte esasperato in parte rassegnato davanti a quella scena che ormai si ripeteva a mattine alterne. Il giovane che lo aspettava fuori dai suoi alloggi a quell’ora in cui nemmeno Dio si era ancora svegliato, mantenne la sua espressione determinata, senza usare le parole per rispondere alla domanda del suo capitano.
«Potresti almeno darti una ripulita prima di presentarti davanti a me, oppure oltre al senno stai perdendo anche la tua buona educazione?» proseguì il capitano, con un misto di rimprovero e compassione, senza aspettarsi davvero una risposta. Aveva imparato negli anni a conoscere il carattere silenzioso del suo pupillo, talmente ostinato e algido da risultare quasi irrispettoso agli occhi di chi non lo conoscesse bene. Ma lui sapeva che Gabriel non gli avrebbe mai mancato di rispetto, non era lì per quello. Amava quel ragazzo quasi come fosse suo figlio, lo avrebbe aiutato praticamente in qualsiasi circostanza; eppure questa volta non poteva assecondare la sua richiesta: era una questione più grande di loro.
«Ditemi dov’è» bisbigliò il ragazzo attraverso le labbra tumefatte. La sua divisa era impolverata, il labbro inferiore, spaccato in due punti, sanguinava ancora, segno che anche la scorsa notte il capitano Stuart aveva trovato qualcuno su cui sfogare la frustrazione e la rabbia che ormai animavano ogni suo gesto. Era sempre stato una testa calda, ma ultimamente sembrava volesse scontrarsi con ogni forma di vita che osasse incrociare la sua strada, come se ce l’avesse con il mondo intero, come se, a forza di percuotere gli esseri viventi, da qualcuno sarebbe uscita a forza la risposta che stava così disperatamente cercando.
«Te l’ho già detto, non posso rivelare a nessuno la sua posizione. Né va della vita della nostra principessa. Il vampiro Blackmore e il principe Vandenberg sono stati perentori sulla segretezza e nemmeno io posso disobbedire a questi ordini». E gli leggeva negli occhi il resto della risposta “non posso dirlo soprattutto a te, che la odi apertamente e l’hai sempre trattata con poco riguardo, perché è spuntata all’improvviso e si è presa senza sforzi il trono che desideravi tanto, rendendo vani tutti i tuoi sacrifici”.
«Non farei mai del male a Sophia!» urlò il ragazzo tirando un pugno contro il muro per dare forza alla convinzione delle sue parole e per difendersi dall’accusa silenziosa. Agli occhi del mondo lui non era decisamente il fan numero uno della futura regina: nessuno sapeva della loro breve e travolgente relazione, dei mutamenti del suo cuore, che senza preavviso si era riempito di quei sentimenti inspiegabili per Sophia, tanto intensi da avere ragione della sua forza di volontà e delle sue ambizioni. Anzi, molti sospettavano ancora che ci fossero lui e la sua famiglia dietro gli attentati.
Mettere a rischio la vita di Sophia… questo pensiero assurdo gli era intollerabile.
La sua mano prese a sanguinare, ma lui non se ne curò; restò senza fiato per un momento al suono del suo nome, impegnato a premersi l’altra mano sul torace, all’altezza del cuore, per bloccare un’emorragia invisibile ma molto più consistente.
Non doveva pronunciare il suo nome ad alta voce. Così come non doveva parlare di lei con nessuno, non doveva cercarla seduta ai tavoli delle locande con le sue cugine, non doveva aspettarsi di trovarla nelle biblioteche del collegio. Non doveva passare davanti alla porta della sua stanza, né alla residenza cittadina di Altieres, per controllare se fosse tornata. Queste erano le regole che si era imposto dopo quel maledetto giorno. Continuava a rivivere nella mente il loro ultimo incontro, la freddezza con cui l’aveva trattata, le parole crudeli che le aveva rivolto, il modo sbrigativo con cui l’aveva liquidata per tornare a nascondersi dietro i suoi impegni militari, dove né sentimenti indesiderati né emozioni fuori controllo l’avrebbero trovato. Voleva proteggere sé stesso, e voleva punire lei, per dare sollievo al suo orgoglio; e così le aveva fatto credere che fosse tutto finito, che i sentimenti di amore fossero stati completamente sostituiti dall’odio e dal disprezzo. Aveva in mente di lasciarla a struggersi con la convinzione di averlo perso per almeno un giorno intero prima di rivelarle la verità: non gli sembrava niente in confronto alle settimane di inquietudine che lui aveva vissuto a causa sua.
Ma poi lei era sparita nel nulla… non aveva lasciato solo la città, sembrava avesse lasciato il pianeta! E da allora lui non riusciva a darsi pace. Aveva provato a cercarla nelle terre che circondavano la Vecchia Capitale, setacciando conventi, locande e antiche dimore disperse fra i boschi; ma niente, nessuna traccia di Sophia. L’avevano mandata più lontano, ovviamente, perché fosse più al sicuro. Quindi aveva deciso di prendere un permesso, non appena fossero finite le lezioni, per cercarla nei vari Regni: probabilmente il suo tutore le aveva trovato un rifugio sicuro in Aldenor; ma forse Ashton Blackmore aveva preferito mandarla in Altieres, per rafforzare la sua posizione di futura regnante e per farle prendere familiarità con la sua terra. La sua mente continuava a fare ipotesi e congetture: doveva assolutamente trovarla per rivelarle tutta la verità e scusarsi. Sophia gli mancava come l’aria, come il sonno che ormai da mesi non lo accompagnava nelle lunghe notti di pensieri tormentati. Per questo preferiva uscire e buttarsi in qualche rissa; o crearla se necessario. Aveva perennemente gli occhi pesti, lividi sparsi e fasciature a coprire le ferite aperte. Ma almeno così riusciva a tenere un po’ a bada la rabbia che gli formicolava sotto pelle costantemente. Era così arrabbiato con sé stesso, che farsi prendere a pugni era diventata una necessità, la sua personale punizione quotidiana. E faceva meno male del rimorso.
Si era dato delle regole perché altrimenti avrebbe perso il senno. Ma continuava a infrangerle…
 
Poi era arrivata la notizia del fidanzamento ufficiale: Sophia, ovunque fosse, aveva accettato di sposare Justin. E Gabriel aveva rischiato di impazzire del tutto. Una furia omicida si era impossessata di lui e ogni volta che incontrava suo cugino nei corridoi della caserma o per le strade della Cittadella, gli prudevano forte le mani: razionalmente capiva che lui non c’entrava niente, che era all’oscuro come tutti gli altri; ma avrebbe voluto comunque riempirlo di pugni fino a lasciarlo sanguinante e privo di sensi. Perché sarebbe stato con Sophia, perché l’avrebbe abbracciata, perché l’avrebbe trattata dolcemente. E perché sembrava così maledettamente a suo agio con quella situazione, per nulla spaventato da cose come il fidanzamento, i sentimenti, l’amore… No, non sarebbe stato amore il loro; era piuttosto una decisione politica, presa a tavolino da persone non direttamente coinvolte, abituate a giocare sulla scacchiera dei Regni e a decidere per gli altri senza tenere conto dei loro sentimenti. Sophia non poteva amare Justin, a mala pena si conoscevano! Non poteva essere svanito tutto nel nulla. Anche se Sophia era partita con la convinzione di avere solo il suo odio, di non avergli mai suscitato sentimenti reali. Lui l’aveva convinta di questo. Si era sentito confuso, arrabbiato per essere stato manipolato proprio da lei. Perché quei sentimenti che tanto lo avevano destabilizzato, spingendolo a rifiutarli con tutte le sue forze, adesso gli erano così chiari? Perché lei non era lì con lui, per dargli un’altra possibilità? Non avrebbe mai rinunciato a loro due, per nulla al mondo. Non avrebbe rinunciato a Sophia, anche se ora lei era lontana, promessa ad un altro e forse non lo avrebbe mai perdonato per le sue bugie.
Se cercava un colpevole per quella situazione assurda, gli sarebbe bastato usare uno specchio. Si era comportato da stronzo spietato e quella era la sua punizione, il suo karma, il suo inferno personale.

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Capitolo 4
*** Lezioni di scherma ***


Sophia


«Se tenete i piedi in quel modo, al primo affondo del vostro avversario perderete l’equilibrio e vi ritroverete gambe all’aria» disse Justin, mentre alzava la spada e sistemava il corpo per mostrare a Sophia la posizione di difesa corretta.
«La vostra guardia deve essere alta, i piedi ben piantati per terra e mai perfettamente allineati; il busto leggermente inclinato in avanti e la presa sulla spada solida». Dopo averle dato dimostrazione pratica, si portò al suo fianco per controllare che Sophia eseguisse tutte le istruzioni nel modo corretto. Le sistemò il bacino e mise alla prova la sua impugnatura con meticolosa precisione, mentre lei osservava incuriosita l’espressione concentrata sul suo volto. Aveva scoperto che Justin diventava molto serio quando si trattava di combattere, perdendo quell’aria scanzonata con cui affrontava praticamente tutto il resto.
Pochi giorni dopo essere arrivato alla tenuta, aveva proposto di darle lezioni di scherma, un po’ per sfuggire alla noia e un po’ per scuoterla dallo stato di torpore in cui l’aveva trovata, anche se ufficialmente le aveva detto che imparare un po’ di autodifesa le sarebbe tornato utile considerato quanto spesso la sua vita si trovava in pericolo.
Non c’era molto da fare da quelle parti, Sophia doveva riconoscerlo: le giornate scorrevano con incredibile lentezza, dando l’impressione di sprecare il proprio tempo fra noia e inerzia. Inoltre aveva notato che il ragazzo si sforzava in ogni modo di distrarla dai suoi pensieri, percependo la malinconia che non le dava tregua. Quindi aveva accettato di provare, anche se si sentiva ancora debole, e sorprendentemente la cosa aveva funzionato a meraviglia: nelle ore che passavano ad allenarsi e a simulare duelli, lei si ritrovava talmente immersa nelle sue indicazioni e nei nuovi gesti, da svuotare completamente la mente da tutti gli altri pensieri. Smetteva di essere una principessa in fuga, la pedina di un gioco politico, la guardiana dei demoni del Presidio, il bersaglio di un nemico ancora sconosciuto. E una ragazza con il cuore spezzato… La più difficile delle cose da lasciarsi alle spalle, ma la scherma funzionava anche per quello. In quei momenti riusciva a non pensare a lui, anche se dopo ogni allenamento non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbe pensato il giovane capitano nel vederla combattere con la spada: sarebbe stato fiero di lei? L’avrebbe derisa? L’avrebbe considerata più alla sua altezza?
Ma si sforzava di chiudere in fretta quel cassetto di pensieri, perché non era per lui che stava imparando ad usare la spada. Da quella distanza, Sophia aveva iniziato a riflettere con maggiore profondità sul pericolo che correvano tutte le persone intorno a lei per cercare di proteggerla. Certo, era una principessa, era normale che avesse letteralmente un esercito di soldati pronto a combattere per lei; ma davvero voleva il loro sangue sulle sue mani? Le immagini del capitano Dartmont sdraiato per terra in una pozza di sangue, quasi esanime, ancora la tormentavano. E se fosse toccato a Julian? O a Bryce? Avrebbe potuto continuare a convivere con la sua coscienza?
Justin le stava dando una grande opportunità: era uno spadaccino fantastico nonché un ottimo insegnante, aveva pazienza da vendere e prendeva le lezioni molto seriamente Trattava Sophia come una giovane matricola dell’esercito, sospendendo l’etichetta giusto il tempo dei loro allenamenti insieme. E a Sophia piaceva essere tratta in quel modo informale, non si sentiva niente affatto offesa. I modi diretti e la passione del cugino aumentavano la sua motivazione e la spronavano a impegnarsi con altrettanta serietà: voleva imparare, diventare abile con la spada e soprattutto non voleva deluderlo. Impegnarsi così a fondo in qualcosa le aveva ridato un po’ di scintilla, le aveva fatto tornare un discreto appetito e le aveva restituito alcune ore di sonno, se non altro per la stanchezza che derivava dagli sforzi fisici richiesti dagli allenamenti. Gli incubi erano diminuiti, anche se le capitava ancora di svegliarsi di soprassalto e di scoppiare a piangere per un dolore così lacerante da toglierle il respiro. Probabilmente quei risvegli bruschi erano accompagnati anche da urla, perché quando poi recuperava un briciolo di lucidità, trovava Justin seduto di fianco al suo letto, ancora mezzo assonnato e molto preoccupato. Ma non le diceva mai niente, né le faceva domande: stava lì e aspettava che passasse, che lei si calmasse un po’. Poi prendeva un libro e iniziava a leggerle qualcosa a voce bassa, come per ipnotizzare il suo dolore e scioglierlo lentamente, riconducendola al sonno. Era diventato una specie di rituale per loro e Sophia, senza sapere né come né quando, si era affezionata molto alla sua presenza. Lui era come un balsamo sulle sue ferite profonde, la stava curando dolcemente senza nemmeno sapere cosa le aveva provocate. E lei aveva iniziato a desiderare di raccontargli tutto, un po’ per correttezza, perché sentiva di doverglielo, un po’ per vedere che effetto le avrebbe fatto parlare ad alta voce di lui. Ma il mattino seguente, al risveglio, il desiderio di assecondare le ultime richieste di Gabriel prendeva ancora il sopravvento su tutto il resto. Sentiva lo strano impulso di essere leale con lui, di fare ammenda per le bugie e i raggiri con cui si era avvicinata a lui. Un modo irragionevole per mantenere ancora un legame di cui non riusciva ad accettare la perdita.
Poi ci fu l’incidente, e la principessa scoprì che c’erano altre cose nella sua vita, adesso, che non era disposta a perdere.
 
Le lezioni di scherma erano diventate per Sophia una specie di terapia: le consentivano di dare sfogo al dolore che le urlava dentro e di lasciar uscire tutta la rabbia che covava verso sé stessa per il casino che aveva combinato. Tutta questa energia repressa che ribolliva sotto pelle le dava un tale impeto che più volte aveva colpito Justin durante gli allenamenti, facendolo cadere per terra o lasciandogli vistosi lividi. Dopo un paio di mesi di combattimenti simulati con le spade di legno, Justin aveva deciso di provare con delle spade vere, per dare ai loro allenamenti un tocco di realismo: Sophia doveva abituarsi a combattere impugnando il peso di una vera spada, aveva detto. Ma l’euforia del clangore metallico aveva scatenato in lei una sorta di frenesia che le aveva fatto perdere il controllo e, incalzandolo con una raffica di colpi senza tregua, aveva colpito forte Justin ad un braccio. La ferita, lunga e profonda, aveva iniziato subito a sanguinare copiosamente, facendo crollare a terra il ragazzo che, incredulo e tremendamente pallido, sembrava molto vicino a perdere i sensi. Lo spavento che la raggiunse fu la prima cosa dopo mesi a scuoterle veramente il cuore: il colore abbandonò il suo viso e iniziò a tremare violentemente mentre si accasciava al suolo vicino a lui, ripetendo il suo nome come un mantra. Lo prese fra le braccia come se si aspettasse di trovarlo già morto e contemporaneamente lo pregava a bassa voce di non morire. Quando lui aveva aperto gli occhi, rassicurandola subito con un sorriso, si era sciolta in un fiume di lacrime disperate che le scuotevano il petto e tutto il corpo, rendendo incomprensibili le sue parole. Quindi i ruoli si erano invertiti: Justin, completamente ristabilito grazie alla magia nella voce della principessa, l’aveva presa fra le braccia per tentare di placare la sua disperazione, accarezzandole dolcemente la schiena e rassicurandola.
«Non è successo niente Sophia, vi prego calmatevi. Vedete, muovo perfettamente il braccio e non sento più alcun dolore. La ferita si è già rimarginata completamente, non perdo più nemmeno una goccia di sangue. Non dovete piangere per me, vi prego, sono cose che possono capitare quando ci si allena». Justin ripeteva le sue argomentazioni in quel modo un po’ goffo e impacciato che rendeva le sue premure ancora più dolci. Ma dovette comunque aspettare un’ora buona perché Sophia si riavesse dallo shock e ricominciasse a dire frasi di senso compiuto.
«Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Non volevo farvi del male, non so come scusarmi! Vi ho quasi ucciso, ho ferito il vostro braccio destro, ho rischiato di compromettere per sempre la vostra abilità a combattere, capirò se non vorrete mai più avere a che fare con me. È tutta colpa mia…».
«Sophia, vi prego, calmatevi, non è successo niente di così grave. Non ce l’ho con voi, non ho mai pensato che voleste colpirmi. Gli incidenti capitano a tutti! Ma voi avete già rimediato come nessun altro avrebbe potuto».
Justin continuò con le rassicurazioni, anche se iniziava a dubitare che tanto dolore e tanto senso di colpa fossero tutti legati a quel singolo episodio.
«Sophia, perché siete così sconvolta? Perché vi sentite così in colpa?».
A quelle domande gentili e più che lecite che finalmente il cugino le aveva rivolto apertamente, Sophia aveva vacillato, sentendo gli argini della diga che si portava dentro ormai da mesi scricchiolare e creparsi, fino a crollare inesorabilmente. E gli aveva raccontato tutto.
Dell’ostilità fra lei e Gabriel, del suo desiderio di vendetta per la mancanza di riguardo del ragazzo che aveva preso la forma di un legamento, come le avevano indirettamente suggerito le cugine, per costringere Gabriel ad amarla. Ma, senza che se ne accorgesse, quella passione improvvisa aveva travolto anche lei, che era caduta preda della sua stessa trappola e si era ritrovata innamorata per la prima volta in vita sua, proprio del ragazzo che non avrebbe nemmeno dovuto guardare. In nome di quell’amore, aveva deciso di sciogliere l’incantesimo poco prima di lasciare la città, liberando Gabriel dalle catene di un amore imposto, che non era mai stato reale, almeno per lui. E, com’era ovvio che accadesse, lui era tornato ad esserle nemico, a odiarla e disprezzarla anche più di prima se possibile. La giusta punizione per aver giocato con i suoi sentimenti, per aver tentato di spezzare la sua volontà solo per umiliarlo. L’aveva perso per sempre, senza mai averlo davvero avuto. E con lui aveva perso anche il suo cuore.
Justin aveva ascoltato in silenzio tutto il racconto, con un’espressione che dall’incredulità era gradualmente passata allo sconcerto. Alla fine le fece un’unica domanda: «Ma siete sicura che il cugino Gabriel non fosse veramente innamorato di voi?». Sophia lo guardò con gli occhi ancora lucidi di lacrime e, sfinita per lo sforzo di raccontare un dolore tanto a lungo taciuto, bisbigliò solo «Sì».
«Non voglio contraddirvi, solo voi sapete tutto quello che è successo fra voi. Ma Gabriel è stato molto strano negli ultimi mesi. Ha smesso di uscire a bere e divertirsi con noi, si presentava raramente, solo a fine serata, per prendere parte o per scatenare qualche rissa. Voglio dire, ha sempre fatto andare le mani con estrema facilità, ma ultimamente è diventato molto violento e intrattabile. E…», Justin esitò, come se stesse valutando se continuare o meno.
«Cosa?» chiese agitata Sophia, preoccupata che il cugino avesse lasciato le notizie peggiori alla fine.
«Ha iniziato a evitarmi da qualche mese a questa parte». Dalla notizia del fidanzamento, adesso che ci pensava. «Quando a me e Dray capitava di incontrarlo in caserma o nei corridoi del collegio, lui cambiava strada senza nemmeno salutarci. Dopo aver tentato di incenerirmi con lo sguardo. Io non l’ho trovato particolarmente strano, ripeto, è Gabriel, conosciamo tutti da anni il suo carattere spigoloso. Ma ora che voi mi raccontate questo, dopo aver assistito ad alcuni degli sguardi possessivi che Gabriel vi ha rivolto, anche se sotto incantesimo… Non posso fare a meno di chiedermi se non ci sia dell’altro che il mio orgoglioso cugino ha evitato di dire. Non ho mai sentito Gabriel parlare di sentimenti in vita mia: lui è sempre tutto concentrato sulla sua carriera militare e sulle sue ambizioni politiche. Così lo hanno cresciuto, e per la maggior parte della sua vita ha vissuto circondato da uomini ossessionati da cose come la ricchezza e il potere. Non so se avete presente i fratelli di Gabriel e suo padre? Persone autorevoli, direi quasi spaventose, di certo non particolarmente note per la loro espansività. Gli hanno insegnato a essere forte, sempre, a non mostrare debolezze. Magari non sa come si fa ad avere a che fare con i sentimenti. In realtà nessuno di noi sa come si fa, non è una cosa che ti insegnano a scuola o nell’esercito» disse Justin sorridendo un po’ imbarazzato, ma anche intenzionato ad alleggerire un po’ l’atmosfera. Sophia apprezzò molto il tentativo del ragazzo di darle speranza, anche se ormai conosceva bene la carica velenosa che quel sentimento portava con sé.
«No, credetemi, il suo odio era reale. Talmente forte che mi è sembrato di sentirlo sulla pelle l’ultima volta che ci siamo visti. Avreste dovuto vedere come mi ha guarda…». Non riuscì più a parlare, la gola chiusa per le lacrime e la sofferenza che accompagnavano ogni volta il ricordo di quella scena. Un dolore che ancora le toglieva il respiro, perché accettare quella perdita era come restare sott’acqua senza mai prendere fiato per un tempo interminabile: doloroso e impossibile. Lei lo sapeva e, ora che aveva sentito la sua storia e percepito lo strazio del suo cuore, lo sapeva anche Justin.
Lo guardò in viso, cercando nei suoi occhi la risposta alla domanda che non osava porgli ad alta voce: “quindi adesso te ne andrai? Romperai il fidanzamento?”. Ne avrebbe avuto tutto il diritto: Justin era un bravo ragazzo, attento e premuroso, meritava sentimenti sinceri, di essere amato con tutto il cuore. Soprattutto dalla sua futura sposa.
Forse lui intuì le sue preoccupazioni e, aiutandola a rialzarsi, la guardò con uno dei suoi sorrisi dolci. «Vi ringrazio per avermi raccontato tutta la storia. Ho sempre pensato che ci fossero dei segreti fra voi e Gabriel, anche se non avevo neanche lontanamente intuito quali. So che essere sincera e parlare di questa… faccenda vi è costato molta fatica. Adesso andate a riposarvi, così da recuperare le forze per gli allenamenti di domani. Non voglio che usiate qualche scusa da damigella svenevole quando vi batterò clamorosamente al prossimo duello». Sophia rise con lui, rassicurata, almeno per il momento, che la sua presenza non sarebbe svanita con la notte.

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Capitolo 5
*** Ritorno nella Vecchia Capitale ***


Sophia
 

L’estate in Altieres era un’esperienza indescrivibile per Sophia, così diversa dalle temperature rigide e dai toni cupi che accompagnavano Aldenor durante tutto il corso dell’anno. I colori vividi di quei posti le facevano vibrare i sensi, e il rumore delle onde era diventato la sua melodia preferita: a tratti impetuosa, poi rilassante, quasi ipnotica. Aveva passato molte notti ad ascoltarla mescolarsi al canto delle cicale e delle raganelle, a sentire la brezza profumata di agrumi e gelsomini che le accarezzava il viso e le calmava i pensieri. Era proprio come gliel’aveva descritta lui, solo che, invece di usarla per addormentarsi, lei la usava per restare sveglia ed evitare i brutti sogni. Le sembrava ancora strano non aver conosciuto quella terra al suo fianco, ma riusciva comunque ad avvertire la sua presenza nei dettagli: stando lì, Sophia aveva iniziato a comprendere meglio tutti i sacrifici e gli sforzi che aveva fatto Gabriel per garantirsi il diritto di governarla e proteggerla. Se ne sarebbe preso cura magnificamente, ne era certa, perché il suo cuore apparteneva a quella terra, si capiva da come ne parlava. Lei sarebbe stata in grado di fare altrettanto bene? Dopo il periodo trascorso lì, lontana dal suo passato e da tutto ciò a cui era abituata, Sophia si sentiva cambiata. Ancora rotta in mille pezzi, certo, ma adesso era più calma, più riflessiva. Affrontare il dolore le aveva rafforzato lo spirito, mentre le lezioni di scherma e di equitazione avevano rafforzato il suo corpo e la sua determinazione. Gli avvenimenti di quei mesi avevano cambiato le sue priorità: non era più la ragazzina ribelle che scappava dalle finestre e si travestiva da uomo per partecipare clandestinamente a qualche festa in maschera. Quanto successo l’aveva resa più consapevole del suo ruolo e delle sue responsabilità: in un futuro non troppo lontano sarebbe diventata la regina di Altieres, sarebbe toccato a lei prendersi cura di quella terra, difenderne i confini, farla prosperare, preservare la sua infinita bellezza. A questo voleva dedicare il suo cuore da ora in poi.
Chiedeva spesso a Justin di raccontarle di quei posti, della grande famiglia Sinclair, delle loro tradizioni e dei suoi ricordi d’infanzia. Desiderava conoscere Altieres anche attraverso le sue parole, per recuperare il tempo che sentiva di aver perso. Ogni giorno lui si sforzava di trovare degli aneddoti interessanti da raccontarle, la maggior parte dei quali vedevano lui e il suo fratello gemello impegnati a combinare qualche disastro, per cui venivano puntualmente puniti andando a letto senza cena. Erano cresciuti liberi e selvaggi, guidati dai valori forti e dall’amore di una famiglia che, dai suoi racconti, sembrava essere molto unita e calorosa. Sophia faticava molto a stargli dietro con l’immaginazione: non poteva evitare di fare confronti con la sua di infanzia, con lo stile più rigido e decisamente meno caloroso dell’orfanotrofio. Non capiva fino in fondo cosa significasse far parte di un gruppo così numeroso di persone, di una famiglia del sud. In parte la cosa la intimoriva, ma, a forza di ascoltare i racconti su zii, nonni e cugini di Justin, a volte si riscopriva impaziente di conoscere quei personaggi tanto pittoreschi, di sentirsi circondata da quel tipo di affetto genuino e incondizionato.
Per questo, in quei mesi di pausa dal mondo reale, aveva iniziato a pensare che la cosa migliore da fare fosse affrontare e risolvere le questioni in sospeso, per presentarsi a quel gruppo di persone, che l’aveva fatta sentire accolta e l’aveva riempita di regali ancora prima di conoscerla, senza mettere a rischio le loro vite. E con questioni in sospeso intendeva gli attentati alla sua vita, che erano un pericolo per lei e per chiunque le stesse vicino.
Da quando aveva lasciato la Capitale nulla più era successo. Bryce la aggiornava sporadicamente sulla questione, probabilmente perché temeva che la corrispondenza potesse essere intercettata. Ma le aveva fatto intuire che, nonostante le loro indagini, erano ad un punto morto.
L’avvicinarsi dell’inizio del nuovo anno scolastico le diede l’occasione per proporre al suo iperprotettivo tutore di farla tornare in città. Ci aveva riflettuto a lungo, era la soluzione migliore per tutti: il suo ritorno avrebbe smosso le acque, facendo probabilmente uscire allo scoperto chi cercava di farle del male, e loro avrebbero avuto nuove piste da seguire. Inoltre si era allontanata già per troppi mesi dalle lezioni dello studium e in quel posto disperso e isolato non c’era nessuno che si occupasse veramente della sua istruzione, cosa che avrebbe rischiato di nuocere gravemente alla sua giovane mente. Sophia sapeva esattamente che tasti toccare con Bryce: non avendolo davanti a sé, non poteva sciogliere definitivamente le sue riserve scoppiando in lacrime; ma accennare alla sua potenziale ignoranza e alla mancanza di adeguati stimoli sarebbe stata un’argomentazione altrettanto efficace, ne era certa. Quello che trascurò di dirgli è che era stufa di quell’isolamento, e che non voleva separarsi da Justin. La sua presenza calda e confortante era diventata l’antidoto ai suoi pensieri tristi e, anche se non sapeva bene cosa lui ne pensasse, le sembrava che si fosse creato una sorta di legame fra di loro, naturale e intimo. Sophia non sapeva come definirlo e non voleva perdere tempo a cercare l’etichetta giusta, tanto agli occhi del mondo lui era già il suo fidanzato. Semplicemente sentiva che la sua vicinanza le faceva bene, e sperava che lo stesso fosse per lui. Lontano dal suo gemello, Justin si era rivelato essere un ragazzo con la testa sulle spalle: vivace, certo, ma consapevole dell’impegno che si era preso e pronto ad assumersi le sue responsabilità. Lui sarebbe sicuramente ritornato nella Capitale, sia per riprendere gli studi che per tornare al suo posto nell’esercito, fra i suoi compagni e amici. Sophia di certo non gli avrebbe chiesto di fare il contrario: nemmeno lei vedeva più alcuna utilità nel restare ancora lì, lontano dalla realtà. Per questo motivo aveva usato tutte le sue doti persuasive nei carteggi con Bryce e Ashton, fino a che i due avevano acconsentito al suo ritorno. Ponendole una lunga lista di condizioni rigide e imprescindibili, ovviamente: la principessa avrebbe alloggiato presso la residenza cittadina dei Blackmore, e non nella sua solita stanza al collegio di Altieres; sarebbe uscita solo ed esclusivamente per frequentare le lezioni e sempre rigorosamente accompagnata dalla sua scorta personale; niente uscite clandestine, né di notte né di giorno, niente feste o balli, nessuna visita alle taverne della Cittadella. Insomma niente vita sociale; solo il minimo indispensabile per garantirle un’istruzione e non farla sentire completamente prigioniera. A Sophia sembrava un prezzo accettabile: avrebbe rivisto Cain, Julian e Jordan, che le mancavano da morire. Se anche lei non poteva uscire, a loro sicuramente sarebbe stato consentito di farle visita. A lezione avrebbe incontrato di nuovo le sue cugine, a cui si era molto affezionata; avrebbe potuto continuare a stare con Justin.
Avrebbe avuto la possibilità di rivedere lui
Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, non era nemmeno sicura che fosse un lato positivo del suo ritorno; ma lui le era mancato più di tutti, il suo volto spigoloso e imbronciato, il suo portamento autoritario e la sua voce, così imperativa, così dolce con lei. Con sé stessa cercava di essere sincera: sapeva quanto il suo cuore ancora coltivasse speranze e illusioni, anche se la sua mente tentava disperatamente di ricordarle la realtà dei fatti. Lui adesso la odiava, la disprezzava. Avrebbe rifuggito la sua presenza; il suo sguardo l’avrebbe ignorata; le avrebbe rivolto la parola solo se costretto, e con modi bruschi e distaccati. Era davvero pronta ad affrontare questa versione di Gabriel? Rivederlo dopo tutto quello che era successo le avrebbe dato l’esatta misura di come erano cambiate le cose: lui, distante e irraggiungibile, lei ancora disperatamente innamorata. Non era riuscita a estinguere quel sentimento, nonostante la lontananza, nonostante Justin, nonostante tutto. Era stato così reale per Sophia, che una parte di lei ancora non poteva credere che per lui, invece, fosse stato solo l’artificio di un incantesimo. Ok, la distanza non aveva avuto gli effetti sperati sulle sue illusioni, che erano ancora lì a strattonarla fra il desiderio intenso di rivederlo e la paura disperata di trovare i suoi occhi indifferenti. Ma avrebbe nascosto tutto quanto dentro di sé, in profondità; non per proteggere il suo orgoglio, bensì, ancora una volta, per rispettare la volontà di lui. Almeno questo glielo doveva: non avrebbe mai, mai più violato la sua volontà, questo era il voto che aveva fatto per espiare la sua colpa e fare ammenda Lo avrebbe guardato da lontano, senza imporgli la sua presenza o qualsiasi altro obbligo la sua posizione avrebbe richiesto: non avrebbe preteso da lui formali inchini, o modi garbati, o obbedienza ai suoi ordini. Non lo avrebbe infastidito con i suoi sentimenti non corrisposti. Da lontano, lo avrebbe visto circondato da tutte le sue ammiratrici – perché sicuramente Gabriel era tornato ad essere la delizia delle signore in quei mesi – e avrebbe sopportato in silenzio gli scricchiolii del suo cuore. Le bastava vederlo, caparbio e forte come era sempre stato. Anche se ancora doveva capire dove trovare la forza per smettere di sperare e mettere in pratica tutte le sue buone intenzioni.

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Capitolo 6
*** Lei che improvvisamente ritorna ***


Gabriel


Sophia era tornata.
Senza grandi annunci né tante cerimonie, era comparsa all’improvviso davanti ai suoi occhi che si erano fissati increduli su quella apparizione… o allucinazione, ancora non aveva deciso.
Sophia stava scendendo da una carrozza per entrare nel collegio di Altieres, come se fosse un giorno qualunque e quella fosse la cosa più normale del mondo. Accompagnata da Justin, che era sceso con lei dalla stessa carrozza.
Lo sguardo del soldato stava registrando meticolosamente tutti i dettagli di quella scena, come se per istinto avesse percepito che era un momento importante, da ricordare. Ma la sua mente era in tilt, non riusciva a unire i punti, a interpretare i fatti che si stavano svolgendo davanti ai suoi occhi disorientati e sempre più increduli.
Si stava radunando una piccola folla intorno alla principessa, segno tangibile che quello non era un sogno. Le sue cugine erano corse a salutarla, scoppiando in lacrime quando l’avevano raggiunta, l’avevano abbracciata, facendo esattamente quello che voleva fare lui: toccare con mano, verificare la realtà della presenza di Sophia, di nuovo lì fra loro.
Sophia era tornata davvero.
«Tu non vai a salutarla?»
La voce di Jerome aveva raggiunto la sua mente bloccata, scuotendo la statua in cui si era trasformato il suo corpo: senza accorgersene si era immobilizzato in mezzo alla strada, come ipnotizzato. E naturalmente suo cugino aveva capito da cosa. Gabriel non gli aveva raccontato nulla, ma Jerome era sempre stato molto perspicace, ecco perché erano andati d’accordo sin da subito. Non gli servivano mai tante spiegazioni: sapeva cogliere le informazioni dal contesto, e di solito si faceva un’idea abbastanza accurata abbastanza in fretta. Un talento che lo rendeva la compagnia ideale per lui che non amava parlare molto, praticamente l’unica persona in grado di interpretare i suoi modi bruschi e il suo carattere scostante e riservato, oltre al capitano Dartmont.
Quindi, anche se Gabriel non gli aveva mai parlato di Sophia e della loro… di quello che era successo fra loro, sapeva che quella più che una domanda era una provocazione. Jerome era l’unico che osava provocarlo senza temere la sua ira.
Invece di rispondergli, si limitò a lanciargli uno sguardo tagliente e ammonitore perché no, quello non era un argomento su cui ammetteva provocazioni. Il suo migliore amico doveva aver visto la tempesta che infuriava nei suoi occhi e, alzando rapidamente le mani in segno di resa, aveva tacitamente promesso di non scherzare, toccare o nemmeno sfiorare più quell’argomento. Gabriel continuò a fissarlo con quegli occhi ardenti, da cui stava ricominciando a traboccare una rabbia troppo grande, troppo intensa, ma che non era nemmeno in minima parte rivolta al cugino: gli stava solo dicendo che c’era e che doveva trovare un modo per ricacciarla indietro. Jerome sostenne il suo sguardo e annui, sapendo bene di che cosa aveva bisogno il suo amico.
Gabriel si girò ancora un momento verso quell’immagine che sembrava uscita direttamente dalle sue notti insonni, attirato da una forza molto potente, che avrebbe ancora voluto attribuire alla costrizione di un legamento. Lanciò un ultimo sguardo fugace a quel volto che per mesi gli aveva agitato il sangue e i pensieri, che aveva qualcosa di molto familiare, ma anche di così distante. Poi si voltò per andarsene, per allontanarsi con passo deciso, ripercorrendo la strada in direzione opposta: non più verso il collegio, ma verso la caserma e i campi da allenamento. Jerome lo seguì in silenzio e senza fare altre domande, avendo intuito che non avrebbero salutato la loro principessa ricomparsa, né avrebbero assistito al primo giorno di lezioni del nuovo anno.

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Capitolo 7
*** L'ossessione da evitare ***


Sophia

Lo aveva cercato per tutto il giorno con lo sguardo.
Aveva salutato con immensa gioia le sue cugine che, nonostante la sua sparizione improvvisa e senza spiegazioni, avevano accolto il suo ritorno con sincero affetto, manifestando alternativamente sollievo e preoccupazione. Sophia le aveva rassicurate, aveva rassicurato tutta la piccola folla che era venuta ad accoglierla all’ingresso del collegio. Si era mostrata calma e padrona della situazione, si era sforzata di apparire composta, controllata.
La verità era che una sottile ma costante elettricità aveva preso a scorrerle sotto la pelle dal momento in cui la carrozza era arrivata nella Vecchia Capitale. Un’attesa, mista a speranza e accompagnata da timore, faceva muovere continuamente i suoi occhi in tutte le direzioni, per scrutare palazzi, vie, porte, finestre, carrozze, corridoi. Tutti gli spazi da cui sarebbe potuta comparire improvvisamente una persona, senza fare rumore, ma sconvolgendo comunque il mondo. Non una persona qualunque, ovviamente.
Ma lui non c’era.
L’impazienza di questa attesa l’aveva accompagnata tutto il giorno, soprattutto al collegio; ma non lo aveva visto. Nessuna traccia della sua presenza, nemmeno nei discorsi infiniti di Fay, che sembrava essersi messa in testa di aggiornarla in una mattinata su tutti i pettegolezzi che si era persa nei mesi di assenza. E lei non aveva osato chiedere notizie. Molto probabilmente Justin, che le era stato vicino tutto il tempo, aveva percepito la sua agitazione, indovinandone la ragione con facilità. Ma non le aveva detto niente, nessuna traccia di rimprovero o gelosia nei suoi occhi; si era limitato a sorriderle rassicurante e a stringerle ogni tanto la mano, come per confermarle la sua presenza, la sua comprensione.
L’aveva riaccompagnata alla residenza di Altieres, insieme alla sua scorta, e poi si era congedato per andare in caserma. Non vedeva il suo gemello da tutta l’estate e non avevano mai passato così tanto tempo separati. Anche se si era fatto riguardo a dirglielo espressamente, Sophia aveva intuito che doveva essergli mancato molto. Quindi, simulando degli impegni urgenti con Ashton e con il suo padrino per i giorni seguenti, gli aveva detto di non preoccuparsi per lei e di prendersi tutto il tempo per tornare alla sua vita di sempre. D’altra parte non era giusto che anche lui partecipasse alla sua reclusione forzata: la sua vita non era in pericolo.
Inoltre anche lei non vedeva suo fratello da tantissimi mesi, e non vedeva l’ora di restare un po’ sola con Cain per sentire i suoi di aggiornamenti, soprattutto sulle questioni meno ufficiali.
«Allora sorellina, com’è andato il tuo ritorno alla normalità? Qualche principe oscuro all’orizzonte?»
Non era cambiato di una virgola: insolente e spensierato, per lui nessun argomento richiedeva di essere maneggiato con cura. Il suo andare dritto al punto non era dettato dalla mancanza di delicatezza o da superficialità, bensì da una sincera preoccupazione per la sorella, che aveva trovato notevolmente dimagrita e molto più seriosa; quest’ultima novità decisamente la più imperdonabile. Stava sondando il suo umore con quella domanda, Sophia lo sapeva, ma dovette comunque prendere un profondo respiro prima di rispondergli, evasiva:
«Normalità dici?» gli disse sogghignando «Non so più bene cosa sia, ma sicuramente è stato molto bello tornare a frequentare i corsi come un normale essere umano. Non avrei mai pensato di dirlo, ma i libri, le lezioni e persino i professori mi sono mancati» concluse formale, con un sorriso che non raggiunse gli occhi. Evitando una grossa parte della domanda del fratello.
Cain la fissò stringendo gli occhi: non se l’era bevuta per niente.
«Chi sei tu e cosa ne hai fatto di mia sorella? Sei un demone del Presidio? Devo chiamare un evocatores o qualche cavaliere dell’ordine della Croce per parlare davvero con mia sorella?».
Sophia smise di sorridere, smise di recitare la parte della responsabile coscienziosa erede al trono. Era con Cain che stava parlando, non doveva recitare nessuna parte, almeno non lì dentro. Lo guardò di nuovo e questa volta i suoi occhi si appannarono con un sottile strato di lacrime mentre bisbigliava «No… non l’ho visto. Non è venuto a salutare il mio ritorno e non era nemmeno a lezione, o in biblioteca, o sulla dannata carrozza che è l’unico altro posto che mi è stato consentito di vedere oggi». Ormai le lacrime stavano scendendo, silenziose, mentre mostrava a Cain il suo reale stato d’animo e lasciava andare le speranze trattenute così tenacemente durante tutta quella lunga giornata.
«Potresti andare in caserma, a salutare il tuo esercito, ad avvisarli del tuo ritorno. Sei stata via a lungo e sei ritornata senza comunicazioni ufficiali, nessuno lo troverebbe strano». Ovviamente suo fratello la aiutava a coltivare la speranza, conosceva i suoi sentimenti.
«No» disse Sophia scuotendo in modo deciso la testa e ritrovando rapidamente il controllo «No, l’ultima cosa che voglio è imporgli la mia presenza».
«Ma…» tentò Cain, ma lei lo zittì subito alzando una mano.
«No Cain, non farlo. Non dirmi di sperare, o di combattere. Lui era sotto l’effetto di un legamento che io stessa gli ho imposto, e che quell’ultima notte che ho trascorso nella Capitale ho chiesto a Mastro Lavolier di sciogliere. Non è mai stato reale, lui non ha mai provato veri sentimenti per me. Ho commesso un grandissimo errore, io pensavo…» si interruppe per prendere aria con un lungo e profondo respiro. «Voglio solo che tu mi aiuti ad accettare questa realtà, adesso che lo sai. Non incoraggiarmi a sperare in qualcosa che non è mai esistito veramente».
«Da adesso in poi cerchiamo di evitare di parlare di lui, per favore. Ma… ma dimmi solo se sta bene» gli chiese in un bisbiglio, cercando già negli occhi del fratello la risposta. Cain rimase in silenzio per un momento, mostrando sul suo volto intenerito dubbi e perplessità per la scelta della sorella; ma alla fine le rispose con un cenno, rassicurandola. Lei strinse gli occhi e le spalle le si rilassarono per il sollievo.
«Desidero solo vederti felice» aggiunse con quel suo tono affettuoso e fraterno, stringendola finalmente in quell’abbraccio avvolgente e solido che le era mancato moltissimo.

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Capitolo 8
*** L'incantesimo senza magia ***


Gabriel


«Siete in ritardo» disse bruscamente Gabriel, sfoderando la spada da allenamento con movimenti carichi di tensione e senza guardare in faccia il suo capitano.
«Hai ragione, scusami» rispose Dartmont quasi con dolcezza, intuendo le reali ragioni del cattivo umore del suo allievo.
Gabriel sollevò uno sguardo molto scocciato su di lui, in attesa che proseguisse, che gli fornisse una spiegazione per quella sua inconsueta mancanza di puntualità. Il capitano restò in silenzio, improvvisamente molto impegnato con l’attrezzatura per il combattimento simulato. Quella era un’abitudine che portavano avanti da quando Gabriel era entrato nell’esercito, un appuntamento fisso per entrambi: stesso posto stessa ora, e lui non era mai in ritardo.
«Come mai vi recate alla residenza di Altieres così presto?».
Dritto al punto. Gabriel questa volta non aveva intenzione di lasciar cadere il discorso.
«Sei molto informato… Sono a capo della scorta personale della principessa, servono altre ragioni?».
Gabriel gli lanciò uno sguardo tagliente. Sul suo viso trasparì per un istante la ferita della delusione: il suo maestro gli stava nascondendo qualcosa, lo stava escludendo, di nuovo.
«Voi non vi fidate di me» gli lanciò addosso quelle parole come un’accusa, mostrando apertamente tutta la sua amarezza e indignazione.
Dartmont lo guardò con affetto, preoccupato di sentire nella sua voce tutto quel miscuglio disordinato di emozioni negative che da mesi lo rendeva irrequieto e arrabbiato. Infelice.
«Non è così Gabriel. Come ti ho già detto, ho ricevuto ordini diretti che non posso ignorare».
«Continuate a ripeterlo!» ruggì Gabriel. «Ma la verità è che mi trattate come se fossi una spia, come se fossi io il responsabile degli attentati. Sono anche io un membro dell’esercito di Altieres, sono dalla vostra parte maledizione. Anche io voglio proteggere…» e si interruppe. Si fermò, perché gli mancò il fiato, perché non poteva dire ad alta voce quello che stava per dire. Sbattè forte la spada contro il muro, per scaricare tutto il peso e la frustrazione di quelle parole che gli erano rimaste bloccate in gola e, con gli occhi fiammeggianti, si girò a fronteggiare il capitano come se fosse un nemico:
«Combattiamo allora».
L’uomo si passò una mano sugli occhi per nascondere la compassione che quella scena gli suscitava e per pensare, per trovare una soluzione che evitasse al suo miglior soldato di perdere ancor più lucidità, divorato da una rabbia che lui non riusciva a comprendere fino in fondo. Decise di provare ad affrontare direttamente l’argomento, come non aveva mai fatto in quei mesi:
«Cos’è successo fra te e Sophia, Gabriel? Perché semplicemente non vai a salutarla, a parlare con lei. È palese che ti è mancat…».
«Basta! Basta così. È complicato…» lo interruppe bruscamente Gabriel. Sentire il nome della principessa pronunciato a voce alta lo faceva sempre scattare come una molla. Non per un sentimento di odio, sospettava Dartmont. Era così orgoglioso quel ragazzo, orgoglioso e testardo. Si sarebbe consumato di rabbia pur di non mostrare quello che gli agitava il cuore.
«Facciamo così» ritentò Dartmont, provando un’altra strada: «Se mi batterai, ti rivelerò la ragione delle mie visite regolari alla residenza di Altieres».
Il volto di Gabriel si illuminò, animato dalla determinazione e dalla sfida, ma soprattutto dalla possibilità di avere finalmente notizie. Di ricevere nuovamente la fiducia del suo mentore. Era sempre stato un combattente abile e tenace, la sua forza era diventata leggenda dopo le sue imprese per entrare nell’esercito di Altieres. Ma quel giorno, in quel combattimento, mise tutto sé stesso, impiegando una precisione e una furia che non lasciarono al suo avversario alcuna possibilità: si battè come se ne andasse della sua vita, o della salvezza del mondo. Del suo mondo.
Mentre riprendevano fiato, seduti uno di fianco all’altro, Dartmont mantenne la sua promessa: «La principessa mi ha chiesto di darle lezioni di scherma».
Gabriel lo fissò, attonito: «Lezioni di scherma?» chiese, incredulo. «Sophia sta imparando a combattere con la spada?»
«Sì. Ed è anche piuttosto brava. Sicuramente non le mancano determinazione e tenacia» aggiunse sorridendo l’uomo. «È diventata molto… forte. Qualcuno deve averle raccontato della tradizione di Altieres secondo cui i regnanti sono anche membri dell’esercito. A volte ho l’impressione che si senta in competizione con la tua leggenda» concluse Dartmont, guardando di sottecchi il ragazzo per cogliere la sua reazione.
Gabriel stava sorridendo. Un sorriso lieve, appena accennato, da cui trasparivano sia divertimento, sia… orgoglio? Sembrava fiero di quella notizia.
Aveva passato tanto tempo a immaginare come fosse diventata Sophia dopo aver colto i cambiamenti sul suo volto, nei suoi gesti. L’aveva osservata molto in quelle settimane, sempre da lontano ovviamente. Voleva capire chi fosse diventata in quei mesi di lontananza. E quella era la prima notizia certa che gli giungeva: Sophia stava imparando a combattere con la spada. Non poteva essere più sbalordito di così, e capitava raramente che le persone lo stupissero in quel modo. Ma lei ci era sempre riuscita. Gli era sempre piaciuto osservare i suoi comportamenti, così insoliti e affascinanti, così poco ordinari. Faceva spesso cose imprevedibili, giudicate disdicevoli dall’alta società, lasciandosi guidare dalla sua indole ribelle e spericolata. Non si lasciava intimorire dagli altri, soprattutto non da lui, e questo lo aveva sempre fatto impazzire e allo stesso tempo era stata la scintilla che aveva acceso quell’incendio fuori controllo che era nel suo cuore ormai da tempo, che lui lo volesse o no.
Per cui era stupito, sì, ma niente affatto sorpreso da quella novità. Ovunque fosse stata in quei mesi, non l’aveva mai immaginata in un angolo a piangere per le pene d’amore. Se si era mai trattato d’amore… In fondo lei non gli aveva mai dichiarato apertamente i suoi sentimenti, non si erano fatti promesse. E lei non lo aveva cercato da quando era tornata. Non parlava con lei da così tanto tempo che aveva quasi dimenticato il suono della sua voce. Si era fidanzata con un altro, aveva iniziato a prendere lezioni di scherma… Sophia stava reagendo, stava andando avanti con la sua vita. E sembrava non esserci spazio per lui in questo nuovo capitolo.
Gabriel, razionalmente, capiva tutti questi indizi. Sentiva le dita della principessa scivolare lentamente via dalla sua mano, i ricordi dell’intimità che avevano condiviso farsi nebbia, la distanza fra loro aumentare ogni giorno, inesorabile.
Ma non riusciva a smettere di pensare a lei.
Non poteva evitare di cercarla fra la gente, di seguirla da lontano, di controllare che non fosse in pericolo. Sperava di cogliere sul suo viso le risposte alle domande che gli assillavano la mente: stava bene? era felice? a chi pensava veramente il suo cuore?. Vederla, saperla al sicuro, erano diventate necessità che sfuggivano al suo controllo, e rendevano il suo comportamento totalmente irrazionale e inspiegabile. Questo lo faceva impazzire di rabbia, gli lasciava addosso un tormento che gli rendeva difficile dormire, studiare, concentrarsi su qualsiasi cosa fosse stata importante per lui prima di quell’incantesimo senza magia.

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Capitolo 9
*** La festa delle Anime ***


Sophia


Sophia era davanti allo specchio e stava lisciando le pieghe inesistenti del bellissimo vestito color acquamarina che aveva scelto di indossare per quella sera. Era la prima occasione formale, dopo il suo ritorno, in cui avrebbe dovuto presenziare nel ruolo ufficiale di futura regnante di Altieres. La prima libera uscita, pensava lei, in cui avrebbe finalmente potuto passeggiare per le strade della Vecchia Capitale, anche se il tragitto era stato rigorosamente fissato in anticipo e lei sarebbe stata costantemente circondata dalla sua scorta: solo le strade del borgo di Altieres e solo per il tempo necessario a seguire la processione di rito.
La Festa delle Anime era un evento talmente importante da convincere i suoi carcerieri – nello specifico il suo tutore e Ashton Blackmore – che fare un’apparizione valesse il rischio di esporla temporaneamente ai pericoli del mondo, purtroppo ancora totalmente ignoti. Naturalmente, sia Brice che Ashton avevano passato ore a programmare nei minimi dettagli quell’uscita, per non lasciare nulla al caso e per tentare di prevenire ogni possibile minaccia. Lei aveva scelto di non partecipare a quelle infinite riunioni per non dare ai due uomini una grande delusione: per come stavano le cose, avrebbe preferito mille volte mettere a rischio la sua vita che restare in quella prigione di limitazioni e divieti. Perché quella non era vita… Aveva creduto che tornare in città avrebbe smosso le acque e, soprattutto, avrebbe posto fine alle lunghe giornate di noia e isolamento che le lasciavano troppo tempo per pensare. Ma nulla era successo: nessuna minaccia, nessun attentato, nessuna sostanziale variazione nei ritmi della sua vita. Sophia stava impazzendo.
Lasciava che tutti la proteggessero e si preoccupassero della sua sicurezza, perché la cosa li rendeva tranquilli; ma la verità era che avrebbe dato qualsiasi cosa per porre fine a tutte le restrizioni. In quei lunghi mesi di lontananza aveva avuto tutto il tempo per pensare a che tipo di persona, a che tipo di regina avrebbe desiderato essere: non una che scappa e si nasconde, ma una che combatte con la spada, padrona della sua vita, del suo tempo, delle sue scelte.
Da giorni rimuginava su questi pensieri. Desiderava parlarne con Brice; una parte di lei era certa che lui avrebbe capito il suo desiderio di libertà, ma non riusciva a trovare le parole per sottoporgli la questione senza sembrare egoista o superficiale. Comprendeva l’importanza del suo ruolo e la necessità che la sua persona restasse viva e incolume, ma non era fatta per sottostare a obblighi e divieti: le incatenavano lo spirito, facendola sentire solo un’inutile marionetta. Quel pensiero le riportò alla mente le parole cariche di frustrazione che Gabriel le aveva rivolto un tempo, quando si era accorto di essere caduto vittima del suo incantesimo. Ora comprendeva alla perfezione la rabbia del ragazzo, e percepiva più che mai le loro similitudini: chiunque avesse provato a controllarli sarebbe andato incontro al loro odio.
Un lampo di rammarico le attraversò gli occhi e il suo riflesso la fissò con profonda tristezza e il solito senso di colpa. Accarezzò di nuovo l’abito, come se cercasse conforto in quel magnifico azzurro che le ricordava il colore del mare, libero e selvaggio. Non era rimasta così a lungo davanti allo specchio per rifinire i dettagli della sua vanità, quella l’aveva persa quasi completamente nel periodo di lontananza; stava cercando di mettere ordine fra i suoi pensieri e di tenere a bada l’agitazione, perché sapeva che anche lui avrebbe sicuramente presenziato a quell’evento, per far avvertire alla gente di Altieres la sua presenza. Era sempre stato bravo a fare le cose nel modo giusto, per farsi amare dal popolo: era stato cresciuto per quello, ma di certo aveva anche una naturale predisposizione al potere. Era nato per fare da guida, Sophia ne era convinta e non le costava nemmeno più molto ammetterlo, anzi. Sperava che la cosa diventasse presto chiara a tutti, che lei non era l’unica opzione, forse non era nemmeno l’opzione migliore. Così avrebbero smesso di starle addosso con l’ossessione di salvarla a ogni costo.
Qualcuno busso alla porta, facendola riemergere di soprassalto dai suoi pensieri.
«Entra pure Cain, sono pronta».
«Sono Justin» disse il ragazzo dall’altra parte della porta, dopo essersi schiarito la gola. Sophia si guardò un’ultima volta nello specchio per ricomporre la sua espressione, e andò ad aprirgli.
«Beh, ma che damerino! La divisa ti sta un incanto Justin, anche se ti fa sembrare molto più grande e molto più serio» disse ridendo, di fronte alla posa solenne e formale del giovane soldato. Lui rimase in silenzio e lei pensò di averlo offeso, quindi smise subito di sorridere e lo guardò in viso. Non sembrava risentito, piuttosto… sorpreso, con gli occhi allargati e la bocca leggermente aperta. La stava guardando dalla testa ai piedi, con lo stupore di un ragazzino davanti alla statua di una dea. Sophia si sentì avvampare e distolse lo sguardo, mentre Justin si passava una mano fra i capelli con quel gesto che ormai la ragazza aveva imparato a riconoscere.
«Siete molto bella, principessa».
La chiamava sempre così: nelle situazioni ufficiali, al collegio, quando erano da soli. Sophia gli aveva chiesto di usare un tono meno formale e soprattutto un titolo meno altisonante, ma lui ci riusciva solo durante le lezioni di scherma. Per il resto del tempo manteneva quell’educazione riguardosa, che usava solo con lei, forse perché desiderava che Sophia non lo vedesse come un ragazzino, scapestrato e rozzo. In realtà le piacevano molto i suoi modi, la facevano sentire preziosa e percepiva il calore e il rispetto con cui le venivano rivolti.
«Grazie» rispose, adeguandosi al suo un tono più formale «anche voi state molto bene con la divisa di Altieres». Lui fece un inchino senza commentare, e quando si rialzò non la guardò più direttamente. Sembrava intimidito, forse era agitato anche lui come tutti gli altri per la sua apparizione pubblica. «Siete pronta ad andare? Giù ci sono Ashton Blackmore, il vostro tutore e metà caserma di Altieres che vi aspettano, quindi potete stare tranquilla. Io resterò al vostro fianco tutta sera e…».
«Vi ringrazio, ma io non sono minimamente preoccupata» lo interruppe Sophia, perché se avesse sentito di nuovo dettagli sulle precauzioni che erano state prese quella sera per la sua sicurezza allora sì, le sarebbe montata dentro l’agitazione. E lei voleva solo godersi quella serata di libertà, non pensare che sarebbe uscita con un seguito molto più ingombrante di quello della processione ufficiale.
«Andiamo, non facciamo aspettare tutta quella gente» aggiunse risoluta, sollevandosi un po’ il vestito per non inciampare in quelle gonne vaporose, a cui non era più abituata, mentre scendeva le scale.
La sua comparsa nella sala principale fece scendere un improvviso silenzio, che lei attribuì alla preoccupazione che percepiva provenire un po’ da tutti i presenti.
«Sophia, sei bella come un sogno stasera. Hai scelto tu questo splendido abito oppure è opera del buon gusto di Ashton?» commentò Brice, facendole alzare gli occhi al cielo per la scarsa fiducia che ancora riponeva nel suo stile.
«Io ho scelto la stoffa, signore» gli rispose, in tono un po’ piatto e senza spreco di parole, per non ammettere che in effetti la sarta si era consultata con Ashton per il modello.
«Beh, in ogni caso mi sembra un’ottima scelta per la tua prima apparizione pubblica. Sarà un ritorno in grande stile, e spiccherai come un magnifico astro del cielo in mezzo a tutte le divise nere del tuo esercito».
Brice stava cercando di alleggerire l’atmosfera, e lei gliene era molto grata. Le era mancato davvero tanto in quei mesi, soprattutto perché lui sembrava sempre sapere qual era la cosa migliore da fare in ogni situazione, specie in quelle che avrebbero messo a disagio la maggior parte dei gentiluomini. Sapeva che l’avrebbe accompagnata alla festa, ma per fargli capire quanto teneva alla sua presenza gli chiese comunque: «Voi verrete con noi, vero?».
«Sì, ma certo mon cherì. Comunque non riuscirei né a divertirmi in qualche taverna né a dormire nel mio letto sapendoti in giro per le strade stasera. Senza nulla togliere ai valorosi soldati di Altieres» disse in fretta, dato che il capitano Dartmont aveva preso a guardarlo un po’ di traverso. «Inoltre devo verificare a che punto sono le tue buone maniere nelle occasioni pubbliche» aggiunse, sistemandosi il mantello e specchiandosi nel riflesso di una finestra, gesto che gli vedeva fare ogni volta che si trovava davanti una superficie riflettente.
«Bene, allora possiamo avviarci» sentenziò il padrone di casa e, facendo un rapido inchino rivolto proprio a lei, le riservò uno sguardo pieno di approvazione. «Sei davvero bellissima Sophia. Sembri molto cresciuta in questi mesi».
«Grazie» rispose Sophia con voce lieve e occhi bassi, perché un complimento di Ashton le faceva sempre un certo effetto. Anche se non le accelerava più il cuore come accadeva un tempo. Erano altri occhi, adesso, a decidere il ritmo della sua agitazione.

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Capitolo 10
*** L'incontro ***


Gabriel
 

Il colore del mare di Altieres illuminato dai raggi del sole, ecco cosa gli richiamava alla mente quel vestito. Come un lampo che attraversa il cielo notturno, continuava a comparire e scomparire fra le schiere di soldati che lo circondavano. Che circondavano lei.
Così gli era apparsa Sophia quella sera, luminosa e irraggiungibile come una stella. Se lo aspettava, sapeva che l’avrebbe rivista ufficialmente quella sera, ma la consapevolezza non aveva quasi per nulla affievolito l’effetto che la sua presenza ebbe sul suo cuore. L’agitazione gli stava montando dentro come una marea, rischiando di infrangere i margini del suo autocontrollo. Mantenere la sua solita apparenza fredda e distaccata stava costando a Gabriel un enorme sforzo. I suoni che lo circondavano erano diventati un unico rumore confuso e le immagini nel suo campo visivo si muovevano al rallentatore, come slegate dal tempo. O forse era lui ad essere uscito dal flusso temporale.
Il tocco improvviso di una mano sul suo braccio lo riportò alla realtà, e tutti i suoni del mondo tornarono ad invadergli le orecchie. Si voltò per incontrare il volto di suo cugino Jerome, su cui trovò silenzio e comprensione.
«Sto bene» gli disse distogliendo il braccio, per rassicurarlo. Per rassicurare sé stesso.
«Mi sembra al sicuro, c’è praticamente metà caserma con lei. E anche il vampiro Blackmore e quell’odioso Vandenberg le fanno da scorta» aggiunse, pragmatico ed efficiente, aggrappandosi alla sua razionalità di soldato. Ma i suoi occhi si erano soffermati sul cugino Justin, accanto a Sophia, troppo vicino per i suoi gusti, come indicava la luce cupa che aveva indurito il suo sguardo.
«Si aspetteranno che tu le rivolga un saluto formale stasera. Evitarlo ancora potrebbe apparire come una grave mancanza di rispetto» disse Jerome fra i denti, per non farsi sentire dalle cugine, che li avevano accompagnati alla processione.
Gabriel sapeva che l’amico stava usando il suo senso pratico solo per evitargli di combinare qualche cavolata, ma non poté fare a meno di pensare che a volte sembrava più suo padre che un suo coetaneo. Gli rivolse uno sguardo scocciato prima di rispondere.
«Lo so. So ancora come ci si comporta nelle occasioni ufficiali» aggiunse, con la voce più cupa dei suoi occhi.
Lo sapeva, certo. Ma quanto gli sarebbe costato…
Salutarla formalmente, con distacco e reverenza, come se fosse una perfetta sconosciuta. Rivolgerle poche parole, al massimo un inchino, quando tutto ciò che desiderava era correrle incontro, abbracciarla forte e tenerla per sempre al sicuro fra le sue braccia.
Da quando era diventato così sdolcinato? Lo struggimento amoroso proprio non gli si addiceva. Cercò di scacciarlo, scuotendo la testa e stringendosi gli occhi con una mano, e, una volta ricomposto, si avviò verso di lei.
Mentre i soldati aprivano il loro schieramento per far passare lui e gli altri ragazzi di Altieres, che come lui volevano salutare la principessa, Sophia si voltò e lo guardò. Il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi in un momento sospeso fra i loro occhi. Il suo vestito sembrava un mare calmo, ma gli occhi che lo stavano guardando assomigliavano più alle onde di un mare in tempesta. Percepì agitazione e turbamento, lei non aveva ancora imparato a controllarli quelli. Ma durarono solo un momento, poi Sophia abbassò gli occhi lucidi sulla sua divisa, come per fargli un leggero inchino.
Lei si stava inchinando?! Sembrava presa alla sprovvista e allo stesso tempo composta, aggraziata, come una perfetta principessa della corona. Da così vicino poteva osservare i dettagli dei cambiamenti che aveva percepito da lontano. Era così magra che ora sul suo viso sporgevano gli spigoli delle ossa, rendendola più affilata, più fragile, ma anche regale. Il suo portamento si era fatto più rigido e più composto, elegante, più simile a quello degli adulti: assomigliava più che mai a una regina, una regina a cui lui avrebbe volentieri giurato fedeltà per seguirla fino all’inferno. Emanava un nuovo fascino, ammaliante e conturbante, e lui non riusciva a smettere di fissarla. A distoglierlo fu un movimento al margine dei suoi occhi: la mano di Sophia si era tesa verso quella di Justin, con un gesto familiare, intimo, e ora la stava stringendo come per aggrapparsi. Come se Justin adesso fosse la sua ancora di salvezza. Quell’immagine sbloccò il tempo e gli mandò tutto il sangue al cervello, rendendolo furioso e dolorosamente consapevole del presente. Sophia non aveva proferito parola, non lo aveva salutato e non lo aveva nemmeno più guardato. Sembrava sulle spine, in attesa della sua reazione. Dio quanto avrebbe pagato per poter riavvolgere il tempo e tornare a un anno prima, per riavere quello sguardo di sfida che lei gli aveva lanciato addosso proprio in quella stessa occasione, incurante delle circostanze ufficiali. Nei suoi occhi c’erano ribellione e odio, ma facevano meno male degli occhi che ora non lo guardavano più.
Studiò il suo volto ancora per un momento, alla disperata ricerca di una speranza a cui aggrapparsi. Poi, non sopportando più quegli occhi abbassati, le rivolse un inchino profondo, per darle modo di rialzarsi.
«Principessa… bentornata» bisbigliò con voce bassa e tono formale.
«Capitano Stuart». Il titolo ufficiale con cui lui le aveva chiesto di chiamarlo in quell’ultimo terribile incontro. Ora gli suonava come vetri rotti nelle orecchie.
Ma poi lei proseguì…
«Spero stiate bene».
Lo disse con voce delicata, calorosa, con un tono malinconico che fece scorrere nel suo sangue tante piccole scosse elettriche e riaccese una scintilla di speranza. Si raddrizzò e tornò a guardare nei suoi occhi, in cerca di conferme. Erano liquidi e profondi, e a lui sembrò di affogarvi dentro. Gli macò il fiato, gli mancarono le parole, quindi si limitò a guardarla intensamente e ad annuire.
Dopodiché Fayette e Caroline si misero in mezzo con le loro chiacchiere rumorose, togliendoli dall’imbarazzo del congedo.
«Sophia sei bellissima con questo vestito! Che colore stupendo, dove hai preso la stoffa? La voglio anche io. Ti fa sembrare proprio una principessa». Fay aveva già attaccato con i suoi fiumi di parole e il suo entusiasmo aveva riportato il sorriso sul viso di Sophia.
Gabriel esitò ancora un momento davanti a quella scena, perché Dio solo sapeva quanto aveva atteso di rivedere quel sorriso. Sentì su di sé lo sguardo compassionevole di Dartmont, che ormai aveva iniziato a intuire qualcosa e, proprio per non sentirsi troppo esposto, fece un veloce inchino generale, rivolto a tutti e a nessuno, e si voltò per andarsene, con Jerome al seguito.
Aveva fatto il suo dovere, aveva affrontato quel momento, ora desiderava solo far andare le mani, o la spada, scontrarsi, azzuffarsi, immergersi nel combattimento, per dimenticare ciò che quelle mani avrebbero veramente voluto stringere.

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Capitolo 11
*** Il compromesso ***


Sophia
 
Anche in quella stagione dal clima avverso, la serra del suo tutore risplendeva di vita e nell’aria si sentivano i dolci profumi della fioritura. Una grande varietà di fiori e piante offrivano uno spettacolo dalle mille tonalità di verde, che faceva sembrare quel posto, circondato di luce e di silenzio, un regno magico fuori dal tempo.
Mentre aspettava di incontrare Brice, Sophia aveva girovagato un po’ per le varie stanze, alla ricerca dell’origine di quel delicato profumo che l’aveva accolta al suo ingresso nella serra. Era arrivata ad una pianta non particolarmente appariscente, ma ricoperta di piccoli fiori dai colori tenui e delicati. Erano loro, timidi e discreti, a inondare l’ambiente con quel profumo avvolgente e a creare un’atmosfera rilassante.
«È un calicanto invernale, una delle piante più resistenti al gelo. Non è particolarmente bella, ma mi piace tenerne alcune qua e là nella serra per il profumo che emana dai suoi fiori. Non trovi che aiuti a distendere i nervi?» disse Brice, giunto silenziosamente alle sue spalle.
«Sì» rispose lei esitante, stupita dalla facilità con cui il suo tutore aveva intuito l’oggetto dei suoi pensieri. La sapeva leggere con una precisione sempre più accurata, mostrando per lei una sensibilità che raramente impiegava per il resto del mondo.
«Sophia stai pensando di dedicarti al giardinaggio finalmente? Sai che ne sarei molto felice. È un’attività che si può praticare al sicuro in una serra chiusa e protetta, perfetta per imparare a sviluppare la pazienza e un certo gusto estetico».
«Questo posto sembra essere sfuggito all’inverno. Non sapevo che ci fossero anche qui nella Vecchia Capitale delle piante in grado di fiorire con queste temperature».
«La mia serra serve proprio a questo. Protegge la bellezza dalle avversità del mondo esterno, inevitabilmente attraversato dallo scorrere delle stagioni, e consente anche ai fiori più delicati di sbocciare».
«Quindi mi state dicendo che in realtà avete sempre amato prendervi cura delle creature fragili e delicate?» disse Sophia con un sorrisetto affettuoso.
«Se non parlano, non piangono e non hanno le gambe per scappare, allora sì» rispose Brice, scherzando solo in parte.
«Sei veramente venuta per una lezione di botanica o volevi parlarmi di qualcosa?» proseguì lui per darle modo di sputare il rospo, dato che Sophia sembrava parecchio sulle spine. Raramente la trovava a corto di parole. Vederla esitare in silenzio fece aumentare la sua preoccupazione che quella conversazione, a un certo punto, avrebbe previsto domande difficili e una fanciulla in lacrime.
«Volevo parlarvi di una cosa in effetti…» iniziò lei timidamente.
Vedendo che non proseguiva, Brice appoggiò il vaso di viole del pensiero che teneva in mano e iniziò a dirigersi verso il suo studio.
«Credo sia meglio se ci sediamo Sophia, ho l’impressione che servirà un po’ di tempo per vuotare il sacco questa volta. Chiedo a Morton di portarci il tè».
Sophia lo seguì senza fiatare, grata del fatto che il suo tutore maneggiasse sempre con un certo senso pratico le situazioni complicate, mostrandosi predisposto all’ascolto prima che al giudizio.
«Ho pensato molto a come sottoporvi la questione. Ma non sono brava con i discorsi, quindi credo sia meglio che io semplicemente vada dritta al punto. Ne parlo con voi prima che con chiunque altro perché credo siate la persona che meglio può capire la mia sensazione di soffocamento. Non posso più vivere con tutte queste restrizioni e divieti. Questa non è la vita che desidero e, onestamente, non credo che tenermi sotto una campana di vetro aiuterà davvero a risolvere questa situazione. Capisco bene che tutti vogliano solo garantire la mia incolumità affinché io possa compiere il mio destino e diventare regina, ma se vado avanti così diventerò pazza prima che quel momento giunga. Aggiungerei il piccolo particolare che io non ho mai chiesto tutto questo: sono passata dall’essere un’orfana senza passato né famiglia, al diventare la legittima erede di un regno. Non mi ero mai veramente fermata a pensare a cosa tutto questo comportasse, non ne ho avuto il tempo. Sono stata spostata da un collegio all’altro senza che nessuno chiedesse la mia opinione, lontana dai miei amici di sempre e da Julian, l’unica famiglia che io abbia mai avuto. Come se non bastasse, non sono più stata libera di prendere decisioni, perché il controllo della mia vita è stato affidato a un tutore. Non fraintendetemi» si affrettò ad aggiungere Sophia «voi siete il meglio che poteva capitarmi. Non è la vostra guida che contesto, ma la situazione in sé. Improvvisamente il mio matrimonio è diventato una faccenda pubblica, una questione più politica che di cuore, e adesso mi ritrovo fidanzata ancor prima di capire cosa siano sentimenti e relazioni, senza vivere liberamente le esperienze legate alla mia età, senza la possibilità di scegliere, né di commettere errori».
«Quindi è Justin Sinclair il problema? Le cose fra voi non stanno… funzionando?» si intromise Brice, per cercare di focalizzare il problema in quel flusso di parole che in parte lo metteva a disagio e in parte lo sorprendeva, perché Sophia stava parlando come una persona molto diversa dall’orfana che gli era stata affidata per la prima volta più di un anno fa.
«No, Justin è fantastico, è un ragazzo gentile e molto rispettoso. Nei mesi che abbiamo passato alla tenuta in Altieres si è rivelato una presenza solida e confortante, un sostegno prezioso. Un… amico prezioso, credo» disse Sophia arrossendo un po’. «Vedete, è questo il problema. Siamo entrambi troppo giovani per capire esattamente il significato di certe etichette. È stato stabilito che noi dovessimo essere fidanzati, ma… ma non capisco se è quello che davvero vogliamo. Cioè, non so se questa strada ci renderà felici».
«Sophia… Forse ti sembrerà un po’ brutale, ma una principessa della corona non può permettersi di inseguire cose come la felicità e il vero amore. Quella decisione è stata presa per rendere più solida la tua posizione di erede al trono, lo sai. L’unica alternativa che potremmo prendere in considerazione sarebbe Gabriel Stuart Sinclair, te lo avevo già spiegato. Lui sarebbe stata una scelta ancora più conveniente, dato che ha già l’appoggio dell’esercito di Altieres. Ma gli Stuart di Maderian sono avidi di potere e da anni hanno delle mire sul trono di Altieres, non possiamo considerarlo un’opzione abbastanza affidabile. Detto fra noi, non abbiamo ancora escluso che ci sia proprio la sua famiglia dietro gli attentati alla tua vita». Brice aveva osservato Sophia per tutto il tempo mentre le spiegava la situazione, per indagare le sue reazioni. Non aveva potuto fare a meno di notare che, a sentir pronunciare ad alta voce il nome del Capitano Stuart, Sophia aveva subito abbassato lo sguardo e aveva iniziato a tormentarsi le mani in grembo, tentando di nascondere un palese nervosismo. Per capire meglio cosa stesse succedendo, Brice decise quindi di proseguire: «Però, se proprio lo desideri, posso tastare il terreno e capire se lui potrebbe essere interessato a un eventuale fidanzamento con te. È molto avvenente e non ci sono dubbi sul suo valo…».
«No no no, vi prego no» lo interruppe Sophia saltando in piedi e agitando le braccia per sottolineare la sua contrarietà a quella proposta.
«Non chie… Non dite» sembrava molto agitata, e scossa, tanto da non riuscire più a formulare frasi di senso compiuto. Chiuse gli occhi e prese due profondi respiri per ricomporsi, prima di proseguire.
«Non è questo che intendevo. Quello che sto cercando di dirvi è che non so se è questa la vita che voglio. Principessa, erede al trono, Rosa dei Blackmore, fidanzata ufficialmente, in pericolo di vita proprio per tutte queste ragioni. È… troppo. È tutto troppo. E io devo ancora capire chi sono. Stare in esilio e poi rinchiusa in casa, sorvegliata a vista, non mi sta aiutando a chiarirmi le idee. Non so nemmeno se sarò mai all’altezza di tutti questi ruoli, di tutte queste aspettative. So che voi e Ashton state facendo del vostro meglio per prepararmi, ma non si può negare che io sia quindici anni in ritardo sulla tabella di marcia. Ci sono persone che vengono istruite sin dalla nascita per diventare regnanti e assumersi l’incarico di guidare un’intera nazione. Siamo sicuri che non sarebbe meglio scegliere una di queste persona per governare Altieres?».
Brice iniziava a intuire cosa Sophia stesse cercando di dirgli. Lo inteneriva vedere tutte quelle insicurezze affiorare improvvisamente nella sua giovane pupilla, e in realtà comprendeva bene quella sensazione di inadeguatezza e quel sentirsi schiacciati sotto il peso di aspettative troppo grandi per un solo essere umano. Avrebbe dovuto aspettarselo.
«Voglio dire, sono grata per tutto quello che state facendo per me. Ma forse sarebbe più semplice per tutti se io rinunciassi al mio diritto al trono e tornassi ad essere una semplice ragazza comune. Cioè, certo, non potrei smettere di essere l’ultima dei Blackmore, garante del patto con il Presidio, ma almeno non sarei più una principessa. Forse la mia vita smetterebbe di essere in pericolo, e persone che nemmeno conosco non correrebbero più rischi per proteggermi, e io sarei libera di tornare a fare la vita da studentessa che avevo appena iniziato ad assaporare lo scorso anno, ma che mi piaceva tanto. Ho bisogno di essere più libera, non posso continuare a vivere rinchiusa o costantemente scortata, non fa per me». Sophia aveva buttato fuori quelle ultime parole come se fossero un peso che le schiacciava il petto da troppo tempo. Era stata coraggiosa. E proprio le sue preoccupazioni di non essere all’altezza, la rendevano la persona migliore per guidare un regno e il suo popolo. Brice pensava questo, ma non glielo disse. Non era il momento di parlare con Sophia la principessa erede al trono di Altieres. In quel momento era la ragazza adolescente a sentirsi maggiormente in difficoltà, ad aver bisogno di conforto e attenzioni.
«Sophia, capisco quello che stai cercando di dirmi. Suggerisco di non prendere grandi decisioni troppo in fretta, anche se sì, potrai sempre scegliere di rinunciare al tuo titolo. Ti sei appena affacciata a questa nuova vita che, in effetti, ti è piovuta addosso un po’ all’improvviso, imponendoti nuovi obblighi e limitando parecchio la tua libertà. Non hai avuto nemmeno il tempo di abituarti, sei stata trascinata in nuovi posti e nuove situazioni, costretta a vivere in un modo nuovo. Ma non fare il paragone fra te e chi ha avuto tutta la vita per prepararsi a obblighi e responsabilità, sarebbe ingiusto e inutile. Se ti confronti con gli altri, rischi di pregiudicare la tua fioritura, che avverrà quando sarà il momento, secondo i tuoi tempi. E, a mio avviso, sarà uno spettacolo indimenticabile. Io me ne intendo di fioriture» disse Brice, facendole l’occhiolino.
«Proviamo a risolvere un problema alla volta per ora, senza toccare il tuo titolo. Se vuoi essere più libera, possiamo concordare delle situazioni che ti consentano di uscire e vivere la tua vita, senza metterti troppo in pericolo. Cosa ne pensi?».
«Mi sembra un buon inizio» rispose Sophia, con gli occhi liquidi per la fatica del discorso che aveva appena fatto e la commozione della comprensione che aveva ricevuto.
«Non ti garantisco che potrai tornare a frequentare le malfamate bettole della Cittadella con quegli scapestrati di Julian e Jordan, sarebbe davvero molto rischioso e, onestamente, vorrei che tu possa vivere il più a lungo possibile, regina o non regina». Quella precisazione finale le riempì il cuore di un sentimento caldo e calmò una delle paure che le pungevano il cuore: forse il suo affetto non sarebbe cessato se lei avesse un giorno deciso di rinunciare al suo titolo.
«Cosa ne pensi di iniziare con il teatro? È un luogo di cultura e bellezza, e gli spettacoli teatrali spesso contengono interessanti spunti su sentimenti e relazioni, anche se personalmente preferisco di gran lunga quelli che si occupano di combattimenti. Tu avrai un po’ di libertà e io manterrò intatta la reputazione di tutore che garantisce l’incolumità della sua pupilla e le fa frequentare solo i posti più prestigiosi. Che dici, può essere il nostro primo compromesso?».

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Capitolo 12
*** Piccolo Demone ***


Gabriel
 
«Hai visto la sua faccia? Sembrava sul punto di vomitare» disse Deline con un sorrisetto compiaciuto, che toglieva tutta la poesia da quella sua bella bocca a cuore.
«In giro si dice che passi la maggior parte del suo tempo chiusa in casa per complottare coi demoni del Presidio, forse è per questo che ha quel colorito terribile. Non la chiamavi anche tu con quel nomignolo... “sporco demone”?».
Acuta e fastidiosa, la voce della dama avvinghiata al suo braccio gli suonò come lo stridio del gesso sulla lavagna: stava prendendo quel suo modo di chiamarla, che col tempo era diventato un gioco affettuoso fra lui e Sophia, e lo stava modificando a suo piacimento, lo stava usando contro di lei.
Non si degnò di rispondere a quelle parole tanto perfide e iniziò a pentirsi amaramente della sua decisione affrettata.
Aveva saputo che quella sera Sophia sarebbe stata a teatro, da giorni la caserma era in subbuglio per quell’evento: c’erano praticamente metà dei soldati di Altieres lì a proteggerla, anche se erano rimasti con discrezione fuori dalle porte del teatro, forse per dare alla principessa un’illusione di normalità. Lui non era molto d’accordo con quella scelta, ma, non facendo ufficialmente parte della sua scorta, non aveva avuto voce in capitolo. Nulla, però, gli impediva di frequentare il teatro come un normale studente che partecipa agli spettacoli per accrescere la sua cultura. Inoltre la sua famiglia possedeva un palco in quel particolare teatro, quindi nessuno avrebbe trovato strana la sua presenza. E, per completare la messinscena, aveva deciso di portare con sé un’accompagnatrice, che agli occhi di tutti sarebbe parsa come l’ennesima conquista, anche se da un po’ di tempo non si dedicava all’arte del corteggiamento. Quindi, ecco a cingere il suo braccio la mano possessiva e per niente delicata di Deline Freys di Mistran, che, nonostante i loro trascorsi, non aveva ancora abbandonato le speranze di una possibile relazione fra loro. Gabriel temeva di aver agito con eccessiva leggerezza chiedendole di accompagnarlo in una situazione così ufficiale, ma lei gli aveva reso le cose davvero facili: aveva accettato subito il suo invito brusco e affettato, sentendosi una specie di prescelta fra le schiere di ammiratrici del Capitano Stuart, che si erano solo che ampliate da quando aveva accentuato il suo comportamento cupo e tormentato. Lui voleva una soluzione facile al suo problema, che possibilmente non diventasse una scocciatura ancora più grande dopo quella serata; ma forse la damigella in questione si stava facendo non poche illusioni. E stava sparlando di Sophia, perdendo ai suoi occhi tutta la poesia. Certo lui non era tanto migliore, considerato che la stava solo usando per raggiungere il suo vero obiettivo: andare a sorvegliare Sophia. E magari stuzzicarla un po’, dato che una parte di lui non poteva fare a meno di sperare e voleva scoprire se sarebbe stata gelosa di vederlo con un’altra. Da quando si metteva a fare quei giochetti stupidi? Ancora lo sconcertava scoprire quanto i sentimenti lasciassero emergere le debolezze delle persone, facendole comportare in modi illogici e infantili.
Sophia sarebbe stata appiccicata a Justin anche quella sera, cosa che non smetteva ancora di fargli salire il sangue alla testa, ma di cui comprendeva la necessità. La sicurezza della principessa prima di tutto. Ecco perché non riusciva a spiegarsi il motivo per cui Sophia stesse girovagando da sola per i corridoi del teatro durante l’intervallo. Non aveva previsto di incontrarla così da vicino, e men che meno riusciva a interpretare la sua reazione: appena li aveva visti insieme, si era bloccata e aveva iniziato a indietreggiare di qualche passo, fissando la mano di Deline che stringeva il suo braccio come se fosse una bestia feroce pronta ad aggredirla. I suoi occhi si erano spalancati e il suo respiro aveva accelerato il ritmo, come se improvvisamente fosse in affanno. Lui non aveva fatto in tempo a reagire a quella scena, perché Sophia li aveva salutati bruscamente e li aveva superati iniziando a camminare più veloce, presa dall’urgenza di andare da qualche parte. Ma sapeva dove si stava dirigendo? Il palco dei Blackmore era nella direzione opposta.
«Inoltre sembra che non abbia ancora imparato le buone maniere» aggiunse Deline, sempre più petulante, riscuotendolo dai suoi pensieri.
«Hai visto come ci ha salutati?».
Si volse bruscamente verso di lei per farle un mezzo inchino, senza più ascoltarla né degnarla di una risposta, e seguì Sophia che sì, in effetti aveva assunto un brutto colorito e un’aria confusa dopo averli visti. A primo impatto poteva sembrare gelosia, ma Gabriel tentò di non soffermarsi troppo su quel pensiero, perché la speranza lo allontanava dalla razionalità. Non era più abituata ad uscire, forse per quello era sembrata così disorientata. Aveva sentito l’impulso di seguirla, per controllare che stesse bene e che non si perdesse nel labirinto di corridoi del teatro. E comunque perché diavolo era da sola? Normalmente c’erano tra le venti e le trenta persone ad occuparsi della sua sicurezza, senza contare Justin, che era la sua ombra ogni volta che lei usciva dalla residenza di Altieres. Si guardò intorno continuando a camminare: nessuna traccia dei soldati o di suo cugino. Lo spettacolo stava riprendendo, le persone erano tornate tutte ai propri posti. Calò il silenzio nel teatro e Gabriel ebbe un brutto presentimento, la strana sensazione di un attimo. Si affacciò rapidamente alla balaustra, giusto in tempo per vedere un lampo di azzurro turchese sfrecciare rapidamente giù per le scale, verso l’uscita.
Subito partì di corsa per seguirla. Quella sconsiderata stava lasciando il teatro passando dall’ingresso di servizio, dove non c’erano guardie della sua scorta appostate: da lì nessuno l’avrebbe vista uscire e sarebbe stata sola per le strade della Vecchia Capitale.
Scese le scale come il vento e si lanciò fuori dalla prima porta che trovò: era in strada, ma di Sophia nessuna traccia. Una sottile nebbia stava iniziando a diffondersi nell’aria, riducendo la visibilità sia a destra che a sinistra. La scapola con la croce nera iniziò a pizzicargli lievemente, un segnale che confermava i suoi presentimenti. Continuava a esitare appena fuori dal teatro, non voleva sbagliare direzione, cercava indizi nell’aria fredda e sempre più opaca, tentando di tenere a bada l’agitazione. Ma il pensiero di Sophia, da sola, là fuori in mezzo a quella nebbia innaturale, stava lentamente sgretolando la sua lucidità. Improvvisamente gli arrivò alle orecchie un vago nitrire di cavalli, seguito da un vociare sommesso: sinistra.
Partì correndo in quella direzione, sapendo che non era la scelta migliore: avrebbe dovuto prima chiamare rinforzi, o quanto meno avvisare qualcuno. Ma non era con la testa che aveva deciso. Qualcosa di molto più urgente stava muovendo le sue gambe, e l’istinto gli aveva fatto appoggiare la mano sulla scapola sinistra per estrarre la sua spada di luce, pronto ad usarla contro chiunque stesse mettendo in pericolo la vita del suo piccolo demone.
Sbucò in uno spiazzo che non riusciva a riconoscere a causa della foschia, e si ritrovò davanti una scena che non si aspettava: una schiera di uomini a cavallo, almeno una quindicina, aveva circondato Sophia. Ma lei non era tremante e spaventata al centro di quel cerchio minaccioso. Stava brandendo una spada contro di loro, sfidandoli ad attaccarla. Cosa stava facendo? Dove aveva preso quella spada? Era completamente impazzita?
Gabriel si riprese dal momentaneo stupore e, senza esitare, si gettò nella mischia, correndo verso Sophia per mettersi fra lei e quegli uomini armati.
«Scappate principessa» le gridò appena fu abbastanza vicino.
Sophia trasalì nel sentire la sua voce, nel vederlo arrivare proprio lì, proprio in quel momento, con la sua spada di luce in mano. Ma sembrava più sorpresa che spaventata.
«Nemmeno per sogno» gli rispose con voce ferma e decisa. «Cosa ci fate qui Capitano Stuart?» aggiunse poi, non come una domanda, ma come un’accusa.
Gabriel esitò un momento, cercando di interpretare il tono di quelle parole. Poi la sua mente di soldato prese di nuovo il sopravvento e fece la cosa giusta:
«Ho sentito i cavalli, ero il più vicino. Ma ho mandato Justin ad avvisare la vostra scorta, stanno arrivando». Un tentativo di spaventare il nemico, l’unico modo per avere una chance in una situazione di schiacciante inferiorità numerica.
«E comunque cosa vogliono da voi questi gentiluomini?».
«Non lo so, me lo stavano appunto per dire».
Gli rispose senza guardarlo, i suoi occhi fissi sull’uomo che le si era parato davanti e che sembrava il capo del gruppo. Indossavano tutti dei mantelli neri, ma, nei brevi raggi di luna che avevano illuminato la piazza, erano apparsi frammenti di stoffa color porpora. Non si potevano fare supposizioni o emettere accuse, non ancora. Meglio chiedere spiegazioni in modo neutrale prima, così gli aveva insegnato Dartmont, che aveva più volte ribadito quanto la diplomazia fosse una questione fragile e spinosa.
«Non vogliamo farvi del male principessa. Abbiamo solo bisogno di portarvi con noi». La voce dell’uomo era uscita attutita, probabilmente a causa della benda che gli nascondeva metà viso, segno piuttosto inequivocabile delle sue cattive intenzioni.
A quelle parole, Gabriel si mise fra la nera figura minacciosa e Sophia, con la spada pronta a colpire e una furia incandescente nella voce:
«Scordatelo» ruggì verso l’uomo. E, senza voltarsi, tentò di nuovo di convincere Sophia ad abbandonare la piazza: «Principessa mettetevi al sicuro».
«No».
Lei gli gettò addosso quel no con decisione, quasi indignata che lui le avesse chiesto di scappare.
«Sofia» tentò un’ultima volta «ti prego, vai. Te l’ho già detto una volta, mi concentro meglio se tu non ci sei». La voce gli si era addolcita mentre pronunciava quelle parole: la stava implorando, ma non gli importava, non gli importava del suo stupido orgoglio in quel momento, voleva solo vederla in salvo, lontano da quegli uomini pericolosi.
Lei esitò per un momento, come se qualcosa avesse fatto breccia nella sua ostinazione. L’aveva chiamata per nome di proposito, era la sua ultima speranza, il ricordo di un suono che le aveva sempre fatto vibrare qualcosa dentro.
Ma poi aveva scosso un momento la testa, forse proprio per liberarsi di quel suono, e aveva stretto la presa sulla spada: «Io non vado da nessuna parte. Mi sono allenata per difendermi da sola. Voi non siete tenuto a proteggermi. Vi ricordo che i miei talenti da demone» e sottolineò questa parte con sprezzo, facendo il verso alle sue parole di un tempo «mi proteggeranno. Voi mettetevi al sicuro».
Voleva mettersi a discutere con lui in quella situazione? Non era poi molto cambiata dopo tutto.
Gabriel si girò solo un momento, per rivolgerle uno sguardo furibondo e incredulo, carico di frustrazione, sperando di vedere un’espressione provocatoria in quegli occhi blu come il mare profondo. Ma no, lei era seria. Ostinata e irremovibile nella sua posizione.
«Non voglio interrompere uno screzio fra giovani innamorati» si intromise l’uomo in nero, «ma già che parlate dei vostri talenti da demone, principessa, sappiate che non ci farà molto piacere se deciderete di usarli» e mentre finiva questa frase fintamente innocua, aveva estratto una pistola e l’aveva puntata dritta verso il capitano Stuart.
«Se urlerete con quella vostra voce da mostro, o se cercherete di opporre resistenza, sparerò al vostro amico» concluse l’uomo, con un sorriso maligno che si percepiva anche attraverso il bavaglio.
Sophia abbassò subito la spada e impallidì vistosamente. Arretrando, si portò una mano alla bocca per mettere a tacere l’urlo di terrore che le stava salendo dal profondo.
Gabriel trovava inaccettabile quella minaccia, non voleva essere il suo ricatto, la causa della sua resa e del suo rapimento. Scattò come una molla verso quell’uomo, con l’intenzione di fargli chiudere la bocca per sempre. Ma due cose avvennero contemporaneamente, più veloci di lui: Sophia, nel vederlo lanciarsi verso la battaglia, cedette a un impulso incontrollato e lasciò uscire un grido che squarciò la notte; e l’uomo mantenne la sua parola: premette il grilletto e gli sparò. Due volte, al torace.
Nonostante il suo slancio impetuoso, Gabriel si bloccò sul posto, nella posizione di attacco. Si portò una mano sulla camicia, che non era più bianca, e subito dopo si sentì cadere verso il suolo. L’ultima cosa che percepì furono le mani di Sophia, che lo raggiunsero un attimo prima che toccasse terra per impedirgli di battere la testa. Poi l’oscurità lo avvolse.

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Capitolo 13
*** La ninna nanna di Altieres ***


 Gabriel


Un dolce profumo di agrumi e gelsomini in fiore, mescolato a quello più intenso della salsedine, avvolge i suoi sensi. Il sole caldo gli illumina il viso, obbligandolo a schermarsi gli occhi per osservare la scena bellissima del mare di Altieres e di Sophia che, come una bambina, corre sul bagnasciuga e gioca a rincorrere le onde. Anche la sua risata assomiglia a quella di una bambina, aperta e fragorosa, emana la spontaneità contagiosa di chi si sta divertendo un mondo e non conosce dispiaceri. Non sapeva bene quando, ma aveva iniziato a sognare di vedere quel tipo di gioia spensierata sul viso della sua principessa trovatella: mai più orfana, mai più sola, libera e lontana per sempre da minacce e turbamenti.
A un certo punto Sophia alza gli occhi, si accorge della sua presenza, e con quel meraviglioso sorriso sulle labbra inizia a corrergli incontro a piedi nudi sulla sabbia. Quando lo raggiunge, gli getta le braccia al collo e lo guarda adorante, come se al mondo non esistesse nient’altro di più importante.
«Stavi aspettando me principessa?» le chiede lui con una voce che stenta a riconoscere come sua, dolce, rilassata e piena dello stesso sorriso di lei.
Sophia non gli risponde, ma continua a guardarlo con quegli occhi di zaffiro e con quel sorriso pieno di un calore avvolgente, che inizia a sciogliere i suoi ghiacci perenni. Poi lei intona una melodia, un’antica ninna nanna di Altieres che gli richiama alla mente i pochissimi ricordi che ha della sua infanzia, di sua madre. La musica gli pervade la mente annullando tutti gli altri suoni e lentamente culla i suoi pensieri, stordendolo come il canto di una sirena. I raggi del sole gli accecano la vista e l’immagine di Sophia fra le sue braccia si fa sfocata, inizia a svanire lentamente, come un sogno lontano.
 
Gabriel scivolò lentamente via dallo stato di stordimento del dormi veglia, le membra pesanti e un leggero ronzio nelle orecchie. Una striscia di luce blu, flebile e incerta, gli raggiungeva gli occhi passando attraverso sbarre che non riconosceva, in una stanza fatta di pietre umide e di oscurità. Nell’aria c’era ancora la melodia del suo sogno, ma il calore e la pace erano completamente svaniti. Sembrava davvero la voce di Sophia, ma lei non poteva essere in quel luogo sconosciuto a cantargli una ninna nanna. Sbattè le palpebre per schiarirsi la mente e provò a muoversi, ma qualcosa glielo impediva. Un senso crescente di angoscia gli attraversò il corpo. Agitò le braccia e un rumore metallico confermò i suoi timori: era legato con delle catene. Quella era una vecchia prigione o qualcosa di simile.
«Capitano Stuart?».
C’era davvero la voce di Sophia! Tanto piena di dolore e di tristezza da risvegliarlo come un urlo.
«Capitano Stuart, siete sveglio?».
«Sì» riuscì a dire solo, perché improvvisamente ricordava tutto e la sua gola era serrata da una furia cieca: gli avevano sparato, per impedire a Sophia di urlare, per rapirla; e avevano preso anche lui, probabilmente come garanzia per la sua collaborazione. Ma era Sophia che volevano, viva, almeno per ora. Gabriel non ricordava nulla di quello che era avvenuto dopo l’agguato nella piazza dietro il teatro, ma per uscire da quella situazione aveva bisogno di indizi, informazioni, qualsiasi dettaglio.
«Principessa come siamo arrivati qui? Avete visto quegli uomini in volto? Hanno detto qualcosa riguardo alle loro intenzioni?».
«Perdete ancora sangue capitano? Le ferite si sono chiuse? Come vi sentite? Avete perso molto sangue, non ero sicura che vi sareste risvegliato. Non ho ancora capito come funziona esattamente il… il potere di guarigione della mia… della mia voce. Ho continuato a parlare, mentre ci trasportavano, vi ho tenuto vicino, perché non so se serve parlare all’orecchio di chi è ferito per… per fermare l’emorragia. C’era… c’era così tanto sangue» l’ultima parola fu interrotta da un singhiozzo, e tutte le altre erano pervase da un’angoscia che Gabriel non aveva mai sentito nella voce di Sophia, che non voleva sentire sulle sue labbra. Qualcosa sembrava averla scossa molto fra gli spari, il rapimento e la reclusione forzata. Avrebbe dato tutto il suo regno per poterla abbracciare in quel momento, per rassicurarla.
Non era bravo con le parole, ma provò ugualmente:
«Sto bene principessa, non dovete preoccuparvi. Non sanguino più. Sono rimasto privo di sensi così a lungo perché probabilmente la vostra voce mi ha indotto il sonno, fa parte del processo di cura. Mi sento riposato e forte. Sto bene».
«Mi hanno legata lontano da voi, quindi non ho potuto controllare se le vostre ferite si fossero rimarginate del tutto. Non sapevo cosa fare, ho continuato a parlare, e a cantare. Loro lo sapevano. Lo sapevano che non posso fare entrambe le cose contemporaneamente: finchè sono impegnata a guarirvi, non posso urlare per ferirli» stava piangendo a dirotto alla fine della frase.
«Perché eravate lì? Perché vi siete messo in mezzo? La mia sicurezza non è affare vostro! Non vi è mai stato chiesto di proteggermi. Siete la migliore opzione per Altieres e avete rischiato di morire. Lo capite che avete rischiato di morire?!»
Adesso stava urlando. Sophia era in preda a una crisi di nervi, sembrava fuori di sé dalla rabbia, o dalla disperazione. Gabriel non prestò attenzione a ciò che stava dicendo, perché era evidente che stava vaneggiando, e la lasciò sfogare.
«Siete rimasto lì immobile per così tante ore, e io non ero abbastanza vicina per sentire se stavate ancora respirando. E c’è buio, non vedo se il vostro torace si muove, se state sanguinando, se siete pallido come una persona che sta morendo... Non dovevate essere lì, non dovevate seguirmi» e a quel punto le lacrime presero il sopravvento e lei non riuscì più a parlare.
Gabriel attese in silenzio che il fiume di parole e di lacrime fluisse. Sophia aveva bisogno di un momento per scaricare la tensione accumulata e convincersi che la sua voce aveva funzionato: lui non era morto. Non sembrava minimamente preoccupata per sé stessa, ma solo per lui e la sua incolumità. Questa consapevolezza andò a ravvivare la fiamma della sua speranza e aumentò il desiderio di fare qualcosa per placare la sua agitazione.
«La canzone che stavate cantando, dove l’avete imparata?»
Un lungo silenzio accolse le sue parole, tanto da fargli pensare che lei non lo avesse sentito, o che non avesse intenzione di rispondere. Ma poi, con una voce ancora flebile ma più calma, lei disse:
«Me l’ha insegnata Justin. La cantava per me tutte le volte che non riuscivo a dor…». Si interruppe bruscamente, e Gabriel intuì che non voleva parlare di Justin con lui. Una fitta che non sapeva decifrare gli strinse il petto, ma la ignorò e cercò le parole per proseguire e distrarla:
«Parla di una madre, una giovane contadina, che, per far addormentare il suo piccolo ancora sveglio nel cuore della notte, gli racconta le leggende ispirate alle costellazioni della volta celeste, fino ad arrivare alla costellazione materna, formata dalle stelle che rappresentano l’amore di una madre per un figlio: cure, carezze, protezione, appartenenza, legame indissolubile e amore incondizionato. Così mi è sempre piaciuto immaginare che fosse. Grazie per averla cantata per me. Grazie per avermi salvato».
«Siete stato ferito a causa mia…».
«No» la interruppe bruscamente Gabriel, non sopportando l’idea che Sophia si torturasse con inutili sensi di colpa. «Gli uomini mascherati mi hanno ferito, mi hanno sparato. Devo capire chi sono e che intenzioni hanno. Magari anche come possiamo liberarci, così da restituirgli il favore. E ho bisogno del vostro aiuto per farlo: dovete riferirmi quanti più dettagli ricordate del posto in cui ci hanno portati. Avete sentito delle conversazioni? Hanno detto per quale motivo vi hanno rapita?»
«Non ho prestato molta attenzione alle loro parole, ero… stavo… ho parlato a voi più che altro durante il viaggio. Ogni tanto ho guardato il paesaggio, ma era buio nella carrozza. Inoltre non conosco il posto in cui siamo». A questo punto Sophia abbassò la voce prima di continuare, riducendola a un bisbiglio appena udibile: «Ma non dovete preoccuparvi, ho provveduto ad inviare queste informazioni a Eloise Weiss tramite il… il legame che ci connette. A questo punto avrà già avvisato i miei parenti Blackmore e il mio tutore».
«Bene. Hanno detto cosa intendono fare di voi i rapitori?»
Sophia fece una breve pausa prima di rispondere.
«Qualcosa ho sentito, ma dovete restarne fuori. Come dicevo prima, non fate parte della mia guardia personale, né della mia scorta. Proteggermi non è compito vostro. Direi che avete già rischiato abb…». Gabriel non la lasciò terminare:
«Io sono un capitano dell’esercito di Altieres, e voi siete la futura regina: proteggervi è un mio preciso dovere signora».
«Vostro preciso dovere è proteggere Altieres e pensare al suo futuro. Se mi succede qualcosa…»
«Non vi succederà niente. Non finché ci sarò io».
«Conosco il vostro coraggio Capitano, e conosco la vostra attitudine per le gesta eroiche. Ma vi faccio notare che siete incatenato a un muro in questo momento, e vi siete appena ripreso da un paio di ferite mortali. Quindi è al vostro senso pratico che sto parlando, nessuno mette in discussione il vostro onore di soldato. Siete secondo in linea di successione al trono di Altieres, la vostra vita è importante quanto la mia. Non possiamo… scomparire entrambi. È me che vogliono, su questo sono stati molto chiari. Hanno detto che vi spareranno ancora se sarà necessario».
Sophia era sfinita dalla stanchezza, ecco perché parlava a quel modo e faceva quegli assurdi discorsi. Gabriel capì che, per quanto desiderasse farle comprendere a fondo che la sua vita per lui era la cosa più importante, non era il momento di mettersi a discutere. Toccava a lui agire lucidamente. Ma non appena terminò quel pensiero, il cigolio di una porta pesante riempì la stanza: quattro uomini armati, con il volto ancora celato da un bavaglio, entrarono insieme alla luce di una lanterna.
«È arrivata la notte, siamo pronti a partire principessa» sentenziò uno di loro.
«Questa volta viaggerete da sola milady, quindi ora vi lascerete imbavagliare per bene e senza opporre resistenza, a meno che non vogliate che i miei uomini ficchino un paio di pallottole nella testa del vostro amico» aggiunse sghignazzando il brutto ceffo, mentre afferrava bruscamente Sophia per i capelli. Lei tremava visibilmente e aveva ripreso a piangere, ma, incurante del suo stato d’animo, lui le sollevò il viso senza delicatezza, con le sue mani lerce, e Gabriel decise in quel momento che lui sarebbe stato il primo a morire, non appena fosse riuscito a liberarsi da quelle maledette catene.
In quel momento si udirono dei rumori di cavalli provenire dall’esterno, e subito dopo degli spari e i suoni di spade che si scontravano con violenza.
Il tizio che stringeva Sophia per i capelli fece rapidamente segno a due sgherri di andare a controllare; nella cella restarono lui e il tirapiedi che puntava ancora una pistola alla testa di Gabriel. Il capo strattonò forte Sophia, provocandole un evidente dolore e, ormai in preda a una rabbia incredula, le urlò contro: «Cosa avete fatto maledetto demone? Quale oscura magia ci ha fatti trovare?»
Un movimento rapido attraversò la stanza e pose fine alle sue urla, mentre anche il tizio che teneva sotto tiro lui si accasciava al suolo, improvvisamente inerme. I vampiri Blackmore, subito seguiti da Bryce Vandenberg e Julian Lord, avevano fatto irruzione come il vento e stavano già liberando Sophia.
«Sophia come stai? Sei ferita?»
Fra lo stupore del salvataggio improvviso e i residui del dolore e della paura provati, Sophia non riusciva a rispondere, scossa da tremiti e da singhiozzi ormai fuori controllo. Lui la accompagnò con lo sguardo per tutto il tempo, anche mentre Adrian Blackmore – l’unico che sembrava essersi accorto della sua presenza – lo liberava dalle catene. Non era riuscito a fare nulla, non l’aveva protetta. Ormai certo che lei fosse al sicuro, si avviò barcollante verso l’uscita della cella con questo peso sul cuore.

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