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Perché il tuo canto è nel vento
Quella neve che soffoca
Se da solitarie cime la tua forza tutto annienta
Chi resisterti più potrà
Perché il tuo canto è nel vento
Ma il tuo ghiaccio si scioglierà
Se da solitarie cime il tuo destino è già scritto
Se il freddo mai più tornerà…
(“Canto d’inverno” – Furor
Gallico)
Antonio era molto
preoccupato per Jacopo e non riusciva a comprendere bene che cosa stesse
accadendo. Certo, sapeva anche lui che, dopo il fallimento della congiura, c’era
chi desiderava ancora dare la colpa di tutto ai Pazzi e incastrare l’uomo che amava (che, ovviamente, nella congiura non
era mai stato implicato,
figuriamoci!) e anche lui temeva che persone invidiose avrebbero potuto indurre Lorenzo e Giuliano alla vendetta…
ma Jacopo si stava comportando in modo davvero strano e sembrava quasi essere
ritornato l’uomo di un tempo, cupo, austero e chiuso nella sua solitudine.
Ma adesso c’era lui,
Antonio! Erano insieme e vivevano in quella bella villa tutta per loro!
Lorenzo e Giuliano
erano loro amici e non avrebbero mai creduto alle calunnie degli invidiosi!
Perché Messer Pazzi
non riusciva a voltare pagina e a godere delle cose belle che aveva, insieme a
lui?
In realtà Antonio non
era del tutto al corrente degli ultimi avvenimenti a Firenze e nemmeno di ciò
che tormentava Jacopo in quel periodo. Pazzi non voleva che si angosciasse,
temeva che troppi turbamenti avrebbero nuociuto al suo cuore indebolito e alla
sua salute, così cercava il più possibile di proteggerlo da ciò che poteva
sconvolgerlo. Ma, così facendo, Antonio si preoccupava ancora di più perché non
riusciva a capire la situazione. Insomma, era un po’ un circolo vizioso e, del
resto, Jacopo Pazzi non era l’uomo più aperto e amichevole di questo mondo, era
sinceramente difficile riuscire a comprendere cosa gli passasse per la testa!
Tuttavia, alla fine
era inevitabile che tutti i nodi venissero al pettine, e probabilmente fu anche
meglio così.
Quella mattina,
Lorenzo aveva deciso di andare a parlare con Jacopo di una questione molto
importante.
“Vado alla villa di
Pazzi, Giuliano” disse al fratello. “Devo chiedere alcune cose a Jacopo e credo
sia venuto il momento di farlo. Tu vieni con me?”
Giuliano lo fissò
come se fosse improvvisamente impazzito.
“Perché?” domandò.
“Ascoltami, Giuliano,
so che Jacopo non ti piace e so anche che non credi alla versione dei fatti che
ci ha dato Antonio” replicò Lorenzo, con aria pensierosa. “Nemmeno io credo
alla totale estraneità di Jacopo alla congiura, questo è ovvio, però quello che
sta succedendo adesso sembra dare ragione ad Antonio. Francesco e Guglielmo non
sono nostri nemici e credo che non lo siano mai stati; Jacopo probabilmente è
stato pesantemente coinvolto nella cospirazione, ma adesso pare essersi
ritirato da tutto, va raramente alla Banca, vive in quella villa con Antonio e,
negli ultimi tempi, ha partecipato pochissimo anche al Consiglio dei Priori. Al
contrario, il Conte Riario ci minaccia tuttora con un esercito finanziato dal
Papa…”
Giuliano, suo malgrado,
dovette dare ragione al fratello.
“Lo so” ammise.
“Credo anch’io che, se Riario avesse avuto la meglio, avrebbe scaricato tutta
la colpa sui Pazzi e si sarebbe impadronito di Firenze. E credo anche che… beh,
che di fronte a questa minaccia sia meglio mostrarsi uniti… sì, anche con
Jacopo Pazzi, visto che non possiamo fare altrimenti. Però, ecco, preferisco
che sia tu a parlare con lui di queste cose e preferisco anche stare il più
lontano possibile da quella sua villa…”
“Se è questo che
vuoi, va bene, ma continuo a non capire perché ti comporti così.”
“Perché mi viene il
voltastomaco tutte le volte che vedo quella stramaledetta
statua di Pazzino de’ Pazzi all’ingresso del parco, ecco perché!” esclamò
Giuliano, esplodendo. “Dovevi proprio aiutare Jacopo a seguire quella sua
ossessione e commissionare la statua al tuo amico scultore Rossellino? Lo sai
cosa succederà, eh? Finirà che, come nostro nonno Cosimo è passato alla storia
per aver finanziato la costruzione della Cupola e di opere meravigliose come il
David di Donatello, tu sarai ricordato per aver fatto erigere la statua di Pazzino de’ Pazzi!”
Nonostante la
situazione non fosse delle migliori, la disperazione di Giuliano era così
comica che Lorenzo scoppiò a ridere.
“Va bene, allora
andrò da solo a parlare con Pazzi” concluse. “Non vorrei che la visione della
statua di Pazzino ti procurasse un travaso di bile!”
E, sempre
ridacchiando tra sé, il giovane Medici prese il mantello e chiamò il suo
servitore perché gli portasse il cavallo.
Giuliano riusciva
sempre a metterlo di buon umore, anche quando era preoccupato, come in quel
periodo.
Non sarebbe mai
potuto andare avanti se Giuliano non fosse stato accanto a lui con la sua
ironia e le sue battute sarcastiche…
Comunque fossero
state le premesse, alla resa dei conti Jacopo Pazzi aveva ucciso i sicari che
stavano per colpire Giuliano e lui, solo per questo, era disposto a perdonargli
qualsiasi peccato avesse commesso prima.
Non contava che avesse in qualche modo cospirato con quella gente: alla fine
aveva fatto la scelta giusta, aveva tradito i suoi complici, li aveva uccisi e,
cosa più importante di tutte, aveva salvato
la vita di suo fratello.
Per Lorenzo questo
bastava.
Quando giunse alla
villa di Jacopo, soffocò una risatina nel vedere, all’ingresso, la statua di
Pazzino de’ Pazzi che troneggiava maestosa, per la grande soddisfazione del suo
discendente… e grande schifo di Giuliano!
Entrato nella villa,
Lorenzo fu accolto con grande calore e affetto da parte di Antonio, felicissimo
di rivederlo, mentre Jacopo sembrava contrariato. In realtà non era la presenza
di Lorenzo ad innervosirlo, quanto ciò che quella presenza significava: poteva
esserci solo un motivo per la venuta del giovane Medici.
Lorenzo, infatti,
dopo aver salutato Jacopo e Antonio, chiarì subito che la sua non era una
visita di cortesia.
“Jacopo, sono qui
perché ho bisogno del vostro aiuto e del vostro appoggio” esordì.
In effetti poteva
sembrare paradossale che un Medici andasse a chiedere aiuto proprio ad un
Pazzi, ma la situazione estrema richiedeva anche le alleanze più improbabili!
Vedendo che l’uomo
non accennava a rispondere in alcun modo, Lorenzo riprese.
“Siete stato accanto
a me e a Giuliano subito dopo la congiura, quando c’era bisogno di parlare alla
folla spaventata per incoraggiarla ad opporsi alle armate di Riario” disse.
“Avete parlato molto bene quel giorno e io mi sono sentito molto soddisfatto
nel comprendere che Firenze era unita, che le rivalità personali cedevano di
fronte a un vero pericolo.”
Giuliano sarebbe
stato di tutt’altro parere, ma non c’era ragione di dirlo in quel momento,
tanto più che lo stesso Jacopo non sembrava il ritratto dell’entusiasmo.
“Avrei tanto voluto
ammirarvi in quella veste, Messer Pazzi” sospirò Antonio, incantato, ma questa
volta nemmeno l’entusiasmo del ragazzo servì a scuotere Pazzi.
“Purtroppo, però, non
è finita quel giorno. Il Conte Riario è tuttora schierato con il suo esercito,
pronto ad attaccare e a conquistare Firenze” riprese. “Il Papa lo appoggia, non
solo finanziando il suo esercito, ma anche in modi molto più subdoli: pensate
che ha minacciato di scomunicare l’intera città se io non mi recherò a Roma a
chiedergli perdono!”
Se Jacopo rimaneva
piuttosto apatico, in compenso fu Antonio a sconvolgersi a questa notizia.
“Cosa? Ma non può
farlo! E tu come sei venuto a saperlo?” domandò, angosciato.
“Certo che può farlo,
visto che è il Papa” rispose Lorenzo, “e io sono venuto a saperlo nel modo
peggiore: il Conte Riario in persona si è presentato alla mia porta per
dirmelo. Dovrò recarmi a Roma e chiedere perdono a Sua Santità, altrimenti
Firenze sarà scomunicata e non potranno più esserci matrimoni, funerali,
battesimi né altri sacramenti.”
“Ma… è assurdo! Di
che cosa dovresti chiedere perdono al pontefice? Di non essere morto durante la
congiura che lui e suo nipote Riario
hanno voluto?” protestò Antonio.
Quell’obiezione
strappò, suo malgrado, un sorriso a Lorenzo.
“Sai che la tua
reazione e la tua protesta sono state le stesse di tua sorella? Tu e Clarice vi
somigliate davvero molto” commentò, divertito. “Comunque, secondo Riario,
dovrei chiedere perdono al Papa per aver fatto impiccare l’arcivescovo
Salviati, un membro importante della Chiesa.”
“Per fortuna la
Chiesa non si regge soltanto su membri come questo pontefice o quel Salviati”
disse Antonio, risentito. “Avevi il pieno diritto di farlo condannare, visto
che ha organizzato la congiura contro te e Giuliano!”
Fu quella la prima
volta in cui Jacopo alzò gli occhi da terra per guardare, sorpreso, Antonio che
si infervorava tanto. A quanto pareva si era raccontato talmente tante volte la
storia che gli unici responsabili della congiura erano il Papa, Salviati e
Riario che adesso ci credeva davvero! Aveva forse dimenticato che anche lui,
Jacopo Pazzi, era stato tra gli organizzatori di quella dannata cospirazione?
Sembrava di sì…
“La mia famiglia mi
appoggia, ma la scomunica è una cosa grave e temo che molti dei Priori non la
tollereranno e mi chiederanno di cedere al ricatto del Papa” spiegò Lorenzo.
“E’ per questo che ho bisogno del vostro appoggio, Jacopo. Domani ci sarà una
riunione del Consiglio dei Priori per discutere di questo ultimatum e potrebbe
esserci bisogno di ogni voto disponibile. Devo poter contare su di voi e anche
su vostro nipote Francesco. Normalmente è dalla mia parte, ma di fronte alla
minaccia di una scomunica potrebbe anche cambiare idea, senza il vostro voto.
E’ questo il piano di Papa Sisto: vuole che Firenze si metta contro di me per
paura di perdere l’anima!”
Jacopo continuava a
non rispondere e la cosa innervosiva Lorenzo e preoccupava Antonio. Perché non
si metteva subito dalla parte dei Medici? Cosa c’era che non andava?
“Jacopo, forse anche
voi siete tra coloro che temono la scomunica più di ogni altra cosa, anche a
costo della libertà di Firenze?” chiese il giovane Medici. Sapeva bene,
infatti, che Pazzi era molto devoto: quando erano ancora acerrimi rivali,
Jacopo lo aveva accusato più volte di essere un eretico e un immorale che, con
le opere d’arte che patrocinava, stava corrompendo le antiche tradizioni di
Firenze.
“E tu cosa
proporresti di fare? Che cos’è che io e la mia famiglia dovremmo appoggiare?”
domandò l’uomo, aprendo bocca per la prima volta.
“Farò io una proposta
di pace al Papa: gli concederò i territori dello Stato Pontificio che Firenze
ha occupato negli ultimi vent’anni e libererò e rimanderò a Roma suo nipote, il
Cardinale Raffaele Riario” rispose Lorenzo. “In cambio, Papa Sisto dovrà
ammettere di aver organizzato lui la congiura contro la mia famiglia allo scopo
di fare di Girolamo Riario il nuovo Signore di Firenze.”
Sia Antonio sia
Jacopo rimasero sconcertati udendo quelle parole. A parte il fatto, più che
ovvio, che il Papa le avrebbe rispedite al mittente e tanti saluti, con quella
dichiarazione Lorenzo aveva appena affermato di credere che quello che Antonio
aveva detto mesi prima, nella Cattedrale, davanti ai cadaveri dei congiurati,
era vero: la congiura non era nata da Jacopo, bensì dal Papa e da Riario e i
Pazzi stessi erano destinati a finirne vittime, come capri espiatori!
Possibile che Lorenzo
se la fosse bevuta tanto facilmente?
“Jacopo, questa
proposta è un vantaggio anche per voi. Se il Papa ammettesse che la congiura è
stata ordita da lui e da suo nipote Riario, la vostra famiglia verrebbe
scagionata da ogni accusa e anche coloro che, a tutt’oggi, sospettano un vostro
coinvolgimento, dovrebbero arrendersi di fronte alla verità” insisté il giovane
Medici.
Jacopo,
sappiamo benissimo entrambi che eravate d’accordo con Riario e gli altri
congiurati, ma vi sto dando l’occasione di provare la vostra estraneità ai
fatti… in cambio del vostro appoggio, era quello che
Lorenzo non diceva con la voce, ma il suo sguardo, fisso su Pazzi, parlava per
lui.
“Hai il mio appoggio,
Lorenzo” rispose alla fine Jacopo, “parlerò con Francesco e Guglielmo e dirò
loro di sostenere la tua proposta nel Consiglio dei Priori a nome di tutta la
famiglia.”
“Ma voi non verrete a
dirlo di persona? Sarebbe molto più convincente, siete pur sempre voi a capo
della famiglia Pazzi” obiettò Lorenzo, sorpreso di fronte a questa insolita timidezza di Jacopo. Normalmente, non
perdeva occasione per pontificare di
fronte al Consiglio dei Priori, e magari infilarci anche qualche accenno al
prode Pazzino de’ Pazzi…
“Su questo devo
ancora decidere, ma non credo, potrebbe essere controproducente” spiegò l’uomo.
“Chi ancora mi sospetta potrebbe pensare che ti appoggio per scagionarmi. E,
comunque, già da tempo ho lasciato gli affari di famiglia nelle mani di
Francesco e Guglielmo, adesso sono loro i maggiori rappresentanti della Banca e
della famiglia Pazzi.”
“Come preferite,
Jacopo” si arrese Lorenzo. “Sono lieto che mi appoggerete comunque e, se
deciderete di cambiare idea e partecipare alla seduta del Consiglio, sarete il
benvenuto.”
Detto questo, si
congedò da Jacopo e Antonio e uscì dalla villa per ritornare a Palazzo Medici.
Anche Antonio era
rimasto male davanti alla ritrosia di Jacopo. Perché non voleva aiutare
apertamente i Medici? Era forse ancora prevenuto
nei loro confronti o forse… forse era vero che, parlando apertamente della
congiura, i suoi nemici, quelli che
lo accusavano ingiustamente,
avrebbero potuto danneggiarlo?
“Messer Pazzi, siete
sicuro di non voler partecipare al Consiglio dei Priori? Voi non avete niente da nascondere” gli disse Antonio,
sedendoglisi accanto, non appena furono soli, “e, se non vi fate vedere a
queste riunioni, potrebbero iniziare a pensare male di voi…”
Jacopo si voltò a
guardare quel ragazzino che continuava a spalancare su di lui i suoi occhi
luminosi e pieni di affetto e fiducia illimitati. Avrebbe dovuto parlargli
apertamente, spiegargli come si sentiva e come stava la situazione, ma esitava…
non voleva preoccuparlo né addolorarlo, ma sapeva anche di non meritare quella
devozione incondizionata, non più, non dopo ciò che aveva fatto. E non si
riferiva solo alla congiura che, per fortuna, era stata sventata. No, il problema
era molto più grave.
Pazzi aveva creduto
che le cose sarebbero tornate alla normalità e che, una volta uccisi i
congiurati e protetto Lorenzo e Giuliano, avrebbe pagato il suo debito e si
sarebbe potuto godere una vita felice accanto ad Antonio. Ma nelle ultime
settimane aveva compreso che non era così semplice. Dando il suo appoggio alla
congiura, lui aveva messo in moto molto di più che una manica di disgraziati
incapaci come quei sicari e adesso se ne vedevano le conseguenze.
Il Papa voleva suo
nipote Riario come Signore di Firenze. Se non lo avessero accontentato, avrebbe
prima scomunicato la città e poi… poi magari scatenato una guerra!
Firenze correva un
pericolo gravissimo, ed era tutta colpa sua. Lui aveva causato questa
situazione, lasciandosi attrarre dai piani di Sisto IV e Riario, accecato dal
suo odio per i Medici e dalla convinzione di poter governare la città molto
meglio di loro. Avrebbe dovuto denunciare subito i loschi scopi dei congiurati
e così non si sarebbe mai arrivati a tanto.
Era colpa sua, solo
colpa sua…
Strinse tra le braccia Antonio e lo baciò una, cento, mille volte. Ogni volta che baciava Antonio
e si perdeva nella morbidezza e nella dolcezza delle sue labbra, tutto il
dolore scompariva e rimaneva solo una tenerezza che faceva bene al cuore, che
leniva tutte le ferite, anche quelle più vecchie e profonde. Il contatto con il
calore e il sapore del suo dolcissimo ragazzino gli infondeva forza e gli dava
il coraggio di fare, finalmente, quello che aveva rimandato fin troppo a lungo.
Si concesse ancora qualche minuto di tenerezza infinita con Antonio, sapendo
che quello che stava per decidere avrebbe potuto cambiare le cose… ma ci
avrebbe pensato dopo, quell’istante doveva espandersi in un universo di amore e
dolcezza che, almeno per un po’, avrebbe cancellato tutto il male.
We keep on
going up and down
Wasting all our time, wishing we’d stayed on the side lines
Bet you would have left by now,
if you had
seen the signs from the very beginning
Can’t tell if we’re a masterpiece or catastrophe
Oh, I’m sorry for the confusion I keep on causin’ yea
My mind is playing tricks on my heart
Yeah my mind is playing tricks on my heart
I wish that it
was easy
I wish that lovin’ me wouldn’t feel so hard
I wish that it was easy
I wish that loving me was a walk in the park
I wish that it was easy...
(“Easy” – Alice Merton)
Era giunto il momento che Jacopo Pazzi
aveva rimandato fin troppo a lungo, trincerandosi dietro varie scuse. Non
poteva più mentire né a se stesso, né ad Antonio, né alla sua Firenze. Doveva
prendersi le sue responsabilità e poi… sarebbe andata come doveva andare.
Jacopo prese Antonio per le spalle e
fissò lo sguardo in quelle iridi scure e vellutate che gli donavano sempre
calma e serenità. Avrebbe dato la vita per non dover addolorare quegli occhi
pieni d’amore e di fiducia, ma non poteva più farlo, non era giusto.
E, finalmente, Jacopo era pronto a
fare la cosa giusta.
“Antonio, tu sai bene quanto me che
sono colpevole della situazione che si sta creando a Firenze” esordì.
“Ma no, Messer Pazzi, cosa dite? E’
Papa Sisto il colpevole, è lui che vuole conquistare Firenze e sta usando i
mezzi più spregevoli. Terrorizzare il popolo con la minaccia della scomunica è
terribile, il pontefice sta abusando del potere che Dio gli ha concesso e sarà
punito…” protestò il ragazzo.
“E’ vero, ma sono stato io a
permettere che si giungesse a questo punto” riprese l’uomo, in tono grave, “ed
è ora che sia io a sistemare la situazione. Adesso Lorenzo non c’è e non
abbiamo motivo di mentirci ancora. Sappiamo entrambi che io mi sono lasciato
accecare dal mio odio contro i Medici e dalla prospettiva di governare Firenze,
così ho accettato di buon grado i piani del Papa, di Salviati e di Riario,
pensando che la morte di Lorenzo e Giuliano sarebbe stata un bene per la città,
che io sarei stato un governante molto migliore di loro.”
Negli occhi di Antonio cominciarono a
spuntare le prime lacrime. Certo, lui conosceva benissimo questa parte della
storia (e sapeva altrettanto bene che, con ogni probabilità, anche Lorenzo ne
era al corrente…), ma avrebbe preferito dimenticarla e non voleva che Jacopo,
l’uomo che amava sopra ogni altra cosa al mondo, si accusasse così apertamente.
“La cosa che più mi tormenta è che tu
sapevi tutto, Antonio, e che mi hai dato mille occasioni per tornare indietro,
per fare la cosa giusta, ma io sono stato uno stolto e, nella mia rabbia contro
i Medici, ho ignorato tutti gli avvertimenti” riprese Pazzi. “In questo modo ho
rischiato di perdere te e, adesso, l’intera Firenze rischia una catastrofe. Ed
è stata solo colpa mia. Conoscevo i piani del Papa e di Salviati e li ho
appoggiati, partecipando io stesso alla congiura.”
“Non è vero, voi non sapevate tutto!”
esclamò Antonio, straziato. “Vi siete fidato del Papa, di Salviati e di Riario,
ma loro non vi avevano detto la verità, non vi avevano rivelato il vero scopo
della congiura. Io non ho mentito a Lorenzo, io sapevo che il Papa voleva
Firenze e che avrebbe concesso la città a suo nipote Riario, non a voi! Voi
sareste stato solo un’altra vittima della congiura, perché sareste stato
accusato di aver ucciso i Medici e sareste stato giustiziato insieme agli altri
sicari mentre Riario sarebbe diventato il nuovo Signore di Firenze. Voi non
volevate questo per la vostra città!”
Jacopo soffriva nel veder piangere
Antonio. Se lo strinse di nuovo al petto, avvolgendolo nel suo abbraccio come
per proteggerlo da ogni pericolo, e poi riprese a parlare.
“Hai ragione, io non sapevo quale
fosse il vero scopo del Papa” ammise, “e di certo non avrei appoggiato i suoi
piani se lo avessi saputo. Ma potevo pensare con la mia testa e comprendere che
di certo né Papa Sisto né Girolamo Riario si sarebbero scomodati tanto per dare
il governo di Firenze ai Pazzi. Avrei dovuto capire che il fine ultimo della
congiura era quello di conquistare Firenze per Riario, ma nella mia arroganza e
nella mia acrimonia per i Medici ho scelto di non pormi domande e di fidarmi di
un serpente come Riario.”
Per la prima volta, Jacopo Pazzi
ammetteva apertamente con qualcuno di essere stato uno stolto cazzone, presuntuoso, tracotante e accecato dall’odio. E
Antonio capì che non era più tempo di minimizzare, di cercare di alleggerire
l’atmosfera: Jacopo soffriva davvero per ciò che aveva fatto ed era per questo
che adesso sceglieva di restare un passo indietro, di tenersi a distanza dalla
vita politica.
“Capisco quello che volete dire, ma
non è la cosa giusta, Messer Pazzi, né per voi né per Firenze” replicò
dolcemente il ragazzo. “E’ vero, avete commesso un errore di valutazione non
comprendendo quale pericolo rappresentavano il Papa e Riario ma, se adesso vi
rifiutate di aiutare Lorenzo, ne commetterete uno ancora peggiore. Firenze e i
Medici hanno bisogno di voi!”
Oddio, a voler essere onesti a Pazzi
non poteva fregare di meno di aiutare i Medici, che comunque continuavano a non
piacergli più di tanto, però forse Antonio aveva ragione, forse poteva ancora
fare qualcosa per Firenze, per rimediare ai danni che aveva causato…
Baciò con tenerezza quel ragazzo
meraviglioso che gli dava sempre tanta gioia e tanto affetto incondizionato e
poi parlò di nuovo, sentendosi improvvisamente molto meglio. Antonio aveva quel
potere su di lui, lo aveva sempre avuto, il potere di fargli comprendere le
vere priorità della vita e di fargli sentire che esisteva un modo per fare la
cosa giusta e sentirsi più leggero, con il cuore in pace e riscaldato da un
amore vero e immenso.
“Va bene, Antonio, ti prometto che ci
penserò e prenderò una decisione” gli disse, accarezzandogli il viso. “Il
Consiglio dei Priori si svolgerà domani, nel primo pomeriggio, per cui ho
abbastanza tempo per riflettere e capire se la mia presenza potrà essere
veramente di aiuto o se, invece, causerà altri problemi.”
“Io sono sicuro che la vostra presenza
aiuterà Lorenzo a portare avanti la sua battaglia” affermò Antonio, convinto.
“Non potete tirarvi indietro, cosa avrebbe fatto il vostro antenato Pazzino de’
Pazzi?”
Ecco, se Giuliano fosse stato presente
e avesse udito quelle parole, si sarebbe gettato dal piano più alto della
villa… per fortuna non era lì ma chissà? Forse Jacopo avrebbe partecipato al
Consiglio dei Priori il giorno successivo e avrebbe detto che, appunto, aveva
deciso di impegnarsi in prima persona per difendere Firenze proprio come
avrebbe fatto il valoroso Pazzino…
Il mio antenato Pazzino de’ Pazzi non sarebbe stato uno stolto cazzone
come me e non si sarebbe lasciato ingannare dalle trame del Papa e di Riario, pensò Jacopo, ma non lo disse ad
Antonio.
“E’ vero, ho sbagliato molto in questi
anni, ma se voglio essere degno del mio prode antenato Pazzino de’ Pazzi devo
mettermi in gioco e fare la cosa giusta” dichiarò l’uomo, che sembrava essersi
ripreso dal suo malumore. A quanto pareva, l’amore di Antonio e il ricordo del
valoroso Pazzino avevano compiuto il miracolo!
Intanto Lorenzo, tornato a Palazzo
Medici, aveva trovato un altro ospite a sorpresa ma, per fortuna, questa volta
non era quell’avvoltoio di Riario, quanto piuttosto un suo vecchio amico, un
uomo sulla cinquantina di nome Nicomaco che era da sempre legato alla famiglia
Medici. La sua famiglia aveva una bottega a Firenze da molti anni ed era stato
proprio Piero, il padre di Lorenzo, a fornire il capitale necessario per
poterla aprire e, da allora, Nicomaco e i suoi erano sempre stati, ovviamente,
fedelissimi sostenitori dei Medici.*
“Nicomaco, mi fa molto piacere
vedervi” lo salutò Lorenzo, che in quel periodo si aggrappava un po’ a tutto
quello che trovava: se aveva cercato perfino l’appoggio dei Pazzi allora voleva
dire che era proprio alla disperazione! “Era da diverso tempo che non avevo
vostre notizie, siete forse stato ammalato? Spero di no.”
Se quelle parole celavano un velato
rimprovero all’uomo per non essersi schierato apertamente in favore dei Medici
negli ultimi tempi, Nicomaco non lo colse, o comunque fece finta di niente. A
quanto pare aveva i suoi problemi da risolvere ed era venuto da Lorenzo proprio
per parlargliene e scusarsi della sua assenza, dovuta appunto alle sue disavventure personali.
“A proposito, ho saputo che vostro
figlio Cleandro si è sposato con Clizia, la giovane che avete allevato come se
fosse vostra” intervenne Giuliano, con un accento ironico che faceva capire
quanto, in realtà, sapesse lui delle faccende di Nicomaco… “Tutta la famiglia
Medici vi porge le sue congratulazioni, è un peccato che non abbiamo potuto
partecipare al matrimonio ma, come ben sapete, stiamo vivendo una situazione
molto precaria.”
“No… non fa niente e anzi vi sono
grato” replicò l’uomo, in evidente disagio mentre invece Giuliano ridacchiava.
“Sarebbe stato un grandissimo onore per noi avervi al matrimonio ma ecco… è
stato celebrato in fretta, in campagna, subito dopo che abbiamo scoperto che il
vero padre di Clizia è un nobile napoletano e quindi…”
“Non preoccupatevi, ciò che conta
davvero è che adesso siate qui e che abbiate intenzione di impegnarvi
nuovamente per sostenerci” disse Lorenzo, temendo che l’uomo si mettesse a
raccontargli tutti i problemi che aveva avuto. Ci sarebbe mancata solo quella,
di preoccupazioni ne aveva già abbastanza di per sé!
“Sì, naturalmente, anche se ho deciso
di ritirarmi dagli affari e di lasciare la bottega e tutto il resto a mia moglie”
rispose Nicomaco. “Io ho acquistato una villa fuori Firenze, per vivere in pace
e lontano dai continui pensieri e proprio per questo volevo parlarvi. Ecco, ho
scoperto che la villa che ho comprato si trova piuttosto vicino a quella dove
adesso vive Messer Jacopo Pazzi e, siccome sapevo che le vostre famiglie non
sono propriamente in buoni rapporti, allora io… ecco, ho voluto farvelo sapere
perché non pensiate che, magari, sono diventato amico dei Pazzi o cose del
genere. La mia lealtà è sempre andata ai Medici e sarà sempre così, è stato
solo un caso se…”
“Per me non c’è alcun problema,
Nicomaco, ve lo assicuro” lo interruppe Lorenzo, “al contrario, negli ultimi
mesi le famiglie Medici e Pazzi si sono riconciliate, forse voi non lo avete
saputo, ma adesso non corre più cattivo sangue tra noi.”
La faccia di Giuliano aveva assunto
un’espressione nauseata, ma né Lorenzo né Nicomaco ci fecero caso.
“Davvero?” si stupì l’uomo. “No, non
ne sapevo niente ma allora è meglio così e…”
Questa volta a interrompere Nicomaco
fu un servitore di Palazzo Medici che entrò nella stanza conducendo a forza un
ragazzo dall’aria furbetta e spintonandolo per farlo muovere.
“Messer Medici, perdonatemi per la mia
intrusione ma volevo avvertirvi che ho appena pescato questo furfante che
spiava nelle vostre stanze, era addirittura entrato nel vostro studio e chissà,
magari ha addirittura rubato qualcosa!” disse il servo.
“Pirro, che hai fatto?” trasecolò
Nicomaco. “Non ti avevo detto di aspettarmi in carrozza?”
Il ragazzo abbozzò un sorrisetto
storto e gli occhi gli brillarono, da vero impunito qual era.
“Mi annoiavo, padrone, e poi ho sempre
voluto visitare Palazzo Medici. Non ho spiato né rubato niente, volevo
semplicemente vedere lo studio del grande Lorenzo de’ Medici, ma questo bifolco
qua non ha voluto ascoltarmi!” protestò.
“Va bene, lascialo andare, Emilio.
Questo ragazzo è il vostro servitore?” domandò Lorenzo, mentre Pirro, con aria
oltraggiata, si staccava bruscamente dalle mani del domestico dei Medici e
faceva mostra di rassettarsi la giacca.
“Sì, è… uno dei miei servi, mi è stato
molto vicino e mi ha aiutato in un momento… difficile per me e infatti adesso
l’ho portato a vivere con me nella nuova villa” spiegò Nicomaco, sempre più a
disagio. “Mi dispiace moltissimo per il malinteso, gli avevo detto di non
entrare nel palazzo…”
“Non ho fatto niente di male, padrone,
e voi non tornavate mai!” obiettò nuovamente Pirro.
Intanto Giuliano ridacchiava sotto i
baffi e sembrava saperne davvero molto di più di quanto non desse a vedere…
“Non fa niente, sono sicuro che il
vostro servo sta dicendo la verità” tagliò corto Lorenzo. “Piuttosto, quello
che mi preme sapere è se domani voi sarete nuovamente al vostro posto al
Consiglio dei Priori. Ci sono decisioni molto importanti da prendere e il
vostro voto potrebbe essere decisivo. Verrete?”
“Ma certo, ma certo, Messer Medici e,
anzi, mi scuso ancora per essere mancato così di frequente negli ultimi mesi,
un giorno vi racconterò tutto” promise l’uomo.
Ma anche no,
pensò Lorenzo, al quale interessava molto di più il voto di Nicomaco piuttosto
che i suoi problemi, personali o familiari che fossero. E il fatto che Giuliano
continuasse a trattenere a fatica le sghignazzate non era un buon segno… Alla
fine, comunque, il giovane Medici riuscì a congedare Nicomaco e il suo servetto
strafottente con la promessa che si sarebbero rivisti il giorno seguente al
Consiglio dei Priori.
La giornata non era andata male per
Lorenzo, dunque. Alla resa dei conti si era appena aggiudicato un alleato che
temeva di aver perduto e, sebbene ancora non lo sapesse, anche Jacopo aveva
deciso di presentarsi al Consiglio dei Priori e di appoggiare le proposte dei
Medici. In quanto a Giuliano, aveva una gran voglia di raccontare al fratello
tutta la vicenda in cui Nicomaco si era trovato coinvolto, ma purtroppo per lui
avrebbe dovuto attendere ancora: infatti non era qualcosa che riguardasse il
Papa, Riario o il Consiglio dei Priori e, al momento, i pensieri di Lorenzo
erano rivolti esclusivamente a quello, i pettegolezzi e gli scandali di Firenze
potevano aspettare!
Fine capitolo secondo
* Lo so che questo personaggio (e il suo servo Pirro) non esiste affatto
nella storia de I Medici, ma io ho
voluto inserire dei nuovi personaggi per dare un maggior arricchimento ad una
storia che non mi entusiasmava (non ho amato molto la terza stagione della
fiction) e perché questi personaggi, che originariamente appartengono alla Clizia di Machiavelli, mi hanno
affascinato quando ho recitato nella commedia, tanto da farmi venire voglia di
creare una mia versione alternativa del finale della storia e una ship vera e
propria! E visto che si parlava di Firenze, botteghe, mercanti e affari, mi
sembrava che inserirli nella vicenda dei Medici ci stesse anche bene… XD
And I'm not tryna find somebody
'Cause no one else but you will do (ooh-ooh)
Yeah, the real thing is gone
Now I wish I could hold you
I wasted all of these days and nights
Trying to chase all these empty highs
But I had to go through my worse so I know that I just needed you (oh-oh-oh-oh)
As I look out at the morning sun
There's no escape from the things I've done
And out of everything I've lost, now I know that I just needed you
(oh-oh-oh-oh)
And darling, that's the truth (oh-oh-oh-oh)…
(“The truth” – James Blunt)
Il giorno
seguente le cose si svolsero esattamente nel modo in cui Lorenzo aveva
desiderato, sebbene con un aiuto inaspettato. La riunione con i Priori, in
realtà, pareva nata male, regnava un’atmosfera ostile e se n’era accorto anche
Antonio.Il giovane Orsini non era affatto
tranquillo quando fece il suo ingresso nel Palazzo dei Priori e si sedette al
suo posto, tra gli uditori, mentre Jacopo raggiungeva il suo seggio accanto al
nipote Francesco. Continuava a ripetersi che era sciocco preoccuparsi, che
adesso il vero nemico era Papa Sisto e che nessuno avrebbe accusato di nulla
Jacopo… però era anche vero che si sarebbe parlato di nuovo della congiura e
che, forse, qualcuno avrebbe insinuato che Jacopo Pazzi vi aveva partecipato.
Il giovane cercò con
lo sguardo gli uomini che avevano insultato Jacopo per strada, qualche tempo
prima, e che gli si erano opposti durante l’ultima riunione dei Priori alla
quale aveva partecipato. Sì, eccoli là, Neri Acciaiuoli, Niccolò Ridolfi e
Jacopo Pitti, sedevano proprio dietro Messer Ardinghelli e di sicuro avrebbero
fatto obiezioni a qualsiasi proposta di Lorenzo, però c’erano anche persone che
non conosceva. Un nuovo Priore sedeva accanto ad Ardinghelli, poco più indietro
c’era un giovane dai capelli biondi e l’aria delicata… chissà chi erano? E,
soprattutto, chissà se queste persone sarebbero state o meno ostili a Jacopo?
Le riflessioni di
Antonio vennero interrotte da un mormorio tra gli uditori, qualcuno che
sembrava innervosirsi prima del tempo, qualche insulto rivolto non si sa bene a
chi… e poi un giovane che non conosceva si presentò con un sorrisetto
impertinente.
“Buona giornata,
Messere. È libero questo posto?” domandò. “Ah, scusate, non mi sono presentato,
mi chiamo Pirro e sono il servitore di Messer Nicomaco, il Priore che sta
seduto là. E, insomma, a me non andava di starmene in piedi e volevo avere un
buon punto di osservazione. Posso sedermi qui?”
Antonio, allibito,
non poté far altro che annuire, visto che la riunione stava per cominciare e il
Gonfaloniere aveva già richiesto più volte il silenzio. Conosceva di vista
Messer Nicomaco e lo individuò tra i Priori, ma non gli risultava che i
servitori accompagnassero i padroni anche al Consiglio. Tuttavia preferì
lasciar correre, c’erano cose più importanti di cui preoccuparsi.
Il Gonfaloniere
Petrucci diede la parola a Lorenzo.
“Sono qui oggi per
chiedere l’appoggio dei Priori contro quello che Papa Sisto sta cercando di
fare alla nostra città” esordì il giovane Medici. “È una cosa vergognosa: il
Papa vuole scomunicare Firenze per aver fatto giustiziare un membro del clero,
Francesco Salviati, ma dimentica di aggiungere che Salviati era uno degli
organizzatori della congiura che, per pochissimo, non è costata la vita a me e
a mio fratello Giuliano. E, soprattutto, dimentica di specificare che lui
stesso, Papa Sisto, è stato il mandante di questa congiura!”
La parola congiura causava ancora delle evidenti
turbe psichiche al povero Antonio, che riprese a scrutare freneticamente i
volti dei presenti per scoprire se qualcuno di loro, per caso, avesse guardato
dalla parte di Jacopo. Pareva di no, ma era altrettanto chiaro che Ardinghelli
e il suo sconosciuto vicino non la pensassero come Lorenzo, visto che non
facevano che confabulare tra loro.
“Riario in persona ha
avuto l’ardire di presentarsi a casa mia, dichiarando che dovrò andare a Roma a
chiedere perdono al Papa se voglio evitare la scomunica a Firenze” riprese
Lorenzo, con evidente indignazione. “Dovrei chiedere perdono per aver
giustiziato Salviati, ossia colui che voleva morti me e Giuliano!”
“Forse dovreste
scegliere il male minore e accettare la proposta di Sua Santità, Messer Medici”
disse l’uomo che sedeva accanto ad Ardinghelli. “Firenze non può permettersi la
scomunica e tanto meno una guerra contro le truppe papali e l’esercito di
Riario.”
“Messer Spinelli fa
sembrare facile ciò che non lo è e lo definisce il male minore, ma lasciate che chiarisca un punto: se io mi
recassi a Roma come vuole il Papa, mi farebbe uccidere e i suoi uomini
occuperebbero Firenze e sterminerebbero il resto della mia famiglia, per poi
consegnare la città a Riario” spiegò Lorenzo, con enfasi. “Riario diventerebbe
il Signore di Firenze e voi tutti sapete bene in che modo eserciti il potere ad
Imola, con il terrore e la violenza. E’ questo che volete per la nostra città?”
“Messer Medici sta
esagerando, sappiamo tutti che ha il gusto per il melodramma, non siamo certo
ad un punto così grave” replicò Spinelli con un sorrisetto ironico.
A quel punto fu
Jacopo Pazzi ad alzarsi in piedi e prendere la parola. Antonio sentì il cuore
mancargli un battito, ma l’uomo aveva fatto la sua scelta, avrebbe sostenuto
Lorenzo, non sarebbe più stato lo stolto
cazzone di qualche mese prima…
“Non sono
assolutamente d’accordo con quello che Messer Spinelli ha detto e non ritengo
affatto che Messer Medici abbia voluto dare a quanto è accaduto un tocco
melodrammatico, tutto quello che ha detto è purtroppo tragicamente vero: Papa
Sisto ha ordito la congiura per impossessarsi di Firenze e concederla a suo
nipote Riario. Se ciò fosse avvenuto, sarebbe stata la fine… e non solo per
Firenze” dichiarò con voce ferma e sicura e un’incredibile faccia di bronzo!
Sicuramente per lui
ammettere che i Medici erano indispensabili per il bene di Firenze era peggio
che avere una colica renale, ma ormai aveva messo la salvaguardia della sua
città al di sopra dell’ambizione e delle opinioni personali.
“Poiché la congiura è
stata benedetta dal Papa, è realistico credere che le sue mire non si siano
placate e che la richiesta fatta a Lorenzo di recarsi a Roma sia una trappola.
Non dimentichiamo che l’esercito di Riario è alle nostre porte” continuò
Jacopo.
“Sembrate
particolarmente ben informato su questa congiura, Messer Pazzi” insinuò in tono
maligno Ridolfi. “E’ dunque vero ciò che si dice in giro, ossia che anche voi
vi eravate coinvolto?”
Antonio sobbalzò e
impallidì. Era proprio questo ciò che aveva temuto fin dal principio, che
qualcuno potesse accusare nuovamente Jacopo e che il Gonfaloniere gli credesse…
Lanciò uno sguardo disperato in direzione dell’uomo che, però, sembrava non
aver dato alcun peso a quell’accusa e restava impenetrabile.
“Coinvolto è una parola grossa, Messer Ridolfi, e un’accusa molto
grave” ribatté Pazzi senza scomporsi. “Ammetto tuttavia di aver sentito parlare
di una cospirazione contro i Medici da mio cugino Salviati. Purtroppo, al
tempo, non mi sono reso conto fino in fondo della gravità della cosa e mi sono,
anzi, lasciato accecare dalla mia personale rivalità. Ritenevo che, forse,
avrei potuto approfittare di un vuoto di potere lasciato dalla famiglia Medici
per prendere il loro posto. Non ero al corrente dei particolari, credevo che il
piano fosse quello di creare false accuse contro Lorenzo e Giuliano e farli
esiliare da Firenze. Ma, anche se fosse stato così, comprendo solo ora quanto
sarebbe stato grave se fosse riuscito. Senza i Medici, Firenze non avrebbe
saputo contrastare le armate del Papa e di Riario. Senza i Medici, gli Stati
italiani sarebbero finiti sotto il controllo più o meno diretto del Papa. Questa
è la mia colpa e di questo mi accuso personalmente ogni giorno: ho lasciato che
l’odio avesse la meglio sulla ragione e, ancora peggio, ho avuto la presunzione
di ritenere che io avrei potuto governare Firenze meglio dei Medici. Sarebbe
stato l’errore più grande di tutta la mia vita e ringrazio Dio di essere stato
presente, con mio nipote Francesco, quando la congiura è stata effettivamente
messa in atto, poiché così ho potuto salvare la vita di Lorenzo e Giuliano e,
allo stesso tempo, il futuro della nostra città e di tutti gli Stati italiani.”
Vabbè, diciamocelo
chiaramente: Jacopo Pazzi ne sapeva davvero una più del diavolo! Aveva messo in
scena quella sua bella dimostrazione di pentimento senza ammettere più di tanto
riguardo al suo legame con i congiurati e finendo per accusarsi di presunzione
e pregiudizio contro i Medici; si era personalmente messo sotto accusa a modo
suo per impedire ad altri di farlo e, alla fine, era riuscito a passare dalla
parte della ragione.
Tanti anni passati a
tramare intrighi e cospirazioni erano serviti a qualcosa, dunque!
E via, concediamogli
pure il beneficio del dubbio: la paura di perdere Antonio e la visione di
Firenze in preda al caos gli aveva anche fatto rivedere molte delle sue
priorità, perciò probabilmente ci credeva anche, alla maggior parte delle cose
che aveva detto…
Per qualche istante,
dopo le parole di Jacopo, nel salone cadde un silenzio assoluto. Antonio non
sapeva se dovesse preoccuparsi o meno, il Gonfaloniere sembrava riflettere
profondamente, Giuliano era rimasto a bocca aperta (soprattutto perché, in un
discorso così lungo, Pazzi non aveva nominato mai, nemmeno una volta,
l’antenato Pazzino…) e anche coloro che avrebbero voluto mettere l’uomo in
difficoltà parevano spiazzati, perché lui li aveva astutamente battuti sul
tempo.
Fu Lorenzo il primo a
riprendere la parola.
“Ciò che Messer Pazzi
ha detto è fin troppo generoso nei nostri confronti” disse, guardando Jacopo
con una certa qual ammirazione, “e anch’io non posso che essergli grato per il
suo intervento tempestivo che, in quel maledetto giorno, ha salvato la mia vita
e quella di mio fratello. Pertanto, spero vivamente che nessuno, qui o altrove,
vorrà mai più sollevare la questione del suo coinvolgimento in quella congiura.
Non è questo che conta, adesso. Il vero mandante della cospirazione è Papa
Sisto e adesso il suo esercito minaccia Firenze e la sua scomunica terrorizza
il popolo. Questi sono i fatti concreti
sui quali è necessario agire in fretta. Non perdiamo di vista il vero colpevole
di tutto quanto è accaduto e sta accadendo: se la benedizione del Papa alla
congiura è stata una vergogna, la scomunica contro Firenze è un vero e proprio
crimine!”
“Sono perfettamente
d’accordo” intervenne Ardinghelli, che non voleva mettersi contro tanto i
Medici quanto i Pazzi, sarebbe stato paradossale… “e proprio per questo ritengo
che Messer Medici dovrebbe mostrare di voler fare un passo verso Sua Santità.
La scomunica è un fatto gravissimo. Le chiese sono chiuse, non ci sono più
battesimi né matrimoni e, presto, nemmeno i morti saranno più seppelliti. Il
popolo ha ragione di essere spaventato.”
“Tutti noi vogliamo
la pace, ma non dobbiamo accettarla a qualunque
costo, dobbiamo perseguirla alle nostre condizioni” dichiarò il giovane
Medici. “Pertanto io farò una controproposta a Papa Sisto: gli concederò tutti
i territori dello Stato Pontificio che Firenze ha occupato negli ultimi
vent’anni e libererò e rimanderò a Roma suo nipote, il Cardinale Raffaele
Riario. In cambio, il pontefice dovrà ammettere di aver organizzato lui la
congiura contro la mia famiglia allo scopo di fare di Girolamo Riario il nuovo
Signore di Firenze.”
Il salone esplose:
c’era chi acclamava Lorenzo, chi scagliava invettive contro Papa Sisto, chi
gridava allo scandalo… insomma, ce n’era per tutti i gusti! Il Gonfaloniere
dovette intervenire per riportare l’ordine, ma mugugni e borbottii non
cessarono.
“E’ inaudito, Sua
Santità non accetterà mai!” esclamò Ardinghelli.
“Messer Medici, non è
corretto che voi proponiate una cosa simile al Papa di vostra iniziativa, senza
chiedere il parere dei Priori” obiettò Spinelli.
“Infatti sono qui,
oggi, proprio per avere l’appoggio dei Priori” replicò Lorenzo, con l’aria di
chi spiega cose ovvie ad un perfetto idiota. Poi il giovane Medici si rivolse
al Gonfaloniere. “Messer Petrucci, chiedo che la mia proposta venga messa ai
voti.”
Il Gonfaloniere
acconsentì alla richiesta e la maggioranza si schierò a favore della proposta
di Lorenzo: tutti coloro che sostenevano il partito dei Medici, tra cui anche
Nicomaco, votarono a favore, ma una buona parte dei Priori era rimasta colpita
dalle parole di Pazzi e, dunque, appoggiò la proposta del giovane Medici non
appena vide che anche Jacopo e Francesco Pazzi si schieravano apertamente a
favore (cosa che, a memoria d’uomo, in quel salone non era mai accaduto. I
Pazzi che votavano per i Medici? Forse l’Apocalisse era vicina…).
In parole povere,
contro Lorenzo votarono soltanto Ardinghelli, Spinelli, Ridolfi e altri due o
tre disgraziati come loro…
“Il Consiglio dei
Priori si schiera dunque al fianco di Lorenzo de’ Medici per appoggiare la sua
proposta di pace a Papa Sisto” dichiarò il Gonfaloniere. Scattarono gli
applausi, mentre il piccolo gruppo degli sconfitti si scambiava occhiate
insoddisfatte.
Antonio, con un
sospiro di sollievo e sentendosi decisamente meglio, ritenne di poter anche
scambiare due parole con il suo peculiare vicino, che aveva osservato tutta la
scena come se fosse stato uno spettacolo teatrale e, alla fine, si era
addirittura alzato in piedi per applaudire. Per fortuna almeno non aveva
iniziato a fare la ola…
“Hai detto di essere
il servitore di Messer Nicomaco? Piacere di conoscerti, io sono Antonio Orsini,
il fratello della moglie di Lorenzo Medici e un caro amico suo e di Giuliano”
disse il ragazzo, porgendo la mano a Pirro. Nonostante l’origine nobile,
Antonio e Clarice non si erano mai comportati con sussiego e, anzi, sia a Roma
che a Firenze entrambi si recavano spesso nei quartieri più poveri a portare
aiuto, vestiti, cibo e qualsiasi cosa servisse. Per il giovane Orsini non c’era
niente di male a fare amicizia con un servitore, anche se quello era
decisamente particolare!
“Onorato di fare la
vostra conoscenza, Messer Orsini” rispose Pirro, con una stretta di mano
energica ed entusiastica. “Allora stiamo dalla stessa parte, no? Il mio padrone
ha votato a favore dei Medici e abbiamo vinto!”
Beh, faceva piacere
vedere che c’era qualcuno tanto interessato alle decisioni di Lorenzo e un
alleato in più, come quel tal Messer Nicomaco, sarebbe stato sicuramente molto
utile alla causa dei Medici. E poi… Antonio si sentiva quasi scoppiare il cuore
per la bellissima scena a cui aveva assistito… Jacopo aveva davvero parlato in favore di Lorenzo
davanti a tutto il Consiglio dei Priori e la decisione era stata presa anche
grazie a lui!
Era stabilito, quindi.
Lorenzo avrebbe inviato a Roma il giovane Cardinale Sansoni Riario, libero,
come gesto conciliante nei confronti del Papa. Il ragazzo, però, avrebbe avuto
l’ingrato compito di esporre la proposta di Lorenzo allo zio… forse avrebbe
preferito rimanere prigioniero a Firenze!
Ma ciò che sembrava
veramente un miracolo, quel pomeriggio (a parte per Antonio, che aveva sempre
avuto una fiducia infinita nel suo Messer Pazzi), era l’aver visto e sentito
Jacopo Pazzi parlare in favore di Lorenzo e votare per lui… e senza nemmeno
tirare in ballo Pazzino de’ Pazzi!
Eh, sì, le cose a
Firenze stavano davvero cambiando!
One conversation, a single moment
The things that change us if we notice
When we look up, sometimes
They said I would never make it
But I was built to break the mold
The only dream that I've been chasing is my own
This goes out to the underdog
Keep on keeping at what you love
You'll find that someday soon enough
You will rise up, rise up, yeah…
(“Underdog” – Alicia Keys)
Dopo il Consiglio dei
Priori, Lorenzo decise di invitare Jacopo e Antonio a cena a Palazzo Medici.
Quando il giovane ebbe fatto la sua proposta e Jacopo, seppure con poca
convinzione, ebbe accettato, il gruppetto si incamminò verso il palazzo.
Giuliano allungò il
passo e si affiancò al fratello con un’espressione che prometteva tempesta.
“Ma si può sapere perché hai invitato Jacopo Pazzi a cena
a casa nostra?” domandò, in tono melodrammatico. “È mai possibile che ce lo
dobbiamo trovare sempre tra i piedi?”
Lorenzo si lasciò
sfuggire un sorriso divertito.
“Mi sembra di
doverglielo, visto che ci ha aiutati votando a nostro favore” rispose.
“Tuttavia ci sono anche altri motivi per cui ho invitato a cena lui e Antonio.”
“Spero per te che
siano buoni motivi” brontolò Giuliano. “A volte penso che dovrei trasferirmi
definitivamente a Genova con Simonetta!”
“Non pensarci
neanche! Caso mai, quando la situazione a Firenze si sarà normalizzata, sarà
lei a venire a vivere qui con te” rise il fratello. “Ma nel frattempo dovrai
armarti di pazienza e partecipare alla cena con Jacopo Pazzi.”
Giuliano continuava a
guardarlo con aria esasperata.
“Dunque non mi
libererò mai di quello Jacopo Pazzi e del suo ancor più odioso Pazzino?”
“Giuliano, voglio
parlare in privato con Jacopo per capire se è davvero dalla nostra parte”
spiegò il fratello, “e poi voglio anche riprendere a frequentare di più
Antonio, che non mi sembra stia tanto bene. Non hai visto com’era teso e
nervoso, oggi, al Consiglio dei Priori?”
Pur se a malincuore,
Giuliano dovette ammettere che Lorenzo aveva ragione… e sopportare un’altra
serata in compagnia di Jacopo Pazzi. Ormai cominciava a diventare un’abitudine!
Quella sera nella
sala da pranzo di Palazzo Medici c’erano Lorenzo e Clarice, Giuliano con la
madre Lucrezia, Jacopo e Antonio. Mentre i Medici e i loro amici e alleati
erano a tavola, un uomo calvo con una folta barba nera e dei registri in mano
si fermò sulla soglia per salutare.
“Messer Medici, ho
terminato il mio lavoro, per oggi, sto andando a casa” disse. “Vi auguro una
buona serata con i vostri amici. Ci vediamo domani.”
“A domani, Bruno” lo
salutò Lorenzo.
“Chi sarebbe quel
brutto ceffo?” domandò Antonio con aria preoccupata, dopo che l’uomo fu uscito.
“Non avrai mica dei sicari al tuo
servizio, Lorenzo?”
Lorenzo e Giuliano
scoppiarono a ridere.
“Ma no!” esclamò
Giuliano, divertito.
Doveva comunque
riconoscere che Antonio aveva ragione: quel tipo somigliava più ad un
tagliagole che ad un onesto e innocuo contabile!
“Lui è Bruno
Bernardi, mi ha chiesto un lavoro come contabile” rispose Lorenzo, evitando di
ricordare che quell’uomo aveva preso il posto del povero Francesco Nori, morto
per salvargli la vita il giorno della congiura. Era meglio non soffermarsi
troppo sull’argomento congiura quando
si invitavano a cena Jacopo e Antonio…
“Invece io oggi ho
conosciuto un ragazzo al Consiglio dei Priori, mi ha colpito perché si
comportava in modo molto… beh, come dire, deciso” disse Antonio. “Ha detto di
chiamarsi Pirro e di essere al servizio di Messer Nicomaco, uno dei Priori che
ti sostengono, Lorenzo. Ma non è strano? Di solito i servitori non partecipano
a queste riunioni.”
Giuliano vide
nell’intervento di Antonio l’occasione buona per affrontare l’argomento dei
pettegolezzi riguardo Messer Nicomaco, sia perché era dal giorno prima che
voleva raccontare tutto a Lorenzo, sia perché sperava così di far passare il
tempo senza che Jacopo si mettesse, magari, a parlare del suo antenato Pazzino!
“Beh, Pirro è davvero
un tipo singolare” iniziò a spiegare. “Io l’ho conosciuto qualche anno fa,
quando anch’io ero uno scavezzacollo come lui e frequentavo le taverne. A volte
ci siamo ubriacati insieme e abbiamo fatto scherzi ai passanti… niente di
pesante, ovvio, solo per farsi due risate. Poi io ho conosciuto Simonetta e ho
smesso di fare quella vita, mentre Pirro ha continuato a comportarsi da
impunito. Il fattaccio, come
raccontano le matrone fiorentine, è avvenuto nel periodo in cui io e Lorenzo
eravamo… beh…impegnati a contrastare dei rivali politici…”
Qui Giuliano si
interruppe per un attimo, consapevole che tutti i presenti sapevano benissimo
che stava parlando delle varie strategie messe in atto da Jacopo e famiglia per
distruggere i Medici, fino ad arrivare alla congiura poi sventata… però era altrettanto
vero che tutti volevano fingere che tutto questo non fosse mai successo, o
qualcosa del genere. Insomma, era meglio riportare il discorso su Nicomaco!
“Nicomaco in quel
periodo non ci fu d’aiuto perché si era invaghito di Clizia, la giovane che
aveva adottato ancora in fasce e che adesso ha circa sedici o diciassette anni.
Per farla breve, era talmente ossessionato da lei che aveva deciso di farle
sposare il suo fedele servitore, Pirro appunto, che a lei non era interessato e
che avrebbe continuato a vivere la sua vita mentre il padrone si godeva la
ragazza… ovviamente ben ricompensato” riprese così il giovane Medici,
incantando il suo uditorio. Antonio, poi, era incredulo: possibile che fossero
successe cose del genere in un periodo in cui per lui esistevano solo Messer
Pazzi e le strategie per allontanarlo da quegli intrighi crudeli contro i
Medici?
“Sofronia, comunque,
la moglie di Nicomaco, aveva saputo tutto e aveva deciso di passare al
contrattacco, facendo in modo che Clizia sposasse invece il fattore Eustachio,
un brav’uomo un po’ tonto che l’avrebbe portata a vivere in campagna,
allontanandola dal pericolo” continuò Giuliano, ed era buffo pensare a come
queste mosse e contromosse ricordassero, in piccolo, tutto ciò che aveva
inventato Antonio per scongiurare la
congiura! “Voglio specificare, però, che Sofronia non è che fosse gelosa o
che volesse riprendersi il marito, l’unica cosa che contava per lei era che
Nicomaco si stava rendendo ridicolo e lei non voleva perdere la faccia di
fronte alle grandi famiglie di Firenze. Insomma, non so bene com’è andata poi,
pare che Nicomaco l’abbia avuta vinta e abbia ottenuto che fosse Pirro a
sposare Clizia, però Sofronia e le sue serve hanno organizzato una burla per
punire entrambi: hanno fatto vestire da sposa il povero Eustachio e hanno
mandato lui nella camera nuziale ad aspettare Nicomaco, mentre Pirro era stato
chiuso a chiave in un’altra stanzetta e non poteva avvertire il suo padrone.”
Adesso tutti
pendevano dalle labbra di Giuliano.
“E allora? Cos’è
successo? Non lasciarci in sospeso, fratello” lo incalzò Lorenzo. “In effetti
mi era parso che Nicomaco fosse un po’ strano quando è venuto a scusarsi con me
per le sue assenze al Consiglio dei Priori, ma di certo non avrei immaginato
una storia come questa!”
“Beh, è successo,
almeno per quanto ne sono venuto a sapere io, che Eustachio si è divertito a
malmenare ben bene Nicomaco a pugni, calci e schiaffi. Niente di troppo grave,
più che altro qualche livido e una bella botta all’orgoglio, ma tanto è
bastato: Nicomaco si è chiamato fuori da tutto, ha accettato che Clizia
sposasse suo figlio Cleandro e ha lasciato la moglie, la bottega e tutto ciò
che gli ricordava questa brutta storia, acquistando la villa accanto a quella
di Messer Jacopo per viverci con alcuni servitori e, soprattutto, Pirro che
alla fine era stato l’unico a dimostrarglisi fedele fino in fondo, anche
rimettendoci in prima persona. Non mi sarei aspettato tanta lealtà da Pirro, ma
evidentemente le persone cambiano davvero, come è successo a me.”
“E anche a Messer
Pazzi, anche lui è cambiato tanto!” commentò Antonio, rivolgendo un sorriso
luminoso e pieno d’amore all’uomo accanto a lui, cosa che, per poco, non fece
rivoltare lo stomaco a Giuliano e che, comunque, gli tolse l’appetito per il
resto della serata!
Dopo la cena, che
grazie anche a Giuliano era trascorsa in modo piacevole e senza pensare alle
minacce che pendevano su Firenze, Lorenzo invitò Jacopo a parlare in privato
nel suo studio.
“Jacopo, vi ringrazio
di avermi appoggiato e sostenuto oggi, al Consiglio dei Priori” disse il
giovane Medici, “però dovete sapere che io non ho intenzione di fermarmi. So
che il Papa non accetterà mai le mie condizioni, ma io sono pronto ad
affrontarne le conseguenze e a sfidarlo. Voi resterete dalla mia parte anche se
dovessi mettermi contro il Papa? Anche se dovesse scoppiare una guerra contro
le sue armate e chissà quali altri eserciti?”
“Ho detto che ti
avrei appoggiato e ti appoggerò” dichiarò Pazzi, in tono grave ma deciso.
“Qualunque conseguenza ci troveremo ad affrontare, Firenze sarà forte solo se
sarà unita.”
E Jacopo pensava
veramente ciò che aveva appena detto, però non si trattava solo di quello:
diciamo che, ogni volta che ripensava a Papa Sisto e ai suoi raggiri, si
sentiva il solito stolto cazzone
perché lo aveva appoggiato con la congiura invece di contrastarlo e, dunque,
sapeva che era anche colpa sua se si era arrivati a quel punto.
Adesso doveva
rimediare ad ogni costo. Sarebbe stato accanto a Lorenzo e avrebbe sostenuto le
sue scelte di fronte al Consiglio dei Priori per quanto impopolari potessero
risultare.
“La prima decisione
che prenderò è questa: se il Papa non desisterà dalla sua idea di scomunicare
Firenze, io farò in modo che i vescovi di Toscana si riuniscano in un Consiglio
e stabiliscano di riaprire le chiese anche contro la volontà del pontefice”
spiegò Lorenzo, deciso. “E se Papa Sisto lo prenderà come un atto di guerra,
che sia. Voi sarete con me anche in questo?”
Jacopo sembrava
turbato e preoccupato, ma non per quello che credeva Lorenzo. Certo, lui era
sempre stato un uomo devoto, ma questo Papa non rappresentava esattamente ciò
che Pazzi voleva dalla Chiesa, era ambizioso, spietato e molto più interessato
al potere temporale che alla guida del popolo di Dio. Ciò che faceva male alla
parte di coscienza che si era risvegliata nell’uomo era che, alla resa dei
conti, la colpa di tutto ciò era sua.
Se avesse denunciato immediatamente i piani di Salviati e le ambizioni del
pontefice, non si sarebbe mai giunti a tanto… invece, ora, Firenze sarebbe
stata attaccata, sarebbe entrata in guerra.
Jacopo non aveva
saputo proteggere la sua città, nonostante si fosse sempre ritenuto l’unico
degno di guidarla. Non l’aveva protetta così come non aveva protetto il suo
dolce Antonio…
“Sarò con te”
rispose, cercando di non mostrare le proprie preoccupazioni. “Come ho detto,
Firenze deve essere unita e dovrà esserlo ancora di più se scoppierà una
guerra. Non mi nasconderò dietro belle parole come fanno quei codardi di
Ardinghelli e Spinelli.”
Lorenzo annuì e, in
uno slancio di emotività dovuta alle tante pressioni che doveva subire in quel
periodo, strinse con forza la mano di Jacopo per suggellare la loro… ehm…
alleanza.
Se li avesse visti
Giuliano!
Per Jacopo e Antonio era ora di tornare a
casa e, nella carrozza che li riportava alla loro villa, l’uomo chiese al suo
giovane amante se si fosse divertito alla cena.
“Sì, sono stato molto bene” rispose Antonio, con
un sorriso e uno sguardo allegri che da troppo tempo Jacopo non vedeva su di
lui. “La vicenda che Giuliano ci ha raccontato mi ha interessato molto, quel
Pirro sembra un ragazzo simpatico e vivace e sarei contento di incontrarlo
ancora e poi… è stato bello passare una serata tutti insieme, tra amici, senza
pensare alle tante cose negative che ci aspettano.”
Vedere Antonio così faceva bene al cuore di
Jacopo, che lo strinse a sé con affetto. Sì, quasi certamente il Papa avrebbe
deciso di muovere guerra a Firenze e chissà quali Stati italiani si sarebbero
uniti al suo esercito… ma non voleva pensarci in quel momento, voleva soltanto
sentire tra le braccia il suo tenero Antonio che gli si affidava con tanto
amore, godere del tepore del suo corpo morbido e della sua dolcezza.
Le cose, però, erano
precipitate improvvisamente dopo che Lorenzo aveva convocato il Collegio dei
Vescovi della Toscana. Essi avevano acconsentito a riaprire le chiese e a
permettere ai sacerdoti di riprendere ad amministrare i sacramenti, di fatto
annullando la scomunica del pontefice tramite la formazione di una corte con
poteri propri, indipendente dalla Curia di Roma. Lorenzo aveva preso
un’iniziativa precisa, ben sapendo di sfidare Papa Sisto, e la sua azione aveva
portato conseguenze drammatiche. Avrebbe dovuto informare subito il Consiglio
dei Priori del fatto che gli eserciti del Papa e di Riario stavano marciando
verso Firenze, ma lui voleva parlarne prima con Jacopo e Antonio.
Lorenzo, dunque, si
stava preparando per recarsi alla villa di Pazzi, quando gli fu annunciata una
visita inaspettata: Nicomaco in persona si era presentato da lui e aveva una
proposta da fargli!
“Messer Medici, so
bene che in passato vi ho grandemente deluso e che non sono stato al vostro
fianco come avrei dovuto per… per motivi personali che adesso mi sembrano così
insignificanti” disse l’uomo, che appariva davvero contrito. “Vi avevo promesso
che d’ora in poi vi sarei stato di aiuto e voglio dimostrarvelo non solo con le
parole, ma con i fatti. Vostro fratello Giuliano mi ha detto che state per
andare a parlare con Jacopo Pazzi per avere il suo appoggio con i Priori…
ebbene, lasciate che sia io a parlare con lui. In fondo adesso abito nella
villa accanto alla sua, una mia visita potrebbe anche sembrare un semplice atto
di cortesia tra vicini e poi gli riporterò le vostre parole, cercando come
posso di convincerlo a schierarsi dalla vostra parte. Che ne dite?”
Lorenzo era perplesso
e non sapeva quanto l’intervento di Nicomaco sarebbe potuto dimostrarsi utile.
Tuttavia si rendeva conto che l’uomo aveva davvero bisogno di riscattarsi ai
suoi occhi e, forse, anche se in un modo diverso, anche Jacopo Pazzi aveva dei
debiti da ripagare nei confronti dei Medici. Chissà, avrebbe anche potuto
funzionare!
“Come desiderate,
Messer Nicomaco, andate pure voi a parlare con Messer Pazzi e poi mi farete
sapere che cosa ha risposto. Vi ringrazio per il vostro aiuto, in questo
momento è davvero importante per me e per la mia famiglia” disse il giovane
Medici.
“Sono io che
ringrazio voi per avermi dato la possibilità di rendermi utile dopo… dopo tanti
errori commessi…” fece l’uomo, inchinandosi prima di congedarsi da Lorenzo per
partire alla volta della villa di Jacopo e Antonio. Oddio, per i sensi di colpa
che si sentiva addosso pareva che Nicomaco stesso avesse partecipato alla
congiura con Salviati, Vespucci e tutti gli altri e invece era solo la sua
vergogna per aver concupito la sua figlioccia… ma insomma, andava bene anche
così!
La carrozza di Messer
Nicomaco si diresse velocemente verso la villa di Pazzi e, ovviamente, con lui
c’era anche Pirro. Non era poi così scontato che un servitore partecipasse alla
vita politica del suo signore, a meno che non fosse un sicario prezzolato, ma
Pirro aveva insistito a lungo e poi… e poi già da un pezzo il ragazzo non era
più soltanto un servitore per
Nicomaco.
Ma di questo parlerò
più avanti! Per adesso ci limiteremo ad assistere al colloquio tra Nicomaco e
Jacopo…
Tutti dicevano "pazza"
E avevano ragione
Più mi dicono male e più mi va bene
Fortuna che io sono fatta così
Mi han lanciata su una buona stella
Fortuna che
Che se cado lo stesso vivo bene lo stesso
Vado bene così
Più gira male e più mi va bene
Più gira male e più mi va bene
Più dite male e più mi va bene
Va bene, va bene, va bene così!
(“Fortuna” – Emma)
Nicomaco, dunque, si era
preso l’impegno di andare a parlare con Jacopo al posto di Lorenzo, per
rendersi utile al giovane Medici dopo tanti mesi di latitanza. Questa volta non aveva neanche provato a convincere
Pirro a rimanere ad attenderlo in carrozza e, così, sia lui sia il suo sfrontato
servitore si ritrovarono nel salotto di Pazzi e Nicomaco iniziò a riferire ciò
che aveva saputo da Lorenzo (sempre sperando che Pirro non si mettesse in mente
di intervenire anche lui nel momento più inappropriato!).
“I Vescovi della
Toscana hanno ascoltato la richiesta di Lorenzo, si sono riuniti in una corte
con poteri propri e hanno ordinato la riapertura delle chiese” annunciò.
“Adesso la gente di Firenze può di nuovo ricevere i sacramenti.”
“Ma questa è una
bellissima notizia!” esclamò Antonio, raggiante.
Jacopo, invece,
restava rigido e manteneva la solita espressione severa sul volto.
“Sì, ma il Papa si è
infuriato” spiegò Nicomaco. “I Vescovi hanno anche scritto una lettera a Papa
Sisto comunicandogli la loro decisione e minacciando di riunirsi in un Collegio
apposito per scomunicare lui stesso.”
“Ma il Papa non può
essere scomunicato!” fece Antonio, sbalordito.
“In effetti è proprio
quello che ha detto anche lui” replicò Nicomaco. “Don Carlo, il cugino di
Lorenzo che era stato imprigionato a Roma, è stato liberato ed è riuscito in
qualche modo a fuggire dagli sgherri di Riario che volevano ucciderlo. È giunto
proprio questa mattina a Firenze, stremato, e ha avvertito Lorenzo che Papa
Sisto ha chiesto l’aiuto delle truppe del Re Ferrante di Napoli, affinché si
uniscano all’esercito di Girolamo Riario e marcino contro Firenze.”
A quelle parole Jacopo
si rabbuiò ancora di più e, istintivamente, strinse a sé Antonio come per
proteggerlo. Adesso si rendeva ancora più conto di quali terribili eventi
avesse messo in moto accettando i piani del Papa come uno stolto cazzone qualsiasi, senza farsi neanche una domanda, senza
chiedersi come mai Papa Sisto IV avrebbe dovuto volere che lui governasse
Firenze al posto dei Medici. Avrebbe dovuto capire che il pontefice mirava a
ben altro… ma era stato presuntuoso, accecato dall’odio per i Medici e dalla
convinzione di essere stato incaricato da Dio stesso di guidare la città.
Invece, a quanto pareva, Dio non c’entrava proprio niente e dietro tutto quanto
c’era sempre stato l’ambizioso e avido Sisto IV! Ora stava per scoppiare una
guerra e lui provava una profonda angoscia per le sorti della sua Firenze e per
l’incolumità del suo Antonio.
Ad ogni modo non
poteva lasciarsi vincere dal pessimismo e dai sensi di colpa… insomma, il suo
valoroso antenato Pazzino de’ Pazzi si sarebbe vergognato di lui! Così si fece
animo e cercò di incoraggiare anche il suo dolce ragazzino.
“La guerra è sempre
una cosa terribile” affermò. “Tuttavia sono convinto che una Firenze unita sarà
più forte e saprà difendersi da qualsiasi invasore. E comunque non è ancora
detto che Re Ferrante decida di unirsi all’esercito di Riario, potrebbe anche
scegliere di stare dalla parte di Firenze o di rimanere neutrale come ha fatto
fino ad ora.”
In quel momento si
udì una certa confusione all’ingresso e, poco dopo, un servitore entrò nel
salone annunciando un arrivo quanto mai inaspettato.
“Messer Pazzi, è
appena giunto il Priore Spinelli e chiede di conferire con voi con urgenza”
disse.
Nicomaco, sentendo
quel nome, si allarmò: al Consiglio dei Priori, Spinelli non era sembrato
esattamente un amico dei Medici…
“Ma cosa ci viene a
fare qui? Messer Pazzi, non sarà amico vostro, vero?” domandò.
“In realtà lo conosco
appena, l’ho visto qualche volta al Consiglio dei Priori ma non ho mai parlato
personalmente con lui. E adesso vorrebbe vedermi in privato?” continuò,
rivolgendosi al servo.
“Sì, signore. Dice di
avere delle notizie importantissime per voi, che non possono aspettare” rispose
l’uomo. “L’ho fatto accomodare nel vostro studio, devo mandarlo via?”
“No, digli che lo
raggiungerò subito, ma che non ho molto tempo da dedicargli” rispose.
Il servo obbedì e
uscì dal salone.
“Non credo che
dovreste parlare con lui, Messer Pazzi” suggerì Nicomaco, preoccupato. “L’avete
visto al Consiglio dei Priori, lui e il suo amico Ardinghelli sono oppositori
di Lorenzo.”
“Gli dedicherò solo
pochi minuti e voi potete venire con me, Messer Nicomaco, così vi renderete
conto da solo del fatto che non sono assolutamente suo amico e che non ho alcun
accordo con la sua parte” replicò Pazzi, uscendo anche lui dal salone per
dirigersi verso il suo studio privato. Nicomaco lo seguì, tranquillizzato,
mentre Pirro non si fidava proprio per niente di quel tale Spinelli e,
ovviamente, propose ad Antonio di ascoltare di nascosto quello che l’uomo era
venuto a dire!
“Antonio, dovremmo
cercare di ascoltare tutto ciò che Spinelli dirà a Messer Pazzi!” disse, da
impunito qual era.
Antonio era perplesso.
Origliare non era un problema per lui da molto tempo, aveva dovuto farlo più di
una volta per scoprire i piani dei congiurati e sventare qualsiasi pericolo e in
realtà nemmeno lui si fidava davvero di Giacomo Spinelli, che si era
apertamente messo contro Lorenzo alla riunione dei Priori. E se davvero avesse
tentato di convincere Messer Pazzi a passare dalla sua parte, a tradire i
Medici? Erano in molti, a Firenze, a credere che Jacopo Pazzi, in fondo in
fondo, non avesse veramente sposato la causa dei Medici e che si limitasse a
rimanere in disparte, senza più cercare di danneggiarli ma sicuramente nemmeno
di aiutarli. Spinelli poteva rivelarsi un nuovo Salviati che avrebbe spinto
Messer Pazzi sulla strada sbagliata?
“Hai ragione, Pirro,
nemmeno io mi fido di Messer Spinelli e credo che dovremo ascoltare la sua
conversazione con Messer Pazzi!” disse dunque Antonio.
I due giovani si
mossero silenziosamente verso lo studio di Jacopo. Le porte erano socchiuse e
le voci si udivano chiaramente. Ad Antonio si strinse il cuore. Quel momento
gli ricordava fin troppo le tante volte in cui, ascoltando dietro una porta,
era venuto a conoscenza di piani e trame spaventosi… quante volte si era
sentito gelare il sangue sentendo il suo
Messer Pazzi pronunciare parole di odio e di minaccia verso i suoi amici!
Era possibile che niente fosse cambiato e che lui dovesse, ancora e sempre,
preoccuparsi per le decisioni dell’uomo che amava?
“Messer Ardinghelli è
venuto a sapere che papa Sisto IV ha ottenuto ciò che chiedeva al Regno di
Napoli” stava dicendo Spinelli. “Un esercito guidato da Alfonso II, figlio di
Re Ferrante, si sta per unire a quello di Riario e poi marceranno insieme contro
Firenze.”
“La cosa mi preoccupa
molto, ma non vedo come potrei fermare questi eserciti. Perché siete venuto da
me, Messer Spinelli? Avreste dovuto chiedere al Gonfaloniere di convocare una
riunione urgente del Consiglio dei Priori e avvertire tutti” replicò Pazzi,
senza scomporsi.
“Invece siete proprio
voi che potete fermare questa guerra prima che inizi” insisté il Priore.
“Perché avete appoggiato la proposta di Lorenzo de’ Medici al Consiglio? So che
non siete suo amico. Se vi foste opposto, la vostra famiglia si sarebbe
schierata con voi e anche altri Priori vi avrebbero seguito.”
“Continuo a non
capire perché siate venuto qui e perché abbiate voluto parlarmi, Messere”
ribatté Jacopo con un tono duro e freddo. Se Antonio era stato visitato dai fantasmi delle congiure precedenti,
anche a Pazzi sembrava di rivivere quei momenti che risvegliavano in lui tanti
rimorsi. Se allora non avesse ascoltato Salviati, Montesecco e Riario…
Ma adesso era ancora
in tempo per non ascoltare Spinelli!
“Messer Ardinghelli è
andato dal Gonfaloniere per chiedergli di convocare al più presto il Consiglio
dei Priori per discutere di questi nuovi e terribili sviluppi. Non abbiamo
speranze contro gli eserciti uniti dello Stato Pontificio, di Riario e di
Napoli e nessuno verrà in nostro soccorso. Voi dovete assolutamente unirvi a
noi per contrastare le idee pericolose di Lorenzo de’ Medici, dovete votare
contro di lui e insieme lo costringeremo a chiedere perdono a Papa Sisto”
spiegò Spinelli. “Forse siamo ancora in tempo, forse il pontefice accetterà le
scuse e ritirerà gli eserciti.”
“Lorenzo non
presenterà mai le sue scuse a Papa Sisto e non sarò certo io a chiederglielo!”
esclamò Jacopo, quasi oltraggiato al solo pensiero. “Voi e il vostro amico
Ardinghelli siete talmente pavidi da volere che Firenze si umili davanti al
pontefice e al suo avido nipote? E’ questa la vostra devozione alla nostra
città? Credete veramente che Sisto IV si accontenterà delle scuse di Lorenzo?
Siete degli illusi, o degli sciocchi. Il suo piano è sempre stato quello di
mettere Firenze nelle mani di suo nipote Riario e non fermerà gli eserciti a
nessun costo!”
Spinelli sembrava
offeso dalla risposta di Pazzi.
“È così che la
pensate, adesso? Però non sembravate tanto ostile a Papa Sisto nei mesi scorsi…
sapete, corre voce che sapevate tutto della congiura e che avete lasciato che
avvenisse” insinuò.
“Eravate assente da
Firenze, Messer Spinelli? Perché tutti coloro che erano nella Cattedrale, quel
giorno, videro me e mio nipote Francesco affrontare e uccidere i sicari che
stavano per eliminare i fratelli Medici” ribatté Jacopo, glaciale nel tono e
nello sguardo. “Qualsiasi errore abbia fatto in passato, riponendo la mia
fiducia in persone che non lo meritavano, non ho intenzione di ripeterlo né ora
né mai. Lorenzo de’ Medici avrà il mio totale appoggio in questa guerra contro
i nemici di Firenze, perché solo restando uniti, a dispetto delle rivalità
familiari, potremo sconfiggere gli eserciti invasori. Piuttosto, potremo
contare veramente sull’unione dell’intera Firenze? O voi e Ardinghelli, per non
perdere i vostri privilegi, sareste disposti a vendervi a Papa Sisto?”
Spinelli era
esterrefatto. Non era proprio quella la reazione che si aspettava da Pazzi,
anzi, a dirla tutta era convinto che l’uomo sarebbe stato ben felice di avere
l’occasione per opporsi nuovamente ai Medici. E adesso invece faceva
insinuazioni su di lui? Avrebbe potuto denunciarlo al Consiglio dei Priori come
traditore?
“Messer Pazzi, non
intendevo affatto questo e lo sapete bene. Nessuno di noi vuole che Firenze
cada in mano a Riario, ma se il solo modo di difenderla è chiedere perdono al
Papa…” ritentò, abbassando di molto la cresta.
“Il solo modo di
difendere Firenze è mostrare un fronte unito contro tutti i nemici e non
lasciarsi spaventare” dichiarò Jacopo, sentendo scorrere nelle vene il sangue
impavido dell’antenato Pazzino… “E adesso, Messer Spinelli, potete anche
lasciare la mia casa. Io non ho altro da dirvi.”
A quelle parole, Antonio
e Pirro si affrettarono ad allontanarsi dalla loro posizione e ritornare nel
salone, per non essere sorpresi ad origliare. Antonio era orgoglioso e felice
che, questa volta, il suo Messer Pazzi si
fosse comportato da vero eroe e avesse fatto la scelta più giusta e coraggiosa;
anche Nicomaco, a dirla tutta, si era trovato ad ammirare il sangue freddo e la
forza morale di Jacopo che aveva tenuto testa a Spinelli invece di scegliere la
via più facile. Dal canto suo, Pirro era disgustato da Spinelli che aveva
cercato di traviare Jacopo e di mettere
i Priori contro i Medici e si trattenne a fatica dallo sputargli in faccia tutto
quello che pensava di lui… però, se lo avesse fatto, si sarebbe tradito e
avrebbe messo nei guai il suo padrone! Nicomaco si congratulò con Jacopo e alla
fine si congedò da lui e da Antonio, salutandoli calorosamente… mentre Spinelli
se ne dovette andare dalla villa di Pazzi con la coda tra le gambe.
Quella notte, stringendo Antonio a sé nel letto,
Jacopo sentiva di aver finalmente iniziato a prendere la giusta direzione. Non
poteva assolversi per il male che aveva causato, ma questo poteva essere un
primo passo verso la risoluzione di ciò che aveva contribuito a fare. Baciò il suo ragazzino sempre più appassionatamente, lo
accarezzò con tenerezza e amore, incollandosi a lui per sentire che era davvero
lì, che non gli sarebbe mai accaduto nulla di male. Sentì che Antonio lo
accoglieva docilmente, donandosi a lui con la consueta timida dolcezza e
insieme si persero in un universo di tenerezza e amore, un mondo in cui
esistevano soltanto loro due e non c’erano guerre, faide, ambizioni e rivalità.
Alla fine rimasero stretti come se fossero un unico essere, desiderando solo
dimenticare tutto il male attorno a loro. Jacopo si sentiva finalmente più
sereno: il giovane corpo caldo e tenero del ragazzo era la sua oasi di pace e
niente e nessuno avrebbe mai più potuto separarlo dal suo preziosissimo
tesoro.
Le cose, però, erano
destinate a peggiorare nonostante gli sforzi di tutti…
Trascorsero più di tre mesi e, purtroppo,
furono i presagi di sventura di quegli uccellacci
di Ardinghelli e Spinelli ad avere ragione: le truppe dello Stato Pontificio e
quelle di Riario si erano unite ad un esercito guidato da Alfonso II, figlio
del Re di Napoli, e avanzavano sempre di più verso Firenze. La città cercava di
difendersi con truppe mercenarie, ma fino a quel momento aveva avuto la peggio
e solo grazie alla strenua difesa dei soldati Riario non era ancora entrato a
Firenze da vincitore. Com’è ovvio, la situazione in città era drammatica, il
popolo aveva paura, era sempre più povero e, come se non bastasse (e secondo
l’immortale detto mai ‘na gioia), anche
il vaiolo aveva iniziato a diffondersi tra i feriti e i senzatetto che venivano
curati nel Convento di San Marco.
L’unico motivo per cui Firenze non era ancora
caduta era una sorta di impasse tra
Riario e il Principe Alfonso II: Riario avrebbe voluto che Alfonso desse a lui
il comando delle operazioni per marciare spedito verso la città, ma il Principe
non aveva intenzione di farsi comandare da un raccomandato qualsiasi e aveva deciso di attendere per sferrare
l’attacco decisivo alle truppe fiorentine.
Insomma, quei due andavano d’accordo come
Bugo e Morgan al Festival di Sanremo!
E proprio di questo stavano parlando Lorenzo,
Giuliano e il loro amico Tommaso Peruzzi quel giorno, recandosi al Consiglio
dei Priori (ovviamente non di Bugo e Morgan, ma del disaccordo tra Riario e
Alfonso di Napoli!).
“Lorenzo, credo che l’evidente dissidio tra
Riario e Alfonso II sia un vantaggio per Firenze e anche per la nostra
posizione” disse Giuliano. “Dovresti far notare questa loro debolezza ai Priori
per convincerli che questo è il momento migliore per attaccare i loro eserciti
rafforzando le nostre truppe.”
“Era ciò che pensavo anch’io, Giuliano, ma il
popolo di Firenze sta già pagando un prezzo altissimo… come possiamo pretendere
che accettino di mandare i loro figli, mariti, fratelli contro un esercito così
potente e ben organizzato?” Lorenzo era molto combattuto, perché alla fine
tutto ciò che voleva era che Firenze fosse libera e che coloro che avevano
organizzato la congiura pagassero, ma sentiva che non era del tutto giusto far
combattere ad altri le sue battaglie. “Farò comunque la proposta al Consiglio
dei Priori di rafforzare l’esercito di Guiscardi con gli uomini a difesa delle
mura di Firenze.”
“Ho sentito dire che Riario vorrebbe che suo
zio, il Papa, sottomettesse il Principe Alfonso al suo comando, così da poter
attaccare subito con tutte le truppe, ma pare che il Papa non sia d’accordo,
altrimenti avrebbe già dato l’ordine” intervenne Tommaso Peruzzi, con una buona
dose di ottimismo.
“Ecco, lo vedi? Anche questo potrebbe essere
un buon argomento per convincere i Priori” insisté Giuliano. “Nemmeno il Papa
appoggia Riario fino in fondo!”
“Voglio far notare ai Priori che non c’è
momento migliore di questo se vogliamo avere la meglio sugli eserciti che ci
minacciano” approvò Lorenzo. “Ci sono tre eserciti, è vero, ma non sono uniti,
anzi ognuno persegue i propri scopi, mentre le nostre truppe vogliono lottare
per Firenze, perché la città sia libera e non sotto un giogo straniero.”
I tre amici entrarono così nel Palazzo dei
Priori con aspettative ottimistiche per quella riunione. Si erano appena
seduti, però, quando Giuliano dette una lieve gomitata al fratello per attirare
la sua attenzione.
“Lorenzo, ma… ma perché Jacopo non è
presente? Questo è un incontro importantissimo, non poteva non sapere quanto
sarebbe stata fondamentale la sua presenza!” mormorò, insospettito. “Ecco, lo
sapevo, non avremmo mai dovuto fidarci di quello stolto caz…”
“Fai silenzio, adesso, Giuliano. Francesco e
Guglielmo sono comunque presenti, forse Jacopo ha avuto un imprevisto… in
effetti, non c’è nemmeno Antonio. Temo che possa essere accaduto qualcosa, ma
non penso a un tradimento” replicò Lorenzo, sicuro. “E poi penso che i voti a
nostro favore saranno sufficienti anche in assenza di Jacopo.”
Lorenzo, così, presentò la sua proposta di rafforzare
l’esercito del mercenario Guiscardi con gli uomini che erano a difesa delle
mura di Firenze, sottolineando il fatto che quello era un momento favorevole,
visto che Riario e Alfonso di Napoli erano in disaccordo su come e quando
sferrare l’attacco. Nonostante la sicurezza delle sue parole, il giovane Medici
si aspettava l’obiezione di Ardinghelli, che in fin dei conti se ne fregava di
chi governasse Firenze, Riario, il Papa, il Re di Napoli o il Re d’Inghilterra,
bastava che potesse continuare a guadagnare con i suoi commerci… una persona
molto simile a tanti politici di oggi, insomma.
“I nostri uomini ci servono sulle mura per
proteggere la città” obiettò infatti Ardinghelli. “Perché non possiamo pagare
altre truppe mercenarie?”
“Perché le casse della città sono vuote”
spiegò Lorenzo, “e non abbiamo denaro per pagare altri mercenari.”
“Siete disposto a versare il sangue dei
mercenari per non perdere Firenze, ma non quello dei vostri figli, Messer
Ardinghelli?” domandò allora Tommaso Peruzzi.
Ardinghelli, tuttavia, non si scompose. Era
talmente sicuro di sé da non lasciarsi impensierire dalla domanda di Peruzzi.
“Bene, dunque. Se la libertà è davvero tanto
preziosa, mettiamola subito in pratica: chiedo ai Priori di votare riguardo
alla proposta fatta da Messer Medici. O forse non siamo liberi di esprimere il
nostro voto?” disse l’uomo, rivolgendo uno sguardo di sfida a Lorenzo.
“Sono d’accordo. Allora, chi è a favore della
proposta di Lorenzo de’ Medici?” chiese il Gonfaloniere.
Purtroppo, ben poche mani si alzarono: i
fratelli Medici, ovviamente, Tommaso Peruzzi, Francesco e Guglielmo Pazzi, Luca
degli Albizzi, Messer Nicomaco… e pochi altri.
La maggioranza, dunque, votò contro la
proposta di rafforzare l’esercito con gli uomini a difesa delle mura di Firenze
e il Gonfaloniere dovette respingerla. Lorenzo e Giuliano si scambiarono uno
sguardo deluso, mentre Francesco Pazzi si guardava intorno e sembrava
incredulo.
La riunione era conclusa e i Priori si
stavano preparando per tornare alle loro case. Francesco, Guglielmo e Tommaso
si avvicinarono per parlare con i fratelli Medici e Francesco, in particolare,
aveva uno sguardo cupo e preoccupato e condusse gli amici fuori dal Palazzo dei
Priori per parlare con più calma di quello che era appena accaduto e della
ragione dell’assenza di Jacopo Pazzi. Lorenzo era innervosito: era convinto
che, se ci fosse stato anche Jacopo, sarebbe stato capace di convincere un
maggior numero di Priori a sostenere la sua proposta… magari tirando in ballo
anche Pazzino de’ Pazzi ma, insomma, il fine giustifica i mezzi, no?
“Mio zio Jacopo non ha alcuna intenzione di
mettervi in difficoltà e sono certo che lui per primo sarà addoloratissimo
quando saprà che i Priori hanno votato contro la tua proposta, Lorenzo” disse
Francesco.
“Ma allora perché non è venuto qui oggi?
Avrei avuto molto bisogno del suo sostegno in questa votazione” fece Lorenzo,
con una certa impazienza.
Questa volta fu Guglielmo a rispondere.
“Beh, non volevamo che vi preoccupaste, ma…
ecco, Antonio non sta bene. Sono giorni che ha una brutta tosse e ieri notte ha
iniziato ad avere anche la febbre” rivelò agli amici. “Il dottore ha detto che
si tratta di una malattia ai polmoni, forse dovuta a un colpo di freddo, e lo
sta curando con pozioni, sciroppi e, soprattutto, tanto riposo a letto. Lo zio
non ha voluto lasciarlo solo.”
Le parole di Guglielmo furono accolte da un
silenzio glaciale. Ovviamente erano tutti preoccupati per le condizioni di
Antonio, ma Lorenzo capiva anche di aver perso un’occasione importante e che,
forse, Firenze sarebbe potuta cadere nelle mani degli invasori perché la sua
proposta era stata respinta.
“Voglio andare a parlare subito con Jacopo”
dichiarò il giovane Medici con decisione. “Forse potremo convincere il
Gonfaloniere a riunire una seconda volta il Consiglio dei Priori e ad
effettuare una seconda votazione… questa volta in presenza di tutti! Jacopo non
può sottrarsi al suo dovere, nemmeno per Antonio, ne va della libertà di
Firenze.”
Con queste parole, Lorenzo si avviò in fretta
verso Palazzo Medici per prendere il suo cavallo e recarsi il prima possibile
alla villa di Jacopo. Era molto contrariato.
You let me go, my honeymoon heartbreak
Cut me off, my honeymoon heartbreak
My homeless heart is still hoping
My homeless heart is still holding you
Let me go, my honeymoon heartbreak
Cut me off, my honeymoon heartbreak
My homeless heart is still hoping
My homeless heart is still holding you
You, you
I miss my lover
That endless summer…
(“Honeymoon heartbreak” – Alice
Merton)
Mentre Francesco, Guglielmo e Tommaso
accompagnavano Giuliano a Palazzo Medici, un innervosito Lorenzo cavalcava verso
la villa di Jacopo. Vi giunse in breve tempo e si fece ricevere immediatamente,
mostrandosi ancora piuttosto alterato per la sconfitta subita al
Consiglio dei Priori.
“Io non vi capisco
proprio, Jacopo” disse, scuotendo la testa incredulo. “Avevate promesso che
avreste sostenuto le mie proposte e invece non vi siete fatto più vedere al
Consiglio dei Priori. Posso comprendere che siate preoccupato per Antonio, ma
sapevate anche quanto fosse importante la votazione di oggi. L’esercito che sta
difendendo Firenze non sarà rafforzato e io non mi faccio scrupoli a dirvi in
faccia che è tutta colpa vostra perché non avete partecipato alla riunione!”
I due uomini si
stavano affrontando nel corridoio di fronte alla camera dove riposava Antonio
perché Jacopo non voleva allontanarsi troppo da lui. Era paradossale: sembrava
di essere tornati indietro di anni, quando Lorenzo attaccava le idee di Pazzi
senza pensare ai rischi che correva mettendosi contro una famiglia tanto
potente; ma adesso era diverso, Jacopo non reagiva con l’acrimonia di allora.
Anzi, a dirla tutta, non reagiva per niente. Aveva lo sguardo spento, il volto
cupo.
“Ho creduto che
avresti ottenuto i voti necessari anche senza di me” replicò, laconico.
“E invece no, perché
Ardinghelli ha saputo convincere i Priori” reagì il giovane Medici, piccato.
“Esattamente come avreste saputo fare voi in mio favore, se foste stato
presente!”
“Lorenzo, io non sono
più quell’uomo” disse Jacopo, fissandolo negli occhi. “Sai bene che, dopo
quello che è accaduto con la congiura, ho perduto ogni ambizione e ho capito
che l’unica cosa che contava nella mia vita era Antonio. Ho voluto mostrarmi
solidale con la tua famiglia per far vedere che Firenze era unita, ma non ho
più né la voglia né la cattiveria necessarie per affrontare i Priori come
facevo prima.”
Lorenzo era allibito.
“Ma non è così,
Jacopo! Voi avete ancora la forza e il carisma di allora! Lo avete dimostrato
pochi mesi fa quando avete tenuto testa a Ridolfi, Ardinghelli e Spinelli
sostenendo la mia controproposta a Papa Sisto” esclamò. “Avete parlato con
saggezza e avete convinto la maggioranza dei Priori nonostante le loro
allusioni…”
“E con quale
risultato? Firenze ora è in guerra e gli eserciti che la minacciano sono molto
più forti. Volevo fare il bene della mia città, credevo di essere nel giusto e
adesso Firenze soffre per colpa mia, perché avrei dovuto denunciare subito gli
intrighi del Papa, di Riario e di Salviati e non l’ho fatto” mormorò Jacopo,
schiacciato dai sensi di colpa (e, tuttavia, sempre abbastanza lucido per
mantenere la versione dei fatti sostenuta da Antonio quel fatale 26 aprile
1478…). “E anche Antonio sta male per questo, sarei dovuto intervenire io per
primo contro Vespucci e non lasciare che lo colpisse!”
Le parole accorate
dell’uomo fecero sbollire la rabbia di Lorenzo.
“Ascoltatemi, Jacopo,
dovete dimenticare il passato così come ho fatto io. Tutti abbiamo commesso
degli errori, ma adesso abbiamo un nemico comune da affrontare e, se non
reagiremo in fretta, sarà la fine per Firenze!”
“L’unico modo che ho
per fare il bene di Firenze è tirarmi indietro. Qualunque cosa abbia fatto è
stata uno sbaglio e adesso…” cominciò Jacopo, ma una voce affaticata e tuttavia
decisa lo interruppe.
“No, Messer Pazzi, lo
sbaglio veramente grande che potreste fare sarebbe ritirarvi” disse Antonio,
che aveva udito la discussione e, lentamente, si era alzato dal letto ed era
uscito in corridoio. Sembrava ancora più piccolo e fragile avvolto nella
pesante vestaglia di velluto, ma sul suo viso non c’era indecisione.
“Antonio, non
dovresti alzarti, sei ancora debole e…”
“Messer Pazzi, tutto
ciò che ho sempre voluto è vedervi lottare al fianco di Lorenzo e Giuliano. Io
so quanto valete e so quanto potete ancora fare per Firenze, ma dovete farvi
forza, superare gli errori che avete commesso in passato e mostrarvi al fianco
dei Medici, sostenendo la loro causa” dichiarò il ragazzo, convinto. “Io ho
bisogno di voi e sono felice di avervi vicino, ma anche Firenze ha bisogno di
voi e non potete tirarvi indietro.”
“Jacopo, ascoltate
Antonio se non volete ascoltare me. È vero, Firenze ha ancora tanto bisogno di
voi, io e Giuliano non possiamo fare tutto da soli” soggiunse Lorenzo.
“Purtroppo oggi è andata male, ma ci sono altre strade per sconfiggere i nostri
veri nemici e io sono pronto a percorrerle tutte, però… però devo sapere che
voi sarete al mio fianco e che mi sosterrete.”
Jacopo guardò il
voltò infiammato di Lorenzo e poi gli occhi di Antonio, pieni di sconfinato
amore e di fiducia illimitata. Non poteva deluderlo, non ancora, non l’ennesima
volta.
“Va bene” sospirò.
“Lorenzo, prendi pure le decisioni che riterrai opportune e io ti appoggerò.
Quando Antonio starà meglio, mi presenterò davanti ai Priori per ribadire
chiaramente che sono dalla tua parte e che ogni tua decisione è anche la mia.
Hai la mia parola e puoi dirlo a chiunque a Firenze. Adesso, però…”
L’espressione
dell’uomo era eloquente: era preoccupato perché Antonio si era alzato dal letto
ed era ancora debole.
“Vi ringrazio,
Jacopo. Agirò più tranquillo sapendo di avervi dalla mia parte” disse allora
Lorenzo, abbozzando un sorriso. “Spero di vedervi presto al Consiglio dei
Priori insieme ad Antonio. E tu, ristabilisciti presto, siamo tutti preoccupati
per te.”
Mentre Lorenzo si
congedava e usciva dalla villa, Jacopo prese tra le braccia Antonio e lo
sollevò, riportandolo a letto. Lo sistemò tra le lenzuola e le coperte perché
non prendesse freddo e si distese accanto a lui, stringendolo a sé. Era vero,
doveva aiutare Lorenzo a proteggere Firenze perché in quel modo avrebbe
protetto anche Antonio dalla guerra e da ogni male. Si stupiva ogni giorno di
fronte alla fortuna che gli era toccata, proprio a lui, un uomo freddo,
crudele, un uomo che aveva ucciso per le sue ambizioni e ora viveva solo per
ricambiare l’amore grande e incondizionato di quel tenerissimo ragazzo. Per
questo temeva tanto di perderlo, perché era consapevole di aver fatto troppo
male nella sua vita e di non meritarselo.
Lo abbracciò con
calore e tenerezza, baciandolo a fondo: voleva staccarsi da ogni preoccupazione
per vivere ogni attimo la gioia e la fortuna di avere Antonio, la sua luce, il
suo piccolo sole. Si immerse nel dolce miele delle labbra morbide del ragazzo e
nel suo tepore, i loro respiri fusi insieme, e ogni altra cosa si dissolse nel
calore e nella luce che invase i due amanti.
Lorenzo, intanto,
cavalcava verso Palazzo Medici rinfrancato per aver ottenuto l’appoggio di
Jacopo. Beh, in realtà, a quanto pareva, aveva ragione Giuliano: mentre loro si
impegnavano in prima persona al Consiglio dei Priori, Pazzi passava il suo
tempo a letto con Antonio, facendo cose…
No, non voleva
soffermarsi sul pensiero di Jacopo che faceva
cose con Antonio! Molto meglio pianificare la prossima mossa che avrebbe
fatto, col sostegno della famiglia Pazzi, per difendere e salvare la sua
Firenze.
Mentre Lorenzo aveva
il suo confronto con Jacopo Pazzi, Giuliano era giunto a Palazzo Medici accompagnato
dagli amici ma, quando entrò nella dimora, scoprì che c’era qualcuno ad
aspettarlo… una enorme sorpresa per Giuliano e di certo completamente
inaspettata!
Nel cortile interno
del Palazzo c’era Lucrezia, la madre di Lorenzo e Giuliano, che teneva per mano
un bambino sui dieci anni dai capelli castano dorato e occhi marrone scuro,
seri e tristi.
“Madre, chi è questo
bambino?” domandò subito Giuliano a Lucrezia.
“Te lo spiegherò
subito, ma è meglio che andiamo a parlarne nello studio di Lorenzo” rispose la
gentildonna. Giuliano, sentendosi vagamente preoccupato, seguì Lucrezia e il
ragazzino e insieme si avviarono verso lo studio di Lorenzo.
E lì Giuliano ricevette
una notizia che avrebbe ribaltato completamente tutte le sicurezze che aveva
avuto fino a quel momento!
“Giuliano, questo
bambino è tuo figlio Giulio” disse Lucrezia al figlio, senza tanti giri di
parole. “Il nostro amico Padre Timoteo lo ha accompagnato qui mentre voi
eravate al Palazzo dei Priori e mi ha raccontato la sua triste storia. Giulio è
nato da una ragazza della campagna di Fiesole, una certa Fioretta Gorini,
magari tu non la ricordi neanche, visto che in quegli anni avevi molte amiche. Fioretta ha avuto il bambino
otto anni fa e lo ha cresciuto senza dire niente a nessuno, si era confidata
solo con Padre Timoteo che la aiutava come poteva, ma non voleva creare
problemi a te o alla nostra famiglia e per questo ritengo che sia stata una
donna onesta e ammirevole.”
In realtà Giuliano
ricordava molto bene Fioretta. Sua madre aveva ragione, lui si era sempre molto
divertito con le ragazze, soprattutto nei periodi in cui la famiglia Medici
soggiornava nelle ville di campagna, ma la storia con Fioretta era stata seria:
Giuliano allora aveva poco più di diciotto anni e aveva creduto che quella
ragazza sarebbe stata l’amore della sua vita. Naturalmente le cose erano andate
diversamente, un Medici non poteva sposare una ragazza del popolo e poi c’erano
stati tutti i problemi con la Banca, con Volterra, con i Pazzi… e i due giovani
si erano allontanati senza che Giuliano neanche sapesse che Fioretta aspettava
un bambino (non che sarebbe cambiato molto, visti i tempi). Poi Giuliano aveva
conosciuto Simonetta, aveva capito cosa fosse veramente l’amore e il ricordo di
Fioretta era svanito in mezzo a tante altre memorie di gioventù.
Adesso, però, la
presenza del piccolo Giulio a Palazzo Medici cambiava tutto.
“Probabilmente tu e
Giulio non vi sareste neanche mai incontrati se non fosse accaduto quello che…
insomma, Padre Timoteo mi ha raccontato che uno sgherro di Riario, insieme ad
altri soldati, qualche notte fa si è introdotto in casa di Fioretta per
uccidere lei e il bambino” continuò a raccontare Lucrezia, visibilmente
commossa. “La donna ha cercato di mettere in salvo Giulio, lo ha fatto
nascondere nei sotterranei della loro casa, ma i sicari di Riario non le hanno
dato il tempo di scappare con lui. Giulio è fuggito non appena quei delinquenti
si sono allontanati e si è rifugiato da Padre Timoteo che lo ha accolto, lo ha
tranquillizzato e adesso ha deciso di portarlo qui. All’inizio nemmeno io
volevo crederci, ma poi Giulio mi ha fatto vedere questo anello… lo ricordi,
Giuliano?”
Lucrezia mostrò
l’anello al figlio, un anello della famiglia Medici che il giovane, tanto tempo
prima, aveva donato a Fioretta come suo ricordo e pegno d’amore…
“E poi la somiglianza…
Giuliano, quando guardo questo bambino mi sembra di vedere te alla sua età”
mormorò Lucrezia, asciugandosi gli occhi.
Giuliano guardò negli
occhi il bimbo per un lungo, intenso istante e poi, d’impulso, lo prese in
braccio e lo strinse a sé.
“Sì, mi assomiglia e
ha gli occhi di Fioretta” disse. “Lui è mio figlio, vivrà con noi e crescerà
insieme ai suoi cuginetti, i figli di Lorenzo. Sono addolorato per ciò che è
successo a Fioretta, è una vera vigliaccata da parte di Riario cercare di
colpire le persone che ci sono care, se solo avessi saputo… io… avrei cercato
di mettere in salvo anche lei, avrei chiesto a Lorenzo di mandare delle guardie
per proteggerli. Comunque adesso Giulio è qui con me, con suo padre, con la sua
famiglia, e sarà un Medici come tutti noi!”
Il bambino, che non
si aspettava certo un’accoglienza così affettuosa, abbracciò quel padre che
incontrava per la prima volta e che lo faceva sentire amato e al sicuro.
Lucrezia, intanto, stava già pianificando come organizzare tutto ciò che era
necessario per fare in modo che Giulio fosse riconosciuto come un figlio
legittimo di Giuliano, un vero Medici e non un bastardo.
“Padre Timoteo
dichiarerà che tu e Fioretta eravate sposati in segreto e la prova sarà
l’anello che le avevi donato” disse la gentildonna, “così il bambino sarà
dichiarato un Medici legittimo e potrà vivere senza problemi insieme a noi. Ne
ha già passate così tante, almeno da oggi in poi avrà una famiglia che si
occuperà di lui.” *
“Certo, madre”
confermò Giuliano, stringendo più forte il figlio tra le braccia. “Da oggi
Giulio avrà la sua famiglia e non correrà più alcun pericolo.”
Giuliano era felice,
ma si rendeva conto anche del fatto che le sue preoccupazioni sarebbero
aumentate a dismisura. Avrebbe dovuto spiegare la faccenda a Simonetta e poteva
soltanto sperare che la donna avrebbe accettato di crescere come suo il figlio
di un’altra donna (anche se, in effetti, Giuliano non conosceva ancora
Simonetta quando aveva avuto la storia con Fioretta…); inoltre lo agghiacciava
il pensiero che quei pendagli da forca dei soldati di Riario avessero cercato
di uccidere il bambino per il semplice fatto che era suo figlio. Il Papa e
Riario odiavano così tanto i Medici da prendersela anche con un bimbo
innocente? Ma allora nessuno era al sicuro, non soltanto lui e Lorenzo, neanche
Clarice e i bambini, neanche Lucrezia…
Giuliano non vedeva
l’ora che Lorenzo tornasse a Palazzo Medici per presentargli il piccolo Giulio
e raccontargli tutta la storia, sottolineando che il pericolo era molto più
grave e vicino di quanto avessero pensato fino a quel momento. E chissà, forse
avrebbero dovuto davvero avvalersi anche dell’aiuto e dell’appoggio di quello stolto caz… di Jacopo Pazzi. A Giuliano
il solo pensiero rivoltava lo stomaco, ma per amore di suo figlio e della sua
famiglia avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco!
Quando Lorenzo tornò
a casa, però, era ancora molto nervoso e Giuliano decise di parlare con lui in
privato prima di rivelargli la bella sorpresa del figlio, anche perché non
sapeva se il fratello l’avrebbe presa poi così bene. Dopo la sconfitta al
Consiglio dei Priori, infatti, Lorenzo era rimasto parecchio male anche perché,
diciamocelo, non era per niente abituato a perdere!
“Allora, cosa ti ha
detto Messer Pazzi?” gli domandò quindi Giuliano, cercando di scherzare per
metterlo di buonumore. “Ti ha ascoltato o era troppo impegnato a letto con Antonio?”
“No, no, mi ha
ascoltato!” lo aveva interrotto Lorenzo, che voleva tenere il più lontano
possibile il pensiero di Jacopo che faceva
cose… “Mi ha ascoltato e mi ha promesso il suo appoggio, d’ora in poi, ma è
tardi, ormai la votazione è perduta e non c’è modo di ottenerne un’altra!”
“Senti, non stare a
preoccuparti troppo, vedrai che le cose si sistemeranno in qualche modo. E…
ecco, a proposito di cose che si sistemano in modo inaspettato…” Giuliano aveva
pensato a lungo al modo in cui avrebbe detto al fratello del piccolo Giulio e
poi aveva deciso di dirglielo e basta.
“Cosa? Tu hai un
figlio? E ti sembra questo il momento?” esclamò Lorenzo, allibito.
“Il momento? Ma hai
capito quello che ti ho detto o no? Giulio ha otto anni e io non sapevo niente di lui, non è certo colpa mia né
sua se Riario ha ucciso sua madre poco tempo fa e quel povero bambino ha solo
me al mondo” replicò Giuliano, risentito. “O meglio, ha solo noi, perché siamo noi la sua famiglia adesso, che ti piaccia o no.”
Lorenzo si passò una
mano sul volto, già pentito di essersela presa col fratello.
“Sì, hai ragione,
Giuliano. L’arrivo di Giulio è sicuramente un buon segno e sono felice per te,
scusami se ti ho risposto bruscamente” disse. “Sarò lieto di accogliere tuo
figlio nella nostra famiglia e di farlo crescere insieme ai miei bambini,
poverino, chissà quante cose terribili ha visto…”
I due fratelli si
abbracciarono e tutto fu perdonato e dimenticato.
Lorenzo, tuttavia,
era rimasto piuttosto innervosito per la sconfitta subita al Consiglio dei
Priori e nei giorni seguenti era stato spesso chiuso nel suo studio, pensando
ad una soluzione. Era molto preoccupato perché la situazione si aggravava ogni
giorno di più: gli eserciti del Papa e di Riario, uniti alle truppe inviate da
Re Ferrante, avrebbero presto marciato su Firenze e non si poteva sperare che
Riario e il Principe Alfonso continuassero a tenersi il muso in eterno, in
fondo non erano mica Morgan e Bugo!
In quei giorni,
l’unica cosa sensata che Lorenzo riuscì a fare fu convincere la moglie Clarice,
incinta, a trasferirsi insieme a Bianca e Novella, anche lei in dolce attesa
del terzo figlio, con tutti i loro bambini nella loro villa di campagna a
Pistoia: almeno, se le truppe nemiche avessero attaccato Firenze, lui avrebbe
saputo al sicuro le donne e i bambini della sua famiglia. E il piccolo Giulio,
ormai un Medici a tutti gli effetti, partì insieme agli altri, con grande
sollievo e soddisfazione di Giuliano che ormai si era trasformato a tutti gli
effetti nel padre dell’anno!
Fine capitolo sesto
* La vicenda di Fioretta Gorini e del piccolo
Giulio è vera e si vede anche nella serie TV. Ovviamente io ho spostato qualche
data e ho fatto in modo che Giuliano conoscesse suo figlio, che poi sarà
davvero dichiarato un legittimo Medici nel 1513 da Papa Leone X (che era,
appunto, Giovanni, il figlio di Lorenzo e quindi cugino di Giulio!).
There ain't nothing you can say To scare me away I got history too And it's never to late Share a secret today I reciprocate Baby I got you So hurt with me I'll hurt with you Baby you know we can hurt together I've been where you've been I've seen what you've seen So hurt with me We can hurt together!
(“We can hurt together” – Sia)
Fortunatamente le
donne e i bambini della famiglia Medici erano al sicuro a Pistoia, perché a
Firenze, al contrario, le cose andavano sempre peggio. Lorenzo, alla fine,
aveva preso una decisione piuttosto drastica e ne stava parlando con Giuliano.
“Che significa che
vuoi che lasciamo il Consiglio dei Priori?” esclamò il fratello, sconcertato.
“È l’unica cosa che
possiamo fare” replicò Lorenzo, “ma vorrei che tu lo comprendessi e che fossi
d’accordo con me, non voglio costringerti a ritirarti solo perché lo farò io.”
Giuliano lo fissò,
poco convinto. Sì, Lorenzo stava chiedendo il suo parere, ma in realtà aveva
già deciso… e quelle che stava dicendo non sembravano parole sue, era come se
stesse ripetendo qualcosa che qualcun altro gli aveva detto per convincere
anche se stesso.
“Lorenzo, io non ho
problemi a ritirarmi dal Consiglio dei Priori” rispose Giuliano. “In fondo ne
sono entrato a far parte solo da pochi mesi e, comunque, spesso vado a Genova
da Simonetta e non partecipo alle riunioni. Quello che mi preoccupa è che
questa non mi sembra davvero una tua decisione. Mi sbaglio, per caso?”
Lorenzo apparve molto
a disagio: come sempre il fratello gli leggeva dentro e a lui non poteva
nascondere niente.
“Hai ragione, è stato
Bernardi a suggerirmi questa scelta, ma sono stato io a decidere” replicò. “La
maggioranza dei Priori ha votato contro la nostra famiglia e le nostre
proposte, lo hai visto anche tu: hanno scelto Ardinghelli, che sia lui a
guidarli, allora! Vedremo se saprà trovare soluzioni migliori di ciò che
proponevamo noi.”
Giuliano scrollò il
capo, ancora meno convinto. Da una parte pensava che Lorenzo avesse ragione e
che i Priori meritassero di farsi guidare da un ottuso come Ardinghelli che
pensava soltanto ai propri profitti; dall’altra, però, era ancora più
preoccupato perché quel Bruno Bernardi non gli piaceva, non gli era piaciuto
dalla prima volta in cui era entrato nella loro casa al servizio di Lorenzo
quale nuovo contabile. Inizialmente aveva pensato che il suo rifiuto nascesse
dal fatto che Bernardi veniva a prendere il posto del povero Francesco Nori,
morto durante la congiura per difendere Lorenzo, e che lui non fosse pronto a
vedere un altro nel ruolo che Nori aveva svolto tanto bene per tanti anni… poi,
però, aveva capito che era proprio Bernardi a non piacergli. Era falso,
subdolo, fingeva un’umiltà e una remissività che di certo non possedeva e
quegli occhi da pazzo fanatico nascondevano chissà quali idee folli.
Insomma, Bernardi gli
era addirittura più antipatico di Jacopo, almeno quello aveva sempre
manifestato apertamente la sua ostilità per la famiglia Medici, invece questo
patibolare individuo chissà che cosa aveva in mente?
Ad ogni modo,
Giuliano non poteva fare altro che restare al fianco di Lorenzo e seguirlo
nella sua idea. Se si fosse rifiutato, il fratello avrebbe potuto allontanarsi
e a quel punto Bernardi avrebbe avuto ancora più influenza su di lui.
“Come ti ho detto, io
non ho problemi a lasciare il Consiglio dei Priori” disse dunque il giovane
Medici. “Del resto, entro pochi giorni tutti i Priori torneranno in ginocchio a
supplicarci di ritornare sui nostri passi, sono pronto a scommetterci:
Ardinghelli è un incapace e mi farò delle belle risate quando lo vedrò col suo
naso a becco e l’umiliazione dipinta in viso chiedere perdono e implorare il
nostro ritorno!”
“È appunto questo che
voglio” ammise Lorenzo. “A quel punto, pur di farci rientrare nel Consiglio, i
Priori accetteranno senza discutere tutte le nostre proposte.”
I due fratelli si
accordarono per annunciare il loro ritiro nella riunione del giorno successivo
e, per il momento, la cosa finì lì. Il vero problema era che Lorenzo e Giuliano
si erano messi d’accordo su questo punto, ma non ne avevano fatto parola con
altri…
Il giorno seguente al
palazzo dei Priori erano tutti presenti: la famiglia Pazzi era intervenuta al
completo e c’erano sia Nicomaco e Pirro sia Antonio, finalmente ristabilitosi
dalla sua malattia. Poveretto, non sapeva cosa l’aspettava!
Lorenzo si alzò in
piedi per prendere la parola dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con
Giuliano.
“Messeri, è stato un
grande onore per me e mio fratello servire come membri dei Priori, come già
nostro padre e suo padre prima di lui” esordì, prendendola alla lontana. “In
tutto questo periodo, nonostante le nostre divergenze, abbiamo sempre avuto un
intento comune: servire Firenze come meglio potevamo. Tuttavia è ormai chiaro
che il pensiero della famiglia Medici non è più in accordo con quello di questa
maggioranza su quale sia il modo giusto di servire Firenze.”
Nel salone calò un
silenzio agghiacciante. Nessuno, a parte Giuliano, sapeva dove sarebbe andato a
parare Lorenzo e questo faceva serpeggiare una certa ansia tra i presenti.
Jacopo appariva
visibilmente innervosito come accadeva ai bei
vecchi tempi quando si scagliava regolarmente contro ogni proposta di
Lorenzo; Nicomaco pareva trasformato in una statua di sale; Pirro e Antonio si
guardavano sconcertati; perfino Ardinghelli sembrava a disagio e il
Gonfaloniere Petrucci aveva l’aria di uno che si sarebbe voluto trovare in
qualsiasi altro posto fuorché lì.
“Alla luce di tutto
ciò, con grande tristezza, io e mio fratello Giuliano annunciamo il nostro
ritiro” concluse Lorenzo, e a quel punto successe di tutto. Anche Giuliano si
alzò in piedi e, annuendo, si avvicinò al fratello: entrambi tenevano la toga
rossa da Priore in mano e andarono a consegnarla al Gonfaloniere per rendere
effettivo il loro ritiro. Sì, un po’ come quando un poliziotto consegna
tesserino e distintivo, era anche un effetto
scenico!
Nel salone del
Palazzo dei Priori esplose il caos. Chi protestava, chi si alzava in piedi, chi
applaudiva, chi addirittura imprecava… Antonio e Pirro erano rimasti attoniti,
ma anche Tommaso Peruzzi e Messer Nicomaco, che facevano appunto parte dei
Priori, parevano completamente sconvolti per la decisione di Lorenzo e
Giuliano.
I due fratelli
Medici, senza dire altro, passarono davanti ai loro ex-compagni per uscire dal
Palazzo.
Erano appena usciti
quando anche Jacopo Pazzi si alzò in piedi, il suo sguardo che saettava gelido
per tutto il salone. Non disse una parola ai nipoti né a nessun altro e,
chiaramente infuriato, lasciò il proprio posto e si incamminò a lunghi passi
verso l’uscita, non si sa se per inseguire i Medici o per quale altra ragione.
Antonio ebbe
un’orribile sensazione di déjà vu:
non era andata allo stesso modo il giorno in cui, ormai cinque anni prima, lui
era stato al suo primo Consiglio dei Priori e Jacopo era uscito inferocito dal
salone dopo che Francesco gli aveva votato contro? Cosa stava succedendo?
Perché le cose tornavano a mettersi tanto male?
“Messer Pazzi,
aspettatemi!” esclamò il giovane Orsini, correndogli dietro preoccupato. Dal
canto suo, Pirro non sapeva bene cosa fare: seguire Antonio oppure raggiungere
il suo padrone Nicomaco che, in mezzo agli altri Priori, sembrava potesse avere
un collasso nervoso da un momento all’altro? Decise in fretta che sarebbe prima
andato a prendere il suo padrone e poi, insieme a lui, avrebbero cercato di
raggiungere Antonio Orsini prima che potesse commettere qualche sciocchezza,
perché era chiaro che il ragazzo era del tutto fuori di sé! E infatti Antonio era
in preda all’ansia mentre inseguiva Jacopo fuori dal Palazzo dei Priori. I
pensieri più spaventosi gli attraversavano la mente: e se avesse deciso di
raggiungere Lorenzo e Giuliano e far loro del male? Era chiaro che l’exploit di Lorenzo alla riunione che si
era appena conclusa lo aveva fatto infuriare e sarebbe potuto succedere di
tutto… li avrebbe potuti picchiare o sfidare a duello? Ma no, non doveva
pensare cose tanto orrende di Messer Pazzi! Lui non era più l’uomo di allora,
era pentito e non avrebbe più fatto del male a nessuno, tanto meno ai Medici, Messer Pazzi era una brava persona, un cavaliere d’altri tempi come il suo
antenato Pazzino de’ Pazzi.
Sì, comunque, ad ogni
buon conto, Antonio correva per raggiungerlo il prima possibile e aveva il
cuore in gola.
Appena giunse nella
piazza antistante il Palazzo dei Priori, il giovane Orsini trovò che vi regnava
il delirio. Qualche genio aveva avuto la bella idea di uscire sul portone e
annunciare a chiunque passasse che i fratelli Medici si erano appena ritirati
dal Consiglio dei Priori (chissà perché aveva ritenuto necessario scatenare il
panico tra la folla?) e la gente era praticamente impazzita.
“Perché, Messer
Lorenzo, perché?”
“Vi prego,
ripensateci!”
“Senza i Medici sarà
la catastrofe!”
Perché, grazie a Dio,
gli allarmisti e i complottisti ci sono sempre stati e sempre ci saranno.
Insomma, queste
erano, più o meno, le esclamazioni di una folla sbigottita e caotica, pronta a
supplicare Lorenzo e Giuliano di ripensarci, magari di ritornare dal
Gonfaloniere e di dirgli che era stato tutto uno scherzo, tanto per
movimentargli un po’ la giornata!
Jacopo, però, non era
con Lorenzo e Giuliano, anzi, si stava dirigendo verso la parte opposta della
piazza, per raggiungere la carrozza che aveva accompagnato fin lì lui e
Antonio. Era chiaro che voleva solo tornarsene a casa al più presto, ma… era
possibile che si fosse dimenticato di
Antonio?
Il giovane era
allibito.
“Messer Pazzi,
aspettatemi!” esclamò.
Jacopo, sentendo la
sua voce, si voltò verso di lui e fu come se si fosse appena risvegliato da uno
stato ipnotico. Sì, a quanto pareva era rimasto talmente scioccato dalle parole
di Lorenzo al Consiglio dei Priori che aveva addirittura finito per
dimenticarsi di Antonio! Si fermò e lasciò che il ragazzo lo raggiungesse prima
di salire in carrozza con lui senza una parola.
Nicomaco e Pirro
uscirono dal Palazzo dei Priori appena in tempo per vedere quest’ultima,
edificante scena: Jacopo che prima pareva aver dimenticato l’esistenza di Antonio
e poi, come per un ripensamento, lo aveva fatto salire con sé in carrozza. Nel
frattempo ovunque era il delirio e lo stesso Tommaso cercava di parlare con
Lorenzo e Giuliano, chiaramente per convincerli a cambiare idea, ma i due
fratelli non sembravano intenzionati ad ascoltarlo.
“Padrone, che volete
fare? Qui la situazione non è sicura, la gente sta impazzendo e sarebbe meglio
andarsene” suggerì Pirro, “a meno che non abbiate anche voi qualcosa da dire ai
Medici per fargli cambiare idea.”
“Ma no, figuriamoci
se stanno ad ascoltare me, non ho certo tutta quest’importanza tra le famiglie
di Firenze” replicò Nicomaco che, ad ogni buon conto, si guardava attorno
preoccupato. C’era talmente tanta confusione e le persone erano così esaltate
che, magari, qualcuno poteva pure riconoscerlo e rimettere in piazza tutta la
storia di Clizia e della punizione che aveva ricevuto dal fattore Eustachio. No
no, la cosa migliore era andarsene da lì il prima possibile. “Hai ragione tu,
in piazza presto ci saranno dei tumulti ed è meglio prendere la carrozza e
tornare alla villa.”
E così Nicomaco,
tenendosi il più scostato possibile dalla folla, si avviò verso la sua carrozza
che lo attendeva ad un angolo della piazza, seguito da Pirro che continuava a
guardarsi intorno con una certa curiosità.
“Beh, magari se
qualcuno impazzirà sul serio e comincerà a menar botte sarà uno spettacolo
divertente” commentò il ragazzo, ma Nicomaco, ormai giunto alla carrozza, lo
afferrò per un braccio ed entrò dentro assieme a lui, al sicuro da tutto e da
tutti!
E in quel momento,
mentre la carrozza li portava alla villa e Pirro cercava di guardare fuori dal
finestrino nel caso qualcuno avesse veramente dato di matto, Nicomaco capì
quanto tenesse a quel ragazzo e quanto, per lui, fosse importante e molto più
prezioso di un qualsiasi servitore. Gli prese la mano per attirare la sua
attenzione e Pirro lo guardò con quella sua aria allo stesso tempo buffa e
insolente che gli era sempre piaciuta tanto.
“Padrone, che avete,
siete impazzito pure voi?” chiese scherzando il ragazzo, ma Nicomaco non aveva
nessuna intenzione di scherzare.
“Me l’hanno detto in
tanti che ero impazzito quando mi sono preso quell’ossessione per Clizia, ma tu
sei stato l’unico a non giudicarmi, l’unico che mi è rimasto al fianco e che ha
cercato di aiutarmi, anche se alla fine stavi per rimetterci anche tu” gli
disse, guardandolo fisso negli occhi. Era da tanto che voleva fargli quel
discorso e lo aveva sempre rimandato ma, dopo quello che aveva visto quel
giorno a Firenze, dopo l’alzata d’ingegno dei Medici che avevano lasciato i
Priori e il caos in cui avevano gettato la città, Nicomaco non voleva più
sprecare tempo. “So che ti avevo promesso soldi e protezione, ma so anche che
mia moglie Sofronia ti aveva offerto ancora di più per tradirmi e tu le hai
risposto picche. Tu sei stato l’unico a non ridere di me e a rischiare in prima
persona per aiutarmi nella mia attrazione morbosa ed è per questo che ho voluto
portarti via con me quando ho lasciato tutto il resto.”
Pirro non capiva bene
dove Nicomaco volesse andare a parare e ancora meno capiva perché gli dicesse
cose del genere proprio ora, quando i problemi erano ben altri.
“Padrone, queste cose
le so già e essere fedele a voi è stata sempre una mia scelta, non c’è bisogno che
mi ringraziate e poi lo sapete che non son fatto per le smancerie!” ribatté
quindi, cercando di sdrammatizzare.
“Lo so, ma adesso la
città è in grave pericolo e io potrei non avere altre occasioni per dirti…
tutto quello che provo per te” buttò fuori l’uomo, stringendo a sé il
servitore. “Io ti ho portato con me perché ti volevo vicino, perché mi sono
reso conto che con te mi sento bene, che sono felice e sereno come non mi era
mai capitato prima. Non è la follia che mi aveva colto per Clizia, credimi, capisco
bene la differenza: quella era solo un’attrazione morbosa, un desiderio che mi
bruciava il sangue, ma quando sto con te è diverso, è come se… è come se fossi
davvero me stesso, al posto giusto. Non è che non ti desideri, Pirro, ma il
desiderio non è la cosa più importante, quello che conta è averti accanto,
perché solo con te mi sento davvero completo e in pace. Io ti amo, ti amo
davvero, Pirro, e oggi ho cominciato a pensare che potrei non avere altre
occasioni per dirtelo e per godere quello che possiamo ancora insieme. Firenze
ha i nemici alle porte…”
Pirro era ancora più
sbalordito, ma non sapeva se fosse per le parole del padrone, per come lo
stringeva o… per come reagiva lui stesso, che sembrava accogliere e accettare
tutto quasi con gioia!
“Non pretendo niente
che tu non voglia, Pirro, proprio perché ti amo e quindi non voglio farti del
male” riprese Nicomaco, sempre abbracciando il ragazzo. “So che nessuno si è
mai occupato di te, che ti sei dovuto sempre arrangiare, ma ora ci sono io, io
mi prenderò cura di te, ti proteggerò, sarò felice di fare tutto quello che
posso per vederti contento e per farti innamorare di me.”
Dette queste parole, Nicomaco baciò Pirro, prima delicatamente poi sempre più
profondamente, stringendolo a sé, felice di godersi il sapore e il tepore di
lui, soddisfatto perché il suo amato non aveva respinto il suo bacio ma, quasi
istintivamente, vi si era abbandonato e lo aveva assecondato docilmente.
Eh sì, quella giornata era iniziata proprio
strana e stava proseguendo in modo anche più bizzarro per tutti i nostri
protagonisti!