Il Velo Sottile

di aurora giacomini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** Pietre ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Novembre 2021

 
Il Velo Sottile

 

 

 
1

 
 
 
Nel buio qualcosa si muove, si nutre di oscurità e paura. Si nutre di colpe e rimpianti.
E' arrabbiata. Non ha pace.

 

 
Waverly sapeva di non essere sola.
Il suo corpo rifiutava di muoversi, anche se con tutta l'anima avrebbe voluto raggiungere l'interruttore della luce; dissipare le ombre, vedere che effettivamente non c'era nessuno, nulla. E se invece qualcosa ci fosse stato davvero? Se avesse visto l'intruso, la presenza, la sua mente avrebbe tollerato di essere violentata a quel modo? Con qualcosa che per definizione, o quasi, è invisibile?
Non era più una bambina, eppure nell'oscurità della sua camera sentiva di essere indifesa. Non era più una bambina, ma si sentiva molto piccola.
Era una notte come molte altre, una notte irrazionale e spaventosa in cui il sonno tardava ad accoglierla. A farle compagnia solo ombre e piccoli rumori di una vecchia casa; tutti lì, tutti attorno a lei. Sgradevoli compagni.
La notte è sempre peggio. La notte intensifica le sensazioni, rende più sensibili. Un discorso, pensò Waverly, è vedere le porte chiudersi, trovare oggetti dove non dovrebbero essere... un altro è sentire la presenza di qualcuno nella propria stanza da letto. Di notte. Al buio.
Uno scricchiolio più forte e vicino degli altri. Il cuore accelerò i battiti, il respiro si mozzò a metà strada fra polmoni e bocca.
Stava trattenendo il respiro, quindi sentì l'urlo di Wynonna in tutta la sua potenza; sentì tutto l'orrore.

 
<)o(>

 
Gli occhi di Wynonna erano aperti nell'oscurità. Spalancati, vigili e umidi. Aveva la sensazione di sentire le sue stesse pupille, che si dilatavano fino a ricoprire l'intera sclera, che cercavano di andare oltre i confini. Era una sensazione quasi dolorosa.
E' qui... Un pensiero angosciante. No, i fantasmi non esistono!, le rammentò una voce dentro la sua testa. Potrei scriverci un romanzo... fantasmi... 'Big Bug's Life', forse, non verrà mai pubblicato... Penso alla pubblicazione e non sono neppure a metà... epico. Pensieri da scrittore. Probabilmente sono un'idiota. Forse non sono più capace di scrivere. E se non sapessi più parlare al mio pubblico? Cazzo, se perdo di fascino e di credibilità ai loro occhi... sono fottuta. Pensieri che certamente non l'aiutavano a dormire. Forse- Cazzo... era un sospiro quello? Sono stata io? Merda, sono... quanto? Tre settimane che questa casa... è impazzita? Una casa può impazzire? Non lo so, ma se contestualizzata, questa frase potrebbe essere interessante. Vorrei avere il blocco degli appunti; non dimenticarla, Wynonna... non- Che cazzo! Questa volta sono sicura: qualcuno ha sospirato. O era un lamento? Waverly? No, non era la sua voce... Merda... Ehi cervello, che ne dici di dormire? No, ah?
Un rumore da qualche parte nell'oscurità, forse ai piedi del letto, costrinse il suo cervello a zittirsi per potersi affidare ai sensi, all'istinto.
Tuttavia, dopo alcuni secondi, l'ammasso ricco di sinapsi di Wynonna tornò in modalità grandi, inutili discorsi:
Stronzate! Sono solo stanca. Sì, è la stanchezza. Dormo, mangio e mi idrato come dovrei? No, sono peggio di un'adolescente... Cristo, non ho più vent'anni! Solo per me è cominciata la discesa dopo i venticinque? A ventotto anni, me lo ricordo, mi sentivo già in un altro corpo... un corpo più debole. Sto per compiere trentaquattro anni... Mi aspetta un altro cambiamento?
Qualcosa afferrò la coperta e la strappò via.
Wynonna urlò. 
Nella foga cadde dal letto, ma si rialzò subito e corse verso la porta.

 

 
<)o(>

 
Waverly trovò la sorella seduta a terra, nel corridoio, accanto alla porta della sua stanza. Le poggiò le mani sulle ginocchia, che la donna dai capelli neri teneva strette al petto.
“Wynonna...? Cos'è successo?”
“Sei uscita dalla tua stanza...” fu la replica decontestualizzata, o quasi. Erano tre settimane che Waverly tratteneva la pipì fino al mattino -con conseguenti dolori lancinanti- pur di non lasciare il letto durante la notte.
“Ti ho sentita gridare...”
“Non ce la faccio più.” Alzò lo sguardo sul volto di lei: “Non so se sia semplicemente caduta o cosa, ma la coperta... be', non lo so! So solo che non ce la faccio più, cazzo!”
“Andiamo in cucina, vuoi? Ormai non manca molto all'alba. Potremmo guardare un film e poi, dopo che il sole sarà sorto, potremmo dormire un po'... Che ne dici?”
“Voglio guardare Paperino su YouTube e bere del caffè.” Allungò le braccia per farsi afferrare. “Mi fa ridere e capisco tutte le sue frustrazioni.”
“Quel papero piace a tutti...” ne convenne Waverly, tirando Wynonna in modo che si alzasse. “Episodi vecchi?”
“Ovvio!”, esclamò, e la gradita aspettativa le illuminò gli occhi. 

 
“Oh, andiamo!”, sbottò Wynonna, agitandosi e rischiando di rovesciare il caffè sulla coperta che condivideva con Waverly. “Perché quei due piccoli demoni non lo possono lasciare in pace?! Non ho mai visto degli scoiattoli più dispettosi!”
“Ma lui ha tagliato il ceppo dove loro vivevano...” sorrise Waverly, lasciandosi trasportare dal cartone animato e dalle sue dinamiche innocenti e spensierate.
“Stava morendo di freddo! Povero Paperino...”
Waverly sorrise ancora; dopo poco, però, la sua mente si distrasse dalle immagini colorate.
“Wynonna...?”
“Questa è cattiveria!”, urlò la donna, rivolta allo schermo del PC; poi dedicò un buon ottanta per cento della sua attenzione a Waverly: “Dimmi.”
“Stavo pensando... e se chiamassimo qualcuno?”
Gli occhi di Wynonna erano tornati su Paperino e i due malefici scoiattoli; nonostante ciò: “Tipo?”
“Tipo un medium.”
Ora il cento per cento dell'attenzione era per Waverly. 
“Fai sul serio?”
“Sì.” Si leccò le labbra e aggiunse: “E' orribile vivere in una casa che non ti vuole...”
Wynonna gettò di lato la coperta e si alzò. “Geniale!” Corse verso la cucina. “Dov'è il mio blocco degli appunti?”
Waverly sospirò, ma era un sospiro divertito: era solo Wynonna che faceva Wynonna. 
“Qui.”
La donna tornò di corsa, recuperò il piccolo quaderno nero che usava per appuntare idee, frasi e tutto ciò che riteneva avrebbe potuto usare per una storia o un romanzo. Si rimise seduta sul divano e chiese: “Che cosa hai detto? Una casa...?”
Waverly ripeté la frase; poi riprese: “Allora, cosa ne pensi?”
“E' geniale!”, ribadì. “Troverò sicuramente un pretesto per usarla!”
“No, scema, intendevo per il medium...” le sorrise. “Il medium, Wynonna!”
“Oh...” Mise giù il quaderno e si concentrò sulla sorella. “Credi a queste stronzate?”
Waverly alzò le spalle. “Be'... quando siamo insieme, le luci sono accese e magari c'è un cartone animato da guardare, sì, sembrano stronzate anche i fantasmi o quello che sono... ma al buio... Vorrei solo provare a fare qualcosa. Sono tre settimane che succedono cose strane; mi sento a disagio anche solo ad andare in bagno, anche se è giorno. E quando salgo le scale... Dio, ho sempre la sensazione che qualcosa mi stia osservando.”
“Be', pensandoci, prima al buio non mi sembravano stronzate, ma quando sono uscita in corridoio con la luce accesa... Non lo so, mi sono sentita stupida ad aver avuto paura per una coperta che potrebbe essere solo scivolata.”
“Hai detto che ti è sembrato che delle mani la tirassero via...”
“E' quello che ho detto, sì”, ammise la donna. “Ma sai, ero intontita dalla mancanza di sonno, da un cervello che non capisce quando è il momento di fare silenzio. Non so cosa sia successo.”
Le mise una mano sulla spalla. “La condanna dei geni, suppongo”, le sorrise. “Voglio fare un tentativo, Wynonna.”
“Va bene...”sospirò, e posò la mano su quella di Waverly. “Ma dobbiamo fare attenzione: i soldi cominciano a scarseggiare.”
“Mi dispiace di aver perso il lavoro...”
“Ehi, non è stata colpa tua, okay? Troveremo una soluzione.” Sospirò. “Forse sono io quella che dovrebbe trovarsi un vero lavoro...”
“Se tutti quelli che ti criticano sapessero quanto ci vuole a scrivere un testo che loro leggono in un paio di minuti! Se penso a tutte le notti che hai passato a non dormire per fare ricerche... Alle tue dita sulla tastiera per ore e ore... Quante volte hai dimenticato di mangiare, perché eri troppo presa a scrivere? Il tuo è un vero lavoro, Wynonna! Soprattutto è qualcosa che ami fare.”
“Ma ci permetterà di non perdere la casa?” Le sorrise, poi distolse lo sguardo per guardare lo schermo del PC. Guardare senza vedere. “I soldi de La Resilienza del Ghiaccio stanno finendo...” le ricordò.
Waverly si concentrò un momento sul papero incazzato; lo osservò notando particolari sciocchi come i ciuffi che aveva sulla testa o il fatto che non indossava dei pantaloni.
“Non puoi scrivere se non puoi dormire. Non puoi produrre nulla se pensieri inutili e spaventosi ti tormentano.” Prese il PC e aprì una nuova finestra accanto a quella di YouTube. “Cercherò una soluzione economica”, dichiarò.
“Spero che economico non sia sinonimo di truffa...” brontolò Wynonna, abbastanza piano da non farsi sentire da Waverly.

 
“Guarda questo! Cosa ne pensi?” Era forse la sesta volta che Waverly puntava il dito sullo schermo del PC per far leggere qualcosa a Wynonna.
“Cos'ha di diverso?”, volle sapere, studiando la pagina fatta di pixel colorati -meno colorati delle altre finestre aperte fino a quel momento, comunque.
“I commenti delle persone: sono molto positivi e pieni di ringraziamenti.”
“Potrebbe esserseli scritta da sola.” Nonostante l'affermazione, Wynonna lesse le prime righe di un commento. Qualcosa di, come aveva detto Waverly, molto positivo.
“Ne dubito. Guarda: ci sono diversi livelli di inglese e istruzione. Qualcuno che non sa usare le virgole o ignora la loro esistenza, qualcuno che sbaglia totalmente la grammatica, qualcuno raffinato e qualcuno che abbrevia qualsiasi termine. Se se li fosse scritta da sola, sarebbe una matta! Una matta laboriosa, certo, ma pur sempre matta! Non trovi?”
“Forse hai ragione”, ne convenne, anche se non del tutto convinta.
“Senti cosa dice questo: La mia famiglia ed io ti siamo molto grati. Siamo liberi solo grazie a te.” Il dito puntò alla fine del commento: “Questa donna non si fa pagare: accetta offerte per non gravare sulle tasche dei meno agiati.”
Wynonna finì il caffè e appoggiò la tazza sul tavolo, stando attenta a non macchiare il quaderno degli appunti.
“Perché mi sembra troppo perfetta?”
“Forse perché è esattamente perfetta per noi!”, rispose Waverly, cominciando a digitare sulla tastiera.
“Che fai?” 
“Le scrivo una e-mail: non ci sono numeri di telefono od altri modi per contattarla. Non sto firmando nessun contratto, voglio solo capire se è disposta a darci una mano. Potrebbe anche decidere di non venire. Io provo.”
“Va bene...”

 “Fatto.” Waverly osservò il risultato del suo lavoro: “E' un testo un po' lungo... forse avrei dovuto lasciarlo scrivere a te. Comunque le ho descritto la situazione abbastanza bene: dovrebbe riuscire a farsi un'idea.”
“Inviala e torniamo a guardare i cartoni animati.”
La giovane annuì e premette il tasto invio. “Non ci resta che vedere se ci risponde...”

 Meno di dieci minuti dopo, un piccolo segnale acustico avvisò loro che una e-mail era arrivata nella cartella di posta elettronica.
“Sarà spam”, brontolò Wynonna, concentrandosi totalmente sul papero, che questa volta stava provando delle tecniche sulla gestione della rabbia... con scarso successo.
Non era spam. La medium aveva risposto:

 
 
Giovedì 15, nel pomeriggio

 
“Be', questa donna ha il dono delle sintesi”, commentò Wynonna. “Ora sono sicura che non se li è scritta da sola, quei commenti...”


---
N.d.A:
I titoli dei romanzi, testi e contenuti di Wynonna sono frutto della mia fantasia e non fanno riferimento a nessuna opera esistente, non intenzionalmente. Ogni riferimento a persone, personaggi e opere è da ritenersi puramente casuale.

Grazie.

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Capitolo 2
*** 2 ***


2


 


 

La casa era immersa nel silenzio, disturbato solo da un suono irregolare: i tasti di un computer. Una lama di luce evidenziava il fumo e illuminava le mani di Wynonna. Le dita si muovevano veloci sulla tastiera che non aveva bisogno di guardare, infatti i suoi occhi -spalancati e secchi- erano fissi sul serpente nero che si allungava e spezzava sul bianco del foglio.

La cenere della sigaretta, che la donna aveva in bocca, rischiava di cadere, ma non sarebbe successo. Forse. Non successe. Wynonna si tolse la sigaretta delle labbra dischiuse e allungò la mano verso la lattina di RedBull che aveva di fianco. Approfittò della piccola pausa per spegnere il piccolo cilindro bianco.

Waverly, che era seduta sul piccolo divano a qualche metro da Wynonna, approfittò invece della pausa per parlarle:

“Non dovresti fumare così tanto... è la quinta che accendi in mezz'ora.” Non ottenne risposta: Wynonna aveva ricominciato a digitare.

Forse perché ha le cuffiette, ragionò, notando il filo bianco che pendeva dal collo di Wynonna per arrivare nell'angolo in basso del pc, dove il jack era inserito. Non poteva vederle le orecchie, perché Wynonna portava i lunghi capelli neri e mossi sciolti sulle spalle.

Waverly si chiese se fosse il caso di avvicinarsi e ripeterle quello che aveva detto. Decise che non l'avrebbe fatto. L'avrebbe lasciata in pace e sarebbe intervenuta solo se la donna avesse provato ad accendersene un'altra.

Rimase ad osservare Wynonna e il suo volto concentrato per qualche secondo. Si domandò cosa le passasse per la testa, in quei momenti; se si ricordasse del mondo esterno, se ricordasse che, oltre a delle mani e una bocca con cui fumare e bere, avesse anche un corpo. Pensieri sciocchi. Sciocchi pensieri di un giovedì mattina come molti altri. Be', non esattamente un giovedì qualunque: sarebbe arrivata la medium, quel giorno. Sempre che non avesse cambiato idea nel frattempo. Waverly le aveva inviato un'altra e-mail per ringraziarla, ma la medium non aveva risposto. Sembrava una di poche parole.

Riportò l'attenzione sullo schermo del cellulare. Stava leggendo una fan-fiction su una delle sue attrici preferite: le avventure di una donna che scopre un mondo fatto di vampiri e demoni. Una storia un po' contorta in cui non avrebbe mai immaginato l'attrice. Ma del resto è questo il punto delle fan-fiction, no? Vedere come i personaggi che amiamo possano muoversi in diversi scenari, ambientazioni, universi e situazioni a seconda della fantasia dell'autore. E' questa la cosa divertente, altrimenti basterebbe relazionarsi unicamente alla storia o ai personaggi originali di un'opera più grande. *

Anche Wynonna aveva cominciato scrivendo fan-fiction; erano quasi tutte su una serie TV degli anni '80 che l'aveva incantata. ''Faccio pratica'', soleva dire, ''così un giorno il mio inglese e le mie abilità saranno abbastanza buone da poter proporre qualcosa a una casa editrice. E poi mi diverto a scrivere di personaggi che amo, metterli in situazioni assurde. Così assurde, che a volte non centrano nulla con l'opera originale''. E ci era riuscita: era diventata una scrittrice di romanzi.

Waverly si chiedeva spesso quanti degli autori di fan-fiction di cui leggeva aspirassero a scrivere romanzi, un giorno. Quanti di loro ci sarebbero riusciti?


 

Wynonna era abbastanza soddisfatta del risultato che stavo ottenendo, o per lo meno, del risultato di quei primi tre capitoli.

Aveva sentito Waverly dire qualcosa a proposito del fumo -la playlist era finita e lei aveva scordato di farla ripartire, immersa com'era nel suo lavoro-, ma poi si era dimenticata di risponderle.

Aveva messo da parte progetti incompleti per dedicarsi completamente a una nuova opera; un genere che le piaceva molto, sopratutto da ragazza, ma di cui non aveva mai scritto: il Gotico.

Romanzo Gotico, pensò senza smettere di digitare, elementi romantici fusi all'horror. Una storia d'amore immersa in oscurità e paura. Ci siamo. Medioevo; Castelli; Segrete; Cimiteri; Luoghi cupi, bui e tenebrosi. C'è. Fra poco Mary passeggerà fino a raggiungere il cimitero immerso nella nebbia. Incontrerà William, e questo mi porta a rispettare lo step successivo: pene d'amore. William è un personaggio ambiguo, dannato, preda di ossessioni e passioni. Mistero, ambiguità, dannazione. Conflitti interiori senza soluzione. Ho tutto. Devo solo mettere ogni pezzo al suo posto. Non devo esagerare: non deve diventare la parodia di un Romanzo Gotico!

Cosa pensa Mary quando lo vede? Devo descrivere le sue sensazioni su di lui, magari appoggiandomi all'ambiente esterno... La nebbia era... no... la nebbia gli bagnava appena la pelle chiara; la faceva risultare ancor più pallida e smorta. Aveva gli occhi di chi aveva appena versato lacrime. Will- Wynonna fu costretta ad interrompere i suoi ragionamenti, perché Waverly le si era messa di fianco. Forse le aveva anche parlato, non ne era sicura.

“Una macchina sta entrando nel cortile. Penso sia lei.”

Wynonna riportò gli occhi sullo schermo, verso l'angolo in basso a destra, dove le cifre digitali le dissero che erano le 3:15 del pomeriggio. Eppure, l'ultima volta che aveva controllato l'ora non era neppure mezzogiorno. Era successo di nuovo, si era persa nel suo mondo. Lo interpretò come un buon segno: stava lavorando bene.

“Precedimi.” Rimise le dita sui tasti e gli occhi sulle parole. “Voglio concludere questo paragrafo. Ti dispiace?”

“Non c'è problema.” Capiva quanto importante fosse per sua sorella e, in più di un'occasione, aveva visto come un'interruzione fosse capace di cancellare ottime idee e far, di conseguenza, incazzare Wynonna. Inoltre, nel loro cortile c'era una medium, non certo un vampiro.

Perché ho pensato ai vampiri? Ah, giusto: la fan-fiction che stavo leggendo. Spero che l'autrice aggiorni presto: voglio vedere come farà Judi a uscire da quella situazione. Se uscirà mai viva da lì, certo. Conoscendo il modo di fare dell'autrice, so che non posso mai sapere come andrà a finire. Spero in un lieto fine, comunque. Spero che lei e Joe possano stare sempre insieme, nonostante le loro differenze. Anzi, le loro differenze li arricchiscono.


 

Waverly Earp aprì la porta d'ingresso.

Nel cortile anteriore c'era parcheggiata una piccola macchina rossa dall'aspetto piuttosto datato e dimesso. Non aveva mai visto quel modello. Forse è una macchina straniera, pensò. Ne ebbe quasi certezza quando guardò anche la targa: aveva la bandiera Europea.

Che strano.

Le portiere erano ancora chiuse e sembrava che la donna dietro al volante si fosse dimenticata di uscire. Forse stava cercando qualcosa. Waverly aveva difficoltà a vedere chiaramente l'abitacolo: la posizione del sole l'abbagliava e la neve non aiutava la situazione.

Improvvisamente si sentì a disagio: e se la donna la stesse fissando? Magari si chiedeva proprio perché Waverly se ne stesse in mezzo alla neve e al ghiaccio, a fissare lei.

Cosa doveva fare? Tornare in casa sarebbe stato maleducato. Avvicinarsi alla portiera del lato guida, invadente. Rimanere lì impalata, stupido. Perché quella donna non poteva semplicemente uscire dalla macchina? Era colpa sua se una situazione normale era diventata così imbarazzante!

Fa' qualcosa... la supplicò mentalmente.

Fu Waverly a fare la prima mossa, esasperata dallo stallo che si era creato -non per colpa sua.

Stando attenta a non scivolare sulla neve ghiacciata, si avvicinò al finestrino del lato guida. Il vetro era parecchio scuro e ciò rendeva arduo distinguere la figura all'interno. Aveva dato per scontato si trattasse di una donna, ma ora non ne era più così sicura. Distinse però due occhi, o quelli che sembravano degli occhi: erano fissi sulla casa.

Che tipa -o tipo- strana... pensò.

“Waverly, che stai facendo?”

Anche Wynonna era uscita, ma era rimasta sul portico con le braccia incrociate al petto; un po' per abitudine e un po' per proteggersi dal freddo.

Waverly si voltò a guardarla.

“Non ne sono sicura”, ammise. “Sto cercando di attirare l'attenzione della persona qui dentro, penso.” Indicò la macchina rossa: “Ma sembra troppo impegnata a guardare casa nostra...”

“Fantastico.” Wynonna estrasse il pacchetto delle sigarette e un accendino giallo. Si portò la sigaretta alla bocca. “Sapevo c'era qualcosa di strano. Era troppo perfetta.” Stava per dare fuoco alla carta sottile e al tabacco da essa contenuto, ma Waverly la rimproverò:

“Basta fumare! Non sei una ciminiera!”

Wynonna Earp socchiuse gli occhi; la mano ferma a pochi centimetri dal volto, con il dito pronto ad azionare l'accendino. Era preda di una lotta, forse di un dubbio esistenziale: fumare o non fumare, questo è il dilemma.

Non fumare, decise infine. Anche se contro voglia, rimise la sigaretta dentro il pacchetto e lo infilò in tasca.

“Perché non esce?”

“Non ne ho idea... forse sta male”, ipotizzò Waverly, decidendo fosse una donna. “Pensi che dovremmo controllare?”

In risposta, Wynonna scrollò le spalle.

“Il tuo intervento è stato fondamentale, Wynonna. Grazie mille!”

“Il sarcasmo, Waverly, lascialo a me”, le rispose con mezzo ghigno. “Prova ad aprire la portiera. Non penso ti salterà addosso per mangiarti.”

Waverly ebbe un brivido: Può essere un demone, come quello della storia? E se lo fosse davvero? Smettila di dire idiozie, Waverly, si disse, leggi troppe fan-fiction. Questa è la realtà e tu potresti star sprecando tempo prezioso. Se questa donna sta male, devi soccorrerla! Subito!

Prese un respiro profondo e aprì la portiera.

Due luminosi occhi nocciola la fissavano con curiosità. Occhi posizionati molto in alto, nonostante la donna -sì, perché era davvero una donna- fosse seduta. Doveva essere un metro e ottanta, minimo. Era graziosa e sembrava piuttosto giovane, forse aveva l'età di Wynonna. Portava i capelli rossi -più rossi della vernice della macchina, ma più scuri- legati in una coda di cavallo che a mala pena riusciva a tenerli tutti insieme, dal momento che non erano così lunghi.

Indossava una semplice camicia bianca -nonostante il gelo- e un paio di jeans blu.

“Noto che la cavalleria non è morta”, commentò tranquillamente la donna dai capelli rossi.

Be', pensò Waverly, non è sessista e sembra simpatica.

“Ciao. Tutto bene?”

Non le rispose, mostrò invece l'intenzione di uscire, così Waverly si fece da parte per farla passare.

La donna fece il giro della piccola macchina e aprì il bagagliaio, ignorando completamente Waverly, Wynonna e le buone maniere.

Waverly si voltò a guardare sua sorella, in cerca di consolazione o di risposte, forse entrambe le cose. Aveva sbagliato qualcosa?

Wynonna aveva due dita strette attorno alla sella del naso ed era evidente che stesse lottando per non scoppiare a ridere.

“Sto bene.”

Waverly sobbalzò dallo spavento e si voltò a guardare la nuova arrivata.

La rossa richiuse il bagagliaio e si buttò una valigia dietro la schiena, appoggiando il dorso della mano che stringeva la maniglia sulla spalla sinistra.

Le porse la mano libera: “Tu devi essere... Waverly.”

“Come fai a saperlo?” Si chiese se avesse scritto i nomi nella e-mail, ma non lo ricordava.

“Non hai la faccia di una che si chiama Wynonna.” Sembrava aver appena dichiarato la cosa più ovvia del mondo. Continuò a stringere la mano di Waverly nella sua e a guardarla negli occhi. “Sono Nicole. Andremo d'accordo, noi due.”

La stretta non era ancora stata sciolta; era durata abbastanza a lungo, ormai, da risultare imbarazzante e strana. Eppure, in quegli occhi nocciola, languidi e un po' tristi, non c'era traccia di disagio.

Che occhi tristi, pensò Waverly, sembra che stia per piangere o che abbia appena smesso. No, non è vero: non sono gli occhi di chi vuol piangere... sono gli occhi di chi è stufo di farlo... di chi si è rassegnato a vedere cose brutte, forse dolorose. C'era tempo per soffermarsi su quelle riflessioni, perché Nicole la tratteneva ancora. La sua mano è bollente e la stretta forte, ma non mi sta facendo male... Mi piace. Dovrei essere io a fare qualcosa? Non lo so. E poi, cosa voleva dire con ''andremo d'accordo, noi due''? Che tipa strana...

La mano di Nicole scivolò via con naturalezza, come se solo in quel momento fosse per loro giusto separarsi.

Waverly osservò la mano che aveva accolto la sua stringere quella di sua sorella.

“Piacere”, disse Wynonna. “Tu sei la medium. Nicole, se ho sentito bene.”

“Solo Nicole.” Anche la loro stretta durava ancora, ma non ancora abbastanza da essere strana.

Waverly si chiese se Nicole avesse qualcosa di strano da dire anche a Wynonna.

Ce l'aveva:

“Una scrittrice.”

“Come lo sai?”, inquisì l'altra donna, cominciando a mostrare disagio per il contatto con la mano della rossa che, decise, stava durando un po' troppo.

“Sguardo allucinato; occhiaie; odore di fumo di sigaretta; lieve tremore dato dall'eccessivo consumo di alcol, forse di caffeina. Sei una scrittrice. E dal momento che il tuo nome è Wynonna, immagino tu sia quella Wynonna.”

“Mi conosci?” Una strana luce, notò Waverly, brillava ora negli occhi di sua sorella. Conosceva bene quella luce, avrebbe voluto vederla più spesso.

La Resilienza del GhiaccioLe Vedove RidonoBlu come il Fuoco. Li ho letti tutti. Mi piace il tuo modo di fare, ma del tuo stile e dei tuoi lavori parleremo dopo.” Finalmente la lasciò andare e alzò gli occhi sulla facciata in legno scuro della casa: “Ha una storia molto lunga.” Abbassò lo sguardo di nuovo su Wynonna e i suoi occhi blu: “Saremo capaci di ascoltare?”

Waverly cominciò a provare un lieve fastidio: perché quella donna era diventata improvvisamente così loquace?

“Se non ascolti, non puoi raccontare”, affermò la donna dai capelli neri.

Nicole si limitò a sorriderle brevemente e bonariamente. Il suo corpo tremava leggermente in risposta al gelo che le circondava; piccoli spasmi dei muscoli che cercavano di irrorare meglio i tessuti di sangue, di guadagnare un po' di calore.

“Hai una bella valigia. Ci tieni gli oggetti del mestiere?”

“Anche”, assentì. “Ma più che altro ci sono i miei vestiti: starò qui con voi per un po'.”


---
N.d.A: * Pensando a te che porti il nome il cui significato è: “colui che protegge i suoi uomini”. Ti voglio bene.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3



 


 

Starò qui con voi per un po'.

Wynonna e Waverly si guardarono l'un l'altra mentre la donna dai capelli rossi saliva i tre gradini del portico con cautela. Indossava delle scarpe da ginnastica di tela bianca; perfette per l'inverno e per camminare agilmente sul ghiaccio...

“Posso entrare?”

Le due sorelle si voltarono verso la nuova arrivata, scoprendo con sgomento che non era a loro che era stata posta la domanda. Infatti Nicole le ignorò totalmente ed entrò in casa.

“E' solo una mia impressione”, mormorò Wynonna, “o quella donna è entrata in casa nostra lasciandoci qui fuori?”

Waverly stava ancora fissando la porta che si era richiusa dietro la donna. “No, non solo tua...”

“Le cose sono due”, alzò l'indice e il medio -attorno al quale un drago d'acciaio le abbracciava il dito con le ali- della mano destra, già arrossata per il freddo, “o quella donna è qualcosa come la ladra più astuta del mondo, oppure è completamente pazza. E per pazza, intendo più pazza di quanto già pensassi!”

“Forse è solo il suo modo di fare...” tentò di giustificarla. “La trovo simpatica, anche se so già che sarà difficile interpretare alcuni suoi comportamenti.”

“Waverly...” Wynonna attese che gli occhi castano verdognolo di sua sorella si spostassero dalla porta a lei, e riprese: “Nel mondo in cui vivo io, questo non è normale. Non è normale che un persona estranea entri in casa tua.” Scrollò le spalle e spalancò gli occhi: “Non è normale!”

“Lo so, ma neppure quello per cui l'abbiamo chiamata è”, fece le virgolette con le dita, “normale.”

Chissà quante cose assurde hai visto, pensò Waverly, cosa ti ha resa così... diversa, Nicole?

“Possibile che la situazione non ti metta a disagio? Non sappiamo neppure se davvero è la medium che abbiamo contattato!”, sbottò Wynonna, irosa.

“Chi altri dovrebbe essere?”

“E' questo il punto! Potrebbe essere chiunque!”

“Be'”, Waverly avanzò verso casa, “possiamo rimanere qui a congelarci, oppure andare a scoprirlo.”

Probabilmente nella mente di Wynonna passarono una miriade di frasi sarcastiche, ma si limitò ad alzare le mani e seguire Waverly.


 

<)o(>


 

Nicole fu accolta dal silenzio. Un silenzio assordante.

Appoggiò la valigia accanto al divano e chiuse gli occhi.

Ancora silenzio. Non c'era abituata.

Ci sarebbe voluto del tempo. Le case, come del resto le persone, hanno bisogno di tempo per aprirsi e raccontarsi. Tempo per fidarsi.

Era una donna paziente.

Inoltre sapeva che quella casa, alla fine, le avrebbe parlato: aveva così tante cose da dire, così tante storie da raccontare, allegre e no; aneddoti divertenti e spiacevoli. Non vedeva l'ora che qualcuno la ascoltasse.

Solo una questione di tempo e pazienza.

“Ehi!”

Una mano si era artigliata rudemente alla sua spalla.

Nicole non si scompose; appoggiò il palmo sul dorso della mano di Wynonna e disse: “Non devi avere paura di me.”

La donna dai capelli neri ritrasse la mano, sfuggendo al contatto.

“Si può sapere cosa diavolo stai facendo? Dalle tue parti è normale introdursi nella casa della gente?”

Nicole si voltò verso di lei per poterla guardare in faccia. “Ho chiesto il permesso”, rispose con una calma che contrastava totalmente con l'agitazione di Wynonna e la situazione.

“A me dovevi chiedere il permesso! Questa è casa mia!”

Nicole rimase calma. “Era dentro la casa che volevo entrare. Quando e se vorrò entrare dentro di te, giuro, ti chiederò il permesso.” Sorrise e due fossette si formarono ai lati della bocca, conferendole un'espressione infantile. “Mentre lo dicevo, ho immaginato di metterti un dito nel naso.”

Waverly osservò con attenzione la donna che stava in piedi nel loro salotto.

I suoi vestiti sono logori, anche se puliti, pensò, estraniandosi dalla conversazione delle due donne. I suoi modi così contraddittori. Vorrei conoscere la sua storia, ne sento quasi il bisogno. Mi incuriosisce... sembra uscita da una delle fan-fiction che leggo: è troppo bizzarra per essere una persona vera.

Lei e Wynonna non si assomigliano affatto: mia sorella è capace di stare calma -si fa per dire- solo quando scrive o quando guarda il papero più arrabbiato di sempre. Nicole, invece, sembra in perenne stato zen; anche se nei suoi occhi -gli occhi più tristi che io abbia mai visto- c'è qualcosa di rotto... Cos'hanno visto quegli occhi? Lo voglio davvero sapere? Forse non sono pronta a credere fino in fondo che lei possa, in qualsiasi modo, interagire con forze a noi invisibili. Non so se sono pronta a dirmi: ''Ehi Waverly, i fantasmi esistono eccome. E' tutto reale''. So che è la ragione per cui lei ora si trova qui, nel nostro salotto, a discutere con mia sorella... ma c'è ancora uno stadio, un muro che non è stato abbattuto: qualcosa che mi protegge da ciò che non so se sarei in grado di capire, forse neppure di accettare.

“Allora me ne vado.”

L'affermazione di Nicole riportò Waverly nel mondo esterno alla sua mente.

Osservò Nicole recuperare la valigia fatiscente -probabilmente quella di un suo antenato, a giudicare dall'ampiezza e dalle cuciture- e dirigersi verso la porta. Varcarla e sparire.

“Cosa mi sono persa?”

“Lupin ed io non eravamo d'accordo su alcuni dettagli”, spiegò Wynonna, sibilando più che parlando. “Tipo farla dormire sotto il mio tetto.”

“Forse lo fa perché non prende soldi...” ragionò Waverly.

“Sì, infatti. La sua politica è: voi mi date vitto e alloggio, io vi aiuto”, confermò. “Le ho detto che ero disposta a darle una somma di denaro, pagarle un motel in città, addirittura, ma lei voleva proprio dormire e vivere qui...” Assunse un'espressione poco simpatica, alquanto grottesca, e scimmiottò probabilmente le parole che aveva usato Nicole: “Devo connettermi alla casa.” La sua faccia tornò normale, quando concluse: “Quanto diavolo ci vuole, poi, a scacciare uno spirito o quello che è? Secondo me voleva solo vivere gratis per un po'.”

Il brontolio di un motore scontento del gelo invase il cortile.

“Abbiamo bisogno di lei!”

Waverly corse verso la porta e, esattamente come Nicole poco prima, la varcò e scomparve.


 

Il gelo le congelò all'istante la punta del naso e delle orecchie; ormai il sole stava tramontando.

I fari dell'auto si accesero. Un suono sgradevole le disse che il cambio della macchina non era in ottimo stato; ma soprattutto che se ne stava andando. Nicole stava andando via, con lei la possibilità di ricevere un aiuto economico e... la possibilità di conoscerla, di vivere un'avventura come quella delle storie.

“Aspetta!”

Fu sull'ultimo gradino che il suo piede scivolò; un piccolo volo e un atterraggio sgraziato sul sedere, furono le conseguenze. Trattenne il respiro e con esso un'imprecazione.

“Non è una buona idea correre sul ghiaccio.”

Nicole torreggiava su di lei; aveva le mani sui fianchi e il corpo scosso da brividi di freddo. Nulla nel suo sguardo o nel suo linguaggio del corpo sembravano suggerire che avrebbe finito per allungare una mano e aiutare Waverly ad alzarsi. Non l'avrebbe fatto.

Waverly si rimise in piedi. Le bruciava il volto a causa del gelo e dell'imbarazzo. “Già...” mormorò. Inoltre, la coscia sinistra le faceva un male cane.

Perché sono dovuta cadere davanti a lei come un sacco di patate? Non mi riprenderò mai più dall'umiliazione...

“Scusa... Mi dispiace, è stato... Scusa...”Non scusarti! Perché ti scusi?!, si rimproverò.

“Stavo andando a prendere un caffè in città”, disse Nicole. Se aveva sentito, aveva ignorato la cosa o riteneva non ci fosse nulla da aggiungere. “Vuoi venire?”

Osservò quei suoi occhi, quel suo sorriso infantile. Che volto dolce.

“Cosa? Con te?” Già, con la donna dal viso dolce che invece di darmi una mano è rimasta a guardare... Che tipa strana!

“Be', ci puoi andare con la macchina, te la presto volentieri. Ma non mi sembra carino lasciarmi qui da sola al gelo.”

“No... intendevo... Insomma, non ti conosco...” Waverly Earp, non avevi una frase più da mocciosa? Bel lavoro.

Ancora una volta, Nicole ritenne non ci fosse altro da dire. Le voltò le spalle e salì in macchina.

Il motore era ancora acceso, ma, a giudicare dal rumore, era in folle.

Rimase in folle.

Potrebbe essere una psicopatica che vuole uccidermi... Potrebbe essere una svitata che vuole prendersi le mie reni e venderle al mercato nero... Potrebbe essere la mia occasione. Che faccio? Forse potrei attirare Wynonna qui fuori e convincerla a far rimanere Nicole, almeno per questa notte. Forse dovrei convincere Nicole a passare la notte in città e tornare domani mattina per discutere con più calma. Non so cosa fare, ma devo decidere. Ora.

Waverly prese la decisione meno saggia di tutte: fidarsi di una completa sconosciuta.


 

Non fu gradevole appoggiare la coscia offesa sul vecchio sedile. Non lo fu affatto.

“Il riscaldamento ci metterà un po'.” Nicole picchiettò amorevolmente il volante e aggiunse: “Questa bella signora ha i suoi anni.” Si voltò a guardare Waverly: “Katie, della tavola calda, è da lei che siamo dirette.”

La chiama per nome? Da dove viene questa donna? Da quanto conosce la proprietaria del Happy Break?

Decise di chiederglielo.

Nicole la ignorò completamente. Ingranò la retromarcia e cautamente uscì dal cortile, immettendosi sulla carreggiata.


 

Waverly osservò di sottecchi Nicole e il suo modo di guidare. La mano sinistra stava sul voltante, quella destra appoggiata e dimenticata sul cambio. Questo spiega perché non funziona più così bene, pensò, ricordando che Wynonna, ormai molti anni prima, le aveva spiegato che le mani si tengono sul voltante per due ragioni: primo per la sicurezza, e secondo perché le vibrazioni, contrastate dal peso della mano, finiscono col rovinare la leva.

Nicole appoggiò anche la destra sul voltante.

Wow... forse è davvero una medium... voglio dire, per davvero! O forse si era stufata di tenerla lì... Probabile.

Non riesco a capire cosa le passi per la testa in questo momento. Non pretendo di leggerle la mente, ma vorrei almeno sapere cosa prova a condividere l'abitacolo con una sconosciuta. Non sembra neppure che le importi della mia presenza. Perché mi ha invitata a prendere un caffè? Cosa pensa di me?

Mi sento confusa. Questa situazione è assurda. Se lei fosse la mia anima gemella, me ne accorgerei? Il nostro primo incontro è avvenuto come nelle storie che leggo... anche se è stato un po' strano e imbarazzante. E se non fosse gay? Magari è sposata. Guardò con più attenzione le mani: nessun anello. E' qualcosa.

Forse dovrei smettere di fantasticare su di lei; non so neppure il suo cognome... non so nulla di lei...

Ma Waverly non smise di fantasticare.

Se fossimo in una storia in terza persona, col narratore onnisciente, secondo me, neppure lui o lei saprebbe dire cosa passa nella testa di questa donna. Narratore e lettore sarebbero esattamente come me ora: ignari.

Il narratore, secondo me, dovrebbe per forza essere onnisciente, perché una storia con i punti di vista non funzionerebbe comunque con Nicole; inoltre non mi piacciono quelle storie in cui quando cambia il punto di vista, la narrazione prosegue in prima persona anche col cambio di personaggio... ma questo è un problema mio. E non mi piace neppure quando il racconto è in prima persona, eppure il protagonista o la protagonista sanno cose che non hanno potuto vedere. Questo mi dà così fastidio, è illogico!

Perché non riesco a smettere di pensare che vorrei che mi parlasse? Perché mi sento attratta da lei? Forse vorrei solo abbracciarla, sì, per via dei suoi occhi tristi. Forse quello che provo per lei è un senso di ingiustificata protezione, tenerezza... Semplice empatia umana? Può essere. Però è anche vero che la trovo molto carina, e i suoi modi così misteriosi... ah! Basta!

Waverly si costrinse a concentrarsi sulla strada e sulla neve -che, a quanto pareva, aveva cominciato a cadere- davanti a sé.

“Mi dispiace.”

Waverly sobbalzò dallo spavento: non si aspettava di sentire la voce di Nicole.

“Per cosa...?”

“E' brutto tornare alla realtà così bruscamente.”

Oh cacca! Il viso le bruciava di cocente vergogna. Dimmi che non ha sentito i miei pensieri, ti prego, ti prego! Non ho parlato ad alta voce, vero? Dio, non voglio averlo fatto!

“Non capisco.” Si complimentò con se stessa per il tono tutto sommato calmo e distaccato.

“Avevi un'espressione così sognante. Doveva essere una bella fantasia, ma si è interrotta.” Si voltò a guardarla per un breve momento, prima di riportare lo sguardo sul parabrezza. “O l'hai interrotta tu?”

“Stavo pensando che fra dieci giorni sarà Natale... mi piace il Natale”, inventò rapidamente.

Nicole, ovviamente, non le rispose.

Be', pensò Waverly, se può leggermi nella mente, ora pensa che io sia sciocca, sì, ma pure bugiarda...

“Mi piaci, Waverly Earp.”

Sobbalzò di nuovo. Perché ha il vizio di parlare o non parlare sempre nel momento sbagliato, o per lo meno, in quello più inaspettato?

Aspetta un momento!

“Come conosci il mio cognome?”

“Mi piacciono le persone che si lasciano trasportare via dai pensieri, che riescono a vivere in un mondo tutto loro. Mi trasmettono calma”, continuò come se non l'avesse sentita, o comunque la ignorò di nuovo. “Anche tua sorella è capace di farlo, ma solo quando scrive. La sua anima agitata agita anche la mia.”

Non era disposta a lasciar perdere, non questa volta: “Ti ho fatto una domanda: come conosci il mio cognome? Hai dei poteri sovrannaturali? Voglio dire... fino a che punto, sovrannaturali?” Era anche una buona occasione per scoprire se sapesse leggere nella mente.

“Tua sorella è Wynonna Earp, la scrittrice”, replicò semplicemente. “Se la logica è un potere sovrannaturale.” Concluse la frase così, senza preoccuparsi di terminarla, senza che le importasse di aver creato qualcosa di incompleto. Un aborto, lo avrebbe definito Wynonna.

Certo che sono proprio un'idiota...

Attese di sentire la voce di Nicole che confermasse o smentisse l'affermazione -non escludeva la possibilità-, ma Nicole tacque.

Cercando di non perdersi di nuovo nei pensieri, Waverly si concentrò sul piccolo abitacolo. Ormai era buio e solo la luce arancio dei lampioni, posti a intervalli regolari sulla strada per Purgatory, le consentiva di vedere.

Il vano portaoggetti era aperto: una mensola leggermente concava che pendeva verso il muso del veicolo. C'erano pochi oggetti: qualche foglio -riconobbe un paio di scontrini- un pacchetto di sigarette e un accendino viola; i documenti dell'auto; un pacchetto di gomme da masticare sbiadito dal sole e una foto, appesa alla parete del vano. Al terzo lampione, Waverly riuscì a distinguere il volto di una donna. Una donna molto anziana. Forse è sua nonna... pensò.

“Mi sento in colpa.”

L'ennesimo sobbalzo.

Osservò il volto di Nicole, ora illuminato di un tenue verde per la luce del cruscotto. Quel tratto di strada aveva sei lampioni di fila spenti, era così da circa due mesi. A nessuno sembrava importare. Decise di distogliere lo sguardo: quel chiarore conferiva a Nicole un aspetto malaticcio e sinistro.

“Per cosa?”

“Per averti fatta correre sul ghiaccio.”

“Non volevo te ne andassi via...” confessò.

“Non me ne sarei andata per molto. Ormai ho deciso di accettare il vostro caso.”

“Oh, ma mia sorella... Voglio dire, dormirai in un motel, dunque?”

Nessuna risposta.

E se avesse problemi di udito? Decise di formulare di nuovo la domanda.

“Wynonna finirà con l'accettare il mio aiuto e le mie condizioni”, affermò Nicole.

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Capitolo 4
*** 4 ***


 

4


 


 

Forse voglio raccontare un amore gay, pensò Wynonna, potrei trasformare William in una Willa, qualcosa del genere. Un romanzo in cui anche Waverly possa rivedersi; voglio dire, l'amore è amore, ma... vabbè, so io cosa intendo dire. Una rappresentazione Gotica con un amore gay? Esiste già? Probabile. Mi viene in mente quando Waverly ha fatto coming out; ricordo ancora le sue parole: ''I nostri genitori non ci sono, quindi sei tu quella che deve... ascoltare quello che ho da dire''. Lo sospettavo da tempo, ma non mi è mai importato. Volevo e voglio che la mia sorellina sia felice, che trovi una persona che la rispetti e con cui possa vivere il grande amore che sogna.

Waverly... la stessa disgraziata che è salita in macchina con quella donna! Che diavolo le è saltato in testa?!

Ho deciso: le protagoniste saranno Mary e Willa. Devo solo sostituire il pronome His con Her e il gioco è fatto, oh, e il nome... e qualche altro accorgimento.

Waverly... dannazione!

Come immagino questa Willa? Come immaginavo William, grosso modo: lunghi capelli neri e... E se quella Nicole le facesse del male?

Le prese il volto... o... le poggiò la mani sulle gote... no... accolse il viso di lei fra le sue grandi, pallide mani... Quanti modi ci sono per descrivere la stessa azione! Sono infiniti, o quasi.

Quando una donna deve smettere di preoccuparsi per sua sorella? Mai, suppongo.

E' una donna adulta... non sono sua madre!

Esasperata, Wynonna spense la sigaretta e afferrò il cellulare. Aveva deciso di chiamare Waverly, anche solo per togliersi le macabre immagini relative al suo cadavere dalla testa.

Nell'attesa che la chiamata partisse, riportò gli occhi sul foglio elettronico. Rilesse delle frasi a caso.

Il cellulare suonò libero.

Bene.

Poi però un dettaglio smontò tutto: una canzoncina penetrò fin nel salotto. Proveniva dall'esterno.

“Cazzo.”

Senza mettere fine alla chiamata, Wynonna attraversò il salotto. Aprì la porta e il vento gelido le congelò metà faccia.

“Cazzo.”

Il cellulare di Waverly era appena sotto il portico, mezzo sepolto dalla neve e la canzoncina standard continuava, ovviamente, indisturbata.

Non ne fanno più cellulari così resistenti.

Raccolse l'oggetto e la mano si congelò istantaneamente.

“Cazzo”, imprecò per la terza volta.

E se l'avesse rapita? No: ho visto Waverly salire di sua volontà sulla macchina della rossa...

Merda.

Starà bene. Andrà tutto bene.


 

Wynonna andò in cucina e prese un bicchiere. Tornò nel salotto e scelse una bottiglia dall'angolo liquori; un Bourbon.

Questo mi calmerà i nervi e mi aiuterà a scrivere, pensò, versando il liquido ambrato. Una dose generosa.

Rimise le dita sulla tastiera:

«Non m'importa, Willa! Non m'importa neppure ora che il mio cuore conosce la verità!»

Sorso di Bourbon e...

«Come puoi dire che non t'importa? Guardami!» Il corpo ora deforme tremava scosso da sentimenti conflittuali troppo potenti per quel corpo involucro così fragile.

«Ti sto guardando e ti trovo meravigliosa.» Le lacrime I suoi occhi pieni di lacrime non lasciarono abbandonarono il volto di lei. Il suo Lo sguardo lo accarezzava come avrebbero voluto fare le mani. (?)

Finì il bicchiere e si versò altre due dita di liquore; finì anche quello e ne versò dell'altro.

Willa è un mostro, è vero, ma se a Mary non importa... qual è il problema? Nessuno, ma questo è solo il sesto capitolo... capitoli non così lunghi... Probabilmente Mary partirà, sì, la risolvo così. Racconterò le loro vite separatamente e poi un incontro, forse quello definitivo, forse no... Ci penso. Per ora è troppo corto per essere un romanzo. E' la bozza di un romanzo. Wynonna, chiama le cose col loro nome!

L'alcol comincia a fare il suo dovere. Vorrei toccarmi, ma non qui in salotto. Quando è stata l'ultima volta che ho fatto del sesso? Non me lo ricordo. L'ultima volta che mi sono presa cura di me? Sicuramente più di tre settimane fa.

Farò una doccia.

Si alzò e guardò le fiamme del caminetto: erano ancora impegnate col grosso ceppo che aveva infilato quando era tornata in casa.

Domani dovrò spaccare della legna... evvai! Che palle...

La donna, decisa a rilassarsi con una bella doccia calda e soddisfare le sue voglie, salì al piano superiore.

Era abbastanza brilla da dimenticare la paura; la paura di essere sola in quella grande casa... o di non essere sola affatto...


 

Aprì l'acqua e, nell'attesa che quella scorresse alla giusta temperatura, si tolse i vestiti e l'anello col drago.

Entrò sotto il getto d'acqua calda, quasi bollente.

Perfetta.

Via libera alle fantasie...

La mano era appena più giù dell'ombelico, quando un verso la paralizzò. Sembrava un respiro molto pesante. Forse, addirittura un ringhio.

“Merda!”

Chiuse l'acqua e ascoltò con attenzione.

Nulla.

Cazzo, magari erano le tubature... in fondo ho appena aperto l'acqua.

Rinfrancata dal pensiero riaprì il rubinetto, ma non provò a toccarsi: non sarebbe riuscita a concentrarsi o a darsi piacere, non dopo lo spavento, giustificato o meno che fosse.

Il verso si ripeté.

Era un cazzo di ringhio!

Chiuse l'acqua e si preparò ad uscire. Fu allora che qualcosa accadde, qualcosa di più fisico di un suono.

Qualcosa che non avrebbe dovuto accadere.


 

<)o(>


 

“Non ho avuto la migliore delle idee”, constatò Nicole, spegnendo il motore.

Erano nel parcheggio sul retro del Happy Break. Un parcheggio deserto o quasi: le due altre macchine presenti dovevano appartenere alla proprietaria e a un dipendente.

Osservò la neve che continuava a cadere a grossi, placidi fiocchi. Il lampione arancio sotto cui erano parcheggiate e contro cui si poteva osservare la neve, conferiva alla scena e alla caduta dei fiocchi ghiacciati un che di magico. Era un'immagine calda e accogliente.

“Dovrò mettere le catene, per tornare alla tenuta.”

“Ti aiuterò io. Forse avrei dovuto dirti che era prevista neve, per questa sera...” si scusò Waverly.

“Non è certo colpa tua.” Si slacciò la cintura e mise il freno a mano, nonostante il terreno pianeggiante. “Anche io sono dotata di occhi per vedere e di una mente per pensare, non trovi?”

“Sarà una sorta di avventura. Potrebbe rivelarsi divertente procedere a passo d'uomo godendosi il paesaggio innevato”, cinguettò Waverly, felice che la donna avesse parlato ancora. “Solo nove miglia, in fondo, separano Purgatory dall'Homestead.”

Nicole si voltò a guardarla; la guardò intensamente negli occhi per un tempo indefinibile.

Che fa...? Devo distogliere lo sguardo o la devo guardare? C'è una risposta corretta? Ne dubito. Dio, che occhi! Se continua a fissarmi in questo modo finirò per scappare via... o per innamorarmi.

“Mi piace il tuo modo di pensare, di vedere le cose”, le sorrise. Un sorriso quasi grato. “Non mi fai neppure sentire in colpa.” Era un sorriso di gratitudine, sì.

Grazie... Voglio dire... prego.. Che diavolo dovrei rispondere?

Nicole scese dall'auto, liberando Waverly dall'imbarazzo.


 

L'aria del grande e unico locale era calda e odorava di ciambelle, di caffè e di fritto. Un odore rassicurante e famigliare. Era una stanza lunga e piuttosto stretta: i tavoli con le panche e la vetrata che dava sul parcheggio anteriore da un lato, e il lungo bancone di alluminio dall'altro. L'arredamento un po' polveroso e la fantasia di alcune superfici gridavano anni settanta. Quel posto era probabilmente rimasto immutato dal '73, quando era stato aperto; lo testimoniavano le cornici appese alla pareti piene di foto di persone sorridenti, recensioni e articoli di giornale.

Stavano percorrendo lo stretto corridoio quando Nicole, che camminava un paio di passi davanti a Waverly, si irrigidì violentemente.

Le luci dei lampadari cominciarono a sfarfallare e ad emettere un ronzio acuto, quasi uno sfrigolio. Durò solo pochi secondi.

Vide Nicole cadere sulle ginocchia e frenare la caduta con le mani.

Waverly si guardò attorno in cerca d'aiuto, ma lì dentro c'erano solo loro due.

“Stai male?” Le si avvicinò. “Che succede?”

“Non... parlarmi...” annaspò. Il suo corpo tremava e il suo respiro era pesante e irregolare. “Non toccarmi... Aspetta... ti prego...” Stava piangendo, a giudicare dalla voce.

Nonostante la considerevole statura, ora Nicole appariva piccola. Piccola e fragile.

Mio Dio, sta avendo un attacco d'ansia o qualcosa del genere? Perché respira in questo modo? Mi fa paura... E se stesse per avere un collasso? Che faccio?!

Una mano le afferrò piuttosto bruscamente il polso e, prima ancora che lei potesse girarsi per controllare chi l'avesse afferrata, la mano cominciò a trascinarla.

Katie, la proprietaria della tavola calda, condusse Waverly fin davanti alla porta d'ingresso.

“Dobbiamo lasciarla tranquilla un momento.”

Non attese replica, ricominciò a trascinarsi dietro Waverly. Questa volta la portò nelle cucine, solo allora le lasciò il polso.

“Jim, va' pure. Finisco io qui”, disse rivolta al giovanotto intento a sgrassare un fornello piuttosto incrostato. “Va' a casa prima che la neve salga troppo.”

Jim, un ragazzo dall'aspetto fragile e nevrotico, che sembrava uscito direttamente dagli anni novanta -la T-shirt di Scooby-Doo indossata sopra una maglia a maniche lunghe, e una zazzera sbarazzina che gli ricadeva sul volto come fronde di un salice- non se lo fece ripetere due volte. Si tolse il grembiule e sparì, senza neppure salutare, dalla porta che si apriva sulla stanza dedicata al personale.

“Te l'ho già detto, zucchero, perché non prendi il suo posto? Darei volentieri quel lavoro a te”, disse Katie che, al contrario del ragazzo, era di corporatura robusta e dava un'idea di morbida calma. Era una donna di sessantacinque anni; li portava piuttosto bene, nonostante non curasse particolarmente il suo aspetto. Aveva i capelli grigi e gli occhi castani, la pelle scura come l'ebano e una voce calda e rassicurante. Da giovane doveva essere stata bella come una dea.

Aveva rilevato l'attività del Happy Break quando aveva appena ventidue anni e l'aveva lasciato immutato, appunto, fermo agli anni settanta.

“Non voglio rubare il lavoro a nessuno...” mormorò. In realtà voleva parlare di Nicole e di quello che stava succedendo nell'altro locale, ma l'educazione prima di tutto.

“Non posso licenziarlo solo perché qualcuno ha dimenticato di insegnargli l'educazione, suppongo...” sospirò Katie. “In fondo, quello che deve fare lo fa. Ma se e quando si libererà un posto, tu sarai la prima a saperlo.”

“Ti ringrazio molto, Katie. Lo apprezzo davvero. Ascolta... conosci la donna con cui sono arrivata? Non sembri spaventata o allarmata da quello che è successo.”

“Il mio angelo!”, esclamò, mettendo in mostra un sorriso brillante. Waverly non era ancora riuscita a decidere se fosse una dentiera o se fossero i suoi denti. “Certo che la conosco! Dal momento che siete insieme, penso tu sappia di cosa si occupa, giusto?”

“Più o meno. La conosco da un'ora e mezza, forse meno...” ammise.

“Be', allora per rispetto nei suoi confronti, ti dirò solo che è un angelo! Non so come avrei fatto senza di lei!”

Un altro commento positivo. Inoltre ora mi sento più tranquilla riguardo l'identità di Nicole. Posso fidarmi di lei, a quanto pare.

“Puoi almeno dirmi cosa le è successo e perché le luci si sono comportate in modo così strano?”

“Zucchero, sai che sono una che bada ai propri affari. Lasciamo che sia lei a decidere se vuole dirtelo, va bene?”

“Sembra giusto...” ne convenne, anche se si sentì un po' delusa.

“Vieni”, Katie andò verso l'uscita delle cucine, dalla parte opposta a quella da cui era uscito Jim, “andiamo a controllare la situazione.”


 Nicole era seduta sulla moquette che una volta doveva essere viola scuro -come testimoniavano le parti rimaste protette dal sole e dalle scarpe delle persone-, ma ora era un pallido ricordo color vino -rosè-, e aveva le spalle appoggiate al bancone di alluminio. Lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione indecifrabile.

Katie, seguita da Waverly, si fermò a un metro circa dalla donna dai capelli rossi. Sembrava in attesa di qualcosa, forse di parlare e di avvicinarsi.

Questa situazione è così surreale! Quanto vorrei consolarla... mi fa male vederla in quello stato. Non importa se non so nulla di lei, è un essere umano e sta male... pensò Waverly.

“Sto bene”, mormorò Nicole, continuando a fissare il nulla.

Quelle semplici parole ebbero il potere di sbloccare Katie: si avvicinò a Nicole e, prendendola da sotto le ascelle come fosse una bambola, la sollevò. Già, una bambola alta quasi il doppio di lei, però.

“Coraggio, ragazzona. É passato”, le sorrise. “Sono riuscita a contarti tutte le costole!”, la rimproverò poi. “Devi avere più cura di te, angelo.”

Nicole guardò Katie negli occhi; doveva tenere il mento quasi appoggiato al petto per poterla guardare senza che quello sembrasse uno sguardo altezzoso o sdegnoso. Aveva un che di infantile, ma non tanto in senso umano: ricordava più il modo di fare di un cucciolo di cane; quando hanno quell'espressione in bilico fra l'uggiolare e il sorridere -a modo loro-. Questo strinse il cuore di Waverly in una morsa di pura tenerezza.

“E' stata Pat, non è così?”

Nicole continuò a fissarla senza accennare a risponderle. Le posò semplicemente le mani sulle spalle.

Katie, che non sembrava infastidita o sorpresa, poggiò le mani su quelle di Nicole e a sua volta la guardò in silenzio negli occhi.

Forse dovrei andarmene... non so cosa stia succedendo, ma sono a disagio... Che stanno facendo?

“Grazie, Katie.” Finalmente la voce di Nicole.

La donna le sorrise. “Dai, vai a sederti. Ti portò un caffè e delle ciambelle.” Socchiuse gli occhi e aggiunse: “Che tu mangerai fino all'ultima briciola.” Si voltò poi verso Waverly: “Zucchero, vieni anche tu. Andate a sedervi. Torno subito.”

“Grazie...” replicò Waverly, ancora confusa.

Nicole si era già seduta su una delle panche.

Waverly prese posto davanti a Nicole, constatando che sedersi sulla coscia che aveva sbattuto sulla neve e sul terreno ghiacciato le faceva ancora male.

“Mi dispiace”, sussurrò Nicole. Era impegnata a torturarsi una pellicina al lato dell'unghia e i suoi occhi erano fissi lì.

Waverly sospirò e poggiò le mani sulla tavola di legno chiaro. “Non preoccuparti.”

Decise di attendere, di non fare domande: probabilmente Nicole stava per spiegarle cosa le era successo. Non doveva avere fretta, non voleva essere invadente.

La donna sorrise, accogliendo la comparsa delle due fossette. “Il tuo sedere ha preso una bella botta, per colpa mia.”

Waverly rimase interdetta: si stava scusando per quello? Ma che diavolo! Pensavo che... be', non che dovesse scusarsi per essersi sentita male o quello che è, ma... insomma, non mi aspettavo questo, ecco.

“Non sarei uscita in quel modo, se avessi potuto prevedere le conseguenze.” La pellicina si staccò e Nicole alzò gli occhi su quelli di Waverly. “Però ammetto di aver sorriso, quando ho capito che non ti eri fatta troppo male.”

Vuoi parlare di questo, Nicole? Va bene, ti accontento.

“Perché non mi hai aiutata ad alzarmi?” E' una buona occasione per capire qualcosa di lei; dopotutto, ora sembra che il suo udito funzioni, o per lo meno, che sia disposta a parlare come una persona civile.

“Non volevo toccarti.”

Come ti permetti?! “Come scusa? Ti faccio schifo, per caso? Guarda che mi lavo, ho un ottimo odore!”

Nicole sbuffò fuori l'aria dalle narici. “No, sciocca”, rise.

Era la prima volta che rideva. Aveva una risata infantile e profonda. Era una risata di sincero divertimento; fatta di tante A con diverse intonazioni. Una scala irregolare, che però sembrava avere una sua logica.

Mi piace, decise Waverly.

“Allora perché non volevi toccarmi?” Voglio proprio vedere come si giustificherà! Se mi risponderà... certo.

“Avevo freddo e il disagio sul tuo volto mi bastava, non volevo anche provarlo.”

Waverly stava per replicare, ma si fermò perché un pensiero le attraversò la mente: a pensarci, prima, quando Wynonna le ha messo una mano sulla spalla, Nicole le ha detto che non deve aver paura di lei... lì per lì non ci ho fatto caso... Può percepire le emozioni delle persone attraverso un contatto fisico?

Glielo chiese.

“Sì, si può riassumere così”, rispose Nicole, voltando la testa verso Katie, che stava avanzando verso il loro tavolo con un vassoio.

“Caffè e ciambelle.” Posò una tazza fumante davanti ad entrambe. “Non vi ho portato né latte né zucchero, perché so che lo prendete tutte e due così.” E un piatto di ciambelle al centro del tavolo.

Nicole e Waverly la ringraziarono all'unisono.

“Zucchero, posso?” Katie accennò alla panca su cui era seduta Waverly. Una seduta di finta pelle color rosso scuro, quasi come i capelli di Nicole. Quelle dovevano avere non più di cinque anni, anche se lo scheletro di legno era, ancora una volta, degli anni settanta.

“Certo.”

Scivolò leggermente verso la vetrata per fare un po' di spazio alla donna.

“Grazie.” Katie prese posto. “Non mi muovo finché non ti vedo mangiare”, dichiarò, rivolta a Nicole.

La donna dai capelli rossi le sorrise; un sorriso sornione e tenero al contempo. “Sì, mamma.”

Scelse una ciambella glassata alla vaniglia e le diede un morso generoso, buttandolo giù con un sorso di caffè altrettanto abbondante.

“Brava ragazza.” Si voltò poi verso Waverly: “Mangia anche tu, zucchero, avanti! Le ho fatte apposta per voi.”

Waverly non se lo fece ripetere. Aveva saltato il pranzo perché era troppo impegnata a leggere e, in ogni caso, aveva lo stomaco chiuso per l'arrivo della medium. Prese una ciambella glassata al cioccolato bianco e ornata da perline di zucchero colorato. Come Nicole poco prima, anche lei le diede un bel morso.

“Brave le mie ragazze.” La proprietaria del Happy Break si rilassò contro lo schienale. “Posso essere un po' curiosa?”

Nicole si affrettò a ingoiare un altro bel boccone.

“Prego.”

“Questo riguarda anche te, zucchero. Ci sono problemi alla tenuta degli Earp?”

Waverly lasciò fosse Nicole a rispondere.

“Non lo so ancora. Sono stata dentro per non più di cinque minuti -Wynonna mi ha praticamente cacciata via.” Il ricordo sembrò divertirla. “Però se mi hanno chiamata ci deve per forza essere qualche anomalia.”

“Wynonna!”, sbottò Katie, come se ce l'avesse davanti e potesse sgridarla. “E' una brava ragazza, devi saperlo, Nicole. E' un po' burbera, come suo padre, ma quando ti prende in simpatia è una persona gradevole e dolce.”

“Lo so”, rispose semplicemente la donna dai capelli rossi. “Inoltre adesso ha paura. Ha paura di quello che pensa ci sia in casa sua, e di me. Probabilmente se ci fosse solo lei non sarebbe così diffidente nei miei confronti, ma ha paura che io possa fare qualcosa di male anche a Waverly. La vuole proteggere, non la giudicherò per questo. Maschera le sue paure ed emozioni con l'agitazione, il sarcasmo e un pizzico di aggressività, ma non c'è oscurità nel suo cuore. Esteriormente sembra una donna semplice e infantile, forse lo è, ma dentro ha una profondità non comune. Mi sta simpatica, anche se le nostre anime sono completamente incompatibili.” Alzò le spalle e concluse: “Peccato, l'Aquario trova piacevole la compagnia del Sagittario: un costante amore platonico”, concluse. Non aveva mai fatto un discorso così lungo. Non era mai apparsa così presente a se stessa.

Waverly si chiese come avesse fatto Nicole a farsi un quadro così completo di Wynonna. La commosse, inoltre, che qualcuno fosse finalmente riuscito a capire sua sorella, la sua complessità mascherata da superficialità. Le è bastato guardarla negli occhi e toccarla, per capire quello che io ho messo una vita a realizzare.

Come fa a sapere il suo segno zodiacale? Questa volta non farò la figura della sciocca: probabilmente ha letto da qualche parte la data di nascita. In fondo ha detto di aver letto i suoi libri. Sì, l'avrà sicuramente letto... ma dato quello che sembra in grado di fare -wow, a proposito- non lo so.

Tratteneva la mia mano nella sua e mi guardava negli occhi in quel modo perché stava esplorando anche me? Devo pensare di sì... Chissà che cos'ha capito? Sono curiosa di sapere cosa pensa di me. Glielo chiederò dopo.

Mi chiedo se il suo sia un potere paranormale, o se è semplicemente molto sensibile e attenta. Non fa molta differenza, comunque: la trovo una cosa bellissima! Chissà quante persone ha fatto innamorare... Aspetta, lei può innamorasi di qualcuno, anche dopo aver capito ogni cosa di loro? Capire tutto non distrugge un po' quella magia fatta di mistero? Forse no, forse conoscere a fondo una persona ci permette di capire davvero i nostri sentimenti. Magari è un po' diversa dalla mia idea di romanticismo -un romanticismo giovane-, è più complesso e maturo... forse sono cose che potrei apprezzare da più vecchia... la troverei una cosa consolatoria, credo.

“... un Capricorno atipico”, stava dicendo Nicole. “Come ti dicevo prima, la dolcezza è parte del Capricorno, ma non è qualcosa che viene fuori così prepotentemente. Sei atipica proprio perché sei così dolce; la dolcezza è la prima cosa che si nota in te. Per rispondere all'altra domanda”, proseguì, “non lo so, ma intendo scoprire cos'ha preso di mira le sorelle Earp e perché.”

“Rimarrei ad ascoltarti per ore.” Katie si alzò. “Ma ora vi lascio tempo per parlare e finire in pace la vostra merenda.”

“Grazie.” Di nuovo all'unisono.

“E a te, Waverly? A te piace l'astrologia?”

“Non ne capisco niente”, ammise. “So che il Toro è un segno di terra, e che i Pesci... d'acqua?”

“Posso provare a indovinare il tuo segno?” Le sorrise e aggiunse subito: “Se ti annoio me lo puoi dire. Non sei costretta ad ascoltare le mie cialtronate.”

Termine interessante. Non riesco ad inquadrarla, non lei e neppure i suoi modi.

“Fai pure.”

“Vediamo...” Intanto prese un'altra ciambella; probabilmente al limone, a giudicare dall'aroma che si sprigionò quando la morse. “Un Leone...? No, c'è passione e orgoglio; sei sicuramente un segno di fuoco, ma non sei Leone...” La scrutò attentamente. “Sei Ariete”, affermò. “Un Ariete di marzo, oso aggiungere. Ho sbagliato?”

“Sono nata il 30 marzo”, confermò, impressionata. “Tu, se ho capito bene, sei Aquario. Quando sei nata? E per curiosità, l'Aquario e l'Ariete... vanno d'accordo?”

“Sì.” Non ci fu esitazione. “Formano una coppia che, in diversi ambiti e ruoli della vita, risulta vincente. Hanno un'ottima chimica. Anche se un po' burbero e geloso, l'Ariete riesce a compensare la freddezza dell'Acquario; personalmente, penso lo renda... più umano, in qualche modo. L'Aquario, tuttavia, trova la sua intesa, la compatibilità perfetta solo con un altro Aquario. E' l'unico segno ad avere questa caratteristica. E per rispondere all'altra domanda, sono nata il 3 febbraio.”


 Continuarono a parlare dello Zodiaco e delle varie combinazione e caratteristiche astrali per oltre un'ora; infine, Nicole si alzò.

“Continua a nevicare. Sarà meglio tornare alla tenuta.” La guardò per un po' negli occhi, poi le sorrise. “Se ti dovesse succedere qualcosa, Wynonna mi trasformerebbe in uno spirito.” Le voltò le spalle. “E poi non potrei perdonarmi, se ti succedesse qualcosa a causa mia.”

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Capitolo 5
*** 5 ***


 

5


 


 


 

... non potrei perdonarmi, se ti succedesse qualcosa a causa mia.

Waverly rimase ferma fra la panca e il tavolo.

Che cosa voleva dire...? Le importa di me? Be', intendo oltre l'ovvia empatia umana e la sua moralità. Escluse quelle...?

Un Ariete e un Aquario... una coppia vincente. Certo, lei non ha mai mostrato nessun tipo di interesse nei miei confronti. Continuo a non sapere cosa le passi per la testa, ma... voglio dire... ma c'è un ma, vero? Lo scoprirò.

“Ho detto che offre la casa.”

“E io ho detto che pagherò il conto”, ribadì Nicole. Estrasse un portafoglio che una volta doveva essere di un candido bianco, ma il tempo l'aveva ingiallito.

Katie scosse lentamente la testa. “Angelo mio, se almeno ti facessi pagare per il tuo lavoro... lascia che offra io.”

Waverly stava per intervenire dicendo che ci avrebbe pensato lei, la frase di Nicole, però, la fermò in tempo.

“Katie, non mi umiliare.”

Umiliazione. Una parola forte. Anch'io mi sono sentita umiliata per la caduta, ma forse non era il termine che dovevo scegliere. Forse è quello che prova mia sorella quando i frutti del suo lavoro non rispettano le aspettative; forse vorrebbe garantirci una vita più agiata, anche se non ci manca nulla, in verità... Chissà. Umiliazione è anche quell'emozione che ho provato quando sono stata licenziata e accusata di non voler lavorare. Non venderei mai un prodotto che chiaramente ha effetti collaterali così gravi! Non importa il guadagno... non si fa. Non sono capace di fregarmene.

“Ehi.” Nicole le appoggiò una mano sulla spalla. “Tutto bene?”

Me lo chiede per cortesia, suppongo: toccandomi sa già cosa provo, no? Magari, però, funziona solo se lo vuole... forse no... non ho idea di come funzioni, le chiederò anche questo. Ora però sarebbe il caso di risponderle.

“Stavo pensando alla parola che hai usato: umiliazione.”

Un'ombra scura passò sugli occhi di Nicole, rendendo il suo sguardo ancor più sofferente. Durò solo un momento, ma dato che la stava guardando, Waverly era riuscita a catturare quel fugace istante.

“Pensavo fossi ancora persa nei tuoi pensieri. Perché ci stavi pensando?”

Alzò le spalle. “Non lo so... Sai quando senti o vedi qualcosa e quel qualcosa, in modo totalmente casuale, ti spinge a fare dei collegamenti?”

“Ho capito.” Le tolse la mano dalla spalla e si voltò verso l'uscita.

Prima di andarmene chiamerò Wynonna. Sarà preoccupata. In fondo non sa ancora nulla di Nicole; probabilmente la sua mente è piena di immagini che riguardano il mio cadavere. Strano che non abbia provato a chiamarmi.

Frugò in ogni tasca, ma del cellulare nessuna traccia.

O mi è caduto in macchina, oppure... vuoi vedere che mi è caduto quando sono scivolata?

Salutò Katie, decidendo che le avrebbe chiesto un'altra volta come aveva conosciuto Nicole, o lo avrebbe chiesto a Nicole stessa.

“Andate piano, mi raccomando!”, gridò Katie, quando Waverly si chiuse la porta alle spalle.


 

Nicole era a qualche metro di distanza. Le dava le spalle.

Waverly trovò che fosse bellissima, che i suoi rossi capelli, accesi dalla luce arancio del lampione, creassero un'immagine incredibile con la neve intorno. E pensò fosse pazza e irresponsabile: quale essere umano sano di mente se ne starebbe nella tormenta indossando una semplice camicia?

Stava per chiamarla, quando la vide annuire. La osservò con più attenzione e provò ad ascoltare, ma il fischio del vento era troppo impetuoso. Sì, stava parlando con qualcuno, ma con chi? Aveva le mani infilate nelle tasche dei blue jeans, dunque non parlava al telefono...

Un brutto brivido le corse lungo la schiena: e se stesse parlando con un fantasma?!

Nicole si voltò verso di lei, improvvisamente, come se qualcuno l'avesse avvisata della sua presenza. La raggiunse con poche falcate.

“Fa un freddo cane, eh?” Tremava come se qualcuno le avesse infilato un martello pneumatico in corpo.

Ci mise un po' a risponderle. Voleva capire se stesse dando di matto o se ci fosse veramente un interlocutore invisibile, da quelle parti. Però scelse una terza opzione:

“Si può sapere perché non ti metti una giacca?” Stava per aggiungere che era disposta a darle la sua, ma poi le tornarono in mente le parole che aveva detto a Katie e decise di tacere.

“Se ho freddo so di essere ancora viva.”

“Che idiozia! Ci sono io con te. Non hai bisogno di fare così: io non vedo i morti.” Era una buona occasione per capire se ci fosse o meno qualcun altro lì con loro.

“Hai ragione.” Si diresse verso la macchina. “Stare sempre da soli finisce per rincoglionire le persone.”

Ogni volta che provo un pizzico di fastidio per i tuoi comportamenti, non importa nello specifico, tu mi costringi a provare un'incredibile tenerezza... E' il non capire, la paura a farmi provare fastidio... me ne rendo conto. Scusa se divento un po' aggressiva, non te lo meriti.

“Non provare pena per me, non soffro mai la solitudine: il mio segno zodiacale non la prende neppure in considerazione!” Aprì il bagagliaio. Estrasse una giacca nera da donna e una valigetta tondeggiante in plastica -la custodia delle catene da neve-. “Dico davvero”, disse, infilandosi la giacca; le arrivava fin quasi alle ginocchia e le fasciava il corpo, le dava una bella silhouette: le evidenziava il seno e il culo altrimenti inesistenti e le allargava un po' le spalle. Eleganza, era la parola per descrivere la scena. Sobria eleganza. Inoltre l'abbinamento rosso dei capelli col nero della giacca e il bianco della camicia, creava un'armonia gradevole per gli occhi. “E' la mia vita e mi piace.”

“Puoi leggere nella mente delle persone?” Finalmente l'aveva chiesto.

Le sorrise. “Era la cosa più logica.” Aprì la valigetta blu. “Ho ritenuto che le mie parole potessero farti provare qualcosa di simile alla pena.”

“Quindi non puoi leggere nel pensiero?” Voleva esserne sicura.

Posizionò la prima catena davanti alla gomma posteriore sinistra e rivelò: “No, non posso e non voglio farlo.”

Waverly le si affiancò. “Dammi, penso a quelle davanti.” Prese due gemelle di acciaio e si voltò.

“Sei gentile, Waverly Earp.”


 

“Sali in macchina, lascerò che sia tua a posizionarla sulle catene.” Sorrise divertita: “Non tutti i giorni si ha l'occasione di mettere le mani su una Ferrari.”

Ricambiò il sorriso e disse: “Sei proprio scema, Nicole...” E salì dal lato guida.

Si accorse che Nicole aveva lasciato le chiavi nel quadro. Forse non è estrema fiducia nell'umanità. Voglio dire, chi ruberebbe una 5oo -aveva finalmente riconosciuto il modello: l'aveva sentita chiamare così in un film Italiano degli anni novanta-, in un parcheggio deserto, poi? Una Ferrari... Sorrise di nuovo.

 

Nicole le permise di aiutarla ad assicurare le catene alle ruote, nonostante si fosse dimostrata contraria perché “acciaio e gelo sono una combinazione terribilmente dolorosa per la pelle nuda”.

“Una ragione in più per dividerci il compito”, le aveva risposto Waverly.


 

“Mi puoi prestare il cellulare, ti dispiace?”, chiese, quando salirono in macchina. “Penso che il mio sia caduto...”

Non le rispose. Torse il busto per afferrare la cintura dal suo lato.

Ci risiamo...

“Nicole!” Aveva praticamente gridato.

“Vuoi fermarmi il cuore, per caso?” Sbuffò fuori l'aria dalle narici e si toccò il petto, sfoggiando un sorriso divertito, ora che lo spavento le era passato.

“Nicole, perdona la domanda... Hai problemi di udito?”

“No, non credo.” Sembrò pensare a qualcosa, poi suggerì: “Ehi, toccami quando vuoi dirmi qualcosa, va bene? Mi distraggo facilmente.”

No, ti distrai in macchina e nel mio cortile. Sento puzza di bruciato. Secondo me non mi senti perché ascolti qualcos'altro, qualcun altro... Che brivido! Perché devo pensare a queste cose? Ora come farò a togliermi il pensiero di non essere sola con lei, in questa macchina...?

“Va bene, farò così”, rispose semplicemente. “Ti chiedevo se potevi prestarmi il cellulare.”

“Certo.” Indicò il vano portaoggetti: “Dev'essere lì. Dovrebbe avere ancora un po' di batteria.”

“Grazie.”

Non lo aveva notato prima, ma effettivamente lo trovò sotto i due scontrini sbiaditi. Era un vecchio modello, di quelli che avevano appena iniziato a comprendere anche la possibilità di connettersi ad Internet. Si chiese se fosse il cellulare da cui Nicole le aveva risposto alla prima e-mail. Le fece una strana impressione; fu strano toccare qualcosa che le aveva permesso di comunicare con una persona che non aveva mai visto. Scacciò il pensiero e compose il numero di Wynonna.

Non rispose nessuno.

Forse sta scrivendo, ragionò. Non è un grosso problema, tra poco arriverò a casa.

Appoggiò di nuovo il cellulare nel vano. Solo allora si accorse che Nicole la stava fissando.

“Sì...?”

La fissò ancora per qualche secondo, in completo silenzio; poi: “Perché ti sei fidata di me?”

“In che senso?”

“Perché sei salita in macchina? Prima, intendo. Spero tu non abbia l'abitudine di farlo con tutti...”

“Non ho quest'abitudine, no”, replicò, un po' infastidita. “Ho deciso che non mi avresti fatto del male, e poi... e poi nulla! Ho solo preso una decisione. Anche tu ti sei fidata di me, comunque. Potevo benissimo essere chiunque e avere cattive intenzioni nei tuoi confronti. Sarò anche alta la metà di te, ma sicuramente ho il doppio dei tuoi muscoli e cinque anni di arti marziali alle spalle.” In realtà aveva frequentato per un po' meno, ma decise di ingigantire la cosa per una questione rafforzativa sul suo discorso. “Non mi sottovalutare solo perché sono piccola.”

“Non volevo offenderti, mi dispiace. Non ho mai pensato di sottovalutarti o di non prenderti sul serio; però io, al contrario tuo, sapevo e so cos'hai nel cuore. Non mi faresti mai del male, non fisicamente. Non a me e a nessun'altra creatura vivente.”

“Come ci riesci? Come riesci a leggere le persone con un semplice tocco?”

Le sorrise e avviò il motore. “Ne parliamo a casa, va bene?”

“Va bene.” Si mise anche lei la cintura di sicurezza. “Senti... scusa la domanda, ma... siamo da sole, in questo momento?” Nel chiederlo si voltò brevemente verso i sedili posteriori. Non vide nessuno. Nulla, per la precisione, data l'oscurità che il lampione non riusciva a dissipare.

Nicole non le rispose.

Ho la sensazione che questa volta mi abbia ignorata di proposito. Fu per quella percezione, che decise di rimanere in silenzio.


 Vorrei avere il cellulare per controllare se la storia è stata aggiornata. Judy è bloccata in una macchina dallo sfasciacarrozze; intorno a lei, tutti quei demoni... Forse arriverà Joe, la salverà e le dirà: ''Visto? Ti ho promesso che ti avrei protetta...''

“Sì, ho visto”, mormorò Nicole.

L'ho detto ad alta voce?

“Scusa?”

Nicole rallentò fino a fermare la macchina. “Spero non l'abbiano investito di proposito.” Il suo dito indicò qualcosa di scuro, forse nero ad un metro circa dalla macchina. “Il mondo è pieno di coglioni.” Era la prima volta che dal suo tono trapelava del disprezzo, forse dell'ira.

Waverly guardò meglio. Sembrava un gatto, era steso al lato della strada e illuminato dagli abbaglianti.

Nicole si tolse la cintura, mise in folle e scese dalla macchina.

“Vieni con me.”

Waverly si affrettò a scendere. Raggiunse Nicole, che si era inginocchiata accanto al piccolo corpo, ma non sembrava intenzionata a toccarlo.

“L'anima non ha ancora lasciato il corpo.” Si voltò verso Waverly: “Forse possiamo salvarlo. Mettitelo contro il petto, dentro la giacca. Lo scalderai. Forse è solo in ipotermia: non vedo sangue.”

Questa donna è uscita nel bel mezzo di una bufera per un gatto. Non conosco molte persone disposte a fare lo stesso; non per cattiveria, semplicemente lo darebbero già per morto. Non prenderebbero tutto questo freddo per un gatto, un gatto sicuramente già spacciato.

“Certo!” Raccolse il corpicino un po' rigido e, nel farlo, udì un flebile lamento. “E' vivo!”, esclamò.


 Tornate in macchina, Nicole accese il riscaldamento al massimo, mentre Waverly strinse al petto la creatura sfortunata. Non così sfortunata, pensò, perché esistono persone come Nicole. E' una brava persona, non è così, micino?

“Guiderò leggermente più veloce, ma non temere, starò attenta.”

“Non preoccuparti. Si sta scaldando un pochino, forse non è troppo tardi.”

La rossa inserì la prima. “Non è mai troppo tardi... non finché non lo è davvero.”


 

Furono due dettagli a dire a Waverly che qualcosa non andava: niente fumo dal camino e Wynonna seduta sui gradini del portico. Ma non fu il fatto che lei fosse seduta lì, al gelo, fu l'assenza dell'anello col drago. Non se lo toglieva mai, non l'aveva mai vista senza. Non dopo la morte di Gregory.

Corse da lei, cercando di non sballottare troppo il gatto che faceva capolino dalla scollatura della giacca.

“Cos'è successo? Che fai qui fuori?”

Indossava solo una felpa e un paio di pantaloni da pigiama, i piedi erano avvolti da semplici calzini di lana. Si era vestita molto in fretta, pareva.

“Ti verrà una bronchite!”, aggiunse.

Wynonna si morse il labbro, provò ad articolare qualche parola, ma senza successo. Allargò le braccia e si mise a piangere. Doveva aver pianto molto, a giudicare dagli occhi rossi e gonfi.

“Porta il gatto in casa. Ci penso io a lei.”

Chiaramente controvoglia, Nicole afferrò Wynonna da sotto le ascelle, esattamente come aveva fatto Katie con lei un paio d'ore prima, e la tirò su di peso. Il suo respiro divenne irregolare come quello di Wynonna e anche i suoi occhi si velarono di lacrime.

“Dai... aiutati, Wynonna. Sei troppo pensante per me...”

La donna sembrò reagire. Indurì i muscoli delle gambe e sostenne il suo stesso peso. “Scusami”, mormorò.

“Non preoccuparti...” La voce di Nicole era rotta al pari della sua. “Andiamo dentro. Abbiamo tutti preso sufficiente freddo per oggi.”


 Nicole era intenta ad accendere il caminetto con i pochi pezzi rimasti; Wynonna, Waverly e il gatto -sulle ginocchia della giovane- erano sul divano. La creatura si stava riprendendo e sembrava immersa in un sonno ristoratore e tranquillo, come testimoniava il respiro regolare.

“Wynonna, ci puoi dire cosa è successo?” Tolse la mano dal fianco del gatto per appoggiarla su quella di sua sorella. “Va tutto bene ora, ci siamo noi.”

Con gli occhi persi nel vuoto, la donna rispose: “Non lo so, Waverly... non so quello che credo di aver visto. Stavo uscendo dalla doccia, perché avevo sentito degli strani versi quando... non lo so, mi è arrivato contro il bicchiere che uso per tenere lo spazzolino... penso che... non lo so, è come un sogno che non riesco più a vedere chiaramente... penso di aver visto una figura... non lo so, cazzo.” Si voltò finalmente a guardarla: “Non so quello che ho visto, so solo che sono morta di paura.”

“Ora la casa è tranquilla”, assicurò Nicole, pulendosi i residui di corteccia e polvere dalle mani. “Per questa notte potrete stare in pace.”

“Ne sei proprio sicura?”, volle sapere Waverly. “Come fai ad esserne sicura?”

“Ci sono io. Sono nuova e non si manifesteranno prima di aver capito cosa pensare o fare come me.”

“Quindi in questa casa ci sono davvero... dei fantasmi...” Le parole di Wynonna erano uscite più come un lamento, che come un'affermazione o una domanda.

“Sono ovunque. Quello che ancora non so, è cosa li abbia spinti ad interagire con voi.” Sorrise alle sorelle e concluse: “Ma lo scoprirò. Scoprirò perché hanno smesso di ignorarvi, magari perché vi considerano una minaccia.”

“Nicole... una minaccia?”

“Sì, Waverly.”

“E cosa potremmo mai... voglio dire, sono incorporei, no? Cosa potremmo mai fare loro...? Non capisco...”

“Col cazzo incorporei!”, sbottò Wynonna, finalmente di nuovo in sé. “Il bicchiere non è caduto: mi è arrivato addosso! E non me lo sono certo lanciata da sola!”

“Wynonna, sarebbe il caso di non manifestare ostilità, rabbia o qualsiasi altro sentimento negativo. Non posso impedirti di provare paura, ma ti prego di controllare la tua rabbia.” Nicole si mise seduta a gambe incrociate davanti al caminetto, dando loro praticamente le spalle. “In questa casa abitano almeno venti spiriti.” Si voltò a guardarle e spiegò: “Qualcuno di loro non sa neppure che esistete, qualcun altro non gradisce più la vostra presenza. Nei giorni che trascorrerò con voi, cercherò di capire cosa ha interrotto la tregua. Per questa sera cerchiamo di stare semplicemente tranquille: non dobbiamo nutrire in alcun modo la forza che ha permesso ad almeno uno di loro di manifestarsi.” Si voltò di nuovo ad osservare le fiamme. “Negatività chiama negatività.”

“Ti sono grata per l'aiuto che mi hai dato là fuori, rossa, ma... ma non sono ancora sicura di volerti sono il mio stesso tetto. Non so nulla di te.”

“Garantisco io per Nicole, Wynonna.” Attese che sua sorella si voltasse verso di lei e aggiunse: “Ha aiutato anche Katie. Possiamo fidarci di lei. Non ci farà del male. E' davvero la medium che abbiamo contattato... le persone le aiuta, non le ferisce.”

“Vado a fare una doccia, posso?” Nicole sembrò voler sfuggire al discorso che la riguardava, oppure voleva semplicemente lasciare un po' di tempo alle sorelle. “Ho ancora molto freddo e penso che solo una doccia bollente potrebbe aiutarmi.”

Wynonna sospirò e concesse: “Sali le scale. Terza porta a sinistra.” La guardò negli occhi: “E' lì che è successo.”

“Sarà una buona occasione per scoprire qualcosa di utile”, replicò. “Grazie.”

“Prendi pure il mio accappatoio, è quello verde acqua.”

“Grazie, Waverly.” Nicole si diresse verso le scale e scomparve al piano di sopra.


 Wynonna attese di sentire la porta al piano superiore chiudersi.

“Hai detto che ha aiutato anche Katie?”

“Sì”, rispose Waverly. “Ma non conosco i dettagli.”

Le raccontò quello che era successo a Nicole e molto del suo pomeriggio con la nuova arrivata. Evitò però di dirle che parlava da sola -o con un fantasma- e altri dettagli del genere.

“Va bene... proverò a fidarmi di lei. Ma al primo sospetto che abbia cattive intenzioni, la caccio a calci in culo.”

“Mi sembra giusto”, sorrise, divertita dai consueti modi burberi di Wynonna.

La donna si concentrò sul gatto nero: “Chi è il nostro nuovo amico?” Gli fece una delicata carezza sulla testolina e gli sorrise. “Anche tu hai avuto un pomeriggio da dimenticare, non è così?”

Waverly le raccontò di come Nicole lo aveva soccorso.

“Forse dovremmo dargli un nome.”

Waverly sorrise felice. “Possiamo tenerlo, allora?”

“Non sarà un po' di cibo per gatti a mandarci sotto un ponte...” Lo accarezzò ancora. “Non hai un collarino, quindi non saprei neppure chi chiamare per farti venire a prendere... Galileo, hai la faccia da Galileo”, decretò.

“Che bello!”, esclamò Waverly. “Galileo, ti piace il tuo nuovo nome?”

Il micio continuò a dormire.

“Gli piace”, decise Wynonna. “Benvenuto in famiglia, Galileo.”

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Capitolo 6
*** 6 ***


 

6


 


 

“Tutto tranquillo”, constatò Nicole. “Esattamente come avevo previsto.”

Si guardò attorno. Il bagno non era grande; il nero delle piastrelle, che arrivavano fin quasi al soffitto, tuttavia, conferiva al luogo un che di infinito. Il lavandino e la tazza erano di un sobrio bianco, forse troppo violento in quell'oscurità.

“Scelta interessante”, commentò.

Si avvicinò al bicchiere di plastica verde che giaceva dimenticato accanto alla doccia -una semplice vetrata di plastica-, al dentifricio e lo spazzolino lì vicino.

Raccolse il bicchiere e chiuse gli occhi. Lo lasciò ricadere quasi immediatamente con una smorfia.

“Non va bene.”

Srotolò un po' di carta igienica, per evitare il contatto col portaspazzolino, e lo mise nel lavandino. Raccolse poi anche i suoi componenti con la stessa modalità.

Si spogliò ed entrò nella doccia.

“Almeno avrò un po' di privacy, per una volta”, si rallegrò.


 Nicole scese meno di venti minuti dopo.

Trovò Wynonna, Waverly e il gatto esattamente dove li aveva lasciati. Gli ultimi due dormivano, Wynonna, invece, aveva il computer sulle ginocchia e stava delicatamente ma velocemente battendo sulla tastiera. Non si accorse subito di Nicole.

La rossa si avvicinò al caminetto e mise un altro pezzo.

“Dove tenete la legna?”

“Fa troppo freddo. Ci penserò domani mattina.”

“Non fa nulla. Basta che mi dici dove andare”, replicò Nicole.

Wynonna sospirò e spostò il computer sul lato del divano, che aveva liberato alzandosi.

“Mi vesto. Non ti lascerò fare il mio lavoro.” Guardò sua sorella, il gatto e il caminetto. “In effetti sarà una lunga notte... non possiamo rimanere senza fuoco.” Alzò gli occhi su Nicole e concluse: “Per me, almeno, sarà una lunga notte: non penso riuscirò ad addormentarmi tanto facilmente.”

“Voglio aiutare”, le sorrise. “Sarà anche una buona occasione per conoscerci meglio. Domani mi concentrerò su Waverly – questo pomeriggio abbiamo parlato di zodiaco e poco altro.”

Wynonna aveva dipinta in volto un'espressione alquanto scettica. “E' così importante?”

“Fondamentale.”

“Non so ancora se posso fidarmi di te, rossa. Non so ancora definire la sensazione di avere un'estranea in casa. Sei gentile e tutto, ma di chi tu sia davvero...”

“Puoi considerarmi alla stregua del gatto: qualcuno con un piccolo compito, qualcuno di passaggio.” Allargò le braccia e aggiunse: “So bene che a parole siamo tutti dei buoni samaritani, ma ti dimostrerò che non c'è nulla di ostile in me. E' solo uno scambio di gentilezze: tu mi accogli e io ti restituisco una casa in cui vivere.”

“Galileo.”

“Scusa?”

“Il gatto si chiama Galileo.”

“Oh, capito”, annuì. “Per me sarà il gatto, spero non ti dispiaccia.”

“Sei strana.”

“La cosa ti turba?”

“No, non mi turba. Si può dire che mi incuriosisca e mi faccia rimanere sulla difensiva.”

Si studiarono a vicenda con attenzione. Entrambe conoscevano il proprio ruolo, il proprio spazio nella stanza, nel campo visivo dell'altra. Erano due donne adulte che non si erano mai viste prima e che ora si trovavano nel medesimo luogo, ad esistere per la prima volta come due entità non separate. Due forze che dovevano capire come non annullarsi a vicenda.


“Sembra pesante...” commentò Nicole, indicando l'ascia che Wynonna stava sollevando e che fece ricadere su un ciocco per spaccarlo.

“Una questione di leve”, replicò la mora, recuperando una metà per separala ancora una volta.

“Datemi una leva e vi solleverò il mondo... qualcosa del genere?”

La lama penetrò e divise ancora una volta le fibre del legno.

“Qualcosa del genere.” Si voltò a guardarla: “Vuoi provare?”

“Spero di non piantarmela in una coscia.” Si avvicinò. “Ti ho osservata, ma sarebbe carino se mi spiegassi come non finire al pronto soccorso.”

Wynonna le porse la scure: “Piega leggermente le ginocchia e tieni la schiena dritta.”

Papà sarebbe orgoglioso.

Nicole assunse la posizione.

Posizionò il ceppo. “Qual è la tua mano dominate?”

“La destra.”

“Allora mettila in cima: sarà lei a guidare. L'altra in fondo, la sposterai in basso, verso quella sinistra, quando sarai pronta a colpire. Contrai gli addominali, così non perderai l'equilibrio.”

“Pesa un sacco”, le sorrise, lodandola per la disinvoltura con cui l'aveva maneggiata. “Come faccio a mirare se non vedo l'ascia?”

“Guarda il legno. I tuoi occhi, in questo momento, hanno già deciso dove colpire.”

Nicole aggiusto la presa e colpì. La lama, che fungeva da cuneo, rimase bloccata a metà del legno.

“Sono patetica, vero?”

“E' la prima volta che lo fai?”

“Sì, assolutamente.”

“Allora hai un talento: hai colpito la metà precisa.”

“Sì, ma non l'ho spaccato.”

“Probabilmente c'è un nodo.”

“Un nodo?”

“Sì, il punto dove è nato un ramo, o percorre. Interrompe la vena del legno ed è duro.” Indicò il soffitto del fienile -riconvertito a legnaia e deposito attrezzi-: “Solleva e colpisci di nuovo. Sarà più pesante, quindi porta la mano destra verso la testa dell'ascia: sarà più facile.”

Il pezzo si spaccò.

“Bel lavoro!” Wynonna raccolse una delle due metà. “Ecco il nodo”, rivelò, poggiando il dito su una macchia circolare di colore scuro.

Nicole le riconsegnò l'ascia: “Domani ci riproverò. Per stasera lascerò che sia tu ad occupartene, altrimenti farò venire una bronchite ad entrambe, con la mia lentezza.”

“Sei stata brava. Un ultimo trucco”, posizionò un altro pezzo da spaccare, “osserva sempre le venature: così saprai come posizionare il pezzo e dove colpire.”

“Chi ti ha insegnato?”

L'ascia penetrò e spaccò.

“Mio padre.”

“Immagino non sia più qui.”

“E' morto quando avevo quindici anni.” Si voltò a guardarla: “Parleremo dei morti con la luce del sole, ti dispiace?”

“No, non c'è problema. E' stata una giornata intensa, possiamo andare piano per questa notte.”

Wynonna annuì e riprese a spaccare. Era effettivamente molto veloce ed efficace; lo faceva sembrare davvero semplice. Forse lo era, con la giusta tecnica.

“Stiamo facendo progressi, noi due. Non trovi?”

L'ascia e le braccia di Wynonna non si fermarono.

“Cosa vuoi dire?”

Nicole attese lo schianto, poi spiegò: “Be', mi hai dato un'arma e hai lasciato che la sollevassi vicino alla tua testa. Mi sembra qualcosa di simile alla fiducia.”

“Non mi sembri violenta. Inoltre, il male non prevede per forza il sangue... Cazzo, questa me la devo segnare! Magari posso aggiustarla.” Abbassò la scure e guardò Nicole: “Potresti ricordartela per me, questa frase?”

“Ho una buona memoria”, le sorrise.


“Quando hai iniziato a scrivere?” volle scoprire Nicole, aiutando a raccogliere i pezzi che Wynonna aveva spaccato. “Hai sempre saputo di voler fare la scrittrice?”

“Volevo fare la commessa in un centro commerciale. Era la mia fissazione, quando ero bambina.”

“La commessa?”

“Sì”, rise. “Ero convinta che si tenessero i soldi, che fossero loro.”

“Pensavo la stessa cosa dei benzinai.” Raccolse un altro pezzo dal pavimento di cemento. “Li vedevo con tutte quelle banconote e pensavo: Wow, questi devono abitare in una villa!

“L'immaginazione dei bambini”, sorrise Wynonna, “dovremmo provare a non perderla mai.”


 “Latte, zucchero?”

“Lo prendo nero, grazie Wynonna.”

Aprì uno sportello sotto il lavandino. “Grappa?” Agitò una bottiglia trasparente.

“Nel caffè? Mi dispiace, la trovo una cosa disgustosa... senza offesa.”

Wynonna sospirò e prese posto al lato opposto del tavolo della cucina. “Non sai stare al mondo, rossa, lascia che te lo dica.”

Nicole sbuffò fuori l'aria dalle narici, divertita, e soffio via il vapore dal liquido nero. “Posso farti delle domande? Roba leggera, come promesso.”

“Puoi continuare con le tue domande.” Versò il liquido trasparente in quello scuro. “Basta che non si parli di nulla riguardante la morte.”

“Promesso.” Prese un piccolo sorso e: “Come ti dicevo, ho letto -credo- tutti i tuoi libri. Ognuno di essi affronta tematiche attuali e delicate, qualcosa che tocca corde profonde; eppure, ad una lettura non così attenta, potrebbero facilmente sfuggire. O meglio, c'è un argomento sociale predominante, e poi un sotto tema, di uguale e forse maggior importanza.”

“Qual è la domanda? Comunque, sono felice che tu ti sia accorta delle sfumature... davvero.”

“Parliamo de La Resilienza del Ghiaccio. E' un libro che parla della transessualità, no? Un percorso difficile sul piano fisico, ma soprattutto psicologico e sociale.

Si parla delle paure di Molly mentre diventa Morgan. E' un libro rivolto principalmente ai giovani, di conseguenza la scelta stilistica nella sua interezza ha determinate regole e, chiamiamole così anche se non è il termine migliore, limitazioni. Il primo stadio, quello predominante è, come dicevo, quello della transessualità. Il secondo, quello che richiede un pochino più di attenzione è capire che parla di tutti noi, ognuno di noi. Anche di te, donna bianca etero americana istruita e tutto... Tutti noi possiamo avere problemi ad accettarci ed essere accettati, persino ad accettare il nostro prossimo, sia anche un privilegiato uomo etero bianco istruito e tutto.

Apparenza e interiorità.

Ognuno di noi, a prescindere dal sesso, dall'etnia e dalla classe sociale, ha dovuto e deve lottare per trovare il suo posto nel mondo, nessuno escluso.”

Prese un sorso di caffè.

La guardò negli occhi e riprese: “Ma c'è ancora un sotto tema, forse il più importante di tutti, quello che può facilmente sfuggire: giusto e sbagliato. Giusto e sbagliato: cos'è uno e cos'è l'altro; esistono? E' giusto porsi la domanda? Questo è il vero cuore del tuo romanzo, a mio avviso.

E' giusto che una ragazza intervenga e modifichi il corpo che un presunto dio le ha dato? E' giusto impedirglielo? Si tratta di perbenismo o di libertà?” Sospirò. “Sono domande scomode che spesso suscitano polemiche; sono parole che vengono prese e viene dato loro il significato che fa più comodo al momento, per questo abbiamo così paura di dirle ad alta voce, peggio ancora: di scriverle. Ma è qualcosa che dobbiamo smettere di fingere che non esista: farsi delle domande non è sbagliato, non lo è neppure trovare una risposta. La nostra risposta... la nostra verità.

Modificare il proprio corpo non è la definizione esatta, fra le altre cose. Orecchini, piercing, tatuaggi... persino le cicatrici che ci procuriamo nel corso della vita. Il problema è che si parla di sesso; è sempre quello che ci fa ritrarre, che ci sconvolge, che evitiamo e che però cerchiamo in segreto, quasi fosse qualcosa di sporco, di orrido... qualcosa di innaturale. Assurdo.

Molly non vuole farsi un tatuaggio, Molly è una ragazza che si sente e vuole essere un uomo. E qui il punto, il giusto e il sbagliato che citavo prima: è giusto che lo faccia? E' sbagliato? C'è una risposta corretta? Non importa, a noi importa solo che la modifica riguardi il sesso, non metallo, non inchiostro... solo il buon vecchio sesso.

La mia domanda è: dato che ci hai dato diversi personaggi e conseguenti punti di vista, il tuo scopo era porre la domanda sperando che fosse il più silenziosa possibile? Avevi paura quando la componevi, diluendola per tutto il testo? O avevi più paura che nessuno la notasse, dato che l'hai messa consapevolmente? Tu volevi parlarne, forse cercavi la tua risposta anche se è una dinamica che non credo ti riguardi da vicino. E' però qualcosa che si può espandere a qualunque ambito, sempre di giusto e sbagliato si parla; per esempio: è giusto o sbagliato uccidere? Perché, se hai dato una risposta. E' giusto o sbagliato credere in Dio. Perché?”

La tazza di Wynonna era ferma a metà strada fra il tavolo e la sua bocca da ormai diversi minuti, praticamente dall'inizio della disamina di Nicole. Infine ci fu un movimento: la tazza che incontrava il tavolo.

“Risponderò alla tua domanda dopo che avrai risposto alla mia. Va bene?”

“Mi sta bene.”

“E' giusto o sbagliato, che una ragazza diventi un ragazzo?”

Nicole prese un sorso di caffè.

“La risposta più spontanea, è che non è affar mio. La seconda, è che sono per la libertà; sono un Aquario: libertà a tutti i costi, giusto? Decisamente. Inoltre sono una donna nata donna, mi sento donna: non posso capire, non capirò mai fino in fondo cosa vuol dire essere in un corpo che non mi appartiene. Potrei dire, per giocare, che mi sentirei più a mio agio in un corpo più corto... ma è appunto uno scherzo: non è la stessa cosa, questo lo so. Per concludere e tornare sulla libertà, non sono né perbenista né ipocrita: ciò che non mi sta bene lo dico a prescindere dal parere più popolare; però a me cosa cambia, se qualcuno sente il bisogno di cambiare sesso? Perdo o guadagno qualcosa? No. Ognuno è libero di fare quello che vuole, col suo corpo.” Alzò un dito e specificò: “Pongo un solo limite.”

“Quale?”

“Non fare del male a nessuno. Puoi farti mettere un pene, puoi farti mettere o togliere il seno, non m'interessa. Se ti installi una bomba nel corpo e ti fai esplodere coinvolgendo solo un'altra persona, solo una, allora sì, mi interessa. Ora risponderai?”

“Certo.” Wynonna versò dell'altra grappa nel caffè -ormai era grappa aromatizzata al caffè-. “La mia non era una domanda, quella del giusto e sbagliato, intendo, era un'affermazione. Gli esseri umani si fanno questo tipo di domande, si danno delle risposte e in base a quelle agiscono. E certo, certo che avevo paura mentre lo scrivevo. Avevo paura che venisse notato o ignorato, in egual misura. Avevo paura di essere fraintesa. Avevo paura che le mie parole fossero tergiversate, usate per accusarmi di transphobia o chissà che altro.” Sorrise. “Le persone trans, comunque, non mi creano alcun problema: la mia idea è uguale alla tua, rossa. Ho scritto quel libro anche per capirlo, per capire che non è mio diritto mettermi in mezzo ai diritti degli altri, soprattutto quando quei diritti non interferiscono negativamente con i miei.”

“Hai spesso paura, Wynonna? Quando scrivi, intendo.”

“Sempre.” Finì la tazza e la riempì nuovamente di grappa e caffè. “Ho sempre paura di dire la cosa sbagliata, di scrivere la scena sbagliata, di fare la scelta sbagliata. Non ho paura di far incazzare le persone – è capitato, ma non sono abbastanza famosa per trasformare la cosa in un grande problema-, ma la curiosità è più importante. La mia curiosità e quella dei miei lettori. Voglio fare domande, trovare risposte, vedere le loro reazioni, leggere le loro riflessioni. Anche la rabbia è qualcosa di affascinante: far incazzare qualcuno per una scelta, intendo, soprattutto quando quella persona ti spiega perché si è incazzata. La mia paura sta nel deludere, a volte, e spesso di non venir capita... peggio: fraintesa.”

“E con tutte queste paure, scrivere è un piacere?”

“La paura è solo una parte di ciò che accelera i battiti del mio cuore. C'è l'ansia nel vedere le reazioni dell'editore prima, del pubblico poi. Ma ancora prima, prima ancora della fine: la costruzione, la sensazione di star creando una nuova vita, esperienze che posso regalare al prossimo. Che si scriva o che si legga, ogni storia, ogni libro contiene una vita. Alla fine avremo vissuto almeno una vita in più.” La guardò negli occhi e le sorrise. “Grazie, Nicole. Grazie per aver letto con tanta attenzione e sensibilità un mio lavoro.”

“Mi stai simpatica, Wynonna. Peccato che la tua anima sia così agitata; ora, però, capisco perché.”

“Non so cosa tu voglia dire. Sono francamente troppo stanca per pensarci.” Prese un sorso generoso, probabilmente per farsi coraggio e chiedere qualcosa che la imbarazzava. “E' troppo patetico se due donne di trent'anni guardano... i cartoni animati?”

“Ci siamo solo noi due a giudicare. Penso inoltre che a nessuna di noi due importi cosa gli altri potrebbero ritenere patetico, persino stupido o infantile.”

“Vado a prendere il PC!”

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Capitolo 7
*** Pietre ***


Pietre
 


 

“Buongiorno Galileo.” Waverly si stiracchiò e fece una carezza al gatto, che si era spostato dalle sue gambe al cuscino del divano. Sul tappeto, accanto al caminetto, aveva lasciato un ricordino.

“Be', non hai ancora una lettiera...” lo perdonò.

Dopo aver pulito, Waverly si diresse in cucina. Fu allora che vide una scena abbastanza strana: Wynonna e Nicole addormentate sul tavolo, davanti al PC. Condividevano ancora una cuffietta a testa.

Wynonna ha trascinato anche Nicole nel mondo dei cartoni... non avevo dubbi.

“Buongiorno...” disse con tono moderato. Fu sufficiente a svegliarle.

La prima a reagire fu Nicole: alzò la testa, sbatte un paio di volte le palpebre e sorrise alla giovane.

“Buongiorno Waverly.”

Sì, ma non puoi sorridermi a quel modo! Non puoi essere così carina anche appena sveglia... Io sembro uno zombie? Sicuramente sembro uno zombie... che disagio!

“Che ore sono?”, borbottò Wynonna, sbadigliando sonoramente.

“Quasi le nove. E' comodo il tavolo?”, ridacchiò.

“Lei dormiva pacifica”, fece Nicole, “l'ho guardata per un po', poi ho deciso che andava bene anche per me: non osavo mettermi accanto a te sul divano, e tanto meno girare per casa alla ricerca di un letto.”

Anche lei si fa questi problemi? La cosa mi fa sentire incredibilmente a mio agio! Sì, il suo essere un essere umano mi fa sentire bene!

“Sarà una bellissima giornata! Preparo del caffè!”, trillò.

“Come diavolo fai ad essere così energica?” Wynonna poggiò di nuovo la guancia sul tavolo e mugugnò: “La schiena mi sta uccidendo...”

“Be'”, commentò Nicole, “almeno la tua non è lunga un chilometro!”

“Ho dormito benissimo!”, cinguettò Waverly. “Erano settimane che non dormivo così bene!”


Appoggiò tre tazze di caffè nero sul tavolo; solo accanto a quella di Wynonna mise la zuccheriera. La donna, inoltre, recuperò anche la bottiglia di grappa che era rimasta sul tavolo dalla notte prima.

“Abbiamo una stanza per gli ospiti. Waverly ti aiuterà a dare una spolverata e a cambiare il letto.”

Waverly e Nicole guardarono la donna dai capelli neri e le sorrisero.

“Posso restare, dunque?”

“Sì, rossa, puoi.” Prese un sorso e spiegò: “Dopo la notte appena trascorsa, ho deciso che mi piaci abbastanza da farti rimanere.”

“Cosa avete fatto per tutta la notte?” Era curiosa di scoprire cosa fosse cambiato fra Wynonna e Nicole.

“Wynonna mi ha insegnato a spaccare la legna. Poi abbiamo guardato... quanti?”

“Quindici episodi di Paperino!”, rise Wynonna. “Mi sono addormenta a metà dall'ultimo, credo.”

Waverly ebbe l'impressione che le due donne stessero omettendo qualcosa, soprattutto perché ad un certo punto si era svegliata e le aveva sentite parlare. Non sembrava stessero parlando di un cartone animato, tutto qui. Decise che, comunque, la cosa importante era il risultato: Nicole sarebbe rimasta.

“Dopo vorrei andare in città a fare qualche compera per Galileo”, annunciò. “Vorresti venire con me, Nicole? Non staremo via molto. Lasceremo che Wynonna lavori tranquilla e torneremo prima del buio, molto prima.”

Nicole era sul punto di obbiettare, fu chiaro. C'era qualcosa che la stava turbando, qualcosa che voleva dire ma che non riusciva, forse che non voleva tirare fuori.

“Mi farebbe piacere”, disse infine.

“Tutto bene, rossa? Sembra che tu abbia appena avuto un crampo o qualcosa...”

Oh, anche Wynonna l'ha notato, pensò Waverly. Dunque non è stata solo una mia impressione.

“Una schiena lunga come la mia tenuta in una posizione innaturale per ore... vi lascio immaginare”, sorrise.

Fa schifo a mentire, constatò Waverly, che comunque sapeva che quella era una verità, ma non la verità.

“Prima di andare, però, ho qualcosa per voi.”

Nicole non attese risposta, si alzò e lasciò la cucina. Poco dopo si chiuse la porta d'ingresso alle spalle.

“Le giacche le fanno brutto”, commentò Wynonna, che aveva calcolato che Nicole non poteva aver preso il soprabito, considerato il tempo.

“Mi ha detto che se sente freddo sa di essere viva.” In realtà Waverly avrebbe voluto tenere per sé quell'informazione. L'aveva detto senza riflettere.

“Non ha alcun senso: se fosse morta... be', tu ed io non la vedremmo. Suppongo.”

“Lo so, Wynonna... è quello che le ho detto. Lei mi ha risposto, parole sue, che la solitudine rende stupide le persone, anzi, le rincoglionisce.”

“Non sappiamo nulla di lei, neppure da dove viene o se abbia o meno una famiglia. Fa domande personali, ma non l'ho ancora sentita dire qualcosa di personale riguardo se stessa. Dio, non so neppure il suo cognome. Non ha neppure un accento! Potrebbe venire da Marte, per quanto ne so... forse i marziani parlano inglese.”

“Dopo avrò occasione di rimanere di nuovo sola con lei. Scoprirò qualcosa... Non sono invadente, solo solo curiosa. In fondo starà qui con noi per un po'.”

“Curioso: è quello che ha intenzione di fare lei con te. Me lo ha detto ieri sera”, spiegò. “Probabilmente anche con me non ha ancora...”

Waverly smise di ascoltare.

Nicole vuole scoprire cose su di me? A che scopo? La cosa si fa interessante! Ha detto chiaramente a Wynonna che... wow!

Il ritorno di Nicole interruppe le riflessioni di Waverly.

“Sono andata a recuperare il mio bagaglio. Indossate questi.”

Mise sul tavolo un anello e un ciondolo. Erano due oggetti distinti, ma entrambi avevano una cosa in comune: una pietra nera.

Wynonna raccolse l'anello d'acciaio e lo studiò con attenzione.

“Che roba è?”

“Ho scelto quella pietra proprio per te, Wynonna. Si tratta di biotite: aiuta l’individuo a valorizzare se stesso, proteggendolo dalle energie esterne. Chi vuole stimolare la creatività, troverà in questa pietra una valida alleata. Secondo le voci tramandate, la biotite veniva utilizzata nei tempi antichi per aiutare le partorienti nella fase finale del parto. Per questo motivo, oggi è conosciuta anche come pietra delle partorienti.” Indicò il ciondolo: “Per te, Waverly, ho scelto la tormalina nera: protegge delle energie negative e dallo stress. Accende l'ottimismo. Sono entrambe nere, come potete notare, questo perché a prescindere dal resto, le pietre nere assorbono le energie negative. Indossateli più a lungo possibile, evitate di separarvene.”

“Grazie, Nicole.”

Waverly raccolse ed indossò il ciondolo: una semplice catenina di acciaio sottile che passava attraverso un piccolo foro nella pietra. Era grande come una moneta, o poco meno.

“E tu? Non hai una pietra?”

“Ne ho una sempre con me.” Tirò fuori le chiavi della macchina. Appesa al cerchio di metallo da cui pendeva una sola chiave -quella della macchina, appunto- c'era una pietra nera grande come una lacrima. “E' un'ossidiana nera: secondo i nostri antenati, tra le proprietà dell’ossidiana troviamo quella di mostrare il passato ed il futuro.” Se la rimise in tasca. “Le pietre non fanno miracoli, ma ci aiuteranno in quest'avventura.”

Wynonna indossò la pietra sull'anulare sinistro -l'unico dito che andava bene per la misura dell'anello. “Grazie. Te lo restituisco quando parti, va bene?”

“Era quello il piano”, confermò Nicole.

Quando partirà... non se...

“Credo che la pietra di mia sorella sia rotta”, commentò Wynonna, “non ha la faccia di un'ottimista.”

“Sto bene!”, si affrettò a dire. “Sto bene. Stavo solo pensando... Nulla di che!”


Finita la colazione, Waverly e Nicole si prepararono ad uscire.

“Mi piace la tua giacca”, disse Waverly. Osservò ancora una volta come il tessuto nero le fasciasse il corpo e quanto fosse gradevole con il rosso scuro dei capelli. “Ti dà una bella silhouette...”

“Me ne dà una”, ridacchiò Nicole. “Altrimenti sono come un bastone: niente forme o curve. Non che io tenga particolarmente alla mia femminilità, ma comunque.”

Meno male... pensavo di essere stata indiscreta, magari di averla imbarazzata.

“Mi piace”, ribadì e si sentì un po' sciocca.


“Hanno pulito la strada”, osservò Nicole, indicando il vicino orizzonte su cui correva la strada di nero asfalto. “Andiamo con la mia macchina o preferisci guidare il vostro pick-up?”

“Ho visto che non hai molta benzina.” Cacca, questa non dovevo dirla. “Voglio dire, è per il nostro gatto, principalmente, che stiamo andando... dunque, non so...”

“Non c'è problema.” Nicole si avvicinò alla 5oo. “Approfitterò per fare un po' di benzina; come hai fatto notare, ne ho poca.”

Probabilmente lo nasconde bene, ma l'ho offesa. Bel lavoro... Cavolo!


 Non fu difficile rimanere in silenzio durante il tragitto verso la città. Non fu difficile, ma neppure così spontaneo o semplice per Waverly. Era dispiaciuta di aver parlato della benzina, soprattutto di averlo fatto poco dopo aver fatto a Nicole un complimento banale sul suo aspetto fisico.

Si concentrò sulla fan-fiction. Era stata aggiornata e, come aveva previsto, Judy era stata soccorsa da Joe. Non erano ancora salvi, tuttavia: i demoni erano ancora molti e li circondavano.

Arrivarono alle porte della città quando Waverly stava per concludere il capitolo. Era stato un buon capitolo: bilanciato fra azione, violenza e tenerezza... romanticismo.

“Immagino siamo dirette al centro commerciale, giusto?”, chiese Nicole, fermandosi al rosso di un semaforo. “Hanno anche il reparto dedicato agli animali domestici.”

“Sembra tu conosca piuttosto bene questa città. L'hai esplorata quando hai aiutato Katie?”

Nessuna risposta.

Apparve il verde e Nicole ripartì.

Decise di sfiorarle il braccio.

“Scusa, dicevi?”

Waverly ripeté la domanda, poi aggiunse: “Chi ascolti? Non è distrazione la tua, vero?” Le aveva già fatto una domanda simile il giorno precedente. Nicole le aveva detto che ne avrebbero parlato a casa, ma, dati gli eventi della sera prima, non lo avevano fatto.

“Mi piace esplorare.”

Waverly si rassegnò al fatto che in macchina Nicole fosse tutto fuorché loquace.

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Capitolo 8
*** 8 ***


 

8



 


 

Il riscaldamento, appena varcate le porte scorrevoli del centro commerciale, diede loro un senso di soffocamento. Era un odore quasi denso, gommoso e caldo, in cui galleggiavano diversi profumi, acidi o zuccherosi.

“E' così che la gente si ammala!”, sbottò Waverly, che ancora non si era abituata alla logica secondo la quale se fuori fa freddo, dentro deve essere un forno e viceversa.

“Hai ragione”, ne convenne Nicole. Si tolse la giacca e se la appoggiò al braccio. “Inoltre, tutte queste persone non aiutano la situazione... mi manca l'aria.” Diede una breve occhiata in giro prima di concentrarsi sulla punta delle sue scarpe.

Ansia sociale?

“Sono i giorni prima di Natale: tutti stanno pensando ai regali dell'ultimo momento. Puoi aspettarmi in macchina, se vuoi. Non sei obbligata a stare qui dentro.”

“Di solito evito i luoghi affollati”, confessò, senza distogliere l'attenzione dalle scarpe bianche. “Ma quando le persone sono così tante... non lo so, si diventa invisibili. Si è parte del gruppo, si è un tutt'uno con tutti. Siamo sempre soli, questo non cambia, ma è diverso. Non so se ha senso per te.”

“In qualche modo sì”, rispose Waverly, dopo averci pensato qualche secondo. “Ma non saprei dare un vero nome alla sensazione che descrivi. La capisco, so di cosa parli... però non so come si chiama.”

Forse non si tratta di ansia sociale... E' solo che evita gli occhi delle persone? Cavolo, sta evitando quelli di qualche spirito? Non sono molto ferrata sull'argomento, ma nelle serie TV, nei libri o film quando il personaggio in questione non vuol fare sapere agli-

“Penso sia quello che accade davanti ad un grande pubblico. Ho problemi a parlare quando ci sono più di tre persone, ma su un palco... su un palco e facile parlare e muoversi.”

Un palco? Inteso come un palcoscenico?

“Hai tenuto delle conferenze sul tuo lavoro, cose del genere?”

“No”, sorrise. “Ho fatto parte di una compagnia teatrale. Viaggiavamo per il mondo, portando in scena alcune opere famose.”

Finalmente scopro qualcosa su di lei!

“Eri un'attrice di teatro? Wow!”

“E' stato molto tempo fa.” Si avviò verso la scala mobile. “Vieni. Il reparto è al terzo piano.”

Si affrettò a raggiungerla.

“Dopo ti va di parlarmene? Del teatro, intendo.”

Nicole si voltò a guardarla. La fissò negli occhi mentre la scala le portava in alto.

“Ti renderebbe felice?”

“Be'... diciamo che sono curiosa. Ecco tutto.” Abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello di Nicole. “Non so nulla di te... e... ma vorrei, ecco. Mi piacerebbe conoscerti un po' meglio.”

“Lo stesso vale per me. Ne parliamo a casa, va bene?”

Ci risiamo...

“Certo.”


 I piani superiori erano un po' meno trafficati, ma l'aria ancor più soffocante.

Il calore tende a salire... che scocciatura!, pensò Waverly. Non potrebbero, che ne so... abbassare un po'? Non mi sembra un'impresa impossibile, né tanto meno un concetto alieno.

Si fermò, perché un laccio le era finito sotto la scarpa. Nell'inginocchiarsi e sporgesi in avanti, vide qualcosa entrare e uscire dal suo campo visivo, un movimento altalenante.

Oh, già...

Afferrò il ciondolo che le aveva dato Nicole poco prima.

Me ne ero dimenticata.

Una piccola smorfia le increspo le labbra: Chissà quante donne l'hanno indossato prima di me... Che faccio? Sono gelosa? Gelosa di chi? Di cosa...? Nicole è... non ho idea di chi sia, questa è la verità. La conosco da qualche ora, nel totale... Forse mi sono presa una cotta, ma questo può giustificare il fastidio che provo?

Osservò il suo stesso riflesso, distorto dalla forma della piccola pietra nera. Poi nel riflesso comparve del colore. Rosso.

“Tutto bene?”

Nicole torreggiava su di lei, ma, a differenza dell'ultima volta, le porgeva la mano.

“Sì.” Infilò velocemente il laccio a lato della scarpa e accettò l'aiuto della donna. Si rimise in piedi e trattenne la mano di Nicole nella sua.

Che diavolo sto facendo? Molla la presa, idiota!

Non lo fece. Non voleva farlo.

Si costrinse ad alzare lo sguardo per cercare gli occhi di Nicole. Ebbe una fitta di sgomento, quando li trovò.

Perché ha le pupille così dilatate? Ho letto che può trattarsi di eccitazione o paura... escludendo che sia eccitata.... perché ha paura? O magari sono io ad avere paura? No... non sono io: provo solo... tristezza. Magari mi sbaglio, magari mi sta solo guardando molto attentamente... magari le piaccio. Succede questo quando guardiamo qualcosa che ci piace, no?

Eppure, facendoci caso, mi sembra paura... sono quasi certa che sia spaventata. Però non capisco perché. E' colpa mia? Se la colpa è davvero mia, perché non si sottrae al contatto?

“Perché non vi prendete una stanza?”

Il commento ruppe l'incanto e le loro mani si separarono.

Waverly si guardò attorno alla cerca della persona che si era sentita in dovere di commentare e interrompere. Le ci volle poco a trovarla: a pochi metri c'era un ragazzino che continuava a voltarsi nella loro direzione e a sghignazzare.

“Cosa vuole?”

“Lascia stare.” Nicole si voltò e avanzò nella direzione opposta. “Andiamo, il negozio è dietro l'angolo.”

Cavolo! Qualunque cosa si stesse creando fra di noi... è andata in pezzi! Volevo almeno avere il tempo di capire cosa stesse succedendo... Moccioso impertinente, spero ti venga il mal di pancia!

Riprese a camminare concentrandosi sulla schiena di Nicole, sulla danza delle sue scapole e dei muscoli sotto la camicia.

Non riesco a trovare un modo per... per? Non lo so, riaprire il discorso con lei. Non era un discorso verbale, è vero, ma i nostri occhi si stavano parlando, no?

Lei ha fatto finta di nulla. Forse questo non è semplicemente il luogo idoneo. Forse una volta a casa potremmo parlarne... anche se non so bene se abbia senso. Sono confusa.

“Posso aiutarvi?”

Non si era accorta di essere entrata nell'area dedicata agli animali. L'uomo, un signore piuttosto anziano, le stava osservando con curiosità. Per essere precisi, stava osservando Nicole.

“La mia amica. E' lei l'interessata”, rivelò Nicole.

La mia amica... Che carina.

“Buongiorno.” Fece un passo avanti. “Sto cercando alcune cose per un gatto... magari lei mi può aiutare e consigliare.”

L'uomo annuì distrattamente e i suoi occhi non lasciarono Nicole, neppure quando rispose: “Vieni con me, ti mostrerò qualcosa.” Solo allora si voltò, invitando Waverly a seguirlo.

“Cerchi qualcosa nello specifico?”, chiese l'uomo, quando si fermarono davanti ad uno scaffale ben fornito. C'era di tutto, anche oggetti il cui utilizzo era completamente sconosciuto a Waverly.

“Guardi, glielo dico sinceramente: non ho un animale domestico da quando ero bambina... ed era un cane.” Gli sorrise. “Penso abbia bisogno di un paio di ciotole per cibo e acqua... cose così.” Ricordò l'episodio di quella mattina e aggiunse: “Oh, è una lettiera! La lettiera sarebbe davvero importante.”

L'attenzione dell'uomo era quasi tutta per Waverly, ma il suo sguardo cercava anche Nicole. Lei non sembrava averlo notato, o era semplicemente troppo timida per ricambiare la curiosità.

“Allora cominciamo da zero”, le sorrise lui. “Devi comperare del cibo apposito per il tuo micio; non puoi dargli cibo per cani, per esempio: hanno composizioni diverse. Inoltre devi tenere conto di razza, età e peso.”

“L'ho trovato ieri sera”, confessò.

“E' un persiano di circa tre chili, è piuttosto malnutrito”, intervenne Nicole. “Gli ho visto i denti, in base a questo posso ipotizzare che sia piuttosto giovane: non più di due anni.”

Wow... questa proprio non me l'aspettavo! Pensavo non fosse per nulla interessata a Galileo. E sembra anche sapere di cosa parla.

“... lo porteremo dal veterinario al più presto. Certo”, concluse Nicole.

L'uomo continuò ad istruire Waverly per molti minuti ancora. Ogni tanto i suoi occhi ormai opachi indugiavano brevemente su Nicole.

Aveva fatto leggere a Waverly quasi tutte le etichette. “Sono quasi una talpa”, aveva commentato, ridendo dolcemente.


 Andarono verso la cassa con due ciotole di metallo, del cibo per gatti, una lettiera e la sua sabbia, e una gabbietta “per quando lo porterai dal veterinario”.

Waverly aveva deciso di risparmiare evitando di acquistare una cuccia e un tira graffi. Il divano e la legna saranno sufficienti, si era detta.

“Solo un momento”, disse l'uomo, “devo trovare i miei occhiali.” Guardò sul bancone e sotto di esso, senza successo.

“Mi scusi”, intervenne Waverly, “potrebbero essere quelli che ha appesi al collo?” Indicò un paio di occhiali dalla montatura dorata, dalle lenti tonde e spesse.

“Oh!”, esclamò, sfoggiando un sorriso divertito e imbarazzato. “Povero vecchio me! Grazie. Sono così sbadato!”

“Anche io mi dimentico dove poggio le cose”, lo volle consolare.

Inforcò gli occhiali, sbatté un paio di volte le palpebre e si concentrò su ciò che lo aveva incuriosito per tutto il tempo: Nicole.

Gli si illuminarono gli occhi. “Abby...” mormorò con infinita dolcezza.

Cosa sta succedendo?, si chiese Waverly.

“Abigail era mia nonna”, rispose Nicole, che non sembrava sorpresa o turbata.

Che stia parlando della signora anziana? Quella della foto che ha in macchina?

“Perdonami.” Distolse lo sguardo per concentrarsi sulle sue stesse mani. “E' stato come vedere il fantasma della mia gioventù. Per tutto il tempo ho avvertito qualcosa di così famigliare e caldo... emanate la stessa energia positiva.” Sorrise. “E il tuo volto è...”

“Le assomiglio molto, è vero”, confermò Nicole.

Alzò di nuovo lo sguardo.

“Abby... lei?”

“Ha ricevuto il bacio.”

“Ha ricevuto il bacio”, le fece eco; un'eco triste e distante. “E' stato sereno?”

Nicole mosse un passo verso di lui e gli posò la mano sulla spalla minuta.

“E' stato dolce.” Una lacrima le scese sulla guancia. Waverly fu certa che non le appartenesse, che quella lacrima fosse dell'uomo. Non aveva una spiegazione, semplicemente lo sapeva.

“E' stato un bel momento”, proseguì Nicole. “E' arrivata nella notte, non l'ha svegliata. L'ha baciata e se ne sono andate insieme, serenamente.”

Di cosa sta parlando? Non capisco...

“Era una donna forte, non è così?” Sorrise e appoggiò la mano fragile e tremante su quella fresca e salda di Nicole. “Una vera signora. Delicata ma indomabile... selvaggia e libera come il vento. Me lo disse”, mormorò, “me lo disse da subito che non mi sarebbe mai appartenuta, che se ne sarebbe andata con la primavera. Me lo disse e sapevo che nulla le avrebbe fatto cambiare idea. Me lo disse, ma scelsi di non soffocare i sentimenti che, giorno dopo giorno, mi riempivano il petto di calore e tenerezza.” Una lacrima scivolò anche sulla sua guancia. “L'ho amata e sono certo che lei abbia amato me...”

“Lo so”, affermò Nicole, senza badare alle lacrime che le avevano completamente invaso gli occhi e che lasciò scorrere libere. “So chi sei.”

“E... è possibile che...?”

“No, Henry, non sei mio nonno.”

“Una parte di me si sente sollevata, lo confesso. Una parte di me è felice di non essere mai stato padre, un padre che non ci sarebbe stato per la sua creatura.” Prese delicatamente il viso di Nicole fra le sue vecchie, ossute mani. “Grazie di essere venuta come un angelo a dissipare i miei dubbi e tormenti. Grazie di avermi permesso di parlare di lei, di ricordarla un'ultima volta. Grazie di avermi detto che non mi ha mai dimenticato.”

Solo in quel momento Waverly si rese conto di essersi commossa. Si rese conto di piangere lacrime dal sapore quasi sconosciuto. Si rifugiò in quel sentimento, in quella magia che aveva permesso al negozio di scomparire e che l'aveva catapultata indietro nel tempo, nella fragile tenerezza di un altro essere umano. In un amore dalle tinte antiche e sfocate, calde e malinconiche.

Fu grata a Nicole per essere stata così dolce, così umana nella sua compostezza. Si commosse e si sentì grata di essere stata testimone di una delle ultime gioie di un uomo.

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Capitolo 9
*** 9 ***


9


 


 


 

Waverly osservò Nicole aggiustare la presa sulle tre borse con l'aiuto di un ginocchio.

“Sei sicura di non volere un aiuto?” La voce era ancora roca e incerta a causa dei sentimenti che continuavano a scuoterle l'anima. Era stata un'esperienza molto forte. Non l'avrebbe mai dimenticata.

“Lascia che le mie grandi mani si rendano utili”, sorrise. “In fondo la sabbia la stai portando tu, è quella ad essere pesante. Queste sono solo un po' scomode.”

Presero di nuovo le scale mobili, questa volta per scendere.

Si fermarono a pochi metri dalle porte scorrevoli. Poggiarono gli acquisti e si misero le giacche, preparandosi al gelo esterno.

Waverly alzò lo sguardo. Da quel punto era possibile scorgere la ringhiera del terzo piano.

“Torneremo da Henry? Mi piacerebbe poter tornare e ascoltare ancora qualcosa sul suo grande amore.”

Nicole recuperò le borse e attraversò le porte scorrevoli. “Non penso ci sarà l'occasione.”

Si affrettò a raggiungerla, perché voleva chiederle cosa intendesse dire.

Prese un respiro profondo.

Finalmente posso respirare.

L'aria gelida le tagliò la voce sulla prima lettera. I polmoni le andarono in fiamme e cominciò a tossire.

“L'hai detto prima”, sospirò Nicole, aprendo il bagagliaio per infilarvici la borse, “è così che la gente si ammala. Un cambio di temperatura così drastico andrebbe gestito con cautela. Per fortuna ho trovato parcheggio proprio davanti all'entrata.” Tornò da lei e recuperò il sacco di sabbia che Waverly stringeva in pungo. “Sali in macchina, ci penso io.”

Si limitò ad annuire e fece come le era stato suggerito.


 “Che cosa intendevi dire prima?”, indagò, quando anche Nicole ebbe chiuso la portiera e si fu messa la cintura di sicurezza. “Perché non pensi che potremmo tornare da lui?”

Nicole si voltò a guardarla: “Le persone hanno il loro tempo. Quel tempo è destinato a finire.”

Waverly sentì un peso appoggiarsi al petto e le lacrime cominciavano a pizzicarle gli occhi.

“Perché dici questo? Come puoi sapere che non ci sarà abbastanza tempo?”

“Non essere triste per lui, Waverly.” Avviò il motore. “Non essere triste.”

“Come fai ad essere così insensibile?” Non era riuscita a trattenersi: la freddezza di Nicole l'aveva colpita come una sberla. “Perché fai così? Non puoi fare così!”

Nicole sospirò e spense il motore. La guardò negli occhi: “Cosa dovrei fare? Come dovrei comportarmi?” Abbassò lo sguardo. “Non puoi soffrire così per una persona che hai conosciuto appena. Non ha proprio senso...”

Si slacciò la cintura e dichiarò: “Tornerò da lui.”

Nicole l'afferrò per il polso: “Lo so che ti sei sentita parte di qualcosa, Waverly. Lo capisco. Ma né tu né io rappresentiamo qualcosa per lui. Non possiamo fare nulla, non è nostro diritto.”

Vide le sue stesse lacrime scorrere sul volto di Nicole, questo la fece vacillare ancor di più.

“Perché non gli hai detto nulla?” Si sottrasse alla presa della donna con uno strattone. “Perché non hai provato ad aiutarlo? Magari se va in ospedale potrebbero scoprire cosa c'è che non va!”

“Waverly... lei era lì. Capisci?”

“No che non capisco!”, urlò. “Chi era lì? Di cosa diamine parli?” Aprì la portiera. “Sai cosa? Non m'interessa!” E uscì.

Nicole si asciugò le lacrime, sospirò e le corse dietro.


 Afferrò Waverly appena varcate le porte scorrevoli.

“Lasciami andare!” Non si preoccupò del tono alto. Non si preoccupò dell'attenzione che stavano attirando. “Voglio andare da lui! Voglio che vada in ospedale! Lo devo aiutare!”

Le braccia di Nicole si strinsero ancor più forte attorno alla vita di Waverly.

“Non puoi andare da lui...”

“Lascia-” La protesta fu bloccata dalla comparsa di due uomini, che corsero sulle scale mobili. Le loro divise e le loro borse, non lasciavano dubbi sul perché stessero correndo.

Waverly smise di lottare e abbandonò la schiena contro il petto di Nicole.

“Perdonami”, mormorò la donna, appoggiando il mento sulla spalla della ragazza. “Non avrei dovuto dirti nulla. Avrei dovuto lasciare che tu tornassi qui, non lo trovassi e immaginassi che ne fosse andato in pensione... o qualunque altra cosa. Non ho considerato la fragilità del tuo stato attuale. Non volevo farti soffrire.”



 

<)o(>



 

“... Mary avanzò verso il tramonto. Avrebbe voluto voltarsi, ma riuscì a controllare le sue emozioni.” Wynonna alzò la testa e si voltò verso il divano: “Cosa ne pensi? Sii sincero.”

Galileo si stiracchiò e sbadigliò, mostrando completamente l'interno della bocca.

“Lo so”, sospirò. “Volevo ricordasse la scena di Orfeo ed Euridice... Non ci siamo, vero?”

Un altro sbadiglio.

“Già...” Anche lei si stiracchiò. Allungò la schiena e le gambe. “Pensi che fu davvero un errore? Il fatto che Orfeo si sia voltato, intendo. Mi piace pensare che sia stata una scelta, personalmente. L'amava, questo lo so, ma forse si è chiesto se fosse giusto riportarla in un mondo a cui non apparteneva più. Ha senso per te?”

Il micio si mise seduto e con la zampa posteriore si grattò dietro l'orecchio. Aveva un'espressione piuttosto concentrata e soddisfatta.

“E' esattamente quello che intendevo, Galileo!”, esclamò. “Preciso!”, sorrise. Era contenta di non essere sola, di avere qualcuno con cui parlare.

Galileo aveva passato tutta la mattina ad annusare tutti gli oggetti e le superfici che era riuscito a raggiungere. Alla fine, soddisfatto, si era messo a dormire sul divano.

“Sei un buon ascoltatore, Galileo. Dico davvero! Saper ascoltare è un'arte.” Si alzò. “Ho voglia di un bicchiere e una sigaretta.” Guardò il micio e lo rassicurò: “Non ti preoccupare, andrò a fumare fuori... come del resto ho fatto fino adesso. Tu come hai fatto a smettere?”

Galileo saltò giù dal divano e le si avvicinò.

“Capito. Hai una volontà di ferro!” Si piegò per accarezzargli la pelliccia. “Vuoi un goccio anche tu? Ho del latte di ottima qualità: è stato imbottigliato questo mese. Un'annata d'oro per il latte, questa.”


 

Galileo seguì Wynonna in cucina. Mentre lei apriva il frigo, lui saltò sul tavolo.

“Già. Be', dovremmo discutere di questo. E' che hai molti peli, capisci?” Prese un piattino e ci versò del latte. “Anche io lascio i miei capelli in giro, lo so. Ma cerco di evitare di lasciarli dove si mangia, capisci la differenza?”

Galileo annusò l'aria e si leccò i baffi. Saltò giù dal tavolo e si strusciò contro le gambe di Wynonna, emettendo un roco “meow”.

“Sapevo che eri un tipo ragionevole. Te lo si legge in faccia.” Posò il piattino a terra. “Bevi adagio che è gelido”, si raccomandò. “Farsi venire una congestione è piuttosto sgradevole, te lo posso assicurare.”

Osservò la lingua ruvida increspare la superficie del latte. Lo stava guardando, quindi vide chiaramente i peli che gli si rizzavano sulla schiena.

“Non è buono...?” Un brutto presentimento la invase. “Cosa c'è che-”

Galileo lasciò perdere il latte. Emise un suono molto basso e prolungato: una sorta di ringhio annoiato. Piegò le orecchie contro la testa e soffiò, senza mai smettere di ringhiare.

“Gal-”

La ciotola del latte fu scaraventata contro il frigo. Galileo scappò via. E a Wynonna non restò che appiattirsi contro il lavandino.

La paura si mischiò ad un feroce senso di rabbia e frustrazione.

“Perché non mi lasci in pace?! Questa è casa mia! Hai capito, stronzo? Non ho paura di te, capito?”

Il totale silenzio.

“Cosa ti ho fatto?” Le lacrime avevano cominciato a scorrere. Non si sarebbero fermate tanto presto. “Non ti ho fatto nulla! Non ho fatto nulla di male!”

Ancora silenzio.

“Che cazzo vuoi da me?”, urlò con rinnovata ira alla ciotola, che giaceva vicino al frigo. “Troverò il modo di farti sparire! E' una promessa!”

Fu un movimento troppo rapido: non riuscì ad evitare la sedia che scivolò sul pavimento fino a colpirle il ginocchio. Imprecò per il dolore, ma più che altro urlò per lo spavento.

Zoppicando corse in salotto, lì si bloccò. Un'ombra, forse una figura, sparì su per le scale ad una velocità impressionante.

Le ginocchia smisero di collaborare e tutto divenne nero.


 Fu la sensazione di essere toccata a farla riemergere dal limbo nero in cui era precipitata. Si agitò quando percepì dei suoni indistinti e lontani.

“Non mi toccare!”

Dimenò braccia e gambe. La mano destra colpì qualcosa di duro.

“Ah! Ouch!”

“Wynonna!”, esclamò Waverly, cercando di tenerla ferma. “Sono io! Va tutto bene.”

Finalmente riuscì a riaprire gli occhi.

“L'ho colpito?”

“Cosa?”, chiese Waverly, lasciandole andare i polsi.

“Hai colpito me”, la informò Nicole. “Bel destro. Ricordami di non farti incazzare.”

Wynonna spostò velocemente l'attenzione da Nicole, seduta in modo scomposto sul pavimento, a Waverly, piegata su di lei.

“E' successo anco-” Il ricordo si materializzò completamente nella sua testa. Le sfuggì un singhiozzo. “L'ho visto... questa volta credo di averlo visto... mio Dio...”


“Fumi?” Wynonna allungò il pacchetto verso Nicole. Aveva accettato di uscire con lei a prendere un po' d'aria, mentre Waverly si occupava di Galileo, del caminetto e di preparare qualcosa di caldo da bere.

“Grazie.” Nicole estrasse una sigaretta e se la mise fra le labbra. “Ho un pacchetto di sigarette in macchina...” si fermò per prendere anche l'accendino, “è lì da un paio di settimane. Il tabacco ha preso umidità. Fanno abbastanza schifo.”

“Puoi chiedermele quando vuoi, o prenderle se le trovi appoggiate da qualche parte”, le disse Wynonna, “non farti problemi.” Anche lei si accese la sigaretta.

Nicole soffiò fuori il fumo. “Sei gentile. Te la senti di dirmi cosa è successo?”

La donna sospirò sonoramente.

“Non lo so, Nicole. Non credo di essere ancora riuscita ad accettarlo, capisci? E' stato come... come uno strano e terrificante sogno. Un incubo. Prima vedo il piattino con il latte volare via, poi mi arriva una sedia addosso. Una parte di me dubita che sia successo realmente.” Prese una boccata di fumo e lo lasciò uscire lentamente dalle narici. “Scappo in salotto e...” si strinse le braccia attorno al corpo, “non lo so. Vedo una cosa nera sfrecciare su per le scale... non so neppure se fosse reale. Era strano, capisci? Era come se fossero più strati sovrapposti, uno più nero dell'altro.

Vorrei fare le valigie e andarmene, ma non ho altro posto dove andare e non posso permettermi un hotel, non per tre persone e un gatto. Non per più di quanto? Una settimana? Due? Sono nella merda.”

“Se ho capito bene, la prima volta che sei stata attaccata, attenzione, attaccata, non che ti sei sentita minacciata, è stata ieri sera, giusto? Che cosa stavi facendo?”

Wynonna sollevò le spalle. “La doccia, lo sai.”

“Eri triste, arrabbiata? Hai detto o fatto qualcosa in particolare?”

Si voltò a guardarla e prese tempo aspirando altro fumo. “E' importante?”, chiese infine.

L'altra annuì: “Direi di sì.”

“Volevo...” Si indicò il cavallo dei pantaloni. “Capito? Avevo solo bisogno di rilassarmi.”

“Ho capito.” Nicole gettò la sigaretta sulla neve. “Una variazione. Chiamiamolo cambio di energia.”

“Fantastico! Dico davvero! Ora non posso neppure più... Fantastico.” Anche lei buttò la sigaretta a terra. La pestò. “Quindi? Voglio dire... non lo so. Spiegami che sta succedendo.”

“Alcune entità, chiamiamole così, hanno bisogno di energia per manifestarsi e interagire col mondo fisico. Di solito ne utilizzano una piccola parte, è quasi involontario: la prendono dagli apparecchi elettronici, persone e animali. Quando succedono episodi come quelli a cui hai assistito tu, significa che c'è stato un picco di energia e che qualcosa ne ha approfittato; che è stato volontario: qualunque cosa fosse, voleva manifestarsi e ha aspettato l'occasione giusta.”

“Non posso andare avanti così.”

“Lo so. Ma ci sono io. Ti aiuterò, lo prometto.”

“La prossima volta potrebbe essere un coltello, lo capisci?”

“Certo”, annuì. “Vieni, andiamo a parlare dentro. Devo farti delle altre domande e vorrei che tu fossi sincera. Se c'è qualcosa che non vuoi dire davanti a Waverly, ti basta farmelo capire, okay?”

La donna si mise davanti alla porta e incrociò le braccia al petto. “A proposito di Waverly. Aveva gli occhi lucidi e gonfi. Ha pianto. Quello che non so è perché.”

Nicole sospirò. “E' stata colpa mia.” Alzò le mani e indicò la macchia che aveva sullo zigomo: il rossore stava cominciando a diventare purpureo. “Prima che tu mi faccia nero anche l'altro... lasciami spiegare.”

Socchiuse gli occhi e sibilò: “Ti ascolto.”

Le raccontò quello che era successo, tralasciando alcuni dettagli su Henry e su sua nonna, e altri che non ritenne di dover condividere.

“Non avrei dovuto dirglielo, lo so. Mi sento in colpa”, concluse.

“Non c'è altro? Non le hai fatto o detto null'altro?”

“No, non le ho fatto niente. Ho solo detto più di quanto avrei dovuto. La prossima volta rifletterò prima di parlare.” Sorrise. “Faccio un po' pena nei rapporti sociali.”

Wynonna prese un'altra sigaretta e se la mise in bocca.

“Vuoi sapere perché ha reagito così?”

“Lo vorrei sapere, sì. Così posso comprendere perché la morte di un estraneo l'abbia sconvolta tanto.” Aggiunse un “no, grazie” quando Wynonna le offrì il pacchetto.

“Il nonno.” Aspirò e soffiò fuori il fumo mentre il suo sguardo si perdeva all'orizzonte. “Era piccola, aveva cinque o sei anni. Erano giorni che veniva da me e dai nostri genitori per dirci che il nonno era strano, che c'era qualcosa che non andava.” Si voltò a guardarla e sollevò il piccolo cilindro: “Cancro ai polmoni. Non c'era nulla da fare. Aveva deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni a casa, con la sua famiglia. Morì, ovviamente.” Sospirò. “Waverly pianse per settimane, forse mesi: si era convinta fosse colpa sua. Era convinta che fosse colpa sua se il nonno era morto, perché non era riuscita a farci capire che stava male, che doveva andare all'ospedale. Non servì a nulla spiegarle la situazione, dirle che non era stata colpa sua.” Buttò la sigaretta fumata per metà nel cortile. “E' il suo trauma. Oggi l'ha vissuto di nuovo.”

“Merda”, esalò Nicole. “Sono stata davvero... terribile. So che ognuno di noi ha una storia, dei traumi. Non ci ho pensato. Mi dispiace molto.”

“La colpa è dei nostri genitori: avrebbero dovuto parlarle come avevano fatto con me, spiegarle che il nonno era malato... che sarebbe andato via, qualunque cosa. Prepararla. Ritennero fosse troppo piccola per capire. Waverly capì, ma la cosa sbagliata, perché quella giusta non le fu mai spiegata. Non al momento giusto.” Si voltò verso la porta. “Mi dispiace averti colpita, comunque.”

“Non l'hai fatto di proposito”, le sorrise. “Andiamo dentro.” Ma, quando Wynonna afferrò la maniglia, Nicole la fermò mettendole una mano sulla spalla.

Respirò profondamente mentre emozioni, sensazioni e sentimenti non suoi la invadevano. “Grazie.”

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Capitolo 10
*** 10 ***


10


 


 



 

Waverly attese che Wynonna e Nicole si chiudessero la porta alle spalle. Aveva preferito lasciarle sole per occuparsi di un paio di cosette -e per stare un attimo distante da Nicole, anche solo per elaborare la cosa-. Per dare un senso di normalità a quella mattina. Se solo avesse trovato un modo per darlo anche a quei giorni, un senso di normalità.

Riaccese il caminetto e si mise alla ricerca di Galileo.

Lo trovò qualche minuto dopo sotto il divano. Gli occhi brillavano nella semi-oscurità come lune irreali: un colore indefinito tra il verde e il giallo.

“Ti sei preso uno spavento anche tu, non è così?” Cercò di usare un tono dolce e rassicurante. “Lo so che hai ancora paura, ma è passato. E' sicuro ora.”

Riuscì a farlo uscire dopo un paio di minuti di rassicurazioni e dolcezza.

La seguì in cucina, anche se ci mise un po' per convincersi che non c'era pericolo.

“Ti metterò dell'altro latte, va bene?” Raccolse il piatto, che non si era frantumato perché era di plastica, e lo sciacquò nel lavandino. Dopo averlo riempito di latte, lo posò a terra e tornò nel salotto.


 Si lasciò cadere sul divano, preda di una stanchezza dell'anima, più che del corpo. Ascoltò per un po' le voci ovattate di Wynonna e Nicole. Non riuscì ad afferrare il senso di quello che dicevano. Non era il suo obbiettivo.

Mi vergogno. Non volevo che Nicole mi vedesse in quel modo... ho perso il controllo. Ho perso il controllo. Perché?

Aveva ragione lei: non ero nulla per Henry. E lui non era nulla per me. E' vera quest'ultima affermazione? Non ne sono sicura. Chi ha deciso che per essere importante, una persona debba esserci da molto tempo? Quanto tempo? Se un estraneo, per esempio, ti salva la vita? Certo, Henry non mi ha salvato la vita, ma... mi ha dato qualcosa. Qualcosa di molto prezioso: mi ha fatto capire che l'amore che sogno non esiste solo nelle storie. E' importante per me, quindi anche lui era importante... in qualche modo.

Mi sono arrabbiata, perché Nicole... Lei sapeva sarebbe morto... pensavo non lo volesse aiutare. Pensavo non le importasse. Non la conosco, non potevo indovinare le sue intenzioni, le sue ragioni.

Io non conosco Nicole.

Ho avuto un pregiudizio: l'ho accusata di essere un'insensibile. Ho pensato fosse egoista e malvagia. Ho pensato si sentisse superiore, che rimanesse semplicemente ad osservare ciò che aveva previsto senza provare ad aiutare. Ho pensato fosse cattiva, quando quella che non è stata corretta... sono stata io.

Galileo le saltò sulle gambe, senza riuscire ad interrompere il treno dei pensieri. Lo accarezzò delicatamente mentre la sua mente ripercorreva quello che era successo quella mattina.

Ho messo da parte la ragione perché avevo paura, ho agito d'istinto. Ho visto il volto del nonno... ho provato di nuovo quel senso di vuoto e gelo... Perché è dovuto succedere di nuovo? Non voglio mai più sentirmi così.

Non posso salvare nessuno, non ha neppure senso che ci provi...

Non è vero.

Qualcuno che posso salvare c'è: Wynonna. Devo trovare il modo di farla smettere di fumare.

Nicole si occuperà della presenza invisibile, io la farò smettere di fumare.

Non posso perdere Wynonna. Non potrei sopportarlo. Lei è tutto ciò che mi rimane. Non voglio perdere anche mia sorella.

Non perderò mia sorella.

Il suono della maniglia che scattava la riportò alla realtà. Si affrettò ad asciugarsi le lacrime.

La porta rimase chiusa. Ne approfittò per spostare Galileo e andare in cucina. Non voleva farsi vedere di nuovo piangere.

La porta si aprì mentre lei varcava la soglia della cucina. Wynonna e Nicole entrarono portando un po' gelo.


 “Mi sono dimenticata di fare il caffè”, mormorò quando la raggiunsero in cucina. Dava loro le spalle, ma sapeva che entrambe la stavano osservando: sentiva il loro sguardo tra le scapole.

“Non importa.” Sentì Wynonna spostare una sedia e sedersi. “Stai bene?”

Ci fu un altro suono: una sedia che veniva spostata, sì, ma in modo diverso. Probabilmente quella che aveva colpito Wynonna e che era stata abbandonata dissimmetricamente rispetto al tavolo. A giudicare dal sospiro -e dal fatto che non ci fossero altre persone- doveva trattarsi di Nicole.

“Sto bene.”
 

Waverly appoggiò tre tazze colme di caffè fumante e chiese: “Ti prendo della grappa, Wynonna?”

“Grazie.” Prese una delle tazze e l'avvicinò a sé. “Ne ho bisogno.”

Tornò vicino al lavandino e dallo sportello recuperò la bottiglia che aveva messo via qualche ora prima. La posò sul tavolo e si sedette con loro. Guardò brevemente in direzione di Nicole: non la stava guardando. Aveva gli occhi fissi sul tavolo.

“Allora”, cominciò Nicole, prendendo a sua volta una tazza, “mi piacerebbe fare il punto della situazione. Fare delle domande e cose del genere. Ormai è un giorno che sono qui, è ora di iniziare a lavorare.”

“Prego”, la invitò Wynonna. Si versò un goccio di grappa nel caffè. Ce ne stava poca perché la tazza era piena, ma l'avrebbe riempita a poco a poco. “Voglio che questa situazione del cazzo si risolva il prima possibile!”

“Allora. Se ricordo bene, nella e-mail facevate coincidere la comparsa di anomalie a circa tre settimane fa, giusto?”

“Giusto”, confermò Wynonna. “Di punto in bianco la casa è... impazzita!”

“Vorrei che ci pensaste con calma, con attenzione. Cos'è successo il quel periodo?”

La cucina rimase immersa nel silenzio per qualche secondo, forse un intero minuto. Poi Waverly mormorò: “C'è stata-” Si schiarì la gola: “C'è stata una scossa di terremoto, quella notte.” Alzò brevemente gli occhi su Nicole, ma i suoi erano ancora impegnati a fissare il tavolo.

Sta evitando il mio sguardo...

“Sì”, intervenne Wynonna, “ma l'abbiamo scoperto la mattina dopo: nessuna di noi due si è svegliata. Non è stata una gran cosa.”

“Capisco.” Nicole prese un sorso di caffè; poi chiese: “Avete cominciato a sentire qualcosa di strano la mattina o la notte?”

“La notte seguente. C'erano strani rumori e... non lo so, l'atmosfera era diversa”, spiegò Wynonna. “Da quella volta non abbiamo più avuto una notte tranquilla, a causa di strani suoni e altro.”

“Okay.” Finalmente Nicole alzò lo sguardo. Però dedicò l'attenzione a Wynonna. “Ricapitolando. Tre settimane fa, in coincidenza con una scossa ti terremoto... Una domanda: se non vi siete accorte di nulla, come fate a sapere che ci fu il terremoto?”

“In città c'era gente che ne parlava. Katie dell'Happy Break, in particolare, ci raccontò di essersi svegliata col lampadario che dondolava.”

“Ah, ora ho capito.” Gli occhi di Nicole erano ancora su Wynonna e non sembravano intenzionati a spostarsi di lì. “Allora. Tre settimane fa, l'inizio. Ma è stato solo ieri sera che, diciamo così, c'è stata una manifestazione importante. Quando tu, Wynon-”

“Quand'ero brilla!”, si affrettò ad intervenire. “Brilla. Doccia!”, puntualizzò.

“Stavo per dire che stavi facendo la doccia, sì...”

“Oh... okay. Scusa.”

Che stanno facendo?, si chiese Waverly.

“Dicevo. Quando facevi la doccia. Abbiamo già parlato di cambi di energia, ma ne hai avuti altri in queste tre settimane. La differenza è la mia comparsa: un'energia in più. Un cambiamento. Se vogliamo... una minaccia.”

“Ha senso... credo.” Finalmente il caffè era sceso abbastanza da lasciare spazio alla grappa; Wynonna ne approfittò subito. “C'è un altro dettaglio che prima ho omesso. Non so se può essere importante...”

“Tutto quello che ti viene in mente”, la incoraggiò Nicole, “qualunque cosa potrebbe aiutarmi a capire.”

Alzò la mano. “Quando mi sono tolta l'anello... ho provato un senso di disagio. Come se fosse sbagliato farlo. Non so se ha senso.” Lo sfiorò col dito. “Lo tolgo molto raramente, a volte lo tengo anche quando faccio la doccia o altro. Non so se l'ho tolto, in queste tre settimane, però so che ieri sera mi è sembrato sbagliato farlo, ecco.”

Waverly si alzò. Sapeva cosa stava per succedere: non avrebbe retto un altro momento del genere. Altro dolore.

“Vado a farmi una doccia, ho ancora freddo.”

Nicole si voltò verso di lei. I loro occhi si incrociarono per un secondo appena; poi Waverly lasciò la stanza. Non era pronta neppure per quello.

Nicole attese qualche secondo, poi: “Posso?” Allungò la mano verso quella di Wynonna, mostrando l'intenzione di avere un contatto.

Allungò a sua volta la mano verso quella di Nicole: “Certo.”
Nicole evitò con cura la pelle della donna dai capelli neri; mirò con precisione all'anello col drago. Non sarebbe stato come toccare i vestiti: quell'anello aveva un'anima sua, distinta dalla persona che l'aveva indosso.

Quando il polpastrello incontrò la superficie tiepida d'acciaio, fu investita da una miriade di emozione e sensazioni diverse, a volte in contrasto tra loro.

Chiuse gli occhi.

“Cosa...? Non lo so. Hai visto, sentito qualcosa?”, chiese Wynonna, quando Nicole allontanò la mano. Non era certa di volere una risposta.

“Occhi neri...” mormorò senza accennare a riaprire i suoi. “Calore... tenerezza... amore, presumo.” Li riaprì. “Immagino che lui non sia più qui.”

“Come sai che era un lui?” Sorrise; un sorriso triste, o forse solo malinconico, tenero. “Gregory è morto cinque anni fa...”

“Non voglio essere indelicata, ma... è successo qui?”

“No...” Si asciugò una lacrima. “No, non è morto qui. Stava venendo da me, ma... un camion ha travolto la sua auto e...” Le si spezzarono le parole in bocca. Cercò comunque di terminare quello che voleva dire: “Non ha sentito... non ha sentito nulla: è morto sul colpo.” Non provò più a trattenersi. Singhiozzando proseguì: “E-eravamo innamorati... lui vol- voleva sposarmi...”

Nicole sospirò. Era chiaro che volesse consolarla, ma era altrettanto chiaro che non volesse toccarla. Che non volesse sentire.

Decise di versarle dell'altra grappa nel caffè. Decise fosse una buona via di mezzo.

“Bevi...” le avvicinò la tazza, “a volte non c'è vergogna nel rincoglionirsi di proposito.”

Wynonna si limitò ad annuire e accettò la tazza, che vuotò in un sorso. “Grazie”, disse poi.

Nicole attese che Wynonna ritrovasse il contegno, che l'alcol l'aiutasse a ritrovarlo... o che glielo facesse perdere del tutto... insomma, attese un cambiamento.

“Non voglio, lo ripeto, essere indelicata, ma vorrei farti qualche altra domanda. Va bene?”

Wynonna annuì.

“Okay, bene. Che tu sappia, qualcuno ha intrapreso il viaggio fra queste mura, o in questa proprietà? Non mi riferisco al modo in cui tuo nonno ha lasciato questo mondo per quello degli spiriti: quello è stato sereno e consapevole. Parlo di una fine violenta o inaspettata... mi spiego?”

“Ho capito, sì”, confermò Wynonna, versandosi altra grappa. “Ci devo pensare un momento... non ho le idee chiare, al momento.”

Nicole comprese invece che Wynonna aveva le idee molto chiare riguardo a qualcosa di veramente specifico, ma cercava di prendere tempo. Lo comprese semplicemente osservando il linguaggio del corpo della donna che aveva dinnanzi.

“Facciamo una pausa”, disse e si alzò. “Non voglio stressarti, non mi sembra per nulla una buona idea.”

Nicole non era una donna arrendevole, era semplicemente saggia abbastanza da capire quando fermarsi. Solo come al rosso del semaforo, solo una pausa.

“Pensavo...” Wynonna non concluse. Non voleva concludere: le stava bene così, più che bene.

“Vado a vedere la stanza che mi hai riservato, se non è un problema.”

“Accanto al bagno, sulla sinistra.”

“Grazie, Wynonna.”


 

<)o(>


 

Waverly uscì dalla doccia e prese l'accappatoio verde-acqua, lo stesso usato la sera prima da Nicole.

E' stata carina, pensò, me l'ha messo sul termosifone ad asciugare. Lo avvicinò al viso. C'è il suo odore...

Uscì dal bagno -ancora con l'accappatoio indosso-, e Nicole salì l'ultimo gradino.

Si guardarono per un momento.

Quel piccolo corridoio era ora terra di nessuno: Nicole non era un'estranea in casa sua; Waverly non era la padrona di casa colta nell'intimità dalla sua quotidianità.

Erano solo due donne che sembravano vedersi per la prima volta.

“Ehi”, mormorò Nicole, accennando un sorriso. “Possiamo parlare?”

Parlare...? Possiamo solo guardarci? Possiamo solo lasciare che i nostri occhi si dicano quello che davvero abbiamo dentro, Nicole? Perché io ho tanto bisogno di capire cos'hai nel cuore, ma ho anche bisogno di interrogare me stessa.

“Certo.” Le indicò la stanza accanto: “Ho solo messo la roba pulita, meglio: l'ho appoggiata sul materasso. Poi sono andata a fare la doccia. Possiamo parlare e lavorare...”

Nicole sorrise e annuì.


 “Arieggerò un pochino”, disse Waverly, aprendo la finestra. “Lo so che fa freddo, ma questa stanza è chiusa da molto tempo.”

“Chi l'abitava?”, volle sapere Nicole, aprendo due ante dell'armadio. Aveva portato la valigia e ora si apprestava a sistemare le sue cose.

Era un armadio davvero grande, di quelli antichi in legno massello. Anche il letto era grande -non come quelli moderni, perché un tempo le persone erano più piccole, ma era comunque un matrimoniale- e aveva un aspetto antico: legno di noce -lo stesso usato per l'armadio- intagliato a formare onde e fiori. Al centro della testata c'era anche una specie di stemma: un bassorilievo con due cavalli rampanti e al centro di essi c'era una rosa.

“Mamma e papà”, rivelò Waverly senza voltarsi. Tenne gli occhi sull'orizzonte innevato. “Era la loro stanza. Wynonna ed io...” Sorrise. “Niente, era una cosa sciocca.”

Nicole lasciò perdere i vestiti e si voltò a guardare la schiena di Waverly.

“Non penso esistano ricordi sciocchi.” Si fermò alle sue spalle. “Richiudi la finestra, o lascia che sia io ad occuparmene: sei ancora in accappatoio e i tuoi capelli sono umidi. Non voglio che ti ammali.”

E' logico pensare che stessi per parlare di un ricordo. Logico, ma non così scontato. Mi chiedo se sia così premurosa con tutti...

“Hai ragione.” Inspirò l'aria fredda e poi si ritrasse per chiudere la finestra. Tuttavia, continuò a guardare fuori, evitando gli occhi di Nicole.

“Tu e Wynonna...?” Le appoggiò una mano sulla spalla. “E' un ricordo felice”, constatò.

Waverly cercò di non irrigidirsi sotto il tocco di Nicole.

Si comporta normalmente... forse è meglio così.

“Lo è. E' un ricordo felice.” Sorrise. “La domenica mattina, Wynonna ed io saltavamo sul letto e ci mettevamo fra mamma e papà. Loro ci coccolavano e parlavamo di quello che avremmo fatto al lago. Andavamo al lago ogni domenica, anche se pioveva o nevicava. Potevamo anche rimanere in macchina a guardare semplicemente le acque e raccontarci delle storie... quella fu un'idea di Wynonna: le è sempre piaciuto inventare storie.” Si voltò lentamente in modo che Nicole non si sentisse obbligata a togliere la mano. “Erano storie di paura, quelle di Wynonna.”

“E le tue?”, chiese, guardandola negli occhi.

Waverly abbassò lo sguardo e rivelò: “D'amore... le mie erano storie d'amore. Avevano sempre un lieto fine.”

“E i tuoi genitori raccontavano delle storie?”

“Lo facevano.” Si concentrò sui bottoni della camicia di Nicole. “Papà raccontava storie d'avventura; erano quasi tutte ispirate ai film del famoso avventuriero: Indiana Jones. Non aveva una grande fantasia...” rise. “Ma era bravo con i dettagli. Mamma invece raccontava ogni tipo di storia; era una scrittrice, come Wynonna. Scriveva libri per l'infanzia, ed era una maestra delle elementari.”

Nicole ritrasse la mano e se la mise in tasca.

“Hanno ricevuto qui il bacio?”

Ecco perché ha smesso di toccarmi... Il bacio... il bacio. Non usa mai la parola morte, proprio mai. Ha detto ''bacio'' anche quando... prima...

“Perché... voglio dire, perché eviti alcuni termini?” Non smise di osservare i bottoni; ormai conosceva a memoria il giro del filo nei fori. “C'è qualcosa di male a dire... morte?”

“Assolutamente no.”

Waverly alzò finalmente lo sguardo: “Okay. Non sono morti qui. E' successo in Europa, durante la loro seconda luna di miele.”

“Ho capito.” Sembrò riflettere su qualcosa, o forse cercava semplicemente le parole: “So che tuo nonno ha lasciato questo mondo da questa casa. Quello che vorrei sapere è se qualcuno è partito da qui in modo non così sereno.”

Waverly distolse di nuovo lo sguardo. “Non che io sappia”, mormorò.

Nicole ne era ormai certa: le sorelle Earp nascondevano qualcosa.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11


 


 


 

Waverly e Nicole finirono di sistemare il letto.

Mentre Nicole riponeva gli ultimi vestiti nell'armadio, Waverly andò a vestirsi.

Erano rimaste in silenzio per tutto il tempo: Nicole si era fatta pensierosa, e anche Waverly si era persa. Probabilmente ricordava quelle domeniche mattina. Quelle che non sarebbero mai più tornate.

La donna dai capelli rossi si mise seduta sul bordo del letto, chiuse gli occhi e si concentrò. Decise che avrebbe dormito bene in quella stanza, che c'era un'atmosfera pacifica.

Ascoltò l'asciugacapelli e, sul quel suono, si lasciò cadere all'indietro sul morbido materasso.

“Le sorelle Earp hanno un piccolo segreto”, affermò. “E' questo che mi ha spinta a crederlo, infatti”, proseguì, rispondendo a qualcosa o qualcuno. “Hai paura?”, chiese, fissando il soffitto da cui pendeva un grosso lampadario a gocce di cristallo -o vetro. “A giudicare dalla descrizione di Wynonna e da ciò che ho provato toccando il portaspazzolino, ritengo di poter affermare che si tratta di uno spettro.” Sospirò. “Uno spettro... brutta faccenda.” Annuì: “Lo so, e ne ho paura.”

Sembrò ascoltare qualcosa, un discorso abbastanza lungo; poi: “Certe cose vanno lasciate sepolte nel passato, sono d'accordo. Questa volta, però, non credo sarà possibile... mi aspettano giorni difficili.” Le labbra si piegarono all'ingiù: “Ti prego di non perderti in simili illazioni.” Sospirò e spiegò: “Congetture... ipotesi poco credibili, speculazioni. Capito? Non gradisco il discorso. Conosci Waverly sicuramente meglio di me, ma ti prego di tenere questi pensieri per te.” Voltò la testa e sorrise: “Perdonami, sono stanca e nervosa. E ti chiedo anche di perdonare la mia presenza. So anche che non puoi dirmi nulla di loro, lo so. Devo pensarci da sola, come sempre.”

Il suono del phon cessò e il silenzio tornò sovrano.


Waverly rientrò nella stanza. Nicole non si mosse.

E' bella, bella e fragile, pensò, fermandosi accanto al letto.

Nicole aveva gran parte della pancia esposta: la posizione aveva costretto la camicia a tirarsi su. Il suo sguardo poteva osservare la diafana pelle fino alle costole, che sporgevano a formare una conca. Le ossa del bacino ne formavano un'altra, di conca. Smise di indugiare sul corpo della donna e si concentrò sul viso: gli occhi erano aperti e fissavano il soffitto.

Eppure sono certa che si sia accorta della mia presenza.

“Nicole?”

“Vuoi parlare di quello che è successo stamattina”, disse senza voltarsi. “Stenditi con me, vuoi? Questa posizione è ottima per lo spirito e per sciogliere le contratture. La spina dorsale si distende e per un po' dimentica il peso di ogni gravità.”

Distendermi con te...

“Okay...”

Si mise seduta e lasciò che la schiena si poggiasse al materasso. Le gambe, proprio come quelle di Nicole – dall'altro lato del letto-, le lasciò ondeggiare oltre il bordo.

Le loro teste erano ora vicine.

“Sento la tua energia”, sussurrò Nicole, “mi trasmette calma, nonostante il tuo cuore sia in tumulto. Senti la mia?”

Waverly si concentrò sul suo orecchio sinistro, così vicino a quello di Nicole. Sentiva il suo calore corporeo irradiarsi fino a lei, ma non seppe dire se ci fosse o meno un'energia. Era solo calore... o...

“Forse sento la tua presenza, forse è solo il calore che emani.”

Nicole voltò la testa. Anche Waverly si voltò a guardarla.

I loro volti non erano mai stati così vicini, ma non ci fu imbarazzo: era come se Nicole la stesse trascinando in un'altra dimensione. Si sentiva stordita. Era come se il mondo comprendesse solo quel letto; null'altro di materiale, di fisico esisteva. Solo pensieri. Forse quella posizione era davvero miracolosa.

C'erano gli occhi nocciola di Nicole e il materasso, tutto il resto non esisteva più. Non aveva neppure senso che ci fosse dell'altro.

La sua bocca è così vicina...

Nicole voltò la testa e si concentrò sul soffitto.

“Immagino, no... so che hai delle domande per me.”

E' successo davvero o l'ho solo immaginato? Mio Dio! Mi sento così strana... non riesco a distinguere cosa è reale e cosa no. Sto impazzendo? L'ho baciata? Se l'ho baciata -un bacio alla Spiderman- perché lei si comporta così? O meglio: non si comporta in alcun modo. Forse ho solo immaginato di farlo... Non lo so!

Waverly Earp, torna padrona di te stessa!

“Non so di cosa voglio parlare, Nicole... Forse voglio solo farti delle domande.”Voglio capirti.

“Domandami ciò che vuoi... ho voglia di parlare con te.”

Ha sempre queste frasi, queste dichiarazioni di natura indefinita... ambigua, quasi.

“Non so da dove cominciare”, ammise. “Ho la testa piena di domande, ma tutte sembrano pretenderne altre, prima... non so se mi spiego.”

“Te ne faccio io una, va bene?”

“Sì...”

Si voltò di nuovo a guardarla.

“Sei arrabbiata con me?” Suonò infantile e terribilmente vulnerabile.

Waverly lottò per guardarla negli occhi. Lottò per non sfuggire a quegli occhi così tristi e indagatori. Più tristi che mai.

“No...” disse infine. “Lo ero prima... Pensavo che...” Esitò. “Pensavo fossi un'egoista, Nicole...”

“E ora cosa pensi di me?”

“Penso che non ti conosco. Penso tu sia stata lontano dalle persone troppo a lungo, e questo mi fa sentire triste...”

“Capisco.” Concentrò l'attenzione sul lampadario. “Capisco le emozioni umane, ma sono incapace di comportarmi di conseguenza, molto spesso. Penso che ognuno di noi abbia un mondo, un intero universo dentro.” Ancora una volta, la sua frase suonò incompleta.

“Nicole...” sussurrò dopo qualche minuto di silenzio. “Tu puoi parlare con i fantasmi, vero?” Una domanda alquanto retorica. “Voglio dire, hai sempre avuto delle doti particolari?”

“Non sono nata così, se è quello che mi stai chiedendo. Be', sì, è esattamente quello che mi hai chiesto.” Sorrise. “A volte dico delle cose un po' sciocche, vero?”

“Non preoccuparti...”

Sembri eterna, quasi divina... sembri avere una consapevolezza di te che sfugge alla mia comprensione... eppure, molto spesso, ti riveli essere così vulnerabile. Sei un essere umano, Nicole, lo sei come lo sono io... eppure...

Si voltò sul fianco, appoggiando la testa alla mano. “Voglio raccontarti una storia, posso?”

Anche Waverly si alzò un po': si sentiva a disagio a rimanere completamente distesa. Assunta la nuova posizione, la sua mente tornò un po' più lucida, ma si sentì come se avesse i postumi di una sbornia. Non una sbornia epica, solo un bicchiere di troppo.

“Certo, mi farebbe piacere ascoltare. Mi piacciono le storie.”

Nicole le sorrise e cominciò il racconto...

“Anni fa, da qualche parte in Canada, c'erano una carovana e i suoi teatranti...”

E' la sua storia?

“Era un gruppo piuttosto eterogeneo: uomini e donne di ogni età. Fra di loro c'era anche una bambina, l'unica bambina. Quella volta erano fermi sulle rive di un fiume, nei pressi di un bosco da un lato e di campi dall'altro.

La bambina amava quando la coronava si fermava, fra uno spettacolo e l'altro, in mezzo alla natura. Passava le sue giornate ad esplorare. Quel giorno non era diverso dagli altri, non all'alba... il tramonto avrebbe avuto, da quel momento in poi, un altro significato. Tutto avrebbe avuto un altro senso. Ma sto correndo troppo.

Era una bimba piccola: aveva solo otto anni, ma le sue gambe erano già molto lunghe...”

E' assolutamente la sua storia...

“Proprio per questa sua caratteristica, aveva il vizio di saltare. Torrenti, fossi, non aveva importanza: sapeva che le sue gambe l'avrebbero fatta atterrare al sicuro dall'altra parte.

Si fermò sulla sponda del fiume e osservò i sassi che sporgevano dalla superficie come teste grige e verdi. Lentamente vide un sentiero, tutto da saltare, per arrivare dall'altra parte.

Lì vicino c'era anche uno degli uomini della compagnia che, intuendo i pensieri della piccola, le disse di lasciar perdere. Le disse che le pietre erano ricoperte d'alga e muschio: troppo scivolose. Le disse inoltre che non bisogna fidarsi dell'acqua dolce ''inghiotte vita e sputa morte''. Ovviamente la bambina non gli diede ascolto. Gli disse che le sue gambe non l'avevano mai tradita, e che sicuramente non avrebbero cominciato quel giorno.

Peccò d'arroganza e venne punita per questo: a tre pietre dalla riva opposta, il suo piede scivolò. Cadde nell'acqua gelida. Lottò per tornare in superficie, lottò con tutte le sue forze, ma i mulinelli la risucchiavano e la trattenevano.

I polmoni le andarono i fiamme, il suo petto stava per esplodere.

Fu quando l'incoscienza stava per prenderla che la vide...”

“Chi?” Non era riuscita a trattenersi. “Chi vide?”

Nicole le sorrise. “Vide la donna più bella che sia mai esistita. Vide una dea dai lunghi capelli argentei. Lo ripeto, era una donna bellissima. Aveva un volto giovane e maturo allo stesso tempo, magro ma morbido. Senza tempo, eterno. Era così pallida. Aveva gli occhi più neri del nero. Erano profondi e grandi. Quegli occhi potevano inghiottire come solo un buco nero.

Quando la dea le sorrise, la bambina smise di avere paura. Non c'era più nulla... nulla se non... benevolenza, calda e accogliente benevolenza.

La dea le prese il volto tra le lunghe, diafane dita. Aveva un tocco gelido, diverso da qualunque gelo la bambina avesse sperimentato fino a quel momento. Era triste e penoso... sbagliato, in qualche modo. Eppure, di sbagliato non c'era proprio nulla...

La dea spiegò la ali. Erano nere come quelle di un corvo, e grandi... immense.

Dischiuse le labbra e avvicinò il volto a quello della bambina. Stava per baciarla...” Nicole si sfiorò le labbra. Un gesto involontario. “Aveva le labbra gelide e morbide... toccarono appena quella della bambina. Un soffio, non un vero contatto. Le disse: ''Non è il tuo tempo, creatura''. Aveva una voce così dolce...”

“Nicole... era la morte?” Solo in quel momento si rese conto di tremare. “Sì?”

Nicole assentì.

“Come sei sopravvissuta? E' stato l'uomo che c'era sulla riva?”

Sorrise e rispose: “Sì, è stato quell'uomo a tirarmi fuori dal fiume. Penso di poter anche smettere con la terza persona. Immagino sia stato come parlare con Gollum. La parola non è la mia arte.”

“Continua la storia, ti prego”, supplicò.

“Come desideri”, acconsentì. “Mi svegliai tre giorni dopo. Aprendo gli occhi, la vidi... la dea si stava voltando, se ne stava andando via. Non volevo che se ne andasse. La supplicai di fermarsi. Volevo sapere chi era, volevo risposte... ma volevo anche continuare a guardare quel suo bel viso. Mi guardò e mi disse: ''Non ora, creatura'', e svanì.

''La vedi anche tu...'' mormorò mia nonna. ''E' rimasta a vegliare su di te per tre giorni e tre notti. Non poteva prenderti, forse non voleva farlo''. Non mi ero accorta di lei, prima che parlasse. ''Hai strappato il velo sottile''.”

Il velo sottile, Nicole? Che cosa intendi? E perché lei era ancora lì? Perché tua nonna poteva vederla?”

“Mi credi?” Non riuscì a nascondere lo stupore.

“Non devo? Ti stavi prendendo gioco di me?”

“No, certo che no”, la rassicurò, “ero seria. Solo non è la reazione che ottengo quando ne parlo, ecco.”

“Ne hai parlato ad altre persone?”, chiese con malcelato fastidio.

Nicole si lasciò ricadere sul materasso. Sembrava improvvisamente esausta.

“Ho provato a parlare di Morte. Le persone si fanno sorde o meschine. Questa storia, però, la raccontai ad una sola persona... lei mi ascoltava. Voleva capirmi. Anche tu vuoi capirmi...”

“Chi era quella persona?”

“Lei l'ha presa con sé. Non ha senso pronunciare il suo nome. Non ha senso...”

“Mi dispiace...” mormorò. “Presa com'ero dalla curiosità, ho dimenticato di essere sensibile. Ho dimenticato che... questi non sono affari miei...”

“Ho scelto di mia spontanea volontà di parlartene”, disse Nicole, mettendosi seduta. “Ho scelto di raccontarti come ho strappato il velo.”

Waverly scese dal letto, ci girò intorno e si mise seduta accanto a Nicole.

“Puoi perdonare un'ultima volta la mia curiosità? Te lo chiedo per una domanda in particolare, non per le migliaia che ti farò dopo...”

“Vuoi chiedermi di lei”, sospirò. “Era una brava ragazza. Era dolce e sensibile... mi trattò sempre con rispetto e umanità. La sua amicizia fu il dono più bello della mia adolescenza.”

Amicizia...

“Non eravate innamorate, allora?”

Si voltò e la guardò a lungo negli occhi. Poi chiese: “Cos'è l'amore? Puoi definirlo? Riesci a racchiuderlo in un solo insieme?” Scosse la testa. “Le persone si riempono la bocca con questa parola, ma siamo sicuri di sapere cosa vuol dire... amore?”

Immagino siano domande retoriche... lo sono? Non ne ho idea. Si sta arrabbiando? Vuole una risposta da me? Ci provo...

“Penso che l'amore sia quella cosa che ti scuote dentro, che ti toglie forze e respiro, ma è anche tutto ciò che rende felice... vivo...”

“Quello non è amore”, affermò Nicole, “quella che hai descritto è passione. E' importante chiamare le cose col loro nome.”

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Capitolo 12
*** 12 ***


 

12


 



 

Passione, non amore...

“Cosa vuoi dire?”

“La parola passione deriva dal Latino. Per farla breve, significa sofferenza.” Si alzò e si appoggiò al davanzale della finestra, concentrandosi sulla neve che aveva ripreso a cadere. “Quello che Wynonna ha per la scrittura è passione o amore?”

Non so cosa stia succedendo, ma intendo scoprirlo!

“Amore. Il suo è un grande amore per la scrittura”, affermò con convinzione.

“No”, replicò Nicole, “quella è ancora una volta passione.”

Waverly sospirò a disagio. “Va bene, allora non conosco la differenza... Perché c'è una differenza? Si soffre anche per amore, è ovvio!”

“La passione è manifesta in Wynonna: soffre per la sua arte e ne è, allo stesso tempo, gratificata. E' una continua lotta, ricerca... è un continuo cadere e rialzarsi. E' piangere e ridere.” Si voltò verso Waverly: “Quando Wynonna, o uno scrittore in generale compongono i loro testi... nel loro petto non c'è pace, non c'è mai riposo. Lo ripeto, è una lotta continua.” Si sfiorò il petto, e Waverly intravide un'attrice drammatica. “Qui dentro si accende un fuoco, quando siamo preda della passione. Quel fuoco ci divora e ne siamo schiavi. Tendiamo ad abbinare la passione all'erotismo, ma quella è solo una parte, una sua sfumatura: pensa alla passione di Cristo... la sofferenza, la pena.”

Questa donna mi confonde... ma devo ammettere di essere affascinata. Non l'avevo mai vista in questo modo. Non mi ero mai fermata a ragionare sul significato di quella parola, non come forse avrei dovuto.

“Allora cos'è l'amore...? Lo sai, Nicole?”

“Alcuni, in modo molto poetico, hanno preso questa parola ''a-mors'' -amare- dal latino, e l'hanno tradotta come ''senza morte''. Non so cos'è l'amore. Non sarò io a rinchiuderlo in un semplice cerchio. Posso però dirti cos'è l'amore per me. Posso darti solo la mia verità.”

“Dimmelo...”

“L'amore è rassegnazione. L'amore è quando non ha più senso lottare. Non c'è alcuna lotta.” Sorrise. “Questa è la mia definizione... ma io essere umano, come faccio a sapere cos'è davvero l'amore? So di aver amato delle persone, ma ho anche amato degli animali... amo la mia macchina. Sono amori diversi fra loro, ma è pur sempre amore, giusto? Suppongo di sì. Forse l'amore è ciò che più si avvicina al concetto di infinito... qualcosa che gli esseri umani non possono comprendere. Io non sono matematica, io sono umana.”

“Matematica?”

“Sì. La matematica concepisce non solo l'infinito, ma addirittura infiniti... infiniti, e la somma d'essi. Inconcepibile, per un essere umano.”

“Non farò finta di comprendere appieno le tue parole: sono concetti che mi trovo ad affrontare per la prima volta... nel senso, affrontarli in questo modo.”

“Meno male”, sospirò Nicole, “avevo finito gli argomenti e non avrei saputo come continuare.” Rise. “Mi dispiace, a volte comincio a parlare ed è impossibile fermarmi.”

Be', almeno non sembra più sul punto di arrabbiarsi... ammesso e non concesso che si stesse davvero per arrabbiare.

“Posso farti delle altre domande? Riguardano il tuo passato... riguardo al velo di cui parlavi prima. Magari anche riguardo alla morte... ho così tante domande.”

Nicole si rimise seduta al fianco di Waverly.

“Facciamo in questo modo...” Alzò tre dita: “Risponderò a tre domande, poi andiamo all'Happy Break e ci portiamo anche Wynonna. Ha bisogno di uscire da questa casa. La sua energia negativa mi arriva addosso anche da questa distanza. Ci stai?”

Imprevedibile...

“Ci sto. E credo di aver scelto le tre domande...”

“Ti ascolto.”

“Hai parlato di tua nonna... ma i tuoi genitori?”

“Mi hanno abbandonata. Non sopportavano quella vita fatta di sacrifici, fame e freddo. Forse non sopportavano neppure me.”

Mio Dio...! Che cosa orribile!, pensò Waverly. Vorrei chiederle di più su sua nonna, ma non intendo sprecare una domanda...

“Mi dispiace... dico davvero.”

“Lo so.”

“Allora... la mia seconda domanda... C'era la morte, dietro a Henry, vero? E' lei che hai visto...? E' così che lo sapevi. Era uguale... voglio dire, aveva lo stesso aspetto di quando l'hai vista da bambina?”

“Le prenderò come un'unica domanda, e la risposta è una soltanto: sì. Ultima domanda.”

“Che cos'è il velo sottile?”

“C'è un velo che divide i due mondi: il mondo dei vivi e il mondo degli spiriti. Possiamo immaginare questo velo come un tessuto; ogni tessuto ha degli spazi fra le fibre: dei passaggi. Quando questi passaggi vengono attraversati, i due mondi si mischiano. Meglio dire: alcuni spiriti entrano in questo mondo. Sfiorando le labbra di Morte... è stato come se avessi preso un coltello, capisci? Ho fatto un taglio molto grande, così grande che la mia anima si è connessa al mondo invisibile. Ho visto senza morire.”

“Wow...” sussurrò Waverly. “Anche tua nonna, dunque-”

“Ah-ah!” Nicole si alzò. “Alt. Tre risposte per tre domande. Fra poco Wynonna scatenerà l'apparizione di qualcosa che non siamo ancora pronte ad affrontare, troppa negatività. Andiamo.”

Non attese risposta, semplicemente uscì dalla stanza.


 

<)o(>


 

Wynonna seguì Nicole con lo sguardo. La ascoltò salire i gradini. Poi la sentì anche parlare con Waverly, senza afferrare il senso della conversazione, anche se non era difficile immaginarne la natura.

Non ha senso parlare di quella cosa! Non ha senso... è parte del passato, un passato lontano. Molto più lontano di tre settimane. Cazzo, stavo per... Una parte di me stava quasi per parlare di quell'episodio. Volevo farlo.

In casa mia c'è una donna che... che? Parla con i fantasmi? Se è così, non può dir loro di andarsene affanculo e lasciarci in pace? Troppo semplice? Perché le cose non possono mai essere semplici?

Si versò dell'altra grappa.

Devo pensare ad altro, o questo pensiero finirà per farmi perdere la ragione. Forse ho già perso la ragione: ho accettato l'esistenza dei cazzo di fantasmi! Credo di averlo fatto... non lo so. Non sono sicura. Che altro sono, se non fantasmi? Che cazzo ne so! So solo che questa storia finirà col mandarmi al manicomio.

Si alzò, prese la bottiglia e la tazza e si diresse in salotto.


 So come non pensare...

Si mise davanti al PC e si riempì la tazza di grappa. Sapeva che non sarebbe riuscita a scrivere nulla, per il suo romanzo. Leggere, però, era una faccenda diversa.

Una storia leggera... ecco di cosa ho bisogno.

Cercò fra i documenti del PC, e alla fine trovò una storia che sua mamma aveva scritto molti anni prima. Non era mai riuscita a concluderla.

Wynonna aveva ricopiato il foglio -che ora custodiva in un cassetto- su un documento digitale. Si era più volte chiesta se volesse provare a concluderla lei. Aveva deciso di no... l'avrebbe lasciata così. Pura, seppur incompiuta.

Un ricordo. L'ultimo ricordo di sua mamma...


 

«Signor Orso!», esclamò la Signora Orso, poggiando le zampe sui larghi fianchi pelosi, attorno ai quali era legato un grembiule bianco a fiori rosa. «Non puoi poltrire tutto il santo giorno! C'è la legna da tagliare e il tetto non si riparerà da solo!», lo sgridò, agitando il matterello sporco di farina.

«Stavo facendo un sogno, cara», sbadigliò il Signor Orso, alzandosi un po' dalla poltrona rossa in cui era sprofondato ore prima. «Sognavo che avevi fatto la torta di mele. L'avevi fatta usando le Golden Delicius! Quelle che la Signora Topo ha portato ieri.» Annusò l'aria col il suo grande naso nero. «Posso ancora sentirne il profumo!», esclamò, leccandosi il muso.

«La Signora Capra, non la Signora Topo!», lo contradisse, addolcendo un po' la voce. «Sei il solito distratto, caro! E la torta esiste davvero, non solo nei tuoi sogni! Ho lavorato tutta la mattina, mentre tu russavi come un orso! E' in forno, sarà pronta per pranzo.»

Il signor Orso


Si conclude così...

Svuotò la tazza. Ormai era ubriaca.

Quanto vorrei che la mamma fosse ancora qui. Quanto vorrei poter ascoltare ancora la sua voce, sentire il calore del suo abbraccio. Era così dolce quando ci leggeva le storie... lei era dolce sempre.

Mi manca tanto...

Vorrei essere di nuovo una bambina... i bambini hanno i genitori, o comunque degli adulti, che si prendono cura di loro, che risolvono i problemi. Io sono adulta, ma non sono sicura di saper risolvere i miei problemi. Forse, nonostante io sia divenuta a mia volta un adulto, ho ancora una visione infantile dello status. Forse penso ancora che gli adulti sappiano sempre cosa fare, penso che abbiamo tutte le risposte, che sappiano muoversi agilmente nel mondo. Non è così. Siamo solo dei bambini con un bagaglio di esperienze più grande, con una maturità differente... non per forza migliore di quella di un bambino: a volte siamo davvero ottusi, ci rifiutiamo di vedere.

Gli adulti non sono un prodotto finito. Siamo l'evoluzione del prototipo, rappresentato dai bambini. Siamo ciò che che non sarà mai completo, è questo a farci soffrire, forse. La consapevolezza di avere ancora tutto da imparare, la consapevolezza di non poter sapere tutto. La delusione di esserne finalmente consapevoli.

Sono una donna adulta, eppure, ora più che mai... le mie paure assomigliano a quelle di un bambino.

Non sono debole, so di non essere debole! Ho portato avanti questa casa, questa famiglia tutto da sola. Ho imparato a pagare le bollette, a far tornare i conti. Ho imparato un mestiere... ho imparato ad essere adulta e prendermi le mie responsabilità. Il punto è che non voglio farlo... ma lo faccio lo stesso. Perché questo è quello che fanno gli adulti: fanno ciò che va fatto, non ciò che vogliono.

C'è chi adulto non lo è mai diventato... sussurrò una vocina nella sua testa.

Sta' zitta!, ordinò. Non voglio ascoltarti!

“Non voglio...” mormorò, prendendosi la testa fra le mani.

Perché tu sei adulta, Wynonna? Perché tu hai potuto conoscere il mondo, invece lei no...?chiese ancora la voce.

“Non farlo... non ora! Non ora!”

Lei non ha mai conosciuto il bacio di un uomo o di una donna. Non ha neppure avuto il tempo di capire chi o cosa avrebbe potuto renderla felice. Mr. Teddy non conta, se te lo stai chiedendo, continuò. Ovatta e bottoni non possono sostituire carne e occhi.

“Perché mi stai facendo questo...?” mugugnò.

Non te lo meriti? E' questo che pensi?

“Lasciami in pace!”

“Wynonna...” La voce di Nicole. “Va tutto bene, ma non puoi fare così, capito? Non possiamo permettercelo.”

Alzò gli occhi color ghiaccio per incontrare quelli nocciola di lei.

“E' colpa tua...” ringhiò. Afferrò la tazza vuota. “E' colpa tua!” E la scagliò contro Nicole.

La donna riuscì ad evitare l'oggetto, quello che non riuscì ad evitare furono le mani di Wynonna. La afferrò per la camicia e la spinse, senza mai mollarla, verso il divano.

“Non toccarmi... non toccarmi, ti prego...” annaspò Nicole. “Lasciami andare, ti pre-” Il retro delle ginocchia scontrò il divano e lei cadde all'indietro. Trascinando anche Wynonna.

“Wynonna, non posso sopportarlo... ti prego-”

Le mani della donna dai capelli neri si strinsero attorno alla sua gola, mozzando la frase.

“E' colpa tua!”, le urlò. “Perché hai dovuto riportalo alla luce?!”

Nicole non lottò: era paralizzata dall'ira e dal dolore dell'altra donna che, miste all'ossigeno che non riusciva più a nutrire il cervello, la stavano trascinando nel limbo a cui già una volta era sfuggita.

“Wynonna!”

Non fu l'urlo di Waverly a riportare Wynonna in sé, furono gli occhi terrorizzati e iniettati di sangue di Nicole, uno dei quali era circondato da un alone violaceo.

“Non sono una persona violenta...” mormorò, staccandosi da Nicole. “Non sono questo...” disse, lasciandosi cadere a terra.

Anche Nicole cadde a terra, tossendo e annaspando alla ricerca d'aria.

Waverly avrebbe voluto muoversi, correre da Nicole e aiutarla.

Non poteva muoversi.

Un senso di disperazione, freddo e follia le copriva le spalle come un mantello fatto di dannazione e oscurità. La inchiodava.

“Scappa!” rantolò Nicole, riuscendo a rimettersi in piedi. “Esci subito da qui!” urlò, tossendo. “Va' fuori! Mi occupo io di Wynonna!”

Questa sensazione orribile alle mie spalle... Nicole così spaventata...

Waverly si voltò lentamente, aveva capito che c'era qualcosa, alle sue spalle.

Quello che vide non aveva molto senso. Forse non ne aveva alcuno. Una forma umanoide volteggiava dietro di lei. Era nero come il petrolio ed evanescente come vapore. Ma era reale, era dannatamente reale!

Urlò e scappò verso la porta, finalmente libera di muoversi. Ma non varcò la soglia: non voleva abbandonare Wynonna e Nicole.

“Nicole!”, gridò disperata, quando si accorse che la cosa mirava a sua sorella e alla donna dai capelli rossi.

Lo spettro si muoveva rapidamente. Se avesse deciso di procedere in linea retta, le avrebbe già prese, ma... si muoveva a zig-zag per il salotto. Sembrava quasi rimbalzare su pareti invisibili come la pallina di un flipper. Il suo modo di fare aveva un che di veramente disturbante, poiché non rispettava nessuna legge fisica. Nessuna legge di questo mondo... Non era di questo mondo.

“Scappa!”, gridò di nuovo Nicole. Afferrò Wynonna -che continuava a ripetere di non essere una persona violenta o cattiva- e la tirò per un braccio. La sollevò di peso. In una situazione normale, il suo corpo esile non le avrebbe mai permesso di sollevare una donna adulta. Quella era la magia dopante dell'adrenalina.

Nicole trascinò Wynonna fino alla porta, dove Waverly ancora esitava.

Finirono tutte e tre nella neve.


“Siamo al sicuro...” sospirò Nicole, chiudendo la portiera.

Erano entrate tutte dentro la macchina rossa, anche se nessuna di loro ricordava come. Era successo tutto troppo in fretta.

“State bene?”, chiese a Wynonna, seduta accanto a lei sul sedile del passeggero, e a Waverly, che occupava un sedile posteriore.

“Non volevo fare quello che ho fatto...” singhiozzò Wynonna. “Non volevo farti del male... non voglio fare del male a nessuno...”

“Lo so”, garantì Nicole. “Lo so, Wynonna. Sei sconvolta e ubriaca.”

Non voglio sapere cosa sarebbe successo se si fosse accorta di quella cosa... pensò Waverly. Forse è meglio che sia così ubriaca... anche io vorrei essere ubriaca, al momento.

Wynonna si artigliò alla coscia di Nicole, che si irrigidì violentemente.

“Non volevo farti del male...”

“Ho capito, Wynonna...” mugugnò. “Ho capito, ti credo... ma ora togli le mani da lì, ti prego. Ti perdono, okay? Ho già dimenticato tutto, ma ora smettila di toccarmi...!”

Wynonna liberò la coscia di Nicole. Mise i piedi sul sedile e nascose la faccia tra le ginocchia. Solo una donna con una certa elasticità, corporatura e altezza poteva riuscirci.

“Silenzio!”, sbottò Nicole, girandosi verso i sedili posteriori. “Che cazzo!” Probabilmente c'erano ancora dei rimasugli dell'energia negativa di Wynonna, in lei: quello scatto d'ira non le s'addiceva per nulla.

“Non ho emesso neanche un fiato...” mormorò Waverly, spaventata.

“Perdonami...” sussurrò, voltandosi di nuovo verso il parabrezza. “Non era rivolto a te...”

Mio Dio! Lo sapevo! In questa macchina c'è un fantasma!

“Va tutto bene... Grazie per... non lo so... tutto quanto...”

“Andiamo...” Mise in moto la macchina. “Abbiamo tutti un gran bisogno di caffè... e di una ciambella.”

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Capitolo 13
*** 13 ***


 

13



 


 

La 5oo procedeva lentamente. In primo luogo, perché la neve continuava a cadere e rendeva pericolosa la strada; in secondo, perché Wynonna non indossava la cintura di sicurezza e non era il momento di farglielo fare: quella posizione fetale sembrava recarle conforto.

Waverly ascoltò per un po' i singhiozzi sommessi di sua sorella. Avrebbe voluto consolarla, ma sapeva che nessuna parola, in quel momento, sarebbe servita.

Si perse nei suoi pensieri. Il lento procedere della macchina era l'ideale per pensare.

Cosa sta succedendo? Voglio dire... cosa sta succedendo nella mia vita?

Fantasmi, morte... questa donna seduta davanti a me. Come può questa essere la realtà? E se stessi sognando? Forse, proprio come Alice, sono caduta nella tana del coniglio.

Questa donna... Nicole è arrivata nella mia vita e ha portato un nuovo significato a... tutto quanto. Dal velo sottile alla sua filosofia. Il mondo come lo conoscevo prima sembra non esistere più. Forse il mondo che vedevo prima non è mai esistito. Forse non vedevo.

Parlando di ciò che ho visto, e intento che ho visto con i miei occhi fisici... Quella cosa. Mi ha ricordato quegli esseri che si vedono in Harry Potter; quegli spettri. Ma ciò che ho visto io non può essere riprodotto da nessuna magia da computer grafica. Nessun effetto speciale potrebbe mai riprodurre quell'evanescenza nera. Gli effetti speciali fanno parte di questo mondo, quella cosa no.

Ho così freddo. Ho freddo dentro... all'anima. Mi sento sporca e vulnerabile. Non riesco a togliermi di dosso quella sensazione di dannazione e oscurità. E' così che Nicole sente i sentimenti e le emozioni degli altri? Diventano suoi? Sostituiscono le sue percezioni, o si mischiano con le sue? Forse la seconda ipotesi. Comunque dev'essere qualcosa di davvero potente... Era così disperato, il modo in cui supplicava Wynonna di non toccarla.

Nicole...


 

Anche nella mente di Wynonna c'erano dei pensieri che si affollavano. I pensieri di una mente ubriaca, e, al momento, molto fragile.

Prima l'ho colpita. E' stato involontario, ma le ho fatto un occhio nero. Poi l'ho presa per la gola... volevo farle sentire dolore. Non è vero... volevo ucciderla. Volevo uccidere Nicole. Mi sembrava l'unico modo: è colpa sua se ho pensato a Skylar.

Skyler e Mr. Teddy: due anime inseparabili.

Ovatta e bottoni. Carne e occhi.

Non sono violenta. Non sono cattiva.

No...?

Sono capace di uccidere? Non voglio conoscere la risposta.

Ho ucciso.

Non è vero!

E' morta per colpa mia!

No! Non è stata colpa mia!

Avevo tutte le attenzioni di mamma e papà, mi faceva sentire bene. Sentivo di esistere di nuovo.

Non è così...!

Ero felice che fosse successo.

Basta!

La 5oo si fermò al lato della carreggiata.

“Wynonna... basta così”, mormorò Nicole, voltandosi a guardarla, “smettila di tormentarti. Non farti questo.”

Siamo sicuri che non possa leggere nella mente delle persone?, si chiese Waverly. No, è stata chiara in merito. Forse è solo che sente la sua energia negativa... come prima. Lei sapeva cosa stava per succedere, lo ha detto esplicitamente. E poi... Wynonna sta piangendo, non ci vuole una sensitiva per capire che sta soffrendo.

Wynonna abbassò un ginocchio, rivelando il profilo del viso. Stava piangendo, ma cercava di trattenere i singhiozzi.

“Volevo ucciderti...” mormorò. “Smettila di essere gentile... smettila di trattarmi come se non avessi colpe!”

“So cosa volevi fare, Wynonna. Lo so.” Sopirò. “Non eri in te. Non posso e non voglio condannarti per un momento di debolezza. Non te lo meriti. Non meriti il mio rancore, non meriti il mio biasimo.”

“Ti avrei uccisa”, ribadì Wynonna, “volevo che soffrissi come soffrivo io... volevo che tu morissi...”

“Sono qui e respiro.”

Nicole si tolse la cintura di sicurezza. Si allungò, e dal vano portaoggetti recuperò il pacchetto di sigarette e l'accendino viola. “Lo so che fa freddo, ma vuoi uscire un momento con me? Queste sigarette, come ti dicevo, hanno preso umidità e fanno schifo, ma è il meglio che ho...”

Wynonna annuì. Aprì lo sportello e uscì.

“Torno subito”, disse, voltandosi verso Waverly. “Lascio il motore acceso così il riscaldamento non si spegnerà.”

“Aspetta!”, esclamò. “Wynonna ha una felpa e un maglione, tu hai solo la camicia...” Tirò giù la zip della felpa che aveva indossato prima. “E' un po' corta per te, ma almeno ti proteggerà... un po'...” Gliela porse.

“Sei molto gentile, Waverly.”

Nicole indossò la felpa e uscì.

Waverly osservò Nicole e Wynonna, che si erano messe davanti alla macchina per proteggersi quel minimo dal vento, e poi guardò accanto a sé, sul sedile.

“Sei qui... vero?”, chiese. “Sei sempre stato qui...”

Non si aspettava, ovviamente, una risposta. Non verbale, almeno. Ma continuò a parlare.

“Sei solo o siete in tanti? Non ho idea se tu possa o meno capirmi... non so come funziona. Però sappi che non sono ostile... okay? Ti dico questo perché per oggi ho avuto abbastanza paura e... Non che tu possa farmi paura!”, si affrettò a dire. “Solo... non lo so. Forse ho solo voglio solo parlare con qualcuno... o con me stessa. Forse il suono della mia stessa voce mi fa sentire meglio, meno sola... Non so se ha senso per te.”


 

<)o(>

 


Nicole offrì il pacchetto a Wynonna, che prese una sigaretta e se la mise in bocca.

“So cosa ti passava per la testa”, iniziò Nicole, accendendole il piccolo cilindro ripieno di tabacco. “Non ti nascondo che ho avuto paura. Non avevo paura di morire, avevo paura di quello che vedevo nei tuoi occhi, di quello che le tue mani mi comunicavano. Ho avuto paura della tua disperazione, del tuo dolore. Ho avuto paura, no, terrore di quel limbo freddo e nero. Mi era inaccettabile.” Fece una pausa, durante la quale si accese una sigaretta. “A volte le emozioni parlano e sono molto più chiare di mille parole”, disse, soffiando fuori il fumo. “Qual è il nome del tuo demone?”

Lei si limitò ad aspirare e soffiare fuori fumo. L'aria gelida stava cominciando a lottare contro l'alcol, e la sua mente, dunque, cominciava ad essere più lucida.

“Non mi conosci, Wynonna, ma puoi fidarti di me. Non sono qui per giudicare nessuno, voglio solo aiutare, desidero aiutare”, disse dopo un intero minuto di silenzio. “Anche io sono spaventata, credimi. L'istinto mi dice di scappare lontano, ma non abbandonerò Waverly e te. Non lascio mai un lavoro a metà, non importa quanto doloroso od oscuro si riveli.”

“Non sono pronta per questo”, mormorò qualche secondo dopo. “Non sono pronta. Forse non sarò mai pronta per questo.”

“Aspetterò”, garantì Nicole. “Sono paziente. Aspetterò che tu sia pronta a parlare con me.”

“Puoi aspettare per sempre?”

“Sì, posso.” Aspirò forte e rilasciò lentamente il fumo grigio-azzurro. “Aspetterò giorni, mesi e, se devo, anni. Non me ne andrò finché non vi avrò restituito la vostra vita.”

“Perché lo fai? Cosa ti spinge a sacrificare così la tua esistenza, la tua gioventù... Non so quanti anni tu abbia, ma devi avere la mia età o essere un po' più giovane. E' così che immaginavi la tua vita?”

“Lo faccio perché posso.” Sospirò. “Perché devo provare ad aggiustare le vite degli altri...”

“Non potendo aggiustare la tua...” concluse Wynonna.

“Qualcosa del genere, sì.”

“Non conosco la tua storia. Non la conosco, eppure so di non riuscire ad invidiarla. Non so neppure il tuo cognome... Qual è?”

Si voltò a guardarla. La guardò a lungo negli occhi prima di rispondere: “Non appartengo a nessuno, così come nessuno appartiene a me. Ho delle radici, ma ora sono una foglia che si è staccata e che il vento trasporta.”

“Non potevi darmi una risposta più da Aquario di così...” sorrise. “Waverly mi ha detto qualcosa riguardo il vostro discorso. Le piaci, sai? Vede qualcosa in te... forse vede la stessa consapevolezza che vedo io, in te. Ne è affascinata.”

“E lei piace a me. Amo la sua anima innocente e pura. Amo la sua energia positiva, che non riesce ad inquinarsi neppure quando ha paura. La sua presenza mi fa stare bene. Mi sono bastate poche ore con lei per ritrovare la calma che non sapevo più potesse esistere.”

“Posso chiederti una cosa?”

“Prego.”

Wynonna aspirò un'ultima volta, poi gettò la sigaretta nella neve. “Faceva davvero schifo, ma grazie per avermela offerta. Comunque, volevo chiederti se c'è qualcuno nella tua vita, nel tuo cuore. E' una sciocca curiosità, prendila come tale.”

Nicole rimase in silenzio. Forse stava scegliendo le parole.

“Farò in modo di non spezzarle il cuore”, disse infine. “Ma è una promessa che non so se potrò mantenere. Sono umana, dunque fragile e volubile. Un giorno me ne andrò e sarà un addio.”

“Sapevi esattamente dove volevo andare a parare...”

“Per ora, quella che Waverly ha per me è attrazione e curiosità. Solo il tempo mi dirà come si evolveranno le cose, se avranno il tempo di farlo.” Buttò anche lei la sigaretta. “Ho bisogno che tu mi faccia una promessa, Wynonna.”

“Ci posso provare.”

“Non chiedo di meglio. Voglio che nel tempo che ti servirà per dirmi cosa ti tormenta davvero, tu mantenga la calma. Ho bisogno che tu rimanga calma e che la tua mente sia forte.”

“Se fosse così facile...”

“Ti insegnerò delle tecniche di meditazione. Ti insegnerò a dominare la tua mente e il tuo cuore. Daremo alla tua anima un po' di respiro. Se non lo facessimo, temo che quella casa non potrà più essere abitata da te, forse da nessun essere vivente. Non posso permetterti di continuare a nutrire e potenziare quell'oscurità, quella negatività.”

“Credi di potercela fare? Pensi che io possa farcela?”

“Sì. Wynonna, tu hai solo bisogno che qualcuno creda in te. Scelgo di credere in te. Sei una donna forte, devi solo dirlo a te stessa, devi solo accettarlo.” Si voltò completamente verso di lei e aprì le braccia: “Abbracciami.”

Wynonna fece un passo indietro. “Pensavo odiassi essere toccata... da me, almeno.”

“Non è il tuo tocco che mi turba, ma le tue emozioni. Ti chiedo di provare fin da ora a controllarle, ti chiedo solo di concentrarti sul mio corpo e rilassarti. Posso gestirti, in questo momento... non ti respingerò.” Rise. “Fra noi due non c'è alcuna carica erotica, al massimo una reciproca attrazione mentale. Sarà rilassante.”

Wynonna si avvicinò, ma non fece nulla per toccare l'altra donna.

“Gli esseri umani si abbracciano per diverse ragioni. Un semplice saluto, una manifestazione di affetto, conferire un senso di protezione. L'abbraccio ha potenti effetti benefici sul nostro cervello... ci calma, abbassa la pressione sanguigna. Il cuore rallenta e viene prodotta e liberata la dopamina nel corpo.”

“La logica è un altro buon modo per mantenere il controllo di sé”, sorrise Nicole. “Nessuno ha detto che la scienza e la logica debbano per forza essere fredde e inorganiche. Prive di umanità. Un connubio fra logica e umanità dà vita a qualcosa di veramente gradevole. Sei passionale, questo è il tuo punto debole, Wynonna, ma riuscirai a governarle anche quella, senza smettere di essere chi sei. A me piace pensare agli abbracci come una connessione fra anime. Qualcosa che ripara una frazione di noi dal resto del mondo.”

Wynonna si decise ad avvicinarsi completamente. Strinse le braccia attorno al busto di Nicole -la sentì irrigidirsi un po' e tremare-, e lasciò che le braccia di Nicole si chiudessero attorno alle sue spalle. Ci vollero nove secondi perché entrambe cominciassero a sentire gli effetti di quel gesto.

Nicole, che aveva smesso di tremare, disse: “Molto meglio, non trovi?”

“Sì...” mormorò Wynonna. “Ho l'orecchio appoggiato al tuo cuore... l'ho sentito calmarsi, e questo ha calmato anche me.”

“La magia degli abbracci. Da oggi ne avrai almeno otto al giorno. Va' da Waverly e abbracciala ogni volta che ne avrai l'occasione, per almeno trenta secondi. Puoi farlo con qualunque persona disposta a ricambiare, ovviamente. Questo è il primo passo per indebolire la tua negatività.”

“Non sapevo che si potesse trovare conforto fra le braccia di un estraneo... non l'avevo mai compreso. In questo momento non mi sento neppure stupida o a disagio.”

“E' umanità”, disse Nicole, stringendola appena più forte. “L'abbraccio, come dicevi tu, ha molti significati. Io volevo solo calmarti, e calmarmi. Stiamo riuscendo nel nostro intento.”

“Sei molto persuasiva, Nicole: dubito che avrei abbracciato qualcuno che non conosco... soprattutto qualcuno che stavo per uccidere...”

“Non è il momento di pensare a questo. Controllati. Concentrati su di te e su di me. Non esiste nient'altro. Tutto va bene, tutto è sicuro... va tutto bene. Tu proteggi me, io proteggo te. Va tutto bene, Wynonna.”

Quando un essere umano ne abbraccia un altro e gli dice che tutto andrà bene... è così. In quel momento è la verità: andrà tutto bene.

Rimasero strette in silenzio per una manciata ancora di secondi; poi Wynonna si allontanò.

“Ora però vorrei sapere perché siamo in mezzo al nulla...”


 

<)o(>


 

“... e questo l'effetto che Nicole ha su di me, capisci?”, stava dicendo Waverly, parlando con il suo interlocutore invisibile -sempre che davvero ci fosse qualcuno, lì con lei.

Si voltò verso il parabrezza, fu allora che vide Wynonna e Nicole abbracciate l'una all'altra.

“Cosa mi sono persa...?”, mormorò, preda del fastidio. Della gelosia.

Non aveva sentito una sola parola di quello che si erano dette Wynonna e Nicole: era impegnata a parlare e il ronzio del riscaldamento copriva i suoni esterni.

Sono davvero meschina... Wynonna sta male e tutto quello che riesco a fare è essere gelosa. Gelosa di cosa? Ribadisco. Gelosa di chi? A volte so essere davvero infantile...

Come stavo dicendo al mio amico invisibile, c'è qualcosa di veramente attraente e rassicurante in Nicole. Qualcosa che mi fa stare bene... qualcosa che vorrei esplorare meglio.

Mi sono fatta un sacco di viaggi mentali... eppure non so neppure se Nicole potrebbe trovarmi attraente in quel senso. Forse non dovrei neppure farmele, queste domande... sono sciocche.

Sto costruendo un castello fatto di ipotesi e sogni... sto costruendo un castello su una donna che non conosco neppure. Mi sento così stupida.

Il suono della portiera riportò Waverly alla realtà. Una sola portiera.

“Dov'è Wynonna?”

“Sta vomitando l'anima”, rispose Nicole. “Il suo corpo deve espellere l'alcol.” Si tolse la felpa e la passò a Waverly: “Grazie ancora per avermela prestata, sei stata molto dolce.”

“Ti piace mia sorella?” Non era riuscita a trattenersi.

Nicole osservò il viso di Waverly nello specchietto retrovisore. “Mi sta simpatica”, rispose infine. “Ma se quello che mi stai chiedendo è se intendo corteggiarla, la risposta è no.”

E' più probabile che io provi a corteggiare te. E' quasi certo che io abbia già cominciato a farlo, anzi... ne sono sicura.

L'ha detto davvero? L'ha detto davvero o è quello che volevo sentirmi dire? L'ho immaginato? Maledizione, non lo so! Come non so se l'ho davvero baciata...! Mi ricorderei il tocco delle sue labbra o il suo sapore, in quel caso, giusto? Giusto?!

Il ritorno di Wynonna mise fine ai tormenti di Waverly.

“Uno spettro!”, urlò quando si fu seduta. “Un cazzo di spettro!”

“Ricordi cosa abbiamo detto riguardo all'autocontrollo?”

“Forse chiedermi di controllarmi equivale a chiederlo a Donald Duck...”

Nicole rise. “Forse. Ma ho fiducia in te.”

“Mi scoppia la testa... ho bisogno di un'aspirina e una caffè...” brontolò, mettendosi la cintura di sicurezza.

“Katie risolverà ogni nostro piccolo problema, ne sono sicura.” Avviò il motore. “Ho davvero voglia di una ciambella al limone, voi no?”

Nicole, tu mi manderai al manicomio... pensò Waverly, abbandonandosi allo schienale del sedile. Mi confondi. Non distinguo più la realtà dalla fantasia... non da quando mi sono coricata con te sul letto. Cosa mi hai fatto? Mi hai fatto qualcosa? Forse sto solo perdendo la ragione...

Ho paura di essermi presa una cotta... è ovvio che sia così. Mi sono presa una cotta per una donna che conosco da ventiquattro ore esatte... Bel lavoro, Waverly!

L'ho già fatto, in passato, di prendermi cotte per donne che non sapevano neppure che esistevo... non in quel senso. Di solito erano donne più mature di me... donne con una vita già definita... una vita dove non c'era spazio per me. Non lo spazio che volevo occupare.

Non so nulla della vita di Nicole... potrebbe essere sposata, avere dei figli. Non lo trovo credibile, ma non posso neppure escluderlo.

Nicole andrà via, un giorno. L'ha detto lei stessa quando ci ha dato le pietre... Nicole andrà via. Ha senso, quindi, che io mi faccia delle domande? Ha senso che io provi a... non lo so... corteggiarla...?

Vorrei parlarle apertamente, dirle che mi piace. Lo farei, pronta ad accettare anche un rifiuto... almeno mi metterei l'anima in pace.

Perché mi devo sempre innamorare della persona sbagliata? Nicole è la donna sbagliata? Probabilmente sì, dal momento che non so neppure se sia lesbica, etero o qualunque altra cosa!

Amare... Io non amo Nicole. Non è amore. E'... passione? Non lo so! Questo discorso mi confonde. E' una cotta. La cotta va bene. E' un buon termine: racchiude quanto basta.

“Ehi...” Wynonna si era voltata verso di lei e le aveva preso la mano. “Stai bene, sorellina?”

Mi sono persa a pensare a Nicole, quando mia sorella soffriva. Ho provato persino gelosia! Forse nella mia testa c'è davvero qualcosa che non va...

“Sì... sto bene. Scusami se...” Non concluse. “Forse”, riprovò. “Non lo so... Tu stai bene?”

“Prossima domanda?”, le sorrise. “Nicole è diventata sorda.” Alzò le spalle e spiegò: “Ho provato a parlarle, ma... non mi sente. Spero che non diventi anche cieca, dal momento che i nostri culi sono sulla macchina che sta guidando.”

“Lo fa ogni volta che sale in questa macchia”, spiegò Waverly, “penso che stia ascoltando qualcun altro. No... sta ascoltando qualcun altro, ecco.”

“Da brivido...!”

“Già...”

“Ascolta”, disse, stringendo la mano di Waverly, “Nicole pensa che ci sia un modo per... indebolire la presenza. Mi ha spiegato come fare e si è offerta di spiegarmi alcune tecniche new age... roba del genere. Mi impegnerò, sai? Aiuterò a ridarci la nostra casa.”

“So che lo farai, Wynonna...” le sorrise.

“Immagino di averti spaventata... Prima, intendo. Quando ho aggredito Nicole... Mi dispiace che tu abbia assistito...”

“Va tutto bene, Wynonna... quella donna non eri tu... so che non eri tu.”

Lei annuì: “Grazie...”

Nicole sorrise, probabilmente per la dolcezza dello scambio fra le due sorelle.

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Capitolo 14
*** 14 ***


 

14



 


La 5oo rossa si fermò nel parcheggio posteriore dell'Happy Break, sotto lo stesso lampione della sera prima. Ancora una volta ospitava due sole macchine. Gli affari non andavano molto bene a causa delle nevicate.


 Il calore e l'odore caratteristico della tavola calda avvolsero le tre donne.

“Mi piace quando non c'è nessuno”, affermò Wynonna, dirigendosi verso uno degli ultimi tavoli, seguita da Nicole e Waverly.

Waverly prese posto accanto a Wynonna, Nicole si mise dall'altra parte.

Rimasero in silenzio.

Quel silenzio fu rotto dalla voce di Katie.

“Le mie ragazze preferite riunite qui!”, esclamò, emergendo dalla cucina e percorrendo lo stretto corridoio fra il bancone di alluminio e i tavoli. Si accigliò immediatamente quando vide il volto di Nicole: “Chi ti ha fatto l'occhio nero? Chi ha osato picchiare il mio angelo?”

Wynonna alzò la mano: “Qui la colpevole. E' stato un incidente, a mia discolpa...”

“Confermo”, disse Nicole, “è stato un incidente.” Conosceva bene il fuoco che poteva scoppiare nel petto di Katie. Inoltre non voleva che la cosa continuasse a pesare su Wynonna. “Almeno ora il mio volto ha un po' di colore”, rise.

“Wynonna Earp...” brontolò Katie. “Non si può lasciarvi da soli un momento, voi giovani!” Le sorrise, nonostante il tono un po' brusco. “Sei uscita dalla tana, finalmente! Sono settimane che non fai vedere quella tua faccia da faina! Come procede il tuo lavoro?”

“A rilento...” ammise. “Ho bisogno di un caffè, un'aspirina e... sì, anche di un pacchetto di sigarette. Le vendi ancora, vero?”

“Che brutto vizio...” borbottò Katie, “non puoi avere un po' di amore per i tuoi polmoni?”

“Di qualcosa dobbiamo pur morire... Ho scelto una morte lenta e quasi indolore. Sempre che qualcos'altro non mi uccida prima...” mormorò.

“Sciocchezze!”, esclamò; poi si rivolse a Nicole e Waverly: “Cosa vi porto, angeli?”

“Sono venuta qui col preciso intento di avere le tue meravigliose ciambelle”, le sorrise Nicole. “Caffè e ciambelle, per favore.”

“Per te, zucchero?”

“Lo stesso per me, grazie”, disse Waverly, sorridendole.

“Allora. Caffè, ciambelle. Aspirina e sigarette per la faina, qui”, riassunse Katie.

“Perché mi chiami così?”, sbottò Wynonna. “Avevi smesso anni fa... E anche io voglio del caffè!”

“Perché la tua faccia mi ricorda il muso di una faina”, rispose ridendo. “Ora quella di un roditore traumatizzato... Avete tutte delle facce traumatizzate, pensandoci. Che cosa sta succedendo alla tenuta degli Earp?”

“Ho una bellissima faccia...” brontolò Wynonna. “Bella ed espressiva. Umana!”, puntualizzò.

“Di tutto, Katie”, rivelò Nicole, “sta succedendo di tutto. Ma troveremo una soluzione.”

“La situazione è seria, dunque?”

“Molto”, confermò. “Non so quanto le ragazze vogliano svelare, ma posso dire che è qualcosa di grosso.”

“Puoi parlare liberamente, Nicole”, disse Wynonna, “Katie è della famiglia.”

“Vi conosco da quando portavate ancora il pannolino!”, confermò Katie. “Torno subito. Poi mi racconterete cosa sta capitando!”

Ripercorse a ritroso il corridoio e sparì nella cucina.

“Da quanto conosci Katie?” volle sapere Wynonna.

“Qualche anno”, rispose Nicole. “Ogni volta che mi capita di passare vicino a Purgatory, mi fermo qui.”

“Aspetta un momento... Mi ricordo che si diceva che l'Happy Break fosse infestato. Non presi sul serio le voci, ma ora...”

“Erano voci vere, ovviamente. Katie scelse me per avere aiuto. Abbiamo costruito un bel rapporto, credo.”

“E' ancora infestato?”

“Ovviamente, come ogni luogo su questa Terra. Ma non ci sono più state manifestazioni ostili.”

“Pat è ancora qui? Perché è di lei che stiamo parlando, vero?”

Wynonna sa di Pat? Questo nome è uscito ieri sera, quando Nicole... pensò Waverly.

“E' ancora qui”, annuì. “Ma è innocua... quando non mi attraversa.”

“Chi era Pat?”, chiese Waverly. “Perché non so di cosa state parlando?”

“Patrizia Holegrave, ricordi?”, iniziò Wynonna. “La senzatetto che rovistava in tutti i cassonetti della città. E' morta nel vicolo qui dietro.”

“Mio Dio!”, squittì Waverly. “Non l'avevo più vista... ma non sapevo fosse morta... Com'è successo?”

“Hanno parlato di cibo avvelenato; probabilmente veleno per topi.”

“Che modo orribile di morire...”

Nicole si appoggiò allo schienale. “Pat pensava fosse stata Katie ad avvelenare gli scarti, per farla smettere di rovistare nel suo cassonetto. Le rendeva la vita impossibile, a causa di questa convinzione.”

“Katie non farebbe mai una cosa tanto crudele. Non lo farebbe neppure se si fosse trattato di topi...” affermò Waverly, che conosceva bene la donna.

“Infatti non fu colpa sua. Alla fine sono riuscita a farlo capire anche a Pat”, spiegò Nicole.

Waverly concentrò l'attenzione sulle sue stesse mani. “Nicole... quello che è successo ieri sera... insomma...”

“E' il suo modo di darmi in benvenuto”, sorrise. “E' il suo modo.”

Wynonna sospirò. “Vi prego, basta parlare di morti...” Si voltò verso Waverly: “Dammi un abbraccio.”

Waverly corrugò la fronte. 

Che cos'ha Wynonna con gli abbracci, oggi?

“Certo...”

Nicole sorrise. Vide il viso di Wynonna rasserenarsi e sentì che la sua anima si faceva più tranquilla.

Wynonna non lasciò andare Waverly fino al ritorno di Katie.

“Ecco qui...” Appoggiò il vassoio col caffè e una scatola di aspirine. Dalla tasca del grembiule tirò fuori anche un pacchetto di sigarette. “Che brutto vizio”, ribadì, poggiandole accanto a Wynonna. “Ora vi porto anche le ciambelle.” E tornò verso la cucina.

“Esco a fumare”, disse Wynonna, prendendo il pacchetto. “Vuoi venire con me, Nicole?”

“Magari dopo”, le sorrise. “Va' pure fuori mentre io spiego, si fa per dire, a Katie quello che succede a casa. Così non dovrai assistere, va bene?”

“Mi piaci, rossa.” Si alzò e mirò alla porta.

Waverly attese qualche secondo, poi: “Il comportamento di Wynonna... insomma, sei stata tu?”

“Ti riferisci agli abbracci, immagino.” Sorrise e aprì le braccia: “Ne vuoi uno da me?”

Questa donna è assurda. Assurda e imprevedibile!

“Sì...” mormorò quasi senza rendersene conto.

Nicole sorrise. Si alzò e si mise in mezzo al corridoio, con le braccia aperte.

“Vieni...”

Faceva sul serio... Mio Dio, il cuore mi martella nel petto...

“Okay...” Anche lei si alzò; si avvicinò a Nicole e le mise la braccia attorno ai fianchi. In risposta, Nicole le mise una mano sulla nuca -un gesto molto protettivo- e l'altra sulla schiena.

Il suo cuore è così calmo... mentre il mio sta impazzendo. Aumentò leggermente la forza della stretta. Quanto mi piace questa sensazione. Quando mi piace il suo calore, il suo odore. Posso sentire i suoi muscoli e le sue ossa attraverso la camicia. E' così magra, eppure il suo corpo mi trasmette stabilità e fermezza.

Mio Dio... si può considerare un corteggiamento, questo? Di solito non è la prima cosa che si fa, gli abbracci, intendo... ma con questa donna... le regole, le leggi che conoscevo prima... smettono di avere senso.

“Shhh...” sussurrò Nicole, “non aver paura, va tutto bene.”

Giusto... lei può sentirmi! Devo calmarmi...

Nicole appoggiò il mento sulla testa di Waverly. “Ah... la tua energia è così piacevole”, disse. “Mi fai stare bene, Waverly Earp. Non perdere mai questa purezza, non lasciare che la vita, il mondo e le persone cambino chi sei. Non lo permettere.”

“Puoi abbracciarmi tutte le volte che vuoi...”

“Lo farò, ora che ho il tuo permesso.”

Forse questa è l'occasione per dirle che mi piace...

“Nicole...” No... “Nulla...”

Smise di pensare e si concentrò sulle sensazioni che il corpo di Nicole regalava al suo.

Chiuse gli occhi.

Era stato piacevole anche abbracciare Wynonna, ovviamente, ma l'abbraccio di Nicole era diverso. Diversamente protettivo, diversamente rassicurante. Aveva un significato diverso.

Diverso.

Katie si fermò in mezzo al corridoio con il vassoio pieno di ciambelle. Osservò sorridente la scena e non fece nulla per manifestare la sua presenza. Non voleva interrompere qualunque cosa stesse avvenendo fra Nicole e Waverly.

“Lesbiche...” brontolò Jim -il ragazzo maleducato fermo agli anni novanta-, uscendo dalla cucina. Indossava gli stessi vestiti delle sera prima e i suoi capelli sembravano ancor più unti e disordinati. “Mi fate rivoltare lo stomaco!” Uscì dalla porta principale, probabilmente stava andando a fumare.

Nicole, che aveva sentito una fitta di dolore provenire dalla ragazza, si staccò da lei e, con sorpresa di Katie e della stessa Waverly, avanzò verso la porta.


 Wynonna, che si era appena accesa la seconda sigaretta, vide Jim uscire e sedersi sul piccolo muretto che delimitava il parcheggio anteriore. Non la degnò neppure di uno sguardo.

“Ciao anche a te...” borbottò, stizzita. “Non essere sempre così affabile e gentile.”

“Dovresti fare qualcosa per tua sorella, invece di preoccuparti della mia educazione”, sputò, mettendosi in bocca una Marlboro.

“Non starai ricominciando con i tuoi discorsi omofobi, vero?” Soffiò fuori il fumo. “Non so cos'hai visto, ma non sono cazzi tuoi, Jim.”

“E' da malati.”

In quel momento uscì Nicole.

“Qual è il tuo problema?”, s'informò, fermandosi ad un passo da lui.

Jim si alzò in piedi. Era poco più basso di Nicole.

“Cosa vuoi?”

“Voglio sapere perché ti sei sentito in dovere di offendere la mia amica”, rispose Nicole, guardandolo negli occhi. “Non c'è nulla di male nel termine che hai usato: è stato il modo in cui l'hai usato ad infastidirmi. L'hai ferita, e io voglio sapere perché.”

“Nicole, lascia perdere”, intervenne Wynonna, “non vale la pena discutere con una testa di cazzo.”

“Me ne occupo io.” Poi tornò a concentrarsi su Jim: “A me fa schifo la menta, proprio schifo, sai? Per quanto mi riguarda dovrebbe stare solo nel dentifricio, ma non faccio nulla per offendere coloro che la pensano in modo diverso da me. Ognuno di noi è libero di avere le sue idee. Ognuno di noi è libero di disprezzare qualcosa. Quella libertà ha un prezzo, però. Quel prezzo sono gli altri, i sentimenti degli altri. Non conosco Waverly così bene, ma so che non merita di essere ferita e umiliata per qualcosa che non ha scelto di essere. Pensi che lei ti farebbe una cosa del genere? Sei disposto a pagare quel prezzo, Jim?

“Io...” Aveva perso tutta la baldanza.

Nicole gli mise una mano sulla spalla e gli sussurrò: “So che hai paura. Di cosa lo ignoro. Devi solo chiederti se esprimere la tua opinione sia più importante dei sentimenti altrui. Non c'è una risposta giusta: esiste solo la risposta giusta per noi.” Gli sorrise. “Non c'è cattiveria nel tuo cuore, ora lo so. Quindi forse entrambi conosciamo la risposta giusta per te.”

“Cazzuta...” commentò Wynonna, che aveva fatto di tutto per ascoltare le parole di Nicole.

“Non volevo spaventarti”, proseguì la donna dai capelli rossi, “se l'ho fatto mi dispiace. Volevo solo capirti. Volevo capire perché hai scelto di ferire una ragazza che con ogni probabilità non ti ha mai arrecato dolore, non volontariamente. Forse ti ha respinto e tu ti sei sentito ferito e umiliato. E' orribile non essere ricambiati, vero?”

“Lo è...” mormorò lui, guardandosi la punta delle scarpe. A quanto pareva, Nicole aveva centrato il punto. “Mi dispiace...”

“Non devi dirlo a me, ragazzo.”

Lui annuì, buttò la sigaretta ed entrò.

“Wow!”, esclamò Wynonna, avvicinandosi a Nicole. “Gli avrei spaccato la faccia, al tuo posto! Cosa che una volta ho quasi fatto...”

“Con alcune persone è inutile discutere. Ma prima dovremmo esserne sicuri, che sia inutile”, le rispose, voltandosi a guardarla. “La violenza dovrebbe sempre essere l'ultima possibilità, a volte neppure l'ultima. Quel ragazzo non è cattivo, è solo spaventato e ferito. Come tutti noi, ha i suoi demoni. Il dialogo, la comunicazione potrebbero salvare questo mondo... è questo che ho scelto di credere.”

“Non conosco nei dettagli quello che è successo, ho solo intuito qualcosa dalle tue parole...” Le sorrise: “Grazie per aver difeso mia sorella.”

“Non stavo difendendo solo lei”, rispose Nicole. “Volevo sinceramente capire quel ragazzo. Per me era importante sapere perché è successo quello che è successo. Là fuori c'è molta gente che non si sarebbe fatta problemi a tirarmi un pungo, anche solo a sputarmi in faccia o non rispondermi. Là fuori c'è gente che pensa davvero che l'omosessualità sia qualcosa di malato. E' la loro verità, e a volte non c'è niente da fare. Non siamo tutti uguali, forse questo è il bello del mondo... anche se ci fa soffrire.”

“Immagino ci saranno sempre differenze che non saremo disposti ad accettare, non è così?”

Nicole annuì: “Nessuno di noi è immune al giudizio. Siamo giudici e imputati.”

“Andiamo dentro. Mi fa soffrire vederti in camicia con questo freddo.”


 

<)o(>


 

“Nicole...” mormorò Waverly, osservandola percorrere il corridoio e uscire.

“Quel ragazzo è un vero demonio!”, sbottò Katie. “Stai bene, zucchero?”

“Sì...”

“Spero che Nicole sappia cosa fare con lui, e che lo faccia prima che ci pensi io! Non c'è niente di sbagliato in te, lo sai, vero?”

“Lo so...” confermò Waverly. “Ma mi ha fatto male lo stesso. Nicole ed io... ci stavamo solo abbracciando... non stavamo facendo nulla...” Nascose il volto nel morbido petto di Katie. “E' stato così umiliante...”


 Jim rientrò un paio di minuti dopo.

Katie prese fiato, preparandosi ad urlargli qualche insulto; poi, però, si accorse che Jim avanzava a testa bassa nella loro direzione, e si trattenne. Era curiosa di sapere cosa sarebbe successo.

“Scusa...” disse semplicemente, tenendo gli occhi fissi sul pavimento.

Waverly sospirò, cercando di trattenere le lacrime. “Va tutto bene...” mormorò. Non se lo aspettava, era certo.

“Prenditi il giorno libero”, gli disse Katie. “Non ti licenzio solo perché ti sei scusato, ma non tollererò altri atteggiamenti d'odio nella mia tavola calda, capito?”

Lui annuì e scomparve dietro il bancone, verso la cucina e lo spogliatoio.

“Forse nessuno è davvero perduto...” commentò Katie.


 

Poco dopo arrivarono anche Wynonna e Nicole.

“Tutto bene, sorellina?”, chiese Wynonna, facendole una carezza sui capelli. “Dov'è quella testa di cazzo?”

“Si è scusato, Wynonna... non c'è motivo d'insultarlo...”

“Il caffè sarà gelido ormai”, constatò Nicole, sgusciando fra le sorelle e il bancone per raggiungere il loro tavolo.

Presero tutte posto e nessuna parlò per diversi minuti. Ognuna di loro era immersa nei propri pensieri.


 “Ragazze...!”, esclamò Waverly ad un certo punto. “Galileo! Ci siamo dimenticate di Galileo!”

“Lo spettro non gli farà del male”, la rassicurò Nicole. “Il suo bersaglio è un altro.”

“Io...” mormorò Wynonna.

“Non ricordo se ho chiuso o meno la porta! Farà così freddo... povero piccolo. Dobbiamo tornare subito a casa!” Waverly si alzò e corse al bancone per dire a Katie che dovevano andare e di mettere tutto sul conto di Wynonna.

“E quello che succede alla tenuta degli Earp?”, urlò Katie quando le vide percorrere di corsa il corridoio. “E tu, angelo, non vorrai uscire di nuovo solo con la camicia?!”

“Perdonami, Katie”, urlò di rimando Nicole, raggiungendo la porta, “è impossibile fermare le sorelle Earp!”

“Verissimo...” sorrise lei.

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Capitolo 15
*** 15 ***


 

15



 



 

“Per fortuna la porta è chiusa. Io vado!”, annunciò Waverly, aprendo la portiera e correndo verso la casa.

“Noi invece ci prendiamo un momento, vero?” disse Nicole, rivolta a Wynonna. “Vorrei essere sicura che tu mantenga il più possibile la calma.”

“Pensi sia saggio lasciarla entrare da sola?” Wynonna osservò Waverly scomparire. “E se quel coso mostruoso le facesse del male?”

“E' sempre là dentro, ma non è abbastanza forte da manifestarsi”, spiegò. “E' sicuro. E vogliamo che resti sicuro, giusto?”

“Farò del mio meglio, lo prometto.”

“Ti chiedo di perdonarmi per quello che dirò, Wynonna. Ti chiedo di rimanere calma e forte, okay?”

“Ci provo... anche se non so quanto dipenda davvero da me: quando ho messo il latte a Galileo... ero tranquilla. E' stato lui a spaventarsi per primo...”

“Ma quando lui ha sentito qualcosa, hai avuto una qualche reazione, no?”

“Be', sì... Ho capito dove vuoi arrivare: quel demone si è manifestato perché mi sono spaventata, vero?”

Nicole annuì.

“Capito. Cosa volevi dirmi?”

“Che a volte scavare nel passato è doloroso, ma a volte è anche necessario... Respira piano, controllati.” Aveva avvertito un cambiamento in Wynonna; un cambiamento fatto d'ansia e dolore. Qualcosa di decisamente negativo. “Devi controllarti.”

“Ci sto provando!” Nel suo petto c'era un formicolio che le toglieva il respiro. “Ci sto provando...” aggiunse con maggior calma.

“Sei bravissima, okay? Dico davvero. Continua così”, la incoraggiò. “Ti ho detto che aspetterò tutto il tempo che sarà necessario, e dicevo sul serio, ma... ma vorrei che tu prendessi seriamente in considerazione di parlare con me il prima possibile. Lo faccio per il bene tuo e di Waverly, lo capisci, vero?”

Lei annuì, provando a reprimere i sentimenti che la invadevano.

“Stai andando bene.”

“Possiamo entrare.”


 “Non trovo Galileo da nessuna parte!”, urlò Waverly quando Wynonna e Nicole entrarono in casa. “Ho guardato ovunque, non lo trovo!”

“Ti aiuto a cercarlo”, disse Wynonna, “non preoccuparti.”

“E' inutile”, asserì Nicole, lasciandosi cadere stancamente sul divano.

“Che vuoi dire?”, indagò Waverly con un pizzico di allarme nella voce.

Wynonna si limitò a voltarsi verso la donna dai capelli rossi, intuendo quello che sarebbe successo.

“Non è qui. Se n'è andato. Non avete visto le impronte sulla neve?”

Waverly andò alla finestra, ma ovviamente da quella prospettiva e distanza non poteva distinguere molto.

“Ma la porta era chiusa! Come avrebbe fatto ad uscire?”

“Creature magiche, i gatti”, spiegò Nicole, cercando di addolcire la voce. “Magiche e libere. Questo non era il suo posto.”

“Tu lo sapevi...” mormorò Wynonna. “Mi avevi detto che lui era come te: qualcuno di passaggio, qualcuno con un piccolo compito...”

“E' così”, confermò, “sapevo che sarebbe rimasto solo il tempo di riprendere le forze.”

“Questo spiega anche perché stamattina sembravi a disagio ad uscire per comprare delle cose per lui...” continuò. “L'hai sempre saputo. Perché non hai detto nulla?”, chiese, sedendosi accanto a lei sul divano.

“Perché potevo anche sbagliarmi... anche se difficilmente mi sbaglio.” Si voltò verso Waverly: “So che questo ti fa soffrire, lo sento. Mi dispiace. Il gatto ha assolto al suo compito.”

“Quale sarebbe...?” Waverly lasciò perdere l'esterno per concentrarsi sull'interno. “Cosa vuol dire?”

“Ti ha permesso di conoscere Henry prima che fosse troppo tardi. Tutto accade per una ragione, Waverly Earp.”

“A volte mi risulti davvero fredda, Nicole...”ci tenne a farle sapere. “Davvero non ti dispiace neppure un po' che se ne sia andato?”

La guardò negli occhi, quando illustrò: “Dicono sia meglio aver amato e perso, piuttosto che non aver amato mai. Non sono d'accordo.”

“Tu passi dall'essere la creatura più dolce all'essere... quella più insensibile!”

Wynonna si concentrò su un filo che sporgeva dal suo maglione. Era davvero interessante, quel filo di lana. Colorato, soffice...

“Non voglio fingere di provare dispiacere per qualcosa che si è ripreso la sua libertà”, disse senza abbassare lo sguardo. “In questa casa avrebbe ricevuto cibo, calore... amore. Ma una gabbia dorata è pur sempre una gabbia.”

“Hai un cuore di ghiaccio...” Non riuscì a celare quanto fosse ferita.

“Il mio segno zodiacale riceve spesso questo tipo di commento”, annuì. “Però penso che sia semplicemente vedere le cose per come stanno. Non sono crudele perché chiamo le cose col loro nome... Vorrei non pensassi questo di me.” Alzò le mani e concluse: “Ma non sarò certo io ad impedirtelo.”

“Tu chiami libertà quello che lo stava uccidendo! Quello che probabilmente lo ucciderà!”

“E' stata una sua scelta.”

“Avresti semplicemente potuto dire che ti dispiaceva!”, urlò fra le lacrime. “Avresti semplicemente potuto venire da me e abbracciarmi!”

Corse su per le scale. Poco dopo si sentì una porta sbattere.

“Wynonna...” sospirò Nicole, qualche secondo dopo. “Io ti insegnerò a meditare, tu in cambio mi insegnerai come trattare le persone. Affare fatto?”

“Sei un disastro, Nicole... dico davvero. Ha ragione lei: potevi semplicemente essere dolce. Non devi usare la fredda logica ogni secondo della tua esistenza. Non era di logica che aveva bisogno.”

“Cercava un motivo, io gliel'ho dato, no? Cos'ho sbagliato, di preciso?”

“E' vero, Waverly era alla ricerca di un perché, ma soprattutto voleva un po' di umanità.”

“Perché non sei intervenuta?”

Wynonna scosse lentamente la testa e spiegò: “Non stava guardando me. Non era da me che voleva qualcosa...”

Nicole appoggiò la nuca sul bordo del divano e fissò il soffitto. “Waverly è una creatura troppo sensibile”, disse dopo qualche secondo, “qualunque mio comportamento finirà col farla soffrire. Non voglio farla soffrire, ma mi rendo conto di non sapere come impedirlo. Devo restare in questa casa finché non avrò risolto il problema, ma devo anche trovare un modo per avere una convivenza pacifica con lei.”

“Sii semplicemente... umana.” Si alzò. “Che ne dici se accendo il caminetto?”

“Buona idea.”

“E diresti lo stesso di una bottiglia di rum e di Paperino?”

“Assolutamente nulla da obbiettare. Ho bisogno di una pausa da tutto.”
 

 


 

Otto giorni dopo, Vigilia di Natale...

 


L'Homestead era tornata ad essere una casa tutto sommato normale. Solo qualche rumore o bisbiglio. Nulla di ingestibile. Nessun'altra manifestazione di spettri, almeno.

Waverly e Nicole non erano più state da sole nella stessa stanza, neppure nello stesso abitacolo. Non avevano davvero parlato di quello che era successo.

Nessuna aveva più menzionato Galileo.

Nicole aveva provato a parlare con Waverly, a dire la verità, ma aveva incontrato un muro.

Wynonna aveva imparato tecniche di meditazione e di autogestione. Stava andando bene.


 “C'è una domanda che mi gira in testa da giorni”, disse Wynonna. Lei e Nicole erano sedute sul tappeto del salotto, a gambe incrociate.

Nicole aprì un occhio: “Immagino che per oggi la meditazione sia finita.” Aprì anche l'altro: “Dimmi... Sento che la tua anima si sta increspando come le acque di un lago colpite da un sasso, ma sento anche che ti stai controllando. Molto bene.”

“Lascia la poesia a me... Oh, mi hai risvegliato un pensiero, dopo ricordami di parlartene.” Allungò le gambe e respirò profondamente, poi chiese: “Perché non... voglio dire, perché non chiedi agli spiriti di questa casa... quello che io non riesco a dirti?”

“I morti non parlano dei morti.”

“I brividi che mi hai fatto venire...” brontolò. “E' la prima volta che ti sento usare questo termine...”

“Non c'erano sinonimi altrettanto validi.” Appoggiò le mani dietro di sé, sul tappeto, e anche lei distese le gambe. “Sono fiera di te, sai? Hai mantenuto la calma, nonostante tutto.”

“Hai fatto un buon lavoro con me, Nicole”, le sorrise.

“Tu hai fatto un buon lavoro.”


 

<)o(>



 

Wow! Ho amato questa FF!, pensò Waverly, leggendo le ultime righe per la decima volta. L'autrice ha pubblicato un capitolo al giorno, come aveva promesso.

Speravo davvero tanto in un finale felice. Sono così contenta che Judy e Joe rimarranno insieme per sempre... che cosa meravigliosa!

Si lasciò cadere sul letto e fissò il soffitto.

In questi giorni non ho fatto altro che leggere... C'è un'altra FF che mi interessa; è un po' oscura e deprimente, ma sono curiosa di scovare il messaggio anche in questa nuova storia. L'autrice, nella nota iniziale, ha detto che c'è un tema più importante, dietro la cosa orrifica. Ho deciso: mi metterò a leggere anche quella.

Fece scorrere il dito sullo schermo del telefono finché trovò il titolo che cercava. Lesse le prime righe, poi la sua mente si distrasse.

Leggo perché non voglio pensare. Non voglio pensare a quanto mi sento stupida e imbarazzata. Conoscevo Nicole solo da un giorno e... in ventiquattrore mi sono arrabbiata con lei due volte. Mi sono arrabbiata con lei anche dopo che... Wynonna mi ha detto cosa Nicole ha fatto con Jim. E' stata dolce. E' stata dolce nei confronti di tutti. Eppure io ho continuato a ritenerla senza cuore. Fredda. Insensibile.

Nicole non è questo.

In questi giorni l'ho osservata. Ho capito e ho dato un senso alla cotta che mi sono presa per lei. E' bella, intelligente, profonda... saggia. Dannatamente bella e misteriosa.

Ho capito molte più cose di lei, eppure... eppure continuo a respingerla. Ogni volta che prova a rimanere sola con me, ogni volta che prova a parlarmi... io faccio un passo indietro.

Perché?

Perché non mi sento alla sua altezza. Perché non ho nulla da offrirle. Perché mi spaventa. Perché un giorno... lei se ne andrà via.

Forse potrei trovare un modo per non farla andare via. Forse potrei chiederle se potrebbe provare a scoprire chi potremmo essere insieme. Magari non prova quel genere di sentimenti o attrazione per me, ma forse dovrei togliermi il dubbio. Forse dovrei provare. Forse il non sapere mi logora più di quanto potrebbe fare un suo rifiuto.

Forse sono solo una stupida ragazzina. Una stupida ragazzina che continua a... prendersi cotte per le donne sbagliate.

Nicole è diversa da tutte le altre donne che ho conosciuto fin ora.

Lo è?

Non lo so.

Forse ho pensato che fossero sempre diverse. Forse ho sempre pensato che tutto sarebbe stato diverso, una volta dopo l'altra. Ci ho creduto. E, una volta dopo l'altra, ho raccolto i pezzi del mio cuore infranto; l'ho ricomposto e ho trovato qualcun altro con un martello.

Non imparo mai la lezione. Non mi sono ancora stancata di soffrire. Forse perché non sono d'accordo con Nicole: per me è meglio aver amato e perso, piuttosto che non aver amato mai. Non siamo neppure d'accordo su questo... come potrebbe mai funzionare, tra di noi?

Non lo so. Non sto neppure provando a capirlo. Pensarci e pensarci ancora non sbloccherà la situazione.

Non riesco a parlarle, ma... e se le scrivessi una lettera? Una lettera dove le dico sinceramente tutto quello che penso.

Voglio provarci.

Si alzò e andò alla scrivania. Accese la piccola lampada e, prese carta e penna, si mise a scrivere...

Molti fogli finirono nel cestino prima che fosse vagamente soddisfatta del risultato. Rilesse il tutto almeno trenta volte, poi si decise a piegarla in quattro. Su uno dei lati scrisse il nome di Nicole.

Gliela darò. Gliela darò, ma non ora.

La appoggiò vicino a dei libri. La osservò per diversi minuti, interrogandosi sulle sue stesse azioni, intenzioni.

Sono quasi le sei di sera. Devo scendere a mettere il polpettone in forno. Abbiamo sempre mangiato il polpettone, la Vigilia di Natale.

E' la Vigilia di Natale... che bello!

Si alzò, ma, prima di dirigersi verso la porta, guardò fuori dalla finestra.

Nevica... non sarebbe Natale, senza neve.


 

<)o(>


 

“Prima ti dicevo di un pensiero”, esordì Wynonna, sedendosi sul divano.

Nicole rimase sul tappeto, con la schiena rivolta al caminetto acceso.

“E' uno tosto”, continuò la donna.

Wynonna aveva trovato in Nicole una persona con cui perdersi in lunghi discorsi: filosofia, società, storia. Qualunque cosa. Nicole si era dimostrata un'ascoltatrice attenta e una donna affascinante e interessante. Aveva un pensiero per ogni cosa. Una “verità”, come le chiamava lei, per ogni argomento.

I suoi pensieri, le sue verità non erano mai banali.

“Ti ascolto.”

“Qual è la differenza fra un poeta e uno scrittore?”, chiese, appoggiandosi allo schienale del divano con un gran sorriso. Era palesemente fiera delle sue conclusioni, ma voleva prima sentire la risposta di Nicole. Voleva il suo pensiero.

“Oh...” Nicole sorrise a sua volta. “Mi piace. Lascia che ci rifletta un momento, no, meglio: lascia che trasformi i pensieri in parole...” La guardò negli occhi e rispose: “Prima però voglio farti a mia volta una domanda: sei una poetessa o una scrittrice? La tua risposta non cambierà la mia, però sono curiosa.”

“Una scrittrice, assolutamente!”

“Da questo posso pensare che le nostre verità sono simili.” Incrociò le gambe e appoggiò il mento al palmo della mano. “Penso che i poeti descrivano quello che vedono. Che lo facciano senza pregiudizio o giudizio: dicono le cose come stanno.”

“Si immedesimano in tutto e tutti...” Non era riuscita a contenersi.

“Sì, esattamente”, ne convenne Nicole. “Diventano ciò che descrivono. Parlano con gentilezza di ogni cosa, di ogni creatura. Il confine tra bene e male si assottiglia fino a comparire. Bianco e nero perdono di consistenza: il mondo è un'infinita sfumatura di grigio. Non è negativo, in questo caso, l'assenza di colore, perché non è neppure vero che manca il colore.”

“Se dico che i poeti sono madri e padri pieni di amore... per te ha senso?”

Nicole ci pensò un secondo, infine annuì: “Assolutamente sì. Dammi la tua definizione di poeta, prima di passare agli scrittori.”

“Hai già detto molto. Sono d'accordo con le tue parole... forse posso aggiungere che... non lo so”, sospirò e si grattò la testa, “che c'è un motivo per cui si dice ''poeta dall'animo gentile''.”

“Okay. Vai avanti.”

“Gli scrittori sono meno gentili, secondo me... Ha senso che non si senta ''scrittore dall'animo gentile'', perché non ha molto senso, no?”

“Non molto, no.”

“Gli scrittori sono esseri che amano giocare a fare Dio. Al contrario dei poeti, sono padri e madri senza amore, molto spesso. Al contrario dei poeti, giudicano tutto e tutti. Prendono una posizione e la difendono. C'è il bianco, il nero e anche il grigio. Ha senso per te?”

“Sì, ha senso. In qualche modo, anche se entrambi giocano con le parole, si potrebbe affermare che scrittore sia, artisticamente parlando, l'opposto di poeta.” La scrutò attentamente: “Come ti è venuto questo ragionamento?”

“Ascoltando un cantautore italiano: Fabrizio De André! I suoi testi sono pura poesia. Lui era un vero poeta moderno.”

“Prima di fare domande più intelligenti... Capisci l'italiano?”

“Magari”, sorrise. “No, molte canzoni hanno i sottotitoli in Inglese”, ammise. “Immagino che qualcosa vada perso durante la traduzione, ma quello che rimane... wow, davvero.”

“Parlamene, mi hai incuriosita.”

“Fu una canzone in particolare a scatenare in me questa riflessione: La ballata dell'amore cieco o della vanità. Parla di un amore malato. Parla di un uomo folle d'amore per una donna che per lui non ne ha neppure un po', di amore. Siamo noi a pensare che lei sia crudele, una vera stronza senza cuore... l'autore non dice nulla al riguardo, si limita a descrivere. Lui non giudica. Questo mi ha fatto esplodere il cervello.” Mimò un'esplosione vicino alle sue tempie. “Ci sono molte altre sue canzoni che rendono l'idea molto meglio: lui cantava di meretrici, di assassini, qualunque tipo di persona... non giudicava nessuno. Ho scelto questa solo perché, ripeto, è stata quella che mi ha fatto capire la differenza fra lui e me.”

“Questo è molto interessante”, disse Nicole. “Immagino che potremmo parlare per ore e trovare significati e differenze senza fine... magari anche delle somiglianze. E' uno di quei discorsi che potrebbe tenermi sveglia per notti intere.”

“Mi piace quando siamo d'accordo, quando i nostri pensieri si assomigliano, ma sono felice anche quando non siamo d'accordo su qualcosa.”

“Sarebbe noioso non avere mai un altro punto di vista, magari anche totalmente diverso dal nostro”, concordò.

“Hai centrato il punto, rossa”, le sorrise. Si voltò verso le scale: Waverly le stava scendendo. “Ehi, sorellina.” Sorrise anche a lei. “Sei venuta a darmi un abbraccio, vero?”

“Anche, sì”, disse, fermandosi a qualche passo da loro, “ma anche a mettere il polpettone in forno.”

“Me n'ero completamente dimenticata!”, esclamò Wynonna, dandosi una manata sulla fronte.

“Non avevo dubbi”, le sorrise.

Wynonna si alzò e la strinse fra le braccia. “Non so cosa farei senza di te!” E le diede un bacio sulla guancia.

Anche Nicole si mise in piedi: “Ci vediamo fra un paio di giorni.”

Wynonna e Waverly si voltarono a guardarla con la fronte corrugata.

Sotto lo sguardo sbigottito delle sorelle Earp, Nicole indossò la giacca: la finanziera nera che tanto piaceva a Waverly.

“Dove stai andando?”, chiese infine Wynonna, separandosi da Waverly.

“Il Natale si passa in famiglia. Ci vediamo il 26 mattina.” Si voltò e sorrise, augurando loro: “Buon Natale.”

Poi aprì la porta e uscì, senza aggiungere altro.

“Nicole non ha una famiglia...” mormorò Waverly.

“Cosa diavolo aspetti?!”, esclamò Wynonna. “Fermala!” La spinse verso la porta: “So che è quello che vuoi fare.”

“Diavolo, se lo voglio fare...” Non era sua intenzione dirlo a voce alta.

Scattò verso la porta, indossò il primo paio di scarponi che trovò -quelli di Wynonna, ma quello non era il momento di pensare alla comodità- e aprì la porta.


 L'aria gelida le congelò la faccia. Non ci fece caso.

Nicole aveva appena avviato il motore, ma non aveva ancora attivato i tergicristalli; il parabrezza era ricoperto di neve.

Questa volta non commise l'errore di correre sul portico ghiacciato: saltò direttamente i tre gradini, atterrando sulla morbida neve.

Aprì la portiera della 5oo e si gettò sul sedile del passeggero.

“Waverly Earp!”, esclamò Nicole. “Tu hai proprio deciso di fermarmi il cuore...” rise a disagio, portandosi una mano al petto. “Vuoi trasformarmi in uno spirito, ormai è chiaro!”

E mi sorride... Nonostante tutto... Nicole mi sorride...

“Non voglio che tu vada via...” Si girò completamente verso di lei, stando attenta a non colpire la leva del cambio. Osservò il viso di lei nella penombra dell'abitacolo: la trovò più bella e triste che mai. “Non andare...” aggiunse, in un sussurro lieve.

Nicole non disse nulla, si limitò a guardarla.

Waverly deglutì e le afferrò il risvolto della giacca. “Non andare via...” disse ancora, guardando quei suoi occhi tristi e umidi, forse a causa del freddo... forse di qualcos'altro. Si leccò le labbra, guardando brevemente quelle di Nicole.

“Non vado via...” mormorò. La voce era roca e bassa. Si schiarì piano la gola, sembrava sul punto di aggiungere qualcosa. Non lo fece. Forse perché Waverly stava avvicinando il volto al suo...

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Capitolo 16
*** 16 ***


 

N.d.A: Ehi, hai visto il film "Happiest Season" (perché l'abbiamo tradotto con "Non ti presento i miei"? Misteri italiani)? Sappi che ne parlo, in questo capitolo, e dunque contiene dello spoiler!


 


 

16



 


 


Il naso di Waverly si appoggiò alla guancia di Nicole, quello di Nicole contro quella di Waverly.

Le labbra dischiuse potevano quasi sfiorarsi. I loro respiri pesanti mischiarsi fino a confondersi.

Le mani di Nicole si appoggiarono ai fianchi della ragazza.

Le loro bocche aperte aspettavano un movimento. Qualcosa di piccolissimo. Millimetri.

Il cuore di Waverly martellava. Il sangue pompava così forte, l'assordava.

Gli occhi chiusi.

In quel mondo senza udito né vista, c'era spazio solo per l'odore e il tatto.

Nicole profumava di vaniglia e fumo di legna. La sua pelle era morbida e tiepida, ma risultava bollente al naso gelido di Waverly. Il tocco, attorno alla vita, delicato ma fermo.

C'era ancora un senso che aspettava la sua parte.

Waverly spostò la mano dalla giacca alla guancia di Nicole. Un movimento lento e delicato, eppure deciso.

Finalmente il labbro superiore sfiorò quello di Nicole. La bocca di Waverly si aprì, pronta a catturare quella della donna dai capelli rossi.

“Non farlo...” sussurrò Nicole.

Waverly si irrigidì e trattenne il fiato. Nello stesso istante si accese la luce dell'abitacolo.

Le mani di Nicole erano ancora sui fianchi di Waverly: non era stata lei.

Waverly si ritrasse completamente: “Scusami!”

Ruotò il busto e, senza alzare gli occhi su Nicole, aprì la portiera e corse fuori.

La donna si voltò verso i sedili posteriori e borbottò: “Avevo tutto sotto controllo...”


 

<)o(>


 

Waverly aprì la porta d'ingresso, la richiuse e ci appoggiò la schiena contro.

“Mio Dio...” esalò.

“Non sei riuscita a fermarla?”, chiese Wynonna, senza riuscire a nascondere un pizzico di delusione.

Waverly si voltò verso la sorella, seduta sul divano: “Ci sono riuscita anche troppo bene... credo...”

Il cuore continuava a martellarle nel petto e le ginocchia erano così morbide che minacciavano di abbandonarla.

“Credo che abbiamo fatto pace...”

Wynonna spalancò gli occhi e la sua bocca formò una O, distorta dal sorriso che cercava di distenderle le labbra. “L'hai baciata?” Sembrava una ragazzina pettegola.

“Um...” Sorrise e sbuffò fuori l'aria. “Quasi...” Una parte di lei sentiva il bisogno di confidarsi, di condividere quei fuochi d'artificio che continuavano ad esploderle nel petto. L'altra parte, invece, si sentiva in colpa: era qualcosa di privato e personale.

Non mi ha respinta... pensò, stavamo per... Dio!

Il suo cervello era troppo confuso e non prese in considerazione la cosa della luce. Non c'era spazio per quello.

Mi sono spaventata e sono scappata. Forse avevo paura che lei stesse per... non ne ho idea. Mi sono fatta prendere dal panico.

Mi sento meglio, però. Mi sento bene. Mi sento bene!

Sorridendo, andò in cucina.

Wynonna alzò le braccia; sulla sua faccia c'era dipinta un'espressione interrogativa e delusa: probabilmente aveva chiesto qualcosa a Waverly, ma lei, persa com'era nei suoi pensieri, l'aveva totalmente ignorata.


 “A quanto pare passerò il Natale con voi.” Nicole richiuse la porta e si sbottonò la giacca. “Spero tu abbia qualche bottiglia in più, Wynonna, ho voglia di bere...” le confidò.

Wynonna fece del suo meglio per comportarsi normalmente. “Okay! Grande!” Fallendo miseramente. Un ampio sorriso le si disegnò in volto. Per tutto il tempo aveva sperato che sua sorella e Nicole trovassero un modo per chiarirsi. Erano giorni che sua sorella appariva spenta e sconfitta. Non voleva vederla così.

“Non guardarmi così...” bisbigliò Nicole. Le sue guance accolsero la comparsa delle due fossette. “Non fare la ragazzina.” Scosse la testa e si diresse verso la cucina, da dove i classici suoni domestici arrivavano ovattati.

Si appoggiò allo stipite della porta e osservò la schiena di Waverly.

“Serve una mano?” La vide irrigidirsi e appoggiarsi al lavandino.

“Ho appena messo il polpettone in forno...” La voce tremò leggermente di più quando aggiunse: “Puoi andare in salotto, se vuoi. Fra poco vi raggiungo...”

Nicole avanzò nella piccola cucina e si fermò alle spalle di Waverly.

“Sai qual è il modo migliore per sciogliere imbarazzi e tensioni?”

Così sfacciata...

“Qual è?”

Può un essere umano essere sempre padrone di se stesso?

Le appoggiò una mano sulla spalla: “Gli abbracci.” Il suo respiro divenne irregolare e si sincronizzò con quello di Waverly.

Si voltò lentamente, tenendo gli occhi fissi sui bottoni della camicia nera di Nicole.

“Io...”

“Non voglio che ti senta a disagio, okay? Va tutto incredibilmente bene, te lo giuro.” La mano libera le sfiorò il mento, incoraggiandola ad alzare il capo: “Non è successo nulla di brutto.”

Waverly alzò la testa. I suoi occhi, tuttavia, non ebbero il coraggio di incontrare quelli di Nicole.

Nicole soffiò l'aria fuori dalle narici. “Ah... Waverly Earp!” E la strinse. “Sono felice che le cose tra di noi siano più chiare.” La strinse più forte. “Sono felice che tu non sia più arrabbiata con me.”

Waverly ci mise un po' a reagire. Chiuse le braccia attorno ai fianchi di Nicole. Il suo orecchio era appoggiato al petto di lei: il cuore di Nicole batteva leggermente forte, ma era comunque un suono rilassante e rassicurante.

Un cuore così forte e vigoroso. Un cuore così non potrà mai smettere di battere, è impossibile, si sorprese a pensare. Credo che Nicole sia immortale...


 Raggiunsero Wynonna in salotto, che le accolse con un sorriso furbo.

“Che ne dite di un film natalizio? Una commedia romantica?”

“Buona idea! Prendo il PC, va bene?” chiese Nicole, indicando il tavolo a cui di solito Wynonna si sedeva per scrivere.

Wynonna alzò il pollice.

Waverly sorrise e andò a togliersi gli scarponi di Wynonna -che le confermarono di non essersi immaginata tutto- e raggiunse la sorella.

Nicole appoggiò il computer sul tavolino davanti al divano e si mise accanto a Waverly.

Scelsero un film con Kristen Stewart e Mackenzie Davis.


E' tutto così meraviglioso, pensò Waverly, il fuoco che scoppietta nel caminetto, un film simpatico, il Natale...

Nicole si spostò leggermente e le mise il braccio attorno alle spalle.

Mi correggo: ora è tutto meraviglioso...

Prese la mano nella sua e giocò con le sue dita.

Wynonna sorrise e tornò a concentrarsi sul film.

Sta succedendo tutto così in fretta... voglio dire, ormai sono dieci giorni che conosco Nicole, ma... il nostro rapporto ha appena assunto un significato completamente diverso. Adesso possiamo provare a capire chi siamo insieme.

Avrei voluto non sprecare tutto questo tempo. No, non è stato tempo sprecato... Tutto accade per una ragione... l'ha detto Nicole. Ora comincio a capire il senso. Ora ha un senso.

La prima cosa che ho pensato di lei, è che fosse davvero strana. Poi, osservandola ritta nel mio salotto, a parlare con Wynonna, ho pensato fosse incredibilmente bella. Ho pensato che la sua persona emanasse austerità e calma, controllo e tristezza. Nicole è una donna consapevole di sé, ma, allo stesso tempo, ha dei modi giocosi, quasi infantili. Nicole è un gioco di contrasti. Contrasti armoniosi.

Forse è stato amore a prima vista. Forse è la mia anima gemella. Forse non è stato troppo superficiale e fisico, quel qualcosa che mi ha spinta a provare attrazione per lei: ho visto qualcosa dentro Nicole, qualcosa che mi ha spinta a volerla conoscere. Conoscerla davvero. Non ci sono ancora riuscita come vorrei, ma forse quello che ho mi basta. Forse per ora è abbastanza.

Nicole ha visto la morte, letteralmente. Mi chiedo se sia questo ad aver reso i suoi occhi così tristi. Penso che la morte sia triste, forse è l'abbinamento che più riconosco come verità. La morte, come la descrive lei, ha un altro significato, ma comunque non ha mai escluso la tristezza.

Nicole ha visto la morte.

La morte è un'entità fisica, non solo un concetto. Questo mi spinge a farmi delle domande. Se la morte è una.... dea? Allora quali altri dei esistono? Esistono altri dèi? Forse queste mie riflessioni sono blasfeme, ma non siamo nel Medioevo, giusto? Ho il diritto, forse il dovere di farmi delle domande. Inoltre, non vedo perché l'esistenza di altri dèi debba escludere l'esistenza di Dio. Non ho mai visto Dio, ma non ho neppure mai visto la morte... dunque... Non so perché o come sono arrivata in questo labirinto di pensieri, ma non so neppure se li voglio soffocare.

Sono stata educata a credere che Dio esiste. Io non so se Dio esista o meno, però so di avere il diritto di chiedermelo. La risposta, forse, non cambierebbe nulla. Assolutamente nulla. D'altra parte, è una questione di fede, non di logica e neppure di consapevolezza.

Un atto di fede.

Esattamente come con Nicole.

“Guarda, secondo me Abby doveva mettersi con Riley”, stava dicendo Wynonna, “Harper l'ha davvero chiusa in un dannato armadio, metaforico, ma pur sempre buio e soffocante.” Alzò le braccia e continuò con la sua disamina: “Non m'interessa se alla fine tutto si è chiarito: è il come siamo arrivati a quel punto ad essere sbagliato. Non è stato un gran film, mi ha fatta innervosire.”

Abby? Tutto sembra così connesso...

“Posso non trovarmi d'accordo?” Nicole si voltò verso Wynonna, guardandola da sopra la testa di Waverly. “Capisco il tuo punto, ma io la trovo una vicenda credibile. Umana. La paura ci spinge ad essere diversi, a comportarci in modo che noi stessi potremmo non riconoscere. La paura ci fa scattare un meccanismo di difesa che potrebbe risultare davvero egoista. E' egoista, e grazie al cielo! Questo film non parla semplicemente della relazione di due giovani donne, è un film sulla paura, anche se probabilmente non era l'intento degli scrittori, sceneggiatori o chiunque abbia concepito il progetto, ma è quello che hanno ottenuto.

Poteva esserci una coppia etero, una coppia mista, qualunque cosa, il risultato sarebbe stato il medesimo: una rappresentazione davvero cruda e realistica della paura. L'errore è stato quello di ambientare il film forzatamente a Natale, dal momento che poteva essere ambientato in qualsiasi periodo dell'anno. L'altro errore è stato quello di non approfondire gli altri personaggi, che risultano così incompleti e disarmonici.

Harper non ti sta simpatica, ma è il personaggio più realistico e umano. Harper è reale, forse è questo ad infastidirti, dal momento che quello che ti aspetti, forse vuoi, è un'opera completamente di fantasia. Desiderio incoraggiato da tutti gli altri personaggi...

Abby è il personaggio a cui ci leghiamo, con cui ci troviamo ad empattizzare, perché alla maggior parte di noi esseri umani è stato spezzato il cuore. Ma anche noi abbiamo spezzato il cuore a qualcuno, e se non l'abbiamo fatto, almeno una volta nella vita abbiamo agito con la paura al nostro fianco, a guidare le nostre azioni e scelte. Questo non ci piace ammetterlo, non ci piace che ci venga ricordato, per questo tendiamo a fare muro al personaggio di Harper: lei rappresenta qualcosa di cui ci vergogniamo.”

Credo di voler riguardare il film, pensò Waverly, ero nei miei pensieri e me lo sono persa quasi tutto, ma è il discorso di Nicole a rendermi curiosa.

Wynonna era concentrata sui titoli di coda, ma solo in apparenza: il suo sguardo perso suggeriva che stava pensando alle parole di Nicole. Infatti poco dopo disse: “Quindi tu riesci ad accettare questo tipo di messaggio e comportamento perché la paura non infetta la tua persona?” C'era un che di infastidito, nel tono, come dimostrava anche la scelta delle parole: quasi ironicamente formali.

Nicole soffiò fuori l'aria dalle narici e sulle sue guance comparvero le due fossette.

“Ti sbagli. Sono una persona divorata dalla paura, per questo la riconosco nella sua forma più pura.” Si alzò per mettere un legno nel caminetto.

Nicole e paura? Perché è un abbinamento che non riesco a vedere? Non mi risulta vero... pensò Waverly.

“Ho agito e agisco”, proseguì Nicole, osservando le fiamme avvolgere il nuovo venuto, “in preda ad un costante terrore.”

“Perché non sembra?” Anche Wynonna non vedeva il collegamento, il punto d'incontro.

“Perché l'accetto.” Si voltò verso di loro: “Io accetto di avere paura. Anche in questo momento provo paura: è una serata meravigliosa e la sto trascorrendo assieme a due persone che non mi sono minimamente ostili. Sto per condividere un pasto e dell'alcol in vostra compagnia, fra chiacchiere e spensieratezza. Una prospettiva bellissima che mi scalda dentro.”

“E quindi?”, sbottò Wynonna, allargando le braccia. “Non vedo perché tu debba avere paura. Quella che descrivi è una sensazione che, per quanto mi riguarda, non ha nulla a che vedere con la paura.”

“Ho paura di non meritarlo. Ho paura di non meritare questa sensazione di calore e felicità. Ho paura che sarò punita, per questi momenti così piacevoli.” Guardò Wynonna e aggiunse: “La paura è irrazionale, oggi. Abbiamo paura di cose che non minacciano la nostra vita, molto spesso. Forse è a causa del fatto che, nel tempo in cui ci troviamo, l'unico altro reale pericolo sono le altre persone. Siamo in vetta alla catena alimentare e difficilmente qualche altro predatore è attorno a noi. Ma non temiamo per la nostra vita, spesso e volentieri, non temiamo di essere divorati o uccisi, temiamo solo di essere feriti, umiliati o... chi lo sa?” Si concentrò di nuovo sulle lingue di fuoco. “Riconosco la mia paura, la riconosco come irrazionale. Non smetto di sperimentarla, ma posso chiamare le cose col loro nome, questo mi fa sentire decisamente meglio. Mi dà l'illusione del controllo. Di conseguenza riesco a controllarmi e agire come una persona quasi normale. La paura è così intrinseca in me, che non è possibile scinderla, distinguerla da me o in me.”

“Quando hai tempo di pensare a tutta questa roba?” Wynonna si alzò, diretta verso la cucina per controllare la cottura del polpettone.

“Dovremmo sempre trovare del tempo per parlare con noi stessi, prenderci del tempo per dirci cosa abbiamo capito, di raccontarci le nostre paure e verità. Come potremmo, altrimenti, parlarne con gli altri?”

“Pare giusto.”

Wynonna scomparve in cucina e nel salotto regnò il silenzio; fino a quando Waverly disse:

“Hai paura anche di... noi?” Le era costata molta fatica porre quella domanda.

Nicole le sorrise e la raggiunse sul divano.

“Come suona dolce... noi. E sì”, la guardò negli occhi, “anche terrificante. Sappiamo entrambe che un giorno partirò e tutto questo finirà, ma abbiamo scelto di vivere quest'esperienza, giusto?”

Waverly aveva smesso di ascoltare a “un giorno partirò”.

“Waverly... era necessario che lo dicessi, lo capisci, vero? Non voglio prendermi gioco di te. Non voglio prometterti un castello che non ho mai cominciato a costruire.”

“Ma... noi due... voglio dire... che senso ha? Se un giorno partirai, tutto questo ha senso?”

“Dimmelo tu. Non voglio ingannarti, non voglio farti del male. Mi piaci, Waverly Earp, mi piaci moltissimo e mi infondi una calma senza eguali, ma sono un uccello nato libero di volare via.”

Lei annuì lentamente, guadagnando tempo e controllo di sé.

“Pensi che potrei essere il tuo nido? Pensi potrò essere abbastanza per non farti volare via? Non voglio imprigionarti: voglio solo essere una scelta.”

“Hai mai pensato che potrei essere io, la tua prigione?”

Waverly si voltò a guardarla. Aveva un'espressione così confusa. “Io sono disposta ad appartenerti...” disse infine. “Non ho grandi desideri di libertà, al contrario... forse desidero trovare una scatola in cui chiudermi e sentirmi al sicuro.”

“Perché ti concederesti a me con tanta facilità? Intendo dire, non sono nulla per te. Nessuno.”

“Provo qualcosa per te, in caso non si fosse capito...”

“No, questo mi era chiaro dal principio”, sorrise. “Ma quello che provi per me non è amore.”

“Perché è ancora una lotta?”

“Sei attratta da me perché sono di bell'aspetto. Sono una donna insolita e, suppongo, affascinante. I miei modi ti infondono sicurezza -quando non ti faccio arrabbiare-. Sono dolce e divertente. Inoltre la mia, chiamiamola così, diversità poteva scatenare in te due reazioni: paura o attrazione.”

“Stavi per baciarmi... o comunque non ti stavi tirando indietro...”

“E così.”

“Perché? Perché se sai che non ci sarà mai nulla, fra di noi?”

“Stavo per fare una similitudine con un dolce”, ammise, “poi mi sono resa conto che sarebbe risultato estremamente freddo e superficiale. Ora non so cosa rispondere.” Si passò la mano fra i rossi capelli. “La cosa più onesta da dire, con ogni probabilità, è che voglio vivere quest'avventura con te, ma sono disposta a reprimere le mie voglie e i miei istinti. Non ti obbligherò mai a fare nulla, è importante che tu lo sappia. Possiamo semplicemente essere amiche. L'amicizia è qualcosa di prezioso, qualcosa in cui sono brava.”

“Non voglio essere tua amica...” voglio trovare il modo di farti scegliere di non partire.

“Accetterò qualunque tua decisione, con la speranza che tu-” Nicole trattenne il respiro mentre un'altra paura si univa alla sua.

Le mani di Waverly le avevano catturato il volto in una morsa gentile ma ferma.

Ancora una volta, il suo viso si avvicinava.

Questa volta nessuno avrebbe accesso la luce...

“Il polpetton- Cazzo... Scusate!”

.... ma c'era Wynonna.

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Capitolo 17
*** 17 ***


 

17


 

 

Erano tutte e tre in cucina, sedute al tavolo. La teglia del polpettone vuota per metà. Diverse bottiglie di spumante erano state aperte e svuotate, così come una di brandy.

“Toglietemi una curiosità”, disse Nicole, svuotando l'ennesimo bicchiere di spumante, “non vi scambiate nessun regalo?” Aveva bevuto molto e stava continuando ad ingerire alcol, ma nonostante la corporatura minuta, non sembrava avere molto effetto su di lei. Aveva solo le gote un po' rosse e gli occhi lucidi.

“Si fa la mattina di Natale”, trillò Wynonna che, al contrario di Nicole, era palesemente ubriaca. “Sciocca!”, rise.

“Tu lo fai la sera della Vigilia?”, chiese Waverly. L'alcol aveva fatto effetto anche a lei; per gran parte della sera aveva cercato di non parlare troppo per non dimostrarlo.

Nicole annuì: “L'ho sempre visto fare questa sera, sì. A proposito, non contavo di passare il Natale con voi, dunque...”

“Non preoccuparti!”, si affrettò a dire Waverly, capendo dove Nicole voleva arrivare. “Neppure io ti ho preso qualcosa. Il regalo di Wynonna è nascosto da giugno, dunque... Non ci ho pensato...”

“Dov'è? Dove lo nascondi?” strillò Wynonna, divertita.

“E tu dove nascondi il mio?”

Wynonna si limitò a farle no col dito prima di riempirsi il bicchiere. Non finì il piccolo compito: lasciò che la testa scivolasse lentamente verso il tavolo. Cominciò a russare letteralmente tre secondi dopo.

“Immagino che ora siamo solo noi due.” Nicole si alzò e prese una bottiglia intoccata. “Andiamo su, ti va? Non so tu, ma io ho ancora voglia di bere.”

“Ti seguo.”


 

Avevano scelto la stanza di Nicole.

Si misero sedute sul letto, a gambe incrociate. Una di fronte all'altra. Le due abat-jour, poste sui comodini, creavano un'atmosfera soffusa e calda, illuminando delicatamente le due donne.

“Allora”, Nicole stappò la bottiglia impedendo che il tappo scappasse via, “hai avuto una bella serata?”

“Tu?”, s'informò Waverly, accettando la bottiglia e prendendo un piccolo sorso prima di restituirla a Nicole.

“E' stato molto carino. L'atmosfera, la cena, la compagnia. Tutto molto simpatico.”

“Vero”, le sorrise. “Sono felice che tu sia rimasta, sai?”

“Anche io sono felice.”

“Dove saresti andata? Voglio dire, se non ti avessi fermata, dove saresti andata?”

Nicole alzò le spalle: “Forse in un motel. Ero pronta a dormire in macchina, a dirla tutta. E' scomodo da morire. Sai, non poter allungare le gambe e tutto.”

“Dormi spesso in macchina?”

Nicole annuì prima di sorseggiare.

“E ti va bene così? Voglio dire... non lo so. Non so neppure da dove vieni. Dov'è la tua casa?”

“Nel tuo cortile.”

Quella risposta non ebbe alcun senso per i primi trenta secondi in cui Waverly si perse a fissare le dita di Nicole, strette attorno al collo della bottiglia. Aveva delle mani davvero grandi. I tendini, i muscoli e le vene erano in rilievo. Erano piacevoli da osservare.

“Vivi in quella macchina?”

“Il lavoro che ho scelto mi costringe a viaggiare molto, come farei ad occuparmi di una casa? E comunque mi faccio ospitare nelle case di cui mi devo occupare. Non è una vita così terribile. Prima avevo un camper, sai? Mi costava troppo, allora ho accettato quella 5oo da una signora che non poteva più guidarla. Me l'ha data in cambio dei miei servizi e poi... sì. Mi è sembrato un buon affare.” La guardò e le sorrise: “Quella macchina ha una storia, la vuoi ascoltare?”

“Ti prego.”

“Nel 2oo1 rimase coinvolta in un incidente: finì in un lago. A bordo c'erano una donna e suo figlio. Lei si salvò... il bambino, Dylan, non ce la fece. La cosa incredibile è che, nonostante il volo che aveva fatto, la macchina non aveva riportato alcun danno, neppure uno specchietto rotto; ne furono tutti sorpresi quando la recuperarono dal fondo, tre giorni dopo. Rimasero ancor più sorpresi quando videro che l'interno era completamente asciutto e che, nonostante ciò, il bambino fosse scomparso. Devo fare qualcosa migliorare i miei racconti...”

“Com'è possibile?”

“E' un mistero che non è mai stato svelato.” Nicole prese un lungo sorso. “Un mistero che neppure Dylan è stato in grado di dissipare.”

Waverly trattenne il respiro.

“Sì”, confermò Nicole, intuendo i pensieri di Waverly, “è stato lui ad accendere la luce, prima. Non preoccuparti, gli vai a genio, voleva solo proteggermi. Mi ha vista agitata e ha pensato fossi in pericolo.”

“C'è un bambino fantasma... Nella tua macchina c'è un bambino fantasma? E' lui che ascolti, allora, quando non mi rispondi. E' con lui che parlavi, l'altra volta...” Finalmente ne aveva avuta la certezza. Finalmente le venivano confermati i suoi sospetti. “Credo di aver sempre saputo che ci fosse qualcuno, lì con noi, ma... Wow! Dico davvero, wow!” Allungò la mano e Nicole le passò la bottiglia. “Parlami di lui. Com'è fatto? Quanti anni ha? Da quanto tempo hai quella macchina?”

Nicole sorrise per il fiume di domande e per il rivolo di spumante che era scivolato lungo il mento e la gola della ragazza. “E' castano-biondo, ha gli occhi marrone scuro. Penso abbia cinque o sei anni; non ne sono sicura: la versione cambia ogni volta che glielo chiedo. E' molto curioso, ha sempre qualche domanda... in questo vi assomigliate molto. Non smette mai di parlare, neppure un secondo. A volte non ascolta neppure la mia risposta e mi fa altre cento domande. Ormai ci sono abituata, sono passati sei anni da quando sua madre mi ha dato la macchina.”

“Lui sa di... voglio dire, sa di non essere vivo?”

“Chi è Morte, quando hai cinque o sei anni? Non credo che lui concepisca il concetto come potresti fare tu o qualunque altra persona.” Si rimpossessò della bottiglia e bevve.

“E sua madre... lei sa che lui è lì dentro?”

“Sì. Sapeva che suo figlio era ancora in quella macchina, in qualche modo. Tutti i giorni si sedeva sui sedili posteriori e parlava con lui. Un giorno volle sapere se lui poteva sentirla e capirla. Voleva sapere se lui l'avesse perdonata; a quel punto arrivai io. Fu molto commovente.” Nicole abbassò gli occhi. “Lei sapeva che la dea sarebbe arrivata. Non voleva lasciarlo da solo, così lo affidò a me. Dylan sa che quella macchina non potrà funzionare per sempre, sa che un giorno dovrò dirgli addio.”

“E a quel punto?” Le lacrime inumidirono gli occhi di Waverly. “Cosa succederà, a quel punto?”

Nicole sospirò. “Gli ho promesso che porterò la macchina in un bel prato con tante farfalle. Lui adora le farfalle. Spero solo che, ad un certo punto, sia pronto ad andare via, oltre il velo sottile.”

“Perché è ancora qui? Perché non ha ancora attraversato il velo?”

“Inizialmente pensavo che non volesse lasciare la sua mamma, ma poi è riuscito ad accettare anche quella nuova separazione. Ora penso che sia semplicemente troppo incuriosito da un mondo che non è mai riuscito ad esplorare, se non attraverso i finestrini di quella 5oo.” Si portò la bottiglia alle labbra. “A volte sembra tutto troppo crudele, non è così?”

“Sì...” mormorò Waverly, che a quel punto stava definitivamente piangendo.

“E' ingiusto che debba sempre avere a che fare con me, una donna adulta. A volte, in alcuni cortili, ci sono dei bambini con cui può parlare. Anche in questa casa c'è una bambina che potrebbe parlare e giocare con lui, ma lei non può lasciare la casa, lui la-” Nicole si bloccò, perché Waverly era diventata bianca come un lenzuolo. “Stai bene?”

Waverly impiegò molto tempo a reagire. “Una bambina...?”, chiese con voce strozzata.

“Sì. Penso abbia quattro o cinque anni, ma è come parlare con un piccolo adulto. E' bionda. Mi arriva più o meno sopra al ginocchio, è molto piccola... La conosci?”

“No.” Una risposta troppo veloce.

“Waverly, credo che...” Sospirò. “Non so come concludere la frase che ho iniziato, ma-”

“Non concluderla! Non voglio più parlare di questo...!”

“Va bene, va bene. Ma ora ti prego di calmarti, okay? Stai emanando terrore...”

“Non posso! Non posso, okay? Wy-Wynonna... Prima devo...” Scese dal letto ed indietreggiò finché la sua schiena incontrò l'armadio. “Non posso...” Si lasciò scivolare a terra.

Anche Nicole si alzò e appoggiò la bottiglia mezza vuota sul comodino. “Va bene. Ho capito: non puoi.” Le si avvicinò. “Va tutto bene, okay? Ti giuro che va tutto bene...” Fece il giro del letto e si inginocchiò. “Va tutto bene.”

“Non voglio che quella cosa appaia...” biascicò tra le lacrime, “ma non riesco a calmarmi. Non voglio vedere quella cosa!”

Nicole esitò, ma infine le mise una mano sulla spalla. “Cazzo...” esalò quando le emozioni di Waverly la investirono. “Non succederà nulla”, la rassicurò. “Non è di te che si nutre, ha scelto Wynonna...”

“Mi sta... mi sta schiacciando il petto...” ansimò, “non posso respirare... mi schiaccia...”

“E' la paura, okay? E' solo paura, puoi controllarla.” Le prese il volto tra le mani e la costrinse ad alzare la testa: “E' la tua paura, ma tu non sei paura. Okay? Ripeti con me: io posso controllare la mia paura, poiché io non sono la mia paura.”

“Nico-Nicole... non... non posso respirare... non posso respirare...!” Aveva gli occhi impiastrati di lacrime e terrore.

“Okay. Vieni qui.” La strinse forte tra le braccia. “Pensa al mio cuore, pensa al mio respiro. Puoi fare questo per me? Concentrati sul mio respiro.”

Waverly schiacciò più forte l'orecchio contro il petto di Nicole. Ascoltò il suo cuore e il suo respiro.

“Stai andando alla grande. Sincronizza il tuo respiro col mio, okay? Seguilo... dentro... fuori... lentamente, profondamente...”

Waverly fece del suo meglio per eseguire quel semplice compito che però, per lei, era tutt'altro che semplice.

“Stai respirando, vedi? Lo stai facendo. Stai andando bene, sei bravissima. Continua così, piano. Dentro... fuori...”


 Nicole ascoltò il respiro di Waverly confondersi sempre meglio col suo. Non si mosse, non la lasciò mai, continuò a stringerla. A farla sentire protetta.

“Mi sento meglio...” mormorò Waverly. Non fece nulla per separarsi da Nicole, continuò a stringerle gli avambracci, a tenerla vicina al suo corpo. “Grazie...” Ad ascoltare i suoni del suo petto.

“Sì, stai meglio. Ora stai bene. Va tutto bene.”

“Dillo ancora...” mormorò, “quando lo dici tu... è vero...”

“Andrà tutto bene. Va tutto bene. Stai bene...” Nicole si fermò, perché aveva avvertito un cambiamento in Waverly: una paura diversa. Sapeva cosa stava per succedere. Sentì la sua stessa paura confondersi con quella di lei. Mosse la testa un secondo prima che Waverly alzasse la sua.

Si guardarono negli occhi. Lasciarono che comunicassero fra loro. Poi li chiusero.

La bocca di Nicole era calda e sapeva di alcol. Le sue labbra danzavano e catturavano quelle di Waverly come se potessero rapirle e portarle in un'altra dimensione. Il suo respiro si fece irregolare, quasi spasmodico. Ora era lei quella che aveva difficoltà a respirare.

“Cosa stiamo facendo? Cosa sto facendo...?”, ansimò nella bocca di Waverly. “Cosa-”

Waverly non voleva ascoltare il resto. Non voleva che quel momento finisse, quindi premette la bocca su quella di Nicole e soffocò le sue paure. Ci provò con tutta se stessa.

Era un bacio violento, spaventato.

Si alzarono mentre le loro bocche continuavano a cercarsi.

Caddero sul letto. Waverly sopra Nicole.

Aprirono gli occhi.

“Ora sono io che ti chiedo di non aver paura...” sussurrò Waverly, “non aver paura di me...” Si abbassò e la baciò. Delicatamente questa volta. Lentamente e dolcemente come aveva sempre progettato di fare. “Non aver paura di noi.”

Nicole avvolse il corpo di Waverly e si lasciò baciare. La baciò.

I loro respiri si confusero ancora una volta; nessuna delle due poteva più distinguere il proprio da quello dell'altra.


 

<)o(>


 

Nicole aprì gli occhi. La stanza era illuminata dal sole che filtrava dalla finestra. Waverly non c'era, se ne accorse subito. Si accorse anche di avere un gran mal di testa: postumi di una sbornia che non aveva quasi sentito.

Si mise seduta. Era vestita, indossava persino ancora le scarpe.

I ricordi della notte appena trascorsa la investirono: Waverly... la sua bocca, la sua lingua...

“Cosa ho fatto...?”, si chiese. “Mi hai visto farlo, vero?”, domandò voltandosi verso l'armadio. “Sì, so di non aver...” Alzò le mani: “Lascia stare... mi rendo conto che non è il tipo di conversazione che voglio avere con te.” Si prese la testa fra le mani. “E' per questo che non volevo ascoltarti... lo sapevo che sarebbe successo. Forse, una parte di me, è contenta che sia successo. E' solo che ho paura, capisci? Non so cosa sto facendo... Non è vero: so benissimo cosa sto facendo... è questo il problema.” Sospirò. “E' proprio ciò che intendo.” Si alzò e si diresse verso la porta. “Scusami, ho bisogno di un'aspirina e qualche litro di caffè.” Stava per afferrare la maniglia, ma si bloccò. “Merda!”


 

<)o(>


 

Wynonna si era spostata dal tavolo al divano. Fu lì che la trovò Waverly, scendendo.

Si piegò su di lei: “Wynonna?” In risposta ottenne un mugugno di protesta. “Buongiorno”, continuò, cercando di svegliarla, “ho fatto il caffè. Buon Natale.”

“Giorno...” mugugnò ancora Wynonna. Probabilmente era stata la parola “caffè” a convincerla.


 

“Sei una persona orribile, Waverly Earp! Mentire alla propria sorella la mattina di Natale! Non so come potrai guardarti allo specchio, d'ora in avanti! Hai detto che avevi fatto il caffè, quello è solo motivo per cui non ho ripreso il bel sogno che stavo facendo.”

Waverly sospirò e si mise seduta al tavolo della cucina mentre Wynonna prendeva l'occorrente per ottenere la sua adorata bevanda scura. “Devo parlarti...” disse, fissando un piatto pieno di briciole di polpettone.

“Dopo che avrò preso un'aspirina e bevuto il mio caffè. Mi sta scoppiando la testa.”

“Non credo di poter aspettare... questa cosa mi sta uccidendo.” Non ebbe il coraggio di alzare gli occhi, perché Wynonna si era voltata a guardarla. Aveva capito che era qualcosa di grosso. “Ho bisogno che tu non dia fuori di matto, però...”

“Waverly...?” Wynonna si appoggiò alla sedia con le mani. “Forse voglio che aspetti che beva il mio caffè e prenda l'aspirina. Credo di volere questo, okay?”

“Credo sia qui...”

“Chi?”

“Lei...” deglutì, “lei, Wynonna...”

“No, Waverly. Okay? No! Non mi stai facendo questo!” Wynonna cambiò punto d'appoggio, voltandole le spalle e aggrappandosi al lavandino. “Non mi stai facendo questo...!”

“Per favore... non dare fuori di matto, okay? Forse è solo arrivato il momento di dire a Nico-”

“NO!”, esplose Wynonna. Aveva cominciato a tremare e respirare come se nella stanza non ci fosse ossigeno.

Nicole e lo spettro apparvero nella cucina quasi nello stesso istante; lei correndo, esso materializzandosi tra il frigo ed il tavolo.

“Porta Wynonna fuori da qui! Ora!”

Nicole aveva avuto il tempo di impartire l'ordine, ma nient'altro: lo spettro si era lanciato contro di lei.

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Capitolo 18
*** 18 ***


 

18



 


 

Waverly vide lo spettro entrare in rotta di collisione con Nicole. Pensò avrebbe attraversato il corpo della donna dai capelli rossi, ma quello sparì, semplicemente. Vide Nicole piegare la schiena all'indietro in una posizione del tutto innaturale che sfidava la forza di gravità. La testa poteva quasi sfiorare il pavimento.

Tutto sembrò bloccarsi. Persino il tempo. Tutto era immobile. Nella piccola cucina c'erano solo i respiri ansimanti di Waverly e Wynonna, le quali non fecero nulla, se non fissare il corpo brutalmente piegato.

Come fa a non essersi spezzata la spina dorsale? Waverly non era riuscita a fermare quel pensiero e neppure l'orrore che le aveva provocato. Un terrore e un orrore che non avevano nulla a che fare, comunque, con quello che provò quando Nicole raddrizzò la schiena.

Un'ira nera e raggelante aveva distorto la tristezza di quegli occhi nocciola. Era uno sguardo folle e dannato, non c'era altro modo per descriverlo.

“Lasciami in pace!”, urlò Wynonna, che aveva perfettamente compreso quello che stava accadendo. “Che cazzo vuoi da me?!”, sbraitò preda del terrore.

Nicole, meglio dire, lo spettro avanzò di un passo. Era stato un movimento scoordinato e lento.

Forse Nicole sta cercando di fermarlo... Mio Dio... quella cosa è dentro Nicole! Okay, non ho paura! Non ho paura! Io non sono paura. Andrà tutto bene. Nicole saprà cosa fare.

“Wynonna... è meglio che tu esca dalla casa...”

Sì, sto mantenendo la calma. E' questo che devo fare, mantenere i nervi saldi!

“Tipo ora, Wy-” S'interruppe, perché vide il corpo di Nicole scattare in avanti a folle velocità. Vide le lunghe dita chiudersi attorno alla gola di Wynonna.

Il cervello di Waverly si spense: quello che vedeva non aveva alcun senso.

Wynonna si dimenava come una furia, colpiva Nicole con pugni e calci che non sortivano alcun effetto. Il suo respiro era un rantolo e la sua faccia stava diventando viola. I movimenti si facevano man mano più deboli. Stava morendo.

Sta uccidendo mia sorella...

Con un urlo si lanciò contro Nicole. Le prese a pugni la schiena.

“Lasciala andare! Lasciala andare!”

Fu totalmente ignorata.

“Merda, merda, merda!” Afferrò la teglia con ancora mezzo polpettone dentro. Non poteva esitare oltre. Colpì il braccio che stringeva la gola di Wynonna con tutta la forza che aveva. Vide il gomito di Nicole piegarsi nella direzione sbagliata e sentì un suono che le raggelò il sangue. Ma Wynonna era libera.

Nicole lasciò cadere il braccio, storto e sanguinante, lungo il corpo. Alzò l'altro, il sinistro. Stava per abbattere un pugno sulla testa di Wynonna, che era a terra, che cercava di respirare.

Waverly la spinse via.

Nicole finì contro il lavandino, colpendolo con le costole. Rimase piegata di lato per qualche secondo, i secondi che Waverly impiegò a trascinare Wynonna il più lontano possibile.

Erano quasi alla porta d'ingresso quando il corpo di Nicole attraversò la soglia della cucina. Dal naso e dal labbro spaccato colavano rivoli di sangue. Wynonna l'aveva colpita molto forte; e lei, Waverly, le aveva spaccato un braccio, come minimo.

“Mi dispiace tanto... mi dispiace tanto!”, urlò. Era riuscita ad aprire la porta, ora doveva solo spingere Wynonna fuori. Ci riuscì. Caddero entrambe sul portico ghiacciato.

Wynonna gattonò e tossì, scendendo i gradini. Waverly si rimise in piedi.

Nicole era ferma sulla soglia, proprio davanti a lei. Non la guardava: la sua attenzione, il suo odio erano tutti per Wynonna.

“Questa donna non ti ha fatto niente... Lascia andare Nicole, ti prego...” supplicò. “Lasciala andare...”

Quegli occhi rimasero piantati su Wynonna, che gattonava e strisciava nel cortile. C'erano un odio, una sofferenza e una follia senza eguali, in quegli occhi. Eppure, guardandoli, Waverly lì trovò umani, spaventosamente umani. Non erano gli occhi di Nicole, ma non erano neppure quelli di un mostro. Somigliavano allo sguardo che aveva Wynonna quando provava terrore, sì, era lo stesso sguardo.

“Sei arrabbiato, lo capisco, sai? Probabilmente hai anche paura, ma Nicole non ha nessuna colpa... Ridamela, ti prego. La devo portare in ospedale, lo capisci? Così la uccidi... non ucciderla... ti prego...” Afferrò il volto di lei con entrambe le mani: “Tu non vuoi uccidere questa donna, vero? Forse non sei malvagio. Ti sto supplicando! Ridammi Nicole! Ti prego!”

Lo spettro abbassò finalmente lo sguardo su di lei.

Waverly rivide gli occhi di Nicole. Poi il suo corpo collassò. Le ginocchia della donna colpirono il pavimento con un tonfo sordo, ma Waverly riuscì ad afferrarla prima che potesse cadere completamente e colpire il suolo. Strinse forte il busto di Nicole e lasciò andare il fiato trattenuto.

“Grazie... grazie per non avermi abbandonata...” rantolò Nicole prima di abbandonarsi completamente contro Waverly.


 

<)o(>



 

“Signora...” mormorò il medico, massaggiandosi la sella del naso, “lei e sua sorella vi siete presentate qui con una donna che è stata palesemente aggredita. Picchiata a sangue, è giusto dire. Sostenete di essere le cugine, ma non sapete dirmi neppure il cognome di quella donna. E non sapete neppure darmi una spiegazione per quello che è successo. Questa storia non sta in piedi. Ci penserà la polizia.”

“Chiama chi cazzo ti pare!”, urlò Wynonna. “Chiama l'esercito, il Presidente degli Stati Uniti, il cazzo che ti pare! Voglio solo sapere come sta!”

“Wynonna...” sussurrò Waverly, al suo fianco.

“Signora, siamo in un ospedale. Se vuole urlare, vada a farlo fuori o alla stazione di polizia.”

“E' mia cugina, cazzo!”, ringhiò, cercando di mantenere un tono basso. “Lei non può nascondermi le sue condizioni.”

“Le ripeto, signora Earp, che quella donna non aveva alcun documento con sé e voi non siete in grado di darmi un nome e un cognome che io possa verificare. Io non posso sapere con chi e di chi sto parlando.”

“Fottiti!” Wynonna si girò, puntando ad una delle sedie del corridoio in cui lei e Waverly avevano trascorso gli ultimi eterni venti minuti.

“Non si allontani”, l'avvisò il medico, “la polizia sarà qui presto e dovrà farle qualche domanda.”

In risposta, Wynonna gli mostrò il dito medio.

“Mi scusi...” mormorò Waverly, fermando il medico prima che se ne andasse, “capisco che la situazione non è chiara e tutto. Lo capisco. Mi può solo dire se è viva... la prego...”

Lui sospirò sonoramente, poi annuì.

“Grazie, grazie di cuore.”


 

“Sporgerò denuncia...!”, soffiò Wynonna quando Waverly si mise accanto a lei, su una delle sedie. “Non possono impedirmelo!”

“E' colpa mia...”

Wynonna si voltò a guardarla: “Che?”

“E' colpa mia se... Avrei dovuto convincerti ad uscire o... non lo so... Sono stata egoista: volevo solo togliermi quel peso dal cuore... non ho pensato alle conseguenze... Tu stavi per morire e Nicole... non ho idea di cosa succederà a Nicole. Le ho rotto un braccio... le ho fatto del male e...”

“Waverly, ascoltami. Tutti facciamo degli errori, va bene? Non sono arrabbiata con te, non ti incolpo di nulla. E Nicole starà bene, te lo prometto.” Sospirò. “Ho mandato a 'fanculo tutto quello che ho imparato in questi giorni... avrei dovuto controllarmi. Se fossi stata capace di controllarmi, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto. Mi hai presa alla sprovvista...”

“Se non sei arrabbiata con me, perché non mi hai ancora guardata in faccia...?” chiese, studiando il profilo di Wynonna. “Non mi guardi da prima...”

“Ho bisogno di tempo. Puoi darmelo?”

“Certo...”

“Felice Natale a noi...” brontolò Wynonna guardando lo sceriffo avanzare verso di loro, lungo il corridoio. “Non dire nulla, mi hai capita? Dobbiamo prima parlare con Nicole.”


 

Erano state separate all'arrivo in centrale. Waverly in una stanza con un agente, Wynonna nell'ufficio dello sceriffo. Lì cercava di convincerlo di non aver fatto nulla.

“Da quanti anni mi conosci, Ted?”

“Voglio solo che tu mi dica cosa è successo, va bene? Non è impossibile. Perché l'hai picchiata? E' entrata in casa tua?”

“Non l'ho picchiata...”

“Allora come ti sei ferita le mani? Perché c'è il suo sangue, sui tuoi vestiti?”

Wynonna appoggiò la fronte sulla scrivania. “Non stavo picchiando lei.”

“Chi stavi picchiando, allora?”

“Non mi crederesti mai.”

“Proviamo.”

Sollevò la testa e lo guardò negli occhi: “Facevamo i castelli di fango, noi due. Te lo ricordi? Tutti i pomeriggi per quanti anni? Tutte le elementari?”

“Wynonna, sulla tua gola ci sono segni di strangolamento. Ha cercato di ucciderti? Se stiamo parlando di legittima difesa, non hai nulla di cui preoccuparti. La legge ti tutela.”

“Non stavo picchiando lei”, ribadì. “E, per l'ultima volta, non posso dirti cosa stavo picchiando, perché se no tu prendi quel telefono e chiami qualcuno per farmi portare in una clinica psichiatrica. Non ti dirò proprio nulla. Aspetterò che sia Nicole a dirti come sono andate le cose. Le avete già parlato?”

“Le domande le faccio io.”

“Okay!” Alzò le mani. “Dov'è il poliziotto buono? Voglio parlare con lui.”

“Chi è quella donna? Che relazione c'è fra te e lei? Perché era in casa tua?”

“E' mia cugina.”

“Sappiamo entrambi che non è vero.” Sbuffò fuori l'aria. “Perché non provi a collaborare? Provaci solo per un momento, okay?”

“Facciamo un accordo, sì? Tu mi dici come sta Nicole, io provo a spiegarti cosa è successo. Va bene?”

“Basta stronzate!”, urlò sbattendo i pugni sul tavolo. “Ti metto in cella, se non ti decidi a parlare!”

“Non sei credibile, non mi fai paura. Vedo ancora il piccolo Ted farsi pipì nei pantaloni ogni volta che-”

“Basta!” Si alzò e si avvicinò alla porta. “Forse qualche ora in gabbia ti farà bene.”

“Sono d'accordo.”


 

<)o(>


 

“Ti porto una tazza di caffè?”, chiese l'agente indicando una sedia a Waverly. Erano in una delle salette usate per interrogare i delinquenti.

“No, grazie.” Si mise seduta appoggiando le mani al tavolino di alluminio, al centro della stanza. Si era aspettava delle manette, ma non ero successo. Non era con lei che ce l'avevano: pensavano fosse stata Wynonna.

“Dell'acqua?”

“Sto bene, davvero.”

“Okay.” Si mise seduto dall'altro capo del tavolo e appoggiò un registratore: “Va bene?”

Lei si limitò ad annuire.

“Okay.” Lui schiacciò il tasto play. “Agente Miller. Undici e quarantacinque del mattino. Venticinque dicembre.” Guardò Waverly: “Puoi dire il tuo nome, per favore?”

“Waverly Earp...”

“Okay. Cominciamo. Puoi dirmi cosa è successo?”

“Posso solo dirle che Wynonna non ha fatto niente di male... Non è come pensate. Le cose sono... complicate.”

“Prova a spiegarmele.”

“Voglio solo sapere se Nicole sta bene.”

“Non siamo qui per questo.”

“Allora non ho nulla da dire.”



 

<)o(>



 

L'agente accompagnò Waverly nella cella dove Wynonna era seduta, poi richiuse la porta.

“Quando avrete voglia di parlare, chiamate.”

“Cosa gli hai detto?”, chiese Wynonna, spostando le gambe così che Waverly potesse sedersi.

“Solo che non hai fatto niente...”

“Nient'altro?”

“No...”

“Bene. Non possiamo dire loro la verità. Ci metterebbero in manicomio.”

“Spero che Nicole stia bene...”

“Anche io.”

“Le ho... Il suo braccio ha fatto un rumore... Non sapevo come altro fare... ti stava uccidendo...”

“Nicole starà bene.”

Cercò lo sguardo di Wynonna.

“E tu? Tu starai bene?”

Non lo trovò.

“Sì. Sì, starò bene anche io.”

“Mi dispiace per-”

“Non ora, ti prego.”

“Scusa...”



 


 

15 ore più tardi...



 

“Voi due. Fuori.”

Waverly e Wynonna si svegliarono. Si erano addormentate schiena contro schiena.

“Che c'è ora?”, chiese Wynonna, osservando la poliziotta che stava aprendo le sbarre.

“Hanno pagato la cauzione.”

“Chi?”

“Fermatevi all'ingresso, dovete firmare. E tu”, era rivolta a Wynonna, “non lasciare la città.”

“Chi ha pagato?” Si mise in piedi e si avvicinò alla porta aperta. “Me lo dici o no?”

“All'ingresso.” La donna non aggiunse altro, se ne andò semplicemente.

Wynonna le mostrò il medio.

“Forse è stata Katie...” ipotizzò Waverly. Non le veniva in mente nessun altro.

“Ora lo scopriamo.” Wynonna uscì. Non voleva passare un altro secondo là dentro.



 

Waverly si fermò a qualche metro dalla reception. Si paralizzò, è più giusto dire.

Nicole era lì, appoggiata ad una stampella. Leggermente piegata in avanti, sofferente. L'occhio chiuso, tanto era gonfio. Il labbro spaccato. Il braccio destro ingessato e appeso alla spalla. Era ridotta davvero male.

E' colpa mia...

Nicole si voltò e la vide. Le sorrise.

Non sorridermi. Non farlo... ti prego.

Wynonna, che era rimasta qualche metro indietro perché stava cercando telefonare all'ospedale, si accorse di Nicole.

“Mio Dio! Che diavolo ci fai qui?!”

Le corse incontro.

“Oh no, no, no, no, no, no!”, supplicò Nicole quando capì le intenzioni della donna.

Troppo tardi.

“Le costole...” ansimò piegandosi quasi completamente su Wynonna, “le costole... le costole...”

“Lo so, lo so! Ora ti lascio! Ora ti lascio! Solo un momento, voglio assicurarmi che tu non sia un fantasma...”

“Sono abbastanza certa che i fantasmi non abbiano le costole...”

Alzò gli occhi su Waverly, ancora ferma in mezzo al corridoio. Le sorrise di nuovo.

Non farlo.

“Come diavolo...? Come? Perché sei qui? Non sapevamo neppure se fossi viva!”, esclamò Wynonna, liberando finalmente il corpo dolorante della donna. “Cosa diavolo ci fai qui? Come... come...? Capito?”

“Dopo...” sospirò Nicole, “dopo. Ho davvero bisogno di stendermi e di riposare un po'.”

“Non possiamo tornare a casa...”

“Non andremo là. Ti spiegò dopo, ora penso che tu abbia qualche scartoffia da compilare.”

“Sei stata tu a pagarci la cauzione?”

“Non potevo lasciarvi qui. Ti spiego tutto dopo, promesso.” Alzò di nuovo lo sguardo su Waverly: “Mi aiuti? C'è un taxi, qui fuori.”

Il tuo braccio, le tue costole... è tutta colpa mia.


 

“Non mi vuoi proprio parlare, eh?” Lei e Waverly erano sedute sui sedili posteriori della macchina, il tassista era sceso a fumarsi una sigaretta e Wynonna era ancora dentro. “Solitamente apprezzo il silenzio, ma ora mi risulta opprimente.”

Non ho neppure il coraggio di guardarti in faccia...

“Lo rispetto. Farò silenzio anche io.”

“Mi dispiace... so che non è abbastanza, ma mi dispiace davvero tanto...”

“Ehi...” Nicole allungò il braccio sano e poggiò la mano sul ginocchio di Waverly. “Hai salvato la vita di Wynonna e anche la mia. Mi spieghi perché ti stai scusando?”

“Ti ho spezzato un braccio, Nicole. Probabilmente ti ho anche fratturato delle costole...”

“Hai fatto solo quello che dovevi. Ehi, ti ricordi quella sera, nel parcheggiò dell'Happy Break? Mi dicesti che... Ah sì, ora ricordo con precisione! Mi dicesti che avevi fatto arti marziali-” Rise e quello le causò un tremendo dolore. “No-non devo ridere, maledizione...!” Ma rise, piano, ma rise. “Ouch... Ora so per certo che se anche avessi provato a rapirti, sarebbe finita molto male per me! Ah... le mie povere costole...”

“Nulla di tutto questo sarebbe successo se...” Il pianto le frantumò le parole in bocca.

“Waverly, non possiamo cancellare il passato, okay? Non possiamo farlo, ma ricorda che solo alla morte non c'è rimedio, tutto il resto si può aggiustare.”

Si voltò a guardarla e urlò: “Smettila! Non puoi fare così! Non puoi comportarti come se non fosse successo niente!”

“Cosa dovrei fare?” Il tono di Nicole rimase morbido e calmo. “Vuoi che mi arrabbi con te?”

“Sarebbe un inizio, sì...”

“Non ne ho voglia. Non ne ho voglia e non ne vedo il senso.”

“Perché non puoi comportarti come una persona normale, per una volta? Urla! Arrabbiati! Colpiscimi! Dimmi che è colpa mia! So che è colpa mia! Non avrei mai dovuto andare da Wynonna e... Diavolo! Ho sbagliato tutto!”

“Quando penso a come sia meglio reagire, vedo diverse stradine che si diramano in direzioni diverse. Su ognuno di quei sentieri c'è una scritta, una scelta. Le percorro tutte mentalmente, vedo dove portano, poi scelgo. Ho scelto la strada in cui non faccio assolutamente nulla per farti sentire peggio di come già ti senti. E' la mia scelta, puoi rispettarla?”

“A volte penso che tu non sia reale...”

“A volte lo penso anche io.” Aspettò che Waverly la guardasse: “Poi mi guardi, esattamente come stai facendo ora, e so di esistere. Mi vedi, ed io esisto. Sono reale.”

Waverly si lasciò sfuggire una risatina esasperata; poi appoggiò la tempia al finestrino e si isolò nei suoi oscuri pensieri.

Nicole fece un cenno al tassista, che si era voltato verso di loro, attirato dalle urla di Waverly. Alzò il pollice per fargli sapere che era tutto okay.

“Ti dico solo un'ultima cosa, Waverly, poi giuro che rispetterò il tuo silenzio e il tuo dolore: questa mattina hai fatto una scelta. Ora so. Ora so tutto quello che volevo sapere. Tutto accade per una ragione.” Comparvero le due fossette: “Comunque credo che tu abbia l'ascendente in Pesci o in Cancro.”

“Cancro...”

“Lo sapevo!”

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Capitolo 19
*** 19 ***


19


 


 



 

Waverly aveva chiesto al tassista di portarla all'Homestead: c'erano le luci e il gas da spegnere, oggetti da recuperare e altre cose di cui desiderava occuparsi.

“Non mi hai ancora detto dove stiamo andando.” Wynonna, che inizialmente si era seduta sul sedile anteriore, salì dietro, al fianco di Nicole. “E soprattutto... come stiamo facendo a fare tutto questo? Pensavo che... Sai? Pensavo non fossi esattamente benestante.”

“Ho le mie risorse”, rispose Nicole, guardando l'Homestead dai finestrini, osservando Waverly sparirci all'interno. “Siamo dirette in un motel in città. Staremo là finché non mi sentirò meglio; le mie ferite hanno bisogno di tempo.” Si voltò e la guardò negli occhi: “Incolpi te stessa o Waverly, per quello che è successo questa mattina?”

“Waverly ed io staremo bene.”

“Non ho dubbi al riguardo. La mia domanda aveva un altro scopo. Tu hai un serio problema con i sensi di colpa, Wynonna. Ho visto tutta la tua colpa... l'ho vissuta.”

Wynonna guardò brevemente l'autista, che a sua volta stava guardando verso di loro, attraverso lo specchietto retrovisore; poi guardò Nicole, i suoi occhi.

Improvvisamente ebbe paura di quella donna e desiderò scappare lontano da lei: in quello sguardo c'era il riflesso dei suoi stessi tormenti, dei suoi demoni. Attraverso gli occhi di Nicole, vide tutto ciò a cui cercava di sfuggire.

“Già...” mormorò Nicole. “E' stato orribile. Se lo spettro fosse rimasto dentro di me per altri due secondi, con ogni probabilità avrei perso completamente il lume della ragione. L'orrore con cui mi stai guardando è lo stesso con cui guardi dentro di te ogni giorno... da troppo tempo.”

L'uomo decise che l'argomento lo inquietava e non voleva lo riguardasse, dunque alzò il vetro divisorio. Uscì lentamente dal giardino degli Earp e si mise in strada.

Wynonna si limitò a fissarla, incapace di parlare, quindi Nicole continuò:

“Non penso tu sia il mostro che credi di essere, sai? Ma penso anche che sia completamente inutile che te lo dica io: devi essere tu, quella che se lo dice. E dovrai farlo, prima o poi, perché tutto questo non è giusto né per te... né per esso.”

“Voglio che tu non dica più nulla...” sussurrò con le lacrime agli occhi. “Ti prego...”

Nicole annuì, appoggiò la nuca sul bordo del sedile e chiuse gli occhi. Ascoltò il respiro di Wynonna farsi sempre più irregolare.

La ascoltò piangere.


 

<)o(>


 

Waverly si richiuse la porta alle spalle. Rimase ferma nel salotto per diversi minuti. Andò poi in cucina e anche lì si fermò. Guardò la teglia e il polpettone per terra, bagnati del sangue di Nicole. Rivide la scena ancora e ancora.

“Ti ho già visto. Ti conosco...” Non aveva idea se lo spettro potesse o meno sentirla, ma aveva bisogno di dire quello che doveva dire. “L'ho capito quando ti ho guardato negli occhi, attraverso quelli di Nicole. Ho ricordato. Ero molto piccola, la prima volta che ti vidi... e anche tu non sembravi così immenso come ora. Così oscuro. Non sei interessato a me e alle mie emozioni; credo sia perché io, al contrario di mia sorella, mi sfogo subito... io non mi tengo le cose dentro. Urlo, piango... mi arrabbio con la prima persona che trovo... lascio spazio per le cose più sciocche della vita. Vivo meglio...”

Andò in salotto e si lasciò cadere sul divano.
“Mi sono ricordata di quella donna, mi sono ricordata le tue urla di rabbia e terrore. E' stato come guardare il film di un momento della mia vita che era andato perduto.”

Ebbe la sensazione che la temperatura fosse improvvisamente diminuita.

“Sei qui, vero? Credo di percepirti. Vuoi sentire quello che ho da dire? Mi fa piacere, perché ho davvero bisogno di dirlo a qualcuno. C'è sempre questo odore di frutta marcia, quando appari? Fa sempre così freddo? Non me ne sono mai accorta... Non sto cercando di offenderti, sto solo dicendo. Non mi farai del male, giusto? Non è con me che sei arrabbiato... e, a proposito, grazie per avermi ridato Nicole. Ho apprezzato quello che hai fatto, spero tu mi creda. E spero anche che tu possa capire che lei non è il nemico. Credo che Wynonna sia l'unico nemico... il peggior nemico di se stessa.”


 

<)o(>


 

Wynonna aiutò Nicole ad uscire dalla macchina mentre il tassista recuperava la stampella dal bagagliaio.

“Cos'ha la tua gamba?”, chiese, notando che la teneva leggermente sollevata.

“Nulla di grave.”

“Immagino sia stato uno dei miei calci...”

“Ti stavo strangolando. Be', tecnicamente era il mio corpo a farlo, di conseguenza era con quello che stavi lottando. Legittima difesa.”

L'uomo scosse lentamente la testa: probabilmente era convinto che quelle due avessero trovato il modo di fuggire da un manicomio. Si affrettò a risalire in macchina e a ripartire.

“Non si fa pagare?”

“Verrà pagato domani mattina.” Nicole si appoggiò alla stampella e si voltò verso il motel: “Siamo nella 6. Ho preso una stanza a piano terra, ovviamente. Non è esattamente un cinque stelle, ma andrà bene.”

“Nicole... cosa sta succedendo? Quando sono entrata in un film di spionaggio?”

Apparvero le due fossette: “Perché un film di spionaggio?”

“Hai mai visto uno di quei film? Sai cosa? Va bene così. Ma prima di entrare in una camera che so di non potermi permettere, vorrei sapere da dove arrivano i soldi.”

“E' così importante? Posso dirtelo anche dopo che ci saremo riparate dal vento e dalla neve che, in caso non te ne fossi accorta, ha reso i tuoi capelli bianchi. Vuoi una bronchite o preferisci una stanza calda e una spiegazione?”


 “Ci sono solo due letti, me ne rendo conto.” Nicole si sedette lentamente sul più vicino alla porta, appoggiandoci la stampella di fianco. “Non mi sembrava il caso di abusare dell'altrui generosità.”

“La generosità di chi?” Wynonna era andata in esplorazione del bagno, l'unica altra stanza.

“Si chiama William, è un benestante signore di mezz'età a cui ho liberato la villa da un poltergeist. Non posso dirti il cognome, perché è in politica, sai... Sono stata in quella villa per tre settimane... era immensa! Ammetto che avrei potuto risolvere il problema molto più in fretta, ma ehi, una villa!”, sorrise. “Comunque, lui è il mio fondo delle emergenze. In dieci anni gli ho chiesto aiuto solo due volte. La prima quando sono finita in Louisiana e non sapevo come tornare indietro. L'altra quando, come questa volta, non potevo pagarmi le cure mediche; fu quando il fantasma di una donna morta nel 1849 mi comparve all'improvviso dietro le spalle. Presi un tale spavento che finii giù per una lunghissima scalinata di pietra, in Italia. Ero così giovane e impressionabile.”

“Quante vite hai vissuto?”, borbottò rientrando nella stanza. Non era particolarmente grande, ma aveva tutto ciò che serviva: due letti spaziosi, un tavolino e tre sedie, e un mobile con la TV. Non era affatto male. “Una parte di me ti invidia.” Si mise seduta sull'altro letto, quello più vicino al bagno. “Un'altra parte di me, invece, pensa che non potrei mai fare la vita che fai tu.”

Nicole cercò di distendersi. Dopo molti lamenti e qualche movimento cauto, riuscì nel suo intento.

“Ho una bella vita. Mi piace la mia vita. Faccio esattamente quello che ho scelto di fare e non mi manca nulla. Vado in giro, a volte per il mondo, e incontro tantissime persone diverse. La mia vita è meravigliosa.”

“Non hai mai pensato di fermarti? Di costruirti una famiglia? Cose del genere.”

Voltò lentamente la testa verso di lei, la guardò a lungo negli occhi prima di rispondere: “Una volta stavo per farlo, sai? Stavo per fermarmi e avere una vita normale. Ho conosciuto una persona e...” Sorrise. “Ho pensato fosse giusto fermarsi. E' stato un momento di debolezza e stanchezza. Ho ricordato che sono incapace di stare ferma, perché non ho radici. Sono una foglia e il vento mi porta dove vuole.”

“A proposito. In ospedale volevano conoscere il tuo cognome... cos'hai detto loro?”

“Quello che ho detto a te. William ha pensato al resto. I soldi possono comprare tutto, davvero tutto. Ma non mi fraintendere, non sono così legata al denaro. Non è il mio dio. L'unica cosa che chiedo alla vita è di essere libera.”

Wynonna abbassò lo sguardo. “Una libertà che stavo per portarti via... Pensavo che non ti avrei più rivista. Pensavo che se fossi sopravvissuta, avresti trovato il modo di scomparire. Ho cominciato a pensarlo quando nessuno voleva dirmi come te la stessi cavando... ho pensato fosse stata una tua richiesta.”

“Tutto accade per una ragione, Wynonna. Ti prego, non sentirti in colpa. Non sei riuscita a controllarti, è vero, ma non sono delusa da te. Non essere delusa da te stessa, okay? Le cose trovano sempre un modo di verificarsi; a volte lo fanno in modo dolce, graduale... a volte... boom!”

“Già...” Anche lei si distese. Guardò a lungo il soffitto; poi disse: “Domani ti dirò... ti dirò quello che ho fatto. Te lo devo... sei quasi morta per aiutarmi.”

“Non mi devi nulla, Wynonna. E' stata una mia scelta, tutto quanto. Ho scelto di accettarne le conseguenze. Quanto vorrai parlare, io ti ascolterò, questa è una promessa.”

“Grazie. Ti faccio un'ultima domanda, poi vorrei chiudere il discorso, almeno per un po'.”

“Ti ascolto.”

“Hai detto che... hai detto che non era giusto neanche per esso. Cosa volevi dire? Stavi parlando dello spettro?”

“Sofferenza genera sofferenza. Nessuno dovrebbe soffrire; è impossibile impedirlo, certamente, ma a volte basta poco per guarire delle ferite. Le cicatrici, tuttavia, non svaniranno mai. Un giorno guarderai quella cicatrice con amore, perché sarà guarita, e tu con essa.” Prese un respiro profondo. “Meditiamo, ti va?”



 

<)o(>



 

Waverly aveva radunato alcune cose nel soggiorno: vestiti di ricambio, l'occorrente per l'igiene personale, il computer di Wynonna e la valigia di Nicole. Aveva ancora una cosa da fare prima di raggiungere l'indirizzo che le aveva lasciato la donna dai capelli rossi.

Salì in camera sua.

Osservò la stanza come fosse quella di un'estranea e si sentì quasi un'intrusa. Non ebbe una spiegazione razionale, si sentì semplicemente così.

Recuperò un oggetto dal letto e scese le scale, diretta all'esterno.


 La macchina di Nicole era aperta, ma anche in caso contrario non sarebbe stato un problema: le chiavi erano sul mobile d'ingresso. Si era chiesta se lo spettro fosse riuscito a prendere il controllo del corpo di Nicole perché lei non aveva con sé la pietra nera. Non aveva saputo rispondersi.

Alzò il sedile e si mise seduta su quelli posteriori, poi richiuse la portiera.

“Ciao, Dylan...” sorrise allo spazio vuoto accanto a sé. “Ti ho portato questo.” Appoggiò un pupazzo sul tessuto grigio e rosa (una volta era nero e rosso, ma il sole l'aveva sbiadito). “Nicole mi ha detto che ti piacciono le farfalle... mi rendo conto che questa è una coccinella, ma anche loro stanno nei prati e, se non ricordo male, sono le migliori amiche delle farfalle. Sì, ne sono sicura. Spero ti piaccia...” Sospirò. “Probabilmente mi stai dicendo qualcosa, ma io non sono in grado di capirti... mi dispiace molto. Forse mi chiedi dov'è Nicole e cosa è successo... forse hai visto qualcosa che ti ha fatto paura. Nicole sta bene, dico davvero. Starà via qualche giorno, appena si sentirà meglio verrà a trovarti, te lo giuro... Ti ho portato la coccinella proprio perché tu possa avere qualcuno a farti compagnia. E' una coccinella magica, sai? Manda via la paura, la fa correre a gambe levate, dico davvero!” Smise di parlare, perché inconsciamente si aspettava una qualche risposta.

“Chiederò a Nicole di farci da intermediaria, un giorno. Ti piacerebbe? Potremmo parlare di qualcosa o potrei raccontarti una storia, ti piacciono? Mia sorella scrive, sai?”

Cercò di sorridere e di usare un tono allegro: “Mi piacerebbe tanto sapere cosa mi stai dicendo. Perché mi stai parlando, vero? Penso tu sia un bravo bambino, bravo e coraggioso. Ti occupi di Nicole, vero? Sei davvero coraggioso, Dylan.” Afferrò la maniglia. “Ora devo andare, ma tornerò presto e porterò anche Nicole, va bene?”

Ebbe la sensazione che qualcuno le sfiorasse il braccio. “Tornerò, lo prometto...” mormorò prima di chiudere la portiera.


 

Rientrò in casa e cominciò a caricare l'occorrente sul pick-up. Stava per chiudere la porta, quando si rese conto di voler dire ancora una cosa allo spettro.

“Mostrerò a Nicole dove quella donna ti ha portato la prima volta... vorrei che tu non provassi ad ostacolarla. Credo che Nicole aiuterà anche te. Lo farà di certo.”


 

<)o(>


 

Mancava poco all'alba. Wynonna si era addormentata per qualche minuto, dopo la meditazione. Un sonno breve e agitato.

Si era alzata, aveva guardato brevemente Nicole che, nonostante tutto, sembrava immersa in un sonno profondo e pacifico, ed era andata in bagno.

Aveva rinunciato alla doccia, perché l'accappatoio color vaniglia non le ispirava nessuna fiducia. Non si sarebbe messa un accappatoio di un motel, né quella mattina né mai.

Nella giacca aveva un pacchetto di sigarette. Ce n'era solo una.

Uscì a fumare mentre le ultime ombre della notte svanivano.

Vide il pick-up azzurro entrare nel parcheggio del motel quando il sole, nascosto dalle nubi, fece capolino oltre la montagna ad est.


 

“Tutto bene a casa?”, chiese quando Waverly smontò.

Tenne gli occhi bassi, esattamente come Wynonna. “Sì... Come sta Nicole?”

“Dorme. Prendo il pick-up, okay? Il mio portafoglio è ancora lì? Voglio comprare qualcosa per colazione e delle sigarette.”

“Lascia almeno che... Non importa, sveglierei Nicole...”

Wynonna sparì nell'abitacolo, mise in moto e partì.

Waverly sospirò ed entrò nella stanza numero 6.


 

Si mise seduta sul letto più vicino al bagno. Osservò Nicole, illuminata appena dal chiarore che filtrava dalla finestra; una luce fredda: il sole oltre le nuvole che si rifletteva sulla neve del parcheggio. Sembrava morta.

Un giorno le mie scenate saranno troppo anche per te. Forse capisci che mi sono essenziali per non impazzire, per non soccombere alle mie emozioni. Sicuramente è così, ma un giorno sarà troppo anche per te. Tu cerchi la calma, dici che emano calma... ci riesco perché non mi tengo le cose dentro. Non vedo via d'uscita.

Ma...

I nostri destini si sono legati anni fa, anche se tu ancora non lo sai. E' stato il destino a portarti da me. Sarò capace di non farti andare via?

Vide apparire le due fossette. Si sorprese a sorridere.

E' un bel sogno, Nicole?

“So di essere incantevole.”

“Mio Dio!”, esclamò Waverly, colta alla sprovvista. “Pensavo stessi dormendo... sognando...”

“Se fossi al tuo posto, probabilmente anche io rimarrei lì a fissarmi, ma... non puoi semplicemente venire a stenderti con me?” Le sorrise, aprendo l'unico occhio che poteva aprire. “Sarai stanca.”

“Come facevi a sapere che ero qui?”

“Ti sento. Sento la tua energia, ricordi?”

“Va bene, ma come sapevi che ti stavo guardando?”

Soffiò fuori l'aria della narici. “Ho tirato a indovinare.”

“Non è vero...”

“Okay, hai ragione. Ho ritenuto fosse la cosa più probabile, conoscendoti.”

“Davvero vuoi che mi metta vicino a te...?” sussurrò. Il suo cuore prese a battere sempre più veloce.

“Un corpo caldo mi renderebbe davvero felice. Non ho la forza di mettermi sotto le coperte.” Chiuse l'occhio e aprì il braccio sinistro, come invito. “Voglio le coccole.”

Rise. Quella frase l'aveva fatta ridere.

“Guarda che le coccole sono una cosa seria! Inoltre ho bisogno di tenerezza e compassione. Puoi essere la mia infermiera, se vuoi. Vuole prendersi cura di questa povera creatura, infermiera Waverly?”

“Non l'hai detto davvero...” rise di nuovo. Non aveva mai sentito Nicole fare discorsi del genere, non così scherzosi, almeno.

“L'ho detto e posso anche ripeterlo. Posso dire cose ben più imbarazzanti, quindi ti conviene sbrigarti.” Sbirciò brevemente nella sua direzione, come a controllare la reazione della ragazza, e richiuse di scatto la palpebra.

“Sei tutta scema, Nicole...” Si alzò e si fermò accanto al letto opposto. “Tutta scema...”

“Mi piace quando non sei arrabbiata con me.”

Si coricò cautamente al suo fianco. Col naso le strofinò la guancia.

“Puoi perdonarmi, Nicole?”, le sussurrò all'orecchio. “Mi dispiace per prima. Mi dispiace per tutto quanto...”

“Coccolami e forse ti perdonerò.”

Il volto di Nicole le sembrava grande come quello di una statua ed emanava un piacevole torpore. Le piaceva quella sensazione di intimità e paura. Le piaceva il suo odore. Tutto era perfetto, nonostante tutto.

“Non so che tipo di coccole ti piacciono...”

“Mi piacciono le carezze sui capelli, sul viso e sul petto, fra la gola e il seno. Mi fa sentire al sicuro. E mi piacciono anche i bacini. Penso mi piacerà qualunque modo sceglierai per prenderti cura di me.”

La mano di Waverly si posò delicatamente sul viso di Nicole. La accarezzò lentamente; dalla guancia, passando per la tempia, fino ai capelli. Ripeté il percorso un'infinità di volte, lentamente, dolcemente. Le posò anche qualche bacino sulla guancia e tempia opposta.

“Baciami...”

La voce leggermente roca di Nicole le aveva fatto uno strano effetto. Strano e incredibilmente piacevole.

Poggiò la bocca su quella di lei. Un bacio delicato e morbido. Dischiuse le labbra e catturò quelle di Nicole fra le sue, dolcemente.

Quello era il modo giusto di baciarla: delicatamente, senza una goccia di alcol in giro. Amorevolmente.

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Capitolo 20
*** 20 ***


20



 


 


Wynonna era diretta all'Happy Break. Aveva deciso di tornare ai vecchi tempi: una tavola calda, qualche litro di caffè e il PC. Aveva scritto Le Vedove Ridono proprio su quelle vecchie panche. Bei tempi.

Ne aveva bisogno, aveva bisogno di quel suo spazio.

La prospettiva la mise di buon umore. Ottimo umore. Il suo viso accolse addirittura la comparsa di un sorriso.

Mi prendo una pausa. Mi merito una pausa da tutto. Non voglio essere meschina, ma sceglierò di essere onesta con me stessa: le condizioni di Nicole le impediscono di porre fine all'incubo dell'Homestead... questa me lo devo segnare. Dicevo, intanto che lei guarisce, io posso respirare. Posso, no... voglio rimandare tutta quella faccenda a quando Nicole sarà di nuovo in forma. A quel punto le parlerò di... Skyler. Lo farò. Lo farò dopo questa pausa.

Ci guadagniamo tutti, io come Waverly: potrà passare del tempo con Nicole, capire cosa succede tra loro.

Waverly... dopo andrò da lei e l'abbraccerò. Le ho tenuto il muso come una mocciosa. Non avrei dovuto farle pesare quello che è successo. Non sono stata una brava sorella. Le chiederò scusa.

Ho compreso, credo, le parole di Nicole: “Tutto accade per una ragione”, “Tutto trova il modo di seguire il suo corso”, o roba del genere. Quello che è successo doveva succedere. Poteva succedere in modo più delicato e graduale, ma sarebbe successo. Sarebbe potuta finire molto peggio, pensandoci: Nicole sarebbe potuta morire, e anche io. Sarebbe potuta finire decisamente in tragedia.

Immaginiamo la nostra vita con mille possibilità, anche terribili... ma non pensiamo quasi mai che potremmo non vedere l'alba del nuovo giorno. Non siamo eterni. Un giorno morirò, ma quel giorno non era ieri. E' abbastanza.


 

Respirò profondamente. L'aria tiepida, profumata di caffè e ciambelle, le riempì i polmoni.

Proprio come ai vecchi tempi.

Era tornata lì in compagnia di Waverly e Nicole, ma questa volta, a farle compagnia, c'era l'adorato computer portatile e il suo caricabatterie.

Non mi ero resa conto di quanto mi mancasse...

Si diresse verso l'ultimo tavolo, superando quello occupato da una donna solitaria che beveva il suo caffè e leggeva il giornale, e quello di una coppia con un bambino piccolo.

Per il momento il computer era carico.

Quando arriva Katie le chiedo il caffè e la prolunga per caricare il PC. Chissà se me l'ha tenuta da parte? Penso di sì. E la farò di nuovo arrabbiare: le chiederò le sigarette.

Le nevicate si erano finalmente placate, questo aveva permesso all'Happy Break di ripopolarsi un minimo. Normalmente le avrebbe dato fastidio, ma quella mattina riuscì ad apprezzare la presenza di altri esseri umani che, comunque, non badavano a lei.

Alzò lo schermo, ma non aprì nessun documento di testo. Si mise a guardare gli altri avventori.

Osservò prima la donna. Indossava una tailleur nero dall'aria particolarmente costosa. Era bionda con gli occhi blu scuro. Il rossetto rosso scuro spiccava sulla pelle quasi diafana. Questa vede il sole quanto lo vedo io. Wynonna stimò dovesse essere poco più bassa di Nicole, forse avevano anche la stessa età -qualunque fosse l'età della rossa.

La bionda alzò gli occhi dal giornale. Si era accorta di essere guardata. Doveva esserci abituata: era dannatamente affascinante. Le rivolse un sorriso cordiale. Wynonna ricambiò; poi distolse lo sguardo per non incoraggiare una conversazione che non era certa di voler iniziare.

La coppia col bambino era formata da due ragazzi, uno biondo e l'altro castano scuro. Una coppia giovane. Erano intenti a chiacchierare di qualcosa e non badarono a Wynonna.

Il bambino aveva due enormi occhi nocciola chiaro e i capelli rossi, rossi naturali. Nicole si tinge i capelli... non ci avevo mai pensato. E aveva il viso spruzzato di efelidi.

Queste persone vivono probabilmente qui a Purgatory: non credo che qualcuno parta da chissà dove per trascorrere la mattina di Santo Stefano in un'anonima tavola calda. Adoro l'Happy Break, ma se fossi in vacanza sceglierei un hotel, cose del genere.

Questo mi fa capire di essere rimasta isolata dal mondo, dalla mia stessa città per troppo tempo. Dopo la morte di Gregory non ho più avuto molta voglia di uscire di casa, di conoscere o avere a che fare con le persone. Mi sono chiusa in una gabbia a cui ora scopro di voler sfuggire.

“Ciao.”

La donna bionda si era fermata ad un paio di passi dal suo tavolo.

“Ciao”, rispose educatamente Wynonna. Voglio abbandonare la mia gabbietta, ne sono certa? “Posso aiutarti?”

La bionda indicò dietro di sé, verso il tavolo su cui aveva abbandonato il giornale. La tazza di caffè la teneva in mano. “Ho visto che mi stavi guardando...”

“Sì, stavo pensando che non conosco più chi abita nella mia stessa città.”

Accennò alla panca di fronte a Wynonna. “Posso?” chiese, guardandola con una certa insistenza.

“Prego.”

“Non voglio sembrare invadente, ma... ci conosciamo? Ho la fortissima sensazione di averti già vista.”

“Abitiamo la stessa città, giusto? Ci saremo viste in qualche negozio o al super mercato.” Le diede fastidio sottolineare, ribadire quello che aveva detto poco prima.

“Forse hai ragione...” Non sembrava convinta. Allungò la mano libera oltre il tavolo: “Joy.”

Accettò la mano e la strinse: “Wynonna.”

“Ah ecco!”, esclamò Joy. “Sei la scrittrice! Sapevo di non immaginarmi le cose. Ho un tuo libro a casa: Le Vedove Ridono.”

“Quello l'ho scritto qui, proprio a questo tavolo.” Non seppe neppure lei perché si fosse sentita in dovere di condividere quell'informazione.

“Che bello. Posso farti una domanda? Quando ti ho vista aprire il PC ho avuto un presentimento, che poi è diventato più forte quando ti ho guardata bene, e ora so che non mi sbagliavo.”

“Cosa vuoi chiedermi?” Sperò di non essere stata troppo brusca.

“Saresti interessata a scrivere una biografia? La mia. Ci ho provato, ma mi sono resa subito conto di non sapere neppure come cominciare. E' un miracolo se riesco a scrivere la lista della spesa!” Emise una risata cristallina. “Recentemente la mia vita è cambiata e... sento di volerlo condividere col mondo. Lo trovi stupido?”

“No, perché dovrei?”, inquisì, sinceramente curiosa di sentire la risposta.

“Non lo so... forse ho solo un'idea distorta degli scrittori. Forse penso che guardino tutti coloro che vogliono creare un libro con compassione e biasimo.”

“Siamo molto protettivi e incoraggianti con chiunque si approcci alla nostra stessa arte. Non sentiamo la competizione come succede negli altri settori. Magari ci viene l'orticaria quando vediamo dei personaggi che scrivono cose che chiamarle libri ci vuole troppo coraggio; hanno un grosso pubblico e sanno di poter vendere facilmente e molto, a dispetto della qualità di quello che offrono.”

Joy si piegò leggermente sul tavolo con fare cospiratorio. “Gli influencer sono il male”, bisbigliò.

“Non tutti, ma sì... sì!”, rise Wynonna.

“Allora? Pensi che potremmo fare qualcosa insieme? Per la biografia!”, si affrettò a dire, notando l'espressione confusa della mora. “Posso parlarti di quello che ho in mente e tu, sei vuoi, puoi prendere appunti o... non so come funziona. Sono disposta a pagarti bene. Penso che potresti essere quella giusta: mi piace molto come descrivi e analizzi l'animo umano. Ammetto di aver letto quell'unico libro, quello sulle vedove. Mi ha attirata il titolo, non lo nascondo, ma in breve mi sono innamorata del tuo modo di fare. Forse sto correndo troppo, ma secondo me è un segno. Averti incontrata proprio quando stavo per rinunciare al progetto, intendo.”

“Ammetto che il tuo entusiasmo ha cominciato a contagiarmi, ma prima vorrei capire se posso o meno essere la persona giusta. Ho già scritto delle biografie, ma molte altre ho dovuto lasciarle a qualcun altro, perché non rientravano nel mio campo di competenze, abilità e conoscenze. Vorrei avere le idee chiare, capisci? Inoltre lavorare senza una casa editrice, come mi è sembrato di capire... Dobbiamo parlarne con calma.”

“Certamente! Ascolta, ora devo andare: ieri ho perso il pranzo con la mia famiglia a causa della tormenta di neve. Devo farmi due ore di aereo per sentirmi chiedere quando mi sposerò, quando avrò dei figli... argh!”

“I pranzi di famiglia sono il male, giusto?”

“Proprio così!” Si alzò. “Mi lasci il tuo numero? Posso chiamarti quando torno e potremmo incontrarci ancora per parlare, cosa ne pensi?”

“Sembra perfetto.”


 

Per un momento ho pensato che ci stesse provando con me, pensò Wynonna quando Joy uscì dall'Happy Break. Questo lavoro potrebbe essere una svolta. Ho bisogno di soldi, spero di non averglielo fatto capire. Un lavoro. Finalmente! Forse le cose, per una volta, potranno andare per il verso giusto.

Ho fatto bene a venire qui, stamattina.

Tutto accade per una ragione.

Vide finalmente la porta della cucina aprirsi. Il computer era rimasto acceso, anche se inutilizzato, e la batteria era già scesa a metà. Doveva chiedere la prolunga a Katie.

Con disappunto vide trattarsi di Jim. Con orrore lo vide avvicinarsi alla coppia col bambino.

Era pronta ad intervenire e bloccare un eventuale attacco omofobo. Non fu necessario: Jim si comportò con assoluto disinteresse, quasi con educazione.

Fu quasi educato anche con lei, quando le chiese se volesse un caffè.

Nicole ha fatto un miracolo.


 

<)o(>


 

Waverly si svegliò lentamente. I pensieri ci misero molto a diventare razionali, a distaccarsi dal sogno che stava facendo. Un sogno di cui cominciava a non ricordare più nulla, ma era piuttosto certa che riguardasse la donna dai capelli rossi.

Si era addormentata al fianco di Nicole, abbracciata al suo corpo. Ascoltò il suo respiro pesante e regolare.

Lei dorme il sonno dei giusti.

La osservò per un po', poi spostò il braccio con cui Nicole la teneva stretta a sé e si alzò.


Si fece una doccia, rassegnandosi ad usare l'accappatoio del motel: il suo era rimasto nel pick-up.

Andò d'istinto al lavandino per lavarsi i denti, ma subito si accorse che anche lo spazzolino e il dentifricio erano chissà dove con Wynonna.

Sono quasi le due di pomeriggio, mi chiedo cosa stia facendo. Spero solo che stia bene.

Si rassegnò a sciacquarsi la bocca con il collutorio che aveva trovato nell'armadietto. La confezione era ancora sigillata, altrimenti avrebbe rinunciato.

Tornò nella stanza e si accorse che Nicole si era svegliata. Stava fissando soffitto con l'unico occhio disponibile al momento.

“Buongiorno”, le disse avvicinandosi. “Hai dormito bene?”

“Benissimo”, le sorrise, voltandosi a guardarla. “Tu?”

“Mi è piaciuto tanto... ieri sera, intendo...”

Comparvero le due fossette: “E' piaciuto anche a me. Mi puoi aiutare ad alzarmi?”

“Certo!” Si fermò al lato del letto. “Dimmi come non fare a farti male...”

Allungò il braccio sano. “Quello è un altro discorso”, rise. “Ignora i lamenti e tirami con forza. Prima o poi le costole smetteranno di farmi male e potrò alzarmi come e quando voglio.”

“Non mi dà fastidio, sai?”, disse afferrando la mano sinistra di Nicole.

“Cosa?”, chiese lei, preparandosi a sentire male.

“Prendermi cura di te...”

“Grazie...” le sorrise.

Con l'aiuto di Waverly, Nicole riuscì a mettersi seduta e a portare le gambe oltre il bordo del letto. Il dolore non era stato atroce come aveva temuto. Si ritrovò con la faccia a pochi centimetri dal seno di Waverly.

“Ho cambiato idea: non penso di volermi alzare; da qui la vista è stupenda.”

Waverly rise e le circondò testa e collo con le braccia, stringendola a sé. “Scema...”

Nicole ascoltò il cuore di Waverly e chiuse gli occhi. “Ancora meglio...” mormorò.


 

Waverly sentì l'acqua della doccia scrosciare. Nicole aveva avuto bisogno di aiuto solo per passare dalla posizione distesa a quella seduta.

Tutto ciò è irreale. Intimo e... casalingo, quasi. E' un sogno da cui non voglio svegliarmi.

Decise di controllare se il distributore di bibite, che aveva visto quella mattina, vendesse del caffè.

Aprendo la porta vide un pacco. Non era molto grande: le dimensioni di una scatola di scarpe. C'era una lettera. Piegandosi vide che era indirizzata a Nicole.

Strano...

La posò sul letto che aveva condiviso con Nicole e uscì.


 

Rientrò cinque minuti dopo con due lattine di Redbull. Pur sempre caffeina, si era detta.

Trovò Nicole seduta sul letto, stava leggendo la lettera.

Alzò lo sguardo su Waverly: “Quando torna Wynonna andiamo in un albergo, che ne dici?”
Spiegò a Waverly che in quel pacco c'erano i suoi antidolorifici e una carta di credito -inviata da William-. Le spiegò anche chi era William, a grandi linee. “... Mi ha pregata di accettare il regalo e penso che non sia il caso di rifiutare”, concluse.

“Ma... non so esattamente cosa dire. E' una situazione assurda...” mormorò Waverly, che cercava ancora di dare un senso al racconto di Nicole.

“Quell'albergo sarebbe stata comunque una mia tappa: il proprietario mi ha contatta nello stesso periodo in cui mi hai scritto tu. Ho ritenuto più urgente il vostro caso. Inoltre, non mi avrebbe fatta stare nel suo hotel a gratis: mi promise che, se avessi risolto il suo problema, mi avrebbe rimborsato tutto. Ho pensato che avrei guadagnato il necessario da voi, per poi pagare l'albergo. Credevo di dover rinunciare a quel lavoro, ma...” sollevò la carta di credito, “ora posso occuparmene. Possiamo occuparcene. Ti piacerebbe farlo con me?”

“Sei sicura di essere nelle condizioni per occuparti di una cosa del genere?”

“Se si tratterà di uno spettro, lascerò perdere. Ogni altra situazione sarà più che gestibile.”

“Sei sicura di poter davvero usare quella carta di credito?”

“E' un regalo. Posso farci quello che voglio, e voglio darti una stanza decente, fra le altre cose. Sarà un'avventura.” Le sorrise. “William potrebbe comprare quell'albergo, per lui sarebbe come comprare un sacco di patate. Se un ricco decide di darti i suoi soldi, accettali senza farti troppe domande... certo, assicurati che poi non li voglia indietro, però!”, rise.

“E sei sicura che William non rivorrà i suoi soldi?”

“Smettila di preoccuparti, okay? Sono come una figlia per lui. Credo mi abbia lasciato la sua villa in Francia, come eredità. Lui vorrebbe prendersi cura di me ogni giorno, ma non glielo permetto. Chiedo il suo aiuto solo quando non trovo una via d'uscita. Ogni tanto mi fa dei grossi versamenti di denaro, solitamente per il mio compleanno e a Natale... do tutto in beneficenza. Altri, là fuori, hanno bisogno di quel denaro molto più di me.”

“Potresti vivere una vita da sogno...” Mi rendo sempre più conto di sapere così poco su Nicole, sulla sua vita...

“La mia vita è perfetta. Forse, quando sarò anziana, mi rinchiuderò in quella gabbia dorata in Francia; ora è troppo presto. Le mie ali sono forti e vogliono portarmi nel mondo. La mia libertà non ha prezzo.” Abbassò lo sguardo. “Potresti pensare che faccio beneficenza perché sono una brava persona. Non è così: lo faccio per non sentirmi in colpa. E' egoismo. Non tutti hanno un William che impedirà loro di sprofondare in un baratro. Io posso fare quello che voglio e avere delle certezze economiche; le avrò anche dopo che William avrà lasciato questo mondo.”

“Quello che hai detto è la dimostrazione che sei una brava persona, Nicole”, le disse, e si mise accanto a lei sul letto. “Hai degli scrupoli. Potresti usare quei soldi per qualunque cosa, ma scegli di darli a chi ne ha più bisogno. Sei coerente con te stessa: parli di libertà come fosse una religione e tieni fede ai tuoi discorsi. E il tuo egoismo è sano: vuoi solo vivere in pace con te stessa... non c'è nulla di male in questo.”

Le rivolse un sorriso morbido e riconoscente. “Mi fai sentire meglio.” Osservò la lettera, lesse qualche riga. “I sensi di colpa sono pericolosi”, concluse.

Waverly si chiese se fosse il momento di parlare a Nicole di quello che aveva ricordato riguardo alla sua infanzia, riguardo allo spettro. Decise che non era il momento giusto: Nicole aveva bisogno di una pausa da quella storia, tutte loro ne avevano bisogno. Non c'era fretta. Non c'era fretta di dare un motivo a Nicole di ripartire. Inoltre, la prospettiva di vivere un'avventura di fantasmi -che non la riguardavano- la intrigava.

Ripensò a Dylan.

“Nicole, posso chiederti una cosa?”

“Tutto quello che vuoi.” Aprì una confezione di antidolorifici e si mise in bocca un paio di pastiglie, che deglutì facilmente.

“I fantasmi possono interagire fisicamente con degli oggetti? No, non è quello che intendo... Possono prendere degli oggetti da questo mondo?”

“Ahm... non nel modo in cui potresti immaginarlo, ma sì, possono. Possono prendere l'energia di un oggetto, se quell'oggetto ha catturato dell'energia da persone e animali, e plasmarla fino darle la forma di quell'oggetto. Perché questa domanda?”

“Stavo pensando a Dylan”, rispose, ma scelse di non raccontarle della coccinella. “Ieri notte sono salita nella tua macchina. Volevo dirgli che stavi bene e che saresti andata a trovarlo il prima possibile. Credo mi abbia toccata... Può farlo?”

“Così dolce...” Si piegò lentamente per non dare ragione alle costole di farla pentire di quel movimento e le baciò la guancia. “Grazie per aver pensato a lui. Te ne sono grata. Sì, comunque, Dylan può interagire col mondo fisico. Ricordi? Ha acceso la luce. Parliamo sempre di energia: ha preso in prestito un po' della tua, per toccarti.”

“E' stato un contatto brevissimo, appena una sensazione... ma non è stata sgradevole. Penso fosse addirittura qualcosa di tiepido.”

“Gli piaci. La tua energia è positiva.” La guardò negli occhi: “Sei stata dolce, dico davvero. Non so quanti sarebbero andati a rassicurare un fantasma. Sei stata dolce anche con lo spettro, pensandoci. Avevi paura, ma sei riuscita a comunicare con calma... l'hai convinto a lasciarmi andare. Mi hai salvata, lo sai? Mi piace che tu sia così dolce, quasi materna... mi fa sentire bene.”

Waverly abbassò lo sguardo, imbarazzata e gratificata per le parole che Nicole aveva scelto per lei.

“Quindi, ci stai? Verrai all'hotel con me? Mi aiuterai? La tua immensa positività mi sarebbe di grande aiuto.”

Forse, dopo che avrai finito i lavori a Purgatory... potrei venire con te... Scelse di non dirlo ad alta voce. L'istinto le suggerì di non farlo.

“Penso che potrebbe rivelarsi divertente.”

“Mi puoi prestare il cellulare? Vorrei prenotare un paio di stanze e informali che accetto il caso, sempre che prima non abbiamo trovato qualcun altro.”

“Certo.” Lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni e lo porse a Nicole.

“Posso prenotare a nome tuo? Hanno il brutto vizio di chiedere anche il cognome.”

“Puoi prenotare a nome mio, certo. Un giorno mi dirai il tuo cognome? Non mi è vitale saperlo, certo, ma... non lo so, lascia perdere...”

“Forse un giorno ti dirò a chi appartenevo.”

Fece una breve ricerca su internet per trovare il numero e poi si portò il cellulare all'orecchio.


 

“Qualunque cosa infesti quei corridoi è ancora lì”, spiegò Nicole. Non era necessario, dal momento che Waverly era rimasta al suo fianco ad assistere alla conversazione. “Se risolvo il problema mi rimborseranno tutto, di conseguenza i soldi torneranno sulla carta di credito e potrò restituirla a William o fare beneficenza. Tutto apposto.”

“Ne parli come se avessi già risolto tutto...” le sorrise.

“Non ho mai fallito un lavoro. Ho fiducia nelle mie capacità. Inoltre questa volta sarai con me, non vedo cosa potrebbe andare storto.”

“Spero non siano le ultime parole famose!”, rise. “Vuoi una Redbull? E' tutto ciò che ho trovato.”


 

<)o(>


 

Wynonna parcheggiò davanti alla stanza numero 6.

Erano quasi le cinque di pomeriggio, il sole stava tramontando all'orizzonte. Si era trattenuta all'Happy Break molto più del previsto. Era riuscita a scrivere e si era persa nel suo mondo.


 

Aprendo la porta trovò Waverly e Nicole sullo stesso letto, abbracciate l'una all'altra. Stavano guardando un film.

Nicole l'accolse con un sorriso.

“Stavamo per darti per dispersa! E' una mia impressione, o quello che sente il mio naso è profumo di ciambelle?”

“Non ti sbagli, rossa! Ero all'Happy Break e ho pensato di portarvi qualcosa. Penso di aver trovato un lavoro. Non è ancora una cosa certa, ma sono positiva.”

“Anche noi abbiamo delle novità: andremo in albergo. Magari ci penserà Waverly a spiegarti tutto.”

Wynonna sapeva che era giunto il momento di parlare con sua sorella e fu grata a Nicole per aver creato la giusta occasione.

“Vieni un momento con me?”, chiese a Waverly. “Vorrei capire la storia dell'hotel e... parlarti.”

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Capitolo 21
*** 21 ***


 

N.d.A: Che fa l'Aurora, si rimette a pubblicare? No, semplicemente mi sono messa a rileggere e correggere questi 2o capitoli (qualcosa mi sarà comunque sfuggito, mi spiace) e, guardando su Ao3, mi sono resa conto che anche qui dovevano essere 21; ignoro cosa sia successo.
Riprenderò quando arriverà un po' di fresco; con un po' di fortuna non dovrò aspettare troppo.
Odio l'estate.

Ho finito. Chiedo scusa... è il caldo.


 


 

21


 


 

Gli ultimi raggi stavano scomparendo, inghiottiti dai monti circostanti. La notte cala rapidamente d'inverno; forse col freddo al sole viene maggior voglia di inseguire la sua amante: la luna. Un inseguimento eterno e infruttuoso, aveva sempre pensato Waverly. O, per lo meno, l'aveva pensato fino a quando, un giorno di primavera, aveva visto la stella e il satellite nello stesso cielo. Quella visione le aveva dato grande gioia: finalmente i due amanti avevano trovato il modo di incontrarsi.

Wynonna non aveva ancora capito come iniziare il discorso di scuse che sentiva di dovere a sua sorella, quindi fu quest'ultima a prendere la parola. Lo fece pensando al cielo notturno e a quella mattina di primavera di qualche anno prima:

“Nicole ha preso solo due stanze, mostrando la chiara intenzione di condividerne una con me”, disse, guardando le poche e ancora pallide stelle fra le grosse nuvole rosa e arancio. “Non ha esitato neppure un momento. Mi ha fatta stare bene...”

Poi, dato che Wynonna non sembrava intenzionata a commentare o altro, proseguì: “Forse non sarà per sempre, ma questo è il momento in cui Sole e Luna possono esistere nello stesso cielo. Intendo godermi questo momento senza pensare troppo a domani. Domani è lontano.”

“Se guardiamo troppo lontano, rischiamo di perdere quello che abbiamo qui e ora”, mormorò Wynonna osservando il cielo. “E' questo che intendi, non è così?” Non provò a nascondere il sollievo di quella conversazione innocente e leggera; non riguardava lei e i suoi sensi di colpa.

Waverly assentì con un cenno del capo. “Forse troverò il modo di rimare con Nicole, forse la perderò per sempre, ma questi pensieri appartengono a domani. Oggi voglio dare un senso a quello che provo per lei. Voglio conoscerla e capire perché penso sia diversa da tutte le donne che ho conosciuto fino a questo momento. Forse la mia è solo un'illusione: minuto dopo minuto, mi sorprendo a scoprire di sapere così poco di lei.”

“Nicole è una donna misteriosa”, ne convenne Wynonna. “Però è anche limpida e onesta. E' onesta con se stessa e con chi la circonda. Ammiro la consapevolezza che ha di sé, anche se a volte mi turba e mi fa sentire infantile. Vive in un mondo tutto suo, un po' come te, ma è sempre presente a se stessa e alla realtà che la circonda.” Abbassò lo sguardo su Waverly: “In Nicole ho trovato un'amica, la sua partenza ferirà anche me. Ma, come te, cercherò di far tesoro di quello che il qui e ora in sua compagnia mi regaleranno. Forse alla mia età è più difficile ammettere che c'è qualcuno da cui posso imparare. Nicole è una maestra paziente: non impone il suo punto di vista, lo regala semplicemente. Parla delle sue verità con un tono di assoluto, ma non ho mai l'impressione che cerchi di farmi cambiare idea o imporsi; mi spinge solo a riflettere, a vedere le cose da un altro punto di vista. La sua presenza mi consola.”

Waverly ebbe l'impressione che le parole di Wynonna le avessero regalato un altro pezzo di Nicole; un pezzo di puzzle che, unito a tutti gli altri, le avrebbe dato uno quadro sempre più chiaro. Le sembrò logico, infine, ammettere che per capire una persona ci vogliono più prospettive, che quella individuale è solo la visione dal buco di una serratura.

La percezione di noi stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri, si sorprese a pensare. Come potremmo esser certi di esistere, se nessun altro lo sa? Dove aveva letto quelle frasi? In una fan-fiction. Quella FF parlava della figlia del diavolo, dei suoi più o meno diabolici piani per sopravvivere sotto una cupola... fino a scoprire che tutto quello che voleva era amore, ma era incapace di meritarselo. Almeno fino ad un certo punto. E' sorprendente pensare a dove possiamo trovare delle verità da fare nostre, o, se non le sentiamo tali, su cui almeno riflettere; in fondo, le FF non sono altro che pezzi di mondo dati dalle prospettiva di diversi autori. Diversi esseri umani con la loro visione e percezione del mondo, appunto.

La percezione di noi stessi... o la percezione degli altri. Una percezione di Nicole (non la sua, la mia) dimostra che lei esiste; Nicole esiste, perché io so che esiste. Due percezioni (la mia e quella di Wynonna) cominciano a formare un'immagine veritiera.

Prima del suo discorso su passione e amore non mi ero mai interessata alla filosofia. Certo, in linea teorica tutto è filosofia, ma essa era ed è territorio inesplorato per me.

Il discorso di Nicole sull'amore ha gettato le basi che mi hanno permesso di capire le parole di mia sorella, proprio quelle che ha appena scelto per Nicole. Potevo comprendere anche prima, ma sarebbe stata una comprensione incompleta e dal diverso significato. Quello di Wynonna è amore... meglio: è una forma di amore. Sì, una forma di amore. La forma più pura: l'amicizia. Il rispetto. Fra mia sorella e Nicole non c'è passione: non c'è alcuna lotta. E' sereno e placido, il loro viaggio insieme. Non ci sono istinti, non c'è fame.

Nicole non pensa che l'amore possa o debba essere rinchiuso in un insieme, ma io non posso non vedere degli insiemi; lei stessa me ne ha suggeriti: l'amore per una persona; l'amore per una macchina; l'amore per un animale. Lei stessa ha detto che tutto ciò è amore, diversi tipi di amore. Sempre lei ha definito l'amore come la cosa che più può avvicinarsi al concetto di infinito, ma, ancora una volta lei, mi ha detto che l'essere umano non può comprendere l'infinito, e io sono d'accordo con questo.

Quei ragionamenti la spinsero a dire, ad alta voce: “Penso che Nicole stia scappando da qualcosa. Esclude di concepire l'infinito, ma allo stesso tempo rifiuta gli insiemi. I cerchi. I confini. Si muove in questo spazio indefinito fra un recinto e l'Universo. Non la vedo come un'ipocrisia né come una confusione, da parte sua; è solo tutto ciò che chiama libertà. La libertà di muoversi proprio fra quel recinto e tutto ciò che c'è là fuori. E cosa c'è di più vicino alla libertà, del concetto di scelta? Lei ha fatto una scelta: la scelta di chiamare fuga libertà.” Quella nuova consapevolezza la colpì, facendole un po' male, ma le diede anche la sensazione di aver compreso meglio quella donna. Pensò, e ne fu certa, di aver trovato una verità che era sempre stata sotto il suo naso, ma che prima di allora non era riuscita a vedere. Prima di allora le mancavano gli strumenti; gli stessi che le aveva fornito proprio la donna che così ardentemente cercava di capire.

Si voltò verso Wynonna, che la guardava con la fronte corrugata e la sigaretta tra le labbra. Waverly non seppe dire quando se la fosse accesa, né se fosse la prima che fumava.

“E' la prima volta che ti sento fare un discorso di questo tipo”, disse infine, prendendo una boccata e lasciando uscire lentamente il fumo azzurrognolo dalle narici. “Mi hai colta alla sprovvista.”

Waverly abbassò lo sguardo. “Non finisce bene quando ti prendo alla sprovvista...” mormorò. Improvvisamente si sentì piccola e i brividi della scoperta lasciarono il posto a quelli del vento gelido e del senso di colpa.

“Waverly...” Le appoggiò una mano sulla spalla. “Mi dispiace per il modo in cui ti ho trattata.” Infine era arrivato il momento di affrontare quel discorso. “Mi sento in colpa per avertelo fatto pesare, non è ciò che meritavi. Non è stato il tipo di comportamento che dovrebbe avere una donna adulta, una sorella maggiore.”

“Non voglio che ti senta in colpa, Wynonna. I tuoi sensi di colpa sono estremamente pericolosi...” Non avrebbe voluto esprimere anche la seconda frase, ma non aveva potuto impedirselo. Provò a rimediare: “Voglio solo dire che non ti devi sentire colpevole per esserti giustamente arrabbiata con me. Ho agito in preda alla paura, al desiderio di dare una svolta a quello stallo che mi stava soffocando, opprimendo. Volevo scatenare una reazione, un cambiamento... ma non ho minimamente preso in considerazione le tue emozioni; mi sono comportata nel modo in cui odio che gli altri si comportino con me.” Sospirò e spiegò: “Mi arrabbio con Nicole proprio perché non si arrabbia mai, ma allo stesso tempo l'altrui collera mi ferisce e umilia. Forse devo fare pace col cervello...” Alzò la testa per guardare Wynonna negli occhi: “So che mi vuoi bene e che l'ira non potrà mai cancellare l'amore che hai per me, questo mi fa sentire al sicuro. Sarai per sempre mia sorella, saremo per sempre una famiglia e nulla cambierà mai questo fatto.”

Wynonna si morse il labbro, ma le lacrime le inumidirono comunque gli occhi. “Ho il terrore che una di noi due lasci questo mondo mentre siamo arrabbiate. La mia rabbia... non è questo l'ultimo ricordo che voglio tu abbia di me...”

L'abbraccio che si scambiarono colmò il vuoto in cui le parole sarebbero state superflue, seppur cariche di sincero sentimento.


 

Trovarono Nicole nella stessa posizione in cui l'avevano lasciata una mezz'ora prima. Sembrava addormentata.

Non lo era.

“Mi piace quando entrambe emanate positività”, disse infatti, senza aprire gli occhi, “mi ricarica.”

Waverly le si mise al fianco, sul bordo del letto. Wynonna sull'altro materasso. Fu lei a prendere la parola, dopo aver osservato per un po' il quadro che formavano Waverly e Nicole:

“Devo dirti, rossa, che inizialmente ero parecchio perplessa riguardò la cosa della carta di credito e l'hotel. Mi dava l'impressione di rubare, e tutto si può dire di me, ma non che sono una ladra. Ciò non significa che pensavo a te come una truffatrice o altro, era semplicemente un pensiero che includeva me soltanto e la mia idea di giusto e sbagliato.” Sospirò e allungò le gambe, irrigidite dal gelo. “Ho pensato anche non hai esitato a fornirmi, per la seconda volta, un alloggio senza pretendere nulla in cambio. Quei soldi, a prescindere dall'uso che ne farai infine, sono tuoi.”

“E' proprio questo il punto, Wynonna”, affermò Nicole, aprendo finalmente un occhio e metà dell'altro. “Posso fare ciò che più ritengo giusto con quel denaro, e saresti davvero meschina a pensare che ti lascerei indietro. Inoltre, tu stessa mi ha accolta nella tua casa, mi hai dato cibo e un letto caldo in cui dormire.”

“Così sembra che tu sia un animaletto!”, rise.

“E cosa più importante”, proseguì senza badare al commento della donna dai capelli neri, “mi hai dato la tua fiducia e il tuo sostegno. La mia potrebbe essere gratitudine, ma preferisco vederla come un equo scambio di gentilezze. Voglio essere gentile con te, perché la prospettiva mi fa sentire a mio agio.”

“Se il lavoro che penso di aver trovato darà i frutti sperati, ti ripagherò.”

“Non voglio i tuoi soldi, Wynonna. Il perché è molto semplice: non mi servono. Mi sarei fatta pagare da te per poi potermi permettere l'hotel e tutto il resto, ma la situazione ha preso una differente piega.”

“Tutto accade per una ragione...” mormorò quasi involontariamente.

“Proprio così”, confermò lei. “Pensavo di dover rinunciare a quel lavoro, ma una parte di me sapeva anche che quell'hotel era nel mio destino. Ignoro il significato che avrà, posso solo parlare di sensazioni. A volte penso che tutto sia già scritto, e il concetto mi va stretto, ma poi mi consolo pensando che anche se quello sarà il risultato inevitabile, la strada per giungere a quel punto è tutta da scrivere: cambia la strada, non la meta.”

“E' esattamente il significato che ho dato alla morte, in un certo senso: cambia la strada, ma la fine è quella.”

“La morte non è la fine, non è neppure un inizio: è solo una delle tante tappe dell'anima immortale.”

Waverly decise di rimanere in silenzio. Respirò addirittura più piano, per timore di interrompere lo scambio fra Nicole e Wynonna: ogni volta imparava qualcosa da loro, o semplicemente trovava qualcosa di interessante su cui riflettere. Infine, molto semplicemente, capiva qualcosa di nuovo su Nicole.

“Credi in Dio? Perché il tuo discorso mi ricorda quelli che sentivo in chiesa, quand'ero bambina.”

Nicole non rispose subito. Wynonna pensò addirittura che non l'avesse sentita o che avesse scelto di ignorare la domanda. Ma Nicole stava solo pensando, forse scegliendo le parole.

“Non so chi o cosa sia Dio”, rivelò dopo un intero minuto di silenzio. “Forse vedo Dio come assoluto e di conseguenza sfugge alla mia logica. Ma Dio non ha bisogno di logica: se Dio è, allora è e basta. Posso solo dire di rispettare il pensiero e la visione di tutti quanti, ma posso anche dire di non riuscire a tollerare il fanatismo, qualunque forma assuma. Il fanatismo, l'abbandono cieco e tutto ciò che viene usato per giustificare atti abominevoli mi fa male all'anima; è una prigione senza finestre, e chi ci si rinchiude è destinato all'annullamento di sé. In qualche modo, cessa di esistere. Il pensiero di Dio mi consola, ma la mia verità su questo punto è ancora un labile sussurro che non riesco a cogliere. Forse non sono destinata a capire questo passaggio della mia umanità, perché probabilmente non ne ho bisogno.”

Si mise seduta, non senza qualche difficoltà, e guardò Wynonna negli occhi: “Sto per dirti una cosa, vorrei esprimerti un concetto che mi confonde da molti anni. Probabilmente non cerco una soluzione, ma vorrei ascoltare la tua opinione in merito.”

“Ti ascolto.”

“E' un discorso che potrebbe piacerti, in quanto scrittrice. Ma che potresti anche ritenere blasfemo...”

“Tutto dipende dall'intenzione che uno ha, quando è blasfemo... se davvero di blasfemia stiamo parlando. Penso che il confine fra farsi delle domande e bestemmiare sia sottile, ma non impossibile da trovare.”

“Sono d'accordo. Mi sento dunque libera di parlare.” Si appoggiò comodamente alla testata del letto e guardò il soffitto. “Inizierò parlandoti di un amico, conosciuto alcuni anni fa in Germania, durante un lavoro. Era un ragazzo davvero intelligente e un vero umanista. Come tutte le menti geniali, anche la sua era tormentata. Tormentata dai demoni.” Si voltò a guardarla brevemente. “Sì, i demoni. Principalmente quelli Cristiani. Era terrorizzato dall'oscurità di quel mondo. Non potevo nominare la Bestia, dovevo per forza usare l'espressione il vicino del piano di sotto, perché altrimenti sbiancava e cominciava a sudare. Lo facevano stare davvero male. Non faceva mai i loro nomi, per terrore di evocarli. E qui arriviamo al punto: lui era convinto che il solo immaginare la loro esistenza potesse, in qualche modo, farli esistere davvero. Era convinto che la mente umana potesse... creare. Potesse renderli reali e tangibili, materiali, fisici. Questo si collega al discordo di Dio: forse se esiste nelle nostre menti, Egli esiste davvero.”

Wynonna resistette all'impulso di prendere una sigaretta: per lei era sempre una tortura non poter fumare quando pensava.

“Mi sono fatta la tua stessa domanda, proprio in quanto scrittrice. Il mio ragionamento non includeva Dio o demoni, ma i miei personaggi. Mi spiego: ho la convinzione che i miei personaggi, o comunque qualunque personaggio, esista in un altro universo, magari uno parallelo, che si è creato nello momento in cui l'abbiamo immaginato. Questi universi non li immagino comunicanti col nostro, però.”

“Loro vivono e sentono come noi?”

“E' proprio ciò che intendo”, confermò Wynonna. “Loro esistono e vivono. In un certo senso, la tua comparsa mi ha confermato questa possibilità.”

“Come?”, chiese, genuinamente incuriosita.

“Il velo sottile... non è la cosa più simile ad un universo parallelo?”

“Immagino di sì”, replicò Nicole, “ma al contrario di quelli che mi hai descritto, il mondo oltre il velo può interagire col nostro. Lo sappiamo fin troppo bene.”

“Già, infatti!”, esclamò. “Il punto è che non avrei dovuto usare il termine universo parallelo, per ciò che è oltre il velo, ma la parola mondo!”

“Credo di capire...” mormorò Nicole, meditabonda, “un universo può contenere uno o più mondi, ma non il contrario. Il mondo oltre il velo è solo un altro mondo di questo universo; partendo da questo presupposto, perché escludere l'esistenza di altri universi, se accettiamo di vivere dentro uno di questi? Ovviamente sono tutte teorie, ma... ma se quello che tu ed il mio amico ipotizzate... Cavolo, devo ammettere che la cosa mi intriga, anche se probabilmente non sarò mai destinata a scoprire la verità. Posso solo dire che una parte di me lo trova logico, benché di logico ci sia ben poco.”

Nicole e Wynonna continuarono ad esplorare la teoria. Poi Wynonna si alzò. “Vado a scaldare la macchina.” Indicò la finestra: “Ha ricominciato a nevicare.”


 

“Spero non ti sia sentita esclusa, Waverly”, disse Nicole quando rimasero sole. “Spero tu non abbia esitato ad intervenire o altro. Sarebbe stato interessante sentire anche le tue opinioni.”

“Non avevo nulla di intelligente da dire”, rispose. “E poi mi piace ascoltare te e Wynonna. Lei si anima e torna ragazzina, quando parla con te. Mi piace vederla felice.”

“La sua anima è sempre inquieta, ma, esattamente come le corde di una chitarra, vibra a seconda della melodia: le emozioni che prova. Sono sinceramente curiosa di scoprire cosa le passa per la testa.” La guardò intensamente negli occhi: “Ma sei tu la creatura che in assoluto mi incuriosisce di più. Ho sempre la sensazione che una sfumatura di te mi sfugga... Credo di aver colto la tua vera essenza, ma cos'è quella nota stonata? No, non stonata... solo disarmonica.”

Waverly aveva abbassato lo sguardo e non sembrava intenzionata a rialzarlo tanto facilmente.

“Mi imbarazzi...”

“Perdonami, sono solo curiosa. La curiosità è bambina; è forse quella parte di noi che ci permette di far sopravvivere chi eravamo. Chi eravamo al tempo dell'innocenza.”

“Chi eri, Nicole?”, chiese trovando finalmente il coraggio di guardarla in faccia. “Chi sei?”

“Ero una bambina che amava saltare. Sono una donna che corre e non sa fermarsi.” Le sorrise, sfoggiando le fossette. “E tu?”

“Da cosa scappi?”

Nicole non smise di guardarla negli occhi e neppure di sorridere. “Scappo dalle prigioni che desidero crearmi. Scappo dalle mie paure. Scappo dal tempo. Scappo dai miei demoni. Scappo da un sacco di cose, Waverly Earp. Ma il mondo è tondo, e prima o poi tornerò nello stesso punto.”

“Quindi tu sai, in fondo al cuore, che la libertà di cui parli non esiste...”

“Questa è poco meno di una bestemmia, per un Aquario!”, esclamò ridendo. Si indicò la tempia e spiegò: “La mia libertà è qui dentro, il mondo fisico è solo uno dei tanti scenari in cui la mia mente si muove. Però sì, non sono folle. Anche se devo dire che il modo in cui usiamo la parola follia non mi piace: quando sei matto non esisti, non provi sentimenti e emozioni. Invece è solo un modo diverso di interpretare e interagire con questa fantomatica realtà... E allora sì, forse sono folle, dopotutto!”

“Decisamente!”, le sorrise.

“Sai cosa piace tanto ai folli?” Le due fossette divennero ancor più profonde. “E intendo che ci piace moltissimo.”

“Aspetto sia tu a dirmelo...”

Nicole si piegò quel tanto che le costole le permisero e avvicinò il volto a quello di Waverly.

“I baci...” sussurrò.

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Capitolo 22
*** 22 ***


22



 



 

“Mi piace baciarti...” sussurrò Nicole senza allontanarsi troppo dal volto di Waverly, “mi piace l'effetto che i miei baci hanno su di te.” La baciò ancora. “Mi piace il tuo odore...” Altro bacio. “Mi piacciono le immagini che si creano nella mia mente quando il tuo sapore mi invade la bocca.”

Per Waverly non fu difficile trovare un equilibro tra il sorridere e l'accogliere la bocca di Nicole: era una danza di cui aveva l'impressione di conoscere ogni passo.

“Mi piace che mi tocchi il volto quando mi baci...” continuò prima di catturare di nuovo le labbra di Waverly. “Mi piace l'innocenza confortante dei tuoi modi, la tua delicatezza...”

Per qualche minuto la sua bocca fu troppo impegnata con quella di Waverly e nella stanza si sentirono solo i loro respiri.

“Mi piace sentirmi libera di poterti parlare così, liberamente...” concluse, allontanandosi per poterla guardare negli occhi.

“Mi piace... voglio dire, mi piace che tu ti senta libera con me.” Waverly trattenne la mano sullo zigomo sano di Nicole e si costrinse a non abbassare lo sguardo. “Vorrei tu fossi sempre libera con me...”

“Parole che dicono molto, Waverly Earp. Parole che agitano qualcosa...” con le dita della mano sinistra le sfiorò il petto, “qui dentro...”

Waverly spostò la mano su quella di Nicole. “Sai bene cosa penso... Quello che non sai, è che non voglio pensarci, non voglio parlarne... non ora.”

“Ti rispetto, lo sai questo, vero? Tu sei libera, esattamente come lo sono io. Il nostro dev'essere un rapporto alla pari. E, proprio parlando di rispetto, ti chiedo di non trasformarmi nelle tue catene.”

“Tutti abbiamo delle catene, Nicole...” Abbassò lo sguardo e trattenne la mano della donna nella sua. “Vorrei tanto sapere quali sono le tue e perché ne hai tanta paura...”

“L'acciaio è freddo e duro... ferisce, dilania le carni.”

“Forse io conosco catene fatte di carne e ossa...” disse, e sentì Nicole irrigidirsi sotto il suo tocco.

“Quelle le temo più di altre.”

“C'è qualcosa del tuo passato che ti ha inferto una ferita incapace di guarire, non è così, Nicole? E' per questo che hai così paura...” Sospirò tristemente. “Forse è colui o coloro che hai rinnegato che ti hanno fatto così male; coloro a cui rifiuti di appartenere.”

“Le tue parole sono evanescenti, ma parlano di fantasmi fin troppo tangibili. Hai capito la ferita che porto nell'anima, ma non conosci lo strumento con cui mi è stata inferta. Parlarti di quella ferita mi farebbe sanguinare, ma non posso importi il silenzio. Posso, però, scegliere di non parlare.”

“Farti del male non è neppure l'ultima cosa che voglio, Nicole...” mormorò. “Probabilmente non avevo neppure il diritto di parlarti così. Perdonami.”

Le fece una carezza sui capelli. “Non scusarti. Qualcosa dentro di te sta cambiando. Quando il processo sarà completo e scoprirai chi sei davvero, non avrai più bisogno di me.”

“Che vuoi dire?”, chiese alzando lo sguardo su di lei.

Comparvero le due fossette. “Prova a capirlo da sola, o chiedimelo di nuovo quando sentirai che sarà giusto farlo.”

“Non puoi proprio fare la persona normale, vero...?”

“Ci proverò, ma alla sola condizione che tu mi dia un'esaustiva spiegazione di cosa sia normale”, le sorrise socchiudendo entrambi gli occhi.

Waverly sospirò sconfitta.

Nicole rise di gusto. “Esattamente!”

 

 

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“Non avevo capito che la nostra destinazione sarebbe stata il Queen Pix...” disse Wynonna, imboccando una strada laterale che si immergeva nella campagna. La neve aveva reso bianchi i campi solitamente rossi di papaveri e dorati di grano. Il rettilineo correva per mezzo miglio, decorato da alcuni cipressi. Il terreno, in tempi remoti, aveva ospitato un cimitero.

Il nonno e la nonna di Wynonna e Waverly avevano spesso commentato la scelta definendola sconveniente ed infausta, anche se la conversione era avvenuta quando i loro nonni (ovvero i nonni dei nonni delle due Earp) erano ancora bambini. Già, sconveniente, infausta e soprattutto sacrilega.

Wynonna, al contrario dei suoi avi, l'aveva sempre considerata una trovata geniale. Quel luogo, ai suoi occhi, era avvolto da mistero; aveva persino in mente di chiedere i permessi per ambientarci un romanzo. Forse, però, quella era la prima volta che guardava all'idea con occhi diversi... soprattutto alla luce delle sue nuove scoperte riguardo al mondo invisibile.

Sì, guardò l'edificio in lontananza con nuova consapevolezza.

“Non sono sicura che passare da un luogo infestato ad un altro possa rivelarsi la più geniale delle idee...” commentò, rallentando man mano che l'hotel si faceva più grande e definito.

“Come ti ho già spiegato, non esiste luogo su questa Terra privo di spiriti.” Nicole indicò la facciata che ormai incombeva su di loro: “Per quanto ne so, il problema fra quelle mure non è legato alla tua storia... consiglio comunque di mantenere un atteggiamento positivo.”

“Negatività genera negatività...”

“Nelle mie condizioni non posso affrontare uno spettro, fallirei miseramente e metterei in pericolo la tua vita, Wynonna. Mi hai detto che dopo questa pausa sarai pronta a fare i conti col tuo passato.” Si voltò a guardarla e la osservò alla luce prepotente che illuminava l'hotel: “Ma non prendere le mie parole come una condanna: ti ho detto che avrei aspettato tutto il tempo necessario, ed io non mi rimangio mai la parola data.”

“Te ne sono grata, Nicole.”

 

Wynonna parcheggiò fra una Chevrolet Bel Air e una Dodge Viper; il suo vecchio Pick-up azzurro e mal concio non c'entrava proprio nulla, lì in mezzo. Quello era un posto per ricchi; quel genere di ricchi che ostentano il loro status persino quando si trovano seduti sul water.

C'erano altre vetture sportive e d'epoca; poche, perché non molti avevano voglia di venire nella sperduta Purgatory, nonostante il lusso di quell'hotel dalla storia controversa.

“E se anche questo posto fosse stato preso di mira da uno spettro?” Waverly era rimasta in silenzio per tutto il viaggio, rimuginando sulle parole che Nicole le aveva rivolto nella stanza del motel, ma ora aveva il bisogno di sfuggire a quelle riflessioni.

“Da qui fuori posso solo percepire la presenza di un numero incredibile di anime, ma non posso stabilire la natura delle loro emozioni, non chiaramente. Chissà, potrebbe essere la prima volta che devo arrendermi... In fondo c'è sempre una prima volta, no?”

“Non sembra che la prospettiva ti turbi”, commentò Wynonna che, come le altre due, stava osservando le pietre e le volte.

Sembrava una cattedrale, più che un hotel. Le forme robuste, piene eppur allungate a bramare il cielo in stile neogotico erano sopravvissute quasi intoccate dal XIX secolo.

“Non mi turba, infatti”, confermò Nicole, “mi darebbe solo fastidio, suppongo.”

Le loro scarpe scricchiolarono sulla ghiaia ghiacciata e smossa da una vita di piedi e pneumatici, rimbombando quasi assordante nel vasto, circolare cortile.

Mentre salivano i gradini dell'ingresso videro un paio di ragazzi in uniforme da facchini; salutarono brevemente le tre donne e si diressero senza esitazione verso il veicolo azzurro.

“Efficienti”, commentò Wynonna, “ma anche un po' inquietanti.” Sembravano al corrente del fatto che le valigie erano state messe sul cassone posteriore e che, di conseguenza, non avrebbero avuto bisogno delle chiavi per recuperarli.

Seguendo un ragionamento simile a quello di Wynonna, Waverly si guardò attorno alla ricerca di telecamere. Non ne vide e decise che probabilmente erano state nascoste ad arte per non intaccare l'identità della facciata.


L'enorme atrio le riportò nel XXI secolo; fu una violenza per gli occhi e lo spirito.

Come per tacito accordo, le tre donne ignorarono l'arredamento moderno e si diressero verso l'accettazione. Fu Waverly, comunque, a rivolgersi alla ragazza dietro l'enorme banco; Wynonna e Nicole rimasero qualche passo indietro, scambiandosi uno sguardo che racchiudeva i pensieri di entrambe sul sacrilego impiego e gestione di quel luogo così antico.

“Terzo piano”, disse Waverly porgendo a Wynonna una delle chiavi elettroniche.

“L'ascensore è laggiù”, disse Nicole, e con la stampella indicò una parete dove alcune statue (che non era possibile capire cosa rappresentassero o di che materiale fossero fatte) stavano di guardia ad ambo i lati della lucente porta metallica.

Il corridoio che si aprì loro dinanzi era illuminato da fredde luci ed era praticamente privo d'arrendamento, se si escludevano alcune piante d'appartamento poste al lato di ogni stanza, sul fondo s'intravedeva un'enorme finestra celata da lunghe tende viola scuro in pendant con la moquette.

“Me lo immaginavo diverso”, commentò Nicole, dando voce ai pensieri di tutte.

“Less is more? Stronzate”, rincarò Wynonna, che si stava probabilmente sfogando per quello che aveva visto, o meglio, non visto nell'atrio.

Waverly uscì dall'ascensore e si mise a cercare la camera 309: quella che era stata riservata a lei e Nicole; Wynonna aveva la 312. “Le valigie dovrebbero essere già nelle nostre stanze: le ho descritte alla ragazza del check-in e lei mi ha assicurato che i ragazzi ne se sarebbero occupati immediatamente.”

“Funziona davvero così?”, borbottò Wynonna. “Mi sembra surreale.”

“Alieno”, ne convenne Nicole.

Waverly si limitò ad alzare le spalle e si fermò davanti ad una porta di scuro legno, forse noce.

 

“Wow...” esalò Nicole che era rimasta, come Waverly, ferma sulla soglia.

“Penso di non essere mai stata così confusa in tutta la mia vita”, aggiunse Waverly.

Ancora una volta, nel giro di un quarto d'ora, erano state catapultate in un'altra epoca: l'enorme stanza era in stile vittoriano, influenzata da qualche elemento del gotico.

I panelli di legno erano stati sostituiti da una carta da parati violacea che sembrava il tessuto di un vestito, simile ai tendaggi del letto a baldacchino; per le tende delle due grandi finestre, invece, erano state scelte lunghe, possenti tende nere. Il senso d'oppressione, dovuto alle tinte scure, era dissipato e riscaldato dalle luci arancioni e dal caminetto che qualcuno aveva acceso; osservandolo, Waverly si rese conto che era stato modernizzato con un impianto a gas.

“Mi sembra di essere entrata in uno di quei video di YouTube che uso quando non riesco a dormire”, disse Waverly, e prese posto su un divanetto dall'aspetto tozzo e morbido, “tipo quelli dove mettono il suono della pioggia, del temporale, e c'è quasi sempre un caminetto, hai presente?”

“Ho presente”, confermò Nicole, la cui attenzione era focalizzata sul pianoforte a coda posto in un angolo, vicino una piccola libreria.

“Le persone, nei commenti, scrivono cose assurde ma incredibilmente rassicuranti; tipo... Lo sai suonare?”

“Sono anni che non mi esercito”, rispose Nicole, che si era seduta al pianoforte e aveva posto le dita sui tasti. “Vediamo se mi ricordo...” Seguì un incerto LA, che si spense lentamente. Riprovò: LA... FA MI RE...

“La conosco...” Waverly si fermò alle spalle di Nicole e, al punto saliente -FA SOL LA LA SOL LA SIB SOL SOL FA SOL LA FA LA (x2)-, esclamò: “E' il Waltz No. 2!”

“E' una delle mie preferite, forse la mia preferita”, disse Nicole senza smettere di suonare, sempre più veloce e sicura, “fu mia nonna ad insegnarmi: era lei ad occuparsi delle colonne sonore degli spettacoli; man mano che invecchiava, passava sempre meno tempo sul palco e sempre più dietro le quinte.”

“Mi piacerebbe imparare...” mormorò Waverly, che si mise seduta accanto a Nicole e prese ad osservare le lunghe dita e il loro lavoro.

“Posso insegnarti questa”, propose Nicole. Aveva chiuso gli occhi e si stava lasciando cullare dalle note, persa probabilmente in ricordi di cui solo lei poteva apprezzare forme e sfumature.

Anche Waverly chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica e dalle immagini che si creavano nella sua mente: forme, colori di un beige caldo e sfocato.

Forse sono davvero entrata in uno di quei video, pensò, l'ho desiderato così spesso; ho desiderato farlo in compagnia di una donna che volesse davvero essere lì con me... ed ora è reale... quasi reale. Ho idea che sia solo grazie a Nicole che mi è stato possibile entrare in una stanza come questa, ascoltare musica dal vivo e-

“Che bello!”

L'ultima nota suonata da Nicole si spense mentre entrambe si voltavano verso la porta.

Una bambina le osservava dalla soglia. Aveva i capelli ricci raccolti in una coda di cavallo, grandi occhi scuri e un'espressione alquanto estasiata dipinta in volto.

“Mi dispiace”, disse Nicole. Recuperò la stampella che aveva appoggiato al pianoforte e si alzò. “Non volevo disturbare.”

“Non stavi disturbando”, replicò la bambina, sfoggiando un sorriso caldo come i colori della sua pelle olivastra. “Alla Signora Verde piaceva e anche a me. Sentito? Ha detto che dovresti continuare!”

“La signora?”, chiese Waverly, e istintivamente cercò lo sguardo di Nicole, ma esso era rivolto al pavimento.

Prima che la bambina potesse replicare, sulla soglia comparve una seconda figura, più alta e slanciata.

“Federica, quante volte ti devo dire di non disturbare gli ospiti?” Aveva un accento marcato e una voce leggermente nasale. Come la bambina, anche lei aveva i capelli ricci, ma i suoi erano liberi di occupare lo spazio attorno alla sua testa come un rigoglioso cespuglio. “Mi dispiace”, aggiunse, rivolta a Nicole e Waverly. Doveva avere una ventina d'anni, forse qualcuno di meno.

“Non c'è nessun problema, te l'assicuro”, disse Nicole, i cui occhi erano ancora impegnati a studiare le forme del grande tappeto su cui poggiava il pianoforte.

Ho come l'impressione che ci sia un fantasma, pensò Waverly, anzi, ne ho la certezza...

“Mi dispiace comunque”, ribadì; poi si rivolse nuovamente alla bambina: “Forza, devi lavarti i denti e andare a letto.”

“No, la Signora Verde ed io vogliamo ascoltare ancora la signora che suona il pianoforte!”

“Smettila con questa storia”, le afferrò il braccio e tentò di trascinarla, “non esiste nessuna Signora Verde e stiamo disturbando gli ospiti!”

“Certo che esiste!”, strillò la bambina. “Se non mi credi, chiedilo alla signora che stava suonando: l'ha guardata negli occhi, o comunque in faccia!” Si liberò dalla presa della sorella e corse nella stanza, fermandosi proprio sotto lo sguardo di Nicole. “Diglielo tu a Francesca, per favore!”

“Ahm...” mugugnò Nicole in evidente difficoltà.

“Vi siete guardate!”, insisté la piccola. “Vi ho viste! Di' a Francesca che lei è qui, ti prego!”

“Federica! Esci subito e lascia in pace gli ospiti! Non costringermi a chiamare il papà!”

“Non penso che la bambina... che Federica stia mentendo”, disse Waverly. Che diavolo sto facendo? “Ma penso anche che sia una questione un tantino delicata...”

“La vedi anche tu, allora!”, esclamò Federica, e si voltò subito verso la ragazza: “Visto?”

“Ascolta”, disse Francesca, rivolta a Waverly, “non so perché diavolo tu lo stia facendo, ma non sei d'aiuto.”

“Ehi, ahm, possiamo parlare un momento, Francesca?” Nicole avanzò verso la porta e si fermò a qualche passo dalla ragazza. “Solo una parola. Possiamo?”

“Mio Dio...” esalò Francesca. “Vorrei solo che mi lasciaste mettere mia sorella a letto. Ho un appuntamento e non intendo arrivare tardi.”

“Non ci vorrà molto.”

La giovane roteò gli occhi e si voltò nel corridoio. Nicole la seguì.

“Tutto bene?”, chiese Wynonna, appoggiata alla parete accanto alla porta. “Ho sentito la musica e poi...” alzò le spalle, “gente incazzata.”

“Va' a dare una mano a Waverly, per favore”, replicò Nicole, “torno subito.”

 

“Qui sarà perfetto.” Francesca si era fermata davanti alla finestra alla fine del corridoio e aveva estratto un pacchetto di sigarette. “Fumi?”

“Grazie.” Nicole prese una sigaretta e si spostò in modo che la giovane potesse aprire la finestra.

“Allora?”

“Come diceva la mia amica, la storia è complicata, molto più complicata di quanto sembri.” Aspirò e rilasciò lentamente il fumo azzurrognolo, che volteggiò prima di essere inghiottito dalla gelida aria esterna. “A volte gli adulti sono meno sensibili e dimenticano cosa vuol dire essere bambini, che cosa vuol dire avere una visone più ampia del mondo.”

“Okay. Di cosa stiamo parlando, esattamente?”

“Penso che imporre la nostra visione a qualcuno sia il modo peggiore di fargliela comprendere, soprattutto se si tratta di un bambino.”

“Fomentare le loro fantasie, allora, è il modo giusto?”

“Non si tratta di fomentare, piuttosto di ascoltare e comprendere. Federica vede questa donna, questa Signora Verde. Perché dovrebbe mentire?”

“Perché i bambini inventano un sacco di cose!” Francesca gettò la sigaretta, fumata per metà, fuori dalla finestra e incrociò le braccia sotto il seno. “Anch'io avevo un amico immaginario, da piccola, ma anche allora sapevo che non era reale; lei si comporta come se quella donna fosse davvero lì, come se le parlasse e... Mi dà i brividi! Faccio prima a chiederti questo: le credi? Perché se è così, abbiamo un problema.”

“Quello che penso ha un'importanza relativa.”

“I fantasmi non esistono! Mia sorella e mio padre possono continuare con le loro idee, ma l'unico risultato sarà quello di perdere un sacco di soldi e far finire mia sorella in un istituto di igiene mentale prima del diploma.”

“Tuo padre?” Nicole spense la sigaretta sul davanzale esterno e si mise il mozzicone in tasca. “Lui le crede?”

“Cazzo se le crede! Qualche settimana fa ha persino contattato una medium; non si è mai presentata... per fortuna.”

“E l'ha fatto per quello che vede Federica?”

“Anche. Ascolta, bella chiacchierata, ma ora devo andare.” Richiuse la finestra e si incamminò lungo il corridoio, fermandosi però dopo un paio di passi. “Perché sei così interessata a mia sorella?”

Nicole sospirò. “Sono la medium a cui è stato chiesto aiuto.”

“Mi prendi in giro.”

Le porse la mano sinistra: “Sono Nicole, piacere.”

“Mi prendi in giro, cazzo.” I bei tratti si distorsero per la paura e rabbia trattenute a stento. “Secondo me sei una psicopatica che ha appena deciso di interpretare un ruolo: sono stata io a parlarti della medium, e ora pensi di poterti prendere i soldi di mio padre.”

“Mi ha solo promesso un rimborso completo, se risolvo il problema.”

“Sta' lontana da mia sorella.” Si voltò di nuovo e percorse il corridoio quasi correndo.

A Nicole non rimase che sospirare e seguirla, zoppicando aiutata dalla stampella.

 

 

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Wynonna varcò la soglia. “Queste stanze sono incredibili!” Poi la sua attenzione venne cattura dalle due persone presenti. “Tu e Nicole non avete perso tempo, eh? Zia Wynonna... suona bene, no?”

“Wynonna...” sospirò Waverly. “Questa è Federica, la figlia del proprietario.”

“Anche lei può vedere la Signora Verde?”, chiese Federica, che si era voltata verso Wynonna.

“Chi è?” La donna entrò nella stanza e si fermò sul grande tappeto color vino.

“Credo sia il lavoro che Nicole ha posticipato per occuparsi di noi”, rispose Waverly, che poi si concentrò sulla bambina: “Mia sorella ed io non possiamo vedere la tua amica, mi dispiace.”

“Oh”, fece Wynonna, “così, a neppure mezz'ora dal check-in? Grandioso.”

“La Signora Verde è contenta che siate qui; dice che la donna dai capelli rossi potrà aiutarla.”

“I brividi che ho sulla schiena...” mugugnò Wynonna.

“Sono sicura abbia ragione, tesoro, Nicole farà del suo meglio”, garantì Waverly. “Dimmi, come si chiama la tua amica?”

Federica alzò le spalle: “Non se lo ricorda, perciò la chiamo solo Signora Verde. Per via del vestito, sai.”

“Ho capito. Passate molto tempo assieme?”

Wynonna prese posto sul divanetto in precedenza occupato da Waverly e si limitò ad osservare la scena.

Federica guardò un punto in alto, alla spalle di Waverly: “E' sempre stata con me. Da quando sono nata, giusto?”

“Capisco. Posso chiederti quanti anni hai?”

“Quasi otto”, sorrise le piccola; poi si voltò di scatto verso Wynonna: “La Signora Verde ti prega di smetterla, perché la rendi nervosa.”

“Di fare cosa...?” mormorò Wynonna, diventando rigida come una statua.

“Non lo so, ha solo detto che vorrebbe che la smettessi, perché la rendi nervosa.”

“Okay... Vado... sì, vado a disfare le valigie.” La donna si alzò e, proprio mentre stava per varcare la soglia, si scontrò con Francesca, che era arrivata a passo di carica.

“Gesù, ragazzina!”

Francesca non badò a Wynonna. Entrò nella stanza e senza una parola afferrò la sorella per un braccio, cominciando a trascinarla fuori.

Waverly salutò con la mano la piccola, che per la sorpresa non era neppure riuscita a pronunciare un suono di protesta.

“Wow...” fece Wynonna, “sarà un soggiorno intenso.”

“Che stavi facendo? Prima, intendo.”

“Che diavolo ne so! Ascoltavo e basta”, brontolò. “Non so perché stessi infastidendo la donna fantasma!”

“Tu e il mondo invisibile siete proprio incompatibili, Wynonna”, rise.

“Un mese fa sarei scappata urlando”, disse la donna, “e guardami ora, sono completamente okay col fatto che sia tutto reale. Lo accetto, almeno.”

Nicole rientrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. “Wynonna, potresti calmarti? Mi stai agitando.”

“Ma non sto facendo assolutamente niente!”

“Dalle tregua, Nicole, si è appena beccata lo stesso rimprovero da un fantasma... da una bambina... entrambe le cose, penso.”

“Solo... respira e pensa a cose belle, okay? Va' nel tuo posto felice, Wynonna.” Nicole si mise seduta sul letto e sospirò. “Oh, questa sarà un'avventura, parola mia.”

Wynonna si fermò davanti a Waverly: “Abbracciami. Vediamo se cambia qualcosa.”

“Questa è una buona idea”, Nicole si lasciò cadere all'indietro sul letto, “anzi, ottima.”

“Sembri esausta”, disse Waverly, le cui braccia erano occupate e stringere Wynonna, “sembra che qualcosa ti abbia risucchiato via ogni energia. Qualcosa non va?”

“Non ti risponderà, Waverly: sta dormendo.”

Effettivamente il respiro pesante e regolare di Nicole aveva cominciato a riempire la stanza.

“Già... Andiamo a cena?”

Wynonna si separò dalla sorella e annuì.

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