Auror

di Guido
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo giorno ***
Capitolo 2: *** Il giuramento ***
Capitolo 3: *** Leggi, duelli e vestiti ***
Capitolo 4: *** Gufi e foto ***



Capitolo 1
*** Il primo giorno ***


IL PRIMO GIORNO

Il primo giorno


Ringraziamenti:
Questa storia non sarebbe mai nata senza il continuo
brainstorming con Delia e Pally – in rigoroso ordine alfabetico – quindi so con chi prendermela se non uscirò vivo dallo sforzo letterario...

I was raised out of steel here in the swamps of Jersey, some misty years ago
Through the mud and the beer, and the blood and the cheers, I've seen champions come and go
So if you got the guts mister, yeah, if you got the balls
If you think it's your time, then step to the line, and bring on your wrecking ball
Bring on your wrecking ball
Bring on your wrecking ball
Come on and take your best shot, let me see what you've got
Bring on your wrecking ball


[Bruce Springsteen, Wrecking Ball]




Harry ridacchiò e diede di gomito a Ron. «Ti ricordi l'ultima volta?»
«Quando ci siamo infilati nei gabinetti?» Il sorriso del suo migliore amico andava da un orecchio all'altro. «E chi se lo scorda!»
«Dev'essere stato divertente» commentò Neville, con un sorriso riflessivo. «Certo, fa pensare che i Mangiamorte non avessero un'alta opinione del Ministero...»
Ron scoppiò a ridere, ma sulle labbra di Harry il ghigno si raggelò.
Neanche a me è mai piaciuto il Ministero.
Pure Voldemort è entrato qui per portare via qualcosa... e poi ci è tornato da padrone.
Io, esattamente,
perché sono di nuovo qua?
Una domanda che preferiva accantonare. Lo faceva regolarmente. Ma questo non le impediva di riaffiorare con altrettanta regolarità.
Mentre l'ascensore arrivava, si disse che, se l'attività del Ministero era cambiata quanto suggeriva il nuovo aspetto dell'ingresso, i timori di Shacklebolt non avevano proprio ragion d'essere.
E allora perché...?
Con decisione, spostò i propri pensieri sull'ambiente circostante e la discesa che li attendeva: scomparsi i gabinetti – che del resto, come misura di sicurezza, avevano dato pessima prova di sé - adesso, a mascherare l'ampio spazio in cui sostavano e le sue pareti imbiancate a nuovo, provvedeva una falsa parete, un po' come al binario nove e tre quarti; proprio nel centro della stanza segreta, poi, un ascensore a cabina aperta, tutto vetro e oro, permetteva ad almeno venti impiegati per volta di godersi una discesa nell'Atrium davvero spettacolare. E che gli alti dirigenti si tenessero pure il privilegio di arrivare al lavoro via Metropolvere!
Un colpetto di tosse discreto, alle sue spalle, lo colse di sorpresa. «Signor Potter?»
«Sì?» Harry si girò, pregando che non gli chiedessero l'ennesimo autografo, ma la piccola strega anziana che vide, per fortuna, gli tendeva semplicemente la mano.
«Mafalda Hopkirk, Ufficio per l'Uso Improprio della Magia.» Una stretta vigorosa, che ricambiò volentieri. «Molto lieta, sono qui per il benvenuto. Signor Paciock...»
«Piacere mio... ma quale benvenuto?» chiese Harry, mentre Neville rispondeva «Piacere, signora Hopkirk.»
«Il Ministro non L'ha avvertita?»
«Uhm... no. Né il Ministro né nessun altro.» Non ritenne opportuno precisare che non sentiva Shacklebolt da due mesi buoni, cioè da quando il neo-Ministro gli aveva annunciato la propria decisione di nominare Auror lui, Ron e Neville, “per meriti straordinari”, senza costringerli ad affrontare i M.A.G.O.
La Hopkirk alzò le spalle e sorrise. «Non è niente di che, in effetti. Solo una piccola tradizione del Ministero della Magia: il dirigente con la maggior anzianità di servizio va a dare il benvenuto ai neoassunti del proprio Livello. Nel vostro caso, il Secondo, dico bene, signori Potter, Paciock e... uhm...?» Aggrottò la fronte in direzione di Ron.
«Weasley» rispose l'interpellato, in tono fin troppo neutro.
«Oh, giusto, il figlio di Arthur, come ho fatto a scordarmene? E sì che me l'ero anche scritto, da qualche parte... Bene,» accennò all'ascensore, «vogliamo andare?»
Primo settembre. Era strano non prendere l'Espresso di Hogwarts. Ancor più strano pensare che Hermione sarebbe stata là, nel castello ancora segnato dalla guerra, e l'avrebbero vista, forse, solo durante le vacanze o approfittando di qualche fine settimana a Hogsmeade. Cominciava una nuova vita. E il pensiero gli faceva girare un po' la testa.
Prese un respiro profondo e sorrise all'anziana strega. «Andiamo.»

Niente di che” si rivelò la descrizione giusta per il benvenuto, dal punto di vista materiale: la Hopkirk, semplicemente, fece far loro il giro del Secondo Livello, presentandoli a tutti. Eppure, forse perché non se l'aspettava, quel gesto riuscì davvero a commuovere Harry... a farlo sentire veramente benvenuto.
Almeno fino al momento in cui giunsero alla mèta finale del percorso, il Quartier Generale degli Auror.
«Bene, ragazzi, io qui vi lascio: ecco il vostro capo, il Direttore Gawain Robards.»
«Mafalda.» In attesa nel corridoio, all'esterno dell'open space suddiviso in cubicoli dove era insediato il suo Ufficio, Robards era un uomo massiccio la cui faccia color mattone, solcata di sbieco da un paio di cicatrici livide, squadrava i nuovi arrivati con un'espressione tanto cupa che Harry si sentì quasi minacciato.
«Buongiorno, Gawain. Sono tutti tuoi.» Forse per contagio, anche il tono della Hopkirk suonava, improvvisamente, assai meno caloroso. «Arrivederci, signor Potter, signor Paciock e signor... uhm... signor Weasley. Fatevi onore.»
«Grazie, signora Hopkirk, arrivederci» rispose Harry per tutti.
Mentre la piccola strega si allontanava, i tre rimasero lì a fissare l'omaccione che, immobile al centro del corridoio, li squadrava come se stesse cercando di decidere se valessero un qualsiasi disturbo, anche solo quello di un saluto. Infine, dovette rassegnarsi al sì, perché cacciò un sospiro alquanto teatrale e disse: «Potter, Paciock e Weasley, eh?»
«Sì, signore» risposero in coro, strappandogli una smorfia di fastidio.
Un nuovo sospiro. «Fantastico. Da dove cominciamo?»
Lo guardarono, attendendosi che facesse strada in mezzo ai cubicoli, magari per mostrar loro dove avrebbero dovuto lavorare... invece, lo videro fissare il soffitto, come in cerca di ispirazione.
«Sapete già, naturalmente, che il Ministro ha deciso di assumervi all'Ufficio degli Auror.»
«Sì, signore.» Che domanda del cazzo era?!
«Kingsley è convinto che abbiate già dimostrato di avere la stoffa e che, quindi, possiamo passare sopra ai M.A.G.O. che non avete, nonché alle solite prove di ingresso.»
Era una domanda, questa? Nel dubbio, tutti restarono in silenzio.
«Bene, voglio essere franco con voi fin dall'inizio: anche se là fuori siete eroi, anche se nel resto del Ministero siete i cocchini del Ministro, qui dentro siete solo tre ragazzini che, a me, non hanno ancora dimostrato niente.»
Harry non poté fare a meno di boccheggiare.
«Sorpreso, Potter? Che ti aspettavi, il tappeto rosso, il mazzo di fiori e magari direttamente la mia poltrona sotto al culetto? Oh no... lascia che ti spieghi una cosa...»
C'era decisamente un che di sinistro nel suo sorriso compiaciuto, decise Harry, sempre più inquieto.
«Tu sei – oh, chiedo scusa, voi tre siete - assunti presso il mio Ufficio, ma in prova, come e più di tutti quelli che superano le prove di ingresso. Dovrete frequentare i corsi, superare gli esami, dimostrare sul campo quel che valete. I favoritismi, signorine, finiscono qui, in questo punto del corridoio. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Cristallino, signore» riuscì a rispondere Harry, con un filo di voce.
«Ottimo.» Per la prima volta, sembrò che Robards si rilassasse un poco. «Allora, prima vi spiego un altro paio di cose e poi vi presento a tutti.»
Annuirono in silenzio, sentendosi decisamente sollevati.
«Per tutto il periodo del vostro addestramento, ciascuno di voi sarà assegnato a un supervisore, un Auror a pieno titolo. Dividerete le vostre giornate tra i vari corsi, che servono a prepararvi al combattimento, e il lavoro di ufficio. Il supervisore controllerà i vostri risultati nei corsi, vi assegnerà gli incarichi da svolgere, valuterà il modo in cui li avrete svolti. Potrete chiedergli consigli su come fare la tale o talaltra cosa, magari anche qualche suggerimento per lo studio o l'addestramento pratico... ma non scambiatelo per la vostra mammina. Non lo è per niente. Il suo lavoro non è asciugarvi il moccio quando piangete, è prendervi a calci nel culo finché non ve lo asciugate da soli e, in più, smettete di piangere una volta per sempre.» Pronunciò questa frase in tono secco, ma senza particolare enfasi... e, forse proprio per tale ragione, li fece rabbrividire.
«Tutte le mattine, succeda quel che succeda, ogni membro dell'Ufficio, compresi voi pivellini, si presenta qui alle otto e mezza precise e partecipa alla riunione mattutina. La riunione, in sostanza, serve a ciascuno di noi per spiegare agli altri a che punto si trovi con i casi che gli sono stati affidati e sentire i pareri di tutti. Perfino i vostri. Oh, intendiamoci... nessuno si aspetta che voi parliate. Non ancora, non per un bel pezzo. Però avete il diritto di farlo. Ovviamente, a vostro rischio e pericolo.»
Sembra di essere tornati in classe con Piton...
«In ogni caso,» proseguì il Direttore «partecipare alle riunioni è uno dei modi migliori per imparare come si conducono le indagini, quindi tenete le orecchie ben aperte.»
«Sissignore» rispose Ron, con un'aria volenterosa che venne ignorata a bella posta.
«I corsi inizieranno domani, perciò vedete di arrivare puntuali e forniti di tutto l'occorrente; i vostri supervisori vi forniranno i dettagli.» Guardò l'orologio e mostrò loro il quadrante: mancava forse un paio di minuti alle otto e mezza. «Dopo la riunione, naturalmente. In genere finisce verso le dieci... ma non importa: per tanto che si prolunghi, le lezioni aspetteranno; avrete sempre dieci minuti per arrivarci. Dieci minuti d'orologio, badate bene, non un secondo di più.» Si voltò e fece per entrare nell'open space, ma si fermò. «Un'ultima cosa.»
«Signore?» chiese Harry, sforzandosi di entrare nello spirito dell'Ufficio.
«Ecco, appunto. Vi rivolgerete al vostro supervisore chiamandolo “signore”; lo stesso dicasi per me o per il mio vice; con tutti gli altri potete usare solo il cognome, senza titoli. Ma voi sarete semplicemente “Harry”, “Neville” e... uhm...?»
«Ronald» disse Ron, le orecchie improvvisamente rosse.
«E Ronald resterai finché durerà l'addestramento. Ci sono domande o possiamo andare?»
Harry alzò una mano. Robards lo guardò storto.
«Sì?»
«Chi sono, uhm, i nostri supervisori, signore?»
«Le reclute lo scoprono alla prima riunione. Vedi, tutto l'Ufficio deve sapere con chi prendersela, se combinate qualche casino.» E, facendo cenno di seguirlo, entrò senz'altro nell'open space.

Le presentazioni furono piuttosto brevi, considerato che coinvolgevano all'incirca una ventina di persone, tutte sedute intorno al grande tavolo appositamente Evocato da Robards. Harry conosceva già, di vista, Williamson, Dawlish e colei che scoprì essere il Vice-Direttore, una strega con un occhio solo dall'incredibile nome di Glibenclamide Stuart.
«Bene,» concluse Robards, «ai pivellini l'ho già detto, ma voglio che sia chiaro a tutti: qui non si fanno sconti di nessun tipo. Sono entrati senza M.A.G.O.? Dovranno comunque arrivare almeno allo stesso livello di tutti noi... e se sputeranno sangue il doppio, che si lamentino con il Ministro.» Si videro parecchi cenni di approvazione. «Oh, un'altra cosa: i normali limiti all'impiego operativo delle reclute non valgono, stiamo ancora dando la caccia ai Mangiamorte e Kingsley ha voluto assumere questi tre proprio perché pensa che possano tornarci utili...» Scrollò le spalle. «Oh be', ormai sono qua, tanto vale affibbiarli ai supervisori.»
Srotolò una pergamena, con studiata lentezza, e indicò Ron. «Tu, scartina del gruppo...» (Il ragazzo divenne più rosso dei suoi capelli) «con Glib.» L'unico occhio della strega cominciò a soppesare il giovane Weasley, mostrando subito, peraltro, di non gradire affatto né il compito né il soggetto.
«Neville... con Williamson.» Il giovane Auror dalla coda di cavallo sorrise in maniera abbastanza amichevole.
«E Potter, naturalmente.» Il sorriso di Robards, invece, di amichevole non aveva proprio nulla. «Harry, tu sei con me.»
Il Salvatore del Mondo Magico avvertì un improvviso nodo allo stomaco.
«Ora, so che è piuttosto inusuale, ma uno dei nostri pivellini, qui, ha già un rapporto da presentare.» I tre si scambiarono occhiate perplesse. «Harry, ecco il tuo primo ordine: riferisci in dettaglio, e senza tralasciare nulla, tutte le circostanze che hanno condotto alla morte di Colui Che Non Deve Essere Nominato.»
Rimase a bocca aperta: non si era affatto aspettato una cosa del genere. E neanche i suoi amici o gli stessi Auror, a giudicare dagli occhi sgranati che lo fissavano.
In un attimo, si sentì assalito dai ricordi, da tutto il dolore degli ultimi anni; annaspò, sentendosi quasi travolto, si fece piccolo sulla sedia; strinse i denti, istintivamente si guardò intorno, come in cerca di aiuto...
...E il suo cuore si allargò.
Le facce intorno a lui – tutte, perfino quella del Direttore – non mostravano traccia della curiosità morbosa o scettica cui era abituato. No, niente del genere. Anche negli occhi di Robards brillava una scintilla di... di comprensione.
In un angolo della sua mente, passò per un attimo la memoria di quel che aveva detto a Ron e Hermione, una vita prima: “Voi non sapete come sia, trovarsi là fuori e...”.
Ma questi sì. Questi lo sanno.
Non aveva mai capito fino a che punto rischiare la morte ogni anno lo avesse isolato e lo avesse fatto sentire solo. Ron, Hermione, Neville... perfino i suoi amici capivano e sapevano soltanto fino ad un certo punto. Ginny, poi... Ginny non doveva capire. Come non doveva rischiare.
«Harry, in genere per fare rapporto si parla, non si costringe il Direttore a estrartelo con la Legilimanzia.» Il tono di Robards era quasi privo di sarcasmo e questo, più di ogni altra impressione, lo convinse del tutto.
Perfino questo stronzo capisce.
Gli Auror capiscono.
Ho trovato... ho trovato i miei fratelli.

Lottando per ricacciare indietro le lacrime più inattese della sua vita, si schiarì la voce un paio di volte e cominciò a parlare.
«Oh be', uhm... È una lunga storia. Sapete già come Voldemort sia tornato...» Ignorò i soliti sussulti.
«Conosciamo la tua intervista, sì» gli confermò il Direttore. «Dovremo parlarne in dettaglio... ma non oggi. Comincia pure da quel che è successo dopo il suo ritorno.»
Sirius.
Il ricordo di Grimmauld Place, dell'amarezza del suo padrino, il ritratto della signora Black, il senso di perdita e di impotenza... tutto questo colpì Harry come il pugno di un gigante.
La battaglia all'Ufficio Misteri. La profezia.
Si impose di non pensare al maledetto Velo.
La sfera. Quella che Voldemort cercava da un anno. Pensa alla sfera, pensa solo alla sfera.
Trasse un respiro profondo e riprese a parlare.
«Dopo... uhm... dopo che gli sono sfuggito, al cimitero, Voldemort ha cominciato a chiedersi… come potessi essere sempre così fortunato, diciamo.» Fece una breve pausa, cercando di riordinare i pensieri e di ignorare i moti di interesse tutt'intorno. «Vedete... la prima volta, quand'ero piccolo, in realtà non stava cercando di uccidere i miei genitori: già allora voleva ammazzare me
E, da quel punto in poi, fu facile. Incredibilmente facile.
Non aveva mai raccontato la storia in quel modo, per filo e per segno, tutta intera; gli fluì dalle labbra, come se fosse stata sempre lì e avesse solo atteso il momento giusto. Rivolse solo un'occhiata di scuse all'amico, prima di rivelare che Neville Paciock sarebbe potuto essere il Prescelto... e continuò, e continuò, e continuò. Sebbene le domande fossero rare e precise, parlò per un paio d'ore abbondante; quando terminò, gli restava soltanto un filo di voce.
«Grazie, Harry. Di norma, discuteremmo il tuo rapporto... ma, vista la mole delle informazioni, credo che, prima, ciascuno di noi dovrà esaminarlo con calma e vedere come si combini con i dati in suo possesso.»
Alzò gli occhi stupito: non si era neppure accorto che, durante tutto quel tempo, ogni sua parola era stata trascritta da una penna che fluttuava a mezz'aria, sopra un lungo rotolo di pergamena.
Il Direttore aggiunse: «Neville, credo che tu possa aggiungere qualcosa al rapporto di Harry.»
Il ragazzo deglutì nervosamente. «Io, signore?»
«Vedi un altro Neville, per caso? Sai... Dawlish vorrebbe qualche dettaglio in più sul conto di tua nonna.» Tutti risero, mentre l'Auror in questione arrossiva fino alle radici dei capelli grigi. «In particolare: dove ha imparato a usare in quel modo l'avvoltoio che ha in testa?» Le risate si fecero più forti. «Dopodiché, vorremmo che ci raccontassi del tuo ultimo anno a Hogwarts.»
Il racconto di Neville fu più breve e, all'inizio, anche divertente (a quanto pareva, il cappello di sua nonna si era animato per attaccare Dawlish... mirando alle palle!); ma durò comunque molto e, ben presto, i dettagli di mesi di torture cancellarono ogni traccia di allegria dalle facce dei presenti.
«...E così, insomma, ho semplicemente calato la spada. E la testa del serpente è caduta. E, insomma, sapete il resto. Sì, insomma... io non sapevo proprio niente di Horcrux, non Horcrux... ho sentito tutto adesso, insomma... come voi.»
Harry si sentì a disagio, quasi in colpa, per non avergli raccontato nulla di tutto ciò.
Cercavo solo di lasciarmi tutto alle spalle. E pensavo, no, davo per scontato che anche tu...
Intervenne Williamson: «Neville, dovresti rileggere la tua pergamena e firmarla.»
«Oh, giusto... Harry, pure tu.»
La sua verbalizzazione, in realtà, riempiva ben più di un rotolo; si limitò ad una scorsa veloce, ma gli servì comunque qualche minuto. Intanto, notò con la coda dell'occhio, la pergamena di Neville faceva il giro e (cosa che non mancò di stupirlo) ciascuno degli Auror la firmava a sua volta.
«Bene, direi che è tutto...» commentò Robards quando anche la sua ebbe completato il percorso. Ron si mosse, probabilmente a disagio, e il Direttore dovette notarlo, perché, senza neppure muovere la testa, aggiunse: «Non ci servono rapporti dalla scartina del gruppo, grazie. Sappiamo già che hai fatto una cosa sola: scappare.» Non fece neanche in tempo ad aprir bocca, deciso a difendere l'amico, che fu zittito con un gesto perentorio: «Harry, là fuori sarà pieno di gente che ti lecca il culo, ma qui dentro tu e i tuoi amichetti siete solo cacchette di elfo domestico, finché io non dico il contrario. E no, non ti azzardare a rispondermi
Non fu il tono secco a farlo ammutolire: fu lo shock. La comprensione era completamente sparita da quello sguardo. O forse se l'era soltanto immaginata?
La riunione proseguì con altri rapporti, ma Harry notò ben poco e sentì ancora meno. Quando Robards fece sparire il tavolo e rimise i vari cubicoli ai rispettivi posti, quasi non se ne accorse; ma, per sua fortuna, ebbe almeno la presenza di spirito di seguirlo alla scrivania e prendere il rotolo di pergamene che gli porse.
«Questo è il programma del primo anno di corso, con le indicazioni sui libri di testo, più qualche altra cosa... Non sappiamo ancora se vi serviranno lezioni integrative, dato che vi mancano i M.A.G.O., ma lo scopriremo fin troppo presto. Le materie sono Difesa, naturalmente – Difesa pratica, vedremo poi se ci saranno lacune teoriche da colmare – Trasfigurazione applicata, Teoria e pratica delle Pozioni Avanzate (c'è anche l'elenco degli ingredienti e dei fornitori ufficiali, meglio che non andiate dal primo che capita), poi avete Storia delle Arti Oscure e, per chi non ha studiato la materia a Hogwarts, Elementi di Alchimia. In più,» proseguì il suo supervisore, con una smorfia, «da quest'anno, Kingsley ha deciso che le reclute debbono frequentare anche l'Accademia di Magisprudenza, quindi sai chi ringraziare per i tre volumi più pesanti dell'intera lista. Roba buona per avvocati e delinquenti, lascia che te lo dica... ma non ho potuto decidere io.»
Harry soppesò il rotolo per qualche istante, sempre più preoccupato, sempre più conscio delle infinite lacune della sua preparazione.
«Domani riceverete anche l'orario delle lezioni, ma tieni presente che qui non siamo a scuola: le vostre giornate cominceranno sempre con la riunione e, se lì o in qualunque altro momento si rendesse necessario, sarete spediti sul campo, senza preavviso. Chiaro, Harry?»
«Sì, signore.» Ecco una prospettiva che lo allettava di più.
«In genere non mandiamo i pivellini a farsi ammazzare, ma Kingsley – pardon, il Ministro – ritiene che possiate sopravvivere, visto che già vi siete fatti un minimo di esperienza.» Emise un grugnito scettico. «Comunque, le lezioni si tengono dietro l'Ufficio.» Indicò una porta in fondo alla serie di cubicoli. «Ci sarete soltanto voi: non abbiamo altre reclute al primo anno. Dopo le lezioni, dovrete tornare qui, presentarvi al vostro supervisore e fare quello che deciderà di farvi fare; l'idea è mettervi, un po' per volta, in grado di lavorare a un caso, quindi comincerete con le cose più semplici e noiose per passare – forse! - alle più complesse. Io comincio sempre chiedendo al pivello di turno di riassumermi qualche documento... perché sia ben chiaro, Prescelto: se credi di essere venuto qui per “fare l'eroe”, hai capito proprio male. Se, e sottolineo se, durerai in questo mestiere, passerai almeno metà del tuo tempo incollato ad una scrivania, sepolto vivo dalle scartoffie: tanto vale vedere subito come te la cavi a maneggiarle...»
Harry cominciò a sudare freddo.
«Bene, direi che è tutto. Ci sono domande?»
Il ragazzo deglutì. «No, signore.» «Fantastico: non fare mai domande, Harry, e andremo d'accordissimo. Almeno fino alla tua prima cazzata.» Guardò l'orologio. «È presto, ma credo che sia il caso di congedarvi in anticipo: dovete comprare tutta questa roba... ah, e non scordatevi le uniformi: le fanno su misura, però il vecchio Grassley è capace di tenervi lì per due ore. Letteralmente: non sto scherzando. Quindi, ti consiglio di cominciare con gli ingredienti per Pozioni.»
Harry non riuscì a trattenere un gemito.
«Non proprio la tua materia preferita, eh?» ghignò il Direttore. «Be', sarà il caso che tu cominci a fartela piacere: è importantissima in questo lavoro. Oh, mi stavo dimenticando un dettaglio: siccome avrete già il lavoro d'ufficio a cui stare dietro – e basterà, te l'assicuro – gli insegnanti non vi assegneranno compiti; starà a voi studiare e tenervi allenati. Si tratta di una libertà che parecchi non riescono a gestire. Io mi limito a dirti – e non lo ripeterò – che, tra la fine delle lezioni e gli esami, che ovviamente riguarderanno tutto il programma, non passerà neppure una settimana: régolati di conseguenza.» Fece un gesto brusco: «Adesso sparisci e lasciami lavorare.»
«Ah... ehm... cosa dovrei fare, signore?»
Il capo lo guardò storto. «Non mi sono spiegato bene, forse? “Sparisci” significa che per oggi hai finito: tutto quello che devi fare, cervello di Troll, è comprare la roba sulle varie liste entro domattina.»
«Sissignore» replicò Harry, dopo essersi morso la lingua per non ribattere all'insulto. Raccolse il mantello buttato su una sedia, il cappello a punta che la signora Weasley aveva tanto insistito per fargli indossare, e notò che anche Ron e Neville venivano congedati. Li aspettò fuori della porta, ma non si azzardarono a fiatare finché non si sentirono al sicuro, ben lontani di lì e già dentro l'ascensore.
«Cazzo» commentò Ron, il viso di una strana sfumatura di verde.
«Già» convennero gli altri.
Uscirono dalla cabina assai meno baldanzosi di quando erano entrati.
Uscirono, ma rimasero lì. Fermi e zitti, per un tempo che non avrebbero saputo calcolare.

Fu sempre Ron a spezzare, infine, quel silenzio sepolcrale.
«Uhm... che facciamo per il pranzo? Torniamo alla Tana?»
Harry scosse il capo. Non avevano fatto programmi – il signor Weasley li aveva avvertiti che il primo giorno era assolutamente imprevedibile: cazzo, se aveva ragione! - nessuno li aspettava... Soprattutto, non faceva salti di gioia né all'idea di creare lavoro in più per la signora Weasley, né tantomeno al pensiero dell'inevitabile interrogatorio sulla giornata. No, grazie!
Probabilmente seguendo lo stesso filo di pensieri, Neville borbottò, in tono cupo: «Passerà un bel po' prima che racconti a mia nonna...»
Anche Ron concordò senza riserve.
«Uhm... Harry? Non vorrei essere invadente, ma... potremmo andare a casa tua, magari?»
Alla domanda di Neville, per un attimo gli si illuminò il viso; poi però scosse nuovamente il capo. «Non fino a stasera, ho paura: Kreacher è ancora alla Tana, oppure starà facendo la spola con i bagagli... comunque non aspetta nessuno, e...»
«Certo, nessun problema. Anzi...» sul volto dell'amico spuntò un sorriso timido «grazie infinite per l'ospitalità!»
«Grazie a te, Neville: Grimmauld Place è comoda per il lavoro, sì, ma dovessi viverci da solo, non so... Oh, insomma, più si è e meglio è!» Scrollò le spalle, cercando di scacciare i pensieri più cupi.
Tutto questo, però, lasciava irrisolto il problema del pranzo e Harry – pur sentendosi lo stomaco più chiuso che mai - sapeva benissimo di doversi costringere a mangiare...
D'accordo, ma dove?
Non gli piacque affatto scoprire di non averne la più pallida idea.
Eccomi qua, Harry Potter, il grande eroe o giù di lì... e non conosco nemmeno Diagon Alley.
Gli venivano in mente solo due posti: la gelateria di Florian, che non avrebbe riaperto mai più, e Il Paiolo Magico, dove aveva pranzato ogni giorno, prima di iniziare il terzo anno; ma, per quanto gli fosse simpatico il vecchio Tom, l'ultima cosa che poteva desiderare, in quel momento, era scatenare una ressa di sfaccendati, curiosi e via dicendo.
Il che gli ricordò un altro dettaglio, non proprio secondario.
«Qualcuno di voi conosce qualche locale qui intorno? Offro io! Però, che dite se proviamo l'Incantesimo, per prima cosa?»
Non ebbe bisogno di specificare quale Incantesimo intendesse. Perfino Ron aveva già avuto modo di arrivare a detestare i cacciatori di autografi, i giornalisti stile Skeeter, le ragazze che gli si fiondavano addosso mezze nude... be', no, quelle forse no.
«Speriamo che funzioni» borbottò Neville, dando voce al pensiero di tutti.
Harry estrasse la bacchetta, puntandola anzitutto contro sé stesso. «Della formula mi fido: l'ha trovata Hermione, mi sono esercitato con lei e funzionava. Però mi ha detto che usarla sugli altri è un po' più difficile, quindi... una piccola prova, prima... Chiudete gli occhi, per favore.» Sorrise, per scacciare l'improvviso nervosismo, e mormorò: «Facies Nebula">».
Lo rassicurò sentire proprio la sensazione giusta: nebbia che scorreva sulla faccia.
Rinfrancato, lanciò l'Incantesimo sugli amici – ogni volta chiudendo gli occhi un momento - e solo alla fine li invitò a guardare.
«...Harry?»
Riaprì gli occhi a sua volta e si trovò a fissare due perfetti sconosciuti, le cui fattezze non riuscivano proprio a restargli impresse. La voce, incerta, appena sentita era quella di Neville, ma non l'avrebbe associata a nessuno dei due visi, neanche morto.
Funziona!» esultò Ron, sferrando un pugno all'aria; e fu quel gesto a permettergli di riconoscerlo, di superare la cortina dell'Incantesimo.
«Harry... è incredibile! Se mi concentro e mi sforzo, ti vedo; ma se mi distraggo un momento o guardo da un'altra parte... Come funziona quest'Incantesimo?!»
Gli parve che gli avessero tolto un gran peso dalle spalle. Poter camminare senza essere riconosciuto, fermato, importunato in mille modi...!
«In realtà lo hai già capito, Neville: fa in modo che i nostri lineamenti sembrino sconosciuti e anonimi a chiunque ci guardi. E se funziona con noi, che ci conosciamo da anni...»
«>Grande» commentò Ron in tono ammirato. «Dovremo fare pratica anche noi.»
«Ah be', gli incentivi non ci mancano di certo. Per me è stato un po' come imparare gli Incantesimi di Appello sotto la minaccia di un drago da affrontare...»
Risero tutti. Finalmente si sentivano pronti ad affrontare il mondo esterno.

Saltò fuori che neppure Ron e Neville erano particolarmente pratici di pranzi fuori casa. E, anche se lo fossero stati, la Diagon Alley postbellica era così diversa – tanti locali nuovi, tante vetrine ancora vuote – che probabilmente la loro esperienza non sarebbe tornata utile comunque. Discussero se andare a Il Paiolo Magico, ormai certi di non essere disturbati grazie all'Incantesimo, ma restava un locale troppo affollato per poter discutere in tranquillità della loro prima (mezza) giornata di lavoro, a meno di non lanciare un Muffliato generale...
Infine, sfruttarono il Facies Nebula per l'approccio più semplice: chiedere ai passanti. Che, per fortuna, nonostante le troppe saracinesche abbassate, non mancavano.
Nel giro di una decina di minuti, scoprirono un piccolo ristorante molto tranquillo, inaugurato da poco; sulle prime esitavano a parlare, ma la cameriera che venne a prendere le ordinazioni non riconobbe le loro voci e questo li rassicurò notevolmente, soprattutto quando Ron si lasciò sfuggire il nome più pericoloso («Devi provare il carpaccio di Chimera, Harry! Giuro che è squisito!») senz'alcuna conseguenza.
Tuttavia, prima ancora che arrivassero gli antipasti, sul loro tavolo planò un gufo.
Un gufo con La Gazzetta del Profeta. Ben deciso a farsi pagare da Harry.
«Di', ma non ti era già arrivata stamattina?» domandò Ron, perplesso. «Mi sembrava di averla vista prima che uscissimo.»
«Sì, infatti. Dev'essere un'edizione straordinaria, ma cosa mai...? Oh, no... no!» Colto da un atroce sospetto, si affrettò a tirar fuori i cinque Zellini.
E puntualmente...

SCOMPARSI GLI EROI DELLA BATTAGLIA DI HOGWARTS



«Fammi indovinare» commentò Neville, pacato: «hanno scoperto che non torneremo a scuola.»
«Così sembrerebbe» borbottò Harry di rimando, scorrendo la prima pagina.
«Quello cos'è, scusa?» Ron indicò un punto all'interno della grande foto centrale. «Sembra un gruppo di megere.»
Controllò. In effetti, se l'immagine era vera, al binario nove e tre quarti non li aveva attesi solamente il solito giro di giornalisti, cacciatori di autografi e ragazze, ehm... “disinvolte”, ma anche...
Oh cazzo, sentite qua.» Harry non credeva ai propri occhi, ma lesse la didascalia parola per parola.
«“Da sinistra a destra: Zog lo Zozzone, portavoce della Gringott, e la sua richiesta di risarcimento danni (venticinque rotoli di lunghezza); in mantelli verde Avada, tre esponenti dell'Associazione 'Maghi Oscuri per Potter'; il Comitato per la Lotta contro lo Statuto di Segretezza, riconoscibile dai cartelli 'Ehi, tu, Babbano! La magia esiste!'; una delegazione di megere ('Ci piacciono tanto i Bambini Sopravvissuti'!)...”» La risata gli uscì quasi isterica.
«Impressionante, vero?» La voce li fece sobbalzare, ma per fortuna la cameriera – del cui arrivo non si erano accorti – continuò semplicemente a posare i vassoi di antipasti. «Per forza non si sono fatti vedere: con un casino del genere, anch'io mi sarei tenuta ben alla larga dal binario!» Negli occhi le si accese una luce di ammirazione folle e proseguì, in tono via via più sognante: «Saranno andati a Hogwarts a dorso di drago anche stavolta, vedrete...»
Si allontanò guardando fisso un punto imprecisato in alto, come se si sentisse parte di quell'avventura straordinaria. Come se davvero stesse vedendo il fantomatico drago.
Non poterono che restare a fissarla a loro volta, completamente ammutoliti.
Solo dopo che fu scomparsa in cucina Ron si azzardò a sussurrare: «Il trucco non poteva funzionare in eterno... e almeno l'abbiamo scampata bella!»
Harry annuì: fingere di essere decisi a tornare a Hogwarts era stato utile, avevano guadagnato un minimo di pace ed evitato di essere inseguiti fin dentro il Ministero. Però...
«Staranno rivoltando mezza Inghilterra per cercarci» osservò Neville.
Preferivo i Ghermidori, giuro!
Be', diciamo i Ghermidori senza Voldemort come mèta finale.

«E tutti quanti hanno una causa da farci sostenere... la nuova moda è questa.» Scorse il giornale, con un'espressione sempre più cupa. «A parte i folletti, che ovviamente vogliono soldi, le megere “>si ritengono oppresse e discriminate”, quindi vengono a cercare me, perché “la nostra situazione è perfino peggiore degli elfi domestici”; i Maghi Oscuri per Potter, sentite questa, chiedono “che i tre Eroi riconoscano il nostro ruolo determinante nella grande vittoria”...» Disgustato, gettò La Gazzetta da una parte e attaccò l'antipasto con autentica ferocia.
Gli altri lo imitarono: non c'era altro da fare, né da dire.
E poi... meglio non destare sospetti.
Per loro fortuna, la cucina del locale seppe sorprenderli in positivo, reggendo degnamente il confronto con Molly Weasley: il carpaccio di Chimera, nonostante gli inconfessati timori di Harry, si rivelò effettivamente squisito (doveva imparare a fidarsi di Ron, quando si trattava di far andare le mascelle!) e il primo, un pasticcio di carne, risollevò il loro morale a tal punto che, già a metà portata, cominciarono a scambiarsi commenti scherzosi, impressioni e battute.
«Quella Stuart, non riuscirò mai a ricordare il suo nome... mi guardava in un modo... come se fossi una bistecca che non riusciva a decidere se cucinare o gettare in pasto al suo drago!» Ron, nello stupore generale, infilò in bocca una forchettata di dimensioni addirittura modeste. «E poi, non è tanto quello che ha detto, ma come lo ha detto! “Vedi di non farti ammazzare”... sembrava che stesse già sfogliando il catalogo delle casse da morto...»
«Esattamente quello che farò io tra poco» commentò Neville, a labbra strette: stava scorrendo l'elenco dei libri di testo. «Per Pozioni va bene il vecchio Libatius Borragine» (Harry e Ron non trattennero una smorfia) «però serve anche Ecco perché il vostro calderone si fonde – I cinquecento errori più comuni del pozionista incapace
Scoppiarono tutti a ridere, ricordando mille scene nella classe di Piton.
«Si vede che ci stimano» buttò lì Harry, asciugandosi le lacrime.
«Vorrai dire mi stimano!» ribatté Neville, sempre sorridendo, ma con un'ombra in fondo agli occhi. «Ci scommetto quel che vuoi, Harry, l'hanno scelto per me: con un titolo del genere...!»
Impossibile controbattere, visto che tutti sapevano bene chi, a Hogwarts, detenesse il record assoluto di calderoni fusi.
Dopo un momento di disagio, però, Harry ribatté, con una scrollata di spalle quasi spontanea: «Credo che sappiano più o meno tutto del nostro percorso scolastico, sai? Robards ha buttato lì un commento sul fatto che Pozioni non era proprio la mia materia preferita, ma che ora sarà meglio che me la faccia piacere, o qualcosa del genere. Se per caso ha visto i miei voti, be'...»
«O i miei» aggiunse Ron, solidale.
Neville li ringraziò con un sorriso, prima di cambiare argomento: «Williamson sembra un tipo a posto, in realtà: mi ha perfino chiesto quale sia la mia squadra del cuore. Ma insomma... non vi è sembrato tutto... troppo, ecco, semplicemente troppo?!»
«Papà mi aveva detto di aspettarmi... sì, insomma, ha detto che qualcuno non avrebbe gradito il modo in cui siamo entrati all'Ufficio degli Auror. Però... però
Harry annuì, ripensando al suo colloquio con Kingsley, all'argomento vincente con cui il Ministro, infine, gli aveva fatto ingoiare quella nomina indesiderata.
Non ho nessuno su cui contare veramente, capisci? Nessuno di cui mi fidi davvero.
Qui dentro, durante la guerra obbedivano tutti a O' Tusoe. E gli Auror stavano in prima linea. Devo spiegarmi meglio, Harry?”

No, il Ministro della Magia non aveva avuto bisogno di spiegarsi meglio.
Né di trovare altri argomenti per reclutare l'Auror meno entusiasta della storia.
Sospirò. «E dire che io pensavo di aver già passato abbastanza guai per una vita intera...»
«Oh, andiamo!» esclamò Ron, che non sapeva proprio nulla di tutto quel colloquio. «Che sarà mai un altro po' di trattamento alla Piton? Dopotutto, tu sei Harry Pot...»
«Shhhhh!» lo zittirono ambedue con autentica ferocia, tanto che si fece piccolo sulla sedia.
Nessun danno, per fortuna: era uno di quei locali dove il personale ti lascia mangiare in pace.
O forse è impegnato a sognare impavidi cavalieri a dorso di drago.
«Harry,» domandò Neville, passato l'istante di tensione, «l'Incantesimo funziona anche se ti chiamano per nome?»
«Non è un Tabù, diciamo, ma se chi mi guarda si concentra su di me più del normale potrebbe riuscire a riconoscermi... quindi, meglio che non abbiano nessun motivo per farlo.»
«Scusa, amico» borbottò Ron, con le orecchie rosse.
Tra il momento spiacevole e i ricordi associati alla parola “Tabù”, la conversazione languì finché non fu servito il secondo; poi, Neville buttò lì, cercando di suonare disinvolto: «Deve essere un Incantesimo potente, Harry. Complimenti.»
«Uhm... sì, un misto fra Trasfigurazione Umana e Incantesimi di Memoria, credo... o forse un pizzico di Incanto Proteus, non ricordo bene: la teoria non è importante per riuscirci... ma per pietà, non dite a Hermione che l'ho detto!»
Risero insieme, di cuore, e i fantasmi furono tenuti a bada un'altra volta.

Uscendo dal ristorante, Harry si rese conto che l'Incantesimo stava superando anche le sue previsioni più ottimistiche, quanto ad efficacia e durata. Era stata eccessiva la prudenza che l'aveva indotto a evitare Il Paiolo Magico? Forse. Ma, dopotutto, poco male: aveva scoperto un posto carino, dove si mangiava bene, non si correvano rischi... Ci sarebbe potuto tornare regolarmente.
Sempre che Kreacher non si offendesse, beninteso.
Gestire quell'elfo gli riusciva ancora piuttosto difficile... però aveva aiutato alla Tana per tutta l'estate senza batter ciglio, anche se Harry era sicuro che gli mancasse Grimmauld Place; il minimo che poteva fare per lui, in cambio, era assecondarlo accettando almeno un po' delle sue attenzioni.
Per fortuna, Neville è un purosangue, altrimenti non so se sarebbe un ospite ben accetto nella casa dei Black.
Era stato più facile convincere la formidabile nonna Augusta che non la signora Weasley, forse molto più facile; ma infine - grazie anche al sostegno del signor Weasley, che aveva confermato che gli orari degli Auror erano ancor più imprevedibili della generalità dei neoassunti – le due donne avevano accettato che i loro ragazzi cominciassero a vivere per conto proprio. Accuditi di tutto punto, beninteso, ma da Kreacher. E a casa di Harry.
Il quale non poteva fare a meno di sentirsi un po' responsabile per loro. E non era troppo sicuro che l'idea gli piacesse, però, tutto sommato, la preferiva alle alternative.
Scrollò le spalle e interpellò gli amici sul da farsi: gli impegni non mancavano di certo.
Dopo una breve consultazione, tutti accompagnarono Neville alla Gringott, ma ne seguì una discussione ben più accesa quando, al ritorno dal suo forziere, insistette per rimborsare a Harry la propria quota del pranzo. Per dieci minuti buoni, Ron non fece che fissarsi le punte delle scarpe, sempre più rosso, mentre gli altri due, con identica ostinazione, insistevano nei rispettivi punti di vista (“Potrò pur invitare gli amici...!” / “Mangerò già così tante volte a casa tua...!”). Solo la necessità di dedicarsi alle varie commissioni li spinse a un compromesso semplicissimo come la restituzione dell'invito alla prima occasione utile.
Ai piedi della scalinata della Gringott - la sola parte ancora intatta del maestoso edificio, non poté evitar di pensare Harry, con una nuova fitta di senso di colpa – misero mano alle varie liste, per decidere come organizzarsi.
«Che è questa roba?!» sbottò Ron, con un tono tra lo sbigottito e l'inorridito.
«Quale roba?» chiese Harry, che si stava concentrando sugli ingredienti per Pozioni e sulle attrezzature che avrebbe dovuto rimpiazzare: non gli era rimasto più nulla, dopotutto, neanche un calderone o una provetta. E neppure Edvige, pensò con un nodo alla gola.
«Deve aver visto Curiae Magorum Decisiones Selectae, di C. Crawley.» Il tono di Neville sapeva di umorismo macabro, ma Ron assentì con vigore.
«Eh?!» Una rapida scorsa alla pergamena confermò che non lo stavano pigliando per il culo. Oh, cazzo... «Ma...?!»
«Uhm... i testi dell'Accademia di Magisprudenza, mi sa» osservò Ron, di nuovo con un colorito verdognolo. «Ce ne sono altri due, vedi? Sempre di questo Crawley: Compendio storico-sistematico di Diritto magico e, uhm... Procedimenti, procedure, processi. L'applicazione della legge magica nei suoi aspetti normativi, retorici e oratorii
Quei titoli suonavano innegabilmente minacciosi.
Si fissarono un momento, poi, come per un tacito accordo, scrollarono le spalle e tornarono a scorrere i rotoli.
«Il resto è piuttosto normale» concluse Neville dopo un'altra scorsa all'elenco dei libri, «a parte questo libro di Silente e N. Flamel, Lapis Niger. Isagogen in Opus Alchemicum
«Ah, se c'è qualcuno che si intende di Alchimia sono... erano quei due» commentò Ron, con un sorriso tirato.
«Sentite, ragazzi... forse è meglio se ci dividiamo: non so voi, ma io devo ricomprare tutta l'attrezzatura per Pozioni, mi ci vorrà un po'.»
«Già» annuì Neville, comprensivo: la morte di Edvige era forse l'unica cosa che gli avesse raccontato, l'unico dolore che si fosse permesso di condividere. «Allora... uhm... ci vediamo tutti verso le quattro da Grassley?»
«Da chi, scusa?»
«Come, Harry, non l'hai visto? Il rotolo in fondo...»
«Il sarto che ha l'appalto delle uniformi ministeriali» spiegò Ron. «Ci servono almeno tre mantelli da lavoro estivi e tre invernali, più un paio per le mezze stagioni e...» Si interruppe e arrossì, rendendosi conto che avrebbe dovuto di nuovo chiedere un prestito all'amico.
«E l'alta uniforme» terminò Neville tranquillamente. «Secondo Williamson, la useremo forse una volta ogni due anni, ma che ti devo dire? Da qualche parte bisognerà pur appuntare quella medaglia, no?»
Tacquero di nuovo, ripensando all'Ordine di Merlino, Prima Classe, conferito a ciascuno di loro, e a tutto ciò che significava.
Vi prego, ditemi che è finita...
Non avrebbe saputo dire a Chi mai si stesse rivolgendo: in qualunque cosa credessero i Dursley – a parte i soldi, il pettegolezzo e l'essere “assolutamente normali, grazie tante” – non si erano curati di trasmettergliela. Eppure, in quel momento, sentiva un bisogno assurdo... come se dovesse correre da qualcuno a farsi abbracciare e rassicurare... Qualcosa che non aveva fatto mai.
E non avrebbe funzionato comunque, non davvero. Perché, se un uomo come Kingsley Shacklebolt temeva che non fosse finita per niente, allora non era finita, punto e basta.
Lo sapeva, lo sapeva da due mesi: era il solo motivo per cui aveva accettato quell'offerta così indigesta. Tuttavia, per qualche istante, in quell'angolo di Londra, desiderò con tutto sé stesso poter credere, un attimo solo, che non fosse vero.

Harry riuscì a sbrigarsela molto prima del previsto: i fornitori del Ministero tenevano da parte, già impacchettate, le merci richieste dai vari Uffici e il primo aveva già pronta pure l'attrezzatura completa per le Pozioni Avanzate. Si tolse anche qualche soddisfazione: dovette tornare alla Gringott per un prelievo supplementare e perdere un mucchio di tempo, mentre i folletti gli lanciavano occhiate assassine o facevano procedere a passo di lumaca ogni minima cosa, dalla verifica della chiave al carrello stesso, e quando mai i carrelli erano lenti... ma, alla fine, riuscì a comprare una nuova Firebolt, ultimissimo modello. Uscì dal negozio con il manico di frassino sottobraccio e un sorriso che non si sentiva in faccia da una vita.
Anche con queste deviazioni extra, arrivò comunque per primo da “Octavian Grassley – Fornitore ufficiale del Ministero. Abiti e uniformi su misura”.
L'insegna campeggiava su una porticina dall'aria trascurata, anche per quella parte di Diagon Alley (ma si chiamava sempre Diagon Alley, oltre la Gringott? Non era ancora riuscito a capire granché della toponomastica... non che avesse avuto poi tante occasioni di approfondirla). Qualcosa gli ricordava il negozio di Olivander...
«Ehi, non entri?»
Si voltò. «Ciao, Neville.»
«Ciao...» Si bloccò, prima di pronunziare il nome pericoloso. «Scusa il ritardo, ma continuavo a dimenticarmi le cose. Avrò pensato dieci volte di aver finito... e dieci volte mi è toccato tornare indietro.»
«Quale ritardo, figurati!» Aveva controllato il vecchio orologio di Fabian Prewett solo poco prima ed era piuttosto sicuro che l'amico, in realtà, avesse spaccato il minuto. «Per caso hai visto...?»
«Eccomi!»
Ron arrivava trafelato, dalla parte opposta rispetto a loro.
«Ma che giro hai fatto?!»
«Oh be'...» Arrossì più dei suoi capelli e borbottò qualcosa come “Cercavo di risparmiare”.
Nessuno commentò; Harry spinse la porta ed entrarono.
Il signor Grassley, saltò fuori, era un sarto piuttosto alto, dal colorito rosa acceso, completamente calvo al centro della testa, ma con due gran cespugli ai lati; i capelli superstiti dovevano essere biondi, solo che avevano la tonalità dei muri ingialliti dal fumo. Non chiese neppure i loro nomi, solo quale fosse il loro Ufficio.
«Auror, avete detto? Le reclute di quest'anno, vero? Bene, bene.» Sparì nel retrobottega e ne riemerse con tre involti abbastanza voluminosi. «Tre ne aspettavo, ed eccovi qua. Naturalmente bisognerà adattare tutto.» Diede un involto a ciascuno. «Mantelli estivi, mantelli invernali... tutti neri con alamari d'argento, lo sapete, no? Solo gli alti dirigenti fanno a meno degli alamari e chiudono il mantello soltanto con un fermaglio d'oro. Perché una volta avevano lo strascico, sapete? Mi ricordo ancora... era una delizia vestire i paggetti reggicoda...» Si riscosse. «Scusate, sto proprio invecchiando, mi perdo dietro ai ricordi. Bene...» Indicò loro la parete di sinistra, tutta a specchi, con una fila di sgabelli. «Se voleste cortesemente indossare un mantello, uno qualsiasi, e salire su uno sgabello...»
«Ma gli altri mantelli, mi scusi?» chiese Neville.
«E dov'è il problema, giovanotto?» ribatté Grassley, improvvisamente accigliato. «Sono tutti perfettamente identici, pensa che non sappia riportare le misure sugli altri con un semplice colpo di bacchetta? Per la barba di Merlino, è stata la prima cosa che mi ha insegnato mio padre buonanima! E non era così facile, sa, quando i dirigenti avevano lo strascico di venti iarde!» Scosse la testa, borbottando qualcosa sui tempi che cambiavano e i giovani che non capivano... o forse erano i tempi che non capiva e...?
Smentendo le pessimistiche previsioni di Robards, il vecchio sarto sbrigò i loro mantelli in meno di un quarto d'ora. Complessivo, non per ciascuno.
Ma le alte uniformi... quelle erano un'altra faccenda.
«Qui non si può adattare un abito già pronto, capite?» domandò, senza aspettarsi davvero una risposta, mentre drappeggiava la stoffa intorno al malcapitato Neville, la prima vittima di quello che adesso, agli occhi di Harry, sembrava proprio il classico scienziato pazzo. «L'alta uniforme deve nascere impregnata della tua magia, sennò il giuramento di sangue non funzionerà altrettanto bene...»
«Il cosa?!» sbottarono tutti in coro.
«Ma non spiegano più niente a voi ragazzini?!» Grassley sembrava veramente indignato. «Di che colore è questa stoffa?» Puntò un indice minaccioso contro Ron.
«Ehm... rossa?»
«No, non rossa: rosso sangue, giovanotto, rosso sangue
«Il sangue è più scuro» rifletté Harry ad alta voce. Mal gliene incolse.
«Il sangue venoso è più scuro, scriteriato! Questo è sangue arterioso! Sangue vivo! Il sangue della vita! La vita che giurate di sacrificare al servizio del Ministero! Ma dico, nessuno vi ha spiegato proprio niente?!»
«...No, signore» rispose Neville, in tono quasi vergognoso.
Il vecchio sarto si calmò, facendosi improvvisamente triste. Scosse il capo e cominciò a muovere la bacchetta in un modo molto complicato.
«I miei tempi sono davvero finiti... Non avrei mai pensato... Tanti anni...»
Continuò a borbottare per qualche minuto, sempre girando intorno a Neville e squadrandolo da tutti i lati.
Intanto, il rotolo di stoffa rossa – pardon, rosso sangue! - siallungava, accorciava, srotolava, riavvolgeva... Due lunghe strisce si inerpicarono lungo le braccia, e Harry pensò, per un attimo orribile, a Nagini. Ma si limitarono a formare le maniche.
«Vedete,» riprese Grassley, chiaramente troppo innamorato dell'uniforme che creava per lasciar perdere, «il corpo degli Auror è stato creato in un momento molto difficile per il mondo dei maghi... lo ricorderete da Storia della Magia, senz'altro.» Tre paia d'occhi si levarono al cielo, ma, concentrato com'era sulle misure e il discorso, Octavian Grassley non le notò. «Eravamo divisi, anche più di adesso. Adottare lo Statuto di Segretezza, un quarant'anni prima, era stata l'opzione... “moderata”, diciamo così: gli altri avrebbero voluto scatenare una guerra contro i Babbani, per soggiogarli o addirittura per sterminarli. Gli Auror sono nati per tenere a bada maghi potenti, in un'epoca in cui il concetto di Arti Oscure restava ancora molto incerto – dico, quanto ci è voluto per rendere illegali perfino le Maledizioni Senza Perdono? - e la lealtà delle reclute, o la loro linea politica, non poteva essere esattamente sicura. Per questo si è deciso che l'ingresso ufficiale fosse segnato da un rito magico... un rito di sangue, per la precisione.» La veste di Neville sembrava quasi finita, ma il vecchio sarto si infilò in bocca qualche spillo e cominciò a girargli intorno.
«Uhm... signor Grassley?» si azzardò a chiedere Ron dopo un po'. «Esattamente come... sì, insomma, come funziona questo rituale?»
L'interpellato sistemò anche il cappello di Neville e attaccò il rotolo di Ron prima di rispondergli. «Una volta l'uniforme veniva tinta di rosso con il vostro sangue...» Sospirò con fare nostalgico. «Ma tranquilli, ormai si limitano a cavarvene tre gocce. Non che sia la stessa cosa, intendiamoci: per i poteri che l'abito avrebbe non lo è affatto. Per i Tre Giuramenti, però, basta una goccia sola... una per ciascuno.» Pareva che si fosse incupito, perdendo il gusto di raccontare, e scuoteva la testa mentre adattava la stoffa al corpo, fors'anche alla magia di Ron Weasley.
Harry volle insistere: «Mi scusi, signore: che cosa prevedono questi giuramenti? Nessuno ce ne ha mai parlato.»
Grassley lo fissò, attonito. «Li menzionano in tutte le lettere di assunzione.»
«Nella mia non c'era» rispose, piuttosto sicuro di sé, e gli altri confermarono.
«Allora, chissà... forse non se ne farà niente. Un altro pezzo di storia buttato via, così, come una cosa inutile...» Il vecchio scuoteva la testa in modo così desolato che Harry si sentì in dovere di rassicurarlo, in qualche modo.
«Le nostre lettere» - e sapeva di correre qualche rischio a precisarlo - «non sono state redatte sul modello standard Si saranno dimenticati qualche pezzo. Però, a maggior ragione, se arrivassimo lì e tutti si aspettassero che ne fossimo al corrente... capisce bene, signore, che sarebbe davvero imbarazzante.»
«Uhm... sì. Decisamente. Sempre più stupidi, al Ministero!» Squadrò con occhio critico la propria creazione. «Stona maledettamente con il colore dei capelli, ma non c'è proprio nulla da fare, mi sa. Hmmm, cosa dicevo? Oh sì, i Tre Giuramenti. Facile: giurate di difendere e far rispettare, a costo della vita, lo Statuto di Segretezza, il Ministero che lo protegge e le leggi contro le Arti Oscure, questo è il Primo. Gli altri due sono più semplici: essere pronti a dare la vita per ciascuno degli altri Auror... o a ucciderlo se tradisce.»
Come?!» esclamò Ron, la voce più acuta di almeno un'ottava.
Grassley lo fissò, con un'espressione di sorpresa che sembrava del tutto genuina. «Be', non funziona come un Voto Infrangibile, sapete? Hanno pensato di introdurlo, già al tempo e poi varie volte in seguito; ma il concetto di “tradimento” è troppo vago per un Voto del genere, tanto più che a volte è necessario ignorare gli ordini... e non parliamo neppure di quel che è successo negli ultimi anni...» Chiuse gli occhi e sospirò, poi si riscosse. «Insomma, il Giuramento ti uccide se lo pronunci con un chiaro intento di tradire, trasforma all'istante il tuo sangue in veleno; però, se sul momento sei sincero e tradisci in seguito... non succede nulla, ecco.»
«E, uhm...» Neville diede voce alla preoccupazione di tutti: «Se giuro di dare la vita per i colleghi, sì, ma sto fissando uno in particolare, che non mi piace affatto, e penso che, insomma, nel suo caso proprio no?»
«Tranquilli, solo il Primo e il Terzo Giuramento uccidono. Il Secondo si limita a svergognarvi con il peggior attacco di diarrea che abbiate mai subito.» Lo fissarono. E lo fissarono ancora. Ma sembrava sempre serissimo.
Tacquero tutti, clienti e sarto. La confezione richiese ancora un po' di tempo, ma non troppo, e anche il prezzo sembrava onesto.
Salutarono e fecero per uscire, ma la mano di Grassley si posò sulla spalla di Harry. «Posso parlarLe un minuto?»
Rimase molto sorpreso, però dal tono pareva una cosa importante, quindi accennò agli amici di attenderlo fuori.
«Se volesse favorirmi un po' di sangue...»
«Che cos'è, un Vampiro?!» sbottò, prima di riuscire a trattenersi. Ma il vecchio sorrise amabilmente.
«Oh no... signor PotterHarry restò come Pietrificato sul posto.
«Un bell'Incantesimo, quello, ma c'è chi sa vedere oltre... e lavorare con la magia dei miei clienti, be', a volte mi fa vedere qualcosa in più... Mi scusi, non volevo allarmarLa. Di certo ha buone ragioni per tenere alla propria riservatezza.» Di nuovo quel sorriso amabile.
«Che vuole da me, signor Grassley?» domandò, più brusco di quanto intendesse, ma solo una frazione di quanto sentiva.
«ProporLe un affare, signor Potter. Una volta, l'alta uniforme era la divisa da battaglia, né più né meno, e la magia del sangue aiutava gli Auror che la indossavano a restare vivi, li aiutava parecchio. Il contrario della camicia di Nesso, si potrebbe dire... Cos'è quella faccia? Non mi dica che non conosce... Ah, che tempi! Non si insegnano più i miti, e le divise più gloriose del nostro mondo sono diventate... roba inutile che prende polvere negli armadi.» Strinse le labbra. «Ad ogni modo, signor Potter, io Glielo dico, poi ci pensi su: se vuole, mi riporti le uniformi normali alla prima occasione; non c'è bisogno di tingerle di rosso, basta molto meno sangue, non si vedrà neppure... ma i poteri saranno gli stessi delle vecchie divise da battaglia.»
Harry rimase in silenzio per quasi un minuto. L'offerta sembrava allettante – a chi non sarebbe piaciuta una protezione extra? - ma non si fidava né del vecchio, né del fatto di essere stato riconosciuto, né di un amore per le tradizioni magiche che tendeva ad associare alla causa di Voldemort, e soprattutto non della sua scelta di offrire quella prestazione aggiuntiva a lui soltanto.
«Sarò onesto con Lei, signor Grassley» rispose alla fine. «Ci penserò su, seriamente, perché la faccenda mi interessa; ma non so ancora se fidarmi di Lei.» «In che senso, scusi?!»
«Ai Suoi amici non servirà: sceglieranno altre strade. Lo lasci dire a un vecchio sarto: non hanno la stoffa!» Alzò la mano per bloccare la difesa indignata che gli stava salendo alle labbra. «Leale verso gli amici, schietto, ma diffidente. Le doti perfette per un Auror... e per la magia che Le sto offrendo. Ci rifletta con calma.»
Salutò cortesemente e, una volta fuori, spiegò agli amici che il vecchio voleva soltanto vendergli altra roba. «Magari tornerò un'altra volta, ma adesso non mi è sembrato il caso.»
«Direi di no» convenne Neville. «Allora, uhm, andiamo da te a posare la roba, Harry?»
«Sì, e poi...» Guardò l'orologio e sussultò. «Le cinque e mezza passate?! Non credevo...!»
«Sì, tra un po' sarà ora di cena.»
«Hai di nuovo fame?!» commentò incredulo, fissando Ron, che borbottò qualcosa di incomprensibile.
«Suppongo che ci vorrà un po' per finire di sistemarci» osservò Neville, che sembrava diventato il paciere di tutte le situazioni. «Se sei d'accordo, Harry, direi che andiamo da te, mettiamo a posto i nostri acquisti, le valigie, insomma tutto... e ceniamo.»
«Molto bene. E, uhm...» Corrugò la fronte, rendendosi conto – una volta di più - di quante cose non sapesse. «Programmi per il dopocena?»
«Be'...» Ron cercò di darsi un tono, nonostante il palese rossore alle orecchie. «Si potrebbe... si potrebbe andare a Deviant Alley.»


Note:
Prima di tutto, alcune considerazioni generali.
Questa fic è la prima in una serie di quattro, tutte tendenzialmente autoconclusive; è chiaro, però, che nelle successive vi saranno molti riferimenti al “passato” descritto qui e che, viceversa, tanti dettagli inseriti in questi capitoli trovano la propria ragion d'essere in qualche evento già pianificato per le fic venture.
Per quanto riguarda la canonicità, ci troviamo al 1 settembre 1998 – martedì, mi dice il calendario - e tutti gli eventi anteriori si sono svolti come da libri; qui ci muoviamo in un ambito sostanzialmente libero, ossia vicissitudini e carriera di Harry come Auror. La serie seguirà il canone, interviste della Row incluse, fino all'Epilogo
compreso, ma, dal momento in cui Albus Severus salirà sull'Espresso, le cose cambieranno, perché faccio parte della nutrita schiera che non sopporta La Maledizione dell'Erede.
Credo di aver già fornito nel testo le informazioni più importanti sui pochi mesi di “buco” tra la fine della guerra e l'inizio della fic: i personaggi stanno tutti facendo i conti con i traumi della guerra, ciascuno a suo modo; Harry, pur avendo passato l'estate alla Tana, si è decisamente chiuso in sé stesso, come suo solito, e aveva abbandonato ogni ambizione di diventare Auror (“Ho avuto abbastanza guai per una vita intera”, secondo me, non era un'esclamazione estemporanea), ma a quest'isolamento lo ha strappato la convocazione di Shacklebolt, che lo ha convinto ad accettare la nomina d'ufficio (nessuno dei tre aveva presentato domanda); ha fatto da ambasciatore presso gli altri due, che, a parte una certa riluttanza iniziale di Neville, sono stati ben contenti di accettare.
Far trasferire tutti e tre a Grimmauld Place mi è sembrata la soluzione più sensata: intanto, Harry, per quanto apprezzi la Tana in generale, al momento si sente di troppo, anche rispetto al lutto che i Weasley devono elaborare; inoltre, quest'assunzione segna il loro ingresso nell'età adulta. Non sappiamo quando i giovani maghi lascino la casa dei genitori, ma mi sembra ragionevole supporre che sia Ron sia Neville desiderino un po' di libertà. Cosa si aspetti Harry dalla loro compagnia credo sia meno chiaro, al momento, anzitutto per lui stesso, ma di sicuro vivere da solo a Grimmauld Place non sarebbe una prospettiva allettante né per lui né per nessun altro.
Una notazione aggiuntiva su Neville: non solo si trova a dover gestire l'improvvisa fama e lo status di eroe, ma, durante il settimo anno, in buona sostanza è diventato un capo. Quest'aspetto della sua evoluzione, non raccontato dalla Row ma chiaramente avvertibile nei capitoli finali del settimo libro, è cruciale nella mia ricostruzione del personaggio. Non ho sottolineato per caso, ad esempio, la sua tendenza a stemperare i momenti o le occasioni di tensione: credo che l'abbia sviluppato proprio nel contesto della resistenza clandestina, chiamiamola così, entro le mura di Hogwarts e che sia stata molto importante nel successo, suo personale da un lato, dell'ES dall'altro.
Circa l'organizzazione dell'Ufficio degli Auror e dei suoi corsi interni, sappiamo ben poco, quindi ho avuto mano libera; il fatto che il Quartier Generale sia strutturato ad
open space dovrebbe essere funzionale ad un metodo di lavoro non troppo individuale e mi sono regolato di conseguenza, inventando la riunione del mattino, ma ovviamente si tratta di una semplice congettura. Così come l'alta uniforme – che dal canone nemmeno sappiamo se esista – e tutta la sua storia.
Sono convinto, peraltro, che la definizione, giuridica e non solo, del concetto di Arti Oscure debba effettivamente parecchio all'imposizione dello Statuto di Segretezza. Non dico, ovviamente, che sia stata bollata come Oscura la magia che faceva correre allo Statuto i rischi maggiori; penso, piuttosto, che i gruppi che avrebbero voluto scendere in guerra contro i Babbani fossero un amalgama relativamente eterogeneo, ma, se i loro moventi potevano andare dalla paura alla sete di potere assoluto, i mezzi che tendevano ad impiegare più di altri erano Incantesimi particolarmente aggressivi o coercitivi (vedi ad es. le Maledizioni Senza Perdono). Già prima, sicuramente, esistevano regole improntate al principio della segretezza nell'uso della magia, perché non credo che il Consiglio dei Maghi si sia preoccupato solo delle partite di Quidditch; ma l'adozione dello Statuto ha trasformato la segretezza stessa da norma di comune buon senso in vero e proprio principio costituzionale del Mondo Magico... e questo implica, ad esempio, che un mago assetato di dominio sui Babbani non sia soltanto un incosciente, ma un nemico pubblico. Con buone ragioni, naturalmente, o forse anche con vantaggio dei Babbani; solo che, in simili circostanze, da un lato l'obiettiva, perenne tensione creata dall'obbligo di segretezza, che resta pesante per quanto ci si possa fare l'abitudine, si traduce in un attrito costante all'interno della società magica, mentre dall'altro vale anche il contrario, perché tutte le questioni intestine rischiano di essere tradotte in termini di rapporti con i Babbani. E non ho nemmeno preso in considerazione le Creature Magiche, in particolare i folletti, che non hanno mai accettato lo Statuto... Tutto questo avrà una sua importanza nel progressivo sviluppo della serie, quindi mi sembra giusto accennarvi fin d'ora.
La strega con la benda sull'occhio compare, solo di sfuggita, nel quinto libro, quando Harry getta il suo primo sguardo sul Quartier Generale; mi è sembrato ragionevole che potesse essergli rimasta impresa, dato che era particolarmente interessato a tutto ciò che vedeva. Il nome di Glibenclamide si deve a Pally93, che mi ha fatto scoprire quest'affascinante molecola; ho anche creato un po' di informazioni di contesto per il personaggio, dato che nel canone non se ne sa proprio nulla, e le inserisco qui, anche perché non so se serviranno mai nell'ambito della storia o della serie. Il padre della nostra strega, Max Stuart, è un Babbano dai baffoni a manubrio immerso mattina e sera nella chimica farmaceutica, in qualche laboratorio del Regno Unito. La madre non si è potuta opporre al nome che voleva dare alla figlia, visto che le sue alternative non erano molto meglio... diciamo al livello di “Ninfadora”! Ha anche un fratello di nome Squalene – altra molecola molto amata da Pally, sebbene per ragioni diverse – ma non credo che lo vedremo mai.
Dal quinto libro, sembra che tutti gli impiegati ministeriali si rechino al lavoro in abiti piuttosto anonimi, così – considerato che il nero è il colore associato al lavoro, alle mansioni ordinarie - ho deciso di riprendere i tratti dell'uniforme di Hogwarts. Ma, poiché mi sembrava poco sensato pensare che non vi fosse nessun'insegna visibile dei gradi gerarchici e, in più, la Row ci dice che lo stile dell'abbigliamento dei maghi è rimasto fermo a fine Seicento, quindi ad un'epoca non esattamente nota per la sobrietà, ho escogitato un'evoluzione semplificatrice delle uniformi seicentesche, in modo tale che le alte uniformi siano variegate e sgargianti quanto è lecito attendersi, mentre quelle di tutti i giorni improntate alla praticità, ma permettano comunque di riconoscere i dirigenti a colpo d'occhio. In più, be', mi piaceva l'idea di un giuramento di sangue sia come elemento per costruire lo spirito di corpo, sia quale precauzione contro l'ingresso di spie, doppiogiochisti e voltagabbana. Preciso solamente che le informazioni di Pottermore sui vari Ministri della Magia ci dicono che i primi decenni successivi all'imposizione dallo Statuto sono stati ricchi di tensioni interne alla comunità magica e che gli Auror – pur esistendo certamente già come figura, avendone il MACUSA nominati dodici già all'atto della sua fondazione, nel 1692 – sono stati eretti in Ufficio quando era Ministro Eldritch Diggory (1733-1747): questo è il momento e il contesto in cui ho inserito la creazione dei Tre Giuramenti.

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Capitolo 2
*** Il giuramento ***


IL GIURAMENTO

Il giuramento


Ringraziamenti:
A Pally, che resiste alle interminabili attese che le infliggo, e a Joe, l'attesa della cui ricomparsa funge in qualche modo da (relativo) stimolo.
GYHoggy2020: Benvenuta a bordo! È bello trovare nuovi lettori, quando si riprende a pubblicare!
Mi fa molto piacere che qualcuno sia d'accordo con Robards e apprezzi il suo atteggiamento, perché gli ho dato uno stile un pochino urticante, diciamo così... ma senza dubbio l'improvvisazione, se poteva essere una necessità durante la caccia agli Horcrux (è il problema di seguire i piani degli altri, quando gli altri sono morti!), non può e non deve diventare un metodo di lavoro, tantomeno fra gli Auror. Posso anticiparti che li vedremo spesso in affanno a rincorrere gli eventi, ma sempre con un'organizzazione funzionante. Il che, considerato quel che il canone ci fa vedere del Ministero, non mi sembra poco.
aventador1: Assolutamente impossibile per me infliggere a qualcuno la Maledizione che passa per ottavo libro! Tanto più che la Row ci ha lasciato molto spazio e nello stesso tempo suggerito parecchio, in termini di spunti se non altro: come sarà stata la ricostruzione, o in quali riforme esattamente si sarà dovuto cimentare Kingsley? E la caccia agli ultimi sostenitori dei Mangiamorte sarà andata poi così liscia? E in tutto questo l'elaborazione dei lutti...? Insomma, ce n'è per tutti, da chi ama l'angst e l'introspezione a chi vuole l'azione o l'intrigo politico. Io penso che farò vedere un po' di tutto, ma, anche se ho un piano generale di tutta la serie, non ho ancora finito di scrivere la fic, quindi non so come verrà fuori alla fine, sarà una scoperta anche per me!
Pally93: Sì, è davvero bello tornare e vedrai che la tua Glibenclamide non ti deluderà! Ma non aggiungo altro perché o dico tutto o non dico nulla, non trovo vie di mezzo.
E ora, senz'altro indugio...


La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo
come una rete a strascico e più di un pesce sfugge.
Qualche volta si incontra l'ectoplasma
di uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

[E. Montale, La storia II]



Fu Kreacher, incredibilmente, a salvarli dal disastro totale.
Se non fosse stato per lui, forse non si sarebbero neppure svegliati in tempo. Ma, per fortuna, il vecchio elfo sapeva a che ora si sarebbero dovuti alzare e anche quanto fosse importante l'impegno che li attendeva, quindi li scaraventò fuori dei rispettivi letti.
Letteralmente.
Anche se poi dovette correre a frustarsi, va da sé.
Nel cervello di Harry – per metà intorpidito dal sonno, l'altra metà attanagliata da un mal di testa che pulsava e martellava ad ogni battito del cuore – cominciò, faticosamente, a farsi strada il concetto “Uscire la sera non è una buona idea quando ci si deve alzar presto la mattina”.
Fu la prima lezione appresa in quella memorabile giornata.
Ma non l'ultima.

Mentre uscivano di casa, rimessi in senso dalle Pozioni per il doposbronza e da mille altre diavolerie che nessuno avrebbe mai pensato che quell'elfo pazzo potesse conoscere, Ron sorrideva come un idiota, ancora perso nel ricordo della serata precedente.
A Harry, invece, sfuggivano i particolari... e non era troppo sicuro di volerli rammentare.
Gli bastava quell'unico momento indelebile. Quando era stato tanto ubriaco da pensare che lasciar cadere il Facies Nebula fosse un'idea splendida.
O l'Acquaviola era molto più forte di quanto sembrasse, oppure non reggeva proprio l'alcool.
L'immagine sfocata di un ricordo gli passò davanti agli occhi. Uhm... Era una Mezzavampira quella che si era avventata su Ron?
Si voltò e... sì, quelli alla base del collo sembravano proprio...
«Questi? Oh sì, Ginger mordeva... e non solo lì» ridacchiò l'amico, afferrandosi il pacco.
L'umore di Harry peggiorò di colpo.
A Ron piaceva essere sommerso di ragazze intente a divorarlo. Merito di Lavanda, poteva supporre.
Ma a lui, quando sarebbe toccato un po' di... allenamento serio, eh?
Offrire ospitalità al suo migliore amico gli era venuto naturale; non aveva pensato che sarebbe potuto venire il momento di dirgli “Senti, Ron, va' un po' a fare due passi, che devo sbattermi tua sorella”.
Non che ci fosse niente in vista su quel fronte... proprio no.
Forse qualcosa non andava in lui, dopotutto.
La guerra, o gli Horcrux, o... Insomma, non era più come allungare le mani con Ginny.
La sera prima non sapeva cosa aspettarsi, però non certo tutte quelle ragazze... ibride. La parola gli ricordava la Umbridge, ma non ne conosceva un'altra. Mezzelfe, Mezzevampire... Mezze Troll, anche, se ti piaceva il gioco violento.
Qualcosa, in quel subbuglio di possibilità urlate, gli era andato di traverso.
Forse pensare a tizi come Lucius Malfoy che si scopavano l'elfa di casa alle spalle della moglie, o immaginare qualcuno che fa sesso con un Troll...
«Harry,» lo chiamò Neville, in tono divertito, «come ti è sembrata la vetrina del Black Unicorn
Grugnì, assalito da un'altra immagine accantonata: un assortimento di... ehm... oggetti di cui non avrebbe neppure sospettato l'esistenza.
«Be',» rispose in tutta sincerità, «non avevo neanche mai sentito parlare delle Mutande Masticabili Profumate all'Amortentia.»
«L'Amortentia c'entra poco, te lo dico io» intervenne Ron, ridacchiando di nuovo.
«Perché, le hai provate?» gli chiese, più ingrugnito di quanto volesse.
«Oh sì» rispose l'amico, con un sorriso a trentadue denti e un lampo nello sguardo che non gli aveva mai visto. «Quella ragazza, Ginger, ne indossava un paio. E... fidati: non sapevano di Amortentia!» Gli fece tanto di occhiolino, ridendo insieme con Neville.
Già. Che diavolo aveva combinato Neville, la sera prima? Non se lo ricordava proprio.
E comunque, perché a lui toccava sempre sentirsi fuori posto... sbagliato?
Non gli era mai successo in precedenza. Cioè, a parte l'imbarazzo con Cho. Con Ginny, dopo che si era lanciato...
Invece, subito dopo che era stato così scemo – o così sbronzo – da lasciar cadere il Facies Nebula, qualcosa lo aveva fatto tornar sobrio di colpo.
Qualcosa nel modo in cui lo guardavano. Quella sorta di fame nello sguardo.
Come... Ecco!
Come gli occhi dell'Horcrux nel medaglione.
Sarà sempre così?!
Se lo chiese per tutto il tragitto, ma non trovò risposta.

Arrivarono al Ministero con mezzi Babbani, sia perché – nonostante tutto – erano in orario, sia perché nessuno dei tre si fidava troppo a tentare di Materializzarsi in preda ai postumi della sbronza. Aiutare gli amici a destreggiarsi con sterline e tornelli della metropolitana, perlomeno, distrasse un po' Harry dai suoi... problemi sessuali, supponeva di poterli chiamare così.
Giunsero all'ingresso del Ministero con qualche minuto di anticipo rispetto ai loro calcoli; ne approfittarono per aggiustare gli uni l'aspetto degli altri. I capelli di Harry restavano una causa persa in partenza, come lo specchio della Tana gli aveva saggiamente ricordato ogni santa mattina dell'estate; ma perlomeno Ron e Neville tornarono a sembrare all'incirca umani.
Entrarono al Quartier Generale alle otto e ventisette. Quasi tutti erano già lì, incluso Robards, ma non si udì neppure un commento sulla loro puntualità o il loro aspetto. Interiormente, sospirarono di sollievo.
Per loro fortuna, la riunione del mattino fu rapida: poche novità e pochi interventi. Nessuno da parte loro: meglio non tentare la sorte... e non saggiare i limiti della lucidità concessa dalle Pozioni.
«Direi che finiamo prima del solito» osservò Robards, che quella mattina sembrava addirittura di buon umore. «Non c'è altro?» Si guardò intorno, ma gli risposero solo cenni di diniego. «Bene.» Fece Evanescere il tavolo e rimise a posto i cubicoli. «Questa mattina, come sapete, ci aspetta il giuramento...» Si interruppe, con una smorfia. «Scusate, volevo dire “l'impegno solenne” dei tre pivellini.» Qualcosa, nel tono, suggeriva che non gradisse affatto il mutamento di terminologia, ma Harry non ebbe il tempo di rifletterci sopra, perché il Direttore proseguì: «La cerimonia si sarebbe dovuta tenere nella Scuola, alle dieci, in modo che poi iniziassero direttamente le lezioni; invece, abbiamo una novità dell'ultimo minuto. Per la gioia delle nostre reclute» - e l'occhiata che rivolse alla propria fu a dir poco velenosa - «il Ministro ha deciso di ricevere in prima persona il loro impegno a servire il Ministero. E di far assistere la stampa, naturalmente. Quindi, tutto anticipato alle nove e mezza.» Guardò l'orologio. «Preparatevi, tra un po' si va in Sala Riunioni, quella grande.»
Grazie a Kreacher, erano svegli, presenti e più o meno padroni di sé; grazie al signor Grassley, le alte uniformi – fino ad allora nascoste sotto i mantelli – sembravano addirittura splendenti. Ma di qui a sentirsi pronti per il pubblico o per la stampa, soprattutto senza averne saputo nulla prima...
Harry raddrizzò la schiena e, mentalmente, si preparò al peggio: un'intervista con Rita Skeeter. Hai visto mai che Kingsley gli avesse combinato pure quella!

Scoprirono con l'occasione che il Primo Livello del Ministero ospitava ben due Sale Riunioni, utilizzate per le conferenze stampa del Ministro, i dibattiti pubblici e le cerimonie solenni... ma, in genere, non il giuramento degli Auror.
O meglio: quello che fino ad allora era stato il giuramento degli Auror.
Harry si chiese perché Kingsley avesse voluto trasformarlo in un “impegno solenne”, ma soprattutto perché – a giudicare dalla scelta della Sala più grande – stesse progettando di gettarlo in pasto a una torma di Skeeter senza neanche essersi preso la briga di avvertirlo prima. Chi si credeva di essere, il nuovo Albus Silente?! Uno era bastato, nel bene e nel male.
Varcò l'ingresso e tirò un sospiro di sollievo: la Grande Sala era ancora deserta.
Fece scorrere lo sguardo lungo quelle terrificanti file di sedie e si rese conto che erano entrati dal retro, per così dire: si trovavano su una sorta di palcoscenico, dietro un podio da conferenziere e un tavolo basso con alcune sedie.
Il Vice-Direttore, Glibenclamide Stuart, spiegò loro, rapidamente, che il Ministro li avrebbe raggiunti di lì a poco, quindi – dall'altro ingresso, sul lato opposto di quel lungo rettangolo – sarebbe entrato il pubblico. «Voi rimarrete dietro questo sipario» aggiunse, tirando un cordone.
Il Velo!
Ma no, no
...
Riprese a respirare.
«Tutto bene, Harry?»
«Sì... sì, signora, mi scusi, io...»
Era solo velluto. Una grossa, pesante cappa di velluto nero. Eppure, per un attimo...
Gli occhi azzurri della Stuart lo squadrarono, riportando la sua attenzione sulla scena presente.
«Il Ministro vi chiamerà sul palco, uno alla volta» scandì, determinata a far procedere tutto secondo i piani. «Leggerete la formula che vi verrà presentata – un semplice impegno a servire il Ministero e far rispettare lo Statuto di Segretezza, niente di più – riceverete i vostri applausi...» Storse la bocca. «E prenderete posto al tavolo, dove resterete, con un bel sorriso stampato in faccia, fino alla fine del bla-bla-bla. Tutto chiaro?»
Harry annuì automaticamente. Solo un momento dopo gli venne in mente di chiedere dei Tre Giuramenti. Ma la Stuart si era già allontanata.
Prima che potesse richiamarla, l'ingresso si aprì di nuovo ed entrò Kingsley Shacklebolt, Ministro della Magia.
Rispetto al loro ultimo incontro, sembrava molto più stanco e infinitamente più distratto: strinse la mano alle tre reclute, borbottando qualche frase di circostanza; ma aveva intorno una dozzina di persone almeno, tutte intente a contendersi la sua attenzione. Mancava giusto che si scannassero.
O che lo scannassero.
Ma che mi prende stamattina?

Oziosamente, si chiese se le Pozioni di Kreacher non potessero avere i pensieri cupi come effetto collaterale...
...La voce di Kingsley, magicamente amplificata, lo strappò ad un sonno non previsto. Maledisse interiormente Ron, la sua idea del cazzo e sé stesso per avergli dato retta.
“Tempi nuovi, libertà, amicizia, pace, bla bla bla...”: riusciva a seguire soltanto a metà, eppure trovava il discorso tremendamente soporifero.
Finché un passaggio non squarciò i veli della sonnolenza.
«Sappiamo tutti che, per buona parte dell'ultimo anno, la politica del Ministero non è stata rispettosa dello Statuto di Segretezza.»
Statuto di Segretezza?! Per Kingsley il cazzo di problema dell'ultimo anno è stato lo Statuto di Segretezza?!
Cominciò a vedere rosso.
«Un Ufficio più di tutti deve essere in prima linea nella difesa dello Statuto: l'Applicazione della Legge sulla Magia. Eppure il suo Direttore, divenuto Ministro, ha fatto l'impossibile pur di rovesciarlo.»
Così adesso è colpa di O' Tusoe?! Un uomo che era sotto Imperius per davvero?!
«Ma all'interno di quel vasto Ufficio, ce n'è un altro, di cui sono fiero di aver fatto parte io stesso: l'Ufficio degli Auror. Da loro ci si aspetta che siano sempre i più strenui difensori dello Statuto e della comunità magica, che fronteggino la minaccia delle minacce: le Arti Oscure.
Finora, i nuovi Auror prendevano servizio in forma riservata. Ma, dopo tutto quel che è successo, mi sembra che voi, streghe e maghi d'Inghilterra, meritiate di più.
Da oggi, le nuove reclute presteranno pubblicamente, davanti a voi, a tutti voi, il loro impegno di proteggervi, di proteggere lo Statuto di Segretezza e di combattere il male, ovunque si annidi!»
Applausi. Quella gente si accontentava di poco, pensò, a malapena più calmo.
Le reminiscenze della guerra lo assalirono in forze e gli fecero perdere forse un paio di paragrafi; poi, il Sonorus di Kingsley chiamò sul palco Ron.
Harry cercò di rivolgergli un cenno di incoraggiamento: sembrava che stesse per vomitare. Per fortuna lo accompagnava la Stuart... o forse lo stava proprio sorreggendo?!
Sentì l'amico balbettare un po' mentre leggeva la formula – che gli sembrò davvero un niente di che – e fu sorpreso dall'intensità degli applausi. Ma quando fu annunciato il nome di Neville, sembrò che dovesse venire giù il soffitto.
Pallido, però con una luce risoluta negli occhi, Neville Paciock varcò il sipario, al fianco di Williamson.
«Tienti pronto, mezza sega» brontolò Robards, con un'aria più disgustata che mai.
«L'ultima recluta, signori, non ha bisogno di presentazioni: so che il vostro cuore già grida il suo nome!»
Harry non sapeva se vomitare o sprofondare.
«Avrebbe potuto scegliere mille strade, qualsiasi porta gli si sarebbe spalancata davanti. È famoso da sempre, è già una leggenda... eppure non chiede che di dedicare al vostro servizio la vita intera.»
Robards gli assestò una gomitata nelle costole; cominciarono ad avanzare verso il sipario.
«Lo abbiamo chiamato in mille modi, ma adesso si presenta qui senza gli orpelli della sua fama, senza titoli o soprannomi, semplicemente con nome e cognome. Streghe e maghi d'Inghilterra, vi chiedo di salutare Harry James Potter!»
Il Velo, no, il sipario si spalancò e lo accecarono centinaia di flash.
«Pot-ter, Pot-ter, Pot-ter!» Tra i lampi di luce vide confusamente una marea di figure in piedi, le mani alzate, o forse aperte...
«Pot-ter! Pot-ter! Pot-ter!»
Il cammino verso il podio gli sembrò interminabile.
Kingsley lo salutò con un inchino, che un'altra gomitata nelle costole lo ammonì di contraccambiare. Il delirio della folla raggiunse l'acme e si calmò da sé, gradatamente, sostituito da un senso di attesa.
Il Ministro sorrise e disse: «Harry James Potter, sei pronto a prestare il tuo impegno di servire il Ministero, far rispettare lo Statuto di Segretezza e proteggere il Mondo Magico dalle Arti Oscure?»
Di colpo, Harry sapeva cosa fare.
Veloce, si puntò la bacchetta alla gola e la sua voce, amplificata, echeggiò in tutta la Sala.
«No
E proseguì, prima che Kingsley o chiunque altro potesse riaversi dallo sbalordimento: «Un impegno su un foglio di pergamena? E che valore ha? Che garanzia dà? Parole al vento e un po' di inchiostro. Ma fino a ieri» - alzò ancora la voce - «fino a ieri gli Auror non firmavano pezzi di carta: gli Auror giuravano. La Magia Antica li vincolava alla loro parola, a non tradire, e questo, Kingsley Shacklebolt, questo è il modo in cui voglio impegnarmi io.» Lo squadrò dall'alto in basso. «Io chiedo di prestare i Tre Giuramenti.»
Robards sbatté più volte gli occhi. Harry avrebbe giurato di vedergli in faccia qualcosa di simile al rispetto.
«Anch'io» esclamò Neville, lasciando il tavolo dove stava seduto.
«E io pure» gli fece eco Ron, scrollandosi di dosso, con tanto di occhiataccia, il braccio della Stuart.
Il Ministro si riscosse. «Molto bene.»
La sua espressione si era fatta molto più seria e acquistò un'improvvisa solennità anche nel tono.
«I Tre Giuramenti, come Harry ci ha voluto ricordare, impegnano il cuore e il sangue, la magia e l'anima di un Auror. Lo impegnano a servire, a proteggere, a dare la vita per i compagni, ma anche ad ucciderli se dovessero tradire. E per prestarli, devi lasciare che l'Auror a cui ti affidi, l'Auror che ti guiderà nell'addestramento, ti punti la tua stessa bacchetta contro il cuore.»
Harry trasalì, ma sostenne lo sguardo di sfida con cui Kingsley accompagnò la domanda rituale: «Harry James Potter, sei pronto a prestare i Tre Giuramenti?»
Alzò il mento. «Lo sono.»
«Scopri dunque il tuo cuore, giovane Potter.»
A un cenno spazientito di Robards, comprese che l'espressione andava intesa in senso letterale. Alla fine, dunque, c'era un lato positivo nell'aver potuto indossare, sotto l'uniforme, soltanto le mutande...
«Come il tuo cuore è a nudo davanti a noi, così e ancor più sarà nudo sotto gli occhi della magia. Lo sguardo degli uomini non sa penetrare le sue pareti per cogliere le ombre della menzogna; ma i Tre Giuramenti, giovane Potter, scruteranno nel profondo della tua anima. Rifletti, dunque, rifletti con attenzione: conosci te stesso? Ti conosci tanto bene da essere sicuro che nel tuo cuore non vi sia la minima traccia di malizia, di inganno, di tradimento? Te lo dico ancora: rifletti e vaglia te stesso. Considera i pensieri più reconditi e quelli fuggevoli, scandaglia le tentazioni contro cui combatti: la magia dei Tre Giuramenti è letale e non sa distinguere. Un'ultima volta lo ripeto: rifletti! Un'ombra, anzi, appena l'ombra di un'ombra nel tuo cuore, e per te sarà morte istantanea. Dunque, giovane Potter, se anche solo la parvenza di un dubbio ti sfiora, rinuncia adesso... e il tuo onore resterà intatto.»
Harry scosse il capo, a labbra strette.
«Consapevole del rischio di morte, giovane Potter, ancora chiedi di prestare i Tre Giuramenti?»
«Lo chiedo!» esclamò con impazienza.
«Estrai, dunque, la tua bacchetta.»
Agrifoglio, piuma di fenice. La fissò come se non la vedesse da lungo tempo.
Scacciò il pensiero – molesto e improvviso - della Bacchetta di Sambuco e la consegnò a Robards, di nuovo accigliato. Ma non gli andava proprio mai bene niente?!
«In ginocchio, giovane Potter.»
Obbedì... e un istante dopo trasalì. Tutto il suo corpo si ribellava alla sensazione della bacchetta contro il cuore.
Robards, in piedi di fronte a lui, lo fissò con un sorrisetto.
Furioso con sé stesso, riprese il controllo, represse il moto di panico e rispose a quello sguardo con un'aria di sfida.
I flash impazzirono di nuovo.
Li aveva quasi dimenticati.
«Harry James Potter,» intonò il Ministro della Magia, «giuri di rispettare e far rispettare lo Statuto di Segretezza della Confederazione Internazionale dei Maghi, di servire il Ministero della Magia nella difesa di questo Statuto, di proteggere la popolazione del Mondo Magico e di imporre l'osservanza delle leggi contro le Arti Oscure, tutto ciò anche a costo della tua vita?»
Non ebbe esitazioni. «Lo giuro.»
Non morì. Ma boccheggiò per l'improvvisa trafittura al cuore.
La punta della bacchetta era rossa di sangue.
«Ops... ne ho presa qualche goccia di troppo?» bisbigliò Robards, con un ghigno.
«Harry James Potter, tu che hai prestato il Primo dei Giuramenti, sappi che ogni Auror ti sarà fratello di sangue, di magia e di battaglia. Giuri tu, dunque, di lottare al fianco dei tuoi fratelli e di proteggere, in battaglia, ciascuno di loro, con la magia, con il sangue, se necessario con la tua stessa vita?»
Fissò il Direttore e si impose di non nutrire riserve mentali. «Lo giuro.»
Le sue mutande restarono intatte. Riuscì a stupirsene, nonostante la nuova fitta, ancora più acuta.
«Bastardo...» sibilò tra i denti.
«Allenamento» fu il sussurro di risposta, serissimo.
«Harry James Potter,» proseguì imperterrito il Ministro, «la fratellanza tra gli Auror si fonda sui Tre Giuramenti, sul servizio al Ministero e sul rispetto delle leggi dei Maghi. Se uno di questi tuoi fratelli, fosse pure il più caro tra tutti, tradisse il Ministero, lo Statuto o il Mondo Magico, giuri tu di essere pronto a fermarlo, dovessi anche dargli la morte?»
«Lo giuro.»
Gli applausi si scatenarono e Kingsley, ora di nuovo sorridente, attese che si placassero.
«Alzati dunque, Harry James Potter, membro dell'Ufficio degli Auror, e presso quell'Ufficio possa tu servire con onore, fino all'ora della morte, del congedo o di un diverso incarico.»
Robards roteò la bacchetta in un gesto fluido ed elaborato; un globo di sangue rosso vivo – lo stesso rosso dell'uniforme, notò, cogliendo per la prima volta l'idea del signor Grassley – si staccò dalla punta, Levitò in aria, illuminandosi di una luce dorata; descrisse tre cerchi in senso orario, proprio sopra la sua testa, poi... si aprì, si sgranò lentamente in tante gocce dorate. Le vedeva scendere lente, serene, e allargarsi a ventaglio sopra di lui. Tutte insieme, si posarono sull'alta uniforme che indossava. Sentì un brivido improvviso mentre il tessuto le assorbiva.
Di colpo, barcollò. Robards lo sorresse e quasi lo trascinò fino al tavolo, dove stramazzò su una sedia; il suo supervisore borbottò qualcosa al Ministro e si allontanò.
Non vide quasi nulla dei Giuramenti di Ron e Neville. Aveva appena la forza di chiedersi quanto sangue gli avesse mai cavato quel grandissimo bastardo....
Una mano rude lo scosse e gli accostò al viso un flacone. «Bevi, Harry.»
«Cos'è?» sussurrò.
«Pozione Rimpolpa Sangue» rispose Robards, a bassa voce. «Penso proprio che ti serva.»
Per un momento, considerò se fosse opportuno fidarsi; ma scelse di bere. Un po' per volta, vista e cervello gli si snebbiarono; il discorso di chiusura durò abbastanza a lungo da permettergli, alla fine, di alzarsi e inchinarsi senza neppure barcollare. Per fortuna, a conti fatti le domande non erano previste (o forse erano saltate?).
Ma, non appena il sipario fu ricaduto alle loro spalle, il Ministro lo afferrò per la spalla. «Nel mio ufficio, adesso.»
Si scrollò la mano di dosso e gli scoccò un'occhiataccia. «Fai strada.»

La porta non fece quasi in tempo a sbattere alle spalle di Kingsley, tagliando fuori tutta la torma dei suoi cortigiani, che Harry già si trovava, fisicamente, inchiodato al muro.
«Ma che cazzo ti è girato, eh?!»
Non lo aveva mai visto così furibondo, mai; la sorpresa fu tale da impedirgli di reagire o rispondergli per le rime.
«I Tre Giuramenti? Mi tiri fuori i Tre Giuramenti?! Ma secondo te, non avevo un motivo...?!» Shacklebolt annaspò, a corto d'aria e più rosso di zio Vernon. «Tu...» gli ringhiò contro «Tu non sai un cazzo! O non te ne frega un cazzo, quale delle due, sentiamo?»
«Io...»
«Tu?! Tu non sapevi neanche cosa fossero i Tre Giuramenti! Ammettilo!»
Harry stava cominciando a chiedersi seriamente se Kingsley – il compassato, flemmatico Kingsley Shacklebolt – non fosse per caso impazzito di colpo. Cercò di rispondergli in un tono normale.
«Ce ne ha parlato ieri Grassley. Ha importanza?»
«Certo che ha importanza! Vedi che non sai un cazzo? Lo vedi?!»
Perse di colpo la pazienza: «Oh, senti, ma si può sapere che cazzo vuoi?!»
Restarono a fissarsi, le dita strette sulle bacchette, per un istante che parve interminabile.
Ma il Ministro emise un lungo sospiro e parve quasi afflosciarsi. Lo lasciò andare, raggiunse la scrivania e sedette pesantemente.
«Accòmodati. Una sedia qualunque va bene» borbottò, con un cenno vago davanti a sé. Di colpo, sembrava che gli fosse piombata addosso tutta la stanchezza degli ultimi due o tre anni. Harry prese posto senza fiatare, ma cominciava a preoccuparsi sul serio.
Sarà il caso di chiamare il San Mungo?
E se il Ministro muore mentre io sono qui?!

Forse Kingsley glielo lesse in faccia, perché borbottò: «Sto bene. Davvero.» Un altro lungo sospiro, poi lo guardò dritto negli occhi. «Adesso però ascoltami. Per favore
Qualcosa, nel tono, lo colpì tanto che balbettò: «Se... Kingsley, se ho sbagliato qua-qualcosa, io... mi dispiace...»
Un terzo sospiro, stavolta venato di impazienza. «Per una volta, Harry, ascolta e basta, ti rincresce? Potrai sempre scusarti dopo, almeno lo farai con cognizione di causa.»
«Ah...»
«Sai, a Robards tu non vai affatto a genio.»
«Me ne sono accorto! Uno stronzo...!»
«Sì, ma è il migliore. Una recluta di Malocchio, sai?»
«Davvero?» Non poté fare a meno di rivalutare un minimo il proprio supervisore.
«Eccome. Ha imparato da lui a non fare sconti a nessuno. Che poi è il motivo per cui ha quasi rassegnato le dimissioni, quando gli ho imposto... voi tre.»
Harry lo fissò, incerto.
«Sorpreso? Già, tu ancora non lo conosci. E il bello è che io per primo non so dargli torto, sai?»
«Eh?!»
«Esatto, Harry. Kingsley Shacklebolt l'ex-Auror dà perfettamente ragione a Gawain Robards, attuale Direttore del medesimo Ufficio: assumere voi tre è stato un rischio per l'efficienza delle operazioni, forse anche per la vostra stessa vita... o quella degli altri. Quindi, perché vi ha comunque assunti Kingsley Shacklebolt, il Ministro della Magia?»
Messa così, non aveva proprio senso. «Uhm...»
Il suo interlocutore Imperturbò la porta e gli disse: «Coraggio, Harry... dimostrami che hai davvero un po' di talento per le indagini. Perché ti ho assunto?»
Questo lo sbloccò. «Hai detto» - rispose lentamente - «che ti servivano alleati. Gente fidata. In particolare all'Ufficio degli Auror.»
«L'ho detto. Ed è vero. Vale per te, per Ron, per Neville. Adesso capisci perché non volevo neanche sentir parlare dei Tre Giuramenti?» Lo fissò per un momento. «No, eh? Eppure è facile: gli Auror hanno tradito comunque. Non il Ministero, formalmente no... be', io formalmente sì... ma lo Statuto e il Mondo Magico? E i Babbani, di cui quelle formule neanche si curano? Hai visto qualcuno cercare di uccidere il proprio fratello pur di fermarlo? No? Neanch'io. Anzi, in realtà sì: alla Battaglia di Hogwarts. Perché, combinazione, io stavo di qua e i miei fratelli di là.» L'amarezza nella voce di Kingsley suonava profonda. «Così mi sono detto “Basta! Basta con il passato, con queste cerimonie segrete, con la magia del sangue, che neanch'io so quanto sia legale... e soprattutto, basta, una volta per tutte, basta con i ragazzini entusiasti che rischiano la pelle per niente! Perché, a conti fatti si è visto che i Giuramenti, in sicurezza, non ci han fatto guadagnare proprio niente”.»
«Ah...»
«Zitto e ascolta, che non ho ancora finito. Poi arrivi tu, incontri un vecchietto che ti racconta com'era bello una volta, e cicciccì ciccicciò, e che ti viene in mente? Di farmi fare la figura dell'idiota.»
«Kingsley...»
«Zitto, ho detto. Vedi? Proprio non ci riesci. Obbedire agli ordini è contro la tua natura. E sì che lo sapevo.»
«I tuoi fratelli dall'altra parte obbedivano agli ordini» ribatté, improvvisamente secco. «E già che ci siamo, cos'erano tutte quelle cazzate? A sentir te, sembrava che O' Tusoe avesse tutte le colpe e che il problema principale del Ministero sia stato “lo Statuto di Segretezza”!»
Kingsley scosse il capo. «Harry, Harry, Harry... ma perché parli quando non sai un accidente?!» Alzò gli occhi al cielo. «Politica, hai presente cosa significa la politica?»
«Sì, grazie, l'hanno fatta sulla mia pelle negli ultimi tre anni. Per caso tu eri in vacanza?»
«Niente affatto: eseguivo gli ordini di Silente.»
«Anch'io
«Solo quando non hai avuto scelta.»
«C'è sempre una scelta. Se l'avessi voluto, adesso potrei essere io l'Oscuro Signore, con tanto di Bacchetta di Sambuco.»
«Cos'è, una minaccia?»
Si limitò a guardarlo fisso. «Hai veramente bisogno di chiedermelo? I Tre Giuramenti mi hanno lasciato in vita cinque secondi fa: per caso non l'hai notato?»
Gli rispose un grugnito di riluttante ammissione. «Scusa. Ho esagerato, va bene. Ma ti prego, Harry, cerca di capire... Già, tu magari non lo sai: tutti i Ministeri della Magia sono controllati dalla Confederazione Internazionale dei Maghi. E a quelli interessa una cosa sola: il rispetto dello Statuto di Segretezza. Perché Voldemort non ha scatenato un massacro di Babbani su scala nazionale? Perché sapeva di non essere ancora pronto ad affrontare i governi magici di tutto il mondo, ecco perché. Insomma, Harry... mi piaccia o no, quelli sono i miei padroni. E dovevo rassicurarli sulla nostra politica futura. Non pensare che mi sia piaciuto dover dire quelle cose... ma dovevo.»
«Perché?» insistette. «Cosa sarebbe successo altrimenti?»
«Nell'ipotesi peggiore? Un'altra guerra. Non sto scherzando. E i cattivi saremmo stati noi. Se la Confederazione Internazionale si convince che un Ministero non è in grado di volgere il suo compito, prima manda ispettori, poi lo liquida. Con le buone o con le cattive. Gli ispettori erano già arrivati al tempo di O' Tusoe, fa' un po' i tuoi conti.»
«Ma è mai successo?» domandò Harry, scioccato. «Una guerra perché la Confederazione...?»
«No, ma per un solo motivo: nessuno dei governi destituiti ha mai cercato di resistere. Troppi rischi per lo Statuto, capisci? Qui, però... cosa potrebbe succedere? Pensaci bene. I Mangiamorte veri e propri sono stati sistemati quasi tutti, ma il giro dei simpatizzanti resta ancora potente; poi c'è tutto il Ministero potenzialmente incriminabile, tutti quelli che hanno servito sotto O' Tusoe... In questi casi, la Confederazione nomina un nuovo Ministro, che deve rimettere le cose a posto. Dove credi che lo avrebbero cercato? Tra i miei avversari. Quindi la scelta sarebbe stata tra accettare un governo che avrebbe rimesso in vigore un bel po' delle norme di O' Tusoe, oltre a graziare più o meno tutti qui dentro, oppure opporsi e scatenare un'altra guerra.»
Harry era senza fiato. «Oh porca...»
«Esatto. Come vedi, avevo i miei motivi. Ma non posso sempre spiegarteli in anticipo. E questo, Harry, è il motivo per cui ti chiedo, anzi ti prego, di non sabotare più i miei piani in questo modo. Cerca di fidarti di me, almeno un pochino.»
«Non mi hai detto nemmeno che volevi gettarmi in pasto alla stampa, quest'oggi» osservò in tono amaro. «Non sarai per caso tu a non fidarti di me? E poi, Kingsley... dopo tutti questi anni passati a farmi manovrare da Silente, sarei veramente stufo. Disponibilissimo ad aiutarti, ci mancherebbe; però magari chiedimelo
«E non l'ho fatto, forse?! Ti ho praticamente supplicato di entrare al Ministero, ti ho detto che qui dentro non so di che fidarmi, ti ho chiesto di darmi una mano, che devo fare ancora, implorare il tuo permesso ogni volta?! Ma chi è il Ministro qua, di' un po'?!»
«Ovviamente tu. Io non vorrei saperne neanche...!»
«Troppo comodo, caro mio, troppo facile... E comunque, scusa: ancora non mi hai spiegato 'sta faccenda dei Giuramenti. Che ti è saltato in testa?»
Non capiva perché gli interessasse tanto, o dove stesse il problema. «Be'... te l'ho detto lì per lì, no? Del tuo discorso, almeno una frase mi è piaciuta: noi proteggiamo la gente e la gente merita di meglio. Merita di vedere che siamo seri quando giuriamo di essere pronti a mettere in gioco la vita. Anche se questo non garantisce cosa faremo in seguito... è un aspetto a cui non ho nemmeno pensato, ti dirò.» Rifletté un momento. «E poi, Kingsley, a noi tre tu non hai fatto un gran favore, sai? Gli Auror, se non ci odiano, poco ci manca. Credo che non si fidino. E allora, magari, giurando alla vecchia maniera...»
«Uhm. Capisco. Speravo che le vostre imprese durante la guerra contassero di più, ma a quanto pare mi sbagliavo. Però, Harry, davvero... la prossima volta parlamene prima. Almeno questo.»
«Be'...» Fu tentato di rispondere “Se tu mi dessi un minimo di preavviso, in prima battuta...”; ma evitò. «Sì. Hai ragione. Scusa. Ho agito di impulso, ti assicuro che non l'avevo programmato.»
«Non ne dubito. Suppongo che dovrò accontentarmi... va' pure, oggi dovreste cominciare le lezioni, meglio non far aspettare nessuno.»
«In effetti... Grazie, Kingsley.»
«E di che?»
Aveva già la mano sul battente, quando il Ministro lo richiamò
«Harry, scusami... c'è un altro paio di cose.»
«Oh?» Si voltò e l'altro gli fece cenno di tornare alla scrivania. Incuriosito, ma impaziente, obbedì.
«Due cose, ti dicevo. La prima...» Estrasse una busta da un cassetto e gliela porse. Ne caddero fuori dieci, forse dodici fotografie. Alla prima occhiata si raggelò.
«Ma...?!»
«Esatto, Harry. Bell'idea il Facies Nebula – finché non l'hai gettato al vento, beninteso - però eri seguito già da prima.»
«Ma...»
«Oh, non è che non mi fidi di te.»
Sbatté gli occhi come un gufo. Aveva pensato a qualche giornalista, non che Kingsley lo facesse sorvegliare.
«Chi...?!»
«Dimmelo tu. Chi manca, in tutte queste foto?»
Harry cominciò a guardarle con attenzione...
«Neville!» ringhiò alla fine. «Bastardo traditore farabutto figlio di...!»
E si bloccò: gli era tornato alla mente il volto di Alice Paciock, al San Mungo.
Si sentì un verme. Anzi, peggio di un verme.
«Neville» confermò Kingsley, ora tranquillissimo. «Neville ha fedelmente eseguito il suo primo incarico: tenervi d'occhio, restare sobrio e fare rapporto. Per quanto, sul “restare sobrio”... non credere che non capisca, eh! Sono stato giovane anch'io. Appena uscito di casa, due Galeoni in tasca, la grande città a disposizione...» Sospirò. «Harry, sai quante reclute abbiamo perso in questo modo, nel corso degli anni? Troppe. E non solo reclute, per la verità. Quindi, per favore: divértiti, ma resta lucido. E non lasciare più cadere il tuo travestimento, mai più. Stavolta sei stato fortunato... ma se ci fosse stato un Mago Oscuro in quel locale? E non ci sono solo i Maghi Oscuri... dillo al tuo amico Ronald!»
«Ron? Ah, Ron sì che è stato fortunato!»
«Davvero? Questo mi porta alla seconda cosa...» Gli porse un'altra busta, stavolta chiusa. «Vorresti dargliela da parte mia?»
«Ehm... sì, certo, ma...?»
«Capirai bene che meno parlo con voi meglio è, già vi prendono per i cocchini del Ministro... anzi, uscendo di qui, cerca di avere la faccia di uno che si è preso una ramanzina coi fiocchi, d'accordo? Fa' uno sforzo. Comunque, per favore, spiega a Ron la faccenda del restare lucido... mi sembra che ne abbia molto, molto bisogno.»
«Ehm...»
«Soprattutto con le donne, si direbbe. O forse no... Ecco, digli anche che non è molto furbo vantarsi quando si è combinato poco o nulla.»
«Come?!»
Kingsley proseguì come se non l'avesse quasi sentito, seguendo un proprio filo di pensieri. «Magari non lo sa, in effetti. A volte, anche nei Mezzivampiri, il potere raggiunge livelli che ti fanno credere di tutto... O forse è particolarmente sensibile, non so. Che ha detto di Ginger?»
«Ehm... che era una ragazza che...» Che indossava Mutande Masticabili profumate... non proprio all'Amortentia, concluse tra sé, troppo imbarazzato per spiccicar parola.
Dopo un momento, il Ministro ruppe il silenzio: «Sai, questa busta non viene da Neville»
«No?» chiese Harry, sentendosi completamente perso.
«No. E vorrei che Ronald sapesse che deve a me se non è finito sulla prima pagina di Beaters of Our Meat
«Di... cosa?»
«Non lo sai? Non importa, immagino che Ron lo saprà. Ma forse non si aspetta che Ginger... Harry, mi raccomando, stagli vicino quando aprirà questa busta.»
«Perché?!»
Kingsley glielo disse. E così il suo piano funzionò, almeno su un punto: Harry uscì da quell'ufficio con un'aria tanto sconvolta che neppure Robards si azzardò a fare domande.

L'ingresso della Scuola si apriva in fondo al Q.G.: una semplice porta, che immetteva in un corridoio altrettanto semplice, spoglio e deserto. Entrambe le pareti presentavano una serie di porte, presumibilmente le aule. Harry non poté evitare un senso di delusione.
Gli istruttori, però, fecero strada verso il fondo del corridoio, dove li attendevano, già spalancati, i battenti di una porta più grande. “Aula Magna”, recitava la targa all'ingresso.
Non vi furono cerimonie per l'inizio di quel nuovo anno scolastico, o comunque lo chiamassero; Robards, tuttavia, esordì con un breve discorso di commemorazione per le quattro reclute che li avevano preceduti. Assunte sull'onda del ritorno di Voldemort, non erano sopravvissuti all'ultimo anno.
Non suonava di buon auspicio. Che gli aveva detto il Direttore, il giorno prima? “In genere non mandiamo i pivellini a farsi ammazzare”? Alla faccia...
Chissà da che parte avevano combattuto, per giunta.
Uno dopo l'altro, gli istruttori salirono alla cattedra, si presentarono e spiegarono, in poche parole, il programma del corso. Sembrava tutto molto provvisorio, molto condizionato dal fatto che non sapevano cosa aspettarsi da reclute prive di M.A.G.O. Comunque, abbondarono in dettagli concreti: avrebbero avuto un armadietto personale dove tenere libri e materiali, più un altro, solo per gli ingredienti, nell'aula di Pozioni; sì, avrebbero lasciato in aula il calderone, se fossero riusciti a non fonderlo...
All'incirca a metà della rassegna, vennero finalmente distribuiti gli orari. Sembrava che gli istruttori preferissero farli concentrare su una singola materia al giorno: Difesa pratica il lunedì, Trasfigurazione applicata il martedì, Storia delle Arti Oscure il mercoledì, il corso di Magisprudenza in Accademia al giovedì, quindi Pozioni Avanzate il venerdì e, giusto perché al sabato si è freschi come rose, Elementi di Alchimia, che prometteva di essere il mattonazzo peggiore di tutti.
O forse no, visti i titoli dei volumoni di Crawley.
Non aveva ancora avuto il coraggio di aprirli.
Dawlish, che insegnava Difesa pratica, presentò il proprio corso per ultimo e annunciò che, per esigenze di servizio cui avrebbero fatto meglio ad abituarsi, quella settimana aveva scambiato il proprio giorno con la Stuart, l'istruttore di Storia. «Prendete nota che avrete lei, lunedì prossimo. Intanto seguitemi nell'aula dei duelli: voglio vedere se vi riesce almeno di tenere in mano una bacchetta, o soltanto il vostro uccelletto moscio.»
Harry, più stanco che mai dopo tutto quel bla-bla-bla, si rialzò con un grugnito. Sarebbe stata una giornata lunga... molto lunga.

Alla fine, si rivelò anche più lunga del previsto.
Dawlish, come pausa pranzo, aveva concesso a denti stretti un quarto d'ora scarso, con succo di zucca e panini serviti da elfi domestici che, a quanto pareva, il Ministero impiegava per quel genere di esigenze. Senza paga, Harry ne era sicuro; ma Hermione non vede, C.R.E.P.A. non rompe.
Proprio durante quella misera pausa, però, un elfo in livrea gli si avvicinò. Anzi, un'elfa, capì dalla voce. «Harry Potter, signore?»
«Sì?» chiese, accigliato per l'interruzione.
«Twiggy ha una notifica per Lei, signore. Se volesse per cortesia firmare qua...»
Con un sospiro, posò il succo di zucca. «Di che si tratta?»
«Twiggy non sa, signore! Twiggy è molto dispiaciuta!»
«Va bene, va bene... grazie, Twiggy, se è tutto puoi andare. »
Ma, a quanto pareva, non era tutto: l'elfa gli si accostò con fare da cospiratrice e gli sussurrò all'orecchio (purtroppo sempre in tono acuto...) «Harry Potter, signore... Le guardiamo le spalle. Ma stia attento.»
Si Smaterializzò prima che riuscisse a riaversi dalla sorpresa.
Cercando di far finta di niente e non dare nell'occhio, aprì il rotolo di pergamena. L'Ufficio per le Relazioni con i Folletti lo invitava a presentarsi, “con cortese sollecitudine, per comunicazioni di affari che La riguardano”; in calce, gli orari di sportello, ma nient'altro. Neanche il nome di qualcuno a cui rivolgersi. Anzi, nemmeno una firma.
Stava per chiedere a Ron se fosse normale, quando Dawlish dichiarò terminata la pausa e li schierò in una grande mischia di tutti contro tutti... che si rivelò ben presto essere un “tutti contro loro tre”. Dato che gli altri erano lo stesso istruttore, altri due Auror di cui non ricordava i nomi e una dozzina di dipendenti ministeriali assortiti, sbucati da chissà dove, quella strana lettera svanì del tutto dai suoi pensieri.
Li lasciarono andare verso le sette di sera. Vivi, anche se Harry non avrebbe giurato che non avessero cercato di ucciderli. Gli Incantesimi di Guarigione avevano funzionato bene, ma si sentivano tutti e tre a pezzi.
Cenarono in silenzio, troppo stanchi per fare conversazione; ma, proprio mentre Kreacher finiva di sparecchiare e Harry accarezzava l'idea di andare a dormire, arrivò un gufo per lui.
«Di chi è?» chiese Ron, sollevando la testa dal tavolo... e facendogli tornare in mente che doveva ancora passargli messaggio e busta del Ministro.
«Grassley. Chissà che vuole.»
Il biglietto era molto conciso.

«"Preg.mo Sig. Potter,
l'edizione straordinaria de
La Gazzetta del Profeta mi ha riempito di gioia. Posso presumere che vorrà accettare la mia offerta, uno di questi giorni? In ogni caso, gradirei comunque avere l'opportunità di parlarLe.

Con i migliori saluti

Octavian Grassley, Esq.



«A quanto pare, è contento che abbiamo prestato i Tre Giuramenti e insiste per vendermi altra roba» riassunse per gli amici.
«E a noi no? Perché?» chiese Ron.
«Uhm...»
Neville lo salvò dall'imbarazzo: «Vorrà usare Harry per farsi pubblicità.»
Lo scambio rianimò gli spiriti e la conversazione, che presto ripercorse gli eventi della giornata, soffermandosi in particolare su Difesa pratica e sui quei Giuramenti inattesi («Ma davvero non l'avevi pianificato?!» gli chiesto più volte, entrambi increduli).
Sentendo di non poter più rimandare e temendo, d'altronde, che si arrivasse a parlare del suo colloquio nell'ufficio del Ministro, Harry stava raccogliendo il coraggio per prendere Ron in disparte, quando giunse un secondo gufo.
«E adesso chi è?!» domandò Neville, sorpreso.
«Kingsley» annunciò Harry, che passò senz'altro a leggere ad alta voce.

«“Caro Harry,
a quanto pare, è andato tutto bene: secondo
La Gazzetta del Profeta, abbiamo inscenato di comune accordo la tua scelta per i Tre Giuramenti. E la reazione generale sembra positiva. Forse sei un buon giudice degli umori popolari, dopotutto.
Nondimeno, debbo pregarti di fare come ci siamo detti e consultarmi prima, se in futuro dovessi trovarti in disaccordo con qualche mia direttiva. Questi non sono davvero tempi e frangenti in cui ci si possa permettere discordia.
A proposito di discordia, passa dalle Relazioni con i Folletti prima possibile: quel certo Zog lo Zozzone ti ha fatto notificare ufficialmente presso il Ministero la sua ridicola richiesta di risarcimento. Sto organizzando un incontro ai massimi livelli per affrontare la questione, ma intanto è importante che mostri buona volontà, ritirando l'atto alla svelta.

Cordialmente,

Kingsley Shacklebolt



P.S.: Hai poi parlato con Ron?
”»

Non vide il poscritto in tempo e finì per leggerlo ad alta voce. Addio piani...
«Parlato di che, scusa?»
Harry sospirò. «Mi ha dato una busta per te... e qualche consiglio, pure.» Prese tempo andando a recuperarla dal mantello dove l'aveva lasciata, quindi la porse a Ron, ma aggiunse: «Prima di aprirla, forse è meglio che ascolti il resto.»
«Ma... perché?!»
Sospirò di nuovo. «Perché ieri notte siamo stati seguiti e fotografati.»
Ron sgranò gli occhi. «Da chi?! La Skeeter? Sarebbe stata una notizia da prima pagina!»
«Uhm...» Preferiva non dirgli di Neville, così sviò leggermente il discorso. «In realtà, Kingsley mi ha detto che tu in particolare gli devi un favore: ha intercettato le foto e così hai evitato di finire su, ah, Beaters of Our Meat. Che roba sarebbe?!»
Ma entrambi i suoi amici parevano ammutoliti, Neville per lo stupore, Ron anche per l'imbarazzo.
Riprese, con una sfumatura di impazienza: «D'accordo, sarà una rivista, e ho capito il gioco di parole nel titolo, ma perché avrebbero dovuto pubblica-?» E l'illuminazione lo colpì. «Oh
«Esatto» annuì Neville con fervore. «Quel genere di pubblico.»
«Cazzo!» Ron adesso sembrava sconvolto.
«Ehi, ehi, tranquillo: in qualche modo Kingsley ha messo le mani su quelle foto...» Ron fece per aprire la busta, ma Harry lo bloccò. «Tu non hai fatto sesso con Ginger, vero?» gli chiese a bruciapelo. «Kingsley è convinto di no.»
«Cosa?! Ma...» Ron lo fissò per tre secondi buoni; quindi si passò, lentamente, la mano sul morso al collo, con l'espressione di chi si risveglia da una trance; e ad un tratto corse via, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Dopo un momento di incertezza, decise di non seguirlo. Sperava di non doversene pentire. Sperava di non aver fatto cazzate. Sperava che nessuno facesse cazzate.
Neville infranse quel silenzio teso. «Harry, grazie per non aver detto nulla di me a Ron.»
«Figurati. Lì per lì ho reagito male, lo ammetto...»
«Posso spiegare...»
«No, no, davvero, non è necessario: dopotutto ha ragione Kingsley, hai fatto il tuo lavoro. E meno male, perché se non fosse stato per te... Io e Ron siamo stati proprio scemi. Forse più io di lui.»
Visibilmente sollevato, Neville cercò di alleggerire l'atmosfera: «Se davvero non ha fatto nulla con quella Mezzavampira ed è convinto del contrario, sta' tranquillo che si sentirà il più scemo in assoluto.»
«Ah, dunque tu non... non hai visto niente?»
L'amico lo guardò con un'aria preoccupata. «Non ricordi, Harry?»
«Ricordo pochissimo» ammise. «Mi sa che non reggo l'alcool.»
«In due parole, Ginger l'ha portato via. Ma... scusa un momento: se non hanno fatto nulla, cosa c'è in quelle foto?!»
Gran domanda. In effetti, non ci aveva pensato. «Non lo so, io non le ho proprio viste.»
Ron tornò proprio allora, grigio in faccia. «Io...»
«Che succede?!»
«Ricordi quando ti ho detto che... uh, sì, insomma, che Ginger non mi aveva morso solo sul collo?»
«Sì, e allora?»
«Ho controllato e... niente. L'unico morso che ho è quello che vedi.» Sembrava sul punto di piangere. «Ma io... voglio dire, è un ricordo così... forte...»
Harry respirò a fondo. «Forse è meglio che tu apra quella busta.»
Ron esitò, poi la lacerò con furia; le foto si sparpagliarono a terra.
I tre si fissarono.
Impossibile fraintendere le scene ritratte: mostravano tutte un Ronald Weasley in pose molto lascive, ma assolutamente privo di erezione, e, variamente intrecciato con lui, un soggetto che... sì, teneva in bella mostra canini da Mezzovampiro, aveva lunghi capelli rossi e magari si faceva pure chiamare Ginger, ma decisamente... non era una ragazza.
«Pervertito di merda! Io lo ammazzo!»



Note:
Mi sono chiesto chi, nelle famiglie Purosangue, potesse trovarsi a gestire i postumi delle notti brave dei giovani rampolli; e non vedo alternative concrete agli elfi domestici, beninteso se i rampolli non si sono cacciati in guai seri.
Naturalmente, trattandosi di Harry, non è stata una notte brava “normale”.
Si sarà capito dal testo che il “
Black Unicorn” è un magi-sexy shop dalla vetrina molto ben fornita e appariscente; credo che le mutande masticabili esistano davvero nel mondo Babbano, ma mi è sembrato di dover rendere più interessante il loro omologo magico.
Harry, Ron e Neville si sono imbattuti nella vetrina mentre esploravano Deviant Alley, ma, pur impressionati, hanno proseguito fino al primo locale. Qui, mentre Neville si teneva un po' in disparte con un bicchiere mezzo vuoto (memore delle istruzioni di Kingsley), Ron è stato quasi subito abbordato da Ginger; Harry non ricorda nulla perché, vedendo l'amico scomparire al piano di sopra, verso quella che prometteva di essere una notte torbida e torrida, colto da un improvviso accesso di invidia ha deciso di lasciar cadere il
Facies Nebula... ma il risultato ha fatto scattare tutti i suoi meccanismi difensivi prima, di rimozione poi. Tra parentesi, credo che fino ad allora avesse vagamente sentito parlare degli ibridi, senza però incontrarli o riflettere su ciò che loro esistenza implica; il che non ha aiutato.
Ginger, dicevo, è un Mezzovampiro maschio e omosessuale che lavora come
freelance per la rivista soft-core “Beaters of Our Meat”. Sia per lavoro sia per diletto, adora sedurre giovani prestanti, influenzabili ed eterosessuali: un abbigliamento ambiguo e un forte fascino vampiresco lo aiutano a far sì che vedano in lui una donna, in tutto e per tutto. Li stupra relativamente di rado, sia perché l'illusione ha i suoi limiti, sia perché i tratti da Vampiro sono dominanti e gli fanno preferire il sangue; ma nelle loro menti resta impresso il ricordo di una notte torrida con una sconosciuta splendida che, poi, non riescono a ritrovare mai più (grazie alla magia vampirica di occultamento). Quasi tutti, comunque, vengono fotografati da Ginger; buona parte di loro finisce sulle pagine della rivista. Forse la fama avrebbe protetto Ron, ma è più probabile che il gusto dello scoop avrebbe prevalso sul timore di ritorsioni. (Ah, dimenticavo: il suo stato flaccido si deve all'eccesso di alcool ed è ciò che suscita l'ironica commiserazione di Kingsley).
Né Robards né gli altri Auror apprezzano la decisione del Ministro di eliminare i Tre Giuramenti, anzi, per loro è appena meno di un tradimento. Nonché un pericolo, perché, comunque la si voglia vedere, abbassa il livello di sicurezza. E si chiedono pure se Kingsley non possa avere motivi o timori reconditi per esentare proprio queste sue reclute da un rito che esiste fin dalla fondazione dell'Ufficio.
L'esistenza di due Sale Riunioni è uno dei pochissimi dettagli che ho voluto riprendere da “La Maledizione dell'Erede”: i due dibattiti pubblici si svolgono, rispettivamente, nella Sala Riunioni e nella Grande Sala Riunioni. Escludendo che possa trattarsi di una svista e ritenendo, d'altronde, che abbia senso disporre di sale di dimensioni diverse, ho scelto di mantenerle entrambe; vista la stretta correlazione con l'attività del Ministro, le ho ubicate al Primo Livello.
Non ho avuto particolari fonti di ispirazione per le formule del rituale (a parte l'ultima, che riecheggia il giuramento di Pipino a Denethor), ma il fatto che l'aspirante si ponga in ginocchio suggerisce una parentela con l'investitura a cavaliere, probabilmente per il tramite dell'Ordine di Merlino, che veniva conferito già da secoli; certo, la bacchetta che cava sangue arterioso dal cuore è un po' più dolorosa della collata, ma si sa che i maghi sono... particolari.
Nell'espressione “fratelli di sangue, di magia e di battaglia”, i tre termini vanno visti quasi come uno solo: la magia del sangue li rende fratelli per la battaglia, obbligandoli, nel contempo, a versare in battaglia il sangue per il fratello... o del fratello. Non è poi troppo diverso dalle famiglie vere, no?
Ho forse esagerato un po' i termini del vincolo esterno della Confederazione sui governi magici, ma la segretezza è il principio fondamentale di tutto il diritto magico e il primo film di
Animali Fantastici ci ha fatto vedere quanto sia importante per loro... e quanto la Picquery si trovasse in difficoltà, proprio con la Confederazione. Non mi stupirei, quindi, se essa potesse addirittura scatenare una guerra tra maghi, pur di tenere nascosta l'esistenza della magia. E magari Kingsley esagera un po' con Harry, perché non sarebbe comunque una decisione a cuor leggero... ma non escludiamola dal novero delle possibilità.
Ci vuole Harry per riuscire a giurare di dare la vita per Robards senza riserve mentali, lo so. Ma dopotutto, per quanto incasinato dalla guerra e magari anche dalla pace, è pur sempre Harry Potter.
Perché Neville aiuta Kingsley? Perché sa fare squadra molto più di Harry.
Twiggy è il nome di una nota modella degli anni Sessanta; ero a corto di nomi in
-y.

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Capitolo 3
*** Leggi, duelli e vestiti ***


LEGGI, DECRETI E VESTITI

Leggi, decreti e vestiti


Ringraziamenti:
Scusatemi, contavo di poter aggiornare molto prima, ma il mio tempo libero è stato risucchiato da una serie di impegni di scrittura di altro genere, poi ci si è messo anche il lavoro... Però eccomi qua, stavolta non intendo sparire per anni. Giuro.
GYHoggy2020: Sono perfettamente d'accordo con te per quanto riguarda Neville, secondo me ha potenzialità che non sono state sfruttate abbastanza; mi piace pensare che, se a undici anni aveva il coraggio di opporsi agli amici, nel frattempo lo abbia sviluppato in qualcosa di meno, ehm, fallimentare lì per lì! Su Robards direi che scoprirai qualche dettaglio in più proprio in questo capitolo, quindi non anticipo nulla. Ma solo dopo il cap. 9 i contorni del personaggio saranno più chiari.
Sai, non ci avevo pensato ma hai ragione, il rapporto tra Harry e Kingsley ricalca molto da vicino quello con Silente con i relativi problemi, però un tantino in peggio, perché entrambe le parti sono a corto di fiducia e pazienza. Sappiamo tutti che Harry non finirà licenziato e Kingsley non si beccherà un'Avada, tuttavia non so davvero se, come e fino a che punto riuscrranno a sbrogliar la matassa. Un po' per volta, suppongo.
Considerato che Ron e Neville non proseguiranno, forse dovrò trovare un modo per scioglierli dai Giuramenti... mumble mumble, ci devo pensare. O magari si resta sempre Auror anche se “in sonno”? Come alternativa non è male.
Troverò spazio anche per i “problemi sessuali”, dopotutto sono pur sempre tre adolescenti... Ecco, da questo punto di vista non sappiamo proprio nulla sul conto di Neville, immagino che mi dovrò inventare qualcosa. Si accettano consigli.
fenris: Grazie mille dell'apprezzamento, lo ricambio di cuore.
E adesso la parte “archeologica”, i ringraziamenti che datano alla fase di stesura.
Nulla batte Pally l'impavida, nulla la frena nella meticolosa e sempre graditissima revisione... e nulla batte l'ignavia di Joe, a suo modo altrettanto stimolante giacché riconquistarne l'attenzione è una vera sfida. Li ringrazio ogni volta, ma non li ringrazierò mai abbastanza.
A questo giro, la citazione introduttiva è dedicata alle burocrazie di ogni epoca, Paese o Mondo Magico.


«Non ho detto che si trattava di una matita rossa, ed è per questo che ha tracciato segni tanto neri. Ho detto che si trattava di una matita relativamente rossa, o che somigliava a una matita rossa, rispetto a quanto sosteneva Wotton, e cioè che si trattava di una matita blu; ed è proprio per tale motivo che faceva segni così neri.»

[G.K. Chesterton, I paradossi del signor Pond – Pond il Pantalone]



L'indomani, alla riunione del mattino, Harry parlò.
Lo fece proprio alla fine, dopo l'ultimo intervento, quando Robards stava per chiudere.
«Scusate» disse, alzando istintivamente la mano come a scuola, «ditemi se ho capito il quadro generale. Stiamo ancora inseguendo quattro o cinque Mangiamorte, non di più: gli altri sappiamo che sono morti o ad Azkaban. Giusto?»
«Giusto» confermò il Direttore, che per una volta sembrava incuriosito anziché infastidito.
«A parte qualche branco di Dissennatori qua e là, sembra che ci siamo liberati anche delle Creature Oscure.» Tranne che a Deviant Alley, aggiunse tra sé e sé. «Ci resta tutta la rete dei simpatizzanti e fiancheggiatori di Voldemort, quelli che – senza essere affatto sotto Imperius, precisiamo... – lo hanno aiutato a rafforzarsi e a prendere il controllo del Ministero. Giusto?»
«Sì» rispose Robards, ancora tranquillo. «Ma dove vuoi arrivare?»
«Avrei due domande, signore.»
«Non rivolgerti a me, Harry, ma a tutti quanti. Forza, sentiamo queste due domande.» Il luccichio nei suoi occhi sembrava perfino divertito.
«Ehm... d'accordo, grazie. La prima è: qual è il nostro piano? Insomma, voglio dire... finora non mi è sembrato di vedere qualcosa di... di coordinato, ecco.»
«E per un'ottima ragione, credimi. I nostri soggetti si dividono in due categorie: quelli in fuga e quelli che tengono la testa bassa. I primi non sono in grado di coordinarsi, dobbiamo cercarli e stanarli uno per uno; quindi, tutto il coordinamento che serve è questo che vedi in riunione. Gli altri... Williamson, vuoi spiegarglielo tu? Immagino che interessi anche alla tua recluta.»
Neville, che aveva l'aria distratta, ricevette una gomitata dal suo supervisore, che tuttavia proseguì il discorso senza esitazione. «In realtà, è molto semplice. Quelli che non sono già scappati sperano di cavarsela evitando di dare nell'occhio... ma, diversamente dagli altri, potrebbero coordinarsi. Anche solo per organizzare una fuga di gruppo. Quindi, pure noi cerchiamo di non dare nell'occhio, di preparare i nostri casi...»
«Per questo non abbiamo ancora arrestato nessuno, all'interno del Ministero?» lo interruppe Ron. Tutti gli sguardi furono su di lui e arrossì. «Scusate» borbottò «me l'ha detto mio padre.»
«In realtà non è esatto» commentò la Stuart, tranquillamente. «Dolores Umbridge, ad esempio, è sotto processo e un po' tutto l'organigramma di quella... vergognosa Commissione sta rischiando grosso.»
«Ma per quanto riguarda la maggior parte dei dipendenti ministeriali che ha collaborato alle politiche di O' Tusoe,» riprese Williamson, «vale la regola di prima: appurare le responsabilità individuali senza metterli tutti in allarme.»
Harry avrebbe voluto chiedergli: Giusto per sapere... qua dentro, in quest'Ufficio, chi ha accertato la responsabilità di chi?!
Ma la domanda rimase a ustionargli la punta della lingua e la riunione si concluse senza ulteriori sorprese.
Forse, dopotutto, stava imparando a controllarsi. Giusto un pochino.
Però non era del tutto sicuro che fosse un bene.

Benché non fosse poi così frequentata, l'Accademia di Magisprudenza occupava un edificio enorme, ben mimetizzato nel quartiere di Chelsea. Harry continuava a trovare strano quel sovrapporsi di realtà magica e Babbana, così tipico di Londra: usciva dalla metropolitana come tutti gli altri, ma entrava in un posto che, a parte lui, forse vedevano soltanto Ron e Neville. Con il Paiolo Magico e Diagon Alley ci era abituato; vivere così la vita di tutti i giorni, però, era un'altra faccenda...
«Pare che i Babbani la scambino per la villa di un miliardario russo» commentò Neville, al suo fianco, ammirando le colonne doriche e il grande frontone neoclassico su cui campeggiava l'iscrizione “Cupidae Legum Iuventuti”.
«Non so come siano le ville dei miliardari russi» ribatté Ron, «ma di sicuro sembra un posto grandioso. Dite che ci sarà anche una mensa, o per il pranzo ci dovremo arrangiare?»
Una bella domanda, in effetti, tanto più che si trovavano in una zona sconosciuta della città. Forse avrebbero fatto meglio a prendere l'abitudine di pranzare al sacco; Kreacher ne sarebbe stato indubbiamente entusiasta.
«Potremmo semplicemente Materializzarci a casa» osservò Neville.
Materializzazione. Già. Un'altra cosa a cui si doveva abituare: spostarsi da qui a lì non era più un problema. Proteste delle sue budella a parte.
«Credo che Kreacher non abbia preparato nulla: gli ho detto di non aspettarci.»
Ron espresse un certo disappunto, ma, sempre discutendo sul pranzo, presero comunque a salire lo scalone di ingresso.
L'atrio dell'edificio era gigantesco - soffitti e pareti affrescati con soggetti che Harry non sapeva riconoscere - ma non si vedeva anima viva. Dovettero percorrerlo fino in fondo, per trovare una sorta di guardiola e una strega di mezza età, con un vistoso porro sul naso, che li indirizzò alla loro aula... e non furono indicazioni semplici da seguire.
«Ha detto di svoltare a sinistra prima o dopo i ritratti degli Stregoni Capo?» sbuffò Ron alla decima rampa di scale.
«A me sembrava “tirare dritto oltre i ritratti degli Stregoni Capo”» obiettò Harry. «Potremmo chiedere a loro, però. Scusate...»
Pessima idea: i ritratti parlavano soltanto in latino o in uno strano gergo che sembrava francese. Tirarono dritto e, dopo un altro quarto d'ora tra corridoi e ambulacri, trovarono finalmente l'aula Dupondii, dove un vistoso cartello a caratteri color carminio annunciava il corso di “C. Crawley – Introduzione generale al Diritto Magico”.
«A quanto pare» notò Neville «siamo in anticipo.»
«Così pare.» Il luogo era ancora pressoché deserto: sembrava che gli altri studenti stessero appena cominciando ad arrivare.
Per sicurezza, comunque, si tennero ben stretto il Facies Nebula e scelsero posti verso la metà dell'aula.
Un po' per volta, quel grande rettangolo vuoto cominciò a popolarsi; alla fine, Harry stimò che dovesse esserci un centinaio di persone circa, anche se l'aula ne avrebbe potuto contenere tranquillamente il doppio.
Da un lato, si sentiva un po' tornato a scuola; dall'altro, era tutto diverso. Niente Case, niente uniforme di Hogwarts – anzi, un mucchio di uniformi diverse per i vari uffici del Ministero, oppure sgargianti abiti civili – e zero possibilità di stringere amicizia. Non con il Facies Nebula, non con tutti gli altri impegni... Insomma, c'era un che di strano, quasi di stonato.
Infine, Caractacus Crawley fece il proprio ingresso. Harry, però, sul momento non lo capì: visti i titoli dei suoi libri, si era aspettato un vecchio bacucco con la parrucca e scambiò quel tipo disinvolto, al massimo quarantenne e abbigliato in modo informale, per uno studente ritardatario. Almeno finché non salì alla cattedra: a quel punto, si diede dell'idiota per non aver notato che, al suo arrivo, il brusio era calato di colpo.
Crawley estrasse dalla borsa di cuoio tre o quattro volumoni dall'aria molto minacciosa, li stette ad osservare per un secondo o due, quindi si raddrizzò e, con un sorriso, attaccò a parlare.
Tutti gli studenti, intorno a lui, sembravano già pronti a prendere appunti; Harry si affrettò a tirar fuori piuma e pergamena. Il gesto familiare non fece che accrescere il senso di spaesamento, ma si sforzò di seguire.
«Buongiorno, signore e signori. Come ogni anno - ma qualcuno di voi per il secondo o terzo anno di fila... – benvenuti al corso che l'Accademia di Magisprudenza destina, in modo particolare sebbene non esclusivo, ai nuovi dipendenti del Ministero della Magia. Mi fa molto piacere annunciare che si sono uniti a noi anche i giovani Auror: a quanto pare, il Ministro Shacklebolt si è convinto che abbiano bisogno di qualche dritta in più su come distinguere i buoni dai cattivi.» Le risate suonarono un po' forzate. «Non vedo i nostri giovani eroi... ma forse è meglio così: non gradisco le distrazioni nella mia aula. Quindi, signori Weasley, Paciock e Potter, se siete qua travestiti, ottima idea, avete la mia espressa approvazione; se invece non ci siete, be'...» Fece spallucce. Qualcuno ridacchiò.
Harry guardò la sua penna, dubitando che potesse servirgli, visto il tenore del discorso. Ma nessuno degli altri accennava a riporla.
Crawley riprese: «Il corso, come sapete, ha preso il nome di Introduzione generale al Diritto Magico: vi spiego il perché, così capirete qualcosa dei suoi obiettivi e del metodo che seguiremo.
Tutti voi, a Hogwarts, avete già imparato molto sulle leggi che regolano l'uso della magia, però sempre all'interno di altri corsi, in particolare Difesa contro le Arti Oscure. Probabilmente sapreste recitarmi a memoria un bell'elenco di Maledizioni illegali, magari anche con le relative pene. E va benissimo, intendiamoci. Ma se con ciò pensate di conoscere il diritto magico, vi sbagliate di grosso: nonostante queste nozioni sparse – anzi, proprio perché sono solo nozioni sparse – vi serve un'introduzione generale.
“Generale”, badate bene, in due sensi: da un lato, non entreremo troppo nel dettaglio delle materie particolari, che ciascuno di voi approfondirà, anche sul piano giuridico, presso l'Ufficio cui è addetto; dall'altro, quel che imparerete qui vi servirà a dare senso alle diecimila leggi e leggine con cui dovrete destreggiarvi, nonché a risolvere – per quanto possibile, s'intende – i mille dubbi che vi verranno in mente quando dovrete interpretarle e applicarle.
Il termine “diritto” presenta tre accezioni ben distinte: anzitutto, e tra un momento capirete perché io preferisca cominciare da questa, diritto soggettivo, ossia ciò che spetta a ciascuno, ciò che è giusto che Tizio abbia e che, se gli viene negato, può ottenere tramite l'intervento dell'autorità. Quindi, l'accezione forse più comune: diritto oggettivo, la congerie sterminata delle leggi e leggine. Infine, quello che sostanzialmente studierete qui: la scienza giuridica, ossia il metodo che vi permette di riconoscere o, secondo alcuni, di creare un ordine in quella stessa congerie. Un ordine che, anche se non tutti sono d'accordo, per me è improntato soprattutto alla definizione precisa e, quindi, alla miglior tutela dei diritti soggettivi. Un autore Babbano ha scritto: Legum omnes servi sumus, ut liberi esse possimus.» Il latino provocò un certo scalpore, che Crawley ignorò. «Mi trovo perfettamente d'accordo: lo scopo ultimo della sottomissione alle leggi, per quanto ciò possa sembrare paradossale, è proprio la sicurezza della libertà individuale. Vorrei aggiungere, però, che tutte e tre le accezioni del termine “diritto” sono accomunate da una connotazione emotiva favorevole. Questo non è affatto casuale: gli esseri umani non vogliono semplicemente essere liberi o sicuri, vogliono agire sentendosi nel giusto. Ricordatevelo bene e ricordatevelo sempre, perché perfino i Mangiamorte avevano una loro idea di giustizia.» Stavolta si fermò e attese che i borbotti si placassero.
«Il corso sarà diviso in due parti. Nella prima, sperando di rendervi più facile lo studio, cercherò di riassumere almeno i punti principali del testo da cui partiremo, cioè il Compendio storico-sistematico... ma vi avverto in anticipo che gli appunti delle lezioni non vi basteranno e che dovrete mandare a memoria un bel po' di nozioni libresche. Tuttavia, secondo me è del tutto inutile che mi spiattelliate la data esatta del Decreto Vattelapesca, o le sue esatte parole, se non riuscite a padroneggiare gli elementi essenziali della scienza giuridica: il metodo e i princìpi. A questi dedicheremo la seconda parte del corso e, ve lo dico fin da ora, a quel punto ogni lezione vi vedrà coinvolti in esercitazioni pratiche; solo se mi dimostrerete di sapervela cavare alla prova dei fatti sarete ammessi all'esame. Chiaro?» Qualche testa annuì, ma i più sembravano completamente persi. Crawley fece una smorfia, come se non si fosse aspettato nulla di meglio.
«Quando parlo di “metodo”, intendo, in buona sostanza, quella che per i profani è l'arte del cavillo. Conoscete anche voi, no, il pregiudizio nei confronti degli avvocati? Difendono i peggiori criminali, si rigirano le parole come vogliono... Ebbene, vi piaccia o meno» - strinse le labbra - «dovrete imparare l'arte del cavillo, che poi è la capacità di mettere in luce tutti i possibili significati di un testo, o i risvolti di una situazione di fatto, perché la prima impressione può perfino essere giusta (e non è detto, badate bene, non è affatto detto!), ma da sola non basta: alla verità, alla giustizia, si arriva soltanto alla fine. Alla fine di che, mi chiederete? Di un percorso e di un lavoro che il popolo bove – quelli che “Ma certo che è colpevole, lo sanno tutti!” - non immagina nemmeno. E se non siete disposti ad accettare, almeno per un momento e come ipotesi, che “quel che sanno tutti” in realtà sia sbagliato, che il peggiore dei colpevoli sia innocente e che gli stessi fatti si possano vedere in modi molto diversi... be', sarò franco: non credo che supererete il corso. Non importa se non farete mai gli avvocati: dovrete essere in grado di farlo, se non altro perché tocca proprio ai dipendenti del Ministero difendere la posizione del loro Ufficio – e anche il loro stesso operato – quando sorgono contestazioni davanti al Wizengamot. La scelta su come impiegare quel che imparerete qui sarà vostra e soltanto vostra; io esigo semplicemente che lo impariate.
Lo stesso discorso vale per i princìpi, che sono poi il fondamento del sistema. Io non pretendo che li condividiate, che rispecchino il vostro sentimento di giustizia: mi basta che dimostriate di capirne la logica e di saperci lavorare. Anzi, vi preannuncio che chiederò a qualcuno di voi di sostenere tesi contrarie a questi princìpi, per esempio l'inutilità dello Statuto di Segretezza...»
«Come?!» esclamò qualcuno due o tre file più avanti.
«Qualcuno resta scioccato un anno sì e l'altro pure. E dire che abbiamo appena avuto un governo contrario allo Statuto... Sì?» aggiunse Crawley, indicando una mano scattata su come una molla.
«O' Tusoe non era un vero Ministro della Magia!» sparò il proprietario della mano, tutto d'un fiato.
«Interessante» commentò il professore; e perfino a quella distanza Harry Potter gli notò un luccichio pericoloso negli occhi. «Qualcuno sa dirmi come distinguiamo i Ministri veri da quelli falsi? E, tra parentesi, se quello di O' Tusoe non era un governo... allora cos'era
Cadde un silenzio generale.
«Purtroppo, signore e signori, non possiamo affrontare la questione direttamente, almeno non adesso: a troppi di voi mancano troppe nozioni. Innanzitutto, nozioni storiche, visto che Hogwarts non si decide a mandare in pensione Rüf. Quindi, per prima cosa, preparatevi a far fondere le vostre piume scrivendo tutto quello che non avreste mai voluto sapere sulla nascita del governo e della legge dei Maghi.»

Tre ore e mezzo dopo, quando infine nella grande aula cadde il silenzio, si vide che Crawley non aveva esagerato: più di una penna fumava per davvero.
Harry si massaggiò il crampo al braccio, cercando di riprendersi da quella tempesta di nozioni e concetti. Vaghe reminiscenze di Storia della Magia gli si affollavano in testa, ricomparendo da recessi del cervello che neanche sapeva di possedere... e intuiva per la prima volta la vastità del danno che sei anni di non-insegnamento della materia gli avevano arrecato.
«Ma quindi,» stava chiedendo Neville a qualcuno davanti a loro, «hai scritto anche tu così? Il Ministro potrebbe tuttora essere eletto...?»
«“Per acclamationem”» confermò l'altro. «Quando il Wizengamot offre la carica a qualcuno in tempo di emergenza - o nomina un Ministro provvisorio, come ha fatto con Shacklebolt - di solito lo sceglie tramite votazione formale, ma può farne a meno se i membri della Corte si alzano ad acclamare un solo nome.»
«Tutti?» chiese Ron, dubbioso.
«Io ho scritto “l'unanimità morale”» intervenne Harry, che a sua volta era rimasto molto colpito da quella strana idea. «Chissà che vuol dire...»
«Significa “a occhio, più o meno tutti”» rispose lo studente sconosciuto, con un sorriso. «Eri a Corvonero anche tu? Non mi pare di averti mai visto prima...»
«Uh, ah, io... no, Grifondoro. Ma ho lasciato prima dei M.A.G.O.»
«Veramente? Sembri bravo a prendere appunti.»
«Ah... grazie» rispose, sbalordito di poter essere scambiato per un Corvonero.
Intorno a loro, l'aula si stava svuotando e il loro interlocutore chiese: «Voi tre siete insieme?»
«Sì» rispose Neville, notando l'imbarazzo crescente di Harry.
«Buona idea, aiuta a tenere il passo con lo studio, sapete. O così dicono.» Abbassò gli occhi, improvvisamente vergognoso. «Io sto ripetendo il corso...»
«Ma se si vede lontano un miglio che sei un secchione fatto e finito!» proruppe Ron.
«Ehm... grazie, ma non basta. Soprattutto non quando devi anche lavorare sul campo con le Creature Magiche.»
A quel punto, sembrò che volesse chieder loro di che Ufficio fossero... e che se ne dimenticasse un attimo dopo.
Un effetto in più del Facies Nebula, si disse Harry, o forse del fatto che non vedere bene le espressioni degli interlocutori scoraggiava molto la comunicazione: in entrambi i casi, un punto per Hermione e il suo Incantesimo. Si ripromise di dirglielo, alla prima occasione.
Scambiarono ancora qualche battuta con il tizio e lo salutarono; indi, il trio in incognito – appurato con disappunto che l'Accademia non forniva servizio mensa - si mise senza indugio alla ricerca di un pranzo.

Una delle cose positive che Harry stava scoprendo della vita londinese era la facilità di trovare posti dove mangiare. Anche se non proprio economici: forse sarebbe dovuto andare a cambiare qualche Galeone in più...
In effetti, gli sembrava che un Galeone dovesse valere molto più di cinque sterline circa, anche solo per l'oro che conteneva. Ma, dopotutto, non poteva dire di saper nulla di queste faccende.
Comunque, gustarono un pranzo molto gradevole in un ristorantino indiano nemmeno troppo distante dall'Accademia e Ron smise di brontolare sull'ingiustizia rappresentata dalla mancanza di una mensa. Non che avesse tutti i torti, beninteso: sarebbe stato più pratico.
Mentre aspettavano il dolce, a Harry tornò in mente la proposta di Grassley. Sperava di riuscire a passare dal negozio più tardi, magari una volta uscito dal lavoro; ma si rese conto di non sapere l'orario. Gli venne anche il dubbio che non rispondere a quel biglietto potesse essere considerato maleducazione.
«Uhm... Neville?»
«Sì? Dimmi.»
«Credi che dovrei rispondere a Grassley per dirgli che passerò da lui verso sera? Pensavo di farlo e basta, ma... non so, mi sembra un tipo formale.»
«Se ben ricordo, si è firmato con Esq., no? Non lo fa quasi più nessuno, ma significa senz'altro che aspetta una risposta scritta e anche... come dire... una di quelle dove firmi con tutti i tuoi titoli.»
«Titoli, io?! Ma non ne ho!»
«Be'» osservò l'amico, soprappensiero, mentre Ron attaccava il dolce senza pietà, «se fossi già un Auror a pieno titolo, potresti usare la W....»
«Come i membri del Wizengamot? E che c'entra con me?!»
«Sì, è la stessa W., ma non sta per Wizengamot, sta per Warlock, il mago esperto di duelli e combattimenti. Il titolo spetta a tutti i membri della Corte, ma oggi lo usa solo lo Stregone Capo.»
Harry non ebbe neppure il tempo di commiserarsi per la propria ignoranza in materia di etichetta magica, che Neville si batté una manata sulla fronte. «Che scemo che sono! Certo che hai un titolo! Nientemeno che l'Ordine di Merlino, Prima Classe! Altro che W.!»
Così, stando attenti a non farsi notare dai Babbani, elaborarono una breve risposta dove Harry chiedeva se potesse passare verso sera, purché non diventasse troppo tardi per il signor Grassley, e si firmava “Harry James Potter (O.M., 1 Cl.)”.
“Harry James”. Non aveva usato quasi mai il secondo nome, ma gli piaceva come suonava.
Anche “Harry J. Potter” poteva andare, ora che ci pensava. O perfino “H.J. Potter”, perché no?
Qualunque cosa, pur di non chiamarsi “Harry Potter”.
Nessuno dei tre aveva un gufo dietro, naturalmente: Leotordo aveva seguito Ron a Grimmauld Place, ma Harry non aveva ancora sostituito Edvige e Neville, dopo Oscar, diceva di aver chiuso del tutto con gli animali. Peraltro, il gufetto sovreccitato sembrava poco adatto a recapitare una lettera formale e, comunque, Materializzandosi a casa, anche solo per il tempo di spedirla, Harry avrebbe sovreccitato pure Kreacher... Dopo una breve discussione, entrarono in un vicoletto in ombra e si Smaterializzarono.
L'Ufficio postale di Diagon Alley, molto più grande di quello di Hogsmeade, gli noleggiò un gufo espresso, con tanto di uniforme, per sei Zellini appena; Harry, però, non poté fare a meno di pensare che stava spendendo più di quanto non avesse mai fatto in vita sua.
Esattamente, quanto dovrei guadagnare al mese?
Si accorse di non ricordarlo.
Forse sarebbe stato meglio rileggere il contratto, alla prima occasione...
Rimuginò sulle vaghe, eppur pressanti preoccupazioni economiche mentre si affrettavano verso il Ministero; dello stipendio, per quanto si sforzasse, rammentava solo che gli era sembrata una cifra ridicola. Forse avrebbe fatto meglio anche a controllare il livello del suo forziere... Quella Firebolt non era stata una grande idea, probabilmente, e con i problemi che aveva con i folletti... Oh, giusto, la notifica!
Se ne ricordò proprio mentre entravano in ascensore; si scusò con gli amici e si diresse – chiedendo indicazioni un paio di volte lungo la strada – all'Ufficio per le Relazioni con i Folletti. Infine, si trovò dinanzi a uno sportello di accoglienza al pubblico e a un mago dall'aria molto, molto svogliata.
«Dica» biascicò quello, senza neanche guardarlo.
«Ehm... buongiorno, io... dovrei ritirare un documento...»
«Che genere di documento?»
«Uhm... boh, una richiesta di risarcimento, credo...»
Improvvisamente, l'impiegato parve attentissimo: lo squadrò bene in faccia... e scomparve nel retro, senza dirgli, o lasciare a lui il tempo di dire, una sola parola.
Ma che diavolo succede?!
«Stupeficium
Schivò d'istinto, gettandosi a terra e rotolando su sé stesso, ancor prima di aver capito da dove provenisse l'attacco.
Tre maghi. Entrati dietro di lui, sembrava. Pronti ad attaccare. Di nuovo.
Tre contro uno, alle spalle, senza preavviso?!
Questi sono Mangiamorte!

Balzò in piedi proprio mentre altri tre Schiantesimi saettavano verso terra; li colse alla sprovvista e gli bastò un attimo.
Spedì il primo per aria con un bel Levicorpus.
Pietrificò il secondo.
Il terzo urlò: «Ministero della Magia! Ti dichiaro in arresto!»
«Ma vaffanculo!» gli urlò d'istinto, mentre parava una Maledizione particolarmente brutta. «Io sono un Auror!»
«Sì, e io sono Babbity Rabbity!»
«Chi?!» domandò, parando un nuovo attacco e schivando la fattura che il primo attaccante, in qualche modo, era comunque riuscito a scagliargli contro.
«Mi pigli per il culo? Confringo
Harry si chinò e il banco dello sportello alle sue spalle fece una gran brutta fine. «Impedimenta
Bloccato. Cazzo. Non si poteva permettere Incantesimi verbali.
E adesso erano di nuovo tre contro uno.
Il terzo, che doveva essere il capo, gli intimò: «Non opporre resistenza e non ti faremo alcun male. Subirai un regolare processo.»
«Processo?!» sbottò, sul punto di mettersi a ridere. «Oh, come no, me lo immagino...» Il primo – forse impaziente, forse incazzato per la magra rimediata – tentò un attacco... e di colpo gli furono addosso tutti insieme.
Parò, schivò, si gettò di lato... e rispose.
«Expelliarmus
L'Incantesimo di Disarmo li colse completamente alla sprovvista: tre bacchette gli volarono in mano.
«Molto bene» commentò, con un po' di fiatone. «Adesso, quasi quasi, direi che io arresto voi... credo che sia il mio lavoro, in effetti. Non ne sono del tutto sicuro...»
«Il tuo lavoro!» La sconfitta non aveva fatto sparire il disprezzo dalla voce del capo. «Pensavamo fossi una spia della Skeeter, ragazzino, ma duelli troppo bene: devi essere un Mangiamorte.»
«Un Mangiamorte io?! Ma non vedi chi...»
E a quel punto capì.
Oh porca puttana...
Si batté una manata sulla fronte e lasciò cadere il Facies Nebula.
Tre paia di occhi lo fissarono esterrefatte.
Di colpo, si sentì preda di un profondo imbarazzo.
«Ehm...» borbottò «scusate, mi sono dimenticato... sapete, è un Incantesimo che uso là fuori per non essere... sì, insomma, per non essere riconosciuto... Sono appena rientrato dalla pausa pranzo e mi sono scordato di levarlo.»
Il capo sbatté le palpebre un paio di volte, come se ancora non credesse ai suoi occhi. «Quindi... tu sei veramente Harry Potter?»
«In persona. Sono qui per...»
«Jones!» urlò l'altro, a pieni polmoni.
L'impiegato di prima riapparve tremebondo, tra i resti contorti di quello che era stato il suo sportello. «S-sì?»
«Prima di far scattare l'Allarme Uno, pezzo di imbecille, per caso hai chiesto nome e cognome...?»
«Nome e cognome?!» Pareva che quel tipetto un po' ingobbito non l'avesse ancora riconosciuto. «Qualcuno di palesemente camuffato viene a ritirare la notifica del signor Potter, può solo essere un intruso.»
Harry tossicchiò. «Ehm... forse potrei essere... me stesso
Finalmente, Jones lo mise a fuoco... e sgranò gli occhi. Ma un momento dopo tornò alla carica: «E chi mi assicura che non sia un intruso sotto Polisucco, eh?!»
«Senta...!»
«Aspettate un momento» intervenne un altro dei tre. «Il vero Harry Potter lavora al Ministero, giusto?»
«Giusto» convennero tutti.
«Allora verifichiamo gli Incantesimi Segnapresenze: se è entrato per davvero, lo hanno marcato di sicuro.»
Harry aggiunse gli Incantesimi Segnapresenze alla lista di cose che non sapeva del suo nuovo lavoro. Ma evitò di dirlo a voce alta.
Uno dei tre si allontanò per controllare i registri o qualunque altra cosa andasse controllata; la tensione si allentò leggermente, ma restavano tutti in guardia. Jones bofonchiava qualcosa del tipo “Non si è mai abbastanza sicuri” e “Ci vanno di mezzo le mie chiappe, non so se mi spiego”.
«Uhm...» disse, cercando di rompere il silenzio, «quindi voialtri, a conti fatti, chi sareste?»
«Squadra Speciale Magica» rispose il capo. «C'è un allarme predisposto casomai qualcuno tentasse di procurarsi informazioni su Harry Potter... per ovvie ragioni.»
«Già... ovvie.» Non sapeva che pensare di tutta quella faccenda: da un lato gli faceva in qualche modo piacere, dall'altro... «Dite un po': attaccate sempre alle spalle, senza preavviso e tre contro uno?»
Il suo compare arrossì, ma il capo non fece una piega. «Il Ministero è ancora zona di guerra.»
«...Eh?!»
Quello si strinse nelle spalle. «Non è una decisione mia. Shacklebolt dice che, finché non avremo preso l'ultimo Mangiamorte, ci sarà sempre la possibilità che si intrufolino qua dentro in cerca di vendetta. E quindi, in particolare, di informazioni su Potter.»
«Non fa una grinza» dovette riconoscere il diretto interessato, dopo un momento di riflessione.
Proprio in quella, rientrò il terzo membro della Squadra Speciale Magica, che confermò che “Harry James Potter (Ufficio degli Auror – In addestramento)” era effettivamente entrato al Ministero una ventina di minuti prima.
«Bene» commentò il signor Jones. «Adesso come verifichiamo se questo qui è davvero il signor Potter?»
Si fissarono tutti per un momento.
«Proviamo con le domande standard» osservò il capo. «Numero di matricola?»
«Ah...» E chi cazzo se lo ricorda a memoria?!
Le dita tornarono a stringersi sulle bacchette; ma, proprio in quella, un aereoplanino di carta rosso planò tra i capelli di Harry.
«Che...?!»
Gli altri si fissarono di nuovo.
Lo prese e stava per esclamare che, se riceveva promemoria interni, doveva essere il vero Harry Potter, quando lo stramaledetto aggeggio prese fuoco.
Mentre lo lasciava cadere con uno strillo di sorpresa, la voce di Gawain Robards rimbombò per mezzo Ministero: «Cervello di Troll, dove sei andato a rimbambirti dalle seghe?! Porta subito il tuo culo inutile in Ufficio, cacchetta di elfo domestico, dico a te! Vieni qua all'istante, o ti spedisco a pulir cessi alla Manutenzione Magica!»
Lo Stril-promemoria tagliò la testa all'Ippogrifo: Harry ricevette l'atto che era venuto a ritirare, tante scuse, vivi complimenti per la bravura in duello e l'assicurazione di Jenkins, il capopattuglia della Squadra Speciale, che avrebbe inoltrato al suo Ufficio copia del proprio rapporto, “così Robards vedrà che non conti balle!”.

Venti minuti dopo, stava ancora cercando di convincere il proprio supervisore di essere davvero riuscito a tener testa a ben tre membri della Squadra Speciale Magica - anzi, a batterli pure, sissignore, signore! - quando Jenkins tenne fede alla parola data: un aereoplanino entrò nel Q.G. e raggiunse un Gawain Robards che inalberava un'espressione tra lo scettico e il disgustato.
Questi lo spiegò, lesse... e il cipiglio restò del tutto invariato.
«Di' un po', quanto gli hai dato perché ti facesse un favore simile? E l'hai pagato in Galeoni o in pompini?»
Harry estrasse la bacchetta molto prima di pensare... ma Robards gli puntava già la propria contro la gola.
«Estrai in fretta» rilevò freddamente. «Però sei un libro aperto, quel che vuoi fare si capisce con un secolo di anticipo.» Ghignò. «Allora, ragazzino... hai deciso di farmi divertire? O ti dai una calmata?»
Tutt'intorno a loro, gli Auror li guardavano, ma in tralice, facendo finta di niente.
Ron e Neville sembravano pronti ad accorrere in suo aiuto, costasse quel che costasse.
Fu questo a farlo tornare in sé. Mai più... mai più nessuno dovrà rischiare per me, mai più.
Abbassò la bacchetta, ma di poco. «Mi bastano le Sue scuse, signore.»
«Le mie...?!» Il tono pareva sinceramente incredulo.
«Ha sentito bene. Signore
«Scòrdatele» fu la risposta secca. «In quanto tuo Direttore e supervisore, sono legalmente autorizzato a insultarti come mi pare e piace.»
«Eh?!»
«E mi piace pure parecchio.»
Harry cominciò a vedere rosso; quasi non sentì Gawain Robards che proseguiva.
«Sei troppo sensibile alle provocazioni, ragazzino. Cresci, non sei più a Hogwarts. Un Auror non se lo può permettere. Ti potresti trovare in una situazione in cui hanno preso in ostaggio tua madre... ah no, tu no, è vero.»
Davanti ai suoi occhi, il rosso divenne nero.
Vide a malapena un lampo giallo-verde; non fece in tempo a sentire il boato che scosse tutto il Ministero, perché si afflosciò subito a terra.

Si risvegliò dopo sei minuti. O così gli dissero in seguito: lì per lì, aveva perso del tutto il senso del tempo e dello spazio.
«Non ci vedo...» disse rauco, un accenno di paura nella voce.
«Harry! Harry, siamo qui con te!»
«Ron?» Girò la testa verso la voce. «Dove sei? Non ti vedo...»
Una mano familiare strinse la sua... e, in qualche modo, gli fece da ancora.
Un po' per volta, il mondo intorno a lui smise di sembrare un caleidoscopio rosso, verde e nero; contorni, oggetti e persone cominciarono a riapparire.
Gawain Robards era chino su di lui, il viso preoccupato. «Come ti senti? Ricordi quel che è successo?»
La domanda scatenò un assalto di memorie che gli strappò un gemito.
«Ascolta...» proseguì il Direttore. «Ho detto che ho il diritto di insultarti ed è vero... ma quello su tua madre è stato un errore, solo un errore. Non volevo. Mi dispiace.»
«Cos'è successo?» biascicò, incapace di metabolizzare quelle che sembravano quasi scuse.
«Un fenomeno molto raro» intervenne una figura che non seppe associare ad un nome. «Hai presente le magie accidentali da bambini? Ecco, qualcosa di simile.. ma stavolta avevi in mano la bacchetta.»
«In pratica,» lo interruppe Robards, «la tua rabbia non si è semplicemente incanalata nella bacchetta, è come... entrata in risonanza, ecco.»
Di nuovo la voce di prima. «Rabbia, magia, nucleo della bacchetta... è come se si fossero rinforzati a vicenda finché... be', tutto quel potere doveva esplodere, in qualche modo.»
«Riesci ad alzarti, Harry?» gli chiese Neville, visibilmente in ansia.
Le mani pronte ad aiutarlo non mancavano davvero, ma fece comunque fatica: si sentiva debolissimo. Guardandosi intorno, vide quelli che sembravano i segni di una tremenda esplosione: scrivanie mezze distrutte, pareti annerite, pergamene dall'aria traumatizzata che volavano a zig-zag...
«Ma... sono stato io?» domandò, incredulo.
Lo misero a sedere e lo imbottirono di Pozioni tonificanti: gli spiegarono che la spossatezza che sentiva era dovuta alla magia del suo corpo che cercava di rigenerarsi, che era come se avesse consumato in un colpo solo quella che avrebbe usato nel giro di un anno o giù di lì... Gli spiegarono, in effetti, molto più di quanto riuscisse a seguire, soprattutto in quello stato. Ma, dopo una mezz'oretta, si sentì meglio. Ancora debole, ma... meglio.
Senza troppi indugi, Robards gli piazzò davanti un faldone alto, senza esagerare, una iarda buona. «Il tuo primo fascicolo.»
«Il mio...?»
«Be', non è esattamente un fascicolo» si corresse l'altro. «Meno male che ci sono gli Incantesimi di Compressione, sennò sai quanto spazio ci vorrebbe? In effetti, sono...» Gettò un'occhiata alla copertina. «Ah, pensavo peggio. Sono seicentonovantadue casi.»
«Eh?!»
«Tutti i casi irrisolti dall'inizio della scorsa guerra ad oggi, tutte le morti dovute alla magia che non siamo mai riusciti a spiegare come incidenti né ad attribuire ad un assassino. Non mi aspetto che ci riesca tu, sia chiaro. Ma, appunto perché non rischi di far danni, puoi cominciare con questi. Imparare a consultare un fascicolo, a studiare un rapporto, a formulare ipotesi... e chissà, magari sei un genio e riesci a incastrare un Mangiamorte che l'ha fatta franca per vent'anni.»
«Scusate» interloquì una voce acuta, facendoli sobbalzare.
La stessa elfa del giorno prima avanzò decisa verso di lui, gli cacciò in mano un rotolo di pergamena e gli disse: «Twiggy è tanto dispiaciuta, Harry Potter, signore.». Scosse la testa e si Smaterializzò, senza fargli firmare nulla.
«Ma...?!»
«Notifica magica tramite elfo ministeriale?! Apri subito quel rotolo: solo per le cose più importanti in assoluto non ti chiedono la firma.»
«Ah... grazie, signore.» Sentendosi di colpo il cuore a mille, ruppe il sigillo di ceralacca nera e svolse la pergamena.
La lesse. Si accigliò. La rilesse.
«Ebbene?»
«Uhm... signore, che significa “sub poena indignationis”?»
«Cosa?! Kingsley si è permesso di mandarti un'indignatio senza dire nulla a me?!»
«Ehm...» Non aveva idea di come il Direttore sapesse che il mittente era Kingsley, in prima battuta, e ci capiva anche meno di prima.
«Entro quanto dice che devi essere lì?»
«Dieci minuti... mi devo preoccupare, signore?»
«Facciamo così» ribatté Robards, con un'espressione molto determinata. «Io vengo con te e, strada facendo, ti spiego due o tre cosette. Per esempio, come usare quest'indignatio per pulirti il culo.»
La risata di Harry, pur sollevata, ebbe un che di isterico.

Harry James Potter si affacciò nell'Ufficio del Ministro giusto il tempo di dire “Scusa, ora non posso, ciao” e lasciar entrare Gawain Robards.
Dopodiché, fuggì senza vergogna, alla massima velocità consentitagli da un corpo ancora stanco.
Alle sue spalle echeggiavano urla furibonde.
Tornò al Q.G., al tavolino da lavoro dove lo attendeva quella mostruosità.
«Posta personale sul lavoro, Potter?» Il Vice-Direttore dal nome impossibile lo squadrava a braccia conserte.
«Uhm... signora?»
Senza parlare, gli additò un gufetto appollaiato in cima al monumentale faldone.
«Ah... mi scusi, io...»
«Non è la morte di nessuno, ma non farlo più» tagliò corto la Stuart. «Qui si lavora.»
Era Grassley, che gli assicurava che, quella sera, contava comunque di trattenersi in negozio fino alle dieci passate, per controllare la contabilità e il magazzino. “Pertanto, signor Potter, La prego di sentirsi liberissimo di passare dopo cena, con Suo comodo: non mi arrecherà alcun disturbo”.
Scarabocchiò due righe di ringraziamento e rispedì il gufetto al padrone. Poi gli venne in mente che a Jenkins doveva un grazie ben più sentito.
«Uhm... signora?»
La Stuart lo fissò, accigliata. «Sì, Harry?»
«Come faccio a creare uno di quegli aereoplanini che volano tra gli Uffici?»
«Non lo fai» fu la risposta brusca. «Nessuno dei tuoi compiti prevede la creazione di promemoria inter-Uffici. Quando sarà il momento, il tuo supervisore te lo insegnerà. E pensavo di essere stata chiara sulle comunicazioni personali sul posto di lavoro.»
«Ehm... sì, signora, certo.»
Rassegnato, aprì la mostruosità. Era piena di cartelline impilate, dovevano essere i suoi seicento e rotti casi.
Non aveva la minima idea di cosa dovesse fare.
Notò che la copertina interna del faldone conteneva un indice dei fascicoli in ordine cronologico. Quello in cima doveva essere il più vecchio. Controllò e... sì, corrispondeva.
Tanto vale che mi metta a leggere, si disse con un sospiro, mentre lo apriva.

Due ore dopo, era appena all'ottavo fascicolo, la testa gli scoppiava per lo sforzo di capire cosa fosse importante e cosa no, ma soprattutto si sentiva il morale sotto i tacchi.
Tutti questi morti... e non siamo riusciti a fare un cazzo. Né proteggerli prima, né incastrare gli assassini dopo.
I fascicoli erano tutti piuttosto smilzi: contenevano i rapporti della scena del crimine, cosette come l'interrogatorio dei vicini e ben poco altro.
Come se non ci avessimo neanche provato.
E fu pressappoco quel che disse a Robards, quando finalmente rispuntò.
Il Direttore lo stupì in positivo, perché, invece di prendersela, si prese la briga di spiegargli che, al tempo della prima guerra, nei fascicoli si inserivano solo gli elementi di prova; tutto il resto – analisi, appunti, ipotesi... - era disperso qua e là.
«Vedi, nessuno si fidava più di nessuno, quindi la gestione collegiale – la regola di trattare i casi alla riunione del mattino – era stata molto allentata. Di fatto, ogni Auror lavorava su questo o quel caso, teneva per sé i propri appunti e condivideva con gli altri quel che riteneva di condividere... I fascicoli restano sempre qui a disposizione di tutti, capisci? Meglio che contenessero solo le prove già raccolte e non le ipotesi di lavoro.»
«Ma allora dove...?»
Robards scosse il capo. «Bella domanda. Qualcosa, senz'altro, si troverà nei verbali delle riunioni del mattino.» Indicò vagamente un punto alla sua sinistra. «Il grosso del lavoro, però, è sicuramente rimasto negli appunti personali dell'Auror responsabile di ciascun caso... e non è detto che li abbiamo qui. Sai, in genere li portavano sempre con sé... e molti sono morti.» Restò in silenzio per un momento. «Fossi in te, Harry, comincerei a lavorare su quello che c'è, a farmi un'idea mia...» «Ma, signore... che idea vuole che mi faccia?! Voglio dire... qui ho i nomi delle vittime, va bene, qualche informazione personale, magari anche le cause del decesso... però...!»
«Secondo te perché non abbiamo mai incastrato nessuno per questi omicidi? Comunque, anche così, puoi fare qualcosa: per esempio, prendere nota del modo in cui è stata uccisa ciascuna vittima, se prima è stata torturata... cose così.» Lo disse con tanta tranquillità che Harry rabbrividì visibilmente. «Gli assassini tendono ad agire nella stessa maniera, quindi, se emerge un modus operandi costante, tu puoi raggruppare quei tali fascicoli e ipotizzare che si tratti sempre dello stesso signor X.»
«Capito, signore. Grazie.» Fece per tornare al suo tavolino, ma gli tornò in mente una faccenda importante. «Uhm... alla fine che voleva il Ministro?»
Gawain Robards lo fissò. «Credo che lo scoprirai domani: sei di nuovo convocato nel suo ufficio per le due del pomeriggio. Niente “sub poena indignationis” stavolta, sia chiaro. A me, però, ha detto di dirti tre cose: primo, con i travestimenti hai proprio il cervello di un Troll; secondo, solo un idiota si getta a testa bassa in uno scontro con tre membri della Squadra Speciale Magica...»
«Ehi! Mi hanno attaccato alle spalle!»
«Terzo» proseguì il Direttore con un'occhiataccia «vuole farti i complimenti per come li hai sconfitti. Bada bene, io non sono d'accordo... signorino Expelliarmus.» Fece un verso sprezzante. «E adesso torna al lavoro.»

Capitò al quindicesimo fascicolo, quando ormai pendeva appunti sul bordo inferiore della pergamena.
«Signore?»
Robards grugnì, senza neppure alzare gli occhi da quel che stava leggendo.
«Uhm... avrei un'idea. Per un caso.»
«Hm?» Il suo supervisore inarco un sopracciglio con aria scettica.
«Qui il San Mungo scrive che la Maledizione deve aver dato più o meno la sensazione di un colpo di frusta, ma con lesioni agli organi interni... eccetera eccetera. Io conosco questa Maledizione, signore: era la specialità di Dolohov.»
Negli occhi del Direttore si accese una scintilla di vago interesse. «Dolohov, eh? Bene... per prima cosa prendi nota e scrivi anche il perché di quest'idea. Poi controlla che non sia stata già scartata in passato.»
«Ehm... e come controllo, signore, se qui dentro non c'è niente?!»
Robards lo fissò con un ghigno perfido. «Ovvio: devi leggere i verbali delle riunioni del mattino e soprattutto cercare – pregando di aver fortuna – gli appunti dell'Auror responsabile. A quanto pare, è giunto il momento di insegnarti a fare le ricerche in archivio... Prendi appunti, perché te lo spiegherò una volta sola.»
Quasi tre ore dopo, un Harry Potter estenuato, ma trionfante, riemerse dalla polvere di pergamene dimenticate: aveva rintracciato sia i verbali sia gli appunti; nessuno, in quei mesi tra il '76 e il '77, parlava di Antonin Dolohov come del possibile autore del triplice omicidio di Babbani, ma il suo nome compariva nel gruppo di quattro Mangiamorte che una vecchia strega, allora ritenuta poco credibile, aveva visto passare accanto a casa sua, un cinque miglia più in là, quella sera stessa.
Robards prima lo stette ad ascoltare; poi volle controllare che avesse effettivamente guardato tutti i documenti («Ma sì, signore, ho fatto come mi ha detto, sono partito dal numero di protocollo e...»); infine gli chiese chi fossero gli altri tre Mangiamorte.
«Uhm... Walden Macnair, Rabastan Lestrange e Damocles Selwyn, signore.»
«Selwyn? Ma pensa... uno di quelli che stiamo ancora cercando. Prepara un rapporto per la riunione di domani.»
«Ah...»
«Non restare lì a bocca aperta, devi semplicemente mettere in ordine i tuoi appunti, impararli per bene e riferire ai colleghi domattina. Ah, un'altra cosa... anzi, no, due.»
«Signore?»
«Primo, arrivate di nuovo in Ufficio ringrulliti dalle Pozioni per il doposbronza e vi pelo il culo a pedate. Secondo, decisamente hai ragione: bisogna inserire nei vecchi fascicoli le informazioni che mancano, anzi, è una vergogna che non sia stato fatto prima. Ma si vede che quest'incombenza aspettava una recluta volenterosa... indovina di chi sto parlando?»
«Ehm...»
«Esatto. Quindi, da domani fino a nuovo ordine, tu estrarrai copia degli appunti personali degli Auror responsabili – tutte le copie che ti serviranno – e le distribuirai tra i vari fascicoli; per le riunioni del mattino credo che basterà un indice dei riferimenti con un riassunto delle ipotesi formulate. Congratulazioni, Harry: potresti perfino aver risolto il tuo primo caso. Di sicuro, però, hai appena scoperto che, in questo mestiere, il successo porta una montagna di lavoro in più.»
«Uh...»
«Sì, infatti. Ora vai a casa. E aspetta il sabato sera per darti alla pazza gioia, chiaro? Su... sparisci.»
«Uhm... sì, signore. Certo. Grazie. Buona serata.»
«Sei ancora qui?»

Ron e Neville arrivarono poco dopo di lui, mentre era sotto la doccia. Lasciò scorrere via tutto il peso della giornata e scese a cena sentendosi infinitamente meglio. Scese le scale fischiettando... il che si rivelò una pessima idea, perché scatenò le ire funeste del ritratto della madre di Sirius. Scappò in cucina, inseguito dagli insulti e determinato a trovare un modo per liberarsi di quella vecchiaccia malefica.
Trovò gli amici già a tavola, con Kreacher che finiva di impiattare gli antipasti.
«Ah, siete arrivati.»
«Il padrone ha appetito?» si informò l'elfo.
Gli sorrise. «Anche se non ne avessi, Kreacher, i tuoi manicaretti resusciterebbero i morti.»
Cominciò ad assaggiare un vol-au-vent e chiese: «Allora, a voi com'è andata oggi?»
Neville soffocò una risata e Ron rispose: «Dovremmo chiederlo noi a te, scusa! Tre contro uno?! Veramente?!»
Il dettagliato resoconto della battaglia – perché i suoi amici insistevano che se i combattenti erano più di tre si doveva parlare di battaglia – occupò buona parte del pasto e fu seguito dalla misteriosa convocazione di Kingsley. Harry apprese così che la clausola “sub poena indignationis” era un modo per Maledire chi non si fosse presentato nel luogo e ora stabiliti, «ma non avevo idea che fosse così facile cavarsela... che bastasse farsi vedere mezzo secondo!» concluse Ron.
Per il resto, avevano avuto esperienze piuttosto simili con il lavoro d'ufficio: Neville era stato messo a riordinare nientemeno che un anno di contabilità e si chiedeva se non l'avessero incasinato apposta per lui, perché sembrava davvero troppo a soqquadro; invece, a Ron era toccato in sorte un faldone di rapporti sulle Creature Oscure, che doveva analizzare a caccia di correlazioni, un po' come Robards aveva detto di fare a Harry.
Finito il gelato alla fragola di Kreacher, che ricevette elogi addirittura più abbondanti delle porzioni, Harry annunciò: «Io devo andare da Grassley. Qualcuno ha voglia di fare due passi?»
«Non stasera, grazie» declinò Neville. «Credo che mi metterò a sistemare gli appunti di Crawley integrandoli con il testo.»
«Ma il corso è appena cominciato!» protestò Ron, con un'espressione incredula.
«Appunto. Hai sentito Crawley, no? Ha parlato quasi a mitraglia, ci ha fatto fumare le penne, scommetto che terrà questo ritmo per tutto il corso... ma ci ha già detto che non basterà. Quindi, secondo me è meglio portarsi avanti.»
C'era probabilmente del vero nella tesi di Neville, ma a Harry, in quel momento, sembrava che la lezione risalisse a due o tre vite precedenti... «Be', ti lascio lavorare allora. Ron, tu che fai?»
Sul volto del suo migliore amico si dipinse uno strano conflitto, ma durò solo un attimo.
«Uhm... no, grazie, Harry. Mi sento un po' stanco...»
«Nessun problema. A più tardi, non dovrei metterci troppo.»

La Materializzazione continuava a non piacere né a lui né alle sue budella; però non poteva certo contestarne rapidità ed efficacia.
Aveva scelto di evitare Il Paiolo Magico e di arrivare proprio davanti alla Gringott, confidando nel Facies Nebula e nell'ora per evitare gli importuni. Tra una cosa e l'altra, ancora non era riuscito a leggere quella famosa richiesta di risarcimento. Chissà se doveva preoccuparsi? Sperava che Kingsley volesse parlare di questo. Altrimenti... mah, forse avrebbe potuto chiedere un consiglio a Crawley. Di certo non conosceva altri avvocati.
Raggiunse il negozio di Grassley immerso – ma senza troppa preoccupazione – in questi pensieri e notò con piacere che la luce era ancora accesa. Bussò due volte.
«Avanti, è aperto!»
Esitò un momento, senza un motivo preciso; poi spinse la porta ed entrò.
«Buonasera, signor Potter, è un piacere rivederLa.» Grassley gli sorrideva dal bancone, dove sembrava intento ad aggiornare tre o quattro registri. «Può darmi solo cinque minuti? Ho quasi finito il controllo del magazzino. Si senta libero di accomodarsi o di curiosare tra la merce, come preferisce.»
«Grazie, signor Grassley, faccia con comodo» rispose, prendendo posto su una sedia.
Provava più di una punta di curiosità riguardo a quell'incontro, a cosa potesse mai volere lo stravagante vecchietto da lui; ma cinque minuti non avrebbero fatto chissà che differenza. Anzi, in fin dei conti apprezzava quel momento di tregua in una giornata tanto intensa.
Osservò, con un certo interesse, che il controllo del magazzino, secondo il metodo Grassley, aveva l'aria di consistere nello spedire taccuini e penne nel retro, supponeva a prendere nota delle consistenze dei singoli prodotti, e poi nel trascriverne i risultati su questo o quello dei libroni squadernati davanti al mago. Si chiese pigramente perché mai le penne non potessero compiere anche quest'ultimo passaggio.
Comunque stessero le cose, il lavoro fu sbrigato rapidamente e subito Grassley, uscito dal bancone, gli venne incontro. «Mi perdoni se sono stato così scortese da farLa attendere... ma sa com'è con queste Penne Prendiappunti, non puoi lasciarle sole un attimo che scrivono quel che vogliono!»
«Ehm... confesso che non lo sapevo, ma... non c'è problema, davvero.»
«Ah? Be', immagino che nella Sua professione si usino poco... Comunque, veniamo a noi. Prima di tutto, ha riflettuto sulla mia proposta?»
«Sì, signor Grassley. Anzi, per prima cosa La devo ringraziare: se non fosse stato per Lei, non avrei mai saputo dei Tre Giuramenti. Ho sentito... un potere, durante la cerimonia, non so come dire...»
Il vecchio aggrottò le sopracciglia cespugliose. «Mi sta dicendo che non si sono limitati alla solita goccia di sangue?»
«Macché!» esclamò Harry, ancora indignato al ricordo. «Quel verme di Robards – chiedo scusa – ma mi deve aver spillato un mezzo gallone: pensi che c'era proprio un globo di sangue ed è diventato luminoso...»
Grassley sorrise, chiaramente compiaciuto. «Hai capito Gawain... Signor Potter, mi creda, dovrebbe ringraziare il Suo supervisore.»
«Eh? Per cosa, mi scusi?!»
«Sa, non si può dire che io e Robards siamo in confidenza, però è uno dei pochi che mi stia a sentire, quando mi lascio prendere dai ricordi... e a quanto pare deve avermi dato retta. Signor Potter, credo di poter affermare con certezza che Le è toccato l'onore di essere il primo Auror in sessant'anni, come minimo, a disporre dei pieni poteri dell'uniforme da battaglia.»
«Sul serio?!»
«Sì, stando a quel che mi dice. Il globo si è poi aperto...?»
«Esatto, è stata come... una pioggia di gocce di luce. Bellissima.»
«E ha sentito un brivido? Forte?»
«Sì.»
«Non ci sono dubbi, allora. Mi creda, Robards magari non sarà stato gentile, però Le ha fatto un grosso favore.»
«Ah.» Non sapeva bene cosa pensarne, ma di certo non moriva dalla voglia di ringraziarlo. «Non ne avevo davvero idea.»
«Oh, neanch'io avrei immaginato che potesse fare una cosa del genere. Vede, una sola goccia è sufficiente per i Tre Giuramenti... e finora avrei giurato che, per lui, fossero l'unica parte davvero importante del rituale.»
Ciascuno dei due rifletté in silenzio, per qualche secondo, sulle stranezze di Gawain Robards; poi Grassley, come riscuotendosi, riprese a parlare.
«Chiedo scusa, signor Potter... Temo di non aver capito se abbia deciso di accettare la mia offerta.»
«Non Gliel'ho detto? Sì. Sì, dopo aver sentito quello strano potere ho deciso di sì. Io non conosco per niente la magia del sangue, ma con le Arti Oscure, ahimè, ho una certa esperienza... e questo non è un potere Oscuro.»
Il vecchio sarto sembrava quasi commosso. «Non ha idea, signor Potter, di quanto sia bello per me sentirLe dire una cosa del genere... Sa, io sono l'ultimo.» Accennò con la mano al negozio che li circondava. «I Grassley hanno studiato i vestiti come gli Olivander hanno studiato le bacchette; siamo sempre stati grandi esperti nella magia del sangue proprio per gli usi e le applicazioni in sartoria. Però, io non ho figli. Non ho neanche mai trovato un apprendista che potesse portare avanti la tradizione, l'attività... e sa perché? Proprio per questo pregiudizio verso la magia del sangue: avevano tutti paura di essere coinvolti in qualcosa di Oscuro.» Scosse la testa. «Certo, le ultime due guerre non hanno aiutato...»
«Mi dispiace» rispose Harry, sincero. «C'è qualcosa che posso fare...?»
«Forse sì, signor Potter. Ma intanto, vediamo di pensare alle Sue uniformi ordinarie.»
«Ehm... Le serve molto sangue? Perché dopo il salasso di Robards ho avuto bisogno di una Pozione e non so...»
«Oh, non si preoccupi!» esclamò il sarto, quasi giulivo. «A parità di poteri, badi bene, per quattro uniformi ordinarie mi basta la metà del sangue.» Sorrise e, per un momento, Harry si stupì di non vedere canini da Vampiro. «Vogliamo procedere?»

Di lì a poco, Harry uscì, un po' traballante ma non molto indebolito, portando con sé quattro normalissime vesti da mago nere, che avrebbe indossato “sotto i mantelli che già aveva o anche senza”.
Si sentiva un po' perplesso: dalla lettera, sembrava che Grassley gli volesse parlare a prescindere dalla faccenda dei vestiti, ma alla fine non l'aveva fatto, non aveva accennato a nessun altro argomento.
Che fosse stato solo un trucco per convincerlo ad andare lì? Non sembrava il tipo...
Gli era parso poco gentile interpellarlo direttamente in proposito, però forse sarebbe stato meglio. Magari avrebbe potuto mandargli due righe l'indomani, chiedergli se si fosse dimenticato... sì, così poteva andare.
Certo che gli serviva un altro gufo.
Il cuore gli si fece piccolo. La perdita di Edvige faceva ancora male.
Rientrò a casa sentendosi molto malinconico... tanto che inciampò nel portaombrelli a zampa di troll, scatenando la tregenda dei ritratti.
«E che cazzo!» gridò a sua volta in quella cacofonia di strida varie, la malinconia bell'e dimenticata. «Ci sarà pure il modo di liberarsi almeno di quest'affare!»
Dalla cucina emerse Ron, che lo salutò con la mano e prese a Schiantare, con silenziosa efficienza, tutti quegli sprechi di vernice. Liberarsi della signora Black fu, come al solito, particolarmente difficoltoso; Harry non si sarebbe affatto stupito di scoprire che era l'animaccia nera di tutta l'Oscura brigata, che senza di lei gli altri ritratti sarebbero sbiaditi come pallide ombre...
Liberarsi della vecchiaccia. Priorità assoluta.
Alla fine l'ebbero vinta e, un po' ansanti per lo sforzo, si voltarono a guardarsi in faccia. Harry trasalì. Ron sembrava pallidissimo.
«Ah... tutto bene?»
Sempre senza parlare, l'amico sorrise e gli fece cenno di seguirlo in cucina. Buona idea, si disse procedendo in punta di piedi, non era proprio il caso di rischiare che la baraonda ricominciasse daccapo.
«Neville?» chiese, non vedendolo una volta che furono arrivati.
«Di sopra, da qualche parte. Ancora a studiare, credo.» Alzò le spalle. «Gli ho detto che non me la sentivo.» Un attimo di silenzio. «Quella Stuart è stata veramente stronza oggi, sai? Anche con te, intendo...»
C'era qualcosa di innaturale, di forzato nelle frasi di Ron. Come se gli uscissero con le pinze, o dovesse metterle insieme con uno sforzo sensibile. «Dico sul serio... ti senti bene? C'è qualcosa che non va? A parte la Stuart, voglio dire.»
Per un momento, lo vide in preda allo stesso, strano conflitto di prima; ma poi qualcosa cedette e Ron, con un sospiro, pronunciò una parola soltanto: «Ginger.»
«Ah.»
«Continuo a pensarci.»
«Uhm...»
«Non in quel senso!» si affrettò a precisare l'amico, l'aria improvvisamente sconvolta. «Solo che... Sembrava tutto così vero. Come ha fatto a... a insinuarsi tanto a fondo nella mia testa?»
«Uh... non lo so.» Aveva un'idea, in realtà. Non si sarebbe mai fidato di Tom Riddle o di un suo Horcrux, ma su una cosa doveva dargli credito: nessuno sapeva individuare e sfruttare come lui le debolezze delle persone. Quindi, se tanto gli dava tanto, Ron era così vulnerabile perché pensava sempre di non avere niente e di non valere niente. Ma era il caso di dirglielo?
«Lo hai pensato anche tu, vero?»
«Eh?! Che cosa?»
«Lo sai.»
«No che non lo so!»
«Sì, insomma... Se per lui è stato così facile, allora forse...» Lo fissò con un'espressione disperata. «Harry, come faccio a sapere se mi piacciono davvero le donne?»
«Eh?!» Lo fissò come si fissa un alieno apparso all'improvviso. «Ron...»
«Dico sul serio!» insistette l'amico, quasi urlando.
Si trattenne a viva forza dall'urlargli di rimando “Ma sei scemo?!”; inspirò profondamente e gli rispose: «Per entrare tanto bene nella tua testa, quel porco ha dovuto fingere di essere una donna. Una donna, Ron!»
«Sì, ma... non può essere stato così bravo con quell'illusione, no? Quindi magari, boh...»
«Quanto a illusioni...» Gli venne un'illuminazione. «Le Veela! Anche le Veela ti hanno fatto quell'effetto, ricordi? E quelle sono donne!»
Ron scosse il capo, più incupito che mai. «Le Veela non sono donne, Harry. Sono mostri sanguinari che ti divorano vivo e non te la danno nemmeno!»
Viva le priorità... «D'accordo. Però sembrano donne e non sono uomini» scandì con notevole enfasi.
«Uhm...»
«Oh, senti...» iniziò spazientito; poi ebbe una seconda illuminazione. «L'Horcrux!»
Ron lo fissò. «Che c'entra l'Horcrux, adesso?»
«Non ti ha solo fatto vedere quello che temevi, vero? Ti ha promesso qualcosa, qualcosa che desideravi davvero. E che cos'era, sentiamo? Una riga di maschioni nudi tutti per te?»
L'amico sussultò come se l'avesse schiaffeggiato. «No.» Proseguì quasi in un sussurro, il viso del tutto esangue: «Tu eri morto. Hermione era mia, veramente mia. E il fatto che ti avessi ucciso io non aveva... non aveva importanza.»
Harry si diede mentalmente dell'idiota, a più riprese, per non averlo intuito.
Ron sembrava sul punto di spararsi un colpo in testa. «Sono un debole, Harry, sono sempre stato un debole. Posso essere pure finocchio, a 'sto punto... cosa cambierebbe?»
«Che cazzo c'entra? E poi, stammi a sentire.» Si alzò in piedi e, imitando consapevolmente la signora Weasley, mise le mani sui fianchi. «Tu non sei un debole. Non lo sei mai stato. Un debole non sarebbe mai scappato, perché non sarebbe nemmeno partito! E soprattutto non sarebbe mai tornato.» Gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi. «Tu sei il mio migliore amico, Ron. Ci sei sempre stato. E io so che ci sarai sempre. Ma vorrei che lo sapessi anche tu.» Lo lasciò andare e cercò di stemperare la tensione con un sorriso. «Comunque, non avrei mai pensato di dire una cosa simile, ma... puoi fidarti dell'Horcrux
A Ron sfuggì uno sbuffo di risa. «Come?!»
«Ci pensavo poco fa. Riddle capiva sempre... non so, forse dipendeva dalla Legilimanzia, ma sapeva sempre due cose di una persona: tutto quello che temeva e quello che veramente, veramente desiderava. Quindi sì, direi proprio che ti puoi fidare dell'Horcrux.»
Lentamente, Ron cominciò a rilassarsi, il colorito a riaffiorare sulle sue guance. Lasciarono trascorrere in silenzio un minuto buono, perché adesso il silenzio non pesava.
«Sono stato un idiota, vero?» gli chiese infine l'amico, con un sorriso fragile.
«Hai vissuto un'esperienza bruttissima. Magari, al posto tuo, mi sarei fatto anche più problemi di te.» Era sincero, ma un po' gli veniva da ridere: Cazzo, io ho avuto dentro l'anima di un altro uomo! Come la mettiamo, eh?!
«Grazie, Harry. Davvero. Di tutto.»
«Era il minimo.» Si alzò. «Ti va una partitina a scacchi? Ho bisogno di rilassarmi un po', prima di andare a dormire.»
«Volentieri. Ah, poi che voleva Grassley?»
«Andiamo in salotto, che ti racconto...»


Note:
Riguardo alla scena iniziale, si sarà capito che Harry sospetta una qualcerta inerzia del Ministero in genere, ma del proprio Ufficio in particolare, nell'opera di liquidazione del passato regime. Non è questa la sede per stabilire se o fino a che punto abbia ragione; dirò solo che le risposte che gli vengono date sottintendono, ma anche sottolineano, che ha ancora molto da imparare. Però fa le domande giuste: per questo nessuno gli dà addosso.
L'Accademia di Magisprudenza è una mia invenzione, quindi l'ho voluta arricchire di richiami classici. Lo stile dorico ha un che di austero o perfino di marziale, nella tradizione architettonica (per citare un esempio londinese, in Blenheim Palace il suo impiego vuol essere un richiamo alle glorie militari di Lord Marlborough): i fondatori ritenevano che il diritto, il culto della giustizia, esigesse un livello equiparabile di austerità e disciplina, anzitutto interiore. Cupidae legum iuventuti è un dativo di vantaggio con cui l'imperatore Giustiniano ha identificato i destinatari del manuale di introduzione allo studio del diritto, da lui promulgato con forza di legge, le Institutiones; e sempre a Giustiniano rimanda il nome dell'aula Dupondii, “gente da due soldi”, che, almeno fino alla sua riforma universitaria, era il nomignolo spregiativo delle matricole giuridiche (nutro più di qualche dubbio sul fatto che, nella prassi, sia davvero riuscito ad imporsi il nuovo appellativo, pur da lui legislativamente prescritto, di Iustiniani novi). Legum omnes servi sumus..., infine, è una nota citazione di Cicerone, Pro Cluentio, 146. Va da sé che quest'insieme di riferimenti, trasposto nel Potterverso, sottintende che la cultura classica unisse, almeno un tempo, Maghi e Babbani; ma ne avevo già dato un saggio nel primo capitolo, con il riferimento di Grassley alla camicia di Nesso. I ritratti degli Stregoni Capo, invece, sono un mio omaggio al palazzo della Cassazione romana, un corridoio del quale funge appunto da galleria dei ritratti di Primi Presidenti e Procuratori Generali. Questi quadri qui, però, parlano solo lingue da giuristi, quindi latinorum o Law-French, per servirvi.
Un dettaglio che si è delineato nella discussione con Pally: Crawley non è particolarmente interessato a sapere se gli allievi siano presenti in aula o no perché il programma non fa differenza tra frequentanti e non frequentanti, quindi l'Accademia non registra le presenze. Lo fa il Ministero, mediante appositi Incantesimi, ma solo per i suoi dipendenti che la frequentano e allo scopo, ovviamente, di controllare che non bighellonino in quello che dovrebbe essere orario di ufficio, per loro. Quindi, in teoria anche i nostri tre eroi sarebbero liberi di non frequentare, ma in pratica nessuno li ha informati – e, abituati a Hogwarts, non ci hanno pensato - perché nessuno ha voglia di vederli fallire gli esami per effetto di un eccesso di impegni lavorativi, fin troppo prevedibile, che li distoglierebbe dallo studio.
Che O' Tusoe in genere non venga considerato un vero Ministro è un'informazione di Pottermore, elenco dei Ministri della Magia. Si noterà che il professor Crawley ama sollecitare i propri studenti a impegnare le proprie facoltà intellettuali anche su temi scottanti.
Che la W sul capello dei membri del Wizengamot stia per
Warlock anziché per il nome della Corte stessa è una mia congettura, ma mi sembra ragionevole pensare che, almeno in passato, essi portassero tutti questo titolo onorifico, dal momento che lo Stregone Capo è il Chief Warlock e, se c'è un Chief... Esq., invece, è un semplice Esquire, ma rinvia a sua volta ad un registro di comunicazione decisamente formale. Che essere O.M. implichi e superi l'essere W. (nel senso di Warlock senza appartenenza al Wizengamot) è un'altra mia congettura, ma mi sembra che valga a suffragarla il fatto che l'Ordine di Merlino si trovi al vertice nella scala delle onorificenze. Almeno di quelle nazionali.
Babbity Rabbity è la protagonista di una delle Fiabe di Beda il Bardo; ovviamente a Harry il suo nome non dice nulla.
Si sarà capito l'accaduto, credo: l'impiegato, messo in allerta dall'accenno al contenuto dell'atto in giacenza, si è accorto che Harry usava un Incantesimo per camuffarsi ed è saltato alle conclusioni. Su certe cose è molto zelante, se non altro
ad parandum culum. La Squadra Speciale Magica è in gamba – infatti bisogna usare Incantesimi non verbali per avere una possibilità - ma in questo caso commette l'errore di sottovalutare l'avversario pensando di incastrare una spia della Skeeter; la bravura di Harry, dal canto suo, credo che non abbia bisogno di essere giustificata.
Il fatto che la guerra sia ufficialmente finita con la Battaglia di Hogwarts, ma il Ministero resti zona di guerra, è una delle mille contraddizioni rese necessarie dal fatto che, anche al di là dei proclami ufficiali, effettivamente i Mangiamorte non esistono più come forza organizzata, ma il pericolo esiste ancora... e Kingsley è convinto che al Ministero sia massimo.
Robards dice la pura verità: l'insulto stile sergente Hartman fa parte delle sue prerogative giuridiche. Il problema riemergerà, tranquilli... Harry vi sembra uno che subisce? Si chiama Potter, non Fantozzer.
Sembra che gli episodi di magia involontaria, legati a emozioni molto forti, siano caratteristici dei maghi bambini, prima di Hogwarts; ma considerato l'episodio di zia Marge, e anche il fatto che, se Harry si altera quando ha in mano la bacchetta, tende a farne scaturire scintille (v. un esempio nel suo colloquio con i Dursley ne
I Doni della Morte), ho supposto che un accesso di collera veramente eccezionale, anziché essere incanalato e controllato dalla bacchetta, potesse entrare in risonanza con il nucleo, attivare questa sorta di essere semisenziente, come se il suo padrone fosse minacciato da un pericolo mortale; con il risultato di una mutua amplificazione.
Che succede a Harry? Una sorta di esplosione magica.
Secondo me – mia personale congettura – l'organismo di un mago richiede un equilibrio tra energia magica ed energia fisica. Ciascuna delle due può essere usata per alimentare l'altra, anche se credo che il processo normale vada dal fisico al magico, il che spiegherebbe anche perché a Hogwarts nessuno accusi particolari problemi di linea nonostante i pasti luculliani. L'energia magica a disposizione di Harry, che già è un mago più potente della media, viene improvvisamente bruciata in un colpo solo; come in una sorta di shock, tutte le sue energie fisiche si ritrovano assorbite, anzi, divorate dall'esigenza di rigenerare quelle magiche. Le Pozioni, in questo caso, agevolano il processo agendo come catalizzatori in una reazione chimica; altre se ne potrebbero usare in senso inverso, per aumentare le energie fisiche attingendo alle magiche, ma – sempre a mio avviso - con il rischio di gravi effetti collaterali nel tempo.
Oltre allo scopo didattico, ovviamente l'assegnazione di Harry ai casi irrisolti è sia una sottile punizione per le sue accuse neanche troppo implicite, sia una dimostrazione pratica di quanti problemi, in concreto, e quanti ostacoli ponga ogni singolo caso. La ricerca di archivio gli prende tre ore più perché è la sua prima che per una vera difficoltà... ma ha effettivamente trovato tutto.
Selwyn è un Mangiamorte che vediamo tormentare Xenophilius Lovegood nel cap. 21 de
I Doni della Morte; non viene menzionato nel corso della Battaglia e il nome che ho scelto per lui allude proprio alla precarietà della sua sorte.
La clausola
sub poena indignationis, che viene apposta ad un ordine di convocazione - il quale perciò, nella prassi, prende il nome di indignatio – minaccia di potenti Maledizioni il destinatario che non si presenta nel luogo e nell'ora fissati... ma non quello che alza i tacchi mezzo secondo dopo. Atti del genere non richiedono firme per ricevuta, la certezza della notifica è assicurata dalla magia dell'elfo notificatore, che suggella e innesca l'indignatio: per questo Twiggy è così dispiaciuta.
Perché nessuno ha fatto la connessione con Dolohov? Perché, prima di Hermione, non so quanti fossero sopravvissuti a quella sua particolare Maledizione e lo avessero identificato come il suo autore: forse nessuno.
Harry, in realtà, come Auror dovrà usare le Penne Prendiappunti anche troppo spesso; ma quel momento non è ancora giunto.

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Capitolo 4
*** Gufi e foto ***


GUFI E FOTO

Gufi e foto


Ringraziamenti:
Con buona pace di T.S. Eliot, il mese più crudele di tutti è senza dubbio agosto, almeno dal punto di vista climatico; ma so che Pally leggerà e commenterà la bozza anche con questo clima, quindi merita un applauso di incoraggiamento.
GYGoggy2020: Ti devo una risposta e un aggiornamento davvero da troppo tempo, posso solo scusarmi e dire che da almeno un paio di mesi cerco di ritagliarmi lo spazio per riuscire a formattare il capitolo in HTML. Forse avrei dovuto farlo un po' alla volta... Ad ogni buon conto, meglio tardi che mai!
Allora, riprendiamo il filo: Grassley tiene sicuramente a trasmettere la conoscenza della magia del sangue, ma non ha chiesto a Harry nessun impegno in tal senso, almeno fin qui. Nel primo capitolo ha offerto a Harry di potenziargli con la magia del sangue anche le uniformi normali, non solo l'alta uniforme, e il Nostro gli ha risposto che ci penserà; nel terzo accetta l'offerta. In mezzo, be', ci sono stati i Tre Giuramenti e anche il gesto di Robards. Il quale, sì, è tutto quello che dici e anche qualcosa di più, ma pure qualcosa di altro (bisognerà aspettare il cap. 9 per cominciare ad inquadrarlo meglio, temo). Diciamo che questo è anche un romanzo di formazione, sotto molti aspetti, dai faldoni all'Accademia al controllo emotivo, e serve pure la figura del mentore inflessibile. O il professore che si lancia in spiegazioni complicate: Harry ha un cervello, ma deve imparare ad usarlo di più (e sì, ho studiato Giurisprudenza, la lezione di Crawley è un pezzo che ho tenuto particolarmente a scrivere). Dove arriveremo con tutto questo? Parecchio in là in termini cronologici, ma soprattutto – spero – ad avere personaggi a tutto tondo e non ridotti a macchiette. Ci terrei in particolare per Ron, anche se forse con la faccenda di Ginger l'ho un tantino maltrattato...
fenris: Grazie mille, soprattutto perché cerco sempre di mantenere un equilibrio tra parte narrativa e world building, in modo tale che il discorso fluisca, quindi sono molto contento se almeno a qualcuno sembra che ci sia riuscito! Mi scuso ovviamente anche con te per il ritardo – decisamente mi sto dedicando a troppi progetti, in più un nuovo amico che ho opportunamente soprannominato “il Malvagio” mi ha trascinato in altri... - ma la storia prosegue, anche se magari con la velocità di un bradipo.

I can sit and watch bad history unfold
I control my own destiny I break up the mold
So what if I'm a wizard shouldn't come as a surprise
Through the valley of fear I walk each day
But a circle of six now shows me the way
And now I climb mountains wherever they may rise
But I can't stand without you others and you are nothing without me
We've been ready all our lives to set the power free
Under the blood red moon
The blood red moon
Under the blood red moon
The blood red moon
Ooh under the blood red moon


[The Hives, Blood Red Moon]



Il risveglio del venerdì, per fortuna, fu meno brusco, tanto che Harry ebbe la gradita sorpresa di scoprirsi quasi riposato. Così, scendendo le scale per primo – Ron e Neville preferivano fare la doccia al mattino, anziché di sera - si disse che una bella tazza di tè e la relativa sferzata di energia gli sarebbero bastate per affrontare la riunione del mattino e (soprattutto) l'ingrato compito di riferire su quel caso rimasto a marcire sugli scaffali. Meglio non pensarci troppo, però, o gli sarebbe andata la colazione di traverso.
Salutò Kreacher, fece onore alle uova e al bacon, quindi, sentendosi meglio disposto, dedicò una decina di minuti a rivedere gli appunti che si era portato dietro dal Q.G.
«'Giorno, Harry» lo salutò Ron, soffocando uno sbadiglio e attaccando subito la propria generosa porzione.
«Buongiorno Ron... Neville» aggiunse, vedendo arrivare anche lui, con i capelli ancora umidi.
«Ciao, Harry. Non ci crederai, ma ho messo a posto gli appunti di Crawley e solo con la lezione di ieri mi son partiti dieci rotoli di pergamena.»
«Sul serio?! Dieci rotoli?!»
«Sì. In pratica, in una lezione ha condensato i primi quattro capitoli del libro, quello sulla storia ovviamente. Crawley non scherzava sul ritmo, proprio no. Fossi in te non rimanderei lo studio: se va avanti così...»
«Eh, riuscissi a trovare il tempo...»
Il tempo, in effetti, scarseggiava come nemmeno prima dei G.U.F.O.: corri di qua, gira di là... fai questo, fai quello... gli bastava pensarci per sentirsi a pezzi. Bevve altro tè.
Arrivò il gufo con La Gazzetta del Profeta. Si chiedeva sempre se valesse la pena spendere i soldi dell'abbonamento – per di più a vantaggio del nemico – ma, un giorno sì e l'altro pure, c'era sempre qualche casino che doveva sperare di non vedere in prima pagina.
Stavolta poté tirare un sospiro di sollievo: niente che lo riguardasse, niente di niente. Né il “quadriello” con la Squadra Speciale (che per lui non era una battaglia, checché ne pensassero Ron e Neville), né la questione di Zog il lurido ricattatore, ma soprattutto, e per fortuna, nessuno scoop tardivo sulla loro serata a Deviant Alley.
Rasserenato, aprì il giornale e lo scorse rapidamente: c'era sempre qualche notizia curiosa qua e là, dopotutto...
Alla terza pagina si bloccò.


Octavian Grassley morto


Il trafiletto, una quindicina di righe, non aggiungeva molto a quel titolo lapidario: il noto fornitore del Ministero era stato trovato cadavere dal suo elfo domestico a notte fonda, giusto in tempo perché la notizia non dovesse aspettare la Gazzetta dell'indomani. Non lasciava figli e non si nominavano parenti ancora in vita, anzi, non era indicato nemmeno il giorno del funerale.
Nulla, in quell'articolo buttato giù all'ultimo secondo, faceva pensare ad una morte sospetta... ma Harry non credeva alle coincidenze. Non più. Da molto tempo.
Si chiese a chi potesse o dovesse parlarne. Robards non sembrava esattamente la scelta più indicata... ma allora chi?
Non per la prima volta, si rese conto di non aver ancora idea di come funzionasse il Ministero. Forse poteva chiedere al signor Weasley...
Guardò l'orologio e scosse la testa: troppo tardi per una chiamata via camino. In più, non aveva un gufo e non sapeva come inviargli un promemoria interno. Bel problema.
Sospirò: a conti fatti, gli restava soltanto il suo supervisore.
Il pensiero gli buttò decisamente giù il morale.

Arrivò al Quartier Generale con venti minuti buoni di anticipo sull'inizio della riunione e, per buona ventura, trovò Robards da solo.
«Buongiorno, signore» salutò, facendosi animo.
«Già qui, signorino Expelliarmus
Cominciamo bene... «Uhm... sì, signore.»
Il suo supervisore lo fissò all'incirca come zia Petunia guardava le macchie subito prima di mettersi a strofinare; poi gli disse qualcosa di totalmente inaspettato. «Tu sai che prima o poi dovrai uccidere, vero?»
Il pensiero di Octavian Grassley svanì all'istante dalla mente di Harry. «Uhm... Finora non mi è mai servito. Signore.»
«Suppongo che sia una fortuna... o forse no, se pensi di poterlo evitare per sempre. Credimi: non si può. E dovrai andare là fuori pronto a farlo, dovrai tornare e riuscire a dormirci la notte... ma soprattutto dovrai evitare che diventi troppo facile. Expelliarmus» concluse, scuotendo la testa con disgusto.
Non aveva la minima idea di come prendere un discorso del genere – cosa avrebbe dovuto fare secondo il megastronzo, uccidere quelli della Squadra Speciale?! - ma gli tornò in mente il potenziale assassinato. «Uhm... signore, ha saputo che è morto il signor Grassley?»
«No» rispose Robards, sorpreso. «Non ho ancora visto il giornale.»
«Non dice molto. Trovato morto dall'elfo domestico, niente figli... quelle cose lì, insomma.» Si strinse nelle spalle. «Però...»
«Però qualcosa non ti torna?» Il tono sembrava neutro e questo lo incoraggiò.
«Non so, signore... ma, ecco... io ieri sera l'ho visto e aveva l'aria di stare benissimo; mi aveva detto che voleva parlarmi e poi non l'ha fatto; probabilmente sono l'ultimo ad averlo visto vivo; e insomma, mi chiedo...»
Adesso, il suo supervisore lo stava fissando con estrema attenzione. «Comincia dall'inizio.»
Harry obbedì e gli raccontò i fatti, senza omettere neppure le considerazioni del defunto sulla cerimonia dei Tre Giuramenti o sulla magia del sangue.
«Quindi» intervenne Robards alla fine «Grassley non ti ha “detto” di volerti parlare, te l'ha “scritto”.»
«Ehm... sì, signore.»
«E non è che poi non ti abbia parlato: a te sembra che non abbia detto nulla di significativo, nulla per cui si scriverebbe a qualcuno che si avrebbe piacere di parlargli.»
«Ehm...» Lo guardò, cercando di capire il perché di queste ovvietà, e gli strappò un sospiro.
«Cocchino di Kingsley, so benissimo che nel linguaggio di tutti i giorni diciamo “mi ha detto” invece di “mi ha scritto”, ma in un rapporto devi mettere i fatti, i fatti nudi e crudi. In più, se qualcuno ti dice qualcosa è facile che non ci siano prove, mentre una lettera... Non l'hai portata con te, immagino?»
«No, signore.»
«E certo che no, cosa pretendo da un cervello di Troll come te? Ti svegli la mattina, ti viene un sospetto intanto che leggi il giornale... e a che pensi, alle prove? Ma figuriamoci!»
«Uhm...»
«Meno male che vai a quel corso per azzeccagarbugli! Non ti hanno ancora parlato di fatti e di prove, per caso?»
«Ah... finora soltanto di storia, signore.»
«E ti pareva... Be', tientelo per detto: in un rapporto, e a maggior ragione davanti al Wizengamot, i fatti si riferiscono nel modo più neutro possibile; impressioni e opinioni vanno a parte.» Guardò l'orologio. «A proposito, spero che tu abbia preparato bene quel che dirai alla riunione, perché tra due minuti si comincia.»
«Ah... certo, signore. E per il, uhm, per il signor Grassley?»
Robards brandì una piuma e un foglio di carta, scrisse qualche riga al volo; con un colpo di bacchetta, fece ripiegare il foglio ad aereoplanino. Il promemoria decollò all'istante.
«Quando me lo insegna?» domandò Harry, senza pensare.
«Se e quando sarà necessario, non un minuto prima. Comunque, ho scritto al capo: avvieremo accertamenti sulla morte improvvisa del nostro stimato fornitore, signor Octavian Grassley. “Per semplice precauzione”, naturalmente. Adesso pensa al tuo rapporto, che cominciamo la riunione.»
Non ebbe il tempo di chiedergli chi diavolo fosse “il capo”, né chi si sarebbe occupato di questi accertamenti; mentre intorno a lui il Q.G. assumeva l'aspetto da riunione, raccolse tutto il proprio coraggio. Ma, a conti fatti, non gliene servì poi molto, perché non dovette affrontare il gioco al massacro che temeva: gli appunti gli servirono solo per qualche dettaglio e, soprattutto, ebbe cura di specificare che, al momento, la sua era solo un'ipotesi originata da un'impressione.
«In altri termini,» commentò un Auror dalla voce aspra, «non hai in mano niente, ragazzino.»
«Se per “niente” intende le prove, signore, in effetti al momento non ne ho. Ma Hermione è sopravvissuta all'attacco di Dolohov e, da qualche parte, sarà pur rimasta una traccia scritta degli effetti di quella Maledizione.»
«E perché non l'hai cercata prima?» replicò quello stesso Auror, di cui proprio non riusciva a rammentare il nome, ma che già gli stava un bel po' sulle palle.
«Perché io, che sono il titolare del caso, gli ho ordinato di riferire in questa sede» intervenne Robards, secco. «Fungbury, vorrei ricordarti che siamo tornati alla gestione collegiale dei fascicoli... e su quest'aspetto, per una volta, sono perfettamente d'accordo con Kingsley. Inoltre, è giusto che Harry si abitui da subito a sentire altri pareri: conosciamo la sua storia personale, no?»
«Secondo me» osservò Williamson, in tono meditabondo, «è strano che Dolohov e gli altri siano stati visti così lontano dalla scena del crimine. Non si sarebbero dovuti Materializzare e Smaterializzare subito?»
«Se l'è chiesto anche un Auror dell'epoca» replicò Harry, che si era posto a sua volta la stessa domanda. «Stando ai verbali, Malocchio gli ha risposto che...» Controllò gli appunti. «“Sono furbi, stanno in guardia, non vogliono lasciare tracce che potremmo seguire”.»
Calò un momento di silenzio. Harry si chiese se anche gli altri stessero ricordando Malocchio Moody... e se almeno uno di loro lo rimpiangesse.
«Bene, signori» riprese Robards, senza traccia di emozioni nella voce, «come sapete, tutti i vecchi casi irrisolti sono assegnati a me, quindi ve lo chiedo io: ritenete che abbiamo una pista da seguire? Vi sembra che valga la pena di provare a incastrare Damocles Selwyn per questo omicidio?»
Tutti annuirono, anche se qualcuno con riluttanza; Fungbury, però, tenne a precisare: «Per valerne la pena, ne vale la pena, ma dirò che avremo una pista solo se la documentazione medica darà ragione al ragazzo.»
«Bene. Harry, prepara una lettera in cui chiedi quei documenti.»
«...Signore?!»
«Quale parte della frase non ti è chiara, sentiamo?»
«Ma... ma a chi scrivo?!»
«Usa il cervello, per cortesia! Se ce l'hai, naturalmente...»
Intervenne Dawlish, forse mosso a pietà: «Dove è stata curata la tua amica Hermione?»
«Oh. Giusto. A Hogwarts, anche se magari Madama Chips avrà chiesto qualche parere, non so. Ma... chi firma la lettera?»
«Te lo spiego dopo» tagliò corto il suo supervisore. «Adesso andiamo avanti. C'è un paio di nuovi rapporti sui Dissennatori.»

Robards non ebbe modo di spiegargli proprio nulla al termine della riunione, perché incombeva già la lezione del giorno, Pozioni Avanzate. Fu grato della possibilità di lasciare attrezzatura e ingredienti alla Scuola: un problema in meno tra i mille di quella routine massacrante.
«Buongiorno, signori.» L'insegnante – anzi, si corresse, l'istruttore – era un Auror dai capelli grigi, che a occhio pareva coetaneo di Dawlish, ma con qualche cicatrice in più. Delaney, ricordò con uno sforzo, si chiamava William Delaney. «Vi direi “benvenuti al corso”, ma so già che voi tre odiate questa materia.» Ron ridacchiò, incerto; l'altro proseguì senza scomporsi. «Non siete certo i soli: un po' tutte le reclute, se non arrivano a odiarla, pensano che sia più o meno inutile, una perdita di tempo. Il classico Auror in addestramento è un ragazzino pieno di sé che si illude di salvare il mondo a colpi di bacchetta.» Guardò fisso Harry, che sostenne lo sguardo e non poté fare a meno di assumere un'espressione di sfida. «Invece, che vi piaccia o no, le Pozioni saranno fondamentali nel vostro lavoro. Ronald,» lo apostrofò all'improvviso, voltandosi verso di lui, «se dovessi prendere le sembianze di qualcuno, cosa useresti? Trasfigurazione umana o Pozione Polisucco?»
«Ah...» Colto alla sprovvista, Ron si sforzò comunque di reagire in fretta. «La Polisucco funziona, ma dura poco...»
«Quanto?»
«Un'ora.» Averla presa aiutava a fissare quel dettaglio in memoria, poco ma sicuro.
«Esatto. E poi? Quali sono i suoi altri vantaggi o svantaggi?»
«Uhm... ci vuole molto tempo per prepararla, dovrei averla già con me.»
«Giusto. O comprarla. Qualcuno ricorda la ricetta?» Scossero tutti e tre il capo. «Era sperare troppo, immagino... Neville, supponendo di avere sottomano la Pozione già pronta, cos'altro ti servirebbe?»
«Ah... non saprei, signore...»
«Harry?»
«Una qualunque, uhm... parte del corpo della persona in cui mi voglio trasformare, signore. Unghie, capelli...»
L'istruttore inarcò un sopracciglio, colpito suo malgrado. «Giusto. Adesso ditemi: nonostante tutti questi inconvenienti, perché e in quali circostanze preferiresti la Polisucco alla Trasfigurazione umana?»
«Non mi possono Detrasfigurare» rispose Harry di getto, stupendo anche sé stesso.
«Esatto. Questo è il principale vantaggio della Polisucco. Neanche Gellert Grindelwald in persona è stato in grado di mantenere le sembianze del capo degli Auror americani, quando Newt Scamandro l'ha smascherato.»
Harry non aveva idea dell'evento storico cui alludeva Delaney – e poi gli sembrava che Scamandro studiasse le Creature Magiche, che c'entrava con Grindelwald?! - ma obiettò: «Signore, però con la Polisucco basterebbe che mi perquisissero, che trovassero la fiaschetta... o che mi impedissero di bere per un'ora...»
«Sì, ma in un'ora possono accadere tante cose; e se io reagissi, sopraffacendo i miei accusatori, dopo potrei sempre recitare la parte dell'innocente indignato che l'ha presa male. Aggiungi che, più o meno in tutto il mondo, un tentativo di Detrasfigurazione è sempre legale, tanto non fa male a nessuno, ma intrappolare o perquisire qualcuno richiede sospetti piuttosto precisi: lo dico soprattutto per quando vi capiterà di dover sfuggire ai colleghi dall'altra parte...»
«Come?!» domandò Neville.
«Operazioni sotto copertura, nessuno ve ne ha mai parlato?»
«...No, signore» rispose Ron, a occhi sgranati.
«Ah be', non sta a me farlo. Comunque, spero che abbiate capito il punto: non siete più a Hogwarts, le materie non sono più compartimenti stagni, dovrete essere in grado di scegliere al volo quale magia preferire nella tale o talaltra situazione. Sarà un lavoro duro, soprattutto considerato che il M.A.G.O., qui, è la preparazione di base.... perciò mi aspetto che ce la mettiate tutta.»
Fece una pausa, mentre li fissava uno per uno. Non si udirono commenti di sorta.
«Bene, adesso passiamo alla parte pratica. Qui alla Scuola abbiamo una piccola tradizione per l'inizio di questo corso, sapete? Siccome sul campo vi servirà un mucchio di fortuna e siccome io devo capire se sappiate cavare da qualcosa da un calderone... vediamo un po' se oggi riuscite a non fare troppi disastri preparando un po' di “fortuna liquida”.»

La lezione terminò all'una e cinquanta; ovviamente, erano soltanto ai primi stadi della Felix Felicis, ma Delaney sembrava soddisfatto, o almeno non troppo deluso.
Harry, che doveva incontrare Kingsley nel giro di dieci minuti, chiese all'istruttore come potesse fare per mangiare un boccone al volo.
«Batti tre volte il piede sinistro a terra: un elfo domestico arriverà e ti porterà quello che vorrai. Il Ministero ne impiega qualcuno proprio per questo genere di situazioni.»
«Grazie, signore.»
«Di niente. Ah, Harry?»
«Signore?»
«Cerchiamo di fare in modo che il tuo amichetto non fonda il quinto calderone, la prossima volta, d'accordo? Non che mi aspettassi di meglio, intendiamoci, ma se va avanti così...» Si passò una mano sulla gola, di taglio.
Per fortuna, Neville era già uscito; ma Harry arrossì comunque al posto suo. «Cercherò di dargli una mano, signore. Lo convincerò ad aprire quel libro sul pozionista incapace...»
«Fallo, Harry, e potrei perfino cominciare a credere che tu non sia il pallone gonfiato che hai tutta l'aria di essere. Ora va' o non riuscirai a mangiare proprio niente.»
All'elfo che gli comparve dinanzi dovette impedire di profondersi in mille inchini e salamelecchi; a corto di idee, gli chiese semplicemente “quello che c'è, quello che capita”, e ottenne un panino tonno e maionese con una caraffa di succo di zucca. Avanzò la maggior parte del succo, ma il panino prese subito la strada delle budella.
Mentre si avviava al Primo Livello, si chiese perché mai l'elfo gli avesse fatto l'occhiolino, prima di Smaterializzarsi. Non poté fare a meno di trovarlo, per molteplici ragioni, un gesto inquietante.

Nonostante l'impegno profuso, arrivò in ritardo: non aveva calcolato lo sbarramento di anticamere che controllava l'accesso all'ufficio personale del Ministro. E di sicuro non avrebbe mai potuto immaginare che esibire la propria convocazione non gli sarebbe servito a un accidente. Invece, si ritrovò a sventolarla davanti a un'impiegata arcigna dietro l'altra, sempre invano, in una trafila interminabile. Però aveva l'impressione di risalire, perlomeno, la loro misteriosa scala gerarchica; e ne ricevette conferma quando, infine, fu giunto davanti all'ultima in assoluto, la più vicina alla porta di Kingsley... nonché la più vecchia di tutte. Obiettivamente e senza offesa, sembrava una cariatide incrociata con una mummia.
La sua pergamena fu ghermita dall'ennesima mano adunca e scorsa dall'ennesimo sguardo scettico. Quindi, con una voce profonda che lo sorprese, quel donnone decrepito esclamò: «Ragazzo, io sono la Prima Segretaria di Anticamera e non mi importa se sei stato convocato – oltretutto, vorrei rilevare, per otto minuti fa... - a me il Ministro ha detto di non far entrare nessuno durante la riunione. Nessuno, chiaro? E poi, dico, si è mai visto un neoassunto a una riunione dirigenziale generale?!»
Harry, la cui pazienza era ormai ridotta all'osso, si sforzò valorosamente di mantenere la calma, limitandosi a una vena di ironia. «Credo che in questa “riunione importante” si debba parlare di un caso importante: il mio.»
«Ma davvero! E cosa riguarderebbe?»
Non lo so di preciso, in realtà, ma posso tirare a indovinare. «Una richiesta di risarcimento danni da parte di tale Zog lo Zozzone, per conto della Gringott.» Si sforzò di sorridere. «Potrebbe controllare? Per favore.»
Il donnone e il suo campionario di rughe assunsero un'aria pensierosa, mentre i secondi scorrevano e Harry mordeva il freno.
«Oh be'... male non può fare, immagino» concesse alla fine. «Attenda qui, prego.» Scomparve oltre la porta, richiudendola attentamente alle proprie spalle, e ne riemerse in meno di un minuto, decisamente più agitata e con voce quasi sovracuta: «Signor Potter, voglia scusarmi... ma che dico scusare me?! Il Ministro in persona Le porge le sue più sentite scuse... La sua segretaria personale ha dimenticato di inserirLa nella lista delle persone attese. Posso assicurarLe che sarà punita a dovere. Prego, mi segua.»
Obbedì senza rispondere, molto divertito e un po' perplesso di fronte a un cambiamento così repentino.
L'ufficio di Kingsley era molto più ampio di quanto non gli fosse sembrato la volta precedente: avrebbe potuto ospitare almeno il doppio di quella dozzina di persone. Ma lo colpì di più il fatto che, per qualche strana ragione, anziché intorno a un tavolo o a una scrivania sedevano tutti per terra, in cerchio e a gambe incrociate, con pile di pergamena davanti o di fianco.
La Prima Segretaria, la voce di nuovo profonda, annunciò, quasi in tono da proclama: «Signor Ministro, signori Direttori, il signor Harry James Potter, dell'Ufficio degli Auror.»
Per un momento accarezzò l'idea di stuzzicarla con un “E l'Ordine di Merlino? Eh? Quello non conta? Eh?”. Ma lasciò perdere: aveva altre gatte da pelare e non sapeva ancora quali.
«Harry!» esclamò Kingsley. «Prego, accòmodati dove preferisci... allargate un po' il cerchio, ecco, dovresti starci...» Gli altri gli fecero spazio. Cos'era, la versione magica della Tavola Rotonda?!
«Scusate il ritardo, io...» Sedette tra due perfetti sconosciuti, troppo vicini per i suoi gusti, sentendosi più che mai un pesce fuor d'acqua.
«No, no, scusa tu» gli rispose sempre il Ministro. «Un bruttissimo disguido, saranno presi seri provvedimenti. E comunque, mi scuso doppiamente, perché siamo in ritardo noi: non abbiamo ancora finito di discutere il punto precedente dell'ordine del giorno.»
«Ah. Va bene, posso aspettare fuori...»
«Non è necessario, grazie, questione di un minuto.» Volse lo sguardo all'intorno. «Ci sono altri interventi?» Nessuno parlò, nessuno si mosse. Tutte facce sconosciute, a parte Percy Weasley, ma non aveva comunque idea di cosa dirigesse (anzi, ora che ci pensava, Kingsley doveva essere disperato per metterlo a dirigere un ufficio!). «Ottimo. Passiamo ai voti: alzi la mano chi esprime parere favorevole alla bozza di Decreto Didattico.» Si alzarono quasi tutte. «I contrari?» Due tizi soltanto, uno dei quali chiese e ottenne che fosse annotata a verbale la sua obiezione: rendere obbligatoria Babbanologia, per giunta fin dal primo anno, equivaleva a sconvolgere l'organizzazione di Hogwarts, a distogliere tempo ed energie dall'apprendimento delle basi stesse della Magia, nonché – e forse soprattutto – a esporre precocemente i giovani maghi a tutte le follie del comportamento Babbano, con quali effetti perniciosi per la società non aveva neppure il coraggio di immaginare, meno ancora di prevedere.
«Grazie, Julius, per quest'ottima sintesi del punto di vista della minoranza.» La voce di Kingsley, fonda e rassicurante, sembrava fatta apposta per un simile genere di riunioni: che ci avessero pensato, quando l'avevano eletto? «Il prossimo punto all'ordine del giorno reca “Discussione preliminare delle possibili iniziative e risposte del Ministero in relazione al caso Zog lo Zozzone e Banca Gringott c. Harry James Potter”. Harry, grazie di essere venuto.»
«Ci mancherebbe» rispose, non senza una nota di stupore. «Dopotutto, si tratta di me.».
Lo sguardo di tutti correva da lui al Ministro e viceversa, come se si aspettassero... boh?
«Be', che c'è?» domandò Kingsley, con un'aria appena un po' troppo innocente. «Sì, io e Harry abbiamo avuto un piccolo malinteso o due, ma ci siamo chiariti. Con molto garbo e senza Avada. Non si vede?» concluse, inarcando un sopracciglio e indicando sé stesso.
Harry non poté trattenersi e scoppiò a ridere; la tensione latente si allentò.
Ma veramente si aspettavano che ci mettessimo a duellare o qualcosa del genere?!
Tornò serio di colpo: ad un tratto, l'eccesso di precauzioni che l'aveva fatto trovare alle prese con la Squadra Speciale Magica non gli sembrava più così assurdo. Poteva pensare che Kingsley avesse cominciato ad assomigliare un po' troppo a Malocchio, ma se il gruppo dei dirigenti al gran completo sembrava altrettanto paranoico...
Qualcosa si mosse a mezz'aria, attirando la sua attenzione: una piuma – probabilmente una Penna Prendiappunti – e una pergamena. Sembravano in attesa.
«Oh, giusto» riprese il Ministro, adocchiandole a sua volta. «Per il verbale: si è unito ai presenti il signor Harry James Potter.» La penna scattò a scrivere, mentre la voce proseguiva: «Non so se sia il caso di fare le presentazioni. Tutti voi conoscete Harry, naturalmente, ma non so se Harry conosca già qualcuno di voi.»
«Conosco Percy – Percy Weasley, voglio dire - però temo di non ricordare nessun altro qui... chiedo scusa.»
«Tranquillo: quando conosci tutti, vuol dire che lavori qua da troppo tempo. In due parole, questi sono i Direttori degli Uffici generali – i Livelli, per capirci – e di alcuni altri che sono coinvolti direttamente, come quello delle Relazioni per i Folletti.»
«Proprio non si ricorda di me, signor Potter?» chiese un mago sorridente.
L'inatteso interlocutore aveva, in effetti, un che di familiare, ma proprio non riusciva ad associarlo a un nome o a una situazione. «Ahem... non saprei...»
«Il signor Eldred Worple...» esordì Kingsley.
«Ma certo!» esclamò Harry, senza curarsi di interromperlo. «Lo scrittore! Non aveva un amico Vampiro? Non sapevo che lavorasse al Ministero.»
«Oh, allora si ricorda! Sono molto contento... a proposito, la mia offerta è sempre valida.»
«Ehm... grazie, ci penserò» tagliò corto, più imbarazzato che mai al pensiero che qualcuno potesse credere che volesse farsi scrivere una biografia. Solo quello gli mancava!
«Quanto al lavoro,» proseguì l'altro, «è una novità, ma si tratta di un incarico temporaneo.»
«Il signor Worple è troppo modesto» lo corresse il Ministro. «Dopo la destituzione di Dirk Cresswell, l'Ufficio per le Relazioni con i Folletti è stato trasformato in... come dire...?»
«“Ufficio Controllo sui Folletti”, nuova denominazione non ufficiale, quindi esatta. Insomma, erano quelli che pretendevano di comandare alla Gringott, facevano secchi i folletti che resistevano e ne torturavano un bel po' a casaccio.» Il disgusto nella voce dello scrittore/Direttore era palpabile.
«Già. Quindi, con Dirk morto e quasi tutti gli addetti compromessi, va da sé che i folletti non volevano nemmeno sentir nominare l'Ufficio, pretendevano di trattare sempre e solo con me... capirai bene che non poteva funzionare. Ci serviva un uomo onesto, che venisse da fuori, con una reputazione eccellente quanto a rapporti con le Creature Magiche. Così....»
“Compromessi”. Che modo... elegante di metterla giù.
«Io sarò troppo modesto,» replicò Worple, «ma il signor Ministro è fin troppo generoso: fa finta di non sapere che non conosco per niente la lingua o la cultura dei folletti.»
«L'importante, per adesso, è che le bestiacce ci parlino di nuovo» intervenne un altro dei dirigenti.
«Non so quanto, Caradoc,» ribatté un altro, quello che Kingsley aveva chiamato Julius, «visto che la richiesta di Zog lo Zozzone non è stata comunicata né all'Ufficio né al Ministro.»
«Ho sentito mio fratello Bill.» Le teste si voltarono verso Percy. «Dice che alla Gringott se ne parlava da tempo... e anche che siamo fortunati: il fatto che abbiano coinvolto solo Harry significa che, per il momento, hanno scelto di vederla come una questione “chi rompe paga”, anziché come un problema politico.»
«“Chi rompe paga”?!» proruppe l'interessato, al colmo dell'indignazione. «Semmai dovrebbero ringraziarmi! O cosa credono, che avrebbero sconfitto Voldemort da soli?! Anche Hogwarts è finita in mille pezzi, ma non ho ancora visto richieste di risarcimento dalla McGranitt!»
«Hem-hem.» Kingsley tossicchiò con una certa enfasi. «Eldred, se volessi riferire formalmente sulla pratica...»
La relazione di Worple fu una vera doccia fredda per Harry: il Ministero - a quanto riuscì a capire e si vide anche confermare espressamente quando chiese lumi per sicurezza - non aveva il minimo dubbio sul fatto che gli toccasse pagare; il problema che si poneva, semmai, era quale Ufficio dovesse gestire la richiesta, anche in relazione all'eventualità che diventasse il “problema politico” cui aveva accennato Percy.
«I folletti sono sempre un problema politico!» sentenziò quel certo Julius, che Harry ancora non aveva capito cosa dirigesse.
«Harry Potter, invece, anche» rincarò la dose l'altrimenti ignoto Caradoc, per giunta guardandolo storto.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: «Sentite, se non sapete neanche chi dovrebbe fare cosa, esattamente perché siete qui? Solo per dare addosso a me? A me?!» Trattenne a stento una riga di parolacce, ma nell'ufficio calò comunque un silenzio pesante: gli arrivarono occhiate di fuoco da almeno metà dei presenti.
Dopo un intervallo percettibile, Percy si schiarì la voce in modo molto elaborato. «Per quanto mi riguarda, io dirigo il Trasporto Magico e credo che, in questo caso, il mio Ufficio sia forse l'unico che non possa essere chiamato in causa neanche dall'immaginazione più fervida... quindi, se sono qui – se tutti noi siamo qui, Harry, e inversamente se tu sei qui, a una riunione dirigenziale generale...» Fece una pausa ad effetto, che suscitò diversi cenni di assenso. «Ebbene,» concluse, «credo che ciò significhi che il Ministro ha già deciso che questa non è solo una faccenda tra il signor Zog lo Zozzone e Harry Potter, e nemmeno tra la Gringott e un impiegato neoassunto del Ministero. Ho ragione, signor Ministro?»
«Caro Percy,» rispose Kingsley con un gran sorriso, «ti pare che potrei mai decidere qualcosa al di fuori delle sedi appropriate, senza nemmeno consultarvi? E fare un torto del genere proprio a voi? Non mi permetterei mai. La politicità della faccenda sta nei fatti, non importa quanto vorremmo che non fosse così. In più, c'è il problema di individuare l'Ufficio competente...»
«Se è una questione politica, se ne occupi direttamente il Ministro» intervenne un mago che fino a quel momento non aveva ancora parlato.
«O il Wizengamot» aggiunse la strega alla sua sinistra.
«Phyllis, Everard, questa è una discussione preliminare, non dobbiamo decidere tutto oggi.» In qualche modo, Kingsley ora sembrava sulla difensiva.
«Il mio Ufficio sarebbe lieto di investire del caso la Confederazione Internazionale dei Maghi» osservò un altro mago, in un tono così pacato che sapeva quasi di minaccia.
«Mi sembra a dir poco prematuro, Robert» replicò il Ministro, guardandolo fisso.
Harry cominciò a chiedersi se, lì dentro, stessero tutti dalla stessa parte. E soprattutto se quella parte fosse la sua.
Eldred Worple si schiarì la voce. «Dal momento che il mio Ufficio versa in una situazione particolare – diciamo così - io mi astengo sull'assegnazione della pratica e non la rivendico. Questo a prescindere dal suo carattere politico, che anche a me sembra innegabile in qualunque caso. Però, credo che, almeno all'inizio, faremmo meglio a stare al gioco dei folletti e trattarla come una semplice questione privata: informiamoli che il signor Potter ha ritirato l'atto e che gli è stato consigliato di rivolgersi a un avvocato...»
“Robert”, chiunque fosse, scoppiò a ridere. «Quelle piccole scimmie succhiasangue odiano la concorrenza! Pensare che qualcun altro voglia mettere le mani sull'oro di Potter li farà ammattire di rabbia!»
«Ti prego, Robert» replicò Kingsley, sempre pacato, ma con una nota di ghiaccio nella voce. «Contieniti e parla con rispetto dei nostri “Magici Fratelli”.»
L'altro sbuffò, ma non fece commenti.
«Ehm...» Tutte le teste si volsero verso un Harry che si sentiva il cuore stretto. «Quindi, secondo voi, un avvocato mi serve davvero?»
Assenso generale. Il suo morale finì di precipitare sottoterra.
Worple aggiunse: «Se non ne ha già uno di Sua fiducia, signor Potter, sarei ben lieto di fornirLe io un paio di nomi. Vecchi amici del Lumaclub, naturalmente.»
«Ehm...» Esitò un momento, ma scartò a priori il Lumaclub. «Grazie mille, davvero, però sono a posto... cioè, ho già un'idea.» Chiedere a Crawley non sarà il massimo, ma con l'aria che tira qui dentro preferisco sbagliare da me.
L'ennesimo dirigente si schiarì la gola e disse: «Vorrei affrontare un problema che, per quanto tecnico, presenta notevoli riflessi politici. A che titolo, di preciso, questo Zog pretende di agire per la Gringott? E quali danni avrebbe subito di persona?»
La strega di prima, Phyllis, prese fiato e attaccò quello che aveva tutta l'aria di essere un discorso lungo: «Premetto, e di ciò mi scuso con il signor Ministro e gli stimati colleghi, che non sono affatto un'esperta né quanto a leggi, magia e cultura dei folletti, né circa la nostra disciplina dei rapporti con loro; ma, visto e considerato che quasi tutti gli esperti sono morti, o ad Azkaban, o in attesa di giudizio, mi sento per un verso legittimata, per un altro finanche costretta a parlare.» Un altro respiro profondo. «Ora, se posso permettermi di illustrare quello che ritengo di aver appreso e compreso della teoria folletta della proprietà e dei contratti, in relazione alla nota sentenza del Wizengamot nel caso...»
Harry sospirò interiormente: non ne poteva già più.

Molto tempo dopo, uscì finalmente da quella riunione interminabile, sentendosi di umore a dir poco pessimo.
Discutere, discutere, discutere... stavano ancora lì dentro a discutere!
Due ore di bla-bla-bla, se non tre, e il massimo che erano riusciti a dire - dire veramente, in concreto – era: “Trovati un avvocato e paga. Sia i folletti sia l'avvocato.”.
Be', non solo. A parte il gergo da legulei, di cui non aveva capito un accidente (e quindi, di nuovo, “Trovati un avvocato”), avevano parlato un bel po' anche della stampa; ma solo per cercar di predisporre un comunicato che parasse le chiappe al Ministero, perché erano tutti arcisicuri che il casino sarebbe scoppiato.
In proposito, aveva detto poco o niente: quello, almeno, era un casino tutto loro. E sperava di cuore che lo restasse.
Alla fine si erano resi conto che la sua presenza non serviva più e lo avevano lasciato andare. Più o meno l'unico bel momento di tutta la pantomima.
Rientrò al Q.G. con un diavolo per capello.
«Fammi indovinare» lo apostrofò Robards come lo vide. «Sei entrato lì dentro pensando che le cose stessero in un modo e invece stavano in un altro?»
Grugnì qualcosa di cupo, che poteva anche essere interpretato come un assenso.
«Benvenuto ai piani alti del Ministero, cocchino di Kingsley... o forse non tanto cocchino quanto credevi, eh? Adesso, fa' un favore al mondo, a me e a te stesso: togliti quell'espressione rimbecillita dalla faccia e schiaffa il naso sui fascicoli. Sto sempre aspettando quella lettera, a proposito... e ci ho pensato sopra, direi che la firmiamo in due.» Lo guardò con aria disgustata. «Non ho mai firmato con un pivello nemmeno la carta igienica... ma diciamocelo, il tuo nome conta.» Sospirò. «Comunque, di fatto sul caso lavorerai tu, quindi...»
«...Signore?!»
«Tranquillo, non da solo, non sono certo impazzito: tu per adesso puoi agire soltanto sotto supervisione. Ma, per l'appunto, io devo controllare e basta, quindi indovina un po' chi deve rimboccarsi le maniche e lavorare?»
«Certo, signore. Fanculo anche a lei, signore.» Gli uscì dal cuore, prima che potesse anche solo pensare a trattenersi... e, un istante dopo, capì di non essere disposto a rimangiarsela neanche morto. Si preparò al peggio.
Invece, Robards scoppiò a ridere di gusto. Poi lo fissò, di colpo mortalmente serio: «Era tanto carina che per questa volta te la lascio passare. Ma non ce ne sarà una seconda... e nemmeno un secondo avviso. Quindi, pensiamo al lavoro: voglio una bozza entro dieci minuti. Su, muovi quel culetto sfaticato! O in riunione te lo hanno sfondato in troppi?»

Mezz'ora dopo, quando arrivò un gufo, per un attimo Harry credette che potesse trattarsi della risposta da Hogwarts. Ma era davvero troppo presto... e infatti il volatile atterrò davanti a lui anziché al Direttore.
«Posta personale sul lavoro?» domandò questi, con fiero cipiglio. «Sai che è proibita?»
«Non posso impedire io alla gente di mandarmi lettere!» protestò, indignato. «I gufi mi cercano e dove mi trovano mi trovano.»
Il suo supervisore lo fissò, esterrefatto, ma il gufo si fece insistente e Harry gli accordò la priorità. «Uno studio legale?!» esclamò, facendo voltare parecchie teste.
Aprì la busta stampigliata in caratteri dorati, poi la pergamena ripiegata che conteneva, con le dita impacciate da una preoccupazione crescente. Cosa diavolo potevano volere da lui “Abercrombie, Bolingbroke, Fitzgerald & Sutton”?!
Lesse e sbigottì fin dal primo rigo.

«Preg.mo Sig. Potter,
Le scriviamo per conto del Sig. Octavian Grassley, Esq. Confidiamo che abbia già appreso del Suo decesso dalla stampa; diversamente, voglia scusare la poca delicatezza con cui, pressati dalle circostanze, La informiamo del luttuoso evento.
Stamattina ci sono state recapitate alcune istruzioni predisposte dal nostro defunto cliente per il caso di sua morte, le quali ci impongono, tra l'altro, di contattarLa “senza frapporre il minimo indugio”, per ragioni che riteniamo più opportuno spiegarLe a voce.
La preghiamo, perciò, di volerci, con questo stesso gufo, cortesemente confermare la Sua disponibilità ad un incontro nel pomeriggio di domani, sabato 5 settembre 1998, ore tre pomeridiane, presso il nostro Studio in Diagon Alley 203B; oppure di indicarci (almeno) una possibile alternativa di data e/o di orario.
Con i migliori saluti,
Albert Abercrombie

Henry Percival Bolingbroke

Edmund Fitzgerald

Richard Sutton
»

«Uhm... signore? A quanto pare, domani alle tre dovrei andare da questi tizi...»
«Posso?» chiese Robards allungando la mano, chiaramente incuriosito. Lesse, posò la lettera e rifletté un momento prima di riprendere il discorso. «Difficile che gli avvocati lavorino o ricevano di sabato, dev'essere una faccenda grossa. Ma domani hai Elementi di Alchimia e la prima lezione durerà un bel pezzo. Rispondi e chiedi di spostare alle sei, o altrimenti a lunedì: vediamo un po' quanta fretta hanno.»
La risposta partì con lo stesso gufo e, di lì a qualche minuto, arrivò un semplice “Le sei di domani andranno benissimo, grazie”.
«Quattro dei più importanti avvocati di Londra – o anche solo uno di loro - sacrificano l'aperitivo del sabato sera per ricevere te?! Adesso sì che la faccenda si fa interessante...»
«Pensa che dovrei preoccuparmi, signore?»
«No. Io non sono un esperto di questa roba da legulei, ma mi viene in mente solo un motivo per cui un avvocato scriverebbe una lettera simile all'indomani della morte di un suo cliente: una grossa eredità.»
«Eredità?!»
«Cosa sei diventato, un'eco? Eredità, sì. Ma non capisco perché tutta questa urgenza.»
«Perché mai il signor Grassley...?!»
«E io che cazzo ne so, scusa? Piuttosto, spiegami un po': ti sei dato alla macchia senza neanche impedire ai gufi di seguirti? Sul serio?!»
Gli occorse un momento per comprendere che Robards era tornato all'argomento di prima. «Uhm...» Si sforzò di ricordare, ma dovette arrendersi. «In realtà non lo so» ammise. «Alle magie protettive ha pensato Hermione.»
L'altro sospirò. «L'unica con un po' di cervello, mi dicono... e infatti non si trova qui.»
«Ah... no, signore, è tornata a Hogwarts. Vuole prendere i suoi M.A.G.O.»
«Non come certi tre soggetti di mia conoscenza. Ora, per tua informazione, esiste una vasta gamma di Incantesimi con cui puoi regolare i flussi di corrispondenza in arrivo. In realtà, la posta personale sul lavoro non sarebbe un problema, se tutti mandassero i loro gufi di notte, come il Ministero raccomanda da una vita... ma sta di fatto che è vietata. Quindi, non dico per domani, ma per lunedì, voglio che arrivi con una bella ricerca su questi Incantesimi e magari anche qualche idea su come lanciarli. A proposito, hai ricevuto altra posta, in questi giorni?»
«A parte la lettera del signor Grassley e questa dello studio Comesichiama? ...Non mi pare. Perché me lo chiede?»
«Dovrebbe averti scritto un mucchio di gente dopo che è uscita la notizia della tua assunzione, non ti sembra? Dalle lettere d'amore a quelle di insulti. Se non ne hai ricevute, mi viene da pensare che qualcuno ti abbia scagliato addosso – non so se con il tuo consenso o meno – un qualche Incantesimo di Respingimento, Travestimento o Mascheramento... sempre la tua amica Hermione, magari?»
«Ah... sì, quest'estate le ho... tutti quanti le abbiamo chiesto una mano: io, Ron e Neville. Sa, ci piovevano addosso gufi in ogni momento. Non ci pensavo neanche più.»
«Perché, quando mai pensi? Comunque, sai di che magia si tratti?»
«No, signore, ho paura di non averne idea.»
«No, certo che no, scemo io che te lo chiedo. Be', se senti la tua amica Hermione, magari trova il tempo di domandarle come mai questi specifici gufi ti abbiano trovato. Dopotutto, hai voluto tu che considerassimo sospetta la morte di Grassley, sbaglio?»
Non gli sembrava di aver costretto nessuno a dargli retta, tantomeno il Direttore, ma annuì in silenzio.
«Non seguirai tu gli accertamenti – devi ancora convincermi di saper distinguere il tuo uccello dal tuo culo – ma mi permetto di sperare che tu riesca almeno a recuperare questa piccola informazione, cervello di Troll. Adesso, bando alle ciance e torna a occuparti di quei fascicoli.»
Harry gli lanciò un'occhiataccia eloquente, ma obbedì e, perlomeno, riuscì a distrarsi: il suo compito, sebbene monotono, richiedeva concentrazione. Era ripartito dal fascicolo più vecchio, aveva duplicato una volta per tutte i primi due anni di verbali e adesso li stava smistando; agli appunti degli Auror responsabili, che sembravano più complicati da rintracciare, abbinare e interpretare, avrebbe pensato in un secondo tempo. Per il momento, non studiava nessuno dei casi: spostava cartaccia e basta.
Anche così, tuttavia, arrivò a fine giornata profondamente intristito dal pensiero di tutte quelle morti senza un colpevole, quelle vittime senza giustizia, quei Mangiamorte che l'avevano fatta franca.
Poi, subito prima che Robards gli ingiungesse di andare a casa, aprì l'ennesimo fascicolo impolverato, buttò un'occhiata al rapporto in cima... e si trovò davanti un paio d'occhi come i suoi.
Uguali identici. In una vecchia foto Babbana.
Prese la pergamena senza nemmeno accorgersi che la mano gli tremava. “...due Babbani, Archibald Evans e la moglie Petunia...”.
Evans.
Petunia
.
Rimase a fissare quella pergamena, come intontito, finché, da molto lontano, non gli giunse la voce del supervisore: «Va' a non combinare un cazzo a casa tua invece che in ufficio, cacchetta di elfo domestico!»
«Sì, signore» mormorò meccanicamente. E altrettanto meccanicamente obbedì.

«Harry?»
«Uh?»
«Tutto bene?»
Qualcosa, in quel tono di voce, lo fece rientrare in sé stesso.
Si guardò intorno, riconobbe l'ambiente, quindi riconobbe anche Ron e Neville. Con uno sforzo, rammentò che avevano finito di cenare ed erano saliti in salotto.
«Praticamente non hai detto una parola per tutta la sera» insistette Neville, con l'aria decisamente preoccupata.
«Quando vai a trovare i tuoi genitori?» gli chiese per tutta risposta, salvo poi mordersi la lingua un momento dopo.
«Eh?! Ma... che c'entra?»
Nulla, in effetti non c'entrava nulla, era solo una stupida associazione di idee. «Ah...» improvvisò. «Se non disturbo... mi piacerebbe venire con te. Sai... io non ho nessuno da andare a trovare.»
«Oh.» In un lungo istante di silenzio, mille emozioni si alternarono sul volto dei tre, finché Neville rispose: «Certo... capisco. Pensavo di andarci domenica pomeriggio, se ti va.»
«Sì, ottimo.»
«Uhm...» intervenne Ron. «Harry, ti ricordi che mia mamma ci aspetta alla Tana per pranzo, vero? E Neville andrà al San Mungo con la nonna, immagino...»
«Non c'è problema, davvero, Harry non disturba di certo e, comunque, andiamo verso sera.»
«Grazie. Davvero.»
«Non c'è di che, anzi, mi fa piacere che.. che qualcun altro venga a trovare i miei, ecco. Ma adesso, sul serio... dicci che ti è successo, per favore, Harry.»
«Io... non...» Si trovò a lottare con un nodo alla gola.
Neville lo fissava e qualcosa, in quello sguardo, gli assicurò che l'amico avrebbe capito.
«Credo di aver visto mio nonno oggi» buttò fuori tutto d'un fiato.
«Eh?!» esclamarono in coro gli altri due.
«Non visto-visto. In foto. Un fascicolo.» Prese fiato. «Uno di quei fascicoli.»
«Oh cazzo...» imprecò Ron.
«Io... io non so se sia mio nonno. Archibald Evans. Mia madre si chiamava Evans, lo sapevate? In foto aveva gli stessi occhi. Quelli che ho anch'io, gli occhi di mia madre, me lo dicono sempre. E Petunia, sua moglie si chiamava Petunia. Come mia zia.» Deglutì a vuoto. «Io... nessuno mi ha mai detto... Non so neanche come si chiamassero... i miei nonni... o come siano morti...» Non riuscì più a trattenere i singhiozzi.
Senza parlare, Neville si alzò e lo abbracciò. Harry ricambiò goffamente.
Ron si guardò intorno, come in cerca di ispirazione, quindi chiamò Kreacher, che si Materializzò all'istante.
«Il padrone ha bisogno di qualcosa di forte. Anzi, ne abbiamo bisogno tutti.»
L'elfo, con un'occhiata critica, inquadrò la situazione e annuì. «Dev'esserci ancora qualche bottiglia di Ogden Stravecchio da parte...» borbottò, scomparendo subito per cercarla.
Attesero in silenzio: Harry, in preda ad una tempesta di emozioni, non riusciva proprio a parlare; gli amici non volevano rischiare di farlo stare peggio e, in più, lottavano a loro volta contro le proprie reazioni. Ron si sentiva terribilmente a disagio e quasi in colpa per essere cresciuto in una grande famiglia felice; Neville si chiedeva cosa fosse peggio, vedere i tuoi genitori e sapere che non ti riconoscono, non ti riconosceranno mai, oppure non sapere davvero nulla...
Dopo quella che sembrò un'eternità, Kreacher tornò con una bottiglia impolverata e sigillata. In altre circostanze, non l'avrebbe aperta che con molte cerimonie; ma sembrava che comprendesse bene le esigenze del caso, perché si limitò a presentarla a Harry, con un inchino. Il suo cenno del capo, forse solo uno scrollarsi i capelli dalla fronte, fu preso per un assenso e tre calici di cristallo molato vennero prontamente riempiti fino all'orlo.
Neville alzò il proprio. «Alla famiglia» disse, con un sorriso tra il triste e l'amaro.
«Alla famiglia» gli fece eco Ron, visibilmente sollevato.
Con un'aria più stravolta che mai, Harry sollevò il proprio calice, in silenzio, e lo portò alle labbra.
Un secondo dopo era piegato in due dalla tosse.
«Padron Harry non deve bere il Whisky Incendiario a grandi sorsi» lo rimproverò Kreacher scuotendo la testa. «In questo modo gli va di traverso, gli brucia lo stomaco e soprattutto si perde l'aroma. Il Whisky Incendiario va centellinato!»
«Non dargli retta, Harry» obiettò Ron, la voce roca. «Butta giù e via, vedrai che starai meglio.»
Harry respirò a fondo, si tappò il naso per contrastare i potentissimi vapori del liquore e – ignorando la vistosa disapprovazione di Kreacher – ingollò un gran sorso.
Subito sentì come un pugno allo stomaco; poi una vampata tremenda di calore; e quindi come un fuoco che gli serpeggiava nelle vene.
La testa gli si schiarì di colpo; aveva le lacrime agli occhi, ma non per i pensieri di un momento prima. Era come se non gli facessero più male, non nello stesso modo almeno.
«Come ti senti?» gli chiese Ron, in tono leggermente ansioso.
«Meglio» rispose, la voce un po' impastata.
«Sapevo che lo zio Bilius non mi contava balle!» esclamò l'amico, battendosi una mano sulla coscia.
«Lo zio Bilius?» indagò Neville.
«Sì, diceva sempre che il Whisky Incendiario, se non ne bevi troppo, è la cura migliore per i pensieri tristi.»
«Evviva lo zio Bilius, allora!» gridò Harry, improvvisamente allegro e con due vistosi pomelli rossi sulle guance. «Allo zio Bilius!»
Non vide gli amici scambiarsi uno sguardo preoccupato.
Quel secondo sorso lo stese di brutto. Neanche il tempo di mandarlo giù che lo colse un capogiro tremendo, la vista gli si offuscò, si sentì scivolare di lato...
Percepì confusamente braccia che lo trasportavano e lo adagiavano su un divano... buio... quindi un calice che gli veniva accostato alle labbra. Qualunque cosa contenesse, lo rianimò come una secchiata di acqua gelida.
«Harry» annunciò la voce di Ron, ancor prima che riuscisse a rimettere a fuoco la vista, «tu decisamente non reggi l'alcool.»
«Già» si sentì gracchiare in risposta. «Acqua» aggiunse, scoprendosi in preda ad una sete terribile.
Kreacher provvide, non senza borbottare un gran numero di ammonimenti sul bere, le Pozioni per l'eccesso di “spiriti” e altre cose che non riuscì a capire. «A volte padron Regulus...» E qui si interruppe, scoppiando in singhiozzi.
Di nuovo lucido, anche se molto più stanco di prima, Harry non poté fare a meno di pensare quanto fosse ingiusto che l'unica ricompensa prevista per la devozione di quel povero elfo fosse la sua testa appesa al muro. Certo, gli aveva regalato il medaglione finto e Kreacher ne era stato commosso fino alle lacrime, ma sembrava comunque troppo poco. Perfino il suo tradimento verso Sirius, in qualche modo, era stato un gesto di fedeltà verso i Black...
Nella sua testa cominciò a prender forma un'idea.
«Harry» lo riscosse Neville, vedendolo estraniarsi di nuovo. «Non credi che dovresti fare qualcosa, qualcosa, scusa la franchezza, per non pensarci fino a domani? Non so, ci sarebbe da studiare...»
«Studiare?!» Ron appariva inorridito. «Non ha ancora nemmeno provato la sua nuova Firebolt!»
Aveva ragione e, per un attimo, il corpo di Harry fu attraversato da uno spasimo di desiderio quasi tangibile; ma le parole di Neville gli avevano riportato alla mente la conversazione con Delaney, quindi gli riferì subito dell'impegno che si era assunto.
L'amico si prese la testa tra le mani. «Scusami, Harry. Davvero, ti mancava solo...»
«Ehi, a me fa piacere» protestò. «E poi, neanch'io sono il massimo, come pozionista. Però... che ti è successo? Credo che neanche con Piton tu abbia mai fuso tutti quei calderoni in una sola giornata. E Delaney non ti ha messo pressione... o sì?»
Neville scosse la testa, con aria sconsolata. «Sono sempre stato distratto, lo sai. E a Pozioni bisogna essere precisi.»
«Sì, ma...»
«A quel G.U.F.O. mi hanno bocciato, lo sapevi?»
«Ah... no, devo essermene scordato.»
«Non vedo questa materia neanche in foto da più di due anni. Pensavo che avrei avuto tempo di ripassare, invece... bam! Subito una Pozione complicatissima. Sono andato nel panico. E pensa che tenevo a fare una bella figura.» Rise amaramente.
«Non buttarti giù» cercò di fargli animo. «Tanto, l'abbiamo odiata tutti e siamo sulla stessa barca, mi pare.»
«Peccato non avere più il libro del Principe Mezzosangue» buttò lì Ron.
Neville lo fissò incerto per un momento, prima di rammentare quel dettaglio dal rapporto di Harry. Quante cose di cui non avevano mai discusso...
«Non credo che ci servano ricette migliori, sai, Ron? Mi sembra che a Neville serva soprattutto un ripasso dalle basi in su.»
«Temo anch'io» sospirò l'interessato. «Come se non avessimo già abbastanza da fare.»
Harry scrollò le spalle. «Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata, giusto? Allora cerchiamo di non complicarcela troppo e di darci una mano l'uno con l'altro. Abbiamo sconfitto Voldemort, che sarà mai domare un calderone? Guarda, come ho già detto, non che io sia il massimo come pozionista, però credo che, tra tutti e due, da quel libro riusciremo a imparare qualcosa. Che ne dici, cominciamo subito? Tanto, prima o poi...»
«Ma neanche una partita a Spara Schiocco?» protestò Ron.
«Magari dopo. Anzi, un momento... vai così bene in Pozioni, tu?»
«Chi, io?!» Lo fissò esterrefatto, ma Harry non batté ciglio. «Va bene, va bene... mi arrendo. Vado a prendere il libro.»



Note:
Il testo della canzone è stato lievemente modificato: nella redazione originale recita “
witch”, non “wizard”. Ma io lo immagino sulle labbra del mio Harry postbellico, beninteso nei suoi momenti migliori e non in quelli neri.
Il nome di Fungbury è tratto da “
Harry Potter – Wizards Unite”, dove è menzionato come Auror rinomato per le abilità in duello; sebbene non si tratti in alcun modo di una fonte canonica, mi è parso utile riprendere il personaggio. William Delaney, invece, è interamente di mia invenzione; i concetti che espone sono frutto di mie congetture sui dati canonici, a parte ovviamente l'esempio storico di Grindelwald (che Harry non conosce anche perché il libro di Bathilda buonanima arriva solo alla fine del diciannovesimo secolo). Le operazioni sotto copertura in altri Stati, a loro volta, sono solo una mia ipotesi... anche se da “I Crimini di Grindelwald” abbiamo avuto conferma che ve ne possono essere di palesi.
La volta precedente, Harry non ha neppure notato le anticamere e i relativi sbarramenti, perché era in compagnia del Ministro; ma ovviamente non può essere sempre così facile appropinquarsi al di lui ufficio. Le Segretarie di Anticamera hanno appunto il compito di regolare l'accesso di uomini e documenti, secondo i rispettivi ordini e priorità; ma a volte, come in questo caso, un difetto di coordinamento interno costringe ad attendere qualcuno per cui le porte del
sancta sanctorum dovrebbero aprirsi all'istante. Harry non l'ha ancora capito fino in fondo, ma viene considerato e trattato, soprattutto al Primo Livello, come la potenza politica che indubbiamente è.
La riunione seduti in cerchio è un tocco di informalità, rispetto a grandi tavoli e scrivanie maestose, che Kingsley ha voluto introdurre per cercare di far cadere almeno qualcuna delle barriere di diffidenza che dividono i suoi dirigenti; credo, però, che si capisca molto bene che, almeno finora, l'esperimento non si può definire un successo.
Le azioni di Harry all'interno della Gringott si possono considerare compiute in stato di necessità, ma questa scriminante lascia sussistere comunque l'obbligo di indennizzare i soggetti danneggiati; e non vi possono essere dubbi sulla gravità dei danni materiali, per non parlare della perdita di una reputazione di sicurezza quasi leggendaria. Stando a quel che ne sappiamo, tra i folletti la proprietà si dovrebbe trasmettere solo per via ereditaria, dall'artefice di un oggetto ai suoi discendenti; e tuttavia, sembra che ogni folletto senta di poter vantare un qualche genere di diritto sulla Spada di Grifondoro. In più, i Galeoni sono senza dubbio manufatti, tanto da recare un numero di serie che consente di risalire alla persona fisica del coniatore; e tuttavia circolano tra i Maghi senza traccia alcuna di pagamenti a costui ad ogni passaggio. Quindi, ho congetturato che il regime della Gringott e la circolazione delle monete siano frutto di un compromesso raggiunto al termine delle rivolte dei folletti e che la Banca sia strutturata in termini analoghi ad una società semplice: tutti i soci apportano mezzi in comune, ma non danno vita ad una personalità giuridica, sicché ciascuno di loro può agire nei confronti dei terzi nell'interesse comune. Zog lo Zozzone è appunto uno di questi soci, che esige un risarcimento sia a titolo personale, per le sue proprietà danneggiate o distrutte, sia per conto della Gringott intera. Tuttavia, non avendo i folletti accettato lo Statuto di Segretezza, né l'offerta di Grogan Stump di collaborare alla stesura delle leggi del Mondo Magico, ritengo che non abbiano il diritto di adire il Wizengamot: le loro eventuali controversie con i maghi dovrebbero essere risolte – sempre a mio parere – tramite l'Ufficio per le Relazioni con i Folletti, che però al momento non può intervenire in modo efficace, per le ragioni espresse da Worple (che, per chi non lo ricordasse, era alla famosa cena di Lumacorno, in compagnia del suo amico Sanguini, e ha cercato di convincere Harry a fargli scrivere la sua biografia). Non ho ancora deciso cosa far dirigere agli altri partecipanti alla riunione, eccetto Percy, per cui mi sono attenuto alle indicazioni della Row, e “Robert” (cognome da escogitare), che dirige la Cooperazione Magica Internazionale: il suo intervento serve da promemoria a Kingsley sul fatto che la Confederazione tiene già il Ministero albionico sotto stretta sorveglianza e i problemi con i folletti tendono sempre ad attirarne l'attenzione. Si sarà capito che il povero Ministro cammina su (l'equivalente magipolitico di) un campo minato.
Robards chiama Harry “cocchino di Kingsley” perché, pur avendo prove dirette del loro scontro sui Tre Giuramenti e avendo sentito le voci che impazzano per tutti i Livelli (quelle che hanno indotto i megadirigenti a trattenere il fiato in attesa di un duello tra i due), resta scettico e abbastanza convinto che si tratti di una manovra concordata, un abile gioco delle parti. Ma vuole anche fargli pesare la differenza tra le aspettative che gli attribuisce e la realtà delle riunioni sordide e grigie.
Abercrombie è un nome, anzi un marchio, che non ha bisogno di presentazioni, gli serviva solo un prenome allitterante; Henry Bolingbroke è noto a tutti i cultori di storia inglese e qui il secondo nome Percival vale a nobilitarlo ulteriormente; la “
Edmund Fitzgerald” è una nave il cui naufragio nei Grandi Laghi è cantato da Gordon Lightfoot nella canzone omonima; e che io sia dannato se mi ricordo da dove sia saltato fuori Richard Sutton!
Le informazioni sui gufi e i metodi per evitarli sono state desunte dall'apposita pagina di Pottermore, nella versione italiana che, purtroppo, sul sito non si trova più. Sempre di lì apprendiamo che si tratta di magia potente; non mi stupirei se facesse parte del programma per i M.A.G.O. o non venisse nemmeno insegnata a scuola, ma di certo è indispensabile per un Auror e, al corso di Segretezza e Inseguimento, dovrà essere o trattata o presupposta.
Archibald Evans (nome di mio conio, ne cercavo uno che suonasse un po' antiquato) e la moglie Petunia (scelta ovvia) sono effettivamente i nonni materni di Harry e sono stati uccisi dai Mangiamorte proprio come forma di vendetta trasversale. Mi sembra, a onor del vero, l'unica spiegazione plausibile per una duplice morte di cui non ci è mai stato detto nulla nel canone. Quando Harr guarda nello Specchio e vede la propria famiglia, oltre alla madre vede altre paia di occhi come i propri, occhi che possono provenire solo dal lato Evans; ho scelto di attribuirli al nonno. Va da sé che l'esperienza con lo Specchio è una delle ragioni per cui li riconosce al volo... e anche del suo crollo emotivo. La guerra è finita, si trova alle prese con tutte le difficoltà della vita quotidiana e di un nuovo lavoro, le sue difese sono molto più deboli del solito.
La descrizione degli effetti del Whisky Incendiario ha cercato di rendere giustizia al nome della bevanda, che è praticamente tutto ciò che ne sappiamo; che vada centellinato mi sembra una congettura ragionevole. Penso che Regulus, quando ha cominciato ad essere assalito dai dubbi sulla bontà della causa dei Mangiamorte, possa essersi preso più di una sbronza e che questa sia almeno una delle fonti dell'esperienza di Kreacher con i relativi rimedi. E sì, decisamente il mio Harry non regge l'alcool... almeno per ora, perché potrebbe essere una semplice questione di esercizio, dopotutto.
Non abbiamo notizie sul G.U.F.O. di Neville in Pozioni, ma credo che la sua bocciatura si possa dare per certa.

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