Il Gioco Del Destino

di kissenlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Fuggitivi ***
Capitolo 2: *** 1.2 Fuggitivi ***



Capitolo 1
*** 1.1 Fuggitivi ***


Presente anche su Wattpad.
Sul mio profilo ufficiale:
Kissenlove.



 

«E' un tale destino.
Una tale punizione per me.
Anche se spari mille volte,
NON MORIRÒ.»

FUGGITIVI
Capitolo 1
(prima parte)

La pioggia fitta batteva contro i vetri, i tuoni squarciavano il silenzio di una serata invernale e da poche ore avevo dato alla luce il mio bambino. Il mio secondogenito.

"È un neonato in buona salute. Stia tranquilla, signora." Aveva chiarito l'infermiera prima di consegnarlo nelle mie braccia e permettermi di scolpire ogni dettaglio di quel viso paffuto e innocente già desideroso di scoprire quel mondo sconosciuto. Afferrai il cellulare e composi un numero.

Ma non uno qualunque.

Aspettai con il cuore che batteva all'impazzata. Volevo sentire la sua voce e tenere in vita quella piccola speranza dentro di me.

"Avevo sbagliato in qualcosa, forse?"

«È così bello… Ha occhi minuscoli. Sai, ti assomiglia. E Anna è una brava sorella maggiore.» Rivolsi uno sguardo alla bambina, che mi stringeva forte il braccio, mentre un altro tuono rimbombava nella stanza della clinica. Mi feci coraggio e continuai. «L'ho chiamato Charlie. Significa "forte", "valente" e tu hai sempre detto che sarebbe stata la nostra forza e saremmo stati una famiglia felice.» Strizzai gli occhi che si erano inumiditi per le lacrime. Quello avrebbe dovuto essere un giorno meraviglioso, pieno di gioia, ma stava diventando un incubo massacrante da cui volevo svegliarmi al più presto.
«Non vuoi venire a vederlo?» Nel sentire la sua risposta altri singhiozzi sfuggirono al mio controllo e il petto iniziò a dolermi, come se ci avesse conficcato un pugnale. «Darren, ti prego, non lo fare. Ti prego, non lasciarci. Non posso dire loro che il padre li ha abbandonati e se n'è andato.» Mi tremava la voce e la vena sulla fronte pulsava sotto la pelle. «Ti scongiuro. Ti prego, non andare.»

Aprì una ferita profonda e sanguinante nella mia anima, che non avrei potuto cicatrizzare nemmeno tra un milione di anni, quando realizzai che aveva chiuso.

Allontanai il cellulare dall'orecchio e ripresi a piangere. Anna si rannichiò di più e le afferrai la testa per unirla alla mia, condividendo la stessa sofferenza.

Ero da sola con due bambini così piccoli e l'anima in pezzi, senza la più pallida idea di quale grave peccato mi fossi macchiata.

Per giorni e anni mi ero posta questa domanda, arrovellando il cervello per trovare una spiegazione che riempisse il vuoto. Alla fine però, smisi di rimanere intrappolata nel passato e mi sforzai di andare avanti per la mia strada.

I miei figli avevano bisogno di una madre forte e determinata, non di una che si piangeva addosso.







<Sette anni dopo>

La vita trascorse pacificamente nel villaggio marittimo dov'ero nata e cresciuta. La gente rimase la stessa, ma il paese progredì e diventò meta obbligata per molti turisti, tant'è che crearono infrastrutture facendo perdere la sua sfumatura di ruralità. Adesso c'erano due pub, un ristorante, un caffè, alcuni ostelli, dei B&B e anche un campeggio.

Camminavo per quelle strade sterrate, circondate dalla vegetazione brulla da una parte e da una schiera di casette dall'altra, tirando fuori il portafoglio dalla borsa per pagarmi il biglietto.
L'unica linea arrivò in quel preciso istante e vi salii, sedendomi nel posto vicino al finestrino. Posai il portafoglio in borsa e mi misi a contemplare il paesaggio con aria impassibile, dato che quel tragitto si ripeteva ogni singola mattina.

Da qualche anno, avevo trovato un buon impiego in una fabbrica tessile per far fronte alle spese.
Una volta arrivata a destinazione, entrai nello spogliatoio, salutando cordialmente alcune colleghe, che ricambiarono.
Qui in paese conoscevo tutti, non era come vivere nella capitale. Mi fermai davanti all'armadietto, con su scritto il mio nome su un semplice pezzo di carta e cercai la chiave nel cappotto turchese.

Mi spogliai velocemente, riponendo gli effetti personali e indossai la divisa: un camice rosa pastello, simile a quello degli infermieri, ma con i bordi bianchi. Legai i lunghi capelli biondi in una coda alta e mi diressi spedita alla postazione, occupata da una marea di tessuti.

«Buongiorno!» Salutai la mia collega di banco che era già sommersa di stoffe fino al collo e presi altro materiale da uno scaffale per mettermi all'opera.

All'orario di pranzo avevamo diritto a una piccola pausa di trenta minuti per mettere qualcosa nello stomaco.
Le mie colleghe ridevano e scherzavano, io invece mi limitavo a stare sulle mie e a  sorridere per i discorsi, quando si mettevano a giudicare i mariti che non facevano bene le faccende domestiche.

«Forza, signore! Andiamo! Il tempo sta per scadere. Avanti!» tutte accolsero quell'ordine con dei sonori sbuffi e mi alzai finendo di bere l'acqua.

Ben presto tornai alla mia routine, scaricando altre stoffe sul tavolo.

«Hai sentito cosa ha detto il supervisore, Nora?» Scossi la testa per dissentire. «Ci ha detto di completare tutto entro stasera, in modo da poterlo spedire in un'unica soluzione. Non ti pare esagerato?»

«Cosa vuoi che dica? Spero che saremo in grado di rientrare nei tempi giusti, Nancy.»

«Oh! Non mi interessa davvero! Che sciocco. Quando si tratta delle consegne ha una fretta bestiale, ma se si parla di stipendio ci chiede di aspettare. Com'è bello così!»

«Nora. Tua figlia è qui fuori.» Mi avvisò una collega passando di lì.

«Mia figlia? A quest'ora?» Guardai in direzione dell'entrata sorpresa e aggirai gli altri tavoli per raggiungerla. Di solito, non veniva fin qui per non disturbarmi sul lavoro. «Anna!» La ragazzina si girò di scatto e mi venne incontro. Doveva aver finito le lezioni da poco, visto che aveva lo zaino sulle spalle. «Che succede, tesoro? Perché sei qui?»

«Stamattina hai dimenticato di darmi i soldi, mamma e devo pagare la bolletta della luce.»

Mi coprii la faccia con la mano. «Scusa, io... Aspetta… prendo il portafoglio. No, anzi… Vieni con me. Le ragazze non fanno che chiedermi notizie. Saranno molto  contente di vederti.» le accerchiai le spalle e in risposta mi stampò un bacio affettuoso sulla guancia, mentre la portavo verso il mio tavolo. «Nancy, guarda chi ti ho portato oggi!»

«Oh, wow! Sei cresciuta moltissimo, cara. Ormai sei proprio una donna adulta.»

«Ho compiuto quindici anni il mese scorso, Nancy. Ovviamente sto crescendo.» affermò con un certo orgoglio nella voce.

«Non ho dubbi. Tu cresci e noi invecchiamo.»

«Chi sta invecchiando? Ma le hai viste! Sembrano due sorelle. Nessuno direbbe che Nora è sua madre.» commentò Corinne mentre indirizzavo un occhiolino ad Anna e mi sorrise di rimando.

«E' il vantaggio di diventare madre in giovane età.» Intervenne un'altra. «È così bello. Sembrano amiche.»

Stavo frugando nella borsa quando alzai lo sguardo per rispondere. «I miei figli sono il bene più prezioso che ho, Kate. Sono felice di averli partoriti.»

«Sì, certo. Spero che Dio vi protegga e vi tenga uniti per moltissimi anni.»

«Speriamo.» Bisbigliò mia figlia.

«Speriamo.» Ripetei.

«Ma devo dire che si è fatta proprio una bellissima ragazzina. Sono certa che ti supererà presto.» Continuò mentre mia figlia arrossiva sulle guance per tutti i complimenti.

«Spero che lei sia fortunata e che incontri brave persone sul suo cammino. Non voglio nient'altro.»

«Oh, te lo auguro di cuore.»

Il supervisore passò di nuovo come una mosca fastidiosa per ricordarci di non perdere tempo a chiacchierare e la mia collega alzò gli occhi al cielo, mentre porgevo il foglio a mia figlia.

«Questa è la ricetta per la medicina di Charlie. Compragli questo sciroppo e faglielo prendere, ok?»

«Mamma, è testardo! Non vuole prenderlo e mi fa impazzire.»

Feci un'alzata di spalle. «Allora costringilo oppure legalo alla sedia, non so, ma deve prenderlo. Ha iniziato a stare bene da poco e non possiamo sospendere il trattamento che ci ha consigliato il dottore.» Aprii il portafoglio e tirai fuori una banconota da venti euro porgendogliela. «Ecco. Tieni.» In seguito, cercai in un altro scomparto e trovai anche una dieci.

«Mamma, non hai più soldi.» Avrei voluto rispondere di non preoccuparsi, ma mi anticipò. «Quando ti pagheranno?»

«Dicono domani, ma si vedrà.»

Anna non volle insistere sulla faccenda, sapeva che il suo unico dovere era andare bene a scuola e badare a suo fratello quando non c'ero. Tutto il resto era da sempre stato compito mio.

«Allora io vado. Charlie vedrà la partita con i vicini e io devo andare a comprare qualche ingrediente per lo stufato.»

«Va bene, cara.» Le presi il viso e le stampai un bacio sulla fronte.
«Stai attenta quando torni.»

«Arrivederci! Buon lavoro a tutte!» Esclamò con un sorriso smagliante sulla bocca per poi andarsene. Nel frattempo tornai a rimboccarmi le maniche.

~♦~

Era sera quando finimmo di completare le consegne in programma e finalmente tornavo a casa dai miei ragazzi stanca e affamata. Anna era diventata brava in cucina e inoltre badava anche a Charlie, nonostante avesse già i suoi di problemi di "crescita" da affrontare.

Non mi ero mai lamentata, dopotutto avevo allevato i miei bambini senza l'aiuto di nessuno, avevamo ancora un tetto sopra la testa e un piatto caldo sulla tavola, quindi non ci mancava niente.

Superai il ponte di legno, dove scorreva un fiumiciattolo e arrivai sulla strada principale, Fisher Street.
Passai davanti a una taverna ancora aperta con l'intonaco rosa e il tetto in paglia, dove risuonava musica tradizionale irlandese e salutai alcuni conoscenti.

La mia casa non differiva dalle altre di Doolin: era verde, con il tetto a spiovente e piccola.

Ma, per noi, era confortevole.

Spalancai la porta d'ingresso, non venendo accolta da nessun odore di cibo o di schiamazzi.

«Anna! Charlie! Sono a casa.» Tolsi gli stivali sulla soglia ed entrai. «Ma dove siete finiti, bambini? Perché non rispondete?» mi chiusi la porta dietro, posando le chiavi sul mobiletto e la borsa sull'attaccapanni.
Ero stranita da quell'atmosfera silenziosa. «Anna?» Aprii la porta a destra, quella del salotto, trovandoli rannicchiati sul divano l'uno nelle braccia dell'altra, con i visi pallidi di chi aveva appena visto un fantasma. Sgranai gli occhi. «Anna?» Quest'ultima mi fissava di sottecchi e stringeva Charlie, che tremava come una foglia. «Che cosa sta succedendo?» Avanzai verso di loro scattante più di un felino e mi inginocchiai. «Che cosa è successo, tesoro? Cosa c'è? Perché quell'espressione?»

«Mamma… è successa una cosa terribile.»

«Dimmi cos'è successo!» Balzai in piedi gesticolando con nervosismo. «Non farmi impazzire!»

«I-In… cucina…» Biascicò.

Mi voltai di scatto rivolgendo uno sguardo confuso al corridoio, poi mi affacciai dallo spigolo e iniziai a camminare.
Il cuore mi martellava nel petto mentre mi avvicinavo sempre di più guardinga. Non ci fu bisogno di fare altri passi perché l'avevo visto chiaramente. Strabuzzai gli occhi e mi coprii la bocca per soffocare un urlo.

"Non era un sogno, era dannatamente vero. Troppo vero. C'era un uomo sul pavimento… forse era morto. Non ne ero certa." Pensai.

Incrociai il viso di mia figlia che mi aveva raggiunto alle spalle. Aveva gli occhi persi nel vuoto, i capelli in disordine e le braccia inerte ai fianchi. Mi rivoltai, prendendole il viso e le circondai le spalle, premendola sul mio petto.

«Anna…» Mi strinse forte e crollai in ginocchio trascinandola con me. «Oh… Anna!» Serrai le palpebre, dondolando avanti e indietro.

«Io… Non volevo che succedesse, mamma. Mi ha aggredito. Ha detto ch'ero cresciuta.» Ogni parola era puro veleno, che assorbivo in silenzio. «Voleva… violentarmi.»

«Va tutto bene.»

«Ho tentato di fermarlo… Gli ho urlato di starmi lontano, ma non mi ascoltava, così… Ho preso il coltello.» mi raccontò fortificando l'abbraccio e stritolando un lembo del cappotto. «E' stato un incidente, mamma.»

«Ok. Non è colpa tua. Va bene?» Mi staccai per studiare il suo viso bagnato dalle lacrime e le diedi un altro bacio, riprendendo a stringerla.

«Mamma, lo giuro! Lo giuro! Non volevo.»

Le massaggiai le spalle scosse dai singhiozzi con gli occhi arrossati dal pianto.

Quel mostro non avrebbe dovuto metterle le mani addosso per sfogare i suoi istinti da parassita su una ragazzina.

«Oh, Anna

«Mamma…»

Posai le labbra sulla sua tempia destra e continuai a stringerla.
Avvertii un macigno posarsi sullo sterno e schiacciare le costole, impedendomi di respirare.

«Va tutto bene, tesoro.» La feci staccare per fissare i suoi occhi azzurri screziati di verde vitrei, privi di ogni emozione. «Resta qui.» Mi rimisi in piedi e allungai il braccio nella direzione di mio figlio. «Aspetta qui, ok? Charlie! Non entrare, ok?»

Lui annuì e mi addentrai, vedendo il braccio insanguinato spuntare dalla soglia e poi il corpo del ragazzo che giaceva in una piccola pozza di sangue. Mi abbassai, rasente al muro, e avvicinai la mano per toccargli la testa. Non appena riconobbi il figlio della vicina, il mio cuore perse un battito e schizzai fuori, prendendo Anna per le spalle.

Riportai entrambi nel salotto e iniziai a camminare ossessivamente avanti e indietro, rischiando di scavare una fossa per il nervosismo.

"Che dovevo fare? Probabilmente era morto e mia figlia rischiava di finire in carcere. Non avevo altra scelta, dovevo lasciare i miei figli fuori da quella vicenda e costituirmi al più presto."

«Voi non eravate qui, ok? Eravate fuori da qualche parte. Ok, Charlie?» Il bambino scosse il capo con le manine avvolte attorno alle gambe, seduto sul divano. «Ok, bambini?!»

Mi sporsi ancora per tenere d'occhio il corridoio.

«E'... morto, mamma?»

«Non lo so, Anna.» Estrassi il mio cellulare dalla tasca.

«Chi vuoi chiamare?»

«La polizia.»

Mi si parò di fronte e mise le mani sopra lo schermo, i suoi occhi furono subito invasi di terrore. «No! Ti prego, non chiamare la polizia. Ti prego!»

Le afferrai il mento. «Anna! Ho accoltellato io Henry. Va bene? L'ho fatto io. Dirò che sono stata io.»

«Sorellina, tu davvero hai accoltellato Henry?!» chiese Charlie sconvolto e mia figlia si immobilizzò all'istante, sgomenta.

«Vieni. Siediti.» La condussi vicino al divano facendola accomodare e mi inginocchiai. «Anna, promettimi una cosa.» Alzai l'indice contro la sua faccia. «Quando i poliziotti arriveranno qui, non dovrai dire una sola parola, ok?» Lei continuò a scuotere energicamente la testa. «Non devi fiatare. Anche tu, Charlie. D'accordo?! La mia versione dovrà essere credibile.»

«Ma ti manderanno in prigione, mamma.» Si sporse in avanti, stringendo il cellulare con una presa ferrea. «Non puoi sacrificarti! Non sei stata tu a farlo! Non diventerai un'assassina!»

«Anna, dammi questo telefono. So quello che faccio! Ho già deciso!» Alzai la voce di qualche decibel per superare la sua e mi rimisi in piedi.

Il bambino mi si buttò addosso, accerchiandomi il busto. «No, per favore, non andare in prigione! No, mamma!» Mi tolse il cellulare di mano scaraventandolo a terra e alzai gli occhi. Anche Anna poi si catapultò fra le mie braccia.

«Mamma, mi dispiace. È tutta colpa mia. Scusa! S-Scusami!» Singhiozzò avvolgendo le braccia attorno alla mia schiena e alzai gli occhi in alto, schiacciando la mano contro le labbra, mentre i miei figli si sciogliere l'abbraccio.

Sapevo che le cose si sarebbero complicate, che non potevamo più rimanere in questa città, che la polizia ci avrebbe cercati e l'unico modo per proteggerli era portarli in un posto sicuro e dopo tornare per regolare i conti una volta per tutte con la giustizia.

~♦~

Entrai nelle nostre camere per svuotare gli armadi, infilando i vestiti in un borsone.
In seguito, cercai i nostri documenti e un po' di soldi, anche se avevo acchittato pochissimi risparmi.
Infine sbucai nello stesso corridoio, gettando un altro sguardo alla cucina e appoggiai il borsone sul pavimento.

Tornai esattamente dov'era il ragazzo, determinata a eliminare ogni traccia facendo sparire l'arma. Recuperai un panno da sopra il lavello e mi accovacciai per raggiungere meglio il coltello. Mi ci volle tutto il coraggio per estrarlo, rischiando di vomitare per il disgusto. Poi lo coprii e a quel punto abbassando lo sguardo, notai le chiavi dell'auto.

"Era l'unica chance." Le raccolsi, macchiando le dita di sangue.

I bambini saltarono in piedi appena mi videro uscire. «Psst! Prendi. Forza, non c'è tempo.» Bisbigliai dando le chiavi a mia figlia e gettando nervosamente occhiate sulle finestre altrui. Dopodiché le porsi il borsone e sbloccò subito la sicura dell'auto. «Ok. Charlie, apri il portabagagli. Svelto.» Tornai dentro per sollevare il televisore, decisa a ricavarci un po' di soldi vedendolo, e Anna corse ad aiutarmi a scendere quegli scalini, poi le dissi di chiudere la porta e Charlie mi aiutò a portarla fino alla macchina, poi tutti e tre la mettemmo nel cofano, ma esso non si chiudeva.
"Accidenti."
Consegnai la borsa ad Anna e scavai alla ricerca di qualcosa per legare, trovando delle corde.

Ordinai al bambino di salire mentre facevo il nodo, in modo da non perdere l'oggetto per strada.

Ad un tratto le risate spensierate di due uomini che stavano passando in quel momento mi fecero gelare il sangue nelle vene e paralizzarmi. Per non dare nell'occhio, feci finta di niente e mi ripresi la borsa, sussurrando ad Anna di salire. Quest'ultima obbedì. Io la seguii a ruota e le passai la borsa.
«Qual era? Aspetta… Ah, sì… Questa.» Infilai la chiave nel quadro mettendo in moto e la macchina venne improvvisamente invasa da luci di mille colori, tanto che sembrava una discoteca ambulante più che un vecchio catorcio.

Che razza di marchingegno aveva questo tipo e perché se ne andava in giro così?

«Cos'è questo, mamma?»

«Non lo so. L'importante è andarcene via da qui.»

Tirai giù il freno con fatica e partimmo subito.
Non avevo ancora in mente dove andare, ma era l'ultimissimo problema.

Premetti sul pedale dell'acceleratore, superando il ponte e ci lasciammo alle spalle il paese. La strada dopo poco era immersa nell'oscurità e non c'erano lampioni in grado di rischiarla. Nell'abitacolo era calato il silenzio e rivolsi uno sguardo fulmineo a mia figlia, che guardava il finestrino, poi riportai gli occhi sulla strada.

Dovevamo allontanarci in fretta prima che rinvenissero il cadavere. Dovevo proteggere i miei figli a tutti i costi.

~♦~

Guidavo in direzione Sud-Est sulla strada regionale R479, cercando di non farmi assalire dall'angoscia o da pensieri brutti.

Anche se fossimo rimasti a Doolin, non avrebbero mai assolto Anna per legittima difesa, l'avrebbero richiusa in carcere con l'accusa di omicidio colposo. Non potevo fare altrimenti. Quelle luci psichedeliche e l'atmosfera da disco anni 90 iniziava a darmi ai nervi, così trovai i cavi alla cieca sotto il sedile e li ruppi, guastando il meccanismo.

«Mamma. Dove andiamo?» Domandò Charlie.

«Sto pensando, tesoro. Sto pensando.»

Sicuramente la polizia avrebbe settacciato la zona, non ci avrebbero impiegato molto a denunciare la scomparsa di quel maledetto approfittatore.

All'improvviso il suono delle sirene alle nostre spalle fece agitare Anna da sopra al sedile.

«Mamma! Mamma, c'è la polizia! La polizia!»

«D'accordo, calmati.»

«E se ci catturano?» ipotizzò Charlie.

«Mamma! Che facciamo?» strillò in preda al panico.

«E se ci sparano?» aggiunse Charlie.

«Va tutto bene, state tranquilli. I poliziotti non ci faranno niente. Andrà tutto bene. Intesi?» Osservai nel retrovisore ingoiando quando la vedetta accelerò. «Calmati, piccolo. Sono qui con te. Non aver paura.»

Mantenni una posizione rigida sul sedile e sangue freddo, guardando davanti, mentre la vedetta con le sirene spiegate si affiancava a noi. Poi, stranamente, ci superò e buttai fuori un sospiro, espellendo anche la tensione che mi aveva stretto la gola e svuotato i polmoni.

«Mamma...»

Mi girai verso i sedili posteriori quando Anna mi chiamò, inquadrando i pantaloni di Charlie. Erano bagnati. Si era fatto la pipì addosso.

«Scusa, mamma.»

«Non preoccuparti, tesoro.»

Almeno la polizia non ci aveva acciuffati e questa era una cosa positiva. Facemmo una breve sosta e trovai un luogo con una fontana in mezzo a una radura.

Anna lo cambiò in un batter d'occhio e tentò di cancellargli il broncio raccontando di un aneddoto del passato. Ma non seguii il loro discorso, dato che stavo sciacquando il pantalone per eliminare l'odore.

«Avanti! Salite in macchina! Abbiamo ancora molta strada da fare.» Tornai da loro e andai ad aprire lo sportello posteriore. «Charlie, su! Sali. Sali.»

«Mamma, dove stiamo andando?» Domandò mia figlia.

«A Maynooth.»

«Maynooth? Chi c'è lì?»

«Zia Joyce, la sorella di mia madre.» Risposi finendo di strizzare il pantalone, per poi stenderlo dietro per farlo asciugare.

Feci un mezzo giro della vettura e mi infilai nel lato guida, ripartendo.

~♦~

Non sapevo quanto tempo fosse passato dalla fuga rocambolesca, non avevo chiamato nessuno e il cellulare giaceva sopra il cruscotto senza batteria.
Dopo quella caduta non sapevo neppure se funzionasse.

Mi reggevo il capo con la mano e avevo il gomito appoggiato alla portiera, mentre guidavo.

«Mamma… Maynooth è molto lontana?»

Mi drizzai fissando mio figlio dallo specchietto centrale.
«Un po' lo è, ma prima o poi ci arriveremo. Vi ricordate che c'era una fotografia di alcuni bambini su una terrazza. Giusto?»

«Sì! Era una casa così bella!» esclamò Charlie.

«Stiamo andando lì. Quella è la casa di zia Joyce.»

«Non dovremmo informarla? Possiamo chiamarla mamma? Posso farlo io, se vuoi.» propose la ragazza, prendendo il telefono.

«Non chiamarla a quest'ora o si prenderà uno spavento. Ci parlo io domattina.»

«Ma i poliziotti possono venire anche lì, mamma?» intervenne Charlie.

«Perché, tesoro?»

«Intendo... a Maynooth, non riusciranno a prenderci, vero?» riformulò.

«Non ci prenderanno. Non possono, fratellino.» mi precedette Anna.

«Mamma.» Riprese. Quando era nervoso, era un tale chiacchierone. Lo guardai di sfuggita. «Ti ha insegnato papà a guidare, vero?»

«Sí, tesoro. Me l'ha insegnato tuo padre.»

«Wow! Anch'io da grande voglio fare il tassista come lui.»

«Speriamo che non gli assomigli.»

«Anna.» la ammonii stringendo i denti e scoccando un'occhiataccia.

«Cosa c'è? Così che anche lui scappi alla prima difficoltà, come ha fatto quel codardo?»

Non potevo biasimarla per la rabbia che aveva, ma suo fratello non sapeva tutta la storia e, per il suo bene, non avrebbe dovuto scoprirlo o ci sarebbe rimasto malissimo.

Continuare a credere che il padre fosse morto prima della sua nascita, era stata la soluzione per preservarlo dal dolore e dalla vergogna di essere stato rifiutato.

Riportai gli occhi sulla strada.

«Mamma, mangiamo qualcosa?»

«Hai ragione. Non avete mangiato nulla. Ora provvediamo subito.»

Ben presto, trovai un minimarket aperto affianco a una pompa di benzina. Lasciai i ragazzi in auto ed entrai da sola, venendo accolta da un giovane commesso che mi salutò.

Mi avventurai subito tra gli scaffali, prendendo due confezioni di succhi di frutta dal frigo, avevo intenzione di prendere del formaggio fresco, ma era caro. Non potevo permettermi spese eccessive.

«Prendo tre baguette.» dissi avvicinandomi alla vetrina.

«Sono lì da stamani signora, non sono più fresche. Se posso consigliarle... prenda i panini, sono più buoni.»

Guardai i prezzi. "Tre e cinquanta l'uno, un vero furto!"

«Ne prendo due.» Li infilai nel sacchetto commestibile e posai tutto sul bancone.

«Signora, ho finito le buste. Aspetti qui che vado a prenderle.»

Annuii e infilai le mani nel cappotto, poi le immagini mostrate dal telegiornale, con il primo piano dell'uomo accoltellato catturarono la mia attenzione. Agguantai subito il telecomando e alzai il volume per sentire meglio.

"La madre di Henry Ford che vive a Doolin, un piccolo villaggio marittimo dell'Irlanda occidentale, era molto preoccupata perché dopo molte ore il figlio non era tornato a casa. Pertanto è andata dalla sua vicina e ha trovato il figlio in una pozza di sangue nella cucina della vicina, così ha immediatamente allertato l'ambulanza e le forze dell'ordine."

«Eccomi qui, signora.» Il ritorno del commesso mi fece distogliere gli occhi dallo schermo.

"I vicini sono ancora in fuga e le condizioni di Henry Ford non sono state accertate.
Si presume sia grave, la prognosi resta riservata.
"

Mi schiarii la gola. «Potresti fare più in fretta? I bambini mi stanno aspettando in macchina.»

«Le persone sono così crudeli. Cosa volevano i vicini da lui? Perché accoltellarlo così? La gente sta davvero impazzendo.» commentò. Guardai ancora le immagini del ritrovamento, i soccorsi che tiravano fuori il ragazzo sulla barella per caricarlo su un'ambulanza davanti a una folla di curiosi. «Si sta perdendo completamente la testa!»

«Quanto ti devo?»

«Undici euro.»

Gli porsi quello che avevo, raccolsi il resto e uscii in tutta fretta, infilandomi nell'auto.

«Ho comprato succhi e panini. Non aveva nient'altro.»

Misi in moto e all'improvviso Charlie iniziò ad avere un pesante attacco di tosse.
Mi voltai e gli passai la mano tra i ricci, scoprendogli la fronte.
«Va tutto bene? Tesoro, ehi, stai bene?» Il piccolo fece sì senza smettere di divorare il panino. Poi, sbuffai, gesticolando con la mano. «Ah! Abbiamo dimenticato la medicina. Almeno l'ha presa la dose di oggi?»

«Sì. Ha bevuto fino all'ultima goccia.» affermò Anna.

«Comunque... non importa, lo compreremo quando saremo in città.» Mi sistemai meglio sul sedile e mi allungai per prendere il telefono rigirandolo tra le dita. «Che succede? Non funziona?»

Anna deglutì il boccone. «Ci ho provato, ma non sono riuscita a sbloccarlo. Prova tu.» Tenni premuto il tasto con la cornetta verde e lo schermo si illuminò di nuovo. «Mamma, non hai comprato un panino anche per te?»

«No, sto bene così.» Mi spostai nel menù e dopo nella casella messaggi, dicendo tra me e me:
«Denise... Chiamata persa...»
Spensi il motore e feci l'atto di scendere.

«Parlale qui, mamma.»

Feci un cenno con la testa al bambino. «Non c'è campo qui.» Era una scusa, ovviamente. Scesi e mi allontanai abbastanza. Non volevo turbarli più di quanto non lo fossero. Charlie era troppo piccolo e stava già vivendo una situazione paradossale per la sua età. «E' in ospedale, vero? È vivo?»

«E' vivo… o almeno è quello che dicono. Ma ha perso molto sangue ed è in condizioni critiche.» spiegò Denise.

«Quel bastardo merita di morire.»

«Nora. Cos'è successo? Dimmi che ti è capitato da indurti a scappare via così. Ti conosco e non è da te! Senti, non voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma… ha cercato di farti qualcosa?»

«Non a me. Ad Anna. Ha... tentato di violentarla.»

«Cosa? Ad Anna? Che stai dicendo? Maledetto bastardo!» spinsi il dorso della mano sulla bocca per frenare i miei singhiozzi. «Anna è ancora una bambina. Una bambina!» Tuonò, seccata. «Come ha osato fare una cosa del genere? Come cazzo si è permesso di toccare quell'anima innocente! Canaglia! Stronzo! Ma...» fece un attimo di pausa, come se le costasse dirlo. «Nora, quindi… l'hai fatto tu? L'hai visto e così l'hai accoltellato?»

Alzai il viso, lasciando scivolare una lacrima sulla guancia.
«Ha messo le mani addosso alla mia bambina. Quindi, se mi stai chiedendo se l'ho fatto.» Assottigliai le labbra mordicchiandole con i denti. «Sí, sono stata io. E lo rifarei mille volte.»

«Ok, cosa intendi fare adesso? Dove andrai?»

«Stiamo andando a Maynooth, da mia zia Joyce. Con l'auto di Henry.»

«Ma, tesoro, sanno che hai preso la sua auto. Il poliziotto mi ha detto che hanno emesso un mandato di perquisizione. Satacceranno tutta l'Irlanda per trovarti. Che farai se vi trovano?»

«Che mi trovino pure. Lascerò i miei figli fuori da questa storia e mi assumerò tutta la responsabilità. La cosa più importante per me è che loro stiano bene e al sicuro. Del resto non m'importa.»

«Oh, santo cielo! Vorrei poterti dire che mi occuperei di loro, ma…»

«Lo so che hai altro da fare. Auguraci solo buona fortuna.»

«Oh, Nora! Maledizione! Anche questo doveva capitarti.»

«Ora devo chiudere. Ti farò sapere qualcosa quando arriverò lì. Ti voglio bene, amica mia.»

«Anch'io, Nora. Pregherò affinché la polizia non vi trovi. Tu fai molta attenzione e dai un bacio ai piccoli. Prenditi cura di te e dammi presto tue notizie, ok?»

«Certo, grazie.»

Staccai la chiamata e tornai vicino alla macchina. Anna non mi lasciò salire e subito cominciò a farmi l'interrogatorio.

«Mamma, che ha detto Denise? Che succede?»

«E' arrivata la polizia e l'hanno portato in ospedale.» risposi girando la chiave per accendere l'auto.

«Quindi è ancora vivo?!» Si lasciò cadere sullo schienale e tirò un sospiro di sollievo. «Speriamo che non muoia. Non voglio che muoia, mamma.» La fissai con gli occhi velati di pianto, per poi distoglierli. «Mamma? Allora torniamo a casa, giusto? Se sopravvive, non dovremmo essere dei fuggitivi. Sarà tutto come prima, vero?»

Le accarezzai la guancia con affetto e mentii. «Certo, lo faremo. Un giorno...»

La ragazzina rincuorata dalla cosa annuí e si allacciò la cintura, così ripartimmo.

~♦~


Dopo un paio di ore, i bambini si erano addormentati provati da tutto quello che avevamo passato, mentre io ero alla guida.

Notai la spia della benzina accendersi, segno che il carburante stava per finire.
Il freddo stava creando una spessa condensa sul parabrezza e nebbiolina fittissima rendeva più difficile la visione della strada.

I miei occhi iniziarono ad appesantirsi e chiudersi tanto da costringermi a sbattere le ciglia più volte al secondo.

Mi sforzavo di tenerli spalancati ed essere vigile, ma alla fine non riuscii più a resistere e cedetti al bisogno fisiologico del mio corpo. Il sonno mi sopraffece, ero ormai allo stremo delle mie forze.

Quando il rumore assordante del clacson mi fece sussultare e spalancare di nuovo gli occhi, la luce intensa dei fanali di un camion mi abbagliò e le ruote stridettero sull'asfalto.

“Continuing...”

Nuova storia che ho iniziato anche su Wattpad e che ha come protagonisti gli attori che vedete nella foto principale: Amybeth McNulty (Interprete di "Chiamatemi Anna", la serie di Netflix) Lucas J. Zumann (Interprete di Gilbert Blyhe nella stessa serie), Timotheè Chalamet e Ashleight Stewart. Questa storia è un misto tra thriller e dramma allo stato puro e spero che la lettura vi appassionerà. Se volete, fatemi avere qualche vostra opinione. 
Baci, Kissenlove.
E scusate tanto per la mia improvvisa sparizione.

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Capitolo 2
*** 1.2 Fuggitivi ***


 

Presente anche su Wattpad.
Sul profilo ufficiale:
Kissenlove.



 

«E' un tale destino.
Una tale punizione per me.
Anche se spari mille volte,
NON MORIRÒ.»

FUGGITIVI
Capitolo 1
(Seconda parte)


Le palpebre si spalancarono di colpo quando udii il fragore del clacson di un pullman che segnalava con gli abbaglianti. Immediatamente, ripresi il controllo, rimettendomi sulla carreggiata opposta facendomi sorpassare, e buttai fuori un lungo sospiro.

Per un pelo, non ci aveva travolti, e dovevo cogliere il segnale che il corpo mi stava lanciando.

«Mamma, stai bene?» Chiese Anna destandosi.

«Siamo arrivati?» Biascicò Charlie abbacchiato dal sonno.

«No, non siamo arrivati. Mi sono solo appisolata. Se non mi riposo qualche ora, rischiamo di fare un incidente.» Mi girai brevemente verso di loro per poi emettere un sospiro e strofinarmi ancora l'occhio. Schiacciai la mano sulla fronte e continuai a guidare per qualche altro chilometro, finché non svoltai in un ampio piazzale, dove c'era una pompa di benzina in disuso e sostai davanti a un fast food abbandonato, date le pessime condizioni delle finestre e i neon sul soffitto che si spegnevano e accendevano ad intermittenza. Guardai attentamente i dintorni per assicurarmi che non ci fosse nessuno e slacciai la cintura. Dopo scavalcai per mettermi dietro, in mezzo ai due, e mi tolsi il cappotto per usarlo come coperta. Il freddo delle notti irlandesi non era da sottovalutare: ti penetrava nei vestiti e ti gelava dentro le ossa. «Venite, mettetevi qui sotto. Avanti, alzati il cappuccio.»

Il bambino se lo tirò sulla testa, raggomitolandosi in cerca di calore, come fece Anna, e baciai entrambi sulla testa. Serrai gli occhi e crollai in un sonno profondo.



~♦~

Iniziai a muovermi, scorrendo la mano sulla schiena di mio figlio e spalancai placidamente gli occhi. La luce di un nuovo mattino inondava il posto, rendendolo meno spaventoso rispetto a ieri. Osservai Anna addormentata come un ghiro con il collo girato dalla parte opposta, poi abbassai lo sguardo sul piccolino. Lo staccai da me adagiandolo sul sedile e ripassai davanti. Sistemai il cappotto sui loro corpi quando scivolarono l'uno sull'altra e mi scappò un sonoro sbadiglio. Mi ero riposata abbastanza. Presi il cellulare e scesi, facendo un po' di stretching per i muscoli che sentivo atrofizzati. Camminai un po' più lontano per sgranchire le gambe e intanto feci una chiamata alla zia. Speravo che potesse offrirci ospitalità a casa sua fino a quando non avrei trovato un'altra sistemazione. In caso contrario, non avrei saputo dove altro andare.

«Ciao, zia Joyce? Sono io, Nora.»

«Ciao!» Rispose una voce femminile che non mi era familiare. «La signora Joyce è andata al mercato e ha dimenticato il cellulare qui. Sono la figlia del vicino, Jessica.»

«Ah... ciao. Quando torna?»

«E' andata con mia madre. Potrebbe volerci del tempo. Sua figlia sta per sposarsi ed è molto emozionata, ecco perché sono andate a fare compere.»

«Victoria... sta sposarsi?»

«Già. Si sposerà presto e c'è molto da organizzare qui, per questo sono venuta ad aiutarli.»

«Oh! Non lo sapevo. Sono molto contenta per lei. Be'… quando torna, puoi dirle che sua nipote Nora di Doolin l'ha chiamata, per favore? Sto venendo a Maynooth con i miei figli. Volevo solo informarla.»

«Certo, certo. Glielo dirò.»

«Grazie.»

Riattaccai, guardando lo schermo passando le dita sulla crepa provocata dalla caduta, prima di incrociare le braccia sotto il seno, tornando verso la macchina per rimetterci in marcia.



~♦~

Sciolsi le corde che tenevano bloccato il cofano e lo spalancai tirando fuori quella vecchia scatola, ch'era decisamente datata per questi tempi, ma ci avrebbe fruttato un po' di soldi.

«L'ho presa, va bene. Ragazzi salite in auto. Torno subito.»

Entrai nel negozio di elettrodomestici, trasportandola a fatica e la scaricai sul primo mobile che mi capitò a tiro.

«Salve.» Salutai un uomo di mezz'età confinato dietro il bancone.

«Salve. Come posso esserle d'aiuto, signora?»

Mi avvicinai, indicando l'oggetto. «A quanto lo comprerebbe?»

«Non vale niente, è un modello datato. Non si vendono più da quando sono usciti i nuovi televisori al plasma in HD o in 4K. Se funziona ancora, continui a usarla.» Sentenziò, rigettando la proposta.

«Non posso più usarla. Anche se meno, quanto può darmi?» insistei.

«Gliel'ho detto, è un modello vecchio. Anche se lo compro, non lo venderei a nessuno.»

Mi passai la lingua sulle labbra per inumidirle e abbassai leggermente gli occhi a disagio.
«Senta, sono in una situazione difficile. Sto viaggiando con i miei figli e la benzina sta per finire.» L'uomo alzò gli occhi dal quaderno. «Mio figlio è molto malato, devo comprargli al più presto le medicine. Se non può venderla come ha detto, la dia a un rigattiere, non importa. Necessito di un po' di soldi. La prego!» Probabilmente gli feci abbastanza pena perché gli spillai 150 euro. «Dio la benedica. Grazie. C'è un distributore di benzina da queste parti?»

Uscì dal bancone e mi indicò la direzione col braccio.
«Ce n'è uno sulla destra.»

Lo ringraziai e mi fiondai fuori dal negozio. Feci un pieno poco più avanti, anche se mi costò quasi tutto il denaro ricavato, ma almeno avremmo continuato il viaggio senza rimanere a piedi.

Attualmente eravamo sulla M6, sulla tratta Galway/Dublino e continuai a guidare, mentre il sole si era innalzato nel cielo. Non ci fermammo per fare soste, volevo arrivare a Maynooth prima che facesse buio.

«Mamma!» Allungai il collo guardando il bambino attraverso lo specchietto. «Mi sta venendo la nausea, ho una fame da lupi.»

Guardai l'orario. «E' mezzogiorno... e voi ragazzi non avete fatto colazione. Ok, tesoro, pazienta un pochino. La mamma ti comprerà qualcosa, va bene?»

«D'accordo, mamma.»

Si rimise ubbidiente sul sedile e dopo qualche chilometro imboccai un'uscita, dove c'era un distributore di benzina e un agglomerato di ristoranti e bistrot con un'insegna blu e bianca. Parcheggiai nello stallo adibito e scendemmo.

Ci accomodammo ad uno dei tavoli all'interno di un ambiente rustico, il cui nome mi ricordava una marca di liquore alcolico tipico dell'Irlanda: BaileysOrdinai il pranzo e i ragazzi divorarono con gusto, mentre io non riuscivo a godermi quel momento di pace senza smettere di guardarmi intorno. C'era un uomo, per esempio, poco più lontano da noi che beveva il caffè e leggeva il giornale, e se ci fosse stato scritto qualcosa su noiSe ci riconoscessero?

Il mio evidente stato di agitazione mista ad ansia non passò inosservato ad Anna che abbassò la forchetta, appoggiandola nel piatto.

«Mamma, non hai mangiato quasi niente e di questo passo ti ammalerai.»

«Sto mangiando un po' di pane, cara. Non mi andava di prendere l'insalata di pollo.» Poi spostai gli occhi su Charlie, che aveva spazzolato interamente il piatto. «Sei pieno?»

«Molto! Mi sta per scoppiare la pancia.»

«Bravo!» Tornai a fissare il signore, masticando controvoglia il boccone. «Avete finito?» chiesi girandomi. Charlie annuì spostando il piatto. «Andate ad aspettarmi in macchina. Io pago e vi raggiungo.»

Porsi le chiavi a mia figlia e si alzarono prendendo i cappotti per poi dirigersi all'uscita. Guardai ancora in giro prima che il volto di un uomo abbastanza in carne mi si parasse di fronte.

«Vuole che le porti un caffè, signora?»

«No, grazie. Va bene così.»

«Va bene. Come vuole.»
Portò via i piatti allontanandosi e a quel punto colsi quella ghiotta opportunità. Mi alzai, indossando il cappotto con nonchalance, e lanciando un'altra occhiata al signore con il giornale mi avviai all'uscita, aggiustando la borsa sulla spalla.

In tutta fretta, raggiunsi l'auto infilandomi dentro più veloce di un Saetta McQueen e buttai la borsa sul sedile affianco.
Quando però girai la chiave, quel catorcio stentò a partire. Ritentai.

"Non poteva abbandonarci proprio ora!"

«Non ora.» dissi a denti stretti, muovendo la leva del cambio. Girai di nuovo la chiave. «Andiamo! Andiamo! Andiamo!» Una volta… due volte, ma non funzionava. Non partiva.
Tirai giù il freno a mano e provai, ma la macchina sobbalzava, come se avesse il singhiozzo. Pian piano, decise di collaborare.

«Mamma, un uomo ci sta inseguendo!»

«Mamma! Che succede?»

Un giovane si buttò davanti al muso della vettura e fui costretta a frenare per non investirlo.
Mi immobilizzai sul sedile, non sapevo come comportarmi o come spiegare l'accaduto, mentre l'uomo in carne ci raggiungeva, bussando contro il finestrino.

«Dove sta andando senza pagare quello che deve?»

«Mamma, non abbiamo pagato il conto?»

«Ora la denuncio alla polizia. Aspetti!» Minacciò e a quel punto mi affrettai a prendere il portafoglio dalla borsa mentre Charlie batteva il pugno contro il finestrino implorandolo di non chiamare.

Scesi dall'auto e gli feci abbassare il cellulare dall'orecchio. «Signore! Signore, la supplico! La prego, non chiami la polizia. Lo giuro, mi creda! Non ho più soldi. Guardi!» Per dargli una prova concreta, gli mostrai il portafoglio. «I miei figli erano affamati, non mangiavano da ieri e ho dovuto farlo. Mi dispiace, sono desolata. Lo giuro, mi vergogno a morte, ma l'ho fatto per i miei figli. Loro sono tutto per me e voglio che stiano bene. Per favore!» esclamai, trattenendo le lacrime che premevano per uscire.

«Da dove viene?»

Mi passai il dito sotto l'occhio, tirando su con il naso.
«Doolin.»

«E dov'è diretta?»

Dovevo essere sincera, non avevo altre possibilità. Confidavo che l'uomo fosse un bravo cristiano.

«Sto andando a Maynooth.»

«E pensa di andarci con un paio di spiccioli nel portafoglio?»

«Non lo so. Mi sento impotente. Lo giuro! Voglio dire...» gesticolai nervosamente con le braccia. «Sono disposta a fare qualunque cosa mi chiederà. Posso lavare i piatti. Posso anche fare le pulizie o lavare i pavimenti. Lavorerò e la ripagherò. Ma la prego... non chiami la polizia.»

L'uomo di mezza età mi ascoltò e si piegò verso i finestrini posteriori, guardando i miei figli, increspando le labbra in un sorriso. Continuò a scuotere la testa, mentre una parte di me fremeva dalla paura di non averlo convinto. Ma era la pura verità. Quando mi fece cenno di rientrare, capii che avevo incrociato una brava persona sul mio cammino.

~🦋~

Permise ai miei ragazzi di ordinare quello che preferivano dal bancone e mi offrí quella tazza di caffè, come segno d'amicizia.

Mi guardò con affetto e congiunse le mani sul tavolo. «Non ha nessuno, figliola

Feci un cenno all'indietro indicando i bambini, accostandomi la tazza alle labbra. «Ho i miei figli. Non è abbastanza?»

«Certo che lo è, ma… qualcuno come un marito?»

Appoggiai delicatamente la tazza sul piattino e chiarii. «Ho perso i miei genitori anni fa e ho rotto con il padre dei miei bambini.»

«Quindi è sola?» Annuii. «E viveva a Doolin?»

«Vivevamo, ma è successo qualcosa di terribile e abbiamo dovuto lasciare il paese.»

«State andando a Maynooth, ma… conosce qualcuno lì?»

«Mia zia vive lì. Andremo a stare da lei.»

Le domande dell'anziano si interruppero e si spinse contro lo schienale mentre riprendevo a bere la bevanda calda.
Mise sul tavolo un gruzzoletto di banconote facendole scorrere dalla mia parte per non attirare l'attenzione della clientela.

«Tenga.»

«Signore, io…»

«No, non si dovrebbe viaggiare senza soldi.»

«Lei ha già fatto molto per noi, questo è troppo.» Tesi le mani nella sua direzione respingendo la generosa offerta con orgoglio.

«Li prenda, mia cara, non si preoccupi. Glieli sto dando di mia spontanea volontà. Se mi avesse detto che non aveva soldi, le avrei dato comunque da mangiare. Due piatti in più non avrebbero fatto alcuna differenza. E inoltre sta andando a Maynooth… è molto lontano da qui.» Aveva ragione, ma non avevo pensato alle coordinate geografiche da un posto all'altro quando eravamo scappati. Sembrava un dettaglio superfluo rispetto a cosa avevamo affrontato. «Avrà bisogno di soldi per pagare il pedaggio in autostrada. Li tenga.» Gli rivolsi un sorriso caritatevole. «Quando avrà trovato un lavoro e guadagnato abbastanza, potrà venire a restituirli. Io sono sempre qui. Ci lavoro da anni.»

«Non so come ringraziarla.»

«Non mi deve ringraziare, figliola. L'ho capito subito ch'è una brava ragazza.» Puntellò i palmi mettendosi in piedi e si sporse in avanti. «Bene, diamo un'occhiatina alla macchina. Dopotutto con quel vecchio catorcio non potrete né scappare da me, né raggiungere Maynooth. Gliela riparerò e tornerà come nuova.»

Quell'uomo era proprio un pezzo di pane, pur non conoscendoci, mi aveva fornito l'aiuto di cui avevo bisogno senza volere nulla in cambio e persone così erano un miraggio in mezzo a tanta falsità.

Scompigliò il nido di riccioli di Charlie che mangiava il budino al cioccolato e uscì fuori.

I pensieri che mi affollavano il cervello però erano molti.

~🦋~

Poco dopo esserci rinfocillati, uscimmo del ristorante ed ero intenta a chiudere la cerniera del portafoglio, quando una voce maschile risuonò alle nostre spalle.

«Ehi! Giovanotto!» Ci girammo simultaneamente e mi trovai a fissare più del dovuto un uomo dai tratti palesemente europei, una massa indomita di ricci scuri, fisico asciutto e occhioni blu, che ci indicava il terreno con l'indice. «Ti sono caduti i soldi.»

Guardai la monetina da un euro e, in seguito, il ragazzo.

«Mi ha chiamato giovanotto!» esclamò Charlie tutto elettrizzato, con un sorriso che gli andava praticamente da un orecchio all'altro.

Gli sorrisi. «Vai!»

Corse subito a raccoglierla. «Grazie, signore.»

«Non c'è di che.»

A quel punto, alzò quei lapislazzuli incastrandoli nei miei per qualche secondo, prima di imboccare definitivamente l'entrata.

«Mettilo dentro, tesoro.»
Charlie buttò la moneta nel portafoglio e ripresi a camminare. «Siamo in ritardo. Abbiamo perso un sacco di tempo. Diamoci una rinfrescata e andiamo via.»

Accerchiai le spalle della ragazzina e ci dirigemmo verso i bagni pubblici dell'autogrill. Mentre stavo spalancando la porta, Charlie protestò:
«Questo è per le signore. Non posso usarlo io!»

«Non essere sciocco. Sei ancora un bambino.» lo rimbeccò Anna facendolo scostare quando gli scompigliò i capelli in testa.

«Non lo sono affatto. Sono cresciuto.»

«Ok, va bene. Giovanotto, può tenermi la borsa?» Troncai la loro discussione in maniera pacifica e gliela lasciai, ma il piccolo se ne andò con un broncio evidente e le guanciotte gonfie. Anna per poco non scoppiò a ridere per il teatrino del fratello ed entrammo nel bagno delle ragazze.

~🦋~

Dopo aver svuotato le vesciche e lavato la faccia, uscimmo, e mi resi conto che di mio figlio si era volatizzato. Legai la cinghia sull'addome e guardai da tutte le parti. «Dov'è Charlie?» Anna si allarmò e lo chiamò a gran voce. Lo cercò con lo sguardo, spostando il collo a destra e a sinistra, preoccupata che fosse successo qualcosa. «Charlie! Charlie! Dove sei?!»

Ci mancava questo per finire in bellezza questo rocambolesco viaggio.

«Charlie!» urlai ancora.

«Eccomi, mamma!»

Vedendo il bambino spuntare dietro al cespuglio, potei tornare a respirare, sollevata che stesse bene. Ma non avrebbe dovuto essere così imprudente, visti i pericoli dei tempi odierni.

«Tesoro, dov'eri? Perché non me l'hai detto prima di allontanarti? Mi sono spaventata a morte.»

«Mamma, e la tua borsa?» mi fece notare Anna e slittai lo sguardo da lei al bambino confusa.

«Dov'è la mia borsa?»

«Sono andato a giocare con il cagnolino e l'ho lasciata lì.» Indicò la fioriera e Anna si offrì di andare a recuperarla prima che qualche malintenzionato ci ficcasse le mani dentro.

«Ma perché hai lasciato la borsa, tesoro? E se qualcuno la rubava?» Fece una faccia dispiaciuta e sbattei le braccia contro i fianchi.

«Mamma, il tuo portafoglio è sparito.»

«Come? Dov'è?» le strappai la borsa dalle mani e rovistai di persona, spostando convulsamente il contenuto, ma mancava l'essenziale: il portafoglio. «No, no! È sparito. Dentro c'erano tutti i nostri soldi.» confessai coprendo le labbra con la mano.

«Sei scemo, cazzo? Cos'hai nel cervello? La segatura! Come faremo a mettere la benzina adesso? Come compreremo da mangiare? Eh!» sbottò inferocita contro il fratello, che abbassò lo sguardo.

«Va tutto bene, Anna. Va tutto bene. Non prendertela con il bambino. È stata colpa mia. Non avrei dovuto separarmi dalla borsa.» Mi portai le mani sui fianchi, mordicchiando l'interno della guancia.

"E ora come potevamo andarcene se ci avevano derubato?"

«Mamma, Denise ti sta chiamando.»

Mi porse il mio cellulare e mi allontanai un po' da loro con le lacrime pronte a sgorgare dagli occhi facendo invidia alle Cascate del Niagara.

«Sì, Denise?»

«Ah! Nora, tesoro? Scendi da quell'auto. Una cliente del salone mi ha detto che il marito ha saputo che la polizia sta cercando l'auto di Henry ovunque. Hanno il suo numero di targa. Devi sbarazzarti immediatamente di quell'auto, Nora.» Proprio in quel momento, una vedetta della polizia parcheggiò proprio accanto al catorcio, alcuni poliziotti scesero e si avvicinarono. «E inoltre, Henry.» Fece una pausa. «Quel bastardo è morto.»

Ebbi un tuffo al cuore e persi così tanti battiti che fui fortunata a non aver avuto una sincope, ascoltando quella notizia.
Il mondo mi precipitò addosso e finì per seppellirmi.

Quel molestatore era finito all'inferno come meritava, ma aveva macchiato l'anima di mia figlia. Aveva distrutto la sua vita e derubato la tranquillità.

A stento riuscii ad articolare una mezza frase. «Denise, devo... andare.»

«Mamma, cosa ti ha detto?»

Ero frastornata da non riuscire a guardarla negli occhi, a parlare o trovare una soluzione.
Con gli occhi cerulei velati di pianto e una voragine che si allargava nello stomaco, non facevo che ripetermi. «Cosa faremo ora? Cosa faremo ora...»

«Mamma, stai bene!»

"È un incubo, mi sveglierò." strizzai gli occhi, sentendo le ultime forze scivolare via.

«Mamma!»

«Anna…»

All'improvviso mi girò la testa come se fossi salita su una giostra, la vista si offuscò e mi sentii debole a tal punto che crollai nelle braccia di Anna, che proruppe in un urlo di terrore.
Mi adagiò sull'asfalto, potei sentire tutte quelle voci che si accavallavano le une sulle altre, ma non potevo muovere un muscolo. Ero paralizzata.
Strizzai gli occhi che si erano annebbiati per le lacrime, il labbro mi tremava e delle braccia forti mi presero per le ascelle mettendomi su una sedia.

«Sta bene, signora?!» chiesero in coro le persone che mi avevano accerchiata.

«Sto bene. Grazie...» risposi mentre cercavo di rassicurare Charlie che mi si stringeva addosso.

«Cosa l'è successo? Si sente bene? Ha avuto un calo di pressione?»

«Sto bene, sto bene. Grazie...»

«Beva un po'.» suggerì il moro, passandomi una bottiglietta d'acqua che afferrai, tremando come un cucciolo bagnato.
«Sta bene?»

«Mhm-hmm.»

«Ok. Lasciatele un po' di spazio per respirare.»

Le persone mi augurarono di riprendermi e ringraziai con un filo di voce, svitando il tappo, mentre il mio sguardo si soffermava sui poliziotti che stavano perquisendo l'auto.

«Mamma…»

«Tesoro, sto bene.» accarezzai la guancia di Anna mentre il piccolo mi dava un bacio sulla guancia.

L'unica persona che non si era mossa era il moro che avevamo incontrato uscendo dal locale.

Era rimasto.

«La porto in ospedale? Almeno le faranno un controllo approfondito così anche il giovanotto si sentirà meglio.»

Bevvi un lungo sorso, al punto che mi andò di traverso. Tossii. «Non serve. Grazie.»

Tenevo costantemente d'occhio i poliziotti che controllavano il cofano, torturando il labbro inferiore con i denti.

«È successo tutto per colpa mia! Ho lasciato che rubassero il portafoglio perché non ho fatto attenzione...» E si girò verso il moro spiattellandogli. «Così non possiamo più andare a Maynooth. Ora siamo senza soldi.»

La polizia era a pochi passi di distanza, ingoiai a vuoto e alzai per un attimo gli occhi sul giovane.

Charlie tornò a stritolarmi e gli accarezzai il braccio. «Sto bene, amore. Tranquillo.»

Il moro si abbassò e distolsi lo sguardo. «Non mi fraintenda. Voglio aiutarvi. Sto andando a Dublino con la mia macchina. Potrei darvi un passaggio.»

Ormai avevano trovato l'auto ed era questione di tempo, ma non potevo approfittare della gentilezza di quel ragazzo. Non potevo metterlo nei guai.

«No.» declinai la proposta, seppur a malincuore. «Non è necessario. Per favore, non si disturbi.»

«Non è un disturbo. Ascolti, sono appena tornato dalla Russia. Sono stato in viaggio per giorni e mi piacerebbe avere un po' di compagnia. E poi mi piacerebbe conversare con questo giovanotto.» Il moro non si arrendeva al mio no di prima, e tirai su con il naso. Vidi i poliziotti entrare nel locale per interrogare qualcuno e il terrore dilagò dentro di me.

«Non restiamo qui ancora a lungo, mamma. Ti prego...» Prese parola Anna.

«Ok, certo. Andiamo...» sibilai.

«Benissimo.» Il moro si tirò su e anch'io mi alzai.

Lo seguimmo verso un SUV tirato a lucido e parcheggiato di fronte al locale. Lui sbloccò la sicura e salimmo. Si mise al volante, io al suo fianco e i bambini dietro.

«Il sedile posteriore è pronto, co-pilota?» Scherzò, allacciando la cintura.

«Siamo pronti a partire, capitano!»

«Bene, allora andiamo.»

Avviò il motore e da una parte mi rilassò lasciare questo posto, ma dall'altra mi gettò nell'inquietudine, perché con la morte di quel bastardo eravamo condannati ad essere degli evasi.

Niente e nessuno poteva riportare indietro la nostra vita.

Guardai il proprietario del ristorante che mi sorrideva, accompagnato dai poliziotti, prima che la macchina si rimettesse sulla strada.

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