GORETOBER o quella volta che Adri decise di partecipare a un writober fuori tempo massimo di adrienne riordan (/viewuser.php?uid=17847)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1: formicoliò ***
Capitolo 2: *** Giorno 2: perdita sensoriale ***
Capitolo 3: *** giorno 3: strisciando dall'interno ***
Capitolo 4: *** Giorno 5: prescription dreams ***
Capitolo 5: *** Day 9: Soffocamento ***
Capitolo 6: *** Day 26: Mal di denti ***
Capitolo 7: *** Giorno 4 e 18: Carne e macchina + lasciarti in sospeso ***
Capitolo 8: *** Giorno 16: occhio ti vede ***
Capitolo 9: *** 20 ottobre Sei già morta (You’re already dead) ***
Capitolo 10: *** Giorno 17 ottobre “fare a pezzi” e giorno 21 “infestazione” ***
Capitolo 11: *** Day 19: Dismantle Instructions ***
Capitolo 12: *** Giorno 27: piece by piece (pezzo dopo pezzo) ***
Capitolo 13: *** giorno 11: odore di marciume ***
Capitolo 14: *** Giorno 30 ottobre: Spezzami ***
Capitolo 15: *** Capitolo 24: bruise me, beat me ***
Capitolo 16: *** Giorno 13 ottobre: tale madre, tale mostro ***
Capitolo 17: *** Pasto alternativo (6 ottobre) ***
Capitolo 18: *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Capitolo 19: *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Capitolo 20: *** Mordecai, vacanze parigine (prima parte) ***
Capitolo 21: *** Giorno 8 ottobre: “Infezione” ***
Capitolo 22: *** Giorno 28 ottobre “Parti extra” ***
Capitolo 1 *** Giorno 1: formicoliò ***
goretober 1 ottobre formicolio
Disclaimer
E
niente, sono caduta nel baratro
del Writober, l’evento durante il quale si scrivono 31 storie
in 31 giorni! Si
dovrebbe pubblicare una storia al giorno, rispettando
l’ordine dei prompt
assegnati, ma pubblicherò appena posso perché la
vita reale fa schifo e posso
scrivere soprattutto durante il fine settimana. Cercherò
tuttavia di non far
passare troppi giorni tra una pubblicazione e l’altra,
promesso!
Per
questa nuova serie di one-shot
legati al fandom La Calaca de Azucar (non lo conosci? FILA A LEGGERLO
CHE É
BELLISSIMO!) mi sono basata sui prompt di una lista creata per il
Goretober e trovata su
questa pagina tumblr:
https://drawkill.tumblr.com/post/178061910802/whos-ready-for-some-goretober-i-have-here-a
risale
al 2018 e riguarda fanart,
ma i prompt mi sono piaciuti!
OVVIAMENTE
i prompt sono horror
ma le mie storie no perché sono capra.
FORMICOLIO
Tutto,
il giorno successivo
all’arrivo ad Esqueleto, stava cospirando contro Felipe per irritarlo più di quanto
già non fosse. Non solo era irritato
all’idea che il fratellino si
fosse dimenticato
di tutti i conti che aveva in sospeso con lui, Tezcatlipoca, al secolo
Felipe,
ma era pure irritato
dal fatto che si fosse dimenticato pure di lui!
Il
centro di tutte le sue più
recenti irritazioni, ovviamente,
era
Santos. Aveva dimenticato il suo zaino nell’albergo in cui
avevano alloggiato
prima di arrivare alla città maledetta da Emanuel, e
ciò era un bel problema.
Recuperarlo era fuori discussione per ovvi motivi, più di
tipo magico che
logistico. Già la distrazione del compagno (di
viaggio) per le sue
proprietà era irritante, ma pure il fatto che
toccava a Felipe correre
ai ripari lo era.
Anche
il pensiero di non conoscere
la città dove si sarebbe dovuto muovere lo irritava. Attendere la divina apparizione di
Alejandro (in senso puramente sarcastico: la sua apparizione non era
divina,
era un miracolo – ma non aveva degli orari fissi di
reperibilità sul posto di lavoro!?)
nella reception del motel era irritante!
La necessità di dover chiedere informazioni ad Alejandro
stesso era irritante. E quando lo
stupido colibrì
ebbe illustrato al moro la mappa della città, Felipe si irritò ancora di
più.
“Un
disco pub, un parrucchiere,
una gioielleria, un negozio di fiori, uno di musica e NEMMENO UNA
FARMACIA?”
chiese con tono davvero irritato.
“É
tutta una questione di domanda
e offerta, se non c’è richiesta non
c’è mercato e, quindi, nemmeno il
negozio”
replicò Alejandro, il cui finto candore contribuiva ad
aumentare l’irritazione
del moro.
“Mi
stai dicendo che la gente che abita qui
non ha bisogno di farmaci in casa?” chiese Felipe.
“Mi
stai dicendo che non vedi un
grosso ospedale disegnato sulla parte destra della mappa?”
replicò lo stupido colibrì.
Lo
avevo già scritto che
Alejandro era irritante?
“L’ospedale
non è un negozio” ribattè piccato il
moro.
“Ad
Esqueleto è anche un
negozio. Sai com’è, manca la
farmacia…” il sorrisino irriverente della
divinità della guerra aggiunse un’ulteriore tacca
al
termometro dell’irritazione
di
Felipe che, senza porgere alcun saluto, girò i tacchi e
uscì dal motel.
---
Felipe
non era affatto sicuro di
trovare ciò che cercava. Era un prodotto piuttosto specifico
dato che trattava
una complicanza piuttosto rara tra gli umani. Persino acquistarlo in
grandi
città, più abitate e trafficate, aveva richiesto
la prenotazione. Dopotutto,
non si trattava di un farmaco salvavita.
L’incertezza
circa l’esito della
sua spedizione lo irritava molto.
Odiava le incertezze. Non essere padrone della situazione lo irritava enormemente.
I
timori di Felipe si rivelarono,
non senza sorpresa da parte di quest’ultimo, infondati.
L’ospedale non solo era
ottimamente fornito di quel prodotto ma, fece presente
l’infermiere che lo
aveva consegnato a Felipe, sembrava essere stato ordinato mesi prima
proprio in
previsione di un eventuale acquirente non ancora arrivato a Esqueleto,
non
essendoci stato alcun abitante con la sintomatologia in questione.
Questo poteva sembrare un inspiegabile colpo di fortuna, ma si trattava
di Esqueleto. In quella città, pensò irritato Felipe,
nulla avviene per caso.
---
Felipe
non si prese nemmeno la
briga di annunciare il suo arrivo, entrando nella stanza di Santos con
la
stessa naturalezza di chi entra nella propria stanza e si diresse con
passo
sicuro verso il bagno privato, aprendo con altrettanta sicurezza la
porta.
“FE-FELIPE”
annaspò Santos, colto
di sorpresa, in ammollo nella vasca da bagno – da dove non si
era più mosso
dopo esserci stato scaraventato dentro da un Felipe molto irritato prima di uscire per la sua
commissione.
“Asciugati
e mettiti la crema,
prima di finire con l’assomigliare ad
un’aragosta” esclamò Felipe mettendo
diverse confezioni di crema specifica per gli eczemi sul mobiletto
accanto allo
spazzolino di Santos.
Il
ragazzo uscì dalla vasca
lanciandosi letteralmente sulle creme, quasi in lacrime.
“Tu
mi salvi!” esclamò aprendo la
prima confezione. Non perse tempo a coprirsi con
l’asciugamano, anzi, l’acqua
rimasta sul corpo lo avrebbe aiutato a stendere meglio la crema, molto
compatta
al tatto. La mancanza di pudore di Santos avrebbe potuto irritare il moro, ma
Felipe sapeva quanto fastidiose fossero le irritazioni cutanee del
giovane e, magnanimamente,
non ci fece caso.
“E
tu dopo mi rimborsi. Quelle
creme costano un occhio della testa, lo sai”. Avere dei
crediti in sospeso lo irritava
tanto quanto avere dei debiti.
Ma
Santos stava già bellamente
spalmando la crema sulle gambe arrossate. Felipe stava per lasciare il
bagno
quando venne richiamato.
“Ti
prego ti prego, me ne metti
un po’ sulla schiena? Sai che non ci arrivo!”
Sapevano
entrambi che Felipe non
avrebbe detto di no e infatti, con un pesante sospiro fatto apposta per
sottolineare la sua irritazione, il
moro prese la crema e
iniziò a spalmarla sulle zone che sapeva essere
effettivamente irraggiungibili
dalle braccia di Santos. Gliel’aveva detto un sacco di volte
di fare esercizi di
stretching per sciogliere la muscolatura, ma il biondo rispondeva
sempre di sì
ma poi ignorava il consiglio, con conseguente irritazione
di Felipe, chiamato fin
troppo spesso a massaggiare la schiena al compagno (di
viaggio).
---
Santos
era Xipe-Totec, il dio azteco
che aveva scelto di levarsi la pelle di dosso per nutrire gli uomini.
Tezcatlipoca gli aveva già dato abbondantemente
dell’imbecille all’epoca ma Felipe,
malgrado i numerosi secoli passati da allora, si irritava
ancora al pensiero. Ora che era umano, in un certo senso, Santos stava
pagando
il conto di quella scelta. Se non avesse avuto le pomate a tenere sotto
controllo la sua dermatite, sorprendentemente grave rispetto alla
media, gli
eczemi che sarebbero comparsi lo avrebbe mangiato vivo. Quei farmaci
erano nati
in epoca davvero recente. In una
vita
precedente, Felipe aveva visto Santos piangere come un bambino al
progressivo
seccarsi della pelle, mentre si lamentava dei continui bruciore e
prurito. Il formicolio
era talmente penoso che quasi non si muoveva più dalla vasca
da bagno, riempita
d’acqua con disciolti i più disparati emollienti.
Uscito dalla vasca però, ecco
che gli eczemi tornavano a tormentarlo con i mille insetti che gli
camminavano
sottopelle, senza tregua. Solo nelle ultime generazioni, Santos
sembrava davvero rinato.
Fino
alla perdita del suo zaino.
Mentre
Felipe spalmava la crema
sulla schiena di Santos, rifletteva su quanto la perdita di quello
zaino lo
avesse davvero irritato.
No, non per l'incombenza che si era ritrovato ad assolvere. Il motivo,
ad essere onesti, era un altro.
Semplicemente,
se c’era una cosa che più
di tutto aveva il potere di
irritare Felipe, era veder soffrire
Santos e non poter farci niente.
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Capitolo 2 *** Giorno 2: perdita sensoriale ***
PERDITA
SENSORIALE
Felipe
lo aveva avvertito che
Alejandro non si sarebbe fatto trovare facilmente alla reception
dell’albergo
ma Santos non se ne era fatto cruccio. Probabilmente Felipe, quando il
giorno
precedente era sceso a chiedere informazioni per l’ospedale,
era troppo
preoccupato per ragionare (ma piuttosto che ammetterlo si sarebbe amputato qualche arto) sul fatto che si
stava parlando, appunto, di Alejandro. Se non si trovava al suo motel,
forse lo
avrebbero trovato al suo locale poco distante? Ok, era mattina mentre El Laberinto era un locale notturno ma
valeva la pena tentare di dare un’occhiata, no? E, fosse
andata male, Santos
sarebbe andato dritto all’ospedale. La strada non era
difficile: sarebbe
bastato camminare lungo il lago verso destra e prima o poi pure lui,
mezzo
accecato com’era, avrebbe visto la grossa croce rossa situata
sull’edificio più
grande della zona. In realtà, Felipe non aveva dubbi sul
fatto che il compagno
(di viaggio) avrebbe trovato il grosso ospedale, ne nutriva molti di
più sul
fatto che avrebbe ritrovato la via del ritorno… Per questo,
dato che serviva
solo un kit di pronto soccorso, aveva preferito ordinare a Santos di
richiederlo
direttamente allo stupido colibrì: il motel sarà
stato pure al di fuori di
qualunque giurisdizione umana ma almeno il minimo indispensabile per la
sicurezza dello stabile doveva essere garantito, e la presenza di un
kit di
pronto soccorso rientrava sicuramente nell’elenco.
La
porta del Laberinto era aperta,
anche se ovviamente il locale era chiuso al
pubblico, e Santos entrò lo stesso.
“Eihlà,
c’è nessuno?” chiese a
gran voce. Le luci erano accese ma la sala che dava verso il piano bar
era
deserta. “Alej, ci sei? Devo chiederti un favore!”
ancora silenzio. Attese una
ventina di secondi: ancora niente. Strano, il locale aperto
così, lasciato
esposto all’ingresso di eventuali malintenzionati. Alejandro,
a quanto pareva,
doveva essere ben sicuro di sé. Perplesso, stava per andare
verso l’uscita,
deciso ad andare in ospedale, quando una voce che non conosceva lo
fermò:
“Ma
siamo qui! Davanti a te!
Davvero non ci hai visto?” domandò con tono
sconcertato quello che doveva
essere il barista, dietro al banco. A pochi passi dal barista
c’era Alejandro,
davanti alla cassa aperta, che lo guardava con un sorrisino beffardo.
“Ah,
scusate, non vi avevo visto.
Lo sfondo della parete vi aveva nascosto bene”
esclamò Santos. Certo, i colori
variopinti erano i medesimi degli abiti indossati dai due dietro al
bancone (e
dei capelli di Alejandro) ma giusto una persona con problemi alla vista
poteva
cascarci. Però Santos non poteva sapere che, appena era
entrato, Alejandro
aveva fatto cenno al barista di non proferir parola né di
muoversi, e Santos
era troppo puro per cogliere la stronzaggine dietro allo scherzetto di
Alejandro.
“Vedo
che ti senti benone oggi.
Serve qualcosa, Santos?” chiese subito Alejandro, in modo da
non dargli tempo
di realizzare che, ehi, se lo avevano
sentito chiamarli, perché non avevano risposto?
“Ah?
Sì sì, io sto bene, grazie.
Mi serve un kit del pronto soccorso. Disinfettante, pinzetta, bende,
ecco, un
po’ di tutto” .
Alejandro
fece cenno al barista,
che prontamente si diresse nel retro a prendere quanto implicitamente
richiesto.
Non
appena il barista fu fuori
dalla zona bar, Alejandro riprese.
“Se
tu sei qui in piedi, allora
il kit del pronto soccorso serve al grande e grosso uomo nero,
mh?”.
“Un
piccolo incidente, niente di
che” si precipitò a dire Santos con fare
improvvisamente rigido. Sapeva che a
Felipe non piaceva mostrare alcuna debolezza, e certo lui non si
sarebbe messo
a spifferare in giro affari che riguardavano lui soltanto. Senza
contare che
sentire Alejandro definirlo “uomo nero” come fosse
un mostro mangia bambini di
un folklore che non apparteneva loro lo irritava ancor di
più. Ok, Tezcatlipoca
non era stata la divinità più pacifica del
Creato, tutt’altro, ma… ecco, a
Santos non piaceva affatto che si parlasse male del suo compagno (di
viaggio).
Non
ebbero bisogno di aggiungere
altro; il barista era rientrato con una piccola cassetta.
“Il
kit è completo, c’è tutto
quello che hai richiesto” disse il barista mentre allungava
la cassetta a
Santos, che la prese esprimendo genuina gratitudine.
“Quando
hai finito puoi lasciarlo
alla reception del motel. Ci penserò io a riportarlo al Lab” concluse Alejandro con un
gesto di commiato.
“Va
bene. A dopo!” Santos se ne
andò di corsa. Felipe lo stava aspettando.
---
Santos
annunciò a gran voce il
suo arrivo, entrando nella stanza di Felipe con la stessa naturalezza
di chi
entra nella propria stanza. Il moro era seduto sul letto a controllare
i danni
sotto al piede sinistro.
“Ce
ne hai messo di tempo. Temevo
di dover chiamare la polizia per ritrovarti” disse
piattamente Felipe.
“Com’è
che tutte le volte che
esco da solo pensi sempre che finirò col
perdermi?” esclamò piccato il giovane
mentre armeggiava con la scatola del pronto soccorso.
“Lasciami
pensare… forse l’esperienza?”
replicò il moro. Il tono piatto aveva lasciato spazio a una
sottile nota di
sarcasmo.
“Cattivo!”
esclamò Santos, armato
di disinfettante. Spostò la sedia dalla scrivania al bordo
del letto e vi ci
sedette sopra.
“Poggia
il piede” ordinò dandosi
qualche piccola pacca sulle ginocchia per intendere dove il moro
avrebbe dovuto
appoggiare il suo arto bisognoso di cure.
Non
era la prima volta che il problema,
come lo chiamava, si
presentava quindi Felipe già sapeva che non sarebbe servito
a nulla dire al
compagno (di viaggio) che non era necessario il suo aiuto e che poteva
arrangiarsi da solo. In realtà il moro lo diceva tutte le
volte e lo avrebbe
detto anche quello stesso giorno se non fosse che sapeva
quanto Santos ci tenesse a fare qualcosa, anche di piccola
entità, per sdebitarsi dell’enorme
favore che il moro gli aveva fatto il giorno precedente. E comunque,
Santos era
l’unico autorizzato a toccargli il piede.
Perciò
mise docilmente il piede ferito
sulle ginocchia del biondo, che subito prese ad esaminarlo con cura. Il
ragazzo
aveva già ben lavato prima di lasciare Felipe in camera per
recuperare il
famoso kit del pronto soccorso.
Felipe
era Tezcatlipoca, e anche
lui aveva sacrificato una parte del suo corpo per contribuire alla
Creazione
del mondo. Nella sua condizione umana, anche lui era costretto a pagare
un
conto per la sua scelta. Il suo piede sinistro non percepiva nulla.
Né il
caldo, né il freddo. Né la pressione,
né tantomeno il dolore. Nessuno stimolo
sensoriale. Non era poi quel gran pagamento, giusto?
E
invece.
Non
una goccia di sangue aveva
scelto di percorrere quel tratto finale del suo arto. Cresceva bello e
proporzionato come il resto del suo corpo ma doveva tenerlo riscaldato,
e solo
l’esperienza poteva rassicurarlo sul fatto che
l’arto era curato abbastanza da
non andare incontro a conseguenze negative. Non c’era alcuna
reale certezza sul
futuro, sul fatto che, invecchiando, quel corpo meramente umano non
decidesse
di mandare in cancrena quel suo bel piede.
Da
piccolo, per l’irruenza e l’inesperienza
della giovinezza, giocava spesso scalzo e si era talvolta provocato
piccole
ferite che, non dandogli ovviamente alcun dolore, peggioravano. Il
piccolo
Felipe si era reso conto, con rabbia, che il piede lo costringeva ad
essere
sempre consapevole della sua mortalità: doveva regolarmente
controllare che non
ci fossero ferite che potevano infettarsi fino a renderlo storpio.
O
portarlo alla morte.
Quel
corpo, che aveva conservato
tutta la bellezza per la quale era stato venerato nei tempi antichi,
ora gli
ricordava che divino, lui, non era più, e non per sua scelta.
Non
lo aveva detto mai
apertamente a nessuno, nemmeno a Santos. Lui non ammetteva nemmeno a se
stesso
di avere delle debolezze. Ma Santos, a dispetto delle apparenze, non
era
stupido.
Santos
poteva ignorare tante cose
ma non aveva mai ignorato alcun gesto del moro, né quando si
chiamava
Tezcatlipoca, né ora che chi chiamava Felipe. A Santos
piaceva pensare di essere
in grado di capirlo senza parlargli. Magari non capiva tutto, ma
sperava di
capire abbastanza da poter essere considerato un degno compagno (di
viaggio). Quella
mattina lo aveva visto zoppicare lievemente, ancor prima che Felipe se
ne
rendesse conto. Scrutando con sospetto gli stivali nuovi del moro,
aveva
insistito perché li togliesse e si controllasse subito il
piede. Aveva
sospettato che il continuo camminare con degli stivali nuovi per
recuperare la
sua crema avesse provocato delle abrasioni e aveva avuto ragione. Come
aveva
fatto Felipe a non accorgersene quando si era tolto le scarpe la sera
prima? Cosa
aveva avuto in testa al punto da distrarlo dai controlli di routine?
Aveva
lavato con cura il piede di Felipe pulendo bene le piaghe,
raccomandandogli di
asciugarlo con cura e aspettarlo in camera mentre correva a procurarsi
il kit
di medicazione.
Mentre
bendava il piede del moro,
dopo averlo ben disinfettato, Santos poteva quasi percepire la rabbia
di Felipe
dietro alla maschera di apparente noncuranza. Un altro contrattempo
legato alla
loro natura umana.
Santos
aveva già dato la propria
pelle per gli uomini. Adesso, con rammarico, gli toccava scendere a
patti col
fatto che avrebbe voluto dare tutti i suoi arti sani per quello
difettoso di Felipe
ma non avrebbe potuto farlo perché, tanto, non sarebbe
servito a niente.
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Capitolo 3 *** giorno 3: strisciando dall'interno ***
Attenzione:
questa storia si
allaccia all’ultimo capitolo della raccolta di one shot
“Quella maledetta volta
che Mordecai ha deciso di andare al Laberinto”. Se non
l’avete letto, recuperatelo,
è one shot e si legge tranquillamente anche senza aver letto
i capitoli
precedenti.
Altro
avviso: questo capitolo è
una prima parte che si concluderà col prossimo capitolo.
Strisciando dall’interno
Il
silenzio era stato pesante fin
da subito ma nessuno sembrava avere l’intenzione di
infrangerlo. Lungo la
strada di casa, al rientro dal Pavo, Mordecai aveva camminato spedito,
evitando, per la prima volta, di adeguare il passo a quello dei suoi
accompagnatori. Era stato un atteggiamento a tal punto insolito che
Moravich e
Jason avevano deciso di limitarsi a seguirlo senza fare domande.
Mordecai era
stato in grado di percepire quasi fisicamente gli occhi dei fratelli
puntati sulla
sua schiena e, nell’agitazione che ancora lo dominava, si era
domandato per la
prima volta se la guardia che premurosamente avevano sempre fatto fosse
davvero
per la sua incolumità oppure fosse fatta… per
tenerlo sotto controllo. Per la
prima volta stava diffidando dei propri fratelli: una sensazione
sgradevole,
resa ancor più sgradevole dal fatto di non saper
riconoscerne il motivo.
Rientrati
a casa, non volle
cenare, e questo non solo per evitare i fratelli. Aveva lo stomaco
chiuso.
Avvertiva sul palato un lieve retrogusto metallico che manteneva vivo
il
ricordo della sfida appena conclusa con Emanuel, conclusasi con
l’ingestione
forzata del suo stesso sangue. Quando aveva detto ai fratelli di non
avere
fame, Moravich aveva obiettato che, avendo fatto gli straordinari con
le
pulizie del locale, avrebbe dovuto recuperare le energie mangiando
qualcosa, ma
il tono poco convinto aveva smascherato la scusa.
Jason aveva provato a toccargli
l’avambraccio ma, anche a costo di apparire maleducato,
Mordecai si era
scansato. La visione dell’ombra di mezzo teschio sul suo
volto, stavolta, lo
aveva lasciato più inquieto di quanto era stato la prima
volta che lo aveva
sognato.
Già,
quel sogno che ancora non si
spiegava, su cui i fratelli stessi non avevano fatto alcun commento,
come fosse
stato un parto della sua immaginazione che neppure loro avevano
compreso…
Il
biondo era scappato al piano
di sopra, grato ai fratelli di non aver insistito seguendolo. Tuttavia,
non
sembravano nemmeno intenzionati a tornare alla loro abitazione.
Appoggiato
alla porta della sua
stanza, Mordecai si prese le mani nei capelli, cercando di dominare il
tremore.
La
sfida… era stata tutt’altro
che una sfida. Era stato orribile. Il fatto che Emanuel avesse anche
solo
pensato che lui, Mordecai, avrebbe ucciso un essere umano, un amico,
era
inconcepibile! Ma il peggio era che non stava male per quello. Non stava male per quello. No. Stava
male perché per quale diavolo di
ragione
aveva la sensazione di aver già vissuto
quell’esperienza? Perché si sentiva
come avesse già scelto una volta di mandare Thomas a morire,
preferendolo al
fratello? Perché sentiva di avere le mani lorde di sangue,
lui che non aveva
mai fatto del male a una mosca e, al contrario, aveva preferito (oddio,
l’aveva
fatto davvero) uccidersi? Quella
sera
la sua vita avrebbe dovuto concludersi, con la testa piena di domande e
un pugnale
nero affondato nel cuore. Invece eccolo lì, nella sua
stanza, vivo, e diverso.
C’era
qualcosa di diverso e
continuava a non capire. Quando si era risvegliato al Pavo, aveva visto
ombre
strane sovrapposte ai suoi amici. Li aveva percepiti
in modo diverso. Aveva trovato strano l’aver sentito, cosa
mai successa prima,
una strana forza in Artemisia, in Jason e in Moravich, ma
allora… perché l’aveva
avvertita anche in Mattie, Thomas e Franklin? Perché degli
umani erano apparsi
somiglianti alle divinità? …perché
Mattie, Thomas e Franklin erano
umani come lui, vero? La sua mente
registrava informazioni precedentemente registrate ma che acquisivano
ora nuove
sfumature. In fondo era stato convinto che pure Valiant e Murdock
fossero umani
come lui, e invece aveva scoperto, tra l’altro nel corso di
una sfida, che decisamente non lo
erano.
Era
accaduto di nuovo e Mattie,
Thomas e Franklin … non lo sapevano? O lo sapevano e non
gliel’avevano detto –
lo avevano tenuto all’oscuro..!?
E
poi… Moravich aveva detto di
non avere più alcun potere e
invece non
era vero quindi… cosa diavolo stava succedendo?
E
non era tutto. Quella sera si
sentiva strano, diverso. Non si era trasformato in daino. Era libero?
Era
ritornato in possesso della parte della sua anima sottrat…?
La consapevolezza
del ricordo del suo primo incontro con Emanuel nella sua forma
originale di
divinità azteca lo colpì come una secchiata
d’acqua fredda. No, non aveva
l’anima intera, questo gli aveva detto Emanuel. La prima
volta che aveva
sentito questo discorso, era stato solo confuso. Adesso, si sentiva
genuinamente terrorizzato. Tutti i dubbi, tutte le stranezze che aveva
visto nell’ultimo
anno ora sembravano avere un senso che però restava
lì, sotto la soglia della
coscienza. Quei deja vu erano solo scherzi di immaginazione? Tutti
questi dubbi
strisciavano dall’interno e premevano per uscire per
avvertire Mordecai di qualcosa…
Ma
lui non voleva sapere assolutamente
nulla. Qualcosa, tra quel tutto che
restava a strisciare sottopelle, lo stava ammonendo dal cercare le
risposte,
altrimenti qualcosa di catastrofico
sarebbe accaduto.
Sì
alzò di scatto, bisognoso di
bere dell’acqua. Quel sangue in bocca iniziava a nausearlo e
l’ansia aveva
contribuito a seccargli la bocca. Non volendo scendere in cucina
(sentiva
ancora la presenza dei fratelli, probabilmente avevano deciso di cenare
a casa
sua – avevano deciso di non lasciarlo solo e questo stavolta non lo rassicurava affatto)
andò diretto
al lavandino del bagno (sì, quello con la porta piccina dove
aveva rischiato di
incastrare le corna diverse volte). Se ne sarebbe pentito. Sopra al
lavandino
c’era lo specchio.
Il
riflesso allo specchio
mostrava un volto pallido ma tuttavia normale, e questo aveva dato un
po’ di
sciocca sicurezza a Mordecai. Ma non appena ebbe finito di bere e aveva
raddrizzato la schiena… il riflesso era sempre il suo ma il
volto era dipinto,
adornato di piume verdi, e restituiva lo sguardo tagliente.
L’aspetto che aveva
nel sogno spaventoso che era seguito alla sua prima sfida con Emanuel.
Lanciò
un grido di sgomenta sorpresa
e fuggì subito in corridoio. Jason e Moravich, allarmati
dalle grida, erano
volati su dalle scale
“Mordecai,
cosa succede?” chiese
Moravich teso.
“No,
nulla!” ma la voce stridula
e l’agitazione del biondo dicevano l’esatto
contrario.
“Mordecai..”
“Non
è niente, niente!”. Se
non avevi niente da dire la prima volta
che ti ho raccontato del sogno non credo che avrai qualcosa da dire
adesso!
E comunque, col cavolo che voglio sapere!
“Mordecai,
possiamo parlarne…”
“Per
favore, no” più i fratelli
si avvicinavano, più Mordecai indietreggiava. Averli
più vicini avrebbe
aumentato il suo senso di oppressione.
Scese
le scale, seguito a ruota
dai fratelli che, stavolta, sembravano ben decisi a metterlo sotto
torchio.
Beh,
Mordecai era deciso a non farsi
mettere sotto torchio. Non era
ancora psicologicamente pronto a farlo. Quindi, volevano seguirlo? Lo
seguissero pure.
Passeggiatina
serale. Non lo
preoccupava più ciò che avrebbe trovato fuori, o
meglio, sì, era preoccupato.
Il punto era che, in quel momento, dentro o fuori casa, i rischi gli
sembravano
i medesimi.
|
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Capitolo 4 *** Giorno 5: prescription dreams ***
Giorno
5
No,
non ho perso il giorno 4 per
strada: semplicemente, il prompt del giorno 5 ben si conciliava alla
seconda
parte del capitolo sul giorno 3.
Prescription dreams
“Mordecai,
non è il caso di
andarsene in giro a quest’ora”
“É
solo una passeggiata,
Moravich” disse il biondo, sebbene il tono fosse
tutt’altro che leggero. “Non
vado distante. Non serve che mi accompagnate”. Perché
continuate a starmi dietro?
“Ma…
dove vai?”
“Dove
mi porteranno i piedi”
“Non
sei mai andato lungo questa
via…”
“Ci
sono posti nuovi che ancora
non ho visto?”
“Beh,
giù di qui c’è solo casa
nostra e…” Moravich, realizzando la destinazione,
dovette reprimere una
reazione di sgomenta incredulità. Mordecai
al… cimitero?
Jason
cercò di sbarrare la strada
a Mordecai con un’espressione di supplica che gridava
“Torniamo a casa”.
“Moravich,
Jason…” Mordecai
chiuse gli occhi per qualche istante, trattenendo un sospiro
“Quale parte di voglio stare per
conto mio non vi è
chiara?” e intanto spingeva gentilmente a lato il fratello
per passare oltre.
“Non
è un luogo sicuro” disse
Moravich lanciando un’occhiata di sbieco in direzione dei
lumini accesi in
lontananza.
“Allo
stato attuale mi sembra che
nessun luogo lo sia” commentò asciutto il biondo,
proseguendo ancora.
“Quello
è decisamente il meno
sicuro di Esqueleto”
“ESAGERATO!”
la vocetta femminile
proveniva inequivocabilmente dall’ingresso del cimitero, non
essendoci altro
edificio intorno. Certo, i tre non erano ancora giunti
all’entrata, ma ci
volevano solo pochi metri e, confidando nell’isolamento del
luogo (non
sembravano esserci calacas nei paraggi a far la spia) non avevano
badato al
volume della voce.
“Alma,
è tardi. Che ci fai ancora
in giro?” alzò la voce Moravich ma senza alcun
cenno di volersi avvicinare al
cimitero più di quanto già non erano.
“Mi
prendi per i fondelli,
Moravich? Per te, stare sul perimetro del cimitero, è andare
in giro?”.
“I
bambini dovrebbero già essere
a dormire a quest’ora” sospirò Moravich.
Non bastava Mordecai a comportarsi in
modo allarmante, ci voleva pure la signorina a complicare la situazione.
“La bambina” tono sarcastico
“in effetti ci stava andando, ma non mi
sembrava carino non ricevere un visitatore.”
“Sapevi che stavo
arrivando?” chiese Mordecai,
che ormai era pure stanco di meravigliarsi.
“Funziona
così con tutti, niente
di speciale” rispose con leggerezza “Ma dovete
proprio continuare a stare
lontani dalla mia vista? Mi sembra di parlare coi miei
amici! Cioè, Moravich e…
c’è anche Jason? Beh, se loro
continuano a restare fuori dalla mia vista mi fanno solo un
piacere…” aggiunse
con una nota acida “ma mi sorprende ritrovarti qui Mordecai!
Di notte! Non ti
spaventavano i cimiteri?” proseguì con tono molto
più cordiale.
“A
dire il vero” rispose il
biondo avvicinandosi “avevo proprio pensato di seguire il tuo
suggerimento:
venire qui se avevo bisogno di starmene per conto mio” e con
passo felino
attraversò il cancello rimasto aperto (per lui?) senza
trovare alcuna
resistenza. Solo allora vide una grossa tarantola poco distante dalla
bambina e
subito si allarmò. E c’era anche…
l’ombra di un teschio su Alma?
“Mordecai!”
Jason e Moravich
provarono a seguirlo ma rimasero bloccati fuori dal cancello.
“Mordecai,
sembra che tu abbia
visto un morto” commentò Alma perplessa dallo
sguardo spaventato del ragazzo.
“Alma,
non muoverti troppo veloce
ma allontanati da lì” disse allarmato il biondo.
“C’è una tarantola vicino a
te”.
“Che?”
guardò in basso “Naaa,
Whisky è docile! Anche se può ferire in altri
modi”
“Eh?”
guardò esterrefatto la
bambina mentre consolava con tono accondiscendente e dolce il ragnetto che sembrava essere sospettosamente triste come un bimbo che
è stato appena offeso.
Guardò
Mordecai e alzò le mani “No,
davvero, è innocuo” si affrettò a
rassicurarlo. Beh, stranezza più o stranezza
meno.
“Alma,
lasciaci entrare” chiese
serio Moravich.
“Non
siete qui per me ma mi state
sulle scatole quindi no, non vi faccio entrare. Ma visto che siete qui
per lui…” fece
cenno verso Mordecai. Poi si
rivolse direttamente al biondo
“Ecco
le regole in questo posto.
Tutti possono entrare o uscire a piacimento da qui: ovviamente
è un luogo
pubblico, oltre che speciale, ma questo te lo avranno già
detto al Pavo del Corral. Ma se
qualcuno pensa di
entrare qui per qualsiasi cosa che riguarda me, lo vengo a sapere;
allora
scelgo se tenerlo fuori o farlo entrare. Tutto questo per gentile
concessione
del padrone del luogo che, essendo
appunto il padrone del luogo, può andare e venire come gli
pare.” Si rivolse ai
due fratelli “Ho dimenticato nulla?”
“Hai
dimenticato di notare che, contrariamente
a quanto hai appena illustrato, ci stai lasciando
fuori! E magari il padrone del luogo
non avrà piacere di vedere Mordecai nel suo territorio a
quest’ora della notte.
E lui sì che può trattenere le persone
all’interno del suo territorio” replicò
Moravich con una punta di stizza.
Alma
alzò gli occhi al cielo
“Basta non venire qui con brutte intenzioni e nemmeno si fa
vedere! E poi
Mordecai vuole solo starsene per i fatti suoi – ho capito
bene?” chiese al
biondo.
Mordecai
fece un cenno
affermativo, intontito da quella discussione tra una bambina (oh,
strana pure
la bimba, vestita con pigiamone di pile rosa che la faceva assomigliare
a un
peluche gigante ma che teneva come animaletto domestico una tarantola e
stava
confinata da anni in un cimitero) e due adulti, discussione che
presumibilmente
aveva come oggetto Emanuel e da cui il biondo sembrava apparentemente
tagliato
fuori.
“In
conclusione: fai come vuoi
Mordecai. I miei amici, che al momento ci stanno guardando dalle tombe
come
tanti vicini di casa ficcanaso – sì
ragazzi,
vi sto osservando! - non
ti
infastidiranno. Lascio a te la scelta di farli entrare quando vuoi, se vuoi. Posso limitare gli ingressi ma
non le uscite: sentiti libero di andare via in ogni momento, se non ti
sentissi
a tuo agio. E se vuoi star per conto tuo, tolgo anch’io il
disturbo. So quanto
possa essere una rottura quando qualcuno
impone la propria presenza. Siate liberi di far quel che volete, voi
che potete”
girò i tacchi con un gesto di
commiato e si allontanò verso la chiesa, lasciando i tre a
sbrigarsela da soli.
Whisky il ragnetto la
seguì come un
docile cagnolino.
“Mordecai,
ti lasciamo da solo,
se è questo che desideri. Ma torniamo a casa”
“Perché
non posso restare qui?”
Moravich
non rispose. Se avesse
detto qualcosa, qualunque cosa, in risposta, avrebbe potuto prendere in
considerazione l’idea di seguirlo. Ma lo stava tenendo ancora
all’oscuro.
Ancora segreti.
“Non
starò via molto. Ci vediamo
più tardi”. Cercò di non badare alle
voci dei fratelli che lo chiamavano mentre
lui dava loro le spalle e si allontanava.
Piuttosto.
Col
cavolo che voleva stare da
solo in un cimitero!
Si
sbrigò a raggiungere Alma. Ok,
faceva inquietudine pure lei ma.. le faceva pure un po’ pena.
Ok, ultimamente
aveva il sospetto che le sue sensazioni facessero cilecca e questo lo
destabilizzava un po’ ma non riusciva a credere che Alma
avrebbe potuto
nuocergli in qualche modo.
“Già
qui?” chiese la ragazzina
appena Mordecai la raggiunse. Non volle entrare in chiesa ma
deviò verso una
panchina e lì si sedette.
“Meglio
che non mi porti uomini
in casa o il padrone” fece
un segno
con le dita come se stesse mettendo le virgolette alla parola
“si potrebbe
irritare” .
Mordecai
arrossì violentemente
“Ma io non..!”
“Ma
stai tranquillo! Sei quasi
più pesante di quelli che hai lasciato fuori!”
“Sembri
conoscerli bene”
“Bene…
non tanto. Ma diciamo che
se non li avessi conosciuti ora starei meglio. Forse.”
“Perché
dici così?” non era
semplice curiosità: si domandava cosa avessero fatto i suoi
fratelli di così
brutto da scatenare l’antipatia di una ragazzina
all’apparenza così dolce.
“È
una storia lunga e non mi va
di rovinarmi la serata con ricordi spiacevoli. Se ti va, puoi sempre
chiederlo a
loro.” Fece una smorfia, come a intendere che non ci
scommetteva un centesimo
sulla loro sincerità di una loro eventuale risposta.
Ancora
una volta, Mordecai ebbe
l’impressione di intravedere un’altra figura
evanescente sovrapposta ad Alma.
Uno scheletro il cui aspetto era piuttosto familiare.
“Posso
chiederti una cosa?”
Alma
fece un cenno affermativo.
“Anche
tu sei una divinità?”
chiese titubante. Non era esattamente una domanda che faceva con
leggerezza.
Alma
lo guardò senza comprendere.
“Da
quanto tempo sei qui,
Mordecai?”
“Quasi
un anno”
“Sei
qui da un anno e te ne esci
ancora con queste domande?” chiese incredula.
“Scusa
tanto se sono venuta a
conoscenza della tua esistenza da meno di una settimana!”
“Il
punto non è conoscere me da
una settimana ma essere ad Esqueleto da un anno e non conoscere i
fondamentali.
Comunque sì, sono pure io una divinità, e
congratulazioni per lo spirito
d’osservazione eh!”
“Siete
davvero tante” sospirò.
“Noi siamo…
beh..Sì..? La cosa ti turba Mordecai?”
“No,
non è quello. È che… vedo
cose che non dovrei vedere, sento cose che non dovrei
sentire… cose che mi
sembrano familiari ma non dovrebbero
esserlo… e non capisco”
“Ciò
che non capisci oggi non è
detto che non le capirai domani, basta metterci impegno”
Mordecai
la guardò scettico.
“O
almeno questo dice il maestro
di scuola e, prima che tu me lo chieda, viene lui qui a darmi lezioni a
domicilio. Homeschooling l’aveva chiamato”.
“Non
credo di volerle davvero
conoscere, queste cose”
“Perché?”
“Non
so. Paura, credo”
“Ma
così è peggio, no?”
Mordecai
non rispose.
“Quando
mi hanno portata qui,
c’erano tante cose che non capivo e anch’io avevo
paura. Piangevo sempre,
volevo la mamma e il papà. Ma Esqueleto è
così: ti sussurra delle cose e finché
non le capisci ti spaventano. Poi però ci arrivi a capirle
(ci arrivano tutti)
e ti rendi conto che la paura era per l’attesa, non per
quello che verrai
davvero a sapere”.
“E non potrei,
semplicemente, ignorarle?”
“Se
sei qui a Esqueleto no, non
puoi non ascoltare. Anche se ti strappassi occhi e orecchie,
continueresti a
vedere e sentire cose.
Però dopo va
meglio. Credo”.
“Tu…
hai una mamma e un papà?
Dove sono ora?”
“Fuori”
rispose laconica.
“Mi
dispiace”
“Sapessi
a me… Piuttosto, non
capisco perché hai detto tutte queste cose a me, che non mi
conosci – e da
queste parti è sempre meglio conoscere bene il proprio
interlocutore, vero Whisky? -
mentre stai evitando Jason e Moravich. Dovreste essere
più che amici, o
sbaglio?”.
Mordecai
guardò il ragno reagire
al richiamo di Alma “Dimmi che avete tolto le ghiandole
velenose a quel ragno”.
“Potrei
anche dirtelo, ma sarebbe
una bugia. Avanti, sputa il rospo”.
“Beh,
tu mi sembri così carina,
un po’ come Artemisia, e sento che non faccio male a dirti
queste cose.”
“Oh,
la bibliotecaria! Sì è
carinissima, mi porta sempre tanti libri per passare il tempo, sai
com’è, qui è
un po’ un mortorio!” sorrise alla sua stessa
battuta.
“Quanto
ai miei fratelli sento che
mi tengono nascosto qualcosa. Questo mi inquieta”.
“Ma
se ti vogliono bene, forse
non ti dicono tutto per non farti agitare, ti agiti già
abbastanza da solo!”
Mordecai
rimase in silenzio a
riflettere su quanto detto.
“Ma,
come hai detto tu prima, non
sapere le cose mi mette ansia lo stesso”.
“Loro
sanno meglio di te cos’è
Esqueleto. Avranno voluto aspettare che cogliessi i segni che la
città ti sta
mandando, come è successo a tutti. Ma nessuno può
sapere meglio di te se è
giunto il momento di capire, e a certe cose, credimi, è
molto meglio arrivarci
da solo. Se venissero solamente raccontate, potresti non crederci.
Basta
affidarsi ai sogni, ti si sveleranno quando sarai pronto ad
accoglierli”.
I
sogni… tipo quello fatto mesi
addietro, quello dove c’era uno scheletro molto somigliante
all’ombra che va e
viene dall’aspetto di Alma? …meglio non affrontare
il discorso, sarebbe
piuttosto complicato e, soprattutto, Mordecai aveva la sensazione che,
se
glielo avesse detto, la ragazzina gli sarebbe scoppiata a ridere in
faccia.
“Quindi…
dovrei sognare”
“Col
cuore aperto alla voglia di
conoscenza. Che poetessa che sono” si autocompiacque la
ragazzina. “E dacci
dentro con camomilla, passiflora o melissa, che ansioso come sei
scommetto che
fatichi a prendere sonno. Chiedi qualche infuso a Ebenezer, sono sicura
che la
conosci”.
“No,
ora non sono più ansioso”.
Era vero. Non aveva affrontato direttamente il discorso, forse non lo
avrebbe
affrontato comunque coi fratelli, ma chiacchierare alla leggera, senza
interruzioni provenienti dall’esterno, e allo stesso tempo
ricevere
rassicurazioni sul fatto che era normale ciò che stava
succedendo, che la colpa
è della città, che quando le cose saranno chiare
allora saranno meno spaventose,
lo aveva fatto stare un po’ meglio. Esqueleto e i suoi
abitanti saranno pure
inquietanti ma almeno le ragazze sono rassicuranti.
Anche quando talvolta assumono
sembianze spaventose. E anche quando iniziano a lanciare sbadigli senza
ritegno.
“Ti
ringrazio Alma. Si sta
facendo davvero tardi. Credo che tornerò dai miei
fratelli”
“Scommetto
che li troverai ancora
attaccati al cancello”
“E
tu dovresti davvero andare a
dormire”
“Puoi
giurarci che lo farò”
Si
alzarono dalla panchina.
“Fai
attenzione alla tarantola”
“Tranquillo,
dorme fuori. È un
ragno da guardia”
Mordecai
rise per la battuta.
“Non
era una battuta. Lui fa davvero la
guardia”.
“Buonanotte
Alma” sorvolò
il biondo, seppur sentendo scivolare
un sudorino freddo dietro al collo.
“Buonanotte˜˜”
cantilenò leggera
la ragazzina sparendo nella chiesa. Chissà se dormiva in una
bara come i
vampiri. Il parallelismo gli fece tornare in mente il fatto che, quella
sera,
era stato lui, semmai, a bere sangue, non Alma. Rabbrividì.
Meglio non farsi
domande.
**
Mordecai
notò i fratelli lasciar
andare un sospiro di sollievo nel vederlo tornare e, soprattutto, nel
vederlo uscire
dal cancello del cimitero, che si chiuse da solo alle sue spalle.
“Davvero,
non c’era bisogno che
rimaneste al freddo solo per aspettarmi” non era irritato ma
era sinceramente
dispiaciuto di averli lasciati all’aperto. Dopotutto, era
ottobre.
Jason
appoggiò una mano sulla
spalla del biondo, come per dirgli che non sarebbero mai potuti andare
a
dormire sapendolo fuori casa e turbato.
“Torniamo
a casa. Mi è venuta
voglia di bere qualcosa di caldo” propose
il biondo. Chissà se tenevano della
camomilla in casa.
“Sì,
torniamo a casa. Dovrebbero
esserci diversi tipi di tisana nella dispensa” disse Moravich.
Bingo.
**
La
routine giornaliera di Alma
era scandita da piccoli doveri che le garantivano la salvezza dalla
precipitazione in uno stato di angoscia perenne legata allo stare
confinata
della stessa zona per tutti i giorni della sua vita a Esqueleto,
iniziata ben cinque
anni prima, quando aveva a malapena concluso la prima elementare. La
mattina si
alzava presto per dare il becchime alle quaglie (sì, aveva
un piccolo pollaio
nella parte più interna del cimitero, ai suoi
amici non dispiaceva) prima di prepararsi la colazione e
iniziare a
studiare, da privatista ovviamente, le materie dal programma di prima
media. Il
pomeriggio, dopo la scuola, sarebbe venuto il maestro della scuola
della città
a darle un po’ di ripetizioni e non voleva mai trovarsi
impreparata. Poi c’era
la chitarra, il giardinaggio (coltivava personalmente i
cempasùchil che
adornavano il cimitero durante il Dia de muertos e ne forniva al Pavo
come suo
contributo personale alla festa a cui non avrebbe partecipato) e,
ovviamente,
le chiacchiere con gli amici che
occupavano le tombe. L’unica seccatura, a parte
l’isolamento ovviamente, era la
visita giornaliera del padrone del luogo.
“Il
mio servitore mi ha informato
che hai avuto delle visite ieri sera” le comunicò
laconico Dorian.
“È
il lavoro di Whisky dopotutto”
commentò piattamente.
Dorian
si accigliò “Non potevi
dargli un nome più dignitoso?”
“A
lui sembra piacere” rispose
facendo spallucce.
“Non
lasciarti coinvolgere Alma.
Ciò che deve accadere, accadrà”.
“Certamente,
ciò che deve
accadere, accadrà, ma intanto hai messo i tuoi servitori a
sorvegliare
Mordecai”
“Sono
i suoi fratelli. Avranno
cura di lui”
“Oh
sì, Mordecai non dubita
dell’amore che i suoi fratelli provano per lui.
Sfortunatamente, a chi va la
loro lealtà?”
“E
la tua lealtà? Dove si
schiererà stavolta?” domandò Dorian
affilando lo sguardo.
Era
soltanto una ragazzina ed era
ancor più piccola quando incontrò per la prima
volta quell’uomo altissimo
dall’aspetto cupo, responsabile della sua prigionia ad
Esqueleto, tuttavia lo
guardò dritto negli occhi “La mia
lealtà verso di te non è mai vacillata e mi
dispiace che tu lo abbia messo in dubbio. Ma sono Alma
Elefthería ora, e non ho
alcuna intenzione di rinunciare a questa esistenza. Non di
nuovo”.
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Capitolo 5 *** Day 9: Soffocamento ***
Giorno
9
Vabbè,
si è capito che, con i
giorni, vado a sentimento. I prompt vengono sempre scelti dalla rosa
dei 31
giorni di ottobre ma poi è l’ispirazione che
decide che giorno è “oggi”. In questo
capitolo ci
saranno riferimenti all’ultimo capitolo dell’altra
raccolta di fanfiction
scritta sulla Calaca de azucar che avevo pubblicato ad aprile.
Voglio
essere chiara, sto facendo
voli pindarici imbarazzantissimi che nulla hanno a che fare ormai con
la trama
originale dell’opera, che sarà mille volte
più fantastica, me lo sento. Sempre
detto, e qui lo riscrivo: mi farò grasse, grassissime
risate, non appena avrò i
prossimi volumi tra le mani, e probabilmente grassissime risate se le
faranno
pure gli autori, ma abbiate pietà dei miei passatempi
fangirlosi.
Soffocamento
Il
senso di empatia di
Itztlacoliuhqui Ixquimilli era gravemente sottosviluppato ma al dio del
gelo,
del giudizio e delle catastrofi andava benissimo così.
Nessuna complicazione nell’adempiere
ai suoi doveri, nessuna preoccupazione quando doveva dare un giudizio
equo ma doloroso
– per gli altri. Aveva un blocchetto di ghiaccio al posto del
cuore insomma. Per
questo motivo era stata designata come la persona perfetta per tenere
Quetzalcóatl
lontano dagli affari degli umani per qualche tempo. Francamente,
all’inizio la
richiesta lo aveva disturbato parecchio ed era stato sul punto di
declinare l’incarico.
Quetzalcoatl
era già stato
attirato in un tranello analogo anni prima della fine del Quarto Sole.
Un lavoretto
pulito di pochi giorni al massimo, a cui si erano prestati
all’epoca i fratelli
di Quetzalcóatl, giusto il tempo necessario a far fare il
lavoro sporco a
Tezcatlipoca e a Xocipilli, ossia far sparire per sempre nel Mictlan
l’amichetta
umana del Serpente Piumato. Quetzalcóatl era
devastato alla scoperta
della morte di Malintzin e ci aveva messo parecchio tempo a riprendersi
dal
lutto, ma a Itztlacoliuhqui Ixquimilli non era importato
granché; tuttavia, da
divinità razionale qual era, aveva considerato
l’episodio come una carognata gratuita,
senza alcuna utilità, e l’aveva condannato.
Stavolta,
in effetti, una
motivazione c’era, ossia dare la possibilità alle
altre divinità di distruggere
il mondo del Quinto Sole – e non sarebbe stata questione di
pochi giorni –
senza che Quetzalcóatl si intromettesse. Sarebbe stata
l’ennesima carognata ai
suoi danni, era vero, ma le motivazioni delle altre divinità
non erano così
campate in aria: si dava per ricevere, era così tra gli
umani, così era anche
tra gli dei – fatta eccezione per Quetzalcóatl,
naturalmente. Il tempo dell’adorazione
tramite sacrifici stava per giungere al termine, presto soppiantato
dalle
favole ipocrite degli invasori. Le divinità azteche
sarebbero state dimenticate
presto e, allora, perché continuare a elargire doni a quegli
stessi umani? Qualunque
epoca al termine dei 52 anni del calendario azteco poteva essere quello
buono
per porre fine al Quinto Sole e il momento era ormai arrivato.
Xolotl
e Xocotl, turbati dalla
sofferenza arrecata al fratello la prima volta, non avevano osato
contribuire
attivamente ad ingannarlo nuovamente, quindi ecco entrare in scena
Itztlacoliuhqui
Ixquimilli. Lui non sarebbe stato influenzato dal carattere del
Serpente
Piumato. Ne era sicuro lui, ne erano sicuri tutti gli altri.
Però…
la sorte aveva un
innegabile senso dell’umorismo, quell'infame.
A
quanto pareva, un cuore lo possedeva
anche Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Un cuore particolare il suo,
indipendente dalla
razionalità come quello di tutte le creature mortali e
immortali, ma programmato
per funzionare assai raramente e destinato ad appartenere solo ed
esclusivamente a una persona. Già questo era incredibile, se
si considerava il tipo di divinità in questione, ma
rasentava la follia se si pensava che, quella persona sarebbe
stata Quetzalcóatl stesso.
La
divinità del gelo non aveva
fatto nulla, non aveva messo in atto strategie particolari, era
semplicemente
stato presente. Parlava con il Serpente Piumato più spesso
del solito (quasi
come se l’episodio avvenuto tanto tempo prima, davanti
all’umana impiccata, avesse
costruito un flebile legame che andava soltanto alimentato
perché si
rafforzasse) e lo ascoltava, rendendosi conto che, malgrado
l’ingenuità, la bionda
divinità era davvero intelligente e sapeva parlare di cose
interessanti che
davano il via a vivaci ma rispettosi dibattiti. Non erano quasi mai
d’accordo
su nulla ma Quetzalcóatl, benché accorato nella
difesa delle sue tesi, non era
mai prevaricante nei confronti col suo interlocutore, né
consentiva di farsi
prevaricare a sua volta, e la divinità del giudizio non
poteva che apprezzare
questa sua qualità. Ben presto, Itztlacoliuhqui Ixquimilli
si era dimenticato del
suo “lavoro”.
Non
ci volle in verità molto prima
che il tempo, immutabile per le divinità, assumesse un
carattere diverso,
vibrante, se passato accanto a Quetzalcóatl. Il tempo,
immutabile per le
divinità, assumeva un carattere penoso, dilatato, se
Quetzalcóatl mancava. Se Itztlacoliuhqui
Ixquimilli cercava incessantemente il Serpente Piumato non era
perché troppo
ligio al dovere, come credevano tutti. Era cotto a puntino, e nemmeno
se ne
rendeva conto. E veder ricambiato tale sentimento dal Serpente Piumato
gli era
sembrato un miracolo, un dono. Non ci volle molto tempo
perché le due divinità
non ebbero più bisogno di parlare per essere vicini.
L’eternità, con Quetzalcóatl,
non poteva che essere luminosa, anche per una divinità di
tenebra come lui.
Poi,
un giorno nefasto, tutta la
felicità di Itztlacoliuhqui Ixquimilli andò
inesorabilmente in frantumi.
Era
bastata una frazione di secondo
per capire che qualcosa turbava Quetzalcóatl. I muscoli del
viso erano tesi, gli
occhi erano spenti, vuoti. La bionda
divinità sembrava sul punto di rompersi
da un momento all’altro e Itztlacoliuhqui Ixquimilli,
avvicinandosi a lui, ebbe
quasi timore a chiamarlo, a chiedere. Quetzalcóatl non lo
guardava nemmeno in
faccia.
“Eri
con Itzlapapalotl. Con Huitzilopochtli.
I miei fratelli, Xipe-Totec e Tezcatlipoca. Con Xocipilli. Ho sentito
tutto. Ho
sentito. Tutto”. Quetzalcóatl prese una piccola
pausa prima di porre la domanda
che gli stava più a cuore.
“Itztlacoliuhqui…
perché?” il
Serpente Piumato non aveva mai negato a se stesso di mostrare i propri
sentimenti, e nemmeno ora negò all’altro la vista
delle sue lacrime.
Probabilmente,
un pugnale di
ossidiana nel cuore avrebbe provocato molto meno dolore rispetto a
quanto ne
stava provando in quel momento Itztlacoliuhqui Ixquimilli.
“So
che ti è caro il popolo che
abita il Quinto Sole ma lo stiamo perdendo”
argomentò improvvisando. “Eri
preoccupato per i Mexica, ricordi? Chi li farà soccombere
non avrà nessuna
pietà. Perché dovremmo averne noi?”
“Non
è questa la risposta che
voglio da TE. Itztlacoliuhqui, tu lo sapevi
e non mi hai detto niente. Ti sei
avvicinato a me
per…” la voce gli
morì in gola.
Itztlacoliuhqui
Ixquimilli non
gli lasciò il tempo di insinuare il tradimento parlando con
un’urgenza mai
provata prima “Appoggio la scelta dei nostri fratelli di
annientare il Quinto
Sole. Gli esseri umani sono creature indegne. Abbiamo fatto dei
tentativi di
migliorare la specie, ne faremo altri. Sì, mi è
stato chiesto di avvicinarmi a te,
e sì, l’ho fatto. Ma ti ordino di non dubitare mai
di quello che c’è stato tra
noi: quello è tutto reale”.
“Mi…
ordini..?” Quetzalcóatl
rise. Una risata bassa, tra le lacrime, senza alcuna gioia.
“Quello non l’ho
mai dubitato, puoi stare tranquillo. Tuttavia non dubito nemmeno del
tuo
tradimento” lo guardò negli occhi. “Mi
hai taciuto i piani dei nostri fratelli.
Mi hai taciuto la verità sulla morte di Malintzin. E ora,
vuoi distruggere la
stirpe a cui lei era appartenuta e che io continuo ad avere cara,
nonostante
tutta la sua imperfezione! La lotta tra Mexica e Spagnoli è
una lotta
fratricida, ma gli esseri umani hanno la stessa origine, la stessa di
Malintzin. Ma a voi non interessa questo. Non vi è mai
interessato, purché non
vi manchi la vostra preziosa libagione all’altare del
sacrificio!”
“Perché
continui a parlare di
lei?”
“È
forse gelosia quella che
percepisco? Non te ne devi crucciare. Il tempo passato con Malintzin
è stato
come quello passato in un sogno, ma dai sogni, ad un certo punto, ci si
risveglia” Fissò uno sguardo glaciale su
Itztlacoliuhqui. “Sai perché ho rubato
le ossa nel Mictlan? Perché mi sentivo dannatamente in colpa
per lei. Amare me
l’aveva solo messa in difficoltà. Per me tutto era
immobile ma per lei no. La
vita scorreva e lei non poteva cogliere le opportunità
perché restava con me, che
apparivo ai suoi occhi come uno sconosciuto ragazzo di qualche
sconosciuta città. Era ai
ferri corti con la sua famiglia, lei non accettava alcun pretendente,
ma allo
stesso tempo non poteva unirsi a me e lei nemmeno sapeva la ragione, ma
era
così innamorata, per colpa mia. Ormai mi ero rassegnato a
lasciarla e ad
augurarle una vita migliore. Il mio appoggio agli umani, mi ero
ripromesso, non
sarebbe mai venuto meno, qualunque cosa fosse accaduta. Poi lei venne
sacrificata, ed è risaputo che i sacrifici servono a mandare
a morte gli
indesiderati, no? Quando mai si mandano donne così giovani
appartenenti e alla
stessa comunità in sacrificio, se non è il
capofamiglia stesso a offrirla ai
sacerdoti? Se fossi stato presente, lo avrei impedito. Le avevo
rovinato la
vita e non ero neppure riuscito ad impedire la sua morte. Quando venne
l’ora di
ripopolare il mondo all’inizio del Quinto Sole, decisi che
avrei fatto tornare
indietro tutti. Malintzin avrebbe avuto la sua seconda
possibilità e questa
volta l’avrei lasciata in pace. Ma lei non
c’era… lei non c’era. Avevo dato la
colpa alle ossa rotte, forse avevano cambiato Malintzin così
tanto da non renderla più riconoscibile, o forse sarebbe
rinata in qualche generazione successiva.
Ora invece so che Malintzin, dal Mitclan, non era mai uscita,
perché i
sacrifici erano in onore di Mictlantecuhtli, che non rinuncia mai a ciò che è
suo!”
Qualcosa,
nella mente di Itztlacoliuhqui
Ixquimilli, lo mise in allarme “Ma… questo come
fai a saperlo?” chiese
cautamente “Xocipilli aveva detto che era stata mandata nel
Mictlan, non che vi
era costretta a rimanerci dal suo Signore”.
Quetzalcoàtl
sorrise di sbieco “Questo
lo so perché me lo ha detto lei.
O
adesso dovrei chiamarla Mictlacihuatl? Avevo chiesto un piccolo favore
al
Signore del Mictlan, ma mi era stato rifiutato. Fortunatamente, la sua
Signora
si era dimostrata più incline ad ascoltarmi e, alla modica
cifra di una parte
della mia futura anima mortale, mi ha donato quanto avevo richiesto."
prese una breve pausa prima di aggiungere, amareggiato "Non mi ha
riconosciuto. Non sapeva nemmeno chi era lei” .
A
Itztlacoliuhqui Ixquimilli si
gelò il sangue nelle vene.
“Futura…”
balbettò.
“Futura
anima mortale. Proprio così.
Hai detto di amarmi. Ora devi dimostrarmelo” prese a
indietreggiare,
allontanandosi cautamente dall’altro. “Ti
propongo una sfida, Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Sarai disposto a
lasciar distruggere il
Quinto Sole, quando avevo giurato a me stesso di prendermene cura,
sapendo che ci vivrò
anch’io d’ora in avanti? Fallo perire, e
io non tornerò più, poiché
sarò
solo un’anima meramente umana…”
“E
a quel punto sarai di
proprietà del Signore del Mictlan per
l’eternità! Quetzalcóatl se
è uno scherzo
è di pessimo gusto!”
“Francamente
non avrei voluto
arrivare a tanto. Davvero, avrei potuto voltare le spalle al Quinto
Sole,
pensare solo a… noi?
C’è davvero un noi?”
chiese incerto.
“Sì,
c’è un noi. Non dubitarne
mai” rispose con foga.
“Eppure,
nonostante l’esistenza
di un noi, che vorrei
così tanto
vivere assieme a te, c’è una parte di me che non
vuole… e non può… lasciarti
fare tutto questo”.
“Quetzalcóatl!”.
“Ero
rimasto solo dirti questo: ti
affido me stesso e ti affido il Quinto Sole! La nostra esistenza,
d’ora in
avanti, dipenderà da te!”
“QUETZALCÓATL!”
il grido di Itztlacoliuhqui
Ixquimilli si levò così forte che, chiunque lo
avesse udito, se ne sarebbe
pentito amaramente.
***
Quante
volte Emanuel aveva
rivisto la morte di Quetzalcòatl, nei suoi incubi? Quante
volte si era
risvegliato terrorizzato, con un grido strozzato in gola e la mano tesa
ad
afferrare il vuoto? Quante volte gli era mancata l’aria nei
polmoni, strozzati
dalla paura e dal rimpianto? Quante volte aveva provato a cambiare il
finale di
quegli incubi?
Purtroppo
l’inconscio di Emanuel
non aveva mai avuto pietà di lui e quell’incubo
tornava spesso a perseguitarlo
per ricordargli il suo compito: cambiare quel finale almeno nella
realtà, alternando
numerose identità e numerose vite vissute in cinquecento
anni.
Emanuel
aveva combinato un bel
casino e il prezzo che la sua condizione umana gli imponeva di pagare
era la
sensazione costante di soffocamento, al risveglio, come preso tra due
fuochi:
quello del passato, a memento di ciò che aveva avuto e che,
per sua colpa, non
aveva più; e quello del futuro, perché, ora che
era umano, il tempo scorreva
veloce e implacabile e presto, prestissimo, anche l’ultima
speranza di riavere
ciò che aveva perduto gli sarebbe scivolata via come foglie
al vento.
|
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Capitolo 6 *** Day 26: Mal di denti ***
Sì,
dai, io ve lo avevo detto che
non sarei stata proprio puntuale con la pubblicazione, eh. Confesso che
non mi
è venuta proprio benissimo questa storiella, avevo
un’immagine precisa nella
mente ma, boh, poteva uscire meglio. Chiedo venia.
Mal di denti
Prologo
Avreste
mai detto che un gioco da
tavolo, da fare in famiglia, sarebbe stato il preludio di
un’aggressione? E non
mi sto riferendo alle carte Uno, la prova per eccellenza della
solidità di
un’amicizia tra i giovani umani che vivevano pacificamente
l’ultimo trentennio
del Quinto Sole.
No,
il gioco in questione era ben
più innocuo, indicato, recitava la scatola, per i bambini
dai quattro anni in
su. Il Cocco Dentista, nella versione degli Anni ’90.
Chissà, probabilmente la
nuova edizione era stata modificata per quanto accaduto in tempi
recenti… no,
improbabile che sia questo il motivo. Nessuno, là fuori, era
a conoscenza della
città maledetta di Esqueleto, sede del drammatico evento.
Ebbene
lasciate che vi spieghi
quanto accadde alla famiglia Molotov alcuni anni fa, quando i rampolli
di
Valiant avevano un’età compresa tra i tre e i sei
anni. Caso volle che il
giovane padre avesse portato con sé alcuni giochi della sua
infanzia tra cui,
appunto, una delle prime edizioni di Cocco Dentista. Vi starete
chiedendo cosa
sia questo gioco. Nulla di eclatante, in realtà. Il gioco
consiste in un
piccolo coccodrillo di plastica dalla forma simpatica e con la bocca
tenuta spalancata
da una molla interna. I giocatori devono controllare i denti del
coccodrillo:
quando premono su un dente, il coccodrillo morde se si tratta di quello
dolorante, eliminando così il giocatore dal gioco. Ecco,
ciò che vi ho
descritto è la versione recente del gioco. Nella prima
versione, i denti
andavano tolti con una pinza
giocattolo e scopo del gioco era togliere i denti sani ed evitare
quello
“dolorante”, pena la chiusura istantanea della
bocca e il coccodrillo che ti
correva dietro. Sì, la prima versione era dotato anche di
rotelline che
spingeva in avanti il coccodrillo. Adrenalitico.
***
Breve storia triste (e dolorosa)
“Il
coccodrillo ha male al
dentino, curiamolo!” aveva esclamato Valiant ai suoi figli, e
tutti insieme
avevano passato qualche ora di divertimento quel pomeriggio con il Cocco Dentista. La pace
non
sarebbe durata a lungo.
***
“Papà
aveva male al dentino, l’ho curato”. Fu
questa la giustificazione che diede la piccola Delia quando Valiant si
risvegliò nel cuore della notte con un dolore atroce, la
bocca piena di sangue
e la certezza che sua figlia non era proprio del tutto normale.
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Capitolo 7 *** Giorno 4 e 18: Carne e macchina + lasciarti in sospeso ***
Giorno
4 e 18 ottobre
Scritta
tra le 23.00 le 2.00 di
notte, visto che a Capodanno non avevo
nulla da fare MA spero di aver riletto abbastanza bene da aver evitato
strafalcioni penosi o sintassi mandate a passeggiatrici notturne.
Volutamente
criptico perché sì. I fatti narrati sono
liberamente ispirati a La Calaca de
Azucar ma sono frutto della mia fantasia fumata dall’alcool
dello spumante –
quindi le illazioni su Thomas e fratellino sono solo mie, in attesa di
scoprire
di più su di loro nei futuri volumi. La colpa di questa
storia è del bellissimo
disegno che Kokoro e Lelecat (gli autori) hanno postato oggi sui loro
social facebook
e instagram. Roba che mi scioglie el corazon ma poi mi spinge a
scrivere
boiate.
Il
titolo del capitolo è legato
ai due prompt del goretober che, come vedete, sto compilando con
moooooolta
calma. Magari sarà completato nell’ottobre del
2021, chissà.
Carne e macchina + lasciarti in sospeso
A
Thomas la vita ad Esqueleto
piaceva, nonostante tutto. Si trovava in una gabbia? Sì:
come tutti, non poteva
uscire dalla città. Era costantemente sorvegliato dalle calacas di zucchero stregate di Emanuel?
Sì, come tutti gli
abitanti del resto. Era costretto a un codice di condotta non scritto
che
rasentava l’omertà? Sì, ma seguirlo non
gli era mai particolarmente pesato. Era
maledetto? Sì, come del resto tutti quelli (e solo
quelli) che erano incappati in Emanuel e non in Alejandro la
prima volta che avevano messo piede a Esqueleto. E,
fatalità, si trattava di
coloro che dovevano essere, in un certo senso, persuasi
ad accettare il sopra citato codice di condotta.
In
fondo, a Thomas bastava ciò
che aveva. Era più di quello che aveva avuto prima di
arrivare a Esqueleto,
quando era solo un signor nessuno che si lasciava pestare da un
omuncolo che
credeva di amare e che – ora lo
sapeva
– non valeva quanto una sua unghia. Thomas aveva un lavoro
che amava, una
famiglia che amava, e comunque molta più libertà
rispetto a quella che aveva
avuto molto tempo prima, quando era
morto. Beh, non proprio morto. Gli
dei aztechi non muoiono come gli umani, semplicemente cambiano.
Ora
viveva con Mattew e con
Franklin e non gli importava di vivere una vita sospesa in una bolla,
in attesa
di ciò che sarebbe dovuto accadere.
Perché
qualcosa sarebbe accaduto, lo
sapeva.
Come avrebbe potuto ignorarlo, proprio lui che era stato il Sole
personificato?
Uno splendido ingranaggio di una macchina perfetta, il mondo del Quinto
Sole
creato dagli dei. Una macchina, nutrita a carne e sangue, ma con
obsolescenza
programmata. Thomas, in verità, temeva il grande cambiamento
che si sarebbe
verificato a seguito di questa obsolescenza programmata, ma sapeva
anche che
Franklin e Mattew sarebbero stati con lui anche dopo,
e che nessuno sarebbe morto
di nuovo, per questo motivo non era rimasto per nulla turbato
quando Mordecai
era arrivato a Esqueleto. Il suo arrivo aveva dato il via a un conto
alla
rovescia di cui il ragazzo era completamente all’oscuro. Solo
le prove di
Emanuel scandivano quel conteggio, e Mordecai non lo sospettava
nemmeno.
Tic..tac…tic…tac…
era ironico che
il medaglione di Emanuel fosse stato trasfigurato proprio in un
orologio,
chissà se Balthazar lo aveva scelto apposta? Conoscendolo,
ne sarebbe stato
proprio capace.
Il
codice di condotta gli vietava di
mettere Mordecai al corrente
della situazione, e una parte di Thomas avrebbe voluto farlo.
Probabilmente, Mordecai
avrebbe voluto essere avvertito… probabilmente, Mordecai
avrebbe fatto tutto
ciò che era in suo potere per evitare ciò che
sarebbe dovuto accadere. Ma… perché
agitare il biondo prima del tempo? Era meglio lasciarlo nella beata
ignoranza.
Era
stato Quetzalcoatl a ucciderlo
e Nanauatzin lo conosceva abbastanza da sapere che il fardello di
quell’azione era
pesato enormemente sul suo spirito. Perché fargli venire in
mente brutti
ricordi prima del tempo? Non gli aveva serbato alcun rancore, anzi, era
stato Nanauatzin
stesso a offrirsi di buon grado al posto di suo fratello, destinato al
sacrificio. Che poi Tecciztecatl fosse finito nella sua stessa pira
dopo di lui
era stato ininfluente… Comunque,
Tecciztecatl
non l’aveva presa bene. Il suo attuale atteggiamento nei
confronti di Mordecai
faceva pensare che non l’avesse ancora del tutto superata.
Però… beh, si doveva
pur creare, sto benedetto sole.
Ad
essere onesto, Thomas era
stato felice di rivedere Mordecai, e soprattutto di saperlo in salute,
sereno,
un bravo ragazzo. Sapeva che era orfano ma sembrava che la vita non
fosse stata
troppo severa con lui.
Era
da tanto tempo che Thomas non
passava un Capodanno così felice. Non voleva sembrare
ingiusto, o ingrato, ma
quello che aveva appena trascorso era stato forse il migliore degli
ultimi
anni, ad Esqueleto. C’era stata la festa organizzata al Pavo
de Corral come
tutti gli anni, c’erano stati i soliti battibecchi tra
Franklin e Mattie, c’era
la solita gente. Ci si divertiva come ogni anno, ma questo era diverso,
anche
se sembrava essere tutto come al solito. Sembrava.
Il giovane padrone del locale guardava Mordecai che teneva un
bastoncino di
stelline scintillanti in una mano e la flûte di spumante
nell’altra mentre
brindava all’anno nuovo con i suoi fratelli e con Misia
più sexy che mai nel
suo abitino nero (Lesath era un uomo fortunato). Persino Emanuel,
seppur
scostante come sempre, sembrava più… sereno?
Comunque, la sua presenza sembrava
essere meno opprimente del solito. Thomas avrebbe potuto andare lo
stesso in
paranoia visto che Emanuel, di solito, disertava le feste del Pavo, ma
quella sua
espressione di serenità così insolita lo aveva
rasserenato: forse non ci
sarebbero state sfide, per Mordecai, quella notte.
A
Thomas piaceva vedere Mordecai
sorridere. Gli erano mancati molto, i suoi sorrisi, e Thomas sperava
che non
sarebbero andati perduti di nuovo.
Thomas
si stava godendo da spettatore quei sorrisi: era la serenità
di Mordecai ad
aver reso speciale quel Capodanno.
Chiaramente
influenzava parecchio
il fatto che, quasi sicuramente, quello sarebbe stato il loro ultimo
Capodanno
e, si sa, le cose vengono apprezzate molto di più quando sai
di essere sul
punto di perderle. Finalmente, la vita a Esqueleto non era
più sospesa in una
bolla. Non tutti lo sapevano, e forse, era meglio così.
Mictlancihuatl,
una volta, aveva
detto che il peggior difetto delle divinità era quello di
non saper tollerare il
cambiamento. Nanauatzin non vedeva l’ora di scoprire se fosse
davvero così.
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Capitolo 8 *** Giorno 16: occhio ti vede ***
Questa storia mi vagava per la mente già
prima delle vacanze di Natale e
avrebbe dovuta essere scritta, appunto, per Natale. Ma, come avete
visto dal
mio tempismo nello scrivere i prompt per un evento che si tiene a ottobre, capirete che non potevo fare
altro che scrivere la storia, e postarla, dopo Capodanno. È
più forte di me.
… Stupido neurone fanwriter.
Occhio
ti vede
“Adesso ti dico cosa puoi fare,
Franklin”. Emanuel non aveva bisogno di
alzare la voce per farsi sentire da Franklin. Sapeva che non era molto
lontano
e, nel silenzio della notte, le sue parole si sentivano molto
chiaramente. “Puoi
uscire dal tuo nascondiglio con le tue gambe oppure continuare a
giocare a
nascondino. Ma quando ti troverò potresti pentirti di non
avermi ascoltato”.
Franklin
non sapeva cosa fare, ma
certo non aveva intenzione di avere a che fare con Emanuel. Nascosto
nel retro
del Pavo, si chiedeva perché Emanuel sembrava tanto
arrabbiato con lui. Non
aveva senso, l’unica relazione che aveva con lui erano le
ordinazioni al locale
ed era sicuro di non averne sbagliata nessuna, ma allora
perché..!?
“Sai che non puoi nasconderti da me. Io vedo
tutto.” Emanuel avanzava piano
e sicuro nella sala deserta ma caotica. Si dovevano ancora allestire
gli
addobbi natalizi, sparsi disordinatamente per la stanza. Se Franklin
avesse
avuto la pazienza di tirarli fuori in un secondo momento, avrebbe avuto
l’aiuto
degli altri; tirandoli fuori alla fine del turno serale, invece, aveva
tardato
molto e solo per avere scatoloni sparsi nel locale. Mattew, unico
rimasto oltre
a Franklin per fare chiusura, era stato categorico nel non voler
aiutare il
collega a mettere a posto ma gli aveva intimato di sistemare entro
l’indomani o
Thomas non ne sarebbe stato affatto contento.
Franklin, rimasto solo a portare nel retro gli
scatoloni (Mordecai
sarebbe stato un po’ strettino il giorno seguente ma sarebbe
stata una
situazione temporanea) aveva visto dalla finestra Emanuel avvicinarsi
al locale
con lo sguardo più truce che gli era mai capitato di vedere.
Il suo sesto senso
gli diceva di tagliare la corda in fretta, fuggendo dalla porta sul
retro. Fece
per aprire ma vide, davanti ad essa, due signorine calacas. Non poteva
farsi
vedere da loro: avrebbero sicuramente avvertito il loro padrone della
sua fuga
e, una volta tramutato in tacchino, non sarebbe corso molto lontano. Si
rassegnò a nascondersi dietro uno degli armadi, con
l’assurda speranza di poter
evitare l’inevitabile (e le parole del moro non avevano fatto
altro che gettare
benzina sul fuoco della sua ansia: l’oscura
divinità era lì per lui!).
La
porta della stanza si aprì
lentamente. Nel silenzio, il lieve scricchiolio apparve ancor
più sinistro alle
orecchie del povero ragazzo. Non venne accesa la luce e la sagoma scura
di
Emanuel che entrava nella stanza apparve spaventosa.
“Voglio solo
parlare con te! Non ti faccio nulla,
per ora”.
Il tono con cui erano pronunciate risultava però piuttosto
funereo e
minaccioso, cosa che fece rannicchiare Franklin alla parete,
trattenendo il
respiro, pregando chissà quale benevola divinità
di poter diventare piccolo
piccolo. Ecco, in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto se la
maledizione di
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli lo avesse trasformato in un piccolo insetto
che
avrebbe senza dubbio potuto battere in ritirata nel modo più
discreto
possibile…
Emanuel
si avviò verso la porta
di ingresso ma arrestò il passo per pochi secondi, come
fosse in ascolto di
qualcosa (forse sentiva il cuore di Franklin battergli furiosamente nel
petto?)
e Franklin non poté trattenere un grido disperato quando,
con passo repentino,
il ragazzo cambiò la direzione e si precipitò
verso il nascondiglio di
Franklin, intrappolandolo.
“AAAAAHHHH-
” Franklin sentì una
mano di Emanuel stringersi attorno alla sua gola che gli
strozzò il grido; lo vide
alzare l’altra mano, da cui stava nascendo una luce azzurra
sul palmo della
mano. La luce azzurra finalmente rischiarì il buio, fino a
quel momento
tagliato dalla luce proveniente dalla porta, ancora aperta, da cui era
entrato
il moro, e creava un gioco di ombre che rendevano terrificante
l’espressione di
Emanuel anche senza la necessità di trasmutare nel suo
aspetto divino.
“Ti
ricordavo meno pavido,
Tlaloc. Cinquecento anni di umanità ti hanno forse
rammollito?” chiese Emanuel
con severità.
“VATTENEEEEE!”
stridette Franklin in tutta
risposta con la poca aria che la presa salda di Emanuel gli consentiva,
piangendo come un bambino.
“Nel
caso ti fosse sfuggito…
non sei nella posizione per darmi ordini…” e
guardò con schifo malcelato le sue
lacrime. L’antica divinità della pioggia aveva
passato secoli a ottenere le
lacrime dei fanciulli come tributo, ed ora era ridotto così?
“Dai, non
piangere, sii uomo…” indicò con la
mano rivestita di luce verso la finestra da cui una delle calaca
osservava
intensamente la scena.
“Ti
do un consiglio per la
prossima partita a nascondino: quando ti nascondi almeno non metterti
davanti
alla finestra. Quello che vedono loro, lo vedo
anch’io” puntò nuovamente la
mano verso Franklin “E non è la sola cosa che ho
visto oggi” avvicinò le labbra
all’orecchio di Franklin.
“Tu.
Non. Legherai. Mordecai. A.
Una. Slitta.” Franklin strabuzzò gli occhi. Ecco,
quella era decisamente una
cosa che Emanuel non avrebbe potuto sapere, se Franklin non avesse
rivelato a
Mordecai la sua grande idea proprio nella veranda del locale dove
sostava una
calaca apparentemente intenta a fissare il vuoto.
L’evento
natalizio al Pavo si
sarebbe tenuto la settimana successiva e Franklin aveva chiesto tutto
entusiasta a Mordecai se non trovava una magnifica idea trainare una
finta
slitta di Babbo Natale per qualche metro, ovviamente nella sua forma di
daino,
che era così simile a una renna! Mordecai era ammutolito per
lo shock, Thomas
avrebbe voluto recuperare una pala per scavarsi la fossa in cui
sprofondare,
Mattie aveva effettivamente tirato fuori una pala gridando insulti,
Alyson,
Valiant e Aindreas si erano trincerati dietro a un “no
comment” e la storia era
finita con Franklin che prometteva che non si sarebbe arreso
finchè Mordecai
non gli avesse detto di sì.
“Ripeti
cosa devi fare” disse
Emanuel, facendolo tornare alla realtà; la luce aveva nel
frattempo assunto la
forma di una freccia, la cui punta si trovava troppo
vicina alla sua carotide. “Tu. Non.
Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.”
“T-tu..
n-non legherai…” balbettò
senza pensare il povero Franklin.
“Ti
sei anche rimbecillito,
Tlaloc!?” . Era possibile ruggire pur tenendo il tono di voce
basso? Perché la
voce di Emanuel, mentre alludeva al “rammollito” di
qualche minuto prima, aveva
proprio assunto la vibrazione di un ruggito, pur continuando a
mantenere le
labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.
“IO
non legherò Mordecai a una
slitta! Lo giuro, lo giuro!” piagnucolò convinto
Franklin.
Emanuel
fece un passo indietro,
liberando dalla sua presa il ragazzo tremante e allontanando
definitivamente la
punta della freccia da esso. Si avviò verso la porta, non
senza prima avergli
lanciato uno sguardo di pura severità ad ammonirlo di fare
esattamente come
aveva detto, o la sua vendetta sarebbe stata indimenticabile.
Franklin
avrebbe davvero voluto
scappare subito a casa da Thomas. L’idea di restare da solo
nel locale (le
calacas continuavano ad osservarlo imperterrite dalla finestra) lo
atterriva e,
piuttosto, avrebbe lasciato Mattie a gridare il giorno successivo,
quando
avrebbe constatato che non solo gli scatoloni erano rimasti nella sala
ma che
le luci erano rimaste accese e le porte erano rimaste aperte. Il
giovane si
impose una calma che non provava veramente: sì, era un
rammollito, sì, era uno
stupido ma no, non avrebbe coinvolto Thomas. Franklin aveva suscitato
la
collera di Emanuel e condividere questa informazione con Thomas avrebbe
avuto
come conseguenza quello di spaventare anche lui, e questo non era
disposto ad
accettarlo.
Spente
le luci e chiuso per bene
il locale, si avviò a passo di tacchino verso casa, per la
prima volta con fare
guardingo. C’era un’altra questione che lo
impensieriva… All’apertura del Pavo
del Corral, Thomas era stato chiaro: non c’era nulla di male
a festeggiare
eventi come il Natale, la Pasqua o la Festa del Ringraziamento ma non
tutti, ad
Esqueleto, avevano la stessa sensibilità in materia, ed era
esattamente quella diversa
sensibilità a dirottare diversi abitanti verso il Laberinto
quando c’erano le
serate a tema al Pavo. Quelle erano le festività di coloro
che avevano
annientato il popolo che adorava le divinità azteche,
condannandole a loro
volta all’oblio, e Thomas e Franklin avevano optato per
spogliare tali festività
di ogni connotazione religiosa o lesiva della dignità dei
nativi americani. Di
conseguenza, il Ringraziamento era diventato una mera occasione per
ballare e
banchettare col tacchino mentre il Natale era sentito tanto quanto un
Natale
vissuto in Giappone: solo lucine colorate e scambi di regali. Franklin
non
aveva visto nulla di male a chiedere a Mordecai di interpretare
Rudolph, la
renna dal naso rosso a capo della slitta, più profano di
così! Ma aveva
sbagliato clamorosamente i conti.
Emanuel
non era tipo da vivere la
vita cittadina, e sarebbe stato illogico pensare il contrario essendo uno dei carcerieri, ma una cosa
l’aveva
capita anche uno stupido come lui: il moro era uno di quelli che
trovava
irritante quel genere di festività. Tuttavia aveva lasciato
gli abitanti liberi
di vivere come volevano, e certo non aveva mai interferito con le
iniziative
del Pavo, almeno fino a quando Franklin non aveva coinvolto Mordecai
nell’irritante
festività. Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
era davvero così preso da Quetzalcoatl da non ammettere
neppure di vederlo “umiliato”
in una tradizione natalizia?
“Franklin!
Ma ti sembra questa l’ora
di tornare a casa? Franklin non aveva neppure realizzato di essere
giunto a
casa e Thomas, sotto forma di alce, lo stava aspettando
all’ingresso. “Stavo iniziando
a preoccuparmi” aggiunse spostandosi per lasciar entrare il
compagno ma,
vedendolo insolitamente privo della consueta energia, la preoccupazione
aveva cominciato
effettivamente a crescere.
“Franklin,
cosa è successo?”
“Ecco,
temo che Mattie si
arrabbierà parecchio domattina, ho lasciato tutti gli
scatoloni alla rinfusa
nel salone” balbettò Franklin cercando
disperatamente di imitare il solito sé.
“Nessun
problema, vorrà dire che
domattina arriverai prima”
“Oh
no!”
“E
ti darò una mano, così
finiremo prima e faremo colazione direttamente lì”
“Oh
sì!”
“…”
“…”
“Thomas…”
“Sì?”
“Coccole”
esclamò arruffando le
piume (e nascondendo l’espressione potenzialmente traditrice)
contro la zampa
dell’alce.
***
“Sai, Tlaloc, in fin dei conti sono
convinta che attirare l’attenzione
o conquistare l’amore di un dio non porti quasi mai a niente
di buono”.
All’epoca,
la divinità della
pioggia aveva preso parecchio sottogamba le parole dette con noncuranza
da quella
che era stata una semplice serva nel Mitclan: lui, all’epoca,
non aveva conosciuto
Nanauatzin
(conoscerlo, amarlo, per poi
perderlo sarebbe stato dilaniante), senza contare che la servetta aveva
avuto
le sue ragioni personali per parlare così.
Adesso
aveva realizzato che Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da
Quetzalcoatl al
punto non solo da cacciare tutti in quella gabbia chiamata Esqueleto,
ma pure
da minacciare la gente per inezie. Adesso, quelle lontane parole dette
in tono
del tutto casuale avevano assunto, nella mente di Franklin, tutta la
forza di
un pessimo, pessimo, pessimo presagio.
|
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Capitolo 9 *** 20 ottobre Sei già morta (You’re already dead) ***
Piccoli
avvisi: questa storia è
Mictlancihuatl centric ma ambientata in un tempo in cui ancora non era
Mictlancihuatl. Gli autori della Calaca
de azucar nel primo volume hanno spiegato che era stata una
bambina sacrificata
al Mictlan e in questo sito https://archaeus.it/il-giorno-dei-morti/
viene detto anche che sarebbe nata in una tribù pre-umana di
esseri viventi,
quando il mondo era nuovo, per questo motivo l’ho collocata
nell’Era del Quarto
Sole. Nella mia versione, però, non è una bambina
(bambina lo è nelle fic
ambientate nel 2012): se avete letto le altre fanfic che ho scritto
avrete già capito
che ho fuso la sua storia con quella di una donna umana senza nome che,
secondo
un mito, aveva ricambiato l’amore di Quetzalcoatl dopo che
egli aveva fatto
dono all’umanità della capacità di
amare – e pare abbia fatto altro, in altre
versioni, ma questa è un’altra storia, anche
perché tradotte dall’italiano
potrei aver preso fischi per fiaschi. La sua morte, nella mia versione,
era
diventata un dispetto di Tezcatlipoca e di altre divinità
complici per cercare
di allontanare l’interesse di Quetzalcoatl dalle sorti degli
umani.
Mictlancihuatl,
prima del fumetto
già ne avevo la fissa dato che sembra essere
l’origine della Santa Muerte, non
vedo l’ora di scoprire chi è nel fumetto, anche se
mezza idea già mi è venuta e
non vedo l’ora di scoprire se è vera. Ma intanto
vado di fantasia!
Wikipedia
in italiano e Focus.it
non sono proprio il massimo delle fonti, ne convengo, ma sembra che le
festività in onore delle divinità del Mictlan
cadessero in agosto, quindi
agosto sia. In teoria, le festività sembrano essere anche,
secondo alcuni siti
web addirittura solo, in onore di Mictlancihuatl (povero Dorian) ma,
essendo
lei (per ora) viva e vegeta, le festività citate diventano
solo del Signore del
Mictlan. E diamogli una gioia (?).
Altra
nota: nella storia si
accenna alla raccolta di miele e la storia è ambientata in
agosto. In Italia, a
luglio si raccoglie miele di castagno mentre nella seconda quindicina
del mese di
agosto è possibile smielare, ossia togliere il miele dai
favi. Non so se
esistono piante o fiori da cui ricavare miele nel Mesoamerica dei tempi
degli
aztechi che sbocciavano in tardo luglio (il miele però ce
l’avevano, eh) quindi
boh, spero di non aver scritto un’imprecisione madornale.
***
Non si comporta da brava figlia… il suo
comportamento ti disonora e getta
scandalo sulla tua famiglia… se non vuole rendersi utile
alla società con un
buon matrimonio, che si renda utile ai sacerdoti.
Le
parole sussurrate dal dio
degli inganni assunsero forma di pensieri che avevano occupato la mente
di un padre
frustrato e arrabbiato per comportamento di sua figlia maggiore.
L’uomo non
seppe riconoscere l’estraneità di tali pensieri ma
gli erano sembrati così
giusti…
***
La
vita è strana. Una mattina ti
svegli piena di progetti su cosa fare durante la giornata –
tipo pensare a come
comprare da sola quella deliziosa stoffa rossa che avevi trovato al
mercato per
farci un nuovo vestitino ma che tua madre si era categoricamente
rifiutata di
acquistare, andare a cercare e raccogliere del buon miele per farci dei
dolci
da condividere durante le festività che sarebbero iniziate
l’indomani e che
sarebbero durate almeno un mese, oppure andare a litigare con quella
gallina di
Cihuātōn che ti aveva pubblicamente infamato solo perché
avevi rifiutato la
proposta di matrimonio di quello “splendore” suo
fratello maggiore – oltre che con
la speranza di rivedere lui..!
Al
pensiero del mio amore, mi
sciolsi come burro di cacao lasciato al sole, ma subito mi imbronciai:
era da
diversi giorni che non avevo sue notizie, chissà
dov’era finito?
Poi
tra faccende domestiche, pensare
al tuo amore, uscite di nascosto per evitare tuo padre che ti tiene il
muso,
pensare ancora al tuo amore e mattina passata a recuperare dei bei
favi, non
fai nemmeno in tempo a realizzare che… sei già
morta.
Ero
rimasta sorpresa ma non
troppo quando, dopo essere tornata a casa con un bottino di miele
più che
dignitoso e un paio di punture, trovai un inserviente del tempio ospite
a casa
nostra. Non era raro che i sacerdoti si servissero dell’aiuto
delle donne della
città per preparare feste particolarmente grandi o
importanti e avevo sempre
collaborato, anche in quell’occasione, ma che ci faceva
l’inserviente a casa
nostra? Non si respirava l’aria tesa che avevo percepito in
mattinata anzi,
tutti risero alla battuta scema dell’inserviente circa le
punture sulle mie
braccia che avrebbero fatto onore persino a Xipe Totec. Ah ah, che
risatone,
davvero. Ma ridacchiai anch’io per non sembrare maleducata.
Alla vista dei favi
recuperati durante la spedizione mattutina, mio padre aveva decantato
all’ospite le mie capacità non solo di raccolta ma
anche di preparazione di
alimenti con il miele. Mi aveva ordinato di servire
all’inserviente l’idromele
che avevo fatto in precedenza e mi era parso estremamente strano che mi
avesse
invitata ad assaggiare il liquore in loro presenza.
Quando
bevvi… venni colta da una
strana e improvvisa sonnolenza. Mentre l’inserviente mi
spingeva cautamente
fuori di casa con una mano appoggiata sulla schiena, presi mentalmente
nota:
non reggevo gli alcolici, nemmeno quelli con gradazione ridicola. Che
vergogna.
Non
seppi dire quante ore
passarono, ma ogni tanto mi davano qualcosa da bere dicendo che mi
avrebbe
fatto passare il torpore… beh, avrebbero dovuto cambiare
guaritore, visto che mi
sentivo sempre più rimbecillita.
Avevo
dormito alcune ore, o
almeno così mi era sembrato. Mi svegliai con il suono
ovattato della musica
nelle orecchie. Era già cominciata la festa? Pensai con
disappunto. Mi sentivo
uno schifo! E come ci arrivavo al luogo di sepoltura dei miei cari?
Cercai di
alzarmi, per fortuna che c’era una donna che mi aveva aiutato
a fare un rapido
bagno… ma… era una delle serve del tempio, che ci
faceva a casa… no, non era
casa mia… ma che cavolo..?
“Oooh,
un vestito rosso!”
biascicai felice, la mamma si era ricordata la stoffa e aveva fatto un
vestito
per me, allora non era più arrabbiata con me?
“Grazie
mamma! …Mamma, dove sei?
Hai visto mia madre? Devo dirle che le voglio tanto bene”.
“Tua
madre lo sa già” rispose
sbrigativamente la serva, vestendomi e pettinandomi come fossi stata
una
bambola. Continuavo a sentire la testa pesante ed era un sollievo non
dover
fare la fatica di vestirmi da sola.
Mi
sentivo trascinare via. Le
immagini mi passavano confuse davanti agli occhi, familiari e
sconosciute allo
stesso tempo. Tutti mi guardavano, perché? Iniziai a
sentirmi vagamente
inquieta.
Mentre
ciondolavo, mi ritrovai
qualcosa tra le mani. Dei fiori. Ma che tipo erano? Avevano una forma davvero particolare ed
erano di un intenso
arancione. “Questi sono solo per te. Li ho creati
apposta per te” la voce sembrava gentile ma il suo tono aveva
un non so che di…
ostile. Allontanai la vista dai fiori per mettere a fuoco colui che mi
aveva
rivolto quelle parole. Non lo avevo mai visto prima e aveva un aspetto
così
insolito… la pelle più scura, gli occhi rossi, i
capelli bianchi?!
“Che
fiori sono?” mormorai. Lui
mi sentì lo stesso, malgrado i canti ora assordanti.
“Decidilo tu. Sono tuoi,
ora”. Stava dicendo tutte cose assurde. Ma tutta quella
situazione sembrava
assurda che decisi di dargli retta. E per il resto del percorso (ma
dove stavo
andando?) pensai a come chiamare quei fiori: almeno così
avrei tenuto a bada
l’inquietudine. Giocai qualche combinazione di lettere
assurda: cem-pa-sú-chil,
magari suonava bene?
Ma
che cos’era questa stanchezza
che mi faceva arrancare e appesantiva il mio respiro? Da quanto tempo
camminavo? Ero davvero a pezzi quando finalmente mi lasciarono
riposare.
Sentii
un dolore lancinante ma svanì
rapido come un battito di mani. Mi
sentii decisamente meno pesante.
“Oh, sto meglio!
Ma che mi avete fatt..”
neanche il tempo di finire la domanda che vidi
la risposta. Mi avevano appena… estratto
il cuore.
“Ma
che significa questo?”
esclamai con una nota di puro orrore nella voce.
“Significa
che è ora di andare”
la voce profonda alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai
e… alla vista di
un mostro con la testa di cane nero esclamai a gran voce che non avrei mai più toccato un goccio
d’alcool in vita mia.
“Su
questo non ho il minimo
dubbio” replicò laconico quella creatura.
Passai
un’occhiata interrogativa
piuttosto eloquente da quell’essere al mio corpo che i
sacerdoti stavano
tranquillamente squartando e dissanguando.
“Sei
stata sacrificata” mi
rispose come fosse stata la cosa più ovvia di tutte, cosa
che in effetti era
anche ai miei occhi, grazie tante.
“Q…
quindi tu saresti… Xo…” era
difficile riacquistare il dono della favella dopo una rivelazione
simile.
Non
era facile accettare quell’idea.
Agitai una mano davanti ai sacerdoti, che ovviamente non notarono.
Xolotl
sospirò, probabilmente aveva già visto quella
scena molte volte… o forse era la
prima volta che vedeva un defunto fare una cosa così stupida.
“Ma
ci deve essere un errore… mandano
i prigionieri ai sacrifici e… della nostra gente, mandano a
morte quelli
indesiderati, ma quelli solo dopo averli drogati…”
i pensieri giravano veloci
nella mia testa, in cerca di una risposta “è stata
una delle famiglie che mi
aveva chiesto in sposa? Ma mamma e papà non avrebbero
permesso…” un dubbio
atroce si impossessò di me
“Papà…?” ammutolii.
“Andiamo”
ripeté Xolotl,
impassibile. Che dovevo fare? Andai con lui. Casualmente, vidi
nuovamente lo
sconosciuto che mi aveva dato quei fiori. Il suo sorrisino beffardo mi
avrebbe
fatto rabbrividire, se solo avessi avuto ancora un corpo, soprattutto
dopo aver
realizzato che poteva vedermi anche in
quelle condizioni. Strinsi tra le mani quegli strani fiori
che sembravano
essere davvero miei: dubito che,
come
spirito, avrei potuto toccare qualcosa del mondo materiale che avevo
appena
abbandonato.
Il
viaggio mi parve
interminabile. E, francamente, traumatizzante!
“Che
gli dei ti benedicano
Xolotl” mormorai con fervore, dopo aver mancato per un pelo
lo scontro tra due
montagne ed essermi risparmiata tagli dolorosi con quarzi di silicio
aguzzi.
Senza la guida di Xolotl, sarei rimasta a girare in tondo tra montagne
gelate.
Torturavo i poveri cempasúchil per il nervosismo e il freddo
innaturale che
persino un’anima incorporea poteva sentire, al punto da
lasciar cadere
incautamente dei petali. Briciole di colorata bellezza donate a luoghi
così
macabri. Ma almeno, tra le terre dell’ Ītzehēcayān e del
Pāncuēcuētlācayān
(gentile Xolotl a riferirmi i nomi di quei luoghi e la sorte
dolorosissima che
la mia anima avrebbe subito se fossi rimasta intrappolata dalle minacce
ivi
nascoste!) si poteva stare un po’ più tranquilli e
il rimpianto mi tormentò più
forte che mai.
“Non
lo rivedrò mai più” mi
lamentai. Xolotl non diede segno di ascoltarmi. Beh, aveva pure
ragione, perché
curarsi dei problemi di cuore di una ragazzina? Ma al silenzio
innaturale di
quel luogo, preferii sfogarmi a voce alta. “Non ho nemmeno
potuto dirgli
addio”.
“Quasi
nessuno ha questo
privilegio” mormorò il dio guardando avanti e
proseguendo la sua strada.
Arrivati a quel punto del percorso, potevo solo scegliere di tenere il
passo, o
sarebbe stato peggio per me.
“Naturalmente
gli auguro una
lunga e serena vita, ma tra quanto lo rivedrò? Venti,
quarant’anni? Io lo
aspetterò” esclamai convinta.
“Di
chi parli?” chiese Xolotl. Mi
sorprese constatare che sembrava davvero attendere la mia risposta.
“Del
mio amore”.
“Il
tuo amore ha un nome?”.
“Non
me l’ha mai detto. E io non
gliel’ho mai chiesto”.
“…
non credo che lo rivedrai”.
Sussultai.
“Perché dici così?”
“…”
“Xolotl?”
“Potrebbe
cadere in battaglia.
Finire nell’Omeyocan”.
Rimasi
senza parole. Non ci avevo
pensato.
“O
affogare e andare nel
Tlalocan”
Xolotl
non replicò.
“Non
è detto che accada. Potrebbe
arrivare anche lui nel Mitclan. E io lo aspetterò”.
“Stai
attenta” disse Xolotl,
scrutando il cielo.
“Attenta
a cosa?” chiesi. Il dio
rispose spingendomi a terra di malagrazia, proprio mentre una saetta
scaricava
nel punto dove ero stata io qualche istante prima.
“Benvenuta
nel Tēmīmīnalōyān”
esclamò piattamente.
“E
andiamo!” esclamai con
sarcasmo.
***
E
dopo bestie affamate, nebbie
fitte e fiumi impossibili da guadare da soli (grazie, Xolotl!),
finalmente la
strada si fece “semplicemente” chiusa e cupa.
“Davvero
sono passati solo
quattro anni, Xolotl? Perché mi sembra che sia passata
un’eternità” chiesi
sfinita.
“Dite
tutti così” commentò piatto
la divinità.
“Ma
ora mi aspetta il luogo
dell’eterno riposo, il Chiucnahuapan, dove rivedrò
i miei antenati e aspetterò
i miei cari – e renderò conto a mio
padre” conclusi con un ringhio appena
percettibile.
“Non
esattamente”.
“?”
“Prima
devi rendere omaggio al
Signore del Mictlan” .
“Giusto,
sarebbe una scortesia
non farlo”.
“Sarà
un delirio”.
“Cosa?”
chiesi stupita dal timore
nella sua voce. Sembrava non essere sollevato per la fine del viaggio
quanto lo
ero io. Boh, roba di divinità, supposi.
Avevo
supposto davvero male.
Quello
fu il giorno peggiore
della mia vita, o meglio, della mia morte. No, non era ancora esatto.
Come
l’aveva definita, il Signore del Mictlan? Una vita nella
morte.
Al
cospetto del sovrano di quel
posto, mi ero sentita come essere tornata al mio primo giorno di scuola
alla
capitale Tenochtitlán, per la prima volta lontana dalla mia
famiglia e al
cospetto di un sacerdote davvero temibile agli occhi di una nanerottola
di sei
anni. L’unica differenza era il luogo, decisamente macabro, e
il suo padrone,
ancora più inquietante. Ma ero già morta,
cos’altro poteva succedere?
Beh,
sentirlo masticare a denti
stretti “E così sarebbe questa
l’arrogante mortale”, che mi guardava con
ostentato disprezzo mentre ero inchinata al suo cospetto, non
prometteva
affatto bene. Arrogante, io? Ma che, mi conosceva? Rimasi in silenzio:
era un
dio, un sovrano, ovvio che gli sembrassimo tutti dei pezzenti. E
soprattutto,
faceva paura. Quasi rimpiangevo di non aver sposato uno dei pretendenti
scelti
da mio padre: una probabile morte per un parto difficile sarebbe stato
preferibile e avrei scampato il Mictlan. Ma ultimamente sembravo la
candidata perfetta
a vincere il titolo “Mai una gioia”.
“Istruiscila
ai suoi doveri,
mostrale il suo buco, e che non me la trovi tra i piedi a meno che non
sia
convocata, cosa che vedo assai improbabile”.
In.
Che. Senso?!
“Rimarrai
nel Mictlan, a vivere
una vita nella morte al mio servizio, come del resto accade a chi
è sacrificato
in mio onore. Imparerai ad abbassare la testa con chi ti è
superiore”
“Ma…
se resto qui non potrò
incontrare la mia famiglia” mormorai attonita nel sentire
quella che suonava
come una condanna.
L’aria
si fece così pesante che
poteva essere tagliata con un coltello. L’espressione del
Signore del Mictlan,
già temibile di suo, si fece ancora più terribile
mentre tuonava: “Tu non sei
nessuno per obiettare sulle mie decisioni!”
Atterrita,
mi prostrai più
profondamente che potei. Decisi di non proferire più parola,
piuttosto che
mettere a rischio le mie ossa. Decisamente, la mia attuale situazione
non era
delle più rosee ma non aveva senso lamentarsi. Avere della
servitù era un
diritto del Signore dei morti, servirlo era un mio dovere. Era naturale
che
fosse così, visto che ero morta.
Sono
morta.
Seppure
a malincuore, struggermi
per il mio amore perduto per sempre non rientrava più nelle
mie priorità.
FINE
Ok,
Mictlancihuatl sembra un po’
sciocchina. Ma capitela, era una semplice giovane umana mezza drogata.
Avrà
secoli davanti per maturare, se riesce a salvare le sue ossa da
Mictlantechutli. E no, giuro che Mictlantechutli non sarà
come il principe
della Bella e la Bestia (oddio ora mi immagino Dorian che canta con la
voce
della Bestia, avrò gli incubi, addio).
Bel
posticino il Mictlan, eh?
Link Wikipedia per la strada verso la destinazione finale https://it.wikipedia.org/wiki/Mictlan
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Capitolo 10 *** Giorno 17 ottobre “fare a pezzi” e giorno 21 “infestazione” ***
Giorno 17 ottobre “fare a
pezzi” (slice and dice) e giorno 21
“infestazione”
“είναι
όλα σωστά,
γιαγιά
? ” vista da fuori, la scena poteva sembrare un po’
bizzarra: una bambina,
seduta alla scrivania, fissava un punto vuoto, in attesa, e parlava da
sola.
Solo dopo alcuni minuti, annuendo come se avesse ricevuto delle
istruzioni,
tornò a scrivere delle correzioni sul suo quaderno. A
completare il quadretto
bizzarro, una tarantola sonnecchiava in un angolo del tavolo, tipo
animaletto
domestico.
“Πώς
γράφετε
αυτήν τη
λέξη?”
chiese di nuovo all’aria, ma non fece in tempo ad ascoltare
la risposta. D’un
tratto, tutta la sua concentrazione parve rivolgersi altrove
e la sua espressione, fino a quel momento concentrata,
parve oscurarsi, titubante.
“Κάποιος
μόλις
μπήκε
στο
νεκροταφείο.
Πάντα τον.
Θα
επιστρέψει
σε… um… να
την
βρει”
il disagio si fece palpabile. “Όχι,
ας
συνεχίσουμε,
σε
παρακαλώ.
Δεν θα
σας
ενοχλεί
ούτως ή
άλλως.
Νομίζω.”
proseguì in risposta alla domanda che solo lei poteva
sentire. Non le aveva mai
dato fastidio l’accesso di Alejandro al cimitero, ma era
meglio non averci a
che fare quando si trovava… in quello stato.
Represse
il brivido sottopelle e
si sforzò di allontanare il pensiero di quello che sarebbe
nuovamente successo.
Riprese i suoi esercizi di grammatica greca, materia che sua nonna
aveva
insegnato quando era in vita e che si era ritrovata, non senza una
certa
riluttanza, ad insegnare anche dopo.
Avrebbe
potuto risparmiarselo, godersi l’eterno riposo se, dopo il
trapasso avvenuto un
paio d’anni prima, non avesse scelto di raggiungere la sua
nipotina scomparsa nel
nulla, in occasione del giorno dei morti, uno dei pochi giorni in cui i cancelli erano aperti per loro. Il
risultato di tale ricerca fu uno shock, tanto per l’anima
della defunta, quanto
per Alma. La prima aveva trovato una bambina uguale alla nipote che
aveva perso
ma, allo stesso tempo, diversa – ora
lo poteva riconoscere. La seconda, oltre al dolore per la morte della
nonna, aveva
compreso che non sarebbe mai uscita nemmeno lei da Esqueleto: la legge
“non si
poteva uscire dalla città” valeva davvero per tutti. A ferirla di più,
tuttavia, era stato il cambiamento
nell’atteggiamento dell’anziana: il vincolo
d’affetto era stato presto
soppiantato dall’antico rispetto che si poteva riservare a
una regina, cosa a
cui Alma era stata tutt’altro che pronta e che le aveva
causato una crisi
isterica. Aveva bisogno di sua nonna,
non di un suddito. Dubitava di potersi mai abituare alla situazione,
fino a che
in petto avesse continuato a battere il cuore di una creatura mortale.
Da lì l’insistenza
nel parlare in greco con lei, anche se la cosa era diventata inutile:
Alma poteva
comprendere la voce di chiunque, purché fosse trapassato, e
i morti non erano
più tenuti a subire una barriera che avevano creato i
mortali stessi (la moltitudine
di linguaggi, dopotutto, altro non era che il frutto
dell’intelletto umano).
Lo studio della lingua della sua famiglia paterna sarebbe stata
inevitabile, se
Alma avesse continuato la sua vita fuori da Esqueleto, e la bambina era
più che
mai risoluta a mantenere quell’appiglio con le radici della
sua ultima
incarnazione, una piccola illusione di normalità. La defunta
aveva accettato,
ma Alma aveva capito che non era più l’orgoglio di
veder proseguire la storia
della famiglia con la nuova generazione a muoverla, bensì
come pura e genuina
obbedienza a una richiesta che non avrebbe potuto rifiutare.
***
Alejandro
era entrato con
riluttanza nell’area del cimitero, e avrebbe preferito
regalare a Emanuel un
paio di nuovi abitanti graziati dalla sua maledizione piuttosto che
dover avere
a che fare con lei. Nondimeno, a
dispetto della faccia da funerale, si diresse a passo spedito verso
un’anonima
tomba all’interno di un viale.
“Eccomi,
sono di nuovo qui, sarai
contenta adesso…” tacque, in ascolto di una voce
che solo lui poteva udire. “Sì,
è da un po’ che non mi faccio vedere…
sai com’è, il locale, e poi è arrivata
un
po’ di gente nuova…” parlava a voce
bassa, troppo bassa per essere udita da
qualcuno, a meno che questo non fosse a pochi centimetri da
lui… tuttavia non
c’era anima viva nei
paraggi.
“Sì,
lo so che vorresti più
attenzioni… mi spiace, lo sai che mi dispiace tanto,
sì?” Si torse le mani con
malcelato nervosismo. “Però non puoi arrabbiarti
così quando non vengo a
trovarti… non è il caso che mi segui dappertutto
quando non ho tempo, lo sai
che non dimentico, sai che non potrei mai farlo… Dopotutto
stai ben attenta a
non farmelo dimenticare…” il tono, prima sommesso,
iniziò ad assumere un tono
acido. “Quando finirà questo gioco, eh? Per quanto
tempo continuerai a perseguitarmi?
Eravamo piccoli, Soledad. Anche a te piaceva da matti scivolare col
tappeto giù
dalle scale di casa, fare a gara a chi arrivava per primo…
era divertente, era
bello vederti ridere, così bello… giuro che non
l’ho fatto apposta… volevo solo
farti prendere più velocità, non avevo visto che
non eri ancora seduta bene… e
poi sei rimasta in fondo alle scale e non ti sei più
mossa… la posizione della tua
testa era così strana ma ero convinto ti fossi stancata, che
ti fossi
addormentata… Quante volte vuoi sentirtelo dire? Dispiacemidispiacemidispiace!”
Aveva praticamente gridato le ultime
parole, fuse insieme in un lamento. “L’ho detto
tante volte alla mamma ma non
ci ha mai creduto, non ho più visto un suo
sorriso… nemmeno me lo ricordo, il
sorriso di mamma, lo ha mai fatto…?” il dubbio
aveva prevalso nella voce, ora
ridotta a un tremante mormorio. Aveva mai visto sua madre sorridere,
dopotutto?
Quel dettaglio, inspiegabilmente, provocò ulteriore tensione
al giovane. “E tu,
perché ora sorridi in quel modo..?” il volume
tornò ad aumentare in modo
considerevole, nel realizzare che Soledad si stava compiacendo del
disagio del
fratello “Basta! Devi smetterla di darmi il tormento, mi hai
perseguitato anche
troppo! Si può sapere cosa vuoi da me!? PARLA! Cosa vuoi
sentirti dire, che
sono pentito di quello che ho fatto? Ho passato tutta la vita pentirmi,
non è
abbastanza? Togliti quel cazzo di sorrisino dalla faccia!”
gridò esasperato.
“Perché
non te ne resti qui e fai
la brava, eh? Non
dovresti andartene in
giro per Esqueleto, dovresti stare rinchiusa qui!” il
pentimento aveva presto lasciato
il posto alla rabbia. I
nervi di
Aleandro erano stati messi a dura prova e, alla fine, erano stati fatti
a
pezzi.
“Una
sola cosa doveva fare, quella là!
Una! Tenere te e gli altri
maledetti come te chiusi qui dentro! Lontani dai vivi! Cinquecento anni
di
umanità l’hanno forse fatta tornare ad essere la
nullità che era prima?”. Ormai
Alejandro straparlava e non si curava più né del
volume della sua voce, né
tantomeno della diplomazia.
Tutte
le persone avevano un punto
debole, fossero esse umane o divine, e Alejandro non faceva eccezione.
Tormentare a lungo un nervo scoperto, tuttavia, non poteva avere altra
conseguenza che fare a pezzi gli altri, di nervi. Alejandro aveva avuto
cura di
non mostrare mai questo suo nervo scoperto, esibendo, in caso di crisi,
una
poker face da attore da Oscar, soprattutto davanti alle calacas di
Emanuel.
Tutto quello sforzo nel dissimulare, tuttavia, gli impediva di
ragionare
lucidamente: se lo avesse fatto, avrebbe avuto subito la soluzione al
suo
problema di nome Soledad. Almeno
lì,
al cimitero, le uniche orecchie che potevano sentire il suo sfogo, gli
unici
occhi testimoni della sua penosa uscita, appartenevano a coloro che non
potevano più parlare, non coi vivi, almeno, se si faceva
eccezione ai due padroni di casa.
Si rivolse così
all’unica vivente nel perimetro: “Essere la puttana
delle divinità ti fa sedere
sugli allori, Malintzin? Nasconderti qua non ti proteggerà
per sempre, e quando
quel giorno arriverà…” Probabilmente,
lo sproloquio di Alejandro sarebbe andato
avanti ancora a lungo se non fosse stato che…
***
Tecnicamente,
Aleandro non
avrebbe avuto bisogno di urlare per far sentire i suoi anatemi ad Alma
e a Soledad. La bambina sentiva
tutto quello
che accadeva dentro il confine del cimitero ma, quel giorno, si sarebbe
volentieri strappata le orecchie, pur di non sentire. Schizzava da un
angolo
all’altro della stanza, sotto lo sguardo indignato e
preoccupato dell’anima di
sua nonna. Della tarantola, destata dalle grida provenienti
dall’esterno, non
c’era più traccia.
“Ma
che c’entro io adesso? Non
aveva mai fatto così prima!” squittì
spaventata. Poco importava che avesse ripreso a parlare la sua solita
lingua:
era troppo presa a pentirsi sinceramente di aver consentito
l’accesso al
cimitero al ragazzo fuori controllo – e, diavolo, lui l’aveva pure ammonita per
la leggerezza con cui faceva entrare
la gente! Stava valutando se fosse il caso di nascondersi da qualche
parte quando
capì che non ce sarebbe stato bisogno.
“AHI!
Maccheccazz…?! Ma che..?
Fuori dai piedi…oh! OH!E va bene, va bene, me ne vado!
AHIA!!” sentiva le grida
spezzate, sbalordite, di Alejandro che si affievolirono sempre di
più, fino a
sparire.
***
“έχει
φύγει”
mormorò la bambina verso la defunta, ma non smetteva di
tremare. Andò a
guardare fuori dalla finestra, ad accertarsi di quanto era appena
accaduto.
Il
suo cellulare, abbandonato sul
tavolo, iniziò a vibrare. Alma avrebbe preferito non
rispondere ma non era
difficile intuire chi fosse a chiamarla: non era il caso di rifiutare
la
chiamata.
“Pronto…
sì, ci sono” non era in
vena di parlare ma cercò di tenere un certo contegno. Stava
pur sempre parlando
col tizio responsabile il suo sequestro.
“…
Senti, Whisky ha organizzato
un assembramento … sì…
circa…boh… cinquecento? Un migliaio?
Sì, hai mezza corte
riunita davanti a una tomba, tu ne sai qualcosa? Li hai mandati
tu… sì,
immaginavo… Sì, Alejandro ha dato i numeri qui al
camposanto… di nuovo.
Sì, sempre quella
storia! Ero nascosta, sì, mica mi
faccio trovare da lui quando dà di matto! …Certo
che sto bene! No, Whisky è
bugiardo, non avevo paura!... e comunque se volevi che stessi bene mi
avresti
lasciato a casa mia! …
Va bene, non lo
farò entrare più… Non aveva mai fatto
così, prima, di solito si sfogava solo
con Soledad, mi lasciava fuori dai
suoi discorsi. Non sembrava neanche più lui…
Capisco che ti abbia irritato
sentire Alejandro darmi dell’incompetente e di .. beh, altro, ma forse era meglio fare come le
altre volte ed ignorarlo,
erano solo parole... oh… è perché mi
ha insultato che stavolta sei intervenuto…
…Sì,
sono ancora in linea.
Comunque, ciò che volevo dire era che, dal suo modo di
vedere le cose,
Alejandro non ha
tutti i torti, no? Da
Esqueleto non puoi uscire nemmeno da morto… e visto che vivi
e morti non possono
stare insieme hai creato questo settore… Sì,
tranne i soliti giorni di
novembre, come al solito. A festeggiare il dia
de los muertos a zonzo per la città, loro,
io no eh, senza che gli altri abitanti se ne accorgano.
È incredibile, il
sistema regge dopo tutto questo tempo! Lo avevi organizzato bene!
…
pronto, ci sei ancora?
…beh
comunque, io non glielo
dico. Tu nemmeno..? All’ospedale non hanno un reparto
dedicato a chi ha un
esaurimento nervoso? Ok, non è un mistero che Huitzilopoctli
non sia stato
proprio felice di aver ammazzato sua sorella, e questo spiega
perché ora
Alejandro smadonna dietro a questo spirito
che, dice lui, lo sta
perseguitando,
eppure solo dal suo nome dovrebbe arrivarci da solo che è
tutto nella sua
testa! SOLEDAD! Pure il fatto che
non
veda altre anime dovrebbe essere un indizio, no? Questa Soledad
l’ha fatta morire in qualche missione di guerra? È
morta di
parto? No? Cioè, io vedo le anime, tu le vedi, lui, al
massimo, qui può vedere
solo la signora Claire che è morta dando alla luce i suoi
gemelli due secoli
fa! Chi glielo dice allora che non esiste
nessuna Soledad?
Angolo delle chiacchiere che non interessano a
nessuno
In
pratica, il riassunto del
capitolo è questo: Alejandro sclera male e Dorian lo invita
gentilmente a
rompere le palle da un’altra parte tramite Wiskey.
Mi
scuso per aver reso Alejandro
sicuramente Out of Character. Volevo rendere (male) l’horror
giocando un po’
con l’argomento allucinazioni in caso di forte stress. Poi,
vabbè, quella
parola volgare rivolta ad Alma. Salterà fuori, prima o poi,
che Malintzin non
era ben vista da tutti, e che l’esser stata amata da due
divinità poteva anche
generare maldicenze. Se Alejandro fosse stato meno sotto stress, non lo
avrei
mai fatto reagire in questo modo nei confronti di una che,
divinità o meno, al
momento è una bimba di 10 anni.
Mi
devo scusare anche perchè esce
un po’ troppo spesso il personaggio di Alma. Se uno sta a
leggere una
fanfiction su La Calaca de Azucar vorrà pur leggere i
personaggi del fumetto, e
ha pure ragione. Per quanto abbia amato crearle un background, in
realtà in
questo capitolo Alma è uscita per un altro motivo. Volevo
parlare del cimitero.
Siccome mi sono fatta delle seghe mentali su quel luogo, non potevo
fare altro
che parlarne attraverso chi conosce bene il posto. Dorian è
ancora troppo un
mistero perché possa azzardarmi a mettergli delle parole in
bocca (anche lui ha
un background frutto del mio neurone fanwriter scemo ma, al momento, me
lo
tengo per me) , quindi la scelta è caduta per forza su Alma
che ci abita. E
dire che la sua doveva essere una comparsata del capitolo
“Cimitero”, che si
trova nell’altra piccola raccolta di fanfic.
Oh,
il cimitero di Esqueleto mi
incuriosisce un botto. Quando lessi il primo volume di Calaca per la
prima
volta, non avevo capito perché quel cimitero mi interessasse
particolarmente:
ok, era un luogo speciale dove non ti trasformavi in animale, un posto
abbastanza riservato da consentire a Emanuel di fare cose da villain,
il luogo
dove era apparso per la prima volta quel personaggio che mi fa sangue
ogni
volta che compare in una vignetta con o
senza pelle (sì, Dorian), eppure qualcosa non mi
tornava. Quando avevo
partecipato al writing week di Fanwriter.it, l’anno scorso,
avevo avuto partita
facile nella scelta tra il prompt “cimitero” e il
prompt “casa abbandonata” ed,
eureka!, avevo capito cosa non mi
tornava: di chi diavolo erano tutte
quelle tombe? Qual era lo scopo di quel cimitero? Il tasso di
mortalità, a
Esqueleto, città dove il crimine quasi non esiste (lo dice
Murdock nel secondo
volume) è così alto da avere tutte quelle tombe
nei 18 anni di vita di Emanuel
(ammesso che Esqueleto non sia nata prima
della nascita di Emanuel stesso…)? E lì la mia
fantasia ha fatto voli pindarici
che avevano poca attinenza con la trama originale e mi sono fatta una
storia
sulla natura di quel cimitero. L’idea non è
esposta in maniera completa perché,
chissà, magari tornerà fuori ancora, ma intanto
volevo che si capisse che era
un luogo più affollato
di quanto
sembri, più antico di
quello che è. Nello
sviluppo iniziale del prompt, l’esistenza Alma non era
proprio contemplata. Nel
capitolo “Cimitero”, Mordecai doveva vedere un vero
e proprio fantasma che, in
quanto morto, non poteva restare in mezzo ai vivi. Ho esteso la regola
che non
poteva uscire da Esqueleto neanche chi moriva lì (o le anime
che ci entravano).
Ebbene, quel fantasma doveva essere la sorella di Alejandro. Avrei
però rischiato
un buco di trama se si fosse visto solo un fantasma, se tutte le tombe
dovevano
essere “abitate”, così accantonai
l’idea. Mi dispiaceva tuttavia abbandonarla
del tutto, così ho reso Soledad un’allucinazione
di un Alejandro che non ha mai
elaborato correttamente il lutto e che si è costruito
fantasie che avrebbero
dovuto “tenere viva” la sorella ma che hanno invece
fatto ripetere in tempi
recenti il fratricidio commesso nell’antichità à
collo “rotto” e caduta dalle scale. Ok,
è il dio della guerra, ma si sarebbe
autoassolto se avesse ucciso ingiustamente un’altra
divinità?
Sì,
insomma, mi sono piuttosto
fissata sul mito secondo cui Huitzilopoctli aveva ucciso fratelli e
sorella per
vendicarsi dell’uccisione della madre, ignoro il motivo.
Avevo già usato il
concetto in un altro capitolo della prima raccolta di fanfic, solo che,
in quel
caso, Alejandro sembrava pure contento di aver ucciso la sorella
Coyolxauhqui.
Però girano versioni diverse in internet: in una di queste,
la dea è stata
uccisa per sbaglio, perché si era messa in mezzo ad aiutare
la madre (tipo fuoco amico). Per
confortare la madre,
Huitzipoloctli aveva scagliato la testa della sorella in cielo
affinché potesse
vederla sotto forma di luna.
Comunque,
sembra che Coyolxauhqui
non fosse una tipa tanto carina, visto che nel mito rincorre il sole
piuttosto
incazzata, e guai se lo raggiunge. Ecco perché lo spirito,
nella fanfic, è un
tantinello rompicoglioni, dato che insegue il fratello anche nei tempi
moderni
per dargli il tormento.
Ultimo,
doveroso appunto: le
frasi in greco sono spudoratamente copiate da google translate, il che
non è
una garanzia di accuratezza, abbiate pietà.
Perché, tra tante nazionalità, ho
scelto proprio il greco, di cui non so una cippa (gente del classico,
chiedo
perdono)? Alma vuol dire anima e, in greco antico, anima è
Psiche à guarda caso,
una mortale
che ha saputo ottenere l’amore di una divinità e
che, dopo averne passate di
cotte e di crude per esser stata ingiustamente accusata di superbia da
un’altra
divinità, diviene lei stessa una dea per mezzo di un
matrimonio. Che poi Alma
sia spagnolo, poco importa: pure una cantante francese si chiama Alma,
e la
cito solo perché, all’Eurovision Song Contest,
aveva cantato una canzone dal
titolo REQUIEM. Segni, segni
ovunque.
HO.
PARLATO. TROPPO.
DI
NUOVO.
SCUSATE.
|
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Capitolo 11 *** Day 19: Dismantle Instructions ***
19
ottobre Dismantle instructions
Erano
molte le cose che
avrei voluto scrivere quando avevo pubblicato il capitolo finale della
raccolta
“Quella maledetta volta che Mordecai ha deciso di andare al
Laberinto”. Il
racconto sarebbe diventato però troppo lungo, troppo pieno, così avevo snellito il
capitolo, lasciando da parte i
dettagli. Il prompt Dismantle Instructions (che ho tradotto, in senso
letterale, come smontare le istruzioni,
da me inteso come un sovvertimento di un sistema prestabilito) si
sposava bene
con le tematiche che avevo lasciato in sospeso, quindi… era
giunta l’ora di
riprendere in mano gli appunti. Alcuni elementi, comunque, si erano
già
palesati nei prompt del giorno 5 (Soffocamento) e del giorno 9
(Prescription
Dreams) del giorno 17 ottobre, l’ultimo pubblicato (Fare a
pezzi). Spero si
capisca dove voleva andare a parare il mio neurone fandomico, il
neurone
fanwriter non è mai stato il massimo quanto a chiarezza
espositiva! XD
***
DISMANTLE
INSTRUCTIONS
Certe
cose erano
inesorabili. Il sole e la luna si rincorrevano nel cielo.
L’acqua cadeva
dall’alto verso il basso. Le stagioni si susseguivano sempre
con lo stesso
ciclo. Il signore restava signore e lo schiavo restava schiavo
– tra gli umani.
Per le tzizimine, l’inesorabile era rappresentato dalla loro
morte per mano del
dio Xolotl, e la loro puntuale rinascita al calar della sera. La
sorpresa di
poter essere annientate anche dalla voce di una donna, che era discesa
nel
Mictlan molto tempo addietro, era stata presto soppiantata dalla
consapevolezza
di non poter resistere al potere di colei che era cambiata al punto da
essere
diventata simile a Xolotl, e divenne cosa inesorabile anche quella. Non
si
sorpresero, dunque, nel veder comparire lei, e non Xolotl, a cantare la
sua
richiesta di uscire e passare indisturbata. Richiesta! Come se avessero
avuto
la possibilità di negargliela, quando la voce corrodeva come
acido la loro
anima, consumandola. E così accadde anche in quel momento.
La musica suonava
così dolce alle loro orecchie, era perfetta come ultimo
elemento che le
Tzizimine avrebbero percepito prima della disfatta delle loro membra.
Era il
loro inesorabile destino.
Fu
una notevole
sorpresa, quindi, per una delle anonime demoni-stella, percepire la
fine del
canto e le parole della Signora dei morti. Aprì gli occhi:
attorno a lei, vi
era solo la cenere delle sue sorelle e la scheletrica figura della
donna del
Mictlan che le sorrideva in modo sinistro.
“Hai
mai visto la luce
del giorno?” chiese con tono apparentemente complice.
“No”
sbottò la
tzizimine. Nessun titolo né riverenza: i demoni-stella erano
seguaci di Tzitzimitl,
non del Signore del Mictlan,
e l’essere assassinate dai suoi sottoposti ogni mattina non
aiutava a
distendere cordiali rapporti di buon vicinato.
“Bene,
ora avrai possibilità di farlo, se tu farai una cosa
per me” proseguì la donna. Era una piccola
irregolarità nell’ordine del cosmo
prestabilito, ma una piccola stella sarebbe stata del tutto invisibile
nella
luce del giorno: nessuno l’avrebbe notata.
“Sempre
che tu sia d’accordo, naturalmente. Se non ubbidisci,
ti rispedirò subito dalle tue sorelle; domani
chiederò a qualcun'altra” concluse
Mictlancihuatl.
Le
donne erano creature curiose, tutte, anche demoni. La
stella, che non avrebbe mai potuto vedere il giorno in circostanze
normali,
decise che non si sarebbe lasciata sfuggire un’occasione del
genere, e la sua
espressione fu abbastanza eloquente.
“Nessuno
ti noterà, piccola e solitaria lucina nel manto
azzurro. Dovrai essere discreta e avvicinarti al dio Quetzalcoatl.
Consegnerai
un messaggio da parte mia…”.
***
Quetzalcoatl
non si era mai davvero reso conto di quanto
tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva camminato tra
gli umani.
Dopotutto, era stato distratto bene
da Itztlacoliuhqui Ixquimilli: il dio della giustizia aveva svolto il
proprio
compito in modo eccellente. Il serpente piumato aveva lasciato una
terra serena;
ora, aveva appena iniziato a realizzare, costernato, la presenza di
elementi caotici
e inquietanti che avevano preso il sopravvento nella terra dei Mexica,
e non
solo in quella. La popolazione locale era stata piegata da uomini con
un incarnato
pallido, simile a quello degli abitanti del Quarto Sole e, casualmente,
a
quello di Quetzalcoatl stesso; questi ultimi avevano preso i tesori, le
terre,
la libertà dei Mexica. Per quanto il serpente piumato
aborrisse saccheggio e
guerre, non erano certo attività estranee alle popolazioni
mesoamericane, e non
poteva certo farne loro una colpa. Tuttavia, quanto fatto dalla gente
con la
pelle pallida sembrava andare ben al di là delle peggiori
azioni compiute dai
Mexica.
Il
luogo dell’appuntamento a cui era stato convocato, con
notevole stupore e sorpresa da parte del serpente piumato, era un
mercato
improvvisato dai forestieri. Quetzalcoatl avanzava guardandosi intorno.
Era
tutt’altro che ignorato dai coloni, e il dio poteva ben immaginare il
loro stupefatto
pensiero: cosa diavolo ci faceva uno di loro vestito come quei selvaggi? Quetzalcoatl, agli occhi
di quegli stranieri, doveva
apparire come un tipo eccentrico ma, fortunatamente per lui, aveva i
colori e
il genere giusti (ovviamente, aveva fatto preventivamente sparire coda,
piume e
segni verdi dal suo corpo), quindi nessuno si era scomodato ad andare
oltre la
prima, scettica occhiata. Se fosse stata un’altra
divinità, avrebbe fatto
pagare a caro prezzo l’imbarazzo che quegli inferiori, con le
loro occhiate, avevano
osato fargli provare. Quetzalcoatl non era mai stato così
severo con gli umani,
nemmeno quando sbagliavano gravemente, se si esclude il
“piccolo incidente di
percorso” conseguente alla caduta del Secondo Sole. E,
comunque, quella volta aveva
iniziato Tezcatlipoca, tanto per cambiare.
Presto
tutta la sua attenzione venne attirata da una giovane donna
che stava contrattando qualcosa. Era una donna dall’aspetto
dolorosamente
familiare, che credeva non avrebbe mai più rivisto.
Indossava
un abito rosso e un quechquèmitl, una mantellina
nera di ottima fattura, a cui erano stati strategicamente rimossi gli
ornamenti
macabri che la indicavano come la Signora del Mictlan. Dei comodi
sandali
completavano l’abbigliamento e solo i grandi orecchini di
fattura mexica
tradivano l’agiatezza economica agli occhi delle persone, un
lasciapassare per
ottenere il rispetto di quella gente, oltre al bianco incarnato della
sua pelle.
La pelle chiara era stata una caratteristica peculiare di tutti gli
umani
dell’Era del Quarto Sole; dopo che le ossa erano state
rovinate nella fuga
rocambolesca di Quetzalcoatl dal Mictlan, gli umani avevano assunto per
la
prima volta fattezze e caratteristiche differenti, e a quanto pareva,
l’incarnato pallido era stato riservato solo a una parte
della popolazione,
quella giunta con grandi case sul
mare, da Occidente. I capelli della donna, ora nuovamente corvini,
erano legati
nelle alte trecce trattenute sulla testa da diversi fiori di
cempasùcil
arancioni, unico dettaglio che la distingueva dalla fanciulla amata dal
serpente piumato nell’Era del Quarto Sole, che era stata
solita lasciarli
sciolti. A dimostrare la sua estraneità con la stirpe del
Quinto Sole, forse,
erano gli occhi: marroni, un colore normale in quel mondo, ma con linee
sfumate
tra il chiaro e il rossastro; i colori delle fave del cacao che
Quetzalcoatl
aveva creato per farne dono agli umani, ispirandosi proprio agli occhi
della
fanciulla.
“Ma
i miei occhi sono uguali a quelli di tutta
la mia gente” rise la fanciulla mentre rigirava quegli strani
frutti tra le
dita che, forse, erano tipici del villaggio del suo amato, una vita fa. “Ma sono stati i tuoi
occhi ad avermi ispirato” le aveva risposto dolcemente il dio.
Un
singolo anello all’anulare sinistro, usanza piuttosto
inusuale
sia tra le divinità che tra i Mexica, era stato
strategicamente messo come monito
forte e chiaro a eventuali inferiori
che avessero avuto bisogno di ulteriori incentivi a non rompere le
scatole a
una donna sola. Era ricca, bianca, sposata molto probabilmente a un
loro simile: una donna da non
importunare, in
pratica. Forse era quello il motivo per cui non erano riservate a lei
le stesse
occhiate meravigliate alla vista di quegli indumenti da selvaggia,
che comunque facevano il loro dovere di coprire a
sufficienza, a differenza del vestiario delle selvagge di bassa casta.
Incredulo,
si diresse verso la sua direzione.
“Vi
renderebbero molto poco, e, anche se riusciste a
venderli, potreste avere problemi con i compratori, quando scopriranno
che potranno
vivere pochi mesi soltanto” argomentò con
noncuranza la signora, mostrando
dell’oro al mercante.
“Signora,
questi schiavi sono in perfetta salute” azzardò a
ribattere quella sgradevole persona, ma la baldanza andò
presto a scontrarsi
con la sufficienza nello sguardo della donna: sapeva che stava
mentendo, e
aveva ben cura di farlo capire al soggetto di fronte a lei con uno
sguardo di
puro scetticismo.
“Voi
accetterete quanto vi ho appena dato: sarà difficile che
otteniate di più, vendendoli” ordinò
con risoluta calma, accennando alle
persone nella gabbia “E voi mi farete avvicinare a quelle
persone senza fare
domande. Dopodiché, per la somma che è nelle
vostre mani, mi aspetto che i loro
corpi vengano cremati con il rispetto che meritano” aggiunse
con tono che non
ammetteva repliche.
“Signora,
possono essere messi in una fossa con la
benedizione del prete” ribatté l’uomo,
infastidito dall’ incombenza che
quell’estranea pretendeva per quei… subumani.
“Se
volete essere reso colpevole di aver causato un focolaio
di pestilenza, prego” il tono era gentile, eppure
l’uomo si sentì rizzare i
peli persino in posti che non pensava di avere, pervaso da un sinistro
presagio.
“Strega”
mormorò.
“Prego?”
sibilò col sorriso tirato.
“I
vostri abiti… i vostri occhi insoliti… le vostre
parole…
siete forse una strega?” chiese acquisendo un tono
minaccioso. Non lo credeva
veramente, ma aveva appena intuito che denunciare una strega
non sarebbe stato una brutta mossa: avrebbe tenuto l’oro,
non avrebbe perso tempo a bruciare gli schiavi e, anzi, magari li
avrebbe pure
venduti senza che quella femmina
insolente avesse modo di accusarlo, impegnata come sarebbe
stata a
nascondersi o a essere torturata in carcere.
“A
dire il vero, quel prete che hai citato prima, nella sua…
cos’era la parola…omelia? Che roba è,
boh… ci aveva definito diavoli.
Ha un bel suono, ma non credo
fosse stato un complimento, il suo” concluse con una risatina
tutt’altro che
divertita.
“Io
vad-” il mercante
non concluse la frase: rimase gelato sul posto. “Oh no, tu
non te ne vai”
replicò alzando un dito verso l’uomo. Quetzalcoatl
stava osservando la donna avvicinarsi all’orecchio
dell’uomo ed era anche in
grado di sentire quello che stava mormorando. Era un canto dolce,
sottovoce. Il
mercante cadde come addormentato mentre la donna lo sorreggeva, prima
di
posarlo sulla sedia vicino. Quetzalcoatl era senza parole mentre
pensava che fosse
un vero miracolo che nessun altro avesse prestato loro attenzione. In
effetti,
dimenticava sempre che Malintzin era stata un’assassina,
quando era ancora in
vita. Una voce familiare lo destò dai suoi pensieri.
“Quetzalcoatl!”.
Al contrario di Mictlancihuatl, Xolotl era
rimasto nella sua forma divina, ma celato alla vista degli umani.
Avrebbe
potuto assumere anche lui sembianze umane e mischiarsi alla gente, se
lo avesse
desiderato. In verità, era una cosa che faceva assai
raramente, dal momento che
preferiva andare nel mondo degli umani per un unico motivo: portare con
sé le anime
dei defunti nel Mictlan. Guardava ora il fratello con sorpresa, anche
se a
Quetzalcoatl non era sfuggito un riflesso di puro sbigottimento nella
sua
espressione. Era forse spavento, quello che il serpente piumato aveva
visto
negli occhi del fratello?
“Non
mi aspettavo di trovarti qui” commentò mentre
prendeva
le mani del fratello tra le sue e, in modo tutt’altro che
casuale, lo spostava
verso la sua direzione – togliendo Mictlancihuatl dal suo
campo visivo.
“Sono
stato via a lungo” replicò il serpente piumato, a
disagio. “Non posso credere a quello che vedo. Se fossi stato
qui, io..” cercò
di voltare la testa, come a dare forza alle sue parole mostrando il
mercato di
schiavi alle sue spalle – e vedere se il fratello avrebbe
proseguito con
l’inganno che, secoli prima, aveva perpetrato ai suoi danni.
Non rimase stupito
nel notare il tentativo di Xolotl di non farlo voltare.
“Sarebbe
successo comunque, neppure gli dei possono opporsi
al destino” lo interruppe il fratello. “E il
destino di questa povera gente è
segnato” indicò i Mexica. “Il lavoro,
nel Mictlan, è aumentato molto. Le
trasferte lavorative si sono fatte più frequenti. Tutti ci
stiamo impegnando a
seguire le direttive del nostro Signore”. Rimase silenzioso
per qualche secondo.
“Quetzalcoatl, non è un buon momento. Ti prego,
torna a casa”.
“Xolotl,
sarebbe meglio che tu mi spiegassi cosa ci fa la
Signora del Mictlan fuori dal suo Regno e, soprattutto,
perché ha l’aspetto di Malintzin”
sibilò serio.
Xolotl
trattenne il respiro: Quetzalcoatl poteva sentire
tutti mi muscoli tendersi all’improvviso anche senza
percepire la stretta sulle
sue mani farsi più ferree. Alla fine sospirò,
teso. “Malintzin non esiste più.
È Mictlancihuatl, adesso. Non chiedermi come sia potuto
accadere, ma è stata
sacrificata a Mictlantechutli, e pertanto chiamata a servirlo nel
Mictlan. Ciò
che posso dirti è che, ora, non conosce la sua vecchia
identità, men che meno
sa chi sei tu. Ha perso la memoria quando cadde il Quarto Sole. Mentre
il Regno
si riempiva di un numero abnorme di anime, lei vagava in stato
confusionale. In
fondo, anche la sua anima apparteneva a quell’Era, che aveva
appena cessato di
esistere. Per quel che ne sa, la sua vita è cominciata in
quel momento, non
rammenta nulla di quando camminava su questa terra. Successivamente, ha
sposato
il mio Signore, e ora viene onorata come la divinità che
è.”
“Ma
tu lo sapevi”. E me
lo hai taciuto. Me lo avete taciuto tutti. L’avrei tirata
fuori da lì.
“Fartelo
sapere non avrebbe cambiato nulla, ti avrebbe reso
solo più difficile voltare pagina. Mictlantechutli non
rinuncia mai a ciò che è
suo. Lo hai detto tu stesso nel Mictlan, quando hai reclamato quella
follia”
rispose il fratello, alludendo alla richiesta assurda che aveva fatto
l’ultima
volta che erano stati nel Mictlan.
“Ascolta,
tu...”
“Xolotl!
Sei già arrivato?” tanto erano prese le due
divinità
nella loro conversazione, che non avevano fatto minimamente caso a
Mictlancihuatl
che, terminati i suoi affari, si era avvicinata ai due.
Xolotl
guardò appena dietro alle spalle della donna.
“Signora,
perché avete addormentato quelle anime? Sarebbero morte
comunque. E per quale
motivo avete aggiunto alla lista qualcuno che non era destinato a
morire oggi?”.
domandò Xolotl, notando il corpo del mercante che, almeno
quel giorno, avrebbe
dovuto restare vivo. I prigionieri sembravano addormentati.
Mictlancihuatl
fece spallucce in modo assai poco regale.
“Non era mia
intenzione appesantire ulteriormente il tuo lavoro, Xolotl…
anche se è quello
che ho appena fatto, in effetti. L’agonia di quella gente
sarebbe durata troppo
a lungo” rispose la donna, facendo un cenno al suo fianco.
Quetzalcoatl non
poteva vedere le anime che attendevano con devota pazienza, ma Xolotl e
la sua
Signora sì. “Molte
persone hanno già
subito tale sorte, e altre la subiranno, ma sai che il dolore rende il
distacco
da questa terra più difficile: se le anime non sono in pace,
sarà più difficile
per te portarli a destinazione. E diventerà più
difficile, per il nostro
Signore, gestire la loro tensione. Almeno quelli a cui faccio in tempo
a dare
una buona morte non daranno problemi”.
“Anche
lui?” chiese amaro, accennando a uno spazio vuoto,
accanto a lei, che per loro non lo era affatto.
“Il
mercante? Potremmo definirlo un piccolo incidente sul
lavoro” .
“Incidente
che non ci sarebbe stato, che foste rimasta invisibile
come fate di solito” Quetzalcoatl poteva ben immaginare che
quello del mercante
non fosse stato il solo incidente a
cui si stava riferendo.
Mictlancihuatl
ignorò deliberatamente l’osservazione con una
poco regale alzata di spalle. Almeno, appariva meno austera del suo
consorte.
“Finiranno nelle fosse. Le loro ossa saranno disperse.
Dovrò recuperare quelle
già perdute, come da programma ma, a questo punto, mi
procurerò anche le loro.
Tu porta queste anime a destinazione, che poi ci servi ancora qui. Ci
rivediamo
nel Mictlan” e attese. Anche Xolotl attese. Quetzalcoatl
guardò entrambi e
attese. “Xolotl, è urgente. Ciao”
salutò con la manina e, intanto, si allontanò
dai due.
“Non
posso restare, le anime hanno un lungo viaggio da fare.
Per favore, torna a casa”.
“Certo,
non preoccuparti” lo rassicurò. Come lo vide
sparire,
corse subito dietro a Mictlancihuatl.
“Bene,
avevo quasi temuto che avessi vuotato il sacco con
Xolotl. O che non avessi capito di dovermi seguire non appena lui se ne
fosse
andato” commentò senza fermare la sua passeggiata.
“Recuperate
le ossa dei morti anche sulla terra?”
“Se
non lo facessi, le ossa di coloro che non hanno ricevuto
i riti funebri resterebbero disperse e le anime nel Mitclan non
avrebbero pace.
Per cosa credi che vengano custodite, per collezionismo?”
“Mictlantechutli
ha lasciato intendere che fossero molto
preziose”
“E
perché sono preziose? Tu non sei quello più
sveglio della
famiglia, vero?” non rimase in attesa di vedere se
Quetzalcoatl si fosse offeso
per l’insinuazione. “Quando sei venuto a portar via
le ossa, non siamo stati
contenti, ma di questo te ne sei accorto da solo. Un tuo capriccio ti
aveva
dato l’arroganza di strappare quelle anime dal loro eterno
riposo”. Era
un’accusa ben più dura di quanto la sua voce aveva
lasciato trasparire.
“Non
c’era niente di male a ridare loro la vita”
protestò
debolmente. In effetti, pur sapendo di aver fatto una cosa buona, non
poteva dire
di aver fatto una cosa giusta: era inutile negare a se stesso di averlo
fatto,
dopotutto, per una sua volontà egoistica. Per quanto
Quetzalcoatl avesse fatto
passare la sua azione per altruismo, tutte le divinità
facevano i loro
interessi, e doveva ammettere che lui non faceva eccezione.
“In
ogni caso, ormai era fatta, e noi non abbiamo potuto fare
altro che recuperare le anime in comode rate. Tra l’altro,
non è stato nemmeno
l’unico casino che hai combinato... Quanto alle ossa della
tua bella, dopo la
sfuriata che hai fatto, ci ho pensato su e credo di aver capito dove
sono finite.
Tranquillo, stanno benone! Comunque, avevi ragione: a causa di un
cavillo
tecnico, non ti sono state consegnate. Né possono esserlo,
in effetti”.
Quetzalcoatl,
per poco, non inciampò per la sorpresa: non
riusciva a credere che proprio lei avrebbe tirato fuori
l’argomento.
“Quale..
sarebbe questo cavillo?” chiese cautamente.
“Già
lo sai, lo hai detto anche durante la tua sfuriata. La
tua bella è stata sacrificata, e nessuno può
disporre di un’anima se non la
divinità a cui è stata offerta. Capisco che tu
non sia avvezzo al sistema,
visto che sei schizzinoso e hai già fatto ben sapere che non
gradisci sacrifici
umani in tuo onore, ma che tu sia totalmente a digiuno
dell’argomento rasenta
quasi l’imbecillità”.
“Che
ne è stato delle ossa di Malintzin?” chiese
ignorando
l’insulto che gli era stato appena rivolto.
“Se
escludi Xolotl, le anime dei sacrificati diventano tutti
servitori, a meno che il mio signore non decida di farne a meno, e
allora li
manda al loro eterno riposo assieme a tutti gli altri. Gli scorticati
che avrebbero
dovuto spiumarti la prima volta
che
sei giunto da noi erano alcuni di loro”.
“Dov’è
Malintzin?” insistette il serpente piumato. Xolotl
aveva ragione: la Signora non sembrava avere la minima idea che si
stesse
parlando proprio di lei.
“Se chiedessi a
Xolotl
(davvero, di cosa parlate nel tempo libero, voi fratelli?!) sapresti
che il mio
Signore non prende donne al suo servizio (tra l’altro, gliene
mandano proprio
pochine, forse gli umani l’hanno capita che non le considera
proprio). Vengono
lasciate assieme alle altre anime – solo, non
escono dal Mictlan. Sono vincolate a stare là.
Fine della storia.”
Erano
usciti dalla parte abitata, ormai non si vedeva nessuna
persona sulla loro strada. Continuava a camminare verso
chissà dove, mentre
tornava alle sue originarie sembianze scheletriche e a una condizione
celata
all’occhio umano. Quetzalcoatl seguì il suo
esempio. “Dovevo per forza
ricoprire le mie ossa di ciccia, altrimenti la copertura sarebbe
saltata. Ma lo
stesso vale per le tue piume, dopotutto” .
“Avreste
potuto mantenervi invisibile”
“Certo,
avrei potuto
farlo ed elargire un po’ di buona
morte
senza tante pantomime con quel mercante. È stato piuttosto
sgradevole avere a
che fare con lui e la sua gente” fece una pausa
significativa. “Se il mio
Signore ti avesse accordato quanto avevi educatamente
richiesto, in questo momento saresti un bell’infante mortale
che presto, sarebbe
stato in balìa di questa gente, a provare sulla sua pelle
cose che adesso puoi
solo vedere, o immaginare, mentre sei al sicuro nella tua condizione
divina.
Perché dovresti rinunciare al ruolo che l’ordine
delle cose ti ha destinato? Certo,
potresti anche avere delle vite tranquille, ma trovo veramente stupido
che tu
voglia giocare d’azzardo con il destino”
“Ciò
che scelgo di fare
della mia vita non è una tua
responsabilità”
“Può
darsi”. La
risposta colse di sorpresa il serpente piumato.
“Posso
sapere, Signora,
il motivo per cui sono stato convocato?” d’accordo,
era stato invitato in mezzo
al deprimente scenario della gente a lui tanto cara con
l’anima spezzata per
dargli un assaggio di vita futura, ma dove voleva arrivare?
“Il
mio Signore potrà
anche aver chiuso l’argomento, ma ti confesso che sono molto
incuriosita. Hai
fatto una richiesta davvero assurda e te ne sei uscito fuori con la
pretesa di
essere accontentato tirando in ballo la mancata restituzione delle ossa
della
tua amata mortale, tra l’altro lamentandotene fuori tempo
massimo…”
Mictlancihuatl non tradì alcuna espressione nel nominare se
stessa in modo del
tutto inconsapevole e questo aveva dato un velo di malinconia al
serpente piumato.
“Il
mio Signore si
sentiva sicuro nel dirti che potevi prendere
le ossa, anche se non aveva avuto, nemmeno per un secondo, la minima
intenzione
di dartele: a quanto pare, per lui era stato sufficiente omettere che
non ti
aveva dato il permesso di portarle via
dal Mictlan. Non capisco perché non ti abbia semplicemente
detto di no e
mandato fuori dai piedi. Ma figurati se glielo andavo a chiedere, era
incazzato
come non l’avevo visto da tanto tempo! Ma tu sei riuscito a
fuggire lo stesso…
tecnicamente, le hai rubate, e non ti dovremmo proprio risarcire per la
mancata
consegna delle ossa che più ti interessavano. Eppure,
ciò che non viene detto
non può essere vincolante in un accordo, quindi, in
realtà, ti ha legittimato a
portarle via… e hai potuto vantare così il
credito che hai preteso. All’epoca,
non sapevamo di non aver onorato l’accordo: anche tu avevi
omesso un
particolare importante nella tua richiesta, dopotutto.
Avevi creato paradosso: tu avevi diritto di
reclamare tutte le ossa dei morti del Quarto Sole, mentre il mio
Signore aveva
tutto il diritto di tenere per sé i sacrifici a lui
dedicati, pur essendo
deceduti durante il Quarto Sole”.
“Non
sapevo che
Malintzin fosse stata sacrificata. Non lo avrei permesso”.
Gli fece male vedere
che la donna non sembrava minimamente toccata da quelle parole:
giurò di averla
anzi vista alzare gli occhi al cielo.
“Ricapitolando:
vanti
un credito che non puoi riscuotere, quindi il cambio di richiesta, da
parte
tua, è stata la cosa migliore che poteva capitare! Ed ecco
che arriviamo al
nocciolo della questione: il motivo per cui sono qui. Hai chiesto di
essere
spedito come mortale nel mondo degli uomini? Ti ci mando io, egoista
guastafeste che non sei altro! Ma prima, toglimi una
curiosità: non avevi fatto
in tempo a dirci per quale motivo desideri suicidarti”.
“Non
è un suicidio!”
protestò indignato.
“Esalerai
l’ultimo
respiro ripetutamente, incarnandoti un’esistenza dopo
l’altra, il più delle
volte, probabilmente, soffrendo – lasciatelo assicurare da
una che è del
mestiere. Senza contare poi il fatto che, molto presto, questa Era si
concluderà… perché fai quella faccia?
Lo sanno tutti che l’Era del Quinto Sole
ha gli anni contati: le tzizimine sono chiacchierone, le voci giungono
fino alle
profondità del mio reame e il mio Signore sta già
avvertendo che presto la vita
sarà spezzata via” Mictlancihuatl tacque un
momento, per dare il tempo al
serpente piumato di afferrare il concetto “Quando
l’era del Quinto Sole
tramonterà, la tua sarà una comunissima anima,
proprietà di Mictlantechutli per
tutta l’eternità. È un periodo
piuttosto lungo, sai? Oltre che una condizione
irreversibile.” Concluse con piglio pragmatico.
“Io
non voglio morire”
ammise il giovane dio con sincerità “Lo faccio
perché non voglio che l’Era del
Quinto Sole perisca”.
Mictlancihuatl
sospirò.
“Se, la prima volta, avessi detto questo, forse il mio
Signore ti avrebbe dato
più retta. Per quanto brami di riavere indietro il suo
tesoro, non credo sia
pronto ad affrontare di nuovo il delirio accaduto alla fine dello
Quarto Sole. Tutte
quelle anime in stato di shock, arrivate tutte insieme! Anche Xolotl
era stato
sull’orlo di una crisi di nervi, non te l’ha mai
raccontato?”
“No,
a dire il vero,
Xolotl sa essere molto riservato sulle questioni del
Mictlan”.
“Ecco
perché il mio
Signore lo tiene in gran conto” Parve ragionare un momento.
“No, non credo ti
avrebbe accontentato. Anzi, probabilmente avrebbe respinto la tua
richiesta per
principio. Ce l’ha… ancora a
morte
con te per il furto” amava fare battute cretine.
“Non
era un furto, mi
aveva detto che potevo prenderle, me lo avete appena confermato
voi!”.
“Stai
parlando di
Mictlantechutli, dal suo punto di
vista rimane un furto bello e buono”.
“Ero
serio quando dicevo
che la sua fama sarebbe cresciuta, se vi fossero stati di nuovo gli
umani in
vita”.
“Dimmi
piuttosto che ti
eri stancato di ricreare l’umanità partendo da
zero”.
“Meritavano
di vivere”.
“Meritavano
di riposare
in pace” ribatté con tono da rimprovero.
“Soprattutto quando il tuo obiettivo
era di tipo puramente egoistico. Lo hai detto tu. Rivolevi indietro la
tua
donna”.
Quetzalcoatl
ci rimase
male: non era mai stato accusato di essere egoista, prima di allora,
anzi. Era
la prima volta che veniva definito in quel modo.
“E
comunque, perché
stai ancora parlando di lei? Non hai trovato qualcun’altra,
nel frattempo?
Oppure… qualcun altro? Persino gli umani riescono ad
elaborare il lutto, col
tempo!”.
“Non
è questione di
lutto. E nemmeno la volontà di riaverla indietro, quindi, vi
prego, non
tacciatemi di egoismo” mormorò Quetzalcoatl.
Sinceramente, non sarebbe stato
tenuto a dire alcunché a una dea con cui non aveva avuto
alcun tipo di
confidenza. Una creatura che non aveva alcun ricordo di essere
Malintzin poteva
essere ancora chiamata Malintzin? Non era solo una questione di aspetto
fisico:
il Mictlan aveva davvero ucciso la giovane fanciulla ingenua, e dai
suoi resti
era stata forgiata un’altra creatura.
Eppure,
doveva
dirglielo. Lei non avrebbe capito nulla, ma lui glielo doveva.
“L’amore
che avevo
provato per lei le aveva rovinato la vita. Il suo sacrificio alle
festività in
onore di Mictlantechutli non è stato un caso sfortunato.
È stata colpa mia,
volevano colpire me attraverso lei. Un puro dispetto. Volevo fare
ammenda
restituendo ciò che le era stato strappato e…
chiedendole perdono”. Perché,
alla fine, il punto era tutto lì: Quetzalcoatl non aveva mai
dubitato della
forza del sentimento che lo legava, attualmente, il dio del gelo e
della
giustizia, ma non aver avuto la possibilità di espiare lo
faceva stare male.
Non
avrebbe dovuto
stupirsi del sospiro pesante, evidentemente scocciato, della Signora
che lo
stava guardando con evidente compatimento. Non empatico compatimento.
Pietoso
compatimento, che era peggio.
“Cambiamo
argomento, ti prego. Hai detto che
vuoi scongiurare
il pericolo della fine del Quinto Sole. Non capisco come il tuo
diventare
mortale dovrebbe scongiurare il pericolo”.
“Non
sarò io a farlo.
Lo farà Itztlacoliuhqui Ixquimilli”. Mictlancihuatl
si fermò di botto.
“Cos’ha
fatto Itztlacoliuhqui
Ixquimilli per meritarsi un simile destino?” chiese in tono
mortifero.
“Mi
ama, e io lo amo
abbastanza da mettere il mio destino nelle sue mani”.
“Tu..!
Tu sei davvero
uno stronzo, Quetzalcoatl” replicò la dea con
malcelato schifo. “Le persone che
ami vengono colpiti dalle disgrazie! Dicono che sia stato tu a donare
la
capacità di amare agli umani, e l’amore fa fare
loro cose che vanno al di là
del bene e del male – spero che Itztlacoliuhqui Ixquimilli,
in quanto divinità
del giudizio e della giustizia ti abbia già cazziato
a sufficienza per questo!”
“Sì…
l’amore fa fare
loro cose che vanno al di là del bene e del male”
rispose Quetzalcoatl,
intendendo in realtà molte cose.
“Oh,
beh, l’amore per
la tua bella mortale l’ha spedita direttamente sottoterra;
per amor tuo, Itztlacoliuhqui
Ixquimilli avrà l’ingrato compito di impedire la
tua morte definitiva e questo
perché tu ami troppo questa gente… sei sicuro che
sia Tezcatlipoca il dio del
caos!?”
“E
ci ha pure incasinato la gestione del Regno!” Ricordava
l’espressione
corrucciata del suo Signore, seduto sul trono: la preoccupazione
sembrava
gravare fisicamente sulle sue spalle, incurvandogli la schiena. La
servitrice
che era stata Malintzin e a cui era stato proibito di usare il nome che
non le
apparteneva più –il suo nuovo nome,
Mictlancihuatl, donna del Mictlan, non solo
le aveva tolto le sue origini umane, ma le conferiva un totale
anonimato, a
fronte del suo unico pregio che le era stato riconosciuto al suo
arrivo, ossia quello
di appartenere a quel luogo per l’eternità
– era avanzata nella sala delle
udienze per fare rapporto.
“Le
ossa degli ultimi trapassati sono state messe in sicurezza?”
il sovrano aveva
smesso da tempo il tono aggressivo che era solito rivolgerle nei primi
tempi,
quando era stato sinceramente convinto di aver avuto a che fare con una
nullità
grondante di superbia per essere stata l’amante di un dio
– aveva fatto del suo
meglio per punire la presunta peccatrice con la schiavitù e
con l’impossibilità
di ambire all’eterno e pacifico riposo delle anime che
dimoravano nel suo Regno
(un po’ noioso rispetto agli altri regni, ma meglio di
niente). Solo dopo molto
tempo aveva
realizzato che la fanciulla
non aveva mai avuto la più pallida idea che il giovane che
aveva amato fosse
Quetzalcoatl, che era stata ingannata dal serpente piumato e,
soprattutto che lui
stesso era stato ingannato dalle parole
di altre divinità, le quali avevano abilmente fatto in modo
che non solo
l’umana amata dal dio sparisse nel Mictlan, ma che non avesse
alcuna
possibilità di uscirne, qualora Quetzalcoatl avesse provato
a fare dei
tentativi in merito.
Lo
sdegno del principio non venne mai scemato, semplicemente aveva
cambiato
direzione. Sfortunatamente per la fanciulla, non vi era stata alcuna
possibilità di renderle il riposo a cui ogni anima aveva
diritto – la
permanenza nel Mitclan in una condizione di vita nella morte
l’aveva portata a
una lenta, inesorabile e, soprattutto, irreversibile metamorfosi, non
solo
fisica. Tuttavia, complice la devozione e il desiderio di fare quel che
poteva
per proteggere il tesoro del sovrano, era presto diventata una valida
servitrice, ben al di sotto delle qualità di Xolotl, per
certi aspetti, con
tanti difetti legati alla sua origine umana, ma abbastanza abile, con
la
pratica e il conferimento di qualche piccolo potere, da poter dare un
contributo alla gestione delle anime che dimoravano nel Regno.
“Lo
sono, mio Signore” mormorò la servitrice, in
ginocchio i segno di rispetto
“nonostante questo, le anime sono sempre più
inconsolabili. Questo rende il
lavoro di Xolotl più difficile: faticano a lasciare il
corpo, faticano a
seguire la via che viene indicata
loro”.
Erano
pochi i motivi per cui un’anima non era in grado di
distaccarsi dalle
preoccupazioni e abbandonarle definitivamente durante il trapasso. Un
affare in
sospeso, un grande rancore, i riti funebri non eseguiti. Se le ossa
restavano
disperse, le anime vivevano rimanevano sospesi in uno stato di
agitazione
perpetua. Le ossa saranno state pure di grande valore materiale per il
Signore
del Mitclan, ma tale valore diventava incalcolabile se associate ad
anime
serene. Sostanzialmente, era per questo motivo che Mictlantechutli era
venerato
dai Mexica. Era un Re: un sovrano non si limitava a comandare, ma
proteggeva il
suo popolo, e questo gli era riconosciuto. L’altruismo non
c’entrava affatto:
la questione, piuttosto, poteva essere riassunta con mantenimento
dell’ordine pubblico.
Un’anima serena era
un’anima che non avrebbe fomentato disordini nel Regno e, nel
frattempo, il
sovrano si arricchiva. A contribuire alla serenità delle
anime, vi era stata
anche la scommessa della fanciulla sul recupero delle ossa disperse
fuori dal
Regno di Mictlantechutli, all’insaputa del sovrano, quando
aveva compiuto il
rischioso viaggio a ritroso che nessuna anima avrebbe potuto fare da
sola – ma
lei aveva smesso da tempo di essere una semplice anima. Da allora,
Xolotl
conduceva le anime verso la loro destinazione finale, e Mictlancihuatl
ne
recuperava e vegliava le ossa.
“Xolotl
non può perdere tempo, le anime non possono restare nel
mondo. C’è un ordine
prestabilito da mantenere” sottolineò il sovrano.
“Sto
cercando di aiutarlo il più possibile. Veglio sulle ossa,
come mi avete
comandato di fare, e, quando posso, cerco di dare una buona morte a chi
è
pronto”. Tra il canto di Mictlancihuatl, che non risultava
dolce e letale solo
alle Tzizimine, e il recupero delle ossa disperse sulla terra, era
diventato
inevitabile che fosse onorata tra i mortali come colei che donava la buona
morte.
“Sta
bene, purché non ti venga di nuovo in mente di giocare un
altro scherzo di
pessimo gusto a Xocipilli. Potesse farlo, ti avrebbe già
fatta a pezzi. La
prossima volta, potrebbe non bastare il fatto che tu sia una mia
protetta”. Ebbene,
anche lo scherzetto
fatto a Xocipilli non aveva avuto altro fine che favorire una buona
morte agli
umani che la cercassero. Ma questa era un’altra storia.
“Sarò
più prudente, mio Signore. Come desiderate”
esitò un momento, prima di
riprendere la parola. “Mi è concesso parlare, mio
Signore?” . Il consenso
giunse con una rapida alzata di mano.
“Xolotl
mi ha detto che non è sempre stato così. Le anime
erano più… leggere. Quale
fardello ha appesantito i loro cuori?”. “Tu lo sai.
Non era stato forse pesante
anche il tuo, di cuore, quando sei giunta nel mio Regno?” La
ragazza cercò di
non manifestare disappunto al cospetto del suo Signore. Le aveva
espressamente
ordinato, in passato, di non menzionare mai la sua vita precedente ma,
allo
stesso tempo, non faceva che ricordagliela, quasi a voler indagare
sulla
qualità della sua memoria. “Non ricordo”
rispose troppo precipitosamente.
“Non
ricordi” ribatté scettico.
“…”
“Non
mentire”
“…
Signore, questo ordine contraddice quello che mi avevate dato in
principio. Di
dimenticarmi della mia vita precedente”.
“Rispondi
alla domanda”
“…Ho
amato. Questo aveva reso penoso il mio viaggio”.
Mictlantechutli
parve ragionare con cura sulle parole appena udite, prima di riprendere
a
parlare: “Non è sempre stato così.
È stato Quetzalcoatl a dare all’umanità
la
capacità dare e ricevere amore. Questo ha rafforzato i
vincoli tra le persone… che
resistono anche dopo aver esalato l’ultimo respiro”.
Da
quando Quetzalcoatl aveva fatto questo dono all’umanità, erano iniziati i
guai, nel
Mictlan: chi sopravviveva alla persona amata, sperimentava per la prima
volta
il dolore del lutto; chi abbandonava quella terra era affranto nel
lasciare i
propri cari, soprattutto vedendoli così disperati. I
sacrifici non erano più
solo un momento di festa collettiva per tutti.
A peggiorare la situazione, non era scontato che la morte avrebbe
infine riunito le persone separate. Se l’ordine delle cose
aveva stabilito una
diversa destinazione a seconda del tipo di decesso, quale guerriero
sarebbe
andato ancora felicemente in battaglia, sapendo che avrebbe potuto non
rivedere
mai più la propria sposa, a meno che non fosse morta di
parto? O il proprio
figlio, se fosse morto in tenera età? O gli anziani
genitori, se fossero morti
per malattia o vecchiaia? Prima del dono
di Quetzalcoatl, ciascun membro della famiglia avrebbe mantenuto il
ricordo ma
avrebbe mantenuto un progressivo distacco emotivo, godendosi la
serenità, o la
gloria, più o meno meritata.
“I
vivi temono sempre di più la morte, non la propria, ma
quella dei propri cari.
Temono di non rivederli più”.
“Si
riuniranno quando moriranno anche loro!” protestò
il sovrano.
“Sì,
ma dopo quanto tempo? Il nostro tempo è eterno, quello degli
umani sembra un
granello di sabbia nel deserto, ma quel
tempo è tutto. E se saranno destinati ad altri reami a
seconda del differente
decesso, vivranno la pena della separazione” la fanciulla
sembrava voler
proseguire ma tacque. Tuttavia, per quanto stesse immobile, in posa
ossequiosa,
sembrava fremere di leggera impazienza..
“Se
hai qualche suggerimento, esponilo senza girarci intorno”
tagliò corto il suo
re. La ragazza colse l’opportunità al balzo.
“Se,
anche solo per poco, le anime potessero rivedere i loro cari, sapere
che stanno
bene e che stanno andando avanti con le loro vite, starebbero meglio,
non
credete? E pensate anche se i vivi sapessero che i loro cari hanno
questa
possibilità, non ne sarebbero lieti? Il legame affettivo non
sarebbe più un
problema anche se le persone si trovassero su due piani differenti
dell’esistenza”.
“Stai
presentando la cosa come una banale visita al villaggio confinante.
Esempi di
vita vissuta, immagino”.
Mictlancihuatl
abbozzò un tiratissimo sorriso. Una cosa doveva fare. Una.
Non – accennare –
alla – vita – in – superficie.
“È
la cosa più stupida che mi sia mai capitato di sentire da
molto tempo”
sentenziò freddamente il sovrano “Ciò
che dici è complesso da realizzare e
potenzialmente pericoloso per l’ordine delle cose. Ammesso
che il tempo delle visite sia breve, ammesso che i vivi non vedano
né
sentano i morti, come gestiresti un flusso così intenso di
anime? Come
garantiresti il loro ritorno? Come impediresti agli spiriti
più ribelli di non
nascondersi nella terra a cui non appartengono
più?”.
Quelle
parole avevano fatto abbassare la testa e le spalle alla donna come se
le
fossero stati posti dei pesi reali. Non era molto divertente passare
per
stupida, soprattutto se l’interlocutore non aveva remore a
fartelo notare.
“Tieni
conto di queste problematiche e analizza qualunque tipo di
complicazione che
potrebbe sorgere nell’assurda
ipotesi che questo progetto venisse
realizzato.
Ragiona sulle possibili soluzioni, poi esponimi le tue
conclusioni”. L’ordine
sembrava così surreale che Mictlancihuatl pensava di
esserselo sognato.
Mictlantechutli sembrava aver intuito
l’incredulità dell’espressione della sua
servitrice, e concluse: “Spezzare
i
legami affettivi sarebbe ancor più complicato, se non
impossibile, da attuare.
Però qualcosa va fatto. Sono disponibile a sentire tutte le
proposte, purché
abbiano senso”. La situazione si era fatta così
complessa che il Signore del
Mictlan sarebbe stato disposto a sentire persino il suggerimento di una
donna
mortale, se si fosse rivelato fattibile.
Apportate
le migliorie richieste, Mictlantechutli era rimasto ancora parecchio
scettico
sulla questione. Nella teoria, tutto sembrava perfetto, e avrebbe
potuto aver
maggior fiducia se non fosse stato per i sentimenti degli umani: un
elemento troppo
caotico per poterlo considerare una variabile controllabile. Aveva
pertanto
accondisceso ad un unico tentativo, e di Mictlancihuatl sarebbe stata
l’onere
di attuarlo, essendone stata lei l’artefice. Avrebbe passato
l’eternità a
raccattare ogni singola anima fuggita, se avesse fallito.
Tutto
il resto, beh, è risaputo. Il periodo prescelto per
l’esperimento? Le festività
in onore di Mictlantechutli (“Mio
Signore, è una
festa in cui si festeggiano i morti, e voi non li fate
partecipare?”). Il modo per
raggiungere la terra dei
vivi? Attraversare a ritroso, senza Xolotl, le valli piene di pericoli
non era
proprio possibile, sarebbe stato meglio costruire un bel ponte
temporaneo – e
non avendo la donna dimestichezza con la carpenteria, aveva scelto di
usare
l’unico materiale che poteva manipolare a suo piacimento: i
petali di
cempasùcil. Quei petali erano a lei profondamente legati:
aveva potuto
rintracciare ogni singolo petalo che aveva abbandonato durante il suo
viaggio
verso il Mictlan, petali seminati inconsapevolmente ma che si erano
rivelati
una traccia utilissima per uscire dal Regno senza l’aiuto di
Xolotl – la cosa era
stata successivamente sfruttata dal suo Signore per farle fare le
trasferte di
lavoro, ossia il recupero delle ossa. L’ottimizzazione delle
risorse umane e divine era
eccellente, in mano a
Mictlantechutli. I petali tornarono utili non solo per il ponte: al
momento
della trasferta, ogni anima avrebbe avuto un petalo a fungere da
rintracciatore,
per sicurezza.
A
dispetto dei sospetti del loro Signore, nessun defunto osò
mancare al rientro.
I sentimenti umani si erano rivelati davvero la variabile non
controllabile, ma
non come aveva pensato il Signore dei morti: la gratitudine per il
felice dono
che avevano ricevuto aveva prevalso sul desiderio di fuga. Anche il
terrore per
le eventuali ripercussioni, in caso di disobbedienza, aveva contribuito
in
parte, a onor del vero. Visto il successo dell’impresa,
Mictlantechutli aveva
acconsentito a mantenerla stabile. Le preghiere dei mortali sarebbero
state più
ferventi e avrebbero garantito al Mitclan quell’energia che
avrebbe formato il
ponte di cempasùcil per i secoli a venire.
A
Mictlantechutli non era sfuggito il significato sotteso
all’utilizzo di quei
fiori da parte della ragazza, al di là della loro effettiva
praticità. Erano
stati un dono di scherno di Xocipilli, destinato a sparire nel Mictlan
assieme
a lei, e invece il dio se li sarebbe visti sbattere ovunque sulla
terra, a
testimoniare la resilienza di qualcuno che aveva voluto vedere spezzato
e che,
invece, avrebbe guadagnato la sua rivincita.
“Non
ne posso più!”
sbottò il serpente piumato, zittendo con involontaria
malagrazia la sua
interlocutrice.
“Sono
stanco, Signora.
Stanco di subire inganni da coloro a cui avevo riposto la mia fiducia,
stanco
di ferire le persone a me care, stanco di sentirmi in difetto come sono
ora. E,
per quanto mi addolori vedere come il creato stia andando allo sfacelo
per il
male che gli umani si fanno gli uni con gli altri, non sopporterei di
vederli
perire di nuovo. Non è davvero colpa loro. Non sopporto di
vederli soffrire
quando il responsabile non paga pegno per essersi voltato
dall’altra parte
perché… troppo distratto…!
E, in
quanto responsabile per non aver vegliato abbastanza su chi avevo fatto
tornare
in vita, su chi ho strappato dal loro riposo,
per dirlo con parole vostre, vorrei pagarlo, questo pegno, accollandomi
parte
della loro sofferenza, vivendola come loro” piangeva, ma non
se ne vergognava.
“Tu…
sei un idiota”
mormorò la Signora con molta meno acrimonia, come a
constatare un dato di
fatto, non come insulto. “E io ti do pure retta”
emise un profondo sospiro,
prima di continuare “ Il mio sposo può tollerare
il peso di un debito, ma io
no. Benché sua consorte, non sono certo priva di potere.
Avrai ciò che hai
chiesto”.
“Perché
dovreste andare
contro una decisione di Mictlantechutli? Lo state facendo di nascosto:
anche
Xolotl sembrava all’oscuro delle vostre intenzioni”.
“Non
mi piace affatto
che il mio Signore abbia un debito con chicchessia, e ancor meno il
fatto che
non abbia intenzione di saldarlo. In un contratto, non sta bene
né ricevere
troppo, né ricambiare con troppo. Bisogna bilanciare
altrimenti si rischia di
intaccare il corpo terreno, il destino, l’anima. Nessuno
è tanto speciale da
non rientrare nell'ordine delle cose, nemmeno una
divinità”.
“Quindi
lo state
facendo per lui…”
“Non
vedo la ragione
per cui dovrei farlo per te”
replicò
asciutta. “Vuoi impedire all’Era del Quinto Sole di
tramontare definitivamente?
Benissimo, meno lavoro per noi! Vuoi affidare la sorte tua e di tutta
l’umanità
a Itztlacoliuhqui Ixquimilli? A me sta bene. Ho molta fiducia nel suo
giudizio”.
Quetzalcoatl non avrebbe dovuto stupirsi nel sentire parlare
così la donna:
ironicamente, Malintzin era sempre stata più devota al dio
della giustizia che
non al serpente piumato, quando era in vita. In effetti, la sua
esistenza era
stata pesantemente influenzata dalla giustizia, quando aveva scelto di
sporcarsi le mani con un omicidio ritenuto necessario, e rischiando di
conseguenza una condanna a morte, quando avrebbe potuto voltare la
testa
dall’altra parte. Se lo avesse fatto, il serpente piumato non
l’avrebbe mai notata.
La dea avrà pure perso i ricordi della sua vita precedente e
la sua
spensieratezza, ma Quetzalcoatl era grato di vedere che almeno qualcosa
della
sua vecchia personalità era rimasta.
“Comunque!
Mica sono
cose che si improvvisano così. Mi servirà una
parte della futura anima mortale
come pagamento. Metà circa, ma tranquillo, potrai
sopravvivere senza problemi.
Anzi, non te ne accorgerai nemmeno” proseguì la
donna, distogliendolo dai suoi
pensieri.
“Come,
pagare? E il
credito?”
“Non
mi stai chiedendo
di creare un chihuahua dal nulla. Cosa ho appena detto? In un
contratto, non
sta bene né ricevere troppo, né ricambiare con
troppo. Se vuoi un grande
incantesimo, devi darmi un grosso pagamento. Anche
perché… non è che abbia
tutto questo gran potere, resto comunque una consorte, quindi mi serve
quella
tua benedetta anima” concluse con riluttanza. Dopotutto, non
era piacevole
ammettere che il proprio potere non fosse innato, ma che provenisse
piuttosto da
quello assorbito nel Mictlan, oppure da quello ereditato con il
matrimonio.
Arrivati
al momento di
congedarsi, e ottenuto quello che voleva, Quetzalcoatl non seppe
trattenersi.
“Voi state bene?”
“Ehm..
sì?” rispose
perplessa la Signora.
“Voglio
dire… e
perdonate la mia sfrontatezza… voi siete felice?”
“A te cosa cambierebbe conoscere la
risposta?” chiese,
non celando affatto il fastidio per
una domanda così inopportuna e personale.
Quetzalcoatl
non sapeva
come rispondere a quella domanda, ma Mictlancihuatl sembrò
accontentarsi della
sua espressione sinceramente preoccupata.
La
Signora dei morti sospirò
“Non so come tu consideri un giuramento, ma posso garantirti
che io lo prendo
seriamente. Non permetterei mai che mi venisse fatto con
superficialità, o che
venisse tradito” aveva omesso di dire di
nuovo “e il mio Signore prende con estrema
serietà le promesse che ci siamo
scambiati. Ti sia sufficiente sapere questo.”
***
Il
suo Signore non
sarebbe stato all’oscuro a lungo e, quasi sicuramente, non
sarebbe stato
contento di veder accollato un suo debito dalla moglie. Non era avvezzo
alla
clemenza, ma certamente l’avrebbe perdonata, qualora avesse
saputo che l’aveva
fatto solo per il suo bene, come aveva sempre fatto. Dopotutto, gli
voleva
bene. Mica l’avrebbe sposato, altrimenti.
In
quanto creatura in
grado di amare, non era stato impossibile scorgere del buono dietro
all’austerità
del Signore dei morti, per lo meno dopo che era caduto
l’equivoco sulla sua
presunta superbia. L’aria da tiranno gli era rimasta, ma
sembrava essere frutto
del un senso del dovere e del rigore che, a quanto sembrava, era
necessario per
assicurare una certa stabilità nel Regno dei morti. Ed era
anche giusto,
qualità che lei apprezzava da sempre. Ok, aveva tutta
l’aria di essere un
accumulatore compulsivo di ossa umane, ma nessuno era perfetto, nemmeno
una
divinità, e fintantoché la veglia sul suo
prezioso tesoro aveva l’effetto di
dare benessere ai morti, era una bella cosa. Per il bene che lui
faceva, quindi
era giusto che lei contraccambiasse affinché stesse bene
anche lui.
L’impalpabile
barbagianni a cui aveva dato forma, partendo dalla forma del pagamento ottenuto dal serpente piumato,
svolazzava intorno alla sua creatrice, che lo scrutava con occhi
pensosi.
“Sarai
la parte
dell’anima che custodirà le memorie di
Quetzalcoatl” lo istruì “e sarai sempre
distaccato dalla sua parte cosciente. Gli sarai sempre vicino, come suo
custode, se dovesse sentirsi troppo smarrito. Sarai la sua buona
sorte”. Da
tempo aveva smesso di provare risentimento per la divinità
che aveva amato nei
tempi passati e da tempo aveva compreso che, a differenza di suo
marito, non
gli serbava più alcun rancore. Ne aveva provato molto,
all’inizio: i primi
tempi nel Mictlan erano stati caratterizzati da profonda
infelicità, e la colpa
era stata sua. Per quanto platonica fosse stata la loro relazione, si
era
sentita ingannata, usata. Ma, in fondo, anche saper perdonare era una
forma
d’amore, e non poteva ignorare che amare lui era stata una
condizione
indispensabile per conoscere, in seguito, suo marito.
Era
stato facile
mantenere un atteggiamento distaccato, quanto l’aveva dovuto
esercitare nel
tempo, per non cadere nei tranelli verbali di Mictlantechutli, atti a
verificare se davvero ella non avesse serbato più alcun
ricordo della sua vita
passata! Ormai, il vecchio amore di un’umana poco
più che bambina era un
lontano ricordo, ma non per questo avrebbe augurato alcun male al
serpente
piumato. Averlo visto così rammaricato per la sorte che le
era toccata aveva
convinto la donna che aveva fatto bene a mantenere quella recita: aveva
visto
che stava bene e, a modo suo, aveva persino avuto l’occasione
di scusarsi. Ora,
entrambi avrebbero potuto chiudere quel capitolo della loro esistenza.
Provava pena
per la bionda divinità: sembrava soffrire davvero molto.
Donargli l’oblio
relegando le sue memorie in una parte separata della sua anima le era
sembrata
una buona idea: vivere da mortale, nei secoli a venire, con un simile
fardello
non sarebbe stato il distacco che il dio andava cercando. Era
preoccupata anche
per Itztlacoliuhqui Ixquimilli: Quetzalcoatl sarà stata pure
una divinità
amabile, non era affatto qualcuno facile da amare.
“Possano
i tuoi
desideri realizzarsi, in questa vita o nelle prossime.
Cretino”.
***
Lo
schiaffo che aveva
stampato in faccia a Xolotl era risuonato secco nel vuoto della caverna
e
questo aveva compensato la mancata possibilità, per
Mictlancihuatl, di vedere l’effetto
della sua azione con gli occhi, coperti da un velo di lacrime che
stavano
scendendo copiose, tuttavia era stata ben lungi dal procurarle qualche
soddisfazione.
Mictlancihuatl
sapeva
che sarebbe stato rischioso mostrarsi in giro con Quetzalcoatl ed era
convinta che
sarebbe stata la stella lasciata a zonzo in pieno giorno a parlare,
oppure
qualche altra divinità con velleità da comare
pettegola a fare la spia. Invece,
il pettegolo era stato proprio il “fedele
servitore”, quello che teneva
nascoste cose importanti al fratello ma le stupidaggini le riferiva
subito,
permettendo a Mictlantechutli di far crescere la sua rabbia per la sua
ennesima
disobbedienza. In quell’occasione, la donna aveva infatti
contravvenuto, in una
volta sola, a tutte le ammonizioni che il marito, nel tempo, le aveva
dato: era
uscita dal Regno per qualcosa che non aveva a che fare con esigenze
lavorative;
non solo era entrata in contatto con altre divinità, cosa
potenzialmente
pericolosa per lei, ma aveva lei stessa organizzato un incontro,
proprio con la
divinità che, più di tutte, avrebbe dovuto tenere
alla larga – notizia elargita
dalla stella lasciata a zonzo, che era stata facilmente intercettata e
interrogata da Xocotl, da sempre fedele prima al gemello, e poi a tutti
gli
altri; infine, cosa ancora più grave, la donna si era
intromessa in una sua
decisione, realizzando per Quetzalcoatl ciò che il Signore
del Mictlan si era
rifiutato di esaudire. Questa colpa andava ben oltre le intemperanze
compiute
quando era solo la sua servitrice: fuggire dal Mictlan, la prima volta,
senza
il permesso del suo re, a recuperare le ossa, per il benessere delle
anime; rubare
gli oppiacei a Xocipilli, per facilitare il trapasso di chi non aveva
altro
destino che restare intrappolato nell’agonia
dell’epilogo della propria vita; concentrare
tutta la propria energia per consentire una temporanea trasferta delle
anime a
beneficio dei legami affettivi durante le festività terrene
in onore dei
defunti. Si era salvata dalle punizioni perché,
effettivamente, le sue azioni
avevano portato davvero maggior efficienza nella gestione delle anime
nel
passaggio da un Regno all’altro e nel mantenimento
dell’ordine. Era stata
tuttavia accusata di non aver mai dimenticato le sue origini umili, di
aver
conservato caratteristiche troppo umane in una forma divina che non
poteva
essere altro che un elemento caotico, in un luogo rigoso come era il
Mictlan,
assai severo nel mantenere l’ordine prestabilito, tra cui la
necessaria
separazione tra vivi e morti. Fu per questa accusa, per
l’ossessione che
Mictlantechutli sembrava avere verso l’umanità
della moglie, che quest’ultima
si era avvalsa dello stratagemma della memoria perduta.
Stavolta,
non ci fu
alcun perdono.
“Ma
io l’ho fatto per
voi. Non volevo che teneste sulle vostre spalle il peso di un debito
non
saldato. Me lo avevate detto voi che non è salutare. Ho
pensato unicamente al
vostro bene” aveva mormorato, incredula.
Non
le aveva creduto.
Le sue parole erano così velenose, così
rancorose, ma perché?
L’aveva
accusata di
disobbedienza, ma le sue azioni erano state dettate solo
dall’amore che provava
per lui.
L’aveva
accusata di
tradimento, ma come avrebbe potuto farlo? Quetzalcoatl era il passato,
aveva
persino finto di dimenticare la sua vita precedente per
tranquillizzarlo in tal
senso, e anche questo escamotage, alla fine, le si era ritorto contro.
L’aveva
accusata di
essere una presuntuosa, ma da quando in qua offrirsi di pagare un
debito che
gravava sull’anima della persona amata era segno di
presunzione, seppur fatto
all’insaputa del beneficiario?
Nessuna
parola aveva
scalfito la rabbia del suo Signore che l’aveva infine reclusa
nel Mictlan, con
la proibizione assoluta di fare alcunché perché,
le disse con voce cattiva, aveva fatto
abbastanza.
“Mi
state mettendo in
castigo come una bambina stupida? È dunque così
che sarò trattata da voi, d’ora
in avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”.
Scacciata,
aveva passato
giorni interi a chiedersi cosa avesse sbagliato, non trovando tuttavia
alcuna risposta
logica; passava i giorni avendo come unico interlocutore il suo
secondino, una
tarantola particolarmente osservatrice tra i membri della corte del suo
sovrano,
da cui era sorvegliata a vista e da cui, ovviamente, non riceveva
alcuna
risposta. Ormai, il suo Signore non perdeva il suo prezioso tempo a
rivolgerle
la parola. La sua vita era diventata quasi peggiore rispetto a quando
era
giunta nel Regno. Il suo Signore era tornato ad essere crudele, seppur
in modo
diverso; il suo cuore era tornato a sanguinare per amore, seppur donato
ad un
altro uomo; era tornata ad essere impotente, non potendo più
aver cura delle
ossa.
Ma
una vita che non
veniva vissuta, non aveva senso nemmeno tra le divinità.
Gli
dei potevano
morire, pur rimanendo immortali. Semplicemente, cambiavano forma.
Dopotutto,
Mayahuel non aveva smesso di vivere davvero, seppur trasformata in
pianta di
agave. Nanauatzin e suo fratello erano diventati il sole e la luna,
perdendo la
loro forma originaria, dopo essersi gettati volontariamente nel fuoco.
E,
a quanto pareva, una
divinità poteva morire
di crepacuore.
Costretta nella passività, diventava sempre più
difficile controllare il
proprio potere, non foss’altro perché non aveva
più un motivo per farlo.
Mictlancihuatl
non lo
aveva fatto apposta. Semplicemente, aveva replicato l’ultima
magia che aveva
realizzato senza neppure accorgersene. Il suo ultimo pensiero razionale
fu che,
forse, era stato meglio così. A quanto pareva, era stata una
servitrice decente,
ma una pessima moglie. A Mictlantechutli non sarebbe dispiaciuto se
avesse
tolto il disturbo, dopotutto.
***
La
memoria era sempre
stata a cuore a Mictlancihuatl. Aveva avuto la massima cura di quella
dei
mortali, nel loro passaggio verso un diverso piano
dell’esistenza. L’aveva
manipolata, donando a Quetzalcoatl l’oblio che andava
cercando. Ci aveva
persino giocato, fingendo di aver perduto i ricordi della sua vita da
mortale per
non venire accusata di essere guidata, nelle sue azioni, da difetti
umani.
Quale
miglior
contrappasso, per l’anima mortale che avrebbe custodito
quella divina, che veder
scomparire davvero la propria memoria? Niente di che,
all’apparenza, visto che
diverse divinità avevano avuto modo di dimenticare, del
tutto o in parte, la
loro vita passata. Anzi, in fin dei conti, appariva come bel
risarcimento per
la vita di Malintzin precocemente spezzata, oltre che per
l’esser stata
defraudata del suo diritto all’eterno riposo, una volta
deceduta: avrebbe
potuto godersi finalmente la vita, una vacanza lunga cinquecento anni
nella più
beata ignoranza. Ma Mictlancihuatl avrebbe avuto ancora così
tante cose da
dire… e stavolta le aveva dimenticate sul serio.
Si
dice che tutta la
tua vita ti scorra davanti quando stai per morire… ed era
vero. Solo che, per
tutte le divinità,
era davvero tutta la vita
precedente. Per
Mictlancihuatl valeva l’esatto contrario. Tornata nuovamente
mortale, aveva
vissuto spensierata una vita dopo l’altra, con gli ovvi alti
e bassi dell’umana
esistenza. Poi, verso i diciassette-diciotto anni circa, iniziava a
vedere cose che non avrebbe dovuto
vedere,
avvertire sensazioni strane, a fare incubi incomprensibili. Infine, un
normale
giorno d’agosto, i ricordi ritornavano, e con essa la
consapevolezza. Non aveva
quasi mai il tempo di realizzarlo pienamente.
L’ultima
volta era
avvenuta una sera d’agosto del 2000, quando venne investita
mortalmente da
un’auto che era andata a schiantarsi a folle
velocità sulla piazzetta dove un
gruppetto di adolescenti stava commentando il film appena visto al
cinema.
Diciotto anni prima, in una soleggiata mattinata d’agosto al
mare, aveva fatto
un salto azzardato dalla scogliera e, sfortunatamente per lei,
l’acqua non era
stata così profonda come lei aveva creduto… poi
ci furono l’incidente in moto,
l’incendio in una discoteca attrezzata con dispositivi di
sicurezza obsoleti,
l’avvelenamento da monossido di carbonio per colpa di una
stufetta difettosa,
un increscioso caso di malasanità… e
così via, ogni diciotto anni, sempre nel
mese di agosto. A quel punto ricordava tutto… ma non aveva
la possibilità di dire
quello che doveva dire, costretta nell’agonia
dell’ultimo respiro… e comunque,
raramente aveva avuto la fortuna di avere, accanto a sé, la
persona con cui
avrebbe tanto voluto parlare. Esistenze diverse, fine vita sempre
varie, un
unico punto in comune: avere tutta la vita davanti, e non riuscire a
viverne
neppure una fino in fondo.
Alla
divinità dei legami
affettivi, mantenuti saldi tra due piani dell’esistenza
attraverso il ricordo
delle persone amate in vita, era stato impedito di mantenere i suoi, di
affetti. Nel momento in cui il ricordo li avrebbe fatti riaffiorare,
sarebbe
sopraggiunto il decesso: non solo sarebbe stato cancellato nuovamente
l’antico
affetto, ma sarebbero stati spezzati anche gli affetti creati nella
vita
corrente. L’estremo meccanismo di difesa: se non puoi
ricordare, non puoi
amare; se non puoi amare, nessuno potrà farti soffrire di
nuovo. Fortunatamente
per lei, non era consapevole di nulla. Si godeva la vita e gli affetti
stabiliti durante l’attuale esistenza. Il peso del ricordo
era stato lasciato
agli altri.
Alma
avrebbe potuto
parlare. Esqueleto ti metteva nelle condizioni di rammentare il tuo
passato, se
eri abbastanza pronto ad ascoltarlo: così aveva detto a
Mordecai, ed era vero. Dopo
cinque anni a contatto con il potere, la bambina non ricordava tutto
(guai a
lei, se fosse successo!) ma ricordava abbastanza. Di quel che
ricordava, la
bambina non sembrava toccata da nessuna delle emozioni che Malintzin, o
Mictlancihuatl, potevano aver provato, come fossero stati ricordi
estranei
appartenuti ad un’altra persona. Alma sapeva cosa
Mictlancihuatl avrebbe voluto
dire, se solo avesse potuto, ed era abbastanza in salute per poter
riferire il
messaggio al suo destinatario: mi
dispiace, mi sei mancato. Sfortunatamente, o fortunatamente,
la bambina non
aveva alcun interesse a farlo. Parlare alla persona che
l’aveva rinchiusa lì
dentro? Sul serio? Quelle parole non le appartenevano più.
Ormai era al
corrente dei motivi che avevano portato Dorian ad allontanarla dalla
sua casa,
razionalmente lo capiva, ma al suo cuore di bambina non interessava.
Anche
quando aveva
rivisto Mordecai, lo aveva riconosciuto, ma stop. Era stato il suo ex
ma,
ormai, il ragazzo gli faceva solo una superficiale tenerezza, forse
giusto un
po’ preoccupata nel vederlo così spaesato e
preoccupato, quindi ok, si faceva
una chiacchieratina ma poi arrivederci, è stato bello avere
a che fare con
qualcuno non pericoloso e che fosse ancora vivo.
Ovviamente voleva che anche Mordecai restasse vivo e vegeto,
sennò col cavolo
che sarebbe mai più uscita da lì! Jason e
Moravich? Era stato antipatico, da
parte delle due divinità, mettere nei guai Mictlancihuatl,
ma ciò che stava
davvero sulle scatole alla bambina era quel che avevano fatto in quella vita, averla portata via con
l’inganno. Quanto a Dorian… beh, meglio lasciar
perdere. Ormai, Alma era ormai quanto
di più lontano dalla vecchia se stessa. Per quel che
ricordava, almeno.
Mictaltechutli
non
riceveva molte visite dalle divinità, e ne era lieto. Due
visite del serpente
piumato erano state più di quanto avrebbe solitamente
tollerato. Itztlacoliuhqui
Ixquimilli era consapevole di giocare col fuoco, ma non aveva avuto
altra
scelta che contattarlo, se voleva capire cosa era successo a
Quetzalcoatl al
termine della loro discussione. Rimase dunque assai sorpreso nel
sentirlo non
solo disposto ad ascoltarlo, ma anche a fare molto
di più.
“So
cosa ha fatto
quell’imbecille del tuo compagno. Se è il mio
aiuto che cerchi, ti farò
un’offerta che non potrai rifiutare”.
Se
Rigore e Giustizia,
ben ligi al mantenere l’equilibrio, avessero teso la mano al
caos generato
dall’Amore e dalla Compassione, forse il sovvertimento
dell’ordine prestabilito
non sarebbe stata una pura follia dettata dalla disperazione.
Piccole
note sulle scelte narrative
Mictlancihuatl:
nell’unica
immagine della Signora del Mictlan che ho trovato, teneva la bocca
spalancata. La
didascalia diceva che mangiasse le stelle per farle sparire dal cielo
durante
il giorno (un ruolo simile a quello di Xocotl nel fumetto) ma confesso
che
l’immagine che mi aveva fatto venire in mente era quella dei
macrofagi di Siamo
fatti così XD. Ho preferito quindi trasformarla in una sorta
di Jigglipuff (sì,
il pokemon), visto che, in fondo, esistono leggende su musiche che
portano alla
morte. Anyway, da una iconografia simile, posso dedurre che
Mictlancihuatl
potesse uscire dal Mictlan. Avevo inoltre letto che, in
un’altra versione dei
miti che la riguardano, andava lei stessa a recuperare le ossa disperse
sulla
terra per portarle nel Mictlan e custodirle là assieme alle
altre, tale
versione viene affermata anche in questo interessantissimo video à
https://www.youtube.com/watch?v=s28sYCF5-Ak&t=877s
. Queste informazioni mi avevano portato dunque a scegliere di mandare
a zonzo
la Signora per “trasferte lavorative” autorizzate.
Nei
vari siti internet,
inoltre, tutti son concordi nel considerarla l’origine della
Santa Muerte
messicana. Influenzata da Coco e da Il libro della vita, dove era
importante
che i morti venissero ricordati, mantenendo un legame basato
sull’affetto, ho
mantenuto questo aspetto anche per Mictlancihuatl. Poi, ho letto questo
su
Wikipedia e niente, ho volato alto: “Secondo
la credenza popolare, invocarla o votarsi ad essa senza un valido
motivo,
sarebbe considerato un atto estremamente pericoloso se compiuto in
maniera
superficiale ed effimera. Si pensa che il castigo per un simile gesto,
così
come per una promessa fatta non mantenutale, verrebbe ad essere la
morte, non
propria, ma di una persona cara” . Ecco
perché avevo scelto di fare della
memoria e dei legami affettivi il centro delle azioni di Mictlancihuatl
(come
avevo già scritto per Felipe e Santos, tutte le
divinità, nella vita mortale,
subiscono un contrappasso più o meno pesante) ed ecco
perché lei, alla fine, è
“morta di crepacuore”. Dorian è stata la
prima vittima di quanto descritto
nella credenza popolare.
Nota
su alcune frasi di
Mictlancihuatl: alcune sono palesemente prese dalle citazioni immense
di Yuuko
Ichihara ̛♥ nel primo volume di XXX Holic! Lasciatemele
usare senza biasimarmi,
vi prego! Ecco le frasi originali: “Quando si riceve qualcosa
è essenziale,
anzi necessario, compensare con qualcosa di egual valore. Non sta bene
né
ricevere troppo, né ricambiare con troppo, né
dare in eccesso, né in difetto,
ma solo l’equivalente. Bisogna bilanciare altrimenti si
rischia di intaccare il
suo corpo terreno, il destino dei suoi astri, l’anima del
cielo”. “Nessuno è
tanto speciale da non rientrare nell'ordine delle cose”.
Un
ultimo appunto su Quetzalcoatl
che, nel non accorgersi che
la popolazione mesoamericana stava soffrendo, sembra fare un
po’ la figura del
pirla. Nel mito, comunque, sembra che la presenza del dio fosse
effettivamente
venuta meno, ad un certo punto, sempre per colpa di uno scherzetto di
Tezcatlipoca,
tant’è che, quanto comparve Hernan
Cortés, quest’ultimo sembra fosse stato
scambiato per il serpente piumato, complice la pelle bianca e una
profezia sul
ritorno del dio che, fatalità, cadeva proprio
nell’anno dell’arrivo dei
conquistadores spagnoli. Che culo.
|
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Capitolo 12 *** Giorno 27: piece by piece (pezzo dopo pezzo) ***
Giorno
27 ottobre: piece by piece
(pezzo dopo pezzo)
Disclaimer:
Il mio neuroncino fanwriter è partito per la tangente, con
le ipotesi su
Esqueleto e i suoi abitanti, chiaramente tutto cadrà come un
castello di carte
quando avrò tra le mani il terzo volume, e non vedo
l’ora che ciò avvenga
presto. Mi ero già dilettata in passato, con Thomas, Mattie
e Franklin, oggi
riprovo a fare il mio gioco preferito: la caccia alla
divinità azteca, ossia
indovina quali sono le altre divinità nascoste dietro a
insospettabili umani.
Esqueleto,
in senso lato, potrebbe essere descritta come una prigione, dal momento
che era
materialmente impossibile uscire dalla città e che si era
costantemente sorvegliati.
Questo poteva apparire snervante nei primi tempi di detenzione,
soprattutto se avevi avuto una vita, o una famiglia in
angoscia per la tua scomparsa, fuori da Esqueleto, ma quando finalmente
ci si
faceva l’abitudine, le calacas di Emanuel diventavano presto
un trascurabile
elemento del paesaggio circostante. Inoltre, a differenza di una
normale
prigione, dentro i confini di Esqueleto potevi fare praticamente tutto
quello
che volevi, stando ovviamente bene attento a non pestare i piedi a
qualcuno che
aveva il potere di farti pagare
caro
l’affronto. Se poi la tua famiglia era reclusa insieme a te,
almeno l’angoscia
diventava più gestibile, anche se non svaniva mai.
Valiant
aveva sempre aspirato a una vita tranquilla, modesta ma dignitosa.
Divenuto
prigioniero della città, aveva avuto il rimpianto di non
poter allevare altrove
i suoi figli. Esqueleto non era precisamente un luogo adatto dove
crescere
bambini, ce n’erano così pochi, e quello non era
nemmeno il problema
principale!
Riacquistati
i ricordi della sua prima vita, non
aveva cambiato idea circa il rimpianto di non poter allevare altrove i
suoi
figli; eppure, questo sì che era paradossale da ammettere,
riteneva che non potesse
esistere un luogo migliore dove crescerli, all’infuori di
quella città. Il
motivo?
Durante
la sua vita fuori da Esqueleto, Valiant non aveva programmato diventare
padre così
giovane eppure, quando arrivarono i gemelli, con un tempismo del tutto
inaspettato, si era sentito come se avesse sempre saputo di essere al
mondo per
loro. Non si era mai risparmiato, e non si era mai pentito di nessuno
dei
sacrifici che, in quanto ragazzo padre, aveva scelto di compiere.
Valiant aveva
visto i figli crescere e si era spesso stupito nell’osservare
lo sviluppo di
personalità così diverse dalla sua: si era
domandato spesso da chi avessero
preso. Guardandoli, si era reso conto che i bambini erano davvero altro
da sé,
come scrivevano gli psicologi dell’età evolutiva
nei manuali per il perfetto
genitore, e sarebbe dovuto essere, in effetti, una cosa del tutto
normale.
Invece, non aveva saputo reprimere un senso di inquietudine nel
constatare che
c’era qualcosa, nei suoi
figli, che non riconosceva. Li
percepiva come estranei. Questa
sensazione era
decisamente diversa da una semplice presa di consapevolezza
dell’individualità
dei ragazzi, e Valiant si era chiesto se, forse, lui non fosse altro
che un
padre snaturato che desiderava un rapporto simbiotico con i figli, o
che i
bambini crescessero a sua immagine e somiglianza.
Una
volta sceso a patti con la consapevolezza di essere una
divinità e di essere
prigioniero nella città maledetta da Emanuel, Valiant aveva
trovato nella sua routine
di cameriere al Pavo del Corral e di padre single la salvezza per i
suoi nervi.
Sarà pure stato il "Signore delle acque”, ma le
acque chete (anche se non
meno pericolose) erano decisamente più nelle sue corde. Il
giovane padre aveva
intuito le minacce nascoste dietro a quell’apparente
cittadina fittizia, ma aveva
ben presto capito che la minaccia non era rivolta ai suoi figli, e
questo gli
bastava. Questo lo consolava ma, allo stesso tempo… lo
rattristava, con
conseguente, ovvio, senso di colpa. Avrebbe voluto avere la forza di
proteggere
i suoi cari ragazzi da ciò che
sarebbe
sicuramente accaduto. Perché adesso aveva compreso
il senso di estraneità
che aveva percepito nei suoi ragazzi. Una cosa era stata lampante fin
da
subito, non appena ebbe riottenuto i ricordi e il potere: solo una
divinità
poteva accedere ad Esqueleto e, in qualunque parte del mondo si fosse
trovata, il volere divino l’avrebbe guidata
verso la città, come una
lanterna attirava le falene con la sua luce. Se i suoi figli fossero
stati dei
semplici umani, non sarebbero riusciti ad accedere alla
città, neppure se
fossero stati tenuti in braccio durante l’attraversamento del
confine. Valiant
si chiedeva perché il destino avesse deciso di rendere proprio lui il custode di tre giovani
divinità. Aveva il suo senso,
comunque: se ci si incarnava troppo tardi, la divinità
sarebbe stata troppo giovane
per spostarsi in autonomia, sarebbe rimasta fuori da Esqueleto e, in
tal caso, non
sarebbe più potuta tornare,
alla fine
di tutto; ma se
fosse stata scarrozzata
da qualcun altro… Valiant non poteva saperlo, prima,
ma era stato usato, come un uccello che allevava i pulcini
di un cuculo. Poteva solo supporre l’identità dei
tre piccoli clandestini, senza
avere comunque
nessuna certezza. Affrontare la scoperta della propria vera
identità era un fatto personale. Privato. Valiant
era stato
tagliato fuori da quella dei suoi figli, con sua somma delusione,
prontamente
dissimulata, nell’attesa che fossero i ragazzi stessi a fare
il primo passo
verso di lui. Un’attesa, fino a quel momento, vana. Tra
l’altro, Delia, Johann
e Karol non vennero toccati dalla maledizione, pur essendo arrivati
insieme a
Valiant, e la cosa sembrava
aver sancito
un’ulteriore, impercettibile presa di distanza dal loro
padre. Dopo un periodo
di crisi, aveva raggiunto la consapevolezza che, dopotutto, chiunque
essi fossero,
a lui non importava. Loro erano Johann, Delia e Karol, in quel momento,
e
avrebbe benedetto ogni singolo giorno che ancora potevano passare con
la loro
identità umana. Tra l’altro, a lui stava bene che
i ragazzi non fossero stati
costretti a badare a se stessi, che avessero potuto contare (e
potessero
contare ancora) su qualcuno che li amasse incondizionatamente, ossia
Valiant
stesso.
Non
c’era mai stato un lago, prima del suo arrivo. Valiant voleva
fare qualcosa per
alleggerire le giornate dei bambini, e cosa c’era di meglio
di un bello
specchio d’acqua vicino alla loro nuova dimora, dove tuffarsi
e divertirsi
nelle giornate di sole? Era stata un’ottima motivazione per
testare il suo
potere, tornato a lui dopo tutto quel tempo… e il progetto
aveva entusiasmato
anche Murdock, per ovvie ragioni. Non gli si poteva certo nascondere un
progetto del genere e Valiant aveva accettato con gratitudine la sua
collaborazione. Due divinità dell’acqua, in fondo,
erano meglio di una, e
l’antica affinità che provava per Amimitl era
riemersa dall’oblio dei secoli.
Senza contare che il libero accesso a un lago avrebbe potuto essere un
bel modo
per distendere rapporti di buon vicinato con gli altri,
indipendentemente da chi
fossero e da chi fossero stati,
sempre
a vantaggio di quella tranquillità che tanto anelava.
Emanuel non era stato
disturbato da quella miglioria alla sua creazione (ammesso che avesse
fatto
tutto da solo, cosa su cui Valiant era stato decisamente scettico);
anzi, il
moro gli aveva addirittura chiesto (il carceriere che chiedeva a un
detenuto,
altra bizzarria di quel carcere) di
estendere l’acqua attorno a tutta la sua abitazione, in modo
da poter tenere
fuori dai piedi i potenziali disturbatori, e Valiant non aveva potuto
dire di
no, per il solito quieto vivere.
Quel
tardo pomeriggio di novembre, nel suo giorno libero, Valiant osservava
quanto
aveva costruito in quegli anni, e non si trattava soltanto del lago con
il
pontile, lussuriosamente spanciato in acqua nella sua forma animale. I
suoi
ragazzi erano cresciuti bene, e non poteva che essere orgoglioso di
loro: sembravano
sereni. Karol e Johann stavano giocando la loro ennesima partita a
scacchi, eternamente in
rivalità (ma non in
conflitto) su chi dei due fosse il migliore, mentre Delia, con il suo
solito
atteggiamento distaccato e superiore,
leggeva un libro dal titolo assai discutibile (Via col daddy:
cos’era, una dichiarazione
d’intenti?) scovato
sicuramente in biblioteca – o magari passatole personalmente
da Artemisia
stessa. I suoi ospiti, amici da ben
più
di una vita, si stavano divertendo tra tuffi, nuotate e
chiacchiere
leggere. Sarebbe stato bello se quella serata fosse durata per sempre
ma, con
l’arrivo di Mordecai a Esqueleto, il quieto vivere aveva i
giorni decisamente
contati. Il countdown era già partito da un pezzo, in
verità, e questo era
risaputo persino tra gli umani che si prendevano gioco di quella data (i sacerdoti Mexica avevano
adorato i calcoli matematici
ben più di Atlahua stesso in passato – o di
Valiant nel presente) ma era
innegabile che l’arrivo di Quetzalcoatl avesse messo in
allerta tutti, come
fosse stato un inconsapevole messaggero del monito che l’inevitabile
era ormai imminente.
Al
momento però, il biondo era soltanto il portatore della cena
ordinata al Pavo,
nelle sembianze di un assai tenero cervo – no, daino, come
ebbe modo di
correggere il più saputello della sua prole.
Valiant
non era del tutto in pace con se stesso: si sentiva in colpa
nell’aver scelto
di tenere Mordecai all’oscuro e vederlo, per questo,
così a disagio nel
trovarsi in una situazione che non conosceva. Gli era stato imposto di
tacere e
l’avrebbe fatto – sempre per quieto vivere.
Dopotutto, il biondo non era in
pericolo, non lo era nessuno a dire il vero. Semplicemente, il serpente
piumato
andava tenuto tranquillo, affinché non facesse altre
stupidaggini. L’ultima sua
stupidaggine era costata parecchio a tutto il pantheon azteco, seppur
indirettamente.
Presto,
molto presto, Johann, Delia e Karol non ci sarebbero stati
più, soppiantati dal
riemergere definitivo delle loro vere identità…
sarebbe andato perduto anche il
loro legame, visto che Atlahua non aveva avuto alcun figlio? Questa
eventualità, talvolta, gettava nello sconforto il povero
Valiant. Forse era
stato davvero solo un povero pennuto sfruttato da una nidiata di
piccoli
cuculi, dopotutto…
Con
pensieri del genere in testa, era più che naturale
contraddire l’accurato
pronostico di Johann circa la sicura vittoria di un coccodrillo in una
gara di
nuoto, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
“Papà,
sei stato una schiappa!” lo canzonò Karol.
“La
fisica non spiega come sia possibile che tu abbia perso!!!”
commentò incredulo
Johann.
“I
tamales me li sono meritati come premio di consolazione?”
chiese Valiant in
tono leggero, per dissimulare il fatto di aver bisogno davvero di
comfort food,
in quel momento. Proprio lui, che poco prima era andato a fare la
morale a
Mordecai circa il non essere sempre angosciato!
Poi
però…
C’era
stato il sostegno di Johann, che aveva preso su di sé la
maggior parte del peso
di Valiant per aiutarlo a salire sul pontile, proprio lui che preferiva
l’uso
della testa a quello dei muscoli ed evitava sempre qualsiasi incombenza
fisica.
C’era stata la delicata carezza dell’imperturbabile
Delia sulla sua dura
corazza verde, mentre aiutava il fratello a sollevare il padre.
C’era stato il
sorriso dolce che gli aveva rivolto Karol, il figlio che aveva fatto
del broncio
arrabbiato il suo marchio distintivo e, pertanto, qualunque cambio di
espressione era da celebrare come un evento più unico che
raro.
Erano
stati atti così piccoli e fugaci che avrebbero potuto
benissimo passare inosservati,
ma ebbero su Valiant l’effetto di una magia benefica che
aveva sciolto la sua
preoccupazione.
Forse,
Johann, Karol e Delia avrebbero conservato qualche ricordo del loro
papà, o
forse no. Avrebbero continuato ad amarlo, o forse lo avrebbero lasciato
indietro, chi lo sa. Ma avrebbero preso il vento verso la vita, e a
Valiant, l’uomo,
o ad Atlahua, il dio delle acque, sarebbe andato bene così.
I ricordi che
stavano costruendo insieme, pezzo dopo
pezzo, non avrebbero potuto cancellare le prove
dell’esistenza di un legame
affettivo forte come quello che Valiant e i suoi figli avevano
costruito, se
anche soltanto uno di loro li avesse conservati nel cuore come il
più prezioso
dei tesori.
***
Nota
finale
Comunque
non so se Atlahua avesse avuto davvero figli, non ho trovato niente a
tal
proposito quindi… magari non è nemmeno Valiant.
Anche perché, in alcuni siti
web, Atlahua sembra essere semplicemente una variante di Tlaloc, quindi
boh… Oh,
io ci gioco, poi chi vivrà vedrà e
leggerà…
Fun
fact: non ho accennato alla eventuale madre di Karol, Delia e Johann
perché…
beh, secondo me non è mai esistita! Ha fatto tutto Valiant!
Ma non avrebbe
avuto senso con la storia scritta sopra, che voleva essere un pensiero
sui
genitori che “non riconoscono” i propri figli, a un
certo punto della loro
vita, ma che li accettano e li amano per quello che sono, solo che per
Valiant
il problema era un po’ più sovrannaturale! Quindi
ho soprasseduto sulla
eventuale “signora Molotov”…
Comunque,
più scrivo e
più
mi accorgo di schifare i dialoghi. Male, molto male!
|
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Capitolo 13 *** giorno 11: odore di marciume ***
11 ottobre odore
di marciume
Piccolo
disclaimer: sia chiaro, non sto seguendo una trama
logica. Sostanzialmente, il mio è più un
giochetto fine a se stesso à prendo un
prompt e mi chiedo come si
possa piegare o interpretare nel mondo di Calaca in modo verosimile.
Ergo,
magari nel prossimo capitolo parlerò di tutt’altro
e quello che ho scritto qui
non avrà più seguito. O forse sì,
vedremo.
Altra piccola
nota. Quando ho scritto le prime storie, avevo
rispettato una challenge che richiedeva la pubblicazione di una storia
al
giorno. Alcune cose, quindi, erano scritte con
superficialità (oltre che non
una grammatica un po’ meh). In teoria, pure questo goretober
richiedeva una
pubblicazione giornaliera dei prompt ma era davvero impossibile per me
rispettarla,
nemmeno se avessi avuto tutto il tempo libero. Comunque,
all’inizio avevo
dichiarato che Alma era arrivata ad Esqueleto a 8 anni e che era stata
prigioniera 5 anni, portando la sua età a 13 anni,
praticamente quasi coetanea
dei gemelli Molotov. Nella mia immaginazione, però, lei
è più piccola di Delia,
Johann e Carol, quindi ho ritoccato l’età iniziale
e, nel capitolo, la sua età
si è abbassata a 6 anni e gli anni di prigionia ridotti a 4,
in modo che, nella
linea temporale attuale, abbia tra i 10 e gli 11 anni. Non che ai fini
della
trama cambi qualcosa, ma almeno è più in linea
col mio immaginario. Ho ancora
qualche dubbio riguardo le linee temporali, ma spero vada tutto bene.
Semmai
rettificherò.
***
Erano passati
diversi giorni da quando Emanuel aveva costretto
Mordecai a compiere un sacrificio umano nel corso della sua ultima
sfida, e non era successo niente. A
seguito della
libagione di sangue imposta al biondo, i poteri di Quetzalcoatl, a
lungo
sopiti, erano tornati in pieno regime, sebbene il legittimo
proprietario non se
ne fosse nemmeno accorto. Per Mordecai, nulla sembrava essere cambiato,
eccetto
il fatto che, al tramonto, non si trasformava più in un
daino. Mordecai aveva
continuato a comportarsi come aveva sempre fatto: lavoro al Pavo
durante il
giorno, incontri più o meno imbarazzanti con gli avventori
del locale, serate
in compagnia dei fratelli a parlare del più e del meno
– il biondo non
accettava deviazioni di
conversazione su
altri tipi di argomento. Era diventato molto più sospettoso
e stava molto più sulla
difensiva nei confronti dei suoi amici e fratelli, e questo era
l’unico cambiamento
degno di nota nel suo atteggiamento. Non era la conseguenza che ci si
sarebbe
aspettati da qualcuno che avrebbe dovuto riottenere dei ricordi sopiti
da
troppo tempo.
Questa mancanza
di consapevolezza non avrebbe dovuto
verificarsi, a meno che…
Emanuel aveva
già avuto qualche sospetto quando, molti mesi
prima, aveva visto un etereo barbagianni sottrarre il medaglione a
Mordecai per
guidare il giovane dritto da Jason e Moravich. Dopo l’ultima
sfida, il suo sospetto
si era intensificato, e il moro era ben intenzionato a farlo diventare
una
certezza, prima di decidere la mossa successiva.
Naturalmente,
Emanuel poteva spostarsi ovunque, all’interno
di Esqueleto, trattandosi di una sua creazione. Quanto
all’accesso al cimitero,
non gli serviva certo il permesso di una niña,
avendo già avuto il benestare di Dorian da sempre.
Gli scocciava dover giocare a nascondino,
ma la niña, molto
probabilmente,
aveva già saputo che era lì e, probabilmente, era
già entrata in modalità
coniglietto, nascosta dietro a qualche tomba. Non che le lapidi
potessero
offrire chissà quale riparo, per quanto fosse minuta la
bambina.
Contrariamente
alle sue aspettative, la trovò invece intenta
a cercare qualcosa tra le aiuole, mentre arricciava in continuazione il
naso, a
tal punto concentrata da ignorare completamente il suo visitatore. La
bambina sembrava
più in forma rispetto all’ultima volta che aveva
avuto a che fare con lei, e il
colorito del suo incarnato ben più sano, come quello che
aveva avuto Malintzin.
Il suo ragno da guardia stava
appollaiato pacifico sulla testa della bambina, come fosse stato un
docile
criceto. Nel frattempo, qualche quaglia beccava pigramente in giro.
“Buongiorno”
attirò piattamente la sua attenzione. La niña
saltò con uno strillo per la
sorpresa, voltandosi verso il moro, come fosse stata beccata con le
mani nel
sacco in un momento poco opportuno. A seguito del brusco movimento, il
ragno
era precipitato dalla testa di Alma come una piccola patata, e guardava
ora il
nuovo arrivato con indignazione.
“Che
sorpresa vederti qui Emanuel!” pigolò. Il moro non
rispose. Non era lì per fare convenevoli, e trovò
strano il fatto che la bambina
non avesse notato la sua presenza.
“Dorian
non è qui” disse la piccoletta mentre si sfregava
le
narici con le dita. Sembrava infastidita, come se avesse
un’allergia ai
pollini, seppur fuori stagione.
“Non
sono qui per lui” replicò l’altro.
“Cercavi
me?” si stupì la bambina. In fondo, quella era la
seconda volta in quattro anni che le rivolgeva la parola.
“Vedi
qualcun altro intorno?” domandò scettico, ma
comprendendo
solo un attimo dopo la stupidità della sua domanda.
“Beh…
sì” rispose Alma con mezzo sorrisetto, alludendo
alla
sua capacità di vedere i defunti che avevano avuto la
disgrazia di morire in
quel luogo, carico di una magia così antica da averli
intrappolati lì nel corso
dei secoli, da ben prima che Dorian lo indicasse ad Emanuel, in cerca
del posto
perfetto che fungesse da base per creare la sua città
maledetta.
La bambina
approfittò del momentaneo sovrappensiero di
Emanuel per allontanarsi alla chetichella ma il moro
l’acchiappò quasi subito
per il colletto della maglietta.
“C’è
una cosa che vorrei chiederti, niña
blanca” disse il moro sollevandola e poggiandola
gentilmente a
sedere sopra una lapide per non farla sgattaiolare via facilmente, con
espressione seria.
“Guarda
che ce l’ho un nome. Potresti chiamarmi Alma come
fanno tutti.” brontolò la bambina, scandalizzata
per quella violazione del suo spazio
personale.
“Tutti
chi?” alluse al fatto che non vi erano molte persone viventi con cui la bambina potesse
interagire.
“Beh,
io mica ti chiamo Devastatore
di capelli”.
“Ce
l’hai con me per la tua treccia tagliata al tuo
arrivo?”.
“Potevi
spiegarmelo in un altro modo che mi sarei incenerita
se avessi messo piede fuori dal cimitero!” replicò
indignata.
“È
stato più semplice e rapido così. Comunque
Alejandro te li
ha sistemati, quindi non lamentarti”.
“Vorrei
vedere te se avessero tagliato i tuoi!” protestò
in
tono polemico.
“Lo
stai facendo apposta?”
“Che
cosa?”
“Sviarmi
dalla domanda che devo farti”
“Ci
stavo riuscendo però”
“Potrei
essere meno gentile di così”
“Certo,
come lo sei stato con Jason?” chiese, serafica.
Emanuel, con la mente occupata da pensieri ben più urgenti,
tra perdita del
medaglione e l’arrivo in città del serpente
piumato, non si era accorto, al
tempo, della presenza di Alma durante l’interrogatorio
subìto dal giovane
l’anno precedente, proprio al cimitero, e conclusosi con
l’intervento di
Dorian.
“Non
è educato guardare di nascosto” replicò
calmo.
“Io
guardo quello che mi pare. C’eri tu a casa
mia, non il contrario”
“Casa tua?”
continuò a mantenere lo sguardo serio ma si compiacque di
quella affermazione.
“Va
bene, casa sua,
ma qui ci vivo io, non
lui” replicò,
alludendo a Dorian.
“E
comunque non dire che non ti è piaciuto quello che hai
visto. So bene che Jason e Moravich non ti sono…
simpatici”.
Alma
cercò di trattenere un sorrisino, senza tuttavia
riuscirci. Il moro non aveva affatto torto. Emanuel decise di aver
perso fin
troppo tempo e andò al sodo.
“Bene,
allora fa’ la brava e rispondi alla mia domanda. I
poteri di Quetzalcoatl si sono risvegliati, ma la sua coscienza
è ancora sopita.
Perché Mordecai non ricorda niente del suo
passato?”
“Perché
ci sei andato giù pesante con la tua ultima sfida,
probabilmente” commentò, soffiandosi il naso con
un fazzolettino pescato da una
tasca.
“Oh,
io non credo proprio. Perché ho come l’impressione
che
c’entri tu?”
“Perché
hai l’impressione che c’entri io?”
chiese, senza
nemmeno guardarlo, intenta a mettere via il fazzoletto. Emanuel si
chiese per
un momento se lo stesse prendendo in giro.
“Sei
stata tu a praticare l’incantesimo che lo ha reso
mortale. Questo, ormai, lo dovresti ricordare”.
“Come
fosse successo ieri” ammise Alma candidamente.
“Hai
trattenuto una parte della sua anima come pagamento”.
“Mi
hanno già fatto l’interrogatorio, e non
è stato
piacevole” mormorò amaramente. Proseguì
con in modo più provocatorio: “Se lo
sai allora Dorian ti ha già detto tutto, non capisco
perché sei qui a chiederlo
anche a me”.
“Visti
i tuoi precedenti, non posso essere certo che tu abbia
detto proprio tutto a Dorian”.
Quella domanda
indispettì moltissimo la bambina. Avrebbe
dovuto rispondere docilmente dopo una tale, scortese, insinuazione?
“Hai
scrutato le anime dei mortali per trovare l’unico
individuo su questa terra con un’anima parziale, tagliata da me.” fece una breve pausa, a
riflettere
su quanto le suonava strano parlare in prima persona di una cosa fatta
da una
divinità adulta, di una vita che non percepiva
più come sua. “E,
non trovandolo, hai cominciato a rubare parte
dell’anima delle persone che entravano ad Esqueleto. In
questo modo, ti sei
guadagnato energia spiccia senza versare sangue”
l’accusa venne lanciata con leggerezza,
a dimostrazione che, seppur confinata, seppur trattenuta,
Alma poteva vedere,
sentire ciò che accadeva alle anime di quella
città, incluse quelle dei
vivi. “Hai potenziato delle calacas
animali legandole alle anime appena tagliate non solo per mantenere
integre quelle
persone, ma anche per nutrire, a tempo debito, quell’anima
parziale che hai
finalmente ritrovato, con la scusa delle sfide” concluse, in
evidente
riferimento alle calacas che, recuperate da Mordecai, erano
puntualmente
confluite non nel medaglione, ma dentro
di lui, cambiandolo senza che lui se ne rendesse conto. Ciò
lo aveva
inevitabilmente reso più forte e pronto
a risvegliarsi, al momento opportuno.
“Perché
lo stai facendo?” concluse la bambina.
“Al
termine della sfida, Mordecai avrebbe dovuto ricordare la
sua vita passata. La coscienza di Quetzalcoatl risiede nella parte di
anima che
lui ti ha consegnato, è così? È per
questo che non sa ancora nulla” il moro lanciò
la sua accusa senza badare alle osservazioni appena esposte da Alma,
così
scontate da non necessitare una sua conferma.
“Se io
rispondo alla tua domanda, tu risponderai alla mia?”
“Perché
dovrei parlare ad una niña dei
miei pensieri?”
“Perché
sto iniziando a stancarmi di essere trattata come una
niña da tutti voi” rispose con un tono molto
amaro. Emanuel non tradì alcuna
espressione ma si compiacque nuovamente nell’udire quelle
parole. Dietro quel niña
c’erano molti più riferimenti di
quanti la parola stessa ne era portatrice.
“Potresti
fare la fine di Jason, se non stai attenta a quello
che dici” minacciandola di farle subire la stessa ritorsione
che aveva inflitto
al fratello del serpente piumato.
“Dorian
te lo ha lasciato fare, e probabilmente te lo
lascerebbe fare anche con me: suppongo che avere dei servitori muti non
possa
fargli altro che piacere. Ma in tal caso porterei le mie risposte...
nella
tomba. Ce ne sono parecchie qui”.
Emanuel non si
era fermato davanti a nessuno pur di
raggiungere i suoi scopi e non aveva alcun motivo per accettare il
compromesso
di una piccoletta. Invece, rispose, e non solo perché sapeva
non essere il caso
di andarci giù pesante al punto da infastidire Dorian.
“Ho
cercato a lungo Quetzalcoatl. Non ho avuto altro scopo in
questa vita, né in tutte le altre. Sì, ho rubato
parte delle anime per
accumulare potere da usare per questo scopo, e per alimentare la mia
presa su
Esqueleto e demotivare gli eventuali sabotatori del mio piano. Ho fatto
tutto
questo perché, se Quetzalcoatl non tornerà
entro la fine dell’anno…” il moro non
riuscì di
proseguire la frase, come se non esprimere
a parole il suo timore più grande avesse potuto in qualche
modo renderlo meno
fattibile. La bambina non aveva bisogno di altre parole per
comprendere. Sapeva
bene cosa sarebbe successo all’anima di Quetzalcoatl se fosse
rimasta nella sua
temporanea forma mortale prima alla fine dell’Era del Quinto
Sole. In fondo, era
stata lei stessa metterlo in guardia da tale possibilità,
cinquecento anni
prima, quando gli aveva concesso di abbandonare la sua essenza divina.
Alma
abbandonò il suo atteggiamento sostenuto a fronte di
quelle parole così cariche di sincerità e dolore.
“Non
avevo bisogno di alcun pagamento, né tantomeno di
energia per completare la mia opera. Avevo mentito solo per farmi
consegnare
parte dell’anima da Quetzalcoatl senza destare
sospetti” ammise infine “Hai
ragione quando dici che, in quella parte di anima, sono custoditi i
ricordi del
serpente piumato. Però non l’ho trattenuta,
né ho reclamato alcun potere su di
essa, questo te lo posso giurare”.
“Allora
dov’è?” chiese Emanuel. Stavolta, la
voce tradiva la
sua preoccupazione. “L’ho vista assumere la forma
di un barbagianni, che è una
creatura a te consacrata, non appena Mordecai aveva messo piede ad
Esqueleto” .
“Certo,
sono stata io a dargli quella forma. Ma è sempre
stata con Mordecai, in questi cinquecento anni, anche se nascosta alla
sua
vista. Quetzalcoatl… A ogni sua nuova vita, avrebbe
mantenuto i suoi ricordi…
forse non subito, ma sarebbero tornati. Succede a tutti. Riottenere
pieni
poteri e pieni ricordi è indispensabile per tornare alla
propria forma
originale, ed è necessario che accada prima della fine del
Quinto Sole. Non era
mia intenzione fare più di quanto mi avesse chiesto, ossia
tramutarlo in una
creatura mortale. Ma tu non l’hai visto, quel
giorno… Sembrava davvero turbato.
Disperato. Non mi era sembrato il caso di infierire lasciandogli anche
i
ricordi, per questo avevo scelto di isolare la sua memoria nella parte
di anima
a lui non accessibile”.
Certo che
Itztlacoliuhqui Ixquimilli lo aveva visto. Rivedeva
ogni notte, nei suoi incubi, il serpente piumato che lo accusava di
aver
tradito la sua fiducia. Una pugnalata al cuore avrebbe fatto meno male
rispetto
alla vista della sua espressione addolorata.
“Quindi
non potrà più tornare indietro? Finirà
nel Mictlan
per questo!” esclamò iniziando ad arrabbiarsi sul
serio. La Signora dei morti
lo aveva forse fatto apposta? Era stata una vendetta di Mictlancihuatl,
dopotutto?
“No!”
Alma aveva risposto alla sua domanda fatta a voce ma,
per Emanuel, sembrò la risposta a quella non espressa.
“Quella parte di anima
appartiene comunque a Mordecai! Tornerà a lui quando lui vorrà ricordare! Solo
allora tornerà ad essere consapevolmente
Quetzalcoatl! Nessuna divinità potrà
più giocare con lui su cosa deve o non
deve sapere: la scelta sarà solo sua!”. Era
ciò che Quetzalcoatl aveva sempre
voluto, e che Itztlacoliuhqui Ixquimilli
e i fratelli del serpente piumato non gli avevano mai
concesso.
Questo, se
possibile, era per Emanuel uno scenario quasi
peggiore. Aveva passato secoli a perseguire un obiettivo, pensando di
avere una
possibilità, e l’ultima mossa l’aveva
avuta, da sempre, Quetzalcoatl.
“Ma
andrà tutto bene, indipendentemente dalla scelta che
farà
Mordecai” concluse Alma.
Erano parole di
conforto, le sue? Emanuel ne dubitava
fermamente.
“Cosa
ti fa pensare che sarà così?”
“Tu
non hai intenzione di far perire il Quinto Sole, no?
Quindi Quetzalcoatl non potrà finire nel Mictlan”
rispose come fosse stata la
cosa più ovvia del mondo.
“Quello
era il piano di Quetzalcoatl. Poni caso che io invece
voglia che tutto torni ad essere come prima”.
“Niente
torna come prima. Comunque Huitzilopotctli avrà pure il
potere di lasciar perire il sole ma sei tu
la divinità dei disastri. Come li provochi, li puoi anche
prevedere e impedire, se vuoi. E la
fine di un’Era
è un disastro in piena
regola, con la
gentile collaborazione del mio Signore
Mictlantechutli” assunse un tono sospettosamente sarcastico
alle parole mio Signore,
accompagnato dal gesto
delle dita delle virgolette “Insomma, un bel
gioco di squadra, simile a
quando altri dei hanno creato questo mondo, no?”.
“Io
voglio Quetzalcoatl. Il resto non mi interessa”
chiarì
meglio la divinità.
“Oh,
certo che ti interessa. Se acconsentissi a lasciar
perire il Quinto Sole, non riusciresti più a guardare il tuo
amato negli occhi,
poiché gli avresti consapevolmente tolto l’unica
cosa che lui ti ha chiesto.
Ecco perché sono sicura che farai tutto ciò che
è in tuo potere per impedirlo.
Sei ai ferri corti con Alejandro per questo motivo, no?”.
Emanuel
iniziò a dubitare che le Catrine di zucchero fossero solo
i suoi occhi. Per essere isolata in un perimetro fin troppo
circoscritto, la niña blanca
indovinava un po’ troppe
cose con una precisione inconsueta. Di certo non ne parlava con Dorian,
né
tantomeno coi suoi… ragni? Loro erano gli occhi di
Mictlantechutli, non della
sua Signora, men che meno da quando si trovava in quella forma umana.
Emanuel lanciò
un’occhiata diffidente alla tarantola che girava nervosa ai
piedi della sua
sorvegliata speciale.
“Da
come parli, si direbbe che nemmeno tu voglia la fine del
Quinto Sole”.
“E
perché dovrei volerlo? Ora ho una famiglia, degli amici,
un futuro. Dovrei rinunciarci? Col cavolo! Non c’è
niente per me, nel Mictlan!
I miei genitori non mi riconoscerebbero più, per loro non
sarei più Alma, ma
una servitrice del
Mictlan”. Servitrice?
Emanuel inarcò il
sopracciglio. Singolare
che la Signora
ricordasse quasi tutto tranne un piccolo, seppur cruciale, dettaglio. La rabbia della bambina
iniziò pian piano a montare.
“A
Dorian non stava bene come lavoravo? Benissimo, che mi
lasciasse fuori da Esqueleto ad aspettare la fine come una comune
mortale! Tanto,
non gli servirei più a nulla, men che meno per i ponti di
cempasucil per le
festività dei morti! Non ci sarebbe nessuno vivo per
organizzarle, le feste!
Invece no, a quanto pare deve continuare a farmi pesare il suo sdegno,
il
peggio è che non so perché è
così arrabbiato! Io… non gli servirò
più a nulla…”
Sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro e
invece… iniziò a piangere
“Ma che cosa ho sbagliato? È per aver aiutato quel
cretino Quetzalcoatl? In
effetti, perché l’ho fatto? Chi me l’ha
fatto fare!?” e si lasciò andare in un
fiume di lacrime.
“Questo,
in effetti, me lo sono chiesto anch’io”
tentennò il
moro. Quello era un cambio di argomento inaspettato, nonché
un terreno decisamente pericoloso,
il che gli
suggeriva di tagliare la corda il prima possibile. Senza contare il
fatto che
trovava il frignare dei bambini estremamente fastidioso.
Non
sentì la necessità di salutare la bambina
impegnata a riprendere
il suo fazzoletto e a soffiarsi rumorosamente il naso mentre si
allontanava.
“Ci
mancava pure il moccio al naso, non era sufficiente questo
odore di marcio dappertutto!” si lamentò ad alta
voce, rivolto forse al ragno
ai suoi piedi, mentre scendeva dalla lapide e riprendeva a cercare la
fonte di
quell’odore fastidioso.
Emanuel, a
quelle parole, si bloccò e percepì un brivido
lungo il collo, sperando di aver capito male. Tornò sui suoi
passi con
espressione terribile, prese per le spalle la bambina.
“Cos’hai
detto?” chiese allarmato.
Alma, ancora con
le lacrime lungo le guance, sussultò
timorosa.
“Com’è
questo odore? Lo senti ovunque? Descrivilo!”
ordinò.
Il ragnetto dovette scansarsi per evitare di finir pestato dai due
fuori
controllo.
“Emanuel,
lasciami stare, sei impazzito?” alzava le mani come
a proteggersi. Non che il moro la stesse fisicamente aggredendo, ma il
gelo tutto
attorno a lei l’aveva messa in serio allarme. Prima Allen,
poi Alejandro,
adesso ci si metteva pure Emanuel a dare di matto
all’improvviso!
“Da
quanto tempo lo senti?” proseguì il moro con
urgenza,
stringendo ulteriormente la presa.
Alma chiuse gli
occhi, incapace di sostenere lo sguardo
dell’altro, e strattonò le braccia per liberarsi.
“Ho detto… lasciami… STARE”.
La piccoletta non capì mai cosa fosse successo in quel
momento, ma Emanuel
aveva visto fin troppo bene e aveva avuto la prontezza di scansarsi in
tempo.
Quando la bambina aprì gli occhi, vide solo petali di
cempasucil per terra e l’espressione
imperscrutabile di Emanuel, che sembrava essere tornato ad azioni
più ponderate.
A quel punto, entrò davvero nella modalità
coniglietto prevista da Emanuel
all’ingresso al cimitero, e scappò tra i vialetti
a gambe levate.
Emanuel non la
trattenne, aveva visto anche troppo.
Un odore di
marciume!
Era
del Quinto Sole, 3
novembre 2006.
Emanuel
sembrava non
capacitarsi della presenza di una niña al Pavo. Gli abiti
bianchi, in contrasto
con la lunga treccia nera, esaltavano il pallore della bambina, che
sembrava
sfinita mentre si guardava intorno con aria spaventata, rifiutandosi di
aprire
bocca e ignorando totalmente i tentativi di Franklin e Thomas di
metterla a suo
agio. Nemmeno i gemelli, seduti placidamente al bancone, erano riusciti
a
rasserenarla, ma era naturale: se, da un lato, Moravich e Jason non
sembravano
sinceramente interessati a farlo, dall’altro non vi sarebbe
stata alcuna
argomentazione in grado di placare i timori di una piccola vittima di
sequestro, sola, portata in un luogo a lei sconosciuto e circondata da
estranei.
Nel
mentre, Dorian ed
Emanuel erano rimasti a parlare all’esterno, lontano da occhi
e orecchie
indiscrete.
“Ti
sembrava il caso di
portare qui un bambina così piccola? Questo posto non
è una scuola
dell’infanzia, Dorian!”
“Ha
già iniziato la
scuola primaria” replicò piattamente Dorian. Come
se fosse stato quello il
punto.
“Potevi
aspettare ancora
qualche anno”.
“Certo,
potevo farlo.
Avrei potuto ignorare il fatto che, a scuola, mia moglie costruisce
certi
oggetti durante l’ora di laboratorio artistico -
musicale” Emanuel lasciò
correre la stranezza di sentire un uomo adulto chiamare moglie una bambina di sei anni mentre si vide passare tra
le mani un rozzo
fischietto glitterato, con la vaga forma di un gufetto, lavoretto
artigianale
da scuola dell’infanzia.
“Provalo”
suonava una
minaccia ed Emanuel non se lo fece ripetere due volte, seppur
sospirando. Il
suono che giunse alle orecchie lo sorprese moltissimo, non
assomigliando
affatto al fischio stridulo che si sarebbe aspettato. I due deficienti
e la
niña dentro al Pavo sussultarono nell’udire
quel… suono, ma, a seguito di una occhiata eloquente di
Emanuel dall’altra parte
della finestra, si guardarono bene dal mettere naso fuori dal locale.
D’altro
canto i gemelli, già a conoscenza dei lavoretti scolastici
malriusciti di Alma,
non avevano battuto ciglio.
“Alejandro
sarebbe
felicissimo di averne uno” commentò sorpreso. Per
quanto gli mancasse la forma
caratteristica di teschio, Alejandro avrebbe amato sicuramente il
glitter rosso,
ma ancor più l’effetto nostalgia di un death whistle che era
stato in grado di generare terrore nei nemici dei Mexica, per lo meno
fino
all’invasione degli spagnoli. Per tutta risposta, Dorian se
lo riprese.
“Terrorizzare
involontariamente se stessa e un’intera classe di bambini non
era certo un
problema” proseguì Dorian “e nemmeno
salutare nessuno e mettersi a parlare da sola
durante i Dias de los muertos. Tanto meno dire a un giovane conoscente
della sua
famiglia che odorava di marcio,
conoscente che sarebbe morto pochi giorni dopo”.
Tutte
cose che potevano
essere superficialmente classificate come stranezze. Nel peggiore dei
casi, la
bambina avrebbe rischiato solo qualche visita dallo psicologo. Per sua
fortuna,
il tempo dei roghi in piazza per stregoneria erano finiti da un pezzo.
“Ha
mandato in coma la
sua classe mentre cantavano una canzone di Halloween. A quanto sembra,
la
canzone parlava di una notte da vivere senza stelle per
permettere ai mostri di uscire
liberamente”.
“A
sei anni?!” . Ecco,
quello poteva essere un ottimo motivo per far sparire una bambina ma..
sei
anni?!
“Nessuno
manifesta i
poteri così giovane, e nessuna delle sue precedenti
incarnazioni ha ricordato o
fatto nulla di… strano… prima dei quindici anni. Ma mancano
solo altri
sei anni, Emanuel. Sono un niente. Passeranno prima di quanto
immagini”.
Se
l’era del Quinto
Sole era imminente, i protagonisti non potevano certo trovarsi
impreparati, men
che meno la Morte.
“Io
non mi occupo di
bambini. Quelli presenti hanno già i loro tutori”.
“Ci
sono già abbastanza
persone che possono occuparsi di lei” quali fossero queste
persone, Emanuel
poteva solo immaginarselo, sapendo con chi aveva a che fare.
“Allen
è già arrivato a
Esqueleto. E altre persone non saranno felici di rivederla. La
ritengono
responsabile della loro attuale vita mortale. Ad alcuni non interessa,
si sono
adattati vergognosamente bene, ma altri non vedrebbero l’ora di
fargliela pagare”.
“Ti
stai preoccupando
per lei?” Preoccupazione? Era una parola grossa. Piuttosto,
non considerava giusto che una bambina sola rischiasse di essere
facilmente oggetto di… cose
spiacevoli, solo perché vulnerabile.
“Faccio
solo presente
le possibili conseguenze della sua presenza qui. Per questo dicevo che
sarebbe
stato meglio che lasciarla dov’era per un altro paio
d’anni”.
“Mi
assicurerò che gli altri le
stiano alla larga. Tu assicurati che lei ne sia informata”
con questo, Dorian
considerò chiuso l’argomento, lasciandolo senza
dargli ulteriore possibilità di
replica.
Emanuel
aveva
trascinata Alma di peso al cimitero, cosa non difficile visto quanto
era minuta.
La bambina aveva provato a scalciare e divincolarsi, ma sembrava
davvero senza
forze. Non un suono osava uscire dalle labbra serrate.
“Benvenuta
a casa”
esclamò con sarcasmo. Il buio rendeva il cimitero ben
più tetro di quanto fosse
normalmente e, giustamente, la niña guardava il moro con
sorpresa mista a
raccapriccio. Casa!? Aprì la bocca per dire qualcosa, forse
protestare o lamentarsi, ma la richiuse immediatamente.
“Un
alebrije ti ha mangiato la lingua?” non che fosse
un problema, tutt’altro, ma
la bambina intrecciava le dita delle mani in chiaro segno di
nervosismo.
Emanuel poteva intuire il suo bisogno di parlare e il suo timore di
farlo. Al
pensiero di quale fosse la preoccupazione della bambina, si
irritò, e non ebbe
tante remore a togliere la niña dall’impiccio.
“Guarda
che puoi
parlare liberamente. Qui, nessuno può essere ferito dalla
tua voce, men che
meno ucciso”.
Già
riteneva
oltraggiosa l’eventualità di essere giudicati
strani da delle nullità come gli
umani, ma che una divinità arrivasse a temere la propria
forza perché non in
linea con la normalità di un essere umano era semplicemente
inammissibile.
Poteva quasi comprendere l’urgenza di Dorian di allontanare
la bambina dalla
sua casa. Al di là delle possibili complicazioni pratiche,
ci sarebbe mancato
qualche blocco psicologico a fermare lo sviluppo del suo potenziale.
“Ma
allora sono stata
davvero io a far star male la mia maestra e i miei compagni? I dottori
non
hanno saputo dire come mai si sono sentiti male.”
domandò con voce esitante.
Emanuel
non replicò.
Non era tenuto a dare alcuna spiegazione. All’interno di
Esqueleto, la memoria
le sarebbe comunque pian piano tornata, e con essa le risposte alle sue
domande.
“Ma
chi sono loro? Perché mi hanno portato via? Chi sei
tu?”
Non
era tenuto a dare
alcuna spiegazione. Non era proprio esatto. Una c’era, e
anche piuttosto
urgente.
“Voglio
tornare a
casa!”
“Questo,
niña
blanca, non è proprio possibile.
Anzi, ti consiglio caldamente di non uscire
da questo cimitero perché, se lo
farai…” si avvicinò alla bambina
abbastanza da
afferrarle la treccia che teneva a un lato della testa e gliela
tagliò di
netto, con una lama d’ossidiana uscita dal nulla. Se
l’atto in sé aveva messo
in allarme la bambina, vedere la treccia gettata oltre il cancello
ridursi a un
mucchietto di cenere l’aveva orripilata. Quella gente non
solo era cattiva
(solo i cattivi rapiscono i bambini!) ma era anche pericolosa
e… strana! Si
voltò e scappò in direzione opposta a Emanuel e
al cancello, in cerca di un
posto dove stare al sicuro, ma consapevole che non lo avrebbe trovato.
Solo
con il tempo, Alma
avrebbe compreso che il cimitero non era la sua prigione, ma la sua
difesa. Non
potendo spostarsi da lì, la bambina avrebbe potuto
interagire solo con persone
morte: questo le avrebbe imposto il continuo esercizio di un controllo
ancora
così acerbo – la sua voce avrebbe potuto
ucciderle, quelle persone - e,
così facendo, avrebbe pian piano
riacquistato e compreso appieno il suo potere.
Soprattutto,
sarebbe
stata al sicuro dalle altre divinità. Se già
prima era malvista per le sue
origini umane e per la sua presunta sfrontatezza nell’essersi
elevata a
divinità di rango elevato, la sua situazione era peggiorata
ulteriormente
quando si era venuto a sapere che quanto era successo a Quetzalcoatl
fosse
stato causato di una sua azione. Se Quetzalcoatl non se ne fosse
andato, gli
altri non sarebbero stati trascinati a vivere il medesimo destino e a
sospendere i piani di fine dell’Era del Quinto Sole. Per
quanto fosse stata una
esplicita richiesta del serpente piumato, e sebbene la sorte che ha
coinvolto
gli altri fosse stata conseguenza diretta delle scelte di
Mictlantechutli e di Itztlacoliuhqui
Ixquimilli, era risultato più semplice, per gli altri,
attribuire la colpa all’unica
outsider del pantheon azteco. Va detto, a onor del
vero, che non tutti l’avevano vista con ostilità e
che c’era chi non le
attribuiva alcuna responsabilità. Emanuel stesso, che
più di tutti avrebbe
avuto motivo di prendersela con lei, era stato segretamente grato a
Mictlancihuatl per essere stata l’unica ad aver teso la mano
a Quetzalcoatl
quando lui credeva di essere solo contro tutti. Tenere la bambina
distante
dagli altri era stato, a giudizio di Emanuel e Dorian, la cosa migliore da
fare… fino al giorno in
cui lei sarebbe stata pronta ad uscire dal cimitero con le sue stesse
gambe.
Alma aveva
ironicamente parlato di lavoro di squadra. Non era
proprio esatto. Piuttosto, ognuno ci metteva del suo in totale
indipendenza. Ad
alcune divinità poteva capitare di incrociare spesso la
stessa strada, al punto
da arrivare a riconoscere certe caratteristiche gli uni degli altri.
Prevedere i
disastri. Quella era senza alcun dubbio una delle
prerogative di Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Quando un disastro era
imminente,
l’aria cambiava. Non era un presentimento, o un sesto senso.
Era piuttosto una
vera e propria percezione. Chiaramente,
anche il Signore dei Morti aveva una simile abilità per le
morti imminenti e la
divinità dei disastri ne era ormai al corrente. Non era
forse stato sempre
presente, allo sterminio dell’umanità nelle
precedenti Ere? Non era forse
sempre pronto a pretendere il conto delle vite spezzate dai vari
disastri? Itztlacoliuhqui
Ixquimilli sapeva
che, per
Mictlantechutli, il mondo assumeva un odore tutto suo quando il Sole
era
finalmente pronto ad andare in malora (o meglio, quando chi aveva il
dominio su
di esso aveva intenzione di mandare tutto in malora) per
l’ennesima volta.
Assumeva odore di marciume, di putrefazione.
Emanuel sapeva
che non c’era più molto tempo, ma sapeva anche
che, finché non avesse avvertito il consueto odore
persistente, poteva stare
tranquillo. Tuttavia, Alma aveva appena rivelato che le cose non
stavano
esattamente come lui credeva, e che Dorian si era ben guardato dal
fargliene
menzione.
Emanuel non
aveva dubbi sul fatto che Dorian avesse
intenzionalmente manipolato la memoria di Alma al punto da rimuovere
ogni
ricordo della loro precedente vita coniugale, ma mai aveva sospettato
che
potesse fare
qualcosa di analogo a lui, in modo
da non fargli percepire un mondo
già condannato. Lo aveva
creduto facilmente realizzabile su una bambina indifesa, non su un
giovane adulto
consapevole. Era stato dunque manipolato? Di
nuovo?
Emanuel era
entrato al cimitero per avere una risposta, ne
era uscito con preoccupazioni ancora maggiori.
E se le parole
di Alma non fossero state un sufficiente
messaggio di allarme, la falce di pura energia che aveva tenuto tra le
mani per
pochi istanti era riuscita a farlo preoccupare definitivamente. Il
Sole, i
Disastri, la Morte: erano quasi tutti pronti per il gran finale.
Se
l’imminente fine del Quinto Sole era ormai una certezza,
risvegliare la coscienza di Quetzalcoatl era ormai diventato un
imperativo urgente.
La speranza era l’ultima a morire,
dopotutto.
*****
NOTE
Ecco, il death
whistle esiste davvero. Lascio i link (in
italiano e in inglese) per un approfondimento. In breve si tratta di
fischietti,
quasi sempre a forma di teschio. Secondo alcune teorie, erano usati dai
Mexica per
“accompagnare” le anime delle persone vittime di
riti sacrificali verso l’aldilà,
oppure in battaglia per intimidire i nemici. Due strumenti di questo
tipo sono
stati trovati tra le mani di una vittima sacrificale al tempio di
Tlatelolco tempio
dedicato al dio del vento Ehecatl (una delle identità di
Quetzalcoatl, se non
ho capito male). La particolarità di questo strumento
è il suo suono, molto
simile a… grida umane di puro terrore. Quando ho visto il
collanone di
Alejandro, quello a forma di testa di colibrì, nel secondo
volume, mi ero
chiesta se fosse un gingillo fashion o un death whistle…
https://www.mexicolore.co.uk/aztecs/music/death-whistle
(con tanto di immagine di Ehecatl con Mictlantechutli)
http://www.blueplanetheart.it/2018/03/terrificante-fischio-della-morte-lantica-arma-azteca/
Non che Alma
l’avesse costruito apposta, ma volevo farle fare
qualcosa di strano senza che se ne rendesse conto, qualcosa che facesse
già
intuire che non era una bambina normale.
Non so se
è correttissimo associare Mictlantechutli alla
Morte. Nel pantheon greco, morte e signore dei morti erano due figure ben
distinte (rispettivamente Thanatos e Ade) ma non ho trovato la stessa
netta
distinzione tra le divinità del Mictlan. In ogni caso, il
senso nel capitolo
era “se si devono verificare eventi che si concretizzeranno
in una mattanza
generale, che il Signore del Mictlan sia pronto a ricevere taaanti
nuovi
sudditi”.
Niña
blanca à è
uno dei nomi con cui viene chiamata la Santissima
Muerte. Essendo messicano, figuriamoci se Emanuel non lo sa. Questo
è
semplicemente un piccolo segnale per indicare che, nei confronti della
ragazzina, Emanuel non ha alcuna ostilità, e che non
condivide i pensieri delle
altre divinità circa una sua eventuale indegnità
ad essere considerata parte
del pantheon azteco. Alma non lo sa minimamente, in quanto mezza greca
e mezza statunitense
di lingua inglese e ritiene sia legato al fatto che, il primo giorno,
era
vestita di bianco. Da californiana, sa che esiste il giorno dei morti,
ma la
sua famiglia non lo festeggia.
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Capitolo 14 *** Giorno 30 ottobre: Spezzami ***
Giorno
30 ottobre
Spezzami
Il giardino di
Aindreas era tra i più lussureggianti di tutta
Esqueleto, al punto da poter rivaleggiare, in bellezza, con le
creazioni di
Balthazar. Quando non era impegnato nelle soffocanti cucine, il
prestante cuoco
del Pavo del Corral dedicava cure amorevoli alle sue piante, preferendo
passare
le sue ore libere ad innaffiare, a potare e, terminata
l’opera, a godere
dell’aria fresca all’aperto in compagnia di una
birra fresca.
In particolare,
la rigogliosa pianta di agave, che Aindreas
aveva piantato di recente, aveva destato l’ammirazione e i
complimenti dei suoi
vicini e di tutti gli abitanti che passavano davanti alla sua casa.
Solo una
persona, passando, rimaneva assorta qualche secondo, in silenzio, per
poi
passare oltre, con un’espressione che poco aveva a che fare
con l’ammirazione
per la bellezza delle piante o per il pollice verde di Aindreas. Il
rosso non
se ne era stupito, in verità, e men che meno se ne era
indignato. Piuttosto,
era preoccupato di aver, inconsapevolmente, toccato un nervo scoperto;
se così
fosse stato, avrebbe dovuto porvi rimedio, in qualche modo.
Per questo
motivo, non si era limitato a salutare
cordialmente la bella Ebenezer, quando l’aveva
sorpresa a guardare mesta il suo agave,
mentre dava da bere alle sue piante.
“Buon
pomeriggio, Ebenezer. Sei bellissima come sempre”
esordì Aindreas, affabile e lusinghiero come al solito, ma
stavolta col
desiderio di strappare un sorriso alla graziosa signorina.
“Buongiorno
Aindreas! Oggi non sei di turno al Pavo?” rispose
cordialmente Ebenezer, con un sorriso educato, tutt’altro che
genuino.
“Attacco
più tardi col turno serale. Visto il caldo anomalo,
il menu prevede molti piatti freddi, stavolta”
ammiccò in risposta.
“E
quindi ti dai da fare col giardino” osservò la
ragazza,
accennando alla pompa dell’acqua aperta che Aindreas teneva
tra le mani.
“Ho
innaffiato abbastanza, adesso è giunto il momento di
innaffiare me” ammiccò con fare volutamente sexy,
provocando una risatina
all’altra.
“Non
vorrai fare Mister Maglietta Bagnata, spero!”
esclamò,
fingendo di coprirsi gli occhi con finta pudicizia.
“Macché!
Mi innaffio di birra! Posso offrirti qualcosa da
bere, prima che torni a casa?”
Ebenezer
sembrò sul punto di rifiutare, ma cambiò idea.
“Allen
non ha ancora terminato il turno di servizio, posso
tardare un po’ il mio rientro” accettò,
percorrendo il giardino.
“Le
tue decisioni non devono per forza girare intorno ad
Allen. Lo sai, vero?”.
Ebenezer si
irrigidì appena, a sentir nominare il fidanzato.
“Certo che no. Dicevo così perché
avrebbe potuto preoccuparsi, se non mi avesse
trovato a casa”.
“Cosa
preferisci? Un alcolico, una bibita, una tisana
fredda?”
“Tieni
delle tisane in casa?” si stupì Ebenezer, grata
per
quel cambio di discorso.
“No,
ma spero che non me ne chiederai”
“Allora
decidi tu!”
Passarono pochi
minuti quando Aindreas tornò non con delle
birre, come aveva precedentemente anticipato, ma con …
pulque e tequila.
“Hai
detto che potevo decidere io” si giustificò alla
vista
dello sguardo stupito di Ebenezer, mentre le allungava un bicchierino e
versava
il liquore. Forse aveva esagerato, ma Aindreas era un tipo noto a tutti
per la
sua mancanza di tatto, tra l’altro mai animato da cattive
intenzioni. Se, come
sospettava, era la pianta di agave a togliere il sorriso a Ebenezer,
avrebbe
dovuto indurla ad aprirsi con lui, in qualche modo.
Senza dire una
parola, si sedettero sullo sdraio a dondolo
sotto la veranda.
Aindreas
assaporava la sua tequila guardando Ebenezer di
sottecchi; la ragazza rigirava il bicchierino tra le mani, portandoselo
ogni
tanto alle labbra e sorseggiando senza molta convinzione.
“Ha
reso felici molte persone, quella bevanda. Eppure sembra
che, proprio a te, non faccia lo stesso effetto”.
“Beh,
non è che la mia posizione fosse molto comoda,
all’epoca” commentò mesta. Mayahuel, la
dea dell’agave. Per fare quel dono
gradito, aveva dovuto letteralmente essere spezzata
in molte parti, ma, a differenza di Nanahuatzin e
Tecciztecatl, il suo sacrificio
fu tutt’altro che volontario.
A Mayahuel non
era mai pesato vivere una vita già predisposta
da sua nonna, Tzitzimitl. Le conseguenze della sua ubbidienza erano
sempre
state piuttosto piacevoli, quindi non aveva mai avuto alcun motivo di
lamentarsi. Persino il matrimonio con Xocipilli, per il quale non era
stato
chiesto il suo benestare, era andato meglio di quanto avesse sperato.
Se non
altro, il Principe dei fiori gli era sembrato, fin da subito, una brava
persona, simpatica, divertente. Non era stato difficile volergli bene.
Lei lo
rispettava e lui faceva lo stesso. E poi, andava bene a sua nonna,
quindi,
tutto apposto. Faceva ciò che lui le chiedeva e lei
eseguiva. Tanto, non le
pesava, soprattutto perché anche lui cercava di esaudire
tutte le sue
richieste. Beh, quasi tutte.
Un giorno aveva
espresso il desiderio di andarsene, ogni
tanto, a zonzo nella terra degli umani. Quelle graziose creature
dell’Era del
Quarto Sole avevano destato una certa curiosità nella dea,
se non altro perché
si diceva che fossero state la creazione meglio riuscita, tra i quattro
tentativi fatti fino ad allora. Mayahuel ne era meravigliata: come
potevano
degli esseri così imperfetti essere così carini?
Come facevano a vivere,
malgrado sperimentassero difficoltà che le
divinità non potevano nemmeno
immaginare di provare? Come riuscivano a compiere opere ingegnose con
delle
forze così miserrime, se paragonate alle loro?
Da nubile, la
giovane dea non aveva mai avuto un grande
margine d’azione, costretta com’era sotto la
castrante tutela di quella strega
di sua nonna, ma aveva sperato di poter convincere il marito a
lasciarle più
libertà per andare a vedere da vicino quelle bestioline
curiose. Invece,
Xocipilli l’aveva ammonita dall’avvicinarsi a
quelle creature, buone solo a onorare
le divinità con offerte, preghiere e sacrifici, ma con cui
non era decoroso
avere a che fare. Mica avrebbe voluto diventare uno zimbello come
Quetzalcoatl, le
aveva chiesto stizzito, e non aveva più voluto tornare
sull’argomento. Aveva
detto quello che pensava, e Mayahuel avrebbe ubbidito, fine della
storia.
Ma il maritino
non aveva fatto i conti col fatto che era
bastato nominare Quetzalcoatl per far spuntare a Mayahuel un pensiero
dispettoso: se non l’avesse accompagnata Xocipilli, avrebbe
potuto chiedere al
serpente piumato di scortarla in quelle terre. Di sicuro, Quetzalcoatl
non le
avrebbe rifiutato quel favore, gentile e disponibile com’era.
Sarebbe stato
solo una volta, giusto per togliersi lo sfizio!
Mayahuel non
aveva previsto che, invece, si sarebbe divertita
parecchio. Le feste che gli umani celebravano nel corso
dell’anno erano molto
più divertenti, quando partecipavi in mezzo a loro. Gli
umani avevano una vita
dura, ma sapevano come alleviare le fatiche.
Il serpente
piumato, poi, si era rivelato essere più pazzo di
quello che credeva: adorava davvero
quelle
creature!
“Hai
fatto COSA?” Mayahuel non credeva alle proprie orecchie.
“Non
lo avevo previsto” si scusò quasi il biondo, dopo
esser
stato beccato dalla dea a coccolare
una di quelle umane.
“Aspetta,
non è quella che aveva ammazzato quel guerriero
mentre… sì insomma, non gli ha fatto fare
esattamente una fine da guerriero…”.
“Se
non fossi intervenuto, l’avrebbero giustiziata. Poco
importava che fosse una nobile. Aveva comunque ucciso qualcuno di
importante
nella sua comunità, un guerriero rispettato! Ma non sarebbe
stata vera
giustizia!”.
“Ma…
non è quella che è riuscita a essere blasfema con
almeno
tre o quattro divinità contemporaneamente? Nessuno di noi
avrebbe notato una
donnetta mortale, se non avesse offeso in un colpo un paio di noi solo
per scampare
al giudizio dei suoi pari! E, nonostante questo, è
sopravvissuta?”
Mayahuel
ricordava il trambusto di quell’evento, e aveva
trovato così strano che a provocarlo non fosse stato un
qualche sovrano decisivo
per le sorti di un popolo, bensì una ragazzetta di appena
quindici primavere. Tutto
era iniziato da quel guerriero, tanto coraggioso e valoroso in
battaglia,
quanto infame in tempo di pace. Abusava dei ragazzini, e nessuno diceva
nulla,
nemmeno i genitori di quelle creature, come se tutto gli fosse dovuto.
Nessuno,
del resto, si curava dei fanciulli, oltre alla somministrazione del
mero
nutrimento. Fino a quando quella Malintzin non si era stufata di quella
situazione e, mentre l’infame era troppo impegnato e vincere
le resistenze di
un giovinetto, lo aveva colpito alle spalle con un affilato
arnese agricolo, per fagli passare le sue perverse voglie in
modo definitivo. A muovere la sua
mano non era stata l’indignazione o l’empatia, ma
piuttosto l’irritazione nel
veder rovinate delle vite senza che nessuno intervenisse.
“Blasfema?!
Ma no, che dici?” esclamò il serpente piumato.
“Aveva
deliberatamente sottratto un guerriero a
Huitzilopotchli ed esclamato a gran voce che tale immondizia
non avrebbe meritato di finire nella beatitudine
dell’Omeyocan. Non spettava a lei tale scelta. Ha sottratto
un’anima che
spettava di diritto a una divinità”.
“Beh,
Huitzilopotchli non se l’era mica presa, se ben
ricordi. E se non aveva provato fastidio lui, agli altri sarebbe dovuto
importare ancora meno” obiettò
Quetzalcoatl.
“Non
aveva anche aggiunto che, siccome non era giusto
quello che quell’immondizia aveva
fatto a dei bambini, se l’avessero condannata, sarebbe stata
una perdita di
tempo, da parte dei giudici, invocare Itztlacoliuhqui-Ixquimilli per
essere
equi nel giudizio?”
“Non
mi risulta che l’offesa fosse diretta a
Itztlacoliuhqui-Ixquimilli, bensì a chi diceva di poter
parlare col suo favore!
Avrebbe potuto intervenire, era parecchio irritato per
l’evidente ingiustizia
che Malintzin avrebbe subito dai suoi stessi concittadini, ma sai che
lui non
interferisce quasi mai nelle decisioni degli umani. Preferisce far
scontare le
conseguenze delle loro azioni” Quetzalcoatl si sentiva a suo
agio, nei panni di
avvocato difensore.
“E
quando ha detto che non avrebbe temuto la condanna a
morte, visto che lei, con la morte, ci flirtava
in continuazione, ogni volta che si arrischiava nelle sue
arrampicate verso
i favi di miele, con la sua scusa di provare la sua scarica di
adrenalina
quotidiana?”.
“…mi
arrendo”. Il serpente piumato non aveva avuto modo di
sapere la reazione del Signore di morti a una tale impertinenza,
ammesso che il
sovrano ne fosse venuto a conoscenza, ma nemmeno la divinità
più ottimista del
Creato avrebbe potuto immaginare una qualche forma di clemenza da parte
di
Mictlantechutli.
“Quella
sua boccuccia insolente avrebbe pesato parecchio sulla
decisione di condannarla a morte, se non fosse stato per te,
Quetzalcoatl”
concluse Mayahuel.
Non era giusto
quello che avrebbe subito la ragazza, ma era
pur sempre un’umana, e nessuna divinità si sarebbe
disturbata ad intervenire in
suo favore. Quetzalcoatl, invece, aveva voluto impedire quella
condanna, e ci
riuscì dando agli umani un motivo che avrebbe completamente
cambiato il loro
modo di vedere la situazione che si era creata. Aveva donato loro un
sentimento
che avrebbe portato alla cura dei bambini e delle creature
più deboli, e che
avrebbe suscitato l’indignazione verso chi li avrebbe
danneggiati. Fu così che
la fanciulla venne infine graziata: non avrebbe potuto non
soccorrere un bambino. Il punto di vista si era diametralmente
rovesciato: il biasimo ricadde tutto sul guerriero assassinato e la
fanciulla
avrebbe commesso un torto enorme se non
avesse agito in difesa del bimbo, avendo avuto la
possibilità di farlo.
Comunque, gli
umani ignoravano totalmente il fatto che a
Huitzilopotchli, di quel guerriero, poco importava, essendo dotato di
un’ovvia
conoscenza che trascendeva quella di quelle piccole creature mortali.
In quella
situazione infima, lui lo sapeva, un guerriero sarebbe andato perduto
comunque.
Avrebbe potuto essere il guerriero, oppure il bambino stesso,
destinato, in
futuro, a superare in valore quello di colui che aveva tentato di
abusare del
suo corpo acerbo. Se l’infame fosse riuscito nel suo intento,
il bambino avrebbe
vissuto il resto dei suoi giorni con l’animo
irrimediabilmente spezzato,
divenendo la pallida ombra dell’uomo valoroso che avrebbe
potuto diventare. Quindi,
l’osservazione impudente della ragazzetta sarà
stata pure blasfema ma era,
sostanzialmente, corretta. Quindi, nessuna offesa.
“E
tutto questo come si concilia col fatto che la stavi coccolando
teneramente?” criticò
Mayahuel sospettosa e vagamente disgustata.
“Troppa
dose di amore, suppongo. È successo e basta” la
bionda divinità non era un tipo che si faceva troppe
domande, finché la
situazione gli andava bene. Furbo, il serpente piumato.
A Quetzalcoatl
erano piaciute le conseguenze di quel dono che
aveva fatto all’umanità e, tempo addietro, aveva
osservato la ragazza mentre abbracciava
il piccolo che aveva salvato con un trasporto inedito, colmo di
affetto,
ricambiata dal ragazzino. Ma era bastato che la ragazza alzasse la
testa e
incrociasse, casualmente, il suo sguardo con quello del biondo
sconosciuto,
perché quel dono si manifestasse in un altro
modo… imprevisto… per entrambi. Da
quel giorno, quello sguardo sarebbe rimasto l’uno nei
pensieri dell’altro per
molto tempo.
Mayahuel era
rimasta non poco stupita: il serpente piumato
era davvero bizzarro a farsi piacere una simile creatura! Tale sorpresa
l’aveva
indotta ad approfondire la sua curiosità, e così
quella che doveva essere una
sporadica visita per togliersi lo sfizio era diventata una tappa
periodica
fissa con Quetzalcoatl come “guida turistica”. La
dea non riusciva a provare lo
stesso trasporto che il biondo aveva verso quelle creature, ma era
divertente
mescolarsi tra loro, fingere di appartenere alla loro stessa specie.
Aveva
persino conosciuto questa Malintzin: una tipa piuttosto graziosa e
ingenua, per
essere un’assassina, ma nulla di più di una
bestiolina adorabile da trattare
con accondiscendenza.
Tuttavia, quelle
periodiche assenze nel mondo degli umani
cominciarono presto a farsi notare; le domande del marito a farsi
più
insistenti; i sospetti farsi più pesanti.
E le accuse
farsi più infamanti.
Era semplice
andare d’accordo quando ti trovavi in sintonia
con i tuoi tutori, ma Mayahuel non aveva mai immaginato quanto male
sarebbe
finita, per lei, quando quella sintonia fosse saltata. Era andato tutto
bene
finché aveva assecondato marito e famiglia. Una volta smesso
di farlo… Mayahuel
aveva potuto essere fatta a pezzi.
La nonna, venuta
a sapere della condotta di sua nipote, era
andata su tutte le furie. L’avrebbe fatta pentire di aver
offeso il marito,
disubbidendogli.
L’aveva
fatta inseguire dalle sue compagne, le tzizimine. Esse
trucidarono Mayahuel senza alcuna pietà. La sua unica colpa?
Non aver ubbidito
alla sua famiglia.
Mayahuel aveva
sempre fatto ciò che sua nonna le ordinava,
sempre. Ma non era stato abbastanza, per quella vecchia strega. Aveva
realizzato troppo tardi, mentre impazziva di dolore per le membra
tagliate via
dal suo corpo, di essere imparentata con una vera e propria stronza. E
allora,
tanto valeva rendere la sua nuova condizione vantaggiosa per gli umani.
Una
piccola vendetta, da portare con sé per
l’eternità.
Non avrebbe
dovuto calcolarle nemmeno di striscio, quelle
bestioline mortali, giusto? Bene, avrebbero avuto da lei un dono che
poteva
competere con quelli fatti da Quetzalcoatl, Xipe-Totec e Xocipilli
messi
insieme. Il dono di dimenticare le fatiche e i dolori; il dono di
incrementare
la gioia e le passioni; il dono di smettere di pensare, quando i
pensieri si
facevano tediosi; il dono di assumere un barlume di coraggio per fare
cose
folli, quando il buonsenso si faceva troppo austero. Lei, quel
coraggio, lo
aveva infine avuto, e le era stato fatale. Avrebbe augurato agli umani
di poter
vivere la loro libertà in modo gioioso.
La sbronza
libera, la serena ebrezza: un liquore ricavato
dalle foglie della pianta in cui era appena stata trasfigurata. Il
primo agave.
Il pulque
contenuto nel bicchierino, alla fine, venne bevuto
in un unico, lungo sorso.
“Era
stato Xocipilli a riferire a mia nonna dei miei viaggi
tra gli umani” mormorò Ebenezer senza alcun
preambolo. Ogni volta che vedeva
una pianta di agave, il ricordo della sua origine invadeva la sua
mente, e non
poteva fare a meno di sentirsi a disagio.
“Non
starai pensando la tua fine sia stata voluta da lui?”
Aindreas stentava a credere alla possibilità che il Principe
dei fiori (dei
FIORI!) potesse riversare un tale livello di aggressività
verso qualcuno che
amava.
“No,
certo che no! Mi credi così fuori di testa da stare
assieme a una persona del genere, se fosse stato così? Allen
mi giurato di aver
richiesto l’aiuto delle tzizimine per cercarmi, non per
vendicarsi. Gli credo.
Ricordo la sua reazione, quando mi ha trovato morente. Sembrava fuori
di sé dal
dolore”.
“Credimi
Ebi, lo era”.
Lo sguardo di
Ebenezer si fece cupo, e la cosa non sfuggì ad
Aindreas.
“Aveva
creduto che gli fossi infedele. Io! Con Quetzalcoatl!”
assunse un tono indignato all’idea che proprio suo marito
potesse aver pensato
una cosa così assurda e offensiva nei suoi confronti.
“E ha
mandato a morire la donna di Quetzalcoatl per vendetta.
Era soltanto un’umana, non c’entrava nulla. Non era
stato niente di che, era
soltanto un’umana… ma mai mi sarei mai aspettata
una tale azione da lui… è
stato così… meschino”.
“Non
credo sia una buona cosa pensare troppo al passato. Come
dice la parola stessa, è passato”. Aindreas lo
credeva davvero. Aveva vissuto pienamente
il presente in ogni sua vita trascorsa, cogliendo le
possibilità sempre diverse
che ogni nuova esistenza offriva. Aveva avuto periodi difficili, ma chi
non ne
aveva? Ma Aindreas aveva sempre reagito con vigore, energia, e anche un
po’ di
sana spacconeria, per affrontare con positività ogni evento.
Restava pur sempre
Tonatiuh, sebbene senza i suoi poteri divini, ma comunque con altre
qualità da
far fruttare.
“Col
boicottaggio della fine del Quinto Sole di cinquecento
anni fa, hai perso la tua forma di agave, così come Thomas e
Mattie hanno perso
le sembianze di astri. Ora, è sufficiente per voi esistere,
per mantenere
integre le vostre creazioni. I risultati di un sacrificio non vengono
meno, se
i sacrificati cambiano di nuovo forma. Tu e Allen avete una nuova
possibilità”.
“Certo,
una nuova possibilità” mormorò
Ebenezer. Sembrava
combattere con i pensieri nella sua mente.
“Quando
ci siamo incontrati di nuovo, ero davvero convinta di
aver avuto una seconda possibilità. Ero così
felice di poterlo riabbracciare di
nuovo, e lui così dispiaciuto di aver creduto a un
tradimento da parte mia.
Tutto quello che era successo sembrava una parentesi
trascurabile”.
Prese un
respiro, prima di continuare.
“Allen
si è messo a tormentare una bambina, Aindreas! Che
razza di comportamento è?” il riferimento ad Alma
era lampante.
“Non
c’entra niente con la vendetta di allora. Non fare
l’errore di vedere Alma come una bambina, Ebenezer. Sono
successe molte cose,
dopo la tua… morte. Xocipilli, legando l’anima di
quella mortale a un nuovo
fiore, senza volerlo, aveva creato la sua nemesi. Non si sarebbe mai
aspettato
che quel fiore avrebbe assorbito l’energia del Mictlan, e
Mictlancihuatl ha
interpretato bene la parte che lui le ha proiettato addosso”.
“Ma la
sta infastidendo ora
che lei è impossibilitata a fare alcunché.
È facile infierire quando le forze
sono così sbilanciate a tuo favore, vero? L’hanno
dovuta isolare in un cimitero, per
tenerla al sicuro da lui!
Per me è un comportamento da vili”.
“Pericoli
non ne corre di sicuro, quella nanerottola. Stai
pur certa che, appena ne avrà l’occasione,
restituirà il piacere ad
Allen con gli interessi!”
“Va
bene, allora cambiamo punto di vista, e non vediamola
come una bimba impotente. È per merito di colei che tu
definisci sua nemesi che sono
tornata a camminare
sulle mie gambe. Morte e Rinascita. Lo stesso vale per Nanahuatzin e
Tecciztecatl. Ma Allen, anziché esserne grato, sembra aver
trascurato questo dettaglio. Per
lui sembra esistere solo
il fastidio che lei ha arrecato alla sua persona in passato”.
Sospirò.
“Ma
questo posso ancora tollerarlo. Nessuno è perfetto,
giusto? Lui mi vuole bene, e io gliene voglio a lui… e i
contrasti tra divinità
non cessano solo perché diventate umane, giusto?”
Aindreas decise
che non era il caso di girarci ancora
intorno. “Ebi… cos’è che ti
turba?”
Ebenezer
tornò a guardare il bicchierino vuoto. “Da quando
Mordecai è arrivato, Allen è tornato ad essere
paranoico. Ha ripreso coi suoi
atti violenti e solo per puro caso non sono diretti a Mordecai. Ci deve
stare
persino fisicamente lontano, per non perdere il controllo. Ho visto
come lo
guarda. Quetzalcoatl non mi ha fatto niente, e Allen lo sa, quindi non
c’è
niente di cui vendicarsi. Ma anche me ne avesse fatto, ora sta covando
rancore
verso una persona del tutto inconsapevole!”.
Per la prima
volta, Ebenezer diede voce alle sue
preoccupazioni.
“Ebbene
io temo che Allen sia una brava persona solo quando
la vita gli sorride. Ma quando iniziano a verificarsi cose che non gli
piacciono? È dunque questa la sua vera natura? Un
passivo-aggressivo, pronto a
dare il peggio di sé non appena l’occasione glielo
consentirà? E il mio ruolo
in tutto questo qual è? Posso fare qualcosa per aiutarlo?
Oppure le mie azioni
non porteranno a nulla, e dovrò restare in attesa che la
bomba ad orologeria dentro
di lui deflagri, distruggendo se stesso, altri e me stessa?
Tornerò a spezzarmi come
prima?”
Scosse la testa,
desolata.
“Io…
Non sono sicura di volerlo, Aindreas”.
“Ebenezer…”
Aindreas non poteva immaginare che il rapporto
tra Ebenezer e Allen fosse così compromesso; che la salute
mentale di Allen
fosse così compromessa.
“Ascolta
un consiglio, per quello che vale ciò che esce dalla
bocca di uno zotico come me. Hai avuto cinquecento anni per
emanciparti. Sei
padrona di te stessa, padrona del tuo destino. Anche
dovesse… cambiare questa
realtà… questo mondo… la
Mayahuel di adesso non sarà la Mayahuel del passato. Se
pensi che la tua storia
con Xocipilli sia giunta al capolinea, non hai che da ignorare il
concetto di finché morte non ci
separi e lasciarlo a
Mictlantechutli” fece una breve pausa. “Se invece
credi che possiate ancora
esistere, come coppia, forse sarebbe meglio parlarne direttamente con
Allen,
non pensi?”.
Ebenezer
sembrava alla ricerca delle parole per rispondere al
rosso. Alla fine, parve rinunciare.
“Ora
devo proprio tornare a casa, Aindreas. Ti ringrazio per
tutto”.
***
“Ebenezer,
dove sei stata?” la domanda di Allen era stata posta
con leggerezza, ma la ragazza, che non aveva fatto nemmeno in tempo ad
attraversare completamente la porta d’ingresso,
notò, non senza una punta di
fastidio, che non vi era stato alcun saluto, nemmeno un “Come
è andata oggi?”,
da parte del fidanzato. Solo un piccolo interrogatorio, come esordio.
“Aindreas
mi ha invitata a bere qualcosa nel suo giardino”
tagliò corto.
“Sempre
a provarci con tutti, quel mascalzone” replicò con
tono canzonatorio.
“Abbiamo
semplicemente parlato” il fastidio per quella accusa
gratuita, aumentò.
“Mi
ero solo stupito di essere tornato a casa prima di te.
Non farmi preoccupare, tesoro mio” la blandì con
un bacio, sottostimando il disagio
di Ebenezer.
Ebenezer avrebbe
potuto chiedere di cosa si sarebbe dovuto
preoccupare, in una cittadina con criminalità inesistente
dove si conoscevano
tutti. Invece, abbozzò un sorriso.
“Va
bene, caro” ricambiò il bacio.
Non si sentiva
pronta per un confronto. Aveva ancora timore
di conoscere le probabili conseguenze.
FINE
PICCOLE
GIUSTIFICAZIONI CHE NON INTERESSANO A NESSUNO
Giuro che Allen
mi piace, davvero! Però, boh… nel fumetto mi
ha dato sensazioni strane. Le sue ferite, lo specchio rotto, i sorrisi
piuttosto inquietanti, la pacca forte che aveva dato a Mordecai, con
tanto di
occhiataccia, la tentazione di abusare della sua posizione di
poliziotto, anche
se detto per scherzo… non mi sono sembrati segnali sereni,
eh. E nelle poche
interazioni che aveva avuto con Ebenezer, quest’ultima
sembrava più preoccupata
che felice (allarmata quando Allen si era ferito con lo specchio,
espressione
triste quando ha detto che Allen voleva stare lontano da Mordecai ma
voleva che
lei si divertisse alla festa del Ringraziamento). Al momento ho come la
sensazione che la coppia si trovi a un bivio, ma sono solo idee mie, e
se il
fumetto le smentirà sarò solo contenta. E tutto
questo l’ho pensato quando
ancora non avevo letto la mitologia su sti due (boh, su Xocipilli
è
inesistente?).
La mia cara,
dolce Mayahuel… quando ho letto il mito che la
riguardava, ho solo esclamato: Perché T__T ?! Non potevo non
citare la sua
storia in una fanfic! Cito Wikipedia:
“Secondo
la mitologia azteca, Mayahuel era la donna della
quale si innamorò Ehecatl, il dio del vento (una
delle sembianze di Quetzalcoatl, N.d.Adri). Lui fece dono
dell'amore al
genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo (fin qui, Mayahuel sembrerebbe essere
umana… N.d.Adri). Mayahuel
andò sposa a Xochipilli (…e
il consenso? N.d.Adri) […] Gli
Déi mandarono Ehēcatl a cercare
Tzitzimitl (che era una divinità,
N.d.Adri).. Al posto di lei, Ehēcatl trovò
Mayahuel, la bellissima nipote
di Tzitzimitl (quindi, anche Mayahuel
è
una divinità. Boh N.d.Adri). Ehēcatl se ne era
innamorato e le chiese se
potevano andare insieme sulla terra, almeno per un po' (nulla
di zozzo, quindi. Semplice gita fuori porta? N.d.Adri). Dopo
un po' di esitazione lei acconsentì e Ehēcatl la
portò sulla terra. Tzitzimitl,
furiosa, chiamò a sé le Tzitzimime, sue compagne
e insieme si misero a cercare
Mayahuel. Ehēcatl e Mayahuel, preoccupati, si trasformarono in una
pianta.
Mayahuel era un ramo e Ehēcatl era l'altro. Ma Tzitzimitl
trovò l'albero. Le
Tzitzimime spaccarono il ramo di Mayahuel e la uccisero, mentre Ehēcatl
rimase
lì (sta povera gioia è
stata uccisa
perché uscita di casa senza permesso. Se ripenso alla mia
adolescenza, mi è
andata di lusso … N.d.Adri). Quando le Tzitzimime
se ne furono andate,
Ehēcatl tornò normale e si mise a cercare i resti del suo
amore. Li trovò e li
seppellì. Per azione degli Dèi i resti della
povera Dèa divennero il primo
Agave. Così Mayahuel divenne la Dèa dell'agave.
Dall'agave si ricavarono fibre
per i tessuti e la pulque”.
Chiaramente, non
è che mi andasse molto a genio che
Quetzalcoatl fosse innamorato di Mayahuel. Lasciamo i triangoli con
corna al
marito alle commedie italiane Anni ’70, va là. Tra
l’altro, ne avevo già
parlato in uno dei primi capitoli, dal punto di vista di Allen
(Capitolo
“Terrorizzato”). Nella pagina Wikipedia di Ehecatl
si dice esplicitamente che
si era innamorato di un’umana, quindi la mia è
fantasia fino a un certo punto,
eh, per il resto c’è documentazione pacchiana.
Quindi, dal riferimento “Lui
fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi
ricambiarlo” è
nata la mia Malintzin.
Come avete
visto, il mio giochino preferito “trova il dio
azteco” prosegue anche in questo capitolo, fedele alla mia
ipotesi che tutti i
personaggi sono, in realtà, divinità. Capelli
rossi, a contatto col fuoco,
gradasso: Aindreas doveva essere un Weasley… aspe’
no, volevo dire Tonatiuh.
Sarà vero? Sarà falso? Agli autori di Calaca
l’ardua sentenza!
Piccola nota
anche su una frase che faccio dire nel capitolo:
Noi flirtiamo con la morte à non vedevo
l’ora di utilizzare
questa frase da quando l’avevo sentita nel film Il libro della vita! J E a proposito
del film, mi sono
servita dell’aspetto della Muerte protagonista del film per
immaginare
l’aspetto di Malintzin: è più umano,
ovviamente, con i capelli molto più corti
(o Mictlancihuatl si sarebbe trovata una ventina di giri per ciascuna
treccia
sulla nuca) e gli occhi, che nel film hanno una luce calda come quella
di una
lanterna, hanno il colore di alcuni tipi di semi di cacao dal colore
particolarmente caldo. Come Alma, ovviamente, va ringiovanita parecchio.
Quando ho visto
che Alma e Malintzin stavano diventando
personaggi fissi, non potevo non creare un background e una
personalità ben
delineati, in modo da non creare eventuali refusi tra un capitolo e
l’altro. Ho
quindi fatto di lei una sensation seeker,
praticamente una che fa cose rischiose, potenzialmente mortali, ma con
il
controllo dei rischi calcolato perché adrenalina
sì, aspirante suicida no! Ogni
sua incarnazione è stata amante di uno sport estremo, ma
Alma è in stand-by in
un cimitero… avrebbe amato molto il parkour, crescendo.
Volevo mettere un po’
in pratica il concetto che l’esistenza della morte rende la
vita più
importante, e una sensation seeker mi sembrava più vicina ad
onorare la morte,
come aspetto imprescindibile della vita, rispetto a un suicida o a un
serial
killer – senza nulla togliere a chi vive in modo meno
spericolato, eh.
Una cosa su cui
ho riflettuto parecchio, però, è stata la
seguente: cosa poteva avere un’umana di abbastanza
interessante da far
innamorare un dio al punto da indurlo a donare la capacità
di amare al genere
umano, pur di averla? E perché la sorte di
un’umana sacrificata è stata così
differente rispetto a quella di migliaia di altre vite sacrificate, al
punto da
diventare la consorte di Mictlantechutli? Avevo letto su un sito
(sfortunatamente ora fuori uso) che la bambina sacrificata aveva
attinto potere
crescendo nel Mictlan, ma perché proprio lei, tra tutte le
anime? Non potevo
lasciar correre come la Mayers in Twilight, con Edward che non sa
perché è
attratto da Bella o, peggio, come in 50 sfumature di grigio, dove
Christian Gray,
bono circondato da bone, è inspiegabilmente attratto dalla
scialbina di turno.
Qui ci stanno di mezzo due divinità e una mortale che sta a
loro come una
formica sta ad un essere umano. Trovatelo un essere umano che si
innamora di
una formica.
Ecco quindi che
Malintzin non è qualcuno
di particolare ma ha
fatto qualcosa che ha attirato l’attenzione (un
omicidio per giusta causa
condito da blasfemia) e la cotta di Quetzalcoatl è stata un incidente conseguente al suo dono (che
poi, alla lontana, ci sia un riferimento ad Amore e Psiche –
chi dà l’amore, ops,
si innamora a sua volta – è puramente
casuale); e nel Mictlan cambia un
po’
troppo rispetto agli altri defunti perché assorbe
l’aria attraverso fiori
che riescono a vivere anche in quell’ambiente,
fiori a cui è legata. Questo le fa cambiare un po’
troppo il punto di vista –
meno umano, più divino – e i gusti…
E
ci tenevo che, a causare tutto questo, fosse la divinità
della fioritura
Xocipilli attraverso i cempasùcil… la controparte
greca di Mictlancihuatl,
Persefone, era la dea della fioritura e della primavera, prima che
regina
nell’Ade, finita là sotto per colpa di un
narciso… J Davvero, gente,
non è un caso che
abbia reso Alma greca.
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Capitolo 15 *** Capitolo 24: bruise me, beat me ***
DISCLAIMER'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Don Alemanno o di BardoMagno, nè offenderla in alcun modo" Questo capitolo è
ambientato anni dopo le vicende narrate
nel fumetto, per la precisione nell’agosto 2020. Il motivo vi
sarà chiaro solo
leggendo fino alla fine. Ovviamente, i personaggi sono più
grandi. Sospendiamo
per un momento ciò che è la serie canonica e
immaginiamo che tutto è finito
bene, il mondo non è finito e le nostre divinità
proseguono le loro esistenze
tranquille ma libere dalla prigionia di Esqueleto. Credo di aver
sfiorato il
punto di massima cretineria fandomica, ma spero che sarete clementi.
Buona
lettura!
***
“Non
c’è davvero
altro
modo?” chiese titubante Mordecai, cercando di tenere la voce
il più basso
possibile, con la speranza che Emanuel lo sentisse comunque. Il ragazzo
ne
aveva passate di tutti i colori, in quegli ultimi anni, ma ormai era
riuscito a
ritagliarsi il suo angolino di normalità, soprattutto da
quando era uscito da
Esqueleto sano e salvo, cosa per nulla scontata. Certo, doveva fare i
conti col
fatto di non essere (di non essere mai
stata) una persona normale e di avere un passato abbastanza
ingombrante, ma Mordecai
pensava di aver raggiunto, finalmente, un suo equilibrio, sia mentale
che nella
vita quotidiana. Invece, eccolo a irrompere, di nascosto,
nell’appartamento di
uno sconosciuto, motivato, suo malgrado, da intenzioni criminali.
“Temo di no”
replicò piattamente Emanuel mentre avanzava
senza far rumore. Ciò che erano sul punto di fare sembrava
non fargli né caldo né
freddo.
“Ma basterebbe
parlargli… dirgli di ritirare la
pubblicaz…”
obiettò, leggermente più baldanzoso, il biondo.
“E con quali argomentazioni
vorresti convincerlo?” lo
interruppe il moro.
“Beh, se
l’alternativa è u-ucciderlo…”
“In pratica, vorresti
minacciarlo di morte” .
“No, certo che no! Sarebbe
più… un avvertimento!”.
Alejandro, in testa al gruppetto con
l’espressione di chi si
trovava lì perché invitato, replicò in
modo pratico “In fondo, abbiamo mezzi
piuttosto adatti non solo per convincerlo a ritirare quella canzone, ma
anche
per farlo tacere. Voglio dire, non ci vuole molto a convincere un
essere umano
che siamo divinità azteche e che sarebbe meglio per lui fare
quello che gli
chiediamo”.
“E tu lasceresti testimoni
in giro?” gli chiese, scettico,
il moro.
“Pensi che qualcuno gli
crederebbe, se andasse in giro a
dire che le divinità azteche lo hanno minacciato di
morte?”
“Francamente, preferisco
che nessun umano sappia di noi. Men
che meno un fumettista che prende per i fondelli divinità di
altri culti”.
“Veramente prende per i
fondelli il fan club di quei culti.
Alcune vignette sono piuttosto spassose. Devo ringraziare Alma di
avercelo
segnalato”.
“Emanuel, ma allora tu
preferiresti ricorrere ad un
omicidio?!” pigolò indignato Mordecai, decisamente
non interessato ai lavori di
quel povero diavolo che, temeva, avrebbe passato, di lì a
poco, un bruttissimo
quarto d’ora.
“Ti ho seguito per questo
motivo, giusto? Tu non ti
sporcherai le mani con questo lavoretto, non ne avresti il coraggio. E
allora
ti sollevo io dall’incarico” concluse, con una nota
di rimprovero, Emanuel.
“Anche se non capisco
perché ci siamo dovuti portare dietro
anche lui”
indicò Alejandro.
“È una missione
troppo importante per ignorarla! Diciamo che
sono venuto a dare supporto morale al nostro serpentello con le
piumette
arruffate per lo spavento” denigrò deliberatamente
l’essenza divina di Mordecai,
ma quest’ultimo non ci diede minimamente peso, preferendo
rispondere ad
Emanuel.
“Devo farlo io…
Alma ha incaricato me di farlo… le devo un
favore”.
“Mordecai, non posso
credere che tu abbia chiesto di nuovo
un favore a Mictlancihuatl!
L’esperienza di cinquecento anni fa non ti è
bastata?” sbottò il moro. Nel frattempo
Alejandro, che non si perdeva una sillaba della conversazione, verificava
l’eventuale presenza di altre forme
di vita nell’appartamento.
“Il peso di un debito va
pagato da chi lo ha contratto… lei
è stata categorica su questo” almeno, quella
lezione Quetzalcoatl l’aveva
imparata bene, sebbene ai suoi danni e ai danni di tutto il pantheon
azteco.
“Giusto, ed è
esattamente questo il motivo per cui anche tu
sei qui in Italia con me… parteciperai al delitto.
È sufficiente”.
“E questo mi riporta alla
domanda iniziale: non possiamo trovare
un altro modo? Emanuel, come hai ridotto in silenzio Jason, non
potresti fare
la stessa cosa con quel fumettista?”
“Peccato che ridurlo al
silenzio non raggiunga il peso del
debito che hai contratto con quella niña.
La prossima volta, ti prego, evita
di
chiedere alla Signora del Regno dei morti
di salvare una vita,
così lei non ti
potrà chiedere di toglierne una
per
bilanciare!”
“Ma non è andata
così…”
“Per come avevi formulato
la richiesta, Alma ha fatto ciò
che avevi chiesto. Ha tirato fuori quella tua compagna
d’università che si è
stupidamente persa nelle catacombe di Parigi, succursale europea del
Mictlan.
L’ha salvata, e questo, alla fine, lo avevi compreso anche
tu”.
“Però non
è giusto” ciò che aveva detto il moro
era corretto,
ma ricordare l’epilogo di quell’episodio fece
tornare il magone a Mordecai.
“Giusto o meno,
è stata chiara con te nel paventare le
possibili conseguenze, se quella canzone dovesse diffondersi
ulteriormente e
giungere alle orecchie di Dorian”.
“Non posso credere che
Dorian farebbe davvero mutare il
virus del Covid 19 per un motivo così stupido!” si
lamentò il biondo. “È solo
una canzonetta italiana, e loro stanno in America! Dorian potrebbe non
sentirla
mai! La canta un tizio che non è nemmeno un cantante, ed
è stata creata da un
gruppo semisconosciuto che canta parodie! Alma l’ha sentita
solo perché è
venuta qui in vacanza con la sua famiglia!”
“Una canzonetta che prima
finirà nel dimenticatoio, meglio
sarà per tutti” sentenziò il moro, col
chiaro intento di chiudere il discorso “Ridicola
o meno, non è un caso che l’abbiano resa pubblica
proprio nel cinquecentesimo
anniversario della caduta dell’impero azteco!”
ribatté severamente il moro,
svelando alla fine cosa aveva scatenato la sua irritazione in tutta
quella
storia.
“Guarda che quel
simpaticone ha aumentato il tasso di
mortalità di alcune epidemie per molto meno. E se sua moglie dice che potrebbe sentirsi
sufficientemente offeso per
quella canzone da creare una variante di Covid che farebbe rimpiangere
l’influenza
spagnola, la peste e il vaiolo messi insieme, io le credo”
Alejandro si
interruppe, pensieroso “Ma se ci teneva così tanto
a scongiurare tale
eventualità, perché non ci ha pensato lei
stessa?” chiese Alejandro.
“Perché
deve studiare per il test
d’ingresso all’università e non
può permettersi distrazioni. O almeno così dice
lei”.
“Ehi,
guarda che l’università è
importante!”
“Ma
non mi dire” commentò
Emanuel, rammentando le seghe mentali del biondo sull’esame
che non aveva
potuto dare, poiché appena intrappolato ad Esqueleto, e
quelle peggiori, una
volta tornato libero, sulla tesi di laurea che non riusciva a scrivere
in modo
perfetto come avrebbe voluto.
“Comunque, la canzone era
pure orecchiabile” proseguì
Alejandro, guadagnandosi
un’occhiata
truce da parte del moro
“però…” si interruppe.
Però… non
avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura l’enorme
fastidio, e anche qualcosa di più,
che
Alejandro aveva provato nel sentire lo sparo nel bel mezzo della
canzone.
Quello sparo aveva fatto da spartiacque tra l’ironia della
canzonetta e l’irrispettosa
rievocazione della morte dell’ultimo tlatoani
dei Mexica, Montezuma II, con successiva messa a ferro e fuoco dei
territori
mesoamericani. Era caduto un impero millenario, diamine! Gli Spagnoli
avevano
mandato nell’oblio una nobile cultura e spedito nel
dimenticatoio tutti loro.
Poi, cinquecento anni dopo, arrivavano cinque idioti a prendere per il
culo i
Mexica… non intenzionalmente, chiaro, ma ciò non
rendeva meno fastidioso il suo
risentimento. Huitzilopoctli non avrebbe provocato una pandemia per una
cosa
del genere, ma la tentazione di farla pagare agli ideatori della
canzone c’era
tutta. Sarebbe stato quasi solidale con Dorian, nella malaugurata
probabilità
che arrivasse ad ascoltare, e non apprezzare,
Cerveza
y latifondo.
“Però, guarda la
cosa in quest’ottica, Mordecai:
sacrifichiamo una vita per salvarne milioni”
tagliò corto Emanuel, colmando il
silenzio di Alejandro.
“Come ai vecchi tempi ♥
” concluse Alejandro, segretamente grato per
quell’allontanamento dai suoi cupi
pensieri. Non avrebbe ammesso neppure quello.
“E la sua morte
farà da monito ai cantanti di quella band
affinché non cantino più quella
oscenità, se non vogliono fare la stessa
fin…”il
rumore della serratura bloccò definitivamente le parole del
moro.
“Ma
che caz..?
Le ultime cose che Don Alemanno vide,
subito dopo essere
entrato in casa, furono una saetta azzurra e piccoli uccelli infuocati
balzare
fulminei verso il suo petto, accompagnati da un verso stridulo e
strozzato
dello sconosciuto biondo. Non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco
il volto
dei suoi aggressori, ma una cosa gli era chiara, mentre cadeva a terra,
sebbene
non sapesse chiarire il motivo di quella certezza. Quei tizi non erano
fanatici
cristiani o musulmani.
******************************************
Note necessarie
Dunque, sveliamo l’arcano.
Anzitutto, Don Alemanno è una
persona reale. Lo stimo e non gli auguro niente di male, anche se nella
storia
che avete appena letto è schiattato male. Sono sicura che
è una persona
intelligente e, semmai venisse a conoscenza di questa storiella scema,
non si
offenderebbe, ma confesso di temere alcuni suoi sostenitori, che reputo
meno
intelligenti di lui. Quindi, vi prego, che non vi venga in mente di
taggarlo. Dovete
sapere che, quest’estate, BardoMagno e Don Alemanno hanno
cantato una canzone,
Cerveza y latifondo, che narra, in modo goliardico, la conquista
dell’Impero
azteco da parte degli Spagnoli. Premetto che l’ho adorata,
eh. Non ai livelli
di Norwegian Raggaeton dei Nanowar of Steel, che narra in modo
altrettanto
goliardico le imprese vichinghe, ma è carina e orecchiabile.
Avevo chiesto se era
stato un caso che l’uscita
della canzone fosse vicina al cinquecentenario della caduta di
Tenochtitlan,
Don Alemanno mi aveva risposto che “Il caso non esiste,
Adrienne”. È
stato più forte di me, mi sono subito
chiesta come avrebbero reagito le divinità azteche se
avessero sentito questa
canzone e mi sono scritta da sola la risposta! Probabilmente non
l’avrebbero
presa bene. Forse Alejandro avrebbe apprezzato il ritmo, ma gli autori
di
Calaca, se non ricordo male, avevano scritto che aveva il terrore delle
armi da
fuoco. Vedere il
videoclip dove “Montezuma”
viene
“ucciso” con un’arma da fuoco,
probabilmente, lo avrebbe irritato moltissimo. Emanuel avrebbe
detestato la
tempistica scelta per il rilascio della canzone e Mordecai si sarebbe
imbarazzato per essere stato citato nel testo senza permesso.
Perdonatemi se ho citato il Covid,
d’altronde il periodo
storico che stiamo vivendo è questo e le epidemie erano
ritenute provocate
dalla furia delle divinità (non direttamente da
Mictlantechutli, ma suppongo
che possa influenzarne il grado di mortalità).
Il cenno alla storia delle catacombe
di Parigi è volutamente
criptico: mi serviva un motivo per indurre proprio Mordecai ad essere coinvolto in un
omicidio ma ho
pensato a tal punto nel dettaglio a tale motivo che potrebbe nascere
un’altra
piccola fic a sé stante. Se vi va, la scrivo, altrimenti
lascio perdere.
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Capitolo 16 *** Giorno 13 ottobre: tale madre, tale mostro ***
Direi che questo prompt del
famigerato Goretober che doveva
durare un mese ma che, invece, dura anni, è perfetto per la
festa della mamma
e, finalmente, posso parlare un po’ della mia mamma preferita
nel pantheon
azteco 😊.
Giorno 13 ottobre: tale
madre, tale mostro
Nella remota e tranquilla
città di Esqueleto, ogni occasione
era buona per organizzare una festa. Fortunatamente, la provenienza
degli
abitanti era così varia che le nuove tradizioni venivano
tranquillamente
incluse e festeggiate, dando vita a un calendario annuale assai ricco
di
ricorrenze, più o meno religiose.
E quando
era il momento di organizzare una festa, gli abitanti di Esqueleto
facevano le
cose in grande stile.
Alcune festività avevano
assunto maggior popolarità, al
punto da farne naufragare altre. A far da regina, a fine ottobre, era
ad
esempio il Dia de Los
Muertos, decisamente
più sentita del commerciale e raffazzonato Halloween
statunitense (ma i
cittadini provenienti dalla Nazione a stelle e strisce potevano ben
consolarsi
con la grande Festa del Ringraziamento). I preparativi per i Dia
de Los
Muertos partivano con largo anticipo e si concludevano con
l’evento clou,
la serata danzante al Pavo de Corral, durante la quale persino il
Laberinto
chiudeva i battenti per consentire agli esercenti di parteciparvi e per
togliere agli avventori l’imbarazzo della scelta su dove
trascorrere la serata.
Il Dia de los Muertos
era di gran lunga la festa più
attesa e la più partecipata: tutti gli abitanti ne
prendevano parte, proprio tutti, salvo rare eccezioni dovute a cause di forza
maggiore. Per alcuni
di loro, non si trattava solo di una festa: era LA festa, e non
avrebbero
rinunciato a parteciparvi per niente al mondo.
Tra loro vi era Dolores, una signora
dalla bellezza matura
ma incantevole – per lo meno a seconda dei canoni estetici
che si sceglieva di
prendere come riferimento - che aveva atteso con impazienza quella
serata per
tutto l’anno, contando i giorni mancanti sul calendario.
Certo, anche i suoi
figli non vedevano l’ora di uscire e far baldoria in giro per
la città, ma per
lei, quella serata era ben più importante di una libera
uscita per ballare.
Nemmeno il fatto che uno dei figli fosse impossibilitato ad uscire coi
fratelli
l’aveva preoccupata: per quanto inizialmente fosse rimasta
turbata da quanto
gli era successo, in un certo senso se l’era andata a
cercare, e neppure per quel
figlio avrebbe rinunciato all’evento. Difficilmente qualcuno
l’avrebbe tacciata
di essere una madre snaturata, comunque, se non voleva condividere col
fratello
il medesimo destino.
Dolores era arrivata al Pavo subito
dopo il tramonto, quando
la festa era appena cominciata. Indossava la sua solita – o insolita, a seconda dei punti di vista -
veste, non era bardata a festa come gli altri avventori, ma aveva
accettato di
tenere un cempasuchil tra i capelli in onore della ricorrenza. Nessuno
avrebbe fatto
caso al suo abbigliamento, e comunque lei non era mai stata una donna
vanitosa
o propensa ad ascoltare le critiche delle malelingue.
Dolores aveva atteso Alejandro col
cuore che le batteva
forte in petto. Quella sensazione, lo sapeva, era di per sé
assurda da provare,
eppure non ne avrebbe potuta provare altre, quando pensava a lui. Non passava giorno senza
che lo facesse, con
un misto di aspettativa, orgoglio e, sì, anche
preoccupazione: il suo ragazzo
era felice? Aveva problemi sul lavoro o i suoi affari andavano a gonfie
vele?
Mangiava abbastanza? Quando lo vedeva gli sembrava sempre
così sciupato…
avrebbe voluto dirgli di mangiare di più, ma lui, da
quell’orecchio, non ci
sentiva proprio… beh, nessun orecchio,
in verità, avrebbe potuto
accogliere le sue parole, in quel luogo…
“Senora
Dolores,
vi prego, venire a danzare con noi!” alcune delle donne con
cui aveva stretto
cordiali, seppur distanti, rapporti di vicinato negli ultimi dieci
anni, non avevano
mai desistito dal cercare di coinvolgerla nelle danze, seppur con un
certo riverenziale
timore.
“Scusatemi. Sapete che
ballo soltanto con una persona, in
questo giorno speciale!” declinò con grazia ma
senza reale dispiacere.
“Non dovete scusarvi!
Passate una piacevole serata!” rispose,
un po’ troppo precipitosamente, la portavoce del gruppetto,
che riprese un
allegro girotondo senza degnare di uno sguardo le persone tra cui
avevano preso
posto, e da esse ancor più ignorate,
prese dai loro divertimenti.
“Se soltanto si degnasse di
arrivare!” brontolò a denti
stretti, imbronciata. Alejandro era sempre stato tra i primi a giungere
e a
diventare l’anima della festa, ma quella sera, Dolores non
poteva sapere che
era stato trattenuto in un’amabile conversazione con un
forestiero di recente
arrivo.
“Pensi che verrà
anche il nuovo arrivato?”
“È giunto
qualcun altro in città?”
“S, da pochissimo tempo, ma
la notizia ha fatto il giro in
un lampo. Mi sorprende che tu non l’abbia ancora
saputo!”
“Ah, beh, allora voglio
vedere chi è!”
Dolores non volle far caso a quello
scambio di battute, ma i
due giovani che lei non conosceva, né si curava di
conoscere, parlavano davanti
a lei in modo apparentemente sfacciato, come
se lei non fosse stata presente.
Un nuovo arrivo… il cuore,
se possibile, riprese a battere
ancor più furiosamente. Poteva trattarsi di lei...?
Alejandro forse era proprio con lei,
in quel momento! La speranza crebbe dentro Dolores, mentre si portava inutilmente la mano al petto. Sarebbe
stata
l’unica giustificazione che avrebbe accettato dal ragazzo per
il suo
imperdonabile ritardo.
La speranza, tuttavia, si
sgonfiò come un palloncino quando
lo vide arrivare non con una giovane fanciulla, bensì con un
biondo e
lentigginoso ragazzo dall’aria mesta che aveva appena
abbandonato la sua forma
di daino non appena varcata la soglia del Pavo.
Spalancò gli occhi, non ebbe alcuna
difficoltà a riconoscerlo.
Quindi era giunto,
finalmente… il serpente piumato. Con quel
medaglione..? Cosa diavolo era successo, mentre lei era via?
“E attento a non perdere
quel bel medaglione che porti al
collo!”
Ah, la bellissima voce del suo
ragazzo! Per quanto l’arrivo
dell’incarnazione umana di Quetzalcoatl fosse un evento di
portata eccezionale,
la donna aveva smesso di prestargli attenzione nel momento stesso in
cui aveva
udito il giovane colibrì parlare. Come si era fatto bello!
Ma Alejandro lo era
sempre stato.
“Aspetta! Tu sai di chi
è?”
“Ah no, proprio non ne ho
idea! Ci si vede in giro!” Dolores
seguì con amore quasi reverenziale il giovane che, malgrado
la vicinanza, non
aveva dato segno di averla vista.
Lo vide andare incontro ad alcuni
ragazzi, salutarli, e
invitare a ballare una giovane con piercing e tatuaggio sulle
clavicole. Dolores,
felice come non era stata mai nell’ultimo anno,
danzò accanto a loro.
“Non mi puoi vedere, ma mi
puoi sentire, Huitzilopoctli,
figlio mio?”.
Dolores era giunta ad Esqueleto circa
dodici anni prima,
quando la città era appena nata. L’aveva
conosciuto, il piccolo Emanuel. Di
notte, avrebbe potuto incutere timore nei panni
del grosso pitone in cui si trasformava, ma lei amava la vita
tranquilla, e la
notte se ne dormiva bellamente a casa sua. Poi aveva saputo,
e a quel punto era stata ben felice di essere prigioniera,
davvero. Era una donna
intelligente, aveva capito presto il senso dell’esistenza di
quel luogo.
Emanuel le aveva parlato di Alejandro, sarebbe giunto presto anche lui
a
Esqueleto. Se lei fosse stata tranquilla ad aspettare,
lo avrebbe
riabbracciato presto. Ma la sorte non era stata generosa con Dolores
durante la
sua prima vita, non lo fu nemmeno durante
l’ultima. Uno sciocco
incidente domestico, inconcepibile nella sua banalità, e le
spoglie di Dolores
furono tumulate nel cimitero della città. Lei fu una delle
poche persone a
vivere e morire all’interno di Esqueleto, per la quale venne
anche celebrato un
funerale. Non aveva fatto in tempo a riabbracciare Huitzilopoctli
nemmeno quella
volta dato che quest’ultimo si era presentato in
città solo due anni dopo. Questo
comunque non era del tutto esatto. Ogni
anno, ogni benedetto Dia de los Muertos, lei lo
raggiungeva. Lo
abbracciava. Sapeva che lui poteva sentirla. Lui sapeva che era
lì. Glielo avevano detto.
Lo aveva abbracciato anche
quest’anno, quando Alejandro dopo
alcuni giri di ballo, si staccato dal gruppo di amici e aveva posto un
piccolo
bouquet di cempasuchil sull’altare.
“Hola, mama”
mormorò il ragazzo con una mestizia che
solitamente non gli apparteneva, senza guardare niente in particolare. Lei lo aveva sentito ed era
sicura che lui
aveva sentito lei. Avrebbe potuto sentirla anche al cimitero, se solo
avesse potuto.
Sì, veniva a trovarla, ma erano incontri così
amari… purtroppo, alla donna non
le erano sfuggiti i suoi deliri rivolti a una sorella che non poteva
trovarsi
in quel posto e che era frutto del suo senso di colpa.
Il tempo, quella sera, trascorreva
veloce, ma la notte era
appena cominciata. I balli, la musica e le risate scorrevano abbondanti
come
gli alcolici e gli analcolici serviti dai camerieri del Pavo. Dolores
era
serena e pensava che nulla avrebbe
rovinato la serata. Si era sbagliata.
Era da poco passata la mezzanotte
quando Dolores avvertì la
sensazione di essere chiamata. Si voltò controvoglia, per
scoprire Dorian, poco
distante, fissarla intensamente, quasi con severità. Era
un’occhiata piuttosto
eloquente, e siccome Dolores era una donna intelligente, aveva capito
al volo
che, da lei, poteva volere soltanto una cosa…
“La bambina!”
***
Dolores non aveva mai varcato la
soglia del cimitero prima
della scadenza del tempo concesso ai morti per tornare tra i
vivi– e nessuno lo
faceva mai, a giudicare dal cimitero deserto. Persino l’anima
della nonna della
attuale incarnazione di Mictlancihuatl aveva preferito uscire,
piuttosto che
restare in compagnia della falsa nipote. Era tuttavia assai probabile
che
glielo avesse concesso Alma stessa, il permesso, pur di non sopportare una compagnia che
avrebbe fatto di
tutto per non essere gradita. Comunque, la libertà di
Dolores si limitava
sempre all’interno della città maledetta. Dorian
doveva essere parecchio
abitudinario per prevedere un luogo, all’interno di
Esqueleto, che garantisse
la separazione tra vivi e morti persino in quella città
fuori dalla logica
umana, proprio come faceva il Mictlan stesso, di cui, talvolta, la
donna aveva persino
la sensazione di percepire l’aura, soprattutto quando Alma
era vicina alla
donna. A onor del vero, il cimitero non era proprio deserto. Dolores
poteva
avvertire il pianto sommesso del figlio a cui era stata negata
l’uscita. Non
era stata lei a punirlo, mai le sarebbe venuto in mente di lei di
intrappolare
l’anima del figlio all’interno di una tomba
sepolta, e nemmeno ne aveva il
potere.
Dolores non poteva fare nulla per lui
e, seppur a
malincuore, avanzò verso la cappella. Solo ad Alma era
proibito mettere piede
fuori da lì, nemmeno in quei giorni così sacri.
Non che la bambina ne avesse
così tanta voglia, comunque, e molto probabilmente era
già collassata nel suo
letto.
A dispetto delle sue aspettative,
Dolores la trovò, non
senza sorpresa, addormentata dietro una lapide, incurante del ragno da
guardia
che batteva ritmicamente una zampetta sulla gamba per destarla, senza
successo.
Poco distante da lei, un’altra lapide era macchiata da
inequivocabili chiazze
di sangue. Lo spirito esaminò
quest’ultima attentamente, con un filo di apprensione
– Dorian non avrebbe
apprezzato, se Alma si fosse ferita, o peggio,
mentre lei era assente: fortunatamente,
il sangue non era suo. La bambina non era ferita ma c’era
decisamente troppo
freddo per restare all’esterno con abiti leggeri e Alma,
pallida come… beh, un
morto, non si sarebbe alzata di sua iniziativa. Era una seccatura.
“Sveglia
principessina” in quei giorni, soprattutto le anime
come quelle di Dolores avevano una forza inconsueta, almeno per
interagire con
la loro Signora. Come risultato, la scrollata che le diede ebbe tutto
l’effetto
di una scrollata data da mani tangibili e solide.
“Dolores? È
già mattina?” biascicò la bimba
confusa,
sbadigliando in modo grottesco.
“Devi andare nel tuo
letto” replicò asciutta la donna.
“Non ce la faccio, sono
stanchissima” gli occhi faticavano a
restare aperti.
“Perché eri
fuori? Sai che crolli a terra facilmente in
questi giorni”
“C’era
Emanuel… stava facendo del male a Jason… avrei
dovuto
passare davanti a loro avevo paura a farmi vedere. È
l’unica strada che porta
verso la sacrestia. Ho aspettato che se ne andassero
ma…” concluse con un altro
sbadiglio profondo. Ci pensò Dolores a concludere
mentalmente la sua frase:
quasi sicuramente, aveva perso le forze e i sensi prima del tempo. A
quanto
sembrava, Dorian era andato a farle la consueta visita… e la
presenza di
Emanuel lo aveva disturbato? Mah, probabilmente Dorian lo aveva saputo
dai suoi
ragni servitori, piuttosto vigili su quel terreno.
“Comunque ti devi
alzare” replicò lo spirito con malagrazia.
“Sono senza
forze… non pensare a me, lasciami al mio
destino…” mormorò in modo piuttosto
melodrammatico, prima di spirar… pardon,
riaddormentarsi.
“Spero che non ti
dispiaccia, principessina…” e la
trascinò
di peso, grata di avere quella possibilità di interazione,
seppur circoscritta
al solo cimitero e solo per i Dias de los Muertos, verso il caldo
lettuccio di
quest’ultima, dove la principessina cadde
come un peso…morto e continuò
a ronfare.
“Davvero
questa è la
Signora del Mictlan?” Dolores era tornata prima del
tempo dalla sua serata
speciale ed era stata pure costretta a tirare fuori le sue scorte
speciali di
energia. A nessuna anima comune era concesso il medesimo privilegio.
Eppure,
non aveva voglia di irritarsi davvero con la bambina.
Ogni anno, per i giorni coincidenti
ai Dias de los
Muertos, Alma cadeva in uno stato di spossatezza fisica e
mentale senza
sollievo, al limite dell’astenia, da cui pian piano si
riprendeva solo a
festività concluse.
“Tenere aperte le porte del
Mictlan e gestire il flusso
delle anime in viaggio richiede un’energia senza
precedenti” le aveva spiegato
Dorian “è naturale che, essendo solo una bambina,
lei non riesca a sostenere
tutto quello sforzo”.
“E voi non
l’aiutate?” Dolores era sinceramente stupita. Non
era Mictlantechutli a consentire il passaggio dei defunti nel mondo
degli
umani?
“La gestione di questo
sistema è sempre stato nelle mani di
Mictlancihuatl, e sempre lo sarà” aveva risposto
Dorian con un tono vagamente
solenne e un’espressione imperscrutabile.
Quando Dolores si era vista confinata
nello spazio del
cimitero, Dorian le aveva parlato chiaro: quel luogo, già
intriso di un’energia
che tratteneva le anime di chi lì aveva la sfortuna di
morire, o di transitare,
da centinaia di anni, era diventato il fulcro per la costruzione di
Esqueleto,
un luogo preposto alll’adunanza delle incarnazioni umane
delle divinità azteche
in giro per il mondo. Il cimitero all’interno di Esqueleto
era nato per evitare
le conseguenze di una morte troppo a ridosso del 2012. Morire fuori da
Esqueleto, e arrivare al 2012 mentre eri un infante, o addirittura un
neonato,
avrebbe precluso definitivamente la possibilità, a una
divinità azteca, di risvegliarsi.
Morendo a Esqueleto, l’anima non avrebbe potuto trasmigrare
verso una nuova esistenza
e, nel cimitero, avrebbe potuto continuare a maturare la consapevolezza
della
propria natura divina, e quindi avere la possibilità di tornare,
alla fine
di tutto.
In senso lato, il Mictlan aveva dato
asilo alle anime che
avrebbero potuto avere delle difficoltà a rispondere
all’adunata, e quindi
anche alla stessa Dolores. Certo, vi era l’effetto
collaterale di trattenere
anche anime che non c’entravano nulla, ma erano innocue e, alla
fine di
tutto, sarebbero andate definitivamente nel luogo ad esse
destinate, nel
Mictlan.
Dolores, presto, avrebbe avuto
finalmente la possibilità di
tornare a essere Coatlicue, e riabbracciare definitivamente suo figlio
Huitzilopochtli e gli altri figli giunti pian piano a Esqueleto
– sì, anche
quello che aveva continuato ad aggredirla verbalmente, convinto che il
disonore
di una donna che aveva partorito un figlio illegittimo fosse
più forte
dell’amore che ella provava per tutti loro, un atteggiamento
che, alla fine,
aveva esaurito la pazienza di Alma al punto da indurla a dare un
assaggio del
suo antico potere, con sgomento tanto della madre, quanto del figlio.
Alcuni suoi figli erano vivi, e, come
Huitzilopochtli,
conducevano la propria vita a Esqueleto. Altri avevano concluso la
propria vita
più o meno precocemente e, morendo a Esqueleto, come
Dolores, o vagando verso
essa e trovandosi in esso intrappolato, come era accaduto alla nonna di
Alma,
avevano proseguito la loro esistenza nel cimitero, più o
meno consapevoli delle
loro origini divine e confondendosi tra anime di comuni mortali che
nulla avevano
a che fare con le divinità azteche ma che si erano ritrovate
prigioniere come
mosche nella tela del ragno. Tra i figli risvegliati, la maggior parte
aveva
messo da parte il rancore verso la propria madre, vuoi per
l’influenza delle
vite umane sulla loro indole, vuoi per l’affetto filiale che,
col tempo, aveva avuto
finalmente la meglio sull’onore, vuoi per il temporaneo e
drastico azzeramento
della loro indipendenza e del loro potere che li metteva alla
mercè di Dorian,
il padrone di casa, che aveva più o meno intimato loro di non
creare disturbo
a lui e a sua moglie, nel periodo di permanenza in quel
luogo …
Tuttavia, il più stolto e
testa calda della nidiata non aveva
voluto scendere a così miti consigli e, oltre che guardare
con disprezzo la
bambina, non si era fatto il minimo scrupolo a maltrattare verbalmente
Dolores.
La povera donna aveva provato a difendersi, gli altri figli avevano
tentato,
anche se con scarso impegno, di far desistere il fratello dai suoi
atteggiamenti, ma nulla sembrava trattenere gli sfoghi del ragazzo,
almeno fino
a quando non fu Alma stessa a dire basta.
Dolores, sapeva bene che Alma era la
Signora ma, francamente,
non aveva visto altro che una banale bambina capace di vedere le anime
e
parlare con loro ma, per il resto, ostinata a vivere e parlare come una
comune
decenne normale, piuttosto che come la consorte del sovrano del
Mictlan. Era stata
chiamata dea dagli umani, e come
tale adorata, ma Mictlancihuatl, agli occhi della maggior parte delle
divinità,
rimaneva il curioso risultato di un’anima umana contaminata
da un’energia che
aveva ottenuto per puro caso, un’anima che aveva indotto una
divinità a
sposarla, rendendola sua pari, tra la costernazione di tutti. Una
sgualdrina
che aveva dato il via a un caos che li aveva resi tutti mortali e che,
ora,
sembrava essere regredita alla sua forma originale: una ragazzina
umana.
Ma all’ennesima offesa a
Dolores, Alma si era recata dritta
a una lapide. Con la noncuranza di chi faceva del comune giardinaggio,
aveva
recuperato delle ossa nella bara lì sepolta e le aveva
trasportate nella tomba
più distante possibile. Era bastata gettarle nella nuova
“dimora” che, in essa,
vi fece precipitare anche l’anima a esse collegate, quella
del figlio
maltrattante.
Dolores, sgomenta da ciò
che aveva appena visto, una bambina
in grado di dominare come un burattino qualcuno solo disponendo delle
sue ossa,
aveva ordinato ad Alma di liberarlo, ma quest’ultima aveva
replicato che la
prigionia sarebbe durata fino a quando il ragazzo avrebbe compreso che si
doveva portare rispetto alla propria madre. La donna, quel
giorno, aveva
represso un brivido – chiaramente percepibile, malgrado il
suo stato di anima
incorporea - Alma aveva dimostrato di essere davvero la Signora, pur
non
sapendolo, ma alla donna aveva fatto comunque una certa impressione
vedere una
bimba impartire un castigo così crudele.
Quando, interpellata da Dorian, aveva
descritto quanto
successo, con la speranza che intercedesse in suo favore, Dolores
avrebbe
giurato di averlo visto impallidire, mentre dedicava alle sue parole la
massima
attenzione… e aveva rifiutato di annullare
l’azione di sua moglie ai danni del
figlio di Coatlicue.
Dorian aveva fatto in modo che tutti,
vivi o morti,
arrivassero a Esqueleto… mancava solo Coyolxauhqui
all’appello. Ma sarebbe
giunta anche lei, prima o poi, Coatlique ne era sicura. Aveva sperato
che fosse
finalmente arrivata, quando aveva appreso la notizia di un forestiero.
Doveva
aggrapparsi a quella speranza: l’idea di perdere
definitivamente la sua unica
figlia femmina senza aver avuto la possibilità di chiarirsi
tra donne era per
lei una prospettiva quasi più straziante di non aver potuto
crescere Huitzilopocthli.
La giovane dea le aveva rivolto parole ben più dure di
quelle del figlio ora
sepolto “vivo”, ma Coatlicue era pronta a giurare
di aver visto del rimorso sul
suo volto, di averla vista alzare la mano per fermare la sua
esecuzione, prima
che le lame calassero mortalmente su di lei.
Tuttavia,
l’ospitalità nel cimitero di Dorian non era frutto
di generosità… si stava parlando di
Mictlantechutli, dopotutto. Era sua volontà
che vivi e morti continuassero a rimanere distanti, ma era stato
disposto a
dare alcuni privilegi a Coatlicue, se avesse accettato di vegliare su
Alma, fino
a quando Dorian non l’avrebbe finalmente ripresa con
sé.
Inizialmente, Coatlicue aveva
ubbidito, grata di avere un’occasione
per ritornare nuovamente alla sua antica vita dal Signore del Mictlan,
e aveva
trattenuto l’iniziale antipatia covata verso la falsa dea
che, nonostante la
sua attuale natura così infantile, aveva osato toccare uno
dei suoi figli.
Con il tempo, tuttavia, il suo
atteggiamento verso Alma si
era addolcito. Restava grata a Mictlantechutli di avere la speranza di
poter
tornare alla sua vecchia vita divina, ma aveva dovuto oltremodo
ammettere che era
solo per Mictlancihuatl se Dolores poteva uscire dal cimitero e vedere
ogni
anno il suo figlio più piccolo. Alma avrebbe potuto
scegliere di smettere di
soffrire in qualsiasi momento: le sarebbe stato sufficiente smettere di
impiegare la sua energia che permetteva quel tradizionale viaggio delle
anime.
Eppure, la bambina non lo aveva mai fatto, né
inconsciamente, né tantomeno
quando aveva riottenuto i suoi ricordi. Alma aveva sempre protestato
che,
finché fosse stata in quella forma, si sarebbe comportata
come una normale
decenne americana ma, a dispetto delle sue parole, non era mai venuta
meno a
quello che era stato, da sempre, il suo principale dovere. Come poteva
disprezzarla, quando lei era disposta a fare questo dono ai defunti,
ogni anno?
Avrebbe potuto portarle rancore
perché non la considerava
una vera dea, eppure lei aveva osato alzare la mano contro uno dei suoi
figli.
“Sei stata
vendicata da un lattante nella tua prima vita,
ora vieni difesa da una decenne e mi biasimi pure? Credevo avessi
più amor
proprio, Coatlicue! E se lui vuole tornare libero, che mi
preghi” aveva
replicato con tono insolitamente severo e le pupille insolitamente
rosse,
accese come due lumi nell’oscurità. Pupille che
erano tornate normali, umane,
quando aveva aggiunto “Non rivedo mia madre da anni,
probabilmente non la
rivedrò più, e lui si permette di trattarti
così!”
Sì, avrebbe potuto
portarle rancore, ma come avrebbe potuto
farlo, dopo che la bambina aveva appena ammesso di aver fatto quello
che aveva
fatto per proteggere lei, che aveva nei riguardi
di Alma ben più premure
di quante ne avesse l’anima di sua nonna?
Dolores-Coatlicue avrebbe potuto
tornare alla festa ma, quella
notte, avrebbe controllato che l’astenia di Alma non le
giocasse qualche altro
tiro mancino durante il sonno. Dorian avrebbe potuto arrabbiarsi sul
serio, se
la nanerottola si fosse presa qualche malanno, sebbene non capisse dove
stesse
il problema, se la piccola, disgraziatamente, finisse uccisa: il
cimitero
avrebbe trattenuto anche la sua anima e, alla fine di tutto,
avrebbe
ripreso le sue sembianze “divine”... Comunque, la
donna aveva ancora tutto
l’indomani per stare appresso al figliolo. Mentre guardava
Alma, era
inevitabile ripensare alla sua Coyolxauhqui quando era una bambina. Si
chiedeva
cosa la stesse trattenendo dal raggiungere Esqueleto: sapeva che non
era
necessario essere risvegliate o muoversi consapevolmente verso la
città
maledetta, ma allora cosa le era successo?
Mentre Dolores osservava pensosa la
bambina dormire si
chiese, non senza perplessità dovuto al soggetto del suo
pensiero, se Dorian avesse
scelto consapevolmente lei, una dea sola, che aveva perduto
tragicamente la sua
unica figlia femmina, per prendersi cura di una bambina altrettanto
sola, allontanata
forzatamente dalla sua famiglia, per lenire la solitudine di entrambe.
NOTE:
Ebbene, qui ho infilato un sacco di
riferimenti a capitoli
già pubblicati. Ad esempio, in passato avevo lasciato
intendere che Alejandro era
ben disposto a far terminare l’era del Quinto Sole, e forse
questo capitolo
lascia un po’ intuire il motivo! Ecco, non potevo non
inserire nella fanfiction
la famiglia di Alejandro, mi aveva colpito troppo il mito della nascita
di
Huitzilopoctli per non inserire anche madre e sorella tra i personaggi,
non solo
nei suoi ricordi del passato! Vero che, in un capitolo passato, avevo
lasciato
intendere che la sorella fosse solo un’allucinazione, ma
ciò non mi impediva di
farla esistere comunque, da qualche parte nel mondo! Eh, la signora
Coatlicue
aveva TANTI figli, ma qui sembra che tenga unicamente a Huitzilopoctli
e a Coyolxauhqui:
non è così, semplicemente sono i due figli che
ancora non ha vicino a sé e,
quindi, le mancano di più.
Finalmente, ho esaurito la
descrizione di cosa è il cimitero
nella mia pervertita fantasia. SIA CHIARO: Dorian NON è
altruista, NON salva la
gente, cerca solo di ripristinare lo stato precedente delle cose, e
questo
passa anche per il far tornare tutti alla loro vita precedente, nessuno
escluso
(anche se, a rigor di logica, non tornando al loro stato precedente,
gli dei
resterebbero mortali, quindi alla fine di tutto,
finirebbero come comuni
mortali nel Mictlan con le loro ossa, rendendo Mictlantecuthli ricco
come mai
era stato in precedenza… a lui non interessa.
C’è un motivo, giuro. No, non è
l’altruismo
o la generosità, giuro).
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Capitolo 17 *** Pasto alternativo (6 ottobre) ***
Hola!
È passato un sacco di tempo
dall’ultimo capitolo pubblicato, purtroppo il mio neurone
fanwriter è lento e
pigro, come la sua padrona del resto! Però è
stato proprio un anno pesante e
vedo nubi ancora più scure
all’orizzonte… da un lato, plottare sui prompt per
Calaca mi rilassa i nervi, dall’altro l’ansia mi
stanca enormemente,
soprattutto quando potrei avere del tempo libero per scrivere.
Comunque!
Questo
capitoletto è ambientato
nel secondo volume. Finalmente
riesco a
fare un po’ di POV su Moravich, era da tanto che volevo
farlo, e nel capitolo
successivo, che pubblicherò a breve, sarà
più completo.
Piccola
nota: che Quetzalcoatl
rifiutasse i sacrifici “canonici” e ne richiedesse
di meno cruenti non è una
mia invenzione ma non riesco a ritrovare il riferimento che avevo visto
in
internet. Se questo aneddoto è corretto e non me lo sono
sognato, mi chiedo se
gli autori avessero pensato alla stessa cosa quando hanno reso Mordecai
vegetariano
oppure se si sia trattato di un caso. Inoltre, è piuttosto
controverso il
discorso del cannibalismo rituale dei sacerdoti, cui faccio cenno, non
se ne ha
una certezza storica, quindi va preso con le pinze.
Pasto
alternativo (6 ottobre)
In
seguito alla sfida impostagli
da Emanuel, Mordecai non era uscito dalla sua stanza per i successivi
tre
giorni. Il terrore per l’esperienza passata lo aveva indotto
ad un’autoreclusione
forzata, e ben poco lo aveva rasserenato il fatto che Moravich e Jason,
ormai
liberi dalla maledizione, si fossero stabiliti a casa sua per vegliare
su di
lui. Di fatto, il biondo aveva evitato accuratamente qualsiasi contatto
con le
persone che, fin dal suo arrivo a Esqueleto, si erano mostrate ospitali
e
sinceramente interessate a instaurare un rapporto di amicizia con lui.
I
gemelli, d’altro canto, non forzarono mai la mano, anzi,
assecondarono il suo bisogno
di stare da solo, non foss’altro per il senso di colpa:
mentre erano ancora
legati alla maledizione di Emanuel, erano stati sul punto di uccidere
Mordecai,
e solo l’ostinazione di Moravich aveva cambiato
l’esito della sfida all’ultimo
tentativo di risposta all’indovinello. I due erano
consapevoli di essere stati,
in parte, loro stessi, nella loro forma divina, la causa della paura di
Mordecai, ed erano disposti ad aspettare che il ragazzo riacquistasse
il
controllo delle proprie emozioni prima di fornirgli i necessari
chiarimenti.
Si
erano limitati pertanto a
consegnare i piatti che Thomas e Franklin avevano fatto recapitare
puntualmente
a casa sua, assieme al messaggio implicito che loro ci sarebbero stati,
in caso
di bisogno, indipendentemente dal pericolo che poteva rappresentare
Emanuel per
tutti loro.
Fu
solo dopo che Mordecai era
andato incontro a Thomas e ad Ebenezer, fermi davanti alla porta
d’ingresso, e
dopo che aveva vuotato il sacco sulla sfida, sul sogno che aveva fatto
e sulle
emozioni provate, che i gemelli avevano potuto rivelare, almeno in
parte, la parentela
che li legava a Mordecai e a ricostruire pian piano quel legame
affettivo allentato
da secoli di lontananza e di oblio, ma mai distrutto. Mordecai
aveva accolto la rivelazione con una
certa semplicità, seppur con titubanza
nell’accettarla pienamente, come se non
se ne fosse sentito davvero degno, o avesse temuto qualche errore da
parte loro.
Quello fu il primo giorno, dopo cinquecento anni, che i tre ragazzi si
erano
ritrovati sotto lo stesso tetto da fratelli, non da semplici conoscenti
o
amici.
Da
quel momento, i tre si ritrovarono
spesso a cenare insieme in un contesto più casalingo
rispetto al Pavo de Corral,
visto che Jason e Moravich, ormai liberi, erano in grado di mantenere
la loro
forma umana anche di sera, rendendo quindi possibile cucinare. In
realtà,
quello più entusiasta all’idea di mettersi ai
fornelli era Jason (che già aveva
dato prova della sua abilità in cucina preparando i biscotti
e il tè per
Mordecai, Thomas ed Ebenezer) mentre Moravich si limitava ad
apparecchiare e a
procacciare il dessert… comprandolo al Pavo.
“Jason,
metteresti del
peperoncino in più nei tamales di carne?” chiese
Moravich al gemello, ottenendo
da quest’ultimo un cenno affermativo.
“Tamales…
di carne?” chiese
Mordecai con una lieve nota di preoccupazione.
“È
un tipico piatto messicano.
Tranquillo, vedremo di lasciarne alcune con meno peperoncino, se ti
dà noia il
piccante” rispose Moravich, convinto che il problema fosse la
spezia.
“Non
è per quello…” malgrado
fosse nella sua forma animale, l’espressione di Mordecai fu
chiarissima nell’esprimere
disagio. Fu solo in quel momento che a Moravich tornò in
mente un dettaglio
fino a quel momento ignorato: i piatti che giungevano dal Pavo per il
fratello
erano tutti vegetariani.
“Mordecai…
tu non mangi carne?”
chiese, anche se la cosa, a quel punto, poteva sembrare ovvia.
“Mi
dispiace, non volevo rovinare
i vostri piani per la cena! Mangerò solo il contorno, non
è un problema!” si
affrettò a rispondere Mordecai, confermando indirettamente
il suo regime
alimentare.
Jason,
che in quel momento
sembrava essersi perso l’ultimo scambio di battute, dopo aver
visto qualcosa
fuori dalla finestra che aveva catturato la sua attenzione, gli sorrise
e fece
un cenno con la mano.
“Jason
dice che non sarà un
problema preparare una variante vegetariana dei tamales, anche se non
ne ha mai
preparati prima” tradusse il fratello.
“Davvero,
come riesci a
comprendere quello che vuole dire?” Mordecai si sorprendeva
ogni volta per
l’abilità di Moravich di comprendere i pensieri di
Jason, ma forse, ragionò, era
così tra gemelli, soprattutto tra fratelli che avevano
sempre vissuto insieme.
Moravich aveva lasciato intendere di aver avuto una vita molto dura
come esseri
umani, eppure il biondo era convinto, non senza una punta di invidia,
che molte
prove della vita sarebbero risultate assai più ardue senza
un fratello accanto
su cui fare affidamento.
“Non
è che la carne non mi
piaccia o che mi faccia male ma… non ce la faccio. Non
riesco proprio a mangiarla”
cercò di giustificarsi il biondo, sebbene non ve ne fosse
stata davvero la
necessità.
“Non
è che disprezzi queste
offerte ma… non ce la faccio proprio ad
accettarle” argomentò, apparentemente
quieto, il Serpente Piumato, quando aveva scandalosamente rifiutato i
sacrifici
in suo onore da parte dei mortali.
“Fin
da piccolo, anche quando gli
educatori minacciavano di lasciarmi a digiuno se non avessi finito
quanto avevo
nel piatto… all’orfanotrofio non si poteva
mangiare spesso la carne e
rifiutarla era una cosa abbastanza grave…”
proseguì, timoroso di essere
malgiudicato dai suoi fratelli.
“Capisco
che si tratta di
offerte molto preziose, dalle quali dipende il funzionamento stesso del
Quinto
Sole, ma non voglio che quelle vite vengano offerte in sacrificio a
me”
si sentì in dovere di specificare ai suoi fratelli, che
avevano protestato
circa lo scandalo che il dio aveva sollevato tra gli altri dei, di cui
avrebbe
fatto meglio a non perdere il favore.
“Però
non è che sono come quei
vegetariani che vogliono imporre le proprie scelte agli altri, non mi
dà alcun
fastidio se gli altri la mangiano!” si affrettò ad
aggiungere il biondo con una
nota di voce un po’ più acuta.
“Comprendo
bene che gli altri
dei vogliano le loro offerte e non ho intenzione di impedir loro di
riceverle. Ma
se gli umani vogliono onorare me, mi basteranno fiori o frutta, su
questo non
ho intenzione di discutere!” tagliò corto il
Serpente Piumato.
“Malgrado
gli educatori
giocassero la carta del senso di colpa, io proprio non riuscivo a
mangiarla.
L’idea che degli animali venissero uccisi mi faceva stare
male!” concluse,
abbassando il tono della voce e lo sguardo.
“Quegli
umani avevano tutta la
vita davanti..!” mentre pronunciava quelle parole, il volto
di Quetzalcoatl quasi
si accartocciò in una scandalosa smorfia di dolore. Xolotl e
Xocotl erano
avvezzi alle stramberie del fratello ma quella era stata la
più assurda di
tutte. Fino a quel momento, la peggior sciocchezza che aveva fatto era
stata
perdere la testa per una ragazzetta umana. I fratelli avevano pensato
che,
togliendola dai piedi, il loro Signore e fratello sarebbe
rinsavito. Invece,
persino da morta Malintzin aveva contribuito a far alzare
l’asticella della
stramberia di Quetzalcoatl. La frase “Quegli umani
avevano tutta la vita
davanti” era stata detta davanti al teschio della
ragazzetta, esposto al tzompantli
del tempio, mentre le sue ossa e la sua pelle erano state utilizzate
dai
sacerdoti in modo creativo e la sua carne era stata consumata in un
rito di
cannibalismo rituale. Se, fino al giorno prima, il Serpente Piumato
aveva
accettato il sacrificio tradizionale con fastidio, ma comunque con
tolleranza e
accondiscendenza, da quel giorno ne aveva avuto la repulsione suprema.
Fiori e
frutti in sacrificio a una divinità del suo calibro, quale
emerita stupidaggine,
aveva scosso il capo Xolotl al solo pensiero.
“Non
ti devi giustificare,
Mordecai” lo rassicurò Moravich, seguito da un
sorriso di conferma di Jason. Mordecai,
chiuso nel suo bozzolo di mortalità, sembrava la pallida
imitazione della
divinità che era stata. Sebbene il rifiuto dei sacrifici da
parte del dio fosse
stata fonte di preoccupazione per i fratelli, aver trovato
un’ulteriore
similitudine tra il ragazzo davanti a lui e il Serpente Piumato era
stata una
benedizione per loro. Era un’ulteriore conferma che quei
cinquecento anni di
oblio non avevano scalfito l’essenza di Quetzalcoatl e che,
quando sarebbe ritornato,
probabilmente non avrebbe avuto grandi conseguenze nel suo animo. Per
questo
motivo, la notizia del suo essere vegetariano non aveva infastidito
minimamente
i fratelli, anzi.
Se
i cinquecento anni di vita
umana non avevano apparentemente scalfito l’essenza di
Quetzalcoatl, lo stesso
si poteva dire per Xolotl e Xocotl, ma non come il fratello avrebbe
probabilmente pensato. I gemelli non approvavano i modi di Emanuel ma,
almeno
in parte, avevano un desiderio comune: il ritorno di Quetzalcoatl.
Ciò su cui
non si trovavano per nulla d’accordo era la sorte di quel
mondo: per Moravich e
Jason, poteva pure perire con la loro benedizione! Da umani, erano
stati costretti
a vivere in un loop continuo in cui niente era mai andato nel verso
giusto.
Schiavitù, guerre, deprivazioni, violenza…
avevano subito di tutto e di più.
L’essere stati sempre insieme avrebbe potuto essere una buona
cosa (la
solitudine avrebbe sicuramente esacerbato le loro pene) se non fosse
stato che i
due erano stati sempre l’uno testimone della sofferenza
dell’altro, senza
possibilità di riuscire ad alleviarla.
I
due fratelli non potevano avere
la certezza che Dorian avesse rinunciato a giocare qualche tiro mancino
al loro
fratello, né che il loro prostrarsi al suo servizio anche in
quella vita
mortale avrebbe garantito loro il perdono, ma non
avevano altra scelta. Almeno,
ora avevano la speranza di poter
uscire al più presto da quel limbo chiamato vita mortale, se
tutto fosse andato
secondo i piani di Dorian che, almeno da quello che sapevano,
consistevano nel
riprendersi quella disgraziata di sua moglie e le ossa degli umani e
nel
restituire alle divinità azteche il loro predominio nelle
loro rispettive
dimore, dopo la distruzione del Quinto Sole.
Xolotl
sapeva che, se si
trovavano tutti in panni mortali, era a causa del patto stretto tra Itztlacoliuhqui-Ixquimilli e
Mictlantechutli, e questo
aveva inasprito la sua già non troppo rosea opinione sul dio
del gelo e del
giudizio (una cosa gli era stato chiesto di fare, una! E invece aveva
incasinato tutto con suo fratello!), ma il suo istinto gli aveva
sussurrato da
tempo che la sua sorte e quella del fratello non potevano essere solo
il frutto
del caso o della sfortuna ma che fossero, piuttosto, legate in qualche
modo
alle ultime parole che Mictlancihuatl
gli aveva rivolto.
Quella
sera, tuttavia, i gemelli
avrebbero tenuto fuori di casa, letteralmente, Dorian e tutte le altre
divinità, e avrebbero tenuto stretto quel piccolo momento di
felicità, nella
semplicità di un pasto caldo condiviso con la propria
famiglia finalmente
riunita sotto lo stesso tetto.
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Capitolo 18 *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Ho
scritto questo capitolo quasi
in contemporanea col precedente capitolo, Pasto alternativo, e riprende
il POV
di Moravich, ampliando quanto detto nell’ultima parte. Qui ci
sono anche tanti
riferimenti a capitoli già scritti in questa raccolta,
quindi per un bel pezzo
se ne va anche per le mie tangenti che sviano allegramente dalla trama
principale. Portate pazienza, tanto prima o poi smetto. I riferimenti
che
faccio alle vite passate dei gemelli, invece, sono i flashback
illustrati nel
secondo volume di Calaca.
Piccola
noticina: viene citato
Tlaloc. Per fisime mie, sono vagamente convinta che sia Franklin.
Cioè, la
prima volta che compare nel fumetto, piove di brutto…
Istinto
animale (15 ottobre)
Xolotl
sentì il pianto
sommesso di Mictlancihuatl solo dopo essere entrato nella sua stanza,
nella
quale era stata reclusa dopo essere stata scacciata da Mictlantechutli,
con la
sola compagnia di un ragno da guardia a far da sentinella. Sebbene il
Signore
del Mictlan non glielo avesse espressamente proibito, Xolotl sapeva che
non
avrebbe dovuto rivolgere la parola alla sua Signora in disgrazia, e
che, assai
probabilmente, la sentinella avrebbe fatto rapporto. Tuttavia
Quetzalcoatl era
scomparso e Xolotl non era soddisfatto delle risposte che la falsa dea
aveva
dato al marito. Quel pianto aveva il potere di irritarlo enormemente e
non
provava la benché minima compassione per il dolore che la
falsa dea stava
provando: se si trovava in quella situazione non avrebbe dovuto
biasimare altri
che se stessa. La donna non sembrava essersi accorta del suo ingresso
nella
stanza o forse, più probabilmente, non se ne curava. Sapeva
che non sarebbe mai
entrato il suo Signore, degli altri non le importava. Pertanto, rimase
seduta
per terra, ad accarezzare distrattamente il suo secondino.
“Dove
si trova Quetzalcoatl?”
chiese senza preamboli.
La
Signora lasciò scorrere
diversi lunghi secondi prima di rispondere “Ho già
risposto al mio Signore e tu
eri presente”. Non riteneva necessario alzare lo sguardo per
parlargli
direttamente negli occhi.
“Hai
un pezzo della sua anima,
puoi rintracciarlo senza problemi” aggiunse la
divinità, ben conscia di ciò che
la donna aveva già rivelato a suo marito.
“Non
è di mio dominio” tagliò
corto quest’ultima.
“E
per quale motivo hai
lasciato perdere un pagamento?” questo, in effetti, era stato
un comportamento
inusuale per una divinità del Mictlan e, in quanto tale,
sospetto.
“Perché
non me ne faccio
niente di qualcosa che appartiene a tuo fratello” rispose
sottolineando, seppur
con tono piatto, che l’anima di suo fratello, per lei, non
aveva alcun valore.
“Anche
solo una briciola
dell’anima di mio fratello vale dieci volte quella di una
creatura come te” mai
aveva osato riferire parole tanto dure a Mictlancihuatl, nemmeno quando
era
ancora una serva appena giunta nel Mictlan, vittima delle dicerie sulla
sua
superbia a cui Xolotl, beninteso, non credeva: Quetzalcoatl gli aveva
detto che
non si era mai palesato alla sua amata nella sua vera forma. A Xolotl
era
bastato che lo credesse Mictlantechutli, affinché il
soggiorno della ragazza
non potesse risolversi con un suo eventuale ritorno, data
l’ostinazione di
Quetzalcoatl nel riaverla con sé. Ma adesso che la donna
aveva perduto il
favore del suo Signore, non aveva alcun motivo di mostrare deferenza
alla
responsabile delle disgrazie di suo fratello.
Quella
frase così aggressiva
destò una certa sorpresa in Mictlancihuatl, al punto da
farle finalmente
sollevare lo sguardo, ma non ne sembrava turbata.
“Inizi
a togliere qualche
sassolino dal calzare, Xolotl” commentò con
leggero sarcasmo.
“Non
c’è stato niente di
personale quando ti ho condotta qui la prima volta. Eri semplicemente
un’anima
da far sparire, per il bene di mio fratello”.
“Complimenti,
lavoro
ineccepibile” fece un debole applauso per proseguire col
sarcasmo, facendo
attenzione a non colpire la sua sentinella.
“Hanno
fatto tutto gli altri.
Xocipilli, Tezcatlipoca. Io ho solo fatto il mio lavoro”.
“Ma
tu conoscevi il loro
piano?”
“Sì.
Loro lo avevano fatto per
dispetto. Io l’ho lasciato fare per proteggere mio
fratello”
“Per
dispetto…” ripeté con
amarezza la donna. “Quindi tu sapevi che le dicerie cucitemi
addosso al mio
arrivo qui erano infondate. Non sapevo chi fosse il tuo prezioso
fratello.
Avresti potuto rendere il mio soggiorno meno penoso fin da subito
avvisando che
nooo, la ragazza non era stata solo vittima dei vostri
capricci!”
“Come
ti ho detto, non era
niente di personale. Eri una semplice anima, non mi interessava il tuo
destino.
Ma, dopotutto, hai solo pagato in anticipo ciò che hai fatto
in un secondo
momento”.
“Scusa,
non credo di capire”
replicò con freddezza.
“Tra
gli umani, tu sei
riconosciuta come una dea. Col potere che ha assorbito dal Mictlan, hai
iniziato
a comportarti come se fossi a casa tua”
“Come
se fossi a casa mia…”
Mictlancihuatl lo guardava come se fosse stato un dio minore con poco
cervello.
“Sai
Xolotl, posso comprendere
il pensiero della maggior parte delle divinità fuori dal
Mictlan. Vedono una
serva con un potere che, secondo loro, non le spetterebbe e che diventa
la
moglie di una divinità, un sovrano addirittura. Deve rodere
parecchio. Anche
tra i nobili mortali è così. La plebe nasce plebe
e muore plebe. Ma tu… ci
lavori, qui. Hai visto più o meno tutto ciò che
ha visto il mio Signore. Alcune
divinità ci sono arrivate semplicemente ragionando, persino
Tlaloc c’è
riuscito, seppur con l’aiuto di un disegnino!”
Xolotl
si irrigidì alla
implicita osservazione di essere meno sveglio di una
divinità che... sì, era un
grande dio, con straordinari poteri, assai venerato, ma se la giocava
alla
grande, quanto a ingenuità, con Quetzalcoatl!
“Come
puoi prendere certe
posizioni?” proseguì Mictlancihuatl, che
dell’irritazione del suo servitore non
poteva importare di meno “Hai visto come usavo il potere
conferitomi. Ho fatto
sempre tutto per migliorare le condizioni del Mictlan e per far star
bene il
mio sposo. Questo ha portato benefici ai mortali? Ha portato le persone
a
dedicare anche a me le preghiere e i sacrifici? Se la cosa non ha dato
fastidio
al Signore del Mictlan, non vedo perché dovrebbe dare
fastidio a te!”.
“Le
tue azioni non cancellano
le tue origini” replicò Xolotl.
“Oh..
quindi, fammi vedere se
ho capito… Gli dei hanno il diritto di fare ciò
che desiderano con i mortali.
Quetzalcoatl ha potuto giocare con Malintzin e questa poteva poi essere
gettata
da parte per volontà degli dei. È
corretto?”
Xolotl
fece un cenno affermativo.
Era logico che un dio potesse fare quello che voleva con ciò
che aveva creato.
“Nel
frattempo questa
Malintzin non avrebbe in alcun modo dovuto aspirare a migliorare la
propria
esistenza, se gli dei non vogliono, è corretto anche questo?
Non importa
quanto, nel frattempo, è… uhm… cambiata
quella Malintzin, quante azioni
degne di stima o con conseguenze positive abbia fatto, lei non
può cambiare il
suo destino, se gli dei non vogliono. È corretto anche
questo?”
“È
esattamente questo il
punto” concordò il dio.
“Vivo
nel Mictlan, rendo conto
del mio operato esclusivamente al dio che lo governa. Non è
sufficiente per te
che Mictlantechutli mi abbia sposata? Per i mortali che mi venerano
sì”.
“Noi
la pensiamo diversamente
dai mortali. Non fare l’errore di prenderli come metro di
paragone. Che una
come te si sia legata a una divinità è
abominevole!”.
Mictlancihuatl
si incupì
“Quindi, quando hai visto che mi sono trovata in segreto con
Quetzalcoatl nel
mondo degli umani, hai pensato bene di fare la spia e mettermi in
difficoltà
con Mictlantechutli. Beh, chiariamo anzitutto un equivoco,
Xolotl” sembrava
aver esaurito la pazienza. “Per quanto la mia condizione
possa sembrare il
frutto di un caso legato ai cempasuchil da me
portati al momento della
mia dipartita, sappi che il Mictlan ha più senso
dell’umorismo di quanto credi.
Quell’idiota di tuo fratello ha donato l’amore ai
mortali, portando il caos tra
le anime separate. E chi ha mandato il Mictlan a limitare il danno?
Proprio la
persona a cui Quetzalcoatl aveva avuto interesse a fare quel dono. Ma,
per
quanto il senso dell’umorismo del Mictlan sia notevole, non
avrebbe mai
lasciato usare il suo potere a qualcuno di indegno. E questo,
Mictlantechutli
lo sa”.
“Parli
come se il Mictlan
fosse un essere senziente” commentò con disprezzo
Xolotl.
A
quel punto, Mictlancihuatl
aveva un’espressione mista tra Ma questo
è proprio un coglione! e Glielo
devo dire? “Già, che scemenza,
vero?” abbozzò infine un sorrisetto amaro e
una lieve nota di sarcasmo nella voce.
“Tuttavia”
proseguì con aria
meditabonda “sarebbe bello poter vedere come te la caveresti,
se succedesse a
te quello che è appena capitato a me… sfruttare
tutte le tue capacità e la
buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi
ami… impegnarti a
migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi
sforzi saranno vani,
a meno che non sia una divinità a concederti la
grazia”.
“Ma
questo è ciò che spetta ai
mortali, non agli dei… non a te” concluse velenoso
Xolotl.
“Niente
che augureresti al tuo
amato fratellino, immagino. Ma non devi preoccuparti, lui
sarà protetto dalla
sua buona stella, anche se avrà di sicuro le sue
difficoltà”.
“Che
intendi dire?”, allarmato
ma, allo stesso tempo, arrabbiato nel sentir nominare suo fratello da
quella
sgualdrina.
“Ha
voltato le spalle ai suoi
fratelli, ha abbandonato l’amore della sua vita –
mi riferisco al dio del gelo
e della giustizia, ovviamente! Queste cose pesano su
un’anima, se è mortale,
non lo sai? Come minimo, potrebbe rinascere senza l’appoggio
di una famiglia o
rischiare di crescere in solitudine”.
Il
pensiero di suo fratello in
difficoltà lo fece incollerire. Afferrò la donna
e la scosse con fare
minaccioso.
“Come
trovo Quetzalcoatl?”
“Come
osi!?” esclamò irata la
Signora del Mictlan “Arrangiati! Chiedi aiuto ai tuoi pari!
Ma non ti devo
proprio niente perché non sei niente in confronto a
me!”.
Xolotl,
seppur solitamente
restio a colpire una donna, era stato sul punto di reagire
violentemente alla
sua insensata insolenza (fino a prova contraria, era vera la frase
opposta)
quando, ironicamente, fu la stessa donna a dimostrare la propria
debolezza,
cedendo come incapace di reggere il proprio peso. Xolotl
lasciò la presa e la
Signora cadde a terra, rischiando di schiacciare la povera sentinella.
Una
figura pietosa. Senz’altro
aggiungere, e ormai persuaso che, da lei, non avrebbe ottenuto
informazioni
utili a ritrovare il fratello, Xolotl abbandonò la stanza.
Mentre
combatteva l’imbarazzo per
essere stato esaminato nelle parti intime dal mercante di
schiavi… mentre
assisteva testimone allo stupro di suo fratello da parte di un nobile
francese
dopo essersi procurato l’acqua per ripulirsi…
mentre i morsi della fame lo
tormentavano durante il massacrante turno di lavoro in
fabbrica… mentre giaceva
ferito gravemente durante la guerra in trincea… mentre
veniva spinto sul
convoglio che lo avrebbe condotto alla destinazione finale della sua
ennesima
esistenza… mentre salvava ancora una volta il fratello dal
pestaggio da parte
dei bulli in orfanotrofio… l’istinto di Moravich
ne era più che certo: non era
possibile un tale accanimento sulla sua esistenza e su quella del
fratello.
Quando poi era venuto a conoscenza del passato di Mordecai in
orfanotrofio e
aveva notato quella sua tendenza a schermirsi quando riceveva
complimenti o
manifestazioni di amicizia, il suo istinto lo aveva portato alla
conclusione
che anche il fratello stava pagando per una sua colpa ma che,
fortunatamente
per lui, aveva la benedizione di non esserne consapevole. A Jason e
Moravich,
tale benedizione non era consentita.
Il
Serpente Piumato aveva
abbandonato la sua famiglia, aveva dato al suo amante l’onere
di lottare per
mantenere un legame che lui aveva dimenticato. Per tale motivo, le sue
incarnazioni umane sarebbero state sempre abbandonate dalle loro
famiglie, e
queste incarnazioni avrebbero dovuto faticare il doppio per costruire
nuove
relazioni.
Xolotl
e Xocotl avevano agito
contro gli interessi del loro stesso fratello; non solo, avevano
stabilito che
nessun mortale dovesse essere libero di agire per sé, ma
doveva essere alla
mercè delle divinità senza protestare. Dal loro
primo respiro come esseri
umani, nessuna azione che uno dei due avesse fatto per aiutare il
proprio
fratello avrebbe avuto alcuna conseguenza positiva; qualunque decisione
presa
per tirare avanti nella vita si sarebbe risolta in un buco
nell’acqua. Per
garantire l’efficacia di questa persecuzione, nessun potere
divino era stato
conservato ma i ricordi sarebbero stati fin da subito ben nitidi, a
memento
della responsabilità che avevano avuto per la loro
condizione.
L’intervento
divino che avrebbe
dovuto toglierli dalla loro umana miseria? Oh sì, si era
verificato anche
quello. In quell’ultima vita, Dorian aveva preso con
sé i gemelli, togliendoli
da quel buco di istituto in Bulgaria. Chiaramente esigeva un tornaconto
da
loro, e i fratelli erano stati ben felici di fare tutto quello che lui
aveva
chiesto.
Anche
rapire sua moglie che, da
quanto avevano saputo, aveva avuto vite brevi ma assai spensierate e
appaganti.
“Ma
non torcetele un capello”
aveva ammonito Dorian, con tono ed espressione decisamente sinistri.
A
quell’istruzione che sembrava
un monito, l’istinto di Moravich era subito andato a quella
sentinella.
Mictlantechutli aveva ricevuto rapporto, dopotutto… In tal
caso, avrebbero
usato le maniere buone con lei, come avevano sempre dovuto fare, per
non
contrariare il loro benefattore…
Erano
poco più che ragazzini,
all’epoca. Era stato facile, per Jason, convincere una bimba
a uscire con lui
dall’ospedale, dove era stata ricoverata per alcune visite,
con la promessa di
mostrarle un cagnolino che aveva trovato, portarla verso una via
deserta e, con
l’aiuto del “cane”, Moravich, trascinarla
di peso nell’elegante auto nera di
Dorian, prima di sparire nel nulla.
L’istinto
di Moravich era stato
impeccabile, quasi animale. Sarebbe stato sicuramente uno smacco, per
lui, se
avesse scoperto di aver accusato, nel corso dei secoli, la
divinità sbagliata.
Venuto
a conoscenza di quanto
aveva detto Xolotl a sua moglie, e consapevole dell’inganno
che gli dei avevano
perpetrato anche verso di lui, inducendolo ad essere, in un primo
momento, il
carceriere e il tormentatore di un’anima innocente,
Mictlantechutli aveva
deciso di prendersi la sua vendetta personale verso tutti coloro che
avevano
fatto soffrire la sua sposa, mentre si adoperava per riaverla con
sé.
Sarebbe
bello poter vedere
come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena
capitato a me…
sfruttare tutte le tue capacità e la buona
volontà per ottenere dei benefici
per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua
condizione… e scoprire che
tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una
divinità a concederti
la grazia. Questo aveva desiderato la sua amata,
così sarebbe stato.
Questa
era un giuramento che il
Signore del Mictlan aveva fatto a se stesso: tutti coloro che avevano
danneggiato, o arrecato dolore, a Mictlancihuatl avrebbero pagato per
le
proprie colpe durante le loro vite mortali.
Tutti.
“Mi
state mettendo in castigo
come una bambina stupida? È dunque così che
sarò trattata da voi, d’ora in
avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”*
Nessuno
escluso.
FINE
*era l’ultima frase che
Mictlancihuatl aveva rivolto a
Mictlantechutli nel capitolo “Dismantle
Instructions” in questa raccolta di fanfiction.
|
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Capitolo 19 *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Ho
scritto questo capitolo quasi
in contemporanea col precedente capitolo, Pasto alternativo, e riprende
il POV
di Moravich, ampliando quanto detto nell’ultima parte. Qui ci
sono anche tanti
riferimenti a capitoli già scritti in questa raccolta,
quindi per un bel pezzo
se ne va anche per le mie tangenti che sviano allegramente dalla trama
principale. Portate pazienza, tanto prima o poi smetto. I riferimenti
che
faccio alle vite passate dei gemelli, invece, sono i flashback
illustrati nel
secondo volume di Calaca.
Piccola
noticina: viene citato
Tlaloc. Per fisime mie, sono vagamente convinta che sia Franklin.
Cioè, la
prima volta che compare nel fumetto, piove di brutto…
Istinto
animale (15 ottobre)
Xolotl
sentì il pianto
sommesso di Mictlancihuatl solo dopo essere entrato nella sua stanza,
nella
quale era stata reclusa dopo essere stata scacciata da Mictlantechutli,
con la
sola compagnia di un ragno da guardia a far da sentinella. Sebbene il
Signore
del Mictlan non glielo avesse espressamente proibito, Xolotl sapeva che
non
avrebbe dovuto rivolgere la parola alla sua Signora in disgrazia, e
che, assai
probabilmente, la sentinella avrebbe fatto rapporto. Tuttavia
Quetzalcoatl era
scomparso e Xolotl non era soddisfatto delle risposte che la falsa dea
aveva
dato al marito. Quel pianto aveva il potere di irritarlo enormemente e
non
provava la benché minima compassione per il dolore che la
falsa dea stava
provando: se si trovava in quella situazione non avrebbe dovuto
biasimare altri
che se stessa. La donna non sembrava essersi accorta del suo ingresso
nella
stanza o forse, più probabilmente, non se ne curava. Sapeva
che non sarebbe mai
entrato il suo Signore, degli altri non le importava. Pertanto, rimase
seduta
per terra, ad accarezzare distrattamente il suo secondino.
“Dove
si trova Quetzalcoatl?”
chiese senza preamboli.
La
Signora lasciò scorrere
diversi lunghi secondi prima di rispondere “Ho già
risposto al mio Signore e tu
eri presente”. Non riteneva necessario alzare lo sguardo per
parlargli
direttamente negli occhi.
“Hai
un pezzo della sua anima,
puoi rintracciarlo senza problemi” aggiunse la
divinità, ben conscia di ciò che
la donna aveva già rivelato a suo marito.
“Non
è di mio dominio” tagliò
corto quest’ultima.
“E
per quale motivo hai
lasciato perdere un pagamento?” questo, in effetti, era stato
un comportamento
inusuale per una divinità del Mictlan e, in quanto tale,
sospetto.
“Perché
non me ne faccio
niente di qualcosa che appartiene a tuo fratello” rispose
sottolineando, seppur
con tono piatto, che l’anima di suo fratello, per lei, non
aveva alcun valore.
“Anche
solo una briciola
dell’anima di mio fratello vale dieci volte quella di una
creatura come te” mai
aveva osato riferire parole tanto dure a Mictlancihuatl, nemmeno quando
era
ancora una serva appena giunta nel Mictlan, vittima delle dicerie sulla
sua
superbia a cui Xolotl, beninteso, non credeva: Quetzalcoatl gli aveva
detto che
non si era mai palesato alla sua amata nella sua vera forma. A Xolotl
era
bastato che lo credesse Mictlantechutli, affinché il
soggiorno della ragazza
non potesse risolversi con un suo eventuale ritorno, data
l’ostinazione di
Quetzalcoatl nel riaverla con sé. Ma adesso che la donna
aveva perduto il
favore del suo Signore, non aveva alcun motivo di mostrare deferenza
alla
responsabile delle disgrazie di suo fratello.
Quella
frase così aggressiva
destò una certa sorpresa in Mictlancihuatl, al punto da
farle finalmente
sollevare lo sguardo, ma non ne sembrava turbata.
“Inizi
a togliere qualche
sassolino dal calzare, Xolotl” commentò con
leggero sarcasmo.
“Non
c’è stato niente di
personale quando ti ho condotta qui la prima volta. Eri semplicemente
un’anima
da far sparire, per il bene di mio fratello”.
“Complimenti,
lavoro
ineccepibile” fece un debole applauso per proseguire col
sarcasmo, facendo
attenzione a non colpire la sua sentinella.
“Hanno
fatto tutto gli altri.
Xocipilli, Tezcatlipoca. Io ho solo fatto il mio lavoro”.
“Ma
tu conoscevi il loro
piano?”
“Sì.
Loro lo avevano fatto per
dispetto. Io l’ho lasciato fare per proteggere mio
fratello”
“Per
dispetto…” ripeté con
amarezza la donna. “Quindi tu sapevi che le dicerie cucitemi
addosso al mio
arrivo qui erano infondate. Non sapevo chi fosse il tuo prezioso
fratello.
Avresti potuto rendere il mio soggiorno meno penoso fin da subito
avvisando che
nooo, la ragazza non era stata solo vittima dei vostri
capricci!”
“Come
ti ho detto, non era
niente di personale. Eri una semplice anima, non mi interessava il tuo
destino.
Ma, dopotutto, hai solo pagato in anticipo ciò che hai fatto
in un secondo
momento”.
“Scusa,
non credo di capire”
replicò con freddezza.
“Tra
gli umani, tu sei
riconosciuta come una dea. Col potere che ha assorbito dal Mictlan, hai
iniziato
a comportarti come se fossi a casa tua”
“Come
se fossi a casa mia…”
Mictlancihuatl lo guardava come se fosse stato un dio minore con poco
cervello.
“Sai
Xolotl, posso comprendere
il pensiero della maggior parte delle divinità fuori dal
Mictlan. Vedono una
serva con un potere che, secondo loro, non le spetterebbe e che diventa
la
moglie di una divinità, un sovrano addirittura. Deve rodere
parecchio. Anche
tra i nobili mortali è così. La plebe nasce plebe
e muore plebe. Ma tu… ci
lavori, qui. Hai visto più o meno tutto ciò che
ha visto il mio Signore. Alcune
divinità ci sono arrivate semplicemente ragionando, persino
Tlaloc c’è
riuscito, seppur con l’aiuto di un disegnino!”
Xolotl
si irrigidì alla
implicita osservazione di essere meno sveglio di una
divinità che... sì, era un
grande dio, con straordinari poteri, assai venerato, ma se la giocava
alla
grande, quanto a ingenuità, con Quetzalcoatl!
“Come
puoi prendere certe
posizioni?” proseguì Mictlancihuatl, che
dell’irritazione del suo servitore non
poteva importare di meno “Hai visto come usavo il potere
conferitomi. Ho fatto
sempre tutto per migliorare le condizioni del Mictlan e per far star
bene il
mio sposo. Questo ha portato benefici ai mortali? Ha portato le persone
a
dedicare anche a me le preghiere e i sacrifici? Se la cosa non ha dato
fastidio
al Signore del Mictlan, non vedo perché dovrebbe dare
fastidio a te!”.
“Le
tue azioni non cancellano
le tue origini” replicò Xolotl.
“Oh..
quindi, fammi vedere se
ho capito… Gli dei hanno il diritto di fare ciò
che desiderano con i mortali.
Quetzalcoatl ha potuto giocare con Malintzin e questa poteva poi essere
gettata
da parte per volontà degli dei. È
corretto?”
Xolotl
fece un cenno affermativo.
Era logico che un dio potesse fare quello che voleva con ciò
che aveva creato.
“Nel
frattempo questa
Malintzin non avrebbe in alcun modo dovuto aspirare a migliorare la
propria
esistenza, se gli dei non vogliono, è corretto anche questo?
Non importa
quanto, nel frattempo, è… uhm… cambiata
quella Malintzin, quante azioni
degne di stima o con conseguenze positive abbia fatto, lei non
può cambiare il
suo destino, se gli dei non vogliono. È corretto anche
questo?”
“È
esattamente questo il
punto” concordò il dio.
“Vivo
nel Mictlan, rendo conto
del mio operato esclusivamente al dio che lo governa. Non è
sufficiente per te
che Mictlantechutli mi abbia sposata? Per i mortali che mi venerano
sì”.
“Noi
la pensiamo diversamente
dai mortali. Non fare l’errore di prenderli come metro di
paragone. Che una
come te si sia legata a una divinità è
abominevole!”.
Mictlancihuatl
si incupì
“Quindi, quando hai visto che mi sono trovata in segreto con
Quetzalcoatl nel
mondo degli umani, hai pensato bene di fare la spia e mettermi in
difficoltà
con Mictlantechutli. Beh, chiariamo anzitutto un equivoco,
Xolotl” sembrava
aver esaurito la pazienza. “Per quanto la mia condizione
possa sembrare il
frutto di un caso legato ai cempasuchil da me
portati al momento della
mia dipartita, sappi che il Mictlan ha più senso
dell’umorismo di quanto credi.
Quell’idiota di tuo fratello ha donato l’amore ai
mortali, portando il caos tra
le anime separate. E chi ha mandato il Mictlan a limitare il danno?
Proprio la
persona a cui Quetzalcoatl aveva avuto interesse a fare quel dono. Ma,
per
quanto il senso dell’umorismo del Mictlan sia notevole, non
avrebbe mai
lasciato usare il suo potere a qualcuno di indegno. E questo,
Mictlantechutli
lo sa”.
“Parli
come se il Mictlan
fosse un essere senziente” commentò con disprezzo
Xolotl.
A
quel punto, Mictlancihuatl
aveva un’espressione mista tra Ma questo
è proprio un coglione! e Glielo
devo dire? “Già, che scemenza,
vero?” abbozzò infine un sorrisetto amaro e
una lieve nota di sarcasmo nella voce.
“Tuttavia”
proseguì con aria
meditabonda “sarebbe bello poter vedere come te la caveresti,
se succedesse a
te quello che è appena capitato a me… sfruttare
tutte le tue capacità e la
buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi
ami… impegnarti a
migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi
sforzi saranno vani,
a meno che non sia una divinità a concederti la
grazia”.
“Ma
questo è ciò che spetta ai
mortali, non agli dei… non a te” concluse velenoso
Xolotl.
“Niente
che augureresti al tuo
amato fratellino, immagino. Ma non devi preoccuparti, lui
sarà protetto dalla
sua buona stella, anche se avrà di sicuro le sue
difficoltà”.
“Che
intendi dire?”, allarmato
ma, allo stesso tempo, arrabbiato nel sentir nominare suo fratello da
quella
sgualdrina.
“Ha
voltato le spalle ai suoi
fratelli, ha abbandonato l’amore della sua vita –
mi riferisco al dio del gelo
e della giustizia, ovviamente! Queste cose pesano su
un’anima, se è mortale,
non lo sai? Come minimo, potrebbe rinascere senza l’appoggio
di una famiglia o
rischiare di crescere in solitudine”.
Il
pensiero di suo fratello in
difficoltà lo fece incollerire. Afferrò la donna
e la scosse con fare
minaccioso.
“Come
trovo Quetzalcoatl?”
“Come
osi!?” esclamò irata la
Signora del Mictlan “Arrangiati! Chiedi aiuto ai tuoi pari!
Ma non ti devo
proprio niente perché non sei niente in confronto a
me!”.
Xolotl,
seppur solitamente
restio a colpire una donna, era stato sul punto di reagire
violentemente alla
sua insensata insolenza (fino a prova contraria, era vera la frase
opposta)
quando, ironicamente, fu la stessa donna a dimostrare la propria
debolezza,
cedendo come incapace di reggere il proprio peso. Xolotl
lasciò la presa e la
Signora cadde a terra, rischiando di schiacciare la povera sentinella.
Una
figura pietosa. Senz’altro
aggiungere, e ormai persuaso che, da lei, non avrebbe ottenuto
informazioni
utili a ritrovare il fratello, Xolotl abbandonò la stanza.
Mentre
combatteva l’imbarazzo per
essere stato esaminato nelle parti intime dal mercante di
schiavi… mentre
assisteva testimone allo stupro di suo fratello da parte di un nobile
francese
dopo essersi procurato l’acqua per ripulirsi…
mentre i morsi della fame lo
tormentavano durante il massacrante turno di lavoro in
fabbrica… mentre giaceva
ferito gravemente durante la guerra in trincea… mentre
veniva spinto sul
convoglio che lo avrebbe condotto alla destinazione finale della sua
ennesima
esistenza… mentre salvava ancora una volta il fratello dal
pestaggio da parte
dei bulli in orfanotrofio… l’istinto di Moravich
ne era più che certo: non era
possibile un tale accanimento sulla sua esistenza e su quella del
fratello.
Quando poi era venuto a conoscenza del passato di Mordecai in
orfanotrofio e
aveva notato quella sua tendenza a schermirsi quando riceveva
complimenti o
manifestazioni di amicizia, il suo istinto lo aveva portato alla
conclusione
che anche il fratello stava pagando per una sua colpa ma che,
fortunatamente
per lui, aveva la benedizione di non esserne consapevole. A Jason e
Moravich,
tale benedizione non era consentita.
Il
Serpente Piumato aveva
abbandonato la sua famiglia, aveva dato al suo amante l’onere
di lottare per
mantenere un legame che lui aveva dimenticato. Per tale motivo, le sue
incarnazioni umane sarebbero state sempre abbandonate dalle loro
famiglie, e
queste incarnazioni avrebbero dovuto faticare il doppio per costruire
nuove
relazioni.
Xolotl
e Xocotl avevano agito
contro gli interessi del loro stesso fratello; non solo, avevano
stabilito che
nessun mortale dovesse essere libero di agire per sé, ma
doveva essere alla
mercè delle divinità senza protestare. Dal loro
primo respiro come esseri
umani, nessuna azione che uno dei due avesse fatto per aiutare il
proprio
fratello avrebbe avuto alcuna conseguenza positiva; qualunque decisione
presa
per tirare avanti nella vita si sarebbe risolta in un buco
nell’acqua. Per
garantire l’efficacia di questa persecuzione, nessun potere
divino era stato
conservato ma i ricordi sarebbero stati fin da subito ben nitidi, a
memento
della responsabilità che avevano avuto per la loro
condizione.
L’intervento
divino che avrebbe
dovuto toglierli dalla loro umana miseria? Oh sì, si era
verificato anche
quello. In quell’ultima vita, Dorian aveva preso con
sé i gemelli, togliendoli
da quel buco di istituto in Bulgaria. Chiaramente esigeva un tornaconto
da
loro, e i fratelli erano stati ben felici di fare tutto quello che lui
aveva
chiesto.
Anche
rapire sua moglie che, da
quanto avevano saputo, aveva avuto vite brevi ma assai spensierate e
appaganti.
“Ma
non torcetele un capello”
aveva ammonito Dorian, con tono ed espressione decisamente sinistri.
A
quell’istruzione che sembrava
un monito, l’istinto di Moravich era subito andato a quella
sentinella.
Mictlantechutli aveva ricevuto rapporto, dopotutto… In tal
caso, avrebbero
usato le maniere buone con lei, come avevano sempre dovuto fare, per
non
contrariare il loro benefattore…
Erano
poco più che ragazzini,
all’epoca. Era stato facile, per Jason, convincere una bimba
a uscire con lui
dall’ospedale, dove era stata ricoverata per alcune visite,
con la promessa di
mostrarle un cagnolino che aveva trovato, portarla verso una via
deserta e, con
l’aiuto del “cane”, Moravich, trascinarla
di peso nell’elegante auto nera di
Dorian, prima di sparire nel nulla.
L’istinto
di Moravich era stato
impeccabile, quasi animale. Sarebbe stato sicuramente uno smacco, per
lui, se
avesse scoperto di aver accusato, nel corso dei secoli, la
divinità sbagliata.
Venuto
a conoscenza di quanto
aveva detto Xolotl a sua moglie, e consapevole dell’inganno
che gli dei avevano
perpetrato anche verso di lui, inducendolo ad essere, in un primo
momento, il
carceriere e il tormentatore di un’anima innocente,
Mictlantechutli aveva
deciso di prendersi la sua vendetta personale verso tutti coloro che
avevano
fatto soffrire la sua sposa, mentre si adoperava per riaverla con
sé.
Sarebbe
bello poter vedere
come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena
capitato a me…
sfruttare tutte le tue capacità e la buona
volontà per ottenere dei benefici
per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua
condizione… e scoprire che
tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una
divinità a concederti
la grazia. Questo aveva desiderato la sua amata,
così sarebbe stato.
Questa
era un giuramento che il
Signore del Mictlan aveva fatto a se stesso: tutti coloro che avevano
danneggiato, o arrecato dolore, a Mictlancihuatl avrebbero pagato per
le
proprie colpe durante le loro vite mortali.
Tutti.
“Mi
state mettendo in castigo
come una bambina stupida? È dunque così che
sarò trattata da voi, d’ora in
avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”*
Nessuno
escluso.
FINE
*era l’ultima frase che
Mictlancihuatl aveva rivolto a
Mictlantechutli nel capitolo “Dismantle
Instructions” in questa raccolta di fanfiction.
|
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Capitolo 20 *** Mordecai, vacanze parigine (prima parte) ***
Ottobre, il mese più rognoso nel mio settore
lavorativo… per la prima volta, pure pensare al Lucca Comics
non mi dà sollievo, dato che precede la scadenza
più rognosa di tutto l’anno lavorativo e io sono
ancora in alto mare… ad un certo punto mi sono venuti i
maroni così girati che solo andar dietro a sistemare le
bozze di fanfiction mi ha rilassato i nervi. Quindi, ecco la mia
terapia pubblicata. Se chi mi legge (so che ci siete, il contatore
letture non mente) mi desse un feedback di supporto, mi tirerebbe su il
morale.
Mi era stato richiesto di sgravare lo spin off parigino accennato nel
capitolo Bruise me, Beat me di questa raccolta di prompt. Questo
capitolo è solo una prima parte, un’introduzione,
il prompt non è, pertanto, ancora espresso. Nella storia
abbiamo un salto temporale nel 2019. Spero vi piaccia.
Vacanze parigine
“Davvero, mon chere, mi devi proprio dire da dove viene tutta
questa fifa per i cimiteri!” la voce incredula e vagamente
accusatoria della bionda interlocutrice ebbe l’effetto di far
sentire Mordecai ancora più imbarazzato di quanto
già non fosse, mentre percorrevano insieme la strada che li
avrebbe condotti verso il pensionato studentesco
dell’università.
Erano passati sette anni da quel caos azteco che aveva stravolto la
vita di Mordecai e che, per poco, non si era concluso nientemeno che
con la fine del mondo e dell’umanità per la quinta
volta. Chiudere le faccende lasciate in sospeso per cinquecento anni
non era stato semplice, né tantomeno indolore. Aveva
ritrovato qualcuno di importante, altri erano stati allontanati per
sempre. Ci sono stati dei ben ritrovati, degli arrivederci…
e degli addii. Aveva versato lacrime, ma il suo animo si era anche
rafforzato enormemente, come se l’anima di Quetzalcoatl,
ormai riemersa dall’oblio, si fosse fusa a quella mortale di
Mordecai, alla stregua di due liquidi disciolti in una soluzione,
quando prima, per effetto dell’incantesimo della Signora del
Mictlan, le due identità, umana e divina, erano come acqua e
olio: sempre in contatto l’una con l’altra, ma
destinate a rimanere distinte.
Il biondo aveva ripreso in mano le redini della sua vita, seppur,
inizialmente, a fatica: aveva dato quel famigerato esame, passandolo,
neanche a dirlo, con il massimo dei voti; aveva ottenuto
l’agognata laurea e, alla fine, aveva anche vinto il concorso
per un dottorato in Economia presso una buona università
californiana. Raggiungere quei risultati accademici era ciò
che Mordecai aveva sempre voluto… ma aveva ottenuto anche
qualcosa in più, nel frattempo. Emanuel, per esempio, era
tornato nella sua vita e, stavolta, non ci sarebbe stato dio o
calamità che li avrebbe separati. Beh, il biondo aveva
dovuto penare non poco per fargli accettare il fatto che, per esigenze
di dottorato, avrebbe dovuto passare un anno accademico presso
un’università francese (con la quale era gemellata
il suo Dipartimento), lasciando a casa Emanuel… aveva dovuto
penare TANTO, in verità. Certe abitudini erano dure a
morire, e il vecchio Tlauizcalpantechutli, o dai più
conosciuto col nome di Itztlacoliuhqui-Ixquimilli in seguito alla
perdita del dominio sulla stella Venere, aveva dovuto scendere a patti
col fatto che una distanza fisica di a malapena un anno non avrebbe
potuto essere paragonato a cinquecento anni di disperata ricerca di
un’anima che aveva dimenticato persino il proprio nome. Forse
la divinità del giudizio e del gelo aveva imparato la
lezione o, forse, aveva considerato le esperienze che Mordecai avrebbe
fatto all’estero poca cosa rispetto tutto ciò che
entrambi avevano dovuto sopportare in passato. Di fatto, poteva essere
considerato un Erasmus, con la differenza che Mordecai non era uno
studentello in cerca di feste e avventure – non lo era mai
stato neppure prima del suo risveglio come una divinità
stimata tra le più sagge e importanti del pantheon azteco.
Dunque, certe abitudini erano dure a morire e la stessa cosa valeva per
Mordecai, il quale non aveva ancora superato la sua avversione per i
cimiteri. Se prima gli era sembrata una cosa inspiegabile, seppur
normale, ne aveva poi capito il motivo dopo essersi risvegliato.
Probabilmente, l’inconscio era stato segnato dai suoi
trascorsi nel Mictlan più di quanto pensasse, per quanto non
si fosse mai pentito di aver affrontato quel viaggio per riportare in
vita gli umani.
“Non posso spiegartelo, i cimiteri mi mettono
inquietudine!” si giustificò il biondo con la sua
collega di lavoro al dipartimento francese. Michelle, questo era il suo
nome, aveva preso a cuore l’impegno di mostrare al suo
collega americano le bellezze di Parigi, a cominciare dalle mete
più mainstream e turistiche. Sfortunatamente per Mordecai,
il cimitero di Père Lachaise era considerata una delle mete
più gettonate, soprattutto per le spoglie degli illustri
artisti che vi erano ospitate.
“Quindi non vorrai venire ai cimiteri di Montparnasse, di
Montmartre e di Passy la prossima settimana?”.
“Si può sapere perché a Parigi siete
fissati con i cimiteri?”
“Perché sono praticamente dei musei a cielo
aperto! Hai visto che mausolei ci sono?”
In effetti, Mordecai dovette riconoscere che l’atmosfera era
alquanto… affascinante, in un certo senso. Alcune tombe
erano davvero eleganti, doveva ammetterlo… ma quanto gli era
sembrato strano vedere le strade con la segnaletica e incrociare
turisti che passeggiavano con nonchalance! Nondimeno, non riusciva a
restare troppo a lungo in un luogo dove era presente una
così tale concentrazione di corpi sepolti. Insomma, di
potenziale pericolo, per quanto avesse uhm… risolto?
… i suoi conti in sospeso con Mictlantechutli. Con quella
divinità, non era proprio semplice stabilire se i debiti
fossero stati saldati oppure no…
“Terra chiama Mordecai! Sei ancora con me?”
Michelle non amava i silenzi protratti e Mordecai si trovò a
dedicare attenzione al presente.
“Ma questa non è la strada per il
campus” si soprese il biondo, suscitando uno sbuffo di
ilarità nella collega nell’appurare fino a che
livello la distrazione di Mordecai poteva protrarsi.
“Ci fermiamo a bere qualcosa, no?” chiacchierona e
festaiola fuori dall’università, quanto seria e
morigerata in ufficio o nelle aule universitarie: grazie a Michelle,
probabilmente Mordecai avrebbe recuperato le esperienze che, da
studente, si era rifiutato di vivere, troppo preso a contare ogni
centesimo guadagnato durante i suoi lavori part time e a studiare in
ogni momento di tempo libero per laurearsi in tempo.
Ecco un’altra cosa che Mordecai non amava fare…
andare a bere nei locali. Già non aveva amato farlo da
studente, dopo la sua “avventura” al Laberinto
poi… diciamo che era ancora più restio a
concedersi certi passatempi. Ma Michelle era, senza ombra di dubbio,
innocua da quel punto di vista, una persona normale. Una normale
ricercatrice universitaria parigina. Non sarebbe successo nulla di
pericoloso.
Entrarono in un locale dove era in corso un evento karaoke. Non vi
erano molti universitari: il locale era annesso a un albergo, pertanto
la clientela, comunque non numerosa visto l’orario preserale,
era molto varia.
Mentre veniva maltrattato un brano di Stromae da un avventore di mezza
età, i due si recarono al bancone.
“Analcolico, per favore” specificò
Mordecai all’amica, l’unica che parlava in francese
e che poteva ordinare per entrambi, con un tono insolitamente
perentorio. Sarebbe andato a sedersi ma, con la scusa di non lasciare
l’amica da sola, di fatto voleva essere sicuro che il barman
utilizzasse solo ingredienti davvero analcolici.
“Si può sapere da dove ti viene questa paranoia?
Di solito sono le donne ad essere preoccupate di ciò che
finisce nei loro bicchieri!”.
“Esperienza. Senza offesa, Michelle”.
“Mi dovrei offendere eccome! Un mojito et une boisson gazeuse
de la maison, s'il vous plaît” si rivolse al
cameriere.
“Vorrà dire che, per farmi perdonare,
offrirò io” replicò Mordecai mentre
andavano verso i divanetti e vi prendevano posto.
Il povero Stromae, giunto al termine del brano, lasciò posto
a qualche minuto di silenzio, mentre un gestore del locale armeggiava
col computer per trovare una canzone richiesta da una bambina di dieci
anni circa, accanto alla madre che l’aveva accompagnata a
scegliere.
Presto la sala si riempì con le note della canzone How far
I’ll go on, cantata dalla bimba che ci stava mettendo tutta
la passione di cui era capace. Non era spiacevole da ascoltare, anzi,
la bimba era sufficientemente intonata, ma…
“Ancora questa canzone! Nooooo!”
La voce femminile, fintamente disperata, che giungeva dal divanetto
opposto a quello su cui era seduto Mordecai, era decisamente familiare,
sebbene non l’avesse più udita negli ultimi
cinquecento anni. Mictlancihuatl?
Aveva quasi timore a voltarsi, tale era
l’incredulità per una coincidenza così
grande, ma non poteva fare a meno di verificare quel dubbio.
Così si alzò a controllare chi stava occupando i
posti dietro al suo. Seppure parzialmente di spalle, la riconobbe
subito.
Non rivedeva Alma da quando avevano abbandonato Esqueleto, otto anni
prima. Al posto della nanerottola che ricordava vi era, in tutto e per
tutto, la giovane diciottenne conosciuta e amata durante
l’era del Quarto Sole, vestita però con abiti
più che attuali, mentre sorseggiava una coca cola con una
cannuccia, in compagnia di un uomo di mezza età.
“Cosa ci vuoi fare, sai bene che a Eleni piace tanto
Moana” commentò l’uomo con comprensione
e… pazienza infinita.
“Ma non mi dire” replicò la ragazza,
mostrando con la mano i libretti e i quaderni da disegno con immagini
del film Disney aperti sul tavolo che stavano occupando, tra un succo
di frutta, un tè e la tazza del cappuccino mezzo svuotato.
Mordecai aveva indugiato un secondo di troppo nel contemplare il
quadretto perché lo sconosciuto, di fronte al ragazz,o, si
accorse di lui e gli rivolse la parola, apparentemente infastidito.
“C’è qualcosa che non va?”
chiese con tono vagamente accusatorio.
A quel punto si voltò appena anche la ragazza, alle prese
con un lungo sorso di bibita… con il quale prese a
strozzarsi non appena ebbe realizzato chi aveva davanti, tossendo in
modo assai poco dignitoso.
“Alma!” esclamò il biondo. Certo Alma
non era in pericolo di vita ma Mordecai, allarmato, le diede comunque
qualche pacca sulla schiena, per liberarle le vie aeree dal liquido
andatole di traverso per colpa sua.
“Tenga le mani lontane da mia figlia!”
esclamò l’uomo scansando Mordecai e assicurandosi
che la ragazza si riprendesse mentre quest’ultima si
complimentava, col fiato corto, per la scelta delle sue
priorità.
“Ma che ci fai qui?” gracchiò, non
appena riprese possesso della capacità di respirare.
“Che ci fai tu qui!” replicò sbalordito
il biondo.
“Sono in vacanza!” sputò fuori
esprimendo tutta l’ovvietà del mondo.
“Chi è lei, si può sapere?”
tornò alla carica lo sconosciuto, visibilmente irritato dal
constatare che i due giovani si conoscessero, mentre lui era
all’oscuro di tutto.
“Mordecai” rispose il biondo, sentendosi uno
stupido. Non stava prendendo un po’ troppo seriamente quel
piccolo incidente alla…figlia?
“Alma, come conosci questa persona?” il padre
sembrava pronto ad iniziare un interrogatorio.
“Sto bene, papà, grazie per
l’interessamento” non rispose, sarcastica, la
ragazza.
“Alma!”
“Americani” commentò confusa Michelle,
davanti a quella strana scena. Se non fosse stata abbastanza matura da
non ragionare per stereotipi, avrebbe pensato che la mossa successiva
sarebbe stata una bella pistola puntata verso il collega, cosa che,
appunto, non avvenne. In compenso, mamma e figlia interruppero la
canzone e tornarono al posto. La bimba osservava la scena incuriosita
tanto quanto Michelle; d’altro canto, la madre stava
condividendo l’ansia del marito.
“Tutto bene?” chiese con il timore di una risposta
negativa.
“Tutto bene. Grazie mamma” tagliò corto
Alma.
“Ciao! Sei un amico di mia sorella? Almeno non sei vecchio
come l’altro!” commentò serena la
bambina. Somigliava ad Alma quando la incontrò per la prima
volta nel cimitero: spensierata e aperta alla chiacchiera col primo che
passava.
Cos..? Vecchio lui? Non era esattamente una frase comune da dire.
Mordecai non si rese conto subito del gelo che le parole della bimba
avevano portato tra i membri della sua famiglia.
“Eleni, riprendi i colori e finisci il disegno”
propose Alma, nervosa, per sviare la domanda.
Eleni si sedette al proprio posto, riprendendo la matita rossa in mano.
“La prossima volta cantiamo insiem…”
“No” replicò piattamente la…
sorella maggiore?
“Daaaai” protestò la bambina.
Così, quella era la famiglia umana di Alma? La bambina che
aveva conosciuto al cimitero non vedeva l’ora di
ricongiungersi ad essa… ma in Mordecai sorse una lieve
ilarità nel vedere la Signora dei morti alle prese con una
vita da teenager americana. Se si fermava a rifletterci su,
però, nemmeno il fatto che il nobile Serpente Piumato
vivesse come timido dottorando americano era esente, ad occhio esterno,
da ilarità, però Mordecai lo considerava normale,
forse perché, appunto, non poteva vedersi da un punto di
vista esterno. La scena che il biondo aveva davanti agli occhi appariva
normalissima, nella sua banalità. Eppure aveva la sensazione
che quello non fosse il posto appropriato per la ragazza.
“Grazie per aver aiutato mia figlia,
signor…?” esordì la signora,
più diplomaticamente, ma senza discostarsi
dall’obiettivo del marito: capire chi fosse quel biondo
sconosciuto che sembrava conoscere la loro bambina.
“Il Dottor Mordecai Plumado, mamma. È stato tutor
per la Facoltà di Economia durante la Settimana
dell’Orientamento delle varie università per gli
studenti all’ultimo anno delle superiori. Per inciso, quello
a cui ti sei sospettosamente offerto di partecipare anche tu,
papà, per la Facoltà annessa al tuo Dipartimento!
Dottor Plumado, mia madre, mio padre e mia sorella”
l’entusiasmo che Alma aveva messo nelle presentazioni
rasentava quella di un’interrogazione a sorpresa in classe.
“Ah, un dottore di Economia! Non avrei mai detto, ha
un’aria così giovane!”
replicò il padre, sentendosi tirato in ballo, dando
repentinamente del lei a colui che si era rivelato un collega che, cosa
più importante, si era palesato nella vita della figlia in
una situazione tranquilla.
“Sua figlia minore non sembrava dello stesso
avviso” commentò Michelle, che iniziava a
prenderci gusto.
“Per favore…” mormorarono Mordecai e
Alma quasi simultaneamente.
“Quindi ha partecipato alla settimana dello scorso
luglio?”.
“Signore, era a maggio”. Mordecai non avrebbe avuto
elementi per sospettarlo, ma aveva capito che l’uomo gli
aveva teso un tranello verbale, anche se non ne comprendeva il motivo.
Da quando si era risvegliato, il suo sesto senso si era fatto molto
acuto. Uno sospiro pesante di Alma confermò la sua
supposizione.
“Ha ragione. Mi sono confuso” con tono
tutt’altro che contrito.
In effetti, Mordecai era stato incaricato di partecipare alle
attività della facoltà di Economia e di dirigere
gli altri dottorandi ma si sarebbe accorto della presenza di Alma: il
flusso di studenti interessati alla sua Facoltà non era
così intenso da non notarla.
“Alma, eri alla Settimana dell’Orientamento? Non
sapevo fossi venuta al seminario!” chiese Mordecai.
“Infatti non ho partecipato ad alcuna
attività” rispose la ragazza facendo spallucce.
“…e allora come fa a sapere chi sei, se non hai
partecipato al seminario di Economia del Dottor Plumado?”
chiese il padre, di nuovo col tono vagamente da interrogatorio.
“Ho conosciuto il Dottor Plumado in caffetteria, durante la
pausa caffè”.
…Non era vero. Mordecai si sorprese per quella bugia detta
in modo così disinvolto ma, per fortuna, non lo diede a
vedere, grazie a quella chiacchierona di Michelle che aveva colto la
palla al balzo.
“Sei stata alle iniziative della Facoltà di
Scienze Naturali, Alma? Mordecai mi ha raccontato che
c’è stato un bel po’ di maretta con gli
scheletri!”
“Quelli dati in prestito dal Dipartimento di Biologia? Chi
l’avrebbe mai detto che non erano corpi di volontari lasciati
per testamento alla Ricerca ma trafugati e venduti da tombaroli
moderni?” chiese Alma. “Quell’evento, da
solo, è valso il successo della Settimana di Orientamento
tra gli studenti di tutte le high school di San Diego!”.
“Cosa? Fiiigo!” esclamò eccitata la
bambina che, a quanto pare, era la prima volta che ne sentiva parlare.
I genitori, evidenti responsabili dell’ignoranza della loro
secondogenita, gemettero per la frustrazione.
“Ma come hanno fatto a scoprirlo?” chiese Michelle,
curiosa di avere ulteriori notizie che Mordecai non era stato in grado
di riferirle, ma che immaginava essere stato l’argomento
forte tra i ragazzini che avevano partecipato a quel Seminario.
“Chissà, un vero mistero”
chiosò Alma senza apparente interesse per la cosa.
In effetti, quella situazione aveva destato un enorme scalpore:
qualcuno aveva chiesto, in modo puramente casuale, se fosse sicura la
provenienza di quegli scheletri. L’espressione di Alma,
seppur neutra, aveva lasciato a Mordecai uno strano presentimento.
“Non mi sembra un argomento adatto a una bambina! Eleni,
continuiamo a disegnare in camera. Alma, vieni anche tu”
concluse la madre, facendo un cenno di saluto ai due sconosciuti.
“Finisco la coca cola e arrivo. Conosco la strada”.
“Aspetto Alma e saliamo insieme”
comunicò il padre. Madre e figlia minore raccolsero le
proprie cose e tornarono alla propria stanza.
“Non ho bisogno della guardia del corpo!” il tono
di Alma divenne improvvisamente polemico.
“Finisci la coca cola, dobbiamo prepararci per la
serata”
“Puoi andare tu, intanto, a prepararti. Devo solo prendere
l’ascensore per arrivare alle camere. Cosa vuoi che mi
succeda?”. Il padre stette un attimo a pensare ma, alla fine,
si convinse a dar credito all’obiezione della figlia.
“…Tieni acceso il cellulare”
“Grazie per questa dimostrazione di fiducia”
salutò sarcastica vedendo il padre allontanarsi.
Non appena l’uomo se ne fu andato, Michelle non
poté fare a meno di commentare “Pesanti i tuoi
genitori, eh?”
“Succede, quando la tua foto staziona inutilmente per mesi
sulle confezioni di latte del tuo Paese e poi ricompari anni dopo senza
dare alcuna spiegazione”.
“Cosa?!” si sorprese Michelle.
“È un mojito quello? Sembra buonissimo”
lasciò correre con nonchalance la rivelazione di essere una
ex bambina scomparsa mentre guardava con desiderio il fresco aperitivo
tra le mani della francese.
“Sei maggiorenne?”
“Per la Francia, sì. Per gli Stati Uniti, no. Per
i miei genitori, mai”.
“Anche tuo.. padre insegna Economia
all’Università?” chiese Mordecai.
“Docente universitario di Geologia. Studia i terremoti,
soprattutto” Alma prese un altro sorso di bibita.
“…Terremoti” ripeté il
biondo, a disagio. L’era del Quinto Sole sarebbe finita a
causa di terremoti molto potenti, quando fosse giunta la sua ora.
Obsolescenza programmata….
“Terremoti” confermò Alma, quasi
leggendogli nella mente.
“Che ironia della sorte”
“…Già” annuì la
ragazza.
“Non credo di comprendere la vostra ironia
americana”.
“Troppo americana per essere compresa persino dagli
statunitensi stessi” convenne Alma. Un commento fin troppo
sottile per essere compreso da Michelle e persino per Mordecai, se non
fosse stato una divinità: che la fine dovesse avvenire
tramite terremoti era una conoscenza degli Aztechi, i veri abitanti del
suolo americano assieme alle altre civiltà amerinde, e che
il padre della attuale incarnazione della Signora dei morti li
studiasse col metodo scientifico era abbastanza ironico.
“E tu perché sei qui, Mordecai? Sei in vacanza
anche tu?”
“Io?” si sorprese il biondo “No, parte
del dottorato comprende anche un periodo di collaborazione con i
colleghi dell’università qui a Parigi”.
“Tranquilla, il turismo glielo faccio fare io! Questo ragazzo
è nato vecchio, tutto lavoro e dormitorio!” si
intromise allegra la francese.
“Dai, Michelle!” esclamò imbarazzato il
ragazzo.
“In effetti, nato vecchio gli si addice”
commentò la giovane dando fondo a ciò che restava
della lattina.
“Louvre, Versailles e Tour Eiffel, immagino”.
“Anche. Ma oggi l’ho portato a trovare Jim Morrison
e il fifone qui presente non ha gradito!”
“Ooh … al cimitero di Père Lachaise?
Bello!” replicò Alma con interesse.
“Ci siete già stati? ”
“I miei genitori ritengono il luogo troppo…
macabro per una bambina di dieci anni come Eleni”.
“La tua sorellina?”
“Già. Così domani ci
toccherà Disneyland tutto il giorno”.
Mordecai quasi lasciò un sospiro di sollievo a sentir
nominare Disneyland. Se aveva trovato ironica la professione del padre
di Alma, vedere la sua collega decantare un cimitero come luogo
turistico a una ragazza che vi aveva vissuto per anni segregata
raggiungeva un livello grottesco, per non dire surreale. Se si
aggiungeva pure il fatto che l’interlocutrice era nientemeno
che un’amministratrice di riti funebri divina…
“Ma Disneyland non si trova anche in America?”
“Eleni vuole vedere se il vecchio Continente fa le cose in
grande come l’America” alzò gli occhi al
cielo.
“Mordecai, la segniamo come una delle prossime tappe, ci
stai? Ci facciamo Pirati dei Caraibi!”
“Non male quella saga” commentò Alma.
“Non so di cosa state parlando, non guardo molta
televisione”.
“Come no!” protestò inorridita Michelle
che prese a citare la parte saliente del film per dimostrare la sua
passione alla saga. Una a caso.
“L’avidità di Cortes fu insaziabile. Fu
così che gli dei scagliarono su quell’oro
un’orrenda maledizione. Ogni mortale che sottragga uno solo
dei pezzi dal forziere di pietra verrà punito per
l’eternità.”
Mordecai non credeva alle proprie orecchie nel sentir citare
divinità azteche mentre Alma tratteneva la ridarella.
“Mordecai, gli attori della tv non possono competere con le
tue espressioni facciali!”. Tornò a rivolgersi
alla ricercatrice “Lo sceneggiatore ne aveva di
fantasia!”.
“Piuttosto che altri cimiteri o cose simili, va benissimo
Disneyland…” chiosò Mordecai, pur di
sviare da quell’argomento.
“Fifone” commentò Alma giocherellando
con la cannuccia.
“E io che volevo portarti alle catacombe di Parigi
stasera!” protestò rassegnata Michelle, facendo
accapponare la pelle a Mordecai che, impegnato a non risultare troppo
stridulo nel declinare l’offerta di un tour, non fece in
tempo a registrare la reazione di Alma che, al sentire la parola
catacombe, si era irrigidita appena.
“Fanno accessi serali al pubblico?” Chiese Alma con
tono neutrale, ma tutta la leggerezza che aveva esternato in precedenza
sembrava svanita di colpo.
“Non ufficialmente…” nicchiò
la ragazza con un accenno di sorriso birichino.
Alma si alzò dal suo posto, prendendo un anonimo bastone da
passeggio, con lieve allarme del biondo alla sua vista. Un bastone da
passeggio?
“Io non andrei, se fossi in te” disse la Alma.
“Che intendi dire?” chiese Michelle, sorpresa dal
cambio di umore della ragazza.
“Quello che ho detto. Io non lo farei se fossi in
te” ripeté marcando maggiormente ogni sillaba.
“Beh, la vita è mia, fino a prova
contraria” replicò la donna, piccata.
“Viva il libero arbitrio, allora. Au revoir”
tagliò corto la ragazza e si avviò verso il
corridoio che collegava il locale ad accesso libero alle stanze
dell’albergo con andamento lievemente claudicante,
appoggiandosi al bastone per non pesare sulla gamba sinistra.
“Alma!” si allarmò Mordecai. Il ragazzo
non avrebbe potuto farci caso mentre Alma era seduta. Da quanto tempo
era in quelle condizioni? E poi, che le era preso, tutto di colpo?
“Scusa, torno subito” lasciò Michelle al
suo posto – che, finalmente, poteva dedicarsi al suo mojito
– e accorse ad aiutare Alma.
“Guarda che ce la faccio. Torna dalla tua collega. E stasera
guardati Pirati dei Caraibi, piuttosto che andare… in
giro” replicò, scostando la mano di Mordecai che
voleva sorreggere la ragazza.
“Ma che ti è successo?”
“Lo scorso agosto ho fatto una caduta piuttosto brutta
durante una sessione di parkour. Per poco non mi ammazzavo. Ci ho
guadagnato una frattura del femore e un bel po’ ricordi
tenuti nascosti dal mio personale contrappasso”. Giunsero
all’ascensore.
“Buona vita, Mordecai” le porte si chiusero senza
lasciar tempo al biondo di ricambiare quel bizzarro saluto e Mordecai
non poté far altro che tornare dalla sua collega e dal suo
drink, rimasto intatto, tra l’altro.
“Quella tipa è proprio strana”
commentò Michelle quando Mordecai si sedette al suo posto.
“Michelle, perché vuoi andare alle catacombe
stasera?” chiese il biondo mentre nascondeva il disagio
tormentando la fettina di lime nel suo bicchiere.
“Fanno una festicciola. Guarda che le fanno abitualmente,
anche se non così spesso. È divertente:
c’è musica, si balla… l’unico
difetto è che è clandestina, ma la vita senza un
po’ di trasgressione è una tale noia!”.
“Ma siamo stati in giro tutto il pomeriggio. Non è
meglio fare qualche attività più
rilassante?” chiese Mordecai, deciso a seguire il monito di
Alma.
“Domani è sabato, si può dormire! Se
vuoi fare tu il pantofolaio, va bene, e magari ci vediamo per
pranzo.” Prese un lungo sorso di mojito. “Quella
tua conoscente, Almà… hai notato che si chiama
come il tunnel dove ha perso la vita la principessa Diana?”
domandò seria.
“Riesci a parlare di qualcosa che non sia macabro?”
sospirò esasperato Mordecai, deciso a non dare ascolto allo
spiacevole presentimento che albergava sottopelle.
Non lo avrebbe fatto mai più.
FINE PRIMA PARTE
Piccole note. Il contrappasso a cui fa riferimento Alma è un
rimando esplicito al fatto che tutte le divinità, lei
inclusa, vivono da quando sono umani. Al momento sono stati resi
espliciti quelli di Tezcatlipoca (l’arto senza
sensibilità), Santos (i problemi alla pelle), Emanuel (gli
incubi notturni), Alejandro (le allucinazioni su sua sorella), Moravich
e Jason (l’impotenza di fronte al destino avverso), Alma
(morire non appena riacquista i ricordi sull’amore che prova
per suo marito) e Mordecai (essere sempre orfano e solo).
Vaghissimamente accennato anche quello di Dorian, in realtà,
ma bisogna essere un po’ contorti, forse, per indovinarlo.
Altra nota. Ogni era si è conclusa con una precisa
catastrofe ad opera di una divinità. Sembra che sia
già stabilito che il Quinto Sole perirà per
terremoti violentissimi, almeno questo si legge nella bibliografia a
cui faccio riferimento.
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Capitolo 21 *** Giorno 8 ottobre: “Infezione” ***
Giorno
8 ottobre “Infezione”
Sapevo
che questo momento sarebbe
arrivato: il quarto volume di Calaca ha finalmente rivelato
l’identità della
dea Mictlancihuatl e, devo dire, è stata davvero una bella
sorpresa per me,
molto gradita (anche se, devo ammetterlo, i segni per riconoscerla, nel
fumetto, c’erano pure stati ma, col senno di poi, sono capaci
tutti). Vedere
*quel personaggio* (no spoiler) interagire con Dorian, quando pensavo
che fosse
tutt’altra divinità, mi ha sciolto in un brodo di
giuggiole!
Credo
dunque che, per quanto
abbia amato il mio personaggio originale, Alma, sia ormai giunto il
momento di
chiudere questo mio arco narrativo parallelo, creato dal mio iniziale
bisogno
di colmare quasi due anni di attesa per il terzo volume, chiusa in casa
a causa
della pandemia, per poi adattare le future storielle, eventualmente
partorite
dal mio neurone fanwriter, alla trama ufficiale. Questa narrazione
parallela non
si concluderà certo con questo capitolo, ma non mi sembra il
caso aspettare
altri due anni per farlo; d’altro canto, non me la sento
nemmeno di
interrompere questo ciclo di fanfiction: giacché il mio
neurone aveva plottato
altri prompt per quel lontano e famigerato goretober, tanto vale buttar
fuori tutte
le idee. Questo capitolo, ad esempio, era in bozza da mesi, e
finalmente sono
riuscita a scriverlo. Ho in preventivo gli ultimi due capitoli,
dopodichè adios
hermana (semicit.).
Infezione
“Allora,
è grave?”. La voce, ad
un orecchio attento, lasciava trasparire un certo nervosismo mentre il
richiedente scrutava l’amico, intento a valutare la paziente
seduta davanti a
loro. Quest’ultima non faceva altro che passare il suo
sguardo incredulo tra le
due divinità che, di fatto, l’avevano tagliata
fuori dai loro discorsi fin dall’inizio,
pur essendone palesemente l’oggetto. Tale scetticismo,
dopotutto, era
abbastanza giustificato, dal momento che le due divinità
stavano trattando
Mictlancihuatl come una fanciulla gravemente malata, condizione
decisamente
impossibile nel Mictlan. Era da diversi secoli che l’anima
dell’umana
sacrificata viveva nella morte; le malattie non erano più un
problema Laggiù,
tra defunti e divinità immortali. Non che se la fosse
passata bene, i primi
tempi: subiva angherie da, praticamente, tutti (beccate di quaglie e
morsi di
ragno a random, servitori di Mictlantechutli pronti a picchiarla al
minimo
sbaglio di lei, su ordine del sovrano stesso – anzi, talvolta
ordinava pure una
razione in anticipo) ma, nell’ultimo periodo, stava bene.
Mictlancihuatl eseguiva
alla perfezione anche i compiti prima impossibili per lei, e questo
aveva
ridotto enormemente il numero di punizioni subite. Ragni e barbagianni
si
avvicinavano a lei per farsi fare una carezza. La fanciulla non
sembrava più
temere quel luogo lugubre, anzi, talvolta la si poteva sentire
canticchiare
mentre andava di qua e di là, impegnata in qualche faccenda
ancora prima che le
venisse assegnata.
Se
già il contrasto tra la sua…
vitalità e la domanda era strana, il culmine della stranezza
era che, a porre
quella domanda, era stato nientemeno che il Signore del Mictlan in
persona. Che
Mictlantechutli si interessasse alla salute della più
disprezzata tra i suoi
sottoposti raggiungeva l’apice del grottesco. Tuttavia, il
numero di stranezze
accumulate dalla sua servitrice stava via via aumentando: una
situazione del
tutto inedita. Aveva deciso che la situazione non poteva più
essere ignorata
quando nessun servitore, inspiegabilmente, osava più
avvicinarsi a lei malgrado
gli ordini ricevuti dal sovrano. Ma non poteva essere considerata
disobbedienza: in totale conflitto tra due forze opposte (non toccarla
oppure
farle del male), il servitore coinvolto finiva
semplicemente… col rompersi,
letteralmente.
“In
effetti, trovo molto, molto
strano vedere un tuo servitore così in forma, dopo tutto il
tempo trascorso
dalla sua dipartita” commentò perplesso Painal, il
dio della medicina venerato
dai guaritori mortali, mentre, con piglio da luminare consumato, teneva
una
presa salda sulla mandibola di Mictlancihuatl, guadagnandosi
un’occhiataccia
torva (per quanto possibile dalle ossa fisse) della fanciulla, e
scrutava le
orbite oculari, le cavità nasali e la bocca.
“Da
quanto tempo è in queste
condizioni?” proseguì scrutando tra i capelli
sciolti della sua paziente.
“Da
circa un secolo… dopo un
incidente” rispose Mictlantechutli dopo una breve riflessione.
“Lo
chiamate incidente? Davvero?!”
sbottò la ragazza.
“Parla
solo se interpellata!” la
ammonì il re.
“Sì,
mio Signore” aveva risposto
in modo rispettoso, ma del tutto privo della paura che avrebbe avuto un
tempo.
Altro sintomo strano. Il suo silenzio, comunque, non durò
molto: “Ehi!” esclamò
indignata, mentre Painal provvedeva ad abbassarle le spalline del
vestito, e
schioccò un rapido ma deciso schiaffetto alla mano del dio.
Se lo avesse fatto a
Mictlantechutli, il suo scheletro sarebbe diventato seduta stante
becchime per
quaglie; in effetti, qualunque altra divinità avrebbe potuto
richiedere la
medesima punizione, a tale oltraggio. Painal si lasciò
sfuggire, al contrario, un
sorriso divertito, seppur appena accennato. Anche quella reazione della
fanciulla, nella sua mente analitica, era diventato un indizio pronto
ad
avvicinarlo ulteriormente ad un’ipotesi diagnostica piuttosto
interessante. Si
prestò dunque a parlare direttamente a lei, per la prima
volta:
“Devo
valutare la qualità del tuo
respiro, signorina. Abbassa leggermente le spalline, in modo da
lasciare libera
la schiena” spiegò pazientemente, come se si
rivolgesse a una bambina con la
paura dei dottori. Grottesco voler esaminare uno scheletro come se
fosse stato
un corpo completo, ma chi era Mictlancihuatl per dubitare delle azioni
di un
medico divino?
“Ma
io sto bene, divino Painal” obiettò
la ragazza. Conosceva di vista quella divinità, andava
spesso a trovare
Mictlantechutli. Aveva intuito il rapporto tra le due
divinità ma,
intelligentemente, non se ne era mai curata. Non erano affari suoi,
dopotutto.
“È
questo il problema. E ora, fa’
quello che dice il medico” si intromise, tutt’altro
che con delicatezza, il
Signore del Mictlan.
Mictlancihuatl
diede le spalle
alle due divinità e scoprì la sua schiena, come
le era stato ordinato.
“Fai
dei respiri profondi… così…”
beh, almeno Painal era professionale. Passò un lungo minuto,
mentre la divinità
esaminava il suo respiro, dopodiché la lasciò
rivestirsi.
“Bene,
ho finito. Ora vorrei
farti qualche domanda, se non ti dispiace” la stava davvero
trattando con
gentilezza? Era davvero una situazione inedita, da quando Malintzin era
morta.
“Allora,
il tuo Signore mi ha
detto che soffri di mal di testa”.
“Non
sempre, solo qualche volta”
confermò la ragazza.
“Quando?”
“Quando
loro sono troppo
agitati. Mi danno sui nervi”.
“Loro
chi?”
“I
morti, divino Painal”
“Sei
dispiaciuta per la loro
condizione?”
“Beh,
non proprio. Voglio dire,
mi hanno mandato loro a morire, no? E comunque, alcuni di loro creano
troppo…scompiglio. Persino il mio Signore, ad un certo
punto, si spazientisce,
si dirige nel Chiucnāhuāpan, il settore più profondo del
Mictlan, dove soggiornano
tutte le anime dei defunti, e ZAC!” mimò un
fendente nell’aria “fa a pezzi i
più facinorosi con la sua falce!”.
“A
quel punto, ti passa il mal di
testa”
“Non
sempre, divino Painal”
“Come
fa a passare?”
“Mi
passa soprattutto quando loro
si sentono al sicuro nella loro nuova casa”
“Capisco.
Bene, cercherò
di individuare la causa dei tuoi mal
di testa, signorina…?”
“Mictlancihuatl”
rispose la
fanciulla, usando il nuovo nome con cui era conosciuta in quel luogo.
“Che
nome interessante” commentò
il Medico con educazione.
“Il
mio Signore è preoccupato per
i miei mal di testa?” chiese con tono molto, molto scettico.
“Torna
a sorvegliare le ossa,
ragazza” la congedò il sovrano e la fanciulla
reagì prontamente all’ordine.
Fece la riverenza ad entrambi – più profonda e
ossequiosa per il suo re,
naturalmente – e lasciò la stanza.
“Sei
preoccupato per i suoi mal
di testa, Mictlantechutli?” al contrario della ragazza,
Painal pose la domanda
con un misto di ilarità e serietà.
“Neanche
per sogno” esclamò il
sovrano, senza lasciar spazio al minimo dubbio sulla questione.
“Tuttavia, un
morto non può provare sensazioni fisiche, nel mio Regno.
Niente fame, niente
sete, niente dolore. Niente di niente”. Andò ad
accomodarsi sul proprio trono,
dopodiché fece accomodare l’amico.
“E,
se chiamati al tuo servizio,
non sentono nemmeno di avere una coscienza”.
Painal
lo sapeva. La popolazione
umana di quel tempo aveva un grande pregio, agli occhi dei loro
governanti: era
estremamente ubbidiente. Nessuno metteva in dubbio gli ordini,
l’idea di
rivoltarsi contro i propri padroni non passava nemmeno per
l’anticamera del
cervello. Se il destino di quella gente era quello di servire, lo
avrebbe fatto
con dedizione assoluta, anche perché la punizione, in caso
di mancanze, sarebbe
stata terribile. I governanti terreni erano come dei sulla terra; era
logico
che, una volta chiamati a servire gli dei nell’altra
vita, in uno
qualsiasi degli Oltretomba esistenti, l’ubbidienza sarebbe
stata totale e
assoluta. La conversazione appena avvenuta lo confermava:
l’agitazione non era
tollerata e veniva repressa senza alcuna pietà.
C’era
tuttavia una caratteristica
che accomunava le anime dei sacrificati nei Giorni dei Morti, designate
a
servire il Signore del Mictlan: nel momento in cui tornavano in
possesso delle
loro ossa, diventavano letteralmente delle marionette senza alcuna
coscienza di
sé stessi. Le ossa dei defunti erano gelosamente custodite
in un settore,
mentre le anime dimoravano in un altro settore del Mictlan. Possedere
le ossa
di qualcuno equivaleva a possedere il potere su quell’anima.
Per poter servire
il proprio Signore, le anime tornavano in possesso delle ossa, per
divina
intercessione. Ma l’energia del Mictlan, come un parassita,
esigeva un prezzo
per l’utilizzo di qualcosa che non apparteneva più
alle anime, pur mantenendo
un legame, ma al Mictlan stesso: progressivamente, la magia, al pari di
una
grave infezione, annullava la volontà di quelle anime,
rendendole schiavi senza
voce, fino al momento della sostituzione con altri servitori meno
danneggiati.
Non vi era la minima possibilità di disubbidienza e solo la
volontà del Sovrano
avrebbe implicato di nuovo la separazione tra ossa e anima –
e, forse, l’anima
avrebbe potuto ritornare in sé … o rimanere
danneggiata per l’eternità.
Lo
stesso destino sarebbe spettato
a Malintzin. Piano piano, la sua mente si sarebbe azzerata. Nel
frattempo,
avrebbe passato le pene dell’inferno, prima di diventare una
marionetta a sua
volta. Anzi, nei piani di Mictlantechutli, il suo tormento sarebbe
dovuto
proseguire anche dopo tale lobotomia.
Eppure,
questo non avvenne mai. Nessuna
infezione l’aveva mai danneggiata:
Mictlancihuatl non perse mai la sua
coscienza. Non perse mai il controllo sulle sue ossa.
“Avevi
accennato ad un incidente.
Puoi descrivermi cosa è successo di preciso?”.
“Non
ho altro modo per definirlo,
non mi era mai capitato niente di simile prima d’ora. Avevo
fatto rinchiudere
Mictlancihuatl dentro una piccola caverna, come punizione per un suo
atteggiamento insolente”. In realtà, la ragazza
non aveva fatto nulla di male:
obbediva agli ordini senza discutere, com’era giusto che
fosse. Eppure, dopo
aver scoperto l’identità di Quetzalcoatl e il
motivo per cui era lì, non aveva fatto
granché per mostrare quel che pensava della situazione. Non
aveva più fede. Era
ubbidiente come sempre, ma ogni sua fibra trasmetteva freddezza e
disprezzo
verso entità che riteneva, giustamente, più
grandi di lei ma che si erano
comportati, nei suoi confronti, come i più meschini tra gli
umani. Eseguiva gli
ordini, questo sì, ma non in modo abbastanza devoto
e questo,
ovviamente, fu sufficiente a Mictlantechutli per punirla. “Vi
rimase per molti
giorni, e non aveva fatto altro che gridare per il terrore di
quell’antro tanto
angusto da essere come una tomba. Poi, un giorno, quelle grida
cessarono.
Xolotl, su mio ordine, la liberò, convinto di trovarla
impazzita. La trovò
invece appoggiata alla nuda pietra, protesa ad ascoltare qualcosa con
la
massima attenzione. I fiori che aveva portato con sé dal
mondo dei vivi avevano
attecchito al suolo del Mictlan”. Non
aggiunse altro, pensieroso. La donna, da quel giorno, aveva continuato
a subire
in silenzio, ma non aveva più guardato il suo Signore con
terrore. Anzi, era
tornata ad esserci persino un rinnovato atteggiamento di riverenza nei
confronti del sovrano – solo nei suoi. Tra un dovere e un
supplizio, tuttavia,
il re aveva notato come l’inquietudine di un’anima
sveglia in un mondo di morti
le crescesse dentro: da dove veniva tale inquietudine? Cosa la
provocava? Non
lo sapeva lei, non lo sapevano Mictlantechutli e Xolotl. A quella
inquietudine,
aveva trovato un’unica valvola di sfogo: sistemare le ossa
accatastate che
aveva trovato per caso. Il suo tesoro.
“Sembra
felice del compito che le
hai affidato” commentò l’amico,
rammentando l’ultimo comando del sovrano alla
ragazza e la sua leggerezza nel correre a svolgerlo.
“Le
piace sorvegliare il mio
tesoro”.
Painal
non aveva remore a parlare
con schiettezza al sovrano del Regno dei morti. Mictlantechutli, dal
canto suo,
si era sempre sentito libero di parlare con lui altrettanto
liberamente. I
Giochi tra le due divinità erano leggendari: da essi
dipendeva la decimazione,
o meno, del genere umano. Mictlantechutli lanciava la sfida: quante
perdite ci
sarebbero state, prima che l’epidemia diffusa con un certo
tasso di mortalità
venisse debellata? Painal donava indizi agli umani: spettava a loro
trovarli,
utilizzarli e, con l’aggiunta di un po’ di
benevolenza divina, salvarsi. Da un
lato, tali Giochi erano utili alle due divinità immortali
per ammazzare
il tempo e la noia; dall’altro lato, tali calamità
erano utili all’umanità
stessa che accresceva, vincendo, la durata media di vita e la sua
qualità. Al
pari di una pianta che non cresce sana e forte senza una bella
potatura, allo
stesso modo, un’epidemia ogni tanto non poteva che fare bene,
su larga scala.
Se non fossero divinità, il loro atteggiamento avrebbe
potuto essere considerato
oltremodo cinico e abominevole; ma d’altronde, come sarebbe
stato possibile
ottenere un bene superiore se non attraversando le
difficoltà e sacrificando sé
stessi? Xipe-Totec stesso non aveva dato il mais agli umani: aveva dato
loro
gli strumenti per procurarselo. Gli umani non usavano correttamente gli
strumenti donati? Avevano ignorato per negligenza le tecniche di
coltura?
Conseguenza: carestia. Gli umani volevano vivere più a lungo
e nel pieno della
loro forma fisica? Dovevano cercare un rimedio alle malattie. Logico,
no? Poi,
chiaro, poteva sempre accadere che qualche divinità si
svegliasse la mattina
con l’idea: “oggi sono un po’
incazzato, aspetta che distruggo il mondo e i
suoi abitanti”.
“Pensavo
che la permanenza della
fanciulla nel tuo reame dovesse essere una condizione penosa”
commentò il dio
medico.
“Fornisce
un servizio
particolarmente utile. Non avevo idea che le quaglie stessero beccando
le ossa…
stupidi pennuti… se ne era accorta lei”.
“Ossa
danneggiate…”
“Sì,
agitano le anime a cui
appartengono e questo porta caos nell’ultimo livello del
Mictlan,
costringendomi ad intervenire per ripristinare
l’ordine” prese una piccola
pausa, prima di concludere “Ma da quando la sorveglianza
è stata potenziata,
quel problema specifico non si è più
ripresentato”.
“Quindi
le hai ordinato di fare
la guardia”.
“Non
l’ho fatto”.
“Come?”
“Pensi
davvero che avrei mai dato
fiducia ad una come lei al punto da farla avvicinare al mio tesoro? Era
lei che
andava lo stesso. E, vedendo che se la cavava bene, l’ho
lasciata proseguire”.
“Una
sua libera iniziativa…”
commentò con l’aria di aver acquisito un
importante indizio.
“Non
è stata l’unica”.
“Parlamene”.
“È
in grado di uscire dal Mictlan,
poi torna con le ossa disperse nel mondo”.
“Le
hai dato la dispensa di
uscire dal Mictlan? Ma che ti dice il cervello?”
“Esce
da sola”. Questo sconvolse
davvero Painal. Era la cosa più assurda di tutte quelle che
aveva appena finito
di sentire.
“Non
è possibile, per un morto,
uscire dal Mictlan da solo!”
esclamò inorridito.
“Quei
fiori…” mostrò alcuni
boccioli seminascosti nel terreno – Painal sgranò
gli occhi: quindi crescevano davvero
delle piante nel Mictlan? - “le
indicano
la strada. Xolotl non riesce ad estirparli”.
“Ma…perdersi
non è l’unico pericolo.
C’è di tutto lungo la strada, senza la guida di
Xolotl, un’anima umana
resterebbe intrappolata”.
“Eppure,
per lei è una
passeggiata”
“Non
fugge. Hai detto che torna
con altre ossa”.
“Nessuno
ha la tendenza a
fuggire. Nemmeno le anime più agitate ci provano. Questa
è la loro dimora,
ormai”.
“La
loro casa…” Painal
rammentò che era così che la fanciulla aveva
definito il Mictlan: casa. “Anime
che non si agitano più quando le loro ossa… non
sono più disperse. Quando sono al
sicuro”. Una casa ha il dovere di essere un luogo
sicuro, ipotizzò Painal,
collegando i punti e ottenendo un cenno affermativo da Mitlantechutli.
“Ma
lei che ci guadagna a
comportarsi così? È a tal punto così
altruista verso il suo vecchio popolo?”
concluse il suo ragionamento.
Il
Signore dei morti, se avesse
potuto farlo, avrebbe fatto una smorfia di disgusto nel sentire
l’aggettivo altruista,
e rispose “Anch’io l’avevo interrogata in
tal senso. Ha detto che lo faceva per
lenire il suo mal di testa”.
“Dunque
è questa la medicazione
che mette in atto…” si diede la risposta da solo
con un profondo cenno di
assenso. “E scommetto che tu la lasci fare”.
La
conferma non tardò ad
arrivare. “Ridurre il valore di parte del mio tesoro
annientando le anime a
esso collegato era estremamente antieconomico, oltre che una
seccatura”.
“Isolati
nel Chiucnāhuāpan,
avresti anche potuto ignorare le anime. Non si sarebbero mai mossi da
lì, che
lo volessero o no” replicò Painal. Forse non
conosceva tutti i misteri di quel
luogo, ma diverse frequentazioni col sovrano nella sua terra non lo
rendevano
nemmeno così ignorante.
“Il
Mictlan non regge
l’agitazione di chi vi abita. Questa è la mia
terra, devo preservarla ed averne
cura. E comunque, portando le ossa disperse nel Mictlan, la ragazza
accresce il
mio tesoro”.
“Così,
quello che sembrava un favore
alle anime degli umani, risulta essere, in realtà, un
servizio a te e al
Mictlan. Un servizio non richiesto da te esplicitamente”.
“Quindi
qual è la tua
conclusione, dottore?”
“La
mia conclusione? Arriverà
solo quando risponderai ad una mia ultima domanda, Mictlantechutli. So
che
potrà sembrarti sfacciata e, se non vorrai rispondere a me,
non me ne risentirò”.
“Avanti”
lo esortò il sovrano.
“Il
sacrificio della fanciulla… non
era destinato a te, vero?”
-
Fine
NOTE
Questo
capitolo ha collegato
diversi elementi citati in altri capitoli: il peso di un debito
sull’anima, il
valore dei cempasuchil…. Spero che i passaggi risultino
chiari! Nel prossimo
capitolo torneranno l’odio di Xocipilli verso Quetzalcoatl e
tutte le
macchinazioni descritte nelle mie prime fanfiction.
Piccola
curiosità che non
interessa a nessuno: quando Mictlantechutli dice di aver chiuso
Mictlancihuatl
in uno spazio stretto come una tomba per punizione, ecco, questo si
collega al
figlio di Coatlicue nella tomba del cimitero. Se Dorian è
impallidito al
racconto del supplizio è perché si sta rendendo
conto che Alma sta iniziando a
ricordare cose spiacevoli che lui le aveva fatto dimenticare (infatti
Alma ha
una memoria solo parzialmente recuperata: dovesse recuperarla per
intero,
morirebbe).
Finalmente
si inizia a delineare
come è avvenuto il passaggio di Mictlancihuatl da semplice
serva a qualcosa di…
uhm… molto vicino ad una divinità. Dunque, non
volevo esser troppo esplicita ma
nemmeno troppo sibillina. Mi sono presa tante libertà, lo
riconosco, ma mi è
tanto piaciuta la definizione di come nasce una divinità nel
terzo volume di
Calaca che già una cosa posso dire: per quella definizione,
la “mia” Mictlancihuatl
non può essere una divinità. Due piccoli indizi
su questo erano sparsi nei
capitoli della fanfiction ben prima della pubblicazione del terzo
volume, qui
ne lascio un altro: un parallelismo con il Tartaro, una parte
dell’Oltretomba
greco, e non solo con esso, ma se lo dico, si scopre subito dove voglio
andare
a parare. A proposito della domanda di Painal, ho letto diversi siti,
sperando
di leggere dettagli sulla nascita della Signora del Mictlan. Uno mi ha
colpito abbastanza.
In nessuno di essi era scritto che il sacrificio della bambina era
destinato a
una divinità del Mictlan o al signore
del Mictlan. Diceva
qualcos’altro. E, se si legge tra le righe del mito, una
fantasia abbastanza
bacata e becera può farti facilmente immaginare cose.
Ah
sì, Painal: divinità dei
medici, della medicina e dei mercanti. Sta a vedere che, con quel mercanti,
in realtà è il nome divino di Aidan, il
commerciante di Esqueleto! Ma, a questo
giro, faccio finta che sia solo il dio della medicina, e visto che a
Esqueleto
c’è un chirurgo… per me sarà
Sigfried – almeno finchè un nuovo volume
frantumerà anche questa certezza! Sì, quello che
sbrodola dietro a Morrigan (e
chi ha letto il quarto volume SA!) XD! Che abbia reso involontariamente
proprio
Dorian e Sigfried due amiconi al tempo degli Aztechi mi fa abbastanza
sbellicare dalle risate. LOL.
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Capitolo 22 *** Giorno 28 ottobre “Parti extra” ***
Giorno
28 ottobre “Parti
extra”
E
andiamo avanti con lo
sbolognamento dei prompt plasmati sulla mia versione di Mictlancihuatl,
ormai
obsoleta come Internet Explorer e, pertanto, destinata a fare la sua
stessa
fine (Alma, piccina mia, ti voglio bene lo stesso).
Questo
capitolo è ambientato
durante le feste dei morti nel periodo azteco, “la
mia” Mictlancihuatl non è
ancora sposa di Mictlantechutli, ma solo la serva, quindi siamo ancora
nel
Quarto Sole. È necessario aver letto il capitolo
precedentemente pubblicato,
che inizialmente era stato concepito come prologo ma che poi ho
separato, vista
la lunghezza, giacché torneranno alcuni riferimenti
lì espressi.
Eeee… non so se
vi è capitato di cercare
l’iconografia delle principali divinità azteche.
Il corpo di Xocipilli (quello
“vero”), a cui è dedicato il POV di
questo capitolo, è coperto di… parti extra:
piante e funghi con proprietà psicoattive. Anche questa
immagine di Xocipilli
di Kokoro lo è, quindi… neurone fanwriter in
movimento! Facebook
Anche per
Allen ho creato un contrappasso da pagare durante la sua vita da umano
e,
finalmente, la espongo. A proposito di Allen,
povero, nelle mie
fanfiction l’ho massacrato! Nell’ultimo volume,
però, mi ha fatto una
tenerezza… l’ho rivalutato. Molto. Bubino, ti
avevo mal giudicato ;__;
Parti
extra
Xocipilli
aveva sperato che,
ottenuta la sua vendetta, avrebbe trovato un po’ di pace. Per
giorni, mesi,
anni, secoli, aveva sperato che il tormento per
ciò che il principe dei
fiori aveva fatto alla sua dolce sposa Mayahuel mentre era in vita,
ossia averla
condannata a morte per mano delle tzitzimine solo perché si
era lamentato della
sua condotta, si sarebbe attenuato. In fondo, aveva tolto a
Quetzalcoatl ciò
che il Serpente Piumato aveva tolto a lui: la vita della donna che
amava. Eppure, la
vendetta non era servita, e a
Xocipilli non era rimasto null’altro a tirarlo su che lo
stordimento provocato
dall’uso delle sue stesse droghe, che si generavano sulle sue
braccia come
parti extra del suo corpo. Trovava un triste conforto anche nel consumo
eccessivo di pulque: l’unico modo, estremamente labile, per
avere ancora
Mayahuel con sé dopo che la dea si era trasformata in una
pianta di agave.
Sebbene
il suo stato d’animo
fosse ben lungi dall’essere risollevato da tali eccessi,
Xocipilli poteva
godere almeno della consolazione di aver trascinato con sé,
nel baratro, anche
l’odiato Quetzalcoatl. Tale consolazione, tuttavia, era
presto venuta meno
quando si era reso conto che, a differenza sua, il Serpente Piumato
poteva
confidare nell’aiuto e nella presenza di amici e fratelli che
gli erano rimasti
accanto. Sia pure con iniziale difficoltà, stava proseguendo
con la sua vita, forse
perché, aveva pensato il principe dei fiori, anche per il
Serpente Piumato,
alla fine, una donna umana non valeva quanto una dea, e non valeva la
pena
portare il lutto per l’eternità. In effetti,
sembrava che Itztlacoliuhqui
Ixquimilli gli avesse risollevato parecchio il morale.
Se
già questo ebbe l’effetto di
irritare Xocipilli, presto si aggiunse una nuova ragione per alzare a
dismisura
i suoi livelli di frustrazione.
Raramente
Xocipilli si mescolava
tra i mortali. Non disdegnava di assistere, talvolta, alle feste
dedicate alle
divinità: giacché gli umani facevano uso dei suoi
doni – le droghe che aprivano
la mente dei sacerdoti, donando visioni mistiche, e che calmavano le
vittime
destinate al sacrificio - il minimo che il dio dei fiori potesse fare
era
andare a reclamare i tributi che gli versavano; ma questo era ben altra
cosa
rispetto a partecipare alle feste con loro, tra di loro.
Anche altre
divinità lo facevano, senza ovviamente palesare la propria
identità,
soprattutto se la festività era espressamente in loro onore.
Alle
festività in onore di altri
dèi, Xocipilli capitava di partecipare più che
altro per approfittare di umani
abbastanza “in estasi” (leggasi: drogati marci) su
cui sfogarsi. Rimase dunque
interdetto quando, durante le festività in onore dei morti,
aveva casualmente
trovato per le strade i petali di un fiore di cui aveva ceduto dominio,
e che
mai avrebbe pensato di vedere di nuovo… cempasuchil.
No,
ragionò il dio, non potevano
essere nel mondo dei vivi!
Il
luogo pullulava di esseri
umani, molti più del solito, eppure molti di essi
erano… incorporei. Xocipilli
poteva percepirli e, ne era consapevole, anche le altre
divinità presenti
riuscivano a farlo. D’altro canto, quelle anime degnarono a
malapena di uno
sguardo le divinità, prese com’erano dal restare
appresso ai cari ancora in
vita. Anime di defunti fuori dal Mictlan? Che pazzia era quella?
“Mictlantechutli
è forse uscito
di senno?” esclamò a gran voce, suscitando
l’ilarità di Itzapapalotl e
Huitzipolotchli, che si erano imbucati alla festa senza vergogna e lo
avevano
facilmente adocchiato nella bolgia di gente che percorreva le vie della
città
di Tenochtitlàn.
“Ma
come, Xocipilli? Sono anni
che i defunti festeggiano i Giorni dei morti in questo mondo e te ne
accorgi
solo oggi? Le tue droghe devono averti fritto il cervello!”
esclamò il Colibrì
del Sud accennando a qualcuno in lontananza.
Xocipilli
voltò lo sguardo verso
quanto indicato da Huitzilopotchli, seguendo involontariamente la via
dei
petali lasciati a terra… fu allora che la vide.
Uno scheletro femminile,
con lunghi e ondulati capelli sciolti sulle spalle, vagava per le
strade,
osservando i morti con l’aria di chi vigila su bambini
intenti a giocare e
inspirando il profumo di un cempasuchil tra le sue mani. I capelli, ora
biancastri,
avevano quasi tratto in inganno il dio dei fiori, ma poi
comprese… quel
vestito rosso… e quei fiori! Malintzin?!
“Ma
dovrebbe essere sepolta nel
Mictlan!” esclamò ad alta voce il dio dei fiori,
paonazzo. Lo scheletro, udendo
quelle parole, si voltò proprio in direzione della
divinità. Diede segno di
aver riconosciuto colui che gli aveva fatto dono di quei fiori a lei
tanto
cari: gli rivolse a malapena un’occhiata e lo
salutò con la manina ossuta in
segno di scherno, prima di proseguire per la sua strada, senza degnare
più di
uno sguardo nessuna delle divinità presenti.
“Ma…
ci ha ignorato” constatò
Huitzilopochtli, senza dare alcun segno di essere offeso.
“Beh,
è chiaro che sta lavorando…
non ha l’aria di essere qui per fare baldoria… al
contrario di noi” commentò
pratica Itzapapalotl.
“Ma
siamo divinità… le siamo
superiori!” protestò Xocipilli, indignato per la
mancanza di rispetto che lo
scheletro aveva riservato loro.
“Questo
è vero. Ma appartiene al
Mictlan adesso. Il suo unico dio è Mictlantechutli. Noi
siamo passati in
secondo piano, operando in tutt’altra giurisdizione rispetto
alla sua” replicò
calma Itzapapalotl.
“Tutti
i morti diventano
monoteisti, dopotutto. Le anime dell’Omeyocan, ad esempio
stravedono solo per
me. Le donne, soprattutto!” si autoincensò
Huitzilopochtli.
“Sono
qui anche le anime
dell’Omeyocan?” chiese sempre più
confuso il dio dei fiori.
“Veramente
no” rispose l’altro
con leggerezza.
“E
questo mi riporta alla domanda
iniziale. Mictlantechutli è forse uscito di senno?”
“Ah,
direi proprio di no! Ma
qualcosa mi dice che c’entra quella fanciulla…
ahi!” la gomitata nella costola
di Itzapapalotl troncò il desiderio del colibrì
di chiacchierare. “Adesso
dobbiamo lasciarti Xocipilli: abbiamo perso Tlaloc tra la
folla!” concluse
vivacemente Huitzilopoctli.
“Probabilmente
è già al tempio,
tra poco ci saranno i sacrifici! Ci si vede in giro,
Xocipilli!” si congedò
Itzapapalot e, senza attendere replica, le due divinità
tolsero il disturbo.
Sempre
quella dannata ragazza di
mezzo! Infastidito oltre ogni dire, il dio dei fiori
dimenticò totalmente i
suoi programmi di sesso, alcool e droga. Ne aveva appena deciso un
altro.
Lo
scheletro della donna che, un
tempo, era stata Malintzin non aveva motivo di nascondersi, ma non si
lasciava
neppure avvicinare tanto facilmente. Tuttavia, Xocipilli la
seguì con
ostinazione. Quando credette di averla finalmente raggiunta, il dio si
accorse
di averla persa di vista. Si trovava in un quartiere isolato, con il
terreno
sterrato, umile. Non c’era nessuno: erano tutti a godersi il
culmine della
festa, i sacrifici umani. Proprio quando stava per imprecare contro
l’esistenza
della ragazza, Xocipilli si sentì lanciare addosso qualcosa
di bioluminescente,
che lo colpì al bicipite, graffiandolo lievemente. Ne
giunsero altri due a
distanza di tempo ravvicinato, che colpirono i suoi avambracci.
Infastidito,
Xocipilli guardò verso la direzione di provenienza. In
penombra, scorse lo
scheletro.
“Ti
perderai i sacrifici,
restando qui. Pensavo ti piacesse quel tipo di spettacolo”
esordì la fanciulla,
mentre staccava un luminoso petalo dal cempasuchil tra le sue mani.
“Quel
giorno non ero venuto a
vedere un sacrificio. Ero venuto a veder morire te” il veleno
nelle sue parole
era così pesante che potevano quasi tagliare
l’aria con un coltello.
“Lo
immaginavo”. Gli lanciò
addosso il petalo ma stavolta Xocipilli lo prese in mano al volo. Con
sua
sorpresa, il petalo non era morbido, delicato: era rigido, sottile, coi
bordi
taglienti. Si ferì le dita, aumentando la sua irritazione.
La
ragazza lanciò altri petali,
uno dopo l’altro.
“Tu
mi hai tolto la vita. Non
sarei dovuta morire quel giorno”. La maggior parte dei petali
venne deviata ma
alcuni petali andarono a segno, finendo contro le braccia di Xocipilli.
Per
toglierseli di dosso, la divinità dovette graffiarsi di
nuovo. Niente di grave,
visto che i graffi erano superficiali. Tutto qui quello che
l’umana sapeva fare
con i suoi cempasuchil? Che patetica creatura!
“Non
ero una vittima sacrificale
predestinata! Sono finita su quell’altare per tuo
capriccio!”
“E
quindi cosa dovrei fare?
Riparare al danno? Sentiamo” domandò in tono
canzonatorio. Trovava
soddisfacente l’idea di sentirsi chiedere
qualcosa… e negargliela. Oh sì, si
sarebbe strappato via la pelle come Xipe-Totec, piuttosto che
accontentare una
richiesta di quella donna!
“Il
tuo corpo produce sostanze
stupefacenti. Voglio qualcosa che lenisca il dolore fisico”.
“Il
tuo Signore Mictlantechutli
ti sevizia? Ne sono lieto”.
“Che
domanda abbietta, o somma
divinità dei fiori” lo biasimò la donna
con una smorfia. O meglio, con quello
che poteva somigliare ad una smorfia, data la mancanza di muscoli e
pelle a
darle delle espressioni nitide.
“Comunque,
non serve a me, ma
agli umani. Sembra che abbiano bisogno di un aiutino extra per lenire i
dolori
delle infermità per le quali non vi è altro esito
che la morte”.
“La
mia risposta è no” con questa
risposta, Xocipilli credeva di aver chiuso l’argomento.
“Non
vuoi aiutare gli umani a
soffrire di meno nel momento del trapasso?”.
“Affatto.
Anzi, già mi secca che
usino le droghe per stordire le vittime prima del sacrificio. Avrei
voluto
vedere la tua espressione atterrita davanti all’altare, quel
giorno” concluse
con un sorriso malvagio. Sapeva che, per la maggior parte dei
guerrieri, la
morte sull’altare era un grande onore, premiato con il
soggiorno nell’Omeyocan,
il Regno del dio della guerra Huitzilopoctli. Tuttavia, poteva capitare
che la
paura dell’ignoto o del dolore prendesse il sopravvento sulla
fede, soprattutto
se i prigionieri di guerra andavano a servire divinità di
popolazioni nemiche.
“Non
mi importa” continuò con
leggerezza Mictlancihuatl.
“Come,
non ti importa?” chiese
confuso. Non le importava della sua gioia nel saperla morta o non le
importava
di avere le sue droghe?
“Intendo
dire che non mi
interessa ciò che vuoi tu. Mentre fantasticavi su come
avresti potuto rendere
la mia morte più dolorosa (sei davvero un essere
deplorevole, lasciatelo dire),
mi hai dato ciò che ti ho chiesto”.
“…già
dato?” domandò l’altro,
ancora più confuso di prima.
Per
tutta risposta,
Mictlancihuatl indicò verso i piedi del dio. Xocipilli
guardò, e fu allora che
si rese conto: alcuni frammenti delle piantine e dei funghi che
crescevano sui
suoi avambracci erano caduti sul terreno, tagliati dai petali di
cempasuchil,
anch’essi per terra… e buona parte di queste
materie organiche divine erano
bagnate dal poco sangue che Xocipilli aveva versato quando aveva
afferrato con
le dita uno dei petali, inconsapevole del bordo affilato. Un dono
involontario
pronto ad essere raccolto dalla terra degli umani: un nuovo tipo di
sostanza
stupefacente nata dall’unione tra le sostanze psicotrope di
Xocipilli e i fiori
dei morti. Piante con proprietà oppioidi, in grado di lenire
i dolori più
lancinanti, ma pronti a spedirti nel Mictlan per direttissima se
eccedevi,
anche solo di poco, con la dose strettamente necessaria.
“Ti
ringrazio per collaborazione”
concluse la donna con sottile ironia.
Quetzalcoatl
stava andando avanti
con la sua vita; Malintzin andava e veniva dal Mictlan come voleva, in
possesso
di un potere sconosciuto al dio dei fiori; e adesso, un suo dominio gli
era
stato estorto con l’inganno. La conseguenza era piuttosto
prevedibile:
Xocipilli perse completamente le staffe.
Con
un grido terribile, si
avventò su Mictlancihuatl, intenzionata a frantumare ogni
singolo osso di cui
era composto il suo scheletro; la ragazza, dal canto suo,
sembrò congelarsi sul
posto per la sorpresa o, forse, per lo spavento: forse, far infuriare
una
divinità non era stata la cosa più saggia da
fare…
Al
contrario delle aspettative,
il colpo non venne mai: Xolotl, comparso all’ultimo momento
come dal nulla,
stava trattenendo la mano di Xocipilli. A debita distanza, nuove anime
stavano
osservando: erano le vittime appena sacrificate.
“Se
intendi distruggere una
proprietà del mio Signore Mictlantechutli, dovrai
risponderne a lui: è questo
che desideri, Xocipilli?”
Lo
sguardo del dio dei fiori
lasciò intendere che era pronto a prendere sul serio quella
opzione.
“Mictlancihuatl
è qui per un
unico compito assegnatole dal suo padrone: se ha fatto
dell’altro, non solo
senza il consenso del mio Signore, ma persino arrecando disturbo a
un’altra
divinità, allora sarà punita
severamente” concluse Xolotl.
“Allora
che sia punita qui,
adesso, davanti ai miei occhi!” pretese Xocipilli, ma Xolotl
scosse la testa.
“Deve
ancora portare a termine il
suo compito, e la mano che può elargire qualsiasi punizione
è solo quella del
mio Signore. Addio, Xocipilli”.
Quest’ultimo
non poté far altro
che rinunciare ai suoi propositi omicidi: pertanto, si
ritirò, non senza prima
aver scoccato uno sguardo di puro odio verso la ragazza.
“È
quasi l’alba” le comunicò
Xolotl.
“Xolotl,
dici che il nostro
Signore si potrebbe arrabbiare per quello che ho fatto?”
chiese Mictlancihuatl
mentre accarezzava, per un istante, l’idea di darsi alla
fuga, timorosa per
l’eventuale collera di Mictlantechutli. Ma durò
solo per un attimo: aveva
assunto volontariamente un dovere, vigilare sul viaggio delle anime da
e verso
il Mictlan, e lo avrebbe portato a termine.
“Hai
recato offesa ad una
divinità. Questa è una cosa che si paga caro,
come avresti dovuto già ben
imparare. E per cosa? Per donare sollievo agli umani?”
“Ti
sembra che sia nella
posizione di fare doni? Faccio esclusivamente ciò che serve
al Mictlan, né più,
né meno”.
Senza
aggiungere altro – aveva
ben compreso che Xolotl non era intervenuto per aiutarla, dopotutto -
concentrò
il suo potere sul fiore che teneva ancora tra le mani. Non importava
quanti
petali avesse strappato, il fiore restava comunque rigoglioso e
luminoso.
Presto, anche i petali che aveva lasciato a ciascuna anima uscita dal
Mictlan
avrebbero brillato allo stesso modo, a segnalare che era
l’ora di tornare nel
Mictlan. Solo quando anche l’ultima anima fosse ripartita
verso la sua
destinazione finale, Mictlacihuatl avrebbe potuto rientrare nel
Mictlan. A quel
punto, il suo compito si sarebbe concluso, e allora avrebbe reso conto
delle
sue azioni al suo Signore.
***
“Cos’hai
combinato, stavolta?”
Mictlantechutli si limitò a sospirare, in attesa di ricevere
una spiegazione
dalla ragazza. Xolotl non riusciva a credere
all’atteggiamento del suo Signore.
Un tempo, Mictlantechutli avrebbe usato un tono irato e non avrebbe
ascoltato
alcuna patetica scusa o supplica di Malintzin. Un servitore che osava
fare
qualcosa di diverso da quanto espressamente ordinato dal suo Signore
avrebbe,
di norma, passato l’eternità a pentirsene. Adesso,
sembrava un maestro pronto
ad ascoltare l’ennesima, innocua marachella fatta dalla
più discola delle sue
allieve, senza una vera intenzione di punirla.
“Più
o meno quello che ho fatto
da quando ho iniziato a recuperare le ossa disperse direttamente in
superficie:
volevo contribuire a rendere più sereno il
Mictlan”. A Mictlantechutli non
sfuggì il movimento della mano di Mictlancihuatl: una lieve
carezza alla
tempia. Le era dunque tornato il mal di testa, ma sembrava aver
cercato, e
trovato, sollievo da sola.
“Non
era necessario”.
“Signore,
continuate a recarvi
nel Chiucnāhuāpan, dove
dimorano le anime, con la
vostra arma. Era necessario” replicò con tono
vagamente addolcito.
“Sai
chi erano le anime che ho
appena distrutto?” la interrogò il suo sovrano.
“Erano
malati terminali, mio
Signore. Il dolore provato alla loro dipartita è stato
talmente prolungato,
talmente intenso, da non essere riusciti a liberarsene del tutto,
quando sono
giunti qui. Quel rimasuglio li ha agitati troppo”.
“Non
accadrà più”.
“No,
non accadrà più”. Gli umani
avrebbero presto appreso come usare a loro vantaggio le sostanze del
nuovo
fiore.
Mictlantechutli
non aveva mai
risposto alla domanda che gli fece Painal tempo addietro. Conosceva la
risposta, ovviamente, ma tanti indizi non facevano una prova.
Xolotl,
che aveva assistito a
quello scambio, decise di intervenire. “Ha recato una grave
offesa a
Xochipilli, mio Signore. Questo affronto deve essere punito molto
severamente.
Così è l’usanza”. Per quanto
bene possa aver fatto alla causa del Mictlan e
alla preservazione del tesoro del suo sovrano, non si poteva rischiare
un
incidente diplomatico tra divinità. O almeno,
così Xolotl pensava.
La
risposta giunse totalmente
inaspettata alle orecchie tanto di Xolotl quanto di Mictlancihuatl, che
era già
rassegnata ad essere punita come ai vecchi tempi. “La ragazza
si è presa il suo
riscatto”.
“Signore,
intendete quindi
lasciar correre?” chiese Xolotl, sbigottito.
Mictlantechutli
non aveva
dimenticato di aver accolto nel suo Regno la
ragazza perché convinto da
altri che fosse una donna superba. Lui stesso era stato ingannato, e
non
l’avrebbe perdonato.
“La
ragazza non avrebbe dovuto
essere sacrificata. Ha scelto un risarcimento e se
l’è preso”.
L’ipotesi
inespressa di Painal
era divenuta, col tempo, anche la sua. Per confermarla, o eventualmente
confutarla,
aveva ordinato alla fanciulla di scortare le anime fuori dal Mictlan, e
di
riportarle indietro, per ridurre gli effetti della malinconia delle
anime
separate dalle persone che avevano amato in vita, effetto collaterale
del dono
di Quetzalcoatl all’umanità. A seguito del
successo di quella rischiosa
operazione, Mictlantechutli aveva concluso che la ragazza avrebbe avuto
tutto
il diritto di prendersi ciò che le spettava, anche da una
divinità come
Xocipilli. Ovviamente, in qualunque altro caso,
dell’ingiustizia subita da
un’umana non gli sarebbe importato di meno.
Mictlancihuatl
sgranò gli occhi e
guardò il suo Signore come se lo vedesse per la prima volta.
Quegli occhi
sembravano chiedergli di spiegare ancora.
“Se
contrai un debito, o non
riscuoti un credito, tale mancanza grava sull’anima
immortale. Ma non mi
aspetto che tu capisca: gli umani sono estremamente incoscienti quando
si
tratta di scaricare il peso di un proprio debito su qualcun
altro”.
Xolotl
si rasserenò un poco.
“Dunque lo avete fatto per preservare Xocipilli”
ignorava il motivo per cui il
debito verso un’umana avrebbe dovuto influenzare la sorte di
una divinità, ma
accettava la spiegazione del suo Signore.
D’altro
canto, gli occhi sgranati
di Mictlancihuatl non accennavano a cambiare; anzi, come folgorata da
una
rivelazione, si protese lievemente verso Mictlantechutli. “Vi
prego,
insegnatemi ancora”.
Questa
volta, fu il turno di
Mictlantechutli di sgranare gli occhi.
***
Qualche
giorno prima di Natale
Era del Quinto Sole, anno del calendario occidentale 2011.
“Quante
volte ancora dovrò
perdere me stesso?” aveva chiesto Allen alla sua fidanzata.
Nemmeno
abbracciarla, ed essere a sua volta stretto tra le braccia di Ebenezer,
riusciva a reprimere l’angoscia che stava provando mentre
aggiungeva “E in
quali altri modi orribili?”. Allen aveva sperimentato
differenti modi di
morire, in cinquecento anni. Talvolta aveva perso la vita in modo
banale, altre
volte in modo decisamente creativo. Sfortunatamente, Allen se le
ricordava una
per una, assai più nitidamente dei momenti di vita vissuta.
Memento
mori, ricordati
che devi morire.
Sfortunatamente
per Allen, alla
consapevolezza di essere mortale, se ne era aggiunta
un’altra, ben più
angosciante. Tutte le morti che aveva passato, per quanto differenti,
avevano
avuto un denominatore comune: erano state tutte estremamente
lente, maledettamente
dolorose. Gli esseri umani sono stati, nei secoli, assai
creativi
nell’ideare metodi e strumenti di tortura, o di esecuzione,
per prolungare
l’agonia del povero malcapitato costretto a subirle.
Talvolta, era la sorte
stessa a mettere Allen nel posto sbagliato al
momento sbagliato, e in
quel caso, la dipartita dolorosa sarebbe stato solo il frutto di
sfortuna, la
quale sarebbe diventata sua crudele carnefice. Anche nascere nel posto
sbagliato del mondo, come gli era accaduto diverse volte in quei
cinquecento
anni, poteva essere causa indiretta di una morte terribile per malattie
crudeli.
Se
non fosse stato per il patto
scellerato tra Quetzalcoatl e Mictlancihuatl, Xocipilli, assieme
all’intero
pantheon azteco, avrebbe potuto mantenere il suo status, la sua potenza
e la
sua immortalità. Tale accanimento nel vivere il dolore
fisico al momento della
morte aggiungeva una chiara intenzione di persecuzione, da chi o da
cosa poteva
solo immaginare.
In
una vita passata, addirittura,
era stato alla mercè di una donna di fede che, pur avendo
ricevuto molte
donazioni per i suoi ospedali, lasciava languire i malati, tra cui vi
era Allen
stesso, poiché convinta che la sofferenza
avvicinasse a Dio. Per la
cronaca, quando giunse l’ora della pia donna, essa aveva
ricevuto le migliori
cure dagli ottimi medici di un prestigioso ospedale. Fu in
quell’occasione che
il sospetto si trasformò in certezza.
Xocipilli
aveva negato alla
Signora dei Morti qualcosa che avrebbe potuto rendere il trapasso dei
mortali
da un mondo all’altro meno doloroso.
Aveva desiderato che lei stessa,
quando era stata una fanciulla mortale davanti all’altare del
sacrificio, non
venisse esentata dalla sofferenza che la lama, affondata nel suo petto,
le
aveva provocato. Ora, tutte le sue incarnazioni umane terminavano la
propria
esistenza desiderando e invocando la morte, la fine della sofferenza
come se
fosse il più grande dei piaceri. Invece, come la crudele
parodia di un
videogioco, Xocipilli ritornava a nuova vita con il solito monito nella
mente: memento
mori…
Solitamente,
Mictlantechutli non
si interessava degli ultimi istanti di vita degli umani: quella non era
faccenda che lo riguardasse, in quanto legata alla fine della
vita, non all’inizio
della morte. Tuttavia la sua sposa era stata pregata, nei
secoli, affinché
concedesse ai suoi fedeli una dolce morte, rapida, senza sofferenza,
senza
umiliazione. Il Signore del Regno dei morti si era assicurato di far
rimpiangere a Xocipilli l’aver tormentato sua moglie persino
nella sua nuova
vita nella morte, negandogli qualunque tipo di benedizione che il
Mictlan
potesse dare ad un essere umano.
Chissà
se pentirsi delle sue
azioni passate, rinunciare al rancore verso Mictlancihuatl e perdonare
Quetzalcoatl avrebbe potuto salvare Allen, in qualche modo, da quel
destino…
FINE
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