Ania.

di Apollonia Storie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cover ***
Capitolo 2: *** Introduzione a pezzi ***
Capitolo 3: *** Lo status quo ***
Capitolo 4: *** Immasticabili al latte di rospo ***
Capitolo 5: *** Buon compleanno ***
Capitolo 6: *** L'incubo ***
Capitolo 7: *** Fino alla morte ***
Capitolo 8: *** Medusa ***
Capitolo 9: *** E' il testosterone. Non io. ***
Capitolo 10: *** Scintillante ***
Capitolo 11: *** Dentro l'armadio ***
Capitolo 12: *** Miele ***
Capitolo 13: *** Polaroid. ***
Capitolo 14: *** Bambole ***
Capitolo 15: *** Orchidee. ***
Capitolo 16: *** Tieniti stretta l'anima. ***
Capitolo 17: *** Perdono. ***
Capitolo 18: *** In gruppo. ***
Capitolo 19: *** La Torre. parte 1 ***
Capitolo 20: *** La Torre, parte 2 ***
Capitolo 21: *** Tra le bende ***
Capitolo 22: *** Grusko ***
Capitolo 23: *** Albero di ghiaccio ***
Capitolo 24: *** Scappa ***
Capitolo 25: *** Tu ***
Capitolo 26: *** Mille pezzi sparsi ***
Capitolo 27: *** Fai la lista ***
Capitolo 28: *** Caccia al piccione ***
Capitolo 29: *** Eppure, addio. pt.1 ***
Capitolo 30: *** Eppure, addio pt.2 ***
Capitolo 31: *** Supereroe ***
Capitolo 32: *** Spinners End ***
Capitolo 33: *** Col botto ***
Capitolo 34: *** Madre contro madre ***
Capitolo 35: *** Quindi Hogwarts ***
Capitolo 36: *** Oltre il Lago ***
Capitolo 37: *** Siamo ***
Capitolo 38: *** La Battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 39: *** La Strega i Giganti ***
Capitolo 40: *** Lo specchio delle Brame ***
Capitolo 41: *** La fine ***
Capitolo 42: *** Una manciata di ricordi ***
Capitolo 43: *** La lettera ***



Capitolo 1
*** Cover ***


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Capitolo 2
*** Introduzione a pezzi ***



Luvgwarts newspaper I
 
- Oh mio Dio! Ania Linguamozza ha una cotta per te Harry –
- Cosa? –  
Hermione guardava ad occhi spalancati un giornaletto di sole quattro pagine, tenuto insieme da una spago rosa, che emanava un forte odore di Aloe Vera e cocco.
 
- Chi è Ania Linguamozza? –
- E che robaccia è quella? –
 
- Oh questa è, eh eh, è solo … - iniziò Hermione imbarazzata, come se si fosse appena pentita di aver cacciato l’argomento.
 
- … aspetta non sarà mica…. –
- Eh va bene Ron si, sto leggendo Luvgwarts , contento? –
- Non ci posso credere! –
- Scusate, vi dispiace spiegarmi di che diavolo state parlando? –
- Hermione sta leggendo quella schifezza di giornalino creato da Hannah Abboth e le sue amichette, in cui scrivono un mucchio di bagianate… -
- Non sono bagianate! Beh, si in parte si, ma… -
- In parte? –
- D’accordo sono tutte bagianate, ma è per farsi quattro risate,, ok? Non posso sempre chiudermi in Biblioteca, avrò diritto anch’io di… HEY! –
 
Harry, stanco di non aver avuto risposta alla sua prima domanda, strappò il giornalino dalle gambe di Hermione e prese a leggerlo.
L’articolo in questione contava al massimo una decina di righe, e tutto quello che si poteva evincere era che…
 
- Insomma, Ania Linguamozza ha una cotta per me. –
- Già. –
- Ma chi è? –
- Oh, Harry, sul serio? E’ del nostro anno, come fai a non conoscerla? –
 
Hermione si volse verso Ron, cercando un appoggio, ma anche il rosso scosse la testa, disorientato.
 
- Andiamo… capelli neri sempre legati? Occhi verdi? Non parla con nessuno e siede sempre in fondo alla classe? –
- Ah - Ah –
- Nessun idea di chi sia. –
- Neanche mezza –
 
Hermione sbuffò spazientita, poi riprese il giornalino tra le mani.
 
- D’accordo, hm, stando all’articolo …-
- Chiamalo articolo. –
- Taci Ron! Dicevo, stando all’articolo due giorni fa, al corridoio del secondo piano ti è sbattuta addosso, è rimasta tre secondi a fissarti senza dire nulla e poi è scappata in lacrime correndo. –
- Oh. – esclamò finalmente Harry.
 
Ora ricordava.
In realtà non era andata esattamente così.
Erano tutti diretti alla Sala Grande, e anche con una certa urgenza data la fame. Lui e Ron stavano camminando allegramente per i corridoi, quando una ragazza dall’aria distratta gli era sbattuta addosso.
- Oh scusami – aveva detto lui, raccogliendo da terra il quaderno che gli era caduto. Quando aveva rialzato lo sguardo, la ragazza era ancora lì, aprendo e chiudendo la bocca come se avesse voluto dire qualcosa senza riuscirci e stringendo convulsamente le mani.
Poi si era come riscossa e aveva ricominciato a camminare nella direzione opposta.
Senza correre né lacrimare come era stato descritto nell’articolo.
 
- Oh, ora ce l’ho presente ma non si è messa piangere. In realtà non credo abbia una cotta per me, forse è solo timida. –
- Ora che ci penso invece a volte ti fissa. – esclamò Ron masticando una gelatina
- Cosa? –
- Beh, è vero. Ogni tanto ti fissa, imbambolata. –
- Ma se fino a qualche secondo fa nemmeno sapevi chi era. –
- Ma ora ce l’ho presente. E’ che non l’ho mai calcolata più di tanto. –
- Oh  nessuno calcola Ania Linguamozza. – esclamò Hermione con una risatina, attirando due occhiate sconvolte degli amici
- Hermione, da quando sei cosi cattiva? Sembri Pansy Parkinson –
- Beh, mi spiace dirlo ma è vero. Non parla mai con nessuno … una volta al primo anno eravamo in Biblioteca, le ho chiesto se potevo sedermi al suo tavolo dato che non c’erano posti e lei ha detto di si… -
- Non mi sembra così male… -
- … così mi sono seduta, e dopo tre secondi, e giuro tre secondi si è alzata e se n ‘è andata, come se emanassi un brutto odore o non so che… -
- Sei sicura che non sia successo dopo la vicenda del Troll nel bagno? Perché in quel caso è probabile che avessi sul serio un brutto odore. –
- Oh ma piantala Ronald.- sbuffò Hermione costringendosi per orgoglio a non unirsi alle risatine.
 
 
 
 
II
 
- Oh Mio Dio! –
- Cosa? –
- OH MIO DIO –
- C.O.S.A? –
- Ragazzi, questa dovete leggerla. Indovinate chi ha una cotta per Harry Potter? –
- Hmm,  Ronald Weasley? –
- No, Draco. – esclamò Daphne chinando la testa di lato con un sorrisetto tra le risatine generali.
- Ania Linguamozza. –
- OH MIO DIO! – esclamò Pansy spalancando gli occhi.
- Ma che dici? –
- Giuro! Guarda qui! Gli è quasi svenuta addosso al secondo piano due giorni fa… -
- Non ci credo… ora che ci penso mi sembra di averla vista piangere in dormitorio. –
- Beh, piangerei anche io con quei capelli. –
- Non vede un parrucchiere dalla nascita, a parer mio. –
- E nemmeno un’estetista. –
- Scusate ragazze, non vorrei interrompervi ma chi è Ania Linguamozza? –
- Blaise! Ania Linguamozza! E’ del nostro anno. Serpeverde! –
 
I due amici si guardarono stringendo gli occhi. Raro che non conoscessero una ragazza, specialmente se del loro anno, ma non riuscivano a collegare nessuna faccia a quel nome.
 
- Andiamo… Ania NinnaNanna? Musolungo? –
- Zero proprio –
- Andiamo, sta sempre con Millicent. E’ l’unica persona con cui parla in tutto il castello in realtà.
- Ah! – esclamò infine Blaise
- Ho capito chi è… ha sempre il cerchietto e due bocce enormi. –
- No idiota, quella è Emily Taylor. –
- Ah,  grazie che me l’hai detto, erano giorni che ci pensavo. –
- DIO BLAISE! come fa a piacerti quel pescepalla con la fronte di un metro e… -
- Sentite – tuonò Draco poggiando la testa sullo schienale della sedia.
- La piantate di strepitare, vi sembra il club del gossip questo? Non mi interessa sapere di questa Linguastorta… -
- Linguamozza –
-… Quello che è! E mi interessa ancora meno se va dietro a quel quattrocchi… deve essere una proprio con i problemi se ha certii gusti. –
- Problemi? Ah, quanti ne vuoi! Ti dico solo che vive a Royton in un monolocale, la madre scompare per mesi e non sanno nemmeno chi sia il padre. –
- Che puttana! –
- Se sei poverà più dei Weasley devi pur fare qualcosa no? Sono senza un soldo, è per questo che lei hai iniziato due anni più tardi Hogwarts… -
- Io invece ho sentito che la madre è rimbambita come i genitori di Paciock. Chissà che un giorno non si sposino, sarebbero una coppia perfetta ahahah –
- Oh, sì! già vedo le partecipazioni: “Matrimonio al San Mungo, tra amore e psicofarmaci”. –
 
Draco scosse la testa, nonostante le dicerie solitamente lo divertissero un mondo, con il passare del tempo era diventato sempre più difficile resistere alle intensive ore di gossip delle ragazze.
Con uno scatto si alzò dalla poltrona e lasciò la sala comune, dimenticando completamente, per il momento, l’argomento.
 
 
 
 
 
 
III
 
 
Toc Toc
 
- Tesoro, apri tu la porta? -
- Vado io. Ma solo perché quanto torno voglio trovare un bel piatto di pasta fumante già a tavola. –
- Sarà fatto, mia signora. –
Lily baciò con un sorriso la guancia di suo marito, impasticciata di sugo di pomodoro e chissà che altro, e si diresse alla porta.
 
Quella giornata di inizio settembre non avrebbe potuto essere peggiore. Pioveva copiosamente e il cielo era così grigio da far sembrare notte nonostante fossero appena le cinque.
 
- Chi è ? – chiese prima di aprire, con la bacchetta ben pronta nella tasca dei pantaloni.
Erano tempi scuri, quelli.
 
- Lily … -
 
Fu appena un sussurro, difficile a sentirsi tra i tuoni e la pioggia, ma fu abbastanza.
Il cuore le volò in gola, e quando aprì la porta per poco non si strozzò.
 
Sull’uscio di casa sua, con il volto affilato e pallido, i lunghi capelli biondi e i vestiti inzuppati d’acqua che delineavano quello che sembrava un accenno di pancia, vi era l’ultima persona che aspettava di vedere.
 
 
Esattamente due anni e 123 giorni dopo, il meteo fu più clemente, e dalle vetrate di quella piccola casa nel Sussex una bambina di quasi un anno e mezzo circa pettinava i capelli ad una bambola vestita di viola.
 
- Hey tesoro, guarda chi è venuta a trovarci. –
 
La bambina alzò lo sguardo e il volto le si illuminò di gioia.
 
- LILY! –
- Cosa ci fa questa piccola peste già in piedi? Niente sonno eh? – sorrise Lily prendendo tra le braccia la piccola, che scosse la testa.
- Sono tre notti che va avanti così, ha gli incubi. –
- Lei ha gli incubi o tu? – osservò la donna gettando un occhio alle occhiaia profonde sotto il viso dell’amica
 
Clelia sorrise amaramente, versandosi un po' di caffè e riempendo una seconda tazza per la sua ospite, che la raggiunse al tavolo portandosi la bambina tra le braccia.
 
- E’ una casa rumorosa questa. E’ così che funziona negli appartamenti. - disse come se fosse una spiegazione valida alla sua insonnia
- Hai mai pensato che magari potresti tornare? Sai Sirius… -
- Come vanno le nausee? – la interruppe bruscamente Clelia accennando al pancione di quasi nove mesi di Lily
- Oh beh, non sono le nausee il problema. Questo diavoletto non la smette di scalciare… Hey ! – si interruppe ridendo, mentre la bambina che aveva in braccio le alzava la maglia scoprendole il pancione.
- Voglio sentire Harry. Perché non bussa? –
- Ti svelo un segreto. Harry è un gran dormiglione, scommetto che a quest’ora sta ancora dormendo, come dovresti fare anche tu, d’altronde… -
- Ma io voglio sentirlo, Lily. –
- Tesoro, non frignare e lascia stare la zia Lily. Giocherai con Harry tra qualche mese. Dico bene? –
- Già, per la fine di luglio si spera… oh, ma guarda un po', si è svegliato. –
- Vuole parlare con me. –
- Ma certo che vuole parlare con te. – sorrise Lily mentre la bambina le alzava di nuovo la maglia e premeva le manine sulla pancia.
- Aspetta, è qui. –
 
Le prese una manina, e delicatamente la spostò verso il fianco sinistro. Proprio in quel punto dopo qualche istante, avvertì quella che doveva essere la mano di suo figlio premere contro quella della bambina.
 
- Oooh – esclamò quest’ultima, estasiata.
La sua risata candida riempì le pareti di quella piccola casa, colmando di gioia i quattro cuori che vi battevano dentro.
 
 
Ma il sole è un caldo amico che appare e scompare, specialmente in Inghilterra. E chissà perché, quando va via, si porta dietro la spensieratezza dei bei momenti, per lasciare spazio ai nuvoloni grigi pieni d’angoscia.
 
- Non può essere! Perché tu? Perché voi? Perché HARRY? –
- Non lo so, non lo so, non so cosa fare Clelia, ho paura… -
- Lily… - Clelia si inginocchiò difronte all’amica in lacrime, prendendole le mani tra le sue, e guardandola con occhi fermi.
- Lily faremo tutto quello che è necessario per… -
- NON E’ ABBASTANZA CLELIA! Non capisci? Lui crede che la profezia parli di Harry… di MIO FIGLIO! –
- Mamma ! –
 
Le due donne si voltarono di scatto, completamente dimentiche dei due bambini che giocavano vicino al camino.
 
- Mamma guarda Harry si è incastrato nella scatola dei giochi – rise di cuore indicando il bambino, piccolissimo che goffamente si sfilava la testa dal cartone.
- Tesoro, vai di la, e porta Harry con te. –
- Ma mamma, i giochi… -
- Porta anche i giochi. –
- Ma… -
- Niente, “ma”, vai di là ORA! –
 
La bambina parve sull’orlo delle lacrime per qualche secondo, ma poi abbassò lo sguardo e prese di peso il bambino biascicando lamentele.
 
- Dobbiamo affrontarlo, tutti insieme, prima che sia troppo tardi. –
- Lily non farti sopraffare dalla disperazione, migliori di noi hanno provato a fronteggiarlo. Sai che è troppo forte. – sussurrò con fervore, battendo una mano sul tavolo.
- Dovete nascondervi, quanto più possibile, ascolta Silente! –
- Silente è un grande mago Clelia, ma lui.non.ha.figli! Lui non può capire! – sbottò Lily alzandosi, il sangue agli occhi e la voce rotta dalla rabbia.
- Fossi in me faresti lo stesso Clelia… TU faresti lo stesso per tua figlia! –
 
Clelia stava per rispondere quando un rumore le fece trasalire.
La porta della cucina si era aperta per metà e dalla soglia una bambina le fissava ad occhi aperti, spostando lo sguardo dall’una all’altra, impaurita.
 
- Ti avevo detto di andare di là! –
- Scusa ma… -
- Hai lasciato Harry da solo? – 
 
Lo stress e la rabbia caricarono le parole di Clelia e come era prevedibile grossi lacrimoni scesero dalle guance della bambina.
 
- Tesoro, mi dispiace… -
 
Ma la bambina era già scappata su per le scale, allontanandosi piangente da sua madre.
 
- Ania, tesoro scendi. Ania…. ANIA! –
 

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Capitolo 3
*** Lo status quo ***


 
IV
 
- ANIA! –
Spalancò gli occhi di colpo come colpita da una secchiata d’acqua fredda. Afferrò la sveglia sul comodino e constatò amaramente che erano le otto di mattina. Di DOMENICA mattina.
 
- Millicent…. DIO! mi ero appena addormentata… -
- Uhm, magari ricorrere alla valeriana come ti suggerisco da anni di fare no eh? –
- Uhm, magari ignorarmi e lasciarmi dormire no eh? –
- Simpatica, Ania, davvero, il tuo sarcasmo provoca orgasmi multipli a chi ti sente. Ti ho svegliata per un motivo importante –
- Ovvero? –
- Innanzitutto parlavi di nuovo nel sonno e non ti sopporto quando lo fai… -
- Oh Dio, lo sapevo che era una cosa stupida… - mugugnò sbattendosi una mano sugli occhi assonnati
- No, c’è un altro motivo. Mille volte più serio. –
 
Millicent afferrò un giornaletto rosa che puzzava di profumo economico e lo lanciò sulla ragazza.
 
- Pagina 4, prego – ordinò incrociando le braccia robuste
 
Ania sbuffò afferrandolo di malavoglia e tentando di non vomitare a quell’odore.
Lesse qualche riga e dopo due secondi lanciò il giornaletto in un lato della stanza, il più lontano possibile.
 
- Hai letto quello che ho letto io? – chiese Millicent irritata mentre Ania si inforcava di nuovo sotto le coperte
- Probabilmente no, io ho letto solo il titolo e non mi interessa nemmeno quello. –
- Non ti interessa? Non ti interessa? Hai presente che tutta la scuola ricamerà su questa cosa per mesi? Non potrai nemmeno camminare per i corridoi senza essere additata –
- Che novità... –
- …e come se non bastasse Harry Potter adesso sa che hai una cotta per lui! –
-Io non ho una cotta per Harry Potter! –
- Oh, ma ti prego! Non fai altro che guardalo ogni istante della sua vita. Quando mangia, quando gioca a Quidditch, quando i professori lo interrogano… -
- Millicent, te lo ripeto per l’ultima volta, non ho una cotta per Harry Potter. E’ chiaro? Non mi importa cosa pensa la scuola, questo è uno di quei pettegolezzi che sta in giro un paio di settimane e poi finisce nel dimenticatoio. Come quando dicevano che lavoravo in cucina con gli elfi domestici … -
- Beh quello lo dicono ancora. –
- Il punto è che non mi interessa. - concluse risoluta, voltandosi di nuovo di spalle, decisa a mettersi a dormire.
 
- Sei egoista. Guarda che è anche un mio problema. Quello che dicono di te ricade anche su di me. Sono l’unica tua amica! –
- Beh, allora non esserlo. –
 
Millicent sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
 
- Sei una stupida Ania Wool – sbottò prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
 
Ania picchiò sul cuscino, maledicendo il giorno che… che era arrivata ad Hogwarts?  Che era finita in Serpeverde? Che era nata?
C’erano un sacco di giorni di maledire.
E quella giornata si univa alle altre. Sbuffò pesantemente, consapevole che non avrebbe più ripreso sonno e si alzò dal letto, pronta da iniziare l’ennesima noiosa, interminabile giornata nel castello.
E quella giornata fu proprio così, esattamente come le altre.
 
Misera colazione, biblioteca (nell’angolo più buio che potesse esistere), passeggiata intorno al lago per prendere un po' d’aria, pranzo, poi torre dell’orologio a guardare gli altri studenti da lontano, cena veloce e su in dormitorio.
In sette anni che era ad Hogwarts non era mai stata per più di dieci secondi nella Sala Comune della sua casa. Nemmeno quando Serpeverde aveva vinto il campionato l’anno precedente. Nemmeno quando William Hudson aveva dato bocca e occhi al divano e si era divertito a farlo andare in giro. Nemmeno ai party di fine anno. Niente.
Odiava il rumore, le risate vuote, gli occhi addosso, il parlare di niente…
 
Si Millicent aveva ragione.
Lei era decisamente una stupida.
Una stupida asociale.
Ma col tempo aveva imparato ad accettarsi… ognuno ha i suoi difetti, si diceva.
 
C’è chi è solitario, c’è chi è troppo rumoroso… chi presuntuoso come Draco Malfoy, pensò non appena ebbe varcato la porta della Sala Grande quel martedi mattina.
 
I quattro tavoli avevano per il 70 %  gli occhi incollati su un solo soggetto in particolare… Malfoy appunto.
Il biondino se ne stava in piedi ad un angolo della Sala , con la camicia fuori dai pantaloni e leggermente sbottonata, a muovere la bacchetta come se stesse dirigendo un orchestra.
L’orchestra in questione era una sorta di coccodrillo composto da tutte le pietanze del tavolo dei Serpeverde, con il muso composto da pancake e ciambelle, che si ingrossava ad ogni piatto ingerito.
 
- Draco! Fallo volare sui Tassorosso – urlò Goyle grugnendo e tenendosi la pancia dalle risate.
Malfoy sorrise compiaciuto e frustò l’aria con la bacchetta, costringendo il Colazione-coccodrillo a prendere quota.
Era quasi arrivato al tavolo dei Tassorosso quando “l’animale” si smantellò a mezz’aria sotto la bacchetta e lo sguardo severo della professoressa McGranitt.
 
Ania dal canto suo era così infastidita da quel baccano da non aver nemmeno raggiunto il tavolo dei Serpeverde. Rimase così, a fissare lo sguardo amareggiato e pieno di disappunto di Draco Malfoy, pensando a quanto si sarebbe lamentato della sua creazione distrutta, a quanto avrebbe insultato a gran voce la McGranitt nelle ore successive.
Che persona inutile, Draco Malfoy. Nato e cresciuto con tutto e capace di niente.
Eppure a volte…
 
- Ehm ehm –
 
Ania si riscosse dai suoi pensieri, ritrovandosi a pochi centimetri dalla persona odiata N.1, quella a cui avrebbe dato fuoco nel sonno, che l’avrebbe perseguitato un giorno anche da fantasma: Pansy Parkinson.
 
- Ciao Ania. – la salutò con un sorrisino per nulla promettente.
- Pansy… -
- Mi spieghi cosa fai ferma immobile a fissare il nulla nel bel mezzo della Sala? – continuò.
Poi senza aspettare risposta spalancò fintamente la bocca, e Ania seppe che grave errore fosse stato il presentarsi a colazione quella mattina.
 
- Oh mio Dio, non starai mica fissando il nostro Draco, vero? Ah… HEY RAGAZZI- urlò verso il tavolo dei Serpeverde – ANIA HA UNA COTTA ANCHE PER DRACO.-
 
Il risultato fu quello più prevedibile.  Grosse grasse risate da ogni angolo della sala. Lo sguardo concentrato di  Malfoy su di lei che probabilmente la inquadrava per la prima volta in sette anni. Le occhiatacce dei Grifondoro che si erano abituate all’idea di una sua cotta per Potter, e che ora la vedevano innamorata del nemico.
Troppe voci.
Troppi occhi su di lei.
Troppo.
 
E di nuovo, come prevedibile, Ania scosse appena la testa, afflitta, e scappò dalla Sala Grande, sentendosi schiacciata da quel mondo.
 
 
 V
 
I giorni passarono furiosi, tra una risatina nei corridoi e un insulto gratuito in Biblioteca. Ogni volta Ania  chiudeva gli occhi e faceva un grosso respiro, consapevole di non poter perdere le staffe per le angherie di qualche adolescente e speranzosa nelle vacanze di Natale ormai vicine.
Nel frattempo tutti i corsi erano iniziati, compreso quello più odiato da Ania: Cura delle Creature Magiche.
Non fraintendetela, niente contro il professor Hagrid, appena reintegrato nel ruolo. Il suo problema erano proprio gli animali in sé, almeno i più…come dire… deboli?
Se si trattava di Ippogrifi o Unicorni o volpi a nove code, ok, ci poteva anche stare. Ma con animali miseri come gli Snasi o le puzzole rampicanti perdeva la testa.
C’era qualcosa di sbagliato in lei che le colpiva le tempie e le faceva tremare le mani, che le faceva venire voglia di afferrare la bacchetta e…
Scosse la testa, rimandando quel pensiero nero nei meandri della sua testa.
 
I suoi compagni erano già quasi tutti arrivati. Fece per poggiare la borsa coi libri sul terreno quando con un guizzo veloce qualcuno le passò di fianco per afferrarla.
- Buongiorno Linguamozza. Deciso a chi consegnare il tuo cuore ? –
- Lasciami in pace Pansy. –
 
Fece per riacciuffarla, ma Pansy si spostò di un passo e di colpo capovolse la borsa facendo scivolare tutto il contenuto per terra.
Tra le risatine delle sue amiche, lanciò la borsa lontano, che volò per non meno di due metri oltre la collina.
 
- Ci vediamo a lezione, Ninna Nanna. Bye Bye –
 
 
Ania strinse i pugni e chiuse gli occhi per qualche secondo, ferma nel suo rituale per ritrovare la calma.
 
Nonammazzarla.nonammazzarla.nonammazzarla.
 
Dopo qualche secondo di concentrazione si decise a far planare a mezz’aria gli oggetti caduti a terra e scendere la collinetta alla ricerca della sua borsa.
Fortunatamente portava di rado la gonna della divisa, optando per un più comodo pantalone che anche quella volta le salvò le gambe dai rami e dalla sterpaglia della Foresta Proibita.
 
Dopo qualche minuto di ricerca individuò la sua borsa, ammucchiata in cima ad un dosso di terra, e zuppa in quello che doveva essere fango.
 
- Oh, fantastico. –
 
Allungò la bacchetta, cercando di acciuffare il manico della borsa. C’e l’aveva quasi fatta quando un sibilo strusciante la fece ritrarre.
Dal dosso di terra sbucò un grosso serpente sibilante. Probabilmente un biacco giovane, a giudicare dalle strisce gialle e nere sul petto e sulla testa.
Con lentezza ammaliante strusciò il dorso sul terreno, smuovendo la terra e avvicinandosi sempre di più ai piedi di Ania, che dal canto suo non fece un passo. Fin quando…
 
Boom
 
Qualcuno dietro di lei batté forte il piede a terra e il serpente, spaventato fuggì via in un baleno.
 
- Tutto ok? …Non ti ha morso vero? –
Ania si voltò di scatto e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi.
 
- Oh  no. Sono sana e salva. –
 
Il ragazzo sorrise e si allungò oltre la pozza di fango per afferrare la borsa bagnata.
 
- Era bello grosso quello. Capisco che inquieti un po'. –
- In realtà era innocuo. E’ un tipo di serpente che non attacca gli umani, siamo troppo grossi e comunque non ha una presa così forte da… scusa. – si bloccò con un sorriso, rendendosi conto di straparlare.
- …e grazie, comunque. – fece afferrando la borsa che il ragazzo le porgeva.
- Figurati… Io comunque, sono Harry, Harry Potter. – disse lui allungando la mano.
 
Ania fissò quel gesto per qualche secondo, e poi inclinò il capo con un sorrisetto.
 
- Lo so chi sei, Harry Potter. A dire di tutta Hogwarts, sono innamorata pazzamente di te. –
- Oh, mi stai dicendo che non è vero? Mi hai spezzato il cuore. –
- Oh sono sicura che te ne farai una ragione. – sorrise di nuovo, buttando l’ultimo libro nella borsa infangata.
 
- Io sono Ania. Ania Wool. E ti ringrazio per questo gesto eroico ma sarà meglio che non ti fai vedere con me se non vuoi essere in copertina sul prossimo numero di Luvgwarts. –
- Mi hai scoperto, era proprio quello il mio intento. E’ troppo tempo che non esco su nessun giornale. –
- La fame di fama t’ammala, direbbe qualcuno. – rise lei, sorpresa da se stessa di riuscire a comporre frasi logiche con lui.
- E’ un qualcuno saggio quel qualcuno.. beh, ehm credo che Hagrid sia arrivato. Ci si vede in giro Ania Wood. –
- Wool, in realtà…comunque già, ci si vede in giro. –
 
Ania gli lasciò un ultimo sorriso sincero, chiedendosi cosa cazzo fosse appena successo, e senza aggiungere altro si arrampicò su per la collinetta a cuore un po' più leggero.
 
 
 
 
 VI
 
 
Harry Potter.
Finalmente aveva parlato con Harry Potter. Cioè, lui le aveva parlato e lei aveva risposto senza troppi problemi.
C’era qualcosa di assurdo e magnifico in tutto ciò.
Oh no, non pensate che quello che tutta la scuola diceva fosse vero. Lei non aveva minimamente una cotta per Harry. No… la faccenda era molto più complessa di così. E la cosa buffa è che non poteva dirlo a nessuno… ad Harry meno di tutti.
 
Stava camminando a passo di marcia verso le segrete con la testa fra le nuvole quando sbattè contro qualcuno.
 
- Oh, scusa. – biascicò voltandosi appena senza soffermarsi troppo.
- Scusa un corno. Guarda dove metti i … aspetta un po'. –
 
Oh no.
Nota per il futuro Ania, non pensare quando cammini, guarda e basta.
 
- … ma guarda guarda. Quindi sei tu. –
 
Draco Malfoy, si proprio lui, smise di massaggiarsi il braccio fintamente dolorante e la fissò come si guarda un pacco di Natale ancora da scartare.
 
- Ts, quindi sei tu la fidanzatina di Potter, dico bene^ Una vergogna che tu abbia questo stemma appeso al petto. –
- Non mi toccare. – si scostò Ania quando lui fece per strattonarle lo stemma dei Serpeverde dal petto.
- Perché altrimenti? Ti emozioni? Non farai mica un laghetto qui a terra Ninna Nanna. –
 
Di nuovo Ania si scostò , prima che le dita del ragazzo le sfiorassero il mento, in un gesto di totale arroganza.
EH si, davvero arrogante.
Maledettamente arrogante.
Cosi arrogante che il self control di Ania vacillò pericolosamente per qualche secondo.
 
- Malfoy! –
 
I due si voltarono di scatto, e Ania ringraziò la sorte per quell’interruzione.
 
- Oh, Potter, ovviamente, ecco il principe azzurro che corre in soccorso della sua fidanzatina. –
- NON sono la sua fidanzatina! –
- Scommetto che la Weasley non lo sa, eh Potty… perché non andiamo a dirglielo. –
- Perché invece non ti fai gli affari tuoi prima che…-
- Prima che… cosa? Cosa fai? Ti metti a piangere e fai la vittima come tuo solito? Oh, perché non corri da Silente e ti fai asciugare il moccio ?  –
- Potete piantarla? –  cercò di mediare Ania, ma fu come se  non avesse fatto un fiato, i due si erano probabilmente dimenticati del tutto di lei in un furente scontro di testosterone e stupidità.
 
- Sai, è una buona idea andare da Silente. Volevo suggerirgli una gita, magari ad Azkban cosi magari vedi tuo padre ogni tanto, approposito, come sta?   –
- Sempre meglio di quel mucchietto di ossa e cenere dei tuoi genitori, orfanello. – sibilò Malfoy strusciando la bacchetta fuori dalla veste, con il sangue agli occhi e l’odio in gola.
Harry fece lo stesso, ma prima che uno dei due potesse anche solo pronunciare una sillaba, una figura dal mantello scuro si palesò di colpo nel corridoio.
 
- Ehm ehm. – si sgranchì la gola
- Mi chiedevo chi può essere così stupido da provare a duellare illegalmente davanti l’ufficio di un professore. Davanti il mio ufficio, per l’esattezza. –
 
Severus Piton (eh si, i tre idioti non si erano mica resi conto di che punto delle segrete stessero occupando) passò lo sguardo su ognuno dei loro volti, per poi fermarsi, ovviamente, su quello di Harry.
 
- Ah – esclamò con finta sorpresa – Ma ovviamente, chi se non tu, Potter! –
- Ha iniziato lui, professore, Potter stava per aggredirmi… –
- Non è vero, è stato Malfoy, ha insultato la mia… –
 
Esclamarono i due ragazzi all’unisono, ma Piton li bloccò con un gesto della mano.
 
- Nel mio ufficio. Adesso. – sibilò.
 
Harry sbuffò irritato e rimise la bacchetta nella tasca, pronto all’ennesima punizione immotivata da parte di Piton.
 
- Non tu. – lo bloccò di nuovo Piton.
- Tu! –
 
Il suo dito biancastro e bitorzoluto indicò l’unica persona che ancora non aveva aperto bocca, e che se ne stava leggermente più indietro sperando di scomparire nell’ombra.
 
Sotto lo sguardo sorpreso di Harry e crucciato di Draco, Ania abbassò gli occhi, e senza dire una parola seguì Piton in quel buco ombroso che era il suo minuscolo ufficio.
 

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Capitolo 4
*** Immasticabili al latte di rospo ***



Immasticabili Al Latte di Rospo (pics by me)




 VII
 
 
- Siediti!
-  Severus, stavo semplicemente camminando e…-
- Ho detto siediti!– sibilò Piton rivolgendole una delle sue occhiate nere.
 
Ania si morse un labbro e controvoglia prese posto su una delle due sedie in acero davanti la scrivania.
 
Fece spallucce e alzò lo sguardo, in attesa della ramanzina che iniziò esattamente cinque secondi dopo.
 
- Mi chiedevo, Ania Wool, per quale assurdo motivo, dopo sette anni ad Hogwarts vissuti privi di problemi e angosce, lontano da ogni pericolo e stupidata, hai deciso di godere ADESSO della compagnia di Harry Potter! –
- …Non ero in sua compagnia, stavo semplicemente tornando dalla Biblioteca.. –
-  Non importa! Hai idea del pericolo che corri, che entrambi correte al solo passare tre secondi del vostro tempo insieme? – sbottò Piton poggiando le mani sulla scrivania mentre una sottile ruga di ira si faceva spazio sulla fronte.
 
- Prima o poi avrò il diritto di … -
- No Ania, se vuoi che le cose vadano come devono, non avrai mai il diritto di fare alcunché . Non dovresti nemmeno lontanamente pensare ad un’eventualità cosi scellerata. –
- E scellerato anche che Malfoy, figlio di Mangiamorte, mi stia attorno, ma non mi sembra tu abbia detto alcunché al riguardo!ribattè Ania a denti stretti, una tremolio di rabbia che si faceva strada tra le corde vocali.
 
- Nessuno ti ha obbligato a venire ad Hogwarts. – rispose semplicemente Piton
- Avresti potuto continuare a studiare privatamente … invece sei voluta venire a tutti i costi pur di  “vedere Harry”
-  Siamo parte della stessa maledettissima storia da quando siamo nati! –
- A malapena si ricorda di te! Era un moccioso ancora attaccato al cordone ombelicale -
- Beh IO mi ricordo di LUI! E Lily ci avrebbe voluti insieme, fino alla fine.  
 
Le palpebre svogliatamente disinteressate di Piton si alzarono di botto. Il lampadario di cristalli parve tremare per qualche secondo mentre anche l’aria si inasprì nelle narici di Ania.
- Hai troppi pensieri vaganti in quella testa da ragazzina immatura, Ania. Ti farà bene rinfrescarti le idee nella Guferia, ogni martedì, dalle 16 alle 19 –
- Cosa sarebbe una punizione? Per aver fatto cosa? –
- Evidentemente dieci anni di dedizione nell’allevarti in casa mia non sono bastati a farti collegare il cervello alla bocca… -
- E dovrebbe farlo pulire escrementi di piccione nel bel mezzo di Ottobre ? –
- Cosi.si.spera. – scandì, ogni sillaba un mattone che faceva scricchiolare il legno della scrivani. Il dito biancastro di Pitons cattò nell’aria ad indicare la porta.
La sessione era finita.
Ania, vai in pace.
 
 
 
VIII
 
Un pensatoio.
Un bel pensatoio in osso bianco, di quelli degli antichi celti, che fanno un bel riflesso bluastro.
C’ avrebbe versato tutti i suoi ricordi , che in tutta onestà erano un bel po'. Anche troppi,
A volte credeva di ricordare persino il momento in cui era venuta al mondo, in una vecchia casa vicino Manchester, nei freddi giorni di Novembre.
O forse erano stati i racconti piuttosto dettagliati di sua madre a farglielo credere.
 
In ogni caso ricordava veramente tantissime cose… la dura vita degli ipertimesiani.
Cosa sono gli ipertimesiani? Oh, niente di particolarmente eccitante o alieno… sono semplicemente persone affette da ipertimesia, la cosiddetta “sindrome della super memoria” . Più che sindrome, una maledizione.
A volte dimenticare è il lenitivo perfetto alle ferite più profonde, ma a lei questo vantaggio non era stato concesso.
Ed è per questo che quella mattina mise nella borsa un pacco di biscotti “Immasticabili al latte di rospo” .
Nome mostruoso per dei biscotti per bambini, ma tranquilli, c’è una spiegazione molto semplice: sono immasticabili  perché cosi morbidi da non aver nessun bisogno di essere addentati, e al latte di rospo perché sono al latte, normalissimo latte, ma hanno la forma di un rospo. Semplice e innocuo.
 
Scese gli ultimi gradini verso l’atrio aguzzando la vista. Nel suo campo visivo rientrò Goyle, che nel vederla abbassò le palpebre e aprì la bocca, simulando quella che doveva essere una persona dormiente ma che ad Ania pareva solo uno troll molto grasso.
 
Fece finta di niente e percorrendo qualche metro individuò la persona che stava cercando.
 
- HEY, HARRY! – chiamò a gran voce facendo voltare anche i tre amici in compagnia del ragazzo
 
- Oddio ora ti segue anche? –
- Ginny, magari vuole solo farmi gli auguri per la partita… -
 
- Hey, Harry, ciao. – sorrise Ania affannata raggiungendolo
- Hey, Ania.. ciao! ehm loro sono i miei amici Ro... –
- Si beh Harry è tardi, ti aspettiamo al campo ok? – biasciscò Ginny piuttosto acidamente trascinando Ron per una manica
 
- Scusala. Sai è l’ansia pre partita, colpisce un po' tutti–
- Già, immagino.Senti, …ti ho… portato questi !–
 
Ania rovistò per qualche secondo nella borsa, spostando quaderni e fogli sparsi. Alla fine dopo una combattuta ricerca tirò fuori un pacco bianco e oro con sopra disegnati quelli che sembravano ranocchi, e lo porse ad Harry.
 
- Mangiali, ti piaceranno. Buona partita. –
 
Harry stava per ringraziarla titubante ma Ania fu più veloce, e con un saluto della mano e un sorriso si arrampicò di nuovo sulla collina verso il castello.
 
Da lontano qualcuno si grattò il mento, con un gesto pensieroso, distratto, dubbioso.
La scena a cui aveva appena assistito non era nient’altro che il patetico tentativo di una ragazzina con problemi di socializzazione di approcciare il ragazzo dei suoi sogni, e che ora trotterellava felice di nuovo verso il castello.
 
Si grattò di nuovo il mento come se il gesto potesse alleviargli quel fastidio appena provato.
La motivazione era semplice.
Il fatto che Potter potesse essere il ragazzo dei sogni  di qualcuno gli provocava una risatina inconscia, una sensazione fastidiosa e divertente al tempo stesso.
Ancora peggio se tale ragazzina era una Serpeverde, una che portava i suoi stessi nobili colori sulla divisa.
E la situazione si aggravava se la tale ragazzina era di circa un paio di anni più grande di loro, aveva due bei occhi verdi e un fondoschiena niente male.
 
MA
C’è sempre il ma che chiarisce tutto… ovviamente tale ragazzina è una ritardata per andare dietro a quello lì. Non per niente chiamata anche Anna Ninna Oh… o Ninna Nanna… ed era Anna il nome?
 
Si grattò di nuovo il mento finchè un urlo lo riportò al campo di Quidditch a pochi metri da loro.
 
- Andiamo Draco, non vorrai perderti la Chang spaccare il muso alla Weasley stamattina!–

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Capitolo 5
*** Buon compleanno ***


 
 
IX
 
Il primo novembre.
Tra due giorni sarebbe stato il suo compleanno.
Ma nessuno sarebbero state dell’umore di festeggiare, meno che mai lei o sua madre…anzi! Il suo secondo compleanno lo avrebbero passato nascoste tre le fronde di un buio cimitero di Godric Hollows.
 
- Mamma… -
 
La bambina dai ricci capelli neri si avvicinò alla madre, quella mattina autunnale, tremando come non mai dalla paura, nel grigiore marcio del loro appartamento.
Clelia si voltò verso sua figlia senza vederla sul serio, le mani ancora strette al tavolo per non cadere, gli occhi fuori dalle orbite e il dolore che le sgorgava come sangue sulle guance.
 
- Mamma…- ripetè di nuovo in un sussurro, le lacrime che iniziavano a bagnare anche le sue di guance, anche non sapendo cosa fosse appena accaduto, anche non sapendo cosa fosse scritto sulla Gazzetta del Profeta di quel giorno.
 
- Sono morti. – sussurrò la donna, incapace di fingere quella delicatezza riservata ai bambini
- Mamma… -
- Sono morti…-
 
Il bel viso nordico di Clelia si contorse in una maschera di dolore, le gambe le cedettero, e scivolò in ginocchio, tirandosi dietro la tovaglia e tutto ciò che vi era sopra.
 
Il giornale incriminato seguì il resto, svolazzando su un pacco di biscotti per bambini e una busta di caramelle. In prima pagina, sorridenti e già appartenenti ad un’altra vita, Lily e James Potter regalavano il loro ultimo sorriso, risaltando amaramente sotto il titolo:
 
IL SACRIFICIO DEI POTTER. LA FINE DEL REGNO OSCURO.
 
Dei fuochi d’artificio risaltarono in lontananza. Un gatto miagolò spaventato nell’appartamento di fianco. La voce di Clelia Wool squarciò il petto di sua figlia con un grido colmo di dolore.
 
 
 
 
- …sembra impossibile che siamo nel ventunesimo secolo e si studiano ancora le fottutissime rune! E alle otto e mezza di mattina poi, no? Come fosse il mio desiderio nella vita iniziare la giornata con…-
 
La voce martellante di Millicent, accompagnata dai suoi pesanti passi poco attutiti dalla moquette, la riportò alla realtà.
Si massaggiò la testa, scacciando quel brutto ricordò dalle sua palpebre, che nonostante il tempo fosse passato, ogni anno tornava puntualissimo a tormentarle il sonno.
 
- …per colpa di quello stronzo di mio padre che mi obbliga a seguire sti corsi idioti. Che poi che giorno è oggi? Quando diavolo arriva Natale? –
- Tra esattamente 52 giorni. Oggi è 3 Novembre. – mugugnò portandosi a sedere, gli occhi ancora chiusi.
- Era una domanda retorica, cervellona… 3 Novembre, perché mi ricorda qualcosa il 3 Novembre? –
- E’ il mio compleanno. –
-  Oh. -  Millicent si bloccò un attimo osservandola dal riflesso nello specchio.
- Quanti anni è che fai? Venti? Con tutto quello che ho da fare mi era proprio passato di testa…–
- Diciotto Millicent. E non c’è nulla di cui ricordarsi. E’ un sabato come tanti, niente di più. –
 
Si alzò passivamente, afferrando la divisa e la spazzola per capelli.
Non era stupita del fatto che la sua compagna di stanza non ricordasse affatto il suo compleanno. Infondo non aveva mai festeggiato ne dato peso alla cosa.
Come già detto, era un giorno come tanti.
Ma mentre si infilava sotto le doccia, lasciando che l’acqua calde le bagnasse i capelli ricci, Ania era del tutto inconsapevole del fatto che quel compleanno sarebbe stato un po' diverso dagli altri passati.
 
 
 
Se Millicent si era tanto lamentata di Antiche Rune, Ania dal canto suo avrebbe fatto volentieri a cambio.
Interpretare simboli senza alcun apparente senso logico per due ore le risultava molto più divertente che passare la mattina del suo compleanno nell’aula di Difesa contro le arti Oscure.
Chicca dell’anno: insegnata da Piton.
 
Aveva vissuto in casa di Severus Piton dall’età di nove anni, ed averlo come insegnante ad Hogwarts era snervante.
Oltretutto, Ania odiava Difesa Contro le Arti Oscure. Era come sentire una lezione di religione.
 
La Magia Oscura è sbagliata, la Magia Bianca è giusta.
Chi maledice va all’inferno ed è un cattivo bambino, chi combatte i Maghi Oscuri becca le caramelle.
Ma siamo sicuri che il confine sia così netto?
Non sarebbe più appropriato insegnare agli studenti non solo come difendersi ma anche padroneggiare sortilegi oscuri? Non è forse la Magia Oscura la più antica forma di potere dei Maghi e delle streghe nei secoli?
Credete forse che Mago Merlino abbia portato Re Artù al trono a suon di Expelliarmus?
 
Ma nessuno capiva il suo punto di vista, nemmeno Piton, che nonostante padroneggiasse esso stesso le arti oscure, era ferreo nel non volerne l’insegnamento in una scuola puritana come Hogwarts.
 
Come mettere una spada in mano ai cechi.
 
Diceva sempre.
 
- Seduti! -
Il classico buongiorno di Piton.
Sguardo basso e tono perentorio.
Come a colazione usava dire “prendi il pane” o “chiudi le tende”.
Odiava quel tono.
 
Sistemò il calamaio in modo che fosse perfettamente parallelo all’astuccio delle penne. Aprì il libro “ di Hannah Spatula – Interprentazione didattica del Necronomicon, il libro che non esiste “ e con un sospiro silenziosissimo alzò gli occhi verso Piton. Un secondo dopo li sbarrò impercettibilmente, sorpresa di vedere degli occhi scrutarla fissamente.
Draco Malfoy faceva finta di temperare una matita perfettamente appuntita senza alcuna espressione facciale degna di nota.
Ania non abbassò lo sguardo ma avvertì lo stomaco contorcersi, conscia che se Pansy avrebbe sparso sangue.
 
- hmm hmm – si schiarì forte la gola, alzando la mano.
- … ed è per questo che tale libro è stato elegantemente occultato nel corso dei…Wool ? –
 
Il disappunto di Piton per essere stato interrotto si miscelò al fastidio che fosse stata proprio lei a farlo. Ancora una volta gli occhi di tutti erano su Ania. Ancora una volta sentì le dita formicolare.
 
- Dovrei usare il bagno… professore. –
Il batticuore. Il fiatone. Il tempo che si dilunga. Troppi occhi.
 
- La lezione è iniziata da tredici minuti , Miss Wool. Nel suo dormitorio vi sono dei bagni splendidi, può andare a provarli al termine della lezione, sempre che non soffra di incontinenza. –
 
Risatine. Sguardi.
 
Devo uscire. Devo uscire !
 
- Ho fatto tardi, non volevo perdermi l’in… -
- Attenda.la.fine.della.lezione! –
 
Tono perentorio. Super perentorio.
 
Di nuovo risatine, probabilmente per la sua faccia rossa e la sua fronte lucida. Abbassò lo sguardo, arrendendosi, ficcando le mani tra le cosce e la sedia per bloccarne il tremito omicida.
Avvertì i vetri delle finestre tremolare appena, e l’inchiostro nel suo calamaio oscillare.
Respira
Era uno di quei momenti in cui se avesse perso il controllo avrebbe alzato i banchi da terra senza nemmeno rendersene conto.
Inspira. Espira.
 
- E’ assurdo! –
 
Alzà lo sguardo, sbalordita.
 
- E’ assurdo che non possa uscire per usare il bagno. E’ un diritto degli studenti.-
- Grazie, Signor Potter per difendere il corpo studentesco. Senza di lei non esisterebbe democrazia nel Mondo Magico. Dieci punti in meno a Grifondoro. –
- Dieci punti in meno per cosa?
- Per la sua arroganza e totale mancanza di rispetto nei confronti di un insegnante –
- Insegnante che non lascia usare la toilette ad una studentessa per nessuna ragione? –
- BENE se proprio insiste allora Miss Wool ha il permesso di lasciare l’aula per fare quello che le pare e di non tornare! Oltre a trenta punti in meno a Serpeverde… -
Una serie di Oooo di disappunto si levò dall’ala verde-argento.
- …Oltre a due settimane di punizione da decidersi. Qualcun altro ha bisogno di urinare in questa classe o posso continuare con la lezione? –
 
Ci fu un momento di silenzio tombale, in cui nessuno sapeva se respirare o morire cianotico.
 
- Bene. – scandì alla fine Piton dopo aver esaminato ogni sguardo attentamente. Fece per riprendere la lezione prima di lanciare un’ultima, significativa occhiata alla scatenatrice di quel putiferio.
 
Ania capì l’antifona e senza battere ciglio gettò velocemente le sue cose nella borsa  e senza esitazione lasciò l’aula.
 
I Serpeverde l’avrebbero odiata.
Piton l’avrebbe ammazzata.
Avrebbe imprecato per due settimane i chissà che punizione eppure… non riusciva a smettere di sorridere .
 
 Per qualche assurdo motivo, Harry Potter aveva preso le sue difese.
 
 

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Capitolo 6
*** L'incubo ***


 




 
X
 
Le piume volavano leggere graffiando la superficie delle pergamene. C’era qualche bisbiglio e qualche sospiro, ma nulla di più.
Madama Pince girovagava per i corridoi polverosi ammonendo con lo sguardo chiunque chiacchierasse troppo forte .
 
Che tu sia benedetta Miss Pince.
 
Ania si raccolse i ricci in uno chignon disordinato, com’era solita fare, e chiuse il libricino di cuoio che stava leggendo.
Era una lettura leggera di cui non aveva il minimo interesse, ma che le era servita per passare più tempo possibile lontano dal Dormitorio.
 
- La biblioteca di Hogwarts chiuderà tra cinque minuti. – annunciò una voce metallica dagli altoparlanti
- gli studenti sono pregati di ritirare i propri averi e lasciare la Biblioteca in ordine. –
 
 Si si, come al solito.
 
Si alzò spedita prima del termine del messaggio mentre il resto degli studenti ripiegava frettolosamente le pergamene macchiandole di inchiostro.
Appena mise piede nel corridoio il gelo l’avvolse, come fosse un presagio di cosa la stava aspettando in dormitorio.
 
Magari mi ignoreranno, come sempre.
 
Pensò ottimista mentre scendeva la prima rampa di scale. Ad ogni passo più vicina alle segrete le tempie le pulsavano un po' più forte.
 
- Mangiarospo –
 
Sussurrò all’ingresso alla Sala Comune che placidamente si spalancò davanti a lei.
Non c’era baccano. Strano… molto strano.
Mantenne lo sguardo basso mentre scendeva la scalinata in marmo, cercando di non attirare l’attenzione di Pansy, intenta a limarsi le unghie a gambe accavallate su una poltrona né di tutta la sua banda di decelebrati Purosangue.
Si, tutto era estremamente troppo calmo.
 
Forse il fatto che avesse fatto perdere trenta punti a serpeverde era scivolato in secondo piano, magari qualcun altro aveva fatto qualcosa di peggio durante il tempo che lei aveva trascorso in biblioteca.
Magari non era poi così sfigata come pensava.
Magari…
 
- BUON COMPLEANNO LINGUAMOZZA –
Splash
 
Una torta piena di panna e melassa si sfracellò prepotentemente sulla sua testa, ricoprendola dalla testa ai piedi.
Immaginate la scena:
Lei al centro della stanza, zimbello assoluto dell’intero dormitorio Serpeverde che urlava risate e aggettivi poco carini.
Si tolse istintivamente la panna dagli occhi nonostante il suo cervello le consigliasse di rimanere cieca un altro po', giusto quel tanto per evitare di vedere Nott arrampicarsi sulle poltrone, Pansy scattare una foto ricordo dell’evento, Millicent lanciarle sguardi dispiaciuti mentre fingeva di ridere col branco per sentirsi parte di esso.
 
Sola.
 
Sull’orlo del massacro di gruppo fece l’unica cosa che poteva fare.
Scappare.
Corse per tutto il corridoio delle segrete, il cervello annerito di rabbia e una scia di panna e praline di zucchero dietro di se. Accorciò le distanze e con tutta la forza che aveva sbattè il pugno contro la porta in legno, così forte che sentì le schegge graffiarle la pelle.
Dopo l’ennesimo pugno la porta finalmente si aprì cigolando.
 
Il viso pallido e il naso adunco del suo tutore legale sbucò dall’oscurità, il volto un’espressione di sorpresa mista a consapevolezza.
 
-FALLI . SMETTERE.! – gli urlò contro, la panna che le colava dagli occhi lucidi di rabbia.
Doveva farli smettere. Lui poteva farli smettere. Non l’avrebbero tormentata più se fosse stato Piton a dirgli di non farlo. Avrebbe girato a testa alta per scuola se avesse potuto contare su di lui, l’uomo che la cresceva da ben dieci anni… e allora perché non faceva nulla?
 
- Perché non chiedi a Potter di farlo, invece! –
 
L’aria si gelò in quell’istante, glaciale come il tono dell’insegnante, che senza aggiungere altro sbattè la porta ad un soffio dal naso di Ania.
Ecco, la gelosia che Piton covava da anni in quel solo cognome si riaffacciava a decenni di distanza.
O era forse la sua insubordinazione ad irritarlo? Il fatto che forse per la prima vera volta lei stava completamente andando contro i suoi ordini.
 
- Non ha tutti i torti sai? –
 
Ania si girò di scatto.
Appoggiato ad una delle grigie colonne in pietra vi era tra le ultime persone di cui aveva bisogno in quel momento.
 
-Che diavolo vuoi tu? –
 
- Beh…ti seguivo. – fece quello innocentemente
- Mi seguivi. E perché? –
- Per vedere dove andavi. E’ per questo che si seguono le persone. –
- Beh non farlo. –
- Altrimenti? – rise, il ghigno più odioso del mondo dipinto sulla sua faccia . – Mi lanci una candelina addosso? Non poi molto minacciosa in queste condizioni. – stese un braccio e le portò via una candelina dalla testa.
Un brivido.
Solo in quel momento Ania si era resa conto quanto fosse vicino.
E quanto fosse pallida e liscia la sua pelle. E quanto fossero chiari i suoi capelli.
E che buono odore avesse.
Pino silvestre e menta.
Da quella sera quello sarebbe stato l’odore dei guai.
 
Ania si scostò d’istinto e per qualche motivo ciò provocò l’ennesimo ghigno sulla faccia di Draco che la squadrò dalla testa ai piedi.
 
- credo che Pansy abbia un po' esagerato questa volta. In fondo è Potter quello che parla troppo, non tu… dovrebbe essere il suo di compleanno ad essere rovinato, peccato sia in luglio… -
- Sai parecchio cose di lui, devo dire. –
- Ts - rispose lui stizzito. – So che ti ha adocchiato prima di me… purtroppo. –
 
Ghigno.
Brivido.
 
- Beh, Ninna nanna, ci vediamo in giro. – sussurrò di nuovo, arricciando le labbra nella sua solita espressione di scherno.
E poi girò le spalle e se ne andò, come se questo suo approccio fosse stato del tutto normale.
Come se lei fosse la preda più ambita della scuola e non una sfigata ricoperta di panna.
Ania aggrottò cosi forte la fronte da farle quasi male.
La schiena di Malfoy scomparve nell’oscurità e Ania riuscì a pensare solo una cosa…
 
E’ forse un incubo?
 
 
 
 
XI
 
 
- Ci credete se vi dico che Malfoy fa il filo a Linguamozza? –
- Hermione!-
- Cosa? –
- Piantala di chiamarla così!-
- Cos’è, sei il santo protettore delle Serpeverdi introverse ora? –
- Beh, non so Madre Teresa degli Elfi domestici, forse si tratta di avere solo un po' di educazione! –
- Mi stai dando della maleducata Harry Potter? –
- Oddio… -
- Mi stupisce e mi offende che tu possa dire una cosa del genere della tua migliore amica che ti sta affianco da ben 6 anni…-
- Hai appiccato l’incendio Harry… -
- … in favore di una  ragazzina  che conosci da appena quanto, dieci giorni? E tu non intrometterti Ronald! –
- Prima cosa, è più grande di noi… -
- E allora? –
- E allora non chiamarla ragazzina. Seconda cosa è più ehm…interessante di quanto pensi. –
- Oh si davvero molto. Loquace soprattutto!... Io credo che questa qui stia facendo la carina con te e con Malfoy. Dopo anni di invisibilità di colpo si accaparra  i due più ambiti della scuola e… -
- Hey! Chi è che dice che Harry e Malfoy sono i più ambiti della scuola? –
- Un sondaggio. – rispose Hermione tagliando corto e scattando avanti i due amici
- Un sondaggio di Luvgwarts immagino. Decisamente affidabile. – ridacchiò Ron
- Non esser geloso Ron prima o poi toccherà anche a te . – ridacchiò Harry divertito
- Beh a quanto pare mi basta provarci con Ania Wool per entrare in classifica. – rise Ron chiaramente ironico, beccandosi però un’occhiataccia feroce da Hermione.
 
Quando entrarono nell’aula di Trasfigurazione in largo anticipo lo sguardo di Harry cadde involontariamente su uno dei banchi delle prime file, dove una figurina isolata mangiucchiava biscotti sfogliando un periodico.
Dall’altra lato dell’aula tre quattro persone ridacchiavano e bisbigliavano nella sua direzione, non preoccupandosi minimamente di abbassare i toni.
 Quando i tre amici raggiunsero il lato “Grifondoro” della stanza gli bastò appena qualche secondo per capire il perché di quei risolini.
 
- Questa la devi vedere… -
- poveraccia… -
- Hm, scusate, vi dispiace? – Harry strappò il giornalino dalle mani di Padma e Lavanda, spinto da un certo sesto senso.
 
Prima pagina di Luvgwarts di quel giorno, una ragazza con la divisa dei Serpeverde si portava la mano sugli occhi, scostandosi con mani tremanti cumuli da panna dalla faccia.
I capelli scuri erano completamente pieni di quella sostanza bianca e pezzi di ciliegine e macarons sbucavano da ogni piega dei suoi vestiti.
 
COME ESSERE L’ANIMA (nera) DELLA FESTA.
 
Diceva il titolo ed Harry si fermò lì, non volendo proseguire oltre nelle sciocchezze che avevano per qualche motivo l’impronta di una Pansy Parkinson agguerrita.
 
- Ti dispiace? Stavamo leggendo!- sbottò Padma strappandogli di mano a sua volta il giornaletto.
- Harry dove… -
- Vengo subito  Hermione. –
 
E senza aggiungere altro percorse la stanza fino a raggiungere il banchetto isolato di Ania.
Lei sembrava totalmente indifferente al mondo circostante. Un fascio di luce calda e polverosa le soffiava sul viso, facendola risaltare nella penombra della classe.
Sembrava galleggiare in un’altra dimensione.
 
- Hey, disturbo? –
Ania alzò lo sguardo, e i suoi occhioni verdi sembrarono allargarsi al vederlo lì davanti al suo banco.
- Ciao. – disse aprendosi in un sorriso.
- Ehm. –
 
Era a corto di argomenti.
Cosa doveva dirle? “Mi dispiace che ti abbiano ricoperto di crema pasticceria ieri, oh, come lo so dici? Sai è in prima pagina sul giornale.”
No non era decisamente l’approccio adatto.
E rimase qualche secondo lì, come l’idiota a fissare le sue fossette e i suoi denti chiari.
 Hermione poteva dire quello che voleva. A lui quella faccia gli ispirava una maledetta simpatia.
 
- è il Cavillo questo? – buttò lì notando di sfuggita quel dettaglio.
- Si, lo conosci? –
- Certo! E’ di una mia amica.  Luna Lovegood, Corvonero… Oh no non è del nostro anno. – aggiunse quando vide Ania voltarsi verso il gruppetto dei Corvonero in aula.
- In realtà il direttore è suo padre, è un tipo strano ma non male dopotutto. –
- I tipi strani sono sempre i migliori. – gli sorrise di nuovo, e uno strano calore familiare gli scaldò il petto.
 
La McGranitt entrò in classe in quel momento e gli studenti presero a sedersi rumorosamente tra i banchi.
 
- Senti la McGranitt assegnerò un progetto a sorpresa alla fine della lezione. Soffiata di Hermione, fai finta di non saperne niente. Pensavo che magari potremmo farlo insiem… -
- Sarebbe assolutamente  fantastico. –
- Ok, allora. –
- Ok. –  di nuovo gli sorrise, la felicità dipinta in volto.
 
Eppure aveva una faccia così familiare.
 
- Signor Potter… - lo richiamò l’insegnante vedendolo indugiare.
- Si Professoressa McGranitt, mi scusi. –
Sorridendo amorevolmente al cipiglio severo dell’insegnante Harry tornò al suo posto, accolto dallo sguardo confuso di Ron e l’aria basita di Hermione.
 
- Non voglio nemmeno chiederti se quello che lei hai detto sia effettivamente quello che ho vagamente sentito –
- Quello che hai origliato vorrai dire. –
- Non ho origliato! –
- Ehm, ehm! Posso avere un po' di silenzio? Grazie. Bene la lezione di oggi si baserà sullo Scambio. Chi sa di cosa si tratta? –
 
Nello stupore di assolutamente nessuno la mano di Hermione scattò in aria come una freccia.
 
- Miss Granger? –
- Lo Scambio è una sottocategoria di trasformazione magica.
Durante lo Scambio, una caratteristica fisica di uno dei due soggetti coinvolti è scambiata con quella dell’altro, da qui il nome. Si differenzia da una normale trasformazione per due motivi: il primo, si scambiano due soggetti alla volta; e secondo, il cambiamento in uno dei due è dipendente dalla volontà dell’altro. -
 
- Non ho capito assolutamente nulla – bisbigliò Ron all’orecchio dell’amico
- Puoi dirlo forte. -
- Impeccabile! Lo Scambio è tra le branche più complesse della Trasfigurazione. Serve allenamento e costanza per padroneggiarlo al meglio. Allorché dunque… – con un gesto netto della mano destra e uno schiocco fioco un pappagallo dai folti pennaggi apparì sullo schienale della sedia, gracchiando.
 
- … ognuno di voi proverà oggi a replicare una caratteristica di se stesso su questo animale. –
- E non sarà doloroso? –
- No Signor Paciock, le posso assicurare che non si farà alcun male. –
- Sarà l’animale a soffrire se gli resterà la tua faccia grassa Paciock. –
 
Una serie di risolini si sparsero per la stanza, scatenati da una delle voci più odiose che Harry conosceva in vita sua.
Si voltò di scatto verso Malfoy mentre la McGranitt richiamava il silenzio.
Il biondino intercettò il movimento e sollevò le sopracciglia nella sua direzione, con quella tipica smorfia di indifferenza e divertimento, con quella tipica faccia di principe del nulla.
 
Lo odiava. Dal profondo del cuore.
 
Ogni volta che apriva bocca lo faceva per ferire qualcuno a lui caro.
Quando quell’estate aveva saputo che suo padre Lucius era stato rinchiuso ad Azkaban, aveva esultato come non mai. Aveva persino brindato nel cuore della notte con Ron e i gemelli, nascosti dal resto della famiglia, che li avrebbe considerati sicuramente cinici e fuori luogo.
Ma era quello che si meritava.
Si, dal suo volto scavato e dalle profonde occhiaie si capiva che Malfoy aveva accusato il colpo. Non era più il principino di papà. Il castello adesso era diventato una prigione di alta sicurezza.
Hermione aveva persino espresso delle vaghe parole di cordoglio delle volte, ma Harry no, mai avrebbe provato un briciolo di tristezza per una persona con così poco cuore.
E quando erano tornati ad Hogwarts quell’anno l’atteggiamento di Malfoy gli aveva dato ragione.
Da tutta quella vicenda, non aveva imparato un bel nulla.
Né umiltà, né empatia.
 
Malfoy ruppe il contatto visivo alzandosi di scatto.
Harry lo seguì con lo sguardo andare fino alla cattedra e parlottare silenziosamente con la McGranitt per qualche secondo.
Poi, ritornare al suo posto con un sorrisino vincitore, guarda caso, rivolto proprio a lui.
 
Che stai tramando, serpe?
 
La lezione continuò e i pensieri di Harry si persero tra sopracciglia blu e bocche che diventavano becchi appuntiti.
 
Applaudì forte quando Hermione  trasformò elegantemente la propria capigliatura in un turbinio di piume blu e arance, suscitando i complimenti della parte femminile. L’effetto durò appena qualche secondo, con grande gioia del pennuto, a cui i crespi capelli mossi di Hermione non donavano affatto.
 
Dopo un’ora e mezza di Scambi, la classe stremata ritornò felicemente al proprio posto.
La lezione era finalmente  giunta al termine.
 
- …Come avrete capito la Trasfigurazione di Scambio richiede concentrazione, precisione e molta, molta energia mentale. Lo sforzo  è considerevole. Tuttavia essendo quasi tutti voi in grado di Smaterializzarvi senza troppi problemi al momento, confido nel fatto che padroneggerete lo Scambio entro Aprile. Ci alleneremo molto nelle prossime lezioni a livello pratico…–
- Non vedo l’ora, davvero…- sbottò Ron mentre metteva la sua roba in borsa e togliendosi una piuma dall’orecchio.
- …e anche teorico… - e la classe si raggelò di colpo, bloccandosi nell’atto di mettere i propri quaderni in borsa.
Quel teorico era decisamente troppo pericoloso sulle labbra della McGranitt.
 
- Di conseguenza vi invito… -
 
Chiamalo “invitare”.
 
- … a effettuare una ricerca sui possibili utilizzi degli Scambi e ne scegliate uno. Alla fine del semestre voglio che applichiate l’esempio da voi scelto a livello pratico. Mi aspetto almeno dieci pergamene al riguardo… -
- Nooo. –
- Chi è che scrive dieci pergamene… -
- Ma Professoressa a giorni c’è il Quidditch… -
- DICEVO! – tuonò la McGranitt inspirando poi profondamente.
- … mi aspetto almeno dieci pergamene a coppia. Coppie che verranno decise in questo preciso istante. Bene…Seamus Finnigan! Lei sarà in coppia con Dean Thomas. Hannah Abbott sarà in coppia con Erny …-
 
E così la McGranitt spulciò i vari nomi, fino ad arrivare a lui.
 
- Harry Potter! Sarà in coppia con Neville Paciock… -
- Hm mi scusi professoressa. –
- Si Signor Potter? –
- Mi chiedevo se potessi farlo con un’altra persona, con tutto il rispetto Neville… -
- Sono accette richieste, con chi vuole lavorare Potter? –
- Ania Wool, professoressa. –
 
Tutta la classe sbottò in una serie di risolini concitati e sospiri esterrefatti, velocemente zittiti dalla McGranitt.
 
- Temo Signor Potter che non sia possibile. Le coppie devono appartenere alla stessa casata. Oltretutto la Signorina Wool è già stata abbinata al signor Malfoy, dietro richiesta dello stesso. –
-Cosa? – esclamarono Ania e Pansy nello stesso istante.
 
Se alla richiesta di Harry l’aria si era riempita di chiacchiericcio, questa volta si ghiacciò del tutto.
 
- Io sono in coppia con Draco! – sbottò Pansy
- Ma professoressa McGranitt non mi sembra che sia stata data alcuna scelta ad Ania per… -
- Io ho  sempre fatto coppia con Draco dal primo anno. E’ assolutamente ridicolo! –
- SILENZIO! Per bontà di Merlino, ma pensate di essere in uno zoo voi  tutti?
Data la vostra mancanza di disciplina le richieste non sono più accettate. E lei Signorina Parkinson, se reputa le decisione di un insegnante ridicole può certamente discuterne con il Signor Goyle durante lo svolgimento di questo compito. Sono certa che troverete delle affinità. – si schiarì la gola, recuperando il suo cipiglio severo e continuò.
- Daphne Greengrass sarà in coppia con Baise Za…-

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Capitolo 7
*** Fino alla morte ***



Fino alla morte, rituale 





 OOK, capitolo particolarmente lungo ma composto più da dialoghi che altro, quindi spero non troppo pesantuccio da leggere.
C'ho un sacco di tempo per scrivere (causa QUARANTENA) quindi conto di pubblicare il resto della storia piuttosto velocemente (spero).
Intanto fatemi sapere che ne pensate
P.s. da questo capitolo in poi, credo che sarò costretta ad alzare il rating della storia. I toni si infiammeranno presto. 
Buona lettura <3



XII

 
Non ancora, ma ho odiato la McGranitt in quel momento!“
 
Scrisse velocemente, enfatizzando quel messaggio con espressioni facciali che il suo interlocutore non avrebbe mai visto.
Ripiegò il bigliettino e spingendolo sul pavimento lo guardò schizzare oltre la porta del suo dormitorio.
 
Mezzanotte e zerocinque.
Era ufficialmente finita la settimana più assurda degli ultimi sette anni.
L’indomani, Domenica, si sarebbe tenuta la prima vera partita del Torneo di Quidditch.
 
GIOIA PURA.
 
Non le interessava lo sport, per lei le scope servivano come mezzo di trasporto e basta MA per il resto degli studenti di Hogwarts il Torneo di Quidditch era quasi l’unica ragione di vita durante quel delirio scolastico, di conseguenza, ad ogni partita la scuola si svuotava completamente.
Vuota.
Deserta.
Manco l’ombra di un fantasma.
 
Ed Ania non vedeva l’ora.
Avrebbe avuto la Sala Comune tutta per sé, la Sala Grande, il Dormitorio… il mondo!
 
Un secondo pezzo di carta schizzò da sotto la porta, questa volta diretto verso di lei, e si intromise fra la sua mano e il libro che stava leggendo.
 
“ Nemmeno io e Neville abbiamo fatto granchè… Malfoy è uno stupido comunque. Tu sta attenta. “
 
Certo che sarebbe stata attenta… attenta ad evitarlo completamente.
 
 “ In ogni caso ora vado a dormire. Quidditch domani. Buonanotte Ania Wool. E mi raccomando, voglio vederti nelle file dei Grifoni!
P.s. Quei biscotti immasticabili al non so che mi hanno svoltato la partita l’ultima volta. Non me ne dispiacerebbero un altro paio per domani.
Saluti, Harry. “
 
No…
Cazzo.
 
Fissò il foglietto per mezz’ora indecisa se spararsi o gettarsi nel Lago Nero.
Harry dava per scontato che sarebbe andata alla partita domani.
Ma… ma lei non voleva, lei non c’era mai andata… poi troppo chiasso, troppa gente… ma, ma Harry la voleva a tifare per loro lì ma….
 
Aaaah, Diamine!
 
Afferrò il bigliettino per scrivergli la risposta.
Poteva dire di si e poi fingere l’indomani di avere il ciclo o la febbre… ma poi Harry non avrebbe avuto i suoi biscotti… oh, lo sapeva che gli sarebbero piaciuti quei biscotti, ricordava che Lily ne aveva sempre un pacco nella borsa… si, ma cosa inventava per evitare la partita… concentrati Ania, inventa una scusa plausibile…
 
Toc toc
 
Un bussare pesante alla porta la distolse dallo scrivere.
Guardò Millicent, che a pancia in giù sul suo letto ronfava rumorosamente. Se dormiva non aspettava nessuno. Chi poteva essere a quell’ora della notte?
 
Toc toc
 
- Hmm, Ania shh. – brontolò la compagna nel sonno
-  Shh tu semmai, che russi come un cavallo. –
Si alzò dalla sua scrivania e senza troppa allegria si recò alla porta. Quando l’aprì per poco non si strozzò con la saliva.
 
- Avete il sonno pesante qui dentro. Sono due ore che busso –
- Io non stavo dormendo e tu hai bussato appena due volte. Come un orco, certo, ma appena due volte. –
 
- Uuh ci siamo svegliate nervosette. –
- Ti ho appena detto che non stavo dormendo! –
 
DIO! Ma perché a quel ragazzo bastavano appena trenta secondi per darle sui nervi?
Draco Malfoy  le fece un sorrisetto sbieco.
Non sbieco nel senso intrigante, sbieco nel senso proprio storto.
Sembrava ubriaco! Aveva le guance arrossate, i capelli sconvolti e la camicia della divisa quasi del tutto sbottonata.
La canotta che indossava sotto la divisa lasciava scoperta una buona porzione di petto, e Ania, suo malgrado, dovette fare uno sforzo per non notare il punto in cui la stoffa si attaccava al ventre del ragazzo e ne delineava l’addome.
 
Lui probabilmente se ne accorse, perché sorrise di nuovo, mordendosi il labbro inferiore.
Sembrava un vampiro sul punto di azzannarla.
 
- Beh, se non prendi sonno posso aiutarti. –
- D’accordo, lasci stare la parte in cui ti senti Gilderoy Allock e mi dici cosa vuoi cosi posso tornare a guardare il soffitto? –
Boom
Sentì la spudoratezza del suo interlocutore crollare insieme al suo sorrisetto.
Draco si scostò dalla parete a cui era appoggiato e assunse un’aria inverosimilmente seria.
 
- Domani alle nove, iniziamo a fare quella roba per la McGranitt. –
- Non c’è il Quidditch domani? –
- Gioca Tassorosso/Grifondoro, chissenefrega? – sbottò irritato.
Ok, si era decisamente offeso per il paragone con Allock. Bene!
E ancor meglio, gli aveva appena offerto la scusa perfetta per foldare l’invito di Harry.
 
- Domani alle nove, giù in Sala Comune. E sei pregata di essere in orario. –
Senza aggiungere altro le girò le spalle e si diresse verso il dormitorio maschile.
 
Ania fece per abbozzare un buonanotte ma era decisamente inutile. Malfoy era già sparito nell’ombra.
 
 
XIII
 
Otto e trentadue.
Guardò l’orario con occhi sfocati, maledicendosi per aver fissato l’appuntamento così presto.
Si tirò su di un colpo e si chiuse nella doccia, assaporando il getto caldo sulla pelle.
 
Odiava svegliarsi presto la domenica, eppure gli era sembrato il giorno perfetto per incastrare la ragazzina per quel dannato progetto.
Certo, avrebbe voluto in parte seguire la partita di Quidditch, ma niente avrebbe irritato Potter come pensare che la sua amichetta era sola soletta con lui nel castello.
O almeno credeva…
 
In tutta onestà non aveva ben capito le intenzioni di Potter. Sapeva solo che in qualche modo, di colpo, Ania Wool era diventata qualcuno di importante per il quattrocchi.
Perché non approfittarne un po' allora?
E da qui la scommessa.
 
Beh, all’inizio non ne era stato proprio entusiasta ma aveva perso ad obbligo verità con Blaise, non poteva tirarsi indietro!
 
-Te la devi scopare-
- Sei fuori di testa Blaise? Draco farsi Linguamozza.. è ridicolo –
- Beh, per Potter sarebbe un brutto colpo –
- Non puoi farsi una ragazza solo per ripicca a Potter –
- Con la Chang l’ha fatto ed ha funzionato alla grande. –
- Ma quella lì non è la Chang! E’ una demente, magari non si lava neppure. –
- Oh no Ania si lava spesso. – aveva aggiunto Millicent, in un incoerente tentativo di difenderla.
- Blaise non ho nessuna voglia di darmela. E’ troppo strana quella. –
- Beh, questo è il mio obbligo, hai perso, quindi devi farlo. –
- E cosa ne ottengo in cambio? –
- Draco! Non starai prendendo in considerazione la cosa? –
- Cosa ottieni dici? Beh, una scopata senza troppo sforzo, un Potter su tutte le furie e …cinquanta galeoni. –
- Cento. –
- Cento galeoni? Ti sei è smaterializzato il cervello? –
- Cento galeoni e ti porto anche le foto –
- Andata! -
- Ma è disgustoso. –
A parlare era stata Millicent, che li aveva guardati quasi sorpresa di quel livello di cattiveria nonostante li conoscesse ormai da anni.
Draco allora si era alzato e aveva appoggiato entrambe le mani sui braccioli della poltrona di Millicent, cosi da avere il viso a pochi centimetri dal suo.
 
- Tu non dirai niente, vero Bulstrode? Non si spifferano i segreti degli amici. –
Millicent si era sciolta sul posto, impacciandosi all’istante.
 
- No, ahah, no assolutamente, nulla. Io e Ania non siamo nemmeno così amiche ahah, ho persino dimenticato il suo compleanno oggi, figurarsi se… -
- Il suo compleanno? –
Tutti si erano voltati verso Pansy, che aveva la faccia di una bambina a Natale.
- Oggi è il compleanno di Linguamozza? –
Millicent aveva annuito e Pansy era scattata sulla sedia.
- Perché non me l’hai detto prima? Daphne, Theo, venite con me. –
- Che ti prende ora, Pansy? –
- Nulla, mii è venuta voglia di festeggiare. Con una bella torta direi. –
 
E poi se n’era andata correndo felice verso le cucine.
Il resto lo sapete già.
Linguamozza era diventata Bignè per qualche giorno e Pansy aveva avuto l’onore di scrivere il suo primo articolo per Luvgwarts.
 
Chiuse l’acqua e si avvolse nell’asciugamano verde petrolio. I capelli gli gocciolavano addosso e se li tirò indietro con una mano osservandosi allo specchio.
Nonostante si stesse allenando quasi mai il suo corpo non lo stava abbandonando. Almeno quello.
 
Sorrise, ripensando agli occhietti involontariamente indagatori della Wool sul suo ventre la notte scorsa.
Già il fatto che non fosse asessuata era una scoperta positiva.
Anzi, a dirla tutta la sera prima l’aveva trovata particolarmente attraente. Forse era stato l’effetto inebriante dello Sciroppo all’Oppio che si era sceso con Blaise, Tiger e Goyle in camera, oppure uno sbalzo ormonale improvviso, non si sa, ma aveva sognato porcherie tutta la notte dopo essere passato dalla sua camera.
Infondo aveva un bel viso, anche da struccata. E dei capelli, scuri, lunghi fino all’ombelico. O almeno supponeva dalla treccia in cui li aveva legati.
E probabilmente anche un bel fisico, da quel che aveva potuto intuire oltre la camicia da notte.
Scosse la testa mentre si infilava un maglione.
 
Otto e cinquanta.
Perfettamente in orario.
 
Magari quella scommessa non sarebbe stata così tremenda come aveva pensato.
 
 
Con suo disappunto Ania lo aveva preceduto.
Quando scese in Sala Comune la trovò già lì a mordicchiarsi le unghie osservando le fiamme scoppiettare nel focolare.
 
- Oh non essere così nervosa, Ninna Nanna, ci stiamo solo conoscendo. –
- Cosa? –
Ania sobbalzò, quasi non aspettandosi minimamente di trovarlo lì.
 
- Che ci fai qui? –
- Sei ubriaca? –
- No stavo solo… - si voltò di nuovo verso il fuoco con sguardo perso, poi si riscosse e parve ricordarsi di qualcosa.
- Oh, il progetto della McGranitt. –
- Già il progetto della McGranitt. E questa è Hogwarts – disse fissandola negli occhi e mimando con le braccia a ciò che li circondava.
- Io Draco. – aggiunse portandosi una mano al petto – Tu, Ania – e la indicò con veemenza.
Forse era per questo che la chiamavano Ninna Nanna. Quella mattina aveva l’abilità mentale di un bradipo.
- Si lo so, ero sovrappensiero. –
- Bene, allora iniziamo, no? –
Si sedette a gambe accavallate e la guardò sorridente, aspettandosi che iniziasse a parlare.
Avrà fatto qualche ricerca no?
Non è doveva fare tutto lui.
 
- Si… qual era l’argomento? –
 
Il sorriso si spense all’istante.
Male, iniziamo malissimo.
 
- Scambi, Wool. Si parlava di Scambi. Trovare un esempio di Scambio e focalizzarsi su quello. –
 
E’ rimbambita.
 
- Bene. – disse finalmente. Si alzò e afferrando la borsa si diresse verso la porta.
- Ci serve la Biblioteca. O ti aspetti che abbiamo un’Enciclopedia nel cervello?
 
E in Biblioteca ci andarono e ci passarono quattro ore, spulciando tutto ciò che si poteva spulciare a riguardo.
 
- …Non credo che i minotauri siano mai esistiti prima di tutto. –
- Ma potrebbe essere un esempio di scambio! –
- Si come potrebbe esserlo una carrozza con la coda! –
- Ma quello è uno scambio. –
- Bene allora tanto vale portare quello e fare una figura da idioti difronte a tutti. – sbottò Draco gettando lontano il libro che aveva davanti.
Era esausto. Persino i suoi capelli indifferenti alla gravità parevano schizzare verso l’alto.
Quella ricerca era stata estenuante, e non ne avevano cavato un buco.
 
- Siamo al settimo anno e il compito è della McGranitt, ti aspettavi che avremmo finito in due ore di studio? –
- Mi aspettavo che avessi già un’idea –
- E perché avrei dovuto avere IO l’idea e non tu. –
- Perché tu non fai assolutamente nient’altro nella vita. Pensavo che almeno ti fosse vagamente venuto un colpo di genio in tutto quel tempo che passi chiusa nel tuo piccolo mondo fatato. –
 
Ok, aveva sbottato.
Vide la fronte di Ania aggrottarsi e guardarlo malissimo a braccia conserte.
Un ruggito lontano ruppe il silenzio della Biblioteca annunciando la fine della partita.
 
- Beh, mi spiace Malfoy ma la piccola rimbambita non ha minimamente pensato alla cosa. Forse dovremmo affidarci sul tuo intelletto fuori dal comune, sperando sia lontanamente funzionante quanto il tuo ego! –
- Sarebbe un tentativo di ironia quello? E dove stai andando? –
- Oh niente, vado a congratularmi con il miglior cercatore che Hogwarts abbia mai visto per la sua ennesima vittoria. Senti. – disse vaga facendogli notare il canto di vittoria che aveva riempito il castello – Credo proprio che Grifondoro abbia vinto. Di nuovo. –
 
Si inforcò la borsa sulla spalla e a passo di marcia lo lasciò lì, come un idiota nella penombra della biblioteca.
 
 
XIV
 
Trovare Harry in quel putiferio Rosso-Oro non era per niente facile e doveva farlo prima che scomparisse nel Dormitorio dei Grifondoro.
Voleva congratularsi con lui, certo, ma non era quello il vero motivo della sua fretta.
Aveva fatto un sogno, quella notte.
E non era stato bello.
 
Si guardò la mano destra dove quella vecchia cicatrice era ancora visibile. Un taglio profondo che andava dallo spazio tra indice e pollice fino al centro della mano e ricalcava alla perfezione la linea della vita.
 
Nessuno l’avrebbe notato se non ad un attento esame, ed individuarla sulla mano di Harry sarebbe stata un’impresa non da poco. Soprattutto come diavolo avrebbe fatto a farsi mostrare il palmo senza sembrare un’esaltata?
 
Hey Harry batti cinque!
Hey Harry, voglio leggerti il futuro, mi fai vedere la mano?
Hey Harry, non so se la mia mano è perfettamente simmetrica, mi fai vedere la tua?
 
No, non andava decisamente bene così.
- ANIA! –
Harry la vide da sopra la scalinata in marmo nell’atrio, e sventolò una mano per farsi notare.
 
- Abbiamo vinto! Grazie dei biscotti, davvero, mitici come sempre. Com’è andata col furetto? –
- Hm, furetto? –
- Si Malfoy…Malfoy sarebbe furetto. Non sai questa storia? –
- No, mi manca ahaha. – le venne da ridere senza alcun motivo logico.
Harry sprizzava gioia e allegria da tutti i pori e solo  a guardarlo le veniva un moto di contentezza dal profondo del cuore.
Aveva gli occhi che brillavano, quei pozzi smeraldi che aveva rubato al volto di sua madre. Per tutto il resto, divisa da cercatore compresa, era la copia sputata di suo padre.
 
Se James ti vedesse ora, Harry.
 
Fu l’unica cosa che riuscì a pensare mentre Harry gli spulciava la storia di come Malfoy fosse stato trasformato in un furetto anni addietro.
 
- … beh, comunque grande partita. Nessuno se lo aspettava che i Tassorosso fossero migliorati tanto, c’hanno sorpreso, però è andata bene… ah dovevi vedere una parata di Ron, è stata pazzesca e…. –
- HARRY! Allora ti muovi? –
 
Il gruppetto di amici Grifondoro lo aspettava spazientito a braccia conserte.
Evidentemente non dovevano considerarla molto simpatica, Hermione Granger più di tutti.
 
Che novità
 
- Vai, finirai di raccontarmela domani. CI vediamo dopo colazione? –
- Grande! Si, anzi, ci sentiamo dopo per lettera. CI sei no? Bene, a dopo. Ciao Ania. – parlò tutto di fretta, indietreggiando sui gradini senza smetterla di guardarla, con il tono di un bambino che non vede l’ora di raccontare alla madre com’è andata la giornata a scuola.
 
Rimase per qualche secondo a fissargli la schiena in lontananza, sorridendo, fin quando un ragazzino del quarto anno non la spintonò mentre esultava con gli amici.
Gli rivolse un’occhiataccia e se ne andò.
Mentre ritornava nelle segrete, Ania si guardò di nuovo la cicatrice, chiedendosi se non si stesse facendo soggiogare da un pericoloso mix di illusioni e brutti ricordi.
 
 
 
- Clelia fa piano, così non va. –
- Scusa, mi tremano le mani. –
- Lascia fare a me. –
 
Lily afferrò i sette cristalli che avevano e li posizionò in cerchio intorno alla cappo in  osso con lo stemma degli Wool.
Erano nel nascondiglio a Godric’s Hollow di Lily e James, immerse nell’oscurità.
Le uniche luci tremolanti erano sette candele intorno a loro.
Harry sonnecchiava sul divano, mentre Ania faceva trottare un cavallo giocattolo su una montagna immaginaria.
Canticchiava, e la sua vocina da bimba contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più sinistra.
 
- Come sapremo se ha funzionato? –
- Non lo sapremo… fino a che… -
- Fino a che Voldemort non punterà una bacchetta contro mio figlio. –
- Lily – Clelia la guardò intensamente, il volto scavato che pareva ancor più magro alla luce tremolante delle candele.
- Non pronunciare il suo nome . Non in questo momento. Porta male. –
- Un tempo non eri così superstiziosa Clelia. –
- Un tempo non eravamo in procinto di fare un Patto di Sangue tra i nostri figli. –
 
Lily rabbrividì, ispirando profondamente.
Ci avevano pensato e ripensato. Avevano letto montagne di libri, consultato antichi testi, persino favole per bambini. Ma le lancette dell’orologio ticchettavano sempre più velocemente.
Il Signore Oscuro non avrebbe aspettato molto.
 
- E’ l’unico modo. Ania ha un dono maledetto, ma pur sempre un dono. – sussurrò Lily, gli occhi persi nell’oscurità.
Si alzò dal pavimento e delicatamente prese Harry tra le braccia.
 
- James non deve saperlo. –
- Nessuno deve saperlo, Lily. Nemmeno il tuo caro amico Severus, a parer mio. –
- Sa custodire i segreti. –
- E’ un Mangiamorte. –
- Non è un Marchio sul braccio a dirmi di chi fidarmi Clelia. Tu dovresti saperlo meglio di tutti. –
 
La mandibola di Clelia si indurì di colpo, per poi rilassarsi.
Un raggio di luna penetrò dalla finestra.
Era ora.
 
- Ania, vieni qui amore. –
 
Ania sollevò lo sguardo dai suoi giochi e corse tra le braccia della madre.
 
- Ricordi quella cosa di cui abbiamo parlato? Di quel gioco che dobbiamo fare per aiutare la zia Lily? –
- Il pizzico sulla mano? –
- Si amore, il pizzico. Ti farà un po' male, ma passerà presto e la mamma ti cucinerà la crostata di mele e noci per far passare la bua. –
- Siii, con la panna sopra? –
- Si, si – Clelia rise all’innocenza di sua figlia, mentre le accarezzava il volto, così simile al suo.
- Perché pianci mamma? –
- Oh, perché la crostata sarà cosi buona che non vedo l’ora di mangiarla. –
 
Un pianto sommesso decretò che Harry si era svegliato. Lily lo cullò tra le braccia per calmarlo.
Il raggio di luna si era fatto strada fino al centro della stanza, fino ad illuminare la coppa in osso di Clelia.
 
- E’ ora. –
Clelia fece sedere Ania  per terra, tenendole la mano, e Lily fece lo stesso con Harry, reggendolo con un braccio dietro la schiena.
Cacciarono le bacchette, mentre il fascio di luna raggiungeva il primo cristallo e lo illuminava.
 
Si guardarono, e con un cenno del capo, il rituale ebbe inizio.
Lily poggiò la bacchetta sul bordo della coppa, sussurrando gli incanti.
 
- Ut luna, nocte ac tenebras loquor
audi clamorem meum invoco … -
 
Il raggio di luna raggiunse il secondo cristallo. Ania iniziò ad agitarsi. Le tende si mossero senza un filo di vento.
La bacchetta di Lily tremò. Clelia continuò per lei.
 
- Sacrificium offero amor timorque
Filius a patre fratre mortuo ne tetigeritis –
 
Ora le tende si muovevano tumultuose. Harry spostava gli occhi dall’una all’altra donna. Ania aveva gli occhi fissi sulla coppa d’osso, le lacrime agli occhi.
La luna toccò il terzo cristallo.
 
- Offer sacrificium …– dissero all’unisono.
Le candele si spensero. La luna raggiunse il quarto cristallo.
 
-… praesidio carne mea…-
Clelia aprì il palmo di Ania sulla coppa. Lily fece lo stesso.
 
- ….qui non posuit adversus animam –
Le bacchette si scattarono sui due palmi con ferma decisione. Le luci dell’intero quartiere iniziarono a lampeggiare.
Quinto cristallo.
 
- Me et te, frater meo, et soror mea –
La punta della bacchetta graffiò la carne dei due bimbi in profondità. Ania urlò e si dimenò, Harry pianse.
Il sangue iniziò  a sgorgare dalle loro pallidi e paffute mani.
Sesto cristallo.
 
- Praesidio nostro reperta propinqui. Quam vitae. Usque ad mortem –
 
Gocce di sangue denso e nero caddero nella coppa in osso. SI mescolarono, si unirono, fino a diventare uno.
Settimo cristallo.
 
- Usque ad mortem. –ripeterono.
 
La coppa d’osso, improvvisamente, si annerì come bruciata dall’interno, e in un battito di ciglia divenne un mucchio di cenere e polvere.
 
Di colpo le tende cessarono di danzare, il quartiere si illuminò di nuovo.
Le candele si illuminarono facendo brillare le pelli sudate delle due donne, ancora sul pavimento, sfinite.
I bambini piangevano, e solo ciò le riscosse dal torpore in cui erano cadute.
 
- Sono fratelli di sangue, adesso. Lei lo proteggerà. –
- Si proteggeranno a vicenda. Fino alla morte -
- Fino alla morte. -

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Capitolo 8
*** Medusa ***


XV
 
Le pesanti giornate di Novembre scorsero così piano da sembrare eterne.
Il sole si vedeva di rado e quel primo carico di materiale scolastico minacciò la sanità mentale di tutto il settimo anno.
Tuttavia, Ania non ricordava un periodo più felice di quello.
 
Lei e Harry si scrivevano di continuo, chiacchieravano nei corridoi, imparavano a conoscersi. Stava nascendo una sintonia diversa da qualsiasi altro rapporto d’amicizia Harry avesse mai avuto, e ben oltre le speranze covate negli anni da Ania.
Tutto andava bene.
 
Da un lato.
Dall’altro lato, invece, c’era Malfoy.
 
Con lui non andava bene niente.
Ogni cosa che Ania proponeva veniva bocciata, e ogni cosa che invece Draco suggeriva non aveva ne capo ne coda.
Nel tentativo di fare qualcosa di estremamente originale le stava facendo perdere una marea di tempo.
Per non parlare dell’irritabilità del ragazzo che cresceva giorno dopo giorno.
Alle volte anche un semplice “cambiamo libro” poteva scatenare le ire del principino.
Era maleducato, arrogante, presuntuoso, cattivo.
Quel ragazzo aveva ogni tipo di difetto nella sua espressione massima.
 
- Sto dicendo solo che è un inizio pessimo. E’ chiaro che uno Scambio debba essere effettuato da un Mago diplomato, sarebbe impossibile padroneggiarlo altrimenti… -
- Dio mio, Malfoy, è una definizione puramente tecnica, marca il fatto che per legge non potresti… -
- …per legge non potrebbero nemmeno farcela studiare a scuola questa roba. Dio solo sa che succederebbe se un rimbambito come Paciock si scambiasse da solo la faccia con il culo. –
- Ok. –
Ania sospirò forte gettando la piuma sul tavolo, completamente esasperata.
 
- Io non posso nemmeno pensare così, figurarsi scrivere dieci pergamene. –
- Mi chiedo se ci sia una condizione in cui tu riesca a pensare allora… -
- Senti, va al diavolo. –
- Scusa? –
- Mi hai capito. Va al diavolo. Mi hai rotto. –
 
Draco la guardò a bocca semi aperta per qualche secondo, prima di scoppiare in una risata decisamente divertita.
 
- Mi stai mollando Wool? Non so cosa ti aspetti, ma di certo non ti pregherò di restare. –
- Sarebbero preghiere vane, in ogni caso. Vado nell’ufficio della McGranitt, in questo istante… –
- Bene! –
- … a dirle di come io e te siamo totalmente incompatibili –
- Sono d’accordo. –
- … e di come tale collaborazione sarebbe del tutto controproducente. –
- Se non fallimentare. –
- Esatto –
- Bene! –
- BENE! –
Con la foga di un ippogrifo e il colorito di una melanzana, Ania raccolse le sue cose e lasciò il tavolo della Biblioteca, decisa a fare davvero ciò che aveva appena detto.
Preferiva scrivere anche venti pergamene per conto suo, piuttosto che passare un’altra ora di tempo con Draco Malfoy!
 
 
 
XVI
 
Fantastico! Eccellente! Di bene in meglio!
 
Ora era stato persino smollato da una deficiente, antisociale, apatica del cazzo!
Non bastava il fatto che la sua vita stesse andando a rotoli, no, adesso ci si metteva anche una principessina caduta dal piedistallo a rendergli l’esistenza un inferno.
 
Che poi capirai cosa aveva detto!
Legittime obiezioni, nulla di più.
Permalosa e antipatica, ecco cos’era.
Maledetto lui che se l’era appioppata da solo. Anzi maledetto Potter. Si, maledettissimo Potter.
Alla fine era sempre lui la causa di tutto. 
 
Se non fosse mai apparso in quel misero posto che era Hogwarts, la sua vita sarebbe stata migliore.
Non avrebbe dovuto lottare per sentirsi importante in quella dannata scuola!
La gente l’avrebbe guardato diversamente, l’avrebbe visto come l’erede di una delle famiglie più antiche e potenti del Mondo Magico, come un giovane in gamba, sveglio, di bella presenza, con tutte le carte in regola per sfondare un giorno, con l’ambizione e la fermezza degne della casata di Salazar e invece… no!
Da sette anni a quella parte, lui era solo l’antagonista di Potter.
Pure le ragazze avevano evidenziato quella dualità. Ne avevano fatto persino un test su Luvgwarts, quelle robe tipo “Dimmi se ti piace Harry o Draco e ti dirò chi sei”.
Sarebbe proprio stato curioso di vedere che personalità era associata a Potter.
Sicuramente una repressa, moralista, asessuata del cavolo.
Proprio come la Wool.
 
Sicuramente era a lei che Potter stava scrivendo in quel momento, tutto chino sul muretto del cortile, mentre scribacchiava freneticamente sui dannati bigliettini.
Durante i loro incontri non passava un’ora senza che Ania ne ricevesse un paio.
Dio, era snervante.
 
Potter alzò lo sguardo proprio in quel momento e mantenne lo sguardo fermo.
Draco fece lo stesso, alzando un sopracciglio.
Era guai che voleva il quattrocchi?
Lui non aspettava altro.
 
- Qualcosa che non va Potter? –
- Va tutto a meraviglia, Malfoy. –
 
Ci avrebbe scommesso un occhio che la Wool gli aveva raccontato di come lo avesse smollato.
Sicuro in uno di quei bigliettini gli spiegava quanto fosse orribile, e presuntuoso, e arrogante Draco Malfoy.
 
Al diavolo tutti.
 
Inspirò profondamente. Meglio girare i tacchi. Gli avrebbe spaccato la faccia se fosse rimasto un minuto di più.
E torcere un capello al Prescelto, vista la sua posizione in quei giorni, era tra le cose peggiore che potesse fare alla sua famiglia.
 
Gli voltò le spalle e stava per andarsene, stava davvero per andarsene, quando sentì la misera voce di Potter bussargli alle orecchie.
 
- Immagino tu non possa dire lo stesso, eh Draco. Sirius mi ha detto che ci sarà il processo di tuo padre… salutamelo quando a Natale vi scambierete regali attraverso le sbarre. –
 
Nero.
Ciò che vide dopo fu completamente nero.
Il corridoio scomparve, la gente scomparve. L’unica cosa che riusciva a focalizzare era la faccia di Potter e una rabbia vorace che lo divorava dall’interno.
Poi successe tutto molto velocemente.
 
Track
 
Sentì l’impatto della sua nocca con la faccia di Potter. L’anello di famiglia spaccargli rumorosamente il setto nasale.
 
Poi il sangue, le voci.
 
- Oh mio dio... –
- RISSA …–
- Qualcuno chiami un professore!… –
 
Potter si ritrovò a terra, il naso che colava nero. Gli bastarono tre secondi per recuperare la lucidità. Al quarto era su Malfoy.
 
Un gancio sull’occhio. Poi una spinta. Potter contro il muro. Ginocchiata nelle costole. Draco a terra. Calcio sul volto. Poi un dolore sordo alle tempie.
 
- ARESTO MOMENTUM ! –
 
La voce della McGranitt li bloccò di colpo,a  mezz’aria, come due burattini.
Draco si guardò intorno, mentre il sangue gli offuscava la vista e la pelle pulsava laddove sarebbe diventato livido.
Il corridoio era gremito di gente, morta e viva.
Studenti e fantasmi li osservavano immobili, con gli occhi che scattavano da lui a Potter alla McGranitt, a pochi metri da loro, bacchetta sguainata e occhi in fiamme.
 
- Assolutamente vergognoso! State pur certi che farò parola di quanto accaduto al Preside. – scandì la McGranitt a labbra strette
 
Draco sbuffò, sdegnato. La considerazione che Silente aveva di lui era l’ultimo dei suoi pensieri.
 
- NON una parola, Signor Malfoy. Il suo comportamento rasenta il ridicolo, e scommetto che il Professor Piton sarà della mia stessa opinione quando gli riferirò della cosa. –
 
Ecco, Piton era un problema, invece.
 
- Cinquanta punti, verranno sottratti ad entrambe le case per il vostro atteggiamento infantile. –
- Professoressa, Malfoy mi ha attaccato! –
- E lei si è difeso vedo, Signor Potter. –
- E cosa avrei dovuto fare? Stare  fermo e incassare? –
- Fare qualsiasi cosa che non la facesse sembrare una scimmia da combattimento. O un ragazzino di dieci anni. Sono molto delusa da lei, Potter.
Nel mio ufficio. E lei Signor Malfoy, vada in Infermeria. –
 
Tutto qui? Gli era andata bene. E in più aveva rotto il naso a Potter.
Doveva essere il suo giorno fortunato.
Sbuffò ma non tentò oltre la sorte e fece per andarsene, quando la McGranitt lo bloccò di nuovo.
 
- Il direttore della sua Casa, il Professor Piton, le notificherà l’orario in cui recarsi nel suo ufficio. Mi assicurerò che le venga assegnata una giusta punizione. E ora in Infermeria. Subito. – concluse con un cipiglio che avrebbe fatto tremare Malocchio Moody in persona.
 
Con un’ultima occhiataccia a Potter, Draco se ne andò, ignorando i commentini e gli occhi dei loro spettatori.
Ma non ci andò in Infermeria, no...Col cazzo che si faceva imbottire da Madama Chips di intrugli puzzolenti e erbe curative.
No grazie… preferiva rintanarsi nella sua camera, lontano dal mondo.
Anche se il taglio sulla tempia continuava a sanguinare, anche se lo zigomo destra pulsava da morire.
Avrebbe evitato tutti, a partire da Blaise, Tiger o Goyle, che appena avrebbero saputo dell’accaduto avrebbero iniziato a ridere e strillare come dei maiali, senza chiedersi minimamente del perché fosse successo, del perché qualcosa fosse scattato nella sua testa.
 
Rientrò nel dormitorio a testa bassa.
Non si era mai sentito così solo in vita sua.
 
 
 
XVII
 
 
Rimase chiuso in camera per tutta la sera, addormentandosi persino.
 
Nel dormiveglia si portò una mano allo zigomo.
Gli faceva male da morire.
E di colpò ricordò il perché.
Potter. Rissa. Corridoio terzo piano.
 
- Maledizione. –
 
Si portò a sedere, notando solo in quel momento di aver macchiato il cuscino di sangue.
Si alzò dal letto, calpestando una busta chiusa che doveva essere la notifica di Piton.
L’avrebbe ignorata, completamente.
 
Lo specchio rimandava il suo riflesso malconcio, e quasi gli venne da ridere per il suo pessimo aspetto.
Lo zigomo era diventato completamente viola, in netto contrasto con il pallore della sua carnagione. A parte qualche graffietto qua e là, l’unica ferita degna di nota era il taglio sulla tempia destra.
Doveva aver sanguinato per un bel po', considerando le macchie che aveva nei capelli e sul volto.
 
Bene Draco, sei conciato davvero una merda.
Forse andare da Madama Chips non sarebbe stata una cattiva idea.
 
Guardò l’orologio.
Due e quattordici.
 
Fanculo.
 
Era decisamente un pessimo orario per inoltrarsi nei corridoi di Hogwarts.
 
Si buttò sotto la doccia sperando di non riaprire così la crosta.
Quando ne uscì si sentì rinato, e, purtroppo, decisamente sveglio.
 
Non avrebbe ripreso sonno tanto facilmente.
Aveva due opzioni, andare in camera di Tiger e Goyle e farsi dare quel fantastico Sciroppo all’Oppio provato settimane prima oppure evitare qualsiasi forma vivente e immergersi in qualche lettura soporifera davanti al focolare della Sala Comune.
Opzione due, decisamente.
 
La Sala Comune era di una bellezza sconvolgente.
Era tra le cose che più amava di Hogwarts.
Rettifico.
Tra le poche cose che amava di Hogwarts.
 
I divani in pelle, i riflessi bluastri delle profondità del lago, il grande focolare in marmo.
Vi ci sedette davanti, afferrando un tomo di Erbologia sulle piante velenose che aveva trovato sul tavolino, sperando si rilevasse abbastanza noiosa da favorirgli il sonno.
 
Mezz’ora dopo capì che l’unica cosa che quel libro favoriva era il suicidio.
Lo zigomo pulsava maledettamente, e più se lo toccava più iniziava a pensare di essersi rotto qualcosa.
Non capiva neanche in che momento si fosse effettivamente causato quell’ematoma.
Era stata la botta contro il pavimento? O un gancio dritto in quel punto? Possibile che Potter avesse una forza tale?... no alquanto impossibile… e allora quando…
 
- Fantastico, avevo proprio voglia di vederti. –
 
Sbandò di colpo.
 
- Che diavolo ci fai tu qui? –
- Ci vivo. Sai com’è Serpeverde. – disse indicandosi con la mano.
- Intendo dire cosa… o al diavolo lascia stare. – sbuffò portandosi nuovamente la mano sullo zigomo.
 
Ania Wool (si lo perseguitava) rimase qualche secondo a fissarlo dall’ultimo gradino della scala a chiocciola.
La sentì avvicinarsi e un secondo dopo la vide afferrare il libro sulle piante velenose che stava leggendo.
 
- Ti dispiace lasciarlo lì? Sai com’è, lo stavo leggendo. –
- In realtà, si, mi dispiace. Sai com’è, è mio. –
- Oh, ma guarda un po'. Potevi inventarti una scusa migliore per darmi a parlare. –
 
Ania alzò gli occhi al cielo.
Aprì il libro e gli mostrò la copertina, dove scritto a penna spiccava il nome Ania Wool ad indicarne la proprietà.
 
- Magari la prossima volta evita di lasciare il tuo ciarpame ovunque allora. –
- Onestamente non credevo scendesse anima viva nei dieci minuti in cui sono stata sopra. –
- Io sono qua da almeno mezz’ora… -
- E comunque sono le tre di mattina… -
- Beh pensi di essere l’unica a soffrire di insonnia? AH! –
 
Ok si era decisamente rotto qualcosa.
Non riusciva nemmeno a parlare senza avere delle fitte atroci.
 
Ania alzò di nuovo gli occhi al cielo, in quella sua tipica espressione da ragazzina irritata dalle persone.
Poi mosse la mano e dal nulla sbucò un fazzoletto che poggiò sul tavolo.
 
- Accio Glacio –
Il fazzoletto si riempì di ghiaccio, lo chiuse a mò di sacchetto e senza nemmeno chiedere glielo premette con forza sulla guancia.
 
- MA CHE DIAMINE… -
- Sta fermo! –
 
Draco si scostò di nuovo, ma quella, d’altra parte, schiacciò ancora di più il ghiaccio sul livido.
 
- Non capisco perché voi maschi siate così idioti. –
- Io non capisco perché voi femmine vi sentiate in dovere di far le infiermerine non richieste. –
 
DI nuovo, Ania alzò gli occhi al cielo, sospirando forte.
 
- Immagino il tuo amichetto ti abbia dettagliatamente spiegato l’accaduto. – sbottò lui dopo qualche minuto
- Non particolarmente, no  -
- Mi sorprende… non siete amichette del cuore che si scambiano tutti i segret…CRISTO. – imprecò di nuovo quando Ania premette sul livido, probabilmente di proposito.
 
- Eviteresti molti problemi se ti arricciassi la lingua in gola di tanto in tanto. –
- davvero? IO? Figurarsi… è Potter quello che dovrebbe tacere. Non dovrebbe nemmeno permettersi di nominare la mia famiglia … non sa cosa significa… - si interruppe, pentendosi di aver anche solo  aperta bocca.
 
- Non essere ridicolo… – disse lei esaminandogli il livido. - …Come potrebbe capire? Ti risulta che Harry Potter abbia mai dovuto difendere la reputazione dei suoi genitori? Sono eroi nazionali… Ti ha dato un gran bel pugno però… -
- Ahi! Cazzo. Smettila di premerci sopra! –
 
Draco spostò il viso per l’ennesima volta e Ania perse le speranze.
Scrollando le spalle si alzò dalla poltrona e gettò fazzoletto e ghiaccio nel focolare.
 
Mentre lei si asciugava le mani, Draco la fissava.
In un certo senso gli aveva appena dato ragione. Cioè, non aveva difeso Potter eroe del mondo Magico, no… anzi, aveva giustificato lui!
Inusuale, decisamente.
 
- Certo che non può capire… non capisce nulla che vada oltre la sua aurea da santo del popolo. Scommetto che è contento che non lavoriamo più insieme, no? Così la sua amichetta non ha il “cattivo” intorno tutto il giorno. –
 
Ania si sedette sulla poltrona, poi scrollò le spalle.
 
- Beh? Cos’è quella faccia? Potter non lo sa? –
- In realtà… non sono andata dalla McGranitt. – confessò incrociando le braccia
- Oh oh davvero? – esclamò Draco, un sorrisino divertito gli si faceva spazio sulle labbra.
- No, non…non fare quella faccia. E’ umanamente impossibile scrivere dieci pergamene da soli… su cosa poi? –
- Tranquilla, prima della fine del semestre maledirò Potter e trasformerò la sua testa in un covo d’api. Puoi sempre parlare di me. – ironizzò sprofondando nel divano.
 
A quelle parole Ania si bloccò di colpo, lo sguardo crucciato e perso nel lato scuro della Sala Comune.
- Tu devi avere la testa grandiosa della Medusa, così guizzano i serpenti del terrore intorno al tuo capo… - sussurrò
 
D’istinto Draco cercò la bacchetta nella tasca senza farsi notare.
Era pazza quella lì.
Ora parlava alle ombre?
 
- Sei ubriaca? –
 
Ania si voltò, quasi ricordandosi solo in quel momento di lui. Poi gli occhi  le si accesero di un’eccitazione strana.
 
- Quello che hai detto… maledire Harry, trasformarlo in un nido d’api. –
- Si beh, allora? Ne ho dette di peggiori. –
- Chi è che ebbe la sua testa trasformata per vendetta? Chi è che ebbe una parte del suo corpo trasformata per diventarne un’altra? –
 
Ora la seguiva.
Ora si che seguiva quel briciolo di folle arguzia che le si stava allargando tra le pupille. Si portò a sedere per osservarla meglio, e la risposta gli salì naturalmente sulle labbra.
 
- Medusa! –
- Esatto! E non è forse stata condannata la sua chioma ad essere qualcos’altro per l’eternità? Non parliamo di Scambio allo stato più estremo possibile in questo caso? Qualcosa che ti costringa parzialmente o totalmente ad essere una cosa diversa per volere di un’altra persona? –
 
Capiva, capiva perfettamente il suo ragionamento.
Maledizioni di non ritorno, così si chiamavano. Maledizioni irreversibili.
Una Maledizione di Scambio di quel tipo non aveva possibilità di rimedio.
Medusa era stata maledetta ad avere un groviglio di serpenti per capelli, e così era rimasta, fino alla sua morte.
 
- Ci serve la Biblioteca. Adesso. –
- Malfoy, sono le tre di mattina. –
- Ho detto adesso! -

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Capitolo 9
*** E' il testosterone. Non io. ***



pic by me








 VIII     
 
 
Un raggio di sole gli pizzicò le ciglia, interrompendo quello scomodo sonno.
Si stropicciò gli occhi e li aprì di malavoglia.
Il tavolo della Biblioteca come cuscino gli aveva lasciato dei brutti segni rossi in faccia, e la schiena gli chiedeva disperatamente di alzarsi dalla sedia in legno.
 
7:20 a.m.
Era l’alba.
Dalla finestra poteva vedere i primi falchi alzarsi in volo e un pallido sole colorare di rosa il Lago Nero.
Il tavolo era un amplesso di scartoffie, libri aperti e pennini, risultato di più di tre ore di lavoro notturno.
La sua compagna di studio dormiva accovacciata sul davanzale della finestra, in una posizione piuttosto scomoda, ma decisamente tenera.
I capelli sciolti le volavano dappertutto e non pareva minimamente intenzionata a svegliarsi.
Comprensibile.
Era stata una nottata intensa. Ma decisamente produttiva.
 
In sole tre ore avevano scritto una cosa tipo sei pergamene, più della metà dell’intero lavoro.
L’argomento scelto poi era dei più stimolanti in cui potesse sperare: lo Scambio nella Magia Nera, i metà-umani maledetti.
 
Geniale.
 
Avevano spulciato ogni libro a riguardo nella Biblioteca senza trovare molto, fin quando entrambi non erano saltati alla stessa inevitabile conclusione: il Reparto Proibito.
 
Draco vi era entrato milioni di volte quando era ancora nella grazie di Piton, ma negli ultimi tempi lo evitava come la morte, data la situazione.
Così aveva cercato di scassinare il cancelletto che ne vietava l’accesso, prima che Ania lo avvertisse di come il Preside avesse aumentato le misure di sicurezza negli ultimi tempi.
 
- Pensi che un semplice Alohomora aggiri un incanto di Silente? –
- In realtà pensavo più a far sciogliere la serratura… -
- E come se lo spiegherà Madama Pince? –
- Senti se hai qualche idea migliore ? –
- Chiavi magari? –
 
Dalla tasca dei jeans aveva cacciato un mazzo di chiavi, tra le quali vi era effettivamente quella del reparto proibito.
Ania aveva eluso qualsiasi spiegazione sul come ce l’avesse quelle chiavi e in preda alla foga aveva preso a girovagare tra gli scaffali come una falena intorno ad una lampada.
E da lì si erano divertiti forte.
 
Non avrebbe mai e poi mai pensato che una ragazza così innocua potesse intendersene talmente di Magia Nera, eppure non avevano parlato d’altro.
 
Si stiracchiò, sentendo tutte le ossa scricchiolare rumorosamente.
 
- Hey Linguamozza. Il pisolino è finito. – disse picchiettandole la tempia.
- Muoviti prima che arrivi la Pince. –
- Hmm, che ore sono? – mugugnò stropicciandosi gli occhi
- Sette e mezza. Te la dai una mossa o no? – gli brontolò contro prima di incamminarsi verso l’uscita.
 
 
 
- Prima volta. –
- Prima volta? – sbottò Draco divertito mentre tornavano in dormitorio.
- Stanotte è stata la prima volta in sette anni che hai girato il castello di notte? E’ vergognoso –
- Non, non lo è. E’ contro le regole! –
- E allora? Basta non farsi beccare… ed è decisamente eccitante. Specialmente se hai una motivazione valida… ma tu non hai mai avuto una motivazione valida, immagino. –
- Oh,  immagino che tu ne abbia avute parecchie. –
- Puoi dirlo forte. Bagni al Lago, festini ai limiti della Foresta, Pix contro Gazza… -
- Pix contro Gazza? –
- Oh si. Lo facevamo sempre gli anni passati. Metti Pix in un sacco e lo liberi solo dove sta anche Gazza. Poi lasci che si azzuffino e scommetti su uno dei due. -
 
Oh che fantastici ricordi.
Ne aveva vinti galeoni con quel gioco… specialmente contro Goyle che ogni volta dimenticava su chi avesse scommesso e puntualmente sganciava.
 
 
Ania lo guardava con un’espressione poco convinta ma non disse nulla. Scosse la testa e si stropicciò di nuovo gli occhi, come se non fosse sicura di essersi veramente svegliata.
 
Quando arrivarono in Sala Comune la trovarono perfettamente deserta.
Era Domenica mattina e l’aria puzzava di noia per almeno altre tre ore. A Draco non andava minimamente di andarsene a dormire…
Forse potevano trattenersi un po' intorno al focolare, rileggere ciò che avevano scritto, magari mandare avanti quella faccenda della scommessa e…
 
Un bigliettino piegato stretto gli schizzò davanti al naso, balzando tra le mani di Ania.
 
- Pff, fammi indovinare. Potter? Cos’è soffre di insonnia? –
- Oh, voleva sapere quando tornassi al Dormitorio. – esclamò quasi distrattamente Ania aprendo freneticamente il bigliettino
- Beh… ciao. Ci aggiorniamo per la prossima volta. Hm, tieni tu tutto, ok? –
 
Senza staccare gli occhi dal bigliettino di Harry, Ania scomparve nella scala a chiocciola del Dormitorio femminile, lasciando un Draco estremamente seccato al centro della Sala Comune.
 
 
 
IX
 
- …Draco. DRACO! –
- Che c’è? – sbottò irritato voltandosi cosi velocemente da farsi male al collo.
- Ti ho chiesto a che ora è il processo. –
 
Si morse le guance, in un moto d’ira.
Il processo.
Per un solo, fottutissimo, felice momento l’aveva quasi completamente dimenticato quel dannato processo, ma grazie a Blaise, ora quella nube nera era tornata ad occupargli la mente.
Nel giro di due giorni, il 22 Dicembre, suo padre sarebbe stato sottoposto al giudizio del Wizengamot.
 
Bella merda.
L’accusa Malocchio Moody in testa, si era ripromessa di farla pagare cara agli anni di potere di Malfoy.
 
Mangiamorte una volta, Mangiamorte per sempre.
 
Questo era il loro banalissimo motto.
E se si è per sempre un Mangiamorte, per sempre devi essere punito.
La loro proposta?
 
Venticinque anni, ad Azkaban.
Nessun allievante.
 
A niente era servito che Lucius avesse fornito informazioni importanti sulla nuova armata del Signore Oscuro.
A niente era servito che la famiglia Malfoy avesse sborsato fior di quattrini per potenziare il dipartimento della difesa nella speranza di ingraziarselo.
 
A niente.
 
- Non mi ricordo Blaise… perché, vuoi accompagnarmi? – chiese ironico, sprizzando acidità da tutti i pori.
- Oh, lo farei amico lo sai, ma non è il massimo farsi vedere in Tribunale … e poi… -
- …e poi c’è la festa si Lumacorno. Già, immagino sia una priorità quella Blaise... –
- Non te la prendere, ok? Sai che ti sono sempre stato vicino… è che stavolta davvero non posso. Poi vedrai che andrà tutto alla grande e… –
 
E Draco smise di ascoltare.
Dei suoi cosiddetti “amici” nessuno aveva avuto l’interesse nello stargli vicino in quel giorno maledetto. Nessuno capiva veramente che inferno stava passando.
E come se non bastasse doveva anche sorbirsi i loro commentini eccitati sulla festa di Lumacorno.
Maledetto grassone.
 
- … mi senti? Ma che stai guardando? –
- Niente. Ero sovrappensiero. – rispose distogliendo di nuovo lo sguardo.
- Mi è venuta fame Blaise. Spero che quei maledetti elfi abbiano già cucinato. Andiamo –
 
Blaise concordò con lui e lo imitò nell’alzarsi dal muretto sul quale si erano sistemati.
 
Mentre si incamminava verso il castello, Draco si voltò un’ultima volta, verso lo stesso punto.
Dall’altro lato del ruscello, appena dopo la casetta di Hagrid, Ania Wool era sdraiata sotto un albero, e parlottava con qualcuno, in piedi difronte a lei.
Non gli ci volle molto ad identificare quel qualcuno come Potter.
Ovviamente… chi altro!
Quei due passavano tanto di quel tempo insieme che persino la Granger se n’era lamentata a gran voce.
 
- Dico solo che è una presenza ingombrante. Sembra quasi che lei e Harry siano una coppia di fidanzati e non è così! Non è giusto dimenticarsi degli amici di sempre è…è fastidioso
 
Già, decisamente fastidioso.
Praticamente la Wool passava la metà del suo tempo con Potter.
 
Geloso Draco?
 
No, non geloso. Per niente geloso. Solo infastidito, come diceva la Granger. E confuso.
Come diavolo faceva a trovarsi con entrambi?
 
E per entrambi intendeva lui e Potter.
Eh si perché da quella notte in biblioteca una decina di giorni prima, lui e Ania avevano continuato a vedersi quasi quotidianamente.
Il loro progetto procedeva a gonfie vele, con una facilità e logica da fare invidia a Merlino.
La mole di  lavoro era enorme, e per smaltirlo prima delle vacanze di Natale erano costretti a studiare anche quattro ore al giorno.
 
Non lo avrebbe mai ammesso ma, col passare del tempo, a Draco dispiaceva sempre meno.
 
La Wool non era male, tutto sommato.
 
Non rideva molto e il più delle volte non capiva le battute. L’ironia era un concetto del tutto estraneo alla sua testolina riccioluta .
Ma era sveglia. Cazzo se era sveglia.
Acculturata, anche. Specialmente di Magia nera.
Parlava bene, poi,  con un sacco di vocaboli vecchio stampo e senza mai sbroccare.
Era elegante, si può dire.
 
Alle volte non si truccava, nè pettinava, e aveva delle occhiaia che manco la Professoressa Sprite durante la stagione delle Mandragole.
Ma aveva un profumo buonissimo.
Vaniglia forse.
Ne riempiva l’aria.
 
Non aveva amici, né un cazzo da raccontare. E delle volte si imbambolava nei suoi pensieri.
E in quei momenti, Draco si faceva schifo da solo.
Si perché si sentiva davvero un idiota a fissarla in quei momenti lì.
Ad incantarsi a guardare la linea del naso, delle labbra. Di come si spostava le ciocche dal volto, o di come si mangiucchiava le unghie quando pensava.
Alle volte lei se ne accorgeva, del suo sguardo, e alzava gli occhi.
E da qualche parte, dal fondo dell’anima marcia che si ritrovava, Draco avvertiva un tonfo nell’esatto istante in cui quelle pupille verdi incorniciate lo trafiggevano da parte a parte.
 
Poi le diceva di piantarla di pensare ai fatti suoi e di darsi una mossa. Giusto per non sembrare un idiota.
Che cazzo pretendete? Le rose e i bacetti?
Tutto ciò era già abbastanza disgustoso .
 
Era colpa del testosterone e della competizione con Potter. Tutto qui.
Lo stress e la mancanza di attenzioni e di affetto di cui soffriva in quel periodo.
Non era innamorato, ne invaghito… figurarsi!
Era solo, immensamente stressato.
 
Probabilmente l’unica soluzione, era farsi una scopata.

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Capitolo 10
*** Scintillante ***



Il Lago Nero di notte. pic by me




 XX
 
- La risposta è molto semplice, in realtà.
Io
non
vado
alle
feste, Harry! –
 
Era un no, un no perentorio e deciso, detto col sorriso, ma pur sempre un no.
Era sabato mattina, l’ultimo sabato prima delle vacanze di Natale. Quella sera, come previsto, Lumacorno aveva organizzato uno dei suoi chiassosissimi party d’elitè con i suoi studenti preferiti, arricchendo il buffet con alcune personalità del Mondo Magico.
Ovviamente, data la situazione di quei giorni, il tutto era stato corredato da una manica di Auror che avrebbero dovuto sorvegliare il castello e assicurarsi che le pietre preziose della società futura ballassero e si ubriacassero in totale sicurezza.
Un totale spreco di risorse pubbliche, secondo Ania.
 
- Giuro che nessuno ti morderà le caviglie o ti darà fuoco ai capelli. Oh, e pensa a quanto rosicherà la Parkinson sapendo che mangerai tartine di drago con un giocatore dei Chuddley Cannon mentre lei toglie le zecche dalle orecchie di Goyle in sala comune! -
- Dubito che Pansy si sia mai avvicinata a Goyle più di sessanta centimetri e, notizia  del giorno, ci sarà anche lei alla festa… ha costretto Blaise ad invitarla, quindi altra significativa motivazione per starmene in Dormitorio…
- Ogni giorno… -
- Cosa? –
- Ogni giorno sei sempre più antipatica. –
- Così mi spezzi il cuore, Sfregiato. –
- Ed ecco il Malfoy che è in te che ricompare. –
- Stavo solo… - tentennò Ania, improvvisamente paonazza. – Stavo solo scherzando. Sto imparando questo astratto concetto dell’ironia ma tu non sei un buon assistente, a quanto pare. –
- La verità invece è che stai passando decisamente troppo tempo con Malfoy –
- Oh, ma perché voi due parlate sempre l’uno dell’altro? Non sareste mica innamorati? Perché in tal caso voglio fare la damigella al matrimonio. –
- Ti informo che un matrimonio è comunque una sorta di party, Ania. Verresti sul serio ad un evento cosi chiassoso? –
- Se sei tu quello vestito da sposa, questo ed altro.-
- Piantala. Mi gira lo stomaco solo a pensarci. –
 
Ania rise, divertita dalla faccia disgustata di Harry.
 
Adorava Harry, stare con lui era come ritornare diciassette anni indietro, quando erano solo bambini su un tappeto che giocavano mentre le loro mamme prendevano il thè.
 
- E comunque Malfoy mi sta evitando da una settimana quindi questa acidità è completamente autoprodotta dalla sottoscritta. – disse vantandosi.
- Buon per te. Stargli affianco in questi giorni deve essere da suicidio. –
- …che intendi ? –
- Beh per il processo ovviamente. –
 
Ania restò qualche secondo a fissarlo mentre Harry poneva il sigillo in lacca ad una lettera per il suo padrino.
Non capiva.
Non vedeva Malfoy da giorni, ma aveva dato la colpa alla sua lunaticità da primadonna. Questa era l’ennesima dimostrazione di come lei vivesse assolutamente fuori dal mondo e fosse sempre l’ultima a sapere le cose…
 
Harry alzò il volto, e vide la sua faccia sbigottita.
 
- Ma non li leggi i giornali tu? Lucius Malfoy sarà processato dal Wizengamot oggi alle tre. Rischia l’ergastolo. Ne parlava la Gazzetta del Profeta proprio stamattina... –
- Io non leggo la Gazzetta, dovresti saperlo. E’ terribile. – bisbigliò esterrefatta, più a se stessa che ad Harry.
- Terribile? – sbottò quello, interrompendo i suoi pensieri.   -E’ quello che si merita. –
- Per Diana, Harry, è pur sempre suo padre… -
- Beh, anch’io avevo un padre ed è morto proprio per quelli come Malfoy. –
- Tuo padre è morto per mano del Signore Oscuro, non per… -
- E’ la stessa cosa Ania ! I Mangiamorte agiscono per suo conto, ogni cosa che fanno è come se la facesse lui. -
 
I toni si stavano scaldando, ed Harry ora la guardava con occhi infuocati, come se non potesse credere di dover davvero spiegarle cose del genere, come se fosse assurdo che lei non capisse.
Ma lei capiva eccome, anche più di lui.
In momenti come quelli, le era tristemente chiaro quanto nonostante volesse un bene dell’anima a quel ragazzo, c’erano delle differenze abissali tra loro due, dei baratri che probabilmente non sarebbero mai riusciti ad attraversare.
Verità che dovevano affogare nella polvere, e mai essere spifferate.
 
Ania inspirò forte.
Era inutile continuare a discutere.
 
L’orologio del castello ticchettò mezzogiorno in punto, risuonando rumorosamente tra le pareti secolari e fornendo ad Ania la scusa perfetta per svignarsela da quel discorso.
 
- Dico solo che un po' mi spiace… tutto qui. – borbottò raccattando le sue cose e scrollando le spalle, come se la cosa, più di tanto, non le interessasse.
 
- Beh, è meglio che vada in Dormitorio. Devo assolutamente… -
- …”scegliere cosa mettere per stasera, altrimenti Harry non mi parlerà mai più” –
- …iniziare a fare le valigie, in realtà. –
- Oh, andiamo, non fartelo ripetere, hai tempo fino a lunedi per farle. Senti ho davvero bisogno di qualcuno completamente asociale che mi tenga lontano gli altri, e credo proprio che tu sia la persona adatta. –
- Tu si che sai far sentire una ragazza speciale. – rise Ania alzandosi dal divanetto.
- Sette in punto Ania, ti aspetto davanti l’ufficio di Lumacorno. E se non ti presenti ti odierò a vita! – gli urlò dietro mentre Ania si allontava nei corridoi, scuotendo la testa e ridacchiando.
 
 
 
 
XXI
 
Non poteva credere di averlo fatto sul serio.
 
Inspira, Ania, espira.
 
Il vestito bianco che aveva indossato le stringeva in vita fino a smozzarle il fiato (o forse era l’attacco di panico che stava per venirle?)  e i ricami dietro la schiena le davano un prurito pazzesco.
Eppure l’aveva indossato, l’unico abito pseudo elegante che possedeva nell’armadio.
Aveva tre anni di vita, quel vestito, ed aveva ancora il cartellino attaccato.
Quando l’aveva comprato aveva tutta l’intenzione di recarsi al ballo del Ceppo, dietro invito di un ragazzo di Durmstrang, che poi aveva prevedibilmente boicottato la sera stessa.
Nonostante non fosse ingrassata quasi per niente in quegli anni, la pubertà le rendeva piuttosto difficile farsi stare comodo quell’abito su seno e glutei.
Se lo tirò leggermente per recuperare un po' d’aria, e casualmente ritrovò il suo riflesso in una vetrata del corridoio.
Era stranissimo vedersi così, però si piaceva.
 
Non aveva mai avuto problemi di autostima, per fortuna.
 
Nonostante il bullismo delle sue compagne di corso, aveva una ferma consapevolezza di quali fossero le sue qualità e forse per questo non gli era mai arrivata a buttarsi dalla torre di Astronomia.
 
Ania era questo e si accettava.
Una vita di merda, un gran cervello, dei begli occhi verdi e la sensazione di essere perennemente fuori luogo.
Anzi, la consapevolezza più che la sensazione.
 
Consapevolezza che accresceva ad ogni passo che faceva sul terzo piano, ad ogni nota che sempre più forte le raggiungeva le orecchie.
E dopo qualche secondo, eccola lì, la porta dell’inferno! La residenza del diavolo!
L’ufficio di Lumacorno!
 
Urla e risate rimbombavano sulle pareti e accompagnavano all’esterno una forte luce calda che violentava le ombre dense del castello, e faceva sembrare quell’elegante tripudio gotico un banalissimo pub per ragazzini ubriachi.
 
Ania si affacciò appena oltre l’uscio, assicurandosi di non essere vista da nessuno.
Non le ci volle molto ad individuare Harry, tra Lumacorno, la Granger e un alto signore di pelle scura che Ania non conosceva.
Probabilmente l’avevano trascinato dentro appena si era accostato alla porta.
Povero illuso!
Sperava davvero di poterla aspettare li davanti come un normalissimo ragazzino ad una festa?
Lui era la STAR!
E lei, ora sarebbe entrata da sola, completamente sola. Avrebbe avuto gli occhi di tutti puntati addosso, fin quando Harry non si fosse accorto di lei e l’avrebbe presentata ai suoi interlocutori, il che sarebbe stato anche decisamente peggio.
 
Una nuova canzone partì dalla band.
Era una famosa, una forte.
La gente iniziò a ballare e a muoversi ancora di più.
Ania vide Pansy scatenarsi frenetica con un bicchiere di prosecco tra le mani.
Zabini parlottava sui divanetti con un uomo anziano e la sua compagna.
 
Le mani iniziarono a sudarle, il respiro a farsi corto.
Troppo chiasso, troppa gente.
 
Inspira, espira Ania. Sei forte, è solo un po' di gente.
Sarai con Harry, andrà tutto bene.
 
Più si ripeteva quelle parole e più sembrava funzionare.
Il cervello riprese a funzionare e il respiro parve regolare.
Deglutì, sperando di affondare l’ansia nella trachea.
E fece un passo.
Dio quanto le costò quel passo. Ma era lì, ora, davanti la porta.
Harry rideva.
Avrebbe potuto ridere con lui, sarebbe stato un bel ricordo, un giorno.
 
Fece un altro passo, era dentro con la punta dei piedi.
La Granger salutò qualcuno e l’uomo di colore fece segno a quel qualcuno di avvicinarsi.
Harry annuì a qualcosa detta da Lumacorno.
 
La musica parve essere meno rumorosa.
Sarebbe andata bene, era solo una stupida festa.
E stava per entrare, davvero, stava per muovere l’ultimo passo, quando il cuore le scoppiò in petto e il mondo si bloccò di colpo.
 
Quel qualcuno salutato dalla Granger si era avvicinato al gruppo.
Ora stava salutando Harry con una stretta di mano e una pacca sulla spalla.
E Ania lo riconobbe.
Lo riconobbe dalle spalle grosse e dalla chiamo bionda e brizzolata.
Dal bastone nodoso e dal passo sbilenco.
L’uomo che odiava più di tutti al mondo, l’uomo che le aveva tolto la cosa più preziosa.
 
Non posso.
 
Non resse più.
Con un gesto veloce si allontanò dalla porta  e percorse il corridoio velocemente, fino a che la musica non divenne un suono lontano, finchè la luce lunare non tornò a rinfrescarle la pelle.
Si appoggiò ad una colonna, spalle a muro.
 
Sudava, aveva il respiro affannato, tremava.
Chiuse gli occhi, obbligando il suo respiro a tornare regolare, quando…
 
- Bel vestitino. –
Spalancò gli occhi.
 
- Hai un aspetto orribile. – replicò d’istinto.
 
Draco sogghignò quasi a darle ragione.
Aveva gli occhi gonfi, come se avesse pianto, due occhiaia profonde e l’aria distrutta.
Era messo quasi peggio di lei.
Stava seduto sul muretto, le spalle appoggiate ad una colonna e tra le mani una bottiglia di non so che dal colore rossastro.
 
- Grazie. Anche tu. –
 
Si ne era decisamente consapevole. SI sentiva paonazza e aveva le mani sudate.
 
- è che… c’è troppo chiasso - bisbigliò, il respiro ancora mozzato.
 
Doveva sembrare pazza, eppure Draco non disse nulla.
Si alzò dal muretto e fece un mezzo sorso senza staccarle gli occhi di dosso.
 
- Vuoi venire con me in un posto? –
 
 
 
 
XXII
 
Amava il Lago Nero.
Passava ore a fissarne le profondità dalla Sala Comune da sempre, specialmente di inverno, quando l’acqua rifletteva il bianco della neve circostante, ma mai, in sette anni, si era azzardata a mettere piede fuori dal castello per vederlo dopo il tramonto.
Che gran cosa che si era persa.
 
- Ad alcuni, terrorizza vederlo di notte. – esclamò Draco facendosi largo tra le erbacce.
- Io lo trovo mozzafiato. – esclamò Ania, perdendosi con lo sguardo tra le acqua scure.
 
Draco si fermò in un piccolo pezzo di prato appena vicino la riva del lago, dove c’erano poche erbacce e persino due grosse rocce perfette per sedervisi sopra.
 
- Beh le tenebre possono fare paura…E’ comunque molto più sensato che avere paura delle feste. – esclamò Draco prendendo posto.
 
Ania lo guardò malissimo e lo raggiunse.
 
- Non ho paura delle feste. – esclamò sedendosi a sua volta.  - E’ la gente che non mi piace. -
- Nemmeno tu piaci alla gente. –
- Beh, non mi importa. – replicò seria.
- Se non ti importa perché non sei entrata semplicemente là dentro a testa alta? –

Draco fece un altro sorso, particolarmente generoso e strinse gli occhi mentre deglutiva.
Doveva essere forte quella roba, e doveva essersene scolata un bel po'.
Suo malgrado, ad Ania faceva veramente tristezza, in quelle condizioni.
 
- Forse in realtà, te ne importa e come, perciò ti nascondi. Come una serpe, butti la testa sotto la terra e sbuchi solo dove ti fa più comodo… -
 
Prima che terminasse la frase Ania gli strappò la bottiglia di mano.
Fece lei l’ultimo sorso e poggiò la bottiglia vuota li di fianco.
 
- I serpenti sono molto intelligenti, se vuoi saperlo. E vivono anche dieci anni… io le chiamerei tattiche di sopravvivenza. –
- Ah ah, molto comodo. –
-Sempre meglio che essere una farfalla, posarsi di fiori in fiore e vivere poche ore… –
- Hmm, immagino che la farfalla sia una ragazza tipo Pansy. – ghignò lui fissando il lago.
- Magari lo fosse. Ce ne saremmo liberati già da un pezzo. – sussurrò quasi più a se stessa che a Draco.
 
Di nuovo Draco ghignò, in una smorfia triste e divertita allo stesso tempo.
I capelli gli svolazzavano piano, riflettendo la luce pallida della luna. Era surreale, sembrava una statua.
Forse non l’aveva mai veramente osservato bene, ma non gli era mai parso così seducente.
Senza corazza, senza arroganza, senza potere.
 
Solo un ragazzo in una camicia scura e un pantalone gessato, che osservava con sguardo perso la luna sulle acqua del lago.
 
-Com’è andato il processo? – bisbigliò Ania, incurante di risultare invadente.
 
Il sorriso distante sulle labbra di Draco scomparve di colpo.
Si morse il labbro ed abbassò lo sguardo sui pugni chiusi.
 
- Male. –
 
La sua voce riecheggiò qualche secondo nell’aria, perdendosi in un solenne silenzio.
 
- Venticinque anni ad Azkaban. – bisbigliò di nuovo, lo sguardo perso sul terreno umido.
 
- Quale livello? –
 
Draco alzò gli occhi, guardandola stupito.
Probabilmente non si aspettava quella domanda. Probabilmente non si aspettava nessuna domanda, se non compassione e buonismo.
 
- Ventitreesimo –
- E’ un buon livello… non ci sono molti Dissennatori lì . –
- E tu che diamine ne sai di Azkaban? –
 
Ania scrollò le spalle.
 
- E’ una prigione famosa – rispose semplicemente.
 
Draco parve prendere la risposta per buona e inspirò forte
 
- E’ il massimo che siamo riusciti ad ottenere… Il nuovo Ministro della Magia è… particolarmente feroce nelle sentenze. – esclamò tirando un sasso a pelo d’acqua.
- Ha paura. –
- E fa bene! –
Afferrò un altro sasso e lo  gettò con violenza nel Lago.
-Quando il Signore Oscuro arriverà al Ministero, sarà il primo a soccombere. Lui e la sua manica di smidollati. –
- Non è quello in cui dovresti sperare.. –
- E in cosa dovrei sperare? Quelli che dovrebbero essere i buoni hanno appena condannato mio padre a marcire in una cella, circondato dai DIssennatori ! Hai la minima idea  di cosa significa questo? –
 
Gli occhi di ghiaccio di Draco la trapassarono da parte a parte, provocandole un brivido.
Vedeva la sua rabbia e il suo dolore urlare da quelle pupille e parlarle più di quanto non potessero fare le parole.
A quel fiume di odio avrebbe solo voluto rispondere
Si, lo so, ti capisco.
 
Ma non poteva.
Spinse quelle parole di nuovo in gola ed interruppe il contatto visivo abbassando gli occhi.
 
- Mi dispiace Draco. Nessuno merita questa. –
- Già… perché non mi dici anche che andrà tutto bene? –
- Non andrà tutto bene – sbottò alzando di colpo lo sguardo.
- Non andrà tutto bene e non aspettarti che le cose migliorino. L’ansia di logorerà, non ti farà dormire la notte. Ti sveglierai la mattina senza sapere se tuo padre sia stato baciato, se la prossima volta che lo vedrai ti riconoscerà o sarà già altrove.
E ti terrai tutti i pensieri felici ben stretti e ben vividi in mente, perché ad ogni visita che gli farai in cella, ti salveranno l’anima dalle guardie di quel posto.
Non andrà bene un cazzo… - concluse, pentendosi di essersi fatta fregare dalla rabbia.
Si alzò in piedi e si pulì il vestito dall’erba.
 
-… devi solo cercare di non impazzire e di non pensare. –
 
Draco la fissò per qualche secondo.
Ania lo vide stringere i denti e spostare lo sguardo altrove, tra le tenebre del Lago, come se le sue parole lo avessero colpito nel profondo.
Si alzò anche lui, passandosi una mano sul volto stanco, e quando rialzò lo sguardo su di lei sembrava quasi non vi fosse più traccia della rabbia di poco prima.
 
- Sei una persona strana, Ania Wood. –
- Per Diana, è Wool! – sbottò esasperata.
 
Per qualche motivo ciò provocò un sorrisino sulle labbra di Draco e inaspettatamente iniziò a ridere sommessamente.
 
- Ti avevo suggerito di non impazzire ma credo sia troppo tardi ormai . – disse Ania guardandolo di sottecchi.
 
- Lo credo anchio – replicò lui sorridendo.
 
Aveva una strana espressione negli occhi, qualcosa che non aveva mai scorto in lui.
Dolcezza, forse?
O ancor peggio… gratitudine?
 
Era ancora intenta ad analizzarne il volto quando un sibilio ruppe quel silenzio magico.
 
- Hai sentito? – sbandò voltandosi di scatto.
- Non ti allarmare, esiste il vento sai, fa rumori simili. –
- No, non era il vento… era più… -
 
Più lo scricchiolio di una fiamma
 
Pensò mentre avanzava verso il castello.
Di nuovo lo sentì. Mise mano alla bacchetta. Fece un altro passo.
Poi di nuovo, più forte, questa volta accompagnato da un luccichio dorato ad altezza occhi.
 
- WOOL VIENI VIA! –
 
Sentì l’urlo di Draco dietro di lei, ma era troppo tardi.
Le scintille che aveva visto brillare scoppiarono rumorosamente, con un boato che fece tremare i vetri del castello.
Quella luce pirotecnica le scoppiò addosso, sul vestito, sul collo, per poi diramarsi vorticosamente in cielo, esplodendo in forme e colori dall’immaginario surreale.
 
Fuochi d’artificio da far sognare, che furono applauditi da tutti gli ospiti del party.
Magnificenze pirotecniche che lei non vide, poiché svenuta e bruciacchiata sul freddo prato del castello.
 
 

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Capitolo 11
*** Dentro l'armadio ***



Moody



 Un tuono fragoroso squarciò il silenzio, provocandole una fitta alla tempia.
Aprì a poco a poco gli occhi e le ci volle qualche secondo per identificare Madama Chips curvata su di lei con un panno umidiccio in mano.
 
-Hmm, ma che… -
- Stia calma signorinella, è solo un po' di unguento d’alga, nulla che non le faccia più che bene. Lo prema su questa scottatura e… –
- Ah! –
- Lo prema! –
 
Madama Chips le costrinse il pannaccio umido in mano e si scostò dal letto indaffarata, e solo allora Ania si rese conto di essere in un letto di Infermeria.
Tirò su col naso ed avvertì un vago odore di bruciato, derivante dal suo bel vestito bianco ora ricoperto di bruciature e macchie d’erba.
 
Fece per alzarsi quando un flash improvviso le fece bruciare gli occhi, come se le avessero puntato una torcia in faccia, e di colpo le venne in mente il perché si trovasse lì.
Era in Infermeria per colpa di quei fuochi, per colpa di quei maledetti fuochi d’artificio organizzati da Lumacorno che le erano esplosi a pochi centimetri dalla faccia.
Era una fortuna che avesse ancora la testa attaccata al collo, dopotutto.
 
- … riaccompagnarla in dormitorio, ecco cosa. –
- …oh, certo e cantarle anche la ninna nanna magari- Ti sembro un baby sitter Potter? O ti sembra lei una mocciosa a cui stare dietro?-
- Lei no ma non si può dire lo stesso di te, ah? Girare di notte al Lago Nero… a quindici anni era anche anche accettabile ma forse sei un po' troppo cresciuto ora per… -
 
Dall’altro lato della stanza due figura snelle discutevano animosamente, illuminati dalla luce lunare.
Riconobbe subito Harry, acchittato nel suo bel completo gessato color senape, e difronte a lui quello che non altri non poteva essere se non Draco.
Lo riconobbe dal luccichio della sua chioma alla luce lunare e dalla posa strafottente che aveva assunto, appoggiato contro il muro, come se Harry fosse stato appena un moscerino ronzante nell’aria a cui non dare troppa importanza.
 
- … Lumacorno era su tutte le furie, nessuno avrebbe dovuto essere nel parco a quell’ora e se le fosse successo qualcosa di grave… -
- … quel grassone stralunato avrebbe pagato le giuste conseguenze, se lo sarebbe meritato… -
- … beh invece sarai tu a pagarle per essere fuori dal dormitorio oltre coprifuoco. E puzzi di alcool, tra l’altro … –
 
- Harry! – chiamò Ania, interrompendo quell’inutile battibecco.
- Harry non è stata colpa sua… -
- Ania! Come stai? Ti fa male la… -
- No Harry sto benone, tranquillo. – rispose calma, spostandosi dal tocco di Harry sulla tempia.
- Senti io volevo venire alla festa, sul serio, mi dispiace, è che… -
- Lascia perdere la festa, ti sei evitata una gran rottura. Sono quasi stato contento quando ho saputo che eri qui. E’ stata una buona scusa per svignarmela – disse lui facendo sorridere Ania.
- Oh, quindi la tua presenza qui è puro egoismo. –
- Esattamente. Ma sono contento che stai bene. Cosa ci facevi con Malfoy piuttosto? –
 
Ania aprì la bocca per rispondere, ma la sua spiegazione rimase in sospeso, interrotta da un chiacchiericcio frenetico all’ingresso dell’Infermeria.
 
- … non è assolutamente orario di visite, mi dispiace! –
- Orario di visite? Non siamo ridicoli, è’ un’infermeria questa, non l’Ufficio del Winzengamot   -
 
La voce squillante di Madama Chips risuonò contrariata dall’ingresso dell’Infermeria ma Ania non riusciva in nessun modo a vedere con chi stesse parlando da dove si trovava.
 
- Va tutto bene professor Moody – esclamò Harry. - è stato solo un incidente, nessuno si è fatto male. –
 
Professor Moody.
Moody
Alastor Moody
Anche detto Malocchio Moody.
 
L’occhio scattante dell’Auror sfrecciò verso Harry, per poi passare al letto su cui era seduto, e al volto della sua occupante.
 
E Ania rabbrividì.
L’aria si ritirò dai suoi polmoni e una brutta sensazione prese a graffiarla dall’interno.  
I suoi occhi verdi si infossarono in quello blu elettrico del vecchio Auror.
In un attimo, il mondo divenne rosso di rabbia e sangue.
 
Avvertì la voce di Draco  emergere dall’oscurità, ironizzare sull’attacco sulla Maledizione dei Fuochi Pirotecnici, ma nessuno gli diede retta, meno che tutti Ania e Malocchio, impegnati a fissarsi, a riconoscersi.
Perché lui l’aveva riconosciuta.
Non c’erano dubbi al riguardo.
Si capiva da come indugiò su di lei con lo sguardo, da come il viso si tese in una smorfia di disgusto di vecchia data.
Il bastone sbattè sul pavimento in pietra, seguito da un passo, poi da un altro.
Ania vedeva e sentiva a rallentatore.
 
Stava sognando?
Malocchio era a pochi passi. Un paio di metri. Poi sempre di meno.
 
Va via.
 
Ania balzò in piedi dal letto come una molla, d’istinto indietreggiò contro il muro sbattendo contro il mobiletto degli strumenti di Madama Chips che tintinnò rumorosamente nel silenzio più totale.
Tutti ora guardavano lei e lei non vedeva altro che l’Auror.
 
Moody si bloccò a qualche metro da lei.
La sua bocca si deformò in un ghigno storto, deviato dalla profonda cicatrice che gli devastava il volto.
I suoi occhi scattarono da lei a Draco ad Harry e di nuovo a lei.
 
- Dannato Silente che ancora accoglie figli di Mangiamorte in questa maledetta scuola. – sussurrò arcigno
- Come osi? – sbottò Draco, punto sul vivo balzando in avanti.
- Oh non ti alterare giovanotto, non sei la metà del mio alluce destro per parlarmi in quel modo. –
- Lei non è la metà di me per uscire dalla casa di cura in cui dovrebbe rinchiudersi. Vecchio pazzo sanguinario. -
- Un Malfoy che chiama sanguinario un Auror è come folletto che chiama tirchio un centauro. E comunque, principessa, ti dispiacerà sapere che non parlavo di te. - gli sibilò Malocchio scimmiottandolo.
 
- Dico bene, Miss Wool? – disse burbero spostando lo sguardo su di lei
- Hm, credo si stia sbagliando professore, Ania è solo… -
- Solo la figlia di una delle più vili traditrici che il Mondo Magico abbia mai avuto, ecco chi è . Ma tu non lo sai, eh Potter… immaginavo…è una vergogna che proprio tu non abbia mai sentito parlare di Clelia Wool…-
 
- Stai zitto! – sibilò Ania, la voce strozzata dalle nella trachea, il respiro che si affannava, la disperazione divorarle i pensieri.
 
Malocchio doveva tacere.
Harry l’avrebbe odiata.
Non riusciva ne a muoversi, ne a pensare, ne a parlare, avvertiva solo l’odio più profondo e disumano inchiodarla al pavimento.
 
Era come non essere lì davvero e guardare le cose accadere dall’esterno.
Era di nuovo nell’armadio.
Di nuovo inerme dietro una serratura.
 
- Non capisco, che sta dicendo? Ania di che diamine sta parlando? Perché dovrei sapere chi è Clelia Wool? -
 
Domande, su domande, su domande.
 
Ania voleva morire in quel preciso istante.
Non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia, ad Harry. Vedeva la confusione totale sul suo volto e ciò la devastava.
Stava per andare tutto in frantumi.
Tra qualche secondo, lui l’avrebbe odiata irrimediabilmente .
 
- Harry… -
- Clelia Wool era molto vicina a tua madre, Potter, così tanto che Lily fece da madrina alla figlia se vuoi saperlo… -
- Cosa? –
- Alastor! –
 
I presenti si gelarono di colpo, completamente presi alla sprovvista dall’entrata di una figura nera.
Piton sventolò il mantello tra Malocchio e Ania, inchiodando l’Auror con i suoi occhi nero pece. Per una manciata di secondi sembrarono quasi una madre pronta a mettere in punizione il figlio.
 
- Davvero poco nobile per Auror punzecchiare ragazzine in un letto d’ospedale. –
- Non se le ragazzine sono state colte in flagranza di… -
- In flagranza di violazione del coprifuoco come qualsiasi adolescente di Hogwarts, primi fra tutti il nostro Signor Potter, e in ogni caso non mi risulta che ciò sia competenza di un Auror… a meno che non voglia farti avanti per il posto del nostro custode Gazza. – sibilò Piton, velenosamente ironico.
- Oh non pagherei quattro zellini per avere il tuo sarcasmo Piton, è carente quasi quanto la tua abilità nel lavarti i capelli. E comunque Potter se veramente vuoi saperne di più ti basta chiedere al tuo padrino a dirla tutta…-
- Non un'altra parola, Alastor!  E non un altro passo. – sibilò contro il faccione rugoso dell’Auror appena quello fece per avanzare.
 
- Oh non ci tengo, Piton. – scandì lentamente Malocchio. - Non ci tengo neanche un po' ad avvicinarmi a quella lì. L’ultima volta, c’ho rimesso un pezzo – con la punta del bastone si picchiettò sull’occhio finto, che schizzò impazzito dal soffitto al pavimento.
 
- Madama Chips ritiene che Miss Wool sia  in piena forma, nonché capacissima di raggiungere il suo dormitorio… - scandì Piton come se Malocchio non avesse parlato
- No! Voglio che qualcuno mi faccia capire cosa… -
- Ci vorrebbe tutta la notte per farle capire come sillabare il suo nome Potter… -
- Ma… -
- Cinquanta punti in meno a Grifondoro e voglio vedervi schizzare in dormitorio. Tutti. E adesso! –
 
Ania non se lo fece ripetere due volte.
Era nel panico.
Doveva camminare, scappare, nascondersi da tutti quegli occhi addosso.
Corse via, nel corridoio buio.
Fuori infuriava la tempesta e i vetri delle finestre oscillavano rumorosamente.
Era tutto finito.
 
Quella sera aveva perso quel po' di famiglia che le era rimasta.
Quella sera, aveva perso Harry.
 
 
 
 
 
XXIV
 
Dovevano essere le cinque e dieci di pomeriggio di fine Dicembre. O forse inizio Gennaio.
Era un mese corto comunque, di quelli che albeggia tardi e tramonta presto, di quelli in cui la luce non la vedi quasi mai, specialmente in Inghilterra, specialmente nel Lancashire.
Ania aveva le ginocchia gelide sul pavimento e stringeva un coltello da cucina tra le mani, tremando come una foglia per il freddo e per la paura.
Se ne stava accovacciata sotto il tavolo in legno, aspettando, sperando che sua madre rientrasse a momenti per smaterializzarsi insieme, per scomparire di nuovo.
 
Dovevano essere le cinque in punto quando Clelia aveva visto il termometro Scovamago oscillare.
Un affarino di vetro che avvertiva la presenza di Maghi nel raggio di tre chilometri, che non oscillava quasi mai in quel quartiere di Babbani ad Ancoats.
Eppure alle cinque di quel pomeriggio, era completamente impazzito.
 
- Mamma, perché fa così? –
 
Lei aveva sei anni, i boccoli già lunghi sulla schiena e la mente che viaggiava già veloce.
Sua madre si scostò la frangia dagli occhi e Ania vide i suoi begli occhi azzurri ingrandirsi preoccupati.
 
- Vado a vedere. Resta qua, non uscire per nessuna ragione. –
- Ma e se sono… -
- Sarà un Mago di passaggio. Ania resta qua. Ti vengo a prendere. –
- Giuralo. –
- Lo giuro su me e su te. –
- Ok, ti aspetto. –
 
Ania aveva annuito, fiduciosa ma preoccupata, mentre Clelia si infilava il cappotto e usciva, la bacchetta in pugno dentro la tasca.
 
Lei voleva fidarsi, davvero, voleva credere a quello che le aveva detto sua madre, e rimase buona sulla sedia a mangiare il suo yogurt.
Ma dovevano essere le cinque e sei minuti quando sentì il primo boato.
Degli urli. Stormi di uccelli che si alzavano in volo dai tetti.
La mano le scattò sulla lama del coltello sul tavolo. Sua madre ci stava tagliando il pane, pochi minuti prima. Sua madre, che sentì urlare in quel preciso istante nell’androne delle scale.
 
Il lampadario tremò dopo l’ennesimo boato.
Si buttò sotto il tavolo, cercando di rispettare quello che le aveva detto la mamma.
 
“Non uscire. Resta qua.”
 
Altre urla.
Riconosceva la voce di sua madre, tra quelle urla.
A volte sofferente altre volte pronunciare parole incomprensibili che sapeva essere incantesimi.
Stava lottando, lottando contro quelli che le avevano dato la caccia per quattro anni e che, alla fine, l’avevano trovata.

 
Dovevano essere le cinque e un quarto quando il silenzio spense i rumori.
Ania era immobile, paralizzata. Il coltello stretto tra le mani e il cuore in gola.
 
Poi dei passi.
Dieci passi, li contò.
La serratura scattò.
Erano lì, avrebbero preso anche lei. Le avrebbero prese entrambe.
 
La porta si aprì di colpo e Ania tirò un sospiro di sollievo mentre sua madre si chiudeva repentinamente la porta alle spalle. Aveva i capelli elettrizzati e il sangue le colorava le labbra e il volto.
 
- Ania. – sussurrò - Chiuditi nell’armadietto della credenza. –
- Mamma dobbiamo andarcene.. –
Un sorriso amaro socchiuse gli occhi di Clelia, ancora ansimante contro la porta.
 
 -E’ troppo tardi, tesoro mio. –
 
BOOM
 
La parete del loro soggiorno scoppiò in mille pezzi. L’aria divenne pesante, sapeva di pece e intonaco.
Ania gettò tutti i piatti fuori dalla credenza approfittando del boato dell’esplosione e vi si chiuse dentro.
Ci furono dei movimenti che lei non colse, qualcosa di legnoso cadde a terra e rotolò sul pavimento.
Probabilmente la bacchetta di sua madre.
 
- Io non sono la persona che stai cercando. – disse sua madre, una nota di dolore nella voce
- Oh, per quanto mi riguarda se avete un Marchio sul braccio siete tutti esattamente ciò che sto cercando. –
- Mi accusate di cose non vere, non avrei mai tradito Lily e James… -
- Non sprecare fiato Wool, la questione dei Potter è risolta da un pezzo. –
- Neanche Sirius l’avrebbe mai fatto, avete l’uomo sbagliato. –
- Oh romantico… scommetto che Tu- Sai- Chi vi ha promesso una dolce residenza in campagna per due vili serpi come voi… -
- Nessuno dei due ha mai servito Tu-Sai-Chi, eravamo DEVOTI ai Potter… -
- Un gran mucchio di stronzate! Non credo ad una sillaba…  –
- ….non mi importa se mi credi o no, deciderà il Winzengamot, accetterò il Veritasserum, Silente saprà che non dico menzogne. –
- Silente non ascolterà una parola uscirà dalla tua bocca. –
 
L’anta dell’armadietto scricchiolò leggermente ma nessuno parve farci caso.
Ania ora vedeva la scena, anche se avrebbe voluto essere ceca in quel momento.
Vide sua madre in ginocchio, mani in aria, in piena resa. Un uomo grosso, di cui vedeva solo i piedi le stava di fronte. Aveva un lungo mantello viola, ricamato d’oro.
La divisa degli Auror, ne era certa.
Ma se era un Auror perché invece lisciava la bacchetta con la manica destra e parlava in quel modo?
Perché sembrava volesse attaccarla piuttosto che arrestarla?
 
- Tu non puoi… - biascicò sua madre, comprendendo qualcosa che ad Ania sfuggiva.
- Sono quattro anni che ripuliamo le strade di Londra da ex-Mangiamorte. Quattro anni che indaghiamo e seguiamo e scoviamo assassini e li portiamo a processo. Quattro anni che vedo tra i più schifosi bastardi che il nostro mondo abbia mai visto MENTIRE spudoratamente e tornare a camminare a testa alta... -
- IL PROCESSO E’ UN MIO DIRITTO. –
- I TUOI DIRITTI sono finiti nel momento stesso in cui hai scelto di stare con gli infami del tuo calibro. –
 
La bacchetta sferzò l’aria e Clelia rantolò quando un profondo taglio le scalfì la guancia.
 
- Silente è troppo buono per vedere la realtà dei fatti. Mangiamorte una volta, Mangiamorte per sempre. Questa è la verità. E c’è un unico modo per mettere fine alla questione. -  disse serio, come un giudice che proclama la sua sentenza.
Ania vide la manica viola dell’Auror puntare la bacchetta contro il volto pieno d’odio di sua madre.
 
- Non sei diverso da quelli a cui dai la caccia Malocchio. – bisbigliò Clelia
- Oh, io sono molto diverso invece. Io agisco per il Bene Comune… e per il bene del Mondo Magico ti condanno alla pazzia. Crucio! –
 
Dovevano essere le cinque e venti quando l’aria si riempì delle grida di dolore di sua madre.
Ania non le avrebbe mai dimenticate, quelle urla, ne il dolore che provò nell’infilzarsi le unghie nelle tempie mentre cercava disperatamente di tenere fuori dalle sue orecchie quel suono doloroso.
 
Sua madre urlò e urlò ancora, fin quando ebbe fiato in corpo.
Un rantolo sommesso scappò dalle labbra di Ania senza che nemmeno se ne accorgesse.
 
E ci fu il silenzio, interrotto solo dal mugolio debole di Clelia.
Poi due, tre, quattro passi.
Delle dita grassocce si infilarono improvvisamente nella fessura dell’armadio e Ania sobbalzò, terrorizzata.
L’anta si aprì del tutto, e un grosso volto pieno di cicatrici si affacciò al suo interno e per la prima volta Ania vide il volto di Malocchio Moody, colui che stava torturando sua madre a pochi metri da lei, colui che probabilmente l’avrebbe uccisa.
Lo odiava.
Ogni parte del suo corpo lo odiava.
La lama che ancora teneva stretta in mano, lo odiava.
E con tutto quell’odio concentrato tra le dita sferzò il coltello contro quel volto, centrandolo nell’occhio, e godendo suo malgrado nel sentire la lama perforare la cornea e vedendo il sangue zampillare copioso su quel volto deformato.
 
L’ultima cosa che vide fu Malocchio Moody urlare di dolore, una mano a tenersi strettamente l’occhio deturpato nel cranio e il sangue che scorreva a fiumi tra le sue dita.
Fece appena in tempo ad intravedere sua madre sul pavimento, prima che due mani snelle la afferrassero di forza per i capelli, prima che un secondo Auror apparso da chissà dove la trascinasse lontano da lì, in un turbinio di tessuto viola e dorato.
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Miele ***



miele


 Ania era schizzata fuori dall’Infermeria prima ancora che Piton avesse finito la frase.
 
Draco si era buttato al suo seguito, infilandosi nei bui corridoi illuminati dai lampi, cercando buffamente di raggiungerla senza però starle troppo addosso.
La sentiva respirare forte anche a metri di distanza, avvertiva il suo panico lasciare una scia dietro di lei, come una cometa nera.
 
Nonché lui fosse poi molto più lucido della ragazza.
Aveva la testa completamente in subbuglio, come se lo avessero sbattuto forte contro il muro.
Eppure, allo stesso tempo, le cose non gli erano mai sembrate così chiare.
 
Ecco il perché!
 
Ecco il perché della conoscenza singolare di Ania su Azkaban.
Ecco il perché della segretezza che aleggiava intorno alla storia familiare.
Ecco il perché di quel feeling strano, di quel senso di comprensione che aveva provato poco prima al Lago.
 
Ne conosceva di figlia di criminali, primi fra tutti Tiger e Goyle, ma non aveva mai incontrato nessuno che vivesse quella situazione con il suo stesso stato d’animo, con la sua stessa lucidità.
Beh, nessuno almeno fino a quella sera.
 
Ania Wool, infatti, era una che capiva la sofferenza. Capiva la lotta tra vergogna e orgoglio.
Capiva l’amore verso un genitore che ha le mani sporche.
 
Eppure Ania correva ancora e scappava nell’oscurità su quell’argomento come nei corridoi in quel preciso momento, e quando la perdeva di vista gli saliva una rabbia in corpo che che nemmeno lui sapeva perché.
 
Cazzo fermati.
Parliamo.
Spiegami!
Raccontami di come siamo simili.
Raccontami di come soffri, che soffro lo stesso anch’io.
Che ce la potremmo dividere, sta agonia.
 
Mentre scendeva l’ultima rampa di scala verso le segrete, tutte quelle parole che avrebbe voluto dirle gli frullarono in testa con un battito d’ali, parole che sapeva non avrebbero lasciato la sua bocca, perché troppo intime, troppo sue.
 
- WOOL! La pianti di correre?!- urlò mentre Ania scompariva oltre l’arazzo del Dormitorio senza rallentare di un secondo.
 
Dio santo!
 
- WOOL! –
- Lasciami in pace! –
- Col cazzo! Non ti azzardare a mettere un piede su quella scala! – sbraitò in preda ad una crisi di nervi mentre quella attraversava di corsa la Sala Comune.
 
La superò velocemente e si interpose tra lei e la scala per il dormitorio femminile a braccia aperte.
Ania aveva le gote arrossate e gli occhi lucidi, i capelli sciolti e il vestito scomposto. Tutto di lei in quel momento rifletteva ciò che provava.
Era distrutta.
Gli venne quasi voglia di abbracciarla.
Ma quella roba strana al petto passò subito.
Lui non abbracciava nemmeno sua madre.
 
- Sembri una pazza isterica -
- Oh, grazie ne terrò conto !- replicò amareggiata tentando di schivarlo
- E una bambina! Anzi una serpe, come dicevo prima. Non puoi scappare sempre dalle situazione ficcando la testa sotto la … -
- Ho detto lasciami in pace! –
 
Ora era furiosa anche lei e con un movimento veloce lo superò all’improvviso.
 
- Sei una debole, Wool! E sai una cosa? Sei anche una stupida, perché a me dovevi dirlo da subito! –
 
Ania si bloccò a metà strada, le mani che le tremavano convulsivamente.
 
- Perché?– sbottò guardandolo, la diffidenza che le sgorgava dagli occhi verdi.
- Perché avrei dovuto raccontarti dei peggiori ricordi che ho? Dei più orridi segreti che devo, da sempre tenere per me?  No, Draco, non avrei mai potuto e benchè meno dovuto dirtelo. –
 
Tra le parole che disse Draco sentì quelle che Ania non osava proferire, quelle che davvero le davano i tormenti.
Era come se si fosse messa una cancellata di ferro davanti e per qualche motivo lui riuscisse a vedervi attraverso.
 
Sospirò, ignorando completamente le sue parole.
- Non affliggerti così Wool, sei patetica… l’hai detto tu no? Potter non potrebbe mai capire, se è quello che stai sperando, e non prendertela con me per questo. –
 
Ania lo guardò ad occhi sbarrati ed abbasso lo sguardò.
Aveva fatto centro.
L’aveva letta bene.
 
- Lui deve capire. – sussurrò
-No, non lo farà. Completamente escluso. E tu lo sai meglio di me. Non andrebbe mai in giro con la figlia di una Mangiamorte, no, se ne vergognerebbe troppo, come te ne vergogni tu. –
- Io non me ne vergogn…-
- Oh si invece, ed è questo che ti rende patetica. Se per te tua madre ha fatto qualcosa di buono nella vita, allora non si merita di essere uno di quei segreti di cui parli tanto. Dovresti andarne fiera, e invece eccoti qua. –
 
Nonostante il disprezzo che ostentava nelle sue parole, Draco provava tutt’ altro.
Lo diceva a lei, lo diceva a se stesso nello stesso istante.
E più che disprezzo, provava solo tristezza.
 
Ania inspirò, ed espirò lentamente.
Vedeva la sua testa affollarsi di pensieri, il respiro calmarsi, e le gambe tremare un po' meno.
D’improvviso si appoggiò con le spalle al muro in pietra e con una mano si accarezzò gli occhi, premendosi forte la tempia sana.
 
- Sono così… stanca. – sussurrò.
Tre sottili parole con la pesantezza di un macigno.
 
Lo so.
Lo vedo.
Lo sento.
 
Draco le si avvicinò piano, sicuro che non sarebbe scappata di nuovo.
 
Non sapeva come comportarsi. Si sentiva un idiota.
C’erano solo loro due, emotivamente provati da una giornata terribile, in una Sala Comune deserta e scaldata dalle fiamme guizzanti del grande camino in pietra, mentre all’esterno la tempesta risuonava forte.
Tutto mielosamente e terribilmente romantico.
 
Ania sospirò di nuovo, distogliendolo da quei pensieri.
- … sono così stanca di sbagliare sempre tutto. – continuò lei, la voce sottile ma calma.
- Beh, hai accoltellato Alastor Moody in un occhio. Io ne sarei piuttosto soddisfatto se fossi in te. –
 
Un incosciente sorriso spuntò sulle labbra di Ania, le dita ancora a coprirle il volto.
Draco le scostò la mano dalla faccia e Ania aprì gli occhi.
Avvertì un peso allo stomaco e la gola secca.
 
Che cazzo di occhi hai.
 
- Hai finito con le sceneggiate isteriche?sussurrò lasciandole la mano di botto.
Ania sorrise ancora, quel mezzo sorriso accennato che era bello e raro, ed annuì, visibilmente più rilassata.
Strinse le labbra e le inumidì un paio di volte, come se cercasse di dire qualcosa e non ci riuscisse
 
- grazie, Draco. – sussurrò poi.
 
Ania si stava congedando, con quel grazie.
Non se lo ricordava un grazie cosi pieno.
Cosi sentito!
 
E quando Ania si staccò dal muro per andarsene, il suo corpo reagì d’istinto.
 
La sua mano scattò sul suo polso impedendole di allontanarsi.
La tirò per la vita e non prese nemmeno fiato quando la baciò.
 
Vorrei potervi descrivere cosa successe nella sua testa in quel momento, ma sarebbe impossibile.
Non vi era un pensiero nella testa di Draco. Semplicemente il suo cervello aveva smesso di funzionare.
Sentiva solo la sensazione rovente della pelle contro la pelle, della lingua avida, del batticuore frenetico e dell’ondata di piacere che lo invase da capo a piedi.
 
Era l’alcool di tutta una serata.
Era lo stress di un giorno di fuoco.
Era l’improvvisa empatia con una mezza sconosciuta.
Era la voglia morbosa di fare a brandelli quel vestito bianco.
Era il respiro mozzato di Ania che sentiva addosso.
E le sue mani fredde d’improvviso sulla sua schiena.
E il suo corpo snello schiacciato tra lui e il muro.
 
Un tuono colpì la terra, i cristalli tremarono. Neurone ritrovò neurone.
Il cervello si attivò come una macchina a cui era stata riattaccata la spina.
Sentì le conseguenze e le paranoie farsi forti sugli ormoni, e si staccò di colpo .
 
- Senti Wool... – sbottò, ansimando.
–… se non te ne vai non so che ti faccio.... –
- Tipo? – ansimò lei di risposta, la faccia rossa, il vestito sbottonato a scoprirle parte del petto.
 
Tipo?
Come tipo?

 
- “Tipo”? –
- Si, tipo cosa? –
- Tipo… -
 
Tipo farti male forte.
 
- … tipo farti male forte. –  
Cazzo, non voleva dirlo, l’aveva solo pensato. Perché gli era uscito di bocca?
 
- Bene, allora… allora è meglio che vada no? – parlava veloce, parlava poco convinta, parlava che era rossa in volto e le mancava il fiato.
 
- Si meglio dire… –
 
Annuirono entrambi ma si erano presi in giro da soli.
Ania non se ne andò, ma gli leccò le labbra.
E lui non la mandò via come avrebbe voluto, ma le sfilò il vestito da una spalla con uno strattone e poi anche l’altra, e lo tirò giù, lasciandola mezza scoperta, fino al ventre.
 
E se la divorò senza pensare al casino che era successo poco meno di un’ora fa, perché onestamente in quel momento non glie ne fregava niente.
Sapeva solo che la pelle di Ania sapeva di miele.
E a lui il miele piaceva da morire.
 
 
 

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Capitolo 13
*** Polaroid. ***



polaroid



  
XXVII
 
Rilassato.
Quando Draco aprì gli occhi si sentì profondamente rilassato.
Ed era da un po' che non si sentiva così.
 
SI stiracchiò rumorosamente, sentendo diverse ossa scricchiolare nel silenzio della sua bella camera.
 
Ania, ovviamente, non era più affianco a lui, lo sapeva ancora prima di aprire gli occhi.
L’aveva infatti sentita sgattaiolare via dalle coperte qualche ora prima , ma non aveva osato aprire gli occhi per dirle alcunché.
Insomma, perché avrebbe dovuto farlo?
 
Avevano scopato.
E fino a qui, tutto regolare.
E gli era piaciuto, ok.
Ed era stata una bella nottata ma, nulla di più.
Insomma, non erano mica fidanzatini ora?
 
E poi era una tranquilla, non avrebbe spifferato nulla in giro.
Ci avrebbe parlato prima delle vacanze, cosi, giusto per chiarezza.
Dopotutto, gli piaceva parlare con lei. Ed avevano ancora il progetto della McGranitt in corso poi.
Oltretutto lui ora era l’unico “amico” che le fosse rimasto, quindi non aveva scuse… niente più Harry tra i coglioni.
E poi se ci scappava un qualcosa in più tanto meglio…
Si morse un labbro, colpendosi mentalmente da solo con una mazza chiodata.
 
No Draco, no!
 
Voleva parlarci e scoparci nella stessa misura, e ciò non andava affatto bene.
 
Si sfilò le coperte da dosso con uno strattone, sbuffando, con un’unica certezza nella testa.
Doveva stare lontano da Ania Wool.
 
 
XXIX     
 
Era sola in Biblioteca.
Nessuno si sarebbe azzardato a studiare ad un giorno dalle vacanze di Natale ed è per questo che ci era andata.
E poi, si stava da Dio.
In pieno contrasto con l’acquazzone della notte precedente, quella mattina un sole placido splendeva sui prati di Hogwarts colorandoli di oro.
Chiuse gli occhi, lo sguardo rivolto oltre la vetrata, concentrandosi sul lieve calore che le accarezzava le guance.
 
Stava tentando in tutti i modi di non pensare a nulla, di svuotare il cervello.
Tra due giorni avrebbe lasciato Hogwarts per un po', e quasi non vedeva l’ora.
L’unica urgenza che aveva era parlare con Harry il prima possibile, e poi gli avrebbe lasciato tutto quel tempo per pensare alle sue parole.
 
Mia madre amava tua madre.
Non è mai stata sul serio una Mangiamorte.
Non li ha mai traditi.
 
Sarebbe stato un discorso difficile da fare. Doveva trattenere tra le righe tutte le congetture spinose che si era fatta negli anni, MA allo stesso tempo, doveva essere quanta più chiara possibile per fargli capire che diceva la verità.
 
Amava sua madre, le avrebbe reso onore, non l’avrebbe nascosta, ed Harry avrebbe capito!
 
Una fitta al petto le ricordò a chi ore prima le aveva detto esattamente l’opposto.
Draco.
 
Si sistemò meglio sul davanzale della finestra e sospirò forte.
Sentiva ancora una forte pressione sulla pelle, come se i loro corpi fossero ancora attaccati l’uno all’altro. Se si passava la lingua sulle labbra sentiva ancora il sapore della sua bocca sulla sua.
 
Un brivido la riscosse e inspirò forte, ancora.
 
Torna al presente, Ania.
 
Se ne era andata prima ancora che lui si svegliasse , quella mattina, era stata attenta a non fare rumori, a passare inosservata.
Era stata quasi sicura di aver sentito un rantolo di sorpresa alle sue spalle appena messo un piede fuori dalla camera di Draco, ma chi sarebbe mai dovuto essere sveglio alle sei di mattina di una domenica come quella?
 
Era solo molto molto suscettibile, e molto scossa.
Si sentiva vulnerabile, ecco.
 
Si era spogliata dei panni e delle paranoie per una notte.
Non doveva incolparsi per questo.
 
Gettò le gambe oltre il davanzale e scese con un saltello.
Guardò il pendolo al muro, erano le undici passate.
Se era fortunata poteva intercettare Harry che usciva dalla Sala Grande.
 
Siamo una famiglia.
 
Si ripeté mentalmente mentre varcava la porta della Biblioteca.
Avrebbe capito.
Con le giuste parole, avrebbe capito.
Giusto?
 
 
XXX
 
I corridoi erano pieni di studenti, urlanti e saltellanti di felicità.
Ania odiava quell’entusiasmo, principalmente per il chiasso snervante che ne derivava.
 
Ma una nota positiva c’era. Tutti erano così contenti che badavano solo ai fatti loro.
Eppure per qualche motivo quella mattina le sembrava di avere gli occhi di tutti attaccati addosso.
Risatine, sussurri… li vedeva ad ogni angolo.
 
Sei piena di paranoie, datti una calmata.
Sarà per l’incidente con i fuochi di ieri notte…
Né Harry né Malfoy sono cosi stupidi da spifferare roba seria in giro, no?
 
No?...
Mentre verso la Sala Grande quell’ansia improvviso la scosse da capo a piedi.
Piton l’avrebbe uccisa se l’intera scuola fosse venuta a sapere chi era sua madre…
 
Una risatina remota le salì dallo stomaco.
 
Stupida!
 
Piton l’avrebbe uccisa in ogni caso, non appena avrebbero rimesso piede in casa l’indomani. Era un miracolo che non fosse andata a prenderla per i capelli quella mattina stessa!
 
Aveva appena un giorno di vita quindi. Bene!
Altro motivo per darsi una mossa a trovare Harry.
 
Afferrò la cartafreccia che portava in borsa e appoggiandosi al muro scribacchiò con la piuma sulla superficie.
 
Hai le tue ragioni.
Lascia che ti spieghi le mie.
 
Ripiegò velocemente il bigliettino e dopo aver scritto il destinatario sul retro, lasciò che il pezzo di carta schizzasse sul pavimento pietroso del castello.
L’inchiostro sulle dita e il cuore in gola.
 
 
 
XXXI
 
 
Il pomeriggio passò lentamente, pensiero dopo pensiero, ansia dopo ansia.
 
Che poi ci togli la S  ad “ansia” ed esce il mio nome. Ed ecco qua.
 
Sospirò piano mentre osservava il soffitto stellato della Sala Grande, attendendo l’arrivo di Harry.
Beh, se mai fosse arrivato!
 
Eh si perché contro ogni previsione negativa, Ania aveva avuto risposta al suo bigliettino poco dopo averlo fatto sfrecciare ad Harry.
 
Se vuoi parlare, ascolterò
Ma spiegazioni, non menzogne.
 
E lei non vedeva l’ora di fornirgliele quelle spiegazioni.
 
Alle quattro e mezza, ci incontriamo in Sala Grande.
 
Così gli aveva scritto Harry, e lei, puntualissima, si era presentata all’appuntamento con le migliori speranze.
Eppure era passata più di mezz’ora, e di Harry nessuna traccia.
 
Le candele salivano e scendevano in una lenta danza incantata, dettata dal sortilegio di Silente che le manteneva ancora su.
Dopo aver passato più di mezz’ora a fissarle, Ania iniziò ad odiare quelle candele.
Iniziò ad odiare la loro cera sgocciolante, e l’odore di marcio antico che emanavano.
Iniziò ad odiare persino i tavoli e le panche scomodissime della Sala Grande.
E la Sala Grande stessa!
In quel momento odiava tutta Hogwarts.
 
L’unica cosa che l’aveva mantenuta in quel castello per sette anni era stato Harry, e ora che lui l’aveva chiusa fuori, non vedeva nessun senso in tutto ciò.
Provava solo odio per tutto quel resistere, inutilmente.
 
Un moto di rabbia improvvisa la fece scattare in piedi.
Ogni passo avanti che faceva la buttava in un buco nero, ogni volta più profondo.
Perché il destino doveva trattarla così? Non era giusto.
Forse doveva davvero lasciar perdere, come aveva detto Draco.
 
Draco.
Cazzo!
 
Chiunque abbia detto che il sesso allieva lo stress, signori miei, era uno che ne capiva di rabbia.
Graffi la carne dell’altra persona e ti senti più leggero.
Lo senti tirarti i capelli, e i problemi affogano tra dolore e piacere.
 
Per cosi dire, rilascio di endorfine nel sistema nervoso e il buco nero diventa un Harem.
 
Schizzò fuori dalla Sala Grande, senza sapere precisamente dove andare.
Non poteva sul serio andare da Draco, era un’idea stupida. No?
Si lo era, assolutamente.
Non da lei, soprattutto.
 
In preda ad una nevrosi si buttò nel primo bagno delle femmine che le capitò a tiro e si sciacquò freneticamente la faccia.
Si guardò allo specchio e per poco non sbandò.
La sua faccia era una tavolozza di mascara sciolto e gote rosse, un pagliaccio triste con i capelli mossi.
 
- Oh, fantastico- biascicò inumidendosi la manica della camicia con l’acqua e strofinando sotto l’occhio.
 
- Non credo che verrà via così. –
Una voce dietro di lei la fece sussultare e si voltò così veloce da farsi male il collo.
 
- … E comunque, il mascara sciolto non è il problema maggiore su quella faccia. –
 
Pansy sogghignò divertita dalla porta d’ingresso, i canini che spuntavano sulle labbra morbide e che la facevano somigliare terribilmente ad una iena.
 
- Pansy. Ti serve qualcosa? –
- No, nulla. – scrollò innocentemente le spalle quella, ricciandosi una ciocca di capelli con le dita, come se si trovasse li per puro caso.
- ma forse serve qualcosa a te… -  insinuò con voce melliflua.
Ania alzò gli occhi al cielo.
 
- Saresti l’ultima persona al mondo a cui chiederei qualsiasi cosa. – sbottò voltandosi di nuovo verso lo specchio.
Non aveva ne tempo ne voglia di stare dietro ai trucchetti di Pansy Parkinson.
 
- E invece io credo proprio che ti serva un consiglio sai? –
 
Mi serve un calmante, non un consiglio.
 
- Ah, davvero? – disse stringendo le labbra -E quale sarebbe, sentiamo? –
- Hm, solo cinque paroline…Non fidarti di Draco Malfoy. –
 
Il respiro di Ania si mozzò di colpo e la mano si fermò nell’atto di strofinarsi l’occhio.
Come poteva lei … non era possibile che sapesse che…
 
- Se ti stai chiedendo se so che avete scopato, si lo so, e lo sa anche tutta la scuola… -
 
Pansy prese a girarle intorno divertita, avvolta da una terrificante aurea di perfidia e malizia.
 
- … finalmente direi ce l’ha fatta a portarti a letto. Abbiamo scommesso che l’avrebbe fatto, quando a Novembre? Ottobre? Non ricordo ma, un bel po' di tempo fa… beh l’hai fatto sudare, c’è da darti questo merito.
E ora finalmente può godersi i suoi cento galeoni, alla fine. –
 
Il cuore di Ania prese a battere così forte da far sembrare lontano e soffocato qualsiasi pensiero.
C’era solo il suo battito, rullante, accompagnato dalla voce melliflua e cristallina della sua compagna di Casa.
 
- Oh, non fare quella faccia affranta. Sarà comunque un bel ricordo un giorno,no? Oh aspetta, ho proprio una cosa per te… -
 
Dalla tasca della divisa Pansy tirò fuori una foto piegata in due, e gliela poggiò sul lavandino, in modo che la vedesse bene.
Non che ci fosse poi molto da vedere.
La foto era tremendamente scura, ma delle opache chiazze di luce evidenziavano due corpi snelli intersecarsi ferocemente, in quello che, senza dubbio, era il letto di Draco.
 
- Beh, ce ne sono altre in giro per scuola, ma secondo me questa è tra le migliori. Non credi? –
 
Ania sentiva il cuore schizzarle in petto ad ogni parola. Il respiro di Pansy era cosi vicino da solleticarle l’orecchio e la sua risata così perversa da farle tremare le mani.
 
- Ci vediamo a Gennaio, Ninna Nanna. Ah, e Buon Natale se non ci sentiamo. – in un ultimo sfrontatissimo gesto di cattiveria, Pansy avvicinò le labbra alla sua guancia, lasciandole un bacio veloce, prima di dirigersi verso la porta.
 
Quel tocco, quel rapido fugace tocco, quella gocciolina minuscola fece, in quel momento, traboccare il vaso stracolmo del rancore di Ania.
E qualcosa in lei cambiò.
Le sembrò che il sangue non scorresse più nelle sue vene, che il cuore non pompasse più ossigeno.
Che la sua anima si fosse distrutta in mille pezzi e si fosse ricomposta in una nuova forma.
 
- Pansy. – bisbigliò, lo sguardo perso sulle mattonelle del pavimento.
- Aspetta. – continuò ancora, la mano che si stringeva attorno alla bacchetta nella tasca.
- Permettimi di
Restituirti
Il consiglio –
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Bambole ***


0
Pansy, voodoo doll, pic by me



 
 XXXI
 
Nessun mortale è saggio.
Nessun mortale è padrone del proprio essere.
 
Ania non lo era.
Non più, almeno.
 
Forse saggia non lo era mai stata,  ma solo
    silenziosa.
E ora invece sentiva una forte rabbia urlare a squarciagola dentro il suo petto giovane, e rimbombare tra le pareti del bagno del primo piano.
 
I suoi pensieri neri presero forma, assunsero forza e come un ombra invisibile spinsero la porta del bagno cosi forte da farla sbattere rumorosamente, da far tremare i candelabri.
La serratura scattò, Pansy rise.
 
- Ah, davvero Ninna Nanna? – esclamò divertita, voltandosi a guardarla, inconscia di cosa stesse per accadere.
-  Se vuoi giocare dovresti farlo con le bambole, tesorino, sono più alla tua port… -
 
Portata.
Pansy stava per dire “portata”, ma non lo fece. Non ci riuscì.
Quella parola rimase in sospeso tra le sue corde vocali, risucchiata via con tutto l’ossigeno presente nella stanza.
 
Sei tu la mia bambola dei giochi, Pansy.
 
Quelle parole sfiorarono la mente di Ania, mentre sulle sue labbra si dipingeva un sussurro orrido.
 
“Sicca ore”
 
La gola di Pansy prese a gonfiarsi, cosi tanto che le tonsille sfiorarono la mandibola.
Le vene del collo colorarono di azzurro e viola la sua pelle,  il suo volto divenne paonazzo, nel disperato tentativo di racimolare aria nei polmoni.
Si accasciò contro la parete fredda, le mani strette al collo e gli occhi colmi di lacrime di dolore.
 
Quando alzò lo sguardo verso di lei, Ania vide la paura dilatare le sue iridi scure, sgorgare sulle sue gote perfette e spalancare la sua bocca carnosa in un urlo senza suono.
E sapete una cosa?
Ania sentì il sangue di suo padre ribollire di piacere nelle vene, darle un brivido lungo la schiena e si sentì viva e forte come mai prima di allora.
 
Abbassò la bacchetta,  appena prima che Pansy perdesse i sensi.
 
Pansy respirò rumorosamente, mescolando gridolini e affanni mentre con le lacrime agli occhi riprendeva un colorito normale.
 
- tu! – esclamò con fatica, iraconda.
- tu… tu non sai cosa …questa è… -
- Magia Oscura, si… pericolosa, certo, ma sei fortunata. La padroneggio bene, non ti avrei lasciato morire. – disse Ania dolcemente, come se le avesse appena promesso di farle copiare i compiti di Trasfigurazione.
 
- TU sei PAZZA! – gridò Pansy, ancora inginocchiata sul pavimento sporco del bagno
- Oh no Pansyti sbagli - sussurrò Ania.
Ania si accovacciò affianco a lei, faccia a faccia, e Pansy si ritrasse di repente contro la parete, con uno squittio.
- …no. Sono perfettamente lucida, per tua fortuna. Oh, prima che mi dimentichi, ecco il mio consiglio… Stammi lontana o ti prometto che quello che ho appena fatto, lo rifarò, perché mi riesce davvero bene e perché mi diverte da morire vederti strisciare. –
 
La sua voce era calma, docile, ma quelle parole sussurrate fecero rizzare i peli sul collo di Pansy.
 
Ania si alzò in piedi e si diresse verso la porta.
 
- Ah e Pansy… Buon Natale. –

Con un’ultima intensa occhiata, Ania varcò la soglia, lasciando dietro di sé il fantasma di una se stessa, che ora non esisteva più.
 
 
 
XXXII
 
- Con permesso! –
 
Con un profondo respiro superò i tre ragazzini del primo anno che le impedivano l’accesso al binario.
Era giunto, finalmente, il giorno di lasciare Hogwarts, ed Ania non era mai stata più felice in vita sua di farlo.
 
Nella giornata appena trascorsa, Ania aveva visto crollare ogni singolo pezzo della sua vita ad Hogwarts.
Dopo l’incontro con Pansy, si era diretta verso la Sala Comune dei Serpeverde, ma appena prima delle segrete aveva intravisto Harry marciare nell’atrio ad occhi bassi.
Ania avrebbe voluto parlargli, sentiva la necessità di farlo, ma appena i loro occhi si erano incrociati, Harry aveva voltato le spalle ed era andato via, spalleggiato da un’indispettita Hermione Granger.
 
Lontano da lei.
Certo.
Comprensibile.
Era davvero troppo da digerire, per lui.
Prima lo schock dello scoprirla figlia di Mangiamorte, poi quello dell’aver fatto sesso con Malfoy.
Perché doveva averlo saputo, ovviamente, come tutto il resto della scuola.
 
Lei provava solo disgusto.
Per tutto.
Anche per se stessa, che per qualche momento aveva persino pensato di poter essere felice per una volta nella sua vita.
Illusa.
E l’amarezza si era fatta ancora più aspra quando era entrata nella sua camera in Dormitorio.
 
Tra i tendaggi verde smeraldo e le valigie sparse per la stanza, Millicent la stava aspettando nervosamente, dondolandosi sul posto e mordendosi le guance.
 
- Mi dispiace per questa faccenda di Malfoy – aveva detto appena l’aveva vista entrare.
- Già… perlomeno non si vede granchè nelle foto. Sto persino sperando di non essere davvero io… -
- Si invece! – aveva sbottato Millicent.  - Sei tu al cento per cento Ania, Malfoy l’aveva detto che avrebbe dato le foto a Blaise come prova per…-
- Malfoy, cosa? – Ania si era voltata di scatto, il cuore a trecento e il sangue in ebollizione. – Tu lo sapevi Millicent? –
- Io, io ero lì, era al tuo compleanno, quando hanno fatto quella roba della torta e… -
- Tu sapevi di questa schifosissima scommessa su di me, e non mi hai detto niente? –
 
Millicent l’aveva guardata come un cucciolo beccato a mordere le ciabatte, ma in Ania non era sorta nessuna pietà o compassione.
Non aveva mai considerato la loro una grande amicizia, ma nonostante tutto, provava un moto di lealtà nei confronti dell’unica persona con cui aveva stretto un rapporto li dentro.
Evidentemente, per Millicent, non era lo stesso.
Nessuno era dalla sua parte, alla fine.
 
Il treno soffiò rumorosamente, riportandola al presente.
Sbuffò ancora mentre un gruppo di ragazze strepitanti le bloccava l’ingresso al suo solito vagone.
 
Oh, diavolo!
 
Le ragazze si abbracciavano e ridacchiavano, e nonostante il treno fosse in procinto di partire, non accennavano minimamente a darsi una mossa.
 
Ania rinunciò ad aspettare e , valigia alla mano, si incamminò furiosamente verso il fondo del treno, sperando vivamente di trovare meno persone ad affollarle il cammino.
Una folata di vento e polvere la costrinse a chiudere gli occhi e per poco non inciampò su una gabbia di Gufo abbandonata sul marciapiede.
 
La borsa che portava in spalla le scivolò per terra, costringendola a fermarsi ancora.
 
- ANIA! –
 
Raccolse velocemente le poche cose cadute e riprese velocemente a camminare, sperando che quella voce sparisse tra le voci frenetiche della folla.
 
- DANNAZIONE WOOL, FRENA! –
- Lasciami in pace! –
- Il treno non è immenso, posso sempre cercarti negli scompartimenti se non ti fermi ORA. –
 
Prima che potesse anche solo pensare di replicare, Draco le fu davanti, bloccandole la corsa.
Dio che  bambino viziato!
Per la seconda volta in tre giorni le sbarrava il cammino e per la seconda volta in tre giorni Ania ebbe una gran voglia di infilzarlo con la limetta per le unghie.
 
- Che c’è? Vuoi qualche altra foto ricordo? Non ti bastano quelle che hai già? – sbottò, tentando di superarlo.
- Io non ho NESSUNISSIMA foto ricordo di te – replicò quello bloccandole di nuovo il passaggio  con fastidiosa facilità  - Quella nelle foto che girano è Pansy!  –
- Oh, e l’altro invece è Paciock , immagino… –
- No, l’altro sono io, non lo nego, ma diamine non ti riconosci nemmeno? Si vede che non sei tu! – disse velocemente Draco cacciando una polaroid dalla tasca dei pantoloni.
Gliela sbattè tra le mani ed Ania la guardò contro voglia.
Non era la stessa foto che le aveva mostrato Pansy.
L’angolazione era la stessa ma le pose erano diverse.
 
In questa la ragazza stava sopra, a cavalcioni, e osservandola bene, si poteva notare un taglio corto lontano anni luce dalla lunga chioma di Ania.
Era vero, chiaro come la luce del sole che non poteva essere lei.
Ma un altro dettaglio attirò l’attenzione di Ania.
Nella foto Draco faceva scivolare voracemente le mani sulla schiena nuda e biancastra di quella ragazza senza volto, in un gesto così familiare che il ricordo di quelle stesse mani le bruciò sulla schiena.
 
- ridicolo -
- Si, esatto, è quello che sto cercando di dire… -
- Tu sei assolutamente, ridicolo. –
 
Draco la guardò con le sopracciglia crucciate, probabilmente cercando di capire quale parte della sua difesa non fosse chiara alla ragazza.
 
- Hai capito qualcosa di quello che ti ho detto o no? -
- Sai una cosa Draco. – disse Ania alzando lo sguardo, il nervoso che le faceva tremare la voce.
- Per un momento, l’altra sera ho pensato davvero che io e te avessimo qualcosa da condividere. Ma noi non siamo uguali, no… io so bastare a me stessa. Tu invece, senza questo, non sei niente! . –
 
In un gesto veloce gli puntò la foto in petto, iniettando tutto il disgusto di cui era capace in quel rapido cenno.
E se ne andò.
E questa volta non si mise nemmeno a correre.
Draco non l’avrebbe seguita, perché forse ora la considerava una presuntuosa o forse perché, invece,  aveva capito anche lui una cosa fondamentale.
 
Ania aveva chiuso.
Aveva chiuso con quel binario, con quel castello.
Aveva chiuso con l’essere educata e con l’essere buona.
E soprattutto
Aveva chiuso con chiunque, anche solo per un momento, l’aveva fatta sentire
Felice
Ad Hogwarts.
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Orchidee. ***


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orchidee, pic by me



 
 XXXIII
 
 
Le orchidee.
Gli piacevano le orchidee.
Non tanto il fiore in sé, ma quello che gli ricordava.
Ovvero, sua madre.
 
Il perché era semplice.
Sua madre si circondava di fiori rari, preziosi, talvolta anche velenosi, ma sempre bellissimi da praticamente sempre.
Era la sua insospettabile passione.
E tra tutti quei fiori, le orchidee erano sempre state presenti sul loro tavolo da quando lui avesse memoria.
Guai se gli elfi si fossero dimenticati di metterne un mazzo fresco ogni giorno.
 
Eppure anche quel giorno, come da una settimana a quella parte, Draco guardò l’ennesimo petalo stanco abbandonare il proprio stelo e gettarsi sul tavolo in marmo.
 
- Non hai fame? –
 
La voce di sua madre gli arrivò lontano come fosse in un’altra stanza.  Beh, quasi quasi lo era.
Erano seduti ai due opposti del lungo tavolo da pranzo, a tre metri di distanza.
 
Draco giocava con il cibo.
Aveva lo stomaco chiuso da giorni e nessuna voglia di sforzarsi ad aprirlo.
 
- Tu ne hai? –
 
Sua madre abbassò lo sguardo sul suo piatto, mezzo pieno, punta nel vivo.
 
Era bella sua madre.
Nonostante il passare degli anni c’era ancora quella superba bellezza, quell’orgoglioso fascino di una donna Purosangue e aristocratica.
E nonostante il dolore degli ultimi tempi le avesse infossato le guance e appesantito le palpebre, Draco non l’aveva vista abbassare lo sguardo nemmeno un giorno.
Era forse, tra loro tre, quella con più forza.
 
Narcissa sospirò silenziosamente, incrociando le dita davanti a sé, con aria seria.
 
- Stai per mettermi in punizione, madre? – ironizzò lui abbozzando un sorriso, ma Narcissa non rise.
- Draco…- la sua mano lasciò la forchetta, e inconsciamente prese a ticchettare sul tavolo con le unghie.
 
- Draco è da un po' che penso che… -
 
Din Don
 
Il campanello rimbombò forte tra le pareti di casa, seppellendo le parole di Narcissa sotto quel suono.
 
- Non aprite! – ordinò la padrona di casa al nulla, sicura che gli Elfi in ascolto avrebbero eseguito il suo ordine.
Narcissa ritornò a lui, guardandolo intensamente.
Nei suoi occhi Draco scorse qualcosa che raramente aveva visto nello sguardo di sua madre, soprattutto nei suoi confronti.
Apprensione.
 
- Draco, restare in questa casa non è più sicuro, per te.- sputò fuori, come se quelle parole fossero un peso di cui volesse liberarsi il prima possibile.
Draco poggiò i gomiti sul tavolo e scostò malamente il piatto mezzo vuoto per portarsi in avanti, gli occhi fissi su sua madre.
 
- E per quale assurda ragione dovrebbe esserlo per te non per me, madre. –
 
Quasi si pentì del troppo astio nel suo tono. Il loro rapporto strideva di parecchio , ultimamente, e certamente sua madre non si meritava ciò, ma non ebbe il tempo di riformulare la frase in toni migliori, e né quello di ricevere una risposta, perché il campanello suonò di nuovo, seguito da un bussare animalesco contro il portone.
 
Boom
Boom
Boom
 
- Mia signora. –
Un elfo barbuto con i piedi nudi e le guancia scavate si palesò appena dietro la sedia di Narcissa, prostrandosi ai suoi piedi.
 
- Mia signora, visite… -
- Ho chiaramente detto di non aprire, elfo, non fartelo ripetere una seconda volta. –
- Si mia signora, ma… -
- MA? – tuonò Narcissa stringendo le labbra e scattando in piedi.
- Osi tu contraddire un ordine della tua padrona? –
- Mia signora, mai, mai, potrebbe Errold ma … - L’elfo indietreggiò di qualche passò, le gambe scosse da un tremolio. – … Errold non oserebbe mai scacciare la sorella della sua padrona. –
 
L’elfo si inchinò profondamente, iniettando di servilismo e terrore quel gesto, quasi conscio della punizione che gli sarebbe toccata per aver contraddetto una seconda volta la sua padrona.
Ma tale punizione, non arrivò.
Narcissa fu scossa da un brivido e si gonfiò in petto, sbarrando gli occhi e inspirando forte.
 
- Bellatrix… - bisbigliò.
- Si, mia signora. –
- Perché è qui? – intervenne Draco osservando interdetto la scena.
 
Narcissa si voltò di scatto verso di lui, come se si fosse ricordata solo in quel momento della sua presenza lì.
 
- Draco voglio che tu vada in camera tua. –
- Cosa? –
- E che tu raccolga l’essenziale in una borsa… -
- L’essenziale? E cosa dovrebbe essere l’essenziale secondo … -
- FA COME TI DICO! –
 
Un brivido lo fece tremare sulla sedia al sentire la voce della madre rimbombare perentoria e trafiggergli le orecchie.
Come un soldatino scattò in piedi prima di rendersene conto, e lasciò la stanza velocemente, scorgendo solo il profilo di sua madre ricomporsi in una maschera di altezzosità, mentre con voce roca ordinava all’elfo di fare entrare i visitatori.
 
 
 
 
 
L’essenziale in camera sua non esisteva.
Cioè, nel senso, tutto era essenziale per lui.
Dai quattro manici di scopa che aveva appesi alla parete, alle trapunte in cashmere, ai libri proibiti della collezione di suo padre.
Esattamente cosa avrebbe dovuto prendere? E soprattutto per andare dove?
No, sua madre non doveva essere seria.
Lui non avrebbe lasciato casa sua… figurarsi!
Doveva solo fare finta di starla a sentire, per una volta, riempire la sua borsa con qualche scemenza e poi tornare a svuotarla una volta che sua madre si fosse calmata e l’avesse piantata con quegli attacchi di panico.
Anche se…
Anche se per qualche cazzo di motivo sua zia era lì?
 
E non da sola poi.
 
Eh si, c’era qualcuno con lei.
Li aveva sentiti attraversare le scale, ridacchiare ferocemente e commentare rozzamente lo splendore di quella casa.
Erano in tre, almeno, sicuro.
E dicerto non bravi giovanotti di quartiere… no.
 
Aveva riconosciuto Greyback. Aveva imparato a riconoscere la sua voce  randagia e graffiante quando suo padre era ancora lì con loro, ed era ancora una delle punte di diamante dei Mangiamorte.
Una vita fa.
Anzi, una morte fa.
Tutto quel passato era marcito sotto terra da tempo.
 
Ora nessuno vuole più accostarsi ai Malfoy, né i buoni nè i cattivi.
Era questo che farneticava sua madre davanti al camino, quando, a notte tarda, pensava di non essere vista o sentita da nessuno.
Ma lui vedeva e sentiva più di quanto lei immaginasse.
E tutto quel baccano a cui stava assistendo quel giorno, non gli piaceva per niente.
 
Tre mutande,  due maglioni, due pantaloni.
Cofanetto della bacchetta, scarpe da passeggio e pugnalo d’avorio nero.
Il libro sull’ Incarnazione Umana nei Quadri che stava leggendo da giorni, una piuma di Grifone con il suo kit di inchiostri e un paio di guanti in pelle di drago.
Per qualche motivo inconscio, questo è ciò che finì nella sua borsa dell’” essenziale”.
 
Si infilò il cappotto e inforcò lo zaino sulle spalle.
Ecco, ora era pronto… e adesso?
Rimase fermo immobile nella sua stanza calda, tentando di carpire qualche rumore, ma nulla.
Le pareti erano troppo spesse e  lui troppo lontano dalla sala da pranzo per udire un fiato.
 
Col passo felpato di un fantasma uscì dalla sua stanza.
Non avrebbe dovuto origliare, ma sentiva che aspettare sua madre come un bambino annoiato non era la cosa giusta da fare.
 
Voleva solo capire perché aveva dovuto fare ciò che aveva appena fatto ecco… insomma, di cosa aveva così paura sua madre?
Suo padre era stato imprigionato, si, ma non se la sarebbe mica presa con loro, il Signore Oscuro.
Erano Purosangue e non gli avrebbero recato mai nessun danno, non c’era motivo di sentirsi minacciati.
Eppure, Draco sentì questa certezza affievolirsi dentro di sé ad ogni passo che compieva verso la sala da pranzo, ad ogni parola che mano a mano, gli arrivava più chiara alle orecchie.
 
- … spero tu abbia pensato a quello che ti è stato detto, Narcissa. –
- Non c’era nulla a cui pensare, Antonin. –
 
Dolohov.
Antonin Dolohov.
Stupratore di Babbane.
Raccapricciante essere mezzo strabico e dalla dubbia igiene.
 
- Pessima risposta, Narcissa. -
- Oh sta zitto, Dolohov, mentecatto rimbabito. Narcissa non è stupida, sa perfettamente cosa fare . Su Cissy, chiama Draco, ne sarà entusiasta anche lui, vedrai! –
 
Draco si bloccò all’istante.
Il suo piede destro non aveva ancora toccato terra, e rimase sospeso per qualche secondo prima che il cervello gli ricordasse come si fa a camminare.
 
Zia Bella.
 
Il tono folle di sua zia gli dava i brividi. Una voce un tempo soave, distorta e distrutta da anni di squilibrio e sangue .
E ora, quella voce malefica, pronunciava il suo nome, con una sorta di dolcezza, che sapeva di veleno e che gli agghiacciò i pensieri.
 
Un rumore di passi si avvicinò alla porta e Draco si nascose dietro una tenda di velluto nel corridoio.
 
- Bellatrix! –
La voce di sua madre bloccò quella serie di passi. Draco tirò un sospiro di sollievo, subito rimpiazzato dal panico appena la sentì parlare di nuovo .
 
- Ho deciso si, ma non quello che immagini. –
 
Silenzio.
Dieci secondi di interminabile silenzio.
 
- Cissy? Cissy no, tu , tu non puoi non rispettare ciò che vuole il Signore Oscuro, no. Non si fa così, sorella… Oh si arrabbierà moltissimo, sono assolutamente allibita che tu possa anche solo pensare di non farlo. –
- Oh, io invece non lo sono per nulla. PER NULLA! I Malfoy hanno voltato le spalle al Signore Oscuro nel momento stesso in cui Lucius Malfoy ha cinguettato come un uccellino tra le gabbie di una cella... –
-  Infanga di nuovo il nome di mio marito, Greyback, e quella tua bocca putrida si ritroverà senza lingua prima di sera. Sei sotto il mio tetto, ti ricordo! –
- A meno che il tuo tetto non nasconda un esercito, Narcissa Malfoy, sono io che consiglio a te di stare zitta , prima di rendere quel bambino capriccioso di tuo figlio un povero orfanello…AH! –
 
Draco sentì Greyback imprecare di dolore e probabilmente sbattere contro una sedia.
 
- Come osi tu, uomo/ scimmia, rivolgerti in quel modo ad una Black. Uhm uhm . No, no, no c’è solo dell’incomprensione qui. Narcissa, pensa bene prima di parlare. Ricordati chi sei , onora i tuoi cognomi!–
 
A Draco parve che l’aria si fosse gelata.
Ogni parte del suo corpo era tesa, in attesa di ciò che sua madre avrebbe detto, in attesa di capire, mentre l’ansia e la paura divoravano ogni cellula del suo corpo.
 
- Si, Bella. – disse infine sua madre, voce fredda e, Draco ne era sicuro, sguardo fiero  – Ho pensato accuratamente a quello che mi hai detto. E ora, come allora, ti rispondo che mio figlio
Non è
Merce di ricatto. –
- Non c’è nessun ricatto Cissy. Draco DEVE essere Marchiato. Combatterà con noi. Sarà un esempio valido, per i suoi coetanei, e sarà premiato per ciò. Grandi onori gli sono stati promessi. Il Signore Oscuro mantiene sempre la sua parola. Onore per voi e libertà per Lucius!  –
 
Il mondo gli cadde addosso, mentre la mano scattava sulla bacchetta e la teneva ferma nonostante le mani sudate.
 
Sua zia aveva sputato il rospo.
Quello, signori, era un ricatto, e lui era la merce di scambio.
 
Draco, in cambio di Lucius.
O in un’interpretazione ancora più tetra e tristemente plausibile, Draco in cambio della vita di tutta la famiglia Malfoy.
 
Il Signore Oscuro li stava punendo.
 
- Draco non verrà, Bellatrix… -
- Il No non è una risposta gradita, Cissy. –
- … e ti prego di condurre i tuoi amici fuori di qui, sorella…. –
- …AH, non farò cadere il nome dei Black ancora più in basso. Un giorno mi ringrazierai, “sorella”… -
- Bellatrix! –
- …se non lo fai tu, lo farò io… -
- NO! –
 
Un tonfo sordo e il suono di mille vetri andati a pezzi ruppero quella quiete di piombo.
Sua madre aveva reagito, sua madre aveva attaccato, sua madre adesso, era da sola in una stanza con tre tra i più crudeli Mangiamorte della storia del Mondo Magico.
 
Draco scattò come un fulmine contro la porta della sala da pranzo.
Bacchetta alla mano, cuore in gola.
Vide sua madre guardarlo inorridita, gli sguardi di tutti puntati su di lui, ma non ci fu tempo di analizzare oltre la scena perché con un gesto veloce del braccio Antonin Dolohov afferrò la sua bacchetta, scagliando un raggio di luce azzurra verso di lui con un urlo feroce.
 
Narcissa gli si scagliò davanti, Draco sentì il tessuto del suo abito lacerarsi e il terrore gli logorò le viscide.
La afferrò per le braccia giusto prima che cadesse in terra e nel farlo le sue mani si intinsero di un sangue scuro e denso.
Non lo sapeva ancora, ma non avrebbe mai dimenticato quel momento per tutta la sua vita.
 
Reagì d’istinto.
Vide sua zia alzarsi dal pavimento, scrollarsi di dosso frammenti di legno e vetro, vide Dolohov gettarsi addosso a lui, e Greyback sfoderare anche la sua di bacchetta con un sorriso malefico e poi dal profondo del suo stomaco sentì il ruggito, rabbioso e feroce della sua rabbia trasformarsi in potere e invadergli le vene, la carne, la pelle, fino alla punta della bacchetta, fino al lampo abbagliante e violaceo che accecò i suoi avversari.
 
- ARDEMONIO-
 
Sentì il rimbombo.
Sentì il calore.
Sentì le fiamme e l’odore di carne bruciata.
E sentì lo strappo allo stomaco che lo stava trascinando via.
Via dalla sua casa adorata.
Via da quella dimora che fino a quel momento, aveva considerato il suo porto sicuro.
 
 
XXXIV
 
 
Chiuse la finestra, forse con più forza del dovuto.
Il vetro oscillò pericolosamente e nello stesso istante un piccione scappò dal loro tetto, spaventato.
 
Il cielo inglese pareva presagire una tetra giornata senza sole.
Le nuvole erano condensate in un unico fitto strato incolore, e il vento soffiava grigiore e tempesta sui tetti delle case di Spinner’s End.
 
Ma a dirla tutta, il cielo non era poi cosi funesto se paragonato ai pensieri di Ania.
 
Era chiusa in casa da due settimane, tanto per iniziare.
E la monotonia ballava un tetro valzer con il silenzio, nel suo cervello di adolescente.
Si, avete capito bene, proprio il silenzio.
Non appena aveva messo piede in casa, due settimane prima, Piton le aveva rivolto una sola, singola occhiata velenosa.
 
- In camera tua!
 
Le aveva detto.
E quella era stata l’ultima volta che Piton le aveva rivolto la parola.
Oltre che a sentirlo poco o nulla, lo vedeva piuttosto raramente.
 
Il più delle volte si chiudeva nel suo studio o lasciava la casa per giorni, senza dare alcuna informazione di dove andasse o cosa facesse.
Beh, nulla di nuovo comunque.
Ania sapeva ben poco degli affari del suo tutore, e nonostante la noia, tutto quel tempo in completa solitudine aveva iniziato a starle piuttosto bene.
Aveva a disposizione una casa intera, e soprattutto, aveva a disposizione lo studio di Piton, con annessa biblioteca privata.
Ah, che sogno la biblioteca di Severus.
Il reparto proibito di Hogwarts era una saga di fumetti per bambini, a confronto.
 
Il suo tutore aveva, nel corso degli anni, collezionato libri così occulti e così preziosi da non essere presenti in nessun catalogo di nessuna libreria del mondo.
Altri libri invece, erano così pericolosi da essere addirittura vietati dal Reparto Cultura e Apprendimento del Ministero della Magia.
 
Ed era proprio da quella miniera d’oro che Ania aveva “rubacchiato” quel sottilissimo e logoro libricino che ora teneva sul davanzale.
Una matita appuntita fungeva da segnalibro, separando le poche pagine che ancora le restavano da leggere.
 
Finalmente!
 
Le ci era voluta un’eternità per arrivare a quel punto, nonostante quel libricino contasse appena sessantasette pagine.
Anzi, per essere più precisi, sessantasei pagine e sei righe.
666
La sigla del diavolo.
Un dettaglio particolarmente intrigante, no? A questo andava aggiunto il fatto che solo il sei per cento dei lettori riusciva a completarne la lettura. Sempre se si aveva la fortuna di trovarselo tra le mani, essendo quello una delle pochissime copie ancora in circolazione.
La Granger avrebbe pianto a trovarsi un libro così tra le mani.
Ma non era per puro interesse culturale che Ania l’aveva sottratto a Piton, quel libro.
Magari fosse stato così.
 
In quel caso sarebbe stata solo un’impavida secchiona, e invece, c’era ben altro nella sua testolina, in quei giorni.
Giorni addietro, imbottita di emarginazione ed amarezza, una notte, aveva sognato il mare.
Non un mare qualsiasi.
Non una costa bella da morire.
Ma anzi un mare freddo e denso come il sangue.
E aveva sentito forte la necessità di recarsi proprio lì, a vedere quel mare.
 
Chiuse il libricino logoro e fece per nasconderlo scrupolosamente tra le divise scolastiche quando un ombra la fece sbandare di colpo.
 
- Severus! Mi hai spaventata… –
- Oh, desolato di girare per i corridoi di casa mia senza annunciarmi. Ti sto aspettando giù. Muoviti! –
- Cosa, perché?  –
- Per fare quello che si fa normalmente alle otto di sera, Ania. Mangiare. –
- Oh – si riscosse Ania, completamente dimentica dell’orario.
- Arrivo subito, finisco di sistemare e… - ma non riuscì a terminare la frase, poiché Piton le aveva già voltato le spalle ed era scomparso nella densa penombra del piano inferiore.
 
 
 
 
Il rumore di sedie spostate e il tintinnio delle posate sui piatti.
I passi striscianti del vecchio elfo di casa e lo schiocco dei piatti sporchi che sparivano dalla tavola.
Ma nessuna parola.
Anzi.
Ania credette di non aver nemmeno respirato per tutta la durata del pasto.
Arrosto di tacchino in agrodolce.
Insalata di patate e fagiolini.
Torta di melassa con prugne.
Succo di zucca.
Ottimo cibo, pessima conversazione.
 
Quando si furono alzati, pieni e sazi, come di consueto, Piton afferrò la Gazzetta del Profeta, e si sedette sulla sua solita poltrona in pelle bucherellata.
Il suo volto pallido venne illuminato delle calde fiamme scoppiettanti nel focolare e il suo profilo si proiettò sulle pareti antiche del soggiorno.
 
Quella era l’immagine che Ania più aveva a cuore di lui.
Chiariamo, non facevano nulla di speciale, semplicemente coesistevano in una stessa stanza, ognuno a farsi i fatti proprio, chiacchierando di rado e guardandosi appena.
Ma in quei momenti Piton, si svestiva di tutte le sue corazze (si, molto più di una) che indossava nel resto della giornata, ed era solo un uomo, con una figlioccia e un giornale tra le mani, il volto stanco e rilassato al tempo stesso.
 
Come detto, Ania adorava quell’immagine di lui e si spinse le unghie nelle mani, sapendo che da lì a poco l’avrebbe irrimediabilmente rovinata.
 
- Stavo pensando ad una cosa… - iniziò.
Piton non alzò lo sguardo, ma un sorrisetto beffardo gli spuntò sulle labbra.
 
- Mi rincuora sapere che tu riesca ancora a farlo.- bofonchiò sarcastico, sfogliando pigramente il giornale.
- Si, ehm, io… -
 
Avanti Ania.
E’ facile
 
- …stavo pensando di…-
 
Sputa fuori il rospo.
Ti sentirai meglio poi.
 
- …di non tornare ad Hogwarts. Mai più. –
 
Piton alzò lo sguardo, un sopracciglio alzato che tradiva la sua sorpresa, e poi, dopo qualche secondo, la sua approvazione.
 
- Sono sicuro che non ne sentirai la mancanza… -
 - E… -
- E? –
- Voglio vedere mia madre. –
 
Tutta l’approvazione e la mal celata contentezza di Piton svanì con di colpo.
Abbassò il giornale con un gesto secco e scrutò Ania in volto, con uno sguardo che avrebbe fatto tremare il settanta per cento degli studenti di Hogwarts, ma a cui Ania era ormai abituata da anni.
E che per la prima volta fece tremare anche le sue, di gambe.
 
- Impossibile. –
- Tra tre giorni Azkaban sarà aperta per le visite semestrali, sono più di cinque anni che non la vedo. –
- E farlo nel bel mezzo di una Guerra sanguinaria, con Azkaban pieno di Mangiamorte e Dissenatori ti sembra certamente una buona idea, immagino. Hai passato anni nella totale indifferenza verso… -
- Indifferenza? Io non… -
- SI indifferenza al suo stato più puro. Noncuranza se preferisci. Hai avuto la possibilità di incontrare  tua madre anni fa  e le hai voltato le spalle… -
- Avevo tredici anni, ero piena di rabbia! –
- E ora piena di scelleratezza!  - il suo tono autoritario rimbombò tra le pareti legnose, fin su nella canna fumaria, facendo tremolare anche le fiamme di spavento.
 
- Ti avevo avvisato riguardo Potter... –
- Cosa c’entra Harry con… -
- …Ti avevo avvisato dal primo istante, e ti avviso anche ora Ania. Resta al tuo posto. –
 
Con lo sguardo duro e la mascella tesa, Severus le rivolse un’ultima terribile occhiata, prima di rifugiarsi dietro le pagine inchiostrate di quel stupido giornale mentitore.
La discussione era finita.
Piton aveva recuperato una delle sue tante corazze, e per la prima volta da anni, ora la stava usando proprio con lei.
 
Ania lo sapeva, non era un ingrata.
Lui voleva solo proteggerla, dai pericoli, dalle insidie, dalle delusioni.
Eppure, adesso, la situazione era ben diversa, e ben più pericolosa.
Severus la stava proteggendo dalla verità.
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Tieniti stretta l'anima. ***



Mrs Bennett


Camera di Ania, pic by me


Ciondolo di Ania, pic by me




 
 
 XXXV
 
Era nel salotto di casa, faceva freddo.
Severus doveva aver lasciato qualche finestra aperta prima di andarsene.
 
Era strano ma, sembrava che con lui fosse sparita anche tutta la sua roba.
Persino la poltrona in pelle, sua postazione preferita dopo cena, era scomparsa, lasciando un enorme vuoto davanti al camino spento.
 
Rabbrividì, di nuovo e si avvicinò alla finestra, chiudendola in fretta.
Quando si voltò di nuovo verso la stanza, notò una bottiglietta di vetro scura poggiata al centro del tavolo da pranzo, anche quello inverosimilmente spoglio di oggetti.
 
Per qualche motivo sentì che era di fondamentale importanza afferrare quella bottiglietta, osservarne il contenuto, toccarla, semplicemente. Mentre vi si avvicinava ad Ania parve persino che quella bottiglia la chiamasse, sussurrando il suo nome in una lenta cantilena silenziosa.
 
Il pavimento era gelido, la stanza era fredda, l’aria era glaciale, ma inspiegabilmente il vetro di quell’oggetto emanava un calore inverosimile, che le scaldò le mani per qualche secondo, mentre ne scrutava il contenuto.
Un soffio di vento sollevò la polvere e un nuovo brivido di freddo la fece tremare dalla testa ai piedi.
Possibile che si gelasse in quel modo?
 
Sentiva le dita dei piedi intorpiditi e d’istinto abbassò lo sguardo su di essi notando con grande stupore di non aver ne scarpe né calzini.
Ma non era questo il peggio.
Un altro brivido la scosse da capo a piedi, questa volta d’orrore, non di freddo.
 
I suoi piedi erano diversi. Era come se si fossero rimpiccioliti, diventando piccoli, paffuti, come quelli di una bambina di otto/nove anni.
Per lo stupore sbandò violentemente, la mano perse la prese sulla bottiglietta, che si sfracellò al suolo, frantumandosi in mille pezzi.
Il suo contenuto si sparse sul pavimento e le bagnò i piedi.
Era un liquido viscido, denso, scuro.
Era sangue.
 
Quel composto caldo prese ad espandersi, brandendo ogni oggetto che incontrava sul suo cammino, e trasformando anche la sedia più familiare in un inquietante cimelio insanguinato.
La macchia si espandeva ed Ania indietreggiava, inorridita, scappando da quel mostro a gocce che sembrava cercare proprio lei.
I suoi piedini di bimba incontrarono il divano, ci salì sopra, ma capì che anche quello non avrebbe funzionato, poiché il sangue risalì sulla stoffa, iniettandola fin dentro l’imbottitura.
 
Era in trappola.
Tutto intorno a lei, un lago di sangue che ribolliva.
Che la bramava.
Salì sul davanzale della finestra. Il capolinea.
Si strinse le ginocchia al petto, pregando che si fermasse.
Il sangue salì sulle mura, oltrepassò del tutto il divano.
Sentiva l’odore di ferro lambirle la pelle, il calore stuzzicarle ogni parte del corpo oltre la vestina in cotone, l’umidità bagnarle i capelli di morte. Non c’era scampo, l’aveva presa.
Si sentì morire e urlò, un urlo disperato che nessuno avrebbe potuto sentire.
 
 
Aprì gli occhi di scatto.
Si portò una mano al volto e si scostò velocemente la coperta da dosso, per assicurarsi che i suoi piedi fossero della misura giusta.
E fortunatamente lo erano.
 
Si portò a sedere.
Era distrutta.
Erano diverse notti che aveva incubi, sempre più fastidiosi, sempre peggiori e soprattutto nuovi.
Prima il mare.
Ora il sangue.
 
Era come se le due cose fossero collegate e il non sapere quale fosse il nesso la stava facendo impazzire.
Non lo sapeva ma, tuttavia lo immaginava.
Vedere il mare, per capire il sangue.
Questa era la spiegazione che si era data.
 
Si tirò su del tutto e preparò i panni per farsi la doccia.
Dal muro sottile sentì Severus, nella camera di fianco, spostare oggetti e camminare pesantemente.
Probabilmente non aveva dormito nemmeno quella notte.
 
Non dormiva quasi mai, e Ania aveva passato anni a cercare di scoprire quale fosse la pozione che gli procurasse cosi tanta energia.
Insonnia a gocce?
Estratto di Valeriana Contraria?
Non lo sapeva.
Oramai, dopo tanti anni di congettura, ci aveva rinunciato.
 
L’acqua che usciva dalla doccia era gelida. Lo scaldino doveva essersi rotto di nuovo, e nessuno si degnava mai di aggiustarlo.
Si sciacquò velocemente, cercando di resistere alle gocce gelide che le trafiggevano la schiena, e con la velocità di un fulmine si rivestì con i panni più caldi che avesse.
 
Toc toc.
 
Stava giusto per acchitarsi i capelli e truccarsi un filo, quando quel lieve bussare alla porta d’ingresso la interruppe.
Non ci volle molto prima che sentisse la voce di Severus chiamarla per andare ad aprire.
- Ania… ANIA!- strepitò autoritario
- si adesso vado! Per diana, un attimo…- bofonchiò silenziosamente mentre scendeva le scale .
 
Dalle vetrate della porta d’ingresso individuò una figura curva con dei voluminosi capelli cotonati che facevano parere la testa abnorme rispetto al resto del corpo.
 
Miss Bennett.
 
Chi altri poteva essere se non la loro vicina di casa?
La sua era diventata una sagome familiare nel corso degli anni. Era una donna sola, senza marito né figli, che aveva come missione di vita quella di infastidire quotidianamente i vicini di casa.
Una volta era il gatto che non sputava formiche, quella dopo era il solaio che cigolava, quella dopo ancora era la teiera che lievitava a mezz’aria.
Un tormento!
Insomma, se Ania fosse mai riuscita ad andare a vivere per conto suo, si sarebbe innanzitutto assicurata di non avere nessuna Maganò zitella nei dintorni.
 
- Buongiorno Miss Bennett. C’è qualcosa che non va? – chiese Ania fingendo interesse.
- Oh, no tesoro va tutto bene, va tutto bene… – rispose la Bennett, e Ania ebbe modo di fissarla meglio.
Era strana quel giorno.
Indossava un grosso maglione viola infilato al contrario, i capelli non avevano la rigida lisciatura laccata di sempre, ma anzi apparivano scompigliati in diversi punti, come se ci avesse dormito e al risveglio li avesse lasciati cosi.
Ma la cosa più strana di tutte era il fatto che portasse dei rotondi occhiali da sole, di quelli dei cantanti Jazz degli anni trenta che non si vedono più, o almeno, che non si vedono nel mese di Dicembre in giornate buie e tempestose come quelle.
 
- Posso aiutarla in qualche modo? – insistette Ania tentando di riportare la donna al presente.
- Hmm, si, cara, adesso te lo dico, adesso mi viene in mente, ecco…hm, ah si, stamane spolveravo in soggiorno e … - iniziò lei spostandosi di lato e mostrando un grosso  scatolone dietro i suoi piedi. - …e ho buttato un po' di robaccia, di quella vecchia che non so che farmene, ecco. Mi chiedevo se potesse servivi qualcosa, ecco… -
- Signora Bennett è molto gentile da parte sua, ma non credo che ne a me ne a Severus serva alcunchè al moment… -
- Oh, per l’amor di Dio non so come disfarmene. Potreste anche fare un piacere ad una povera vecchia del vicinato di tanto in tanto! –
Ania rimase di stucco ad occhi sbarrati per quell’improvviso cambio di tono, ma non ebbe il tempo di replicare perché Miss Bennett diede un calcio allo scatolone per spostarlo più vicino alla porta e girò sui tacchi, bofonchiando oscenità nei loro confronti per tutto il vialetto.
 
-…mai una parola di conforto o di interesse. Un vicino ostile peggio delle ortiche… niente di buono in vent’anni, nulla.. –
 
Il mondo doveva essersi svegliato ubriaco quella mattina.
O semplicemente Miss Bennett stava definitivamente perdendo quel poco senno che aveva.
Ania rimase qualche secondo a fissare imbambolata la schiena della vecchietta sparire oltre le aiuole, prima di tornare ad elaborare logicamente il tutto e chiudersi in casa.
 
- CHI ERA? –
- Nessuno, solo Miss Bennett. Ha lasciato un … -
Non finì la frase, perché Piton si era già ri-sigillato nella sua camera, sbattendo forse la porta e lasciandola in sospeso.
Sbuffò forte.
La gente doveva davvero piantarla di interrompere ogni sua frase!
 
Con un movimento della mano fece fluttuare il grosso scatolone su per le scale strette, fino in camera sua.
Non aveva la più pallida idea di cosa potesse esserci dentro, e non pensava che Miss Bennett avrebbe mai potuto possedere qualcosa di interessante, ma visto che tutta quella robaccia era stata appioppata a lei, tanto valeva dare un’occhiata prima di sbarazzarsene, no?
 
Il cartone piombò di peso sulla moquette, rilasciando una nube di polvere tutt’attorno.
Spostò le prime cianfrusaglie con la punta della bacchetta, cercando in tutti i modi di non toccare quel ciarpame con le mani.
Vecchi giocattoli, orecchini arrugginiti, un paio di libri sulla cucina cinese e un orologio da polso a cui mancavano tutte le lancette.
Ania si sorprese per l’ennesima volta di quanto potesse essere noiosa e accumulatrice quella donna.
Stava giusto rimpiangendo di aver aperto lei la porta di casa quella mattina, quando di colpo, spostando un peluche senza un occhio sbucò sul fondo un cofanetto in legno, di fattura così pregiata da risaltare con tutto il resto come un puntino nero su un foglio bianco.
 
Lo afferrò e se lo girò tra le mani.
Era in legno, molto vecchio, quasi muffito in realtà.
Aveva una serratura a scatto in ottone, e quando lo sfiorò della ruggine le macchiò le mani.
 
D’improvviso un brivido d’eccitazione la percorse da capo a piedi.
Adorava i pezzi di antiquariato, e per qualche motivo sentiva davvero la necessità di investigare su quell’oggetto.
Si buttò sul letto, e cofanetto alla mano, tentò più volte di aprirlo.
Dopo cinque minuti di tentativi, finalmente il vecchio gancio si staccò dal legno, riempendole le coperte di  segatura e polvere.
 
Tuttavia, ne era valsa la pena.
All’interno del cofanetto vi era un vecchio ciondolo in ferro, rotondo e sicuramente fatto a mano.
Avrebbe potuto essere scambiato per una moneta se non fosse stato per il buchino della parte superiore della superficie ferrosa. Lo staccò dal legno e lo osservò da vicino.
Vi erano delle incisioni abbozzate, in quello che doveva essere inglese antico su uno dei due lati.
 
Keep ùre sàwol klose
 
Keep your soul close, in inglese moderno.
Tieniti stretta l’anima.
 
Era fighissimo!
Tenne il ciondolo stretto in una mano, e frugando in un cassetto con l’altra riuscì a recuperare una vecchia catenina in bigiotteria.
La catenina entrò perfettamente nel buco del ciondolo, ed euforica Ania si accinse a indossare quella nuova, inaspettata collanina.
Non appena il ciondolo toccò il suo petto, sentì una strana sensazione, come se quel cimelio gli appartenesse da sempre e finalmente lo avesse ritrovato.
Lo adorava.
 
Strano come a volte dei semplici oggetti senza alcun valore ti danno profonde emozioni.
Mentre richiudeva di forza lo scatolone e apriva la porta per disfarsene al piano di sotto, Ania decise che quella strana collana sarebbe stato il suo portafortuna.
Perché l’indomani, gliene sarebbe servita veramente tanta, di fortuna.

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Capitolo 17
*** Perdono. ***


XXXVI
 
Aprì gli occhi, controvoglia.
Sapeva già cosa avrebbe visto ancor prima di aprirli, e dio solo sa se non avrebbe preferito rimanere a dormire per tutto il giorno. O per tutta la vita.
Avrebbe quasi preferito essere morto che trovarsi lì dov’era.
 
Aprì gli occhi e mise a fuoco le spesse travi in legno e il soffitto scrostato di intonaco di quella che era, da tre giorni, la sua abitazione.
Si alzò lentamente, indossando l’unica giacca che aveva con sé e guardò l’orologio.
Erano le sei e mezza di mattina.
 
Aveva ancora mezz’ora di tempo.
Si lavò i denti, e si sistemò alla meno peggio i capelli. Doveva essere l’umidità della casa o forse lo stress di quei giorni, ma persino le sue liscissime ciocche bionde stavano un passando un brutto periodo.
Inforcò la borsa sulla spalla e lasciò la stanza.
 
Quella casa gli sembrava minuscola.
Tutto il primo piano corrispondeva appena alla sua stanza con bagno privato a Malfoy Mansion.
Ah, la sua tenuta. Quanto gli mancava.
Non aveva mai apprezzato tanto in vita sua quelle quattro mura. Beh, quattro si fa per dire.
 
Superò il bagno patronale, dove qualcuno faceva la doccia canticchiando, probabilmente il padrone di casa.
Quel gran coglione del padrone di casa, aggiungerei.
 
Luridissimo mezzosangue senza spina dorsale.
 
Eppure eccoti qui Draco, ad usare il cesso di un Mezzosangue. A mangiare il cibo di un Mezzosangue. A doverlo ringraziare, persino, per averti accolto in casa sua.
 
Tutto ciò era tremendo, per lui.
Come già detto, avrebbe preferito impiccarsi.
 
Arrivò all’ultima stanza del corridoio ed aprì la porta.
Sua madre dormiva profondamente, avvolta in una montagna di coperte e lenzuola.
Aveva i capelli sciolti, sparsi sul cuscino e le labbra socchiuse.
Sembrava in pace, ma Draco sapeva che quella serenità era il risultato artificiale di forti dosi di morfina e chissà cos’altro.
 
- L’infezione sta regredendo, non c’è nulla di cui preoccuparsi. – disse una voce dall’altro lato della stanza, vedendo la sua espressione preoccupata.
 
Draco sogghignò senza alcuna traccia di divertimento. Quella frase gli era stata detto almeno tre volte al giorno, da quando era lì.
 
- A sentir voi doveva essere già guarita e saltellante.-
- Stiamo facendo tutto il necessario Draco. Non c’è molto altro da poter fare. –
- Questo è quello che dici tu.  –
 
Si voltò a guardare sua zia, vestita in una lunga veste color giallo ocra, che con occhi pieni di compassione lo fissava intensamente.
 
- Non fare il bambino Draco… -
- Allora non trattarmi da tale. –
- Non lo faccio. – sussurrò lei, seria.
 
Andromeda si alzò dalla poltrona affianco al letto e passandogli di fianco gli lasciò il sacchettino pieno di ghiaccio usato fino a quel momento per sua madre.
Draco lo afferrò, scrollandosi la borsa di dosso e stringendo i denti.
 
-  Sei uguale a tuo padre a primo impatto. Ma fortunatamente per noi, non hai il suo carattere, per quanto tu ti sforzi di emularlo. Non devi avere paura di abbassare la guardia qui. –
- Non conosce né me né mio padre, Signora Tonks. E non mi sono mai fidato degli estranei. Mai. Ora se permette vorrei stare da solo con mia madre. –
 
Andromeda sollevò le sopracciglia, poi strinse le labbra e sospirò.
 
- A mezzogiorno pranziamo comunque… -
- Grazie ma sicuramente non avrò fame. – sbottò mettendosi a sedere e voltando definitivamente le spalle a sua zia.
La sentì sospirare ancora, probabilmente mordersi la lingua e poi lasciare la stanza, accompagnandosi gentilmente la porta dietro le spalle.
 
Un brivido pieno di nervosismo gli indurì la mascella.
Cosa pretendeva quella? Che lui diventasse parte della loro allegra famigliola quando per tutta la vita non aveva nemmeno saputo che faccia avessero?
Doveva essere un’illusa anche solo a pensarlo.
 
Si tolse anche la giacca, soffocando dal caldo in quella stanza così piccola e soleggiata.
Sua madre si mosse nel sonno e Draco le sistemò la borsa del ghiaccio sulla fronte.
Ci volle qualche minuto, ma poi si rilassò quando vide che Narcissa riprendeva quel lento ritmo di un sonno tranquillo e senza dolori.
 
Ah, madre, che diavolo ci è successo?
 
Scostò la maglia dalla pancia di sua madre per vedere come procedeva l’infezione.
 
Forse Andromeda aveva ragione almeno su una cosa.
I raggi violacei che si propagavano per tutto il ventre di sua madre sembravano essersi leggermente ritirati dal giorno precedente.
Tuttavia, non abbastanza per risparmiare quella sofferenza alla donna.
Dolohov le aveva lanciato un Anatema del Sangue. Una maledizione infima e meschina, usata da maghi mediocri come lui.
Dal punto in cui era stata colpita, il sangue di sua madre era cominciato a marcire, diventando nero e spargendo la maledizione per tutto il sistema circolatorio.
Narcissa aveva fatto appena in tempo ad aggrapparsi al figlio e a Smaterializzarsi, prima di perdere le forze ed accasciarsi al suolo.
Quando Draco aveva alzato lo sguardo per guardarsi intorno, era rimasto sbalordito dal vedere una donna di poco più grande di sua madre, sbucare dalla porta della villetta che avevano difronte.
Era una bella donna, con qualche ruga e dei corti capelli castano chiaro.
Non gli ci era voluto molto a riconoscere i tratti, cosi familiari eppure estranei, della sorella mai incontrata di sua madre.
 
Ed era così che si era ritrovato a casa Tonks.
Aveva evitato Ted Tonks il più possibile, e non ci era voluto molto per notare che anche l’uomo facesse lo stesso.
Per non parlare della figlia, la sua presunta “cuginetta”.
Ninfadora Tonks. Che poi nessuno la chiamava per nome, nemmeno il marito…AH! Già! Come dimenticarsi del marito… niente di meno che il Professor Lupin.
Rabbrividì irritato, ripensando al loro incontro di un paio di giorni prima.
 
Lui era quello malvagio là dentro, nessuno lo voleva lì e lui lo sapeva, lo sentiva addosso.
Avrebbe voluto mandare tutti al diavolo e scappare. Si, ma dove?
Non aveva nessun altro posto dove andare.
Anzi.
Se sua madre non si fosse ripresa in tempi brevi, probabilmente, non avrebbe nemmeno rivisto Hogwarts per un po'.
 
 
XXXVII
 
Cenava da sola quella sera.
Nonché non fosse abituata, ma quella sera quella solitudine aveva il sapore amaro del rimorso ad ogni boccone di rosbif che ingurgitava.
 
Sapeva che Piton l’aveva fatto di proposito, a farla stare sola come un cane in quel tetro salone.
Ce l’aveva con lei da giorni, da quando avevano parlato difronte al camino, da quando per la prima volta, lei si era imposta.
Da quella sera lì, la poltrona cigolante era rimasta vuota e lei aveva visto la faccia del suo tutore forse un paio di volte appena.
Tutto ciò era ridicolo e frustrante, anche.
 
Ma non poteva farci nulla.
Questa volta aveva preso una decisione.
E l’avrebbe portata avanti.
 
Lasciò che gli elfi sgomberassero la tavola e afferrò il libricino occulto che si portava dietro da settimane.
Ricordate quello rubacchiato dalla libreria di Piton, no? Quello che pochi lettori riuscivano a completare?
Ecco, lei era finalmente rientrata tra quei pochi eletti.
L’aveva finito e si sentiva a pezzi.
 
Ogni riga le aveva succhiato un po' di energia, e il capirne affondo i segreti era stato estenuante, ma necessario.
 
Raccogliere l’anima. Come fare e perché non farlo.
Di Cornwell Billinger.
1402.
 
 
No, non fatevi ingannare dal titolo, non si trattava di un libro d’amore o di poesie.
Ma di Incanti oscuri e pericolosi come pochi.
 
Le era venuto in mente di addentrarsi in quella materia ripensando ad una delle “avventure” di Harry.
Harry gliene aveva parlato mentre si trovavano una sera in Biblioteca, raccontandogli del Diario di Tom Riddle, di come il Signore Oscuro avesse intrappolato un pezzo di sé tra le pagine di un libro, preservandola e rendendola sempre più potente.
Ania ne era rimasta affascinata.
Sapeva che tali magie erano pericolose quanto rare, e solo maghi di estrema potenza potevano padroneggiarle. Le aveva sempre considerate leggende, e scoprire che invece erano realtà le aveva provocato un brivido.
 
Aveva iniziato ad indagare sull’argomento per diversi giorni, senza trovare molto nella Biblioteca di Hogwarts, fin quando il colpo di genio!
Era sicura che se esistevano argomenti occulti, Piton aveva sicuramente un libro al riguardo e così si era piombata alla sua libreria appena rientrata a casa.
Con suo grande stupore, non vi era nulla al riguardo, se non quel libricino che aveva tra le mani.
Simile si, ma molto diverso.
Quel libro insegnava come intrappolare non solo l’anima, ma letteralmente una persona tra le pagine di un libro.
 
Quindi vedete, non era proprio la stessa cosa, e per un po' ne era stata delusa, fin quando…
Fin quando il mare non le era parso in sogno.
Fin quando il sangue non le aveva bagnato i piedi.
Fin quando le domande non le avevano rosicato l’anima e il senno.
 
Ania non aveva nessun desiderio di spaccarsi l’anima e metterle in un libro, no, il suo scopo era un altro.
Immensamente rischioso.
E forse, immensamente sciocco.
 
Ma, signori miei, assolutamente necessario.
 
Afferrò il suo mantello color porpora e attaccò la sua nuova catenina portafortuna al collo.
Quel messaggio dal destino, quelle parole scritte in lingua antica, le avevano dato forza, e dopo tanto pensare, finalmente il giorno era arrivato.
 
Prima di lasciare la casa si avvicinò alla camera di Piton.
Nessun rumore proveniva dal suo interno.
Bussò lievemente e il silenzio più assoluto le diede il via libera.
Avrebbe dovuto sgattaiolare via, ma qualcosa la costrinse a spingere silenziosamente la porta ed entrare nello studio.
L’odore di chiuso era tangibile, e la polvere aveva raggiunto livelli inverosimili.
Persino le fiamme nel focolare sembravano essere fatte di pulviscolo.
Difronte ad esse, Severus dormiva profondamente, dopo giorni di insonnia ininterrotta, con la testa poggiata su una spalla e il corpo abbandonato allo schienale.
Ania lo guardò.
 
Il suo cuore divenne pesante a quella visione e fu tentata di lasciare una carezza su quei tratti spigolosi e severi.
Ma non lo fece, non era da lei, e soprattutto, non era da lui.
Ma afferrò una pergamena immacolata e la poggiò sulla scrivania.
La mano le tremò mentre intingeva il pennino nell’inchiostro.
La mano le scivolò sulla superficie, e per qualche motivo dovette stringere gli occhi per non lasciar scappare una lacrima su quella carta ruvida.
 
Lasciò il bigliettino su un libro aperto in modo che Piton lo vedesse facilmente, appena si fosse svegliato.
Ania lo sapeva…
Lui non avrebbe capito, e  l’avrebbe odiata davvero.
Ironico!
Era una costante nella sua vita trovarsi in quella condizione.
Era stato lo stesso con Harry, no?
 
Ma nonostante tutto, Harry era un estraneo, e Severus era la sua casa. Il suo odio ancora inespresso la tormentava già in quel momento, ancor prima di lasciare l’abitazione.
Eppur, di nuovo, era necessario, anche se le conseguenze di quella decisione erano incerte e piene di spine.
 
Richiuse la porta dietro di sé, e scese le scale, guardando ogni dettaglio di quella casa.
Ad ogni scalino avrebbe voluto voltarsi indietro, e spiegargli tutto il suo rammarico, tutto il suo dolore e la sua sete di risposte.
Tutto ciò che aveva racchiuso in quelle poche lettere sul pezzo di pergamena e che ora si ripeteva tra sé, come una preghiera o una confessione.
 
Perdonami, Severus.
Perdonami.
 






Eeeeeh ciao a tutti! Scrivendo questo capitolo ho fatto un paio di ricerche su Andromeda e sulle sorelle Black al completo, e sono incappata in un Fan Film inglese proprio su di loro.
Mi sento di consigliarvelo perchè fatto piuttosto bene e dà degli spunti originali sui personaggi di Andromeda, Bellatrix e Narcissa, spiegando alla perfezione la relazione tra le tre, non troppo chiaro nei film e nei libri ufficiali.
Vi lascio il link e spero vi piacca come è piaciuto a me!
E grazie ancora per il vostro supporto e pazienza nel seguire la storia!!!
Un bacio <3


https://www.youtube.com/watch?v=0hrcRtu45TU
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** In gruppo. ***


XXXVIII
 
- WEASLEEY! –
Battè il pugno contro la porta in legno, cosi forte da farla tremare nei cardini.
Era una mattina qualunque di una settimana d’inferno, e come da diversi giorni a quella parte, Draco aveva iniziato la giornata maledicendo il giorno in cui era arrivato in quella maledetta casa.
 
- ASPETTA IL TUO TURNO MALFOY ! –
- SEI LI DENTRO DA ORE. ESCI DA QUESTO MALEDETTO BAGNO! –
- Sta calma principessa, è cosi che funziona quando c’è solo un bagno in casa. –
- Tu sta zitta, pel di carota e tornatene in camera tua a giocare con le barbie. –
- NON PARLARE  COSI’ A MIA SORELLA, TESTA DI CAZZO. –
- PARLO COME DIAVOLO MI PARE E
ESCI
DA QUESTO
MALEDETTO
BAGNO! –
 
Buttò un ultimo possente pugno contro la porta, e dopo qualche secondo, con sua grande sorpresa, la serratura scattò e Ronald Weasley uscì dal bagno con gli occhi assonnati e  l’aria pericolosamente soddisfatta.
Gli bastò mettere un piede nel bagno per capire il perchè.
 
- Ma che diamine… è un letamaio per draghi!–
- Molto scortese da parte tua Dracuccio. Dovresti già sentirti fortunato per avere un tetto sulla testa anche se non prestigioso come il tuo.-
- Se lo fosse, faccia da clown, ti farei campare dove meriti, nella cuccia dei cani e sono certo che non distinguerei la loro merda dalla tua. –
- Draco Lucius Malfoy! -  
 
Draco alzò gli occhi al cielo.
Tutta quella situazione era una tortura.
Non solo si ritrovava con i suoi odiatissimi compagni di scuola in una casa piccola uno sputo, no! Ci voleva anche sua madre a coronare il tutto!
 
- Si, madre. – scandì stringendo i denti.
- Modera il linguaggio. Non ho un cresciuto un troll. – replicò Narcissa dal piano inferiore, scatenando le risatine di Ron.
- Già, Dracuccio, ascolta la tua mammina. –
- Dormi con un occhio aperto tu! … schifosissimo idiota puzzolente.
 
Con un diavolo per capello e i pugni serrati, si chiuse finalmente nel bagno.
Non aveva mai odiato cosi tanto la sua vita.
 
 
Questa, signori, era una delle tante scenette che si verificarono in quella settimana al numero cinquantatre di Propshall Drive, nel Lancashire.
Una villetta indipendente, con un bel giardinetto sul retro, fino ad allora dimora di appena tre persone ma che in quei giorni brulicava di gente.
 
Qualche giorno dopo il burrascoso di Narcissa e Draco, i Mangiamorte avevano attaccato la Tana, casa della famiglia Weasley, riducendola in una carcassa di paglia e cenere.
Sfortunatamente per Draco, Harry si trovava con i Weasley al momento dell’attacco e con loro si era spostato in una dimora d’emergenza.
Appunto, il numero cinquantatre di Propshall Drive.
 
E dove andava Harry, andava Sirius Black, il suo amorevole padrino.
 
Nel giro di appena due giorni, Draco si era ritrovato a vivere con circa dieci persone. Ma non persone qualsiasi, no… ma bensì i suoi peggior nemici.
 
Le litigate di quei giorni tra Draco ed Harry sarebbero rimaste per sempre nei ricordi di quella combriccola.
Dal cornetto mancante a colazione, fino a chi meritasse l’asciugamano da bagno più grande e morbida.
 
Ma, contro ogni aspettativa, i due ragazzi non erano i litiganti più acerrimi del gruppo.
Anzi, in quei giorni Draco aveva scoperto un lato tutto nuovo e sconosciuto di sua madre.
Un lato che evidentemente, Sirius Black sapeva far uscire fuori con grande facilità.
 
- Povero illuso... –
- Chiedo scusa? –
- Scuse accettate Sirius… –
- Tu, Narcissa Malfoy osi chiamare me povero illuso? –
- Ho una lunga lista di aggettivi da affibbiarti, cugino, tra cui obsoleto e sciroccato. –
- Sciroccato, anche! SCIROCCATO, oh CUGINA, questo è un termine che proprio tu dovresti eliminare dal tuo dizionario.  -
- Cosa staresti insinuando con quel proprio tu! –
- Ma non so, dai un’occhiata al tuo albero genealogico e poi nei parliamo… -
- Lo guardo spesso a dire il vero, e  l’ultima volta che l’ho guardato c’era una grossa chiazza nera ad oscurare il più sciroccato di tutta la mia nobile stirpe! -
- Andromeda…Ah, mia cara dolce Andromeda… La prossima volta che ti serve dell’essenza di Dittamo, sarei immensamente grato se mi avvisassi che è per salvare la vita di una delle tue sorelle, perché in tal caso FARÒ IL POSSIBILE PER NON AVERNE A DISPOSIZIONE. –
- Piano con le parole quando parli con mia madre, grassone! –
- Grassone? -
- Draco non sprecare fiato con lui –
-… Io sarei un grassone ? –
- No non lo sei SIrius, è lui che un’idiota.-
- Ah, AH, puoi dirlo forte Harry. -
-…e nel caso non lo sapessi Malfoy, Sirius ha adottato una speciale dieta chiamata “dodici anni ad Azkaban”. Chissà come ci si sta trovando tuo padre… -
- Stupido ragazzino presuntuoso, chi ti credi di essere per parlare di mio marito in questi termini! –
- Se parli un’altra volta di mio padre, Potter, giuro che ti amm…-
-  ADESSO BASTA! PIANTATELA! –
 
L’urlo di Andromeda congelò tutti i presenti, bloccando Harry dal sfoderare la bacchetta e Draco dal tirargli un piatto di ceramica in faccia.
 
- Sono giorni che sento polemiche su polemiche, in questa casa. Siamo tutti adulti qui o sbaglio?
E se voi ragazzi volete davvero far parte dell’Ordine della Fenice… -
- Io non faccio parte proprio di un bel niente di nessuna fenice. –
- Oh su questo non c’erano dubbi. –
- Harry! Te ne prego… piantatela.-
 
Andromeda spostò i suoi occhi dall’uno all’altro, e non riprese a parlare finchè Draco non si fu seduto a braccia conserte.
Harry annuì inspirando forte, ed Andromeda lo prese come il segnale per ricominciare a parlare, senza interruzioni.
 
- Narcissa è mia sorella e questa è casa mia. Io e Ted parlavamo da mesi con Narcissa di ospitarli se si fosse presentata la necessità… -
- Oh, immagino che Ted sia molto d’accordo, eh Ted? –
- Beh… - iniziò Ted grattandosi la testa ed evitando lo sguardo della moglie.
- … Non ne sono entusiasta ma… sentiamo ogni giorno di più parlare di famiglie distrutte. Forse è solo un bene se di tanto in tanto ci si ritrova, anche se a distanza di anni. Ma se si fosse trattato di Bellatrix… -
- Non potrà mai trattarsi di Bellatrix. Il suo cuore è troppo corrotto, vedo solo quello che vuole vedere. Per tutto il resto, si volta dall’altra parte. Persino quando si parla del suo stesso sangue - disse Narcissa, perdendosi con lo sguardo nel buio.
Si portò una mano al ventre ancora fasciato, dove, sotto la garza, la ferita per nulla guarita le succhiava ancora energia e salute.
 
- Siamo qui stasera perché delle persone sono morte, e stanno, tutt’ora morendo. Concentriamoci su questo… -
 
Andromeda lasciò il suo posto al lungo tavolo e si alzò in piedi, difronte a tutti, giungendo le mani con aria seria.
 
- Ci è giunta voce… - scandì a gran voce -… che i Mangiamorte bramano il controllo del Ministero. E’ loro primario obiettivo appropriarsene, presto o tardi. –
- E’ plausibile?  Cioè, potrebbe accadere sul serio? –
- Tu-Sai-Chi è abbastanza potente da poter fare molte cose, cara Ginny. Il punto è quando le farà… -
- Io ribadisco quanto detto prima. Ci vuole un infiltrato! -
- Oh, per Merlino Sirius…- Narcissa frenò la lingua, bloccando tutta la serie di epiteti che le erano saliti in mente, e strinse i denti sotto l’occhiataccia severa della sorella maggiore.
- Intendo dire…- ricominciò con faticosa calma - …che sarebbe da ingenui pensare anche solo per un istante a questa possibilità. Nessuno può bluffare con il Signore Oscuro… Sarebbe come imbrogliare Albus Silente in persona.
Con una differenza.
Silente non avrebbe l’animo di cavarti la verità a suon di Crucio dalle labbra o di risvoltarti la mente come un calzino da buttare… e fidatevi se vi dico che i miei stessi occhi hanno visto grandi uomini diventare reietti sotto la bacchetta del Signore Oscuro. –
 
Lo sguardo di Narcissa si perse di nuovo nel nulla.
Forse era la stanchezza fisica che la stava torturando giorno dopo giorno o le condizioni in cui si era ritrovata la sua famiglia di punto in bianco, fatto sta che la donna fiera di qualche tempo prima pareva solo una donna stremata, avvolta in un mantello di terrore e brutti ricordi.
 
- Beh, allora non c’è alternativa. – sbottò Sirius pieno di sarcasmo, per niente rattristato da quella nube nera che era calata nella sala.
- Allora dobbiamo solo… hm, aspettare che qualche cattivone mascherato si presenti al Ministero tentando di assaltarlo e li lo afferriamo e lo mettiamo nel sacco. Beh, che importa se nel frattempo muoia qualche Auror. E’ questo che state proponendo, mi sembra.
Fare un bel nulla! -
- No Sirius, non intendiamo questo, nessuno vuole restare con le mani in mano qui. Mettere qualcuno dei nostri in campo è troppo rischioso… l’ideale sarebbe, trovare qualcuno dei loro disposto a parlare, ecco. –
- Oh, grande idea Ted! Facile da attuare, soprattutto… Dunque, qualcuno di voi fantastici amici conosce qualche Mangiamorte che vuole farsi una chiacchierata con l’Ordine della Fenice? – ironizzò sorridente sfregandosi le mani.
Nessuno rispose.
Fin quando…
 
- Io. –
 
Sirius si bloccò di colpo, sorpreso, come chiunque altro nella sala.
Con le sopracciglia crucciate e l’aria beffarda si voltò verso Draco, in attesa.
Draco rispose allo sguardo con arroganza, serrando la mascella, come se quello che stava per dire gli costasse tutta il coraggio che avesse in corpo.
 
- Una volta … ho sentito mio padre parlare con un uomo.-
- Draco Lucius Malfoy. –
 
Narcissa lanciava fiamme dagli occhi e i suoi occhi si sbarrarono così tanto che le sopracciglia quasi toccarono l’attaccatura dei capelli.
Sembrava avesse già capito cosa stesse pensando suo figlio.
E dalla sua reazione, era chiaro che non gli piacesse affatto.
 
- Tu non dirai una parola di più…  –
- Papà è l’unico che può sapere –
- Stai parlando di Lucius, ragazzo? AH! Non lo farà mai…– obiettò Sirius.
- Draco, anch’io dubito che Lucius sarà disposto a … -
- Certo che non lo farà Andromeda, non c’è bisogno che tu dica ovvietà…-
- E invece lo farà. Se saprà che i Mangiamorte ci hanno voltato le spalle, se saprà cosa ti hanno fatto... – strinse i pugni, mentre lo stomaco gli si torceva per il nervoso.
 
Narcissa strinse le labbra, portandosi dritta sulla sedia, ad occhi sbarrati, sconvolta di vedere tutta quella rabbia sul bel volto di suo figlio adolescente.
 
- Credi davvero che Lucius possa sapere qualcosa? – disse Andromeda seria.
- Domani Azkaban aprirà i cancelli ai visitatori. Per il Natale… non avevo intenzione di andarci ma… sarebbe l’occasione perfetta.  –
- Se davvero te la senti Draco, noi tutti te ne saremmo grati…-
- Ad una condizione! – sbottò Draco interrompendo bruscamente le parole della zia - Voglio degli Auror, i migliori, a fare da guardia alla cella di mio padre. Notte e giorno. Mi dirà quello che serve sapere ma, deve essere protetto. –
-  Oh tuo padre sarà ben protetto dalle guardie di Azkban anche senza il nostro intervento… il punto qui è un altro…Se davvero vuoi farlo, ragazzo... – disse Sirius, per la prima senza malizia né scherno nella voce. – Ti servirà una scorta. -
Da qui a domani mattina passa meno di una notte, non abbastanza tempo per reclutare Auror all’altezza del compito… quindi suppongo, di essere io il fortunato accompagnatore. -
- Sirius no! Non puoi tornare ad Azkaban. Ha più effetto su di te che su chiunque altro. –
- Conosco quel posto meglio di ognuno di voi, Harry. E poi, non vedo l’ora di dire quattro paroline a qualcuna delle guardie… -
- Allora verrò con te. – disse Harry alzandosi in piedi
- Oh certo, Harry Potter non può perdere l’occasione di sfoggiare le sue manie di protagonismo. –
- Ah! Draco cos’ho appena detto riguardo agli inutili battibecchi? – lo bacchettò Andromeda.
- Allora è deciso. – sbottò Sirius, ignorando le occhiatacce di Narcissa.
- Domani mattina, si va ad Azkaban. –

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Capitolo 19
*** La Torre. parte 1 ***



Clelia Wool. Mangiamorte. 



 ​ 
 
XXXIX
 
Lasciò una manciata di monete all’autista della navetta e scese con un saltello.
 
Appena i suoi piedi toccarono quel roccioso, il cuore saltò un battito.
Eccola lì, di nuovo, dopo anni, a rivivere il luogo che le aveva tormentato i sogni .
 
Le nuvole piene di pioggia, anche d’estate.
Il vento freddo, che come aghi, ti pungeva la pelle.
I corvi e il loro gracchiare.
Le urla e le preghiere.
Il mare.
Quel maledetto mare.
che ingoiava i suoni nelle sue acque
E affogava i colori tra le sue onde violente.
 
E poi, a qualche chilometro dalla costa, su un isolotto distante, eccola lì.
La Torre triangolare, protagonista indiscussa di quel cupo dipinto monocromatico.
 
 
La prigione di Azkaban.
 
Solo a vederla ti si chiudeva lo stomaco.
Respirò forte e si diresse verso il traghettatore, un uomo magrissimo, con un pizzetto appuntito e un cappello da pescatore.
Aveva gli occhi infossati, le mani callose, e l’aria di uno che ha passato la vita in quello stesso punto, diventando sordo col cuore e le orecchie a quel delirio.
Ania rimase a guardarlo qualche secondo, quasi gelosa della sua indifferenza, finchè non si rese conto di aver bloccato una piccola fila di persone che, come lei, si recavano in visita alla Torre.
 
- Hey, ragazzina, che dici te la dai una mossa o no? – sbottò il traghettatore muovendo il grugno nella sua direzione.
-  Vecchio rimbambito, ti sembra il modo di trattare una signorina?- sbottò una voce sottile dalle sue spalle mentre si affrettava a salire a bordo.
- Fatti gli stracacchi tuoi Billy. C’è da darsi una mossa qui! –
- E a muoverci ci stiamo muovendo, mi sembra. Perdonalo tesoro mio, troppo tempo sotto l’ombra dei Dissennatori gli ha fatto dimenticare il galateo…E’ un posto orribile questo, Ern, è normale che la ragazza abbia un po' di paura. -
- Io non ho nessuna paura, signore. – scandì Ania, indispettita dall’atteggiamento da farfallone di quell’uomo che ora le sedeva accanto.
Aveva il viso affilato e un grosso cappello a cilindro come quello dei truffatori Babbani.
Dopo appena dieci secondi dalla partenza, Ania avrebbe voluto buttarlo tra le acqua del mare.
 
- Ah, sembra proprio che tu non ne abbia. Sarò onesto con te, adoro le ragazze piena di grinta. L’ho capito subito che non eri una donnetta sai... –
- Oh porco Merlino, ma devi straparlare OGNI SANTISSIMA VOLTA per tutta la traversata Billy? –
- Se non sbaglio c’era da darsi una mossa, a tuo dire, Klaus, quindi su… - sbianderò la mano con fare aristocratico verso il traghettatore, incitandolo a darci di gomito nella traversata.
- E di un po', tesoro, chi è che vai a trovare tutta sola in questo luogo senza Dio? – chiese sorridente, tornando a voltarsi verso di lei.
- Lei chi va a trovare Signore, se posso permettermi? –
- Vedi Klaus, la ragazza è di buona compagnia! Beh, non per vantarmi ma conosco alcuni gentiluomini che per colpa di un fato avverso sono stati ingiustamente reclusi in questo tartaro … - snocciolò l’uomo accavallando le gambe e osservandosi le unghie della mano.
- Gentiluomini un paio di corna! Farabutti della peggior specie, ecco chi sono. –
- Galantuomini dal fine intelletto e dalle grandi doti! Mai sentito parlare della famiglia di William Gohet? Illustrissimi trafficanti di gioielli, illegittimamente incarcerati per contraffazione. Menzogne, ovviamente. –
 
L’uomo si fece cosi vicino che il suo profumo scadente al tabasco invase le narici di Ania, dandole il voltastomaco.
Sorrise mellifluo, forse scambiando la sua espressione di ribrezzo per suggestione. Si avvicinò ancora, e fintamente per caso, fece scivolare la mano sulla gamba di Ania, stringendola appena.
 
- Oh, si so cosa stai pensando. Avrai sentito molte storie, sul loro conto. Vili criminali, certo ma… lascia che ti dica una cosa. E’ conoscendo le persone giuste che si arriva in alto. E io, tesoro, potrei presentartene davvero tante. –ridacchiò viscidamente, sfoggiando una fila di fintissimi denti bianco latte che parevano di plastica.
- E tu invece, signorina, non mi hai risposto. C’è qualche tuo amichetto qui dietro le sbarre? Qualcuno che ha sventolato la bacchetta fuori da Hogwarts, eh? –
- In realtà…- iniziò Ania calandosi il cappuccio del mantello sul collo in modo che l’uomo la vedesse bene in volto.
- …Sono qui per vedere mia madre. –
- Oh, che cosa triste. Per cosa è dentro? Truffa? Prostituzione? Uso improprio della magia? –
- Strage, in realtà. Pratica di Magia Oscura, anche. Sono la figlia di Clelia Wool, Mangiamorte. Conosce? –
 
Beh, se sua madre avesse potuto sentirla in quel momento l’avrebbe presa a schiaffi.
Non era esattamente così che amava definire sua madre, ma quando vide l’uomo sgranare gli occhi e deglutire forzatamente, fu pienamente appagata e soddisfatta di aver detto quella piccola bugia.
 
Soffocò a stento un sorrisetto e si voltò dal lato opposto, mentre l’uomo, ora silenzioso, scivolava velocemente verso l’altro lato della panca.
 
 
In pochi secondi sbarcarono sul molo opposto.
I primi Dissennatori presero a svolazzare intorno ai nuovi arrivati come mosche su cibo avariato.
 
Ania li odiava.
Erano stati i protagonisti di mille incubi, durante i suoi primi anni di visita in quella prigione.
E per quanto uno si sforzasse di non guardarli, la loro presenza era assordante.
 
Non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, verso la punta estrema della torre dove, ne era sicura, centinaia di quelle creature immonde svolazzavano come corvi, e tirò dritto, sicura sul percorso da fare.
 
Arrivò prima di tutti all’ingresso.
Lì un Auror Errante l’aspettava, munito di registro delle firme e boccetta monouso, che Ania sapeva essere Veritasserum.
Oh, perdonatemi, vi domandate cosa sono gli Auror Erranti?
Beh, Auror che, per qualche motivo, non meritano più l’onore di servire il Ministero della Magia in vesti rispettabili, e che quindi sono stati sbattuti a fare la guardia alla Torre di Azkaban, per tutta la loro carriera.
Per fare quella triste fine, potevi esserti macchiato di qualche crimine, come abuso di potere o favoreggiamento, oppure, semplicemente non eri stato abbastanza bravo da superare tutti gli esami per il titolo di Auror.
E il ragazzotto che Ania si trovò davanti doveva appartenere a quella seconda categoria, data la sua aria da perfetto idiota.
Aveva gli occhi enormi, di un celeste lattiginoso, un sacco di brufoli e i capelli rossicci e mancanti a chiazze sulla parte frontale del volto.
 
- Nome, prego. – gracchiò appena la vide accostarsi.
- Ania Wool, signore. –
- Nome intero. – obiettò quello guardandola di sottecchi.
- Ania Eva Wool. – scandì velocemente trattenendo il fiato.
Non usava mai il suo secondo nome. Le faceva venire un groppo in gola anche il solo nominarlo.
Sua madre gliel’aveva messo in onore di Lily.
Derivava dal suo cognome, infatti.
Lily Evans, poi diventata Potter.
Un collegamento che mai come ora, la riempiva di tristezza.
 
- Motivo della visita? –
- Ehm, vedere mia madre. Per Natale, sa… -
- …Secondo l’articolo Ventuno comma B del 1550, anno elfico, devo chiederle di ingerire questa… -
 
Ania non gli lasciò terminare la frase.
E badate bene a questa tecnica.
Afferrò la bottiglietta di vetro messa in fila tra le altre, e la ingerì tutta d’un colpo.
Il Veritasserum le bruciò la gola e le pizzicò lo stomaco, come se si fosse appena scolata mezza bottiglia di sambuca senza aver mangiato.
 
- Intende commettere atti criminali contro e/o per e/o con qualcuno dei detenuti qui reclusi nel… -
- No Signore. –
- Intende far evadere qualcuno o qualcuno dei sud…-
- No Signore. –
- Porta con se e/o dentro di se sostanze e/o armi e/o… -
- No Signore, nulla. –
- Secondo l’articolo 21 comma B, lei ha il permesso di entrare nella Torre di Azkaban. E’ il visitatore numero undici del giorno ventesimo del mese corrente. Ha sessantadue minuti di tempo a partire da ora. –
 
Senza farsi notare, Ania tirò un sospiro enorme.
Era andata.
 
L’uomo fece un segno indicando ai suoi colleghi l’idoneità di quell’ospite, e per lei venne spalancato il grosso portone in ferro.
Si mantenne una mano sullo stomaco, cercando di non vomitare quell’odiosa pozione mentre percorreva la familiare strada verso gli ascensori.
Non vi illustrerò i pensieri funesti che la turbarono durante la salita dell’ascensore.
Non mi soffermerò sulla puzza di carne morta e sulle grida dei prigionieri, o peggio, sul gelo che la invase al solo avvertire la presenza dei Dissennatori, no, questo potete immaginarlo.
Ma voglio che sappiate che Ania non si era sentita cosi soddisfatta di se stessa da non so quanto tempo.
Aveva appena eluso l’effetto del Veritasserum.
Piton sarebbe stato orgoglioso di lei, poiché, quello, era uno dei suoi tanti insegnamenti.
 
“Il Veritasserum è una trappola per topi.
Per persone troppo stupide da poter capire le sue falle…
…Mezze verità o mezze menzogne, poco importa. Ciò che conta sono le “mezze domande”…
…Interrompere il tuo interrogatore prima che formuli per intero la sua domanda…
Mezza domanda, mezza risposta, giusta o sbagliata che sia…”
 
Si Piton sarebbe stato davvero orgoglioso di lei, almeno fin quando non avesse saputo il perché si fosse ridotta a fare una cosa del genere.
 
Piano Quarantesimo. Chiunque tu sia, obbedisci. –
 
La voce metallica che le dava il benvenuto sul piano la fece ripiombare alla realtà, facendole focalizzare quel corridoio buio e quelle tre pareti.
Ad ogni parete vi era un Auror Errante, rigido nel ruolo di guardia del proprio corridoio.
Corridoio A, soprannominato Il Buio.
Corridoio B, soprannominato La Fame.
E infine, Corridoio C, detto  L’Eco.
Sua madre era tra le celle di quell’ultimo.
 
Si spinse oltre l’ascensore, che subito scattò verso il basso.
Si diresse verso il terzo corridoio, tenendo in mano il Pass consegnatole all’ingresso.
La guardia lo controllò attentamente, prima di annuire.
 
Aveva delle folte sopracciglia e le spalle larghe.
Mentre la guidava nel buio Corridoio C, verso la cella di sua madre, Ania non potè fare a meno di notare la sua andatura sbilenca, e il modo in cui si trascinava la gamba destra.
Era grande, grosso e ferito.
Probabilmente, quell’Auror Errante rientrava nella prima categoria.
Gli Auror colpevoli di aver infranto la legge.
 
Le celle non avevano porta, ma solo delle intricate sbarre di ferro appuntite, che puzzavano di ruggine solo a guardarle.
Nonostante la vista dei detenuti fosse un abominio, quel piano era, contrariamente agli altri, decisamente tranquillo.
 
La causa di quel silenzio denso, era ciò che dava il nome a quel piano.
L’eco.
Le pareti pietrose delle celle erano intrinseche di un sortilegio che faceva risuonare più e più volte ogni minimo rumore.
Era una delle tante punizioni che la prigione offriva ai suoi residenti.
 
I prigionieri del piano eco non potevano osare emettere un fiato troppo rumoroso, nè tantomeno urlare o parlare, o la loro voce sarebbe risuonata tra le pareti delle loro celle per ore ed ore, e loro avrebbero perso il senno ascoltando sé stessi gridare all’infinito.
 
Durante la storia della prigione, alcuni dei destinati a quel piano, disperati, erano arrivati ad ingoiare puntine di ferro per compromettersi le corde vocali.
Altri si erano tagliati le orecchie.
Altri, invece, avevano optato per la più intelligente delle opzioni.
Meno invasiva e poco violenta, ma macabra, alla vista.
Sua madre, era una di questi.
 
E quando Ania la vide attraverso la fitta rete di ferro della sua cella, rabbrividì di orrore.
Il suo cervello aveva sepolto nell’oblio, quella vista raccapricciante.
 
Sua madre giaceva contro la parete, le gambe poco coperte dalla misera veste, abbandonate al suolo, livide di ferite e polvere.
Il corpo un tempo invidiabile aveva perso peso.
E il volto, beh, il suo volto semplicemente, era impossibile da individuare.
Per non sentirsi parlare, per non sospirare neanche, sua madre si era fasciata il volto, con vecchie lenzuola, lasciando visibile, a stento, gli occhi.
 
Ad Ania, parve il macabro tentativo di fondere il volto di una mummia col corpo di una bambola di pezza.
 
La guardia le picchiettò sulla spalla, svegliandola da quella trance.
Picchiettò su un orologio da polso immaginario, ricordandole che il tempo a disposizione correva verso la fine.
 
Quarantacinque minuti, contò.
Era quello che le rimaneva.
Era quello che le serviva.
 
Annuì velocemente, inspirando forte, mentre la guardia tornava a focalizzarsi sulla prigioniera con aria dura.
Avrebbe dovuto esserne intimorita, eppure, la sua mente lavorava svelta.
Non c’era panico nella sua mente.
Non c’era ansia.
 
Mamma.
Devo sapere.
Chi è mio padre? 
Chi sono io? 
Chi siamo noi, tutti noi?
 
Le mille domande che la tormentavano da mesi le vibrarono sulla lingua, tra le costole, nel sangue, fin dentro la carne.
Un fremito d’eccitazione.
Il sudore dell’adrenalina le inumidì appena la mano, mentre la infilava nella tasca del mantello, mentre avvertiva il legno nodoso della bacchetta scaldargli le dita.
 
La guardia spostò il peso da un piede all’altro, distratto.
Ania lo guardò con la coda dell’occhio, analizzandolo.
Il respiro che si accorciava.
La bacchetta che sbucava oltre la tasca.
 
Il cuore prese a battere all’impazzata.
La guardia si voltò verso di lei.
Era troppo tardi per fermarsi.
Era giocarsi il tutto per tutto o il non giocare affatto.
 
Ad un passo dalla verità.
Non mi devo fermare.
 
 
XL
 
 
Quel diavolo maledetto cornuto e goffo.
Dannato Merlino, figlio di Troll.
E bagasce pure la Maga Circe e la Fata Morgana.
 
Draco era ormai arrivato al termine della sua lista di bestemmie.
Odiava il mondo.
Odiava pure il cielo e la terra.
Odiava qualsiasi cosa respirasse o semplicemente esistesse, in quel momento.
E iniziò ad odiare persino se stesso, mentre, furioso come un toro, si spolverava l’ennesimo cumolo di cenere nera dai capelli immacolati.
 
Ma più di tutti
Maledetta Metropolvere
E maledetto Harry Potter.
 
In quel caso in realtà Potter non aveva fatto un bel nulla, ma il solo essere costretto a starci accanto gli dava i nervi.
Specialmente dopo una turbolenta e alquanto non necessaria traversata per le canne fumarie dei maghi d’Inghilterra.
 
Voglio dire…
La METROPOLVERE, cazzo!
 
Chi diavolo usava più la Metropolvere nel ventunesimo secolo?
Solo una famiglia di zotici, poveracci, arretrati come i Weasley non era stata ancora capace di munirsi di macchine private o Passaporte pronte all’occorrenza.
Ed era stato infatti proprio il loro camino di chissà che secolo a spedirli lì, nel bel mezzo del Midland.
 
- Sta tranquillo Malfoy, sono sicuro che tua madre abbia lo shampoo giusto per smacchiare la tua chioma da signorina. – disse Harry osservando divertito la sua faccia rabbiosa.
- Chiudi la fogna Potter. – gli sibilò di rimando con tutto il veleno che aveva in corpo. - Neanche nel Medioevo esisteva più la Metropolvere… meno evoluti dei Weasley solo gli gnomi e le scimmie… e dove diavolo siamo poi? –
- Hm, beh, sua maestà questa è la Taverna del Boia. – esclamò Sirius scuotendosi energicamente la chioma riccia.
- Bel nome. –
- Sublime direi Harry... Magari dopo ci si può permettere anche un bel bicchierone di Burrobirra prima di riprendere la Metro. –
- Oh si, magari. Non vedo l’ora di morire avvelenato in questo posto e far sbattacchiare il mio cadavere tra un camino e l’altro.. – esclamò Draco analizzando con disgusto il soffitto in legno, dove ragnatele e nidi di uccello decoravano le grosse travi in legno.
- Perché siamo venuti qui Sirius. Non mi risulta che Azkban offra il servizio bar... aspetta, non sarà mica quella?… – esclamò Harry portandosi alla finestra. - Aspetta, non sarà mica… -
- SI, Harry, quella orribile opera di cemento nera e sudicia più dei capelli di Severus Piton è la famosa Prigione di Azkaban. –
 
Sirius si portò vicino a lui, lo sguardo perso oltre la vetrata, fisso su quella non troppo lontana costruzione circondata dal Mare del Nord.
 
- Oh, speravo di non rivederla mai quella Torre… beh, perlomeno stavolta ci andrò con le mie gambe. –
- E come dovremmo arrivarci lì fuori, di grazia? – esclamò Draco.
- A piedi. –
- A piedi? –
- Come sarebbe a dire a piedi? –
- Sarebbe a dire, a piedi. -
- No sul serio Sirius, dobbiamo andarci a piedi? –
- Non sarai diventato una mammoletta come questo qui Harry. –
- Mammoletta a chi, scimmione. –
- Sirius saranno almeno dieci chilometri e poi c’è il mare! –
- Abbiamo fretta di metterci in viaggio allora. Non vorremmo mica  far aspettare il vecchio Lucius eh? Su, fate uso di tutta quell’energia di giovani guerrieri che avete in corpo! –
- Oh, mi dispiace devo averla persa tra un camino e l’altro. –
- Sei proprio sicuro che non ci sia davvero un altro modo Sirius? -
 
Ma Sirius non li stava più ascoltando e, come una furia, aveva già spalancato la porta di quella soffitta sporca e si era fiondato al piano di sotto.
 
XLI
 
La puzza di alcool incrostato e di sudore dei marinai rimase appiccicato nelle loro narici per metà del viaggio.
Draco aveva la nausea.                                                            
Gli ci era voluta tutta la sua forza di volontà per non vomitare anche l’anima dopo aver visto le condizioni di quella cosiddetta “Taverna”.
 
Non avrebbe sfiorato un bicchiere di quel posto neanche con l’alluce del piede, figurarsi trangugiarsi una Burrobirra.
Dovette stringersi lo stomaco più volte, mentre il ricordo dei boccali smaltati di vomito e marciume gli tornava alla mente.
 
- Non converrebbe Smaterializzarsi e basta? –
- Oh, certo Potter. Perché non ci abbiamo pensato prima. Smaterializzarsi tra le mura di una prigione ad alta sicurezza! -
- Dovrebbero essere informati del nostro arrivo. Nessuno si allarmerebbe poi molto. -
- Oh Harry non è la questione di allarmare o no le guardie. Semplicemente neanche il Ministro della Magia in persona potrebbe smaterializzarsi entro i confini di Azkaban…Beh, a meno che tu non sia così stupido da farlo in mare. –
- In mare? –
- Beh, c’è chi ci ha provato. E non ne è più riemerso…ah, credimi se ti dico che solo una persona fuori di testa oserebbe bagnarsi mettere anche solo un dito in quelle acque, figuriamoci smaterializzarsi! –
- Che intendi dire? –
- Dio santo Potter, piantala di fare domande! –
- Non mi sembra di averlo chiesto a te, Cenerella. –
- Beh, te la farò breve Harry, c’è chi pensa che in quelle acque vi siano creature persino più pericolose di quelle ospitate nella Torre. – esclamò SIrius arrampicandosi su per una collinetta arida.
- Come, vuoi dire… più dei Dissenatori? –
- I Dissennatori puoi vederli e sentirli Harry… - continuò Sirius, il fiato sempre più corto mentre con fatica arrivavano alla punta alta della collina.
- Ciò che vedi riesci a metabolizzarlo… quello che non vedi invece, beh…lo immagini. –
 
Sirius si bloccò di colpo, e il suo sorriso si sciolse lentamente sul suo viso come neve al sole.
Appena i due ragazzi lo raggiunsero, non gli fu difficile capire il perchè.
 
Da quel punto così in alto della collina in poi, la terra veniva rapidamente ingerita dal mare più denso e scuro che avessero mai visto nei loro diciassette anni di vita.
Onde che inghiottivano onde e che si gettavano drammaticamente contro gli scogli, spaccandosi in mille schizzi d’acqua scura.
 
E parte il mare, il nulla.
Acqua ed acqua per chilometri, fin quando, stringendo gli occhi, non individuavi una costruzione scura come la notte, ergersi minaccioso.
Azkaban si mostrava alla loro vista in tutta la sua tragica magnificenza.
 
- Faremmo meglio a muoverci. – disse piano Sirius, come trascinandosi da una dolorosa trance. - O rimarremmo chiusi fuori. –
- Non mi dispiacerebbe restare fuori da quella cosa in realtà. – disse Harry arrancando con fatica dietro il suo padrino.
 
 
XLII
 
Tick tock.
Il tempo scorre, piccola Ania.
 
L’aria si fece velocemente più fredda ad ogni passo affrettato che faceva verso l’uscita.
Eppure dei Dissennatori, ancora nessuna traccia.
Li tenevano a bada quando c’erano visitatori, per non spaventare i più deboli.
E più Ania passava davanti le celle e vedeva i volti distrutti dei prigionieri, più si rendeva conto di quanto quegli esseri potessero privare una persona di ciò che esiste di bello.
Amore.
Passione.
Felicità.
Calore.
 
Lo stesso calore che ora le scaldava il fianco, e che si propagava da un oggetto semplice e banale come un libro, che, da qualche minuto, era diventato molto, molto di più.
Lo sentiva quasi pulsare, ad un ritmo lento, calmo, ad una velocità completamente opposta a quella del suo cuore, che invece batteva all’impazzata.
A momenti le sarebbe schizzato fuori dal petto, o l’avrebbe sputato in faccia alla guardia, non appena questa si fosse girata verso di lei.
 
Insomma, se ne sarebbero accorti subito no?
Se ne sarebbero accorti che la guardia del Corridoio C non era più con lei
Se ne sarebbero accorti della sua faccia colpevole, dell’ansia che le creava rughe innaturali tra le sopracciglia.
Si tirò il cappuccio fin sopra gli occhi, e rallentò il passo.
 
Respira Ania.
Calma.
 
Sentì i suoi sensi riattivarsi, e solo allora si rese conto di quanto le bruciasse la mano.
Non c’era da stupirsene.
La bacchetta aveva quasi preso fuoco mentre lei, con ogni fibra del suo corpo, spremeva ogni goccia di magia nel suo corpo per fare ciò che aveva studiato così tanto nel libro di Piton.
 
Intrappolare un anima.
Intrappolare un corpo.
Intrappolare un essere vivente in una custodia di carta.
 
Era spossata, stremata, ustionata.
Eppure non si era mai sentita così viva e forte in vita sua.
 
Ciò che aveva fatto era inaudito.
Ciò che aveva fatto, andava contro tutto ciò che c’era di morale e logico nel Mondo Magico.
Ciò che aveva fatto era far evadere sua madre Clelia dalla prigione di Azkaban.
 
 
XLIII
 
La navetta in legno attraccò al molo roccioso.
La lentezza con cui avevano percorso la distanza da una riva all’altra era stata irreale, come se si fossero spostati da una dimensione temporale all’altra.
E su quel lato, il tempo pareva scorrere fin troppo lentamente.
 
Ma durante quei lunghi minuti, Draco aveva avuto modo di riflettere.
Innazitutto, aveva capito a cosa si riferisse Black parlando delle acque del mare del Nord.
Quel pozzo nero svegliava in te paure che non pensavi nemmeno di avere. Fantasmi che nemmeno pensavi di portarti dietro.
E più lo fissava più tutti i suoi tormenti parevano prendere forme insormontabili.
 
Pensare che si stava avvicinando a suo padre dopo più di un mese, lo agitava.
Cosa gli avrebbe detto?
Come gli avrebbe spiegato perché era lì?
E soprattutto, come avrebbe reagito al sapere che ora erano passati al lato opposto, al lato dei buoni?
 
Probabilmente suo padre non avrebbe capito.
Probabilmente suo padre sarebbe rimasto inorridito dal sapere che lui non si era offerto al Signore Oscuro, che sua madre si era opposta ad un suo volere.
 
Una strana rabbia lo invase di colpo.
 
Suo padre li aveva lasciati con le spalle al muro, e per quanto cercasse di ragionare lucidamente, Draco non riusciva a non avercela con lui.
 
XLIV
 
Bene.
Andava tutto bene.
 
Era arrivata nell’atrio degli ascensori, e le due guardi rimaste non parevano aver notato il suo respiro accellerato.
 
Premette il dito sul pulsante dell’ascensore, pregando che arrivasse in fretta.
L’ustione sulla mano le pulsava da morire, eppure cercò di non pensarci.
Spinse il dolore tra gli ultimi dei pensieri, ed inspirò forte mentre con la mente analizzava tutti i rumori che la circondavano.
Se la guardia che aveva pietrificato difronte la cella di sua madre si fosse svegliata troppo presto, mentre lei era ancora lì, sarebbe stata la fine.
Probabilmente avrebbe urlato di fermarla, che era una criminale. Le altre guardie l’avrebbero afferrata velocemente e le avrebbero costretto le mani e privata della bacchetta.
Poi l’avrebbero rinchiusa lì dentro, e lei avrebbe dovuto fasciarsi il volto, come sua madre.
 
Ma l’ascensore arrivò velocemente, e nessuno urlò.
Con un nodo in gola aspettò le porte aprirsi e vi entrò.
Tirò un sospiro di sollievo e dovette trattenere un sorriso.
 
Ma la vittoria non si canta mai troppo presto.
Non appena alzò gli occhi verso le guardie, notò che ve ne mancava una.
 
Le porte si chiusero davanti a lei e il cuore le saltò in gola.
Il corpo si irrigidì, la mano scattò pronta sulla bacchetta.
E poi, nel silenzio di  quel cimitero d’anime, un urlo possente si propagò riecheggiante dal Corridoio C.
 
- FERMATE LA RAGAZZA! –

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Capitolo 20
*** La Torre, parte 2 ***



Dissennatori 



 XLV
 
- Malfoy… MALFOY! –
-  Beh? Che vuoi Potter? –
- Che tu ti dia una mossa, magari.–
- E’ quello che sto facendo, razza di idiota –
- Vi hanno mai detto che sembrate due ragazzini dell’asilo? -
 
Con un diavolo per capello Draco lasciò finalmente l’instabile imbarcazione che li aveva traghettati fino all’ingresso di Azkban, e si accinse a seguire i suoi meravigliosi “compagni di viaggio”.
Prima di scostarsi dal molo però, lanciò un’ultima occhiata truce alle acque oscure che guizzavano contro la riva pietrosa.
Doveva essere la suggestione data del posto, o la sensazione di angoscia che si infilava tra le costole, eppure, con un tremito, si rese conto che con ogni passo che faceva lontano da quelle acque, i pensieri neri su suo padre e sulla sua vita sbiadivano sempre di più, come un cumulo di polvere soffiato dal vento.
O per meglio rendere l’idea, una sacca di mattoni tolta dalle sue povere spalle.
 
Tirò un grosso respiro mentre la sentinella chiedeva loro le generalità, rendendosi conto che solo in quel momento riusciva davvero a tirare aria nei polmoni e a respirare regolarmente.
 
Era quello che facevano quelle acque?
Ti incutevano la paura? La disperazione? La sofferenza?
Un bel cumulo di veleni per l’anima, e soprattutto, un pasto profumato e ben individuabile dai Dissennatori.
Stava proprio osservando quegli essere svolazzanti, ghignando al ricordo di un Potter privo di sensi qualche anno addietro, quando un urlo minaccioso squarciò l’aria violentemente.
 
- NESSUNO ENTRI NELLA TORRE! –
 
Un uomo barbuto, sulla cinquantina, vestito di tutto punto con la divisa degli Auror,  agitava le braccia nella loro direzione, correndo come un forsennato.
 
- Ma che diamine sta ….? –
- NESSUNO ENTRI NELLA TORRE. TUTTI NELLE SCIALUPPE. Voi tre siete sordi forse? –
- Chiedo scusa buonuomo avremmo una visita piuttosto urgente da… -
- Io me ne frego della sua visita. Sulle scialuppe, adesso! –
 
La guardia afferrò violentemente la manica di Sirius e fece per strattonarlo verso le scialuppe, ma Sirius fu più veloce e nonostante l’uomo fosse il doppio di lui per larghezza ed altezza, si aggrappò con la mano libera alla collotta, impedendogli di spingerlo oltre.
 
- Il mio culo si muoverà quando gli sarà dato un buon motivo per farlo, signore. –
- Ecco un buon motivo coglionazzo: BUCA. –  quel solo termine fece rizzare i peli della barba di SIrius, e mentre con uno strattone la guardia lo liberava dalla presa, Draco notò che la faccia di Black tradiva una fremito di sorpresa.
 
- Buca, cosa diavolo vuol di buca? – chiese confuso
- Chi è? Chi è che sta bucando? – chiese Sirius alla guardia, ignorandolo completamente
 
La guardia parve tentennare un attimo, poi scrollando le spalle, si avvicinò a Black.
Il suo sussurro penetrò nelle orecchie dei tre come una pallottola.
 
- Clelia Wool–
 
BOOM
Quel nome e soprattutto quel cognome scoppiò nelle loro teste, e non solo. Anzi. Lo scoppiò avvenne davvero, nell’aria, a circa venti metri sopra di loro.
 
Le urla sovrastarono i pensieri mentre calcinacci e schegge di pietra volarono rumorosamente dappertutto,
 
- SMAMMATE DA QUI. ORA! –
 
Una seconda esplosione coprì la voce della guardia, questa volta più in alto, come se l’autore di quella violenza si stesse scavando la via verso la punta della Torre, sempre più su.
 
- Harry, Draco, prendete la scialuppa, la Passaporta sarà attiva ancora per un paio di ore… -
- Sirius non avrai intenzione di andare lì dentro? Non ti riguarda la cosa… -
- Harry, fa come ti ho detto! –
Il tono autoritario del padrino zittì Harry per una manciata di secondi, mentre l’uomo si gettava nella nube di calcinacci a bacchetta sguainata.
 
- Malfoy… -
- Risparmia il fiato Potter. Non vi aspetterò in quel cesso di pub come una moglie addolorata. – lo interruppe Draco.
Sfilò la bacchetta dalla tasca, lo sguardo rivolto verso la punta della Torre.
 
- Andiamo a farci ammazzare. –
 
 
 
XLVI
 
La decisione peggiore che avesse mai preso in tutta la sua vita.
Aveva sangue su faccia e braccia, i polmoni pieni di polvere e le urla conficcate nella mente. Come si ragiona in momento così? Quale strada prendere? Destra, sinistra, dritto, scala o ascensore?
 
La sua conoscenza eccelsa della pianta di Azkaban era rovinosamente crollata in una manciata di secondi, esattamente come il muro del sesto piano, macinato come polvere dalla bacchetta di una guardia.
 
E pensare che poteva essere la mia testa.
 
Saltò due gradini issandosi sulla balaustra e un fascio color porpora le bruciacchiò la spalla.
Si gettò a terra per il dolore, una mano schiacciata sopra quella nuova ferita che le annebbiava la mente.
Non aveva il tempo di dare un’occhiata, né di piangere, né di auto proclamarsi imbecille suprema per aver eluso la sicurezza della prigione più sanguinaria d’Inghilterra.
Sapeva solo che la separavano circa sei piani dal tetto, che la scala A del piano successivo era crollata, e che la scala B adiacente doveva essere brulicante di Dissennatori.
Era in trappola.
E di ciò ne aveva la certezza ad ogni passo violento contro il pavimento, mentre i suoi piedi si ghiacciavano di un familiare gelo e le urla dei prigionieri di quell’ala attraversavano le mura.
 
- RIMBOMBA- Si gettò di lato, un urlo le scivolò dalle labbra.
 
L’incantesimo della guardia ruppe un nuovo valico perfettamente rotondo davanti a lei, creando un tunnel d’aria fresca e malsana che affacciava sul mare.
 
Un tunnel.
Un tunnel!
 
La famosa lampadina si accese nella sua testa, affievolendo le oscurità della paura.
 
- Encarcera! –
- REPELLO! – la bacchetta le schizzò quasi di mano per la foga con cui contrastò l’incanto della guardia, ora a pochi metri da lei.
La tenne ben salda e obbligò le sue gambe a schizzare veloci, fino al bivio tra le due scale.
La prima un cumulo di detriti, la seconda un percorso a senso unico verso l’oblio dei Dissenatori.
 
Né A né B. Allora, C!
 
La terza via. La sua unica via di fuga.
 
Diede le spalle al muro in mezzo alle due scale, calandosi di nuovo il cappuccio nero sulla fronte, braccia aperte, bacchetta in mano.
Bastarono pochi secondi prima che una delle guardie la raggiungesse, e, senza nemmeno prendere fiato per rallentare, le puntasse di nuovo la bacchetta contro, e urlasse:
 
- RIMBOMBA! –
 
Quel figlio di puttana, voleva davvero farle saltare la testa. Ma Ania fu veloce.
Si gettò a terra, portandosi le mani sopra la testa, mossa appena sufficiente dal ripararla dall’infinità di pietre e schegge che le colpì ogni parte del corpo.
Il dolore le smorzò il fiato, ma non appena alzò gli occhi, la soddisfazione la invase di piacere come eroina in un tossico.
 
Se il primo tunnel della guardia era diventato una bocca d’aria, questo secondo tunnel aveva creato l delirio.
La Scala B era adiacente alle buie celle dei prigionieri del settimo piano, detti i ciechi, perché sempre immersi nel buio.
Ma anche se incapaci di vedere, non ci volle molto perché quelle anime in pena capissero che un buco di novanta metri che percorreva tutte le celle li scioglieva dalla prigionia a cui erano condannati.
 
E signori miei, Ania avvertì un bricioli di onnipotenza gonfiarle il petto quando l’espressione della guardia divenne una maschera di terrore.
Decine e decine di criminali accecati dalla sofferenza si riversarono per il corridoio, correndo all’impazzata verso la luce dell’esterno, espandendosi come una massa d’acqua per tutta la lunghezza del corridoio. Seppellendo le guardi sotto un’ondata di odio.
 
Ania si schiacciò contro il muro quando sette, forse otto Dissennatori volavano voracemente verso quella folla, inseguendo affamati le loro paure, così forti da nascondere la presenza di Ania persino ai loro occhi.
 
Quando i fuggiaschi sparirono dietro l’angolo, Ania si gettò a capofitto in quella voragine, correndo a perdifiato come mai aveva fatto in vita sua.
 
Destra, sinistra, rampa, di nuovo a sinistra.
Di colpo i corridoi e le scorciatoie della Torre le risaltarono in mente come se avesse il libro di Architetti folli d’ Azkaban davanti agli occhi.
 
Si fermò solo quando avvertì la brezza marina solleticarle le gote.
Si appoggiò al pilastro poroso, il cuore che minacciava di farla crepare lì, in quell’angolo sporco, sotto gli occhi assetati dei prigionieri di quel piano, coperta di sangue e polvere.
Inspirò forte, impedendosi di rilassarsi troppo.
 
Non era in salvo.
Era ad una rampa di distanza dal tetto.
Ma non era in salvo.
Sarebbe stata in salvo quando fosse riuscita a trovare il punto esatto in cui ci si poteva Smaterializzare.
C’era un punto, uno solo, di quel piano triangolare di trecento metri quadrati, in cui avrebbe potuto strizzare gli occhi, sbattere i piedi e via, lasciare quel luogo infernale, per l’ultima volta in tutta la sua vita.
 
Il libro contenente sua madre le bruciò in tasca.
Rise.
Era ridicolo solo a pensarlo, eppure era così. L’anima di sua madre, era lì con lei, pulsante, mantenuta viva dall’inchiostro di sangue di unicorno con cui il libricino era stato scritto.
Sarebbe riuscita a tirarla fuori senza morire?
O peggio, senza ucciderla?
Era davvero in grado di spingersi cosi tanto nella Magia Oscura come credeva?
E se avesse fallito? Sarebbe stata una fuorilegge ricercata su tutto il suolo inglese, per nulla.
Senza risposte.
Senza libertà.
Senza madre.
 
E anche senza futuro se non mi do una mossa.
 
Inspirò di nuovo. Il cuore un po' più calmo.
Percorse la scala velocemente, prestando orecchio alle urla dei piani inferiori.
Ed eccola lì, la porta che dava sul tetto.
 
Le guardie dovevano essere ad almeno tre minuti di distanza.
A lei ne servivano almeno due per individuare la mattonella giusta.
 
Muoviti Ania.
 
La maniglia era gelida, e la porta così marcia che il vento la trapassava, solleticando i capelli di Ania.
La spinse in giù, il cuore in gola, contando i secondi.
 
Lo spettacolo tetro del Mare del Nord le si affacciò davanti agli occhi.
Era strano. Le erano bastati appena cinquanta minuti in quella prigione, e già le sembrava magnifico poter rivedere il cielo.
 
Uscì sul terrazzo. Il vento era violento, e le sollevò il cappuccio dagli occhi. Inspirò forte.
 
Ci sono quasi.
 
Ma come diceva sempre Piton, non bisogna mai abbassare la guardia, perché è proprio quando il sole splende che le ombre sono più scure.
 
E fu proprio un’ombra a fregarla.
Veloce e silenziosa.
Avvertì solo una mano, vigorosa, stringerle forte il polso, fino a farle male. Poi la schiena sbattè forte contro il muro e la punta rovente di una bacchetta le scottò la gola.
 
- Fine dei giochi, ragazzina. –
 
Cazzo
 
Strinse gli occhi per il dolore, e le lacrime le bagnarono le ciglia, mentre tentava di mettere a fuoco quel volto barbuto, quei riccioli ribelli.
 
- Io…io ti conosco. –
- Oh si, la Gazzetta del Profeta crea popolarità con le sue foto segnaletiche, fama che sperimenterai presto anche tu, suppongo. –
 
No.
Non poteva essere arrestata.
Non poteva finire in cella.
 
 
- Ti sbagli... – gracchiò Ania con un filo di voce, trattenendo le lacrime per il dolore.
- Mia madre mi parlava di te. Felpato. –
 
L’effetto delle sue parole fu del tutto inaspettato.
 
Sirius Black allentò la presa, e le sue labbra si schiusero mentre con gli occhi pareva analizzarle ogni tratto del viso.
Sua madre le aveva detto molte volte di quel suo folle amico Sirius Black, ma a giudicare dalla reazione dell’uomo, il loro rapporto doveva essere andato oltre la semplice amicizia.
 
Un rumore di passi e urla riempirono l’aria mentre decine di piedi salivano le scale di un paio di piani più in basso.
Il cervello di Ania riprese a funzionare e il suo corpo reagì così velocemente da stupire anche lei.
 
La mano libera scattò dietro la schiena e sfilò il coltellino a lama piatta che teneva ancorato alla cinta.
Con un movimento rapido la lama scattò verso la gamba di Black che urlò di dolore, capitolando all’indietro.
 
Ania diede un calcio alla sua bacchetta, facendola rotolare metri lontano.
 
- SUL TETTO!  -
Si voltò inorridita verso la porta, capendo solo in quel momento quanto le guardi fossero vicine.
Non aveva tempo di cercare il punto di fuga. Non aveva tempo di fare un cazzo!
 
-Black! – ansimò mentre l’uomo tentava di strapparsi il coltello dalla gamba sanguinante.
Si abbassò verso di lui mentre i prigionieri urlavano verso le guardie, ora al piano sottostante.
 
- Prenditi cura di lei. – gli sussurrò velocemente.
Il libricino in cuoio vibrò nelle sue mani mentre lo infilava a forza sotto la giacca di Black.
 
L’uomo non ebbe tempo di replicare, né di capire, perché Ania corse, forte, quasi volò, verso il cornicione del tetto, a strampiombo sul mare nero di Azkban.
 
- ANIA! –
 
Ania si voltò verso la porta, il cuore sull’orlo dell’infarto.
Harry.
Harry Potter sbucava dalla porta, seguito da una ventina di guardie, e la guardava ad occhi sgranati, senza fiato, immobile.
Ma il peggio avvenne due secondi e mezzo dopo, quando i suoi occhi sfiorarono l’ultima persona che aspettava di vedersi davanti.
 
Draco sfoggiò la stessa espressione di Harry, se non peggio.
Per qualche motivo, Ania scorse odio puro colare dai suoi occhi grigi sbarrati.
 
Il tallone perse il contatto con il terreno.
Non c’era molto da fare.
Prima che le guardie avessero il tempo di metabolizzare una diciottenne in fuga piena di sangue, Ania decise che il suo piano aveva appena subito una variante.
 
Un ultimo sguardo impassibile a tutti.
Un breve respiro.
Allargò le braccia.
E come un pipistrello abbandonò il suo corpo oltre il cornicione, verso il mare.
Verso l’oblio.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Tra le bende ***



tra le bende







   
Smaterializzata.
Così, in volo.
Nessun corpo trovato sugli scogli, ne nelle acque scure, nel raggio di chilometri.
 
Madre e figlia, inghiottite nel nulla di una fuga perfetta.
 
Quella stronza ci era riuscita alla fine.
E un moto di stizza gli faceva digrignare i denti ogni volta che la sua faccia arrossata dal vento gli compariva in mente.
Con quei ricci ribelli che scappavano dal cappuccio nero, gli occhi sbarrati dall’adrenalina e il volto pallido macchiato di sangue e lenitggini.
 
Ah cazzo, che odio.
Si, per qualche motivo, sentiva che odiarla era il sentimento più giusto da avere nei suoi confronti.
Eppure…
Eppure, voglio dire, avete capito l’immensità dell’impresa che quella sempliciotta aveva portato a termine?
Certo, non senza conseguenze.
Ora, la faccia di Ania Wool tappezzava le mura di londra.
 
Guardava i passanti con occhi torbi, poco simpatici, ingrigiti dalle tinte bianche e nere della foto segnaletica, affiancata a quella di sua madre Clelia.
Che poi somiglianza tra le due pari a zero.
 
Draco non aveva mai sentito parlare di Clelia Wool in vita sua, tanto meno averne mai visto il volto!
Beh, lasciate che vi dica che la sua mandibola aveva sfiorato le sue scarpe di coccodrillo quando, appena qualche giorno prima, aveva scorto il viso della donna sulla Gazzetta del Profeta.
Bella.
Dannatamente bella.
Ma da uscirci pazzi.
Volto pallido e bianco come la porcellana, zigomi alti, morbidi capelli biondi dalle onde morbide e penetranti occhi chiari che ti prendevano dall’interno e ti tiravano verso di loro.
…Labbra carnose, sguardo fiero...
Non era difficile capire il perchè Black c’avesse perso la testa ai tempi di Hogwarts.
 
E probabilmente, ce la perdeva ancora.
Black era praticamente impazzito.
Passava le giornate a camminare avanti e indietro nella sua stanza, farfugliando a mezza voce, senza farsi vedere da anima viva, né ai pasti né in qualsiasi altro momento della giornata.
Nemmeno dal suo tanto adorato figlioccio che, anzi, era stato scacciato piuttosto bruscamente dall’uomo quella mattina stessa, con grande soddisfazione di Draco, che aveva origliato il tutto dalla sua odiosissima, piccolissima, polverosissima stanza.
 
Si alzò bruscamente dal letto, sbuffando forte.
Odiava quel posto. Gli sembrava di essere lì da un’eternità, nonostante fosse passato appena un mese dal suo arrivo in quel buco di culo.
 
La casa dei Tonks affacciava su una larga strada residenziale, attorniata da case su case su case di poveracci.
Sua madre era ancora in pessime condizioni, e a malapena si teneva in piedi.
 
E lui non aveva nessuno con cui parlare.
Niente da fare.
 
E contava i giorni grigi, sperando che prima o poi che qualcosa accadesse.
 
 
 
E qualcosa poi accadde.
Era domenica mattina.
Draco dormiva a petto nudo con le tapparelle abbassate e un braccio sulla fronte, quando quel topore venne bruscamente interrotto da un grido d’orrore.
 
- QUESTA E’ UN ERESIA! –
 
Si alzò di colpo senza neanche rivestirsi, e a bacchetta sguainata si precipitò fuori dalla stanza.
 
- Potter, ma che diavolo…? – sussurrò appena vide Potter, anche lui in pigiama e con la stessa aria sonnolenta, fermo in ascolto nel bel mezzo del corridoio.
- Shh – gli mimò col dito e non gli ci volle molto per capire il perché.
 
Dalla camera di Sirius, appena di fianco quella di Draco, all’incirca due- tre persone avevano intavolato una discussione feroce..
 
- …questa casa è già abbastanza esposta ai Mangiamorte, Sirius. Vuoi anche mettermi nel mirino degli Auror? –
-Nessuno sa che è qui, Andromeda… -
- E pensi di riuscire a tenerla nascosta anche ai ragazzi, suppongo. Gran bell’esempio. –
- Oh, non parlarmi di esempi quando abbiamo la moglie di un Mangiamorte qui in questa stanza. –
- Nel caso non l’avessi notato, razza di imbecille, io e il “Mangiamorte” siamo sposati da ventanni, abbiamo un figlio insieme, una vita, qualcosa per cui rischiare… Lei invece chi è per te, se non un paio di sveltine nello stanzino del guardia caccia. –
- Cissy! -
- Oh, niente di cui essere sopresi Andromeda. Ecco che la cara Narcissa, dopo giorni di ben emulata grazia si mostra l’acida puttana che è sempre stata... –
- Acida puttana o meno quello che sta mettendo a rischio l’intero Ordine della Fenice per nulla sei tu. Oh!...non penserai mica che…che la ragazza sia tua figlia, Sirius?- la voce di Narcissa si ruppe in una risatina di finta ilarità, facendo rizzare i peli di tutti quelli che stavano silenziosamente origliando nel corridoio.
 
Dall’interno della stanza si sentì un suono pesante, come se Black si fosse appena accasciato su una sedia, e il rantolo di orrore di zia Andromeda.
 
Draco tirò così forte il fiato che quasi avvertì lo stomaco sfiorare la colonna vertebrale.
 
Ania Wool, figlia di Sirius Black?
 
Un conato di vomito si fece spazio tra i suoi succhi gastrici.
Se ciò fosse stato vero, questo faceva di loro…cugini di secondo grado?
 
No no no no no no
Non poteva essere vero.
Non poteva essersi scopato la figlia del cugino di sua madre.
Assolutamente non poteva, assolutamente non…non era plausibile, né accettabile, né…
 
- Se ha diciotto anni, non sarebbe così improbabile dopotutto… - disse Andromeda, dopo un silenzio che parve lungo un’eternità.
- Ci ho pensato, Narcissa.. Ma l’ho visto bene in faccia. La ragazza non mi somiglia per niente. –
- Beh, capigliatura selvaggia, deliri di onnipotenza… -
- … Occhi verdi e capelli nero pece, e la faccia più pallida di tutta la razza del tuo consorte…. Inizio quasi a dubitare che sia persino figlia di Clelia. E in ogni caso…- marcò forte Sirius, come a riprendere le redini di un discorso che non gli piaceva affatto.
- … non è l’eredità genetica di una sconosciuta che mi interessa al momento. Ciò che mi interessa è… - si bloccò di colpo. Il silenzio regnò sovrano per una manciata di secondi, e quando i ragazzi si resero conto del perché, era ormai troppo tardi.
La porta della camera di Sirius si aprì di scatto, facendo sobbalzare i tre giovani e cogliendoli in piena flagranza di reato.
 
- E voi cosa diavolo state facendo? Origliare come ladri? Harry! Mi stupisco di te… -
- Già Harry, davvero deludente da parte tua… - lo scimmiottò Draco divertito dalla faccia mortificata di Potter.
Ma il suo divertimento durò appena un secondo quando...
 
- Draco Lucius Malfoy! – sbottò sua madre, sbucando dalle spalle di Sirius.
- Cosa diavolo stai facendo mezzonudo ad origliare con l'orecchio accostato alla porta come un...come un Mundungus Fletcher qualunque! –
- Beh, non ci sarebbe motivo di origliare se voi non complottaste cosi rumorosamente di prima mattina! –
- Non c’è nessuno complotto e faresti meglio a tornare nella tua camera prima che… -
- Prima che cosa? Mi sbatti fuori da questa vecchia catapecchia? Mi faresti nient altro che un piacere. –
- Potrei anche farlo, in realtà. – sbottò Narcissa, tentando di ricoprire un ruolo di madre autoritaria che le era palesemente estraneo.
Draco era sempre stato troppo viziato per temere alcun tipo di punizione o conseguenza.
Il massimo che aveva dovuto subire durante gli anni era stato il dover rimanere in casa piuttosto che andare a vedere il Quidditch o il ricevere dieci regali di compleanno anziché undici.
Ma ora, anche quei piccoli assi erano del tutto scomparsi dalle maniche di sua madre.
E lui lo sapeva benissimo.
 
Incrociò le braccia e si appoggiò la parete con fare arrogante, in attesa.
-Sirius! – sentì Potter dire alle sue spalle.
- credo proprio che ci dobbiate delle spiegazioni. Non siete gli unici ne a vivere in questa casa, ne a combattere questa guerra. –
 
Gli occhi di Draco schizzarono in alto.
Potter.
Il solito morboso combattente della situazione e i suoi soliti paroloni da granduomo.
 
Ma paradossalmente, funzionarono.
 
Sirius strinse i denti, si morse le guance, e poi con un sospiro di piombo si scostò dalla porta.
 
- Ci sono delle cose che dovete sapere, riguardo la vostra amica Ania… - borbottò.
- Pf, amica? Non credo che nessuno in questa stanza possa definirla amica. – sbottò dal nulla Hermione, con un eloquente occhiata a Draco
- Se la cosa non ti interessa Granger, allora puoi riportare il tuo naso impiccione tra le ragnatele dei libri, che dici? –
- Ecco, è esattamente per questo che certe cose vanno tenute nascoste. Siete dei ragazzini, tutti e tre! Non pronti per… -
- Per cosa? Cosa c’è di così segreto da girarci così tanto attorno? –
 
I tre adulti si guardarono, messi con le spalle al muro dall’esasperazione di Harry, che adesso faceva sembrare loro dei ragazzini immaturi.
 
- La madre di Ania… - iniziò Sirius dopo qualche secondo, le mani sudate e la voce pesante
- …era una Mangiamorte.-
- E fino a qui ci siamo. –
- Nulla di nuovo infatti...-
- …MA prima di diventarlo... – riprese Sirius indispettito -… Clelia faceva parte dell’Ordine della Fenice. O per meglio dire, ne fu una delle fondatrici. –
 
I ragazzi lo osservarono per qualche secondo, digerendo forzatamente quel boccone.
Okei, le cose si complicavano quindi.
Non era stata sicuramente la prima Strega a cambiare bandiera durante gli anni della Prima Guerra, ma qualcosa del tono di Sirius e dallo sguardo preoccupato delle sorelle Black, suggeriva che la faccenda stava per complicarsi.
 
- Clelia era Serpeverde, discendente di una linea di sangue estremamente pura. Intelligente, poco distratta da frivolezze e pericolosamente ambiziosa. Bramava il potere come pochi, ma nonostante ciò amava senza pretese…-
- Uh…- lo interruppe Narcissa, fingendosi nauseata.
- Ne parli come se fosse un eroina nazionale caduta in guerra. –
- Ha dato un forte contributo alla lotta contro Tu- Sai- Chi Narcissa, non negarlo…-
- Non nego e non affermo niente che non sia la verità Sirius, Clelia Wool è… -
- …una donna piena di talenti e sentimenti che tu non potrai mai… -
-…INTENDEVO DIRE...viva. – sibilò Narcissa, sibillando con la lingua tutto il veleno che riusciva ad indirizzare al cugino.
- Non c’è alcun bisogno di decantarne le doti di una vita passata quando ce l’hai ad un palmo dal naso. Dio santo Sirius, come puoi cadere in ba…-
- Ad un palmo dal naso? – proruppe Draco
 
Tutti gli occhi scattarono su di lui.
 
- Che intendi dire ad un palmo dal naso? –
 
Si guardò attorno, e, no, apparte loro sei non riusciva ad inviduare proprio nessun altro nella stanza.
Che Clelia Wool fosse un Animagus?
O un fantasma?
Ma come poteva esserlo se sua madre aveva appena dato per certo che fosse viva e vegeta?
 
-Sirius? – tentò Potter, con quello che era certamente l’anello debole del cerchio.
E infatti lo sguardo di Black ci mise poco ad abbassarsi.
 
- Ciò che cercavo di dirvi è che… nonostante il suo buonanimo, Clelia si interessava molto di Incantesimi Proibiti… e a quanto pare, il suo stesso sangue ne ha ereditato il talento. –
 
Con sguardo torvo si voltò verso il piccolo divanetto in velluto sul lato scuro della stanza.
Non c’era nulla al di fuori della norma.
Un paio di cuscini, una coperta di flanella, e un libro poggiato contro la schienale aperto di qualche centimetro, come se qualcuno lo stesse leggendo e lo avesse poggiato lì per un attimo.
Eppure, nel momento esatto in cui la Granger tirò il fiato, proprio in quell’istante anche a lui saltò all’occhio un dettaglio da accapponare la pelle.
 
Laddove c’era il libro, e tutto attorno ad esso, un pulsare scuro smuoveva la stoffa pesante del divano, come se al di sotto del rivestimento ci fosse un corpo pulsante e vivo quanto il suo.
Draco rabbrividì quando, aguzzando la vista, tra le pesanti pieghe della stoffa del divano, vide un mondo di venuzze ed arterie pulsare quello che, ad un occhio attento, pareva essere sangue.
 
- Che diavolo è? – bisbigliò, disgustato.
- Quella è…un’anima. –
- Un anima? –
- Hai letto troppi romanzetti Granger. –
- E’ maledetto? –
- Non è maledetto Harry, te l’ho appena detto è un’anima -
- Hermione non puoi venirmi a dire che quello libro spiritato sia…–
- E invece Hermione ha ragione Harry. – li interruppe Sirius, il tono che trapelava impazienza ad ogni lettera.
- Sirius… non ci sarà mica Clelia Wool lì dentro?-
 
Le parole di Harry gelarono come neve sulle nuche di tutti i presenti, dando espressione ai dubbi di chi aveva pensato lo stesso, e voce a quelli che, invece, ne erano già assolutamente certi.
Sirius si voltò terrificato verso il libro.
Sotto il suo sguardo, le pagine nerastre parvero tremare e sollevarsi un po' più, scosse da uno spiffero che in realtà non c’era, in quella stanza dalle finestre sigillate.
 
- Si, Harry. Questo è quello che pensiamo. -
 
Nonostante la paralisi facciale che lo aveva colto, il cervello di Draco prese a ragionare alla velocità cosmica.
Linguamozza
Chiuso madre
In libro.
Chiaro!
 
Chiarissimo, cristallino!
Meraviglioso a tratti!
Pazzesco e meraviglioso!


Cosi meraviglioso da farlo schiattare dal ridere tra le costole e le viscere, così forte che quella risatina nervosa gli affiorò al volto, come un tick nervoso limitato ad un solo lato del volto.
 
- Sul serio? – proruppe divertito, mentre i presenti lo guardavano come fosse impazzito.
- Ania Linguamozza ha creato un Horcrux di sua madre? AH! –
- Non  è di un Horcrux che stiamo parlando, Draco, nessuna ha fatto la sua anima a pezzi per garantirsi l’immortalità. Se in questo momento lanciassi uno Schiantesimo a quel maledetto libro, Clelia Wool morirebbe nel tempo di un respiro, debole e com'è. –
- Ed è per questo che tratteremo tutti la situazione con molta delicatezza, Narcissa! –
- Sirius! E’ da folli tenere una pluri omicida ricercata nel Quartiere Generale dell’Ordine! –
- Hermione non è così facile! –
- Beh, perché non c’è lo spieghi cos’è allora? –
- Harry non… -
- … se non è un Horcrux allora non è niente di diverso di un pupazzo animato! –
- Vi dispiacerebbe abbassare la voce tutti quanti invece di…. –
- SIrius penso proprio che tu debba darci una valida spiegazione del perché stiamo tutti rischiando che… -
- …Draco, per Merlino abbassa la bacchetta cos’hai intenzione di… -
 
Ma Draco si era rotto di sentire tutte quelle voce scannarsi l’una sull’altra.
E così si era strappato la bacchetta dai jeans.
Se quella era niente di più di un’anima intrappolata, così come lo erano stati i suoi pupazzi dei giochi ai tempi, quando intrappolava gatti viventi in sagome di peluche, allora, non sarebbe stato poi così difficile far capitolare fuori una persona da un vecchio libro in pelle.
Giusto?
Non proprio.
E lo sapeva anche lui! Ma quando si rese conto della pericolosità del suo ragionamento senza fondo, ormai, era troppo tardi.
L’incantesimo gli scappò dalle labbra prima che se ne rendesse conto, prima che Sirius Black potesse riuscire a strappargli la bacchetta di mano, prima che persino sua madre capisse cosa stava per fare.
E le sue labbra sussurrarono una in lingua antica
 
- Extrapula. -
 
Un leggero azzurrino colorò di botto la stanza non appena l’incantesimo toccò il libro.
I fogli e i calamai scivolarono dolcimente sul pavimento, e i cuori di tutti si rallentarono per un attimo.
Per una manciata di secondi, parve che nulla fosse cambiato.
Ma poi…
 
- Indietro! –
 
Narcissa si alzò di scatto, tenendosi il fianco offeso, appena in tempo per evitare l’esplosione dell’imbottitura del divano.
La struttura del sofa si catapultò in avanti con un botto, lacerandosi e urlando come se lì dentro ci fosse davvero un corpo che veniva dilaniato.
 
Draco si maledì con tutte le sue forza.
Aveva ammazzato Clelia Wood?
Beh, ad essere onesti, lui aveva attaccato un libro.
Chi glielo diceva che ci fosse davvero una persona dentro?
Magari lo stavano solo prendendo in giro.
 
Ma tutti i suoi dubbi furono calpestati con rabbia, non appena, nel rumore più straziante e nella confusione più totale, una mano, una singola pallida, ossuta e affusolata mano, sbucò oltre il divano.
 
Draco inciampò nei suoi piedi per indietreggiare, e con lui anche Potter.
 
Un’altra mano affiancò l’altra.
Le bacchette dei tre adulti si alzarono.
Tutte le schiene si ritrovarono contro il muro, cercando una distanza maggiore da quelle braccia piene di lividi,  da quel capo fasciato che ora emergeva oltre il divano.
 
Prima una benda, poi un’altra.
Clelia Wool si graffiava la faccia con le unghia mal tagliate, tentando di rimuovere anche l’ultima benda insanguinata benda dal volto.
 
Quando ebbe finito poggiò le mani al suolo, ansimante.
Tutti ora, non avevano nemmeno il coraggio di sbattere le ciglia.
 
Ciò che Draco vide li in terra gli fece accapponare la pelle.
Gli sembrava di guardare un Elfo Domestico con i capelli lunghi, tentare in tutti i modi di mettersi in piedi e fallire miseramente ogni volta.
Potter fece per fare un passo avanti, ma Black lo bloccò.
 
- Sarebbe meglio se voi tutti usciste ora. – bisbigliò, lo sguardo perso su quel corpo smagrito.
- Concordo, avvertite gli altri che non si terrà nessuna riunione og… -
-  No, Andromeda. Con tutti intendo tutti. –
 
In quel momento Draco fu percorso da un brivido.
I suoi genitori potevano essersi amati sul serio un tempo, ne era certo.
E sua madre ancora sfiorava il cuscino di suo padre per sentirne il profumo, da quando era stato arrestato.
E suo padre ancora le scriveva lettere, dalla prigione.
Ma quello era qualcosa di diverso.
Perché quello che vide quando Sirius Black percorse a grandi passi la stanza, dimenticandosi di tutti loro, per accovacciarsi di fianco a Clelia Wool, quello non era quel semplice amoricchio che si promette all’altare.
 
Quello che Draco vide negli occhi di Black
E nelle sua mani
E nei suoi sussurri
Quell’amore lì
Era pericoloso.
 

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Capitolo 22
*** Grusko ***



Grusko, pic not mine



  
 
XLVIII
 
Polveroso.
Estremamente polveroso.
E di un puzzo pazzesco.
Il disturbo Ossessivo Compulsivo latente nei meandri del suo cervello la spingeva quasi ad afferrare un vecchio manico di scopa dal negozio di fianco e dare una ripulita a quel posto.
 
Balzò sommessamente quando per poco non calpestò quello che sembrava cibo ammuffito e lasciato lì sul pavimento sporco.
L’odore di legno rosicato le faceva lacrimare gli occhi, e nonostante il negozio fosse pieno oggetti allucinanti, Ania non vedeva l’ora di scappare da lì.
 
E provò a farlo capire a Piton con un’occhiata eloquente oltre il bancone, ma niente, non ci fu verso.
Piton le era del tutto indifferente o forse faceva finto di esserlo, impegnato com’era ad esaminare ad un palmo dal naso uno degli ultimi ritrovamenti egizi messi in vendita da Magie Sinister.
 
Ania lo fissò per qualche secondo, e si chiese se anche quella volta Mr. Borgin, il proprietario del locale, avrebbe lasciato decidere il prezzo a Piton.
Era sempre così.
Sparava in alto, e poi Severus lo riportava strisciante al terreno con un semplice sguardo.
 
Chissà perché poi si facevano tutti impressionare da quelle occhiatacce…
Ania se l’era sempre chiesto.
La gente sembrava avere paura di Severus, specialmente i ragazzini. Delle volte capitava che incontrasse dei suoi studenti per strada, e quelli squittivano contro il muro come topi col gatto.
 
Ma dai, davvero?
 
Scrollò le spalle, persa nei suoi pensieri.
Il regno di terrore  che Piton si era creato ad Hogwarts era un mondo incomprensibile per lei. A maggior ragione in quanto non vi aveva mai messo piede!
E forse non l’avrebbe mai fatto.
 
Piton voleva che lei studiasse privatamente. A volte era lui il suo insegnante, altre volte invece veniva Mr. Cactus, che in realtà era “Crakus” ma che aveva cosi tanti brufoloni che per Ania era sempre stato “Cactus”.
 
La prima lezione di quell’anno sarebbe stata il giovedi prossimo, in concomitanza con la partenza di Piton per Hogwarts, e Severus le aveva promesso che prima di quel giorno avrebbero tenuto una lezione su qualsiasi argomento lei avesse voluto.
E così Ania, per ammazzare il tempo, scorse un dito sulle colonne di tomi di Sinister, sperando che qualcuno di loro le suggerisse un tema avvincente da affrontare.
 
Mentre si soffermava su “Le fiabe della Baba Yaga” un pizzicorio alla mano sinistra le fece torcere le dita.
- Ahi!-
 
Si tirò la mano per il polso, dolorante.
Che cosa strana.
La cicatrice che aveva tra il pollice e l’indice ogni tanto le pizzicava, ma mai cosi tanto.
Tento di ignorarlo ma non appena spostò di nuovo lo sguardo sui libri, ecco che quel forte pizzicorio sotto la pelle la distrasse ancora.
Che le stesse venendo l’artrite?
O forse era semplicemente uno spiffero d’aria settembrino…
Si guardo attornò, ma non vide finestre ne buchi nel muro, né crepe tra le doghe in legno.
Ma in una delle vetrinette di Sinister, tra le ragnatele di cristallo e i teschi fumanti, Ania scorse un oggetto che la attrasse come il miele per le api.
Su un drappo di velluto rosso, in una misera lastra di legno concava, vi era una bacchetta scura, quasi nera, leggermente ondulata, come uno dei suoi ricci, e con una grossa crepa che la percorreva dal manico alla punta.
 
- Non si tocca! – sbottò Mr.Borgin di colpo, erompendo furioso dall’altro lato della stanza.
 
- Non stavo toccando!- replicò Ania contradetta, prima di rendersi conto di avere la mano sinistra poggiata sul vetro della teca.
La ritrasse velocemente, incrociandola al petto mentre il proprietario usciva furiosamente dal bancone.
 
- Questo non è un posto per bambini innanzitutto! –
- Non sono una bambina, ho undici anni, Mr. Borgin. –
- Undici anni è poco più di un poppante per come la vedo io. Nemmeno i peli sulle cosce ti sono usciti a undici anni! – replicò grezzamente Borgin picchiettandole il naso con un dito sporco.
- Borgin! –
 
Il vecchio viscido ritrasse immediatamente la mano, elettrizzato dalla voce minacciosa di Piton che aveva appena soffiato il suo nome.
 
- Ania, chiedi scusa al Signor Borgin per la tua insolente curiosità e maleducazione nel toccare cose non tue. –
- Stavo solo guardan… -
- Le tue scuse. – replicò perentorio Piton, fulminandola all’istante con gli occhi.
 
Ania si morse le guance e sospirò forte riluttante.
 
- Chiedo scusa, Mr. Borgin. – bofonchiò velenosa.
- Come se non fosse successo niente … Spero bene che tu ti tenga le mani conficcate nel mantello la prossima volta. –
 
Ania stava per rispondergli che la prossima volta gliele avrebbe conficcate negli occhi le mani, ma Piton la afferrò per una spalla e la spostò di lato, fissando con sguardo indecifrabile l’oggetto di interesse dalla sua giovane assistita.
 
- Oh si, insolente ma con buon occhi, Severus. Questi qui sono Narghilè della città di Ossa. Lo stesso Grindewald ne faceva uso se ben ricordi per i suoi riti. Posso farteli ad un prezzo stracciato di 170 galeoni solo per t… -
- Non stavo guardando le teste morte io, stavo guardando la bacchetta… -
- Ania! –
Ania alzò gli occhi al cielo al nuovo richiamo di Piton, ma la sua insofferenza venne schiacciata dallo stupore, quando Piton puntò il dito contro la teca, indicando quel pezzo di legno mangiucchiato dal tempo.
 
- Oh, la bacchetta certo. Questa apparteneva ad un grande mago ehm d’oltre oceano, e come puoi notare ha una grande storia, si, una gran bella storia ehm… -
- E’ un pezzo di legno crepato al centro di cui non ti sbarazzerai mai Borgin. – proruppe Piton interrompendo i patetici tentativi dell’uomo di creare una storia avvincente.
- Tre falci. –
- Severus, per tre falci non venderei nemmeno un pelo del mio stesso naso. –
- Tre falci e due zellini, Borgin. O non vorrai che mi faccia scappare con i Crouch del perché hai la loro collezione di Scacchi Neri in bella mostra in vetrina.
Mi sembra di ricordare che qualche ladro di quartiere sia entrato in casa loro appena due settimane fa… -
 
Detto fatto.
 
Cosa avesse spinto Piton a comprare quella bacchetta rotta resta tutt’oggi un mistero.
Per un po' Ania credette che gliel’avrebbe regalata per il suo dodicesimo compleanno. O che ancora l’avrebbe usata come bacchetta-cavia per incantesimi più complessi. Ma invece, quella misera bacchetta rimase esposta sul loro camino per una decina di mesi, dopodichè, semplicemente, scomparve nel nulla.
 
 
Sette anni dopo Ania strinse la sua bacchetta in legno di quercia, nascosta sotto il cuscino, giusto per assicurarsi che fosse ancora lì.
Aveva sognato che una dozzina di studentesse di Beuxbaton vestite di turchese fossero penetrate nella sua stanza a suon di piroette e battiti di ciglia, costringendola ad imbellettarsi le labbra e a stirarsi i capelli.
Fortunatamente, si era rivelato solo un brutto, orrendo sogno.
La luce calda di Londra le baciò le guance, dandole il buongiorno.
 
Era in quel posto da poco meno di una settimana, eppure vi sarebbe rimasta per sempre.
Adorava il sole pallido di quei giorni, adorava l’odore di pasta sfoglia dei dolci del mattino e le prove dei cori di Natale che si tenevano nell’atrio di sotto.
Tutti quei piccoli dettagli natalizi che aveva sempre odiato le sembravano improvvisamente belli.
Era in pace.
Nonostante fosse una ricercata in tutto il Sud d’Inghilterra.
 
La sua faccia la salutava corrucciata dalle mura della città, osservando i passanti da un manifesto che gridava WANTED.
L’aveva fatta grossa, eppure non era mai stata così rilassata in vita sua.
 
Strano come funziona il cervello umano no?
Sei soddisfatto di te stesso solo quando ti comporti da completo idiota.
 
Inforcò un maglione caldo e degli stivali felpati e si diresse alla porta, pronta per la colazione.
Sul pianerottolo di quella tavola calda la musica rockettara di un emergente gruppo di adolescenti riempiva l’aria.
Vi erano nuovi gruppi di diversi generi che suonavano ad ogni ora del giorno, in quel posto.
Era una specie di oratorio/associazione per i giovani, finanziato dal Santissimo e Devoto Culto dei Druidi d’Inghilterra.
I druidi…
Asociali.
In armonia con la natura.
Vegani.
Ma soprattutto, totalmente diffidenti e ostili verso il Ministero della Magia e la Gazzetta del Profeta.
 
E ciò era perfetto, signori miei, perché nessuno di loro aveva la minima idea che ci fosse stata un’evasione con botto alla prigione di Azkaban appena una settimana prima.
Lì, Ania era al sicuro.
 
- Roba tremenda, eh? –
Balzò di colpo, portando istintivamente la mano verso la tasca dei pantaloni dove teneva la bacchetta, prima di focalizzare chi fosse il suo interlocutore.
 
- Beh, meglio della lirica all’alba di ieri mattina. – ironizzò Ania accennando un vago sorriso.
-  Oh, no, non sono d’accordo. Amo essere svegliato da sette Maghe che invocano i Guardiani del cosmo. –
 
Ania ridacchiò educatamente mentre identificava il volto del ragazzo come quello del barista serale.
 
-Comunque,Gavin Gruscott, ma qui tutti mi chiamano solo Grusko. – disse allungando la mano verso di lei.
- Beh, piacere Grusko. –
- E tu, non ce l’hai un nome? –
- Credo di si... – rispose Ania vaga, ancora indecisa se fidarsi o meno di quel ragazzo sbarbato.
- Oh. – esalò lui dopo qualche secondo. – Tu sei quel tipo di ragazza. –
- Probabilmente si-
- Cosa intendi? –
- Dovrei chiederlo io a te –
- Io intendo quel tipo di ragazza misteriosa, dagli occhi bellissimi e la faccia dolce ma che appena tenti l’approccio ti manda a quel paese. –
- Pensa tu,  io intendevo il tipo di ragazza che ha un nome invece. Molto più banale –
- Beh, se non vuoi dirmi il tuo nome, te ne darò uno io! tipo… Bernarda! –
- Mi sta bene! –
- Come sarebbe a dire, ti sta bene? Ne ho scelto un orribile per innervosirti. –
-Ecco vedi Gusko… - sussurrò Ania facendogli segno di avviccinarsi.
- Qualsiasi nome è meglio del mio al momento. Vedi, sono una pericolosa criminale ricercata dal Ministero della Magia. Un Auror in particolare, tra i più tremendi, non vede l’ora di portarmi in cella, esattamente come fece con mia madre quattordici anni fa.
- Oh davvero?  - rispose Gusko con fare cospiratorio.
- Già. Mi odia davvero tanto. All’età di quattro anni gli ho pugnalato un occhio e reso mezzo cieco. E’ un rapporto turbolento il nostro. – concluse scrollando le spalle.
- Beh, sai cosa dice un detto druido per questo genere di cose? –
 
Ania scosse la testa, divertita dall’atteggiamento di quel Grusko.
 
- Whisky e tabacco buttano i diavoli nel sacco. –
- Oh davvero? Questo è ciò che dicono i druidi quindi. –
- Mano sul cuore! –
- Mi sembra un ottimo consiglio per chi vuole morire giovane. –
- Non vedo come una tremenda criminale ammazza Auror voglia condurre una vita sana e crescere nipoti. –
 
Ania rise e fu come sollevarsi da terra.
Quel Grusko non smetteva un attimo di parlare e dopo un po' Ania avrebbe voluto infilargli un calzino in gola. Eppure era sicura che anche in quel caso avrebbe continuato a mugugnare fino a strozzarsi.
Era un ragazzo di ventidue anni, Maganò. I suoi genitori gestivano la cucina della tavola calda e lui vi lavorava da quando aveva quindici anni.
Le fece assaggiare tutte le torte rustiche fatte da sua madre, assaggiare venti Whisky auto prodotti dalla tavola calda e passato in rassegna tutti i gruppi musicali che erano stati lì agli esordi e che poi, alla fine, avevano avuto successo.
 
In qualche modo la trattenne per due ore.
Quando Ania si ritirò nella sua stanza con la scusa di dover studiare la testa le pesava d’informazioni non richieste. Eppure, nel corso della giornata, si sorprese a sorridere senza motivo, ripensando allo tsunami di parole che le aveva inondato la giornata.

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Capitolo 23
*** Albero di ghiaccio ***



albero di ghiaccio



  
 
XLIV
 
Il segreto della caccia è la pazienza.
Attendere e, soprattutto
mantenere il controllo.
Un passo alla volta, senza fretta.
Anche se il respiro accellera.
E la mano suda.
Tu resta calmo.
La preda è ignara
Assapora il momento
E quando meno se lo aspetta
COLPISCI!
 
BOOM
 
Il rumore del botto doveva essersi sentito in tutta la casa, ma non gliene fregava niente.
 
- Ti ho preso brutto bastardo!-
 
L’orgoglio gli esplose dal petto quando finalmente trovò il corpo senza vita di quel grosso ragno schiacciato sotto la suola della sua scarpa.
Erano giorni che lo vedeva girovagare per la sua stanza, e giorni che combatteva con le sue ragnatele ovunque.
Assurdo che i Tonks non si fossero mai minimamente preoccupati di chiamare un disinfestatore
 
Si avvicinò alla finestra, pronto a dare l’estremo saluto al maledetto regno, quando un bussare forte alla porta lo interruppe.
 
- Lasciami in pace – sbottò verso la porta, senza nemmeno sapere chi vi fosse dietro.
- Volevo solo informare sua maestà che il pranzo è pronto e siamo tutti a tavola. –
- Grazie del pensiero, preferirei mangiare nel cesso che con voi quattro bambocci –
- Forse non ti è chiaro Malfoy che per tutti noi qui dentro, tu puoi anche mangiare a terra…O non mangiare affatto!-
 
Alzò gli occhi al cielo mentre la Granger scendeva indispettita le scale.
Dio, quanto odiava tutta quella marmaglia di altezzosi buonisti.
Avrebbe fatto volentieri a meno di unirsi a loro per il pranzo, ma un forte brontolio allo stomaco gli segnalò che era il caso di mozzicarsi la lingua quella volta.
Osservò ancora una volta il ragno morto sotto la sua suola.
Forse, quel defunto parassita gli sarebbe potuto essere utile.
Weasley odiava i ragni.
Specialmente se spalmati nel pane.
 
 
 
 
Quel pomeriggio erano appena cinque a tavola.
Il Trio Meraviglioso e Glorioso di Potter, Weasley e Granger, Andromeda Tonks e Molly Weasley.
Mentre i tre ragazzi prendevano rumorosamente posto al tavolo in legno, le due donne erano impegnatissime a confabulare concitate, in un tono basso e cupo, facendo finta di tagliare un pezzo di pane già completamente maciullato.
 
Draco scrollò le spalle.
Erano tutti matti la dentro.
 
Prese posto in un angolo buio della stanza, vicino un vecchio giradischi rotto che gli avrebbe fatto da tavolo.
La puzza di terra muffita gli picchiò il naso.
Alla sua destra vi era un piccolo mobiletto di legno scuro, di vecchia data, completamente pieno di fotografie e piantine troppo innaffiate.
 
Tra le varie foto di una bimba/ragazzina dai buffi capelli viola, uno sguardo a lui familiare catturò la sua attenzione.
In una piccola cornice dorata, tre giovani donne salutavano il fotografo con sorrisi simili e diversissimi tra di loro.
 
Andromeda, Narcissa e Bellatrix Black ammiccavano nella sua direzione, divertite.
Inconsapevolmente strinse il pugno.
Sua madre era stata portata al San Mungo appena tre giorni prima.
E colei che ce l’aveva portata era proprio alla sua destra in quella foto.
Anche se la fattura non era partita dalla sua bacchetta, Bellatrix aveva portato i Mangiamorte in casa loro.
Era responsabile quanto, se non più di quel maledetto Greyback.
 
Una mano gelida gli si posò sulla spalla facendolo trasalire.
 
- La Narcissa di quella foto sarebbe scoppiata in lacrime se avesse saputo come sarebbero andate le cose. –
 
Draco alzò lo sguardo, ritrovandosi a fissare lo sguardo materno di una nostalgica Andromeda Tonks.
 
- Puoi tenerla se vuoi, la foto. –
 
Le sue labbra sottili cosi simili a quelle di Narcissa si piegarono in un sorriso.
Compassionevole.
Stuccoso.
 
- No grazie. –
 
Il gelo caricò le sue parole di più stizza di quanto avrebbe dovuto.
 
- Chi contempla il passato è un completo idiota per quanto mi riguarda. –
 
Scostandosi dal tocco di Andromeda, Draco si porse verso il mobiletto, rimettendo poco gentilmente quel cimelio fotografico.
 
Andromeda stava sicuramente per controbattergli qualcosa di immensamente istruttivo quando la porta della cucina si aprì di botto, sbattendo contro la parete.
 
- Sirius, Santa Tosca ma che modi! –
- Perdonami Molly.-
 
Sirius Black si portò stancamente verso una sedia.
Sembrava non dormire da giorni, le occhiaia sfioravano gli zigomi pronunciati e le mani cadevano pesanti come mattoni sul tavolo.
 
- Brutta giornata Sirius? –
- Meravigliosa come un coltello nelle costole Harry. – bofonchiò stancamente, accennando un sorriso.    
Quelle furono le ultime parole che Sirius pronunciò per tutto il resto della cena.
 
Draco divorò le patate arrosto e lo stufato di agnello, picchiettandolo famelico nella zuppa di patate dolci.
Si ripulì il piatto con un tozzo di pane, e stava quasi per divorarlo quando una cannonata ruppe quel silenzioso tintinnio di posate e piatti.
 
- Dobbiamo trovare Ania Wool. –
 
Boom
 
La sua attenzione venne completamente distolta dal pezzo di pane che ancora teneva in mano.
Tutti, adesso, fissavano ammutoliti Sirius Black.
 
- Sirius, non credo assolutamente sia una saggia idea. – bisbigliò Molly Weasley, bocca spalancata e sguardo pieno d’ansia.
- Una ricercata in casa basta per tutti noi… -
- CLELIA NON PARLA MOLLY! – Sirius sbattè le mani sul tavolo, in un gesto pieno di frustrazione.
 
Si morse il labbro, come a pentirsi di quello scatto d’ira.
 
- Clelia non parla… -
- Ci vuole almeno un mese di assenza dittamo per ripristinare una persona da un trauma come può esserlo Azkaban, Sirius, dalle tempo. –
- Le sue corde vocali poi, saranno deteriorate dopo anni di silenzio. Se è vero quello che mi avete detto, deve non aver proferito parola da almeno dieci anni. –
- Non è questo Hermione… la sua voce…funziona, tra virgolette… almeno emette dei suoni…ma tutto ciò che ripete è Ania…Ania….Harry…Ania….
- Harry? Perché dovrebbe nominare Harry? –
- Non lo so Ron, è per questo che credo sia importante portargli sua figlia davanti. Se Clelia sa qualcosa di importante su Harry è necessario tirarglielo fuori in qualche modo… -
- Mai sentito parlare di Legilimanzia? –
- Non svolterò la testa di una persona come un calzino Malfoy, questi metoducci non appartengono all’Ordine della Fenica. –
- Non vi appartengono o non ne siete in grado? –
- La Legilimanzia è un metodo orribile per strappare informazioni ad una persona. Pari allo stupro, per quanto mi riguarda… -
- Silente ha cercato di farmelo imparare però… -
- Quello è diverso Harry… -
- Piton ha cercato di insegnarmelo. –
- Con grandi risultati direi. –  ironizzò Draco con una risatina.
 
- Non ci intrometteremo nella testa di nessuno, Malfoy. L’unico modo è trovare la ragazza e…sperare funzioni, in qualche modo… -
 
Draco guardò fisso Black per qualche secondo, poi spostò lo sguardo su chi gli sedeva di fianco, stringendo i pugni, con lo sguardo basso.
 
- Mi stupisce che non ti stia offrendo volontario per la missione Potter. Niente slanci eroici di martedì? –
- Credo ci siano cose più importanti da cercare…-
- O forse non ti va di trovare lei…-
- Già forse si. Forse credo sia una totale perdita di tempo, che non porterà a nulla, se non ad un mucchio di menzogne. –
- Harry, devi pensare in grande. Se non ti va di venire con me non ti costringerò ma…-
- Vengo io. –
- Cosa? –
 
Tutti si voltarono verso di lui.
Che idioti.
L’avesse detto Potter nessuno si sarebbe meravigliato. Ma se invece era il malefico a Malfoy a proporsi allora doveva esserci la fregatura sotto.
 
- Ho detto, vengo io.  –
- Tu non troveresti un paio di occhiali neanche avendoceli sul naso. –
- Nessuno ti ha chiesto l’approvazione Granger. –
- Credi di essere all’altezza, Draco? –
- All’altezza? – replicò lui stizzito verso Black.
- All’altezza per cosa? Quanto può essere difficile trovare un Ania Wool ? –
 
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno l’avrebbe mai trovata in quel posto.
Decimo giorno nel Druidi Club.
Era fantastico.
 
Era appena iniziata la settimana del Alban Arthuan, la festa stagionale per il Solsitizio d’Inverno.
Le finestre venivano chiuse di giorno e aperte per tutta la notte.
Le donne si riempivano i capelli di rami secchi e fiori selvatici e i saggi pregavano il gelo e l’oscurità dell’inverno di essere clemente con loro.
 
- …e non puoi assolutamente perderti l’albero di ghiaccio. –
- Suona bene. Sarebbe? –
- C’è un albero prescelto tra quelli più antichi qui del Greenwich Park che la notte del 21 Dicembre si trasforma completamente in ghiaccio. E’ una ficata. –
- Ficata è il termine tecnico immagino. –
- No ma rende bene l’idea. E si balla, si canta e si prega fino all’alba. –
- Settantottesima cosa da sapere su di me. Io non vado ai party. –
- So settantotto cose di te ma non il tuo nome, vorrei solo fartelo notare prima di ripeterti che  NON PUOI ASSOLUTAMENTE PERDERTI L’ALBERO DI GHIACCIO. –
 
Ania alzò gli occhi al cielo.
 
L’aria di festa era evidente.
Lei non doveva
Assolutamente non poteva
Farsi trascinare da quell’euforia druida al di fuori del porto sicuro del suo ostello.
 
Chiuse l’acqua della doccia, e si strizzò per bene i capelli liberandoli dall’acqua in eccesso.
Poteva sentire Grusko straparlare oltre la porta, appellandosi alla precarietà della vita e dell’eterno rimorso che l’avrebbe afflitta se non avesse colto quell’occasione unica.
Eh beh, le sarebbe piaciuto.
 
Un albero pieno di cristalli si dipinse nella sua mente.
L’odore del vino lambiccato e le luci calde del falò tra le fronde degli alberi.
Bello, sarebbe stato bello.
Ma mentre inforcava il maglione felpato e avvolgeva i capelli nell’asciugamano scosse la testa a se stessa.
Non irrompi ad Azkaban se vuoi andare ai party fatati, ragazzina.
 
- Grusko, come ti ho già spiegato la polizia magica inglese (Auror era un termine sconosciuto ai druidi) è sulle mie tracce. Non sarebbe l’idea migliore che possa venirmi in mente quella di andarmene in giro a festeggiare l’inizio dell’inverno. –
- L’inverno e il solstizio d’inverno sono due cose ben diverse carina e… -
 
La palla di vetro che il ragazzo si stava divertendo a vedere nevicare cadde rovinosamente sul parquet scricchiolante, e le sue gote si colorarono di un forte color porpora .
 
- Che c’è? Hai mangiato ciambelle orticanti? – ridacchiò Ania, prima di rendersi conto della fonte di imbarazzo del ragazzo.
Al di sotto del maglione felpato, Ania non aveva nulla a parte gli slip.
Poteva sentire i capezzoli sfregare sotto la stoffa e le gambe bianchissime gelare agli spifferi di Dicembre.
 
- Ehm… forse è meglio che vada a …ad aiutare mamma Lù con le biscottate farcite, sai… un bel po' di roba… da fare intendo… in cucina intendo…ehm, ci vediamo eh. –
 
Con la velocità di una saetta Grusko si barricò fuori dalla stanza di Ania, lasciando sul suo viso un ‘espressione di divertita sorpresa.
Esistevano ancora ragazzi così docili nel mondo quindi?
Non erano tutti i Draco Malfoy del quartiere allora.
 
Si morse la lingua fino a farsela sanguinare.
Idiota.
Si era ripromessa di seppellire quel vile ratto da lenzuola nei meandri più profondi della sua testa, e invece eccolo lì a rispuntare tra i suoi pensieri come se ne avesse il diritto.
 
Passò il resto della mattinata nera come la morte, cercando ogni tipo di passatempo per riportare la sua mente in quella bolla di pace in cui soggiornava da più di una settimana.
 
Quando il cuculo dell’ora gracchiò l’una e mezza sbuffò rassegnata.
Nessuno l’avrebbe trovata in quel posto.
Forse un albero di ghiaccio poteva davvero fare al caso suo.  




autore
eccoci qui dopo tanto tempo.
Scrivere questa storia mi porta via un infinità di momenti. E' estremamente complessa da sbrogliare ma Dio ce l'ho già bella e pronta in testa da mesi xD Nei prossimi giorni pubblicherò molto. Ora che il lockdown ci ha richiusi in casa ne lavoro o un università potranno fermarmi !!!
Vi auguro una buona lettura,e  aspetto i vostri commenti se vi va
Un bacione e grazie per continuare a seguire questa storia

 

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Capitolo 24
*** Scappa ***


XLV
 
Nove di sera.
Il gelo intercostale che non riesci a contrastare con tre strati di panni. La puzza di fumo di chissà quale falò, e la mano sudaticcia di Grusko che ti trascina il braccio.
 
- …e non fa poi così freddo, buon DIO! –
- E’ una festa incentrata su un albero di ghiaccio, quindi suppongo ci sia del ghiaccio! -
- E c’è davvero del ghiaccio, ma non so se te ne sai accorta, siamo nella Londra Babbana! Fiammelle scoppiettanti, terreno scaldante, lucciole spara-calore… mai sentite? – la scimmiottò Grusko facendole storcere il naso.
 
Quella festa non era proprio come se l’era immaginata.
Aveva sempre associato la cultura druida ad una simbiosi vorace con la natura e ad una lontananza mentale e fisica da tutto ciò che è artificiale.
Immaginate quindi la delusione nello scoprire che il party era nel bel mezzo di Hyde Park, a pochi metri da strade Babbane, smog e Nottetempo inferociti.
 
L’aria sapeva di caramello bruciato e contro ogni aspettativa, e dopo qualche secondo il suo malumore si accui ancora di più, nel constatare che Grusko aveva effettivamente ragione…
Stava morendo dal caldo.
 
 
Uomini anziani, per lo più, vestiti d’azzurro o bianco, con barbe lunghe e brizzolate, ma candide come la neve che quell’anno tardava a vedersi, danzavano, brindavano e festeggiavano chissà quale divinità.
Era come essere circondati da decine di Silente alticci.
 
Non le ci volle molto a capire che l’odore di caramello proveniva da un grosso calderone di bronzo, posto al centro del raduno, a cui tutti attingevano con grossi boccoli intagliati.
Il solo accostarsi a quel fumo caldo le fece girare la testa e strabuzzare gli occhi.
 
- E’ vino cotto. – sussurrò Gusko al suo orecchio facendola sobbalzare.
- Bella roba- disse Ania storcendo il naso.
A tratti pensava che quella smorfia le avrebbe segnato il viso di rughe per l’eternità, ma non poteva farci nulla.
Tutto di quel posto, di quell’attimo, le provocava un fastidioso cipiglio.
 
- Non immagini quanto, atea miscredente! Influenza, mal di gola, emicrania, niente è immune al sacro vino cotto dei druidi.  Particolarmente indicato per emorroidi e pustole, te lo dico io….assaggia, su, ti passerà questa stizza da femmina mestruata… -
- La stizza da mestruata mi verrà sul serio si mi avvicini quel coso! - si scostò Ania bruscamente, immaginando con orrore quali di quegli invitati che avevano usato quel mestolo potesse avere le pustole.
 
- Ti dispiace se ci spostiamo? Sto letteralmente bollendo… -
 
SI passò una mano dietro al collo, dove il cardigan di lana ovina si era attaccato al collo sudato. Sentiva gli strati di T-shirt definirle una seconda pelle sotto il seno e sotto le braccia e le guance le bruciavano come se fosse stata una notte intera vicino al focolare.
 
Fece un passo per allontanarsi verso l’ingresso del parco, ma Grusko la tirò per un braccio spostandola nella direzione opposta.
 
- Di là Ania, andiamo di là.–
 
Ania non capì il perché, ma poco le importava. Ad ogni passo che faceva la pelle le si tirava fresca in volto, e i panni si facevano un po' meno pesanti.
Finalmente un brio di aria fresca le si insinuò dietro la schiena, e rabbrividì di piacere.
 
Anche la luce calda scomparve, sostituita dalla chiazza lunare che le baciò le labbra aride, rinvigorendola-
 
- Oh, santa maga… E’ impossibile stare lì in mezzo. –
- Hey, il sottoscritto e mamma lù ti avevano avvertito che avrebbe fatto caldo… -
- Mi hai detto che non avrebbe fatto freddo, il che non vuol dire necessariamente caldo, solo...non freddo! – sbottò più velenosa del dovuto strappandosi il cardigan di dosso.
 
Gusko rispose con un sorrissino dolce, dolcissimo. Così tenero che ad Ania si torsero le budella dall’ansia.
E mentre si strappava di dosso due delle tre t-shirt, capì quanto quel sorrisino storto e intenerito fosse preoccupante.
Non fece in tempo a ad abbassare le braccia, infatti, che Grusko le si avventò addosso come un lupo mannaro.
La sua mano callosa si spinse nei suoi capelli e le sue labbra screpolate si appropriarono delle sue.
 
PORCA PUTTANA.
 
- GRUSKO! –
Con la mano libera dai panni si spinse da tutta quella dolcezza tenerezza caramellosa al gusto di vino cotto e, probabilmente, pustole.
 
- No Grusko, no! – ribadì, alzando una mano
- Io… io pensavo che tu… che tu volessi imboscarti! –
- Imboscarmi? – replicò strabuzzando gli occhi, una mano ancora intrappolata nella T-shirt.
- Stavo morendo dal caldo! –
- Beh, poteva essere una scusa per appartarci in una parte più isolata… -
- No Grusko…senti… -
Ania inspirò forte. A guardare quel ragazzo biondino, con i ricci dorati che sfioravano le palpebre tremolanti, con quel broncio mortificato e gli occhietti viola da cane bastonato, Ania si sentì quasi una stronza per il modo in cui aveva reagito.
 
- Senti, potrei aver fatto qualcosa che, in qualche modo…ti abbia potuto dare un’idea sbagliata di… -
- Oh tipo intendi, uscire nuda dalla doccia tipo? –
- NON ero nuda, il maglione mi sfiorava le ginocchia, cristo santo! –
 
Eccola.
Di nuovo quell’aggressività interna che le graffiava il petto, e che fece addirittura indietreggiare il ragazzo di un paio di passi.
 
Ania inspirò di nuovo forte.
Poi poggiò i panni su una roccia lì di fianco e si fece avanti, afferrando le mani sudate del ragazzo.
 
- Ti chiedo scusa… - sussurrò con fatica - …se posso averti dato l’impressione sbagliata, ma non cerco un… un amico speciale -
 
Amico speciale? Sul serio avevo detto amico speciale? Dio santo Ania, fai proprio schifo con i rapporti umani, eh…
 
Grusko le strinse le mani a sua volta, apparentemente un po' più calmo.
 
- Beh, io ci ho provato… pensavo ci fosse una certa chimica… mamma Lù l’aveva detto che eri una strana… asociale e anaffettiva, così mi ha detto…ma, noi… senti io penso ci sia qualcosa… ci si può lavorare, secondo me.–
 
Ania lo guardò, per l’ennesima volta, storcendo il naso, indecisa se andare a sputare nel calice di mamma Lù per averla definita anaffettiva o filarsela a gambe levate da tutto quell’affetto appiccicoso e non richiesto.
Ma non ci fu modo di pensare ad altro.
Uno spiffero d’aria più freddo del dovuto le pizzicò il collo ancora sudato.
Un rametto in lontananza scricchiolò un po' troppo forte.
E la puzza di lucido da scarpe degli Auror le scavò il naso come una trivella.
Fece appena in tempo ad afferrare una spalla di Grusko e buttarsi a terra, prima di udire…
 
- STUPEFICIUM!-
 
Tre getti viola schiantarono una quercia secolare, riempendo l’aria di schegge.
 
La mano di Grusko tremò forte, mentre lei afferrava la bacchetta d’istinto e la ruotava alla cieca.
 
- PARAS! – il getto bianco della sua bacchetta colpì un’ombra tra le fronde.
Un corpo minuto, dai capelli argentei cadde paralizzato sul terreno. Una donna, Auror l’osservava con rabbia, a pochi metri da lei.
 
Cazzo
Aveva schiantato un Auror!
L’adrenalina e la paura le graffiarono le vene, il cuore impazzì, mentre una, due, tre divise viola sbucavano incattivite dagli alberi scuri.
 
Parò per un pelo un secondo incantesimo, decisamente più potente di quello di prima.
Riconobbe le giacche viola, i decori dorati degli Auror di primo livello.
I più feroci.
Quelli in prima linea.
 
E’ la fine.
 
- ALZATI GRUSKO! –
 
Il suo urlo si perse sotto il ruggito di un nuovo incantesimo.
Dei passi e dei risucchi le suggerivano lo Smaterializzarsi di almeno altri tre individui. La sua bacchetta si alzò di nuovo.
 
  • Gardenia Munitio –
Le fronde del terreno si ersero con forza difronte a lei. Tre metri di palizzata floreale la nascose alla vista, mentre tentava, affannata, il punto debole del cerchio.
 
-Ti consigliamo di uscire, Ania Wool. Collabora, e nessuno si farà del male –
 
Quella voce di donna, probabilmente l’auror appena schiantato qualche minuto prima, avrebbe fatto tremare le gambe ad un titano, ma il cervello di Ania lavorara troppo veloce per dargli retta.
 
Due Auror a destra le bloccavano la via della foresta, mentre alla sua destra il passaggio verso la città sembrava irraggiungibile oltre l’enorme figura di un Auror dal mantello rosso.
 
Laddove non vedi uscita
Usa l’entrata.
 
Le parole di Piton le sfiorarono la mente, come una mano leggera che ti accarezza i capelli.
 
  • Oooh, ma diavolo di un Elfo! ANIA!!! –
 
Una mano dalle unghia mordicchiate era sbucata oltre le fronte, afferrando il braccio tonico di Grusko e tirandolo forte.
 
Col cazzo.
 
- flamma! – Un raggio scintillante di magia violacea bucò la palizzata d’erba, mangiando in un boccone l’auror e il suo braccio avventato.
 
Grusko si parò dietro la sua schiena, inerme, incapace di effettuare alcun tipo di magia. La torcia umana che era l’auror si contorse sul terreno, mentre una sfera d’acqua planava dalla bacchetta di un collega.
Ora Ania vedeva quella donna dalla voce dura, fronteggiarla rabbiosa e composta al tempo stesso.
 
La lotta è un codice a due cifre.
 
  • Mossa sbagliata Wool. – sussurrò la donna Auror, gli occhi d’aquila che si infuocavano
Attacca
  • Il mare di Azkban ti aspetta. –
Ripara.
 
  • Mi dispiace…- sussurrò Ania, un tremolio remoto nella voce. – preferisco la montagna –
 
ATTACCA!          
 
La terra si smosse sotto il suo comando, sganciandosi dal suolo e vorticando in alto.
L’auror donna venne sbalzato di qualche metro, mentre la voragine fangosa sbatteva e si aizzava ancora come una frusta di detriti.
 
- ANIA MA CHE DIAVOLO….
- MUOVITI! –
 
La sua mano esile si strinse attorno il polso di Grusko con più forza possibile, fino a sentirne le ossa scricchiolare.
 
Ania poteva avvertire il suo cuore martellare come un tamburo, quasi a ritmo di quelle danze medioevali celebrate dai druidi.
Era lì che doveva arrivare.
Solo lì, e poi forse… forse…
 
 
 
La musica da battaglia della pazza congrega druida si mescolò finalmente alle urla degli Auror dietro di loro.
Ania li sentiva ringhiare alle sue spalle, inferociti, umiliati dal non essere riusciti ad afferrare una ragazzina di diciotto anni.
 
Un incantesimo lontano le si aggrappò alla caviglia, tirandola verso il terreno.
Il volto picchiò sul terreno solido, la mascella quasi si spaccò dal dolore. Dieci, venti, mille radici graffianti le si aggrapparono alla gambe trascinandola indietro.
Perse la presa sulla bacchetta, poi un rantolo deciso, un colpo, sonoro e d’ un tratto le radici abbandonarono il suo corpo graffiato.
 
 
- Grusko… -
- Sarà pure un Magonò druido, ma mica una sono una femminella eh! – rispose orgoglioso, sventolando quella che sembrava una piccola sciabola in miniatura, fino ad allora nascosta chissà dove.
 
  • Grusko Elliot Hallington ! Tua madre sa che vai girando con una lamaccia del genere in giro? –
I due ragazzi alzarono il volto, giusto in tempo per vedere il volto di quell’omaccione barbuto e zeppo d’alcool, deformarsi d’orrore, e infine urlare…
 
  • Che Merlino mi fulmini. Auror IN TERRA DRUIDA??? –
Ania sapeva che i druidi provassero un certo astio contro chi voleva dettargli legge, ma mai si sarebbe aspettata una tale rabbia ed euforia.
 
L’omaccione si gonfiò d’aria e con tutta la potenza che aveva in corpo gridò.
 
  • TUTTI CONTRO GLI AUROR!-
Al suo urlo di battaglia, l’intera comunità druida si rese conto di cosa stava succedendo, e come un'unica armata si scagliò contro i poveri Auror.
 
Ania fece appena in tempo a sentire la donna Auror urlare un “in nome del Ministero della M…”  prima di darsela a gambe come una forsennata.
 
 
Il rumore della battaglia li inseguì fino alla strada principale.
Grusko le si affannava dietro come un cagnolino.
Era pericoloso per lui starle accanto.
 
Chissà cosa avrebbero pensato di lui.
Sarebbe stato condannato? Punito per aver ospitato una ricercata?
 
I loro passi sguazzarono nelle pozzanghere di Stratton Street
Ania si fermò solo quando i fuochi parevano lontani, e la loro vista era coperta dal sottopassaggio della stazione di Green Gate.
 
-Ania… Ania ma che diavolo…-
 
Ania si arrestò del tutto, il cuore in gola e la pelle sudata.
 
  • Grusko mi… mi dispiace…-
  • Sto quasi iniziando a… a pensare che la storia del…della ricercata sia vera…-
L’ironia del ragazzo le strappò un sorriso.
Era una cosa che le serviva quella, avere una persona positiva intorno, che facesse a pezzi la sua negatività.
In quel momento si pentì da morire dell’aver rifiutato il suo bacio.
Non perché lo volesse, ma perché infondo quel ragazzo dal ciuffo lungo e dagli occhi verdi, voleva solo la sua tenerezza.
 
  • Stai…stai bene? – sussurrò avviccinandosi, una mano a scoprire la manica insaguinata del ragazzo.
  • Lo dici… mai fatta una festa dell’Albero così. –
Ania sorrise ancora, suo malgrado.
Gli Auror le sembravano cosi lontani.
Grusko sembrava apposto, tutto intero, non troppo sgualcito, e ora la fissava come a scavarle dentro, come se quel suo aspetto da fuori legge l’avesse fatto entrare in fissa ancora di più.
E quando i suoi occhi verdi si spostarono dalla stogga attaccata al corpo di Ania, al suo petto un po' scoperto dalla maglia malconcia, fino ai capelli selvaggi e al volto arrossato, in quel momento Ania scorse non solo tenerezza.
No, stavolta nel suo sguardo, ci scorgevi il desiderio.
 
 
  • Senti Grù, perché non vieni con me? Lo so che è un casino però…-
 
CLICK
 
Uno schiocco sonoro le gelò il sangue.
Non fece in tempo a girarsi che…
 
  • Oblivion!-
  • NO!-
 
L’incantesimo di memoria colpì in pieno il volto di Grusko prima che Ania potesse sbattere ciglio.
 
  • NO! –  ripetè con un filo di voce
Le palpebre del ragazzo sbatterono un paio di volte. Si guardò attorno, prima a destra, poi a sinistra, poi guardò Ania, inclinando il capo.
 
  • Tu…chi sei? –biascicò
  • Grusko… -
  • Grusko… è un nome da ragazza? –
  • No Grusko tu sei…tu ti…-
  • Fossi in te risparmierei il fiato, Linguamozza. E’ suonato come una campana il poveraccio. -
 
Dall’ombra del sottopassaggio una figura tirata a lucido si fece avanti.
Il corpo di Ania si irrigidì di colpo, mentre una vena di nervosismo le pulsò sulla tempia.
 
  • Tu… - sussurrò inorridita.
  • In carne ed ossa. Ti sono mancato? –
  • Tu, schifosissimo, arrogante, figlio di … -
  • Expelliarmus! –
La bacchetta di Ania schizzò a tre metri da terra, salvando un certo Draco Malfoy da una fattura assicurata.
 
  • Mi dispiace ragazzina, normalmente te lo avrei lasciato fare con piacere ma… cause di forza maggiore mi costringono a mantenere la pace… almeno per il momento. –
Una voce sconosciuta la inchiodò a terra.
Il cuore le era schizzato in gola alla vista di Draco, con le sue occhiaia profonde e la giacca impeccabile, ma nulla potè battere la sua sorpresa quando voltandosi si ritrovò davanti quell’uomo dalla barba incolta e i capelli arruffatti.
 
  • Sirius Black… -
  • Amico tuo? –
  • No Grusko io non… cosa diavolo ci fate voi qui? E ridate la memoria a questo povero ragazzo, mi stava solo aiutando… -
  • Temo non sia possibile Ania, la cosa è più complessa di quanto credi. Ti spiegheremo tutto appena arrivati al… -
  • Io non vengo da nessuna parte con voi, me la cavo da sola. E ridammi la bacchetta.-
  • Certo, lo abbiamo notato. Te la cavi benissimo a farti trovare dagli Auror.–
  • L’ultimo aiuto di cui ho bisogno è il tuo. – sibilò Ania soffiando.
  • E il primo sarebbe del nostro amico rimbambito? – ghignò quello dando un buffetto sulle guance di Grusko.
 
Ania strinse i denti. Malfoy doveva ringraziare che la sua bacchetta fosse nelle mani di qualcun altro.
Altrimenti…
 
  • Come ho già detto, in ogni caso, ti spiegheremo tutto arrivati al rifugio. –
  • Un rifugio? Gentilmente offerto dal Ministero della Magia per gli eroi dell’Ordine della Fenice. Non oso immaginare che magnifico posto possa essere…-
  • Qualsiasi tipo di posto esso sia… è li che troverai tua madre. –
 
Boom
 
Il cuore di Ania si fece pesante come un mattone.
Sua madre.
Per una manciata di secondi si era dimenticata il motivo di tutto quel devasto.
Sua madre.
Black, che ora la guardava in volto, scavandola, stava per portarla da sua madre.
Non poteva.
Non ce la faceva.
 
Avrebbero parlato?
Era cosciente?
Beh di certo era viva, il che era già qualcosa.
E in vita ce l’aveva riportata lei, strappandola alla morte apparente di Azkaban.
Già, per qualche motivo il suo compito era finito lì per lei… parlarle adesso? Guardarla in volto? Dopo quattordici anni?
 
Black le offrì la mano, placidamente, lentamente, come se sapesse quale tortura mentale si stesse autoinfliggendo.
 
Rifiutala
Scappa
 
Scappa, si ma dove. Ma da cosa?
Dal Ministero? O da se stessa?
 
Quasi come appartenesse ad un altro le sue dita si mossero verso l’alto, indecise.
 
Non puoi farcela.
Non può accadere.
 
Ma se non ora, quando? Quanto ancora doveva aspettare?
La mano di Black era ancora lì, immobile. Ma non ci fu bisogno di afferrarla.
 
  • Oh per tutti i numi. Non hai capito che non te lo stiamo chiedendo? –
Prima che potesse voltarsi, La mano di Draco le strinse il braccio. Sentì solo la sua morsa farsi stretta, un brivido scorrerle da capo a piedi e poi lo stomaco le si squarciò in due quando con uno schiocco, il suo corpo si Smaterializzò fianco a fianco con quello del biondino.
 
 
 

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Capitolo 25
*** Tu ***


Non pensava l’impatto sarebbe stato questo.
Dopo quasi un mese passato ad ingegnarsi su dove quella dannata Wool si fosse cacciata, Draco aveva quasi perso le speranze.
Avevano provato in tutti i rifugi possibili, avevano rubacchiato informazione agli Auror, pedinato persino alcuni di loro, pensando che li avrebbero condotti a lei.
Il Ministero aveva mezzi più efficaci di loro per rintracciare le persone.
E infatti, inaspettatamente, un giovedì mattina qualsiasi il chiacchiericcio tra due Auror all’ingresso del Ministero era stato afferrato dalle orecchie giuste.
 
  • Un mercante di calderoni mi sembra… qualcosa a che fare col vino, boh…-
  • Io non dormirei in un centro dei druidi nemmeno a pagarmi… fuori di testa quelli. –
  • Quanti stereotipi Eufelio. Anzi, proprio perché sei un Auror ti tratterebbero una meraviglia…all’arrosto con le migliori patate inglesi! Ascolta me! –
  • Tu ci scherzi, sono pazzi quelli lì…questa sera, ci sarà una festa… alcuni di noi andranno al centro, altri si mischieranno ai druidi. In un modo o nell’altro la ragazza torna con noi ad Azkaban stanotte! –
 
Presa!
Lui e Sirius si erano mossi all’istante.
Individuare un mucchio di druidi ubriachi al centro di Londra non era di certo difficile.
Era l’attesa il problema.
 
Draco aveva passato buona parte della serata accovacciato dietro un cespuglio, stordito dai canti alticci di druidi ubriachi e flatulenze sospette.
Durante quei momenti di nevrosi pura, Draco si era dato dell’idiota, dello sciocco, e del miserabile fino ad arrivare a dare la colpa a Potter per non essersi offerto lui come suo solito invece di far cadere la responsabilità su qualcun altro.
 
Insomma, a quel quattrocchi tutta questa scenetta da agente segreto piace eccome.
Perché diamine non mi sono fatto gli affari miei?
Mi sa che la mamma di Weasley faceva zuppa stasera…
 
Ma poi quando di colpo una divisa viola era sbucata qualche metro più avanti, il cuore gli era salito in gola.
 
Auror.
 
Vedeva il punto in cui si erano riuniti. Linguamozza probabilmente era lì, ma era dannatamente difficile avvicinarsi.
Non dovevano farsi vedere, non potevano intervenire.
 
Speriamo solo non l’ammazzino.
 
Aveva pensato, e dopo esattamente tre secondi era iniziato il delirio.
Una serie di tuoni.
Mille scoppi colorati.
Delle urla.
Alberi in fuoco.
 
E poi, eccola!
 
Un paio di gambe snelle erano sbucate a tutta velocità dalla coltre d’alberi.
Draco fece appena in tempo a notare la chioma mossa della ragazza, prima che fosse divorata dal gruppo di druidi inferociti.
 
Sirius si era volatizzato nel nulla, ma poca importava a quel punto.
La persona da recuperare era proprio lì, a pochi metri da lui.
Una volta usciti da Hyde Park, la cosa era diventata piuttosto semplice.
 
Le strade erano deserte se non fosse stato per quelle due figure sudate e coperte di terra che correvano a perdi fiato nelle vie di Londra.
All’inizio Draco era convinto che la seconda figura fosse una ragazza, e invece, una volta fermatosi sotto il ponte di Green Gate, i suoi occhi distinsero due spalle toniche e un’altezza considerevole.
 
Bel soggetto

A quanto pareva Linguamozza si era trovata il fidanzato.
Brava!
Altro che timidona introversa, asociale.
La sapeva lunga quella.
E lui poteva confermarlo, no?
 
Certo che quando li vide affannati e sorridenti, sotto quel ponte, un moto di stizza gli fece storcere il naso.
Passare da lui a quel…coso era davvero un salto di qualità.
Verso il basso ovviamente.
 
Immaginate il piacere nello svuotargli il cervello.
Questo è il bello della magia.
Un soffia di bacchettae puff, niente più Ania nel tuo cervellino.
 
 
  • … il ministero lo starà sicuramente interrogando. Non potevamo rischiare! – scandì Sirius, fermamente, riportandolo al presente.
 
Draco non riuscì a trattenere un ghigno divertito alla faccia arrossata della ragazza.
Erano almeno dieci minuti che se la prendeva con loro per aver cancellato la memoria al “suo amico Grusko”.
L’occhiata velenosa di lei non tardò ad arrivare e lui le sorrise in risposta.
 
Sembrava appena uscita da un cumulo di fango.
Con quell’aria accaldata e i panni incollati al corpo…
 
Brivido.
 
Draco si ricompose notando che erano appena arrivati al cosidetto rifugio.
Spostò lo sguardo sulla finestra ad oblò incastonata in quella parete di mattoni.
Per occhi estranei, quella finestrella era del tutto anonima, ma lui ormai sapeva che ruotandone la cornice due volte a destra e tre a sinistra, quella piccola apertura si trasformava del tutto.
 
Con il click di una cassaforte, l’oblò si ingigantì in dimensioni, crescendo e allungandosi, fino ad estendersi al pavimento.
 
Draco vide Ania trattenere il fiato ed infilarsi le mani nelle unghie.
 
Le si leggeva l’ansia in volto.
 
La porta si aprì cigolando e Sirius si fece avanti.
Draco lo seguì, lasciando Ania per ultima.
Avesse voluto fare il gentiluomo, sarebbero stati lì per ore. La ragazza sembrava pietrificata, ferma immobile sull’uscio di casa Tonks.
 
  • No figurati, resta pure lì, non sei per niente riconoscibile – la canzonò lui additando uno dei tanti manifesti segnaletici sparsi per la strada.
 
La casa era buia e stranamente silenziosa.
Non ci volle molto che i primi passi rompessero quella quiete.
 
  • Malfoy, Sirius dov’…- Potter si bloccò all’ingresso della cucina non appena vide che si nascondeva dietro le spalle di Draco.
La sua espressione passò da preoccupato ad ostile in meno di tre secondi.
Potter ce l’aveva davvero con quella lì.
 
  • Ciao Harry, … - bisbigliò Ania con un filo di voce.
  • Sirius dov’è? Sta bene?– la interruppe lui bruscamente.
  • Rallenta Potter, è al piano di sorpa. Beh, perché non c’è nessuno in questa casa? Sto morendo di fame! –
  • Sono tutti andati a fare cose importanti…loro.-
Draco alzò gli occhi al cielo.
Di tutte le cazzate che faceva lui, ora si permetteva persino di fargli la morale.
 
  • Che c’è Potter … - bisbigliò avvicinandosi -…sei arrabbiato che Linguamozza l’abbia data a me e non a te? –
 
Gli occhi di Harry si spalancarono ma nessuno ebbe il tempo di fiatare perché un tonfo dal piano di sopra li immobilizzò.
Un vocio netto, una voce di donna mai sentita prima d’ora.
Poi dei passi.
 
  • Non posso… - bisbigliò Ania. Li guardò in volto, il petto pieno d’ansia.
  • Non posso. – bisbigliò ancora. Si voltò di scatto e corse verso la porta.
L’aria gelida penetrò forte nella casa, mentre Ania spalancava la porta.
 
  • NO! –
Potter fu più veloce e con un balzo sbattè l’anta nei cardini, bloccandola con una mano.
 
  • Sei fuori di testa? Vuoi farci saltare il nascondiglio. –
  • Lasciami uscire! Cosa cambia a te? –
  • Cambia che sei una codarda se non hai nemmeno il coraggio di guardare in volto tua madre! –
 
I passi sulle scale si bloccarono.
Tutti i loro occhi schizzarono su di lei, imbambolati.
La figura che vi stava sopra sembrava essere appena uscito dal paradiso.
Draco non potè fare altro che spalancare occhi e bocca.
 
Clelia Wool illuminava la stanza come un faro a mare.
Gli anni ad Azkaban sembravano miracolosamente scomparsi dal suo volto, se non per qualche cicatrice ben nascosto dalla meravigliosa chioma biondo platino.
I tratti pronunciati e snelli, la pelle candida e tonica, e che occhi signori, che occhi. Gemme brillanti di mille toni d’azzurro che ti risucchiavano l’anima e la mente.
Draco si sarebbe fatto risucchiare un po' di tutto francamente, ma quello forse non era il momento per simili pensieri.
 
La donna scrutò il suo volto per prima, poi, con una lentezza polverosa, il suo sguardo si spostò verso la porta.
 
Una donna che non vede la figlia da quattordici anni, deve sentirsi rinascere, alla sua vista.
Vederla cresciuta, in salute, fatta donna.
Una donna forte e temeraria, capace di perforare la tenace armatura della prigione più pericolosa del mondo, pur di liberare la propria madre.
Qualsiasi madre si sarebbe rotta in un pianto d’amore e orgoglio, in una tale situazione.
Eppure, l’unica cosa che Clelia Wool pronunciò quel giovedì sera fu…
 
  • Harry. –
 
Harry?
 
Le sue mani affusolate si gettarono verso il viso del ragazzo, come fosse acqua nel deserto.
 
  • Harry! – ripetè, il volto colmo di una gioia incontenibile.
Delle lacrime riempirono i suoi occhi, mentre le mani saggiavano ogni tratto di quel volto giovane.
 
  • Harry… sei tu… -
  • Ehm…si, sono…-
  • Mamma! –
 
Come immaginabile, un soffio di dolore si intromise dai due.
Ania guardava la scena con occhi offuscati, incapaci di capire.
 
  • Mamma… sono Ania… non mi riconosci? –
Clelia si voltò verso di lei.
Il suo volto si trasformò in una maschera d’orrore. Subito le sue mani lasciarono il volto di Harry e si buttarono all’indietro, a cercare appoggio su un mobiletto a cassettoni.
La donna sembrava terrorizzata.
 
  • Tu. – sussurrò. Ma nel suo bisbiglio non c’era traccia di alcuna dolcezza stavolta.
 
Il suo respiro prese ad affannarsi e se possibile la donna arretrò ancora di più, quasi pronta a fuggire ad una singola mossa della ragazza.
Ogni tratto del viso di sua figlia, pareva provocarle terrore.
 
  • Clelia, forse dovresti solo… - incominciò SIrius, ma così come era apparsa, di colpo, Clelia Wool scappò via da quel corridoio buio, come a voler mettere anni luce di distanza, tra lei e la figlia appena ritrovata.
 
 
 

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Capitolo 26
*** Mille pezzi sparsi ***



cuore di Ania, pic by me



 Il ticchettio di un orologio segnava i granelli della sua pazienza scivolare via.
Era rimasta immobile in quel salotto poco illuminato per tutta la notte, senza muovere un muscolo, ne sbattere palpebra.
 
Dovremmo tutti farci una bella dormita”, aveva detto Sirius, lanciandole un’occhiata penetrante “Dalle una notte, è fragile”.
 
Fragile.
Comprensibilissimo che quattordici anni di carcere avessero reso sua madre fragile.
Ma lei poteva forse definirsi forte?
In quel momento, non si era mai sentita più rotta.
 
Il suo cuore di porcellana stava lentamente perdendo pezzi.
Lo immaginava così, di un rosso pompeiano come il vaso orientale poggiato sul camino.
Una laccatura scintillante, decorata da una raffinata rappresentazione giapponese.
Pieno di crepe, e con qualche pezzo mancante.
Sarebbe stato un gran pezzo d’antiquariato un giorno, il suo cuore.
 
Per il momento se lo teneva bene in petto, a battere a ritmo di quell’orologio a pendolo.
Finalmente la lancetta scattò le nove.
Sentì la casa svegliarsi.
 
Dei passi leggeri si mossero verso la scala.
Prima ancora che la porta del salotto si aprisse, lei sapeva già quale volto vi si sarebbe affacciato.
 
  • Inquietante come il Barone Sanguinario tra le lenzuola. –
  • Fastidioso come un Poltergeist. –
  • Hm… - rispose Draco soddisfatto, afferrando un pasticciotto dolce alle more dalla penisola della cucina.
  • Noto dei passi avanti, ma il tuo sarcasmo rimane piuttosto fiacco. –
Ania lo guardò malissimo addentare un boccone del pasticciotto e appoggiarsi arrogantemente alla cucina.
 
Aveva un pigiama a righe e una canotta bianca che gli scopriva spalle e braccia.
Era un peccato donare tanta bellezza ad un essere con cosi poca cultura e tatto.
Se le parole di Malfoy fossero stati palazzi, si sarebbe costruita in un giorno la città più cupa e disgustosa dell’intero Mondo Magico.
 
 Distolse lo sguardo da lui per focalizzarsi di nuovo su quel bel vaso pregiato che gli sembrava il suo cuore.
Nel frattempo dal piano superiore, un tenue vociare gli annunciò l’arrivo di quel dannato Sirius Black.
 
Ania ricordava tutti i ricordi di sua madre riguardo.
Doveva esserci stato qualcosa di forte tra di loro.
Un amore bruciato prima del tempo, perso tra le ceneri della più grande Guerra Magica.
 
Il suo volto barbuto sbucò dalla porta del salotto, e si afflosciò in un’espressione di sconforto.
 
  • Oh sei ancora qui! –
  • Mi dispiace deluderti –
  • Intendevo in salotto! Ti avevamo preparato la stanza di Ninfadora… -
  • Non mi sono mossa da qui invece… -
  • Già, me ne sono accorto. – sbuffò lui scuotendo la testa
  • … e non ho chiuso occhio. Non mi sono mossa e ho aspettato….-
  • …senti Ania tua madre ha bisogno di un po' di…-
  • Di una notte! Avevi detto che aveva bisogno di una notte. E io gliel’ho data. Ora ho bisogno di parlarle! E a quanto pare, anche voi ne avete bisogno… altrimenti non mi avreste portato qui sperando di scioglierle la lingua! –
 
Sirius strinse le labbra.
Gettò un’occhiata a Draco che dal canto suo sembrava si stesse divertendo un mondo.
Vedere Sirius Black messo alle strette di una psicolabile diciottenne inviperita era come immergere le labbra nel miele.
 
Sirius strinse di nuovo le labbra e si sedette sul tavolino da soggiorno, vicino la poltrona di Ania.
 
  • E’ vero! Non posso che darti ragione… noi… pensavamo che vedendoti tua madre si sarebbe… non so… ristabilita emotivamente in qualche modo… ciò che ci serve sono informazioni su… -
  • Sul Signore Oscuro immagino. –
  • I suoi seguaci si riferiscono a lui in questo modo…-
  • Beh e non è quello che era mia madre? Una Mangiamorte? –
  • Non che non lo era!- la voce di Sirius si aizzò come una folata di vento, mentre una scheggia di rabbia e dolore gli si conficcò negli occhi.
  • O almeno è quello che crediamo… la Clelia che conoscevo sarebbe stata più disposta a rischiare la vita e fare il doppiogioco che vendersi alle armate oscure… -
  • La Clelia che conoscevo io avrebbe almeno sorriso a sua figlia. Forse entrambi conoscevamo una persona che non è mai esistita…. –
 
Ania in realtà non sapeva di cosa stesse parlando.
Aveva sempre saputo dentro di sé, che sua madre era una donna troppo piena di valori per essere davvero una Mangiamorte.
Ma dopotutto, come poteva esserne certa ora? Ora che di colpo si rendeva conto che la donna di sopra non era null’altro che un fantasma della sua memoria?
 
  • Doppiogioco o no deve pur sapere qualcosa. E’ l’unica che c’è stata dentro… a parte mio padre, ovviamente. Ma per colpa di qualcuno Azkban è diventato l’ultimo posto dove poter parlare con qualcuno senza venti Dissennatori a farti da guardia. – irruppe Draco, gettandole un’occhiata insolente
  • E questo era il motivo per cui eravamo alla prigione… come dice Draco, solo una persona davvero vicina a Tu-Dai-Chi può aiutarci. Beh… - scoppiò di colpo sbattendo le mani e facendo sobbalzare Ania
  • Ahimè, i piani cambiano. Tua madre non è pronta per aprirsi con te… -
  • Apparentemente lo è per Harry però… - sibilò Ania, una vaga nota di aggressività nella voce.
  • Esatto, ed è per questo che lui ci sta parlando….-
 
Sirius non riuscì a completare la frase che Ania scattò su come una molla.
Come un dardo infuocato si precipitò verso il piano di sopra, quasi staccando dai cardini quella cigolante porta in legno che dava sulla camera da letto di sua madre.
 
In un soffice letto dalla testata imbottita, quella meraviglia creatura che era sua madre sedeva eterea avvolta dai mille cuscini.
Il sole le carezzava le gote, e i lunghi capelli biondi lanciavano mille riflessi intorno a lei.
I suoi occhi erano pieni di dolcezza in quell’istante, ma quando poi si spostarono dal volto di Harry a quello di Ania, la sua espressione mutò di colpo, ancora una volta.
 
Spostò lo sguardo di lato, perso in un angolo della stanza, stringendo le labbra in una linea sottile.
-Ania… - biascicò Harry alzandosi di colpo, il volto imbarazzato di uno scoperto a tradire la moglie.7
Forse, in quel momento, si stava materializzando in lui l’immagine di un figlio non orfano, come lui, non amato, come sapeva di essere stato, ma di un figlio che vede rifiutarsi da una madre, in favore di un altro.
Che amarezza, doveva pensare.
Che dolore!
 
La realtà dei fatti, era che Ania non ce l’aveva per niente con lui.
In quel momento, non riusciva ad avercela nemmeno con sua madre, bella e com’era nelle sue vesti di angelo riapparso dall’inferno.
 
Ignorò Harry e si avvicinò al letto.
Le mani di sua madre sembravano quelle di una bambola.
Fu quasi tentata di afferrarne una tra le sue, ma si trattenne.
 
Mamma
 
Pensò
Ma le sue labbra deviarono da quella parola come difronte un incendio.
 
-Clelia… - le uscì invece. Le palpebre di sua madre tremarono per un istante, ma il suo sguardo rimase fermo.
 
  • Clelia sono io… Ania… -
 
Il nulla.
Ania si morse appena una guancia e inspirò forte.
 
  • E’ passato un po' eh… l’ultima volta che ci siamo viste c’era un po' di trambusto… ho incontrato Malocchio, a proposito…è ancora un po' amareggiato per quella faccenda dell’occhio, mi sa… -
 
Un sorrisetto divertito le sfiorò le labbra e si sorprese nel vedere lo stesso movimento sulle labbra dipinte di Clelia.
 
  • Lo so chi sei.-
 
Ania avvertì l’intera colonna vertebrale tremare di sorpresa, ed era sicura che tutto il resto della comitiva in quella stanza aveva avuto la stessa reazione.
La voce di sua madre era uscita flebile e rauca, come se le sue corde vocali combattessero per far uscire il suono.
 
Era stato poco più di un sussurro, ma con la potenza di una bomba atomica.
 
  • Pensavo fossi morta.
 
Un altro brivido, ma di disgusto.
Quel “pensavo” tra le labbra di sua madre, aveva un retrogusto di speranza.
 
Speravo fossi morta.
 
Ania strinse le mani in un gesto convulso.
  • E invece sono ancora qui. Quattordici anni dopo. E mi serve il tuo aiuto… -
 
Le labbra di sua madre tremarono appena, poi, finalmente, i suoi occhi ruotarono in quelli della figlia, per la prima volta dopo anni.
Esaminò i suoi tratti del viso, avidamente, sempre con quell’espressione di angoscia mista a dolore a cui Ania stava già facendo l’abitudine.
 
Ti ricordo mio padre?
Dimmi chi è!
 
Avrebbe voluto dire, ma di nuovo le labbra intrapresero un percorso diverso e si mossero autonomamente.
 
  • In passato… eri davvero devota al SIgn… a Tu-sai-chi? –
 
Il volto di Clelia parve rilassarsi un attimo, come se fosse enormemente sollevata che la vera domanda di Ania fosse rimasta in sospeso.
 
Il suo capo si inclinò appena, i capelli scivolarono sulla spalla, come un telo di seta.
 
  • Ero devota alla gloria… - iniziò, la voce ancora graffiata dal silenzio della prigione.
  • …ma volevo la gloria del bene… volevo essere un’eroina… proteggere chi amavo… - scandì lentamente, e Ania avvertì l’aria alle sue spalle farsi pesante.
 
Quelle parole, per Sirius Black, dovevano essere pesanti come macigni, e allo stesso tempo, rigeneranti come acqua pura.
 
  • …pensavo di poter fare il doppio gioco… aiutare l’ordine… ma il TU-Sai-Chi, lui….- qui la sua voce si interruppe, la mente persa in chissà quali atroci ricordi.
  • Credo che per oggi basti così Ania!- sbottò Sirius frapponendosi fra Ania e sua madre.
  • NO! Non ci ha ancora detto nulla! –
  • Grazie per aver fatto la tua parte, ora FUORI da qui, tutti! –
  • Non è chiaro… - sibilò Ania alzandosi in piedi e fronteggiandolo, una vena sulla tempia che pulsava pericolosamente.
  • Forse non è chiaro che Azkaban è crollata per portarmi a questo momento…-
  • Non pensare di alzare la voce, stupida ragazzin…-
  •  Ho avuto un muro di silenzio per ANNI, e ora che sta iniziando a crollare non aspetterò neanche un second…-
  • E’ una donna instabile, ci vuole TEMP…-
  • SIRIUS!-
 
Sirius si bloccò dal prendere ad urlare contro quella faccetta chiara che si trovava di fronte.
La voce di Harry parve riportarlo in quella stanza, scolorandogli le gote che si erano tinte di un forte porpora.
 
  • SIrius… Ania ha ragione. – deglutì forte Harry, deciso.
  • Non c’è molto tempo… se Clelia ha delle informazioni… ci conviene insistere-
 
Sirius parve bloccarsi un attimo.
Forse, il fatto che quelle parole fossero uscite dalla bocca non solo del suo figlioccio, ma dal Prescelto in persona, colui destinato ad uccidere Tu-Sai-Chi, gli fecero realizzare quanto la situazione fosse pressante.
Aveva ritrovato Clelia, dopo anni, in salute, viva, bella come sempre, e l’aveva lì in quella casa, sotto le sue cure. Per lui il tempo pareva essere fermato, come se tutto si fosse finalmente risolto, come se adesso potesse davvero sedersi su una bella poltrona e riposarsi, felice.
 
E invece non era così.
 
La guerra impazzava ancora oltre le finestre di casa Tonks.
La gente moriva. Le città venivano distrutte. La gente buona era stanca, e marciava nelle strade.
Il Ministero della Magia aveva l’acqua alla gola.
 
Non potevano sedersi su nessuna dannatissima poltrona.
Annuì appena con il capo, ma distolse lo sguardo, mentre Harry deglutiva e si avvicinava di nuovo a Clelia.
 
  • Clelia… mi dispiace di farti tutte queste domande. Ma noi dobbiamo sapere… ci deve essere un modo… un punto debole… una vena scoperta su cui possiamo colpire per sconfiggerlo. E’ importante che tu ci aiuti… per tutto quello che hai passato… per mio padre… per Lily! –
Harry  aveva le gote arrossate per la potenza di quell’attimo.
Il suo cuore voleva urlare, ma la sua voce era uscita calma, fluida, come un fiume che scorre placido, rompendo le barriere sul suo cammino.
E forse qualche barriera, l’aveva rotta sul serio.
 
Lo sguardo di Clelia si addolcì, quella linea dritta che erano le sue labbra si piegarono un po' all’insù.
Il suo sguardo si spostò da Harry ad Ania, e viceversa.
Era come se nella sua mente, quell’immagine di loro due insieme la riportasse a tempi lontani, in cui loro erano solo bambini, e lei e Lily solo due madri affezionate.
 
  • Harry. Lui non può morire. – sussurrò leggera – Muore solo chi ha un anima intera. E la sua, è in mille pezzi sparsi. –
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Fai la lista ***


  • Cosa diavolo vuol dire? –
  • L’hai gia chiesto mille volte Ronald. Ripeterlo fino allo sfinimento non aiuterá!–
  • Fammi indovinare... tu hai gia le risposte a tutta questa faccenda invece... E i farfuglii della Wool ti sono perfettamente chiari! -
  • Semplicemente ragiono invece di mugugnare come un bambino! – sbottó Hermione fulminadolo con lo sguardo
  • Ci sono diverse cose a cui ho pensato in realtá, ma sono tutte... assurde... E anche volendo indagare piú a fondo, tanto varrebbe chiedere a Gazza di spiegarmi Aritmanzia....- borbottó poi incrociando le bracca e spostando lo sguardo al pavimento.
 
  • Beh non guardatemi cosi, Clelia Wool sará stata una grande strega ma ora e oggettivamente un po... confusa... ecco. –
  • Io direi fuori come un balcone. –
  • Dopo tredici anni ad Azkban e il minimo! Cosa vi aspettavate? Ci ha giá dato un’enorme indizio...-
  • Se lo dici tu Harry...-
  • Deve pur significare qualcosa...lo so che non é molto utile ma... le cose che ti sono venute in mente Hermione, quali sono? Partiamo da quelle, per quanto assurde possano essere!-
 
Hermione parve pentirsi delle sue stesse parole, e si morse fortemente un labbro, guardando l’amico incerta.
 
  • Nulla di cui sono veramente certa Harry... –
  • E’ comunque qualcosa! – insistette Harry, gli occhi fissi su di lei.
  • La terra si distinse in sette pezzi per dare vita al mare. E l’anima dell’immortale si divide per dare vita all’eterno. – sussurró Draco, di colpo.
 
Il suo pugno si strinse intorno alla pallina di gomma con cui aveva giocato fino a quel momento contro il muro, nel gesto teatrale di chi sa di avere l’attenzione di tutti i presenti.
E se ne compiace.
 
  • Non credo sia il momento per i sonetti romantici Malfoy. –
Draco sghignazzó arrogantemente, voltandosi verso Hermione.
  • Tu sai cosa significa, eh Granger? – soffió lentamente, godendo del brivido che aveva scosso la ragazza.
  • ...Che il Signore Oscuro sappia padroneggiare un incantesimo come gli Hor...-
  • NON DIRLO!  Non osare dirlo! – strilló Hermione puntando un indice contro Malfoy.
  • Porta male. Lo sanno tutti! –
  • Io non lo so – avanzó Ron, confuso.
  • E continuerai a non saperlo! E’ Magia Oscura, se si puó perfino definire magia... é oltre ogni limite umano e magico. Il solo pronunciarlo potrebbe deteriorarci l’anima all’istante ! -
  • Quanto sei fifona Granger...-
  • Fifona? Senti chi parla. Ti arrempicheresti sul lampadario se anche solo una formica ti sfiorasse...-
  • Hermione! Parla! –
  • Harry non ti ci me...-
  • Horcrux! –
 
Hermione sussultó come se le avessero buttato un secchio d’acqua gelida addosso, bloccandosi nell’atto di sventolare un dito contro Harry.
Dall’angolo piú buio della stanza il volto pallido di Ania emerse come da una pozza d’acqua. Impassibile. Seria come non mai.
Pallida come al solito, ma tutto sommato, ancora intera.
 
La Granger aveva ragione per metá.
Si perché se Ania non aveva perso il senno in quello stesso istante, la parola dell’incantesimo aveva avuto il suo effetto.
Un’ombra scura schizzó veloce sui loro volti, e Draco era sicuro che a tutti si fossero gelati i piedi.
Gli parve persino che il lampadario avesse tremolato leggermente e che un sibilo costante si fosse intromesso in quella conversazione.
Duró un attimo.
Poi, di nuovo, la calma.
 
  • Horcrux...cosa...?-
  • Harry non pronunciarlo.–
  • Hermione, possiamo lasciare stare le superstizioni? L’anima di Ania mi sembra ancora tutta intera! –
  • Non ne sarei cosí sicura...-borbottó Hermione, incollerita per l’incoscenza di quella Serpeverde seduta all’altro lato della stanza.
  • D’accordo, Ania... – sbottó Harry, ormai consapevole che non avrebbe ottenuto niente da Hermione
  • ...di che stiamo parlando? Cosa sono questi Horcrux?
 
Hermione storse il naso e fulminó Harry con lo sguardo al sentire di quella parola, ma rimase in silenzio.
Era un argomento di cui sapeva davvero poco, e saperne poco di qualcosa non era una cosa da Hermione.
Alla fine, la curiositá vinse sulla paura.
 
  • Una vecchia leggenda, nessuno ci ha mai creduto sul serio. –
  • Una leggenda con piú di un precedente peró –
  • Non puoi davvero crederci Malfoy. Chi si spaccherebbe l’anima in mille pezzi di sua spontanea volontá ? Per cosa poi? Una vita eterna, si, ma da reietto.  –
  • Eterna? Nel senso che non puó morire? –
  • Cosí si dice.. ma quanta forza puó restarti. Un Mago non puó restare potente per tutta l’eternitá. Guarda Flamel...-
  • Sarebbe bello che le persone parlassero solo di quello che sanno.-
Draco si alzó in piedi poggiando la pallina sul tavolo.
Sapeva che di nuovo l’attenzione era su di lui, e non gli dispiaceva affatto.
Era il piú esperto sull’argomento lí in mezzo.
Per una volta, persino piú della Granger.
 
  • Sapevi che quando un Mago uccide un altro Mago, la sua anima, la sua....aura se cosi vogliamo chiamarla si affievolisce?
  • Cioé é una cosa buona! Per tutta la gente che Tu-Sai-Chi ha ammazzato la sua anima deve essere bella che spenta ora. –
  • No Weasley, un Mago non perde potere quando uccide. Meno anima c’hai meno umano diventi. Il che vuol dire... –
  • Vuol dire che le tue emozioni muiono Ron. Ció che ti rende umano, semplicemente scompare... – scandí Hermione, le parole cariche di tensione.
  • Non mi stupirebbe sapere che il Signore Oscuro abbia voluto sbarazzersene per bene. Un Mago come lui non ha lasciato che quei pezzi gli scappassero di mano... avrá pensato bene di conservarli per sé, di usarli, in qualche modo....-
  • Questi pezzi ...come li troviamo? –
  • Pensi che sia cosí stupido da lasciarli trovare a te Potter?  Hai presente di chi stiamo parlando?–
  • Di uno che Harry a sconfitto piú di una volta in passato Malfoy. – disse Ron alzandosi in tutta la sua altezza
  • Quindi non preoccuparti, troveremo un modo. -
  • Uno come Tu-Sai-Chi non lascerebbe un pezzo di se in un comunissimo mestolo da cucina. Deve trattarsi di qualcosa di importante, di importante o personale – continuó Harry, incurante di quello scontro di sguardi tra Ron e Malfoy.
  •  Personale come un diario? –
Di nuovo la voce dimenticata di Ania sbucó dalla penombra.
Draco quasi rabbrividí.
Era tutta strana quella.
Sembrava che la sua voce si atrofizzasse per il settanta per cento del tempo, e poi puff, eccola lá con una risposta geniale che cambiava l’intero gioco.
Quelle poche frasi che diceva racchiudevano un dettaglio sfuggito agli altri, una veritá palese ma difficile da acciuffare.
Un pezzo del passato che si incastrava in un puzzle del presente.
E quel diario comparso quasi cinque anni prima, e che di colpó si palesó nelle loro menti.
 
-Ma certo – sussurró Hermione.
- Il diario di Riddle. Come ho fatto a non pensarci... – aggiunse mordendosi una guancia.
-D’accordo – proruppe Harry, il cuore in gola per l’adrenalina del momento
-D’accordo, faremo in questo modo...-
 
Le mani sudate di Harfry si piombarono sulla scrivania di Mrs Tonks, dove una pila di fogli rigati era stata posiziata ordinatamente .
 
  • Ognuno di noi scriverá tutte le cose che gli vengono in mente. Una lista di... non so... tutto quello che potrebbe avere un significato per Lord Voldemort... amuleti, vecchi libri di scuola, qualsiasi cosa... – fanfuglió velocemente puntando in petto ad ognuno di loro uno di quei fogli.
  • Ci diamo fino a... non so... domani sera? Ci riuniamo qui e, beh, vediamo cosa scartare...-
  • Mi sembra una buona idea Harry. –
  • Si, é un inizio. Meglio che starsene con le mani in mano alm... –
 
Il consenso di Ron venne interrotto dallo scenografico rumore di un foglio strappato in mille pezzetti.
Le teste scattarono all’unisono verso l’unica persona che avrebbe potuto fare un gesto del genere.
 
  • Gran bel piano Potter. – scandí Draco, riducendo in brandelli l’ultimo pezzo di carta rimasto
  • Un bel compitino a casa per i tuoi amichetti. –
  • Non sei tenuto a farlo Malfoy –
  • Infatti non ci tengo minimamente.  Nessuno di voi ha alcuna conoscenza del Signore Oscuro. Manca poco che prenda comando al Ministero, ad Hogwarts e chissá dove altro e il vostro piano é... fare la lista della spesa. – ironizzó sventolando la carta straccia in una mano.
  • Sai che ti dico... – aggiunse avviccinandosi ad Harry. – Tutti ti danno cosí tanta importanza. Il “Prescelto”. “Colui che é sopravvissuto”. Non hanno ancora capito... Tu non hai la minima idea di dove sbattere la testa Potter. E seguirti é una perdita di tempo. – scandí sbattendo i fogli in petto ad Harry.
 
Nessuno era troppo sorpreso dall’atteggiamento di Malfoy.
Il suo odio per Harry era leggenda. E di certo non ci si aspettava che i due diventassero migliori amici.
 
Gli occhi di Hermione girarono al soffitto quando Draco lasció la stanza, ma nessuno commentó. Le loro teste erano giá scattate altrove, al navigare nelle cose che sapevano di Tu-Sai-Chi, a scavare nel suo passato, nel suo presente.
 
Solo una persona aveva ancora lo sguardo verso  la porta.
Le parole di Draco avevano insinuato un minuscolo dubbio nei pensieri di Ania, infettandoli a poco a poco.
 
Fissó il foglio bianco che Harry le aveva dato, deglutendo forte.
 
E se Draco avesse ragione?
Se Harry fosse stato davvero un buco nell’acqua?
Se nemmeno il tanto acclamato Prescelto poteva essere una guida, allora...
Quante possibilitá avevano davvero?

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Capitolo 28
*** Caccia al piccione ***


Nella stanza che un tempo era stata di Ninfadora Tonks, Harry, Hermione, Ron, Ginny ed Ania si era incontrati per la terza volta in quelle due settimane.
Era diventato un appuntamento non prestabilito.
Rivedersi dopo cena in quella stanza per esaminare le proprie liste a vicenda.
 
Ania forse era stata quella meno d’aiuto.
Come poteva esserlo?
Le sue conoscenze riguardo il Signore Oscuro erano strettamente legate a ció che chiunque altro aveva potuto vedere sui giornali.
Nulla di piú.
 
Non era quello che qualcuno si sarebbe aspettato da lei in realtá.
 
Piton....
 
Tutti erano convinti che Piton fosse un suo servo fedele, un adoratore del Signore Oscuro. Un Mangiamorte della vecchia e nuova scuola.
 
Forse.
Ma Piton non aveva mai aperto l’argomento con lei, né lei aveva mai potuto notare nulla che confermasse quelle teorie.
Piton era una cripta impenetrabile.
Se voleva mantenere un segreto, quel segreto sarebbe morto con lui.
 
Poi, certo, aveva una madre nota come Mangiamorte.
 
... beh, sua madre non c’era stata per tredici anni. E qualche mese.
E in quella casa era come un fantasma.
Dopo l’ennesima crisi di nervi la sua camera in Casa Tonks era stata dichiarata ad Accesso Limitato.
E per limitato si intendeva che , solo Sirius poteva accedervi.
Nemmeno sua figlia.
Nemmeno Harry.
 
Gli altri del gruppo invece stavano andando forte.
Hermione aveva riempito tre pagine di fogli, riempendoli di mappe concettuali, possibili abbinamenti e spiegazioni varie.
Ron aveva ricavato qualcosa dai racconti del padre, dagli strani oggetti che durante gli anni aveva visto passare al Ministero.
Ed Harry, forse, era quello piú in sintonia con l’intera ricerca.
Ricordava bene di come Silente avesse passato gran parte del sesto anno fuori Hogwarts.
Che fosse arrivato prima di loro alla congettura degli Horcrux?
Ricordava poi una mano annerita e un vecchio anello con uno strano simbolo, che Silente teneva gelosamente .
 
Un anello.
Un diario.
 
Il simbolo di una famiglia passata.
Un cimelio personale durante i suoi anni ad Hogwarts.
Si, ci poteva stare... e poi?
 
Quanti potevano essercene, esattamente?
 
Tre? Come la Trinitá?
Sette? Come il numero magico piú importante della storia?
O una combinazione dei due?
 
Ventuno? Settantatre?
Era possibile spaccarsi l’anima in cosí tanti pezzi?
 
La testa le faceva male solo a pensarci.
Per non parlare poi della sua totale esclusione psicologica dal quel trio cosí affiatato.
Harry non l’aveva ancora perdonata per avergli tenuto nascosto il loro legame.
Ron... lui piú che altro la ignorava per Hermione.
Si perché era palese che alla Granger lei proprio non andava giú...
Forse la vedeva come un’approfittatrice, come un pericolo per Harry.
Da un lato, come biasimarla. Era facile credere ad una congettura del genere.
Dall’altro, tantomeno.
Ania era cosí abituata a starsene negli angolo bui, che avere una come Hermione contro non le faceva né caldo né freddo.
Era solo molto controproducente.
Se in una situazione normale avrebbero potuto fare cinque, con tutte quelle antipatie e contrasti interni stavano facendo meno tre.
 
Sbuffó silenziosamente senza neanche accorgersene.
Aveva bisogno di uscire da lí.
 
  • Dove vai? Non abbiamo finito! –
  • Non che sia di molto aiuto, comunque... –
  • Hermione!-
  • Ho bisogno di un pó d’aria. Tutto qui...- borbottó Ania senza dare troppo peso alla cosa.
 
 
 
 
 
 
 
Puff
 
Soffió forte nella tubicino di carta, sparando quel fagiolo duro preciso contro un piccione sul palo della luce.
Si avete letto bene, questo si era ridotto a fare.
Ammazzare piccioni, armato di fagioli secchi e una cannuccia di carta.
 
E che mira che aveva! Era davvero forte!
 
Il tetto di casa Tonks affacciava su una via poco trafficata, ma con diverse case adiacenti.
Sulle canne fumarie e i trespoli degli alberi, i piccioni se ne stavano tranquilli a tubolare, incoscienti della mira killer di un ragazzo annoiato.
 
Puff
 
  • Fanculo... -biascicó, quando il fagiolo colpí il vetro della casa, invece che la vittima designata.
Fu in quel momento che un rumore di passi gli segnaló l’arrivo di qualcuno dal piano inferiore.
 
Come un cecchino prossimo all’ora X, Draco caricó le sue munizioni (due fagioli) e miró alla porta.
Poteva essere sua zia Andromeda, ancora speranzosa nell’instaurare un rapporto con lui.
O quella mammoletta del marito, che gli annunciava che la cena era pronta.
O Potter.
Oh, quanto avrebbe goduto a spaccargli quei maledetti occhiali rotondi con un bel fagiolo.
Oltre che Sfregiato, anche guercio.
Sarebbe stato esilarante!
 
La maniglia si abbassó lentamente, e la porta si aprí appena.
In posizione...
La porta si aprí del tutto, e senza nemmeno inquadrarne bene la faccia...
VIA!
 
Puff
 
  • Ma sei completamente IDIOTA????-
 
Draco non poté fare a meno di ridere quando Ania si portó una mano alla guancia, lanciandogli un’occhiataccia.
 
-Per poco non mi prendevi un’occhio. Idiota. –
- Miravo a quelli infatti, ma tu sei piú bassa – rispose lui, ritornando a mirare ai piccioni sull’altro lato della strada.
- Piú bassa di chi? – chiese lei, ma Draco la ignoró del tutto.
 
-Che stai facendo? –  
- Mi sto facendo gli affari miei. Perché non ci provi anche tu? –
- Volevo solo prendere un pó d’aria – rispose lei scrollando le spalle.
- Puoi anche farlo in giardino sai. Tipo lontano da me. Non ero un verme schifoso? –
- Oh, piantala di fare la vittima. Non ho molto altro da fare comunque... – aggiunse lei poggiando la schiena alla ringhiera di fianco a lui.
 
Draco le lanció un’occhiata traversa.
Era la felicitá fatta persona proprio quella lí.
I capelli le ricadevano flosci fin sotto il seno, come se non li degnasse della minima cura.
E il viso era sempre cosí pallido e stanco, come se avesse bisogno di una grande dormita.
Eppure, nel complesso, non riusciva a non trovarci qualcosa di... antico.
Avete presente quei quadri del Medioevo, con quelle belle donne vestite di bianco, che fanno il bagno al fiume vicino al castello.
Ecco, Ania sembrava uscita da uno di quei quadri lí.
Completamente fuori dal reale.
 
-Che vita emozionante che hai Wool... – continuó scostando velocemente lo sguardo.
- Malfoy, tu stai sparando ai piccioni! – evidenzió lei con un gesto della mano.
- Non potresti proprio farmi la morale...-
- Sempre meglio che ascoltare voi e le vostre ridicole teorie... immagino abbiate fatto molti progressi in queste tre settimane. –
- Non molti, in realtá... – ammise lei, lo sguardo perso nel nulla.
- Insomma, entrare nella testa del Signore Oscuro, non é una cosa facile... – aggiunse, la mano ad accarezzare inconsciamente un ciondolo appeso al collo.
 
Draco lo stava notando per la prima volta.
Era un vecchio ciondolo in ottone, a forma di cuore, di quelli che non se ne trovano piú perché considerati pacchiani.
Senza neanche chiedere allungó la mano verso la collana e se la giró tra le dita.
Vide Ania immobillizarsi e rabbrividdire silenziosamente quando le sue dita fredde sfiorarono per sbaglio la sua pelle.
 
Tieniti stretta l’anima, vi era inciso.
 
  • Gran bel ciondolo di merda. Regalo dei nonni? –
  • Io non ho nonni. – borbottó lei, scostandolo bruscamente via dalla collana.
  • E comunque, l’ ho trovato. Roba vecchia. –
  • Spazzatura, direi. – fece lui, inserendo l’ennesimo fagiolo nella cannuccia.
Poi un pensiero lo colse, e non riuscí a trattenere la curiositá.
 
Quella Wool era un mistero. Madre in prigione. Lei ricercata in ogni parte di Londra. Padre sconosciuto...
Non c’era proprio nessuno nella vita di Ania Wool?
 
-Senti ma quelli con cui stai... puff.... Non ti staranno cercando? –
- Beh... – inizió lei, di nuovo le mani sulla collana, come se la aiutasse a pensare.
- ... Il mio padrino... credo si sia sentito un pó... tradito. Dubito stia perdendo tempo a cercarmi. –
- Incredibile. – aggiunse Draco osservandola esterrefatto .
- Non gliene frega davvero un cazzo a nessuno di te, Wool. –
 
Ania gli lancó una smorfia fintamente divertita, prima di staccarsi dalla ringhiera.
 
  • Ti lascio ai tuoi impegni. – aggiunse ironica incamminandosi verso la porta.
Draco la sentí fare qualche passo, e poi arrestarsi di nuovo.
 
  • Per quella faccenda... tu davvero non hai nessuna idea? –
Draco si bloccó nell’atto di caricare la cannuccia, ed abbassó lo sguardo.
 
  • Oh, ecco... Potter ti ha mandato ad interrogarmi allora... –
  • Pensavo solo che tu sei quello che ci sta piú dentro. Ne sai piú di tutti noi messi assieme...-
 
Draco non sapeva se Ania lo stesso lusingando di proposito o se lo pensasse davvero.
Poteva essere cosí manipolatrice? Voleva farlo sentire quasi importante per estorcegli informazioni? O stava semplicemente dicendo la veritá?
Dopotutto, lui era davvero quello che ne sapeva piú di tutti, nonostante Potter tentasse di convincersi del contrario.
 
  • Lascia stare... ero solo curiosa... – concluse lei e tornando alla porta
  • C’é una cosa... –
 
Le parole gli uscirono fuori prima che potesse metabolizzarle.
Si, c’era una cosa. Un oggetto in particolare che gli era saltato continuamente in testa da giorni, e che lui tentava inutilmente di spingere nel dimenticatoio.
 
  • E dove sarebbe questa cosa? – mormoró piano Ania, come se avesse paura di usare il tono sbagliato e rovinare quel momento.
  • In un posto dove preferirei non tornare... –
 
Le mani si strinsero a pugno, la mascella si indurí di botto.
Poteva starsene zitto.
Che idiota!
 
  • Ovvero?- chiese, prevedibilmente Ania.
 
Ovvero...
Ovvero il suo posto dei sogni, della sua infanzia, di tutta una vita.
Un posto che ora gli ricordava solo odio, e vergogna e paura.
Ovvero...
 
  • Ovvero casa... Villa Malfoy. –

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Capitolo 29
*** Eppure, addio. pt.1 ***



Malfoy Manor



 Ania sapeva che la famiglia Malfoy era tra le piú potenti e antiche del Mondo Magico.
Era un cognome che chiunque mago o strega imparava a conoscere sin da bambino, dai giornali o dalle dicerie locali.
Poteva capitarti di infilarti in qualche bel locale, o in vacanza con la famiglia nelle piú belle localitá inglesi e puff, ti ci trovavi quel cognome come un marchio di qualitá.
 
Di proprietá della famiglia Malfoy.
 
Finanziato da L. Malfoy.
 
Proprietá Malfoy.
 
Ania ricordava come camminando per Londra anni addietro, avesse trovato lo stemma dei Malfoy inciso su ogni tombino o pietra dell’intero Antique Quarter, come se l’intero quartiere fosse di loro proprietá.
Tutto questo per farvi capire che non era mica Babbana lei, davvero, ne era a conoscenza...
Di quante ricchezze avessero.
Di quanto lusso possedessero.
Ma la sua mente e i suoi occhi non erano preparati a quello che si trovó davanti quella fredda mattina.
Non erano preparati alla vista di Villa Malfoy.
 
  • Miseriaccia...questa é una casa? –
  • Ovvio che é una casa Weasley, cosa credi che sia, un monastero? – sbottó Draco, acido come una vipera. Il solito Draco, insomma. Ma Ania notó quanto la sola vista di quella casa gli avesse irrigidito i tratti.
Per quanto tentasse di nasconderlo, Draco sembrava terrorizzato.
 
L’elaborato cancello in ferro si aprí ubbidiente cigolando appena.
Delle alti siepi costeggiavano il vialetto. Era una specie di muraglia verde, un tempo di certo estremamente curata. Ora, un ammasso d’erbaccia che si intersecava confusamente a coprire la vista della casa.
 
Quando finalmente arrivarono al portone, Ania tiró un sospiro di sollievo.
Il vialetto gli era parso infinito, come se avesse camminato da casa sua fino ad Hogwarts a piedi.
 Ma ora che erano esattamente di fronte al portone il cuore di Ania fece le capriole.
Era quella sensazione di sopraffazione di quando ti trovi difronte qualcosa di immensamente bello e maestoso. Il tuo essere scompare, ingoiato da tanta magnificenza.
 
Il castello dei Malfoy (perché chiamarlo casa era un insulto) era in perfetto stile gotico, con mille torrette e una grande, imponente torre centrale.
Grandi finestroni riflettevano la fredda luce del mattino, gettando riflessi bluastri sui giovani maghi.
Era come essere entrati in una favola.
 
  • Pensi ci sia qualcuno? – chiese Harry.
Draco si era bloccato davanti il portone d’ingresso. Oramai doveva essere chiara a tutti la sua agitazione.
 
  • Se non te la senti Dracuccio, vado i...-
  • Oh, sta zitto Potter! –
 
La mano gli scattó sul grosso maniglione in ottone e spinse forte.
Ania avvertí un brivido quando Draco scomparve nell’oscuritá dell’ ingresso.
E se i Mangiamorte fossero stati lí dentro? O peggio, e se gli Auror fossero stati lí dentro?
Non sapeva quale delle due opzioni temere di piú.
 
Strinse la bacchetta in noce forte nella tasca e seguí gli altri, che a poco a poco scomparivano dentro casa Malfoy.
 
 
L’ingresso la lasció senza fiato piú dell’esterno.
Un enorme, no di piú, un gigantesco, no nemmeno, un mastodontico lampadario di cristallo e oro cadeva dall’alto soffitto e si fermava a pochi metri dalle loro teste, illuminandoli di scintilli di luce lunare, e catturando gli occhi nei suoi mille ghirigori.
Il tutto era perfettamente centrale ad una scalinata in marmo grande quanto quella di Hogwarts, con due draghi in pietra scopiti nella balaustra.
 
L’ opulenza piú pura da tagliare a fette.
Ania era rapita.
 
Dal canto suo, Harry pareva importarsene poco e subito proseguí verso il piano di sopra, alle spalle di Draco.
Hermione li seguí poco dopo.
Il piu impressionato di tutti era sicuramente Ron. I suoi piedi erano inchiodati al suolo, e i suoi occhi vagavano per quella che doveva essere la casa piú grande che avesse mai visto in vita sua.
 
  • Poca roba eh... – sussurró Ania.
  • Giá... mi chiedo se tutto questo spazio sia abbastanza per il suo ego da zuccone. –
Ania accennó un sorriso ma le sue orecchie captarono quella vena di gelosia nelle parole del ragazzo.
Doveva essere difficile anche per lui, per Ron.
Sette figli, un solo stipendio, nemmeno cosí buono.
E poi trovarsi difronte a tutto questo sfarzo, pronto per una persona sola.
 
Ma si poteva dire felice, uno come Malfoy?
 
Mentre salivano al primo piano, seguendo gli altri, Ania passó davanti un ritratto di famiglia dipinto ad olio ed incorniciato in un’elaborata cornice d’oro.
 
Lucius Malfoy aveva i capelli piú lunghi e un viso decisamente piú giovane. Il suo sguardo era segnato da quel potere ereditato da decenni, ben sottolineato da tutti i dettagli rappresentati.
Il blasone al collo, l’anello di famiglia, l’importante pelliccia di montone.
 
Alla sua sinistra una donna di un fascino regale, forse appena trentenne, con i capelli scuri e una ciocca biondo platino ad incorniciarle il volto.
Sguardo fiero, ma a tratti persino dolce.
Narcissa.
 
Ania non l’aveva mai vista, ma ora vi riconosceva tutti i dettagli scorti nel viso di Draco.
E appunto Draco se ne stava in mezzo a quei due, l’erede di quell’incontro di potere tra due famiglia magiche.
Poteva avere si e no dieci anni in quella foto.
Era l’unico a non nascondere il sorriso.
Il sorriso beffardo di chi sa di avere il mondo ai suoi piedi, di chi sa che non dovrá mai faticare tanto, lottare troppo, soffrire...
Cosí diverso da quello del Draco di oggi.
 
La vita li aveva stravolti tutti, in quegli anni.
Forse Ania non era poi quella messa peggio.
 
 
Dal piano superiore captó Harry parlottare di qualcosa sul Serpentese con Hermione.
Forse era quella la sua tattica. Se un Horcrux era da quelle parti, lui l’avrebbe certamente avvertito, in qualche modo.
 
Fece per mettere un piede sul primo scalino, ma un fioco ansimare la bloccó.
Da una porta poco piú avanti, un vago bagliore argenteo segnalava la presenza di qualcuno.
Al suo interno vi era quello che sembrava un salottino o forse uno studio, con una grossa scrivania dalle gambe leonesche e imbottiti divanetti in velluto.
O almeno, questo é quello che ipotizzó Ania da quel poco che rimaneva dellla stanza.
 
Parte della scrivania era annerita e bruciacchiata, cosi come parte del muro e del marmo del camino.
Tutti i libri dagi scaffali avevano lasciato la loro postazione, coprendo il pavimento di pagine e pergamene.
Era un delirio di pezzi d’arredo e vetri esplosi.
 
Al centro di questo caos, Draco si guardava intorno, immobile, la bacchetta in mano, come se dovesse difendersi dai ricordi che quella stanza gli suscitava.
 
  • Stai bene? – mormoró Ania.
  • Una favola. – sussurró lui, la voce rauca subito nascosta da un finto colpo di tosse.
  • Andrá tutto bene Draco. – le venne da dire.
Le parole le uscirono prima che se ne rendesse conto. Immaginava che Draco stesse pensando a sua madre. Che stesse pensando al suo mondo distrutto, proprio in quella stanza, pochi mesi prima.
 
Draco si voltó di colpo.
Aveva gli occhi lucidi e la trafisse con uno sguardo.
  • Wool... – sussurró
  • Dopo Potter sei la persona piú sfigata che conosco. Non so se voglio fidarmi. – aggiunse
Ania non riuscía trattenere un sorriso e alzó gli occhi al cielo.
Non era il tipo di persona adatta per consolare, ed era stra contenta che Draco l’avesse buttata sul “ti insulto per sembrare forte”.
Se mai si fosse aperto su quanto stesse soffrendo in quel momento, Ania se la sarebbe probabilmente data a gambe.
 
Quando i suoi occhi ritornarono su Draco, qualcosa nello sguardo del ragazzo era cambiato.
Era lo sguardo che le aveva riservato al Lago Nero, millenni prima.
Quando si erano scoperti simili, figli di una famiglia dannata, ognuno a modo suo.
Uno sguardo che le faceva perdere parecchi battiti.
 
Non guardarmi cosí.
Non guardarmi.
Vedi troppo
 
  • MALFOY!-
 
I due trasalirono terrorizzati a quell’urlo di Harry dal piano superiore, ma dentro di sé Ania non poté esserne piú grata.
 
  • Potter ma cosa diavolo ti urli? –
  • Dove eravate voi due? – li interrogó Hermione squadrandoli da capo a piedi.
  • Stavamo...-
  • Io ero giú... –
  • Anch’io ma non con l...-
  • Non importa adesso, cosa c’é  qui dentro. –
  • Assolutamente nulla. –
  • Che vuol dire ? –
  • Vuol dire nulla! Sei sul piano sbagliato Potter, la coppa che ho visto é nello studio di mio padre-
  • Siamo stati nello studio di tuo padre e non c’é niente di rilevante. –
  • Siete entrati senza aspettare me? –
  • Non volevamo disturbare... – insinuó Hermione lanciando un’occhiata traversa ad Ania.
  • Entrare nello studio di mio padre senz...-
  • Malfoy! Possiamo un attimo concentrarci. E’ qui dentro. C’é qualcosa. Io lo sento! – insitette Harry battendo un pugno sulla porta in legno difronte a lui.
  • Non so quale il tuo problema Potter....- gli soffió in faccia Draco sfoderando un mazzo di chiavi dalla tasca.
  • ....forse sei sordo...- inizió infilando la chiave e girandola con violenza.
  • .... o, come ho sempre detto, immensamente stupido! Qui dentro, Potter non c’é un beneamato... NIENTE! –
Con un gesto teatrale spalancó la porta e.... effettivamente non c’era nulla.
 
Uno scaffale grezzo con qualche mensola, un paio di boccettini coperti con ragnatele e una mazza della scopa coperta di polvere.
 
  • Vedi....- sbottó con un sorrisetto in faccia, battendo con la mano su ogni parete del cubicolo.
  • E’ casa mia idiota, lo saprei se ci fosse una cripta segreta in uno stupido stanzino delle...AH! –
La sopresa fu collettiva, ma la reazione di Draco fu delle piú eclatanti.
I suoi piedi volarono da terra per la sopresa, e si schiacció contro il muro quando, dopo un suo gesto delicato, lo scaffale grezzo e sporco cadde di peso all’indietro.
Dietro di esso, una stanza ovale dalle pareti blu si aprí ai loro occhi.
 
  • Ma cosa cazzo... –
  • Ben fatto Malfoy. Tu si che conosci casa tua...-
 
Quello stanzone luminoso ti dava l’impressione di essere sott’acqua. La luce bluastra ti colorava la pelle e ingannava la vista.
Al suo centro, erette sul pavimento in pietra, tre colonne in granito si eregevano ad altezze diverse.
Sulla colonna di destra una chiave , piuttosto grande, di un ottone arrugginito.
Sulla colonna centrale un fiore nero, un’orchidea, protetta da un velo leggero, scosso da una brezza inesistente.
E sulla colonna di sinistra, in una chiazza d’ombra innaturale, una coppa d’oro rosso, pesantemente intagliata e dall’aria antica.
 
  • E’ quella. – disse Harry, rompendo il silenzio.
  • Harry, sta attento! – sussurró Hermione, ma Harry era giá schizzato ad un centimetro dalla coppa.
 
Sembrava quasi che Harry la sentisse parlare.
Il modo in cui la fissava, metteva quasi paura. Un misto di attrazione fisica ed ammirazione. Amore quasi.
 
  • Harry non TOCCARL...-
 
La mano di Harry si strinse intorno ad un manico della coppa, e nello stesso istante una fiammata azzurra lo scaraventó violentemento contro lo stipite della porta.
La spalla di Harry sbatté violentemente contro la pietra, seguito da un sonoro crack.
 
  • HARRY! –
 
Hermione e Ron si precipitarono verso di lui, ma il ragazzo si alzó a sedere all’istante.
  • Sto bene... -biascicó tenendosi un braccio.
  • Sto... – il collo di Harry fece un gesto innaturale, com un tick nervoso. Harry strinse gli occhi,e  quando li riaprí qualcosa nel suo sguardo era cambiato.
 
Terrore
 
  • Dobbiamo andare. – sussurró
  • Subito. –
 
Lanció un’occhiata a Ron ed Hermione, un’occhiata che ad Ania non piacque affatto.
C’era qualcosa che quei tre tenevano nascosta, e non le piaceva.
 
  • La coppa. E’ quella giusta. Dobbiamo portarla con noi. –
  • E come diavolo la prendiamo se nessuno puó toccarla? – avanzó Ron, visibilmente piú agitato di prima.
  • Solo Draco puó prenderla. – disse Ania. Allo sguardo interrogativo di tutti, indicó con l’indice la colonna di pietra.
Ania si riferiva in particolare ad un simbolo a quattro linee, con un cerchio centrale. Una runa.
 
  • Famiglia. Solo un Malfoy puó avviccinarsi alla coppa. – spiegó Hermione.
  • Ah ah, io non mi avvicino a quell’affare. –
  • Non avrai mica paura Dracuccio? – lo scimmiottó Hermione, replicando il tono del ragazzo.
  • Draco, la runa non mente, non ti succederá nulla. –
  •  Di nuovo Wool non sono tanto sicuro di quanto fidarmi di te. –
  • Malfoy! Prendi.La.Coppa. –
Ania si voltó verso Harry e di nuovo il presentimento che qualcosa non andasse la colpí forte allo stomaco.
Harry si teneva il braccio rotto con la mano destra, ma quel dolore fisico sembrava quasi non sentirlo.
Era qualcosa nella sua testa.
Qualcosa lo stava tormentando da dentro.
Lo faceva sudare.
Tremare.
E di nuovo, quel tick al collo che pareva gli trasformasse il volto.
Serpentesco quasi.
 
-Harry. – sussurró Ania
- Perché hai la bacchetta pronta? –
 
Erano solo loro cinque in una villa deserta.
Nessuno sapeva che fossero lí.
O almeno cosí pensava Ania.
 
E poi di colpo.
 
Il volto di Harry si trasformó di nuovo.
Terrore.
Una serie di schiocchi.Un tonfo.
E poi iniziarono i passi.
 
-Cos’é stato? Chi c’é?-
 
Il rumore di mille scheggie andate in frantumi.
Urla, risate.
 
Non erano piú soli.
 
  • MALFOY! –
 
La casa prese a tremare.
Draco ebbe appena il tempo di lanciarsi contro la colonna e acciuffare l’oggetto con una mano, prima che un’ esplosione al piano superiore fece tremare il soffitto.
 
-USCIAMO FUORI DI QUI, CAZZO! –
 
Si precitarono oltre la porta dello stanzino come scheggie, prima che altri pezzi di soffitto li colpissero.
I ragazzi cacciarono le bacchette, mentre con tutto il fiato che avevano in corpo correvano verso l’uscita.
Ania odiava la sua bacchetta.
 
Non aveva mai riposto come voleva ai suoi incantesimi.
Dopo Azkaban poi, la bacchetta sembrava aver perso tutta la sua energia vitale. Il piú sciocco degli incanti ne usciva fioco e pallido.
 
  • Ci metti troppa forza – le diceva sempre Pito
  • Beh e tu comprami una bacchetta che sia davvero mia – avrebbe voluto dirgli Ania.
 
Le parole ovviamente, le morivano in gola.
Ma quei pensieri non erano ne utili ne incoraggianti in quel momento.
Anzi.
Il solo pensare a Piton le riempiva il cuore di angoscia.
 
Se solo fossi qui.
 
-RON! –
Un incantesimo dalle loro spalle colpí il rosso, facendolo volare di parecchi metri.
Hermione si voló di colpo, lanciando un bombarda  sulle colonne in pietra del corridoio, e creando cosí una barriera di detriti tra loro e il Mangiamorte.
 
  • Yaxley. – sussuró Draco
  • Sono qui –
 
Si leggeva il terrore sul suo volto.
Lui meglio di tutti sapeva di cosa fossero capaci.
Li aveva visti torturare, struprare, uccidere.
I peggiori criminali del Mondo Magico erano lí con loro in quella casa.
E loro, solo cinque ragazzini spaventati.
 
-Dammi la coppa Draco. –  esclamó di colpo Ania, porgendo la mano.
- Sono quella meno a rischio qui. Non gli interesso io. Non seguiranno me. –
 
Draco parve incerto, ma poi la parete di detriti inizió a tremare e il suo cervello parve riattivarsi di colpo.
-D’accordo. Ma dobbiamo muoverci, c’é un punto dal giardino dove possiamo Smaterializ...-
-yuu uuuh, Dracuccio... –
 
Il cuore di Ania saltó un battito, ed era sicura che quello di Draco si fosse completamente fermato.
 
  • Indovina chi é venuto a trovarti oggi...-
Una risata maledetta gli perforó l’anima.
Atroce.
Bestiale quasi.
 
Ci volle un attimo.
E Bellatrix Lestrange mandó in briciole tonnellate di pietra con un solo, semplicissimo incantesimo.
 
  • Portiamo i tuoi amichetti a giocare, ah? –
  • GIÚ!! –
 
I ragazzi si gettarono a terra, mentre un raggio verde luccicante schivó di poco le loro teste.
Ania sbiancó.
Erano qui per uccidere.
Tutti tranne Harry, almeno.
Magari, Draco era salvabile anche.
 
Lei invece, contrariamente alle sue previsioni, era perfettamente sacrificabile.
 
Bel piano di merda Ania
 
  • HEY! – Urló Harry di colpo.
  • E’ me che volete no? VENITE A PRENDERMI! –
 
Con un guizzo veloce si gettó in un corridoio a sinistra, schivando per un pelo almeno tre incantesimi diversi.
 
-Idiota egocentrico-  si ritrovó a pensare Ania, stupendosi essa stessa di quei pensieri. Eppure non poteva fare a meno di pensare quanto stupida fosse stata quella mossa.
Come se facendo l’eroe adesso gli altri Mangiamorte li avrebbero lasciati stare.
Anzi
Adesso le chance che Harry fosse catturate si erano quadruplicate.
E morto Harry Potter, morta ogni speranza.
 
Maledizione!
 
I suoi piedi si mossero da soli, e schizzarono alle spalle di Harry.
Corse a perdifiato a sinistra, poi a destra.
 
  • HARRY! – urló.
Cazzo!
 
Svoltó di nuovo a sinistra, poi a destra, lí dove appena venti minuti prima Draco osservava lo studio di famiglia distrutto dalla zia.
Poi avvertí dei passi, e poco dopo...
 
  • Uh, ma che bella ragazzina. –
Della mani pelose la acciuffarono per i capelli e la spinsero contro il muro.
Un tanfo di vestiti sudati e scarsa igiene le fece lacrimare gli occhi, unite al dolore dietro la nuca.
 
  • C’hai un visetto conosciuto, tu ... – sussurró quello guardandola avidamente in volto.
La sua pelle sporca e viscida si strusció contro il volto di Ania.
Sembrava la stesse annusando, inalando a vampate il suo odore misto a sapone alla lavanda di casa Tonks.
 
Lupo Mannaro.
 
Ne ebbe la certezza quando, scoprendo i denti in un sorriso perverso, la lingua di quel cane-uomo le perlustró la giugulare, avidamente.
 
  • Ci divertiamo un pó eh... – le sussurró all’orecchio.
  • Ti piacerá... -
 
Ania sentí la mano pelosa dell’uomo spingersele con forza in mezzo alle gambe, e se fino a quel momento la paura l’aveva quasi paralizzata, di colpo il disgusto e l’odio le divorarono le interiora.
 
Sorrise, inconsapevolmente.
Come con Pansy nel bagno del terzo piano, qualcosa scattó nel suo cervello.
 
Goduria.
 
  • Lo so. - sussurró .
La mano scivoló nella tasca del suo aggressore, impadronendosi della sua bacchetta.
 
Un movimento veloce ad altezza vita, uno squarcio.
 
  • AAAAAAAH. – L’ urlo del Mangiamorte si perpetuó nella stanza, mentre con una mano si teneva il fianco, completamente lacerato da parte a parte.
L’ uomo indietreggió prima di rendersi conto di essere senza bacchetta.
Digrignó i denti e fece per caricare contro di lei prima che Ania muovesse di nuovo la bacchetta.
 
Un movimento leggero, e le gambe dell’uomo cedettero con un rumore sordo.
Spezzate.
 
Si.
Si quella bacchetta era molto meglio.
In acero.
Resistente.
Forte.
 
  • Aaaah tu sei morta! –
Ania gli puntó in fronte la bacchetta, godendo come non mai.
Le piaceva.
Tutto quel potere, le piaceva.
Piú che mai.
Era un bene
O un male?
 
  • Qual’é il tuo nome? – sussurró dolcemente, con una voce cosí ferma che nemmeno sembrava sua.
  • Va al diavolo. –
Ania sorrise.
La Coppa sotto la giacca le pulsava contro il petto, come se avesse un cuore proprio, che adesso batteva all’unisono con il suo.
 
  • Ho imparato da poco che chi uccide si crea un danno a se stesso. Quindi rilassati, non morirai per mano mia. – disse abbassando la bacchetta.
  • Ma forse il tuo Signore non sará della stessa opinione. -
Non era un’assassina.
Non lo era, e non poteva diventarlo.


Un lampo biancastra dal corridoio piú avanti la fece voltare di colpo.
 
Harry
 
Quei pochi secondi di distrazione furono abbastanza per il Lupo Mannaro.
Un sibiló che squarciava l’aria.
Una lama  che per poco non le affettava una gamba.
 
Cadde all’ indietro, la bacchetta le rotoló via di mano.
 
L’uomo le acciuffó un piede.
Calció.
Il coltello colpí il pavimento.
Poi di nuovo.
E ancora.
 
Scalció all’ indietro, incapace di sentire paura ma solo odio puro.
Le dita raggiunsero la bacchetta del Mangiamorte giusto un secondo prima che l’uomo si gettasse a capofitto contro la sua gola, arma in mano.
 
  • Avada...-  lo sussurró appena, ma lo sentí forte farsi strada dentro di lei.
Di tutto l’odio che covava dentro, e sotterrava sotto montagne di indifferenza.
Di tutta la rabbia segnata nel suo DNA, che si riufiatava ad accettare.
Di tutta la sua vita, che ora cambiava per sempre.
-... kedavra. –
 
Una luce verde.
Lo colpí in fronte, al Mangiamorte.
Ania poté vedere la vita lasciare i suoi occhi, le mani abbandonare la presa sulla lama.
Il corpo dell’uomo caderle di peso addosso.
 
Ania era senza fiato.
Ma sopratutto, e senza nessun motivo valido, di nuovo senza bacchetta.
 
Si scostó l’uomo da dosso con tutta la forza che aveva, prima di concentrarsi sulla bacchetta che aveva in mano .
Spaccata, da parte a parte.
In qualche modo, quella scoperta la dava piú angoscia del fatto che avesse appena ammazzato un uomo.
 
Fantastico.
 
Un rumore di mobili spostati la trascinó al presente.
Un urlo.
 
Harry.
Arrivo.
 

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Capitolo 30
*** Eppure, addio pt.2 ***



nagini






  
 
Prese a correre di nuovo.
Rumori e grida provenivano forti da altri parti della casa.
Non riuscí a non pensare alla faccia terrorizzata di Draco.
Era uscito da quella casa?
Stava combattendo con la sua stessa zia?
Era abbastanza forte da resisterle?
 
Pensa a te, ora.
 
Le sussurró il suo stesso cervello, riportandola al presente.
 
  • HARRY! – urló
  • ANIA! –
 
Il cuore le saltó di gioia.
L’aveva trovato, era lí.
 
Harry era a terra in una pozza di fango e pioggia, in quello che doveva essere il cortile della casa o una specie di chiostro.
 
  • Harry, Harry stai bene? – sussurró concitata gettandosi a terra di fianco a lui
  • Ania dobbiamo andarcene da qui... Nagini... –
  • Nagini, chi é Nag.... –
 
Poi lo sentí.
Un sibilio forte, serpentesco.
Adorava i serpenti, davvero.
Ma quello non era un serpente comune.
Era un demone.
 
Quattro metri di Serpente si striusciavano da sotto le macerie.
Harry aveva dovuto tentare di sotterrarla sotto tutte quelle pietre, ma senza successo.
Ania aveva il cuore nelle tonsille.
 
L’ animale puntó ad Harry, gonfiandosi inferocita.
Harry si gettó di lato e spinse Ania dall’altro, appena in tempo per evitare il morso.
 
Cosa faccio?
COSA FACCIO?
 
Dentro di se sentiva solo quel bisogno morboso di difendere Harry.
Ma come?
 
Afferó dei massi dal terreno e li lanció contro l’animale.
Prima uno, poi un altro, e un altro ancora.
Nulla.
 
Nagini si voltó appena inferocita, per poi ritornare su Harry.
Quel secondo attacco, fu micidiale.
Harry fu agilissimo a schivare i colpi, ma al terzo scatto cadde a terra, proprio sul braccio rotto poco prima nella stanza ovale.
 
Nagini sibiló gloriosa.
Un tuono lontano.
Prese a piovere.
 
No, non era cosí che avrebbe visto morire Harry.
Non sarebbe finita cosí, la vita del Prescelto.
 
Il suo corpo si mosse da solo.
Si gettó difronte Harry.
Il suo corpo gracile contro un animale di piú di cento chili.
 
Nagini puntava ad Harry, a terra, dolorante.
Ania fu cosí veloce che l’animale non fece in tempo a cambiare traiettoria.
 
Il morso le colpí la gamba e il dolore fu inammaginabile.
Ania cadde a terra, le lacrime agli occhi.
 
Sentiva la carne pulsare.
Avrebbe voluto urlare, ma la voce le si incastró in gola.
 
Nagini sibiló, contrariata.
Erano faccia a faccia.
Serpente contro strega.
 
E lí qualcosa successe.
Per Ania fu come se il tempo si rallentasse.
Mentre era li, a terra, sanguinante, terrorizzata, piena di dolore, il tempo decise di cambiare velocitá.
Poteva sentire il suo respiro graffiarle la gola.
Poteva sentire la pioggia cadere, goccia dopo goccia sul terreno, su di loro.
Scivolare sulla pelle liscia dell’ animale.
 
Attaccami...
Perché non mi attacchi!
Sono pronta.

Divorami la pelle.
 
Sapeva che Harry stava guardando quella scena.
Le strinse la mano, e disse qualcosa, ma Ania lo sentí appena. I suoi occhi stavano vagando nelle iridi giallastre di quella creatura assassina.
E Nagini...Nagini navigava nelle sue, sibilando.
 
Poi la magia si interruppe.
Nagini si contorse sotto un colpo provenuto dall’alto.
Il suo strillare di dolore sopraffó la pioggia.
 
Un altro colpo e poi ancora.
Si voltó dal lato opposto, e caricó per attaccare, ma chiunque la stesse combattendo, sapeva il fatto suo.
Un altro colpo feroce sbalzó l’animale all’indietro.
Nagini tentó di riattaccare ma una sagoma nera si palesó finalmente all’altro capo del cortile.
 
L’ultimo colpo fu il decisivo.
Una piccola tempesta di erba e fango catturó l’animale e lo scaraventó oltre le mura in pietra del castello, facendolo volare per chissá quanti metri.
Il suo “strilllare” fu un fischio lungo che bucó le orecchie di Ania.
 
Ma fu quello che vide che la devastó piú di tutto.
Non il morso alla gamba, non la paura, non la preoccupazione per Harry che ora tentava a fatica di rialzarsi.
No.
Ció che vide la scosse come corrente elettrica.
 
-Se...Severus. –
 
La pioggia le inondava il viso, ma ora sentiva le lacrime di gioia abbandonarle gli occhi.
 
La figura nera che le aveva appena salvato la vita, altri non era che il suo adorato e micidiale padrino.
Ne delineava la tunica nera ora, che quante volte aveva sistemato tra le altre tutte identiche.
Ne carpiva il naso adunco e la carnigione pallida, dovuta alla sua ossessione per le stanze buie.
Ne delineava gli occhi scuri, due pepite nere.
Oh quanto era felice di vederle.
Anche se ora la guardavano con orrore, a vederla lí, coperta di sangue, ferita, sporca.
 
Ania gli si gettó addosso, e sentí il corpo dell’uomo irrigidirsi.
Forse quello era il primo vero contatto fisico che avessero mai avuto.
Anche solo sentire quell’odore polveroso la riportava a casa, a tempi a cui non avrebbe mai pensato di voler tornare.
 
  • Portala via – gli sentí dire.
  • Cosa? –
  • Potter, portala via, adesso! –
Ania si staccó dall’uomo e lo guardó in volto.
Il suo sguardo era tutto per Harry che ora in piedi guardava la scena senza sapere che pensare.
 
Che ce l’abbia ancora con me?
Severus mi dispiace.
Mi dispiace ma dovevo!
MI DISPIACE!
 
  • Severus io...-
  • Va! – le rispose lui perentorio.
 
Un tuono squarció l’aria e gli occhi dell’uomo si alzarono al cielo preoccupati.
Colui che stava arrivando doveva essere l’unica persona a poter preuccupare davvero Severus Piton.
 
Lo sguardo di Piton tornó su di lei.
Questa volta la guardó davvero, e Ania dovette trattenere le lacrime.
Una mano dell’uomo si alzó verso il suo volto, le sfioró appena il volto.
 
Che stai facendo?
Non é un addio questo no?
Urlami addosso.
Mandami a letto senza cena.
Parla!
 
Ma quel tocco fugace non duró nemmeno un attimo, tanto che Ania pensó di averlo immaginato.
Lo sguardo di Piton tornó al cielo, e in un attimo il suo corpo si trasformó in una nuvola nera, Smaterializzandolo chissá dove.
 
No...
 
-ANIA...-
 
La presa di Harry si strinse forte al suo braccio, strattondandola appena.
 
-ANIA DOBBIAMO ANDARE! –
 
Il vento aveva preso a rombare forte, Harry doveva urlare per farsi sentire da Ania.
 
No...
 
La trascinó per un braccio ma Ania riusciva a malapena a camminare.
Il morso di Nagini si stava espandendo. Era come se un miliardo di aghi le trapassassero la pelle un centimetro al secondo.
 
  • Harry... – sussurró
  • Forza siamo quasi al giardino... –
 
No
Cerchiamo Piton.
Harry, cerchiamo Piton...
 
Dei lampi accecanti squarciavano le nuvole ora dense e scure.
Ania le vedeva.
Due figure roteare nell’aria, rinseguirsi, schivarsi, attaccarsi.
 
  • Forza ci siamo quasi. –
 
No
 
  • harry... –
  • ANIA, ANCORA QUALCHE METRO...-
  • harry, no...-
  • DOBBIAMO ANDARCENE DA QUI ANIA, HAI SENTITO PITON... –
  • NO! –
Con un gesto veloce si liberó dalla presa di Harry, ma barcolló pesantemente.
 
  • TU NON CAPISCI! –
  • SEI PAZZA ! NON PUOI FARTI AMMAZZARE PER UNO COME PITON! –
  • LUI E’ IL MIO PADRINO IDIOTA, PER CHI ALTRO DOVREI FARMI AMMAZZARE? PER TE? –
 
La rabbia le accecava la vista.
Perché era cosí egoista?
Se ci fosse stato Sirius al posto di Severus avrebbe buttato giú il castello.
E lei l’avrebbe aiutato!
 
Un altro rombo feroce,e gli occhi di entrambi scattarono al cielo.
Una delle due figure planó di parecchi metri.
Non c’era tempo.
 
  • DAMMI LA TUA BACCHETTA! –
  • COSA, NO! –
  • HARRY DAMMI QUELLA MALEDETTA BACCH... –
 
Ma non ci fu il tempo di insistere oltre perché mentre fissava esterreffata la faccia di Harry, i tratti del ragazzo si illuminarono di un verde fluo.
Ania alzó gli occhi al cielo e la vide.
Una sagoma scura, bucare le nuvole con il proprio peso.
 
Cadeva piano e veloce allo stesso tempo.
Il peso morto di un corpo senza vita, rallentato dalla lentezza del dolore che strappava il cuore ad Ania.
 
Quando il corpo di Severus Piton sbatté al terreno, Ania sentí nella sua testa il rumore delle sue ossa che si rompevano.
Era troppo lontano per sentirlo davvero, ma quel rumore sordo e quegli occhi neri senza vita la marchiarono per sempre come una maledizione.
 
Harry la afferró di nuovo per il braccio.
Questa volta non oppose resistenza.
Non sentiva piú nulla.
 
Forse quel rumore che aveva sentito nella sua testa non erano le ossa del suo padrino.
Forse erano le sue di ossa, che fedeli al cuore, si rompevano con esso.
Forse era la sua mente ad essere senza vita, non gli occhi del suo padrino.
Forse era morta lei.
Non Severus.
 
Non Severus.
Non... non...
 
Quando la presa di Harry si fece piú forte e lo sentí aggrapparsi a lei, Ania pensó davvero di essere morta.
Eppure un morto non urla.
Eppure, quel grido tremendo che salutó villa Malfoy, non poteva che essere suo.
 
Non Severus.
Eppure.
Addio.
 
 

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Capitolo 31
*** Supereroe ***


Erano tutti vivi, alla fine.
 
Ad un certo punto i Mangiamorte si erano semplicemente ritirati, e loro erano riusciti a svignarsela giusto in tempo.
Si giusto in tempo, appena prima che il Signore Oscuro in persona si presentasse a casa Malfoy, a quanto aveva detto Potter.
 
Potter.
L’ avvrebbe preso a schiaffi, quella mattina.
 
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che avevano finalmente recuperato un Horcrux.
La coppa era arrivata sana e salva al quartier generale dell’ordine, e il quattrocchi non riusciva a pensare ad altro.
 
L’importante é che la coppa sia in mano nostre adesso.
E’ l’unico motivo per cui siamo andati...
La cosa principale é che nessuno di noi si sia fatto male...
 
  • Giá e non grazie a te, comunque. – aveva sbottato prima di uscire dalla stanza.
A Potter non gliene fregava niente che Piton c’avesse rimesso la pelle.
Eppure era grazie a lui se Potter poteva raccontarla.
 
Grazie a lui e ad Ania.
 
Giá, Ania.
E chi se l’avrebbe mai pensato che la Wool era proprio la figlioccia di Severus Piton. La cosa aveva del comico, eppure spiegava un sacco di cose.
Potter l’aveva farfugliato velocemente quando i due si erano Smaterilizzati in casa Tonks, qualche giorno prima.
 
-Piton... Piton é morto. Ci ha salvati. –
- Piton cosa? Ma se sta dalla parte di Tu-Sai-Chi.-
- Non so cos’altro dirti Ron. So solo che Ania era la sua figlioccia. –
- Ma piantala! –
- E’ quello che so! E ora ha bisogno di cure, Nagini l’ha morsa. –
 
Non lo poteva negare, quando Draco aveva sentito queste parole gli si era gelato il sangue.
Aveva spostato lo sguardo su quella figura poggiata al muro, stremata, sudata, incosciente.
 
Il veleno aveva iniziato a fare effetto.
 
Da allora l’unica ad averla vista era stata sua zia Andromeda, per medicarle le ferite.
Al resto del mondo, era impossibile anche solo parlarle.
 
Potter, in particolare, doveva di colpo occupare un posto d’onore nella lista nera di Ania. Il quattrocchi aveva provato un paio di volte a recarsi alla sua porta, perennemente chiusa.
Forse si sentiva in colpa, il coglione.
Ma questa volta i ruoli si erano invertiti.
La prima volta aveva bussato per quasi venti minuti, parlando al nulla.
La seconda volta, Ania aveva ben pensato di bruciargli una mano mandando a fuoco la maniglia della porta
 
Erano passati tre giorni da quell’incidente, e Potter aveva rinunciato a recarsi della ragazza.
 
Lui dal canto suo, non sapeva proprio cosa andarci a fare.
Aveva evitato anche solo di passare davanti quella porta.
Un pó per evitare di farsi carbonizzare anche  lui.
Un pó forse, perche davvero non sapeva cosa dirle.
 
Ma quella mattina, stufo di sentire la voce di Potter riempirgli le orecchie, i suoi piedi avevano autonomamente deciso di recarsi lí, difronte quella porta in legno bruciacchiata.
 
Toc, toc.
 
Bussó lievemente, cercando di limitare il contatto con la porta al minimo.
Non si sa mai.

Nessuna risposta.
 
-Wool... – disse piano, e non ci fu bisogno di continuare.
Con sua grande sorpresa la porta si aprí autonomamente, cigolando.
 
La stanza era ben illuminato dalle ampie finestre di casa Tonks, coperte da una leggera tenda in lino bianco.
Draco non sentiva alcuna brezza, eppure i tessuti si muovevano leggeri ad un soffio d’aria inesistente.
 
Al centro di quel salottino in disuso, Ania stava seduta su una sedia in legno, di profilo alla porta.
I capelli le scendevano lunghi e scure sulle spalle, morbidi e lucenti come non mai.
 
Indossava una fascia in cotone bianco che le scopriva le spalle, e una gonna lunga e troppo larga per lei a coprile una gamba e il ventre.
Un angelo dai capelli scuri, immerso in quel candore generale.
Sarebbe stato quasi un bel quadretto, non fosse stato per l’enorme macchia viola e scura che le divorava la gamba destra.
La teneva scoperta, con una garza imbevuta sulla ferita, ma che non bastava a coprire l’infiammazione causata dal veleno di Nagini.
 
Draco avanzó di qualche passo, ma non disse nulla.
Non c’era molto da dire, infondo, no?
 
Ania non si voltó, ansimava piano, scossa da sudore freddo e tremiti.
 
Quando Draco le fu davanti quella vista le fece una pena mai provata.
Gli dispiaceva un botto per Piton.
Infondo era stato anche per lui una figura sempre presente nella sua vita.
 
Immaginó se al posto di Piton ci fosse stata sua madre.
Se fosse stato lui a perdere l’unica persona cara rimastagli sulla terra.
 
Immaginó quanta rabbia e quanto odio e quanto dolore il sangue di Ania stesse pompando in quel momento, mescolato al veleno di un Serpente leggendario che le consumava la carne ad ogni secondo.
 
Ania alzó lo sguardo nel suo.
Quelle iridi verde chiaro gli davano il capogiro.
Se le ricordava impastate di sonno nella polverosa biblioteca di Hogwarts, offuscate dalle dodici pergamente della McGranitt.
 
Ora quelle iridi non erano piú le stesse.
Erano come vetri appannati finalmente libere dal vapore, che lo fissavano cristalline e chiare.
 
Ania era cambiata.
E’ questo che fa il dolore.
Ti prende e ti macella, e di quei pezzi ne fa una nuova persona.
 
La mano di Draco si mosse piano, verso il volto di Ania.
Con sua grande sorpresa la ragazza non si ritrasse.
Anzi.
Le sue palpebre tremarono per un attimo, quando le dita fredde del ragazzo le sfiorarono la fronte.
 
Draco fece scivolare le dita a contornarle gli occhi, poi sulla guancia, godendo del contrasto che le sue mani gelide avevano con le gote febbrili di Ania.
Ania chiuse gli occhi quando la mano di Draco le catturó la guancia, solleticolandole il collo e l’attacatura dei capelli.
 
Era uno di quei momenti in cui tutto é immobile, e una sola parola basta a rompere la magia.
Cosí lui non parló, e non ce ne fu bisogno.
 
Ania piegó il capo in avanti.
Le spalle si incurvarono e un leggero singhiozzo le scosse appena.
Prima uno, poi un altro.
 
Piangeva, ed era come se ogni lacrime fosse piú dolorosa del morso di Nagini.
 
Chi non piange mai ha le iridi otturate. Lo sapeva, lui.
Ogni lacrima fa fatica a trovare la via verso l’esterno.
Ma una volta che il tunnel viene liberato, tutte le lacrime lasciate indietro decidono di rompere completamente le barriere.
 
La fronte di Ania trovó il ventre del ragazzo.
La mano di Draco se la tiró addosso, spingendosi dietro la nuca a stringerle i capelli.
 
Andrá bene, Wool
Me l’hai detto tu.
 
Restarono in quella posizione per piú di dieci minuti, con Ania completamente abbandonata al suo ventre, come se lui fosse l’unico sostegno che le impediva di crollare al suolo.
                                                                            
Quando Ania si fu calmata la sua fronte si staccó dal suo ventre, e lei riprese a respirare normalmente.
 
  • Fammi vedere il morso. – mormoró lui, un pó per rompere quell’imbarazzo, un pó per vero interesse.
 
Ania sospiró piano quando con una mano tremante si alzó un pó piú su la gonna bianca dalla gamba destra.
 
Draco si accovacció lí di fianco e con delicatezza scostó la garza, ormai zeppa di sangue nerastro.
 Laddove Nagini aveva colpito vi erano due fori piccoli, della grandezza delle sue zanne, che piano piano stavano diventando cicatrici biancastre.
La cosa peggiore era ció che accadeva intorno al morso.
 
Raggi di sangue nero si irradiavano per la gamba di Ania, mescolandosi a sfumature rossastre e giallognole.
Era come se la gamba stesse andando a fuoco, ma dall’interno.
 
  • Ah.  – sospiró lei piano, dolorante, mentre Draco sfiorava quel rossore con le dita.
I suoi occhi vagarono intorno alla stanza e su uno dei comodini da letto trovó quello che stava cercando.
Una piccola ciotola in legno, piena di un intruglio verdastro che profumava fortemente di menta e alghe.
 
Si alzó per prenderla e con tutta la delicatezza del mondo inzuppó un panno e lo passó sulla veritá della ragazza.
 
La mano di Ania si strinse intorno al suo braccio, mentre, ad ogni tocco, il suo corpo si irrigidiva e tremava.
 
Ania non urlava, non emetteva un suono. Stringeva i denti e lasciava che Draco le medicasse la gamba.
 
Quando il morso parve abbastanza pulito Draco vi si sistemó una garza pulita e Ania lasció la presa dal suo braccio.
 
  • Mettiti a letto. Sembri un morto che cammina. –
  • Non so se ce la faccio -  sussurró lei, le palpebre chiuse e la faccia arrossata.
 
Draco le afferró un braccio e Ania capendo l’intenzione si aggrappó a lui.
Un braccio di Draco scivoló intorno alla sua vita e la strinse forte, mentre con una spinta riusciva a tirarla via dalla sedia.
 
I passi verso il letto erano davvero pochi, ma dolorosi.
Quando il corpo della ragazza toccó il materasso un rantolo di sollievo le scappó dalle labbra.
Draco le sistemó velocemente le coperte addosso,e fece per andarsene.
 
Era stato giá fin troppo premuroso.
Troppe premure avrebbero rovinato il suo personaggio!
 
Fece per abbassare la maniglia della porta, quando Ania lo fermó.
 
  • Draco... – sussurró con un filo di voce.
  • ...grazie. – continuó quando gli occhi grigi del ragazzo scattarono di nuovo su di lei.
 
Un brivido.
Era la seconda volta che Ania lo faceva sentire cosí... cosí... valoroso.
Era forse la prima persona al mondo che si affidava a lui con cosi tanta fiducia.
Piú che a Potter.
Piu che a sua madre.
Piú che a chiunque altro.
 
Si schiarí la gola, nascondendo quei pensieri intimi.
 
  • Non eri l’unica a tenerci a Piton, Wool. Diciamo che glielo devo. –
 
Ecco, buttiamola sul “lo faccio solo per Piton”.
 
Fece di nuovo per posare la mano sulla maniglia quando un dubbio lo colse.
 
  • Ti dispiace? Sai com’é... – sbottó ironico indicando la porta.
 
Non é che quella lí gli ustionava la mano dopo tutto quel poco che aveva fatto?
 
Ad Ania scappó un sorriso divertito, e di nuovo quella sensazione di essere una specie di supereroe gli gonfió il petto.
 
  • Vai tranquillo, é innocua. – disse, ancora sorridendo.
 
Quando Draco uscí dalla stanza gli sembró di camminare sulle nuvole.
Questo era un problema, era un problema grosso.
In tempi come quelli, in cui dovevi costantemente temere per la tua vita e quella dei tuo cari
Innamorarsi di una pazza, pseudo-suicida, imbottita di veleno di serpente
 era una mossa da veri coglioni.
 
 
 
 

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Capitolo 32
*** Spinners End ***



le saette




   Gettó un’occhiata di traverso al ragazzo poggiato sul letto, un braccio svogliatamente lasciato a coprire gli occhi, e i piedi spaparanzati sulle lenzuola.

Draco era entrato nella sua stanza subito dopo pranzo quel pomeriggio, per farle una bella lavata di testa e “onorarla della sua presenza”, per dirla a parole sue.
Se vogliamo essere onesti, in realta Draco era praticamente sempre nella sua stanza.
 
Da quando, due settimane prima, le aveva medicato la ferita alla gamba, la sua presenza in quella camera era diventata costante.
Si perché Ania era ben intenzionata a non vedere nessun’altro, e nessun’altro voleva vedere lei.
Per Draco stare lí significava isolamento totale dal resto della ciurma.
Ed era esattamente quello che voleva.
 
Almeno questa era la sua versione dei fatti.
Qualsiasi fosse la veritá, ad Ania faceva sempre piú piacere averlo intorno.
 
Che brutta fine.
Si diceva.
 
Vero, Malfoy non era mai stato il suo amicone del cuore.
Peró con lui poteva parlare. E ora che tutti i segreti sotto il cuscino erano saltati allo scoperto, lei non aveva piú paura di farsi scappare qualcosa che non avrebbe dovuto dire.
Con Harry invece, sapeva non essere lo stesso.
 
Aveva una rabbia in corpo nei suoi confronti infinita.
Se solo lui le avesse dato quella maledetta bacchetta a casa Malfoy...
 
E ad Ania quel suo brancolare nel buio faceva paura...
Come gli confermava continuamente Draco, ogni idea che non fosse condivisa da Harry alla fine non veniva mai portata avanti, per quanto valida potesse essere.
Forse il Prescelto era davvero una stolta celebritá come avevano sempre detto i Serpeverde.
 
-SI ma non puoi evitarlo per sempre. – bofonchió Draco senza scoprirsi gli occhi
- Uff...- sbuffó piano Ania incrociando le braccia al petto.
Zoppicó fino alla finestra e si appoggió al muro, fissando fuori.
 
La gamba era finalmente guarita, ma tendini e muscoli erano ancora infiammati e indolenziti e le impedivano di camminare normalmente.
 
  • Sarebbe inutile parlarci. Non mi darebbe retta. – mugugnó piano
  • Wool, tu sei senza bacchetta! Non possiamo neanche pensare di andarci da soli! –
  • Beh, allora rubane una da qualche parte, non so! Meglio che stare qui a lucidare una stupida coppa! – sbottó lei, voltandosi verso il ragazzo.
Questa volta il suo tono era pieno di rabbia e il candelabro appeso al centro del soffitto tremó leggermente.
Faceva sempre piú fatica a controllare i suoi poteri, ed essendo senza bacchetta, a volte pensava che tutta quella magia che aveva dentro le sarebbe implosa in corpo.
C’era solo una cosa che la riportava nel suo piccolo buco di imbarazzo.
 
Draco si alzó dal letto e in un attimo le fu davanti.
Ania poteva vedere le screpolature sulle sue labbra stringersi in un’espressione incollerita e  gli occhi grigi assottigliarsi appena.
Perché la faceva sentire cosí debole?
 
  • Non alzare la voce, ci sento benissimo. – sussurró, il viso ad un palmo dal suo naso.
  • Parla con Potter. E se non vuole venire ci andiamo da soli, stanotte. – sentenzió serio.
  • ...Basta che la finisci di mugugnare. – aggiunse.
 
Ania si morse un labbro spostando lo sguardo altrove, ben consapevole di avere ancora i suoi occhi addosso.
Aveva ucciso un uomo appena due settimane prima.
Sopravvissuta ad un serpente velenoso.
Perso il suo padrino.
Eppure, abbassava la sguardo sotto due occhi grigi.
 
Che problemi c’hai Ania?
 
Toc toc
 
Entrambi trasalirono quando qualcuno bussó forte alla porta, interrompendo quel momento.
Draco le lanció uno sguardo eloquente, e Ania annuí piano.
 
Draco oramai era diventato un esperto in questo.
Tenerle Harry lontano.
Ania glielo aveva chiesto espressemamente.
 
Se bussano alla porta digli che sto male, o che sto dormendo, o non so che...
 
E Draco non solo lo faceva senza esitare.
Pareva addirittura piacergli.
 
-Sta dormendo.-
- Sono le tre di pomeriggio! –
- Mai sentito parlare di pennichella pomeridiana? –
- Senti, Malfoy, piantala... – sbottó Harry, ed Ania notó un movimento veloce oltre la porta.
 
Draco socchiuse l’anta dietro le sue spalle e si paró davanti Harry a bloccargli l’ingresso.
 
  • Non hai sentito che ho detto Potter? –
  • Sei diventato un Elfo domestico ora Malfoy? Ti stipendia almeno?-
  • Qualsiasi cosa possa darti fastidio la faccio gratis. –
Ania non vedeva la faccia di Harry, ma giá poteva immaginarla, mentre stringeva denti e pugni e decretava quanto fosse inutile controbattere con uno zuccone come Malfoy.
 
  • Falle solo sapere che i Mangiamorte hanno assaltato un’altra manifestazione. Dobbiamo muoverci. Con tutto l’aiuto possibile. – disse, la voce piú alta del normale.
Ania lo sentí scendere pesantamente le scale e strinse gli occhi.
 
Un’altra manifestazione.
Altri morti.
 
Le manifestazioni erano organizzate dalle cosidette Saette, nel caso non lo sappiate.
Gruppi di Maghi che impugnavano cartelloni e bacchette per manifestare contro i Mangiamorte, sempre piú forti, sempre piú presenti anche tra le cariche pubbliche.
Le Saette si paravano dietro la persona di Harry, usata come simbolo di speranza, di Resistenza, nonostante nessuno sapesse dove si fosse effettivamente cacciato il prescelto.
 
La gente ha bisogno di speranza, infondo.
 
E le saette manifestavano la loro speranza cosí, aiutando le famiglie dei caduti, marciando nei luoghi assaltati da Tu-sai-chi.
Armate pacifiche di giovani e non giovani, con le facce coperte da maschere bianche.
Una saetta nera dipinta dalla fronte al mento.
Inutile dire quali fossero le misure di contrattacco da parte dei Mangiamorte.
 
Morti
Su morti
Su morti.
 
  • Penso che il periodo di reclusione abbia fatto il suo tempo Wool. – disse Draco, chiudendosi la porta alle spalle, anche lui scuro in volto.
  • Non ci vorrá molto che trovino anche noi. –
 
Ania non si voltó, ma abbassó lo sguardo.
Draco aveva ragione.
Anche Harry aveva ragione.
Dovevano muoversi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando le tenebre furono ormai calate e l’orologio segnó le sette, Ania decise di inforcare il suo maglione nero dopo lunghe giornate passate in pigiama.
Si legó i capelli in una mezza coda e indossó delicatamente i leggins neri, stando ben attenta a non strusciare sulla ferita.
 
Dalla stanza del secondo piano direttamente sopra la sua poteva sentire i passi di Sirius camminare nervosamente nella camera di Clelia.
Ania sorrise.
Solo in quel momento le attraversó la mente un pensiero quasi ironico.
Lei e sua madre erano state per ben due settimane nella stessa identica situazione.
Due recluse, paranoidi, ricercate, bisognose di un’altra persona per pararsi dal mondo.
 
Che stupida che era stata a mettersi a quel livello.
Adesso che apriva la porta della camera provava quasi vergogna per se stessa.
 
La casa era immersa nel buio.
Ania sentiva un leggero vociare provenire dalla cucina.
Draco le aveva detto che era ormai abitudine fissa che loro quattro rimanessero da soli dopocena, ed era in quel momento che Potter iniziava con le sue congetture.
 
  • ... magari l’Orfanotrofio. E’ stato un luogo importante per lui... –
  • Harry non possiamo andare a tentoni. Siamo quasi morti a Godric’s Hollow. –
  • Almeno ci abbiamo provato. –
  • Scriveremo questo sulla tua lapide Potter... rappresenta bene la tua vita. “Almeno c’ha provato”. –
  • Ti invidio Malfoy che tu possa essere cosí stupido anche in situazioni del genere. –
  • Grazie Granger, é un talento. Almeno l’ultima volta che io ho avuto un’idea era per un motivo valido. Vi ho portato ad un Horcrux mi sembra... –
  • E quasi fatto ammazzare... –
  • Non credo ci sia un posto nel mondo dove non rischiamo di finire ammazzati Weasley. Specialmente ora che il fan club di Potter sta facendo cosi tanto casino. –
  • ...Voldemort non aveva una casa prima di finire in orfanotrofio? Dov’é che era quella pergame...-
  • Harry, per l’amore del cielo, ti prego, ci serve un posto certo, che abbia un motivo vero! –
  • E quale sarebbe un posto certo per te Hermione? – sbottó Harry, battendo le mani sul tavolo, la frustrazione che trapelava da ogni parola.
 
  • Spinner’s End, numero 211. –
 
La sua voce incerta fece girare la testa di tutti, i volti trasformati in maschere di sorpresa.
O Orrore.
Ania non sapeva quali dei due sentimenti fosse piú forte.
 
Solo sul volto di Draco sbucó un sorrissino divertito e al solo guardarlo ad Ania tornó un pó di sicurezza.
Fece un passo avanti nella cucina semi illuminata, lasciando vagare lo sguardo sulle pergamente distese sul tavolo.
 
  • Ania... – inizió Harry, ma Ania continuó a non guardarlo.
  • Spinners’End, numero 211. – ripeté, la voce fredda che non sembrava nemmeno sua.
Sentiva le sue stesse ossa schricchiolare di rabbia, mentre il ricordo di Piton le bruciava la mente.
 
Se solo mi avessi dato quella bacchetta, Harry
 
  • E che diavolo sarebbe? – proruppe Weasley, riportandola in quella stanza.
  • Casa mia. –
  • Casa di Piton vorrai dire. Wool, capisco che tu ci voglia tornare ma... –
Ania fulminó la Granger con lo sguardo, interrompendo il suo flusso di parole fintamente comprensivo.
Doveva avere uno sguardo omicida ma non gli importava.
C’aveva messo due settimane piene per trovare le parole, e ora era il momento di cacciarle fuori.
 
  • Spinner’s End... – disse ancora, poggiando le mani su un capo del tavolo, lo sguardo dritto sulla mascella serrata di Harry, al lato opposto.
  • ... numero 211. Devo ripeterlo ancora? – sussurró piano.
Harry sospiró appena. La fissava fisso, con severitá, rabbia, ma allo stesso tempo mordendosi la lingua per non trovare le parole sbagliate.
 
  • Stiamo perdendo la testa nel cercare di trovare un filo logico, Ania, sono due settimane che passiamo giornate intere... –
  • Giornate intere per arrivare AL NULLA. – la voce di Ania si alzó di un ottava e con un gesto nevrotico della mano spinse quel tappeto di pergamene via dal tavolo.
  • Severus ci avrá speso ben piú di due stupide settimane, prescelto. – sussurró, gli occhi verdi fissi in quelli di Harry.
  • ... era dalla tua parte, e tu non te ne sei mai nemmeno accorto.
La sua voce era un sibilo. Le travi in legno scricchiolarono per la tensione, e la mascella di Harry si serró, se possibile, ancora piú intesamente.
 
Ania inspiró e si staccó dal tavolo, mettendosi ben dritta.
 
  • Io vado a Spinning’s End. Stanotte. Se qualcuno vuole venire, é il benvenuto. – sussurró piano, senza spostare lo sguardo dal volto di Harry,
 
Con un’ironia del tutto fuori luogo la mano di Draco scattó in aria, corredatta da un sorrisetto divertito.
  • Mi sembra divertente. – aggiunse, prima di alzarsi e avvicinnarsi alla porta.
 
Ania non riusciva a staccare gli occhi da Harry.
Non aveva mai provato sentimenti cosi contrastanti in vita sua.
 
Fino a pochi mesi prima avrebbe dato un braccio per lui.
Adesso, lo odiava, con ogni particella del suo corpo.
 
E’ colpa tua.
 
  • Ania. –
La voce di Draco ruppe quell’incanto.
Si voltó verso di lui e senza degnare i presenti di un’ultima occhiata lasció la stanza.
 

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Capitolo 33
*** Col botto ***



Spinner's End

Dovevano essere circa le tre di mattina quando tiró Draco per una manica.
Era stata quasi tentata di non svegliarlo affatto, di scappare da sola a casa del suo padrino, godersi il momento in solitudine, magari non tornare affatto.
Ma poi la realtá le aveva schiaffeggiato una guancia.
 
Ma dove cazzo vai senza bacchetta, genio?
 
Draco aveva mugugnato un poi si era tirato su, inveendo contro di lei e contro la Maga Circe e contro le creature del Mondo Magico.
 
La casa sprizzava sonno e silenzio, e dovettero camminare in punta di piedi per non far scricchiolare le assi in legno delle scale.
 
Quando Ania fece per posare la punta del piede sul pavimento dell’ingresso dovette mordersi la lingua per non strillare alla vista di Harry.
Il ragazzo si era palesato dal nulla, sbucando dalla porta del salotto con due occhiaia rotonde quanto i suoi occhiali, la bacchetta in mano e le guance infossate.
 
-Vengo con voi. – aveva sussurrato, le labbra strette dalla tensione.
 
Ania non sapeva cosa gli avesse fatto cambiare idea.
Forse, come probabilmente stava pensando Draco, Harry era praticamente drogato di azione e avventure, e mai avrebbe accettato di restare fuori da un’idea spericolata.
D’altro lato forse, invece, le parole di Ania della sera prima gli avevano isinuato in petto un’idea che non l‘aveva nemmeno sfiorato.
 
E’ colpa tua se Piton é morto.
 
Si perché Ania lo credeva davvero.
E forse, anche Harry stava iniziando a pensarlo.
E quello che ora lo spingeva oltre le mura di casa Tonks, che guidava il suo ultimo passo oltre la recisioni, e che lo faceva smaterializzare di fianco ad Ania e Draco, quello non era eroismo.
Era rimorso.
 
 
 
 
Spinner’s End era un quartiere mezzo deserto a sud della Londra Babbana.
Cokeworth, questo il nome della piccola cittadina, era stato un tempo un importante centro industriale, colonna portante della produzione di materiali quali ferro, metallo ed acciaio.
 
Con il passare degli anni peró, le esalazioni tossiche avevano costretto i Babbani che la popolavano ad abbandonare le loro case, ed era stato allora che diversi Maghi e Streghe in cerca di una sistemazione a pochi spicci avevano iniziato a comprare le proprietá.
Non era un bel quartiere ad essere sinceri.
Puzzava di zolfo, c’era poca gente per strana, e quella poca che ci trovavi non era molto simpatica.
 
Eppure quella per Ania, era casa.
 
A lei quella desolazione da libro horror le aveva sempre comunicato calma e serenitá.
Chiunque abitava li voleva solo farsi i fatti propri, e non perdersi in dolci sorrisi e chiacchiere da giardino.
 
Inspiró forte, mentre la malinconia le bruciava la gola.
 
Non posso credere che non ci sei piú.
Quante volte...
Quante volte...
 
Quante volte il mantello di Piton aveva svolazzato su quel pietrisco umido.
Quante volte le sue mani biancastre avevano spinto la chiave arrugginita nel buco di quella serratura scricchiolante.
 
Il problema di quando si perde una persona cara é che non la si perde mai del tutto.
Non cessa di esistere e basta. Almeno per chi l’ha voluta bene.
Per Ania era come se Piton fosse proprio lí davanti a lei, in quell’istante, a lamentarsi delle finestre aperte e della puzza di ammoniaca usata per pulire le scale.
Con le sue occhiatacce storte e i suoi continui segreti.
Fu solo la voce tagliente di Draco malfoy e la sua infintia delicatezza a strapparla da quella bolla di tristezza.
 
  • Che cesso. –
 
Ania si voltó appena verso Draco, un sopracciglio alzato e le labbra strette.
 
 
-Sai non tutti abbiamo un castello per casa...-
- Non sentirti a disagio Wool. Questo sarebbe un castello infondo, se tu fossi un roditore. –
 
Ania scosse la testa.
C’era veramente poco da fare con quello lí.
 
  • Cosa stiamo cercando, esattamente? –
 
Ania si voltó verso Harry, sforzandosi di  guardarlo in faccia senza fulminarlo.
 
  • Non so... – disse piano, pensando ad una risposta valida.
 
In realtá in quel momento si rese conto di non avere nessuna idea in mente.
Lei sentiva solo il forte desiderio di tornare in quella casa. Tutto qui.
 
Si ma ora?
Vado a piangere in cameretta?
Ci sará qualcosa...
 
  • Se c’é qualcosa l’ha sicuramente tenuta nascosta in posti dove io non avevo accesso, tipo... c’é una camera degli ospiti di sopra, ma lui la usava come archivio. E... il suo ufficio, credo. –
  • Io mi prendo l’archivio! Sei il suo ufficio é come quello che ha ad Hogwarts, lo lascio volentieri a te Potterino. – ghignó Draco battendo una mano sulla spalla si Harry.
  • Prima porta a destra. – disse Ania ad Harry mentre quello annuiva.
  • Non mettete troppo disordine... – disse poi mentre i due salivano le scale.
  • ... non gli piace quando cambio posto alle cose. – aggiunse piano, prima che la voce le scemasse in un sussurro di vergogna.
 
I due ragazzi scomparirono al piano di sopra, lasciando Ania nell’ingresso immerso nel buio.
 
Avanzó qualche passo verso la Sala da pranzo e si fermó sull’uscio.
Quella stanza era un disastro.
Pile di fogli erano ammassati su quello che una volta era il loro tavolo da pranzo, mischiati a posate sporche, taccuini e ciotole di cibo muffito.
Con una fitta al cuore Ania notó la sua foto segnaletica in prima pagina sulla Gazzetta del Profilo.
Lí di fianco, l’articolo sullo scontro con la comunitá druida, e la testimonianza di un ragazzo a cui era stata ripulita la memoria.
Su un piccolo foglio di carta, l’indirizzo scribacchiato di quello che lei riconobbe essere il pub druido in cui si era nascosta per settimane.
 
Tiró il fiato.
Era come se Severus avesse seguito passo passo di quella sua folle avventura  e fosse rimasto in un angolo della strada, ad osservarla mandare tutto a puttane.
Fino a quando non si era trovata faccia a faccia con la morte.
Fino a quando lui non era venuto a salvarla.
 
Indietreggió velocemente, inciampando nel tappeto e sbattendo con le spalle al muro.
Una fitta alla gamba le riportó alla mente quella notte.
Il cuore le batteva all’impazzata, e la collana d’ottone che aveva al collo sembró piú pesante che mai.
 
Si passó una mano sul volto e chiuse gli occhi.
 
Severus l’aveva sempre protetta.
A cosa erano serviti tutti quegli sforzi se ora lei si accasciava al muro come una ragazzina?!
 
Si asciugó una lacrima ribelle con la manica della camicia e si riportó dritta.
Dal piano di sopra un tonfo sordo le comunicó che i ragazzi avevano iniziato la loro ricerca.
Era meglio andare a controllarli prima che le sfasciassero la casa.
 
Il corridoio era completamente buio, come sempre. Il sole non si decideva a soregere e Ania non poteva nemmeno farsi un pó di luce con una bacchetta.
Brancoló per qualche passo fin quando le sua mani non sfiorarono l’anta ruvida dello studio del suo padrino.
La aprí piano, godendo di quel cigolio leggero e dell’odore di legno e libri che le invase le narici.
 
Harry se ne stava accovacciato a terra, la bacchetta che giaceva sulla moquette color porpora, e le mani impegnate a scassinare quello che sembrava un piccolo bauletto per gioielli.
 
  • Che stai facendo? –
  • Ania.. - sbandó lui lasciando cadere il bauletto sulla moquette
  • Dio, mi hai spaventato a morte. –
 
Ad Ania venne quasi da sorridere alla faccia terrorizzata del ragazzo, ma strinse le labbra per soffocare quell’istinto.
Era ancora arrabbiata con lui, dopotutto.
 
  • Cos’é quello? –
  • E’ quello che sto cercando di scoprire...era nascosto dietro dei libri. Ho pensato... un anello, una coppa... sembra che Tu-Sai-Chi abbia un debole per le cose che luccicano. Solo che...ho provato con qualsiasi incantesimo, ma non si apre. Magari se lo sforzo un pó...- disse diventando paonazzo mentre cercava di strappare il catenaccio con le mani.
  • Hermione dice sempre che la soluzione é piú scontata di quanto penso. Ma valla a capire con uno come Piton.. cosa gli sará passato per la ment... -
  • Lily – sussurró Ania poggiandosi allo stipite.
  • Prova con Lily. –
 
Il suo segreto piú grande
 
Harry si bloccó di colpo, alzando lo sguardo verso il vuoto.
 
  • Cosa? –
  • Mi hai sentito –
  • Perché Piton avrebbe dovuto usare il nome di mia madre Ania? –
 
Ania lo guardó con dolcezza.
Questa volta non poté farne a meno.
C’era cosí poco che sapeva del suo mondo, della sua famiglia. Per un momento immaginó quanto lui dovesse invidiarla.
Anche lei era senza famiglia, eppure la sua vita era piena di ricordi e legami che Harry poteva solo sognare.
 
  • Il mondo dei Maghi é piú piccolo di quanto pensi, Harry. – disse semplicemente.
Harry la guardó serio, forse non capendo, ma optó per lasciare quel mistero in sospeso.
Poi con una lentezza incerta afferró di nuovo la bacchetta e la portó vicino al baule.
 
  • Lily- sussurró
Ubbidiente come un cane da caccia il catenaccio del portagioie si apri con uno scatto, abbandonando la sua postazione.
 
Ania si avvicinó piano mentre con mani frenetiche Harry apriva il bauletto.
 
All’interno vi era un pennino in oro, un fazzoletto di raso scuro, uno scatolino lungo e stretto e quello che doveva essere un taccuino vecchio di almeno dieci anni.
 
La mano di Harry scattó eccitata verso il sacchetto di velluto rosso, aprendolo freneticamente.
 
  • Ania, guarda... – disse veloce, la voce che tremava di emozione
Ma la testa e gli occhi di Ania erano altrove, fissi e increduli su quello scatolino di legno che occupava metá dello spazio.
 
Lo afferró piano, girandoselo tra le mani.
 
  • Fantastico... – sentí sussurrare Harry, ancora alle prese con il contenuto del sacchetto.
Ma Ania continuava ad ignorarlo, mentre un ricordo lontano di una mattina a Nocturn Alley le tornava vivo nella mente.
 
  • INMOBILIS –
 
I due ragazzi si gelarono all’istante.
Il cuore in gola.
Le mani di colpo sudate.
 
  • Malfoy! –
  • Harry no! –
 
Ania trattenne Harry per un braccio appena il ragazzo fece per alzarsi.
 
  • Auror – mimó Ania con la bocca, mentre il trambusto di lá si faceva piú forte.
  • Esci dalla finestra. Ci manca solo che il Ministero ti veda con me. – sussurró concitamente prima di dirigersi verso la porta.
Harry parve incerto, ma Ania non gli diede il tempo di replicare, schizzando velocemente fuori la porta.
Come sapeva per certo che di colpo gli Auror fossero in quella casa?
Facile!
 
Ania avrebbe riconosciuto quella voce tra miliardi.
Una voce che solo pochi mesi prima era arrivata a deriderla in un letto dell’infermeria di Hogwarts senza alcun pudere.
 
  • ...e levami le mani di dosso! –
  • Chiudi quella boccaccia, lurido di un Malfoy. Portatelo al Ministero questo topo di fogna. –
  • Hey MALOCCHIO! –
 
Il vecchio Auror si voltó di scatto, veloce quasi il suo stesso occhio magico.
 
  • Wool. – bisbiglió, l’occhio sano ridotto a fessura.
  • Due piccioni con una fava – bofonchió voltandosi del tutto verso di lei.
Ania strinse gli occhi, fingendo piú sicurezza di quanto in realtá non ne avesse.
Aveva pensato di fronteggiare Malocchio, attirare l’attenzione tutta su di lei, dare il tempo ad Harry e Draco di scappare.
 
Una ragazzina di diciotto anni senza bacchetta ne difese.
 
  • La mela non cade mai lontano dall’albero ah. Giá lo pensavo per tua madre, immagina la mia sorpresa nel sapere chi ti fosse padrino –
Malocchio sputó a terra, guardandola in cagnesco.
 
  • C’é solo un posto per quelli come voi... –
  • Sappiamo tutti quale immagino. –
  • Che tu lo sappia o meno lo scoprirai tra pochissimo. –
  • Bene, c’é solo un problema purtroppo. – disse con voce tremandte, lanciando un’occhiata veloce a Draco, stretto tra le braccia di un Auror appena dietro Malocchio.
Malocchio si abbacció con entrambi le mani sul bastone in quercia. Un sorriso sbieco a deformare rughe e cicatrici.
 
  • Non credo proprio, ragazzina. -
  • Oh, io credo di si. Sai prima di portarmi da qualche parte...devi prendermi.
 
Le sue parole sganciarono la bomba.
Draco lanció una gomitata all’Auror alle sue spalle piegandolo in due.
Ania si lanció velocemente per le scale, mentre sentiva Malocchio urlare
 
  • LASCIATELA A ME! TU PRENDI MALFOY! –
 
Ania fece appena in tempo ad arrivare a metá scala che un incantesimo di fuoco incendio meta della rampa, facendole fare un volo di un metro e mezzo.
Sentí il naso spaccarsi e il sangue caldo colarle sul volto.
 
Ania sentí il bastone di Malocchio ticchettare sempre piú vicino, scalino dopo scalino.
Le fiamme smisero di divorare la scala, restituendolo invece il suo solido aspetto di sempre ,mentre a tre gambe alla volta Malocchio le si avvicinnava sempredi piú.
 
Troppo spavalda Ania
Troppo stupida
E ora?
E ORA?
 
 
Il panico le si aggrappó alla gola, quando alzando il volto notó quel piccolo cofanetto trovato nell’ufficio di Piton appena affianco la sua mano.
Il vecchio legno doveva essersi spaccato con la caduta dalle scale, e il suo contenuto rotoló per qualche altro secondo prima di bloccarsi del tutto.
 
Una bacchetta, la stessa bacchetta che l’aveva attratta come miele nel negozio di Magie Sinister quasi dieci anni prima.
Dal legno scuro e l’aspetto antico e consumato.
  • Fine dei giochi, ragazzina. Torniamo nel mondo vero, adesso. Non preoccuparti, peró. Faró del mio meglio per metterti vicino al tuo fidanzatino... il vecchio Lucius ne sará contento. –
 
 
Ania strinse gli occhi, strusciando dolorsamente sul pavimento per raggiungere la bacchetta.
Sentí il sibilo nell’aria, il respiro affannato che si interrompeva, le parve di percepire persino la bava ai lati della bocca di quel vecchio pazzo.
 
Un altro centimetro.
Un altro...
 
La sua mano fredda si strinse intorno al vecchio legno, come un naufrago ad una cima di salvataggio.
Ma il senso di sollievo fu immediatamente sopraffatto da qualcos’altro.
I peli sulle sue braccia si rizzarono. Lo stomaco si capovolse. Il respiro si fermó.
 
Fu come l’orgasmo piú forte della sua vita.
Una sensazione pura di piacere che le si insinuava in ogni vena, ogni muscolo, ogni osso.
 
Si sentí di colpo la persona piú potente del mondo.
 
  • ENCARCER...-
  • EXPELLIARMUS! –
 
La sua mano scattó veloc verso Malocchio e l’incantesimo lo colpí in pieno.
Non fu solo la bacchetta di Malocchio a volare via peró.
Fu proprio il Mago ad essere scaraventato contro ed oltre la parete della sala da pranzo, lasciando una struttura diroccata di assi in legno alle sue spalle.
 
Ania si guardó le mani, stupefatta.
Era una sensazione indescrivibile quella che stava provando.
Un brivido le attraversó la schiena dorsale quando un rumore alle sue spalle la colse alla sprovvista.
Reagí d’istinto voltandosi velocemente e urlando
 
  • Stupeficium!  -
 
Di nuovo la forza dell’incantesimo superó ogni sua aspettativa.
Qella bacchetta esprimeva al massimo ogni goccia della magia che le scorreva nelle vene.
Niente incantesimi flosci, niente spaccature nel legno, niente tremolii involontari.
 
Ció che pensava, la bacchetta esaudiva.
 
L’Auror che aveva colpito paró appena in tempo il colpo ma l’impatto fu cosi forte che l’uomo barcolló pesantemente e cadde rovinosamente all’indietro.
Ania si alzó velocemente, pronta a dare l’attacco finale al suo aggressore, quando un rumore brusco sul tetto la costrinse ad alzare lo sguardo.
 
Sono sul tetto.
 
Con l’adrenalina a mille si lanció su per le scale, imboccando la prima finestra per raggiungere il tetto.
Il freddo dell’alba lee pizzicó il collo, mentre un sottile raggio di sole le accecava la vista.
 
Individuó velocemente Harry, sul tetto della casa di fianco, bacchetta sguainata e, come al solito, rivoli di sangue un pó su tutta la faccia.
Tutto sommato, sembrava intero.
 
  • ANIA! – l’urlo di rimando.
  • DIETRO DI TE – urló
 
Ania si voltó di colpo .
Un Auror donna dai lunghi capelli rossi si Materilizzó appena dietro di lei, la punta della bacchetta le si infiló dentro la schiena, mentre un sussurró le spegneva l’entusiasmo.
 
  • Presa –
 
Ania si raggeló all’istante ma il sorriso di vittoria della donna duró tanto quanto quel sussurro.
In un attimo il suo corpo si pietrifico e il respiro le si ritiró nei polmoni.
 
Ania si spostó velocemente, lasciando che il corpo-pietra dell’Aruro scivolasse giú dal tetto.
 
  • Me ne devi una Linguamozza. –
Draco era a qualche metro di distanza, la bacchetta ancora fumante in una mano e la faccia contorta dal dolore.
Si teneva una mano sul fianco e un rivolo di sangue gli spaccava in due il sopracciglio.
 
  • NON RIESCO A SMATERIALIZZARMI! –
  • E’ UNA ZONA PRIVATA, DOBBIAMO ARRIVARE ALLA TERZA CASA. – gli indicó Ania.
Le case dei Maghi erano solitamente protette da incantesimi che impedivano ad altri Maghi di smaterializzarsi a piacimento nelle loro proprietá.
L’unica possibilitá che avevano era arrivare all’ultima casa della strada, ad appena due tetti di distanza. L’abitazione era abbandonata da anni, e se tutto andava come sperato, lí non c’erano incantesimi.
 
Harry e Draco corsero velocemente verso Harry, ma non appena scavalcarono le tegole del secondo edificio un boato li fece voltare.
 
  • FEEEEERMI!  –
 
Sul tettodi casa Piton, Malocchio Moody sfoderó la sua bacchetta, guardandoli con uno sguardo che avrebbe potuto uccidere.
Il suo occhio sano si spalancó appena quando riconobbe la figura di Harry appena dietro quella di Ania e Draco.
 
  • PROFESSOR MOODY... –
  • Oh sta zitto Harry non vedi che quello ci vuole ammazzare tutti? –
 
Harry la guardó sgranando gli occhi, quasi sorpreso di quell’aggressivitá nella sua voce.
La veritá era che ogni secondo che impugnava quella bacchetta, nulla la spaventava.
Si sentiva invincibile.
Meno di tutto un vecchio Malocchio Moody zoppicante.
 
Ania caricó il primo incantesimo.
Poi un altro.
Un altro ancora
 
Malocchio li parava tutti, prima con leggerezza, poi con evidente difficolta.
 
Un Auror si materializzó a mezz’aria ed Ania lo schiantó prima che i suoi piedi potessero toccare terra.
Quell’attimo di distrazione che diede a Malocchio il tempo di lanciare un incantesimo d’attacco.
Ania lo schivó appena cadendo all’indietro.
 
Le tegole del tetto dei loro vicini presero a tremare come scosse da un terremoto.
Ania faceva fatica a rimettersi in piedi, e la paura le afferró le viscere quando un cratere delle dimensioni di un uomo prese a formarsi nel tetto.
 
  • CORRI – urló verso i due ragazzi
  • Wool...-
  • CORRI! -
 
Il tetto prese ad aprirsi sempre di piú, rivelando la casa dei Mezzi Babbani che vivevano all’ interno.
 
Ania si alzó con difficoltá, il fiatone che le bucava i polmoni.
Lanció un incantesimo alla cieca, e con la coda dell’occhio vide Malocchio perdere l’equilibrio ed inciampare pericolosamente.
 
Ai due lati delle case, uno alla volta, diversi Auror iniziarono a comparire tentando di bloccare la loro corsa.
Harry ne schiantó uno, Draco un altro.
Alla fine gli mancavano appena un paio di metri prima di raggiungere la benedetta zona franca.
Ania stava quasi per raggiungerli quando una palla rossa si schiantó appena davanti il suo piede destro.
 
Non solo il tetto dietro di lei continuava a sfracellarsi, adesso il vuoto iniziava a propagarsi anche in avanti.
 
Ania si voltó, iraconda.
 
Malocchio le puntava la bacchetta contro, un sorriso contorto che gli sfigurava il volto.
Lo stesso sorriso che aveva rivolto a sua madre, quattordici anni prima.
 
Io non sono mia madre, Malocchio.
 
Strinse i denti, sentendo il sangue ribollire.
Sentiva incantesimi volare, voci chiamare il suo nome.
Nella sua testa le urla di sua madre torturata.
 
Alzo la bacchetta.
Denti stretti, testa alta.
 
Malocchio scosse appena la testa.
Poteva quasi sentirlo.
 
Non ti conviene ragazzina.
 
Un sorrissino perverso le si aprí in volto, mentre guardandolo negli occhi annuiva appena.
 
Un Auror sbucó dietro di lei.
Ania mosse la bacchetta, schiantandolo all’indietro, sentendo il suo corpo cadere oltre il tetto. Malocchio attaccó ma Ania fu piú veloce.
Evitato.
Evitato ancora.
Ora tocca a me, figlio di puttana.
 
Con la mira di un cecchino di precisione e la calma di un assassino, Ania sprigionó dalla bacchetta una singola lama di luce verde, fredda e accecandte come ghiaccio.
 
Fece appena in tempo a vedere la lama conficcarsi nell’occhio sano di Malocchio, il sangue zampillare dalla ferita, l’uomo accasciarsi all’indietro, in un sentimento misto di dolore  e odio e sorpresa e rancora.
 
Il tetto sotto i suoi piedi prese a tremare piú forte, e fu solo allora che Ania dovette abbandonare quel senso di goduria per tornare alla realtá.
 
-WOOL. –
 Si voltó velocemente.
Harry e Draco erano appena dietro di lei,oltre il cornicione della casa abbandonata.
 
-ANIA, SALTA –
 
Harry puntó la bacchetta verso le tegole che minacciavano di cedere.
Riuscí a mantenerle in aria per appena qualche istante, ma Ania se lo fece bastare.
 
Con tutta la forza che aveva nelle gambe schizzó su quelle tegole e saltó oltre il baratro che ora si apriva tra le due casa.
Sentí la mano sottile di Draco afferrarla per un braccio e stringersela addosso.
Poi il famoso strappo allo stomaco, la nausea, l’emicrania, e con un’ultima occhiata salutó l’ormai distrutta Spinning’s End.
 
 
 
 
 
 
 
I tre ragazzi si Smaterializzarono maldestramente nel corridoio di casa Tonks.
Tutti e tre caddero per terra, sbattendo testa e spalle contro le mura strette.
 
-Ma dove diavolo eravate? –
 
Tutti e tre trasalirono di colpo al trovarsi un gruppetto di persone terrorizzate ai piedi delle scale.
Molly Weasley, Sirius Black, Andromeda Tonks, e gli immancabili Hermione Granger e Ron Weasley li fissavano esterrefatti nella lieve luce del mattino.
 
Chissá quanto dovevano sembrare buuffi, tutti e tre senza fiato, spalmati sul pavimento in legno, coperti di polvere e detriti e sangue.
 
  • Oh, a ....a fare... una passeggiata. Hm, potreste ricevere un Gufo da Malocchio... forse. – ansimó Harry, troppo stanco persino per alzarsi.
  • Malocchio? Cosa c’entra Malocchio con voi tre? –
  • Diciamo che forse da oggi... non ci vedrá molto di buon occhio. – disse Draco, con la sua solita ironia completamente fuori luogo.
Questa volta peró Ania non riuscí a trattenersi.
Un risolino remoto le crebbe nello stomaco, sempre piú forte , fin quando forse la sua prima, vera risata la scosse fino a farle stringere le mani sullo stomaco.
Fu quuasi ironico di come ne Harry ne Draco riuscirono a trattenersi.
 
Ania non sapeva se ridevano per lei, o per il gioco di parole appena partorito da Malfoy.
Sapeva solo che si sentiva leggera, estremamente leggera, pur avendo appena allungato di parecchio la sua fedina pensale e distrutto mezza cittadina.
 
Dopotutto, andare a casa sua le era davvero servito.
Ben oltre le sue aspettative.
 

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Capitolo 34
*** Madre contro madre ***


Un flusso di luce rossastra, calda come la carezza di una mamma sul volto.
Poi un a lenta scia di azzurro, questa volta fresca, piacevole, come le sere d’estate sulla pelle rovente.
 
Ania mosse appena la mano, ipnotizzata da quelle sfumature di colore e calore che le danzavano davanti al volto.
 
Le tende della stanza di casa Tonks ora non si scuotevano piú.
Nei giorni passati, ad ogni suo malumore, ad ogni suo scatto d’ira, ad ogni suo pensiero quei tessuti leggeri venivano scossi, vorticando violentemente o ondeggiando lievemente.
Ma adesso, tutto ció non accadeva piú.
E l’unica risposta che Ania sapeva darsi era stretta nelle sue mani da diciottenne.
 
Era quello ció che si provava?
Era quel senso di pace che si avvertiva in cuore quando stringi nelle mani la tua bacchetta?
Perché per la prima volta in tutta la sua vita Ania sapeva che quella bacchetta le apparteneva.
La capiva, la tratteneva.
Rinchiudeva tutta la sua magia senza farsene scappare nemmeno un briciolo.
La padroneggiava. La addomesticava.
 
Ania sapeva, sentiva, che non c’era alcun margine di errore. Non poteva sbagliare.
Nessun incantesimo troppo forte o troppo debole.
Era la strega che aveva sempre voluto essere.
 
Toc toc
 
Si voltó di scatto verso la porta, ancora quasi persa in tutti quei pensieri.
 
-Hey.
- Hey... – rispose piano, abbassando la bacchetta.
 
Il ragazzo sulla soglia la fissó per un istante, poi fece un passo avanti.
Ondeggió sui suoi piedi, come se d’un tratto gli mancassero le forze, come se avesse passato la notte in bianco, tormentato da parole che non riusciva a carpire.
 
  • Mi sembra di avere il mondo sulle spalle Ania... – inizió poi
  • ...ma non ho il diritto di distruggere quello degli altri. Ho bisogno di aiuto. Anche del tuo. Anche di chi non avrei mai voluto averlo... –
 
Piton
 
Pensó subito Ania.
 
  • E ti chiedo scusa, per quella notte, avevo paura, come tutti, e...-
  • Harry. – lo interruppe lei.
Non le importava sentire quelle cose.
Credeva fossero importanti fino al giorno prima, ma adesso, adesso le sembravano granelli di sabbia da soffiare via.
 
  • Sono io che devo scusarmi. – disse piano abbassando lo sguardo.
 
Scese dal davanzale della finestra e infiló una mano nel vecchio cappotto coperto di polvere che aveva indossato la mattina precedente.
Dalla tasca interna del cappotto sfiló delle fialette luminescenti, che le colorarono le mani di un bagliore azzurrino.
 
  • Sono ricordi quelli? Di chi? –
  • Sono ricordi miei. – disse Ania afferrando una mano gelida del ragazzo e chiudendogli le fialette tra le dita.
  • Le teneva Severus nel suo ufficio. Sono i miei ricordi di Lily. Ho pensato che... – disse piano ma la voce si spezzó quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo.
Le due iridi verdi come pietre preziose si erano inumiditi di botto e brillucicavano nella sua direzione.
La mano di Harry tremó piano prima di chiudersi a pugno.
 
Ania si trovó di colpo nell’abbraccio piú sentito che avesse mai ricevuto ... se non l’unico.
Erano cosí stretti che sentiva le ossa del ventre di Harry premerle sulla pancia, e l’odore di bagnoschiuma mischiarsi col suo.
 
Fu tutto molto naturale eppure unico e raro.
Ania rispose all’abbraccio, abbandonando la testa sulla spalla di Harry.
 
  • E’ ingiusto che ci abbiano separati. – sussurró Harry nei suoi capelli.
 
Ania strinse gli occhi.
Le veniva quasi da piangere.
Finalmente l’aveva capito.
Harry l’aveva capito.
Quanto fossero figli di uno stesso destino.
Quanto le loro vite sarebbero state diverse se fossero cresciuti insieme.
Se avessero curato le loro ferite a vicenda.
Se fossero cresciuti come fratello e sorella, cosí come ci si sentivano adesso.
Quel sentimento di appartenenza che ora gli graffiava la pelle e quasi gli faceva male.
 
BOOM
BOOM
BOOM
 
Ania spalancó gli occhi e si staccó di colpo, il cuore a mille.
Quando si rese conto chi fosse l’artefice di qual mezzo infarto che le era venuto scosse la testa.
 
  • Che c’é? – disse quasi seccata
  • Volevo informare sua maestá che il cibo per cani offerto da questa casa é pronto in tavola. Sempre che non abbiate altro da fare. –
  • HARRY E’ PRONTOOO – urló una voce femminile dai piani inferiori, come a conferma di quello che era appena stato detto.
  • ARRIVO! – urló Harry di rimando, gettando un’occhiata veloce alla porta, ancora rosso in volto.
 
Si voltó di nuovo verso Ania, stringendo lievemente le boccette azzure che aveva in mano .
 
-Grazie – disse sentitamente, cinque lettere che esprimevano un sentimento immenso, impossibile da articolare a parole.
 
Ania sorrise appena con un lato della bocca, gli occhi pieni di tenerezza.
 
C’erano stati alti e bassi, tra lei ed Harry, come sulle montagne russe, ma ora le sembrava che quell’altalenante rapporto avesse finalmente raggiunto il terreno, il tratto finale, procedendo calmo e costante, inalterabile come doveva essere ció che Ania reputava famiglia.
 
Un tipo di emozioni completamente diverse da quelle che le ispirava la persona difronte a lei invece.
Con quei capelli biondi, le sopracciglia chiare, le mani fredde.
 
  • Perdonate il disturbo – ghignó quello in tutta risposta
  • Sembra quasi tu sia geloso Draco – disse velocemente Ania, godendo nel vederlo bloccarsi con la mano sulla maniglia.
  • Geloso? – sputó quello velenoso, mentre una linea di disgusto si disegnava tra le sopracciglia.
  • Ti stai montando un pó troppo la testa Linguamozza. E poi, sareste proprio una bella coppia in realtá...-
  • Non parlavo di quello. – disse Ania abbassando lo sguardo sulla bacchetta che ancora si rigirava tra le mani.
  • Ti ho sentito parlare con la Granger, ieri sera... hai detto che non hai mai visto nulla del genere ... – disse alzando gli occhi e ammiccando alla bacchetta.
Draco alzó le sopracciglia con fare di sufficienza.
Era vero.
Ania li aveva sentiti parlare nell’androne delle scale.
Non so da dove l’ha cacciato. Dovresti farti dare due lezioni Granger”
Cosi aveva detto Draco, bisbigliando nell’oscuritá, ma quelle poche paroline avevano viaggiato fino al piano superiore, colorando di porpora le guance di Ania.
 
  • Nulla che io non sappia fare da quando avevo tredici anni. – sbottó lui.
Ania sorrise, divertita.
 
  • Davvero? –
  • Si, certo Linguamozza, non farti tanto preziosa per un pó di fortuna. –
  • Fortuna? –
  • Fortuna! –
  • Ah! – disse lei, sorridendo.
  • Non ti dispiacerá tentarla allora. –
Con un movimento di bacchetta la maniglia sulla quale Draco teneva ancora una mano si fece quasi rovente, arrivando a brillare di un rosso lava incandescente.
 
  • Porcap... Sei fuori di testa? –
  • Solo fortunata. –
 
Ania mosse di nuovo la bacchetta, ma prima che un leggerissimo lampo viola arrivasse a Draco il ragazzo aveva gia sfoderato la sua bacchetta, parandolo prontamente.
 
  • Non giocare col fuoco Wool. –
  • Sembra che quello ad essersi bruciato sia tu peró... –
 
Ania sorrise ancora scimmiottandolo con una mano.
Sentiva le farfalle nello stomaco e il mondo in pugno.
Non si era mai sentita cosí potente, e avvenente e sicura in vita sua.
Sembrava che gli ingranaggi della sua vita stessero finalmente iniziando a girare nel mondo giusto.
C’era solo un ultimo pezzo da aggiungere al puzzle...
 
Lanció un altro incantesimo, che Draco paró per un pelo.
L’incantesimo sbatté contro la porta che picchió violentemente contro la cornice, chiudendosi.
 
  • Fermati! – scandí Draco, ancora non certo delle intenzioni della ragazza.
  • Fermami. – disse Ania, un sorriso diabolico ad incresparle un angolo della bocca.
 
Poté quasi vederla crescere nelle iridi chiare del ragazzo, quella scintilla di malizia e consapevolezza che sapeva di desiderio.
 
Prima che Ania potesse rispondere Draco la colpí con una bolla di luce biancastra, facendola sbattere contro il muro.
Ania lo guardó ad occhi spalancati.
Giocava sporco lui.
L’aveva fatta quasi male.
 
Peró
Mi piace.
 
Draco ghignó soddisfatto e fece per caricare ma Ania alzó le mani in segno di resa.
 
  • Aspetta! Attacheresti una ragazza indifesa? –
  • Tu? Tu non sei mai indifesa – sghignazzó lui senza abbassare la bacchetta avanzando di qualche passo.
 
Ania sorrise.
Non riusciva a smettere.
Ma non era il suo solito sorrisino timido e incerto.
Dovette mordersi un labbro per nascondere tutta quella frenesia dalla sua faccia.
Un brivido le percorse la colonna vertebrale ad ogni passo che Draco faceva verso di lei.
 
Ogni cellula del suo corpo era propensa ad annullare quei pochi centimetri che li separavano. Bramava il contatto con la pelle di lui.
Voleva togliersi quella serietá, quella pesantezza, quel senso di sciagura che li aveva oppressi da mesi.
Voleva solo essere adolescente.
Voleva lui.
 
La mano in cui aveva la bacchetta si aprí di colpo, lasciando che il bastoncino di legno cadesse con un ticchettio al suolo.
 
  • Vedi, completamente inerme. – bisbiglió, gioendo dello sguardo del ragazzo sul suo corpo.
 
La bacchetta di Draco affondó nell’incavo della sua gola, laddove la collana in ottone scompariva oltre la maglietta di cotone porpora.
 
  • Chi perde paga pegno. – sussuró lui, la voce di colpo un sibilio di gloria e malizia.
 
Ania raddrizzó la schiena quando la mano di lui si strinse intorno alla sua gola, mentre la bacchetta scivolava lenta sul suo fianco.
Qualche settimana prima aveva notato come Draco la facesse sentire debole.
Inerme.
L’aveva pensato con fastidio, come se per la prima volta in vita sua avesse bisogno di poggiarsi a qualcuno per stare in piedi.
 
Era forse la prima persona che l’aveva vista piangere, dopotutto.
Forse la prima ad avergli asciugato le lacrime.
Ad avergli tenuto la porta chiusa quando lei voleva nascondersi dagli altri.
L’aveva fatta sentire protetta, come se lei avesse bisogno di protezione.
E la cosa non le era piaciuta.
 
Ma ora, quella sensazione aveva appena assunto un colore diverso, un retrogusto amaro e dolce insieme che le stringeva lo stomaco, e le pizzicava la pelle.
Adesso lei era debole.
Sopraffatta.
Stretta al muro
Con la gola stretta in una mano e una bacchetta conficcata nel fianco.
Ma signori miei
Le piaceva da matti.
 
Un mezzo sorriso le piegó un lato della bocca, e vide gli occhi di lui scattare su quel piccolo gesto.
 
Si erano trovati in una situazioni cosí.
- Senti Wool... – le aveva detto lui
–… se non te ne vai non so che ti faccio.... –
 
- Tipo? – aveva detto lei.
E lo disse di nuovo.
 
Chi perde paga pegno
 
  • ...Tipo?- sussurró lei, la schiena inarcata contro il muro, il corpo che bramava piú di una mano stretta in gola.
 
Quella parola rimbalzó negli occhi del ragazzo, lo trascinó a quella notta in Sala Comune, lo riportó alla sera in cui avevano scopato come matti, in cui l’aveva spogliata come voleva fare adesso.
 
La reazione fu immediata.
La mano intorno al collo si strinse piacevolmente, la sua bocca si premette vorace su quella di lei, mordendola, assaggiandola.
 
Ania sentí i capezzoli vibrarle non appena si schiacciarono contro il corpo di Draco.
Le mani schizzarono a strapparsi la maglietta di dosso, rimanendo in reggiseno.
Draco le strinse le natiche, infilando una mano oltre il pantalone del pigiama.

Quando le dita si tuffarono tra le sue cosce la trovarono giá bagnata e non ci volle molto a portarla oltre.
 
Draco Malfoy poteva avere tanti difetti.
Ma cazzo, sapeva come funzionavano le donne.
 
Ania trattenne un gemito, buttando la testa all’indietro, le ginocchia che le cedevano ad ogni movimento di lui, ad ogni morso al collo, al seno.
 
 
Fece per sfilargli la felpa da dosso e strappargli quella maglietta in cotone, ma Draco aveva perso la pazienza.
Prima che la felpa avesse anche solo toccato terra, Draco la alzó di peso su un mobiletto pieno di fotografie e cimeli di famiglia.
Ania allargó le gambe , ignorando una cornice in legno che le premeva dolorsamente sotto il sedere, e concentrandosi completamente sulla bocca di lui, su quella cinta maledetta che non decideva ad aprirsi, sulla sua pelle fredda e profumata.
 
Era alle stelle.
Lo sentí trattenere un gemito quando finalmente si intromise dentro di lei, affondando violentemente.
Che idioti.
Avrebbero dovuto farlo prima.
Tutto quell’orgoglio, tutta quella tensione, per cosa?
Quando era chiaro a tutti tranne che a loro che avrebbero voluto scoparsi a vicenda da quando si erano re-incontrati sotto un ponte di Londra, in fuga dalla comunitá druida e dagli Auror.
 
Ad Ania sembrava di impazzire.
Avrebbe voluto urlare.
Strappargli la pelle di dosso fino a vederlo sanguinare.
Sapeva di stare per arrivare, lo sentiva nelle costole, nelle viscere, tra le gambe.
Chiuse gli occhi, graffiandosi la schiena da sotto la maglietta, in estasi, quando...
 
 
  • VOGLIO SAPERE DOV’E’ MIO FIGLIO! –
 
I due si gelarono di colpo, sbarrando gli occhi.
La bolla di sesso e passione si infranse come un bicchiere di cristallo, quando Ania, in preda al panico si voltó verso di lui.
 
-Mia madre. – sussurró lui.
 
Un passo pesante sul primo gradino gli annunció l’imminente arrivo di Narcissa Malfoy al piano superiore, e i loro cuori schizzarono all’impazzata.
 
Cazzo!
 
Fu un attimo.
Nel giro di tre secondi Ania afferró tutti i suoi panni sparsi infilandoli malamente e schizzó fuori dalla porta evitando per un pelo il ciuffo biondo e castano scuro di Narcissa.
 
Si infiló nella prima stanza che le capitó a tiro, il cuore in gola e le mutande ancora bagnate.
 
  • Ania? –
 
Di bene in meglio.
 
 
Ania si voltó di colpo.
La carta da parati con decori damascati blu scuro e le tende di velluto viola rendevano quella stanza un lussuoso buco nero con poca luce e molti mobili.
Ma anche quella strana accozzaglia di arredi sembrava lo sfondo di un quadro vittoriano alla presenza della donna piú bella che Ania avesse mai vito.
 
  • Mamma. – le scappó da dire.
Si siete dell’idiota immediatamente.
Non avrebbe dovuto chiamarla cosí. Quella donna non aveva piú nulla di materno per lei.
 
  • Stai bene? – disse la donna, alzandosi elegantemente dal letto a baldacchino.
Wow.
Sembrava una regina.
Era incredibile quanto poco avesse preso di lei.
Nulla delle gote alte e lisce.
Nulla della bocca carnosa.
Nulla dei lunghi capelli biondi e delle pepite azzurre che aveva agli occhi.
 
  • Perché ti interessa adesso? – sputó d’un fiato.
 
La donna la guardó intensamente, quasi a scavarla dentro.
Le sue ciglia tremarono appena e sembrava sul punto di dire qualcosa, quando le voci sul corridoio si fecero piú forti.
 
  • Credo non ci sia nessun motivo di fare azioni azzardate Cissy. –
  • Non chiamarmi Cissy, Andromeda, non abbiamo piú dieci anni. E non staró qui a dirmi in che modo proteggere mio figlio...-
  • Tuo figlio é piú che protetto in questa casa...-
  • Oh in questa casa forse, ma Villa Malfoy? Spinners End? Poi? In quale altra missione suicida lo costringerete a partecipare? -
  • Ma cosa credi che io mi faccia costringere da questi qui? –
 
Ania si voltó di colpo verso la porta, gelandosi sul posto.
La voce di Draco tremava di rabbia.
Ma come poteva, infondo, mettersi contro la sua stessa madre?
 
  • Draco Lucius Malfoy, adesso prendi la tua roba e vieni via con me. O devo credere che tu voglia restare in questo buco? –
 
Il cuore di Ania si bloccó in gola.
Se ne andava.
Narcissa se lo stava portando via.
 
Prima che il cervello le segnalasse quanto stupida fosse quella mossa, Ania spalancó la porta e si gettó nel corridoio.
Doveva avere i capelli arruffati e la faccia rossa.
I vestiti ancora scompigliati e il respiro corto.
 
Narcissa Malfoy si voltó immediatamente verso di lei, con fare sorpreso.
Ania non l’aveva mai vista dal vivo, ma rimase colpita dalla compostezza e dalla regalitá di quella donna.
Un’eleganza diversa da quella di sua madre.
Piú dura, piú aggressiva.
 
 
  • E tu chi diavolo saresti? –
  • Io... – fece Ania, di colpo completamente a disagio.
Lanció un’occhiata a Draco, oltre la spalla di sua madre, arruffato e arrossato quanto lei.
  • Io sono... Ania Wool. – disse velocemente, schiarendosi la gola.
  • Wool... – sussurró quella.
 
Narcissa strinse gli occhi, e non le ci volle molto per fare due piú due.
Wool.
La figlia di Ania Wool.
Riacciuffata dall’Ordine dopo il fattaccio di Azkban.
Ora lí, scomposta e arrossata, schizzata fuori da una camera adiacente a quella di suo figlio, in panico per una sua eventuale partenza.
 
La bocca di Narcissa si spalancó appena. Spostó lo sguardo da lei a Draco, e poi di nuovo su di lei.
Ma quando i suoi occhi le scrutarono piú attentamente i tratti, forse per cercare una somiglianza con la sua presunta madre, gli occhi di Narcissa si strinsero in un’espressione indecifrabile.
 
Fece per fare un passo avanti, ma quasi con la stessa velocitá della figlia, Clelia Wool schizzó fuori dalla sua camera da letto, piantandosi in tutta la sua altezza tra Narcissa Malfoy e sua figlia.
 
  • Non un altro passo, Narcissa. –
 
Ania rabbrividí.
La voce di sua madre era diventata quasi intimidatoria.
La vide stringere la bacchetta dietro la schiena, come pronta ad assassinare l’altra se fosse stata cosí incauta da avanzare ancora.
 
Gli occhi di Narcissa si spalancarono appena, e da lí Ania non ci capí definitivamente piú niente.
 
  • Devo dire Clelia... – sussurró Narcissa con voce bassa, senza staccare gli occhi dalla faccia di Ania.
  • ...tua figlia non ti somiglia per niente. –
 
Clelia si rizzó di colpo, inspirando forte e stringendo la mascella.
 
-Ania entra in camera. – disse autoritaria, gli occhi piantati in quelli di Narcissa.
- Cos...-
- Draco prendi la tua roba. Adesso! –
- Ma... –
- ADESSO! – dissero le due donne nello stesso istante, senza abbassare lo sguardo di un centimetro.
 
 
Ania lanció un’ultima occhiata incerta a Draco, prima di rinchiudersi nella stanza della madre.
Era confusa.
La testa le faceva male.
 
Era la prima volta che rivedeva sua madre da settimane, dopo giorni di indifferenza totale, dopo silenzi cosi pesanti da sfondare le pareti sottili della casa.
E ora tutto d’un colpo, Clelia si aizzava a madre leonessa iper protettiva.
 
Voleva proteggerla dall’invadenza di una donna snob? Era questo il motivo?
Oppure c’era ben altro.
Oppure Narcissa aveva scorto nel suo volto, qualcosa che era meglio non far trapelare?
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 35
*** Quindi Hogwarts ***


I giorni passarono.
Tutti uguali.
Ania si trovava a fissare fuori dalla finestra, arricciandosi una ciocca dei lunghi capelli scuri tra le dita.
 
Lo sguardo si perdeva all’inizio del vialetto, laddove appena una settimana prima aveva fissato negli occhi il ragazzo per cui aveva perso la testa.
Si perché ora lo ammetteva senza vergogna.
Aveva perso la testa per Draco Malfoy.
 
Le venivano i brividi.
Al pensiero della sua voce, del mondo in cui si erano intrecciati, ingarbugliati, senza nemmeno volerlo.
 
Ma ormai ci era abituata, ad avvertire il freddo sulle mani dopo averle scaldate.
A sentirle vuoto, l’attimo dopo essersi aggrappata al mantello di qualcuno.
 
Lo era stato con Harry.
Lo era stato con Severus.
Ora, come giusto, lo era con Draco.
 
 
 
Draco se ne era andato, trascinato in una locazione sicura da sua madre Narcissa.
Narcissa che non aveva risparmiato un ultimo sguardo indagatorio verso di lei, prima di Smaterializzarsi.
 
Quel dubbio la tormentava.
Ora piú che mai voleva sapere cosa c’era nella sua faccia che aveva tanto incupito la donna.
 
 
E quegli sguardi, quelle insinuazioni, tra lei e sua madre…
 
Che Narcissa sapesse?
Ma chiedere a Clelia sarebbe stato inutile.
La donna, dopo aver difeso a spada tratta la figlia, era del tutto scomparsa dalla casa, con l’ intenzione di non farsi trovare da nessuno.
Questa volta, persino da SIrius, che ora fissava il vuoto, chiedendosi dove fosse il suo grande amore appena ritrovato.
 
Ania sospiró senza nemmeno accorgersene  e l’aria le brució in gola.
 
Si passó una mano sul volto e sobbalzó quando la porta di camera sua venne spalancata di colpo.
 
  • Harry… -
  • Ania… devi venire di sotto. Subito. – disse il ragazzo ansimante.
 
Mentre scendevano le scale Ania non fece in tempo a chiedergli cosa ci fosse di cosí importante, che Harry aveva giá iniziato a straparlare, tanto era il suo entusiasmo.
 
 
  • Ania, ricordi quel bauletto nello studio di Piton? Ricordi il medaglione? –
  • Il medaglione di Serpeverde… Harry credevo avessi detto che quello era un falso… -
  • E lo era.
…cioè , lo è! Il vero medaglione è stato giá distrutto da un tale R.A.B
  • R.A.B?
  • Giá, non crederai mai chi pensiamo che fosse ma…ma non volevo parlarti di questo. Ascolta! Il taccuino! C’era un taccuino nel bauletto, ricordi? –
 
Ania annuí crucciando la fronte, cercando di non farsi scappare nemmeno una parola di quel fiume in piena.
 
  • Non credo che l’avrei mai detto ma… Piton era un genio. – disse Harry fermandosi davanti la porta della cucina per guardarla in volto.
 
Dopo quella frase la curiositá e lo stupore di Ania crebbero alle stelle.
Harry spalancó la porta e Ania sobbalzó per il delirio che vi regnava al suo interno.
 
Il tavolo era pieno di carte e fogli sparsi, tutti riempiti con la scrittura minuta ed ordinata di Hermione Granger, che ora se ne stava piegata su un piccolo taccuino di pelle nera, con una lente di ingrandimento.
 
  • Harry, ne ho trovato un altro. – disse senza nemmeno accorgersi della presenza di Ania.
Harry prese il taccuino tra le mani e lo mostró ad Ania.
Con un tuffo al cuore Ania riconobbe la scrittura elegante ma incomprensibile di Severus, muoversi sinuosa sulle pagine ruvide del libricino.
 
  • Vedi… Il medaglione.- disse Harry, indicandole una pagina nello specifico.
  • L’anello di Silente. – disse scorrendo ancora pagina, e questa volta Ania notó un piccolo “7” scarabocchiato in un angolo della pagina.
  • Sette. – disse senza pensarci, beccandosi un’occhiata perplessa di Harry
 
  • Cosa?-
  • Sette… in fondo la pagina. – disse Ania puntando sul foglio.
 
La foga di Harry pare triplicarsi e scorse velocemente la pagina per arrivare ad un punto specifico.
 
  • Il diario di Riddle….Sette. Hai ragione Ania, c’è un altro sette qui…non lo avevamo notato. –
  • Io lo avevo notato ma credevo fosse uno scarabocchio. – disse Hermione, quasi offesa.
 
  • La coppa di casa Malfoy. A quanti siamo? –
  • Ehm…. A quattro mi sa. - disse Ron picchiando su un foglio .
 
  • Quindi credi che in tutto siano sette? –
  • È quello che pensava Piton, o almeno credo… -
  • Ma se sono sette, allora ne mancano altri tre… o credi che siano sette compreso lui? –
  • Non lo so ma… penso che la risposta sia qui dentro. – disse Harry continuando a scorrere il quardenino.
 
Ania non sapeva cosa pensare.
Con tutte le emozioni che l’avevano attraversata in quei giorni, la sua attenzione e la sua capacitá di analisi si era persa in quel tumuglio.
 
Si avvicinó al tavolo e osservò quella lista di oggetti scarabocchiata al centro del foglio.
 
Una strana coincidenza le sfioró la mente.
Afferró un pennino, e fece per annotare quel pensiero, rovinando cosí il perfetto schema di Hermione, con la sua orribile scrittura scomposta.
 
-Che stai facendo? – le chiese la ragazza, quasi infastidita da quell’ intromissione.
 
Ania annotó l’ultima lettera e poi giró il foglio alla Granger.
 
  • Non so cosa c’entri l’anello ma… il medaglione di Serpeverde ha un senso abbastanza logico… era la sua casa, la casa di Tu-Sai-Chi… ma la coppa…. La coppa di Tassorosso, la casa piú odiata dai Mangiamorte, dopo Grifondoro ovviamente… quindi perché avere qualcosa di Tassarosso? L’unico collegamento potrebbe essere…-
 
  • Potrebbe essere Hogwarts. Ma certo! – esclamó Harry lanciandosi sulla sua pergamena.
 
 
  • Hogwarts è stato l’unico posto in cui Riddle si è sentito a casa. – mormoró
  • Dubito ci sia un legame con Grifondoro ma… avrebbe senso se il prossimo Horcrux fosse qualcosa di Corvonero. – concluse Ania, indicando il suo secondo scarabocchio.
 
  • Come se le uniche tre case importanti fossero queste. Come se lui fosse il padrone di un Hogwarts dove Grifondoro non è mai esistita. – mormoró ancora Harry, come se finalmente gli fosse tutto piú chiaro.
  • Ma cosí ce ne mancherebbe comunque uno… se non è nulla legato a Grifondoro, allora cosa puó essere? – disse Hermione turbata incrociando le spalle.
 
Ania ed Harry si scambiarono un’occhiata, senza sapere effettivamente cosa dire.
 
  • Hm, ragazzi…. – fece Ron interrompendo i loro pensieri.
  • Credo che Piton abbia risposta anche a questo ma… non vi piacerá. –
 
Ron giró il libricino verso di loro, tenendo ben aperte le due pagine che aveva trovato.
Un brivido di terrore si insinuó sotto la pelle di Ania e il morso alla gamba ormai cicatrizzato parve infuocarsi, mentre i suoi occhi seguivano quella linea sottile, appena disegnata con un forte inchiostro verde smeraldo, che attraversava entrambe le pagine delineando la ben chiara silhouette di un serpente.
Nell’angolo della seconda pagina, scarabocchiato ed appena visibile, il numero sette, a conferma che quello si, era l’ennesimo Horcrux scelto da Voldemort.
 
  • Nagini. – sussurró Harry.
  • Nagini è il sesto Horcrux. –
 
Ania lo vide deglutire forte, mentre le stesso sentimento di terrore e paralisi le rendeva piú difficile respirare.
 
  • Il serpente è sempre con lui… ma per quanto riguarda Corvonero, c’è solo un posto dove possiamo trovare qualcosa legato alla casa. –
  • Harry non penserai davvero…
  • Hermione che altra scelta abbiamo? Hai visto cosa è successo oggi al Ministero? Quanto ancora dobbiamo aspettare ? –
 
Hermione strinse le labbra punta sul vivo, ed Ania assunse la sua stessa espressione spaventata.
 
  • Quindi Hogwarts… - mormoró voltandosi verso Harry
  • Con tutti i Mangiamorte che ora vi fanno da insegnanti, con tutti Ghermitori che controllano Hogsmeade, tu vuoi andare… ad Hogwarts! – disse velocemente, puntando i suoi occhi in quelli di Harry
 
  • Si. – disse lui serio.
 
 
  • Quindi Hogwarts ! -
 

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Capitolo 36
*** Oltre il Lago ***


Non era mai stato il suo posto preferito al mondo.
 
In alcuni momenti, avrebbe voluto bruciarlo dalla mappa del Mondo Magico appesa in camera sua.
Farne una rotonda chiazza bruciata e dimenticarsi della sua esistenza.
 
Altre volte, aveva amato quelle alte torri, quei luoghi semi oscuri, quelle fronde leggere del parco.
E l’odore di pozione che aleggiava nei sotterranei, e il rumore dei pennini che graffiavano le pergamene in Biblioteca.
 
Il suo cuore aveva sopportato molto, ad Hogwarts.
E ora, che la vedeva ergersi davanti i suoi occhi dopo mesi, non sapeva cosa provare.
 
  • Come miseriaccia ci si entra ora? – sussurró Ron, osservando anche lui il castello senza battere ciglio.
 
La collina di Damian’s Brook era il posto piú vicino su cui avevano potuto smaterializzarsi.
 
  • Il passaggio segreto da Mielandia… potremmo provare a… -
  • Harry non essere idiota. Le saette hanno provato ad entrare da lí appena una settimana fa, e non è finita bene mi pare… -
 
Ania vide la mascella della ragazza stringersi e lo sguardo incupirsi al ricordo di quell’articolo di giornale che si erano trovati davanti il weekend precedente.
 
 
MORTE E TERRORE AD HOSGMEADE
MIELANDIA, CHIUSO TRA ZUCCHERO E SANGUE.
 
Sotto la disdacalia catastrofica, una foto in bianco e nero della vetrina di Mielandia distrutta. Sul terreno bagnato, la maschera delle Saette che giaceva senza il suo proprietario.
 
 
  • Non guardate me, non sono mai sgattaiolata fuori da Hogwarts… -
  • Fantastica idea portarci tutti qui senza il tempo di elaborare un piano. –
  • Portarci? – ripeté Ania voltandosi di scatto
  • Non è nemmeno stata una mia idea, Granger, quale diavolo è il tuo problema? –
  • Il mio problema, se vuoi saperlo, è che tu sia venuta con noi e…-
  • E cosa? Ho rovinato il fantastico quadretto del Trio delle Meraviglie? –
  • Tu porti male, ecco cosa. Ogni volta che ci sei tu di mezzo qualcosa succede…-
  • Hermione, PIANTALA! – sbottó Harry esterrefatto
 
Hermione spalancó gli occhi, ma non li abbassó, come se dentro di se si vergognasse di quello che aveva detto, ma che, infondo, era ció che pensava sul serio.
 
Ad Ania tremó il fiato e strinse i denti.
Fece un passo avanti e il mostro dentro di lui ruggí di piacere nel vedere la Granger arretrare.
 
  • Beh allora preparati al peggio Hermione Granger. Non lasceró il fianco di mio fratello nemmeno un istante questa notte…e se la cosa ti fa stare meglio faró del mio meglio per stare alla larga da te. –
  • Harry non è tuo fratello, e tu sei pazza. –
 
  • Hermione. –
 
La voce di Harry le distrasse entrambe dal volto dell’altra.
 
  • Dove vado io va Ania. –
  • Harry non credo sia una buona… -
  • Dobbiamo proteggerci a vicena… Fino alla morte. – disse serio, e Ania avvertí un brivido scavarle fin dentro le ossa quando gli occhi di Harry si posarono sui suoi.
  • È quello che voleva mia madre…l’ho visto, nei tuoi ricordi… -
 
Lo sguardo di Harry andava oltre tutto quello che Ania poteva sperare.
Sapeva, sapeva come lei.
 
La mano del ragazzo si tese verso di lei e Ania non dovette nemmeno pensarci.
La afferró con un brivido ed inspiró forte, osservando quel gesto, sentendosi bruciare dal desiderio di combattere, di uccidere, di infiammarsi per quel sentimento di protezione che la avvolgeva al corpo e all’anima del ragazzo.
 
Annuí col capo e poi si voltó di nuovo verso Hermione, risoluta.
 
  • Altro da dire? – disse, lo sguardo che avrebbe potuto tagliare a fette.
  • La scelta, è di Harry, suppongo. – disse Hermione amareggiata. Poi distolse lo sguardo, e il suo cervello si focalizzó di nuovo su quel castello stagliato sulla collina oltre il Lago.
  • Io ho un piano, ma ci sará bisogno di molta…fortuna per farlo funzionare. –
  • Fortuna? Se anche riuscissimo ad entrare ad Hogwarts ci troveremmo i Carrows di faccia… sinceramente, non so in cosa sperare. –
  • Ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta…. Hermione, dicci solo cosa ti serve. –
 
Hermione si voltó di nuovo verso di loro, riluttante, come se vederli cosí vicini la infastidisse.
 
  • Ci serve dell’Alga Branchia e…un pó di senso dell’orientamento…e, sperare che le sirene siano di buon umore. –
  • Non posso crederci…. –
  • Oh, non le sirene… -
  • Cosa intendi? –
  • Non vorrai mica… -
  • Cosa? –
  • Non vorrai mica attraversare il Lago Nero? – sbiancó Ania gettando una fugace occhiata alle acqua scure.
  • Come detto….ci servirá tanta, tanta fortuna. – ripeté Hermione inspirando forte.
 
 
Ania la vedeva appena.
Odiava nuotare.
Odiava le acque scure del Lago.
E soprattutto, odiava, da morire, quelle orride Sirene.
.
.
.
.
.
.
 
.
.
.
BOOM
 
L’acqua le torturava le orecchie.
Sentiva che l’Algabranchia stava perdendo il suo potere.
Il cervello le si annebbió anche solo pensando alla mancanza di ossigeno a cui stava per andare incontro.
 
BOOM
 
Un altro colpo.
Questa volta piú forte.
 
BOOM
 
Il vetro della finestra tremó pericolosamente.
Ania era sull’orlo di un attacco d’ansia.
 
Vide Harry e Ron combinare un secondo attacco contro il vetro.
 
Nel frattempo, il graffio alla caviglia che un Avvincino furioso le aveva provocato, brució maledettamente.
 
Ronald buttó un calcio pieno di frustrazione contro il dannato vetro, proprio nel istante in cui Ania sentí la gola stringersi per la mancanza d’aria.
Si tastó la gola.
Le branchie stavano velocemente lasciando spazio alla sua pelle liscia.
Stava accadendo
Si stava ritrasformando.
Niente branchie, nessun modo di respirare sott’acqua.
 
 
No, non sarebbe morta cosí.
Non avrebbe dato le sue carni alle dannate sirene che la notte si divertivano a gridare oltre la sua finestra da anni.
Quelle dannate mezze pesci che cantavano i loro rituali alle otto di mattina, quando lei aveva appena preso sonno.
 
Un altro calcio, un altro tremolio
Una piccola crepa che non da segno di espandersi.
 
Il grido esasperato di Ania soffocato dall’acqua.
La sua mano che si fionda sulla bacchetta e la punta con forza contro il vetro, incurante della faccia di Weasley a pochi centimetri.
 
 
 
  • Buuombarda! –
 
BOOM!!
 
 
Il vetro si spaccó in una miriade di frantumi e le loro orecchie ovattate si ritrovarono a combattere con l’assordante rumore dell’acqua del Lago che inondava la Sala Comune dei Serpeverde.
 
  • MA SEI… COMPLETAMENTE…FUORI DI ZUCCA? – le urla di Weasley le penetrarono il cervello mentre finalmente tirava un grosso respiro d’aria, poggiandosi con le mani sulla moquette scura della Sala Comune.
  • Potevi farmi saltare la faccia! –
  • No invece avevo calcolato tutto… - rispose affannata tirandosi in piedi con fatica.
  • Fammi un piacere eh, non calcolare niente se c’è la mia faccia di mezzo…. – brontoló Weasley scuotendosi l’acqua di dosso.
 
Ania accennó appena un sorriso divertito, prima di voltarsi ad esaminare il posto in cui si erano intrufolati.
 
La Sala Comunque di Serpeverde, completamente bagnata e inzuppata d’acqua.
Ma la cosa piú strana, non era nemmeno quella.
 
 
  • Perché non c’è nessuno? –
  • I Serpeverde sono stati trasferiti nella Torre Nord…. – disse Hermione ansimante asciugandosi con un tocco di bacchetta.
 
  • E i Grifondoro? –
  • Grifondoro e Tassorosso si dividono il piano delle cucine. Me l’ha detto Ginny per Gufo… per quel poco che è riuscita a scrivermi –
  • Che gran figli di puttana! – brontoló Ron accigliandosi.
  • …Per questo ho pensato sarebbe stato il posto perfetto per intrufolarci. Immaginavo non avessero pensato a mettere qualcuno di guardia proprio qui…-
  • Grande idea Hermione… -
 
Lo era davvero una grande idea, ma Ania non riusciva a formulare alcuna frase per esprimere quel pensiero.
 
Sembrava trascorsa una vita intera da quando era stata lí l’ultima volta.
 
Era un’altra Ania quella che attraversava velocemente il largo salone verde argento a capo coperto dal cappuccio.
Un’altra Ania quella che non aveva mai osato fermarsi al grande tavolo rotondo pieno di studenti.
 
Un’Ania vagamente riconoscibile, morta e seppellita sotto le macerie di Spinning’s End.
 
 
Ma quella sensazione era strana, c’era dell’altro.
 
C’era qualcos’altro che ora si muoveva nelle sue viscere.
In un serpentesco turbinio di sibili e parole inafferrabili.
Una nuova appartenenza a quei colori, a quelle stoffe pregiate.
Al serpente in marmo nero che decorava il camino.
Al volto di Salazar dipinto in un quadro dalla cornice spessa che si affacciava dalla parete dei dormitori.
 
 
 
  • Non c’è spazio al dubbio per te, mia cara. Ma se vuoi, possiamo dialogare. –
  • Dialogare di cosa? Voglio solo andare in camera mia prima che Severus cambi idea sul mio restare ad Hogwarts. -
  • Il tuo passato e il tuo futuro sono inevitabilmente connessi. La mia scelta è secondaria, ma la tua è fondamentale. Ricordalo sempre. –
  • Si d’accordo, posso sapere la mia Casa ora? –
  • La tua casa è la piú odiata o amata. La stessa sorte tocca a chi vi viene assegnato. Serpeverde ti accudirá come una prediletta. –
 
Le parole del Cappello Parlante le tornarono in mente come un flash completamente fuori luogo.
Una prediletta non lo era sicuramente stata, ma ora, ora sentiva il cuore irrogarsi d’amore solo al suono di quel nome
 
Serpeverde.
 
 
  • Ania! –
 
La voce di Harry le arrivó come dalla fine di un tunnel.
Si voltó verso di lui e solo in quel momento si rese conto di essersi imbambolata sotto lo sguardo severo del ritratto di Salazar.
 
  • Stai bene? –
  • Si, sono solo… -
  • La mancanza d’ossigeno ti ha dato al cervello… - affermó la Granger senza risparmiarle un’occhiataccia
  • Cerca almeno di recuperarne il piú possibile prima che usciamo di qui.-
 
Tutti e quattro volsero lo sguardo verso l’arazzo all’entrata della Sala Comune.
Qualcosa di enormemente difficile li aspettava oltre quel drappeggio.
Pericolo, certo
Nemici, ad ogni angolo.
La morte, forse.
Sicuramente, un ignoto dai tratti spaventosi.
 
 
 
 

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Capitolo 37
*** Siamo ***


Contro ogni aspettativa.
Nessuno li attendeva oltre l’arazzo.

Il glaciale silenzio della notte restó intatto.
Una sottile lama di ghiaccio che non sembró crepare sotto i loro passi ovattati.
 

Cosa facciamo? Ci dividiamo? - sussurró Weasley guardandosi sospettosamente le spalle.
 

⁃ È l’idea migliore.-

⁃ Hermione, credo che tu debba avvisare gli altri. Riesci ad arrivare ai Grifondoro senza troppi problemi? …

⁃ Dovrei… c’è un nuovo passaggio segreto dietro l’arazzo di Mirabella la Gnoma e…-
⁃ Come da sola? – sbottó Ron voltandosi di colpo
-Sarebbe meglio se io andassi con lei.-
⁃ Sarebbe meglio se tu andassi al Bagno di Mirtilla, Ronald. A cercare quella cosa!- sussurró Hermione lanciandogli un’occhiata d’intesa.



Ania strinse appena la mascella ma poi abbassó gli occhi al pavimento, fingendo indifferenza.
Quei mezzi dettagli nascosti avrebbero dovuto essere aboliti in una situazione del genere, ma d’altra parte, anche le sue lamentele potevano essere tenute a bada.



⁃ Ania, tu…-
⁃ Io vengo con te Harry. Non ti lascio solo.- disse Ania ferma , fulminandolo con lo sguardo.

⁃ No ascolta! Io devo cercare l’Horcrux… la Torre dei Corvonero è il posto più adatto e… c’è qualcos’altro di importante e credo tu sia l’unica a poterlo fare.-



Ania vide Hermione lanciare un’occhiata interrogativa ad Harry, chiaramente non a conoscenza di quella parte del piano.



⁃ Piton ci ha aiutato parecchio con il taccuino. Mi sembra sensato pensare che possa avere altri assi nascosti nella manica.-
⁃ Vuoi che… entri nel suo ufficio?-
⁃… E cerchi qualsiasi cosa possa servirci!  Per distruggere gli Horcrux magari…noi abbiamo una mezza idea ma , Piton ne sapeva sicuramente più di noi.-


Ania lo guardó per un attimo, deglutendo forte.
Avrebbe quasi preferito gettarsi nella camera privata del neo Preside Mangiamorte che violare le mura del luogo sacro del suo padrino morto.

Annuì, e si morse una guancia.

⁃ Se qualcosa va storto…-
⁃ Improvvisate e cercate di non farvi ammazzare.- ironizzò Ronald provocando un sorriso generale
⁃ Qualcosa del genere.- sorrise Harry.


 

Un ultimo cenno del capo e gli occhi si salutarono riluttanti.
Era il partire per una spedizione di guerra quella.
Era il soffocare la paura di non vedersi più.

Harry le strinse la mano, mentre Hermione e Ron prendevano le loro strade.
Il calore del sua pelle le scaldó il cuore e divoró per un attimo il gelo delle segrete.



⁃ Ci vediamo dopo.- sussurró senza staccare gli occhi dai suoi.
⁃ Lo so.- disse lei, ricambiando la stretta
 
 
Era una promessa.


Le loro dita si separarono, lentamente, o forse no.
Ma ad Ania parve che il suo cuore andasse a rallentatore quando, indietreggiando, osservó la schiena di Harry sparire nell’oscurità.

Sospiró piano e si voltó verso la direzione opposta.
Verso un atrio che non aveva mai varcato, senza il suo padrone a farne da guardia .

.
.
.
.
.
.
.
 

⁃ Non toccare.- le sussurró Severus senza nemmeno voltarsi

Ania ritrasse lentamente la mano storcendo il naso.


Il piccolo pugnale in osso poggiato su quel drappeggio viola la attirava come una mosca dal miele.

Doveva essere qualche diavoleria sconosciuta trovata tra le cianfrusaglie di Hogwarts.
Era un castello antico, d’altronde, collezionava tanti segreti.
 
E Silente commissionava spesso Severus di svelare quei segreti, di adoperare le sue arti su quegli oggetti ritrovati, e decidere qualora fosse il caso di distruggerli o conservarli.
 
Il punto era, che gli oggetti piú proibiti e oscuri, Severus non li distruggeva affatto.
Li raccoglieva in un panno violastro di seta, esattamente come quello che avvolgeva il pugnale, e li portava a Spinning’s End, nascondendoli chissa dove.

E quel piccolo pugnava sembrava avere buone possibilitá di essere una nuova entrata della collezione.


Bastava vedere il modo in cui Severus lo stava esaminando accuratamente da giorni.
Nemmeno un briciolo di polvere sulle crepe dell’osso.
Nemmeno un graffio sull’impegnatura elaborata.




⁃ E la risposta è no.- disse Severus risportandola al presente.

⁃ Immaginavo.- mugugnó per niente sopresa, senza spostare lo sguardo dall’arma.

Sentì il mantello di Severus muoversi e il secondo successivo un libro dalla copertina in pelle verde scuro le venne piantato davanti.

⁃ Hogsmeade è per poppanti. A meno che tu non voglia diventare una fattucchiera con la testa vuota e un abbonamento per babbei obesi da Mielandia. E non.farmelo.ripetere…ancora.-




Ania senti il pizzicorio delle lacrime solleticarle la cornea, rileggendo più e più volte il grosso titolo in stile gotico del libro.



Sentiva il magone e la rabbia stringerle la gola.
Ma non disse nulla.
Si alzó dalla sua sedia ed afferró il libro.

Non guardó nemmeno per sbaglio il volto del padrino, e anzi prese la via della porta, stringendo i denti.

Quando li rialzó Severus aveva ripreso il suo posto alla scrivania, e spostava delicatamente il pugnale davanti a se.

⁃ Puoi fidarti di me, nel caso non lo sapessi.- disse con voce tremante di nervosismo.

Severus non reagì, ma Ania intravide un sopracciglio vibrare .

⁃ Hai quindici anni e un pessimo temperamento Ania. No che non posso fidarmi. Nonostante la tua presunzione ti convinca del contrario.-




Ania strinse di nuovo i denti, così forte che avrebbe potuto spaccarseli .



Non aggiunse altro e col cuore pieno di collera spinse con forza la maniglia della porta.
 
 

Non avrebbe letto quel libro per almeno una settimana, troppo inviperita, troppo rammaricata per la sua vita così diversa, così sbagliata.

Ogni volta che posava gli occhi su quel titolo, il suo cervello si annebbiava.

Quando finirà”, pensava, “quando smetterà questa prigionia”?

.
.
.
.
.
.


Ora era lì, tre anni dopo, davanti quella stessa porta in legno.
Finalmente, libera.
In un modo in cui non avrebbe mai immaginato.
Né, sperato.


Deglutì forte e sfioró con le dita quella stessa maniglia in ottone.

La accarezzó, prima di spingerla.
Poggió la fronte contro il legno della porta, prima di aprirla.

Inspiró.
Quell’odore.
Mentre il cervello vagava veloce.

Severus non avrebbe mai più varcato quella porta.
Nessuno studente avrebbe mai piú tremato al solo scricchiolare di quella serratura.
Nessun odore di pozione.
Nessun rumore sinistro.
 


Il cuore le si fece pesante.
Il magone le si strinse forte in gola.
Inspiró ancora, riaprí gli occhi
E l’istante successivo trattenne il fiato come se l’avessero immersa nel ghiaccio.



La tristezza le aveva annebbiato la vista, per un attimo
Ma ora notava chiaramente, i segni di una serratura sciolta da un incantesimo, i graffi intorno alla cornice del telaio.
 

L’ufficio era stato forzato.


Si scostó velocemente e sfiló la bacchetta dalla tasca del mantello.

Spinse appena la maniglia e, come aveva pensato, la porta si aprì placidamente, cigolando nell’oscurità.


 
Aveva il cuore a mille
E ció che vide non la aiutó a calmarsi.

I suoi occhi vagarono in quella ammucchiata di oggetti e cimeli sparsi per la stanza.
Niente era al suo posto.

Le librerie ai due lati erano state completamente svuotate.
Il doppio strato di polvere era tutto ciò che vi rimaneva.
Pergamene gettate sul pavimento.
Il focolare che ancora fumava .
 
Le ampolle sulla cassettiera sbagliata.
Le tende appena scostate e  non tirate come al solito.
L’ordine dei libri sul focolare, era sbagliato.
La posizione delle teste di teschio appese al muro, era sbagliata.
 
Tutto.
Tutto sbagliato.

Ania impazzì.



Con due falcate veloci arrivó alla scrivania, osservando a denti stretti quel delirio.
 
Severus sarebbe uscito fuori di testa a vedere il suo ufficio in quello stato.
Avrebbe fatto fuoco e fiamme per trovare il responsabile.
E ora.
Ora era lei a doverlo fare.
Ora…



Fu solo quando la punta calda di una bacchetta le si conficcó dietro la nuca che si rese conto di non essere sola.



⁃ Bacchetta a vista. E mi spieghi chi diavolo sei e cosa cazzo fai qui dentro .- disse la voce dietro di se e Ania spalancò gli occhi.


 
 

⁃ Cosa ci faccio io qui dentro Draco?- sbottó con voce tremante, lasciando che il volto sorpreso del ragazzo scoprisse il suo incappucciato.

⁃ Cosa ci faccio IO?-
⁃ Wool! - sbottó Draco abbassando la bacchetta
⁃ Cosa ci … cosa diavolo…-
⁃ COSA.HAI.FATTO? – gridó Ania voltandosi del tutto.
 
-Cercavo qualcosa che potesse…-
-Come.hai.osato.muovere.tutto. –
 
 
Ad ogni parola corrispose un colpo contro il petto del ragazzo, che indietreggió appena.
 
  • Basta! Wool!-
  • Come hai osato entrare qui! –
 
Ora le lacrime scendevano sul suo viso.
Sentiva solo la rabbia, l’ira del trovare tutto come non avrebbe dovuto essere.
Il bruciore allo stomaco per non aver protetto quel posto.
 
L’odio contro Draco per averlo penetrato prima di lei.
 
 
  • Wool…WOOL! –
 
Draco le afferró malamente le braccia e con una spinta la schiena di Ania sbatté violentemente contro il muro.
 
Ad Ania mancó il fiato, ma non ebbe il tempo di recuperarlo.
 
Le mani di Draco si strinsero ai suoi polsi.
E di colpo le sue labbra si schiacchiarono alle sue.
 
 
Cazzo.
Il suo cuore uscí fuori dal petto.
 
Rispose al bacio come farebbe un assetato con l’acqua.
 
La rabbia bruciava ancora, ma si aggrappava al collo di Draco con le unghie.
Lo odiava ma, cazzo.
Cazzo, lo amava.
 
Lo amava nelle ossa che ora le bruciavano sotto la carne.
Lo amava nelle vene che irrogavano sangue nel suo cuore in fiamme.
 
Draco Malfoy era la creatura peggiore di cui ci si potesse innamorare.
Perché ti feriva e ti sanava nel tempo di un singolo bacio affamato.
 
 
Quando Draco si staccó riprese fiato ed aprí gli occhi per osservare finalmente il volto della ragazza scoperto dal cappuccio.
 
  • Non dovresti essere ad Hogwarts Wool, sei una stupida… – disse, ansimante.
 
Ania fece scivolare le mani lontane dal suo collo e lo guardó fisso in volto, deglutendo appena.
 
 
  • Che io sia stupida o geniale non ha importanza. Immagina il peggiore scenario del mondo, Draco… quella è la ragione per cui siamo qui… -
 
Draco strinse gli occhi e le ciglia gli tremarono appena.
 
  • “Siamo”? – chiese in un sussurro, e Ania strinse i denti.
  • Siamo. – confermó, lasciando ben intendere a Draco che l’Indesiderabile Numero Uno, era, come lei, tra le mura di quello stesso castello.
 
 
 

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Capitolo 38
*** La Battaglia di Hogwarts ***





Quando l’allarme suonó forte tra le pareti del castello e gli studenti furono forzati fuori dai loro letti,
c’era un solo sussurro che rimbalzava da bocca a bocca.
 
Potter.
Harry, Harry Potter ad Hogwarts.
 
 
I piedi nudi non fecero in tempo a sfiorare le pietre della Sala Grande che tutti gli studenti si erano ormai fatti un’idea del perché di quell’emergenza notturna.
 
 
  • È giunta voce…. – scandí O’Tosue portandosi le mani dietro la schiena.
  • Che un intruso abbia penetrato le mura del castello, stanotte… -
 
 
I suoi passi echeggiarono sonoramente tra le alte mura in pietra.
Nessun osava emettere un fiato, nonostante i pensieri macinassero rumorosi.
 
Draco abbassó lo sguardo, appena in tempo per evitare di incrociare quello di O’Tosue.
 
Li rialzó il secondo dopo, spostandoli nervosamente sui Carrow, giá a bacchetta sguainata, e sangue agli occhi.
 
  • Chi di voi avesse informazioni al riguardo, e le tenesse nascoste, sará severamente punito… - continuó il Preside, gli occhi glaciali che si posavano sfacciatamente sul gruppetto malconcio dei Grifondoro.
 
  • Chi invece sará abbastanza valoroso da farsi avanti, sará ricompensato…. –
 
Questa volta gli occhi del Preside si spostarono sull’ala verde-argento.
Anzi.
Si spostarono su di lui.
 
Draco non abbassó lo sguardo, ma soffocó un sospiro di sollievo quando O’Tosue spostó gli occhi su qualcun altro.
 
 
O’Tosue era famoso per i suoi giochetti mentali.
Per la sua abilitá e passione nello scavarti il cervello e frugarci dentro come un vecchio baule.
Se nessuno avesse parlato….
Se nessuno si fosse avanti…
 
 
  • Io ho delle informazioni, Preside. –
 
Una voce solitaria ruppe quel silenzio.
Ma non una voce qualsiasi.
A tutti i presenti risuonó chiara nelle orecchie, di chi fosse quella voce.
 
Draco spalancó gli occhi e cosí il resto della folla, che esterrefatta si ritrasse dal ragazzo.
 
Era lí.
Potter era davvero, ad Hogwarts.
 
 
  • Ma ho quasi la sensazione che la mia ricompensa non sia contemplata. –
 
 
La sua ironia piena d’odio fece sbarrare gli occhi di O’Tosue.
L’uomo fece per slanciarsi in avanti ma si bloccó quando il rumore di due incantesimi di disarmo lo costrinse a voltarsi.
 
 
Ai lati dei Carrow, Hermione Granger e Ron Weasley tenevano bene alte le loro bacchette.
Entrambi erano bagnati fradici, per qualche ragione, e una grossa zanna biancastra sbucava dalla tasca dei pantaloni di Weasley.
 
 
  • Ah! – rise O’Tosue rivoltandosi verso Harry.
  • Credi davvero che un ragazzino orfano e i suoi due amichetti sangue sporco possano fare alcunché Potter? Siete tre contro un esercito. –
 
  • Sono ben piú di tre, temo. –
 
 
La folla tiró di nuovo rumorosamente il fiato e questa volta anche a Draco mancó un battito.
O’Tosue si voltó, solo per ritrovarsi la bacchetta di Ania puntata dritta contro il naso.
 
La ragazza aveva uno sguardo di fuoco.
Il mantello scuro che le copriva di oscuritá il corpo, e i capelli lunghi raccolti in una treccia scompigliata e ribelle.
 
Mai stata cosí inquientante, pensó la folla.
Mai stata cosí seducente, pensó Draco.
 
 
Dietro di lei, una dozzina, o forse una quindicina, di uomini e donne e gnomi a pararle le spalle.
Sui loro volti, una maschera bianca con una saetta dipinta.
 
 
Le Saette erano arrivate ad Hogwarts.
 
 
  • Il castello è nostro O’Tosue. Puoi anche avvisare il tuo capo. È esercito contro esercito. – scandí Potter stringendo i pugni.
 
O’Tosue strinse i denti, e prima che potesse anche solo fiatare la sua figura si raccolse in un fruscio di ombre e voló oltre le finestre di Hogwarts.
 
Ania abbassó la bacchetta e i suoi occhi si spostarono su Harry.
Poi, si spostarono sulla folla.
 
 
Nessuno guardava piú il Prescelto.
L’intera Hogwarts tremava di sospresa alla comparsa di Ania Wool.
 
Un tempo, Linguamozza.
Ora, ricercata da mesi, presunta Mangiamorte, figlia di Clelia Wool e figlioccia di Severus Piton.
A bacchetta sguainata, al fianco di Harry Potter.
 
  • POTTER! –
 
La McGranitt irruppe tra i due stringendo le spalle di Harry e Ania la ringrazió mentalmente per quell’intrusione.
 
  • Felice di vederti ragazzo. –
  • Professoressa McGranitt, dobbiamo sgomberare il castello. Arriveranno, presto e… -
  • Di questo me la vedo io. Tu fai qualsiasi cosa sia venuto a fare stanotte… - annuí la donna fieramente prima di spostare gli occhi sui suoi studenti.
  • I Prefetti e i Caposcuola accompagnino i rispettivi studenti verso i dormitori. Il castello deve essere evacuato e… –
 
  • …Cosa? Sono ricercati! Entrambi! Io dico, informiamo il Ministero !–
 
  • Io dico chiudi quella cazzo di fogna Pansy. – sbottó Draco, nevrotico staccandosi dal gruppo delle Serpi e mandando saette con gli occhi.
 
Pansy lo guardó esterrefatta, e la sua sorpresa si accentuò all’estremo quando vide la figura di Ania pararsi inconsciamente dietro le spalle di Draco.
 
  • Il suo contributo è sempre molto prezioso Miss Parkinson. Potrá certamente discuterne con i suoi compagni durante il tragitto verso il suo dormitorio. L’aria dei Sotterranei vi faciliterá il dialogo. – sbottó la McGranitt, mentre un urlo di esultazione ruppe l’aria greve che si era creata.
 
 
Nella confusione piú totale la McGranitt annuí un’ultima volta verso Harry prima di spalancare le porte della Sala Grande con un soffio di bacchetta.
 
  • Dovresti andartene anche tu… - bisbiglió Ania ancora intenta a nascondersi buffamente dietro le spalle di Draco.
I suoi occhi vagavano nervosamente sulla folla di ragazzi, chi su di giri, chi in pieno panico.
Il gruppetto verde-argento non se l’era fatto ripetere due volte, e la mente di Ania non poteva impedirsi di sperare che Draco li seguisse.
 
  • E lasciare a Potter tutta la gloria? – disse lui, riportandola con gli occhi sulla sua smorfia arrogante.
 
Ania lo guardó con il cipiglio piú severo che riuscisse ma poi gettó la spugna.
Il suo cuore era egoista.
 
 
 
 
Il castello si animó di voci e bagliori luminosi.
 
Non ci volle molto perché l’Ordine della Fenice al completo si affiancasse agli insegnati di Hogwarts.
I Weasley, Lupin, i Tonks.
Ma non solo.
 
 
  • Draco… - sussurró Ania fermandosi davanti il portone d’ingresso dell’Atrio.
  • Quella non è ...- biascicó stringendo gli occhi
 
La figura di Narcissa Malfoy spiccava come una macchina d’inchiostro su una pergamena, nella sua imponenza aristocratica.
I capelli appena raccolti, e le braccia incrociate, mentre con sguardo turbato faceva vagare gli occhi sulla barriera magica che a poco a poco avvolgeva il castello.
 
  • Cosa cazzo... Ma perché voi femmine siete delle pazze furiose? –
 
Il tono di Draco trasudava nervosismo e preoccupazione, e Ania nemmeno si arrabbió quando la scostó poco delicatamente per dirigersi a passo spedito verso la madre.
 
Narcissa si voltó appena in tempo per vedere il figlio marciare contro di lei, ed alzó gli occhi al cielo.
 
Draco sovrastava la madre di un buon trenta centimetri, ma nonostante questo, Narcissa era avvolta da un enorme aurea di superioritá che lo faceva sembrare un bambino di cinque anni.
 
Era quasi tenero vederlo sbraitare contro quella donna di ghiaccio, inveirle di tornare a casa come se lui fosse il genitore preoccupato e lei l’adolescente senza freni.
Ania non poteva sentirli, ma sorrise a quella buffa scena, poggiandosi all’imponente portone dell’Ingresso.
 
 
Ma il suo sorriso si geló i suoi occhi incrociarono quelli di Sirius Black, appena comparso alle spalle della McGranitt.
Si era dato una ripulita, l’ex fuorilegge.
I tatuaggi celtici gridavano rancore dal suo petto, ma i capelli stretti nella coda di cavallo e la barba curata regalavano l’immagine di un uomo onesto.
 
 
I loro sguardi si studiarono un attimo, Ania era quasi sul punto di fargli un cenno, quando gli occhi dell’uomo si spostarono da lei, con un tremito.
 
E Ania capí.
Non c’era bisogno nemmeno di voltarsi.
Lo sentiva nell’aria.
Gli occhi di Black parlavano da soli.
Gli occhi di un uomo innamorato che rivede l’amore della sua vita dopo mesi.
 
Si poteva percepire la presenza di Clelia Wool, anche solo dall’emozione che traboccava da quelle iridi.
 
 
  • Ania. –
 
 
Fu solo un sussurro, ma le diede i brividi.
 
-Ania ti prego, voltati. -
 
Era una preghiera, ma decisa.
Non una tipa da piagnucolii vari sua madre, dopotutto.
 
Quando si volse Clelia Wool era, infatti, difronte a lei.
Piuttosto in forma, a dirla tutta.
Non con quelle guance scavate e gli occhi folli a cui si era abituata a Casa Tonks.
 
Indossava anzi un bel mantello porpora e il suo volto era perfetto come poteva esserlo quello di angelo.
 
 
  • Ciao…- disse sua madre con un sorriso incerto ma rilassato.
 
  • Ciao, Clelia… -  disse lei, il tono neutro di chi non sa nemmeno che emozioni provare.
 
 
 
Clelia tentó un altro sorriso, e poi abbassó lo sguardo, facendolo vagare sul viso e sul corpo adolescente di sua figlia.
 
 
  • Ci sono cose che dovrei dirti… - inizió, ma Ania la interruppe.
 
  • Non sono sicura sia il momento piú adatto, a dire il vero. Sono anni che aspetto, ma ora… - le parole le uscirono velocemente, cosí come le aveva pensate.
 
 
I suoi occhi si spostarono velocemente verso l’enorme muraglia di luce che si alzava fino al cielo, fino a diventare protezione e gabbia insieme del loro amato castello.
 
 
Clelia seguí il suo sguardo e Ania la sentí rabbrividire.
 
 
  • Spero tu non abbia pensato nemmeno un attimo che io fossi una di loro Ania. – disse sua madre senza spostare gli occhi.
  • …ma se anche lo avessi pensato, ti faró cambiare idea quando staccheró la testa di ogni singolo Mangiamorte che mi trovo davanti stanotte. – disse, e il suo tono vibró di disprezzo e rabbia.
 
Ania spostó lo sguardo su di lei e non riuscí a trattenere un sorriso.
 
  • Sembra divertente. – disse e Clelia si aprí in un sorriso divertito che le avvolse labbra e occhi.
 
 
Quel momento, quel dimenticato amore che le avvolse sbiadí come ghiaccio nel fuoco quando un boato atroce fece tremare il terreno fradicio.
 
 
Ania alzó gli occhi verso la destra, dove una nube di fumo annunciava il primo attacco dei Mangiamorte contro gli incantesimi di Hogwarts.
 
 
  • Il ponte…. – sussurró Ania.
 
Non fece in tempo a spiccare il volo verso l’atrio del castello che una stretta al braccio la fece voltare con dolore.
 
  • Wool… - biascicó Draco guardando con ansia il fondo del corridoio verso il ponte.
  • Sei sicura che… -
 
Ania poteva leggere la paura dipinta tra gli occhi di ghiaccio del ragazzo.
Anche lei avrebbe dovuto avere paura, e invece non ne provava, nemmeno un briciolo.
 
Ora aveva sua madre.
Aveva Harry.
Aveva una bacchetta tutta sua.
Aveva la considerazione di tutta Hogwarts.
E soprattutto, aveva le mani del ragazzo piú attraente del  pianeta attaccate al braccio.
 
 
In un moto di euforia gettó le mani tra i capelli di lui e lo tiró a sé, premendo con le forza le labbra sulle sue.
 
Non credeva nemmeno di poter baciare con cosí tanta foga, eppure sentiva un incendio divamparle tra le costole.
 
 
  • Non preoccuparti Malfoy. Ti guardo io le spalle, ah? – sussurró divertita prima di prendere a correre verso la fine del corridoio.
  • NON ESSERE STUPIDA WOOL… SO GUARDARMELE DA SOLO…arrogante del cazzo…. – lo sentí blaterare prima di sfoderare la bacchetta e procedere a passo militare dietro di lei.
.
.
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.
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.
.
 
Prima che arrivassero al ponte un altro boato, piú forte, li fece quasi cadere a terra.
 
Le difese del castello stavano cedendo.
Ania sentiva le urla dei Mangiamorte sempre piú forti, sempre piú vicine.
 
Quando sbucarono di nuovo nella fredda aria del giardino, gli occhi di Ania incontrarono quelli di Ginny Weasley, a bacchetta sguaiata, e volto pallido.
 
 
 
  • NON REGGERÁ A LUNGO. – le gridó, quando un terzo boato li costrinse a schiacciarsi le mani sulle orecchie.
 
Ania deglutí forte, e il suo cervello prese a ragionare velocemente, in cerca di una soluzione.
 
 
Dall’altro lato del ponte, una trentina di tuniche nere sferzava incantesimi rabbiosi contro la barriera e gridavano insulti.
Non vedevano l’ora.
Non vedevano l’ora di puntare le loro bacchette contro le loro testoline giovani.
Non vedevano l’ora di imbarattare il ponte di Hogwarts col loro sangue.
Di distruggere tutto ció che si trovavano davanti.
 
 
E Ania, cazzo, Ania provava lo stesso in quel momento.
Non vedeva l’ora  di staccare la testa ad ognuno di loro, cosí come aveva detto sua madre.
 
 
  • Oh no… - sussurró Draco, e quando Ania si voltó a fissarlo il suo sguardo le mise i brividi.
 
Dall’altra parte del Lago, su quella esatta collina su cui loro quattro si erano materializzati appena un’ora prima, una folta folla di Mangiamorte fissava amaramente il castello.
In capo al gruppo, una figura affilata, quasi fluttuante, avvolta nell’oscuritá li fissava con disprezzo.
 
 
Ania non lo aveva mai visto.
Nemmeno immaginato.
Ma le bastó uno sguardo per capirlo.
 
Lord Voldemort, li aveva appena onorati della sua presenza.
 
 
Il Mago alzó appena il braccio.
Lo puntó verso il castello.
 
Fu un sibilio.
Un attimo.
Poi l’urlo.
 
 
  • A TERRA! –
 
La voce di Fred Weasley li fece tremare da capo a piedi.
Draco la buttó a terra prima che lei potesse collegare il cervello al corpo.
 
Questa volta non vi fu un boato.
Questa volta, vi fu un esplosione.
 
 
BOOM.
 
 
L’intera barriera magica implose come un bolla di sapone e vetro.
 
Pezzi di luce gli piovvero addosso.
Minuscoli granelli di speranza che venivano spazzati via dall’urlo rabbioso del Signore Oscuro.
 
 
Ci fu un attimo, una frazione, di silenzio.
Quel tanto che gli bastó per alzare lentamente gli occhi sull’avversario.
Schieramento contro schieramento.
 
Nero contro bianco.
Mangiamorte, contro Hogwarts.
 
Un giovane Lupo Mannaro dal viso affilato e la barbetta inspida avanzó un passo.
La punta della sua scarpa si fermó appena un millimetro prima del ponte, cauto.
 
I respiri vennero trattenuti in gola, e gli occhi si spalancarono nervosamente, quando anche quella minuscola, infima distanza venne annullata.
 
Nulla accadde.
 
Il sorriso del giovane si allargó sul volto.
Poi l’urlo.
 
  • ALL’ATTACCO! –
 
Le voci dei Mangiamorte li fecero tremare da capo a piedi.
Persino il ponte inizió a vibrare sotto i passi violenti della truppa oscura.
 
I giovani studenti si alzarono di scatto, bacchetta in mano e cuore in gola.
 
La battaglia, aveva appena avuto inizio.

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Capitolo 39
*** La Strega i Giganti ***


 
 
 Era fuoco e fiamme e polvere.
Erano urla non identificate e pianti lontani.
 
Riuscivi a malapena a restare in piedi, figurarsi voltarti a guardare chi fosse caduto a terra.
 
 
Ania sentí il cuore tremare un paio di volte quando un rumore di corpi abbattuti l’aveva colta alle spalle.
 
La paura di voltarsi e trovare il volto insaguinato di Draco fissarla senza vita dal terreno le fece tremare il cuore.
 
Fu un attimo di distrazione, e un lama di luce tagliente le si conficcó nel fianco.
 
 
  • AH! – gridó, mentre le gambe le cedevano e la facevano inginocchiare difronte il suo aggressore.
 
Il dolore le appannó la vista per un attimo, e quando si ricordó di dover alzare lo sguardo vide la tozza donna con cui stava combattendo aprirsi in un grugnito liberatorio prima di alzare di nuovo la bacchetta.
 
 
Il suo braccio non fece in tempo a stendersi in aria che un lampo viola le si attaccó alla collo.
Ania la vide portarsi le mani alla gola e perdere l’equilibrio, finendo per barcollare all’indietro contro la staccionata del ponte e cadere inesorabilmente nelle fredde acque del Lago.
 
 
  • Credevo fossi tu a dovere guardare le mie spalle Wool … -
 
 
Ania si voltó di scatto, e senza fiato accennó un sorriso di ringraziamento al volto pieno di detriti di Draco.
 
Lo sguardo di Draco si spostó a denti stretti sulla mano di Ania, ancora stretta al fianco sanguinante.
 
La sua mano si stese verso di lei per aiutarla, ma quando spostó lo sguardo verso gli altri combattenti le sue iridi chiare si allargarono di orrore.
 
 
Un grido inumano li stravolse .
Ania lo riconobbe immediatamente.
La puzza, i versi nauseanti che li sovrastavano di almeno dieci metri.
 
I suoi occhi verdi si spalancarono di colpo quando inquadrarono tre giganti spingersi oltre i Mangiamorte sul fragile ponte in ferro.
 
 
Giganti.
 
 
Esseri mitici dotati di incredibile forza e statura.
Raramente sconfitti anche da Maghi di un certo calibro.
Mangiatori di uomini.
Creature nauseabonde e crudeli.
Troppo stupide e incuranti per distinguere un bambino da un cerbiatto.
 
 
La sua sorpresa la portó quasi ai conati di vomito al pensiero che un Mago potesse spingersi ad allearsi con tali creature per distruggere il suo stesso genere.
 
Sentí una rabbia piena di terrore e furia scoppiarle in petto.
La ferita improvvisamente non le faceva male, o almeno non quanto le costole che trattenevano a stento i suoi respiri furiosi.
 
Vide i gemelli Weasley indietreggiare impauriti.
Uno di loro venire schiantato, mentre un Mangiamorte ululava di goduria.
Ginny Weasley strusciare a ritroso.
 
Neville Paciock barcollare violentemente sul ponte scosso dai passi del gigante.
 
 
Quella era una partita senza giocatori.
Era una mano sporca, giocata contro il diavolo.
 
Strinse i denti.
 
Non sarebbe morta cosí.
 
Non avrebbe perso, cosí.
 
 
Schizzó in avanti senza nemmeno accorgersene.
Sentí Draco gridarle dietro e Ronald Weasley sobbalzare quando lei lo spintonó di lato.
 
Era una furia cieca, che le annebbiava la vista.
Le nascondeva la sua statura minuta contro quella del gigante maschio che schiacciava ossa sotto i piedi callosi.
 
  • Mihi lux, mihi umbra…. – sussurró, le iride che parevano allargarsi ad ogni passo verso la morte.
  • Dico te ferrea manu…. -  continuó a recitare, il vento che le sferzava il volto, il fianco che le sanguinava durante il tragitto.
 
  • et tempestas et dolor et mors –
 
Le parole le uscivano come una cantilena, come una preghiera.
 
Un’ombra scura fece per materializzarsi al suo cammino, ma la sua bacchetta sferzó l’aria, rilanciandola lontana oltre le acque scure.
 
 
  • Imploro te ad mandatum meum. Ego voco te ad voluntatem meam –
 
 
Era ormai giunta a metá del ponte.
Un vento innaturale scuoteva le onde del Lago Nero.
 
I piedi del gigante le si arrestarono di fronte.
Ania alzó il volto, gli occhi avvolti da una patina nera che la rendeva cieca.
 
 
  • Pasce hanc escam – sussurró al vento, i pugni chiusi rivolti verso l’alto, la bacchetta stretta in mano che puntava al cielo.
 
Il gigante ululò nel vento.
I Mangiamorte gridarono anatemi.
L’aria ruggiva.
Il Lago gridava.
 
 
  • Pasce hanc… escam- sussurró di nuovo Ania e questa volta, il suo corpo esplose.
 
 
Il momento esatto in cui le sue mani si aprirono verso l’alto, un onda d’aria smorzó i respiri.
Come se l’acqua del Lago avesse invaso le vie respiratorie dei presenti per una frazione di secondo.
E poi gli avesse ridato l’aria.
Prima che
Prima che l’urlo di Ania li riscuotesse tremanti.
 
 
Il grido della ragazza avrebbe potuto spostare una montagna eppure si udí appena. Uno sciame di ombre nere e dense si libró dal suo corpo, colpendo con violenza tutto ció che vi si trovava davanti.
 
 
Ania strinse gli occhi e con fatica spostó le mani davanti a sé.
Era uno sforzo immane, e sentiva ogni parte del suo corpo pregare di smetterla.
 
Eppure il potere non si controlla.
È una bestia ribelle che va lasciata libera di esplodere, di vagare.
In questo caso
Di divorare.
 
 
 
I giganti traballarono vistosamente.
Il primo della fila cadde all’indietro, la sua pelle dilaniata da quella miriade di piccole entitá che gli scavarono gli occhi, che gli bucarono le ossa, che riempirono l’aria, i polmoni, le orecchie.
 
Uno dei tre cadde nel Lago, laddove le Sirene lo attendevano giá pronte a farne la loro preda.
 
Il terzo gigante si portó le mani al viso, acciecato, e si accasció a terra portandosi sotto il suo peso quei pochi Mangiamorte che ancora non si erano Smaterializzati lontano da quella forza oscura.
 
Le gambe di Ania cedettero al suolo e con un rantolo poggió pesantamente i palmi a terra, respirando a fatica.
 
Il silenzio piú totale riempiva ora le orecchie dei presenti, come il ronzio che ti stordisce dopo l’esplosione piú potente mai vissuta.
 
 
  • E quello cosa miseriaccia era? – sentí mormorare col fiatone, mentre la tempia le pulsava forte, mentre goccioloni di sangue le cadevano dal naso e li sputava dalla bocca.
 
Nessuno dei Mangiamorte era rimasto a combattere su quel ponte, ma Ania non fece in tempo ad esultare che la testa le giró violentemente, costringendola a gettarsi di lato, schiena a terra.
 
Sentí dei passi battere forte sul legno marcio, qualcuno avviccinarsi a lei, quando poi…accadde.

 
Un fischio lungo, lento, assordante.
Mille voci di sottofondo.
 
 
  • Avete combattuto con onore… -
 
Disse una voce.
Ania smise di respirare.
 
  • ma in vano… - continuó, sussurrando nelle teste di tutti i presenti, riempendo di orrore i loro cuori.
  • ….Non è quello che voglio. Ogni goccia di sangue magico versato, è una terribile perdita. Comanderó ora le mie truppe di ritirarsi… -
 
Quel sussurró avrebbe potuto ucciderli, in quel momento.
Portarli alla pazzia.
 
  • Nella loro assenza, disponete dei vostri morti… con dignitá. –
  • Harry Potter. Adesso parlo, direttamente a te.
 
  • Questa notte, hai lasciato che i tuoi amici morissero per te, invece che affrontarmi, tu stesso…-
 
  • Nessun disonore è piú grande di questo…-
 
  • Incontrami nella Foresta Proibita, ed affronta il tuo destino. –
 
  • Se rifiuterai di farlo, dovró uccidere ogni donna, uomo o bambino che proverá a nasconderti…
 
  • …da me.
 
 
Quella voce sparí dalle loro teste con un risucchio doloroso.
Il silenzio delle onde che tornavano piatte e la calma dolorosa degli occhi spenti dei morti.
 
 
Il sussurró di Lord Voldemort le risuonó nelle orecchie per qualche altro secondo, prima che le palpebre le calassero sul cielo scuro della Battaglia .
Prima che i sensi la abbandonassero del tutto, e l’oscuritá calasse nella sua mente.
 
 
 
 






AUTHOR'S NOTE

Ebbene si signori, siamo vicinissimi alla fine.
Amo Ania, l'ho coltivato con cosí tanta calma, e attenzione.
Ho aspettato che crescesse, che prendesse coscienza di sé, che si liberasse delle sue insicurezze.
Che soffrisse, e gioisse.
E adesso eccola, ad affrontare giganti con i suoi enormi poteri. Non vedevo l'ora di lasciarla andare, di renderla potente, cosí come lo  é sempre stata a sua insaputa.

Ora, cari lettori, tenetevi pronti per i prossimi ultimi capitoli.
Saranno quelli rivelatori, che svelano gli arcani e mettono al loro posto i tasselli.

A presto.

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Capitolo 40
*** Lo specchio delle Brame ***


Un vociare indefinito le arrivó come da lontano.
Carpiva voci, parole, ma non concetti completi.
Il tutto illuminato dalle tenui luci delle candele ad olio, ancora necessarie per il buio pesto dell’esterno.
 
Ania aprí lentamente gli occhi mettendo a fuoco quel silenzioso trambusto e quel via vai di garze e pozioni e persone.
 
Era nella Sala Grande, e la sua schiena le gridava che era rimasta stesa su quella panca in legno per un bel pó di tempo.
 
Il volto insanguinato e scarnificato di un giovane spostó gli occhi su di lei, ma le sue lacrime di dolore le suggerivano che non la vedesse davvero, mentre Madama Chips posizionava con forza un panno umido sulla sua pelle.
 
La chioma rossiccia del Signor Weasley scompariva tra le mani dall’altro lato della Sala grande, mentre grossi lacrimoni scendevano sulle gote di sua moglie.
 
Ania voltó la testa, ancora stordita e giá nauseata dal mondo che l’aveva accolta al suo risveglio.
 
Alla sua sinistra, non troppo lontani, Narcissa e Draco parlottavano scompigliati.
Entrambi, sembravano interi, ma provati.
 
 
Ania si portó a sedere, cautamente, sperando che il suo stomaco non cedesse e la facesse vomitare nel bel mezzo di tutta quella folla.
 
 
 
Inspiró piano, e con lentezza, uno dopo l’altro, gli avvenimenti dell’ultima ora le tornarono alla mente.
 
Il suo Incanto d’Ombra sul ponte del castello.
I giganti che crollavano.
La voce di Lord Voldemort martellarle la testa.
 
 
Il cuore le saltó un battito mentre con ansia cercava il volto di Harry.
Deglutí con forza e fu con un tremolio che per puro caso incroció gli occhi di Hermione Granger, umidi e pieni di angoscia.
 
 
Qualcosa nello sguardo che le rivolse era cambiato.
Hermione Granger aveva forse veramente capito solo in quel momento da che parte stesse Ania.
E Dio solo sa quante ne fosse contenta in quel momento.
 
Ma ad Ania non interessava toccare quell’argomento, almeno non ora.
C’era qualcos’altro che le premeva sapere.
 
 
  • Harry? – mimó con le labbra, sicura che la ragazza avrebbe colto al volo.
 
 
E infatti Hermione colse e se possibile il suo sguardo si intristì ancora di piú.
Le sue palpebre tremarono di tristezza, e chiuse gli occhi.
Quando li riaprí li indirizzo verso le alte finestre buie della Sala Grande, laddove, cupa e immobile, la Foresta Nera li salutava in silenzio.
 
 
Ania non era ancora abbastanza in forze per agitarsi.
 
Il suo cuore non pompava abbastanza sangue per impazzire di paura.
Ma la sua gola si strinse, i denti scattarono l’uno contro l’altro.
 
 
Inspiró profondamente e gettó le gambe sul pavimento.
Portó una mano davanti a sé e la vide tremare violentemente.
 
 
Qualcuno dal camicie bianco le passó un bicchiere di vetro impolverato, e senza pensarci Ania buttó giú qualsiasi cosa le avesse dato.
 
I suoi nervi parvero sciogliersi e il respiro tranquillizzarsi.
 
Un calmante, pensó.
 
 
Barcolló a passo leggero fuori dalla Sala, desiderosa di silenzio, di ombra.
 
Bruciature e sangue decoravano le mura in pietra del castello, e ad ogni angolo una storia diversa pareva raccontarsi da quei nuovi, macabri dettagli.
 
 
Scarpe, bacchette, pezzi di abito.
Dita.
Le maschere delle Saette che giacevano sul pavimento.
Alcune immacolate.
Altre, imbrattate del sangue scuro del loro proprietario.
 
 
Ania si appoggió ad una parete fredda, lasciando che il calmante facesse il suo effetto e la guidasse fuori da quello stordimento.
 
La luna brillava forte in cielo, e gettava ombre luminose tra le colonne.
 
Fu solo quando una di quelle ombre scivoló di lato che Ania balzó via dalla parete.
 
Strinse gli occhi e quasi inconsciamente scosse la testa.
 
 
-Severus? – disse al nulla, incapace di credere ai suoi stupidi occhi e alle sue stupide visioni.
 
 
Quando l’ombra si voltó verso di lei, Ania fu quasi certa di distinguerle davvero quelle iridi scure.
Quel naso adunco.
Quel cipiglio annoiato e severo.
 
L’ombra si rivoltó di scatto e a passo veloce oltrepassó le colonne del cortile.
 
Svoltó a sinistra e prima che sparisse del tutto, Ania si affrettó a seguirla.
 
 
Erano numerosi i crateri nei muri, e almeno una decina le cornici distrutte e ora penzolanti dalle pareti.
Ma Ania ci faceva appena caso.
 
Prima di svoltare di nuovo, l’ombra le aveva lanciato un’occhiata decisa e Ania aveva davvero visto la figura del suo padrino fermarsi a guardarla.
Quello, o il calmante che le avevano dato era in realtá un allucinogeno.
 
 
Quando Ania sbalzó in avanti in una piccola corsa per gettarsi nella stessa aula dell’ombra, la sorpresa la devastó nel trovarla completamente vuota.
 
Nulla.
In quella vecchia aula in disuso non vi era praticamente nulla.
Ne banchi, ne sedie accattaste contro il muro.
Nemmeno segni della battaglia o vecchi libri lasciati li ad ammuffire.
Solo le alte volte gotiche.
Le pietre antiche.
E uno specchio.
 
Alto, e di fattura pregiata.
Ania lo fissó stringendo gli occhi, insicura sul come affrontare la situazione.
Le sembrava stupido farsi incuriosire da uno stupido specchio, ora che la morte incombeva cosi vividamente intorno a loro.
 
Suo malgrado, avanzó qualche passo verso l’oggetto, inspirando l’aria polverosa.
 
Non poteva essere meno alto di due metri e mezzo, e la cornice cosi lucida da riflettere bagliori dorati sulle colonne in pietra.
Sulla parte piú alta della cornice, una scritta in latina recitava:
Mostro non il tuo viso ma le tue brame.
 
 
  • Mostro non il tuo viso, ma le tue brame. – recitó Ania tra sé e sé, ammaliata.
 
 
Si avvicinó piano, e con uno stupido stupore riconobbe il suo riflesso malconcio salutarla.
 
Un graffio sulla guancia, la maglia di flanella rosa cipria sporca di sangue.
I capelli malamente legati i una treccia bassa e gli occhi vispi che si studiavano incuriositi.
 
Strinse gli occhi con un tremito.
Ad ogni passo che faceva, il suo riflesso non era piú solo.
Dietro di lei, la figura di un giovane uomo di bell’aspetto si delineó poco a poco.
 
La mascella definita, lo sguardo fiero.
Le labbra strette in una linea sottile, e gli occhi verdi che si piantarono nei suoi non appena li osservó per bene.
 
  • Cosa… - sbalzó di spaventò quasi inciampando all’indietro, mentre il volto del giovane trentenne sbiadiva appena.
 
Il cuore riprese la sua corsa e questa volta Ania non provó nemmeno a fermarlo.
 
  • L’hai riconosciuto, vero? –
 
La voce di sua madre la colse cosí tanto alla sprovvista da farle cacciare la bacchetta dalla tasca dei jeans.
 
Clelia sorrise appena a quel gesto, senza peró nascondere uno sguardo pieno di ansia e rimorso.
Di nuovo, quella Clelia che la allontanava e la guardava con timore, era tornata a farle visita.
 
 
  • No, non ho riconosciuto proprio nessuno. – blateró Ania, deglutendo forte.
 
Clelia sospiró ed uscí di qualche passo dalla penombra, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro le orecchie.
 
 
  • Quello è Lo Specchio delle Brame, Ania… - disse, accennando con il capo al grosso oggetto magico al centro della stanza.
  • Inutile che ti dica quale sia il suo compito. –
 
 
Ania deglutí e strinse forte i denti, voltandosi di nuovo verso lo specchio.
 
Abbassó la bacchetta e con diffidenza e terrore si riavvicinó allo specchio.
L’uomo ricomparve e Ania strinse gli occhi.
 
  • Quello che vedo… l’uomo che vedo é… -
  • È, probabilmente tuo padre…. Ania… - disse Clelia con un filo di voce.
 
Ora Ania era in panico totale.
Sembrava che il suo corpo non ne volesse sapere di calmarsi.
Il suo piú grande desiderio era sempre stato quello, lo sapeva.
Sapere.
Sapere chi fosse.
Chi fosse l’uomo che…
 
 
 
  • Spero tu lo stia vedendo con lo aspetto che aveva all’ora, e non con quello che ha oggi… - sussurró Clelia e il mondo parve fermarsi.
 
 
Ania poteva sentire la vergogna, la rabbia, l’orrore, tutte insieme nella sua voce.
Un sorriso nervoso le si dipinse sulle labbra.
Guardó sua madre con cosí tanta rabbia che Clelia rabbrividí .
 
 
  • Di cosa diavolo stai parlando Clelia? Non mi vorrai sul serio dire che… -
 
  • Gli Horcrux non sono stati il suo unico tentativo Ania, ci sono altri modi che ha provato per…. –
  • Piantala… -
 
  • Crearsi dei portatori del suo sangue era il modo piú semplice, piú veloce, qualcuno che conservasse parte del suo potere in giro per il mondo. E quale modo piú efficace per farla pagare alle spie dell’Ordine come me…. –
  • No… -
  • Quando poi ha preso di mira i Potter, io e Lily abbiamo pensato alla cosa piú folle che potessimo fare. Tu eri un dono, non una condanna e…. –
  • HO DETTO PIANTALA! –
 
 
L’urlo di Ania fece vibrare le pareti.
L’uomo nel riflesso scomparve di colpo, riflettendo solo una ragazza con gli occhi folli e il petto che si alzava e si abbassava affannosamente.
 
 
  • Tu sei… - continuó Clelia, grosse lacrime che ora le solcavano il volto
  • La ragione per cui Harry è sopravvissuto Ania. Lord Voldemort non puó attaccare il suo stesso sangue. – disse, e l’aria si fece cosí pesante che le parole parevano perdere forza sotto di essa.
 
 
O forse era la voce di Clelia a farsi tremendamente debole, ora che la veritá veniva esposta crudamente, sotto gli occhi distrutti del suo interlocutore.
 
 
  • Ma allo stesso tempo, lui non puó morire se tu… -
 
Ania spalancó appena le labbra.
Sua madre non le faceva pena, in quel momento.
Nonostante si stesse crogiolando nel dolore.
 
Lei si faceva pena.
Lei si faceva orrore.
 
Lei era il prodotto di un folle, perverso, digustoso tentativo di immortalitá.
 
  • …Se io non muoio. – disse con voce placida, lasciando che il suo cuore bollisse in quel calderone di consapevolezza e dolore.
 
 
Ora tutto aveva senso.
Aveva senso l’espressione di orrore di sua madre nello scoprirla ancora viva.
Aveva senso lo sconcerto di Narcissa Malfoy nel riconoscere nel suo volto dei tratti troppo familiari.
Aveva senso il patto di sangue.
E il suo rapporto morboso con Harry.
Aveva senso il suo amore per le arti oscure, il contorto discorso del Cappello al suo Smistamento in Serpeverde.
 
 
Aveva tutto schifosamente senso.
 
 
 
Abbassó lo sguardo, e una lacrima si lasció andare verso il pavimento.
 
  • Non vedevo l’ora di sapere chi fosse. Tutti i miei anni li ho passati morendo dalla necessitá di sapere. E tu…tu non potevi…. –
  • Non potevo dirtelo Ania, non potevo dirlo a nessuno. Nessuno poteva saperlo o ti avrebbero…-
  • Cosa, madre? Uccisa? Non è forse quello che mi stai chiedendo di fare adesso? POTEVI UCCIDERMI TU APPENA MI HAI PARTORITA! – le urló contro.
 
 
Le sembrava di impazzire.
Avrebbe potuto schiantarla in quel momento, e forse solo la sua sete di risposte glielo impediva.
 
 
  • Li ho uccisi tutti Ania. Gli altri bambini. Ho fatto quello che dovevo. Mi sono trasformata in un mostro. Ho pagato e pago ancora con la mia coscienza per quello che ho dovuto fare, ma dio, non potevo, non potevo farlo con la mia stessa figlia. –
 
 
Ania affogó per un attimo nelle iridi celesti di sua madre, prima che tutta quella conoscenza le piombasse addosso come un macigno.
 
Si gettó le mani sul volto, tremante.
Inpiró forte, lasciando che le lacrime le scoppiassero dalle iridi con un rantolo.
 
Era troppo.
Era tutto troppo.
 
 
Si gettó barcollante verso la porta, cercando aria, aria che non sapesse di morte, o menzogne o dolore.
 
  • Mi dispiace tesoro.
  • Mi dispiace. –
 
 
La sentí mugugnare, ma il suo udito decise di respingere quelle parole lontano dalla sua testa in subbuglio.
 
Vedeva appena dove andava.
Il suo corpo strusciava dolorosamente contro ogni superificie sul percorso, incapace di reggersi da solo.
Stava male.
Stava cosí male da volersi strappare ossa e carne.
 
E si malediva per non essere mai arrivata al punto da farla finita, per non essere mai morta in qualche modo banale, in qualche modo stupido.
Avrebbe fatto un piacere a tutti, a quanto pareva.
 
Avrebbe fatto un grosso piacere a se stessa, soprattutto.
Si sarebbe risparmiata la decisione.
La responsabilità.
Di recarsi presso la morte.
Specialmente ora, che improvvisamente, amava ogni parte della sua stupida, maledettissima vita.
 
 
La sua corsa arrivó a un termine quando le gambe le chiesero pietá, costringendola a strusciare contro una parete.
 
 
Pianse di dolore, sommessamente, silenziosamente.
Ma con una miriade di aghi piantati nel cuore.
 
Fu di nuovo la luna, a calmarla.
Lei che se ne stava immobile ad osservarli da decenni.
 
Lei che non reputava niente di tutto quello che stava accadendo importante.
Erano solo tante piccole vite che brulicavano in quel determinato momento, e che sarebbero scomparse il momento dopo.
 
Era cosí da decenni.
Secoli.
Millenni.
 
Strinse gli occhi lasciando che un’ultima piccola goccia le carezzasse la guancia.
 
Forse era sempre stato davvero quello l’unico scopo della sua vita.
Una vita cosí preziosa, mantenuta salda alla terra fino al momento giusto.
 
Dopotutto, non era quello che avevano deciso tutti i presenti in quel castello, quella notte?
Di rischiare la vita, rimanendo, di votare la loro esistenza per quel preciso attimo.
 
Di scommettere se stessi, per una vincita piú grande.
Cosí aveva scommesso Fred Weasley
Cosí aveva scommesso Remus Lupin.
Cosí alla fine, aveva scommesso Harry.
 
 
La maschera silenziosa di una Saetta la salutó dal muretto tra le colonne.
Come lei, se ne stava a faccia in su, a guardare la luna.
 
Chissá se il suo proprietario aveva alla fine vinto quella scommessa, o se l’era data a gambe levate.
Con una piccola spinta contro il muro Ania si riportó in piedi e allungó una mano verso la maschera.
 
La fissó per un attimo, sfiorando con il dito i contorni modellati in quel materiale leggero.
 
 
Lei era esattamente come gli altri, ma la sua scommessa era un pó diversa, un pó speciale.
Quella in palio, quella da preservare, non era la sua vita.
No.
A lei era decisamente piú semplice.
 
Lei, doveva solo inspirare piano.
Inchinarsi.
E lasciarsi morire.

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Capitolo 41
*** La fine ***


La Foresta nera sembrava essere stata private di qualsiasi bagliore.
Neanche i riflessi scintillanti del Lago sembravano arrivare oltre le fronde scure e dense di quella notte.
 
Ania calpestó un ramo secco e il fiato le tremó nella notte fredda.
 
Poteva sentire delle voci, da non troppo lontano.
Poteva sentirne la presenza, anche senza vederli.
 
Tu-sai-Chi
Il Signore Oscuro
Colui-che-non-doveva-essere-nominato.
 
Alla fine dei conti.
 
L’uomo che aveva stuprato suo madre diciassette anni prima, in un folle tentativo di onnipotenza.
 
Le venne la nausea, a quel solo pensiero.
Ma poi una cicatrice ben visible sulla fronte e degli occhiali storti le ricordarono chi, come lei, era stato vittima di un destino che non aveva minimamente scelto
E che comunque ora era lí, in ginocchio, tremante ma fiero, ad affrontare quel fato non voluto.
 
 
Harry.
 
 
I capelli neri sparsi sul volto, il volto sudato e provato.
Li, a pochi metri da lei.
 
Il duello era giá iniziato e le condizioni del ragazzo non promettevano nulla di buono.
 
Harry si teneva un fianco, tremava.
Stringeva I denti, con rabbia, con grinta.
 
Ania serpeggió verso quella piccolo radura.
 
Una decina di Mangiamorte che si tenevano su due lati del cerchio
Ania ne studió per un attimo i volti, alcuni coperti da una maschera, altri no.
 
Poi un sibillio forte e feroce attiró la sua attenzione, e la gamba le pizzicó per quel ricordo doloroso.
 
Nagini.
 
La vide, maestosa e letale come solo una bestia leggendaria poteva essere.
Il serpente sibiló di veleno, aizzandosi prepontente, prima di riabbassarsi ad un cenno del suo padrone.
 
 
Era lí, davanti a lei.
 
Ania si avvicinó strisciando i piedi nella maniera piú silenziosa possibile, per vederlo meglio.
Era come il mostro che si nascondeva sotto il letto da bambino,e  che compariva se facevi I dispetti alla mamma.
Era come l’ansia nera di un brutto presentimento e il tremolio che ti veniva alle mani quando poi si avverava.
 
Era quella sensazione maligna tra le costole, quella consapevolezza che tutto sarebbe andato male.
Ma fatto persona, fatto carne ed ossa, per quanto carne ed ossa potesse definirsi quello mezzoumano che guardava mestamente il ragazzo ai suoi piedi.
 
 
Lord Voldemort.
Il cranio scoperto, le iridi rosse.
 
 
  • Harry Potter…- disse il Mago.
 
Mille scariche elettriche che spaccarono le ossa di Ania.
Non aveva mai nemmeno immaginato la sua voce.
Eppure eccolo, ora, forte e chiaro.
 
 
  • Il ragazzo che é sopravvissuto…venuto a morire. – disse ancora, ed Harry non replicó.
 
Nessun replicó.
Il silenzio che seguí quelle parole risuonó dolorosamente tra gli alberi spogli della foresta.
L’attimo che anticipava la tempesta.
La bacchetta che si alzava in aria.
 
Lord Voldemort che prendeva fiato vittorioso.
 
 
  • NO! –
 
 
La figura minuta di Ania sbucó dai cespugli come un ombra chiara.
 
Lord Voldemort si bloccó appena, voltandosi sorpreso verso quell’intrusione scomoda.
 
 
  • No…. – ripeté Ania, il cuore a mille, gli occhi puntati addosso
  • Harry non morirá stanotte. – disse.
 
Stupidamente il suo corpo si intromise tra Lord Voldemort ed Harry, come se quelle quattro ossa e quei panni scuri fossero una barriera potente.
 
 
  • Saette, puah! – sputó Bellatrix Lestrange, guardando con ribrezzo la Maschera bianca attaccata al volto di Ania.
 
  • Stupidi ingenui, piccoli ratti. – disse avanzando velocemente
 
 
  • Sono qui per sfidare il Signor Oscuro. – sputó d’un fiato Ania, improvvisando, e indietreggiando di colpo quando Bellatrix fece uno scatto in avanti.
 
  • Un Mago d’onore non puó tirarsi indietro da un duello. É la legge, la Legge Magica. –
 
 
In realtá Ania non aveva la piú pallida idea di cosa stesse facendo.
La voce le tremava.
Il cuore le tremava.
 
 
  • AH AH AH. Sfidare il Signore Osc…-
  • Bellatrix! –
 
Bellatrix sobbalzó quando il Signore Oscuro la richiamó all’ordine, e come tutti I presenti spostó sorpresa gli occhi su di lui.
 
  • La legge, é, la Legge. – disse l’uomo piano.
 
I suoi occhi si spostarono di nuovo su Ania e lei si chiese se lui sapesse, se lui sentisse chi realmente si trovasse di fronte.
 
  • Accetto la sfida. – disse poi, inchinando appena il capo e attendendo che Ania facesse lo stesso.
 
  • A…Ani.a…Ani… -
 
 
Ania si voltó verso di lui, finalmente.
Il ragazzo spostó lo sguardo su di lei, scrutandone il volto per niente visibile sotto la Maschera bianca delle Saette, ma Ania bloccó qualsiasi sua parola poggiandogli una mano sulla guancia.
 
 
  • Fino alla morte. Ricordi?- disse, e per qualche motivo, il tremolio nel suo cuore si fece muto e la sua voce smise di raschiarle le corde vocali al solo pronunciare quelle parole.
 
Era chiaro, ora.
Era quello che doveva fare.
Ironicamente, morire era l’unico motivo per cui fosse mai venuta al mondo.
 
Si voltó di nuovo verso il Mago e con tutto il coraggio che aveva, lentamente, si inchinó al suo avversario.
 
Lo sfidato, attacca per primo.
In questo sfortunato caso.
Lord Voldemort.
 
 
E fu doloroso.
Ma cosí doloroso che Ania riuscí a malapena a respingerlo.
 
Mille aghi appuntiti le si conficcarono in petto e trattenne a stento un grido mentre le gambe picchiavano sul suolo duro.
 
  • Un degno alleato si rialza in piedi. – disse il Mago ed Ania non si rese conto si fosse avvicinato finché non vide I suoi piedi chiari a meno di un metro da lei.
 
Ania alzó il volto, e per un attimo si geló, in panico, sotto quelle iridi animalesche.
 
  • Mio Signore. – disse una voce, ed Ania si voltó all’istante verso quel Mangiamorte calvo che si era staccato dalla folla.
 
  • Mio…mio Signore… la lasci a me. Non sprechi il suo tempo. – disse euforico, lanciando avidamente un occhio al collo scoperto di Ania
 
Ma prima che il Signore Oscuro potesse replicare, una brezza scura scosse le foglie sul terreno.
Ania espiró piano, recitando mentalmente una filastrocca malvagia
 
 
 
In frigore decurrit tua ossa…
 
 
Il Mangiamorte calvo si guardó attorno, non troppo sicuro da dove quell’improvvisa brezza arrivasse.
Spostó gli occhi sul suo Signore, confuso, prima di spalancarli al sentire un qualcosa di glaciale aggrapparsi dall’ interno del suo stomaco.
 
Fu un attimo in cui un grido smorzato gli scappó dalle labbra.
La sua bocca si spalancó, ed un tentacolo nerastro si spinse violentemente da dentro la sua gola, rivoltandone le interiora e lasciando sangue e macerie umane nerastre sul terreno.
 
Rivoltandolo come il piú misero dei calzini.
 
Ania approfittó di quell’attimo per scattare velocemente in piedi e spostarsi a distanza dal SIgnore Oscuro.
 
Puntó la bacchetta contro di lui, ma poi gli occhi gli caddero sul serpente, appena oltre le sue spalle.
Se solo fosse riuscita ad avviccinarsi, almeno quel tanto, almeno quel poco…
 
 
Con uno scatto veloce si gettó oltre la fila di alberi che circondava la radura.
 
Un bagliore rosso si schiantó contro la corteccia di quella quercia storica, e Ania strinse I denti.
 
 
  • NO!  - gridó Lord Voldemort a chiunque avesse lanciato quell’incantesimo
 
 
 
  • Esci pure, mia cara. – sussurró piano
 
-… tra le mie schiere ho spazio, per una strega in piú …Casualmente, direi, si é appena liberato un posto -
 
 
Ania deglutí forte, graffiando la corteccia dell’albero con le unghie.
Si sistemó meglio la Maschera sul volto e chiuse un attimo gli occhi.
 
Per qualche motivo, gli occhi del suo padrino apparvero per un attimo in quel buio atroce.
 
Lo sguardo di Severus che la guardava duramente, che la spingeva a dare il massimo sempre, che le intimava di non nascondersi come una ridicola poppante.
 
Inconsciamente Ania annuí, e I suoi piedi si spinsero dall’altro lato dell’albero, fintamente incerti.
 
 
Alzó la bacchetta, esagerando il tremolio nelle mani, mentre i piedi si spostavano un pó piú vicino al serpente.
 
 
  • Cosa vuol dire? –  chiese titubante
 
Lord Voldemort sorrise, convinto di averla persuasa.
 
  • La Magia nera é sempre benvenuta fra le mie schiere. –
  • E non importa se é usata contro i tuoi Mangiamorte? – disse Ania con rabbia, ripensando a come lo stesso Severus era caduto vittima di quel Mago folle che non amava nulla.
 
Nello stesso istante, un rantolio atroce costrinse Lord Voldemort a spostare gli occhi verso uno dei volti mascherati di nero.
 
Il giovane in questione si strappó la Maschera da Mangiamorte dal volto e si accasció a terra.
 
Un paio di braccia fecero per soccorrerlo, ma di nuovo il Signor Oscuro interruppe quel gesto con una mano, fissando il corpo del giovane contorcersi e sputare schiuma nera da occhi e bocca.
 
 
  • Nessuno di loro, ha importanza, dico bene  mio signore? – disse Ania con affanno, indietreggiando ancora, sentendo il serpente vibrare di fastidio alla sua vicinanza.
  • Nemmeno Severus Piton, ne aveva… -
 
-Severus Piton mi ha molto deluso. – disse il Mago senza staccare gli occhi dal corpo senza vita del ragazzo
-  Meritava la sua fine. –
 
 
Ania strinse i denti e un moto di rabbia le fece sbattare un piede per terra.
 
 
  • Un duellante guarda negli occhi il suo avversario – aggiunse, e con disprezzo notó il SIgnore Oscuro non muovere un muscolo, ma anzi, quasi sorridere.
 
  • Severus ha provato a fermarmi, a tenermi lontano, dal ragazzo, che ora é qui, ai miei piedi, strisciante…-
  • GUARDAMI! –
 
Ora la frustrazione e la rabbia le rodevano lo stomaco, cosí come I suoi incanti avevano deteriorato le interiora dei due Mangiamorte.
 
 
Provava solo rabbia ora, e non piú paura.
Ma anzi.
Adrenalina, quasi.
 
E quando il Signore Oscuro finalmente spostó gli occhi su di lei Ania impugnó fermamente la sua bacchetta scura e sputó quell’odio con orgoglio, con fierezza.
 
 
  • Severus Piton voleva tenerti lontano da me. E tu lo hai ucciso, come un cane, come se non fosse importante….-
 
  • Nulla é importante, mia cara. Siamo tutti destinati, a perdere dei pezzi– disse il Mago carezzando la sua bacchetta ed avanzando un passo.
 
 
Ania poteva vedere come la sua pazienza si stesse assottigliando, come le dita stringevano impazienti l’impugnatura della bacchetta, come la lingua leccava nervosamente i denti sporchi.
 
 
  • Mai stata piú d’accordo, Mio Signore. – disse piano.
 
 
La mano si strinse forte alla bacchetta.
La punta sferzó l’aria, e in quello stesso istante, Ania vide la consapevolezza del Mago nel capire a cosa si riferisse.
 
Ania non punto la bacchetta contro Lord Voldemort.
Non era cosí sciocca.
La sua preda, era appena alla sua destra.
 
 
  • SECTUSEMPRA-
 
  • NO! –
 
Il serpente sibiló di dolore mentre le sue carni venivano lacerate dalle mille spade di Ania.
La sua testa cadde inerme sul terreno umido, e il sangue schizzó sulle rocce circostanti, perdendosi nell’oscuritá.
 
 
Ma con un fiotto caldo e un lampo d’argento, il sangue del Serpente non fu l’unico a colorare di nero le foglie.
 
Ania si portó una mano alla gola, annaspando, spostando incredula gli occhi sulla bacchetta di Bellatrix ancora puntata a lei.
 
Il corpo le cadette all’indietro e nell’istante in cui gli occhi di Lord Voldemort si aggrappavano alla carcassa senza vita del suo amato serpente, le gambe di Harry scattarono doloranti verso il corpo di Ania.
 
 
  • No, no, no…Ania, non…­ - ma le parole del ragazzo si persero nel nulla quando le strappó la Maschera dal viso.
 
Le premette le mani sul taglio sulla gola, tentando ansimante, piangente di fermare quel fiotto di sangue che ora le sgorgava anche oltre le labbra.
 
 
  • Ania ti prego, ti prego non… -
  •  Harry… é … - tentó di dire Ania, ma le forze le spinsero gli occhi all’indietro e il capo le si piegó di lato.
 
Fu solo in quell’ultimo, esitante attimo in cui la vita le rimase attaccata al corpo, che i suoi occhi verdi incontrarono finalmente quelli del suo avversario.
E forse solo in quel momento, in cui Lord Voldemort spostó lo sguardo su quel viso che gli assomigliava maledettamente ad un Tom Riddle passato, che capí come, la sua migliore seguace avesse appena annullato l’ultimo filo d’anima che lo teneva attaccato alla vita.
 
 
La vita abbandonó le iridi verdi di Ania, e il suo ultimo respiro si perse sotto il grido di dolore, di rabbia di Harry.
 
Harry Potter scattó con tutto l’odio che aveva contro Colui-che-non-doveva-essere-nominato.
 
Lo scontro tra i due incantesimi si disse cosí forte da far tremare le montagne piú lontane.
 
La luce che ne derivó cosí accecante dal rendere cechi I pochi Mangiamorte rimasti.
La Potenza di quell’impatto da spazzare via le foglie e gli alberi novelli per decine di metri.
 
Ma niente di tutto ció venne visto
Dagli occhi ormai senza vita di Ania Eva Riddle.

 

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Capitolo 42
*** Una manciata di ricordi ***


Non si sentiva un suono in tutto Malfoy’s Manor.
 
O forse erano le finestre di camera di Draco ad essere state sigillate, per evitare che posta non voluta gli fosse recapitata.
 
 
La sua stanza, cosí come le altre della tenuta era stata sapientemente ricostruita.
Sembrava che tutto quello che era successo nell’ultimo anno fosse stato di colpo cancellato in soli tre mesi.
 
Persino suo padre era tornato tra quelle mura.
Certo, con mille attacchi di panico, visioni notturne ed una sottile cavigliera che gli impediva di allontanarsi di casa anche solo di un metro.
 
 
Il tribunale era stato benevolo con i Malfoy.
Forse, e soprattutto, grazie al ruolo che Narcissa e Draco avevano alla fine svolto.
 
La famiglia Malfoy era stata smacchiata dagli errori di Lucius, e riluccicava ora di una nuova visibilità benevola.
 
Draco poggió il volto stanco sul palmo della mano.
 
Gli bruciava lo stomaco appena apriva gli occhi la mattina ed evitava di mettere piede fuori casa da settimane.
L’unica eccezione era stata appena dieci giorni prima.
 
Aveva lasciato Malfoy Manor e si era recato in un grosso parco popolato da centinaia di pietre conficcate nel terreno.
Si, esattamente.
La sua meta non era stata null’altro che un cimitero.
Il cimitero di Londra, a dirla tutta.
 
 
Laddove si era infine deciso di seppellire Severus Piton.
Laddove , adesso, una nuova lapide spiccava grigiamente sull’erba appena tagliata.
 
 
Uno scatto nervosa gli fece buttare I libri ordinati dalla scrivania con un gesto della mano.
La statuina in bronzo che teneva come ferma carte dondoló pericolsamente per qualche secondo.
 
La bloccó con una mano, e un sospiro di amarezza gli scappó dalle labbra.
 
 
Ania era morta.
 
Morta.
 
E non c’era niente che si potesse fare al riguardo.
 
 
Il ricordo del funerale si sovrappose all’immagine della statuina che aveva davanti.
Come fosse lí in quel momento, sentí il vento freddo sferzargli il viso pallido e un lugubre silenzio accompagnare una tomba verso la sua collocazione finale.
 
Potter aveva stretto i pugni e aveva nascosto la faccia in una mano.
Sicuramente, in lacrime.
 
E Draco gli avrebbe dato della femminuccia in quel momento, se non che un nodo in golo non lo avesse quasi soffocato quando il primo pugno di terra era caduto sulla tomba in legno.
 
Non sapeva cosa provare.
Parlare di amore era stupido e fuori luogo.
 
Ma nonostante ció, non poteva dire che l’assenza di quella ragazza gli era indifferente.
Era stata un’amica.
Un’amante.
Una complice nel delirio piú assoluto di quei mesi.
Una forza della natura.
Maledetta e potente.
 
 
E, come una ciliegina andata a male su una torta avariata, il vedere la figura di Clelia Wool stringersi nel suo mantello scuro gli aveva reso il tutto piú difficile da digerire.
 
Quella donna, faceva vomitare.
Il modo in cui una madre aveva dato in pasta ai lupi la propria figlia, di come l’aveva costretta a morire, riducendola a carne da macello.
 
Draco la odiava.
Odiava quegli occhi chiari pieni di lacrime.
Odiava quel volto affilato che sbucava appena dal cappuccio.
 
Odiava anche Piton, a dirla tutta.
Odiava chiunque sapesse, dall’inizio, quello che Ania era, e che non aveva fatto niente per risparmiarle la morte.
 
 
Toc Toc
 
 
Draco inspiró tremante, mentre sua madre si affacciava silenziosamente nella semioscuritá della stanza.
 
 
  • Draco stai… -
  • Smettila di chiedermelo, per Diana! –
 
Narcissa strinse per un attimo le labbra, ma poi abbassó lo sguardo.
 
 
  • Mi dispiace tesoro... –
  • Dovevi dirmi qualcosa? – disse lui per interrompere un discorso che voleva a tutti i costi evitare.
 
Sua madre sapeva che c’era stato qualcosa tra lui e quella ragazza.
L’aveva capito dal primo istante, come dal primo istante aveva intravisto qualcosa di sbagliato nel volto di Ania.
Forse, in quel momento, Draco odiava un pó anche sua madre per averglielo tenuto nascosto.
 
 
  • Ti é arrivata la lettera per Hogwarts… - disse piano sua madre .
  • E questa…. –
 
 
 
Poggió quelle due buste chiuse sulla scrivania e Draco si costrinse a spostare lo sguardo su di esse.
 
Per la decima volta nel giro di un mese, si ritrovó a fissare il sigillo blu e nero di Casa Black.
Sul retro della busta vi il suo nome scritto in un elegante scrittura piena di fronzoli.
Al suo interno, quello che sapeva essere l’ennesimo invito per il matrimonio di Clelia Wool e Sirius Black.
 
 
  • Non capisco perché tanta insistenza. Mi sembra tu sia stato piuttosto chiaro. Clelia Wool non mi é mai piaciuta, a dirtela tutta… nemmeno ad Hogwarts quando… -
  • Ho capito mamma. Bruciala. Anche quella per Hogwarts. – disse Draco spostando lo sguardo altrove.
 
Le mani di Narcissa gli strinsero le spalle e Draco chiuse gli occhi.
Voelva solo essere lasciato in pace, eppure quella stretta, lo portó quasi alle lacrime.
 
 
  • Non ho mai desiderato cosí tanto la normalitá Draco. Per te,in particolar modo. – disse strusciando con i pollici sulla sua camicia scura.
 
  • E se ció significa trascinarti sotto Imperius a quel binario, giuro che lo faró . – aggiunse con un sussurro vicino al suo orecchio, lasciandogli poi un bacio sulla guancia a cui Draco non provó nemmeno a sottrarsi.
.
.
.
.
.
 
.
.
.
.
.
Il treno fischió forte sul binario, e lui era lí, a fissarlo, contro la sua volontá.
 
Incredibile.
 
Tutti i presenti su quella locomativa sbuffante sembravano aver rimosso gli accadimenti precedenti quell’estate.
 
Si rideva, ci si abbracciava.
Il chiasso dai vagone sembrava arrivare alle stelle.
 
Ogni singola persona, vestita nei colori della propria casa, stava facendo del suo meglio per seppellire i propri traumi sotto valanghe di Gelatine tutti i Gusti piú Uno e Cioccorane.
 
 
 
Colin Canon scattó foto per tutto il viaggio, travolto dalla frenesia degli studenti di crearsi nuovi ricordi, piú puliti, piú luminosi.
 
E quello spirito di gioia, di pace, seppur barcollante, seppur ancora scossa da incubi e paure, si trascinó in avanti per tutta la prima settimana di corso.
 
Persino Draco, suo malgrado, non poté nascondere il sollievo che provava nel dover organizzare i libri per la lezione successiva o nel cercare il tomo giusto in biblioteca.
Il suo peggior problema ora, era fare tardi a lezione o non avere la cravatta di Serpeverde ben lavata e pronta per il giorno dopo.
 
 
Ma tutto quello era un sipario che talvolta faceva fatica a chiudersi.
Che ancora gli lasciava guardare nelle sue memorie, e scoprire il sangue, e il dolore e gli occhi verdi che si era lasciato alle spalle.
 
 
Ma faceva finta di niente.
Ancora ghignava e fissava con arroganza i Grifondoro nei corridoi.
 
 
Riusciva a nascondere quelle crepe.
Davvero, ce la faceva.
E ce la fece fin troppo bene fino a quel mercoledi mattina, quando, ritornando nelle segrete dalla lezione di Astronomia, un certo via vai poco piú in fondo al corridoio catturó la sua attenzione.
 
 
  • Che stanno facendo? Credevo avessero finito di sistemare il castello. –
  • È l’Ufficio di Piton. Lo stanno svuotando. – disse Blaise lanciando un’occhiata mesta ai due uomini che si caricavano un baule sulle spalle.
 
  • Beh non ti aspettavi mica lasciassero la sua roba lí per sempre? – aggiunse poi l’amico notando la sua faccia sorpresa.
 
 
  • E allora cosa? Tanto vale svaliggiarla? – sbottó Draco lanciandogli un’occhiata traversa.
Sbuffó sommessamente prima di incamminarsi a passo di marcia verso il vecchio ufficio di Piton, guardando con nervosismo oggetti pregiatissimi essere poggiati senza considerazione sul resto delle cianfrusaglie.
 
Gli uomini in nero lo degnarono appena di un’occhiata mentre entrava senza considerazione nello studio.
 
La veritá era che non gliene importava assolutamente niente di quella roba.
Doveva solo vedere, guardare quello studio ombroso svuotarsi della personalitá che lo aveva abitato per cosí a lungo.
 
 
  • Signor Malfoy, oh per Bacco… cosa ci fa qui? –
 
 
Draco sussultó pesantemente quando il vocione gonfio di Lumacorno lo sorprese alle spalle.
 
  • Niente. Curiosavo. È vietato forse? – sbottó nervosamente
 
 
Lumacorno spalancó appena gli occhi per quel tono arrogante, ma il secondo dopo la sua espressione mutó, addolcendosi.
 
  • Certo che puoi mio caro. – disse e Draco dovette trattenere un tremolio alle mani per il nervoso che quella compassione che tutti gli insegnanti avevano di colpo nei suoi confronti.
 
Spostó lo sguardo e fu sicuro che Lumacorno lo fissó per qualche altro secondo prima di lasciare l’ufficio.
 
Nel caos generale Draco non sapeva cosa fare.
Era inerme.
Ne tantomeno voleva davvero mettersi a frugare tra le cose di Piton.
Non aveva bisogno di vecchi volti tumefatti o bauletti dal contenuto sospetto.
 
Certo qualcuno di quei libri poteva essere interessante ma… ne aveva davvero bisogno con un’intera Biblioteca tra le mura di Villa Malfoy?
 
 
Stava quasi per lasciare l’ufficio sentendosi un coglione, quando la frenesia accademica lo spinse verso il cassetto dei temi degli ex studenti.
 
Chissá che non ci avrebbe trovato le risposte ad un futuro test di Difesa o Pozioni…. Dopotutto, i programmi scolastici erano sempre gli stessi.
 
 
Sapeva vagamente dove cercare, e lanciadosi un’occhiata alle spalle gettó le mani verso un’alta cassettiera in metallo arrugginito.
 
Un paio di cassetti erano chiusi da lucchetti, ma con immensa sorpresa a Draco bastó un semplice Alohomora per forzarne l’apertura.
 
 
“Commenti Anno Sesto – Non Ammessi!”
“Correzioni Anno Quarto – Punizioni Serali “
 
Draco trattenne un ghigno quando sbirció in uno di quei fascicoli e il nome di Potter spuntó come primo della lista.
 
Stava quasi per richiudere quel cassetto inutile e frugare nel secondo quando un malloppo di fogli ben stretti dallo spago gli fece schizzare il cuore in gola.
 
Tra “Verifiche a Sorpresa Quinto Grifondoro” e “Alunni Bocciati Corvonero”  una copertina nera era etichettata semplicemente con un nome.
 
“Ania.”
 
 
Non aveva niente di particolare, se non quell’etichette ingiallita dal tempo.
 
Lo afferró velocemente e dando le spalle alla porta lo aprí con mano tremante.
 
Un certificato di nascita, diversi documenti medici ed accademici.
Nulla di troppo interessante, fin quando, arrivato alla copertina anteriore della cartella, Draco non vi scoprí una piccola tasca cucinata nella pelle.
 
Le fialette al suo interno erano cosí piccole da farsi notare appena.
Draco le sfioró on un dito, mentre quella luce bluastra gli illuminava la pelle chiara.
 
Non ci voleva molto a capire cosa fossero.
 
Ricordi.
Ricordi su
o
di
Ania.
 
Qualcuno fece cadere un grosso vaso appena fuori la porta e le imprecazioni che ne seguirono lo fecero sobbalzare.
 
Prima che qualcuno lo scoprisse, afferró le fialette e se le infiló velocemente nella tasca del mantello, furtivamente.
 
  • Ancora qui ragazzo? Dobbiamo sgomberare tutto, c’è roba troppo strana qui dentro. –
 
  • È roba strana se non sai dove mettere le mani, zoticone. – sbottó Draco velenoso ripoggiando la cartellina nel cassetto.
 
 
  • Forse dovreste chiamare qualcuno che sappia fare questo mestiere, ah? –
  • Abbassa un pó i toni ragazzino… - inizió l’uomo, ma prima che potesse continuare Draco l’aveva giá superato e si era diretto euforico verso la Sala Comune dei Serpeverde.

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Capitolo 43
*** La lettera ***


Ania.
Questa lettera è un Messaggio da Lontano. Sai cosa significa.

Se lo stai leggendo, io non sono più in vita per spiegartene il senso.

Ma mentre scrivo, so già che capirai.
 
Non ti ho mai raccontato nulla di te.
Ne di me.


C’è sempre stato un velo polveroso tra di noi.
Lascia che lo sollevi, per aiutarti a capire meglio.
 
Quando mi recai da tua madre, dieci anni fa, reputai quella visita inutile dal primo istante.

Io e Silente volevamo più informazioni da lei, ma quella donna si era già votata al silenzio prima che potessi ricavarle alcunché.

Non la biasimo.
Azkaban era un luogo senza Dio, all’epoca, persino peggiore di come è adesso.

 Uomini forti sono scappati in lacrime, da quel posto. Ed è per questo che dentro di me fui colto dallo stupore quando vidi una ragazzina di sei anni dondolare le gambe su una sedia in ferro, indifferente al gelo dei Dissennatori.
Mi dissero che eri la figlia di Clelia Wool, e che avevi accoltellato Malocchio, e che eri lì per visitare tua madre, non appena me ne fossi andato io.
 
Ania Eva Wool.
 
Alzasti gli occhi nella mia direzione quando ti sentisti nominare.

Dio solo sa cosa pensai in quel momento.
I più terribili pensieri tentai di scacciare, scorgendo in te una somiglianza che la mia mente non riusciva ad accettare.
Mi guardasti ed accennasti un sorriso che non vidi mai, perché preso da quei pensieri, girai sui tacchi e me ne andai dalla prigione.
 

Passarono mesi prima che ti rivedessi.
 

Una rappresentante dell’Orfanotrofio di Londra si presentò alla mia porta.

Mi era dimenticato di tutte le mie congetture, nel frattempo e anche della tua faccia.
Non ci eravamo nemmeno parlati ad Azkaban, eppure la donna dell’orfanotrofio mi disse che sui tuoi documenti era spuntato il mio nome come affidatario in caso di dipartita o abbandono da parte dei tuoi genitori.

Non ebbi il tempo di infuriarmi che la donna buttò la tua valigia nella porta e sparì in un guizzo.
 

Eri completamente fuori luogo, in casa mia, sicuramente mai stato un posto per bambini.
Mentre scrivevo una lettera piena di ira a Silente, invocandolo per risolvere la situazione entro la mezzanotte di quel giorno, tu mi guardasti e dicesti una cosa che mi lasciò di sasso.

 
“Tu sei l’amico di Lily?”
 

Ricordo che la mia mano si bloccò nell’atto di intingere il pennellino. Macchiai la pergameno di goccioloni di inchiostro, ma poco importava.

Quella lettera non sarebbe mai stata spedita.


Ti chiesi di cosa diavolo stavi parlando.
Ti chiesi un sacco di cose.
Abusai dei tuoi ricordi, li sottrassi dalle tue tempie e ad ogni nuova scoperta mi riempivo di stupore e di dolore.

Avevi visto Lily in sfaccettature che io avevo soltanto potuto immaginare.
 

Le assaporai tutte, incurante delle tue emicranie.
Passai mesi a crogiolarmi di quei ricordi da bambina, e per scavare sempre più affondo firmai le carte per tenerti con me fino agli undici anni, fino al giorno in cui saresti andata ad Hogwarts.

Ma quell’entusiasmo durò poco.
Quando giunsi al tuo ultimo ricordo di Lily, mi si spezzò qualcosa, dentro.
 
Scoprì del patto di sangue.
Scoprì delle tue doti.
Scoprì chi sei.


Quello fu il ricordo che riguardai più di tutti. Ma non per Lily, stavolta, no.
Ma per te.
 

La figlia del Signor Oscuro.

La ragione per cui Harry Potter era sopravvissuto.
 

Avrei dovuto avvisare Silente.
Avrei dovuto agire in qualche modo per quella scoperta .

Ma non lo feci.
Mi vergognavo del modo in cui ero arrivato a quel ricordo.

E con la paura di essere giudicato ti tenni quanto più possibile lontana dal mondo, facendoti studiare privatamente e privandoti ogni occasione di crearti degli amici.
 

Eravamo io e te, chiusi in un castello di menzogne e cristalli, pronto a frantumarsi in mille pezzi al minimo errore.

Il tempo passava e alla fine, a tredici anni sfuggisti per la prima volta al mio controllo.
Qualcosa cambiò in te.
 

Sirius Black era scappato di prigione, poi ricatturato e processato. Il verdetto: Innocente su tutte le accuse.
La finta morte di Peter Minus riempì i giornali.
La cosa riportò alla luce la faccenda dei Potter, e tu iniziasti a farti delle domande.
 

La risposta più banale che riuscisti a darti si tradusse in unica necessità: conoscere Harry Potter, il fratello che riempiva i tuoi ricordi infantili.

Volevi andare ad Hogwarts ed io non sapevo come impedirtelo.
Rifiutasti di vedere tua madre quell’anno.
Era la prima volta.


Ti sentivi ripudiata, sola, diversa. Eri piena di rabbia.
Mi ricordasti i momenti in cui avevo provato lo stesso, mi ricordasti qual’era stato l’unico posto al mondo in cui non mi ero sentito cosi.

Hogwarts.

E allora te lo concessi.
 

Ma il castello non fu facile per te.
Nulla è stato mai facile, per te.

Eppure Ania tu sei tra le streghe più formidabili che io abbia mai visto e mi dispiace non avertelo fatto capire durante questi anni.
 

Ma più di questo mi rammarica non averti mai detto quanto sono fiero.

Non sono stato un padre, né un amico.
Né una guida né un esempio.

Ma ti ho amata con la stessa forza con cui ho amato Lily, ti ho amata dal primo momento che ho visto il tuo viso graffiato tra le mura di Azkaban, anche se non lo sapevo, e ti ho amato ogni giorno che ho passato nel vederti crescere, fino ad oggi, in cui stai leggendo questa lettera e in cui non ci sarò a vederti andare avanti.
 

Sei sempre stata la barriera di qualcuno, Ania.

Sei nata per dare immortalità ad un mago avido.

Sei cresciuta per mantenere viva la protezione di un ragazzino fortunato.

Ma adesso, Ania, adesso voglio che tu sia quella da proteggere, perché sei più preziosa di tutto ciò, e voglio essere io la tua barriera.
 
Buon compleanno per tutti i compleanni a cui non ci sarò, Ania.
E un ultimo consiglio.

Tieniti stretta l’anima.
 
Dall’altra parte del baratro, ti saluto.

Tuo aspirante padre, Severus.

 
 
 
 
Mise un punto ben marcato, alla fine di quel nome.
 
Il pennino sostó sulla pergamena cosí tanto da macchiarla di inchiostro.
 
Fissó la macchia allargarsi fino a coprire alcune delle lettere.
 
Dopo un secondo rimase solo leggibile solo Sev.
 
Non che fosse importante.
Aveva riscritto quella lettera, quelle parole, fino ad imparlare a memoria.
 
Memoria.
 
La parola giusta, dopotutto.
 
 
Si raddrizzó sul sedile del treno, stendendo i piedi su quello di fronte.
 
Theodore si lamentó nel sonno, sentendo la punta delle scarpe di Draco spingergli tra le costole, ma Draco lo ignoró.
 
Aveva altro a cui pensare.
Doveva passare la restate parte di viaggio a navigare nelle memorie di Piton, impresse nella sua mente.
 
Le aveva consumate, quelle ampolle.
 
Era solo che…
Solo che vedere una persona in certi contesti, ti lascia un segno, in un certo senso.
 
Vedere un Ania di nove anni, dondolare i piedi nei freddi corridoi di Azkban.
Vederla leggere assorta, nella sua camera a Spinning’s End, assorta nei suoi pensieri.
 
Tutto attraverso gli occhi di Piton.
 
E poi, la lettera.
 
Quella lettera che Draco non smetteva di leggere nei suoi pensieri.
 
Piton aveva dedicato un intero ricordo a quel momento.
Tutto ció che potevi vedere, era la sua stessa mano, pigiare nell’inchiostro ed intigere quelle parole.
 
Era il ricordo piú strano, piú assurdo.
 
Non si interrompeva.
Ogni volta che Piton firmava la missiva, l’inchiostro si riassorbiva, e il ricordo ricominciava da capo.
Come in loop.
 
 
Scosse la testa e spostó lo sguardo oltre il finestrino.
 
Le colline scozzesi erano completamente innevate, e di tanto in tanto qualche piccolo villagio sperso illuminava quel manto bianco con le sue lucine di Natale.
 
Aveva quasi paura di tornare a casa, e magari trovarsi Clelia Wool appostata davanti la porta.
Si perché la donna non aveva smesso un attimo di scrivergli.
Di invitarlo in maniera ossessiva a quel matrimonio di cui si parlava da mesi.
 
 
Sei una pessima donna
Una pessima madre
E sarai una pessima sposa.
Al diavolo tu e il tuo matrimonio Wool.
 
 
 
Gli aveva lui finalmente scritto un giorno, in preda ad un istinto omicidio.
 
Tanto valeva essere chiari, no?
 
Da lí le lettere avevano smesso di arrivare.
Per il momento.
 

 

  • Ahia Draco! Sono le mie costole quelle. –
  • E tu piantala di muoverti! Non sai dormire stando fermo? – sbraitó Draco accigliandosi.
 
 
Theodore si portó a sedere tastandosi l’addome con una mano.

 
  • Ah no, non sono le mie costole… - borbottó tirando fuori dalla tasca un piccolo scatolino scuro
  • Il regalo per mia madre… forse dovrei metterlo in valigia. –
  • Oh, ma che figlioletto adorabile. Ti fai dare anche un bacino della buonanotte? –
  • Hey, io voglio bene a mia madre, qual’è il tuo problema? – si crucció Theodore mentre Draco e Blaise ridacchiavano di lui.
  • Cosa le hai preso Theo? – rise Pansy sporgendosi dal suo sedile.
  • Oh, niente di che… Una collana con le foto di me e mia sorella… sai, mia madre è quei tipi lí, le piacciono le cose sentimentali e… -
  • Una collana hai detto? – disse Draco di colpo guardingo.
  • Si beh, tua madre non mette collane? È una… una collana… -
  • Cazzo! –
 
Sotto lo sguardo allibito degli amici Draco scattó in piedi.
 
Fissó per un attimo la fine del corridoio, mentre il cervello partiva a mille.

 
  • Draco, stai bene? Sei tipo bianchissimo e… - ma Pansy non terminó la frase perché Draco era aveva afferrato velocemente quel foglio macchiato di inchiostro ed era schizzato fuori dal vagone a mille.

 
 
Potter.
Doveva trovare Potter.
E doveva trovarlo subito.
 

 

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